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-The Project Gutenberg eBook of Storia degli Italiani, vol. 6 (di 15), by
-Cesare Cantù
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
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-using this eBook.
-
-Title: Storia degli Italiani, vol. 6 (di 15)
-
-Author: Cesare Cantù
-
-Release Date: September 20, 2021 [eBook #66347]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at
- http://www.pgdp.net (This file was produced from images made
- available by The Internet Archive)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI
-15) ***
-
- STORIA
- DEGLI ITALIANI
-
-
- PER
- CESARE CANTÙ
-
-
- EDIZIONE POPOLARE
- RIVEDUTA DALL’AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
-
- TOMO VI.
-
-
-
- TORINO
- UNIONE TIPOGRAFICA EDITRICE
- 1875
-
-
-
-
-LIBRO OTTAVO
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXI.
-
-Origine dei Comuni.
-
-
-Un pregiudizio attaccatoci da moderni scrittori confonde il Comune
-colla repubblica, la libertà civile colla libertà politica; onde,
-al nominare l’istituzione dei Comuni, immaginiamo una di quelle
-formidabili sollevazioni del dolore irritato, ove le plebi insorgessero
-contro i governanti, risolute di partecipare ai diritti politici di
-questi.
-
-Nulla di ciò. Erano i deboli, che aspiravano ai diritti dell’umanità,
-a scuotersi di dosso il giogo feudale divenuto intollerabile, staccarsi
-dalla gleba, tornare liberi della persona, degli averi, della volontà,
-unendosi coi signori sotto una comune giustizia. In Italia queste
-franchigie crebbero fino a costituire gloriose repubbliche; in
-Francia, al contrario, diedero fondamento all’autorità monarchica;
-in Inghilterra i Comuni si congiunsero coi baroni onde fare a
-quella contrappeso; insomma possono associarsi con qual sia forma di
-governo, essendo il Comune un’estensione della famiglia, anzichè uno
-sminuzzamento del principato.
-
-L’origine de’ Comuni è uno dei punti che più vennero esaminati e
-controversi, dopochè le molte carte tratte in luce, e l’esame de’ varj
-elementi della vita sociale mostrarono l’importanza di quella oscura
-transizione dal vecchio mondo al moderno, donde cominciò il medio
-ceto, o, come dicono, il terzo stato, che in sostanza è il popolo
-d’oggi. Gli scrittori municipali troppo poco s’avvidero dell’interesse
-che ispirerebbe ai loro racconti il tratteggiare la vita interna e il
-particolare incremento degli uomini e della società comunale: sicchè
-noi non abbiamo, ch’io sappia, la compiuta storia d’alcun Comune. Il
-Sismondi saltò di netto la quistione, che pur era capitalissima in una
-storia delle repubbliche. Il Muratori adunò preziosi documenti, ma non
-ne dedusse un concetto generale e coerente, pur in massima allineandosi
-co’ suoi contemporanei nel credere che i Comuni nostri fossero una
-continuazione degli antichi. Ciò fu sostenuto incidentemente da molti
-e con erudizione dal Savigny e dal Pagnoncelli; il quale avrebbe
-avanzato assai questo tema se avesse meglio distinti i tempi. Altri
-sentirono col Raynouard, che in Francia, e principalmente nella parte
-meridionale, vedea le antiche municipalità sopravivere al naufragio
-barbarico, e al lentare dell’oppressione rigalleggiare per formare
-il Comune[1]. S’egli in ciò (come in quella sua lingua romanza, alla
-quale pur aderirono spensieratamente altri Italiani) abbia recato
-un’erudizione di buona lega, se con rettissima coscienza sostenuto
-un paradosso, non è qui luogo a discuterlo: basti che in quistioni sì
-delicate bisogna stare guardinghi di non attribuire un senso generale a
-ciò ch’è particolare, nè applicare ad una nazione quel che in un’altra
-si avveri.
-
-V’inciamparono in senso opposto i Tedeschi, sostenendo i Comuni
-nostri figliati dalla società germanica; essere in ogni città rimasti
-uomini della stirpe conquistatrice, e in conseguenza liberi, sebbene
-non possessori di feudi, e dipendenti soltanto dal re; i quali
-moltiplicaronsi mediante le emancipazioni ed il commercio, tanto che il
-loro Comune esclusivo divenne il nuovo Comune generale[2].
-
-L’eclettismo, riprovevole quando assonni in mezze verità gli spiriti
-non bisognosi di profonde convinzioni, merita lode quando, nessuna
-escludendone, tutte le pondera senza predilezione, onde raggiungere la
-certezza relativa dove l’assoluta è inarrivabile. E in Italia appunto
-tutti que’ sistemi hanno alcuna parte di verità, attesa la diversissima
-sorte che corsero i paesi nostri, da diversissimi elementi derivando.
-
-Prima di Roma, l’Europa civile era disposta in municipalità sovrane,
-mai non essendosi alzato un grande impero che le singole riducesse
-ad unità di legge e di amministrazione; e in ciò risiede la capitale
-differenza dei popoli nostri dagli asiatici. Roma stessa fu un
-municipio, il quale prevalse dapprima agli altri italici, poi a
-tutti d’Europa, e quei governi parziali restrinse all’amministrazione
-civile. Tali noi gli abbandonammo allo sfasciarsi dell’Impero; tali li
-trovarono i Barbari. Questi forse lasciarono sussistere qualche forma
-di regime comunale, non già per generosa indulgenza, ma per ignoranza
-e per difetto d’ordini surrogabili; ma se permisero alla stirpe vinta
-qualche resto di paesano reggimento, non potè essere che ristretto e
-precario quanto il portava una militare oppressione. Tassarsi fra loro
-per conservare un ponte, una via; eleggere chi riscotesse le taglie
-imposte dal vincitore; congregarsi per nominare i parroci e i vescovi;
-qualc’altro atto di non maggiore rilievo, erano per avventura i soli
-residui di costituzione cittadina. Vero è che ogni memoria quasi ce
-ne manca nel IX e X secolo[3]: ma di quant’altre cose non è allora
-interrotta la ricordanza fra tanto scompiglio e sì poche scritture?
-
-Nè questa persistenza sotto i Barbari parrà fuori di buona congettura
-a chi veda persino i Turchi abbattere amministrazione, istituzioni,
-costumi, gerarchia dell’impero orientale; eppure ai tributarj non
-imporre nè le loro forme amministrative, nè la legge civile, talchè le
-istituzioni adottate dai raja si mantennero indipendenti affatto dal
-canone musulmano.
-
-Quel che meno comprendo è come mai il Comune potesse conservarsi sotto
-le sbricciolate dominazioni feudali, quando ogni villaggio avea, direi
-quasi, un re che immediatamente amministrava, giudicava, provvedeva;
-e forse perì del tutto il sistema comunale ove il feudalismo si
-assodò. In Italia, per altro, a conservarne almeno la memoria valse
-il non esservi mai caduto in totale dimenticanza il diritto romano,
-il quale forse si insegnò sempre nelle scuole, certo modificò
-le barbare legislazioni, spesso fu applicato nelle decisioni dei
-tribunali, massime degli ecclesiastici. Un codice romano del secolo
-IX o X nell’archivio di Udine mostrerebbe magistrati municipali, e
-che le città avessero decurioni, nominassero giudici per amministrare
-la giustizia e per sovrantendere ai beni ed alle entrate loro, con
-giurisdizione però dipendente dalla pubblica, e limitata agli affari
-civili dei Romani, cioè dei vinti, e ai minori delitti delle classi
-basse[4]. Ma, qual l’abbiamo alle stampe, quel documento è rozzo e
-incoerente, nè tampoco sappiamo per qual paese venisse compilato.
-
-Alle città che rimasero sottoposte ai Greci era stata, pel codice
-Giustinianeo, tolta la scelta de’ proprj magistrati, che costituisce
-il privilegio capitale del Comune. Ma molte, inviolate dai Barbari,
-dall’impero greco dipendeano di mero nome; onde non v’è ragione che
-n’andasse abolita la costituzione comunale. Tali ci pajono Roma, Gaeta,
-le isole venete, ove, allo sfasciarsi dell’Impero, le curie presero
-le redini, l’amministrazione traducendo in governo. Gl’imperanti di
-Costantinopoli, che agio, che forza aveano per provvedere a queste
-disgregate provincie? onde anche quelle che stavano a loro obbedienza,
-si videro spinte ad amministrarsi e difendersi da sè. A tal uso
-applicarono il tributo che riscotevano col metodo antico; come ebbero
-erario, così formarono una milizia; regolarono la polizia; fecero
-anche decreti quando li sentissero necessarj. Il duce che soleva
-essere mandato da Costantinopoli, fu eletto fra cittadini, a nessun
-più importando di venire fin qui ad una dignità di molto peso e di
-scarso profitto; poi ogni legame andò sciolto in tempi di vacanza o di
-anarchia, e definitamente nella guerra che gl’imperatori teologastri
-indissero alle sacre immagini; talchè ne uscì un governo affatto a
-popolo.
-
-Questi vivi e vicini esempj e le non cancellate reminiscenze poterono
-nutrire o ridestare il desiderio della libertà ne’ residui Italiani,
-appena l’oppressura si rallentasse a segno, che non dovessero pensare
-unicamente alla vita e alla sicurezza.
-
-Ma non dal solo elemento romano costituironsi i Comuni; bensì, come
-ogni altra cosa del medioevo, dal germanico insieme e dal cristiano.
-L’invasione dei Longobardi avea ridotto i natii a condizione quasi
-servile; esclusi interamente dal governo perchè esclusi dall’armi,
-restavano uomini altrui, mentre i conquistatori formavano la classe
-dei liberi, de’ quali soli la legge prendeva cura; e non si disse più
-un cittadino milanese o bergamasco, ma soltanto un Longobardo o un
-Romano. Altrettanto seguitò sotto i Franchi; ma la prosapia vinta fu
-più ravvicinata alla vincitrice, giacchè si prefisse un guidrigildo
-anche sulla vita e sulle offese recate ai Romani; e se ciascuna
-stirpe conservava le leggi proprie, i capitolari emanati dai Carolingi
-obbligavano tutti; allo stesso diritto longobardico faceansi glosse e
-commenti di senso romano, alterandoli per modo che, restando longobarda
-la legge, romanamente giudicava il fôro.
-
-Spezzatosi l’impero di Carlo Magno, coll’estendere dei feudi si
-spegnevano le differenze d’origine, poichè l’uomo non era più
-longobardo o franco o romano, ma del tal feudo o del tal signore;
-e nell’autonomia, propria di ciascun feudatario, restava assorta la
-varietà di diritti. I feudi passo a passo s’intrusero anche nelle terre
-dominate dai Greci, massime dopo la conquista dei Normanni; sicchè
-per la più parte d’Italia restò mutata la natura delle proprietà, e
-ciascuno fu l’uomo del proprio terreno, e corse la fortuna di quello.
-
-Ciò in campagna. Ma delle città le più non dipendevano da un
-feudatario, bensì da un conte, magistrato regio. I conti si rendeano
-sempre meno dipendenti da imperatori fiacchi e distanti; onde
-screditavasi l’autorità regia, mentre invigoriva la feudale. Squarciato
-il corpo politico in infiniti brani si può dire indipendenti, e
-scomposta l’unità governativa, i grandi vassalli operavano di pieno
-arbitrio nella loro giurisdizione, quasi la tenessero non dai re, ma
-in patrimonio; negli interregni strascinavano in lungo la nomina del
-successore, e lo desideravano debole perchè non pensasse a ricuperare
-il ceduto od usurpato dominio. Duranti poi le violenze che descrivemmo
-fra l’Impero e la Chiesa, tutto andava in frazioni e sêtte, che
-ondeggiavano a seconda dei capi e degli accidenti; nè ben accertandosi
-qual fosse il re legittimo, se ne togliea pretesto di non obbedire
-a nessuno, o poneasi la docilità a prezzo di crescenti privilegi.
-In società d’origine feudale, stante il generale principio che ogni
-podestà emana dal re, nessun diritto si trova che non sia privilegio
-e concessione; lo saldano, lo garantiscono, lo dilatano, ma sempre
-come concessione. Laonde la libertà cui allora si aspirava, non era
-un governo fondato sull’assenso di tutti i membri del corpo sociale
-adunati, ma un privilegio concesso ad alcuni in particolare.
-
-Sarebbesi allora potuto scomporre affatto la monarchia, ma le città
-non sentivano ancora la propria forza; i gentiluomini e la nobiltà
-inferiore, discendenti dai primitivi conquistatori, temeano che il
-cessare di essa non li riducesse dipendenti da altri nobili, sicchè
-preferirono di cercare dal re immunità, cioè d’esercitare giurisdizione
-sulle proprie terre o sui proprj dipendenti, senza che il conte regio
-vi potesse. Primi a domandarla furono gli arimanni[5], cioè uomini
-liberi, residuo dei conquistatori, non legati a verun feudatario, e
-protetti dal conte come appartenenza del re; poi i monasteri, i corpi
-d’arte, gli ordini cavallereschi. Re e gran signori non rendeansi
-malagevoli ad emanciparli, contenti anzi di far con ciò acquisto di
-sudditi per sè, e indebolire i vassalli dipendenti. I feudatarj poi
-e i vescovi domandavano immunità più estese, cioè che il conte regio
-cessasse da ogni giurisdizione anche sovra i liberi, abitanti nel
-loro terreno, nel quale ne istituivano una loro propria, dove erano
-richiesti alla pari e i liberi discendenti dai conquistatori, ed i
-villani e censuali, gente per lo più romana. Eccovi un embrione del
-Comune.
-
-Stanno dunque a fronte molti poteri. I re, mirando a ridurre in
-prerogativa monarchica il primato feudale, desiderano comandare
-direttamente al popolo senza l’interposizione dei baroni, e perciò
-quello da questi emancipare. I baroni, all’opposto, eransi affaticati
-ad assicurarsi l’indipendenza e convertire il politico dominio in
-reale e personale privato, e v’erano riusciti col rendere vitalizj
-i feudi, poi ereditarj. Da ultimo i vinti, non gravati più dal peso
-sproporzionato di un potere centrale, ridestavansi per conservare o
-ricuperare i possessi antichi, le leggi non dimentiche, la contrastata
-religione, partecipare ai privilegi dei vincitori, ed essere
-considerati pari alla gente dominatrice ne’ servigi e nella giustizia.
-In Francia si strinsero attorno al re, che venne per tal modo via via
-rinforzandosi: in Italia non poteano altrettanto, perchè la regia era
-accoppiata all’autorità imperiale, che si mutò da Franchi a Italiani,
-poi a Tedeschi, controbilanciati sempre dai papi e dai grandi vassalli.
-
-Mentre a questi dava rinforzo la lontananza del principe, gl’indeboliva
-l’aumentarsi dei piccoli feudatarj e il prevalere degli ecclesiastici,
-che, come ogni altra cosa d’allora, aveano preso sembianza feudale,
-cioè congiunto ai possessi la sovranità. La Chiesa è costituita con
-forme a popolo; assemblee, rappresentanza, giurisdizione propria
-mantenne anche sotto ai Barbari; unica aveva asili contro la
-prepotenza, richiami contro la tirannia. Il popolo dei vinti, privo
-d’ogni diritto legale in faccia al conquistatore, più volentieri recava
-le sue querele ai sacerdoti che non ai baroni; a chi le giudicasse
-per prudenza e per leggi scritte, che non a chi le recideva a colpi
-di sciabola; onde l’autorità ecclesiastica erasi ingrandita perchè
-popolare. L’innalzarsi dunque del clero importava sollievo del popolo;
-e tanto avvenne allorchè, sotto ai Franchi, esso diventò essenziale
-elemento della civile società, e i vescovi entrarono nelle assemblee
-legislative, e finirono col signoreggiarle. Venuti di tanto peso nelle
-pubbliche rivolture, ottennero dai re l’immunità dei proprj possessi,
-indi delle città ove sedevano, per modo che al conte più non restasse
-giurisdizione, ma fosse trasferita nel vescovo. Così la esercitavano
-sopra i liberi borghesi, i quali non godeano rappresentanza nella
-costituzione, ma crescevano d’importanza col crescere del commercio e
-delle industrie.
-
-Il primo esempio sicuro d’immunità in Italia è di Carlo il Grosso,
-che al vescovo di Parma concede di «giudicare, definire, deliberare,
-come il conte del nostro palazzo, tutte le cose e le famiglie, sì de’
-cherici come di tutti gli abitanti d’essa città». Lamberto imperatore
-a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 confermava tutti i possessi, e
-che, _secondo il costume delle altre chiese_, gli affari della modenese
-siano esaminati da persone idonee e veraci, fin alla piena giustizia;
-nè alcun conte pubblico o curatore della repubblica vada a cercar
-ragione ne’ monasteri o nelle chiese, o ad esigere fredi e tributi nei
-possessi, o farvi mansioni e parate, o levarne statichi, o pignorare od
-obbligar uomini, siano servi o liberi, nè condurli in oste o chiederli
-d’illeciti servizj; nella città stessa continuino ad esservi chierici
-che stendano libelli e citazioni negli affari ecclesiastici; possa la
-chiesa, invece del re, esigere il censo dovuto dalle strade, porte,
-ponti, e da quanto già pagavasi _anticamente_ alla città e ai curatori
-della repubblica; e cavar fossi, costruire mulini, eriger porte e forti
-a due miglia in giro, e aprire e chiudere l’acqua senza _pubblica_
-opposizione[6].
-
-Nel 904 re Berengario privilegiava il vescovo di Bergamo di riedificar
-le mura della sua città a riparo dagli Ungheri, dovunque esso vescovo
-e i suoi _concittadini_ credessero necessario; e a lui assicurava la
-libera giurisdizione sopra la città e i distretti[7]. Ottone II nel
-973 concedeagli di nuovo _omnes districtiones et publicæ functiones
-villarum et castellorum, quæ sunt in circuitu ipsius civitatis de eodem
-comitatu pertinentes, usque ad spacium et extensionem, per omnes partes
-ejusdem civitatis, trium miliarium_, fin ad Aciano e Seriate; inoltre
-la val Seriana fino alla Camonica. Enrico III nel 1041 confermava
-a quel vescovo tutto il contado bergamasco sino alla Valtellina,
-all’Adda, all’Oglio, a Casal Butano, con piena autorità di fare e
-disfare, senz’essere impedito da veruna autorità superiore.
-
-Ottone il Grande aveva largheggiato di tali concessioni a segno, che
-ne fu tenuto l’autore universale: al vescovo d’Acqui assicurava la
-giurisdizione della città e di quattro miglia in giro[8]; a quel di
-Lodi, l’esenzione per sette miglia; per tre miglia a quel di Novara[9];
-per cinque a quel di Cremona; e così a Reggio, a Bologna, a Como,
-il cui vescovo ebbe anche il contado di Bellinzona; quel di Firenze
-credeva pure aver da lui ottenuto la giurisdizione di sei miglia.
-
-Al vescovo di Pavia nel 977 Ottone II concedeva e confermava i possessi
-e il dominio, e che _castella, ville, eidem episcopo subjecta, ita
-sub ditione episcopi maneant, ut residentes in eis ad nullius hominis
-placitum eant neque distringantur: sed si quis ab eis legem poposcerit,
-presentia ejusdem episcopi vel ejus missi justitiam quam exigent
-accipiet_[10]. Anche nel diploma del 1004 di re Enrico, attesi i molti
-litigi e scismi, che dalla parte del conte venivano alla chiesa, è
-concesso al vescovo il muro di Parma, il distretto, il teloneo e ogni
-funzione pubblica nella città e fuori sin a tre miglia in giro[11].
-Morto il conte, Corrado Salico nel 1035 estese a tutto il contado la
-giurisdizione del vescovo.
-
-Guido vescovo di Volterra sporgeva querele contro il conte e gli altri
-ministri pubblici per la fierezza con cui esigevano dal clero e dai
-loro servi i diritti regj: laonde Enrico III nel 1052 lui e il clero
-esentuava dai conti, autorizzando il vescovo a trarre a sè le cause in
-tal materia, e definire le contestazioni mediante il duello. Più tardi
-da Federico Barbarossa il vescovo Galgano ebbe titolo di principe, e
-il governo della città e di molti luoghi, l’elezione dei consoli e la
-zecca, retribuendo al regio erario sei marchi d’argento.
-
-Nel 1055 Eriberto vescovo di Modena, coi _cittadini suoi_, invocò da
-Enrico III di poter riedificare, fortificare, ingrandire essa città;
-e quegli il permise, concedendone al vescovo tutte le regalie e la
-giurisdizione, pure confermando alla chiesa e ai cittadini le buone
-consuetudini antiche: ai quali cittadini presenti e futuri concede
-di derivar canali dalla Secchia, dalla Scultenna e da qualunque altro
-fiume[12].
-
-Enrico IV confermava a Landolfo vescovo di Cremona la giudicatura
-della città e di cinque miglia in circuito, già attribuitagli da’
-suoi antecessori[13]. A Gregorio vescovo di Vercelli concedeva
-Casale, Olceningo, Oldenigo, Momolerio, Scherino, Rodingo, _con
-tutti gli arimanni e con quanto spetta al contado_[14], vale a dire
-le giurisdizioni che il conte esercitava, fra cui era quella sugli
-uomini liberi. Molti abitanti di Treviglio, borgata della Geradadda,
-si sottoposero alla badia di San Simpliciano in Milano, e nel 1081
-Enrico confermava questo fatto, e che essi e i loro figli o discendenti
-rimanessero perpetuamente in podestà di quel monastero, non dovendo più
-alcuna funzione pubblica od angaria o altro servizio a chichefosse,
-eccettuato il fodero al re quando venga in paese, e la sculdassia ai
-conti ogni anno[15].
-
-Talvolta queste concessioni davansi in premio di prestato favore, tal
-altra per castigare un conte sleale: e poichè ogni giorno cresceva il
-numero de’ semplici cittadini, i quali, invece del magistrato regio,
-si mettevano in tutela de’ signori immuni, i re non iscapitavano gran
-fatto col cedere ai vescovi i contadi, che ormai non teneano dipendenti
-se non di nome.
-
-Ecco dunque città e borgate dalla giurisdizione del conte passare a
-quella del vescovo o d’un monastero; e mentre dapprima la popolazione
-restava divisa fra dipendenti dalle chiese e dipendenti dal re, fra
-la giurisdizione laica e l’ecclesiastica, vennero a formare un Comune
-solo conquistati e conquistatori; nobiltà feudale e semplici liberi si
-trovarono chiamati al medesimo tribunale; e gli scabini dei nobili e
-quelli dei liberi costituirono un collegio unico, sottomesso al vicario
-secolare del vescovo, detto l’avvocato o il visdomino o il visconte
-appunto perchè esercitava gli uffizj devoluti una volta al conte.
-
-Il vescovo di Mantova era stato fatto immune da Ottone III nel 997,
-col diritto di nominare avvocati e batter monete; e nel 1084 Ubaldo
-vescovo, costituendo visdomino un suo nipote, divisava i diritti
-attribuitigli. I quali sono di andare per tutta la diocesi di qua e
-di là dal Po, tenendo albergaria e placito, esaminando e definendo
-discordie, liti, offese personali e reali, infliggendo la pena a
-sua volontà. Tutto il denaro percepito in tali operazioni lo lascia
-a lui, e un terzo del ricavo della pesca, dell’investitura, degli
-approdi, dello sterpatico. Da ciascuna masseria del vescovo abbia due
-majali grossi, e così la decima delle giumente e dei porci di tutte le
-terre vescovili. Promette che gli uomini di lui non saranno giudicati
-dal vescovo nè da’ suoi successori o messi o gastaldi o decani, nè
-richiesti al placito, a prestar garanzia o albergo o fodro[16].
-
-Al popolo tornava vantaggio dall’essere i contadi attribuiti ai vescovi
-piuttosto che ai conti, crescendo probabilità di vederli affidati al
-merito, anzichè distribuiti dal capriccio della nascita o dalla volontà
-d’un re straniero; e se la plebe e i manenti restavano ancora senza
-diritti nè rappresentanza, ne migliorava la giustizia, che è il bisogno
-più immediato de’ popoli.
-
-La decisa predilezione del clero pel diritto antico indurrebbe a
-credere che le forme municipali romane, dove ancora sopraviveano, si
-sodassero dacchè il vescovo si trovò investito del governo cittadino.
-Ma poichè ogni cosa aveva a conformarsi al reggimento che unico allora
-si conoscesse, i vescovi, fatti conti delle città, ridussero a feudali
-le cariche municipali, alterandone la natura senza forse annichilarle.
-
-Pertanto dal vescovo dipendevano le città e i beni immuni; dal conte il
-resto, cioè la campagna, la quale da ciò prese il nome di contado. Ma
-que’ beni immuni trovavansi intarsiati ai contadi per modo, che vescovi
-e signori s’impacciavano a vicenda nell’esercizio della mal determinata
-giurisdizione. Tendevano i primi a dilatare la propria anche sul
-contado; i signori vi si opponeano, e cercavano ingrandire a spese de’
-vassalli minori: sicchè la lotta intestina discendeva sino agl’infimi
-elementi della società. Epperò Corrado Salico emanò la famosa legge dei
-feudi (t. V., p. 443), per cui anche i piccoli passassero in eredità, e
-non si potessero togliere se non per sentenza degli scabini.
-
-Si trovava allora il dominio feudale partito fra i capitanei o
-valvassori maggiori, immediatamente investiti dalla corona; i
-valvassori, cioè vassalli de’ capitanei; e i valvassini, che ritraevano
-dai predetti. Valvassori e valvassini, assicurati d’esistenza
-indipendente, più non furono stromenti agli arbitrj de’ vescovi, i
-quali non poterono, come in Germania, riuscire principi ecclesiastici.
-
-Ma altrove i nobili vassalli e i semplici liberi, formato il Comune,
-aveano costituito rappresentanti e giudici proprj, che equipollevano
-alla curia vescovile, e indipendentemente da questa assumevano aspetto
-di civile ordinanza. Altrove ancora la gente raccoltasi sopra terre
-di un feudatario, crescendo di ricchezze per l’industria, e a quello
-rendendosi necessaria, lo costringeva a concessioni, che non davano la
-civile indipendenza, ma favorivano il prosperamento e l’importanza del
-Comune.
-
-Scomposta ogni centrale potestà per lasciar solo associazioni
-limitatissime e poteri meramente locali, più facilmente poterono
-costituirsi da sè le città, nelle quali gli uomini trovavano maggior
-numero d’interessi comuni. Queste allora ebbero giurisdizione propria,
-e l’affidarono agli scabini, del che ricrebbe il terzo stato; e nobili
-e liberi venendo abbracciati nel Comune medesimo, cioè sotto comune
-giustizia, mozzavasi la prerogativa feudale, atteso che, chi bisognava
-di sicurezza, non andavala a chiedere sotto la rôcca d’un barone, ma
-tra le mura d’una città.
-
-Benchè il feudalismo togliesse importanza alle città, le nostre non
-la perdettero mai, ed erano abitate da ricchi e nobili col nome di
-arimanni[17], i quali anzi costituivano un’università o corporazione,
-e avevano possessi e ragioni comuni. Nel 1014 Enrico II agli arimanni
-della città di Mantova e d’altri luoghi confermava i possedimenti con
-tutte le loro eredità paterne o materne, e i beni comunali e il teloneo
-e ripatico a Garda e Lazise e Riva, e che niun magistrato li turbasse.
-I cittadini di Mantova, cioè gli arimanni abitanti in essa città,
-ricorsero a Enrico III contro le eccedenti esazioni e gl’importuni
-aggravj (_superstitiosas exactiones et importunas violentias_); ed esso
-decretò che queste cessassero e s’abolissero radicalmente, e nessuna
-autorità grande o piccola si mescolasse dei costoro beni comuni, de’
-benefizj precarj o livelli, de’ servi, delle ancelle, o d’altro qual
-fosse loro possesso mobile o immobile. Tanto confermava Enrico IV il
-1091, volendo avessero «la buona e giusta consuetudine che ottiene
-qualunque città del nostro impero». Donde parrebbe che gli arimanni
-avessero una tal quale signoria di Mantova[18].
-
-Il Gennari, negli _Annali della città di Padova_, sotto il 1077 adduce
-un placito ivi tenuto avanti a due messi regj, al conte della città
-Ogerio avvocato, e a varj giudici e buoni uomini. Ai quali Giovanni
-abate di Santa Giustina dichiarò come i cittadini dentro e fuori
-della città gli avevano intentato lite (_cives vel intra civitatem
-vel extra nobis intentionem mittunt_) circa al possesso della val del
-Mercato e del prato col Zairo, dell’acqua del fiume Rodolone, e degli
-altri possessi del monastero. Fu dato torto ai cittadini, ed obbligati
-all’intera cessione; la quale fecero col prendere una lunga verga, e
-trasmetterla al vescovo, che la consegnò all’abate.
-
-Anche nel peggior tempo del dominio militare questi arimanni formavano
-tra loro delle _gilde_, le quali non m’hanno aria di fraternite
-religiose, bensì di quelle associazioni, di cui maggiore si sente
-il bisogno quanto più lentato è il legame sociale. In effetto esse
-fecero paura ai forti; e Carlo Magno decretava che «nessuno presuma
-far giuramento per gildonia; se vogliono disporre delle limosine per
-incendj o naufragi, il facciano in altro modo che giurando». E più
-rigorosamente Lotario I: — Non vogliamo che alcuno per giuramento nè
-per obbligazione faccia gildonia; e se l’oserà, chi primo ne diede
-consiglio venga dal conte mandato a confine in Corsica, e gli altri
-paghino multa»[19].
-
-Ripetiamo che qualche rappresentanza il popolo aveva sempre goduta
-in faccia alla Chiesa; e a tacere le lettere di Gregorio Magno già
-indicate (t. V, p. 133), il Diurno Romano offre la formola, con cui il
-clero e il popolo invocano dal papa e dal metropolita che confermi il
-vescovo da essi eletto: all’elezione di Guido vescovo di Piacenza il
-904, sono sottoscritti preti, diaconi, suddiaconi, acoliti, e infine
-ventisei _e populo_[20]: Giovanni vescovo di Modena nel 998 faceva
-al monastero di San Pietro una donazione con notizia e consenso dei
-canonici, de’ militi e del popolo: l’anno stesso in Ravenna si tenne
-un placito, _assistentibus in judicio pollentibus et bonæ opinionis
-et laudabilis famæ viris de civitate Ravennæ_[21]; e nel 1004 Turbino
-giudice di Cagliari, _col consenso de’ suoi parenti e di tutto il
-suo popolo_, donava alcuni dazj ai Pisani amici suoi, affinchè _quel
-popolo_ gli fosse amico[22].
-
-Ecco qui pure una rappresentanza e un esercizio di diritti comuni, che
-avviava all’emancipazione. Viepiù vi condusse l’essersi nella città pel
-commercio formate compagnie, le quali offrivano l’embrione d’un governo
-a comune, e poteano divenir tali per poco che si ampliassero.
-
-Una lapida sotto al portico della notabilissima cattedrale di Lucca
-riferisce come nel 1111 i cambisti e mercanti, che allora stavano
-di bottega nella corte di San Martino, ove pure gli alberghi de’
-forestieri, giuravano di non far frode[23]; antichissima sistemazione
-del commercio in consorzj, con consoli per risolvere i litigi.
-
-Già nel 1046 Enrico III _confermava_ agli abitanti della bergamasca
-val di Scalve il diritto di negoziar di ferro per tutto l’impero,
-col solo aggravio di mille libbre di ferro _secandum suorum parentum
-morem_; nessun duca, marchese, vescovo, conte o altra qualsiasi
-persona _hominibus in prædicto monte Scalvi habitantibus audeat aliquam
-molestiam aut aliquam superpositam inferre_; e a chi violi l’ordine
-commina cento libbre d’oro, metà da darsi alla Camera, _et medietatem
-prædictis hominibus_. Poi nel 1091 nella città di Bergamo tenendo
-placito il conte Corrado, messo regio _ad justitias singulorum hominum
-faciendas ac deliberandas_, con molti giudici e conti e col vescovo,
-gli si presentarono alcuni _vicini et consortes de loco Burno_, che è
-in val Camonica, e gli chiesero pronunziasse un bando _super nos et
-super nostros vicinos vel consortes_ a proposito del monte Negrino,
-che era stato ad essi usurpato da quelli di val di Scalve: e il
-conte Corrado gli esaudì[24]. Non sono queste evidenti forme comunali
-con possessi consorziali? I querelanti nel loro libello citano una
-decisione già riportata anteriormente; e come in tali litigi _centum
-quinquaginta librarum denariorum mediolanensium veteris monetæ inter
-judices et advocatos dispendio in Bergamo perpessi sumus damnum_; e gli
-Scalvini usarono ad essi prepotenze molte, onde reclamano giustizia,
-_quia dedecus est omnium nostrum_.
-
-Esempj di simili comunanze ricorrono in Toscana, ove nel 1004 Filippo
-di Fidante e Benedetto di Martino furono nominati consoli del comune
-ed università di Monte Castelli[25]. Chiavenna, borgo della diocesi
-comasca, situata allo sbocco di due valli che mettono ai paesi
-transalpini del Reno e dell’Inn, faceva una concordia, citata già come
-antica nel 1155, tra gli abitanti suoi e quelli del vicino Piuro, per
-la quale quattro uomini di ciascuno di essi giuravano di guidare i due
-Comuni e le persone e i beni loro con buona fede e senza frode in pace
-ed in guerra, non usurparsi roba alcuna, ma d’ogni acquisto ripartire
-tre quarti a’ Chiavennaschi, uno a’ Piuriesi, e nell’eguale proporzione
-le spese[26].
-
-N’era vantaggiata l’industria; e poichè essa è gran conduttrice di
-libertà, si cominciò a levar lamenti delle violenze che turbavano il
-commercio; i lamenti procedeano a minaccie; e se queste non trovassero
-ascolto, riuscivano in aperta rivolta, cacciando gli esattori e gli
-espilatori del barone, assalendone anche il castello, e opponendogli
-barricate e mura; e unitisi sulla piazza del mercato o nella chiesa,
-gl’interessati giuravano sostenersi contro chiunque pretendesse
-sopraffarli. E a noi si fa credibile che uno de’ più efficaci
-addirizzi a costituire i Comuni fossero appunto le società mercantili
-e artigiane, che trovandosi già ordinate con una gerarchia, con
-regolamenti, con statuti[27], con cassa, non aveano a dare che un passo
-per chiedere di partecipare coi nobili al Governo.
-
-Talvolta i re medesimi ne’ loro bisogni esibivano di vendere
-le regalìe, cioè dogane, zecche, mercati, pedaggi; e i Comuni
-s’affrettavano a comperarle, o le ottenevano in premio della fedeltà e
-del favore prestato. Tal altra i grandi vassalli insorgevano contro dei
-vescovi, e gli uni e gli altri armavano i cittadini, che per tal modo
-venivano a conoscere le proprie forze, e invocavan diritti, in prezzo
-degli offerti soccorsi. Nella contesa, capitanei e vescovi apprendevano
-che ricchezza principale era l’abbondare d’uomini, lo perchè ne
-favorivano l’incremento sminuzzando i possessi, e contentandosi d’una
-tenue prestazione, purchè vi andasse congiunto l’obbligo di servire
-nelle milizie.
-
-Stiamo dunque a gran pezza da chi crede che i Comuni derivassero da
-generosità dei re, o da accorgimento loro politico. Erano conseguenza
-del risorgimento popolare; ma i diritti che i liberi traevano in
-campo, non erano astrazioni costituzionali, e accademici divisamenti
-repubblicani, bensì un richiamo alle norme dell’umanità, a quella
-libertà d’innocui atti, di cui ciascuno sente mestieri come dell’aria.
-L’associazione dirigevasi non a riforme amministrative, ma ad acquistar
-forza per diminuire la propria servitù; specie di mutua assicurazione
-delle inferme moltitudini contro i pochi armati. Non che fosse
-rivoluzione contro il Governo regio, a questo appoggiavansi coloro i
-quali scotevano il giogo feudale. E poichè il feudatario, il re ed il
-vescovo trovavansi spesso a cozzo, e dividevano tra sè i possessi e le
-città, all’uno ricorreva chi fosse malcontento dell’altro, sicuri di
-trovarlo favorevole, non per generosità ma per proprio interesse.
-
-Neppure fu una rivoluzione sola che mutasse la forma politica,
-giacchè non v’aveva un potere unico da abbattere; e a ciascun Comune
-sovrastando un signore particolare, in ciascuno richiedevasi una
-particolare rivoluzione. Variissimi dunque erano gl’impulsi, variissimi
-i mezzi e i risultamenti, e molto vi poteva il caso, nè sempre
-riuscivasi all’intento; ma la libertà, fallisca cento volte, non però
-dispera.
-
-Sarebbe peraltro stato difficile strappare ai feudatarj anche sì poco,
-quando essi soli e i loro castelli fossero stati muniti, e tutto il
-resto inerme; atteso che la forza brutale può a lungo conservare gli
-ordini più repugnanti alla ragione. Ma allorchè gli Ungheri avevano
-passato le Alpi, non si potè combattere in campagna rasa e con
-eserciti ordinati le loro bande scorridore, ma dovette munirsi ciascun
-villaggio, ciascuna casa, ciascuna persona; le città rinnovarono le
-mura, diroccate dai Barbari o sfasciate dal tempo[28]; ogni monastero,
-ogni borgata scavò una fossa, rizzò uno steccato; e le armi, adoperate
-soltanto dagli uomini del feudatario e per suo cenno, si affilarono
-per l’individuale sicurezza. Qual cosa infonde tanto coraggio, quanto
-il conoscere di bastare alla propria difesa? e i nostri padri, che
-si erano misurati contro l’Unghero, più non temeano d’affrontare la
-masnada del vescovo o del castellano.
-
-Di più, in Italia l’aristocrazia non avea messo così robuste radici
-come oltr’Alpi; e nella vasta Lombardia soli forse il marchese di
-Monferrato e il conte di Biandrate estendeano tanto i possessi,
-da abbracciare borghi e città. La supremazia che i re di Germania
-pretendevano qui, era d’opinione più che di forza. Dalla lontananza
-o dalle guerre proprie erano impediti di venirvi sovente in persona,
-unico modo di farvi valere la propria autorità; se venissero, senza
-truppe nè rendite mal si reggevano, e lagnavansi che i vassalli non
-gli sovvenissero del necessario, e li riducessero a cascar di fame.
-Maggiormente si protraevano gl’interregni di qua dell’Alpi, atteso che
-non bastava che un re fosse nominato in Germania, ma conveniva venisse
-a farsi coronare in Milano e Roma; nè di rado i signori nostri negavano
-omaggio all’eletto dai Tedeschi. Tutto ciò fece la contesa men dura, e
-più pronto l’effetto.
-
-Questo restituire gli uffizj da signorili a municipali ed elettivi
-cominciò attorno al Mille, crebbe mentre Ottone II combatteva gli emuli
-in Germania e i Greci in Calabria, e più nei tredici anni che Ottone
-III indugiò a scendere in Italia. Allora i Comuni cittadini costrinsero
-i baroni ad accasarsi nelle città, che si trovarono popolate non
-più da soli artieri ed arimanni, ma anche da potenti, e crebbero di
-lustro e considerazione. Alcune gelose ottennero che gli imperatori
-non entrassero più nelle loro mura; altre ne demolirono il palazzo,
-per edificarlo nei sobborghi; sicchè debole e limitata restava la
-giurisdizione dei re, i quali tanto più facilmente cedevano per denaro
-o per favore ciò che nè ricusare potevano, nè conservato fruttava.
-Pavia nel 1024 distrusse il palazzo regio, e quando Enrico III volle
-costringerla a riedificarlo, gli si oppose con un giusto esercito,
-avendo alleati molti signori.
-
-Gran destro ne porse la contesa fra il Sacerdozio e l’Impero, giacchè
-in quelle reciproche esagerazioni, dove più che le armi poteva
-l’opinione, si trovavano messe in bilancia le competenze delle due
-autorità, richiamato a discussione quanto la conquista germanica
-aveva innestato sul tronco romano, la legittimità del potere nato
-dalla forza, il dominio della spada sovra gli spiriti, l’intrusione
-delle discipline militari nell’ordine civile e fin nella gerarchia
-ecclesiastica; e l’una e l’altra parte si credette obbligata
-a dimostrare le proprie ragioni ai popoli, di cui le bisognava
-l’appoggio. E i popoli impararono che avevano diritti, che per
-argomenti potevano scegliere a quale prestare il sussidio dell’oro, del
-brando, delle convinzioni; e di quelli e di queste misurata la potenza,
-vollero servirsene ad assicurare e crescere quei diritti, che avevano
-appreso a conoscere e stimare. Trattavasi poi di combattere? bisognava
-che il conte o il vescovo si servissero del braccio delle plebi: e guaj
-pe’ tiranni il giorno che han bisogno de’ loro oppressi!
-
-Contesa tanto vitale non limitavasi a battaglie in campo aperto,
-ma penetrava nelle città e nelle case: spesso una chiesa trovavasi
-disputata da due vescovi, uno papale ed uno intruso, i quali si
-perseguivano in guerra; diuturne le vacanze, perchè o il papa negava
-l’investitura, o i cittadini obbedienza al nominato dall’imperatore;
-e sempre i vescovi sentivansi sotto ai piedi vacillare il terreno,
-perchè o non investiti dal re, o non riconosciuti dal papa; e per
-formare e mantenersi partigiani, cedevano particelle de’ loro diritti
-ai Comuni. Esse città giuravansi con altre del sentire medesimo, onde
-in armi tener testa alle contrarie. Uscita poi vittoriosa la parte
-ecclesiastica, ingegnavasi di menomare le prerogative regie, ma con ciò
-raccorciava anche la podestà temporale de’ vescovi, fondata sopra regie
-concessioni.
-
-Col carroccio (t. V, p. 439) i popolani s’erano avvezzi a considerarsi,
-non più guerrieri obbligati d’un signore, ma d’una bandiera
-cittadina, del Cristo che allargava le braccia su quell’antenna, del
-sant’Ambrogio, del san Zenone, del sant’Alessandro che li benediceva
-dal gonfalone. Quel parteggiare per l’imperatore o pel papa avea misto
-i varj ordini d’uomini, per modo che non si guardava tanto se uno fosse
-capitaneo, nobile o plebeo, ma se imperiale o pontifizio. Le armi e
-i campi comuni, e la necessità di usare concordemente le braccia o
-l’ingegno nella mischia o nei parlamenti, scemavano le distanze fra
-quelli della parzialità medesima; poi la trionfante conseguiva vantaggi
-o privilegi sull’altra, sicchè gli ordini fin allora scrupolosamente
-distinti venivano ad unirsi nel Comune cittadinesco; e i giudici
-della città, che già, duranti le vacanze del vescovado, decidevano in
-propria testa senza riguardo al visconte, qualora al conte o al vescovo
-strappassero alcuna nuova porzione di autorità, la esercitavano più
-piena sovra maggior numero di cittadini, e con restrizioni minori.
-
-Insegnati a discutere dei diritti, prendono in dispetto gravezze
-fino allora tollerate di cheto; alla prima taglia troppo pesante si
-ammutinano; cominciato che uno abbia, il seguono altri; la torre, da
-cui il feudatario o il conte minacciava, diviene spesso il ricovero
-degli affrancati; spesso i monumenti dell’antica magnificenza
-convertonsi in difese di nuova libertà; e si preparano lotte, risolute
-perchè di scopo evidente e semplice, e non per capriccio o per
-obbedienza, ma per tutela dei diritti più sacri. Il tentativo fallisce?
-sono smantellati i fortilizj, uccisi gl’insorti: riesce? i sollevati
-comprendono la necessità di unirsi.
-
-Non poca opportunità vi aggiunsero le crociate; per passare a
-terrasanta molti baroni vendettero od impegnarono i dominj, o per
-denaro cedettero qualche parte della giurisdizione ai cittadini,
-che, durante l’assenza loro, rassodarono i diritti, e di nuovi
-ne acquistarono; mentre gli uomini che combattevano in Palestina
-s’abituavano alla libera disciplina dei campi, s’accostavano fra
-loro ed ai padroni, e ne riportavano più libere idee, men servili
-sentimenti. Quelli poi che fossero capaci di riflettere e di ponderare
-i civili ordinamenti, dovevano rimanere attoniti allo spettacolo di
-Venezia, di Pisa, d’altre città marittime, che già si reggevano a
-popolo: poi nelle Assise di Gerusalemme trovavano un governo, baronale
-bensì, ma dov’era provveduto anche alla plebe, chiamata pur essa a
-parte delle discussioni.
-
-Ecco dunque risalire alla dignità civile quei che l’avevano perduta
-fin dall’invasione dei Longobardi: ecco vincitori e vinti ricondotti
-sotto una giustizia ed un governo medesimi. E poichè le reliquie degli
-antichi Romani, sentendo rivalere l’ingegno sopra la forza, tornavano
-su quelle antiche memorie che un popolo perde per ultima cosa, e che
-servono spesso di lievito acciocchè l’inerte massa non imputridisca;
-e i discendenti medesimi de’ conquistatori rispettavano quelli che
-un tempo avevano soggiogati; perciò si ridestarono i nomi e le forme
-romane, e i magistrati cittadini non s’intitolarono più scabini alla
-tedesca, ma _consoli_.
-
-Adunque in due atti spiegavasi quel movimento: sottrarsi con braccio
-forte alla dominazione armata, poi colla prudenza costituirsi. Che se
-era difficile quel primo contro conquistatori armati, difficilissimo è
-sempre il secondo, e allora viepiù quando di costituzioni non s’aveva
-alcuna esperienza.
-
-Ma in che consistevano le pretensioni dei Comuni? Domandavano libertà
-materiale di andare e venire senza pagar pedaggi; di vendere, comprare,
-possedere il proprio, e lasciarlo ai figli; contrar matrimonj anche
-fuori del feudo, e con persone di qualsiasi condizione; sicurezza della
-casa e della persona; una misura fissa nei dazj, nelle decime, nelle
-prestazioni di corpo dovute al signore, ne’ giorni in cui servirlo
-colla marra o colle armi, nella retribuzione pel forno o pel mulino
-privilegiato in tutto il feudo; se qualche bestia si svii, non venga
-al castellano, ma rendasi al proprietario; possa tagliarsi legna morta
-al bosco; nessuno arresti un comunista senza intervenzione di giudici;
-siavi un tribunale a cui richiamarsi anche dei torti ricevuti dal
-signore, e dove giustificarsi col giuramento o per testimoni, anzichè
-col duello.
-
-Scossi che si fossero dal giogo, non d’un Tedesco o d’un Franco, ma
-d’un tiranno, vinto in unanime concorso il contrasto del vescovo o
-del conte, cercavano un titolo ai loro diritti col farseli non dare
-ma confermare dal re in quelle che chiamaronsi _carte di Comune_. I
-re vi trovavano il proprio conto, perchè, oltre deprimere i feudatari
-privandoli della giurisdizione, con esse carte davano regole di diritto
-criminale e civile, traendo a sè una parte sì principale della regia
-autorità qual è la legislativa, istituendo o convalidando le costumanze
-locali.
-
-Le carte che ci rimangono, per quanto variate, importano l’abolizione
-delle servitù personali e delle tasse arbitrarie, assicurato agli
-abitanti lo scegliersi i magistrati municipali, e data a questi
-autorità di movere in armi i comunisti quando il credano necessario
-a tutelare i diritti e le libertà del Comune, sia contro i vicini,
-sia contro il signore. In quelle medesime ove propriamente veniva
-riconosciuta una giurisdizione distinta, non si stabiliva già chiaro e
-preciso in qual relazione starebbe d’allora innanzi il Comune col re,
-col feudatario, col vescovo, bensì riducevasi in iscritto l’ordinamento
-sociale interno, tutto ciò che potesse contribuire alla civile
-sicurezza, e massime all’applicazione della giustizia; la parte ove i
-popoli sentono più immediatamente la servitù o la libertà.
-
-V’avea però Comuni propriamente stabiliti da baroni o da re,
-sulle proprie terre aprendo asilo ai vagabondi e agli avveniticci,
-costituendo _città nuove_, _borghi nuovi_, _castel franchi_, _franche
-ville_, sotto un preposto del re o dei signori, con una carta,
-alla quale davano pubblicità affine di allettare gente forestiera
-a stanziarvisi e comprare terreni. Il conte Guido Guerra, suocero
-del famoso Bellincion Berti, nel 1208 dava nel suo viscontado di val
-d’Ambra il diritto ad uno per ciascuna terra di formare insieme uno
-statuto, unirsi per deliberare degli interessi pubblici, e assistere
-lui, capo dello Stato; il quale delegava i suoi poteri al podestà,
-salvo l’arbitrio di modificarne le sentenze.
-
-Siffatte carte occorrono men frequenti in Italia, forse perchè,
-sussistendo alcuni Comuni fin dall’età romana, od essendosene
-costituiti durante il reggimento feudale, non si trovava bisogno di
-nuovi diplomi per regolare l’amministrazione interna, i diritti de’
-magistrati, le relazioni col signore e coi vicini. Pure d’alcune
-abbiamo gli apografi, d’altre fondatissima presunzione, tanto da poter
-asserire che i Comuni nostri sono i più antichi del mondo moderno,
-e fin anche di quello di Leon in Ispagna, conceduto da Alfonso V
-coll’assenso delle Cortes entrante l’XI secolo.
-
-Venezia dall’origine sua medesima si trovò stabilita in repubblica; e
-a lei somigliare dovevano le altre città marittime di maggior fiore,
-Pisa, Amalfi, Napoli, Gaeta. Adria, ancora di qualche conto, nel 1017
-menò guerra coi Veneziani, i quali vincitori obbligarono il vescovo
-Pietro e i primati a venire al doge, chiedere scusa, e promettere
-fedeltà. Dall’alto di tal sommessione esso vescovo appare anche capo
-politico del Governo; ma contraeva coll’intervento de’ suoi canonici e
-di varj laici, de’ quali il primo è _Anastasius consul_. Le città del
-litorale istriano, aggregato talvolta al regno d’Italia, conservarono
-le forme comunali all’antica, e nel 991 Capodistria faceva col doge
-Pietro Orseolo II una convenzione, stipulata da un conte Sicardo suo
-governatore, _e cunctos habitantes civitatis Justinopolitanæ, tam
-majores quam minores_[29]. Anche Ragusi, città mista che per tante
-ragioni s’annesta alla storia italiana, e che sotto una costituzione
-aristocratica gareggiò con Venezia, e fu l’Atene della letteratura
-slavo-illirica, degna di storia più che i vasti imperj da cui fu
-ingojata, antichissimo esempio ci è di governo municipale, poichè in
-un diploma del 1044 Pietro detto Slaba (slavo) priore, _cum omnibus
-pariter nobiles, atque ignobiles mei, tam senes, juvenes, adolescentes,
-quam etiam pueri_, restituisce alcuni beni all’abate di Santa Maria di
-Lacroma, presente il vescovo Vitale[30].
-
-I Genovesi, costretti a schermirsi dai Saracini di Frassineto, buon’ora
-si ordinarono a comune sotto il vescovo, dividendo le città nelle
-_compagne_ di Castello, Borgo, Piazzalunga, Maccagnana, San Lorenzo,
-Portanuova, Sosiglia e Portoria, ciascuna avente consuetudini proprie
-e gonfalone, e deliberando per consigli e parlamenti. All’888 si fanno
-risalire i suoi primi consoli, il senato, l’assemblea del popolo e le
-forme municipali, che ricevettero conferma da un diploma di Berengario
-II del 958, il quale assicurava ai Genovesi le proprietà, già _jure_
-acquistate[31]. Poi nel 1056 Alberto marchese giurava osservare le
-consuetudini di essi, che sono le seguenti:
-
-«Qualora si contenda sopra la sincerità d’una carta tra Genovesi e
-forestieri, se il notajo e i testimonj sieno presenti, basta che il
-presentatore della carta giuri non l’avere corrotta in veruna parte: se
-manchino notajo e testimonj, il presentatore trovi quattro persone che
-il giurino con lui. La femmina longobarda può vendere e donare senza
-l’assenso dei parenti e l’autorità del principe. Così pure i servi, gli
-aldj delle chiese e i servi del re vendano e donino liberamente le cose
-di loro proprietà, ed anche le livellarie. I villani de’ Genovesi, che
-abitano sui poderi dei padroni, non sono tenuti a dare fodro, fodrello,
-albergaria o placito ai marchesi, nè ai visconti, o loro mandati.
-I livellarj delle chiese, che per gravi casi non possono soddisfare
-l’annuo canone, non perdano un fondo livellato, se prima del decimo
-anno paghino i livelli scaduti. Gli abitanti di Genova non devono
-stare in giudizio fuori di città, nè obbediscano a sentenza renduta
-fuori. I rettori di Sant’Ambrogio possano conceder beni a livello.
-I forestieri abitanti in Genova devono fare la guardia coi Genovesi
-contro gl’insulti dei Pagani. Chi giura con quattro testimonj di aver
-posseduto per trent’anni un podere, sia cheto contro qualunque podestà
-ecclesiastica o laica, nè v’abbia luogo a duello. Quando i marchesi
-vengano a tener placito a Genova, il bando non duri che quindici
-giorni. Un laico a cui un cherico abbia ceduto i beni ecclesiastici, li
-posseda tranquillamente finchè il vescovo vive. Se uomo o femmina prese
-a livello beni ecclesiastici, o per compra, o per eredità, niun altro
-può acquistare livello sui medesimi: e se nasce controversia, chi è in
-possesso giuri con quattro testimonj che da dieci anni egli od i suoi
-antecessori possedono quei beni a livello. I cherici legittimamente
-investiti di beni ecclesiastici li tengano alla sicura quanto vivono,
-nè altro cherico acquisti ragioni su quelli. Gli uomini dei Genovesi,
-che vogliono risedere sui poderi de’ padroni, sieno franchi da ogni
-servizio pubblico».
-
-Nel 1109 il conte Bertrando donava al Comune di Genova la terra di
-Gibeletto in Siria: nel 1130 Pavesi e Genovesi stipulavano concordia e
-reciproca difesa. Nel 1166 i consoli de’ mercanti e de’ marinaj di Roma
-agli uomini del Genovesato da Portovenere fino a Noli concedeano pace e
-sicurezza della persona e degli averi per terra e per mare da Terracina
-a Corneto, cassando le rappresaglie e qualunque procedura per rapine da
-trent’anni in poi; renderanno buona giustizia e riparazione; potranno
-condurre a Roma qualsiasi merce, e farvi contratto; obbligheranno a
-giurar questa pace i visconti e balii di Terracina, Stura, Ostia,
-Porto, Santasevera, Civitavecchia; se alcun Romano rechi danno a
-Genovesi, l’obbligheranno a rifarli, e se non possa, li rifaranno
-dal Comune; non soffriranno si armino a danno loro legni di corso da
-Capodanzo a Terracina, e da Caponaro a Corneto; terranno per nemici i
-Pisani, nè gli accoglieranno sul loro territorio; serberanno pace cogli
-uomini di Albenga, Portomaurizio, Diano, San Romolo, Ventimiglia, se
-i loro consoli la giurino ad essi. Di rimpatto i consoli del Comune di
-Genova giuravano pace ai Romani coi patti medesimi[32].
-
-Siena, città primaria sino al tempo de’ Longobardi, e dove il vescovo
-appare lungamente anche capo temporale, già avea Comune nel 1151 quando
-il conte Paltonieri dava in pegno al sindaco il castello di San Giovan
-d’Asso col suo distretto, per dieci anni: anzi nel 1137, _in communi
-colloquio_ molti nobili di Staggia e Strove donavano alcuni castelli
-a Ranieri vescovo e capo civile di Siena. Poi nel 1186 Enrico di
-Svevia, vivo Federico Barbarossa, dava e confermava a questo Comune
-la zecca, la libera elezione de’ consoli, del rettore, del podestà,
-con giurisdizione sopra tutto il contado, salvo ai giudici imperiali
-l’ultimo appello delle cause, e pagando alla Camera imperiale settanta
-marche d’argento[33].
-
-Pisa, a comodo anche dei tanti avventicci, raccoglieva, fin dal
-1160, gli statuti precedenti, fin allora tenuti per memoria, donde
-ricaviamo l’interno suo ordinamento e la persistenza del diritto
-romano; aggiungeva regole per le contestazioni marittime, che voglionsi
-approvate il 1075 da papa Gregorio VII; poi nel 1085 Enrico IV, oltre
-varie esenzioni, le prometteva osservarne le consuetudini di mare,
-lasciare che i seniori facessero le leggi e rendessero giustizia, non
-mandare in Toscana verun marchese se non approvato da dodici uomini,
-eletti nell’assemblea dei cittadini di Pisa, raccolta a suon di
-campana[34]. Prometteva inoltre non distruggere le case, non incendiar
-la città nè diroccarne le mura, non esigerne alloggi; se rechi offesa
-ad alcuno, ne giudicherà per mezzo di dodici sacramentali senza duello,
-salvo se si tratti della vita o dell’onore del re; non impedirà i
-viaggi, e di mariti che siano in viaggio non arresterà le mogli; non
-porrà altro aggravio se non quello che tre seniori per ciascuna villa e
-castello giurino essersi praticato al tempo del marchese Ugo; lascerà
-che vedove e fanciulle si maritino, senza costringerle a sposarsi a
-chi egli voglia, o esigerne prezzo; non torrà nè farà lavorar le terre
-a mezzo miglio in giro, che furono paludi o pascoli pubblici o delle
-chiese; il pezzo del muro vecchio sin all’Arno lascerà libero a comune
-vantaggio, non permettendo vi si eriga casa; se alcuna nave sia fermata
-da Gaeta a Luni, nessuno ardisca predarla.
-
-Lucca, prediletta sede dei marchesi di Toscana, in un documento
-del 1124 chiamata _gloriosa civitas, multis dignitatibus decorata,
-atque super universam Tusciae marchiam caput ab exordio constituta_,
-possiede uno de’ più ricchi archivj d’Italia, da cui potrebbe trarsene
-la storia comunale. Fra il 965 e il 972 Ottone I conferiva a quella
-Chiesa un’immunità, la quale era piuttosto personale ed ecclesiastica,
-salvo che cedevasi ad essa Chiesa e al clero la facoltà regia di
-eleggere il proprio avvocato, e dispensavasi dal giurare nelle cause
-con molti _sacramentarj_. Ottone II nel 981 confermò ed estese questi
-privilegi, volendo che tutte le persone dimoranti nelle terre e
-castella d’esso vescovado fossero sottoposte unicamente al tribunale
-del vescovo, che potesse citarli e giudicarli (_distringere_) a modo
-della potestà regia. Nessun duca, marchese, conte, visconte, giudice
-pubblico o gastaldo o qualsiasi altro magistrato presuma porvi piede
-per udir cause, esigere multe, far foraggio, levare sfatichi; chiunque
-possedesse beni del vescovado ingiustamente, li restituisca[35];
-seguono altri provvedimenti opportuni al libero esercizio del dominio
-e dei diritti vescovili, e comminando ai contravventori mille libbre
-d’ottimo oro, da pagare metà al fisco imperiale, e metà alla chiesa di
-Lucca _ejusque vicario_. Alessandro II papa attribuì a quel Comune per
-sigillo una bolla di piombo[36].
-
-Vedemmo Anselmo vescovo di Lucca zelantissimo per Gregorio VII contro
-l’imperatore; onde i cittadini gli si ribellarono, ed Enrico IV,
-da Roma il 23 giugno 1081, in premio della fedeltà e de’ servigi
-prestatigli, conferiva ai Lucchesi un privilegio, nel quale vieta ai
-_vescovi_, duchi, marchesi, conti e qualsiasi persona o autorità di
-demolire il recinto delle mura nè i casamenti urbani o suburbani; o
-di fabbricare castelli nel circuito di sei miglia, nè di esigervi il
-fodro o il ripatico; abolendo le _consuetudini perverse, introdotte
-dalla durezza_ del marchese Bonifazio; non vi abbia palazzo imperiale
-in città o nel borgo, nè siano tenuti agli alloggi; chi per negozj va a
-Lucca sia pel Serchio sia per terra, non venga molestato nè derubato,
-nè alcuno lo impedisca o svii; i Lucchesi possano negoziare sopra i
-mercati di Parma e San Donnino ad esclusione dei Fiorentini; siano
-giudicati solo da chi ha legittima giurisdizione; non venga obbligato
-al duello chi adduca il possesso di trent’anni, o altro documento; il
-giudice longobardo non possa proferirvi giudizio, se non in presenza
-del re o del suo cancelliere[37].
-
-Qui avete sott’occhio una vera carta di Comune; e quantunque v’appajano
-come concessioni quelle che oggi si hanno per generale giustizia,
-pure alleggeriva la soggezione immediata ai marchesi e conti; la
-mediata moderava nell’esigenza delle tasse e ne’ giudizj; dava a Lucca
-un’esistenza comunale in faccia ad altri Stati, sicchè l’università e i
-singoli cittadini fossero rispettati come tali.
-
-Benchè, col cessare della guerra delle Investiture, rivalesse
-l’autorità dei marchesi, questa non tolse al Comune di Lucca di operare
-indipendente: dal 1088 al 1144, ebbe guerra coi Pisani; distrusse i
-castelli Castagnoli, Vaccole, Vecchiano, Ripafratta, appartenenti a
-Cattanei o conti rurali; da Uguccione e Veltro, visconti di Corvara
-nella Versilia, comprò questo tenimento e il castello di Vorno che
-spianò; e chiamò a giudizio arbitrale i vescovi di Luni e i marchesi
-di Malaspina[38]. Non sapremmo dunque definire a che si riducesse la
-supremazia dei marchesi di Toscana, che pur sussistette fino a che il
-marchese Guelfo della casa di Matilde, principe di Sardegna, e duca
-di Spoleto, nel 1160 al popolo lucchese cedette ogni diritto, azione,
-giurisdizione, che gli competessero sia a titolo del marchesato, sia
-per l’eredità della contessa; solo per novant’anni riservandosi il
-censo di mille soldi, sebbene non siano pur la metà di quel ch’egli
-potrebbe ritrarne[39]. Così que’ cittadini furono riscattati da ogni
-servitù particolare, e l’assicurata libertà garantirono col giurar
-fedeltà e sommessione all’imperatore.
-
-Benchè Lucca sia così ricca di documenti, il Tommasi, nel _Sommario_
-della storia di essa, dice non potersi «fissar con sicurezza quando
-v’incominciasse la repubblica, gli storici lucchesi segnando un’epoca
-chi più chi meno remota;..... se narrano i primi scrittori fatti
-bastantemente provati donde traspirano manifesti segni di libertà
-e d’indipendenza, producono i secondi tali carte contemporanee da
-smentire appieno gl’indicati segni, perocchè mostrano esse più presto
-soggezione gravissima, che la ben menoma franchigia». Quest’incertezza
-è di gran lunga maggiore per gli altri Comuni, e deriva dal fatto
-dei mal determinati poteri, tanto dominante nel medioevo, che non
-deve presumere d’intendere la storia civile chi non l’abbia sempre
-sott’occhio.
-
-Ampio privilegio fu concesso il 1129 da re Ruggero, e confermato il
-1164 da re Guglielmo alla città di Messina, in benemerenza de’ sussidj
-prestati a snidare i Normanni. Portava che i Messinesi, tranne i
-casi di Stato, non potessero convenirsi in civile o in criminale se
-non da giudici eletti da loro, neppur nelle cause col fisco; il re
-non operasse dispotico, ma si attenesse alle leggi, e se contrario
-a queste dava alcun decreto, fosse irrito e nullo; non nominasse
-uffiziali pubblici che messinesi e benevisi; e fosse reputato cittadino
-coronato di Messina. I deputati di questa tenessero il primo luogo
-nelle assemblee convocate dal re; solo colà si coniasse la moneta
-del regno; nel tribunale suo fosse un consolato per deliberare in
-affari marittimi, composto di Messinesi, _nominati dai padroni delle
-navi e dai negozianti_. I Messinesi andassero esenti da dogana per
-tutto il regno; potessero senza compenso tagliar nelle foreste regie
-quanto occorresse a fabbricare e risarcir le navi: nessuno d’essi
-fosse forzato al servizio militare; la galera di Messina inalberasse
-lo stendardo reale; nelle assemblee dal re convocate per gl’interessi
-di quella città non si deliberasse che in presenza dello stratego,
-dei giudici e d’altri uffiziali della città; gli ebrei vi godessero
-diritti e immunità pari ai cristiani. Tale carta, confermata poi ed
-accresciuta, rendeva il comune di Messina quasi sovrano[40].
-
-Al popolo di Ferrara Enrico III nel 1055 concedeva che i _cortensi_
-fossero assolti dal dare la terza pel placito; i villani nelle
-lor terre abitanti non andassero al placito pubblico, ma per loro
-rispondessero i padroni; le navi e i cavalli loro non fossero obbligati
-a servizio se non quando esso imperatore venisse in Italia; non
-pagassero il ripatico se non a Pavia; e così vien fissato quanto
-retribuire pei pesci, pel sale a Cremona, a Venezia, a Ravenna;
-tutt’altrove si era immuni d’ogni esazione. Due volte l’anno tengano il
-placito generale per tre giorni, in ciascun de’ quali diano tre porci,
-cento pani, una libbra di pepe, una di cinnamomo, tre sestieri di
-miele, e in tutto una vezza di vino; al quarto giorno diano a colui che
-tenne il placito, un majale e cinquanta pani[41].
-
-Anteriori diritti possedevano le comunità del lago di Como, giacchè
-Ottone il Grande nel 962, ad istanza dell’imperatrice Adelaide,
-confermava agli abitanti dell’Isola Comacina e di Menaggio i privilegi
-che avevano ottenuti dagli antecessori suoi, assolvendoli da molti pesi
-e dal venire al placito, se non tre volte l’anno in Milano[42]. Verso
-il 1090 troviamo i Comaschi alle prese coi popoli della riva dell’Adda,
-quando il beato Alberto, fondatore del famoso convento di Pontida,
-s’interpose di pace: i Comaschi lacerarono il suo lodo; mal per loro,
-giacchè nel combattimento ebbero la peggio.
-
-Fin dal 990 il popolo di Cremona sosteneva briga con Olderico, suo
-vescovo insieme e conte, e cacciatolo, abbattè la città antica, e una
-maggiore ne fabbricò contro l’onore imperiale[43]. Il 1114 Enrico V
-confermava i privilegi de’ Cremonesi, cioè i beni _ch’essi in loro
-lingua chiamano proprietà comunali_[44], e di fabbricare fuor di città
-il palazzo imperiale, il che equivaleva a promessa di non entrarvi
-coll’esercito.
-
-Del Comune di Brescia trovansi vestigia al 1000: nel 1020 già sono
-citate le concioni pubbliche che si tenevano in San Pietro de Dom, e il
-banditore comunale, a nome di esso Comune, investiva gli uomini degli
-Orzi del castello, delle fosse e degli spaldi di Orzi: essi a vicenda
-promettendo difendere quella rôcca contro chi fosse ardito a disputarne
-il possesso al Comune di Brescia, presterebbero ogni quindici anni il
-giuramento, pagherebbero alla madonna d’agosto cinque soldi milanesi.
-Del 1029 si conosce uno statuto che concerne anche i feudi. Nel 1037,
-per togliere le contese tra il vescovo e il Comune, più di cencinquanta
-uomini liberi di Brescia si radunano, e Odorico vescovo promette non
-eriger fortilizj sul colle Cidneo, e cedere al popolo alcuni boschi di
-Castenedolo e di Montedegno, pena duemila libbre d’oro se fallisca al
-promesso.
-
-I Bresciani nel 1102 avevano promulgato una legge contro gli usuraj: e
-due anni appresso Ardizzo Aimone, console di colà, girava per le città
-lombarde onde indurle a federarsi in difesa comune, convenendo nel
-monastero di Palazzuolo[45].
-
-Dicemmo come a Mantova fosse costituito il Comune degli arimanni.
-Ai 27 giugno 1090 la contessa Matilde gittava un bando qualmente _i
-fedeli suoi Mantovani cittadini_ ricorsero alla clemenza di essa,
-bramando esser rilevati dall’oppressione d’alcuni loro concittadini
-e domandando fosser loro restituiti gli arimanni, e le cose tutte
-_comuni_, tolte ad essa città dai predecessori della contessa. Al che
-annuendo, abolisce e sterpa tutte le esazioni ed angarie non legali,
-imponendo che nè essa nè gli eredi suoi od altra persona grande o
-piccola di sua podestà possa molestare i cittadini di Mantova per le
-persone loro, i servi, le ancelle, i liberi dimoranti in quella terra,
-e l’arimannia e le cose comuni ad essa città spettanti sulle rive del
-Mincio, o le cose mobili e immobili. Nessuno alloggi in qualsiasi casa
-della città, o in quella d’un gentiluomo (_militis_) nel sobborgo, o
-nella canova di chicchessia, contra lor voglia. Restituisce loro i beni
-occupati, in modo che pascolino, seghino, caccino a voglia; possano
-sicuramente andare e venire per acqua e per terra senza pagar pedaggio,
-ed avere quella buona e giusta consuetudine che ottiene ogni miglior
-città di Lombardia[46]. Nel 1133 Lotario II confermava al popolo di
-Mantova i privilegi conceduti già dall’imperatore Enrico II,_ compresa
-l’arimannia e le cose comuni di essa città, su ambe le rive del Mincio
-e del Tàrtaro_; abbiano facoltà di trasferire il palazzo imperiale dal
-borgo San Giovanni al monastero di San Rufino di là dal Mincio; restino
-liberi dall’albergaria, e possano andare e venire a tutti i mercati
-dell’Impero, senza molestia nè esazione di teloneo. Concede inoltre
-l’isola dov’era stato il castello di Ripalta, sicchè altro fabbricarne
-non potesse egli nè i successori suoi[47].
-
-Nella vita del beato Lanfranco, sotto il 1030, leggesi che il padre
-di questo era di coloro che custodivano le leggi e i diritti della
-città di Milano[48]; e lo storico Landolfo di San Paolo nel 1107
-chiamasi secretario dei consoli[49]. In quell’anno stesso i Milanesi
-erano alle mani colla città di Lodi, e la stringevano d’assedio;
-Pavia cavalcava Tortona, la quale chiese l’alleanza dei Milanesi,
-mentre Pavia univasi co’ Lodigiani e Cremonesi, e presa la città
-nemica, la mandò a fuoco. E di vita propria ci diè sentore Milano sia
-nell’antica contesa coll’arcivescovo Landolfo, sia più chiaramente in
-quelle delle Investiture e pel matrimonio dei preti; poi i principi
-di Germania e Federico arcivescovo di Colonia nel 1118 scrivevano ai
-_consoli, capitanei, cavalieri e all’intero popolo milanese_, come
-a Comune indipendente, istigandoli contro Enrico V a tutelare le
-proprie libertà, fidati nell’ajuto di Cristo[50]. Nel 1117 i Lombardi,
-sgomentati da fenomeni straordinarj, pioggie di sangue, nascite
-di mostri, tuoni sotterranei, risolsero provvedere alla giustizia,
-all’ordine, alla penitenza; onde l’arcivescovo Giordano radunò in
-Milano una dieta straordinaria, dove non comparvero più principi e
-conti o feudatarj, ma sovra un palco da una parte si posero tutt’i
-vescovi, dall’altra i consoli delle varie città, i giurisperiti e
-popolo immenso, e trattarono del metter pace[51]: assemblea di liberi,
-che da se stessi consultano il proprio meglio, e che forse allora
-avvisarono come adempiere al difetto della giurisdizione reale, caduta
-così in basso. Sembra difficile che si abbia a intendere qui soltanto
-del Comune dei conquistatori, senza partecipazione del popolo.
-
-Di questa distinzione del Comune dei nobili dal popolano ci presentò
-insigne documento Mantova; un altro abbiamo in Bergamo, dove i nobili
-troviamo più volte convocati insieme col clero a trattare di possessi
-ecclesiastici[52]. Poi re Corrado nel 1088 teneva in quella città un
-placito, assistenti varj giudici del sacro palazzo, alquanti vescovi,
-marchesi, conti, valvassori milanesi e bergamaschi, e _varj cittadini_
-di essa città[53].
-
-Quanto alle terre del Piemonte, nel 1090 Ottone Riso e Benedetta sua
-moglie vendono una casa e una cascina _omnibus vicinis de Bugella_;
-acquisto comune, che indica una comune amministrazione dei Biellesi,
-benchè qui pure potrebbe supporsi dei soli conquistatori. Due anni
-appresso, gli abitanti di Saorgio maschi e femmine fanno una donazione
-a Sant’Onorato di Lerino. Nel seguente trovasi già in Biandrate un
-Comune con dodici consoli, e quei conti Guido e Alberto fanno patto di
-assistenza coi militi, cioè coi valvassori, per conservare i possessi
-e feudi che ottennero, promettendo lasciar che trasmettessero ai
-loro figli maschi e femmine i terreni di cui gli abbiano infeudati,
-nè proibire che vendano un edifizio che v’abbiano eretto, purchè
-non vendano essa terra senza consenso dei conti. I quali conti non
-imporranno pena ai militi di Biandrate se non per omicidio, spergiuro,
-furto, adulterio con una parente, tradimento, duello giudiziale e
-aggressione; gli altri delitti rimetteranno al laudo di dodici consoli.
-I militi a vicenda giuravano stare ligi ad essi conti, conservarne
-di buona fede i feudi; e tra loro stessi promettevano garantirsi i
-possessi contro chicchessia, nelle discordie rimettersi ai dodici
-consoli[54]: i quali pure giureranno risolvere le liti in Biandrate al
-miglior vantaggio del Comune e ad onor del luogo[55].
-
-Nel 901 Lodovico IV imperatore al vescovo d’Asti Eilulfo concedeva la
-corte e il castello di Bene, Cervere, Niella, Salmour, e la contea
-di Bredulo fra il Tanaro e la Stura: ma nella città non aveano que’
-vescovi che il castelvecchio, sin quando Ottone III nel 992 a Pietro
-concesse anche la città con quattro miglia in giro, e giurisdizione,
-il letto del Tanaro e le rive, e tutti i diritti camerali, e le
-successioni agli intestati, vietando a qualsiasi conte di pigliarvi
-ingerenza[56]. L’anno stesso agli _abitanti_ d’Asti esso Ottone
-concedea facoltà di trafficare ove loro paresse; poi Corrado Salico
-nel 1037 li faceva esenti da ogni dazio e dogana in qualunque parte
-arrivassero mercatando, sempre ad istanza del vescovo. Al quale però
-già stavano mal soggetti, talchè due volte la principessa Adelaide
-dovette venire ad assisterlo, gettando il fuoco alla città; poi alla
-morte di essa, vi si formò il Comune, e li troviamo ben presto sostener
-guerra col marchese Bonifazio di Savona, e nel 1098 già stringer lega
-con Umberto II di Savoja erede di essa Adelaide. Amedeo III di quella
-casa, morto il 1148, dava franchigie comunali a Susa; Tommaso ad Aosta
-nel 1188, ricevendola in protezione: attesochè l’esser costituiti in
-Comune non repugnava alla dipendenza da un signore.
-
-Chi cercasse, troverebbe in quel torno stabilite a Comune tutte
-le città italiane; ma l’accertarne il principio è difficile tra
-quell’_agitazione costituzionale_, reggimento indeciso fra la pace e
-la guerra, fra la sommessione e la rivolta, fra l’opposizione legale e
-l’insurrezione.
-
-D’altro passo erano proceduti i paesi di Romagna. Inviolati da Barbari,
-aveano essi conservato l’ordinamento quale sotto l’Impero bisantino,
-con consoli sopra il Governo e i giudizj, e con tribuni che comandavano
-ai borghesi, distribuiti in scuole militari. Staccati che furono da
-quello, la difesa venne commessa ai vassalli, e il loro capo assunse
-l’aspetto generale d’allora, cioè di signore feudale ereditario, e
-trasse il titolo dalle terre che possedeva. L’ordinamento civile vi si
-trasformò quando i varj vescovi, che pretendevano alla superiorità,
-dopo Ottone il Grande s’inchinarono al pontefice; sicchè a questo
-rimase la primazia sovra la Romagna, e ai vescovi la giurisdizione e
-il nominare i magistrati, che, secondo allora solea, retribuivansi con
-terre feudali. A capo pertanto d’ogni contado aveasi un visconte, sotto
-cui i capitanei vescovili, indi i vassalli e i valvassori, e da ultimo
-il Comune dei liberi, i quali formavano il consiglio municipale coi
-vassalli del vescovo.
-
-In qualche città, e nominatamente a Ravenna e sue dipendenti come
-Bologna, durava traccia delle istituzioni bisantine, essendo i
-cittadini distribuiti per scuole d’arti, che erano ad un tempo
-divisioni militari, aventi alla testa decurioni finchè durò l’antica
-costituzione romana, e con magistrati particolari per definire i loro
-affari, detti consoli de’ mercanti, de’ pescatori, de’ calzolaj,
-e così via. In ciascheduna corporazione un _capitolario_ vigilava
-che fossero mantenuti i capitoli, vale a dire i diritti speciali di
-ciascuno, regolava i mercati, e risolveva le controversie. Il popolo di
-Bologna nel 1116 ottenne da Enrico V la conferma dei privilegi e delle
-consuetudini sue.
-
-
-Più tardi si riscosse la campagna. La conquista dei Barbari aveva
-arrestato lo spopolamento, prodotto dall’affluire della gente nelle
-città; poi collo stabilirsi dei feudi la politica prevalenza fu
-trasferita dalle città alla campagna[57]. Attorno al castello del
-barone o al sagrato della chiesa accoglievasi una gente laboriosa,
-manufattrice, mercadante, che presto cresceva in borgate. I signori,
-accortisi come potessero vantaggiarne d’entrate e di forza materiale,
-concessero alcuni privilegi, che non li facevano indipendenti, ma ne
-cresceano le ricchezze e gli abitanti; e quest’incremento rendeva
-necessarj nuovi privilegi, per quanto poco garantiti contro la
-prepotenza. Alcuni anche per bisogno li vendevano, nè denaro mancava
-ai sudditi per tale acquisto, avessero pur dovuto togliersi il pane di
-bocca. Altrove non erano concessi ma pretesi, e l’esempio delle città
-ispirava ai campagnuoli desiderio di scuotere la dipendenza, e fiducia
-di riuscirvi. Rifuggiti in un bosco, sovra un colle, dietro un terrato,
-sfidavano di colà lo sdegno del signore finchè egli non calasse a
-ragionevole componimento.
-
-Del come si formassero le borgate attorno alle chiese un bel documento
-ci resta. Compita nel 1093 la chiesa di Empoli, una delle più antiche
-collegiate di Toscana, prete Rolando ne divenne _custode e prevosto_,
-al quale nel 1119 la contessa Emilia promise quel che il marito suo
-Guido Guerra signore di Empoli già aveva giurato, cioè che a tutti gli
-uomini del distretto empolitano, o vivessero sparpagliati o riuniti
-in castelli e ville, imporrebbe di stabilirsi attorno alla chiesa
-matrice di Sant’Andrea, donando a tutte le famiglie un appezzamento
-di terra per costruirvi le abitazioni, oltre uno per erigere il
-castello: prometteva pure difendere esse case, di modo che, se mai,
-per guerra o per violenza dei ministri regj o per altro, fossero
-abbattute, i conjugi Guido le rifarebbero a loro spese[58]. Di poi nel
-1182 i Fiorentini obbligarono gli Empolitani a giurar loro obbedienza
-e fedeltà contro chicchefosse, eccetto i conti Guido antichi loro
-signori, pagar cinquanta lire annue nel giorno del Battista, un cero
-più grosso di quel che gli uomini di Pontormo offerivano quand’erano
-vassalli del conte Guido Borgognone di Capraja.
-
-Il parabolano frà Jacopo d’Acqui ricorda che, al tempo del Barbarossa,
-molte terre grosse si formarono in Piemonte coll’unire ville: e prima
-Chivasso, per opera de’ Milanesi: poi alquanti rustici, congregati
-in opposizione ai marchesi di Saluzzo, edificarono Savigliano, che
-vuol dire savio-villano, per venire dalla servitù di essi marchesi
-a libertà: altri coll’ajuto de’ Milanesi fra la Stura e il Gesso
-fecero una città detta Cuneo, perchè avea tal forma: così furono
-costituiti Fossano, Mondovì, Cherasco, per tenere in freno quei di Asti
-e di Alba[59]. Nel 1251 molte famiglie di Marmirolo nel Mantovano,
-trovandosi angariate da Guidone Gonzaga, abbandonarono in unanime
-concorso la patria, e si mutarono nel paese di Imola: il qual Comune
-donò loro molte terre colte e incolte, che essi obbligaronsi di mettere
-a frutto, pagandone annuo censo, e abitando uniti in un villaggio che
-Imola fabbricherebbe apposta, e che fu Massa Lombarda[60]. Fin dal
-1157 il popolo di Marti e quello di Montopoli nel Valdarno inferiore
-discutevano de’ proprj confini, e si citarono i consoli a far
-dichiarare dai più vecchi e probi quali fossero veramente[61]. Firenze,
-l’anno 1300, decretava si facessero tre terre nel Valdarno superiore,
-per frenare gli Libertini di Gavelle e quei di Soffena e i Pazzi; le
-quali furono Terranova, Castelfranco di Sopra e San Giovanni.
-
-Ad emanciparsi erano i borghi ajutati dalle medesime città, cui giovava
-l’aversi in giro consenso di liberi, anzichè minaccia di tiranni.
-Perciò i fuggiaschi s’accoglievano sopra le terre suburbane, che
-anticamente erano appartenute al vescovo, o, come allora dicevasi, al
-santo patrono, e perciò si chiamavano _corpi santi_ in Lombardia, e
-_appodiato_ a Bologna, _camperie_ nella Toscana, sottoposte alle leggi
-e al podestà medesimo della città. Se i Comuni cittadini avessero
-dichiarato sciolti i feudi, tutti i campagnuoli sarebbero affluiti
-nelle città: ma queste non aveano mai avuto mente a costituire un
-diritto nuovo demolendo il preesistente, onde non attentavano ai
-legami che tenevano l’uomo alla terra ed al padrone, sebbene volentieri
-aprissero ricovero a’ fuggiaschi, e sostenessero chi si ribellava ai
-conti rurali.
-
-Milano nel 1211 concedeva a tutti i contadini e borghesi di accasarsi
-in città, e li faceva esenti da ogni gravezza rurale, e accomunati ai
-diritti di cittadini, purchè non lavorassero di propria mano la terra,
-abitassero in città trent’anni, eccetto il tempo del ricolto. Imola nel
-1221 prometteva la quinta parte degli uffizj a quei di Castello Imolese
-che andassero accasarsi in città. L’anno stesso Bologna prometteva
-immunità ai forestieri, e il consolato ad ogni venti famiglie che
-venissero a formar villa nel territorio bolognese.
-
-I signori si opponevano a che i loro dipendenti _giurassero il
-Comune_; ed essendosi i terrazzani di Limonta e Civenna accomandati
-al Comune di Bellagio sul lago di Como, l’abate di Sant’Ambrogio, che
-n’era feudatario, protestò non averne mai dato concessione, e chiese
-sentenza, per la quale furono assolti dalla vicinanza dei Bellagini,
-dal contribuire il fodro, e venire al placito e alla giurisdizione[62].
-
-Ad alcuni signori le comunità indissero guerra, poichè il diritto
-della personale vendetta, allora universalmente riconosciuto, rendeva
-alle città legittimo l’osteggiare i baroni, che fin sotto le loro mura
-aveano piantato fortifizj; e bandivasi pace alle capanne e guerra ai
-castelli. I conti d’Acquesena dominavano sei popolose terre in val
-di Belbo, e sorretti dal marchese di Monferrato e dalle armi, mille
-soprusi si permettevano sopra i vassalli, ed esigevano una oscena
-primizia. I terrieri soffersero un pezzo come sbigottiti; poi fecero
-popolo, e al tocco della campana di Belmonte assalsero determinatissimi
-le rôcche dei signori, questi uccisero, quelle diroccarono; e
-difesisi dal marchese Bonifazio mediante l’ajuto degli Alessandrini,
-trasferirono le proprie abitazioni là dove la Nizza sbocca nel Belbo, e
-vi edificarono Nizza della Paglia[63].
-
-Altre volte non colla forza, ma otteneasi cogli accordi: come i conti
-Guido cedettero a Firenze i loro castelli per cinquecento fiorini; e
-come troveremo spesso nel procedere. Ma gli abitanti di Montegiavello,
-scontenti della dominazione d’essi conti Guido, scesero a stormo
-dall’altura, e compro un prato sul Bisenzio, vi costituirono il Comune,
-che poi fu la cittadina di Prato[64].
-
-Nel 1200 la città d’Asti dai molti consignori comprava il castello e il
-territorio di Manzano, obbligando gli uomini a trasferirsi nel nuovo
-paese di Cherasco. Nel 1228 Genova comprava dai marchesi di Clavesana
-i castelli e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro, Taggia, San
-Giorgio, Dolcedo, per l’annua prestazione di lire ducencinquantadue
-genovesi: nel 1233 faceva altrettanto con Laigueglia. Nel 1180 il
-Comune di Vercelli comprava in moltissime porzioni il castello di
-Casalvolone.
-
-Converrebbe fare la storia di ciascuna borgata chi volesse dire come
-le città crescevano dalle ruine della feudalità campagnuola. Alcuni
-signori abbracciarono spontanei lo stato civile, fosse per maggior
-sicurezza o per godere l’autorità che l’opulenza, il dominio antico,
-le aderenze procacciano sempre in una comunità; sicchè discendendo
-dalle minacciose rôcche, giuravano il Comune e fedeltà ai magistrati
-cittadini, sottoporre i loro terreni alle tasse, servire alla patria
-colla persona e coi vassalli, e parte almeno dell’anno fissar dimora
-nelle città[65].
-
-I Transalpini, avvezzi ancora a non vedere nei loro paesi che dominio
-de’ baroni, meravigliavano allo scorgere che le città di Lombardia
-aveano ridotto tutti i signori della diocesi a coabitare; talmente
-che a fatica si trovava alcun nobile o grande che non obbedisse alle
-leggi della città[66]. Alquanti duravano ancora nei loro castelli,
-massime ove li francheggiava la montagna, circondandosi di armigeri e
-di donzelli, per conservare l’antico potere: ma sebbene dissoggetti
-dai Comuni, non poterono mai costituire una salda aristocrazia,
-attraversati com’erano dalle altre classi. Restava dunque che
-sfoggiassero in lusso e in finte prodezze, assaltando un pagliajo
-od una grancia, o ferendo torneamenti, ovvero empiendo il tempo con
-giocare alle palle, agli aliossi, alla quintana, e mettersi attorno
-buffoni, nani, cantastorie, sonatori: finchè impararono a vendere ai
-pacifici Comuni il valore, cui si erano educati ed esercitati.
-
-A tal modo formaronsi i Comuni; e combinando le idee classiche
-colle nuove, definivano la città essere un convegno di popolo,
-raccolto a vivere secondo il diritto; e che tutti gli uomini d’una
-città, e massimamente delle principali, devono operare civilmente e
-onestamente[67].
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXII.
-
-Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. Emancipazione dei servi.
-
-
-Se dunque ricapitoliamo la storia del popolo, dopo Carlo Magno ci
-occorre anarchia e scompaginamento universale; città e stirpi discordi;
-ogni barone, ogni guerriero animato da interessi diversi; non un
-pensiero della povera plebe. La feudalità comincia a collegare duchi e
-conti col vincolo di devozione allo stesso capo e di servizj reciproci;
-i possessori di allodj, franchi di ogni carico pubblico, indipendenti
-fra loro e quindi antisociali, consentono o sono forzati a divenire
-vassalli, cioè a prestare ligezza ad un signore, nella cui protezione
-trovano un compenso alle servitù, all’omaggio, agli obblighi. L’uomo
-preferisce sempre lo stato socievole all’isolamento, e il governo
-feudale offriva la combinazione per allora migliore di sforzi materiali
-onde organizzare la pace e dirigere la guerra.
-
-Nelle città non v’era modo come uno potesse distinguersi: ignote
-le lettere; a soli nobili le ricchezze; dei gregarj le armi.
-In conseguenza le plebi rimanevano ancora fuori della società,
-e ad insinuarvele s’industriarono i Comuni, dove conquistati e
-conquistatori, uomini dipendenti dal re o dal vescovo o dai signori,
-venivano fondendosi in una stessa cittadinanza, a giurisdizione dei
-vescovi; poi anche da questi si emanciparono, istituendo il Comune
-laico. Nè era un tremuoto popolare che diroccasse i castelli: essi non
-domandavano la libertà, ma l’eguaglianza sotto un signore, un freno
-alla gerarchia feudale, o di potere in questa pigliar posto. Per tal
-modo la gente bassa diventa un ordine; la ricchezza mobile si erige
-a fianco alla fondiaria; e il feudalismo, che dianzi era la società
-intera, si restringe a sola la nobiltà.
-
-L’Italia non avea di quei duchi o conti, poderosi quasi piccoli re:
-l’autorità regia, annessa all’imperiale, restava lontana e controversa;
-sicchè le città trovarono minori ostacoli a costituirsi, tanto più che
-avevano sugli occhi l’esempio delle marittime. Perciò, caduta la Casa
-Salica, i Comuni lombardi muovono guerra ai capitanei, togliendo loro
-le entrate e la giurisdizione di conti, e la esercitano in vece loro. I
-Comuni si valgono degli imperatori e dei papi per cacciar le picche più
-a fondo nelle viscere de’ nemici; e li strascinano nelle microscopiche
-loro inimicizie; laonde queste parziali associazioni, combinate per
-salvarsi dalle baronali prepotenze e dal politico scompiglio, vennero
-ottenendo o conquistando giurisdizione particolare, diritto di guerra
-e di moneta[68], governo proprio, insomma a farsi piccole repubbliche.
-Gli uffiziali, non più dai vassalli, ma sono scelti fra’ comunisti;
-onde sottentra l’abitudine agli affari, e ne vengono magistrati da far
-fronte allo Impero, giuristi che in parlamento potranno pettoreggiare i
-capi della feudalità, e dottori alle cattedre, e cherici che saliranno
-ai vescovadi e alla tiara.
-
-_Consoli_ era l’antico nome de’ magistrati civili, detti alla tedesca
-_scabini_ o giudici perchè principale loro uffizio il giudicare. Altri
-consoli erano i capi delle maestranze e delle compagnie mercantili,
-la cui efficacia nella istituzione de’ Comuni fu maggiore che non
-soglia credersi. Man mano che si affrancassero, le città attribuivano i
-poteri a questi magistrati, che allora dalle funzioni giuridiche fecero
-tragitto alle amministrative, dalle particolari alle pubbliche. Il
-vescovo di Luni avea guerra col marchese di Malaspina, che compose nel
-1124 coll’interposto dei consoli di Lucca[69].
-
-I consoli erano due o più: Perugia, che vuolsi già facesse guerra a
-Chiusi nel 1012, a Cortona nel 49, a Foligno nell’80 e 90, ad Assisi
-nel 94, era governata da dieci consoli nel 1130, quando in piazza San
-Lorenzo gli uomini dell’isola Palvese fecero la loro sommessione[70]:
-Bergamo n’avea dodici: Milano sei o sette per ciascuno dei tre ordini
-di capitanei, valvassori e cittadini[71]: probabilmente anche altrove
-erano scelti in questa proporzione, ovvero da cittadini e nobili, dove
-questi costituissero un unico stato, o anche da uno stato solo, che
-fosse agli altri prevalso. A Firenze furono quattro, poi sei, secondo
-la città era divisa per quartieri o sestieri; ma uno godeva maggior
-fama e stato, e dal nome di esso qualche cronista notava l’anno.
-
-Nè le sole città, ma anche borghi e castellari ebbero consoli proprj:
-e per mille esempj valga Pescia, non ancora città, i cui consoli e
-consiglieri nel 1202 concordavano con quelli delle limitrofe comunità
-di Uzzano e Vivinaja intorno all’elezione e alle attribuzioni dei
-consoli, per evitare le controversie[72].
-
-Niuno confonda i Comuni del medioevo coi municipj che trovammo fra
-gli antichi. Questi ultimi erano formati da coloni venuti da Roma,
-che, sostenuti dalle armi della metropoli, si piantavano sopra il
-territorio conquistato per tenere i vinti in soggezione: nel medioevo
-sono i vinti stessi che aspirano ad esser pareggiati ai vincitori,
-acquistando i diritti, prima d’uomini, poi di cittadini. Nel Comune
-romano il padre è in casa sua magistrato e sacerdote: nel nuovo, il
-clero costituisce classe distinta e indipendente, e l’autorità paterna
-rimane circoscritta entro i limiti della pietà. Alla comunanza romana
-non partecipava propriamente che l’_ordo_, vogliam dire le prosapie
-senatorie iscritte nell’_album_, per eredità trasmettendo il potere
-e l’amministrazione; che se una si estinguesse, l’Ordine medesimo
-sceglieva tra le megliostanti della città quella che dovesse empiere
-il vuoto: pochi ricchi, in possesso della piena cittadinanza, erano
-circondati da una turba di schiavi, alle cui mani abbandonavano tutti
-i servizj. Nel nuovo Comune invece, per la prima volta al mondo,
-l’industria si esercita libera, e frutta ricchezze e franchigie. In
-quello gli uomini di miglior diritto stanno adunati nelle città,
-rimanendo alla campagna i servi: nel medioevo i prepotenti vivono
-ne’ castelletti foresi, mentre le città sono di gente industriosa,
-che poc’a poco e a forza di lavoro si affranca. Colà insomma è
-aristocrazia, qua democrazia: quello provvede alla politica potenza
-d’una classe eccezionale, questo ai diritti dell’intera popolazione: in
-quello i privilegiati si conservano col gelosamente escludere le classi
-inferiori; nel moderno ognuno si travaglia verso miglior condizione, e
-nella lotta invigorisce la personalità.
-
-Ma la prima rivoluzione dei Comuni può considerarsi come aristocratica,
-tanti elementi signorili abbondarono nella sua composizione, i
-quali vedremo poi sistemare i governi, dettar leggi a tutto loro
-pro, combattere più valorosamente che non avrebbe saputo una plebe
-inesercitata. Dipoi si ampliò il Comune a segno, che chiunque avesse
-pane e vino proprio, esercitasse mestiere d’importanza, o si trovasse
-agiato di sue fortune, ebbe parte almeno indiretta alla municipale
-autorità, e contribuiva ad eleggere i magistrati nel generale convegno
-degli abitanti. Allora nella classe degli uomini liberi si trovarono
-accomunati gli antichi arimanni, liberi quantunque non possessori;
-gli abitanti delle città municipali, sempre rimasti indipendenti; i
-borghesi affrancati delle città feudali; gli abitanti sollevati dei
-Comuni; alfine anche i servi emancipati della campagna.
-
-Ma dalla libertà civile e dall’equità suprema, ch’è ora il fondamento
-d’ogni Stato, stavano ben lontane. Dappertutto le persone rimaneano
-libere in grado diverso; sopra viveva qualche antico arimanno; in
-alcuni Comuni, sebbene già redenti, sussistevano borghesi del re e
-borghesi dei signori, i primi più alteri e in migliore stato, gli
-altri affrancati sì, ma in mezzo a parenti ed amici tuttavia servili;
-poi i nobili, i liberi uomini del Comune, del barone, dei privati;
-ecclesiastici privilegiati, guerrieri assoldati, viventi con diritto
-straniero.
-
-Tutto ciò derivava dal sistema feudale, che non fu già distrutto,
-come sarebbe avvenuto in una rivoluzione radicale, ma in esso presero
-posto i Comuni, che perciò si potrebbero chiamare repubbliche feudali;
-carattere che non vuolsi dimenticare da chi brami intenderne la
-storia e le evoluzioni. I Comuni entravano nella feudale società,
-traendo a sè i diritti già proprj de’ signori, come giudizj, imposte,
-zecca, guerra, e via discorrete: e conseguivano un grado in quella
-gerarchia, rilevando da re o dall’imperatore, e tenendo sotto di sè
-altre persone o corpi morali. Il concetto feudale non ammette esistenza
-indipendente; e però i Comuni si consideravano vassalli d’un signore,
-ed obbligati verso lui a certi doveri pattuiti, siccome un uomo. Tale
-dipendenza non era più del cittadino, bensì del Comune; ma coloro che
-a questo non appartenessero, restavano quasi iloti, senza impiego,
-nè nomi, nè le esenzioni o i privilegi degli altri. Come membri della
-società feudale, i Comuni aveano il diritto della vendetta privata, in
-conseguenza la guerra. Ciascuno era poi tenuto a quel solo per cui si
-era personalmente obbligato; donde una grande indipendenza personale;
-e il Comune provvedeva non al meglio degli individui, bensì all’oggetto
-di sua formazione, cioè a francarsi dalle vessazioni.
-
-In conseguenza voleasi garantire la sicurezza o la prosperità
-col costituire altri Comuni nel Comune, fossero quelli di nobili,
-d’ecclesiastici, di borghesi, o i minori di ciascun’arte, o de’ singoli
-quartieri. E ogni Comune avea vita propria, con magistrati, borsa,
-leggi, tutto ordinato sempre alla propria conservazione, nè cooperante
-al ben generale se non in gravi contingenze.
-
-Gli elementi stessi ond’eransi formati, doveano sfiancare i
-Comuni, uscendo da una società costituita guerrescamente, e da una
-sovrapposizione di conquiste. Da ciò confusione e mistura nei diritti;
-e per tradizione o per usurpamento o concessione o pietà, chi l’uno
-assumeva, chi l’altro; e v’avea possessi e contratti ed eredità a legge
-romana, a salica, a longobarda[73]. Il signore feudale o il vescovo a
-cui eransi sottratti, conservava diritto ad alcune tasse o a privilegi,
-e a nominare il magistrato coll’assistenza dei deputati comunali.
-All’arcivescovo di Milano rimaneva sottomessa la parte di città che
-si chiamava il Brolo; in nome di lui si proferivano le sentenze,
-quantunque non vi prendesse più parte; suo un pedaggio alle porte,
-sua la zecca: privilegi ottenuti dagl’imperatori, o che forse erasi
-riservati quando volontario o costretto depose l’autorità principesca
-di conte della città. Quel di Genova partecipava al governo insieme coi
-consoli, anche in suo nome faceansi i trattati e si segnavano gli atti,
-e nel suo palazzo s’adunava il consiglio[74].
-
-Volta veniva che, nel medesimo Comune, sopra certi reati avesse
-giurisdizione il conte, sopra altri il vescovo; a questo pagavasi una
-taglia, a quello una dogana; alla tal chiesa un canone speciale, un
-altro alla comunità, un terzo all’imperatore, forse il quarto ad un
-privato od al Comune confinante. Chi dunque dalla città uscisse al
-territorio, passava sopra uno Stato diverso: da una città all’altra
-v’era la differenza che oggi da regno a regno: che più? una città era
-qualche volta divisa in due o fin tre giurisdizioni; una ecclesiastica
-intorno al vescovado, una regia intorno al palazzo o al castello, una
-comunale; nè di rado ciascuna era cinta di mura proprie, con porte che
-si custodivano gelosamente. Qualche villaggio era diviso fra due o più
-condomini, aventi ciascuno diverse gabelle, giurisdizioni distinte:
-l’università godeva privilegio di foro pe’ suoi scolari, le maestranze
-una giurisdizione sopra i loro consociati, il monastero sopra la tal
-fiera da esso istituita: poi diritti d’asilo, poi immunità personali.
-A Como il vescovo riscoteva il teloneo da’ fornaj: a Pisa la pubblica
-pesa era privilegio dei Casapieri della Stadera. Talora diversi Comuni
-costituivano una sola repubblica senza reciproca dipendenza, com’era
-in Piemonte la Valsesia, e così i dodici cantoni della val di Maira,
-sottopostisi poi ai marchesi di Saluzzo[75], e come fin oggi vediamo
-ne’ Comuni de’ Grigioni. Talora un Comune ne soggiogava altri, formando
-più estesa signoria.
-
-Uniformandosi a questa natura feudale, anche i Comuni, divenuti
-persone con privilegi e rappresentanza, assunsero una bandiera propria
-e uno stemma. I più dei nostri ebbero la croce, variamente colorata,
-partita, campeggiata: Venezia adottò il leone del santo suo patrono;
-Napoli la sirena; Sicilia le tre gambe che ricordano la forma triquetra
-dell’isola; Empoli la facciata del tempio di Sant’Andrea, attorno a
-cui si formò la nuova città. Milano aveva l’insegna bianca colla croce
-rossa; poi ogni quartiere spiegava insegna propria, cioè porta Romana
-rosso, la Ticinese bianco, la Comacina scaccato rosso e bianco, la
-Vercellina rosso sopra e bianco sotto, la Nuova un leone a scacchi
-rossi e bianchi, la Orientale un leon nero. Delle regioni di Roma,
-quella de’ Monti ebbe per insegna tre monti in campo bianco; Trevi,
-tre spade in campo rosso; Campo Marzio, la mezzaluna in rosso; Ponte,
-il ponte Sant’Angelo in rosso; Parione, l’ippogrifo in campo bianco;
-Regolo, un cervo in campo azzurro; Sant’Eustachio, una testa di cervo
-portante la croce; Pigna, una pigna. Così delle otto compagne di Genova
-quella di Castello avea per arma un castello sopra archi sormontato da
-una bandiera, avente in campo bianco croce vermiglia; di Maccagnana,
-partito di azzurro e bianco; Piazzalunga, scudo terzato in palo
-d’azzurro; San Lorenzo, campo ondato rosso; Portoria, orlo di rosso,
-e in campo un P; Sosiglia, banda di rosso in campo bianco; Portanuova,
-inquartato d’azzurro e bianco; Borgo, palato in otto pezzi d’azzurro e
-argento. Altrettanto dicasi dell’altre città.
-
-Sul vago e artistico pavimento della cattedrale di Siena vedesi, fatto
-nel 1373 a pietre tessellate, un rosone, artifiziosamente intrecciato
-di nove, oltre quattro tondi agli angoli del quadrato circoscritto;
-e figura lo stemma di questa città, cioè una lupa che allatta due
-gemelli, e attorno ad essa il nome e i simboli di dodici città amiche;
-il leone per Firenze, il lupo cerviero o pantera per Lucca, il lepre
-per Pisa, l’unicorno per Viterbo, la cicogna per Perugia, l’elefante
-colla torre per Roma, l’oca per Orvieto, il cavallo per Arezzo, il
-leone rampante con rastrello per Massa, il grifone per Grosseto,
-l’avoltojo per Volterra, il drago per Pistoja; animali diversi da
-quelli che esse città portavano di consuetudine.
-
-Monza, posseditrice della corona ferrea, la improntò sul suo suggello,
-nel quale già da antico leggevasi _Est sedes Italiæ regni Modæcia
-magni_. Lucca portava _Luca potens sternit sibi quæ contraria cernit_.
-Verona, _Est justi latrix urbs hæc et laudis amatrix_. Padova, i proprj
-confini, _Muson, Mons, Athesis, Mare certos dant mihi fines_. Bologna,
-un san Pietro in pontificale, e _Petrus ubique pater, legum Bononia
-mater_; e così _Urbs hec Aquilegie capud est Italie; — Est aquilejensis
-fides hec urbs Utinensis; — Ferrariam cordi teneas, o sante Georgi; —
-Salvet Virgo Senam quam signat amenam; — Herculea clava domat Florentia
-prava_ e _Det tibi florere Christus Florentia vere_. Messina dopo i
-Vespri siciliani alzò lo stendardo colla croce portata da un leone, e
-il motto _Fert leo vexillum Messana cum cruce signum_. Pistoja scrive
-attorno agli scacchi del suo stemma _Quæ volo tantillo Pistoria celo
-sigillo_. Firenze ebbe da principio la bandiera partita bianca e rossa,
-cui unì la luna rossa di Fiesole; dappoi il giglio, o piuttosto il fior
-di giuggiolo (_ireos florentina_): e quando i Guelfi prevalsero, si
-adottò il giglio rosso in campo bianco, mentre i Ghibellini tennero il
-giglio bianco, unendovi l’aquila nera imperiale. Inalberava anche il
-leone, il quale pure sta nel sigillo di Cortona colla scritta _Tutor
-Cortonæ sis semper Marce patrone_.
-
-Spesso l’arma era parlante: come a Torino il toro rampante; a Monsumano
-e Montecatino, un monte sormontato da una mano o da un catino; a Barga
-una barca; a Pescia un pesce coronato. Gli animali stessi dello stemma
-si mantenevano vivi nelle città, come a Venezia e Firenze i leoni,
-una lionessa a Parma, gli orsi a Berna, Appenzell e Sangallo. Quando i
-tirannetti s’impadronivano d’un Comune, vi univano il proprio stemma,
-come i Visconti diedero a Milano la vipera; la quale poi insieme col
-leone veneto entrò nel petto dell’aquila bicipite austriaca.
-
-Nati dal bisogno sentito di esimersi da ingiuste gravezze, non
-determinati da mutua fiducia ma da mutuo timore, de’ loro poteri non
-trovandosi in verun luogo la definizione e il confine, i Comuni,
-siccome si erano congiurati per la difesa, congiuravansi di nuovo
-per sostenere o una fazione o un capriccio; i signori per ricuperare
-le giurisdizioni; i mestieri e le università per sottrarsi ai pesi
-ed agli abusi: donde reciproca diffidenza, sfrenato egoismo, gelosia
-che induceva a ricorrere a particolari aggregazioni di classe o di
-sella, le quali generano il sentimento di corpo, tanto micidiale al
-sentimento di patria. Mancando un legame universale fra tanti parziali,
-si perpetuava la lotta de’ vassalli colle corporazioni tra sè, de’
-confratelli di ciascuna corporazione, delle suddivisioni di ciascun
-Comune: mancando un freno e una direzione centrale, rompevano a guerre,
-tenevansi armati nel cuor della pace, edificavano le case a foggia di
-torri, e l’amministrazione era esercitata in mezzo e coll’aspetto d’un
-perpetuo stato di guerra.
-
-Fondati non su libertà generali, ma su privilegi esclusivi e reciproca
-gelosia, tutti i Comuni cercavano prerogative a scapito degli altri;
-ciò che un tempo avevano praticato i feudatarj, allora lo facevano
-essi, imponendo pedaggi e taglie ad arbitrio, servizj gravissimi
-ed obbrobriosi: i magistrati municipali operavano con altrettanta
-prepotenza che i feudali; i prevalenti voleano soperchiare: gli
-oppressi se ne rifaceano sopra chi non fosse cittadino: l’oligarchia
-rinnovava le scene dell’aristocrazia antica; anzi, nel mentre i tiranni
-opprimevano l’uomo, qui toglievasi qualche volta la vita civile a
-classi intere; e uno statuto milanese del Comune aristocratico, al
-nobile che uccidesse un plebeo non comminava che tenue multa.
-
-Mal si andrebbero dunque a cercare fra quei Comuni gli esempj
-della libertà politica, come oggi la intendiamo; alla quale nulla è
-più avverso che lo spirito di famiglia e di paese. Onde sottrarsi
-all’anarchia di piazza, i possessori cercavano stabilire qualche
-ordine restringendosi col re o coll’antico feudatario, donde i partiti
-interni, fomite di nuove dissensioni. Altre volte ricorsero a que’
-signorotti medesimi da cui s’erano emancipati, e questi, unita la
-forza all’abilità, riuscirono a costituirsi tiranni. E tanto più che
-bastavano bensì a frangere l’ingrata soggezione, e prevalere al barone
-e al vescovo; ma allorchè que’ signori si collegassero, o venisse
-contro di loro il re o l’imperatore, l’impeto, comunque volonteroso, di
-borghesi e mercanti non valeva contro eserciti agguerriti, e bisognava
-ricorrere a capitani addestrati.
-
-I Comuni dunque a principio crebbero a grande importanza, poi cozzarono
-tra loro; e se in paesi stranieri, annodatisi intorno al monarca,
-ebbero meno splendore, ma condussero all’unità nazionale, qui la
-impedirono. Come in fatto si sarebbe potuto maturare la coscienza
-nazionale ove ciascuna comunità avendo l’occhio soltanto a sè, nella
-sua piccola indipendenza per nulla brigavasi del ben generale? anche
-quando nell’universale pericolo le città s’allearono, come vedremo
-nella Lega Lombarda o nella Toscana, il vincolo era troppo lasso,
-troppo scarsa la civile sperienza, sicchè potessero costituire una
-regolata federazione.
-
-Nei patimenti aveano i borghesi invigorito il carattere per modo, da
-sdegnare la servitù: ma è mai possibile arricchirsi a un tratto di
-civile sperienza? Furono dunque costretti procedere tentoni, parte
-servendo alle idee rimaste delle antiche istituzioni municipali,
-parte imitando l’ecclesiastica gerarchia, poi innovando via via che
-il bisogno si sentiva o cadeva l’opportunità. Ma se non riuscirono
-a coronare l’edifizio civile, niuno corra ad incolparli prima di
-riflettere che costoro erano un pugno di popolani inermi e disorganati,
-ignari della guerra come della politica, circondati da villani
-rozzissimi e incalliti al servire, contrastati dall’autorità regia,
-dalla signorile, dalla sacerdotale; talchè ci dee piuttosto toccare di
-grata meraviglia che essi abbiano osato ripudiare la servitù e aprire
-la nuova era del popolo.
-
-E immensi furono i vantaggi venuti dai Comuni, chi li guardi meno
-come rivoluzione politica, che come sociale. Mentre la scala degli
-antichi proprietarj scendeva dal barone o valvassore fino al semplice
-fittajuolo, quella dei redenti si elevava dal servo della gleba al
-semplice libero, talchè le razze servili poterono sottrarsi dalle
-nobili, per arrivare ad un’amministrazione propria e indipendente.
-In siffatta comunanza d’uffizj e di servigi ribattezzavansi nel nome
-di cittadini, disimparavano a tenere come unico diritto la conquista
-e la forza, e obbligati ad uscire dall’angusto circolo de’ personali
-interessi per provvedere ai pubblici, ripigliavano la coscienza delle
-magnanime cose.
-
-
-Coi Comuni crebbe l’importanza delle famiglie e degli individui, e in
-conseguenza si dovette notarli e distinguerli meglio che non si facesse
-quando l’uomo non era nulla se non per la terra che possedesse, o
-pel signore cui apparteneva. L’uso latino de’ nomi, prenomi, cognomi
-e soprannomi, accumulati all’eccesso negli ultimi tempi[76], cadde
-coll’Impero; giacchè non rimasero quasi che schiavi d’un nome solo,
-e stranieri che un solo pure ne usavano. I nomi dei santi ebraici
-o cristiani prevalsero ben presto, e si applicavano o mutavano nel
-battesimo, il quale soleasi conferire in età già fatta, ovvero nella
-cresima; talora le donne lo cangiavano al matrimonio, e frati e monache
-conservarono fin ad oggi di cangiarlo all’atto del professarsi. E
-poichè ai costumi antichi sta tenace la Chiesa, oggi medesimo i vescovi
-non soscrivono che col nome di battesimo, e i frati si distinguono solo
-dalla patria, come usava al tempo della loro istituzione.
-
-Per quanto scarse fossero le relazioni, è facile scorgere quanta
-confusione dovesse produrre l’indicarsi l’uomo col nome soltanto[77];
-tanto più che, nelle scritture, il nome stesso ci si presenta mozzo,
-diminuito, accresciuto, storpiato[78]. Vi si rimediava in parte coi
-soprannomi, dedotti da qualità personali, dal luogo d’abitazione o di
-provenienza, dall’impiego[79], e spesso anche beffardi[80].
-
-Queste però erano denominazioni personali, che non si trasmetteano
-alla parentela. Solo quando i feudi si resero ereditarj verso il
-Mille, da questi si dedusse il titolo delle famiglie; donde quelli
-di Ro, di Este, di Romano, di Muntecuccoli: e poichè talora veniva
-da paesi tedeschi, alterandosi nel tragitto in Italia, n’è scomparsa
-l’etimologia[81]. Non è però sicuro indizio d’antico possesso d’un
-paese l’averne il cognome, attesochè spesso plebeamente traevasi
-dalla terra da cui uno si fosse mutato in un’altra. Ma le famiglie che
-spingono l’albero genealogico più indietro del Mille, e que’ cataloghi
-di vescovi, di cui si nota il casato fin in antichissimo, sono vanità e
-imposture.
-
-I Veneziani, reliquia latina, aveano ritenuto i cognomi antichi,
-e tali pajono que’ Crassi, Memmi, Cornelj, Querini, Balbi, Curzj;
-fin nell’800 troviamo i dogi indicati col cognome de’ Particiaci,
-Candiani, Giustiniani e simili; e in una scritta del 1090 sono firmate
-cencinquanta persone, a nessuna delle quali manca il cognome[82]:
-Cornuinda Molino, Stefano Logavessi, Bonfilio Pepo, Giovanni de Arbore,
-Sebastiano Cancanino, Manifredo Mauroceni, Stadio Praciolani, Domenico
-Contareno, e così via. Anche Genova conservò molti cognomi latini:
-Apronj, Asprenate, Balbi, Bassi, Bibulini, Calvini, Camilli, Carboni,
-Cerchi, Clementi, Costa, Crarsi, Erminj, Fabiani, Forti, Galerj, Galli,
-Galleni, Gavi, Gemelli, Giusti, Graziani, Laberj, Lena, Longhi, Lupi,
-Mari, Marciani, Marini, Massa, Montani, Muzj, Natta, Nigri, Ottoni,
-Palma, Pansa, Persi, Persici, Pisani, Ponzj, Ruffini, Sabini, Salvi,
-Serrani, Settimj, Sertorj, Staieni, Stella, Valenti, Veri, Viviani; non
-gliene mancano di greci: Bisio, Cybo, Grillo, Macarj, Medoni, Parodi,
-Partenopei; e in una carta del 1117 vi si trovano nominati i buoni
-uomini che presero parte a un laudo, fra’ quali Lanfranco Roca, Oberto
-Maluccello, Lamberto Gezone, Uggero Capra, ed altri _quorum nomina sunt
-difficilia scribere_.
-
-Era consuetudine nei nobili di rifare l’avo nel nipote, talora anche il
-padre nel figlio, o riducendolo a diminutivo, o aggiungendo _juniore,
-novello_ o simile; onde Guido Novello da Polenta, Malatestino, Ezelino
-da Etzel. Siffatto nome di predilezione si trasformò spesso in casato,
-onde i Pieri, i Ludovisi, i Carli, i Mattei, gli Agnesi: o adottavasi
-quel d’un personaggio che si fosse distinto, come i Degiorgi, i
-Delpietro: talvolta anche vi si prefisse la parola _figlio_ sincopata,
-onde i Figiovanni, i Fighinelli, i Firidolfi; o il titolo, come i
-Serangeli, i Serrislori. Talora nella bassa Italia, ad esempio degli
-Arabi, enumeravasi tutta l’ascendenza[83].
-
-A molti venne il nomignolo dalla nazione, come Franceschi, Lombardi,
-Milanesi: a molti più dal soprannome d’alcuno, ridotto ereditario,
-ovvero dalla sua professione o dignità; onde i Grossi, i Grassi, i
-Villani, i Caligaj, i Molinari, i Calzolaj, i Sartorj, i Malatesta,
-i Balbi, i Cavalieri, i Barattieri, i Fabbri, i Cacciatori, i
-Ferrari, i Cancellieri, i Medici, i Visconti, gli Avvocati, e i tanti
-Confalonieri e Capitanei o Cattanei. La bella moglie acquistò il titolo
-ai Dellabella; ai Dellacroce un crociato; il pellegrinaggio a Roma ai
-Romei e Bonromei: l’amore di re Enzo prigioniero per una fanciulla
-bolognese è ricordato nei Ben-ti-voglio; un’invenzione preziosa
-nei Dondi dell’Orologio. Poi il carretto, la rovere, il tizzone, la
-colonna, la spada, la luna, la stella che uno assumeva per impresa
-del torneo o per stemma nelle spedizioni, diventava nomignolo; come il
-colore bianco, rosso, verde, nero, di cui si divisava nelle comparse, o
-che distingueva la fazione.
-
-Son dunque i cognomi o aristocratici, dedotti dalla terra o dallo
-stemma; o borghesi, derivati dal mestiero; o popoleschi, tratti dai
-soprannomi; e molti rustici, dalla località o dalla coltivazione, come
-i Demonte, Dell’era, Dellavalle, Delprato, Delpero, Dellavernaccia.
-Si sbizzarrì poi assumendo nomi che consonassero o contrastassero col
-cognome, onde Castruccio Castracani, Spinello Spinelli, Nero Neri,
-Buontraverso de’ Maltraversi, e somiglianti.
-
-I Latini usavano lo schietto _tu_, dicevano semplicemente _Cesare
-saluta Mecenate_, ed Augusto ricusò fermamente il titolo di
-_dominus_, e s’adontò quando si volle offrirlo a’ suoi nipoti. Tosto
-però l’accettarono i successori suoi, e fin nelle medaglie trovasi
-surrogato a quel di _divus_: indi irruppero titoli più pomposi, di
-_nobilissimo, felicissimo, piissimo: religiosissimo_ fu intitolato
-Costante da un concilio, dopo convertiti i Donatisti dell’Africa:
-poi nelle acclamazioni il senato fe gara di aggettivi encomiastici
-agl’imperatori. Allora pure invalse di non parlar più alla persona loro
-direttamente, ma alla _clemenza_, alla _celsitudine_, all’_eternità_
-di essi. Nell’ordinamento del Basso Impero, la gerarchia delle cariche
-vedemmo distinta coi titoli d’_illustre, illustrissimo, eccelso,
-chiaro_.
-
-Coi Barbari tornò la semplicità antica, ma al _tu_ fu sorrogato
-il _voi_; il titolo di _domnus_, proprio di vescovi, abati e re,
-s’accomunò a tutti i monaci; più tardi se l’arrogarono anche i laici,
-raccorciato in _don_. Ambito era il nome di _cherico_, che sonava uom
-di lettere, per contrapposto di _laico_ od illetterato[84]; indizio di
-tempi, in cui la scienza era tutta ristretta ne’ sacri recinti.
-
-Nel secolo XIV, _monsignore_ intitolavasi un principe della Chiesa,
-_messere_ un cavaliero e gentiluomo, e _madonna_ la moglie sua;
-_maestro_ l’avvocato o magistrato o chi sapesse, il che continuano
-gl’Inglesi. Nelle legazioni del Cinquecento vediamo col _tu_ trattati
-ancora gli ambasciadori dalle repubbliche e dai principi; e «s’usa
-comunemente (dice il Varchi de’ Fiorentini nel XVI secolo) se non
-è distinzione di grado e di molta età, dire _tu_ e non _voi_ ad
-un solo; e solo a cavalieri e canonici si dà del messere, come a’
-medici del maestro, e ai frati del padre». Dagli Spagnuoli ci fu poi
-attaccata la prurigine dei titoli; quando Carlo V s’intitolò maestà,
-moltiplicaronsi le _altezze_, e colle aggiunte di _serenissima_ e di
-_reale_; l’_eccellenza_ restò ai nobili, tanto che Urbano VIII nel 1631
-trovò pei cardinali il nuovo titolo d’_eminenza_: quelli di cavaliere,
-dottore, notajo, conte del sacro romano imperio furono pascolo della
-vanità borghese.
-
-Nell’attuazione dei Comuni, tra i fatti isolati se ne consumava uno
-grandissimo, l’emancipazione del servo. Sempre la religione vi si
-era adoperata, e molti per pietà e per salvezza dell’anima propria
-affrancavano i loro schiavi[85]. I Comuni, appena costituitisi,
-aprivano asilo ai servi cui riuscisse importabile il giogo del
-padrone, o a denaro li ricompravano; e quando movessero in armi contro
-i baroni del contorno, li sollecitavano a vendicarsi in libertà,
-sicchè fuggendo lasciavano questi indeboliti, mentre invigorivano la
-città. Si estesero le manomessioni, e talvolta vennero affrancati
-tutti gli abitanti d’un borgo, o certe professioni. Così a Bologna
-nell’anno 1256 il prefetto Bonacursio raduna anziani, consoli, maestri
-dell’arti e dell’armi, e tutti i membri del grande e del piccolo
-Consiglio, e propone si liberino i servi e le serve del Comune tutto.
-Passato il partito, si stanzia chi ne possiede li venda al prefetto
-e al pretore, per soldi dieci se di quattordici anni, otto se meno,
-sborsati dall’erario; e furono annoverati tra i fumanti, coll’obbligo
-di dare certa quantità di grano[86]. Erano descritti in un libro
-chiamato _Paradisum_ dalla parola con cui cominciava, e dove esponeasi
-la creazione dell’uomo, il peccato, la redenzione, per la quale gli
-uomini son rifatti liberi: laonde _Civitas Bononiæ quæ semper pro
-libertate pugnavit_, avea redenti a prezzo i servi, _statuens ne quis,
-adstrictus aliqua servitute, in civitate vel episcopatu Bononiensi
-deinceps audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis, quæ
-redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento aliquo servitutis,
-cum modicum fermentum totam massam corrumpit, et consortium unius
-mali bonos plurimos dehonestet_. Un atto solenne del 1289 appella
-a uno statuto del Comune di Firenze, pel quale, essendo di naturale
-diritto la libertà individuale e il non dipendere ciascuno che dal
-proprio arbitrio, laonde le città pure e i popoli si schermiscono
-dall’oppressione, e i proprj diritti difendono e sviluppano, veniva
-provveduto che nessuno, di qual paese o condizione si fosse, potesse
-comprare, o altrimenti acquistare coloni, servi, censiti, nè angherie o
-altro vincolo alla libertà delle persone[87]. Due anni dopo, la legge
-fu confermata, perdonando a quei che l’avessero trasgredita per lo
-addietro.
-
-Erano tentativi isolati, come ogn’altra cosa di quel tempo; nè un
-generale provvedimento per abolire la schiavitù mai fu preso: pure si
-vedono scemare i servi personali nel XII e XIII secolo, succedendovi
-i famigli o servi moderni, i quali a volontà possono togliere congedo
-dal padrone. Le chiese, che erano state di tanto sollievo agli schiavi,
-furono di ritardo alla totale loro affrancazione, atteso che non
-credeansi in diritto d’alienare le proprietà, delle quali l’attuale
-investito si considera solo utente: la stessa larghezza con cui li
-trattavano, facea non si trovasse tale schiavitù ripugnante all’umanità
-e alla religione. Perciò servi della gleba in Italia trovanti ancora
-nel secolo XIV.
-
-Nei capitoli del 1296 di Federico I d’Aragona pel legno di Sicilia,
-frequente memoria ricorre di schiavi anche cristiani; del qual tempo
-anche lettere papali e contratti ne menzionano: tra i Veneziani
-ne incontriamo eziandio nel seguente, come nel Friuli sottoposto
-al patriarca d’Aquileja[88]. Del 1365 abbiamo un contratto, ove
-uno schiavo consente di passare da uno ad altro padrone[89]. Fra i
-provvedimenti fatti per sostenere la guerra di Chioggia, s’imposero
-tre lire d’argento il mese per ogni testa di schiavo; anzi nel 1463
-i Triestini obbligavansi a restituire ai Veneziani i loro schiavi
-disertori[90].
-
-A contatto con paesi non cristiani, i nostri poterono trarne di là, o
-imparare a tenerne per lusso, talchè la schiavitù si prolungò sotto la
-forma domestica. Gli statuti di Lucca fin nel 1537 dichiarano che il
-padrone d’una schiava può costringere il violatore di essa a comprarla
-pel doppio valsente, oltr’essere multato in cento lire. Le leggi
-genovesi opponeansi al trasportare gli schiavi in terra d’Egitto[91];
-ma il divieto si eludeva col recarli a Caffa, dove il soldano spediva
-a farne accatto, giovandosi della franchigia di quel porto. Lo statuto
-criminale di Genova del 1556 pronunzia pene contro chi ruba schiavi,
-e considera il servo qual proprietà del padrone[92]: quello dell’88 lo
-tiene qual mercanzia, e caso che devasi far getto, si riparta il danno
-_per æs et libram_ all’antica, _comprehensis pecuniis, auro, argento,
-jocatibus, _servis masculis et fœminis, equis et aliis animalibus_.
-Probabilmente questi tardi servi erano di gente infedele, e massime
-prigionieri musulmani, quando la tolleranza religiosa neppur di nome
-si conosceva. Altre volte i soldati per abuso della vittoria vendevano
-schiavi i vinti, come i ribaldi dello Sforza fecero nel 1447 coi
-Piacentini: alla schiavitù condannavano pure le scomuniche. N’era però
-sempre tenuissimo il numero: come eccezione si notavano nel catasto
-delle città; e voglionsi intendere piuttosto come dipendenti, giacchè
-il famoso Bartolo a’ suoi tempi già dichiarava che servi propriamente
-detti non v’erano più.
-
-Nei Comuni adunque non s’ebbero i vantaggi rapidi d’una subitanea
-e radicale rivoluzione; ma neppure la terribile responsalità
-d’un’insurrezione fallita. Riuniti per la resistenza, ponendo questa
-per primo dovere e mezzo e scopo, invece di sistemare aveano a
-distruggere, invece di fondare sconnetteano. Nella lotta si vince, ma
-l’odio sopravive e diventa seme di discordie; i dinasti mal frenati si
-rialzano per soggiogare i Comuni; i re ingrandiscono favorendo questi;
-la spada prolunga la guerra contro l’industria e la capacità. Que’
-mali passarono, ma restano gli effetti; resta la rivoluzione da loro
-operata, perpetua e legittima come quelle che migliorano la sorte delle
-classi numerose: lo schiavo non è più cosa, ma uomo, dall’impersonalità
-sollevato ad avere nome proprio e responsalità: nè sforzi e sangue
-e rovine pajono soverchi a questo fine sacrosanto. Dove a pochi è
-data la forza e l’intelligenza, facile è guidar la moltitudine: dove
-tanti esercizj s’aprono alle facoltà morali e intellettive, come
-avviene nelle fazioni, grandemente sono eccitati gl’ingegni, e ne
-esce una gente operosa, accorta, che cerca e trova mille occasioni di
-segnalarsi: e l’uomo dall’angustia degl’interessi domestici volgendosi
-alle pubbliche cose, mentre cresce di pratica, nobilita le passioni,
-dilata l’accorgimento, scopre e pondera i diritti. Che se a noi
-Italiani i Comuni non lasciarono una patria, lasciarono la dignità
-d’uomini; ed offrono nella storia moderna le prime di quelle pagine,
-tanto attraenti, dove si vede un popolo travagliarsi contro i suoi
-oppressori, ingrandire col proprio coraggio, rassodarsi con opportune
-se non sempre savie istituzioni.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXIII.
-
-I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori. Ruggero re di
-Sicilia. Arnaldo da Brescia.
-
-
-Sciolta la servitù della gleba, raccolti sotto un’amministrazione e una
-giudicatura sola i tre ordini ridetti cittadini, e da tutti scegliendo
-i consoli, e una specie di unità ricevendo dalla supremazia del papa,
-l’Italia trovavasi in essere di nazione assai più che non la Francia
-o la Germania. Non condensata, è vero, intorno ad una reggia, ma
-vigorosamente ripartita attorno ai tre centri d’autorità, il castello,
-la chiesa, il palazzo comunale, sarebbe camminata ad altissime fortune
-se gl’imperatori non l’avessero scompigliata col crearsi un partito.
-
-Deboli erano questi, in Germania osteggiati dai maggiori feudatarj,
-che aspiravano alla sovranità territoriale; e in Italia dai papi
-nel lungo certame delle Investiture. Enrico V, ambizioso ed avido
-ma operoso, accorto, sprezzatore della pubblica opinione, poco
-sopravisse all’accordo di Worms col papa, e in lui si estinse la
-stirpe francona, che avea per un secolo dominato la Germania. Lotario
-II datogli successore (1125), rassegnò il suo ducato di Sassonia, e
-molt’altri possedimenti al genero Enrico di Baviera, della casa Guelfa:
-glieli disputò Federico il Losco di Hohenstaufen duca di Svevia, uno
-degli aspiranti al trono germanico: sicchè fra le due case cominciò
-l’inimicizia, che, dopo mutato natura ed oggetto, sconvolse Germania e
-Italia sotto il nome di Guelfi e Ghibellini.
-
-Questi ultimi traevano il nome dal castello di Waiblingen nella
-diocesi di Augusta, appartenente agli Hohenstaufen; gli altri dalla
-famiglia bavarese dei Guelfi d’Altdorf. Azzo, marchese di Lombardia,
-morendo centenario nel 1097, avea lasciato tre figli: Guelfo, che,
-come nato da Cunegonda erede dei Guelfi di Baviera, andò a ducare
-questo paese, e divenne stipite della casa di Brunswick, salita poi al
-trono d’Inghilterra; Ugo si condusse alla peggio, e vendè le proprie
-ragioni all’altro fratello Folco figlio di Garsenda principessa del
-Maine, e progenitore dei marchesi d’Este in Italia. Signoreggiava
-egli il paese dal Mincio fin al mare, cioè Este, Rovigo col Polesine,
-Montagnana, Badia, oltre molte terre nella Lunigiana e nella Toscana.
-Guelfo ne pretendeva una porzione; e venuto a ripeterla coll’esercito,
-collegandosi al duca di Carintia e al patriarca d’Aquileja, di molti
-paesi s’impadroni: infine fu stipulato che la linea di Germania tenesse
-un terzo della città di Rovigo e la terra d’Este, senza pregiudicare
-alle pretensioni che ostentava sull’eredità della contessa Matilde.
-
-Da questa linea proveniva Enrico, che per la cessione di Lotario era
-divenuto il più ricco signore d’Europa e il più potente di Germania,
-tenendo una serie di paesi dal mar Baltico al Tirreno. Ma dalla parte
-ghibellina Corrado duca di Franconia, fratello di Federico il Losco,
-aveva redato di qua dell’Alpi i beni allodiali della casa Salica, e
-scese in Italia cercandone la corona. Un principe non d’altre forze
-provveduto che di quelle somministrategli dal paese, non poteva riuscir
-pericoloso alla nascente libertà, onde fu il ben arrivato. A Milano
-lo storico Landolfo di San Paolo e il cavaliere Ruggero de’ Crivelli,
-deputati dall’arcivescovo Anselmo, discussero le ragioni dei due
-principi emuli davanti al popolo, il quale indusse il metropolita a
-coronar re Corrado (1128): molte città gli prestarono omaggio e doni;
-ma Pavia, Novara, Piacenza, Brescia e Cremona stettero contrarie a
-Milano, fin a dichiararne scomunicato l’arcivescovo che aveva unto
-l’usurpatore; anche la Toscana repugnò da lui; e Onorio II papa, che
-aveva riconosciuto imperatore Lotario, scomunicò questo pretendente.
-Il quale tentò invano occupar Roma; sicchè gli stessi che s’erano
-chiariti a lui favorevoli per farsene un appoggio, l’abbandonarono
-quando il videro incentivo di guerre. Maneggiatosi alcun tempo, egli
-si riconciliò con Lotario, e dopo essere stato a carico de’ Milanesi
-e Parmigiani, partì dall’Italia covando contro i Comuni lombardi un
-dispetto che trasmise al nipote Federico Barbarossa.
-
-Essi Comuni, appena costituitisi, esercitavano nimicizie un
-contro l’altro; e particolarmente in quel piano che dalle alpi
-Retiche e Leponzie declina sino al Po ed al mare, ricco di nove
-città indipendenti, Como, Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, Crema,
-Cremona, Pavia, Novara, frequenti appigli di risse porgeano i
-terreni confinanti, le rivalità di mercato, la comunanza delle
-acque irrigatorie. Presosi quel diritto del pugno, cioè della guerra
-particolare, che fin là avevano esercitato i feudatarj, i Comuni,
-non compressi da superiorità materiale, non da morale ritegno,
-abbandonavansi a quella ostilità di vicini a vicini, che sembra
-inesorabile maledizione degl’Italiani. Non avevano ancor finito di
-abbattere i conti rurali, e già rompevano guerra (1110) Cremona a Crema
-e Brescia, Pavia a Tortona, Milano a Novara e Lodi; l’ambizione e la
-forza davano ai poderosi il desiderio e l’ardire di opprimere i deboli.
-
-Pavia, memore di essere stata sede dei re goti e longobardi, e Milano
-superba d’antichità, di vasto territorio, di popolazione maggiore
-e della superiorità metropolitica, gareggiavano di preminenza, e
-si contrariavano in ogni fatto. Nella lite delle Investiture Pavia
-propendeva alla parte imperiale, alla pontifizia Milano, con cui
-parteggiarono Lodi, Cremona, Piacenza; e per insinuazione della
-contessa Matilde, giurarono lega di vent’anni onde osteggiare re
-Enrico, e sostenere Corrado quando al padre si ribellò. Le due
-parti erano equilibrate di forze; e poichè nessuno stabile nodo le
-congiungeva, era sicura della vittoria quella che arrivasse ad isolar
-la rivale. In fatto, secondo preponderasse una parzialità o l’altra,
-le città mutavano bandiera; e girati pochi anni, a Milano troviamo
-unite Crema, Tortona, Parma, Modena, Brescia (1117); mentre con Pavia
-parteggiavano Cremona, Lodi, Novara, Asti, Reggio, Piacenza.
-
-Quella mescolata che allora si faceva delle prerogative secolari colle
-ecclesiastiche, portava a nuove scissure. Crema col suo contado, che
-chiamavasi Isola di Folcherio, era stata a giurisdizione de’ marchesi
-di Toscana, fin quando nel 1098 la contessa Matilde ne fe cessione al
-vescovo e alla città di Cremona. Tale dipendenza spiacque ai Cremaschi,
-che coll’armi assicurarono la propria libertà: ma di qui cominciarono
-nimicizie lunghe e vergognose[93].
-
-Milano pretendeva non solo alla superiorità che il suo metropolita
-traeva dal posto gerarchico, e per cui ordinava i vescovi della
-provincia e li convocava a concilio; ma che a lui competesse anche
-l’eleggerli, mentre le chiese particolari tenevano gelosamente
-al diritto antico di nominare i proprj pastori. Da ciò elezioni
-tempestose, contrastate, doppie, complicate dall’appoggio del papa
-e dell’imperatore, e per le quali il litigio delle Investiture dalle
-sommità sociali scendeva fin a contingenze affatto particolari. Per
-simili ragioni, e insieme per gelosia del ricco mercato che vi si
-teneva, i Milanesi campeggiarono Lodi, rinnovando le ostilità, cioè
-lo sperpero della campagna e la rapina delle messi per quattro anni,
-in capo ai quali ridottala per fame, la smantellarono (1111); gli
-abitanti dissiparono in sei borgate del contorno, sottoposte a rigide
-condizioni; sciolsero il ricco mercato, nè Lodi-vecchio risorse più.
-
-Eguale contesa per l’elezione dei vescovi cagionò la guerra di Milano
-contro Como, descritta da un rozzo poeta contemporaneo[94], dolente
-di pubblicare il duolo anzichè la letizia d’un popolo da molti secoli
-fiorente. Aveano i Comaschi eletto canonicamente Guido de’ Grimoldi
-di Cavallasca; mentre il milanese Landolfo da Carcano, destinatovi da
-Enrico V, si fece ordinare dal patriarca d’Aquileja, parziale d’esso
-imperatore; intruso di rapina nella sede, procurava mantenervisi ad
-onta del popolo, e fortificatosi nel castello di San Giorgio presso
-Maliaso sul lago di Lugano, scialacquava in privilegi e donazioni
-il patrimonio della mensa. Risoluti a tor di mezzo lo scisma e lo
-sperpero, i consoli comaschi Adamo del Pero e Gaudenzio da Fontanella
-coi vassalli di Guido vi assalgono Landolfo, e fattolo prigione, lo
-consegnano a Guido. Essendo nella mischia rimasto ucciso Ottone insigne
-capitano milanese (1116), Giordano da Clivio arcivescovo di Milano,
-invece d’insinuare pace e perdono, espone alla basilica Ambrosiana
-le vesti insanguinate e le vedove degli uccisi, le quali strillando
-chiedono vendetta; e serrata la chiesa, egli dichiara resteranno
-sospesi i sacramenti, finchè non sia vendicato il sangue sparso.
-
-In quelle assemblee tumultuose, dove la passione è unica consigliera,
-e l’urlo predomina sulla ragione, fu decretata la guerra; i Milanesi,
-mandato un araldo a denunziarla, assalsero Como, e incominciarono una
-guerra, paragonata all’assedio di Troja per la durata, e meglio per
-l’accordarsi delle forze lombarde contro una sola città.
-
-Il guerreggiare d’allora non conduceva a pronti esiti, come le imprese
-comandate e dirette da volontà unica e robusta. Un Comune avea ricevuto
-un torto, e nel consiglio erasi decisa la guerra? più giorni rintoccava
-la campana, acciocchè gli uomini capaci s’allestissero d’armi; uomini
-che mai non s’erano esercitati insieme, che fin allora aveano badato
-ai campi o alle arti, e che non usavano nè vestire nè armi uniformi,
-unicamente diretti a vincere e far al nemico il peggior male. A buona
-stagione traevasi fuori il carroccio, e dietro e attorno a quello
-moveva la gente contro il territorio nemico, stramenava le campagne,
-sfasciava i casali, rapiva gli armenti che non avessero avuto tempo
-di ridursi nel recinto della città, alla quale poi mettevasi assedio,
-procurando il più delle volte prenderla per fame, giacchè, prima
-de’ cannoni, le terre murate aveano sempre il vantaggio sopra gli
-assalitori. Nelle guerre feudali vedemmo i soldati abbandonare il capo
-a mezzo dell’impresa, allo scadere dell’obbligato servizio. Qui gli
-assalitori erano gente che avevano campi, arti, famiglia, interessi,
-onde mal sopportavano i diuturni accampamenti, e alla mietitura o
-all’avvicinarsi della vernata tornavano a casa a rifocillarsi, per
-ripigliar poi col nuovo anno la campagna.
-
-Di tal guisa fu condotta la guerra contro Como. I Comaschi erano
-valorosissimi fra i Lombardi, come montanari e avvezzi in opra di
-caccia e battaglie: e chiuso colla Camerlata e col castello Baradello
-il passo verso Milano, poterono impedire gli approcci al patrio suolo.
-Li secondavano gli abitanti della Vallintelvi, intrepidi petti, e
-insieme abilissimi a inventare congegni militari. Maggior numero
-di città prese parte con Milano, quali Cremona, Pavia, Brescia,
-Bergamo, la Liguria, Vercelli colla mercantile Asti, e colla contessa
-di Biandrate recante in braccio il giovane figliuolo: Novara venne
-spontanea, invitata la forte Verona, e Bologna dotta nelle leggi,
-e Ferrara non meno famosa che Mantova per bravissimi arcadori, e
-Guastalla e Parma coi cavalieri della Garfagnana, benchè avesse guerra
-con Piacenza[95]. La politica gli avrebbe stornati dal favorire la
-poderosa città contro la inoffensiva, ma v’erano costretti dalla
-prepotenza. Ch’è peggio, gli abitanti dell’isola Comacina e di
-quei contorni si chiarirono ostili a Como, sicchè anche il lago fu
-contaminato di battaglie navali. Fin a Varese si allargò la guerra e al
-lago di Lugano; ardite le fazioni, alterni i successi; or una parte or
-l’altra innalzavano al cielo inni per vittorie fratricide. Se non che
-fra tanto ardore poca era l’abilità, pochissima la disciplina, nessuna
-autorità preponderante; e come avviene nelle mosse tumultuarie, ognuno
-volea comandare, nessuno obbedire. La campagna era una desolazione,
-straziati i fecondi oliveti e le vigne della spiaggia, rapite le
-mandre.
-
-Moriva intanto il vescovo Guido, causa e fomento della guerra; moriva
-esortando a star saldi nella cattolica fede e nella carità e difendere
-la patria. I Comaschi aveano perduto molti valorosi; soffrivano da
-dieci anni di devastazione sì per terra, sì dal lago, del quale la
-sponda orientale apparteneva ai Milanesi, che con tutti i loro alleati
-s’accinsero all’estremo sforzo. Tratti legnami da Lecco, ingegneri e
-costruttori da Genova e Pisa, strinsero dappresso la città (1127),
-i cui abitanti, sprovveduti d’ogni altro riparo, l’abbandonarono
-notturni, per ricoverarsi nel munito borgo di Vico; e quivi interposero
-di pace Anselmo arcivescovo di Milano. E ne fu condizione, che,
-salve le vite, si sfasciassero le mura e le fortificazioni della
-città e dei sobborghi; Como riconoscesse Milano con annuo tributo.
-Eppure i vincitori sfrenati posero a sacco e fuoco la città, menarono
-in cattività agricoltori, servi, cittadini. Non s’aveano allora
-guarnigioni per tener in ceppi i vinti, e perciò bisognava disperderli:
-in fatto i Comaschi furono costretti abitare all’aperto, pagare
-annualmente il viatico e il fodro, e smettere il solito mercato.
-Ciò per altro non li privava del governarsi a comune, con leggi e
-magistrati proprj.
-
-Di questa guerra narrammo le particolarità, come esempio di tutte
-le altre allora agitate. Ne inorgoglì Milano, che poco poi osteggiò
-Crema, e tutta Lombardia andava a scompiglio per fazioni interne;
-laonde papa Innocenzo II s’argomentò al riparo spedendo san Bernardo,
-borgognone, fondatore de’ Cistercensi ed anima della società cristiana
-di quel tempo. Ne’ monasteri non voleva egli si cercasse un rifugio
-contro il mondo, bensì forza di combatterlo e guidarlo; l’operosità
-essere principio di salute, e perciò i monaci addestrava alle lettere e
-all’agricoltura. Dottissimo coi teologi, popolarissimo coi campagnuoli,
-vigilava sull’intera cristianità, maneggiava gl’interessi delle
-nazioni, pur sempre ribramando la sua devota solitudine, alla quale
-tornava appena avesse finito di riconciliare i re, di far riconoscere
-i papi, o di spingere tutta Europa contro l’Asia; e preparava libri
-che il fecero collocare allato ai santi padri, e fra gli ascetici
-prediletti alle anime contemplative. Quand’egli calò in Lombardia,
-accorreva la gente per udirlo, e il riceveano a ginocchi, e mettendo
-fuori argento, oro, arazzi, quanto aveano di meglio; e beato chi
-ottenesse un filo della sua tunica. Riuscì egli ad esaltare lo zelo,
-sicchè uomini e donne si vedeano in capelli raccorci e vesti dimesse,
-e sulle tavole acqua invece dei vini generosi; liberati prigionieri,
-emendati i costumi, e ciò che più era difficile, ristabilita
-dappertutto la pace. I Milanesi, meravigliati all’unione di tanto
-senno con tanta bontà, il voleano arcivescovo (1135); ma egli, per cui
-i gradi e le comparse erano una condanna, s’affrettò di tornare alle
-maschie voluttà della solitudine penitente, lasciando presso Milano
-il monastero di Chiaravalle, dal quale e dagli altri di Morimondo
-e di Cerreto i Cistercensi tolsero a sanare le pantanose pianure,
-introducendovi i prati irrigatorj, la fabbrica de’ formaggi e la
-coltivazione del riso.
-
-Non avea fatto che partire Bernardo, e gli sdegni ribollirono; e
-Cremona e Pavia, dove l’eloquenza di lui poco aveva approdato, si
-ritorsero contro Milano. Il vescovo pavese guidò le milizie; e i
-Milanesi non solo lo sconfissero, ma lui stesso fecero prigioniero
-con molti de’ suoi, i quali rimandarono colle mani legate al tergo, e
-attaccato un fascetto di fieno acceso tra i fischi plebei. Tornarono
-i Pavesi alla riscossa, ma a Maconago furono rotti ancora. I Milanesi
-portarono pur guerra a Novara e Cremona, la quale oppose loro il
-castello di Pizzighettone sull’Adda. Violenze che partorivano violenze,
-e colle violenze doveano finire.
-
-Quel che intitolavasi regno d’Italia era diviso tra molti feudatarj,
-quali il marchese di Monferrato tra gli Appennini, il Po e il Tànaro;
-il marchese del Vasto, che poi fu detto di Saluzzo, fra il Po e le alpi
-Marittime; ai quali due s’interponeva il contado d’Asti, e accanto quel
-di Biandrate che dominava il Canavese fra la Dora Riparia e la Baltea.
-Gl’imperatori, per assicurarsi il passo in Italia, aveano sottoposto a
-duchi tedeschi anche il pendio meridionale dell’Alpi; onde la Baviera
-stendeasi fin a Bolzano, cioè di qua dall’alpi Retiche che ci separano
-dai Tedeschi; i Guelfi e il ducato d’Alemagna fino a Bellinzona, di
-qua dalle Lepontine; quel di Svevia fino a Chiavenna, di qua dalle
-Retiche; le alpi Giulie erano a dominio del duca di Carintia, al quale
-furono recate la contea di Trento, e le marche di Verona, d’Aquileja,
-d’Istria, tenendo in rispetto la Lombardia da un lato, dall’altro
-gli Ungheresi. Ma i re tedeschi, intenti ad assicurare la prevalenza
-della gente germanica sopra la slava, vollero estenuare la Carintia,
-sicchè abbondarono di concessioni col Veronese, che poi da quella restò
-separato del tutto quando i patriarchi d’Aquileja ebbero la sovranità
-del Friúli, poi dell’intera Istria, succedendo alle famiglie ereditarie
-degli Eppenstein, Sponheim, Andechs. Allora Verona, tornata italiana,
-maturò pur essa i germi repubblicani, sotto un vescovo cui dava
-importanza il custodire gli sbocchi dell’Alpi e il passo del fiume, che
-coprono l’Italia dai Tedeschi.
-
-Il marchese Obizzo Malaspina, oltre la Lunigiana, avea possessi nel
-confine di Cremona, e da Massa presso il Lucchese fino a Nazzano presso
-Pavia: tratto di settanta miglia[96]. La Casa savojarda di Morienna
-usciva dalle sue valli allobroghe per allargarsi sempre più di qua
-dall’Alpi, occupando i marchesati d’Ivrea e di Susa; e Ulrico Manfredi,
-al tempo d’Enrico I, possedeva dall’alpi Cozie fin alla riviera di
-Genova, e da Mondovì ad Asti: la qual città era signoreggiata da un
-suo fratello vescovo. Ma troppo spesso suddivisa per eredità, la casa
-di Savoja non accennava all’importanza che trasse più tardi dalla sua
-postura.
-
-Nell’Appennino toscano avanzavano conti e marchesi e molti dominj
-immuni di nobili; ovvero monasteri, badie, beni vescovili isolati,
-sceveri dal movimento repubblicano. La potenza dei marchesi, poi della
-contessa Matilde, avea nell’Etruria frenato le fazioni, e assicurato
-il predominio papale, sicchè rado o non mai s’era veduto un vescovado
-diviso fra due competitori. I governi liberi vi tardarono dunque
-a svolgersi fin quando, disputandosi fra il papa e l’imperatore la
-successione a quella signoria, i popoli, incerti a chi obbedire, furono
-men soggetti ad entrambi i competitori, e nella negligenza di questi
-provvidero da sè al proprio ordinamento.
-
-Roma offriva sempre gran mescolanza d’antichissimo e di novissimo, e
-dei tre elementi di popolo, di feudo, di sacerdozio. Prefetto, consoli,
-senato offrivano una costituzione repubblicana, i feudatarj e i
-castelli rappresentavano il diritto della spada, il papa la sovranità;
-e si urtavano e prevaleano a vicenda. Nel X secolo, tutto forza,
-sormontarono i feudatarj, oligarchia turbolenta, che quasi assorbì la
-ecclesiastica. Colla restaurazione degli Ottoni la nobiltà fu repressa
-e il papato rialzossi, appoggiandosi però allo straniero, che riservava
-a sè la moneta e la giustizia.
-
-I pontefici, mentre aveano assodata l’autorità su tutto il mondo,
-pochissima ne godevano nella città di loro residenza. Per le ripetute
-donazioni imperiali dominavano l’antico ducato di Roma, l’Esarcato
-e la Pentapoli: ma erano cinti da robusti signori, quali il duca di
-Spoleto nell’Ombria meridionale, nel Piceno e in parte del Sannio; a
-mezzodì il marchesato di Guarnerio fra gli Appennini e l’Adriatico, da
-Pésaro ad Osimo; di qui alla Pescàra quel di Camerino e di Fermo; quel
-di Teate dalla Pescàra a Trivento: principi indipendenti non appena
-l’imperatore avesse vôlto le spalle all’Italia. Le città poi a levante
-del Lazio e a maestro della Toscana formavano altrettanti ducati sotto
-vescovi e signori. La stessa campagna romana era sparsa di signorotti,
-che da Palestrina, da Tùsculo, da Bracciano ne faceano infelice
-governo, impedivano la coltura de’ campi, e perfino nei sepolcri di
-Cecilia Metella e di Nerone, o nelle terme di Caracalla fortificandosi,
-teneano serva ai loro capricci l’antica capitale del mondo: fra le sue
-mura stesse, sovente una fazione dal Coliseo, un’altra dalla torre di
-Crescenzio, una terza dal Pincio venivano a provocarsi.
-
-_Urbs_, cioè la città per eccellenza, chiamavasi Roma, e senato
-il suo consiglio comunale come ai tempi di Cesare e di Scipione.
-Dieci elettori di ciascuno dei tredici rioni della città, ogn’anno
-sceglievano cinquantasei senatori; è probabile fossero tutti nobili,
-e che alcuni formassero per turno il consiglio secreto del patrizio,
-rappresentante della repubblica. Geroo, prevosto di Reichersperg, nel
-1100, scrive ad Enrico prete cardinale: — I senatori romani giudicano
-delle cause civili; le maggiori e universali spettano al pontefice o
-al suo vicario, ed all’imperatore o al vicario di lui prefetto della
-città; il quale la dignità propria rileva da entrambi, cioè dal papa
-a cui fa omaggio, e dall’imperatore da cui riceve le insegne della
-dignità, cioè la spada sguainata. E come coloro cui spetta guidar
-l’esercito sono investiti col vessillo, così per lungo uso il prefetto
-della città è investito colla spada, sguainata contro i malfattori.
-Il prefetto della città poi della spada usa legittimamente a sgomento
-de’ malvagi e conforto dei buoni, a onor del sacerdozio ed a servizio
-dell’Impero»[97].
-
-I nomi pomposi mal mascheravano il decadimento, giacchè i palazzi
-si sfasciavano[98]; la liberazione di Roberto Guiscardo avea ridotto
-deserti i quartieri fra il Coliseo e il Laterano, che la mal’aria finì
-di spopolare; il suo territorio abbracciava angusto circuito, di là
-del quale Roma trovava nemici i Comuni di Albano e di Tusculo come ai
-tempi di Romolo, ed ogni primavera bisognava uscire a combatterli, e
-devastare la già povera campagna. Unica ricchezza della città erano
-il denaro e i forestieri che vi traeva la presenza del papa: ma
-mentre questo nella restante Italia era venerato come capo del partito
-nazionale e tutore della libertà, quivi era esoso come principe; spesso
-n’era cacciato dai signori che ricusavano stargli dipendenti; ma il
-popolo che, con vezzo non più disimparato, avea gridato _Morte_ e
-_Fuori_, ben tosto ne sentiva bisogno e desiderio, e gridava _Viva_ e
-_Torna_, con quegli schiamazzi plateali che stoltamente si giudicano
-pubblico voto.
-
-Dividevano allora la città due fazioni, guidate l’una da Leone de’
-Frangipani, l’altra da Pier di Leone; e con violenze e tranelli
-faticarono a dare un successore a Calisto II. I Frangipani portavano
-Lamberto vescovo d’Ostia (1124), che prevalse col nome di Onorio II:
-ma alla costui morte si rinnovano bucheramenti e tumulti a favore
-d’un figliuolo di Pier di Leone: e sebbene i migliori s’accordino ad
-eleggere Gregorio cardinal di Sant’Angelo (1130), che volle chiamarsi
-Innocenzo II, gli altri vi oppongono il loro creato col nome di
-Anacleto II[99], e ne nasce uno scisma scandaloso. Anacleto colle
-spoglie della basilica Vaticana compra fautori ed armi; Innocenzo, che
-non poteva se non tenersi nei palazzi muniti dei Frangipani, stabilisce
-andarsene, e dalle navi pisane portato in Francia, in Inghilterra, in
-Germania, ricevette omaggio e riverenza, giovato dall’eloquenza di San
-Bernardo. La cella di questo, al concilio di Pisa, vedeasi affollata di
-prelati, ansiosi di trattar seco degli affari del mondo e dell’anima.
-
-Per assistere Innocenzo contro l’antipapa e per frenare le città
-emancipate, Lotario imperatore (1133) calò dall’Alpi, non accompagnato
-da verun cavaliere di Svevia nè di Franconia, ed avendo per
-portastendardo quel Corrado, che dianzi aveva accettato la corona
-d’Italia. Ma a Milano si vide chiuse le porte in faccia, essendosi
-Anacleto amicato quell’arcivescovo Anselmo, scomunicato da Onorio II,
-talchè non potè farsi coronare re d’Italia; a Roma Anacleto respinse il
-competitore, fortificandosi in Vaticano, mentre Innocenzo doveva munire
-il Laterano, ove coronò Lotario.
-
-Messa allora in campo la controversia dell’eredità della contessa
-Matilde, fu conciliata con questo patto, che Innocenzo investisse
-Lotario vita sua durante, e dopo lui il duca di Baviera genero di
-esso imperatore, siccome di feudi della Chiesa, alla quale dovessero
-retribuire cento marchi d’argento l’anno, poi al morire dell’ultimo
-tornerebbero alla santa sede. Con quest’atto l’imperatore veniva a
-riconoscersi vassallo e tributario del pontefice[100].
-
-La fazione d’Anacleto rialzò ben presto il capo, sicchè Innocenzo
-invocò Lotario, il quale, riconciliatosi colla casa di Hohenstaufen,
-tornò con maggiori forze: ma gli effetti furono poco meglio felici
-che la prima volta; perchè, se Milano il favorì, gli si avversarono
-Cremona, Parma, Piacenza, che egli dovette per forza ridurre ad
-obbedienza.
-
-Restavano sempre avversi all’Impero nelle parti meridionali i Normanni,
-che avendo ormai sottratte tutte le città greche ai catapani, e
-occupata la nuova Longobardia, eccetto Benevento che rimaneva ai papi,
-e Napoli che di nome dipendeva dai Greci, viepiù sentivano il bisogno
-dei forti, l’indipendenza. Quantunque sostenitori del pontefice contro
-gli stranieri, poca mostravangli condiscendenza nell’interno loro
-dominio, nè si tenevano in dovere di ricevere legati papali in paesi
-che essi col proprio braccio aveano sottratti agl’Infedeli o ai Greci,
-e restituiti alla vera Chiesa. Urbano II erasi guadagnato Ruggero,
-nominandolo legato in Sicilia (1098), cosa mai più concessa a verun
-regnante, e donde derivò quel che chiamarono poi _tribunale della
-monarchia di Sicilia_, cioè che esso e i suoi discendenti godessero il
-titolo ed esercitassero i diritti di legati ereditarj e perpetui della
-santa sede, per ciò portando nelle solennità mitra, anello, sandali,
-dalmatica, pastorale[101]. Morto poi Guglielmo II duca di Puglia, anche
-il dominio di qua dal Faro restò a Ruggero (1127), che così possedeva
-tutto quel che fu poi regno di Napoli.
-
-Onorio II vide lesa la sua superiorità nel fare un tanto acquisto
-senza sua adesione, ben conoscendo come il gran conte dominando la
-Sicilia, la Puglia, la Calabria, avrebbe dettalo la legge a Roma. E
-perchè quegli assalì Benevento, città pontifizia, Onorio lo scomunicò,
-e mosse contro di esso in armi, dando perfino indulgenza plenaria
-a chi perisse in quella guerra. I principali conti assecondarono il
-pontefice; ma Ruggero, venuto di Sicilia con buon esercito, prese le
-città primarie; e il papa, che vedeva ogni giorno diminuirsi le sue
-truppe, s’accontentò d’investirlo della Puglia e Calabria. Non andò
-troppo sottigliando sui diritti l’antipapa Anacleto, e bisognoso di
-fautori, a Ruggero consentì il titolo di re di Sicilia, l’investitura
-della Puglia, Calabria, Salerno, e la supremazia sul ducato di Napoli e
-il principato di Capua; in Palermo fu celebrata la pomposa coronazione,
-e restò costituito il regno delle Due Sicilie, terminando le antiche
-repubbliche nel mezzodì, quando nel settentrione d’Italia sbocciavano
-le nuove.
-
-I baroni e conti, fin allora tutti pari di potenza, mal soffersero di
-vedersi imposto un superiore; e Roberto dovette star sempre coll’armi
-in pugno, e con ferro, fuoco, prigioni soffogando le rinascenti
-rivolte, cagionò guasti non minori di quelli de’ Musulmani. Anche
-Amalfi fu costretta demolire le fortificazioni e a lui sottoporsi.
-Roberto principe di Capua, primo tra i baroni normanni e che
-intitolavasi _per la grazia di Dio_, vedendosi rapita l’indipendenza,
-si unì coi signori che voleano difenderla e collo straticò di Napoli.
-Soccombuto, andò invocare soccorsi dai Pisani, ma Ruggero colla flotta
-di Sicilia e della soggiogata Amalfi assalì Napoli, il cui straticò
-seppe resistere all’armi e alla fame.
-
-Tanta possa di Ruggero ingelosiva e gl’imperatori d’Oriente, già altre
-volte minacciati dai Normanni; e Lotario, a cui esclamavano i tanti
-oppressi da Ruggero; e più Innocenzo, che vedea sempre peggio rimossa
-la speranza di ricuperare la sua sede. Lotario, spinto dalle preghiere
-di Roberto di Capua, ed esortato da san Bernardo a toglier via lo
-scisma (1137), mosse contro Ruggero, allargò Napoli, rimise Roberto in
-Capua, sicchè Ruggero, perdute tutte le terre di qua del Faro, dovette
-ricoverare in Sicilia. I Pisani, vedendo il bel destro di vendicarsi
-dell’antica emula, con ben cento navi assalirono Amalfi, e costrettala
-a cedere, vi esercitarono fieramente i diritti della vittoria. Da
-quel punto (1157) Amalfi più non contò, sebbene le forme repubblicane
-conservasse internamente fin quando nel 1350 i re di Napoli le
-abolirono. I suoi banchi in Levante restarono deserti, od occupati da
-più felici successori; a’ suoi porti non concorsero più se non i devoti
-a visitare il corpo di sant’Andrea, che il cardinale Capuano rapì alla
-chiesa di Costantinopoli nel 1207, e che stillava manna. Chi oggi,
-andando a interrogare i tanti problemi della storia nazionale, visita
-la patria di Flavio Gioja e di Masaniello sulla deliziosa riva dove il
-mare frange tra Napoli e Salerno, sentesi stringere il cuore ai pochi e
-luridi abituri sopravanzati colà dove sorgeva l’antica legislatrice del
-Mediterraneo; e sedendo pensoso su qualche barca pescareccia nel porto
-a cui affluivano le ricchezze d’Oriente, invece dell’operoso tumulto
-di ottantamila abitanti, non vede che l’abbandonata negligenza di pochi
-pescatori, non ode che il gemito de’ limosinanti.
-
-Era quello il momento di mettere al nulla il dominio de’ Normanni
-se, al solito, non fossero entrate contestazioni tra i federati.
-Alla presa di Salerno i Pisani recaronsi a dispetto che l’imperatore
-segnasse la capitolazione senza loro intervento: poi il papa pretendeva
-quella città appartenesse a lui, e volendo sminuzzare il dominio
-coll’eleggere un nuovo duca di Puglia, disputavasi a chi toccasse
-dargli l’investitura; alfine conchiusero gliela conferirebbero e il
-papa e l’imperatore, tenendo entrambi il gonfalone. Altre controversie
-nacquero per Montecassino: ma pure rappattumati, Innocenzo e Lotario
-ripresero la via di Roma, ove il papa coll’armi imperiali potè
-rientrare. Lotario, devastata l’Italia nell’andata e nel ritorno, se ne
-partiva con poca gloria e meno frutto, allorchè morì (5 xbre) vicin di
-Trento: uom prode e d’onore, amico del retto, ma non robusto quanto ai
-tempi occorreva.
-
-Ruggero, che aveva aspettato il consueto scomporsi dell’esercito
-imperiale, tornò bentosto, riprese la città senza dare ascolto a san
-Bernardo, venuto consigliatore di pace: anzi pretese erigersi arbitro
-fra Innocenzo e l’antipapa Anacleto; e morto questo, ne nominò un altro
-(1138) in Vittore IV. Però Bernardo tanto fece, che menò l’antipapa
-a’ piedi d’Innocenzo, al quale pure si sottomisero i dissidenti. Ed
-egli raccolse in Laterano l’XI concilio ecumenico (1139) con duemila
-prelati, ai quali disse: — Voi sapete che Roma è capitale del mondo;
-che le dignità ecclesiastiche si ricevono per concessione del sommo
-pontefice, siccome feudo; nè senza di ciò possono legittimamente
-possedersi».
-
-Ivi scomunicò Ruggero, poi in persona mosse con buone armi, disposto
-a guerreggiarlo se non accettasse le proposizioni di pace. Rejette
-queste, attaccò il pertinace, ma incontrò sfortuna eguale al suo
-predecessore Leone IX, e come lui ne trasse profitto: perocchè, caduto
-prigione con molti cardinali, vide il suo vincitore gittarsegli a’
-piedi e domandargli perdono dell’averlo vinto; laonde egli conchiuse
-pace con Ruggero, rinnovandogli l’investitura già avuta dall’antipapa,
-purchè prestasse alla romana Chiesa l’omaggio e seicento schifati
-d’oro ogn’anno[102]. Nel titolo restava eccettuato Salerno, sul cui
-principato i papi ebbero sempre pretensioni; ma erano comprese Capua,
-tolta al perseverante Roberto, e Napoli colle sue dipendenze, la quale,
-avendo perduto in battaglia il duca, accettò di sottomettersi al nuovo
-re.
-
-Di qui restò confermato l’alto dominio della santa sede, già da
-essa acquistato mezzo secolo prima, sopra il Reame. Ruggero da nuove
-vittorie, da bandi e confische cercò una legittimazione, che al secolo
-nostro garba meglio che non la benedizione papale.
-
-A re Lotario in Germania parea dovesse succedere il guelfo Enrico, ma
-prevalse Corrado di Franconia, che, abdicata la corona italica, poco
-dopo andò crociato (1147) con settantamila cavalieri e innumerevoli
-fanti, pochi de’ quali dopo orribili patimenti lo accompagnarono
-al ritorno. Nella sua lunga assenza, i Comuni presero incremento in
-Italia; e sotto diverse sembianze ma in ogni parte appariva la libertà,
-e manifestavasi nel cozzarsi di Venezia con Ravenna, di Pisa e Firenze
-con Lucca, di Vicenza con Treviso, di Fano con Pésaro, Fossombrone,
-Sinigaglia, di Verona con Padova perchè avea stornato il letto
-dell’Adige; di Modena con Bologna perchè a questa erasi data la badia
-di Nonantola; di Cremona e Pavia con Milano, che già non paga della
-libertà, voleva anche dominio sulle città del contorno. Mal sostenuti
-dal potere imperiale, i baroni soccombevano agli sforzi de’ Comuni,
-che venivano estendendo l’eguaglianza popolare; sicchè questa prevalse
-anche in Toscana. Firenze, Siena, Pistoja, Arezzo primeggiavano sui
-Comuni e sui dinasti limitrofi; e, secondo una lettera di Pietro
-abate di Cluny a re Ruggero, «miserabile era l’aspetto della Toscana,
-confondendosi le cose umane e le divine; città, castelli, borgate,
-ville, strade pubbliche, fin le chiese erano esposte a omicidj,
-sacrilegi, rapine; pellegrini, cherici, monaci, abati, preti, vescovi,
-patriarchi v’erano presi, spogliati, battuti, uccisi»[103]. I principi
-normanni reprimevano a mezzodì il movimento repubblicano; ma non
-che favorissero gl’imperatori, stavano in sospetto delle antiche
-pretensioni che potessero addurre contro il recente loro dominio.
-
-In ogni parte la podestà imperiale era dunque in calo: nè prosperava la
-pontifizia, alla quale nuovo genere di sfide recò Arnaldo da Brescia.
-Educatosi in Francia alla scuola di Abelardo, libero pensatore, più
-rinomato per gli amori e le sventure sue che per l’ardimento del
-suo eclettismo, Arnaldo fu prima guerriero, poi monaco, e cominciò
-a propagare in Italia le dubitanti e negative idee del suo maestro,
-e censurare la depravazione del clero. Bel parlatore, e ascoltato
-avidamente com’è sempre chi esercita la maldicenza, prese a battere
-la potenza ecclesiastica; repugnare al buon diritto che il clero
-possedesse beni, e regalie i vescovi, mentre avrebbero dovuto vivere
-all’apostolica di decime e di oblazioni, restituendo i possessi al
-principe cui appartenevano[104]; e in ciò metteva convinzione ed
-entusiasmo maggiore che non que’ novatori, i quali più tardi sull’orme
-sue vennero a scassinare col ragionamento il regime cristiano dello
-Stato e della Chiesa. Paragonava egli i Governi d’allora colle antiche
-repubbliche, sogno o delirio perpetuo degl’Italiani, che allora veniva
-infervorato dai rinnovati studj classici de’ giureconsulti. Volentieri
-lo ascoltavano i laici, che tenendo feudalmente privilegi dai vescovi,
-bramavano rendersene indipendenti; e i _Politici_, come si chiamavano
-i suoi fazionieri, crescendo più sempre di numero, scotevansi
-risolutamente dall’obbedienza del papa.
-
-Era questo venuto in ira anche ai popolani perchè, essendosi rivoltati
-i cittadini di Tivoli e avendo sconfitto in malo modo i Romani, esso
-gli assalì da vero, e coll’assedio li costrinse a capitolare, ma non
-sterminò le vite e le mura loro. Imprecando dunque a tale benignità
-col solito titolo di tradimento, i Romani traggono tumultuosi al
-Campidoglio (1141), e come pegno della rinnovata repubblica rintegrano
-il senato di cinquantasei membri, e in nome di questo e del popolo
-romano intimano guerra ai vicini. Innocenzo morì prima di poterli
-domare (1143); e Celestino II, succedutogli per pochi mesi, tolse
-a perseguitare Arnaldo, benchè già amico suo, e che, mal sorretto
-dalla volubile aura vulgare, fuggì a Zurigo, prevenendo Zuinglio nel
-predicare contro la Chiesa, poi in Francia, in Germania, inseguito
-dappertutto dall’occhio e dalla voce di san Bernardo.
-
-Le famiglie primarie dei Pierleoni e dei Frangipani, fin allora
-nemiche, si mettono d’accordo per umiliare la fazione democratica e
-svellere l’ordine repubblicano: ma i popolani, guidati dalla nobiltà
-inferiore, invocano l’immediata sovranità dell’imperatore, qual soleva
-ai tempi di Roma antica. Lucio II papa (1144), che in processione
-armata marciava al Campidoglio per isnidare i nuovi magistrati, è
-respinto a sassi, così che ne muore. Imbaldanzì la fazione avversa, e
-a fatica si potè nominare Eugenio III discepolo di san Bernardo (1145),
-il quale, per non dovere a forza riconoscere il senato, fuggì di Roma.
-Arnaldo soldò duemila Svizzeri, e questa forza mercenaria condusse a
-raffermare la magistratura repubblicana del Campidoglio. Proponevasi
-egli istituire un ordine equestre, medio tra il popolo ed il senato,
-ristabilire i consoli e i tribuni, insomma con una pedantesca e
-intempestiva restaurazione del passato ingrandire l’autorità imperiale,
-mentre il papa restringeva ai soli giudizj ecclesiastici.
-
-Il vulgo è facile a credere che cogli antichi nomi ritornino le antiche
-grandezze; e coll’entusiasmo dell’applauso accoppiando al solito
-l’entusiasmo del furore, abbatte le torri e i palazzi dei nobili
-avversi e de’ cardinali, non senza ferirne alcuni, abolisce la dignità
-di prefetto di Roma per nominare patrizio Giordano, fratello d’Anacleto
-antipapa, ed obbliga tutti a prestargli giuramento. Eugenio, tentata
-invano la riconciliazione, scomunicò costui; poi, unite le sue forze
-con quelle di Tivoli, costrinse a tornare all’obbedienza, e fu accolto
-con tante feste, con quante n’era stato escluso[105]. Breve trionfo: e
-ben tosto costretto uscirne di nuovo, passò in Francia a sollecitar la
-crociata; mentre i repubblicani chiamavano Corrado III, vantando non
-avere operato ad altro fine che per restituire l’Impero nella grandezza
-che aveva sotto Costantino e Giustiniano, e perchè egli ricuperasse
-tutti gli onori che gli competevano e gli erano stati usurpati; avere
-perciò demolito le fortezze dei prepotenti; venisse in persona a
-compier l’opera, collocare sua sede in Roma, e abbattere i Normanni
-fautori del papa[106].
-
-L’imperatore, mal fidandosi a quel popolo leggero, provvide di truppe
-il pontefice; che con queste e con altre di Francia piantossi a
-Tusculo, e da quei terrieri e dai Normanni sostenuto, potè rinnovare
-i patti col popolo, lasciandogli il senato, ma nominando egli stesso
-un prefetto, giusta la prisca consuetudine. Però se il popolo voleva
-conformare lo statuto ai concetti di Arnaldo e della storia, senza
-sgomentarsi delle idee classiche sopra l’illimitata autorità del
-principe, l’alta nobiltà desiderava mantenere la condizione feudale,
-impedendo e ai papi di dominare e al popolo di emanciparsi. Continuò
-la repubblica sotto Anastasio IV; ma Adriano IV inglese (1153-54),
-avendo la plebe assassinato il cardinale di Santa Pudenziana, diede
-lo straordinario esempio di interdire la capitale del cristianesimo
-finchè Arnaldo non fosse espulso. Il popolo sgomentato, massime che
-s’avvicinava la pasqua, cacciò Arnaldo, che rifuggì presso un conte di
-Campania.
-
-Anche Ruggero, che teneva carezzati i pontefici sol in quanto gli
-giovavano, poco avea tardato a venire in nuova rotta con essi, ne
-devastò le terre, guerreggiò e depredò Montecassino. Guerra più
-gloriosa recò ai Barbareschi d’Africa, assalendo Tripoli nido di
-corsari, Bona, Tunisi, e menandone schiave le donne in Sicilia.
-Gl’imperatori d’Oriente non cessavano di credere usurpati a sè i
-possessi de’ Normanni, e li molestavano; onde Ruggero mandò un’armata
-verso l’Epiro, prese Corfù, Cefalonia, Corinto, Negroponte, Atene,
-asportandone immense ricchezze e persone da ripopolarne la Sicilia, ma
-specialmente operaj di seta. L’imperatore bisantino, cognato di Corrado
-III, sollecitava questo a venire in Italia e rintuzzare il baldanzoso
-Normanno; intanto egli medesimo faceva grosse armi, e col soccorso de’
-Veneziani assalse Corfù; ma Ruggero ardì spingersi a Costantinopoli,
-gettando razzi incendiarj contro il palazzo imperiale. Pure Corfù gli
-venne tolta, e la sua flotta battuta dalla veneta e genovese.
-
-Corrado accingevasi a calare in Italia per la corona, e insieme per
-guerreggiare Ruggero (1152), quando morì a Bamberga, si volle dire
-avvelenato da medici della famosa scuola di Salerno, ch’erano rifuggiti
-a lui fingendo paura di Ruggero.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXIV.
-
-Federico Barbarossa.
-
-
-Federico di Buren, feudatario della Svevia, che oggi diciamo Baviera,
-Baden, Würtenberg, a poche miglia da Goeppingen fabbricò s’un’altura
-un casale, detto perciò Hohenstaufen, donde trasse il titolo la sua
-famiglia. Quanto coraggioso, tanto fu leale verso l’imperatore Enrico
-IV, che in compenso gli diede il ducato di Svevia e la mano di sua
-figlia Agnese. Morendo vecchissimo, lasciò due figli, Federico e
-Corrado, il primo de’ quali fu investito da Enrico V de’ feudi paterni,
-l’altro della Franconia (1137), e fu anche coronato re d’Italia dai
-Milanesi (pag. 90), ed eletto imperatore da alcuni, poi da tutti
-alla morte di Lotario di Sassonia. Morendo lasciò un figliuolo, ma
-conoscendo non esser tempi da fanciulli, raccomandò un figlio di suo
-fratello, Federico di nome, di soprannome Barbarossa. Alla dieta di
-Francoforte, dai principi dell’Impero e da molti baroni di Lombardia,
-di Toscana e d’altri paesi italici eletto re (1152), coronato in
-Aquisgrana, mandò ad Eugenio III e all’Italia notificando la sua
-elezione, che fu generalmente aggradita, anche nella speranza ch’egli
-riconciliasse Guelfi e Ghibellini, giacchè, capo di questi pel padre,
-per madre era nipote di Guelfo di Baviera, capo degli altri.
-
-Sul fiore dei trent’anni, già era famoso nelle battaglie, ne’ tornei,
-nelle crociate; saldo d’animo e di corpo, pronto d’ingegno, di memoria
-prodigiosa, dolce nel favellare, semplice nei costumi, paragone di
-castità, provvido ne’ consigli, valentissimo in opere di guerra, dai
-Tedeschi vien noverato fra i principi più insigni; certo fu de’ più
-robusti caratteri del medioevo; proteggeva i poeti e verseggiava egli
-stesso, sapeva di latino e di storia, e volle che dal cugino Ottone
-vescovo di Frisinga fossero scritte le sue geste[107]. Offuscava
-tante doti coll’ambizione e l’avarizia, o almeno così qualificarono
-gl’italiani il suo desiderio di ristabilire qui la regia prerogativa,
-e d’ottenerne i mezzi, cioè il denaro. Certamente a una profonda idea
-del dovere come egli lo intendeva, sagrificava interessi, sentimenti,
-pietà; e dovere supremo pareagli il rintegrare l’autorità imperiale,
-come tipi di questa togliendo Costantino e Giustiniano nell’aspetto
-ch’erano presentati dalla risorta giurisprudenza romana; e le idee
-sistematiche proseguiva coll’ostinatezza propria della sua nazione. Di
-qui le città, acquistato vigore, meno docili si manifestavano; di là
-la Chiesa aveva dimostrato la sua indipendenza, almeno in diritto; i
-baroni si tenevano in armi per assicurarsi la supremazia territoriale;
-e Federico si propose di frangere tutti questi ostacoli col riformare
-il sistema ecclesiastico e il feudale, e abolire i Comuni.
-
-Coronato appena, ecco deputati del pontefice a pregarlo di soccorsi
-contro i Romani rivoltosi; ecco Roberto di Capua invocare d’essere
-rimesso nel principato, toltogli dal re di Sicilia; ecco cittadini
-di Como e di Lodi, che, trovandosi colà per traffici, senza missione
-delle proprie città se gli buttano ai piedi, cospersi di cenere e con
-croci alla mano, implorando riparazione, e vendetta delle loro patrie
-soccombute ai Milanesi.
-
-Diedero pel talento a Federico queste occasioni di assumere aspetto
-di vindice dei deboli, cui potrebbe poi a sua volta regolare; mentre
-alleandosi coi forti, non avrebbe fatto che crescere a questi la
-baldanza. I Lodigiani stavano talmente allibiti, che invece di saper
-grado a quei loro concittadini, li caricarono d’ingiurie; a Sicherio,
-che il Barbarossa spediva con lettere di rimprovero ai Milanesi,
-non osarono fare accoglienze: di pessime poi n’ebbe costui allorchè
-le presentò ai Milanesi, che le calpestarono urlando; e fu gran che
-s’egli potè uscire dalle lor mani e camparsi in Germania. Dello smacco
-s’inviperì Federico; e i Lodigiani vollero mansuefarlo collo spedirgli
-una chiave d’oro, e raccomandarsegli caldamente; anche Cremona e Pavia
-gli inviarono grossi regali; Milano pure ravveduta il donò d’una coppa
-d’oro piena di denaro: omaggi di paura, e i re li credono d’amore.
-
-Pubblicato l’eribanno, Federico coll’esercito feudale mosse verso
-l’Italia, perocchè la potenza e il primato di questi imperatori
-non valeano se non discendendo in persona. Per via raccoglievano
-dai feudatarj immediati il donativo, il foraggio e la tangente di
-milizie; mandavano ad esigere dalle città le dovute regalie; e poichè
-reprimevano coll’armi i contumaci, il loro viaggio era segnato da
-devastazioni. All’arrivo del re rimaneva sospesa la giurisdizione
-dei magistrati feudali, ed egli in persona rendeva giustizia, e
-ascoltava in appello chiunque si credesse gravato dal proprio signore
-o inesaudito. Altrettanto avveniva nelle città; le quali pertanto
-consideravano come di gran conto il privilegio che non entrassero nelle
-loro mura i re, i quali, quanto vi stavano, erano despoti; iti che se
-ne fossero, tornava ognuno a fare il proprio talento[108].
-
-A questa forma calossi il Barbarossa, e truppe non minori delle sue
-gli menava Enrico il Leone, de’ Guelfi d’Este. A questa famiglia
-l’imperatore avea dato l’investitura della marca di Toscana, del
-ducato di Spoleto, del principato di Sardegna, e dei beni allodiali
-della contessa Matilde; ed Enrico, gran prode, possedendo i ducati di
-Sassonia e Baviera, acquistata Lubecca, avuto il diritto di erigere
-vescovadi di là dall’Elba, e adopratosi a sottoporre gli Slavi, era
-riuscito de’ più potenti di Germania, nè inferiore al Barbarossa se non
-perchè gli mancava la corona.
-
-Convocati i baroni nel solito piano di Roncaglia (1154), minacciando
-spossessare del feudo chi non intervenisse, Federico vi ricevette pure
-i consoli delle varie città che gli giurarono fede. Ottone vescovo,
-suo storiografo, tuttochè nemico, ammirava i popoli d’Italia, i
-quali nulla ritenevano della barbarica rozzezza longobarda, ma nei
-costumi e nel linguaggio mostravano la pulitezza e leggiadria degli
-antichi Romani. Gelosi di loro libertà (prosegue egli), non soffrono
-il governo di un solo, ma eleggono dei consoli fra i tre ordini de’
-capitanei, valvassori e plebei, di modo che nessun ordine soperchii
-l’altro, e li mutano ogn’anno. Per popolare le città costringono i
-nobili e signorotti di ciascuna diocesi, comunque baroni immediati, a
-sottomettersi alle città, e starvi a dimora. Nella milizia poi e ne’
-pubblici impieghi ammettono persino i meccanici e i braccianti; per
-le quali arti esse città superano in ricchezza e potenza tutte quelle
-d’oltr’Alpi. Da ciò derivano la superbia, il poco rispetto ai re, il
-vederli malvolentieri in Italia, e non obbedirli se non costretti dalla
-forza[109].
-
-Federico incominciò ad unir le sue truppe con quelle del cugino
-Guglielmo marchese di Monferrato, uno dei pochi che conservava la
-feudale potenza, malgrado le città[110]; e gli diè mano ad assalire e
-disfare i liberi Comuni di Asti e Chieri.
-
-I Milanesi, avuto sentore dei mali uffizj fatti dai Pavesi, gli
-avevano assaltati senza pietà: e l’imperatore, ben vedendo che, se
-avesse parteggiato coi Milanesi, questi monterebbero in tal forza
-da più non obbedirlo[111], si chiarì pei Pavesi, nella loro città
-prese il diadema regio, mandò guastare il territorio de’ Milanesi,
-e quanti ne colse attaccò alle code de’ cavalli; soddisfece all’ira
-dei Pavesi col mettere a sterminio Tortona dopo robusta resistenza;
-bruciò Rosate, Galliate, Trecate, Momo, colle fiere esecuzioni sperando
-incutere spavento e distorre dal resistergli. A tacere la crudeltà, fu
-improvvido questo baloccarsi in fazioni parziali, invece di difilare
-sopra Milano. Nè per allora fece altro che sgomentare; poi mosse su
-Roma[112].
-
-Ivi durava la repubblica proclamata da Arnaldo da Brescia; e i
-novatori, ridotto il papa alla Città Leonina, gl’intimarono rinunziasse
-ad ogni podestà temporale, accontentandosi del regno che non è di
-questo mondo: ma Adriano IV repulsava quelle domande. Al venir dunque
-dell’imperatore, tutti gli animi stavano sospesi. Ajuterebbe egli i
-repubblicani per umiliare il papa, antico avversario dell’impero?
-o vorrebbe reprimere questo slancio della gran città verso la
-forma sempre prediletta in Italia, e che annichilava la prerogativa
-imperiale? Federico non tardò a chiarirsi: dal conte di Campania, a cui
-erasi rifuggito, richiese Arnaldo, e lo consegnò (1155) al prefetto
-imperiale della città; e Roma, dalle tre lunghe vie che sboccano in
-piazza Popolo, potè vedere il rogo su cui l’eretico e ribelle era
-bruciato[113].
-
-Non atterriti dal supplizio di Arnaldo (1155), i cittadini vollero
-patteggiare con Federico prima di riceverlo in città; ed i senatori,
-scesi dal Campidoglio a prestargli il giuramento, sciorinarongli una
-diceria sulle antiche glorie romane, e sull’onore che gli facevano
-accettando cittadino lui straniero e cercandolo oltr’Alpi per farlo
-imperatore; giurasse osservar le leggi, e mantener la costituzione
-della città e difenderla contro i Barbari; per le spese pagherebbe
-cinquemila libbre.
-
-Di frasi retoriche i nostri furono sempre vaghi; ma il Tedesco positivo
-ai vanti postumi oppose la presente umiliazione; lui esser loro re,
-perchè Carlo e Ottone Magni gli avevano colle armi soggiogati, nè
-dovere i sudditi imporre legge al sovrano, bensì questo a quelli[114]:
-e mandò dietro loro un migliajo di cavalieri, che occuparono Castel
-Sant’Angelo e la Città Leonina. Colà fu coronato dal papa (18 giug),
-e si piegò alla rituale consuetudine di tenergli la staffa. I Romani,
-ch’erano stati esclusi da quella cerimonia e costretti a rimanere
-sull’altra riva del Tevere, levano rumore, e dalle grida passando ai
-fatti cominciano un’abbaruffata, ove molti cittadini rimangono uccisi,
-ma anche non pochi Tedeschi: gli altri al domani, per manco di viveri,
-dovettero abbandonare la città.
-
-Tale era omai il solito accompagnamento della tedesca coronazione.
-Poi le febbri romane, come spesso, fecero giustizia contro la pioggia
-di ferro che la Germania versava sull’Italia[115]; e spirando il
-termine prefisso ai vassalli per militare, il Barbarossa dovette
-risolversi al ritorno. Non avea dunque abolito la repubblica romana,
-non francheggiato le pretensioni sue sovra la Puglia. Il re di
-Sicilia, avuto nelle mani Roberto di Capua, lo fe accecare, poi
-sepellire in carcere; e prese o battè gli altri baroni che avevano
-levato il capo fidando in Federico, il quale si volse indietro, ancora
-squarciando città. I Lombardi, rincoraggiati al vederlo in ritirata,
-lo bersagliarono con insistenza, e massime i Veronesi con tronchi
-abbandonati alla corrente arietarono il ponte di barche, per cui
-l’esercito tragittava l’Adige: poi nell’angusta valle di questo fiume
-il cavaliere Alberico di Verona lo molestò con pietre, e pretendeva
-da esso re ottocento libbre d’argento, e una corazza e un cavallo per
-ogni cavaliere tedesco, se volesse liberamente passare; ma il palatino
-Ottone di Wittelsbach lo snidò dalle alture. Federico, tornato in
-Germania, della sua spedizione diede ragguaglio allo storico con una
-lettera che si conserva, dove alla sconfitta trova le solite scuse,
-quand’anche non la maschera sotto una sicurezza minacciosa.
-
-Come una molla al cessare della compressione, i Milanesi rialzano la
-testa; raddoppiano lamenti i tanti cui egli avea tolto la patria;
-per dispetto si vuol disfare ogni fatto di lui. Dugento cavalieri
-e dugento fanti di due quartieri di Milano vanno a riporre Tortona,
-che per loro amore si era sagrificata, e le consegnano la tromba da
-convocare il popolo, la bandiera, e un sigillo collo stemma delle due
-città, in segno d’unione. Lanciansi poi contro chi stava al segno
-dell’imperatore: ma i Pavesi li sbaragliano, assalgono la città,
-e v’entrano anche con due bandiere; alfine son ridotti a umilianti
-condizioni, battuta Novara, spianato Vigevano, presi venti castelli del
-Luganese e i fortissimi di Chiasso e Stabbio, sfasciata di nuovo Como,
-punita Cremona e i marchesi di Monferrato. Anche i Bresciani ruppero
-guerra ai Bergamaschi, e nell’infausta giornata di Palusco tolsero
-loro, con molti prigionieri, il gonfalone, che poi spiegavano ogni
-anno nella chiesa de’ Santi Faustino e Giovita. Devastazioni fraterne
-punivano le devastazioni straniere.
-
-Il lamento de’ soccombenti arrivò di là dall’Alpi, e Federico
-struggevasi di riparare la vergogna e il danno. Anco assai gli coceva
-che il papa, senza sua partecipazione, avesse conferito il titolo di re
-della Puglia a Guglielmo figlio di Ruggero: onde moltiplicò querele,
-e proibì agli ecclesiastici de’ suoi Stati di volgersi a Roma per
-collazione di benefizj nè per qual si fosse motivo.
-
-Federico non fondavasi più soltanto sul brutale diritto delle spade,
-ma era circondato di leggisti, i quali, gonfi d’una scienza nuova,
-proponevansi d’imitare gli antichi giureconsulti non solo collo zelare
-le prerogative imperiali, ma col cavillar le parole e sottigliare
-sulle interpretazioni. Avendo i Tedeschi arrestato un vescovo, il papa
-diresse all’imperatore un richiamo, ove diceva tra le altre cose: —
-Noi ti abbiamo concesso la corona imperiale, nè avremmo esitato ad
-accordarti _benefizj_ maggiori, se di maggiori ne poteano essere».
-Colla sofisteria di chi vuole azzeccar litigi, i legulej di Federico
-pretesero il papa con ciò indicasse che l’Impero fosse benefizio,
-vale dire feudo e dipendenza della Chiesa. Se ne levò dunque un rumor
-grande, e trattandosene nella dieta di Besanzone, invelenì la contesa
-il cardinale legato Rolando Bandinelli esclamando: — Ma se l’imperatore
-non tiene l’Impero dal papa, e da chi dunque?»
-
-Pretensione siffatta era tutt’altro che nuova nel diritto pubblico
-d’allora; ma Ottone di Wittelsbach, che portava la spada dell’Impero,
-lanciolla per trapassare il legato, che a fatica si salvò, e che
-ebbe ordine di andarsene senza vedere convento o vescovo per via.
-L’imperatore diede straordinaria pubblicità all’incidente per eccitare
-l’indignazione tedesca contro le tracotanze papali: se non che Adriano
-dichiarò aver usata la parola _benefizio_ non per feudo, ma nel
-senso scritturale; nè altrimenti poterla intendere chi avesse fior
-d’intelletto[116].
-
-Importava a Federico di venir prontamente a farla finita con questi
-Comuni italiani, che ormai si risolvevano in repubbliche. Perciò la
-cavalleria (che tale era principalmente la truppa feudale) d’Austria,
-Carintia, Svevia, Borgogna e Sassonia scende divisa per le tre vie del
-Friuli, di Chiavenna e del San Gotardo; l’imperatore medesimo conduce
-per val d’Adige il fiore de’ militi romani, franchi, bavaresi, con
-Vladislao re di Boemia, e conti e duchi e vescovi assai; e giunto
-sul territorio milanese (1158), proclama la _pace del principe_.
-Consisteva questa in regolamenti di militare disciplina, diretti a
-reprimere e punire legalmente le ingiurie, affine di prevenire le
-private battaglie, delle quali durava sempre il diritto. A tal uopo
-si prefiggevano pene proporzionate agl’insulti che fossero provati da
-due testimonj, cioè, secondo i casi, la confisca dell’equipaggio, le
-sferzate, il taglio de’ capelli, il marchio rovente sulla mascella;
-per gli omicidj poi la morte: che se mancassero testimonj, doveasi
-ricorrere al duello; e se si trattasse di servi, alla prova del ferro
-rovente. A protezione del commercio si statuì che il soldato il quale
-spogliò il mercante, renda il doppio, se pur non giuri non conosceva
-la condizione del derubato. Chi abbrucia una casa, sia battuto, tosato
-e bollato. Chi trova vino sel prenda, ma non rompa i dogli, nè tolga
-i cerchi alle botti. Un castello espugnato saccheggino a voglia loro,
-ma non lo abbrucino senz’ordine. Se un Tedesco ferisca un Italiano
-il quale possa provare con due testimonj d’aver giurato la pace,
-sia punito[117]. Diritto di guerra violento; ma pure tanto quanto
-assicurava le persone.
-
-Allora Federico comincia le ostilità contro Brescia (1158), e
-quantunque «ricca d’onor, di ferro e di coraggio», ne guasta i
-deliziosi contorni finchè la costringe ad arrendersi: passata l’Adda
-a Cassano, preso il castel di Trezzo, rifabbrica Lodi-nuovo sull’Adda
-alquanto lungi dal luogo ove Pompeo avea posto il vecchio[118].
-Riedifica anche Como, e ad un suo fedele dà a custodire quel castel
-Baradello[119]; e spedisce colà il boemo Vladislao perchè rimetta i
-Comaschi in concordia coi Cremaschi e cogli isolani del lago, gente
-ricca, forte, bellicosa, avvezza al corseggiare, e che repugnò da ogni
-accordo finchè l’imperatore non vi andò in persona[120]. Isolati così i
-Milanesi, s’accinse a combatterli, convocando all’oste tutti i popoli
-di questo regno. E vennero armati da Parma, Cremona, Pavia, Novara,
-Asti, Vercelli, Como, Vicenza, Treviso, Padova, Verona, Ferrara,
-Ravenna, Bologna, Reggio, Modena, Brescia, ed altri di Toscana,
-sommando a quindicimila cavalli, oltre innumerevole fanteria[121]; e
-con questi piomba sopra Milano.
-
-Questa città, oltre rifare i ponti rotti sull’Adda e sul Ticino,
-e rialzare i castelli e le borgate sue amiche, erasi preparata di
-fosse e di mura, spendendo cinquantamila marchi d’argento puro[122]:
-valorosamente si difese, ma tanta turba dalla campagna e dalle
-circostanti borgate vi s’era rifuggita, che presto si trovò ridotta a
-dura fame, e alla conseguente epidemia. Accettò dunque la mediazione
-del conte di Biandrate, mercè del quale ebbe dall’imperatore patti
-da vinta ma pur libera potenza: rendesse la franchezza a Como e
-Lodi; fabbricasse all’imperatore un palazzo; pagasse novemila marchi
-d’argento, cioè circa mezzo milione; rinunziasse alle regalie usurpate,
-come la zecca e le gabelle; eleggesse da sè i proprj consoli, ma questi
-giurassero fedeltà all’imperatore, il quale nella città non entrerebbe
-coll’esercito. I nobili a piè scalzi e con le spade ignude, il clero
-colle reliquie dei santi, il popolo con soghe al collo, vennero a
-giurare obbedienza a Federico, a cui furono dati cento ostaggi per
-ciascuno dei tre ordini de’ capitanei, de’ valvassori e de’ plebei:
-e la bandiera imperiale sventolò sulla torre della metropolitana di
-Milano[123].
-
-Coll’umiliazione della principale città di Lombardia sgomentate le
-altre, da tutte ebbe ostaggi, e da Ferrara li tolse per forza: e
-approfittando di quel terrore, intimò una dieta in Roncaglia per
-definire le regie prerogative. Le città (quante volte lo ripetemmo?)
-non pretendevansi immuni dalla dipendenza verso l’imperatore, nè
-questo credeva che la corona gli conferisse pieno arbitrio, come
-potrebbero chiedere i re del secol nostro, non aventi nè patto coi
-popoli, nè rispetto a moralità superiore. Ma perchè i reciproci doveri
-venivano diversamente apprezzati in Germania e in Italia, ne nascevano
-perpetue controversie. I Tedeschi, deducendo la loro costituzione
-dalle consuetudini germaniche, non vedevano nel re se non l’eletto
-dai capi del popolo, primo tra i pari; in Italia, le città volevano
-tenersi verso l’imperatore soltanto in una dipendenza feudale, come a
-caposignore, e come all’unto dal pontefice: ma i ridesti studj della
-storia e della giurisprudenza romana abituavano gli eruditi ad ampliare
-la podestà, guardandolo come successore di quei Cesari, la cui volontà
-era unica legge a Roma antica. Federico amava, come dicemmo, ritemprare
-coi testi le sue spade, e alla dieta invitò Bùlgaro, Martin Gossia,
-Jacopo e Ugone da Porta Ravegnana, cima de’ giureconsulti d’allora,
-insieme con due deputati di ciascuna delle quattordici repubbliche,
-perchè determinassero in che consistevano le regalie. Ma da che la
-giurisdizione di conte divenne ereditaria, consoli e scabini non
-erano stati più nominati dagl’imperatori; e ciascuno di questi re che
-calò in Italia, fece diversa stima dei proprj diritti, a norma della
-propria forza; laonde dalle consuetudini non si poteva nulla dedurre.
-Si ricorse dunque al diritto romano; e nel sentimento di questo, e con
-parole vecchie onestando la tirannia nuova, i giureconsulti definirono
-che competeano all’imperatore tutte le regalie, compresi i ducati,
-marchesati, contadi, la moneta, il fodro, ossia diritto d’essere
-nodrito e albergato dai vassalli e dalle città quando soggiornava in
-Italia; e così i ponti, i mulini, l’uso de’ fiumi, la capitazione, il
-far guerra e pace, e il nominare i consoli e i giudici, il popolo non
-avendo che a prestarvi l’assenso; di modo che gl’investiti dovettero
-rassegnarli all’imperatore, se pur non avessero a mostrare i titoli
-del possesso. I conti e i vescovi, che dal costituirsi dei Comuni
-erano stati sbalzati di dominio, applaudivano a queste esuberanti
-pretensioni, sperando trarne a sè alcuna particella; e l’arcivescovo
-di Milano, colla scienza appoggiando la servilità, gli diceva: — State
-ben fermo, poichè trovasi scritto che la volontà del principe fa legge,
-attesochè il popolo gli concesse ogni imperio e podestà»[124]. Le
-città poi quale eccezione potevano contraporre sopra un fatto che mai
-non era sussistito, e sopra diritti sostenuti da un forte esercito?
-onde fremevano nel veder l’imperatore, da sovrano feudale, mutarsi in
-assoluto padrone d’Italia.
-
-I Genovesi erano venuti alla dieta non per isporgere querele o ricevere
-ordini, ma come indipendenti, per far mostra e regalo di lioni,
-struzzi, papagalli e dei prodotti dell’Oriente; e furono i primi a
-protestare contro quel lodo; e ne spacciarono avviso alla patria, la
-quale subito con vivissimo ardore si rifece di mura, lavorandovi uomini
-e donne, e l’arcivescovo Siro dandovi il valore de’ proprj arredi; e
-(fatto nuovo) soldò truppe a difesa. Chi vuol pace prepara la guerra;
-e di fatto Federico calò con essa a patti, assentendole di eleggere i
-proprj consoli, i quali potessero chiamare all’armi tutti gli abitanti
-della riviera da Monaco sin a Portovenere; la privilegiò del commercio
-in ogni luogo a mare, neppur eccettuata Venezia; esenzione da imposte e
-servizj militari e da regalie, sol che pagasse milleducento marchi.
-
-Federico aveva in quella dieta proibito di lasciare feudi alle chiese;
-poi, sempre mal vôlto a papa Adriano, volle rammemorargli l’apostolica
-umiltà; e poichè la cancelleria romana trattava seco col _tu_ solenne,
-ordinò facesse altrettanto la sua col papa, e nelle soscrizioni il
-nome se ne posponesse a quello di lui imperatore: asseriva ancora che
-il patrimonio papale rilevava dall’Impero, e pretendeva di mandare a
-Roma ad amministrare la giustizia, e di alloggiare i proprj nunzj ne’
-palazzi vescovili. Il senato romano al solito favoriva le pretensioni
-di Federico, sicchè il papa scontento intendevasi colle città lombarde,
-e preparava forse la scomunica contro il prepotente.
-
-Il quale, dichiarato unico depositario del potere legislativo e
-giudiziale, deputa in ogni paese suoi magistrati, che furono detti
-_podestà_ perchè esercitavano i regj poteri e giurisdizione in molte
-cause. Questo e le leggi sulla pace pubblica e il divieto delle guerre
-private non urterebbero punto colle idee d’oggi; ma secondo i privilegi
-d’allora, stabiliti meglio che sulla carta, erano un grave attentato
-alla libertà e all’indipendenza comunale: onde i Milanesi, a cui nella
-capitolazione aveva garantito magistrati proprj, e a cui, in onta
-di quella, avea sottratte non solo Como e Lodi, ma Monza e il Seprio
-e la Martesana, capirono ch’e’ non tenevasi obbligato a convenzioni
-fatte coi sudditi, e fremendo insorgono (1159); accolgono a sassate i
-messi regj venuti per attuare i decreti di Roncaglia, gridando _Fora
-fora, Mora mora_; cacciano la guarnigione dal castello di Trezzo che
-assicurava ai Tedeschi il passo dell’Adda, e si serrano alla difesa.
-Anche i Cremaschi, loro alleati, cui egli mandò intimare di demolir la
-mura, risposero coll’avventarsi alle armi.
-
-Federico, messili al bando dell’Impero, giura non cinger più il
-diadema che non gli abbia domati, e tosto dalla Ponteba al San Gotardo
-ogni valle versa Tedeschi sovra il piano lombardo; qui il Palatino
-del Reno, i duchi di Svevia, di Baviera, d’Austria, di Zaringen, il
-figliuolo del re di Boemia, il conte del Tirolo, gli arcivescovi di
-Colonia, di Magonza, di Treveri, di Magdeburgo, il fiore insomma della
-Germania. E cominciano guerra da Barbari (1162), sperperano il paese,
-uccidono, appiccano: una volta l’imperatore fa acciecar una banda di
-foraggiatori, lasciando sol un occhio ad uno per ricondurli: assediata
-Crema, pone i figliuoli che teneva ostaggi, a bersaglio de’ colpi
-paterni, onde proteggere le macchine[125]: e dopo sei mesi d’ostinati
-assalti presala per tradimento dell’ingegnere, la abbandona alla
-brutalità de’ suoi e alla vendetta de’ nemici Cremonesi.
-
-Milano non si lasciò sbigottire a quell’insolita ferità; cercò rialzare
-Crema; e il castello di Carcano sporgente nel laghetto d’Alserio, e le
-colline fra Cantù e il monte Baradello furono teatro di sue vittorie
-sopra gl’imperiali. Ma sentivasi indebolita dalla ripetuta devastazione
-de’ suoi campi e dal distacco di tutti i vicini, quando Federico la
-assalì (1162) scorrazzando colla cavalleria e vietando di portarle
-viveri, sin col tagliare le mani a venticinque villani in un giorno,
-côlti in tale servizio. Resistè ancora vigorosa: ma dai tradimenti,
-dalla fame, da un incendio de’ magazzini, dalla superiorità dell’armi
-feudali, collegate pur troppo con quelle non solo dei castellani e
-dei conti di Malaspina e di Biandrate, ma anche de’ Comuni italiani,
-fu costretta cedere alle grida del vulgo, e rendersi a discrezione.
-Al quartier generale in Lodi venne il popolo in abito penitente, con
-croci in mano, dietro al carroccio, che avvezzo un tempo a pavesarsi
-di trionfate bandiere, allora chinò l’antenna e il gonfalone di
-sant’Ambrogio avanti all’imperatore, fra il mesto squillo delle trombe;
-e il sacro carro e novantaquattro stendardi furono dati al nemico;
-otto consoli degli ultimi tre anni, trecento cavalieri, tenendo
-in mano le spade ignude, fecero atto di sommessione. Non soltanto
-Italiani e il conte di Biandrate, ma fin i baroni tedeschi e la corte
-supplicavano Federico di clemenza: ma egli, dalla vittoria fatto sordo
-alla compassione, e stimolato anche dalle invide città che all’uopo
-gli diedero grosse somme[126], ordinò a’ Milanesi tornassero a casa
-e v’attendessero le sue risoluzioni. Dieci giorni passarono i nostri
-in quella affannosa aspettazione che è peggio del male istesso: alla
-fine Federico arrivò, e nell’imperiale sua clemenza perdonando alle
-vite, impose che, usciti i cittadini, Milano fosse abbandonata alla
-distruzione. A ciascuna delle città alleate ne assegnò un quartiere a
-diroccare, quasi volesse che tutte si contaminassero col fratricidio, e
-i rancori allontanassero la possibilità di nuovi accordi.
-
-Esultarono i Lombardi all’umiliazione della gran nemica; ma un senso di
-sgomento occupò tutta l’Italia. Brescia, Piacenza, Bologna evitarono
-la distruzione col sottomettersi. Genova, dianzi così risoluta alla
-difesa, sbigottì; mandò ambasciadori con gratulazioni e proteste; il
-suo storico uffiziale Caffaro tributava a Federico i titoli di _sempre
-augusto, sempre trionfante, che elevò l’Impero al colmo della gloria_.
-E Federico in Pavia cingevasi di nuovo il diadema che avea giurato
-più non portare finchè Milano sussistesse; e datava i suoi atti dalla
-distruzione di Milano[127].
-
-Le città lombarde non andarono guari ad accorgersi quanti abbia
-pericoli la lega col potente: perocchè, toltasi d’in su le braccia la
-città che unica potea reggere seco in bilancia, Federico cessò da ogni
-riguardo verso le altre, le angariò a baldanza, pretendendo esigerne
-nuove gravezze e smantellarle; a’ Cremonesi, Pavesi, Lodigiani, suoi
-fedelissimi, permise bensì d’eleggersi consoli proprj, ma a Ferrara,
-Bologna, Faenza, Imola, Parma, Como, Novara, che pur seco tenevano,
-mandò podestà imperiali, fossero Tedeschi o di que’ vili che col
-maltrattare i compatrioti vogliono farsi perdonare la colpa d’essere
-Italiani[128].
-
-All’eguale stregua meditava Federico ridurre il Patrimonio di san
-Pietro. Quel Rolando Bandinelli da Siena, che poc’anzi accennammo,
-celebratissimo per dottrina, virtù, esperienza del mondo, era succeduto
-papa col nome di Alessandro III (1159); ma il cardinale Ottaviano
-romano, fautore di Federico, turbolentemente s’indossò le divise
-pontificali, tenne prigione il papa e i cardinali, e prese il nome
-di Vittore IV. Il popolo e i Frangipani liberarono Alessandro, che
-si ritirò da Roma; mentre l’antipapa comprava vescovi, e blandiva
-l’imperatore, il quale sostenendo questo, poi tre altri antipapi
-(Pasquale III, Calisto III, Innocenzo III) squarciava la cattolica
-unità egli che n’era il rappresentante secolare. Allora scomuniche
-contro lui, contro i vescovi e i principi e i consoli di Cremona, Lodi,
-Pavia, Novara, Vercelli suoi aderenti. Di queste trascendenze e de’
-soprusi de’ luogotenenti imperiali chiedevano fine o moderanza vescovi,
-marchesi, conti, capitanei ed altri magnati, e cittadini grandi e
-piccoli; ma Federico non usò nè giustizia nè misericordia[129]; e
-svallato con un nuovo esercito (1164), andava rimettendo al freno le
-città che tumultuavano. Ma Veronesi, Vicentini, Padovani, Trevisani,
-coll’ajuto dei Veneti, aveano cacciato i podestà di lui, e quand’egli
-andò per domarli, sentì non potere fidarsi delle truppe italiane che
-l’accompagnavano, onde voltò come in fuga (1166), mentre essi munivano
-le chiuse perchè non potesse rimenare eserciti.
-
-Tutto ciò rendeva più sentiti i lamenti dei Milanesi, che senza patria
-tapinavano di città in città, invocando soccorso e vendetta. Perchè lo
-straniero era prevalso alla comune libertà? perchè li trovò disuniti
-e nemici. Per tornar forti e mantenersi liberi di che han dunque
-bisogno? di concordia e d’unione. Lo compresero; e quelli che nella
-prosperità non s’erano scontrati che coll’ingiuria sul labbro, col
-pugno sul brando, nella depressione rinnovellarono la fratellanza, e
-posti giù gli odj e le gelosie, nel convento di Pontida (1167 aprile),
-terra sull’orlo del Milanese e del Bergamasco, si strinsero in lega, e
-i varj popoli della Lombardia, della Marca e della Romagna sul santo
-Vangelo giurarono d’ajutarsi reciprocamente, compensarsi a vicenda
-dei danni che patissero a tutela della libertà, non far tregua o
-pace con Federico imperatore o co’ suoi se non di comune accordo, non
-soffrire che esercito tedesco scendesse in Lombardia; o se scendesse,
-combatteranno l’imperatore e qualunque persona lo favorisca, sinchè
-esso esercito non esca d’Italia, talchè si possano recuperare i diritti
-che la Lombardia, la Marca e la Romagna possedevano al tempo d’Enrico
-III[130]. Oltre le città che firmarono, fu lasciato (come oggi si dice)
-protocollo aperto a quelle che volessero accedervi.
-
-Posata una mano sulla spada, stesa l’altra ai fratelli, conobbero la
-potenza dell’unione. Primo atto de’ collegati Lombardi fu rifabbricare
-Milano per concordi cure, come per ira concorde l’avevano sfasciata;
-poi tentate invano le persuasioni, mossero a soggettar le città, che la
-gratitudine o la paura serbava con Federico, e costringerle ad entrare
-nella Lega Lombarda.
-
-Papa Alessandro III erasi ricusato di rimettere a un concilio, raccolto
-in Pisa da Federico, la decisione fra lui e l’antipapa; ma vedendo
-occupate tutte le terre di santa Chiesa da scismatici e imperiali, dovè
-cercare rifugio in Francia; dove ebbe grandi onori, e i re di questa e
-d’Inghilterra camminarono allato al suo cavallo tenendogli le staffe.
-Di là favoriva di conforti o di benedizioni la Lega, e lanciò contro
-Federico la scomunica, in cui, come «vicario di san Pietro costituito
-da Dio sopra le nazioni e i regni, assolve gl’italiani e tutti dal
-giuramento di fedeltà che a quello li legasse fosse per l’impero o per
-il regno; toglie coll’autorità di Dio che egli abbia mai più forza ne’
-combattimenti, o vittoria sopra Cristiani, o in parte veruna goda pace
-e riposo, finchè non faccia frutti degni di penitenza»[131].
-
-Favoriva pure ai collegati Guglielmo II di Sicilia, desideroso che
-Federico si trovasse impelagato in Lombardia così, da non poter
-minacciare alla Puglia. Enrico III d’Inghilterra, se ottenessero che
-il papa degradasse l’arcivescovo di Cantorbery avversario suo, offriva
-trecento marchi ai Milanesi e di restaurarne le mura, altrettanti
-ai Cremonesi, mille a’ Parmigiani e Bolognesi. Fin Manuele Comneno
-di Costantinopoli, che rimeditava i suoi diritti sull’Italia, spedì
-ambasciadori al pontefice per trattare di togliere lo scisma e
-ricongiungere la Chiesa greca alla latina, purchè egli pure riunisse
-sul capo di lui la corona dell’impero d’Occidente e d’Oriente, esibendo
-quant’oro bastasse a snidare d’Italia i Tedeschi; intanto concedette
-sposa una figlia ad Ottone Frangipani, principalissimo in Roma, cercò
-l’amicizia de’ Genovesi, e ai collegati Lombardi somministrò oro per
-comprare i mercenarj, allora introdottisi nelle nostre guerre. Però il
-papa, fido all’idea de’ suoi predecessori, voleva la sede del rannodato
-impero non fosse che a Roma; il Comneno ostinavasi per Costantinopoli,
-tantochè restarono disconchiusi.
-
-A soffogare quest’incendio, Federico scende di nuovo per la val
-Camonica, e imparato linguaggio più mite a fronte de’ popoli concordi,
-promette far ragione delle querele. Intanto di nuove ne eccita con
-trattamenti da nemico, devasta il Bolognese per vendicare Bosone
-suo ministro ivi ucciso, e leva contribuzioni e ostaggi. Ma udito
-che gli abitanti di Tusculo e d’Albano, a lui favorevoli, erano
-stati aggressi dai Romani coi soliti guasti, accorse, e diede una
-battaglia sanguinosissima ai Romani, poi volse sopra la loro città.
-La pose in difesa Alessandro, secondato dai Siciliani; ma Pasquale
-antipapa inanimava Federico, che per prendere il Vaticano gettò fuoco
-alla chiesa di San Pietro, e dal suo papa si fe novamente coronare.
-Allora propone ai Romani che inducano Alessandro ad abdicare, ed egli
-a vicenda vi indurrà Pasquale, in tal modo finendo lo scisma: e i
-Romani, desiderosi di pace, gli davano ascolto; sicchè Alessandro,
-nè tampoco tenendosi sicuro nelle incastellate case de’ Frangipani,
-ricoverò a Gaeta. I Pisani secondavano l’imperatore, e misero in fuga
-il loro arcivescovo che li dissuadeva dall’osteggiare il pontefice, e
-lo ajutarono a prender Roma. Ma la mal’aria decimò il suo esercito,
-ed uccise l’arcivescovo di Colonia, sette vescovi, molti principi e
-magnati; onde Federico si levò in isconfitta, perdendo per istrada gran
-parte dell’equipaggio, e forse duemila baroni e prelati e cavalieri,
-oltre i soldati. A Pavia, mantenutasegli fedele, mette al bando
-dell’Impero le città federate, e gitta in aria il guanto in segno di
-sfidarle; ma non osa assalirle, per tema che negl’italiani che seco
-militavano, l’amor de’ fratelli non prevalga alla feudale lealtà;
-infine, con solo un pugno d’uomini riprende la strada della Savoja,
-lasciando appiccati qua e là ostaggi lombardi. I cittadini di Susa gli
-tolsero gli altri, e insidiavano lui pure, che col promettere monti
-d’oro[132] e ogni grazia e bene al conte di Morienna ottenne di passare
-per le sue terre (1168) travestito in Germania.
-
-Ne’ sei anni che Federico stette fuori, ingrandirono di numero e vigore
-le nostre repubbliche, ripigliammo le città imperiali, costringemmo
-l’antipapa a venire alla devozione di Alessandro III, togliemmo le
-fortezze ai fazionieri dell’imperatore, e specialmente al conte di
-Biandrate, distruggendone la rôcca, levandone gli ostaggi, e uccidendo
-la guarnigione. Federico mandò un grosso di truppe, guidate da
-Cristiano arcivescovo di Magonza e cancelliere dell’Impero, guerriero
-terribile, che una volta colla mazza sfracellò trenta nemici, e insieme
-voluttuoso sì, che traeva dietro donne e muli tanti, da costare più
-che il corteggio imperiale. Malmenò costui la Lombardia, e guastatine
-i dintorni, assediò Ancona, città molto cara all’imperatore Comneno
-come opportunissima a sbarcare in Italia; e lo ajutarono i Veneziani
-per disgusto che presero coll’imperatore bisantino, o per emulazione
-commerciale. La città fu ridotta a pascersi di sorci e di cuojo secco,
-pur resistette con coraggio degno degli antichi eroi. Raccontano che
-un prete Giovanni con una scure andò nuotando a tagliar la gomona
-d’un grossissimo naviglio veneto detto _Tutt’il mondo_, per quanto
-lo saettassero i marinaj, che a stento si salvarono; mentre altri
-sull’esempio suo recisero le àncore di sette altre navi, che dalla
-tempesta furono fracassate. La vedova Stamura vedendo i suoi dare
-indietro da una sortita fatta per incendiare le macchine nemiche, prese
-un tizzone e si avventò verso quelle, malgrado le freccie appiccandovi
-la fiamma. Un’altra donna, visto un combattente estenuato perchè
-da più giorni non assaggiava cibo, gli porse il poco latte del suo
-petto, sottraendolo al proprio bambino[133]. E la perseveranza ebbe
-premio, perocchè Ancona fu liberata dai Ferraresi e dalla contessa di
-Bertinoro.
-
-Non che la parzialità imperiale fosse spenta, sopravviveva quasi in
-ciascun paese, e dove prevalesse lo traeva a quella bandiera. Così
-in Bergamo il vescovo Gherardo parteggiava pel Barbarossa, mentre il
-popolo pe’ suoi avversarj. Cremona e Tortona accettarono l’alleanza
-di Federico. Como era spinto a vicenda da un partito o dall’altro; e
-quando gl’imperiali rizzarono le creste, distrussero il castello di
-Gravedona, e la memorabile isola Comacina (1169), la quale più non
-risorse.
-
-In Roma il senato non volea spossessarsi dell’acquistata autorità,
-sicchè Alessandro non potea rimettervi piede. Si continuava pure
-ostinata guerra ai Tusculani, i quali non videro scampo che nel
-porsi alla tutela del papa stesso. Ma i Romani proposero a questo di
-pacificarsi e riceverlo entro se li lasciasse abbattere le mura di
-Tusculo: ed egli acconsentì: ma essi, sfogata l’ira, non si curarono
-della promessa, sicchè il papa (il cui nome or si sparnazza fra i
-liberatori d’Italia) fu costretto stare in armi nella campagna.
-
-Costanti coll’Impero in Lombardia teneansi principalmente la città
-di Pavia e il duca di Monferrato, e per la vicinanza si sorreggeano
-l’un l’altro. I collegati lombardi pensarono dunque porre una barriera
-fra costoro: e uniti i loro stendardi, invece di più ricostruire
-Tortona, una nuova città piantarono (1168) ove la Bòrmida confluisce
-col Tànaro; dal nome del pontefice la dissero Alessandria, e i nemici
-la soprannomarono _della paglia_, perchè di paglia si coprirono le
-case fretta fretta fabbricate, e recinte di nulla più che un siepato,
-un terrapieno e liberi petti. Ebbe subito quindicimila cittadini,
-privilegio di libero Comune, e sette anni dopo il vescovado[134].
-
-Appena gli affari di Germania glielo assentirono, Federico in persona
-calò un’altra volta; fra via distrusse Susa in vendetta dello smacco
-soffertovi; coll’assedio costrinse Asti a rinunziare alla Lega; e
-rinforzato da nuova gente di tutta Germania e di mezza Italia, assediò
-la neonata Alessandria. Ma per quanto vi moltiplicasse valore, crudeltà
-e astuzie, dovette allargarla al sopravvenire di un esercito lombardo,
-che il sagrifizio della magnanima cittadella avea dato tempo di
-radunare. A questo si fe incontro Federico. Onest’uomini e religiosi
-s’interposero, al cui lodo si rimisero ed egli e i Lombardi. Ma quegli
-volea salvi i diritti imperiali, questi salve le libertà loro e della
-Chiesa; sicchè del conchiudere fu nulla, e Federico avendo consumato
-anche il sesto esercito, mandò a sollecitarne un nuovo, che di Germania
-gli fu condotto dalla moglie per l’Engadina, Chiavenna e il lago di
-Como. A incontrarlo mosse egli coi Lodigiani, e ritornava accompagnato
-dai Comaschi per congiungersi ai Pavesi e ai Monferrini, quando nella
-pianura di Legnano (1176 — 29 mag.) ecco gli si attraversa l’esercito
-de’ collegati. Sulle prime egli ebbe il vantaggio, e vide le spalle de’
-nostri; ma la Compagnia della Morte, giovani risoluti a perire anzichè
-perdere, si strinse attorno al carroccio, scompose l’ordinanza nemica,
-e la mandò a sbaraglio. Federico stesso non campò la vita che tenendosi
-rimpiattato sotto i cadaveri; e la moglie, da lui lasciata nel castel
-Baradello di Como, il pianse per morto finchè nol vide ricomparire
-umiliato e fremente.
-
-Il Tedesco aveva trovato sostegno da alcune repubbliche marittime, che
-lo bramavano favorevole alle loro ambizioni. Barisone d’Arborea, uno
-de’ giudici o re di Sardegna (1163), agognando tutta l’isola, ne aveva
-impetrata da Federico l’investitura per quattromila marchi d’argento:
-ma nè l’imperatore avea diritto a disporre di quella, nè Barisone i
-denari da pagarla. Questi gli furono anticipati da Genova, desiderosa
-d’accorciare i panni all’emula Pisa, che colà teneva sovranità: ma
-Barisone, non essendo in grado nè di restituire ai Genovesi nè di
-resistere ai Pisani, si conciliò con questi; talchè i Genovesi rimasero
-peggiorati della somma e della speranza. Ne venne guerra sanguinosa di
-molti anni, dove i Liguri riuscirono superiori, attenendosi a Federico,
-promettendogli la flotta per l’impresa di Sicilia, e ricevendo da lui
-promessa di cedere Siracusa e ducencinquanta feudi in val di Noto,
-appena dell’isola si fosse insignorito. Di rimpatto i Pisani si volsero
-all’imperatore di Costantinopoli, e mandati e ricevuti ambasciadori,
-conchiusero un’alleanza che assicurava loro la franchigia in tutti i
-porti dell’impero greco, ogni anno il tributo di cinquecento bisanti
-d’oro, e due tappeti di seta a Pisa, e di quaranta bisanti e un
-tappeto all’arcivescovo. Invano Federico intimò che Genovesi e Pisani
-rimettessero in lui le loro differenze, e gli uni e gli altri speravano
-da esso l’investitura della Sardegna, e intanto lo accarezzavano e lo
-provvedevano per le sue imprese.
-
-Tanto bastava perchè gliene volessero male i Veneziani, i quali, se
-dapprima l’aveano favoreggiato per isbaldanzire le repubbliche di
-terraferma, s’adombrarono poi delle crescenti pretensioni; diedero
-incoraggiamenti alla Lega Lombarda, e ricovero al fuggiasco Alessandro
-III. E quando Federico minacciò piantar le sue aquile vincitrici in
-faccia a San Marco, risposero alla bravata armando settantacinque
-galee; e il doge, cui il papa cinse la spada d’oro, sbarattò la
-flotta che Genovesi e Pisani aveano allestita all’imperatore. Côlto lo
-stesso figlio di costui, lo trattarono decorosamente, e rinviarono con
-proposizioni di pace.
-
-E pace dovea desiderare Federico, dopo logorati ventidue anni e
-sette eserciti[135] contro il clima e le libertà d’Italia. Pertanto
-s’industriò di staccare dalla Lega Alessandro, e gli inviò deputati ad
-Anagni, i quali gli dissero: — È indubitato che, dai primordj della
-Chiesa, Dio volle vi fossero due capi, dai quali venisse governato
-questo mondo: la dignità sacerdotale, e la podestà regia. Se queste non
-si appoggino in vicendevole concordia, non potrà mantenersi la pace,
-e il mondo andrà in subugli e guerre. Cessi dunque la nimistà fra voi
-due, capi del mondo; e vostra mercè sia resa la pace alla Chiesa e al
-popolo cristiano»[136]. Alessandro rispose, ben egli volerla, ma questa
-dover essere comune anche a’ suoi alleati e difensori. Il pontefice
-trattava di ciò pubblicamente; gli ambasciadori imperiali avrebbero
-voluto stipulare in privato, col pretesto che alcuni avversavano la
-loro concordia: ma sebbene per quindici giorni si disputasse, nulla fu
-tratto a riva. Federico dunque chiese un abboccamento con Alessandro,
-e questi (tanto si fidava) volle da lui, da suo figlio e dagli altri
-grandi il giuramento di non nuocere alla sua persona, e andò a Venezia
-coi deputati delle città lombarde[137].
-
-Federico proponeva o si stesse al dettato della dieta di Roncaglia,
-oppure a quanto osservavasi al tempo di Enrico IV: i Lombardi
-rifiutavano la prima, non convenzione, ma ordinanza di Roncaglia;
-quanto all’altra, dicevano mal ricordarsi di quegli usi; sapere che da
-un pezzo godeano le regalie e il diritto di eleggere i magistrati, e
-voler conservarlo; sicchè non potè venirsi a conchiusione. Bastò dunque
-appuntare un accordo (1177), ove Federico riconosceva il pontefice
-escludendo gli antipapi, e prometteva tregua per quindici anni col
-re di Sicilia, per sei colle città lombarde, duranti i quali egli
-non n’esigerebbe il giuramento di fedeltà, e si stabilirebbero de’
-_treguarj_ che terminassero le contese eventuali, impedendo di farsi
-ragione colle armi. Esso imperatore in compenso godrebbe per quindici
-anni i beni allodiali della contessa Matilde, che poi cederebbe alla
-Chiesa romana; e a tali condizioni verrebbe ricomunicato.
-
-Fu Alessandro III uno sleale, che abbandonò gli alleati suoi per
-patteggiare in disparte? o fu un inetto che non seppe cogliere il
-destro di distruggere la potestà imperiale e l’ingerenza tedesca, e
-assicurare per sempre l’indipendenza d’Italia?
-
-Nè l’un nè l’altro può crederlo chi non confonda le idee e le
-aspirazioni dei tempi nostri con quelli d’allora. I Lombardi non aveano
-mai inteso d’annichilar l’imperatore, e fino ne’ momenti più prosperi
-chiesero soltanto di vedere assicurati i proprj privilegi, sotto la
-primazia di quello: come gli arimanni si consideravano liberi perchè
-dipendenti dal solo re, così libere chiamavansi le città che non
-avessero altra superiorità che l’imperatore. Anzi i capi della Lega
-dinanzi al papa nella chiesa di Ferrara il 1177 dichiaravano: — Sia
-noto alla santità vostra e alla potestà imperiale, che con riconoscenza
-riceveremo la pace dall’imperatore, salvo l’onore dell’Italia, e che
-desideriamo essere rimessi nella grazia di lui, secondo le vecchie
-consuetudini, nè ricusiamo le antiche giustizie: ma non consentiremo
-mai a spogliarci della nostra libertà, che abbiamo ereditata dai padri
-e dagli avi, e non la perderemo che colla vita, essendoci più caro il
-morir liberi che il vivere in servitù»[138].
-
-A tale intento avviava appunto la tregua, durante la quale fu stipulata
-una soda pace. Quanto al pontefice, abbattendo l’imperatore avrebbe
-disfatto l’opera de’ predecessori suoi, i quali avevano ridesto il
-nome d’imperator romano, e affidato a quello la primazia temporale
-della cristianità; e quand’anco gli ebbero contumaci e ribelli, mai
-non pensarono distruggerli, ma al più surrogarne uno, meglio docile e
-religioso.
-
-I Veneziani che aveano giurato ad Alessandro, finch’egli vi stesse,
-non ricevere nella loro città Federico, dispensati dalla promessa,
-andarono a prenderlo da Chioggia colla splendidezza che la sposa
-dell’Adriatico pose sempre nelle sue feste. Federico, approdato alla
-piazzetta, baciò il piede del papa, al quale poi servì da mazziere,
-allontanando colla verga la folla; della predica che Alessandro recitò
-in latino, il patriarca d’Aquileja fece la spiegazione in tedesco, onde
-contentare la devozione dell’imperatore; il quale assolto, dopo il
-_credo_ baciò ancora il calcagno del pontefice e fe l’oblazione; poi
-ne ricevette la comunione; e finita la messa, lo accompagnò per mano
-sino alla porta della basilica, gli tenne la staffa, e lo menò per la
-briglia fino al palazzo[139]. Che il papa mettesse il piede sovra il
-collo dell’umiliato imperatore, proferendo il versetto del salmo _Sovra
-l’aspide e il basilisco passeggerai, calcherai il leone e il drago_,
-e che Federico rispondesse di rendere quell’omaggio non a lui ma a san
-Pietro, è un fatto controverso, ma che nulla ripugna coi tempi; che se
-gli spiriti forti del secolo passato, striscianti appiè dei troni, lo
-negarono con orrore, la libera Venezia non esitò a farlo dipingere tra
-i fasti nazionali.
-
-In nome del Barbarossa, Enrico di Diesse giurò sui vangeli, sulle
-reliquie, e sopra l’anima dell’imperatore, che questo manterrebbe la
-pace: altrettanto fecero dodici principi dell’Impero, gli ambasciadori
-di Sicilia, e i consoli di Milano, Piacenza, Brescia, Bergamo, Verona,
-Parma, Reggio, Bologna, Novara, Alessandria, Padova, Venezia. I vescovi
-di Padova, Pavia, Piacenza, Cremona, Brescia, Novara, Acqui, Mantova,
-Fano, che in opposizione alle loro plebi aveano favorito all’imperatore
-e all’antipapa, furono ribenedetti.
-
-Alessandro III fu ricevuto festivamente anche dai Romani, avendo
-conceduto che il senato durasse, ma con giuramento di fedeltà al
-papa, al quale si restituissero la basilica di San Pietro e le
-regalie. L’antipapa venne all’obbedienza dacchè si trovò abbandonato
-dall’imperatore: ma un avanzo di coloro che credono fermezza
-l’ostinazione, nominò un altro che presto fu imprigionato. Un concilio
-ecumenico in Laterano di trecentodue vescovi procurò rimarginar le
-piaghe della Chiesa.
-
-Federico, ch’era tornato in Germania per racconciarne il freno,
-mandò deputati, i quali in Piacenza stesero i preliminari d’un
-accordo. A Costanza, memorabile città lietamente posta colà dove il
-Reno sfugge dal lago, e al verdeggiante declivio fan contrasto le
-ghiacciaje del Sangallo e d’Appenzell, fu poi conchiusa tra le città
-lombarde e l’Impero la pace (1183 — giugno) che coronava i magnanimi
-sforzi, e consolidava le repubbliche nostre, non più come un fatto
-ma come un diritto. L’imperatore dichiarava avrebbe potuto castigare
-i colpevoli, ma per clemenza e dolcezza preferiva perdonare, e far
-loro del bene. Comprese nel trattato furono Milano, Vercelli, Novara,
-Lodi, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso,
-Bologna, Faenza, Modena, Reggio, Parma, Piacenza: come alleate
-dell’imperatore figurarono Pavia, Cremona, Como, Genova, Alba, Tortona,
-Asti, Alessandria che, anticipando la pace, n’aveva conchiusa una
-particolare, e mutato il nome in Cesarea. De’ signori feudatarj non
-appajono che Obizo Malaspina di Lunigiana colla parte imperiale; colla
-nostra i conti di Biandrate e di Monferrato. A Ferrara si lasciò
-arbitrio di accedere fra due mesi. Restarono escluse nominatamente
-Imola, Castro, San Cassiano, Bobbio, Gravedona, Feltre, Belluno,
-Céneda. Venezia non v’è tampoco nominata, giacchè, essendo indipendente
-affatto dall’Impero, non voleva pregiudicarsi con questo trattato.
-
-A tenore del quale, le città della Lombardia, della Marca e
-della Romagna, entro il loro recinto godrebbero le regalie che da
-immemorabile possedevano, e fuori di esso, solo in quanto n’avessero
-concessione dall’imperatore; il vescovo con deputati imperiali
-esaminerebbe quali infatti fossero tali diritti, se pure le città non
-volessero declinare quest’indagine col pagare ciascuna annui duemila
-marchi d’argento, o meno, a volontà dell’imperatore. Questi, salva
-la sua supremazia, conferma le immunità e i diritti concessi avanti
-la guerra da lui o da’ predecessori, purchè non cadano a pregiudizio
-d’un terzo. I vescovi che per lo innanzi solessero per imperiale
-concessione confermare i consoli, continuassero; nelle altre città
-si facessero tra cinque anni confermare dai commissarj imperiali,
-e in appresso ricevessero l’investitura dall’imperatore. Il quale
-ponesse in ogni città un giudice, cui appellarsi nelle cause civili
-eccedenti il valore di venticinque lire imperiali (lire 1575), e che
-giudicassero fra due mesi, ma secondo le leggi della città. Tutti i
-cittadini dai sedici ai sessant’anni giureranno fedeltà all’imperatore
-ogni dieci anni; a questo, ogniqualvolta venisse in Italia, daranno
-il fodro e gli alloggi, ripareranno le strade, apriranno mercato pel
-suo approvvigionamento: egli però non si baderà a lungo in nessuna
-città o diocesi, per non esserle di soverchio aggravio. Del resto sia
-in arbitrio delle città il fortificarsi e confederarsi, e rimangano
-cessate le infeudazioni che si fossero concedute dopo la guerra a
-pregiudizio di esse[140].
-
-L’imperatore tornò poi la sesta volta in Italia, ma in aspetto amico;
-sicchè le città nostre gareggiarono in mostrare che, come gli aveano
-resistito in campo, sapeano accoglierlo ed onorarlo pacificato.
-A Verona durò tre mesi molto alle strette col pontefice Lucio III
-intorno ai beni della contessa Matilde, senza riuscire ancora ad una
-definizione. I Romani, tornati ben tosto sugli umori vecchi e sulle
-idee di Arnaldo, ostinavansi non tanto ad aver repubblica quanto a
-disobbedire al papa, che tennero sempre fuori di Roma; e marciati
-contro Tusculo, dove s’erano fortificati gli avversarj, presi molti
-cherici, gli accecarono, conservando gli occhi a un solo che li
-riconducesse in città sovra giumenti e con mitere in capo. Così i
-nostri emulavano la brutalità tedesca: e qual bene promettersi da una
-repubblica mancante di quel che n’è primo fondamento la morale? Il
-papa li scomunicò (1188); ma solo a Clemente III venne fatto di sopire
-la rivolta di quarantacinque anni, col solito scapito della libertà;
-poichè egli ridusse sotto la propria autorità il senato, il Comune,
-la basilica di San Pietro, e le altre chiese e i diritti regali, pochi
-lasciandone alla città.
-
-Federico, malgrado la pace, ad or ad ora abbandonavasi allo sdegno;
-indispettito coi Cremonesi che, da fedelissimi, gli erano poi mancati,
-non solo edificò Crema a loro dispetto[141], ma li guerreggiò; col papa
-Urbano III ebbe nuovi diverbj per l’eredità della contessa Matilde;
-de’ vescovi che morissero occupava i beni; col pretesto di punire
-badesse scandalose, invadeva possessi de’ monasteri; impediva il passo
-dell’Alpi a quei che andassero a Roma. Fe’ cingere la corona di ferro a
-suo figlio Enrico; e perchè quello di re d’Italia non fosse un titolo
-senza soggetto, procurò congiungere alla primazia sui Lombardi il
-dominio del reame meridionale: ma donde sperava il consolidamento della
-grandezza di sua casa, ne venne la ruina.
-
-Commessi gli affari d’Italia ad Enrico, il Barbarossa tornò in Germania
-a domare i baroni che gli aveano recato molestia durante la guerra
-d’Italia, ed esercitò l’autorità imperiale con rigore qual altri non
-aveva usato da Carlo Magno in poi, fisso soprattutto nel pensiero di
-renderla ereditaria nella sua famiglia. Singolarmente gli diede a fare
-Enrico il Leone. Avendo esso imperatore saputo indurre il vecchio
-Guelfo a rinunziargli i beni di sua casa in Italia e in Germania,
-fra cui l’eredità della contessa Matilde, Enrico da quel giorno negò
-soccorrerlo nelle guerre d’Italia, benchè supplicato a ginocchi;
-messo al bando dell’Impero, fu vinto, e a stento ottenne di conservare
-il Brunswick e il Luneburg: ma l’abbassamento di quella casa lasciò
-rialzarsi i baroni secolari ed ecclesiastici, che si assicurarono il
-pieno dominio del proprio territorio.
-
-Repente un gemito universale annunziò che Gerusalemme, la santa città,
-liberata col sangue di tutta Europa, era stata ripresa dai Musulmani,
-e il colle di Sion e la valle del Cedron echeggiavano ancora alle
-invocazioni di Allah. Il gran Saladino, profittando della rivalità dei
-principi latini, gli assalì (1187) e sconfisse, occupò Acri, Cesarea,
-Nazaret, Betlem, e alfine Gerusalemme stessa: ed ebbe prigioniero il re
-Guido di Lusignano. Menò egli strage particolarmente de’ cavalieri del
-Tempio e dell’Ospedale, moltissimi fece prigioni, fra cui Guglielmo di
-Monferrato, cugino del Barbarossa, il cui figlio avea sposato Sibilla
-sorella di Baldovino re di Gerusalemme, che gli portò in dote la contea
-di Joppe. Un altro suo figlio Corrado, trovandosi allora pellegrino in
-Terrasanta, tolse a difendere Tiro, durando intrepido, benchè Saladino
-minacciasse uccidergli il vecchio padre se non rendesse questa città.
-
-La nuova di tali disastri fu portata in Italia da messi vestiti
-a bruno, che andavano tratteggiando gli esecrandi oltraggi usati
-alla religione, la santa croce trascinata per le vie, il sepolcro
-insozzato, i fanciulli educati al Corano, le donne tratte negli harem,
-e mostravano una immagine dove Cristo era battuto e calpesto da un
-Arabo, nel quale doveva riconoscersi Maometto. Quest’annunzio accelerò
-la morte ad Urbano III, che prima aveva scritto a tutti i potentati
-cristiani eccitandoli a soccorrere Terrasanta. Come avviene nei gravi
-disastri, una riforma generale parve diffondersi; tregua si convenne
-fra tutti i combattenti; i cardinali raccolti a Ferrara per eleggere il
-nuovo pontefice, non solo incitarono i re alla crociata, ma proposero
-voler guidarla essi stessi; bandirono la tregua di Dio per sette anni,
-e scomunicato chi la violasse; e cominciando l’ammenda da sè, promisero
-vivere poveramente, e non ricever doni da sollecitatori, non montare
-a cavallo (1187), finchè la terra santificata dalla presenza di Cristo
-non fosse ricuperata. Gregorio VIII, vecchio di santa vita e macero da
-penitenze, nel brevissimo regno non fece che predicare la spedizione,
-e a tal uopo cercò rappattumare i discordi, e principalmente Genovesi e
-Pisani che si erano continuato feroce guerra. Clemente III succedutogli
-persistette nell’intento: fra gli altri, Guglielmo arcivescovo di Tiro,
-ministro di Baldovino IV e storico delle crociate, predicò a Milano,
-a Bologna, ove duemila cittadini presero la croce, e in altre città:
-si permise ai re di riscuotere una _decima Saladina_ sopra tutte le
-rendite d’ecclesiastici e di secolari per le spese della guerra: si
-comandò il magro ogni mercoledì, digiuno ogni sabbato, non giurare,
-non giocare a dadi, non imbandire più di due piatti, non portare vesti
-scarlatte o vajo o zibellino, ed altre manifestazioni che durano quanto
-l’entusiasmo.
-
-Gl’Italiani, che, appunto in quest’occasione, Corrado abate uspergense
-chiama «bellicosi, discreti, sobrj, lontani dalla prodigalità, parchi
-nelle spese quando non sieno necessarie, e soli fra tutti i popoli
-che si reggano a leggi scritte», corsero primi all’impresa; e Toscani
-e Romagnuoli, sotto la guida degli arcivescovi di Pisa e di Ravenna,
-approdarono a Tiro. Guglielmo il Buono ordinò un generale registro
-di tutti i feudatarj del regno di Sicilia e degli uomini che ciascun
-doveva[142], intimando stessero pronti a partire; ed essi s’obbligarono
-a contribuire il doppio d’uomini: e una flotta condotta dall’ammiraglio
-Margaritone di Brindisi valse non poco a sostener Tiro. Saladino,
-costretto a lasciare questa città, tentò sorprendere Tripoli; ma i
-nostri giunsero in tempo a salvare quegli ultimi resti del _glorioso
-acquisto_.
-
-Federico Barbarossa, che giovane avea fatto l’impresa di Terrasanta,
-volle coronare la faticosa vita coll’assumere di nuovo la croce.
-Imbevuto del concetto della onnipotenza imperiale qual gli era stata
-definita a Roncaglia, mandò intimare a Saladino lasciasse la città
-santa a lui, signore universale perchè successore degli antichi
-cesari. Saladino vi oppose il diritto della conquista, e si preparò a
-sostenerlo. Il Barbarossa col proprio figlio e con sessantotto signori,
-trentamila cavalieri e ottantaduemila fanti passò dunque in Palestina
-e prosperò; ma traversando il fiume Salef restò annegato; e la crociata
-riuscì a fine disastroso.
-
-Il Barbarossa, come gli eroi della tragedia antica, operava in forza
-del carattere, non della moralità; postosi un principio, voleva
-seguirlo. I Comaschi gli applausero come restauratore del diritto,
-punitor delle violenze; altrove fu esaltato come liberatore d’Italia,
-mirando solo agli interessi particolari e a quella indipendenza
-che spesso fu considerata come idea principale, mentre non è che
-secondaria. Tutti poi i nostri lo inneggiarono quando rinunziò alle
-idee germaniche, conservando sola la lealtà, con cui accettò il patto
-di Costanza. I Germani lo venerarono qual rappresentante della loro
-stirpe, e non lo credettero morto, ma che si fosse ridotto nel campo
-dorato sul Kiffhäuser, tenendo corte colla figlia e coi burgravi,
-sedendo a una tavola di marmo, attorno alla quale crebbe la sua barba
-rossa. E verrà giorno che uscirà ancora co’ suoi fedeli, e farà grande
-il popolo tedesco sopra tutti gli altri. In Italia altrimenti; e mentre
-a Carlo e Ottone, perchè favorevoli alla causa popolare, fu mantenuto
-il titolo di Grandi, Federico, non inferiore ad essi, vien tuttora
-ricordato con orrore dal popolo, cui si mostrò infesto[143].
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXV.
-
-Ordinamento e governo delle Repubbliche.
-
-
-Così scarsi tornano nella nostra storia i momenti, ai quali possa
-confortarsi la ragione ed esaltarsi il sentimento, che è ben dritto se
-gl’italiani si fermano con compiacenza sopra la Lega Lombarda.
-
-Legame puramente esterno e di momentanea provvisione, essa non cambiava
-le condizioni de’ singoli Stati, ciascuno de’ quali come indipendente
-proseguiva nella fatica di ordinarsi. Abbastanza ripetemmo che la
-rivoluzione dei Comuni, tanto decisiva, non fu radicale, e lasciò
-sussistere molte parti del passato, che oggi sarebbero le prime a
-distruggersi. Oggi poi si vorrebbe innanzi tutto precisare i diritti
-dei cittadini, farli tutti eguali in faccia alla legge, concentrare i
-poteri maestatici in un magistrato supremo, abbastanza robusto nella
-sua azione; separare la podestà legislativa dall’esecutiva, e dare
-indipendenza e stabilità alla giudiziale, distribuita in una gerarchia
-di tribunali con precise attribuzioni; proclamare leggi fisse, ed
-evitare ogni tumultuosa applicazione di esse; discutere pubblicamente
-i conti, scompartire con equità l’imposta, ottenere l’esercizio rapido
-e uniforme dell’autorità, sottraendola all’arbitrio di un capo, alle
-gelosie dell’aristocrazia, alle tumultuose incostanze del vulgo;
-trovare il modo più conveniente a rendere rappresentato ogni bisogno,
-ogni forza, ogni capacità, ed anche la provincia per togliere la
-prevalenza oppressiva della capitale; chiarire e sodare le relazioni
-cogli Stati vicini, e i diritti e doveri reciproci; e principalmente
-assicurare l’indipendenza dello Stato per maniera che nessuno estranio
-s’intrometta dell’interno suo ordinamento.
-
-Non a questo senso intendevasi allora la libertà, nè chiaro concetto
-si avea di ciò che or chiamiamo lo Stato; e dal tentonare d’inesperti
-sarebbe troppo l’attendersi quel senno e quella prudenza, che sì spesso
-fallisce a noi pure, a noi insegnati da lunghissima esperienza e da
-tanti errori. Ingegniamoci di orientarci per quanto è possibile fra
-tanta varietà di ordini, di statuti, di vicende.
-
-Sottoposta che fu la campagna alla città, limite di ciascuna Repubblica
-rimase ordinariamente quello delle giurisdizioni vescovili; onde oggi
-ancora le diocesi, colla bizzarra loro conformazione, indicano il
-territorio di quelle. Da ciò, se non originata, mantenuta la prodigiosa
-differenza dei dialetti; da ciò la moltiplicità di edifizj civili e
-religiosi, nessuna volendo restare di sotto della vicina; da ciò le
-guerricciole; da ciò fatti meno penosi i frequenti esigli, poichè il
-fuoruscito a due passi trovava sicurezza, senza aver mutato nè favella
-nè clima.
-
-La pace di Costanza ebbe sanzionata la rivoluzione, che da serve
-ridusse franche le città, ma non attribuiva loro l’indipendenza,
-bensì la libera podestà di governo, il diritto d’eleggere ciascuna
-i proprj magistrati, far leggi, munirsi, conchiudere pace e guerra,
-imporsi tributi e ripartirli, regolare la polizia rurale e l’industria,
-militare sotto la propria bandiera, non essere obbligati andar fuori
-del Comune per pagare tributo o rispondere a citazioni, esercitare
-liberamente la pesca e la caccia. Essa pace non conferiva però nuovi
-diritti, neppure uguagliava gli antichi; ciascuno rimaneva nella
-condizione ove l’avea trovato la guerra, con più o meno privilegi,
-secondo gli aveva compri, estorti, acquistati, ottenuti. Nè tampoco
-si distruggeva veruna delle antiche dipendenze; e nella città libera
-potevano ancora durare un conte feudale, un vescovo con diritti
-sovrani, qualche uomo indipendente dai comuni magistrati, e servi fuor
-della legge.
-
-Di sopra poi di tutti stava un re o un imperatore, la cui supremazia
-in sostanza si riduceva a mettere il proprio nome sulle monete e
-agli istromenti, riscuotere annuo tributo, e la _paratica_ al primo
-suo venire in Italia, determinata per ciascun Comune con particolari
-convenzioni. Nel 1185 Federico I «volendo viemeglio premiare quelli
-che più perseverano nella devozione alla sacra maestà dell’Impero,
-ed osservando il valore, la fede, la devozione de’ _suoi_ diletti
-cittadini milanesi, il cui affetto, più degli altri ardente, li mostra
-di giorno in giorno meglio meritevoli de’ suoi favori»[144], cede loro
-tutte le regalie che esso teneva nell’arcivescovado di Milano in terra
-e in mare, determinando il tributo in lire trecento, oltre la paratica.
-Quest’ultima dagli abitanti di Treviglio fu fissata in sei marchi
-d’argento. Il Comune di Brescia ricompravasi nel 1192 da tutte le
-regalie per due marchi l’anno, e gliene faceva carta Enrico VI.
-
-I diritti regali non espressi nel patto di Costanza era convenuto
-sarebbero ponderati dal vescovo di ciascuna città insieme con probi
-uomini; ma essi non competendo se non al re che fosse eletto dal voto
-nazionale, pochi fra’ successori del Barbarossa li godettero; e per
-lo più s’accontentarono d’un omaggio e del giuramento di fedeltà,
-trattando i nostri a maniera d’alleati. Enrico VI e Federico II,
-bisognando d’ajuti in guerra, strinsero leghe con qualche città,
-assolvendola dagli obblighi imposti dalla pace di Costanza; di modo che
-o per cessione del re, o per ritrosia de’ popoli, s’andò smettendo ogni
-aggravio, eccetto il fodro, che venne convertito in sussidio grazioso.
-
-Anche dalla conferma dei magistrati, riservata all’imperatore o a’
-suoi messi, le città si riscossero a denaro; sebbene le ghibelline, per
-condiscendenza, gliela chiedessero ancora. Nel 1195, davanti alla porta
-Torre di Como, Girardo de Zanibone, Tettamanzo de Gaidaldi, Odone di
-Medolate, consoli del Comune di Cremona, col mezzo della lancia e del
-gonfalone rosso con croce bianca, riceveano da Enrico VI l’investitura
-di quanto si contiene nel privilegio di esso Comune[145].
-
-Federico I erasi riservata l’appellazione delle cause[146], e a
-riceverla delegava vicarj; venuti però questi di peso, le città se ne
-fecero esentare, traendo anche tale diritto ai proprj magistrati o ai
-vescovi[147].
-
-Dapprima i messi regj ed i vicarj imperiali poteano ogni cosa quanto
-l’imperatore, salvo che conferire i feudi maggiori o di trono, e
-alienare o ipotecare beni e diritti dell’Impero. Abbiamo l’investitura
-che Federico II dava nel 1249 a Tommaso conte di Savoja quale vicario
-della Lombardia da Pavia in giù, affinchè conservasse la pace e la
-giustizia; concedendogli perciò il mero e misto imperio e podestà
-della spada contro i malfattori, principalmente quei che molestano
-le strade; udire e risolvere le quistioni civili e criminali,
-competenti all’imperatore; imporre bandi e multe; interporre decreti
-per l’alienazione di cose ecclesiastiche e per tutela de’ pupilli;
-dar tutori e curatori, restituire in intero, ricevere l’appello
-dalle sentenze dei giudici ordinarj; ma dalla sentenza di lui possa
-ricorrersi al trono[148]. Sì estesa autorità andò restringendosi;
-i messi regj si ridussero a poco meglio che nodari; e il vicariato,
-non che sostenere l’autorità imperiale, servì ad ampliare quella de’
-grandi, che compravano esso titolo per assodare la propria dominazione.
-Guarnieri conte di Humberg, vicario d’Enrico VII, dovette abbandonare
-la Lombardia per assoluta mancanza di denaro: per la causa istessa
-Princivalle del Fiesco, vicario di Rodolfo d’Habsburg, vendette alle
-città di Toscana le giurisdizioni dell’Impero[149].
-
-Ne’ ricchissimi archivj di Lucca investigammo altrove la formazione di
-quel Comune (pag. 38): studiandovi ora le relazioni delle Repubbliche
-coll’Impero, troviamo che nel 1162, alla presenza dell’arcivescovo di
-Colonia, arcicancelliere dell’Italia e legato imperiale, i consoli
-maggiori giurarono sugli evangeli fedeltà a Federico I, e di nulla
-attentare a suo danno, anzi soccorrerlo a sostener la corona e
-l’onor suo, o recuperarli; non palesare gli ordini secreti ch’egli
-trasmettesse; e per la guerra o per la pace in Toscana e per le regalie
-starà alla sua parola, l’ajuterà a riscuotere il fodro nel vescovado
-di Lucca, da tutti i cittadini farà dargli il giuramento, non guastare
-nè lasciar guastare la strada, dare all’imperatore venti militi nella
-spedizione verso Roma e la Puglia, pagare l’annuo tributo convenuto
-di quattrocento lire, in ricompra di tutte le regalie per sei anni.
-L’imperatore concede in ricambio alla città di Lucca di eleggere i
-consoli, i quali vadano a ricevere da esso l’investitura, e gli giurino
-fedeltà[150].
-
-Qui è riconosciuta la piena libertà del Comune: eppure, due anni dopo,
-esso Federico confermava il mero e misto imperio al vescovo di Lucca
-sopra gran quantità di terre, ville, castelli, autorizzandolo a far
-leggi e giustizia, e governare per sè o pel suo nunzio, come farebbe
-l’imperatore o un nunzio suo[151]. Poi nel 1185 dava un diploma in
-favore dei Comuni e signori di Garfagnana, di Montemagno, di Versilia,
-di Camajore, prendendoli in protezione, esimendoli da ogni dominio
-di città o di autorità qualunque, come soggetti a sè solo; abroga
-le occupazioni di terre, borghi, castelli fatte da consoli; obbliga
-Lucca a riedificare i castelli che v’avesse demoliti[152]. L’anno
-vegnente, Enrico VI rinnovava a questa il privilegio della zecca, delle
-giurisdizioni e regalie nella città e nel distretto, non accennando
-più all’obbligo d’andare i consoli a giurare fedeltà; però, anche
-ne’ trattati con altre potenze, riservino la fedeltà all’Impero, e
-gli paghino sessanta marche d’argento l’anno. Nel 1209 Ottone IV,
-imperatore disputato, confermava la carta anticamente datale da Enrico
-IV, con questo che nessun mai guastasse le mura della città o le
-case; non dovessero avere palazzo per l’imperatore, nè dare alloggi;
-non paghino alcun pedaggio da Pavia sino a Roma o in Pisa; non abbia
-molestia chi vien a commerciare con Lucca pel mare o pel Serchio;
-non si fabbrichi castello o fortino a sei miglia di circuito; nessun
-giudice di Lombardia eserciti giurisdizione in Lucca, se non presente
-l’imperatore o il suo cancelliere[153].
-
-Dall’assicurare il libero governo interno, le esazioni, i mercati,
-le caccie, le pesche, i forni, i mulini, le Repubbliche passarono a
-pretendere dominio sopra i vicini, e ne chiedeano ancora la ratifica
-dagl’imperatori. Pertanto nel 1244 Federico II al Comune di Lucca
-concedeva che i castelli di Motrone, Montefegatese e Luliano nella
-Garfagnana con tutte le loro pertinenze gli stessero sottoposti;
-accettasse come concittadini le persone della Garfagnana che il
-vogliano; e i Comuni e le persone di questa possano ricevere i podestà
-e rettori di Lucca: vale a dire, li sottraeva alla giurisdizione
-imperiale per sottoporli alla comunale[154]. Quando i Lucchesi
-parteggiarono col papa, esso Federico cassò quelle concessioni,
-investendone invece il figlio e vicario suo Enzo; ma riconciliatosi,
-le restituì al Comune di Lucca come feudo, talchè questa città,
-internamente repubblicana, riguardo agli esterni avea posto nella
-gerarchia feudale[155]. Eppure lo stesso Federico donava in perpetuo a
-Pagano Baldovin messinese il territorio di Viareggio.
-
-La libertà dei Comuni guardavasi dunque non come un diritto primitivo,
-ma come una concessione sovrana; dal re si chiedevano come privilegio
-fin le giustizie; dal re si facevano confermare i successivi acquisti:
-ma, secondo il senso feudale, consideravasi indipendenza il non aver
-altro superiore che gl’imperatori.
-
-Tanto però bastava perchè questi potessero turbare le Repubbliche
-colle loro pretensioni. Altre ne mettevano in campo i feudatarj e
-conti, che solo per necessità aveano rassegnato i diritti antichi. Già
-dicemmo (pag. 69) come i vescovi fossero ricchissimi e signori di tanta
-parte di feudi e di giurisdizione. A quello di Brescia spettava un
-quinto dei feudi della diocesi: ed erano tanti, che Enrico imperatore
-avendone sequestrati alcuni in pena del favore dato ai papi, trovaronsi
-ammontare a tremila biolche di terra; che poi il Comune di Brescia
-ritolse alla Camera imperiale, dandole a livello a tremila poveri.
-Arimanno vescovo cercò ricuperare quei feudi ed altri che l’imperatore
-aveva investiti a laici; ma i nuovi investiti si opposero, fecero
-lega cogli arimanni, irati al vescovo e al Comune che li gravava di
-contribuzioni ad onta dell’antica immunità: ne venne guerra di fortuna
-varia, sinchè anche gli arimanni ottennero per patto i privilegi che
-già godeano i valvassori, e assoluzione da ogni tributo e servizio di
-corpo[156].
-
-I vescovi essendo stati sovrani, consideravano come usurpatore o
-astiavano come vincitore il Comune, e sofisticavano sui diritti di
-quello. Intendo in questo senso una carta del 1158, ove i canonici di
-Santa Maria di Novara giurano fra loro di non dar mano a far passare al
-Comune le cose di essa chiesa, nè col fatto o col consiglio permettere
-che questa paghi fodro o dazio al popolo o ai consoli; nè ajutarli
-in ciò che spetti al fortificare la città; nè daranno canonicati
-ai discendenti dei consoli che aveano aperto a forza il granajo del
-capitolo, sinchè i padri son vivi, nè di quei consoli che in alcun modo
-pregiudicassero alla chiesa, o entrassero per forza nella canonica o
-nelle case de’ fratelli[157].
-
-Sempre poi i vescovi serbarono qualche resto dell’autorità loro; e
-come ricchissimi che manteneansi ancora, e capi d’una gerarchia e di
-un tribunale ecclesiastico, guardavansi quai primi cittadini, opinando
-prima di tutti, e facendo la prima comparsa negli affari. Questo
-intralciamento di diritti e di pretensioni potea non recare trista
-sequela di cozzi e di gelosie?
-
-In mezzo a queste, le Repubbliche si organizzarono ciascuna
-distintamente con una varietà che è mirabile sintomo d’estesa ragione
-negl’Italiani, ma che è impossibile a seguirsi se non nelle storie
-domestiche. Accennando que’ sommi capi in che le più s’accordavano,
-dirò come la suprema signoria stesse nell’assemblea dei cittadini,
-alla quale, a suon di trombe o di campana, convocavansi plebei insieme
-e nobili, sommati talvolta a centinaja e migliaja. In Milano era di
-ottocento, poi fu cresciuta e là ed altrove sino a millecinquecento e
-a tremila, escludendo solo i mestieri sordidi. A Firenze vi entravano
-le ventiquattro arti e i settantadue mestieri. In quella generale
-adunanza, a voti si decideva della pace, della guerra, delle alleanze.
-Sembra non vi si favellasse molto, e che ciò fosse un male lo lascerem
-dire ad altri; ma i partiti non si pigliavano generalmente a semplice
-maggioranza, volendosi ove i due terzi, ove i tre quarti; in alcun
-luogo si raccoglieva complessivamente il voto di ciascuno de’ corpi che
-componeano il gran consiglio.
-
-Pei molti affari dove occorre segreto e decisione spedita e
-spassionata, venne istituito il consiglio minore o _di credenza_[158],
-composto de’ più ragguardevoli, giurati di non palesare i trattamenti.
-Erano di spettanza sua le finanze, il vigilare sopra i consoli, le
-relazioni esterne, e vi si disponevano i partiti da sottoporre alla
-deliberazione del popolo.
-
-I consoli, magistratura, come dicemmo, di attribuzioni particolari,
-e che al formarsi de’ Comuni furono posti al governo, erano scelti
-per suffragi; e senza la cauta divisione de’ poteri, doveano render
-giustizia e amministrare la guerra, quasi non corresse divario fra i
-perturbatori dell’ordine interno e dell’esteriore. I campagnuoli non
-erano partecipi della pubblica amministrazione; ma molti castelli e
-borghi, massime di Lombardia, crearono consoli proprj, più limitati di
-autorità, sebbene intenti ad emulare i consoli cittadini.
-
-I doveri dei consoli venivano annoverati nel giuramento che essi
-prestavano entrando in carica, e che inscrivasi negli statuti. In
-quelli di Genova, i più antichi che si conoscano[159], leggesi il
-seguente:
-
-— In nome del Signore, noi piglieremo il magistrato questo giorno
-della purificazione della Madonna, e nel medesimo giorno, terminata la
-compagnia, il deporremo.
-
-«Opereremo sempre a utilità del vescovado e Comune nostro, e ad onore
-della santa madre Chiesa.
-
-«Esamineremo le quistioni private sulle istanze degli interessati, le
-pubbliche anche senza istanza, di buona fede, secondo ragione e con
-perfetta egualità, non pregiudicando al Comune in favore de’ privati,
-nè ai privati in favor del Comune.
-
-«In caso di disparere tra noi, varrà la pluralità; in caso di parità,
-ci riporteremo a un savio, di cui non sia conosciuto il parere.
-
-«Rivocheremo e miglioreremo le sentenze fatte dal nostro consolato,
-qualunque volta il richieda la giustizia.
-
-«Sentenzieremo in pubblico entro quindici giorni dopo presentato il
-libello, quando non cada in dì festivo, o l’attore non si ritiri.
-
-«Per una sentenza non percepiremo direttamente o indirettamente più di
-tre soldi.
-
-«Quando alcuna parte non trovi avvocato difensore, a sua istanza
-glien’eleggeremo; e se l’eletto ricusi, o non si adoperi di buona fede,
-gli vieteremo di comparirci dinanzi per tutto il nostro consolato.
-
-«Imporremo a’ testimonj chiamati in giudizio dalle parti, di comparire
-e deporre il vero, obbligandoli, in caso di rifiuto, al rifacimento del
-danno. Nelle cause maggiori non si vorrà meno di dodici testimonj. Di
-chi citato a testimoniare, negasse comparire davanti a noi e giurare
-il vero, faremo vendetta a nostro arbitrio, ancorchè sia negli ordini
-sacri, perchè così vuole ragione.
-
-«Le proprietà, i feudi e i diritti posseduti pacificamente per
-trent’anni, conserveremo intatti a’ possessori.
-
-«In caso d’omicidio premeditato e palese, manderemo in esiglio il
-colpevole, daremo il guasto a’ suoi beni, e il possesso di quelli a’
-più stretti congiunti dell’ucciso, o, quando li rifiutassero, alla
-cattedrale. Se non sia provato chiaramente il reo, permetteremo a’
-congiunti fino in terzo grado di domandargli d’ammenda quanto vorranno,
-o quanto almeno potrà dare l’accusato. E s’egli rifiuterà pagarla,
-e sfiderà a battaglia l’accusatore, sarà lecito, e il soccombente
-puniremo come avremmo punito il palese omicida.
-
-«Chiunque portasse armi dal suono del campanone sin alla fine del
-parlamento, condanneremo in lire dieci se n’abbia almeno cinquanta, o
-in una se n’abbia sopra dieci, e in meno a nostro arbitrio se povero.
-
-«Non permetteremo torri più alte di ottanta piedi, e a venti soldi per
-piede condanneremo i trasgressori.
-
-«I falsatori di monete e i complici loro spoglieremo d’ogni avere e
-d’ogni diritto a favore del pubblico erario; proporremo al parlamento
-che siano banditi in perpetuo; e venendo in nostro potere, farem
-loro troncare la destra. Sarà però necessario a un tanto castigo o la
-confessione del reo, o ch’e’ sia convinto mediante legale deposizione
-de’ testimonj.
-
-«Ad ambasciatori assegneremo solo l’onorario approvato dalla
-maggioranza del parlamento.
-
-«Vieteremo il portare nel nostro distretto merci pregiudicievoli alle
-nostrali, salvo i legnami e guarnimenti di nave.
-
-«Non imprenderemo guerra, nè faremo oste, divieto o imposizione senza
-il consenso del parlamento; nè aumenteremo i dazj marittimi, fuorchè
-all’occasione di nuova guerra in mare; e i pesi cadranno uguali su
-tutti.
-
-«Chiunque, invitato da noi o dal popolo ad ascriversi nella nostra
-compagnia, non avrà aderito entro undici giorni, ne sarà escluso per
-tre anni avvenire; non accetteremo in giudizio le sue istanze, salvo
-fosse per difesa; nè lo nomineremo ai pubblici uffizj, e farem divieto
-che nessuno della nostra compagnia lo serva delle sue navi, o lo
-difenda ai tribunali.
-
-«Qualunque volta un estranio sarà accettato nella nostra compagnia, gli
-daremo il giuramento di abitazione non interrotta nella nostra città,
-secondo il consueto degli altri cittadini. Pe’ conti, pe’ marchesi
-e per le persone domiciliate fra Chiavari e Portovenere basterà
-l’abitazione di tre mesi l’anno.
-
-«Osserveremo fedelmente l’appalto delle monete a coloro che si sono
-obbligati verso il Comune, e saranno leali alle convenzioni co’
-principi e popoli forestieri».
-
-Per correggere lo sconcio feudale di lasciare nelle mani stesse
-l’amministrazione e la giustizia, si distinsero i consoli minori
-o dei placiti, specialmente applicati ai giudizj, a differenza di
-quei del Comune o maggiori[160]. Trattavano collegialmente le cause:
-tenendo giurisdizione separata in distinti quartieri: e il tribunale
-di ciascuno distinguevasi con insegna particolare, dicendosi del bue,
-dell’aquila, dell’orso, del leone, e così via; a Piacenza erano dipinti
-sul tribunale il griffone e il cervo, a Verona l’ariete; a Mantova
-diceansi del banco di san Pietro, di sant’Andrea, di san Giacomo, di
-san Martino[161].
-
-Consoli chiamavansi, fin prima della libertà, altri sovrantendenti
-alle grasce, alla marina, alle arti o simili, e così continuarono. Nel
-1172 Milano creava otto consoli de’ mercanti, collo stipendio di sette
-lire di terzuoli, e l’obbligo di sopravvedere alle misure, riscuotere
-le multe dei bandi, delle bestemmie e di somiglianti trasgressioni,
-e provvedere che i mercanti andassero sicuri. I consoli delle faggie
-doveano rivendicare e difendere i diritti del Comune sovra i pascoli
-intorno alla città, e sopravvegliare alle strade: il quale uffizio a
-Chieri chiamavasi dei sacristi, a Siena de’ viaj. Di poi ciascun corpo
-volle avere o piuttosto conservò consoli proprj; e così le parrocchie
-e le terre, dove sussistettero fin ai giorni nostri quali agenti del
-Comune.
-
-Nell’elezione dei consoli operavano spesso l’intrigo e l’ingerenza
-delle famiglie potenti; e trovandosi scelti da case e da fazioni
-nemiche, si contrariavano gli uni gli altri, incagliando gli affari, e
-per tema o preghiere o disservigio lasciando lesa o monca la giustizia.
-La potenza de’ consoli annui ed elettivi non era bastante a reprimere
-i faziosi, nè potea reggersi che appoggiata ad un partito, mancando
-dell’imparzialità necessaria a garantire i diritti di tutti. I consoli,
-nemici personali de’ castellani ch’essi aveano spossessati, poteano
-esserne giudici? Tornando cittadini dopo un anno, trovavansi esposti
-alle vendette de’ ribaldi che avessero puniti o delle famiglie offese.
-Per dominar l’anarchia bisognava un tribunale che da più alto reggesse
-cittadini e castellani, che non fosse nè feudale nè borghese, che
-potesse reprimer robustamente le lotte; popolare così che i cittadini
-lo potessero opporre ai nobili, eppur nobile affinchè l’aristocrazia
-l’accettasse, e che per origine non avesse e per lunga dimora non
-adottasse le passioni de’ cittadini. A tale intento Bologna chiamò
-il faentino Guido di Ranieri da Sasso, che esercitasse il potere de’
-consoli del Comune, e presedesse a quelli de’ placiti. Questo nuovo
-magistrato s’intitolò _la podestà_, come quelli che il Barbarossa
-ai Comuni sottomessi aveva imposti invece dei consoli; e dovea
-rappresentare l’antico elemento imperiale, quasi custode della legale
-società, e di quella giustizia che, anche dopo l’emancipazione, si
-considerava come privilegio imperiale.
-
-Tale novità si conobbe spediente per ridurre nel Comune anche
-quest’avanzo delle pretensioni imperiali, ottenere più disinteressata
-l’applicazione delle leggi, e operare ne’ casi urgenti colla prestezza
-che viene dall’unità dell’esecutore. Fu dunque adottata, e cernivasi
-il podestà fosse dalla nobiltà castellana rimasta indipendente, fosse
-da città della fazione medesima, fosse tra persone celebrate per
-onestà o per conoscenza di leggi. Proposto nel pubblico consiglio, era
-eletto a pluralità di voti, ovvero se ne comprometteva la nomina in un
-certo numero di probi: taluni lo chiedeano al papa o all’imperatore,
-ma presentandogli le convenzioni o lo statuto ch’ei dovea giurare
-anche prima di conoscerlo. Da Perugia si mandavano cittadini, e più
-volentieri frati, a conoscere nelle città forestiere gli uomini
-di maggior vaglia, da’ cui nomi imborsati si sortiva il nuovo
-podestà[162].
-
-Al designato spedivasi un’ambasceria; ed egli, al Capodanno o al san
-Martino, entrava con solenne incontro de’ cittadini e del vescovo,
-e con messa e panegirica orazione; e venuto sulla piazza maggiore,
-recitava una diceria, giurava osservare gli statuti, non ritenere
-la carica oltre un anno, e non partirsi prima d’aver subìto il
-sindacato[163], e nel nome di Dio assumeva l’uffizio.
-
-Egli menava seco due cavalieri per guardia ed onoranza; assessori e
-giudici per consiglio, notaj, siniscalco, ministri, servi, cavalli.
-La giustizia talvolta esercitava col solo privato consesso, in alcuni
-paesi coi consoli de’ placiti come a Milano, o co’ giudici de’ collegi
-come a Parma[164]. Funzionario unico, riuniva l’autorità politica e
-la giudiziaria de’ consoli, ridotti a semplici consiglieri col titolo
-di priori, anziani, rettori o simili: straniero come gli antichi
-conti, eppur magistrato responsale come un cittadino, uom di toga e di
-spada, giudice e dittatore, reprime e castellani e borghesi del pari,
-eseguendo egli stesso i suoi decreti, e usava poteri discrezionali come
-in tempo di guerra. Qui pure il giuramento specificava i doveri del
-podestà, alcuni dei quali erano generici, altri speciali d’un tempo e
-d’un luogo.
-
-Lo statuto genovese porta che il consiglio nomini ogni anno trenta
-elettori, i quali procedano all’elezione del podestà per via di
-polizze: all’eletto accettante due nunzj portino a giurare i seguenti
-capitoli, presente il consiglio della natìa sua terra: — Non vedrà gli
-statuti di Genova se non dopo giurato di osservarli: sarà servito da
-venti persone, e accompagnato da tre cavalieri e da due a tre giudici
-a sua elezione, i quali con titolo di vicarj o luogotenenti terranno
-gradatamente sue veci in caso di assenza, malattia o morte: salarj,
-pigioni, spese di viaggio resteranno a carico di lui, ma riceverà
-provvisione di lire milletrecento di Genova (da mezz’oncia d’oro),
-due lire al giorno di più nelle campagne marittime, nelle terrestri
-quattro, nelle ambascerie quanto deciderà il consiglio: l’anniversario
-del giorno che avrà preso il magistrato, dovrà uscire di Genova, e
-seco i suoi terrazzani e distrettuali, del che si rogherà speciale
-istromento.
-
-Il podestà di Milano giurava comportarsi col miglior modo e senno
-all’utile della comunità, specialmente per la pace e le guerre; le
-convenzioni e concordie tra Milano ed altre città o private persone
-farà mettere in iscritto e conservare; il Comune manterrà nelle
-concordie e convenzioni e nelle concessioni e dazj, e a ricuperarli
-e serbarli; non sarà guida nè spia a danno della città, per servizio
-di niun suo nemico. Quando si trovi entro i pubblici fossati, ogni
-giorno monterà al suo uffizio, e la giustizia eserciterà a pro della
-repubblica, nè oltre venti giorni in tutto l’anno starà fuori del
-Comune; non commetterà furto nè frode, nè consentirallo ad altri, ed
-i commessi denunzierà nel pubblico arringo. A titolo d’uffizio non
-piglierà cosa alcuna nè egli nè sua moglie o figliuoli, e neppure nelle
-legazioni; nè avrà altro stipendio che di lire duemila, e il salario
-di cinque giudici. Nelle cause pertinenti a’ consoli di giustizia o
-del Comune, non darà alcun consiglio se non ai giudici; delle sentenze
-sue piglierà soltanto dodici denari per libbra, cioè dieci pel Comune
-e due pe’ giudici suoi; le sentenze da proferire non manifesterà
-se non ad un suo giudice ed al notaro che ha a scriverle, e saranno
-conformi alle leggi di Milano. L’appalto del viatico, del fodro, della
-moneta non delibererà, se non avuto il consiglio de’ savj. Rileverà i
-consoli di tutte le cause che pronunziarono di suo comando o precetto,
-e parimenti d’ogni giuramento in fine dell’uffizio suo. Non farà
-remissione di alcuna taglia, se non per cagione d’incendio, tempesta,
-povertà nota, od altra giusta causa approvata dal consiglio di
-credenza. Non prenderà alcun prestito se non fuori della giurisdizione
-in benefizio della repubblica. Ogni mese riceva e renda i conti,
-stendendone autentica scrittura; e si faccia rileggere il giuramento,
-diligentemente ascoltandolo. Villa nè borghigiano o rustico alcuno
-affranchi dai carichi imposti per la repubblica, senza il consentimento
-del comune consiglio. Le costituzioni del Comune non muti senza il
-consiglio di credenza. Faccia eseguire le sentenze proferite, e le
-pene contro i fornai delinquenti e i malfattori. Quelli posti nel
-bando per omicidio o congiurato, non permetta abitare nel comune di
-Milano, e le terre o abitazioni di quelli tenga incolte e devastate:
-non conceda verun uffizio o ambasciata a banditi, nè a falliti od
-infami: definisca le appellazioni fatte sopra cause di omicidj, bandi,
-incendj, battaglie, eccetto se l’appellante non dia all’avversario
-sicurtà della restituzion delle spese, giurando non aver dato niente
-al giudice delle appellazioni, nè ad altra persona fuor dell’avvocato,
-o per cavare scritture. Fedelmente ricercherà se niun ufficiale faccia
-frode: tutti i provvisionati del Comune costringerà a dar conto ogni
-quattro mesi de’ denari avuti per la comunità. Non farà o lascerà far
-ricerca sulle condanne date per gli antecessori suoi, nè sui denari
-spesi dal Comune per tali uffiziali. Giudei ed eretici deve sbandire da
-Milano e suo contado, dopo che per l’arcivescovo gli sieno denunziati;
-quelli che gli avessero ricettati ammonisca perchè fra venti giorni
-gli abbiano espulsi, altrimenti essi pure saranno posti nel bando, dal
-quale non si potranno cavare senza licenza ecclesiastica; le case loro
-faccia diroccare. Se alcuno statuto ritrovasse contrario alla Chiesa,
-lo annullerebbe. Finito il suo reggimento, quindici giorni dimorasse a
-Milano insieme colla sua comitiva, aspettando il sindacato (CORIO).
-
-La spada sguainata che si recava innanzi al podestà, esprimeva il
-diritto di sangue: ma spesso doveva esercitarlo con aspetto di guerra
-e di violenza. Alcun pubblico delitto era denunziato? dal balcone
-del palazzo egli sciorinava il gonfalone di giustizia, colle trombe
-chiamava i cittadini alle armi, e a capo loro moveva ad assediare la
-casa del reo. A Perugia sono uccisi due giudici, e si ordina di tener
-chiuse le botteghe finchè non siano scoperti i rei; e così stettero
-per tre mesi. — Giuro che, se alcun nobile, o non giurato in popolo,
-ucciderà o farà uccidere o consentirà che si uccida alcun anziano o
-notajo d’anziani o uomo giurato in popolo..., senza intervallo farò
-sonare la campana del popolo, e con quel popolo o alcuna parte di
-esso, con sterminato furore andrò alla casa di quel cotale uccisore,
-e innanzi che quindi mi parta, infino alle fondamenta farò disfare...
-E insino a tanto che la distruzione e il guastamento di tutti i beni
-del malfattore predetto, così nella città come nel contado, non sia
-compiuto di fare, nulla bottega d’arte o mestiere, o corte alcuna della
-città fia tenuta aperta». In tale sentenza ogn’anno giurava il capitano
-del popolo di Pisa; e aggiungeva che punirebbe il figlio pel padre, il
-padre pel figlio, non lascerebbe mai più coltivare o comprare i loro
-beni, darebbe un premio a chi li pigliasse o uccidesse[165].
-
-Tanto fin la giustizia assumeva aspetto di violenza, perchè le
-Repubbliche, a modo de’ feudatarj, traevano il diritto punitivo da
-quel della guerra privata e della vendetta personale, e i signori erano
-avvezzi a obbedire soltanto alla forza; onde non era se non la pubblica
-sostituita alla privata, e i castighi somigliavano alle rappresaglie
-delle passioni, le quali non si erano spente ma solo dirette,
-ignorandosi ancora la pacifica amministrazione.
-
-In somma il podestà comprendeva in sè l’antitesi della società
-d’allora. Come dittatore, veste carattere politico, assale, difende,
-bandisce, uccide, dirocca case e castelli, arma e disarma la città,
-conduce l’esercito; e riconoscendo due partiti ostili, due tendenze
-contrapposte, le regola col reprimerne una, cioè col limitare la
-libertà. Come giudice, veste carattere legale, semplice stromento della
-legge, innanzi alla quale si eclissano partiti, persone, famiglie; nè
-egli dee permettersi verun passo che offenda la libertà. Giurato ad
-osservar gli statuti, contornato da persone di legge, venuto da paese
-estraneo per amministrar con imparzialità; esposto al sindacato; eppure
-come dittatore è costretto a un’ingiustizia continua fra i due partiti
-in lotta; è esposto all’eventualità de’ conflitti; robusto in un
-momento di sollevazione, è inetto allorchè le due fazioni s’accordino
-in modo, che egli non possa valersi dell’una per reprimere l’altra.
-
-Di tanta autorità poteva facilmente abusare; onde fu assiepato di
-gelose precauzioni: ad invitarlo si deputavano persone religiose,
-estranie alle brighe; talvolta a sei e fin a tre mesi se ne limitò
-la durata, benchè talaltra venisse allungata[166]; in città non
-dovea contrarre parentele, non mangiare presso alcuno. La breve
-durata cagionava gli scomodi d’un perpetuo tirocinio; eppure durante
-l’effimera magistratura il podestà rimaneva arbitro delle vite,
-per la latitudine concessa dalle consuetudini. Il potere giudiziale
-esercitavasi troppo mescolatamente col politico, e la ragion di Stato
-soffocava la schietta voce della giustizia. Nelle rivoluzioni poi al
-podestà concedevasi balìa dittatoria, sicchè castigava a tumulto i rei,
-cioè la parte avversa e la soccombente. I Bolognesi nel 1192 tolsero a
-podestà Gherardo Scannabecchi loro vescovo, ma nojatisi di lui, vollero
-sostituirvi i consoli: il vescovo s’ostinava a tener il potere, sinchè
-una levata di popolo lo gittò in fuga. I Pisani chiesero podestà papa
-Bonifazio VIII, ed egli accettò collo stipendio di quattromila fiorini:
-altrove fu podestà un re. Il sindacato non era una cautela politica
-contro gli abusi del potere, giacchè si facea sol dopo scaduto di
-carica, ma una salvaguardia della moralità e un risarcimento ai danni
-privati, derivato esso pure da consuetudini romane[167]. N’usciva con
-lode? il podestà riceveva dal Comune un pennone, una targa o altro
-segno; a Giovanni Raffacani fiorentino gli Orvietani nel partire
-posero in capo una corona d’oro, e gli diedero una spada e uno scudo
-con gran trionfo[168]; e non v’è città che non serbi una lapida o
-l’effigie d’alcuno: onorificenze dappoi profuse per piacenteria o per
-amistà[169].
-
-Procedendo a tentone come gente inesperta, al primo sconcio che
-apparisse mutavano forma di governo, salvo a tornare fra pochi mesi al
-primiero. Fu volta che, scontenta del comune aristocratico, la plebe
-elesse un capitano suo proprio, straniero anch’egli, che per un anno
-o per sei mesi la tutelasse[170]; talaltra nominavasi un capitano
-di guerra, che dimezzava il potere dei predetti, avendo in mano la
-forza. In Bologna il comune dei nobili era preseduto dal pretore; i
-non nobili formavano il popolo, con un prefetto o capitano. Milano nel
-1186 eleggea primo podestà Uberto Visconti; l’anno appresso tornò al
-consolato; nel 1191 usava ancora un podestà, tre nel 1201, cinque nel
-seguente, tre ancora nel 1204. Firenze erasi divisa in dodici arti;
-sette maggiori, de’ giureconsulti e notaj, de’ mercanti di panno in
-Calimala, de’ cambisti, lanajuoli, medici e speziali, mercanti di
-seta, pellicciaj; e cinque minori, de’ bottegaj, macellari, calzolaj,
-muratori e falegnami, mariscalchi e magnani: ed anche il nobile che
-volesse impieghi doveva essere in qualcuna matricolato. Nel 1294
-creatasi la signoria dei priori delle arti e della libertà, alla
-prima elezione non presero parte che le tre prime, alla seconda sei,
-a ciascuna delle quali toglievasi un priore, rinnovandoli ogni terzo
-mese. Viveano in comune a pubbliche spese, non uscendo di palazzo per
-quanto la balìa durava; rappresentavano lo Stato, ed esercitavano il
-potere esecutivo; ed uniti coi capi e coi consigli o capitudini delle
-arti maggiori, con alcuni aggiunti (_arroti_) nominavano a scrutinio i
-proprj successori[171]. Mal rassegnandosi i nobili a questa oligarchia
-plebea, fu introdotto nel 1292 il gonfaloniere della giustizia, per
-reprimere i perturbatori della quiete: e quand’egli esponesse la
-bandiera sul pubblico palazzo, i capi delle venti compagnie doveano
-raggiungerlo, per assalire con lui i sediziosi e punirli. Quest’esempio
-trovò i seguaci.
-
-Un abate del popolo o molti incontriamo altrove: un doge al modo di
-Venezia assumevano ne’ maggiori frangenti Pisa e Genova; trasferendo
-in esso ogni pubblico potere, salvi però i collegi delle arti e i
-pubblici ordinamenti. In Bologna l’autorità sovrana era divisa fra
-il podestà, i consoli e tre consigli, cioè il generale, lo speciale
-e quel di credenza: nel primo entravano tutti i cittadini sopra i
-diciott’anni, esclusi gl’infimi artieri; il secondo era di seicento;
-nell’altro di minor numero aveano luogo tutti i giureconsulti paesani.
-Dicembre entrante, i due primi consigli venivano convocati dai consoli
-o dal podestà, e messe innanzi al loro tribunale due urne coi nomi
-dei componenti essi consigli; e da ciascuna delle quattro tribù in
-cui era partita la città, estratti a sorte dieci elettori, venivano
-rinchiusi insieme, ed obbligati, entro ventiquattr’ore, a nominare,
-colla maggioranza di ventisette voti, quei che dovessero entrare ne’
-consigli. Ai consoli o al podestà spettava l’iniziativa degli affari,
-che poi erano decisi dai consigli, dove per lo più quattro oratori soli
-avevano la parola, gli altri limitavansi a votare.
-
-È questo uno dei mille modi coi quali fu dai Comuni del medioevo
-affrontato quel che oggi pure è intricato problema dei paesi
-costituzionali, le elezioni. Nulla è men sincero che il voto emesso
-dall’intera nazione radunata, dove esso va confuso collo schiamazzo
-plebeo o la tresca astuta, dove non tutte le classi sono equamente
-rappresentate, dove l’ignaro e l’intrigante valgono l’onesto
-e illuminato, e la libertà ne va il più spesso alla peggio. Si
-procurarono dunque varj ripari, per lo più ricorrendo alla sorte o a
-complicatissime combinazioni, di cui Venezia e Lucca particolarmente
-offrono bizzarri esempj.
-
-In Venezia il doge ne’ primi sei secoli era scelto dal popolo; dopo
-il 1173 da undici elettori; dopo il 1178 il maggior consiglio cerniva
-quattro commissarj, ciascun de’ quali nominava dieci elettori,
-cresciuti poi a quarantuno nel 1249. Così durò fino al 1268, quando,
-per cansare il broglio, s’introdusse la più strana complicazione.
-I membri d’esso consiglio metteansi a squittinio con palle di cera,
-trenta delle quali chiudevano una cartolina iscritta _elector_: dei
-nove cui toccavano le fortunate, due venivano esclusi, gli altri
-designavano quaranta elettori, i quali col metodo stesso riduceansi
-a dodici. Il primo di essi ne eleggeva tre, due gli altri, e tutti
-venticinque doveano essere confermati da nove voti; poi ridotti a nove,
-ciascuno doveva indicarne cinque, e tutti i quarantacinque ottenere
-almeno sette voti. I primi otto tra questi ne _cappavano_ quattro
-ciascheduno, e tre i tre ultimi; onde venivano quarantun elettori, che
-messi ai voti, doveano riportare almen nove delle undici palle. Se un
-elettore nel maggior consiglio non conseguisse l’assoluta maggioranza,
-restava escluso, e gli undici dovevano surrogarne un altro. Così cinque
-ballottazioni e cinque scrutinj producevano i quarantun elettori. Di
-botto erano chiusi in una sala, finchè non avessero nominato il doge;
-trattati splendidamente, liberi di chiedere qualunque capriccio, ma
-quel che uno domandasse era dato a tutti: uno volle un rosario, e
-se ne recarono quarantuno; un altro le favole d’Esopo, e fu fatica
-il ritrovarne altrettanti esemplari. Gli elettori nominavano tre
-presidenti priori; indi due segretarj che restassero chiusi con essi.
-Allora per ordine d’età venivano chiamati innanzi ai priori, e ciascuno
-di proprio pugno scriveva sopra una scheda il nome del proposto, che
-dovea aver compiuti i trent’anni ed appartenere al maggior consiglio.
-Un segretario, tratto a sorte uno di que’ viglietti, ne pubblicava il
-nome, e ciascuno potea fare gli appunti che credesse. Passatili tutti
-in rassegna, mandavasi ai voti, e sortiva doge quel che ne conseguisse
-almeno venticinque. A questo modo fu eletto per la prima volta Lorenzo
-Tiepolo[172].
-
-A Lucca era condizione d’eleggibilità il censo[173]; e supremo
-magistrato i nove anziani, tra cui il gonfaloniere; poi un consiglio di
-trentasei, e il consiglio generale di settantadue. La signoria sedeva
-due mesi, e chi era seduto avea divieto due anni; essa scompartivasi
-coi trentasei gli onori e gli utili dello Stato. «Imborsano (dice il
-Machiavelli), ogni due anni, tutti quelli signori e gonfalonieri, che
-nelli due anni futuri debbono sedere; e per fare questo, ragunati che
-sono i signori con il consiglio de’ trentasei in una stanza a questo
-ordinata, mettono in un’altra stanza propinqua a quella i segretarj
-dei partiti con un frate, ed un altro frate sta sull’uscio che entra ai
-segretarj, quello a chi ei rende il partito, e a chi ei vuole che altri
-lo rendano; dipoi ne va innanzi ai segretarj, e mette una ballotta nel
-bossolo. Tornato che è il gonfaloniere a sedere, va uno dei signori di
-più tempo, poi vanno tutti gli altri di mano in mano; dopo i signori
-va tutto il consiglio, e ciascuno quando giunge al frate domanda chi
-è stato nominato ed a chi egli debba rendere il partito, e non prima;
-talchè non ha tempo a deliberarsi, se non quel tempo che pena a ire dal
-frate ai segretarj. Renduto che ciascuno ha il partito, e’ si vôta il
-bossolo, e s’egli ha tre quarti del favore, egli è scritto per uno dei
-signori; se non l’ha, è lasciato ire fra i perduti. Ito che è costui,
-il più vecchio dei signori va e nomina un altro nell’orecchio al
-frate; dipoi ciascuno va a rendergli il partito, e così di mano in mano
-ciascuno nomina uno, e il più delle volte torna loro fatta la signoria
-in tre tornate di consiglio. E ad avere il pieno loro conviene che
-gli abbiano centotto signori vinti, e dodici gonfalonieri: il che come
-hanno, squittinano infra di loro gli assortitori, i quali assortiscano
-che questi siano i tali mesi, e quelli i tali, e così assortiti, ogni
-due mesi si pubblicano».
-
-Tanto basti a chiarire quanto lontani dall’uniformità fossero quei
-reggimenti. Nell’interno durava la diversità delle persone: e primi
-erano i militi, derivanti dagli antichi feudatarj e da arimanni
-e baroni; seguivano gli ecclesiastici; poi i leggisti, col nome
-di _judices, advocati, procuratores_; indi i _paratici_, cioè le
-corporazioni d’artieri; ultimi i popolani[174]. Allato della libertà
-comunale sussistevano privilegi feudali, ecclesiastici, regj, consorzj
-di famiglie e d’arti; servitù di possessi e di persone; libertà
-romana, clericale, barbarica. In alcuni paesi, massime nel Piemonte,
-molti Comuni rimanevano sotto la supremazia immediata dell’imperatore
-o de’ suoi vicarj, laonde non godeano l’intera sovranità, cioè il
-diritto di pace, guerra, moneta, e la suprema giurisdizione, ma
-del resto si governavano senza differenza dagli altri, giacchè le
-franchigie comunali si credeano parte del diritto pubblico interno, e
-l’amministrare distinguevasi dal regnare. La città d’Ivrea, dandosi nel
-1313 ad Amedeo V conte di Savoja, stipulava che il podestà, i giudici
-e gli altri uffiziali di giustizia conserverebbero il mero e misto
-imperio, e si farebbero gli statuti come per l’addietro.
-
-Rimanevano traccie del diritto personale alla germanica[175]; ma
-prevaleva il diritto romano, nelle diverse città modificato da una
-moltitudine di ordinanze municipali. Gl’imperatori seguitarono a
-far leggi nella dieta nazionale, ma concernevano soltanto feudi,
-vassalli, monasteri: mentre era nella natura de’ popoli germanici che
-o la consuetudine o il consenso de’ migliori e maggiori della terra
-producessero un gius privato.
-
-Profittando della facoltà ottenuta nella pace di Costanza, tutte
-le repubbliche tradussero le consuetudini in leggi compilando
-statuti proprj; e fin borgate, fin monasteri vollero averne di
-particolari[176]. Erano decreti relativi all’uffizio de’ magistrati o
-all’amministrazione del pubblico; poi alla polizia, a pesi e misure,
-alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma occorreva
-ai bisogni ed ai costumi. Obbligavano soltanto gli accomunati, non i
-feudatarj, non i corpi o le persone immediatamente dipendenti dal re.
-Aggiravansi ora sopra l’applicazione della legge romana o longobarda,
-ora sopra la consuetudine; e v’avea talvolta regolamenti distinti
-per le due giurisprudenze, come a Pisa un _constitutum legis_ e un
-_constitutum usus_.
-
-Francesco da Legnano diceva a Matteo Visconti: — Voi giurerete reggere
-il popolo nel nome del Signore da oggi innanzi fino a cinque anni
-con buona fede, senza frode; e di custodire e salvare esso popolo e
-gli statuti; e _dove questi taciano, starete alle leggi romane_». È
-questo il cenno più antico del diritto comune, chiamato in supplimento
-alla legge municipale[177]. Il diritto comune conteneva i principii
-generali di giustizia, applicabili nell’interesse sì del pubblico
-sì de’ privati; il municipale era legge di eccezione, riguardante
-le qualità e i diritti particolari di ciascun Comune. Il primo era
-spiegato per scienza, e solo l’imperatore avrebbe potuto aggiungervi
-qualche costituzione: negli statuti venivano fatte aggiunte o deroghe
-secondo l’opportunità dai magistrati municipali. Il primo conteneva la
-ragione scritta, e progredita mediante gli studj legali e filosofici:
-negli statuti si trova la storia contemporanea di cadaun Comune, e
-l’espressione dei costumi e delle credenze.
-
-Sopravviveano le consuetudini germaniche del mundio, del comporsi a
-denaro, delle prove di Dio, del duello giudiziario, non però colla
-spada ma con bastone e scudo in presenza del popolo e d’un console.
-Pene sproporzionatamente feroci si applicavano, come era nello statuto
-milanese lo strappar un occhio al ladro la prima volta, la seconda
-troncargli le mani, alla terza la forca[178]. Dalle libertà germaniche
-proveniva la legge in molti ripetuta di non arrestare alcun cittadino
-se non per ordine de’ consoli; l’_habeas corpus_, di cui si compiaciono
-così giustamente gl’Inglesi[179]. Qualche vestigio vi rimane ancora
-delle antiche associazioni, dove tutti erano interessati alla sicurezza
-de’ singoli, perchè del danno sofferto doveano compenso: così in una
-convenzione del 1219 fra Bergamo e Brescia è statuito che se qualche
-Bresciano, fra giorno, sia da’ masnadieri derubato sulla strada
-reale che mette a Milano, il comune di Bergamo deva fra venti giorni
-risarcirlo; altrettanto pei Bergamaschi[180]. Quel di Mantova rifaceva
-i danni per manomessione di argini e campi, e così per incendj; del
-forestiero rendeva garante l’ospite o l’albergatore, che doveva subito
-notificarlo[181].
-
-In generale tu vi scorgi una diffidenza continua verso i vicini e tra
-gli stessi accomunati; poi sottentra la cura di mantenere distinte
-le classi; e i beni e l’autorità ristretti in poche famiglie; una
-fiscalità argutissima; le donne escluse dalle successioni, ricevendo
-a saldo la dote. Da alcuno vedemmo abolite le servitù personali;
-quel di Modena del 1221 cancellò perfino ogni possesso o dipendenza
-feudale[182]; e le tante gelosissime diligenze attorno ai contratti,
-ai fitti, alle enfiteusi, alle usure, danno a vedere la crescente
-importanza della ricchezza mobile e della agricola, e come questa
-si sminuzzasse affinchè un maggior numero ne ritraesse vantaggi
-individuali. Ma di quel volere ingerirsi d’ogni atto gli appunteremo
-noi, se fin oggi i governi non hanno imparato che la loro attribuzione
-razionale si riduce alla legittima difesa dei diritti degli individui?
-
-Ne conseguiva che non potesse uniformemente amministrarsi la giustizia:
-e la parte peggiore d’esse Repubbliche era appunto questa, che è
-quella di cui più immediatamente i cittadini risentono. V’avea giudici
-del re, ve n’avea del municipio, del podestà, del feudatario, oltre
-gli ecclesiastici. I rettori della Lega Lombarda, quando si univano
-or qua or là per gl’interessi comuni, ricevevano anche l’appello da
-sentenze di consoli, al modo che soleano un tempo i re d’Italia[183];
-i quali pure non cessarono d’esercitare questa supremazia qualvolta qui
-tenessero dieta.
-
-La giurisdizione dei vescovi si restrinse ai loro feudi; e ampliandosi
-il reggimento repubblicano, i consoli talvolta pretesero sentenziare
-anche sopra persone ecclesiastiche, per quanto i concilj vi si
-opponessero[184]. I feudatarj laici o cherici amministravano la
-giustizia personalmente, o per via di gastaldi e nunzj, i quali
-solevano affidarla a giudici scelti fra gli abitanti del luogo; e da
-loro davasi appello al giudice feudale, il quale però nulla poteva
-direttamente sopra i cittadini che abitassero nel fondo. Le cause
-feudali erano riservate a un doppio tribunale de’ pari maggiori e
-minori, ed alla regia curia.
-
-In Firenze il podestà e il capitano di giustizia, sempre forestieri,
-abitavano quello nel palazzo del Comune, questo nel palazzo del
-popolo, entrando nell’annuo uffizio l’uno a maggio, l’altro a
-gennajo, e ambidue conoscendo delle cause civili e delle criminali. Il
-podestà conduceva sette giudici, tre cavalieri, diciotto notaj, nove
-berrovieri, tutti non toscani; e quello colla sua famiglia riceveva
-seimila lire, l’altro seimila cinquecento. Il podestà deputava uno
-de’ suoi giudici ogni due sestieri della città per inquisire ne’ casi
-criminali: nessuno poteva dar querela se non al giudice del proprio
-sestiere: il reo seguiva il fôro dell’attore, i forestieri sceglievano
-qual volessero. Nelle cause di poco momento si procedeva sull’istanza
-dell’ingiuriato o di un suo parente; nelle gravi, di chicchefosse,
-purchè sottoscritta; d’uffizio, nel caso che l’ingiuriato ricusasse di
-farlo. L’accusatore giurava proseguire la causa, dandone malleveria
-per cento soldi: il reo citavasi a spese dell’attore. Le esamine
-si scriveano, convincevasi per testimonj, e al reo si assegnavano
-dieci giorni a difendersi. Entro venticinque giorni il giudice doveva
-esaminar la causa, e conferirla con altri giudici e col podestà; poi
-fra cinque altri proferire la sentenza. Le cause civili in prima
-istanza conoscevansi dai giudici de’ sestieri, cittadini dottori,
-mutabili ogni sei mesi e pagati. L’appello recavasi al giudice annuo,
-forestiero e dottore; se confermasse, la causa passava in giudicato;
-se no, recavasi al podestà, con quattro giudici collaterali pronunciava
-definitivamente. Del capitano del popolo erano competenza le violenze,
-estorsioni, falsità a lui denunziate, le cause riguardanti estimo
-e gabelle, e i delitti di cui il podestà non proferisse fra trenta
-giorni. I cavalieri andavano in volta coi berrovieri, cercando i
-violatori degli statuti; in molti casi non poteasi catturare alcuno se
-non in loro presenza; o in difetto supplivano i notaj, cui uffizio era
-coadjuvare i giudici. S’aggiunga la corte del vescovo, l’inquisitore
-dell’eresia, il giudice sopra le gabelle, quello dell’appellazione, e
-forse altri, chè ciascuno teneva ragione e corda da tormentare. Ciò
-che è più strano, cittadini nelle proprie abitazioni esercitavano
-il diritto punitivo, e i Bostichi «collavano gli uomini in casa
-loro, in mercato nel mezzo della città, e di mezzodì li mettevano al
-tormento»[185].
-
-Tante giurisdizioni nel territorio d’una sola repubblica! Collegi di
-giureconsulti trovansi fin nell’XI secolo[186]; crebbero nel XIII in
-tutte le città, dove pure se ne formarono di notaj, che pigliaronsi
-il diritto di nominare i proprj colleghi. I giudici milanesi giuravano
-valersi del voto d’un giurisprudente, sentenziare in buona fede secondo
-le leggi, non concedere al reo oltre otto giorni per rispondere,
-proferire fra quattro mesi dopo la contestazione, e mettere in
-iscritto la sentenza nelle cause che eccedessero i soldi quaranta
-di terzuoli[187]. La semplicità e la speditezza mal redimevano dal
-pericolo dell’ignoranza, della passione, dell’arbitrio; e troppo mal si
-pensava a concordare la libertà di tutti colla sicurezza de’ singoli.
-Al senatore di Siena un Cenni accusa per ladro Durdo di Naccino: quegli
-trovando tutto il contrario, fa vestire Durdo di bianco, e andare
-innanzi coll’ulivo in mano, e dietro a lui il Cenni vestito di nero; e
-giunti al luogo del supplizio, questo è appiccato, l’altro dimesso. Un
-Fiorentino avendo rotto il bando, fu condannato alle forche. Il podestà
-Nicola Rosso, prima di mandarvelo, gli domandò se avesse moglie.
-— L’ho, e bella; e se la tiene il tal cittadino». Era il cittadino
-appunto che avea brigato per farlo eseguire, poi denunziatolo per la
-rottura del bando; e il podestà fe togliere il capestro al condannato e
-stringerlo a costui, per quanto reclamassero i parenti[188]. Sarà stata
-giustizia, ma chi, se non un Turco, soffrirebbe modi così assoluti?
-
-Uno dei Ricci di Firenze, sullo scorcio del secolo XIV, scrisse di
-alcuni insigni personaggi della sua famiglia, tra’ quali molto lodato
-messer Rosso di Ricciardo, che fu capitano de’ Fiorentini nel 1370
-contro Bernabò Visconti. Essendo podestà a Perugia, ebbe deposizione
-da un ladro che, ascososi in una cava per rubare, vide un cittadino
-condurvi un suo nipote, e quivi ucciderlo e sepellirlo. Il Ricci
-mandò a cercare nella cava, e trovate le ossa, fece recarsele in un
-sacco. Ma poichè l’uccisore era di grand’animo e séguito in città,
-lo chiamò a sè con amichevoli apparenze, poi mostrategli le ossa, lo
-indusse a confessare il delitto. Subito in città si leva gran rumore,
-gente armata viene in piazza; e il podestà li tiene a buone parole, ma
-intanto fa impiccare il cittadino. Quella fermezza sgomenta i faziosi,
-che tornano a disarmarsi; e quando scadde egli fu commendato e onorato.
-Al ladro denunziatore avea promesso salva la vita, ma gli fece troncar
-le mani.
-
-In Norcia redimevasi ancora l’omicidio a denaro: e mentre vi sedeva
-podestà esso Ricci, due cittadini uccisero un altro. Presi per ordine
-di lui, quelli confessarono il delitto, ma d’aver pagato ducento lire
-per ammenda. Ciò non ostante esso li condannò a morte: e andando i
-signori del paese a lamentarsene, rispose che così gli era paruto il
-giusto; ma se ad essi sembrassero morti immeritamente, ecco, pagava
-loro l’ammenda. Così li chiariva come fosse iniqua tal legge, e «la
-fe correggere che, chi uccidesse alcuno, lo dovesse pacificare colla
-propria vita e non altrimenti»[189].
-
-Rechiamo un esempio di giudizj regolari. Andrea vescovo di Luni e i
-marchesi Malaspina e Guglielmo Francesco essendo in guerra, la città di
-Lucca, che gli aveva presi in amicizia, spedì persuadendoli a pace. Le
-due parti subito vennero a Lucca, e in Sant’Alessandro si congregarono
-da _sessanta consoli_ e molte altre savie persone, e chiesero che
-le parti li costituissero arbitri della contesa; e quelle promisero
-stare al lodo, sotto pena di cento libbre d’oro fino. Qui Guglielmo
-d’Apulia, avvocato dei Malaspina, narrò come, essendo questi andati
-coi loro militi al Pozzo nel Monte Caprone per edificarvi un castello,
-l’esercito del vescovo si fè loro incontro per cacciarneli, con grave
-guasto d’uomini e di cavalli: i marchesi, valorosamente resistendo,
-ascesero il poggio, e cominciarono la fabbrica. Chiedeva dunque al
-consolato che il vescovo dovesse rifare i danni che recò coll’esercito,
-senz’avere tampoco premoniti i marchesi, come a vescovo conviene.
-
-Il vescovo rispose che al marchese Guglielmo, il quale gli aveva
-giurato libertà, esso avea fatto sentire che il fabbricar quel castello
-gli sarebbe rincresciuto quanto il cavargli il fegato, perchè ne
-rimarrebbe diminuito e quasi annichilato il vescovado: al Malaspina
-non fe motto perchè gli era nemico. Maginardo di Pontremoli arringò
-pel vescovo; non dover questi verun compenso, attesochè quel castello
-fabbricavano a ruina del vescovado, e sopra terra in gran parte a
-questo appartenente. Interrogato intorno a tale possesso dall’avvocato
-avversario, Maginardo rispose che il vescovo Filippo comprò la parte
-che spettava al marchese Folco, parte ebbe in legato da Malnevote,
-parte in dono dal marchese Pelavicino[190].
-
-Oppose Guglielmo che del lascito di Malnevote non era a tener conto,
-perchè lo fece da disennato e in odio del fratello: il Pelavicino poi
-e il Folco non poteano disporre di esso monte, perchè il monte e i
-coloni suoi erano stati divisi in modo, che una metà toccò in comune al
-proavo del Pelavicino e a quello del marchese Guglielmo; l’altra metà
-al proavo di Malaspina e all’avo di Atone marchese, nella qual parte
-cadeva il poggio disputato; che, fatta la divisione, rimase al proavo
-di Malaspina.
-
-Bisognando recar le prove di lutto ciò, fu chiesta una proroga, spirata
-la quale, produssero gli istromenti e i testimonj, nessun de’ quali era
-decisivo. E poichè i consoli erano arbitri non solo secondo le leggi e
-il diritto, ma anche come meglio volessero, proferirono che metà d’esso
-poggio spettava alla chiesa di Santa Maria, vietando ai marchesi di
-fabbricarvi il castello od altro; dovendo i vescovi esser più benigni
-ai laici, che non questi a quelli, il vescovo compensi dei danni fatti
-ai marchesi con mille soldi lucchesi; i marchesi prometteranno nè essi
-nè i loro eredi più nulla pretendere di quella metà del poggio; se
-no, paghino cento libbre d’oro; e così pure il vescovo; gli uomini dei
-marchesi abbandonino quella metà, e sia distrutto ogni cominciamento
-del castello; in presenza loro si diano la parola e il bacio di pace.
-
-Gregorio legisperito fu rogato di quest’atto al 15 avanti le calende
-di novembre 1124, e vi si sottoscrissero le parti e i consoli: la
-sentenza fu confermata e sottoscritta da Leone, giudice costituito
-dall’imperatore Enrico, ed eletto arbitro in questa causa[191].
-
-Qui parlammo dei Comuni sovrani; ma questi s’erano sovraposti a ville
-e borgate, cui lasciavano la giurisdizione solo in limiti ristretti;
-ed anche città, nelle quali esercitavano superiorità, e ne impedivano
-il libero governo, senza però riformare il Comune per assimilarlo a
-sè. Como mandava il podestà a Lugano, Mendrisio, Bellagio, Menaggio,
-Teglio, alle Tre Pievi del Lago, ai terzieri della Valtellina, a
-Chiavenna, Poschiavo, Sondrio, Ponte, Porlezza, Bormio, i cui abitanti
-doveano tre volte l’anno condursi a Tresivio per ricevere giustizia dal
-podestà di Como, e recarvi le appellazioni. Pisa inviava il capitano
-a Piombino, che amministrasse la giustizia anche a Populonia, Porto
-Baratti e all’isola d’Elba.
-
-I Fiorentini nel 1181 sottoposero il Comune d’Empoli, appartenuto
-dapprima ai conti Alberti, e l’obbligarono a giurare sui vangeli di
-custodire e ajutare ogni persona di Firenze e de’ suoi borghi: se
-alcuno del loro Comune danneggi qualche Fiorentino, l’obbligheranno a
-rifare i danni tra quindici giorni: chiesti dal magistrato di Firenze,
-andranno a oste e a cavalcata e guerre e paci, e faranno come quello
-vorrà, purchè non sia contro il conte Guido. Al san Giovanni d’ogni
-anno davano ai consoli di Firenze cinquanta libbre di buoni denari, e
-alla chiesa maggiore un cero[192].
-
-I Perugini si erano sottomessi non solo i Catani, ma le città vicine,
-che tutte doveano mandare il pallio nella solennità di sant’Ercolano;
-Spoleto doveva aggiungervi un cavallo covertato di scarlatto; così
-Sarteano, oltre cento fiorini d’oro in una coppa d’argento; le
-città di Castello e di Gubbio lasciavano che Perugia prendesse parte
-all’elezione dei consoli; Montepulciano ne riceveva il podestà, che
-per sei mesi doveva esser de’ nobili, per sei de’ popolani, con piena
-giurisdizione criminale e civile, e la custodia delle chiavi delle
-porte e de’ fortilizj; e nel giorno di sant’Ercolano spedire il pallio
-che valesse almeno venticinque fiorini d’oro, da presentarsi a piè
-della scalea di San Lorenzo. Assisi scosse l’ubbidienza; ma costretta
-calare a patti, i Perugini v’entrarono il 1322, uccisero più di cento
-ribelli, e ridussero quel paese a contado, diroccandone le mura.
-
-Padova si arrogò di eleggere il podestà di Vicenza. A quest’uopo
-raccolto il maggior consiglio, estraevansi da un’urna quaranta
-polizze, e quelli cui la polizza toccasse divenivano elettori. Questi
-quaranta si chiudeano nella chiesa del palazzo, accendendo una dopo
-l’altra due candelette da due denari; e prima che fossero consumate,
-essi doveano eleggere, fuor di loro, tre cittadini: fra i quali poi
-la sorte designava il podestà. Se non fosse cavaliere, veniva fatto;
-avea tremila lire di stipendio, dovea dar mille marche d’argento per
-malleveria al Comune, e la sua corte era tutta di Padovani.
-
-Casale sul Po, fabbricato, dicono, da re Liutprando appo una chiesa
-di Sant’Evasio, fu città libera, ma debole, sicchè presto venne a
-soggezione de’ Vercellesi. I quali nel 1170 impongono agli uomini di
-esso che di buona fede salvino e custodiscano le persone e cose dei
-Vercellesi; di là alla festa di san Michele abbiano alzate e finite
-cento braccia delle mura di Vercelli, dove i consoli consegneranno
-loro i rottami d’altra cerchia: se i Vercellesi assumano guerra, essi
-pure l’abbiano di buona fede: ogni decennio i Casalaschi dai quindici
-anni fino ai sessanta prestino il giuramento ai consoli di Vercelli:
-se questi domandino il passaggio del Po per tragittare l’esercito o
-una cavalcata, non devono negarlo[193]. Lo stesso Comune agli abitanti
-di Trino concedeva di cacciare, pescare, pascolare nel loro distretto;
-non daranno alloggi; per cinque anni li provvederà di fieno, paglia e
-legno, purchè osservino i bandi di Vercelli; in tempo di guerra non
-riscoterà fitto delle terre; non saran tenuti a venire al podestà o
-ai consoli vercellesi per contratti fatti da qui indietro, salvo che
-per omicidj o per appellazioni; possano far legna nel bosco pagando un
-fitto[194].
-
-Il Ghirardacci reca la formola con cui quelli di Monteveglio si
-sottomisero al Comune di Bologna: — Noi uomini di Monteveglio diamo il
-castello nostro al popolo di Bologna, con tutti i cavalieri e i fanti,
-per far guerra contro tutti i nemici suoi che sono o saranno, come più
-piacerà al pretore o a’ consoli; e con giuramento affermiamo di salvare
-i Bolognesi e le fortune loro, promettendo mandarvi l’esercito a nostre
-spese qualunque volta ne saremo richiesti, insino al fiume Secchia e
-dalle alpi alle paludi; e promettiamo pagare il tributo per quei che
-abitano dalla parte del fiume Samoggia. E tutto questo osserveremo
-contro chicchessia, eccettuato l’imperatore o duca o altro che tenga
-o terrà il patrimonio della contessa Matilde a nome dell’imperatore.
-Domandiamo però che i consoli bolognesi insieme col consiglio giurino
-conservare Monteveglio e i suoi abitatori e le facoltà loro, e che
-non ci abbiano a togliere il castello; e se in alcun tempo i Bolognesi
-facessero guerra all’imperatore, ci difendano colle nostre fortune, e
-ottenendo la pace, la impetrino anche per noi».
-
-Altre volte i Comuni fondavano ville e borghi con diritti e riserve
-speciali.
-
-I consoli e gli uomini di Vercelli nel 1197 stabiliscono che il
-luogo di Villanova rimanga libero e assoluto in perpetuo, ad onore e
-comodità del Comune vercellese, talchè nessuno presuma dagli abitanti
-estorcere fodro o bando o curadia o correggio o capponi o focaccie
-o spalle; nè pretenda sulla pesca, su alloggi, su giurisdizione
-qualunque. Essi abitanti coi loro eredi sieno liberi e immuni; salvo
-che, quei che n’hanno diritto, possano costruire molini, e dare terre
-da coltivare sia a terzo, o a fitto, o con qualsiasi altro patto.
-Essi abitanti restino liberi possessori dei sedimi a loro assegnati,
-potendo venderli, donarli, mutarli, distrarli. Nessuna forza vi si
-possa introdurre, se non dal Comune vercellese. Nessun de’ signori deva
-abitare in esso borgo, nè avervi diritto o giurisdizione.
-
-Nel 1217 Vercelli stessa fondava Borgofranco, con fossati, quattro
-porte, quattro battifredi, chiesa di legno e graticci, coperta di
-tegoli, agli abitanti assegnando un sedime di casa ciascuno, sul
-quale si conduceano tre carri di legname d’opera a spese del Comune,
-e mattoni e tegoli quanti occorrono. Abbiano la strada da Casale e da
-Pontestura, mercato, pascolo verso Vercelli. Gli abitanti non devano
-render ragione ad uomini che non siano della giurisdizione vercellese,
-de’ contratti o danni fatti anteriormente, se non sul luogo stesso e
-sotto i loro proprj consoli. Avranno venti mansi del bosco di Lucedio
-a venti soldi il manso di fitto. Siano loro concesse per quattro anni
-tutte le spese del Comune: dopo cinque anni pagheranno il fodro, come
-i cittadini vercellesi: e come questi pagheranno la legna del bosco di
-Lucedio. Se alcuno muore senza erede, possa la sua parte vendersi ad
-altri fuor della giurisdizione di Vercelli.
-
-Ivrea nel 1250 fondava Castelfranco, invitando ed anche costringendo
-andarvi ad abitare gli uomini di Bolengo, Pessano, Anipesso, e farvi
-guaite, scaraguaite, e ogni arredo di castello: a ciascuno si daranno
-abitazioni in proporzione di quelle che lasciano. Saranno considerati
-come abitanti d’una porta di Ivrea: liberi e franchi, giacchè
-inestimabil dono è la libertà, nè ben si venderebbe per tutto l’oro del
-mondo. Siano dunque immuni dal fodro, dal banno, dalla giurisdizione,
-dall’esercito, dalla cavalcata, dalla successione; abbiano il mero e
-misto imperio; si farà uno statuto, che le podestà di Ivrea giureranno
-d’osservare[195].
-
-1 Comuni erano una specie d’associazione contro gli abusi e le
-prepotenze: sicchè quando la forza pubblica non sapesse o volesse
-provvedervi, formavano associazioni particolari, solito rifugio delle
-libertà, perchè coll’attenzione e anche colla forza garantissero i
-diritti, e che venivano a formare uno Stato nello Stato. E come già
-v’aveva alberghi di nobili, cioè aggregazioni di famiglie derivanti
-da ceppo comune, o unite per accordo, così il popolo pensò fare
-altrettanto col restringersi in leghe o in maestranze, onde col numero
-equilibrare la potenza o l’accortezza maggiore.
-
-Nel 1198 il popolo di Milano, scontento dei nobili, istituì la credenza
-di Sant’Ambrogio, detta anche de’ Paratici, cioè degli artigiani,
-affidando la propria tutela ad un tribuno, e assumendo per divisa
-una balzana bianca e nera; i mercanti e le arti liberali stabilirono
-la Motta, che inclinava al governo d’un solo; i nobili rinserraronsi
-in quella de’ Gagliardi; i catanei e valvassori, che teneano fondo
-dai nobili, ne formarono una quarta sotto l’arcivescovo, pretendendo
-recuperare a questo il dominio temporale della città: ciascuna avea
-consoli proprj, pubblicavano editti e decreti, ed esercitavano atti di
-giurisdizione sovrana.
-
-Siffatte erano in Bologna la lega della Giustizia; in Vercelli le
-società di Sant’Eusebio e Santo Stefano; in Asti quelle di Castello
-e dei Solari. A Firenze verso il 1260 i pivieri di campagna eransi
-raccolti in quarantatre leghe, ciascuna delle quali ricevea dalla
-Signoria ogni semestre un capitano _cittadino e popolano della città
-di Firenze e veramente guelfo;_ prometteano non ricettare i banditi
-l’una dell’altra; nessuno potea ricusare gli uffizj affidatigli dalla
-lega[196]. Siena era divisa per _terzi_, e ciascuno di questi in circa
-venti _contrade_, ognuna delle quali eleggeva un capitano e un alfiere,
-preseduti dal gonfaloniere del terzo. A Genova fin dal 1130 fra sette
-poi otto _compagne_ vedemmo divisi tutti i cittadini: e ognuno ajutava
-i proprj membri contro ingiustizia e violenza qualsifosse, fin alla
-morte degli avversarj; e da ciascuna si traeva un’egual contribuzione
-di cavalli, fanti e denaro[197].
-
-Talvolta tre o quattro persone con atto pubblico si costituivano in
-fratellanza, stipulando comunione di beni e reciprocamente difenderli
-e succedersi. Talaltra alquante famiglie formavano una consorteria,
-pigliando un nome comune, fabbricando una torre per difesa e ricovero
-di tutti, come i Pugliesi e i Maladerra di Sanminiato, che presero il
-nomignolo di Paraleoni[198]. Forse teneva dell’indole stessa quella
-delle tredici famiglie di Borgo Sansepolcro, che insieme aveano
-fabbricato la torre di piazza. In Lucca già nel 1203 esisteva la
-società di Concordia de’ pedoni (probabilmente detti in opposizione
-ai cavalieri o nobili) con priori e capitani e giuramento d’ajutarsi
-a vicenda con armi e senza, rifarsi reciprocamente dei danni; e guaj a
-chi offendesse alcun di loro: nessuno poteva essere accusato ad altro
-giudice prima d’informarne i priori[199].
-
-Non di rado i Comuni affidavano il governo, o parte di esso, o un
-affare, od un’amministrazione, o l’eseguimento d’una condanna a
-qualcuna di siffatte compagnie; e dove l’una esorbitasse, se ne
-innalzava una contraria.
-
-In Chieri erano le società de’ Militi e di San Giorgio; e della seconda
-abbiamo gli statuti, preziosi a qui ricordarsi[200]. Vi si entrava
-per successione o per nomina: chi ne uscisse per passare in altra,
-era passibile di cinquanta lire e dell’infamia. La società pagava le
-imposte di ciascuno; e solo ai membri di essa poteano vendersi le case
-e le terre. Come il Comune, quella città era ordinata sotto quattro
-rettori cittadini o un solo forestiero, che duravano quattro mesi,
-con notaj e massari per le spese ed entrate. Eravi un minor consiglio
-ed uno maggiore, il quale eleggeva i rettori. Non poteansi proporre
-per gli uffizj del Comune se non membri della società; non arringare
-contro il partito preso da questa; e poteva obbligarsi ogni membro a
-dir nel consiglio pubblico il suo parere; che se per ciò incadesse in
-una multa, era pagata dalla compagnia. Ai rettori di questa incombeva
-di difendere i membri, e mantenerli illesi, dovess’anche urtare contro
-le deliberazioni del Comune. Alcun di essi era insidiato? lo facevano
-custodire: ferito o percosso? domandavano riparazione e compenso:
-non l’ottenevano? toccavasi a stormo, e tutti tutti gli accomunati
-erano tenuti prender le armi, e correre a mettere a ferro e fuoco i
-beni dell’offensore; e così gli anni successivi, in sino a che non
-si fossero accordati. A chi rifiutasse obbedire alla chiamata, o non
-soccorresse al compagno avvolto in contese, multa di cinquanta lire.
-Niuno praticasse con chi aveva offeso uno della compagnia.
-
-Non è questa una repubblica costituita nella repubblica? e gl’interessi
-de’ consorti poteano essere in collisione con quelli del Comune, e la
-loro unione facea che fossero pronti a sorreggere una parte o l’altra
-nelle insurrezioni, che così invelenivano di ciò ch’era preparato
-per loro rimedio. A Siena nel 1371 i lavoranti di lana garriscono coi
-loro maestri, pretendendo essere tassati secondo le leggi del Comune,
-non secondo quelle dell’arte; e levano rumore, minacciando sangue:
-ma la forza pubblica prevale, e presine tre, li mette alla corda; i
-compagni per liberarli s’avventano alle armi, la città prende partito
-per essi; la querela diventa politica, gli ordini pubblici ne restano
-mutati, e gli artigiani dominarono in Siena, fin quando nel 1384 i
-nobili, unitisi al popolo minuto, li spodestarono, e fin a quattromila
-ne espulsero: onde la città perdette le arti, e se ne bonificarono
-l’Anconitano, il Patrimonio, il Regno e Pisa[201].
-
-Le taglie che già si solevano pagare ai re o ai conti, furono forse
-conservate, pagandole al Comune: ma di esse e del sistema di esazione
-non si raccoglie soddisfacente concetto; e il variare di qualità
-e quantità secondo i tempi, a fatica si seguirebbe in una storia
-municipale, non che in questa generale. La rendita maggiore proveniva
-da gabelle e dazj che, secondo la scarsa economia d’allora, molto
-gravavano sulle merci introdotte ed esportate. Da principio quelle che
-entrassero nelle città o sul distretto pagavano per teloneo un tanto
-al carro o alla bestia: dipoi più equamente si prefinirono tariffe
-sul valore. La prima milanese è del 1216, e impone quattro denari
-per lira del prezzo delle mercanzie, cioè un mezzo per cento: poi
-nel 1396 fu alzata al dodici per lira, cioè cinque per cento, senza
-distinzione[202]. Fruttavano pure all’erario le multe de’ condannati e
-le confische. Poi il genio fiscale altre imposizioni introdusse, come
-quella del sale[203], dei forni, del bollo alle misure, del vino al
-minuto, delle acque di pubblica ragione.
-
-In maggiori strettezze ricorrevasi a prestiti, dando in pegno qualche
-preziosità, come i Milanesi diedero più volte il tesoro di Monza.
-Quel Comune, per combattere Federico II, supplì alla carezza del
-denaro con carta monetata, prefiggendo potessero con essa scontarsi
-le pene pecuniarie; il creditore privato non fosse tenuto riceverla
-in pagamento, ma il debitore non restasse esposto al sequestro se in
-cedole avesse tanto da spegnere il suo dovere. Per togliere di giro
-questa carta monetata si pensò formare il catasto de’ beni, neppure
-eccettuati gli ecclesiastici, misurati da geometri, e prezzati
-dall’uffizio degli inventarj. Con tale provvedimento il debito
-fluttuante restò rimborsato nel 1248; ma per fare il Naviglio grande,
-poi per uno o per altro titolo la tassa venne prolungata[204].
-
-I Milanesi lagnavansi che i nobili, abitando in campagna, si
-sottraessero ai carichi dello Stato; nella concordia del 1225 questi
-soli, e non la plebe, si volle soggetti alle taglie. A Firenze, il
-1362, non trovandosi chi prestasse al cinque per cento, ser Piero di
-Grifo, uomo molto saputo in tali materie, suggerì che, a chi prestasse
-cento fiorini, gliene fosse scritto trecento; onde quel monte fu detto
-_dell’uno tre_. Poi, per altra guerra, a chi prestava cento si scrisse
-ducento, e chiamossi il monte _dell’uno due_. Nel 1380 fu ridotto
-tutto al cinque per cento, e il capitale nominale al reale; dal che
-nacque grandissima confusione a motivo di quelli che aveano venduto e
-comprato.
-
-Il catasto sovra dichiarazione giurata del possessore e di testimonj
-si eresse a Genova nel 1214, a Bologna il 1235, a Parma il 1302. In
-Firenze al 1336, secondo Giovan Villani, i tributi erano, la gabella
-della mercanzia, del sale, de’ contratti, il vin minuto, le bestie,
-la macina, e _l’estimo del contado_, fruttanti in tutto trecentomila
-fiorini. Pare da ciò che solo il contado fosse colà sottoposto a
-taglia, forse per conguagliare le gravezze particolari ai cittadini:
-e in fatto l’estimo della città non potè farsi stabilmente che per
-opera di Giovanni Medici nel 1427, obbligando a descrivervi tutti i
-beni mobili od immobili che ciascuna famiglia possedesse dentro o fuori
-del dominio fiorentino, compresevi le somme di denaro, i crediti, i
-traffichi, le mercanzie che avevano, _gli schiavi e le schiave_, i
-bovi, i cavalli, le gregge d’altri animali, regolando al sette e mezzo
-per cento, sicchè ogni sette fiorini di rendita se ne poneva cento di
-stima. Sottraevansi le spese e i carichi, poi dell’avanzo si riscoteva
-la decima. Chi non pagasse metteasi a specchio, cioè si registrava in
-un libro, e rimaneva escluso dalle magistrature.
-
-Chiese, monasteri, ecclesiastici andavano immuni, coi loro contadini e
-livellari, e fin coi beni di nuovo acquisto, per quanto le Repubbliche
-tentassero aggravezzare almeno questi; e a malincuore i preti
-s’inducevano a pagare pei beni patrimoniali, non però in mano di laico,
-ma del vescovo, cui per tale occorrente comunicavano il registro dei
-loro beni[205].
-
-Le imposte moderate, tali cioè che il gravato creda poterle sostenere
-col crescere di operosità, servono di stimolo; scoraggiano allorchè
-costringono a mutare le abitudini; giudicate importabili, svogliano
-dagli sforzi, e uccidono l’industria. I Comuni nostri mostravansi al
-fatto persuasi che ogni spesa fatta dal Governo al di là di quel che
-occorre a conservare e proteggere l’ordine sociale, è un dissipamento
-e un’ingiustizia oppressiva: ma per questo vorremo noi misurare la
-felicità d’un paese dai centesimi dell’estimo?[206].
-
-Il valutare le rendite è difficilissimo, prima perchè di lor natura
-sono variabili, poi perchè la scarsezza del denaro faceva se ne
-esigesse gran parte in derrate; oltrechè le forme della contabilità
-erano troppo diverse dalle odierne.
-
-Variissimi erano i modi dell’esazione, i tesorieri, i deputati alle
-grasce e all’annona, eletti parte dal pubblico consiglio, parte dal
-podestà, parte a sorte, e da’ feudatarj nelle proprie giurisdizioni,
-ma sempre sottoposti al sindacato. Spesso la riscossione affidavasi
-a qualche monaco, od a corpi religiosi, come più disinteressati; e
-per renderla più sicura ordinavasi perfino a chi non l’avesse ancor
-pagata non venisse resa giustizia[207]; del quale ripiego si valeano
-principalmente per tassare anche i cherici. Nel contado a ciascuna
-pieve si assegnava una quota da ripartire fra le ville ed esigere:
-al qual uopo v’avea consigli o adunanze; dove sussistevano ancora
-i visconti vescovili, questi presedevano a tal bisogna insieme coi
-consoli di campagna.
-
-Le case costituivano quasi la garanzia del cittadino in faccia
-al Comune. Pertanto il venderle equivaleva a perdere la qualità
-d’accomunato; per ciò stesso di chi fosse espulso veniva demolita
-l’abitazione, e al forestiere non si permetteva di possederne; e i
-nobili di campagna, quando fossero accettati in città, per prima cosa
-vi fabbricavano un palazzo. Ad Ivrea si considerava cittadino chi vi
-abitasse, possedesse pel valore di dieci lire, fosse scritto nel libro
-dell’imposta del Comune[208].
-
-Zecche ebbero già i Longobardi a Pavia, a Milano, Verona, nel Friuli,
-a Lucca, e forse a Spoleto e Benevento; e possiam credere continuasse
-così sotto ai Franchi e agli imperatori tedeschi: ma presto conti
-e marchesi domandarono o pretesero moneta propria. Per privilegio
-dell’imperatore Lotario I a Manasse, gli arcivescovi soli poteano
-coniarne a Milano; diritto che conservarono finchè la repubblica il
-trasse a sè. Altrettanto sarà addivenuto nell’altre città, e ci restano
-monete di più di cento zecche nostrali: anche alcune famiglie n’aveano
-il diritto, come in Piemonte i discendenti di Aleramo, marchesi di
-Monferrato, di Saluzzo, di Ceva, di Busca, di Savona, del Carretto; e
-alcuni feudatarj dell’Impero, quali i conti di Desana, di Crescentino,
-di Cocconato, ecc. Per lo più quelle monete aveano corso soltanto nel
-paese.
-
-Tentò il Barbarossa ritrarre a sè questa regalia, e fece battere i
-soldi imperiali nei villaggi dove avea distribuito i cittadini della
-distrutta Milano; ma poi la dovette consentire alle città federate,
-le quali ben presto all’effigie dell’imperatore surrogarono i santi
-patroni[209]. Cadute le repubbliche ai tiranni, Azzone Visconti a
-Milano diede il primo esempio di stampare del proprio nome le monete:
-Genova ne battea prima del 1139, quando ne chiese e ottenne privilegio
-da Corrado II di Germania. A imitazione del genoino, i Fiorentini
-nel 1252 batterono il ducato, che da una parte recava il Battista,
-dall’altra il giglio, donde il nome di fiorini che si propagò in tutta
-Europa, con oro di ventiquattro carati, e il peso d’un ottavo d’oncia,
-o un sessantaquattresimo di marco, e divideasi in venti soldi[210].
-Subito gl’imitarono Francesi, Ungheresi ed altri popoli, e fra noi i re
-di Napoli, i conti di Savoja, i marchesi di Monferrato, i Veneziani;
-e molto accreditato fu in commercio lo zecchino veneto, battuto
-primamente nel 1284, sul quale si conservarono sempre la rozza impronta
-primitiva del doge che riceve lo stendardo da san Marco, e la barbara
-e devota iscrizione _Sit tibi, Christe, datus quem tu regis iste
-ducatus._
-
-Dacchè la lira cessò d’equivalere veramente al peso d’una libbra d’oro
-o d’argento, variò senza limite la proporzione, solo sussistendo la
-divisione in venti soldi, e del soldo in dodici denari. Non entreremo
-nel pecoreccio degli avvicendati valori delle monete e del conguaglio
-fra l’oro e l’argento; e basti dire che quest’ultimo era principalmente
-adoperato nel commercio di Levante e che in generale vuolsi fare stima
-che la scoperta dell’America ne ridusse il valore a un sesto, e a un
-terzo quel dell’oro.
-
-Monete di rame non si conoscono de’ tempi barbari, onde o mancavano al
-giornaliero commercio, o si dovea coniarne di argento troppo sottili, o
-peggiorare la lega.
-
-È argomento dell’opulenza italiana che Venezia, all’entrare del secolo
-xv, battesse l’anno un milione di zecchini; e Firenze quattrocentomila
-fiorini in oro, e più di ducentomila libbre d’argento; e dal 1365 al
-1415 vi si erano coniati undici milioni e mezzo di zecchini d’oro. Se
-vogliansi lodare come manifatture e come lusinga alla nazionale vanità
-che tanto lega i cittadini, ognun però vede quanta confusione dovesse
-derivare da tanta varietà. Il disordine introduceva il solito morbo
-de’ cambisti, che soli tenendo il filo di quel labirinto, vantaggiavano
-alla grossa.
-
-La scienza amministrativa e finanziera nacque in Italia, o qui prima si
-pensò a ridurre in un quadro tutte le entrate e le uscite, formandone
-il bilancio, come si chiamava con nome espressivo[211].
-
-Pisani, Genovesi, Amalfitani, ma principalmente i Veneziani, estesi
-in tanto commercio, sentirono il bisogno di conoscere le condizioni
-proprie e dei popoli con cui erano in relazione di traffici e di
-politica. Fin dal xii secolo Venezia ordinò ne’ suoi archivj i pubblici
-atti, fe scrivere la storia civile, e stabilì le forme secondo cui
-gli agenti diplomatici dovessero raccogliere e presentare al senato
-i ragguagli dei paesi ov’erano spediti[212]. Quindi nessun governo
-fu altrettanto istruito; e que’ ragguagli su’ principi, sulle forze,
-sulla potenza de’ varj Stati, allora anticipavano l’esperienza, ora
-sono miniera di statistiche cognizioni. Anche nell’interno i governanti
-doveano dare minuto ragguaglio delle provincie loro; poi nel 1338 vi
-troviamo traccie di anagrafi. Nel 1330 Jacopo Tondi, uno della Signoria
-di Siena, eseguì una visita uffiziale dello Stato sanese e ne compilò
-una relazione, che è il primo saggio di quei prospetti statistici, dei
-quali si fa vanto la nostra età[213]. Le altre repubbliche adopravano
-a somiglianza, e potrebbero raccogliersi le statistiche dagli storici
-e dagli archivj, dove pure giaciono gli atti verbali de’ consigli
-d’allora, ricchissimi d’insegnamento.
-
-Se fra tante disparità vogliamo cercare i fattori comuni, troviamo
-dappertutto la sovranità del popolo, che ne’ casi più rilevanti la
-esercitava direttamente, negli ordinarj la delegava a rappresentanti.
-Erano questi divisi in un consiglio maggiore, specialmente incaricato
-del potere legislativo; e in un minore, che assisteva il capo dello
-Stato nell’esecutivo. I pubblici uffizj erano elettivi, di breve
-durata, e sottoposti a sindacato. Ogni Comune aveva uno statuto, in
-cui si comprendevano le leggi organiche della repubblica, i diritti e
-le consuetudini di tutti e de’ singoli, le leggi criminali e i decreti
-civili, mescolati di romano e di germanico; e dove gran parte aveano le
-ordinanze censorie e suntuarie. Questi statuti obbligavano in quanto
-ciascuno li giurava o all’atto di divenir cittadino, o nell’assumere
-una magistratura; avanzo del diritto feudale, per cui la fede rimaneva
-un fatto personale. Ciascun quartiere o consorzio o maestranza era
-responsale della condotta dei consorti; e il reo sottoponevasi alle
-loro speciali giudicature prima di trasmetterlo al tribunale del
-Comune. Queste divisioni del Comune stesso in corpi moltiplicavano
-occasioni di conflitto: lo perchè speciale studio degli statuti era il
-conservare la pace pubblica.
-
-L’età nuova comincia dunque colla stessa varietà di forme che
-già trovammo nella prisca. Tante erano quante le città, le quali,
-costituitesi ognuna indipendentemente dall’altra, aveano provveduto
-come credevano al proprio meglio; di che infinite varietà, spesso
-stravaganti, sempre inesperte.
-
-Ma il fatto più appariscente è che esistevano municipi, non provincie,
-non Stati. Nè qui soltanto, ma in tutta Europa presentavasi allora
-questa moltiplicità di centri sopra angusto spazio, senza nesso comune;
-e dove il ben generale terminava ai limiti del territorio, considerando
-proprio vantaggio il danno del vicino. Quindi diversità di statuti,
-di pesi, di misure, di dogane; quindi un incomodo succedersi di
-pedaggi, mentre rimanevano degradate le strade, sia perchè non vi aveva
-accordo a mantenerle, sia perchè ad ogni rompere di nimicizia venivano
-guastate. E di nimicizia era seme la vicinanza stessa; e quando ogni
-Comune costituiva uno Stato, sconnesso dal vicino, le investiture, i
-privilegi, gli statuti si assimilavano a trattati di pace e di mutua
-assicurazione.
-
-Niuna podestà sovremineva; giacchè il re vigilava bensì perchè
-fosse pagato il censo dovuto alla Camera, e dati i doni o i sussidj
-convenuti; e perchè i giudici del feudo o del Comune non proferissero
-sui casi riservati agli uffiziali regj, nè di persone o beni al
-re solo sottoposti; ma non dovea nè potea mescolarsi dell’interna
-amministrazione. Ne derivava come difetto generale la debolezza,
-essendo il Governo diretto da troppi, e spesso dalla piazza, la
-peggiore delle tirannie e delle miserie. I magistrati (solito effetto
-del voto universale) non erano tanto solleciti del vero bene, quanto
-dell’opinione degli elettori; e non tiranneggiavano, ma dove complisse
-peccavano d’ingiustizia.
-
-Mentre poi ciascuna repubblica studiava a formarsi una legislazione
-particolare, nessuna seppe prepararsi statuti che garantissero la sua
-libertà, frenassero i prepotenti, limitassero i depositarj del potere.
-In sottigliezza di costituzioni mal s’intende il grosso del popolo,
-mentre di ciascuno è bisogno la giustizia, dalla quale dipendono
-persone e beni. Solleciti della sicurezza dei contratti, di ordinare
-le successioni, reprimere i piccoli delitti, non provvidero ad assodare
-una buona struttura pubblica con quel ch’è primo scopo della politica,
-un Governo regolato insieme e libero. Adunque non previdenza per
-l’avvenire, non freno all’ambizione de’ pochi o alle esuberanze della
-moltitudine, paghi della libertà senza sfuggire l’anarchia, nessuno
-pensò a combinarla colla sicurezza personale e pubblica, a secondare
-lo svolgimento delle istituzioni. Le passioni, più impetuose quando
-non temperate da costumi e da studj, rendevano frequenti i delitti; e
-quello sminuzzamento di Stati agevolava il sottrarsi al castigo. Quindi
-incerte idee sulla moralità, un delitto portando pena diversa a pochi
-passi di distanza: quindi mancato quel ch’è efficacissimo carattere
-della giustizia, la certezza della punizione, giacchè il delinquente
-trovava vicinissimo un asilo su terra forestiera: quindi il Governo
-costretto occuparsi quasi unicamente d’amministrare la giustizia
-criminale, ed ai magistrati doveva affidarsi un potere illimitato, che
-facilmente diveniva micidiale della libertà, o che portava per reazione
-la vita privata a ribellarsi alla pubblica, l’individuo a nuocere al
-cittadino, cercando l’affrancazione in quell’isolamento che era stato
-carattere della feudalità.
-
-Così delle singole repubbliche: tutte insieme poi non seppero stabilire
-una buona federazione, che non solo le avrebbe salvate dai nemici,
-ma poteva offrire un modello alla restante Europa. La Lega Lombarda,
-esemplarmente gloriosa ne’ primi effetti, non conobbe altrettanto la
-civile prudenza; non seppe quel che spesso noi pure dimentichiamo, che
-non v’è autorità senza unità, e senz’autorità non v’è pace e libertà: e
-il formare una salda confederazione che avesse centro a Milano, patria
-dappertutto, e feste ed esercito comune, e tesoro e patti e assemblee
-determinate; il vedere che il torto fatto ad una era fatto a tutte,
-minaccia di tutte la morte di una; il rassegnarsi a un male immediato
-per reprimere un abuso che causerebbe mali remoti, era un troppo
-aspettarsi da gente abbagliata dal trionfo, e nuova negli accorgimenti
-politici.
-
-D’unità nazionale neppur nacque il pensiero, tant’era cosa insolita;
-come a Napoleone non venne l’idea di valersi de’ battelli a vapore
-o dell’inescazione fulminante. Che le libertà parziali non valgono
-senza l’indipendenza, chi allora lo capiva? Non ebbero parlamenti
-savj come l’inglese, non rivoluzioni iniziatrici come la francese:
-ma questi sarebbero riusciti tali senza la esperienza de’ nostri
-Comuni? Il reggere ai mali che accompagnano la libertà è difficile,
-lento il successo; talchè il grosso degli uomini cade per istanchezza
-o precipita per impazienza. Troppo rari il Cielo suscita di quegli
-eroi civili che vagliano ad erigere tutta la popolazione alla propria
-altezza, e che tengano per condizione e per unico mezzo di riuscita
-il libero concorso di quella. Le nazioni libere possono aspirare
-alla vittoria, non al riposo; e i Comuni nostri, nel fervore della
-lotta, nell’ebbrezza della vittoria e nella fiducia della rinnovata
-fratellanza, si abbandonarono al buon volere dei collegati e al senno
-dei rettori, che, qualvolta occorresse, doveano raccogliersi per
-discutere dell’interesse universale; tutti gli spedienti furono attuali
-e momentanei, senz’avvisare al tempo in cui sarebbe allontanato il
-pericolo, sbollito l’ardore, sottentrate le brighe e le gelosie, ahi!
-troppo pronte seguaci delle vittorie popolari.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXVI.
-
-Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI.
-
-
-Abbiam veduto come il paese più meridionale d’Italia, cuna di
-tante magnanime repubbliche prima della conquista romana, poi dopo
-l’irruzione dei Barbari suddiviso tra molti principati longobardi e
-molti Comuni greci, venisse concentrato dai Normanni in un dominio, che
-d’allora gl’italiani chiamarono per antonomasia _il regno_ (1130). Re
-di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua, Ruggero II assunse la
-pomposa divisa _Appulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer_; anzi
-Falcone Beneventano riferisce un documento, ov’egli s’intitola _Dei
-gratia Siciliæ et Italiæ rex, Christianorum adjutor et clypeus_.
-
-Colle genti che rapì sì nella spedizione di Grecia, sì in quella contro
-Tripoli e l’isola delle Gerbe, ripopolò la sua isola. Come sapesse
-a tempo chinarsi e resistere ai papi, narrammo; si mostrò sempre
-riverente a san Brunone, che in Calabria avea fondato i Certosini; le
-scienze amò e protesse; all’Edrisi, famoso geografo musulmano, diede
-un feudo perchè dimorasse alla sua corte compilando le _Peregrinazioni
-d’un curioso che vuol conoscere a fondo i diversi paesi del mondo_,
-ove dispose in nuovo e bizzarro sistema le cognizioni geografiche
-degli Arabi, ad illustrazione d’una sfera d’argento, pesante ottocento
-marche, dov’erano incisi tutti i paesi conosciuti. Il palazzo di
-Palermo sua capitale, colla magnifica cappella di san Pietro, avente
-le pareti e il pavimento a musaici squisiti, e dove ancora si legge
-l’iscrizione trilingue da lui apposta al primo oriuolo che ivi collocò;
-la cattedrale di Cefalù e quella di Salerno, ricca delle spoglie
-di Pesto; le chiese di San Nicolò a Messina e a Bari, il monastero
-della Cava, sono monumenti della magnificenza di Ruggero. A Palermo,
-oltre edifizj spiranti dovizia e splendidezza, aperse un vasto parco,
-popolato di selvaggina, e ricreato d’acque condotte sotterra[214]:
-dalla Grecia e dall’Africa trasferì la coltura dell’albero del pane,
-del papiro[215], del pistacchio, della canna da zuccaro; e dalla
-Morea i gelsi e i filugelli, e operaj di seta. Che però questa già vi
-si lavorasse dagli Arabi, lo prova il famoso manto imperiale, fatto
-per ordine di Ruggero, con iscrizione cufica del 528 dell’egira,
-rispondente al 1133; e che poi portato in Germania da Enrico VI, ora
-conservasi a Norimberga. Ma allora i telaj rompevano il silenzio della
-reggia di Ruggero per preparare d’ogni genere tessuti, e broccati, e
-fiorami, e arabeschi, con gemme interposte e colori variatissimi[216];
-oltre che vi si convertiva in panni la lana francese.
-
-Tornando d’Oriente, Pisani, Veneziani, Genovesi rinfrescavano a
-Palermo: Spedalieri e Templari rizzarono conventi in Trapani, ordinaria
-posata de’ Crociati[217]: i Veneziani aveano a Palermo una società
-mercantile con magistrati proprj, cassieri e presidente; i Genovesi un
-banco a Siracusa e casa forte a Messina: gli Amalfitani empivano una
-strada di Napoli di loro botteghe, massime di stoffe di lana e seta, e
-avevano un quartiere a Siracusa, un consorzio mercantile a Messina.
-
-I Musulmani conservavano ancora alcune campagne, godendo eguaglianza
-di leggi, con una tolleranza unica a quei tempi; quartiere proprio
-nelle città con franchigie, magistrati e notaj, e libero culto; sin
-feudi ottennero; e se alcuni come prigioni di guerra teneansi in
-condizione servile, più di centomila distribuiti in tribù sotto i loro
-sceicchi lavoravano liberamente il val di Màzara ed altri territorj.
-Filippo, uno degli eunuchi di Ruggero, musulmano convertito, salì fino
-grand’ammiraglio, e fu spedito ad espugnare Bona in Africa (1149). Ne
-presero gelosia i baroni normanni, che l’accusarono di mangiar carne il
-venerdì e in quaresima, andare con repugnanza nelle chiese, e di piatto
-tornare alle moschee: e Ruggero l’abbandonò al loro rancore, sicchè,
-legato alla coda d’un cavallo indomito, fu fatto a pezzi, e i pezzi
-gettati al fuoco[218].
-
-Pochi anni dappoi il musulmano Mohammed ebn-Giobair, che viaggiò in
-Sicilia, scriveva: — Re Guglielmo, commendevole ne’ suoi portamenti, si
-giova de’ Musulmani, e ha paggi eunuchi per intimi, fedeli all’islam
-benchè nascostamente; ha gran confidenza ne’ Musulmani, e v’affida
-anche gli affari più delicati; tiene una compagnia di Negri musulmani
-sotto un comandante musulmano; i visiri e i ciambellani trae dai
-molti paggi, i quali sono e impiegati del Governo e persone di Corte,
-e sfoggiano lusso di vesti, agili cavalli, e tutti hanno corteggio e
-seguito proprio. Il re a Messina ha un palazzo bianco come una colomba,
-dove stanno occupati molti paggi e fanciulle; esso s’abbandona ai
-piaceri della Corte a modo dei re musulmani, cui imita nel sistema
-delle leggi, nell’andamento del Governo, nella distribuzione dei
-sudditi, nella magnificenza. Molto deferisce ai medici e astrologi
-suoi: dicono legga e scriva l’arabo, e un suo intimo ci assicurò
-abbia adottato il motto _Lode a Dio, giusta è la sua lode_; come il
-motto di suo padre era _Lode a Dio in riconoscenza de’ suoi benefizj_.
-Le fanciulle e concubine del suo palazzo sono musulmane tutte; e un
-cameriere di nome Yahia, impiegato nella manifattura de’ panni, dove
-ricama a oro le vesti del re, ci assicurò che le cristiane Franche
-dimoranti in palazzo erano state convertite dalle nostre senza che il
-re lo sapesse, e molto s’industriavano in opere di carità.
-
-«A Palermo i Musulmani conservano un avanzo di fede; tengono
-pulitamente le moschee, fan la preghiera alla chiamata del muezzin,
-dimorano in borgate distinte dai Cristiani, tengono e frequentano i
-mercati. Proibita la pubblica professione di fede (_khotbah_), fanno
-solo l’adunanza del venerdì, ma ne’ giorni del beiram pregano per
-i principi abbassidi. Hanno un cadì, che giudica i loro processi:
-una moschea principale ed altre innumerevoli, nella più parte delle
-quali si dà lezione del Corano. Le donne cristiane nell’eleganza
-del parlare e nel modo di velarsi e di portare i mantelli imitano le
-musulmane. A Natale escono in vesti di seta color d’oro, avvolte in
-mantelli eleganti, coperte di veli di colore, con stivaletti dorati,
-e pompeggiano nelle chiese, cariche di collane, d’essenze, di belletto
-come le musulmane.
-
-«Non è guari, arrivò a Trapani il caid Abu’l-Kassem, capo de’
-Musulmani in Sicilia, caduto in disgrazia del re per calunnie; e
-sebbene sfuggisse la condanna, gli furono estorti trentamila denari
-d’oro, senza rendergli alcuna delle case e terre avite. Dianzi riebbe
-il favore del re, che lo pose in un servizio di governo, ed egli vi
-si rassegnò, come lo schiavo di cui siansi presi la persona e gli
-averi»[219].
-
-E segue raccontando come qualunque Musulmano, per sottrarsi alla
-collera de’ parenti, rifuggisse in una chiesa, era battezzato; che i
-Musulmani offrivano le loro figlie ai pellegrini perchè le sposassero,
-e queste lasciavano liete la famiglia per sottrarsi alla tentazione
-dell’apostasia e per vivere in paese musulmano. Sono le consuete
-esagerazioni de’ partiti soccombenti; ma ne trapela come i principi
-normanni procurassero usufruttare la civiltà orientale; e lungamente
-noi incontreremo ancora quegl’Infedeli nelle vicende della Sicilia.
-
-Anche gli Ebrei, altrove perseguitati, ivi ebbero sicurezza,
-e Beniamino di Tudela nel suo viaggio del 1172 ne contava
-millecinquecento a Palermo, ducento a Messina.
-
-Bizzarra mescolanza dovea presentare in quei tempi il paese; indigeni
-abbattuti da lungo servaggio, cavalieri normanni in corazza e morione,
-Musulmani con turbanti; santoni insieme e frati; corse del gerid e
-tornei; Nordici ignoranti e corrotti Meridionali; fastosi Asiatici
-e severi Scandinavi: vi si parlava greco, latino vulgare, arabo,
-normando, e in ognuna di queste lingue si pubblicavano i bandi; i quali
-doveano tanto quanto acconciarsi al codice Giustinianeo pei Greci, al
-_Coutumier_ pei Normanni, al Corano pei Saracini, al codice longobardo
-pei precedenti signori.
-
-I Normanni, pochi e deboli, dovettero fiancheggiarsi di politica e
-d’astuzie, formando un governo più abile che robusto, e sprovvisto di
-quella vigorosa unità che è necessaria per tiranneggiare un popolo,
-e convergerne gli sforzi ad unico intento, massime in paese come il
-napoletano, così spezzato e vario di origini. Delle istituzioni de’
-Longobardi e de’ Greci non cangiarono se non ciò ch’era richiesto
-dall’introdurvisi della feudalità al modo dei Franchi. Magistrati e
-conti longobardi, resisi ereditarj, aveano già formato la classe de’
-baroni, che conservò la nobiltà anche dopo avere, per la conquista
-normanna, perduto le giurisdizioni. I Normanni investiti di feudi li
-sottinfeudavano a cavalieri, cioè vassalli nobili, e a gran dignitarj
-ecclesiastici. Ma que’ primi Normanni, e gli altri continuamente
-chiamati di Francia ad esercitare il lor valore, voleano sulle proprie
-tenute regolarsi col diritto patrio: dal che vennero i feudj al
-modo Franco, la cui principale differenza dai longobardi consisteva
-nell’esservi ammesso alla successione soltanto il primogenito, mentre
-in questi ciascun figlio ereditava.
-
-Il sistema feudale fu comunicato anche ai paesi fin allora sottoposti
-ai Greci, e Ruggero a tutti i cavalieri di Napoli infeudò cinque
-moggia di terra con cinque coloni affissi a quella[220]; lo trapiantò
-anche nella Sicilia, che mai non n’avea gustato, scomponendovi ogni
-regolamento de’ Saracini. I coloni da liberi vennero dipendenti;
-le praterie furono aggravate di pascere i cavalli del vincitore;
-sottoposti a taglie i boschi e i servi della gleba; un’amministrazione
-fiscale e investigatrice, surrogata alla larga e tollerante dei
-Saracini, deteriorò l’agricoltura e il commercio.
-
-Usati in patria a raccogliersi in adunanze legislative e giudiziali,
-i Normanni non ne interruppero l’uso; e il nome di _parlamento_
-trasportarono, come nella conquistata Inghilterra, così pure nel paese
-di qua e di là dal Faro. Aperto sulle prime soltanto a Normanni, vi
-si traforarono poi anche indigeni, fondendosi vinti e vincitori. Ma
-al popolo non potea farsi luogo colà dove del suolo non avevano la
-proprietà che abati e signori; sicchè non v’erano ammessi che i due
-_bracci_ de’ baroni e degli ecclesiastici. Poi le città acquistarono
-il diritto di riscattarsi dai baroni, e rendersi libere, cioè non
-dipendenti che dalla regia autorità; ed allora all’ecclesiastico ed al
-baronale fu aggiunto il braccio _demaniale_, cioè che rilevava solo dal
-dominio del re. Quest’opera vedremo compiuta da Federico II.
-
-Ruggero accentrò l’amministrazione nella Corte di Palermo, intorno a
-sè disponendo sette grandi cariche, e sotto queste gli altri signori.
-A capo di ciascun distretto stavano baroni e connestabili; di tutta
-la nobiltà il gran connestabile; della marina il grand’ammiraglio: il
-gran cancelliere serviva d’anello tra gli incaricati e il principe:
-aggiungeansi il gran giustiziere, il gran cameriere, il gran
-protonotaro, il gran siniscalco. L’archimandrita o abate generale,
-eletto dai monaci, confermato dal re, aveva ispezione sulle chiese,
-e specialmente le vacanti; pure i vescovi doveano a Roma ricevere la
-consacrazione dal papa.
-
-Gastaldi e sculdasci aveano ceduto i giudizj a balii, giustizieri,
-castellani, i quali, col re a capo e con privilegi distinti, formavano
-una gerarchia d’amministrazione, che fu la prima foggiata alla moderna,
-non composta di vassalli feudalmente congiunti al signore, ma di
-uffiziali che coordinatamente esercitavano la porzione di potere ad
-essi affidata. Mentre dunque l’antica nobiltà restava in opposizione ai
-conquistatori, una nuova nascea di gente ammessa agli impieghi, fosse
-natìa o forestiera[221]: nel che pure il siciliano differiva dagli
-altri diritti.
-
-Alle leggi longobarde, che fin allora avevano forza di diritto comune,
-con qualche mistura delle romane e delle consuetudini scandinave,
-Ruggero sostituì le _Costituzioni_, promulgate nelle pubbliche
-assemblee di baroni, uffiziali e vescovi, e che valeano in ambe le
-parti del Regno. Desunse dal diritto romano la legge che dichiara
-sacrilegio il mettere in disputa i fatti, i consigli, le deliberazioni
-del re. Morte comminò a chi tosa o áltera la moneta; a chi rapisce una
-dal monastero, sebbene non ancora velata e a titolo di sposarla; al
-magistrato che malversa il pubblico denaro, o al giudice che si lasciò
-corrompere; a chi dà farmachi per ispirare avversione, o ferisce a
-morte alcuno nel rotolare o menare un sasso o una trave senza darne
-avviso. Vietò severamente di vendere o alienare i feudi, nè che i
-feudatarj contraessero matrimonj senza consenso del re, e tanto meno
-maritassero le proprie figlie aventi l’eventualità di succedere.
-Nessuno eserciti la medicina se non licenziato: nessuno sia fatto
-cavaliere nè giudice se non venga da stirpe di militi e notaj. Molte
-pene concernono le adultere e le prostitute. Chi vende un uomo libero è
-ridotto in servitù[222].
-
-Ruggero è da’ suoi esaltato colle lodi che sogliono prodigarsi al
-fondatore dell’indipendenza d’uno Stato, e all’ambizione fortunata
-di chi non tien conto della moralità dei mezzi. Perduti i figliuoli
-Alfonso e Ruggero, l’unico superstite Guglielmo fe coronare come
-collega (1154); e poco stante morì a sessantun anno, dopo ventiquattro
-di regno.
-
-Avaro, sospettoso, pusillanime, inetto riuscì quel suo successore; e
-chiuso nella reggia fra sozzi e barbari piaceri, del ben pubblico non
-si dava pensiero. Gl’imperatori d’Oriente e d’Occidente ne presero
-baldanza di mettere in campo opposte pretensioni sopra il Reame,
-mossero armi, e sollecitarono i baroni sempre inquieti. Questi aveano
-avuto ricorso al Barbarossa, e quand’egli scese in Italia la prima
-volta, si sollevarono dappertutto; ma esso non potè ajutarli. Bensì
-gl’imperatori greci, che anelavano vendicarsi delle spedizioni dei due
-Ruggeri, e che già possedeano Ancona ed altri porti sull’Adriatico,
-occuparono Brindisi, che divenne il quartiere de’ baroni rivoltosi:
-ma Majone, oliandolo di Bari, coll’ingegno, l’eloquenza e l’arte del
-simulare e dissimulare divenuto cancelliere e grand’almirante del
-regno, ed arbitro de’ consigli e degli atti di Guglielmo, riprese
-questa città, e i ricoverati fece uccidere, abbacinare, sepellire nelle
-carceri di Palermo. Di ciò si volle gran male a Majone, e dell’aver
-lasciato che la fortezza di Mahadia sulle coste d’Africa, tenuta dai
-Siciliani, soccombesse ad Abd al-Mumin re di Marocco. Spargeasi pure
-che colui volesse impossessarsi della corona; onde i baroni cospirarono
-contro di esso; Campania e Puglia si sollevarono; lo stesso conte
-Matteo Bonello, da lui predestinato genero, se gli avversò, e riuscì
-ad ucciderlo e a tenere prigioniero Guglielmo (1161). L’abuso della
-vittoria fece esosi i congiurati, onde alla fine Bonello fu preso ed
-accecato, rimesso l’ordine coi supplizj, e Guglielmo serbò nella storia
-il titolo di _malvagio_.
-
-Quel di _buono_ fu dato a suo figlio Guglielmo, che succeduto (1166)
-sotto la tutela di Margherita di Navarra, bello e giovane, procurò
-cattivarsi i cuori scarcerando quella folla di prigionieri di Stato;
-ma le fazioni inferocirono per disputarsi influenza nella tutela; e
-le eterogenee parti ond’erasi compaginato ma non formato quel regno,
-tendevano a separarsi. Margherita cercò appoggio empiendo la corte di
-Franchi, tra i quali Ugo Falcando, detto il Tacito della Sicilia pel
-nero e vibrato modo con cui descrisse quelle turbolenze; e di varj
-prelati e gran savj in diritto. Ma da contrasti e guerre il paese
-era tutto sovvolto, non meno che da tremuoti, pei quali Catania fu
-distrutta, squarciate Taormina, Lentini, Siracusa; le fonti versarono
-acque sanguigne; il mare nel Faro si ritirò, poi ringorgando verso la
-riva elevossi fin sopra le mura di Messina, tutto miseramente lavando
-(1169).
-
-Guglielmo, tenutosi amico di Alessandro III, impedì che il Barbarossa
-attentasse al suo regno; ebbe nobil parte alla conchiusione della lega
-Lombarda e della pace di Venezia; poi armato per ristabilire Alessio
-Comneno sul trono d’Oriente, prese Durazzo, Tessalonica ed altre piazze
-di Grecia, ma da Costantinopoli fu respinto. Ajutò pure Antiochia,
-Tiro, Tripoli contro il Saladino; ma di soli trentasei anni morì
-(1189). La tradizione raccontò che Guglielmo il Malvagio avesse voluto
-smungere tutto il denaro del suo popolo; e per far prova se alcuno ne
-avesse ritenuto, mandò a vendere in piazza per tenue prezzo un suo
-bellissimo cavallo arabo. Un giovane signore lo comprò in fatto, il
-quale, chiesto in processo, confessò aver violato la tomba del proprio
-padre per tôrre quel poco denaro. Tutto quel tesoro fece Guglielmo
-sotterrare, poi corrervi sopra un fiume: ma Guglielmo il Buono riuscì
-miracolosamente a scoprirne il posto, ed ivi, in riconoscenza, fabbricò
-la magnifica badia di Monreale, dove ebbe la tomba, e che attesta la
-suntuosità e il progresso dell’arti sicule in quell’età.
-
-Di Guglielmo non restando figli, l’eredità ricadeva in Costanza
-figlia postuma di Ruggero II e perciò sua zia[223]. Benchè di là dai
-trent’anni, il Barbarossa erasi affrettato a cercarla sposa per suo
-figlio Enrico; e l’inglese Gualtiero Ofamiglio, arcivescovo di Palermo,
-indusse il debole Guglielmo a consentirgliela. Costanza partì con più
-di cencinquanta cavalli carichi d’oro, argento, sciamiti, pallj grigi,
-vaj ed altre buone cose[224]; e le nozze furono celebrate in Milano con
-istraordinaria magnificenza, ma non colla benedizione dell’arcivescovo,
-che era papa Urbano III, reluttante da un connubio che saldava in
-Italia una famiglia ereditariamente avversa ai pontefici per la
-successione della contessa Matilde, e che li privava dell’appoggio
-avuto sin allora contro le esuberanze imperiali, e preparando l’unione
-anche di quella corona all’Impero, scassinava l’edifizio eretto
-dall’ardita perseveranza di Gregorio VII.
-
-Guglielmo avea chiuso gli occhi fra i preparativi della terza crociata
-che dicemmo; ed essendo allora i feudatarj occupati oltremare, Enrico
-VI non potè mandar forze ad occupare violentemente il Regno; sicchè
-estremo disordine vi irruppe. Poco badando ad Enrico e Costanza
-lontani, chiunque teneva al lignaggio dei Normanni pretendeva una
-porzione di dominio, e se la disputavano[225]; nell’isola i baroni
-ripetevano il prisco diritto elettorale delle assemblee nazionali
-come in trono vacante; nella terraferma (solita peste) si amava il
-contrario per gelosia verso Palermo: l’arcivescovo Gualtiero sosteneva
-il diritto ereditario di Costanza, e il giuramento ad essa prestato
-in Lecce; Matteo d’Ajello, vicecancelliere, vecchione abile a condurre
-un partito, animava quei che repugnavano dal vedere la Sicilia, fatta
-indipendente pel valore de’ Normanni, or in piena pace cadere a re
-straniero e avverso, e negava che, come a feudo, potesse una donna
-succedere; i più aborrivano la dominazione tedesca, e lo storico
-Falcando ripeteva: — Dio vi guardi da cotesti armati di Germania,
-barbari, grossolani, stranieri ai costumi e alla civiltà vostra! Sotto
-il Tedesco, Sicilia più non sarebbe che una miserabile provincia,
-disgiunta dal suo sovrano, abbandonata alle espilazioni de’ suoi
-uffiziali. Già parmi vederla invasa da quelle orde portate dall’impeto
-a stremare col terrore, colla strage, colle rapine, colla lussuria,
-e far serva quella nobiltà di Corintj che pose anticamente nido nella
-Sicilia, indarno bella di filosofi e poeti tanti, e cui sarebbe tornato
-men grave il giogo degli antichi tiranni. Guaj a te, Aretusa, volta
-a tanta miseria, che mentre solevi modulare i carmi de’ poeti, or odi
-l’ebbrietà delle tedesche baruffe, e servi alle loro turpezze!»[226].
-
-Come avviene quando l’autorità è sfasciata, la ciurma e gli
-arruffapopolo alzarono il capo; e poichè in tali occasioni vuolsi
-sempre qualche capro espiatorio, si buttarono sovra i Saracini.
-Per quanto tollerati, non poteasi sperar pace fra antichi padroni e
-nuovi, fra due religioni così repugnanti, l’una guardante a Marocco,
-l’altra a Roma. Gli Arabi aveano trescato nella minorità di Guglielmo,
-e Abu’l-Kassem degli Amaditi d’Africa s’era accordato cogli eunuchi
-di palazzo e coi baroni malcontenti per isvertare Stefano da Perche
-francese. Ora i Palermitani saccheggiarono le case de’ Saracini, e
-molti uccisero; gli altri a forza s’apersero la ritirata fino in val di
-Mazara, ove i centomila loro fratelli presero l’armi per vendicarli,
-nè chetarono finchè non ebbero promessa di sicurezza e de’ primitivi
-privilegi.
-
-Quand’anche tali incendj nascono spontanei, v’è chi vi soffia,
-acciocchè la necessità dell’ordine costringa a prendere il partito
-che il primo scaltro suggerisce: e il partito or fu si convocasse il
-parlamento de’ baroni e si eleggesse un re.
-
-Ruggero duca di Puglia, fratello maggiore del primo re di Sicilia,
-dalla figliuola di Roberto conte di Lecce avea generato Tancredi, e
-presto lasciatolo orfano. Guglielmo il Malvagio perseguitò questo
-bastardo, e prima in carcere, poi lo spinse in esiglio: l’altro
-Guglielmo l’accolse, gli affidò l’esercito contro la Grecia, e lo
-titolò conte di Lecce. Istrutto dalla sventura, prudente, educato alle
-matematiche, all’astrologia, alla musica, parve degno della corona e
-l’ottenne: la _matrice_ di Palermo, specioso monumento di architettura
-moresca mista a normanna, e dove ancora si ammirano, benchè guaste
-dall’incendio del 1811, le tombe di porfido di quei re, risonò
-d’applausi alla coronazione di Tancredi e del suo figlioletto Ruggero;
-e fu riconosciuto pure da tutte le provincie di terraferma, e investito
-ben volentieri dal pontefice.
-
-Di quel tempo i Crociati d’Inghilterra e di Francia, guidati dai loro
-re Ricardo Cuor di Leone e Filippo Augusto, eransi data la posta a
-Messina, onde di conserva, dopo la svernata, passare in Terrasanta.
-Fiera burrasca gittò la flotta genovese sulle coste di Calabria,
-per modo che i Francesi, perduti cavalli e provvigioni, poveramente
-approdarono in Sicilia. Ricardo, di gente normanna e d’impaziente
-arditezza, quasi solo traversò a cavallo le montagne di Calabria, e
-si tragittò a Messina. La caccia era rigorosissimamente osservata in
-Inghilterra: non così in Sicilia: onde Ricardo, mentre a quella si
-divertiva, udito un falco stridire nell’abituro d’un villano, entrò
-per portarglielo via. I nostri, men chinati nella servilità, a pietre
-e bastoni respinsero il prepotente, che solo alla fuga dovette la
-salvezza.
-
-A Tancredi dava noja l’arrivo di Filippo Augusto, alleato d’Enrico
-VI, e di Ricardo fratello della vedova di Guglielmo, da lui tenuta
-prigione. In fatto fu costretto rilasciar questa, restituendole la
-dote di ventiquattromila once d’oro; ma Ricardo pretendeva anche, come
-assegno vedovile, quantità di vasi d’oro e d’argento, un trono, due
-tripodi, e una tavola larga mezzo metro e lunga quattro, tutti d’oro,
-una tenda di damasco bastante a ducento cavalieri, inoltre cento galee
-provvigionate per un anno. Tanto era di ricchezze famosa la Sicilia!
-Ricusato, l’Inglese aggredì Messina; ma questa si difese a sassi, tanto
-che Ricardo dovette venire ad accordo, giurando pace e protezione, e
-fidanzando una figlia di Tancredi all’erede d’Inghilterra.
-
-Enrico VI, coronato re dei Romani, per sostenere i minacciati suoi
-diritti venne in Italia (1191) coi feudatarj, che rovinatisi nella
-crociata, qui speravano rifarsi; e come suo padre fantasticando la
-dominazione universale, si prefiggeva di conquistare la Sicilia,
-farsi coronare a Roma, avere in arbitrio la Lombardia e la Toscana,
-sottomettere le coste d’Africa già tributarie ai Normanni, conquistare
-il trono di Costantinopoli, preda immancabile del primo occupante.
-Ma, non che gli bastassero forze a sì larghi disegni, dovea cercarne
-alle città lombarde col conceder loro la sua alleanza e sempre nuovi
-privilegi.
-
-Coi soccorsi di esse e delle repubbliche marittime, calò verso Roma.
-Celestino III, sortito allora papa d’ottantacinque anni, procrastinava
-la propria consacrazione per non dovere coronare Enrico; onde i Romani
-offersero a questo di costringervelo, purchè egli abbandonasse alla
-loro vendetta Tusculo, contro di cui non aveano cessato mai l’odio, e
-di rado la guerra. Compiacque Enrico al fratricida desiderio (1191 —
-13 aprile); unto il papa, Enrico e sua moglie dopo iterati giuramenti
-furono ricevuti in città. Entrati da porta Collina gettando denari al
-popolo perchè applaudisse, procedettero per Borgonuovo fin a Santa
-Maria Transpontina, donde il clero in processione li condusse al
-Vaticano. Precedeano il prefetto di Roma colla spada sguainata, il
-conte del sacro palazzo, i magistrati della repubblica, poi i giudici,
-i camerieri, l’imperatrice, i vescovi tedeschi e italiani, i principi
-e dignitarj dell’impero. Celestino stava sopra elevato trono in capo
-alla scalea di San Pietro, coi cardinali, vescovi e preti alla destra,
-i diaconi alla sinistra, e dietro i suddiaconi colla nobiltà romana e
-gli uffiziali di palazzo. Il re, scavalcato, andò al bacio del piede
-pontifizio, e ginocchione colla mano sul Vangelo giurogli fedeltà,
-e di soccorrerlo a mantenere i possessi, gli onori, i diritti. Il
-papa gli chiese tre volte se volesse rimanere in pace colla Chiesa,
-e mostrarsene figlio rispettoso; e avuto il sì, ripigliò: — Ed io ti
-ricevo come figlio diletto, e ti do la pace come Dio la diede a’ suoi
-discepoli», e lo baciò.
-
-Allora mossero in processione; e alla porta Argentea esaminato sulla
-fede religiosa, l’imperatore ebbe il chiericato, promettendo riprovare
-gli eretici, ed assister poveri e pellegrini. Il cardinale d’Ostia
-unse Enrico al braccio destro e fra le spalle; il pontefice gli porse
-l’anello, la spada, lo scettro, e impose la corona d’oro a lui e alla
-moglie[227]. Poi si celebrò il santo sacrifizio, durante il quale si
-cantava vittoria e lunga vita al papa, all’imperatore, all’imperatrice;
-l’imperatore offrì pane, cera, oro, e ricevette l’eucaristia. Finita la
-messa, dal conte del palazzo gli furono posti gli stivaletti imperiali
-e gli sproni di san Maurizio; poi tenne la staffa del cavallo bianco
-del papa, e l’addestrò fin al Laterano: al pasto, sedette alla destra
-del pontefice, mentre l’imperatrice in separata sala convitava vescovi
-e grandi.
-
-Non mancò lo spettacolo del sangue, poichè la guarnigione tedesca
-uscì di Tusculo, ed i Romani, senza udir prego nè pianto, uccisero,
-accecarono, mutilarono quegli abitanti, e disfecero il paese[228].
-Alcuni poterono fuggire tra le montagne; altri, per amore del luogo
-natìo, si tennero vicino alla patria devastata sotto _frascati_, che
-poi dieder nome al paese che vi succedette.
-
-Lasciato così deplorabile segno di sua presenza, Enrico con grosse
-armi, colle promesse, colla corruzione procede alla conquista; e
-contraddetto dal papa[229], ajutato dall’abate di Montecassino, prende
-e devasta Roma, e senza incontrare ostacoli arriva sotto Napoli e
-l’assedia. Questa, ristretta allora al quartiere che dalle falde
-di Sant’Elmo e di Capodimonte declina al mare, difesa da robusti
-spaldi e da buone truppe comandate dal prode Aligerno Cuttone, e col
-mare aperto, resiste: Pisani e Genovesi menano navi per secondare i
-Tedeschi, che intanto devastavano la campagna: ma le malattie puniscono
-gli invasori, sicchè Enrico è costretto tornare in Germania pensieroso
-più che pentito; Genovesi e Pisani cessano di caldeggiare un alleato
-infelice; i Salernitani arrestano Costanza e la consegnano a Tancredi,
-che la tiene prigioniera in Sicilia, finchè, ad istanza del papa, la
-restituì senza patti nè riscatto, fidando nella gratitudine.
-
-Tancredi, che non avea saputo mostrarsi degno del diadema col
-difenderlo in persona, morì ben presto, ed essendogli premorto il
-primogenito (1194), non lasciava che il fanciullo Guglielmo III in
-tutela di sua moglie Sibilla d’Acerra, in mezzo a gare de’ baroni coi
-cavalieri, inviperite, lunghe, disastrose e a nulla conducenti. Era
-uscita alla peggio la crociata; e Filippo Augusto, sbarcato a Otranto,
-ebbe a Roma dal papa dispensa dal voto e la palma de’ pellegrini: anche
-il Cuor di Leone, dopo imprese da paladino, tornò in Europa travestito
-per isfuggire ai molti nemici; ma il duca d’Austria lo colse, e lo
-cedette all’imperatore (1192) per sessantamila marchi d’argento; e
-questi lo rivendette all’Inghilterra per centomila, oltre metà tanti
-per finire l’impresa di Sicilia[230].
-
-Al fiuto di questa somma accorsero i baroni tedeschi ad offrirsi
-ad Enrico, che allestitosi, scese nella Lombardia. La trovava in
-nuovi subugli. I vescovi aveano perduto l’autorità temporale, nè
-i Comuni ancora assodata la propria in modo d’aver pace. I diversi
-ordini partecipavano diversamente al Governo, e secondo i varj paesi
-variavano le relazioni coi vicini, per modo che ogni città regolavasi
-con politica e leggi differenti, demolito l’antico, non istabilito
-il nuovo. Le leghe riuscivano meno a stabilir la concordia che ad
-impacciare la legge; i signori conservatisi indipendenti s’arrogavano
-diritti di sovranità; le città maggiori voleano sottomettere le vicine,
-ed eroismo era l’energia dell’odio. Che se tra quella confusione (del
-resto naturale ad ogni reggimento nuovo) alcuno ergevasi a metter
-ordine, sì il faceva con guise tiranniche.
-
-Essendosi Enrico mostrato propizio a Pavia e Cremona (1194),
-permettendo a quella di valersi di tutte l’acque del Ticino, e a questa
-sottomettendo Crema, le due imbaldanzite eransi collegate con Lodi,
-Como, Bergamo e col marchese di Monferrato a’ danni di Milano; la quale
-nelle giornate campali riusciva superiore, è vero, ma trovavasi cinta
-di nemici, che le sperperavano le campagne e rompevano i commerci.
-
-Enrico, raccolti gli stati a Vercelli, procurò instaurare la quiete;
-ma lontano e dalla politica e dalla forza del padre, scarsamente
-approdò; onde seguì sua via per Genova, anch’essa sovvertita da
-fazioni, da frequenti zuffe, da effimeri Governi, e che allora stava
-sotto al podestà Oberto di Olevano pavese. Ai Genovesi scrisse: —
-Se, ajutanti voi, io ricupero il Reame, mio sarà l’onore, vostro il
-profitto: giacchè non io od i Tedeschi miei vi soggiorneremo, ma voi
-stessi»; e seguiva confermando le esenzioni precedenti, e dando nuove
-giurisdizioni e privilegi, la città di Siracusa, ducencinquanta feudi
-in val di Noto: a Pisa parimenti concesse in feudo Gaeta, Mazara,
-Trapani, e metà di Palermo, Salerno, Napoli, Messina, oltre molti
-ingrandimenti in Toscana. Così largheggiando di promesse quanto meno
-intendeva mantenerle, ottenne soccorsi; poi entrato nel Reame, ebbe
-spontanee tutte le città, perfino quella Napoli, che poc’anzi si era
-con tanta costanza sostenuta. Salerno, sentendosi rea d’aver tradito
-l’imperatrice Costanza, si difese ostinata; ma presa, fu messa a
-sacco e ferro, neppur risparmiando le chiese, e i cittadini migliori
-impiccando, torturando, cacciando in prigione o in esiglio, sicchè la
-città, di famosa importanza sotto i Longobardi e i Normanni, più non
-risorse. Capua pure fu espugnata a forza da Guglielmo di Monferrato e
-da’ Genovesi e Pisani: Eraclea (Policora), patria di Zeusi, colonia
-fiorentissima in antico, fu distrutta: qualunque città esitasse a
-sottomettersi, era devastata senza pietà. In Sicilia sottoposte Messina
-e Palermo, l’imperatore, colla pompa che suggerisce la paura, fu
-incoronato, e tutta l’isola gli giurò obbedienza.
-
-Con fallaci lusinghe aveva egli tratto Sibilla ed i figliuoli dal
-castello di Calatabelotta, dove s’erano fortificati coi loro fedeli;
-poi raccolti gli stati a Palermo, accusò lei e molti grandi di una
-congiura. Non la fondava che sopra una lettera consegnatagli (diceva)
-da un frate; ma bastò perchè quanti aveano tenuto col partito
-nazionale, laici od ecclesiastici, fossero mandati alla forca o al
-palo, accecati, arsi vivi, esposti alle beffe, relegati in Germania; re
-Guglielmo, toltogli il vedere e il generare, fu tenuto prigione finchè
-andò monaco; Sibilla e le figlie rapite in carcere, poi nella badia di
-Hohenbruck in Alsazia; turbate le ossa di Tancredi per istrappare il
-diadema a lui e al figlio Ruggero; bruciati quanti aveano contribuito
-alla loro coronazione.
-
-Fu spenta così nel sangue la dinastia normanna, di cui i regnicoli
-ricordano ancora con compiacenza i tempi e le famose ricchezze. Re
-Tancredi avea dato ventimila oncie d’oro per dote di sua figlia;
-Arnaldo di Lubecca ci rammentò le tavole, i letti, le sedie d’oro nel
-palazzo di Palermo; Ruggero Hoveden fa trovare da Enrico nel tesoro di
-Salerno ducentomila oncie d’oro; e in quel di Palermo senza fine armi
-ricche, stoffe d’oro e d’argento, sete ricamate, altre preziosità, con
-cui potè far larghezza a’ suoi fedeli; eppure censessanta somieri vi
-vollero per trasportarne il resto nel castello di Trifels[231].
-
-Con tirannia stolidamente feroce sottentrava la dinastia sveva, che
-mal per lei. Anche le città sottomessesi volontarie, furono trattate
-come conquista; Siracusa e la risorta Catania incendiate, senza
-riguardo a nobiltà o a grado; Napoli e Capua smantellate, e per le
-vie di questa trascinato a coda di cavallo, poi impeso pei piedi, indi
-strozzato da un buffone Ricardo conte d’Acerra, cognato di Tancredi,
-ultimo lustro dell’antica dinastia. Giordano e Margaritone, più ligi
-all’imperatore perchè un tempo avevano sguainato pe’ suoi nemici,
-inventavano delitti e trame, affine d’intitolar punizione la vendetta.
-Uno ch’erasi millantato di poter rendere la libertà e il trono a
-Sibilla, fu collocato sopra un seggio di fuoco, con corona di ferro
-rovente: massime su ecclesiastici e prelati s’infierì, e chi fu arso,
-chi scorticato, chi mutilo, chi mazzerato.
-
-Non che mancare alle condizioni promesse a Genovesi e Pisani, Enrico
-li fraudò degli antichi privilegi, proibendo vi tenessero consoli,
-e proscrivendo tutti i negozianti forestieri. Del papa non si curò
-più che tanto, nè gli chiese l’investitura; onde questo l’avrebbe
-scomunicato, se nol tratteneva la naturale bontà, e la speranza che
-mantenesse la ripetuta promessa di crociarsi.
-
-Dava fiducia di presti cambiamenti il non aver successori il re svevo;
-quando si annunziò che Costanza era feconda. Enrico volle venisse nel
-Reame, quasi per dare un re indigeno; e avendo essa partorito a Jesi,
-al bambino pose nome Federico Ruggero, come quello che univa i due
-sangui nobilissimi. I Ghibellini ne fecero galla; i Guelfi sparsero
-ogni sorta di dicerie su questo intempestivo natale[232]; ed Enrico ne
-prese baldanza a compiere il disegno del Barbarossa di far ereditario
-l’impero in sua casa, tanto più da che trovavasi favorito dalla
-vittoria e dai tesori della Sicilia.
-
-Cominciò dal sistemare la media Italia in modo di tener soggetta tutta
-la penisola. Pertanto a Filippo, ultimo figlio del Barbarossa e che poi
-divenne duca di Svevia, diede in moglie Irene figlia d’Isacco Langelo
-imperatore di Costantinopoli, e vedova del primogenito di Tancredi; e
-in feudo la Toscana ed altri beni della contessa Matilde: a Markwaldo
-d’Anweiler suo siniscalco, e ministro delle crudeltà, infeudò la marca
-d’Ancona: a Corrado di Svevia quella di Spoleto usurpandola alla Chiesa
-con titolo di rintegrare le imperiali prerogative, e restringendo
-il papa a poco più che all’indocile Roma. Vedendosi riminacciato il
-giogo degli Svevi, le città guelfe di Lombardia, da lui poste al bando
-dell’Impero, rinnovarono a Borgo Sandonnino la Lega Lombarda (1193 — 13
-giugno), alla quale diedero il nome Verona, Mantova, Modena, Faenza,
-Bologna, Reggio, Padova, Piacenza, Gravedona, oltre Crema, Brescia e
-Milano. Così i Guelfi perseveravano nell’assunto loro di campare Italia
-dalla straniera servitù.
-
-E servitù veramente minacciava Enrico, avvicendando crudeltà e perfidie
-contro i nostri non solo ma anche contro i Tedeschi. Raccolti gli
-stati a Magonza, propose di rendere in sua casa ereditario l’Impero, al
-quale aggregherebbe Puglia, Calabria, Capua e Sicilia, rinunzierebbe
-alla pretensione regia sulle spoglie de’ vescovi e abati defunti,
-riconoscerebbe ereditarj i feudi anche nelle donne. A proposte sì
-lusinghiere ben cinquantadue principi aderirono: e per vero quel
-suo concetto potea tornar buono onde evitare le contestazioni che
-rinasceano tra le famiglie aspiranti alla corona della Germania, e
-ridur questa sotto leggi uniformi. Ma poteasi mai sperare v’assentisse
-il papa, il quale con ciò perdeva un preziosissimo diritto, e snaturava
-una dignità, attribuibile non alla nascita ma al merito personale? Poi
-a riuscirvi si voleva altro accorgimento politico, e carattere ben
-più stimabile che non l’avesse Enrico, il quale, mentre inorgogliva
-del tenersi come successore dei romani augusti, operava da inetto
-e crudele, scambiava per grandiosi disegni le velleità della sua
-ambizione; prometteva alle repubbliche privilegi, al papa di crociarsi,
-ai principi di favorirli, e a tutti perfidiava sfacciatamente; poi
-trovandosi impotente ai concetti, saltava in furore.
-
-Il divisamento medesimo egli rivoltò in altra guisa, meditando cavare
-dalla nullità l’impero bisantino assalendolo come aveano fatto i
-predecessori, e sedutosi sul trono di Costantino, congiungere le due
-Chiese, e ridurre il papa alla docilità dei patriarchi orientali. A
-tal uopo, fingendo secondare la predicazione della crociata, tutto
-dispose per questa in Italia e in Germania, e un esercito mandò in
-Sicilia; ma in realtà non fece che raddoppiarvi le taglie, e supplizj
-di nuova invenzione, fin cinquecento nobili in un sol giorno facendo
-bruciare al piè del palazzo[233], quasi tenesse fitto il pensiero di
-sterminare tutti i Normanni; sicchè meritò il titolo che i Siciliani
-gli applicarono di Ciclopo. Indarno Costanza sua procurava mitigarlo,
-compatendo a quelli fra cui era nata e cresciuta, e ch’erano sua
-eredità; e di cui ella acquistò l’amore mentre governava, lui assente.
-Quand’egli fe mutilare Margaritone grand’ammiraglio, ella s’affiatò
-coi nemici dell’imperatore; i Palermitani uccisero molti Tedeschi,
-la sommossa scoppiò in diversi punti; e fra questi bollimenti
-Enrico fu côlto dalla morte a Messina (1197), di trentatre anni. In
-agonia assalito dal rimorso, largheggiò cogli ecclesiastici, offrì
-compensi a Ricardo cuor di Leone, alla Chiesa romana fece concessioni
-amplissime[234] confessandone la fin allora rinnegata supremazia.
-
-Gl’Italiani spiegarono soprumana allegrezza di questa morte: ne
-gemettero i Tedeschi, e sparsero che sua moglie l’avesse attossicato
-per vendicare sul marito la patria, resa infelice da quella sciagurata
-conquista, che tanti altri mali dovea trarre sull’Italia. Costanza
-cercò far cessare in Sicilia il dominio militare e quei che chiamavansi
-_costumi tedeschi_, cioè la violenza e il ladroneccio[235]; allontanò
-l’odiato Markwaldo, che a stento fuggì la popolare vendetta: ma
-anch’essa morì ben presto (1198 — 27 8bre), lasciando solo un bambino,
-Federico Ruggero. Di quattro anni, odiato dai popoli, massime dagli
-Italiani che d’ogni parte insorgevano, insidiato dagli emuli e dagli
-stessi fedeli di suo padre che carpivano i brani del dominio, non trovò
-ricovero che sotto al manto del papa, che poi egli dovea faticarsi a
-stracciare.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXVII.
-
-Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente.
-
-
-L’elezione de’ pontefici era stata da Nicola II ristretta nei
-cardinali, vescovi e preti; poi Alessandro III, il promotore della Lega
-Lombarda, ascrisse al sacro collegio i capi del clero romano (1179)
-formandone i cardinali diaconi, escluse gli altri ecclesiastici, ed
-ordinò che, per essere papa legittimo, convenisse ottenere i suffragi
-di due terzi de’ cardinali.
-
-Colla nuova forma fu eletto Lucio III (1181), che sedette a Vellètri,
-poi a Verona[236], sfuggendo dalla plebe romana, irrequieta e riottosa
-tanto, che avea preso a sassi fin il cadavere del suo predecessore, e
-accecati quanti cherici colse nell’espugnato Tusculo. A Urbano III fu
-precipitata la morte (1185) dalla notizia della presa di Gerusalemme;
-alla cui ricuperazione (1187) s’applicò Gregorio VIII nel brevissimo
-suo regno. A Clemente III succedutogli riuscì alfine di conchiuder pace
-coi Romani, abbandonando alla loro vendetta Tivoli e Tusculo. Il nuovo
-pontefice Celestino III (1191) non aveva potuto impedire che Enrico
-VI disponesse dell’eredità della contessa Matilde, e assegnasse a’
-suoi baroni molte terre della Romagna, e fino alle porte della città,
-lasciando a San Pietro soltanto la Campania, dove pure l’imperatore più
-era temuto che il papa[237].
-
-Da Alessandro III in poi era dunque in calo l’autorità pontifizia,
-sicchè i cardinali sentirono la necessità d’affidarla a un robusto,
-qual fu Lotario (1198) dei Conti di Segni, col nome di Innocenzo III.
-Erudito se alcun n’era dell’età sua, in gioventù avea dettato _Del
-disprezzo del mondo, e delle miserie dell’umana condizione_, non come
-uno scettico che nauseato predica la vanità delle cose terrene senza
-por mente a quelle di sopra, ma elevando il cuore alle non peribili.
-Versò a lungo negli affari, alla prudenza del concepire aggiungendo la
-fermezza dell’effettuare e l’abilità del trovarne le guise.
-
-Assunto pontefice nella vigorosa età di trentasette anni, del tesoro
-che trovò fe mettere in disparte una porzione per le emergenze
-imprevedute, il resto distribuì ai conventi di Roma; provvide
-agl’istituti di beneficenza; destinò ai poveri i doni offerti a san
-Pietro ed a’ suoi piedi, e la decima di tutti i suoi proventi; in una
-carestia mantenne ottomila poveri al giorno, oltre le distribuzioni per
-le case; molti riceveano quindici libbre di pane per settimana, alcuni
-presentavansi allo sparecchio per raccogliere i rilievi della sua
-mensa.
-
-Di que’ giorni i pescatori ebbero a raccorre dal Tevere tre bambini
-gettati; e Innocenzo ne fu sì tocco, che stabilì provvedere a
-quest’infelici; onde rifabbricò ed estese l’ospedale di Santo Spirito
-in Sassia, dotandolo lautamente, e stabilendo che in perpetuo, l’ottava
-dell’Epifania, il papa in solenne processione vi recasse il santo
-sudario, ed esortasse i Cristiani alla carità, dandone egli stesso
-esempio col distribuir pane, vino e carne a quanti vi assistevano.
-Millecinquecento malati vi dimoravano costantemente; ospitati i poveri
-d’ogni condizione e paese; ed anche ora annualmente vi sono raccolti
-ottocento esposti, di cui più di duemila vi stanno ordinariamente; e la
-spesa se ne calcola a centomila scudi l’anno.
-
-A tanto fiore di carità univa una fervorosa devozione nel celebrare gli
-uffizj divini e nel predicare: i trattati e le omelie sue il mostrano
-versatissimo nelle sacre carte; compose diversi inni, e ancora si
-cantano dalla Chiesa il _Veni, sancte Spiritus_ e lo _Stabat mater_.
-
-A tali qualità di cristiano e di pontefice accoppiava quelle
-di principe; principe in ben miglior senso di cotesti altri
-suoi contemporanei. Amò Atene per le antiche glorie, Parigi per
-l’università, alla quale diede regole e privilegi; rifabbricò chiese, e
-fecele dipingere da Marchione d’Arezzo primo scultore e architetto dei
-tempi rinnovati, e da altri; crebbe e ornò San Pietro e il Laterano; e
-sulla piazza di Nerva fece alzar la torre dei Conti, meraviglia di quel
-tempo[238], e che gli è rinfacciata come una condiscendenza ai parenti,
-della cui grandezza in fatto fu tutt’altro che negligente.
-
-Ne’ suoi Stati non affidava la giustizia che a persone di senno e
-bontà: profondo nelle leggi, ristabilì la consuetudine di presedere
-tre volte la settimana a una congregazione di cardinali, ove a tutti
-era dato portar quistioni. Credesi abbia istituito il processo in
-iscritto, per escludere il sospetto di frode, e attestare la regolarità
-degli atti; e fece abolire i giudizj di Dio[239]. A Roma allora
-recavansi in supremo appello tutte le cause di rilievo; e Innocenzo,
-assiduo ai concistorj ove le si dibattevano, spesso udiva le parti
-egli stesso in privato, esaminava gli atti, addolciva coi modi le
-sentenze ch’era obbligato portar contrarie. Ci rimangono di lui
-tremila ottocencinquantacinque lettere, la più parte di sua mano, e che
-dividendosi sopra quattordici anni (di quattro mancano), danno un medio
-di ducensettantacinque l’anno: e tanto credito ottennero, da divenire
-testo nelle università.
-
-Tenace di memoria, esuberante d’erudizione, elevato nell’ideare,
-perseverante nell’eseguire, sagace nell’antivedere gli effetti,
-attingeva forza dagli ostacoli, rispondeva e operava pronto non
-precipitato, circospetto non oscillante, e sempre dopo consultati
-i cardinali; severo coi pertinaci, benevolo ai docili, propenso
-all’indulgenza e a credere il bene; degli ordinamenti che uscirono
-sotto il suo regno, nessuno fu derogato.
-
-Colle idee di Gregorio VII egli sottentrava ai carichi che pesavano
-sopra un pontefice allora, quando non dovea soltanto curare la salute
-delle anime e l’interesse della cattolica verità, ma attendere al
-miglior governo della società cristiana e difendendo la libertà della
-Chiesa, vigilare agl’interessi dei popoli, e a mantenerli ne’ loro
-doveri come ne’ loro diritti. Assicurare la purezza dell’operare e
-del credere contro i simoniaci, eretici, re adulteri, impedire si
-accumulassero i benefizj, dare e rinnovare privilegi a conventi,
-a ordini, a chiese, e cassare i pregiudizievoli, introdur feste,
-proteggere i deboli contro prelati o capitoli prepotenti, pronunziare
-generali decisioni di fede, e risolvere dubbj e casi particolari,
-confermare o rivedere sentenze dei legati, far rispettare gli ordini
-de’ predecessori suoi, revocar quelli carpiti con frode, reprimere
-gli arbitrj dei re e dei baroni, raccomandar funzionarj o poveri
-preti, sancire convenzioni fra ecclesiastici, ribenedire scomunicati,
-canonizzare santi, tali e assai più erano gli uffizj che un pontefice
-estendeva a tutto il mondo. E Innocenzo con intima persuasione
-proclamava quest’autorità, stabilita nel cristianesimo per congiungere
-tutti coloro che lo professano, tutelare i diritti, determinare i
-doveri di tutti, far rispettata la legittimità dal suddito e dal
-principe, egualmente servi a Dio per la verità e la giustizia.
-
-Prima raccomandazione a’ suoi legati era d’aver gli occhi e gli
-orecchi ai portamenti del clero, francheggiare la ragione, svellere
-gli abusi, comporre le differenze, frenare la cupidigia di guadagno.
-Anche di mezzo ai laici procurava estirpare gli scandali, introdurre
-usi che mettessero gravità ne’ modi; ordine nella vita, e tutelava il
-matrimonio contro i voluttuosi capricci de’ principi. Qui prescrive
-limiti all’usura, là disegna il vestire de’ laureati di Parigi o de’
-cavalieri Teutonici; oggi ammonisce il clero milanese del come trattare
-i nunzj in viaggio, domani il doge di Venezia di ritirare un ordine
-troppo severo contro un privato; scrive ad alcuni principi perchè
-vigilino alla sicurezza delle strade, ad altri perchè non alterino
-le monete, o non aggravino i tributi, o non impongano nuovi pedaggi.
-Non una legge della Chiesa è violata, ch’e’ non la ripristini; non
-fatta un’ingiuria al debole, ch’e’ non ne chieda riparazione. Prende
-in tutela Federico II, Ladislao d’Ungheria, Enrico di Castiglia,
-l’infante d’Aragona, orfani reali: Gualtieri di Montpellier sbandito a
-lui ricorre; a lui le nazioni trafficanti per risolvere i loro piati.
-Pietro II d’Aragona, il re de’ Bulgari, lo stesso re d’Inghilterra non
-credettero meglio assicurare la propria corona che facendola vassalla
-della santa sede: i regni di Navarra, di Portogallo, di Scozia,
-d’Ungheria, di Danimarca si gloriavano di mettersi sotto l’alto dominio
-del papato.
-
-Le basi del quale già eransi assodate; ogni nuovo pontefice v’avea
-recato una pietra, Innocenzo s’accingeva a porvi il colmo. Alla morale
-e alla dignità de’ prelati credeva, come Gregorio VII, fosse spediente
-render la Chiesa al possibile indipendente dalla podestà temporale.
-Cominciò dall’assicurare il dominio pontifizio in Roma, i cui eterni
-contrasti obbligavano a tener ristretto fra i sette colli lo sguardo
-che dovea girarsi su tutto il mondo. La nobiltà vi era cresciuta di
-baldanza fra le contrarie pretensioni dell’imperatore e del pontefice,
-parteggiando coll’uno o coll’altro secondo l’interesse.
-
-La parte cesarea era rappresentata dal prefetto di Roma, investito
-dall’imperatore colla spada: poi dai tempi d’Arnaldo sussisteva un
-senato, la cui autorità era dal popolo stata ridotta in un solo,
-straniero, capo supremo della giustizia, del governo civile e della
-forza armata, centro insomma del governo, siccome altrove il podestà.
-Quando Clemente III ritornò in Roma, patteggiò col popolo confermando
-la dignità del senato, la città, la zecca; di questa però riservavasi
-un terzo, mediante il quale la chiesa di san Pietro e le chiese e
-vescovadi tassatisi per la guerra venissero anno per anno esonerati fin
-all’estinzione dell’obbligo assunto. Restituiva le regalie in città e
-fuori; egli difenderebbe i capitani e gli altri magistrati della città:
-i senatori giurerebbero annualmente fedeltà al papa; resterebbero alla
-romana Chiesa i possessi di Tusculo, in qualunque modo esso possa
-soggiogarsi, dando ogn’anno cento libbre dal ricavo di essi, onde
-restaurare le mura di Roma. Di rimpatto i senatori assicuravano pace
-e sicurezza al papa, ai vescovi, ai cardinali, a tutta la curia, e chi
-v’andava e dimorava. Il papa eleggerà dieci o più persone per ciascuna
-delle regioni della città, dalle quali i senatori faran giurare questa
-pace. Se occorra difendere il patrimonio di san Pietro, i Romani vi
-andranno colle spese consuete[240].
-
-Tale era trovato il governo di Roma da Innocenzo. Il quale, conoscendo
-come alle repubbliche pregiudicassero queste ingerenze imperiali,
-risolse torle di mezzo; fe snidare i Tedeschi dai contorni di Roma,
-recuperando i castelli da loro presidiati; obbligò il prefetto a non
-prestar più all’imperatore l’omaggio ligio, ma ricevere da esso papa il
-manto, con giuramento di rinunziarvi ogniqualvolta ne fosse richiesto;
-il senatore ridusse ad esercitare la podestà, non più in nome del
-popolo, ma del papa.
-
-Spenta così l’autorità regia in Roma, invitò gli abitanti della marca
-d’Ancona a cacciare il tedesco Markwaldo, «giacchè nessuna violenza
-può abolire i diritti»; onde Ancona, Fermo, Osimo, Camerino, Fano,
-Jesi, Sinigaglia, Pesaro vennero all’obbedienza papale: altrettanto,
-espulso Corrado Moscaincervello, avvenne del contado di Spoleto, che
-abbracciava Rieti, Assisi, Foligno, Nocera; seguirono Perugia, Gubbio,
-Todi, Città di Castello, cosicchè i nostri esultarono di vedersi
-sbrattati da Tedeschi; e lo Stato della Chiesa non fu più soltanto un
-nome, ma diveniva una realtà.
-
-Innocenzo bramava aggiungervi l’esarcato di Ravenna e i beni della
-contessa Matilde; ma poichè saldo li difendeva Filippo di Svevia, esso
-si diede a fomentare gli spiriti liberali de’ Toscani, spiacenti di
-durare in tirannia mentre i Lombardi s’erano assicurata la libertà.
-Inanimiti da esso a confederarsi al modo de’ Lombardi per tutelar
-le franchigie (1199), Firenze, Lucca, Volterra, Prato, Samminiato ed
-altre giurarono pace e lega, invitandovi tutti gli Stati e i liberi
-o nobili che vi volessero aderire, affine di vigilare all’osservanza
-della legge, combattere chiunque facesse guerra ad alcun collegato,
-rimetter pace se tra questi nascesse dissidio, obbligandosi a stare
-alla decisione di arbitri. I rettori s’adunerebbero sotto un priore
-per provvedere al meglio della Lega, la quale prometteva obbedirli: si
-punirebbero severamente i trasgressori. I consoli o podestà farebbero
-giurar essa Lega da tutti i loro cittadini; così i vescovi e conti da
-tutti i loro militi e pedoni, e dai loro figli. Non si riconoscerebbe
-imperatore, o legato o nunzio d’imperatore o principe, duca o marchese,
-senza speciale assenso della Chiesa romana. A questa si assisterebbe
-affinchè recuperasse i beni, purchè non fosse contro qualche membro
-della Lega. Se il papa e i cardinali non adempissero i loro obblighi
-verso questa, la Chiesa se ne terrebbe esclusa[241].
-
-Ma Pisa, Pistoja, Poggibonsi mantenevansi coll’Impero, sicchè, scissa
-la Toscana in due, cominciò a divulgarsi ivi pure la qualificazione di
-guelfo e ghibellino.
-
-Gente raffinata come vedemmo essere i Siciliani, e che cominciava in
-sua favella a far intendere i suoni della nuova poesia, considerava
-per barbari i Tedeschi. Enrico VI, accortosi d’avere preparato cattivo
-letto al suo fanciullo Federico, morendo il raccomandò al papa.
-Accettò questi; ma oltre volere che n’uscissero le truppe tedesche,
-scopo all’ira popolare, pose per patto alcune modificazioni nei
-_quattro capitoli_ della monarchia, ed erano che i vescovi fossero
-eletti canonicamente, e i re li confermassero; a ciascun ecclesiastico
-siciliano fosse permesso appellarsi a Roma; il papa potesse deputare
-legati nell’isola: di rimpatto riduceva il censo a mille schifati.
-Costanza non seppe ricusare; e anch’essa, quando morì (1198), lasciò la
-tutela di Federico ad Innocenzo, colla provvigione di trentamila tarì
-(lire 80,000).
-
-Innocenzo gli diede per aji gli arcivescovi di Palermo, Monreale
-e Capua, e tosto spedì un legato che traesse a sè il governo; onde
-nelle stesse mani trovandosi il potere ecclesiastico e il civile,
-ogni contestazione restava tolta di mezzo. I baroni del Regno sel
-recavano in sinistra parte; e il duca Markwaldo, che, espulso di
-Romagna, erasi ridotto nel suo contado di Molise, erettosi capo della
-parzialità imperiale, pretese alla tutela del giovane re, come via di
-farsi indipendente, assediò San Germano, e ajutato dai Pisani sbarcò
-in Sicilia. Lo favorirono i Siciliani, paurosi d’una persecuzione;
-ma mentre i nobili, tenendo coi Ghibellini, avvicendavano arroganza
-e viltà, il popolo esecrava i Tedeschi a segno, che nè tampoco i
-pellegrini di questa nazione potevano traversare impunemente il Reame
-per andare in Terrasanta.
-
-Gualtieri conte di Brienne, francese povero ma di gran valore e
-nobiltà, avea sposato la primogenita del re Tancredi, che era stata
-messa in libertà per istanza del papa; e ridomandava Taranto e Lecce,
-che i figli di Tancredi si erano riservati nel cedere il diritto
-ereditario alla corona. Venne egli a Roma con Sibilla e colla moglie;
-e il papa, lieto d’aversi un tal vassallo, lo sostenne, sicchè egli,
-messi insieme sessanta Francesi, mille lire tornesi, e cinquecento
-oncie d’oro dategli dal papa, riportò nel Reame molte vittorie; ma
-Gualtieri Paliario, arcivescovo di Palermo ed arcicancelliere del
-regno, che tramestava la Sicilia a suo talento, e dava e toglieva
-contadi e feudi, vi oppose proteste e forza. Innocenzo scomunicollo,
-ma per conservare integro il patrimonio al suo pupillo fu costretto
-ricorrere alle armi: la fortuna de’ combattimenti si bilicò, ma alfine
-arrise a Markwaldo, che avendo in mano Federico, e spargendo voce ch’e’
-fosse un parto supposto[242], tenne suddita la Sicilia, e faceasene re
-ove non l’avesse rattenuto paura del conte di Brienne. Nel farsi operar
-della pietra morì (1201), ma Capperone continuò la parte di lui, sempre
-opponendosegli il conte di Brienne, il quale però, sebbene vantasse
-che Tedeschi armati non avrebbero tampoco osato affrontare Francesi
-disarmati, fu sorpreso e imprigionato all’assedio del castello di
-Sarno, e morì di ferite. Delle turbolenze siciliane vollero profittare
-i Pisani per occupare Siracusa: ma i Genovesi, perpetui avversarj di
-essi, accorsero, ne trucidarono quanti vollero, e posero in quella
-città chi la governasse a nome loro. Finalmente il pontefice trionfò
-dappertutto, ristabilì le città nelle antiche franchigie, e da Federico
-ottenne il contado di Sora per suo fratello Ricardo, principale autore
-di quelle vittorie.
-
-Qui i parziali interessi cedono a fronte della crociata, interesse
-generale non solo pel pio intento, ma pei tanti Europei che eransi
-piantati nell’Asia, fondando colonie, scali di commercio, principati,
-e confidandosi sugli ajuti promessi dai fratelli d’Europa. Dicemmo
-dello sgomento propagatosi allorchè Gerusalemme ricadde ai Musulmani:
-ma quando il gran Saladino, glorioso di quel trionfo, morì (1193),
-diciassette suoi figli si disputarono il dominio, onde il vigoroso
-regno degli Ajubiti si disciolse in piena anarchia. Innocenzo III
-credette caduto con quello l’antemurale dell’islam, e opportunissimo
-l’istante di ricuperare la santa città, sicchè bandì la croce: Enrico
-VI la prese, poi, fallendo alla promessa, si valse dell’esercito nelle
-sue gare private, e lasciò che altri principi andassero in Palestina
-(1195), ove Malek Adel, fratello di Saladino, li fece mal capitati.
-
-Innocenzo, come voleva il perfezionamento della Chiesa per mezzo
-della morale e dell’indipendenza, così s’infervorò al ricupero della
-santa città; proibì gli spettacoli e tornei per cinque anni, mandò a
-raccattare denaro per tutta cristianità, egli stesso fece fondere il
-suo vasellame d’oro e d’argento, riducendosi ad argilla e legno. Folco
-curato di Neuilly predicò per Francia la crociata, e moltissimi baroni
-e prelati gli ascoltarono, all’impresa non accettandosi la turba, ma
-solo gente disciplinata. Spedirono essi ambasciadori a Venezia per
-chiederle navi da trasporto e ajuti: ma mentre i papi e gli altri
-popoli lanciavansi a quell’impresa (1198) con impeto devoto e pio
-disinteresse, le repubbliche nostre marittime vi scorgeano occasioni
-di guadagno, e opportunità di fondar banchi e scali e prevalere agli
-emuli; anzi non si faceano scrupolo di somministrar navi, arredi e
-piloti a que’ Saracini, contro cui la cristianità combatteva. Già
-in molte città della Siria e della Grecia teneano colonie, regolate
-colle patrie leggi; ma il contatto coi Greci avea portato ai Veneziani
-disgusti e sanguinose animadversioni. Sentendosi cresciuti in forze
-dacchè i Latini dominavano nel Levante, cessarono gli antichi riguardi
-verso gl’imperatori; dicemmo come gli osteggiassero, e covavano sempre
-il desiderio di umiliare i Greci sprezzati, e insieme di distruggere i
-banchi che quelli aveano concesso ai Pisani.
-
-A Venezia soleano prendere imbarco i pellegrini per Terrasanta, ai
-quali restava permesso vagare per la città con croci e gonfaloni;
-e alcuni uffiziali, detti Tolomazzi, erano eletti al solo uopo di
-assisterli e consigliarli nell’acquistare il bisognevole pel viaggio e
-pattuire i noli; i _signori di notte_ decidevano sommariamente le cause
-e querele loro; e il pellegrino alle processioni poteva intervenire
-appajato ad un patrizio, che gli cedeva la destra e gli regalava
-il cero. Ma questa volta non vi vennero solo devoti palmieri, bensì
-ambasciatori della più alta baronia di Francia.
-
-Sedeva allora doge Enrico Dandolo (1201), che colle armi e coi
-maneggi avea sempre sostenuto la gloria nazionale, nè languiva
-benchè nonagenario. Personalmente era stato offeso dall’imperatore di
-Costantinopoli, e quasi accecato, sicchè dovette accogliere volonteroso
-l’occasione di vendicarsi con un’impresa che tornerebbe di onore e
-vantaggio della patria. Convocato il popolo in San Marco, dopo la messa
-dello Spirito Santo si levò ed espose: — I baroni francesi chiedono
-a voi, popolo veneziano, navi per trasportare quattromilacinquecento
-cavalli, ventimila fanti e provvigioni per nove mesi. Noi domandammo
-per compenso ottantacinquemila marchi (4,250,000 lire). Inoltre, se a
-voi piaccia, la Repubblica armerà cinquanta galee, purchè le sia ceduta
-metà delle conquiste che si faranno. Piace a voi, popolo veneziano, la
-proposta e il patto?» I messi francesi in ginocchione tendeano le mani
-supplichevoli ripetendo la domanda, persuasi che i soli potenti fossero
-i Veneziani sul mare, i Franchi per terra; e giuravano sulle armi e sul
-vangelo di mantenere le convenzioni.
-
-Il popolo a gran voci applaudiva al trattato, e più crebbe il fervore
-quando il doge dal pulpito soggiunse a’ suoi: — Voi siete accompagnati
-alla miglior gente del mondo, e per la più nobile impresa che mai
-alcun popolo assumesse. Vecchio son io e fiaccato, e avrei mestieri
-di riposo e di pensare alla fine del mio corso: ma vedo che nessuno
-vi potrebbe regolare come io vostro capo. E però, se volete che io
-pigli la croce per custodirvi e governarvi, e in luogo mio lasci i miei
-figliuoli a guardia della patria, io verrò a vivere e morire con voi e
-coi pellegrini». Tutti ad una voce gridarono _Si faccia, Dio lo vuole_;
-egli attaccossi la croce al corno ducale; e inteneriti si mischiavano
-in abbracci i baroni francesi coi veneti negozianti[243].
-
-La gelosia fe stare inoperose Pisa e Genova, tanto più che esse si
-faceano guerra accannita, dalla quale tentò invano distorle il papa:
-però Lombardi e Piemontesi vi vennero, fra cui Sicardo vescovo di
-Cremona, che nella sua storia ci descrisse questi fatti; e capo della
-spedizione fu eletto Bonifazio II marchese di Monferrato, fratello del
-prode Corrado marchese di Tiro. Da Francia, da Borgogna, da Fiandra
-accorrevano cavalieri a Venezia, dove trovarono arredati i navigli;
-ma altri imbarcaronsi altrove, con pregiudizio proprio dell’impresa.
-Imperocchè vennero a mancare i denari onde pagare il noleggio ai
-Veneziani, benchè giojelli e vasi fossero convertiti in zecchini, dando
-tutto fuorchè i cavalli e l’armi, e confidandosi nella Provvidenza.
-Pertanto il doge disse: — Ebbene, noi rimetteremo questo debito ai
-Crociati, purchè ci ajutino a riprendere Zara, sottrattasi a noi per
-darsi al re d’Ungheria». Molti faceansi coscienza del voltare contro
-Cristiani l’armi giurate contro Infedeli; più si oppose il papa, sul
-riflesso che quel re, avendo anch’egli preso la croce, restava protetto
-dalla tregua di Dio: ma il doge non vi badò, con grave scandalo de’
-Settentrionali avvezzi a sottoporre interessi e calcoli al volere
-pontifizio.
-
-Salpata la più bella flotta che mai avesse veleggiato l’Adriatico,
-prendono Trieste, spezzano le catene del porto di Zara; ma qui
-pullulano fiere discordie fra i Crociati, che si uccidono gli uni
-gli altri, e il papa disapprovando l’impresa, ordina di restituire il
-bottino, e far penitenza e riparazione: e poichè i Veneti in quella
-vece diroccano le mura, li scomunica, senza per questo disobbligarli
-dal voto, mentre ribenedice i Francesi che mandarono a scusarsi, ed
-ordina che, senza volgersi a destra nè a sinistra, passino in Siria.
-
-Frattanto gravi accidenti complicavano l’intento della spedizione.
-Benchè gl’imperatori bisantini dominassero sempre su molta parte
-dell’Italia, noi reputammo alieno dal nostro soggetto il seguirne
-la serie e i fatti. Del resto il lettore che si ricorda degli ultimi
-tempi di Roma imperiale può figurare vi continuasse quel sistema di
-serraglio, con regnanti dappoco, favoriti onnipotenti, da null’altro
-temperati che da frequenti rivoluzioni, per cui un intrigo di
-palazzo cambiava o gli imperatori o i ministri; e Costantinopoli vi
-applaudiva, e tutto l’Impero non facea che mutare il nome di quello
-a cui obbedire. In quella Chiesa non vi era stato l’antagonismo col
-Governo; e sottomessa com’era, non potè impedire la corruzione del
-potere, che a vicenda era trascinato negli errori dell’autorità
-che aveva a sè riunita. Intanto assalti sempre più stringenti di
-nemici esterni; intanto le coscienze turbate dalla regia pretensione
-d’interporsi ai dogmi e ai riti; intanto una letteratura, non ancor
-rimestata da stranieri, eppure impotente, che degl’insigni classici non
-sapea valersi se non per commentarli, e la lingua più bella e forbita
-adoperava soltanto a trastulli senili e a sofistiche controversie.
-
-Questo quadro tengano sott’occhio coloro che non hanno se non
-vilipendio pei paesi invasi da Barbari, e rimpianto per la dominazione
-romana schiantata dall’Italia. Qualche nuovo vigore parve recare su
-quel trono d’orpello la famiglia Comneno, di cui era quell’Alessio che
-vedemmo barcollante amico e coperto nemico dei Crociati: e per poco
-ch’e’ valesse, nessuno l’eguagliò de’ suoi successori. Giovanni Comneno
-(1118) menò per ventiquattro anni guerre felici. A Manuele (1143),
-succedutogli con spiriti cavallereschi più che prudenza a dirigerli,
-Ruggero II di Sicilia portò l’assalto che dicemmo, in cui desolò le
-coste del Jonio, espugnò Tebe e Corinto, menando via quanto di meglio
-trovò d’uomini robusti, di belle donne, d’abili operaj. Manuele divisò
-allora snidare i Normanni d’Italia (1155), e in fatto i suoi presero
-Bari e Brindisi: ma ben presto seguì la pace.
-
-Alessio II suo figliuolo gli succedette (1180), reggente la madre Maria
-d’Antiochia; ma questa affidavasi tutta al protosebaste Alessio nipote
-di Manuele, scandolezzando e scontentando la Corte, sicchè fu tramato
-a favore di Andronico Comneno. Costui, tenuto prigione dodici anni,
-fuggì, e dopo romanzesche avventure perdonato, osteggiò di continuo il
-protosebaste; e dal patriarca eccitato a liberare la patria, si mosse
-raccogliendo gli scontenti. Appena compare a Calcedonia, il popolo lo
-acclama reggente (1183); ed egli fa accecare Alessio, trucidare senza
-distinzione quanti Latini coglie in Costantinopoli, avvelenare Maria
-sorella dell’imperatore e il marito di lei marchese di Monferrato,
-strangolare l’imperatrice madre; e così cacciatosi addosso la porpora,
-la conservò, e viepeggio quando Guglielmo II di Sicilia, aspirando
-alla conquista dell’Impero, prese Durazzo e Tessalonica, e marciò sopra
-Costantinopoli.
-
-Vittima designata dal tiranno era Isacco Langelo, cittadino di molto
-seguito: ma questi uccide il carnefice, rifugge in Santa Sofia, e dal
-popolo tumultuante è, mal suo grado, proclamato imperatore (1185).
-Andronico, abbandonato al furore del popolo, fu per più giorni tratto
-a strapazzo, in fine appiccato per li piedi in teatro, rinnovando
-le scene che erano famigliari alla Roma del Basso Impero. Con questo
-vecchio di settantacinque anni terminò la stirpe dei Comneni.
-
-Femminesco di vita e inetto di mente, Isacco abbandonava le cure a
-ministri indegni; ebbe contese con Federico Barbarossa, a cui danno
-(1195) sollecitò le repubbliche lombarde: poi da Alessio fratel suo
-fu deposto, accecato e messo in carcere col figlio. Questi, Alessio
-anch’egli di nome, riuscì a fuggire presso Filippo di Svevia suo
-cognato, appunto allorchè più in Europa caldeggiavasi la crociata;
-e poichè de’ cavalieri armati in questa era divisa il difendere
-l’innocenza, raddrizzare i torti, sostenere gli oppressi, andò invocare
-il loro braccio, proponendo assalissero Costantinopoli, e rimettessero
-in trono lui, che gli avrebbe poi d’ogni sua possa ajutati alla santa
-impresa. Invano altri insinuava che non per ciò aveano impugnato
-le armi, che i Greci non moveano lamento contro l’usurpatore, che
-gl’imperatori s’erano pôrti scarsamente favorevoli ai Crociati: gli
-scaltri trovavano miglior conto nel guerreggiare Costantinopoli,
-più vicina e più ricca; a molti sapea di meritorio l’assalire gente
-scismatica; presa Costantinopoli, diverrebbe la base della spedizione
-contro Gerusalemme. Si narrò che Malek Adel facesse vendere i beni del
-clero cristiano in Egitto, e col ricavo comprasse fautori in Venezia,
-promettendo alla repubblica ogni agevolezza di traffici in Alessandria
-se stornasse la spedizione dalla Siria: del resto, occorrevano
-altri stimoli ai Veneziani per volere vendicarsi degli imperatori, e
-schiantare i banchi fondati in Grecia dai Pisani?
-
-L’imperatore bisantino, non meno fiacco del predecessore, angariava
-e anneghittiva; vendeva la giustizia per rifarsi dello speso
-nell’usurpazione; e mentre Bulgari e Turchi straziavano i confini,
-dentro lasciavasi governare dalla moglie Eufrosina. Quando Enrico VI
-professava voler rinnovare l’antico impero romano, e frattanto gli
-ridomandava le provincie fra Durazzo e Tessalonica, o per equivalente
-cinquanta quintali annui d’oro, Alessio non allestì resistenza, ma
-mercanteggiò facendolo accontentare di sedici, per adunare i quali
-spogliò le chiese e fin le tombe degl’imperatori: ma la tempestiva
-morte di Enrico lo assolse dal _tributo tedesco_. All’addensarsi
-della nuova procella, ricorse al papa acciocchè non permettesse di
-così snaturare la santa impresa: nulla però prometteva a vantaggio
-della crociata, nè di quel che tanto ai papi stava a cuore, la
-riconciliazione della Chiesa greca colla latina. Pure Innocenzo III,
-che metteva la giustizia innanzi a tutto, interdisse l’impresa ai
-crociati; i quali litigando pel sì e pel no, si logoravano a vicenda.
-Ma il sì prevalse, ed Alessio figlio d’Isacco Langelo fu salutato
-imperatore (1203), e colla sua presenza infervorò la spedizione.
-
-L’armata fece testa a Corfù, donde veleggiò sopra Costantinopoli;
-e trenta migliaja d’uomini accinti a conquistare un impero di molti
-milioni, la vigilia di san Giovanni gettarono l’àncora sulla costa
-asiatica, tre miglia dalla capitale. Quivi all’attonito loro sguardo
-spiegossi l’impareggiabile bellezza della Propontide, colla vegetazione
-rigogliosa, i frutti succulenti, le dolci uve, ridondante pescagione,
-limpidi ruscelli, freschi bagni, canti di rosignuoli, e tutta la
-pompa che nella vigorosa sua maestà spiegava l’estate. Sopra le onde
-increspate da leni zefiri, l’occhio scorreva verso le rive ammantate di
-fiori, e sui giardini e le campagne ridenti di laureti e olezzanti di
-perpetui rosaj, e sulle ville e le case cittadine, che all’ombra de’
-platani e dei cipressi dalle falde lambite dal mare ascendono fino in
-vetta alle colline che contornano l’orizzonte.
-
-Fra tante bellezze, come la luna fra le stelle, pompeggiava
-Costantinopoli, serpeggiante per immenso spazio sulle sette colline,
-cinta d’elevate mura, con trecentottantasei torri, e chiese e conventi
-senza numero, raddoppiati dal riflesso delle onde, che parevano
-baciarle il piede come servi, o fremere come difensori minacciosi. Ai
-Crociati, non che parole a descrivere, appena bastavano i sensi per
-ammirare quel porto immenso di due mari: diamante che scintilla tra
-il zaffiro delle onde e lo smeraldo delle campagne; il soggiorno più
-bello dell’uomo per comodi e sicurezza, emulo di Roma per dignità, di
-Gerusalemme per reliquie e santuarj, di Babilonia per vastità.
-
-L’imperatore aveva lasciato per avarizia ridurre allo stremo l’esercito
-e la flotta; e mal si difendea col braccio de’ Varanghi, mercenarj
-settentrionali, coll’assistenza de’ Pisani, e col fuoco greco,
-liquido combustibile che parve inventato per prolungare l’agonia di
-quell’impero, e che con esso perì. I nostri, spezzate le catene del
-porto, prendono Galata (17 luglio), e danno l’assalto: Enrico Dandolo,
-sulle spalle de’ suoi si fa mettere a terra col vessillo di san Marco,
-che ben presto sventola sopra una torre, e Costantinopoli è presa.
-
-Alessio fuggì per nave, abbandonando ogni cosa, bestemmiato da quelli
-che jeri l’incensavano: suo fratello Isacco dalla prigione è portato al
-trono, compianto dei mali suoi or che sono cessati. A lui si presentano
-i messi dei Crociati imponendogli, — Ratificate la promessa fatta da
-vostro figlio di darci ducentomila marchi, vitto per un anno, ed ogni
-ajuto per la guerra santa»; ed egli deve accettare, solo pregandoli di
-tenersi accampati a Gàlata, cioè sul lido opposto.
-
-Quel subito mutamento, quel vedersi risparmiate le battaglie temute,
-portavano al colmo il tripudio dei nostri, che forniti d’ogni
-abbondanza, ammiravano tante magnificenze, e più di tutto le reliquie,
-di cui era una devota profusione. Il nuovo imperatore, coronato fra il
-corteggio dei baroni, pompa inusata agli augusti orientali, pagò parte
-della promessa somma; e se le cose fossero procedute da buon a buono,
-forse era il momento di svecchiare l’Impero, rimettendolo nell’alleanza
-cattolica, a parte della comune impresa, e d’accordo respingere il
-nemico di tutta la cristianità.
-
-Cavallerescamente i baroni mandarono araldi ad annunziare il
-loro arrivo al sultano del Cairo e di Damasco, in nome di Cristo,
-dell’imperatore di Costantinopoli, de’ principi e signori d’Occidente;
-informarono anche il papa e i principi cristiani del prospero successo,
-invitandoli a parteciparvi; ma il papa rispose rimproveri, e negò
-benedirli; solo accettò le scuse di Alessio Langelo, esortandolo a
-mantenere le promesse.
-
-E le promesse erano di dar denari, e ricongiungere la Chiesa greca
-colla latina. Per la prima Alessio si gettò in rovina, spogliando
-fin le chiese; per l’altra obbligò i suoi ad abjurare lo scisma,
-ed i Crociati non risparmiarono la forza contro i renitenti. Così
-egli venne a procacciarsi l’odio dei sudditi, portato al colmo da un
-incendio che per otto giorni guastò Costantinopoli, e che s’imputò a
-questi stranieri. Alessio dunque supplicava i Crociati: — Non partite,
-altrimenti io soccomberò alle rivolte, e l’eresia risorgerà; aspettate
-la primavera; intanto io vi fornirò d’ogni bisogno».
-
-Ma convivendo coi nostri, scapitava nella loro riverenza; e talvolta
-qualche nicoletto veneto, toltogli il gemmato diadema, gli sostituiva
-il suo berretto. Ne fremevano i Greci, ne ingelosiva il cieco Isacco: e
-Alessio, sentendo non poter fare gran conto sopra i Latini, nè i monaci
-e astrologi di cui si cingeva sapendo dargli buoni consigli, alle
-ribellioni non conosceva rimedj migliori che trasportare dall’ippodromo
-al suo palazzo il cignale caledonio, simbolo del popolo furioso, come
-il popolo abbatteva una statua di Minerva, accagionata delle presenti
-sventure.
-
-Ecco intanto da Palestina messi in gramaglia (1204), narrando
-come i Crociati di Fiandra e di Champagne, che con molti Inglesi e
-Bretoni, spiccatisi dall’esercito a Zara, erano sbarcati in Siria ed
-unitisi al principe di Armenia, fossero stati dai Musulmani sorpresi
-e sbarattati; fame e peste desolassero il paese, e a Tolemaide si
-sepellissero duemila cadaveri in un giorno. I Crociati allora, risoluti
-d’avacciare l’impresa, sollecitavano i sussidj promessi: ma i due
-imperatori, che non osavano mostrarsi all’aperta per non ammutinare
-il popolo, mascherano la paura col rispondere insolentemente;
-gli animi si esacerbano; i Latini s’accingono a prendere un’altra
-volta Costantinopoli. I Greci attentano alla flotta veneziana, e
-diciassette battelli incendiarj lanciano nottetempo contro di essa, e
-già dalle mura applaudiscono al fuoco che s’avanza contro i Latini:
-ma questi riescono a sviarlo, e infelloniti alla vendetta, più non
-badano a proteste del loro creato. Murzuflo, scaltro sommovitore,
-che fingendosi amico a tutti, tutti ingannava, sparge che i Langeli
-vogliano consegnare Costantinopoli ai Latini; onde il popolo, che
-suol essere più feroce quando ha maggior paura, a gran voci chiede un
-nuovo imperatore; Alessio IV è strangolato, Isacco muor di spavento e
-crepacuore, e Murzuflo è portato trionfalmente in Santa Sofia.
-
-Il doge e i baroni latini, che poc’anzi si svelenivano contro i
-due imperatori, or giurano vendicare que’ loro creati, e assaltano
-Murzuflo. Costui non mancava del valore che dee avere un capopopolo,
-e colla spada e la mazza ferrata scorreva, rattizzando col proprio il
-coraggio de’ Greci; tentò di nuovo incendiare e sorprendere i Latini;
-ma quando cadde in man di questi lo stendardo di Maria Vergine, i
-Greci si credettero abbandonati dalla loro tutrice, e si chiusero nella
-capitale. Quivi giorno e notte centomila uomini lavoravano ad allestire
-difese, e i Crociati sentivano la difficoltà di espugnare una piazza
-sì mirabilmente situata. Pure raccolti a parlamento, deliberarono:
-— Non cesseremo finchè non sia deposto Murzuflo; gli sostituiremo un
-imperatore latino, che possieda un quarto delle conquiste; il resto
-sarà diviso fra Veneziani e Franchi, e determinati i diritti feudali
-degli imperatori, dei sudditi, de’ grandi e de’ piccoli vassalli».
-
-Mossi poi all’assalto dalla banda di mare, superano le bastite,
-Murzuflo fugge, e Costantinopoli è presa un’altra volta. Chi sarìa
-bastato a tenere a freno quella moltitudine, lieta d’aver conseguito
-una preda sì lungamente appetita? Non onestà, non santità di chiese
-o di tombe fu rispettata: una meretrice assidevasi sulla cattedra di
-Santa Sofia; muli straccarichi di spoglie, feriti insanguinavano gli
-altari; v’era intanto chi vestiva gli strascicanti abiti de’ Greci,
-e bardava i cavalli coi berretti di tela e coi cordoni di seta degli
-Orientali; e scorrevano le vie, in luogo di spade brandendo calamaj e
-carta per beffare la imbelle dottrina de’ Greci, ed esclamavano: — Da
-che mondo è mondo, mai non fu visto più pingue bottino».
-
-Le spoglie, che doveano mettersi in comune (e furono appiccati molti
-che ne distrassero), sommarono a cinquecentomila marchi d’argento (24
-milioni), dopo due incendj, dopo il molto trafugare, dopo messo in
-disparte un quarto pel futuro imperatore, e compensati i Veneziani
-del noleggio; ond’è poco il valutarle cinquanta milioni: e se si
-fosse ceduta la preda ai Veneziani, com’essi proponeano, ne avrebbero
-ricavato di più e con minori sevizie. Il bottino fu distribuito in tal
-proporzione, che un cavaliere toccasse quanto due uomini a cavallo, uno
-a cavallo quanto due fanti. I monumenti, onde Costantino e i successori
-avevano arricchita la città, andarono guasti o predati[244]; non men
-che l’oro e i tappeti, avidamente erano rubate le reliquie, con frodi
-e violenze e fin sangue; e il mondo se n’empì. Dopo di che i Crociati
-celebrarono divotamente la Pasqua.
-
-A sei elettori veneziani e altrettanti ecclesiastici francesi fu
-affidata la scelta d’un imperatore. Candidati Enrico Dandolo, il
-marchese di Monferrato e Baldovino di Fiandra: il Dandolo alla signoria
-d’una città vinta preferì rimaner capo della gloriosa conquistatrice,
-come nessun antico Romano avrebbe voluto cessare d’esser cittadino per
-divenir re di Cartagine. D’altra parte i Veneziani s’adombrerebbero del
-vedere il loro doge a capo del grande Impero: chi gli assicurava che la
-cosa non passerebbe in esempio? e non potrebbe la loro patria diventare
-colonia all’Impero? Perciò il Dandolo ricusò la corona; e la gelosia
-de’ Veneziani per l’ingrandimento del signore del Monferrato li fece
-favorire Baldovino, che fu acclamato. Feste all’occidentale e cantici
-latini nelle chiese celebrarono il nuovo imperatore, cui il legato
-pontifizio indossò la porpora, e, secondo il costume, gli fu offerto un
-vaso pieno d’ossa e polvere, e dato fuoco ad un fiocco di bambage, per
-rammentare come passa la gloria del mondo.
-
-Questo colpo, che già avea dato per lo desiderio ai primi Crociati,
-era un trionfo del papato, sebbene fatto contro sua voglia. Baldovino
-assunse il titolo di cavaliere della santa Sede; ad Innocenzo III
-annunziava essere stata sottomessa una nuova gente al pontefice,
-e l’invitava venisse a godere di quella vittoria; il marchese di
-Monferrato protestavasi disposto a tornare o morir colà, secondo i
-cenni del papa; il doge implorò d’essere assolto di quella conquista,
-a scusa adducendo l’essere Costantinopoli scala necessaria per
-Gerusalemme. Innocenzo, amante d’una politica netta ed evidente,
-volea la guerra contro l’islam, non già che a redimere l’Oriente si
-cominciasse coll’impadronirsene; onde, non valutando il vantaggio
-della santa Sede, li rimproverava d’aver preferito le utilità terrene
-alle celesti; della licenza militare e delle violate cose sacre
-chiedessero a Dio perdonanza, e la meritassero collo adempiere al voto
-di liberar Terrasanta: nella quale fiducia ribenedisse gl’interdetti,
-congratulatosi coi vescovi del castigo toccato all’ostinazione dei
-Greci, e invitava altri a partecipare alle glorie ed alle nuove
-fatiche.
-
-Secondo il convenuto, Baldovino ebbe un quarto dell’impero greco,
-Venezia tre degli otto quartieri della città, e un quarto e
-mezzo dell’impero, cioè la più parte del Peloponneso, le isole
-dell’Arcipelago, Egina, Corcira, la costa orientale dell’Adriatico,
-quella della Propontide e del Ponto Eusino, le rive dell’Ebro e del
-Varda, le terre marittime della Tessaglia, e le città di Cipsede,
-Didimotica, Adrianopoli, insomma sette in ottomila leghe quadrate di
-dominio con sette in otto milioni di sudditi e una catena di banchi
-lungo la marina da Ragusi fino al mar Nero. I Franchi sortirono la
-Bitinia, la Tracia, la Tessalonica, la Grecia dalle Termopile al
-Sunnio, e le maggiori isole dell’Arcipelago: i paesi di là dal Bosforo
-e Candia furono attribuiti al marchese di Monferrato, il quale poi
-fu coronato re di Tessaglia, e assediata Napoli di Malvasìa e Corinto
-tenute ancora dall’usurpatore Alessio, prese questo colla famiglia e
-il mandò per Genova nel Monferrato, ma poi combattendo gl’infedeli
-perdè la vita. Anche le chiese di Costantinopoli furono ripartite
-fra Veneziani e Francesi, ed assunto a patriarca Tommaso Morosini.
-Splendidissima vittoria, ma poco sicura.
-
-Concitate le fantasie da questi rapidi acquisti, già i baroni
-figuravansi regni e ducati sulle rive dell’Oronte e dell Eufrate,
-mentre altri convertivano il bottino in comperare feudi nell’impero
-conquistato e non ancora ben soggetto. Tornarono da Palestina quei che
-vi si erano affrettati; accorsero nuovi Crociati dall’Occidente[245];
-accorsero Templari e Spedalieri, dove erano imprese facili e lucrose:
-talchè in ogni parte formavansi Stati nuovi, pel diritto della spada.
-
-Come i Longobardi s’erano dato un codice per soli essi vincitori, così
-i Latini promulgarono le Assise di Gerusalemme nel nuovo impero, che
-come quelli si erano diviso, e che governarono a foggia dei feudi di
-Europa. Venezia, per nulla smaniosa di conquiste cui dovea piuttosto
-difendere che usufruttare, le abbandonò la più parte a’ suoi nobili,
-concedendo che ciascuno potesse armare e sottomettere le isole
-greche e le città delle coste, riconoscendole come semplice feudo
-perpetuo della repubblica. E i Sanuto fondarono il ducato di Nasso,
-che abbracciava anche le isole di Paro, Melo, Santorino; i Navagero
-ebbero il granducato di Lemno; i Michiel il principato di Ceo; quello
-d’Andros i Dandolo; i Ghisi quel di Teone, Micone e Soiros; altri le
-signorie di Metelino e Lesbo, di Focea, di Enos, le contee di Zante,
-di Corfù, Cefalonia, il ducato di Durazzo; poi i Vicari fondarono quel
-di Gallipoli nel chersoneso Tracio. Anche a stranieri furono concessi
-feudi; come a Michele Comneno il paese fra Durazzo e Lepanto, a Robano
-delle Carceri Negroponte, Adrianopoli a Teodoro Brana.
-
-Tutti que’ signori prestavano giuramento, tributo e sussidio in guerra:
-ne’ loro paesi era privilegiato ai Veneziani il far traffico; e i
-Veneziani che vi dimorassero, restavano indipendenti e con governo
-proprio: a Costantinopoli sedeva un balio. Per tal modo Venezia
-assicuravasi una dominazione scarca di cure, facile a conservare
-mediante le flotte. Fu anche messo al partito se tornasse meglio
-trasferire a Costantinopoli la sede della repubblica; e due soli voti
-fecero prevalere il no[246].
-
-Il marchese Bonifazio vedendo non poter conservare Candia, la vendette
-ai Veneziani coi crediti verso Alessio per mille marchi d’argento,
-e per tanto territorio nella Macedonia occidentale che rendesse
-mille fiorini di oro[247]. Candia era più importante al traffico che
-non Costantinopoli, e dovette esser regolata con maggiori cure. Gli
-abitanti erano gente incostante e perfida; il che forse non esprimeva
-se non repugnante al dominio forestiero. Essendo troppo vasta per
-concedersi a un solo, vi fu introdotta una colonia, come più opportuna
-a tenere in soggezione i vinti. Difficilmente però si trovava chi
-volesse rinunziare alla patria, per quanto gli si offrissero ricchezze,
-dignità, potere; onde da’ sei sestieri della città si scelsero
-cinquecentoquaranta famiglie, a cui capo fu posto un duca biennale
-che rappresentava il doge, eletto dal maggior consiglio di Venezia,
-assistito da due consiglieri superiori, e sotto di lui i magistrati
-come a Venezia: e colle opere obbligate dei servi si edificò e munì la
-città di Canea.
-
-La giurisdizione d’essa città e del distretto spettava al capitano e
-consigliere della repubblica eletto a Venezia: del Comune veneto erano
-gli Ebrei, il porto, l’arsenale, le porte. Il paese fu distribuito in
-trentadue feudi di cavalieri e centotto di sergenti: ogni cavaliere
-era obbligato aver buona armadura, e condurvi da Venezia e tenere
-due cavalli, uno del valore almeno di lire ottanta venete, ed uno di
-cinquanta, e dell’età di tre anni; poi fra un mese e mezzo comprarne
-un altro di lire venticinque; inoltre avere un sergente con bel
-cavallo armato a ferro, e tre scudieri pure con corazza e ogni arma
-di cavalleria; e due balestre di corno, con due scudieri almeno che
-sappiano trarle, latini, fra i venti e i quarant’anni. I sergenti
-che hanno mezza cavalleria, conducano da Venezia un cavallo di lire
-cinquanta almeno, e due scudieri; poi fra un mese e mezzo procaccino un
-altro cavallo di lire venticinque, e siano ben in arme. Le cavallerie
-non potranno impegnarsi o staggirsi per debito, e lo stipendio di
-settecento lire deve convertirsi anzitutto nell’acquisto d’essa terra.
-Del resto ajutino in ogni modo i rettori dell’isola, e in essa il
-Comune di Venezia[248]. Ai nobili del paese si ebbero riguardi, e
-si diede partecipazione al governo; e il gran consiglio, composto
-d’indigeni, eleggeva i magistrati minori. I Musulmani furono sofferti,
-ma in istato di servitù.
-
-Così trentamila vigorosi, avidi di bottino e di preda, erano prevalsi
-facilmente a milioni di Greci, fradici nel lusso, nelle abitudini
-depravate, nella vanità delle frivole cose. Ma la conquista, fatta
-senza senno, essiccava le fonti della prosperità, sin a difettare del
-vivere; il sistema feudale toglieva l’accordo in guerra ed il buon
-ordine in pace; alcune città governavansi metà con leggi feudali,
-metà colle venete e colle ecclesiastiche; poi la mollezza di quel
-clima non tardò a sdulcinare i soldati, e lo spregio reciproco
-impedì si fondessero vincitori e vinti. Baldovino dopo due anni
-periva prigioniero dei Bulgari: anche Enrico Dandolo era morto a
-Costantinopoli dopo vista la rapida decadenza dell’impero latino.
-Venezia ne trasse più danno che vantaggio, poichè troppa gente si
-sviò dalla navigazione e dal commercio per buttarsi alle imprese
-cavalleresche e a conquiste che non doveano durare; e quel che peggio,
-coll’abbattere Costantinopoli rompeva la sua barriera più salda contro
-i Musulmani, che doveano divenirle formidabili vicini.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXVIII.
-
-Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro stadio. Nobili e
-plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini.
-
-
-In quell’innesto della teocrazia col feudalismo l’imperatore, detto
-perciò romano, non si teneva per tale sinchè non fosse coronato dal
-papa, quale rappresentante di Dio _per cui solo regnano i re_; e
-l’imperatore gloriavasi del titolo di avvocato e difensore della
-Chiesa. Primato sovra gli altri re gli attribuiva l’opinione,
-favorita dai leggisti, i quali nella dieta di Roncaglia udimmo
-sentenziare, secondo i codici di Teodosio e Giustiniano, lui essere
-la legge vigente; e il cancelliere del Barbarossa chiamava _reges
-provinciales_ gli altri potentati. Ma nel fatto, oltre che i re
-operavano indipendenti, il sistema feudale da un lato, dall’altro
-l’incremento delle repubbliche attenuava di giorno in giorno
-la potenza degl’imperatori. Perfino nella Germania il regnante
-procacciavasi fautori col largheggiare franchigie, cioè lentare più
-sempre la dipendenza dei dinasti e delle città, le quali, ora mercè
-del commercio, ora mediante le leghe, venivano a quella prosperità
-materiale, che più non tollera l’oppressione politica. Pure le città
-non poterono colà elevarsi a repubbliche come da noi, perchè vi
-dimoravano soltanto minuti trafficanti e artieri, mentre i signori
-si tenevano nei castelli, soli agitando le lotte fra lo scettro e il
-pastorale, fra Guelfi e Ghibellini: nelle nostre, al contrario, si
-comprendevano e dotti e signori, avanzi romani e avanzi longobardi
-e franchi, e i parteggiamenti giunsero fino alle plebi, le quali
-appresero a discutere i diritti, a combattere per un’opinione, e così a
-divenir libere.
-
-Il re di Germania, che dominava pure sui regni di Lorena, d’Arles,
-di Pomerania, veniva eletto dai grandi signori, non esclusi i primarj
-baroni d’Italia. Però ciascun imperante adoprava l’ingerenza che gli
-davano il suo grado e la devozione de’ proprj vassalli, onde farsi
-destinare successore uno della famiglia stessa.
-
-Al re fruttavano i molti beni della corona sparsi per tutta Germania,
-i pedaggi, i fiumi, le foreste, le miniere, porzione delle multe, e
-lo spoglio de’ vescovi ed abati defunti: le città doveangli alcune
-contribuzioni, e così gli Ebrei per ottenere protezione siccome servi
-della Camera imperiale, e i Lombardi o Caorsini che andavano in giro
-vendendo spezie e guadagnando d’usure, o, come diciam ora, facendo
-commercio di banca. Essendo elettiva la corona, non si aggregavano
-ad essa i possedimenti patrimoniali de’ nuovi re eletti: anzi questi,
-potendo disporre dei feudi ad essa ricadenti per mancanza d’eredi o di
-fellonia, ne arricchivano le famiglie proprie, col qual modo salirono
-tanto alto in prima la Casa sveva, poi le povere dei conti di Luxenburg
-e d’Habsburg.
-
-All’imperatore spettava il far guerra: ma dovendo i soldati essergli
-somministrati dai feudatarj, occorrevagli il consenso di questi. Ora
-le lunghe e malarrivate spedizioni di Federico I in Italia aveano
-svogliato i signori dallo sciupare forze e denaro per interessi
-cui erano estranj; sicchè da quell’ora fino a Sigismondo più non fu
-decretata veruna spedizione generale, per quante minaccie o promesse
-replicassero gl’imperatori, per quanto paressero richieste dal bene
-della patria o della cristianità. Agli imperatori dunque nelle loro
-guerre non rimanevano se non gli uomini dovuti dai loro vassalli
-particolari, ovvero da paesi a loro direttamente soggetti, come era la
-Sicilia per gli Svevi, o da principi e città con cui avessero alleanza.
-
-La Germania era povera; sebbene Lubecca, Anversa, Colonia, Ratisbona,
-Vienna, qualche altra città sul Reno o sul Danubio fiorissero di
-traffici e industria, e la Fiandra fabbricasse pannilani, il mancare
-di strade e di prodotti da cambiare ne impediva la prosperità; molto
-denaro n’era anche portato via dalle crociate. Pure allora il commercio
-s’andava estendendo; eransi scoperte le miniere d’argento della
-Sassonia; col che e colle libertà comunali la Germania avrebbe potuto
-vantaggiarsi del primato fra le nazioni europee, e del predominio
-che acquistava sopra le genti slave, a domare e incivilir le quali
-fortunata lei e noi se avesse dirizzato il suo ardore. Sciaguratamente
-gl’imperatori non si contentarono della cristiana supremazia
-sull’Italia, e vollero direttamente mestarne gli affari; dove urtatisi
-colle repubbliche e coi papi, ebbero conflitti, a’ quali già vedemmo
-soccombere una dinastia, e presto vedremo un’altra.
-
-Morto Enrico VI (1197), i signori di Germania credettero a tempi così
-momentosi non convenirsi un imperatore fanciullo, com’era Federico
-Ruggero. Vero è che suo padre gli aveva indotti a prestargli omaggio,
-ma essi non vi si tenevano obbligati perchè non era ancor battezzato.
-Filippo di Svevia, figlio del Barbarossa e duca di Toscana, come
-il più prossimo parente dell’imperatore, erasi preso lo scettro, la
-spada, la corona, il globo d’oro riempito di polvere, la sacra lancia
-e il diamante detto smisurato (_der Weile_): fuggendo di qui fra gli
-strapazzi degli Italiani, che uccisero anche molti del suo seguito,
-andò in Germania, e brigò tanto, che gli stati di Svevia, Baviera,
-Sassonia, Franconia e Boemia lo elessero re (1198 — marzo). Ma i Guelfi
-gli opponevano Ottone di Brunswick, figlio di quell’Enrico il Leone
-duca di Sassonia e Baviera, che lottato col Barbarossa, n’era stato
-spossessato, e nipote di Ricardo Cuor di Leone re d’Inghilterra.
-
-Ottone, ardito come questo, gigante della persona, prodigo, soldatesco,
-risoluto a reprimere le prepotenze, onde i grandi l’intitolarono
-_Superbo_, e i popoli _Padre della giustizia_, impadronitosi
-d’Aquisgrana, vi si fece ungere dall’arcivescovo di Colonia; e genti
-e signori svaginarono le spade per sostenere ciascuno il proprio
-eletto. Onde risparmiare il sangue civile, fu rimessa la decisione al
-papa, e questi, esaminatala sotto il triplice aspetto del diritto,
-della convenienza e dell’utilità, escluse Federico perchè non se ne
-conosceano l’intelletto e il cuore, e la Scrittura dice: _Guaj alla
-terra, cui re è un fanciullo_; riprovò Filippo come usurpatore delle
-giustizie della Chiesa in Toscana[249], e perchè teneva ancora prigioni
-il vescovo di Salerno e la famiglia reale di Tancredi; lodò Ottone, ma
-parvegli eletto da troppo scarsi voti. Professavasi dunque imparziale
-tra una famiglia sempre ostile e l’altra sempre favorevole alla Chiesa,
-sicchè, scontenti del pari, i due emuli avventaronsi all’armi; sinchè,
-indotto dai Guelfi, il papa mandò un legato che scomunicasse Filippo e
-i suoi, e dicesse Ottone legittimo imperatore.
-
-Questi, davanti a tre legati pontifizj (1201 — 8 giugno), prestò
-un giuramento siffatto: — Io Ottone, per grazia di Dio, prometto e
-giuro proteggere con ogni mia forza e di buona fede il signore papa
-Innocenzo, i suoi successori e la Chiesa romana in tutti i dominj
-loro, feudi e diritti, quali sono definiti dagli atti di molti
-imperatori, da Lodovico Pio fino a noi; non turbarli in ciò che già
-hanno acquistato, ajutarli in ciò che lor resta ad acquistare, se il
-papa me lo ordini quando sarò chiamato alla sede apostolica per la
-corona. Inoltre presterò il braccio alla Chiesa romana per difendere
-il regno di Sicilia, mostrando al signore papa Innocenzo obbedienza e
-onore, come costumarono i pii imperatori cattolici fino a quest’oggi.
-Quanto all’assicurare i diritti e le consuetudini del popolo e delle
-Leghe Lombarda e Toscana, m’atterrò ai consigli e alle intenzioni della
-santa Sede, e così in ciò che concerne la pace col re di Francia. Se la
-Chiesa romana venisse in guerra per causa mia, le somministrerò denaro
-secondo i miei mezzi. Il presente giuramento sarà rinnovato a voce e
-per iscritto quando otterrò la corona imperiale».
-
-I Tedeschi, che vorrebbero vedere sempre l’imperatore sovrapposto al
-pontefice, e l’Italia sottomessa alla Germania, rinfacciano a Ottone
-quest’atto, dove in sostanza ciò che il papa esigeva era l’indipendenza
-della Chiesa e dell’Italia. I principi tedeschi se ne indignarono, e
-ne scrissero parole risolute ad Innocenzo, il cui favore non toglieva
-che svenisse il partito di Ottone, considerato scialacquatore della
-nazionale sovranità. Intanto Filippo di Svevia moriva trucidato (1208),
-quinto figlio del Barbarossa che finiva in valida età, lasciando sol
-quattro figlie; nè di quella casa sopravviveva che Federico Ruggero.
-Allora, dopo dieci anni di contesa fra guerresca e politica, mediante
-le premure di Roma i suffragi si raccolsero tutti sopra Ottone:
-anzi, per togliere in avvenire le scissure e insieme le ambizioni
-di qualc’altra famiglia, fu istituito che nessuno pretendesse alla
-corona germanica per diritto ereditario; l’elezione fosse devoluta a
-tre principi ecclesiastici, cioè gli arcivescovi di Magonza, Colonia,
-Treveri, e tre laici, cioè il palatino del Reno, il duca di Sassonia,
-il marchese di Brandeburgo; e quando i voti fossero pari, anche il re
-di Boemia. Da quel punto al popolo non rimase più parte alcuna nelle
-nomine, e gl’italiani ne restarono affatto esclusi. Ottone avendo
-sposato Beatrice (1209) figlia dell’ucciso Filippo, rannodò le due
-case de’ Guelfi e degli Hohenstaufen, e svelse dalla Germania quella
-gramigna funesta de’ Guelfi e Ghibellini mentre appunto essa pigliava
-rigoglio in Italia.
-
-Qui, in dodici anni dacchè tedeschi eserciti non apparivano,
-le Repubbliche aveano preso incremento. Determinate da bisogni
-individuali, esse non avevano preteso estendere le franchigie su
-tutto il paese, distruggere ogni orma della sofferta oppressione,
-piantare l’uguaglianza di tutti in faccia alla legge. Del Comune da
-principio facevano parte soltanto i capitanei e valvassori e arimanni;
-poi vi si aggiunsero i borghesi liberi, ceto medio, cresciuto sì per
-l’arricchimento del commercio, sì per molte case nobili che giurarono
-la città, sì per quelli che vi rifuggivano dai signori feudali o
-ecclesiastici. Il resto degli abitanti dipendeva ancora dai nobili o
-dai visconti vescovili, in qualità di servi o d’uomini ligi, con patti
-che spesso riducevansi in carta, e che tanto vagliono a manifestare la
-condizione personale de’ popolani[250].
-
-Gli antichi conti della città eransi ritirati alla campagna, dove
-conservavano i possessi e le giurisdizioni; sicchè i contadi rurali
-od erano frazioni d’antico contado cui era stata tolta la città, o
-porzioni assegnate da un conte ai proprj figliuoli. Quei di Bergamo
-nel X secolo aveano avuto per quattro generazioni la suprema dignità
-di conti del regio palazzo, e furono imparentati coi marchesi d’Ivrea
-e di Toscana: costretti poi ad uscir di città, si indebolirono
-suddividendosi nei conti Almenno, Martinengo, Camisano, Offenengo
-ed altri[251]. Sotto il 1222 gli storici annoverano una quantità
-di castelli donati o ceduti a Bergamo dai possessori, come Morníco,
-Cologna, Grumello, Solto, Plenico, Cene, Civedate, Telgate, Villadadda,
-Morengo, Calepio, Sárnico, la Bretta e via; e già prima v’erano stati
-indotti o costretti i canonici e il vescovo. Milano, che prima limitava
-la sua giurisdizione a un raggio di tre miglia, sottopose i contadi del
-Seprio, della Bulgaria, della Martesana, di Parabiago, di Lecco[252].
-I conti di Verona si ritirarono a San Bonifazio, donde presero il
-titolo: quei di Padova, fra i colli Euganei, coi titoli di Baone,
-Àbano, Maltraverso e altri. E tutti dominarono sulla campagna, rubando,
-ponendo pedaggi, escludendo, serrandosi attorno a un principale, che
-intitolavasi vicario imperiale e che aveva una scorta di Tedeschi:
-del resto avversando i Comuni, ridendo dei consoli e degli statuti,
-pronti ad affollarsi intorno al piccolo esercito che l’imperatore
-conducesse in Italia, trasformando in valanga l’impercettibile nucleo
-degli oltramontani; e continuar battaglie e invasioni anco dopo partito
-quello.
-
-Non poteva darsi che le città libere gran tempo tollerassero attorno
-a sè borghi servilmente sottoposti a feudatarj privilegiati d’assoluta
-giurisdizione, conservatori degli abusi detestati. Se a Costanza avean
-acquistato il diritto di far guerra alle città lontane, tanto più
-ai castelli vicini: onde coglievano le occasioni di portarvi la più
-legittima delle guerre, quella che propaga e francheggia i diritti
-dell’uomo. Talora scendeasi a patti, e la campagna restava emancipata
-dalle parziali servitù. Asti mosse contro ai duchi di Monferrato,
-Chieri agli arcivescovi di Torino: quei di Borgo Sansepolcro intimarono
-ai tanti castellani di val Tiberina di lasciare le rôcche, chi non
-volle costrinsero, e diroccato il castello di Mansciano, ne portarono
-via le pietre, di cui edificarono i proprj baluardi, e una campana
-che posero sulla torre di Berta[253]. Gli abitanti di Vico, Vasco,
-Breo, Carassone, guasti dalle male intelligenze coi Lombardi e
-coll’imperatore, si proposero una reciproca unione, della quale fu
-frutto la terra di Mondovì. I Pavesi respinsero il conte rurale, che
-si rifuggì a Lumello; ma quivi pure incalzato, ebbe a smettere la sua
-giurisdizione, e rendersi cittadino e suddito della sua città[254].
-
-I consoli di Biandrate appajono già in una carta del 5 febbrajo
-1093, dove quei conti ai militi abitanti le loro terre danno una
-specie di costituzione, e «delle discordie e concordie attenderanno
-quel che decidano i dodici consoli eletti; i quali giurano giudicare
-le liti insorte come meglio sapranno giovare al Comune, salva la
-fedeltà ai signori». A Guido di Biandrate, che tanto di lui ben
-meritò, Federico Barbarossa concedeva ampio privilegio, togliendolo
-in protezione, confermandogli i beni e onori che aveva avuto da’ suoi
-antecessori, stabilendo non deva esser chiesto in giudizio se non
-davanti all’imperatore; per tutto il vescovado di Novara gli conferma
-la capitananza (_conductum_), e che niuna battaglia si faccia se non
-lui presente; gli uomini di quel contado abbiano egual diritto di
-vendere e comprare in tutto il vescovado di Novara, Vercelli, Ivrea,
-quanto i mercanti d’essa città. Poi il conte di Biandrate nel 1170 fece
-concordia coi Vercellesi, cedendo il suo castello di Montegrande, i cui
-abitanti siano ricevuti pacificamente a Vercelli, senza ch’egli però
-perda la fedeltà d’essi castellani; cede pure quanto ha in Candelo,
-Arborio, Albano e di qua dalla Sesia; due volte l’anno farà per essi
-campo, e sarà in oste con trecento uomini; abiterà in Vercelli, e farà
-giurare a quaranta suoi militi di comprarvi case; darà della sua cassa
-diecimila lire pavesi; farà dare il fodro da essi militi agli uomini
-di Vercelli, come sogliono gli altri concittadini; farà fine e pace
-di tutti i danni recati a sè e alla casa sua; non porterà guerra senza
-il consiglio de’ consoli maggiori e dei consoli di Santo Stefano e di
-tutta la credenza; non alzerà castello dalla valle della Sesia e da
-Romagnano in giù, nè vi farà conquista di castello o torre o corte.
-Erano quei di Biandrate i più potenti signori del contorno di Milano,
-ma ben presto il loro castello fu assediato e distrutto, e dispersine
-gli abitanti in quattro villaggi: e Novara facea statuto, che il
-console giurasse di tener distrutto Biandrate, ogn’anno visitarlo
-due volte, e se nel ricinto della fossa sorgesse alcuna casa, la
-demolirebbe fra venti giorni. Altre terre rimaste dovetter quei conti
-cedere a Novara nel 1247 per ottomila lire, con cui comprare una casa
-e terreni nel distretto. I conti infestavano tuttavia la val di Sesia,
-volendo contaminar tutte le fanciulle: sinchè i paesani indignati li
-scannano tutti, sol una fanciulla serbando, alla quale infliggono
-gli oltraggi che le loro aveano sofferto. Altre terre possedeano
-sull’Astigiano, e avendo nel 1250 rubato del panno a mercanti, la
-città li punisce privandoli dei villaggi. Su un di questi avventavasi
-notturno nel 1290 il conte Manuele; ma gli Astigiani invadono le terre
-di esso, ne devastano i vigneti e le biade, uccidono suo figlio: talchè
-il conte, per salvare il resto, cede il castello di Porcello alle
-città, e vende a chi più ne dà i castelli di Montacuto e Santo Stefano.
-
-Patti consimili ma più largamente esplicati si convennero tra i
-Vercellesi e i marchesi di Monferrato, aggiungendo la promessa di
-ajutar questi dalla Lega Lombarda, cioè col pregare i collegati e
-intercedere per essi.
-
-Il Comune di Brescia (se la cronaca di Ardicio è genuina) fin dal
-1104 avea lega e società con altri della Lombardia e del Trevisano,
-giurata nel chiostro di Palazzuolo: dai Martinengo comprava il castello
-di Orzivecchi, dai conti Lumellini quanto possedeano nella diocesi
-a titolo feudale, dai conti Calepio i castelli di Sárnico, Merlo,
-Calepio, obbligandoli ad impiegare il prezzo in acquistare allodj nel
-Bresciano; riceveva in protezione gli abati di Leno e Sant’Eufemia;
-distruggeva il forte di Montechiaro e quel di Gavardo cacciandone
-il presidio; così smantellò Asola ch’era dei conti di Casalalto,
-e il forte di Monterotondo. Un consiglio del 1203 stabilisce che
-gli abitanti di ville e castelli comprati da nobili non addetti al
-Comune devano prestar giuramento alla repubblica. Ne’ cui statuti
-è prescritto, chi vuol diventare cittadino, fabbrichi una casa
-nella città, e rimangavi sempre, eccetto un mese di primavera, uno
-d’autunno; privati non possano eriger forti in Pontevico, Palazzuolo,
-Mura, Quinzano, Caneto, Gavardo, Iseo; e tutti i curati e dignitarj
-ecclesiastici siano bresciani[255].
-
-I conti di Treviso si piantarono ne’ loro possessi sul Piave, ma senza
-nimicarsi colla città, nella quale sostennero molti uffizj comunali, e
-conservarono anche il titolo, che poi mutarono in quel di Collalto. Di
-Treviso stessa presero la cittadinanza nel 1183 Vecello e Gabriele da
-Camino, e nel 1190 Matteo vescovo di Céneda, pattuendo che quel Comune
-esercitasse la giurisdizione nella sua diocesi. Bertoldo patriarca
-d’Aquileja nel 1220 si ridusse cittadino di Padova, e in segno vi
-fabbricò palazzo, si sottopose ai dazj e alle taglie, e mandava
-ogn’anno dodici cavalieri a giurare obbedienza al nuovo podestà: lo che
-imitò pure il vescovo di Feltre e Belluno[256]. Padova stessa obbligò
-i marchesi d’Este a venir cittadini, ed immurare le porte della loro
-rôcca. Parma sottomette Salsomaggiore, obbligandolo a pagare dieci
-soldi ogni san Martino(1138), e Uberto Pelavicino che le fa omaggio di
-San Donnino (1140): Piacenza sottomette Caverzago, Collagura, Specchio,
-Fabricà; nel 1138 compra metà del castello di Montalbo, metà nel 48;
-sottopone la valle e il borgo di Taro; Moruello Malaspina nel 1194
-prende la cittadinanza di Piacenza, mentre altri di quella famiglia si
-accomandavano a Lucca. I Córvoli del Frignano nel 1156 affidaronsi con
-Modena a questi patti: ajutare la città contro chicchefosse, eccetto
-il duca Guelfo d’Este e suoi ligi e vassalli; dimorare in città colle
-lor donne ogni anno un mese in tempo di pace, due in tempo di guerra;
-lasciare ai cittadini traversar liberamente le loro terre, nè tenere
-mai chiusi i castelli a’ magistrati della città; obbligare i loro
-villani a pagare sei denari lucchesi per ogni par di bovi, eccetto
-i castellani, valletti e gastaldi. Modena obbligavasi di rimpatto
-a investirli di certi beni e castelli ch’essi doveano conquistare,
-ajutarli a rivendicare certe ragioni da altri nobili, e proteggerli
-contro i nemici[257]. Faenza demolisce Selvamaggiore (1098), combatte
-i conti di Cunio (1115), demolisce la Pergola (1135); distrugge
-Solarido (1138) diviso fra le due lottanti famiglie de’ Silingardi e
-de’ Guglielmi, sbrattando così la via di San Giuliano; nel 1144 assalta
-Castelleone; nel 1149 Cunio, Donigaglia, Bagnacavallo, che pretendeano
-un censo da’ Faentani che vi tenesser banchi. Il conte dovette cercar
-pace mettendo casa in Faenza, lasciando mettere in Cunio guarnigione
-faentina, e ritraendosi dalla politica: ma ben presto, sotto titolo che
-abbia mancato ai patti, è assalito e distrutto il castello. Poi vien la
-volta di Lacerata, di Modigliana, di Bagnacavallo.
-
-Terracina ai Frangipani, già signori della città, poi ritiratisi a
-Circello e Traversa, vieta di accostarsi oltre la chiesa di S. Nicola
-fuor le mura, fuorchè per affari e senz’armi nè seguito. Benevento
-sfascia Apice, Terroggia, Sableta, ove Roberto Sclavo ora imprigionava
-i passeggeri, or li spogliava od uccideva, come faceano pure i signori
-di Frassineta, per ciò spodestati.
-
-I Bolognesi avevano preso i castelli di Corbara, Sassatello,
-Monteveglio, Monte Cadumo, Ibora, Dozza, Fagnano, e avuti a soggezione
-i signori Cetolani, Savignanesi, di Oliveto, Moreto, Caneto[258]. Egual
-movimento ci si mostrerà in Toscana.
-
-Casse in tal guisa le giurisdizioni feudali, le tenute appartenevano
-tutte a cittadini, ed erano coltivate da pigionanti e mezzajuoli,
-trasformandosi il sistema tedesco dei possessi, e ai servi sottentrando
-liberi coltivatori.
-
-Liberi, ma non per questo erano considerati come popolo, cioè donati
-della piena cittadinanza; e l’infima gente e gli operaj non restavano
-rappresentati nel Governo, non votavano le imposizioni che essi
-medesimi pagavano, o la conversione di esse. Ma in ogni rivoluzione, al
-primo passo che consiste nel liberarsi, suole tener dietro l’altro, ove
-la classe liberatrice vien giudicata tiranna o insufficiente, e una più
-bassa pretende prima eguagliarla, poi soverchiarla. Alla rivoluzione
-che affrancò i Comuni aveano data principal opera i nobili e i meglio
-stanti, che in conseguenza diedero i consoli e i magistrati; gloria
-particolare di molte prosapie nostre, di derivare la loro nobiltà dai
-liberatori della patria.
-
-Ben presto i plebei pretesero parte al governo, e questa seconda
-êra delle repubbliche valse un secolo intero di agitazioni, ora
-costituzionali, ora violente. Dentro le città cominciarono dunque a
-contendere nobili e borghesi, quelli volendo ricuperare l’autorità che
-un tempo aveano posseduta, questi pretendendo in prima parteciparvi
-equamente, poi arrogarla a sè soli. La quale contesa non è altro se
-non quella che tuttodì si agita nei paesi costituzionali, cioè se a’
-soli proprietarj devasi concedere pienezza di diritti: stantechè non al
-sangue si faceva mente, ma ai possessi; nobile era chi avesse.
-
-I grossi nobili o casatici, discendenti dagli antichi conti e marchesi
-e capitanei, tradizionalmente poderosi, e sostenuti dagl’imperatori,
-s’erano abituati al comando sui loro feudi; ed anche giurandosi
-cittadini, conservavano i possedimenti e le rôcche, dalle quali sì
-spesso erano invitati alle magistrature urbane. Alla plebe, attenta
-alle arti e ai traffici, non era possibile esercitarsi nell’armi,
-che al contrario formavano l’occupazione e il sollazzo dei nobili;
-onde a questi bisognava ricorrere ne’ casi di guerra, massime per la
-cavalleria. Anche dopo svestite le armi, al comandare erano predisposti
-dal patronato che esercitavano sopra gli antichi loro servi e gli
-attuali clienti; dall’inclinazione a riverire nei figliuoli le doti
-e i meriti de’ padri; dal trovarsi fra sè legati per parentele o
-per ispirito di corpo; dall’avere sì larghi possessi che poteano a
-loro voglia affamare la città. Chiamati podestà o capitanei in paesi
-forestieri, contraevano l’abitudine dal maggioreggiare, che tanto
-facile s’acquista quanto difficilmente si smette; e anche nel proprio
-Comune ottenevano onoranze sì per le cariche sostenute, sì pel fregio
-della cavalleria. In qualche città soli nobili aveano gli impieghi,
-come sembra fosse in Bergamo, ove non appajono contese fra nobili e
-plebei, ma de’ nobili fra loro.
-
-Altre volte questi, impediti di prepotere legalmente, volgeansi
-all’infima classe, esclusa dal governo e tributaria della città; la
-blandivano perchè più docile, e perchè non aveva nè diritti da opporre
-ai loro, nè ricchezze per egualiarli; e se le facevano sostegno ne’
-tribunali, o nei richiami contro l’oppressione: di che sorgevano due
-fazioni, la nobiltà unita ai plebei, e i borghesi indipendenti da
-quella. Si contrariavano esse ne’ partiti, nelle elezioni, nei piati,
-e spesso il litigio incalorivasi fino a venire alle mani. Vincevano i
-nobili? eccoli padroni delle cariche, arbitri delle leggi, e decretare
-quanto meglio torna al loro ordine; applauditi dalla ciurma, che al
-solito astiava i cittadini grassi. Soccombevano? ritiravansi nelle
-avite rôcche, aspettando di ritornar necessarj per essere ridomandati,
-o, data occasione, rientrare a forza. Come avviene dei conflitti in
-città, la plebe per lo più restava vincitrice; e inetta a governarsi,
-e facile ad essere raggirata dagli scaltri, s’appoggiava ad un signore
-territoriale, concedendogli poteri illimitati, quali deve averli chi
-rappresenta il popolo, e così spianando la via alle tirannidi. Quei
-medesimi baroni che aveano giurato il Comune, oltre esercitare nelle
-città il potere o l’ingerenza che deriva dall’antica abitudine del
-comando, dalla ricchezza e dalla pratica delle armi, negli accordi
-eransi riservati certi diritti di guerra e di alleanza, e prerogative.
-
-Per quel carattere personale che aveano tutti gli obblighi nel sistema
-feudale, a simili accordi poteasi rinunziare ad arbitrio; e poichè
-talvolta il nobile era cittadino di due Comuni, cercava appoggio
-dall’altro qualora coll’uno cozzasse: fomento a fraterni dissidj.
-Difficilmente poi rinunziavano al diritto preziosamente mantenuto delle
-guerre private, e dentro le città stesse moveansi battaglie tra loro;
-perciò munivano i palazzi a guisa di fortezze, con ponti levatoj e
-torri e catene per le vie. Trentadue torri coronavano o minacciavano
-Ferrara, cento Pavia, poco meno Cremona e Bologna: diecimila a Pisa,
-dice Beniamino da Tudela, e «creda chi vuole» esclama il Muratori;
-a Firenze l’architettura massiccia, coll’enormi bugne, le anguste
-finestre, le molte torri, e le porte ferrate, attesta ancora quello
-stato di guerra da vicino a vicino. Lo statuto di Genova proibiva di
-lanciare projetti dalle torri, neppure in occasione di combattimento:
-se ne seguisse omicidio, la torre veniva demolita; se no, multa di
-venti lire; e se il padrone non potesse pagarla, distruggevansi due
-solaj d’essa torre. Talvolta una città era divisa tra più signori, e
-per esempio in Mantova i Bonaccossi e i Grossolani erano capi-parte
-nel quartiere di Santo Stefano, gli Arlotti e i Poltroni in quello di
-Cittavecchia, i Riva e i Casaloldi in quel di San Jacopo, i Zanecalli e
-i Gaffari in quel di San Leonardo. Bisognava dunque munire un quartiere
-contro l’altro, serragliare i ponti, sorvegliare le strade.
-
-Nelle città più floride per commercio, i mercanti vollero partecipare
-alla sovranità d’una patria, al cui prosperamento sentivano aver tanto
-contribuito. E fin qui chiedeano il giusto; ma l’irritamento prodotto
-dal contrasto e la baldanza del successo li spinsero a volere esclusi
-quelli, cui da principio non avevano che domandato di compartecipare.
-Firenze rimosse dalla Signoria chi non fosse matricolato in un’arte; i
-nove signori di Siena e gli anziani di Pistoja dovean essere mercanti o
-della classe mezzana; altrettanto in Arezzo; di maniera che per infamia
-notavansi tra’ nobili chi mal meritasse del Comune. Modena pure ebbe un
-registro sì fatto, e l’imitarono alcun tempo Bologna, Padova, Brescia,
-Genova ed altre città libere sullo scorcio del xiii secolo. Anzi a Pisa
-i nobili erano esclusi dal far testimonianza contro un plebeo; pena la
-testa se uscissero di casa con arme o senza quando si faceva rumore; e
-bastava la voce popolare per condannarli[259]. Il cencinquantesimo del
-libro I degli statuti di Roma prescrive che un barone o una baronessa,
-i quali abbiano una lite civile o criminale con un popolano, non
-possano entrare in palazzo, ma solo i loro avvocati e procuratori; e se
-il popolano comprometter voglia la lite in due popolani, essi baroni
-sieno costretti starvi: nè tampoco il giudice della causa possa mai
-parlare con essi barone e baronessa.
-
-A Lucca soli i cittadini abitanti in città costituivano propriamente
-la repubblica; gli altri chiamavansi _foretanei_ se oriundi lucchesi,
-e _foresi_ se avveniticci, e non partecipavano ai privilegi urbani.
-I cittadini poi divideansi in potenti o casatici, e popolari. I
-casatici non solo erano esclusi dal governo e dalle società delle
-armi del popolo, come i cavalieri e cattanei, ma non si ammettevano
-a testimoniare contro popolani; mentre questi non erano puniti
-di calunnia se non potessero provare la incolpazione data ad
-un patrizio[260]. Era insomma un ricolpo de’ mercadanti contro
-l’aristocrazia, della ricchezza industre contro la territoriale. I
-commercianti e i possessori apparecchiavano governi a tutto vantaggio
-della propria classe e a danno dell’altra, senza riguardo al grosso
-della popolazione, che però acquistando di forza, sorgeva colle sue
-pretensioni, ed aumentava quel bollimento universale.
-
-Noi non teniamo vera repubblica se non il governo di tutti per
-vantaggio di tutti: l’antagonismo conduce necessariamente a rotture,
-e queste riescono a rivoluzioni o di governo o di piazza; ma
-come evitarle sinchè stanno a fronte due razze non ancora fuse, i
-conquistatori e i conquistati? I nobili si agitavano e combattevano
-perchè n’aveano i mezzi; atteso il gran numero di parenti, avvolgeano
-ne’ loro litigi lo Stato intero; e perciò diceasi che i nobili
-erano la ruina del paese. Pure in essi si suppongono educazione più
-accurata, sentimenti meno interessati, spirito di famiglia conservato:
-vi occorrono maggiori esempj di fermezza, come a Sparta, a Roma, a
-Venezia, attesochè, non conoscendo superiore che Dio, elevano gli
-spiriti sovra il resto della nazione, e di grandi cose li fa capaci
-l’emulazione de’ loro pari. Ma facilmente trascendono in oligarchia,
-non soltanto insuperbendo della propria indipendenza, ma minacciando
-l’altrui; e per restare tirannetti ne’ castelli, piaggiano i regnanti,
-despoti e schiavi al tempo stesso.
-
-D’altro lato è agevole e comune il lanciare un motto di sprezzo sui
-governi di mercanti: ma oseremo noi farlo quando vediamo Firenze durare
-sì lunghi e magnanimi sforzi, elevarsi a splendidissima civiltà,
-ed ultima conservare sua franchezza in Italia? Certo, la esclusione
-dei nobili sottraeva forze utilissime alle repubbliche italiane; il
-Governo decretava parzialissimo; i popolani grassi e la gente nuova
-trascorsero a fasto e prepotenza quanto i nobili, senz’essere sostenuti
-come questi dal lustro de’ padri, che pur lusinga le plebi. Le quali se
-veneravano nel signor d’oggi la memoria del magistrato e del capitano
-antico, mal si rassegnavano all’aristocrazia mercantile, sia perchè
-più speculatrice e men generosa, sia perchè duole il veder coloro
-che soleansi riverire conculcati da altri, cui unico merito erano i
-sùbiti guadagni. Adunque sprezzati dalle famiglie, sgraditi alla plebe,
-minacciati da superiori e da inferiori, dovettero i mercanti reggersi
-anch’essi con modi arbitrarj ed assoluti.
-
-Non che dunque la gara fra nobili e plebei fosse misero parto della
-libertà, nasceva dal non essersi, al tempo della rivoluzione, ottenuta
-intiera la franchezza e lasciate accanto ai liberi Comuni la campagna
-servile, le giurisdizioni feudali, e dappertutto la sciagurata
-ingerenza degl’imperatori. In grazia della quale le contese cittadine
-furono inacerbite dalla divisione di Guelfi e Ghibellini.
-
-Questi nomi, nati in Germania (pag. 89), furono troppo presto adottati
-dall’Italia per designare due partiti, in lei da secoli contrariantisi;
-li conservò quando più non s’udivano negli altri paesi, e per essi
-straziò le proprie viscere anche quando già era fatta cadavere. «Quelli
-che si chiamavano Guelfi, amavano lo stato della Chiesa e del papa;
-quelli che si chiamavano Ghibellini, amavano lo stato dell’Imperio e
-favorivano l’imperatore e suoi seguaci» (VILLANI). Ne’ primi prevaleva
-il desiderio di vendicarsi della dinastia sveva, e sviluppare da
-ogni legame forestiero la libertà dei Comuni: i Ghibellini credeano
-che il conservarsi ciascun paese in libertà, senza dipendere da un
-poter superiore, recherebbe inevitabilmente a discordie, per le quali
-gli Italiani si logorerebbero colle proprie forze. Gli uni dunque
-aspiravano come a supremo bene alla indipendenza dell’Italia, e che
-potesse ordinare i proprj Governi senza influsso forestiero: gli altri
-vagheggiavano l’unità del potere, come unico modo di fare l’Italia
-concorde entro e rispettata fuori, dovesse pure sminuirsene la libertà
-fortuneggiante.
-
-Erano dunque due partiti generosi e con aspetto entrambi di equità;
-e solo que’ liberalastri che nel passato rivangano ragioni di
-oltraggiare i presenti, possono sentenziare infamia o apoteosi all’uno
-o all’altro. I due partiti riconoscono un principio superiore a tutte
-le rivoluzioni, la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico,
-dello spirito dal comando, della fede dal diritto, della coscienza
-dell’individuo dal vigore della società, dell’unità umana dall’unità
-civile. Il prevalere d’ognuna di queste tesi porta necessariamente
-l’antitesi dell’altra; se la Chiesa si fa democratica col popolo,
-l’impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi stabiliscono
-l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono tutelarla colla legge; se prevale
-l’idea della libertà individuale, rendesi necessario frenarla colla
-potenza sociale. Il sapere con qual dei due stesse la miglior ragione è
-viepiù difficile a chi non sappia trasferirsi in quell’età e valutarne
-le condizioni e gli avvicendati mutamenti; giacchè può ben disputarsi
-se le fasce convengano o no al bambino, ma traviserebbe la quistione
-chi rispondesse che all’uomo adulto non stanno bene. Quelli che non
-apprezzano la libertà se non politica, e questa negativa, oppositrice,
-non sanno credere che il papato rapresentasse per tutto il medio evo la
-parte più franca ed avanzata, unico oppositore alle prepotenze, unica
-voce del popolo contro i guerrieri, del pensiero contro le lancie.
-
-Matteo Villani chiamava la parte guelfa «fondamento e rôcca ferma e
-stabile della libertà d’Italia, e contraria a tutte le tirannie, per
-modo che, se alcuno diviene tiranno, conviene per forza ch’e’ diventi
-ghibellino, e di ciò spesso s’è veduto l’esperienza». E soggiunge:
-— L’Italia tutta è divisa mistamente in due parti; l’una che séguita
-nei fatti del mondo la santa Chiesa, secondo il principato che ha da
-Dio e dal santo Imperio in quello; e questi sono denominati Guelfi,
-cioè _guardatori di fe_; e l’altra parte seguitano l’Imperio, o fedele
-o infedele che sia nelle cose del mondo a santa Chiesa, e chiamansi
-Ghibellini, quasi _guida belli_, cioè guidatori di battaglie, e
-séguitane il fatto che per lo titolo imperiale sopra gli altri sono
-superbi e motori di lite e di guerra. Gl’imperatori alamanni hanno
-più usato favoreggiare i Ghibellini che i Guelfi, e per questo hanno
-lasciato nelle loro città vicarj imperiali con loro masnade; i quali
-continuando la signoria, e morti gli imperatori di cui erano vicarj,
-sono rimasti tiranni, levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti
-signori e nemici della parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà.
-E questa non è piccola cagione a guardarsi dal sottomettersi senza
-patti a detti imperatori. Appresso è da considerare che i costumi e i
-movimenti della lingua tedesca sono come barbari e strani agl’italiani,
-la cui lingua e le cui leggi e costumi, e i gravi e moderati movimenti,
-diedono ammaestramento a tutto l’universo, e a loro la monarchia del
-mondo. E però venendo gli imperatori d’Alemagna col supremo titolo,
-e volendo col senno e con la forza d’Alemagna reggere gl’italiani,
-non lo sanno e non lo possono fare: e per questo nelle città d’Italia
-generano tumulti e commozioni di popoli, e se ne dilettano per essere
-per controversia quello che essere non possono nè sanno per virtù o per
-ragione d’intendimento, di costumi e di vita. E per questo la necessità
-stringe le città e i popoli, che le loro franchigie e stato vogliono
-mantenere e conservare, e non esser ribelli agl’imperatori alamanni, di
-provvedersi e patteggiarsi con loro; e innanzi rimanere in contumacie
-con gl’imperatori, che senza gran sicurtà li mettano nelle loro
-città»[261].
-
-Da qui, e più dalla serie storica appare come i Guelfi non volessero
-sottrarsi da ogni soggezione degl’imperatori, bensì non sottoporvisi
-che a patti; sicchè oggi si paragonerebbero al partito costituzionale.
-Chi guardi i mali che gl’imperatori cagionarono all’Italia, e
-l’esecrazione che popolare dura fin oggi contro il Barbarossa; chi
-pensi che le più generose città, Milano e Firenze, stettero sempre
-antesignane della parte guelfa, e che quest’ultima diede l’estremo
-ricovero all’indipendenza italica, mentre chi voleva tiranneggiare
-un paese ergeva bandiera ghibellina, propende a desiderare che i
-Guelfi fossero prevalsi, e le città ordinatesi a comune sotto il manto
-del pontefice, che coi consigli le dirigeva, e coll’armi spirituali
-reprimeva gli stranieri.
-
-Gli alti e insegnati uomini che caldeggiarono il sentimento ghibellino,
-od erano gente stipendiata dagl’imperatori come Pier dalle Vigne, o
-infatuati dell’antichità come i giureconsulti, o trascinati da passione
-come Dante, il quale, sbandito da’ Guelfi, si fe ragionato propugnatore
-della opinione avversa: eppure nel suo libro _Della monarchia_, ove
-(credo senza servilità d’animo, ma per quella stanchezza del parteggiar
-cittadino che cerca riposo fin nel despotismo) assoda la incondizionata
-tirannide, brama che l’Italia riducasi sotto un imperatore, bensì a
-patto che questo sieda in Roma. Chi più ghibellino del Machiavelli?
-eppure con magnanimo voto chiude l’abominevole suo libro.
-
-D’altra parte i diritti imperiali intendevansi allora ben altrimenti
-da oggi, importando essi nulla meglio che una supremazia, innocua
-alle particolari libertà. Pertanto i Guelfi ideando la teocrazia si
-mostrarono più immaginosi, probi utopisti; i Ghibellini, più reali e
-pratici, ricordavano che le società sono fatte d’uomini e per uomini:
-lo spirito democratico dei primi declinava all’insolenza individuale
-e alla sregolatezza; l’idea organatrice degli altri li portava alla
-forza e alla tirannide: ma in fondo la loro è la causa stessa, la
-stessa divisione che appare in tutte le storie, di plebei e patrizj,
-di schiavi e franchi, di Rose Rossa e Bianca, di Cavalieri e Teste
-Rotonde, di progressisti e retrivi, di liberali e servili.
-
-È natura delle fazioni di svisare il più onesto scopo; e abusandone
-o esagerando o traviando, porre il torto dov’era la ragione. I grandi
-feudatarj che i perduti privilegi ambivano ricuperare, non ne vedeano
-via che coll’attaccarsi all’imperatore e appoggiarne le pretendenze:
-sempre poi amavano meglio dipendere da esso, grandissimo e lontano,
-che non dai borghesi, da villani rifatti, da un frate che talora li
-dirigeva. Chiarivansi dunque ghibellini, stimolavano l’imperatore a
-calare in Italia, e per contrariare al papa furono sin veduti favorire
-gli eretici.
-
-Gran potere davano ai papi nella bassa Italia l’alto dominio sopra la
-Sicilia; nell’alta, i radicati rancori contro gli Svevi; dappertutto
-le insinuazioni del clero e massime dei frati, guide dell’opinione, la
-quale può tutto ne’ governi a popolo, dove si delibera secondo fantasia
-e sentimento. L’imperatore valeva sulle repubbliche soltanto colla
-forza delle armi, giacchè non è facile guadagnare tutta una gente,
-sempre gelosa di chi possiede l’autorità. Al pontefice non restava che
-l’efficacia della persuasione: ma anch’egli principava, e disponeva
-d’eserciti, e spesso, come uomo, serviva a private passioni; e i Guelfi
-sposavano talora una causa, non perchè giusta e confacevole alla
-libertà, ma perchè dal pontefice preferita. I Ghibellini han vinto;
-Italia non ha ancora finito di piangerne.
-
-Nè li crediate meri nomi di taglia: avevano Comune, sindaci, podestà
-proprj; nascevasi d’una tale parzialità, e diserzione consideravasi
-il passare ad altra; i trattati si facevano a nome della repubblica
-e della fazione prevalente. Fin nei minuti costumi doveano fra loro
-sceverarsi: questi un berretto, quegli un diverso usavano; due finestre
-aprivano i casamenti dei Guelfi, tre i Ghibellini; quegli alzavano
-i merli quadrati, questi a scacco; e la nappa, o un fiore[262], o
-l’acconciatura de’ capelli, o il saluto, e fin il modo di trinciare il
-pane o di piegare il tovagliuolo discernevano il Guelfo dal Ghibellino.
-I Ghibellini giurano alzando l’indice, i Guelfi il pollice; i primi
-tagliano i pomi di traverso, i secondi perpendicolarmente; quelli
-adoprano vasi semplici, cesellati questi; il modo di passeggiare, di
-scoccar le dita, di sbadigliare, di arnesar gli animali, la dritta
-o la sinistra, il numero due o il tre, tutto insomma divien segnale;
-i Bergamaschi conobbero che certi Calabresi eran di fazione opposta
-al modo di tagliar l’aglio. A Firenze, coi beni tolti ai Ghibellini
-espulsi si formò una _massa guelfa_ onde mantenere e invigorire la
-parte trionfante; un magistrato apposta la amministrava con tre capi
-bimensili, consiglio secreto di quattordici membri ed uno grande di
-sessanta, tre priori, un tesoriere, un accusatore dei Ghibellini;
-società regolare e permanente, armata e ricca, che si sostenne quanto
-la repubblica.
-
-Al tempo di Carlo d’Angiò e per suo suggerimento i Parmigiani formarono
-(1266) una _Società de’ Crociati_ per sostenere la causa guelfa,
-sotto la protezione di sant’Ilario vescovo di Poitiers; e a quella si
-aggregarono altre corporazioni del paese, talchè divenne potentissima,
-comprendendo molte migliaja d’uomini, che erano iscritti in un
-registro. Aveano un capitano e alquanti primicerj, che doveano anche
-tor di mezzo ogni dissensione, senza usar forza. Molti statuti furono
-fatti ad incremento di questa Società, ed uno vietava agli abitanti
-della città e del territorio di parte guelfa di entrare in parentela
-con chi non fosse della parte stessa. Il capitano de’ crociati, e che
-poi fu detto capitano del popolo, e aveva il comando delle milizie,
-era forestiero, durava sei mesi, aveva un giudice, un socio, due
-notaj, il che attesta che esercitava una parte di giurisdizione, benchè
-sussistesse anche il podestà: e questo e quello subivano il sindacato.
-Il gran consiglio di cinquecento doveva, come i magistrati, essere
-eletto tra quei che formavano la Società de’ Crociati, la quale così
-divenne arbitra del Comune, e sorgente unica del potere legislativo,
-benchè non perdesse il carattere di milizia[263].
-
-Solo tardi i nomi di Guelfi e Ghibellini perdettero la primitiva
-significazione, e parve non designassero che partiti, nati dalle
-ambizioni di persone e di case; s’abbracciava l’uno senz’altro motivo
-se non lo stare coll’altro gli avversarj; uomini e città li cangiavano
-dalla state al verno; pretesto a rancori privati, a baruffe, a
-sbranarsi tra sè, finchè riuscissero all’ultimo conforto degli stolti,
-il servir tutti[264].
-
-In popolo libero non si governa che per via di fazioni, anzi una
-fazione è il Governo stesso, il quale tanto è più forte e perseverante,
-quanto tra il popolo si trovano partiti più permanenti e compatti.
-Ma siffatti non si formano e mantengono se non dove fra gl’interessi
-de’ cittadini esistono dissomiglianze e opposizioni così evidenti e
-durevoli, che gl’intelletti siano condotti e fissati da sè in opinioni
-opposte: all’incontro, è difficile restringer molti in una politica
-uniforme là dove i cittadini rimangono ad un bel circa eguali, giacchè
-allora bisogni effimeri, frivoli capricci, interessi particolari creano
-e scompongono ogni istante fazioni, l’incertezza e avvicendamento delle
-quali fa agli uomini nojosa l’indipendenza, e mette a repentaglio la
-libertà, non in grazia dei partiti, ma perchè niun partito è in grado
-di governare.
-
-Nè essi portano gran pregiudizio quando rampollano dalla costituzione,
-giacchè allo scopo loro si connette sempre la speranza di migliore
-governo; anzi a quelli vanno debitrici di loro prosperità le nazioni
-che liberamente si reggono, e in cui, pendasi ad aristocrazia o a
-democrazia, a governo personale o a ministeriale, sempre si tende e
-spesso si giunge al meglio del paese. Ma quando si mescoli, come in
-Italia, un fomite forestiero, l’interesse della fazione prevale a
-quello della patria, e s’immola fin la libertà per conseguirlo. Toscana
-e Venezia furono l’una democratica, aristocratica l’altra, eppure
-stettero: in Lombardia Guelfi e Ghibellini spingevano l’occhio fuor
-della patria, e del pari la sagrificavano.
-
-Robusti, caldi di superbia e d’invidia, nel consiglio impugnano il
-parere più sano, perchè proposto dalla parte avversa; poi mene segrete
-e intelligenze parziali; poi sconnesse le famiglie dal campeggiare
-padri e fratelli sotto bandiera diversa; poi per ogni lieve occasione
-rompere ai peggiori termini di nemici. «Quasi ogni dì, o di due dì
-l’uno si combattevano insieme cittadini in più parti della città,
-di vicinanza in vicinanza, come erano le parti; e aveano armate le
-torri, che n’avea la città (di Firenze) in gran quantità e numero, e
-alte cento e cenventi braccia l’una. E sopra quelle facevano màngani
-e manganelle per gettare dall’una all’altra, ed era asserragliata
-la strada in più parti. E tanto venne in uso questo gareggiar fra’
-cittadini, che l’un dì si combattevano, e l’altro dì mangiavano e
-beveano insieme, novellando delle prodezze l’un dell’altro che si
-facevano a quelle battaglie»[265].
-
-Cominciasi da un conflitto in piazza, determinato da qualche
-accidente in apparenza frivolo, ma realmente derivato dall’intima
-natura della città; e subito i cittadini dividonsi in due partiti, i
-quali non cercano che annichilarsi un l’altro, senza riguardi, senza
-capitolazione. L’ira è unica ispiratrice; una parte trovasi inferiore,
-e non tanto perchè impotente a sostenersi, quanto pel dispetto di non
-voler obbedire agli avversarj, esce di città. I suoi fautori rimasti,
-deboli e vinti, sono uccisi senza pietà da quella rabbia che si
-esacerba nello sfogarsi; dei profughi sono demolite le case, confiscati
-e sperperati i terreni, e la metà trionfante stabilisce nella città
-quella pace che viene dalla mancanza di nemici. Presto però i vincitori
-medesimi si suddividono in moderati ed eccessivi; i fuorusciti,
-congiunti dalla sventura, si rannodano alla campagna con altri di lor
-colore, e con sussidj di borgate o città consenzienti, riminacciano la
-città, l’assalgono, la prendono, e alla lor volta uccidono, incendiano,
-proscrivono.
-
-È la parte de’ popolani che leva il rumore? tocca a stormo; le vie
-si asserragliano per impacciare i cavalli, nerbo della nobiltà;
-questa assalgono ne’ palazzi fortificati, ne espugnano le torri. I
-gentiluomini, rincacciati di posto in posto, a grave stento possono
-aprirsi un varco, mentre i vincitori malmenano i clienti e le robe dei
-vinti, il tempio del Dio della pace profanano cogl’inni della vittoria
-fratricida. Ma appena in campagna aperta può la loro cavalleria
-spiegarsi, i nobili tornano superiori; ricorrono per ajuto ai signori
-castellani o ad altri paesi di egual fazione, trattano con quelli
-come potenze riconosciute, li persuadono a guerra; allora bloccano la
-patria, l’affamano, e v’entrano a forza, alla lor volta diroccando ed
-esigliando; oppure rientrano a patti, e giurano paci centenarie che
-fra un mese saranno violate. Queste alterne espulsioni formano la quasi
-unica storia del tempo.
-
-Così si amplia la guerra cittadina in cospirazioni, adunanze, consigli,
-alleanze; cercasi una città anche nemica, perchè del partito medesimo;
-i fuorusciti figurano come una potenza distinta; le fazioni interne si
-intralciano colle esterne; e l’economia geografica è sbilanciata dalla
-logica de’ partiti, finchè questa viene a identificarsi con quella.
-
-Nè gli uni nè gli altri però vogliono la distruzione della città,
-bensì di possederla e dominarla. A questo intento, anche allorchè vi
-stanno entrambi i partiti, devono tenersi in guardia e in disciplina,
-avendo magistrati proprj, riunioni, erario, forza, e di fuori alleanze
-speciali, alle quali rifuggendo allorchè in città non son sicuri di
-poter dimorare tutto il domani, cominciano a considerarsi qualcosa
-più che semplici cittadini, a concepir l’idea d’un partito, d’una
-nazione, nella quale tutta quanta si trovano alle prese i due partiti.
-Ma la lotta, fondandosi su passioni non su principj, è necessariamente
-interminabile, non avendo un esito, non portando una vittoria
-definitiva, ma intanto elevando un sempre maggior numero di persone
-alla dignità di cittadini.
-
-I popolani di Piacenza nel 1234, espulsi i loro nobili, si allearono
-coi popolani di Cremona, i quali aveano tolto a capitano il marchese
-Pelavicino; e questo con cento cavalieri e molti balestrieri delle due
-città ruppe i nobili fuorusciti. Essi fanno lega con quei di Borgotaro,
-di Castellarquato, di Firenzuola, e presentano a Gravago battaglia,
-dove lasciano prigionieri quarantacinque uomini d’arme e da ottanta
-fanti. I popolani cremonesi e piacentini prorompono di nuovo in armi,
-assediano il castello di Rivalgario, ma non possono espugnarlo. Alfine,
-per intromessa di Sozzo Colleoni di Bergamo, si riconciliano coi
-nobili, pattuendo che questi avessero metà de’ pubblici onori e due
-terzi delle ambasciate.
-
-I vincitori non sempre erano moderati, nè solo momentanei i danni; e
-nell’ebbrezza del trionfo si spingeva la città a guerra coi vicini,
-o nello statuto si introducevano mutazioni non per utilità comune,
-bensì per corroborare la parte trionfante; ma sicurtà vera non si trovò
-mai, restando sempre una fazione malcontenta e una turba fuoruscita,
-gagliardissimo strumento ad ogni tentatore di novità. In una sola volta
-escono dal Cremonese centomila esigliati nel 1226; nel 1274 trecento
-famiglie da Bologna, composte di dodicimila persone: quando Castruccio
-nel 1323 osteggiava Firenze, per ottenere perdonanza venivano ad
-offrirsi di servire contro di lui ben quattromila Fiorentini, piccolo
-resto di quelli cacciati vent’anni prima[266]. Non durerà mai quieto il
-paese che ha molti fuorusciti, i quali, per desiderio della patria, per
-la baldanza che dà il non aver nulla a perdere, per le facili speranze
-che sono il retaggio degli esigliati, movono, praticano, irritano
-dentro e fuori.
-
-Quindi per tutta Italia un combattersi da terra a terra, e talvolta
-per ragioni sì frivole, quanto oggi ne’ duelli. Nomi d’obbrobrio
-ciascuna città aveva affisso all’avversaria, e da questi cominciavansi
-diverbj che terminavano col sangue[267]. Un cardinale romano convita
-l’ambasciatore di Firenze, e udendogli lodare un suo bel catellino,
-glielo promette; sopraggiunge l’ambasciatore di Pisa, che del cagnuolo
-s’invoglia anch’esso, e n’ha promessa eguale: da ciò discordia e
-guerra viva. Una secchia, dai Bolognesi rapita a quei di Modena, diede
-soggetto a guerra e al poema del Tassoni. Un catorcio involato suscitò
-guerra fra Anghiari e Borgo Sansepolcro, di che il Tevere andò tinto
-in rosso. Quei di Chiusi combatterono i Perugini per l’anello pronubo
-di Maria Vergine, che essi conservano preziosamente, che un frate aveva
-sottratto.
-
-Quali cronache non sono piene di queste rivalità energiche e clamorose,
-e de’ vergognosi trionfi sopra i vicini? I Modenesi assediano Ponte
-Dosolo, e smantellatolo ne involano la campana che pongono nella
-torre maggiore: un’altra volta da Bologna portano via le petriere e le
-collocano nella cattedrale, e voltano lo Scultenna su quel territorio
-per guastarlo. Genova impone a Pisa di abbassar tutte le case fin al
-primo solajo: e ancora vi stanno sospese le catene strappate a Porto
-Pisano; e sull’edifizio del Banco un grifo che adunghia l’aquila e
-la volpe, simboli di Federico I e di Pisa, col motto _Griphus ut has
-angit, sic hostes Genua frangit._ Lucca mette degli specchi sulla torre
-d’Asciano perchè le donne di Pisa vi si possano mirare; e Pisa va ad
-assediar Lucca, e mette grandi specchi affinchè i loro nemici vedano
-come impallidiscono; un’altra fiata fabbricano il forte d’Illice, e
-vi scrivono: «Scopabocca al genovese, crepacuore al portovenerese,
-strappaborsello al lucchese». Perugia erge innanzi a Chiusi la torre
-_Becca questa_, e i Chiusini vi oppongono la _Becca quella_. All’arco
-di Galieno in Roma era attaccata la chiave della porta Salciccia di
-Viterbo, ribellatasi contro il senato: i Perugini dalla vinta Foligno
-asportarono le porte sovra il carroccio de’ vinti, e da Siena le
-catene della giustizia, che collocarono sovra la porta del podestà: i
-Lodigiani eternarono (si dice) nelle medaglie uno scorno usato ai vinti
-Milanesi: questi faceano giurare al podestà di non lasciar più mai
-rifabbricare il distrutto Castel Seprio; Siena imponeva altrettanto per
-quel di Menzano, i Novaresi per quel di Biandrate.
-
-È fatica persino in una storia municipale il seguitar quelle guerre
-senza gloria, interrotte da paci senza riposo, varie negli accidenti,
-ma uniformi negli impulsi; nè noi vogliam dare che i lineamenti e
-il carattere generale di quella età. Brescia stava sempre in armi
-da un lato contro Cremona, massime in causa delle acque dell’Oglio,
-dall’altro contro Bergamo pei disputati confini del lago d’Iseo e
-della val Camonica; e avendo essa, come dicemmo, nel 1191 aggiunto al
-suo territorio i Castelli di Sarnico, Calepio e Merlo, i Bergamaschi,
-per vendicarsene, s’unirono ai Cremonesi, già da essi ajutati contro i
-Bresciani. Subito una parte e l’altra si prepara di alleanze, e Pavia,
-Lodi, Como, Parma, Ferrara, Reggio, Mantova, Verona, Piacenza, Modena,
-Bologna vengono contro i Bresciani, e assediano i castelli di Telgate
-e Parlasco; ma i Bresciani, capitanati da Biatta di Palazzo, gli
-affrontano a Rudiano, e li mettono in tal rotta, che rimase al luogo il
-nome di Malamorte.
-
-I nobili, che aveano in mano il governo di Brescia, istigati
-dai Milanesi, vollero poco dopo spingere a nuova guerra contro i
-Bergamaschi; ma il popolo, svogliato di tanti sacrifizj, ritorse le
-armi contro i nobili, e sanguinosamente li cacciò di città. Essi
-ricoverarono sul Cremonese, e formarono la società di San Fausto,
-alla quale i plebei opposero un’altra, detta Bruzella: e quelli
-si allearono con Cremona, Bergamo, Mantova, questi coi Veronesi, e
-lungamente agitarono le nimistà. Altre ne mossero il 1199 Parma e
-Piacenza, disputandosi Borgo Sandonnino: e colla prima campeggiarono
-Cremona, Reggio, Modena, Bergamo, Pavia; coll’altra i Milanesi,
-Bresciani, Comaschi, Vercellesi, Novaresi, Astigiani, Alessandrini,
-finchè l’abate di Lucedio non riuscì a metter pace. Nel 1225 Genova
-trovavasi impegnata in guerra contro gli Alessandrini, collegati questi
-con Vercelli, Alba, Tortona; con lei Asti, il conte Tommaso di Savoja,
-le due Riviere, i conti di Ventimiglia, i marchesi del Carretto, di
-Ceva, di Cravezana, del Bosco, tutti i castellani del Garessio e val di
-Tanaro, ed altri baroni e capitani.
-
-Nel 1208 il marchese Azzo d’Este coi Ferraresi del suo partito e col
-Comune di Ferrara[268] combinava lega coi Cremonesi, obbligandosi a
-guardare, salvare, difendere, in tutta la terra e l’acqua del vescovado
-e del distretto loro nell’andare, stare e tornare, tutti gli uomini
-di Cremona nella persona e negli averi; soccorrerli a mantenere
-o recuperare la loro terra contro qualsifosse gente o persona, e
-nominatamente Crema e l’isola Fulcheria e le terre di qua dall’Adda;
-ogni anno andranno al servizio di Cremona col carroccio[269] e coi loro
-cavalieri e fanti; e due volte l’anno con tutti i soldati e arcieri
-della città e del vescovado staranno in servizio loro a spese e danni
-proprj per quindici giorni; nè partiranno senza licenza de’ rettori di
-Cremona, data in parlamento o nel consiglio di credenza. Passati quei
-giorni, se i Cremonesi vogliono rifare i danni e le spese, dovranno
-quelli rimanere quindici altri dì, ove ne siano richiesti. Altrettanti
-opreranno qualvolta siano richiesti dai rettori o dai consoli o per
-lettere sigillate del comune di Cremona; e quindici dì dopo l’avviso
-movendo col carroccio e altre forze, al più presto si metteranno
-nell’esercito di Cremona, e a tutti i nemici di questa vieteranno
-il passo, i soccorsi e ogni negozio sulle lor terre. Se mentre essi
-campeggiano in servizio di Cremona prendono alcuni dei nemici di
-questa, li daranno a quel Comune fra otto giorni, salvo il cambio se
-sia stato preso alcuno dei loro. Ogni anno il podestà o console delle
-città prelodate giurerà questi accordi, e si farà ogni quinquennio
-giurare da tutti i cittadini di sopra dei quindici anni e di sotto dei
-settanta.
-
-Le gare talvolta componeansi a giudizio d’amici o di arbitri; come le
-differenze tra città e vassalli o Comuni si compromettevano ne’ consoli
-di giustizia o nei savj. Quando poi l’ire infierivano peggio, nè altro
-riparo trovavasi, soccorreva quello che in essi tempi era universale,
-la religione, che tra le baruffe private, tra le file dei combattenti
-inviava l’inerme sua milizia, a sospendere le izze fraterne in nome del
-Signore. Ma poichè ognuno era persuaso che chi non otteneva supremazia
-rimarrebbe all’ultima oppressione, le discordie ben presto divampavano:
-talvolta, nel mentre stesso che giuravasi la pace, un’occhiata
-dispettosa, un motto frizzante, un gesto mal interpretato, facea di
-nuovo sguainar le spade.
-
-Le gelosie e le gare rinascenti indebolivano la coscienza dei doveri da
-Stato a Stato, da uomo a uomo; impedivano si consolidasse uno spirito
-pubblico, fondamento di nobile avvenire; alla patria restava tolto
-di valersi dei migliori, esclusi perchè guelfi o perchè ghibellini;
-consigliandosi coll’ira o col favore anzichè colla giustizia, non si
-cercava il più giusto e libero governo, ma il trionfo d’una parte,
-adoprandovi mezzi che sovvertivano la libertà. Quello stuolo di
-fuorusciti, intenti sempre a governare il paese da di fuori e con
-passioni malevole, stoglieva dall’opposizione legale e dallo sviluppo
-progressivo; abituava a non regolarsi su principj ben posati, a non
-calcolare l’andamento dei fatti e la situazione, ma sempre attendere
-dall’esterno avvenimenti impreveduti, e fidare ne’ cataclismi: funesta
-abitudine, che gl’italiani più non doveano disimparare.
-
-Nessun momento più pericoloso alle franchigie che quello d’una
-vittoria. Inebbriati da questa, i popoli più non ravvisano pericoli,
-e non che por limiti a chi li guidò al trionfo, credono acquisto il
-fortificarlo in modo, che possa impedire un nuovo rialzarsi della
-fazione avversa. Ma i mezzi offertigli a quest’uopo facilmente può
-egli convertire a disastro della patria. A Como rimasti vincitori i
-Rusca nel 1283, i tre podestà del Comune, del popolo e della parte
-dominante ebbero facoltà di stabilire, col consiglio di savj eletti,
-qualunque statuto giudicassero opportuno ad essi Rusca e al comune di
-Como. Rivalsi i Vitani nel 96, il podestà di questi decretò che ogni
-mese si creassero due podestà di essa fazione, i quali attendessero
-all’innalzamento di questa e alla depressione dei Rusca; di cui si
-abbattessero le insegne, si cassassero le vendite e le donazioni, i
-loro vassalli e clienti si spogliassero d’ogni diritto acquistato da
-diciotto anni in poi, s’annullassero i giuramenti fatti a loro, e se ne
-squarciassero le torri e le abitazioni.
-
-Guardiamoci però dal giudicare quei subugli colle idee d’un secolo
-che reputa primo elemento di felicità il riposo; e di far bordone
-alle sentimentalità di chi non sa vedervi che ricchezze sperperate
-e fratelli uccisi da fratelli. Capricci di re, puntigli di
-ministri, guerre dinastiche, ambizioni napoleoniche in qualche anno
-scialacquarono il decuplo di sangue e denaro, che non in secoli tutte
-le battaglie de’ Comuni italiani. Le quali nelle storie leggiamo
-accumulate così, che facilmente crediamo continui i macelli; e a tacere
-le lunghe paci, non vogliamo ricordarci che quelle guerre finivano in
-un giorno o in pochi; che le battaglie riuscivano sì poco sanguinose,
-da attirare le beffe degli inumani politici del secolo xvi, i quali
-vedeano le ben diverse qui recate dagli stranieri[270].
-
-L’odierna civiltà strappa alle famiglie un figliuolo sul quale vivono
-padre e madre, e lo obbliga a servire la società per un prezzo che a
-pena basta al sostentamento, e ciò negli anni suoi migliori, per poi
-dopo molti rimandarlo senza un mestiere e disusato dalla fatica. I
-nostri coscritti videro tremando scuotersi il loro nome nell’urna che
-dovea decidere qual d’essi lascerebbe le occupazioni e le consuetudini
-della sua gioventù, per militare in causa che ignora, sotto capitani
-che non conosce, obbedendo come una macchina, e trattato come inferiore
-agli altri cittadini. Lontano dalla patria, dai cari, alcuni si
-logorano per le fatiche inconsuete, molti pel tedio e per ribrama dei
-paterni tetti. Perisce? è un soldato di meno, un nome di più sulla
-lista dei morti. Vince? non altro godimento gliene viene che di veder
-trionfare i suoi capi, o forse di poter incrudelire contro i vinti.
-È ferito? lo gettano negli spedali a cura di medici principianti o
-subalterni. Finisce la sua capitolazione? torna alla famiglia avvezzo
-al bagordo, al prepotere, al non far nulla.
-
-Allora, al contrario, la guerra era un momentaneo dovere, un episodio
-della vita. Dalla fanciullezza s’addestravano agli esercizj; divenivano
-soldati quando il bisogno lo richiedesse; cessavano appena il bisogno
-finisse; combattevano sotto le mura della patria per salvezza de’
-suoi, o per quella causa ch’essi aveano giudicata migliore. I monotoni
-patimenti de’ quartieri e delle guarnigioni non erano conosciuti: al
-tocco della campana, l’uomo piglia le armi, ancora ammaccate dalle
-ascie tedesche o dal brando feudale; corre sotto la bandiera della sua
-parrocchia; va all’assalto; vince? la sera stessa o il domani torna
-alla patria, ostentando i trofei rapiti al vinto; è ferito? trova
-ristoro nella propria casa; muore? la patria il compiange, e quella
-venerazione alimenta il valore degli altri, e lenisce il lutto di quei
-che sopravivono.
-
-Queste guerre faceano soffrire; chi lo nega? Il Machiavello ne’ Guelfi
-e Ghibellini non vede che umori di parte, follie di malcontenti e di
-ambiziosi, pestilenza derivata alla sua città da una prima discordia di
-famiglie. Anche il Muratori esce dalla dabbene sua calma per irritarsi
-contro queste frenesie di sêtte diaboliche e maledette, ove per vane
-parole si sagrificavano ricchezze, sangue, vita, senza riflettere
-se la causa fosse utile o giusta. Ma quelle risse erano inevitabili
-fra piccoli Stati, e fra tanti elementi eterogenei che conveniva
-o assimilare o svellere: non erano frutto della libertà, ma sforzi
-per conquistarla, effetti del non possederla intera. L’unirsi Guelfi
-e Ghibellini, Repubblicanti e Imperiali a tempesta e bonaccia pel
-pubblico interesse, concentrarsi in un pensiero generale, subordinare
-le personali inclinazioni a un vantaggio comune ben avvisato,
-garantirsi a vicenda in imprese che riuscendo devono profittare
-anche a quelli che le impacciano, insomma il patriotismo qual noi
-l’intendiamo eppure nol pratichiamo, poteva sperarsi da gente ancor
-nuova, da passioni non ammansate? poteva sperarsi che quegli inesperti
-conciliassero la libertà coi governi forti, se nol sappiamo far noi
-dopo tante misere prove?
-
-Più che da stizze, nascevano le nimicizie da intelletto acuto, che
-reca a conoscere il meglio, e dolersi di non possederlo; sicchè nello
-squilibrio fra i bisogni e il modo di soddisfarli, l’uomo contende e
-s’affatica, nè può fare che non dia d’urto ai vicini. In altri tempi
-sembra unanimità nazionale la quiete prodotta dalla comune oppressione:
-in quelli invece ogni uomo pensava ed operava da sè; ingegnavasi ad un
-fine ch’egli nettamente ravvisava, e con mezzi che da sè sceglieva;
-e quell’agitazione, l’esistenza occupata ne’ pubblici interessi,
-il dramma continuo, le passioni cozzanti, le quistioni di diritto e
-d’onore più che d’interessi materiali, il tendere animato verso una
-meta sempre varia ma sempre alta, il soffrire per un oggetto nobile, il
-trionfare nei trionfi della patria o della propria fazione, erano parte
-di felicità.
-
-Mal ci apponiamo ancora quando non vediamo in queste battaglie che
-fraterne riotte. Gli stranieri aveano occupato il paese, spodestati
-i natii, e ridottili a servi o a plebe senza diritti; mentr’essi, col
-nome di feudatarj o di nobili, si presero i privilegi e il dominio e
-i possessi tutti, e dichiararono nazione se medesimi. Per noi, cui
-il nascer plebe o patrizio non importa che qualche distinzione nel
-povero senno dei vulgari, ha del ridicolo e del compassionevole quel
-combattersi fra i due ordini: ma allora significava la prevalenza de’
-forestieri o de’ nazionali; se i nostri padri dovessero languir sulla
-gleba sudata e non posseduta; se il signore di questa, che la tenea per
-ragione di conquista, dovesse poter fare di loro ogni sua voglia, sino
-ad ucciderli per pochi denari.
-
-Prevalgono i popolani: ma la parte già dominatrice usa forza e astuzia
-per reprimerli e corromperli, e all’uopo s’associa colla potenza
-forestiera, da cui trae l’origine sua. Col procedere del conflitto, lo
-scopo ne diviene men chiaro, ma in fondo sussiste; poi ravvicinandosi e
-innestandosi i partiti, nel nome della fazione dimenticano la diversità
-dell’origine, e tutti si chiamano Italiani.
-
-Ciò non toglie di deplorare quell’assiduo parteggiamento, le cui
-conseguenze nocquero alla più tarda posterità. Le città guardandosi
-con odio e sospetto, non si poterono mai accordare in una federazione
-di utilità universale e comune difesa; le scissure interne producevano
-lotta anche nell’alta politica, ambi i contendenti sapendo di trovare
-un appoggio esteriore; alla fine quasi dappertutto la parte popolare
-ebbe il sopravvento, e meno esperta delle faccende pubbliche,
-ombrosa per natura sua, e troppo occupata per applicarsi al pubblico
-reggimento, rimetteva l’uso delle proprie forze e l’esercizio de’
-proprj diritti al valore del più prode o al senno del più avveduto; e
-così le tirannie vennero eredi delle comunali libertà.
-
-Altre famiglie non aveano mai perduto i possessi aviti, anzi gli
-estendevano, e massime quelli compresi nella disputata eredità della
-contessa Matilde; poi nelle guerre parteggiando coll’imperatore,
-ne ottenevano privilegi e immunità, e diventavano feudatarj.
-Gl’imperatori, che da principio avevano favorito i Comuni a popolo
-contro i signori feudali, dacchè li videro ingigantire trovarono di
-loro conto spalleggiare i nobili liberi, contrappeso alla potenza
-cittadina, e scolte disposte sul loro passaggio. Altri s’erano
-conservati indipendenti negli aviti castelli, massime se piantati fra
-i monti, e cercavano acquistare sulle vicine città il dominio che un
-tempo vi avevano tenuto i conti: tali erano i marchesi del Monferrato
-e di Este, i più poderosi dell’Italia settentrionale, ingranditi dal
-Barbarossa come suoi fedeli.
-
-Nella marca Trevisana, ove le estreme falde dell’Alpi e le colline
-Euganee si sporgono in mezzo a liete campagne e città fiorenti, dalle
-ben munite alture i signori poterono continuare a tenere una mano
-sopra le città, nelle quali fabbricarono anche palazzi, somiglianti a
-fortezze. Tra queste famiglie erano prevalsi i Salinguerra di Ferrara,
-i Camposampiero di Padova, i Guelfi d’Este, gli Ezelini da Romano. Gli
-Ezelini discendeano da un Tedesco passato in Italia con Corrado II, e
-infeudato delle terre d’Onàra e Romano nella marca di Treviso: colle
-violenze e l’abilità crebbero i suoi discendenti, costituitisi corifei
-della parte ghibellina là intorno, imparentatisi di voglia o di forza
-con grosse famiglie, ed alleatisi con Verona e Padova. A fronte a loro
-stavano gli Estensi, di famose ricchezze, e parenti di quei Guelfi che
-vedemmo dominare in Baviera e Sassonia, donde la parte guelfa nell’alta
-Lombardia prese il titolo di marchesca. Padova gli aveva obbligati a
-giurare la loro città, lasciar deserta la rôcca d’Este, e porsi sotto
-la protezione del popolo che i loro padri aveano calpesto; e spesso
-chiamati podestà e capitanei, all’ombra repubblicana ricuperavano la
-primazia, perduta secondo l’aspetto feudale.
-
-Ferrara, sobbalzata dalle fazioni, diede nel 1208 il primo esempio di
-signoria col domandare a principe il marchese d’Este, conferendogli
-pieno arbitrio di fare e disfare leggi, paci, alleanze, guerre. Ne fu
-tocco al vivo Salinguerra di Torello, primario in Ferrara e caporione
-de’ Ghibellini, e ne originarono baruffe e sangue, e avvicendate
-espulsioni, e ripetuti e sempre falliti accordi, sinchè rimase
-convenuto che tra i due emuli, ossia tra le due fazioni, restassero
-partiti gli uffizj della città; il marchese non potea venire a Ferrara
-che con un determinato numero di seguaci, e Salinguerra gli usciva
-incontro con tutta la nobiltà guelfa e ghibellina, e si celebrava un
-cortese banchetto[271].
-
-Anche altrove questi signori si facevano guerra dall’un all’altro,
-onde preponderare nelle città del contorno, che pertanto piegavano ad
-infelice oligarchia, turbata da incessanti dissidj, spesso prorompenti
-in guerre guerreggiate. Tra queste li trovò Ottone IV allorchè scese
-dall’Alpi, e sperava che i Guelfi l’appoggierebbero per l’origine sua e
-pel favor papale (1209), mentre i Ghibellini non gli avrebbero negato
-favore come a re di Germania. Rappaciò egli infatti molti discordi,
-e singolarmente Ezelino da Romano con Azzo d’Este; ma poco durò la
-costoro benevolenza, e Guelfi e Ghibellini si brigavano delle proprie
-pretensioni, non già dell’imperatore, cui non favorivano se non in
-quanto sentissero d’averne bisogno.
-
-Pure egli fu accolto a festa dai tanti nemici della Casa sveva;
-Innocenzo III gli mosse incontro sin a Viterbo, e lo coronò; ma
-breve fu l’armonia. Già l’arroganza tedesca stomacava i Romani, che
-ebbero una delle solite abbaruffate in città, dove perirono molti
-cavalieri; un grosso di cardinali mantenevasi ostile ad Ottone, il
-quale coll’eredità della contessa Matilde pretendeva revocare alla
-corona Viterbo, Montefiascone, Orvieto, Perugia, Spoleto, donati
-alla santa sede, e che militarmente occupò. Certo l’avranno istigato
-i giureconsulti, indefessi apostoli della sovranità imperiale: e
-quando il papa gli rammentò le promesse e il giuramento, rispose che
-un giuramento anteriore lo obbligava a ricuperare all’Impero quanto
-ne fosse stato distratto: favorì la famiglia Pierleoni, ghibellina
-arrabbiata; investì la marca d’Ancona ad Azzo d’Este in nome proprio,
-non in nome del papa; per fare smacco a Federico di Svevia entrò
-nella Puglia pretendendovi la primazia imperiale, ed alleossi co’
-generali tedeschi che colà erano rimasi. Papa Innocenzo vide imminente
-quell’aggregazione della Sicilia coll’Impero, alla quale sempre erasi
-opposto, e viepiù pericolosa perchè fatta dal capo de’ Guelfi, i quali
-lo secondavano per odio agli Hohenstaufen; nè trovando altro riparo,
-scomunicò l’imperatore (1210): ma questo proseguì la conquista nella
-Puglia, ed accingevasi a passare in Sicilia.
-
-Se non che l’anatema aveva sommossa la Germania; la morte di Beatrice
-sua moglie lentò i legami che a lui univano la fazione ghibellina;
-intanto il papa era riuscito a sottrarre dai custodi tedeschi Federico
-di Svevia, e a grande onore accolto in Roma, colla sua benedizione
-e colle sue galee l’inviò a Genova (1212). Il giovane reale, bello,
-colto, attraente per l’ingegno non meno che per le agitazioni
-della prima sua età, attraversò la Lombardia procacciandosi amici
-coll’affabilità e colla munificenza, pur sempre contrastato dalle città
-guelfe, memori del Barbarossa: il marchese d’Este suo cugino sotto
-buona scorta pel lago di Como lo convogliò a Coira, il cui vescovo
-fu primo a salutarlo re di Germania. Ottone, poco atto a guadagnarsi
-i cuori, avea dovuto uscire dalla Puglia senz’altro lasciarvi se non
-raccomandazioni di fedeltà calde e poco sentite; a Lodi convocò le
-città lombarde, ma non vennero se non le dichiarate amiche di Milano,
-la quale tenevasi con lui per astio contro gli Svevi. Laonde nessun
-frutto colse, nè le fazioni sospesero il combattersi; peggiorando anzi
-per le sêtte religiose allora pullulanti, e che logoravano la potenza
-clericale, avvezzavano a non curar di scomuniche, e conculcavano il
-dogma dell’autorità. Venezia osteggiò Padova che voleva precluderle
-il commercio di terraferma: Milano combattè con Pavia e co’ marchesi
-del Monferrato, i Malaspina della Lunigiana con Genova, questa con
-Ventimiglia; i Carraresi, i signori di Montemagno, i Porcaresi contro
-Pisa, i Sanminiatesi contro Borgo Sanginnesio, i Salinguerra con
-Modena: Lucca non cessò mai guerra a Pisa, e fabbricato il castel
-di Cotone in val del Serchio, pose patto ai nuovi abitatori che
-non contraessero parentela o aderenza coi Pisani: la rivalità de’
-Buondelmonti cogli Amidei fe sentire primamente in Firenze i nomi di
-Guelfi e Ghibellini.
-
-Ottone avea procurato chetar la tempesta suscitatagli in Germania, fin
-col sottomettersi al giudizio degli stati; ma tale umiliazione crebbe
-ardire ai malcontenti: quando poi, marciato a’ danni del re di Francia,
-fu sconfitto e vôlto in fuga a Bovines (1214), scaduto d’ogni credito
-si ritirò ne’ suoi Stati ereditarj, talchè Federico di Svevia fu di
-nuovo coronato re di Germania ad Aquisgrana. Secondo il convenuto con
-Innocenzo, Federico confermò tutte le prerogative e i possedimenti
-della Sede romana, promise recuperarle dai Pisani la Sardegna e la
-Corsica, e cedere la Sicilia appena divenisse imperatore: condizione
-che il papa esigeva come nuova garanzia all’indipendenza d’Italia,
-troppo minacciata se un suo re fosse anche capo dell’Impero. A Federico
-aveva egli sposata Costanza d’Aragona, sua pupilla anch’essa; e avendo
-collocato sul trono un allievo della santa Sede, poteva a questa sperar
-pace e nuova grandezza: eppure allora si rinnovò la guerra fra il
-Sacerdozio e l’Impero. Prima di divisare la quale, giovi por mente alle
-nuove armi, di cui l’uno e l’altro venivano accinti al secondo duello.
-
-
-
-
-CAPITOLO LXXXIX.
-
-Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione.
-
-
-All’autorità pontifizia davano grande appoggio i frati. Benedettini,
-Agostiniani, Basiliani continuavano a pregare, studiare, cantare,
-conservar libri e monumenti; gli austeri Certosini, i mistici
-Carmelitani, i caritatevoli Trinitarj o del Riscatto (istituiti da
-san Giovanni di Matha gentiluomo nizzardo), ed altri monaci fondati in
-quei tempi, si estesero in Italia; e massime gli operosi Cistercensi,
-qui portati da san Bernardo, oltre l’opere dello spirito, grandemente
-giovarono a ridurre a fertilità stagni e valli, principalmente nel
-Milanese e nel Lodigiano[272].
-
-Alcuni Milanesi, trasportati prigionieri in Germania nelle guerre
-coll’Impero, disingannati del mondo, fecero voto, se ricuperassero la
-patria, di dedicarsi a speciale devozione di Maria. Resi alla terra
-natale, istituirono l’Ordine degli Umiliati (1200), vivendo ciascuno
-nella propria casa, ma solinghi e in opere sante, avvolti in sajone
-cinericcio. Crebbero, e, compra una casa, vi si congregavano la festa
-a salmeggiare e ad opere di pietà; e sull’esempio de’ mariti, anche le
-donne si ritrassero in devozione e lavori. Avuta da san Bernardo una
-regola, gli Umiliati si separarono dalle mogli, ed oltre gli uffizj
-spirituali, procacciavano nel lanifizio e nella mercatura; indi il
-beato Giovanni da Meda, che li piantò a Como, perfezionò l’istituto,
-promovendo alcuni alla dignità sacerdotale, e mettendo a ciascuna
-_casa_ un preposto. Così si estesero, e col traffico e col lavorio dei
-pannilani arricchirono l’Ordine e il paese. Alla quale società, che, a
-parte la devozione, potrebbe servir di modello a quelle che propongono
-e non sanno effettuare gli odierni Socialisti, aggiungiamo quelle che
-un buon romito di Parma raccolse per fabbricare un ponte sul Taro e
-custodirlo.
-
-Silvestro da Osimo, al veder morto un uomo bellissimo, si ricoverò
-tutto a vita di spirito, e nel monastero di Monte Fano della Marca
-fondò nel 1231 i Silvestrini, presto propagatisi. L’anno seguente,
-sette signori fiorentini, membri d’una confraternita di Maria
-Vergine, ebbero in visione il comando di rinunziare al mondo; sicchè,
-distribuito ogni aver loro ai poveri, coperti di sacco e di cenere, e
-vivendo d’accatto, presero il nome di Servi di Maria, ed apersero il
-primo convento sul monte Senario appo Firenze.
-
-I frati, oltre portare nella comunione dei Fedeli tanta messe di
-preghiere, adempivano molti uffizj, oggi attribuiti all’autorità
-amministrativa, e principalmente a curar malati, assistere pellegrini,
-assicurare strade. A Sant’Egidio di Moncalieri il ponte e l’ospedale
-erano affidati a’ Templari; ai Vallombrosani il tragitto sulla Stura
-presso Torino; ad altri i passi del grande e del piccolo Sanbernardo;
-quelli di Sant’Antonio curavano i malati di fuoco sacro, quelli di San
-Lazzaro i lebbrosi, i Trinitarj d’ogni aver loro faceano tre parti, una
-pel proprio mantenimento, una pei poveri e infermi, una pel riscatto
-de’ Cristiani presi da Saracini. Le repubbliche poi se ne valeano a
-servigi gelosi; ambascerie, custodire denari, riscuotere dazj, metter
-paci: il Comune di Mantova lasciava alla loro guardia il libro dei
-decreti[273].
-
-In tanti rami già erasi variato il vivere monastico, che Innocenzo III
-decretò non se ne introducessero altri: eppure sotto di lui nacquero
-due Ordini che eclissarono i precedenti, i frati Minori e i frati
-Predicatori.
-
-Alla moglie di Pier Bernardone, agiato negoziante d’Assisi, un angelo
-comandò andasse a partorire sulle paglie d’una stalla (1182). Ivi
-nacque Giovanni, il quale, condotto in Francia da suo padre, s’addestrò
-sì bene nella lingua di là, che ne trasse il soprannome di Francesco.
-Balioso, vivace, gajo compagnone, buon poeta fino ai venticinque anni,
-allora consente alla chiamata di Dio, e va e vende le sue merci a
-Foligno, porta i denari a un prete, e perchè questo ricusa riceverli,
-li getta dalla finestra. Il padre, che da buon massajo computava la
-bontà coll’abachino, lo crede scemo della mente, e trattolo al vescovo,
-lo fa interdire. Giubilante, Francesco si spoglia nudo nato, se non
-che il vescovo gli getta addosso il proprio mantello; e rinunziato
-alla famiglia, fa adottarsi da un pitocco, veste cenci, e comincia ad
-esalare in prediche l’esuberanza interna della carità, per la quale si
-lusinga di conquistare il mondo colla predicazione popolare.
-
-A Bernardo cittadino d’Assisi, suo primo discepolo, che gli chiedeva
-se abbandonare il mondo, rispose: — Chiedilo a Dio». Aperto il vangelo
-a caso, vi legge: _Se vuoi esser perfetto, vendi quanto hai, e dallo
-ai poveri_; lo riapre, e trova: _Non portate in viaggio oro nè argento
-nè bisaccia nè tunica o sandali o bastone_. — Questo io cerco, questo
-desidero di cuore, quest’è la regola mia», esclama Francesco, e gitta
-quanto gli restava, eccetto una tunica col cappuccio e una corda
-a cintura. Così nel mondo inebbriato di ricchezze e piaceri, esce
-predicando la povertà; nel mondo dell’ira, delle superbie, delle
-guerre, d’Ezelino e di Federico II, va a bandir l’amore; e attiratisi
-undici compagni, si sottomette con loro a rigide penitenze e a povertà
-così assoluta, da non considerare suo nè l’abito tampoco o i libri. Dai
-Benedettini impetrò una cappelletta nel piano d’Assisi, che fu detta la
-_Porziuncula_, e rifabbricatala (1208), vi pose i fondamenti del suo
-Ordine, che per umiltà intitolò dei Frati Minori, eleggendo di stare
-fra poveri, malati, lebbrosi, lavorar per vivere, e mendicare.
-
-Rinnegata affatto la propria volontà, Francesco diceva: — Beato il
-servo il quale non si tien migliore quand’è dagli uomini esaltato che
-quand’è preso a vile; perchè l’uomo è quel ch’egli è avanti a Dio, e
-nulla più». All’amor suo non bastando abbracciare tutti gli uomini, lo
-estende ad ogni creatura; e va per le foreste cantando, e invitando gli
-uccelli, che chiama fratelli suoi, perchè celebrino seco il Creatore;
-prega le rondini _sue sorelle_ a cessare il pigolìo mentre predica;
-e sorelle son le mosche, e sorella la cenere[274]. Una cicala canta?
-gli è stimolo a lodare Iddio; alle formiche rimprovera di mostrarsi
-troppo sollecite dell’avvenire; storna dal cammino il verme che può
-esservi calpestato; porta miele alle api nell’inverno; salva le lepri e
-le tortore inseguite; vende il mantello per riscattare una pecora dal
-macellajo; il giorno di Natale voleva si porgesse miglior nutrimento
-all’asino e al bue; anche biade, vigne, sassi, selve, quanto han di
-bello i campi e gli elementi, per lui sono eccitamenti ad amar Dio;
-nell’orticello d’ogni convento da’ suoi dovea riservarsi un quadro a’
-più bei fiori, per lodarne il Signore[275].
-
-La piena di questo affetto espandea Francesco in poesie, originali
-come lui stesso, ove niuna reminiscenza d’antichità, ma viva effusione
-di cuore, impeti d’amore infinito[276]: fu dei primi ad usar nelle
-laudi la lingua volgare; e frà Pacifico, suo allievo, meritò la laurea
-poetica da Federico II.
-
-Vedendo moltiplicati i Minori, Francesco pensò dettarne la regola; e
-stando sopra tale pensiero, ecco la notte gli pare aver raccolto tre
-bricciole di pane, e doverle distribuire a una turba di frati famelici.
-E temeva non gli andassero perdute fra le mani, quando una voce gli
-gridò: — «Fanne un’ostia, e danne a chiunque vuole cibo». Fece, e
-chi non ricevea devotamente quella particella, coprivasi di lebbra.
-Narrò Francesco la visione ai fratelli senza intenderne il senso;
-ma il giorno dappoi, mentre pregava, una voce dal cielo gli disse:
-«Francesco, le bricciole di pane sono le parole del vangelo, l’ostia è
-la regola, lebbra l’iniquità».
-
-Ritiratosi dunque con due compagni s’un monte, digiunando a pane e
-acqua, fe scrivere la sua regola secondo il divino spirito gli dettava
-entro. Essa comincia: — La regola de’ Frati Minori è d’osservare il
-vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio e in castità».
-Chi v’entrasse dovea vendere ogni aver suo a profitto de’ poveri,
-e subire un anno di prove rigorose prima di proferire i voti. Tutti
-essendo _frati minori_, gareggiavano d’umiltà, e lavavansi i piedi
-un all’altro: i superiori chiamavansi servi: chi sa un mestiere, può
-esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no, vada alla busca, ma non
-di denaro. Neppur l’Ordine può possedere altro che il puro necessario.
-Prendano in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi
-stando ammalato s’impazienta o sollecita medicine, è indegno del
-titolo di frate, perchè mostra maggior cura del corpo che dell’anima.
-Non vedano femmine, e a queste predichino sempre la penitenza: che
-se alcuno pecca in esse, venga tosto cacciato. In viaggio rechino
-l’abito e null’altro, nè tampoco il bastone; e se diano nei ladri, si
-lascino spogliare. Non predichi chi non vi sia autorizzato; e prometta
-insegnar la dottrina della Chiesa senza formole di scienza profana,
-senza cercare suffragi. Un generale, eletto da tutti i membri, risiede
-a Roma, assistito da un consiglio, e da esso dipendono i provinciali
-e i priori. Ai capitoli generali prendono parte i capi di ciascuna
-provincia, i priori e i deputati dei monaci di ciascun convento. Ogni
-comunità tiene capitolo una volta l’anno: i superiori d’Italia si
-congregano ogn’anno, e ogni tre quelli di là dall’alpe e dal mare.
-
-Francesco si presentò al papa chiedendo la conferma del suo Ordine,
-cioè il diritto di predicare, mendicare e non posseder nulla. Innocenzo
-III fu d’avviso che l’assunto trascendesse le forze d’uomini:
-quand’ecco in visione parvegli la chiesa di San Giovanni Laterano
-barcollare, minacciando rovina; e sorreggerla due uomini, un italiano
-ed uno spagnuolo, Francesco d’Assisi e Domenico Gusman. Pertanto
-approvò l’Ordine solennemente nel IV concilio di Laterano (1215).
-
-Chiara, nobil donna d’Assisi, tocca all’esempio ed ai sermoni di
-Francesco, abbandona il mondo (1212) e istituisce le povere donne
-Clarisse, colla regola stessa. Non sapea Francesco risolvere qual fosse
-meglio, la preghiera o la predicazione; e Chiara e frà Silvestro il
-persuadono a quest’ultima, ond’egli compare a Roma ballonzando per
-gioja, e chiede al papa licenza d’andare apostolando in traccia di
-conversioni e del martirio. E va per la Spagna, la Barberia, l’Egitto;
-crociata incruenta, ove grido di guerra era _La pace sia con voi_.
-In Africa arrivò mentre i Crociati osteggiavano Damiata (1219); e
-presentatosi a Melik el-Kamel (Meledino), gli espose il vangelo, sfidò
-i dottori di quella legge, s’offerse di saltare in un rogo divampante
-per dimostrare la verità della sua dottrina. Melik l’ascoltò, e
-rimandollo senza nè la conversione nè il martirio.
-
-A’ suoi che inviava a predicare, Francesco diceva: — In nome del
-Signore camminate due a due con umiltà e modestia; in particolare
-con esattissimo silenzio dal mattino fino a terza, pregando Dio nel
-vostro cuore. Fra voi non parole oziose e inutili: ed anche per via
-comportatevi umili e modesti, come foste in un romitaggio o nella
-vostra cella; imperciocchè, in qualunque parte siamo, è sempre con
-noi la nostra cella, che è il corpo nostro fratello, essendo l’anima
-nostra il romito che dimora in questa cella, per pregare e pensare a
-Dio. Perciò, se l’anima non istà in riposo in questa cella, la cella
-esteriore nulla serve ai religiosi. Sia tale la vostra condotta in
-mezzo alla gente, che qualunque vi vedrà o ascolterà, lodi il celeste
-Padre. Annunziate la pace a tutti; ma abbiatela nel cuore come nella
-bocca, anzi più. Non porgete occasione di collera o di scandalo, ma
-colla vostra mansuetudine fate che ognuno inclini alla bontà, alla
-pace, alla concordia. Noi siamo chiamati per guarire i feriti e
-richiamare gli erranti; molti vi sembreranno figli del diavolo, che
-saranno un giorno discepoli di Gesù».
-
-Questi frati erano membri d’una repubblica che avea per sede il mondo,
-per cittadino chiunque ne adottava le rigide virtù: e scalzi, col
-vestire dei poveri d’allora, coll’idioma dei vulghi, diffondeansi per
-tutto, al popolo parlando come esso vuol gli si parli, con forza, con
-drammatica, e fino con vulgarità, destando al pianto e al riso col
-ridere e piangere essi stessi, affrontando e provocando i tormenti
-come le beffe. Egli medesimo, il santo fondatore, se mai talvolta
-rompesse il digiuno, volea lo strascinassero per le vie, battendolo
-e gridandogli dietro: — Ve’ ve’ il ghiottone che s’impingua di
-carne di polli senza che voi lo sappiate». A Natale predicava in una
-vera stalla, ove il presepio e il fieno e l’asino e il bue; e nel
-pronunziare _Betlemme_, belava come un pecorino; e nel nominare Gesù,
-leccavasi le labbra, quasi ne sentisse dolcezza. Poi alla sera di sua
-vita portava le stigmate delle piaghe di Cristo impresse sul proprio
-corpo.
-
-L’uomo stesso gittava il balsamo della sua parola sopra gli spiriti
-inveleniti. Udito stare in cagnesco i magistrati e il vescovo d’Assisi,
-mandò i suoi fratelli a cantare al vescovado il suo cantico del Sole,
-al quale aggiunse allora le parole: Lodato sia il Signore in quelli
-che perdonano per amor suo, e sopportano patimenti e tribolazioni.
-Beati quelli che perseverano nella pace, perchè saranno coronati
-dall’Altissimo». Tanto bastò per mitigare gli sdegni. — Il dì
-dell’Assunta del 1220 (scrive Tommaso arcidiacono di Spalatro), stando
-io agli studj a Bologna, vidi Francesco predicare sulla piazza davanti
-al pubblico palazzo, dove tutta quasi la città era raccolta. E fu
-esordio al suo predicare _Angeli, uomini e demonj_; e di questi spiriti
-tanto bene propose, che a molti letterati ivi presenti recò non poca
-meraviglia un parlare sì giusto di persona idiota. E tutto il contesto
-del suo ragionare tendeva ad estinguere le nimicizie, e far accordi
-di pace. Sordido d’abiti, spregevole d’aspetto, di faccia abjetta,
-pure Iddio aggiunse tanta efficacia alle parole di lui, che molte
-tribù di nobili, fra cui inumana rabbia d’inveterate nimicizie aveva
-infuriato con molta effusione di sangue, vennero ridotte a consiglio di
-pace»[277].
-
-Così il _padre serafico_ seguì fino ai quarantaquattro anni, allorchè
-morì. Per la sua Porziuncola invocò dal cielo e dal pontefice
-un’indulgenza, a lucrar la quale non fosse mestieri di veruna
-offerta. E quando ogni 2 d’agosto essa è proclamata nell’ora solenne
-dell’apparizione di Maria, una folla sterminata accorre da quei
-fortunati contorni ad implorare l’effusione della grazia gratuita. E
-noi, che non sappiamo pellegrinare soltanto alla zazzera di Voltaire
-e all’isoletta di Rousseau, cercammo commossi le colline e i laghi
-attorno a quella deliziosa vallata, piena di tante benevole memorie;
-e nel maestoso tempio di Maria degli Angeli, eretto sopra quell’umile
-cella, monumento alla povertà fra i tanti consacrati alla forza e al
-fasto, meditammo compunti quanta santità ne uscisse, quanta potenza.
-
-Alla povertà stettero fedeli i suoi: al papa, che la esortava ad
-assicurare la sussistenza del suo Ordine coll’acquistare beni sodi, e
-offriva assolverla dal voto, santa Chiara rispose: — Non domando altra
-assoluzione che de’ miei peccati»: sant’Antonio i doni offertigli
-da Ezelino rifiutò costantemente, dicendo non volere dei frutti del
-peccato: frà Egidio, per vivere in Roma, andava a far legna e venderla:
-gli altri campavano accattando, e dappertutto erano accolti a suon di
-campane e rami d’ulivi. E perchè mai gli Ordini mendicanti esercitarono
-maggior potenza degli altri sul popolo? perchè con esso divideano il
-pane quotidiano; perchè il popolo rispetta un’indipendenza acquistata
-con sacrifizj volontari.
-
-Affine di più addentro insinuarsi nella società, oltre i professi e i
-frati laici, v’ebbe un _terz’ordine_, cui poteva aggregarsi qualunque
-secolare per via di certe devote pratiche volesse partecipare ai tesori
-delle preghiere senza abbandonare il mondo, senza cessare d’essere
-moglie, padre, vescovo, cavaliere, pontefice. Quattro le condizioni:
-restituire ogni mal tolto, riconciliarsi col prossimo, osservare i
-comandamenti di Dio e della Chiesa, le donne abbiano il consenso del
-marito; e perchè non vi fosse altro legame che il libero volere, si
-ammonivano gli adepti che l’osservanza della regola non obbligava sotto
-pena di peccato mortale. Sbandito il lusso e la cupidigia del guadagno,
-non teatri, non festini; a prevenire i litigi, ciascuno abbia preparato
-il suo testamento; le differenze fra loro si compongano, se no volgansi
-ai giudici naturali, non a fòri privilegiati; non diano mai giuramenti,
-che rendano ligi ad un uomo o ad una fazione; non portino armi che per
-difendere la Chiesa, la fede, la patria[278]. Oh, Francesco mostrava
-ben conoscere come le riforme devono cominciare dalla vita domestica,
-dalla famiglia.
-
-Contemporaneamente Domenico Gusman, illustre castigliano, assetato di
-dolori e d’amore, introdusse il nuovo ordine de’ Predicatori (1216),
-destinato alla scienza divina e all’apostolato. Qui pure tutte le
-cariche erano elettive, obbligo la povertà: e al santo istitutore in
-Bologna, ove morì (1221), fu posta un’urna fregiata nel più bel modo
-che sapessero frà Guglielmo, Nicola di Pisa, Nicola di Bari, Alfonso
-Lombardi; indi un tempio magnificentissimo.
-
-Appena quattro anni dopo l’approvazione, Francesco radunò il
-primo capitolo detto _delle stuoje_ perchè fu in campo aperto
-sotto trabacche, ov’erano cinquemila frati della sola Italia, e da
-cinquecento novizj si presentarono: poi crebbero tanto, che, malgrado
-mezza Europa perduta per la Riforma, dicono alla rivoluzione francese
-sommassero a cenquindici mila, in settemila conventi, suddivisi fra
-molte regole e riforme. Anche i Domenicani si diffusero rapidamente;
-a Siena nel 1219 si posero nello spedale della Maddalena, finchè nel
-27 i Malavolti li regalarono d’un terreno per fabbricare quel sontuoso
-convento; a Milano nello spedale de’ pellegrini a San Barnaba il 1218;
-e presto ebber fabbricate le chiese di Santa Maria Novella in Firenze,
-di Santa Maria sopra Minerva in Roma, di San Giovanni e Paolo in
-Venezia, di San Nicolò in Treviso, di San Domenico a Napoli, a Prato,
-a Pistoja, di Santa Caterina a Pisa, delle Grazie a Milano, ed altre,
-segnalate per ricca semplicità, e per lo più architettate da frati.
-
-Fin dal principio i due Ordini destarono meraviglia e simpatia nei
-migliori[279], e in folla attrassero pii ed illustri proseliti. A
-Domenico s’unisce Nicola Pulla di Giovenazzo appena uditolo a Bologna,
-e l’accompagna e seconda sempre, finchè, operati gran frutti di
-santità, muore a Perugia: a lui Renoldo da Sant’Egidio, professore di
-scienza canonica a Parigi; il medico Rolando di Cremona, che da capo
-della scuola bolognese passa a professare la teologia nella parigina;
-il Moneta, famoso maestro d’arti; frà Ristoro e frà Sisto, architetti
-de’ migliori; frà Cavalca, frà Jacopo Passavanti, frà Giordano da
-Pisa, dei primi prosatori italiani; i sommi pittori frà Angelico e frà
-Bartolomeo; indi Vincenzo da Beauvais l’enciclopedista; i cardinali Ugo
-Saint-Cher ed Enrico da Susa, autori d’una _Concordanza della Bibbia_
-e di una _Somma aurata_; e Tommaso d’Aquino, il maggior filosofo del
-medio evo.
-
-Con Francesco si arruolano Pacifico poeta laureato, Egidio portento
-di semplice sapienza, Giovanni da Pinna nel Fermano, Giovanni da
-Cortona, Benvenuto d’Ancona poi vescovo d’Osimo, altri ed altri:
-più tardi ne cinsero il cordone il gran teologo Scoto, il gran
-mistico san Bonaventura, Ruggero Bacone ravvivatore delle scienze
-sperimentali. Mogli e figlie di re vestono quell’abito; Margherita,
-scandalo di Cortona, diviene specchio di penitenza; Rosa da Viterbo, in
-diciassette anni appena di vita, merita le persecuzioni di Federico II
-e l’ammirazione del popolo, il quale diceva che la pietra da cui essa
-gli predicava si alzasse da terra, e che il cadavere della beata si
-conservasse incorrotto fin da un incendio.
-
-Que’ frati andavano a diffondere la pace, e spandere la rugiada
-della Grazia sovra le moltitudini, avendo per unica rettorica una
-fede inconcussa e universale, e lo accettare tuttociò che servisse
-all’edificazione. Le prediche morali e dogmatiche d’alcuni di essi
-conservateci, evidentemente non sono che tessere d’aridezza scolastica;
-nè può render ragione della portentosa loro efficacia chi non le
-immagini rivestite d’una parola animatissima, e dirette a un uditorio
-che non vi portava la critica ma la convinzione. Poveri, penitenti,
-amici del popolo e contraddittori dei tiranni, specchi di bontà e di
-dottrina, ecco perchè gli ordini de’ Minori e de’ Predicatori tanto
-poterono, e divennero il più valido sostegno della santa Sede. Dovunque
-si trovassero, poteano essi confessare e predicare, anzi ogni curato
-dovea ceder loro il pulpito; il popolo volonteroso gli udiva, li
-consultava, dividea con essi il pane dalla Provvidenza compartito; e
-quegli atti di astinenza e di abnegazione toccavano gli uomini, che
-riconoscono l’amore nel sagrifizio, e la virtù nell’amore.
-
-Le anime non volgari trovavansi obbligate a scegliere fra due strade:
-o nel mondo procelloso farsi largo colla fierezza e la perfidia; o
-voltargli le spalle, rinnegandone la vanità e le opinioni. I primi
-diventavano Ezelino, Salinguerra, Buoso da Dovara; gli altri Francesco,
-frà Pacifico, Antonio da Padova, gente che assumeva tutti i pesi del
-clero senza i vantaggi, e che anzi coll’umiltà e povertà sua faceva
-contrasto alle pompe e all’orgoglio di quello, una delle piaghe della
-società d’allora, ed uno dei più forti appigli per gli eretici.
-
-Quest’antitesi dei caratteri si manifesta ben anche nelle fabbriche
-d’allora: da un lato castelli, fortezze di baroni e principi, sgomento
-de’ popoli; dall’altro badie e monasteri, preparati al pellegrino,
-al soffrente, alle anime che han bisogno d’amare, di giovare, di
-pregare. Collo spirito di devozione e beneficenza viveva ne’ monaci
-il sentimento del bello, onde sceglievano situazioni ove l’anima,
-estatica nella contemplazione della natura, elevasi a benedire chi
-la creò. A venti miglia di Firenze, nella romantica valle dell’Arno
-superiore, tra magnifiche abetine sorge Vallombrosa, e nell’altura
-l’eremo del Paradisino, dal quale la vista, spaziando per immenso
-orizzonte, si perde negli interminabili fiotti del Mediterraneo.
-Qual potevano i monaci scegliere più opportuno asilo per riposare
-dalle tempeste della società, e prepararsi ai casti godimenti della
-vita interiore? Se di colà tu risali verso le sorgenti dell’Arno,
-per entro il fertile Casentino eccoti Camaldoli, ricovero di San
-Romualdo da Ravenna, e culla d’un altro Ordine. Donde pure elevandoti
-alla schiena degli Appennini, giunto sul poggio agli Scali, trovi il
-Sacro Eremo, che par veramente inviti l’uomo a lodare il Creatore
-delle meraviglie che profuse sopra questa Italia, della quale puoi
-di lassù vedere i due pendii scendere, ridenti di diversa bellezza, a
-bagnarsi nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Nè molto avrai a viaggiare
-per giungere all’Alvernia, il devoto ritiro di san Francesco, posto
-anch’esso in vetta d’un monte, che incanterebbe se già non si fossero
-veduti gli altri due. In questi amenissimi soggiorni si raccoglievano
-quegl’ingenui ammiratori di Dio, e mentre il mondo dilagava di fraterno
-sangue, essi passavano i giorni nella contemplazione del bello, nella
-ricerca del vero, nella pratica del buono.
-
-In un altro uffizio s’adoperarono vivamente i nuovi frati, qual fu di
-combattere colla parola gli eretici, farli ricredenti, o castigarli.
-Perocchè, sebbene il genio europeo non s’ingolfasse in sottigliezze e
-sofisterie come l’orientale, pure anche qui, e precisamente in Italia,
-tratto tratto scoprivansi degli eretici; e forse una tradizione di
-siffatti non fu mai interrotta fin dai Gnostici e dai Manichei dei
-primi tempi. A mezzo il secolo ix, Pietro vescovo di Padova trovò
-nella sua diocesi una setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e
-che solo cinquant’anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozelino. Nel
-Mille, a Ravenna un Vitgardo fondava non so quali delirj sopra Orazio,
-Virgilio, Giovenale. Eriberto, il famoso arcivescovo di Milano, seppe
-che alcuni eretici tenevano convegni nel castello di Monforte presso
-Asti, e citatone uno di nome Gerardo, l’esaminò sulla sua fede: — Noi
-tutti (rispose) osserviamo la castità benchè ammogliati; non mangiamo
-carne, digiuniamo strettamente, leggiamo ogni giorno la Bibbia, molto
-preghiamo, e i nostri _maggiori_ s’alternano dì e notte orando. I
-beni consideriamo come comuni; e il morir nelle pene ci è dolce per
-isfuggire i castighi eterni. Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello
-Spirito Santo, che hanno la facoltà di sciogliere e legare: e il Padre
-è l’eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo è lo
-spirito dell’uomo, cui Iddio amò; lo Spirito Santo è l’intelletto delle
-scienze divine, dal quale tutte le cose sono regolate. Non riconosciamo
-il vescovo di Roma o verun altro, ma un solo che ogni giorno visita i
-nostri fratelli per tutto il mondo e gli illumina; e quand’è mandato
-da Dio, presso lui è a trovare il perdono de’ peccati»[280]. Sembrò
-pericolosa quest’eresia al vescovo, tanto che menò contro Asti i
-suoi vassalli, e presi per forza i miscredenti, nè potendo indurli a
-ritrattarsi, li mandò al fuoco, ch’essi subirono come un martirio.
-
-Le opinioni ebbero viva scossa dalla lotta fra gl’imperatori e i
-pontefici, e l’opposizione a questi risolvevasi in eresia, e ad ogni
-modo scassinava l’autorità. Poi lo spirito di controversia, introdotto
-dalla logica scolastica e dalla giurisprudenza, recò spesso ad opporre
-alla credenza comune l’individuale sentimento; e si mescolarono di bel
-nuovo i dogmi cogli atti, la quistione religiosa colla sociale.
-
-Pietro Valdo, mercante di Lione _aliquantulum literatus_, venduti
-gli averi suoi come poi fece san Francesco, si eresse riformatore de’
-costumi come questo, ma non sottoponendo la propria alla volontà della
-Chiesa, anzi asserendo questa avere traviato dal vangelo e volersi
-richiamarla alla semplicità primitiva: a che il lusso del culto, la
-ricchezza dei preti, la potenza temporale de’ papi? povera umiltà come
-nei primi tempi. Perciò i suoi seguaci si dissero Poveri di Lione,
-e Catari cioè puri, e tanto erano persuasi di non uscire dal vero,
-che chiesero al pontefice la permissione di predicare[281]: ma ben
-tosto negarono l’autorità del papa, e dietro a ciò il purgatorio,
-l’invocazione dei santi, altri dogmi cardinali; proclamarono fosse
-libera anche ai laici la predicazione.
-
-Come mai, sotto un Dio buono, tanti mali opprimano il mondo, è problema
-che tormentò e tormenterà i pensatori di tutte le generazioni.
-Col supporre un altro principio autor del male, lo scioglievano i
-Manichei, i quali, vinti fin dai tempi di sant’Agostino, sopravivevano
-però in Oriente, e coi varj nomi di Patarini, Bulgari, Pauliciani
-si propagarono in Europa e primamente a Milano. Quivi ebbero per
-vescovo un tal Marco, stato ordinato in Bulgaria, e che presedeva alla
-Lombardia, alla Marca e alla Toscana. Essendovi comparso un altro papa
-per nome Niceta, riprovò l’ordine della Bulgaria, e Marco ricevette
-quel della Drungaria, cioè di Traù (_Tragurium_) in Croazia[282]. A
-Milano, distingueano i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e
-Bulgaria, cresciuti singolarmente quando il Barbarossa li favoriva per
-far onta a papa Alessandro; e i nuovi, usciti circa il 1176 di Francia,
-che sarebbero i Valdesi.
-
-Questi si erano molto diffusi tra le Alpi, ma viepiù nella Linguadoca,
-fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo, paese più dirozzato della
-restante Gallia, e dove le città, memori o fors’anche avendo conservato
-gli avanzi delle istituzioni municipali romane, eransi costituite a
-comune, con una specie d’eguaglianza fra nobili e mercanti, opportuna
-all’incremento della civiltà; sicchè vi si erano svolti e grazia
-d’immaginazione e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: colà prima
-s’intesero versi nelle lingue nuove, sulla mandòla dell’elegante
-trovadore, che vagava pei castelli cantando l’amore e le prodezze, o
-satireggiando i magnati e i preti. E perchè in Alby, città principale,
-primamente furono tolti a perseguitare, vennero chiamati Albigesi.
-
-Non è facile sapere appunto i loro dogmi, o se avessero un fondo
-comune, sotto l’infinita varietà che è propria dell’errore. Un libro
-depositario di loro credenze non ebbero: in coloro che li confutano e
-negli storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati di colpe
-le più contraddittorie; or proclamando creatore Iddio, ora il demonio;
-or facendo Iddio materiale, ora riducendo Cristo a ombra e null’altro:
-chi li fa ammettere alla fede tutti i mortali, chi escludere le donne
-dall’eterna felicità; chi semplificare il culto, chi ordinare cento
-genuflessioni il giorno; chi licenziare alle voluttà più grossolane,
-chi riprovare persino il matrimonio[283]. Impugnata l’autorità, e
-ridotti alla ragione individuale, doveano necessariamente variare
-in infinito: e frà Stefano di Bellavilla racconta che sette vescovi
-di credenza diversa si adunarono in una cattedrale di Lombardia, per
-accordarsi sui punti di loro fede; ma, non che riuscire, si separarono
-scomunicandosi reciprocamente.
-
-Tre sêtte primeggiavano quivi, i Catari, i Concorezzj, i Bagnolesi.
-I Catari, che si dicevano anche Albanesi (corrotto probabilmente
-da Albigesi), venivano suddivisi in due parzialità: alla prima era
-vescovo Balansinanza veronese, all’altra Giovanni di Lugio bergamasco.
-Oltre le credenze comuni che sopra noverammo, i primi dicevano che un
-angelo avesse portato il corpo di Gesù Cristo nell’utero di Maria,
-senza ch’ella v’avesse parte; solo in apparenza il Messia esser
-nato, vissuto, morto, risorto; i patriarchi essere stati ministri del
-demonio; il mondo eterno. Gli altri tenevano che le creature fossero
-state formate quali dal buono, quali dal tristo principio, ma ab
-eterno; che la creazione, la redenzione, i miracoli erano accaduti in
-un altro mondo, affatto diverso dal nostro; Dio non essere onnipotente,
-perchè nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè
-opposto; Cristo aver potuto peccare. — I Concorezzj (probabilmente così
-chiamati da Concorezzo, borgata presso Monza) ammettono un principio
-unico; aver Dio creato gli angeli e gli elementi; ma l’angelo ribellato
-e divenuto demonio formò l’uomo e quest’universo visibile; Cristo fu di
-natura angelica. I Bagnolesi (denominati dal Bagnolo di Piemonte o da
-quello di Provenza) volevano le anime fossero state create da Dio prima
-del mondo, e allora avessero peccato; la beata Vergine fosse un angelo;
-e Cristo avesse bensì assunto corpo umano per patire, ma non l’avesse
-già glorificato, anzi deposto all’ascensione.
-
-Frà Ranerio Saccone distingue sedici chiese di Catari in Lombardia:
-degli Albanesi, che stanno principalmente a Verona, e sono cinquecento;
-de’ Concorezzj, che fra tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e
-mezzo; de’ Bagnolesi sparsi a Mantova, Milano, nella Romagnola, in non
-più di ducento; la chiesa della Marca, che saranno cento; altrettanto
-in quelle di Toscana e di Spoleto; un cencinquanta della chiesa di
-Francia, dimoranti a Verona e per Lombardia; ducento delle chiese di
-Tolosa, di Alby, di Carcassona; cinquanta di quelle di Latini e Greci
-in Costantinopoli; e cinquecento delle altre di Schiavonia, Romania,
-Filadelfia, Bulgaria. Ma questi quattromila (avverte l’autore) sono
-da intendere per uomini perfetti; giacchè di credenti ve n’ha senza
-numero.
-
-Sembra fosse comune la credenza nei due principj, ed al malvagio essere
-dovuto il mondo e il Vecchio Testamento. Appoggiati all’_Obedire
-oportet magis Deo quam hominibus_, si emancipavano d’ogni autorità
-terrena; non papa, non vescovi, non canoni o decretali, non dominio
-temporale dei preti; la Chiesa romana non essere concilio sacro, ma
-congrega di malignanti; non darsi risurrezione della carne, ridevole
-la distinzione dei peccati in veniali e mortali, prestigi del diavolo
-i miracoli; non doversi adorare la croce, simbolo d’obbrobrio; per
-niuna cosa giurare; nè esser diritto ai magistrati d’infliggere pena
-corporale. Quanto ai riti, repudiavano l’estrema unzione, il purgatorio
-e di conseguenza i suffragi pei morti, l’intercessione dei santi e
-l’_Ave Maria_; per il matrimonio bastare il consenso de’ contraenti,
-senz’uopo di benedizione; non valere il battesimo amministrato
-agl’infanti; non discendere Dio nell’ostia consacrata da un indegno; i
-sacramenti non furono istituiti da Cristo, ma inventati dall’uomo.
-
-Del sacramento dell’Ordine teneva luogo l’elezione dei loro gerarchi,
-ch’erano disposti in quattro gradi: il vescovo, il figliuolo maggiore,
-il figliuolo minore e il diacono. Al vescovo spettava di preferenza
-l’imporre le mani, frangere il pane, dir l’orazione: mancando lui,
-suppliva il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono; e in
-difetto, un semplice credente, e fin anche una catara. I due figliuoli
-coadjuvavano al vescovo, visitavano i fedeli, e in ogni città v’era
-un diacono per ascoltare i peccati leggieri una volta al mese;
-il che dai Lombardi (i quali ritennero la distinzione dei peccati
-veniali) dicevasi _caregare servitium_. Il vescovo poi, avanti morire,
-inaugurava a succedergli il figliuolo maggiore imponendogli le mani.
-
-Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata, il maggiore
-fra i convitati sorgeva, e recatosi in mano il pane ed il vino,
-proferiva _Gratia domini nostri Jesu Christi sit semper cum omnibus
-vobis_, spezzava quel pane, lo distribuiva, e quest’era la loro
-eucaristia. Il giorno della cena del Signore, imbandivano più
-solennemente; e il ministro, postosi ad un tavoliere, su cui erano
-una coppa di vino ed una focaccia d’azimo, diceva: — Preghiamo Dio
-ci perdoni i peccati per sua misericordia, ed esaudisca alle nostre
-petizioni; e recitiamo sette volte il _Pater noster_ a onor di Dio e
-della santissima Trinità». Tutti s’inginocchiano; orato, sorgono; esso
-benedice il pane e il vino, frange quello, dà mangiare e bere; e così è
-compiuto il sagrifizio.
-
-Confessione non particolareggiata, ma uno recitava a nome di tutti:
-— Confessiamo innanzi a Dio ed a voi, che molto peccammo in opere,
-in parole, colla vista, col pensiero, ecc.». In casi più solenni, il
-peccatore presentandosi al cospetto di molti col vangelo sul petto
-proferiva: — Io sono qui avanti a Dio ed a voi, per confessarmi e
-chiamarmi in colpa di tutti i peccati che ho sin ora commessi, e
-ricevere da voi la perdonanza». Era assolto col posargli il vangelo
-sopra il capo. Se un credente ricadesse, doveva confessarsene, e
-ricevere di nuovo l’imposizione delle mani in privato. L’imposizione
-delle mani, o _consolamento_, o battesimo spirituale, era necessaria
-per rimettere il peccato mortale, o comunicare lo spirito consolatore;
-e se uno dei _perfetti_ le imponga a un moribondo, e ripeta l’orazione
-domenicale, quello va a sicura salvazione. Fu per opporsi al
-consolamento de’ Patarini che il concilio Lateranense IV ingiunse ai
-Cattolici di confessarsi almeno una volta l’anno.
-
-Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al moribondo,
-gli chiedevano se volesse in cielo andare tra i martiri o tra i
-confessori: eleggeva i primi? lo facevano strangolare da un sicario a
-ciò stipendiato; i confessori? più non gli davano bere nè mangiare.
-Atrocità gratuite, solite apporsi dall’ignoranza o dalla malignità
-a tutte le congreghe secrete. E per vero non c’è misfatto di cui non
-siansi tacciati i Patarini; essi ladri, essi usuraj, essi sovrattutto
-carnali, con connubj promiscui e contro natura; adulterio e incesto
-in qualsiasi grado; non poter l’uomo peccare dall’umbilico in giù,
-perchè il peccato origina dal cuore. Ma come credere questa bacchica
-santificazione del libertinaggio, quando altrove, e ne’ libri de’
-loro stessi nemici, troviamo che giudicavano peccato fino il commercio
-maritale, imponeansi penose astinenze onde reprimere la carne ribelle
-alla volontà ed opera del principio cattivo, tre quaresime l’anno,
-perpetua astinenza da carni e latte, replicati digiuni, iterate
-preghiere? e san Bernardo, implacabile indagatore di loro colpe, dice:
-— Non v’era cosa in apparenza più cristiana che i loro discorsi, nè più
-lontana da ogni taccia che i costumi loro»[284].
-
-Non esitiamo a rifiutare per ispurie alcune professioni di fede
-esibiteci da loro antagonisti, secondo le quali gl’iniziati
-rinunziavano, non solo a tutte le sane credenze della religione, ma ad
-ogni costume, pudore, virtù. Ranerio, uno dei Consolati egli medesimo,
-indi acerrimo loro persecutore, narra come per l’iniziazione, adunati
-i credenti, il vescovo interrogasse il neofito: — Vuoi tu renderti
-alla fede nostra?» Questo afferma, s’inginocchia e pronuncia il
-_Benedicite_; al che il ministro ripete tre volte — Dio ti benedica»,
-sempre più discostandosi dall’iniziato. Il quale soggiunge: — Pregate
-Iddio mi faccia buon cristiano». L’interroga poi: — Ti rendi a Dio ed
-al vangelo? _Sì_. — Prometti non mangiar carne, ova, formaggio, nè
-altra cosa se non d’acqua e di legno? (cioè pesci e frutte). _Sì_.
-— Non mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure vitelli? non
-farai libidini nel tuo corpo? non andrai scompagnato quando puoi
-avere compagni; non mangerai da solo potendo aver commensali? non ti
-coricherai senza brache e camicia? non lascerai la fede per timore di
-fuoco, d’acqua o d’altro supplizio?» Risposto che avesse il neofito
-a ciascuna domanda, l’universa assemblea mettevasi ginocchione: il
-sacerdote posava sopra il novizio il volume dei vangeli, e leggeva
-il principio di quel di san Giovanni, poi lo baciava tre volte: così
-facevano tutti gli altri, che egualmente si davano l’uno all’altro
-la pace: indi veniva messo al collo dell’iniziato un fil di lana e di
-lino, ch’e’ non doveva levarsi giammai.
-
-La colpa, onde più grave e concordemente sono rinfacciati i Patarini,
-è l’ostinazione. Fra strazj e tormenti, al cospetto di morte
-obbrobriosa, non che convertirsi, più s’induravano, protestavansi
-innocenti, spiravano cantando lodi al Signore, colla speranza di presto
-congiungersi nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono memoria d’una
-fanciulla, di cui la bellezza e l’età mettevano in tutti compassione;
-talchè, deliberati a salvarla, vollero assistesse mentre padre, madre,
-fratelli venivano consunti dalle fiamme, così sperando si sarebbe per
-terrore convertita: ma no; poi ch’ebbe durato alquanto lo spettacolo
-atroce, si svincola dalle braccia de’ suoi manigoldi, e corre a
-precipitarsi nelle fiamme, e confonde l’ultimo suo anelito con quello
-dei parenti[285].
-
-La più grave urgenza di queste eresie era la guerra che portavano
-alla Chiesa esteriore, scassinando i dogmi inerenti all’unità del
-sacerdozio, per costituire società religiose speciali. Pur troppo
-i loro attacchi trovavano appiglio nello scarmigliato vivere del
-clero, di cui e predicatori e poeti si accordano nell’attestare la
-depravazione.
-
-Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj che a lei
-convengono, riformare i suoi, ammonire o scomunicare i dissenzienti, e
-vi drizzò lo zelo principalmente dei nuovi frati: poi si valse anche
-di mezzi mondani e del braccio secolare. Che la società pagana non
-tollerasse le religioni diverse è attestato, non fosse altro, dalle
-migliaja di martiri. I padri della Chiesa proclamarono la libertà
-delle credenze, finchè la loro fu perseguitata; ma come, prevalsa
-questa, videro gli eretici turbarla, argomentarono che il reprimere
-gli errori fosse diritto e difesa legittima contro della persecuzione
-e della seduzione. Se la Chiesa è unica depositaria e interprete della
-verità, e in essa sola vi è salute, non dovrà con ogni modo opporsi
-alla propagazione dell’errore? Gl’imperatori di Roma cristiani, memori
-di quanto univano in sè i due poteri quali capi dello Stato e supremi
-pontefici, credettero che la legge dovesse, come i beni e la persona,
-così tutelare le credenze e il culto; e moltiplicarono decreti in tal
-proposito[286]; diverse pene comminando, di rado la morte, perchè vi si
-opponevano i vescovi: a questi era affidato il decidere se un’opinione
-fosse ereticale; la cognizione del fatto e la sentenza spettavano al
-magistrato secolare.
-
-Così procedette la cosa nel declino dell’Impero Occidentale; così
-continuò in Oriente: ma fra noi, dopo l’invasione, se accadesse di
-punire un trasgressore delle leggi ecclesiastiche, i vescovi usavano
-quell’autorità mista di sacro e di secolare, che vedemmo ad essi
-attribuita. Talvolta ancora, considerandosi l’eresia come politica
-disobbedienza, procedeasi colla forza, siccome dicemmo di Eriberto
-arcivescovo di Milano.
-
-Ridesto il diritto romano, come alla tirannia, così vi si trovò
-appoggio alle persecuzioni contro i miscredenti, poco ricordando che la
-legge d’amore aveva abolita quella fiera legalità. Ottone III poneva
-Gazari e Patarini al bando dell’Impero e a gravi castighi. Federico
-Barbarossa, tenuto congresso a Verona con papa Lucio III, ordinò ai
-vescovi d’informarsi delle persone sospette d’eresia, e distinguere gli
-accusati, i convinti, i pentiti, i ricaduti; quelli convinti d’eresia
-sieno spogliati dei benefizj se religiosi e abbandonati al braccio
-secolare; i sospetti si purghino, ma se ricadono, vengano puniti
-senz’altro. Sgomentato dal vedere i Valdesi distendersi fra le Alpi,
-Giacomo vescovo di Torino pensò reprimerli anche col braccio secolare;
-laonde da Ottone IV ottenne ampia facoltà di espellerli dalla sua
-diocesi[287]. Indi Federico II al tempo della sua coronazione fulminò
-pene temporali contro gli eretici, e le ripetè da Padova con quattro
-editti, ove, «usando la spada che Dio gli ha concesso contro i nemici
-della fede», vuole che i molti eretici ond’è singolarmente infetta
-la Lombardia, sieno presi dai vescovi e dati alle fiamme ultrici, o
-privati della lingua[288].
-
-È questa la prima legge di morte contro i miscredenti: egli stesso
-poi nelle _Costituzioni del regno di Sicilia_ ne pose un’altra,
-lamentandosi che dalla Lombardia, ove n’era il semenzajo, i Patarini
-fossero largamente penetrati in Roma e perfino nella Sicilia[289], e a
-perseguitarli spedì l’arcivescovo di Reggio e il maresciallo Ricardo di
-Principato.
-
-Sull’esempio e coll’autorità dei decreti imperiali, le varie città
-fecero statuti contro gli eretici: il senatore di Roma giurava non
-usare indulgenza ai Patarini, o incorrerebbe la pena di ducento
-marchi d’argento: in Milano fu posto che_ qualunque persona a sua
-libera voluntate potesse prendere ciascuno heretico; item che le case
-dove eran ritrovati si dovessero rovinare, e li beni che in esse si
-ritrovavano fossero pubblicati_[290]. L’arcivescovo Enrico di Settala,
-allora istituito inquisitore, _jugulavit hæreses_, come lo loda il suo
-epitafio; ma i cittadini lo discacciarono. Resta ancora in Milano la
-statua equestre di Oldrado da Trezzeno podestà, lodato nell’iscrizione
-perchè _Catharos ut debuit uxit_[291].
-
-Nè per questo cessavano gli eretici, e da Tolosa, Roma de’ Patarini,
-spargeano missionarj. L’armi spirituali essendo uscite indarno, Enrico
-cardinale vescovo di Albano implorò il braccio laico, e menato un
-esercito ad estirpar l’errore, mandò a ferro e a fuoco la Linguadoca.
-Innocenzo III, appena unto papa, divisò i modi di svellere quei bronchi
-dalla vigna di Cristo, e spedì monaci a predicare (1205), esortando i
-principi a secondarli; e quando Ranerio e Guido inquisitori avessero
-scomunicato uno, i signori doveano confiscargli i beni e sbandirlo,
-e far peggio a chi resistesse. Di qui cominciò la crociata contro
-gli Albigesi, che non è da questo luogo il raccontare, ma dove sotto
-l’apparenza religiosa dibatteasi la nazionalità, giacchè la Francia,
-per ottenere quell’unità che tanti desidererebbero a qualsiasi costo
-anche per l’Italia, volle sottomettere la Provenza e la Linguadoca,
-che come romane repugnavano dalle ordinanze germaniche, prevalse nel
-paese settentrionale (1208). La spedizione fu accompagnata da tutti
-gli orrori delle guerre civili; ma solo gli adulatori del potere
-secolare poteano versarne ogni colpa sul papa e sulla religione.
-Oggimai la storia accertò che Innocenzo, mal informato delle iniquità
-commesse da ambe le parti, non avea mai cessato di predicar pace e
-moderazione, e dopo la vittoria spedì legato a-latere il cardinale
-Pietro di Benevento, perchè riconciliasse colla Chiesa gli scomunicati,
-e riducesse Tolosa a repubblica indipendente, purchè convertita;
-assolse i capi della insurrezione, e al figlio di Raimondo da Tolosa,
-condottiero della guerra, prodigò consolazioni, assegnò il contado
-Venesino, Beaucaire e la Provenza, e ripeteva: — Abbi pazienza fino al
-nuovo concilio».
-
-Sotto i suoi successori la guerra fu proseguita colla ferocia delle
-guerre nazionali, finchè la Provenza restò sottoposta affatto al re di
-Francia. Questo era san Luigi, e al nuovo acquisto volle accomunare
-i provvedimenti che contro l’eresia vegliavano in Francia, dov’essa,
-secondo il diritto comune, era considerata delitto contro lo Stato, e
-punita del fuoco. Romano, cardinale di Sant’Angelo, per ottenerne la
-estirpazione raccolse un concilio (1213), dove si stabilì che i vescovi
-nominerebbero in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o tre laici,
-i quali giurassero _inquisire_ gli eretici, e farli noti ai magistrati;
-chi ne celasse alcuno, fosse punito; e distrutta la casa dove uno
-fosse côlto. Tal è l’origine del tribunale dell’Inquisizione, specie di
-corte marziale in paese sovvertito da lunga guerra, e dove rinasceva
-la mal repressa sollevazione. Invece delle precedenti stragi, e dei
-tribunali senza diritto di grazia, l’inquisizione era esercitata da
-ecclesiastici, gente più addottrinata e meno fiera; ammoniva due volte
-prima di procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva
-al pentimento, e spesso contentavasi di castighi morali; col che salvò
-moltissimi, che i tribunali secolari avrebbero condannati. Gregorio
-IX poi la sistemò (1233) col togliere ai vescovi i processi, onde
-riservarli ai frati Predicatori.
-
-L’Inquisizione avea potestà su tutti i laici, non esclusi i dominanti;
-ed anche sul basso clero. Arrivato nella città, l’inquisitore ne
-dava avviso ai magistrati invitandoli a sè; e tosto il capo giurava
-far eseguire i decreti contro gli eretici, ed ajutare a scoprirli e
-coglierli; se alcun uffiziale del principe disobbedisse, l’inquisitore
-poteva sospenderlo e scomunicarlo, e mettere all’interdetto la città.
-Le denunzie aveano effetto soltanto se il reo non si presentasse di
-voglia; scorso il termine, era citato; e i testimonj interrogavansi
-coll’assistenza dell’attuaro e di due ecclesiastici. L’istruzione
-preparatoria riusciva sfavorevole? gl’inquisitori ordinavano l’arresto
-dell’accusato, più non protetto da privilegi od asili. Arrestato,
-nessun più comunicava con esso, faceasi la visita della sua casa, e il
-sequestro de’ beni.
-
-Secondo il diritto germanico, ogni libero è obbligato intervenire
-al giudizio e alla sentenza; le prove di Dio traevano il popolo
-a spettacolo; il signore feudale convocava i vassalli per rendere
-giustizia; e la natura dei giudici e del giudizio portava semplicità di
-procedure. Ma ne’ paesi di stirpe romana conosceansi le leggi antiche,
-di molti affari faceasi carta, il giudizio stesso si scriveva; pure non
-si pensava ancora di occultare i testimonj al prevenuto, nè di torgli
-i sussidj che sogliono concedersi in negozj di minore importanza, come
-sono i civili.
-
-Una costituzione di Celestino III e d’Innocenzo III, riferita nel
-_Diritto canonico_[292], distingue le procedure per accusa secondo
-il codice romano, per denunzia, e per inquisizione; ma in tutte sono
-pubblicate le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento. Gli
-eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica, benchè mancassero
-del giudizio dei pari, poteano conoscere i testimonj e l’accusatore,
-avere un consiglio, e pubblico dibattimento. Solo Bonifazio VIII
-dispensò gli inquisitori da tante forme qualora ne derivasse pericolo
-ai testimonj[293]; Innocenzo VI, dichiarando che tal pericolo può
-presumersi sempre, generalizzò la riserva, e così venne la procedura
-secreta, per quanto ostassero i leggisti, la nobiltà, gli uomini comuni
-che si trovavano esposti all’arbitrio. Tolta la discussione pubblica,
-ai giudici cessò il modo d’acquistare intima convinzione, e a regole
-aritmetiche fu sottoposta la coscienza, inventando una convinzione
-legale diversa dalla convinzione morale, frazionando le prove, e
-portando fino alla odierna illiberalità.
-
-Dalla quale è chiaro quanto fossero lontani i primi tribunali
-d’inquisizione. Ne’ governi teocratici, come quelli del medioevo,
-la religione non va distinta dalla politica; laonde l’eresia è
-giustiziabile dal braccio secolare. Poi gl’inquisiti erano imputati
-d’altri delitti contro i cardini della società, come sono la famiglia,
-la proprietà, l’onore, i quali oggi pure si castigherebbero: se ne
-fossero colpevoli o no, è difficile assicurarlo, come in tutti i
-processi secreti. Piantato un tribunale, potea sperarsi differente
-dagli altri del suo tempo? onde si videro rinnovate tutte le sevizie
-de’ processi di Roma pagana, e il cavillo e la tortura e supplizj
-esacerbati.
-
-L’Inquisizione desta raccapriccio ai buoni Cristiani per le taccie
-che attirò sopra la religione nostra, e perchè parve giustificare
-incolpazioni gravissime. Ma oltre essere, nel fatto e in relazione
-co’ suoi tempi, assai meno orribile che non si sparnazzi, essa
-proponevasi almeno un fine morale, a differenza delle istituzioni oggi
-sostituitele, ove si procede e castiga nell’interesse d’un principe
-o per mantenere un dominio costituito sulla forza: se restringeva il
-pensiero, il faceva o credea farlo per salvezza delle anime, non per
-puro vantaggio d’un potere dominante: nè quegli spaventi tolsero il
-sorgere di grandi e robusti pensatori.
-
-La Chiesa poi, sebbene non ne abbia mostrato orrore, e siasene
-valsa come d’una legittima difesa e di una prevenzione contro mali
-gravissimi, non approvò mai, almeno in concilio, un’istituzione
-siffatta. Sopratutto vuolsi ben distinguerla dalla Inquisizione
-spagnuola, fiera e indipendente a guisa d’una vendetta nazionale,
-giacchè nei Mori perseguitava non solo i nemici della religione, ma
-gli stranieri conquistatori contro cui erasi menata per otto secoli
-la guerra. La congregazione del Sant’Uffizio a Roma, composta di sei
-cardinali, e fondata da Paolo III nel 1542, non versò sangue[294],
-benchè fosse il tempo che uomini bruciavansi in Francia, in Portogallo,
-in Inghilterra. Ecco perchè nel secolo xvi vedremo i nostri respingere
-fin coll’armi l’Inquisizione spagnuola, mentre invocavano la romana.
-
-Stando ai primi tempi, non mancò da fare all’Inquisizione anche fuori
-di Linguadoca, e in Italia variissime di forma ed estese furono
-le eresie. Intanto la vicinanza del papa e l’esservi egli anche
-principe temporale abituava a resistergli; e nei conflitti di Guelfi
-e Ghibellini si metteva in discussione l’autorità sua, col passaggio
-che troppo è facile dalla mondana alla spirituale. I Comuni aveano
-acquistato la libertà strappandola ai vescovi, sicchè era scemata la
-riverenza a questi, e in molte lettere i pontefici ne movono querela
-alle nostre repubbliche, le quali anche non di rado violarono e i beni
-e le persone dei vescovi[295].
-
-Uscente il XII secolo, Orvieto formicolava di Manichei, introdotti
-dal fiorentino Diotisalvi, e da un Girardo di Marsano; e diceano nulla
-significare il sacramento dell’eucaristia, il battesimo non occorrere
-alla salvezza, non giovarsi ai morti con limosine ed orazioni. Espulsi
-questi dal vescovo, comparvero Melita e Giulita, che uomini e donne
-sedussero con aspetto di santità, finchè il vescovo col consiglio
-di canonici, giudici ed altri, ne esigliò ed uccise molti. Un Pier
-Lombardo vi venne poi da Viterbo, contro del quale Innocenzo III
-deputò Pietro da Parenzo, nobile romano, che ricevuto fra ulivi e
-palme, proibì i combattimenti che si costumavano in carnevale e che
-finivano in sangue; ma poichè gli eretici stimolarono a disobbedire,
-il primo giorno di quaresima si mischiò fiera zuffa, e Pietro fece
-abbattere le torri donde i grandi aveano ferito il popolo, e diè
-buoni provvedimenti. A Pietro tornato il papa domandò: — Come hai bene
-eseguito gli ordini nostri? — Così bene, che gli eretici mi cercano a
-morte. — Dunque va, persevera a combatterli, chè non possono uccidere
-se non il corpo; e se t’ammazzeranno, io t’assolvo d’ogni peccato».
-E Pietro, fatto testamento e congedatosi dalla desolata famiglia,
-ritornò[296].
-
-Innocenzo mosse in persona contro i molti Manichei di Viterbo,
-rimbrottò i cittadini che tra quelli sceglievano i consoli, e ordinò
-che, qualunque ne fosse trovato sul patrimonio di san Pietro, lo
-consegnassero al braccio secolare per castigarlo, e i beni dividerne
-fra il delatore, il Comune e il tribunale giudicante[297]. D’altri
-abbiam ricordo in Volterra, dove gl’inquisitori, a malgrado del
-vescovo, atterrarono alcune case di eretici in Montieri[298]. Nel 1193
-il vescovo di Worms, legato dell’imperatore Enrico VI, venuto a Prato,
-fece distruggere case e possessi dei Patarini, con severo divieto di
-dar loro consiglio od ajuto, o di mettere ostacolo a lui quando li
-facesse incarcerare[299]. Bandi severissimi contro Catari e Patarini
-e d’altro nome novatori pubblicò Gregorio IX in qualità di sovrano
-di Roma, volendo fossero mandati al fuoco, o se si convertivano, a
-carcere perpetuo; e guaj a chi li raccogliesse o non denunziasse.
-Molti in fatto furono arsi, molti chiusi a penitenza nei monasteri di
-Montecassino e della Cava.
-
-Come ricettatore d’eretici fu assalito, per insinuazione d’Innocenzo
-IV, il conte Egidio di Cortenova nel Bergamasco, e distruttone il
-castello. Molti ne avea Brescia, così sfacciati, che dalle torri
-scagliando fiaccole ardenti scomunicavano la Chiesa romana. Contro
-di loro papa Onorio III inviò il vescovo di Rimini, il quale abbattè
-più chiese da essi contaminate (1225), e le torri dei Gàmbara, degli
-Ugoni, degli Oriani, dei Bottazzi. Altri in Piacenza bruciò il podestà
-Raimondo Zoccola; sessanta a Verona frà Giovanni di Schio in tre
-giorni subito dopo la pace di Paquara (1233). Nè il Regno ne mancava,
-ed è probabilmente come una protesta contro le costoro predicazioni
-che un eremita calabrese andava attorno gridando nel dialetto patrio:
-_Benedittu, laudatu e santificatu lu Patre; benedittu, laudatu e
-santificatu lu Fillu; benedittu, laudatu e santificatu lu Spiritu
-Santu_[300]. Ivone da Narbona scriveva a Gerardo arcivescovo di
-Bordeaux, come viaggiando in Italia e’ si finse cataro, lo perchè
-in tutte le città ebbe lietissime accoglienze; e «a Clemona, città
-celebratissima del Friuli, bevvi squisiti vini de’ Patarini, robiole,
-ceratia, ed altri lachezzi»[301]. Costoro vescovo era un tal Pietro
-Gallo, che, scoperto di fornicazione, fu cacciato di seggio e dalla
-società.
-
-Contraddisse vivamente all’errore Antonio di Padova (1195-1231), nativo
-di Lisbona, italiano di dimora, che dai Padovani impetrò remissione
-ai debitori incolpevoli, e che a nome della religione e dell’umana
-libertà protestò contro Ezelino, il quale diceva aver più paura de’
-frati Minori che di qualsiasi persona al mondo. Singolarmente in Rimini
-combattè gli eretici colla parola e coi miracoli, giacchè una volta non
-badandogli gli uomini, furono veduti i pesci venir su per la Marecchia,
-e collocarsi a bocca aperta ad ascoltarlo; un’altra un giumento, da
-lungo tempo digiuno, si prostrò davanti all’ostia consacrata, benchè
-il padrone patarino gli porgesse il truogolo dell’avena. Egli fu da
-Gregorio IX dichiarato arca dei due Testamenti, armadio delle divine
-scritture; e dai popoli il taumaturgo, il santo; per ornare il cui
-tempio parvero a gara risuscitare le arti.
-
-Martello degli eretici fu detto san Tommaso d’Aquino; nè men fervoroso
-apparve san Bonaventura. In Toscana, una matassa di proseliti avea
-fatti il vescovo Paternon: Gregorio IX aveva ordinato a frà Giovanni
-da Salerno (1128) compagno di san Domenico e ad altri di procedere
-giuridicamente contro costui; e il Paternon abjurò, ma ben tosto
-ricadde, e la potenza de’ suoi settarj lo assicurava d’impunità, e
-quando per prudenza mutò paese, gli furono surrogati nel ministerio
-Torsello, poi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che con un
-Marchisiano e un Farnese erano da prima ministri di esso vescovo.
-
-Il primo inquisitore domenicano stabilito regolarmente a Firenze fu frà
-Ruggero Calcagni, con autorità d’aver tribunale in convento; cominciò
-un processo nel 1243, citando gran numero di Patarini, ed oltre le
-pene pecuniarie e la censura ai contumaci, il papa aveva ingiunto alla
-Signoria di consegnare i rei in mano degli ecclesiastici. Caporioni
-degli eretici comparivano Baron del Barone e Pulce di Pulce, appoggiati
-dalla fazione imperiale, e secondati da Gherardo Cavriani e casa sua,
-Chiaro di Manetto, conte di Lingraccio, Uguccione di Cavalcante,
-i Saraceni, i Malpresa, e da molte dame, fra cui Teodora Pulce,
-un’Aldobrandesca, una Contrelda, un’Ubaldina ed altre, che erano sempre
-le prime a dare impulso alle collette apertesi a favore dei poveri
-e de’ predicanti. Teneansi le adunanze in casa de’ baroni, che, come
-dipendenti dall’Impero, rimanevano esenti dalla giurisdizione comunale:
-Ruggero però ne fece carcerare alquanti, e avendoli i baroni rimessi in
-libertà, il papa esortò la Signoria a conservar forza alle leggi, e per
-appoggio inviò frà Pietro da Verona.
-
-Il costui zelo s’infervorò contro di essi; la piazza di Santa Maria
-Novella era angusta alla folla accorrente per udirlo, sicchè ad istanza
-di lui la Signoria dovette farla ampliare; la società de’ Laudesi, da
-lui istituita, cantava Maria e il Sacramento (1244), quasi a sconto
-degli oltraggi che questi riceveano dai Patarini. Sistemò pure alquanti
-nobili per guardia al convento dei Domenicani, ed altri che eseguissero
-i decreti di questi, donde sorse la sacra milizia dei Capitani di
-Santa Maria[302]. Crebbero allora processi ed esecuzioni, per quanto i
-signori le gridassero inumane e illegali, e si appellassero all’Impero:
-e avendo il podestà Pace da Pesannola bergamasco tolto a difendere
-i Patarini e protestato contro le sentenze, dagl’inquisitori con
-solennità fu interdetto (1255); ne nasce parte e tumulto, le chiese
-sono manomesse, di macello contaminati il Trebbio, la Croce, piazza
-Santa Felicita, finchè i Cattolici riescono superiori.
-
-Segnalato per tanto zelo, Pietro viene a farne prova sui Cremonesi
-e Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie mal riuscite contro
-Federico II, bestemmiavano il cielo, insultavano ai riti, e sospendeano
-capovolti i crocifissi. Cominciò egli la persecuzione; ma Stefano
-de’ Gonfalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono, e
-lo fecero uccidere mentre passava da Milano a Como. Egli trafitto
-intrise il dito nel proprio sangue, scrisse per terra _Credo_, e spirò
-(1252). D’egual moneta aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona
-sulla piazza di Piacenza mentre predicava: Pietro d’Arcagnago, frate
-Minore, fu scannato in Milano presso Brera per opera di Manfredo da
-Sesto caporione dei Patarini lombardi con Roberto Patta da Giussano;
-frà Pagano da Lecco, trucidato co’ compagni mentre andava a stabilire
-l’Inquisizione in Valtellina; ed altri. Nel 1279, avendo gl’inquisitori
-condannata al fuoco una Tedesca in Parma, i cittadini insorsero,
-saccheggiando il convento de’ Domenicani, alcuni anche ferendone,
-talchè i frati a croce alzata partirono. Ma il podestà e gli anziani e
-i canonici li seguirono e gl’indussero a tornare, promettendo rifarli
-dei danni e punire gli offensori[303].
-
-A Pietro da Verona, subito venerato col nome di san Pietro Martire,
-successe frà Ranerio Saccone suddetto, che spianò la _Gatta_ ritrovo
-degli eretici (1259), e fece bruciare i cadaveri di due loro vescovi,
-Desiderio e Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè
-Martin Torriano nol fe cacciare.
-
-Nè per tanto Milano restò purgata, e vi levò rumore una Guglielmina,
-diceano oriunda di Boemia e di gente reale, e che spacciava essere lo
-Spirito Santo incarnato; da Raffaele arcangelo annunziata a sua madre
-il dì della Pentecoste, come mandata a redimere i Giudei, i Saracini
-e i cattivi Cristiani; dover morire, poscia risorgere, ed elevare al
-cielo l’umanità femminile. Quanto visse, il popolo la venerò; morta,
-fu tumulata splendidamente a Chiaravalle, casa de’ Cistercensi presso
-Milano, e tenuta in conto di santa: ma poi l’Inquisizione cominciò ad
-esaminare i miracoli spacciati, e il vulgo colla solita versatilità
-suppose che le adunanze de’ suoi proseliti fossero convegni di nefandi
-peccati; onde le ossa di lei furono gettate alle fiamme coi primarj
-suoi seguaci.
-
-Anche alcuni frati Minori, lasciata la loro religione, viveano
-solitarj, affettando estremo rigore, ed erano chiamati Fraticelli,
-Bizocchi, Beghini, principalmente negli Abruzzi e nella marca
-d’Ancona, ed ebbero a maestri un frà Pietro da Macerata e frà Pietro
-da Forosempronio. Scoperti di errori, vennero condannati e perseguitati
-(vedi Cap. CXVII).
-
-Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito alla contemplazione,
-e fissando un quadro ov’erano rappresentati gli Apostoli avvolti in
-mantelli cogli zoccoli e la barba, credette doverli imitare in quel
-vestito, e fin nel circoncidersi e farsi fasciare e adagiare in cuna
-al modo del celeste bambino. Formò seguaci che si dissero Apostolici;
-vendette quanto possedeva, e dalla ringhiera di Parma gittò il denaro
-a una ciurmaglia che giocava; ed iva predicando, da chi creduto
-santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe cogliere (1280)
-e metter prigione; ma egli si finse pazzo, onde tenuto cortesemente in
-vescovado, divenne ludibrio del servidorame; poi sbandito, e di nuovo
-al fine richiamato, convinto di vizj, fu bruciato il 18 luglio 1300.
-
-Frà Dolcino e Margherita sua donna predicavano attorno a Novara,
-togliendo ogni restrizione fra i sessi, e permettendo lo spergiuro in
-cose d’inquisizione; traevansi dietro migliaja di proseliti, sinchè,
-per ordine di Clemente V, furono cerchiati ed uccisi[304].
-
-L’Inquisizione fu ammessa in Venezia il 1286, composta di tre giudici,
-che erano il vescovo, un Domenicano, e il nunzio apostolico, sotto la
-sorveglianza dei magistrati ordinarj; nè poteano sedere in tribunale
-senza commissione sottoscritta dal doge. Procedere doveano puramente
-contro l’eresia; non contro Turchi ed Ebrei che non erano eretici;
-non contro Greci, perchè la loro controversia coi papi non era per
-anco stata risolta; non contro i bigami, perchè il secondo matrimonio
-essendo nullo, aveano violato le leggi civili, non il sacramento; gli
-usuraj pure non intaccavano alcun dogma; i bestemmiatori mancavano
-di riverenza alla religione, ma non la negavano; neppure stregoni
-e fatucchiere doveano essere passibili a quel tribunale, se non si
-provasse che avessero abusato de’ sacramenti.
-
-Agli erranti la Chiesa contrastava anche col crescere devozione
-alle cose che da quelli erano conculcate. La compagnia dei Laudesi
-dalla Toscana erasi propagata nella Lombardia. Giovanni da Schio, il
-famoso paciere, instituì il pio saluto del _Sia lodato Gesù Cristo_.
-La venerazione verso il Sacramento fu cresciuta da miracoli che
-allora si narrarono: Urbano IV estese a tutta la Chiesa la festa del
-_Corpus Domini_, e Tommaso d’Aquino ne compose la bella uffiziatura.
-A Maria poi si tributò l’entusiasmo col quale i cavalieri veneravano
-le dame loro; e il dogma dell’immacolata sua concezione fu sostenuto
-fervorosamente dai Francescani; ad onore di lei si formò un salterio
-sulla forma del davidico; di lei parlarono Pier Damiani, Bernardo,
-Bonaventura, con un ardore che rimembra quel dello sposo de’ Cantici;
-e fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e con fiori
-di tenerezza. L’_ave Maria_ si rese generale verso il 1240. San
-Domenico introdusse il rosario; divozione che fu poi connessa alla
-ricordanza della vittoria di Lèpanto (1573), quella in cui fu decisa
-la superiorità de’ Cristiani sopra i Turchi, nell’ora appunto che in
-tutto l’orbe cattolico recitavasi quella semplice formola di saluto, di
-congratulazione, di condoglianza, di preghiera.
-
-Maria ispira le opere d’arte d’allora: il suo scapolare, propagato
-dai monaci del Carmelo, orna il petto di tutti, come una divisa di
-combattenti contro le passioni: ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti,
-della Mercede sotto gli auspizj di lei, quello s’aggiunge dei Gaudenti,
-da Linguadoca passati in Italia (1208), ove singolarmente si resero
-memorabili. Continuavano essi a vivere nel mondo e nel matrimonio,
-«solo imposto odiare e fuggire il vizio, desiare e seguir la virtù, ed
-alcuna soave soavissima regola, data in segno di onestà, in remissione
-d’ogni peccato, ed in premio d’eterna vita» (FRÀ GUITTONE).
-
-
-
-
-CAPITOLO XC.
-
-La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del canonico. Le
-Università. Le Scienze occulte.
-
-
-Questi conflitti della ragione contro l’autorità, questo esame delle
-credenze, quest’indipendenza del pensiero attestano che non fosse così
-servile la fede, così intera l’ignoranza, come cianciano alcuni.
-
-Hanno intitolato il decimo secolo di tenebre e di ferro, giacchè,
-cessato l’impulso dato da Carlo Magno, alle grandi sventure soccombeva
-ogni tentativo di pacifiche ricerche. Eppure un chierico di Novara
-interrogava per lettera i monaci di Reichenau, se tenessero per
-Aristotele il quale non crede agli universali, o per Platone che gli
-ammette; ed essi rispondeano, entrambi godere tale autorità, che non
-si osa l’uno all’altro preferire[305]. Dunque conoscevansi i grandi
-pensatori, si studiava, si dubitava, si chiedeva, s’intrecciavano
-su ciò corrispondenze lontane, si agitavano le quistioni supreme, e
-fra gente incatenata alle regole durava l’indipendenza del pensiero,
-esercitata nei modi del tempo. Chi sia imbevuto de’ pregiudizj
-filosofistici dee restare attonito allorchè di buona fede osservi
-come, nella _neghittosa ignoranza_ de’ chiostri, il bisogno del pensare
-agitasse que’ monaci vilipesi; come senza scrupolo e senza apprensioni
-usando della propria ragione, affrontassero i problemi cardinali
-dell’intelligenza.
-
-Le scienze, giusta la divisione di Marciano Capella, erano distribuite
-in sette, formanti un trivio e un quadrivio: al primo appartenevano
-la grammatica, la retorica, la dialettica; al secondo l’aritmetica, la
-geometria, l’astronomia, la musica[306].
-
-Ma come la religione era base della società, così scienza capitale la
-teologia; nè quasi altri che il clero avea tempo e mezzi di volgere
-l’attività dagl’interessi del secolo a quelli della dottrina e della
-verità. I primi Padri del cristianesimo aveano fondata la loro scienza
-sulla Bibbia, spiegandola e commentandola giusta il sentimento loro
-particolare e quel della Chiesa. I successivi arrestarono lo studio su
-quelli, facendone estratti e catene per proprio comodo, onde all’uopo
-fiancheggiarsi delle loro asserzioni: e come la giurisprudenza romana
-sopra certi assiomi, così la teologia posava sull’autorità, limitandosi
-ad applicarla con argomentazione sottile, affar di logica e nulla più,
-trascurando l’indagine dei fatti e il sentimento della realtà.
-
-Boezio, usando la filosofia greca e pagana per raffinare la scienza
-cristiana, nell’_Organon_ svolse il raziocinio senza intaccare la fede,
-e divenuto autore universale, abituò gl’intelletti a una rigorosa
-coerenza di discutere, dimostrare, difendere, impugnare per via di
-regole prefinite; quella dialettica insomma, che prima l’italiano
-Zenone d’Elea aveva insegnata, e che fu delle primarie coadjutrici
-della scienza greca, ma che, se si restringa a pure forme e categorie,
-impaccia la ragione, mentre intende soccorrerla. Tale divenne nelle
-scuole, onde prese il nome di _scolastica_, troppo a torto derisa.
-
-Questa geometria della ragione mette innanzi precisamente il suo
-teorema, da principj inconcussi deduce con raziocinio serrato, senza
-abbellimenti nè svaghi, valendosi solo di parole chiaramente definite,
-eliminando le idee vaghe e i termini equivoci, e procedendo sempre dal
-noto all’ignoto. Que’ principj generali indubitabili non potea darli
-che la rivelazione. Si esercitavano sulle due nozioni fondamentali del
-Creatore e della creatura, per trovarne e chiarirne la relazione ch’è
-la fonte d’ogni morale, e conciliare la fede rivelata colla ragion pura
-e coi fenomeni della vita esterna; limitavansi insomma a difendere e
-chiarire dogmi parziali, a vedere in che modo accettar la rivelazione e
-conoscere il sentimento comune, rinunziando alla disputa non appena la
-Chiesa avesse sentenziato.
-
-Nulla più facile che l’abusare della logica. Il minuzioso speculare
-disgiunto dall’applicazione, dalla sperienza, dalla erudizione, da
-ogni bellezza, le frivole distinzioni, il sillogizzare non tanto per
-raggiungere la verità, quanto per uniformarsi a certe regole o per
-avviluppare gli avversarj, il puntigliarsi fin sulla distinzione di
-sillabe, congiunzioni, preposizioni, e innestare alla dialettica quanto
-di vano comprendevano la grammatica e la geometria affine di dimostrare
-ogni cosa, perfino i contrarj, furono gli abusi della Scolastica, che
-mettendo la disputa per iscopo non per mezzo, e confondendo il metodo
-colla sostanza, faceva invanire e delirare nella presunta onnipotenza
-della logica.
-
-Suo oracolo era Aristotele, per verità maestro eccellente, perchè
-in esso trovasi anche la critica degli altrui sistemi e il modo
-di confutarli, mentre Platone non dà che il proprio dogma. Ma lo
-Stagirita che erige in principio supremo la natura, come poteva essere
-l’oracolo d’una scienza tutta religiosa? Poi esso giungeva in Europa
-nelle versioni e commenti de’ Musulmani e degli Ebrei, che gli aveano
-prestato assurdi sentimenti e sofisterie. I nostri, nel tradurre quelle
-traduzioni, nuovi errori vi sovraposero; nè la critica e la filologia
-sapevano riconoscervi l’alterazione, mentre l’idolatria professatagli
-impediva di crederlo in fallo. Anzichè duce, ne venne un ingombro
-d’errori, fatica erculea a quelli che voleano conciliarli colla
-teologia dogmatica. Più tardi Federico II ne procurò una versione sopra
-il testo greco, e la fece deporre nell’università di Bologna; Manfredi
-suo figlio la spedì a Parigi: ma nulla ce ne rimane per poter dire
-quanto avviasse alla retta intelligenza di quello che per antonomasia
-chiamavasi l’Autore.
-
-Quest’esclusiva predilezione incagliava lo sviluppo cattolico delle
-scienze, e le logiche speculazioni sviavano dalle ricerche storiche,
-baloccandosi attorno a frivole quistioni. Cosa faceva e dove stava
-Iddio prima di creare? se nulla avesse creato, qual sarebbe la sua
-prescienza? potè egli fare le cose in altro modo da quel che le fece?
-v’ha tempo in cui egli conosca più cose che in un altro? può fare
-che ciò che è non sia, e per esempio, che una meretrice sia vergine?
-Iddio, incarnandosi, si unì all’individuo od alla specie? il corpo di
-Cristo alla destra del Padre sta seduto o in piedi? e le vesti con cui
-comparve agli apostoli dopo risorto, erano reali od apparenti? e le
-assunse con sè in cielo? e ve le tiene ancora? e nell’eucaristia sta
-nudo o vestito? che divengono le specie eucaristiche dopo mangiate?
-in qual maniera s’operò l’incarnazione nel seno di Maria? san Paolo
-fu rapito al terzo cielo nel corpo o senza? il pontefice potrebbe
-cassare i decreti degli apostoli, e formare un articolo di fede? o
-abolire il purgatorio? è semplice mortale, o una specie di divinità?
-e tutta la Bibbia diveniva un’arena di disputazioni, secondo che
-gli uni vi rintracciavano il senso letterale, altri l’allegorico,
-altri il mistico. Censurare, come si fa, la scienza per gli abusi
-che ne derivarono, è ingiusto come di chi condannasse la letteratura
-odierna a cagione de’ giornalisti; e tanto più che quelle formole e
-quello spineto non erano frutto della barbarie, ma già si trovano ne’
-dialettici antichi, anzi in Aristotele stesso.
-
-La Chiesa non soffogava quell’attività, ma stava in occhi a tutelare
-i dogmi, e ben presto fu chiaro che con questi tutelava la verità e
-la ragione. Accortasi degli errori che rampollavano sopra la dottrina
-aristotelica, talora ne proibì l’insegnamentò: onde altri si diedero
-a sceverare due ordini di verità, la filosofica e la religiosa:
-e lasciando arbitri di questa i santi Padri, discutevano secondo
-Aristotele i fenomeni dell’intelletto, l’origine e il valore delle
-idee, i fondamenti della conoscenza, in somma la metafisica.
-
-Altri hanno faticosamente tratteggiato i procedimenti del pensiero in
-que’ secoli mal conosciuti; e noi, limitandoci alle glorie italiane,
-ricorderemo gl’insigni Lanfranco di Pavia e Anselmo d’Aosta, che in
-Inghilterra rappresentarono il principio spirituale a fronte del potere
-politico. Il primo, nato da famiglia senatoria (1005-89), educato
-nelle scuole di arti liberali e di legislazione secondo il patrio
-costume[307], andò frate, e non sentendosi vigore bastante pei lavori
-campestri a cui si dedicavano i monaci, già godendo grido di dialettico
-e giureconsulto nella patria scuola de’ giudici longobardi, recossi
-in Normandia. Aggresso da masnadieri e lasciato avvinto a un albero
-tutta la notte, aspettando la morte volle pregare, e trovò che neppur
-una preghiera sapeva a memoria. Vergognoso, stabilì darsi tutto a Dio,
-e liberato da alcuni passeggeri, si fe da loro indicare il convento
-più umile e povero. Gli nominarono Bec, ed egli vi si rese, subì un
-severo noviziato, tacendo per tre anni, e quando leggeva in refettorio,
-il priore lo rimproverava di proferir male il latino: una volta lo
-corresse dell’aver fatta lunga la seconda di _docere_, e il valente
-dottore si rassegnò a proferirla breve, stimando un errore di prosodia
-minor male che una insubordinazione.
-
-In questa docilità imparò a comandare, e presto fu assunto arcivescovo
-di Cantorberì, a consigliere e ministro di Guglielmo conquistatore
-dell’Inghilterra; e sostenendo l’interesse cattolico in quell’isola
-dopo soggiogata dai Normanni, favorì a questi perchè credea giovassero
-a quello. Negl’impacci di chi è a parte dell’autorità e sembra
-farsene strumento, quante volte ribramò e chiese la solitudine del
-suo chiostro, ove ad assicurar la pace della coscienza basta una cosa,
-obbedire! Ma il terribile conquistatore spesso correggeva o frenava;
-udendo un cortigiano paragonare la reggia alla maestà del cielo, come
-avrebbe potuto fare un poeta napoleonico, esortò a farlo vergheggiare
-perchè più non osasse bestemmie tali: se accondiscese a Guglielmo,
-seppe evitare il conflitto che prevedeva imminente col potere
-ecclesiastico.
-
-I tanti affari non lo distolsero dagli studj, e risuscitando l’arte
-critica, confrontò, corresse i testi che Berengario avea falsati per
-negare la presenza reale nell’eucaristia: sviluppandosi dalle fasce
-scolastiche, spaziò in modo oratorio; e riprovando la sottigliezza dei
-tropi e dei sillogismi e l’_inane dialettica_ d’Aristotele, chiama
-sapiente chi conosce e glorifica Dio, e pienezza della dottrina
-l’intenderne il mistero e la sapienza.
-
-Discepolo suo, e successore nel priorato di Bec, poi
-nell’arcivescovado, Anselmo d’Aosta (1033-1109), con fermezza calma
-e dolce, non affrontando la persecuzione, ma non isviando punto dal
-sentiero per evitarla, intelletto elevato e cuor puro, carattere
-amabile che traeva grandezze dalla fede profonda e dall’amor di Dio,
-per sagacia e pietà fu qualificato un secondo Agostino, e sulle traccie
-di questo diede dimostrazioni ancor venerate sopra l’essenza divina, la
-trinità, l’incarnazione, la creazione, l’accordo del libero arbitrio
-colla Grazia. I suoi monaci l’aveano pregato a valersi di forme
-agevoli, e d’argomenti adatti alla comune capacità, e provare per via
-di raziocinj rigorosi e necessarj[308]: e in fatto nel _Monologium_
-s’industria a spiegare la scienza delle cose soprannaturali per via
-di razionali principj, cercando l’alleanza della fede colla ragione,
-proteggendo la religion naturale e la rivelata da tutte le objezioni
-mediante un argomentar sottile; estendendosi anche alla metafisica
-e alla fisica, che speculano l’una sulla parola rivelata, l’altra
-sulla natura manifestata dai sensi; e digredendo su altre materie non
-immediatamente connesse col dogma. Al supremo problema dell’intelletto
-cercò egli spiegazione nell’idea universale, la quale non potrebbe
-sussistere come percezione dello spirito senza la realità dell’oggetto;
-eccedette fosse quella della perfezione infinita di Dio, il quale
-nell’ordine logico sta a capo di tutte le idee, come di tutti gli
-esseri nell’ordine reale.
-
-Lo stolto che dice _Non v’è Dio_, concepisce un essere a tutti
-superiore, sebbene affermi che non esiste. Affermazione assurda,
-atteso che quest’ente resterebbe inferiore a un altro che a tutte le
-perfezioni congiungesse l’esistenza. Sono gli argomenti stessi che
-furono svolti poi da Cartesio; ed un monaco dell’XI secolo trovava
-e precisamente esponeva la sola prova compiuta e soddisfacente
-dell’esistenza di Dio, cioè elevava la coscienza fino alla nozione
-dell’essere, ed edificava una teologia dottrinale sovra un concetto
-della ragione. Mettendo in scena un ignorante che cerca la verità colla
-scorta dell’intelletto puro, vuol mostrare che la ragione non riprova
-ma comprova le verità rivelate; e protestando insieme che la fede non
-cerca comprendere ma credere, chiaramente determina i confini della
-filosofia e della teologia.
-
-Ricondurre le quistioni scolastiche al punto ove i padri le aveano
-lasciate fu l’assunto di Pier Lombardo (1100-1164), fanciullo novarese,
-mantenuto per carità agli studj, poi vescovo di Parigi. Nei quattro
-libri _Sententiarum_ raccolse in un ordine alquanto arbitrario le
-proposizioni dei santi Padri intorno ai dogmi, sicchè non rimanesse che
-d’applicarle nelle varie quistioni. Ma poichè delle difficoltà esposte
-non porgeva la soluzione, apriva campo a troppe dispute dialettiche
-ed a sottigliezze, per quanto egli richiamasse continuo verso gli
-studj positivi e i monumenti della prisca filosofia cristiana. Inoltre
-dava in argomenti speculativi: — Iddio padre, generando suo figlio,
-generò se medesimo o un altro Dio? generò di necessità o per elezione?
-egli stesso è Dio spontaneamente o necessariamente? Gesù Cristo potea
-nascere d’una specie d’uomini differente dalla stirpe d’Adamo? potea
-prendere il sesso femminile?» accettava autorità apocrife; e quando la
-logica gli paresse condurre a conclusioni diverse dalla fede, diceva:
-— Su questo punto amo meglio udire altri, che non parlare io stesso».
-Pure il _maestro delle sentenze_, com’egli fu titolato, rimase il testo
-delle scuole, ebbe replicate edizioni ne’ primi tempi della stampa;
-Racine, nel ristretto di storia ecclesiastica, gli dà ducenventiquattro
-commentatori, che, a detta del conte di San Raffaele, si potrebbero
-facilmente raddoppiare; e fin a mezzo il secolo passato l’università di
-Parigi celebrava l’anniversario di lui con esequie assistite da tutti i
-baccellieri licenziati.
-
-D’altra levatura e originalità fu Tommaso dei conti d’Aquino (1227-74),
-castello di cui vedonsi gli avanzi presso Montecassino. Pronipote di
-Federico Barbarossa, cugino di Enrico VI e di Federico II, discendente
-per madre dai principi normanni, abbandonò le delizie e le speranze
-della condizione sua per vestirsi domenicano, malgrado de’ parenti.
-Gracile di salute, taciturno, assorto nelle meditazioni, i condiscepoli
-canzonando quel suo fare semplice, gli occhi incantati, la bocca
-chiusa, lo chiamavano il bue muto di Sicilia. Ma ben presto mostrò
-intelletto filosofico s’alcun mai, erudizione estesissima, passione de’
-grandi risultamenti; e a quarantun anno si propose coi materiali sparsi
-della scienza coordinare la prima volta in sistema compiuto la teologia
-e la filosofia. I conflitti che da dodici secoli la Chiesa sosteneva
-intorno ai fondamentali articoli della fede, e quanto aveano insegnato,
-approvato, riprovato i Padri, i dottori, i papi, i concilj, compendiò
-in un volume. La scienza e l’erudizione tutta che al suo tempo avessero
-Cristiani od Arabi, svolse sotto la forma del sillogismo, in maestosa
-sintesi tendendo a riprodurre l’ordine assoluto delle cose, Dio uno, la
-Trinità, la creazione, le leggi del mondo, l’uomo, la Grazia; e opporre
-la verità agli errori moltiformi che venivanle opposti dal Corano, dal
-Talmud, dal manicheismo. Ch’egli si occupasse di scienze al tempo suo
-non esistenti, o usasse una lingua che l’età sua non gli dava, nessuno
-lo pretenderà; mentre eccitano meraviglia la chiarezza, la brevità
-nervosa, la schietta indagine della verità, che con bella e profonda
-definizione egli fa consistere in un’equazione tra l’asserto e il suo
-oggetto[309].
-
-All’ispirazione ed elevazione dei primi Padri non arriva egli, ma
-porge formole dotte e profonde distinzioni, il suo metodo consistendo
-nell’appoggiare col sillogismo una maggiore assiomatica, data da
-quelli. Pertanto posa un teorema, poi sillogizza tutte le opposizioni
-filosofiche (_videtur quod non_), mettendo l’objezione condensata,
-multipla, in tutta la sua forza, per modo che poterono da lui
-attingere eresie e difficoltà quanti ebbero la mala fede di sopprimere
-le risposte. Non si ferma a confutarla, ma in contraddizione (_sed
-contra_) adduce alcuni passi di Aristotele, della Bibbia, dei Padri,
-principalmente di sant’Agostino, e prova conciso e preciso, facendo
-brillar la vera luce accanto alla falsa, sicuro che ne risulterà
-la certezza. Allora ripiegandosi sopra l’objezione, la distrugge
-invincibilmente (_conclusio_) collocando la sua risposta in termini
-concisi, enucleandoli poi dialetticamente, e non di rado con poche
-parole d’inarrivabile precisione recidendo avviluppatissimi problemi; e
-adoprandovi un mirabile buon senso ognora calmo, imparziale, lontano da
-sistematiche esclusioni, disposto ad accettar tutto il vero, approvare
-tutto il buono.
-
-Quanto al fondo, sostiene che la scienza deriva da Dio e a Dio si
-riferisce, atteso che il filosofo, sempre in traccia del primo ente e
-della cagion delle cose, e proponendosi il perfezionamento dell’uomo,
-è costretto elevarsi alla causa ed alla ragion prima. E siccome nella
-società umana dirige colui che maggiore intelletto possiede, così nelle
-dottrine quella che si occupa delle cose più intelligenti, cioè la
-metafisica, scienza dell’essere in generale e delle sue proprietà, che
-considera le cause prime nella loro purezza e comprensibilità maggiore.
-
-Scienza di Dio, dell’uomo, della natura, la teologia risale a Dio per
-contemplarlo, e col raggio che ne attinge discende la scala del creato
-illuminando le sfere inferiori. Fra i corpi puramente materiali e il
-mondo delle pure intelligenze, riflesso della vita e delle perfezioni
-di Dio, sta l’umanità, partecipe degli uni e degli altri: tre mondi
-connessi da legami infiniti, donde risultano l’ordine naturale e il
-soprannaturale, e in seno all’opera di Dio nasce l’opera dell’uomo,
-mediante la libertà creata. Di qui la mistura di bene e di male, di
-verità e di errore, che costituisce la storia umana. Delle creature
-alcune sono assolutamente immateriali, altre materiali, altre miste; e
-nel formarle Iddio si propose il bene, cioè di assimilarle a sè. Del
-qual bene partecipano anche i corpi, in quanto possiedono l’essere
-e sono l’effetto della bontà divina; e concorrono alla perfezione
-dell’universo, che deve contenere una gradazione di esseri, gli
-uni subordinati agli altri secondo che più o meno perfetti. Chi li
-consideri uno ad uno, non ne vede che l’inanità: ben altrimenti chi
-li guardi come istromenti degli spiriti; avvegnachè tutto ciò che
-si riferisce all’ordine spirituale appar più grande quanto più viene
-conosciuto.
-
-Culmine della creazione è l’uomo, il cui spirito vive di triplice vita,
-la sensiva, la vegetativa e la razionale, la quale ancora si divide
-in intelligente e volitiva. A quest’ultima san Tommaso assegna regole
-rettissime, giacchè fondate sugl’insegnamenti della Chiesa: ma poichè
-il nostro lavoro verte tanto sulla scienza degli Stati, noi lasceremo
-il resto per arrestarci alquanto sul diritto e la politica di lui, che
-insomma sono quelli professati dal clero, quand’anche non applicati.
-
-Fonda Tommaso la sua teoria del diritto sopra la legge. Questa è
-quadrupla: l’_eterna_, legge del governo divino generale del mondo;
-la _naturale_, partecipazione della legge eterna, valevole per tutti
-gli enti finiti razionali; l’_umana_, riferibile alle condizioni
-particolari degli uomini; la _divina_, che consiste nell’ordine di
-salute da Dio stabilito nella sua _speciale_ provvidenza per gli
-uomini. Il diritto nello Stato è _naturale_, fondato nella natura
-invariabile dell’uomo, o _positivo_, stabilito per convenzione o
-promessa: e concerne solo la legalità degli atti esterni, mentre la
-giustizia interiore impone di fare il giusto per amor di Dio.
-
-La legge è una misura imposta ai nostri atti, un motivo che ci spinge
-o distoglie dal fare, una dipendenza della ragione: ed ha per iscopo
-il ben essere comune. Dovendo il fine essere adempito da chi vi ha
-interesse immediato, le leggi saranno opera di tutto il popolo, o
-di chi del bene di esso è incaricato; e però la legge può definirsi
-«un ordine ragionevole a comune vantaggio, promulgato da chi ha cura
-del pubblico interesse». Diretta a mantenere la pace e propagare la
-virtù fra gli uomini, deve conformarsi alla giustizia pel fine che si
-propone, per l’autore da cui deriva, per le forme che osserva, cioè
-mirare al bene dei più, non trascendere l’autorità del legislatore,
-ed equamente distribuire i pesi che ciascuno dee portare pel comune
-vantaggio. È ingiusta ove s’opponga al bene relativo dell’uomo, o al
-bene assoluto che è Dio: e in tal caso non è legge ma violenza, nè
-obbliga al fôro interno, se non fosse per gli scandali che produrrebbe
-la trasgressione. E per natura e per ragione si deve a gradi procedere
-dal meno al più perfetto; onde i cangiamenti nella legislazione sono
-giustificati dalla mobilità della ragione, dalla mutabilità delle
-circostanze. Popolo pacifico, grave, oculato ai proprj vantaggi, ha
-diritto di scegliere i suoi magistrati; lo perde se corrotto.
-
-Vuolsi che durino la città e la nazione? tutti abbiano parte al
-governo generale, acciocchè tutti sieno interessati a mantenere la
-pace pubblica; nella forma politica le autorità si bilancino. La più
-destra combinazione sarebbe un principe virtuoso, che sotto di sè
-ordinasse un certo numero di grandi cariche per governare secondo
-l’equità, cernendoli da ogni classe e sottoponendoli ai suffragi della
-moltitudine, col che associerebbe al governo l’intera società. Il
-principe deve al suddito la fedeltà stessa che ne esige: se avvilisce
-Dio ne’ poveri, imita i soldati che percotevano Cristo colla canna
-messagli in mano: se grava le imposte, pecca d’infedeltà agli uomini,
-d’ingratitudine a Dio, di sprezzo agli angeli custodi, sopra i quali
-ricadono le offese recate ai loro custoditi.
-
-Colpa mortale sarebbe la ribellione contro alla giustizia e all’utilità
-comune, non il resistere e combattere pel pubblico bene. Principe che
-si propone il personale soddisfacimento anzichè la comune felicità,
-cessa d’essere legittimo, e l’abbatterlo non è più sedizione, se
-pur non si operi con disordine tale da cagionare mali maggiori
-della tirannia stessa. Il tiranno si tiene fra certi limiti? convien
-tollerarlo per cansare pericolo di peggio; eccede? può essere giudicato
-e anche deposto da un potere regolarmente costituito: attentare contro
-la sua persona per fanatismo e vendetta non è mai lecito.
-
-Su questi larghi principj posavasi il liberalismo, che la Scuola talora
-spinse fin al di là; donde la taccia che il secolo nostro, ipocrito
-in parole come sguajato in fatti, le dà di avere giustificato il
-regicidio. Al moderno diritto delle genti pose Tommaso le fondamenta,
-che lo distinguono dal micidiale degli antichi: e certi missionari d’un
-nuovo cristianesimo, che credono nati jeri i concetti della libertà e
-dell’eguaglianza, stupirebbero leggendo quel che Tommaso pensava della
-nobiltà[310].
-
-Ma come la pensava egli sul propagare la fede per mezzo della forza?
-Degli Infedeli alcuni non abbracciarono mai la fede, come Pagani ed
-Ebrei; altri ne disertarono, come gli eretici e gli apostati. Questi
-sono mentitori d’una promessa, e ne sono puniti: gli altri non devono
-per verun modo essere forzati alla fede, ma solo a non manometterla con
-bestemmie, con prediche, con violenze. I fedeli muovono spesso guerra
-agl’infedeli, non già per costringerli a credere, ed anche dopo la
-vittoria se ne lascia libertà al prigioniero, ma perchè non impediscano
-ai credenti il convertirsi o il perseverare[311].
-
-Sì grand’uomo, eppure umilissimo, ricusò nell’Ordine ogn’altra dignità
-fuor quella di definitore: e nella contemplazione talmente restava
-assorto, che navigando non s’accorse d’una fiera burrasca; tenendo una
-candela non sentì da quella bruciarsi il pugno; sedendo al banchetto
-col re di Francia, repente battè sulla tavola esclamando: — Ecco un
-argomento invincibile contro i Manichei». La leggenda dice che, avanti
-morire, stava davanti a un Crocifisso, e questo piegossi, e dissegli: —
-Tommaso, bene hai scritto di me: qual ricompensa domandi? — Niun’altra
-cosa che voi stesso», egli rispose. Quando poco dopo si trattò di
-canonizzarlo, gli oppositori notavano ch’e’ non aveva operato miracoli;
-ma papa Giovanni XXII esclamò: — Ne fece tanti, quanti articoli
-scrisse»; e soggiungeva: — Tommaso rischiarò la Chiesa più che tutti
-insieme i dottori, e maggior profitto si trae dallo studiare un anno
-agli scritti suoi che dal leggere tutta la vita que’ degli altri».
-
-Diversa eppur non avversa alla scolastica argomentatrice, la
-scuola mistica cercava non esercizio allo spirito ma nutrimento
-all’affetto; tutto riconduceva al sentimento ed alla contemplazione,
-assegnando i gradi onde con questa elevarsi al primo vero; in luogo
-dell’arida dialettica adoperava linguaggio immaginoso, simbolicamente
-interpretando la natura appoggiandosi sulla misteriosa attrazione verso
-il bene assoluto e l’infinito, e sulla dilezione estatica, fondo della
-nostra sensibilità.
-
-Giovanni Fidanza da Bagnarea (1221-74) fu salvato da una malattia
-infantile per intercessione di san Francesco, il quale disse a sua
-madre: — È una buona ventura»; onde vestitosi francescano, fu noto
-col nome fratesco di Bonaventura. Dotto di tutta la scienza d’allora,
-sommesso insieme e indipendente, cautamente valutando le forze relative
-della credenza e dell’intelletto, tentò conciliare Aristotelici,
-Platonici, Arabi; cioè il raziocinio e l’intuizione, il misticismo e
-la didattica dirigere in armonia, non ad arguzie curiose, ma a supreme
-quistioni. Non che negare ogni certezza ai sensi, tende a rintegrare
-l’infallibilità della ragione, facendo che Dio abbia poste le premesse
-nell’intelletto, e conformatolo in guisa che sia costretto assentire al
-vero, non come ad una percezione nuova, ma quasi riconosca cose innate
-in sè. Osò anche tentare un albero enciclopedico dell’umano sapere, men
-lodato, non men lodevole di altri posteriori[312], e che mostra come
-sapessero d’alto luogo riguardare la scienza questi Scolastici cui si
-dà taccia di angusti e meschini.
-
-Bonaventura fu noverato fra’ più insigni del tempo: quando san Tommaso
-suo amico gli domandava da quai libri traesse tanta scienza, gli mostrò
-il crocifisso; e tutte pietà sono la sua _Vita di san Francesco_, lo
-_Specchio della Vergine_, l’_Itinerario dell’anima al cielo_. A forza
-di preghiere si fece esonerare dall’andare arcivescovo di York; e stava
-lavando le scodelle quando gli fu annunziato che era fatto cardinale.
-Alle sue esequie assistettero Gregorio X, il re d’Aragona, cinquanta
-vescovi, sessanta abati, più di mille preti; ottant’anni dopo morto fu
-canonizzato, e iscritto col titolo di _serafico_[313] fra i dottori
-della Chiesa, dopo Ambrogio, Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e
-l’Aquinate.
-
-Anche la scuola contemplativa ebbe i suoi deliramenti, e Giovanni di
-Parma pubblicò un _Introduttorio all’evangelo eterno_, ove annunziava
-che, siccome il Testamento antico avea dato luogo al nuovo, così
-questo non bastava più alla perfezione, e un altro ne verrebbe tutto
-d’intelligenza e di spirito. Altri caddero nel panteismo e nella
-negazione del proprio essere, ed applicati alle scienze s’abbujarono
-nell’astrologia e nell’alchimia.
-
-Del diritto romano mai non erasi perduta affatto la memoria; ma quella
-legislazione è troppo complicata e dotta per gente incolta, troppo
-difficile ad armonizzare col sistema barbaro. Si dovette dunque
-applicarsi ad agevolare l’uso quotidiano del gius longobardo, e
-ridurlo a sistema per via d’un testo intelligibile, di dichiarazioni,
-di formole di processo. A ciò diede principale opera la scuola di
-Pavia, che volta solo alla letteratura nei tempi de’ Carolingi, da
-quelli di Ottone I vi unì la giurisprudenza, e compilò il _Liber
-legum Longobardorum_. I maestri di quella erano anche giudici, e
-accoppiando la teoria alla pratica, e conoscendo il diritto romano,
-composero una glossa che fu equiparata al testo legale. Ebbero nome
-tra essi Sigefredo, Guglielmo, Bajlardo, Buonfiglio, e quel Lanfranco
-da Pavia, di cui dicemmo[314]. Man mano che le città italiane
-crescevano di ricchezze, di commercio, di potenza, occorreano nuove
-complicazioni, cui non era sufficiente il diritto germanico, mentre si
-trovavano risolte nel romano; sicchè a questo applicaronsi gl’ingegni,
-costituendo una nuova classe di cittadini, i giureconsulti.
-
-Quando i Pisani espugnarono Amalfi nel 1135, ne tolsero l’unico
-esemplare delle _Pandette_, e Lotario II in benemerenza lo cedette
-a loro, decretando che nella pratica si sostituisse il gius romano
-al germanico, e cattedre per insegnarlo. Così dicono: ma nessun vide
-questo diploma, ed è dimostrato che in verun tempo le Pandette erano
-cadute in dimenticanza[315]; sicchè questa è una novella che traduce
-in racconto di tempo e di luogo determinato un avvenimento d’incerta
-origine. Esso codice fu gran tempo custodito a Pisa come una reliquia,
-nè mostrato che con solennità, poi trasferito a Firenze, monumento
-d’altre vittorie, ove può non difficilmente vedersi in quel tesoro
-di manoscritti ch’è la biblioteca Laurenziana. La scrittura il prova
-contemporaneo di Giustiniano; e che sia l’unico originale risulterebbe
-da questa bizzarria, che avendovi il legatore per isbaglio trasposto un
-foglio, tutti gli esemplari conosciuti hanno l’errore medesimo, come
-materialmente trascritti. Eppure sembra che i glossatori possedessero
-altri testi, collazionando i quali ne formarono uno bolognese, detto
-la vulgata: pure la loro rarità è attestata dall’importanza attaccata
-al possesso di questo codice, la cui scoperta e il trionfo menatone
-fissarono su quello l’attenzione dei molti che la progredita civiltà
-avea disposti ad una legislazione più raffinata. Allora dunque lo
-studio del romano diritto penetra nelle scuole, in gara colla teologia
-e la scolastica, mentre s’applica alla vita.
-
-Irnerio, che prima aveva insegnato grammatica, passò a leggere le
-Pandette a Bologna sua patria (1100-20); e i giovani che trassero in
-folla a questa scienza nuova, reduci ai loro paesi, ne applicavano i
-canoni ai casi particolari, se non altro come supplemento alla legge
-locale. Restano in gran parte le glosse di quest’illustre, e memoria
-d’altre opere sue ad uso della scuola, dalla quale poi si staccò per
-servire all’imperatore. Pensator rigoroso, trasse ogni cosa dal proprio
-capo, ignorando i lavori intorno al diritto, fatti o tentati ne’ secoli
-precedenti[316].
-
-Si nominano fra’ suoi discepoli più insegnati i bolognesi Bùlgaro
-_os aureum_, Martin Gossia _copia legum_, Jacopo e Ugone da Porta
-Ravegnana. La _Somma del Codice_ di Roggerio è il primo tentativo di
-sistemar la scienza del diritto. Il Piacentino, che alcuni chiamano
-Ottone, per quanto assoluto e di smisurata vanità, non manca di
-intelletto scientifico e cognizione delle fonti. Assalito nottetempo da
-Enrico di Baila, di cui avea confutato un’opinione, a stento campò, e
-ricoverato a Montpellier, v’aperse la prima scuola di diritto (1192).
-Giovanni Bassiano da Cremona, preciso nell’esposizione, trovò forme
-ingegnose, benchè talvolta buje; professò a Mantova.
-
-Pillio da Medicina professava giovanissimo a Bologna, quando i
-magistrati lo costrinsero a giurare che per due anni non insegnerebbe
-altrove: i Modenesi, cui forse importava più il toglierlo agli emuli
-che il possederlo essi medesimi, gli offersero cento marchi d’argento
-purchè venisse nella loro città, anche senza insegnare, siccome fece.
-Scrive per lo più in dialoghi fra la giurisprudenza e l’autore, con
-molta vanità e affettazione logica[317].
-
-Lodano pure Guglielmo di Cavriano da Brescia, Alberico da Porta
-Ravegnana che per l’affluenza di scolari dettava nella sala del
-Consiglio, Giovanni Azzon da Bologna che aveva fin mille uditori, ed
-altri che lungo sarebbe il recitare. Francesco Accursio da Bagnòlo
-presso Firenze, nella _Glossa continua_ (1129) abbracciò le anteriori,
-così conservandoci l’opinione di molti, ma senza tropp’arte nello
-scegliere. Al suo tempo citavasi nei tribunali come legge, e fu in
-gran nominanza finchè parve merito il cumulo di erudizione; ma nel
-Cinquecento, quando si studiarono l’antichità e gli storici, prevalse
-un miglior gusto, mentre minorava l’elevatezza de’ pensieri.
-
-Que’ glossatori possedevano le Pandette, il Codice, gl’Istituti,
-le Autentiche, l’Epitome di Giuliano, nè altro. Scarsi di storia e
-filologia, invece di raddrizzare i testi, accertare i tempi, insinuarsi
-nella intenzione delle leggi, si fermano a spiegare che _etsi_
-equivale a _quamvis_, _admodum_ a _valde_; derivano il nome del Tevere
-dall’imperatore Tiberio; fanno vivere Ulpiano e Giustiniano avanti
-Cristo, uccidere Papiniano da Marc’Antonio; interpretano _pontifex_ per
-_papa_ o _episcopus_; se trovano una parola greca, la saltano, onde il
-proverbio _Græcum est, non potest legi_. Pure non mancano di sagacia
-e industria, massime Accursio, nel ravvicinare passi, conciliare
-apparenti divergenze, ricorrere per l’interpretazione alle fonti quanto
-poteasi in quell’ignoranza della storia, che durerebbe anche oggi se la
-fortuna non avesse scoperto Ulpiano ed altri giureconsulti vetusti.
-
-Ben presto seguirono pedestri imitatori, destri nella dialettica quanto
-sforniti di scientifico intelletto; prolissi, d’inesauste minuzie,
-che affogano il testo ne’ commenti, _multorum camelorum onus_, nulla
-rimettendo all’intelligenza degli scolari; espongono in uno stile
-barbaro, da cui non sa forbirsi neppure Dino da Mugello. Il quale
-godette tanta riputazione, che ancor vivo i vescovi stabilirono, ove le
-leggi municipali e le romane e le chiose dell’Accursio tacessero o si
-contraddicessero, a Dino si riportasse la risoluzione.
-
-Sconciatesi le repubbliche, e andata ogni cosa per fazioni, poi
-per arbitrio di tiranni, senza quella libertà che è necessaria alla
-ponderazione delle leggi, nel metodo prevalsero sempre più le forme
-dialettiche, con distinzioni e restrizioni senza termine; l’argomentare
-non si aggirò sul testo ma sulla glossa, la quale divenne un ostacolo
-a intenderlo; ogni originalità rimase tolta dal porre ognuno il piede
-sull’orme dell’altro.
-
-Cino da Pistoja scolaro di Dino (-1337), cacciato dai Guelfi, torna
-coi Ghibellini. Ammira i dialettici, pure sa emanciparsi dalle triche
-di scuola, e pensare di sua testa; e si fiancheggia cogli statuti de’
-varj popoli e la pratica de’ tribunali. Bartolo da Sassoferrato scolaro
-di lui, maestro a Pisa e Perugia, ove morì in fresca età, superiore in
-fama a tutti i giureconsulti, spiegato dalle cattedre, tenuto in conto
-di legge nella Spagna, per critica e metodo sta a gran distanza dagli
-antichi glossatori, impacciato dai troppi commenti.
-
-Avanzandosi i tempi, ebbe grido Baldo da Perugia (-1400), che professò
-per cinquantasei anni, e versò nei pubblici negozj. «Nella smania
-di distinzione (dice il Gravina) egli non divide, ma sfrantuma il
-soggetto tanto, che i frantumi ne van col vento; ma per quanto ciò
-nuoccia all’interpretazione della legge romana come codice positivo, fu
-utilissimo al giureconsulto pratico per la moltiplicità dei casi che lo
-spirito suo fecondo ritrovò; sicchè ben rado si dà di consultarlo senza
-trovarvi una soluzione qual ch’ella sia». Luca di Penna negli Abruzzi,
-autore del commento sui _Tres Libri_, supera i contemporanei per metodo
-e stile, e ricorre direttamente ai testi coll’indipendenza datagli dal
-non essersi formato nelle scuole ma negli affari. I successivi, più che
-nelle magistrature, presero pratica nei consulti, fonte di rinomanza e
-di ricchezze.
-
-Come questi il diritto romano, altri studiarono il feudale, di
-applicazioni ancora frequenti; e Oberto dall’Orto e Gerardo del Negro,
-consoli milanesi, attorno al 1170 radunarono le costituzioni imperiali
-e le consuetudini delle varie città, le sentenze in proposito e le
-interpretazioni proprie e d’altri giuristi. Valore di legge non ebbero
-mai, ma autorità perfino ne’ tribunali pontifizj. Infiniti commenti
-e glosse ebbero da Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo,
-Goffredo..., e principalmente da Giovanni Colombino; tutti superati dal
-napoletano Andrea d’Isernia, e più tardi da Matteo degli Afflitti. Nel
-1436 Antonio Mincuccio di Pratovecchio bolognese avea ridotti i libri
-feudali in miglior forma, e l’imperatore Federico III li confermò,
-onde in Bologna erano letti pubblicamente. L’illustre Cujacio con
-maggior critica ed eleganza, e deponendo il disprezzo che i giuristi
-soleano avere per ciò che non fosse romano, migliorò ed illustrò
-quella raccolta, la quale si compie colle leggi feudali pubblicate
-dal Barbarossa, che sono le più numerose e precise, e da cui era stata
-proibita l’alienazione dei feudi, ristabilite le regalie imperiali in
-Italia[318].
-
-Contemporaneamente si compiva il diritto canonico. Una raccolta
-autentica delle leggi ecclesiastiche emanate dai concilij e dagli
-imperatori, disposta da Giovanni Scolastico patriarca di Costantinopoli
-a mezzo il secolo VI, divenne legge della Chiesa d’Oriente. In
-Occidente, dopo le collezioni che accennammo (t. V, p. 472) di Dionigi
-il piccolo e d’Isidoro, Reginone abate di Pum, uscente il secolo IX, ne
-fece una, poi Burcardo vescovo di Worms il _Magnum decretorum volumen_,
-che da uno storpio del nome suo è chiamato _Brocardo_, e passò ad
-indicare quistioni scabrose ed incerte. Ivone di Chartres dispose
-metodicamente il _Decreto_ in diciassette libri; finchè Graziano di
-Chiusi benedettino, nella _Concordantia canonum_ o _Decretum_ (1151),
-compì sistematicamente la giurisprudenza canonica. Eugenio III dicono
-l’approvasse, e l’autore con Ranieri Bellapecora pei primi professarono
-tale materia in Bologna. L’opera sua comprende i canoni degli Apostoli,
-quelli di cencinque concilj, le decretali de’ papi, non escludendo
-quelle del falso Isidoro, e molti passi tratti da santi padri, da libri
-pontificali, dal codice Teodosiano e da altri. Autorevole nel canonico,
-come il codice Giustinianeo nel diritto civile, il Decreto di Graziano
-trovò moltissimi commentatori: lo sceverarne la mondaglia doveva essere
-cura di secoli meglio veggenti[319].
-
-Successive consultazioni diedero luogo a nuove decretali, di cui una
-raccolta fece Bernardo Circa, vescovo di Faenza poi di Pavia; una
-fu ordinata a Pier di Benevento da Innocenzo III, ed approvata per
-pubblica autorità; poi un’anonima dopo il 1215. Nessuna era completa,
-e v’avea decreti incerti: pertanto Gregorio IX incaricò Raimondo di
-Pegnafort barcellonese di raccorre le decretali posteriori al 1150,
-ove finisce la compilazione di Graziano; onde venne il secondo corpo
-e principale del diritto canonico, cresciuto anch’esso con successive
-aggiunte.
-
-Suprema efficacia ebbe lo studio del diritto, facendo rivivere a pro
-de’ moderni l’esperienza degli antichi, disposta in un sistema di
-leggi, ove tutto ciò che essenzialmente importa alla civile società
-era determinato con sagacia, equità e precisione, ben superiore ai
-tentativi de’ codici barbari. Introdotta la prova testimoniale, lo
-spirito umano s’addestrò nell’indagare le verità ed applicarle, risalì
-agli studj classici per meglio chiarire il senso, e quel ragionare sodo
-e sopra i fatti emendava l’inclinazione sofistica delle scuole.
-
-Ai baroni nè dottrina nè pazienza bastando, i leggisti presero il luogo
-de’ feudatarj negli uffizj giuridici. Allettati dalla costituzione
-romana, stabilirono essi una scuola teorica e pratica di governo, cui
-primo canone era l’unità e indivisibilità del potere sovrano, talchè
-guardava come usurpazione le signorie feudali, come non avvenuta
-l’occupazione dei Barbari, e indegne del nome di leggi quelle emanate
-da loro: fatto meraviglioso ed unico, che la legislazione morta d’un
-popolo perito divenisse scienza politica e sociale per tutta Europa, e
-che fin ad oggi i codici trovino appoggio, commento o supplemento nelle
-decisioni di Papiniano e nell’opinione de’ glossatori.
-
-Ben fa dolore che le nazioni nuove non abbiano pensato estrarne quel
-solo che ad esse confacevasi, anzichè adottare intero un cumulo di cose
-estranee ai costumi e all’ordine sociale nuovo, e principj assoluti, e
-formole materiali, e rigide conseguenze, non armonizzanti colla società
-nuova nè coi costumi moderni e col cristianesimo. Per vero, l’adottare
-è molto più facile che lo scegliere; e la parzialità ghibellina aveva
-interesse a considerare i Federichi come successori di Teodosio: onde
-n’uscì una legislazione implicata, incoerente, ancora oscura dopo
-infiniti commenti, e forse in grazia di questi.
-
-Ma nelle città libere i giuristi costituivano un corpo, con impieghi
-d’onore ed alte cariche e singolare considerazione: e persone elevate
-portavano nella giurisprudenza gran senso pratico e reale dignità. Il
-diritto poi fu un grande miglioramento sì alla legislazione, sì e più
-alla condizione dei vulghi. Rispetto all’ordine delle successioni, ai
-matrimonj, ad altri punti legali, i preti che ragione aveano di far
-leggi inique? Ne’ concilj, composti di prelati d’ogni paese, specie di
-areopago superiore alle convenienze feudali, e scevro di parzialità,
-di rado i canoni si circoscriveano ad un paese; e togliendo per base
-la morale anzichè la politica, servivasi alla rettitudine universale.
-Le giurisdizioni signorili riuscirono men vessatorie in mano di abati e
-vescovi che di conti e baroni, perchè il prete era obbligato ad alcune
-virtù, da cui il laico si tenea dispensato. La carità e il perdono
-delle ingiurie, essenza della morale cristiana, v’erano specialmente
-comandati in tempi di guerra di tutti contro tutti. Più miti le pene;
-abolita la croce e il bollare in faccia, per non deturpare l’immagine
-di Dio; niuno sentenziato a morte, e spesso si mandava il reo a far
-penitenza e migliorarsi ne’ chiostri. La tortura, approvata dal divino
-Augusto[320] e conservata lungo tempo fin dagl’Inglesi tanto adulti
-nella libertà, era esclusa dal diritto canonico: e doveano passar de’
-secoli prima che la filosofia si facesse bella di tali documenti.
-
-Il clero, alieno dalle armi, repudiava le prove del duello o
-dell’ordalia[321], e vi surrogava i testimonj, e come prova sussidiaria
-il giuramento; più regolare rendeva l’amministrazione della giustizia,
-e le vendite, i prestiti, le ipoteche, giacchè richiamavasi al fôro
-ecclesiastico ogni obbligo contratto con giuramento. Innocenzo III e il
-IV concilio Lateranese istituirono il processo scritto, prescrivendo
-che nel giudizio ordinario e nello straordinario il giudice si
-faccia assistere da un pubblico notajo, se è possibile; e due persone
-sufficienti scrivano gli atti, cioè le citazioni, proroghe, petizioni,
-eccezioni, testimonianze, e così via, il tutto coll’indicazione de’
-luoghi, de’ tempi, delle persone; e ne dia copia alle parti, serbando
-l’originale per ogni caso di dubbio[322]. Il diritto stesso ebbe
-determinato il metodo delle citazioni e la sostanza della processura,
-agevolate le riconvenzionali, tentate le vie di conciliazione, negli
-appelli distinto l’effetto devolutivo dal sospensivo, ai rimedj
-possessorj dato ampiezza e rigore.
-
-Mentre il diritto civile non lasciava star le donne in giudizio senza
-consenso del marito, lo che impediva di reclamare contro di questo,
-non così era de’ tribunali ecclesiastici, davanti ai quali veniva
-contratta l’unione, stipulata la dote, discusso della infedeltà,
-delle separazioni, del divorzio. Le leggi che proteggeano i beni
-del clero insegnavano esistere un’altra proprietà non derivata dalla
-spada, con altre garanzie che la violenza; garanzie che poi doveano
-diventare comuni. Altre inviolabilità delle persone si conosceano dove
-l’ecclesiastico era valutato a prezzo maggiore, non si potea sfidarne
-i parenti, e l’offensore trovavasi a fare con una intera società
-poderosa. L’asilo sottraeva il colpevole alla vendetta subitanea,
-non già alla giustizia, a cui lo restituiva se riconosciuto reo:
-l’escludere il duello obbligava ad accettare la composizione de’
-tribunali. Laonde, mentre pareva intendere al solo interesse proprio,
-la Chiesa operava per le nazioni, che un giorno si assicurerebbero come
-diritti quei ch’essa introduceva come privilegi[323].
-
-Così miglioravasi il potere legislativo, passato dai forti ne’
-savj; più ne migliorava l’opinione: sicchè al cristianesimo, dice
-Montesquieu, andiam debitori di un certo diritto delle genti nella
-guerra, di cui la natura umana non potrà mai essergli abbastanza
-riconoscente; il qual diritto fa tra noi che la vittoria lasci ai vinti
-la vita, la libertà, le proprietà, le leggi, la religione. Dopo di che,
-io mi confesso propenso a compatire ai compilatori delle Decretali se
-non ebbero bastante critica per discernere le false, e se credettero
-veramente che il papa fosse superiore a tutti i vescovi, e potesse
-imporre ai re d’esser giusti e di non opprimere d’imposte i popoli.
-
-Intanto colla giurisprudenza la dottrina usciva dal santuario, e
-lo scienziato non era soltanto _cherico_ ma anche dottore. Tutte
-quelle discussioni poi, miste di teorica e di pratica, attestano un
-inaspettato movimento intellettuale, che innovava la società non meno
-che lo facesse lo sviluppo politico. Perocchè, quando una nazione
-si sveglia, estende la sua attività sopra tutte le parti, siano le
-politiche come le intellettuali e morali.
-
-Università chiamavasi già prima qualunque libera unione; e quel
-nome presero anche gli scienziati in associazioni libere che
-prevenivano l’azione de’ governi, e che ciascuna amministrava i
-proprj affari. Qualche scienziato di grido prendeva a leggere in una
-città; accorrevano uditori, altri dotti ne profittavano per venirvi
-a spacciare la propria dottrina, e così formavasi una università.
-In tanta scarsezza di libri e d’istruzione particolare non poteasi
-imparare che dalla viva voce, onde non vi concorrevano ragazzi, ma
-uomini fatti e già ragguardevoli; ed assumendo l’aria della società
-civile, costituivansi a modo di Comuni, con onori e franchigie per
-gli studenti e i professori; e avvivate dall’interesse che ispira la
-verbale comunicazione fra questi e quelli, cogli studj indipendenti
-crescevano di forza e dignità; e al modo de’ Comuni, cercavano
-privilegi ai re e ai papi, il principale dei quali era di poter
-conferire il dottorato.
-
-I professori, ai quali grande incitamento dava il trovarsi esposti al
-guardo di tutta l’Europa letteraria, erano rimunerati dagli scolari,
-nè l’università mantenevasi che per la reputazione di quelli. Le città,
-vantaggiate dal concorso degli studiosi, adoperavano a mantenere quelle
-unioni; poi fecero gara di offrire grossi stipendj.
-
-E maestri e università erano dunque tutt’altra cosa di queste moderne,
-fomite inutile di corruzione in una gioventù che, mentre potrebbe
-dappertutto ritrovare e libri e insegnanti, è raccolta a dissipare
-fra lo stravizzo e il mal esempio il fiore dell’età, la freschezza
-de’ sentimenti, i precetti morali bevuti al focolare paterno, e far
-le prime prove del vizio, seguendo un corso uffiziale sotto professori
-di cui non ha stima e fiducia, ma che sono decretati da un governo che
-forse disama.
-
-L’importanza delle università fece favoleggiarne le origini. Quella
-di Bologna si pretendea fondata da Teodosio II nel 443; ma il primo
-privilegio, copiato da quel di Giustiniano per Berito, le fu rilasciato
-in Roncaglia da Federico Barbarossa, onde proteggere quei che di
-fuori venissero a quello studio, esimerli da processo per delitti o
-per debiti, e potessero scegliere la particolare giurisdizione dei
-professori, per esercitare la quale l’università eleggeva il rettore.
-Da principio vi si studiò soltanto diritto, poi si aggiunsero arti
-liberali e medicina; al fine Innocenzo VI v’unì scuola teologica sul
-modello della parigina, sorta contemporaneamente, e che avea vanto
-nella teologia scolastica e nella filosofia, come Bologna nella
-giurisprudenza. Furono le due università più nominate nel medioevo:
-ma la bolognese era composta degli scolari i quali sceglievano dei
-capi, a’ quali dovevano rispondere anche i professori; alla parigina
-non appartenevano che i professori, subordinati restando i discepoli:
-sistemi derivanti dal diverso Governo delle due città e dalla natura
-dell’insegnamento; quella, repubblica e volta alle leggi; questa,
-monarchia e teologica.
-
-A Bologna dunque i varj portici formavano distinte università; e
-quella del diritto era divisa in due, degli ultramontani con diciotto
-nazioni, dei citramontani con diciassette[324]. Gli stranieri studenti
-di diritto (_advenæ forenses_) godeano piene prerogative civili;
-e convocati dal rettore, cui annualmente giuravano obbedienza,
-costituivano università propria, con voce nelle assemblee. Ciascuna
-nazione faceasi rappresentare da uno o due consiglieri, i quali,
-col rettore, costituivano il senato per la disamina degli affari.
-Un sindaco annuo rappresentava in giustizia le due università: un
-notaro ne rogava gli atti, annuale anch’esso, come il massajo e i due
-bidelli. Ogni anno pure eleggevasi un tassatore dalla città ed uno
-dagli studenti, che fissassero il prezzo degli alloggi: lo scolaro avea
-facoltà di rimanere tre anni nella casa prescelta; e il padrone che
-esigesse di più, o a torto si querelasse del pigionale, o lo trattasse
-men convenientemente, non potea più dare albergo ad altri.
-
-I professori, all’atto della promozione, poi una volta all’anno doveano
-giurare obbedienza al rettore e agli statuti: potevano essere sospesi
-e multati, non portar voto nelle adunanze, nè sostenere le cariche
-dell’università: altrettanto era degli scolari natii di Bologna,
-che non rimanevano sottratti dall’autorità municipale. Il rettore,
-che doveva essere letterato, celibe, d’almeno venticinque anni,
-di sufficienti sostanze, avere a proprie spese studiato il diritto
-almeno cinque anni, e non appartenere ad ordini religiosi, rinnovavasi
-annualmente a voce del predecessore, de’ consiglieri e di alcuni
-elettori scelti dalle università; e nelle funzioni aveva il passo
-sopra vescovi ed arcivescovi, eccetto quel di Bologna, ed anche sopra i
-cardinali secolari. Il titolo di _magnifico_ nacque nel XV secolo.
-
-Pertanto nella città di Bologna quattro distinte giurisdizioni
-vegliavano: i magistrati ordinarj, la curia vescovile, i professori,
-il rettore. Le frequenti collisioni tra questi, l’irrequietudine degli
-studenti e le riotte agitarono spesso la repubblica; qualche fiata gli
-scolari tutti ritiraronsi in un’altra città, finchè non si consentisse
-alle esorbitanti loro domande; qualche altra, dai papi scomunicata o
-messa al bando dell’Impero, Bologna vedeva migrare la dotta folla, a
-cui dovea vita e ricchezze. Con grandi privilegi la città allettava
-gli studiosi; esimeva i professori dal servigio militare, poi da ogni
-tassa; rifaceva de’ furti sofferti, se il rubatore non potesse.
-
-I dottorati doveano giurare non insegnerebbero altrove che a Bologna;
-e morte e confisca era minacciata ai cittadini che sviassero uno
-scolaro da quell’università, e così a professori bolognesi maggiori
-di cinquant’anni, o agli stranieri stipendiati che passassero ad
-altra scuola prima che la condotta scadesse. L’università toglieva
-in protezione gli artisti che a servizio di essa lavoravano, come
-amanuensi, miniatori, legatori, i fanti degli studenti, e alcuni
-banchieri privilegiati per dare a prestanza agli scolari. Una bizzarra
-regola imponeva agli Ebrei di pagare centoquattro libbre e mezzo ai
-legali, e settanta agli studiosi delle arti per fare un festino in
-carnevale. Alla prima neve che fioccasse, gli studenti andavano alla
-busca, e di quel raccogliessero faceano statue o ritratti ai più
-celebri professori.
-
-Dell’arcidiacono di Bologna era privilegio il laureare, nè altro
-benefizio egli godeva che una parte delle propine. Il dottorato
-conferivasi come grado dal collegio de’ legali, e dava diritto
-d’insegnare e d’essere promosso: sebbene ai posti supremi non
-s’elevassero che natii bolognesi. Sei anni di studio si richiedevano
-per passar dottore in diritto canonico, otto pel civile; giurato
-d’aver compito questo tempo, lo scolaro sosteneva l’esame privato e il
-pubblico; e sopra due testi assegnati disputava innanzi all’arcidiacono
-e al dottore che lo presentava, libero essendo agli altri dottori
-d’objettare; e tosto era ricevuto fra’ licenziati. L’esame pubblico
-teneasi nella cattedrale in solenne pompa, ove il licenziato recitava
-la disposta diceria, ed esponeva una tesi di diritto, contro cui
-gli studenti potevano argomentare; indi l’arcidiacono o un dottore
-pronunziava l’encomio acclamandolo dottore, e gli si davano il libro,
-l’anello, il berretto. Giuramento d’adempier bene gli obblighi del
-dottorato non si prestava, sibbene alcuni giuramenti particolari.
-
-Laureato che uno fosse, avea diritto d’insegnare non solo a Bologna,
-ma in qualunque università costituita per bolla papale. Ogni scolaro,
-dopo cinque anni di studio, poteva insegnare, ma sopra un titolo solo;
-e dopo sei, sopra un trattato intero, annuente il rettore: questi
-chiamavansi baccellieri. Il corso durava dal 19 o 28 novembre al 7
-settembre; e ogni giovedì era vacanza, qualora nella settimana non
-cadesse altra feria. Le lezioni si facevano parte all’avemaria del
-mattino, parte dopo le diciannove ore, tutte occupate nell’insegnamento
-orale. I corsi distinguevansi in ordinarj e straordinarj, secondo
-i libri. Testi ordinarj, pel diritto romano il Digesto vecchio e il
-Codice, pel canonico il Decreto e le Decretali: ogni altro libro era
-straordinario, e i professori autorizzati a leggere su questi non
-poteano insegnare sugli ordinarj.
-
-Nel 1260 vi si contarono fin diecimila scolari, con gran lucro dei
-professori. Ai quali poi si assegnarono pubblici stipendj; e nel 1384
-ne troviamo a Bologna diciannove pel diritto, aventi dai cinquanta ai
-trecento fiorini di trentatre soldi. Quando furono tutti stipendiati,
-il professorato si riguardò come pubblica funzione.
-
-Lo studio della giurisprudenza tardò ad introdursi nelle università
-forestiere, di modo che il trionfo di quella scienza fu sempre in
-Italia, e non per decreto o favore de’ sovrani, ma per necessità dei
-tempi. Alle città lombarde, libere, trafficanti, ricche, popolose, non
-bastavano più le anguste transazioni dei codici germanici e la scarsa
-cognizione del romano: dileguandosi il diritto personale introdotto da
-Carlo Magno, s’abituavano a considerare gran parte dei popoli d’Europa
-come intimamente uniti sotto l’Impero, e fra le varietà nazionali
-riconoscere alcun che di comune, l’Impero, la Chiesa, la lingua latina.
-Ora, appena formatasi la scuola bolognese, e diffuse le cognizioni coi
-consulti, cogli scritti, con nuove scuole, anche il diritto romano si
-considerò comune a tutta cristianità, il che lo ingrandiva nel concetto
-de’ popoli.
-
-In Bologna primamente fu aggiunta agli altri studj la grammatica, e
-Buoncompagno fiorentino, il quale fu coronato d’alloro, vi lesse la
-sua _Forma literarum scholasticarum_, metodo per iscrivere a principi
-e magistrati. Era costume che, chi bramava professare grammatica,
-mandasse innanzi un’epistola, stillante eleganza ed erudizione,
-_picturato verborum fastu et auctoritate philosophorum_; onde
-Buoncompagno, motteggiatore superbo, ne finse una di siffatte, quasi
-venisse da un professor nuovo, che chiamava a sfida lui stesso. Ne
-tripudiarono gli emuli, levando a cielo la forbitezza della lettera
-finta; poi al dì prefisso si raccolsero affollati nella metropolitana:
-ma Buoncompagno sopragiunto manifestò la burla e mandò scornati i
-rivali, mentre gli amici portarono lui a casa in trionfo.
-
-Sturbati dai tumulti civili di Bologna, alcuni scolari trapiantarono
-a Padova la scuola di diritto (1222), divenuta poi nucleo di
-quell’università, con statuti modellati sui bolognesi: se non che
-nella comunanza entravano studenti, professori ed impiegati; e i
-maestri erano eletti dagli scolari. Nessun suddito veneto saliva ad
-alte magistrature, che non avesse studiato in quella università, la
-sovraintendenza della quale era affidata a tre senatori. Un’altra
-volta quegli scolari aveano trasferita l’università a Vicenza (1264),
-ove durò sette anni. Un’altra (1316) si mutarono a Siena, che offrì
-seimila fiorini per riscattare i libri da essi lasciati in pegno:
-ma quella scuola fu presto chiusa, indi ripristinata da Carlo IV nel
-1357; la facoltà teologica vi fu aggiunta nel 1408 da Gregorio XII.
-L’università di Perugia nacque il 1276: della parmense (1221) è memoria
-in Donnizone[325]. Il Comune di Vercelli nel 1228 ne aperse una per
-teologia, diritto civile e canonico, scienze mediche, dialettica,
-grammatica, divisa in quattro nazioni, una di Francia, Normandia,
-Inghilterra, una d’Italiani, la terza di Teutonici, l’ultima di
-Provenzali, Spagnuoli, Catalani; i rettori si obbligavano a condurre
-molti scolari, e principalmente trarvene da Padova, non allearsi alle
-fazioni del paese; e il Comune prometteva allestire cinquecento camere
-agli scolari, buon mercato di vettovaglie, pubblica tranquillità,
-non lasciarli inquietare per debiti o per rappresaglia, stipendiare a
-detta di due scolari e due cittadini i maestri che sarebbero eletti dal
-rettore.
-
-Fin dal XII secolo Pisa avea professori di diritto, ma lo studio
-generale soltanto nel 1444 vi fu trasferito da Firenze, quasi a ristoro
-della rapitale libertà, assegnandole annui seimila fiorini d’oro sul
-tesoro, e cinquemila ottenendone dal papa per dispensa di benefizj,
-onde lautamente provvedere ai professori[326]. È anteriore a Federico
-II la scuola di Ferrara, da Bonifazio IX nel 1391 privilegiata come
-studio generale. La romana, posta da Innocenzo IV, fu colla santa Sede
-trasferita in Avignone, e Giovanni XXII la autorizzò a conferire i
-gradi. Federico II istituì le scuole di Napoli nel 1224; sebbene non
-permettesse di formare l’università di scolari e professori, largheggiò
-di privilegi cogli studenti; ma non potè mai levarle a quel fiore che
-ottenevano le scuole fondate dal libero concorso e dalla fiducia degli
-studiosi.
-
-Altre n’ebbe Italia in que’ secoli e ne’ seguenti, massime di
-diritto, a Piacenza (1243), a Modena (1189), a Reggio (1188). Da
-Carlo IV nel 1360 fu privilegiata quella di Pavia, e Galeazzo Visconti
-proibì a’ suoi sudditi di studiare altrove, e largamente rimunerò i
-professori[327]. Quella di Torino fu riconosciuta dal papa solo nel
-1405, e sei anni dappoi dall’imperatore: cancelliere n’era il vescovo.
-All’università di Parigi, famosa per teologia, Alessandro III spedì
-molti giovani ecclesiastici; molti Venezia di quelli che doveano poi
-salire ai primi onori.
-
-Resta che diciamo dell’altro studio universitario, la medicina.
-V’aveano rinomanza gli Arabi, che tradussero e commentarono gli autori
-greci, e tramandarono a noi varj medicamenti ed elixir. Anche gli Ebrei
-erano medici e chirurghi reputati, e ne’ libri talmudici si trovano
-idee molto avanzate intorno all’anatomia. Fra’ Cristiani, questo,
-come ogni altro sapere, venne a ridursi in mano di ecclesiastici e
-principalmente di monaci, sebbene a questi dai canoni fossero vietate
-le operazioni con fuoco e ferri taglienti; e san Benedetto a’ suoi
-di Montecassino e Salerno impose la cura de’ malati. Costantino
-Africano filosofo, visitate per quarant’anni le scuole arabe a Bagdad,
-in Egitto, nell’India, di ritorno corse rischio d’essere ucciso
-per mago (1070 ?); onde rifuggì a Salerno, e divenne secretario di
-Roberto Guiscardo; poi nauseato dal fragor cortigiano, si ritirò
-a Montecassino, traducendo i medici orientali. Ne crebbe rinomanza
-alla scuola salernitana, e v’affluivano malati, alla cui guarigione
-contribuivano la salubre posizione e le reliquie di san Matteo, santa
-Tecla e santa Susanna. Venuto Enrico II a farsi estrarre la pietra,
-san Benedetto durante il sonno compieva l’operazione, ponevagli la
-pietra in mano, e cicatrizzava la ferita[328]. Nel secolo seguente,
-sotto la direzione di Giovan da Milano vi si scrissero certi canoni
-d’igiene in versi leonini, divulgati proverbialmente[329] e tradotti
-in tutte le lingue. Poco dopo il Mille, Garisponto medico di Salerno
-pubblicò il _Passionarius Galeni_, rimedj contro ogni sorta malattie,
-tratti principalmente da Teodoro Prisciano: nè meglio vale Cofone, che
-pubblicò una terapeutica generale (_Ars medendi_) secondo Ippocrate,
-Galeno e gli Arabi, dove è a scorgere la prima indicazione del sistema
-linfatico. Romualdo vescovo di Salerno fu consultato dai due Guglielmi
-di Sicilia e dal papa. L’_Erbario_ della scuola salernitana, compilato
-certamente prima del secolo XII, si diffuse per tutta Europa.
-
-Questa scuola fu la prima in Occidente ad introdurre i diversi
-gradi accademici, imitandoli dagli Arabi. Dappoi Federico II ordinò,
-nessuno esercitasse medicina se non licenziato da essa, e provato
-di nascere legittimo, aver compito ventun anno, studiato logica tre
-anni, poi cinque l’arte, e la chirurgia _che ne forma piccola parte_,
-e spiegato l’_Arte_ di Galeno, il primo libro d’Avicenna, o un passo
-degli _Aforismi_ d’Ippocrate, ed aver fatto pratica sotto un esperto.
-Il candidato giurava attenersi alle cure consuete, denunziare il
-farmacista che adulterasse i medicamenti, e trattare i poveri senza
-mercede. Dai chirurghi chiedeasi un anno di studio a Salerno e Napoli,
-poi un esame. Da poi si prescrissero cento minuzie; il medico visiti
-due volte al giorno i malati che dimorano entro la città, e che possono
-anche chiamarlo una volta la notte: il compenso era di mezzo tarì per
-giorno, e fino a tre se il malato abitasse fuori. Così per le farmacie
-era assegnata la tariffa, e dove piantarle, e gelose precauzioni.
-
-Allettavansi i medici con privilegi, esentarli da taglie, provvederli
-d’uno o due cavalli; e Ugo di Lucca s’obbligò servire gratuitamente
-a quei del contado bolognese nelle malattie ordinarie; ma per ferita
-grave, osso rotto o slogato, possa da gente mezzana esigere un carro di
-legna, dai ricchi soldi venti e un carro di fieno, nulla dai poveri;
-accompagni l’esercito in campo, ed in compenso tocchi lire seicento
-bolognesi. Fu dei primi a curar le ferite con solo vino[330], e seguì i
-suoi concittadini in Terrasanta nel 1218.
-
-Quell’abitare a troppi insieme, il vestire di lana, i pellegrinaggi,
-le nessune cautele sanitarie, agevolavano la propagazione de’ mali, e
-la peste può dirsi non cessasse mai; ne’ tempi più infetti vedeansi a
-folla trarre i pellegrini a perdonanze e giubilei; e tardi si pensò
-a contumacie ed altri provvedimenti contro il contagio; nel che il
-Comune di Milano diede forse il primo esempio. Dal Levante vennero
-pure malattie nuove, di cui la più durevole e funesta fu il vajuolo,
-che sembra arrivasse cogli Arabi al primo loro sbucare dalla penisola
-natìa. Coi Crociati credesi qui venuto il fuoco sacro, a curare il
-quale si dedicarono i frati di Sant’Antonio. Anche il ballo di san Vito
-comparve dopo il Mille, come nella Puglia la tarantella. Più spesso
-la lebbra serpeggiò sotto forme orride e schifose: prurito alle mani,
-atroci spasimi interni; poi la pelle facevasi squamosa, e chiazzata di
-macchie livide, rosse e fin nere, infine scabra quasi scorza d’alberi;
-allora si copriva d’ulceri rossastre e tumori cancerosi; dita, mani,
-piedi tumefacevansi sformatamente; le carni cadeano a brani, restandone
-miserabilmente segnata la via dove molti fossero passati: il viso
-prendeva un ringhio ributtante, i peli cadeano, rauca la voce; il male
-invadeva il tessuto mucoso, membrane, glandule, muscoli, cartilagini,
-ossa: fiera melanconia occupava l’infermo, che vedeva a passi
-lentissimi avvicinarsi l’inevitabile risolvimento del morbo.
-
-Sotto i Longobardi i lebbrosi cacciavansi di città, e non poteano
-vendere od alienare i proprj averi, affiggendovi l’idea d’un
-particolare castigo di Dio, secondo qualche passo della Bibbia,
-della quale vi si applicarono le precauzioni. Gli statuti d’ogni
-Comune provvedono sullo scoprirli ed isolarli: la Chiesa stessa, che
-parea maledirli, veniva a disacerbare le miserie, e a volgerle in
-espiazione colle cerimonie miste di tristezza e di speranza, onde li
-staccava dalla società. Celebrato in presenza dell’infermo l’uffizio
-da morto, esortava ad essere buon cristiano e confidare nella carità
-dei fratelli, da cui corporalmente era sequestrato; gli si vietava
-d’accostarsi all’abitazione dei viventi, di lavarsi in rivo o in
-fontana, d’andare per istrade anguste, di toccar bambini o la fune dei
-pozzi, nè bevere che dalla sua scodella; poi benedetti gli utensili
-che doveano servirgli nella solitudine, fattagli limosina da ciascun
-assistente, il clero accompagnato dai fedeli lo conduceva alla
-capanna destinatagli, davanti a cui piantata una croce di legno, vi
-sospendeva un bossolo per ricevere la limosina de’ passeggeri. Un abito
-particolare distingueva quell’infelice, e guanti e certi battagliuoli
-ch’e’ dovea sonare invece di parlare. A Pasqua poteva uscire
-dall’anticipato sepolcro, e per alcuni giorni entrar nella città o
-nei villaggi, partecipe all’universale esultanza della cristianità. Le
-mogli poteano seguirli, e procacciare le consolazioni della famiglia.
-Quelle poi della carità erano pari al male: il concilio Lateranese III,
-disapprovando il rigore con cui alcuno li trattava, dichiarò la Chiesa
-esser madre comune dei Fedeli; i lebbrosi poter essere più meritevoli
-che i sani; perciò si facesser loro e chiesa e cimitero distinti, e un
-prete a cura delle loro anime, e dispensati dal dare la decima degli
-orti e del bestiame. A loro pro moltiplicavansi i lazzaretti, così
-denominati (ed essi lazzari) dal povero del vangelo. L’arcivescovo di
-Milano alla domenica delle palme, andando in processione a San Lorenzo,
-al Carrobbio lavava e vestiva di nuovo un lebbroso; per ispeciale loro
-sollievo fu istituito l’ordine di san Lazzaro, il cui granmaestro
-doveva essere lebbroso, acciocchè meglio sapesse consolare mali che
-avea provati: stupendo sforzo della cavalleria cristiana il nobilitare
-in certo modo la più stomachevole delle malattie.
-
-Caterina da Siena curando e sepellendo una lebbrosa, ne contrasse
-l’infermità; ma di subito le mani sue divennero bianche e liscie come
-d’un bambino. Francesco d’Assisi, trovatone uno in val di Spoleto,
-l’abbracciò e baciò nella bocca cancerosa, e così l’ebbe guarito:
-vedendone un altro nel piano d’Assisi, s’accostò a fargli limosina; e
-ad un tratto più nol vide, sicchè restò persuaso fosse nostro Signore,
-che spesso assumeva quella schifosa sembianza per mettere a prova
-la carità. E però Francesco raccomandava a’ suoi frati i lebbrosi,
-e congedava i novizj che non sapessero sostenerne la cura. Uno che
-per l’impazienza e per le bestemmie era insoffribile a’ frati, tolse
-Francesco a curarlo egli stesso, e l’imbonì, e lavò, e «dove toccava
-il santo colle sue mani, si partiva la lebbra dall’infermo, e rimaneva
-la sua carne perfettamente sana; sì che mentre il corpo si mondava
-di fuori dalla lebbra, l’anima si mondava dal peccato dentro per la
-contrizione». Dopo rigorose penitenze il lebbroso morì, e comparve
-a Francesco e gli disse: — Mi riconosci tu? io son quel lebbroso che
-fu sanato da Cristo per li tuoi meriti, e oggi me ne vado alla gloria
-eterna; di che rendo grazie a Dio e a te, perocchè per te molte anime
-si salveranno quaggiù»[331].
-
-Nelle spedizioni in Asia i nostri poterono profittare della sperienza
-degli Arabi, e di fatto allora si conobbero la cassia e la senna:
-la teriaca, polifarmaco fondamentale del medioevo, fu da Antiochia
-portata a Venezia, che lungamente ne custodì il secreto. Ruggero
-di Parma raccomandò la spugna marina per le scrofole, ed eccellenti
-pratiche chirurgiche. Rolando di Parma stese un trattato di chirurgia,
-commentato poi da quattro Salernitani. Guglielmo da Saliceto
-piacentino, uno de’ migliori di quell’età e abbastanza indipendente,
-stese con qualche esattezza un’anatomia compendiosa, precedette Willis
-nel distinguere i nervi addetti alla volontà o no, e descrive fin
-d’allora la sifilide.
-
-Lanfranco di Milano, spatriato quando più non potè opporsi a Matteo
-Visconti, rizzò cattedra a Parigi (1295), e trasse tanti ascoltatori,
-che celeberrima divenne la scuola dei chirurghi secolari. Sebbene
-il chirurgo si tenesse molto inferiore ai medici, che perciò non
-si sarebbero prestati alle operazioni, preferendo usare farmachi,
-Lanfranco operò spesso, ed è lodevole quel suo dare l’anatomia
-dell’organo di cui descrive le lesioni.
-
-Teodorico vescovo di Bitonto osservò da sè, e sostituì le fasciature
-di tela ai grandi apparecchi di legno nella frattura di ossa. Taddeo
-d’Alderotto fiorentino, filosoficamente illustrando Ippocrate e Galeno,
-acquistò tanta reputazione nella sua scienza quanto Accursio nella
-legale: eppure delira qualvolta pretende rivelare i segreti delle
-arti, nascosti sotto il gergo degli autori. Chiamato ad assistere il
-nobile Gherardo Rangone (1285), volle che, per istromento rogato, i
-tre procuratori di quello il garantissero d’ogni danno in viaggio,
-e che lo ricondurrebbero in Bologna indenne della persona e della
-borsa, non molestato da ladri o da nemici, non fermato contro voglia
-a Modena; in caso contrario, gli si pagherebbero lire mille imperiali
-per ciascuno degli articoli violati; essi poi gli restituiranno tremila
-lire bolognesi, che confessano aver ricevuto in deposito: finzione che
-vela una remunerazione esorbitante[332]. Al papa domandò cento ducati
-d’oro il giorno, perchè più ricco degli altri, i quali gliene davano
-cinquanta; onde, finita la cura, ne toccò diecimila. Bartolomeo da
-Varignana dal marchese d’Este ebbe per una cura ducensessanta fiorini
-d’oro.
-
-Simon di Cordo genovese, medico di Nicolò IV, nella _Clavis
-sanationis_, dizionario de’ medicamenti semplici, cercò sbrogliare la
-varietà di nomenclatura. Viaggiò trent’anni per scientifico intento
-la Grecia e l’Oriente, ma invece di determinare i corpi secondo la
-natura loro, si stava a qualità medicinali, e non desunte da sperienza
-ma da supposte doti elementari. E appunto i progressi delle scienze
-naturali erano impacciati dall’empirismo superstizioso, dalla cieca
-venerazione per l’autorità, e dal farnetico di sostituire la dialettica
-allo sperimento, aggomitolando interminabili argomentazioni sopra
-oziosissime ricerche. Per esempio, chiedevasi se la tal bevanda possa
-guarire la febbre, e rispondeasi di no, perchè quella è una sostanza e
-questa un accidente, nè quindi l’uno può sull’altro. Poco si studiava
-l’anatomia: le operazioni non si eseguivano senza consultare le
-stelle, supponendo intimo nesso fra il corpo umano e l’universo, e
-principalmente i pianeti: e le scienze sperimentali cedevano il primo
-posto alle occulte.
-
-Oggetto di queste era conoscere l’avvenire, scoprir tesori, trasmutare
-i metalli, fare amuleti e incantagioni, e comporre il rimedio
-universale e l’elisir dell’immortalità: a scopi così elevati qual
-fatica aveva a parere soverchia? Sull’avvenire cavavansi presagi da
-segni fortuiti, dalle linee della mano, dalle stelle, dai sogni, della
-cui divinazione come dubitare dopo quel che Ippocrate n’aveva scritto?
-e indovinavasi in fatti alcuna volta, perchè è difficile non riuscirvi
-quando si dice un po’ di tutto e vagamente.
-
-L’astrologia, pazza figlia di savia madre, si trova all’infanzia
-come alla decrepitezza della società, fra i dotti Romani come fra
-semplici Oceanici. L’uomo è centro e scopo della creazione, onde a
-lui si riferisce ogni cosa; e se (com’è certo) il sole e le altre
-stelle influiscono sulle stagioni, sulla vegetazione, sugli animali,
-quanto più non devono sull’uomo, prediletta fra le creature? Le storie
-(dicono gli astrologi) e il consenso de’ filosofi antichi s’accordano
-nel riconoscere un’analogia fra gli anni della vita e i gradi percorsi
-da ciascun segno sull’eclittica. Per iscoprirla, vuolsi accertare
-l’effetto degli astri sopra le varie cose naturali, e i computi de’
-moti, e certe formole arcane, mediante le quali o crescere le forze
-della natura, o determinare l’influsso dei pianeti, massime all’istante
-natalizio, od evocare gli spiriti e i morti. Il sapiente che conosca
-le occulte proprietà delle cose, non solo indovinerà l’avvenire,
-ma opererà su di esso, eccitando odio od amore, scoprendo i secreti
-divisamenti, i tesori occulti, i rimedj ai mali, e fin il supremo della
-scienza, l’arte di far oro.
-
-I fenomeni della natura sono invigoriti dai numeri, attesochè secondo
-questi è disposto l’universo, e possedono arcana efficacia. Di qui la
-cabala, che da combinazione di numeri credea divinar le cose arcane, ed
-acquistare autorità sopra gli spiriti: e ogni astrologo ed alchimista
-si millantava di qualche demone famigliare obbediente a’ suoi cenni.
-Così intralciavansi fra sè gli errori, dalla pagana superstizione
-tramandatici attraverso alle scuole neoplatoniche e al gnosticismo.
-
-Fu l’astrologia onorata di cattedre, e l’università di Bologna
-ne decretava un professore _tamquam necessarissimum_, e principi
-e repubbliche ne teneano uno da consultare ne’ più gravi casi.
-Ezelino, Buoso da Dovara, Uberto Pelavicino, tiranni formidabili,
-tremavano davanti alle potenze incognite, e i calcoli della prudenza
-e dell’ambizione sottoponevano alla decisione degli astri e dei loro
-interpreti; e nella Vaticana si conservano le risposte che ai loro
-consulti dava Gherardo da Sabbionetta cremonese. Federico II voleasi
-attorno il fior degli astrologi, a senno loro mutando divisamenti[333];
-e quando nel 1239 udì la ribellione di Treviso, fece dalla torre
-di Padova osservare l’ascendente da maestro Teodoro; ma non avvertì
-(riflette Rolandino) che allora nella terza casa stava lo scorpione,
-il quale avendo il veleno nella coda, indicava che l’esercito sarebbe
-offeso verso il fine. Stando in Vicenza, volle che un astrologo
-gl’indovinasse per qual porta uscirebbe il domani; e quegli la
-scrisse in un polizzino, che suggellato consegnò a Federico perchè non
-l’aprisse se non uscito. L’imperatore fece una breccia nella mura, e
-per quella se n’andò; allora, aperto il foglietto, trovò scritto: _Per
-porta nuova_.
-
-Il suddetto Gherardo andò a Toledo per leggere l’_Almagesto_ di
-Tolomeo, e lo voltò in latino, come il trattato de’ crepuscoli
-di Al-Gazen e altre opere; inventò lo specillo, e la sua _Theoria
-planetarum_ leggevasi nelle università[334]. Andalon Di Negro genovese,
-arricchitosi di cognizioni nei viaggi, ci lasciò un trattato latino
-della composizione dell’astrolabio.
-
-Guido Bonatto da Forlì diede la quintessenza di quanto gli Arabi
-n’aveano scritto[335], e coll’ajuto di Dio e di san Valeriano, patrono
-della sua patria, discorre l’utilità dell’astrologia, la natura de’
-pianeti e loro congiunzioni ed influenze, i giudizj che se ne deducono,
-e varie questioni che si possono risolvere con questa scienza. Mirabile
-nella pratica di quest’impostura, a Federico II scoperse una congiura
-ordita a Grosseto; fabbricò una statua che rispondeva oracoli; dirigeva
-ogni operazione di Guido da Montefeltro; e allorchè questi uscisse
-a campo, il Bonatto saliva sul campanile di San Mercuriale, e con un
-tocco della squilla accennava il momento di vestir l’armadura, con un
-altro quel di montare a cavallo, col terzo la marciata. Pretendeva che
-Gesù Cristo medesimo si valesse dell’astrologia, e imbizzarrisse contro
-i _tunicati_ che si opponevano alle sue predizioni.
-
-Pietro d’Abano, educato a Costantinopoli (1316), fu sì fortunato da
-cogliere la postura degli astri, designata da Abul-Nasar come quella in
-cui Dio non può rifiutare domanda che gli sia fatta: e ne profittò per
-chiedere la sapienza, e subito restò illuminato a conoscere l’avvenire.
-Moltissime fole si accumularono sul conto di lui; delle sette arti
-liberali acquistò cognizione per mezzo di sette spiriti; avea facoltà
-di far tornare i denari dopo spesi; non avendo pozzo in casa, fe
-portarsi quel del vicino che gliene negava l’uso, o, come altri
-disse, fe portare in istrada il proprio onde non essere disturbato
-dagli accorrenti. In realtà nel suo _Conciliator differentiarum_,
-un de’ migliori libri medici d’allora, insegna il salasso non esser
-mai sì opportuno come nel primo quarto della luna; che per guarire i
-dolori nefritici bisogna, al momento che il sole passa pel meridiano,
-disegnare con cuore di leone sopra una lastra d’oro una figura di
-quest’animale, e appenderla al collo del malato; che per cauterizzare
-valgono meglio stromenti d’oro che di ferro, attesa la grande influenza
-di Marte sulla chirurgia.
-
-Fu professore a Padova ed a Parigi, ove lo accusarono di magia per
-cure mediche ben riuscitegli; poi d’eresia a Roma, ma per autorità
-pontifizia andò assolto. Riferì al corso degli astri i periodi delle
-febbri; il pubblico palazzo di Padova fece dipingere a costellazioni;
-e dell’astrologia era persuaso a tal punto, che procurò indurre
-i Padovani a spianar la loro città per rifabbricarla sotto una
-combinazione di pianeti allora comparsa, tanto fortunata che niuna
-più. Forse queste son ciancie di Pier da Reggio, che, vinto da lui in
-dottrina, tentò perderlo nell’opinione; onde con accuse contraddittorie
-Pietro d’Abano fu imputato da una parte di non credere al diavolo,
-dall’altra di tenerne sette in un’ampolla ad ogni suo cenno; per le
-quali accuse e per altre più serie l’Inquisizione lo processò. Venuto
-a morte, disse agli amici: — A tre nobili scienze io ho dato opera,
-delle quali una m’ha fatto sottile, una ricco, la terza menzognero;
-filosofia, medicina, astrologia». Nel testamento si protesta buon
-cattolico, e aveva implorato d’essere sepolto ne’ Domenicani; ma
-l’Inquisizione gli continuò il processo, e ne turbò le ossa. L’illustre
-medico Gentile da Foligno, entrando nella scuola di lui, s’inginocchiò,
-e levate le mani sclamò: — Ave, santo tempio»; poi, visti alcuni suoi
-manoscritti, se li pose sul seno e li baciava con riverenza[336].
-
-Sebbene la Chiesa vi si opponesse, vescovi e prelati non rimasero
-incontaminati da queste follie, che durarono ben oltre i tempi che
-descriviamo. Conseguente a tali falsità fu il ripigliare le classiche
-credenze in folletti, spettri, fantasmi, vampiri; credenze fatte
-energiche come i tempi, e che acquistarono maggior fede allorchè si
-videro perseguitate con regolari processi: l’immaginativa fingeva
-avvenimenti ch’essa medesima credea poi veri; e uomini di bollente
-fantasia si isolavano, dispettando il mondo reale per uno fantastico, e
-mescolando l’impostura, l’allucinamento e il fanatismo. La legislazione
-dovette intervenire a reprimere gente che destava le procelle, mutava
-le forme de’ corpi e degli uomini, produceva malattie; e gli assurdi
-processi traviarono gran tempo la giustizia, siccome avremo a deplorare
-nel secolo che chiamano d’oro.
-
-Non alle vite, ma alle sostanze recò danni la ricerca del come
-improvvisamente arricchire. A ciò due strade offerivano le scienze
-occulte; trovare tesori, e tramutare i metalli. Intorno ai tesori,
-stupendi fatti raccontano le cronache, e gli assegnano perfino ad
-Alberto Magno e a papa Silvestro II[337]. In Apulia era una statua di
-marmo con una corona d’oro iscritta: _A calen di maggio, sole nascente,
-ho il capo d’oro_. Nessuno intese il motto, sinchè Roberto Guiscardo
-ne strappò il secreto ad un prigioniero saracino; e fissato ove cadeva
-l’ombra della testa al primo maggio, trovò tesoro.
-
-La chimica degli antichi teneva che i corpi risultino dalla
-combinazione de’ quattro elementi, e che l’armonia di questi produca
-la perfezione nei corpi. Chi dunque scopra le migliori combinazioni,
-potrà non solo ridonar la sanità e prolungare indefinitamente la vita,
-ma anche trasformare corpi e metalli. Sentimento sublime, comunque
-erroneo, della potenza dell’uomo e della perfettibilità di tutto il
-creato. E poichè l’uomo vede nell’oro il rappresentante universale dei
-godimenti, la scienza s’industriò in ispecial modo a tramutare in esso
-lo stagno e il mercurio, mediante la _pietra filosofale_ e la _polvere
-di projezione_; e non riuscendovi coi mezzi semplici, ricorse allo
-spirito universale, all’anima generale del mondo, all’influsso delle
-stelle per raggiungere l’_opera grande_. Di qui la scienza arcana e
-tenebrosa dell’alchimia, che tanti spiriti occupò.
-
-Le sue ricette erano positive: se non che spiegavasi l’arcano
-con termini non meno arcani. Volete, intonavano, fare l’elisir
-de’ sapienti? prendete il mercurio dei filosofi, trasformatelo
-successivamente colla calcinazione in leon verde e leon rosso, fatelo
-digerire in bagno di sabbia con spirto acre di vite, e distillate il
-prodotto; ma il lambicco sia coperto dalle ombre cimerie, e al fondo si
-troverà un drago nero che mangia la propria coda... Inoltre la scienza
-ermetica ajutavasi della verga di Mosè, del sasso di Sisifo, del vello
-di Giasone, del vaso di Pandora, del femore aureo di Pitagora; se nulla
-profittassero, ricorrevasi al diavolo barbuto, specialmente incaricato
-di tali ministeri.
-
-A questo delirio di classica origine[338], continuato ancora secoli
-e secoli, alcuni si prestavano di buona fede; e la testimonianza
-altrui o le apparenze illusorie li persuasero potersi trovare questa
-polvere di projezione: onde vi si affaticarono con passione, faceano
-lunghi viaggi massime al Sinai, all’Oreb, all’Atos. Più spesso era
-un lacciuolo ai creduli, per trarne l’oro necessario a far oro; ma a
-Giovanni Augurello, che gli presentò un poema sull’arte di far l’oro
-(_Crisopeia_), papa Leone X diè per unico regalo una borsa vuota, nella
-quale potesse riporlo.
-
-Facile è il deridere le ignoranze o stranezze de’ nostri maggiori,
-massime a chi perda di vista quelle che in noi derideranno i nostri
-nipoti. La scienza seria anche in questi traviamenti indaga i
-progressi dell’intelletto e della società, e riconosce nell’errore un
-aspetto fallace della verità, ma nuovo e progressivo. Il disputare
-nelle università al cospetto di tutto il mondo erudito d’allora, e
-fra una gioventù che vivamente parteggiava, conduceva a ricorrere a
-sottigliezze, quando la pessima sventura per un dottore sarebbe stata
-il rimanere accalappiato in un’argomentazione da cui non sapesse
-strigarsi: onde i dibattimenti diventavano non uno sforzo verso la
-verità, ma un’arena di capiglie; e la filosofia, come già la teologia,
-ebbe martiri ostinati d’indicifrabili enigmi. Pure se sbriciolavasi
-il pensiero, veniva anche analizzato; acuivasi il raziocinio, che
-dell’errore e della verità è veicolo, non mai causa; in quella
-ginnastica gl’intelletti si foggiavano allo stretto ragionamento,
-all’ordine ed all’economia delle idee, alla costanza del metodo, e si
-poterono svolgere i concetti morali e metafisici di cui la Scolastica
-avea posto i germi, conservandone il fondo, cangiando la forma. Della
-Scolastica è merito l’andamento analitico delle moderne favelle, che
-per la stretta relazione delle parole colle cose svelano il logico
-procedere della ragione odierna, dovuto a quella comunque malaccorta
-educazione. L’astrologia e l’alchimia portarono a meditare sopra il
-sistema del mondo e la composizione dei corpi.
-
-Nè le matematiche, la parte più rilevante dello scibile dopo la lingua,
-erano perite, e basterebbero ad attestarlo i progressi della meccanica
-e dell’architettura. Resta nella cattedrale di Firenze un calendario
-scritto nell’813, con bellissime traccie d’osservazioni celesti, per le
-quali l’autore si era accorto dello spostamento de’ punti equinoziali
-dopo il concilio Niceno I, stando al computo giuliano. D’un geografo
-di Ravenna abbiamo una rozza descrizione del mondo, cui può servire di
-schiarimento una mappa del 787 che sta nella biblioteca di Torino in un
-commento manoscritto dell’Apocalisse. La geografia dovea vantaggiarsi
-dai tanti viaggi di devozione, per guida dei quali stendevansi
-itinerarj; ma come scienza ben poco progredì.
-
-San Tommaso intendeva addentro nelle matematiche, e scrisse degli
-acquedotti e delle macchine idrauliche. Campano novarese commentò
-Euclide, studiò alla quadratura del circolo e alla teorica de’ pianeti,
-e indicò la genesi de’ poligoni stellati: Urbano IV lo teneva frequente
-alla sua tavola con altri, da cui godeva sentire spiegate le quistioni
-che proponesse. Paolo Dagomeri da Prato, detto l’Abbaco per la sua
-perizia nell’aritmetica e nella geometria, rappresentava in macchine
-tutti i moti degli astri: fu il primo a pubblicare un almanacco.
-Biagio Pelacani da Parma spiegò le apparenze prodigiose dell’atmosfera
-mediante la riflessione delle nubi.
-
-Di que’ tempi, e merito degli Italiani fu una comodissima novità.
-Mentre gli antichi, siano i classici, siano gli Ebrei e gli Arabi,
-notavano i numeri con lettere, gl’Indiani possedevano una numerazione
-più ragionata, ove le cifre, oltre il proprio, hanno un valore di
-posizione, sicchè trasportate al penultimo posto esprimono le decine,
-al terz’ultimo le centinaja, e così via: da essi l’appresero gli Arabi,
-e alcun Europeo se ne valse in opere scientifiche. Leonardo Fibonacci
-di Pisa, stando impiegato nelle dogane a Bugia di Barberia, cercò
-quanto d’aritmetica sapeasi in Egitto, in Grecia, in Siria, in Sicilia,
-e in un trattato d’aritmetica e d’algebra del 1202 si valse di queste
-ch’egli chiama cifre indiane. Gloria sua più certa è l’avere primo
-fra i Cristiani trattato dell’algebra, e in modo tale che tre secoli
-di concordi fatiche non aggiunsero un punto a quel ch’egli insegnò.
-L’applica esso a problemi mercantili, senza un cenno delle operazioni
-magiche, dietro cui deliravano anche i più valenti. Così un negoziante
-fiorentino recò all’Europa e il calcolo de’ valori e quello delle
-funzioni.
-
-Altra invenzione importantissima di quel tempo sarebbero le note
-musicali, che si attribuiscono a Guido d’Arezzo monaco benedettino (n.
-955); ma in che consista il merito di lui, non è ben certo. Imperocchè
-i righi e i punti già erano conosciuti; non fu lui che introducesse
-la gamma per imparare il solfeggio; non lui che estese la scala
-aggiungendo cinque corde alle quindici degli antichi. La tradizione
-dice soltanto ch’egli trovò note, onde in brevissim’ora imparavasi
-la musica, che dapprima richiedeva molti anni; e che Benedetto VIII,
-invitatolo a Roma per farne prova, se ne chiamò soddisfatto. La sua
-scala è la stessa de’ Greci, solo estesa alquanto aggiungendovi un
-tetracordo nell’accordo e una corda nel grave[339]; e alcun vuole
-che allora alle lettere gregoriane si sostituissero punti quadrati o
-rotondi sopra righi paralleli e negli intervalli, sicchè le relazioni
-armoniche de’ toni divennero quasi sensibili alla vista, e la facilità
-del notarle con punti sopra punti (contrappunto) ne rese agevole
-l’esecuzione.
-
-Sant’Ambrogio e Gregorio Magno aveano redenta la musica dalle pagane
-profanità e dall’elemento mondano, secondo il quale proponeasi
-unicamente d’esprimere la durata delle sensazioni, e imitare i
-movimenti delle impressioni prodotte dalla passione e dal sentimento;
-abolito il ritmo, sicchè il canto non fosse più capace di esprimere
-i sentimenti e le passioni, ma restasse affatto spirituale; atteso
-che, essendo le note tutte di durata eguale, meglio esprimevano,
-nel vestire le parole sante, l’inalterabile calma dell’onnipotenza.
-Però si conservarono i modi antichi, che erano toni esprimenti la
-differenza dal grave all’acuto fra i varj punti di partenza dei sistemi
-di successione. Ambrogio aveva unito i due tetracordi per formare
-la scala; e scelto fra i modi greci i quattro che più acconci gli
-parvero alla maestà del canto e all’estensione della voce, sbandì
-gli ornamenti introdotti nella melopea, e gran numero di ritmi:
-insigne semplificazione e barriera alle novità corruttrici, perchè
-anche la musica colla purezza semplice e maestosa ritraesse la severa
-austerità del culto. Gregorio, sull’orme d’Ambrogio, e schivandone
-gl’inconvenienti, aggiunse quattro nuovi modi, ond’evitare la
-monotonia.
-
-Restava che la musica cristiana conquistasse l’armonia, ignota ai
-Greci; e mentre in questi le regole non miravano che a stabilire
-successioni, ora doveasi introdurre la simultaneità dei suoni. Malgrado
-gli ostacoli dell’abitudine e della venerazione verso gli antichi, si
-poterono fare intendere due voci a un tratto: ma quando si cominciasse
-non si sa. Guido d’Arezzo non diede nuove regole all’arte, ma mostra
-evidente che già allora conoscevasi la difonia, quantunque ignoriamo a
-quali regole formata.
-
-
-
-
-CAPITOLO XCI.
-
-Federico II. Seconda guerra dell’investitura.
-
-
-Nel concilio Lateranense IV, aperto l’11 novembre 1215, l’autorità
-pontifizia apparve nella maggior sua magnificenza. I due imperatori
-d’Oriente e d’Occidente, i re di Cipro, di Gerusalemme, di Sicilia, di
-Francia, d’Inghilterra, d’Aragona, d’Ungheria mandaronvi ambasciadori;
-i patriarchi d’Antiochia e di Gerusalemme v’assistettero in persona, e
-per rappresentanti quei di Costantinopoli e d’Alessandria; settantuno
-arcivescovi, quattrocendodici vescovi, e più di ottocento abati e
-priori; e tale affluenza di popolo, che alcuni prelati non poterono
-penetrare nella basilica, e il vescovo d’Amalfi restò soffocato.
-In mezzo a un circolo di cardinali ornati in maestosa semplicità,
-compariva il pontefice, che aveva veduto Costantinopoli rimessa alla
-sua obbedienza; era uscito trionfante dalla guerra degli Albigesi e
-dalla lotta con Ottone imperatore e col re d’Inghilterra, che gli fe
-omaggio della sua corona; all’ombra di lui, quest’isola aveva ottenuto
-la _Magna Charta_ salvaguardia di sua libertà, le città toscane formato
-una confederazione, e le lombarde rinnovato l’antica; gli Spagnuoli nel
-piano di Tolosa riportata insigne vittoria che li francheggiava omai
-dall’araba servitù; da lui il re d’Aragona domandò la corona; quel di
-Bulgaria gli sottomise la sua; sulla Sicilia avea sodato la supremazia
-della santa Sede, dopo averla rinfrancata in Roma; in due Ordini,
-baliosi di gioventù, erasi creata una milizia stabile, disposta ad ogni
-suo comando. Ed ora al mondo intero, pendente dalle sue infallibili
-decisioni, dettava i canoni della credenza e le regole della disciplina
-ecclesiastica e civile: vietato l’affidare funzioni pubbliche a
-Musulmani o Ebrei, o il vendere armi agli Infedeli; frenata l’usura,
-proscritti i Patarini, e per distinguersi da questi dovessero i
-Cattolici almeno una volta l’anno comunicarsi alla propria parrocchia;
-confermata la dottrina di Pier Lombardo intorno alla Trinità,
-riprovando quel che n’avea scritto «il calabrese abate Gioacchino»,
-scrittore mistico, rinomato per predizioni; ordinata pace generale per
-quattro anni.
-
-Vicario della divinità in terra pel governo temporale e per lo
-spirituale, il pontefice avea dunque portate ad effetto le massime che
-le Decretali avevano sancite, proclamando la potenza ecclesiastica
-essere il sole, da cui, a guisa di luna, la imperiale traeva il suo
-splendore[340]. Spiegando le relazioni del potere temporale collo
-spirituale, Innocenzo III scriveva[341]: — Il Signore non solo per
-costituire l’ordine spirituale, ma anche perchè una certa uniformità
-fra la creazione e il corso degli avvenimenti l’annunzii autore di
-tutte le cose, stabilì armonia fra cielo e terra, in modo che la
-meravigliosa consonanza del piccolo col grande, del basso coll’alto, ce
-lo riveli per unico e supremo creatore. Come stampò due grandi luminari
-sulla volta celeste, così affisse al firmamento della Chiesa due
-supreme dignità, una che splenda il giorno, cioè illumini gl’intelletti
-sopra le cose spirituali, e franchi dalle catene le anime tenute
-nell’errore; l’altra che schiari le notti, cioè gli eretici indurati
-e i nemici della fede, e impugni la spada per castigo de’ reprobi
-e gloria dei fedeli. E come, offuscando la luna, buja notte involge
-le cose; così, quando mancasi d’imperatore, prorompe la rabbia degli
-eretici e dei pagani».
-
-Pretendenze non meno assolute sillogizzavano i giuristi, attribuendo
-agli imperatori un potere senza limiti, quale avea formato la possa e
-l’obbrobrio di Roma antica; e con argomento di pari calibro nelle nuove
-università insegnando il _sacro impero_ elevarsi sopra ogni mondana
-cosa, l’imperatore portare in mano il globo a significare la padronanza
-sull’universo mondo.
-
-Arroganze sì opposte doveano rinnovare il conflitto tra il pastorale
-e lo scettro. Cominciato da Gregorio VII, erasi sopito con un
-accordo, ove l’imperatore crebbe di vantaggi, il papa d’opinione. Dopo
-ottant’anni si ridestò più palese e meglio determinato, non trattandosi
-più d’una formalità feudale, ma se la Chiesa dovesse star sottoposta
-all’Impero. Anche i lottanti erano ben differenti: l’inflessibile
-Gregorio più non viveva, e al posto d’un Enrico IV, principe
-scapestrato e inviso, stavano i principi di Svevia, nobili, generosi,
-cortesi, fautori delle lettere, cinti da signori tedeschi, che fedeli
-al re e alla donna di lui, lo seguivano del pari al torneo od alle
-spedizioni oltre l’alpi e il mare.
-
-Federico II, rampollo ghibellino allevato dal papa e da lui sostenuto
-contro il guelfo Ottone, sicchè per ischerno veniva detto il re dei
-preti, mostrò deferenza e rispetto a Innocenzo III finchè n’ebbe
-bisogno: esortò il senato romano ad obbedirgli; nella dieta di Egra
-solennemente professò, pei tanti favori avuti dalla romana Chiesa,
-le sarebbe sempre rispettoso e sommesso; le confermava le concessioni
-fatte da Ottone; l’aiuterebbe a conservare i dominj, e nominatamente
-la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e a recuperare i disputati,
-come l’eredità della contessa Matilde; — Appena consacrati a Roma
-(soggiungeva) emanciperemo nostro figlio Enrico, cedendogli il regno
-nostro ereditario di Sicilia, sicchè il tenga come il teniam noi dalla
-santa Sede; e noi rinunzieremo al titolo regio e al governo di quel
-paese, di modo che mai non possa essere unito all’Impero»[342].
-
-Oggi chiameremmo ciò politica; allora parve ipocrisia: giacchè al
-tempo stesso ricusava far giustizia alle domande della Chiesa; pretese
-che Innocenzo gli avesse peggiorato il patrimonio, e perciò a Ricardo
-fratello di lui ritolse il contado di Sora, e spogliò altri che dal
-papa erano stati investiti; fece anche morire qualche vescovo per
-ribelle, e non rifiniva di lamentarsi che Roma raccogliesse chi a lui
-era sfavorevole; e soltanto la morte sottrasse Innocenzo dal vedere il
-suo pupillo morsicare il seno che l’aveva nodrito.
-
-Federico, gioviale, colto, amabile, atto a conciliarsi gli animi,
-quanto alienavali la rozzezza d’Ottone, rimase indisputato re di
-Germania allorchè questo morì pentito e ricreduto della guerra portata
-alla Chiesa, e facendosi flagellare dai servi per penitenza (1218).
-Propenso alle armi a somiglianza degli Svevi paterni, e a somiglianza
-dei materni Normanni destro nella politica e dissimulato, segnò con
-buoni provvedimenti i cinque anni che dimorò in Germania; poi si
-volse all’Italia, alla quale lo traevano la bellezza del cielo, le
-rimembranze di sua gioventù, la coltura degli abitanti, e il proposito
-di tornar vigoroso l’Impero. Raccontavasi che, ancor fanciullo, tra il
-sogno gridò: — Non posso, non posso»; e interrogato rispose parevagli
-di mangiare tutte le campane del mondo: ma ne abboccò una così grossa,
-che in verun modo non potea trangugiare. Vedemmo più volte il medio evo
-tradurre i fatti in cotali storielle.
-
-In Lombardia le città principali venivano allargando il dominio, non
-più soltanto sovra le terre circostanti, ma su città minori, inviandovi
-podestà ed esigendone tributi, per modo che l’infinito sminuzzamento
-riconosciuto dalla Lega Lombarda restringevasi attorno ad alcuni
-centri. Uno de’ principali era Milano, che moltiplicava guerre a
-Pavesi, Cremonesi, Parmigiani, Modenesi, e che caporione della parte
-guelfa, trovavasi però, come fautore di Ottone IV, scomunicata dal
-papa, divenuto patrono del discendente degli Svevi.
-
-Federico vide non riuscirebbe ad alcun pro fra tanto rimestìo; e
-differendo a miglior tempo il cingere la corona di ferro, scese verso
-il mezzodì. Il nuovo papa Onorio III dei Savelli era stato ricevuto
-dai Romani con tripudj (1216), quali niuno ricordava d’aver veduti;
-pochi mesi dopo dai Romani fu espulso, e costretto a ritirarsi a Rieti
-e a Viterbo. Mite pontefice in mezzo a due robusti, ai re insinuava
-continuo la mansuetudine sua stessa: istruito dal nunzio che lo
-scisma greco non potrebbe ricomporsi che col rigore, vietò d’usarne,
-non dovendosi tutelare la fede che coll’istruzione, la preghiera,
-il buon esempio e la pazienza. Da Federico, a cui nome era stato
-governatore di Palermo, aveva egli a ripetere tre promesse fatte al suo
-predecessore: di crociarsi, di restituire il retaggio della contessa
-Matilde, di rinunziare alla corona di Sicilia, sicchè non fosse unita
-all’Impero. Rinnovate queste promesse, Federico ottenne d’essere unto
-imperatore (1220 — 20 7bre); nel quale incontro derogò qualsifosse
-legge restrittiva delle libertà della Chiesa, ed ordinò severamente
-l’estirpazione delle eresie.
-
-Il retaggio della contessa Matilde nella realtà non era venuto nè
-all’impero nè al pontefice, avvegnachè i signori posti a governarlo
-s’erano poc’a poco scossi dalla dipendenza, intanto che molti Comuni
-colla forza, col denaro, colla persistenza redimeansi in libertà, fra’
-quali primeggiava Firenze.
-
-Quanto sia alla crociata, dopo la presa di Costantinopoli e la
-fondazione dell’impero latino, Innocenzo III non avea cessato
-di spingere alla liberazione del santo sepolcro, tanto più
-che allora andava attorno, essere giunto a sera il dominio di
-Maometto, simboleggiato nella bestia dell’Apocalisse, la quale non
-oltrepasserebbe i seicento anni. Genova vide in quel tempo capitare
-un nuvolo di fanciulli, che, assunta la croce, volevano passare alla
-liberazione di Gerusalemme: infelici! e per via perirono tutti, quali
-di fame e stenti, quali affogati ne’ fiumi, alcuni côlti da avidi
-speculatori per venderli schiavi. Innocenzo li compassionò, ma non
-rifiniva di farne raffaccio agli adulti, i quali vigorosi non sapeano
-compiere quel che aveano tentato fanciulli.
-
-Al suo intento veniva opportuno un campione che onorate prove avea
-dato di valore e fedeltà alla Chiesa, Giovanni di Brienne, francese
-lodatissimo in fatti di guerra, fratello di quel che vedemmo poc’anzi
-pretendere l’eredità di re Tancredi nella Puglia: ito in Palestina,
-avea preso per moglie Maria figlia di Corrado di Monferrato (1219),
-e per dote diritti al trono di Gerusalemme. Innocenzo lo riconobbe
-re di questa, e raccolti molti Crociati, proponevasi guidarli egli
-in persona, quando morì. Onorio III promise seguitare l’impresa, e
-ottenne che Ungheresi e Tedeschi passassero in Terrasanta su navi di
-Venezia e di Zara. All’assedio di Damiata il legato pontifizio a capo
-degli Italiani (1218) scalò primo le mura in buja notte, e la croce
-d’orifiamma, stendardo che conservasi a Brescia, vuolsi vi fosse allora
-piantata dal vescovo Alberto a capo di millecinquecento Bresciani,
-impresa per la quale ottenne il patriarcato di Antiochia. Poco poi
-Enrico di Settala, arcivescovo di Milano, condusse un rinforzo di suoi
-cittadini[343].
-
-Moadham sultano di Damasco, disperando tenere Gerusalemme, ne avea
-diroccato le mura, e pensava anche abbattere il santo sepolcro, quando
-la fortuna cangiò, e la crociata uscì alla peggio. Ne sbigottì tutta
-cristianità, e il papa imputava Federico, che, promesso ripetutamente
-di prendervi parte, sempre avesse mancato. Vennero poi in Italia
-i granmaestri de’ Templari, degli Spedalieri, dei Teutonici, il
-patriarca, e re Giovanni di Brienne, e si presentarono supplichevoli
-all’imperatore in Verona; il quale non solo mostrò ascoltarli, ma sposò
-Jolanda figlia ereditiera di re Giovanni, col che pareva assumere come
-cosa propria la difesa e il ricupero di Terrasanta. Allestì navi in
-Sicilia, impose taglie e accatti, mandava retoriche esortazioni agli
-altri principi; ma alla nuova stagione destinata alla partita egli
-trovò sotterfugi, domandò il titolo di re di Gerusalemme a scapito del
-suocero, mentre palesava nè voglia di assumere nè lealtà di seguire
-l’impresa.
-
-Più stavagli a cuore di sottomettere e regolare la sua Sicilia. Colà
-fumava ancora il sangue in cui Enrico VI avea tuffato i privilegi
-de’ baroni, e ne fermentava quel miscuglio di vecchio e di nuovo, di
-ribrame e di speranze, che turba ogni recente dominazione. Nei passati
-scompigli la giustizia era stata sovversa; la gerarchia d’impieghi
-stabilita da re Ruggero non serviva che a camuffare di legalità
-esazioni esuberanti; i feudi erano stati occupati a volontà, e ciascuno
-nel proprio arrogavasi la sovranità fino al diritto di sangue, e in
-tumultuosa indipendenza tutto era furto, assassinj, guerre.
-
-Volendo farsi perdonare la rivolta o venirgli in grazia, i baroni
-andarono fin a Roma incontro a Federico, offrendogli doni e duemila
-cavalli di Puglia; poi al suo arrivo gli prodigarono omaggi, e gli
-consegnarono i maggiori avversarj. Federico li carezza, ma di mezzo
-alle feste si fa cedere i diritti regali dall’abate di San Germano;
-a forza sottopone i conti di Celano e di Molise; imprigiona quelli
-d’Aquila, di Caserta, di Sanseverino, di Tricarico perchè non gli
-avevano dato tutte le truppe che doveano; fa radere le fortezze erette
-dopo un certo tempo; a Capua pianta un tribunale che riconosca i
-diritti de’ feudatarj, e incameri i feudi di cui mancasse il titolo.
-Per tal modo snervò la feudalità; e smantellate le rôcche baronali
-alla campagna, ne fabbricò di proprie nelle città più grosse, e castel
-Capuano in Napoli.
-
-Valendosi delle istituzioni normanne e dandovi maggior ordine, ebbe
-fitto l’animo costantemente a render robusta la regia autorità a spese
-dei privilegi e delle entrate de’ feudatarj; impedire si costituissero
-grandi Comuni, quali in Lombardia; fare che tra il popolo e il re non
-si frapponesse che la legge e i magistrati. Mentre non solo Italia ma
-tutta Europa era sbocconcellata in municipj e feudi, egli prevenne
-i tempi col volere stabilire lo Stato qual noi lo concepiamo, e
-quell’unità amministrativa che forma il vanto e forse il disastro
-de’ tempi nostri, in sè e ne’ suoi uffiziali accentrando il pubblico
-potere, tolto ai signori, ai vescovi, alle città. Seguendo la missione
-provvidenziale dei re nel feudalismo, elevò le condizioni infime, ai
-sudditi demaniali attribuendo maggiori privilegi che non ne avessero i
-feudali; gli uomini si stimassero affissi al terreno che teneano dai
-signori, e di più franche condizioni fossero giovati; le proprietà
-libere si crescessero; alleggerite o tolte le prestazioni di corpo
-stipulate per contratti: intenzioni superiori all’età.
-
-Per togliere il disaccordo venuto dagli avvicendati dominj,
-Federico dettò un codice, che abbracciava la legislazione feudale,
-l’ecclesiastica, la civile, oltre la politica ed amministrativa, e
-dov’erano pareggiati Normanni, Franchi, Greci e Latini. Lodando i
-Romani che colla legge regia trasferivano nel principe la facoltà
-legislativa, affinchè nel medesimo imperante si trovassero e l’origine
-della giustizia e il diritto di tutelarla, anch’egli avocò tutta la
-giurisdizione; e toltala ai baroni e prelati, proclamò (cosa insueta
-fra gli ordini feudali) i magistrati suoi proferirebbero su tutti i
-sudditi[344], neppure esclusi i feudatarj; e pel giudizio di fatto
-bastava la testimonianza di due pari, ovvero di quattro dell’ordine
-inferiore, cioè per un conte vi voleano due conti, o quattro baroni,
-od otto cavalieri, o sedici cittadini. La giurisdizione criminale
-rimarrebbe divisa dalla civile. Fa meraviglia di trovar già nelle
-sue _Costituzioni Augustali_ una gerarchia giudiziaria attaccata a un
-centro comune, fissate nettamente le competenze, sostituito il giudizio
-dei pari alla giustizia emanante dal monarca, conservato con dispiacere
-il duello giudiziario e ridotto a stretti confini; provveduti d’uffizio
-di campioni o d’avvocati gli orfani, i minori, le vedove, i poveri.
-I _bajuli_, scelti per titolo d’onoratezza più che di conoscenza di
-leggi, riscotevano le imposte, tassavano i viveri; e con un assessore
-giurisperito e nominato dal re, decideano dei delitti campestri e delle
-cause civili, poteano arrestare malfattori e sospetti per tradurli
-ai tribunali. Soprastavano come secondo grado i _camerarj_ per gli
-affari civili e fiscali. Poi i _giustizieri_ per le cause di polizia e
-criminali, con un notaro e un assessore stipendiati dal re, rendevano
-gratuita giustizia: duravano un anno, e doveano scegliersi stranieri
-alla provincia. Nessuna causa potea prolungarsi oltre due mesi; solo
-i giudici inferiori erano retribuiti dalle parti; gli avvocati non
-poteano pretendere più della sessantesima del valore contestato. Gli
-appelli da tutti i sudditi e le cause feudali recavansi ad una suprema
-Corte, composta di quattro giudici e del gran giustiziere, il quale
-una volta l’anno percorreva le provincie tenendo assise. Questa Corte
-vegliava anche sull’amministrazione della rendita, difendeva pupilli e
-vedove. In maggio e novembre si raccoglievano provinciali sindacature
-davanti ai prelati, conti, baroni, magistrati della provincia,
-ricevendo le querele portate contro gli impiegati.
-
-A una camera fiscale, detta Segrezia, spettava l’alta giurisdizione
-in cause di finanza, l’amministrare i beni vacanti o staggiti,
-l’intendenza sui palazzi e le ville regie, le fortezze, i
-fondi destinati alla flotta: sugli uffiziali di finanza e
-sull’amministrazione vigilavano procuratori, rivendicando i beni
-confiscati, affittando quelli della corona; e rendevano ragione delle
-entrate e spese a un’alta Camera de’ conti in Palermo. Una commissione
-esaminava i concorrenti alle cariche od a professioni universitarie.
-
-Il duello giudiziario mantenevasi soltanto pel caso di morte data da
-mano sconosciuta, e di lesa maestà; proibite le guerre private sotto
-pena della vita, le rappresaglie sotto pena dell’esiglio; fino il
-portare armi se non in guerra o in viaggio, multavasi con cinque once
-d’oro per un conte, quattro per un barone, tre per un cavaliero, due
-per un cittadino, una per un villano. Le figlie poteano succedere
-nei feudi: punito il barone che esigesse oltre il dovuto; agli
-ecclesiastici vietato il ricever doni e lasciti, e le funzioni di balio
-o giustiziere[345].
-
-Se tali provvedimenti palesano spiriti elevati, durezza traspira dalle
-pene: la galera, il taglio della mano prodigati; la forca a chi frauda
-le imposte, sia per astuzia o per miseria; città intere distrusse,
-inventò supplizj atroci, e nelle tradizioni e nei versi di Dante
-restarono famose le cappe di piombo che infocate metteva addosso ai
-ribelli: poi, per ingrazianirsi i baroni, con deplorabile debolezza li
-riabilitò ad usare la forza contro i vassalli.
-
-Ai parlamenti, istituzione antica, insieme co’ vescovi e coi baroni
-chiamò due _buoni uomini_ di ciascuna città e borgata[346], neppure
-eccettuando le terre sottomesse a’ feudatarj. Essi buoni uomini (da
-cui poi vennero i sindaci, quando il bisogno di sempre nuove imposte lo
-costrinse a mascherarle coll’assenso popolare) portavano richiami per
-le leggi che fossero violate dagli uffiziali, ed esponevano i bisogni
-dei loro mittenti: primo esempio al mondo d’una vera rappresentanza
-nazionale.
-
-In ogni luogo due giurati paesani doveano vigilare sopra gli artieri, i
-ritaglienti, le osterie, le monete, i giuochi zarosi. Napoli, Messina,
-Salerno e qualc’altra conservarono vestigia degli antichi istituti, ma
-sotto tutela. Del resto, adombrato dall’emancipazione dell’alta Italia,
-severamente proibì dappertutto di istituire Comuni indipendenti; e
-il nominar consoli, podestà o simili magistrati municipali costava
-la forca agli eletti, e il saccheggio al paese[347]. Fu sottilissimo
-trovatore di girandole finanziarie e di tasse per cavar denaro, massime
-sul commercio coi diritti di fondaco, di porto, d’imbarco, d’estrazione
-ed altri, e ridusse a monopolio il sale, il ferro, la pece, le pelli
-dorate; levò fin sei collette all’anno, cioè sussidj straordinarj non
-consentiti ma imposti, e fu volta che gli ecclesiastici pagarono fin
-la metà dei proventi. Volle anche limitare le usure col proibire ogni
-interesse maggiore del dieci per cento; ordine improvvido, che fu
-corretto al solito dalle frodi[348].
-
-Pier delle Vigne, nato poveramente a Capua, e invaghito degli studj,
-andò mendicando a Bologna, e quivi ammesso nell’università, primeggiò
-tanto che Federico sel tolse a segretario, poi lo alzò giudice,
-consigliero, pronotaro, governatore della Puglia, infine cancelliere
-e tutto. Bellissimo favellatore, arguto giureconsulto, le cure nol
-distolsero dalle lettere, e come il primo codice dell’Italia moderna,
-così dettò il primo sonetto: a’ consigli di lui va attribuita la
-protezione che alle dottrine concesse Federico, il quale anche
-l’insegnamento accentrò alla moderna, volendo unica scuola nel Regno
-l’università di Napoli; e i governatori doveano colà mandare tutti gli
-studenti, dove trovavansi allettati da privilegi, giudicati dai proprj
-maestri, buon trattamento e sicurezza ne’ viaggi, le migliori case e a
-tenue fitto; non mancherebbero mai di grano, vino, carni, pesci, e di
-chi prestasse denaro[349].
-
-Federico fece eseguire la prima versione di Aristotele dal testo greco;
-formò un serraglio d’animali forestieri; chiunque avesse merito,
-accoglieva alla sua Corte, ove si dirozzò il linguaggio italiano, e
-qualche poeta, imitando gli esempj de’ Tedeschi e Provenzali, avvezzò
-la musa sicula a nuovi concenti. Egli stesso «savio di scrittura e di
-senno naturale, universale in tutte le cose, seppe di lingua latina
-e vulgare, tedesca, francese, greca, saracena» (VILLANI); scrisse
-un libro sulla caccia a falcone; uno sopra la natura del cavallo
-dettò a Giordano Rufo suo scudiere. Del denaro cavato dai beni suoi
-e dal traffico che non isdegnava, facea larghezza agli amici e in
-fabbriche; e a lui sono dovuti i ponti sul Volturno[350], le torri di
-Montecassino, i castelli di Gaeta, di Capua, di Sant’Erasmo, la città
-di Monteleone ed altri forti e villaggi; di là dal Faro ristaurò Antea,
-Flegella, Eraclea, fondò le rôcche di Lilibeo, di Nicosia, di Girgenti:
-Napoli, abbellita e accresciuta di popolo e ricchezza come sede del
-sommo tribunale e dell’università, avviò a divenir capitale del regno.
-Ecco perchè egli v’è ancora nominato con popolare benevolenza.
-
-Tante belle qualità non seppe acconciare coi tempi, ai quali non
-fu conforme nei vizj nè nelle virtù. A modo dei re moderni, voleva
-sottoporre anche la religione all’amministrazione, e tenea fitto
-il pensiero ad affievolire i papi, come quelli che repugnavano a’
-suoi divisamenti. Essi avevano costituita la dignità dell’imperatore
-perchè fosse tutela alla Chiesa, affidandola sempre a un capo
-elettivo, cioè degno; volendo l’indipendenza d’Italia, come necessaria
-all’indipendenza pontifizia, impedivano che alla corona imperiale
-s’annestasse quella della Sicilia, paese sempre della prima importanza
-in faccia agli stranieri. Federico invece aspirava a rendere ereditario
-in sua casa l’impero, e unirvi la Sicilia; solo dabbenaggine de’
-popoli e astuzia de’ papi avere supremato la santa Sede, tutrice
-incomoda e umiliante. Nè solo la Lombardia voleva egli soggetta,
-ma tutta l’Italia, quasi retaggio proprio. Ad un principe italiano
-scriveva, ogni suo sforzo essere in sottomettere la penisola rinserrata
-fra dominj suoi, e renderla parte integrante dell’impero, come il
-regno di Gerusalemme eredità di sua moglie, come la Sicilia eredità
-della madre[351]; e nel congresso di Piacenza non dissimulò di voler
-soggiogare la media Italia, impresa difficile, alla quale soccombette.
-
-Non tardò ad accorgersi come, malgrado il momentaneo svolgimento,
-alleati suoi naturali fossero i Ghibellini; onde a questi s’annodò,
-sperando, fra il tempestare delle fazioni in Lombardia, riuscire a
-quello dov’era fallito l’avo suo Barbarossa, e fra i divisi piantare
-l’ordine; parola che, allora e poi, fu spesso intesa per servitù. A suo
-desiderio il servirebbero le forze del Reame e quelle della Germania,
-e i mercenarj che d’ogni parte comprava colle spoglie delle città
-italiane, e col concedere franchezza a qualunque bandito o malfattore
-prendesse servizio nelle truppe[352].
-
-Nè pago delle masnade tedesche comandate da Rinaldo, figlio del
-famoso Markwaldo, cercò rinforzo da nemici del nome cristiano. Dalle
-montagne centrali dove s’erano ridotti dopo perduto il dominio,
-gli Arabi sbucavano a devastare la Sicilia, e «v’aveano uccise più
-persone ch’essa non conti abitanti». Alla conquista sveva non fecero
-opposizione, e perciò sfuggirono alle vendette esercitate contro i
-Normanni. Nella minorità di Federico, per odio al papa persistettero
-a favorire Markwaldo: vinto lui, si forticarono ne’ castelli di val
-di Màzara, blandirono Ottone IV, e gli spedirono regali. Federico li
-domò, e fino a sessantamila ne trasferì nella Capitanata, assettandoli
-a Nocera (1222), che oggi ancora chiamasi de’ Pagani, e a Lucera, posta
-s’una ultima pendice dell’Appennino, donde si dominano i piani della
-Puglia, chiusi a levante e settentrione dalla catena del Gargano e dal
-mare Adriatico. Quivi tentarono ripetutamente fuggire o sollevarsi,
-poi rassegnatisi divennero fedelissimi a Federico, che da questa
-colonia traea ventimila combattenti, devoti ad ogni suo cenno e, ch’era
-più, inaccessibili alle aspirazioni nazionali degl’italiani e agli
-anatemi dei papi. E quando i papi gli apponevano di avere introdotto
-i Musulmani in mezzo a Cristiani, Federico se ne imbelliva anzi, come
-avesse con ciò liberato la Sicilia dal flagello delle loro correrie,
-e col porli fra’ Cristiani agevolato le conversioni. Il fatto sta che
-ebbe per tal modo anche un esercito stabile, a guisa dei re moderni.
-
-A suo figlio Enrico, che faceva i nove anni quando egli ventisei[353],
-avea dai principi di Germania ottenuta la corona. Ora col pretesto
-della crociata lo invitò a scendere in Lombardia coll’esercito, e
-trovarsi a Cremona, ove per pasqua intimava la dieta (1226). — Una
-adunanza raccolta sotto le spade può ella essere libera?» dissero
-le città lombarde; e non ben fidando nel papa, che condiscendeva a
-Federico onde indurlo a quel ch’era suo primo desiderio, la crociata,
-provvedono al caso dubbio e pericoloso rinnovando la Lega Lombarda,
-secondo n’erano autorizzati dal trattato di Costanza. A Mosio sul
-Mantovano convennero dunque i rettori, podestà, ambasciatori di
-Bologna, Piacenza, Verona, Milano, Brescia, Faenza, Mantova, Vercelli,
-Lodi, Bergamo, Torino, Alessandria, Vicenza, Padova, Treviso, e
-giuraronsi alleati per venticinque anni. — I malfattori escluderemo da
-tutti i luoghi e dalle città collegate, nè di bando potranno essere
-tratti senza mandato dei rettori o della Lega: a chi contraffacesse,
-faremo guerra a senno dei rettori: nessuna città, luogo o particolare
-persona de’ collegati verrà ad accordo con alcuna città o luogo fuor
-della Lega, o in danno di quella, altrimenti sarà avuta per ribelle,
-e i beni dei suoi abitatori pubblicati e devastati. Se alcuna città,
-luogo o persona particolare della Lega sia osteggiata dai nemici,
-le collegate le daranno ajuto, e reciprocamente rifaremo i danni ad
-arbitrio de’ rettori».
-
-Tale era il giuramento; e quello dei rettori della Lega: — Giuro pei
-santi evangelj che con buona fede eserciterò l’uffizio a me commesso
-e le ragioni della giurisdizione a me sottoposte; concorderò cogli
-altri rettori in quanto concerna lo stato e utilità di tutta la Lega,
-e di ciascun Comune che v’entri; senza frode darò opera di mantenere
-e far osservare questa Lega; nulla manifesterò di quello che sarà
-trattato; niente piglierò per me nè per sommessa persona in detrimento
-della società; e se cosa alcuna mi sarà offerta, al più presto la
-farò manifesta a tutti i rettori. Le querele deferite a me od a’
-miei colleghi, ad arbitrio degli altri rettori, fra quaranta giorni
-definirò, secondo la ragione e la buona consuetudine: quindici giorni
-avanti che scada il mio uffizio darò opera si faccia un altro rettore,
-il quale giuri siccome ho giurato io. Attenderò al meglio della
-università e non della specialità; e darò ogni opera a conservare la
-libertà di ciascun Comune, e difendere i beni contra tutte e singole le
-persone contrarie a tal società» (CORIO).
-
-Tosto la Lega si pone in piede ostile, far armi, troncare ogni
-comunicazione colle città ghibelline, proibire ai cittadini di trattar
-coll’Impero, nè ricevere ordini o donativi. Federico buttò giù la
-buffa anch’egli, ed avendo dalla sua Reggio, Modena, Parma, Cremona,
-Asti, Lucca e Pisa, mosse armato. Ma Faenza e Bologna, capo della lega
-Cispadana, gli chiusero le porte in faccia, sicchè dovette attendare
-alla campagna, poi affrontato da buoni eserciti, forza gli fu dare
-indietro. Spedì proposizioni alle federate; e ricusato, le pose al
-bando dell’Impero; e non so se di buon senno o per contraffare le
-scomuniche papali, fece scomunicarle dal vescovo d’Ildesheim, e proibì
-d’andare a studio a Bologna: grave colpo per una città che viveva sopra
-dodici mila scolari. Le confederate non fecero come sbigottite; ma
-Onorio III papa, avendo in cima a tutti i suoi pensieri la crociata,
-e perciò la concordia fra i Cristiani, s’interpose, e rattaccò una
-pace (1227 — 5 genn.), dove Federico obbligavasi a cancellare que’
-bandi, e i Lombardi a null’altro che rappattumarsi coi Ghibellini,
-e somministrare quattrocento uomini pel passaggio in Terrasanta: ma
-Onorio non potè vedere la spedizione desiderata.
-
-Il successore suo Gregorio IX, dei conti di Anagni, aveva ottantacinque
-anni; ma parve ringiovanire nel ricevere in deposito le chiavi eterne:
-con pompa maggiore delle consuete si fece coronare, sette giorni
-continuando le feste; e l’ultimo cantata messa in San Pietro, menò
-una lunga processione ricchissimamente in addobbo, con due corone al
-capo, sopra un cavallo superbamente bardato, tenuto alla briglia dal
-prefetto di Roma e dal senatore; precedeano i cardinali, seguivano
-giudici e uffiziali in broccato d’oro, e una dirotta di popolo, fra le
-cui acclamazioni e ulivi e palme entrò al palazzo, quasi celebrasse il
-trionfo dell’autorità papale, che di fatto mai non era tanto salita.
-
-Federico aveva preso tutti quei provvedimenti in Sicilia senza
-informarne il papa, che pur riconosceva per signore sovrano; imponeva
-tasse sugli ecclesiastici col pretesto della crociata, alla quale non
-risolvevasi mai; ed ai lamenti di Roma rispondeva col protestarsele
-docilissimo, e obbligato ad essa come a madre che Io aveva nutrito.
-Alla longanimità di Onorio verso un principe mentitore e subdolo
-come Federico, mal rassegnavasi l’operosa fermezza di Gregorio,
-il quale intimò alle città longobarde di tenersi in pace (1228), e
-all’imperatore di partire per oltre mare, egli ch’era stato «posto
-da Dio in questo mondo siccome un cherubino armato di spada per
-mostrare agli smarriti la via dell’albero della vita». Più non avea
-ragioni o pretesti costui da indugiare, e con poche truppe s’imbarcò
-a Brindisi. Già dappertutto preludevasi a vittoria, già s’immaginava
-la santa città restituita agli inni dei devoti, quando si sparge che
-l’imperatore era tornato a terra dopo tre giorni, allegando le malattie
-dell’esercito e la sua. Al pontefice più non parve di pazientare, e
-lanciò la scomunica, denunziando Federico come spergiuro e infedele;
-suo delitto se la moglie Jolanda morì sovra parto; colpa sua se di fame
-e di caldo perirono i Crociati nella Puglia. Non meno iracondo Federico
-inveiva contro il papa che, in luogo di soccorrerlo, istigasse contro
-di lui il suocero suo stesso; il quale di fatto, appoggiandosi alla
-scomunica, in armi veniva a ridomandare il titolo regio che Federico
-gli aveva usurpato. Pure, avuto intesa delle discordie scoppiate fra i
-principi Ajubiti, l’imperatore si risolse al passaggio; data la posta
-a’ guerrieri nella pianura di Barletta, vi troneggiò in tutta la maestà
-imperiale e colla croce di pellegrino, lesse il proprio testamento,
-facendo giurare i baroni d’adempirlo se nell’impresa perisse, e
-precipitò gl’indugi.
-
-Gregorio IX dichiarò scandalo che uno scomunicato capitanasse l’impresa
-santa; dichiarò imprudenza l’assumerla con sole venti galee e seicento
-cavalieri, armata da corsaro, non da imperatore; e interruppe la
-canonizzazione del pacifico san Francesco per ripetere gli anatemi
-contro Federico, il quale non vi diede ascolto.
-
-In Levante i figli di Malek Adel, spartitosi il dominio, si faceano
-guerra dall’uno all’altro; e Melik el-Kamel, signore dell’Egitto e di
-Gerusalemme, cercò prevalere a’ fratelli coll’allearsi all’imperatore
-d’Occidente, al qual uopo gli spedì un emir, mentre l’arcivescovo
-di Palermo arrivava al Cairo con gran regali per lui (1229), e si
-ricambiarono proteste d’amicizia. Melik el-Kamel invase di fatto la
-Palestina; sicchè l’imperatore, sapendo di non dovervi trovar nemici,
-non credette aspettare i rinforzi di Germania. Approdato, vi era dai
-nostri accolto come un Messia, quando due Francescani annunziarono
-la scomunica. Detto fatto, gli si toglie fiducia e rispetto, a segno
-che gli ordini non dava più in proprio nome, ma di Dio e del popolo
-cristiano. Melik el-Kamel non meno che Federico desiderava la pace;
-sicchè tutta la campagna si ridusse a trattative, quanto una guerra
-moderna, sempre avvolte però nel mistero. L’imperatore mandò al
-soldano pelliccie, eccellenti destrieri, bellissime armi di Germania,
-il cavallo di battaglia, la spada, parte dell’armadura di cui egli
-servivasi in campo, protestando non chiedere che le già promessegli
-città, titolare patrimonio di suo figlio; vedesse in quanto scredito
-cadrebbe se tornasse in Occidente senza nulla ottenere. L’emir lo
-ricambiava con stoffe di seta, un elefante, dromedarj e scimie, altre
-rarità dell’India, dell’Arabia, dell’Egitto, e una banda di ballerine e
-cantatrici, soggetto ai Musulmani di rimproveri, di scandalo ai nostri,
-cui davano gelosia e dispetto quelle benevole relazioni[354]. I due
-signori convennero d’una tregua decenne; Gerusalemme, Betlem, Nazaret,
-Toron e i prigionieri sarebbero consegnati a Federico con quanto
-siede fra Gerusalemme, Acri, Tiro e Sidone; conservate ai Musulmani le
-moschee, e libero esercizio del loro culto; Federico distoglierebbe i
-Franchi da nuovi atti ostili contro di essi.
-
-Il patto seppe dell’empio ad entrambe le religioni; imami e cadì
-appellavansi al califfo contro la cessione della _città del Profeta_,
-i vescovi al papa contro l’indegnità di mescolare i due culti: il
-sultano di Damasco ricusò l’accordo; il patriarca di Gerusalemme pose
-all’interdetto i luoghi recuperati. In conseguenza Federico entrò in
-Gerusalemme senz’altro accompagnamento che de’ suoi baroni tedeschi
-e de’ cavalieri Teutonici; e nella chiesa del Santo Sepolcro, tesa
-a bruno, abbandonata dai preti, mentre, lui connivente, dai minareti
-continuavasi a gridare: — Non v’è altro dio che Dio e Maometto è suo
-profeta», Federico colle proprie mani dovette porsi in capo il diadema.
-Nè potè ottenere obbedienza neppure sevendo contro i cittadini,
-battendo frati, impacciando i pellegrini che venivano per la settimana
-santa, e i Templari che voleano rialzar le mura: la sua partenza da
-Gerusalemme fu festeggiata quanto l’arrivo; e gli assennati gli faceano
-rimprovero di non avere provveduto tampoco nè a conservare gli acquisti
-nè ad assicurarvi i fedeli: sì poco gli caleva del regno di Cristo
-quando il suo pericolava.
-
-Perocchè in Sicilia il papa gli suscitava nemici mandando nunzj,
-compiangendo che quei popoli, sotto un nuovo Nerone, perdessero fino
-il desiderio della libertà: — Vi ha forse Dio collocati sotto cielo
-sì ridente per trascinare catene vergognose?» Sollecitava anche
-soccorsi da’ collegati lombardi, e messo insieme un esercito, lo
-affidò a Giovanni di Brienne, che sotto lo stendardo delle chiavi entrò
-devastando il reame di suo genero.
-
-Federico, sbuffante vendetta, muove le schiere tedesche ricondotte di
-Palestina, e i fedeli suoi Saracini, segnati della croce, combatteano
-fieramente contro i papalini, segnati delle chiavi; e messi questi
-in isbaratto, recupera le piazze del Regno, invade le terre del papa,
-ne stramena i fautori, e gli suscita nemici in Roma stessa. Giovanni
-di Brienne era stato chiamato a Costantinopoli a regnare invece del
-fanciullo Baldovino II suo genero, e benchè ottagenario si mostrò
-eroe nel combattere i Bulgari. I Romani, espulso il pontefice, aveano
-gravato di esazioni le chiese, i conventi, i vassalli della santa Sede,
-e aizzato Federico alla totale rovina del papa; ma una straordinaria
-inondazione del Tevere, considerata come castigo del cielo, indusse e
-popolo e senato a richiamarlo in segno di penitenza. I prelati però mal
-sopportavano di dover contribuire alle spese a titolo della crociata;
-alle città lombarde pesava l’essere trascinate in una guerra offensiva,
-esse collegatesi solo per la difesa: laonde fu praticato un accordo
-(1230), e dopo lunghi dibattimenti si annunziò qualmente l’imperatore
-concedeva perdonanza universale, revocava il bando messo sopra le
-città lombarde, e prometteva che i benefiziati sarebbero eletti
-secondo le leggi ecclesiastiche, nè gravati d’imposte o collette. A
-tali condizioni fu prosciolto dalla scomunica, e le campane sonarono
-a letizia, il re baciò il piede del papa, n’ebbe la benedizione, e
-sedettero alla stessa mensa. I popoli credettero fosse pace, ma non era
-che un respiro ch’egli si procacciava per allestirsi all’ultima prova.
-
-Quando i capi erano disuniti, tutte le membra se ne risentivano, e
-l’Italia peggio che mai trambustava, facendo guerra Venezia a Ferrara,
-Padova e Brescia a Verona, Mantova e Milano a Cremona, Bologna a Imola
-e Modena, Parma a Pavia, Firenze a Siena, Genova a Savona ed Albenga,
-Prato a Pistoja; signorotti feudali saliti a gran potenza mescolavano
-battaglie fra sè o colle città; e ai rancori ed alle ambizioni private
-pretessevasi il nome del papa o dell’imperatore.
-
-Questi convocò la dieta in Ravenna (1231), ma al tempo stesso da
-Germania invitava coll’esercito il figlio Enrico: di che adombrate
-le città, e mal fidandosi alle assicurazioni nè del papa, nè
-dell’imperatore, abbarrarono i passi, tanto che Enrico rimase di là, e
-Federico rinnovò il bando contra la Lega Lombarda, cassando qualunque
-diritto mai avessero ottenuto le città di quella. Mancando però
-d’esercito, le minaccie non fecero che rinserrare quella Lega. Milano
-mette in ordine sette capitani con mille uomini a cavallo ciascuno,
-giurati a sostenere la libertà, e morire in campo piuttosto che
-fuggire; disponeva delle forze di Parma, Piacenza, Novara, Vercelli,
-Alessandria, benchè indipendenti; ed essendosi Tommaso conte di Savoja
-tenuto sempre fedele all’imperatore, dal quale anzi fu costituito
-vicario, i Milanesi si spinsero fin nelle Alpi, e per sorreggere
-alcune terre a lui ribellate fondarono il Pizzo di Cuneo, che poi dovea
-divenire una delle primarie fortezze di quella casa e dell’Italia.
-
-A Federico poi si ribellavano i proprj paesi, da lui fraudati delle
-consuetudini municipali, e specialmente Messina, avvezza a reggersi
-con stratigoti proprj: ond’egli moltissimi appiccò ed arse vivi;
-il castello di Centoripa distrusse dalle fondamenta; Gaeta, benchè
-amnistiata, fe spoglia dell’antico diritto di eleggere i consoli,
-e circondò di trenta fortini: insomma questo eroe, magnificato da
-coloro che venerano in lui l’antagonista de’ papi, trovò continuamente
-rivoltose la Puglia e la Sicilia, nè seppe frenarle che collo spediente
-dei tiranni, le fortezze.
-
-Appoggio gli erano, dopo i Saracini, i signorotti ch’eransi eretti
-tiranni di alcune città e provincie, e che dai diplomi di lui (1215)
-credeano trarre legittimità e fermezza. Principale tra questi fu
-Ezelino da Romano, che succeduto ad Ezelino il Monaco suo padre,
-all’avito dominio aveva aggiunto Bassano e Treviso, poi anche Verona
-e Padova, secondato dal fratello Alberico e dai Ghibellini della Marca
-Trevisana; e con una fermezza che non si arrestava alla necessità del
-sangue e del delitto, era divenuto il più spaventoso tiranno che la
-patria storia ricordi. Vi faceva contrasto Azzo d’Este, con larghissimi
-possessi e col favore di tutti i Guelfi: ma Ezelino prevalse alla
-venuta di Federico, del quale sposò Selvaggia figlia naturale. In
-queste emulazioni la Marca non meno che la Lombardia andava a strazio
-di deplorabili guerre, alle quali metter fine non potea la politica,
-ma solo qualche armistizio la religione, adoprantesi incessantemente a
-questo scopo.
-
-Già vedemmo come essa dettasse la tregua di Dio; e i due nuovi Ordini
-di Domenicani e di Francescani furono tutti in attutire gli sdegni,
-frammettersi alle baruffe quotidiane, persuadendo e portando la pace
-da signore a signore, da una all’altra città; e cuori feroci, cui vigor
-di legge o possanza di magistrati non ratteneva, aprivansi alla pietà,
-gli stocchi tornavano alla vagina, e nel nome di Cristo fondendosi in
-lagrime, il nemico correva ad abbracciare il nemico.
-
-Grandi paci conchiuse il santo d’Assisi; grandi il seguace suo Antonio
-da Padova. Nel 1176 i cardinali di Santa Cecilia e di Santa Maria in
-via Lata per delegazione pontifizia componeano molte quistioni, agitate
-fra le repubbliche di Pisa e Genova rispetto ai loro diritti sopra
-la Sardegna[355]. Sui cui esempio frà Guala da Bergamo, che fu poi
-vescovo di Brescia, riamicò i Bolognesi coi Modenesi, i Trevisani coi
-Bellunesi. In Cremona il popolo della città nuova viveva in cagnesco
-con quel della vecchia, e il vescovo Sicardo li riconciliò; e così
-coi Vicentini il beato Giordano da Forzatè, coi Milanesi frà Leon
-da Perego. Sta manoscritto nella biblioteca Ambrosiana un prolisso
-discorso d’un ecclesiastico che esortava alla concordia, e diceva:
-— Popolo milanese, tu cerchi soppiantare il cremonese, sovvertire il
-pavese, distruggere il novarese; le tue mani contro tutti, e le mani
-di tutti contro te... Oh quando fia quel giorno che il Pavese dica al
-Milanese, _Il popolo tuo è popol mio_; e il Cremasco al Cremonese, _La
-città tua è mia città!_»
-
-I Genovesi aveano contaminato le loro vie di molto sangue civile,
-massime per l’odio tra li Avogadri e i marchesi della Volta; quando si
-pensò porvi fine. Innanzi giorno ecco toccar la campana a parlamento: e
-i cittadini accorrendo attoniti, videro il vecchio arcivescovo Ugo in
-pontificale tra il clero con candele accese, e tra cittadini notevoli
-con croci alla mano, attorno alle venerate reliquie del Battista;
-scongiurava a deporre gli odj e gli sdegni, e giurare sui vangeli
-la concordia, che sola poteva salvare la patria. Rolando, capo degli
-Avogadri, non poteva indursi a perdonare il sangue di tanti parenti
-suoi, de’ quali aveva promesso vendetta; ma tanto insistettero i preti
-e i savj, che l’ebbero indotto: poi corsero alla casa dei Volta, che
-non erano voluti presentarsi, e li trassero a dare il bacio ai nemici;
-e campane a festa e _Tedeum_ celebrarono l’evento[356].
-
-Ambrogio de’ Sansedoni di Siena, che fu poi canonizzato, venne
-spedito a predicar la pace in Germania, quindi tornò in patria
-per riconciliarla col papa che l’aveva interdetta come fautrice di
-Federico, e volle si cominciasse l’emenda dal perdono reciproco.
-Un magnate, sazio de’ suoi consigli, lo cacciava come impostore e
-vanaglorioso; ed egli: — Dio si chiama re della pace, ma non la dà
-se non a chi di buon cuore la conceda altrui. Quel che fo, lo fo per
-volontà di Colui che può sopra di me. Se v’irritai, ve ne chiedo scusa,
-e se merito supplizio, lo sosterrò di buon cuore per isconto delle
-mie colpe». Il forte a tanta umiltà venne a resipiscenza. Ambrogio
-predicava continuo che la vendetta è peccato d’idolatria, perchè usurpa
-la parte di Dio che a sè la riservò. Non riuscì mai a calmare un di
-Siena, sicchè gli disse: — Pregherò per voi», e insegnò una preghiera
-siffatta: — Signor Gesù, interponete la podestà vostra a queste
-vendette, e riserbatele a voi, acciocchè tutti conoscano che a voi
-solo spetta il punire gli offensori»; ed esortava a dirla avanti quelli
-che si ostinassero nelle ire. Anche quel pertinace, mentre ordiva co’
-suoi consorti di non fare mai pace, la udì, ne fu compunto, e passati
-due giorni nella riflessione e nel digiuno, va e prega il santo a
-perdonargli e a rimetterlo in pace[357].
-
-Continuò anche in appresso questa pia intromissione, e nel luglio
-1273 Gregorio X conciliò una solenne pace in Firenze tra Guelfi
-e Ghibellini, e cencinquanta sindaci per parte si baciarono in
-bocca in sul greto d’Arno, dove esso papa volle si edificasse una
-chiesa che i Mozzi, suoi ospiti e grandi mercanti, dedicarono a san
-Gregorio[358]. Ma essendo il giorno stesso tornati a sospetti e a
-risse, un’altra concordia fu solennissimamente celebrata il 1280
-per mezzo del cardinale Latino nunzio, rogandone atto, e volendo
-trecensessantasei mallevadori de’ Ghibellini, trecentottantaquattro
-dei Guelfi, e alquanti castelli[359]. L’anno precedente, esso Latino
-in Bologna riamicava i Lambertazzi co’ Geremei, in Faenza gli Acarisi
-coi Manfredi, in Ravenna i Polenta coi Traversari; e frà Bartolomeo
-di Vicenza instituì l’Ordine militare di Santa Maria Gloriosa, per
-mantenere in calma le città italiane. Nel 1266 il sartore Giacomo
-Barisello a Parma inalbera il segno della redenzione, e forma la
-compagnia della Croce di cinquecento seguaci, co’ quali va di casa
-in casa riconciliando Guelfi e Ghibellini, e facendoli giurar fede
-al pontefice. La compagnia ebbe tale successo, che ottenne uffiziali
-proprj, con autorità di giudicare, e d’intervenire negli affari del
-Comune, esercitandovi importanza principale per mezzo secolo[360].
-
-Di nuovo il cardinale Nicolò da Prato rappacificò Firenze; e «a
-dì 26 aprile 1304, raunato il popolo sulla piazza di Santa Maria
-Novella, nella presenzia dei signori, fatte molte paci, si baciarono
-in bocca per pace fatta, e contratti se ne fece, e puosono pene a chi
-contrafacesse, e con rami d’ulivo in mano pacificarono i Gherardini con
-gli Almieri; e tanto parea che la pace piacesse a ognuno, che vegnendo
-quel dì una gran piova, niuno si partì, e non parea la sentissono.
-I fuochi furono grandi, le chiese sonavano, rallegrandosi ciascuno»
-(COMPAGNI).
-
-In Milano, contrastandosi nobili e popolani, si fece compromesso in
-quattro frati, e si stette al loro lodo; poi nimicatisi di nuovo, si
-accolsero in Parabiago, ove due frati dettarono condizioni d’accordo.
-Nel secolo seguente andò a predicarvi pace il beato Amedeo cavaliere
-portoghese, che di limosine fabbricò Santa Maria della Pace. Molte
-resie private e pubbliche in Valtellina e pel Comasco racconciò frà
-Venturino da Bergamo, che indusse diecimila Lombardi a pellegrinare
-penitenti a Roma, gridando pace e misericordia, e mantenendosi di
-carità. Molto profittarono pure in Lombardia san Bernardino e fra
-Silvestro da Siena.
-
-Certamente anche allora potea dirsi, — Perchè frati e preti s’hanno a
-mescolare d’interessi mondani?
-
-Ai tempi del nostro racconto, Gregorio IX, struggendosi di acconciare
-in buona pace gl’Italiani, sì per dovere di papa, sì per agevolare la
-crociata, mandava Nicolò vescovo di Reggio a ricomporre i Modenesi co’
-Bolognesi; il cardinale Giovanni della Colonna a calmare i Perugini
-inveleniti fra loro, e ripatriarvi gli sbanditi; il cardinale Tommaso
-a Viterbo; il cardinale Giacomo da Preneste a Verona a concordare i
-Capuleti e i Montecchi, fazioni note per le compiante avventure di
-Giulietta e Romeo; frà Gherardo di Modena nella sua patria e a Parma,
-dove fu anche costituito podestà per riformare gli statuti; a Piacenza
-frà Orlando da Cremona.
-
-Principale in queste missioni fu Giovanni da Schio domenicano, ch’e’
-destinò in varj luoghi e nominatamente a Bologna, avvezza gli anni
-passati ad ascoltare Francesco, Domenico, Antonio già santi, poi venuta
-in urto col papa per le giurisdizioni vescovili, e perciò fin privata
-dell’università. Alla voce del frate da Schio si compromisero i litigi,
-si scarcerarono i debitori, si rintegrarono gli esuli; ed esso riformò
-a suo senno gli statuti, frenò le usure, indusse le donne a vestire
-più composto, e tutti a salutarsi col _Sia lodato Gesù Cristo_; e più
-nol voleano lasciar partire, tanto che il papa dovette fin minacciarli
-d’interdetto. Allora lo inviò a Siena; ma poichè a questa non potè
-rappacificare i Fiorentini, il papa li proferì interdetti; ed essi per
-capriccio d’incomposta libertà sprezzarono quel castigo.
-
-Frà Giovanni fu destinato principalmente a disacerbare i furori della
-Marca Trevisana; e a Feltre, a Belluno, a Treviso, a Conegliano,
-a Vicenza, a Padova, per tutto operò prodigi di riconciliazioni;
-incontrato come santo fra le bandiere sciorinate, richiamava gli
-sbanditi, liberava i prigioni; e quando in Prato della valle a Padova
-predicava di stando sul carroccio e contornato dai carrocci delle
-altre città accorse, prorompeva dai cuori l’evangelico _Son pur belli
-i piedi di chi evangelizza la pace_. Tutto predisposto, frà Giovanni
-ordinò un generale ritrovo a Paquara, vasta pianura sull’Adige, tre
-miglia sotto Verona. Al cenno d’un frate, tutte le città e le ville
-accorsero coi carrocci cantando laudi al Signore; e quindici vescovi,
-tutti i baroni delle vicinanze, i conti di Sanbonifazio, i signori
-Camino, i Camposampiero, il tremendo Salinguerra di Ferrara, e più
-tremendi ancora Ezelino ed Alberico da Romano, vennero per udire
-predicarsi carità. Giovanni, salito in pergolo, e preso per testo
-_La pace mia vi do, la pace mia vi lascio_, parlò con una eloquenza,
-la cui efficacia veniva tutta dallo spettacolo e dalla persuasione
-della santità. A parole che ben pochi poteano intendere, ma che tutti
-sentivano, e a cui ciascuno sottoponeva quel che il cuore e la fantasia
-gli dettavano, avresti veduto quegli iracondi per penitenza picchiarsi
-i petti, poi gettarsi un al collo dell’altro, e chiedersi perdono, e
-promettersi amicizia. Il frate si valse dell’autorità concedutagli dal
-papa per assolvere da interdetti e scomuniche; e alzato il crocifisso,
-esclamava: — Benedetto chi conserverà questa pace», e centomila voci
-echeggiavano _Benedetto_; — Maledetto chi tornerà sulle risse», e
-centomila voci, _Maledetto_.
-
-Se non che queste paci, indotte per impeto di sentimento, combinate
-in nome della universale carità, non isvelleano veruna delle cause
-delle nimicizie, talchè fra breve si era di ricapo alle armi. Pochi
-giorni dopo la spettacolosa concordia di Paquara, gli sdegni erano
-riarsi, le spade tinte di nuovo sangue, tutto tornato a peggio che mai
-per l’addietro si fosse; e i popolani che aveano inneggiato il frate
-santo, lo bestemmiavano uom di parte, venduto ai Guelfi, zimbello del
-papa. Egli stesso provocò quegli sdegni colla severità adoprata verso
-gli eretici, di cui ben sessanta bruciò nella piazza di Verona; poi a
-Vicenza, appoggiato dal popolo minuto, si dichiarò signore e conte,
-distribuì a suo senno le magistrature, riformò gli statuti; e colla
-solita volubilità popolesca fu cacciato prigione e respinto da un paese
-che lasciava in peggiori discordie di prima[361].
-
-Il pontefice, offertosi arbitro tra Federico e la Lega Lombarda,
-proferì che l’imperatore dimenticasse ogni offesa, revocasse la
-proscrizione, compensasse chi n’avea sofferto pregiudizio; per ricambio
-i Lombardi rifacessero i danni all’imperatore ed a’ suoi, e per due
-anni mantenessero cinquecento cavalli in Terrasanta. Federico trovò
-parziale quel lodo, e lesivo della maestà regia: ma pel papa quelle
-repubbliche erano corpi politici legittimi e riconosciuti, nè aveano
-peggiorato verun diritto imperiale col rannodare la Lega, a cui erano
-stati autorizzati dal patto di Costanza.
-
-Esso papa era tergiversato dai Romani, che gli negavano il diritto di
-sbandire un cittadino, esigevano una retribuzione che da immemorabile
-la Chiesa dava alla città, infine gli contestavano la sovranità
-temporale. Quello a cui s’incurvava tutto il mondo, si trovò
-costretto rifuggire in Perugia (1234); Roma tornò repubblica e Luca
-Savelli senatore ideò di fondare la Toscana e la media Italia in una
-confederazione, che togliesse di mezzo il dominio pontifizio, come
-dell’imperiale avevano fatto i Lombardi. Le fazioni scrupoleggiano mai
-sui mezzi? Questi repubblicani solleticarono le antipatie di Federico,
-chiedendo li sostenesse; ma egli, temendo ancor più la libertà che
-il pontefice, esibì soccorsi a questo per tornare al dovere Roma.
-In riconoscenza, e perchè la guerra che prevedeva inevitabile non
-avesse a frastornare i soccorsi a Terrasanta, Gregorio IX dichiarava
-gl’interessi di Federico essere interessi suoi, atteso i grandi servigi
-che rese alla Chiesa[362]: s’industriava di tirare i Longobardi a più
-larghe condizioni; ma essi indugiarono oltre il termine prefisso, e la
-mediazione fu mandata a vuoto dagli avvenimenti di Germania.
-
-Colà sentivasi il ricolpo de’ fatti italiani: ed Enrico lasciato a
-governarla, non che difettare della necessaria robustezza, si abbandonò
-alle proterve inclinazioni, oltraggiando la moglie, invidiando il
-fratello, tradendo il padre, fino a rompere ad aperta ribellione; e
-mal sostenuto dai Tedeschi, si drizzò alle città lombarde. Milano,
-Brescia, Bologna, Novara, Lodi, il marchese di Monferrato gli esibirono
-quella corona (1235) che sempre avevano negata a Federico[363]; e
-n’ottennero conferma a tutti i loro privilegi, e che accettasse per
-amici e nemici quei della Lega. Pertanto guerra civile e domestica.
-Federico soleva menare nel suo esercito come trofeo camelli ed elefanti
-che avea condotti dalla sua spedizione in Asia; e i Milanesi saputo che
-ne inviava alcuno a’ Cremonesi in segno di benevolenza, assalgono quel
-popolo, e a Zenevolta lo sconfiggono: ma Parmigiani, Reggiani, Pavesi,
-Modenesi vengono a sostegno di quello, talchè il combattimento si fa
-generale, e città e principati si sbranano in fazioni. Dalla Sicilia,
-dove sanguinosamente avea chetato i tentativi dei Comuni di recuperare
-le fraudate franchigie, Federico traversa inerme la Lombardia, che non
-volle profittare della sua umiliazione; e fatto da settanta prelati e
-principi dichiarar fellone Enrico, che altamente era disapprovato anche
-dal papa[364], lo fa arrestare e tradurre nel forte di San Felice in
-Puglia, e ve lo lascia stentare fin alla morte.
-
-Nella dieta da Federico radunata a Magonza, numerosa di ottanta
-principi e prelati e di milleducento signori, furono pubblicati molti
-savj provvedimenti e una pace pubblica; terminata la lunga lite tra la
-famiglia guelfa e la ghibellina, col dare a Ottone il Fanciullo, unico
-guelfo superstite, le terre di cui si formò il ducato di Brunswick, e
-sulle quali Federico rinunziava ad ogni pretensione. Costui vi sfoggiò
-una grandezza, alla quale non mancava se non il sapere moderarla; e
-con istraordinaria maestà solennizzò un nuovo matrimonio con Isabella,
-figlia del re inglese Giovanni Senzaterra. Una nobiltà di cavalieri e
-baroni incontrò la sposa alle frontiere; dappertutto il clero usciva
-a suon di campane; a Colonia diecimila borghesi a cavallo, splendidi
-d’armi e di vesti, la corteggiarono; minnesingeri in tedesco, trovadori
-in provenzale, forse anche siculi in italiano osannavano; mentre da
-carri, festonati di tappeti e porpora, mirabile armonia diffondeano gli
-organi nascosi; e la notte cori di fanciulle non interruppero mai le
-serenate sotto ai balconi della sposa. Quattro re, undici duchi, trenta
-conti e marchesi assistevano, e pari alla dignità furono i regali
-di Federico; una corona d’oro, collane, giojelli, scrigni, un intero
-servizio d’oro e d’argento a ceselli, fin gli utensili da cucina e le
-pentole erano d’argento; fra i quali Federico presentò al regio suocero
-tre leopardi menati d’Oriente, allusivi allo stemma d’Inghilterra.
-Isabella fu sposata per procura da Pier delle Vigne, poi dal re quando
-gli astrologi trovarono opportuno l’istante; portava in dote trentamila
-sterline, che oggi rappresenterebbero 1,140,000 lire; ebbe in dominio
-tutto il val di Màzara, e nel palazzo era servita da eunuchi mori e
-siciliani[365].
-
-L’imperatore fece eleggere re de’ Romani suo figlio Corrado; ma più che
-il trionfare in Germania lo lusingava il lottare in Italia. La Germania
-vedea come gloria nazionale le spedizioni contro la penisola; ma gli
-Svevi le ripeterono e prolungarono in modo, che sì gravi sagrifizj
-e infruttuosi rincrebbero, non si volle più decretare i sussidj, e
-Federico si trovò ridotto ai mezzi che gli offrivano il proprio regno e
-i Ghibellini, ed ai mercenarj. Ai pesanti e ferrati cavalieri tedeschi
-associò gli scorridori saracini, le rapide evoluzioni moderandone
-colle lente mosse di un elefante, che portava una torre sulla quale
-spiegavasi lo stendardo, tenendo vece del carroccio e della croce. Ad
-esercito così bene assortito e diretto i Lombardi non aveano ad opporre
-che milizie d’artieri e contadini raccolti al momento del bisogno,
-nè addestrati alla fredda costanza di regolari battaglie. Schivavano
-dunque gli scontri in campagna rasa, preferendo aspettarlo in chiuse
-mura; e poichè dall’Alpi al Po seguitava una tela di fortezze, lungo
-e penoso riusciva il prenderle una dopo una, quanto pericoloso il
-lasciarle alle spalle: onde Federico doveva logorare dei mesi sotto a
-povere bicocche, come Carcano, Roncarello o Crevalcuore.
-
-Rinserrata l’alleanza (1237), e costituita una cassa comune,
-noi attendemmo il Tedesco, il quale confidava principalmente nei
-castellani. Schiusagli Verona da Ezelino, uniti a diecimila Arabi
-i Ghibellini di Cremona, Parma, Reggio, Modena, sconfisse gli
-Estensi, prese Vicenza, costrinse a patti Mantova, orribilmente
-stramenò il Bresciano. I Milanesi, accorsi coi Guelfi di Brescia,
-Bologna, Vercelli, Novara, Alessandria, Vicenza, lo pettoreggiarono
-valorosamente, ma poi lasciatisi sorprendere a Cortenova nel Cremasco
-(27 9bre), n’andavano colla peggio. La compagnia de’ Gagliardi avea
-però tenuto saldo attorno al carroccio: ma vedendo che al domani
-non potrebbero reggere a nuovo assalto, provvidero a ritirarsi, ed
-essendo difficile trarre quel pesante carro in terreno molliccio per
-natura e per le pioggie, ivi lo abbandonarono sguarnito. Allora sì
-che Federico menò vampo! scrisse a tutti i potentati avere ucciso
-diecimila Lombardi; fe trascinare quel trofeo dietro al suo elefante
-per le città, poi riporre sovra cinque colonne in Campidoglio a Roma,
-ove si legge ancora la pomposa iscrizione con cui volle eternare questa
-sua vittoria, mentre eternava la sua paura e la nostra prodezza[366].
-Avendo côlto fra’ prigionieri Pietro Tiepolo podestà di Milano e figlio
-del doge di Venezia, lo fece strozzare.
-
-Se molti Lombardi tentennarono dalla paura, non Milano; non Brescia,
-che sembra predestinata a feroci oppugnazioni e a magnanime resistenze,
-e che per sessanta giorni resse l’assedio postole dall’imperatore,
-ajutata dalle macchine dell’ingegnere Clamendrino, sicchè Federico
-bruciò le proprie, e voltò a Cremona. Allora i Guelfi ripigliano cuore,
-Genova li sostiene; Venezia, indignata dal supplizio del Tiepolo, si
-scopre nemica all’imperatore; Gregorio IX, scontento della fierezza
-ond’egli trattava le città lombarde, della predilezione mostrata ai
-Saracini, degli arbitrj usati in Sicilia, dell’avversione perpetua alla
-Chiesa, e dell’essere mancato al compromesso, s’allea co’ Veneziani,
-cedendo loro quanta parte di Sicilia occuperebbero.
-
-Realmente Federico non lasciava sfuggirsi occasione di oltraggiare la
-Chiesa. Un nipote del re di Tunisi, convertito dai Domenicani, va a
-Roma per farsi battezzare; e Federico lo arresta, dicendo non potersi
-trarlo al cristianesimo senza permissione dello zio. Vescovi, côlti,
-è vero, colle armi, lasciò straziare e impiccare da’ suoi Saracini;
-e smurar chiese per costruirne moschee: a Nocera de’ Pagani erge
-un palazzo s’una chiesa distrutta, e dov’era l’altare vi mette la
-fogna[367]: dalle sedi dell’Italia meridionale sbandisce i migliori
-prelati e gli uccide, e non lascia destinarvi i successori.
-
-Federico corteggiava sempre il Vecchio della montagna, il dey di
-Tripoli, che gli pagava tributo, il sultano d’Egitto, che gli mandò
-fra altri doni una magnifica tenda con un orologio, stimato ventimila
-marchi d’argento, che segnava le ore e il corso degli astri; i loro
-ambasciadori teneva a tavola coi vescovi, di che pensate come si
-scandolezzassero i Cristiani. La sua Corte somigliava a un harem;
-eunuchi negri e nostrali custodivano sua moglie; «teneva mamelucchi e
-donne molte, a sfogo di lussuria ed onta della religione; menava vita
-epicurea, non facendo conto che mai altra vita fosse»[368]; nè tampoco
-s’asteneva dall’oltraggiare la natura. Nè solo papi e frati e guelfi,
-ma l’arabo Abulfeda dice che propendeva all’islam _perchè educato in
-Sicilia_; ed alcuni suoi frizzi mostrano come sentisse di scemo nella
-fede. — Se Dio avesse visto la mia bella Sicilia, non avrebbe scelto
-per suo regno la squallida Palestina», esclamò mentre era crociato;
-e portandosi il viatico: — Quando si finiranno coteste ciurmerie?» e
-trattava da pazzo chi credesse al parto della Vergine, o ad altre cose
-repugnanti, secondo lui, alla ragione e alla natura[369]. Si bucinò
-anche d’un libro _De tribus impostoribus_, attribuito a lui o a Pier
-delle Vigne, ma nessuno lo vide; nè par credibile n’avessero taciuto
-i papi ed i fautori loro, che dissotterrarono ogni minimo reato della
-famiglia di Svevia: ma che Federico avesse detto, il mondo essere stato
-giuntato da Mosè, Cristo e Maometto, era voce tanto diffusa, che Pier
-delle Vigne credette doverla smentire in una lettera ove l’imperatore
-fa professione di fede: e convenendo che tale diceria correva, ma
-deboli essere gli argomenti tratti dal pubblico cicaleccio[370].
-
-L’eresia sua capitale però consisteva nell’impugnare incessantemente
-la maestà pontifizia, e svigorire le censure ecclesiastiche[371];
-esclamava: — Pur beati i principi asiatici, che non hanno a temere
-sollevazione di sudditi, nè opposizioni di papi!» ed avrebbe voluto
-ridur Roma a sua capitale, il papa a suo cappellano. Col quale, nuovo
-motivo sopravenne di disgusto.
-
-I signori Pisani che avevano occupato la Sardegna, presero il titolo
-dalle giudicature di quella, restando vassalli della patria. I papi
-pretendeano la sovranità della Sardegna come di tutte le isole, e
-Innocenzo III indusse i Pisani a rinunziargliela: ma Ubaldo e Lamberto
-dei Visconti di Pisa fecero guerra per proprio conto ai signorotti che
-tenevansi a bandiera della Chiesa; onde furono scomunicati (1237), poi
-ribenedetti quando riconobbero la supremazia papale, abjurando quella
-di Pisa. I Pisani se ne indignano, i conti della Gherardesca si armano,
-e Conti e Visconti divengono le denominazioni de’ Ghibellini e de’
-Guelfi che straziano Pisa. Federico s’industria a calmarli, e fa ad
-Adelaide, vedova di Ubaldo Visconti, signora di Gallura e della Torre,
-sposare Enzo suo figlio naturale (1238), conferendogli il titolo di re
-di Sardegna, e pretendendo che questa fosse stata distratta dall’Impero
-in tempi fortunosi, e dover egli perciò sottrarla alla supremazia
-pontifizia.
-
-Al papa che restava se non impugnare le proprie armi? e mentre
-Federico in Padova festeggiava con Ezelino la depressione della parte
-repubblicana, gli lanciò la grande scomunica (1239), intimazione
-d’una seconda guerra fra l’Impero e la Chiesa. Federico, conoscendo
-a prova qual colpo facessero tali sentenze sopra i popoli, fece da
-Pier delle Vigne recitare, nella gran sala della Ragione, una lunga
-discolpa: ma il popolo l’ascoltò in significante silenzio; i signori
-stessi vacillavano; tanto ch’egli volle averne ostaggi, che spedì in
-Puglia; mandò circolari pei regni e i popoli tutti, irose al papa
-fino ad accusare di dissolutezze questo vecchio nonagenario: — Tu
-vivi unicamente per mangiare; sui vasi e le coppe d’oro hai scritto
-_Io bevo, tu bevi_; e così spesso ripeti il passato di questo verbo,
-che, quasi rapito al terzo cielo, parli ebraico, greco, latino: piena
-l’epa, ricolmo il sacco, allora ti credi seduto sull’ali dei venti,
-e che l’Impero ti sia sottomesso, e che i re della terra ti portino
-doni, e che ti servano tutte le genti»: aggiungeva che, per ligezza ai
-collegati lombardi, connivesse ai Catari, il cui nido era Milano; egli
-fariseo, assiso nella cattedra del dogma perverso; egli unto coll’olio
-di malizia più di tutti i malvagi; il gran dragone che seduce, il
-Balaamo, l’anticristo.
-
-Il popolo credea meglio al papa, ai parroci, ai frati, i quali
-ripetevano come Federico fosse mal cristiano; ma quel ricambio
-d’improperj svergognava ambe le cause: e mentre la Chiesa e l’Impero
-contrariavansi, i Mongoli, suscitati dal tremendo Gengis-kan,
-devastavano non solo l’Asia, ma il settentrione dell’Europa, e
-minacciavano dappresso la Germania. Il denaro raccolto nelle chiese
-di tutta cristianità per respingere questi Infedeli, viene adoprato
-a strazio de’ Cristiani; Gregorio IX impegna tutta Europa a sbalzar
-Federico; Federico caccia e spoglia i vescovi siciliani; la parte
-guelfa, che in quella scomunica vedeva un diversivo al colpo finale
-minacciato alla libertà, rialza dappertutto la testa; gli Estensi
-ricuperano le terre perdute, Treviso si rivolta, Padova è a pena
-frenata dai torrenti di sangue che versa Ezelino. Federico, difilando
-sopra Milano, devasta la pieve di Locate, assistito dai nobili e
-dai Comaschi: ma i Milanesi, esortati dal legato pontifizio che fece
-prendere le armi anche a preti e monaci, lo affrontano a Camporgnano,
-gli voltano addosso le acque, e lo costringono a ripiegare.
-
-Di peggiori ferite egli colpì le terre pontifizie; v’assediò Faenza, e
-l’ebbe a patti; così Cesena e Benevento; e difilò sopra Roma (1240).
-Chi l’avrebbe difesa da questo eroe? tanto più che vi abbondavano
-i Ghibellini, e Federico teneva intelligenze coi Frangipani, che,
-occupato il Coliseo, poteano dargli una fortezza nel cuore della città.
-Ma frati predicano la croce, preti chiedono licenza d’armarsi, e il
-papa «trasse di _Sancta Sanctorum_ del Laterano le teste de’ beati
-apostoli Pietro e Paolo, e con esse in mano, coi cardinali, con tutti
-i vescovi, arcivescovi e altri prelati, e con tutto il chiericato, con
-solenni digiuni e orazioni andò per tutte le principali chiese di Roma;
-per la quale devozione e per miracolo di detti apostoli, il popolo di
-Roma fu tutto rivocato alla difesa di santa Chiesa e del papa, e quasi
-tutti si crociarono contro a Federico, dando il papa indulgenza di
-colpa e pena» (VILLANI).
-
-L’imperatore, costretto a levare il campo, torna a Napoli per far
-uomini e denaro, coi quali rientra in Lombardia; ma vede soccombere
-coloro sui quali più s’appoggiava. Bolognesi, Lombardi, Estensi
-assalsero Ferrara, difesa da Salinguerra Torelli, intrepido
-ottagenario, che aveva ottocento uomini d’arme tedeschi e molti
-assoldati; ma il suo luogotenente lo tradì, e il marchese, invitatolo
-a un banchetto, lo fece prendere e mandare a Venezia, ove sopravisse
-quattro anni in carcere.
-
-Bisogna pur risolvere il ripigliato litigio; bisogna interrogare
-la cristianità se approvi e sostenga l’operato del papa. A tal fine
-Gregorio convoca un concilio generale a Roma (1241): e Federico, che
-sempre aveva a questo appellato, ora non vi vede che una dimostrazione
-ostile, e scrive ai principi non lascino venirvi i cardinali, e
-dispone guardie, alle quali concede le spoglie de’ prelati che vogliano
-andarvi. Perciò un grosso di cardinali francesi, inglesi, lombardi,
-risoluti di obbedire al papa, scelgono la via di mare affidandosi ai
-Genovesi, avversi a Federico dacchè egli, dopo lusingatili di ampli
-privilegi in Sicilia, invece li sottopose alle comuni gravezze, e
-li privò sin d’un palazzo che v’aveano avuto in dono. Federico colla
-flotta pisana manda Enzo suo figliuolo, che tra il Giglio e lo scoglio
-della Meloria scontrato quel convoglio (1241 — 3 maggio), parte
-manda a picco, moltissimi cattura. Federico in trionfo ne informava
-il re d’Inghilterra, vantando che da duemila v’affogarono, e circa
-quattromila Genovesi restarono suoi prigioni: il vulgo aggiunse che
-l’oro fu diviso collo stajo fra Pisani e Napoletani. I Genovesi, di
-tal rotta dato ragguaglio al papa, soggiungevano: — La perdita di
-nostre genti e navi non ci nuoce quanto l’ignominia di nostro signore
-e il male de’ santi prelati, che in virtù d’obbedienza accorrevano al
-concilio per soccorrere la santità vostra di giusti e salutari avvisi.
-A vendicare sì atroce nequizia, a difendere la Chiesa di Dio col popolo
-a lei devoto, deliberammo dal primo all’ultimo porre le vite e le cose
-nostre, non perdonando a fatica, riposo, vigilie, finchè conculcata
-non abbiamo la ribellione, e preso vendetta delle morti, ferite e
-contumelie che gl’innocenti patirono ad onore e gloria del nome di
-Gesù Cristo, della santissima vostra persona, de’ venerabili fratelli
-vostri, della Chiesa universale, e di tutti i fedeli. Ogni Genovese,
-grande o piccolo che sia, posto da banda qualunque rissa, cura e
-negozio, attende assiduo, a fabbricare e munire navi e galee, affinchè
-abbiamo vittoria de’ nostri nemici, e la Chiesa di Dio possa la sua
-grandezza e potenza manifestare contro il figliuolo di perdizione,
-scelleratissimo apostato Federico, sedicente imperatore, e i complici
-suoi e fautori. Nè pare ch’egli per altro sia salito in tanta fortuna,
-se non per precipitare da luogo più eminente nel baratro di estrema
-vergogna. Quindi genuflessi supplichiamo alla santità vostra, pel
-sangue di Cristo, le cui veci sostenete in terra, a non desistere dal
-proponimento pel sofferto sinistro, anzi sorreggere la navicella di
-Pietro, battuta dalle tempeste e quasi assorta, e condurla al porto di
-gaudio e salute».
-
-I prelati furono tenuti in cattura a Pisa o ne’ varj castelli del
-Napoletano; e intanto Federico spediva la flotta a danno di Genova,
-contro cui istigava pure i suoi alleati Pavesi, Alessandrini,
-Vercellini, Tortonesi, e i marchesi di Monferrato, del Bosco,
-Pelavicino; chiedeva a prestanza gli argenti delle chiese di Puglia;
-occupava altre città romane fin a Tivoli e Montalbano; e nel sacro
-collegio istesso trovò chi tradisse il papa, come il cardinale Giovanni
-Colonna, che afforzando i castelli di Lagosta ed altri, circondava
-Roma. Chiuso in questa, il papa muore: e, detto fatto, Federico
-sospende le ostilità, quasi a lasciar intendere fossero dirette
-personalmente contro il pontefice; ma non per questo proscioglie i
-cardinali carcerati, anzi intercetta il denaro che da tutto il mondo
-spedivasi a Roma, mette Saracini a devastare il patrimonio, e ai
-pochissimi cardinali raccolti nel conclave, che ad arte egli traeva
-in lungo, scriveva: — A voi, figliuoli di Belial; a voi, figliuoli di
-Efrem; a voi, greggie di dispersione; a voi, colpevoli dello scompiglio
-del mondo».
-
-Celestino IV, dopo appena diciassette giorni di papato, morì di veleno;
-e tenendo l’imperatore ancora in prigione o a confino i cardinali,
-più d’un anno passò prima che si potessero unire quanti bastavano per
-eleggergli un successore, che fu Sinibaldo Fieschi genovese col nome
-d’Innocenzo IV (1243). Era egli di famiglia e di persona favorevole
-all’imperatore, onde speravasi un componimento; ma Federico disse:
-— Ho perduto un amico per acquistare un nemico». Però il vescovo
-di Porto con Taddeo da Suessa e Pier delle Vigne parve riuscissero
-a trar Federico a condizioni ragionevoli; e gli ambasciatori di
-questo il giovedì santo del 1244 in piazza del Laterano giurarono
-la pace, presenti esso papa, i cardinali, Baldovino II imperatore di
-Costantinopoli, il senato, il popolo.
-
-Già l’Italia e la Chiesa credeansi rabbonacciate, quand’ecco
-frammettersi puntigli: Innocenzo pretendeva Federico cominciasse dal
-rilasciar le terre e gli uomini presi; Federico voleva ch’egli prima
-lo ricomunicasse, e discernesse la causa sua da quella delle città
-lombarde, usurpatrici delle regalie, mentre il papa contendeva non
-fossero obbligate rispondere ai tribunali dell’Impero. Federico,
-palpato invano il pontefice col cercargli una nipote per isposa a
-suo figlio Corrado, s’avventa da capo all’armi, e ne occupa tutte le
-città; il papa, nè tampoco fidandosi (così il conosceva) di rimanere
-in Roma, fugge a Genova e di là in Francia. Federico, stizzendo che
-la vittima gli fosse sfuggita, scrisse, mandò, e tanto era potente
-e riverito, che il papa non trovò asilo da nessuno, neppure da san
-Luigi. Fortunatamente Lione era città libera, sicchè colà ricoverato,
-e ricevendo grand’onoranza da gente che affluiva da tutta cristianità,
-e anche dall’Italia per quanto l’imperatore vigilasse i passi, aprì il
-XIV concilio generale (1245 — 25 giugno).
-
-Cenquaranta prelati v’intervennero, e fu allora che Innocenzo ornò del
-cappello rosso i cardinali, per indicarli pronti a versare il sangue
-per la Chiesa, e v’aggiunse la valigia e la mazza d’argento, ornato
-regio, quasi a protestare contro di Federico, il quale pretendeva
-ridurli all’apostolica semplicità. Ai congregati espose le cinque
-piaghe della Chiesa: lo scisma dei Greci, le eresie crescenti,
-Terrasanta devastata dai Carismiti, la minaccia dei Mongoli, e le
-enormità dell’imperatore, eretico, musulmano, bestemmiatore, spergiuro,
-spogliator delle chiese, persecutore del clero. L’avrebbe però
-ricevuto a pace, purchè rilasciasse i prigionieri, rendesse le terre
-alla Chiesa, e compromettesse in lui le sue differenze coi Lombardi;
-ma Federico stette al niego: finse poi voler condursi in persona al
-concilio, ma vi andò solo Taddeo da Suessa.
-
-Grand’eloquenza, gran dialettica adoprò costui per menomare le accuse
-di eretico, d’epicureo, di ateo; ma indarno ripetute le proroghe
-acciocchè Federico comparisse in persona, fu in contumacia proferita la
-scomunica contro di esso: — Io vicario di Cristo; e quel che legherò
-sulla terra fia legato in cielo. Pertanto, deliberato coi cardinali
-fratelli nostri e col concilio, dichiaro Federico accusato e convinto
-di sacrilegio e d’eresia, scomunicato e scaduto dall’impero; assolvo
-per sempre dal giuramento quelli che gli promisero fedeltà; proibisco
-obbedirgli sotto pena della scomunica _ipso facto_; comando agli
-Elettori che scelgano un altro imperatore, riservando a me il disporre
-del regno di Sicilia». I cardinali gettarono per terra le candele
-accese, colla rituale esecrazione; Taddeo si picchiava il petto,
-esclamando: — Giorno di collera, giorno di calamità, di miseria»; ed
-Innocenzo intonò il _Tedeum_.
-
-Federico trovavasi in Torino quando lo seppe; e chiesta la corona,
-se la calcò in capo, dicendo come un altro ai nostri giorni: — Guaj
-a chi me la tocca! guaj al pontefice che spezzò i legami che a lui
-mi avvincevano, nè mi lascia più altri consigli che dello sdegno!» E
-scrisse ai principi, lagnandosi d’essere stato condannato prima che
-convinto, negando al papa il diritto di deporre i re[372]: — Come
-mai voi soffrite d’obbedire ai figli dei vostri sudditi? Vedete come
-si impinguano di limosine, e tronfj d’ambizione sperano che tutto
-il Giordano coli nella loro bocca. Quanto denaro risparmiereste
-sbarazzandovi da questi scribi e farisei! quando voi tendete loro
-la mano, essi pigliano tutto il braccio. Presi nelle loro ragne,
-somigliate all’uccello che, cercando fuggire, viepiù s’accalappia.
-Nostra intenzione fu sempre di voler colla forza tornare la Chiesa alla
-primitiva purità, e togliere a costoro i tesori di cui sono satolli».
-Così chiarivasi eretico nella lettera stessa ove di questa imputazione
-voleva scagionarsi.
-
-Ma la voce del concilio era ascoltata e diffusa, e il papa scriveva
-a’ Siciliani: — A molti fa meraviglia che voi, oppressi da vergognosa
-servitù, gravati nella persona e nei beni, abbiate trascurato di
-procacciarvi le dolcezze della libertà, come fecero le altre nazioni.
-Il terrore che occupò il cuor vostro sotto al giogo d’un nuovo
-Nerone, vi è scusa presso la santa Sede, la quale per voi sentendo
-pietà e paterno affetto, pensa come alleviare le vostre sofferenze,
-e fors’anche portarvi ad intera libertà. Su, spezzate le catene della
-schiavitù, e prosperi nel vostro Comune la libertà e la pace. Vada voce
-tra le nazioni che il vostro regno, tanto famoso per nobiltà e per
-abbondanza di prodotti, ajutante la divina Provvidenza, potè a tanti
-altri vantaggi unire quello d’una stabile libertà»[373].
-
-I Siciliani porsero ascolto a questi incitamenti, e, mal per loro,
-tesserono congiure contro la vita di Federico, che ne tolse ragione
-di versare sangue illustre. Anche in Germania la corona fu data ad
-Enrico Raspon (1246-47), landgravio di Turingia, che, favorito dalle
-dissensioni, e dal denaro e dai brevi del papa, vinse il re Corrado di
-Svevia: ma poi rivinto, morì di crepacuore.
-
-Non per questo migliorò la causa di Federico, il quale troppi titoli
-aveva onde bramarsi a riva. San Luigi di Francia, cui era sembrato
-un eccesso il condannare inascoltato il maggiore principe della
-cristianità, e che d’altra parte struggeasi di vedere i Fedeli in
-pace per ripigliare la crociata, s’interpose più volte, rammentando al
-pontefice la mansuetudine che conviensi al vicario di Cristo, e quante
-migliaja di pellegrini in Oriente implorassero l’armonia fra’ principi
-cristiani ond’essere redenti dal giogo: ma Innocenzo stava saldo,
-imponeva decime al clero, estorceva denaro in ogni modo, sollecitava
-i principi lontani, spediva ciascun giorno frati a predicare contro
-l’imperatore. Questi erasi accorto quanta potenza avessero le riforme
-portate dalla istituzione dei nuovi frati, riforme che toccarono
-alle viscere della società, cui ai tiranni giova lasciar corrotte, e
-perciò gli odiava. Pier delle Vigne scagliavasi contro costoro, che
-«nel principio parendo calpestare la gloria del mondo, assunsero poi
-il fasto che disprezzavano; non avendo nulla, possiedono tutto, e
-son più ricchi dei ricchi stessi. Frati Minori e frati Predicatori
-(soggiungeva) si elevarono contro di noi in ira, pubblicamente
-riprovarono la vita e la conversazione nostra, spezzarono i nostri
-diritti, e ci ridussero al nulla... E per affievolirci ancora più e
-toglierci la devozione dei popoli, crearono due nuove fraternite, che
-abbracciano gli uomini e le donne tutte; appena uno od una si trova,
-che a questa o quella non sia aggregato»[374].
-
-In fatto essi resistettero intrepidi alla tirannia di Federico, e
-nell’andare a mettere pace faceano giurare obbedienza al papa. I
-Pagani da Nocera irrompendo nella valle di Spoleto, giunsero un dì
-fin sotto Assisi: al pericolo, le monache di San Damiano si stringono
-attorno alla malata lor madre santa Chiara; ed ella si alza, prende
-l’ostensorio, lo colloca sulla porta, e inginocchiata al cospetto dei
-Musulmani, supplica Dio a proteggere la città: e Dio per sensibile voce
-la rassicura, gl’Infedeli voltansi in fuga, e da quel punto la santa
-è dipinta coll’ostensorio alla mano. Un’altra volta Vitale di Aversa,
-capitano dell’imperatore, menava sue masnade contro Assisi, sperperando
-i contorni: Chiara ne restò compunta, e radunate le suore, — Noi
-riceviamo sostentamento quotidiano da questa città; è ben giusto che
-la soccorriamo a poter nostro»; e si spargono di cenere, e supplicano,
-finchè Dio le esaudisce e sbratta il paese dagli Imperiali.
-
-Il beato Giordano, generale de’ Predicatori, andò all’imperatore,
-e statogli avanti alcun tempo silenzioso, proruppe: — Sire, varie
-contrade io giro, secondo è l’uffizio mio; or come non mi chiedete qual
-fama corra di voi? — Io tengo gente a tutte le corti e provincie, e so
-quanto accade in tutto il mondo», rispose Federico. E il frate: — Gesù
-Cristo sapeva tutto, e pur domandava a’ discepoli che cosa si dicesse
-di lui. Voi siete uomo, ed ignorate assai cose che vi gioverebbe
-sapere. Si dice che opprimete le chiese, sprezzate le censure, date
-fede agli augurj, favorite Giudei e Saracini, non onorate il papa
-vicario di Gesù Cristo. Ciò è indegno di voi»[375].
-
-Federico rispondeva colle crudeltà (1247); prese e distrusse Benevento
-città papale; e facendo criminali le parole e il pensiero, infieriva
-contro i sudditi; scriveva al re d’Inghilterra che i frati Minori
-combattevano contro di lui a lancia e spada, e assolvevano d’ogni
-peccato chi lo combattesse; accusava il papa di raccogliere i nemici
-suoi e rimunerarli; a quanti frati cogliesse, faceva in capo una croce
-col ferro rovente; appiccava qualunque portasse lettere d’interesse
-papale; rubò e disertò il convento di Montecassino: poi a tratto
-raumiliando, si faceva esaminare intorno alla fede da cinque prelati
-italiani.
-
-Nè le città lombarde ristavano: e Federico assalì di nuovo i Milanesi,
-sempre fidi al papa, e distrutto il monastero di Morimondo, accampò
-presso Abbiategrasso; ma l’esercito milanese stettegli a fronte sulla
-sinistra riva del Ticino, impedendogli di varcarlo. Bensì suo figlio
-Enzo, che coi Cremonesi e con altri Ghibellini assediava i castelli
-bresciani, tragittò l’Adda a Cassano: ma a Gorgonzola fu sconfitto e
-preso dal prode Simon da Locarno, il quale lo rese in libertà purchè
-giurasse non entrare più sul territorio lombardo.
-
-La perseveranza di una città lombarda diede il tracollo a Federico. I
-Guelfi, capitanati dai Rossi e dai Correggio, sinistrarono in Parma e
-ne furono espulsi dai Ghibellini, talchè l’imperatore come in città
-propria vi destinò podestà Arrigo Testa di Arezzo. Ma i fuorusciti
-pervennero a recuperarla, uccidendo in battaglia quel podestà, e
-scacciando il presidio imperiale. Questa rivolta noceva grandemente
-a Federico, perchè Parma serviva d’anello fra le città ghibelline
-ch’erano schierate dall’Alpi alla Puglia, cioè Torino, Alessandria,
-Pavia, Cremona, Reggio, Modena, la Toscana; e ciò che più rileva, con
-Verona e coi dominj di Ezelino e la Germania. Pertanto egli si propose
-di recuperarla ad ogni costo: Enzo si postò sul Taro per impedire i
-soccorsi de’ Lombardi: l’imperatore da Torino vi accorse con diecimila
-cavalli e molti balestrieri saracini e colle truppe d’Ezelino e degli
-altri Ghibellini; sostenne quanti studenti o soldati o gentiluomini
-parmigiani trovò, facendone morire quattro il giorno al cospetto
-della patria, finchè i Pavesi gli dichiararono: — Noi siamo venuti
-a combattere i Parmigiani, non a farne il boja». Incontro a Parma
-alzò egli una gran bastita a guisa di città, col nome di Vittoria: ma
-mentre egli baloccavasi alla caccia, i Parmigiani che erano soccorsi
-dai Lombardi, sortiti distrussero le mura e il campo, fecero macello
-de’ Saracini e de’ Pugliesi (1248), fra i morti lasciando il marchese
-Lancia e il famoso Taddeo da Suessa, e tolsero a Federico il tesoro,
-le gioje della corona e la speranza del vincere. La città di Vittoria
-andò in fiamme, il carroccio de’ Cremonesi ornò il trionfo dei
-Parmigiani[376].
-
-L’imperatore pensò rivalersi sulla Lega Toscana dei mali fattigli dalla
-Lombarda, e mandò suo figlio Federico re d’Antiochia con milleseicento
-cavalli tedeschi a Firenze, che eccitò la consorteria degli Uberti
-a prender l’armi; e cavalcata la città, e prese una dopo l’altra le
-barricate de’ Guelfi, la ridussero a segno ghibellino; abbatterono
-trentasei palazzi colle torri, fra cui alcune ornate artisticamente,
-come quella de’ Tosinghi in Mercato vecchio, alta quarantacinque
-metri; rincacciarono poi i Guelfi ne’ loro castelli forensi; a Capraja
-l’imperatore stesso venne a porre l’assedio, e presala, molti uccise,
-molti accecò, gli altri sepellì nelle prigioni di Puglia.
-
-Ma intanto Corrado suo figlio restava superato da Guglielmo d’Olanda,
-nuovo anticesare in Germania. Più al vivo l’avea tocco la sventura
-dell’altro figlio Enzo, bello e colto giovane di venticinque anni
-e già d’onorato nome in cose di guerra, che essendo venuto contro
-i Bolognesi, a Fossalto cadde in costoro mano. Essi lo tennero in
-cortese prigionia, ma per qualunque dire o fare più nol rilasciarono
-quanto visse. Raccontasi fosse fabbricato per lui il palazzo rimpetto
-al duomo, e che da Lucia Vendagoli avesse un figliuolo ch’e’ nominò
-Bentivoglio (1269), donde derivò la famiglia di questo nome[377].
-
-Al dispetto della superbia ammaccata s’aggiunse in Federico il più
-crudele e consueto flagello che Dio scagli sui tiranni, il sospetto. Le
-volte del palazzo di Palermo echeggiarono ai gemiti de’ baroni ch’egli
-vi chiudeva a morire, mentre le donne loro consumavansi di doglia.
-Che più? Pier delle Vigne, l’uomo cui avea fidate le _chiavi del suo
-cuore_, l’uomo che per anni ed anni avea scritto le lettere di lui,
-senza farsi scrupolo di urtare le idee allora più sacre, e di meritar
-taccia di servile presso la posterità, anch’esso gli cadde in sospetto.
-Privato degli occhi, Pietro non seppe tollerare di vedersi calpesto da
-quello ch’egli aveva tanto esaltato, onde si diede morte da se stesso;
-e dalle incolpazioni lo assolse il giudizio dei contemporanei espresso
-da Dante[378].
-
-La parte ghibellina, sostenuta da Pisa e Siena, prevaleva in Toscana;
-in Lombardia tenevasi in bílico coll’avversa, mercè la fierezza
-d’Ezelino; trionfi della forza: i Romani stessi minacciavano insorgere
-se il papa non tornasse. Potea dunque Federico lusingarsi d’un buon
-accordo, quando morì di sessantasei anni (1250 — 15 xbre). Rosa da
-Viterbo avea preveduta in visione la morte di lui, e intimatogli
-tornasse al cuore. Gli astrologi aveangli preveduta fatale una terra
-che traeva nome dal fiore; lo perchè non era mai voluto entrare in
-Firenze: ma l’ultima malattia lo colse a Fiorentino, villa della
-Capitanata. Prima di spirare fu ricomunicato: ma la fama divulgò che
-suo figlio Manfredi lo soffocasse: uno de’ molti misfatti, di cui
-quella famiglia fu aggravata dall’odio dei popoli e dei sacerdoti.
-
-Tanto eroe ch’egli era, in cinquantatre anni che stette re di Sicilia,
-e trentadue che imperò, Federico nulla compì di grande, perchè,
-com’ebbe a dire san Luigi, fe guerra a Dio coi doni di Dio. Qual
-divario in fatti dal limitare della sua vita, quand’era non solo
-amico, ma in tutela della Chiesa, e gli ultimi vent’anni in cui durò
-ritroso e contumace all’autorità spirituale! Acuto a scorgere i difetti
-e pregiudizj, stizzoso per beffarli, non amorevole per compatirli e
-correggerli, in un mondo che ancora operava per fede, volle trapiantare
-la politica materiale, facendo dichiarare da Pier delle Vigne che
-l’Impero è arbitro delle cose umane e divine; visitò il sepolcro di
-Cristo come alleato de’ Musulmani; si circondò di zanzeri, di odalische
-e di Saracini, a lor modo costumando la vita, e parve vagheggiare la
-coltura orientale a preferenza della cristiana.
-
-Questa rivolta contro la forza vitale del cristianesimo poteva essa
-tollerarsi da un secolo credente? Con volontà baldanzosa cozzando
-contro l’opinione, Federico non potette appoggiarsi che sui peggiori
-uomini che producesse l’Italia, e ricorrere ai mezzi repugnanti
-alla sua natura; incrudelire contro il proprio figliuolo, tenendolo
-a vita prigione; trovare o sospettar ribelli i suoi più intimi,
-vendicarsi ogni giorno con mannaje e capestri, distruggere città,
-crocifigger preti e frati. Nell’alta Italia non riusci a comprimere
-nè le città nè i baroni, anzi li fe chiari di quel che loro mancava
-per sostenersi. Divorò colla speranza il patrimonio di san Pietro, e i
-papi sopravissero a spargere d’acquasanta la fossa dell’ultimo rampollo
-di sua prosapia. Nel suo regno di Sicilia attentò le franchigie,
-quantunque il facesse colla solita canzone de’ tiranni, «Lasciate ogni
-potere a noi, e noi vi faremo felici»; e così cumulò tesori di memori
-ire. A maggior diritto lo tacciano i Tedeschi d’avere, per soggiogar
-l’Italia, trascurato il loro paese quasi una provincia; e mentre
-avrebbe potuto unire all’Impero tutto il settentrione e l’oriente
-dell’Europa, diffondendo la civiltà fra la razza slava, cui dappertutto
-preponderava allora la germanica, per capriccio di soperchiare i papi
-e per costituire un regno alla propria famiglia permise si eclissasse
-l’Impero, che più mai non ricuperò il suo splendore.
-
-Testando lasciava il regno a suo figlio Corrado; mancando questo senza
-prole, gli surrogava il suo figlio naturale Manfredi, che intanto
-destinava balio in Italia: si rendano in libertà tutti i prigioni,
-eccetto quelli presi per la congiura contro di lui; anzi a nessuno
-dei felloni del regno sia permesso tornarvi, e gli eredi suoi siano
-obbligati a trarne vendetta: alla Chiesa si restituiscano i diritti, se
-essa restituisca quelli dell’Impero: ai baroni o feudatarj ripristinava
-i privilegi e le franchigie che godeano al tempo di Guglielmo II, col
-che annichilava la fatica di tutto il suo regno, cioè il restringimento
-delle giurisdizioni feudali, quasi credesse che tutta la riazione fosse
-venuta da loro, e volesse evitarla a’ suoi figliuoli. La storia non
-dovrebbe ammirare che la grandezza morale; e Federico nulla fondò;
-operava per passioni personali e intenti domestici, e nè tampoco la
-propria famiglia potè assodare. Il popolo, guardando tra meraviglia e
-compassione il suo sepolcro, conchiudeva come il cronista Salimbeni,
-che sarebbe stato senza pari sulla terra _se avesse amato l’anima sua_.
-
-Dopo sei secoli di progresso un altro imperatore doveva elevarsi colla
-medesima assolutezza, la medesima nimicizia alla libertà, il medesimo
-conto della religione come stromento di politica e ordigno di Stato, la
-medesima ostilità ai papi; e come lui trionfare colla violenza, e come
-lui soccombere alla voce di Dio e del popolo.
-
-
-
-
-CAPITOLO XCII.
-
-Fine degli Svevi e della seconda guerra delle Investiture.
-
-
-«Esultino i cieli, giubili la terra, poichè in freschi zefiri e in
-fecondatrici rugiade si risolsero il fulmine e la burrasca, da Dio
-sospesi sul vostro capo»[379], esclamava Innocenzo IV all’udire la
-morte di Federico II; ma non parevagli perfetta l’impresa finchè
-restasse razza o seme degli Hohenstaufen. Scrisse ai baroni delle Due
-Sicilie, non riconoscessero altro re dal papa in fuori; e alle città
-e ai principi di Germania cessassero ogni devozione verso Corrado IV,
-scaduto, non che dal trono, fin dal ducato di Svevia; e favorissero
-invece Guglielmo d’Olanda, eletto imperatore; non fosse accettato
-alla comunione o a dar testimonianza se non chi si segregasse dagli
-Hohenstaufen. Poi, ad invito de’ Guelfi, da Lione suo ricovero venne
-alla patria Genova, traversò la Lombardia benedicendo e scomunicando,
-spegnendo e attizzando guerre. Le città, che la benedizione sua avea
-tanto francheggiate nel tener testa al Tedesco, tripudiavano ora nel
-nome di lui: tutti i Milanesi gli uscirono incontro, formandogli doppia
-siepe per dieci miglia di strada, e inventarono un cielone di seta
-portato da cittadini di rispetto, il quale poi fu detto baldacchino;
-e per due mesi che vi dimorò, gli accumularono dimostrazioni e
-n’ottennero grazie spirituali. Essi Milanesi sconfiggevano i Lodigiani,
-vi collocavano un podestà di loro scelta, e vinceano i Tortonesi in
-modo da farli quasi tutti prigionieri: Firenze rimetteva in città i
-Guelfi, i quali ben tosto furono in grado di cacciarne i Ghibellini:
-molte città del Regno insorsero, e fin Capua, Napoli, Messina, e i
-conti d’Acerra, d’Aquino, di Caserta.
-
-Solo in Roma prevalevano i Ghibellini; e non che accogliere il papa
-con feste o calma, si volle scegliere un senatore non più paesano,
-ma forestiero come soleansi i podestà. E fu Brancaleone d’Andalo
-bolognese, conte di Casalecchia (1253), legato con Ezelino, col
-Pelavicino e cogli altri di quella risma; il quale accettò solo a
-patto di durare tre anni, e di mandare nella sua patria come ostaggi
-trenta giovani di famiglie primarie; con giustizia inflessibile e
-governo di sangue tenne tranquilla la città, distrusse cenquaranta
-torri de’ nobili, molti ne mandò al supplizio o in esiglio; ad
-Innocenzo, ch’erasi collocato in Assisi, intimò di restituirsi alla
-sua sede se voleva essere riconosciuto, minacciando diroccare la città
-che il ricoverava, come già avea fatto colle riottose Ostia, Porto,
-Alba, Tivoli, Sabina, Tusculano. Tanta severità irritò il popolo, che
-cacciollo; ma presto lo rivolle, e quando morì ne collocò la testa in
-un vaso d’alabastro sopra una colonna.
-
-Ai Ghibellini s’appoggiò pure Corrado quando con iscarsissimi
-mezzi venne in Italia (1251), e a Goito sul Mantovano convocò i
-Cremonesi, Pavesi, Piacentini, Padovani, e il caporione della parte
-imperiale, Ezelino, il quale era a un punto di costituire una potenza
-indipendente, se troppo lubrico fondamento non fosse il sangue.
-Invano dal papa tentato con promesse e minaccie, costui seguitò la
-strada della violenza, e con questa sostenea l’imperatore: sicchè le
-città guelfe rinnovavano la lega, che aveano imparato esser modo di
-salvamento; e il papa vi promise trecento lancie mantenute.
-
-Corrado si tragittò per mare nel Regno, ove tutto andava a subuglio,
-perchè pretendeano governarlo gli uni a nome del pontefice, gli
-altri de’ figli di Federico. Uno n’avea questi lasciato d’Isabella
-d’Inghilterra, per nome Enrico; ma finendo solo i tredici anni,
-non bastava a tali procelle: dell’altro Enrico, che era stato re,
-avanzavano due bambini. Ma la figlia di Bonifazio Guttuario signore
-d’Anglano presso Asti e d’una Napoletana di casa Maletta, vedova del
-marchese Lancia, a Federico avea generato Manfredi, che fu intitolato
-principe di Taranto. Nel vigore dei diciott’anni, tutto spiriti
-cavallereschi ed ambizione, alla morte del padre naturale egli si
-recò in mano le cose, e sanguinosamente reprimeva la Sicilia e le
-città che, confortate anche dal papa a quella libertà _che godeano
-quelli direttamente soggetti alla Chiesa_[380], aspiravano a saldare
-il governo municipale, forse non mai perito colà, ed eleggevano un
-consiglio invece de’ bajuli regj. Manfredi coi Saracini di Nocera
-e di Sicilia ajutò Corrado a sottometterle; il quale, avuta Napoli
-stessa dopo lunga resistenza, la mandò a sacco, costrinse i cittadini
-a smantellarla, e fece _gran giustizia_, cioè esterminio de’ capi
-ribelli. Queste ed altre severità e le rincarite imposizioni faceano
-che i popoli dicessero di lui «Gli è un tedesco», mentre di Manfredi
-ripeteano «È un italiano».
-
-Per quanto Manfredi si fosse buon’ora addestrato nell’arte di fingere
-e inchinarsi, l’attività e la benevolenza il posero in sospetto a
-Corrado, il quale, dopo che gli nacque un figlio nominato Corradino
-(1252), cessò d’avergli riguardi; per fargli smacco abolì le donazioni
-fatte dopo morto Federico, depose il gran giustiziere di Taranto
-ed altre creature di esso, ne cacciò i parenti materni, lui stesso
-privò del ricco appanaggio di cui l’avea provveduto. Al tempo di
-loro amicizia aveali la pubblica voce accusati d’avere avvelenato il
-giovane lor fratello Enrico e il nipote Federico: dopo la loro scissura
-si imputò a Manfredi il morire di Corrado (1254). Costui, finendo
-sul fiore de’ ventisei anni, temea il veleno in ogni posizione, e
-rimordeasi d’aver disgustato la Chiesa, prevedendo ch’essa trionferebbe
-d’una Casa ridotta a una cuna. Allora Guglielmo d’Olanda non ebbe più
-emuli nel regno di Germania: ma, benchè giovane ardimentoso, non potè
-mai ispirare nè amore nè rispetto; e prima di cingersi la corona in
-Italia, morì osteggiando i Frisoni.
-
-Sì abjette erano le condizioni dell’Impero (1256), che nessun
-principe nazionale vi aspirò, ma gli uni facevano guerra agli altri
-in universale anarchia. Alfonso X re di Castiglia comprò con grosse
-somme (1257) il voto d’alcuni elettori; d’altri con somme maggiori
-Ricardo di Cornovaglia, non conosciuto per altro merito che per
-isfondolate ricchezze: sicchè l’impero di Carlo Magno tornava, come
-ai tempi di Didio Giuliano, a vendersi al migliore offerente. Ricardo,
-appena coronato, dovette tornare in Inghilterra, ove morì; Alfonso dai
-domestici affari e dagli studj astronomici fu trattenuto in Ispagna,
-nè cinse mai la corona di re de’ Romani: sicchè quel tempo chiamossi
-_il grande interregno_, non perchè mancassero imperatori, ma perchè di
-nessuno fu riconosciuta ed efficace l’autorità. Tempo deplorabile per
-la Germania, dove rivisse peggio che mai il diritto del pugno, cioè
-delle guerre private; e dove alle antiche, nuove occasioni di battaglia
-aggiungevano le investiture date dagli emuli imperatori; nè ai popoli
-restava cui ricorrere contro le angherie dei signori, i quali faceansi
-unica legge il proprio talento.
-
-Pensate se ai Tedeschi rimaneva agio di badare all’Italia, dove la
-lite fra l’Impero e il Sacerdozio invelenivasi per nazionali rancori.
-Cotesta razza sveva innestata sul tronco normanno, che appoggiavasi
-unicamente sopra guerrieri saracini o tedeschi, che fra gli Arabi
-avea scelto quasi tutti i giustizieri del Regno e i principali
-provvisionati, spiaceva agli Italiani, gelosi dell’indipendenza
-patria; spiaceva alle Repubbliche, come ereditaria nemica delle loro
-franchigie; spiaceva ai papi, che l’aveano perpetua contradditrice.
-Corrado lasciò, unico fiato di quella stirpe, un bambolo di tre
-anni, Corradino, partoritogli da Isabella di Baviera; e diffidando
-di Manfredi, gli avea destinato tutore Bertoldo di Hohenburg,
-signore bavarese di molta ambizione e scarsa capacità. Conformandosi
-all’intenzione del defunto, questo lo raccomandò al papa, il quale
-rispose gli lascerebbe il ducato di Svevia e il titolo di re di
-Gerusalemme; quando fosse cresciuto, farebbe esaminare i diritti
-di esso sulla Sicilia, che era ricaduta alla Chiesa. E la esibì al
-suddetto Ricardo di Cornovaglia, che ricusò, paragonandolo a chi gli
-esibisse la luna: Enrico III d’Inghilterra l’accettò per suo figlio
-Edmondo, tanto perchè anche questo gobbo avesse un appanaggio, e spedì
-qualche denaro per alimentare la guerra, ma null’altro ne fece.
-
-In tali incertezze ognuno ghermiva qualche brano di potere, chi a nome
-del papa, chi del re, chi del Comune, chi di nessuno; gli ordinamenti
-municipali allargavansi in repubblica; e Bertoldo, vedendo gl’italiani
-mal intalentati verso lui straniero, rimise la reggenza in man di
-Manfredi.
-
-Federico lo aveva in testamento sostituito a succedergli, caso che
-Corrado morisse senza prole; e chi conosce le ambizioni umane, non si
-recherà difficile a credere ch’egli aspirasse ad acquistare quel regno
-come suo, pur mostrando faticare pel nipote. Di forme ben assortite,
-nobile portamento, discreto trattare, si era coltivato colle lettere;
-e robustezza, valore, grazia attrattiva, senno, scaltrimenti avea
-quanto bisognava al riuscire. Sulle prime, quando mancava di denaro,
-e i baroni vedeva nojati della dominazione tedesca, s’umiliò al papa,
-gli consegnò le rôcche, e lo riconobbe non solo come caposignore, ma
-come vero sovrano del Regno: al qual patto Innocenzo gli consentì il
-principato di Taranto e l’altre terre qual feudo della Chiesa, col peso
-di dare ad ogni richiesta cinquanta cavalieri per quaranta giorni; e
-il deputò suo vicario di qua dal Faro, coll’assegno d’ottomila once
-d’oro, mentre la Sicilia restava a governo di Pietro Rufo, speditovi
-da Corrado IV. Innocenzo entrò nel Regno, accompagnato dagli esuli cui
-restituiva la patria, e accolto ad onoranza dal popolo e dai signori.
-
-Conciliazione apparente, ove gareggiavano qual dei due meglio
-simulasse. Manfredi secondava or le pretensioni del pontefice, or le
-esigenze de’ Tedeschi e de’ Saracini che si vedevano sbancati per la
-dominazione papale[381]; tradimenti e battaglie aperte ricorrevano
-fra le due fazioni. In una di queste perì Borello d’Anglone, creatura
-pontifizia; e Manfredi, citato a scagionarsi della costui morte,
-invece pensò resistere, e adottò la politica paterna di confidare
-sulla forza e sui mercenarj forestieri. Attraversando dunque il paese,
-tutto malvolto a lui scomunicato (1254 — 9bre), giunse nella Capitanata
-fra gravi pericoli. Giovanni il Moro, nato da una schiava nel palazzo
-reale, brutto, sconcio, ma astutissimo, era stato allevato con gran
-finezza per cura di Federico, che lo pose fra’ suoi secretarj, il fece
-persino gran cameriere del regno, e insieme capitano de’ Saracini di
-Lucera. Manfredi gli lasciò le dignità; eppure colui patteggiò col
-pontefice, che lo ricevette come feudatario e sotto la protezione
-speciale della chiesa di San Pietro[382]. Fortunatamente egli era
-andato a ricevere l’investitura quando Manfredi arrivò a Lucera, dove
-i Saracini lo accolsero festosi, e posero a discrezione di lui i tesori
-depostivi da suo padre e da Corrado, coi quali soldò mercenarj di qual
-fossero nazione o colore; e avendo i baroni protestato di non tenersi
-obbligati a militare fuori del Regno, Manfredi ne li dispensò, e in
-quella vece condusse duemila Tedeschi per sei mesi a paga doppia: e
-ai capitani di cotesti forestieri, o ai conti rurali, gente anch’essa
-forestiera, e agli Arabi affidava la guardia e il governo delle città
-guelfe che sottomettesse, o delle ghibelline che gli si unissero.
-
-Innocenzo IV, inesorabile alla casa sveva, era morto (7 xbre) a Napoli,
-e fra l’agonia udendo i parenti suoi piangere e singhiozzare, esclamò:
-— Miserabili! non v’ho io abbastanza arricchiti?»[383]. Gli succedette
-Alessandro IV, dei Conti di Segni, donde in sessant’anni erano venuti
-alla tiara Innocenzo III e Gregorio IX; tutto pietà, ma raggirato dai
-cortigiani. Manfredi, inebbriato sul prosperare delle sue armi, gli
-ricusò omaggio, sicchè la guerra divampò, e il legato Ottaviano degli
-Ubaldini raccolse quanti erano avversarj a Manfredi, e nominatamente
-il marchese Bertoldo, disgustato dal vedere che costui operava per
-sè, non più per Corradino, il quale anche con diploma reale avealo
-nominato reggente «come quello che per prudenza, fedeltà, alto senno
-ben meritava la sua confidenza, oltre che aveva diritto»[384]: ma
-poi Manfredi trionfava in ogni parte, coll’operosità mostravasi degno
-di regnare; adunato il parlamento, distribuì i feudi a’ suoi fidati,
-spogliò gli avversi, e avuto in mano Bertoldo e i fratelli suoi, li
-mandò a morire in prigione. Divulgò o lasciò divulgare che Corradino
-fosse morto; in conseguenza si fece coronare a Palermo. Il papa lo
-scomunica co’ suoi aderenti (1258 — 11 agosto); ed egli si costituisce
-centro de’ Ghibellini di tutta Italia; occupa Napoli, e se la concilia
-col perdono e l’oblio; trovandosi come padrone nelle marche d’Ancona e
-di Spoleto, piglia in mezzo gli Stati papali; essendogli morta Beatrice
-di Savoja, sposa Elena Comneno figlia del despoto dell’Epiro, e la
-festeggia con magnificenza; ama le caccie, ama le canzoni di poeti
-tedeschi, i serventesi di provenzali, gli strambotti d’italiani[385];
-circondasi di dotti, giocolieri, concubine, e corte all’orientale;
-intanto spedisce truppe sia in Grecia a sostenere lo suocero, sia nella
-Marca e in Toscana a fiancheggiare i Ghibellini, i quali lo favorivano
-perchè non tanto forte da metterli al freno, e perchè altro Tedesco non
-venisse in Italia[386]. In quattro anni era egli riuscito a ritogliere
-dalla mano dei papi quello scettro che suo padre avea con tanto vigore
-impugnato; carezzava baroni, prometteva rintegrare le franchigie
-municipali, distribuiva onori e contee, dava risalto al valor suo
-personale a fronte delle codarde fughe dei preti, e non mancava di
-punire atrocemente le città contumaci.
-
-Il nuovo papa Urbano IV (1261), uom di robusto petto[387], sulle
-vetriate di Troyes sua patria fe ritrarre suo padre intento allo spago
-di ciabattino; si cinse di buoni cardinali; e degl’interdetti allora
-prodigati mitigò il rigore, permettendo la messa e i sacramenti purchè
-a porte chiuse. Ordinò che il corpo di Saracini stanziatosi sugli
-Stati papali sgombrasse, o bandirebbe la crociata; e fu obbedito da
-Manfredi, fors’anche per paura d’un nuovo entusiasmo che erasi diffuso.
-Una dirotta di battuti, uomini, donne, fanciulli, a lunghe file in
-disordine seguendo un crocifisso, flagellandosi a sangue, e cantando
-lo _Stabat Mater_, tragittavansi di città a città, intimando penitenza
-e concordando paci. Allorchè si accostavano ad una, podestà e clero
-uscivano ad incontrarli colle croci e il gonfalone, i campagnuoli
-interrompevano i lavori, ognuno voleva sorpassare i precedenti
-in austerità di penitenze e asprezza di flagellazione, e le donne
-si radunavano la notte per applicarsi la disciplina, e tutti gli
-abitanti si metteano dietro alle croci. A questa clamorosa devozione,
-non promulgata da predicatori, non istituita dal pontefice, diffusa
-rapidamente da un capo all’altro d’Europa senza che si sapesse da chi e
-perchè, entrava negli animi la persuasione d’alcuna grave sventura, con
-cui Dio fosse per risciacquare la terra peccatrice; tacquero le danze e
-le canzoni d’amore, per far luogo a pellegrinaggi e a devote cantilene;
-usurieri e ladri restituivano il mal tolto, peccatori inveterati
-si confessavano e ravvedevano, le violente ire ammorzavansi come un
-incendio sotto un mucchio di terra.
-
-Il marchese Oberto Pelavicino piantò delle forche al confine del
-suo Stato, minacciando appendervi quanti Flagellanti lo passassero.
-Manfredi egualmente gli escluse dal Regno; ma comprese che guaj a
-lui se il papa avesse cavato pro da quell’entusiasmo per dirigerlo
-contr’esso.
-
-Anche in Sicilia un paltoniero finse d’essere Federico, che per
-espiazione fosse rimasto dieci anni in miseria; e trovò seguaci e
-denari, e fu forza mandar l’esercito per dissiparli e appiccare i capi.
-Manfredi, ito in persona a chetar l’isola, raccolse il parlamento
-generale a Palermo, dove i nobili vennero offrendo doni, fra cui
-un cavaliere di val di Mazzara cento muli condotti da altrettanti
-schiavi negri[388]. Gratificarsi il popolo con largheggiare libertà e
-istituir Comuni non osava, egli erede de’ rancori degli Svevi; anzi era
-costretto gravare sempre peggio le imposte, oltre esigere trentamila
-once d’oro pel matrimonio di sua figlia Costanza con Pietro infante
-d’Aragona, sul che dicevasi profittasse per la propria borsa[389].
-Altre spese cagionavano le feste, a cui tanto si piaceva Manfredi: e di
-segnalate ne diede in occasione che sbarcò a Bari Baldovino spossessato
-imperatore di Costantinopoli, quando tra banchetti e balli v’ebbe un
-torneo ove ruppero le lancie venti cavalieri cristiani e due musulmani
-di Lucera, e premio era una collana d’oro coll’effigie di Manfredi.
-«Ogni jorno se fecero balli, dove erano donne bellissime, d’onne
-sorte; e lo re presentava egualmente a tutte, e non sapea qual chiù li
-piaceva» (SPINELLI).
-
-Questi cercò anche d’accordarsi col papa, fin mettendo di mezzo il
-famoso giurista Raimondo di Pegnafort, ma senza niun degno pro; anzi
-Manfredi ricusò rilasciare il vescovo di Verona, che diceva arrestato a
-capo d’insorgenti; e inveendo contro il pontefice, — Cessi (esclamava)
-una volta di metter la falce nella messe altrui; obbedisca al divino
-precetto di rendere a Cesare quel ch’è di Cesare, a Dio quel che di
-Dio»; e scrisse ai Romani che non al papa ma al senato e alla città
-loro spettava il diritto di dare e togliere la corona imperiale, e
-mandò mercenarj tedeschi a ripigliare le ostilità[390].
-
-Di questa lotta erano stanchi i principi d’Europa, giacchè per
-sostenerla i pontefici imponevano continue decime e annate sui beni
-ecclesiastici; e vedendo che quelli ostinavansi a volere sbalzata la
-casa Sveva, s’acconciarono essi pure a questo partito, e si diede nerbo
-alla guerra coll’opporre a Manfredi un altro campione.
-
-Raimondo Berengario, conte della Provenza che molta parte avea avuto
-nelle vicende di Nizza, di Genova e delle alpi Marittime, sposò
-Beatrice figlia di Tommaso conte di Savoja, bellissima, letterata, e
-protettrice del sapere, che tenea spesso corti bandite e corti d’amore,
-favoriva trovadori, circondavasi di donne nominate fra le poetesse,
-quali Beatrice sua cugina, Agnesina di Saluzzo, Massa dei Malaspina,
-la contessa Del Carretto, la principessa Barbossa. Di lei Raimondo
-generò quattro figliuole, di cui maritò una al re di Francia, una a
-quel d’Inghilterra, una al duca di Cornovaglia eletto re de’ Romani,
-e morendo lasciava nubile Beatrice in tutela della madre. La quale,
-per sottrarla agli Aragonesi che aspiravano a quel dominio, la menò
-alla corte di Luigi IX di Francia suo genero, e quivi la fidanzò
-a Carlo d’Angiò, il minore fratello di lui. Voleva poi continuare
-in uffizio di contessa della Provenza, ma Carlo tergiversolla; del
-che abbiamo una lettera consolatoria che le scriveva l’altro genero
-Enrico d’Inghilterra[391]: e infine essa dovette abbandonare il paese
-e restituirsi in Savoja, dove fondò alle Scale uno spedale, e vi fu
-sepolta in un mausoleo di ventidue statue, distrutto poi nelle guerre
-del Seicento.
-
-Dispiacere e sgomento risentì la Provenza, che subito si vide
-allagata d’uffiziali francesi; e mozze le libertà di quel gran Comune,
-ordinato alla foggia dei nostri, si moltiplicarono imposte, confische,
-prigionie, supplizj arbitrarj. Carlo, allora sui quarantasei anni,
-oltre questo possesso della moglie, teneva, come figlio di Francia,
-la contea d’Angiò; sicchè era il più ricco e potente de’ principi
-non coronati; educato austeramente dalla regina Bianca, di valore
-avea fatto splendide prove alla crociata e ne’ tornei, de’ quali
-vivamente si piaceva; credea perduto il tempo dato al dormire, amava
-le suntuosità e le cortesie non meno che le avventure e le prodezze,
-cupo di naturale, non scrupoloso sui mezzi, implacabile coi nemici,
-pertinace nelle risoluzioni e paziente ad aspettarne la riuscita,
-fedifrago quando occorresse. Colla spada assodò e ingrandì il dominio,
-sottomettendo, fra altre, le importanti città di Arles e Marsiglia,
-strettamente collegate per commercio con Pisa e Genova; e allungandosi
-verso l’Italia, ebbe Ventimiglia e Nizza.
-
-Qual meraviglia ch’egli ambisse di non essere da meno del regio
-fratello? Sua moglie poi struggevasi di portare onore di corona e di
-reame come le tre sorelle, colle quali trovatasi ad una corte bandita,
-fu obbligata prendere un posto inferiore. Quando dunque il papa gli
-offrì il regno delle Sicilie, volontieri l’accettò Carlo; ma Bianca,
-allora reggente di Francia, non gli consentì l’impresa. Egli però
-non distaccava gli occhi dall’Italia, e di qua dai monti acquistò
-Alba, Cuneo, Mondovì Piano, Cherasco; poi venuto alla tiara Urbano
-IV, rinnovò la pratica, e tolti gli scrupoli che nasceano a san Luigi
-sopra i diritti di Corradino, s’accinse ad acquistare il Reame. Prima
-di moversi acconciò i suoi affari in Provenza, compromise le discordie
-che avea con Tommaso marchese di Saluzzo pel possesso di Busca e della
-val di Stura, e fece costruir navi nell’arsenale di Nizza, traendovi
-legname dai monti vicini per opera degli uomini di Peglia[392].
-
-Ma la Provenza non dava guerrieri che per quaranta giorni e per brevi
-distanze; sicchè fu forza ricorrere a venturieri, stipendiandoli in
-parte colle decime imposte alle chiese di Francia, in parte colle gioje
-della contessa poste in pegno: vi si unirono i migliori campioni di
-Francia e di Provenza, volendo, per amore cavalleresco verso Beatrice,
-_farla reina_; altri per ingordigia di bottino; altri per acquistare
-le indulgenze che il papa prometteva, quasi fosse una crociata per
-chiudere il varco che agli Arabi aveano riaperto gli Svevi annidandoli
-in Italia. Così furono messi in acconcio quindicimila fanti, cinquemila
-lancie, diecimila balestrieri; sostenuto dai quali e dagli indulti,
-Carlo s’avviò all’Italia.
-
-Ad altri forti erano ricorsi i pontefici fin dal tempo de’ Pepini;
-vi ricorsero dappoi fino a’ dì nostri, per sostenere buone cause e
-sciagurate: e i frutti furono sì differenti, che non si osa misurar
-la lode o il biasimo sopra gli effetti. Solo possiam francamente
-desiderare che la podestà sovreminente si trovi costretta il men
-possibile a implicarsi in interessi mondani, dai quali trasse sovente
-contaminazione, sempre il disgusto di qualche parte di coloro che tutti
-le sono figli in Cristo.
-
-Urbano, incalzato più sempre dai Ghibellini e da Manfredi fin nella
-sua Roma, morì (1263); e Clemente IV suo successore si professò
-avverso al nepotismo, e ad un suo nipote scrisse: — Non t’inorgogliare
-d’un’elevazione che noi umilia a’ nostri occhi, e che svanirà come la
-rugiada del mattino. Non uscire dal tuo stato; nè tu o tuo fratello
-e altri nostri parenti vengano alla corte senz’esservi chiamati,
-se non vogliano partirne colmi di confusione. Non cercare alle tue
-sorelle mariti di condizione superiore, chè ci troveresti repugnanti:
-ma se si mariteranno a semplici cavalieri, daremo loro trecento lire
-tornesi, purchè ciò sia noto solo a te e tua madre. Le figlie nostre
-(egli era stato ammogliato) non prendano altri mariti che se noi
-fossimo rimasti semplici preti. Niuno ardisca venirci a sollecitare,
-nè accettar regali; le vostre istanze sarebbero anzi nocevoli che
-vantaggiose»[393].
-
-Come provenzale egli pendea verso Carlo, e più quando, nella guerra
-politica e insieme religiosa di tutta Italia, vide Manfredi assicurare
-prevalenza agli avversarj de’ papi. Carlo, a malgrado delle flotte
-combinate di Sicilia e di Pisa, con mille cavalieri scelti sbarcò
-a Roma, i cui cittadini lo chiesero senatore, e lo ricevettero con
-feste quali a nessun principe mai. Egli pattuì col pontefice sotto
-fede giurata di conseguire le Due Sicilie per sè e pe’ maschi suoi
-discendenti, o nati da figlie secondo l’ordine delle geniture; non
-dividerebbe o estenderebbe que’ dominj, nè s’intrometterebbe agli
-affari di Lombardia e Toscana; pagherebbe una somma allor allora, poi
-ottomila once d’oro l’anno, sotto pena di decadenza; darebbe al papa
-ad ogni richiesta trecento lancie da almeno tre cavalli ciascuna per
-tre mesi; ogn’anno gli presenterebbe un palafreno bianco, bello e di
-buona razza, in segno di omaggio[394]; non accetterebbe mai la dignità
-imperiale; quella di senatore di Roma deporrebbe appena stabilito
-in trono; del resto rispetterebbe la costituzione che il papa fosse
-per dare alla Sicilia, restituirebbe alla Chiesa ogni bene o titolo
-usurpatole, e lascerebbe la piena libertà delle elezioni e provvisioni
-prelatizie, sicchè nè prima nè dopo fosse necessario il regio assenso;
-i chierici e le cause ecclesiastiche si tratterebbero al tribunale de’
-vescovi.
-
-Fra ciò, pei colli dell’Argentiera e di Tenda veniva di Francia
-l’esercito di Carlo. Pietro conte di Savoja e Guglielmo marchese
-di Monferrato, disertati dalla parte ghibellina, favorivano i nuovi
-vincitori; Acqui e Novi ne provarono le vendette; Torino, Vercelli,
-Novara gli accolsero lietamente; donde voltarono al Milanese, ai
-Guelfi dando il sopravvento, e cacciando i Ghibellini. Questi, e
-principalmente i Del Carretto e il marchese Pelavicino, ch’erasi
-formato uno Stato poderoso fra Cremona e Brescia, si opposero; ma,
-fors’anche per tradimento di Buoso da Dovara, i crocesignati poterono
-fendere il Bresciano, poi spingersi a Ferrara e al Bolognese, evitando
-la Toscana ancor fedele a Manfredi, indi raggiungere Carlo a Roma.
-Quivi arrivavano stanchi, poveri, nudi, affamati delle ricchezze
-romane; ma Carlo le aveva esauste, prestiti non si trovavano più perchè
-non si restituivano, e il paese era manomesso come una conquista.
-
-Clemente non voleva andare a Roma per non mettersi in balìa di
-Carlo, che allora egli conosceva ambizioso insieme ed egoisto, gran
-pezzo inferiore all’aspettazione e alle pompose promesse, e che
-incessantemente chiedeva denaro, «quasi (scrive il papa) noi avessimo
-montagne d’oro e fiumi di ricchezze»: tanto per ismorbare la città
-s’affrettò a fargli dare la corona di Sicilia e il gonfalone della
-Chiesa (1266), dopo nuovi giuramenti di ligezza; e lo sollecitò a
-rompere gl’indugi, benchè di fitto verno. Il papa levava decime e
-centesime per tutta la cristianità, dava in ipoteca i beni proprj e de’
-cardinali per ottenere prestiti da Senesi e Fiorentini, moltiplicava
-indulgenze, assolveva incendiarj e sacrileghi purchè pigliassero la
-croce bianca e rossa; e col re mandò il suo legato Pignatelli vescovo
-di Cosenza, portatore d’assoluzioni e di scomuniche.
-
-Manfredi facea côlta di gente, di moneta, di coraggio, chiese il
-contingente de’ feudatarj, chiamò nuovi Saracini d’Africa; una flotta
-di legni siculi, genovesi, pisani postò fra la Sardegna e l’Italia, ed
-assalì il patrimonio pontifizio, sperando sterminare i Francesi prima
-che sopravenisse l’esercito grosso; ma tutto gli facea sentire che
-la nazione non era con lui: i Napoletani, stanchi dell’interdetto, lo
-supplicavano a far pace col papa, ed egli protestava non averne colpa;
-prometteva mandare trecento Saracini, che obbligherebbero i preti
-a riaprire le chiese e cantar messe; colle congiure ribellò Roma ai
-papi, ma altre congiure lo costrinsero a ritirarsi dal territorio della
-Chiesa. Munì gagliardamente quelle gole, che sarebbero accessibili
-soltanto per tradimento o per vigliaccheria dei difensori: ma con
-tutto ciò la paura stringeva i cuori[395]; poi dicono che il conte
-di Caserta, messo a guardia del fiume Garigliano, per vendicarsi
-dell’oltraggio fattogli da Manfredi nella moglie, lasciasse il varco ai
-Francesi. Manfredi, sentendosi preso fra le spire del tradimento, colle
-parlate e coi manifesti non ottenendo che promesse o quella compassione
-che nobilita ma non prospera le bandiere, propose un accordo; ma Carlo
-rispose: — Dite al soldano di Nocera che seco nè pace nè tregua; oggi
-io manderò lui all’inferno, od egli me in paradiso».
-
-Altre volte vedemmo la disperanza del vincere infondere una smania di
-azzuffarsi e finirla; e mentre col ricoverare nelle fortezze poteva
-prolungare la resistenza, Manfredi volle tutto avventurare in una
-giornata campale a Grandella presso Benevento (1266 — 26 febbr.).
-Quivi da una parte gl’indovini arabi prendeano dagli astri il punto
-favorevole a ingaggiare la mischia[396]; dall’altra il vescovo
-d’Auxerre tutto in arme compartiva l’assoluzione ai Francesi, e —
-Per penitenza vi do di ferire molto forte e a colpi raddoppiati». Si
-mescola la battaglia; i Guelfi, massime toscani, fanno meraviglie di
-valore; di maggiori e con più arte ne fanno Manfredi, i suoi Arabi e
-i cavalieri tedeschi, che alti e vigorosi, le lunghe spade rotando
-a due mani, prevaleano ai Francesi, le cui spade corte e dritte si
-rintuzzavano battendo il taglio sulle armadure temprate a tutta botta.
-Carlo allora getta da banda le delicatezze cavalleresche, e ordina
-_Di stocco, di stocco_, e di dare colla punta sotto le ascelle de’
-Tedeschi come alzano le braccia, e di ferire ai destrieri[397]; sicchè
-i Tedeschi scavalcati non possono rialzarsi di sotto la poderosa
-armadura. Manfredi vuole allora avanzare i Pugliesi tenuti in riserva,
-ma li trova renitenti: suo zio conte di Maletta gran cameriere
-dà il segno della defezione: lo seguono il conte d’Acerra cognato
-di Manfredi, e altri cavalieri, già d’intesa col nemico. Fremente
-all’abbandono del fior dei prodi, e risoluto a morire da re piuttosto
-che campare esule e compassionevole[398], Manfredi getta le insegne
-vistose e prende un elmo senza corona; ma l’aquila che ne formava
-il cimiero casca. _Hoc est signum Dei_, esclama egli, e avventatosi
-disperatamente nella mischia, cade trafitto. Il cadavere suo, trovato
-fra un mucchio di uccisi, fu riconosciuto al pianto dei suoi fedeli;
-i baroni francesi gli voleano rendere gli onori militari, ma Carlo
-riflettè che, come scomunicato, doveva essere escluso dalla sepoltura
-sacra: onde deposto in una fossa, i soldati vi gettarono ciascuno
-una pietra, elevando così un tumulo come ai prischi eroi. Nè quella
-tomba tampoco gli assentì il legato pontifizio, e lo fe gettare sulla
-dritta del fiume Verde, che fra Ceprano e Sora contermina il Reame e la
-Romagna.
-
-Noi non graveremo la memoria di Manfredi quanto fece l’ira de’ Guelfi;
-anzi ci alletta quel far suo cavalleresco, generoso, ameno, e la
-costanza con cui affrontò la sventura: pure, incominciata la carriera
-della usurpazione, dovette procedere per vie oblique e finzioni; come i
-suoi padri, badò a sè anzi che ai popoli e ai loro bisogni e desiderj,
-e non ne cercò l’amore; combattè col braccio di stranieri, gravi anche
-quando non fossero rapaci; e i tradimenti de’ suoi più vicini ci fanno
-orrore, ma suppongono forti motivi.
-
-Elena moglie di lui cercò fuggire a suo padre in Epiro, ma a Trani
-restò côlta a tradimento, e mandata prigione a Nocera; tra lei e i
-figli assegnatile sei carlini, di stento e di cruccio morì cinque
-anni dappoi: sua figlia Beatrice sol dopo diciotto anni fu rimessa in
-libertà; i tre maschi vissero tapini di prigione in prigione. I fautori
-di Manfredi furono mandati in Provenza o nelle fortezze del regno o
-profughi: i traditori ottennero scarsi premj e disprezzo. I Saracini,
-assediati nei loro ricoveri, dopo orrida fame dovettero rendersi
-a discrezione, e abbandonare ai supplizj i Ghibellini che aveano
-ricoverati; alcuni abjurarono, altri furono dispersi nel Regno; pochi
-durarono a Lucera, fatta nido de’ malcontenti, sicchè Carlo li rivinse,
-poi li tollerò, e se ne valse in guerra; infine Carlo II dissipò quella
-colonia, e ne mutò il nome in Santa Maria (1303), e Benedetto XI lo
-felicitava d’avere annichilata in Italia la fede eterodossa.
-
-Coll’annunzio della vittoria di Benevento Carlo di Angiò spedì al papa
-due preziosissimi candelabri d’oro, molti giojelli e un trono gemmato;
-pure non impedì che Benevento, città pontifizia, fosse mandata al
-peggiore saccheggio. Napoli andò in gongolo vedendo entrar la regina
-Beatrice con carrozze dorate e quantità di damigelle e un lusso
-inusato[399], e coi leoni, gli elefanti e i dromedarj ch’erano stati
-dell’imperatore Federico I. I tesori che Manfredi avea deposti nel
-castello di Porta Capuana sarebbero dovuti spartirsi fra i compagni
-dell’impresa, al qual uopo Carlo domandò le bilancie. — Che bilancie?»
-proruppe Ugo del Balzo cavaliere provenzale; e coi piedi fattone tre
-mucchi, — Questo vada a monsignore il re, questo alla regina, questo
-ai vostri cavalieri». Carlo rimunerollo colla contea d’Avellino; poi
-dappertutto stabilì baroni, magistrati, giustizieri di sua gente,
-volendo a cose nuove persone nuove, e portando tutti i guaj d’un’altra
-conquista e d’una vantata liberazione. Il sistema fiscale introdotto da
-Federico II fu mantenuto non solo, ma applicato con rigore insolito;
-e perchè Roma voleva immuni i beni ecclesiastici, succhiavansi il
-sangue e le midolle degli altri[400]. I nascosti amici della casa
-Sveva gemeano; quei troppi che sogliono ripromettersi ogni bene dai
-liberatori, delusi levavano lamento, ed — O buon re Manfredi, mal ti
-conoscemmo da vivo, morto ti deploriamo. Ci sembravi un lupo rapace fra
-noi pecore; ma dacchè la volubilità nostra ci mutò al presente dominio,
-comprendiamo ch’eri un agnello. Già c’incresceva che parte delle nostre
-sostanze venisse alle tue mani; ed ecco i beni tutti e fin le persone
-sono in balìa d’una gente straniera».
-
-Antica canzone, che i popoli ripetono ad ogni cangiare di dominio,
-ma che non profitta nè per risparmiarsi i disinganni prima, nè per
-fare tolleranti delle conseguenze. Anche il pontefice, tratto alla
-necessità di appoggiarsi sugli stranieri, di lanciare scomuniche a
-città anticamente fedeli alla sua bandiera, di concitare le passioni
-popolari, tanto difficili a calmare dopo che proruppe l’egoistica
-esasperazione de’ partiti; caricatosi di debiti, avea sperato pagarli
-tostochè Carlo sedesse in trono, e poter così rientrare a Roma: ma
-dov’erasi creduto avere in costui un devoto, trovava un despoto; aveva
-cercato le franchigie de’ Siciliani, e vedea di avervi piantato un
-tiranno. Non cessava dunque di fargli rimproveri, e — Se tuoi ministri
-(scrivevagli) spogliano il regno, a te si ascrive la colpa, che gli
-uffizj empisti di ladri e assassini, i quali si permettono azioni, di
-cui non può Iddio sopportare la vista... ratti, adulterj, estorsioni,
-ladronecci... M’alleghi a scusa la povertà! non ti basta dunque un
-regno, colle cui entrate un grand’uomo qual fu Federico sosteneva ben
-maggiori spese, saziava l’avidità della Lombardia, della Toscana, delle
-Marche, della Germania, eppure accumulò immense ricchezze?»[401].
-
-Il papa, vedendo rannodarsi brighe in senso ghibellino, mandò come
-paciere in Toscana Carlo (1267), con giuramento che non terrebbe
-l’autorità più di tre anni, e la cederebbe tosto che un imperatore
-fosse riconosciuto. Firenze gli si assoggetta per dieci anni,
-ed il paciere vi eccita guerra di sterminio: anche molte città
-lombarde chiedono da lui i podestà; ond’egli osa perfino domandare
-lo eleggano lor signore; ma le più risposero: — Amico sì, ma non
-padrone». Dichiarato dal papa vicario dell’Impero vacante, estende
-la giurisdizione sovra il Piemonte, che gl’importava come vicino
-alla Provenza sua; e con titolo di rabbonacciare, assoda pertutto la
-dominazione propria e de’ Guelfi.
-
-Allora rinacque compassione e desiderio di quella stirpe che pur
-dianzi erasi maledetta; e gli occhi volgevansi di là dall’Alpi,
-ove ne sopravivea l’unico rampollo. Corradino, spoglio de’ beni e
-delle dignità avite, proscritto prima di nascere colla discendenza
-tutta di Federico II, cresceva a Landshut presso il duca Lodovico
-di Baviera sotto gli occhi della madre Elisabetta: a sedici anni,
-bellissimo di persona, liberale comunque povero, dato alla caccia e
-all’armeggiare, colto nel latino, nel tedesco componeva poesie che
-ebbero lode fra le prime di quella lingua. Balocco di tutti i partiti,
-mira di tutti i malcontenti, erasi fin pensato crearlo imperatore di
-Germania: la taccia d’infingardaggine inflittagli dai Tedeschi[402], le
-sollecitazioni degl’Italiani, le esagerazioni de’ vicini alimentavangli
-i sogni di risorgimento, abituali ai discendenti di razze scoronate,
-cui la nebbia degl’incensi toglie di vedere la situazione e di
-calcolare i mezzi e le probabilità. I Lancia, parenti per madre di
-Manfredi e fedelissimi a questo nella gloria e nelle sventure, riusciti
-a fuggire dalle carceri di re Carlo, furono principali in sollecitar
-Corradino a rivendicare la corona, portandogli centomila fiorini, i
-voti di Pisa e Siena, e offerte pompose; potrebbe soldare mercenarj;
-cavalieri di ventura sarebbero accorsi a sì nobile impresa; si
-mostrasse appena, e gl’Italiani, stanchi de’ Guelfi, de’ papi, degli
-Angioini, volerebbero tutti al suo stendardo.
-
-Coll’ardore d’un giovane e la cecità d’un pretendente, mosse egli
-dunque verso l’Italia, per quanto sua madre lo disortasse: i duchi
-di Baviera suoi zii lo accompagnarono fino a Verona con diecimila
-combattenti; ma poichè a lui venne meno il denaro da soldarli, questi
-diedero volta, e soli tremila potè ritenerne impegnando il proprio
-patrimonio. Che importa? gli amici di suo avo, i Ghibellini di tutta
-Italia, i malcontenti di Sicilia gli largheggiavano promesse, merce
-di poco costo; uomini e denari affluirebbero; il solo Maletta, quel
-che dicemmo aver tradito Manfredi a Benevento, e che era divenuto
-gran tesoriere di Carlo, lo aveva assicurato di sedicimila once
-d’oro e mille cavalieri stipendiati. Vero è che nè uomini nè denaro
-comparivano: ma intanto Corradino componeva manifesti, arma di chi è
-debole nelle altre; incorava gl’italiani a venire incontro a lui, che
-rialzerebbe l’onore dell’Italia e la dignità del nome tedesco[403];
-ai principi d’Europa si lagnava dei papi: — Innocente ha nociuto a me
-innocente, Urbano mi si è mostro inurbano, Clemente mi usò inclemenza,
-e Roma mi odia a segno, da non volermi pur vivo, me rampollo di
-magnifica stirpe, che sì lungamente imperò, e dalla quale non voglio
-dirazzar io, eletto e creato alla sublimità dell’impero sulle orme de’
-miei progenitori».
-
-Fra ciò gli Astigiani, che, per seguire l’andazzo, si erano sottomessi
-a pagar tributo a Carlo, vedendo che neppure con ciò poteano schermirsi
-dalle prepotenze dei marescialli che per lui tenevano Torino,
-Alba, Alessandria, Savigliano, soldarono millecinquecento uomini,
-e collegatisi coi Pavesi e col marchese di Monferrato (genero di
-Alfonso di Castiglia imperatore eletto e vicario di questo in Italia),
-ribellarono a Carlo le città soggette: del che incoraggiati anche i
-Genovesi batterono le flotte di lui; come i Pisani con ventiquattro
-galee, comandate da Federico Lancia, sconfissero a Melazzo la flotta
-provenzale. Ne prendeva lieto augurio Corradino, e prevenendo la
-resistenza delle repubbliche guelfe raccoltesi nuovamente in lega, e
-sostenuto dalle ghibelline, da Pavia con ardita marcia varcò i gioghi
-liguri (1268); ad un piccolo porto presso Savona trovò galee che lo
-trasportarono a Pisa; e non contrastato nè sulle Alpi nè ai grossi
-fiumi, poteva ormai portare le armi nel paese stesso dei nemici,
-agitato dalle memorie e dalle trame.
-
-Clemente IV, tuttochè scontento di re Carlo, più si adombrava di questo
-fanciullo, che pretendeva ancora congiungere l’Impero e la Sicilia;
-onde lo dichiarò scomunicato co’ suoi aderenti, e decaduto non solo
-da qualsifosse diritto sopra il regno di Sicilia, ma anche sopra il
-ducato di Svevia e il nominale reame di Gerusalemme; e insultava a
-questo «reatino, uscito dalla razza velenosa del tortuoso serpente,
-che aspirando all’esterminio della romana madre Chiesa, col suo fiato
-appesta le contrade toscane, e manda traditori nelle diverse città
-dell’Impero vacante e del nostro regno di Sicilia»[404].
-
-Tali parole già indicano come non mancassero al pretendente que’
-partigiani che facilmente trova chiunque venga a sommovere regno nuovo.
-I baroni, che in Lombardia e in Toscana teneano feudi dell’Impero, e
-all’ombra di questo aveano esercitato la tirannia, bramavano un nuovo
-imperatore, massime se giovane e fiacco, sotto il cui nome velassero
-le superbe loro voglie. Corrado Capece, penetrato in Sicilia con un
-corpo d’Africani, vi avea ridestato l’immortale rancore contro Napoli,
-e sostenendo i _Fetenti_ contro i _Ferracani_, come eransi colà
-intitolati i Ghibellini e i Guelfi, sollevò tutti i paesi, eccetto
-Siracusa e Messina. A Roma, sempre ricalcitrante al dominio papale,
-parteggiava apertamente per lui Enrico di Castiglia, che segnalatosi
-per vittorie sui Mori, e lungamente dimorato fra i Barbareschi di
-Tunisi, di cui aveva contratto i vizj, fatto senatore di Roma, vi
-esercitò indegna tirannide, perseguitando molti primati. Favorevole da
-principio a Carlo suo parente, se gli avversò dacchè questo l’impedì
-di ottenere l’ambito regno di Sardegna, e non gli restituiva i denari
-prestatigli; e non meno ritroso al papa, promise a Corradino la propria
-spada e un corpo di combattenti.
-
-Con tali lusinghe Corradino mosse da Pisa, traversò Siena, e spiegò le
-sue bandiere sotto le mura di Viterbo, nelle quali stava ricoverato il
-pontefice profugo da Roma, e che ai cardinali disse: — Non v’incuta
-paura questo giovane, trascinato dai malvagi come una pecora al
-macello», e tranquillamente celebrò la solennità della Pentecoste.
-
-I Romani festeggiarono Corradino come popolo che ha bisogno dello
-spettacolo; il terreno coperto d’abiti e di stoffe, le vie parate a
-ricchi tappeti, a pelliccie, a drappi di seta e d’oro, e tese di corde
-alle quali ciascuno avea sospeso quel che più vistoso possedesse di
-vesti, d’armi, di galanterie; e dappertutto suon di tamburi, di viole,
-di pifferi, e cori allegramente cantanti[405]. Corradino, gridato
-liberatore del popolo, spada d’Italia, e quegli altri titoli che d’età
-in età sono echeggiati dal vulgo di piazza e di gabinetto, ascese al
-Campidoglio, e tenne un discorso, ove il popolo romano avrà trovato
-tutte le bellezze di sentimento e di forma, perchè v’era adulato.
-Urli di gioja ridestarono l’eco dei sette colli, e in poesia e in
-prosa si inneggiò al legittimo successore di tanti Cesari. Quei che
-lo contrariarono ebbero prigione, saccheggio, confisca; il senatore,
-per far denari, spogliò le chiese e le sacristie, dove allora solevano
-anche i privati deporre le ricchezze; e stipendiato soldati, mosse a un
-conquisto, di cui forse sperava il miglior frutto.
-
-Ebbro di speranze, il giovane Svevo mosse per Tivoli e Vicovaro
-onde penetrare negli Abruzzi, monti così opportuni ad accamparsi,
-e dove verrebbero a raggiungiungerlo tutti i fazionieri suoi del
-Regno, e principalmente i Pagani di Lucera. Ma non dormiva Carlo,
-e a Tagliacozzo (23 agosto), presso gli antichi _Campi Palentini_,
-trasformati in piano di San Valentino, pettoreggiò il rivale. Alle armi
-del re benediva il legato pontifizio, imprecava a quelle di Corradino:
-ma questi menava buon numero di Tedeschi, d’Italiani Galvano Lancia,
-di Spagnuoli Enrico di Castiglia. Ai Ghibellini parve assicurata la
-superiorità, sicchè Carlo disperavasi nel vedere i suoi sparpagliati
-e uccisi. Ma a consiglio di Erardo sire di Valery, canuto cavaliere
-francese reduce allora di Terrasanta, avea tenuto in riserva un corpo,
-col quale assalendo i Ghibellini già inebbriati sulla vittoria, li mise
-in pieno sbaratto con tale strage, che quella di Benevento parve un
-nulla[406].
-
-A Roma i Ghibellini aveano annunziato la vittoria di Corradino,
-occasione di nuove feste: ma ben tosto coi fuggiaschi giunse la verità;
-che Enrico senatore era in man del nemico; che Carlo ai prigionieri
-romani fece troncare i piedi, poi chiuderli in un recinto e quivi
-bruciare. I Guelfi, rialzatisi alla vendetta, con nuovi tripudj
-accolsero Carlo, che alla sua volta salì in Campidoglio fra apparati
-ed inni, ripigliò la dignità di senatore, e sedette giudicando: ma non
-perdette tempo ne’ trionfi.
-
-Corradino, così subitamente caduto dal vertice delle speranze
-nell’abisso della realtà, era corso a Roma, quasi a ripetere le
-promesse fattegli nella prosperità, ma non trovò che scherni e insidie,
-pane dei vinti; talchè vestito da villano fuggì con Galvano Lancia,
-il costui figlio e poc’altri, fedeli alla sventura, e specialmente
-Federico di Baden suo cugino, che spossessato del ducato d’Austria,
-era venuto a ricuperare il retaggio dell’amico, perchè poi l’ajutasse
-a ricuperare il suo. Presero la via del mare, cercando qualche legno
-che li tragittasse in Sicilia, ove il Capece teneva elevata la loro
-bandiera, e giunsero al fiumicello che la Campagna di Roma separa dalle
-Paludi Pontine, presso la rôcca d’Astura, ond’era castellano Giovanni
-Frangipane romano, che facendo guerra alle strade e al mar vicino,
-cercava d’ogni parte o preda o riscatti. Come gli altri baroni, aveva
-costui sposata la parte di Corradino; ed ora già imbarcato lo raggiunse
-e rimenò nel suo castello, in tentenno se cavar oro dal salvarlo o dal
-venderlo. Invano il papa mandò a chieder costoro, arrestati su terre
-sue: il Frangipane li consegnò agli Angioini: Carlo, venuto in persona
-a Gensano con un corpo di cavalleria per riceverli, senz’altro fece
-decapitare il Lancia, suo figlio ed altri di Puglia, vassalli ribelli.
-
-Clemente IV domandò Corradino, che, come scomunicato, doveva giudicarsi
-dalla Chiesa[407]; e avendo preso malavoglia dell’ambizione e della
-violenza di re Carlo, in quel giovane vedeva forse un pegno e uno
-spauracchio prezioso. Per ciò stesso doveva rifuggire Carlo dal
-consegnarglielo; e pare trovasse modo di sgomentare Corradino sul
-trattamento che gli destinerebbero questi preti, inesorabili alla
-sua casa, e di persuaderlo ad affidarsi alla sua reale clemenza. Di
-fatto il giovinetto confessò d’aver peccato contro la santa madre
-Chiesa; Ambrogio Sansedoni di Siena, predicatore nominato e santo,
-andò al pontefice, e sebbene avesse preparato un eloquente discorso,
-s’avvide dell’efficacia della semplicità, e non fece che prostrarsi,
-ricordargli la parabola del Figliuol prodigo, poi: — Santità, Corradino
-manda a dirvi, _Padre, ho peccato avanti ai cieli e a te_, e chiede
-umilmente la remissione del suo fallo per la misericordia ch’è in te».
-Il pontefice, tocco nel cuore dalle parole del frate e dall’alito di
-Dio, rispose subito: — Ambrogio, io ti dico in verità, la misericordia
-vogl’io, non il sagrifizio». E rivoltosi agli astanti: — Non è lui che
-parlò, ma lo spirito di Dio onnipotente». Clemente e tutti gli astanti
-stupirono della dolcezza che Dio avea fatta passare dalla bocca di
-Ambrogio ne’ loro cuori; e così Corradino fu assolto da ogni censura e
-dallo sdegno del pontefice[408].
-
-La Chiesa ribenediva, il re esultava di vedersi assicurata la sua
-preda[409], perocchè, cessato coll’assoluzione ogni conflitto di
-giurisdizione, potè disporre il processo a suo senno. Convocò a Napoli
-due sindaci di ciascuna delle città del Principato e della Terra di
-Lavoro a lui devote, e innanzi a loro e a magistrati, tutti francesi,
-propose l’accusa di Corradino. Eppure i più lo tennero come un re
-che tenta ricuperare il toltogli dominio; vinto, dovere considerarsi
-come prigione di guerra: e perchè Carlo insisteva sull’essere quello
-colpevole di sacrilegio per gli arsi monasteri, Guido di Suzara valente
-giurista seppe rammentargli come un capo non possa farsi responsale
-dei trascorsi de’ suoi seguaci, e come l’esercito stesso di Carlo se ne
-fosse contaminato nella prima conquista. Mandato ai voti, tutti furono
-per l’assoluzione: unico Roberto di Bari provenzale, protonotaro del
-regno, opinò per la morte, e bastò perchè Carlo la decretasse.
-
-Giocava Corradino agli scacchi col cugino Federico (8bre) quando ebbero
-avviso della sentenza: e impetrati tre giorni per prepararsi alla
-morte e far testamento[410], dal castello di San Salvadore furono con
-dieci compagni condotti alla piazza del Mercato, ov’era disposto il
-patibolo. Carlo volle darsi il fiero gusto d’osservare dal castello lo
-spettacolo. Roberto di Bari lesse la sentenza motivata, e Corradino,
-uditala, levossi il mantello, si pose a ginocchi, esclamò: — O madre,
-madre mia, qual notizia avete a sentire!» e posata la testa sul ceppo,
-giunte le mani verso il cielo, aspettò il colpo. Federico invece,
-urlando, bestemmiando, imprecando, senza chiedere mercè a Dio lasciossi
-strappar la vita. Gli altri lo seguirono.
-
-Il popolo affollato guardava stupidamente e stupidamente piangeva;
-e alcuni Francesi, tardi indignati di essere stromenti alle vendette
-d’un conquistatore, esalavano la collera con que’ paroloni, di cui fa
-scialacquo quella nazione dopo i fatti consumati. Non in terra sacra,
-ma sul luogo stesso del supplizio furono sepolti i cadaveri sotto un
-cumulo di pietre. Nessun re fece reclamo a questo primo regio sangue
-versato dal carnefice: i più, scorgendo il dito di Dio che punisce fino
-alla quarta generazione, pure disapprovarono l’abuso della vittoria, e
-Giovan Villani scriveva: «Si vede per esperienza che chiunque si leva
-contro santa Chiesa ed è scomunicato, conviene che la fine sua sia rea
-per l’anima e per lo corpo: ma della sentenza lo re Carlo ne fu molto
-ripreso dal papa e dai suoi cardinali e da chiunque fu savio».
-
-La morte di due giovani principi era un bel soggetto per canti, e
-in tedesco e in provenzale se ne fecero: Saba Malaspina diede loro
-l’omaggio che uno storico può, la patetica narrazione della loro fine,
-e un compianto su quel cadavere che «giaceva come un fiore purpureo
-da improvvida falce succiso»: il vulgo narrò che un’aquila scesa dalle
-nubi intrise l’ala destra in quel sangue, e tosto risali al cielo. Era
-sangue di re, che un re avea fatto scorrere, giustificato dal diritto
-della vittoria, e dimenticando che la vittoria non è sempre pei re. Più
-grossolane baje inventarono i letterati, e la storia le raccolse con
-irragionevole compiacenza.
-
-Se a chiamare Carlo furono determinati i papi dal voler impedire che
-la Sicilia venisse congiunta all’Impero, e che unendo il settentrione
-col mezzodì dell’Italia si togliesse a questa l’indipendenza, lo scopo
-era raggiunto. Se della libertà i Guelfi aveano idee non più larghe
-de’ liberali moderni, e la poneano nello sbrattarsi da’ Tedeschi,
-eccoli soddisfatti, giacchè cogli Svevi terminano gl’imperatori che
-diretta efficacia esercitassero sopra l’ancor libera Italia, e per
-cinquant’anni nessun esercito di quella gente calpestò la sacra nostra
-terra.
-
-Lo sterminio degli Svevi lasciava trionfante il papato: ma Clemente IV
-non vide ricomposta la pace coll’Impero, atteso che, mentre accingevasi
-a pronunziare fra i competenti al trono di Germania, morì a Viterbo.
-Quivi stesso accoltisi i cardinali alla nuova elezione, per tre anni
-non seppero mettersi d’accordo, finchè compromessala in sei di essi,
-restò proclamato Tibaldo Visconti di Piacenza (1271), allora legato
-in Palestina, che volle nominarsi Gregorio X. Onde prevenire il tristo
-spettacolo delle ultime elezioni e le lunghe vacanze, regolò la forma
-del conclave, i cardinali si chiudessero con un solo conclavista,
-ridotti a molte privazioni e a non comunicare con altri di fuori sinchè
-non eleggessero il pontefice.
-
-Radunato il XV concilio ecumenico a Lione (1274 — 7 maggio) affine di
-sollecitare una nuova crociata, e ricomporre lo scisma de’ Greci, vi
-si presentò Ottone, vicecancelliere di Rodolfo di Habsburg, povero
-conte dell’Argovia, che era stato poco prima eletto imperatore di
-Germania, e che nuovo s’un trono inaspettato, senza beni nè interessi
-in Italia, della quale non conosceva tampoco la geografia, e amando
-assodarsi in Germania più che guerreggiare per un regno lontano e
-quasi nominale, volle finire il litigio d’omai settant’anni, giurando
-adempirebbe le promesse d’Ottone IV e di Federico II; rinunzierebbe
-affatto alle terre disputate fra l’Impero e la Chiesa; non accetterebbe
-alcuna tenuta ecclesiastica quand’anche offertagli, nè cariche nello
-Stato romano senza assenso del papa; non turberebbe il re di Sicilia
-od altri vassalli della Chiesa, nè procurerebbe vendetta di Corradino.
-Poi, con atti che fece sottoscrivere anche dagli elettori, confermava
-al pontefice le antiche donazioni di quanti paesi sono da Radicofani
-a Ceprano, oltre l’Emilia, la marca d’Ancona, la Pentapoli e i
-possessi della contessa Matilde, Spoleto, il contado di Bertinoro,
-Massa, e quanto mai con diplomi fosse stato concesso a’ successori
-di san Pietro[411]; inoltre il dominio sulla Sicilia, la Corsica e
-la Sardegna. Così restava emancipata la Chiesa, e ottenuto il lungo
-intento dei Guelfi.
-
-Mentre, dalla prima guerra coll’Impero, la Chiesa, vinta in apparenza,
-era nel fatto uscita potentissima, da questa pace, coll’aspetto di
-vincitrice, cominciò la sua decadenza. Non che un palmo di terra
-acquistassero, i papi si trovavano sempre contrariati nella loro
-propria città; e dei nove che pontificarono in trentasei anni dopo
-la morte di Gregorio IX, sei non v’entrarono, gli altri solo per
-brevissimo. L’importanza che traevano dall’opporsi alla dominazione
-straniera, scadde dacchè per abbattere i Tedeschi si buttarono in
-braccio ai Francesi; onde i Guelfi, così devoti all’indipendenza, si
-convertirono in fautori de’ forestieri, ai quali facevano opposizione i
-Ghibellini.
-
-Sempre più copiose dovizie avea potuto accumulare la Chiesa, vuoi in
-fondi per signorie e contadi interi avuti in dono o compri dai baroni
-che passavano oltremare, vuoi in denaro per le decime, estese fin sul
-commercio, sul bottino da guerra, che più? sul meschino guadagno de’
-mendicanti e sul turpe delle meretrici. Ma se i beni ecclesiastici
-godevano immunità dai tributi al par degli altri feudali, i Comuni
-chiamarono anche il clero a parte dei pesi, com’era dei vantaggi di
-quel governo. Sulle prime non vi si trovò sconvenienza; poi, o fosse
-iniquo il riparto, o divenisse soverchio l’aggravio, spesse lamentanze
-ne mossero gli ecclesiastici; secondando ai quali, i concilj III e IV
-Lateranesi vietarono alle autorità di aggravezzare il clero, il quale
-dovea contribuirvi sol quando l’avesse trovato spediente al pubblico
-bene: ma i papi facilmente concedeano ai principi di tassarlo.
-
-Anche l’immunità del foro venne ristretta, procurando i governi
-intervenire alle decisioni delle curie, che quasi mai non punendo
-nel corpo, debolmente reprimevano il delitto. Gli stessi tribunali
-dell’Inquisizione posero la Chiesa in qualche dipendenza dai laici, di
-cui avevano ad invocare il braccio per eseguire le loro sentenze.
-
-Le armi spirituali, usate e abusate in interessi mondani, rimasero
-rintuzzate: quelle scomuniche motivate su odj che pareano personali,
-quelle indulgenze profuse a chi combattesse i nemici temporali della
-santa Sede, quelle decime imposte a titolo di redimere Terrasanta
-e adoprate invece a guerreggiar Federico o Corradino, quei prelati
-che accampavano e benedicevano la strage, sminuivano l’efficacia de’
-pontefici anche quando a favore del popolo frenassero i regj arbitrj,
-reprimessero le esazioni di Carlo, proclamassero la pace. Nella contesa
-poi aveano dovuto chiamare il popolo a bilanciare le mutue ragioni;
-e questo revocò ad esame atti, cui fin allora si era sottomesso
-venerabondo: e un potere inerme, quand’è discusso, è caduto.
-
-
-
-
-CAPITOLO XCIII.
-
-I Mongoli. — Fine delle crociate, e loro effetti. Gli stemmi.
-
-
-Nel mezzo di questi accadimenti anche le cose di Terrasanta erano
-tornate a peggio che mai per l’addietro si fossero. In quelle
-colonie, che avrebbero potuto esser tanto profittevoli alla civiltà,
-la discordia imbaldanziva non meno che in Europa, di modo che
-non si domandava se vincessero i Cristiani o i Saracini, ma se i
-Templari o gli Spedalieri, se i Genovesi o i Veneziani; i quali
-disputandosi l’imperio del mare e i frutti del commercio col Levante,
-impinguavano di sangue italico i mari e le terre straniere, e fin
-nelle chiese portavano il sacrilegio di uccisioni fraterne. Presa
-che fu Costantinopoli, vedemmo l’impero greco uscire di letargo, e
-rotta quella stupefacente sua unità, suddividersi in un centinajo di
-principati, ciascuno dei quali focolajo di nuova vita (pag. 265). Oltre
-gli Occidentali, anche signori greci aveano costituito particolari
-dominj, come Alessio Comneno a Trebisonda, Michele Comneno a Durazzo,
-Teodoro Láscari a Nicea di Bitinia. Michele Paleologo, tutore d’un
-fanciullo di quest’ultimo, ne usurpò la corona, e mentre la fortuna
-gli dava buono, assalse Costantinopoli (1260). Quivi imperava Baldovino
-II, sostentato colle limosine della cristianità, e in tali strettezze
-che, non bastando impegnare gli ori del palazzo e delle chiese,
-vendette fino il piombo e il rame de’ tetti. Michele di sorpresa gli
-tolse la città e il trono, e ristabilì l’impero greco (1261) con una
-nuova dinastia. I Genovesi che, per umiliare i Veneziani, gli aveano
-dato ajuto, ottennero larghe concessioni e il sobborgo di Pera: nè
-però Venezia e Pisa furono spogliate degli antichi privilegi e d’avere
-giudizj proprj: e il console de’ Pisani, il podestà de’ Genovesi, il
-balio de’ Veneziani tennero posto fra i grandi uffiziali di quella
-corona. Michele poi non aveva ripigliato che le coste a scirocco del
-Peloponneso, restando in essere i principati stabiliti al centro e al
-mezzodì della Grecia dai Crociati.
-
-L’Occidente dava scarsa attenzione a questi mutamenti: se non che un
-nuovo flagello venne a minacciare non solo Terrasanta, ma tutta la
-cristianità, l’irruzione dei Mongoli o Tartari. Gengis-kan, una di
-quelle terribili incarnazioni della forza che sembrerebbero finzioni
-mitiche se troppo accertata non ne fosse e compianta l’esistenza,
-raccolse e dal cuor dell’Asia mosse questi Barbari, che con una
-rapidità appena credibile occuparono da una parte l’immenso impero
-della Cina, dall’altra minacciarono soggettare la Persia, conquistarono
-la Russia, e ridotta a deserto l’Ungheria, giunsero fin nella Dalmazia,
-cioè in vista dell’Italia.
-
-Tetro sgomento si diffuse per l’universa Europa all’accostarsi di
-questa gente _tartarea_, che non conoscea legge nè fede. Gregorio IX
-moltiplicava promesse, indulgenze, minaccie, assoluzioni per riunire
-tutta cristianità a resistervi, e perchè Federico II si facesse capo
-dell’impresa; ma questi se ne fingeva in ispasimo, e largheggiava
-in promesse retoriche[412]; poi operava tanto a rilento, che i suoi
-malevoli sparsero fosse d’accordo coi Tartari, e per onta al papa e
-alla religione gli avesse egli medesimo chiamati. Certo essi mandarono
-a lui, come soleano, l’intimata, perchè facesse omaggio dei suoi dominj
-al gran kan, in ricompensa offrendogli di scegliere qual carica gli
-garbasse alla corte di questo; al che Federico celiando, — Sceglierei
-l’uffizio di falconiere; si bene m’intendo d’uccelli di rapina».
-
-Ma quando i Mongoli ruppero guerra ai Turchi Selgiucidi, che allora
-signoreggiavano la Palestina, i Franchi vennero in isperanza che i
-nuovi Barbari li libererebbero dai loro oppressori, mossi da quella
-illusione tanto consueta, che fa guardare per amici nostri i nemici
-de’ nostri nemici. Si cercò dunque la loro alleanza, e a papa Innocenzo
-IV sorrise lusinga di trarli al cristianesimo. L’acquistare alla fede
-un popolo che erasi dilagato dal Mar Giallo al Danubio, sarebbe stato
-un avvenimento decisivo nella civiltà del mondo; ma per isperarlo
-nessun argomento umano s’aveva se non l’essere quelli avversi ai
-Musulmani. Però i pontefici quali prodigi non erano avvezzi a vedere
-dalle missioni? le crociate non erano una serie di miracoli? D’altra
-parte sapeasi così in confuso che quei popoli, tuffati in grossolane
-superstizioni, senza entusiasmo nè sacerdozio, eransi adagiati alla
-religione de’ popoli tra cui arrivavano; e se si fecero buddisti nella
-Cina, musulmani nella Persia, perchè non diverrebbero cristiani in
-Europa? Era indifferenza, nata da ignoranza, ma interpretavasi per
-propensione alla verità.
-
-Adunque Innocenzo divisò spedire missionarj ai Tartari, e i nuovi
-frati Domenicani e Francescani si offersero a gara. Furono prescelti i
-frati Minori Lorenzo di Portogallo, Benedetto Polacco discepolo di san
-Francesco, e Giovanni di Piano Carpino, il quale è il primo europeo
-che intorno a quel popolo desse ragguagli, quantunque grossieri e
-parabolani. Non muniti che della croce, questi intrepidi, attraverso
-all’Europa, non corsa allora che da pellegrini e da combattenti, in
-riva al Volga raggiunsero Batù generale de’ Mongoli (1245), mentre
-a Basciù Nuyan, altro generale in Persia, arrivavano i Domenicani
-Simone da San Quintino francese, e gl’italiani Alessandro e Alberto
-Ascellino, Guiscardo da Cremona, Andrea da Longiumello. A que’
-barbari, non conoscenti altro diritto che la forza, riuscì ridicola
-questa spedizione di frati, che in una lingua ignota e per sì lunga
-strada venivano rimproverarli perchè distruggessero le altre nazioni,
-ed invitarli a sottoporsi ad una religione, fuor della quale non vi
-sarebbe per essi che dannazione eterna. I nostri non fecero alla prima
-come scoraggiati, perchè non si ripromettevano premj o lodi umane;
-e procedettero fino alla corte del gran kan mongolo, e insieme coi
-messi di tutto il mondo gli fecero omaggio: ma non ne riportarono che
-spregio.
-
-Nè per questo i papi cessarono d’inviare missionarj ai Mongoli, e
-tra essi i frati Girardo da Prato, Antonio da Parma, Giovanni da
-Sant’Agata, Andrea da Firenze, Matteo d’Arezzo, eroi di nuovo genere,
-che la storia trascura perchè non uccisero nè devastarono. Più tardi vi
-fu destinato Giovanni da Montecorvino, che, corsa la Persia e l’India,
-predicò nella capitale dell’impero mongolo, vi fondò due chiese, e
-battezzò in pochi anni da seimila persone. Anzi l’avere il gran kan
-tollerato alla sua corte i riti nostri come quelli della Cina e della
-Persia, lasciò correr voce ch’e’ fosse cristiano. Più durò la credenza
-che un principe di quei paesi si fosse battezzato, e col nome di Prete
-Janni restò famoso ne’ racconti de’ nostri e nelle imposture di chi
-tratto tratto fingeasi da lui spedito.
-
-Il fatto è che allora primamente Europei penetrarono nell’estremo
-Oriente: un Francescano di Napoli sedette arcivescovo a Peking capitale
-della Cina; il beato Oderico da Pordenone minore osservante (1318-30),
-traversata l’Asia da Costantinopoli a Trebisonda, ad Erzerum, alla
-commerciante Tebriz, per l’Indo arrivò alla costa del Malabar, donde
-i nostri tiravano il pepe, al Carnatico, a Giava feconda de’ garofani,
-delle noci moscade, dell’altre spezie ed aromi che Genovesi e Veneziani
-diffondeano per tutta Europa: volse poi alla Cina e al Tibet, e dimorò
-tre anni a Peking, dove trovava un convento di Francescani, e due a
-Zaitun. Reduce a Padova, a Guglielmo da Solana dettò una relazione del
-suo viaggio, senz’ordine nè discernimento, ma come gliel’affacciava la
-memoria; e fra tante ignoranze e corrività piace il vedere come tutto
-riferisca a cose italiane: in Tartaria non mangiano che datteri, de’
-quali quarantadue libbre compransi a meno d’un grosso veneziano; il
-regno di Mangy ha duemila città, grandi ciascuna come Treviso insieme e
-Vicenza: Soustalay è come tre Venezie, Zaitun come due Bologne, e vi ha
-un idolo alto come un san Cristoforo: Chamsana è presso un fiume come
-Ferrara al Po.
-
-Non meno che la devozione, il commercio portava Italiani dappertutto, e
-non ne mancarono alla corte dei Mongoli. Biscarello di Gisulfo genovese
-fu ambasciadore del mongolo Argum signore della Persia: e la lettera di
-questo, ch’egli portò al re di Francia per esibirgli ajuti a ricuperare
-Terrasanta, è il più vetusto documento di lingua mongola, e v’è
-apposto un sigillo con caratteri cinesi, i primi che vedesse Europa.
-Più celebrati andarono i viaggi di Marco Polo, dei quali altrove
-ragioneremo (Cap. CXXIV). Oltre diffondere la fede e la civiltà nostra,
-portavano di là cognizioni od arti, e la vista de’ costumi stranieri
-allargava il campo al limitato spirito europeo; nè andrebbe fuori di
-buona congettura chi pensasse che da que’ viaggi derivasse all’Europa
-la cognizione del carbon fossile, della carta, della polvere tonante e
-della stampa.
-
-Ma le imprese de’ Mongoli, non che spargere qualche rugiada sulla
-Palestina, aveanle dato l’ultimo tuffo. Gli abitanti di Carism, snidati
-da quelli, piombarono sovr’essa a istigazione del sultano del Cairo
-(1244), con una ferocia non più udita; e dopo un combattimento a Gaza,
-donde non si salvarono che ottantatre Templari, ventisei Spedalieri,
-tre Teutonici, presero Gerusalemme, distruggendo il sepolcro di Cristo
-e quello dei re, sterminando gli abitanti, e tutto occuparono il paese,
-eccetto Giaffa, che rimase in signoria degli Egizj. Nell’universale
-amaritudine più dolorò il santo re di Francia Luigi; e risoluto a
-ogni costo rialzarvi la croce, ricorse per navicellaj e piloti alla
-Spagna e all’Italia, e due Genovesi sosteneano persona d’ammiragli
-(1248) della flotta francese ch’egli voltò sopra l’Egitto: ma il
-purissimo suo zelo e i ben meditati preparativi non furono sorrisi dal
-cielo, ed il re medesimo restò prigioniero dei Mamelucchi. Joinville,
-l’ingenuo biografo di quel re, appunta d’egoismo mercantile Genovesi e
-Pisani, che, per non partecipare alle sofferenze de’ Crociati, voleano
-abbandonarli appena li videro infelici; nè la regina li potè rattenere
-a Damiata se non promettendo mantenerli a spese della corona.
-
-Quando poi si udì la prigionia di Luigi, l’Italia, non che gemerne come
-tutta cristianità, ne esultò, per stimolo de’ Ghibellini che allora
-aveano il sopravvento, e che godeano de’ disastri del fratello di
-Carlo d’Angiò[413]; e corsari di Genova, Venezia e Pisa profittarono di
-quelle sventure per ispogliare i Cristiani che tornavano in Europa.
-
-Reso alla patria, e istruito non disanimato dal cattivo successo, Luigi
-volle ritentare l’impresa (1267), e domandò ajuto alle repubbliche
-italiane. Genova ne prestò a buoni patti[414]; ma Venezia rifiutò,
-timorosa di pregiudicare ai banchi e agli scali suoi in Levante, e
-più gelosa di Genova che zelante della causa di Cristo. Carlo d’Angiò
-fratello avea promesso passare anch’egli con quindici vascelli,
-ma non fece che spedire ambascerie a Bibars sultano del Cairo per
-raccomandargli le colonie di Siria; e il papa si lagnava perchè «lo
-zelo di Carlo si sfogasse in vane promesse, e lasciasse temere di non
-venire a nulla»[415].
-
-Neppure il Paleologo aveva attenuta la promessa di riconciliare la
-Chiesa greca colla latina, onde il papa gli cercava nemici, e carezzò
-le ambizioni di Carlo, inducendo il deposto Baldovino a cedergli i
-diritti imperiali sull’Acaja, sulla Morea e sulle terre ch’erano state
-assegnate in dote a Elena moglie di re Manfredi, oltre l’aspettativa
-al trono di Costantinopoli. Carlo dunque cercò voltare la crociata
-sopra l’impero bisantino, onde dar fondamento a queste pretensioni;
-poi indusse ad assalire non più l’Egitto, bensì Tunisi, col pretesto
-che i pirati di questa faceano pericoloso il tragitto in Palestina,
-ma realmente perchè egli preferiva vedere conquistata l’Africa, posta
-rimpetto alla sua Sicilia, e che perciò gli sarebbe d’appoggio alla
-dominazione e di comodo al commercio.
-
-I Crociati si lasciarono persuadere, e lo precedettero: ma la caldura
-e le privazioni svilupparono ben presto lo scorbuto nell’esercito; e
-sui luoghi ove quindici secoli prima era perita Cartagine, Luigi morì
-rassegnato (1270), fra calde preghiere e savj consigli. Carlo arrivò
-a tempo di vederlo cadavere, e assunto il comando, menò l’esercito
-a vittoria, tanto che il bey di Tunisi propose una pace, dove Carlo
-stipulò fossero date ducentomila once d’oro all’esercito per le
-spese, e a lui quarantamila scudi d’oro l’anno. Allora egli propose ai
-Crociati la conquista della Grecia e dell’impero d’Oriente; e perchè
-ricusarono seguirlo, apprese le navi e le robe che una fiera procella
-spinse sulle coste di Sicilia, ed impinguò il fisco colle spoglie dei
-proprj commilitoni.
-
-Le viscere di Luigi furono deposte nella badia di Monreale presso
-Palermo; il suo corpo traversò l’Italia, fra universale venerazione; le
-madri cercavano le monete coll’effigie di lui per appenderle al collo
-de’ figli; e pochi anni dopo Bonifazio VIII lo santificava esclamando:
-— Esulta, Casa di Francia, d’aver dato al mondo un principe sì grande;
-esulta, popolo di Francia, d’avere avuto un re sì buono».
-
-Gregorio X, ch’era nunzio in Palestina quando fu eletto pontefice[416],
-adoprò il breve suo regno a ricomporre in pace i Cristiani perchè
-recuperassero Terrasanta; a tutti i sovrani consentì di levare le
-decime ecclesiastiche per sei anni onde armare; Filippo di Francia,
-Edoardo d’Inghilterra, Giacomo d’Aragona, Carlo di Sicilia aveano
-promesso crociarsi, e Rodolfo imperatore guidarli; Gregorio radunò
-all’uopo anche il concilio generale di Lione che dicemmo, ma tutta la
-macchina cadde colla sua morte (1276).
-
-E qui finiscono le crociate. Le ampie conquiste in Oriente trovavansi
-compendiate nella città di Acri, nella quale accoglievansi i
-rappresentanti de’ re di Gerusalemme, di Cipro, di Sicilia, di Francia,
-d’Inghilterra, d’Armenia, i principi d’Antiochia e di Galilea, i conti
-di Giaffa e di Tripoli, il duca d’Atene, il patriarca gerosolimitano,
-i cavalieri del santo Sepolcro, del Tempio, di san Lazzaro, il nunzio
-del papa, e Genovesi, Veneti, Pisani. Ognuno aveva palazzi e quartiere,
-dove vivea indipendente e colle proprie leggi ritornate personali,
-sicchè ben cinquantotto tribunali esercitavano diritto di sangue;
-pel qual tenore ciascuno comandava, nessuno obbediva. Opposti anche
-d’interessi, agitavano incessanti discordie: spesso un litigio nato
-a Pisa o in Ancona, combattevasi da una all’altra delle case d’Acri,
-ridotte in fortezze.
-
-Un Veneziano batte un ragazzo genovese, i Genovesi l’han per pubblico
-oltraggio, e assalito il quartiere dei Veneziani, quali feriscono,
-quali fugano. Questi preparavansi alla rappresaglia, ma qualche
-prudente sopì quel fuoco. Però, come se ne intese in Genova: «dissero
-tutti: _Ora ne sia preso tale vendicamento, che mai non sia obliato;_
-le donne dissero ai loro mariti: _Noi non vogliamo più niente di nostre
-doti, nè per morte nè per vita; spendetelo per la vendetta;_ e le
-pulcelle dissero ai loro padri, ai loro fratelli ed agli altri parenti
-loro: _Noi non vogliamo mariti: tutto ciò che ci dovreste donare per
-dote, spendetelo per vendicarci de’ Veneziani, e voi sdebitatevene
-portandoci le loro teste_»[417]. Fu dunque armata una spedizione: una
-nave veneta, che un Genovese avea compra dai pirati, è presa e ripresa,
-e tutto va a chi peggio: tredici navi arrivate da Venezia bruciano le
-genovesi sprovvedute nel porto, e ajutate da’ Pisani e Marsigliesi
-respingono altre galee venute in soccorso de’ nemici, ne guastano
-le canove, i palazzi e una mirabile loro torre, di cui molte pietre
-spedirono in patria. Il papa s’intromise di pace; ma le ire coperte
-non estinte divamparono allorquando i Genovesi ebbero ottenuto nella
-ripigliata Costantinopoli i quartieri e i privilegi che prima erano
-goduti dai Veneziani. I quali tanto fecero, che stornarono dai Genovesi
-l’animo di Michele Paleologo, e rinnovarono con esso amicizia.
-
-Lottanti fra sè, tutti si trovavano deboli a fronte de’ Musulmani;
-mentre Europa, disingannata da tanti tentativi falliti, assorta
-in interessi _più positivi_, cioè egoistici, pensava a tutt’altro
-che soccorrerli. Frattanto i Musulmani procedevano, e l’emir Kalif
-Ashraf pose assedio ad Acri, ultimo asilo della croce. Papa Nicola IV
-raddoppiò di zelo in provocare a soccorrerla; Parma vi spedì seicento
-persone, alquante le altre città, e per trasportarle Venezia dispose
-venti galee, sette ne prometteva Giacomo re di Sicilia; soccorsi
-parziali e perciò inadequati; e dopo lunga resistenza anche Acri fu
-espugnata (1291). Vuolsi che trentamila Cristiani vi fossero sgozzati;
-la badessa di Santa Chiara, veneziana, persuase le sue monache
-di troncarsi le narici per sottrarsi alla libidine e ai harem de’
-Musulmani; le navi genovesi poterono salvare alquanti, fra cui il re di
-Cipro; altri rifuggirono a Venezia, che gli accoglieva nella nobiltà;
-e ne’ paesi consacrati dalle memorie di Cristo più non risonò se non —
-Non v’è altro dio che Dio, e Maometto è suo profeta».
-
-All’annunzio di quella disgrazia, che pur doveasi aspettare e
-poteasi prevenire, gli Europei e massime gl’italiani ulularono di
-tardo dolore e sgomento, e Bonifazio VIII ritentò una crociata. Ma
-più non erano i tempi quando la pietà e la speranza del paradiso
-eccitavano l’entusiasmo; quando i papi parlavano ai monarchi in nome
-del Cielo sdegnato, rinfacciandone le colpe, e imponendo prendessero
-la croce per espiarle; anzi i re, tutt’assorti nel grande impegno
-di mozzare l’autorità pontifizia, rifuggivano dal secondare imprese
-che l’avrebbero accresciuta o almeno attestata. Solo i Genovesi, per
-redimersi dall’interdetto, gli diedero ascolto, e le donne, quasi a
-raffaccio degli uomini, assunsero la croce e l’armi. L’impresa svampò,
-ma Genova conservava fin testè nel suo arsenale le armadure di quelle
-eroine, e nell’archivio le congratulazioni del papa.
-
-Dopo d’allora, alla crociata, come impresa comune dell’Europa, più
-non si pensò da senno. Bensì i Genovesi verso il 1300 ne prepararono
-una contro i corsari barbareschi, ma fu uno stuzzicarli; e moltissimi
-navigli uscirono d’Africa alla vendetta, e intercettarono lungamente
-il commercio. Qualche parziale tentativo si rinnovò, e nel 1345
-specialmente si eccitarono i Cristiani contro i Saracini, e molti
-miracoli vennero raccontati. Dicevasi che presso la città d’Aquila
-fosse apparsa Nostra Donna col Bambino in grembo avente in mano
-una croce, e ciascuno potè vederlo più fulgido del sole, e tutti i
-fanciulli che in quel giorno vi nacquero erano segnati d’una crocetta
-sulla spalla diritta. Ciò mosse molti a voler combattere gl’Infedeli,
-e frà Ubertino de Filippi vi rinfocava la gioventù fiorentina, e molti
-lo seguirono in Siria, tra cui frà Francesco da Carmignano ingegnere e
-dieci altri Domenicani. Ivi oppugnarono non sappiam bene quale città,
-e sostennero fra altre una battaglia presso Tiberiade contro più d’un
-milione di Musulmani: s’aggiunge che un’apparizione di san Giovanni
-Battista confortò i Cristiani al vincere: e i cadaveri de’ nostri si
-riconosceano dall’apparire sul capo di ciascuno un fuscelletto portante
-un fiore bianco a modo d’ostia, attorno al quale si leggea cristiano;
-e sopra di loro si udirono cantar versi dolcissimi e _Venite, benedicti
-patris mei_[418].
-
-Di buon’ora i frati Francescani eransi piantati in Terrasanta, e vi
-si mantennero a custodia del santo sepolcro anche dopo ricaduto in
-man dei Turchi: nel 1212 Ahmed-scià sultano dava loro il diritto di
-rimanervi, e l’anno appresso Omer permetteva ristaurassero la chiesa
-di Betlem. Roberto re di Napoli volle che questa loro dimora divenisse
-legittima, e a denari nel 1342 comprò dal sultano il diritto che i
-Francescani dimorassero in perpetuo nella chiesa del santo sepolcro,
-e vi celebrassero gli uffizj divini: del che si fece carta, ove ad
-esso re e a Sancia moglie sua son pure conceduti il cenacolo e la
-cappella dove Cristo si mostrò a san Tommaso; la qual Sancia sul
-monte Sion fe costruire una casa, in cui mantenere a sue spese dodici
-Francescani[419].
-
-Nel 1386 il re di Cipro, d’accordo col granmaestro di Rodi, volendo
-metter fine alle piraterie degli emiri di Siria e del sultano, stanziò
-d’assalire Alessandria; e i Veneziani lo secondarono, sì per le istanze
-del papa, che per la speranza di assicurarsi quel commercio senza le
-umiliazioni cui erano ridotti. Di fatto Alessandria fu presa, arsa la
-flotta egizia; ma il sultano ricomparve ben tosto, sicchè i Cristiani
-furono costretti ritirarsi, poche ricchezze trasportando seco, e
-lasciandovi acerbissimo odio, che si sfogò sui nostri colà dimoranti e
-sulle merci di Venezia, la quale così ebbe guasti i proprj traffichi.
-
-Soli i pontefici mai non gettarono ogni speranza di liberare
-Terrasanta, e questo fu il tema di declamazioni poetiche e qualche
-volta di ragionate scritture. Fra gli altri, Marin Sanuto, cronista
-veneto, vide il vero quando annunziò che ruina degli stabilimenti
-cristiani in Palestina erano i sultani d’Egitto, e che potenza di
-questi era il commercio nell’India, lo perchè consigliava ad esaurirne
-la fonte. A tal uopo viaggiò cinque volte nell’India, e se altro non
-potè, trasse notizie sui paesi del Mezzodì e del Levante. Il suo libro
-_Secreta fidelium Crucis_ (1321), cui aggiunse un planisfero, divise
-in tre parti ad onore della Trinità, e perchè tre sono le maniere
-efficaci di rimettersi in salute, il siroppo preparatorio, la medicina
-opportuna, il regime. Alla crociata vuole egli persuadere, non più
-per entusiasmi devoti, ma da mercante ed economista; onde ai testi
-soggiunge la lista delle spezie che traggonsi per via di Terrasanta,
-quanto costino, quanto il trasporto: la migliore opportunità gli sembra
-uno sbarco in Egitto, che con dieci galee crede potersi bloccare;
-e chiuso quello, l’islam è ferito nel cuore. Divisa appienissimo
-uomini, viveri, denaro, sempre intento a ringrandire Venezia, di cui
-dev’essere tutta la flotta, e i cui marinaj crede soli capaci a guidar
-le navi tra i bassi canali del Nilo: designa la forma e struttura delle
-galee imbattagliate e delle navi da trasporto, alcune incamattate, o
-come oggi diciamo, mantellate: descrive minutamente i mangani colle
-dimensioni e proporzioni, e le balestre lontanarie; l’esercito di
-sbarco sommi a quindicimila fanti, trecento cavalieri. I precetti
-circa gli accampamenti desume da Vegezio e da Cesare: dimostra pratica
-nell’arte delle fortezze, secondo l’età sua, e ne dà saggio in una
-graziosa parabola. La spesa sarebbe tornata a quattordici milioni[420];
-e tale disegno offrì alla sua patria e a tutte le corti, e n’ebbe lode
-e trascuranza.
-
-Guido da Vigevano, medico di Enrico VII imperatore, nel 1335
-stese precetti igienici e militari per difendersi dai Saracini e
-assalirli[421]. Frà Filippo Bruserio da Savona, professore di teologia
-a Parigi, da Benedetto XII spedito nel 1340 ambasciadore a Usbek
-kan del Capciac, con Pietro dall’Orto e con Alberto della colonia di
-Caffa, per impetrare la libera predicazione del cristianesimo attorno
-al mar Nero, scrisse il _Sepolcro di Terrasanta_, esponendo i mezzi
-di ricuperarlo. È notevole che i primi trattatisti d’arte militare
-ne davano per titolo il ricupero della Palestina, quasi il solo che
-potesse scusare quel feroce sviluppo della forza e dell’ingegno:
-Antonio da Archiburgo trentino nel 1391 stese su ciò un trattato,
-or manoscritto nella biblioteca nazionale di Parigi; Lampo Birago
-milanese, protetto da Francesco Sforza, propose una crociata tutta
-d’italiani, con milleducento cavalli, quindicimila fanti e cinquemila
-cavalleggieri forestieri, che sbarcata in Morea suscitasse i popoli, e
-in due o tre anni compirebbe l’impresa[422].
-
-Dante querelava i suoi contemporanei che il sepolcro di Cristo
-lasciassero in man de’ cani, e che esso «poco toccasse ai papi la
-memoria»[423]; e colloca in paradiso Goffredo, Cacciaguida ed altri
-Crociati. Petrarca esortò alla crociata nella canzone — O aspettata
-in ciel, beata e bella». Annio da Viterbo nel 1480 predicò a Genova
-con immenso applauso le future vittorie de’ Cristiani sui Turchi,
-dedotte da passi dell’Apocalisse. L’Ariosto fra le inesauribili sue
-celie trovava un accento elevato per mostrare quanto meglio varrebbe il
-combattere i Turchi che non il nocersi a vicenda i Cristiani. Il Tasso
-dirigeva a ciò tutto il nobile suo poema, sperando pure che _il buon
-popolo di Cristo_, tornato una volta in pace, tenterebbe _ritogliere
-l’ingiusta preda_ al Musulmano. Altri pure innalzavano esortazioni
-generose e inascoltate.
-
-Chi realmente continuò la guerra contro i Musulmani furono da una
-parte i Veneziani, fattisi antimurale dell’Europa, che negligeva di
-sostenerne allora gli sforzi, salvo poi a codardamente vilipenderli;
-dall’altra i cavalieri del santo Sepolcro, che si ricovrarono prima
-a Cipro, poi a Rodi, infine a Malta, sempre col voto di non cessar
-guerra agl’Infedeli. Dappoi la generosità si ridusse negativa e
-beffarda, fu moda il declamare contro quelle spedizioni che fecero
-perire tanti uomini inutilmente. Lasciam via che non perirono quanti
-per le epiche guerre di Roma o per le ambiziose di Napoleone; ma colà
-morivano volenti e persuasi, non divelti alle case per ordine d’un re,
-ma lieti di dar la vita in servigio di Dio ed espiazione delle colpe, e
-affrontare una morte che apriva il paradiso.
-
-I Musulmani erano nemici d’ogni civiltà; conveniva respingerli:
-sterminavano ferocemente i Cristiani; conveniva punirli: minacciavano
-di nuova barbarie l’Europa; conveniva prevenirli, assalendoli ne’
-loro paesi: e se l’intento fosse riuscito, chi non vede quanto diverse
-sarebbero procedute le sorti della civiltà?
-
-Già era stato vantaggio il mandare in Asia a sfogare l’umor battagliero
-que’ tanti che turbavano la patria; predicatori e papi volendo
-concordare i Cristiani alla santa impresa, condussero qualche pace fra
-tante battaglie, e la tregua di Dio copriva chiunque avesse preso la
-croce. Mentre il castellano era ito in Palestina, il villano rimasto a
-casa respirava dalle oppressioni; ricorreva all’autorità del Comune o
-del re, invece di quella del feudatario; benchè incatenato alla gleba,
-il signore non potea vietargli di crociarsi; anzi tanti servi passavano
-oltremare, che fu imposta la _decima saladina_ a quei che il facessero
-senza beneplacito del padrone. Anche quelli che v’andavano per obbedire
-a questo, svincolati dalla schiavitù locale, disabituavansi dalla
-ereditaria servilità; aveano diviso i pericoli, gli stenti, la gloria
-del padrone, forse aveanlo salvato dal pugnale d’un Assassino tra le
-convalli del Libano, o dalla scimitarra di un Turco, o diviso con esso
-una ciotola d’acqua che gli valse la vita; erano dormiti al suo fianco
-nell’accampamento, pericolati nella lotta; l’avoltojo del castello
-erasi fatto vicino al lepre della valle non per isbranarlo ma per
-congiungere le forze.
-
-Nell’assenza dei baroni, i Comuni s’invigorivano, e strappavano a
-quelli la prepotenza di qualche antico abuso; o il barone stesso dava
-in pegno o vendeva il feudo o qualche privilegio per far denari,
-o morendo li lasciava vacanti. La giustizia era resa con maggior
-regolarità dal clero, la campagna avea pace, e l’abbassarsi dei nobili
-spianava la strada ai cittadini: sicchè quelle imprese, spinte dal
-clero, eseguite dalla nobiltà, realmente fruttarono pel popolo. Esse
-poi indicavano un miglioramento nella società, poichè non si trattava
-di conquistare e far servi, ma di procacciarsi la vita eterna e di
-salvare dall’inferno tanti Infedeli. Di mezzo alle parziali agitazioni
-della feudalità nasceva un pensiero di gloria, d’avvenire, di santità;
-lampeggiavano il bello e l’ideale fra i popoli e gli eserciti, i quali
-correvano a morte per dar trionfo alla verità: preludio dei tempi
-quando la guerra non si farà che per la pace.
-
-Ambizione, avarizia, altri vizj accompagnarono e rovinarono quelle
-imprese, ma pure nessun esercito fu più generalmente preoccupato
-dall’idea morale; il popolo era spinto da sentimento religioso, bene
-o male interpretato, ma superiore a calcoli personali; nei cavalieri
-videsi un’umiltà, un’abnegazione, mirabili fra la superbia e l’avidità
-d’imprese di quel tempo, non gloriandone sè ma Dio; tutti i combattenti
-riconosceano per fratelli, dacchè tutti la croce segnava. Quando il
-villano e il signore, il re e il vassallo, il Milanese, il Bretone,
-il Veneto si associavano nel nome di Cristiani, costumavansi a idee
-d’uguaglianza. Accanto ai baroni radicati al terreno sorgeva la
-nobiltà mobile de’ cavalieri chiamati per professione a quanto v’ha
-di generoso e disinteressato: come in imprese sante, molte paci si
-facevano in occasione di esse, molte colpe si riparavano: v’andavano
-anime straziate dai rimorsi a rigenerarsi, o spossate dai disinganni a
-ripigliar coraggio.
-
-Amedeo VI, nell’atto di salpare da Venezia per Terrasanta, esaminò la
-propria vita, e si risovvenne d’un Ansermeto Barberi che lungo tempo
-avea tenuto prigione per furto e che poi fu scoperto innocente, e
-gli fece dare ducento fiorini d’oro[424]. Veleggiò poi in una galea
-vagamente dipinta, colla poppa a foglie d’oro e argento; sull’azzurra
-bandiera di Savoja sventolava l’effigie della Madonna, e su altre
-la croce d’argento in campo rosso, coi nodi d’amore, emblema d’esso
-principe, e il teschio del leone, e il cimiero.
-
-Lucia, monaca in Santa Caterina di Bologna, s’avvide che un giovane
-veniva ogni giorno a mirarla alla tribuna ove sentiva messa, onde non
-si presentò più che dietro la gelosia. L’innamorato giurò consacrarsi
-a Dio come la sua cara, e passato in Palestina, s’avventò nelle
-battaglie. Fatto prigione, e messo ai tormenti perchè rinnegasse la
-fede, esclamò: — Santa vergine, casta Lucia, se vivi ancora, sorreggi
-colle tue preghiere chi tanto ti amò; se in cielo ti bei, propiziami il
-Signore». Appena detto, fu preso da sonno profondo, e allo svegliarsi
-trovossi catenato, ma in patria e vicino al monastero della sua donna,
-la quale gli stava allato sfolgorante di bellezza. — Sei tu viva
-ancora, Lucia?» domandò egli; e quella — Viva sì, ma della vita vera;
-va e deponi i tuoi ferri sul mio sepolcro, ringraziando Iddio». La
-casta era morta il giorno ch’egli abbandonò l’Europa[425].
-
-Federico Barbarossa, giovinetto ancora, innamorò di Gela figlia d’un
-suo vassallo; ed ella rispose di verecondo amore, e non si tenendo
-degna d’averlo sposo, l’indusse a crociarsi. Sull’addio egli esclamò:
-— L’amor nostro è eterno. — Eterno», rispose ella, lasciando cascar la
-testa su quella dell’amante. Egli va, vince e ritorna, e per la morte
-del padre trovatosi duca, vola alla casa di Gela; ma non vi trova che
-un viglietto, iscritto: — Tu sei duca, e devi scegliere una sposa da
-par tuo. Della memoria di essere stata tua un anno, mi godrà l’animo
-tutta la vita. L’amor nostro è eterno». Erasi resa monaca; e Federico,
-nel boschetto ove si era congedato da lei, pose la prima pietra della
-città di Gelnhausen.
-
-A Torre San Donato in val d’Arno fu predicata la croce, e consegnato
-lo stendardo del popolo a Pazzino de’ Pazzi, il quale raccontano
-montasse primo sulle mura di Gerusalemme, e da Goffredo avesse in dono
-tre scaglie del santo sepolcro, colle quali in patria accese il fuoco
-benedetto, e si conservarono poi ne’ Santi Apostoli, e ne derivò a
-Firenze la festa dello scoppio del carro (vol. V, pag. 554). Anche nel
-1220, «quando fu presa Damiata, l’insegna del Comune di Firenze, il
-campo rosso e il giglio bianco, fu la prima che si vide in sulle mura
-per virtù de’ pellegrini toscani, che furono de’ primi combattendo
-a vincere la terra; e ancora per ricordanza il detto gonfalone si
-mostra in Firenze per le feste nella chiesa di San Giovanni al Duomo»
-(VILLANI). A Verona si vuole che i reduci Crociati applicassero i nomi
-alla montuosa vicinanza verso nordovest, che diconsi Calvaria (_Monte
-San Rocco_) e Valdomia (_Val Domini_); e dentro Nazaret, Betlem, Monte
-Oliveto[426]. Alberto vescovo di Brescia portava da Terrasanta un
-grosso pezzo della santa croce, che chiuso in teca ornata di lamine
-argentee istoriate, conservasi nel duomo di quella città, dove anche la
-_croce del campo_, che credesi fosse portata in cima a un vessillo dai
-crociati in quella spedizione. A San Geminiano in Toscana pretendono
-che i Baccinelli andassero con altri alla prima crociata, e ritornando,
-colle spoglie de’ nemici, ergessero una magione di Templari sotto
-l’invocazione di San Jacobo.
-
-Della credulità si abusò per moltiplicare reliquie, e non fu paese
-che non volesse averne di Terrasanta; e ciascuna fu autenticata da
-miracoli, certo non meno credibili delle mille baje che la critica
-moderna raccoglie ogni dì dalle gazzette, e dalle storie che sulle
-gazzette si compilano.
-
-Alcuni monaci portarono da Gerusalemme a Montecassino un pezzo del
-tovagliuolo con cui Cristo asciugò i piedi agli apostoli; e vedendosi
-poco creduti, il posero in un turibolo, e all’istante divenne color
-di fuoco, e ne fu tolto intatto, e riposto fra oro, argento e gemme.
-Altri pellegrini navigando con uno de’ santi chiodi, giunti davanti
-a Torno sul lago di Como, non poterono più progredire, e dovettero
-lasciarlo colà, dove si venera ancora. Allorchè Saladino spediva in
-dono all’imperatore di Costantinopoli la vera croce, un Pisano trovò
-modo d’involarla, e traversando i mari a piede asciutto, la recò alla
-sua patria: ma un Dondadio Bo Fornaro genovese diceasi aver trovato
-in una nave di Veneziani essa croce, e toltala per arricchirne la
-sua città; e questi doppj sono vulgare soggetto d’epigrammi. L’anno
-che Acri fu presa, parve che la santa casa dove Cristo era cresciuto
-sdegnasse rimanere in una terra contaminata da Infedeli, e da Nazaret
-fu dagli Angeli trasportata a Tersacto di Dalmazia: statavi tre anni,
-eccola trasferita di qua dall’Adriatico, e deposta in una macchia sui
-poderi di una Lauretta di Recanati: i pastori la mattina trovarono
-quest’edifizio dove mai non n’aveano veduto, e tosto cominciò affluenza
-di forestieri e di doni, tanto che là presso si fondò una città detta
-Loreto.
-
-Roma fu piena di devoti cimelj, ed oggi ancora i sacristani vi
-riportano continuamente coi loro racconti ai tempi delle crociate e
-ai portenti compilati nel libro de’ _Sette Viaggi_. Padova tiene le
-spoglie di tre degli Innocenti, di Levante portate dal beato Giuliano
-in Santa Giustina. L’altare di santo Stefano a Cremona fu consacrato
-il 1141 col porvi alcun che de’ vestiti di Maria Vergine, della
-porpora onde fu beffeggiato Cristo, del legno della croce, del santo
-sepolcro. A Bologna fra Vitale Avanzi depose una delle idrie in cui
-Cristo mutò in vino l’acqua, e ogn’anno esponevasi nella chiesa de’
-Servi la prima domenica dopo l’Epifania: un altro di quei vasi era
-nella certosa di Firenze. Genova nella crociata dalla Licia portò il
-corpo del Battista, e da Cesarea il sacro catino in cui fu operata la
-consacrazione nell’ultima cena; dal prode Montaldo, che l’avea ottenuta
-dall’imperatore Giovanni Paleologo, ebbe in dono l’effigie di Cristo,
-fatta fare da Abgaro re di Edessa, veneratissima in San Bartolomeo,
-benchè anche Roma si vanti tenerla. A un Lucchese ito a Gerusalemme
-vien rivelato in estasi che il volto santo ed altre reliquie del
-Salvatore giaciono ignorate nella cattedrale di Lucca, dove rinvenute,
-furono poste in devota venerazione. Non taciamo il santo latte a
-Montevarchi, donato a Guido Guerra da Carlo d’Angiò; sul quale diceva
-un valente scrittore che «la fede è buona, e salva ciascuno che l’ha;
-e chi archimia sì fatte cose, ne porta pena in questo e nell’altro
-mondo».
-
-I Pisani vollero dormire dopo morti entro terra della Palestina, e ne
-trasportarono di che empire il loro cimitero. I Veneziani recarono da
-Scio il corpo di sant’Isidoro, collocandolo in San Marco, dove anche
-la pietra dell’altare della cappella del battistero; da Cefalonia san
-Donato, ch’è in Santa Maria di Murano; da Costantinopoli santo Stefano,
-san Pantalèone, san Giacomo, e l’altre reliquie onde sono ricchissimi
-San Giorgio e San Marco. Il cardinale Ugolino, che poi fu papa Gregorio
-IX, persuase il doge a fabbricare nelle lagune Santa Maria Nuova di
-Gerusalemme, a memoria d’altra del titolo stesso, allora occupata dai
-Musulmani.
-
-D’altro genere reliquie piacquero agl’italiani, i capi d’arte della
-Grecia e dell’Asia. Già era costume a Veneziani, Pisani e Genovesi
-trasportarne; e le loro cattedrali, cominciando fin dalla vetustissima
-di Torcello, furono, si può dire, fabbricate con avanzi antichi. Si
-estese quest’usanza nelle crociate, e massime da Costantinopoli i
-Veneziani trassero insigni lavori, fra i tanti che andarono perduti
-in quel fatto; e i cavalli della facciata di San Marco, e i leoni
-dell’arsenale, le colonne di San Marco e Teodoro sono trofei di buon
-gusto e di violenza.
-
-Alle crociate si riferiscono pure molte fondazioni di spedali per
-lebbrosi e pellegrini; e buon numero ne alloggiava in Genova la
-commenda di San Giovanni in Pre, del pari che l’ospedale di San
-Lazzaro, cui arrivavasi per l’unica via che allora sboccasse in
-Polcevera, e un altro in Savona.
-
-Le genealogie vollero tutte innestarsi sopra le crociate, e fu vanto
-l’ostentare nel proprio blasone la croce. Anzi il blasone ci venne
-dalle crociate e dalla cavalleria, con tutta la raffinatezza degli
-stemmi e delle divise. Finchè il cavaliero combatteva attorno al suo
-castello, qual mestieri avea di distintivo? uscendo lontano, ciascuno
-assumeva una divisa, cioè esprimeva l’affetto o l’intento particolare,
-mediante il colore della sopraveste e del cimiero, o qualche disegno
-fatto sul pezzo più insigne dell’armadura, qual era lo scudo. Quegli
-scudi poi si sospendeano nelle sale avite, testimonianza ai fasti e
-vanto ai figli che si piacquero di adottare l’insegna paterna, e così
-gli stemmi diventarono ereditarj, e distintivo non più dell’individuo
-ma delle famiglie. Nella presente uguaglianza più non è di verun conto
-l’araldica: ma lungamente fu arte di arguto studio il disporre gli
-stemmi, combinarne gli elementi, cioè i colori e le figure, e leggerli,
-e assicurarli come titoli domestici. Se ne moltiplicarono poi gli
-elementi e la disposizione, ma sempre i più vantati furono quelli che
-mostravano la croce, come indizio che un avo era stato a combattere in
-Palestina. I Michieli di Venezia portavano sopra una fascia d’argento i
-bisanti d’oro, perchè il doge Domenico Michiel alla crociata, venutogli
-meno il denaro, pagò con pezzi di cuojo, che poi al ritorno cambiò in
-sonanti. I Visconti di Milano vantavano che Ottone di loro famiglia
-avesse, alla prima crociata, ucciso un gigante che portava per cimiero
-un serpe con un fanciullo in gola; figura ch’essi adottarono. Il
-cardinale Giovanni, legato in Terrasanta, ne riportò la colonna della
-flagellazione, che la famiglia Colonna assunse per stemma, d’argento
-in campo azzurro; aggiungendovi la corona quando Stefano ebbe coronato
-l’imperatore Lodovico il Bavaro, e le quattordici bandiere turche che
-Marcantonio acquistò alla battaglia di Lépanto.
-
-Ed altre famiglie dallo stemma dedussero il nome; mentre d’alcune
-dietro al nome fu inventato lo stemma, con quelle che si dissero armi
-parlanti, come un orso per gli Orsini di Roma e gli Orseoli di Venezia,
-un gelso pe’ Moroni, un majale pe’ Porcelletti, un gambaro pei Gambara,
-un bove pei Vitelleschi, i Bossi, i Boselli, i Cavalcabò, le coste pei
-Costanzo, la carretta pei Del Carretto, pei Canossi un cane coll’osso
-in bocca, per gli Scaligeri la scala portante un’aquila. Il vulgo pure
-volle avere i suoi stemmi, e il tesserandolo e il merciajo adottava
-un’insegna che di padre in figlio trasmetteasi con sollecita cura di
-conservarla incontaminata.
-
-I nostri videro il lusso orientale, e si proposero imitarlo; la seta si
-propagò, e i tessuti serici di Damasco e quelli di pelo di camello ne
-eccitarono l’emulazione; a Venezia s’imitarono i Vetri di Tiro, e ben
-presto si fabbricarono specchi di cristallo e conterie; si conobbero
-i lavori a cesello e all’agiamina, l’applicazione dello smalto; e
-l’oreficeria ebbe grande esercizio nello incastonare le tante gemme e
-ornare le tante reliquie tolte all’Oriente.
-
-Esteso il viaggiare non a soli negozianti ma a moltitudini innumere,
-vennero sotto gli occhi altri costumi, la qual cosa chi non sa quanto
-serva a digrossare i proprj? I Settentrionali in Italia trovavano
-civiltà ben più raffinata; a Bologna udivano leggere le Pandette,
-in Salerno e a Montecassino scuole mediche, in Sicilia e a Venezia
-regolati governi, e i cittadini congregati dar l’assenso alle
-deliberazioni del doge; e Giacomo di Vitry, storico di quelle imprese,
-ammirava questi Italiani, segreti ne’ consigli, diligenti, studiosi nel
-procurare le pubbliche cose, provvidi del futuro, repugnanti da ogni
-giogo, di loro libertà acerrimi difensori. Anche i nostri avevano di
-che imparare sia dalla civiltà greca ancora in piedi, sia dall’araba
-allora fiorente, sia anche dal regolare governo istituito dalle Assise
-di Gerusalemme.
-
-I metodi allora introdotti dalla Chiesa per raccorre la decima e le
-limosine servirono di scuola per esigere le tasse meno arbitrariamente.
-E poichè a queste aveano dovuto sottoporsi anche gli ecclesiastici,
-s’imparò a farli coadjuvare alle pubbliche gravezze.
-
-Romanzi e novelle a josa passarono dall’Asia in Europa, eccitando e
-pascendo le giovani immaginazioni. La filosofia si valse di quanto le
-aveano aggiunto le scuole arabe; la medicina, se non metodi, adottò
-farmachi orientali, droghe nuove, nuovi composti; razze di cavalli
-arabi, cani da caccia vennero portati; e se Federico II ebbe elefanti
-a sola pompa, i Pisani si valsero dei camelli per coltivare la
-fattoria di San Rossore, dove ancora non sono dismessi. La cannamele
-avea ristorato la sete de’ Crociati, che la trapiantarono in Sicilia,
-donde passò in Ispagna, e di quivi a Madera e all’America, per
-procacciarci uno de’ condimenti oggi più usitati, lo zuccaro. Certe
-cipolle di Ascalona, certe prugne di Damasco allora arricchirono i
-nostri giardini; e se a torto si crede venuto di là il granoturco[427],
-v’imparammo l’uso dell’allume, dello zafferano, dell’indaco. Vorrebbe
-credersi che la vista degli aerei edifizj orientali e degli emisferici
-greci producesse l’ordine gotico, certo esteso in quel tempo; e i
-furti fatti da Pisa, Genova, Sicilia, Venezia ridestarono l’amore delle
-arti belle, che, compostesi a quegli esemplari, s’accostarono ai segni
-dell’eleganza.
-
-Tanto movimento di popolo aumentò la marineria, del che principale
-vantaggio trassero gl’italiani, i quali lautamente guadagnarono dal
-trasportare i Crociati, poi stabilirono banchi su tutte le coste della
-Siria, del mar Jonio e del Nero, e convennero di vantaggiosi privilegi
-nelle terre sottomesse. Le navi si migliorarono[428], e a’ lenti
-tragitti per terra si surrogarono i viaggi per acqua. A vantaggio de’
-pellegrini si stesero itinerarj, che, se erano dettati dall’entusiasmo,
-valsero però tanto quanto a migliorare la geografia[429].
-
-Continue relazioni mantenne l’Italia coll’Oriente, e ne sono piene
-le cronache piemontesi di Benvenuto da San Giorgio; le famiglie più
-insigni legarono parentadi coi principi levantini, e sei ne avvennero
-tra i marchesi di Monferrato e gli imperiali di Costantinopoli; il
-titolo di re di Gerusalemme e di Cipro ornava i duchi di Savoja prima
-che altro regio acquistassero. Gli stabilimenti italiani colà durarono
-più che quelli d’altra qualsiasi gente, e in modo si diffusero, che
-l’italiano era lingua comune de’ traffici sulle coste.
-
-Lasciam dunque ad altri deridere ciò che eccitò l’entusiasmo di due
-secoli; e non crediamo inutili queste imprese, che diedero tanto
-stimolo al sentimento, alla curiosità, all’immaginazione.
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- FINE DEL TOMO SESTO E DEL LIBRO OTTAVO
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-INDICE
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-LIBRO OTTAVO
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- Capitolo LXXXI. Origine dei Comuni pag. 1
- » LXXXII. Effetti dei Comuni. Nomi e titoli.
- Emancipazione dei servi » 60
- » LXXXIII. I Comuni lombardi. Lotario II e
- Corrado III imperatori. Ruggero
- re di Sicilia. Arnaldo da Brescia » 88
- » LXXXIV. Federico Barbarossa » 112
- » LXXXV. Ordinamento e governo delle
- Repubbliche » 153
- » LXXXVI. Ultimi Normanni in Sicilia.
- Enrico VI » 218
- » LXXXVII. Innocenzo III. Quarta crociata.
- L’impero latino in Oriente » 242
- » LXXXVIII. Ottone IV. Sviluppo delle
- Repubbliche, e secondo loro
- stadio. Nobili e plebei in lotta.
- Guelfi e Ghibellini » 268
- » LXXXIX. Frati. Eresie. Patarini.
- Inquisizione » 313
- » XC. La Scolastica. Efficacia civile
- del Diritto romano e del canonico.
- Le Università. Le Scienze occulte » 356
- » XCI. Federico II. Seconda guerra
- dell’investitura » 415
- » XCII. Fine degli Svevi e della seconda
- guerra dell’investitura » 472
- » XCIII. I Mongoli. — Fine delle crociate e
- loro effetti. Gli stemmi » 507
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-NOTE:
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-[1] SAVIGNY, _Storia del Diritto romano_; — PAGNONCELLI, _Dell’antica
-origine e continuazione dei governi municipali in Italia_, 1823 —
-RAYNOUARD, _Histoire du droit municipal en France_, 1838.
-
-[2] È l’opinione del Leo, _Entwickelung der Verfassung der
-lombardischen Städte bis zu Friedrich I_, 1824; del RAUMER, _Ueber die
-staatsrehtlichen Verhältnisse der italienischen Städte_; dell’EICHHORN,
-di EKSTEIN, di BEHLMANN-HOLWEG, _Ursprung der lombardischen Städte
-Freiheit_, 1846, in confutazione del Savigny, dell’Hegel ecc. Fra i
-nostri la sostennero Cesare Balbo e Carlo Troya. Secondo questo, i
-Romani spossessati da Autari mai più non entrarono nel Comune; bensì
-i Romani giustinianei e teodosiani, cioè quelli sopravissuti in paesi
-ove si mantennero in vigore il diritto giustinianeo e il teodosiano;
-ma neppur questi mai non si pareggiarono ai dominatori, fin al tempo
-di Ottone I, quando tolsero la superiorità ai Franchi; talchè non
-ricuperarono i diritti antichi, ma acquistarono quelli dei vincitori.
-
-[3] Dissi _quasi_, acciocchè non ci si opponga qualche menzione di
-comunità. Nel 764, un Crispino fonda e dota la chiesa di San Martino
-d’Ussiano, lasciandone il patronato ai vescovi di Lucca; e nel
-descrivere i confini dei beni dice: _Alia petiola de terra mea, qui est
-similiter tenente capite uno in via publica et in ipso rivo Caprio,
-et vocitatur ad Campora _communalia__. Ma era il Comune de’ vinti,
-o quel de’ vincitori? Più conchiuderebbe il diploma dell’imperatore
-Lamberto (_Antiq. M. Æ._, VI. 341) che a Gamenulfo vescovo di Modena
-nell’898 concede e conferma tutti i beni, e la giurisdizione sui
-medesimi anche nella città, soggiungendo: _Sancimus etiam pretaxate
-ecclesie, juxta antecessorum nostrorum decreta, loca in quibus predicta
-civitas constructa est, stabilia maneant cum cancellariis, quos prisca
-consuetudo prefate ecclesie de clericis sui ordinis ad scribendos
-sue potestatis libellos et feothecarios habeat; vias quoque, portas,
-pontes, et _quicquid antiquo jure eidem civitati ac curatoribus
-reipublice solvebantur_, nostra vice liberam capiendi debitum ex eis
-censum habeat potestatem..._ Qui respublica parmi abbia il senso che
-sotto gl’imperatori romani, ed equivalga al fisco. Anche Lodovico II
-nell’852, confermando alla chiesa di San Lorenzo di Giovenalta nel
-Cremonese il mercato, l’acquedotto e altri diritti, comanda che _nulla
-quelibet persona aut quislibet reipublice minister ullam contrarietatem
-facere presumat_ (Antiq. M. Æ., II. 868). Merita pure riflesso la
-costituzione di Carlo Magno del 787, dove conferma il dazio da pagarsi
-ai porti, già istituito da re Liutprando, stabilendo quel che dovranno
-pagare il vescovo di Comacchio, _et ceteri homines fideles nostri
-Comaclo civitate commanentes_, sottraendoli dalle eccessive esigenze
-dei Mantovani: ivi i Comacchiesi sono sempre trattati in corpo, non
-come individui, nè come spettanti a un signore.
-
-[4] Vedilo nel Canciani; e giudicato dal Savigny, V. 132. Hennel
-ne scoperse una nuova copia nella biblioteca di Sangallo, che è
-desiderabile venga pubblicata. Il signor Bunturini promise una nuova
-lezione assai migliorata del testo udinese, che noi potemmo esaminare.
-C. HEGEL (_Gesch. der italienischen Städtefreiheit_, Lipsia 1847)
-attribuisce quel documento alla Curia Retiense cioè al paese de’
-Grigioni.
-
-[5] Uno de’ più antichi esempj raccolgo dal _Codice diplomatico
-bresciano_, ove nel 781 Carlo Magno a Radoara badessa di San Salvadore
-in Brescia conferma i possessi _sub immunitatis nomine; quatenus nullus
-judex publicus ibidem ad causas audiendas, vel freda exigenda, seu
-mansiones vel paratas faciendum, nec fidejussores tollendum, nec nullas
-redibitiones publicas requirendum, judiciaria potestas quoquo tempore
-ingredere nec exactare non presumat_.
-
-Poi nell’822 Lodovico imperatore alle monache stesse, conforme alla
-carta d’immunità concessa da suo padre, ordina che _nullus judex
-publicus, vel quislibet ex judiciaria potestate in ecclesias aut agros
-et loca et reliquas possessiones, ad causas audiendas, vel freda
-exigenda... ingredi audeat; sed liceat conjugi nostrae_ (Giuditta)
-_atque successores ejus cum omnes fredos concessos, et cum rebus_ VEL
-HOMINIBUS LIBERIS _seu comendatis ad idem monasterium pertinentes, sub
-immunitatis nostrae defensione quieto ordine possidere_.
-
-[6] Vedi qui sopra la nota 3.
-
-[7] Espone che il vescovo mandò a lui dicendo, _eandem urbem
-hostili quadam impugnatione devictam, unde nunc maxime sævorum
-Ungarorum incursione et ingenti comitum, suorumque ministrorum
-oppressione tenebatur, postulantes ut turres et muri ipsius civitatis
-rehedificentur studio et labore præfati episcopi, suorumque
-_concivium_, et ibi confugentium sub defensione ecclesiæ beati
-Alexandri in pristinum rehedificentur, et deducantur in statum_.
-Alle quali suppliche annuendo, egli stabilisce che sia ricostrutta
-_civitas ipsa pergamensis, ubicumque prædictus episcopus et _concives_
-necessarium duxerint... Turres quoque et muri, seu portæ urbis... sub
-potestate et defensione supradictæ ecclesiæ et prænominati episcopi
-suorumque successorum perpetuis consistant temporibus; domos quoque
-in turribus, et supra muros ubi necesse fuerit, potestatem habeat
-aedificandi, ut vigiliæ et propugnacula non minuantur, et sint sub
-potestate ejusdem ecclesiæ beati Alexandri. Districta vero omnia ipsius
-civitatis, quæ ad regis pertinent potestatem, sub ejusdem ecclesiæ
-tuitione, defensione et potestate predestinamus permanere etc._ Ap.
-LUPO, lib. II. Merita troppo poca fede l’Odorici perchè si accolga
-il documento del 13 maggio 909 da lui pubblicato, ove re Berengario
-riferisce che Troilo Volungo e Pamfilo de Lanternis(?) _legati_
-COMUNITATIS NOSTRÆ _de Lonato comitatus Brixiæ_ gli esposero i danni
-recati dagli Ungheri, e a nome dell’arciprete Lupo, del clero, di tutta
-la plebe di quel luogo, imploravano che, sovrastando ancora la rabbia
-de’ Barbari, possano costruire fortezze e mura a difesa de’ fedeli e
-delle cose sante; il che egli concede.
-
-[8] Vedi MORIONDI, _Monum. Aquensia_, I. 7. 9. 14. 21. 26; — GIULINI,
-II. 340. 353; — LEO, _Vicende delle costituzioni delle città lombarde_,
-part. III. § 2.
-
-[9] Ottone I al vescovo Anpaldo di Novara nel 969 concedeva la
-giurisdizione della città e d’un circuito di 24 stadj, vietando
-_ne aliquis ejusdem civitatis quandocumque habitator, murum ipsius
-civitatis ad portas vel pusterulas faciendas sine episcopi jussu
-frangere præsumat_.
-
-Nel 1013 già Novara era in grado di resistere ad Arduino marchese
-d’Ivrea, e nel 1110 ad Enrico V, e Ottone di Frisinga al tempo di
-Barbarossa la qualificava _non magna, sed muro novo et vallo non modico
-munita_.
-
-[10] _Monumenta Historiæ patriæ_, Chartarum II. 49.
-
-[11] _Antiq. M. Æ._, VI. 47; AFFÒ, II. 13.
-
-Del 1037 Corrado conferma al vescovo d’Ascoli la donazione di Ottone:
-_Omnem terram sui episcopii, tam ad matricam ecclesiam pertinentem
-infra et extra civitatem suam, quam ad ceteras capellas sive
-monasteria... Monetam etiam in civitate construere... et quidquid ad
-regiam censuram et potestatem nostram pertinet, transfundimus in ejus
-et successorum illius jus et dominium._ Lo conferma nel 1045 Enrico
-re ad altri. _Archivio capitolare d’Ascoli._ Vedi _Giornale Arcadico_,
-vol. XLIII.
-
-[12] TIRABOSCHI, Storia della badia di Nonantola, II. 188: _Confirmamus
-tam mutinensi ecclesiæ quam ejus civibus universos bonos usus quos
-antiquitus habuerunt._
-
-[13] _Prædictum districtum et aquam ac ripam Padicam omni theloneo seu
-curatura atque ripatico a Dulpariolo usque ad caput Adduæ, cunctasque
-piscationes cum molendinorum molitura et navium debito censu, et omnes
-rectitudines et redibitiones et forum seu ceteras consuetudines, et
-vias publicas, et cætera quæ in præceptis et notitiis antecessorum
-nostrorum continentur._ Ap. CAMPI, _Hist. eccl._, I.
-
-[14] _Antiq. M. Æ._, I. 708. E nel 1084 concedeva al monastero di San
-Zenone a Verona _liberos homines, quos vulgo arimannos vocant... cum
-omni debito, districtu, actione atque placito_.
-
-Al 2 luglio 1070 Enrico IV re dona alla chiesa di Vercelli il Casale
-coll’arimannia, e con tutto il servizio del contado Odalingo con tutti
-gli arimanni, e del contado Albalingo con tutti gli arimanni, Ocesingo
-con tutti gli arimanni, e così Momelerio, Selvolina, Redingo _cum
-omnibus arimannis_. _Monum. hist. patr._, Chartarum I. p. 622.
-
-[15] _Nullam deinceps vel eorum filii aut descendentes publicam
-functionem vel angariam, seu ullum servitium aut ullam districtionem
-cuique hominum faciant, vel usque in perpetuum persolvant; sed sub
-potestate pretaxati monasterii perenniter permaneant, præter nostrum
-regale fodrum quando in regnum istum devenerimus, et sculdassiam quam
-comitibus suis singulis annis debent._ Ap. LUPO, lib. II.
-
-[16] D’ARCO, _Nuovi studj intorno all’economia politica del municipio
-di Mantova_, 1846.
-
-[17] Paragonisi la nota 12.
-
-[18] Di fatto Lotario II nel 1133 attribuiva a questa città _arimanniam
-cum rebus communibus ad mantuanam civitatem pertinentibus_. Del
-1056 si ha l’investitura _Elisei episcopi Mantuæ facta communi et
-universitati et hominibus Mutuæ de tota aqua Padi_: al qual uopo due
-_sindaci et procuratores communis_ pagarono ad esso vescovo quaranta
-lire imperiali per essere investiti di quel diritto. Altrove i nobili
-erano detti Lombardi; per es. negli statuti di Pisa, lib. I. rubr. 109:
-_Non patiemur aliquem vel filium militis vel nobilem vel lambardum
-etc._; nel registro dei censi della chiesa romana: _Quidam milites,
-qui dicuntur Lambardi_; e ap. TARGIONI TOZZETTI, _Viaggi_, I. 89, ove
-_Cattani et Lambardi de la Quercinola, Lambardi de Aquaviva etc._
-
-[19] _Legge_ XXXI delle aggiunte alla Longobarda, e la IV delle _Leggi
-longobarde_.
-
-[20] CAMPI, _Hist. eccl._, I. 480.
-
-[21] _Antiq. M. Æ._, I. 1020 e 493.
-
-[22] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. 191.
-
-[23] _Ut omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere et
-emere, juraverunt omnes cambiarii et speciarii, qui ad cambium vel
-species stare voluerint, quod ab illa hora in antea non furtum faciant
-nec treccamentum aut falsitatem, infra curtem Sancti Martini, nec
-in domibus illis in quibus homines hospitantur... Sunt etiam insuper
-qui curtem istam custodiunt, et quicquid male factum fuerit, emendare
-faciunt._
-
-[24] LUPO, _Cod. dipl. Berg._, tom. II. 621 e 773.
-
-[25] TARGIONI TOZZETTI, _Viaggi_, I. 143.
-
-[26] _Breve recordacionis de concordia hominum Clavennatum et
-Pluriensium. Jurare debent quatuor homines de Clavenna et de Pìuri
-de guidare comune de Clavenna et de Pluri et eorum bona et personas
-bona fide, sine fraude in pace et in guerra; et de illis rebus quæ
-venient eis inter manus _per istam consulariam_ non facient furtum, nec
-consentient facienti; et illud quod remanebit in fine suæ consulariæ de
-quæstu quod ipsi fecerint, partientur inter Clavennates et Plurienses,
-ita scilicet ut Clavennates habeant tres partes, et Plurienses quartam
-sine fraude: et si dispendium fuerit factum pro comuni de Clavenna,
-sine fraude illi de Pluri solvere debeant quartam partem et Clavennates
-tres partes etc._
-
-È citato nella decisione che Anselmo Dell’Orto, console di Milano nel
-1155, diede sopra una quistione fra i consoli di quei due luoghi;
-riportata dal padre Allegranza, _Dell’antico fonte battesimale di
-Chiavenna_. Venezia 1765.
-
-[27] Il più antico statuto che si conosca fatto da una corporazione
-in Lombardia sarebbe dell’835, con cui alla corte imperiale di
-Castelvetere, donata a Santa Maria di Cremona, i canonici di questa
-dettano statuti; che nessun uomo di quella venda o tenga albergo o
-taverna senza licenza loro, pena trenta soldi: non tener giuoco o
-bisca o meretrice; non rubare; non accoglier pubblico bandito o ladro;
-e si stabilisce la pena per chi ferisca in rissa, tiri pei capelli,
-faccia adulterio, guasti una fanciulla. I quali statuti furon letti in
-presenza di molti uomini di Castelvetere, e ricevuti e giurati da essi.
-— È pubblicato dall’Odorici nell’_Archivio storico_, nuova serie, tom.
-II., pag. 39, ma potrebbe esser falso come altri di quella provenienza.
-
-Un de’ primi atti di Comune sarebbe quello che cita esso Odorici al
-969, in cui re Ottone al Comune ed università di Maderno, nel Bresciano
-presso al Benáco, che aveangli mandato deputati per chieder la conferma
-della loro immunità, rimette tutti gli ossequj, usi, dazj che ai
-predecessori suoi soleano retribuire, assolvendo i Madernesi da ogni
-nodo di servitù, dando facoltà di pesca e caccia per tutto il lago e
-di farvi quel che credono, e considerandoli liberi con tutte le loro
-adjacenze, vigne, oliveti, campi colti e incolti, mobili ed immobili,
-telonei, ripatici, ostiatici; volendo che tutte queste cose vengano in
-diritto e proprietà d’esso Comune e università di Maderno in perpetuo.
-Peccato che l’Odorici non garantisca abbastanza i documenti che
-produce: affinchè, s’egli non è uomo da ingannare, assicurasse pure che
-non venne ingannato.
-
-[28] Sotto l’896, Landolfo seniore indica che ad ognuna delle sei
-porte di Milano i Romani avessero formato di quelle opere di difesa,
-che essi chiamavano _procestre_ o _clavicule_, e noi _rivellini_; e
-li dice altissimi e di pianta triangolare. Senza credere appartengano
-ai Romani, se ne induce, primo, l’antichità di tali fortificazioni,
-che alcuni vorrebbero inventate solo nel XV secolo; secondo, che la
-città non doveva essere stata rasa affatto da Uraja, come ci vogliono
-dare a credere, se trecent’anni dipoi v’aveva mura sì antiche da non
-ricordarsene la costruzione.
-
-[29] DANDOLI, _Chron._, lib. VIII. c. 16.
-
-[30] _Antiq. M. Æ._, diss. II.
-
-[31] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II.
-
-[32] _Monum. Hist, patriæ_, 998.
-
-[33] _Arch. diplom. sienese, Pergamene_, n. 14 e 21.
-
-[34] _Constitutiones quas habent de mari sic iis observabimus, sicut
-illorum est consuetudo. Nec marchionem aliquem in Tuscia mittemus sine
-laudatione hominum duodecim, electorum in colloquio facto sonantibus
-campants._ Antiq. M. Æ., diss. XLV.
-
-_Incipit prologus constitutionum Pisanæ civitatis. Nobis Pisanorum
-consulibus, constituta facientibus æquitashortando suasit, omnibus ea
-scire atque intelligere volentibus, originem ipsorum et causam atque
-nomen exponere, ne, ut ita dixerimus, quasi illotis manibus, nulla
-præfatione facta, ex improvisu ad ipsa perveniant._
-
-_Pisana itaque civitas, a multis retro temporibus vivendo lege
-romana, _retentis quibusdam de lege longobarda_, sub judicio legis,
-propter conversationem diversarum gentium per diversas mundi partes
-suas consuetudines non scriptas habere meruit, super quas annuatim
-judices possint quos provisores appellavit; ut ex equitate, pro salute
-justitiæ et honore et salvamento civitatis, tam civibus quam advenis
-et peregrinis et omnibus universaliter in consuetudinibus providerent.
-Qui ex diversitate scientiæ atque intellectus, per diversa tempora
-eadem negotia atque similia, aliter alteri, et omnino e contra quam
-illi judicaverint; unde Pisani, qui fere præ omnibus aliis civibus
-justitiam et æquitatem semper observare cupierunt, consuetudines suas,
-quas propter conversationem quam cum diversis gentibus habuerunt, et
-hucusque in memoria retinuerunt, in scriptis statuerunt redigendas,
-pro cognitione eorum ea scire volentium. Qua de causa et nos, et ante
-nos quamplurimos alios sapientes civitatis elegerunt, qui hoc sub
-sacramento faceremus, et corrigenda corrigeremus, atque causas et
-quæstiones consuetudinum a causis et quæstionibus legum discernendo
-redigeremus in scriptis. Quorum statuta in scriptis redacta, sunt
-appellata constituta, quasi a pluribus statuta, et etiam a civitate
-recepta et confirmata. Ex quibus hoc volumen compositum a nobis et
-confirmatum consulibus justitiæ, scilicet, Rainerio de Parlascio et
-Lanfranco, pro se et suis sociis, scilicet Lamberto Grasso de Sancto
-Cassiano, Boccio Cocco, Henrico Friderici Bulso, olim Petri Albithonis,
-et Sysmundo quondam Henriqui Nithonis, per publicationem obtulimus et
-dedimus. Anno incarnationis Domini_ MCLXI, _indictione_ IX, _pridie
-kalendas januarii, regnante domino Friderico felicissimo atque
-invictissimo imperatore nostro et semper augusto._
-
-_Extra quod volumen si quod aliud constitutum de usibus scriptum
-inveniatur, auctoritatem non habere constituimus, nisi super factis
-secundum sua tempora; servata et in eis constitutione hac_ Sicut lege
-et constitutiones, etc.; _non tamen occasione hujus constitutionis in
-factis futuris ab hinc in antea vel ex quo illud constitutum emendatum
-vel sublatum fuerit protrahatur._
-
-Su quegli statuti hanno fatto studj i Dal Borgo, il Valsecchi, il
-Targioni-Tozzetti, il Savigny, ecc., e più profittevoli il Bonaini.
-
-* Lo statuto dei Consoli del 1162 da lui pubblicato, non è il più
-antico. V’era un podestà nel 1190, e lo statuto di questo è più ampio
-perchè comprende gli statuti particolari.
-
-Daiberto tra il 1088 e il 1092 _episcopus Pisanorum_, aggiuntisi
-per socj i valorosi e sapienti Pietro Visconti, Rolando e Stefano
-Guinizone, Mariniano, Alberto; considerando l’antica peste della
-città pisana la superbia, per la quale faceansi quotidiani omicidj
-innumerevoli, spergiuri, incesti, principalmente in occasione di
-distrugger case e altri mali assai, col consenso e il lodo de’
-sopradetti uomini, e di tutti gli abitanti di Pisa, di Borgo e
-Chinzica, ordina qual deva esser l’altezza delle torri, sia su terreno
-proprio, sia su feudale o ecclesiastico. E chi lo viola si abbia per
-scomunicato, e guardinsi da lui come da eretico e dannato, nè abbiasi
-comunione con lui in chiesa o in nave.
-
-Del 1154 si ha il catalogo dei consoli, con autorità _a cuncto Pisarum
-populo in publica contione concessa, clamante_ FIAT FIAT.
-
-Nel Pisano aveano statuti proprj Calci, Vico, Buti, Marti, Palaja,
-Peccioli, Piombino, Campiglia, Scarlino, Castiglione della Pescaja,
-l’isoletta di Pianosa.
-
-[35] Ap. MURATORI, _Ant. Estensi_, part. I. c. 17.
-
-Dell’immunità riportiamo solo le parti principali: _In nomine sancte et
-individue Trinitatis. Otto gratia Dei imperator augustus etc. Agnoscat
-universitas nostrorum fidelium... qualiter nos, pro Dei omnipotentis
-amore, nostrarumque animarum remedio inclinati precibus Huberti
-episcopi, dilecto fidelique nostro, per hoc nostrum preceptum donamus,
-concedimus atque largimur omnibus sacerdotibus, levitis, universis
-sacris ordinibus, Luce civitati commorantibus, seu etiam suburbanis,
-ut deinceps in antea a nullis magnis parvisque personis ad secularia
-judicia pro qualicumque controversia examinentur vel distringantur
-nisi ab eorum presule, et ut illis in domibus eorum aliqua invasione
-audeat inferre, vel tributum, seu etiam superimpositum iisdem
-sacerdotibus etc... a quaqua persona minime imponatur vel requiratur;
-et ne aliquis audeat se intromittere sine legali judicio in universis
-suppellectilibus eorum, sive in servis etc. Insuper concedimus ob
-nostram imper ialem dictionem omnibus sacer dotibus... ut eorum
-advocatus non aliter, nisi solus juret, sine ulla contradictione, sicut
-in sancta romana ecclesia agitatur... Et ita sane precipientes jubemus,
-ut nullus dux, sive marchio... audeat se ultro ingerere in omnibus
-casis et rebus jam superius prenotatis, vel etiam eis servitia, aut
-injurias inferre..._ Segue la pena _auri optimi libras centum_ contro i
-violatori, da pagarsi per metà _camere nostre, et medietatem predictis
-sacerdotibus... Quod ut verius credatur, diligentiusque ab omnibus
-observetur, manibus propriis roborantes annuli nostri impressione
-insigniri jussimus._ — _Signum domini Ottonis serenissimi imperatoris._
-
-Ecco pure il diploma di Ottone II: _Ob amorem Dei, tranquillitatemque
-fratrum in Lucensi ecclesia famulantium, atque sub ipsius diæcesos
-degentium libenter concedere placuit, et hoc nostre auctoritatis
-preceptum immunitatis, atque tuitionis gratiam erga eandem ecclesiam
-fieri decrevimus, nominative de custodibus, castellis, monasteriis,
-plebibus, cellulis, aldionibus et aldiabus, servis et ancillis,
-piscationibus, aquis, aquarumque ductibus, pratis, vineis, campis
-etc... Precipientes quapropter jubemus, ut nullus dux, marchio, comes,
-vicecomes, judex publicus, aut gastaldus, vel quilibet ex judiciaria
-potestate, in cellulas, aut ecclesias, vel domos clericorum, curtes,
-seu villas, aut loca, vel agros, castella, seu reliquas possessiones
-memorate ecclesie.... ad causas audiendas, vel freda exigenda, aut
-mansiones vel paratas faciendas, aut fidejussores tollendos, aut
-homines ipsius ecclesie tam ingenuos quam servos distringendos, aut
-ullas redibitiones... illicitasve occasiones requirendas, nostris
-vel futuris temporibus ingredi audeat, vel ea que supra memorata
-sunt, penitus exigere presumat; sed liceat memorato presuli, suisque
-successoribus, sibi subjectis, vel omnibus ad se aspicientibus, sub
-tuitionis atque immunitatis nostre defensione, remota totius judiciarie
-potestatis inquiet udine possedere. Tonsos vero, quos sua parochia...
-et omnes homines in sua terra residentes, aut ad ejusdem terre castella
-confugientes, ad jam dicti episcopi suorumque successorum veniant
-judicium, et nulla imperii nostri magna parvaque persona habeat
-potestatem ad distringendum, sed liceat ei ad vicem regie potestatis
-eos distringere etc._ Memorie lucchesi.
-
-[36] _Bullam plumbeam pro sigillo comunitatis._ PTOL. LUCENSIS, _Ann.
-eccl._, lib. XIX.
-
-[37] _Lucanis civibus pro bene conservata fidelitate eorum in nos,
-et pro studioso servitio eorum, nostre regie potestatis auctoritate
-concedimus, et concedendo statuimus, ut nulla potestas, nullusque
-hominum murum lucensis civitatis antiquum seu novum in circuitu
-dirumpere aut destruere presumat; et domos quæ intra murum hunc
-edificate sunt vel adhuc edificabuntur, aut circa in suburbio, nulli
-mortalium aliquo ingenio aut sine legali judicio infringere liceat.
-Preterea concedimus predictis civibus ut nostrum regale palatium
-intra civitatem vel in burgo eorum non edificent, aut inibi vi vel
-potestate hospitia capiantur. Perdonamus etiam illis ut nemo deinceps
-ab illis exigat aliquod fodrum et curaturam a Papia usque Romam, ac
-ripaticum in civitate Pisa vel in ejus civitate. Statuimus etiam ut si
-qui homines veniant in flumine Serculo vel in Motrone cum navi causa
-negotiandi cum Lucensibus, nullus hominum eos vel Lucenses in mari vel
-in suprascriptis fluminibus eundo vel redeundo vel stando molestare,
-aut aliquam injuriam eis inferre, vel depredationem facere, aut
-aliquo modo hoc eis interdicere presumat. Precipimus etiam ut si qui
-negotiatores veniant per stratam a Luna usque Lucam, nullus homo eos
-venire interdicat, vel alio conducat, sive ad sinistram eos retorqueat,
-sed secure usque Lucam veniant, omnium contradictione remota. Volumus
-autem ut a predicta urbe infra sex milliaria castella non edificentur,
-et si quis aliquis munire presumserit, nostro imperio et auxilio
-destruantur. Et homines ejusdem civitatis vel suburbii sine legiptima
-judicatione non judicentur. Et si aliquis civium predictorum predium
-vel aliquam tricennalem possessionem tenuerit, si auctorem vel datorem
-habuerit, per pugnam vel per duellum non fatigetur... Longobardus judex
-judicium in jam dicta civitate vel in burgo aut placitum non exerceat
-nisi nostra aut filii nostri presente persona, vel etiam cancellarii
-nostri. In hac vero concessione sive largitione nostra sancimus ut
-nullus _episcopus_, dux, marchio, comes, nullaque nostri regni persona
-predictos cives in his concessis inquietare, molestare, disvestire
-presumat._ Pubblicato dal Minutoli nell’_Archivio storico_, vol. X.
-doc. 1.
-
-[38] Questo giudicato si vedrà nel cap. LXXXV.
-
-[39] _Documenti per servire alla storia lucchese_, vol. I. p. 174: —
-_In nomine sanctæ et individuæ Trinitatis. Velfo dux Spoleti, marchio
-Tusciæ, princeps Sardiniæ, dominus domus comitissæ Mathildis._
-
-_Quia justum et rationi consentaneum videtur imperatorem, sive magnos
-principes imperii, fidelium petitionibus condescendere suorum; idcirco
-et ego, petitionibus fidelium et dilectissimorum suorum Lucensium
-condescendere volens, Lucanæ civitati totoque ejus populo do, concedo
-atque confirmo omnem ejus actionem, jurisdictionem, et omnes res quæ
-quoquomodo mihi pertinent, vel ad jus marchiæ pertinere videntur,
-vel ad jus quondam comitissæ Mathildis, vel quondam comitis Ugolini
-pertinuerunt, tam infra Bechariam civitatem ejusque burgos, quam
-extra infra quinque proxima milliaria prædictæ civitati, ab omni parte
-ejusdem civitatis, exceptis fodris meorum vassallorum ex parte marchiæ,
-vel prædicti comitis Ugolini. Præterea infra præfata quinque milliaria
-proxima Lucanæ civitati ab omni parte non ædificabo aliquod castellum,
-nec ædificare faciam. Pro qua mea datione et concessione consules vel
-rectores qui pro tempore in dicta civitate fuerint, vel aliqua persona
-pro subscripta civitate dare debeant mihi, vel meis successoribus
-aut misso nostro, infra prædictam civitatem omni anno in quadragesima
-infra proximos octo dies postquam a nobis vel a nostro nuntio literas
-sigillatas ostendendo prædictis consulibus, vel rectoribus aut populo
-denunciatum fuerit, solidos mille lucensium denariorum expendibilium,
-et sic debeant facere et observare prædicti consules, vel rectores aut
-aliqua persona pro civitate dehinc ad nonaginta annos. Et licet ego
-sciam quod hæc mea concessio annuatim majorem redditum quam sit dictum,
-et etiam ultra duplum promittat, tamen illam plenissima auctoritate
-corroboratam per me et meos successores firmiter et incorrupte, sicut
-dictum est, permanere constituo. Siqua vero persona contra hujus nostræ
-concessionis et dationis paginam venire præsumpscrit, statuimus ut
-libras centum auri componat, medietatem cameræ nostræ, et medietatem
-prædictæ civitati. Ut autem hæc scriptura immutabili veritate et
-stabilitate permaneat, sigilli nostri impressione insigniri jussimus,
-et propria manu confirmantes subscripsimus._
-
-_Acta sunt hæc in civitate Lucensi, anno incarnationis Domini_ MCLX,
-VIII _idus aprilis, præsentibus vero testibus his, etc._
-
-[40] Il diploma è del 5 maggio 1129: l’originale dovette perire come il
-resto dopo la memorabile sollevazione del 1678, ma tutti gli storici
-ne parlano, e mostrano tenerlo per vero, eccetto in pochi casi di
-controversia. (Oggi alcuni l’impugnano).
-
-[41] _Antiq. M. Æ._, v. 753.
-
-[42] «In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone per voler
-di Dio imperatore augusto. Se assentiamo alle domande degli altri
-nostri fedeli, molto più giustamente inclinar dobbiamo le orecchie
-alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano dunque tutti i
-fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio presenti e futuri, che
-Adelaide imperatrice augusta moglie nostra invocò la nostra clemenza,
-affinchè per amor suo gli abitanti dell’Isola Comacina e del luogo che
-dicesi Menaggio ricevessimo sotto la nostra difesa, e confermassimo
-coll’autorità nostra i privilegi che ebbero dagli antecessori nostri
-e da noi stessi avanti l’unzione imperiale, cioè di non far oste, non
-aver l’albergario, non dare la curatura, il terratico, il ripatico o
-la decima nel nostro regno, nè andare al placito, se non tre volte
-l’anno al placito generale in Milano. Tanto concediamo, ecc. Dato
-all’VIII avanti le calende di settembre, anno dell’Incarnazione 962, I
-dell’impero del piissimo Ottone, indizione V, in Como». _Ap_. ROVELLI,
-_Storia di Como_, tom. II. (Oggi vuolsi dubitarne).
-
-[43] UGHELLI, _Italia sacra_, tom. IV. col. 596.
-
-[44] _Ea quæ sue locutionis proprietate comunia vocant._ Antiq. M. Æ.,
-IV. 24.
-
-[45] _Breve recordationis de Ardicio de Aimonibus._ Sul qual documento
-io ho troppo dubbj.
-
-[46] _Antichità Estensi_, part. I. c. 29. — _In nomine sancte et
-individue Trinitatis. Velfo Dei gracia dux et marchio, Mathilda Dei
-gracia si quid est. Justis petitionibus adquiescere, et nostros fideles
-honoribus et commodis ampliare per omnia nostram condecet potestatem.
-Quapropter omnium sancte Dei ecclesie, nostrorumque fidelium tam
-futurorum quam presentium noverit industria, qualiter nostri fideles
-mantuani cives nostram adierunt clementiam, quorundam suorum concivium
-oppressiones relevari petentes, et erimannos omnes, et communes res
-sue civitatis a nostris predecessoribus illis ablatas, sibi restitui
-postulantes. Et nos, ob memorabilem eorum fidelitatem et servicium,
-justis eorum precibus annuentes, omnes exactiones et violentias non
-legales funditus deinceps abolendas, et radicitus extirpandas modis
-omnibus decernimus et firmamus. Statuentes etiam, ut neque nos, neque
-nostri heredes, neque ulla magna, parvaque nostre potestatis persona,
-predictos cives in mantuana civitate, vel in suburbio habitantes, vel
-deinceps habitaturos, de suis personis, sive de illorum servis, vel
-ancillis, seu de liberis hominibus in eorum residentibus terra, vel de
-ermanna, et communibus rebus ad predictam civitatem pertinentibus ex
-utraque parte fluminis Mincii sitis, sive de beneficiis, libellariis,
-precariis, investituris, seu etiam de omnibus eorum rebus mobilibus
-et immobilibus adquisitis, vel adquirendis, inquietare, molestare,
-disvestire sine legali judicio, vel ad aliquam publicam exactionem vel
-functionem cogere presumat. Sed et neque in predicta civitate in domo
-alicujus, vel in suburbio, in domo militis vel in caneva alicujus,
-illis invitis, hospitari audeat. Insuper et illis restituimus omnes
-res communes, parentibus illorum concessas per preceptum imperatorum,
-scilicet nominative Saccam, Sepringenti et Carpenetam, et quidquid de
-Armanorio nobis hucusque retinebamus, sive per cetera loca in comitatu
-mantuano rejacentia, piscationes per flumina et paludes, scilicet
-utrasque ripas fluminis Tartari, deinde sursum usque ad flumen Olei. De
-alia parte usque in Fossam altam. De tertia parte usque in ecclesiam
-sancti Faustini in caput Variana, et deinde seorsum usque in Agricia
-majore. Ut liceat illis pabulare, capulare, secare, venari, et quicquid
-juris ipsorum parentes antiquitus in illis habuerant. Decernimus etiam,
-ut liceat omnibus predictis civibus et suburbanis per omnen nostram
-potestatem secure ire et redire, sive per aquam et per terram quocumque
-voluerint, ita ut nec theloneum, nec ripaticum dent. Et insuper illam
-bonam et justam consuetudinem eos habere firmamus,_ QUAM QUELIBET
-OPTIMA CIVITAS LONGOBARDIE OBTINET.
-
-[47] _Antiq. M. Æ._, I. 730; e la nuova conferma fattane dal
-Barbarossa, 732.
-
-[48] _Pater ejus de ordine illorum, qui jura et leges civitatis
-asservabant, fuit._ BOLLAND., _ad_ 28 _maj_. In una carta del 721
-dell’archivio di Sant’Ambrogio è nominato Vitale suddiacono, _exceptor
-civitatis Placentinæ_, cioè notaro. A un diploma del 1100 di Anselmo
-arcivescovo di Milano, il clero vercellese soscrive:
-
- _Hoc Vercellarum clerus decus ecclesiarum_
- _Laudat _cum populo_ laudibus egregio._
- PURICELLI, Monumenta ambrosiana, 289.
-
-Così Aosta ebbe statuti nel 1118, pubblicati dal Cibrario; Capua nel
-1109, dati dal Bonaini; Verona, decreti di consoli nel 1140.
-
-[49] _Consulum epistolarum dictator._ Hist. Med., cap. 15.
-
-[50] _Consulibus, capitaneis, omni militiæ universoque mediolanensi
-populo. Civitas Dei inclyta conserva libertatem, ut pariter retineas
-nominis tui dignitatem, qui, quamdiu potestatibus Ecclesiæ inimicis
-resistere niteris, vere libertatis auctore Christo domino adjutore
-perfrueris._ MARTENE, _Collect. vet. scriptorum et monumentorum_, tom.
-I. p. 640. Si avverta come non vi si faccia motto dell’arcivescovo,
-nè del clero. La prima menzione di consoli in Milano è nel 1100. Una
-carta del 1109 dell’archivio di San Fedele di Como fu stesa _multis
-adstantibus cumanis consulibus_.
-
-[51] LANDULPHI SANCTI PAULI, cap. 31.
-
-[52] Nell’897 il vescovo Adalberto costituisce il vivere comune de’
-canonici dotandoli di molti beni, distratti dalla mensa vescovile; del
-che delibera in concilio coi sacerdoti e tutto il clero d’essa chiesa,
-_et reliquis nobilibus hominibus, qui eidem synodo intererant, tractans
-cum eis de statu et soliditate ipsius ecclesiæ_. Nel 1000 il vescovo
-Reginfredo fa molti doni ad essi canonici, ancora presenti _presbyteris
-et diaconibus cum certa parte nobilium laicorum_. LUPO, _Cod. dipl.
-Berg._, tom. I. 1059. 1064. Sorte poi controversie fra i canonici di
-Sant’Alessandro e quei di San Vincenzo, nel 1081 il vescovo Arnulfo li
-rappacificava _secundum consilium multorum clericorum, civium, extraque
-urbe manentium sapientum et nobilium_.
-
-[53] _De civibus autem præfatæ civitatis, Alberto Tozoni, Arimbaldo
-Cozo, Petro de Curte regia, Adam de Castello, Lanfranco Nozo de
-Polterniano, Lanfranco Ottoni, et insuper compluribus._ Cod. dipl.,
-759.
-
-[54] _Laude duodecim habitatorum qui electi fuerunt ad hoc, vel
-laude comunitatis... laude duodecim consulum_. Nel 1167 essi conti,
-sgomenti dai progressi della Lega Lombarda, confermarono ed ampliarono
-tali privilegi ai vassalli e agli abitanti, obbligandoli al servizio
-militare e al fodro e alla fedeltà a Federico. I Novaresi, appena
-partito Federico, assediano il castello di Biandrate (1168) e si
-obbligano a tenerlo distrutto, e non ricevere i conti _nec pro
-habitantibus nec pro vicinis_. Monum. Hist. patriæ, I. 708. Sarebbe la
-prima menzione _contemporanea_ di consoli.
-
-[55] Del giuramento fatto prestare ai singoli membri d’un Comune
-trovansi i processi qua e là; ed alla stampa, fra altri, indicheremo
-quello con cui gli uomini del paese di Triora giurarono fedeltà
-al Comune di Genova nel marzo 1261; i sottoscritti sono circa
-trecentottanta. Nel _Liber jurium_, vol. I, pag. 1334.
-
-[56] _Astensis ecclesiæ episcopus nostram efflagitans adiit
-celsitudinem, quatenus sibi suaque ecclesiæ... secundum avi et patris
-nostri præcepta... totum episcopatum astensem, cum integro districtu
-civitatis, cum quatuor miliariis in circuitu, nostræ confirmationis
-et donationis præcepto corroborare et largiri dignaremur... videlicet
-quidquid ad publicum jus pertinet in thelonei et mercati redibitione,
-seu aquatici atque ripatici... cum placitis et omnibus vectigalibus...
-Volentes etiam jubemus, nullus habitator in castellis aut villis sui
-episcopatus ad placitum alicujus comitis vel hominis, nisi ad episcopi
-placitum aut sui nuncii vadant aut legem faciant_. Monum. Hist. patriæ,
-vol. I., 289.
-
-[57] Sotto l’invasione, una parte de’ vincitori collocossi in campagna,
-formandovi Comuni villerecci (_pagus, gaue_), governati con leggi
-tedesche; mentre altra parte della campagna spettava ai vinti e
-regolavasi giusta il colonato romano, cioè rimanendo le persone libere
-da servigi personali, e le terre in libero commercio, vendendosi e
-affittandosi senza tampoco l’obbligo all’affittuario d’abitarle e
-coltivarle. In que’ dei vincitori invece era stabilita la servitù della
-gleba. Tal condizione diversa appare da molti documenti, e specialmente
-da quelli che concernono la chiesa di Firenze e di Siena (Ap. RUMHOR,
-pag. 7-24), e da altri presso lo stesso che riguardano la repubblica
-sanese (pag. 25-41).
-
-Firenze, costituitasi a Comune, cercò fiaccare i feudatarj. Essi
-pertanto s’indussero a sminuire la propria potenza, esimendo i coloni
-dai servigi personali, del che molti documenti adduce esso Rumhor dalla
-metà del XII secolo a quella del XIII (pag. 42-82). O si precisavano i
-servigi imposti, o vi si surrogavano prestazioni in generi, o i padroni
-ripigliavansi parte delle terre lavorate dai coloni, a cui essi altra
-parte ne lasciavano in compenso del diritto che il gius romano dava a
-questi di non essere staccati dalla propria terra. Quindi nacquero in
-Toscana molti piccoli possidenti campagnuoli. Le repubbliche favorirono
-la redenzione dei coloni, e gli statuti ne sono pieni: Firenze nel 1289
-ordinò l’intero loro affrancamento: ricomprò, l’anno seguente, i coloni
-del Mugello dalla mensa arcivescovile e dal capitolo di Firenze.
-
-Riscattati i coloni, le terre divennero di libera circolazione, e
-quindi oggetto alle speculazioni de’ denarosi, che compraronle dai
-coloni cui erano rimaste, e che le aveano suddivise per eredità: così
-entrando ne’ mercanti la voglia di possedere, adoprandovi anche la
-frode e la violenza. I comunelli di contadini, ch’eransi ordinati sui
-monti accanto alle rocche feudali, ne scesero per vivere in mezzo al
-podere. I signori che aveano riscattato i fondi, li diedero a coltivare
-agli antichi coloni con diversi patti, fra’ quali è costante la cura di
-mantener le piante di cui il fondo era vestito; cura che anche oggi è
-capitale. Così vennero la colonia parziaria, la mezzerìa.
-
-Questa nelle carte toscane appare stabilita verso il 1250. Ma pure non
-mancano esempi di affitto semplice a prestazione certa e in generi o in
-denaro.
-
-Vedansi _Cenni storici delle leggi sull’agricoltura, dai tempi romani
-fino ai nostri_, dell’avv. ENRICO POGGI, Firenze 1845.
-
-[58] LAMI, _Memor. Eccl. florentinæ_, tom. IV.
-
-[59] _Monum. hist. patriæ_, Scriptorum, III. 1569. 1614.
-
-[60] _Storia di Imola_, inserita in quella di Lugo, lib. III. c. 15.
-
-[61] _Atti dell’Acc. di Lucca_, tom. X. E nel 1195 vacando la chiesa
-parrochiale a Montopoli, i consoli e il gastaldo supplicarono il
-vescovo di Lucca, _loro signore_, ad eleggerlo, come fece, _quia sum
-pro episcopatu patronus ejusdem ecclesiæ, et dominus illius terræ_.
-Mem. lucchesi, IV. 2.
-
-[62] _Antiq. M. Æ._, IV. 40.
-
-[63] GHILINI, _Annali_. Milano 1666.
-
-[64] Così il Villani e il Malaspina; ma gli eruditi arruffano.
-
-[65] Flaminio Dal Borgo, nella _Raccolta di diplomi pisani_, 1765, pag.
-186, reca una formola della conferita cittadinanza, che tradotta suona
-così:
-
-«Parendo giusto e salutevole che, quando uomini di buona fama
-desiderano associarsi al consorzio della città di Pisa, e farsi
-cittadini pisani, siano ricevuti con equa benignità dopo prestato
-il giuramento di cittadinanza, e godano degli onori e privilegi dei
-Pisani, in ogni luogo, io Opizzino, figlio di Sano di Bientina, giuro
-sui santi vangelj di Dio che non sarò in consiglio od atto perchè la
-città pisana perda l’arcivescovado, nè i suoi vescovi, nè il primato,
-nè la legazione di Sardegna, nè l’onore e gli onori che ora ha o è per
-avere. E se abiterò nella città o no, qualunque cosa mi sarà ingiunta
-dal potestà, dai rettori, dal pretore, dai consoli, o da qualche
-delegato o capitano per l’onore della città, o per le persone o per le
-cose, sia direttamente o per nunzj o per lettere, senza frode lo farò
-e osserverò. Quando sappia che alcuno voglia sminuir l’onore della
-città, se lo potrò senza grave spesa, l’impedirò; se non potrò, lo
-significherò ad alcuni dei predetti al più presto. Le persone e cose
-de’ Pisani in terra, in acqua e dovunque possa difenderò. Le credenze
-che da alcuno de’ suddetti per giuramento mi siano imposte, non
-manifesterò. Queste cose per coscienza, senza frode osserverò, secondo
-la consuetudine degli altri cittadini di Pisa; e n’ho rogato Stefano
-giudice e notaro e cancelliere di Pisa.
-
-«Fatto a Pisa fuor porta ecc. l’anno 1198 dell’incarnazione, indiz. XV,
-al V dagli idi d’aprile».
-
-E incontinente, alla presenza de’ medesimi testimonj rogati, il signor
-conte Tedicio podestà del Comune e della città di Pisa, investì detto
-Opizzino di tutti gli onori e privilegi, di cui godono i cittadini
-pisani nella città e fuori, ne’ fondaci, nelle botteghe, nelle navi e
-in qualunque luogo di terra e d’acqua, talchè ne goda come gli altri
-cittadini pisani; e lo costituì e confermò cittadino pisano; e lui e
-gli eredi e i beni suoi liberò da tutti i pesi rusticani, sicchè più
-non sia tenuto fare servizj rusticani, nè dare la data, ecc.
-
-Altri di tali giuramenti sono nel Muratori, _Antiq. M. Æ._, diss.
-XLVII; e per esempio Guicellone da Camino e Gabriele suo figlio il 1183
-facendosi cittadini di Treviso giuravano:
-
-«Abiteremo in essa città d’ogni anno due mesi in tempo di pace, e tre
-in tempo di guerra; qualora non ne siamo dispensati: ma in modo che,
-standovi l’uno, non sia obbligato l’altro; faremo giustizia e ragione
-sotto ai consoli o al podestà; apriremo tutte le borgate in pace e
-in guerra ai Trevisani per far guerra ai loro nemici; con buona fede
-e senza frode, custodiremo e salveremo i Trevisani e le cose loro in
-tutt’i borghi e le ville nostre, in piano e in monte; faremo oste e
-cavalcata, coi nostri uomini che sono dalla Livenza sin qua, liberi e
-servi; se si farà colletta o boateria (tassa sui bovi) fuor di città
-sopra i campagnuoli, vogliamo che vi obbediscano anche i nostri;
-daremo opera e consiglio affinchè quelli di Conegliano vengano a
-pace col Comune di Treviso, e prestino giuramento che noi prestiamo;
-faremo giurare dieci uomini di ciascuna nostra parrochia (_curia_),
-ad elezione dei consoli o del podestà, di seguirli e render ragione, e
-guardare e salvare gli uomini di Treviso e le cose loro.
-
-Il podestà e i consoli e il Comune di Treviso di rincontro giuravano,
-salvare e mantenere essi da Camino, come qualunque cittadino di
-Treviso, e i loro paesi e gli abitanti liberi o servi; se il comune
-di Treviso distruggerà alcun loro castello, lo riedificheranno; non
-osteranno a che ottengano ragione in qualunque lite o querela; non
-impediranno le guerre private già in corso, quand’anche le parti
-volessero fare il duello innanzi ad essi consoli o ai loro successori;
-non s’intrometteranno delle liti di libertà, mosse dagli uomini del
-loro contado; dan piena rimessione de’ danni e delle ingiurie passate,
-e delle pene e multe e dei bandi; e non si brigheranno degli uomini
-loro, abitanti di là della Livenza e in Cadubria; che se mancassero
-in alcuna di queste promesse, pagheranno lire quattromila venete,
-obbligando in sicurtà i beni comunali, di modo che possano occuparli e
-prenderne i frutti; e tutto ciò sarà giurato ogni dieci anni da cento
-militi e ducento pedoni.
-
-Nel 1199 Alberto e Magninardo de’ conti Guidi cedevano ai Fiorentini
-il castello di Semifonte, giurando sui vangeli di salvare, custodire,
-difendere ogni persona della città di Firenze e dei borghi e sobborghi,
-far carta di vendita del poggio di Semifonte, quale è contenuto coi
-muri e le fossa, e _lasciar copiare_ dal podestà e dai consiglieri le
-carte che vi sono; faran guerra quando ne siano domandati con lettere
-portanti il sigillo del Comune, nè faran pace o tregua o accordo co’
-nemici senza consenso del podestà o de’ consoli; abiterà ogn’anno un
-di loro un mese in Firenze; faranno dazio al Comune di Firenze, sicchè
-possa mettere accatto su tutti i beni e le persone loro; del quale
-accatto metà andrà alla città di Firenze, metà al conte Alberto e sua
-discendenza; di qualunque strada passi sulla loro terra e giurisdizione
-non toglieranno pedaggio ad alcun cittadino o mercante di Firenze; non
-faranno alcun castello, nè incastelleranno alcuna terra nel poggio fra
-Virginio e l’Elsa, se non con permissione del magistrato di Firenze.
-LAMI, _Memor. Eccl. florent._, pag. 389.
-
-Di simili patti n’ha molti nel II volume delle Carte nei _Monum.
-Hist. patriæ_. Così nel 1181 Ansaldo di Valenza giura la cittadinanza
-di Vercelli, promettendo comprarvi una casa di cinquanta lire
-pavesi ed abitarvi, difendere i Vercellesi, far guerra e pace con
-essi, dare ai consoli il fodro di quattrocento lire susine. Nel
-1183 Obizzo marchese Malaspina e suo figlio Obizzino ai consoli
-di Piacenza consegnano il castello, il dongione, la torre e tutta
-la fortezza di Oramala. Nel 1185 Giacomo Zabolo e Pietro Bello di
-Cavaglià giuravano la cittadinanza di Vercelli, e comprerebbero una
-casa, la quale obbligavano ai consoli; l’anno seguente Guglielmo di
-Quarenga e Ansaldo; poi altri, sempre obbligandosi a comprare una
-casa e sottostare ai pesi comuni. Nel 1198, 22 aprile, si rogano i
-patti che gli Astigiani impongono ai signori di Manzano, Sarmatorio,
-Montefalcone, obbligandoli specialmente a far guerra ai marchesi di
-Monferrato e ai conti di Biandrate. Altri giuramenti al comune d’Asti
-vi sono alle pagine 1320, 1321, 1354, 1357, 1358, 1360. Ai 13 febbrajo
-1190 Alba riceve per cittadini gli uomini di Magliano, Monticelli,
-Mango.
-
-* Il Comune di Vercelli fu de’ primi e più operosi a fondare borghi
-franchi, che furono sin 22 nel piccolo territorio. Sul che vedi
-MANDELLI, _Il Comune di Vercelli nel medioevo_, 1858.
-
-[66] _Ex quo fit ut tota illa terra_ (Lombardia) _intra civitates ferme
-divisa, singulæ ad commanendos secum diœcesanos compulerint; vixque
-aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri queat, qui
-civitatis suæ non sequatur imperium._ OTTO FRISINGENSIS, lib. II. cap.
-3.
-
-[67] _Omnium civitatum homines, maxime principalium, omnia civiliter
-et honeste agere oportet et decet. Est enim civitas conversatio populi
-assidua ad jure vivendum collecti._ Esordio d’un documento lucchese del
-1124.
-
-[68] Un documento del Dragoni, illustrato dall’Odorici nell’_Arch.
-Storico_, II. 21, parla di moneta cremonese nell’807; un altro dell’835
-di soldi d’oro cremonesi, che farebbero presumere una zecca cremonese
-fin da Carlo Magno, e quel ch’è rarissimo allora, moneta d’oro e
-d’argento. È certo una soperchieria, come altre di quel codice.
-
-[69] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., II. 204.
-
-[70] BARTOLI, _St. di Perugia_, tom. I. p. 216.
-
-[71] _Cumque tres ordines, idest capitaneorum, valvassorum et plebis
-esse noscantur, ad reprimendam superbiam, non de uno, sed de singulis
-consules eliguntur._ OTTO FRISING., II. 13. Il poeta bergamasco Mosè
-dice:
-
- _Tradita cura viris sanctis est hæc duodenis,_
- _Qui populum justis urbis moderatur habenis;_
- _Hi sanctas leges scrutantes nocte dieque_
- _Dispensant æquo cunctis moderamine quæque._
- _Annuus hic honor est, quia mens humana tumore_
- _Tollitur assiduo cum sublimatur honore._
-
-Il Muratori, nella prefazione ad esso poema, crede che solo del 1184
-cominciassero i consoli a Bergamo: ma già nel 1109 si trova nominato
-Ripaldo dei Capitani di Scalve console; poi altri in una carta del
-1117. Una lite nel 1114 fu decisa da quindici consoli di Como: ma qui
-si tratta di consoli de’ placiti, come sono forse i diciotto nominati
-in un documento del Giulini al 1117. Più importante è un altro presso
-il Lupo, II, 945, dove sono annoverati tutti i consoli: _Nomina
-quorum consulum sunt, Arialdus Vesconte, Arialdus Grasso, Lanfrancus
-Ferrarius, Lanfrancus de Corte, Arnaldus de Rode, Arnaldus de Sexto,
-Azofonte, Mainfredus de Setara, Albericus de la Turre, Anselmus
-Avocatus; capitanei istius civitatis. Joannes Mainerii, Ardericus
-de Palazzo, Guazzo Arrestaguida, Malastrena, Otto de Fenebiago,
-Ugo Crivello, Guibertus Cotta, valvassores jam dictæ civitatis. Ugo
-Zavetarius, Alexius Lavezarius, Paganus, Ingovartus, Azo, Martinoni,
-Maxaso; cives ipsius civitatis._ Sono dunque sette cittadini, sette
-valvassori, e nove capitanei, forse perchè a questi vanno uniti il
-visconte, rappresentante dell’arcivescovo, e l’avvocato. Per Firenze
-vedi G. VILLANI, V. 32.
-
-[72] Pergamena nell’archivio diplomatico di Firenze.
-
-[73] Nei contratti, anche di chiese, trovasi tuttora menzione di
-aldj, di mundio, d’altre forme di legge longobarda. Nei _Monum. Hist
-patriæ_, Chart. II, p. 1170, trovo al 1195 la vendita d’un fondo fatta
-al capitolo di Santo Stefano di Biella dalla marchesa Guala, _viro
-et mundualdo suo consentiente_. Nell’istromento di nozze del beffato
-pittore Domenico Calandrini, al 24 febbrajo 1320 in Firenze, si stipulò
-_consensu Benedicti mundualidi_ della sposa, _quem eidem ad hoc in
-mundualdum constitui_. MANNI, _Veglie piacevoli_, II. Lo statuto di
-Benevento del 1207, approvato da Innocenzo III, vuole che _secundum
-consuetudines approbatas et legem longobardam, et eis deficientibus,
-secundum legem romanam judicetur_. BORGIA, Mem. di Benev., II. 182.
-413. Nel _Liber consuetudinum Mediolani_ del 1216 è una rubrica _Quando
-de crimine agitur criminaliter. Punitur in rebus et persona secundum
-legem municipalem nostræ civitatis, vel legem Langobardorum, vel legem
-Romanorum... Si is cui maleficium factum invenitur, jure Langobardorum
-vivebat, sicuti nonnulli nostræ jurisdictionis vivunt. Idemque erit si
-extraneus lege romana vivit_. Nello statuto di Como del 1281: _Lombarda
-non servetur nisi in pugnis et in illis casibus de quibus fit mentio in
-statutis_. Lo statuto di Pisa del 1186 ha una rubrica _De legibus seu
-titulis ex lege longobarda in nostro jure retentis et approbatis_; e
-nel prologo di quello rifatto il 1281 si ha: _Pisana civitas a multis
-retro temporibus vivendo lege romana, retentis quibusdam de lege
-longobarda, sub judicio legis etc._ L’antichissimo statuto pistojese,
-alle rubriche 8 e 9, determina le varie multe per ferite fatte con
-ferro e legno, al modo longobardo.
-
-La contessa Matilde ora professa vivere a legge salica, ora a
-longobarda; del che non seppero render ragione nè il Lupo, nè
-il Muratori, nè il Savigny. Noi pensiamo che tali professioni
-riguardassero non la persona, ma la natura de’ possessi pei quali
-si stipulava, o del feudo di cui si trattava. Potrebbe darsi anche
-oggi che un medesimo possedesse un feudo di ragione longobarda, cioè
-divisibile fra tutti i figli, e uno di salica, cioè trasmesso per
-primogenitura, e un benefizio ecclesiastico da conferirsi per voti.
-
-Essa Matilde, nel documento del settembre 1079, professa _ex natione
-mea legem vivere Langobardorum; pro parte suprascripti Gottifredi qui
-fuit viro meo, legem vivere videor salicam_; poi in un documento del
-9 dicembre 1080 dice: _quæ professa sum ex natione mea lege vivere
-salica_. Ap. FIORENTINO, _Documenti_, pag. 128, e in un altro del
-MURATORI, _Ant. It._, tom. II, pag. 277.
-
-Anche nelle _Antichità Estensi_ trovansi Bugiardo, Scotto e Buggeri che
-professano _ex natione nostra lege vivere Langobardorum_; eppure Ottone
-loro padre professava _ex natione mea lege vivere romana_.
-
-A conferma di quanto altri asserì, che non è vero i preti vivessero
-a legge romana, qui mi vien in taglio di notare che nella splendida
-donazione che il vescovo Rozio di Padova faceva nell’871 all’ospedale
-di Santa Giustina da lui fabbricato, professa _vivere secundum legem
-salicam_; e nel suddetto II volume di Carte dei _Monum. Hist. patriæ_,
-pag. 161, al 1069 Alessandro prete di Biella fa testamento professando
-_ex nacione mea legem vivere Langobardorum_.
-
-E nel vol. I _Chartarum_, col. 299, è nominato _Adalbertus presbiter
-filius quondam Gorzano, qui professus sum ex nacione mea legem vivere
-Langobardorum_.
-
-[74] Nel 1151: _Nos Sirus archiepiscopus et consules Januæ præcipimus
-tibi, Philippo Lamberti, ut ab hac die in ante non sis consul Januæ,
-nec guida osti Januæ, nec conciliator Januæ, nec legatus Januæ, et
-præcipimus tibi ut, per sacramenta quæ homines Rassæ adversus te
-fecerunt, non reddas eis vel alicui eorum illum malum meritum._
-
-L’arcivescovo di Pisa ebbe il pedaggio della dogana del sale e del
-ferro dell’isola d’Elba; un altro pedaggio a Castel del Bosco; e nel
-1286 aveva già da gran tempo lite cogli Anziani per la giurisdizione
-temporale sopra i castelli di Meli, Riparbella, Beliora, Pomaja, Santa
-Luce, Lorenzana, Collalberti, Nugola, Filettole, Avane, Bientina,
-Usigliano, Collemontanino.
-
-I vescovi di Fiesole mandavano il loro visdomino alla Rufina; ma gli
-uomini di questa doveano aver licenza dalla Signoria di Firenze prima
-di giurargli fedeltà.
-
-Il vescovo di Torino, come quel di Luni, avea diritto a una parte
-di tutti i pesci che si pescassero. Nel 1170 Pipino vescovo di Luni
-consentiva ai Sarzanesi, i quali già si reggevano per consoli, di
-trasferire il loro borgo in riva alla Macra, ove dicesi Asiano, dando
-egli il terreno e i casamenti, e ricevendo tributo e giuramento e
-le antiche consuetudini quanto ai giudizj, ai bandi, ai macelli, ai
-cambisti, ai mercati, alle curatele, alle fosse, ai mulini, ai forni.
-Nel 1183 esso vescovo emancipò affatto i Sarzanesi. _Monum. Hist.
-patriæ_, Chart., II. 1021.
-
-Il vescovo di Modena pretendeva dal Comune la giurisdizione e
-giudicatura nella città e per tre miglia in giro, tanto del civile
-come del criminale, e nelle emancipazioni, tutele, curatele, duelli,
-e nelle cause mercantili; inoltre l’acquedotto della Secchia e della
-Scultenna; la giurisdizione nel civile e nel criminale, e nell’elezione
-de’ consoli o del podestà, nelle emancipazioni e tutele e duelli
-in castel Razzano, Savignano, Vignola, Porcile, ecc., oltre alcuni
-possessi. I Modenesi rispondevano, tali diritti e giurisdizioni e
-possessi spettare a loro per concessione imperiale e per la pace fatta
-a Roncaglia (_sic_) tra l’imperatore e i Lombardi; inoltre posseduti da
-tempo immemorabile. Per molti anni se ne litigò, finchè, stanchi delle
-noje e delle spese, nel 1227 le parti vennero a transazione, concedendo
-al vescovo alquanti possessi e canali ed altri comodi, e duemila libbre
-imperiali, mediante le quali recedeva dalle restanti prestazioni. Solo
-restavagli di pronunziar le sentenze contro gli eretici, le quali poi
-il Comune obbligavasi di far eseguire. _Antiq. M. Æ._, VI. 254.
-
-Del 1162 papa Alessandro III confermava i beni e le giurisdizioni
-dell’arcivescovo di Milano, tante che ne mostrano la potenza.
-Dipendevano da lui primieramente assai chiese, monasteri, pievi in
-commenda: cioè nel vescovado di Torino la badia di San Costanzo colle
-sue cappelle; in quello d’Asti la chiesa di San Pietro di Mazano; in
-Albenga la chiesa di Santa Maria; nel vescovado d’Alba la pieve di
-San Michele di Verduno; in Burgulio il monastero di San Pietro, le
-chiese di San Giovanni e di Santo Stefano; nel Vercellese la pieve di
-Sant’Ambrogio di Frassineto, sempre colle loro cappelle; nel Tortonese
-la badia di San Pietro di Mola; quella di San Salvadore nel Piacentino;
-nel Milanese il monastero di San Calocero di Civate; la Santissima
-Trinità di Buguzate (Codelago); il monastero dei Santi Felino e
-Gratiniano in Arona; il monastero di Cremella, quel di Bernaga, quel
-di San Salvadore in Monza. Nel vescovado d’Acqui il monastero di San
-Quintino di Spigno, e quel di Santa Cristina presso l’Olona nel Pavese.
-Seguono terre con giurisdizione e giuspatronato; Sesto Calende con
-molte cappelle; il marchesato di Genova, e un palazzo e cappelle in
-questa città; Pontecurone nel Tortonese, Coirana nel Pavese, Casale non
-so quale, Burgulio dove fu fabbricata Alessandria; Lecco e suo contado,
-Monza e suo distretto, le rive dell’Adda da Brivio a Cavanago, quelle
-del Ticino da Sesto a Fara, Palanzo sul lago di Como; cui potrebbero
-aggiugnersi, benchè non nominati, il castello d’Angera, quel di Brebia
-e sua Pieve, e Cassano d’Adda; inoltre la zecca (Vedi GIULINI). Sotto
-il 1210, Galvano Fiamma stima l’entrata degli arcivescovi di Milano
-ottantamila fiorini d’oro, che il Giulini ragguaglia a dieci milioni.
-
-[75] CIBRARIO, _Economia pol. del medio evo_, pag. 135.
-
-[76] L’autore de’ _Saturnali_ chiamavasi _Teodosio Ambrosio Macrobio
-Sicetino_; il consigliere di Teodorico, _Flavio Anicio Manlio Torquato
-Severino Boezio_.
-
-[77] Nel catalogo d’una confraternita troviamo sei Pietro, altrettante
-Marie, tre Andrea, due Cristine, due Ingelberghe, quattro Martini,
-dieci Giovanni, e così altri, senza verun criterio per discernere gli
-uni dagli altri. _Antiq. M. Æ._, diss. XLI.
-
-[78] Atela, Adela, Adeligia, Adeligida, Adalasia, Atelasia, Aidia,
-son varie forme del nome di Adelaide imperatrice: Adelchi, Aldechisio,
-Adelgiso, Algiso è il nome del figlio di re Desiderio: Obizo, Oberto,
-Adalberto, Alberto; Cuniza e Cunegonda; Adam e Amizone, ecc. sono
-identici.
-
-[79] In una carta dell’archivio casauriense: _Ideo constat me
-Artaberto, qui supranomen_ fratello _vocatur_; in una presso l’Ughelli,
-tom. VIII. p. 43: _Joannes qui supranomine_ Walterii _vocatur_;
-in un’altra del 954, lib. V. 1359; _Petro viro magnifico, qui et
-supranomen vocatur_ Pazii, _seu_ Gregorii. Così nelle _Ant. ital._,
-III. p. 747, a un atto dell’882 sottoscrivonsi Joannes _qui vocatur_
-Clario, _Leo qui vocatur_ Pipino, _Joannes qui vocatur_ Peloso,
-_Joannes_ Russo, _Urzulo qui_ Mazuco _vocatur, Lupus qui dicitur_
-Bonellus, _Bonellus qui dicitur_ Magnano: e altrove Giovan Rosso,
-Giovan Peloso, maestro Guglielmo, Martin Diacono, Lupo da Via, Ugo da
-Porta Ravennate, ecc.
-
-[80] Bardellone, Taino, Bottesella, Butirone, Petracco, Passerino,
-Scarpetta, Carnevario, Cane e Mastino: poi Garzapane, Pandimiglio,
-Tornaquinci, Belbello, Menabò, Megliodeglialtri, Bracacurta,
-Soffiainpugno, Rubacastello, Animanigra, Buccadecane, Bellebono,
-Bragadelana, Nosaverta, Tantidanari, Basciacomari, Tettalasini,
-Bencivenne, Mezzovillano, Assainavemo, Seccamerenda, Segalorzo,
-Benintese, Ranacotta, Scannabecco, Mangiatroja, Brusamonega, Cavazocco,
-Codeporco, Coalunga, Ristoradanno, Datusdiabolo, Capodasino,
-Cagatossico, Cagainos, Mattosavio, Malfilioccio, Moscaincervello,
-Passamontagne, Castracani, Tosabue, Calzavegia, Cavalcasela, Guido
-Ajutamicristo, ecc. Anche case principali conservarono i nomi di
-Malaspina, Pelavicini, Maltraversi, Malatesta, Cavalcabò, Gambacurta...
-
-[81] Anichino di Bongardo dissero i nostri il capitano di Baumgarten;
-di Awcwood fecero Giovanni Acuto, e di Hohenstein Ovestagno.
-Reciprocamente i nostri Arrighetti fiorentini furono in Francia
-trasformati in Riquetti; i Giacomotti in Jaquemot, ecc.
-
-[82] MURATORI, _Ant. Ital._, diss. XVI.
-
-[83] _Subrogatum_ (come prefetto d’Amalfi) _Ursum Marini comitis de
-Pantaleone comite filium Canucci Marci post sex menses quoque ejecerunt
-Successit Ursus Cabastensis, Joannes Salvus, Romani Vitalis filius._
-PANSA, St. della Repubblica d’Amalfi, I, 33.
-
-[84] Orderico Vitale, cap. 3, dice che _Rodolphus, quintus frater,
-clericus cognominatus est, quia peritia litterarum, aliarumque rerum
-apprime imbutus est. Clericus_ pure chiamavasi it segretario, onde
-l’epitafio di Guglielmo Ambiense (ap. MORERI) _Clericus angelici
-fuit hic regis Ludovici_: dal che il _clerc_ rimasto ai Francesi
-per indicare lo scrivano. Una cronaca milanese, nei _Rer. ital.
-Script._, III. 60, dice che Stefano da Vimercato _fuit in sæculo valde
-honorabilis clericus_. E Giovan Villani, IV. 3: _E’ fu molto chierico
-in scrittura_. Per avverso, Matteo Villani, III. 60, scrive: _Il Comune
-fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciatori, de’ quali niuno si potè
-incolpare, che erano _secolari_ e uomini che non sapeano quello che i
-titoli de’ giudici portassero_.
-
-[85] La contessa Matilde aveva moltissimi servi, e ne donò a varie
-chiese; nominatamente al canonico di Mantova regalò quelli che
-possedeva alla Volta; e l’atto del 1079 (ap. FIORENTINI, _Documenti
-concernenti Matilde_, pag. 122) porta i nomi di parecchi, dove
-notiamo _jugales cum filiis et cum peculiis eorum_, e concede ad
-essi canonici _quod faciant de jam dictis servis et ancillis, seu de
-peculiis quicquid voluerint_. In testamento poi ordinò fosser liberati
-innumerevoli servi, come attesta Donnizone:
-
- _Innumerosque suos famulos jubet hæc hera cunctos_
- _Ingenuos, vitæ post ipsius fore finem._
-
-[86] Cronaca Bolognese, 1283. _Comune Bononiæ fecit _fumantes_
-comitatus, et emit omnes servos et ancillas ab omnibus civitatis
-Bononiæ, pro pretio unius stari frumenti pro quolibet qui habeat boves,
-et unius quartarolæ pro quolibet de zappa._ — C. F. RUMHOR, _Ursprung
-Besitzlosigkeit der Colonen des innerern Toskana_. Amburgo 1830.
-
-[87] _Cum libertas, qua cujusque voluntas non ex alieno sed ex proprio
-dependit arbitrio, jure naturali multipliciter decoretur, qua etiam
-civitates et popoli ab oppressionibus defenduntur, et ipsorum jura
-tuentur et augentur in melius, volentes ipsam et ejus species non
-solum manutenere sed etiam augmentare, per dominos priores artium
-civitatis Florentiæ etc. et alios sapientes et bonos viros ad hoc
-habito... provisum ordinatum exstitit salubriter, et firmatum,
-quod nullus, undecumque sit et cujusque conditionis dignitatis vel
-status existat, possit, audeat vel præsumat per se vel per alium
-tacite vel expresse emere, vel aliquo alio titulo, jure, modo vel
-causa adquirere in perpetuum vel ad tempus aliquos fideles, colonnos
-perpetuos vel conditionales, adscriptitios vel censitos, vel aliquos
-alios cujuscumque conditionis existant, vel aliqua alia jura, scilicet
-angharia vel proangharia, vel quævis alia contra libertatem personæ et
-conditionem personæ alicujus in civitate, vel comitatu, vel districtu
-Florentiæ etc._ Osservatore fiorentino, tom. IV.
-
-[88] DARU, _St. di Venezia_, lib. XIX. § 7.
-
-[89] «In nome de Dio amen: in mille e triscento e LXV adi VXII de
-feurer, in la strouilea in caxa mia de mi Symon da Imola e de Marco
-Bon de Viniexia e de Zorzi Fustagner da Coron, e de mi Symon noder
-infrascripto, lo sauio et discreto homo ser Andriolo Bragadin, fyolo
-de mis. Jacomo Bragadin de Viniexia de la contrada de sento Zemignan,
-se eno qui convegnudi insembre cum mis. Tantardido de Mezo da Viniexia
-in honorando consylier de Coron, et ali uendudo uno so sclauo lo quale
-elo aueua comprado in la Tana da uno Sarayni per cento e cinquanta
-aspri de arzento cum lazo (_agio_), segondo la confession del dito
-sclauo, et a dato infrascripto mis. Tantardido a lo sourascripto ser
-Andriolo in pagamento per lo dito sclauo ducati de oro uinti et uno in
-moneda cum lazo, lo quale sclauo a nome Piero Rosso et in presencia de
-li sourascripti testimoni e de lo dito sclauo fo fatto lo pagamento, e
-siando pagado e contento lo dito ser Andriolo dal dito mis. Tantardido,
-lo dito ser Andriolo pygla per la man lo dito Piero Rosso so sclauo e
-si lo de in man de lo sourascripto mis. Tantardido e de tutto questo
-fe contento lo dito sclauo Piero Rosso et inclinato per so signor
-lo dito mis. Tantardido. Oblegandose lo dito sclauo de auerlo per so
-signor cusi como elo aueua lo dito ser Andriolo, lo dito ser Andriolo
-se oblega de defenderlilo in tute le parti del mondo e in ogni zudixio,
-et lo dito mis. Tantardido per lo sclauo de ogno dano et interesse che
-interuegnisse a mis. Tantardido infrascripto per lo pagamento de lo
-dicto sclauo quando elo podesse prouar che elo non fosse so sclauo, lo
-dito ser Andriolo se oblega de refarli lo dito pagamento a ducati de
-oro XXI de bon pexo.
-
-«Et io Symon figliolo mis. Jacomo de li Bruni da Imola per la imperiale
-autoritate not. publico e zudexe ordenario fui presente a tutto. Una
-cum li sourascripti testimonj mmss».
-
-Il notajo non segna il luogo dove rogò l’istromento; ma puossi arguire
-si facesse appunto in Corone o nelle sue vicinanze. _Serie degli
-scritti in dialetto veneziano, di_ BARTOL. GAMBA, pag. 35.
-
-[90] FONTANINI, _Diss. de masnadis_.
-
-[91] _Quod sclavi super navigiis non leventur; quod aliqua persona
-januensis non possit deferre mamaluchos mares et fœminas in Alexandriam
-ultra mare vel ad aliquem locum subditum soldano Babiloniæ_ (cioè del
-Cairo).
-
-[92] Lib. II. 20. 55. 93. Nel succitato volume II dei _Monum. Hist.
-patriæ_ occorrono moltissimi ricordi di vendite e d’emancipazione di
-schiavi a Genova, fra cui ne scegliamo alcuni:
-
-Nel 1156 Guglielmo Zulenio vende per otto lire la sua serva Agnese
-_non fugitivam, neque furem, sed boni moris_. — L’anno stesso, Simone
-di Mongiardino emancipa Girardo figlio di Ubaldo suo servo, pel prezzo
-di lire otto pavesi, senza ritener nulla del peculio che abbia o possa
-avere.
-
-1158, 16 agosto. Mosso e sua moglie Marsibilia per lire cinquanta danno
-a Frederzone loro servo _omnimodam facultatem vivendi, standi, agendi
-et faciendi quod velit utpote liber homo_.
-
-1159, 12 maggio. Malovriere _tum amore Dei, tum pro solidis
-vigintiquinque_ libera Alvarda sua serva; pena dieci libbre d’oro se
-egli o i suoi eredi vi attentino.
-
-1160, 25 novembre. Guglielmo da Castenollo vende un servo Saracino per
-cinquantanove soldi.
-
-1161, 23 febbrajo. Amico di Mirto dona a Lanfranco la porzione di
-proprietà che ha sopra Angelica sua serva e la figlia di lei. — 10
-giugno seg. Guglielmo Moraga di Narbona vende per cinquantacinque
-soldi a prezzo finito un suo Saracino. — 28 luglio. Filippo Aradello
-libera il suo servo Giovanni per amore dell’anima sua: e gli dice:
-_Proficiscere liber in Deo_; e Giovanni in ricambio promette stare al
-suo servigio per quattro anni. — 17 settembre. Ribaldo de Curia libera
-il servo Pasquale col suo peculio per venticinque lire e per salute
-dell’anima.
-
-1162, 9 ottobre. Senebaldo regala a suo figlio Alberto metà de’ proprj
-beni feudali e allodiali, _excepta tantum Boneta ancilla mea et filiam
-ejus_. — 19 novembre seg. Ogerio Vento nel testamento dichiara liberi
-tutti i servi e le ancelle sue se il Signore lo chiami a sè in quella
-malattia. Non morì, e un altro testamento fece l’11 maggio seg., colla
-stessa clausola, eccettuando però il peculio d’essi servi.
-
-1163, 4 agosto. Giulia Bulferico per mercede dell’anima sua e del
-marito manomette l’ancella Adelusia e il suo peculio.
-
-1164, 1º maggio. Pier Cappellano e Stanfilla jugali manomettono
-Guglielmo servo con venti libbre di suo peculio. — Nell’inventario
-dell’eredità abbandonata da Guglielmo Scarsuria, del 17 giugno seg., è
-noverata _Saracenam unam cum libertatis condicione testamento defuncti
-insercta_.
-
-1165, 21 giugno. Lanfranco Arzema per quattro lire e mezzo libera
-e manomette Aidelina sua ancella. Luca, figlia emancipata di lui,
-rinunzia pure ogni diritto che v’avesse. Giovanni Tossico, a un cui
-servo la Aidelina erasi unita (_adhesisset_), dichiara liberi i due
-primi figli che ne nascessero.
-
-1192. Pietro re d’Arborea promette ai Genovesi che, se si ottenga di
-porre una chiesa in Oristano, darà al vescovo di Genova una curia con
-tanti possessi e _servi_ quanti ne ha in Arborea il vescovo di Pisa.
-
-Luigi Cibrario produsse carte genovesi di più tarde vendite di schiavi.
-Nel 1378 Benvegnuda vende _quandam servam suam sclavam de progenie
-Tartarorum_ per ventidue lire di Barcellona, _sanam ab omnibus magagnis
-occultis_. Una pure _de progenie Tartarorum_ è venduta il 1389 da
-Antonio di San Pier d’Arena; un’altra il 1391; un’altra di venticinque
-anni nel 1484, per sessanta lire di genovini, che sarebbero oggi fr.
-1033.
-
-Nel 1851 Giovanni Zucchetti pubblicava a Mantova una carta
-dell’archivio Arconati di Milano, secondo la quale, nel 1434, il nobile
-Giacomo de’ Bigli di Milano vendeva al nobile Giovanni da Castelletto,
-pur di Milano, una Tartara di anni diciannove per cinquantotto ducati
-d’oro; l’atto fu rogato a Recanati.
-
-Nel testamento del famoso Filippo Strozzi, 14 maggio 1491, si
-legge: «Item a Giovanni Grande _nero_, mio schiavo, lascio e lego la
-liberatione, e che lui sia libero e franco da ogni servitù dopo la
-vita mia, et per detto effetto et per a quel tempo da hora lo libero
-et absolvo da la mia potestà et da ogni servitù a che lui mi fosse
-tenuto; et bisognandoli, per effecto di dicta sua liberatione o per
-cautela alcuna sua intorno a ciò, voglio che gli heredi mie gliene
-faccino quella cautela che lui vorrà, per potere dicta sua liberatione
-sempre mostrare et farne fede». Nella _Cronaca fiorentina_ del Cambi
-trovo che nel 1529, quando Genova fu presa, i Franzesi ebber l’arte di
-togliere tutti gli schiavi, i quali rivelarono dove stessero riposte le
-ricchezze dei padroni.
-
-Melchior Gioja (_Nuovo prospetto delle scienze economiche_, par.
-III) asserisce che «non è la religione che abbia fatto sparire la
-schiavitù dalla maggior parte dell’Europa, ma il lento progresso delle
-arti e del lusso». Guglielmo Libri (_Histoire des sciences mathém.
-en Italie_) s’arrabatta a provare che la Chiesa non fece nulla per
-la liberazione dei servi, anzi il contrario. L’argomento suo contro
-la Chiesa equivale precisamente a quest’altro: «Non è vero che il
-codice Albertino proibisca il furto, giacchè ladri vi ha dov’esso
-è in vigore». Fra i libri che costui dovette compulsare per la sua
-storia, sono quelli di Girolamo Cardano, del quale noi parliamo più
-avanti. Nel vol. X dell’edizione di Lione sta il trattato _De arcanis
-æternitatis_, che a pag. 31 vuol sostenere la legittimità degli schiavi
-naturali, confutando la Chiesa che dichiara gli uomini eguali. «Questo
-genere di servi, acciocchè nessuno potesse riguardarlo come propagato
-dalla natura, e perciò legittimo, fu tolto affatto da la religione
-nostra, ossia da quelli che pubblicarono costituzioni, interpretando
-quel detto che _appo Dio non v’è nè servo nè libero_. Sarebbe come se
-alcuno, interpretando quel di Cristo _In quel giorno nè sposeranno,
-nè saranno sposati_, dicesse inutile il matrimonio. Che una servitù
-moderata e giusta sia utile allo Stato, è così certo, che anche la
-ingiusta e smodata è più utile che il non esserne alcuna; giacchè i
-paesi dei Gentili furono più felici, ed ora quei de’ Maomettani, che
-non i Cristiani». Questo passo è decisivo a mostrare le due influenze
-sempre in contrasto, del paganesimo con Aristotele, e della religione
-col Vangelo.
-
-[93] _Anno Domini MXCVIII cepit guerra de Cremona, magnum frixorium
-Cremonensium._ SICARDUS.
-
-[94] _Quæque meis oculis vidi, potius reserabo._ Anon. Cumanus, nei
-_Rer. it. Script._, V.
-
-[95]
-
- _Mittunt ad cunctas legatos agmina partes_
- _Ducere; Cremonæ Papiæque mittere curant;_
- _Cum quibus et veniunt cum Brixia Pergama; totas_
- _Ducere jussa suas simul et Liguria gentes;_
- _Nec non adveniunt Vercellæ, cum quibus Astum,_
- _Et comitissa suum gestando brachia natum;_
- _Sponte sua tota cum gente Novaria venit;_
- _Aspera cum multis venit et Verona vocata;_
- _Docta suas secum duxit Bononia leges;_
- _Attulit inde suas Ferraria nempe sagittas;_
- _Mantua cum rigidis nimium studiosa sagittis;_
- _Venit et ipsa simul quæ Guardastalla vocatur;_
- _Parma suos equites conduxit Garfanienses._
- Anon. Cumanus.
-
-[96] Gli sono confermati in un diploma di Federico I, 29 settembre 1164.
-
-[97] Ap. BALUZIO, _Miscel._, lib. V. p. 64.
-
-[98] Ildeberto, vescovo di Reims nell’XI secolo, cantava:
-
- _Par tibi, Roma, nihil, cum sis prope tota ruina;_
- _Quam magni fueris integra, fracta doces._
- _Urbs cecidit, de qua si quicquam dicere dignum_
- _Moliar, hoc potero dicere, Roma fuit._
- _Non tamen annorum series, non flamma, nec ensis_
- _Ad plenum potuit hoc abolere decus._
- _Tantum restat adhuc, tantum ruit, ut neque pars stans_
- _Æquari possit, diruta nec refici_.....
-
-[99] Che nei secoli dell’ignoranza e del fanatismo si facesse colpa
-a costui di discendere da Ebrei, e san Bernardo stesso il chiamasse
-_judaica soboles_, poca meraviglia. Ma Voltaire, accoppiando al solito
-la leggerezza e l’intolleranza, non rifina di ridere di un _papa
-ebreo_. La storia, se avesse voluto consultarla, gli avrebbe detto
-ch’e’ non era _ebreo_ e non fu _papa_.
-
-[100] Questo fatto si rappresentò in un quadro del palazzo di Laterano,
-ove Lotario riceve la corona di man del papa, colla leggenda:
-
- _Rex venit ante fores, jurans prius urbis honores,_
- _Post homo fit papæ, recipit quo dante coronam._
-
-[101] Con queste insegne sono effigiati re Ruggero nel tempio di
-Monreale e Guglielmo nella Martorana a Palermo: il cadavere di
-Federico II si trovò rivestito di abiti pontificali. Sin a Filippo II
-le suppliche per affari ecclesiastici dirigeansi al re col titolo di
-_beatissimo padre_.
-
-[102] _Concedimus, donamus et auctorizamus tibi, filio tuo Rogerio, et
-aliis filiis tuis secundum tuam ordinationem in regno substituendis,
-et hæredibus suis, coronam regni Siciliæ et Calabriæ et Apuliæ etc.
-Tu autem et hæredes tui censum, videlicet sexcentos schifatos, annis
-singulis Romanæ Ecclesiæ persolvere debes etc._
-
-[103] _Ep._ 31. lib. V.
-
-[104]
-
- ...... _Arnoldus, quem Brixia protulit ortu_
- _Pestifero, tenui nutrivit Gallia sumtu_....
- ..... _assumpta sapientis fronte, diserto_
- _Fallebat sermone rudes, clerumque procaci_
- _Insectans odio, monachorum acerrimus hostis,_
- _Plebis adulator, gaudens popularibus auris,_
- _Pontifices, ipsum que gravi corrodere lingua_
- _Audebat papam_.....
- _Articulos etiam fidei, certumque tenorem_
- _Non satis exacta stolidus pietate fovebat,_
- _Impia mellifluis admiscens toxica verbis._
- GUNTHERI _Ligur. Carmina_, lib. III.
-
-Vedi la nota 7 del capo seguente.
-
-[105] San Bernardo diresse a Eugenio III i suoi libri _De
-consideratione_, nel IV de’ quali gli dice: — Qual cosa è più nota
-ai secoli, che la protervia e il fasto de’ Romani? gente disavvezza
-dalla pace, avvezza al tumulto; gente immite e intrattabile finora,
-che non sa star sottomessa se non quando non vale a resistere. Quest’è
-la piaga, e a te spetta il curarla. Ridi forse di me, credendola
-incurabile? non diffidare».
-
-[106] OTTO FRISING., _De gestis Frid._, lib. I. cc. 27. 28. — Le
-proposizioni de’ Romani a Corrado furono compendiate in questi versi:
-
- _Rex valeat: quidquid cupit obtineat; super hostes_
- _Imperium teneat; Romæ sedeat; regat orbem_
- _Princeps terrarum, ceu fecit Justinianus;_
- _Cæsaris accipiat Cæsar, quæ sunt sua præsul,_
- _Ut Christus jussit Petro solvente tributum._
-
-[107] AMAND, _De primis actibus Friderici_. — OTTO FRISING., _De gestis
-Friderici_. Ottone morì nel 1158, e lo continuò Radevico canonico
-di Frisinga, molto inferiore pel dettato e più pei concetti. Le loro
-storie furono ridotte in versi dal Guntero, tedesco contemporaneo, in
-un poema intitolato _Ligurinus_.
-
-[108]
-
- _Ductus ab antiquo priscorum tempore regum_
- _Mos habet, ut, quoties regnator teutonus Alpem_
- _Transit, et italicas invisere destinat oras,_
- _Qui repetant fisco fiscalia jura fideles_
- _Per quoscumque suos præmittere debeat urbes:_
- _At quæcumque ream se perfida fecerit ausu_
- _Sacrilego, regique suo sua jura negarit,_
- _Strata luat meritas fraudato principe pœnas:_
- _Inde fit ut fractis deformiter horrida muris_
- _Nunc quoque per totam videas loca plurima terram._
- _Hoc quoque per cunctas regnator teutonus urbes,_
- _Non modo teutonicas, sed et hic et ubique jacentes,_
- _Jus habet, ut præsens quasi maximus omnia judex_
- _Claudere jura manu, cunctasque recidere lites_
- _Debeat, atque omnis judex, omnisque potestas_
- _Atque magistratus, ipso præsente, quiescant._
- _Hunc etiam regi priscarum sanctio legum_
- _Longævique vigor moris profitetur honorem,_
- _Ut cunctos fœtus, quos educat itala tellus_
- _(His modo, quæ poscit terræ cultura, retentis)_
- _Principis ad nutum fisco præstare colonus_
- _Debeat, in regni sumptus et militis usum._
- GUNTERI _Ligurinus_, lib. II.
-
-[109] _De gestis Frid._, lib. II. c. 3. Guntero chiama i Lombardi
-
- _Gens astuta, sagax, prudens, industria solers,_
- _Provida consilio, legum jurisque perita._
-
-[110] _Guilhelmus marchio de Monteferrato, vir nobilis et magnus, qui,
-pene solus ex Italiæ baronibus, civitatum effugere potuit imperium._
-OTTO FRISING., lib. II. c. 13.
-
-[111] _Ne, si Mediolanensium partem amplexus esset, altera parte
-Longobardiæ subjugatæ, Mediolanenses, quia fortiores erant, rebelles
-existerent._ SIRE RAUL.
-
-[112] La strada più consueta e più breve dalla Lombardia a Roma era
-la così detta via Romea o Francesca, che dal territorio di Parma
-e Piacenza varcava l’Appennino del monte Bardone per scendere a
-Pontremoli, indi a Villafranca, Sarzana, Luni, il Frigido, il Salto
-della Cervia, Lucca, Altopascio, il Galleno; passato l’Arno sotto
-Fucecchio, mettevasi sulla via traversa di Castel Fiorentino, donde
-a Certaldo, Poggibonsi, Staggia, Siena, Buonconvento, Sanquirico,
-Spedaletto di Bricole, Radicofani, Acquapendente, Bolsena,
-Montefiascone, Viterbo, Sutri, Portacastello di Roma. È divisata
-nell’itinerario di Filippo Augusto re di Francia, quando nel 1191
-tornava dalla crociata.
-
-[113] «Fu impiccato e bruciato, e le sue ceneri sparse nel Tevere,
-acciocchè la stolida plebe non venerasse il corpo di questo infame»,
-dice il buon Muratori.
-
-* Arnaldo è divenuto un mito, e in conseguenza la storia di lui fu
-peggio che mai alterata. I Giansenisti nel secolo passato magnificavano
-Arnaldo, poi nel nostro i demolitori dell’autorità temporale dei papi.
-La tragedia del Niccolini è mera declamazione, ove Arnaldo è fatto
-eretico, mentre nella prefazione si vuole purgarlo di questa taccia.
-Cesare Balbo lo imputa di avere sollevato il popolo romano contro il
-papa, quando il papa e il popolo sarebbero dovuti unirsi ai Lombardi
-per difendere l’indipendenza: e così ritardò la lega di Pontida e
-cagionò la distruzione di Milano.
-
-Il mettere un Lutero o un Ciciruacchio nel secolo XII è un anacronismo,
-quanto il mettere ai giorni nostri un Pietro Martire o un Francesco
-d’Assisi. Ci fu sempre, fino ai giorni nostri, chi sperò sbalzare
-il papa mediante l’ajuto degli stranieri, e così meditava Arnaldo.
-Ma il prefetto di Roma, che, in occasione delle prediche di Arnaldo,
-era stato insultato e peggio, lo fece prendere e impiccare, valendosi
-della piena podestà che gli conferiva la presenza dell’imperatore. Onde
-Goffredo da Viterbo canta:
-
- _Arnoldus capitur, quem Brixia sensit alumnum,_
- _Dogmata cujus erant quasi pervertentia mundum:_
- _Strangulat hunc laqueus, ignis et unda vehunt._
- Pantheon, 464.
-
-Anche il Guntero lo dice fatto reo d’ambe le maestà:
-
- _Sic læsus stultus utraque_
- _Majestate reum geminæ se fecerat aulæ._
-
-Gerhochus di Reichersperg contemporaneo ne porta questo giudizio:
-_Quem ego vellem, pro tali doctrina sua, quamvis prava, vel exilio, vel
-carcere aut alia pœna præter mortem punitum esse, vel saltem taliter
-occisum ut romana Ecclesia, sive curia ejus necis quæstione caveret!
-Nam, ut ajunt, absque ipsorum scientia et consensu a præfecto urbis
-Romæ, de eorum custodia in qua tenebatur ereptus, ac pro speciali
-causa occisus ab ejus servis est. Maximam siquidem cladem ex occasione
-ejusdem doctrinæ idem præfectus a romanis civibus perpessus fuerat:
-quare non saltem ab occisi crematione et submersione ejus occisores
-metuerunt quatenus a domo sacerdotali quæstio sanguinis remota esset.
-Sed de his ipsi viderint. Sane de doctrina et nece Arnaldi idcirco
-inserere præsenti loco volui, ne vel doctrinæ ejus pravæ, quæ, etsi
-zelo forte bono, sed minori scientia prolata est, vel ejus necis
-perperam actæ videar assensum præbere._ Nel libro I _De investigat.
-antichrist._, apud GRETSER, _Prolegomena ad scriptores adversus
-Waldenses_, cap. 4.
-
-[114] _Hospes eras, civem feci: advena fuisti ex transalpinis partibus,
-principem constitui._ OTTO FRISING., 721. E gli fa rispondere:
-_Legitimus possessor sum.... Principem populo, non populum principi
-leges præscribere oportet._ E narrate le stragi, con atroce ironia
-soggiunge: _Hæc est pecunia, quam tibi princeps tuus pro tua offert
-corona._
-
-[115]
-
- _Roma ferax febrium, necis et uberrima frugum:_
- _Romanæ febres stabili sunt jure fideles._
- PIER DAMIANI.
-
-[116] Il Sismondi ed altri snaturano questo fatto, in modo che paja
-con Federico stare la ragione, e Adriano aver fatto umili scuse. Il
-torto del primo era in tanto maggiore, in quanto la lettera diceva
-in plurale _majora beneficia_, nè feudo superiore all’Impero avrebbe
-potuto immaginarsi. Il papa poi si ritrattò, ma dichiarando che quella
-espressione _utique nedum tanti viri, sed ne cujuslibet minoris animum
-merito commovisset_. È bizzarro a vedere come il Sismondi dipinga
-Federico per un mostro di crudeltà, e micidiale d’ogni franchigia
-quando lotta colle repubbliche; poi ne faccia un portento di
-ragionevolezza quando contrasta coi papi.
-
-[117] RADEVICUS FRISING., lib. I. c. 26.
-
-[118] Da Lodi vecchio i Lodigiani trasferirono allora al nuovo il
-corpo del loro patrono san Bassiano, uno de’ primi vescovi, e speciale
-protettore contro la lebbra.
-
-[119] È nominato Lodovico nella scomunica del papa.
-
-[120] OTTO FRISING., lib. I. cc. 27. 28.
-
-[121] SIRE RAUL. Radevico dice centomila armati.
-
-[122] SIRE RAUL. Delira il Giulini ragguagliandoli a venti milioni.
-
-[123] Il Guntero, lib. VIII, dice che
-
- _Tum demum victus Federicus ab urbe recessit,_
- _Modoicumgue petens, prisco dignatus honore_
- _Illustrare locum, sacro diademate crines_
- _Induit, et dextra gestavit sceptra potenti._
- _Hanc fortuna diu, Ligurumque potentia dives_
- _Eximiam regni proavorum tempore sedem_
- _Presserat, et longa victam ditione tenebat:_
- _Sed placidus princeps primævo cuncta decori_
- _Restituenda putans, injustis legibus illam_
- _Exemit, priscumque loco reparavit honorem._
-
-Non vuol dire che si facesse coronare a Monza, ma che vi comparve
-solennemente colla corona. Federico stette a Monza cinque giorni, nei
-quali si consumarono mille carri di legna per la sua cucina, e cento
-lire imperiali. GIULINI.
-
-Bonincontro riferisce questi versi in lode di Monza:
-
- _Monzia terra bona, civili digna corona._
- _Monzia cunctorum dives et plena bonorum._
- _Monzia dat drappos cunctis mercantibus aptos._
- _Monzia stat damnis precibus defensa Johannis._
-
-[124] _Scias omne jus populi in condendis legibus tibi concessum: tua
-voluntas jus est, sicuti dicitur. Quod principi placuit, legis habet
-vigorem, cum populus ei et in eo omne suum imperium et potestatem
-concesserit._ RADEVIC., lib. II. c. 4.
-
-La cronaca soggiunge che, cavalcando il Barbarossa fra Bulgaro e
-Martino, domandò loro chi fosse padrone del mondo. Martino asserì
-l’imperatore; ma Bulgaro sostenne non essere lui padrone quanto alla
-proprietà. L’imperatore regalò a Martino il proprio cavallo; onde
-Bulgaro disse: _Amisi equum, quia dixi æquum quod non fuit æquum_. OTTO
-MORENA.
-
-[125] Radevico trova orrenda iniquità, non quella del Tedesco
-che esponeva gli ostaggi, ma quella de’ nostri che li colpivano:
-_Seditiosi, quod etiam Barbaris incognitum et dictu quidem horrendum,
-auditu vero incredibile, non minus crebris ictibus turres impellebant,
-neque eos sanguinis et naturalis vinculi communio, neque ætatis movebat
-miseratio. Sicque aliquot ex pueris, lapidibus icti, miserabiliter
-interierunt; alii, miserabilius adhuc vivi superstites, crudelissimam
-necem, et diræ calamitatis horrorem penduli expectabant: oh facinus!_
-
-[126] _Propter destructionem Mediolani, omnes dederunt imperatori
-præsto copiosam et immensam pecuniam._ SIRE RAUL, pag. 1187.
-
-[127] Tra i fautori del Barbarossa era Algiso abate del monastero di
-Clivate, fondato da Desiderio re. Nel 1162 _Papie post destructionem
-Mediolani_, Federico gli dava un ampio privilegio, che comincia:
-_Cum ad promovendum imperii honorem et ad debellandos hostes Imperii,
-præcipue Mediolanenses, Italiam cum exercitu intraverimus, inter multos
-quidem fideles, qui nobis in laboribus nostris fideliter adstiterunt,
-invenimus venerabilem Algisum, Clivatensis ecclesiæ abbatem, quem
-devotissimum nobis ac fidelissimum certis argumentis experti sumus.
-Multis enim retrorsum abeuntibus, prædictus abbas fuit vir fidelis,
-et constans nobis firmiter adhesit, et immobilis nobiscum perseveravit
-etc._ Credo che ivi sia per la prima volta nominata la Brianza.
-
-Le vittorie di Federico furono celebrate da un poeta popolare
-innominato, da cui scegliamo poche strofe:
-
- _Salve mundi domine, Cæsar noster ave,_
- _Cujus bonis omnibus jugum est suave;_
- _Quisquis contra calcitrat, putans illud grave,_
- _Obstinati cordis est, cervicis prave._
- _Princeps terre principum, Cesar Friderice,_
- _Cujus tuba titubant arces inimice,_
- _Tibi colla subdimus tigres et formice,_
- _Et cum cedris Libani vepres et mirice...._
- _Scimus per desidiam regum Romanorum_
- _Ortas in imperio, spinas impiorum,_
- _Et sumpsisse cornua multos populorum,_
- _De quibus commemoro gentem Lombardorum;_
- _Que dum turres erigit more giganteo,_
- _Volens altis turribus obviare Deo,_
- _Contumax et fulmine digna ciclopeo,_
- _Instituta principum sprevit ausu reo._
- _De tributo Cesaris nemo cogitabat,_
- _Omnes erant Cesares, nemo censum dabat;_
- __Civitas Ambrosii_ velut Troja stabat;_
- _Deos parum, homines minus formidabat...._
- _Prima sua domino paruit _Papia_,_
- _Urbs bona, flos urbium, clara, potens, pia,_
- _Digna foret laudibus et topographia,_
- _Nisi quod nunc utimur brevitatis via._
- _Post Papiam ponitur urbs _Novariensis_,_
- _Cujus in principio dimicavit ensis;_
- _Frangens et reverberans viribus immensis_
- _Impetum superbi Mediolanensis._
- _Carmine, Novaria, sepe meo vives._
- _Cujus sunt per omnia commendandi cives:_
- _Inter urbes alias eris laude dives,_
- _Donec desint Alpibus frigora vel nives..._
- _Mediolanensium dolor est immensus,_
- _Pro dolore nimium conturbatur sensus;_
- _Civibus Ambrosii furor est accensus,_
- _Dum ab eis petitur, ut a servis, census._
- _Interim precipio tibi, Constantine,_
- _Jam depone dexteram, tue cessent mine;_
- _Mediolanensium tante sunt ruine,_
- _Quot in urbe media modo regnant spine,_
- _Tantus erat populus atque locus ille,_
- _Si venisset Grecia tota cum Achille,_
- _In qua tot sunt menia, tot potentes ville,_
- _Non eam subjicere possent armis mille._
- _Jussu tamen Cesaris obsidetur locus,_
- _Donec ita venditur esca sicut crocus:_
- _In tanta penuria non est ibi jocus,_
- _Ludum tandem Cesaris terminavit rocus..._
- _Erant in Italia greges vispillonum,_
- _Semitas obsederat rabies predonum,_
- _Quorum cor ad scelera semper erat pronum,_
- _Quibus malum facere videbatur bonum._
- _Cesaris est gloria, Cesaris est donum_
- _Quod jam patent omnibus vie regionum,_
- _Dum ventis exposita corpora latronum_
- _Surda flautis, Boree captant aure sonum..._
- _Jam tiranno siculo Siculi detrectant,_
- _Siculi Te sitiunt, Cesar, et expectant,_
- _Jam libenter _Apuli_ tibi genuflectant,_
- _Mirantur quid detinet, oculos humectant..._
- _Imperator nobilis, age sicut agis,_
- _Sicut exaltatus es, exaltare magis!_
- _Fove tuos subditos, hostes cede plagis,_
- _Super eos irruens ultione stragis._
-
-Apud GRIMM, _Geschichte des Mittelalters aus König Friedrich der
-Staufen und aus seiner wie der nächstfolgenden Zeit._ Berlino 1845.
-
-[128] _Sicque factum est, quod Lombardi, qui inter alias nationes
-libertatis singularitate gaudebant, pro Mediolani invidia, cum
-Mediolano pariter corruerent, et se Teutonicorum servituti misere
-subdiderunt._ Cron. Salern.
-
-[129] _Episcopi, marchiones, comites, capitanei, aliique etiam
-proceres, ac quamplures alii etiam Longobardiæ homines, tam
-magni quam parvi, alii cum crucibus, alii sine crucibus, ante
-imperatorem venientes, de imperatoris procuratoribus nimis valde
-conquerebantur..... Ipse, quærimonias Longobardorum quasi vilipendens,
-et pro nihilo habens, nihil inde fecit._ OTTO MORENA.
-
-[130] Il giuramento fu rinnovato nel 1170 in questi termini: _In nomine
-Domini, amen. Ego juro ad sancta Dei evangelia quod non faciam neque
-treguam, neque guerram recredutam, nec aliquam concordiam cum Frederico
-imperatore, neque cum filiis ejus, nec cum uxore ejus, neque cum alia
-quacumque persona ejus nomine, nec per me, nec per aliam quamcumque
-personam, et ab alio homine facta, non habebo ratam. Et bona fide pro
-meo posse operam dabo viribus quibuscumque potero, ne aliquis exercitus
-modicus vel magnus de Alemannia, vel de alia terra imperatoris quæ sit
-ultra montes, intret Italiam. Et si prædictus exercitus intraverit,
-ego vivam guerram faciam imperatori et omnibus illis personis quæ
-modo sunt ex parte imperatoris, vel pro tempore fuerint, per quas
-prædictus exercitus debeat exire de Italia, donec prædictus exercitus
-de Italia exeat. Ego bona fide, per me et per omnes personas, totius
-meæ virtutis salvabo et guardabo personas et res omnium hominum
-societatis Lombardiæ, Marchiæ et Romaniæ, et nominatim dominum
-marchionem Malaspinam, et omnes personas quæ modo sunt in societate
-vel extra. Et ego nullam concordiam feci vel faciam cum imperatore
-constantinopolitano.... sine consilio credentiæ cujusque civitatis...
-Et filios meos qui sunt in ætate quatuordecim annorum, infra duos
-menses..... faciam jurare omnia prædicta et attendere._
-
-Disputano di qual Enrico si tratti: e poco importa; ma tanto basta per
-ismentire l’asserzione del Sigonio, e tanto più l’estensione datavi dal
-Sismondi, che Ottone avesse, con una costituzione generale, liberati i
-municipj. A quella si sarebbero appellati, non a consuetudini incerte.
-
-[131] Giovanni di Sarisbery, _ep._ 210, ap. LABBE, _Concil._, tom. X.
-1450.
-
-[132] _Montes aureos et cum honore et gloria imperii gratiam
-sempiternam._ TOMMASO DE CANTUARIA.
-
-[133] Buoncompagno maestro fiorentino narrò quell’assedio (_Rer. it.
-Scrip._, VI). Egli sclama: _Non credam Italiam posse fieri tributariam
-alicui, nisi Italicorum malitia procederet ac livore; in legibus enim
-habetur: Non est provincia, sed domina provinciarum._
-
-[134] Il terreno su cui venne costruita Alessandria apparteneva ai
-marchesi del Bosco, i quali lo cedettero nel 1180 in feudo ai cittadini
-di quella, colle ville Marenzana e Ponzano, assolvendo da ogni fedeltà
-i villani, arimanni, mercanti, artieri di esse terre, _Monumenta
-Aquensia_.
-
-Al vescovado d’Alessandria il papa avea voluto aggregare quello di
-Acqui; ma gli Acquensi resistettero accannitamente, e ne venne guerra,
-finchè Innocenzo III disgiunse novamente le due diocesi. Vedi CHENNA,
-_Del vescovato di Alessandria_, 1790.
-
-[135] Il primo aveva egli menato nel 1154; il secondo nell’estate 1158;
-il terzo gli fu condotto l’anno dopo dalla imperatrice; il quarto fu
-de’ principi germanici che distrussero Milano; col quinto Federico
-osteggiò Roma, e lo perdette di febbri; il sesto fece mala impresa ad
-Alessandria; il settimo fu sconfitto a Legnano.
-
-[136] CARD. ARRAG., _Rer. It. Scrip._, III. 468.
-
-[137] Secondo gli atti prodotti dal Muratori, _Antiq. ital. medii
-ævi_, diss. XLVIII, i luoghi e le persone del partito imperiale erano
-Cremona, Pavia, Genova, Tortona, Asti, Alba, Acqui, Torino, Ivrea,
-Ventimiglia, Savona, Albenga, Casale di Sant’Evasio, Montevelio, Castel
-Bolognese, Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Rimini,
-Castrocaro, il marchese di Monferrato, i conti di Biandrate, i marchesi
-del Guasto e del Bosco, e i conti di Lomello. All’incontro nella Lega
-di Lombardia erano Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Brescia,
-Ferrara, Mantova, Bergamo, Lodi, Milano, Como (benchè da noi poco fa
-veduto aderente a Federico), Novara, Vercelli, Alessandria, Carsino e
-Belmonte, Piacenza, Bobbio, Obizo Malaspina marchese, Parma, Reggio,
-Modena, Bologna, Doccia, San Cassano, ed altri luoghi e persone
-dell’Esarcato e della Lombardia.
-
-[138] ROMOALDO SALERN., _Rer. It. Scrip._, VII. 220.
-
-[139] GAUFRIDI VOSIENSIS _Chron._ Il fatto del piede posto sul collo
-di Federico fu sostenuto in prima dal benedettino Fortunato Olmo nel
-1629, _Historia della venuta a Venetia occultamente nel 1177 di papa
-Alessandro III, e della vittoria ottenuta da Sebastiano Ziani doge_; e
-ultimamente da Carlo Lodovico Ring, nel _Saggio storico per illustrare
-un fatto finora messo in dubbio della vita di due contemporanei,
-aspiranti entrambi alla signoria del mondo_ (ted.); Stuttgard 1835.
-Nel Cicogna, _Iscriz. venete_, vol. IV. p. 574-93, è una dissertazione
-di Angelo Zon sulla venuta di Alessandro III a Venezia. A Venezia si
-trovavano già rifuggiti moltissimi vescovi di Lombardia, cacciati
-da altri scismatici; v’accorse poi grandissima folla di prelati e
-signori; ed è curioso documento una cronaca che riferisce uno per uno
-questi personaggi col loro seguito. Per dire solo d’alcuni Italiani,
-Girardo arcivescovo di Ravenna giunse con settanta uomini; Lodovico
-vescovo di Brescia con un abbate e trenta uomini; e così Salomone di
-Trento; Tebaldo di Piacenza con due preposti e venti uomini; Guala di
-Bergamo con dodici; Alberico di Lodi coll’abate di San Pietro, e il
-prevosto di San Geminiano e quattro consoli, con diciannove uomini;
-Offredo di Cremona con quaranta; Anselmo di Como col suo arcidiacono
-e quaranta uomini; Algiso arcivescovo di Milano con Milone vescovo di
-Torino, coll’arcidiacono e arciprete suo e l’abate di San Dionigi e
-uomini sessanta; e così gli altri vescovi. Seguono Corrado marchese
-di Monferrato con venti uomini, il marchese Moruello Malaspina con
-cenquindici, il podestà di Verona con sessanta uomini, e due avvocati
-de’ Veronesi con undici; il podestà di Bergamo con venti, di Vercelli
-con sedici; dieci consoli di Cremona con novantacinque uomini, quattro
-di Piacenza con trentacinque, quattro di Novara con sedici, quattro
-d’Alessandria con trentacinque; il podestà di Bologna con quindici
-uomini; quattro consoli di Milano con trenta; il conte di Biandrate con
-ventisette; Ezelino da Treviso con trenta; nove cattanei di Treviso
-con quarantacinque; i marchesi d’Este con centottanta; il conte
-Guido Guerra con cento; e lasciamo indietro altri; i Tedeschi aveano
-più numerosi accompagnamenti. Il cronista soggiunge: «De zascheduna
-zittade de Lombardia e de la Marca e de Toscana e de Romagna e de la
-Marca d’Ancona ve fò catanii e possenti homeni, lo nome e lo numero
-deli quali no savemo. Suma lo numero de le persone numerade e i so
-prinzipali nominadi per nome, in tutto homeni 6390». OLMO, op. cit.
-
-[140] Vedi CARLINI, _De pace Constantiæ disquisitio_. Verona 1763;
-GIAC. DURANDO, _Saggio sulla Lega Lombarda e sulla pace di Costanza_,
-nel vol. XL delle _Memorie dell’Accademia di Torino_.
-
-Frà Jacopo d’Acqui aggiunge che i Veneziani voleano che il loro doge al
-banchetto sedesse a fianco del Barbarossa: ma questi pigliò il sedile
-preparatogli e lo pose sopra il suo, e si sedè così in alto, mentre
-_quel villano_, com’esso il chiamava, dovè sedere sulla panca.
-
-[141]
-
- _Centum mille noto pro Christi tempore toto_
- _Octaginta datis super his et quinque peractis,_
- _Sub mense maji Federico cæsare stante_
- _Septima lux mensis præerat factis gerendis,_
- _Cum relevata fuit Crema, statumque resumsit._
- _Per Placentinos grates meruere divinas,_
- _Unde Cremonenses doleant et sine modo flentes_
- _Et fletu quorum lætetur quisque virorum._
- Iscriz. presso ALAMANNO FINO, lib. II.
-
-[142] TUTINI, _Disc. de’ sette uffizj_, pag. 34. Nell’archivio di
-Napoli è copia autentica di questo catalogo. Registro di Carlo II al
-1322, da pag. 14 alla 63.
-
-[143] Quella del Barbarossa è l’età eroica delle repubbliche italiane,
-che perciò v’attaccarono ciascuna tradizioni particolari, singolarmente
-sulla tirannia de’ suoi podestà, e sul modo con cui se ne redensero.
-A Bergamo ricordasi un’Antonia, nobile verginella, rimasta viva nella
-strage del 1168, e che insidiata dal Barbarossa, nè potendo altrimenti
-salvare l’onestà, si uccise. _Vedi_ CALVI. I Comaschi nominano ancora
-con orrore il podestà Pagano; e i Cremonesi vantano Zanino dalla Balla,
-o Baldesio, che però altri portano ai tempi di Enrico III. Un altro
-Pagano tiranneggiava Padova, che rapì Speronella moglie di Jacopino da
-Carrara: ma i Padovani se ne vendicarono cacciandolo; donde cominciò
-l’annua festa del san Giovanni, ecc.
-
-HANS PRUTZ, _Kaiser Friedrich I_ (Danzica 1871-74, 3 volumi), è una
-continua giustificazione di quell’imperatore, rimasto leggendario fra
-i Tedeschi: aver mosso guerra ai Comuni Lombardi sol come ostacolo
-che erano al suo concetto di sottoporre tutta l’Italia e per essa il
-Mediterraneo, e in conseguenza tutto il mondo civile, istituendo la
-vera grandezza dell’impero germanico. «La distruzione di Milano era un
-avvenimento destinato ad aprire una nuova splendida epoca del regno di
-Federico».
-
-[144] GIULINI, part. VII. l. 48. — _Dilectorum fidelium nostrorum_
-_civium Mediolanensium strenuitatem, fidem ac devotionem, quo,
-ferventiori ceteris affectu, nostræ in dies dignationi gratiores se
-exhibent._ Ap. PURICELLI, _Monum. Eccl. Ambrosianæ_.
-
-[145] _Antiq. M. Æ._, tom. I. pag. 622.
-
-[146] Federico, nell’investire Aicardo dei feudi di Robbio, Confienza,
-Palestro, Rivautella nel Vercellese, stabilisce _Quod si ipse vel
-heredes sui justitiam de hominibus suis facere obmiserint, legatus
-noster justitiam de eis faciat; et si aliquis adversus eum vel
-heredes suos querimoniam coram nobis deposuerit, vel ad curiam nostram
-_appellaverit_, coram legatis nostris indubitanter veniant justitiam
-facturi et accepturi_. Monum. Hist. patriæ, _Chart._ I. 894.
-
-Fra tanti altri esempj dell’importuna intervenzione regia negli
-interessi anche privati citerò solo un privilegio dato il 1162 dal
-Barbarossa stesso ad Enrico vescovo di Como, per cui, visti i gravi
-debiti della chiesa comasca, le rimette non solo gl’interessi, ma anche
-i capitali, salvo quelli che si trovassero prestati a servizio regio o
-per utilità della Chiesa.
-
-[147] Nel 1189 Enrico concede al vescovo Lanfranco di Bergamo di
-risolvere gli appelli ad esso re riservati, dandone notizia _fidelibus
-suis comitibus, nobilibus, consulibus, et universo populo in civitate
-et per totum pergamensem episcopatum constituto_. Ap. LUPO, II. 1599.
-
-[148] È nelle _Lettere_ di Pier dalle Vigne, lib. V. c. 1: _Te de
-latere nostro sumptum generalem vicarium a Papia inferius in Lombardia,
-ad eos velut conscientiæ nostræ conscium pro conservatione pacis et
-justitiæ specialiter destinamus, ut vices nostras universaliter geras
-ibidem. Nec tamen te sola vicarii potestate volumus esse contentum,
-licet solo vicarii nomine censearis; sed tibi usque ad aliud mandatum
-nostrum adjicimus officium _præsidiatus_, concedentes tibi merum et
-purum imperium et gladii potestatem, et ut facinorosos animadvertere
-valeas vice nostra purgando provinciam, malefactores inquiras, et
-punias inquisitos et specialiter eos qui stratas et itinera publica
-ausu temerario violare præsumunt. Criminales etiam quæstiones audias
-et civiles, quarum cognitio si præsentes essemus ad nostrum auditum
-pertinet. Liberaliter quoque audias et determines quæstiones; et
-imponendi banna et multas ubi expedierit, auctoritatem tibi plenariam
-impertimur. Decreta utique interponas, quæ super transactione
-alimentorum, alienatione ecclesiasticarum rerum et tuitione minorum,
-secundum justitiam interponi petuntur. Tutores etiam et curatores dandi
-quibuslibet tibi concedimus potestatem. Et ut majoribus et minoribus,
-quibus universa jura succurrunt, causa cognita, restitutionis in
-integrum beneficium valeas impertiri, ad audientiam quoque tuam,
-tam in criminalibus quam in civilibus causis, appellationes adferri
-volumus, quas a sententiis ordinariorum judicum et eorum omnium, qui
-jurisdictionem ab imperio sunt nacti, in provincia ipsa, videlicet
-a Papia inferius in Lombardia (prout superius dictum est) contigerit
-interponi. Ita tamen quod inde a sententia tua ad audientiam nostri
-culminis possit libere provocari, nisi vel causæ qualitas vel
-appellationum numerus appellationis auxilium adimat appellanti.
-Quapropter fidelitati tuæ firmiter et districte præcipiendo mandamus,
-quatenus ad statum pacificum regionis ipsius et recuperationem
-nostrorum et imperii virium, in eamdem fidem tuam et sollicitudinem,
-sicut gratiam nostram charam diligis, sic efficaciter et diligenter
-impendas..._ È pubblicata anche con qualche diversità nei _Monum. hist.
-patriæ_, Chart., I. 1400.
-
-[149] BONINCONTRO MORIGIA, _Chron. Modoetiæ_, lib. II. c. 116: PTOLOMEI
-LUCENSIS, _Hist. eccl._, lib. XXIV. c. 21. — L’ultimo atto che io
-conosca di volontaria giurisdizione esercitata da un messo regio, è del
-1223, e sta nell’archivio della semicattedrale di Lugano.
-
-[150] _Rossus, Guadardus et Guillelmus, majores Lucanæ civitatis
-consules, quisque pro se ad sancta Dei evangelia juravit ita:_
-
-_Ego ab hac hora in antea fidelis ero domini Frederici Romanorum
-imperatoris, sicut de jure debeo domino imperatori meo; et non ero in
-facto vel in consilio sive auxilio quod perdat vitam vel membra sua,
-vel coronam, vel imperium seu honorem suum, vel quod in captione aliqua
-contra voluntatem suam teneatur; et bona fide juvabo eum retinere
-coronam et honorem suum, et nominatim civitatem Lucanam et ejus
-comitatum, et quæcumque regalia, quæ de jure in ea debet habere intus
-vel foris. Hæc omnia contra omnes adjuvabo eum retinere bona fide,
-et si perdiderit recuperare; et credentias suas, quas per se vel per
-suum certum missum, vel per suas literas certas mihi significaverit,
-bona fide celabo; et præcepta ejus quæ mihi fecerit de pace servanda,
-vel guerra in Tuscia facenda, sive de regalibus suis adimplebo,
-nisi per parabolam domini imperatoris, vel domini archicancellarii,
-vel ejus certi missi remanserit; et fodrum ei per episcopatum et
-comitatum Lucanum bona fide recolligi juvabo, cum ab ejus certo misso
-ad hoc destinatus requisitus fuero. Et homines civitatis Lucanæ idem
-sacramentum fidelitatis domini imperatoris pro posse meo jurare faciam
-bona fide. Et stratam non offendam, et ne ab aliquo offendatur bona
-fide pro posse meo defendam et vindicabo. Et dabo domino imperatori
-Frederico, in expeditione versus Romam, Apuliam et Calabriam, milites
-viginti, et ad illos terminos, quos dominus imperator per se vel per
-certum suum missum ad hoc destinatum imposuerit mihi. Et conventionem
-factam de pecunia quadringentarum librarum annuatim solvenda observabo;
-et nullum recipiam in consulatu, qui hoc sacramentum de pecunia
-solvenda non juret...._
-
-_Concordia vero inter nos et Lucanos consules quomodo sit et esse
-debeat, per Rainaldum Coloniensem electum, et archicancellarium
-Italiæ atque imperatoriæ majestatis legatum facta, talis est;
-videlicet quod ipsi consules, a proximis kalendis augusti usque
-ad sex annos, debeant omnia regalia quæ habent, tam in civitate
-quam extra, salvo fodro domini imperatoris, extra civitatem libere
-tenere dando in Purificatione beatæ Mariæ in unoquoque anno domino
-Frederico imperatori, vel suo certo misso nominatim ad hoc delegato,
-quadringentas libras lucanæ monetæ publice probatæ; et ipsis sex
-annis transactis, ipsa prælibata regalia prælibato domino imperatoris
-resignabunt, et per parabolam prædicti Frederici imperatoris vel
-ejusdem Rainaldi Coloniensis electi, et Italiæ archicancellarii, vel
-sui certi missi ad hoc destinati._
-
-_Præterea dominus imperator concedit civitati Lucanæ, ut eligant omni
-anno ex se consules quos voluerint, qui debeant jurare, ita videlicet,
-quod guidabunt et regent populum et civitatem Lucanam ad honorem Dei,
-et ad servitium domini imperatoris Frederici, et ad ipsius civitatis
-salvamentum. Et ex ipsis consulibus qui electi fuerint, ibunt omni
-anno in præsentia ipsius domini imperatoris Frederici si in Italia
-fuerit, aut unus si in Alemania fuerit, recepturi investituram a
-domino imperatore vice omnium. Et si domino imperatori placuerit quod
-Lucæ solvant duci solidos mille quos convenerunt, tanto minus domino
-imperatori de prædicta pecunia usque ad prædictum terminum solvere
-debent; alias secundum prædictum ordinem totum solvere debent. Item
-consules qui fuerunt electi omni anno, si non habuerint juratam domino
-imperatori fidelitatem, eam jurare debent._
-
-_Et hanc totam conventionem nostram per nostrum mandatum et
-auctoritatem ab eodem Coloniensi electo et Italiæ archicancellario
-factam præsentis paginæ scripto corroboramus, ac sigillo majestatis
-nostræ confirmamus._
-
-[151] _Ad legem et justitiam facendam, gubernandum per te et tuum
-nuntium, ita sicut nos et noster nuntius agere debuissemus._
-
-[152] TOMMASO, _Sommario_, lib. I. c. 5. — Atti d’autorità sovrana,
-esercitati da Enrico VI ancor vivo il padre, già ne vedemmo al Cap.
-LXXXI. Un altro esempio ce n’offrono i _Monumenta Historiæ patriæ_,
-Chart., I. 945, dove esso re nel 1187 conferma una sentenza dei consoli
-d’Asti.
-
-[153] Egli conferma il privilegio che riportammo alla nota 34 del
-Cap. LXXXI. Le spiegazioni che se ne danno nel vol. I delle _Memorie
-e docum. per servire alla storia lucchese_ non reggono coi nuovi lumi
-storici.
-
-[154] ...... _Civitatis Lucæ fideles nostri majestati nostræ humiliter
-supplicarunt, ut castrum Motronis, Montifegatensi, et castrum
-Luliani, quæ sunt de Carfagnana, cum omnibus eorum et cujusque eorum
-rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et districtu, eis concedere
-in perpetuum, et dare licentiam eidem communi recipiendi et retinendi
-homines et personas quaslibet Carfagnanæ fideles nostros in concives
-eorum, qui vel quæ effici voluerint habitatores et incolæ, vel alias
-concives civitatis ejusdem et eisdem hominibus et personis veniendi ad
-eamdem civitatem ad habitandum, si voluerint, vel alias se concives
-faciendi, et quod liceat communibus et aliis singularibus personis
-de Carfagnana recipere potestates et rectores civitatis praedictæ de
-gratia nostri culminis dignaremur. Nos vero ejusdem communis nostrorum
-fidelium supplicationibus benignius inclinati, attendentes etiam
-grata et accepta servitia quæ idem commune majestati nostræ exhibuit,
-hactenus exhibet in præsenti, et quæ exhibere poterit in futurum, eidem
-communi castra de Carfagnana superius denotata cum omnibus eorum et
-cujusque eorum rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et districtu
-concedimus, nec non ipsis licentiam recipiendi et retinendi homines
-et quaslibet personas Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum,
-qui vel quæ effici voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives
-civitatis ejusdem, et eisdem hominibus et personis veniendi ad ipsam
-civitatem ad habitandum si voluerit, vel alias se concives faciendi,
-et hominibus et aliis singularibus personis de Carfagnana recipiendi
-potestates et rectores civitatis prædictæ de gratia majestatis nostræ
-et plenitudine potestatis, salva in omnibus imperiali justitia._
-
-[155] ... _Licet nos olim provinciam Carfagnanæ cum juribus et
-pertinentiis suis Henrico juniori illustri regi Sardiniæ, sacri
-imperii in Italia generali legato, dilecto filio nostro, de mera
-donatione nostra duximus conferendam; attendentes tamen fidei puræ
-zelum quem communi Lucæ fideles erga majestatis nostræ personam
-habere noscuntur... provinciam ipsam cum castris, villis, hominibus,
-jurisdictionibus, possessionibus, terris cultis et incultis, aquis
-et aquarum decursibus, justitiis, rationibus omnibus et pertinentiis
-suis, videlicet quæ de dimanio in dimanium, et quæ de servitio in
-servitium eidem communi fidelibus nostris in fide et devotione nostra
-persistentibus, in _rectum feudum_ duximus concedendum. Ita tamen
-quod provincia ipsa a nobis et successoribus nostris in perpetuum
-nomine recti feudi de cætero teneant, sicut tenent alias terras eorum
-districtus, et a nobis et imperio recognoscunt, eis olim a divis
-augustis progenitoribus nostris concessas, et a nobis postmodum
-confirmatas, debita quoque et consueta servitia proinde nobis et
-imperio facere teneantur._
-
-Le concessioni imperiali non di rado s’intralciano e si contraddicono.
-Nel 1163 Federico Barbarossa da Lodi dava un diploma, ricevendo sotto
-la sua protezione, cioè affrancando il borgo e gli uomini di Sarzana,
-concedendo un mercato ogni sabbato, la libera scelta de’ proprj
-consoli ecc.: diploma confermato da Federico II il 1226. Ora nel 1185
-lo stesso Barbarossa assegnava al vescovo di Luni la giurisdizione,
-il bando, il mercato, la pesca, il distretto, insomma la signoria sui
-popoli di Santo Stefano e Sarzana. Nel 1355 Carlo IV, scialacquatore di
-privilegi, confermava al vescovo lunese il diploma di Federico: eppure
-al tempo stesso dava in feudo ai marchesi Malaspina e alla città di
-Pisa molte terre comprese in quella concessione.
-
-[156] _Breve recordacionis de Ardicio de Aimonibus._
-
-[157] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., I. 813.
-
-[158] Da _credere_ in senso d’affidare, usato dai Latini e dai nostri.
-In un placito di Limonta dell’888: _Cum ibi essent nobiles_ _et
-credentes homines, liberi arimanni, habitantes Belasio loco._ Antiq.
-M. Æ., diss. XLI. — _Quisquis in hujuscemodi tribunalis consilium
-admittebatur, jurabat in credentiam consulum, hoc est se tacite
-retenturum quæcumque eo in consilio dicta vel acta fuissent, nec
-enunciaturum uspiam in profanum vulgus._ Rer. It. Scrip., VI. 962. E
-nell’Ariosto: «Nelle cui man s’era creduta». — _Homines credentes_
-valea quanto uomini di credito, fededegni: «Vincenzo di Naldo,
-fiorentino, uomo molto creduto in quel contado». BEMBO, _Storia_, lib.
-VII.
-
-[159] Il Serra, _Storia della Liguria_, I, 277, lo adduce come del 950:
-ma pare da mettere fra il 1121 e il 1130. Vedi VINCENT, _Hist. de la
-rép. de Gênes_. Parigi 1842.
-
-[160] Alcuno immaginò che maggiori fossero quelli tolti dalla nobiltà,
-minori quelli da plebei. Vedi BENVOGLIENTI, _Osservazioni intorno agli
-statuti pistojesi_. Il contrario pensa Muratori, _Antiq. M. Æ._, diss.
-XLVI.
-
-[161] _Statuta Mantuæ_, lib. II. rub. 15.
-
-[162] MARIOTTI, _Saggio di mem. storiche civili ed ecclesiastiche di
-Perugia_, 1806, pag. 248.
-
-[163] VARCHI, _Ercolano_. Il Muratori (_Antiq. M. Æ._, tom. IV)
-pubblicò l’_Oculus pastoralis pascens officia et continens radium
-dulcibus pomis suis_, che è un’istruzione ad un futuro podestà intorno
-a tutte le parti del suo uffizio: ma è forse opera di qualche monaco,
-più attento alla parte morale che alla giuridica; come fa pure ser
-Brunetto Latini, nel lib. IX del suo _Tesoro_, dove largamente divisa
-i doveri del podestà. Fra le altre cose dice: — Sopra tutte cose
-debbe il podestà fare che la città che ha suo governamento, sia in
-buono stato, senza briga e senza forfatto. E questo non può fare,
-s’egli non fa che li malfattori, ladroni e falsatori sieno fuori
-del paese: chè la legge comanda bene che ’l signore possa purgare il
-paese della mala gente. Però ha egli la signoria sopra i forestieri
-e sopra’ cittadini che fanno li peccati nella sua jurisdizione, e non
-pertanto egli non giudicherà a pena quello ch’è senza colpa: ch’egli è
-più santa cosa a solvere un peccatore che dannare un giusto, e laida
-cosa è che tu perda il nome d’innocenza per odio d’un nocente.......
-Sopra li maleficj debbe il signore e i suoi uffiziali seguire il
-modo del paese e l’ordine di ragione, in questa maniera. Prima debbe
-quello che accusa giurare sopra il libro di dire il vero in accusando
-e in difendendo, e che non vi mena nullo testimonio a suo sciente;
-allora dee dare l’accusa in iscritto, ed il notajo la scriva tutta
-a parola a parola, sì come egli la divisa: si dee inchiedere da
-lui medesimo diligentemente ciò ch’egli o li giudici od i signori
-crederanno apertamente che sia del fatto, o della cosa: e poi si mandi
-a richiedere quelli che è accusato del maleficio; e s’egli viene,
-sì lo faccia giurare e sicurare la corte dei malfattori, e metta
-in iscritto sua confessione e sua negazione, sì come egli dice: e
-se non dai malfattori, o che ’l maleficio sia troppo grande, allora
-debbe il signore od il giudice porre il dì da provare, e da ricevere
-li testimonj che vegnono, e costringere quelli che non vegnono, ed
-esaminar ogni cosa bene e saviamente, e mettere li detti in iscritto:
-e quando i testimonj sono ben ricevuti, il giudice ed il notajo debbon
-far richiedere le parti dinanzi da loro; e s’elli vegnono, si debbon
-aprire li detti de’ testimonj, e darli a ciascuno perchè si possano
-consigliare e mostrar loro ragione. Ora addiviene alcuna volta ne’
-grandi maleficj, che non possono essere provati interamente, ma l’uomo
-trova ben contra quelli ch’è accusato alcuno segno e forti argomenti
-di sospezione: a quel punto il può l’uomo mettere alla colla per farli
-confessare la colpa, altrimenti no; e si dico io, ch’alla colla il
-giudice non deve dimandare se Giovanni fece maleficio, ma generalmente
-dee dimandare chi ’l fece».
-
-[164] SERRA, _Storia della Liguria_, lib. III. c. 8: GIULINI,
-_Continuaz._, part. I. p. 64; _Chron. parmense_, Rer. It. Scrip., IX.
-819; CORIO, lib. II. — I patti del podestà di Genova sono divisati nei
-_Monumenta Hist. patriæ_, Chart., II. 1334.
-
-[165] Ma se io non potrò avere lo delinquente, puniroe lo figliuol suo,
-u vero li figliuoli del delinquente, se lui u se loro potrò avere. Ma
-se lo figliuolo u vero li figliuoli del delinquente aver non potrò,
-puniroe lo padre del delinquente, se io lo potrò avere, così in avere
-come in persona ad mio arbitrio..... Et non dimeno li loro beni, poichè
-in del bando saranno incorsi, siano pubblicati al comune di Pisa, et
-siano guasti et distructi così in de la città come in del contado in
-tutto, sicchè poi non si rifacciano, nè rifare li permetterò nè abitare
-u lavorare u vendere u alienare. Et ciascheduno che li abitasse,
-lavorasse, vendesse, alienasse, comprasse et per qualunque altro titolo
-ricevesse, puniroe...
-
-«Et intorno alle suprascripte tutte cose investigare et trovare io
-capitano abbia pieno, libero et generale arbitrio così in ponere ad
-questioni et tormenti et punire in avere et persona come eziandio
-ad tutte altre cose..... Et ad catuna persona che cotale malefactore
-prendesse et preso a me capitano l’apprezentasse u vero uccidesse, darò
-u farò dare dei beni del comune di Pisa 1. M. di danari...» _Statuto di
-Pisa, ms._ § 12.
-
-[166] Nella _Cronaca di Padova_ trovo Galvano Lanza podestà nel 1243 e
-44; Guzelo de Prata nel 1247, 48, 49; Ansedisio de’ Guidotti da Treviso
-dal 1250 al 55. Vero è che erano i tempi della tirannia di Federico II
-e di Ezelino.
-
-Parma aveva un podestà nel 1175 (AFFÒ, II. 259): Cremona nel 1180 (_R.
-I. S._, VII. 635); Faenza nel 1184 (_Rerum Favent. Script._, c. 82):
-Genova nel 1191 (_R. I. S._, VI. 364); Firenze nel 1193 con Gerardo
-Caponsacchi, ecc.
-
-[167] Nel _Cod. Just._, tit. XLIX. l. 1 e nella _Nov._ VIII. c. 9 è
-comandato che gli uffiziali di provincia rimangano cinquanta giorni in
-luogo, dopo scaduti di carica, per soddisfare a tutte le doglianze.
-E cinquanta giorni sono prefissi nello statuto antico di Pistoja
-(_Antiq. M. Æ._, diss. 70, al § 76); poi variò secondo i paesi.
-Lo statuto di Torino _De sacramento DD. vicarii et judicis_ porta:
-_Juramus quod stabimus decem diebus in Taurino post nostrum regimen, ad
-faciendam rationem cuilibet..... conquerenti de nobis._ Quello di Roma:
-_Senator, finito suo officio, cum omnibus judicibus et familiaribus
-et officialibus suis teneatur stare et sistere personaliter decem
-diebus coram judice, sindico deputando ad ratiocinia ejus; et coram
-ipso, ipse et officiales prædicti teneantur de gestis et administratis
-et factis durante officio reddere rationem, et unicuique conquerenti
-respondere de jure, et omnibus satisfacere quibus de jure tenetur. De
-quibus omnibus dictus judex summarie cognoscat, et intra decem dictos
-dies causam decidat de plano, sine strepito et figura judicii, non
-obstantibus feriis et non obstantibus solemnitatibus juris, dummodo
-veritas discutiatur, et ad illam saltem respectus et consideratio per
-judicem habeatur._
-
-[168] _Rer. It. Scrip._, XV. 684.
-
-[169] FRANCO SACCHETTI, _Nov._ 196.
-
-[170] _Capitaneus populi, ad defensionem libertatis et popularis
-status, et ad observandam unionem civium principaliter est institutus
-etc._ Statuti lucchesi.
-
-[171] Una savia e piena informazione del governo di Firenze dal 1280 al
-92 è riportata nelle _Delizie degli eruditi toscani_, IX. 256.
-
-[172] Tale complicazione era espressa con questi versi popolari:
-
- Trenta elegge il consegio;
- De quai, nove hanno il megio:
- Questi elegon quaranta,
- Ma chi più in lor se vanta
- Son dodese che fano
- Venticinque: ma stano
- De questi soli nove,
- Che fan con le lor prove
- Quarantacinque a ponto;
- De quali ondese in conto
- Elegon quarantuno,
- Che chiusi tuti in uno
- Con venticinque almeno
- Voti fano el sereno
- Principe che coregge
- Statuti, ordine e legge.
-
-[173] _Et non possit ire ad brevia vel esse consiliarius_ (nè elettore
-nè eletto) _qui non sit habitator Lucanæ civitatis, vel qui sit
-extimatus minus_ XXV _libris, ad ultimas et proximiores extimationes
-factas in camera Lucani communis_. Statuto lucchese del 1308.
-
-[174] La varietà delle condizioni personali ci appare in questo passo:
-— Il 1233, essendo podestà di Firenze Torello da Strada, fece intendere
-a tutti gli abitatori del contado fiorentino che venissero a comparire
-nella città, con esporre ai notaj de’ sestieri a ciò deputati di che
-condizione si fossero; o fosse cavaliere nobile (_per nascita_),
-o fattizio, o aloderio (_che aveva allodj_), o masnadiere, o uomo
-d’altri, o fittajuolo, o lavoratore, o d’altra condizione». SCIPIONE
-AMMIRATO, _Storie fiorentine_, lib. I.
-
-[175] Alcuni vollero argomentare la quantità de’ Longobardi o de’
-Romani o de’ Salici nei varj paesi e nei diversi tempi dai nomi loro.
-Giudizio affatto inconcludente, e ne deduco poche prove dai soli
-_Monumenta Hist. patriæ_:
-
-_Ego _Benedictus_ filius quondam _Constanci_, qui professus sum ex
-nacione mea legem vivere Langobardorum_. Chart. I. 458. Due altri suoi
-fratelli si chiamavano Garino e Giovanni.
-
-E viceversa al 1039: _Ego Amicus clericus, filius quondam _Aldeprandi_,
-qui professus sum ex nacione mea lege vivere romana._
-
-E al 1069: _Ego _Aldeprandus_ presbiter, filius quondam _Constancii_,
-qui professus sum ex nacione mea legem vivere Langobardorum_.
-
-Al 1071: _Ego _Drodo_ filius quondam _Manfredi_, qui professus sum ex
-nacione mea lege vivere romana._
-
-Al 1074: _Ego _Adam_ presbiter, filius quondam _Petri_, qui professus
-sum ex nacione mea lege vivere Langobardorum._
-
-Al 1088: __Oddo_ presbiter, qui profitebat se ex nacione sua_ _lege
-vivere romana; e Villelmus subdiaconus, filius Verada femina, qui
-profitetur se ex nacione sua lege vivere romana._
-
-Al 1089: _Constat nos _Laurencius_ et _Johannes_ germani, filii quondam
-_Gisulfo_, qui professus sum ex nacione nostra legem vivere romanam;_ e
-son firmati testimonj _Alberto et Ricardo ambi lege viventes romana._
-
-Al 1092 è un curioso documento di tutti gli abitanti di Saorgio, con
-nomi d’ogni colore, _qui professi sumus omnes ex natione nostra lege
-vivere romana._
-
-V’ha di più. Anselmo, abate di San Gennaro di Lucedio al 1092,
-professando vivere a legge romana, promette non inquietare il marchese
-Tebaldo; _et ad hunc confirmandum promissionis breve, ego qui supra
-Anselmus abbas a te Tebaldus, exinde launechild capa una, ut hec mea
-promissio firma permaneat._ Coma c’entra il launechildo colla legge
-romana?
-
-Egualmente al 1098 Raiverto e Martino figli di Aldebrando, e Bolesinda
-moglie di Raiverto _professi omnes ex nacione nostra lege vivere
-romana_, fanno una vendita, dove Raiverto stipula come mundualdo di
-Bolesinda, _jugale et mundualdo meo consentiente_.
-
-[176] Zanfredolo da Besozzo nel 1321 diede statuti per le terre
-d’Invorio, Garazuolo, Montegiasca presso il lago Maggiore, da lui
-dipendenti. Il borgo di San Colombano li fece compilare da dodici
-giurisperiti. Pompeo Neri conta cinquecento statuti diversi nella sola
-Toscana, vissuti sino agli ultimi tempi, e anche in piccole terre,
-come Montorsojo, Montopoli, Firenzuola, Parlascio, Palaja, la badia di
-Vallombrosa, ecc. Abbiamo gli statuti di Cremella in Brianza, della Val
-Taleggio nel 1368, della Valsassina nel 1388, di Bovegno in val Trompia
-nel 1341, e d’altre terre minime.
-
-Lo statuto più antico che si conoscesse era quello di Treviso del 1207,
-ma Vittorio Mandelli, negli _Studj sul Comune di Vercelli nel medioevo_
-(1857), trova indizio di statuti a Vercelli sin dal 1187: e nel 1202 è
-mentovato il volume di essi, _super quo jurabant potestas vel consules
-comunis et consules justiciæ._ Questo Comune avrebbe fatto un bando per
-l’abolizione generale della servitù della gleba sin dal 1243, mentre
-quel di Bologna è solo del 1251.
-
-[177] L’illustre giureconsulto Azo (_Summa in_ VIII _libros Codicis_)
-definiva che «la consuetudine è formatrice, abrogatrice ed interprete
-della legge». I Veneziani, ne’ casi che la legge taceva, rimettevansi
-all’intimo convincimento dei giudici; per le ordinanze marittime,
-ne’ dubbj risolveva la signoria. I più antichi statuti di Milano
-sono intitolati _Consuetudines_ in un manoscritto della biblioteca
-Ambrosiana del 1216; nel proemio alla riforma di essi, pubblicata il
-1396, vien detto essere costume antico che negli atti pubblici fossero
-registrati da un notajo determinato tutti gli editti e statuti che
-di tempo in tempo venivano pubblicati; quest’archivista chiamavasi
-governatore degli statuti. Quelli di Como sono del 1219, riformati
-il 1296. Fra’ più antichi si noverano quei di Mantova del 1116, e
-di Pistoja del 1117. Amedeo III di Savoja dava gli Statuti a Susa,
-confermati poi da Tommaso suo nipote nel 1197. Aosta nel 1188 gli aveva
-da Tommaso conte di Morienna. Davanti all’edizione della _Posta_, cioè
-dello statuto di Verona, cominciato verso il 1150, compito nel 1228,
-l’arciprete Carmagnola pubblicò una sentenza del 1140, data dai consoli
-d’essa città «secondo la lunghissima ed antichissima consuetudine dei
-re, duchi, marchesi ed altri laici principi e cherici, secondo la legge
-longobarda». Vedi FEDERICO SCLOPIS, _St. della legislazione in Italia_.
-
-[178] CORIO, f. 131; CAFFARO, lib. IV. col. 384. — Peggio era nello
-statuto veneto. Secondo il Corio, nessuno doveva asportar grano dalla
-città nè altra grascia, o perderebbe il carro, i bovi, i cavalli: se
-non potesse pagar la multa, gli si taglierebbe il piede destro.
-
-[179] Vedi fra gli altri la rubrica 15 dell’antico statuto di Pistoja.
-
-[180] Vedi il _Libro del Potere di Brescia_. Un altro esempio adducemmo
-a pag. 20.
-
-[181] Lib. X. rub. 18. 28.
-
-[182] _Feudum, precaria aut libellum; nullus audeat nec debeat jurare
-fidelitatem alicui, nec fieri vassallus alicujus aliqua occasione vel
-ingenio quod excogitari possit._
-
-[183] Nel 1178 i rappresentanti della Lega Lombarda cassarono una
-sentenza che i consoli comaschi aveano portata a favore del comune di
-Bellagio contro gli abitanti di Civenna e Limonta, a proposito di certe
-strade e pasture usurpate dai Bellagini. _Ap._ PURICELLI, _Monum. eccl.
-Ambr._ Nº 573 e seg.
-
-[184] _Antiq. M. Æ._, diss. LXX. A gran torto Meyer, nelle _Origini e
-progressi delle istituzioni giudiziarie_, tralascia le italiane come
-poco importanti, mentre, massimamente avuto riguardo all’età, potevano
-sole offrire la spiegazione di varj istituti, ora comuni in Europa. Vi
-supplì in parte Sclopis, _Dell’autorità giudiziaria_.
-
-[185] G. VILLANI, XI, 93; DINO COMPAGNI, _Cronaca_, lib. II; _Delizie
-degli eruditi toscani_, IX, 256. — In Pisa erano dieci tribunali,
-_curia foretaneorum, curia appellationum, curia arbitrorum, curia nova
-pupillorum, curia confitentium, curia assessoris, curia judicum et
-advocatorum, curia grassæ, curia notariorum, curia mercatorum_. DAL
-BORGO, Diss. sopra i codici pisani delle Pandette.
-
-[186] _Antiq. M. Æ._, diss. XII. Vedi pag. 309. Nel 1150 abbiamo la
-curia cremonese; _Rer. it. Scrip._, VII. 643. Nel 1163, 27 agosto,
-Ottone, giudice cioè avvocato di Milano, s’impegna con Corvetto e con
-altri a patrocinarli a Genova in tutte le cause che possano avere; e
-una volta all’anno se occorra andrà fin a Levanto e a Passano, e vi
-resterà dieci o dodici dì, però a loro spesa. _Monum. Hist. patriæ_,
-Chart., II. 874.
-
-[187] GIULINI, part. VII. l. 50.
-
-[188] _Rer. It. Scrip._, XV. 250 e 233.
-
-[189] _Delizie degli eruditi toscani_, XV.
-
-[190] Di tali suddivisioni di possessi recammo esempj. Nei _Monum.
-Hist. patriæ_, Chart. II. 1318, abbiamo Bonifazio de Briada, il quale
-da Giacomo vescovo d’Asti teneva in feudo la sesta parte della metà del
-castello vecchio di Sanfrè, che cambiò con altrettanta del nuovo nel
-1224.
-
-[191] Toselli, nel _Dizionario gallo-italico_, pubblicò estratti di
-varie sentenze di Bologna. Nel 1288 Uzzolo, accusato di aver fatto
-violenza a Bonora Nascimbene, è condannato al taglio d’un piede: ma poi
-ella è riconosciuta calunniatrice, e condannata al taglio della lingua.
-Nel 1295 Enrichetto, condannato alle forche, confessa avere indotto
-falsi testimonj contro Superchia, la quale fu dannata alle fiamme. Nel
-1291 un Ferrarese accusava certa Imelda da Bologna d’avere affaturato
-Bittino figliuolo di lui, e resolo incapace al matrimonio. Nel 1328 una
-Mina e una Francesca sono processate come famose fatucchiere e maghe
-contro la vita d’innocenti, turbatrici degli elementi, e che aveano
-fatto una malìa per innamorare uno: confesse, furono bruciate.
-
-[192] _Nos de Impoli et ejus curte, qui sumus de comitatu florentino,
-et episcopatu seu de pleberio de Impoli, juramus ad Evangelia
-sacramento corporaliter præstito, salvare et custodire et defendere
-et adjuvare omnes personas civitatis Florentiæ, ejusque burgorum et
-subburgorum, et generaliter et specialiter, et eorum bona in tota
-nostra fortia, et ubicumque potuerimus sine fraude et contra omnem
-personam.
-
-Item si quo in tempore aliqua persona, quæ habitet infra prædictos
-nostros confines, deprædaverit aliquem praedictum Florentinorum, seu
-aliquem dapnum ei fecerit, faciemus ei integrum emendare et restituere
-infra dies quindecim proximos, postquam consul vel rector Florentiæ
-nos inquisiverit vel inquirere fecerit, sive nuntio vel literis, aut
-ille qui dapnum substinuerit, si rector tunc non extaret in civitate
-Florentiæ.
-
-Item quocumque tempore et quotiescumque consul vel rector qui pro
-tempore extiterit in civitate Florentiæ inquiret nos vel faciet
-inquirere, seu per nuntium, vel quod mittat nobis literas ut faciamus
-ei ostem vel cavalcatam, faciemus eis intra dies octo proximos post
-inquisitionem, quomodocumque eis placuerit, et ubicumque, excepto
-contra comitem Guidonem, nisi in quantum nobis terminum prolongarent,
-quod ita teneamur ad terminum, si quod bona voluntate eis placuerit
-prolongare, ut dictum est.
-
-Item guerram seu guerras et pacem faciemus ubi et quibus vel quomodo
-consulibus vel rectori, qui pro tempore fuerit Florentiæ, placuerit:
-exceptamus in hoc capitulo comitem Guidonem.
-
-Item infra octo dies proximos post inquisitionem, ex quo consul
-Florentiæ vel rector non inquisierit vel inquirere fecerit, habebimus
-factum jurare ad hoc Breve omnes homines habitantes infra prædictos
-nostros confines, qui convenientes erunt ad jurandum, nisi in quantum
-per ipsum consulem vel rectorem steterit; et si terminum vel terminos
-nobis.... mutaverit seu prolungaverit, ita teneamur sicut constituerit
-et dixerit.
-
-Item omni anno in festo sancti Johannis mensis junii, vel antea,
-dabimus in civitate Florentiæ consulibus, vel rectoribus, seu rectori,
-secundum qui pro tempore erit in eadem civitate, libras quinquaginta
-bonorum denariorum de tali moneta qualiter pro tempore comuniter
-expendetur per civitatem Florentiæ; et si consules, vel rectores
-non essent in civitate, dabimus consulibus mercatorum Florentiæ ut
-eam recipiant pro communi Florentiæ, sed tamen in hoc anno dabimus
-consulibus Florentiæ qui modo sunt intra kal. mart. proxime vel antea
-lib. centum et solid. sex bonorum denariorum. Item omni anno portabimus
-Florentiam in festo sancti Johannis unum meliorem cereum, quam illud
-quod Ponturmenses ibi offerunt et soliti sunt offerre.
-
-Hæc omnia, ut in hoc Breve scripta sunt, juramus tenere et observare
-et facere in perpetuum, et si consulibus, vel rectori, qui pro tempore
-extiterit in civitate Florentiæ placuerit, teneamur de_ VII _in_
-VII _annis renovare hæc juramenta in totum. Item cum consules vel
-rectores Florentiæ steterint pro recipiendis prædictis juramentis, vel
-renovandis, dabimus eis, et personis quibus secum duxerint, expensas
-omnes, donec steterint pro ea complenda.
-
-Et omnia præscripta juramus et promittimus observare, sub pœna centum
-marcorum de puro argento, et post pœnam solutam communi Florentiæ omnia
-prædicta stent firma.
-
-Hæc omnia supradicta juramus observare et adimplere et firma tenere
-perpetuo, ad sanum et planum intellectum consulum Florentiæ remota omni
-fraude, et sub hoc intellectu, quod imperator nec papa nec aliquis
-clericus vel laicus vel nulla alia persona possit nos absolvere in
-aliquo vel de aliquo ab hoc juramento, nec pro aliqua de causa possimus
-occasionare hoc juramentum.
-
-Scripta sunt hæc anno_ MCLXXXI, _tertio nonas februar., ind._ XV.
-
-Il più antico documento di sommessione d’una città ad un’altra è quello
-di Fano, che, assalita da Ravenna, Pesaro, Sinigaglia nel 1140, accettò
-la signoria di Venezia, stipulando che, qualunque volta i Veneziani
-farebber oste da Ragusi fin a Ravenna, i Fanesi gli aiuterebbero con
-una galea armata a proprie spese: nelle guerre da Ancona fin a Ravenna,
-militerebbero con loro: inoltre manderebbero i loro savj al parlamento
-comune in Venezia, ogniqualvolta fossero chiamati, siccome usano tutti
-gli altri _fedeli_: e di ciò fanno ampio giuramento salvo sempre il
-servigio all’imperatore di Germania. AMIANI, _Memorie storiche di
-Fano_, tom. II, parte 7ª.
-
-Pergine, grossa borgata sulla via fra Trento e Bassano, godeva
-di antichissime libertà sotto la primazia del vescovo Tridentino,
-ma molte gliene usurpò il castellano imperiale, che la rese feudo
-ereditario di sua famiglia, colle prepotenze consuete. Stanchi delle
-quali, e profittando delle guerre del Barbarossa, i Perginesi nel
-1166 s’accolsero nel monastero benedettino di Santa Maria in Valdo,
-e stesero un atto con cui i rettori e seniori di tutte le gastaldie
-di quel Comune si sottoponeano al Comune di Vicenza, obbligandosi con
-giuramento ad essergli fedeli servidori e amici, ajutarlo in guerra con
-ducento armati, pagar la solita colletta sui fuochi; ne riceveranno un
-podestà, che però li lasci viver _secondo le consuetudini che tengono
-da cento, ducento e quattrocento anni, tanto a legge salica che a
-longobarda:_ essi li libereranno e preserveranno dalla tirannia di
-Gundibaldo castellano di quel distretto, aboliranno tutte le angherie
-e pesi da esso imposti, e il godimento delle prime notti, e i servigi
-di corpo a cui esso li forzava, retribuendogli invece qualvolta
-devano prestar opera al podestà in castello. Possano, come in antico,
-eleggersi il giudice, soggetto però al podestà; non siano mai per
-veruna ragione ceduti a Gundibaldo o alla sua famiglia; nè costretti
-guerreggiar contro l’impero o le chiese di Trento e di Feltre. Il
-documento è stampato nelle _Notizie storiche intorno al b. m. Adelperto
-vescovo di Trento_ di frà BENEDETTO BONELLI, tom. II. Trento 1761.
-
-Nel _Liber jurium_ al 1199 leggonsi i patti con cui il Comune di
-Vinguelia, quello di Albenga, quello di Diano si sottoposero al Comune
-di Genova; e quelli di Oneglia, San Remo, Porto Maurizio si allearono
-con esso: nel 1202 quel di Savona si sottomise.
-
-In tal anno gli uomini delle valli d’Arocia, d’Andoria, d’Oneglia, di
-Petralata, di Rezio, di Nasco fecero alleanza coi Genovesi; e i primi,
-per mezzo de’ loro consoli, promettevano salvare e custodire gli uomini
-di Genova e del distretto per mare e per terra; «non proibiremo si
-porti a Genova grano o altra vivanda o merce; se quel Comune faccia
-oste o cavalcata, daremo all’esercito mercato di grano e vettovaglie;
-richiesti faremo esercito a nostre spese, e campeggeremo per tutto il
-contado di Ventimiglia, la marca d’Albenga, il vescovado di Savona, a
-comando de’ consoli o podestà; se il Comune di Genova guerreggi da Gavi
-o da Palodo fin a Portovenere, terremo nell’esercito cento arcieri;
-se alcuna città, vescovo o persona della riviera e del contado citerà
-in giudizio alcuna di esse valli, gli faremo giustizia nella curia di
-Genova; per custodia di Porto Bonifacio daremo ogni anno due uomini
-a spese nostre, come ordineranno il podestà e i consoli di Genova;
-se il podestà o i consoli ci richiedano di consiglio, gli daremo il
-migliore, e gli terremo credenza de’ secreti affidatici; ogni anno
-a san Giambattista, in segno di devozione e fedeltà, manderemo alla
-chiesa di San Lorenzo un cero di venticinque libbre; non faremo patto
-o giuro con verun luogo o terra o persona senza salvare ed eccettuare
-questa convenzione, la quale farem giurare da tutti gli uomini di
-esse valli e luoghi dai quindici ai settant’anni, e rinnovare ogni
-cinque anni». Di rimpatto il podestà di Genova prometteva protezione
-e salvezza agli uomini di que’ Comuni; «darò un mercato ad Andoria il
-primo d’agosto, e l’altro ad Oneglia l’Ognissanti, dove se nasca alcuna
-controversia, sarà definita da quelli che Genova deputerà all’uopo; vi
-correranno i pesi e le misure della città, come negli altri mercati del
-contado e della riviera; se alcuno di Ventimiglia, d’Albenga, di Savona
-voglia forzarvi contro giustizia, appellerete alla curia di Genova, e
-noi li citeremo, e se non compajono, vi difenderemo e manterremo nel
-diritto vostro; vi concediamo che possiate comprare ed estrarre da
-Genova qualunque merce vi occorra, salvi i diritti della città e dei
-cittadini». Il cintraco, vogliam dire il gastaldo, a nome e sull’anima
-del popolo giurò queste convenzioni in un parlamento, ove ad essi fu
-data l’insegna del Comune di Genova, perchè appaja che meritarono la
-piena grazia della città. — _Liber jurium_, tom. I. pag. 473.
-
-Segue una stipulazione molto più particolareggiata coi consoli di Naulo.
-
-[193] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., I. 861. Il 1183 i consoli di
-Casale rimettono ogni pretensione per danni recati al loro Comune da
-Vercellesi, confermandolo tutti i cittadini maggiori e minori, radunati
-nella solita piazza al campanile di Sant’Evasio.
-
-[194] Ivi, 20 aprile 1212.
-
-[195] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1040, 1231.
-
-[196] DANIEL, _Chron. ms._ ap. _Antichità longobardiche milanesi_,
-diss. XXI; _Archivio storico_, tom. XV. D’altre più recenti si trova
-esempio in Romagna fin nel secolo XVI, come i Pacifici estesi per tatto
-il paese, e la Santa Unione a Fano. V. AMIANI, _Mem. di Fano_, II. 146.
-
-[197] CIBRARIO, _St. della monarchia di Savoja_, tom. I. doc. 2º.
-
-[198] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, 392.
-
-[199] I documenti sono pubblicati dal Minutoli nel vol. X
-dell’_Archivio storico_.
-
-[200] Pubblicati nei _Monum. Hist. patriæ_. Vedi pure CIBRARIO,
-_Storia di Chieri. — Si quis, qui non sit de societate Sancti Georgii,
-percusserit aliquem dicte societatis, vel manum posuerit in persona
-alicujus dicte societatis, podestas vel rector dicte societatis, vel
-consules teneantur et debeant precise et sine tenore facere sonari
-stremitam, et se armare et currere ad arma omnes illos predicte
-societatis, et ad se venire armatos facere, et facere cum ipsis
-ultionem de maleficio commisso secundum qualitatem maleficii et
-personæ; et si incontinenti ultionem non fecerit, potestas vel rector
-vel consules habeant plenam licentiam et bayliam ad suam voluntatem
-faciendi ultionem in illo qui malificium commiserit, vel coadjutoribus
-suis, ita quod ultio fiat, et non possit remanere ullo modo q....
-Item statutum est quod si contingeret (quod absit) quod rumor sive
-rixa moveretur in aliquo loco inter aliquas personas, quod quilibet
-supradicte societatis qui hoc audiverit vel viderit illuc, currat omni
-obmisso negocio: et si viderit quod dicta rixa esset inter aliquos
-qui essent de dicta societate, quod ille et illi qui ibi erunt de
-dicta societate debeant fortiter et robuste prestare illi vel illis
-qui essent de dicta societate qui rixam haberent, auxilium, consilium
-et favorem totis viribus atque posse cum armis vel sine armis etc._
-Statuta Cherii, pag. 774. 776.
-
-[201] _Cronaca di Neri di Donato_. Rer. It. Scrip., XV. 224-294.
-
-[202] Vedi, per Genova, CUNEO, _Mem. sopra l’antico debito pubblico
-ecc._, pag. 258; per Firenze G. VILLANI, lib. XI; per Napoli ANDREA
-D’ISERNIA, _Commento alle Costituz._, I. — In Bologna ogni forestiere
-che entrasse dovea farsi porre un suggello di cera rossa sull’ugna del
-pollice. Michelangelo non conoscendo quest’uso, fu multato in cinquanta
-lire di bolognini, come narra A. Condivi nella Vita di esso.
-
-[203] In Milano la prima menzione di tale gabella è del 1271; poi
-Filippo Maria Visconti sostituì il sale forzato alla tassa dei
-focolari. In Genova la gabella del sale è accennata nel 1214 (CAFFARO,
-IV. 406); in Reggio nel 1261 (_Mem. potest. reg._ Rer. It. Scrip.,
-VIII. 1172); in Parma il 1292 (_Chron. parm._, ib. IX. 823).
-
-[204] Stima il Giulini che l’imposta diretta sui fondi siasi
-primamente stabilita sotto il duca Filippo Maria, circa il 1423; e che
-nell’immunità accordata al convento di Pontida (ann. 1129 ap. TRISTANO
-CALCO, _quibus pergravari interdum prædia solent_) quell’_interdum_
-mostri appunto che non era costante. Il fatto da noi riferito secondo
-il Fiamma e il Corio al 1240, lo contraddice. Vedi CORIO e GIULINI,
-_passim._; G. VILLANI, X. 17; CAFFARO, IV. 17; PAGNINI, _Della decima
-fiorentina_, I. 25.
-
-[205] GIULINI, lib. LIV — INNOCENTII IV, _Ep._ 24 settembre 1250 —
-CAFFARO, VIII. 541 — _Ant. M. Æ._, diss. XL.
-
-[206] Fra i Turchi d’oggi i pesi pubblici decretati sono più leggeri
-che in qualunque dipendenza europea: ma noi, pagata l’imposta, siam
-garantiti del resto, e possiamo goderlo o accumularlo a volontà;
-colà invece può venire il bascià o un suo satellite a spogliarvi.
-Manca dunque la sicurezza: perciò si fabbrica il men possibile; non
-si restaura; se un muro minaccia cadere, si puntella; se cade, è una
-camera di meno; se cade tutta la casa, si ritirano il più presso che
-possono per valersi dei materiali ed erigerne un’altra.
-
-[207] _Nullus audiatur de jure suo, qui dare aliquid teneatur communi_.
-Stat. Fior., lib. IV. _Tract. de extimis_, rubr. 33. Altrettanto
-portavano gli statuti di Chieri, di Casale, ecc.
-
-[208] Vedine gli statuti nei _Monum. hist. patriæ. — Anno etc.
-presentia etc. Rainerius de Monbello obligavit consulibus Vercellarum
-nomine communis casam quam emit a Manifredo Caroso, ita quod sit aperta
-communi si ullo tempore habitaculum Vercellarum relinquerent_. Chart.
-I. 995. E prima e dopo vi ha moltissimi patti di cittadinanza assunta
-in Vercelli, sempre con questa convenzione della casa. I Vercellesi,
-volendo avere il cittadinatico in Milano, vi comprarono una casa nel
-1221 al prezzo di 210 lire di terzoli. Nei tante volte citati _Monum.
-Hist. patriæ_, Chart. I al 1199 e seguenti, stanno le divisioni degli
-uomini di Biandrate, fatte tra i Comuni di Vercelli e Novara; poi nel
-1201 divisero i territorj di Biandrate, Vicolungo, Casalbertrando; e
-gli uomini ammessi al Comune danno tutti la garanzia d’una casa.
-
-[209] Il diritto di zecca era talmente ritenuto regio, che Venezia nel
-1285, cioè quando era indipendente da otto secoli, chiese al papa ed
-all’imperatore il diritto di battere gli zecchini (SANUTO, _Vite dei
-dogi_; ZANETTI, _Delle monete e zecche d’Italia_; CARLI e ARGELATI,
-_Delle monete d’Italia_). Vecchie sono le monete di Napoli col solo
-tipo di san Gennaro. I Normanni ne coniarono, s’ignora dove. Venezia
-neppur si sa quando n’ebbe il diritto; la più vecchia sua moneta è
-del 972. Nè si sa quando cominciasse Ancona col tipo di san Ciriaco.
-Dopo l’XI secolo Aquila, Aquileja, Rimini, Arezzo, Ascoli, Asti,
-Bergamo, Messina 1139, Piacenza 1140, Bologna 1191, Brescia 1162,
-forse Cortona, certo Cremona 1115, Tortona da Federico I, Ferrara
-1164, Fermo dai papi all’entrare del secolo XIII, Firenze, Genova e
-Piacenza da Corrado II. Monete si citano di Mantova avanti l’XI secolo,
-di Modena, Parma, Padova, Perugia e Reggio nel XIII, di Pisa fin dal
-1175: dubbie sono quelle dei conti di Savoja salenti fin al 1048: Siena
-vantane il privilegio del 1086; forse Spoleto sotto i Longobardi, e
-Torino a mezzo il secolo XIII, Verona nell’XI, Volterra al 1231. Più
-recenti sono quelle di Urbino, Vigevano, Vicenza, Sinigaglia, Saluzzo,
-Recanati, Pesaro, Macerata, Forlì. Dopo il 1500 ebbero zecca Lecco e
-Musso, durante il dominio di Gian Giacomo Medici. Il Carli, leggendo
-_genenses_ per _ticinenses_ credette la zecca di Genova esistesse nel
-769. Giovan Gandolfi (_Della moneta antica di Genova_) prova che Genova
-battea monete prima del 1139, in cui n’ebbe diploma da Corrado II; e
-certo fin dal 1102, però col tipo di Pavia; inoltre, che un anno prima
-di Firenze coniò la moneta d’oro, la quale, secondo lui, potè servir
-d’esempio al fiorino.
-
-[210] Allora 72 grani d’oro equivalevano a 770 d’argento. Sarebbe
-stato opportunissimo tener per legale un solo metallo, e non alterare
-la proporzione fra i due col variare le parti aliquote dell’argento
-come si fece. La moneta d’argento chiamata _lira_ non fu battuta che
-da Cosimo I nel 1531, della bontà di 90-3/4, e del taglio di 72 la
-libbra. Tre sorta di ducati avevano i Veneziani: quello d’oro di circa
-lire 17; d’argento, valuta effettiva da lire 4 a 4,50; di conto da lire
-3,25 a lire 4. Nell’amministrazione contavasi per ducati effettivi;
-in commercio, per ducati di conto: l’effettivo valeva 8 lire venete,
-l’altro lire 6 e denari 4. Vedi CARLI, diss. VII.
-
-In un istromento del 1265 nell’Archivio diplomatico di Firenze, rogato
-in Passignano, un debitore di lire quattro cede a un suo fratello
-creditore un pezzo di terra al Poggio a vento, perchè si rimborsi coi
-frutti di questo, valutati ai prezzi seguenti:
-
- Lo stajo del grano soldi 2
- » dell’orzo e delle fave » 2 denari 4
- Il congio del vino » 8
- L’orcio dell’olio » 10
- La mannella del lino a saggio » — » 10
-
-[211] Il barbaro _budget_ è di origine italiana, derivando dalla
-_bolgetta_ o tasca, in cui il massajo o ministro delle finanze portava
-i conti al parlamento.
-
-[212] Leggi del 10 dicembre 1268, e 21 luglio 1296.
-
-[213] È stampato nella storia di Giugurta Tommaso.
-
-[214] _Quosdam montes et nemora quæ sunt circa Panormum, muro
-fecit lapideo circumcludi, et parcum deliciosum satis et amœnum
-diversis arboribus insitum et plantatum construi jussit, et in eo
-damas, capreolos, porcos sylvestres jussit includi: fecit et in hoc
-parco palatium, ad quod aquam de fonte lucidissimo per condiictus
-subterraneos jussit adduci._ Chron. Salern. in _Rer. It. Scrip._, vol.
-VII. pag. 194.
-
-Ancora la campagna di Palermo è sparsa di guglie (ivi dicono
-all’arabica _giarre_), che sono sfiatatoj degli acquedotti sotterranei
-fabbricativi al tempo degli emiri, e che ricreano di fontane la città,
-ed elevano l’acqua anche ai piani superiori delle case.
-
-[215] Un quartiere di Palermo serba tuttora il nome di Papireto. Non
-è della natura dell’egizio, bensì di quello di Siria, e differisce da
-quello che germoglia a Siracusa.
-
-[216] _Nec vero illas palatio adhærentes silentio præterire convenit
-officinas, ubi in fila, variis distincta coloribus, serum vella
-tenuantur, et sibi invicem multiplici texendi genere coaptantur.
-Hinc enim videas amita, damitaque et trimita minori peritia perfici_
-(cioè di uno, due, tre licci): _hinc examita_ (sciamito) _uberioris
-materia condensari: heic diarhodon igneo fulgore visum reverberat; heic
-diapisti color subviridis intuentium oculos grato blanditur aspectu;
-hinc exantosmata_ (a fiori) _circulorum varietatibus insignita, majorem
-quidem artificum industriam et materia ubertatem desiderant, majori
-nihilominus pretio distrahenda. Multa quidem et alia videas ibi varii
-coloris ac diversi generis ornamenta, in quibus ex sericis aurum
-intexitur, et multiformis picturæ varietas, gemmis interlucentibus
-illustratur. Margaritæ quoque aut integræ cistulis aureis includuntur,
-aut perforatæ filo tenui connectuntur, et eleganti quadam dispositionis
-industria, picturati jubentur formam operis exhibere._ UGO FALCANDO, in
-_Rer. It. Scrip._, vol. VII.
-
-[217] ROSARIO DE GREGORIO, _Discorso intorno alla Sicilia_, Palermo
-1826.
-
-[218] ROMUALDI SALERNITANI _Chron. ad_ 1153.
-
-[219] Frammento pubblicato da M. Amari. Parigi 1846.
-
-[220] PELLEGRINI, _Ad Falcandum Benevent._ ad an. 1140.
-
-[221] _Quoscumque viros aut consiliis utiles, aut bello claros
-compererat, cumulatis eos ad virtutem beneficiis invitabat,
-transalpinos maxime._ UGO FALCANDO.
-
-[222] GIANNONE, lib. XI, c. 4.
-
-[223] Dicevasi che costei fosse monaca, e allora se ne sciogliessero i
-voti:
-
- Sorella fu, e così le fu tolta
- Di capo l’ombra delle sacre bende.
- Ma poi che pur al mondo fu rivolta
- Contro suo grado e contro buona usanza,
- Non fu dal vel del cor giammai disciolta.
- DANTE, _Parad._, III.
-
-Un cronista la fa zoppa e guercia, mentre Goffredo di Viterbo canta:
-
- _Sponsa fuit speciosa nimis, Constantia dicta._
-
-[224] _Chr. Placent._ Rer. It. Scrip., XVI.
-
-[225] _Omnes cœperunt inter se de majoritate contendere, et ad regni
-solium aspirare_. RICARDI S. GERMANI, _Rer. It. Scrip._, VI.
-
-[226] _Hist. Sicula_, pag. 252 e seg.
-
-[227] Ruggero Hoveden cronista inglese racconta che il papa pose in
-testa all’imperatore e all’imperatrice la corona coi piedi, e subito
-pur coi piedi ne la sbalzò, per significare la sua autorità di dare e
-togliere i regni. Ha poco del probabile.
-
-Il giuramento era: _Ego N. futurus imperator, juro me servaturum
-Romanis bonas consuetudines, et firmo chartas totius generis et
-libelli sine fraude et malo ingenio. Sic me Deus adjuvet et hæc sancta
-Evangelia._ Le cerimonie della coronazione sono descritte dal cardinale
-Cencio, che poi fu papa Onorio III, e ch’era stato presente alla
-coronazione di Enrico; e furono pubblicate da PERTZ, _Monum. germ.
-hist._, tom. IV. p. 187.
-
-[228] _Imperium in hoc non mediocriter dehonestavit._ OTTO DE S.
-BLASIO, pag. 889.
-
-[229] _Imperator ipse regnum intrat, papa prohibente et contradicente_.
-RICARDI S. GERMANI, pag. 972.
-
-[230] Il marco di Colonia pesa gramme 233.87. Il franco contiene
-gramme 4-1/2 di fino; sicchè il marco di Colonia vale fr. 51.97.
-Dunque centomila marchi fanno franchi 5,197,100. In Sicilia correvano
-gli _schifati_, moneta greca, detta così perchè formati a barca. Una
-col nome di Guglielmo II in arabo, pesa 16 grani d’oro fino, sicchè
-oggi varrebbe franchi 2.88. Altra moneta siciliana erano i _tarì_, dei
-quali, sul fine del XII secolo, si tagliavano 24 da un’oncia d’oro,
-cioè pesavano gramme 0.8792, valenti oggi franchi 2.63. Poco dopo se ne
-tagliavano 29-1/2, e spesso il peso variò; giacchè l’impronta garantiva
-il titolo, ma del resto si contrattavano a peso.
-
-[231] _Omne aurum et argentum, quod de regno ad manus habere potuit,
-congregavit, et in Alemanniam misit._ Chron. Fossæ Novæ, pag. 880. Vedi
-OTTO DE S. BLASIO, pag. 897.
-
-[232] Le cronache raccontano le precauzioni con cui essa ne dimostrò ai
-popoli la realità: il papa stesso dovette intervenirvi, e le fece dar
-giuramento che quel figlio era procreato da Enrico.
-
-[233] FAZELLI, _Storia di Sicilia_, lib. VIII. c. 1.
-
-[234] Nella rotta data in Sicilia a Markwaldo si trovò il testamento di
-Enrico VI, ove imponeva a Federico suo figlio di riconoscere dal papa
-il regno di Sicilia, il quale tornasse alla Chiesa qualora mancassero
-eredi; se il papa confermasse al figlio l’Impero, ne fosse ricompensato
-col restituirgli tutta l’eredità della contessa Matilde; Markwaldo
-riconosca dal papa e dalla Chiesa il ducato di Ravenna, la terra di
-Bertinoro, la marca d’Ancona, Medicina e Argelata sul Bolognese, i
-quali ricadano alla Chiesa s’egli muore senza eredi. Il testamento è
-stampato dal Muratori.
-
-Giovanni da Ceccano esclama: — È pur morto quel leone feroce, quel lupo
-sterminatore delle agnelle, quell’orrido serpente che tanti immolò.
-Apuli, Calabri, Toscani, Liguri, tutti i popoli partecipano alla gioja
-del sommo pontefice, ed esultano di vedersi finalmente liberati dal
-tiranno che la mano di Dio colpì». E Ottone di San Biagio: — I Tedeschi
-devono eternamente deplorare il lamentabile fine dell’imperatore
-Enrico, perchè egli arricchì la Germania e la rese terror delle
-nazioni. Col coraggio e l’abilità avrebbe rimesso l’impero romano nel
-primitivo splendore se morte nol preveniva».
-
-[235] RICARDI S. GERMANI, pag. 978.
-
-[236] A Verona v’ha questo epitafio lambiccato:
-
- _Luca dedit lucem tibi Luci, pontificatum_
- _Ostia, papatum Roma, Verona mori;_
- _Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma_
- _Exilium, curas Ostia, Luca mori._
-
-[237] _In qua plus timebatur ipse quam papa_. Gesta Innocentii III, § 8.
-
-[238] Scossa dal tremuoto del 1319, fu poi demolita sotto Urbano III.
-
-[239] Vedi il 2º e l’8º can. del IV concilio Lateranese _de probatione_.
-
-[240] Antonio Vitale scrisse la _Storia de’ senatori di Roma_: ma
-è opera che meriterebbe essere rifatta. La storia di Roma fu sempre
-confusa con quella dei papi.
-
-[241] Il testo della lega Toscana fu pubblicato da Scipione Ammirato
-juniore nella _Storia dei conti Guidi_.
-
-[242] _Suppositus partus, quod testibus adstruere promittebat_. Gesta
-Innocentii III, § 23.
-
-[243] Ce lo racconta il francese Villehardouin, che v’assisteva in
-persona. A Paolo Ramusio il giovane, figlio del cosmografo Giovan
-Battista, il senato veneto diede incarico di tradurre in latino la
-storia della conquista di Costantinopoli di esso Villehardouin. Esso
-svolse altre memorie intorno a que’ fatti, e in sedici anni formò
-l’opera _De bello Constantinopolitano_, finita il 1573, ma stampata
-solo nel 1609.
-
-[244] Fu allora che i Veneziani acquistarono i cavalli di Lisippo, che
-ornano ora il pronao di San Marco. Narra il Sanuto che nel trasportarli
-a Venezia si spezzò la gamba di un cavallo: Domenico Morosini, che
-comandava il vascello di trasporto, impetrò di conservarla come un
-ricordo; e il consiglio assentì, e ne fece mettere una nuova, _ed io
-ho veduto il detto piede_. Questo fatto sfuggì ai descrittori di quel
-trofeo di tante vittorie.
-
-[245] Allora Cremona spedì mille persone per arricchirsi delle spoglie
-di Costantinopoli, come mandò una gran nave sotto Acri.
-
-[246] SANDI, _Storia civile_, pag. 620.
-
-[247] I patti per la imposta di Costantinopoli, stipulati nel marzo
-1204 fra la Signoria veneta da una parte, e dall’altra il marchese
-Bonifazio di Monferrato e i conti di Fiandra, di Blois, di San Paolo,
-sono stampati nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1109, dove pure
-la cessione che esso Bonifazio fa ai Veneziani dell’isola di Creta e
-d’altre terre in Levante.
-
-[248] _Decretum venetum_ ap. CANCIANI, v. 124.
-
-[249] La lettera d’Innocenzo III è importantissima per conoscere le
-pretensioni e il modo di vedere della santa Sede. _Regesta Imperii_,
-nota 20 e seg.
-
-[250] Nel 1160 Uguccione, vescovo di Vercelli, con un legno che teneva
-in mano, investe gli uomini di Biella del monte Piazzo come feudo,
-a patto che quei di loro che vogliano abitarvi devano ciascuno far
-fedeltà a maniera di vassallo; poi maschi e femmine possiedano essa
-terra finchè vivono, indi abbiano podestà di venderla tra sè, ma non a
-chi non sia abitante di esso luogo. Il vescovo permette che godano in
-esso monte i buoni usi che godevano da antico in Biella (_omnibus bonis
-usis, quos erant usi habere in loco Bugelle in veteri tempore_); onde
-rimette i bandi che egli soleva avere in essa Biella, salvo i seguenti:
-spergiuro, adulterio, furto, omicidio o ferita, pesche e caccie.
-Essi uomini devano salire quel monte, edificarvi, non impedire che il
-vescovo vi salga con suo seguito; ma egli non vi porrà castellano se
-non con loro consenso. MULLATERA, _St. di Biella_, pag. 36.
-
-Bongiovanni, nunzio del vescovo di Vercelli, imponeva che i possessori
-di un tal manso portassero ogni anno i rami di olivo per la domenica
-delle Palme, e metà del crisma, ed empissero metà delle fonti; e
-quei dell’altro, portassero l’altra metà del crisma, ed empissero il
-resto delle fonti, e facessero il fuoco a Natale e a Santo Stefano, e
-scuotesserlo alla Candelara e al sabbato santo. _Monum. Hist. patriæ_,
-Chart. II. 1294.
-
-Gualterio vescovo di Luni nel 1200 questi patti faceva agli uomini di
-sua giurisdizione. Se molti siano consorti in un villaggio, ed uno o
-più facciano tradimento, sieno privati d’esso villaggio, ed aprasi
-ai loro eredi; o se non n’abbiano, vi sottentrino i consorti. Se
-alcuno tardi due anni il fitto o livello, paghi il doppio, oppure sia
-privato dell’ente per cui paga. Nessuno acquisti casa o campo o vigna
-senza istromento. Se alcuno depone querela contro un altro, anticipi
-quattro lire imperiali al giudice o ai consoli; e questi non ricevano
-più di sedici denari per lira, da pagarsi da chi perde la causa. Così
-determina il prezzo degli atti notarili. Se alcuno mena moglie, non
-dia come antefatto più d’un terzo della dote. Nessuna vedova si mariti
-durante il lutto, ecc. _Ivi_, 1203.
-
-[251] LUPO, _Cod. diplom._, tom. II, passim; RONCHETTI, _Mem. stor.
-della città e chiesa di Bergamo_, cap. IV. p. 27.
-
-[252] _Et sic civitas Mediolani, quæ territorio trium milliariorum
-extra civitatem contenta fuerat, longe lateque alas suas expandit. Nam
-ducatus Burgariæ, marchionatus Marthexanæ, comitatus Seprii, comitatus
-Parabiagi, et comitatus Leuci, qui omnes quasi domestici inimici terram
-istam semper invaserant...., facti sunt subjecti et servi perpetui
-civitatis Mediolani._ GALV. FIAMMA, Manip. florum.
-
-[253] _Breve istoria dell’origine e fondazione della città del Borgo di
-Sansepolcro_, per ALESSANDRO GORACCI, 1636. Gli storici del secolo XVI
-e XVII non intendono nulla degli ordinamenti municipali; pure aveano
-sottocchio carte che poi si smarrirono, e tradizioni non ancora spente.
-In tutti vedi una città che si redime dai conti, compra privilegi dagli
-imperatori, abbatte i castellani vicini, i quali poi venuti in città,
-vi portano resìe.
-
-[254]
-
- _Et nunc iste comes, consors et conscius ante,_
- _Ille potens princeps, sub quo romana securis_
- _Italice punire reos, de more vetusto,_
- _Debuit injustitiæ, victrici cogitur urbi_
- _Et modicus servire cliens, nulloque relicto_
- _Jure sibi, dominicæ metuit mandata superbæ._
- GUNTERO, lib. III.
-
-[255] Nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 708. 807. 865. 910.
-
-[256] _Bertoldus princeps Aquilejæ est amicatus cum Paduanis, et factus
-est paduanus civis; et in cittadinantiæ firmitatem et signum fecit
-de sua camera quædam in Padua ædificari palatia, et se poni fecit cum
-aliis civibus Paduæ in coltam sive datiam. Tunc quoque incepit mittere,
-et adhuc mittit hodie omni anno de suis melioribus militibus duodecim,
-qui jurant, in principio potestariæ cujuslibet, præcepta et sequentia
-potestatis pro domino patriarca et suis. Quod videns feltrensis et
-belunensis episcopus, fecit et ipse similiter, non tamen in quantitate
-eadem._ ROLANDINO.
-
-[257] SAVIOLI, _Ann. bologn._, I. dipl. CLVI.
-
-[258] Dalle storie bolognesi ricaviamo che nel 1123 i consoli col
-vescovo ricevono in protezione i castelli di Rudiliano, Sanguineta,
-Cavriglia; nel 1131 quei di Nonantola come cittadini d’una delle
-quattro porte, ed essi giurano fare due spedizioni all’anno fin ai
-confini, una con cavalli, l’altra pedoni; nel 1144 quei di Savignano
-e Cetola si fanno cittadini, cedendo la rôcca e la curia; nel 1157
-quei di Monteveglio, Moreto, Caneto giurano, obbligandosi militare
-pei Bolognesi anche contro l’Impero; nel 1164 i castelli di Bedolo,
-Battidizio, Gesso, Trifane giurano obbedienza al popolo maggiore e
-minore di Bologna, e pagargli il fitto e il feudo ecc.
-
-[259] «Et che nullo nobile.... undunque sia, possa u debbia in alcuna
-cauza criminale in alcuna Corte contro alcuno di popolo rendere
-testimonia, e se la rendrà la testimonia non vaglia, ne tegna ipso
-jure, et nondimeno sia condannato dal capitano del populo da lire
-X. in lire C ad suo arbitrio, _Statuti di Pisa, ms_. § 162. — Et che
-nullo nobile della cita di Pisa u daltronde, ad tempo d’alcuno romore,
-durante lo romore ardisca u presuma d’escire con arme u sensa arme
-della casa in de la quale elli abita sotto pena del avere et della
-persona ad arbitrio del capitano. _Ivi_, § 165».
-
-Con bel decreto, dato da Parma il luglio 1226, Federico II manda suo
-podestà alla ghibellina Pavia Villano Aldighieri di Ferrara, perchè
-severamente mantenga la concordia fra’ cittadini: a tal uopo ordina si
-sciolga qualunque società di popolani o di militi; nè gli uni nè gli
-altri abbiano podestà o consoli speciali, ma vengano tutti governati
-dal rettore del Comune, dal quale solo dipendano gli armati; statuarj,
-consiglieri, uffiziali sieno eletti come faceasi da dieci anni in poi;
-annullata la libertà dai militi data ad alcuni borghi od abitanti del
-distretto; non si ponga ostacolo al portar vittovaglie in città; non
-si faccia adunanza di nobili o di popolo a suon di campana; bando e
-infamia a chi contraffà.
-
-[260] _Statut._, lib. III. c. 168. 169. Lo statuto 170, _de cerna
-potentium_, fa il catalogo delle famiglie nobili, _ne sub velamine
-popularium defendantur_.
-
-[261] _Croniche_, IV. 78. — Ai Guelfi rende giustizia persino Voltaire,
-dicendo che l’imperatore _voulait régner sur l’Italie sans borne et
-sans partage_ (Essai, cap. 66); e chiama i Guelfi _partisans de la
-papauté, et encore plus de la liberté_ (cap. 52). Guelfi e Ghibellini
-erano come i Tories e Whigs dell’odierna Inghilterra; bisogna essere
-di quel partito, e conservarlo quand’anche cambia; i Tories del 1843
-fecero tutto quello che voleano i Whigs nel 1830. Così i Guelfi di
-Firenze divengono fautori dell’Impero e nemici del papa; non cambiano
-nome, ma diconsi _bianchi e neri_; Dante era guelfo, come testè fu tory
-Roberto Peel.
-
-Vedi il trattato di Bártolo sui Guelfi e Ghibellini. Una storia de’
-Guelfi e Ghibellini nostri sarebbe la più bella spiegazione delle
-vicende italiane.
-
-[262] Nelle _Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca_,
-vol. III. p. 47, leggesi: _Orlandinus notarius, filius domini
-Lanfranchi, et Chele filius Lamberti, sindici et procuratores hominum
-partis guelfæ, eorum terræ.... volentes se et alios eorum partis ab
-erroris tramite revocare, et Lucanam civitatem recognoscere tamquam
-eorum matrem, et ad hoc ut tota provincia vallis Neubulæ_ (val di
-Nievole) _bonum statum sortiatur, promiserunt et concenerunt... quod
-ipsi et alii eorum partis guelfæ de dictis communitatibus perpetuo
-erunt in devotione Lucani communis etc._
-
-In Milano il colore de’ Guelfi era il bianco, de’ Ghibellini il rosso.
-In Valtellina i Guelfi portavano piume bianche alla tempia destra e
-un fiore all’orecchio destro; i Ghibellini piume rosse o un fiore alla
-sinistra. Tutti i palazzi di Firenze hanno merli quadrati, eccetto uno.
-Brescia nel 1212 avea tre podestà, eletti da tre fazioni.
-
-[263] Vedasi in capo ai vol. I e II dei _Monumenta historica ad
-provincias Parmensem et Placentinam pertinentia_ (Parma 1857) un
-discorso del cav. Ronchini, che dà la storia civile del paese. L’ultimo
-degli statuti di Parma, stampati nel 1858, è tale: _Nullus de civitate
-vel episcopatu Parmæ de cetero contrahat aliquam parentelam vel
-matrimonium cum aliquo vel cum aliqua, qui vel quæ non sit de parte
-Ecclesiæ: nec aliquis sit mediator nec proxeneta nec relator verborum
-aliquorum dictæ parentelæ faciendæ, nec testis, nec instrumentum
-celebret seu scribat, nec promissionem, nec securitatem, nec tractatum
-faciat, vel recipiat ullo modo alicujus parentelæ faciendæ, in aliquo
-tempore. Et si aliqua promissio vel securitas facta est de aliqua
-parentela facienda, sit nullius momenti. Et si qui vel si qua de cetero
-contra prædicta vel aliquod prædictorum fecerit vel facere præsumserit,
-in tantum puniatur. Mediator vero, sive proxeneta puniatur in trecentis
-libris parm.; et testis in trecentis libris parm., et tabellio puniatur
-in tantumdem, et perpetuo ab officio notariatus sit remotus: fratres
-nihilominus mulierum, si patrem mulier non habet, in mille libris parm.
-quilibet puniantur._
-
-[264]
-
- Non s’attien fede nè a comun nè a parte,
- Chè Guelfo e Ghibellino
- Veggio andar pellegrino,
- E dal principe suo esser deserto.
- Misera Italia! tu l’hai bene esperto
- Che in te non è latino
- Che non strugga il vicino
- Quando per forza e quando per mal arte.
- GRAZIOLO, cancelliere bolognese nel 1220.
-
- Ed ora in te non stanno senza guerra
- Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
- Di quei che un muro ed una fossa serra.
- Cerca, misera, intorno dalle prode
- Le tue marine, e poi ti guarda in seno
- Se alcuna parte in te di pace gode.
- DANTE, _Purg._, VI.
-
-Benchè non fossero costanti nel parteggiare, offriamo alquanti dei nomi
-che assumeano le fazioni in varie città:
-
- GUELFI GHIBELLINI
- Milano Torriani Visconti
- Firenze Neri Bianchi
- Arezzo Verdi Secchi
- Genova Rampini Mascherati
- Grimaldi e Fieschi Doria e Spinola
- Como Vitani Rusca
- Pistoja Cancellieri Panciatichi
- Modena Aigoni Grasolfi
- Bologna Scacchesi (Geremei) Maltraversi (Lambertazzi)
- Verona San Bonifazio Tegio
- Piacenza Cattanei Landi
- Pisa Pergolini (Visconti) Raspanti (Conti)
- Roma Orsini Savelli
- Siena Tolomei Salimbeni
- Orvieto Malcorini Beffati
- Asti Solari Rotari
-
-A Roma i due fratelli Stefano e Sciarra Colonna erano capi, uno dei
-Guelfi, l’altro de’ Ghibellini. Inoltre erano emuli nelle varie città,
-senza star saldi a una parte sola, Beccaria e Langosco in Pavia;
-Tornielli e Cavalazzi o Brusati in Novara; in Ferrara Salinguerra e
-Adelardi; in Vercelli Avvocati e Tizzoni; in Lodi, Vignati e Vistarini;
-in Genova, Doria e Adorni; in Asti, Isnardi e Gottuari; in Perugia,
-Oddi e Baglioni; in Bergamo, Suardi e Colleoni, Bongi e Rivoli; in
-Brescia, Casalalta e Bruzella; in Perugia, Bettona, Assisi la parte di
-sopra e quella di sotto; in Padova, Carrara e Macaruffo; in Sicilia,
-Palizzi, Alagona, Ventimiglia, Chiaramonti; in Ravenna, Polenta e
-Bagnacavallo; in Imola, Mendoli e Brizi; in Faenza, Manfredi e Acarisi;
-in Rimini, Gambacari e Amadei; in Forlì, Ordelaffi e Galboli; in
-Cesena, Righizzi e Popolo; in Sangeminiano, Ardinghelli e Salvucci; in
-Sansepolcro, Graziani e Goracci contro Pichi e Righi; in Acqui, i Blesi
-e i Bellingeri.... A Savigliano erano ghibellini i Cambiano, i Soleri,
-i Galateri; in Alba, capi dei Guelfi i Graffagnini; e così via.
-
-[265] G. VILLANI, V. 9. — _In diebus meis vidi plusquam quinquies
-expulsos stare milites de Papia, quia populus fortior illis erat_.
-_Ventura_, _Chron. Astense_, cap. VIII. Rer. It. Scrip., XI.
-
-[266] _Chron. Astense_, cap. XVII. — SAVIOLI, _Ann. bologn. ad ann._ —
-G. VILLANI, IX. 213.
-
-[267] Dicevansi i Senesi il popolo più orgoglioso della Toscana
-e vendicativo; di malafede i Romagnuoli; volubili e impazienti i
-Genovesi: i Milanesi pacchioni ecc. San Bernardo nel 1152 scriveva:
-_Quid tam notum sæculis quam protervia et fastus Romanorum? gens
-insueta paci, tumultui assueta, gens immitis et intractabilis usque
-adhuc, subdi nescia nisi quum non valet resistere._ De consideratione,
-IV. 2. Basta legger Dante per raccorvi ingiurie contro ciascuno de’
-nostri popoli.
-
-[268] Avverti la distinzione tra i Ferraresi e il Comune di Ferrara.
-_Ant. Estensi_, part. I. c. 39.
-
-[269] Il carroccio di Cremona chiamavasi Gajardo; quel di Padova,
-Berta; quel di Parma, Crepacuore o Regoglio ecc.
-
-[270] Vedi spesso il Machiavelli, che dice come le guerre prima de’
-suoi dì «si cominciavano senza paura, trattavansi senza pericolo,
-finivansi senza danno»; lib. V. Anche il Guicciardini dice la battaglia
-del Taro «memorabile, perchè fu la prima che da lunghissimo tempo
-in qua si combattesse con occisione e col sangue in Italia». E più
-umanamente il buon Muratori narra d’una battaglia del 1469, importante
-«ma con uccisione di pochi perchè in questi tempi gli Italiani faceano
-guerra non da barbari ma da cristiani, e davano quartiere a chiunque
-non potendo resistere si arrendeva».
-
-[271] _Chron. Ferrariæ_, Rer. It. Scrip., VIII.
-
-[272] Chi ricorda le colonie civilizzanti e lavoratrici che proponevano
-i Sansimoniani nel 1833, e i Falansteri di Fourier predicati dopo il
-1840, ne troverà già il modello nei Cistercensi. Dove era il grosso
-dei loro possessi doveva porsi una colonia di frati conversi, diretti
-da un professo, il quale era come il fattore di tutta la grancia o
-cascina. Egli dava il segno quando dovessero uscire al lavoro, egli
-distribuiva ad essi i ferri del mestiere, egli ne fissava le funzioni
-di armentiero, carrettiere, zappatore, boaro, e così via. Non doveva
-accettarsi frate se non chi potesse guadagnarsi il vivere colle proprie
-mani. I conversi non doveano tenere alcun libro, nè imparar altre preci
-che il _pater_, il _credo_ e il _miserere_. Chi avesse dei fondi male
-andati chiamava una colonia di Cistercensi a rimetterli in essere: così
-Rainaldo arcivescovo di Colonia, ch’era venuto a portarci guerra col
-Barbarossa, avendo trovato la sua prebenda in disordine, chiamò di tali
-frati, _qui et curtibus præessent, et annuos redditus reformarent_.
-
-Il monastero di Chiaravalle fu fondato nel 1135 con tenuissime rendite,
-ma i monaci lavorando, comprando principalmente i _zerbi_ cioè incolti,
-e prendendo a livello, ebber in breve quattro buone possessioni: indi
-acquistarono il fondo di Cerreto nel Lodigiano, e Morimondo nel Pavese,
-e altri. A Chiaravalle, sopra uno spazio di tre pertiche appena, si
-incrocicchiano ben sette acquedotti artifiziali. Fin del 1138 ci resta
-un contratto, ove quei monaci compravano alquanti zerbi da un Giovan
-Villano col diritto di trarre acqua dalla Vetabia, e di potere all’uopo
-fare fossati traverso ai poderi d’esso Villano e una chiusa: _ut
-monasterium possit ex Vectabia trahere lectum, ubi ipsum monasterium
-voluerit: et si fuerit opus, liceat facere eidem monasterio fossata
-super terram ipsius Johannis ab una parte vie et ab alia, et possit
-firmare et habere clusam in prato ipsius Johannis, etc._ Di simil
-tenore molte carte sono addotte nelle _Memorie Longobardiche Milanesi_,
-e massime per l’acquisto delle acque d’un fosso che i Milanesi aveano
-fatto attorno alla città, obbligandosi di tenerlo spurgato. Fin
-d’allora vi riscontriamo tutti gli artifizj presenti di paratoje,
-stravacatori, salti di gatto, bocchelli, incastri; insegnarono essi
-l’economica distribuzione per ore, vendendo e affittandone il diritto.
-Coltivavano anche la vigna, e tutti gli storici nostri menzionano una
-botte di 500 brente di vino, ch’essi distribuivano in elemosina. _Prati
-marcidi_ son mentovati in carte del 1233 e 35 e 54.
-
-È un dovere il rammentare al secolo gaudente le opere di quei poltroni
-di frati (nota tratta dalla _Storia di Milano_ del Cantù).
-
-[273] AFFÒ, _Storia di Parma_, tom. II. p. 249. Anche più tardi Amedeo
-VIII di Savoja faceva doni a un eremita che s’occupava di mantenere
-le strade presso Ginevra, ed altri a un canonico che fondò la strada
-da Meillery a Bret. V. CIBRARIO, _Economia polit._, 363. Una supplica
-sporta il 5 aprile 1317 alla Signoria di Firenze comincia: _Cum fratres
-Sancti Salvatoris de Septimo et fratres Humiliatorum omnium Sanctorum
-de Florentia, olim et hodie multipliciter servierint et quotidie
-serviant communi et populo florentino in omnibus quæ ipsi communi
-expediunt etc._
-
-[274] «E tutte le creature appellava fratelli e sirocchie, dicendo
-che tutti aveano uno cominciamento da un medesimo creatore e padre».
-_Vite de’ Santi Padri._ — _Fratres mei aves, multum debetis laudare
-Creatorem.... Sorores meæ hirundines... Segetes, vineas, lapides
-et silvas, et omnia speciosa camporum, terramque et ignem, aerem et
-ventum, ad divinum movebat amorem.... Omnes creaturas fratris nomine
-nuncupabat, frater cinis, soror musca._ TOM. CELANO suo discepolo.
-_Acta SS. octobris_. Vedi i _Fioretti_ di san Francesco, uno de’ più
-ingenui libri del nostro Trecento.
-
-[275] È particolarità notevole nei frati questa venerazione per
-le opere di Dio, e la custodia delle piante storiche. Abbiamo già
-accennato l’albero di san Benedetto a Napoli: a Roma si sta volentieri
-al rezzo di quello ove san Filippo Neri col bello educava alla virtù
-i giovani del suo Oratorio: ivi pure a Santa Sabina additano un
-arancio piantato da san Domenico: uno da san Tommaso d’Aquino a Fondi.
-Se Aristotele o Teofrasto scrivessero ora la storia naturale, non
-dimenticherebbero queste particolarità.
-
-[276]
-
- Nullo donca oramai più mi riprenda,
- Se tal amore mi fa pazzo gire.
- Già non è core che più si difenda...
- Pensi ciascun come cor non si fenda,
- Fornace tal come possa patire....
- Data m’è la sentenza
- Che d’amore io sia morto;
- Già non voglio conforto
- Se non morir d’amore....
- Amore, amore, grida tutto il mondo;
- Amore, amore, ogni cosa clama...
- Amore, amor, tanto pensar mi fai;
- Amore, amore, nol posso patire;
- Amore, amore, tanto mi ti dai;
- Amore, amore, ben credo morire;
- Amore, amore, tanto preso m’hai;
- Amore, amore, fammi in te transire;
- Amor, dolce languire;
- Amor mio desioso,
- Amor mio dilettoso,
- Annegami d’amore.
- Amor, amor, Jesù son zonto a porto;
- Amor, amor, Jesù dammi conforto;
- Amor, amor, Jesù sì m’ha infiammato;
- Amor, amor, Jesù io sono morto...
- Amor, amor, per te sono rapita;
- Amor, amor, viva, non me dispregia;
- Amor, amor, l’anima teco unita;
- Amor, tu sei sua vita,
- Jam non se po’ partire,
- Perchè la fai languire,
- Tanto struggendo amore.
-
-[277] _Ap_. JOH. LUCIUM, _De regno Dalmatiæ_, pag. 338; e GHIRARDACCI,
-_Storia di Bologna_, lib. V.
-
-[278] _Impugnationis arma secum fratres non deferant nisi pro
-defensione romanæ ecclesiæ, christianæ fidei, vel etiam terræ ipsorum_.
-Cap. VII.
-
-[279] Guitton d’Arezzo scriveva di san Francesco:
-
- Cieco era il mondo, tu failo visare;
- Lebbroso, hailo mondato;
- Morto, l’hai suscitato;
- Sceso ad inferno, failo al ciel montare.
-
-Dante ne pone un magnifico elogio in bocca a san Tommaso e san
-Bonaventura nel X e XI del _Paradiso_.
-
-[280] LANDULFI SENIORIS _Historia Mediolani_, II. 27.
-
-[281] _Multa petebant instantia prædicationis auctoritatem sibi
-confirmari._ Stefano di Borbon ap. GIESLER, pag. 510.
-
-Che il nome di Valdesi derivi da Pietro Valdo, lo smentirebbe il
-trovarlo in un manoscritto della _Noble leçon_ di Cambridge che si
-suppone del 1100, cioè prima di esso Valdo, ove leggesi in provenzale:
-
- _Que non vollìa maudire, ni jurar, ni mentire,_
- _Ni ahountar, ni ancire, ni prenre de l’autrui,_
- _Ni venjar se de li sio ennemie,_
- _Illi disent quel és Vaudés, e degne de murir._
-
-Forse viene dal tedesco _wald_ foresta. — Cataro in greco vuol dire
-_puro_, e forse presero tal nome per la pretesa innocente vita.
-Sant’Agostino già chiama _cataristi_ i Manichei, _De hær. Manich._ I
-Tedeschi chiamano ancora _ketzer_ gli eretici. — _Patarini_ furon detti
-da _pati_, perchè ostentavano penitenza; o dal _pater_, che era la loro
-preghiera. In una costituzione di Federico II leggesi: _In exemplum
-martyrum, qui pro fide catholica marthyria subierunt, Patarenos se
-nominant, veluti expositos passioni._ Ed anche le _Assise_ di Carlo I
-portano nel francese d’allora: _Li vice de ceaus son coneu par leur
-anciens nons, et ne veulent mie qu’il soient apelé par leur propres
-nons, mais s’apellent Patalins par aucune excellence, et entendent
-que Patalins vaut autant comme chose abandonnée à soufrir passion en
-l’essemble des martyrs, qui souffrirent torment pour la sainte foy._
-
-Con infiniti nomi se ne indicavano le varie sêtte, de’ _Gazari_,
-_Arnaldisti_, _Giuseppini_, _Leonisti_, _Bulgari_ (da cui il _bougre_
-dei Francesi, e il _bolgiron_ de’ Lombardi), _Circoncisi_, _Publicani_,
-_Insabbatati_, _Comisti_ (che alcuno volle chiamati così da Como),
-_Credenti di Milano_, _di Bagnolo_, _di Concorezzo_, _Vanni_, _Fursci_,
-_Romulari_, _Carantani_....
-
-[282] Così il Vignerio, reputato dai Protestanti restauratore della
-storia ecclesiastica. _Bibliotheca historica_, addiz. alla P. II. p.
-313. Anche frà Ranerio Saccone dà per origine delle chiese di Francia e
-d’Italia quelle di Bulgaria e Drungaria.
-
-«Quando i Valdesi si separarono da noi, ben pochi dogmi avevano
-contrarj ai nostri, o forse nessuno». BOSSUET, _Hist. des variations_,
-lib. XI. — E fra Ranerio Saccone: _Cum omnes aliæ sectæ immanitate
-blasphemiarum in Deum audientibus horrorem inducant, hæc magnam
-habet speciem pietatis, eo quod coram hominibus juste vivant, et bene
-omnia de Deo credant, et omnes articulos qui in symbolo continentur
-observent; solummodo romanam ecclesiam blasphemant et clerum_.
-Corrado Uspergense dice che papa Lucio li condannò per alcuni dogmi ed
-osservazioni superstiziose. Claudio di Seyssel arcivescovo di Torino
-dichiarò irriprovevole la loro vita: locchè a Bossuet pare una nuova
-seduzione del demonio.
-
-Moltissimi autori ne scrissero: e dopo tornati i suoi re al Piemonte
-nel 1814, qualche inquietudine fu data ai Valdesi rifuggiti nelle
-valli subalpine; onde i re di Prussia ed Inghilterra porsero ad essi
-soccorso. Allora varj Inglesi andarono a visitarli, e ne uscirono
-diversi scritti, quali sono _Authentic details of the Valdenses in
-Piedmont and other countries, with abridged translations of_ L’histoire
-des Vaudois par Bresse, _and_ La rentrée glorieuse d’Henri Armand;
-_with the ancient Valdesian catechism; to which is subjoined original
-letters, written during a residence among the Vaudois of Piedmont and
-Würtemberg in_ 1825. Londra.
-
-GILLY, _Narrative of an excursion to the mountains of Piedmont in the
-year 1823, and researches among the Vaudois or Waldenses protestants
-inhabitants of the Cottien alpes. With maps_. Londra 1820.
-
-JONES, _The history of the Christian Church, including the very
-interesting account of the Waldenses and Albigenses_, 2 vol.
-
-LOWTHEC’S _Brief observations on the present state of the Waldenses_.
-1825.
-
-ACLAND, _A brief sketch of the history and present situation of the
-Vaudois_. 1826.
-
-ALLIX, _Some remarks upon the ecclesiastical history of the ancient
-churches of Piedmont_.
-
-_Recherches historiques sur la véritable origine des Vaudois_. Parigi
-1836. È cattolico.
-
-PEYRUN, _Notice sur l’état actuel des églises vaudoises_. Ivi, 1822. Li
-sostiene coevi del cristianesimo.
-
-A. MUSTON, _Hist. des Vaudois des vallées du Piémont_. 1834.
-
-_L’Israel des Alpes, ou les Martyrs vaudois_ li fa oriundi da Leone,
-che nel IV secolo si separò da papa Silvestro, quando questi accettò
-beni temporali da Costantino.
-
-[283] Abbiamo consultato in proposito moltissime opere e diversi
-manoscritti e processi. Il cremonese Moneta, uom dissoluto, sentendo
-predicare in Bologna Reginaldo d’Orléans, si convertì, e fatto
-inquisitor della fede a Milano il 1220, _tamquam leo rugiens_
-si scagliò contro le eresie, e scrisse una _Summa theologica_,
-grosso volume in-foglio, edito a Roma il 1743 dal padre Tommaso
-Agostino Richino col titolo _Venerabilis patris Monetæ Cremonensis,
-ordinis Prædicatorum, sancto patri Dominico æqualis, adversus
-Catharos et Valdenses libri quinque._ Il Saccone, dopo stato cataro
-diciassett’anni, si convertì, e li perseguitò come vedremo; e la
-sua _Summa de Catharis et Leonistis, sive Pauperibus de Lugduno_ fu
-inserita nel _Thesaurus novus anecdotorum_ dei PP. Martène e Durand,
-Parigi 1717, tom. V. In questa _Summa_ trovo menzionato un volume di
-dieci quaderni, in cui Giovanni di Lugio avea deposti i suoi errori.
-Buonaccorso, già vescovo dei Catari in Milano, li confutò nella
-_Manifestatio hæreseos Catharorum_: è nello _Spicilegio_ del padre
-d’Achery, tom. I. p. 208 del 1723. Nel suddetto _Thesaurus_ vedasi
-pure una _dissertatio inter Catholicum et Patarinum_; e l’opera di frà
-Stefano di Bellavilla inquisitore.
-
-Questo punto si attacca a opinioni ridestatesi ai giorni nostri sul
-comunismo, onde molto se ne parlò di recente, e noi di proposito ne
-abbiamo trattato negli _Eretici d’Italia_.
-
-[284] Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare gli archivj
-del Sant’Uffizio in Toscana, scrive: — Per quanto io abbia cercato
-ne’ processi eretti da’ nostri frati, non ho trovato che gli eretici
-Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e che si commettesse
-mai da loro, massime tra uomini e donne, eccesso di senso; onde, se
-i frati non si tacquero per modestia, il che non mi par credibile
-in uomini che abbadavano a tutto, i loro errori erano, più che di
-sensualità, d’intelletto». Ap. LANZI, _Lezioni di antichità toscane_,
-XVII.
-
-[285] MONETÆ _Summa_.
-
-[286] Due ne pubblicò Costantino contro gli eretici, uno Valentiniano
-I, due Graziano, quindici Teodosio I, tre Valentiniano II, dodici
-Arcadio, diciotto Onorio, dieci Teodosio II, e tre Valentiniano III,
-tutti inseriti nel codice Giustinianeo.
-
-[287] _Late patet Dei clementia, qui, pulso infidelitatis errore,
-veritatem fidei suis fidelibus patefecit: justus enim ex fide vivit,
-qui vero non credit, jam judicatus est. Nos igitur, qui gratiam fidei
-in vanum non recipimus, omnes non recte credentes, qui lumen fidei
-catholicæ hæretica pravitate in imperio nostro conantur extinguere,
-imperiali volumus severitate puniri, et a consortio fidelium per
-totum imperium separari; præsentium tibi auctoritate mandantes,
-quatenus hæreticos Valdenses et omnes qui in Taurinensi diœcesi
-zizaniam seminant falsitatis, et fidem catholicam alicujus erroris seu
-pravitatis doctrina impugnant, a toto Taurinensi episcopatu imperiali
-auctoritate expellas; licentiam enim, auctoritatem omnimodam, et
-plenam tibi conferimus potestatem, ut, per tuæ studium sollicitudinis,
-Taurinensis episcopatus area ventiletur, et omnis pravitas, quæ fidei
-catholicæ contradicit, penitus expurgetur_. Ap. GIOFFREDO, Storia delle
-Alpi Marittime al 1209.
-
-[288] Höffler pubblicò (_Kaiser Friedrich II, ein Beytrag etc._ Monaco
-1844) nuove lettere di Federico II, fra cui la seguente a papa Gregorio
-IX, relativa all’inquisizione ereticale:
-
-_Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia cuncta
-disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni fastigium
-ad mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri materialis
-conferens gladii potestatem, ut hominum ac dierum excrescente malitia,
-et humanis mentibus diversarum superstitionum erroribus inquinatis,
-uterque justitie gladius ad correctionem errorum in medio surgeret,
-et dignam pro meritis in auctores scelerum exerceret ultionem.... Quia
-igitur ex apostolice provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam
-hereticam pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium
-precibus et monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre,
-zelo fidei quo tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem gratanter
-assurgimus, beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes, illam
-diligentiam et sollicitudinem impensuri ad evellendum et dissipandum
-de predictis civitatibus pestem heretice pravitatis, ut auctore Deo,
-cui gratum inde obsequium prestare confidimus ac vestris coadjuvantibus
-meritis, nullum in eis vestigium supersit erroris, ac finitimas et
-remotas quascumque fama partes attigerit, inflicta pena perterreat, et
-omnibus innotescat nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus
-hostes fidei ad gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio
-potenter accingi. Dat. Tarenti_ XXVIII _febr. indict._ IV.
-
-In un’altra lettera esso Federico insiste con nuovo fervore per la
-repressione degli eretici: _Ut regi regum, de cujus nutu feliciter
-imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus, tanto
-magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis filii mater
-Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei christiane, cujus
-sumus tamquam catholicus imperator precipui defensores, novum opus
-assumpsimus ad extirpandam de regno nostro hereticam pravitatem, que
-latenter irrepit et tacite contra fidem. Cum enim ad nostram audientiam
-pervenisset, quod, sicut multorum tenet manifesta suspicio, partes
-aliquas regni nostri contagium heretice pestis invaserit, et in locis
-quibusdam occulte latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum
-credidimus per penas debitas extirpasse radices, incendio traditis,
-quos evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas
-regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de talium statu
-diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus suspicio
-sit hereticos latitare, omni sollicitudine discutiant veritatem.
-Quidquid autem invenerint, fideliter redactum in scriptis, sub amborum
-testimonio serenitati nostre significent, ut per eos instructi, ne
-processu temporis illic hereticorum germina pullulent, ubi fundare
-studemus fidei firmamentum, contra hereticos, et fautores eorum, si
-qui fuerint, animadversione debita insurgamus. Quia vero supradicta
-vellemus per Italiam et Imperium exequi ut sub felicibus temporibus
-nostris exaltetur status fidei christiane, et ut principes alii
-super his Cesar em imitentur; rogamus beatitudinem vestram quatenus
-ad vos, quem spectat relevare christiane religionis incommodum, ad
-tam pium opus et officii vestri debitum exequendum diligentem operam
-assumatis, nostrum si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut
-de utriusque sententia gladii, quorum de celesti provisione vobis
-ac nobis est collata potentia, subsidium non dedignatur alternum,
-hereticorum insania feriatur, qui in contemtum divine potentie extra
-matrem Ecclesiam de perverso dogmate sibi gloriam arroganter assumunt.
-Messine_ XV _jul. indict._ VI.
-
-[289] Constitutio _Inconsutilem_; Const. _De receptoribus_, lib. I, —
-Una lettera d’Onorio III papa alle città lombarde 1226 (RAYNALDI, _ad
-an._ Nº 26) dice che «l’imperatore gli recò lamento perchè esse città
-l’avessero impedito di procedere come si era proposto contro l’eresia».
-
-[290] RAYNALDI, _ad_ 1231. — CORIO, part. II. f. 72.
-
-[291] Per _ussit_: è in piazza de’ Mercanti. Ma Galvano Fiamma,
-frate, cronista di retto senso, dice: _In marmore super equum residens
-sculptus fuit, quod magnum vituperium fuit._ Il Frisi, nelle _Mem. di
-Monza,_ II. 101, reca gli statuti dell’arcivescovo Leon da Perego e
-dell’arciprete di Monza contro gli eretici.
-
-[292] Cap. XXXI _De simonia_; cap. XXIV _De accusationibus_.
-
-[293] Cap. fin. _De hæreticis_.
-
-[294] BERGIER, _Dictionnaire théol._, voc. _Inquisition_. Gli
-enciclopedisti rimproverano all’Inquisizione spagnuola d’avere abusato
-«nell’esercizio d’una giurisdizione, in cui gl’italiani suoi inventori
-usarono tanta dolcezza».
-
-[295] Per dire un caso fra cento, nel 1220 i Trevisani diedero il
-guasto alle diocesi di Ceneda e di Feltre e Belluno; e dell’ultima
-uccisero anche il vescovo.
-
-[296] BOLLAND., tom. X, _Vita s. Petri Parens_.
-
-[297] _Regesta_, num. 123. 124, e pag. 130. lib. X.
-
-[298] GIACHI, _App. alle Ricerche storiche di Volterra_.
-
-[299] _Archivio dipl. fiorentino_.
-
-[300] RICARDI S. GERMANI, _Chron. ad ann_. 1232.
-
-[301] Ap. MATTIA PARIS _ad_ 1243.
-
-[302] Firenze serba molte memorie di que’ fatti. Sulla facciata
-dell’uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due affreschi
-di Taddeo Gaddi figurano san Pietro martire quando a dodici nobili
-fiorentini dà lo stendardo bianco colla croce rossa per tutela della
-fede. San Pietro fu deposto in altro magnifico arco in Sant’Eustorgio a
-Milano coll’epitafio scritto da san Tommaso:
-
- _Præco, lucerna, pugil Christi, populi fideique._
- _Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique_
- _Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,_
- _Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum etc._
-
-[303] _Chron. parmense_ nei Rer. It. Scrip., IX.
-
-[304] FR. CHRIST. SCHLOSSER,_ Abelardo e Dolcino; vita ed opinioni d’un
-entusiasta e d’un filosofo._ Gota 1807. — C. BAGGIOLINI, _Dolcino e i
-Patareni_. Novara 1838. — JULIUS KRONE, _Frà Dolcino und die Patarener,
-historische Episode aus den piemontesischen Religionskriegen_. Leipzig
-1844.
-
-[305] MARTÈNE e DURAND, _Collect. ampl._, III. 304.
-
-[306] Furono espresse con questo barbaro distico:
-
- Gram. _loquitur_: dia. _vera docet_: rhet. _verba colorat_:
- Mus. _canit_: ar. _numerat_: geo. _ponderat_: ast. _colit astra_.
-
-Meno rozzamente le compendiò l’Ostiense, _Summ. lit. de magistris_:
-
- Grammatica. _Quidquid agunt artes, ego semper prædico partes._
- Dialectica. _Me sine, doctores frustra coluere sorores._
- Rhetorica. _Est mihi dicendi ratio cum flore loquendi._
- Musica. _Invenere locum per me modulamina vocum._
- Geometria. _Rerum mensuras, et rerum signo figuras._
- Arithmetica. _Explico per numerum quid sit proportio rerum._
- Astronomia. _Astra viasque poli vindico mihi soli._
-
-[307] _Ab annis puerilibus eruditus est in scholis liberalium artium et
-legum secularium, ad suæ morem patriæ_. MILONE CRISPINO, Vita Lanfr.,
-cap. V.
-
-[308] _Præfatio ad Monologium._
-
-[309] _Veritas intellectus est adæquatio intellectus et rei, secundum
-quod intellectus dicit esse quod est, vel non esse quod non est._ Adv.
-gent., I. 49. I.
-
-[310] «Errano molti credendosi nobili perchè di nobile casato; il qual
-errore in molti modi può ribattersi. E primieramente, se si consideri
-la causa creatrice, Iddio col farsi autore di nostra schiatta, la
-nobilita tutta; se la causa seconda è creata, i primi padri da cui
-discendiamo sono gli stessi per tutti, tutti ne ricevettero egual
-nobiltà e natura. La medesima spica dà il fior di farina e la crusca;
-questa gettasi ai porci, quella sale alla mensa dei re; così dal
-medesimo tronco potran nascere due uomini, uno vile, nobile l’altro. Se
-ciò che viene da un nobile ne ereditasse la nobiltà, gl’insetti del suo
-capo e le naturali superfluità in lui generate diverrebbero nobili del
-pari. Bello è il non deviare dagli esempj de’ nobili avi, ma più bello
-l’avere illustrato un umile nascimento con grandi azioni. Ripeto dunque
-con san Girolamo, che in questa nobiltà pretesa ereditaria nulla merita
-invidia, se non l’essere i nobili obbligati alla virtù per vergogna di
-dirazzare. Nobiltà vera è quella sola dell’anima».
-
-[311] _Infidelium quidam sunt qui nunquam susceperunt fidem, sicut
-Gentiles et Judæi; et tales nullo modo sunt ad fidem compellendi ut
-ipsi credant, quia credere voluntatis est; sunt tamen compellendi a
-fidelibus, si adsit facultas, ut fidem non impediant vel blasphemiis,
-vel malis persuasionibus, vel etiam apertis persecutionibus. Et propter
-hoc fideles Christi frequenter contra infideles bellum movent etc._
-Summa, 2a 2æ, quæst. X, art. 8.
-
-[312] Ogni dono perfetto, secondo lui, viene dal padre dei lumi, e per
-quattro vie: l’esteriore che rischiara le arti meccaniche, l’inferiore
-che produce le nozioni sensitive, l’interna o cognizione filosofica,
-e quella della santa scrittura. La prima si propone di soddisfare i
-bisogni corporei, divisa nelle sette arti del tessere, fabbricare armi,
-caccia, agricoltura, navigazione, drammatica, medicina. La seconda
-illumina le forme esteriori; e lo spirito, luminoso per sua natura,
-risiede nei nervi, la cui essenza si moltiplica ne’ cinque sensi. La
-cognizione filosofica cerca le cause segrete per via dei principj di
-verità, insiti nella natura dell’uomo, le quali si riferiscono o alle
-parole o alle cose o ai costumi, onde la filosofia è o razionale o
-naturale o morale: la razionale è grammatica, o logica, o retorica;
-la naturale comprende fisica, matematica e metafisica; la morale
-è personale, economica o politica, secondo che concerne l’uomo, la
-famiglia o lo Stato. Le cose eccedenti la ragione sono manifestate
-all’uomo dalla luce superna della Grazia e della rivelazione; e come
-le cognizioni tutte derivano dalla luce stessa, così sono ordinate alla
-scienza delle verità sante, e da esse perfezionate.
-
-[313] Fu un vezzo della scuola l’attribuire un aggettivo caratteristico
-ai varj dottori. Così san Tommaso fu detto _l’angelo della scuola_;
-san Bonaventura _il serafico_; Duncano Scoto _il sottile_; Ockam
-_il singolare_; Enrico di Gand _il solenne_; Egidio di Roma _il
-fondatissimo_; Alano dell’Isola _l’universale_; Ruggero Bacone
-_l’ammirabile_; Guglielmo Durand _il risolutissimo_; Middleton _il
-solido_, o _l’autentico_; Pier Lombardo _il maestro delle sentenze_,
-ecc.
-
-[314] Questa scuola può dirsi scoperta da Merkel nella _Geschichte des
-Langobardenrechts_. Berlino 1850.
-
-[315] Del 752 si ha una causa del vescovo d’Arezzo contro quello di
-Siena; dove spesso è citato il Digesto: _Si hoc vendicare neglexerint,
-infamia laborare, ut in Codicis libro IX, tit. de sepulcro violato_, Si
-quis sepulcrum lesurus etc.... _Item in VIII libro Codicis legitur_ Si
-quis in tanta furoris etc.... _Quod autem hæc quæstio procedere debeat,
-IX Codicis liber testatur, titulo ad legem Juliam de vi publica et
-privata_, Si quis ad se etc.
-
-Il Muratori, _Antiq. M. Æ._, XLIV, pubblica una carta del 767 affatto
-guasta, in cui al monastero di Santa Maria in Cosmedin a Ravenna
-si donano molti beni, promettendo l’evizione, rinunziando per sè e
-suoi _legum beneficia, juris et facti ignorantia, foris locisque,
-prescriptione alia, senatoconsulto_ (probabilmente il SC. Vellejano, l.
-XVI, § 1) _quod de mulieribus prestitit_.
-
-[316] Alcuno assegna a lui anche le _Autentiche_, cioè gli estratti
-delle _Novelle_, deroganti le costituzioni imperiali, che trovansi ne’
-manoscritti del _Codice_, e che furono citate e seguite come leggi;
-e pare in effetto che le più siano da attribuire a lui, e fossero poi
-cresciute da’ suoi successori, fino ad Accursio che ne chiuse la serie.
-
-[317] Si narra che alcuni muratori stando a lavorare, gridavano ai
-passeggieri di guardarsi. Uno non badò all’avviso, e rimase colpito
-da una pietra; di che portò querela. Pillio consigliò i querelati
-di non rispondere; talchè i giudici li rimandavano per muti, quando
-l’accusatore uscì ad esclamare: — Come muti, se mi hanno gridato di
-guardarmi?» Tanto bastò a mandarli assolti. Storiella da scolari, come
-se ne suole inventare tante anche al nostro tempo.
-
-[318] Secondo Cujacio (_De feud._, lib. I), la consuetudine variava
-fra le città: a Milano, Cremona, Pavia il vassallo poteva alienare il
-feudo senza consenso del signore, mentre era indispensabile a Mantova
-e Verona; in Piacenza chi investiva altri d’un feudo trasmissibile al
-successore, non poteva toglierlo finchè viveva; a Milano e Cremona sì.
-Le consuetudini della Puglia e Sicilia in tal materia si conservavano
-in libri chiamati _Defetarj_, che perirono sotto Guglielmo I, ma a
-memoria li supplì Matteo Notaro. GIANNONE, XIII. 3.
-
-[319] Dopo i varj tentativi, anche per ordine ed opera dei pontefici,
-il torinese Sebastiano Berardi stampò a Venezia nel 1777 _Gratiani
-canones genuini ab apocryphis discreti; corrupti ad emendatiorum
-codicum fidem exacti; difficiliores commoda interpretatione
-illustrati_.
-
-[320] Lib. I, pr. D. de quæst.: _Cum capitalia et atrociora
-maleficia non aliter explorari possunt quam per servorum quæstiones,
-efficacissimas eas esse ad requirendam veritatem existimo, et
-habendas censeo._ Papa Nicola I, in una lettera ai Bulgari di recente
-convertiti, la riprova, come avrebbe potuto fare il Beccaria nove
-secoli appresso: — So che, preso un ladro, con tormenti lo cruciate
-finchè palesi: ma nessuna umana o divina legge il concede, dovendo la
-confessione venire spontanea, non istrapparsi a forza, ma proferirsi
-volontariamente. Se, inflitte quelle pene, nulla non iscoprite di ciò
-ond’è imputato, non arrossite? non v’appare l’iniquo vostro giudizio? E
-se alcuno, non reggendo ai tormenti, si confessi colpevole senz’essere,
-di chi è l’empietà se non di colui che lo forza a confessare
-mendacemente? Lasciate dunque, ed esecrate tali usi».
-
-[321] Nello statuto che Giordano, abbate del monastero di sant’Elena,
-dava al castello di Montecalvo nel 1190, erano proibiti i giudizj
-di Dio, e assicurata la libertà personale, non dovendo uno essere
-catturato se non in forza di giudizio, e potendo esimersene col dare
-una garanzia: _Nemo Montiscalvi judicium ferri fervidi et aquæ calidæ,
-vel pugnam facere debet. Nemo habitator Montiscalvi capi debet antequam
-judicetur: ac si judicatus fuerit, capi non debet si fidejussorem
-dare potuerit, præter in gravioribus culpis, de quibus corporaliter
-judicatur. Insuper nihil in eodem castro sine judicio capi debet._
-È precisamente la legge inglese dell’_Habeas corpus_. V. TRIA, _Mem.
-storiche della città e diocesi di Larino_.
-
-[322] Capit. II _De probat._ nelle Decretali di Gregorio IX. E per quel
-che segue vedi i titoli De indiciis et de libellis oblat.; _De off.
-et pot. jud. deleg.; De foro comp._ Vedi pure ROCCO, _Jus canonicum ad
-civilem jurisprudentiam perficiendam quid attulerit_. Palermo 1839.
-
-[323] Se v’è alcuno che nel secolo nostro abbia conservato tutti
-i rancori e le prevenzioni del secolo passato contro l’ordinamento
-ecclesiastico, è Guglielmo Libri. Pure scrive: _A la chûte de l’empire
-romain l’Eglise devint dépositaire de la civilisation de l’Europe, et
-préchant l’évangile aux envahisseurs, elle adoucit les mœurs des plus
-farouches, et leur enseigna la charité. Par l’influence de la religion,
-ils apprirent les éléments des lettres latines, et s’habituèrent
-à vénérer en Rome, même après l’avoir asservie, la capitale de la
-chrétienté. Les pieux missionnaires qui parcouraient alors l’Occident,
-représentaient un ordre social bien moins imparfait que tout ce qui
-existait chez les barbares; et leur parole désarmée descendant sur des
-hommes qui semblaient destinés à faire de l’Europe un immense tombeau,
-les arrêta, les subjugua, leur inspira l’amour du prochain, qui était
-pour eux la plus nécessaire des vertus. Ce fut le plus beau temps du
-christianisme.... qui fut plus vénérable, plus sublime aux jours de
-lutte et d’adversité, que dans ses temps de puissance et de splendeur_
-(Hist. des sciences mathématiques en Italie; vol. IV. p. 2). Di qui
-passa a sostenere la nimicizia della Chiesa per qualunque scienza,
-eccetto il catechismo; e che ai Musulmani è dovuto il risorgimento del
-sapere: _Les Arabes ont semé partout les germes de la civilisation....
-partout la civilisation arabe communique aux esprits une nouvelle
-activité... ils ont été les maîtres en tout des chrétiens_; essi fecero
-in pochi anni quel che la Chiesa non aveva saputo in molti secoli.
-
-[324] Gli ultramontani erano Gallia, Portogallo, Provenza, Inghilterra,
-Borgogna, Savoja, Guascogna, e Alvernia, Bituria, Turena, Castiglia,
-Aragona, Catalogna, Navarra, Alemagna, Ungheria, Polonia, Boemia,
-Fiandra. I citramontani Romagna, Abruzzo e Terra di Lavoro, Puglia
-e Calabria, la Marca Anconitana inferiore, la superiore, Sicilia,
-Firenze, Pisa e Lucca, Siena, Spoleto, Ravenna, Venezia, Genova,
-Milano, Lombardi, Tessalonici (?), Celestini (?). Nel 1848, quando
-credeasi inventata allor allora l’idea di nazionalità, gli scolari
-delle università di Germania si organizzarono secondo le nazioni;
-novità anche questa di seicento anni in data.
-
-Le lezioni versavano sopra le cinque parti del _Corpus juris_, e ancora
-ci restano quelle d’Odofredo sulle tre parti del Digesto e sui nove
-primi libri del Codice. Uno potea fare molti corsi e perciò bastare a
-moltissimi scolari, ogni corso durando un anno, e ogni adunanza un’ora:
-poi nel secolo XIV ne fu variata la distribuzione; le tre parti del
-Digesto e il Codice s’insegnarono simultaneamente da due dottori, da
-un altro il _Volumen_, che conteneva gl’Instituti, le Autentiche, il
-diritto feudale, le leggi imperiali, e i tre ultimi libri del Codice.
-Più tardi s’introdussero corsi speciali sopra una materia sola; e
-principalmente a Bologna ne tenevano i notaj per la loro professione,
-col diritto anche di dottorare.
-
-Ecco il metodo ordinario de’ corsi. Cominciato da un prospetto generale
-(_summa_), leggevano il testo sopra cui esercitare la critica;
-poi chiarivano le difficoltà, le contraddizioni, i casi speciali
-(_casus_); riepilogavano le regole generali (_brocarda_); discutevano
-i punti dubbj (_quæstiones_); il qual ordine non toglieva che ciascun
-professore restasse libero nel metodo e nell’insegnamento; gli scolari
-poi scrivevano sotto dettatura, liberi d’interrompere e far domande,
-massime nelle lezioni straordinarie che si davano dopo il pranzo. Dipoi
-s’introdussero i Quinternetti o _glossæ_, che da principio eran note,
-fatte da ciascuno in margine del proprio testo, e perfezionate via via
-col tempo, e che dopo la morte del maestro venivano cerche con avidità,
-poichè contenevano il sostanziale della scienza dell’autore; più tardi
-s’ingrandirono, e da schiarimenti d’una parola divennero un commento.
-Vi tennero dietro le Quistioni, libri intorno all’ordine giudiziale,
-trattati sulle azioni, distinzioni, raccolte di controversie, che
-a gara si ricopiavano. Nelle scuole era determinato su quali libri
-esercitarsi; e generalmente non si spiegavano in ciascun anno che
-alcuni testi, con iscapito della profondità e dell’indipendenza.
-
-L’esame privato costava sessanta lire, ottanta il pubblico;
-ventiquattro al dottore che presentava, e due od una a ciascun
-dottore assistente, secondo era pubblico o privato; dodici e mezzo
-all’arcidiacono per ciascun esame, e tre per ciascun discorso. Più
-spendeasi negli apparati, talchè nel 1311 il papa ordinò che in tal
-lusso nessuno consumasse di là dalle cinquecento lire.
-
-Ho preso appunto dello stipendio di qualche professore. Guido da
-Suzzara obbligossi d’interpretare il Digesto a Bologna per lire
-trecento bolognesi promessegli dagli scolari. Dino da Mugello insegnò
-a Pistoja per lire ducento pisane annue; poi a Bologna per dieci
-bolognesi, forse aggiunte alla retribuzione degli scolari: Napoli
-gli esibì cento oncie d’oro. I frati del Sacco nel 1270 condussero
-Lapo fiorentino a leggere fisica e logica nel loro convento, per lire
-trenta bolognesi oltre il vitto; nel 1261 i Vicentini Arnoldo a leggere
-diritto canonico, per cinquecento lire di stipendio, patto che avesse
-almeno venti scolari; Aldovrando degli Ulciporzi bergamasco, a leggere
-l’_inforzato_ per lire cenventi, e per cencinquanta Raulo la medicina.
-Il Pillio venne ad insegnare diritto civile a Modena per cento marchi
-d’argento. Tommaso d’Aquino riceveva da Carlo I un’oncia d’oro al mese;
-nel 1399 in Piacenza Baldo toccava lire censessantaquattro mensili per
-leggere il Codice, e nel 1397 milleducento annue: Marsilio di Santa
-Sofia, lire censettanta, compresa la pigione della casa: gli altri, da
-quattro fin a sessantasei lire al mese. Talvolta gli scolari servivano
-quasi di paggi ai maestri, tagliando innanzi, versando alla coppa, ecc.
-Odofredo, oltre le lezioni all’università, ne dava di straordinarie a
-chi pagasse; ma poco cavandone, finì la spiegazione del Digesto così:
-— E vi dico che l’anno vegnente intendo insegnare ordinariamente bene e
-legalmente, come mai non feci; ma straordinariamente non credo leggere,
-perchè gli scolari non sono buoni pagatori, vogliono intendere e non
-ispendere, giusta quel dettato _Imparar vuole ognun, nessun pagare._
-Altro non ho a dirvi; ite colla benedizione del Signore». Garzia
-spagnuolo fu il primo, cui nel 1280 si assegnasse non uno stipendio
-annuo, ma il capitale di lire cencinquanta: poi nel 1289 al professore
-di diritto civile si fissarono annue lire cento, e cencinquanta a quel
-di canonico.
-
-[325] E’ la chiama Crisopoli
-
- _quia grammatica manet alta_
- _Artes et septem studiose sunt ibi lectæ._
- Rer. It. Scrip., V. p. 454.
-
-[326] Nell’Archivio diplomatico di Firenze si trovano gli istromenti
-fatti con Francesco Dataro di Piacenza medico per fiorini cinquecento;
-con Giorgio d’Arrighetto Nati d’Asti canonista per fiorini
-quattrocento; con Girolamo della Torre di Verona medico, con Pier Leoni
-di Spoleto, ecc.
-
-[327] A Baldo nel 1397 milleducento fiorini; a Giason del Maino nel
-1492 duemila ducencinquanta; all’Alciato dal 1536 al 40 scudi mille,
-poi dal 1544 al 50 lire settemilacinquecento; a Menochio nel 1589 lire
-seimila....
-
-[328] _Vita sancti Meinwerci._ Gli stupefacenti e il sonno magnetico
-che oggi s’adoprano a tali operazioni, obbligano a riflettere su quei
-racconti, anzichè riderne.
-
-[329]
-
- _Ova recentia, vina rubentia, pinguia jura,_
- _Cum simila pura naturæ sunt valitura._
- _Cœna brevis, vel cœna levis fit raro molesta,_
- _Magna nocet, medicina docet, res est manifesta._
- _Si fore vis sanus ablue sæpe manus:_
- _Lotio post mensam tibi conferet munera bina,_
- _Mundificat palmas, et lumina reddit acuta._
- _Prima dies maji non carnibus auseris uti._
- _Ruta viris minuit venerem, mulieribus addit_
- _... Cruda comesta_
- _Ruta facit castum, dat lumen et ingerit astum:_
- _Cocta et ruta facit de pulcibus loca tuta._
-
-[330] SARTI, _Dei prof. bologn._, tom. I. p. 144. — RENZI, _St. della
-Medicina_, tom. II.
-
-[331] FIORETTI, cap. XXIII.
-
-[332] SARTI, tom. II. p. 153. — Nelle Assise di Gerusalemme, adottate
-nei possessi degl’Italiani in Levante, e che del resto rappresentano
-le consuetudini de’ paesi europei, è stabilito che se uno schiavo
-s’ammali, e un medico pattuisca col padrone di esso di guarirlo,
-e gli dia cose calde e mollificanti mentre dovea darne di fredde e
-restringenti, sicchè muoja, il medico sia obbligato dare un servo
-simile, o il prezzo che costò fin al giorno della morte: così se gli
-cavi sangue non a proposito o troppo; o se, essendo idropico, gli tagli
-il ventre (praticavasi dunque la paracentesi), poi non sappia trargli
-l’umore, e s’indebolisca e muoja; o se, soffrendo di febbre quotidiana,
-lo purghi, e gli dia troppa scamonea, e svuoti il ventre sin a morire.
-Se uno schiavo abbia la lebbra o rogna o altra malattia, e il medico
-s’accordi di guarirlo a patto che metà del valor di esso sia del
-medico, metà del padrone, e faccia quanto sa ma nol guarisca, non è
-obbligato a pagarlo, avendo perduto le proprie fatiche. Se così avvenga
-a un libero o a una libera, il medico sarà impiccato, dopo mandatolo
-per la terra frustandolo _con un urinal in man per spaurir li altri
-de simel caso_, e i suoi beni confiscati dal signore del luogo. Nessun
-medico venuto di fuori possa esercitare l’arte sua se non riconosciuto
-abile dagli altri medici e dal vescovo; altrimenti sia frustato per la
-terra.
-
-[333] SABA MALASPINA, _Hist._, cap. II.
-
-Federico II, fra gli altri spauracchi alla Corte romana, credette
-opporvi pure l’astrologia, e fe circolare tali versi:
-
- _Fata monent, stellæque docent, aviumque volatus_
- _Quod Federicus ego malleus orbis ero._
- _Roma diu titubans, variis erroribus acta,_
- _Concidet et mundi desinet esse caput._
-
-Colla calma della ragione gli fu risposto:
-
- _Fata silent, stellæeque tacent, nil predicat ales;_
- _Solius est proprium scire futura Dei._
- _Niteris incassum navem submergere Petri;_
- _Fluctuat et nunquam mergitur ista ratis._
- _Quid divina manus possit, sensit Julianus;_
- _Tu succedis ei: te tenet ira Dei._
- JORDANI, _Chron._, cap. 221.
-
-[334] Negli _Atti dell’Accademia de’ nuovi Lincei_, 1851, trovo notizie
-intorno a Gherardo Cremonese, per B. Boncompagni, raccolta paziente di
-quanto di lui si ha o si disse, ma nè esame nè giudizio. Importante
-è un brano inedito di traduzione d’un trattato d’algebra che, se non
-il più antico, è de’ primi ove fosse insegnata agli Europei questa
-scienza del raziocinio generale per via della lingua simbolica. Ivi si
-trova anche il segno negativo, mentre gli Arabi, e così il Fibonacci,
-non conosceano che quantità positive; eppure si tardò trecento anni
-a dedurne l’utilissima applicazione, cioè fino a Michele Stifel. La
-soluzione delle equazioni di secondo grado vi è espressa con questi
-versi:
-
- _Cum rebus censum si quis dragmis dabis equum_
- _Res quadra medias quadratum adjice dragmas,_
- _Radici quorum medias res excipe demum,_
- _Residuum quæsti census radicem ostendet._
-
-Non v’è chi non sappia che dagli algebristi per _cosa_ s’intendeva
-l’incognita, per _censo_ il quadrato, per _numero_ il noto; onde coi
-simboli moderni si costruirebbe:
-
-x^2 + px = q
-
-Donde x = -1/2 p + √(1/4 p^2 + q).
-
-Seguono gli altri casi: e ognuno vede che con ciò trovasi prevenuto frà
-Luca Paciolo.
-
-Ai dilettanti di tale scienza non isgarberà veder qui un problema e la
-sua soluzione.
-
-_Quæritur quænam sint illæ partes denarii, quarum differentia, juncta
-tetragonis earundem, collige 54._
-
-_Sit una partium res, altera 10 minus re_ (cioè x, e 10 - x).
-_Differentia 10 minus duabus rebus, ex qua 2 partium tetragonis
-conjunctis colligantur 100, et 2 census minus 20 rebus, quæ data
-sunt æqualia 54_ (cioè x^2 + (10 - x^2) + 10 - 2 x = 54). _Per
-restaurationem itaque rerum, 2 census cum 100 equivalent 54 et 22
-rebus_ (cioè 3 x^2 + 110 = 54 + 22 x). _Per ejectionem vero abundantis
-numeri 56 et 2 census, 22 rebus adæquantur_ (cioè 2 x^2 + 56 = 22 x).
-_Et per conversionem unus census cum 28 æquentur 11 rebus_ (cioè x^2 +
-28 = 11 x). _Resolve per quintum modum, et re erit 4._
-
- Cioè x = 1/2 × 11 ± √9/4
-
- = 5/2 ± 3/2
-
- onde i due valori x = ^2
- x = 4.
-
-L’autore indica solo quest’ultimo.
-
-Se non isbaglio, ivi è un tentativo di rappresentare le quantità per
-lettere, come noi usiamo. Perocchè, dove cerca _qualiter figurentur
-census radices et dragmæ_, insegna: _Numero censum litera _c_,
-numero radicum litera _r_; deorsum virgulas habentes, subterius
-apponantur. Dragmæ vero sine literis virgulas habeant, quotiens hæc
-sine diminutione proponuntur. Verbi gratia, duo census, tres radices,
-quatuor dragmæ sic figurentur_
-
- +———————+
- | 2 3 4 |
- | |
- | c r d |
- +———————+
-
- 2
- Qui c equivale al nostro 2 x^2
-
- 3
- » r » a 3 x
-
- 4
- » d » al numero 4
-
-Chasles aveva asserito che l’algebra numerica fu introdotta in Europa
-dai traduttori del XII secolo. Guglielmo Libri lo impugnò acerbamente.
-Ecco chi avesse ragione. (_Questa nota è tolta dall’_Ezelino da Romano,
-storia d’un ghibellino esumata da CESARE CANTÙ, Milano 1854).
-
-[335] GUIDO BONATUS _de Forlivio, decem continens tractatus
-astronomiæ_. Venezia 1506.
-
-Questi anni si litigò sulla patria sua; titolo d’onore, direbbero i
-pedanti, senza ricordare che, vivi noi, si è disputato con tutto il
-calore ammoniacale delle gazzette, se una cantatrice, viva e nata nel
-paese ove se ne disputava, appartenesse a una provincia o alla sua
-vicina. Filippo Villani, nella vita del Bonatto, che sta inedita nella
-biblioteca Barberini di Roma, dice: _Guido Bonatti iratus, cum esset
-florentinus origine, de Foro Livii se maluit appellari... Fuit sane,
-quidquid ipse iratus loquatur, de oppido Casciæ oriundus._ Cascia è
-terra del Valdarno superiore.
-
-Non è d’onor poco argomento l’essersi, ai cominciamenti della
-tipografia, fatte tre edizioni del _Liber introductorius ad indicia
-stellarum_ del Bonatto: la prima ad Augusta il 1491; l’altra a Basilea
-il 1550; l’altra a Venezia il 1506, che io ho sott’occhio, col titolo
-_Guido Bonattus de Forlivio decem continens tractatus Astronomiæ_.
-È in carattere quadro in foglio di 191 carte, con incisionette. In
-fronte v’è Urania e l’astronomia coi dodici segni dello zodiaco, e in
-mezzo seduto Guido, avvolto in un vestone coll’ermellino arrovesciato
-sulle spalle, barbuto, in testa il berretto aguzzo, in mano un globo
-ed un quadrante. Il Mazzuchelli dice una copia manoscritta trovarsene
-nella biblioteca Ambrosiana, ma in fatto non è che la copia di 169
-considerazioni de’ _Giudizj dell’astronomia_. Francesco Sirigatti (che
-nel 1500 fu astrologo della Signoria di Firenze) tradusse in italiano
-quest’opera, per conforti di quel valentuomo che fu Gino Capponi, e
-sta manoscritta nella Laurenziana. Il 1572 fu stampato in tedesco a
-Basilea col titolo di _Auslegung des menschlichen Geburt-Stunden_.
-Fu pur messo in francese, e certo anche in altre lingue, chi avesse
-voglia di cercarlo. Giacchè ho nominato il Sirigatti, aggiungerò che
-nel copia-lettere di monsignor Gore Gheri, conservato nella biblioteca
-Capponi, n’è una del 1º marzo 1516 al duca Lorenzo de’ Medici,
-siffatta: «El Sirigatto mi è venuto a trovare, et decto ch’io ricordi
-alla Ex. V. che non faccia fatto d’arme da V a XII di questo mese. Ma
-quando venisse uno bel tracto che con ragione si vedesse da vincere
-e’ nemici, io attenderei a quello che io vedessi in terra et non in
-cielo». (_Questa nota è tolta anch’essa dall’_Ezelino da Romano).
-
-[336] SAVONAROLA, _De laud. Patavii_, pag. 1155.
-
-[337] Vide una statua coll’indice teso, e scrittovi al capo _Qui
-percuoti_. I cercatori avevano percosso delle volte assai quel capo;
-ma l’accorto monaco fissò dove l’ombra dell’indice cadeva al mezzodì,
-e nottetempo, con solo un compagno, sterrò e rinvenne un’ampia
-reggia tutta d’oro: i soldati facevano ai dadi, re e regina sedevano
-a mensa, da costa un damigello teneva teso l’arco; e tutto ciò
-d’oro, e illuminato da un tizzone ardente nel mezzo; e se si voleva
-toccare l’arciero, moveansi belle fanciulle in danza. Gerberto, non
-ben fidandosi del compagno, tolse soltanto dal desco un coltello di
-mirabile lavoro; ed ecco sorgere frementi le danzatrici, l’arciere
-saettar il lume, tornando bujo, ed obbligando così a lasciare ogni
-cosa intatta, senz’altro raccogliere se non vaticinj che poi furono
-avverati. JORDANI, _Chron._, cap. 220 e 222.
-
-[338] Molte odierne ubbie, che si sogliono attribuire a ignoranza del
-medioevo, ci vennero dagli antichi; verbigrazia, che il tintinnire
-degli orecchi sia indizio che altri parli di noi; che bevuto l’uovo,
-debba schiacciarsi il guscio (OVIDIO, _Fasti_). Sant’Agostino
-(_Expositio epistolæ ad Galatas_, c. IV) dice: _Vulgatissimus est error
-Gentilium iste, ut vel in agendis rebus, vel in expectandis eventibus
-vitæ ac negotiorum suorum, ab astrologis notatos dies et menses et
-annos et tempora observent_. Così il mangiar ceci alla Commemorazione
-dei morti faceasi dai Romani nelle feste Lemurali in maggio, nel qual
-tempo si astenevano dalle nozze (_Fasti_, V); l’augurare al Capodanno;
-il dir _Dio t’ajuti_ quand’uno starnuta (PLINIO, lib. II. c. 2. § 11);
-l’affiggere sulle porte gufi e barbagianni (_Quid quod istas nocturnas
-aves, cum penetraverint larem quempiam; sollicite prehensas, foribus_
-_videmus affigi?_ APULEJO, _Metam._, lib. III). Nei _Cesti_ di Giulio
-Africano, vissuto sotto Alessandro Severo, tra tant’altre follie si dà
-il _modo di disfarsi dei nemici_: — Preparate dei pani a questo modo.
-Prendete sul fin del giorno una rana di campo o rospo e una vipera,
-quali vedete designati nel pentagono perfetto al sito della figura
-dove si trovano i segni della proslambanomene del tropo lidio, cioè,
-un ζητα senza coda o un ταυ sdraiato (è la nota musicale _fa di sis_):
-chiudete questi animali insieme in un vaso di terra, turandolo
-ermeticamente con argilla, affinchè non ricevano nè aria nè luce. Ciò
-fatto, dopo un tempo convenevole spezzate il vaso, e i resti che vi
-troverete stemprate in acqua, nella quale impasterete il pane: di più,
-ungete le tegghie in cui cocerete esso pane con tale composizione,
-pericolosa fino a chi l’adopera. Preparata così questa pastura,
-datela ai vostri nemici come potrete».
-
-Si sa che Caligola spese somme pel segreto di far l’oro; e sotto
-Diocleziano v’ebbe una specie di persecuzione contro gli alchimisti.
-Forse qualcuno avendo, così fra il tentare, ricotto del borace e del
-cremor di tartaro con mercurio sublimato, e fattolo svaporare sopra la
-superficie d’un vaso d’argento, trovò questo indorato. Ebbe dunque a
-credere d’avere scoperto la pietra filosofale, e andò ritentando quelle
-combinazioni, in cui, sotto gli strani nomi d’allora, vediam sempre
-ritornare il borace, il tartaro, il mercurio, il sal marino; i quali
-si sa che danno all’argento una tinta gialla, ma che se ne va con una
-semplice lavatura d’acido nitrico diluito.
-
-[339] Gl’Indiani adopravano, da quattromila anni fa, pei sette suoni
-della loro scala, le lettere _s_, _r_, _g_, _m_, _p_, _d_, _n_; i
-Tibetani, le cifre numeriche; i Greci, le lettere del loro alfabeto
-dall’Α alla Ω, variando secondo i modi. Anche gl’Italiani ebbero
-una notazione alfabetica, composta delle prime quindici lettere,
-che Gregorio Magno ridusse alle sette prime per la scala diatonica,
-distinguendo le ottave colle lettere majuscole per l’inferiore, e colle
-minuscole per la superiore. Da poi si surrogarono i punti, collocandoli
-sui righi: ma consisteva qui l’invenzione di Guido? Egli trasse i nomi
-delle note dalle sillabe iniziali dell’inno del Battista:
-
- UT _queant laxis_ RE_sonare fibris_
- MI_ra gestorum_ FA_muli tuorum_
- SOL_ve polluti_ LA_bii reatum_,
- _Sancte Joannes_.
-
-Il _si_ fu aggiunto nel secolo XVI da Van der Putten (_Erycius
-Puteanus_). Kircher asserisce di aver veduto nella biblioteca dei
-Gesuiti a Messina un ms. greco antico, con varj inni notati al modo che
-si dice inventato da Guido. La corda grave ch’egli aggiunse, fu segnata
-col gamma greco; e poichè questa lettera si trovava così collocata
-in capo alla scala al modo usato allora, la scala ne prese il nome di
-_gamma_. Le prime stampe di note musicali si fecero a Milano, e ognun
-sa che le diverse espressioni del linguaggio musicale sono italiane.
-
-[340] I canonisti soggiungevano che, come la terra è sette volte
-maggiore della luna, e il sole otto volte maggiore della terra, il
-papato era cinquantasei volte più grande dell’imperatore. Laurentius il
-fa millesettecentoquattro volte più alto che l’imperatore e i re. Non
-conosco gli elementi di questi calcoli.
-
-[341] _Regesta_, 32. Egli definiva il papa _vicarius Jesus Christi,
-successor Petri, Christus Domini, Deus Pharaonis, citra Deum, ultra
-hominem, minor Deo, major homine_: Serm. de consecr. pont.
-
-I diritti degl’imperatori sono distintamente formolati nello _Specchio
-di Svevia_. Tacendo molte altre cose, ivi è prefisso che il re eletto
-perde il diritto di sua nazione, e deve vivere secondo la legge dei
-Franchi: nessuno può scomunicare l’imperatore, fuorchè il papa, e
-questo per tre cause: se dubita della fede ortodossa, se ripudia
-la moglie, se turba le chiese e le case di Dio. Cristo principe
-della pace lasciò in terra due spade per difesa della cristianità,
-entrambe affidate a san Pietro, una pel giudizio secolare, una pel
-giudizio ecclesiastico: la prima è dal papa prestata all’imperatore
-(_Des weltlichen Gerichtes schwert darlihet der Papst dem Kaiser_);
-l’altra rimane al papa, per giudicare montato su bianco palafreno,
-e l’imperatore dee tenergli la staffa acciocchè la sella non si
-scomponga: ciò significa che, se alcuno resiste ostinatamente al
-papa, l’imperatore e gli altri principi devono costringerlo colla
-proscrizione. Se si trovano eretici, bisogna procedere contro di
-essi ai tribunali ecclesiastico e secolare; la pena è il fuoco. Ogni
-principe che non punisce gli eretici, sarà scomunicato; e se fra
-un anno non venga a resipiscenza, il papa lo priverà dell’uffizio
-principesco e di tutte le sue dignità. Si giudicheranno alla pari i
-poveri ed i signori. SCHILTER, _Antiq. Teuton._, tom. II.
-
-[342] _Ita quod ex tunc nec habebimus nec nominabimus nos regem
-Siciliæ... ne forte aliquid unionis regnum ad imperium quovis tempore
-putaretur habere._ LUNIG, _Cod. dipl. ital._, tom. II. p. 866.
-
-[343] Guglielmo marchese di Monferrato, dolente che Teodoro Làscari
-avesse tolto a Demetrio suo fratello il regno di Tessalonica, allestì
-una spedizione, e non avendo denari, ne chiese a Federico II, dandogli
-in pegno la più parte delle terre e de’ vassalli suoi in Monferrato.
-Passato il mare, ricuperò Tessalonica, ma poi morì avvelenato;
-l’esercito andò scomposto, e non si sa come i beni del Monferrato
-fossero poi redenti. L’istromento è addotto da Benvenuto di San
-Giorgio, _Cr. del Monferrato_ sotto il 24 marzo 1224.
-
-[344] Lib. I. tit. 30, rubr. _Quod nullus prælatus, comes, baro
-officium justitiæ gerat._
-
-[345] GREGORIO, _Consider. sopra la storia della Sicilia_, vol. III.
-— Huillard Bréholles pubblica i registri di Federico II; ma finora non
-uscirono che quelli concernenti la prima metà della sua vita, cioè la
-meno rilevante. Fra i documenti inediti v’ha molte lettere di Gregorio
-IX alla Lega Lombarda; altre relative alla crociata, cui pure appella
-un itinerario di Federico, e una relazione tolta dalla biblioteca
-imperiale di Parigi; inoltre una cronaca sicula da Roberto Guiscardo al
-1250, tratta dall’archivio vaticano.
-
-[346] Le città del dominio reale, convocate direttamente dalla corona,
-erano: in Sicilia, Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Augusta,
-Lentini, Calata Gironi, Platia, Castrogiovanni, Trapani, Nicosia; in
-terraferma, Gaeta, Napoli, Aversa, Montefuscolo, Avellino, Eboli,
-Ariano, Policastro, Amalfi, Sorrento, Salerno, Termoli, Troja,
-Civitella, Siponto, Monte Sant’Angelo, Potenza, Melfi, Molfetta,
-Vigiliano, Giovenazzo, Bitonto, Monopoli, Bari, Trani, Barletta,
-Gravina, Matera, Taranto, Brindisi, Otranto, Cosenza, Cotrone,
-Nicastro, Reggio. La prima intervenzione di buoni uomini fu nel 1241.
-Solo nel 1265 trovansi chiamati i borghesi al parlamento d’Inghilterra.
-
-[347] _Qua pœna universitates teneantur, quæ creant potestates et alios
-officiales_. Tit. 47.
-
-[348] BIANCHINI, _St. delle finanze nel regno di Napoli_. Il _Regestum
-Friderici II_, ann. 1239 e 40, edito dal Carcani nel 1786, contiene
-mille e otto lettere di Federico, desunte dall’archivio di Napoli,
-e che concernono principalmente le finanze, dove l’imperatore mostra
-molta intelligenza, sebbene costretto dalle continue guerre a smungere
-il paese ch’e’ volea rifiorire.
-
-Non è superfluo l’esaminare con quali fornimenti Federico e i suoi
-nemici nutricavano la guerra in tempo che scarsissimo era il contante:
-
-Federico guastò il bel sistema d’imposte della Sicilia con espedienti
-rovinosi, che appajono dalle sue lettere: ordinò una colletta
-generale; pose ingenti contribuzioni sui beni degli ecclesiastici,
-e fece amministrare da economi regj i vacanti; chiedeva ogni tratto
-tutto il denaro che fosse entrato nelle casse regie, lasciando così a
-scoperto le spese cui era destinato, e persino il vestire e nutrire
-Rinaldo d’Este e re Enrico suoi prigionieri od ostaggi. Una volta
-il giustiziere di Terra di Bari avendogli recate sole once d’oro
-cinquecento (lire 31,500), Federico volea farlo precipitare dalle mura,
-poi s’accontentò di destituirlo, surrogandogli il saracino Raasch; e ai
-sopportanti ordinò fra quindici giorni soddisfacessero, pena la galera
-(MATTEO SPINELLI DI GIOVENAZZO, _Diurnali_, § 44). Limitò gl’interessi
-al dieci per cento, eppure tolse a prestanza fin al tre cadun mese;
-poi alla scadenza, mancandogli fondi, pagava il quattro e il cinque
-d’aggiunta. Avendo preso per tre mesi da diversi mercanti settemila
-ottocensessantatre once al tre e fin al cinque per cento il mese,
-alla scadenza capitalizzò l’interesse, crescendo così a undicimila
-seicentotre once. Queste somme erano contate in moneta di Venezia,
-sulle quali i mercanti guadagnavano ancora pel giro del cambio.
-All’assedio di Faenza non solo fuse tutto il suo vasellame e impegnò le
-gioje, ma battè una moneta di cuojo, avente da una parte un chiodetto
-d’argento, dall’altra l’effigie dell’imperatore, e dovea valere un
-agostaro d’oro, colla promessa di cambiarla in moneta buona, come fece.
-Le truppe, per regola, non avevano soldo, onde variavasi a norma delle
-circostanze: Federico dava ai pedoni da tre a cinque tarì e il vivere;
-a un cavaliere tre once d’oro al mese, coll’obbligo di provvedersi uno
-scudiere, un valletto, cavalli ed armi. L’oncia d’oro, pesante gramme
-21.10, divideasi in trenta tarì: e quella valea lire 63.30, questi lire
-2.11: onde il medio di un pedone era lire 8.44, d’un cavaliere 190; e
-il valore sta al quintuplo dell’odierno.
-
-Le rendite del papa consistevano nelle regalie, e in un tanto per fuoco
-che pagavasi dai Comuni di dominio diretto, ch’era di nove denari
-ogni fumante, eccettuati ecclesiastici, militi, giudici, avvocati,
-notaj, e chi non avesse alcuna proprietà aggravezzata. I comuni però
-solean ridurla a un tanto fisso, che era per Fano, Pesaro, Camerino di
-cinquanta libbre d’argento ciascuna, cioè lire cinquemila; di quaranta
-per Jesi. L’imperatore poi occupava la maggior parte del territorio,
-sicchè ben poco da questo poteasi ricavare. Suppliva la decima del
-cinque, del dieci, fin dei venti per cento sulle rendite ecclesiastiche
-di tutto l’orbe cattolico, oltre le collette che si esigevano a
-titolo di crociata. Quando Gregorio IX noleggiò le navi di Genova per
-trasportare i cardinali al concilio di Roma, tolse a prestito mille
-marchi, ipotecati sui beni del clero, e pagò ducento libbre genovesi
-per un mese d’interesse. Il totale armamento costò cinquemila marchi,
-cioè lire ducencinquantamila, che alcuni mercanti si obbligarono di far
-pagare a Genova, a trenta giorni, mediante lo sconto di cinquantasette
-marchi (_Regesta_, lib. XIV, nº 3, 4). Esso Gregorio lasciò un debito
-di quarantamila marchi, pel quale i mercanti molestarono assai il suo
-successore.
-
-I Milanesi emisero una carta monetata, con cui poteasi pagare le pene
-pecuniarie; nessun creditore era obbligato riceverla in pagamento,
-ma il debitore non andava soggetto a sequestro se avesse in cedole di
-banco tanto di che soddisfarlo. Per ritirarla poi di corso, si formò
-il catasto delle rendite, sulle quali si stabilì una tassa che in otto
-anni rimborsò quel debito.
-
-[349] _Ep. Petri de Vineis_, lib. III. Preside all’università era il
-celebre giureconsulto Pietro d’Isernia con dodici oncie d’oro all’anno.
-
-[350] In testa al ponte v’avea un castello con due torri; era ornato di
-marmi, bassorilievi, statue, fra cui quelle dell’imperatore, di Pier
-delle Vigne, di Taddeo di Suessa. Il monumento costò ventimila once
-d’oro.
-
-[351] SIGONIO, _De regno ital._, I. pag. 80: _Nec enim ob aliud
-credimus quod providentia Salvatoris sic magnifice, imo mirifice
-dirigit gressus nostros, dum ab orientali zona regnum hierosolimitanum,
-Conradi clarissimi nati nostri materna successio, ac deinde regnum
-Siciliæ, præclara materna nostræ successionis hereditas, et præpotens
-Germaniæ principatus sic nutu cælestis arbitrii, pacatis undique
-populis, sub devotione nostri nominis perseverat, nisi ut illud Italiæ
-medium, quod nostris undique viribus circumdatur, ad nostræ serenitatis
-obsequia redeat et imperii unitatem_.
-
-Il volere che la Sicilia non appartenesse a un principe il quale
-dominasse altrove, è imputato ai papi come un sentimento antitaliano,
-figlio della barbarie del medioevo e della stupida ambizione pretina.
-Ma nell’anno del riscatto dell’italianità, nel 1848, i Siciliani,
-insorti come tutto il resto della penisola, davansi una costituzione,
-il cui § 2 diceva: — Il re de’ Siciliani non potrà regnare o governare
-su verun altro paese. Ciò avvenendo, sarà decaduto _ipso facto_».
-
-[352] RICARDO DA SAN GERMANO, pag. 1039. — GODI, _Chron_., pag. 82.
-
-[353] È curioso una specie di atto verbale, per cui nel 1216, dovendo
-passar d’Italia in Germania re Enrico figlio di Federico II, il
-podestà di Modena con gran comitiva gli andò incontro per riceverlo,
-e con sicurezza e libertà condurlo traverso al dominio modenese; cioè
-all’ospedale di San Pellegrino gli fu consegnato dall’arcivescovo
-di Palermo, che promise condurlo e custodirlo per le Alpi e sin al
-ponte di Guiligua in mezzo all’alveo del fiume, dove lo consegnò agli
-ambasciatori di Parma e Reggio. _Antiq. M. Æ._, IV. 224.
-
-[354] Quelle trattative sono esposte dagli autori arabi, raccolti nel
-IV. vol. della _Bibliothèque des Croisades_ di Michaud, pag. 427;
-e a pag. 249 le corrispondenze loro e i sentimenti degli scrittori
-musulmani in proposito.
-
-[355] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 881.
-
-[356] CAFFARO, _Ann. Gen._, lib. IV. Al 1217 dice che _ob multas
-discordias quæ vertebantur inter civitates Lombardiæ, quum multæ
-religiosæ personæ se intromitterent de pace et concordia componenda,
-tandem, auxilio Dei, inter Papiam, Mediolanum, Placentiam, Tordonam et
-Alexandriam pax firma fuit et firmata mense junii_.
-
-[357] _Acta SS_., 20 _martii_.
-
-[358] È bellissimo il discorso di papa Gregorio X ai Fiorentini
-perchè accogliessero gli scacciati Ghibellini: _Gibellinus est,
-at christianus, at civis, at proximus. Ergo hæc tot et tam valida
-conjunctionis nomina Gibellino succumbent? et id unum atque inane
-nomen, quod quid significet nemo intelligit, plus valebit ad odium,
-quam ista omnia tam clara et tam solide expressa ad charitatem? Sed
-quoniam hæc vestra partium studia pro romanis pontificibus contra
-eorum inimicos suscepisse asseveratis, ego romanus pontifex hos vestros
-cives, etsi hactenus offenderint, redeuntes tamen ad gremium recepi, ac
-remissis injuriis pro filiis habeo._
-
-La lapide posta a quella chiesa diceva:
-
- _Gregorio X papa sancti sub honore_
- _Gregorii primi pro Christi fundor amore._
- _Hic ghibelline cum guelfis pace patrata_
- _Cessavere mine sub qua sum luce creata...._
- _Gregorio bella decima fuit ista cappella_
- _Pacis fundata Mozzis edificata._
-
-[359] Gli atti trovansi nelle _Delizie degli eruditi toscani_, vol. IV.
-pag. 96.
-
-[360] AFFÒ, _St. di Parma_, vol. III. pag. 274-293.
-
-[361] Vero è che questi ultimi fatti ci sono raccontati solo da
-Ghibellini. Vedi il nostro _Ezelino_.
-
-[362] Lettera del 28 luglio 1233, ap. RAYNALDI, nº 41. 42.
-
-[363] _Promiserunt ei dare coronam ferream, quam patri suo dare numquam
-voluerunt_. GALVANO FIAMMA, cap. 264.
-
-[364] _Divinæ legis immemor et affectionis humanæ contemptor_. Regesta
-Gregorii IX, lib. VIII, nº 461-62 ... Lo fece anche scomunicare dal
-vescovo di Salisburgo, lib. IX, nº 172. Vedasi se n’era istigatore!
-
-Tra le favolette, che a scorno una dell’altra inventavano le
-popolazioni, fu questa: che i Cremonesi levarono a battesimo Corrado
-figlio di Federico II, e profusero regali, e fecero fare una quantità
-di mannaje per uccidere tutti i nemici di esso, talchè ben trentamila
-se ne videro in una sola rassegna. In compenso domandarono una grazia
-grande, che concedesse alla loro città di crescere in infinito e
-più che Roma, che si facesse due volte l’anno il ricolto, e due
-fruttificassero gli alberi, e ogni cosa vi fosse doppia, e grossi i
-denari così, che cascando per terra facessero _tun tun_. E l’imperatore
-ne fe decreto, e che anche avessero l’anno di dodici mesi, ecc. _Monum.
-Hist. patriæ_, Scrip., III. 1577.
-
-[365] _Imperator imperatricem quamplurimis mauris spadonibus et vetulis
-larvis consimilibus custodiendam mancipavit_. MATTIA PARIS, Hist.
-Angl., pag. 402.
-
-[366]
-
- _Urbs decus orbis, ave. Victus tibi destinor, ave._
- _Currus ab Augusto Friderico Cæsare justo._
- _Fle Mediolanum, jam sentis spernere vanum_
- _Imperii vires proprias tibi tollere vires._
- _Ergo triumphorum potes urbs memor esse priorum_
- _Quos tibi mittebant reges qui bella gerebant._
-
-È dato da Ricobaldo, e m’ha odore di quel tempo più che l’epigramma che
-oggi può leggere ciascuno in Campidoglio.
-
-[367] _Vita Gregorii IX_, tom. III. pag. 583.
-
-[368] VILLANI. — _Nuntios soldani ad convivium vocat, et eis, multis
-episcopis assidentibus, festivas epulas parat_. GODEFRIDI monaci
-Annales, p. 398. — _In pluribus terris Apuliæ suarum meretricularum
-loca construxit.... et non contentus juvenculis, mulieribus et puellis,
-tamquam scelestus infami vitio laborabat; nam ipsum peccatum quasi
-Sodoma aperte prædicabat, nec penitus occultabat_. NIC. DE CURBIO, Vita
-Innocentii IV, § 29.
-
-[369] _Heu me! quandiu durabit truffa ista?_ ALBERICI Chron. _Fatui
-sunt qui credunt nasci ex virgine Deum_. Ep. Gregorii, _ap_. MATTIA
-PARIS, pag. 494.
-
-[370] _Iste rex pestilentiæ a tribus baratatoribus, ut ejus verbis
-utamur, Christo Jesu, et Moise, et Mahometo, totum mundum dixit
-fuisse deceptum_. M. PARIS, ad ann. 1238. L’epistola accennata di
-Pier delle Vigne è nel lib. I. cap. 31. — Generale è, negli scritti
-d’allora e di poco poi, l’opinione della sua miscredenza, e correva
-pure fra’ Musulmani. Jafei dice: «L’emir Fakr-eddin entrò ben innanzi
-nella confidenza dell’imperatore, spesso disputavano di filosofia, e
-pareano in molti punti d’accordo....». Ai Cristiani veniva scandalo
-di tale amicizia. Esso diceva all’emir: «Io non avrei tanto insistito
-sulla consegna di Gerusalemme, se non avessi temuto perdere ogni
-credito in Occidente; mi premeva di conservare Gerusalemme o altra
-cosa siffatta, ma la stima dei Franchi.... L’imperatore era rosso e
-calvo, di vista debole; se fosse stato uno schiavo, non se ne sarebbero
-pagate ducento dramme. Dai suoi parlari appariva che non credeva alla
-religione cristiana; non ne parlava che per voltarla in baja. Un muezin
-recitò innanzi a lui un versetto del Corano che nega la divinità di
-Cristo, e il sultano volea punirlo; ma Federico si oppose». _Bibl.
-des Croisades_, vol. IV. p. 417. Vedi REYNAUD, _Extrait des historiens
-arabes relatifs aux Croisades_, pag. 431.
-
-[371] _Ecclesiasticæ censuræ vigorem debilitat et conculcat_. Regesta
-Urbani III, nº 95. Nella biblioteca di Vienna è una lettera di Federico
-a Vatace imperatore d’Oriente suo genero, ove scrive: _O felix Asia,
-o felices Orientalium potestates, quæ subditorum arma non metuunt, et
-adinventiones pontificum non verentur_. Cod. philol., nº 305, p. 128.
-
-[372] Il fatto anzi vale a mostrare come questo diritto fosse
-riconosciuto universalmente. Quando il papa nel 1239 offerse al conte
-Roberto di Francia la corona dello scomunicato Federico, i baroni
-francesi protestarono contro quest’atto, finchè non si fosse ben certi
-che l’imperatore avea peccato contro la fede: _Missuros ad imperatorem,
-qui quomodo de fide catholica sentiat diligenter inquirant: tum ipsum,
-si male de Deo senserit, usque ad internecionem persecuturos._ M.
-PARIS. Al concilio poi di Lione assistevano gli ambasciadori di tutte
-le potenze, e nessuno contestò la competenza di quel tribunale, solo
-limitandosi a mitigare il papa ed a scolpar l’imperatore.
-
-[373] Da Lione, aprile 1246. _Ap._ RAINALDI.
-
-[374] Ep. 37. lib. I. Pare che Federico cercasse guadagnare l’opinione
-col far tradurre in italiano le lettere che dirigeva ai papi e ai re,
-simili agli odierni manifesti; nè altra origine saprei dare a quelle
-volgarizzate che si pubblicarono dal Lami nelle _Delizie degli eruditi
-toscani_, e ultimamente dal Corazzini, Firenze 1853. Ivi n’è pure una
-di Gregorio papa, che riepiloga gli aggravj contro Federico; e basta
-leggerla per vedere quanto sovrasti per vigore e concisione alle sempre
-retoriche di Pier delle Vigne.
-
-[375] _Ap._ BOLLAND, _Vitæ Patrum prædic._, p. 54: GIULINI, _Memorie di
-Milano_, VII. 534.
-
-[376] La poesia popolare insultò alla sconfitta di Federico:
-
- _Fridericus dentibus fremdit et tabescit,_
- _In vindictam sublimans minas non compescit,_
- _Antiquum proverbium sapientis nescit:_
- _In vindictam sepius dedecus accrescit....._
- _Ipsum hostem_ Brixia, _que prior fugasti,_
- _Gaude quia gaudium tuum duplicasti,_
- _Dum in_ Parme _gloria gaudens exultasti,_
- _Cui talis per spacium patet orbis vasti._
- Mediolanensi _sit applausus multus,_
- _Ejus ope quoniam Parmensis suffultus,_
- _In hostem Ecclesie hac in suum ultus,_
- _Potius a se repulit hostiles insultus._
- _Gratuletur_ Janua, _quia, res est certa,_
- _Quia hostis fracta sunt cornua et serta,_
- _Fiat Janua per me Parme laus aperta,_
- _Nam in Parma manus est Domini reperta._
- _Gratuletur civitas placens_ Placentina
- _In Parme victoria et hostis ruina,_
- _Parma manu quoniam adjuta divina,_
- _Hostem fugans hostium fecit morticina._
- _Bonorum_ Bononia _bona nacione_
- _Letetur letantium leta concione_,
- _Nam quod secum Dominus in dilectione_
- _Parma victrix premium meretur corone._
- _Honorem Ecclesie que manu tuetur,_
- _Gloria civitas_ Mantua _letetur,_
- _Nam Parma, que Mantuam amat et veretur,_
- _Triumphat ne amplius hostis coronetur._
- _Exultet_ Venetia, _civitas electa,_
- _Quia Parma spoliis hostis est refecta,_
- _Inimice copia gentis interfecta,_
- _Reliqua carceribus aut fuge subjecta._
- _Psallet cordis organo et in oris sono_
- Anchona, _quam merito laudans post pono,_
- _Restituta_ Marchia _nobis ejus dono_
- _Anchona proposito quia fuit bono....._
- _Ve ve Christi Babilon! civitas_ Papie,
- _Ad ruinam quoniam tibi patent vie,_
- _Ab illa, qua victus est Fridericus, die,_
- _Per Parmam auxilio Virginis Marie._
- _O_ Pisani _perfidi, socj Pilati,_
- _Vos fecistis iterum crucifixum pati;_
- _Sed surrexit Dominus nostre libertati,_
- _Jam sue apparuit Parme civitati._
- _Dum opem et operam hosti prebuistis,_
- _Ut prelatos caperet, vos eos cepistis,_
- _Quibus nec discipulis suis peperistis;_
- _Quia fui minimus de captivi istis..._
-
-Vedi _Regesta Innocentii IV, herausgegeben von_ D. C. HÖFLER. Stuttgard
-1847. È singolare che la fama di Federico sia ora commendata tanto da
-letterati, mentre in un tempo di letteratura sì scarsa come il suo,
-egli si trova maledetto in tanti versi. Ursone notaro di Genova, autore
-di un _Liber fabularum moralium_, scrisse un poemetto _Della vittoria
-che i Genovesi riportarono contro le genti mandate dall’imperatore per
-sottomettere Genova_. Fu stampato nel vol. II delle Carte nei _Monum.
-Hist. patriæ_; e sebbene corrottissimo il testo, vi si scorge verso
-non infelice, e conoscenza di Omero, di Claudiano, specialmente di
-Virgilio. Minutissimamente descrive que’ fatti, e così inveisce contro
-i Pisani:
-
- _Gens pisana tamen, majori turbine nutans,_
- _Partim tecta petit, tenuit pars altera pontum._
- _Impia gens, scelerata cohors, conjunctio nequam,_
- _Perfidiæ populus, duri cœtus Pharaonis,_
- _Grex bonitate carens, infidus, perfida massa,_
- _Præsumens violare crucis fideique vigorem,_
- _Contemptor Domini, sacrorum nescius, exsul_
- _Justitiæ, veri calcator, schismatis auctor,_
- _A facie Domini nullo feriente fugatur,_
- _Et crucis athletas bello tollerare nequivit._
- _Hanc immensa Dei virtutem dextera fecit,_
- _Quodque terens tumidum, confringens quodque superbum._
- _Discat quisque malus, cognoscat criminis actor_
- _Quod malefacta nocent, quod dant peccata pudorem,_
- _Quod peccando miser dominum peccator acerbat,_
- _Quod perclementem sibi durum vertit in hostem,_
- _Quod sceleris primo se damnat conscius ipse._
-
-[377] Epitafio di re Enzo in San Domenico a Bologna:
-
- _Tempora currebant Christi nativa potentis_
- _Tunc duo cum decie septem cum mille ducentis,_
- _Dum pia Cæsarei proles cineratur in arca_
- _Ista Federici, maluit quem sternere Parca._
- _Rex erat, et comptos pressit diademate crines_
- _Hentius, inque poli meruit mens tendere fines._
-
-Sembra posteriore quest’altro:
-
- _Felsina Sardiniæ regem sibi vincla minantem_
- _Victrix captivum, consule ovante, trahit._
- _Nec patris imperio cedit, nec capitur auro;_
- _Sic cane non magno sæpe tenetur aper._
-
-Una biografia di Enzo fu stesa da Ernesto Munch con molti documenti.
-Luisburg 1828.
-
-[378]
-
- Io son colui che tenni ambo le chiavi
- Del cuor di Federico, e che le volsi
- Serrando e disserrando sì soavi,
- Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi;
- Fede portai al glorioso uffizio,
- Tanto ch’i’ ne perdei le vene e i polsi.
- . . . . . . . . . . . . . . . . .
- Vi giuro che giammai non ruppi fede
- Al mio signor, che fu d’onor sì degno.
- _Inf._, XIII.
-
-Le cronache raccontano che Pier delle Vigne avea bella donna, ed era
-geloso dell’imperatore, che però mai non v’ebbe a fare. Ma una mattina,
-andato a casa di Pietro, questi era già uscito, e la sua donna dormiva
-colle braccia scoperte. L’imperatore la coprì, e andò via; ma o a posta
-o in fallo vi lasciò un guanto. Pietro tornato e vistolo, se ne coceva
-ma dissimulava; finchè una volta, trovandosi solo coll’imperatore e
-colla moglie, volle rinfacciare il fallo con questi versi:
-
- _Una vigna ho piantà; per travers è intrà_
- _Chi la vigna m’ha guastà; han fet gran peccà._
-
-La donna rispose sulla stessa intonazione:
-
- _Vigna son, vigna sarai;_
- _La mia vigna non fallì mai._
-
-Onde Pietro consolato ripigliò:
-
- _Se così è come è narrà,_
- _Più amo la vigna che fi mai._
-
-Vedi JACOPO D’ACQUI, _Imago mundi_, pag. 1577.
-
-[379] INNOCENTII IV _Ep_., lib. VIII. 1.
-
-[380] _Habituri perpetuam tranquillitatem et pacem, ac illam tutissimam
-et delectabilem libertatem, qua cæteri speciales Ecclesiæ filii
-feliciter et firmiter sunt muniti_.
-
-[381] «Dava uno colpo allo cerchio, e n’autro allo tompagno». MATTEO
-SPINELLI DI GIOVENAZZO, _Diurnali_, § 3.
-
-[382] _Regesta Innocentii IV_, lib. 12, N. 284, 337. Vedi pure NICOLA
-DE JAMSILLA, pag. 500, 536; SABA MALASPINA, _Hist._, lib. II. cap. 22
-nei _Rer. It. Scrip._, VIII.
-
-[383] MATTIA PARIS, pag. 868.
-
-[384] Dato da Wasserburg il 20 aprile 1255. Trovasi nell’archivio de’
-Frari, allegato da Manfredi in un trattato coi Veneziani.
-
-[385] «Spesso la notte usciva per Barletta cantando strambotti e
-canzoni, ed ivi pigliando il fresco, e con esso ivano due musici
-siciliani che erano grandi romanzatori». SPINELLI.
-
-Contemporanei sono pure l’Anonimo di Taranto, Ricordano Malaspini,
-Inveges, e di poco posteriori Dante e Giovan Villani, che raccontano o
-accennano questi fatti.
-
-[386] «Lo papa e la gente de lo Reame non averieno comportato di fare
-chiù signoriare la natione tudisca». SPINELLI.
-
-[387] «Subito fece conoscere ch’era d’autro stomaco che papa
-Alessandro». SPINELLI.
-
-[388] MALASPINA, lib. II. cap. 6.
-
-[389] «Si dice che a chisto maritaggio lo re ne avanza chiù della
-mitate». SPINELLI.
-
-[390] PIPINI _Chron._, lib. III. cap. 7.
-
-[391] Ap. RYMER, _Acta publica_, 1816, tom. I. pag. 352.
-
-[392] GIOFFREDO, _St. delle Alpi marittime_.
-
-[393] _Regesta Clementis IV_, lib. I, nº 548.
-
-[394] _In recognitionem veri dominii eorumdem regni et terræ._ Il
-giuramento che diede diceva: _Papæ, ejus successoribus, ac romanæ
-ecclesiæ ligium homagium facimus pro regno Siciliæ, ac tota terra
-quæ est citra Pharum, usque ad confinia terrarum, excepta civitate
-Beneventana cum toto territorio et omnibus districtibus et pertinentiis
-suis, nobis et heredibus nostris a prædicta Ecclesia romana concessis
-etc._ Le ottomila once erano _ad generale pondus_, il che indicava che
-se ne riteneva il dieci per cento, cioè riducevansi a settemiladucento:
-valutandole lire 63.30, il censo sarebbe stato di lire 453,760, che
-oggi s’avvicinerebbero a due milioni. Nel 1276 Carlo trovandosi a
-Roma, e sollecitato a pagare questa somma, nè avendola, scrisse a’ suoi
-tesorieri impegnassero la sua corona grande e le gioje per ottenerla in
-prestito. GIANNONE, lib. XIX. cap. 2.
-
-[395] «Con tutto questo stettemo con gran paura». SPINELLI.
-
-[396] _Misit in Siciliam et Lombardiam ut inde arcesseret duos
-astrologos: is enim incredibile est quantam fidem haberet astrorum
-posituris._ MALASPINA.
-
-[397] _Reddite vos attentos, ut potius equos quam homines offendatis._
-Lo stesso.
-
-[398] _Potius hodie volo mori rex, quam vivere exul et miser_.
-RICOBALDO FERRARESE. — Ch’ei fosse portato attorno da un ribaldo
-s’un asino, è smentito dalla lettera di Carlo che dice: _Contigit
-quod die dominica corpus inventum est nudum penitus inter cadavera
-peremptorum... Ego, naturali pietate inductus, corpus ipsum cum quadam
-honorificentia sepulturæ, non tamen ecclesiasticæ, tradi feci._ Ap.
-TUTINI. Manfredi erasi già preparata la sepoltura nel famoso santuario
-di Monte Vergine, ove tuttora, nella cappella a destra dell’altare
-maggiore, è il sarcofago antico destinatogli e un gran crocifisso da
-lui regalato.
-
-Un ossesso in Puglia, interrogato se Manfredi fosse in luogo di
-salvazione, rispose: — Cinque parole lo salvarono, le quali ti dirà
-il conte Enrico». Ed erano _Deus propitius esto mihi peccatori_, che
-proferì morendo. _Chronicum imaginis mundi_, 1595.
-
-Dante incontra Manfredi nel Purgatorio, supponendo siasi pentito in
-morte, ma deve restare in aspettazione tanto tempo quanto stette in
-contumacia della santa Chiesa:
-
- Biondo era e bello e di gentile aspetto,
- Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
- .... Io son Manfredi
- Nipote di Costanza imperatrice....
- Poscia ch’io ebbi rotta la persona
- Da due punte mortali, io mi rendei
- Pentito a quei che volentier perdona.
- Orribil furon li peccati miei,
- Ma la bontà divina ha sì gran braccia,
- Che prende ciò che si rivolve a lei...
- Per lor maledizion sì non si perde
- Che non possa tornar l’eterno amore
- Mentre che la speranza ha fior di verde....
- ... L’ossa del corpo mio
- Or le bagna la pioggia e move ’l vento
- Di fuor del Regno quasi lungo ’l Verde
- Onde le trasmutò a lume spento.
-
-Vedasi DAVANZATI, _Della seconda moglie di Manfredi_. Tra i più fedeli
-a costui era stato Matteo da Termini, leggista reputato, e da quello
-fatto consigliere e giudice della grancorte. Rotto il signor suo, nel
-cui esercito combattè, fuggì in Sicilia, e caduto in grave infermità,
-fece voto, se guariva, consacrarsi a Dio. Di fatto entrò agostiniano,
-col nome di Agostino Novello celando la primitiva grandezza fra studj
-e penitenze. Si ricoverò agli eremi di Siena, ma quivi il generale
-dell’Ordine lo volle compagno, poi in Roma fu ordinato sacerdote, e da
-Nicola IV scelto confessore e sacrista. Assunto generale dell’Ordine,
-dopo due anni riuscì a liberarsene e tornare alla devota solitudine.
-Bonifazio VIII il voleva alla sua corte, ma egli ritirato nell’eremo
-di San Leonardo presso Siena, venne in grand’odore di santità, e quando
-morì nel 1309, fu ascritto fra i beati. Vedi CAPECELATRO.
-
-[399] «A vita mia non vidi la chiù bella vista». SPINELLI.
-
-[400] _Cruorem eliciunt et medullas_. MALASPINA.
-
-[401] Ap. MARTÈNE, _Thes. Anecd._, tom. II. pag. 524.
-
-[402] _Quietem quæsivit, et ob hoc a vulgo ignominiam multam suscepit;
-nam de eo carmina prava decantaverunt._ Joh. Vittodur. ap. ECCARD,
-_Corpus Hist._, I. 5.
-
-[403] Così un suo manifesto nella biblioteca dell’Accademia di Torino,
-D. N. 38 f. 70. Pel resto vedi LUNIG, _Codex it. dipl._, II. 41.
-_Protestatio Conradini_; e altri documenti dell’11 gennajo 1267, e 7
-luglio 1268.
-
-[404] Cont. del Baronio, al 1268.
-
-[405] Ne fu testimonio il Malaspina, che particolareggia appienissimo
-questi fatti, tutto compassione per i soccombenti: egli pretende che
-i signori napoletani congiurassero con Enrico per farlo re di Sicilia
-dopo vinto Carlo col nome di Corradino, il quale co’ suoi fedeli
-sarebbe stato tolto di mezzo. Anche lo Spinelli scrisse in dialetto
-pugliese il suo diario fino alla giornata di Tagliacozzo, ove forse
-morì. Voglionsi aggiungere il _Chronicon Cavense_, pubblicato dal
-PERTZ; la _Cronaca inedita_ del SALIMBENE; e varj documenti nuovi,
-prodotti da SAINT-PRIEST nella _Histoire de Charles d’Anjou_, da
-RAUMER, _Gesch. der Hohenstaufen_, da HUILLARD BRÉHOLLES, _Recherches
-sur les monuments de la maison de Souabe_ e _Nouvelles Recherches sur
-la mort de Conradin_, da JAGER, _Conradins Geschichte_, da DI CESARE,
-_La colonna di Corradino_, ecc.
-
-* Il sig. MINIERI RICCIO (_Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò
-dal_ 6 _agosto_ 1252 _al_ 30 _dicembre_ 1270, _tratti dall’Archivio
-angioino di Napoli_, 1874) chiarì quei tempi, e come per Corradino
-parteggiassero nel regno i Ghibellini e i Saraceni, e massime Reggio,
-che fu sottomessa a forza.
-
-[406] _Illa strage quæ in campo Beneventano facta fuit, hujus respectu
-valde modica fuit_, scriveva Carlo al papa, _ap_. MARTÈNE, N. 690.
-
-[407] _Sunt qui dicunt per pontificem et cardinales, ut Conradus et
-cæteri in eorum potestatem et carcerem venirent, fuisse decretum. Quod
-ne accideret, Carolus sategit._ RICOBALDO FERR. e PIPINO nei _Rer. It.
-Scrip._, VIII. 137. IX. 684.
-
-Dicono che il papa, interrogato dal re che dovesse farne del
-prigioniero, rispondesse: — La vita di Corradino è morte di Carlo;
-la vita di Carlo è morte di Corradino». Se il Giannone, nella sua
-servilità ai re, che poi doveano ripagarlo di tal moneta, bevette
-questa brutalità colla sua solita irriflessione, la trovò improbabile
-perfino il Sismondi, così corrivo in tutto ciò che denigri i pontefici.
-Anche il sardo cronista di Pisa e ghibellino scrive che Carlo mandò al
-papa chiedendo «ciò che di loro dovesse fare», e che il papa rispose
-che «non era consiglio di prete che altri andasse alla justizia».
-Secondo il _Chron. imaginis mundi_, la risposta di Clemente fu: _De
-Conradino filio iniquitatis vindictam non querimus, nec justitiam
-denegamus_; nei _Monum. Hist. patriæ_.
-
-[408] Presso i Bollandisti, _Acta SS. martii_, tom. III. p. 190.
-
-[409] _Ut faciat rex de vitulo superstite victimam, Conradinum
-recognoscentem sæpius contra matrem Ecclesiam deliquisse, nec minus
-contra regem ipsum vehementer errasse, procuravit per quosdam Ecclesiæ
-cardinales illuc propterea per sedem apostolicam destinatos absolvi._
-MALASPINA.
-
-[410] Nell’archivio di Stuttgard esiste il testamento di Corradino,
-o piuttosto codicillo di testamento anteriore non pervenutoci,
-dettato il 29 ottobre, presenti Giovanni Bricaudi sire di Nangey, e
-quell’Erardo di Valery che avea dato a Carlo il suggerimento per cui
-vinse la battaglia di Tagliacozzo. Provvede al pagamento d’alcuni
-debiti; fa molti legati a monasteri germanici; ai duchi di Baviera suoi
-zii lascia «tutti i beni patrimoniali e feudali con tutte le persone
-d’ambo i sessi a lui appartenenti ne’ paesi germanici o ne’ latini», e
-raccomanda loro Corrado e Federico d’Antiochia suoi cugini. Della madre
-non fa cenno, non della sua fidanzata, che si suppone fosse Brigida
-dei marchesi di Misnia: che non parlasse d’un erede a’ suoi diritti sul
-trono di Sicilia è facile comprenderlo, dettando egli sotto gli occhi
-di amici del nemico suo.
-
-È tradizione destituita di fondamento che Elisabetta di Baviera (la
-quale erasi rimaritata in Mainardo conte del Tirolo della casa di
-Gorizia) venisse in persona, sovra una galea tutta nera, a raccogliere
-il corpo del figlio, per farlo sepellire nella chiesa del Carmine da
-lei fondata; e che in memoria di ciò que’ frati ponessero una statua
-colla borsa in mano, statua che or mutila è abbandonata in un magazzino
-del museo degli Studj. L’iscrizione che or accenna quel fatto, fu posta
-il secolo passato per cura di Michele Vecchione.
-
-Sotto Giovanni I, un cuojajo napoletano, di nome Domenico di Persio,
-si ricordò di quell’infelice che i parenti principeschi aveano
-dimenticato, e dalla regina si fe cedere il terreno dove era stato
-ucciso, e vi fece erigere una cappella ed una colonna sormontata da
-una croce colla Madonna e la Maddalena e il simbolo affettuoso del
-pellicano. La confraternita de’ cuojaj la prese in cura, e vi facea
-celebrare nelle solennità, finchè la cappella non bruciò nel 1785. La
-colonna vedesi ancora al vestibolo della sacristia nella moderna chiesa
-delle Anime del Purgatorio, e la croce staccatane è nella sacristia
-stessa sovra un altare.
-
-Ricordano Malaspini e dietro lui altri annalisti raccontano come al
-supplizio assistesse Roberto conte di Fiandra, genero di Carlo, e che,
-udita la sentenza, s’avventò al protonotaro esclamando: — Malnato!
-tocca a te condannar un signore sì nobile e gentile?» e lo trafisse.
-Colpo da francese: ma, per disgrazia de’ romanzieri, in un _Memoriale
-del podestà di Reggio_, inserito nel tom. VIII. del _Rer. Ital.
-Scrip._, si trova che il 18 ottobre Margherita di Borgogna, nuova
-sposa di Carlo d’Angiò, pervenne a Reggio e vi si fermò, ed ivi giunse
-a incontrarla Roberto alla fin del mese, quando appunto accadeva il
-supplizio di Corradino; poi nel lib. iii. p. 215 del SUMMONTE, _Istoria
-di Napoli_, è riferito un diploma reale del 15 dicembre seguente, dato
-per mano di maestro Goffredo di Belmonte cancelliere e Roberto di Bari
-protonotaro del regno.
-
-Ogni scolaretto ha inteso raccontare che Corradino dal palco gettò
-un guanto, come segno che invitava alla vendetta il suo erede, che
-era Pietro d’Aragona, al quale fu portato da Giovanni di Procida
-o da Enrico di Waldburg. Questo fatto non appare in alcuno storico
-napoletano avanti il Collenuccio; ma prima ne avea parlato Giovanni
-abate di Victring in Carintia, che fece una cronaca sin al 1344;
-autorità lontana di tempo e di luogo. Del resto, come c’entrava
-Pietro d’Aragona? Costui avea sposato Costanza figlia di Manfredi, da
-Corradino ritenuto per usurpatore e spergiuro; possibile ora volesse
-designarlo come erede? Per giustificare l’assalto della Sicilia, Pietro
-non cercò altri titoli che la chiamata del popolo, non allegò questo
-guanto nè la successione di Corradino, bensì quella di Manfredi. Da
-Federico II era nata legittimamente Margherita di Svevia maritata in
-Alberto langravio di Turingia, alla quale avrebbe potuto competere
-l’eredità degli Hohenstaufen, se altrimenti non n’avesse già disposto
-la spada, e lei in fatti aveva il re Corrado indicata erede ove si
-estinguesse la linea mascolina; e suo figlio Federico non dimenticò i
-suoi diritti al regno di Sicilia, e ne prese il titolo, sotto il quale
-diede concessioni e ricevette ambasciate dalle città lombarde e dalle
-sicule.
-
-[411] _Ep. Rodulphi_, ap. RAYNALDI.
-
-[412] _Jactatis inanibus verborum lenociniis, oratorem, quam, rapto
-contra Tartaros exercitu, Christianum imperatorem agere malebat._ Ep.
-di Gregorio IX, ap. M. PARIS.
-
-[413] VILLANI, lib. VI. 36.
-
-[414] Giaciono negli archivj massimamente di Genova i contratti dei
-signori francesi che davano in pegno le loro terre; e per cura di re
-Luigi Filippo ne fu tratta la serie de’ signori che parteciparono a
-quelle imprese, e i cui nomi e gli stemmi ornarono poi la sala delle
-crociate nel palazzo di Versailles.
-
-[415] Lettera del 27 maggio 1267, ap. MARTENE, nº 471.
-
-[416] Carlo d’Angiò e suo nipote Filippo re di Francia erano andati
-a Viterbo per sollecitare i cardinali a nominare il nuovo papa. Ivi
-stava pure Enrico figliuolo di Ricardo di Cornovaglia imperatore
-eletto; e vi capitò anche Guido di Monforte, vicario di Carlo in
-Toscana. Per vendicare il conte Simone suo padre, ucciso in Inghilterra
-come ribelle, costui entrò in chiesa, mentre dicevasi messa, scannò
-Enrico ed uscì. Ma alcuno gli disse: — Non ti ricordi che tuo padre
-fu anche strascinato per le vie?» Ed egli rientrato prese pe’ capelli
-il cadavere, e lo trasse fuori; e i due re stettero a vedere, senza
-impedire nè risentirsi. Più tardi l’omicida fu côlto, e terminò la vita
-nelle carceri di Sicilia.
-
-[417] DA CANALE, _Cronaca veneta_, in francese, CLIX.
-
-[418] _Istorie pistolesi_ ad ann.; BILIOTTI, _Cron._, cap. XXXV.
-
-[419] QUARESMIUS, _Elucidatio Terræsanctæ_. — Gli atti di re Roberto
-sono riferiti nella bolla _Gratias agimus_ data da Clemente VI il 2
-dicembre 1342 da Avignone.
-
-[420] — Se la santità vostra (dic’egli al papa) volesse informarsi
-quanto costerà ogni bisogno, e quali pratiche da imprendersi coi
-Tartari, rispondo che in tre anni quella spesa ascenderebbe a ventuna
-volte centomila fiorini, contando il fiorino a due soldi di grossi
-di Venezia; cioè settecentomila fiorini di rimbuono ogni anno per
-stipendj, munizioni, e mantener buono accordo coi Tartari; e per
-vascelli, armamento, castrametazione, rimonte, trecentomila fiorini in
-tre anni; in tutto settecentomila fiorini all’anno». _Secreta_, lib.
-II. p. i. c. 4.
-
-Questo cenno ajuta a conoscere i valori d’allora. Poniamo che l’uomo a
-cavallo costi tre volte il pedone: se un esercito di quindicimila fanti
-e trecento cavalieri costa 600,000 fiorini annui, uno di diecimila
-fanti con millequattrocento cavalli deve costarne 535,849: aggiungi
-300,000 fiorini per le prime spese della spedizione, saranno 835,849
-fiorini. Il Sanuto ragguaglia il fiorino a due soldi di grossi di
-Venezia; onde questa spedizione dovea costare 1,671,789 soldi di
-grossi. Il soldo era la ventesima parte della lira, e la lira valeva
-dieci ducati, i quali allora doveano conguagliare a diciassette franchi
-d’oggi. Tale esercito dovea dunque costare 14,210,282, cioè ogni uomo
-annui mille franchi.
-
-Si può avere la riprova di questa stima comparandola ai valori
-fissi delle grasce. Il Sanuto ce ne porge il mezzo, dicendo: —
-La libbra di biscotto costa quattro denari e un terzo. La razione
-giornaliera di un uomo essendo una libbra e mezzo, costerà denari
-sei e mezzo; quarantacinque libbre consumate da un uomo in trenta
-giorni costeranno sedici soldi e tre denari, moneta piccola: e in
-dodici mesi, cinquecentoquaranta libbre di biscotto saranno costate
-sei soldi di grossi, un grosso e quattro denaretti». Quest’ultima
-somma dunque rappresentava a que’ tempi 540 libbre di pane; 1,671,790
-soldi dovevano rappresentarne 149,218,334. Tale quantità equivaleva a
-17,177,145 libbre metriche. Ponendo quel pane a 20 centesimi, darebbero
-14,235,409. I due computi servono dunque di riprova un all’altro.
-
-Potrebbe tentarsi lo stesso calcolo sul vino, le carni salate, i
-legumi, e così via; ma la variabilità di valore di tali comestibili
-e l’incertezza sulle misure antiche renderebbero troppo ipotetica la
-stima. Al sommar dei conti però avremo che per nutrire un uomo a pane,
-vino, carne salata, fave, cacio voleansi l’anno dodici soldi di grossi,
-cioè lire 102.
-
-[421] _Thesaurus regis Franciæ acquisitionis Terræsanctæ de ultra mare,
-nec non sanitatis corporis ejus, et vitae ipsius prolungationis, ac
-etiam cum custodia propter venenum._
-
-[422] _Ad Nicolaum V pontificem strategicon adversus Turcas._
-
-[423] _Par._, IX. 126; e nel XV,
-
- Dietro gli andai incontro alla nequizia
- Di quella legge, il cui popolo usurpa,
- Per colpa de’ pastor, vostra giustizia.
-
-[424] Sta negli archivj di corte a Torino il conto del viaggio di esso
-duca in Oriente.
-
-Amedeo III di Savoja nel 1147 volendo crociarsi, prese a prestito
-dal monastero di San Maurizio d’Agaceno una tavola doro del peso di
-sessantacinque marchi, guarnita di pietre preziose.
-
-[425] GHIRARDACCI, _St. di Bologna_, lib. IV.
-
-[426] MAFFEI, _Notizie generali sopra Verona_.
-
-È nota la storiella dell’asino che condusse Maria in Egitto, e infine
-capitò a Verona, o chi dice a Genova.
-
-Lo statuto di Verona del 1228 porta che il podestà giura: _Eum
-peregrinorum post crucem, qui ivit vel ibit ultra mare, defendam in
-suis possessionibus rerum mobilium et immobilium vel sese moventium,
-quas detinuit vel detinebit sine litis inquietudine usque ad crucem
-susceptam; si tamen reliquerit procuratorem, qui possit agere
-et conveniri de quasi re mobili... De rebus vero immobilibus eis
-absentibus jus non dicatur._
-
-[427] Nella _Storia d’Incisa e del celebre suo marchesato_ (Asti 1810)
-è riferita una carta del 1204 fatta colà, ove dicesi che Bonifazio
-marchese di Monferrato regalò al Comune un pezzo della santa croce e
-l’ottava parte d’uno stajo d’un grano color d’oro e parte bianco, non
-prima usato e portato dalla Natolia, e detto _melica_. Il documento
-dev’essere spurio, nè del grano turco appare memoria prima della
-scoperta dell’America. Però nell’archivio vescovile di Bergamo trovo un
-atto rogato da Montenario de’ Papi _die IV exeunte octobri_ del 1249,
-ove Alberto di Terza vescovo investe a titolo di perpetua enfiteusi
-i sindaci del comune di Sorisole di tutta la decima appartenente al
-vescovado ne’ territorj di Sorisole e Poscante, un sestario di vino,
-una _corbam de loa panici quæ extimatur duo sextaria_, etc. Anche oggi
-chiamasi _loa_ lo spigone del turco, il quale pure è detto _panico_
-in molti luoghi. Questo documento, da niuno osservato, ch’io sappia,
-merita dunque qualche attenzione.
-
-[428] Delle navi spedite da Venezia in ajuto di san Luigi una era lunga
-centotto piedi, larga settanta; una centodieci per settanta; nessuna
-meno di ottanta. MARIN SANUTO.
-
-[429] L’_Iter siriacum_ del Petrarca è una descrizione del viaggio a
-Gerusalemme, diretta a Giovanni da Milano, che probabilmente era un
-Mandelli.
-
-Lionardo di Nicolò Frescobaldi fiorentino (il cui viaggio fu edito dal
-Manzi il 1817) nel 1384 passava in Palestina, per tutto venerando e
-cercando reliquie, e noverando quelle che vide a Venezia, in Egitto,
-poi in Palestina; finchè «in capo d’undici mesi e mezzo rientrammo
-in casa nostra, dando consolazione alle nostre famiglie. Trovammo a
-Vinegia molti pellegrini franceschi e alquanti viniziani, fra’ quali
-fu messer Remigi Soranzi di Vinegia, il quale convitò una sera a cena
-tutti quelli che doveano andare al Sepolcro, e fecesi grande onore,
-e la sua casa parea una casa d’oro, ed avvi più camere che poco vi si
-vede altro che oro e azzurro fino; e costògli da duemila ducati, e bene
-tremila ve ne spese poi lui». Andò con lui Simone Sigoli, del quale
-pure fu nel 1822 trovato il viaggio, di schiettissima dettatura, e
-col lungo catalogo di tutti i perdoni che si aveano in Terrasanta. Del
-1431 vi tornò la terza volta fra Mariano da Siena, del quale parimenti
-teniamo la descrizione: — In sulla terza, col nome dello sviscerato
-ed innamorato Gesù entrammo nella santa città, e nella prima entrata,
-chi vi va in atto di peregrinazione confesso e pentito, si ha plenaria
-indulgenza e remissione di tutti i peccati; e chi vuole piaceri e
-consolazioni spirituali, faccia questo cammino. Io per me lo dico,
-che mai non seppi che consolazione spirituale si fosse se non qui,
-e passa tutti i cammini, sia qual si vuole». Egli assicura che «il
-mezzo del mondo _ad literam_ viene in mezzo fra ’l luogo dove Cristo
-fu crocifisso e dove resuscitò... Rimpetto alla natività, scendendo
-tre scaglioni, si è quello santo presepio, nel quale la dolcissima
-Madre riposò il suo dolcissimo Figliuolo Gesù piccolino; e qui il bue
-e l’asino l’adorarono, e feciongli buona compagnia. Questo è il più
-devoto luogo che io mai vedessi; ogni cosa è un sasso; la mangiatoja
-è tutta foderata di bellissimi marmi; allato si ha un altare. Dissivi
-messa... ed ebbine la maggior consolazione del mondo. Tuttavia mi parea
-avere quell’amoroso Bambino dinanzi gli occhi nella mangiatoja; e così
-tutti gli altri peregrini si comunicano. Tutta la notte non possono
-stare i peregrini in chiesa nè nessun cristiano, perchè vi stanno que’
-Saracini che ci accompagnano, ed hanno grandissima devozione al luogo
-della natività di Cristo».
-
-Francesco Baldelli nel 1551 tradusse in italiano la _Prima Crociata_
-di Roberto Monaco; ed è commovente l’entusiasmo de’ pellegrini al
-primo vedere la città santa: — O quante lagrime, pietosissimo Dio e
-giustissimo Signore, sparsero gli occhi dell’esercito tuo fedelissimo,
-allorachè per loro si videro le mura della terrena Gerusalemme! Quindi
-tosto chinandosi verso la terra, con la bocca e col capo salutarono
-divotamente il santissimo sepolcro del corpo suo sacratissimo, ed
-appresso adoraron te, che morto in esso giacesti, come quello che siedi
-alla destra del Padre, come quel giudice che venir dèi a giudicar le
-cose tutte. Ora sì che si può veramente dire che per te fosse addolcito
-il cuore di ciascuno, e che dove prima era di pietra, da te levato, fu
-dato loro di carne; e nel mezzo di loro mandasti lo Spirito Santo».
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. In particolare il testo
-in greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione; si è
-proceduto in modo analogo per l'equazione nella nota 334 pag. 403.
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-<div style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of Storia degli Italiani, vol. 6 (di 15), by Cesare Cantù</div>
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-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: Storia degli Italiani, vol. 6 (di 15)</p>
-
-<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Cesare Cantù</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Release Date: September 20, 2021 [eBook #66347]</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Language: Italian</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Character set encoding: UTF-8</div>
-
-<div style='display:block; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</div>
-
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI 15) ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-C. CANTÙ<br />
-STORIA DEGLI ITALIANI
-<span class="smaller">TOMO VI.</span>
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-<span class="small">STORIA</span><br />
-DEGLI ITALIANI
-</p>
-
-<p class="pad2">
-PER
-</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-CESARE CANTÙ
-</p>
-
-<p class="pad2 small">
-EDIZIONE POPOLARE<br />
-RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO VI.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-<span class="large">TORINO</span><br />
-<span class="small">UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE</span><br />
-1875
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro8">LIBRO OTTAVO</h2>
-
-<h2 id="cap81">CAPITOLO LXXXI.
-<span class="smaller">Origine dei Comuni.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Un pregiudizio attaccatoci da moderni scrittori confonde
-il Comune colla repubblica, la libertà civile colla
-libertà politica; onde, al nominare l’istituzione dei
-Comuni, immaginiamo una di quelle formidabili sollevazioni
-del dolore irritato, ove le plebi insorgessero
-contro i governanti, risolute di partecipare ai diritti
-politici di questi.
-</p>
-
-<p>
-Nulla di ciò. Erano i deboli, che aspiravano ai diritti
-dell’umanità, a scuotersi di dosso il giogo feudale
-divenuto intollerabile, staccarsi dalla gleba, tornare
-liberi della persona, degli averi, della volontà, unendosi
-coi signori sotto una comune giustizia. In Italia queste
-franchigie crebbero fino a costituire gloriose repubbliche;
-in Francia, al contrario, diedero fondamento
-all’autorità monarchica; in Inghilterra i Comuni si congiunsero
-coi baroni onde fare a quella contrappeso;
-insomma possono associarsi con qual sia forma di
-governo, essendo il Comune un’estensione della famiglia,
-anzichè uno sminuzzamento del principato.
-</p>
-
-<p>
-L’origine de’ Comuni è uno dei punti che più vennero
-esaminati e controversi, dopochè le molte carte tratte
-in luce, e l’esame de’ varj elementi della vita sociale
-mostrarono l’importanza di quella oscura transizione
-dal vecchio mondo al moderno, donde cominciò il
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-medio ceto, o, come dicono, il terzo stato, che in
-sostanza è il popolo d’oggi. Gli scrittori municipali
-troppo poco s’avvidero dell’interesse che ispirerebbe
-ai loro racconti il tratteggiare la vita interna e il particolare
-incremento degli uomini e della società comunale:
-sicchè noi non abbiamo, ch’io sappia, la compiuta
-storia d’alcun Comune. Il Sismondi saltò di netto la
-quistione, che pur era capitalissima in una storia delle
-repubbliche. Il Muratori adunò preziosi documenti, ma
-non ne dedusse un concetto generale e coerente, pur
-in massima allineandosi co’ suoi contemporanei nel
-credere che i Comuni nostri fossero una continuazione
-degli antichi. Ciò fu sostenuto incidentemente da molti
-e con erudizione dal Savigny e dal Pagnoncelli; il quale
-avrebbe avanzato assai questo tema se avesse meglio
-distinti i tempi. Altri sentirono col Raynouard, che
-in Francia, e principalmente nella parte meridionale,
-vedea le antiche municipalità sopravivere al naufragio
-barbarico, e al lentare dell’oppressione rigalleggiare
-per formare il Comune<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>. S’egli in ciò (come in quella
-sua lingua romanza, alla quale pur aderirono spensieratamente
-altri Italiani) abbia recato un’erudizione di
-buona lega, se con rettissima coscienza sostenuto un
-paradosso, non è qui luogo a discuterlo: basti che in
-quistioni sì delicate bisogna stare guardinghi di non
-attribuire un senso generale a ciò ch’è particolare, nè
-applicare ad una nazione quel che in un’altra si avveri.
-</p>
-
-<p>
-V’inciamparono in senso opposto i Tedeschi, sostenendo
-i Comuni nostri figliati dalla società germanica;
-essere in ogni città rimasti uomini della stirpe conquistatrice,
-e in conseguenza liberi, sebbene non possessori
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-di feudi, e dipendenti soltanto dal re; i quali moltiplicaronsi
-mediante le emancipazioni ed il commercio, tanto
-che il loro Comune esclusivo divenne il nuovo Comune
-generale<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’eclettismo, riprovevole quando assonni in mezze
-verità gli spiriti non bisognosi di profonde convinzioni,
-merita lode quando, nessuna escludendone, tutte le
-pondera senza predilezione, onde raggiungere la certezza
-relativa dove l’assoluta è inarrivabile. E in Italia
-appunto tutti que’ sistemi hanno alcuna parte di verità,
-attesa la diversissima sorte che corsero i paesi nostri,
-da diversissimi elementi derivando.
-</p>
-
-<p>
-Prima di Roma, l’Europa civile era disposta in municipalità
-sovrane, mai non essendosi alzato un grande
-impero che le singole riducesse ad unità di legge e di
-amministrazione; e in ciò risiede la capitale differenza dei
-popoli nostri dagli asiatici. Roma stessa fu un municipio,
-il quale prevalse dapprima agli altri italici, poi a tutti
-d’Europa, e quei governi parziali restrinse all’amministrazione
-civile. Tali noi gli abbandonammo allo sfasciarsi
-dell’Impero; tali li trovarono i Barbari. Questi
-forse lasciarono sussistere qualche forma di regime
-comunale, non già per generosa indulgenza, ma per
-ignoranza e per difetto d’ordini surrogabili; ma se permisero
-alla stirpe vinta qualche resto di paesano reggimento,
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-non potè essere che ristretto e precario quanto
-il portava una militare oppressione. Tassarsi fra loro
-per conservare un ponte, una via; eleggere chi riscotesse
-le taglie imposte dal vincitore; congregarsi per
-nominare i parroci e i vescovi; qualc’altro atto di non
-maggiore rilievo, erano per avventura i soli residui di
-costituzione cittadina. Vero è che ogni memoria quasi
-ce ne manca nel IX e X secolo<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>: ma di quant’altre
-cose non è allora interrotta la ricordanza fra tanto
-scompiglio e sì poche scritture?
-</p>
-
-<p>
-Nè questa persistenza sotto i Barbari parrà fuori di
-buona congettura a chi veda persino i Turchi abbattere
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-amministrazione, istituzioni, costumi, gerarchia dell’impero
-orientale; eppure ai tributarj non imporre nè le
-loro forme amministrative, nè la legge civile, talchè
-le istituzioni adottate dai raja si mantennero indipendenti
-affatto dal canone musulmano.
-</p>
-
-<p>
-Quel che meno comprendo è come mai il Comune
-potesse conservarsi sotto le sbricciolate dominazioni
-feudali, quando ogni villaggio avea, direi quasi, un re
-che immediatamente amministrava, giudicava, provvedeva;
-e forse perì del tutto il sistema comunale ove
-il feudalismo si assodò. In Italia, per altro, a conservarne
-almeno la memoria valse il non esservi mai caduto in
-totale dimenticanza il diritto romano, il quale forse si
-insegnò sempre nelle scuole, certo modificò le barbare
-legislazioni, spesso fu applicato nelle decisioni dei tribunali,
-massime degli ecclesiastici. Un codice romano
-del secolo <span class="smcap lowercase">IX</span> o <span class="smcap lowercase">X</span> nell’archivio di Udine mostrerebbe
-magistrati municipali, e che le città avessero decurioni,
-nominassero giudici per amministrare la giustizia e per
-sovrantendere ai beni ed alle entrate loro, con giurisdizione
-però dipendente dalla pubblica, e limitata agli
-affari civili dei Romani, cioè dei vinti, e ai minori
-delitti delle classi basse<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. Ma, qual l’abbiamo alle
-stampe, quel documento è rozzo e incoerente, nè tampoco
-sappiamo per qual paese venisse compilato.
-</p>
-
-<p>
-Alle città che rimasero sottoposte ai Greci era stata,
-pel codice Giustinianeo, tolta la scelta de’ proprj magistrati,
-che costituisce il privilegio capitale del Comune.
-Ma molte, inviolate dai Barbari, dall’impero greco
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-dipendeano di mero nome; onde non v’è ragione che
-n’andasse abolita la costituzione comunale. Tali ci pajono
-Roma, Gaeta, le isole venete, ove, allo sfasciarsi dell’Impero,
-le curie presero le redini, l’amministrazione traducendo
-in governo. Gl’imperanti di Costantinopoli,
-che agio, che forza aveano per provvedere a queste
-disgregate provincie? onde anche quelle che stavano a
-loro obbedienza, si videro spinte ad amministrarsi e
-difendersi da sè. A tal uso applicarono il tributo che
-riscotevano col metodo antico; come ebbero erario,
-così formarono una milizia; regolarono la polizia; fecero
-anche decreti quando li sentissero necessarj. Il
-duce che soleva essere mandato da Costantinopoli, fu
-eletto fra cittadini, a nessun più importando di venire
-fin qui ad una dignità di molto peso e di scarso profitto;
-poi ogni legame andò sciolto in tempi di vacanza o di
-anarchia, e definitamente nella guerra che gl’imperatori
-teologastri indissero alle sacre immagini; talchè ne
-uscì un governo affatto a popolo.
-</p>
-
-<p>
-Questi vivi e vicini esempj e le non cancellate reminiscenze
-poterono nutrire o ridestare il desiderio della
-libertà ne’ residui Italiani, appena l’oppressura si rallentasse
-a segno, che non dovessero pensare unicamente
-alla vita e alla sicurezza.
-</p>
-
-<p>
-Ma non dal solo elemento romano costituironsi i
-Comuni; bensì, come ogni altra cosa del medioevo,
-dal germanico insieme e dal cristiano. L’invasione dei
-Longobardi avea ridotto i natii a condizione quasi servile;
-esclusi interamente dal governo perchè esclusi
-dall’armi, restavano uomini altrui, mentre i conquistatori
-formavano la classe dei liberi, de’ quali soli la legge
-prendeva cura; e non si disse più un cittadino milanese
-o bergamasco, ma soltanto un Longobardo o un Romano.
-Altrettanto seguitò sotto i Franchi; ma la prosapia
-vinta fu più ravvicinata alla vincitrice, giacchè si prefisse
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-un guidrigildo anche sulla vita e sulle offese recate
-ai Romani; e se ciascuna stirpe conservava le leggi
-proprie, i capitolari emanati dai Carolingi obbligavano
-tutti; allo stesso diritto longobardico faceansi glosse e
-commenti di senso romano, alterandoli per modo che,
-restando longobarda la legge, romanamente giudicava
-il fôro.
-</p>
-
-<p>
-Spezzatosi l’impero di Carlo Magno, coll’estendere
-dei feudi si spegnevano le differenze d’origine, poichè
-l’uomo non era più longobardo o franco o romano,
-ma del tal feudo o del tal signore; e nell’autonomia,
-propria di ciascun feudatario, restava assorta la varietà
-di diritti. I feudi passo a passo s’intrusero anche nelle
-terre dominate dai Greci, massime dopo la conquista
-dei Normanni; sicchè per la più parte d’Italia restò
-mutata la natura delle proprietà, e ciascuno fu l’uomo
-del proprio terreno, e corse la fortuna di quello.
-</p>
-
-<p>
-Ciò in campagna. Ma delle città le più non dipendevano
-da un feudatario, bensì da un conte, magistrato
-regio. I conti si rendeano sempre meno dipendenti da
-imperatori fiacchi e distanti; onde screditavasi l’autorità
-regia, mentre invigoriva la feudale. Squarciato il corpo
-politico in infiniti brani si può dire indipendenti, e
-scomposta l’unità governativa, i grandi vassalli operavano
-di pieno arbitrio nella loro giurisdizione, quasi
-la tenessero non dai re, ma in patrimonio; negli interregni
-strascinavano in lungo la nomina del successore,
-e lo desideravano debole perchè non pensasse a ricuperare
-il ceduto od usurpato dominio. Duranti poi le
-violenze che descrivemmo fra l’Impero e la Chiesa,
-tutto andava in frazioni e sêtte, che ondeggiavano a
-seconda dei capi e degli accidenti; nè ben accertandosi
-qual fosse il re legittimo, se ne togliea pretesto di non
-obbedire a nessuno, o poneasi la docilità a prezzo di
-crescenti privilegi.
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-In società d’origine feudale, stante il generale principio
-che ogni podestà emana dal re, nessun diritto si
-trova che non sia privilegio e concessione; lo saldano,
-lo garantiscono, lo dilatano, ma sempre come concessione.
-Laonde la libertà cui allora si aspirava, non era
-un governo fondato sull’assenso di tutti i membri del
-corpo sociale adunati, ma un privilegio concesso ad
-alcuni in particolare.
-</p>
-
-<p>
-Sarebbesi allora potuto scomporre affatto la monarchia,
-ma le città non sentivano ancora la propria forza;
-i gentiluomini e la nobiltà inferiore, discendenti dai
-primitivi conquistatori, temeano che il cessare di essa
-non li riducesse dipendenti da altri nobili, sicchè preferirono
-di cercare dal re immunità, cioè d’esercitare
-giurisdizione sulle proprie terre o sui proprj dipendenti,
-senza che il conte regio vi potesse. Primi a domandarla
-furono gli arimanni<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>, cioè uomini liberi, residuo
-dei conquistatori, non legati a verun feudatario, e protetti
-dal conte come appartenenza del re; poi i monasteri,
-i corpi d’arte, gli ordini cavallereschi. Re e gran
-signori non rendeansi malagevoli ad emanciparli, contenti
-anzi di far con ciò acquisto di sudditi per sè, e
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-indebolire i vassalli dipendenti. I feudatarj poi e i
-vescovi domandavano immunità più estese, cioè che il
-conte regio cessasse da ogni giurisdizione anche sovra
-i liberi, abitanti nel loro terreno, nel quale ne istituivano
-una loro propria, dove erano richiesti alla pari e i
-liberi discendenti dai conquistatori, ed i villani e censuali,
-gente per lo più romana. Eccovi un embrione
-del Comune.
-</p>
-
-<p>
-Stanno dunque a fronte molti poteri. I re, mirando
-a ridurre in prerogativa monarchica il primato feudale,
-desiderano comandare direttamente al popolo senza
-l’interposizione dei baroni, e perciò quello da questi
-emancipare. I baroni, all’opposto, eransi affaticati ad
-assicurarsi l’indipendenza e convertire il politico dominio
-in reale e personale privato, e v’erano riusciti
-col rendere vitalizj i feudi, poi ereditarj. Da ultimo i
-vinti, non gravati più dal peso sproporzionato di un
-potere centrale, ridestavansi per conservare o ricuperare
-i possessi antichi, le leggi non dimentiche, la
-contrastata religione, partecipare ai privilegi dei vincitori,
-ed essere considerati pari alla gente dominatrice
-ne’ servigi e nella giustizia. In Francia si strinsero
-attorno al re, che venne per tal modo via via rinforzandosi:
-in Italia non poteano altrettanto, perchè la
-regia era accoppiata all’autorità imperiale, che si mutò
-da Franchi a Italiani, poi a Tedeschi, controbilanciati
-sempre dai papi e dai grandi vassalli.
-</p>
-
-<p>
-Mentre a questi dava rinforzo la lontananza del principe,
-gl’indeboliva l’aumentarsi dei piccoli feudatarj e
-il prevalere degli ecclesiastici, che, come ogni altra
-cosa d’allora, aveano preso sembianza feudale, cioè
-congiunto ai possessi la sovranità. La Chiesa è costituita
-con forme a popolo; assemblee, rappresentanza, giurisdizione
-propria mantenne anche sotto ai Barbari;
-unica aveva asili contro la prepotenza, richiami contro
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-la tirannia. Il popolo dei vinti, privo d’ogni diritto legale
-in faccia al conquistatore, più volentieri recava le sue
-querele ai sacerdoti che non ai baroni; a chi le giudicasse
-per prudenza e per leggi scritte, che non a chi
-le recideva a colpi di sciabola; onde l’autorità ecclesiastica
-erasi ingrandita perchè popolare. L’innalzarsi
-dunque del clero importava sollievo del popolo; e tanto
-avvenne allorchè, sotto ai Franchi, esso diventò essenziale
-elemento della civile società, e i vescovi entrarono
-nelle assemblee legislative, e finirono col signoreggiarle.
-Venuti di tanto peso nelle pubbliche rivolture, ottennero
-dai re l’immunità dei proprj possessi, indi delle
-città ove sedevano, per modo che al conte più non
-restasse giurisdizione, ma fosse trasferita nel vescovo.
-Così la esercitavano sopra i liberi borghesi, i quali non
-godeano rappresentanza nella costituzione, ma crescevano
-d’importanza col crescere del commercio e delle
-industrie.
-</p>
-
-<p>
-Il primo esempio sicuro d’immunità in Italia è di
-Carlo il Grosso, che al vescovo di Parma concede di
-«giudicare, definire, deliberare, come il conte del
-nostro palazzo, tutte le cose e le famiglie, sì de’ cherici
-come di tutti gli abitanti d’essa città». Lamberto imperatore
-a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 confermava
-tutti i possessi, e che, <i>secondo il costume delle
-altre chiese</i>, gli affari della modenese siano esaminati
-da persone idonee e veraci, fin alla piena giustizia; nè
-alcun conte pubblico o curatore della repubblica vada
-a cercar ragione ne’ monasteri o nelle chiese, o ad
-esigere fredi e tributi nei possessi, o farvi mansioni e
-parate, o levarne statichi, o pignorare od obbligar
-uomini, siano servi o liberi, nè condurli in oste o chiederli
-d’illeciti servizj; nella città stessa continuino ad
-esservi chierici che stendano libelli e citazioni negli
-affari ecclesiastici; possa la chiesa, invece del re, esigere
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-il censo dovuto dalle strade, porte, ponti, e da quanto già
-pagavasi <i>anticamente</i> alla città e ai curatori della repubblica;
-e cavar fossi, costruire mulini, eriger porte e
-forti a due miglia in giro, e aprire e chiudere l’acqua
-senza <i>pubblica</i> opposizione<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 904 re Berengario privilegiava il vescovo di
-Bergamo di riedificar le mura della sua città a riparo
-dagli Ungheri, dovunque esso vescovo e i suoi <i>concittadini</i>
-credessero necessario; e a lui assicurava la
-libera giurisdizione sopra la città e i distretti<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>. Ottone
-II nel 973 concedeagli di nuovo <i>omnes districtiones
-et publicæ functiones villarum et castellorum,
-quæ sunt in circuitu ipsius civitatis de eodem comitatu
-pertinentes, usque ad spacium et extensionem,
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-per omnes partes ejusdem civitatis, trium miliarium</i>,
-fin ad Aciano e Seriate; inoltre la val Seriana fino alla
-Camonica. Enrico III nel 1041 confermava a quel
-vescovo tutto il contado bergamasco sino alla Valtellina,
-all’Adda, all’Oglio, a Casal Butano, con piena autorità di
-fare e disfare, senz’essere impedito da veruna autorità
-superiore.
-</p>
-
-<p>
-Ottone il Grande aveva largheggiato di tali concessioni
-a segno, che ne fu tenuto l’autore universale: al
-vescovo d’Acqui assicurava la giurisdizione della città
-e di quattro miglia in giro<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>; a quel di Lodi, l’esenzione
-per sette miglia; per tre miglia a quel di Novara<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>;
-per cinque a quel di Cremona; e così a
-Reggio, a Bologna, a Como, il cui vescovo ebbe anche
-il contado di Bellinzona; quel di Firenze credeva pure
-aver da lui ottenuto la giurisdizione di sei miglia.
-</p>
-
-<p>
-Al vescovo di Pavia nel 977 Ottone II concedeva e
-confermava i possessi e il dominio, e che <i>castella,
-ville, eidem episcopo subjecta, ita sub ditione episcopi
-maneant, ut residentes in eis ad nullius hominis
-placitum eant neque distringantur: sed si quis ab
-eis legem poposcerit, presentia ejusdem episcopi vel
-ejus missi justitiam quam exigent accipiet</i><a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>. Anche
-nel diploma del 1004 di re Enrico, attesi i molti litigi
-e scismi, che dalla parte del conte venivano alla chiesa,
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-è concesso al vescovo il muro di Parma, il distretto, il
-teloneo e ogni funzione pubblica nella città e fuori sin
-a tre miglia in giro<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>. Morto il conte, Corrado Salico
-nel 1035 estese a tutto il contado la giurisdizione del
-vescovo.
-</p>
-
-<p>
-Guido vescovo di Volterra sporgeva querele contro
-il conte e gli altri ministri pubblici per la fierezza con
-cui esigevano dal clero e dai loro servi i diritti regj:
-laonde Enrico III nel 1052 lui e il clero esentuava dai
-conti, autorizzando il vescovo a trarre a sè le cause
-in tal materia, e definire le contestazioni mediante il
-duello. Più tardi da Federico Barbarossa il vescovo
-Galgano ebbe titolo di principe, e il governo della città
-e di molti luoghi, l’elezione dei consoli e la zecca, retribuendo
-al regio erario sei marchi d’argento.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1055 Eriberto vescovo di Modena, coi <i>cittadini
-suoi</i>, invocò da Enrico III di poter riedificare, fortificare,
-ingrandire essa città; e quegli il permise, concedendone
-al vescovo tutte le regalie e la giurisdizione,
-pure confermando alla chiesa e ai cittadini le buone
-consuetudini antiche: ai quali cittadini presenti e futuri
-concede di derivar canali dalla Secchia, dalla Scultenna
-e da qualunque altro fiume<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Enrico IV confermava a Landolfo vescovo di Cremona
-la giudicatura della città e di cinque miglia in
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-circuito, già attribuitagli da’ suoi antecessori<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>. A
-Gregorio vescovo di Vercelli concedeva Casale, Olceningo,
-Oldenigo, Momolerio, Scherino, Rodingo, <i>con
-tutti gli arimanni e con quanto spetta al contado</i><a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>,
-vale a dire le giurisdizioni che il conte esercitava, fra
-cui era quella sugli uomini liberi. Molti abitanti di
-Treviglio, borgata della Geradadda, si sottoposero alla
-badia di San Simpliciano in Milano, e nel 1081 Enrico
-confermava questo fatto, e che essi e i loro figli o discendenti
-rimanessero perpetuamente in podestà di
-quel monastero, non dovendo più alcuna funzione pubblica
-od angaria o altro servizio a chichefosse, eccettuato
-il fodero al re quando venga in paese, e la sculdassia
-ai conti ogni anno<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Talvolta queste concessioni davansi in premio di prestato
-favore, tal altra per castigare un conte sleale: e
-poichè ogni giorno cresceva il numero de’ semplici
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-cittadini, i quali, invece del magistrato regio, si mettevano
-in tutela de’ signori immuni, i re non iscapitavano
-gran fatto col cedere ai vescovi i contadi, che ormai
-non teneano dipendenti se non di nome.
-</p>
-
-<p>
-Ecco dunque città e borgate dalla giurisdizione del
-conte passare a quella del vescovo o d’un monastero;
-e mentre dapprima la popolazione restava divisa fra
-dipendenti dalle chiese e dipendenti dal re, fra la giurisdizione
-laica e l’ecclesiastica, vennero a formare un
-Comune solo conquistati e conquistatori; nobiltà feudale
-e semplici liberi si trovarono chiamati al medesimo
-tribunale; e gli scabini dei nobili e quelli dei liberi
-costituirono un collegio unico, sottomesso al vicario
-secolare del vescovo, detto l’avvocato o il visdomino o
-il visconte appunto perchè esercitava gli uffizj devoluti
-una volta al conte.
-</p>
-
-<p>
-Il vescovo di Mantova era stato fatto immune da
-Ottone III nel 997, col diritto di nominare avvocati e
-batter monete; e nel 1084 Ubaldo vescovo, costituendo
-visdomino un suo nipote, divisava i diritti attribuitigli.
-I quali sono di andare per tutta la diocesi di qua e di
-là dal Po, tenendo albergaria e placito, esaminando e
-definendo discordie, liti, offese personali e reali, infliggendo
-la pena a sua volontà. Tutto il denaro percepito
-in tali operazioni lo lascia a lui, e un terzo del
-ricavo della pesca, dell’investitura, degli approdi, dello
-sterpatico. Da ciascuna masseria del vescovo abbia due
-majali grossi, e così la decima delle giumente e dei
-porci di tutte le terre vescovili. Promette che gli uomini
-di lui non saranno giudicati dal vescovo nè da’ suoi
-successori o messi o gastaldi o decani, nè richiesti al
-placito, a prestar garanzia o albergo o fodro<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Al popolo tornava vantaggio dall’essere i contadi
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-attribuiti ai vescovi piuttosto che ai conti, crescendo probabilità
-di vederli affidati al merito, anzichè distribuiti
-dal capriccio della nascita o dalla volontà d’un re straniero;
-e se la plebe e i manenti restavano ancora senza
-diritti nè rappresentanza, ne migliorava la giustizia, che
-è il bisogno più immediato de’ popoli.
-</p>
-
-<p>
-La decisa predilezione del clero pel diritto antico indurrebbe
-a credere che le forme municipali romane,
-dove ancora sopraviveano, si sodassero dacchè il vescovo
-si trovò investito del governo cittadino. Ma poichè
-ogni cosa aveva a conformarsi al reggimento che
-unico allora si conoscesse, i vescovi, fatti conti delle
-città, ridussero a feudali le cariche municipali, alterandone
-la natura senza forse annichilarle.
-</p>
-
-<p>
-Pertanto dal vescovo dipendevano le città e i beni
-immuni; dal conte il resto, cioè la campagna, la quale
-da ciò prese il nome di contado. Ma que’ beni immuni
-trovavansi intarsiati ai contadi per modo, che vescovi
-e signori s’impacciavano a vicenda nell’esercizio della
-mal determinata giurisdizione. Tendevano i primi a
-dilatare la propria anche sul contado; i signori vi si
-opponeano, e cercavano ingrandire a spese de’ vassalli
-minori: sicchè la lotta intestina discendeva sino agl’infimi
-elementi della società. Epperò Corrado Salico
-emanò la famosa legge dei feudi (t. <span class="smcap lowercase">V.</span>, p. 443), per cui
-anche i piccoli passassero in eredità, e non si potessero
-togliere se non per sentenza degli scabini.
-</p>
-
-<p>
-Si trovava allora il dominio feudale partito fra i
-capitanei o valvassori maggiori, immediatamente investiti
-dalla corona; i valvassori, cioè vassalli de’ capitanei;
-e i valvassini, che ritraevano dai predetti. Valvassori
-e valvassini, assicurati d’esistenza indipendente,
-più non furono stromenti agli arbitrj de’ vescovi, i quali
-non poterono, come in Germania, riuscire principi ecclesiastici.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma altrove i nobili vassalli e i semplici liberi, formato
-il Comune, aveano costituito rappresentanti e
-giudici proprj, che equipollevano alla curia vescovile,
-e indipendentemente da questa assumevano aspetto di
-civile ordinanza. Altrove ancora la gente raccoltasi sopra
-terre di un feudatario, crescendo di ricchezze per
-l’industria, e a quello rendendosi necessaria, lo costringeva
-a concessioni, che non davano la civile indipendenza,
-ma favorivano il prosperamento e l’importanza
-del Comune.
-</p>
-
-<p>
-Scomposta ogni centrale potestà per lasciar solo associazioni
-limitatissime e poteri meramente locali, più
-facilmente poterono costituirsi da sè le città, nelle quali
-gli uomini trovavano maggior numero d’interessi comuni.
-Queste allora ebbero giurisdizione propria, e
-l’affidarono agli scabini, del che ricrebbe il terzo stato;
-e nobili e liberi venendo abbracciati nel Comune medesimo,
-cioè sotto comune giustizia, mozzavasi la prerogativa
-feudale, atteso che, chi bisognava di sicurezza,
-non andavala a chiedere sotto la rôcca d’un barone,
-ma tra le mura d’una città.
-</p>
-
-<p>
-Benchè il feudalismo togliesse importanza alle città,
-le nostre non la perdettero mai, ed erano abitate da
-ricchi e nobili col nome di arimanni<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>, i quali anzi
-costituivano un’università o corporazione, e avevano
-possessi e ragioni comuni. Nel 1014 Enrico II agli
-arimanni della città di Mantova e d’altri luoghi confermava
-i possedimenti con tutte le loro eredità paterne
-o materne, e i beni comunali e il teloneo e ripatico a
-Garda e Lazise e Riva, e che niun magistrato li turbasse.
-I cittadini di Mantova, cioè gli arimanni abitanti
-in essa città, ricorsero a Enrico III contro le eccedenti
-esazioni e gl’importuni aggravj (<i>superstitiosas exactiones
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-et importunas violentias</i>); ed esso decretò che
-queste cessassero e s’abolissero radicalmente, e nessuna
-autorità grande o piccola si mescolasse dei costoro
-beni comuni, de’ benefizj precarj o livelli, de’ servi,
-delle ancelle, o d’altro qual fosse loro possesso mobile
-o immobile. Tanto confermava Enrico IV il 1091, volendo
-avessero «la buona e giusta consuetudine che
-ottiene qualunque città del nostro impero». Donde
-parrebbe che gli arimanni avessero una tal quale signoria
-di Mantova<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il Gennari, negli <i>Annali della città di Padova</i>, sotto
-il 1077 adduce un placito ivi tenuto avanti a due messi
-regj, al conte della città Ogerio avvocato, e a varj giudici
-e buoni uomini. Ai quali Giovanni abate di Santa
-Giustina dichiarò come i cittadini dentro e fuori della
-città gli avevano intentato lite (<i>cives vel intra civitatem
-vel extra nobis intentionem mittunt</i>) circa al possesso
-della val del Mercato e del prato col Zairo, dell’acqua
-del fiume Rodolone, e degli altri possessi del
-monastero. Fu dato torto ai cittadini, ed obbligati all’intera
-cessione; la quale fecero col prendere una
-lunga verga, e trasmetterla al vescovo, che la consegnò
-all’abate.
-</p>
-
-<p>
-Anche nel peggior tempo del dominio militare questi
-arimanni formavano tra loro delle <i>gilde</i>, le quali non
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-m’hanno aria di fraternite religiose, bensì di quelle
-associazioni, di cui maggiore si sente il bisogno quanto
-più lentato è il legame sociale. In effetto esse fecero
-paura ai forti; e Carlo Magno decretava che «nessuno
-presuma far giuramento per gildonia; se vogliono disporre
-delle limosine per incendj o naufragi, il facciano
-in altro modo che giurando». E più rigorosamente
-Lotario I: — Non vogliamo che alcuno per giuramento
-nè per obbligazione faccia gildonia; e se l’oserà, chi
-primo ne diede consiglio venga dal conte mandato a
-confine in Corsica, e gli altri paghino multa»<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ripetiamo che qualche rappresentanza il popolo aveva
-sempre goduta in faccia alla Chiesa; e a tacere le lettere
-di Gregorio Magno già indicate (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 133), il Diurno
-Romano offre la formola, con cui il clero e il popolo
-invocano dal papa e dal metropolita che confermi il
-vescovo da essi eletto: all’elezione di Guido vescovo di
-Piacenza il 904, sono sottoscritti preti, diaconi, suddiaconi,
-acoliti, e infine ventisei <i>e populo</i><a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>: Giovanni
-vescovo di Modena nel 998 faceva al monastero di
-San Pietro una donazione con notizia e consenso dei
-canonici, de’ militi e del popolo: l’anno stesso in Ravenna
-si tenne un placito, <i>assistentibus in judicio pollentibus
-et bonæ opinionis et laudabilis famæ viris
-de civitate Ravennæ</i><a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>; e nel 1004 Turbino giudice
-di Cagliari, <i>col consenso de’ suoi parenti e di tutto il
-suo popolo</i>, donava alcuni dazj ai Pisani amici suoi,
-affinchè <i>quel popolo</i> gli fosse amico<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ecco qui pure una rappresentanza e un esercizio di
-diritti comuni, che avviava all’emancipazione. Viepiù
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-vi condusse l’essersi nella città pel commercio formate
-compagnie, le quali offrivano l’embrione d’un governo
-a comune, e poteano divenir tali per poco che si ampliassero.
-</p>
-
-<p>
-Una lapida sotto al portico della notabilissima cattedrale
-di Lucca riferisce come nel 1111 i cambisti e
-mercanti, che allora stavano di bottega nella corte di
-San Martino, ove pure gli alberghi de’ forestieri, giuravano
-di non far frode<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>; antichissima sistemazione
-del commercio in consorzj, con consoli per risolvere i
-litigi.
-</p>
-
-<p>
-Già nel 1046 Enrico III <i>confermava</i> agli abitanti
-della bergamasca val di Scalve il diritto di negoziar di
-ferro per tutto l’impero, col solo aggravio di mille
-libbre di ferro <i>secandum suorum parentum morem</i>;
-nessun duca, marchese, vescovo, conte o altra qualsiasi
-persona <i>hominibus in prædicto monte Scalvi habitantibus
-audeat aliquam molestiam aut aliquam superpositam
-inferre</i>; e a chi violi l’ordine commina cento
-libbre d’oro, metà da darsi alla Camera, <i>et medietatem
-prædictis hominibus</i>. Poi nel 1091 nella città di
-Bergamo tenendo placito il conte Corrado, messo regio
-<i>ad justitias singulorum hominum faciendas ac deliberandas</i>,
-con molti giudici e conti e col vescovo,
-gli si presentarono alcuni <i>vicini et consortes de loco
-Burno</i>, che è in val Camonica, e gli chiesero pronunziasse
-un bando <i>super nos et super nostros vicinos vel
-consortes</i> a proposito del monte Negrino, che era stato
-ad essi usurpato da quelli di val di Scalve: e il conte
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-Corrado gli esaudì<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>. Non sono queste evidenti forme
-comunali con possessi consorziali? I querelanti nel loro
-libello citano una decisione già riportata anteriormente;
-e come in tali litigi <i>centum quinquaginta librarum
-denariorum mediolanensium veteris monetæ inter judices
-et advocatos dispendio in Bergamo perpessi sumus
-damnum</i>; e gli Scalvini usarono ad essi prepotenze
-molte, onde reclamano giustizia, <i>quia dedecus est
-omnium nostrum</i>.
-</p>
-
-<p>
-Esempj di simili comunanze ricorrono in Toscana,
-ove nel 1004 Filippo di Fidante e Benedetto di Martino
-furono nominati consoli del comune ed università di
-Monte Castelli<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>. Chiavenna, borgo della diocesi comasca,
-situata allo sbocco di due valli che mettono ai
-paesi transalpini del Reno e dell’Inn, faceva una concordia,
-citata già come antica nel 1155, tra gli abitanti
-suoi e quelli del vicino Piuro, per la quale quattro uomini
-di ciascuno di essi giuravano di guidare i due Comuni
-e le persone e i beni loro con buona fede e senza
-frode in pace ed in guerra, non usurparsi roba alcuna,
-ma d’ogni acquisto ripartire tre quarti a’ Chiavennaschi,
-uno a’ Piuriesi, e nell’eguale proporzione le spese<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-</p>
-
-<p>
-N’era vantaggiata l’industria; e poichè essa è gran
-conduttrice di libertà, si cominciò a levar lamenti delle
-violenze che turbavano il commercio; i lamenti procedeano
-a minaccie; e se queste non trovassero ascolto,
-riuscivano in aperta rivolta, cacciando gli esattori e gli
-espilatori del barone, assalendone anche il castello, e
-opponendogli barricate e mura; e unitisi sulla piazza
-del mercato o nella chiesa, gl’interessati giuravano sostenersi
-contro chiunque pretendesse sopraffarli. E a
-noi si fa credibile che uno de’ più efficaci addirizzi a
-costituire i Comuni fossero appunto le società mercantili
-e artigiane, che trovandosi già ordinate con una
-gerarchia, con regolamenti, con statuti<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, con cassa,
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-non aveano a dare che un passo per chiedere di partecipare
-coi nobili al Governo.
-</p>
-
-<p>
-Talvolta i re medesimi ne’ loro bisogni esibivano di
-vendere le regalìe, cioè dogane, zecche, mercati, pedaggi;
-e i Comuni s’affrettavano a comperarle, o le
-ottenevano in premio della fedeltà e del favore prestato.
-Tal altra i grandi vassalli insorgevano contro dei vescovi,
-e gli uni e gli altri armavano i cittadini, che per tal
-modo venivano a conoscere le proprie forze, e invocavan
-diritti, in prezzo degli offerti soccorsi. Nella contesa,
-capitanei e vescovi apprendevano che ricchezza
-principale era l’abbondare d’uomini, lo perchè ne favorivano
-l’incremento sminuzzando i possessi, e contentandosi
-d’una tenue prestazione, purchè vi andasse
-congiunto l’obbligo di servire nelle milizie.
-</p>
-
-<p>
-Stiamo dunque a gran pezza da chi crede che i Comuni
-derivassero da generosità dei re, o da accorgimento
-loro politico. Erano conseguenza del risorgimento
-popolare; ma i diritti che i liberi traevano in
-campo, non erano astrazioni costituzionali, e accademici
-divisamenti repubblicani, bensì un richiamo alle
-norme dell’umanità, a quella libertà d’innocui atti, di
-cui ciascuno sente mestieri come dell’aria. L’associazione
-dirigevasi non a riforme amministrative, ma ad
-acquistar forza per diminuire la propria servitù; specie
-di mutua assicurazione delle inferme moltitudini contro
-i pochi armati. Non che fosse rivoluzione contro il Governo
-regio, a questo appoggiavansi coloro i quali scotevano
-il giogo feudale. E poichè il feudatario, il re ed
-il vescovo trovavansi spesso a cozzo, e dividevano tra
-sè i possessi e le città, all’uno ricorreva chi fosse malcontento
-dell’altro, sicuri di trovarlo favorevole, non
-per generosità ma per proprio interesse.
-</p>
-
-<p>
-Neppure fu una rivoluzione sola che mutasse la
-forma politica, giacchè non v’aveva un potere unico da
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-abbattere; e a ciascun Comune sovrastando un signore
-particolare, in ciascuno richiedevasi una particolare
-rivoluzione. Variissimi dunque erano gl’impulsi, variissimi
-i mezzi e i risultamenti, e molto vi poteva il caso,
-nè sempre riuscivasi all’intento; ma la libertà, fallisca
-cento volte, non però dispera.
-</p>
-
-<p>
-Sarebbe peraltro stato difficile strappare ai feudatarj
-anche sì poco, quando essi soli e i loro castelli fossero
-stati muniti, e tutto il resto inerme; atteso che la forza
-brutale può a lungo conservare gli ordini più repugnanti
-alla ragione. Ma allorchè gli Ungheri avevano
-passato le Alpi, non si potè combattere in campagna
-rasa e con eserciti ordinati le loro bande scorridore,
-ma dovette munirsi ciascun villaggio, ciascuna casa, ciascuna
-persona; le città rinnovarono le mura, diroccate
-dai Barbari o sfasciate dal tempo<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>; ogni monastero,
-ogni borgata scavò una fossa, rizzò uno steccato; e le
-armi, adoperate soltanto dagli uomini del feudatario e
-per suo cenno, si affilarono per l’individuale sicurezza.
-Qual cosa infonde tanto coraggio, quanto il conoscere
-di bastare alla propria difesa? e i nostri padri, che si
-erano misurati contro l’Unghero, più non temeano d’affrontare
-la masnada del vescovo o del castellano.
-</p>
-
-<p>
-Di più, in Italia l’aristocrazia non avea messo così
-robuste radici come oltr’Alpi; e nella vasta Lombardia
-soli forse il marchese di Monferrato e il conte di Biandrate
-estendeano tanto i possessi, da abbracciare borghi
-e città. La supremazia che i re di Germania pretendevano
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-qui, era d’opinione più che di forza. Dalla
-lontananza o dalle guerre proprie erano impediti di
-venirvi sovente in persona, unico modo di farvi valere
-la propria autorità; se venissero, senza truppe nè rendite
-mal si reggevano, e lagnavansi che i vassalli non
-gli sovvenissero del necessario, e li riducessero a cascar
-di fame. Maggiormente si protraevano gl’interregni di
-qua dell’Alpi, atteso che non bastava che un re fosse
-nominato in Germania, ma conveniva venisse a farsi
-coronare in Milano e Roma; nè di rado i signori nostri
-negavano omaggio all’eletto dai Tedeschi. Tutto ciò
-fece la contesa men dura, e più pronto l’effetto.
-</p>
-
-<p>
-Questo restituire gli uffizj da signorili a municipali
-ed elettivi cominciò attorno al Mille, crebbe mentre Ottone
-II combatteva gli emuli in Germania e i Greci in
-Calabria, e più nei tredici anni che Ottone III indugiò
-a scendere in Italia. Allora i Comuni cittadini costrinsero
-i baroni ad accasarsi nelle città, che si trovarono
-popolate non più da soli artieri ed arimanni, ma anche
-da potenti, e crebbero di lustro e considerazione. Alcune
-gelose ottennero che gli imperatori non entrassero
-più nelle loro mura; altre ne demolirono il palazzo,
-per edificarlo nei sobborghi; sicchè debole e
-limitata restava la giurisdizione dei re, i quali tanto più
-facilmente cedevano per denaro o per favore ciò che
-nè ricusare potevano, nè conservato fruttava. Pavia nel
-1024 distrusse il palazzo regio, e quando Enrico III
-volle costringerla a riedificarlo, gli si oppose con un
-giusto esercito, avendo alleati molti signori.
-</p>
-
-<p>
-Gran destro ne porse la contesa fra il Sacerdozio e
-l’Impero, giacchè in quelle reciproche esagerazioni,
-dove più che le armi poteva l’opinione, si trovavano
-messe in bilancia le competenze delle due autorità, richiamato
-a discussione quanto la conquista germanica
-aveva innestato sul tronco romano, la legittimità del
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-potere nato dalla forza, il dominio della spada sovra gli
-spiriti, l’intrusione delle discipline militari nell’ordine
-civile e fin nella gerarchia ecclesiastica; e l’una e l’altra
-parte si credette obbligata a dimostrare le proprie ragioni
-ai popoli, di cui le bisognava l’appoggio. E i popoli
-impararono che avevano diritti, che per argomenti
-potevano scegliere a quale prestare il sussidio
-dell’oro, del brando, delle convinzioni; e di quelli e di
-queste misurata la potenza, vollero servirsene ad assicurare
-e crescere quei diritti, che avevano appreso a
-conoscere e stimare. Trattavasi poi di combattere?
-bisognava che il conte o il vescovo si servissero del
-braccio delle plebi: e guaj pe’ tiranni il giorno che han
-bisogno de’ loro oppressi!
-</p>
-
-<p>
-Contesa tanto vitale non limitavasi a battaglie in
-campo aperto, ma penetrava nelle città e nelle case:
-spesso una chiesa trovavasi disputata da due vescovi,
-uno papale ed uno intruso, i quali si perseguivano in
-guerra; diuturne le vacanze, perchè o il papa negava
-l’investitura, o i cittadini obbedienza al nominato dall’imperatore;
-e sempre i vescovi sentivansi sotto ai piedi
-vacillare il terreno, perchè o non investiti dal re, o non
-riconosciuti dal papa; e per formare e mantenersi partigiani,
-cedevano particelle de’ loro diritti ai Comuni.
-Esse città giuravansi con altre del sentire medesimo,
-onde in armi tener testa alle contrarie. Uscita poi vittoriosa
-la parte ecclesiastica, ingegnavasi di menomare
-le prerogative regie, ma con ciò raccorciava anche
-la podestà temporale de’ vescovi, fondata sopra regie
-concessioni.
-</p>
-
-<p>
-Col carroccio (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 439) i popolani s’erano avvezzi
-a considerarsi, non più guerrieri obbligati d’un signore,
-ma d’una bandiera cittadina, del Cristo che allargava
-le braccia su quell’antenna, del sant’Ambrogio, del
-san Zenone, del sant’Alessandro che li benediceva dal
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-gonfalone. Quel parteggiare per l’imperatore o pel papa
-avea misto i varj ordini d’uomini, per modo che non si
-guardava tanto se uno fosse capitaneo, nobile o plebeo,
-ma se imperiale o pontifizio. Le armi e i campi comuni,
-e la necessità di usare concordemente le braccia
-o l’ingegno nella mischia o nei parlamenti, scemavano
-le distanze fra quelli della parzialità medesima; poi la
-trionfante conseguiva vantaggi o privilegi sull’altra,
-sicchè gli ordini fin allora scrupolosamente distinti venivano
-ad unirsi nel Comune cittadinesco; e i giudici
-della città, che già, duranti le vacanze del vescovado,
-decidevano in propria testa senza riguardo al visconte,
-qualora al conte o al vescovo strappassero alcuna nuova
-porzione di autorità, la esercitavano più piena sovra
-maggior numero di cittadini, e con restrizioni minori.
-</p>
-
-<p>
-Insegnati a discutere dei diritti, prendono in dispetto
-gravezze fino allora tollerate di cheto; alla prima taglia
-troppo pesante si ammutinano; cominciato che uno
-abbia, il seguono altri; la torre, da cui il feudatario o
-il conte minacciava, diviene spesso il ricovero degli
-affrancati; spesso i monumenti dell’antica magnificenza
-convertonsi in difese di nuova libertà; e si preparano
-lotte, risolute perchè di scopo evidente e semplice, e
-non per capriccio o per obbedienza, ma per tutela dei
-diritti più sacri. Il tentativo fallisce? sono smantellati
-i fortilizj, uccisi gl’insorti: riesce? i sollevati comprendono
-la necessità di unirsi.
-</p>
-
-<p>
-Non poca opportunità vi aggiunsero le crociate; per
-passare a terrasanta molti baroni vendettero od impegnarono
-i dominj, o per denaro cedettero qualche parte
-della giurisdizione ai cittadini, che, durante l’assenza
-loro, rassodarono i diritti, e di nuovi ne acquistarono;
-mentre gli uomini che combattevano in Palestina s’abituavano
-alla libera disciplina dei campi, s’accostavano
-fra loro ed ai padroni, e ne riportavano più libere idee,
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-men servili sentimenti. Quelli poi che fossero capaci
-di riflettere e di ponderare i civili ordinamenti, dovevano
-rimanere attoniti allo spettacolo di Venezia, di
-Pisa, d’altre città marittime, che già si reggevano a
-popolo: poi nelle Assise di Gerusalemme trovavano un
-governo, baronale bensì, ma dov’era provveduto anche
-alla plebe, chiamata pur essa a parte delle discussioni.
-</p>
-
-<p>
-Ecco dunque risalire alla dignità civile quei che l’avevano
-perduta fin dall’invasione dei Longobardi: ecco
-vincitori e vinti ricondotti sotto una giustizia ed un governo
-medesimi. E poichè le reliquie degli antichi Romani,
-sentendo rivalere l’ingegno sopra la forza, tornavano
-su quelle antiche memorie che un popolo perde
-per ultima cosa, e che servono spesso di lievito acciocchè
-l’inerte massa non imputridisca; e i discendenti
-medesimi de’ conquistatori rispettavano quelli che un
-tempo avevano soggiogati; perciò si ridestarono i nomi
-e le forme romane, e i magistrati cittadini non s’intitolarono
-più scabini alla tedesca, ma <i>consoli</i>.
-</p>
-
-<p>
-Adunque in due atti spiegavasi quel movimento:
-sottrarsi con braccio forte alla dominazione armata, poi
-colla prudenza costituirsi. Che se era difficile quel primo
-contro conquistatori armati, difficilissimo è sempre il
-secondo, e allora viepiù quando di costituzioni non
-s’aveva alcuna esperienza.
-</p>
-
-<p>
-Ma in che consistevano le pretensioni dei Comuni?
-Domandavano libertà materiale di andare e venire senza
-pagar pedaggi; di vendere, comprare, possedere il
-proprio, e lasciarlo ai figli; contrar matrimonj anche
-fuori del feudo, e con persone di qualsiasi condizione;
-sicurezza della casa e della persona; una misura fissa
-nei dazj, nelle decime, nelle prestazioni di corpo dovute
-al signore, ne’ giorni in cui servirlo colla marra
-o colle armi, nella retribuzione pel forno o pel mulino
-privilegiato in tutto il feudo; se qualche bestia si svii,
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-non venga al castellano, ma rendasi al proprietario;
-possa tagliarsi legna morta al bosco; nessuno arresti
-un comunista senza intervenzione di giudici; siavi un
-tribunale a cui richiamarsi anche dei torti ricevuti dal
-signore, e dove giustificarsi col giuramento o per testimoni,
-anzichè col duello.
-</p>
-
-<p>
-Scossi che si fossero dal giogo, non d’un Tedesco o
-d’un Franco, ma d’un tiranno, vinto in unanime concorso
-il contrasto del vescovo o del conte, cercavano un
-titolo ai loro diritti col farseli non dare ma confermare
-dal re in quelle che chiamaronsi <i>carte di Comune</i>. I
-re vi trovavano il proprio conto, perchè, oltre deprimere
-i feudatari privandoli della giurisdizione, con esse
-carte davano regole di diritto criminale e civile, traendo
-a sè una parte sì principale della regia autorità qual è
-la legislativa, istituendo o convalidando le costumanze
-locali.
-</p>
-
-<p>
-Le carte che ci rimangono, per quanto variate, importano
-l’abolizione delle servitù personali e delle tasse
-arbitrarie, assicurato agli abitanti lo scegliersi i magistrati
-municipali, e data a questi autorità di movere in
-armi i comunisti quando il credano necessario a tutelare
-i diritti e le libertà del Comune, sia contro i vicini,
-sia contro il signore. In quelle medesime ove propriamente
-veniva riconosciuta una giurisdizione distinta,
-non si stabiliva già chiaro e preciso in qual relazione
-starebbe d’allora innanzi il Comune col re, col feudatario,
-col vescovo, bensì riducevasi in iscritto l’ordinamento
-sociale interno, tutto ciò che potesse contribuire
-alla civile sicurezza, e massime all’applicazione della
-giustizia; la parte ove i popoli sentono più immediatamente
-la servitù o la libertà.
-</p>
-
-<p>
-V’avea però Comuni propriamente stabiliti da baroni
-o da re, sulle proprie terre aprendo asilo ai vagabondi
-e agli avveniticci, costituendo <i>città nuove</i>, <i>borghi nuovi</i>,
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-<i>castel franchi</i>, <i>franche ville</i>, sotto un preposto del re
-o dei signori, con una carta, alla quale davano pubblicità
-affine di allettare gente forestiera a stanziarvisi e
-comprare terreni. Il conte Guido Guerra, suocero del famoso
-Bellincion Berti, nel 1208 dava nel suo viscontado
-di val d’Ambra il diritto ad uno per ciascuna terra di
-formare insieme uno statuto, unirsi per deliberare degli
-interessi pubblici, e assistere lui, capo dello Stato; il
-quale delegava i suoi poteri al podestà, salvo l’arbitrio
-di modificarne le sentenze.
-</p>
-
-<p>
-Siffatte carte occorrono men frequenti in Italia, forse
-perchè, sussistendo alcuni Comuni fin dall’età romana,
-od essendosene costituiti durante il reggimento feudale,
-non si trovava bisogno di nuovi diplomi per regolare
-l’amministrazione interna, i diritti de’ magistrati, le relazioni
-col signore e coi vicini. Pure d’alcune abbiamo
-gli apografi, d’altre fondatissima presunzione, tanto da
-poter asserire che i Comuni nostri sono i più antichi
-del mondo moderno, e fin anche di quello di Leon
-in Ispagna, conceduto da Alfonso V coll’assenso delle
-Cortes entrante l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo.
-</p>
-
-<p>
-Venezia dall’origine sua medesima si trovò stabilita
-in repubblica; e a lei somigliare dovevano le altre città
-marittime di maggior fiore, Pisa, Amalfi, Napoli, Gaeta.
-Adria, ancora di qualche conto, nel 1017 menò guerra
-coi Veneziani, i quali vincitori obbligarono il vescovo
-Pietro e i primati a venire al doge, chiedere scusa, e
-promettere fedeltà. Dall’alto di tal sommessione esso
-vescovo appare anche capo politico del Governo; ma
-contraeva coll’intervento de’ suoi canonici e di varj
-laici, de’ quali il primo è <i>Anastasius consul</i>. Le città
-del litorale istriano, aggregato talvolta al regno d’Italia,
-conservarono le forme comunali all’antica, e nel 991
-Capodistria faceva col doge Pietro Orseolo II una convenzione,
-stipulata da un conte Sicardo suo governatore,
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-<i>e cunctos habitantes civitatis Justinopolitanæ, tam
-majores quam minores</i><a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>. Anche Ragusi, città
-mista che per tante ragioni s’annesta alla storia italiana,
-e che sotto una costituzione aristocratica gareggiò con
-Venezia, e fu l’Atene della letteratura slavo-illirica,
-degna di storia più che i vasti imperj da cui fu ingojata,
-antichissimo esempio ci è di governo municipale, poichè
-in un diploma del 1044 Pietro detto Slaba (slavo) priore,
-<i>cum omnibus pariter nobiles, atque ignobiles mei,
-tam senes, juvenes, adolescentes, quam etiam pueri</i>,
-restituisce alcuni beni all’abate di Santa Maria di Lacroma,
-presente il vescovo Vitale<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Genovesi, costretti a schermirsi dai Saracini di
-Frassineto, buon’ora si ordinarono a comune sotto il
-vescovo, dividendo le città nelle <i>compagne</i> di Castello,
-Borgo, Piazzalunga, Maccagnana, San Lorenzo, Portanuova,
-Sosiglia e Portoria, ciascuna avente consuetudini
-proprie e gonfalone, e deliberando per consigli e
-parlamenti. All’888 si fanno risalire i suoi primi consoli,
-il senato, l’assemblea del popolo e le forme municipali,
-che ricevettero conferma da un diploma di Berengario II
-del 958, il quale assicurava ai Genovesi le proprietà,
-già <i>jure</i> acquistate<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. Poi nel 1056 Alberto marchese
-giurava osservare le consuetudini di essi, che sono le
-seguenti:
-</p>
-
-<p>
-«Qualora si contenda sopra la sincerità d’una carta
-tra Genovesi e forestieri, se il notajo e i testimonj sieno
-presenti, basta che il presentatore della carta giuri non
-l’avere corrotta in veruna parte: se manchino notajo e
-testimonj, il presentatore trovi quattro persone che il
-giurino con lui. La femmina longobarda può vendere
-e donare senza l’assenso dei parenti e l’autorità del
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-principe. Così pure i servi, gli aldj delle chiese e i servi
-del re vendano e donino liberamente le cose di loro
-proprietà, ed anche le livellarie. I villani de’ Genovesi,
-che abitano sui poderi dei padroni, non sono tenuti a
-dare fodro, fodrello, albergaria o placito ai marchesi,
-nè ai visconti, o loro mandati. I livellarj delle chiese,
-che per gravi casi non possono soddisfare l’annuo
-canone, non perdano un fondo livellato, se prima del
-decimo anno paghino i livelli scaduti. Gli abitanti di
-Genova non devono stare in giudizio fuori di città, nè
-obbediscano a sentenza renduta fuori. I rettori di
-Sant’Ambrogio possano conceder beni a livello. I forestieri
-abitanti in Genova devono fare la guardia coi
-Genovesi contro gl’insulti dei Pagani. Chi giura con
-quattro testimonj di aver posseduto per trent’anni un
-podere, sia cheto contro qualunque podestà ecclesiastica
-o laica, nè v’abbia luogo a duello. Quando i marchesi
-vengano a tener placito a Genova, il bando non duri che
-quindici giorni. Un laico a cui un cherico abbia ceduto
-i beni ecclesiastici, li posseda tranquillamente finchè il
-vescovo vive. Se uomo o femmina prese a livello beni
-ecclesiastici, o per compra, o per eredità, niun altro
-può acquistare livello sui medesimi: e se nasce controversia,
-chi è in possesso giuri con quattro testimonj
-che da dieci anni egli od i suoi antecessori possedono
-quei beni a livello. I cherici legittimamente investiti di
-beni ecclesiastici li tengano alla sicura quanto vivono,
-nè altro cherico acquisti ragioni su quelli. Gli uomini
-dei Genovesi, che vogliono risedere sui poderi de’ padroni,
-sieno franchi da ogni servizio pubblico».
-</p>
-
-<p>
-Nel 1109 il conte Bertrando donava al Comune di
-Genova la terra di Gibeletto in Siria: nel 1130 Pavesi
-e Genovesi stipulavano concordia e reciproca difesa.
-Nel 1166 i consoli de’ mercanti e de’ marinaj di Roma
-agli uomini del Genovesato da Portovenere fino a Noli
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-concedeano pace e sicurezza della persona e degli averi
-per terra e per mare da Terracina a Corneto, cassando
-le rappresaglie e qualunque procedura per rapine da
-trent’anni in poi; renderanno buona giustizia e riparazione;
-potranno condurre a Roma qualsiasi merce, e
-farvi contratto; obbligheranno a giurar questa pace i
-visconti e balii di Terracina, Stura, Ostia, Porto, Santasevera,
-Civitavecchia; se alcun Romano rechi danno
-a Genovesi, l’obbligheranno a rifarli, e se non possa,
-li rifaranno dal Comune; non soffriranno si armino a
-danno loro legni di corso da Capodanzo a Terracina, e
-da Caponaro a Corneto; terranno per nemici i Pisani,
-nè gli accoglieranno sul loro territorio; serberanno
-pace cogli uomini di Albenga, Portomaurizio, Diano,
-San Romolo, Ventimiglia, se i loro consoli la giurino
-ad essi. Di rimpatto i consoli del Comune di Genova
-giuravano pace ai Romani coi patti medesimi<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Siena, città primaria sino al tempo de’ Longobardi,
-e dove il vescovo appare lungamente anche capo temporale,
-già avea Comune nel 1151 quando il conte
-Paltonieri dava in pegno al sindaco il castello di San
-Giovan d’Asso col suo distretto, per dieci anni: anzi
-nel 1137, <i>in communi colloquio</i> molti nobili di Staggia
-e Strove donavano alcuni castelli a Ranieri vescovo e
-capo civile di Siena. Poi nel 1186 Enrico di Svevia,
-vivo Federico Barbarossa, dava e confermava a questo
-Comune la zecca, la libera elezione de’ consoli, del rettore,
-del podestà, con giurisdizione sopra tutto il contado,
-salvo ai giudici imperiali l’ultimo appello delle
-cause, e pagando alla Camera imperiale settanta marche
-d’argento<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Pisa, a comodo anche dei tanti avventicci, raccoglieva,
-fin dal 1160, gli statuti precedenti, fin allora tenuti per
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-memoria, donde ricaviamo l’interno suo ordinamento
-e la persistenza del diritto romano; aggiungeva regole
-per le contestazioni marittime, che voglionsi approvate
-il 1075 da papa Gregorio VII; poi nel 1085 Enrico IV,
-oltre varie esenzioni, le prometteva osservarne le consuetudini
-di mare, lasciare che i seniori facessero le
-leggi e rendessero giustizia, non mandare in Toscana
-verun marchese se non approvato da dodici uomini,
-eletti nell’assemblea dei cittadini di Pisa, raccolta a
-suon di campana<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>. Prometteva inoltre non distruggere
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-le case, non incendiar la città nè diroccarne le mura,
-non esigerne alloggi; se rechi offesa ad alcuno, ne giudicherà
-per mezzo di dodici sacramentali senza duello,
-salvo se si tratti della vita o dell’onore del re; non
-impedirà i viaggi, e di mariti che siano in viaggio non
-arresterà le mogli; non porrà altro aggravio se non
-quello che tre seniori per ciascuna villa e castello giurino
-essersi praticato al tempo del marchese Ugo;
-lascerà che vedove e fanciulle si maritino, senza
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-costringerle a sposarsi a chi egli voglia, o esigerne
-prezzo; non torrà nè farà lavorar le terre a mezzo
-miglio in giro, che furono paludi o pascoli pubblici o
-delle chiese; il pezzo del muro vecchio sin all’Arno
-lascerà libero a comune vantaggio, non permettendo
-vi si eriga casa; se alcuna nave sia fermata da Gaeta a
-Luni, nessuno ardisca predarla.
-</p>
-
-<p>
-Lucca, prediletta sede dei marchesi di Toscana, in
-un documento del 1124 chiamata <i>gloriosa civitas,
-multis dignitatibus decorata, atque super universam
-Tusciae marchiam caput ab exordio constituta</i>, possiede
-uno de’ più ricchi archivj d’Italia, da cui potrebbe
-trarsene la storia comunale. Fra il 965 e il 972 Ottone
-I conferiva a quella Chiesa un’immunità, la quale
-era piuttosto personale ed ecclesiastica, salvo che cedevasi
-ad essa Chiesa e al clero la facoltà regia di eleggere
-il proprio avvocato, e dispensavasi dal giurare
-nelle cause con molti <i>sacramentarj</i>. Ottone II nel 981
-confermò ed estese questi privilegi, volendo che tutte
-le persone dimoranti nelle terre e castella d’esso vescovado
-fossero sottoposte unicamente al tribunale del
-vescovo, che potesse citarli e giudicarli (<i>distringere</i>) a
-modo della potestà regia. Nessun duca, marchese, conte,
-visconte, giudice pubblico o gastaldo o qualsiasi altro
-magistrato presuma porvi piede per udir cause, esigere
-multe, far foraggio, levare sfatichi; chiunque possedesse
-beni del vescovado ingiustamente, li restituisca<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>; seguono
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-altri provvedimenti opportuni al libero esercizio
-del dominio e dei diritti vescovili, e comminando ai
-contravventori mille libbre d’ottimo oro, da pagare
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-metà al fisco imperiale, e metà alla chiesa di Lucca
-<i>ejusque vicario</i>. Alessandro II papa attribuì a quel
-Comune per sigillo una bolla di piombo<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Vedemmo Anselmo vescovo di Lucca zelantissimo
-per Gregorio VII contro l’imperatore; onde i cittadini
-gli si ribellarono, ed Enrico IV, da Roma il 23 giugno
-1081, in premio della fedeltà e de’ servigi prestatigli,
-conferiva ai Lucchesi un privilegio, nel quale vieta ai
-<i>vescovi</i>, duchi, marchesi, conti e qualsiasi persona o
-autorità di demolire il recinto delle mura nè i casamenti
-urbani o suburbani; o di fabbricare castelli nel
-circuito di sei miglia, nè di esigervi il fodro o il ripatico;
-abolendo le <i>consuetudini perverse, introdotte dalla
-durezza</i> del marchese Bonifazio; non vi abbia palazzo
-imperiale in città o nel borgo, nè siano tenuti agli
-alloggi; chi per negozj va a Lucca sia pel Serchio sia
-per terra, non venga molestato nè derubato, nè alcuno
-lo impedisca o svii; i Lucchesi possano negoziare sopra
-i mercati di Parma e San Donnino ad esclusione dei
-Fiorentini; siano giudicati solo da chi ha legittima giurisdizione;
-non venga obbligato al duello chi adduca
-il possesso di trent’anni, o altro documento; il giudice
-longobardo non possa proferirvi giudizio, se non in
-presenza del re o del suo cancelliere<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-</p>
-
-<p>
-Qui avete sott’occhio una vera carta di Comune; e
-quantunque v’appajano come concessioni quelle che oggi
-si hanno per generale giustizia, pure alleggeriva la
-soggezione immediata ai marchesi e conti; la mediata
-moderava nell’esigenza delle tasse e ne’ giudizj; dava
-a Lucca un’esistenza comunale in faccia ad altri Stati,
-sicchè l’università e i singoli cittadini fossero rispettati
-come tali.
-</p>
-
-<p>
-Benchè, col cessare della guerra delle Investiture,
-rivalesse l’autorità dei marchesi, questa non tolse al
-Comune di Lucca di operare indipendente: dal 1088
-al 1144, ebbe guerra coi Pisani; distrusse i castelli
-Castagnoli, Vaccole, Vecchiano, Ripafratta, appartenenti
-a Cattanei o conti rurali; da Uguccione e Veltro, visconti
-di Corvara nella Versilia, comprò questo tenimento
-e il castello di Vorno che spianò; e chiamò a
-giudizio arbitrale i vescovi di Luni e i marchesi di
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-Malaspina<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>. Non sapremmo dunque definire a che si
-riducesse la supremazia dei marchesi di Toscana, che
-pur sussistette fino a che il marchese Guelfo della casa
-di Matilde, principe di Sardegna, e duca di Spoleto,
-nel 1160 al popolo lucchese cedette ogni diritto, azione,
-giurisdizione, che gli competessero sia a titolo del
-marchesato, sia per l’eredità della contessa; solo per
-novant’anni riservandosi il censo di mille soldi, sebbene
-non siano pur la metà di quel ch’egli potrebbe ritrarne<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>.
-Così que’ cittadini furono riscattati da ogni
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-servitù particolare, e l’assicurata libertà garantirono
-col giurar fedeltà e sommessione all’imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Benchè Lucca sia così ricca di documenti, il Tommasi,
-nel <i>Sommario</i> della storia di essa, dice non
-potersi «fissar con sicurezza quando v’incominciasse
-la repubblica, gli storici lucchesi segnando un’epoca
-chi più chi meno remota;..... se narrano i primi scrittori
-fatti bastantemente provati donde traspirano manifesti
-segni di libertà e d’indipendenza, producono i
-secondi tali carte contemporanee da smentire appieno
-gl’indicati segni, perocchè mostrano esse più presto
-soggezione gravissima, che la ben menoma franchigia».
-Quest’incertezza è di gran lunga maggiore per gli altri
-Comuni, e deriva dal fatto dei mal determinati poteri,
-tanto dominante nel medioevo, che non deve presumere
-d’intendere la storia civile chi non l’abbia sempre
-sott’occhio.
-</p>
-
-<p>
-Ampio privilegio fu concesso il 1129 da re Ruggero,
-e confermato il 1164 da re Guglielmo alla città di
-Messina, in benemerenza de’ sussidj prestati a snidare
-i Normanni. Portava che i Messinesi, tranne i casi di
-Stato, non potessero convenirsi in civile o in criminale
-se non da giudici eletti da loro, neppur nelle cause col
-fisco; il re non operasse dispotico, ma si attenesse alle
-leggi, e se contrario a queste dava alcun decreto, fosse
-irrito e nullo; non nominasse uffiziali pubblici che
-messinesi e benevisi; e fosse reputato cittadino coronato
-di Messina. I deputati di questa tenessero il primo
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-luogo nelle assemblee convocate dal re; solo colà si
-coniasse la moneta del regno; nel tribunale suo fosse
-un consolato per deliberare in affari marittimi, composto
-di Messinesi, <i>nominati dai padroni delle navi e
-dai negozianti</i>. I Messinesi andassero esenti da dogana
-per tutto il regno; potessero senza compenso tagliar
-nelle foreste regie quanto occorresse a fabbricare e
-risarcir le navi: nessuno d’essi fosse forzato al servizio
-militare; la galera di Messina inalberasse lo stendardo
-reale; nelle assemblee dal re convocate per gl’interessi
-di quella città non si deliberasse che in presenza dello
-stratego, dei giudici e d’altri uffiziali della città; gli
-ebrei vi godessero diritti e immunità pari ai cristiani.
-Tale carta, confermata poi ed accresciuta, rendeva il
-comune di Messina quasi sovrano<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Al popolo di Ferrara Enrico III nel 1055 concedeva
-che i <i>cortensi</i> fossero assolti dal dare la terza pel placito;
-i villani nelle lor terre abitanti non andassero al
-placito pubblico, ma per loro rispondessero i padroni;
-le navi e i cavalli loro non fossero obbligati a servizio
-se non quando esso imperatore venisse in Italia; non
-pagassero il ripatico se non a Pavia; e così vien fissato
-quanto retribuire pei pesci, pel sale a Cremona, a Venezia,
-a Ravenna; tutt’altrove si era immuni d’ogni
-esazione. Due volte l’anno tengano il placito generale
-per tre giorni, in ciascun de’ quali diano tre porci,
-cento pani, una libbra di pepe, una di cinnamomo, tre
-sestieri di miele, e in tutto una vezza di vino; al quarto
-giorno diano a colui che tenne il placito, un majale e
-cinquanta pani<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anteriori diritti possedevano le comunità del lago di
-Como, giacchè Ottone il Grande nel 962, ad istanza
-dell’imperatrice Adelaide, confermava agli abitanti dell’Isola
-Comacina e di Menaggio i privilegi che avevano
-ottenuti dagli antecessori suoi, assolvendoli da molti pesi
-e dal venire al placito, se non tre volte l’anno in Milano<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>.
-Verso il 1090 troviamo i Comaschi alle
-prese coi popoli della riva dell’Adda, quando il beato
-Alberto, fondatore del famoso convento di Pontida,
-s’interpose di pace: i Comaschi lacerarono il suo lodo;
-mal per loro, giacchè nel combattimento ebbero la
-peggio.
-</p>
-
-<p>
-Fin dal 990 il popolo di Cremona sosteneva briga
-con Olderico, suo vescovo insieme e conte, e cacciatolo,
-abbattè la città antica, e una maggiore ne fabbricò
-contro l’onore imperiale<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>. Il 1114 Enrico V confermava
-i privilegi de’ Cremonesi, cioè i beni <i>ch’essi
-in loro lingua chiamano proprietà comunali</i><a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>, e
-di fabbricare fuor di città il palazzo imperiale, il che
-equivaleva a promessa di non entrarvi coll’esercito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-</p>
-
-<p>
-Del Comune di Brescia trovansi vestigia al 1000: nel
-1020 già sono citate le concioni pubbliche che si tenevano
-in San Pietro de Dom, e il banditore comunale,
-a nome di esso Comune, investiva gli uomini degli Orzi
-del castello, delle fosse e degli spaldi di Orzi: essi a
-vicenda promettendo difendere quella rôcca contro chi
-fosse ardito a disputarne il possesso al Comune di
-Brescia, presterebbero ogni quindici anni il giuramento,
-pagherebbero alla madonna d’agosto cinque soldi milanesi.
-Del 1029 si conosce uno statuto che concerne
-anche i feudi. Nel 1037, per togliere le contese tra il
-vescovo e il Comune, più di cencinquanta uomini liberi
-di Brescia si radunano, e Odorico vescovo promette
-non eriger fortilizj sul colle Cidneo, e cedere al popolo
-alcuni boschi di Castenedolo e di Montedegno, pena
-duemila libbre d’oro se fallisca al promesso.
-</p>
-
-<p>
-I Bresciani nel 1102 avevano promulgato una legge
-contro gli usuraj: e due anni appresso Ardizzo Aimone,
-console di colà, girava per le città lombarde onde
-indurle a federarsi in difesa comune, convenendo nel
-monastero di Palazzuolo<a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Dicemmo come a Mantova fosse costituito il Comune
-degli arimanni. Ai 27 giugno 1090 la contessa Matilde
-gittava un bando qualmente <i>i fedeli suoi Mantovani
-cittadini</i> ricorsero alla clemenza di essa, bramando
-esser rilevati dall’oppressione d’alcuni loro concittadini
-e domandando fosser loro restituiti gli arimanni, e le
-cose tutte <i>comuni</i>, tolte ad essa città dai predecessori
-della contessa. Al che annuendo, abolisce e sterpa tutte
-le esazioni ed angarie non legali, imponendo che nè
-essa nè gli eredi suoi od altra persona grande o piccola
-di sua podestà possa molestare i cittadini di Mantova
-per le persone loro, i servi, le ancelle, i liberi dimoranti
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-in quella terra, e l’arimannia e le cose comuni ad
-essa città spettanti sulle rive del Mincio, o le cose
-mobili e immobili. Nessuno alloggi in qualsiasi casa
-della città, o in quella d’un gentiluomo (<i>militis</i>) nel
-sobborgo, o nella canova di chicchessia, contra lor
-voglia. Restituisce loro i beni occupati, in modo che
-pascolino, seghino, caccino a voglia; possano sicuramente
-andare e venire per acqua e per terra senza
-pagar pedaggio, ed avere quella buona e giusta consuetudine
-che ottiene ogni miglior città di Lombardia<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a>.
-Nel 1133 Lotario II confermava al popolo di
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-Mantova i privilegi conceduti già dall’imperatore Enrico
-II,<i> compresa l’arimannia e le cose comuni di essa
-città, su ambe le rive del Mincio e del Tàrtaro</i>; abbiano
-facoltà di trasferire il palazzo imperiale dal borgo
-San Giovanni al monastero di San Rufino di là dal
-Mincio; restino liberi dall’albergaria, e possano andare
-e venire a tutti i mercati dell’Impero, senza molestia
-nè esazione di teloneo. Concede inoltre l’isola dov’era
-stato il castello di Ripalta, sicchè altro fabbricarne non
-potesse egli nè i successori suoi<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nella vita del beato Lanfranco, sotto il 1030, leggesi
-che il padre di questo era di coloro che custodivano
-le leggi e i diritti della città di Milano<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>; e lo storico
-Landolfo di San Paolo nel 1107 chiamasi secretario dei
-consoli<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>. In quell’anno stesso i Milanesi erano alle
-mani colla città di Lodi, e la stringevano d’assedio;
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-Pavia cavalcava Tortona, la quale chiese l’alleanza dei
-Milanesi, mentre Pavia univasi co’ Lodigiani e Cremonesi,
-e presa la città nemica, la mandò a fuoco. E di
-vita propria ci diè sentore Milano sia nell’antica contesa
-coll’arcivescovo Landolfo, sia più chiaramente in
-quelle delle Investiture e pel matrimonio dei preti; poi
-i principi di Germania e Federico arcivescovo di Colonia
-nel 1118 scrivevano ai <i>consoli, capitanei, cavalieri
-e all’intero popolo milanese</i>, come a Comune
-indipendente, istigandoli contro Enrico V a tutelare le
-proprie libertà, fidati nell’ajuto di Cristo<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>. Nel 1117
-i Lombardi, sgomentati da fenomeni straordinarj, pioggie
-di sangue, nascite di mostri, tuoni sotterranei,
-risolsero provvedere alla giustizia, all’ordine, alla penitenza;
-onde l’arcivescovo Giordano radunò in Milano
-una dieta straordinaria, dove non comparvero più
-principi e conti o feudatarj, ma sovra un palco da una
-parte si posero tutt’i vescovi, dall’altra i consoli delle
-varie città, i giurisperiti e popolo immenso, e trattarono
-del metter pace<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>: assemblea di liberi, che da se
-stessi consultano il proprio meglio, e che forse allora
-avvisarono come adempiere al difetto della giurisdizione
-reale, caduta così in basso. Sembra difficile che
-si abbia a intendere qui soltanto del Comune dei conquistatori,
-senza partecipazione del popolo.
-</p>
-
-<p>
-Di questa distinzione del Comune dei nobili dal
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-popolano ci presentò insigne documento Mantova; un
-altro abbiamo in Bergamo, dove i nobili troviamo più
-volte convocati insieme col clero a trattare di possessi
-ecclesiastici<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>. Poi re Corrado nel 1088 teneva in
-quella città un placito, assistenti varj giudici del sacro
-palazzo, alquanti vescovi, marchesi, conti, valvassori
-milanesi e bergamaschi, e <i>varj cittadini</i> di essa
-città<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Quanto alle terre del Piemonte, nel 1090 Ottone Riso
-e Benedetta sua moglie vendono una casa e una cascina
-<i>omnibus vicinis de Bugella</i>; acquisto comune, che
-indica una comune amministrazione dei Biellesi, benchè
-qui pure potrebbe supporsi dei soli conquistatori. Due
-anni appresso, gli abitanti di Saorgio maschi e femmine
-fanno una donazione a Sant’Onorato di Lerino. Nel
-seguente trovasi già in Biandrate un Comune con dodici
-consoli, e quei conti Guido e Alberto fanno patto di
-assistenza coi militi, cioè coi valvassori, per conservare
-i possessi e feudi che ottennero, promettendo lasciar
-che trasmettessero ai loro figli maschi e femmine i
-terreni di cui gli abbiano infeudati, nè proibire che
-vendano un edifizio che v’abbiano eretto, purchè non
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-vendano essa terra senza consenso dei conti. I quali
-conti non imporranno pena ai militi di Biandrate se
-non per omicidio, spergiuro, furto, adulterio con una
-parente, tradimento, duello giudiziale e aggressione;
-gli altri delitti rimetteranno al laudo di dodici consoli.
-I militi a vicenda giuravano stare ligi ad essi conti,
-conservarne di buona fede i feudi; e tra loro stessi
-promettevano garantirsi i possessi contro chicchessia,
-nelle discordie rimettersi ai dodici consoli<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>: i quali
-pure giureranno risolvere le liti in Biandrate al miglior
-vantaggio del Comune e ad onor del luogo<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 901 Lodovico IV imperatore al vescovo d’Asti
-Eilulfo concedeva la corte e il castello di Bene, Cervere,
-Niella, Salmour, e la contea di Bredulo fra il Tanaro e
-la Stura: ma nella città non aveano que’ vescovi che il
-castelvecchio, sin quando Ottone III nel 992 a Pietro
-concesse anche la città con quattro miglia in giro, e
-giurisdizione, il letto del Tanaro e le rive, e tutti i
-diritti camerali, e le successioni agli intestati, vietando
-a qualsiasi conte di pigliarvi ingerenza<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a>. L’anno
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-stesso agli <i>abitanti</i> d’Asti esso Ottone concedea facoltà
-di trafficare ove loro paresse; poi Corrado Salico nel
-1037 li faceva esenti da ogni dazio e dogana in qualunque
-parte arrivassero mercatando, sempre ad istanza
-del vescovo. Al quale però già stavano mal soggetti,
-talchè due volte la principessa Adelaide dovette venire
-ad assisterlo, gettando il fuoco alla città; poi alla morte
-di essa, vi si formò il Comune, e li troviamo ben presto
-sostener guerra col marchese Bonifazio di Savona, e
-nel 1098 già stringer lega con Umberto II di Savoja
-erede di essa Adelaide. Amedeo III di quella casa,
-morto il 1148, dava franchigie comunali a Susa; Tommaso
-ad Aosta nel 1188, ricevendola in protezione:
-attesochè l’esser costituiti in Comune non repugnava
-alla dipendenza da un signore.
-</p>
-
-<p>
-Chi cercasse, troverebbe in quel torno stabilite a
-Comune tutte le città italiane; ma l’accertarne il principio
-è difficile tra quell’<i>agitazione costituzionale</i>, reggimento
-indeciso fra la pace e la guerra, fra la sommessione
-e la rivolta, fra l’opposizione legale e l’insurrezione.
-</p>
-
-<p>
-D’altro passo erano proceduti i paesi di Romagna.
-Inviolati da Barbari, aveano essi conservato l’ordinamento
-quale sotto l’Impero bisantino, con consoli sopra
-il Governo e i giudizj, e con tribuni che comandavano
-ai borghesi, distribuiti in scuole militari. Staccati che
-furono da quello, la difesa venne commessa ai vassalli,
-e il loro capo assunse l’aspetto generale d’allora, cioè
-di signore feudale ereditario, e trasse il titolo dalle terre
-che possedeva. L’ordinamento civile vi si trasformò
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-quando i varj vescovi, che pretendevano alla superiorità,
-dopo Ottone il Grande s’inchinarono al pontefice;
-sicchè a questo rimase la primazia sovra la Romagna,
-e ai vescovi la giurisdizione e il nominare i magistrati,
-che, secondo allora solea, retribuivansi con terre feudali.
-A capo pertanto d’ogni contado aveasi un visconte,
-sotto cui i capitanei vescovili, indi i vassalli e i valvassori,
-e da ultimo il Comune dei liberi, i quali formavano
-il consiglio municipale coi vassalli del vescovo.
-</p>
-
-<p>
-In qualche città, e nominatamente a Ravenna e sue
-dipendenti come Bologna, durava traccia delle istituzioni
-bisantine, essendo i cittadini distribuiti per scuole
-d’arti, che erano ad un tempo divisioni militari, aventi
-alla testa decurioni finchè durò l’antica costituzione
-romana, e con magistrati particolari per definire i loro
-affari, detti consoli de’ mercanti, de’ pescatori, de’ calzolaj,
-e così via. In ciascheduna corporazione un <i>capitolario</i>
-vigilava che fossero mantenuti i capitoli, vale a
-dire i diritti speciali di ciascuno, regolava i mercati, e
-risolveva le controversie. Il popolo di Bologna nel 1116
-ottenne da Enrico V la conferma dei privilegi e delle
-consuetudini sue.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Più tardi si riscosse la campagna. La conquista dei
-Barbari aveva arrestato lo spopolamento, prodotto
-dall’affluire della gente nelle città; poi collo stabilirsi
-dei feudi la politica prevalenza fu trasferita dalle città
-alla campagna<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>. Attorno al castello del barone o
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-al sagrato della chiesa accoglievasi una gente laboriosa,
-manufattrice, mercadante, che presto cresceva in borgate.
-I signori, accortisi come potessero vantaggiarne
-d’entrate e di forza materiale, concessero alcuni privilegi,
-che non li facevano indipendenti, ma ne cresceano
-le ricchezze e gli abitanti; e quest’incremento rendeva
-necessarj nuovi privilegi, per quanto poco garantiti
-contro la prepotenza. Alcuni anche per bisogno li vendevano,
-nè denaro mancava ai sudditi per tale acquisto,
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-avessero pur dovuto togliersi il pane di bocca. Altrove
-non erano concessi ma pretesi, e l’esempio delle città
-ispirava ai campagnuoli desiderio di scuotere la dipendenza,
-e fiducia di riuscirvi. Rifuggiti in un bosco,
-sovra un colle, dietro un terrato, sfidavano di colà lo
-sdegno del signore finchè egli non calasse a ragionevole
-componimento.
-</p>
-
-<p>
-Del come si formassero le borgate attorno alle chiese
-un bel documento ci resta. Compita nel 1093 la chiesa
-di Empoli, una delle più antiche collegiate di Toscana,
-prete Rolando ne divenne <i>custode e prevosto</i>, al quale
-nel 1119 la contessa Emilia promise quel che il marito
-suo Guido Guerra signore di Empoli già aveva giurato,
-cioè che a tutti gli uomini del distretto empolitano, o
-vivessero sparpagliati o riuniti in castelli e ville, imporrebbe
-di stabilirsi attorno alla chiesa matrice di Sant’Andrea,
-donando a tutte le famiglie un appezzamento
-di terra per costruirvi le abitazioni, oltre uno per erigere
-il castello: prometteva pure difendere esse case, di
-modo che, se mai, per guerra o per violenza dei ministri
-regj o per altro, fossero abbattute, i conjugi Guido le
-rifarebbero a loro spese<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>. Di poi nel 1182 i Fiorentini
-obbligarono gli Empolitani a giurar loro obbedienza
-e fedeltà contro chicchefosse, eccetto i conti
-Guido antichi loro signori, pagar cinquanta lire annue
-nel giorno del Battista, un cero più grosso di quel che
-gli uomini di Pontormo offerivano quand’erano vassalli
-del conte Guido Borgognone di Capraja.
-</p>
-
-<p>
-Il parabolano frà Jacopo d’Acqui ricorda che, al
-tempo del Barbarossa, molte terre grosse si formarono
-in Piemonte coll’unire ville: e prima Chivasso, per opera
-de’ Milanesi: poi alquanti rustici, congregati in opposizione
-ai marchesi di Saluzzo, edificarono Savigliano,
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-che vuol dire savio-villano, per venire dalla servitù di
-essi marchesi a libertà: altri coll’ajuto de’ Milanesi fra
-la Stura e il Gesso fecero una città detta Cuneo, perchè
-avea tal forma: così furono costituiti Fossano, Mondovì,
-Cherasco, per tenere in freno quei di Asti e di Alba<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a>.
-Nel 1251 molte famiglie di Marmirolo nel Mantovano,
-trovandosi angariate da Guidone Gonzaga, abbandonarono
-in unanime concorso la patria, e si mutarono
-nel paese di Imola: il qual Comune donò loro molte
-terre colte e incolte, che essi obbligaronsi di mettere a
-frutto, pagandone annuo censo, e abitando uniti in un
-villaggio che Imola fabbricherebbe apposta, e che fu
-Massa Lombarda<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>. Fin dal 1157 il popolo di Marti
-e quello di Montopoli nel Valdarno inferiore discutevano
-de’ proprj confini, e si citarono i consoli a far
-dichiarare dai più vecchi e probi quali fossero veramente<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>.
-Firenze, l’anno 1300, decretava si facessero
-tre terre nel Valdarno superiore, per frenare gli Libertini
-di Gavelle e quei di Soffena e i Pazzi; le quali
-furono Terranova, Castelfranco di Sopra e San Giovanni.
-</p>
-
-<p>
-Ad emanciparsi erano i borghi ajutati dalle medesime
-città, cui giovava l’aversi in giro consenso di liberi,
-anzichè minaccia di tiranni. Perciò i fuggiaschi s’accoglievano
-sopra le terre suburbane, che anticamente
-erano appartenute al vescovo, o, come allora dicevasi,
-al santo patrono, e perciò si chiamavano <i>corpi santi</i>
-in Lombardia, e <i>appodiato</i> a Bologna, <i>camperie</i> nella
-Toscana, sottoposte alle leggi e al podestà medesimo
-della città. Se i Comuni cittadini avessero dichiarato
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-sciolti i feudi, tutti i campagnuoli sarebbero affluiti
-nelle città: ma queste non aveano mai avuto mente a
-costituire un diritto nuovo demolendo il preesistente,
-onde non attentavano ai legami che tenevano l’uomo
-alla terra ed al padrone, sebbene volentieri aprissero
-ricovero a’ fuggiaschi, e sostenessero chi si ribellava ai
-conti rurali.
-</p>
-
-<p>
-Milano nel 1211 concedeva a tutti i contadini e borghesi
-di accasarsi in città, e li faceva esenti da ogni gravezza
-rurale, e accomunati ai diritti di cittadini, purchè
-non lavorassero di propria mano la terra, abitassero in
-città trent’anni, eccetto il tempo del ricolto. Imola nel
-1221 prometteva la quinta parte degli uffizj a quei di
-Castello Imolese che andassero accasarsi in città. L’anno
-stesso Bologna prometteva immunità ai forestieri, e il
-consolato ad ogni venti famiglie che venissero a formar
-villa nel territorio bolognese.
-</p>
-
-<p>
-I signori si opponevano a che i loro dipendenti <i>giurassero
-il Comune</i>; ed essendosi i terrazzani di Limonta
-e Civenna accomandati al Comune di Bellagio
-sul lago di Como, l’abate di Sant’Ambrogio, che n’era
-feudatario, protestò non averne mai dato concessione,
-e chiese sentenza, per la quale furono assolti dalla vicinanza
-dei Bellagini, dal contribuire il fodro, e venire al
-placito e alla giurisdizione<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ad alcuni signori le comunità indissero guerra, poichè
-il diritto della personale vendetta, allora universalmente
-riconosciuto, rendeva alle città legittimo l’osteggiare
-i baroni, che fin sotto le loro mura aveano
-piantato fortifizj; e bandivasi pace alle capanne e guerra
-ai castelli. I conti d’Acquesena dominavano sei popolose
-terre in val di Belbo, e sorretti dal marchese di Monferrato
-e dalle armi, mille soprusi si permettevano
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-sopra i vassalli, ed esigevano una oscena primizia. I
-terrieri soffersero un pezzo come sbigottiti; poi fecero
-popolo, e al tocco della campana di Belmonte assalsero
-determinatissimi le rôcche dei signori, questi uccisero,
-quelle diroccarono; e difesisi dal marchese Bonifazio
-mediante l’ajuto degli Alessandrini, trasferirono le
-proprie abitazioni là dove la Nizza sbocca nel Belbo, e
-vi edificarono Nizza della Paglia<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Altre volte non colla forza, ma otteneasi cogli accordi:
-come i conti Guido cedettero a Firenze i loro castelli
-per cinquecento fiorini; e come troveremo spesso nel
-procedere. Ma gli abitanti di Montegiavello, scontenti
-della dominazione d’essi conti Guido, scesero a stormo
-dall’altura, e compro un prato sul Bisenzio, vi costituirono
-il Comune, che poi fu la cittadina di Prato<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1200 la città d’Asti dai molti consignori comprava
-il castello e il territorio di Manzano, obbligando
-gli uomini a trasferirsi nel nuovo paese di Cherasco.
-Nel 1228 Genova comprava dai marchesi di Clavesana
-i castelli e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro,
-Taggia, San Giorgio, Dolcedo, per l’annua prestazione
-di lire ducencinquantadue genovesi: nel 1233 faceva
-altrettanto con Laigueglia. Nel 1180 il Comune di Vercelli
-comprava in moltissime porzioni il castello di
-Casalvolone.
-</p>
-
-<p>
-Converrebbe fare la storia di ciascuna borgata chi
-volesse dire come le città crescevano dalle ruine della
-feudalità campagnuola. Alcuni signori abbracciarono
-spontanei lo stato civile, fosse per maggior sicurezza o
-per godere l’autorità che l’opulenza, il dominio antico,
-le aderenze procacciano sempre in una comunità;
-sicchè discendendo dalle minacciose rôcche, giuravano
-il Comune e fedeltà ai magistrati cittadini, sottoporre
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-i loro terreni alle tasse, servire alla patria colla
-persona e coi vassalli, e parte almeno dell’anno fissar
-dimora nelle città<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-</p>
-
-<p>
-I Transalpini, avvezzi ancora a non vedere nei loro
-paesi che dominio de’ baroni, meravigliavano allo scorgere
-che le città di Lombardia aveano ridotto tutti i
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-signori della diocesi a coabitare; talmente che a fatica
-si trovava alcun nobile o grande che non obbedisse alle
-leggi della città<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>. Alquanti duravano ancora nei
-loro castelli, massime ove li francheggiava la montagna,
-circondandosi di armigeri e di donzelli, per conservare
-l’antico potere: ma sebbene dissoggetti dai Comuni,
-non poterono mai costituire una salda aristocrazia,
-attraversati com’erano dalle altre classi. Restava dunque
-che sfoggiassero in lusso e in finte prodezze, assaltando
-un pagliajo od una grancia, o ferendo torneamenti,
-ovvero empiendo il tempo con giocare alle palle, agli
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-aliossi, alla quintana, e mettersi attorno buffoni, nani,
-cantastorie, sonatori: finchè impararono a vendere ai
-pacifici Comuni il valore, cui si erano educati ed
-esercitati.
-</p>
-
-<p>
-A tal modo formaronsi i Comuni; e combinando le
-idee classiche colle nuove, definivano la città essere un
-convegno di popolo, raccolto a vivere secondo il diritto;
-e che tutti gli uomini d’una città, e massimamente
-delle principali, devono operare civilmente e
-onestamente<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap82">CAPITOLO LXXXII.
-<span class="smaller">Effetti dei Comuni. Nomi e titoli.
-Emancipazione dei servi.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Se dunque ricapitoliamo la storia del popolo, dopo
-Carlo Magno ci occorre anarchia e scompaginamento
-universale; città e stirpi discordi; ogni barone, ogni
-guerriero animato da interessi diversi; non un pensiero
-della povera plebe. La feudalità comincia a collegare
-duchi e conti col vincolo di devozione allo stesso capo
-e di servizj reciproci; i possessori di allodj, franchi di
-ogni carico pubblico, indipendenti fra loro e quindi
-antisociali, consentono o sono forzati a divenire vassalli,
-cioè a prestare ligezza ad un signore, nella cui protezione
-trovano un compenso alle servitù, all’omaggio,
-agli obblighi. L’uomo preferisce sempre lo stato socievole
-all’isolamento, e il governo feudale offriva la
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-combinazione per allora migliore di sforzi materiali
-onde organizzare la pace e dirigere la guerra.
-</p>
-
-<p>
-Nelle città non v’era modo come uno potesse distinguersi:
-ignote le lettere; a soli nobili le ricchezze; dei
-gregarj le armi. In conseguenza le plebi rimanevano
-ancora fuori della società, e ad insinuarvele s’industriarono
-i Comuni, dove conquistati e conquistatori, uomini
-dipendenti dal re o dal vescovo o dai signori, venivano
-fondendosi in una stessa cittadinanza, a giurisdizione
-dei vescovi; poi anche da questi si emanciparono,
-istituendo il Comune laico. Nè era un tremuoto popolare
-che diroccasse i castelli: essi non domandavano la libertà,
-ma l’eguaglianza sotto un signore, un freno alla
-gerarchia feudale, o di potere in questa pigliar posto.
-Per tal modo la gente bassa diventa un ordine; la ricchezza
-mobile si erige a fianco alla fondiaria; e il feudalismo,
-che dianzi era la società intera, si restringe a
-sola la nobiltà.
-</p>
-
-<p>
-L’Italia non avea di quei duchi o conti, poderosi
-quasi piccoli re: l’autorità regia, annessa all’imperiale,
-restava lontana e controversa; sicchè le città trovarono
-minori ostacoli a costituirsi, tanto più che avevano
-sugli occhi l’esempio delle marittime. Perciò, caduta la
-Casa Salica, i Comuni lombardi muovono guerra ai
-capitanei, togliendo loro le entrate e la giurisdizione di
-conti, e la esercitano in vece loro. I Comuni si valgono
-degli imperatori e dei papi per cacciar le picche più
-a fondo nelle viscere de’ nemici; e li strascinano nelle
-microscopiche loro inimicizie; laonde queste parziali
-associazioni, combinate per salvarsi dalle baronali prepotenze
-e dal politico scompiglio, vennero ottenendo o
-conquistando giurisdizione particolare, diritto di guerra
-e di moneta<a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>, governo proprio, insomma a farsi
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-piccole repubbliche. Gli uffiziali, non più dai vassalli,
-ma sono scelti fra’ comunisti; onde sottentra l’abitudine
-agli affari, e ne vengono magistrati da far fronte allo
-Impero, giuristi che in parlamento potranno pettoreggiare
-i capi della feudalità, e dottori alle cattedre, e
-cherici che saliranno ai vescovadi e alla tiara.
-</p>
-
-<p>
-<i>Consoli</i> era l’antico nome de’ magistrati civili, detti
-alla tedesca <i>scabini</i> o giudici perchè principale loro
-uffizio il giudicare. Altri consoli erano i capi delle
-maestranze e delle compagnie mercantili, la cui efficacia
-nella istituzione de’ Comuni fu maggiore che non soglia
-credersi. Man mano che si affrancassero, le città attribuivano
-i poteri a questi magistrati, che allora dalle
-funzioni giuridiche fecero tragitto alle amministrative,
-dalle particolari alle pubbliche. Il vescovo di Luni avea
-guerra col marchese di Malaspina, che compose nel
-1124 coll’interposto dei consoli di Lucca<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I consoli erano due o più: Perugia, che vuolsi già
-facesse guerra a Chiusi nel 1012, a Cortona nel 49, a
-Foligno nell’80 e 90, ad Assisi nel 94, era governata
-da dieci consoli nel 1130, quando in piazza San Lorenzo
-gli uomini dell’isola Palvese fecero la loro sommessione<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>:
-Bergamo n’avea dodici: Milano sei o sette
-per ciascuno dei tre ordini di capitanei, valvassori e
-cittadini<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>: probabilmente anche altrove erano scelti
-in questa proporzione, ovvero da cittadini e nobili,
-dove questi costituissero un unico stato, o anche da uno
-stato solo, che fosse agli altri prevalso. A Firenze
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-furono quattro, poi sei, secondo la città era divisa
-per quartieri o sestieri; ma uno godeva maggior
-fama e stato, e dal nome di esso qualche cronista notava
-l’anno.
-</p>
-
-<p>
-Nè le sole città, ma anche borghi e castellari ebbero
-consoli proprj: e per mille esempj valga Pescia, non
-ancora città, i cui consoli e consiglieri nel 1202 concordavano
-con quelli delle limitrofe comunità di Uzzano
-e Vivinaja intorno all’elezione e alle attribuzioni dei
-consoli, per evitare le controversie<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Niuno confonda i Comuni del medioevo coi municipj
-che trovammo fra gli antichi. Questi ultimi erano formati
-da coloni venuti da Roma, che, sostenuti dalle
-armi della metropoli, si piantavano sopra il territorio
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-conquistato per tenere i vinti in soggezione: nel medioevo
-sono i vinti stessi che aspirano ad esser pareggiati
-ai vincitori, acquistando i diritti, prima d’uomini,
-poi di cittadini. Nel Comune romano il padre è in casa
-sua magistrato e sacerdote: nel nuovo, il clero costituisce
-classe distinta e indipendente, e l’autorità paterna
-rimane circoscritta entro i limiti della pietà. Alla comunanza
-romana non partecipava propriamente che
-l’<i>ordo</i>, vogliam dire le prosapie senatorie iscritte nell’<i>album</i>,
-per eredità trasmettendo il potere e l’amministrazione;
-che se una si estinguesse, l’Ordine medesimo
-sceglieva tra le megliostanti della città quella che
-dovesse empiere il vuoto: pochi ricchi, in possesso della
-piena cittadinanza, erano circondati da una turba di
-schiavi, alle cui mani abbandonavano tutti i servizj.
-Nel nuovo Comune invece, per la prima volta al mondo,
-l’industria si esercita libera, e frutta ricchezze e franchigie.
-In quello gli uomini di miglior diritto stanno
-adunati nelle città, rimanendo alla campagna i servi:
-nel medioevo i prepotenti vivono ne’ castelletti foresi,
-mentre le città sono di gente industriosa, che poc’a
-poco e a forza di lavoro si affranca. Colà insomma è
-aristocrazia, qua democrazia: quello provvede alla
-politica potenza d’una classe eccezionale, questo ai diritti
-dell’intera popolazione: in quello i privilegiati si
-conservano col gelosamente escludere le classi inferiori;
-nel moderno ognuno si travaglia verso miglior condizione,
-e nella lotta invigorisce la personalità.
-</p>
-
-<p>
-Ma la prima rivoluzione dei Comuni può considerarsi
-come aristocratica, tanti elementi signorili abbondarono
-nella sua composizione, i quali vedremo poi sistemare
-i governi, dettar leggi a tutto loro pro, combattere più
-valorosamente che non avrebbe saputo una plebe inesercitata.
-Dipoi si ampliò il Comune a segno, che
-chiunque avesse pane e vino proprio, esercitasse mestiere
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-d’importanza, o si trovasse agiato di sue fortune,
-ebbe parte almeno indiretta alla municipale autorità,
-e contribuiva ad eleggere i magistrati nel generale
-convegno degli abitanti. Allora nella classe degli uomini
-liberi si trovarono accomunati gli antichi arimanni,
-liberi quantunque non possessori; gli abitanti delle
-città municipali, sempre rimasti indipendenti; i borghesi
-affrancati delle città feudali; gli abitanti sollevati dei
-Comuni; alfine anche i servi emancipati della campagna.
-</p>
-
-<p>
-Ma dalla libertà civile e dall’equità suprema, ch’è ora
-il fondamento d’ogni Stato, stavano ben lontane. Dappertutto
-le persone rimaneano libere in grado diverso;
-sopra viveva qualche antico arimanno; in alcuni Comuni,
-sebbene già redenti, sussistevano borghesi del re e borghesi
-dei signori, i primi più alteri e in migliore stato,
-gli altri affrancati sì, ma in mezzo a parenti ed amici
-tuttavia servili; poi i nobili, i liberi uomini del Comune,
-del barone, dei privati; ecclesiastici privilegiati, guerrieri
-assoldati, viventi con diritto straniero.
-</p>
-
-<p>
-Tutto ciò derivava dal sistema feudale, che non fu
-già distrutto, come sarebbe avvenuto in una rivoluzione
-radicale, ma in esso presero posto i Comuni, che perciò
-si potrebbero chiamare repubbliche feudali; carattere
-che non vuolsi dimenticare da chi brami intenderne la
-storia e le evoluzioni. I Comuni entravano nella feudale
-società, traendo a sè i diritti già proprj de’ signori,
-come giudizj, imposte, zecca, guerra, e via discorrete:
-e conseguivano un grado in quella gerarchia, rilevando
-da re o dall’imperatore, e tenendo sotto di sè
-altre persone o corpi morali. Il concetto feudale non
-ammette esistenza indipendente; e però i Comuni si
-consideravano vassalli d’un signore, ed obbligati verso
-lui a certi doveri pattuiti, siccome un uomo. Tale dipendenza
-non era più del cittadino, bensì del Comune; ma
-coloro che a questo non appartenessero, restavano
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-quasi iloti, senza impiego, nè nomi, nè le esenzioni o i
-privilegi degli altri. Come membri della società feudale,
-i Comuni aveano il diritto della vendetta privata, in
-conseguenza la guerra. Ciascuno era poi tenuto a quel
-solo per cui si era personalmente obbligato; donde una
-grande indipendenza personale; e il Comune provvedeva
-non al meglio degli individui, bensì all’oggetto di sua
-formazione, cioè a francarsi dalle vessazioni.
-</p>
-
-<p>
-In conseguenza voleasi garantire la sicurezza o la
-prosperità col costituire altri Comuni nel Comune,
-fossero quelli di nobili, d’ecclesiastici, di borghesi, o
-i minori di ciascun’arte, o de’ singoli quartieri. E ogni
-Comune avea vita propria, con magistrati, borsa, leggi,
-tutto ordinato sempre alla propria conservazione, nè
-cooperante al ben generale se non in gravi contingenze.
-</p>
-
-<p>
-Gli elementi stessi ond’eransi formati, doveano sfiancare
-i Comuni, uscendo da una società costituita guerrescamente,
-e da una sovrapposizione di conquiste. Da
-ciò confusione e mistura nei diritti; e per tradizione o
-per usurpamento o concessione o pietà, chi l’uno assumeva,
-chi l’altro; e v’avea possessi e contratti ed eredità
-a legge romana, a salica, a longobarda<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. Il signore
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-feudale o il vescovo a cui eransi sottratti, conservava
-diritto ad alcune tasse o a privilegi, e a nominare il
-magistrato coll’assistenza dei deputati comunali. All’arcivescovo
-di Milano rimaneva sottomessa la parte di
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-città che si chiamava il Brolo; in nome di lui si proferivano
-le sentenze, quantunque non vi prendesse più
-parte; suo un pedaggio alle porte, sua la zecca: privilegi
-ottenuti dagl’imperatori, o che forse erasi riservati
-quando volontario o costretto depose l’autorità principesca
-di conte della città. Quel di Genova partecipava
-al governo insieme coi consoli, anche in suo nome faceansi
-i trattati e si segnavano gli atti, e nel suo palazzo
-s’adunava il consiglio<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-</p>
-
-<p>
-Volta veniva che, nel medesimo Comune, sopra certi
-reati avesse giurisdizione il conte, sopra altri il vescovo;
-a questo pagavasi una taglia, a quello una dogana; alla
-tal chiesa un canone speciale, un altro alla comunità,
-un terzo all’imperatore, forse il quarto ad un privato
-od al Comune confinante. Chi dunque dalla città uscisse
-al territorio, passava sopra uno Stato diverso: da una
-città all’altra v’era la differenza che oggi da regno a
-regno: che più? una città era qualche volta divisa in
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-due o fin tre giurisdizioni; una ecclesiastica intorno al
-vescovado, una regia intorno al palazzo o al castello,
-una comunale; nè di rado ciascuna era cinta di mura
-proprie, con porte che si custodivano gelosamente.
-Qualche villaggio era diviso fra due o più condomini,
-aventi ciascuno diverse gabelle, giurisdizioni distinte:
-l’università godeva privilegio di foro pe’ suoi scolari,
-le maestranze una giurisdizione sopra i loro consociati,
-il monastero sopra la tal fiera da esso istituita: poi diritti
-d’asilo, poi immunità personali. A Como il vescovo
-riscoteva il teloneo da’ fornaj: a Pisa la pubblica pesa
-era privilegio dei Casapieri della Stadera. Talora diversi
-Comuni costituivano una sola repubblica senza reciproca
-dipendenza, com’era in Piemonte la Valsesia, e
-così i dodici cantoni della val di Maira, sottopostisi poi
-ai marchesi di Saluzzo<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>, e come fin oggi vediamo
-ne’ Comuni de’ Grigioni. Talora un Comune ne soggiogava
-altri, formando più estesa signoria.
-</p>
-
-<p>
-Uniformandosi a questa natura feudale, anche i Comuni,
-divenuti persone con privilegi e rappresentanza,
-assunsero una bandiera propria e uno stemma. I più
-dei nostri ebbero la croce, variamente colorata, partita,
-campeggiata: Venezia adottò il leone del santo suo
-patrono; Napoli la sirena; Sicilia le tre gambe che
-ricordano la forma triquetra dell’isola; Empoli la facciata
-del tempio di Sant’Andrea, attorno a cui si formò
-la nuova città. Milano aveva l’insegna bianca colla croce
-rossa; poi ogni quartiere spiegava insegna propria,
-cioè porta Romana rosso, la Ticinese bianco, la Comacina
-scaccato rosso e bianco, la Vercellina rosso sopra
-e bianco sotto, la Nuova un leone a scacchi rossi e
-bianchi, la Orientale un leon nero. Delle regioni di Roma,
-quella de’ Monti ebbe per insegna tre monti in campo
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-bianco; Trevi, tre spade in campo rosso; Campo Marzio,
-la mezzaluna in rosso; Ponte, il ponte Sant’Angelo
-in rosso; Parione, l’ippogrifo in campo bianco; Regolo,
-un cervo in campo azzurro; Sant’Eustachio, una testa
-di cervo portante la croce; Pigna, una pigna. Così
-delle otto compagne di Genova quella di Castello avea
-per arma un castello sopra archi sormontato da una
-bandiera, avente in campo bianco croce vermiglia; di
-Maccagnana, partito di azzurro e bianco; Piazzalunga,
-scudo terzato in palo d’azzurro; San Lorenzo, campo
-ondato rosso; Portoria, orlo di rosso, e in campo un P;
-Sosiglia, banda di rosso in campo bianco; Portanuova,
-inquartato d’azzurro e bianco; Borgo, palato in otto
-pezzi d’azzurro e argento. Altrettanto dicasi dell’altre
-città.
-</p>
-
-<p>
-Sul vago e artistico pavimento della cattedrale di
-Siena vedesi, fatto nel 1373 a pietre tessellate, un rosone,
-artifiziosamente intrecciato di nove, oltre quattro
-tondi agli angoli del quadrato circoscritto; e figura lo
-stemma di questa città, cioè una lupa che allatta due
-gemelli, e attorno ad essa il nome e i simboli di
-dodici città amiche; il leone per Firenze, il lupo cerviero
-o pantera per Lucca, il lepre per Pisa, l’unicorno
-per Viterbo, la cicogna per Perugia, l’elefante colla
-torre per Roma, l’oca per Orvieto, il cavallo per Arezzo,
-il leone rampante con rastrello per Massa, il grifone
-per Grosseto, l’avoltojo per Volterra, il drago per Pistoja;
-animali diversi da quelli che esse città portavano
-di consuetudine.
-</p>
-
-<p>
-Monza, posseditrice della corona ferrea, la improntò
-sul suo suggello, nel quale già da antico leggevasi <i>Est
-sedes Italiæ regni Modæcia magni</i>. Lucca portava
-<i>Luca potens sternit sibi quæ contraria cernit</i>. Verona,
-<i>Est justi latrix urbs hæc et laudis amatrix</i>. Padova,
-i proprj confini, <i>Muson, Mons, Athesis, Mare certos
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-dant mihi fines</i>. Bologna, un san Pietro in pontificale,
-e <i>Petrus ubique pater, legum Bononia mater</i>; e così
-<i>Urbs hec Aquilegie capud est Italie; — Est aquilejensis
-fides hec urbs Utinensis; — Ferrariam cordi
-teneas, o sante Georgi; — Salvet Virgo Senam quam
-signat amenam; — Herculea clava domat Florentia
-prava</i> e <i>Det tibi florere Christus Florentia vere</i>. Messina
-dopo i Vespri siciliani alzò lo stendardo colla croce
-portata da un leone, e il motto <i>Fert leo vexillum Messana
-cum cruce signum</i>. Pistoja scrive attorno agli
-scacchi del suo stemma <i>Quæ volo tantillo Pistoria celo
-sigillo</i>. Firenze ebbe da principio la bandiera partita
-bianca e rossa, cui unì la luna rossa di Fiesole; dappoi
-il giglio, o piuttosto il fior di giuggiolo (<i>ireos florentina</i>):
-e quando i Guelfi prevalsero, si adottò il giglio
-rosso in campo bianco, mentre i Ghibellini tennero il
-giglio bianco, unendovi l’aquila nera imperiale. Inalberava
-anche il leone, il quale pure sta nel sigillo di
-Cortona colla scritta <i>Tutor Cortonæ sis semper Marce
-patrone</i>.
-</p>
-
-<p>
-Spesso l’arma era parlante: come a Torino il toro
-rampante; a Monsumano e Montecatino, un monte sormontato
-da una mano o da un catino; a Barga una
-barca; a Pescia un pesce coronato. Gli animali stessi
-dello stemma si mantenevano vivi nelle città, come a
-Venezia e Firenze i leoni, una lionessa a Parma, gli
-orsi a Berna, Appenzell e Sangallo. Quando i tirannetti
-s’impadronivano d’un Comune, vi univano il proprio
-stemma, come i Visconti diedero a Milano la vipera;
-la quale poi insieme col leone veneto entrò nel petto
-dell’aquila bicipite austriaca.
-</p>
-
-<p>
-Nati dal bisogno sentito di esimersi da ingiuste gravezze,
-non determinati da mutua fiducia ma da mutuo
-timore, de’ loro poteri non trovandosi in verun luogo
-la definizione e il confine, i Comuni, siccome si erano
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-congiurati per la difesa, congiuravansi di nuovo per
-sostenere o una fazione o un capriccio; i signori per
-ricuperare le giurisdizioni; i mestieri e le università
-per sottrarsi ai pesi ed agli abusi: donde reciproca
-diffidenza, sfrenato egoismo, gelosia che induceva a
-ricorrere a particolari aggregazioni di classe o di sella,
-le quali generano il sentimento di corpo, tanto micidiale
-al sentimento di patria. Mancando un legame universale
-fra tanti parziali, si perpetuava la lotta de’ vassalli
-colle corporazioni tra sè, de’ confratelli di ciascuna
-corporazione, delle suddivisioni di ciascun Comune:
-mancando un freno e una direzione centrale, rompevano
-a guerre, tenevansi armati nel cuor della pace,
-edificavano le case a foggia di torri, e l’amministrazione
-era esercitata in mezzo e coll’aspetto d’un perpetuo stato
-di guerra.
-</p>
-
-<p>
-Fondati non su libertà generali, ma su privilegi
-esclusivi e reciproca gelosia, tutti i Comuni cercavano
-prerogative a scapito degli altri; ciò che un tempo avevano
-praticato i feudatarj, allora lo facevano essi, imponendo
-pedaggi e taglie ad arbitrio, servizj gravissimi
-ed obbrobriosi: i magistrati municipali operavano con
-altrettanta prepotenza che i feudali; i prevalenti voleano
-soperchiare: gli oppressi se ne rifaceano sopra chi non
-fosse cittadino: l’oligarchia rinnovava le scene dell’aristocrazia
-antica; anzi, nel mentre i tiranni opprimevano
-l’uomo, qui toglievasi qualche volta la vita civile
-a classi intere; e uno statuto milanese del Comune aristocratico,
-al nobile che uccidesse un plebeo non comminava
-che tenue multa.
-</p>
-
-<p>
-Mal si andrebbero dunque a cercare fra quei Comuni
-gli esempj della libertà politica, come oggi la intendiamo;
-alla quale nulla è più avverso che lo spirito di
-famiglia e di paese. Onde sottrarsi all’anarchia di
-piazza, i possessori cercavano stabilire qualche ordine
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-restringendosi col re o coll’antico feudatario, donde i
-partiti interni, fomite di nuove dissensioni. Altre volte
-ricorsero a que’ signorotti medesimi da cui s’erano
-emancipati, e questi, unita la forza all’abilità, riuscirono
-a costituirsi tiranni. E tanto più che bastavano bensì a
-frangere l’ingrata soggezione, e prevalere al barone e
-al vescovo; ma allorchè que’ signori si collegassero, o
-venisse contro di loro il re o l’imperatore, l’impeto, comunque
-volonteroso, di borghesi e mercanti non valeva
-contro eserciti agguerriti, e bisognava ricorrere a
-capitani addestrati.
-</p>
-
-<p>
-I Comuni dunque a principio crebbero a grande importanza,
-poi cozzarono tra loro; e se in paesi stranieri,
-annodatisi intorno al monarca, ebbero meno
-splendore, ma condussero all’unità nazionale, qui la impedirono.
-Come in fatto si sarebbe potuto maturare la
-coscienza nazionale ove ciascuna comunità avendo l’occhio
-soltanto a sè, nella sua piccola indipendenza per
-nulla brigavasi del ben generale? anche quando nell’universale
-pericolo le città s’allearono, come vedremo
-nella Lega Lombarda o nella Toscana, il vincolo era
-troppo lasso, troppo scarsa la civile sperienza, sicchè
-potessero costituire una regolata federazione.
-</p>
-
-<p>
-Nei patimenti aveano i borghesi invigorito il carattere
-per modo, da sdegnare la servitù: ma è mai possibile
-arricchirsi a un tratto di civile sperienza? Furono
-dunque costretti procedere tentoni, parte servendo alle
-idee rimaste delle antiche istituzioni municipali, parte
-imitando l’ecclesiastica gerarchia, poi innovando via
-via che il bisogno si sentiva o cadeva l’opportunità. Ma
-se non riuscirono a coronare l’edifizio civile, niuno
-corra ad incolparli prima di riflettere che costoro erano
-un pugno di popolani inermi e disorganati, ignari della
-guerra come della politica, circondati da villani rozzissimi
-e incalliti al servire, contrastati dall’autorità regia,
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-dalla signorile, dalla sacerdotale; talchè ci dee piuttosto
-toccare di grata meraviglia che essi abbiano osato ripudiare
-la servitù e aprire la nuova era del popolo.
-</p>
-
-<p>
-E immensi furono i vantaggi venuti dai Comuni, chi
-li guardi meno come rivoluzione politica, che come
-sociale. Mentre la scala degli antichi proprietarj scendeva
-dal barone o valvassore fino al semplice fittajuolo,
-quella dei redenti si elevava dal servo della gleba al
-semplice libero, talchè le razze servili poterono sottrarsi
-dalle nobili, per arrivare ad un’amministrazione
-propria e indipendente. In siffatta comunanza d’uffizj e
-di servigi ribattezzavansi nel nome di cittadini, disimparavano
-a tenere come unico diritto la conquista e la
-forza, e obbligati ad uscire dall’angusto circolo de’ personali
-interessi per provvedere ai pubblici, ripigliavano
-la coscienza delle magnanime cose.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Coi Comuni crebbe l’importanza delle famiglie e
-degli individui, e in conseguenza si dovette notarli e
-distinguerli meglio che non si facesse quando l’uomo
-non era nulla se non per la terra che possedesse, o pel
-signore cui apparteneva. L’uso latino de’ nomi, prenomi,
-cognomi e soprannomi, accumulati all’eccesso negli ultimi
-tempi<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>, cadde coll’Impero; giacchè non rimasero
-quasi che schiavi d’un nome solo, e stranieri che
-un solo pure ne usavano. I nomi dei santi ebraici o
-cristiani prevalsero ben presto, e si applicavano o mutavano
-nel battesimo, il quale soleasi conferire in età
-già fatta, ovvero nella cresima; talora le donne lo cangiavano
-al matrimonio, e frati e monache conservarono
-fin ad oggi di cangiarlo all’atto del professarsi. E poichè
-ai costumi antichi sta tenace la Chiesa, oggi medesimo
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-i vescovi non soscrivono che col nome di battesimo,
-e i frati si distinguono solo dalla patria, come
-usava al tempo della loro istituzione.
-</p>
-
-<p>
-Per quanto scarse fossero le relazioni, è facile scorgere
-quanta confusione dovesse produrre l’indicarsi
-l’uomo col nome soltanto<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>; tanto più che, nelle scritture,
-il nome stesso ci si presenta mozzo, diminuito,
-accresciuto, storpiato<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>. Vi si rimediava in parte coi
-soprannomi, dedotti da qualità personali, dal luogo
-d’abitazione o di provenienza, dall’impiego<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>, e
-spesso anche beffardi<a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-</p>
-
-<p>
-Queste però erano denominazioni personali, che non
-si trasmetteano alla parentela. Solo quando i feudi si
-resero ereditarj verso il Mille, da questi si dedusse il
-titolo delle famiglie; donde quelli di Ro, di Este, di
-Romano, di Muntecuccoli: e poichè talora veniva da
-paesi tedeschi, alterandosi nel tragitto in Italia, n’è
-scomparsa l’etimologia<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>. Non è però sicuro indizio
-d’antico possesso d’un paese l’averne il cognome, attesochè
-spesso plebeamente traevasi dalla terra da cui
-uno si fosse mutato in un’altra. Ma le famiglie che
-spingono l’albero genealogico più indietro del Mille, e
-que’ cataloghi di vescovi, di cui si nota il casato fin in
-antichissimo, sono vanità e imposture.
-</p>
-
-<p>
-I Veneziani, reliquia latina, aveano ritenuto i cognomi
-antichi, e tali pajono que’ Crassi, Memmi, Cornelj,
-Querini, Balbi, Curzj; fin nell’800 troviamo i dogi
-indicati col cognome de’ Particiaci, Candiani, Giustiniani
-e simili; e in una scritta del 1090 sono firmate cencinquanta
-persone, a nessuna delle quali manca il cognome<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>:
-Cornuinda Molino, Stefano Logavessi, Bonfilio
-Pepo, Giovanni de Arbore, Sebastiano Cancanino,
-Manifredo Mauroceni, Stadio Praciolani, Domenico Contareno,
-e così via. Anche Genova conservò molti cognomi
-latini: Apronj, Asprenate, Balbi, Bassi, Bibulini,
-Calvini, Camilli, Carboni, Cerchi, Clementi, Costa, Crarsi,
-Erminj, Fabiani, Forti, Galerj, Galli, Galleni, Gavi, Gemelli,
-Giusti, Graziani, Laberj, Lena, Longhi, Lupi, Mari,
-Marciani, Marini, Massa, Montani, Muzj, Natta, Nigri,
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-Ottoni, Palma, Pansa, Persi, Persici, Pisani, Ponzj,
-Ruffini, Sabini, Salvi, Serrani, Settimj, Sertorj, Staieni,
-Stella, Valenti, Veri, Viviani; non gliene mancano di
-greci: Bisio, Cybo, Grillo, Macarj, Medoni, Parodi, Partenopei;
-e in una carta del 1117 vi si trovano nominati
-i buoni uomini che presero parte a un laudo,
-fra’ quali Lanfranco Roca, Oberto Maluccello, Lamberto
-Gezone, Uggero Capra, ed altri <i>quorum nomina sunt
-difficilia scribere</i>.
-</p>
-
-<p>
-Era consuetudine nei nobili di rifare l’avo nel nipote,
-talora anche il padre nel figlio, o riducendolo a diminutivo,
-o aggiungendo <i>juniore, novello</i> o simile; onde
-Guido Novello da Polenta, Malatestino, Ezelino da Etzel.
-Siffatto nome di predilezione si trasformò spesso in casato,
-onde i Pieri, i Ludovisi, i Carli, i Mattei, gli
-Agnesi: o adottavasi quel d’un personaggio che si fosse
-distinto, come i Degiorgi, i Delpietro: talvolta anche vi
-si prefisse la parola <i>figlio</i> sincopata, onde i Figiovanni,
-i Fighinelli, i Firidolfi; o il titolo, come i Serangeli, i
-Serrislori. Talora nella bassa Italia, ad esempio degli
-Arabi, enumeravasi tutta l’ascendenza<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A molti venne il nomignolo dalla nazione, come Franceschi,
-Lombardi, Milanesi: a molti più dal soprannome
-d’alcuno, ridotto ereditario, ovvero dalla sua professione
-o dignità; onde i Grossi, i Grassi, i Villani, i Caligaj,
-i Molinari, i Calzolaj, i Sartorj, i Malatesta, i Balbi,
-i Cavalieri, i Barattieri, i Fabbri, i Cacciatori, i Ferrari,
-i Cancellieri, i Medici, i Visconti, gli Avvocati, e
-i tanti Confalonieri e Capitanei o Cattanei. La bella moglie
-acquistò il titolo ai Dellabella; ai Dellacroce un
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-crociato; il pellegrinaggio a Roma ai Romei e Bonromei:
-l’amore di re Enzo prigioniero per una fanciulla
-bolognese è ricordato nei Ben-ti-voglio; un’invenzione
-preziosa nei Dondi dell’Orologio. Poi il carretto, la
-rovere, il tizzone, la colonna, la spada, la luna, la stella
-che uno assumeva per impresa del torneo o per stemma
-nelle spedizioni, diventava nomignolo; come il colore
-bianco, rosso, verde, nero, di cui si divisava nelle comparse,
-o che distingueva la fazione.
-</p>
-
-<p>
-Son dunque i cognomi o aristocratici, dedotti dalla
-terra o dallo stemma; o borghesi, derivati dal mestiero;
-o popoleschi, tratti dai soprannomi; e molti rustici,
-dalla località o dalla coltivazione, come i Demonte,
-Dell’era, Dellavalle, Delprato, Delpero, Dellavernaccia.
-Si sbizzarrì poi assumendo nomi che consonassero o
-contrastassero col cognome, onde Castruccio Castracani,
-Spinello Spinelli, Nero Neri, Buontraverso de’ Maltraversi,
-e somiglianti.
-</p>
-
-<p>
-I Latini usavano lo schietto <i>tu</i>, dicevano semplicemente
-<i>Cesare saluta Mecenate</i>, ed Augusto ricusò fermamente
-il titolo di <i>dominus</i>, e s’adontò quando si
-volle offrirlo a’ suoi nipoti. Tosto però l’accettarono i
-successori suoi, e fin nelle medaglie trovasi surrogato
-a quel di <i>divus</i>: indi irruppero titoli più pomposi, di
-<i>nobilissimo, felicissimo, piissimo: religiosissimo</i> fu
-intitolato Costante da un concilio, dopo convertiti i
-Donatisti dell’Africa: poi nelle acclamazioni il senato
-fe gara di aggettivi encomiastici agl’imperatori. Allora
-pure invalse di non parlar più alla persona loro direttamente,
-ma alla <i>clemenza</i>, alla <i>celsitudine</i>, all’<i>eternità</i>
-di essi. Nell’ordinamento del Basso Impero, la gerarchia
-delle cariche vedemmo distinta coi titoli d’<i>illustre,
-illustrissimo, eccelso, chiaro</i>.
-</p>
-
-<p>
-Coi Barbari tornò la semplicità antica, ma al <i>tu</i> fu
-sorrogato il <i>voi</i>; il titolo di <i>domnus</i>, proprio di vescovi,
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-abati e re, s’accomunò a tutti i monaci; più tardi
-se l’arrogarono anche i laici, raccorciato in <i>don</i>. Ambito
-era il nome di <i>cherico</i>, che sonava uom di lettere,
-per contrapposto di <i>laico</i> od illetterato<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a>; indizio di
-tempi, in cui la scienza era tutta ristretta ne’ sacri
-recinti.
-</p>
-
-<p>
-Nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>, <i>monsignore</i> intitolavasi un principe
-della Chiesa, <i>messere</i> un cavaliero e gentiluomo, e <i>madonna</i>
-la moglie sua; <i>maestro</i> l’avvocato o magistrato
-o chi sapesse, il che continuano gl’Inglesi. Nelle legazioni
-del Cinquecento vediamo col <i>tu</i> trattati ancora
-gli ambasciadori dalle repubbliche e dai principi; e
-«s’usa comunemente (dice il Varchi de’ Fiorentini nel
-<span class="smcap lowercase">XVI</span> secolo) se non è distinzione di grado e di molta
-età, dire <i>tu</i> e non <i>voi</i> ad un solo; e solo a cavalieri e
-canonici si dà del messere, come a’ medici del maestro,
-e ai frati del padre». Dagli Spagnuoli ci fu poi attaccata
-la prurigine dei titoli; quando Carlo V s’intitolò
-maestà, moltiplicaronsi le <i>altezze</i>, e colle aggiunte di
-<i>serenissima</i> e di <i>reale</i>; l’<i>eccellenza</i> restò ai nobili,
-tanto che Urbano VIII nel 1631 trovò pei cardinali il
-nuovo titolo d’<i>eminenza</i>: quelli di cavaliere, dottore,
-notajo, conte del sacro romano imperio furono pascolo
-della vanità borghese.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nell’attuazione dei Comuni, tra i fatti isolati se ne
-consumava uno grandissimo, l’emancipazione del servo.
-Sempre la religione vi si era adoperata, e molti per
-pietà e per salvezza dell’anima propria affrancavano i
-loro schiavi<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>. I Comuni, appena costituitisi, aprivano
-asilo ai servi cui riuscisse importabile il giogo del padrone,
-o a denaro li ricompravano; e quando movessero
-in armi contro i baroni del contorno, li sollecitavano
-a vendicarsi in libertà, sicchè fuggendo lasciavano
-questi indeboliti, mentre invigorivano la città. Si estesero
-le manomessioni, e talvolta vennero affrancati
-tutti gli abitanti d’un borgo, o certe professioni. Così
-a Bologna nell’anno 1256 il prefetto Bonacursio raduna
-anziani, consoli, maestri dell’arti e dell’armi, e tutti i
-membri del grande e del piccolo Consiglio, e propone
-si liberino i servi e le serve del Comune tutto. Passato
-il partito, si stanzia chi ne possiede li venda al prefetto
-e al pretore, per soldi dieci se di quattordici anni, otto
-se meno, sborsati dall’erario; e furono annoverati tra i
-fumanti, coll’obbligo di dare certa quantità di grano<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>.
-Erano descritti in un libro chiamato <i>Paradisum</i> dalla
-parola con cui cominciava, e dove esponeasi la creazione
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-dell’uomo, il peccato, la redenzione, per la quale
-gli uomini son rifatti liberi: laonde <i>Civitas Bononiæ
-quæ semper pro libertate pugnavit</i>, avea redenti a
-prezzo i servi, <i>statuens ne quis, adstrictus aliqua servitute,
-in civitate vel episcopatu Bononiensi deinceps
-audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis,
-quæ redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento
-aliquo servitutis, cum modicum fermentum
-totam massam corrumpit, et consortium unius mali
-bonos plurimos dehonestet</i>. Un atto solenne del 1289
-appella a uno statuto del Comune di Firenze, pel quale,
-essendo di naturale diritto la libertà individuale e il non
-dipendere ciascuno che dal proprio arbitrio, laonde le
-città pure e i popoli si schermiscono dall’oppressione,
-e i proprj diritti difendono e sviluppano, veniva provveduto
-che nessuno, di qual paese o condizione si fosse,
-potesse comprare, o altrimenti acquistare coloni, servi,
-censiti, nè angherie o altro vincolo alla libertà delle
-persone<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. Due anni dopo, la legge fu confermata,
-perdonando a quei che l’avessero trasgredita per lo
-addietro.
-</p>
-
-<p>
-Erano tentativi isolati, come ogn’altra cosa di quel
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-tempo; nè un generale provvedimento per abolire la
-schiavitù mai fu preso: pure si vedono scemare i
-servi personali nel <span class="smcap lowercase">XII</span> e <span class="smcap lowercase">XIII</span> secolo, succedendovi i famigli
-o servi moderni, i quali a volontà possono togliere
-congedo dal padrone. Le chiese, che erano state
-di tanto sollievo agli schiavi, furono di ritardo alla totale
-loro affrancazione, atteso che non credeansi in diritto
-d’alienare le proprietà, delle quali l’attuale investito si
-considera solo utente: la stessa larghezza con cui li
-trattavano, facea non si trovasse tale schiavitù ripugnante
-all’umanità e alla religione. Perciò servi della
-gleba in Italia trovanti ancora nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>.
-</p>
-
-<p>
-Nei capitoli del 1296 di Federico I d’Aragona pel
-legno di Sicilia, frequente memoria ricorre di schiavi
-anche cristiani; del qual tempo anche lettere papali e
-contratti ne menzionano: tra i Veneziani ne incontriamo
-eziandio nel seguente, come nel Friuli sottoposto al
-patriarca d’Aquileja<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>. Del 1365 abbiamo un contratto,
-ove uno schiavo consente di passare da uno
-ad altro padrone<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>. Fra i provvedimenti fatti per
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-sostenere la guerra di Chioggia, s’imposero tre lire
-d’argento il mese per ogni testa di schiavo; anzi nel
-1463 i Triestini obbligavansi a restituire ai Veneziani
-i loro schiavi disertori<a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A contatto con paesi non cristiani, i nostri poterono
-trarne di là, o imparare a tenerne per lusso, talchè
-la schiavitù si prolungò sotto la forma domestica. Gli
-statuti di Lucca fin nel 1537 dichiarano che il padrone
-d’una schiava può costringere il violatore di essa a
-comprarla pel doppio valsente, oltr’essere multato in
-cento lire. Le leggi genovesi opponeansi al trasportare
-gli schiavi in terra d’Egitto<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>; ma il divieto si eludeva
-col recarli a Caffa, dove il soldano spediva a farne
-accatto, giovandosi della franchigia di quel porto. Lo
-statuto criminale di Genova del 1556 pronunzia pene
-contro chi ruba schiavi, e considera il servo qual proprietà
-del padrone<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>: quello dell’88 lo tiene qual
-mercanzia, e caso che devasi far getto, si riparta il danno
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-<i>per æs et libram</i> all’antica, <i>comprehensis pecuniis,
-auro, argento, jocatibus, servis masculis et fœminis,
-equis et aliis animalibus</i>. Probabilmente questi
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-tardi servi erano di gente infedele, e massime prigionieri
-musulmani, quando la tolleranza religiosa neppur
-di nome si conosceva. Altre volte i soldati per abuso
-della vittoria vendevano schiavi i vinti, come i ribaldi
-dello Sforza fecero nel 1447 coi Piacentini: alla schiavitù
-condannavano pure le scomuniche. N’era però sempre
-tenuissimo il numero: come eccezione si notavano
-nel catasto delle città; e voglionsi intendere piuttosto
-come dipendenti, giacchè il famoso Bartolo a’ suoi
-tempi già dichiarava che servi propriamente detti non
-v’erano più.
-</p>
-
-<p>
-Nei Comuni adunque non s’ebbero i vantaggi rapidi
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-d’una subitanea e radicale rivoluzione; ma neppure la
-terribile responsalità d’un’insurrezione fallita. Riuniti
-per la resistenza, ponendo questa per primo dovere e
-mezzo e scopo, invece di sistemare aveano a distruggere,
-invece di fondare sconnetteano. Nella lotta si vince,
-ma l’odio sopravive e diventa seme di discordie; i dinasti
-mal frenati si rialzano per soggiogare i Comuni;
-i re ingrandiscono favorendo questi; la spada prolunga
-la guerra contro l’industria e la capacità. Que’ mali
-passarono, ma restano gli effetti; resta la rivoluzione
-da loro operata, perpetua e legittima come quelle che
-migliorano la sorte delle classi numerose: lo schiavo
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-non è più cosa, ma uomo, dall’impersonalità sollevato
-ad avere nome proprio e responsalità: nè sforzi e
-sangue e rovine pajono soverchi a questo fine sacrosanto.
-Dove a pochi è data la forza e l’intelligenza, facile
-è guidar la moltitudine: dove tanti esercizj s’aprono
-alle facoltà morali e intellettive, come avviene nelle fazioni,
-grandemente sono eccitati gl’ingegni, e ne esce
-una gente operosa, accorta, che cerca e trova mille
-occasioni di segnalarsi: e l’uomo dall’angustia degl’interessi
-domestici volgendosi alle pubbliche cose, mentre
-cresce di pratica, nobilita le passioni, dilata l’accorgimento,
-scopre e pondera i diritti. Che se a noi Italiani
-i Comuni non lasciarono una patria, lasciarono la dignità
-d’uomini; ed offrono nella storia moderna le prime
-di quelle pagine, tanto attraenti, dove si vede un popolo
-travagliarsi contro i suoi oppressori, ingrandire
-col proprio coraggio, rassodarsi con opportune se non
-sempre savie istituzioni.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap83">CAPITOLO LXXXIII.
-<span class="smaller">I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori.
-Ruggero re di Sicilia. Arnaldo da Brescia.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Sciolta la servitù della gleba, raccolti sotto un’amministrazione
-e una giudicatura sola i tre ordini ridetti
-cittadini, e da tutti scegliendo i consoli, e una specie
-di unità ricevendo dalla supremazia del papa, l’Italia
-trovavasi in essere di nazione assai più che non la Francia
-o la Germania. Non condensata, è vero, intorno ad
-una reggia, ma vigorosamente ripartita attorno ai tre
-centri d’autorità, il castello, la chiesa, il palazzo comunale,
-sarebbe camminata ad altissime fortune se gl’imperatori
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-non l’avessero scompigliata col crearsi un
-partito.
-</p>
-
-<p>
-Deboli erano questi, in Germania osteggiati dai maggiori
-feudatarj, che aspiravano alla sovranità territoriale;
-e in Italia dai papi nel lungo certame delle Investiture.
-Enrico V, ambizioso ed avido ma operoso,
-accorto, sprezzatore della pubblica opinione, poco sopravisse
-all’accordo di Worms col papa, e in lui si
-estinse la stirpe francona, che avea per un secolo dominato
-la Germania. Lotario II datogli successore <span class="sidenote">(1125)</span>, rassegnò
-il suo ducato di Sassonia, e molt’altri possedimenti
-al genero Enrico di Baviera, della casa Guelfa:
-glieli disputò Federico il Losco di Hohenstaufen duca
-di Svevia, uno degli aspiranti al trono germanico: sicchè
-fra le due case cominciò l’inimicizia, che, dopo mutato
-natura ed oggetto, sconvolse Germania e Italia sotto il
-nome di Guelfi e Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Questi ultimi traevano il nome dal castello di Waiblingen
-nella diocesi di Augusta, appartenente agli
-Hohenstaufen; gli altri dalla famiglia bavarese dei
-Guelfi d’Altdorf. Azzo, marchese di Lombardia, morendo
-centenario nel 1097, avea lasciato tre figli:
-Guelfo, che, come nato da Cunegonda erede dei
-Guelfi di Baviera, andò a ducare questo paese, e divenne
-stipite della casa di Brunswick, salita poi al trono
-d’Inghilterra; Ugo si condusse alla peggio, e vendè
-le proprie ragioni all’altro fratello Folco figlio di Garsenda
-principessa del Maine, e progenitore dei marchesi
-d’Este in Italia. Signoreggiava egli il paese dal
-Mincio fin al mare, cioè Este, Rovigo col Polesine,
-Montagnana, Badia, oltre molte terre nella Lunigiana e
-nella Toscana. Guelfo ne pretendeva una porzione; e
-venuto a ripeterla coll’esercito, collegandosi al duca di
-Carintia e al patriarca d’Aquileja, di molti paesi s’impadroni:
-infine fu stipulato che la linea di Germania
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-tenesse un terzo della città di Rovigo e la terra d’Este,
-senza pregiudicare alle pretensioni che ostentava sull’eredità
-della contessa Matilde.
-</p>
-
-<p>
-Da questa linea proveniva Enrico, che per la cessione
-di Lotario era divenuto il più ricco signore d’Europa
-e il più potente di Germania, tenendo una serie
-di paesi dal mar Baltico al Tirreno. Ma dalla parte
-ghibellina Corrado duca di Franconia, fratello di Federico
-il Losco, aveva redato di qua dell’Alpi i beni
-allodiali della casa Salica, e scese in Italia cercandone
-la corona. Un principe non d’altre forze provveduto che
-di quelle somministrategli dal paese, non poteva riuscir
-pericoloso alla nascente libertà, onde fu il ben arrivato.
-A Milano lo storico Landolfo di San Paolo e il
-cavaliere Ruggero de’ Crivelli, deputati dall’arcivescovo
-Anselmo, discussero le ragioni dei due principi emuli
-davanti al popolo, il quale indusse il metropolita a
-coronar re Corrado <span class="sidenote">(1128)</span>: molte città gli prestarono omaggio
-e doni; ma Pavia, Novara, Piacenza, Brescia e Cremona
-stettero contrarie a Milano, fin a dichiararne
-scomunicato l’arcivescovo che aveva unto l’usurpatore;
-anche la Toscana repugnò da lui; e Onorio II papa,
-che aveva riconosciuto imperatore Lotario, scomunicò
-questo pretendente. Il quale tentò invano occupar Roma;
-sicchè gli stessi che s’erano chiariti a lui favorevoli
-per farsene un appoggio, l’abbandonarono quando il
-videro incentivo di guerre. Maneggiatosi alcun tempo,
-egli si riconciliò con Lotario, e dopo essere stato a
-carico de’ Milanesi e Parmigiani, partì dall’Italia covando
-contro i Comuni lombardi un dispetto che trasmise
-al nipote Federico Barbarossa.
-</p>
-
-<p>
-Essi Comuni, appena costituitisi, esercitavano nimicizie
-un contro l’altro; e particolarmente in quel piano
-che dalle alpi Retiche e Leponzie declina sino al Po
-ed al mare, ricco di nove città indipendenti, Como,
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, Crema, Cremona,
-Pavia, Novara, frequenti appigli di risse porgeano i
-terreni confinanti, le rivalità di mercato, la comunanza
-delle acque irrigatorie. Presosi quel diritto del pugno,
-cioè della guerra particolare, che fin là avevano esercitato
-i feudatarj, i Comuni, non compressi da superiorità
-materiale, non da morale ritegno, abbandonavansi
-a quella ostilità di vicini a vicini, che sembra
-inesorabile maledizione degl’Italiani. Non avevano ancor
-finito di abbattere i conti rurali, e già rompevano
-guerra <span class="sidenote">(1110)</span> Cremona a Crema e Brescia, Pavia a Tortona,
-Milano a Novara e Lodi; l’ambizione e la forza davano
-ai poderosi il desiderio e l’ardire di opprimere i deboli.
-</p>
-
-<p>
-Pavia, memore di essere stata sede dei re goti e
-longobardi, e Milano superba d’antichità, di vasto territorio,
-di popolazione maggiore e della superiorità
-metropolitica, gareggiavano di preminenza, e si contrariavano
-in ogni fatto. Nella lite delle Investiture
-Pavia propendeva alla parte imperiale, alla pontifizia
-Milano, con cui parteggiarono Lodi, Cremona, Piacenza;
-e per insinuazione della contessa Matilde, giurarono
-lega di vent’anni onde osteggiare re Enrico, e
-sostenere Corrado quando al padre si ribellò. Le due
-parti erano equilibrate di forze; e poichè nessuno stabile
-nodo le congiungeva, era sicura della vittoria quella
-che arrivasse ad isolar la rivale. In fatto, secondo preponderasse
-una parzialità o l’altra, le città mutavano
-bandiera; e girati pochi anni, a Milano troviamo unite
-Crema, Tortona, Parma, Modena, Brescia <span class="sidenote">(1117)</span>; mentre con
-Pavia parteggiavano Cremona, Lodi, Novara, Asti, Reggio,
-Piacenza.
-</p>
-
-<p>
-Quella mescolata che allora si faceva delle prerogative
-secolari colle ecclesiastiche, portava a nuove scissure.
-Crema col suo contado, che chiamavasi Isola di
-Folcherio, era stata a giurisdizione de’ marchesi di
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-Toscana, fin quando nel 1098 la contessa Matilde ne
-fe cessione al vescovo e alla città di Cremona. Tale
-dipendenza spiacque ai Cremaschi, che coll’armi assicurarono
-la propria libertà: ma di qui cominciarono
-nimicizie lunghe e vergognose<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Milano pretendeva non solo alla superiorità che il
-suo metropolita traeva dal posto gerarchico, e per cui
-ordinava i vescovi della provincia e li convocava a
-concilio; ma che a lui competesse anche l’eleggerli,
-mentre le chiese particolari tenevano gelosamente al
-diritto antico di nominare i proprj pastori. Da ciò elezioni
-tempestose, contrastate, doppie, complicate dall’appoggio
-del papa e dell’imperatore, e per le quali il
-litigio delle Investiture dalle sommità sociali scendeva
-fin a contingenze affatto particolari. Per simili ragioni,
-e insieme per gelosia del ricco mercato che vi si teneva,
-i Milanesi campeggiarono Lodi, rinnovando le
-ostilità, cioè lo sperpero della campagna e la rapina
-delle messi per quattro anni, in capo ai quali ridottala
-per fame, la smantellarono <span class="sidenote">(1111)</span>; gli abitanti dissiparono in
-sei borgate del contorno, sottoposte a rigide condizioni;
-sciolsero il ricco mercato, nè Lodi-vecchio risorse più.
-</p>
-
-<p>
-Eguale contesa per l’elezione dei vescovi cagionò la
-guerra di Milano contro Como, descritta da un rozzo
-poeta contemporaneo<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a>, dolente di pubblicare il duolo
-anzichè la letizia d’un popolo da molti secoli fiorente.
-Aveano i Comaschi eletto canonicamente Guido de’ Grimoldi
-di Cavallasca; mentre il milanese Landolfo da
-Carcano, destinatovi da Enrico V, si fece ordinare dal
-patriarca d’Aquileja, parziale d’esso imperatore; intruso
-di rapina nella sede, procurava mantenervisi ad
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-onta del popolo, e fortificatosi nel castello di San Giorgio
-presso Maliaso sul lago di Lugano, scialacquava in
-privilegi e donazioni il patrimonio della mensa. Risoluti
-a tor di mezzo lo scisma e lo sperpero, i consoli comaschi
-Adamo del Pero e Gaudenzio da Fontanella coi
-vassalli di Guido vi assalgono Landolfo, e fattolo prigione,
-lo consegnano a Guido. Essendo nella mischia
-rimasto ucciso Ottone insigne capitano milanese <span class="sidenote">(1116)</span>, Giordano
-da Clivio arcivescovo di Milano, invece d’insinuare
-pace e perdono, espone alla basilica Ambrosiana le vesti
-insanguinate e le vedove degli uccisi, le quali strillando
-chiedono vendetta; e serrata la chiesa, egli dichiara
-resteranno sospesi i sacramenti, finchè non sia vendicato
-il sangue sparso.
-</p>
-
-<p>
-In quelle assemblee tumultuose, dove la passione è
-unica consigliera, e l’urlo predomina sulla ragione, fu
-decretata la guerra; i Milanesi, mandato un araldo a
-denunziarla, assalsero Como, e incominciarono una
-guerra, paragonata all’assedio di Troja per la durata,
-e meglio per l’accordarsi delle forze lombarde contro
-una sola città.
-</p>
-
-<p>
-Il guerreggiare d’allora non conduceva a pronti
-esiti, come le imprese comandate e dirette da volontà
-unica e robusta. Un Comune avea ricevuto un torto, e
-nel consiglio erasi decisa la guerra? più giorni rintoccava
-la campana, acciocchè gli uomini capaci s’allestissero
-d’armi; uomini che mai non s’erano esercitati
-insieme, che fin allora aveano badato ai campi o alle
-arti, e che non usavano nè vestire nè armi uniformi,
-unicamente diretti a vincere e far al nemico il peggior
-male. A buona stagione traevasi fuori il carroccio, e
-dietro e attorno a quello moveva la gente contro il territorio
-nemico, stramenava le campagne, sfasciava i
-casali, rapiva gli armenti che non avessero avuto tempo
-di ridursi nel recinto della città, alla quale poi mettevasi
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-assedio, procurando il più delle volte prenderla
-per fame, giacchè, prima de’ cannoni, le terre murate
-aveano sempre il vantaggio sopra gli assalitori. Nelle
-guerre feudali vedemmo i soldati abbandonare il capo
-a mezzo dell’impresa, allo scadere dell’obbligato servizio.
-Qui gli assalitori erano gente che avevano campi,
-arti, famiglia, interessi, onde mal sopportavano i diuturni
-accampamenti, e alla mietitura o all’avvicinarsi
-della vernata tornavano a casa a rifocillarsi, per ripigliar
-poi col nuovo anno la campagna.
-</p>
-
-<p>
-Di tal guisa fu condotta la guerra contro Como. I
-Comaschi erano valorosissimi fra i Lombardi, come
-montanari e avvezzi in opra di caccia e battaglie: e
-chiuso colla Camerlata e col castello Baradello il passo
-verso Milano, poterono impedire gli approcci al patrio
-suolo. Li secondavano gli abitanti della Vallintelvi, intrepidi
-petti, e insieme abilissimi a inventare congegni
-militari. Maggior numero di città prese parte con Milano,
-quali Cremona, Pavia, Brescia, Bergamo, la Liguria,
-Vercelli colla mercantile Asti, e colla contessa di
-Biandrate recante in braccio il giovane figliuolo: Novara
-venne spontanea, invitata la forte Verona, e Bologna
-dotta nelle leggi, e Ferrara non meno famosa che
-Mantova per bravissimi arcadori, e Guastalla e Parma
-coi cavalieri della Garfagnana, benchè avesse guerra
-con Piacenza<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a>. La politica gli avrebbe stornati dal
-favorire la poderosa città contro la inoffensiva, ma
-v’erano costretti dalla prepotenza. Ch’è peggio, gli abitanti
-dell’isola Comacina e di quei contorni si chiarirono
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-ostili a Como, sicchè anche il lago fu contaminato di
-battaglie navali. Fin a Varese si allargò la guerra e al
-lago di Lugano; ardite le fazioni, alterni i successi; or
-una parte or l’altra innalzavano al cielo inni per vittorie
-fratricide. Se non che fra tanto ardore poca era l’abilità,
-pochissima la disciplina, nessuna autorità preponderante;
-e come avviene nelle mosse tumultuarie,
-ognuno volea comandare, nessuno obbedire. La campagna
-era una desolazione, straziati i fecondi oliveti e
-le vigne della spiaggia, rapite le mandre.
-</p>
-
-<p>
-Moriva intanto il vescovo Guido, causa e fomento
-della guerra; moriva esortando a star saldi nella cattolica
-fede e nella carità e difendere la patria. I Comaschi
-aveano perduto molti valorosi; soffrivano da dieci anni
-di devastazione sì per terra, sì dal lago, del quale la
-sponda orientale apparteneva ai Milanesi, che con tutti
-i loro alleati s’accinsero all’estremo sforzo. Tratti legnami
-da Lecco, ingegneri e costruttori da Genova e
-Pisa, strinsero dappresso la città <span class="sidenote">(1127)</span>, i cui abitanti, sprovveduti
-d’ogni altro riparo, l’abbandonarono notturni,
-per ricoverarsi nel munito borgo di Vico; e quivi interposero
-di pace Anselmo arcivescovo di Milano. E ne
-fu condizione, che, salve le vite, si sfasciassero le mura
-e le fortificazioni della città e dei sobborghi; Como riconoscesse
-Milano con annuo tributo. Eppure i vincitori
-sfrenati posero a sacco e fuoco la città, menarono in
-cattività agricoltori, servi, cittadini. Non s’aveano allora
-guarnigioni per tener in ceppi i vinti, e perciò bisognava
-disperderli: in fatto i Comaschi furono costretti abitare
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-all’aperto, pagare annualmente il viatico e il fodro, e
-smettere il solito mercato. Ciò per altro non li privava
-del governarsi a comune, con leggi e magistrati proprj.
-</p>
-
-<p>
-Di questa guerra narrammo le particolarità, come
-esempio di tutte le altre allora agitate. Ne inorgoglì
-Milano, che poco poi osteggiò Crema, e tutta Lombardia
-andava a scompiglio per fazioni interne; laonde papa
-Innocenzo II s’argomentò al riparo spedendo san Bernardo,
-borgognone, fondatore de’ Cistercensi ed anima
-della società cristiana di quel tempo. Ne’ monasteri non
-voleva egli si cercasse un rifugio contro il mondo, bensì
-forza di combatterlo e guidarlo; l’operosità essere principio
-di salute, e perciò i monaci addestrava alle lettere
-e all’agricoltura. Dottissimo coi teologi, popolarissimo
-coi campagnuoli, vigilava sull’intera cristianità, maneggiava
-gl’interessi delle nazioni, pur sempre ribramando
-la sua devota solitudine, alla quale tornava appena
-avesse finito di riconciliare i re, di far riconoscere i
-papi, o di spingere tutta Europa contro l’Asia; e preparava
-libri che il fecero collocare allato ai santi padri,
-e fra gli ascetici prediletti alle anime contemplative.
-Quand’egli calò in Lombardia, accorreva la gente per
-udirlo, e il riceveano a ginocchi, e mettendo fuori argento,
-oro, arazzi, quanto aveano di meglio; e beato
-chi ottenesse un filo della sua tunica. Riuscì egli ad
-esaltare lo zelo, sicchè uomini e donne si vedeano in
-capelli raccorci e vesti dimesse, e sulle tavole acqua
-invece dei vini generosi; liberati prigionieri, emendati
-i costumi, e ciò che più era difficile, ristabilita dappertutto
-la pace. I Milanesi, meravigliati all’unione di tanto
-senno con tanta bontà, il voleano arcivescovo <span class="sidenote">(1135)</span>; ma egli,
-per cui i gradi e le comparse erano una condanna, s’affrettò
-di tornare alle maschie voluttà della solitudine
-penitente, lasciando presso Milano il monastero di Chiaravalle,
-dal quale e dagli altri di Morimondo e di Cerreto
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-i Cistercensi tolsero a sanare le pantanose pianure,
-introducendovi i prati irrigatorj, la fabbrica de’ formaggi
-e la coltivazione del riso.
-</p>
-
-<p>
-Non avea fatto che partire Bernardo, e gli sdegni
-ribollirono; e Cremona e Pavia, dove l’eloquenza di lui
-poco aveva approdato, si ritorsero contro Milano. Il
-vescovo pavese guidò le milizie; e i Milanesi non solo
-lo sconfissero, ma lui stesso fecero prigioniero con
-molti de’ suoi, i quali rimandarono colle mani legate al
-tergo, e attaccato un fascetto di fieno acceso tra i fischi
-plebei. Tornarono i Pavesi alla riscossa, ma a Maconago
-furono rotti ancora. I Milanesi portarono pur guerra a
-Novara e Cremona, la quale oppose loro il castello di
-Pizzighettone sull’Adda. Violenze che partorivano violenze,
-e colle violenze doveano finire.
-</p>
-
-<p>
-Quel che intitolavasi regno d’Italia era diviso tra
-molti feudatarj, quali il marchese di Monferrato tra gli
-Appennini, il Po e il Tànaro; il marchese del Vasto, che
-poi fu detto di Saluzzo, fra il Po e le alpi Marittime;
-ai quali due s’interponeva il contado d’Asti, e accanto
-quel di Biandrate che dominava il Canavese fra la Dora
-Riparia e la Baltea. Gl’imperatori, per assicurarsi il
-passo in Italia, aveano sottoposto a duchi tedeschi anche
-il pendio meridionale dell’Alpi; onde la Baviera stendeasi
-fin a Bolzano, cioè di qua dall’alpi Retiche che ci
-separano dai Tedeschi; i Guelfi e il ducato d’Alemagna
-fino a Bellinzona, di qua dalle Lepontine; quel di Svevia
-fino a Chiavenna, di qua dalle Retiche; le alpi
-Giulie erano a dominio del duca di Carintia, al quale
-furono recate la contea di Trento, e le marche di Verona,
-d’Aquileja, d’Istria, tenendo in rispetto la Lombardia
-da un lato, dall’altro gli Ungheresi. Ma i re
-tedeschi, intenti ad assicurare la prevalenza della gente
-germanica sopra la slava, vollero estenuare la Carintia,
-sicchè abbondarono di concessioni col Veronese, che
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-poi da quella restò separato del tutto quando i patriarchi
-d’Aquileja ebbero la sovranità del Friúli, poi dell’intera
-Istria, succedendo alle famiglie ereditarie degli
-Eppenstein, Sponheim, Andechs. Allora Verona, tornata
-italiana, maturò pur essa i germi repubblicani, sotto un
-vescovo cui dava importanza il custodire gli sbocchi
-dell’Alpi e il passo del fiume, che coprono l’Italia dai
-Tedeschi.
-</p>
-
-<p>
-Il marchese Obizzo Malaspina, oltre la Lunigiana,
-avea possessi nel confine di Cremona, e da Massa presso
-il Lucchese fino a Nazzano presso Pavia: tratto di settanta
-miglia<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a>. La Casa savojarda di Morienna usciva
-dalle sue valli allobroghe per allargarsi sempre più di
-qua dall’Alpi, occupando i marchesati d’Ivrea e di Susa;
-e Ulrico Manfredi, al tempo d’Enrico I, possedeva dall’alpi
-Cozie fin alla riviera di Genova, e da Mondovì ad
-Asti: la qual città era signoreggiata da un suo fratello
-vescovo. Ma troppo spesso suddivisa per eredità, la
-casa di Savoja non accennava all’importanza che trasse
-più tardi dalla sua postura.
-</p>
-
-<p>
-Nell’Appennino toscano avanzavano conti e marchesi
-e molti dominj immuni di nobili; ovvero monasteri,
-badie, beni vescovili isolati, sceveri dal movimento repubblicano.
-La potenza dei marchesi, poi della contessa
-Matilde, avea nell’Etruria frenato le fazioni, e assicurato
-il predominio papale, sicchè rado o non mai s’era veduto
-un vescovado diviso fra due competitori. I governi
-liberi vi tardarono dunque a svolgersi fin quando, disputandosi
-fra il papa e l’imperatore la successione a
-quella signoria, i popoli, incerti a chi obbedire, furono
-men soggetti ad entrambi i competitori, e nella negligenza
-di questi provvidero da sè al proprio ordinamento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<p>
-Roma offriva sempre gran mescolanza d’antichissimo
-e di novissimo, e dei tre elementi di popolo, di feudo,
-di sacerdozio. Prefetto, consoli, senato offrivano una
-costituzione repubblicana, i feudatarj e i castelli rappresentavano
-il diritto della spada, il papa la sovranità;
-e si urtavano e prevaleano a vicenda. Nel X secolo,
-tutto forza, sormontarono i feudatarj, oligarchia turbolenta,
-che quasi assorbì la ecclesiastica. Colla restaurazione
-degli Ottoni la nobiltà fu repressa e il papato
-rialzossi, appoggiandosi però allo straniero, che riservava
-a sè la moneta e la giustizia.
-</p>
-
-<p>
-I pontefici, mentre aveano assodata l’autorità su tutto
-il mondo, pochissima ne godevano nella città di loro
-residenza. Per le ripetute donazioni imperiali dominavano
-l’antico ducato di Roma, l’Esarcato e la Pentapoli:
-ma erano cinti da robusti signori, quali il duca di Spoleto
-nell’Ombria meridionale, nel Piceno e in parte del
-Sannio; a mezzodì il marchesato di Guarnerio fra gli
-Appennini e l’Adriatico, da Pésaro ad Osimo; di qui alla
-Pescàra quel di Camerino e di Fermo; quel di Teate
-dalla Pescàra a Trivento: principi indipendenti non appena
-l’imperatore avesse vôlto le spalle all’Italia. Le
-città poi a levante del Lazio e a maestro della Toscana
-formavano altrettanti ducati sotto vescovi e signori. La
-stessa campagna romana era sparsa di signorotti, che
-da Palestrina, da Tùsculo, da Bracciano ne faceano infelice
-governo, impedivano la coltura de’ campi, e perfino
-nei sepolcri di Cecilia Metella e di Nerone, o nelle
-terme di Caracalla fortificandosi, teneano serva ai loro
-capricci l’antica capitale del mondo: fra le sue mura
-stesse, sovente una fazione dal Coliseo, un’altra dalla
-torre di Crescenzio, una terza dal Pincio venivano a
-provocarsi.
-</p>
-
-<p>
-<i>Urbs</i>, cioè la città per eccellenza, chiamavasi Roma,
-e senato il suo consiglio comunale come ai tempi di
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-Cesare e di Scipione. Dieci elettori di ciascuno dei tredici
-rioni della città, ogn’anno sceglievano cinquantasei
-senatori; è probabile fossero tutti nobili, e che alcuni
-formassero per turno il consiglio secreto del patrizio,
-rappresentante della repubblica. Geroo, prevosto di
-Reichersperg, nel 1100, scrive ad Enrico prete cardinale: — I
-senatori romani giudicano delle cause civili;
-le maggiori e universali spettano al pontefice o al suo
-vicario, ed all’imperatore o al vicario di lui prefetto
-della città; il quale la dignità propria rileva da entrambi,
-cioè dal papa a cui fa omaggio, e dall’imperatore da
-cui riceve le insegne della dignità, cioè la spada sguainata.
-E come coloro cui spetta guidar l’esercito sono
-investiti col vessillo, così per lungo uso il prefetto della
-città è investito colla spada, sguainata contro i malfattori.
-Il prefetto della città poi della spada usa legittimamente
-a sgomento de’ malvagi e conforto dei buoni,
-a onor del sacerdozio ed a servizio dell’Impero»<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I nomi pomposi mal mascheravano il decadimento,
-giacchè i palazzi si sfasciavano<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>; la liberazione di
-Roberto Guiscardo avea ridotto deserti i quartieri fra
-il Coliseo e il Laterano, che la mal’aria finì di spopolare;
-il suo territorio abbracciava angusto circuito, di
-là del quale Roma trovava nemici i Comuni di Albano
-e di Tusculo come ai tempi di Romolo, ed ogni primavera
-bisognava uscire a combatterli, e devastare la già
-povera campagna. Unica ricchezza della città erano il
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-denaro e i forestieri che vi traeva la presenza del papa:
-ma mentre questo nella restante Italia era venerato
-come capo del partito nazionale e tutore della libertà,
-quivi era esoso come principe; spesso n’era cacciato
-dai signori che ricusavano stargli dipendenti; ma il
-popolo che, con vezzo non più disimparato, avea
-gridato <i>Morte</i> e <i>Fuori</i>, ben tosto ne sentiva bisogno
-e desiderio, e gridava <i>Viva</i> e <i>Torna</i>, con quegli schiamazzi
-plateali che stoltamente si giudicano pubblico
-voto.
-</p>
-
-<p>
-Dividevano allora la città due fazioni, guidate l’una
-da Leone de’ Frangipani, l’altra da Pier di Leone; e
-con violenze e tranelli faticarono a dare un successore a
-Calisto II. I Frangipani portavano Lamberto vescovo
-d’Ostia <span class="sidenote">(1124)</span>, che prevalse col nome di Onorio II: ma alla
-costui morte si rinnovano bucheramenti e tumulti a
-favore d’un figliuolo di Pier di Leone: e sebbene i
-migliori s’accordino ad eleggere Gregorio cardinal di
-Sant’Angelo <span class="sidenote">(1130)</span>, che volle chiamarsi Innocenzo II, gli altri
-vi oppongono il loro creato col nome di Anacleto II<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>,
-e ne nasce uno scisma scandaloso. Anacleto colle spoglie
-della basilica Vaticana compra fautori ed armi;
-Innocenzo, che non poteva se non tenersi nei palazzi
-muniti dei Frangipani, stabilisce andarsene, e dalle
-navi pisane portato in Francia, in Inghilterra, in Germania,
-ricevette omaggio e riverenza, giovato dall’eloquenza
-di San Bernardo. La cella di questo, al concilio
-di Pisa, vedeasi affollata di prelati, ansiosi di trattar
-seco degli affari del mondo e dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-</p>
-
-<p>
-Per assistere Innocenzo contro l’antipapa e per frenare
-le città emancipate, Lotario imperatore <span class="sidenote">(1133)</span> calò dall’Alpi,
-non accompagnato da verun cavaliere di Svevia
-nè di Franconia, ed avendo per portastendardo quel
-Corrado, che dianzi aveva accettato la corona d’Italia.
-Ma a Milano si vide chiuse le porte in faccia, essendosi
-Anacleto amicato quell’arcivescovo Anselmo, scomunicato
-da Onorio II, talchè non potè farsi coronare re
-d’Italia; a Roma Anacleto respinse il competitore,
-fortificandosi in Vaticano, mentre Innocenzo doveva
-munire il Laterano, ove coronò Lotario.
-</p>
-
-<p>
-Messa allora in campo la controversia dell’eredità
-della contessa Matilde, fu conciliata con questo patto,
-che Innocenzo investisse Lotario vita sua durante, e
-dopo lui il duca di Baviera genero di esso imperatore,
-siccome di feudi della Chiesa, alla quale dovessero
-retribuire cento marchi d’argento l’anno, poi al morire
-dell’ultimo tornerebbero alla santa sede. Con quest’atto
-l’imperatore veniva a riconoscersi vassallo e tributario
-del pontefice<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La fazione d’Anacleto rialzò ben presto il capo,
-sicchè Innocenzo invocò Lotario, il quale, riconciliatosi
-colla casa di Hohenstaufen, tornò con maggiori
-forze: ma gli effetti furono poco meglio felici che la
-prima volta; perchè, se Milano il favorì, gli si avversarono
-Cremona, Parma, Piacenza, che egli dovette
-per forza ridurre ad obbedienza.
-</p>
-
-<p>
-Restavano sempre avversi all’Impero nelle parti
-meridionali i Normanni, che avendo ormai sottratte
-tutte le città greche ai catapani, e occupata la nuova
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-Longobardia, eccetto Benevento che rimaneva ai papi,
-e Napoli che di nome dipendeva dai Greci, viepiù sentivano
-il bisogno dei forti, l’indipendenza. Quantunque
-sostenitori del pontefice contro gli stranieri, poca mostravangli
-condiscendenza nell’interno loro dominio, nè
-si tenevano in dovere di ricevere legati papali in paesi
-che essi col proprio braccio aveano sottratti agl’Infedeli
-o ai Greci, e restituiti alla vera Chiesa. Urbano II
-erasi guadagnato Ruggero, nominandolo legato in
-Sicilia <span class="sidenote">(1098)</span>, cosa mai più concessa a verun regnante, e
-donde derivò quel che chiamarono poi <i>tribunale della
-monarchia di Sicilia</i>, cioè che esso e i suoi discendenti
-godessero il titolo ed esercitassero i diritti di legati
-ereditarj e perpetui della santa sede, per ciò portando
-nelle solennità mitra, anello, sandali, dalmatica, pastorale<a class="tag" id="tag101" href="#note101">[101]</a>.
-Morto poi Guglielmo II duca di Puglia, anche
-il dominio di qua dal Faro restò a Ruggero <span class="sidenote">(1127)</span>, che così
-possedeva tutto quel che fu poi regno di Napoli.
-</p>
-
-<p>
-Onorio II vide lesa la sua superiorità nel fare un
-tanto acquisto senza sua adesione, ben conoscendo
-come il gran conte dominando la Sicilia, la Puglia,
-la Calabria, avrebbe dettalo la legge a Roma. E perchè
-quegli assalì Benevento, città pontifizia, Onorio lo
-scomunicò, e mosse contro di esso in armi, dando perfino
-indulgenza plenaria a chi perisse in quella guerra.
-I principali conti assecondarono il pontefice; ma Ruggero,
-venuto di Sicilia con buon esercito, prese le città
-primarie; e il papa, che vedeva ogni giorno diminuirsi
-le sue truppe, s’accontentò d’investirlo della Puglia e
-Calabria. Non andò troppo sottigliando sui diritti l’antipapa
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-Anacleto, e bisognoso di fautori, a Ruggero
-consentì il titolo di re di Sicilia, l’investitura della
-Puglia, Calabria, Salerno, e la supremazia sul ducato
-di Napoli e il principato di Capua; in Palermo fu celebrata
-la pomposa coronazione, e restò costituito il
-regno delle Due Sicilie, terminando le antiche repubbliche
-nel mezzodì, quando nel settentrione d’Italia
-sbocciavano le nuove.
-</p>
-
-<p>
-I baroni e conti, fin allora tutti pari di potenza, mal
-soffersero di vedersi imposto un superiore; e Roberto
-dovette star sempre coll’armi in pugno, e con ferro,
-fuoco, prigioni soffogando le rinascenti rivolte, cagionò
-guasti non minori di quelli de’ Musulmani. Anche
-Amalfi fu costretta demolire le fortificazioni e a lui
-sottoporsi. Roberto principe di Capua, primo tra i baroni
-normanni e che intitolavasi <i>per la grazia di Dio</i>,
-vedendosi rapita l’indipendenza, si unì coi signori che
-voleano difenderla e collo straticò di Napoli. Soccombuto,
-andò invocare soccorsi dai Pisani, ma Ruggero
-colla flotta di Sicilia e della soggiogata Amalfi assalì
-Napoli, il cui straticò seppe resistere all’armi e alla
-fame.
-</p>
-
-<p>
-Tanta possa di Ruggero ingelosiva e gl’imperatori
-d’Oriente, già altre volte minacciati dai Normanni; e
-Lotario, a cui esclamavano i tanti oppressi da Ruggero;
-e più Innocenzo, che vedea sempre peggio rimossa la
-speranza di ricuperare la sua sede. Lotario, spinto
-dalle preghiere di Roberto di Capua, ed esortato da
-san Bernardo a toglier via lo scisma <span class="sidenote">(1137)</span>, mosse contro
-Ruggero, allargò Napoli, rimise Roberto in Capua,
-sicchè Ruggero, perdute tutte le terre di qua del
-Faro, dovette ricoverare in Sicilia. I Pisani, vedendo
-il bel destro di vendicarsi dell’antica emula, con ben
-cento navi assalirono Amalfi, e costrettala a cedere,
-vi esercitarono fieramente i diritti della vittoria. Da
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-quel punto <span class="sidenote">(1157)</span> Amalfi più non contò, sebbene le forme
-repubblicane conservasse internamente fin quando nel
-1350 i re di Napoli le abolirono. I suoi banchi in
-Levante restarono deserti, od occupati da più felici
-successori; a’ suoi porti non concorsero più se non
-i devoti a visitare il corpo di sant’Andrea, che il cardinale
-Capuano rapì alla chiesa di Costantinopoli nel
-1207, e che stillava manna. Chi oggi, andando a interrogare
-i tanti problemi della storia nazionale, visita
-la patria di Flavio Gioja e di Masaniello sulla deliziosa
-riva dove il mare frange tra Napoli e Salerno, sentesi
-stringere il cuore ai pochi e luridi abituri sopravanzati
-colà dove sorgeva l’antica legislatrice del Mediterraneo;
-e sedendo pensoso su qualche barca pescareccia nel
-porto a cui affluivano le ricchezze d’Oriente, invece
-dell’operoso tumulto di ottantamila abitanti, non vede
-che l’abbandonata negligenza di pochi pescatori, non
-ode che il gemito de’ limosinanti.
-</p>
-
-<p>
-Era quello il momento di mettere al nulla il dominio
-de’ Normanni se, al solito, non fossero entrate
-contestazioni tra i federati. Alla presa di Salerno i
-Pisani recaronsi a dispetto che l’imperatore segnasse
-la capitolazione senza loro intervento: poi il papa
-pretendeva quella città appartenesse a lui, e volendo
-sminuzzare il dominio coll’eleggere un nuovo duca di
-Puglia, disputavasi a chi toccasse dargli l’investitura;
-alfine conchiusero gliela conferirebbero e il papa e
-l’imperatore, tenendo entrambi il gonfalone. Altre controversie
-nacquero per Montecassino: ma pure rappattumati,
-Innocenzo e Lotario ripresero la via di Roma,
-ove il papa coll’armi imperiali potè rientrare. Lotario,
-devastata l’Italia nell’andata e nel ritorno, se ne partiva
-con poca gloria e meno frutto, allorchè morì <span class="sidenote">(5 xbre)</span> vicin di
-Trento: uom prode e d’onore, amico del retto, ma
-non robusto quanto ai tempi occorreva.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ruggero, che aveva aspettato il consueto scomporsi
-dell’esercito imperiale, tornò bentosto, riprese la città
-senza dare ascolto a san Bernardo, venuto consigliatore
-di pace: anzi pretese erigersi arbitro fra Innocenzo
-e l’antipapa Anacleto; e morto questo, ne nominò
-un altro <span class="sidenote">(1138)</span> in Vittore IV. Però Bernardo tanto
-fece, che menò l’antipapa a’ piedi d’Innocenzo, al
-quale pure si sottomisero i dissidenti. Ed egli raccolse
-in Laterano l’XI concilio ecumenico <span class="sidenote">(1139)</span> con duemila
-prelati, ai quali disse: — Voi sapete che Roma è capitale
-del mondo; che le dignità ecclesiastiche si ricevono
-per concessione del sommo pontefice, siccome feudo;
-nè senza di ciò possono legittimamente possedersi».
-</p>
-
-<p>
-Ivi scomunicò Ruggero, poi in persona mosse con
-buone armi, disposto a guerreggiarlo se non accettasse
-le proposizioni di pace. Rejette queste, attaccò
-il pertinace, ma incontrò sfortuna eguale al suo predecessore
-Leone IX, e come lui ne trasse profitto:
-perocchè, caduto prigione con molti cardinali, vide
-il suo vincitore gittarsegli a’ piedi e domandargli
-perdono dell’averlo vinto; laonde egli conchiuse pace
-con Ruggero, rinnovandogli l’investitura già avuta dall’antipapa,
-purchè prestasse alla romana Chiesa l’omaggio
-e seicento schifati d’oro ogn’anno<a class="tag" id="tag102" href="#note102">[102]</a>. Nel titolo
-restava eccettuato Salerno, sul cui principato i papi
-ebbero sempre pretensioni; ma erano comprese Capua,
-tolta al perseverante Roberto, e Napoli colle sue
-dipendenze, la quale, avendo perduto in battaglia il
-duca, accettò di sottomettersi al nuovo re.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-</p>
-
-<p>
-Di qui restò confermato l’alto dominio della santa
-sede, già da essa acquistato mezzo secolo prima, sopra
-il Reame. Ruggero da nuove vittorie, da bandi e
-confische cercò una legittimazione, che al secolo nostro
-garba meglio che non la benedizione papale.
-</p>
-
-<p>
-A re Lotario in Germania parea dovesse succedere
-il guelfo Enrico, ma prevalse Corrado di Franconia,
-che, abdicata la corona italica, poco dopo andò crociato
-<span class="sidenote">(1147)</span> con settantamila cavalieri e innumerevoli fanti,
-pochi de’ quali dopo orribili patimenti lo accompagnarono
-al ritorno. Nella sua lunga assenza, i Comuni
-presero incremento in Italia; e sotto diverse sembianze
-ma in ogni parte appariva la libertà, e manifestavasi
-nel cozzarsi di Venezia con Ravenna, di Pisa e Firenze
-con Lucca, di Vicenza con Treviso, di Fano con Pésaro,
-Fossombrone, Sinigaglia, di Verona con Padova perchè
-avea stornato il letto dell’Adige; di Modena con Bologna
-perchè a questa erasi data la badia di Nonantola; di
-Cremona e Pavia con Milano, che già non paga della
-libertà, voleva anche dominio sulle città del contorno.
-Mal sostenuti dal potere imperiale, i baroni soccombevano
-agli sforzi de’ Comuni, che venivano estendendo
-l’eguaglianza popolare; sicchè questa prevalse anche
-in Toscana. Firenze, Siena, Pistoja, Arezzo primeggiavano
-sui Comuni e sui dinasti limitrofi; e, secondo una
-lettera di Pietro abate di Cluny a re Ruggero, «miserabile
-era l’aspetto della Toscana, confondendosi le cose
-umane e le divine; città, castelli, borgate, ville, strade
-pubbliche, fin le chiese erano esposte a omicidj, sacrilegi,
-rapine; pellegrini, cherici, monaci, abati, preti,
-vescovi, patriarchi v’erano presi, spogliati, battuti, uccisi»<a class="tag" id="tag103" href="#note103">[103]</a>.
-I principi normanni reprimevano a mezzodì
-il movimento repubblicano; ma non che favorissero
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-gl’imperatori, stavano in sospetto delle antiche pretensioni
-che potessero addurre contro il recente loro
-dominio.
-</p>
-
-<p>
-In ogni parte la podestà imperiale era dunque in
-calo: nè prosperava la pontifizia, alla quale nuovo
-genere di sfide recò Arnaldo da Brescia. Educatosi in
-Francia alla scuola di Abelardo, libero pensatore, più
-rinomato per gli amori e le sventure sue che per l’ardimento
-del suo eclettismo, Arnaldo fu prima guerriero,
-poi monaco, e cominciò a propagare in Italia le dubitanti
-e negative idee del suo maestro, e censurare la
-depravazione del clero. Bel parlatore, e ascoltato avidamente
-com’è sempre chi esercita la maldicenza, prese
-a battere la potenza ecclesiastica; repugnare al buon
-diritto che il clero possedesse beni, e regalie i vescovi,
-mentre avrebbero dovuto vivere all’apostolica di decime
-e di oblazioni, restituendo i possessi al principe cui appartenevano<a class="tag" id="tag104" href="#note104">[104]</a>;
-e in ciò metteva convinzione ed entusiasmo
-maggiore che non que’ novatori, i quali più
-tardi sull’orme sue vennero a scassinare col ragionamento
-il regime cristiano dello Stato e della Chiesa.
-Paragonava egli i Governi d’allora colle antiche repubbliche,
-sogno o delirio perpetuo degl’Italiani, che allora
-veniva infervorato dai rinnovati studj classici de’ giureconsulti.
-Volentieri lo ascoltavano i laici, che tenendo
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-feudalmente privilegi dai vescovi, bramavano rendersene
-indipendenti; e i <i>Politici</i>, come si chiamavano i
-suoi fazionieri, crescendo più sempre di numero, scotevansi
-risolutamente dall’obbedienza del papa.
-</p>
-
-<p>
-Era questo venuto in ira anche ai popolani perchè,
-essendosi rivoltati i cittadini di Tivoli e avendo sconfitto
-in malo modo i Romani, esso gli assalì da vero, e coll’assedio
-li costrinse a capitolare, ma non sterminò le
-vite e le mura loro. Imprecando dunque a tale benignità
-col solito titolo di tradimento, i Romani traggono
-tumultuosi al Campidoglio <span class="sidenote">(1141)</span>, e come pegno della rinnovata
-repubblica rintegrano il senato di cinquantasei
-membri, e in nome di questo e del popolo romano intimano
-guerra ai vicini. Innocenzo morì prima di poterli
-domare <span class="sidenote">(1143)</span>; e Celestino II, succedutogli per pochi
-mesi, tolse a perseguitare Arnaldo, benchè già amico
-suo, e che, mal sorretto dalla volubile aura vulgare,
-fuggì a Zurigo, prevenendo Zuinglio nel predicare
-contro la Chiesa, poi in Francia, in Germania, inseguito
-dappertutto dall’occhio e dalla voce di san Bernardo.
-</p>
-
-<p>
-Le famiglie primarie dei Pierleoni e dei Frangipani,
-fin allora nemiche, si mettono d’accordo per umiliare
-la fazione democratica e svellere l’ordine repubblicano:
-ma i popolani, guidati dalla nobiltà inferiore, invocano
-l’immediata sovranità dell’imperatore, qual soleva ai
-tempi di Roma antica. Lucio II papa <span class="sidenote">(1144)</span>, che in processione
-armata marciava al Campidoglio per isnidare i
-nuovi magistrati, è respinto a sassi, così che ne muore.
-Imbaldanzì la fazione avversa, e a fatica si potè nominare
-Eugenio III discepolo di san Bernardo <span class="sidenote">(1145)</span>, il quale,
-per non dovere a forza riconoscere il senato, fuggì di
-Roma. Arnaldo soldò duemila Svizzeri, e questa forza
-mercenaria condusse a raffermare la magistratura repubblicana
-del Campidoglio. Proponevasi egli istituire
-un ordine equestre, medio tra il popolo ed il senato,
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-ristabilire i consoli e i tribuni, insomma con una pedantesca
-e intempestiva restaurazione del passato ingrandire
-l’autorità imperiale, mentre il papa restringeva
-ai soli giudizj ecclesiastici.
-</p>
-
-<p>
-Il vulgo è facile a credere che cogli antichi nomi
-ritornino le antiche grandezze; e coll’entusiasmo dell’applauso
-accoppiando al solito l’entusiasmo del furore,
-abbatte le torri e i palazzi dei nobili avversi e
-de’ cardinali, non senza ferirne alcuni, abolisce la dignità
-di prefetto di Roma per nominare patrizio Giordano,
-fratello d’Anacleto antipapa, ed obbliga tutti a
-prestargli giuramento. Eugenio, tentata invano la riconciliazione,
-scomunicò costui; poi, unite le sue forze con
-quelle di Tivoli, costrinse a tornare all’obbedienza, e
-fu accolto con tante feste, con quante n’era stato
-escluso<a class="tag" id="tag105" href="#note105">[105]</a>. Breve trionfo: e ben tosto costretto
-uscirne di nuovo, passò in Francia a sollecitar la crociata;
-mentre i repubblicani chiamavano Corrado III,
-vantando non avere operato ad altro fine che per restituire
-l’Impero nella grandezza che aveva sotto Costantino
-e Giustiniano, e perchè egli ricuperasse tutti
-gli onori che gli competevano e gli erano stati usurpati;
-avere perciò demolito le fortezze dei prepotenti; venisse
-in persona a compier l’opera, collocare sua sede in
-Roma, e abbattere i Normanni fautori del papa<a class="tag" id="tag106" href="#note106">[106]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore, mal fidandosi a quel popolo leggero,
-provvide di truppe il pontefice; che con queste e con
-altre di Francia piantossi a Tusculo, e da quei terrieri
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-e dai Normanni sostenuto, potè rinnovare i patti col
-popolo, lasciandogli il senato, ma nominando egli stesso
-un prefetto, giusta la prisca consuetudine. Però se il
-popolo voleva conformare lo statuto ai concetti di
-Arnaldo e della storia, senza sgomentarsi delle idee
-classiche sopra l’illimitata autorità del principe, l’alta
-nobiltà desiderava mantenere la condizione feudale,
-impedendo e ai papi di dominare e al popolo di
-emanciparsi. Continuò la repubblica sotto Anastasio IV;
-ma Adriano IV inglese <span class="sidenote">(1153-54)</span>, avendo la plebe assassinato il
-cardinale di Santa Pudenziana, diede lo straordinario
-esempio di interdire la capitale del cristianesimo finchè
-Arnaldo non fosse espulso. Il popolo sgomentato, massime
-che s’avvicinava la pasqua, cacciò Arnaldo, che
-rifuggì presso un conte di Campania.
-</p>
-
-<p>
-Anche Ruggero, che teneva carezzati i pontefici sol
-in quanto gli giovavano, poco avea tardato a venire in
-nuova rotta con essi, ne devastò le terre, guerreggiò e
-depredò Montecassino. Guerra più gloriosa recò ai
-Barbareschi d’Africa, assalendo Tripoli nido di corsari,
-Bona, Tunisi, e menandone schiave le donne in Sicilia.
-Gl’imperatori d’Oriente non cessavano di credere usurpati
-a sè i possessi de’ Normanni, e li molestavano;
-onde Ruggero mandò un’armata verso l’Epiro, prese
-Corfù, Cefalonia, Corinto, Negroponte, Atene, asportandone
-immense ricchezze e persone da ripopolarne la
-Sicilia, ma specialmente operaj di seta. L’imperatore
-bisantino, cognato di Corrado III, sollecitava questo a
-venire in Italia e rintuzzare il baldanzoso Normanno;
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-intanto egli medesimo faceva grosse armi, e col soccorso
-de’ Veneziani assalse Corfù; ma Ruggero ardì
-spingersi a Costantinopoli, gettando razzi incendiarj
-contro il palazzo imperiale. Pure Corfù gli venne tolta,
-e la sua flotta battuta dalla veneta e genovese.
-</p>
-
-<p>
-Corrado accingevasi a calare in Italia per la corona,
-e insieme per guerreggiare Ruggero <span class="sidenote">(1152)</span>, quando morì a
-Bamberga, si volle dire avvelenato da medici della famosa
-scuola di Salerno, ch’erano rifuggiti a lui fingendo
-paura di Ruggero.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap84">CAPITOLO LXXXIV.
-<span class="smaller">Federico Barbarossa.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Federico di Buren, feudatario della Svevia, che oggi
-diciamo Baviera, Baden, Würtenberg, a poche miglia
-da Goeppingen fabbricò s’un’altura un casale, detto
-perciò Hohenstaufen, donde trasse il titolo la sua famiglia.
-Quanto coraggioso, tanto fu leale verso l’imperatore
-Enrico IV, che in compenso gli diede il ducato
-di Svevia e la mano di sua figlia Agnese. Morendo
-vecchissimo, lasciò due figli, Federico e Corrado, il
-primo de’ quali fu investito da Enrico V de’ feudi paterni,
-l’altro della Franconia <span class="sidenote">(1137)</span>, e fu anche coronato re
-d’Italia dai Milanesi (pag. 90), ed eletto imperatore
-da alcuni, poi da tutti alla morte di Lotario di Sassonia.
-Morendo lasciò un figliuolo, ma conoscendo non esser
-tempi da fanciulli, raccomandò un figlio di suo fratello,
-Federico di nome, di soprannome Barbarossa. Alla
-dieta di Francoforte, dai principi dell’Impero e da
-molti baroni di Lombardia, di Toscana e d’altri paesi
-italici eletto re <span class="sidenote">(1152)</span>, coronato in Aquisgrana, mandò ad
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-Eugenio III e all’Italia notificando la sua elezione, che
-fu generalmente aggradita, anche nella speranza ch’egli
-riconciliasse Guelfi e Ghibellini, giacchè, capo di questi
-pel padre, per madre era nipote di Guelfo di Baviera,
-capo degli altri.
-</p>
-
-<p>
-Sul fiore dei trent’anni, già era famoso nelle battaglie,
-ne’ tornei, nelle crociate; saldo d’animo e di corpo,
-pronto d’ingegno, di memoria prodigiosa, dolce nel
-favellare, semplice nei costumi, paragone di castità,
-provvido ne’ consigli, valentissimo in opere di guerra,
-dai Tedeschi vien noverato fra i principi più insigni;
-certo fu de’ più robusti caratteri del medioevo; proteggeva
-i poeti e verseggiava egli stesso, sapeva di latino
-e di storia, e volle che dal cugino Ottone vescovo
-di Frisinga fossero scritte le sue geste<a class="tag" id="tag107" href="#note107">[107]</a>. Offuscava
-tante doti coll’ambizione e l’avarizia, o almeno così
-qualificarono gl’italiani il suo desiderio di ristabilire
-qui la regia prerogativa, e d’ottenerne i mezzi, cioè
-il denaro. Certamente a una profonda idea del dovere
-come egli lo intendeva, sagrificava interessi, sentimenti,
-pietà; e dovere supremo pareagli il rintegrare l’autorità
-imperiale, come tipi di questa togliendo Costantino
-e Giustiniano nell’aspetto ch’erano presentati dalla risorta
-giurisprudenza romana; e le idee sistematiche
-proseguiva coll’ostinatezza propria della sua nazione.
-Di qui le città, acquistato vigore, meno docili si manifestavano;
-di là la Chiesa aveva dimostrato la sua
-indipendenza, almeno in diritto; i baroni si tenevano
-in armi per assicurarsi la supremazia territoriale; e
-Federico si propose di frangere tutti questi ostacoli
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-col riformare il sistema ecclesiastico e il feudale, e
-abolire i Comuni.
-</p>
-
-<p>
-Coronato appena, ecco deputati del pontefice a pregarlo
-di soccorsi contro i Romani rivoltosi; ecco Roberto
-di Capua invocare d’essere rimesso nel principato,
-toltogli dal re di Sicilia; ecco cittadini di Como
-e di Lodi, che, trovandosi colà per traffici, senza
-missione delle proprie città se gli buttano ai piedi,
-cospersi di cenere e con croci alla mano, implorando
-riparazione, e vendetta delle loro patrie soccombute
-ai Milanesi.
-</p>
-
-<p>
-Diedero pel talento a Federico queste occasioni di
-assumere aspetto di vindice dei deboli, cui potrebbe
-poi a sua volta regolare; mentre alleandosi coi forti,
-non avrebbe fatto che crescere a questi la baldanza. I
-Lodigiani stavano talmente allibiti, che invece di saper
-grado a quei loro concittadini, li caricarono d’ingiurie;
-a Sicherio, che il Barbarossa spediva con lettere di
-rimprovero ai Milanesi, non osarono fare accoglienze:
-di pessime poi n’ebbe costui allorchè le presentò ai
-Milanesi, che le calpestarono urlando; e fu gran che
-s’egli potè uscire dalle lor mani e camparsi in Germania.
-Dello smacco s’inviperì Federico; e i Lodigiani
-vollero mansuefarlo collo spedirgli una chiave d’oro, e
-raccomandarsegli caldamente; anche Cremona e Pavia
-gli inviarono grossi regali; Milano pure ravveduta il
-donò d’una coppa d’oro piena di denaro: omaggi di
-paura, e i re li credono d’amore.
-</p>
-
-<p>
-Pubblicato l’eribanno, Federico coll’esercito feudale
-mosse verso l’Italia, perocchè la potenza e il primato
-di questi imperatori non valeano se non discendendo
-in persona. Per via raccoglievano dai feudatarj immediati
-il donativo, il foraggio e la tangente di milizie;
-mandavano ad esigere dalle città le dovute regalie; e
-poichè reprimevano coll’armi i contumaci, il loro
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-viaggio era segnato da devastazioni. All’arrivo del re
-rimaneva sospesa la giurisdizione dei magistrati feudali,
-ed egli in persona rendeva giustizia, e ascoltava
-in appello chiunque si credesse gravato dal proprio
-signore o inesaudito. Altrettanto avveniva nelle città;
-le quali pertanto consideravano come di gran conto il
-privilegio che non entrassero nelle loro mura i re, i
-quali, quanto vi stavano, erano despoti; iti che se ne
-fossero, tornava ognuno a fare il proprio talento<a class="tag" id="tag108" href="#note108">[108]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A questa forma calossi il Barbarossa, e truppe non
-minori delle sue gli menava Enrico il Leone, de’ Guelfi
-d’Este. A questa famiglia l’imperatore avea dato l’investitura
-della marca di Toscana, del ducato di Spoleto,
-del principato di Sardegna, e dei beni allodiali della
-contessa Matilde; ed Enrico, gran prode, possedendo i
-ducati di Sassonia e Baviera, acquistata Lubecca, avuto
-il diritto di erigere vescovadi di là dall’Elba, e adopratosi
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-a sottoporre gli Slavi, era riuscito de’ più potenti
-di Germania, nè inferiore al Barbarossa se non perchè
-gli mancava la corona.
-</p>
-
-<p>
-Convocati i baroni nel solito piano di Roncaglia <span class="sidenote">(1154)</span>, minacciando
-spossessare del feudo chi non intervenisse,
-Federico vi ricevette pure i consoli delle varie città che
-gli giurarono fede. Ottone vescovo, suo storiografo,
-tuttochè nemico, ammirava i popoli d’Italia, i quali nulla
-ritenevano della barbarica rozzezza longobarda, ma nei
-costumi e nel linguaggio mostravano la pulitezza e leggiadria
-degli antichi Romani. Gelosi di loro libertà
-(prosegue egli), non soffrono il governo di un solo, ma
-eleggono dei consoli fra i tre ordini de’ capitanei, valvassori
-e plebei, di modo che nessun ordine soperchii
-l’altro, e li mutano ogn’anno. Per popolare le città costringono
-i nobili e signorotti di ciascuna diocesi, comunque
-baroni immediati, a sottomettersi alle città, e
-starvi a dimora. Nella milizia poi e ne’ pubblici impieghi
-ammettono persino i meccanici e i braccianti; per
-le quali arti esse città superano in ricchezza e potenza
-tutte quelle d’oltr’Alpi. Da ciò derivano la superbia, il
-poco rispetto ai re, il vederli malvolentieri in Italia, e
-non obbedirli se non costretti dalla forza<a class="tag" id="tag109" href="#note109">[109]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Federico incominciò ad unir le sue truppe con quelle
-del cugino Guglielmo marchese di Monferrato, uno dei
-pochi che conservava la feudale potenza, malgrado le
-città<a class="tag" id="tag110" href="#note110">[110]</a>; e gli diè mano ad assalire e disfare i liberi
-Comuni di Asti e Chieri.
-</p>
-
-<p>
-I Milanesi, avuto sentore dei mali uffizj fatti dai Pavesi,
-gli avevano assaltati senza pietà: e l’imperatore, ben
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-vedendo che, se avesse parteggiato coi Milanesi, questi
-monterebbero in tal forza da più non obbedirlo<a class="tag" id="tag111" href="#note111">[111]</a>, si
-chiarì pei Pavesi, nella loro città prese il diadema regio,
-mandò guastare il territorio de’ Milanesi, e quanti ne
-colse attaccò alle code de’ cavalli; soddisfece all’ira dei
-Pavesi col mettere a sterminio Tortona dopo robusta
-resistenza; bruciò Rosate, Galliate, Trecate, Momo, colle
-fiere esecuzioni sperando incutere spavento e distorre
-dal resistergli. A tacere la crudeltà, fu improvvido questo
-baloccarsi in fazioni parziali, invece di difilare sopra
-Milano. Nè per allora fece altro che sgomentare; poi
-mosse su Roma<a class="tag" id="tag112" href="#note112">[112]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ivi durava la repubblica proclamata da Arnaldo da
-Brescia; e i novatori, ridotto il papa alla Città Leonina,
-gl’intimarono rinunziasse ad ogni podestà temporale,
-accontentandosi del regno che non è di questo mondo:
-ma Adriano IV repulsava quelle domande. Al venir dunque
-dell’imperatore, tutti gli animi stavano sospesi.
-Ajuterebbe egli i repubblicani per umiliare il papa,
-antico avversario dell’impero? o vorrebbe reprimere
-questo slancio della gran città verso la forma sempre
-prediletta in Italia, e che annichilava la prerogativa
-imperiale? Federico non tardò a chiarirsi: dal conte
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-di Campania, a cui erasi rifuggito, richiese Arnaldo, e
-lo consegnò <span class="sidenote">(1155)</span> al prefetto imperiale della città; e Roma,
-dalle tre lunghe vie che sboccano in piazza Popolo,
-potè vedere il rogo su cui l’eretico e ribelle era bruciato<a class="tag" id="tag113" href="#note113">[113]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-</p>
-
-<p>
-Non atterriti dal supplizio di Arnaldo <span class="sidenote">(1155)</span>, i cittadini vollero
-patteggiare con Federico prima di riceverlo in
-città; ed i senatori, scesi dal Campidoglio a prestargli
-il giuramento, sciorinarongli una diceria sulle antiche
-glorie romane, e sull’onore che gli facevano accettando
-cittadino lui straniero e cercandolo oltr’Alpi per farlo
-imperatore; giurasse osservar le leggi, e mantener la
-costituzione della città e difenderla contro i Barbari;
-per le spese pagherebbe cinquemila libbre.
-</p>
-
-<p>
-Di frasi retoriche i nostri furono sempre vaghi; ma
-il Tedesco positivo ai vanti postumi oppose la presente
-umiliazione; lui esser loro re, perchè Carlo e Ottone
-Magni gli avevano colle armi soggiogati, nè dovere i
-sudditi imporre legge al sovrano, bensì questo a
-quelli<a class="tag" id="tag114" href="#note114">[114]</a>: e mandò dietro loro un migliajo di cavalieri,
-che occuparono Castel Sant’Angelo e la Città Leonina.
-Colà fu coronato dal papa <span class="sidenote">(18 giug)</span>, e si piegò alla rituale consuetudine
-di tenergli la staffa. I Romani, ch’erano stati
-esclusi da quella cerimonia e costretti a rimanere sull’altra
-riva del Tevere, levano rumore, e dalle grida
-passando ai fatti cominciano un’abbaruffata, ove molti
-cittadini rimangono uccisi, ma anche non pochi Tedeschi:
-gli altri al domani, per manco di viveri, dovettero
-abbandonare la città.
-</p>
-
-<p>
-Tale era omai il solito accompagnamento della tedesca
-coronazione. Poi le febbri romane, come spesso, fecero
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-giustizia contro la pioggia di ferro che la Germania
-versava sull’Italia<a class="tag" id="tag115" href="#note115">[115]</a>; e spirando il termine prefisso ai
-vassalli per militare, il Barbarossa dovette risolversi al
-ritorno. Non avea dunque abolito la repubblica romana,
-non francheggiato le pretensioni sue sovra la Puglia.
-Il re di Sicilia, avuto nelle mani Roberto di Capua,
-lo fe accecare, poi sepellire in carcere; e prese o battè
-gli altri baroni che avevano levato il capo fidando in
-Federico, il quale si volse indietro, ancora squarciando
-città. I Lombardi, rincoraggiati al vederlo in ritirata, lo
-bersagliarono con insistenza, e massime i Veronesi con
-tronchi abbandonati alla corrente arietarono il ponte
-di barche, per cui l’esercito tragittava l’Adige: poi nell’angusta
-valle di questo fiume il cavaliere Alberico di
-Verona lo molestò con pietre, e pretendeva da esso re
-ottocento libbre d’argento, e una corazza e un cavallo
-per ogni cavaliere tedesco, se volesse liberamente passare;
-ma il palatino Ottone di Wittelsbach lo snidò
-dalle alture. Federico, tornato in Germania, della sua
-spedizione diede ragguaglio allo storico con una lettera
-che si conserva, dove alla sconfitta trova le solite scuse,
-quand’anche non la maschera sotto una sicurezza minacciosa.
-</p>
-
-<p>
-Come una molla al cessare della compressione, i
-Milanesi rialzano la testa; raddoppiano lamenti i tanti
-cui egli avea tolto la patria; per dispetto si vuol disfare
-ogni fatto di lui. Dugento cavalieri e dugento fanti di
-due quartieri di Milano vanno a riporre Tortona, che
-per loro amore si era sagrificata, e le consegnano la
-tromba da convocare il popolo, la bandiera, e un sigillo
-collo stemma delle due città, in segno d’unione.
-Lanciansi poi contro chi stava al segno dell’imperatore:
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-ma i Pavesi li sbaragliano, assalgono la città, e
-v’entrano anche con due bandiere; alfine son ridotti a
-umilianti condizioni, battuta Novara, spianato Vigevano,
-presi venti castelli del Luganese e i fortissimi di Chiasso
-e Stabbio, sfasciata di nuovo Como, punita Cremona e
-i marchesi di Monferrato. Anche i Bresciani ruppero
-guerra ai Bergamaschi, e nell’infausta giornata di Palusco
-tolsero loro, con molti prigionieri, il gonfalone,
-che poi spiegavano ogni anno nella chiesa de’ Santi
-Faustino e Giovita. Devastazioni fraterne punivano le
-devastazioni straniere.
-</p>
-
-<p>
-Il lamento de’ soccombenti arrivò di là dall’Alpi, e
-Federico struggevasi di riparare la vergogna e il danno.
-Anco assai gli coceva che il papa, senza sua partecipazione,
-avesse conferito il titolo di re della Puglia a
-Guglielmo figlio di Ruggero: onde moltiplicò querele,
-e proibì agli ecclesiastici de’ suoi Stati di volgersi a
-Roma per collazione di benefizj nè per qual si fosse
-motivo.
-</p>
-
-<p>
-Federico non fondavasi più soltanto sul brutale diritto
-delle spade, ma era circondato di leggisti, i quali,
-gonfi d’una scienza nuova, proponevansi d’imitare gli
-antichi giureconsulti non solo collo zelare le prerogative
-imperiali, ma col cavillar le parole e sottigliare
-sulle interpretazioni. Avendo i Tedeschi arrestato un
-vescovo, il papa diresse all’imperatore un richiamo,
-ove diceva tra le altre cose: — Noi ti abbiamo concesso
-la corona imperiale, nè avremmo esitato ad accordarti
-<i>benefizj</i> maggiori, se di maggiori ne poteano
-essere». Colla sofisteria di chi vuole azzeccar litigi, i
-legulej di Federico pretesero il papa con ciò indicasse
-che l’Impero fosse benefizio, vale dire feudo e dipendenza
-della Chiesa. Se ne levò dunque un rumor grande,
-e trattandosene nella dieta di Besanzone, invelenì la
-contesa il cardinale legato Rolando Bandinelli esclamando: — Ma
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-se l’imperatore non tiene l’Impero dal
-papa, e da chi dunque?»
-</p>
-
-<p>
-Pretensione siffatta era tutt’altro che nuova nel diritto
-pubblico d’allora; ma Ottone di Wittelsbach, che
-portava la spada dell’Impero, lanciolla per trapassare
-il legato, che a fatica si salvò, e che ebbe ordine di
-andarsene senza vedere convento o vescovo per via.
-L’imperatore diede straordinaria pubblicità all’incidente
-per eccitare l’indignazione tedesca contro le tracotanze
-papali: se non che Adriano dichiarò aver usata la parola
-<i>benefizio</i> non per feudo, ma nel senso scritturale;
-nè altrimenti poterla intendere chi avesse fior d’intelletto<a class="tag" id="tag116" href="#note116">[116]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Importava a Federico di venir prontamente a farla
-finita con questi Comuni italiani, che ormai si risolvevano
-in repubbliche. Perciò la cavalleria (che tale
-era principalmente la truppa feudale) d’Austria, Carintia,
-Svevia, Borgogna e Sassonia scende divisa per
-le tre vie del Friuli, di Chiavenna e del San Gotardo;
-l’imperatore medesimo conduce per val d’Adige il fiore
-de’ militi romani, franchi, bavaresi, con Vladislao re di
-Boemia, e conti e duchi e vescovi assai; e giunto sul
-territorio milanese <span class="sidenote">(1158)</span>, proclama la <i>pace del principe</i>. Consisteva
-questa in regolamenti di militare disciplina,
-diretti a reprimere e punire legalmente le ingiurie, affine
-di prevenire le private battaglie, delle quali durava
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-sempre il diritto. A tal uopo si prefiggevano pene proporzionate
-agl’insulti che fossero provati da due testimonj,
-cioè, secondo i casi, la confisca dell’equipaggio,
-le sferzate, il taglio de’ capelli, il marchio rovente sulla
-mascella; per gli omicidj poi la morte: che se mancassero
-testimonj, doveasi ricorrere al duello; e se si
-trattasse di servi, alla prova del ferro rovente. A protezione
-del commercio si statuì che il soldato il quale
-spogliò il mercante, renda il doppio, se pur non giuri
-non conosceva la condizione del derubato. Chi abbrucia
-una casa, sia battuto, tosato e bollato. Chi trova vino
-sel prenda, ma non rompa i dogli, nè tolga i cerchi
-alle botti. Un castello espugnato saccheggino a voglia
-loro, ma non lo abbrucino senz’ordine. Se un Tedesco
-ferisca un Italiano il quale possa provare con due testimonj
-d’aver giurato la pace, sia punito<a class="tag" id="tag117" href="#note117">[117]</a>. Diritto
-di guerra violento; ma pure tanto quanto assicurava le
-persone.
-</p>
-
-<p>
-Allora Federico comincia le ostilità contro Brescia <span class="sidenote">(1158)</span>,
-e quantunque «ricca d’onor, di ferro e di coraggio»,
-ne guasta i deliziosi contorni finchè la costringe ad arrendersi:
-passata l’Adda a Cassano, preso il castel di
-Trezzo, rifabbrica Lodi-nuovo sull’Adda alquanto lungi
-dal luogo ove Pompeo avea posto il vecchio<a class="tag" id="tag118" href="#note118">[118]</a>. Riedifica
-anche Como, e ad un suo fedele dà a custodire
-quel castel Baradello<a class="tag" id="tag119" href="#note119">[119]</a>; e spedisce colà il boemo
-Vladislao perchè rimetta i Comaschi in concordia coi
-Cremaschi e cogli isolani del lago, gente ricca, forte,
-bellicosa, avvezza al corseggiare, e che repugnò da ogni
-accordo finchè l’imperatore non vi andò in persona<a class="tag" id="tag120" href="#note120">[120]</a>.
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-Isolati così i Milanesi, s’accinse a combatterli, convocando
-all’oste tutti i popoli di questo regno. E vennero
-armati da Parma, Cremona, Pavia, Novara, Asti, Vercelli,
-Como, Vicenza, Treviso, Padova, Verona, Ferrara,
-Ravenna, Bologna, Reggio, Modena, Brescia, ed altri
-di Toscana, sommando a quindicimila cavalli, oltre innumerevole
-fanteria<a class="tag" id="tag121" href="#note121">[121]</a>; e con questi piomba sopra
-Milano.
-</p>
-
-<p>
-Questa città, oltre rifare i ponti rotti sull’Adda e sul
-Ticino, e rialzare i castelli e le borgate sue amiche,
-erasi preparata di fosse e di mura, spendendo cinquantamila
-marchi d’argento puro<a class="tag" id="tag122" href="#note122">[122]</a>: valorosamente
-si difese, ma tanta turba dalla campagna e dalle circostanti
-borgate vi s’era rifuggita, che presto si trovò
-ridotta a dura fame, e alla conseguente epidemia. Accettò
-dunque la mediazione del conte di Biandrate,
-mercè del quale ebbe dall’imperatore patti da vinta ma
-pur libera potenza: rendesse la franchezza a Como e
-Lodi; fabbricasse all’imperatore un palazzo; pagasse
-novemila marchi d’argento, cioè circa mezzo milione;
-rinunziasse alle regalie usurpate, come la zecca e le
-gabelle; eleggesse da sè i proprj consoli, ma questi giurassero
-fedeltà all’imperatore, il quale nella città non
-entrerebbe coll’esercito. I nobili a piè scalzi e con le
-spade ignude, il clero colle reliquie dei santi, il popolo
-con soghe al collo, vennero a giurare obbedienza a Federico,
-a cui furono dati cento ostaggi per ciascuno
-dei tre ordini de’ capitanei, de’ valvassori e de’ plebei: e
-la bandiera imperiale sventolò sulla torre della metropolitana
-di Milano<a class="tag" id="tag123" href="#note123">[123]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-</p>
-
-<p>
-Coll’umiliazione della principale città di Lombardia
-sgomentate le altre, da tutte ebbe ostaggi, e da Ferrara
-li tolse per forza: e approfittando di quel terrore,
-intimò una dieta in Roncaglia per definire le regie
-prerogative. Le città (quante volte lo ripetemmo?) non
-pretendevansi immuni dalla dipendenza verso l’imperatore,
-nè questo credeva che la corona gli conferisse
-pieno arbitrio, come potrebbero chiedere i re del secol
-nostro, non aventi nè patto coi popoli, nè rispetto a
-moralità superiore. Ma perchè i reciproci doveri venivano
-diversamente apprezzati in Germania e in Italia,
-ne nascevano perpetue controversie. I Tedeschi, deducendo
-la loro costituzione dalle consuetudini germaniche,
-non vedevano nel re se non l’eletto dai capi del
-popolo, primo tra i pari; in Italia, le città volevano
-tenersi verso l’imperatore soltanto in una dipendenza
-feudale, come a caposignore, e come all’unto dal pontefice:
-ma i ridesti studj della storia e della giurisprudenza
-romana abituavano gli eruditi ad ampliare la
-podestà, guardandolo come successore di quei Cesari,
-la cui volontà era unica legge a Roma antica. Federico
-amava, come dicemmo, ritemprare coi testi le sue
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-spade, e alla dieta invitò Bùlgaro, Martin Gossia, Jacopo
-e Ugone da Porta Ravegnana, cima de’ giureconsulti
-d’allora, insieme con due deputati di ciascuna delle
-quattordici repubbliche, perchè determinassero in che
-consistevano le regalie. Ma da che la giurisdizione di
-conte divenne ereditaria, consoli e scabini non erano
-stati più nominati dagl’imperatori; e ciascuno di questi
-re che calò in Italia, fece diversa stima dei proprj diritti,
-a norma della propria forza; laonde dalle consuetudini
-non si poteva nulla dedurre. Si ricorse dunque
-al diritto romano; e nel sentimento di questo, e con
-parole vecchie onestando la tirannia nuova, i giureconsulti
-definirono che competeano all’imperatore tutte
-le regalie, compresi i ducati, marchesati, contadi, la
-moneta, il fodro, ossia diritto d’essere nodrito e albergato
-dai vassalli e dalle città quando soggiornava in
-Italia; e così i ponti, i mulini, l’uso de’ fiumi, la capitazione,
-il far guerra e pace, e il nominare i consoli e
-i giudici, il popolo non avendo che a prestarvi l’assenso;
-di modo che gl’investiti dovettero rassegnarli all’imperatore,
-se pur non avessero a mostrare i titoli del
-possesso. I conti e i vescovi, che dal costituirsi dei
-Comuni erano stati sbalzati di dominio, applaudivano
-a queste esuberanti pretensioni, sperando trarne a sè
-alcuna particella; e l’arcivescovo di Milano, colla scienza
-appoggiando la servilità, gli diceva: — State ben fermo,
-poichè trovasi scritto che la volontà del principe fa
-legge, attesochè il popolo gli concesse ogni imperio e
-podestà»<a class="tag" id="tag124" href="#note124">[124]</a>. Le città poi quale eccezione potevano
-contraporre sopra un fatto che mai non era sussistito,
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-e sopra diritti sostenuti da un forte esercito? onde fremevano
-nel veder l’imperatore, da sovrano feudale,
-mutarsi in assoluto padrone d’Italia.
-</p>
-
-<p>
-I Genovesi erano venuti alla dieta non per isporgere
-querele o ricevere ordini, ma come indipendenti, per
-far mostra e regalo di lioni, struzzi, papagalli e dei
-prodotti dell’Oriente; e furono i primi a protestare
-contro quel lodo; e ne spacciarono avviso alla patria,
-la quale subito con vivissimo ardore si rifece di mura,
-lavorandovi uomini e donne, e l’arcivescovo Siro dandovi
-il valore de’ proprj arredi; e (fatto nuovo) soldò
-truppe a difesa. Chi vuol pace prepara la guerra; e di
-fatto Federico calò con essa a patti, assentendole di
-eleggere i proprj consoli, i quali potessero chiamare
-all’armi tutti gli abitanti della riviera da Monaco sin
-a Portovenere; la privilegiò del commercio in ogni
-luogo a mare, neppur eccettuata Venezia; esenzione
-da imposte e servizj militari e da regalie, sol che pagasse
-milleducento marchi.
-</p>
-
-<p>
-Federico aveva in quella dieta proibito di lasciare
-feudi alle chiese; poi, sempre mal vôlto a papa Adriano,
-volle rammemorargli l’apostolica umiltà; e poichè la
-cancelleria romana trattava seco col <i>tu</i> solenne, ordinò
-facesse altrettanto la sua col papa, e nelle soscrizioni
-il nome se ne posponesse a quello di lui imperatore:
-asseriva ancora che il patrimonio papale rilevava dall’Impero,
-e pretendeva di mandare a Roma ad amministrare
-la giustizia, e di alloggiare i proprj nunzj
-ne’ palazzi vescovili. Il senato romano al solito favoriva
-le pretensioni di Federico, sicchè il papa scontento
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-intendevasi colle città lombarde, e preparava forse la
-scomunica contro il prepotente.
-</p>
-
-<p>
-Il quale, dichiarato unico depositario del potere legislativo
-e giudiziale, deputa in ogni paese suoi magistrati,
-che furono detti <i>podestà</i> perchè esercitavano i
-regj poteri e giurisdizione in molte cause. Questo e le
-leggi sulla pace pubblica e il divieto delle guerre private
-non urterebbero punto colle idee d’oggi; ma secondo
-i privilegi d’allora, stabiliti meglio che sulla carta,
-erano un grave attentato alla libertà e all’indipendenza
-comunale: onde i Milanesi, a cui nella capitolazione
-aveva garantito magistrati proprj, e a cui, in onta di
-quella, avea sottratte non solo Como e Lodi, ma Monza
-e il Seprio e la Martesana, capirono ch’e’ non tenevasi
-obbligato a convenzioni fatte coi sudditi, e fremendo
-insorgono <span class="sidenote">(1159)</span>; accolgono a sassate i messi regj venuti per
-attuare i decreti di Roncaglia, gridando <i>Fora fora,
-Mora mora</i>; cacciano la guarnigione dal castello di
-Trezzo che assicurava ai Tedeschi il passo dell’Adda, e
-si serrano alla difesa. Anche i Cremaschi, loro alleati,
-cui egli mandò intimare di demolir la mura, risposero
-coll’avventarsi alle armi.
-</p>
-
-<p>
-Federico, messili al bando dell’Impero, giura non
-cinger più il diadema che non gli abbia domati, e tosto
-dalla Ponteba al San Gotardo ogni valle versa Tedeschi
-sovra il piano lombardo; qui il Palatino del Reno, i
-duchi di Svevia, di Baviera, d’Austria, di Zaringen, il
-figliuolo del re di Boemia, il conte del Tirolo, gli arcivescovi
-di Colonia, di Magonza, di Treveri, di Magdeburgo,
-il fiore insomma della Germania. E cominciano
-guerra da Barbari <span class="sidenote">(1162)</span>, sperperano il paese, uccidono, appiccano:
-una volta l’imperatore fa acciecar una banda
-di foraggiatori, lasciando sol un occhio ad uno per ricondurli:
-assediata Crema, pone i figliuoli che teneva
-ostaggi, a bersaglio de’ colpi paterni, onde proteggere
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-le macchine<a class="tag" id="tag125" href="#note125">[125]</a>: e dopo sei mesi d’ostinati assalti
-presala per tradimento dell’ingegnere, la abbandona
-alla brutalità de’ suoi e alla vendetta de’ nemici Cremonesi.
-</p>
-
-<p>
-Milano non si lasciò sbigottire a quell’insolita ferità;
-cercò rialzare Crema; e il castello di Carcano sporgente
-nel laghetto d’Alserio, e le colline fra Cantù e il monte
-Baradello furono teatro di sue vittorie sopra gl’imperiali.
-Ma sentivasi indebolita dalla ripetuta devastazione
-de’ suoi campi e dal distacco di tutti i vicini,
-quando Federico la assalì <span class="sidenote">(1162)</span> scorrazzando colla cavalleria
-e vietando di portarle viveri, sin col tagliare le mani
-a venticinque villani in un giorno, côlti in tale servizio.
-Resistè ancora vigorosa: ma dai tradimenti, dalla
-fame, da un incendio de’ magazzini, dalla superiorità
-dell’armi feudali, collegate pur troppo con quelle non
-solo dei castellani e dei conti di Malaspina e di Biandrate,
-ma anche de’ Comuni italiani, fu costretta cedere
-alle grida del vulgo, e rendersi a discrezione. Al quartier
-generale in Lodi venne il popolo in abito penitente,
-con croci in mano, dietro al carroccio, che avvezzo un
-tempo a pavesarsi di trionfate bandiere, allora chinò
-l’antenna e il gonfalone di sant’Ambrogio avanti all’imperatore,
-fra il mesto squillo delle trombe; e il sacro
-carro e novantaquattro stendardi furono dati al nemico;
-otto consoli degli ultimi tre anni, trecento cavalieri, tenendo
-in mano le spade ignude, fecero atto di sommessione.
-Non soltanto Italiani e il conte di Biandrate,
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-ma fin i baroni tedeschi e la corte supplicavano Federico
-di clemenza: ma egli, dalla vittoria fatto sordo alla
-compassione, e stimolato anche dalle invide città che
-all’uopo gli diedero grosse somme<a class="tag" id="tag126" href="#note126">[126]</a>, ordinò a’ Milanesi
-tornassero a casa e v’attendessero le sue risoluzioni.
-Dieci giorni passarono i nostri in quella affannosa
-aspettazione che è peggio del male istesso: alla fine
-Federico arrivò, e nell’imperiale sua clemenza perdonando
-alle vite, impose che, usciti i cittadini, Milano
-fosse abbandonata alla distruzione. A ciascuna delle
-città alleate ne assegnò un quartiere a diroccare,
-quasi volesse che tutte si contaminassero col fratricidio,
-e i rancori allontanassero la possibilità di nuovi
-accordi.
-</p>
-
-<p>
-Esultarono i Lombardi all’umiliazione della gran
-nemica; ma un senso di sgomento occupò tutta l’Italia.
-Brescia, Piacenza, Bologna evitarono la distruzione col
-sottomettersi. Genova, dianzi così risoluta alla difesa,
-sbigottì; mandò ambasciadori con gratulazioni e proteste;
-il suo storico uffiziale Caffaro tributava a Federico
-i titoli di <i>sempre augusto, sempre trionfante, che
-elevò l’Impero al colmo della gloria</i>. E Federico in
-Pavia cingevasi di nuovo il diadema che avea giurato
-più non portare finchè Milano sussistesse; e datava i
-suoi atti dalla distruzione di Milano<a class="tag" id="tag127" href="#note127">[127]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le città lombarde non andarono guari ad accorgersi
-quanti abbia pericoli la lega col potente: perocchè,
-toltasi d’in su le braccia la città che unica potea
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-reggere seco in bilancia, Federico cessò da ogni riguardo
-verso le altre, le angariò a baldanza, pretendendo
-esigerne nuove gravezze e smantellarle; a’ Cremonesi,
-Pavesi, Lodigiani, suoi fedelissimi, permise
-bensì d’eleggersi consoli proprj, ma a Ferrara, Bologna,
-Faenza, Imola, Parma, Como, Novara, che pur seco tenevano,
-mandò podestà imperiali, fossero Tedeschi o
-di que’ vili che col maltrattare i compatrioti vogliono
-farsi perdonare la colpa d’essere Italiani<a class="tag" id="tag128" href="#note128">[128]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-</p>
-
-<p>
-All’eguale stregua meditava Federico ridurre il Patrimonio
-di san Pietro. Quel Rolando Bandinelli da
-Siena, che poc’anzi accennammo, celebratissimo per
-dottrina, virtù, esperienza del mondo, era succeduto
-papa col nome di Alessandro III <span class="sidenote">(1159)</span>; ma il cardinale Ottaviano
-romano, fautore di Federico, turbolentemente
-s’indossò le divise pontificali, tenne prigione il papa e
-i cardinali, e prese il nome di Vittore IV. Il popolo e
-i Frangipani liberarono Alessandro, che si ritirò da
-Roma; mentre l’antipapa comprava vescovi, e blandiva
-l’imperatore, il quale sostenendo questo, poi tre altri
-antipapi (Pasquale III, Calisto III, Innocenzo III) squarciava
-la cattolica unità egli che n’era il rappresentante
-secolare. Allora scomuniche contro lui, contro i vescovi
-e i principi e i consoli di Cremona, Lodi, Pavia, Novara,
-Vercelli suoi aderenti. Di queste trascendenze e
-de’ soprusi de’ luogotenenti imperiali chiedevano fine o
-moderanza vescovi, marchesi, conti, capitanei ed altri
-magnati, e cittadini grandi e piccoli; ma Federico non
-usò nè giustizia nè misericordia<a class="tag" id="tag129" href="#note129">[129]</a>; e svallato con un
-nuovo esercito <span class="sidenote">(1164)</span>, andava rimettendo al freno le città che
-tumultuavano. Ma Veronesi, Vicentini, Padovani, Trevisani,
-coll’ajuto dei Veneti, aveano cacciato i podestà
-di lui, e quand’egli andò per domarli, sentì non potere
-fidarsi delle truppe italiane che l’accompagnavano, onde
-voltò come in fuga <span class="sidenote">(1166)</span>, mentre essi munivano le chiuse
-perchè non potesse rimenare eserciti.
-</p>
-
-<p>
-Tutto ciò rendeva più sentiti i lamenti dei Milanesi,
-che senza patria tapinavano di città in città, invocando
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-soccorso e vendetta. Perchè lo straniero era prevalso
-alla comune libertà? perchè li trovò disuniti e nemici.
-Per tornar forti e mantenersi liberi di che han dunque
-bisogno? di concordia e d’unione. Lo compresero; e
-quelli che nella prosperità non s’erano scontrati che coll’ingiuria
-sul labbro, col pugno sul brando, nella depressione
-rinnovellarono la fratellanza, e posti giù gli
-odj e le gelosie, nel convento di Pontida <span class="sidenote">(1167 aprile)</span>, terra sull’orlo
-del Milanese e del Bergamasco, si strinsero in lega, e
-i varj popoli della Lombardia, della Marca e della Romagna
-sul santo Vangelo giurarono d’ajutarsi reciprocamente,
-compensarsi a vicenda dei danni che patissero
-a tutela della libertà, non far tregua o pace con
-Federico imperatore o co’ suoi se non di comune
-accordo, non soffrire che esercito tedesco scendesse in
-Lombardia; o se scendesse, combatteranno l’imperatore
-e qualunque persona lo favorisca, sinchè esso esercito
-non esca d’Italia, talchè si possano recuperare i
-diritti che la Lombardia, la Marca e la Romagna possedevano
-al tempo d’Enrico III<a class="tag" id="tag130" href="#note130">[130]</a>. Oltre le città che
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-firmarono, fu lasciato (come oggi si dice) protocollo
-aperto a quelle che volessero accedervi.
-</p>
-
-<p>
-Posata una mano sulla spada, stesa l’altra ai fratelli,
-conobbero la potenza dell’unione. Primo atto
-de’ collegati Lombardi fu rifabbricare Milano per concordi
-cure, come per ira concorde l’avevano sfasciata;
-poi tentate invano le persuasioni, mossero a soggettar
-le città, che la gratitudine o la paura serbava con Federico,
-e costringerle ad entrare nella Lega Lombarda.
-</p>
-
-<p>
-Papa Alessandro III erasi ricusato di rimettere a un
-concilio, raccolto in Pisa da Federico, la decisione fra
-lui e l’antipapa; ma vedendo occupate tutte le terre di
-santa Chiesa da scismatici e imperiali, dovè cercare
-rifugio in Francia; dove ebbe grandi onori, e i re di
-questa e d’Inghilterra camminarono allato al suo cavallo
-tenendogli le staffe. Di là favoriva di conforti o
-di benedizioni la Lega, e lanciò contro Federico la scomunica,
-in cui, come «vicario di san Pietro costituito
-da Dio sopra le nazioni e i regni, assolve gl’italiani e
-tutti dal giuramento di fedeltà che a quello li legasse
-fosse per l’impero o per il regno; toglie coll’autorità
-di Dio che egli abbia mai più forza ne’ combattimenti,
-o vittoria sopra Cristiani, o in parte veruna goda pace
-e riposo, finchè non faccia frutti degni di penitenza»<a class="tag" id="tag131" href="#note131">[131]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Favoriva pure ai collegati Guglielmo II di Sicilia,
-desideroso che Federico si trovasse impelagato in Lombardia
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-così, da non poter minacciare alla Puglia. Enrico
-III d’Inghilterra, se ottenessero che il papa degradasse
-l’arcivescovo di Cantorbery avversario suo, offriva
-trecento marchi ai Milanesi e di restaurarne le
-mura, altrettanti ai Cremonesi, mille a’ Parmigiani e
-Bolognesi. Fin Manuele Comneno di Costantinopoli, che
-rimeditava i suoi diritti sull’Italia, spedì ambasciadori
-al pontefice per trattare di togliere lo scisma e ricongiungere
-la Chiesa greca alla latina, purchè egli pure
-riunisse sul capo di lui la corona dell’impero d’Occidente
-e d’Oriente, esibendo quant’oro bastasse a snidare
-d’Italia i Tedeschi; intanto concedette sposa una figlia
-ad Ottone Frangipani, principalissimo in Roma, cercò
-l’amicizia de’ Genovesi, e ai collegati Lombardi somministrò
-oro per comprare i mercenarj, allora introdottisi
-nelle nostre guerre. Però il papa, fido all’idea
-de’ suoi predecessori, voleva la sede del rannodato impero
-non fosse che a Roma; il Comneno ostinavasi per
-Costantinopoli, tantochè restarono disconchiusi.
-</p>
-
-<p>
-A soffogare quest’incendio, Federico scende di
-nuovo per la val Camonica, e imparato linguaggio più
-mite a fronte de’ popoli concordi, promette far ragione
-delle querele. Intanto di nuove ne eccita con trattamenti
-da nemico, devasta il Bolognese per vendicare
-Bosone suo ministro ivi ucciso, e leva contribuzioni e
-ostaggi. Ma udito che gli abitanti di Tusculo e d’Albano,
-a lui favorevoli, erano stati aggressi dai Romani coi
-soliti guasti, accorse, e diede una battaglia sanguinosissima
-ai Romani, poi volse sopra la loro città. La
-pose in difesa Alessandro, secondato dai Siciliani; ma
-Pasquale antipapa inanimava Federico, che per prendere
-il Vaticano gettò fuoco alla chiesa di San Pietro,
-e dal suo papa si fe novamente coronare. Allora propone
-ai Romani che inducano Alessandro ad abdicare,
-ed egli a vicenda vi indurrà Pasquale, in tal modo
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-finendo lo scisma: e i Romani, desiderosi di pace, gli
-davano ascolto; sicchè Alessandro, nè tampoco tenendosi
-sicuro nelle incastellate case de’ Frangipani, ricoverò
-a Gaeta. I Pisani secondavano l’imperatore, e
-misero in fuga il loro arcivescovo che li dissuadeva dall’osteggiare
-il pontefice, e lo ajutarono a prender Roma.
-Ma la mal’aria decimò il suo esercito, ed uccise l’arcivescovo
-di Colonia, sette vescovi, molti principi e
-magnati; onde Federico si levò in isconfitta, perdendo
-per istrada gran parte dell’equipaggio, e forse duemila
-baroni e prelati e cavalieri, oltre i soldati. A Pavia,
-mantenutasegli fedele, mette al bando dell’Impero le
-città federate, e gitta in aria il guanto in segno di sfidarle;
-ma non osa assalirle, per tema che negl’italiani
-che seco militavano, l’amor de’ fratelli non prevalga
-alla feudale lealtà; infine, con solo un pugno d’uomini
-riprende la strada della Savoja, lasciando appiccati qua
-e là ostaggi lombardi. I cittadini di Susa gli tolsero
-gli altri, e insidiavano lui pure, che col promettere
-monti d’oro<a class="tag" id="tag132" href="#note132">[132]</a> e ogni grazia e bene al conte di Morienna
-ottenne di passare per le sue terre <span class="sidenote">(1168)</span> travestito in
-Germania.
-</p>
-
-<p>
-Ne’ sei anni che Federico stette fuori, ingrandirono
-di numero e vigore le nostre repubbliche, ripigliammo
-le città imperiali, costringemmo l’antipapa a venire
-alla devozione di Alessandro III, togliemmo le fortezze
-ai fazionieri dell’imperatore, e specialmente al conte di
-Biandrate, distruggendone la rôcca, levandone gli
-ostaggi, e uccidendo la guarnigione. Federico mandò
-un grosso di truppe, guidate da Cristiano arcivescovo
-di Magonza e cancelliere dell’Impero, guerriero terribile,
-che una volta colla mazza sfracellò trenta nemici,
-e insieme voluttuoso sì, che traeva dietro donne e muli
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-tanti, da costare più che il corteggio imperiale. Malmenò
-costui la Lombardia, e guastatine i dintorni,
-assediò Ancona, città molto cara all’imperatore Comneno
-come opportunissima a sbarcare in Italia; e lo
-ajutarono i Veneziani per disgusto che presero coll’imperatore
-bisantino, o per emulazione commerciale.
-La città fu ridotta a pascersi di sorci e di cuojo secco,
-pur resistette con coraggio degno degli antichi eroi.
-Raccontano che un prete Giovanni con una scure andò
-nuotando a tagliar la gomona d’un grossissimo naviglio
-veneto detto <i>Tutt’il mondo</i>, per quanto lo saettassero
-i marinaj, che a stento si salvarono; mentre
-altri sull’esempio suo recisero le àncore di sette altre
-navi, che dalla tempesta furono fracassate. La vedova
-Stamura vedendo i suoi dare indietro da una sortita
-fatta per incendiare le macchine nemiche, prese un tizzone
-e si avventò verso quelle, malgrado le freccie
-appiccandovi la fiamma. Un’altra donna, visto un combattente
-estenuato perchè da più giorni non assaggiava
-cibo, gli porse il poco latte del suo petto, sottraendolo
-al proprio bambino<a class="tag" id="tag133" href="#note133">[133]</a>. E la perseveranza
-ebbe premio, perocchè Ancona fu liberata dai Ferraresi
-e dalla contessa di Bertinoro.
-</p>
-
-<p>
-Non che la parzialità imperiale fosse spenta, sopravviveva
-quasi in ciascun paese, e dove prevalesse
-lo traeva a quella bandiera. Così in Bergamo il vescovo
-Gherardo parteggiava pel Barbarossa, mentre il popolo
-pe’ suoi avversarj. Cremona e Tortona accettarono
-l’alleanza di Federico. Como era spinto a vicenda da
-un partito o dall’altro; e quando gl’imperiali rizzarono
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-le creste, distrussero il castello di Gravedona, e la memorabile
-isola Comacina <span class="sidenote">(1169)</span>, la quale più non risorse.
-</p>
-
-<p>
-In Roma il senato non volea spossessarsi dell’acquistata
-autorità, sicchè Alessandro non potea rimettervi
-piede. Si continuava pure ostinata guerra ai Tusculani,
-i quali non videro scampo che nel porsi alla tutela
-del papa stesso. Ma i Romani proposero a questo di
-pacificarsi e riceverlo entro se li lasciasse abbattere
-le mura di Tusculo: ed egli acconsentì: ma essi, sfogata
-l’ira, non si curarono della promessa, sicchè il
-papa (il cui nome or si sparnazza fra i liberatori d’Italia)
-fu costretto stare in armi nella campagna.
-</p>
-
-<p>
-Costanti coll’Impero in Lombardia teneansi principalmente
-la città di Pavia e il duca di Monferrato, e
-per la vicinanza si sorreggeano l’un l’altro. I collegati
-lombardi pensarono dunque porre una barriera fra
-costoro: e uniti i loro stendardi, invece di più ricostruire
-Tortona, una nuova città piantarono <span class="sidenote">(1168)</span> ove la Bòrmida
-confluisce col Tànaro; dal nome del pontefice
-la dissero Alessandria, e i nemici la soprannomarono
-<i>della paglia</i>, perchè di paglia si coprirono le case
-fretta fretta fabbricate, e recinte di nulla più che un
-siepato, un terrapieno e liberi petti. Ebbe subito quindicimila
-cittadini, privilegio di libero Comune, e sette
-anni dopo il vescovado<a class="tag" id="tag134" href="#note134">[134]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Appena gli affari di Germania glielo assentirono,
-Federico in persona calò un’altra volta; fra via distrusse
-Susa in vendetta dello smacco soffertovi; coll’assedio
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-costrinse Asti a rinunziare alla Lega; e rinforzato da
-nuova gente di tutta Germania e di mezza Italia, assediò
-la neonata Alessandria. Ma per quanto vi moltiplicasse
-valore, crudeltà e astuzie, dovette allargarla al
-sopravvenire di un esercito lombardo, che il sagrifizio
-della magnanima cittadella avea dato tempo di radunare.
-A questo si fe incontro Federico. Onest’uomini
-e religiosi s’interposero, al cui lodo si rimisero ed
-egli e i Lombardi. Ma quegli volea salvi i diritti imperiali,
-questi salve le libertà loro e della Chiesa;
-sicchè del conchiudere fu nulla, e Federico avendo
-consumato anche il sesto esercito, mandò a sollecitarne
-un nuovo, che di Germania gli fu condotto dalla moglie
-per l’Engadina, Chiavenna e il lago di Como. A
-incontrarlo mosse egli coi Lodigiani, e ritornava accompagnato
-dai Comaschi per congiungersi ai Pavesi
-e ai Monferrini, quando nella pianura di Legnano <span class="sidenote">(1176 — 29 mag.)</span> ecco
-gli si attraversa l’esercito de’ collegati. Sulle prime egli
-ebbe il vantaggio, e vide le spalle de’ nostri; ma la
-Compagnia della Morte, giovani risoluti a perire anzichè
-perdere, si strinse attorno al carroccio, scompose
-l’ordinanza nemica, e la mandò a sbaraglio. Federico
-stesso non campò la vita che tenendosi rimpiattato
-sotto i cadaveri; e la moglie, da lui lasciata nel castel
-Baradello di Como, il pianse per morto finchè nol vide
-ricomparire umiliato e fremente.
-</p>
-
-<p>
-Il Tedesco aveva trovato sostegno da alcune repubbliche
-marittime, che lo bramavano favorevole alle loro
-ambizioni. Barisone d’Arborea, uno de’ giudici o re di
-Sardegna <span class="sidenote">(1163)</span>, agognando tutta l’isola, ne aveva impetrata
-da Federico l’investitura per quattromila marchi d’argento:
-ma nè l’imperatore avea diritto a disporre di
-quella, nè Barisone i denari da pagarla. Questi gli furono
-anticipati da Genova, desiderosa d’accorciare i
-panni all’emula Pisa, che colà teneva sovranità: ma
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-Barisone, non essendo in grado nè di restituire ai Genovesi
-nè di resistere ai Pisani, si conciliò con questi;
-talchè i Genovesi rimasero peggiorati della somma e
-della speranza. Ne venne guerra sanguinosa di molti
-anni, dove i Liguri riuscirono superiori, attenendosi a
-Federico, promettendogli la flotta per l’impresa di Sicilia,
-e ricevendo da lui promessa di cedere Siracusa
-e ducencinquanta feudi in val di Noto, appena dell’isola
-si fosse insignorito. Di rimpatto i Pisani si volsero all’imperatore
-di Costantinopoli, e mandati e ricevuti ambasciadori,
-conchiusero un’alleanza che assicurava loro
-la franchigia in tutti i porti dell’impero greco, ogni anno
-il tributo di cinquecento bisanti d’oro, e due tappeti di
-seta a Pisa, e di quaranta bisanti e un tappeto all’arcivescovo.
-Invano Federico intimò che Genovesi e Pisani
-rimettessero in lui le loro differenze, e gli uni e gli altri
-speravano da esso l’investitura della Sardegna, e intanto
-lo accarezzavano e lo provvedevano per le sue imprese.
-</p>
-
-<p>
-Tanto bastava perchè gliene volessero male i Veneziani,
-i quali, se dapprima l’aveano favoreggiato per
-isbaldanzire le repubbliche di terraferma, s’adombrarono
-poi delle crescenti pretensioni; diedero incoraggiamenti
-alla Lega Lombarda, e ricovero al fuggiasco
-Alessandro III. E quando Federico minacciò piantar le
-sue aquile vincitrici in faccia a San Marco, risposero
-alla bravata armando settantacinque galee; e il doge,
-cui il papa cinse la spada d’oro, sbarattò la flotta che
-Genovesi e Pisani aveano allestita all’imperatore. Côlto
-lo stesso figlio di costui, lo trattarono decorosamente,
-e rinviarono con proposizioni di pace.
-</p>
-
-<p>
-E pace dovea desiderare Federico, dopo logorati
-ventidue anni e sette eserciti<a class="tag" id="tag135" href="#note135">[135]</a> contro il clima e le
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-libertà d’Italia. Pertanto s’industriò di staccare dalla
-Lega Alessandro, e gli inviò deputati ad Anagni, i quali
-gli dissero: — È indubitato che, dai primordj della
-Chiesa, Dio volle vi fossero due capi, dai quali venisse
-governato questo mondo: la dignità sacerdotale, e la
-podestà regia. Se queste non si appoggino in vicendevole
-concordia, non potrà mantenersi la pace, e il
-mondo andrà in subugli e guerre. Cessi dunque la nimistà
-fra voi due, capi del mondo; e vostra mercè sia
-resa la pace alla Chiesa e al popolo cristiano»<a class="tag" id="tag136" href="#note136">[136]</a>. Alessandro
-rispose, ben egli volerla, ma questa dover essere
-comune anche a’ suoi alleati e difensori. Il pontefice
-trattava di ciò pubblicamente; gli ambasciadori imperiali
-avrebbero voluto stipulare in privato, col pretesto
-che alcuni avversavano la loro concordia: ma sebbene
-per quindici giorni si disputasse, nulla fu tratto a riva.
-Federico dunque chiese un abboccamento con Alessandro,
-e questi (tanto si fidava) volle da lui, da suo
-figlio e dagli altri grandi il giuramento di non nuocere
-alla sua persona, e andò a Venezia coi deputati
-delle città lombarde<a class="tag" id="tag137" href="#note137">[137]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-</p>
-
-<p>
-Federico proponeva o si stesse al dettato della dieta
-di Roncaglia, oppure a quanto osservavasi al tempo
-di Enrico IV: i Lombardi rifiutavano la prima, non
-convenzione, ma ordinanza di Roncaglia; quanto all’altra,
-dicevano mal ricordarsi di quegli usi; sapere
-che da un pezzo godeano le regalie e il diritto di eleggere
-i magistrati, e voler conservarlo; sicchè non potè
-venirsi a conchiusione. Bastò dunque appuntare un
-accordo <span class="sidenote">(1177)</span>, ove Federico riconosceva il pontefice escludendo
-gli antipapi, e prometteva tregua per quindici
-anni col re di Sicilia, per sei colle città lombarde, duranti
-i quali egli non n’esigerebbe il giuramento di
-fedeltà, e si stabilirebbero de’ <i>treguarj</i> che terminassero
-le contese eventuali, impedendo di farsi ragione
-colle armi. Esso imperatore in compenso godrebbe per
-quindici anni i beni allodiali della contessa Matilde, che
-poi cederebbe alla Chiesa romana; e a tali condizioni
-verrebbe ricomunicato.
-</p>
-
-<p>
-Fu Alessandro III uno sleale, che abbandonò gli
-alleati suoi per patteggiare in disparte? o fu un inetto
-che non seppe cogliere il destro di distruggere la potestà
-imperiale e l’ingerenza tedesca, e assicurare per
-sempre l’indipendenza d’Italia?
-</p>
-
-<p>
-Nè l’un nè l’altro può crederlo chi non confonda le
-idee e le aspirazioni dei tempi nostri con quelli d’allora.
-I Lombardi non aveano mai inteso d’annichilar
-l’imperatore, e fino ne’ momenti più prosperi chiesero
-soltanto di vedere assicurati i proprj privilegi, sotto
-la primazia di quello: come gli arimanni si consideravano
-liberi perchè dipendenti dal solo re, così libere
-chiamavansi le città che non avessero altra superiorità
-che l’imperatore. Anzi i capi della Lega dinanzi al papa
-nella chiesa di Ferrara il 1177 dichiaravano: — Sia
-noto alla santità vostra e alla potestà imperiale, che
-con riconoscenza riceveremo la pace dall’imperatore,
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-salvo l’onore dell’Italia, e che desideriamo essere rimessi
-nella grazia di lui, secondo le vecchie consuetudini,
-nè ricusiamo le antiche giustizie: ma non consentiremo
-mai a spogliarci della nostra libertà, che
-abbiamo ereditata dai padri e dagli avi, e non la perderemo
-che colla vita, essendoci più caro il morir liberi
-che il vivere in servitù»<a class="tag" id="tag138" href="#note138">[138]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A tale intento avviava appunto la tregua, durante la
-quale fu stipulata una soda pace. Quanto al pontefice,
-abbattendo l’imperatore avrebbe disfatto l’opera de’ predecessori
-suoi, i quali avevano ridesto il nome d’imperator
-romano, e affidato a quello la primazia temporale
-della cristianità; e quand’anco gli ebbero contumaci
-e ribelli, mai non pensarono distruggerli, ma al più
-surrogarne uno, meglio docile e religioso.
-</p>
-
-<p>
-I Veneziani che aveano giurato ad Alessandro, finch’egli
-vi stesse, non ricevere nella loro città Federico,
-dispensati dalla promessa, andarono a prenderlo da
-Chioggia colla splendidezza che la sposa dell’Adriatico
-pose sempre nelle sue feste. Federico, approdato alla
-piazzetta, baciò il piede del papa, al quale poi servì
-da mazziere, allontanando colla verga la folla; della
-predica che Alessandro recitò in latino, il patriarca
-d’Aquileja fece la spiegazione in tedesco, onde contentare
-la devozione dell’imperatore; il quale assolto, dopo
-il <i>credo</i> baciò ancora il calcagno del pontefice e fe
-l’oblazione; poi ne ricevette la comunione; e finita la
-messa, lo accompagnò per mano sino alla porta della
-basilica, gli tenne la staffa, e lo menò per la briglia fino
-al palazzo<a class="tag" id="tag139" href="#note139">[139]</a>. Che il papa mettesse il piede sovra il
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-collo dell’umiliato imperatore, proferendo il versetto
-del salmo <i>Sovra l’aspide e il basilisco passeggerai,
-calcherai il leone e il drago</i>, e che Federico rispondesse
-di rendere quell’omaggio non a lui ma a san
-Pietro, è un fatto controverso, ma che nulla ripugna
-coi tempi; che se gli spiriti forti del secolo passato,
-striscianti appiè dei troni, lo negarono con orrore, la
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-libera Venezia non esitò a farlo dipingere tra i fasti
-nazionali.
-</p>
-
-<p>
-In nome del Barbarossa, Enrico di Diesse giurò sui
-vangeli, sulle reliquie, e sopra l’anima dell’imperatore,
-che questo manterrebbe la pace: altrettanto fecero dodici
-principi dell’Impero, gli ambasciadori di Sicilia, e
-i consoli di Milano, Piacenza, Brescia, Bergamo, Verona,
-Parma, Reggio, Bologna, Novara, Alessandria,
-Padova, Venezia. I vescovi di Padova, Pavia, Piacenza,
-Cremona, Brescia, Novara, Acqui, Mantova, Fano, che
-in opposizione alle loro plebi aveano favorito all’imperatore
-e all’antipapa, furono ribenedetti.
-</p>
-
-<p>
-Alessandro III fu ricevuto festivamente anche dai
-Romani, avendo conceduto che il senato durasse, ma
-con giuramento di fedeltà al papa, al quale si restituissero
-la basilica di San Pietro e le regalie. L’antipapa
-venne all’obbedienza dacchè si trovò abbandonato dall’imperatore:
-ma un avanzo di coloro che credono fermezza
-l’ostinazione, nominò un altro che presto fu imprigionato.
-Un concilio ecumenico in Laterano di trecentodue
-vescovi procurò rimarginar le piaghe della
-Chiesa.
-</p>
-
-<p>
-Federico, ch’era tornato in Germania per racconciarne
-il freno, mandò deputati, i quali in Piacenza
-stesero i preliminari d’un accordo. A Costanza, memorabile
-città lietamente posta colà dove il Reno sfugge
-dal lago, e al verdeggiante declivio fan contrasto le
-ghiacciaje del Sangallo e d’Appenzell, fu poi conchiusa
-tra le città lombarde e l’Impero la pace <span class="sidenote">(1183 — giugno)</span> che coronava
-i magnanimi sforzi, e consolidava le repubbliche nostre,
-non più come un fatto ma come un diritto. L’imperatore
-dichiarava avrebbe potuto castigare i colpevoli,
-ma per clemenza e dolcezza preferiva perdonare,
-e far loro del bene. Comprese nel trattato furono Milano,
-Vercelli, Novara, Lodi, Bergamo, Brescia, Mantova,
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Bologna, Faenza,
-Modena, Reggio, Parma, Piacenza: come alleate dell’imperatore
-figurarono Pavia, Cremona, Como, Genova,
-Alba, Tortona, Asti, Alessandria che, anticipando
-la pace, n’aveva conchiusa una particolare, e mutato
-il nome in Cesarea. De’ signori feudatarj non appajono
-che Obizo Malaspina di Lunigiana colla parte imperiale;
-colla nostra i conti di Biandrate e di Monferrato.
-A Ferrara si lasciò arbitrio di accedere fra due mesi.
-Restarono escluse nominatamente Imola, Castro, San
-Cassiano, Bobbio, Gravedona, Feltre, Belluno, Céneda.
-Venezia non v’è tampoco nominata, giacchè, essendo
-indipendente affatto dall’Impero, non voleva pregiudicarsi
-con questo trattato.
-</p>
-
-<p>
-A tenore del quale, le città della Lombardia, della
-Marca e della Romagna, entro il loro recinto godrebbero
-le regalie che da immemorabile possedevano, e
-fuori di esso, solo in quanto n’avessero concessione
-dall’imperatore; il vescovo con deputati imperiali esaminerebbe
-quali infatti fossero tali diritti, se pure le
-città non volessero declinare quest’indagine col pagare
-ciascuna annui duemila marchi d’argento, o meno, a
-volontà dell’imperatore. Questi, salva la sua supremazia,
-conferma le immunità e i diritti concessi avanti la
-guerra da lui o da’ predecessori, purchè non cadano a
-pregiudizio d’un terzo. I vescovi che per lo innanzi solessero
-per imperiale concessione confermare i consoli,
-continuassero; nelle altre città si facessero tra cinque
-anni confermare dai commissarj imperiali, e in appresso
-ricevessero l’investitura dall’imperatore. Il quale
-ponesse in ogni città un giudice, cui appellarsi nelle
-cause civili eccedenti il valore di venticinque lire imperiali
-(lire 1575), e che giudicassero fra due mesi,
-ma secondo le leggi della città. Tutti i cittadini dai
-sedici ai sessant’anni giureranno fedeltà all’imperatore
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-ogni dieci anni; a questo, ogniqualvolta venisse in Italia,
-daranno il fodro e gli alloggi, ripareranno le strade,
-apriranno mercato pel suo approvvigionamento: egli
-però non si baderà a lungo in nessuna città o diocesi,
-per non esserle di soverchio aggravio. Del resto sia in
-arbitrio delle città il fortificarsi e confederarsi, e rimangano
-cessate le infeudazioni che si fossero concedute
-dopo la guerra a pregiudizio di esse<a class="tag" id="tag140" href="#note140">[140]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore tornò poi la sesta volta in Italia, ma
-in aspetto amico; sicchè le città nostre gareggiarono in
-mostrare che, come gli aveano resistito in campo,
-sapeano accoglierlo ed onorarlo pacificato. A Verona
-durò tre mesi molto alle strette col pontefice Lucio III
-intorno ai beni della contessa Matilde, senza riuscire
-ancora ad una definizione. I Romani, tornati ben tosto
-sugli umori vecchi e sulle idee di Arnaldo, ostinavansi
-non tanto ad aver repubblica quanto a disobbedire al
-papa, che tennero sempre fuori di Roma; e marciati
-contro Tusculo, dove s’erano fortificati gli avversarj,
-presi molti cherici, gli accecarono, conservando gli occhi
-a un solo che li riconducesse in città sovra giumenti
-e con mitere in capo. Così i nostri emulavano la
-brutalità tedesca: e qual bene promettersi da una repubblica
-mancante di quel che n’è primo fondamento
-la morale? Il papa li scomunicò <span class="sidenote">(1188)</span>; ma solo a Clemente III
-venne fatto di sopire la rivolta di quarantacinque anni,
-col solito scapito della libertà; poichè egli ridusse sotto
-la propria autorità il senato, il Comune, la basilica di
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-San Pietro, e le altre chiese e i diritti regali, pochi
-lasciandone alla città.
-</p>
-
-<p>
-Federico, malgrado la pace, ad or ad ora abbandonavasi
-allo sdegno; indispettito coi Cremonesi che, da
-fedelissimi, gli erano poi mancati, non solo edificò
-Crema a loro dispetto<a class="tag" id="tag141" href="#note141">[141]</a>, ma li guerreggiò; col papa
-Urbano III ebbe nuovi diverbj per l’eredità della contessa
-Matilde; de’ vescovi che morissero occupava i
-beni; col pretesto di punire badesse scandalose, invadeva
-possessi de’ monasteri; impediva il passo dell’Alpi
-a quei che andassero a Roma. Fe’ cingere la corona di
-ferro a suo figlio Enrico; e perchè quello di re d’Italia
-non fosse un titolo senza soggetto, procurò congiungere
-alla primazia sui Lombardi il dominio del reame
-meridionale: ma donde sperava il consolidamento della
-grandezza di sua casa, ne venne la ruina.
-</p>
-
-<p>
-Commessi gli affari d’Italia ad Enrico, il Barbarossa
-tornò in Germania a domare i baroni che gli aveano
-recato molestia durante la guerra d’Italia, ed esercitò
-l’autorità imperiale con rigore qual altri non aveva
-usato da Carlo Magno in poi, fisso soprattutto nel pensiero
-di renderla ereditaria nella sua famiglia. Singolarmente
-gli diede a fare Enrico il Leone. Avendo esso
-imperatore saputo indurre il vecchio Guelfo a rinunziargli
-i beni di sua casa in Italia e in Germania, fra
-cui l’eredità della contessa Matilde, Enrico da quel
-giorno negò soccorrerlo nelle guerre d’Italia, benchè
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-supplicato a ginocchi; messo al bando dell’Impero, fu
-vinto, e a stento ottenne di conservare il Brunswick e
-il Luneburg: ma l’abbassamento di quella casa lasciò
-rialzarsi i baroni secolari ed ecclesiastici, che si assicurarono
-il pieno dominio del proprio territorio.
-</p>
-
-<p>
-Repente un gemito universale annunziò che Gerusalemme,
-la santa città, liberata col sangue di tutta Europa,
-era stata ripresa dai Musulmani, e il colle di Sion
-e la valle del Cedron echeggiavano ancora alle invocazioni
-di Allah. Il gran Saladino, profittando della rivalità
-dei principi latini, gli assalì <span class="sidenote">(1187)</span> e sconfisse, occupò
-Acri, Cesarea, Nazaret, Betlem, e alfine Gerusalemme
-stessa: ed ebbe prigioniero il re Guido di Lusignano.
-Menò egli strage particolarmente de’ cavalieri del Tempio
-e dell’Ospedale, moltissimi fece prigioni, fra cui
-Guglielmo di Monferrato, cugino del Barbarossa, il cui
-figlio avea sposato Sibilla sorella di Baldovino re di
-Gerusalemme, che gli portò in dote la contea di Joppe.
-Un altro suo figlio Corrado, trovandosi allora pellegrino
-in Terrasanta, tolse a difendere Tiro, durando
-intrepido, benchè Saladino minacciasse uccidergli il vecchio
-padre se non rendesse questa città.
-</p>
-
-<p>
-La nuova di tali disastri fu portata in Italia da messi
-vestiti a bruno, che andavano tratteggiando gli esecrandi
-oltraggi usati alla religione, la santa croce trascinata
-per le vie, il sepolcro insozzato, i fanciulli educati
-al Corano, le donne tratte negli harem, e mostravano
-una immagine dove Cristo era battuto e calpesto
-da un Arabo, nel quale doveva riconoscersi Maometto.
-Quest’annunzio accelerò la morte ad Urbano III, che
-prima aveva scritto a tutti i potentati cristiani eccitandoli
-a soccorrere Terrasanta. Come avviene nei gravi
-disastri, una riforma generale parve diffondersi; tregua
-si convenne fra tutti i combattenti; i cardinali raccolti
-a Ferrara per eleggere il nuovo pontefice, non solo
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-incitarono i re alla crociata, ma proposero voler guidarla
-essi stessi; bandirono la tregua di Dio per sette
-anni, e scomunicato chi la violasse; e cominciando l’ammenda
-da sè, promisero vivere poveramente, e non
-ricever doni da sollecitatori, non montare a cavallo <span class="sidenote">(1187)</span>,
-finchè la terra santificata dalla presenza di Cristo
-non fosse ricuperata. Gregorio VIII, vecchio di santa
-vita e macero da penitenze, nel brevissimo regno non
-fece che predicare la spedizione, e a tal uopo cercò
-rappattumare i discordi, e principalmente Genovesi e
-Pisani che si erano continuato feroce guerra. Clemente
-III succedutogli persistette nell’intento: fra gli
-altri, Guglielmo arcivescovo di Tiro, ministro di Baldovino
-IV e storico delle crociate, predicò a Milano,
-a Bologna, ove duemila cittadini presero la croce, e
-in altre città: si permise ai re di riscuotere una <i>decima
-Saladina</i> sopra tutte le rendite d’ecclesiastici e
-di secolari per le spese della guerra: si comandò il
-magro ogni mercoledì, digiuno ogni sabbato, non giurare,
-non giocare a dadi, non imbandire più di due
-piatti, non portare vesti scarlatte o vajo o zibellino, ed
-altre manifestazioni che durano quanto l’entusiasmo.
-</p>
-
-<p>
-Gl’Italiani, che, appunto in quest’occasione, Corrado
-abate uspergense chiama «bellicosi, discreti, sobrj,
-lontani dalla prodigalità, parchi nelle spese quando
-non sieno necessarie, e soli fra tutti i popoli che si
-reggano a leggi scritte», corsero primi all’impresa;
-e Toscani e Romagnuoli, sotto la guida degli arcivescovi
-di Pisa e di Ravenna, approdarono a Tiro. Guglielmo
-il Buono ordinò un generale registro di tutti i
-feudatarj del regno di Sicilia e degli uomini che ciascun
-doveva<a class="tag" id="tag142" href="#note142">[142]</a>, intimando stessero pronti a partire;
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-ed essi s’obbligarono a contribuire il doppio d’uomini:
-e una flotta condotta dall’ammiraglio Margaritone di
-Brindisi valse non poco a sostener Tiro. Saladino, costretto
-a lasciare questa città, tentò sorprendere Tripoli;
-ma i nostri giunsero in tempo a salvare quegli
-ultimi resti del <i>glorioso acquisto</i>.
-</p>
-
-<p>
-Federico Barbarossa, che giovane avea fatto l’impresa
-di Terrasanta, volle coronare la faticosa vita coll’assumere
-di nuovo la croce. Imbevuto del concetto
-della onnipotenza imperiale qual gli era stata definita
-a Roncaglia, mandò intimare a Saladino lasciasse la
-città santa a lui, signore universale perchè successore
-degli antichi cesari. Saladino vi oppose il diritto della
-conquista, e si preparò a sostenerlo. Il Barbarossa col
-proprio figlio e con sessantotto signori, trentamila cavalieri
-e ottantaduemila fanti passò dunque in Palestina
-e prosperò; ma traversando il fiume Salef restò annegato;
-e la crociata riuscì a fine disastroso.
-</p>
-
-<p>
-Il Barbarossa, come gli eroi della tragedia antica,
-operava in forza del carattere, non della moralità;
-postosi un principio, voleva seguirlo. I Comaschi gli
-applausero come restauratore del diritto, punitor delle
-violenze; altrove fu esaltato come liberatore d’Italia,
-mirando solo agli interessi particolari e a quella indipendenza
-che spesso fu considerata come idea principale,
-mentre non è che secondaria. Tutti poi i nostri
-lo inneggiarono quando rinunziò alle idee germaniche,
-conservando sola la lealtà, con cui accettò il patto di
-Costanza. I Germani lo venerarono qual rappresentante
-della loro stirpe, e non lo credettero morto, ma
-che si fosse ridotto nel campo dorato sul Kiffhäuser,
-tenendo corte colla figlia e coi burgravi, sedendo a
-una tavola di marmo, attorno alla quale crebbe la sua
-barba rossa. E verrà giorno che uscirà ancora co’ suoi
-fedeli, e farà grande il popolo tedesco sopra tutti gli
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-altri. In Italia altrimenti; e mentre a Carlo e Ottone,
-perchè favorevoli alla causa popolare, fu mantenuto il
-titolo di Grandi, Federico, non inferiore ad essi, vien
-tuttora ricordato con orrore dal popolo, cui si mostrò
-infesto<a class="tag" id="tag143" href="#note143">[143]</a>.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap85">CAPITOLO LXXXV.
-<span class="smaller">Ordinamento e governo delle Repubbliche.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Così scarsi tornano nella nostra storia i momenti,
-ai quali possa confortarsi la ragione ed esaltarsi il
-sentimento, che è ben dritto se gl’italiani si fermano
-con compiacenza sopra la Lega Lombarda.
-</p>
-
-<p>
-Legame puramente esterno e di momentanea provvisione,
-essa non cambiava le condizioni de’ singoli
-Stati, ciascuno de’ quali come indipendente proseguiva
-nella fatica di ordinarsi. Abbastanza ripetemmo che la
-rivoluzione dei Comuni, tanto decisiva, non fu radicale,
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-e lasciò sussistere molte parti del passato, che oggi
-sarebbero le prime a distruggersi. Oggi poi si vorrebbe
-innanzi tutto precisare i diritti dei cittadini, farli
-tutti eguali in faccia alla legge, concentrare i poteri
-maestatici in un magistrato supremo, abbastanza robusto
-nella sua azione; separare la podestà legislativa
-dall’esecutiva, e dare indipendenza e stabilità alla giudiziale,
-distribuita in una gerarchia di tribunali con
-precise attribuzioni; proclamare leggi fisse, ed evitare
-ogni tumultuosa applicazione di esse; discutere pubblicamente
-i conti, scompartire con equità l’imposta,
-ottenere l’esercizio rapido e uniforme dell’autorità,
-sottraendola all’arbitrio di un capo, alle gelosie dell’aristocrazia,
-alle tumultuose incostanze del vulgo; trovare
-il modo più conveniente a rendere rappresentato ogni
-bisogno, ogni forza, ogni capacità, ed anche la provincia
-per togliere la prevalenza oppressiva della capitale;
-chiarire e sodare le relazioni cogli Stati vicini,
-e i diritti e doveri reciproci; e principalmente assicurare
-l’indipendenza dello Stato per maniera che nessuno
-estranio s’intrometta dell’interno suo ordinamento.
-</p>
-
-<p>
-Non a questo senso intendevasi allora la libertà, nè
-chiaro concetto si avea di ciò che or chiamiamo lo Stato;
-e dal tentonare d’inesperti sarebbe troppo l’attendersi
-quel senno e quella prudenza, che sì spesso fallisce a
-noi pure, a noi insegnati da lunghissima esperienza e
-da tanti errori. Ingegniamoci di orientarci per quanto
-è possibile fra tanta varietà di ordini, di statuti, di
-vicende.
-</p>
-
-<p>
-Sottoposta che fu la campagna alla città, limite di
-ciascuna Repubblica rimase ordinariamente quello delle
-giurisdizioni vescovili; onde oggi ancora le diocesi,
-colla bizzarra loro conformazione, indicano il territorio
-di quelle. Da ciò, se non originata, mantenuta
-la prodigiosa differenza dei dialetti; da ciò la moltiplicità
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-di edifizj civili e religiosi, nessuna volendo restare
-di sotto della vicina; da ciò le guerricciole; da
-ciò fatti meno penosi i frequenti esigli, poichè il fuoruscito
-a due passi trovava sicurezza, senza aver mutato
-nè favella nè clima.
-</p>
-
-<p>
-La pace di Costanza ebbe sanzionata la rivoluzione,
-che da serve ridusse franche le città, ma non attribuiva
-loro l’indipendenza, bensì la libera podestà di
-governo, il diritto d’eleggere ciascuna i proprj magistrati,
-far leggi, munirsi, conchiudere pace e guerra,
-imporsi tributi e ripartirli, regolare la polizia rurale
-e l’industria, militare sotto la propria bandiera, non
-essere obbligati andar fuori del Comune per pagare
-tributo o rispondere a citazioni, esercitare liberamente
-la pesca e la caccia. Essa pace non conferiva però
-nuovi diritti, neppure uguagliava gli antichi; ciascuno
-rimaneva nella condizione ove l’avea trovato la guerra,
-con più o meno privilegi, secondo gli aveva compri,
-estorti, acquistati, ottenuti. Nè tampoco si distruggeva
-veruna delle antiche dipendenze; e nella città libera
-potevano ancora durare un conte feudale, un vescovo
-con diritti sovrani, qualche uomo indipendente dai comuni
-magistrati, e servi fuor della legge.
-</p>
-
-<p>
-Di sopra poi di tutti stava un re o un imperatore,
-la cui supremazia in sostanza si riduceva a mettere il
-proprio nome sulle monete e agli istromenti, riscuotere
-annuo tributo, e la <i>paratica</i> al primo suo venire
-in Italia, determinata per ciascun Comune con particolari
-convenzioni. Nel 1185 Federico I «volendo viemeglio
-premiare quelli che più perseverano nella devozione
-alla sacra maestà dell’Impero, ed osservando il
-valore, la fede, la devozione de’ <i>suoi</i> diletti cittadini
-milanesi, il cui affetto, più degli altri ardente, li mostra
-di giorno in giorno meglio meritevoli de’ suoi favori»<a class="tag" id="tag144" href="#note144">[144]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-cede loro tutte le regalie che esso teneva nell’arcivescovado
-di Milano in terra e in mare, determinando il
-tributo in lire trecento, oltre la paratica. Quest’ultima
-dagli abitanti di Treviglio fu fissata in sei marchi d’argento.
-Il Comune di Brescia ricompravasi nel 1192
-da tutte le regalie per due marchi l’anno, e gliene faceva
-carta Enrico VI.
-</p>
-
-<p>
-I diritti regali non espressi nel patto di Costanza era
-convenuto sarebbero ponderati dal vescovo di ciascuna
-città insieme con probi uomini; ma essi non competendo
-se non al re che fosse eletto dal voto nazionale,
-pochi fra’ successori del Barbarossa li godettero; e per
-lo più s’accontentarono d’un omaggio e del giuramento
-di fedeltà, trattando i nostri a maniera d’alleati. Enrico
-VI e Federico II, bisognando d’ajuti in guerra,
-strinsero leghe con qualche città, assolvendola dagli
-obblighi imposti dalla pace di Costanza; di modo che
-o per cessione del re, o per ritrosia de’ popoli, s’andò
-smettendo ogni aggravio, eccetto il fodro, che venne
-convertito in sussidio grazioso.
-</p>
-
-<p>
-Anche dalla conferma dei magistrati, riservata all’imperatore
-o a’ suoi messi, le città si riscossero a denaro;
-sebbene le ghibelline, per condiscendenza, gliela
-chiedessero ancora. Nel 1195, davanti alla porta Torre
-di Como, Girardo de Zanibone, Tettamanzo de Gaidaldi,
-Odone di Medolate, consoli del Comune di Cremona,
-col mezzo della lancia e del gonfalone rosso con croce
-bianca, riceveano da Enrico VI l’investitura di quanto
-si contiene nel privilegio di esso Comune<a class="tag" id="tag145" href="#note145">[145]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Federico I erasi riservata l’appellazione delle cause<a class="tag" id="tag146" href="#note146">[146]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-e a riceverla delegava vicarj; venuti però questi di
-peso, le città se ne fecero esentare, traendo anche tale
-diritto ai proprj magistrati o ai vescovi<a class="tag" id="tag147" href="#note147">[147]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Dapprima i messi regj ed i vicarj imperiali poteano
-ogni cosa quanto l’imperatore, salvo che conferire i
-feudi maggiori o di trono, e alienare o ipotecare beni
-e diritti dell’Impero. Abbiamo l’investitura che Federico
-II dava nel 1249 a Tommaso conte di Savoja quale
-vicario della Lombardia da Pavia in giù, affinchè conservasse
-la pace e la giustizia; concedendogli perciò
-il mero e misto imperio e podestà della spada contro
-i malfattori, principalmente quei che molestano le strade;
-udire e risolvere le quistioni civili e criminali, competenti
-all’imperatore; imporre bandi e multe; interporre
-decreti per l’alienazione di cose ecclesiastiche
-e per tutela de’ pupilli; dar tutori e curatori, restituire
-in intero, ricevere l’appello dalle sentenze dei giudici
-ordinarj; ma dalla sentenza di lui possa ricorrersi al
-trono<a class="tag" id="tag148" href="#note148">[148]</a>. Sì estesa autorità andò restringendosi; i
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-messi regj si ridussero a poco meglio che nodari; e
-il vicariato, non che sostenere l’autorità imperiale,
-servì ad ampliare quella de’ grandi, che compravano
-esso titolo per assodare la propria dominazione. Guarnieri
-conte di Humberg, vicario d’Enrico VII, dovette
-abbandonare la Lombardia per assoluta mancanza di
-denaro: per la causa istessa Princivalle del Fiesco,
-vicario di Rodolfo d’Habsburg, vendette alle città di
-Toscana le giurisdizioni dell’Impero<a class="tag" id="tag149" href="#note149">[149]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ne’ ricchissimi archivj di Lucca investigammo altrove
-la formazione di quel Comune (pag. 38): studiandovi
-ora le relazioni delle Repubbliche coll’Impero,
-troviamo che nel 1162, alla presenza dell’arcivescovo
-di Colonia, arcicancelliere dell’Italia e legato imperiale,
-i consoli maggiori giurarono sugli evangeli fedeltà a
-Federico I, e di nulla attentare a suo danno, anzi soccorrerlo
-a sostener la corona e l’onor suo, o recuperarli;
-non palesare gli ordini secreti ch’egli trasmettesse;
-e per la guerra o per la pace in Toscana e per
-le regalie starà alla sua parola, l’ajuterà a riscuotere
-il fodro nel vescovado di Lucca, da tutti i cittadini
-farà dargli il giuramento, non guastare nè lasciar guastare
-la strada, dare all’imperatore venti militi nella
-spedizione verso Roma e la Puglia, pagare l’annuo
-tributo convenuto di quattrocento lire, in ricompra di
-tutte le regalie per sei anni. L’imperatore concede
-in ricambio alla città di Lucca di eleggere i consoli,
-i quali vadano a ricevere da esso l’investitura, e gli
-giurino fedeltà<a class="tag" id="tag150" href="#note150">[150]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-</p>
-
-<p>
-Qui è riconosciuta la piena libertà del Comune: eppure,
-due anni dopo, esso Federico confermava il mero
-e misto imperio al vescovo di Lucca sopra gran quantità
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-di terre, ville, castelli, autorizzandolo a far leggi e
-giustizia, e governare per sè o pel suo nunzio, come
-farebbe l’imperatore o un nunzio suo<a class="tag" id="tag151" href="#note151">[151]</a>. Poi nel 1185
-dava un diploma in favore dei Comuni e signori di Garfagnana,
-di Montemagno, di Versilia, di Camajore,
-prendendoli in protezione, esimendoli da ogni dominio
-di città o di autorità qualunque, come soggetti a sè
-solo; abroga le occupazioni di terre, borghi, castelli
-fatte da consoli; obbliga Lucca a riedificare i castelli
-che v’avesse demoliti<a class="tag" id="tag152" href="#note152">[152]</a>. L’anno vegnente, Enrico VI
-rinnovava a questa il privilegio della zecca, delle giurisdizioni
-e regalie nella città e nel distretto, non accennando
-più all’obbligo d’andare i consoli a giurare fedeltà;
-però, anche ne’ trattati con altre potenze, riservino la
-fedeltà all’Impero, e gli paghino sessanta marche d’argento
-l’anno. Nel 1209 Ottone IV, imperatore disputato,
-confermava la carta anticamente datale da Enrico IV,
-con questo che nessun mai guastasse le mura della città
-o le case; non dovessero avere palazzo per l’imperatore,
-nè dare alloggi; non paghino alcun pedaggio da
-Pavia sino a Roma o in Pisa; non abbia molestia chi
-vien a commerciare con Lucca pel mare o pel Serchio;
-non si fabbrichi castello o fortino a sei miglia di circuito;
-nessun giudice di Lombardia eserciti giurisdizione
-in Lucca, se non presente l’imperatore o il suo
-cancelliere<a class="tag" id="tag153" href="#note153">[153]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dall’assicurare il libero governo interno, le esazioni,
-i mercati, le caccie, le pesche, i forni, i mulini, le Repubbliche
-passarono a pretendere dominio sopra i vicini,
-e ne chiedeano ancora la ratifica dagl’imperatori.
-Pertanto nel 1244 Federico II al Comune di Lucca
-concedeva che i castelli di Motrone, Montefegatese e
-Luliano nella Garfagnana con tutte le loro pertinenze
-gli stessero sottoposti; accettasse come concittadini le
-persone della Garfagnana che il vogliano; e i Comuni e
-le persone di questa possano ricevere i podestà e rettori
-di Lucca: vale a dire, li sottraeva alla giurisdizione imperiale
-per sottoporli alla comunale<a class="tag" id="tag154" href="#note154">[154]</a>. Quando i
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-Lucchesi parteggiarono col papa, esso Federico cassò
-quelle concessioni, investendone invece il figlio e vicario
-suo Enzo; ma riconciliatosi, le restituì al Comune di
-Lucca come feudo, talchè questa città, internamente
-repubblicana, riguardo agli esterni avea posto nella gerarchia
-feudale<a class="tag" id="tag155" href="#note155">[155]</a>. Eppure lo stesso Federico donava
-in perpetuo a Pagano Baldovin messinese il territorio
-di Viareggio.
-</p>
-
-<p>
-La libertà dei Comuni guardavasi dunque non come
-un diritto primitivo, ma come una concessione sovrana;
-dal re si chiedevano come privilegio fin le giustizie;
-dal re si facevano confermare i successivi acquisti: ma,
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-secondo il senso feudale, consideravasi indipendenza il
-non aver altro superiore che gl’imperatori.
-</p>
-
-<p>
-Tanto però bastava perchè questi potessero turbare
-le Repubbliche colle loro pretensioni. Altre ne mettevano
-in campo i feudatarj e conti, che solo per necessità
-aveano rassegnato i diritti antichi. Già dicemmo
-(pag. 69) come i vescovi fossero ricchissimi e signori
-di tanta parte di feudi e di giurisdizione. A quello di
-Brescia spettava un quinto dei feudi della diocesi:
-ed erano tanti, che Enrico imperatore avendone sequestrati
-alcuni in pena del favore dato ai papi, trovaronsi
-ammontare a tremila biolche di terra; che poi
-il Comune di Brescia ritolse alla Camera imperiale,
-dandole a livello a tremila poveri. Arimanno vescovo
-cercò ricuperare quei feudi ed altri che l’imperatore
-aveva investiti a laici; ma i nuovi investiti si opposero,
-fecero lega cogli arimanni, irati al vescovo e al Comune
-che li gravava di contribuzioni ad onta dell’antica immunità:
-ne venne guerra di fortuna varia, sinchè anche
-gli arimanni ottennero per patto i privilegi che già
-godeano i valvassori, e assoluzione da ogni tributo e
-servizio di corpo<a class="tag" id="tag156" href="#note156">[156]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I vescovi essendo stati sovrani, consideravano come
-usurpatore o astiavano come vincitore il Comune, e sofisticavano
-sui diritti di quello. Intendo in questo senso
-una carta del 1158, ove i canonici di Santa Maria di
-Novara giurano fra loro di non dar mano a far passare
-al Comune le cose di essa chiesa, nè col fatto o col
-consiglio permettere che questa paghi fodro o dazio al
-popolo o ai consoli; nè ajutarli in ciò che spetti al fortificare
-la città; nè daranno canonicati ai discendenti
-dei consoli che aveano aperto a forza il granajo del
-capitolo, sinchè i padri son vivi, nè di quei consoli che
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-in alcun modo pregiudicassero alla chiesa, o entrassero
-per forza nella canonica o nelle case de’ fratelli<a class="tag" id="tag157" href="#note157">[157]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Sempre poi i vescovi serbarono qualche resto dell’autorità
-loro; e come ricchissimi che manteneansi ancora,
-e capi d’una gerarchia e di un tribunale ecclesiastico,
-guardavansi quai primi cittadini, opinando prima
-di tutti, e facendo la prima comparsa negli affari. Questo
-intralciamento di diritti e di pretensioni potea non recare
-trista sequela di cozzi e di gelosie?
-</p>
-
-<p>
-In mezzo a queste, le Repubbliche si organizzarono
-ciascuna distintamente con una varietà che è mirabile
-sintomo d’estesa ragione negl’Italiani, ma che è impossibile
-a seguirsi se non nelle storie domestiche. Accennando
-que’ sommi capi in che le più s’accordavano, dirò come
-la suprema signoria stesse nell’assemblea dei cittadini,
-alla quale, a suon di trombe o di campana, convocavansi
-plebei insieme e nobili, sommati talvolta a centinaja
-e migliaja. In Milano era di ottocento, poi fu
-cresciuta e là ed altrove sino a millecinquecento e a
-tremila, escludendo solo i mestieri sordidi. A Firenze
-vi entravano le ventiquattro arti e i settantadue mestieri.
-In quella generale adunanza, a voti si decideva
-della pace, della guerra, delle alleanze. Sembra non vi
-si favellasse molto, e che ciò fosse un male lo lascerem
-dire ad altri; ma i partiti non si pigliavano generalmente
-a semplice maggioranza, volendosi ove i due
-terzi, ove i tre quarti; in alcun luogo si raccoglieva
-complessivamente il voto di ciascuno de’ corpi che componeano
-il gran consiglio.
-</p>
-
-<p>
-Pei molti affari dove occorre segreto e decisione
-spedita e spassionata, venne istituito il consiglio minore
-o <i>di credenza</i><a class="tag" id="tag158" href="#note158">[158]</a>, composto de’ più ragguardevoli,
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-giurati di non palesare i trattamenti. Erano di spettanza
-sua le finanze, il vigilare sopra i consoli, le relazioni
-esterne, e vi si disponevano i partiti da sottoporre
-alla deliberazione del popolo.
-</p>
-
-<p>
-I consoli, magistratura, come dicemmo, di attribuzioni
-particolari, e che al formarsi de’ Comuni furono
-posti al governo, erano scelti per suffragi; e senza la
-cauta divisione de’ poteri, doveano render giustizia e
-amministrare la guerra, quasi non corresse divario fra
-i perturbatori dell’ordine interno e dell’esteriore. I
-campagnuoli non erano partecipi della pubblica amministrazione;
-ma molti castelli e borghi, massime di
-Lombardia, crearono consoli proprj, più limitati di autorità,
-sebbene intenti ad emulare i consoli cittadini.
-</p>
-
-<p>
-I doveri dei consoli venivano annoverati nel giuramento
-che essi prestavano entrando in carica, e che
-inscrivasi negli statuti. In quelli di Genova, i più antichi
-che si conoscano<a class="tag" id="tag159" href="#note159">[159]</a>, leggesi il seguente:
-</p>
-
-<p>
-— In nome del Signore, noi piglieremo il magistrato
-questo giorno della purificazione della Madonna,
-e nel medesimo giorno, terminata la compagnia, il
-deporremo.
-</p>
-
-<p>
-«Opereremo sempre a utilità del vescovado e Comune
-nostro, e ad onore della santa madre Chiesa.
-</p>
-
-<p>
-«Esamineremo le quistioni private sulle istanze degli
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-interessati, le pubbliche anche senza istanza, di buona
-fede, secondo ragione e con perfetta egualità, non pregiudicando
-al Comune in favore de’ privati, nè ai privati
-in favor del Comune.
-</p>
-
-<p>
-«In caso di disparere tra noi, varrà la pluralità; in
-caso di parità, ci riporteremo a un savio, di cui non
-sia conosciuto il parere.
-</p>
-
-<p>
-«Rivocheremo e miglioreremo le sentenze fatte dal
-nostro consolato, qualunque volta il richieda la giustizia.
-</p>
-
-<p>
-«Sentenzieremo in pubblico entro quindici giorni
-dopo presentato il libello, quando non cada in dì festivo,
-o l’attore non si ritiri.
-</p>
-
-<p>
-«Per una sentenza non percepiremo direttamente o
-indirettamente più di tre soldi.
-</p>
-
-<p>
-«Quando alcuna parte non trovi avvocato difensore,
-a sua istanza glien’eleggeremo; e se l’eletto ricusi, o
-non si adoperi di buona fede, gli vieteremo di comparirci
-dinanzi per tutto il nostro consolato.
-</p>
-
-<p>
-«Imporremo a’ testimonj chiamati in giudizio dalle
-parti, di comparire e deporre il vero, obbligandoli, in
-caso di rifiuto, al rifacimento del danno. Nelle cause
-maggiori non si vorrà meno di dodici testimonj. Di
-chi citato a testimoniare, negasse comparire davanti a
-noi e giurare il vero, faremo vendetta a nostro arbitrio,
-ancorchè sia negli ordini sacri, perchè così vuole
-ragione.
-</p>
-
-<p>
-«Le proprietà, i feudi e i diritti posseduti pacificamente
-per trent’anni, conserveremo intatti a’ possessori.
-</p>
-
-<p>
-«In caso d’omicidio premeditato e palese, manderemo
-in esiglio il colpevole, daremo il guasto a’ suoi beni,
-e il possesso di quelli a’ più stretti congiunti dell’ucciso,
-o, quando li rifiutassero, alla cattedrale. Se non sia
-provato chiaramente il reo, permetteremo a’ congiunti
-fino in terzo grado di domandargli d’ammenda quanto
-vorranno, o quanto almeno potrà dare l’accusato. E
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-s’egli rifiuterà pagarla, e sfiderà a battaglia l’accusatore,
-sarà lecito, e il soccombente puniremo come
-avremmo punito il palese omicida.
-</p>
-
-<p>
-«Chiunque portasse armi dal suono del campanone
-sin alla fine del parlamento, condanneremo in lire dieci
-se n’abbia almeno cinquanta, o in una se n’abbia sopra
-dieci, e in meno a nostro arbitrio se povero.
-</p>
-
-<p>
-«Non permetteremo torri più alte di ottanta piedi,
-e a venti soldi per piede condanneremo i trasgressori.
-</p>
-
-<p>
-«I falsatori di monete e i complici loro spoglieremo
-d’ogni avere e d’ogni diritto a favore del pubblico erario;
-proporremo al parlamento che siano banditi in
-perpetuo; e venendo in nostro potere, farem loro troncare
-la destra. Sarà però necessario a un tanto castigo
-o la confessione del reo, o ch’e’ sia convinto mediante
-legale deposizione de’ testimonj.
-</p>
-
-<p>
-«Ad ambasciatori assegneremo solo l’onorario approvato
-dalla maggioranza del parlamento.
-</p>
-
-<p>
-«Vieteremo il portare nel nostro distretto merci
-pregiudicievoli alle nostrali, salvo i legnami e guarnimenti
-di nave.
-</p>
-
-<p>
-«Non imprenderemo guerra, nè faremo oste, divieto
-o imposizione senza il consenso del parlamento; nè
-aumenteremo i dazj marittimi, fuorchè all’occasione di
-nuova guerra in mare; e i pesi cadranno uguali su
-tutti.
-</p>
-
-<p>
-«Chiunque, invitato da noi o dal popolo ad ascriversi
-nella nostra compagnia, non avrà aderito entro
-undici giorni, ne sarà escluso per tre anni avvenire;
-non accetteremo in giudizio le sue istanze, salvo fosse
-per difesa; nè lo nomineremo ai pubblici uffizj, e farem
-divieto che nessuno della nostra compagnia lo serva
-delle sue navi, o lo difenda ai tribunali.
-</p>
-
-<p>
-«Qualunque volta un estranio sarà accettato nella
-nostra compagnia, gli daremo il giuramento di abitazione
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-non interrotta nella nostra città, secondo il consueto
-degli altri cittadini. Pe’ conti, pe’ marchesi e per
-le persone domiciliate fra Chiavari e Portovenere basterà
-l’abitazione di tre mesi l’anno.
-</p>
-
-<p>
-«Osserveremo fedelmente l’appalto delle monete a
-coloro che si sono obbligati verso il Comune, e saranno
-leali alle convenzioni co’ principi e popoli forestieri».
-</p>
-
-<p>
-Per correggere lo sconcio feudale di lasciare nelle
-mani stesse l’amministrazione e la giustizia, si distinsero
-i consoli minori o dei placiti, specialmente applicati ai
-giudizj, a differenza di quei del Comune o maggiori<a class="tag" id="tag160" href="#note160">[160]</a>.
-Trattavano collegialmente le cause: tenendo giurisdizione
-separata in distinti quartieri: e il tribunale di
-ciascuno distinguevasi con insegna particolare, dicendosi
-del bue, dell’aquila, dell’orso, del leone, e così
-via; a Piacenza erano dipinti sul tribunale il griffone
-e il cervo, a Verona l’ariete; a Mantova diceansi del
-banco di san Pietro, di sant’Andrea, di san Giacomo,
-di san Martino<a class="tag" id="tag161" href="#note161">[161]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Consoli chiamavansi, fin prima della libertà, altri
-sovrantendenti alle grasce, alla marina, alle arti o
-simili, e così continuarono. Nel 1172 Milano creava
-otto consoli de’ mercanti, collo stipendio di sette lire
-di terzuoli, e l’obbligo di sopravvedere alle misure,
-riscuotere le multe dei bandi, delle bestemmie e di
-somiglianti trasgressioni, e provvedere che i mercanti
-andassero sicuri. I consoli delle faggie doveano rivendicare
-e difendere i diritti del Comune sovra i pascoli
-intorno alla città, e sopravvegliare alle strade: il quale
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-uffizio a Chieri chiamavasi dei sacristi, a Siena de’ viaj.
-Di poi ciascun corpo volle avere o piuttosto conservò
-consoli proprj; e così le parrocchie e le terre, dove
-sussistettero fin ai giorni nostri quali agenti del Comune.
-</p>
-
-<p>
-Nell’elezione dei consoli operavano spesso l’intrigo
-e l’ingerenza delle famiglie potenti; e trovandosi scelti
-da case e da fazioni nemiche, si contrariavano gli uni
-gli altri, incagliando gli affari, e per tema o preghiere
-o disservigio lasciando lesa o monca la giustizia. La
-potenza de’ consoli annui ed elettivi non era bastante
-a reprimere i faziosi, nè potea reggersi che appoggiata
-ad un partito, mancando dell’imparzialità necessaria a
-garantire i diritti di tutti. I consoli, nemici personali
-de’ castellani ch’essi aveano spossessati, poteano esserne
-giudici? Tornando cittadini dopo un anno, trovavansi
-esposti alle vendette de’ ribaldi che avessero puniti o
-delle famiglie offese. Per dominar l’anarchia bisognava
-un tribunale che da più alto reggesse cittadini e castellani,
-che non fosse nè feudale nè borghese, che potesse
-reprimer robustamente le lotte; popolare così che i
-cittadini lo potessero opporre ai nobili, eppur nobile
-affinchè l’aristocrazia l’accettasse, e che per origine non
-avesse e per lunga dimora non adottasse le passioni
-de’ cittadini. A tale intento Bologna chiamò il faentino
-Guido di Ranieri da Sasso, che esercitasse il potere
-de’ consoli del Comune, e presedesse a quelli de’ placiti.
-Questo nuovo magistrato s’intitolò <i>la podestà</i>, come
-quelli che il Barbarossa ai Comuni sottomessi aveva imposti
-invece dei consoli; e dovea rappresentare l’antico
-elemento imperiale, quasi custode della legale società,
-e di quella giustizia che, anche dopo l’emancipazione,
-si considerava come privilegio imperiale.
-</p>
-
-<p>
-Tale novità si conobbe spediente per ridurre nel Comune
-anche quest’avanzo delle pretensioni imperiali,
-ottenere più disinteressata l’applicazione delle leggi, e
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-operare ne’ casi urgenti colla prestezza che viene dall’unità
-dell’esecutore. Fu dunque adottata, e cernivasi
-il podestà fosse dalla nobiltà castellana rimasta indipendente,
-fosse da città della fazione medesima, fosse
-tra persone celebrate per onestà o per conoscenza di
-leggi. Proposto nel pubblico consiglio, era eletto a pluralità
-di voti, ovvero se ne comprometteva la nomina
-in un certo numero di probi: taluni lo chiedeano al
-papa o all’imperatore, ma presentandogli le convenzioni
-o lo statuto ch’ei dovea giurare anche prima di
-conoscerlo. Da Perugia si mandavano cittadini, e più
-volentieri frati, a conoscere nelle città forestiere gli
-uomini di maggior vaglia, da’ cui nomi imborsati si
-sortiva il nuovo podestà<a class="tag" id="tag162" href="#note162">[162]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Al designato spedivasi un’ambasceria; ed egli, al
-Capodanno o al san Martino, entrava con solenne incontro
-de’ cittadini e del vescovo, e con messa e panegirica
-orazione; e venuto sulla piazza maggiore, recitava
-una diceria, giurava osservare gli statuti, non
-ritenere la carica oltre un anno, e non partirsi prima
-d’aver subìto il sindacato<a class="tag" id="tag163" href="#note163">[163]</a>, e nel nome di Dio assumeva
-l’uffizio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-</p>
-
-<p>
-Egli menava seco due cavalieri per guardia ed onoranza;
-assessori e giudici per consiglio, notaj, siniscalco,
-ministri, servi, cavalli. La giustizia talvolta esercitava
-col solo privato consesso, in alcuni paesi coi consoli
-de’ placiti come a Milano, o co’ giudici de’ collegi come
-a Parma<a class="tag" id="tag164" href="#note164">[164]</a>. Funzionario unico, riuniva l’autorità politica
-e la giudiziaria de’ consoli, ridotti a semplici
-consiglieri col titolo di priori, anziani, rettori o simili:
-straniero come gli antichi conti, eppur magistrato responsale
-come un cittadino, uom di toga e di spada,
-giudice e dittatore, reprime e castellani e borghesi del
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-pari, eseguendo egli stesso i suoi decreti, e usava poteri
-discrezionali come in tempo di guerra. Qui pure il
-giuramento specificava i doveri del podestà, alcuni dei
-quali erano generici, altri speciali d’un tempo e d’un
-luogo.
-</p>
-
-<p>
-Lo statuto genovese porta che il consiglio nomini
-ogni anno trenta elettori, i quali procedano all’elezione
-del podestà per via di polizze: all’eletto accettante due
-nunzj portino a giurare i seguenti capitoli, presente il
-consiglio della natìa sua terra: — Non vedrà gli statuti
-di Genova se non dopo giurato di osservarli: sarà servito
-da venti persone, e accompagnato da tre cavalieri
-e da due a tre giudici a sua elezione, i quali con titolo
-di vicarj o luogotenenti terranno gradatamente sue veci
-in caso di assenza, malattia o morte: salarj, pigioni,
-spese di viaggio resteranno a carico di lui, ma riceverà
-provvisione di lire milletrecento di Genova (da mezz’oncia
-d’oro), due lire al giorno di più nelle campagne
-marittime, nelle terrestri quattro, nelle ambascerie
-quanto deciderà il consiglio: l’anniversario del giorno
-che avrà preso il magistrato, dovrà uscire di Genova,
-e seco i suoi terrazzani e distrettuali, del che si rogherà
-speciale istromento.
-</p>
-
-<p>
-Il podestà di Milano giurava comportarsi col miglior
-modo e senno all’utile della comunità, specialmente
-per la pace e le guerre; le convenzioni e concordie
-tra Milano ed altre città o private persone farà mettere
-in iscritto e conservare; il Comune manterrà nelle concordie
-e convenzioni e nelle concessioni e dazj, e a
-ricuperarli e serbarli; non sarà guida nè spia a danno
-della città, per servizio di niun suo nemico. Quando si
-trovi entro i pubblici fossati, ogni giorno monterà al suo
-uffizio, e la giustizia eserciterà a pro della repubblica,
-nè oltre venti giorni in tutto l’anno starà fuori del Comune;
-non commetterà furto nè frode, nè consentirallo
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-ad altri, ed i commessi denunzierà nel pubblico arringo.
-A titolo d’uffizio non piglierà cosa alcuna nè egli
-nè sua moglie o figliuoli, e neppure nelle legazioni; nè
-avrà altro stipendio che di lire duemila, e il salario di
-cinque giudici. Nelle cause pertinenti a’ consoli di giustizia
-o del Comune, non darà alcun consiglio se non
-ai giudici; delle sentenze sue piglierà soltanto dodici
-denari per libbra, cioè dieci pel Comune e due pe’ giudici
-suoi; le sentenze da proferire non manifesterà se
-non ad un suo giudice ed al notaro che ha a scriverle,
-e saranno conformi alle leggi di Milano. L’appalto del
-viatico, del fodro, della moneta non delibererà, se non
-avuto il consiglio de’ savj. Rileverà i consoli di tutte le
-cause che pronunziarono di suo comando o precetto,
-e parimenti d’ogni giuramento in fine dell’uffizio suo.
-Non farà remissione di alcuna taglia, se non per cagione
-d’incendio, tempesta, povertà nota, od altra giusta
-causa approvata dal consiglio di credenza. Non prenderà
-alcun prestito se non fuori della giurisdizione in
-benefizio della repubblica. Ogni mese riceva e renda i
-conti, stendendone autentica scrittura; e si faccia rileggere
-il giuramento, diligentemente ascoltandolo. Villa
-nè borghigiano o rustico alcuno affranchi dai carichi
-imposti per la repubblica, senza il consentimento del
-comune consiglio. Le costituzioni del Comune non muti
-senza il consiglio di credenza. Faccia eseguire le sentenze
-proferite, e le pene contro i fornai delinquenti e
-i malfattori. Quelli posti nel bando per omicidio o congiurato,
-non permetta abitare nel comune di Milano,
-e le terre o abitazioni di quelli tenga incolte e devastate:
-non conceda verun uffizio o ambasciata a banditi,
-nè a falliti od infami: definisca le appellazioni fatte sopra
-cause di omicidj, bandi, incendj, battaglie, eccetto
-se l’appellante non dia all’avversario sicurtà della restituzion
-delle spese, giurando non aver dato niente al
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-giudice delle appellazioni, nè ad altra persona fuor
-dell’avvocato, o per cavare scritture. Fedelmente ricercherà
-se niun ufficiale faccia frode: tutti i provvisionati
-del Comune costringerà a dar conto ogni quattro
-mesi de’ denari avuti per la comunità. Non farà o lascerà
-far ricerca sulle condanne date per gli antecessori
-suoi, nè sui denari spesi dal Comune per tali uffiziali.
-Giudei ed eretici deve sbandire da Milano e suo contado,
-dopo che per l’arcivescovo gli sieno denunziati;
-quelli che gli avessero ricettati ammonisca perchè fra
-venti giorni gli abbiano espulsi, altrimenti essi pure
-saranno posti nel bando, dal quale non si potranno
-cavare senza licenza ecclesiastica; le case loro faccia
-diroccare. Se alcuno statuto ritrovasse contrario alla
-Chiesa, lo annullerebbe. Finito il suo reggimento, quindici
-giorni dimorasse a Milano insieme colla sua comitiva,
-aspettando il sindacato (<span class="smcap">Corio</span>).
-</p>
-
-<p>
-La spada sguainata che si recava innanzi al podestà,
-esprimeva il diritto di sangue: ma spesso doveva esercitarlo
-con aspetto di guerra e di violenza. Alcun pubblico
-delitto era denunziato? dal balcone del palazzo
-egli sciorinava il gonfalone di giustizia, colle trombe
-chiamava i cittadini alle armi, e a capo loro moveva
-ad assediare la casa del reo. A Perugia sono uccisi due
-giudici, e si ordina di tener chiuse le botteghe finchè
-non siano scoperti i rei; e così stettero per tre mesi. — Giuro
-che, se alcun nobile, o non giurato in popolo,
-ucciderà o farà uccidere o consentirà che si uccida
-alcun anziano o notajo d’anziani o uomo giurato in popolo...,
-senza intervallo farò sonare la campana del
-popolo, e con quel popolo o alcuna parte di esso, con
-sterminato furore andrò alla casa di quel cotale uccisore,
-e innanzi che quindi mi parta, infino alle fondamenta
-farò disfare... E insino a tanto che la distruzione
-e il guastamento di tutti i beni del malfattore
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-predetto, così nella città come nel contado, non sia
-compiuto di fare, nulla bottega d’arte o mestiere, o
-corte alcuna della città fia tenuta aperta». In tale sentenza
-ogn’anno giurava il capitano del popolo di Pisa;
-e aggiungeva che punirebbe il figlio pel padre, il padre
-pel figlio, non lascerebbe mai più coltivare o comprare
-i loro beni, darebbe un premio a chi li pigliasse
-o uccidesse<a class="tag" id="tag165" href="#note165">[165]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tanto fin la giustizia assumeva aspetto di violenza,
-perchè le Repubbliche, a modo de’ feudatarj, traevano
-il diritto punitivo da quel della guerra privata e della
-vendetta personale, e i signori erano avvezzi a obbedire
-soltanto alla forza; onde non era se non la pubblica
-sostituita alla privata, e i castighi somigliavano
-alle rappresaglie delle passioni, le quali non si erano
-spente ma solo dirette, ignorandosi ancora la pacifica
-amministrazione.
-</p>
-
-<p>
-In somma il podestà comprendeva in sè l’antitesi
-della società d’allora. Come dittatore, veste carattere
-politico, assale, difende, bandisce, uccide, dirocca case
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-e castelli, arma e disarma la città, conduce l’esercito; e
-riconoscendo due partiti ostili, due tendenze contrapposte,
-le regola col reprimerne una, cioè col limitare la
-libertà. Come giudice, veste carattere legale, semplice
-stromento della legge, innanzi alla quale si eclissano partiti,
-persone, famiglie; nè egli dee permettersi verun passo
-che offenda la libertà. Giurato ad osservar gli statuti,
-contornato da persone di legge, venuto da paese estraneo
-per amministrar con imparzialità; esposto al sindacato;
-eppure come dittatore è costretto a un’ingiustizia continua
-fra i due partiti in lotta; è esposto all’eventualità
-de’ conflitti; robusto in un momento di sollevazione, è
-inetto allorchè le due fazioni s’accordino in modo, che
-egli non possa valersi dell’una per reprimere l’altra.
-</p>
-
-<p>
-Di tanta autorità poteva facilmente abusare; onde fu
-assiepato di gelose precauzioni: ad invitarlo si deputavano
-persone religiose, estranie alle brighe; talvolta
-a sei e fin a tre mesi se ne limitò la durata, benchè
-talaltra venisse allungata<a class="tag" id="tag166" href="#note166">[166]</a>; in città non dovea contrarre
-parentele, non mangiare presso alcuno. La breve
-durata cagionava gli scomodi d’un perpetuo tirocinio;
-eppure durante l’effimera magistratura il podestà rimaneva
-arbitro delle vite, per la latitudine concessa dalle
-consuetudini. Il potere giudiziale esercitavasi troppo
-mescolatamente col politico, e la ragion di Stato soffocava
-la schietta voce della giustizia. Nelle rivoluzioni
-poi al podestà concedevasi balìa dittatoria, sicchè
-castigava a tumulto i rei, cioè la parte avversa e la
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-soccombente. I Bolognesi nel 1192 tolsero a podestà
-Gherardo Scannabecchi loro vescovo, ma nojatisi di lui,
-vollero sostituirvi i consoli: il vescovo s’ostinava a
-tener il potere, sinchè una levata di popolo lo gittò in
-fuga. I Pisani chiesero podestà papa Bonifazio VIII, ed
-egli accettò collo stipendio di quattromila fiorini: altrove
-fu podestà un re. Il sindacato non era una cautela
-politica contro gli abusi del potere, giacchè si facea
-sol dopo scaduto di carica, ma una salvaguardia della
-moralità e un risarcimento ai danni privati, derivato esso
-pure da consuetudini romane<a class="tag" id="tag167" href="#note167">[167]</a>. N’usciva con lode?
-il podestà riceveva dal Comune un pennone, una targa
-o altro segno; a Giovanni Raffacani fiorentino gli Orvietani
-nel partire posero in capo una corona d’oro, e gli
-diedero una spada e uno scudo con gran trionfo<a class="tag" id="tag168" href="#note168">[168]</a>;
-e non v’è città che non serbi una lapida o l’effigie d’alcuno:
-onorificenze dappoi profuse per piacenteria o per
-amistà<a class="tag" id="tag169" href="#note169">[169]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-</p>
-
-<p>
-Procedendo a tentone come gente inesperta, al primo
-sconcio che apparisse mutavano forma di governo, salvo
-a tornare fra pochi mesi al primiero. Fu volta che, scontenta
-del comune aristocratico, la plebe elesse un capitano
-suo proprio, straniero anch’egli, che per un anno o
-per sei mesi la tutelasse<a class="tag" id="tag170" href="#note170">[170]</a>; talaltra nominavasi un
-capitano di guerra, che dimezzava il potere dei predetti,
-avendo in mano la forza. In Bologna il comune
-dei nobili era preseduto dal pretore; i non nobili formavano
-il popolo, con un prefetto o capitano. Milano
-nel 1186 eleggea primo podestà Uberto Visconti; l’anno
-appresso tornò al consolato; nel 1191 usava ancora un
-podestà, tre nel 1201, cinque nel seguente, tre ancora
-nel 1204. Firenze erasi divisa in dodici arti; sette maggiori,
-de’ giureconsulti e notaj, de’ mercanti di panno
-in Calimala, de’ cambisti, lanajuoli, medici e speziali,
-mercanti di seta, pellicciaj; e cinque minori, de’ bottegaj,
-macellari, calzolaj, muratori e falegnami, mariscalchi
-e magnani: ed anche il nobile che volesse impieghi
-doveva essere in qualcuna matricolato. Nel 1294
-creatasi la signoria dei priori delle arti e della libertà,
-alla prima elezione non presero parte che le tre prime,
-alla seconda sei, a ciascuna delle quali toglievasi un
-priore, rinnovandoli ogni terzo mese. Viveano in comune
-a pubbliche spese, non uscendo di palazzo per
-quanto la balìa durava; rappresentavano lo Stato, ed
-esercitavano il potere esecutivo; ed uniti coi capi e coi
-consigli o capitudini delle arti maggiori, con alcuni
-aggiunti (<i>arroti</i>) nominavano a scrutinio i proprj successori<a class="tag" id="tag171" href="#note171">[171]</a>.
-Mal rassegnandosi i nobili a questa oligarchia
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-plebea, fu introdotto nel 1292 il gonfaloniere
-della giustizia, per reprimere i perturbatori della quiete:
-e quand’egli esponesse la bandiera sul pubblico palazzo,
-i capi delle venti compagnie doveano raggiungerlo, per
-assalire con lui i sediziosi e punirli. Quest’esempio trovò
-i seguaci.
-</p>
-
-<p>
-Un abate del popolo o molti incontriamo altrove:
-un doge al modo di Venezia assumevano ne’ maggiori
-frangenti Pisa e Genova; trasferendo in esso ogni pubblico
-potere, salvi però i collegi delle arti e i pubblici
-ordinamenti. In Bologna l’autorità sovrana era divisa
-fra il podestà, i consoli e tre consigli, cioè il generale,
-lo speciale e quel di credenza: nel primo entravano
-tutti i cittadini sopra i diciott’anni, esclusi gl’infimi artieri;
-il secondo era di seicento; nell’altro di minor
-numero aveano luogo tutti i giureconsulti paesani. Dicembre
-entrante, i due primi consigli venivano convocati
-dai consoli o dal podestà, e messe innanzi al loro
-tribunale due urne coi nomi dei componenti essi consigli;
-e da ciascuna delle quattro tribù in cui era partita
-la città, estratti a sorte dieci elettori, venivano rinchiusi
-insieme, ed obbligati, entro ventiquattr’ore, a nominare,
-colla maggioranza di ventisette voti, quei che dovessero
-entrare ne’ consigli. Ai consoli o al podestà spettava
-l’iniziativa degli affari, che poi erano decisi dai consigli,
-dove per lo più quattro oratori soli avevano la parola,
-gli altri limitavansi a votare.
-</p>
-
-<p>
-È questo uno dei mille modi coi quali fu dai Comuni
-del medioevo affrontato quel che oggi pure è intricato
-problema dei paesi costituzionali, le elezioni. Nulla è
-men sincero che il voto emesso dall’intera nazione radunata,
-dove esso va confuso collo schiamazzo plebeo o
-la tresca astuta, dove non tutte le classi sono equamente
-rappresentate, dove l’ignaro e l’intrigante valgono l’onesto
-e illuminato, e la libertà ne va il più spesso alla
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-peggio. Si procurarono dunque varj ripari, per lo più
-ricorrendo alla sorte o a complicatissime combinazioni,
-di cui Venezia e Lucca particolarmente offrono bizzarri
-esempj.
-</p>
-
-<p>
-In Venezia il doge ne’ primi sei secoli era scelto dal
-popolo; dopo il 1173 da undici elettori; dopo il 1178
-il maggior consiglio cerniva quattro commissarj, ciascun
-de’ quali nominava dieci elettori, cresciuti poi a
-quarantuno nel 1249. Così durò fino al 1268, quando,
-per cansare il broglio, s’introdusse la più strana complicazione.
-I membri d’esso consiglio metteansi a squittinio
-con palle di cera, trenta delle quali chiudevano una
-cartolina iscritta <i>elector</i>: dei nove cui toccavano le
-fortunate, due venivano esclusi, gli altri designavano
-quaranta elettori, i quali col metodo stesso riduceansi
-a dodici. Il primo di essi ne eleggeva tre, due gli altri,
-e tutti venticinque doveano essere confermati da nove
-voti; poi ridotti a nove, ciascuno doveva indicarne cinque,
-e tutti i quarantacinque ottenere almeno sette voti.
-I primi otto tra questi ne <i>cappavano</i> quattro ciascheduno,
-e tre i tre ultimi; onde venivano quarantun elettori,
-che messi ai voti, doveano riportare almen nove
-delle undici palle. Se un elettore nel maggior consiglio
-non conseguisse l’assoluta maggioranza, restava escluso,
-e gli undici dovevano surrogarne un altro. Così cinque
-ballottazioni e cinque scrutinj producevano i quarantun
-elettori. Di botto erano chiusi in una sala, finchè non
-avessero nominato il doge; trattati splendidamente, liberi
-di chiedere qualunque capriccio, ma quel che uno
-domandasse era dato a tutti: uno volle un rosario, e se
-ne recarono quarantuno; un altro le favole d’Esopo, e
-fu fatica il ritrovarne altrettanti esemplari. Gli elettori
-nominavano tre presidenti priori; indi due segretarj
-che restassero chiusi con essi. Allora per ordine d’età
-venivano chiamati innanzi ai priori, e ciascuno di proprio
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-pugno scriveva sopra una scheda il nome del
-proposto, che dovea aver compiuti i trent’anni ed appartenere
-al maggior consiglio. Un segretario, tratto a
-sorte uno di que’ viglietti, ne pubblicava il nome, e
-ciascuno potea fare gli appunti che credesse. Passatili
-tutti in rassegna, mandavasi ai voti, e sortiva doge quel
-che ne conseguisse almeno venticinque. A questo modo
-fu eletto per la prima volta Lorenzo Tiepolo<a class="tag" id="tag172" href="#note172">[172]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A Lucca era condizione d’eleggibilità il censo<a class="tag" id="tag173" href="#note173">[173]</a>;
-e supremo magistrato i nove anziani, tra cui il gonfaloniere;
-poi un consiglio di trentasei, e il consiglio generale
-di settantadue. La signoria sedeva due mesi, e
-chi era seduto avea divieto due anni; essa scompartivasi
-coi trentasei gli onori e gli utili dello Stato. «Imborsano
-(dice il Machiavelli), ogni due anni, tutti quelli
-signori e gonfalonieri, che nelli due anni futuri debbono
-sedere; e per fare questo, ragunati che sono i signori
-con il consiglio de’ trentasei in una stanza a questo
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-ordinata, mettono in un’altra stanza propinqua a quella
-i segretarj dei partiti con un frate, ed un altro frate
-sta sull’uscio che entra ai segretarj, quello a chi ei
-rende il partito, e a chi ei vuole che altri lo rendano;
-dipoi ne va innanzi ai segretarj, e mette una ballotta
-nel bossolo. Tornato che è il gonfaloniere a sedere, va
-uno dei signori di più tempo, poi vanno tutti gli altri
-di mano in mano; dopo i signori va tutto il consiglio,
-e ciascuno quando giunge al frate domanda chi è stato
-nominato ed a chi egli debba rendere il partito, e non
-prima; talchè non ha tempo a deliberarsi, se non quel
-tempo che pena a ire dal frate ai segretarj. Renduto
-che ciascuno ha il partito, e’ si vôta il bossolo, e s’egli
-ha tre quarti del favore, egli è scritto per uno dei signori;
-se non l’ha, è lasciato ire fra i perduti. Ito che
-è costui, il più vecchio dei signori va e nomina un altro
-nell’orecchio al frate; dipoi ciascuno va a rendergli il
-partito, e così di mano in mano ciascuno nomina uno,
-e il più delle volte torna loro fatta la signoria in tre
-tornate di consiglio. E ad avere il pieno loro conviene
-che gli abbiano centotto signori vinti, e dodici gonfalonieri:
-il che come hanno, squittinano infra di loro gli
-assortitori, i quali assortiscano che questi siano i tali
-mesi, e quelli i tali, e così assortiti, ogni due mesi si
-pubblicano».
-</p>
-
-<p>
-Tanto basti a chiarire quanto lontani dall’uniformità
-fossero quei reggimenti. Nell’interno durava la diversità
-delle persone: e primi erano i militi, derivanti dagli
-antichi feudatarj e da arimanni e baroni; seguivano
-gli ecclesiastici; poi i leggisti, col nome di <i>judices,
-advocati, procuratores</i>; indi i <i>paratici</i>, cioè le corporazioni
-d’artieri; ultimi i popolani<a class="tag" id="tag174" href="#note174">[174]</a>. Allato della
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-libertà comunale sussistevano privilegi feudali, ecclesiastici,
-regj, consorzj di famiglie e d’arti; servitù di
-possessi e di persone; libertà romana, clericale, barbarica.
-In alcuni paesi, massime nel Piemonte, molti
-Comuni rimanevano sotto la supremazia immediata
-dell’imperatore o de’ suoi vicarj, laonde non godeano
-l’intera sovranità, cioè il diritto di pace, guerra, moneta,
-e la suprema giurisdizione, ma del resto si governavano
-senza differenza dagli altri, giacchè le franchigie
-comunali si credeano parte del diritto pubblico interno,
-e l’amministrare distinguevasi dal regnare. La città
-d’Ivrea, dandosi nel 1313 ad Amedeo V conte di Savoja,
-stipulava che il podestà, i giudici e gli altri uffiziali
-di giustizia conserverebbero il mero e misto
-imperio, e si farebbero gli statuti come per l’addietro.
-</p>
-
-<p>
-Rimanevano traccie del diritto personale alla germanica<a class="tag" id="tag175" href="#note175">[175]</a>;
-ma prevaleva il diritto romano, nelle diverse
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-città modificato da una moltitudine di ordinanze municipali.
-Gl’imperatori seguitarono a far leggi nella dieta
-nazionale, ma concernevano soltanto feudi, vassalli,
-monasteri: mentre era nella natura de’ popoli germanici
-che o la consuetudine o il consenso de’ migliori e
-maggiori della terra producessero un gius privato.
-</p>
-
-<p>
-Profittando della facoltà ottenuta nella pace di Costanza,
-tutte le repubbliche tradussero le consuetudini
-in leggi compilando statuti proprj; e fin borgate, fin
-monasteri vollero averne di particolari<a class="tag" id="tag176" href="#note176">[176]</a>. Erano decreti
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-relativi all’uffizio de’ magistrati o all’amministrazione
-del pubblico; poi alla polizia, a pesi e misure,
-alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma
-occorreva ai bisogni ed ai costumi. Obbligavano soltanto
-gli accomunati, non i feudatarj, non i corpi o le persone
-immediatamente dipendenti dal re. Aggiravansi ora
-sopra l’applicazione della legge romana o longobarda,
-ora sopra la consuetudine; e v’avea talvolta regolamenti
-distinti per le due giurisprudenze, come a Pisa
-un <i>constitutum legis</i> e un <i>constitutum usus</i>.
-</p>
-
-<p>
-Francesco da Legnano diceva a Matteo Visconti: — Voi
-giurerete reggere il popolo nel nome del Signore
-da oggi innanzi fino a cinque anni con buona
-fede, senza frode; e di custodire e salvare esso popolo
-e gli statuti; e <i>dove questi taciano, starete alle leggi
-romane</i>». È questo il cenno più antico del diritto comune,
-chiamato in supplimento alla legge municipale<a class="tag" id="tag177" href="#note177">[177]</a>.
-Il diritto comune conteneva i principii generali
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-di giustizia, applicabili nell’interesse sì del pubblico
-sì de’ privati; il municipale era legge di eccezione,
-riguardante le qualità e i diritti particolari di ciascun
-Comune. Il primo era spiegato per scienza, e solo l’imperatore
-avrebbe potuto aggiungervi qualche costituzione:
-negli statuti venivano fatte aggiunte o deroghe
-secondo l’opportunità dai magistrati municipali. Il primo
-conteneva la ragione scritta, e progredita mediante gli
-studj legali e filosofici: negli statuti si trova la storia
-contemporanea di cadaun Comune, e l’espressione dei
-costumi e delle credenze.
-</p>
-
-<p>
-Sopravviveano le consuetudini germaniche del mundio,
-del comporsi a denaro, delle prove di Dio, del
-duello giudiziario, non però colla spada ma con bastone
-e scudo in presenza del popolo e d’un console. Pene
-sproporzionatamente feroci si applicavano, come era
-nello statuto milanese lo strappar un occhio al ladro
-la prima volta, la seconda troncargli le mani, alla terza
-la forca<a class="tag" id="tag178" href="#note178">[178]</a>. Dalle libertà germaniche proveniva la
-legge in molti ripetuta di non arrestare alcun cittadino
-se non per ordine de’ consoli; l’<i>habeas corpus</i>, di cui
-si compiaciono così giustamente gl’Inglesi<a class="tag" id="tag179" href="#note179">[179]</a>. Qualche
-vestigio vi rimane ancora delle antiche associazioni,
-dove tutti erano interessati alla sicurezza de’ singoli,
-perchè del danno sofferto doveano compenso: così in
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-una convenzione del 1219 fra Bergamo e Brescia è statuito
-che se qualche Bresciano, fra giorno, sia da’ masnadieri
-derubato sulla strada reale che mette a Milano,
-il comune di Bergamo deva fra venti giorni risarcirlo;
-altrettanto pei Bergamaschi<a class="tag" id="tag180" href="#note180">[180]</a>. Quel di Mantova rifaceva
-i danni per manomessione di argini e campi, e
-così per incendj; del forestiero rendeva garante l’ospite
-o l’albergatore, che doveva subito notificarlo<a class="tag" id="tag181" href="#note181">[181]</a>.
-</p>
-
-<p>
-In generale tu vi scorgi una diffidenza continua verso
-i vicini e tra gli stessi accomunati; poi sottentra la cura
-di mantenere distinte le classi; e i beni e l’autorità
-ristretti in poche famiglie; una fiscalità argutissima;
-le donne escluse dalle successioni, ricevendo a saldo
-la dote. Da alcuno vedemmo abolite le servitù personali;
-quel di Modena del 1221 cancellò perfino ogni
-possesso o dipendenza feudale<a class="tag" id="tag182" href="#note182">[182]</a>; e le tante gelosissime
-diligenze attorno ai contratti, ai fitti, alle enfiteusi,
-alle usure, danno a vedere la crescente importanza
-della ricchezza mobile e della agricola, e come questa
-si sminuzzasse affinchè un maggior numero ne ritraesse
-vantaggi individuali. Ma di quel volere ingerirsi d’ogni
-atto gli appunteremo noi, se fin oggi i governi non
-hanno imparato che la loro attribuzione razionale si riduce
-alla legittima difesa dei diritti degli individui?
-</p>
-
-<p>
-Ne conseguiva che non potesse uniformemente amministrarsi
-la giustizia: e la parte peggiore d’esse Repubbliche
-era appunto questa, che è quella di cui più
-immediatamente i cittadini risentono. V’avea giudici
-del re, ve n’avea del municipio, del podestà, del feudatario,
-oltre gli ecclesiastici. I rettori della Lega Lombarda,
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-quando si univano or qua or là per gl’interessi
-comuni, ricevevano anche l’appello da sentenze di consoli,
-al modo che soleano un tempo i re d’Italia<a class="tag" id="tag183" href="#note183">[183]</a>;
-i quali pure non cessarono d’esercitare questa supremazia
-qualvolta qui tenessero dieta.
-</p>
-
-<p>
-La giurisdizione dei vescovi si restrinse ai loro feudi;
-e ampliandosi il reggimento repubblicano, i consoli
-talvolta pretesero sentenziare anche sopra persone ecclesiastiche,
-per quanto i concilj vi si opponessero<a class="tag" id="tag184" href="#note184">[184]</a>.
-I feudatarj laici o cherici amministravano la giustizia
-personalmente, o per via di gastaldi e nunzj, i quali
-solevano affidarla a giudici scelti fra gli abitanti del
-luogo; e da loro davasi appello al giudice feudale, il
-quale però nulla poteva direttamente sopra i cittadini
-che abitassero nel fondo. Le cause feudali erano riservate
-a un doppio tribunale de’ pari maggiori e minori,
-ed alla regia curia.
-</p>
-
-<p>
-In Firenze il podestà e il capitano di giustizia, sempre
-forestieri, abitavano quello nel palazzo del Comune,
-questo nel palazzo del popolo, entrando nell’annuo uffizio
-l’uno a maggio, l’altro a gennajo, e ambidue conoscendo
-delle cause civili e delle criminali. Il podestà
-conduceva sette giudici, tre cavalieri, diciotto notaj,
-nove berrovieri, tutti non toscani; e quello colla sua
-famiglia riceveva seimila lire, l’altro seimila cinquecento.
-Il podestà deputava uno de’ suoi giudici ogni due
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-sestieri della città per inquisire ne’ casi criminali: nessuno
-poteva dar querela se non al giudice del proprio
-sestiere: il reo seguiva il fôro dell’attore, i forestieri
-sceglievano qual volessero. Nelle cause di poco momento
-si procedeva sull’istanza dell’ingiuriato o di un
-suo parente; nelle gravi, di chicchefosse, purchè sottoscritta;
-d’uffizio, nel caso che l’ingiuriato ricusasse di
-farlo. L’accusatore giurava proseguire la causa, dandone
-malleveria per cento soldi: il reo citavasi a spese
-dell’attore. Le esamine si scriveano, convincevasi per
-testimonj, e al reo si assegnavano dieci giorni a difendersi.
-Entro venticinque giorni il giudice doveva esaminar
-la causa, e conferirla con altri giudici e col podestà;
-poi fra cinque altri proferire la sentenza. Le cause civili
-in prima istanza conoscevansi dai giudici de’ sestieri,
-cittadini dottori, mutabili ogni sei mesi e pagati. L’appello
-recavasi al giudice annuo, forestiero e dottore; se
-confermasse, la causa passava in giudicato; se no, recavasi
-al podestà, con quattro giudici collaterali pronunciava
-definitivamente. Del capitano del popolo erano
-competenza le violenze, estorsioni, falsità a lui denunziate,
-le cause riguardanti estimo e gabelle, e i delitti
-di cui il podestà non proferisse fra trenta giorni. I
-cavalieri andavano in volta coi berrovieri, cercando i
-violatori degli statuti; in molti casi non poteasi catturare
-alcuno se non in loro presenza; o in difetto supplivano
-i notaj, cui uffizio era coadjuvare i giudici. S’aggiunga
-la corte del vescovo, l’inquisitore dell’eresia, il giudice
-sopra le gabelle, quello dell’appellazione, e forse altri,
-chè ciascuno teneva ragione e corda da tormentare.
-Ciò che è più strano, cittadini nelle proprie abitazioni
-esercitavano il diritto punitivo, e i Bostichi «collavano
-gli uomini in casa loro, in mercato nel mezzo della città,
-e di mezzodì li mettevano al tormento»<a class="tag" id="tag185" href="#note185">[185]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tante giurisdizioni nel territorio d’una sola repubblica!
-Collegi di giureconsulti trovansi fin nell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo<a class="tag" id="tag186" href="#note186">[186]</a>;
-crebbero nel <span class="smcap lowercase">XIII</span> in tutte le città, dove pure
-se ne formarono di notaj, che pigliaronsi il diritto di
-nominare i proprj colleghi. I giudici milanesi giuravano
-valersi del voto d’un giurisprudente, sentenziare in
-buona fede secondo le leggi, non concedere al reo oltre
-otto giorni per rispondere, proferire fra quattro mesi
-dopo la contestazione, e mettere in iscritto la sentenza
-nelle cause che eccedessero i soldi quaranta di terzuoli<a class="tag" id="tag187" href="#note187">[187]</a>.
-La semplicità e la speditezza mal redimevano
-dal pericolo dell’ignoranza, della passione, dell’arbitrio;
-e troppo mal si pensava a concordare la libertà
-di tutti colla sicurezza de’ singoli. Al senatore di Siena
-un Cenni accusa per ladro Durdo di Naccino: quegli
-trovando tutto il contrario, fa vestire Durdo di bianco,
-e andare innanzi coll’ulivo in mano, e dietro a lui il
-Cenni vestito di nero; e giunti al luogo del supplizio,
-questo è appiccato, l’altro dimesso. Un Fiorentino
-avendo rotto il bando, fu condannato alle forche. Il
-podestà Nicola Rosso, prima di mandarvelo, gli domandò
-se avesse moglie. — L’ho, e bella; e se la tiene
-il tal cittadino». Era il cittadino appunto che avea brigato
-per farlo eseguire, poi denunziatolo per la rottura
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-del bando; e il podestà fe togliere il capestro al condannato
-e stringerlo a costui, per quanto reclamassero
-i parenti<a class="tag" id="tag188" href="#note188">[188]</a>. Sarà stata giustizia, ma chi, se non un
-Turco, soffrirebbe modi così assoluti?
-</p>
-
-<p>
-Uno dei Ricci di Firenze, sullo scorcio del secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>,
-scrisse di alcuni insigni personaggi della sua famiglia,
-tra’ quali molto lodato messer Rosso di Ricciardo, che
-fu capitano de’ Fiorentini nel 1370 contro Bernabò
-Visconti. Essendo podestà a Perugia, ebbe deposizione
-da un ladro che, ascososi in una cava per rubare, vide
-un cittadino condurvi un suo nipote, e quivi ucciderlo e
-sepellirlo. Il Ricci mandò a cercare nella cava, e trovate
-le ossa, fece recarsele in un sacco. Ma poichè l’uccisore
-era di grand’animo e séguito in città, lo chiamò a sè con
-amichevoli apparenze, poi mostrategli le ossa, lo indusse
-a confessare il delitto. Subito in città si leva gran rumore,
-gente armata viene in piazza; e il podestà li tiene
-a buone parole, ma intanto fa impiccare il cittadino.
-Quella fermezza sgomenta i faziosi, che tornano a disarmarsi;
-e quando scadde egli fu commendato e onorato.
-Al ladro denunziatore avea promesso salva la vita, ma
-gli fece troncar le mani.
-</p>
-
-<p>
-In Norcia redimevasi ancora l’omicidio a denaro: e
-mentre vi sedeva podestà esso Ricci, due cittadini uccisero
-un altro. Presi per ordine di lui, quelli confessarono
-il delitto, ma d’aver pagato ducento lire per
-ammenda. Ciò non ostante esso li condannò a morte:
-e andando i signori del paese a lamentarsene, rispose
-che così gli era paruto il giusto; ma se ad essi sembrassero
-morti immeritamente, ecco, pagava loro l’ammenda.
-Così li chiariva come fosse iniqua tal legge, e
-«la fe correggere che, chi uccidesse alcuno, lo dovesse
-pacificare colla propria vita e non altrimenti»<a class="tag" id="tag189" href="#note189">[189]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-</p>
-
-<p>
-Rechiamo un esempio di giudizj regolari. Andrea
-vescovo di Luni e i marchesi Malaspina e Guglielmo
-Francesco essendo in guerra, la città di Lucca, che
-gli aveva presi in amicizia, spedì persuadendoli a
-pace. Le due parti subito vennero a Lucca, e in Sant’Alessandro
-si congregarono da <i>sessanta consoli</i> e molte
-altre savie persone, e chiesero che le parti li costituissero
-arbitri della contesa; e quelle promisero stare al
-lodo, sotto pena di cento libbre d’oro fino. Qui Guglielmo
-d’Apulia, avvocato dei Malaspina, narrò come,
-essendo questi andati coi loro militi al Pozzo nel
-Monte Caprone per edificarvi un castello, l’esercito
-del vescovo si fè loro incontro per cacciarneli, con
-grave guasto d’uomini e di cavalli: i marchesi, valorosamente
-resistendo, ascesero il poggio, e cominciarono
-la fabbrica. Chiedeva dunque al consolato che il vescovo
-dovesse rifare i danni che recò coll’esercito, senz’avere
-tampoco premoniti i marchesi, come a vescovo
-conviene.
-</p>
-
-<p>
-Il vescovo rispose che al marchese Guglielmo, il
-quale gli aveva giurato libertà, esso avea fatto sentire
-che il fabbricar quel castello gli sarebbe rincresciuto
-quanto il cavargli il fegato, perchè ne rimarrebbe diminuito
-e quasi annichilato il vescovado: al Malaspina non
-fe motto perchè gli era nemico. Maginardo di Pontremoli
-arringò pel vescovo; non dover questi verun compenso,
-attesochè quel castello fabbricavano a ruina del
-vescovado, e sopra terra in gran parte a questo appartenente.
-Interrogato intorno a tale possesso dall’avvocato
-avversario, Maginardo rispose che il vescovo Filippo
-comprò la parte che spettava al marchese Folco, parte
-ebbe in legato da Malnevote, parte in dono dal marchese
-Pelavicino<a class="tag" id="tag190" href="#note190">[190]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-</p>
-
-<p>
-Oppose Guglielmo che del lascito di Malnevote non
-era a tener conto, perchè lo fece da disennato e in odio
-del fratello: il Pelavicino poi e il Folco non poteano
-disporre di esso monte, perchè il monte e i coloni suoi
-erano stati divisi in modo, che una metà toccò in comune
-al proavo del Pelavicino e a quello del marchese
-Guglielmo; l’altra metà al proavo di Malaspina e all’avo
-di Atone marchese, nella qual parte cadeva il poggio
-disputato; che, fatta la divisione, rimase al proavo di
-Malaspina.
-</p>
-
-<p>
-Bisognando recar le prove di lutto ciò, fu chiesta
-una proroga, spirata la quale, produssero gli istromenti
-e i testimonj, nessun de’ quali era decisivo. E
-poichè i consoli erano arbitri non solo secondo le leggi
-e il diritto, ma anche come meglio volessero, proferirono
-che metà d’esso poggio spettava alla chiesa di
-Santa Maria, vietando ai marchesi di fabbricarvi il castello
-od altro; dovendo i vescovi esser più benigni ai
-laici, che non questi a quelli, il vescovo compensi dei
-danni fatti ai marchesi con mille soldi lucchesi; i marchesi
-prometteranno nè essi nè i loro eredi più nulla
-pretendere di quella metà del poggio; se no, paghino
-cento libbre d’oro; e così pure il vescovo; gli uomini
-dei marchesi abbandonino quella metà, e sia distrutto
-ogni cominciamento del castello; in presenza loro si
-diano la parola e il bacio di pace.
-</p>
-
-<p>
-Gregorio legisperito fu rogato di quest’atto al 15
-avanti le calende di novembre 1124, e vi si sottoscrissero
-le parti e i consoli: la sentenza fu confermata e
-sottoscritta da Leone, giudice costituito dall’imperatore
-Enrico, ed eletto arbitro in questa causa<a class="tag" id="tag191" href="#note191">[191]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-</p>
-
-<p>
-Qui parlammo dei Comuni sovrani; ma questi s’erano
-sovraposti a ville e borgate, cui lasciavano la giurisdizione
-solo in limiti ristretti; ed anche città, nelle
-quali esercitavano superiorità, e ne impedivano il libero
-governo, senza però riformare il Comune per
-assimilarlo a sè. Como mandava il podestà a Lugano,
-Mendrisio, Bellagio, Menaggio, Teglio, alle Tre Pievi
-del Lago, ai terzieri della Valtellina, a Chiavenna, Poschiavo,
-Sondrio, Ponte, Porlezza, Bormio, i cui abitanti
-doveano tre volte l’anno condursi a Tresivio per
-ricevere giustizia dal podestà di Como, e recarvi le
-appellazioni. Pisa inviava il capitano a Piombino, che
-amministrasse la giustizia anche a Populonia, Porto
-Baratti e all’isola d’Elba.
-</p>
-
-<p>
-I Fiorentini nel 1181 sottoposero il Comune d’Empoli,
-appartenuto dapprima ai conti Alberti, e l’obbligarono
-a giurare sui vangeli di custodire e ajutare ogni
-persona di Firenze e de’ suoi borghi: se alcuno del
-loro Comune danneggi qualche Fiorentino, l’obbligheranno
-a rifare i danni tra quindici giorni: chiesti dal
-magistrato di Firenze, andranno a oste e a cavalcata
-e guerre e paci, e faranno come quello vorrà, purchè
-non sia contro il conte Guido. Al san Giovanni d’ogni
-anno davano ai consoli di Firenze cinquanta libbre di
-buoni denari, e alla chiesa maggiore un cero<a class="tag" id="tag192" href="#note192">[192]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-</p>
-
-<p>
-I Perugini si erano sottomessi non solo i Catani, ma
-le città vicine, che tutte doveano mandare il pallio nella
-solennità di sant’Ercolano; Spoleto doveva aggiungervi
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-un cavallo covertato di scarlatto; così Sarteano, oltre
-cento fiorini d’oro in una coppa d’argento; le città di
-Castello e di Gubbio lasciavano che Perugia prendesse
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-parte all’elezione dei consoli; Montepulciano ne riceveva
-il podestà, che per sei mesi doveva esser de’ nobili,
-per sei de’ popolani, con piena giurisdizione criminale
-e civile, e la custodia delle chiavi delle porte e
-de’ fortilizj; e nel giorno di sant’Ercolano spedire il
-pallio che valesse almeno venticinque fiorini d’oro, da
-presentarsi a piè della scalea di San Lorenzo. Assisi
-scosse l’ubbidienza; ma costretta calare a patti, i Perugini
-v’entrarono il 1322, uccisero più di cento ribelli,
-e ridussero quel paese a contado, diroccandone le
-mura.
-</p>
-
-<p>
-Padova si arrogò di eleggere il podestà di Vicenza.
-A quest’uopo raccolto il maggior consiglio, estraevansi
-da un’urna quaranta polizze, e quelli cui la polizza toccasse
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-divenivano elettori. Questi quaranta si chiudeano
-nella chiesa del palazzo, accendendo una dopo l’altra
-due candelette da due denari; e prima che fossero consumate,
-essi doveano eleggere, fuor di loro, tre cittadini:
-fra i quali poi la sorte designava il podestà. Se
-non fosse cavaliere, veniva fatto; avea tremila lire di
-stipendio, dovea dar mille marche d’argento per malleveria
-al Comune, e la sua corte era tutta di Padovani.
-</p>
-
-<p>
-Casale sul Po, fabbricato, dicono, da re Liutprando
-appo una chiesa di Sant’Evasio, fu città libera, ma debole,
-sicchè presto venne a soggezione de’ Vercellesi.
-I quali nel 1170 impongono agli uomini di esso che
-di buona fede salvino e custodiscano le persone e cose
-dei Vercellesi; di là alla festa di san Michele abbiano
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-alzate e finite cento braccia delle mura di Vercelli,
-dove i consoli consegneranno loro i rottami d’altra
-cerchia: se i Vercellesi assumano guerra, essi pure
-l’abbiano di buona fede: ogni decennio i Casalaschi dai
-quindici anni fino ai sessanta prestino il giuramento ai
-consoli di Vercelli: se questi domandino il passaggio
-del Po per tragittare l’esercito o una cavalcata, non
-devono negarlo<a class="tag" id="tag193" href="#note193">[193]</a>. Lo stesso Comune agli abitanti
-di Trino concedeva di cacciare, pescare, pascolare
-nel loro distretto; non daranno alloggi; per cinque
-anni li provvederà di fieno, paglia e legno, purchè osservino
-i bandi di Vercelli; in tempo di guerra non
-riscoterà fitto delle terre; non saran tenuti a venire al
-podestà o ai consoli vercellesi per contratti fatti da
-qui indietro, salvo che per omicidj o per appellazioni;
-possano far legna nel bosco pagando un fitto<a class="tag" id="tag194" href="#note194">[194]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il Ghirardacci reca la formola con cui quelli di Monteveglio
-si sottomisero al Comune di Bologna: — Noi
-uomini di Monteveglio diamo il castello nostro al popolo
-di Bologna, con tutti i cavalieri e i fanti, per far
-guerra contro tutti i nemici suoi che sono o saranno,
-come più piacerà al pretore o a’ consoli; e con giuramento
-affermiamo di salvare i Bolognesi e le fortune
-loro, promettendo mandarvi l’esercito a nostre spese
-qualunque volta ne saremo richiesti, insino al fiume
-Secchia e dalle alpi alle paludi; e promettiamo pagare
-il tributo per quei che abitano dalla parte del fiume
-Samoggia. E tutto questo osserveremo contro chicchessia,
-eccettuato l’imperatore o duca o altro che tenga
-o terrà il patrimonio della contessa Matilde a nome
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-dell’imperatore. Domandiamo però che i consoli bolognesi
-insieme col consiglio giurino conservare Monteveglio
-e i suoi abitatori e le facoltà loro, e che non
-ci abbiano a togliere il castello; e se in alcun tempo
-i Bolognesi facessero guerra all’imperatore, ci difendano
-colle nostre fortune, e ottenendo la pace, la impetrino
-anche per noi».
-</p>
-
-<p>
-Altre volte i Comuni fondavano ville e borghi con
-diritti e riserve speciali.
-</p>
-
-<p>
-I consoli e gli uomini di Vercelli nel 1197 stabiliscono
-che il luogo di Villanova rimanga libero e assoluto
-in perpetuo, ad onore e comodità del Comune
-vercellese, talchè nessuno presuma dagli abitanti estorcere
-fodro o bando o curadia o correggio o capponi
-o focaccie o spalle; nè pretenda sulla pesca, su alloggi,
-su giurisdizione qualunque. Essi abitanti coi loro eredi
-sieno liberi e immuni; salvo che, quei che n’hanno
-diritto, possano costruire molini, e dare terre da coltivare
-sia a terzo, o a fitto, o con qualsiasi altro patto.
-Essi abitanti restino liberi possessori dei sedimi a loro
-assegnati, potendo venderli, donarli, mutarli, distrarli.
-Nessuna forza vi si possa introdurre, se non dal Comune
-vercellese. Nessun de’ signori deva abitare in
-esso borgo, nè avervi diritto o giurisdizione.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1217 Vercelli stessa fondava Borgofranco, con
-fossati, quattro porte, quattro battifredi, chiesa di legno
-e graticci, coperta di tegoli, agli abitanti assegnando
-un sedime di casa ciascuno, sul quale si conduceano
-tre carri di legname d’opera a spese del Comune, e
-mattoni e tegoli quanti occorrono. Abbiano la strada
-da Casale e da Pontestura, mercato, pascolo verso Vercelli.
-Gli abitanti non devano render ragione ad uomini
-che non siano della giurisdizione vercellese, de’ contratti
-o danni fatti anteriormente, se non sul luogo stesso
-e sotto i loro proprj consoli. Avranno venti mansi del
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-bosco di Lucedio a venti soldi il manso di fitto. Siano
-loro concesse per quattro anni tutte le spese del Comune:
-dopo cinque anni pagheranno il fodro, come i
-cittadini vercellesi: e come questi pagheranno la legna
-del bosco di Lucedio. Se alcuno muore senza erede,
-possa la sua parte vendersi ad altri fuor della giurisdizione
-di Vercelli.
-</p>
-
-<p>
-Ivrea nel 1250 fondava Castelfranco, invitando ed
-anche costringendo andarvi ad abitare gli uomini di
-Bolengo, Pessano, Anipesso, e farvi guaite, scaraguaite,
-e ogni arredo di castello: a ciascuno si daranno abitazioni
-in proporzione di quelle che lasciano. Saranno
-considerati come abitanti d’una porta di Ivrea: liberi
-e franchi, giacchè inestimabil dono è la libertà, nè ben
-si venderebbe per tutto l’oro del mondo. Siano dunque
-immuni dal fodro, dal banno, dalla giurisdizione,
-dall’esercito, dalla cavalcata, dalla successione; abbiano
-il mero e misto imperio; si farà uno statuto, che le
-podestà di Ivrea giureranno d’osservare<a class="tag" id="tag195" href="#note195">[195]</a>.
-</p>
-
-<p>
-1 Comuni erano una specie d’associazione contro gli
-abusi e le prepotenze: sicchè quando la forza pubblica
-non sapesse o volesse provvedervi, formavano associazioni
-particolari, solito rifugio delle libertà, perchè
-coll’attenzione e anche colla forza garantissero i diritti,
-e che venivano a formare uno Stato nello Stato. E
-come già v’aveva alberghi di nobili, cioè aggregazioni
-di famiglie derivanti da ceppo comune, o unite per
-accordo, così il popolo pensò fare altrettanto col restringersi
-in leghe o in maestranze, onde col numero
-equilibrare la potenza o l’accortezza maggiore.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1198 il popolo di Milano, scontento dei nobili,
-istituì la credenza di Sant’Ambrogio, detta anche de’ Paratici,
-cioè degli artigiani, affidando la propria tutela
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-ad un tribuno, e assumendo per divisa una balzana
-bianca e nera; i mercanti e le arti liberali stabilirono
-la Motta, che inclinava al governo d’un solo; i nobili
-rinserraronsi in quella de’ Gagliardi; i catanei e valvassori,
-che teneano fondo dai nobili, ne formarono
-una quarta sotto l’arcivescovo, pretendendo recuperare
-a questo il dominio temporale della città: ciascuna
-avea consoli proprj, pubblicavano editti e decreti, ed
-esercitavano atti di giurisdizione sovrana.
-</p>
-
-<p>
-Siffatte erano in Bologna la lega della Giustizia; in
-Vercelli le società di Sant’Eusebio e Santo Stefano; in
-Asti quelle di Castello e dei Solari. A Firenze verso il
-1260 i pivieri di campagna eransi raccolti in quarantatre
-leghe, ciascuna delle quali ricevea dalla Signoria
-ogni semestre un capitano <i>cittadino e popolano della
-città di Firenze e veramente guelfo;</i> prometteano non
-ricettare i banditi l’una dell’altra; nessuno potea ricusare
-gli uffizj affidatigli dalla lega<a class="tag" id="tag196" href="#note196">[196]</a>. Siena era divisa
-per <i>terzi</i>, e ciascuno di questi in circa venti <i>contrade</i>,
-ognuna delle quali eleggeva un capitano e un alfiere,
-preseduti dal gonfaloniere del terzo. A Genova fin dal
-1130 fra sette poi otto <i>compagne</i> vedemmo divisi tutti
-i cittadini: e ognuno ajutava i proprj membri contro
-ingiustizia e violenza qualsifosse, fin alla morte degli
-avversarj; e da ciascuna si traeva un’egual contribuzione
-di cavalli, fanti e denaro<a class="tag" id="tag197" href="#note197">[197]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Talvolta tre o quattro persone con atto pubblico si
-costituivano in fratellanza, stipulando comunione di
-beni e reciprocamente difenderli e succedersi. Talaltra
-alquante famiglie formavano una consorteria, pigliando
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-un nome comune, fabbricando una torre per difesa e
-ricovero di tutti, come i Pugliesi e i Maladerra di Sanminiato,
-che presero il nomignolo di Paraleoni<a class="tag" id="tag198" href="#note198">[198]</a>.
-Forse teneva dell’indole stessa quella delle tredici famiglie
-di Borgo Sansepolcro, che insieme aveano fabbricato
-la torre di piazza. In Lucca già nel 1203 esisteva
-la società di Concordia de’ pedoni (probabilmente
-detti in opposizione ai cavalieri o nobili) con priori e
-capitani e giuramento d’ajutarsi a vicenda con armi e
-senza, rifarsi reciprocamente dei danni; e guaj a chi
-offendesse alcun di loro: nessuno poteva essere accusato
-ad altro giudice prima d’informarne i priori<a class="tag" id="tag199" href="#note199">[199]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Non di rado i Comuni affidavano il governo, o parte
-di esso, o un affare, od un’amministrazione, o l’eseguimento
-d’una condanna a qualcuna di siffatte compagnie;
-e dove l’una esorbitasse, se ne innalzava una
-contraria.
-</p>
-
-<p>
-In Chieri erano le società de’ Militi e di San Giorgio;
-e della seconda abbiamo gli statuti, preziosi a qui ricordarsi<a class="tag" id="tag200" href="#note200">[200]</a>.
-Vi si entrava per successione o per nomina:
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-chi ne uscisse per passare in altra, era passibile
-di cinquanta lire e dell’infamia. La società pagava le
-imposte di ciascuno; e solo ai membri di essa poteano
-vendersi le case e le terre. Come il Comune, quella
-città era ordinata sotto quattro rettori cittadini o un
-solo forestiero, che duravano quattro mesi, con notaj
-e massari per le spese ed entrate. Eravi un minor consiglio
-ed uno maggiore, il quale eleggeva i rettori. Non
-poteansi proporre per gli uffizj del Comune se non
-membri della società; non arringare contro il partito
-preso da questa; e poteva obbligarsi ogni membro a
-dir nel consiglio pubblico il suo parere; che se per
-ciò incadesse in una multa, era pagata dalla compagnia.
-Ai rettori di questa incombeva di difendere i
-membri, e mantenerli illesi, dovess’anche urtare contro
-le deliberazioni del Comune. Alcun di essi era insidiato?
-lo facevano custodire: ferito o percosso? domandavano
-riparazione e compenso: non l’ottenevano? toccavasi
-a stormo, e tutti tutti gli accomunati erano tenuti prender
-le armi, e correre a mettere a ferro e fuoco i beni dell’offensore;
-e così gli anni successivi, in sino a che non
-si fossero accordati. A chi rifiutasse obbedire alla chiamata,
-o non soccorresse al compagno avvolto in contese,
-multa di cinquanta lire. Niuno praticasse con chi
-aveva offeso uno della compagnia.
-</p>
-
-<p>
-Non è questa una repubblica costituita nella repubblica?
-e gl’interessi de’ consorti poteano essere in collisione
-con quelli del Comune, e la loro unione facea
-che fossero pronti a sorreggere una parte o l’altra nelle
-insurrezioni, che così invelenivano di ciò ch’era preparato
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-per loro rimedio. A Siena nel 1371 i lavoranti
-di lana garriscono coi loro maestri, pretendendo essere
-tassati secondo le leggi del Comune, non secondo quelle
-dell’arte; e levano rumore, minacciando sangue: ma
-la forza pubblica prevale, e presine tre, li mette alla
-corda; i compagni per liberarli s’avventano alle armi,
-la città prende partito per essi; la querela diventa politica,
-gli ordini pubblici ne restano mutati, e gli artigiani
-dominarono in Siena, fin quando nel 1384 i
-nobili, unitisi al popolo minuto, li spodestarono, e fin a
-quattromila ne espulsero: onde la città perdette le arti,
-e se ne bonificarono l’Anconitano, il Patrimonio, il
-Regno e Pisa<a class="tag" id="tag201" href="#note201">[201]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le taglie che già si solevano pagare ai re o ai conti,
-furono forse conservate, pagandole al Comune: ma di
-esse e del sistema di esazione non si raccoglie soddisfacente
-concetto; e il variare di qualità e quantità secondo
-i tempi, a fatica si seguirebbe in una storia
-municipale, non che in questa generale. La rendita
-maggiore proveniva da gabelle e dazj che, secondo la
-scarsa economia d’allora, molto gravavano sulle merci
-introdotte ed esportate. Da principio quelle che entrassero
-nelle città o sul distretto pagavano per teloneo
-un tanto al carro o alla bestia: dipoi più equamente
-si prefinirono tariffe sul valore. La prima milanese è
-del 1216, e impone quattro denari per lira del prezzo
-delle mercanzie, cioè un mezzo per cento: poi nel
-1396 fu alzata al dodici per lira, cioè cinque per cento,
-senza distinzione<a class="tag" id="tag202" href="#note202">[202]</a>. Fruttavano pure all’erario le
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-multe de’ condannati e le confische. Poi il genio fiscale
-altre imposizioni introdusse, come quella del sale<a class="tag" id="tag203" href="#note203">[203]</a>,
-dei forni, del bollo alle misure, del vino al minuto,
-delle acque di pubblica ragione.
-</p>
-
-<p>
-In maggiori strettezze ricorrevasi a prestiti, dando in
-pegno qualche preziosità, come i Milanesi diedero più
-volte il tesoro di Monza. Quel Comune, per combattere
-Federico II, supplì alla carezza del denaro
-con carta monetata, prefiggendo potessero con essa
-scontarsi le pene pecuniarie; il creditore privato non
-fosse tenuto riceverla in pagamento, ma il debitore non
-restasse esposto al sequestro se in cedole avesse tanto
-da spegnere il suo dovere. Per togliere di giro questa
-carta monetata si pensò formare il catasto de’ beni,
-neppure eccettuati gli ecclesiastici, misurati da geometri,
-e prezzati dall’uffizio degli inventarj. Con tale
-provvedimento il debito fluttuante restò rimborsato
-nel 1248; ma per fare il Naviglio grande, poi per uno
-o per altro titolo la tassa venne prolungata<a class="tag" id="tag204" href="#note204">[204]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Milanesi lagnavansi che i nobili, abitando in campagna,
-si sottraessero ai carichi dello Stato; nella concordia
-del 1225 questi soli, e non la plebe, si volle
-soggetti alle taglie. A Firenze, il 1362, non trovandosi
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-chi prestasse al cinque per cento, ser Piero di Grifo,
-uomo molto saputo in tali materie, suggerì che, a chi
-prestasse cento fiorini, gliene fosse scritto trecento; onde
-quel monte fu detto <i>dell’uno tre</i>. Poi, per altra guerra,
-a chi prestava cento si scrisse ducento, e chiamossi il
-monte <i>dell’uno due</i>. Nel 1380 fu ridotto tutto al cinque
-per cento, e il capitale nominale al reale; dal che
-nacque grandissima confusione a motivo di quelli che
-aveano venduto e comprato.
-</p>
-
-<p>
-Il catasto sovra dichiarazione giurata del possessore
-e di testimonj si eresse a Genova nel 1214, a Bologna
-il 1235, a Parma il 1302. In Firenze al 1336, secondo
-Giovan Villani, i tributi erano, la gabella della mercanzia,
-del sale, de’ contratti, il vin minuto, le bestie, la
-macina, e <i>l’estimo del contado</i>, fruttanti in tutto trecentomila
-fiorini. Pare da ciò che solo il contado fosse
-colà sottoposto a taglia, forse per conguagliare le gravezze
-particolari ai cittadini: e in fatto l’estimo della
-città non potè farsi stabilmente che per opera di Giovanni
-Medici nel 1427, obbligando a descrivervi tutti i
-beni mobili od immobili che ciascuna famiglia possedesse
-dentro o fuori del dominio fiorentino, compresevi
-le somme di denaro, i crediti, i traffichi, le mercanzie
-che avevano, <i>gli schiavi e le schiave</i>, i bovi, i
-cavalli, le gregge d’altri animali, regolando al sette e
-mezzo per cento, sicchè ogni sette fiorini di rendita se
-ne poneva cento di stima. Sottraevansi le spese e i
-carichi, poi dell’avanzo si riscoteva la decima. Chi non
-pagasse metteasi a specchio, cioè si registrava in un
-libro, e rimaneva escluso dalle magistrature.
-</p>
-
-<p>
-Chiese, monasteri, ecclesiastici andavano immuni,
-coi loro contadini e livellari, e fin coi beni di nuovo
-acquisto, per quanto le Repubbliche tentassero aggravezzare
-almeno questi; e a malincuore i preti s’inducevano
-a pagare pei beni patrimoniali, non però in mano
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-di laico, ma del vescovo, cui per tale occorrente comunicavano
-il registro dei loro beni<a class="tag" id="tag205" href="#note205">[205]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le imposte moderate, tali cioè che il gravato creda
-poterle sostenere col crescere di operosità, servono di
-stimolo; scoraggiano allorchè costringono a mutare
-le abitudini; giudicate importabili, svogliano dagli
-sforzi, e uccidono l’industria. I Comuni nostri mostravansi
-al fatto persuasi che ogni spesa fatta dal
-Governo al di là di quel che occorre a conservare e
-proteggere l’ordine sociale, è un dissipamento e un’ingiustizia
-oppressiva: ma per questo vorremo noi
-misurare la felicità d’un paese dai centesimi dell’estimo?<a class="tag" id="tag206" href="#note206">[206]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il valutare le rendite è difficilissimo, prima perchè
-di lor natura sono variabili, poi perchè la scarsezza
-del denaro faceva se ne esigesse gran parte in derrate;
-oltrechè le forme della contabilità erano troppo diverse
-dalle odierne.
-</p>
-
-<p>
-Variissimi erano i modi dell’esazione, i tesorieri, i
-deputati alle grasce e all’annona, eletti parte dal pubblico
-consiglio, parte dal podestà, parte a sorte, e
-da’ feudatarj nelle proprie giurisdizioni, ma sempre
-sottoposti al sindacato. Spesso la riscossione affidavasi
-a qualche monaco, od a corpi religiosi, come più disinteressati;
-e per renderla più sicura ordinavasi perfino
-a chi non l’avesse ancor pagata non venisse resa
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-giustizia<a class="tag" id="tag207" href="#note207">[207]</a>; del quale ripiego si valeano principalmente
-per tassare anche i cherici. Nel contado a ciascuna
-pieve si assegnava una quota da ripartire fra le ville
-ed esigere: al qual uopo v’avea consigli o adunanze;
-dove sussistevano ancora i visconti vescovili, questi
-presedevano a tal bisogna insieme coi consoli di campagna.
-</p>
-
-<p>
-Le case costituivano quasi la garanzia del cittadino
-in faccia al Comune. Pertanto il venderle equivaleva a
-perdere la qualità d’accomunato; per ciò stesso di chi
-fosse espulso veniva demolita l’abitazione, e al forestiere
-non si permetteva di possederne; e i nobili di
-campagna, quando fossero accettati in città, per prima
-cosa vi fabbricavano un palazzo. Ad Ivrea si considerava
-cittadino chi vi abitasse, possedesse pel valore di
-dieci lire, fosse scritto nel libro dell’imposta del Comune<a class="tag" id="tag208" href="#note208">[208]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Zecche ebbero già i Longobardi a Pavia, a Milano,
-Verona, nel Friuli, a Lucca, e forse a Spoleto e Benevento;
-e possiam credere continuasse così sotto ai
-Franchi e agli imperatori tedeschi: ma presto conti e
-marchesi domandarono o pretesero moneta propria.
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-Per privilegio dell’imperatore Lotario I a Manasse, gli
-arcivescovi soli poteano coniarne a Milano; diritto che
-conservarono finchè la repubblica il trasse a sè. Altrettanto
-sarà addivenuto nell’altre città, e ci restano monete
-di più di cento zecche nostrali: anche alcune famiglie
-n’aveano il diritto, come in Piemonte i discendenti
-di Aleramo, marchesi di Monferrato, di Saluzzo,
-di Ceva, di Busca, di Savona, del Carretto; e alcuni feudatarj
-dell’Impero, quali i conti di Desana, di Crescentino,
-di Cocconato, ecc. Per lo più quelle monete aveano
-corso soltanto nel paese.
-</p>
-
-<p>
-Tentò il Barbarossa ritrarre a sè questa regalia, e
-fece battere i soldi imperiali nei villaggi dove avea
-distribuito i cittadini della distrutta Milano; ma poi
-la dovette consentire alle città federate, le quali ben
-presto all’effigie dell’imperatore surrogarono i santi
-patroni<a class="tag" id="tag209" href="#note209">[209]</a>. Cadute le repubbliche ai tiranni, Azzone
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-Visconti a Milano diede il primo esempio di stampare
-del proprio nome le monete: Genova ne battea prima
-del 1139, quando ne chiese e ottenne privilegio da Corrado
-II di Germania. A imitazione del genoino, i Fiorentini
-nel 1252 batterono il ducato, che da una parte
-recava il Battista, dall’altra il giglio, donde il nome di
-fiorini che si propagò in tutta Europa, con oro di ventiquattro
-carati, e il peso d’un ottavo d’oncia, o un sessantaquattresimo
-di marco, e divideasi in venti soldi<a class="tag" id="tag210" href="#note210">[210]</a>.
-Subito gl’imitarono Francesi, Ungheresi ed altri popoli,
-e fra noi i re di Napoli, i conti di Savoja, i marchesi
-di Monferrato, i Veneziani; e molto accreditato
-fu in commercio lo zecchino veneto, battuto primamente
-nel 1284, sul quale si conservarono sempre la
-rozza impronta primitiva del doge che riceve lo stendardo
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-da san Marco, e la barbara e devota iscrizione
-<i>Sit tibi, Christe, datus quem tu regis iste ducatus.</i>
-</p>
-
-<p>
-Dacchè la lira cessò d’equivalere veramente al peso
-d’una libbra d’oro o d’argento, variò senza limite la
-proporzione, solo sussistendo la divisione in venti soldi,
-e del soldo in dodici denari. Non entreremo nel pecoreccio
-degli avvicendati valori delle monete e del conguaglio
-fra l’oro e l’argento; e basti dire che quest’ultimo
-era principalmente adoperato nel commercio di
-Levante e che in generale vuolsi fare stima che la scoperta
-dell’America ne ridusse il valore a un sesto, e
-a un terzo quel dell’oro.
-</p>
-
-<p>
-Monete di rame non si conoscono de’ tempi barbari,
-onde o mancavano al giornaliero commercio, o si dovea
-coniarne di argento troppo sottili, o peggiorare la lega.
-</p>
-
-<p>
-È argomento dell’opulenza italiana che Venezia, all’entrare
-del secolo xv, battesse l’anno un milione di
-zecchini; e Firenze quattrocentomila fiorini in oro, e
-più di ducentomila libbre d’argento; e dal 1365 al
-1415 vi si erano coniati undici milioni e mezzo di zecchini
-d’oro. Se vogliansi lodare come manifatture e come
-lusinga alla nazionale vanità che tanto lega i cittadini,
-ognun però vede quanta confusione dovesse derivare
-da tanta varietà. Il disordine introduceva il solito morbo
-de’ cambisti, che soli tenendo il filo di quel labirinto,
-vantaggiavano alla grossa.
-</p>
-
-<p>
-La scienza amministrativa e finanziera nacque in
-Italia, o qui prima si pensò a ridurre in un quadro
-tutte le entrate e le uscite, formandone il bilancio, come
-si chiamava con nome espressivo<a class="tag" id="tag211" href="#note211">[211]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Pisani, Genovesi, Amalfitani, ma principalmente i
-Veneziani, estesi in tanto commercio, sentirono il bisogno
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-di conoscere le condizioni proprie e dei popoli con
-cui erano in relazione di traffici e di politica. Fin dal
-xii secolo Venezia ordinò ne’ suoi archivj i pubblici
-atti, fe scrivere la storia civile, e stabilì le forme secondo
-cui gli agenti diplomatici dovessero raccogliere
-e presentare al senato i ragguagli dei paesi ov’erano
-spediti<a class="tag" id="tag212" href="#note212">[212]</a>. Quindi nessun governo fu altrettanto istruito;
-e que’ ragguagli su’ principi, sulle forze, sulla potenza
-de’ varj Stati, allora anticipavano l’esperienza, ora sono
-miniera di statistiche cognizioni. Anche nell’interno i
-governanti doveano dare minuto ragguaglio delle provincie
-loro; poi nel 1338 vi troviamo traccie di anagrafi.
-Nel 1330 Jacopo Tondi, uno della Signoria di
-Siena, eseguì una visita uffiziale dello Stato sanese e
-ne compilò una relazione, che è il primo saggio di quei
-prospetti statistici, dei quali si fa vanto la nostra età<a class="tag" id="tag213" href="#note213">[213]</a>.
-Le altre repubbliche adopravano a somiglianza, e potrebbero
-raccogliersi le statistiche dagli storici e dagli
-archivj, dove pure giaciono gli atti verbali de’ consigli
-d’allora, ricchissimi d’insegnamento.
-</p>
-
-<p>
-Se fra tante disparità vogliamo cercare i fattori comuni,
-troviamo dappertutto la sovranità del popolo, che ne’ casi
-più rilevanti la esercitava direttamente, negli ordinarj
-la delegava a rappresentanti. Erano questi divisi in un
-consiglio maggiore, specialmente incaricato del potere
-legislativo; e in un minore, che assisteva il capo dello
-Stato nell’esecutivo. I pubblici uffizj erano elettivi, di
-breve durata, e sottoposti a sindacato. Ogni Comune
-aveva uno statuto, in cui si comprendevano le leggi organiche
-della repubblica, i diritti e le consuetudini di
-tutti e de’ singoli, le leggi criminali e i decreti civili,
-mescolati di romano e di germanico; e dove gran parte
-aveano le ordinanze censorie e suntuarie. Questi statuti
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-obbligavano in quanto ciascuno li giurava o all’atto
-di divenir cittadino, o nell’assumere una magistratura;
-avanzo del diritto feudale, per cui la fede rimaneva un
-fatto personale. Ciascun quartiere o consorzio o maestranza
-era responsale della condotta dei consorti; e il
-reo sottoponevasi alle loro speciali giudicature prima
-di trasmetterlo al tribunale del Comune. Queste divisioni
-del Comune stesso in corpi moltiplicavano occasioni
-di conflitto: lo perchè speciale studio degli statuti era
-il conservare la pace pubblica.
-</p>
-
-<p>
-L’età nuova comincia dunque colla stessa varietà di
-forme che già trovammo nella prisca. Tante erano
-quante le città, le quali, costituitesi ognuna indipendentemente
-dall’altra, aveano provveduto come credevano
-al proprio meglio; di che infinite varietà, spesso stravaganti,
-sempre inesperte.
-</p>
-
-<p>
-Ma il fatto più appariscente è che esistevano municipi,
-non provincie, non Stati. Nè qui soltanto, ma in
-tutta Europa presentavasi allora questa moltiplicità di
-centri sopra angusto spazio, senza nesso comune; e
-dove il ben generale terminava ai limiti del territorio,
-considerando proprio vantaggio il danno del vicino.
-Quindi diversità di statuti, di pesi, di misure, di dogane;
-quindi un incomodo succedersi di pedaggi, mentre
-rimanevano degradate le strade, sia perchè non vi
-aveva accordo a mantenerle, sia perchè ad ogni rompere
-di nimicizia venivano guastate. E di nimicizia era seme
-la vicinanza stessa; e quando ogni Comune costituiva
-uno Stato, sconnesso dal vicino, le investiture, i privilegi,
-gli statuti si assimilavano a trattati di pace e di
-mutua assicurazione.
-</p>
-
-<p>
-Niuna podestà sovremineva; giacchè il re vigilava
-bensì perchè fosse pagato il censo dovuto alla Camera,
-e dati i doni o i sussidj convenuti; e perchè i giudici
-del feudo o del Comune non proferissero sui casi riservati
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-agli uffiziali regj, nè di persone o beni al re solo
-sottoposti; ma non dovea nè potea mescolarsi dell’interna
-amministrazione. Ne derivava come difetto generale
-la debolezza, essendo il Governo diretto da troppi,
-e spesso dalla piazza, la peggiore delle tirannie e delle
-miserie. I magistrati (solito effetto del voto universale)
-non erano tanto solleciti del vero bene, quanto dell’opinione
-degli elettori; e non tiranneggiavano, ma dove
-complisse peccavano d’ingiustizia.
-</p>
-
-<p>
-Mentre poi ciascuna repubblica studiava a formarsi
-una legislazione particolare, nessuna seppe prepararsi
-statuti che garantissero la sua libertà, frenassero i prepotenti,
-limitassero i depositarj del potere. In sottigliezza
-di costituzioni mal s’intende il grosso del popolo,
-mentre di ciascuno è bisogno la giustizia, dalla
-quale dipendono persone e beni. Solleciti della sicurezza
-dei contratti, di ordinare le successioni, reprimere i
-piccoli delitti, non provvidero ad assodare una buona
-struttura pubblica con quel ch’è primo scopo della politica,
-un Governo regolato insieme e libero. Adunque
-non previdenza per l’avvenire, non freno all’ambizione
-de’ pochi o alle esuberanze della moltitudine, paghi della
-libertà senza sfuggire l’anarchia, nessuno pensò a combinarla
-colla sicurezza personale e pubblica, a secondare
-lo svolgimento delle istituzioni. Le passioni, più
-impetuose quando non temperate da costumi e da studj,
-rendevano frequenti i delitti; e quello sminuzzamento
-di Stati agevolava il sottrarsi al castigo. Quindi incerte
-idee sulla moralità, un delitto portando pena diversa a
-pochi passi di distanza: quindi mancato quel ch’è efficacissimo
-carattere della giustizia, la certezza della punizione,
-giacchè il delinquente trovava vicinissimo un
-asilo su terra forestiera: quindi il Governo costretto
-occuparsi quasi unicamente d’amministrare la giustizia
-criminale, ed ai magistrati doveva affidarsi un potere
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-illimitato, che facilmente diveniva micidiale della libertà,
-o che portava per reazione la vita privata a ribellarsi
-alla pubblica, l’individuo a nuocere al cittadino, cercando
-l’affrancazione in quell’isolamento che era stato
-carattere della feudalità.
-</p>
-
-<p>
-Così delle singole repubbliche: tutte insieme poi non
-seppero stabilire una buona federazione, che non solo
-le avrebbe salvate dai nemici, ma poteva offrire un
-modello alla restante Europa. La Lega Lombarda, esemplarmente
-gloriosa ne’ primi effetti, non conobbe altrettanto
-la civile prudenza; non seppe quel che spesso noi
-pure dimentichiamo, che non v’è autorità senza unità,
-e senz’autorità non v’è pace e libertà: e il formare una
-salda confederazione che avesse centro a Milano, patria
-dappertutto, e feste ed esercito comune, e tesoro e patti
-e assemblee determinate; il vedere che il torto fatto
-ad una era fatto a tutte, minaccia di tutte la morte di
-una; il rassegnarsi a un male immediato per reprimere
-un abuso che causerebbe mali remoti, era un
-troppo aspettarsi da gente abbagliata dal trionfo, e
-nuova negli accorgimenti politici.
-</p>
-
-<p>
-D’unità nazionale neppur nacque il pensiero, tant’era
-cosa insolita; come a Napoleone non venne l’idea di
-valersi de’ battelli a vapore o dell’inescazione fulminante.
-Che le libertà parziali non valgono senza l’indipendenza,
-chi allora lo capiva? Non ebbero parlamenti
-savj come l’inglese, non rivoluzioni iniziatrici come la
-francese: ma questi sarebbero riusciti tali senza la
-esperienza de’ nostri Comuni? Il reggere ai mali che
-accompagnano la libertà è difficile, lento il successo;
-talchè il grosso degli uomini cade per istanchezza o
-precipita per impazienza. Troppo rari il Cielo suscita
-di quegli eroi civili che vagliano ad erigere tutta la
-popolazione alla propria altezza, e che tengano per condizione
-e per unico mezzo di riuscita il libero concorso
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-di quella. Le nazioni libere possono aspirare alla vittoria,
-non al riposo; e i Comuni nostri, nel fervore della
-lotta, nell’ebbrezza della vittoria e nella fiducia della rinnovata
-fratellanza, si abbandonarono al buon volere dei
-collegati e al senno dei rettori, che, qualvolta occorresse,
-doveano raccogliersi per discutere dell’interesse
-universale; tutti gli spedienti furono attuali e momentanei,
-senz’avvisare al tempo in cui sarebbe allontanato
-il pericolo, sbollito l’ardore, sottentrate le brighe
-e le gelosie, ahi! troppo pronte seguaci delle vittorie
-popolari.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap86">CAPITOLO LXXXVI.
-<span class="smaller">Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Abbiam veduto come il paese più meridionale d’Italia,
-cuna di tante magnanime repubbliche prima della conquista
-romana, poi dopo l’irruzione dei Barbari suddiviso
-tra molti principati longobardi e molti Comuni
-greci, venisse concentrato dai Normanni in un dominio,
-che d’allora gl’italiani chiamarono per antonomasia <i>il
-regno</i> <span class="sidenote">(1130)</span>. Re di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua,
-Ruggero II assunse la pomposa divisa <i>Appulus et Calaber,
-Siculus mihi servit et Afer</i>; anzi Falcone Beneventano
-riferisce un documento, ov’egli s’intitola
-<i>Dei gratia Siciliæ et Italiæ rex, Christianorum adjutor
-et clypeus</i>.
-</p>
-
-<p>
-Colle genti che rapì sì nella spedizione di Grecia, sì
-in quella contro Tripoli e l’isola delle Gerbe, ripopolò
-la sua isola. Come sapesse a tempo chinarsi e resistere
-ai papi, narrammo; si mostrò sempre riverente a san
-Brunone, che in Calabria avea fondato i Certosini; le
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-scienze amò e protesse; all’Edrisi, famoso geografo
-musulmano, diede un feudo perchè dimorasse alla sua
-corte compilando le <i>Peregrinazioni d’un curioso che
-vuol conoscere a fondo i diversi paesi del mondo</i>, ove
-dispose in nuovo e bizzarro sistema le cognizioni geografiche
-degli Arabi, ad illustrazione d’una sfera d’argento,
-pesante ottocento marche, dov’erano incisi tutti
-i paesi conosciuti. Il palazzo di Palermo sua capitale,
-colla magnifica cappella di san Pietro, avente le pareti
-e il pavimento a musaici squisiti, e dove ancora si legge
-l’iscrizione trilingue da lui apposta al primo oriuolo
-che ivi collocò; la cattedrale di Cefalù e quella di Salerno,
-ricca delle spoglie di Pesto; le chiese di San Nicolò
-a Messina e a Bari, il monastero della Cava, sono
-monumenti della magnificenza di Ruggero. A Palermo,
-oltre edifizj spiranti dovizia e splendidezza, aperse un
-vasto parco, popolato di selvaggina, e ricreato d’acque
-condotte sotterra<a class="tag" id="tag214" href="#note214">[214]</a>: dalla Grecia e dall’Africa trasferì
-la coltura dell’albero del pane, del papiro<a class="tag" id="tag215" href="#note215">[215]</a>, del pistacchio,
-della canna da zuccaro; e dalla Morea i gelsi
-e i filugelli, e operaj di seta. Che però questa già vi
-si lavorasse dagli Arabi, lo prova il famoso manto imperiale,
-fatto per ordine di Ruggero, con iscrizione cufica
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-del 528 dell’egira, rispondente al 1133; e che poi
-portato in Germania da Enrico VI, ora conservasi a
-Norimberga. Ma allora i telaj rompevano il silenzio
-della reggia di Ruggero per preparare d’ogni genere
-tessuti, e broccati, e fiorami, e arabeschi, con gemme
-interposte e colori variatissimi<a class="tag" id="tag216" href="#note216">[216]</a>; oltre che vi si convertiva
-in panni la lana francese.
-</p>
-
-<p>
-Tornando d’Oriente, Pisani, Veneziani, Genovesi rinfrescavano
-a Palermo: Spedalieri e Templari rizzarono
-conventi in Trapani, ordinaria posata de’ Crociati<a class="tag" id="tag217" href="#note217">[217]</a>:
-i Veneziani aveano a Palermo una società
-mercantile con magistrati proprj, cassieri e presidente;
-i Genovesi un banco a Siracusa e casa forte a Messina:
-gli Amalfitani empivano una strada di Napoli di loro
-botteghe, massime di stoffe di lana e seta, e avevano
-un quartiere a Siracusa, un consorzio mercantile a
-Messina.
-</p>
-
-<p>
-I Musulmani conservavano ancora alcune campagne,
-godendo eguaglianza di leggi, con una tolleranza unica
-a quei tempi; quartiere proprio nelle città con franchigie,
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-magistrati e notaj, e libero culto; sin feudi ottennero;
-e se alcuni come prigioni di guerra teneansi
-in condizione servile, più di centomila distribuiti in
-tribù sotto i loro sceicchi lavoravano liberamente il val
-di Màzara ed altri territorj. Filippo, uno degli eunuchi
-di Ruggero, musulmano convertito, salì fino grand’ammiraglio,
-e fu spedito ad espugnare Bona in Africa <span class="sidenote">(1149)</span>.
-Ne presero gelosia i baroni normanni, che l’accusarono
-di mangiar carne il venerdì e in quaresima, andare
-con repugnanza nelle chiese, e di piatto tornare alle
-moschee: e Ruggero l’abbandonò al loro rancore, sicchè,
-legato alla coda d’un cavallo indomito, fu fatto a
-pezzi, e i pezzi gettati al fuoco<a class="tag" id="tag218" href="#note218">[218]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Pochi anni dappoi il musulmano Mohammed ebn-Giobair,
-che viaggiò in Sicilia, scriveva: — Re Guglielmo,
-commendevole ne’ suoi portamenti, si giova
-de’ Musulmani, e ha paggi eunuchi per intimi, fedeli
-all’islam benchè nascostamente; ha gran confidenza
-ne’ Musulmani, e v’affida anche gli affari più delicati;
-tiene una compagnia di Negri musulmani sotto un comandante
-musulmano; i visiri e i ciambellani trae dai
-molti paggi, i quali sono e impiegati del Governo e
-persone di Corte, e sfoggiano lusso di vesti, agili cavalli,
-e tutti hanno corteggio e seguito proprio. Il re
-a Messina ha un palazzo bianco come una colomba, dove
-stanno occupati molti paggi e fanciulle; esso s’abbandona
-ai piaceri della Corte a modo dei re musulmani,
-cui imita nel sistema delle leggi, nell’andamento del
-Governo, nella distribuzione dei sudditi, nella magnificenza.
-Molto deferisce ai medici e astrologi suoi: dicono
-legga e scriva l’arabo, e un suo intimo ci assicurò
-abbia adottato il motto <i>Lode a Dio, giusta è la sua lode</i>;
-come il motto di suo padre era <i>Lode a Dio in riconoscenza
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-de’ suoi benefizj</i>. Le fanciulle e concubine del
-suo palazzo sono musulmane tutte; e un cameriere di
-nome Yahia, impiegato nella manifattura de’ panni, dove
-ricama a oro le vesti del re, ci assicurò che le cristiane
-Franche dimoranti in palazzo erano state convertite
-dalle nostre senza che il re lo sapesse, e molto
-s’industriavano in opere di carità.
-</p>
-
-<p>
-«A Palermo i Musulmani conservano un avanzo di
-fede; tengono pulitamente le moschee, fan la preghiera
-alla chiamata del muezzin, dimorano in borgate distinte
-dai Cristiani, tengono e frequentano i mercati.
-Proibita la pubblica professione di fede (<i>khotbah</i>), fanno
-solo l’adunanza del venerdì, ma ne’ giorni del beiram
-pregano per i principi abbassidi. Hanno un cadì, che
-giudica i loro processi: una moschea principale ed altre
-innumerevoli, nella più parte delle quali si dà lezione
-del Corano. Le donne cristiane nell’eleganza del parlare
-e nel modo di velarsi e di portare i mantelli imitano
-le musulmane. A Natale escono in vesti di seta
-color d’oro, avvolte in mantelli eleganti, coperte di veli
-di colore, con stivaletti dorati, e pompeggiano nelle
-chiese, cariche di collane, d’essenze, di belletto come
-le musulmane.
-</p>
-
-<p>
-«Non è guari, arrivò a Trapani il caid Abu’l-Kassem,
-capo de’ Musulmani in Sicilia, caduto in disgrazia
-del re per calunnie; e sebbene sfuggisse la condanna,
-gli furono estorti trentamila denari d’oro, senza rendergli
-alcuna delle case e terre avite. Dianzi riebbe il
-favore del re, che lo pose in un servizio di governo, ed
-egli vi si rassegnò, come lo schiavo di cui siansi presi
-la persona e gli averi»<a class="tag" id="tag219" href="#note219">[219]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E segue raccontando come qualunque Musulmano,
-per sottrarsi alla collera de’ parenti, rifuggisse in una
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-chiesa, era battezzato; che i Musulmani offrivano le
-loro figlie ai pellegrini perchè le sposassero, e queste
-lasciavano liete la famiglia per sottrarsi alla tentazione
-dell’apostasia e per vivere in paese musulmano. Sono
-le consuete esagerazioni de’ partiti soccombenti; ma ne
-trapela come i principi normanni procurassero usufruttare
-la civiltà orientale; e lungamente noi incontreremo
-ancora quegl’Infedeli nelle vicende della Sicilia.
-</p>
-
-<p>
-Anche gli Ebrei, altrove perseguitati, ivi ebbero sicurezza,
-e Beniamino di Tudela nel suo viaggio del
-1172 ne contava millecinquecento a Palermo, ducento
-a Messina.
-</p>
-
-<p>
-Bizzarra mescolanza dovea presentare in quei tempi
-il paese; indigeni abbattuti da lungo servaggio, cavalieri
-normanni in corazza e morione, Musulmani con
-turbanti; santoni insieme e frati; corse del gerid e
-tornei; Nordici ignoranti e corrotti Meridionali; fastosi
-Asiatici e severi Scandinavi: vi si parlava greco, latino
-vulgare, arabo, normando, e in ognuna di queste lingue
-si pubblicavano i bandi; i quali doveano tanto quanto
-acconciarsi al codice Giustinianeo pei Greci, al <i>Coutumier</i>
-pei Normanni, al Corano pei Saracini, al codice
-longobardo pei precedenti signori.
-</p>
-
-<p>
-I Normanni, pochi e deboli, dovettero fiancheggiarsi
-di politica e d’astuzie, formando un governo più abile
-che robusto, e sprovvisto di quella vigorosa unità che
-è necessaria per tiranneggiare un popolo, e convergerne
-gli sforzi ad unico intento, massime in paese
-come il napoletano, così spezzato e vario di origini.
-Delle istituzioni de’ Longobardi e de’ Greci non cangiarono
-se non ciò ch’era richiesto dall’introdurvisi della
-feudalità al modo dei Franchi. Magistrati e conti longobardi,
-resisi ereditarj, aveano già formato la classe
-de’ baroni, che conservò la nobiltà anche dopo avere,
-per la conquista normanna, perduto le giurisdizioni. I
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-Normanni investiti di feudi li sottinfeudavano a cavalieri,
-cioè vassalli nobili, e a gran dignitarj ecclesiastici.
-Ma que’ primi Normanni, e gli altri continuamente
-chiamati di Francia ad esercitare il lor valore, voleano
-sulle proprie tenute regolarsi col diritto patrio: dal
-che vennero i feudj al modo Franco, la cui principale
-differenza dai longobardi consisteva nell’esservi ammesso
-alla successione soltanto il primogenito, mentre
-in questi ciascun figlio ereditava.
-</p>
-
-<p>
-Il sistema feudale fu comunicato anche ai paesi fin
-allora sottoposti ai Greci, e Ruggero a tutti i cavalieri
-di Napoli infeudò cinque moggia di terra con cinque
-coloni affissi a quella<a class="tag" id="tag220" href="#note220">[220]</a>; lo trapiantò anche nella Sicilia,
-che mai non n’avea gustato, scomponendovi ogni
-regolamento de’ Saracini. I coloni da liberi vennero
-dipendenti; le praterie furono aggravate di pascere i
-cavalli del vincitore; sottoposti a taglie i boschi e i
-servi della gleba; un’amministrazione fiscale e investigatrice,
-surrogata alla larga e tollerante dei Saracini,
-deteriorò l’agricoltura e il commercio.
-</p>
-
-<p>
-Usati in patria a raccogliersi in adunanze legislative
-e giudiziali, i Normanni non ne interruppero l’uso;
-e il nome di <i>parlamento</i> trasportarono, come nella
-conquistata Inghilterra, così pure nel paese di qua e
-di là dal Faro. Aperto sulle prime soltanto a Normanni,
-vi si traforarono poi anche indigeni, fondendosi vinti
-e vincitori. Ma al popolo non potea farsi luogo colà
-dove del suolo non avevano la proprietà che abati e
-signori; sicchè non v’erano ammessi che i due <i>bracci</i>
-de’ baroni e degli ecclesiastici. Poi le città acquistarono
-il diritto di riscattarsi dai baroni, e rendersi libere,
-cioè non dipendenti che dalla regia autorità; ed allora
-all’ecclesiastico ed al baronale fu aggiunto il braccio
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-<i>demaniale</i>, cioè che rilevava solo dal dominio del re.
-Quest’opera vedremo compiuta da Federico II.
-</p>
-
-<p>
-Ruggero accentrò l’amministrazione nella Corte di
-Palermo, intorno a sè disponendo sette grandi cariche,
-e sotto queste gli altri signori. A capo di ciascun distretto
-stavano baroni e connestabili; di tutta la nobiltà
-il gran connestabile; della marina il grand’ammiraglio:
-il gran cancelliere serviva d’anello tra gli incaricati e
-il principe: aggiungeansi il gran giustiziere, il gran
-cameriere, il gran protonotaro, il gran siniscalco. L’archimandrita
-o abate generale, eletto dai monaci, confermato
-dal re, aveva ispezione sulle chiese, e specialmente
-le vacanti; pure i vescovi doveano a Roma
-ricevere la consacrazione dal papa.
-</p>
-
-<p>
-Gastaldi e sculdasci aveano ceduto i giudizj a balii,
-giustizieri, castellani, i quali, col re a capo e con privilegi
-distinti, formavano una gerarchia d’amministrazione,
-che fu la prima foggiata alla moderna, non composta
-di vassalli feudalmente congiunti al signore, ma
-di uffiziali che coordinatamente esercitavano la porzione
-di potere ad essi affidata. Mentre dunque l’antica nobiltà
-restava in opposizione ai conquistatori, una nuova
-nascea di gente ammessa agli impieghi, fosse natìa o
-forestiera<a class="tag" id="tag221" href="#note221">[221]</a>: nel che pure il siciliano differiva dagli
-altri diritti.
-</p>
-
-<p>
-Alle leggi longobarde, che fin allora avevano forza
-di diritto comune, con qualche mistura delle romane e
-delle consuetudini scandinave, Ruggero sostituì le <i>Costituzioni</i>,
-promulgate nelle pubbliche assemblee di
-baroni, uffiziali e vescovi, e che valeano in ambe le
-parti del Regno. Desunse dal diritto romano la legge
-che dichiara sacrilegio il mettere in disputa i fatti, i
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-consigli, le deliberazioni del re. Morte comminò a chi
-tosa o áltera la moneta; a chi rapisce una dal monastero,
-sebbene non ancora velata e a titolo di sposarla;
-al magistrato che malversa il pubblico denaro, o al giudice
-che si lasciò corrompere; a chi dà farmachi per
-ispirare avversione, o ferisce a morte alcuno nel rotolare
-o menare un sasso o una trave senza darne avviso.
-Vietò severamente di vendere o alienare i feudi, nè
-che i feudatarj contraessero matrimonj senza consenso
-del re, e tanto meno maritassero le proprie figlie aventi
-l’eventualità di succedere. Nessuno eserciti la medicina
-se non licenziato: nessuno sia fatto cavaliere nè giudice
-se non venga da stirpe di militi e notaj. Molte
-pene concernono le adultere e le prostitute. Chi vende
-un uomo libero è ridotto in servitù<a class="tag" id="tag222" href="#note222">[222]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ruggero è da’ suoi esaltato colle lodi che sogliono
-prodigarsi al fondatore dell’indipendenza d’uno Stato,
-e all’ambizione fortunata di chi non tien conto della
-moralità dei mezzi. Perduti i figliuoli Alfonso e Ruggero,
-l’unico superstite Guglielmo fe coronare come
-collega <span class="sidenote">(1154)</span>; e poco stante morì a sessantun anno, dopo
-ventiquattro di regno.
-</p>
-
-<p>
-Avaro, sospettoso, pusillanime, inetto riuscì quel suo
-successore; e chiuso nella reggia fra sozzi e barbari
-piaceri, del ben pubblico non si dava pensiero. Gl’imperatori
-d’Oriente e d’Occidente ne presero baldanza
-di mettere in campo opposte pretensioni sopra il Reame,
-mossero armi, e sollecitarono i baroni sempre inquieti.
-Questi aveano avuto ricorso al Barbarossa, e quand’egli
-scese in Italia la prima volta, si sollevarono dappertutto;
-ma esso non potè ajutarli. Bensì gl’imperatori
-greci, che anelavano vendicarsi delle spedizioni dei due
-Ruggeri, e che già possedeano Ancona ed altri porti
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-sull’Adriatico, occuparono Brindisi, che divenne il
-quartiere de’ baroni rivoltosi: ma Majone, oliandolo di
-Bari, coll’ingegno, l’eloquenza e l’arte del simulare e
-dissimulare divenuto cancelliere e grand’almirante del
-regno, ed arbitro de’ consigli e degli atti di Guglielmo,
-riprese questa città, e i ricoverati fece uccidere, abbacinare,
-sepellire nelle carceri di Palermo. Di ciò si volle
-gran male a Majone, e dell’aver lasciato che la fortezza
-di Mahadia sulle coste d’Africa, tenuta dai Siciliani,
-soccombesse ad Abd al-Mumin re di Marocco. Spargeasi
-pure che colui volesse impossessarsi della corona;
-onde i baroni cospirarono contro di esso; Campania e
-Puglia si sollevarono; lo stesso conte Matteo Bonello,
-da lui predestinato genero, se gli avversò, e riuscì ad
-ucciderlo e a tenere prigioniero Guglielmo <span class="sidenote">(1161)</span>. L’abuso
-della vittoria fece esosi i congiurati, onde alla fine Bonello
-fu preso ed accecato, rimesso l’ordine coi supplizj,
-e Guglielmo serbò nella storia il titolo di <i>malvagio</i>.
-</p>
-
-<p>
-Quel di <i>buono</i> fu dato a suo figlio Guglielmo, che
-succeduto <span class="sidenote">(1166)</span> sotto la tutela di Margherita di Navarra,
-bello e giovane, procurò cattivarsi i cuori scarcerando
-quella folla di prigionieri di Stato; ma le fazioni inferocirono
-per disputarsi influenza nella tutela; e le eterogenee
-parti ond’erasi compaginato ma non formato
-quel regno, tendevano a separarsi. Margherita cercò
-appoggio empiendo la corte di Franchi, tra i quali Ugo
-Falcando, detto il Tacito della Sicilia pel nero e vibrato
-modo con cui descrisse quelle turbolenze; e di varj
-prelati e gran savj in diritto. Ma da contrasti e guerre
-il paese era tutto sovvolto, non meno che da tremuoti,
-pei quali Catania fu distrutta, squarciate Taormina,
-Lentini, Siracusa; le fonti versarono acque sanguigne;
-il mare nel Faro si ritirò, poi ringorgando verso la
-riva elevossi fin sopra le mura di Messina, tutto miseramente
-lavando <span class="sidenote">(1169)</span>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-</p>
-
-<p>
-Guglielmo, tenutosi amico di Alessandro III, impedì
-che il Barbarossa attentasse al suo regno; ebbe nobil
-parte alla conchiusione della lega Lombarda e della
-pace di Venezia; poi armato per ristabilire Alessio Comneno
-sul trono d’Oriente, prese Durazzo, Tessalonica
-ed altre piazze di Grecia, ma da Costantinopoli fu respinto.
-Ajutò pure Antiochia, Tiro, Tripoli contro il
-Saladino; ma di soli trentasei anni morì <span class="sidenote">(1189)</span>. La tradizione
-raccontò che Guglielmo il Malvagio avesse voluto smungere
-tutto il denaro del suo popolo; e per far prova
-se alcuno ne avesse ritenuto, mandò a vendere in piazza
-per tenue prezzo un suo bellissimo cavallo arabo. Un
-giovane signore lo comprò in fatto, il quale, chiesto in
-processo, confessò aver violato la tomba del proprio
-padre per tôrre quel poco denaro. Tutto quel tesoro
-fece Guglielmo sotterrare, poi corrervi sopra un fiume:
-ma Guglielmo il Buono riuscì miracolosamente a scoprirne
-il posto, ed ivi, in riconoscenza, fabbricò la magnifica
-badia di Monreale, dove ebbe la tomba, e che
-attesta la suntuosità e il progresso dell’arti sicule in
-quell’età.
-</p>
-
-<p>
-Di Guglielmo non restando figli, l’eredità ricadeva
-in Costanza figlia postuma di Ruggero II e perciò sua
-zia<a class="tag" id="tag223" href="#note223">[223]</a>. Benchè di là dai trent’anni, il Barbarossa erasi
-affrettato a cercarla sposa per suo figlio Enrico; e l’inglese
-Gualtiero Ofamiglio, arcivescovo di Palermo,
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-indusse il debole Guglielmo a consentirgliela. Costanza
-partì con più di cencinquanta cavalli carichi d’oro,
-argento, sciamiti, pallj grigi, vaj ed altre buone cose<a class="tag" id="tag224" href="#note224">[224]</a>;
-e le nozze furono celebrate in Milano con istraordinaria
-magnificenza, ma non colla benedizione dell’arcivescovo,
-che era papa Urbano III, reluttante da un connubio che
-saldava in Italia una famiglia ereditariamente avversa
-ai pontefici per la successione della contessa Matilde, e
-che li privava dell’appoggio avuto sin allora contro le
-esuberanze imperiali, e preparando l’unione anche di
-quella corona all’Impero, scassinava l’edifizio eretto
-dall’ardita perseveranza di Gregorio VII.
-</p>
-
-<p>
-Guglielmo avea chiuso gli occhi fra i preparativi
-della terza crociata che dicemmo; ed essendo allora i
-feudatarj occupati oltremare, Enrico VI non potè mandar
-forze ad occupare violentemente il Regno; sicchè
-estremo disordine vi irruppe. Poco badando ad Enrico
-e Costanza lontani, chiunque teneva al lignaggio dei
-Normanni pretendeva una porzione di dominio, e se
-la disputavano<a class="tag" id="tag225" href="#note225">[225]</a>; nell’isola i baroni ripetevano il
-prisco diritto elettorale delle assemblee nazionali come
-in trono vacante; nella terraferma (solita peste) si
-amava il contrario per gelosia verso Palermo: l’arcivescovo
-Gualtiero sosteneva il diritto ereditario di Costanza,
-e il giuramento ad essa prestato in Lecce;
-Matteo d’Ajello, vicecancelliere, vecchione abile a condurre
-un partito, animava quei che repugnavano dal
-vedere la Sicilia, fatta indipendente pel valore de’ Normanni,
-or in piena pace cadere a re straniero e avverso,
-e negava che, come a feudo, potesse una donna succedere;
-i più aborrivano la dominazione tedesca, e lo
-storico Falcando ripeteva: — Dio vi guardi da cotesti
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-armati di Germania, barbari, grossolani, stranieri ai
-costumi e alla civiltà vostra! Sotto il Tedesco, Sicilia
-più non sarebbe che una miserabile provincia, disgiunta
-dal suo sovrano, abbandonata alle espilazioni de’ suoi
-uffiziali. Già parmi vederla invasa da quelle orde portate
-dall’impeto a stremare col terrore, colla strage,
-colle rapine, colla lussuria, e far serva quella nobiltà
-di Corintj che pose anticamente nido nella Sicilia, indarno
-bella di filosofi e poeti tanti, e cui sarebbe tornato
-men grave il giogo degli antichi tiranni. Guaj a
-te, Aretusa, volta a tanta miseria, che mentre solevi
-modulare i carmi de’ poeti, or odi l’ebbrietà delle tedesche
-baruffe, e servi alle loro turpezze!»<a class="tag" id="tag226" href="#note226">[226]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Come avviene quando l’autorità è sfasciata, la ciurma
-e gli arruffapopolo alzarono il capo; e poichè in tali
-occasioni vuolsi sempre qualche capro espiatorio, si
-buttarono sovra i Saracini. Per quanto tollerati, non
-poteasi sperar pace fra antichi padroni e nuovi, fra due
-religioni così repugnanti, l’una guardante a Marocco,
-l’altra a Roma. Gli Arabi aveano trescato nella minorità
-di Guglielmo, e Abu’l-Kassem degli Amaditi d’Africa
-s’era accordato cogli eunuchi di palazzo e coi baroni
-malcontenti per isvertare Stefano da Perche francese.
-Ora i Palermitani saccheggiarono le case de’ Saracini,
-e molti uccisero; gli altri a forza s’apersero la ritirata
-fino in val di Mazara, ove i centomila loro fratelli presero
-l’armi per vendicarli, nè chetarono finchè non
-ebbero promessa di sicurezza e de’ primitivi privilegi.
-</p>
-
-<p>
-Quand’anche tali incendj nascono spontanei, v’è chi
-vi soffia, acciocchè la necessità dell’ordine costringa a
-prendere il partito che il primo scaltro suggerisce: e
-il partito or fu si convocasse il parlamento de’ baroni e
-si eleggesse un re.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ruggero duca di Puglia, fratello maggiore del primo
-re di Sicilia, dalla figliuola di Roberto conte di Lecce
-avea generato Tancredi, e presto lasciatolo orfano.
-Guglielmo il Malvagio perseguitò questo bastardo, e
-prima in carcere, poi lo spinse in esiglio: l’altro Guglielmo
-l’accolse, gli affidò l’esercito contro la Grecia,
-e lo titolò conte di Lecce. Istrutto dalla sventura, prudente,
-educato alle matematiche, all’astrologia, alla musica,
-parve degno della corona e l’ottenne: la <i>matrice</i>
-di Palermo, specioso monumento di architettura moresca
-mista a normanna, e dove ancora si ammirano,
-benchè guaste dall’incendio del 1811, le tombe di porfido
-di quei re, risonò d’applausi alla coronazione di
-Tancredi e del suo figlioletto Ruggero; e fu riconosciuto
-pure da tutte le provincie di terraferma, e investito
-ben volentieri dal pontefice.
-</p>
-
-<p>
-Di quel tempo i Crociati d’Inghilterra e di Francia,
-guidati dai loro re Ricardo Cuor di Leone e Filippo
-Augusto, eransi data la posta a Messina, onde di conserva,
-dopo la svernata, passare in Terrasanta. Fiera
-burrasca gittò la flotta genovese sulle coste di Calabria,
-per modo che i Francesi, perduti cavalli e provvigioni,
-poveramente approdarono in Sicilia. Ricardo, di gente
-normanna e d’impaziente arditezza, quasi solo traversò
-a cavallo le montagne di Calabria, e si tragittò a Messina.
-La caccia era rigorosissimamente osservata in
-Inghilterra: non così in Sicilia: onde Ricardo, mentre
-a quella si divertiva, udito un falco stridire nell’abituro
-d’un villano, entrò per portarglielo via. I nostri,
-men chinati nella servilità, a pietre e bastoni respinsero
-il prepotente, che solo alla fuga dovette la salvezza.
-</p>
-
-<p>
-A Tancredi dava noja l’arrivo di Filippo Augusto,
-alleato d’Enrico VI, e di Ricardo fratello della vedova
-di Guglielmo, da lui tenuta prigione. In fatto fu costretto
-rilasciar questa, restituendole la dote di ventiquattromila
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-once d’oro; ma Ricardo pretendeva anche,
-come assegno vedovile, quantità di vasi d’oro e d’argento,
-un trono, due tripodi, e una tavola larga mezzo
-metro e lunga quattro, tutti d’oro, una tenda di damasco
-bastante a ducento cavalieri, inoltre cento galee
-provvigionate per un anno. Tanto era di ricchezze famosa
-la Sicilia! Ricusato, l’Inglese aggredì Messina;
-ma questa si difese a sassi, tanto che Ricardo dovette
-venire ad accordo, giurando pace e protezione, e fidanzando
-una figlia di Tancredi all’erede d’Inghilterra.
-</p>
-
-<p>
-Enrico VI, coronato re dei Romani, per sostenere i
-minacciati suoi diritti venne in Italia <span class="sidenote">(1191)</span> coi feudatarj, che
-rovinatisi nella crociata, qui speravano rifarsi; e come
-suo padre fantasticando la dominazione universale, si
-prefiggeva di conquistare la Sicilia, farsi coronare a
-Roma, avere in arbitrio la Lombardia e la Toscana,
-sottomettere le coste d’Africa già tributarie ai Normanni,
-conquistare il trono di Costantinopoli, preda
-immancabile del primo occupante. Ma, non che gli bastassero
-forze a sì larghi disegni, dovea cercarne alle
-città lombarde col conceder loro la sua alleanza e sempre
-nuovi privilegi.
-</p>
-
-<p>
-Coi soccorsi di esse e delle repubbliche marittime,
-calò verso Roma. Celestino III, sortito allora papa
-d’ottantacinque anni, procrastinava la propria consacrazione
-per non dovere coronare Enrico; onde i Romani
-offersero a questo di costringervelo, purchè egli
-abbandonasse alla loro vendetta Tusculo, contro di cui
-non aveano cessato mai l’odio, e di rado la guerra.
-Compiacque Enrico al fratricida desiderio <span class="sidenote">(1191 — 13 aprile)</span>; unto il papa,
-Enrico e sua moglie dopo iterati giuramenti furono ricevuti
-in città. Entrati da porta Collina gettando denari
-al popolo perchè applaudisse, procedettero per Borgonuovo
-fin a Santa Maria Transpontina, donde il clero
-in processione li condusse al Vaticano. Precedeano il
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-prefetto di Roma colla spada sguainata, il conte del
-sacro palazzo, i magistrati della repubblica, poi i giudici,
-i camerieri, l’imperatrice, i vescovi tedeschi e italiani,
-i principi e dignitarj dell’impero. Celestino stava
-sopra elevato trono in capo alla scalea di San Pietro,
-coi cardinali, vescovi e preti alla destra, i diaconi alla
-sinistra, e dietro i suddiaconi colla nobiltà romana e
-gli uffiziali di palazzo. Il re, scavalcato, andò al bacio
-del piede pontifizio, e ginocchione colla mano sul Vangelo
-giurogli fedeltà, e di soccorrerlo a mantenere i
-possessi, gli onori, i diritti. Il papa gli chiese tre volte
-se volesse rimanere in pace colla Chiesa, e mostrarsene
-figlio rispettoso; e avuto il sì, ripigliò: — Ed io ti ricevo
-come figlio diletto, e ti do la pace come Dio la
-diede a’ suoi discepoli», e lo baciò.
-</p>
-
-<p>
-Allora mossero in processione; e alla porta Argentea
-esaminato sulla fede religiosa, l’imperatore ebbe il chiericato,
-promettendo riprovare gli eretici, ed assister
-poveri e pellegrini. Il cardinale d’Ostia unse Enrico al
-braccio destro e fra le spalle; il pontefice gli porse
-l’anello, la spada, lo scettro, e impose la corona d’oro
-a lui e alla moglie<a class="tag" id="tag227" href="#note227">[227]</a>. Poi si celebrò il santo sacrifizio,
-durante il quale si cantava vittoria e lunga vita al
-papa, all’imperatore, all’imperatrice; l’imperatore offrì
-pane, cera, oro, e ricevette l’eucaristia. Finita la messa,
-dal conte del palazzo gli furono posti gli stivaletti imperiali
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-e gli sproni di san Maurizio; poi tenne la staffa
-del cavallo bianco del papa, e l’addestrò fin al Laterano:
-al pasto, sedette alla destra del pontefice, mentre
-l’imperatrice in separata sala convitava vescovi e
-grandi.
-</p>
-
-<p>
-Non mancò lo spettacolo del sangue, poichè la guarnigione
-tedesca uscì di Tusculo, ed i Romani, senza
-udir prego nè pianto, uccisero, accecarono, mutilarono
-quegli abitanti, e disfecero il paese<a class="tag" id="tag228" href="#note228">[228]</a>. Alcuni poterono
-fuggire tra le montagne; altri, per amore del
-luogo natìo, si tennero vicino alla patria devastata
-sotto <i>frascati</i>, che poi dieder nome al paese che vi
-succedette.
-</p>
-
-<p>
-Lasciato così deplorabile segno di sua presenza, Enrico
-con grosse armi, colle promesse, colla corruzione
-procede alla conquista; e contraddetto dal papa<a class="tag" id="tag229" href="#note229">[229]</a>,
-ajutato dall’abate di Montecassino, prende e devasta
-Roma, e senza incontrare ostacoli arriva sotto Napoli e
-l’assedia. Questa, ristretta allora al quartiere che dalle
-falde di Sant’Elmo e di Capodimonte declina al mare,
-difesa da robusti spaldi e da buone truppe comandate
-dal prode Aligerno Cuttone, e col mare aperto, resiste:
-Pisani e Genovesi menano navi per secondare i Tedeschi,
-che intanto devastavano la campagna: ma le malattie
-puniscono gli invasori, sicchè Enrico è costretto
-tornare in Germania pensieroso più che pentito; Genovesi
-e Pisani cessano di caldeggiare un alleato infelice;
-i Salernitani arrestano Costanza e la consegnano a Tancredi,
-che la tiene prigioniera in Sicilia, finchè, ad
-istanza del papa, la restituì senza patti nè riscatto, fidando
-nella gratitudine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tancredi, che non avea saputo mostrarsi degno del
-diadema col difenderlo in persona, morì ben presto,
-ed essendogli premorto il primogenito <span class="sidenote">(1194)</span>, non lasciava
-che il fanciullo Guglielmo III in tutela di sua moglie
-Sibilla d’Acerra, in mezzo a gare de’ baroni coi cavalieri,
-inviperite, lunghe, disastrose e a nulla conducenti.
-Era uscita alla peggio la crociata; e Filippo
-Augusto, sbarcato a Otranto, ebbe a Roma dal papa dispensa
-dal voto e la palma de’ pellegrini: anche il Cuor
-di Leone, dopo imprese da paladino, tornò in Europa
-travestito per isfuggire ai molti nemici; ma il duca
-d’Austria lo colse, e lo cedette all’imperatore <span class="sidenote">(1192)</span> per sessantamila
-marchi d’argento; e questi lo rivendette all’Inghilterra
-per centomila, oltre metà tanti per finire
-l’impresa di Sicilia<a class="tag" id="tag230" href="#note230">[230]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Al fiuto di questa somma accorsero i baroni tedeschi
-ad offrirsi ad Enrico, che allestitosi, scese nella
-Lombardia. La trovava in nuovi subugli. I vescovi
-aveano perduto l’autorità temporale, nè i Comuni ancora
-assodata la propria in modo d’aver pace. I diversi
-ordini partecipavano diversamente al Governo, e secondo
-i varj paesi variavano le relazioni coi vicini, per
-modo che ogni città regolavasi con politica e leggi differenti,
-demolito l’antico, non istabilito il nuovo. Le
-leghe riuscivano meno a stabilir la concordia che ad
-impacciare la legge; i signori conservatisi indipendenti
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-s’arrogavano diritti di sovranità; le città maggiori
-voleano sottomettere le vicine, ed eroismo era
-l’energia dell’odio. Che se tra quella confusione (del
-resto naturale ad ogni reggimento nuovo) alcuno ergevasi
-a metter ordine, sì il faceva con guise tiranniche.
-</p>
-
-<p>
-Essendosi Enrico mostrato propizio a Pavia e Cremona <span class="sidenote">(1194)</span>,
-permettendo a quella di valersi di tutte l’acque
-del Ticino, e a questa sottomettendo Crema, le due
-imbaldanzite eransi collegate con Lodi, Como, Bergamo
-e col marchese di Monferrato a’ danni di Milano;
-la quale nelle giornate campali riusciva superiore, è
-vero, ma trovavasi cinta di nemici, che le sperperavano
-le campagne e rompevano i commerci.
-</p>
-
-<p>
-Enrico, raccolti gli stati a Vercelli, procurò instaurare
-la quiete; ma lontano e dalla politica e dalla forza
-del padre, scarsamente approdò; onde seguì sua via
-per Genova, anch’essa sovvertita da fazioni, da frequenti
-zuffe, da effimeri Governi, e che allora stava
-sotto al podestà Oberto di Olevano pavese. Ai Genovesi
-scrisse: — Se, ajutanti voi, io ricupero il Reame, mio
-sarà l’onore, vostro il profitto: giacchè non io od i
-Tedeschi miei vi soggiorneremo, ma voi stessi»; e seguiva
-confermando le esenzioni precedenti, e dando
-nuove giurisdizioni e privilegi, la città di Siracusa, ducencinquanta
-feudi in val di Noto: a Pisa parimenti
-concesse in feudo Gaeta, Mazara, Trapani, e metà di
-Palermo, Salerno, Napoli, Messina, oltre molti ingrandimenti
-in Toscana. Così largheggiando di promesse
-quanto meno intendeva mantenerle, ottenne soccorsi;
-poi entrato nel Reame, ebbe spontanee tutte le città,
-perfino quella Napoli, che poc’anzi si era con tanta costanza
-sostenuta. Salerno, sentendosi rea d’aver tradito
-l’imperatrice Costanza, si difese ostinata; ma presa, fu
-messa a sacco e ferro, neppur risparmiando le chiese,
-e i cittadini migliori impiccando, torturando, cacciando
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-in prigione o in esiglio, sicchè la città, di famosa importanza
-sotto i Longobardi e i Normanni, più non
-risorse. Capua pure fu espugnata a forza da Guglielmo
-di Monferrato e da’ Genovesi e Pisani: Eraclea (Policora),
-patria di Zeusi, colonia fiorentissima in antico, fu distrutta:
-qualunque città esitasse a sottomettersi, era
-devastata senza pietà. In Sicilia sottoposte Messina e
-Palermo, l’imperatore, colla pompa che suggerisce la
-paura, fu incoronato, e tutta l’isola gli giurò obbedienza.
-</p>
-
-<p>
-Con fallaci lusinghe aveva egli tratto Sibilla ed i figliuoli
-dal castello di Calatabelotta, dove s’erano fortificati
-coi loro fedeli; poi raccolti gli stati a Palermo,
-accusò lei e molti grandi di una congiura. Non la fondava
-che sopra una lettera consegnatagli (diceva) da
-un frate; ma bastò perchè quanti aveano tenuto col
-partito nazionale, laici od ecclesiastici, fossero mandati
-alla forca o al palo, accecati, arsi vivi, esposti alle beffe,
-relegati in Germania; re Guglielmo, toltogli il vedere
-e il generare, fu tenuto prigione finchè andò monaco;
-Sibilla e le figlie rapite in carcere, poi nella badia di
-Hohenbruck in Alsazia; turbate le ossa di Tancredi
-per istrappare il diadema a lui e al figlio Ruggero;
-bruciati quanti aveano contribuito alla loro coronazione.
-</p>
-
-<p>
-Fu spenta così nel sangue la dinastia normanna, di
-cui i regnicoli ricordano ancora con compiacenza i
-tempi e le famose ricchezze. Re Tancredi avea dato
-ventimila oncie d’oro per dote di sua figlia; Arnaldo di
-Lubecca ci rammentò le tavole, i letti, le sedie d’oro
-nel palazzo di Palermo; Ruggero Hoveden fa trovare
-da Enrico nel tesoro di Salerno ducentomila oncie
-d’oro; e in quel di Palermo senza fine armi ricche,
-stoffe d’oro e d’argento, sete ricamate, altre preziosità,
-con cui potè far larghezza a’ suoi fedeli; eppure
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-censessanta somieri vi vollero per trasportarne il resto
-nel castello di Trifels<a class="tag" id="tag231" href="#note231">[231]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Con tirannia stolidamente feroce sottentrava la dinastia
-sveva, che mal per lei. Anche le città sottomessesi
-volontarie, furono trattate come conquista; Siracusa
-e la risorta Catania incendiate, senza riguardo a
-nobiltà o a grado; Napoli e Capua smantellate, e per
-le vie di questa trascinato a coda di cavallo, poi impeso
-pei piedi, indi strozzato da un buffone Ricardo conte
-d’Acerra, cognato di Tancredi, ultimo lustro dell’antica
-dinastia. Giordano e Margaritone, più ligi all’imperatore
-perchè un tempo avevano sguainato pe’ suoi
-nemici, inventavano delitti e trame, affine d’intitolar
-punizione la vendetta. Uno ch’erasi millantato di poter
-rendere la libertà e il trono a Sibilla, fu collocato sopra
-un seggio di fuoco, con corona di ferro rovente: massime
-su ecclesiastici e prelati s’infierì, e chi fu arso, chi
-scorticato, chi mutilo, chi mazzerato.
-</p>
-
-<p>
-Non che mancare alle condizioni promesse a Genovesi
-e Pisani, Enrico li fraudò degli antichi privilegi,
-proibendo vi tenessero consoli, e proscrivendo tutti i
-negozianti forestieri. Del papa non si curò più che tanto,
-nè gli chiese l’investitura; onde questo l’avrebbe scomunicato,
-se nol tratteneva la naturale bontà, e la speranza
-che mantenesse la ripetuta promessa di crociarsi.
-</p>
-
-<p>
-Dava fiducia di presti cambiamenti il non aver successori
-il re svevo; quando si annunziò che Costanza
-era feconda. Enrico volle venisse nel Reame, quasi
-per dare un re indigeno; e avendo essa partorito a
-Jesi, al bambino pose nome Federico Ruggero, come
-quello che univa i due sangui nobilissimi. I Ghibellini
-ne fecero galla; i Guelfi sparsero ogni sorta di dicerie
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-su questo intempestivo natale<a class="tag" id="tag232" href="#note232">[232]</a>; ed Enrico ne prese
-baldanza a compiere il disegno del Barbarossa di far
-ereditario l’impero in sua casa, tanto più da che trovavasi
-favorito dalla vittoria e dai tesori della Sicilia.
-</p>
-
-<p>
-Cominciò dal sistemare la media Italia in modo di
-tener soggetta tutta la penisola. Pertanto a Filippo, ultimo
-figlio del Barbarossa e che poi divenne duca di
-Svevia, diede in moglie Irene figlia d’Isacco Langelo
-imperatore di Costantinopoli, e vedova del primogenito
-di Tancredi; e in feudo la Toscana ed altri beni
-della contessa Matilde: a Markwaldo d’Anweiler suo
-siniscalco, e ministro delle crudeltà, infeudò la marca
-d’Ancona: a Corrado di Svevia quella di Spoleto usurpandola
-alla Chiesa con titolo di rintegrare le imperiali
-prerogative, e restringendo il papa a poco più che all’indocile
-Roma. Vedendosi riminacciato il giogo degli
-Svevi, le città guelfe di Lombardia, da lui poste al
-bando dell’Impero, rinnovarono a Borgo Sandonnino
-la Lega Lombarda <span class="sidenote">(1193 — 13 giugno)</span>, alla quale diedero il nome Verona,
-Mantova, Modena, Faenza, Bologna, Reggio, Padova,
-Piacenza, Gravedona, oltre Crema, Brescia e Milano.
-Così i Guelfi perseveravano nell’assunto loro di campare
-Italia dalla straniera servitù.
-</p>
-
-<p>
-E servitù veramente minacciava Enrico, avvicendando
-crudeltà e perfidie contro i nostri non solo ma
-anche contro i Tedeschi. Raccolti gli stati a Magonza,
-propose di rendere in sua casa ereditario l’Impero, al
-quale aggregherebbe Puglia, Calabria, Capua e Sicilia,
-rinunzierebbe alla pretensione regia sulle spoglie de’ vescovi
-e abati defunti, riconoscerebbe ereditarj i feudi
-anche nelle donne. A proposte sì lusinghiere ben cinquantadue
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-principi aderirono: e per vero quel suo concetto
-potea tornar buono onde evitare le contestazioni
-che rinasceano tra le famiglie aspiranti alla corona
-della Germania, e ridur questa sotto leggi uniformi. Ma
-poteasi mai sperare v’assentisse il papa, il quale con
-ciò perdeva un preziosissimo diritto, e snaturava una
-dignità, attribuibile non alla nascita ma al merito personale?
-Poi a riuscirvi si voleva altro accorgimento
-politico, e carattere ben più stimabile che non l’avesse
-Enrico, il quale, mentre inorgogliva del tenersi come
-successore dei romani augusti, operava da inetto e crudele,
-scambiava per grandiosi disegni le velleità della
-sua ambizione; prometteva alle repubbliche privilegi,
-al papa di crociarsi, ai principi di favorirli, e a tutti
-perfidiava sfacciatamente; poi trovandosi impotente ai
-concetti, saltava in furore.
-</p>
-
-<p>
-Il divisamento medesimo egli rivoltò in altra guisa,
-meditando cavare dalla nullità l’impero bisantino assalendolo
-come aveano fatto i predecessori, e sedutosi
-sul trono di Costantino, congiungere le due Chiese, e
-ridurre il papa alla docilità dei patriarchi orientali. A
-tal uopo, fingendo secondare la predicazione della crociata,
-tutto dispose per questa in Italia e in Germania,
-e un esercito mandò in Sicilia; ma in realtà non fece
-che raddoppiarvi le taglie, e supplizj di nuova invenzione,
-fin cinquecento nobili in un sol giorno facendo
-bruciare al piè del palazzo<a class="tag" id="tag233" href="#note233">[233]</a>, quasi tenesse fitto il
-pensiero di sterminare tutti i Normanni; sicchè meritò
-il titolo che i Siciliani gli applicarono di Ciclopo. Indarno
-Costanza sua procurava mitigarlo, compatendo
-a quelli fra cui era nata e cresciuta, e ch’erano sua
-eredità; e di cui ella acquistò l’amore mentre governava,
-lui assente. Quand’egli fe mutilare Margaritone
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-grand’ammiraglio, ella s’affiatò coi nemici dell’imperatore;
-i Palermitani uccisero molti Tedeschi, la sommossa
-scoppiò in diversi punti; e fra questi bollimenti
-Enrico fu côlto dalla morte a Messina <span class="sidenote">(1197)</span>, di trentatre anni.
-In agonia assalito dal rimorso, largheggiò cogli ecclesiastici,
-offrì compensi a Ricardo cuor di Leone, alla
-Chiesa romana fece concessioni amplissime<a class="tag" id="tag234" href="#note234">[234]</a> confessandone
-la fin allora rinnegata supremazia.
-</p>
-
-<p>
-Gl’Italiani spiegarono soprumana allegrezza di questa
-morte: ne gemettero i Tedeschi, e sparsero che sua
-moglie l’avesse attossicato per vendicare sul marito la
-patria, resa infelice da quella sciagurata conquista, che
-tanti altri mali dovea trarre sull’Italia. Costanza cercò
-far cessare in Sicilia il dominio militare e quei che
-chiamavansi <i>costumi tedeschi</i>, cioè la violenza e il ladroneccio<a class="tag" id="tag235" href="#note235">[235]</a>;
-allontanò l’odiato Markwaldo, che a
-stento fuggì la popolare vendetta: ma anch’essa morì
-ben presto <span class="sidenote">(1198 — 27 8bre)</span>, lasciando solo un bambino, Federico Ruggero.
-Di quattro anni, odiato dai popoli, massime dagli
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-Italiani che d’ogni parte insorgevano, insidiato dagli
-emuli e dagli stessi fedeli di suo padre che carpivano
-i brani del dominio, non trovò ricovero che sotto al
-manto del papa, che poi egli dovea faticarsi a stracciare.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap87">CAPITOLO LXXXVII.
-<span class="smaller">Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-L’elezione de’ pontefici era stata da Nicola II ristretta
-nei cardinali, vescovi e preti; poi Alessandro III,
-il promotore della Lega Lombarda, ascrisse al sacro
-collegio i capi del clero romano <span class="sidenote">(1179)</span> formandone i cardinali
-diaconi, escluse gli altri ecclesiastici, ed ordinò che,
-per essere papa legittimo, convenisse ottenere i suffragi
-di due terzi de’ cardinali.
-</p>
-
-<p>
-Colla nuova forma fu eletto Lucio III <span class="sidenote">(1181)</span>, che sedette a
-Vellètri, poi a Verona<a class="tag" id="tag236" href="#note236">[236]</a>, sfuggendo dalla plebe romana,
-irrequieta e riottosa tanto, che avea preso a sassi
-fin il cadavere del suo predecessore, e accecati quanti
-cherici colse nell’espugnato Tusculo. A Urbano III fu
-precipitata la morte <span class="sidenote">(1185)</span> dalla notizia della presa di Gerusalemme;
-alla cui ricuperazione <span class="sidenote">(1187)</span> s’applicò Gregorio VIII
-nel brevissimo suo regno. A Clemente III succedutogli
-riuscì alfine di conchiuder pace coi Romani, abbandonando
-alla loro vendetta Tivoli e Tusculo. Il nuovo
-pontefice Celestino III <span class="sidenote">(1191)</span> non aveva potuto impedire che
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-Enrico VI disponesse dell’eredità della contessa Matilde,
-e assegnasse a’ suoi baroni molte terre della Romagna,
-e fino alle porte della città, lasciando a San Pietro soltanto
-la Campania, dove pure l’imperatore più era
-temuto che il papa<a class="tag" id="tag237" href="#note237">[237]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Da Alessandro III in poi era dunque in calo l’autorità
-pontifizia, sicchè i cardinali sentirono la necessità
-d’affidarla a un robusto, qual fu Lotario <span class="sidenote">(1198)</span> dei Conti di
-Segni, col nome di Innocenzo III. Erudito se alcun n’era
-dell’età sua, in gioventù avea dettato <i>Del disprezzo del
-mondo, e delle miserie dell’umana condizione</i>, non
-come uno scettico che nauseato predica la vanità delle
-cose terrene senza por mente a quelle di sopra, ma
-elevando il cuore alle non peribili. Versò a lungo negli
-affari, alla prudenza del concepire aggiungendo la fermezza
-dell’effettuare e l’abilità del trovarne le guise.
-</p>
-
-<p>
-Assunto pontefice nella vigorosa età di trentasette
-anni, del tesoro che trovò fe mettere in disparte una
-porzione per le emergenze imprevedute, il resto distribuì
-ai conventi di Roma; provvide agl’istituti di
-beneficenza; destinò ai poveri i doni offerti a san Pietro
-ed a’ suoi piedi, e la decima di tutti i suoi proventi; in
-una carestia mantenne ottomila poveri al giorno, oltre
-le distribuzioni per le case; molti riceveano quindici
-libbre di pane per settimana, alcuni presentavansi allo
-sparecchio per raccogliere i rilievi della sua mensa.
-</p>
-
-<p>
-Di que’ giorni i pescatori ebbero a raccorre dal Tevere
-tre bambini gettati; e Innocenzo ne fu sì tocco,
-che stabilì provvedere a quest’infelici; onde rifabbricò ed
-estese l’ospedale di Santo Spirito in Sassia, dotandolo
-lautamente, e stabilendo che in perpetuo, l’ottava dell’Epifania,
-il papa in solenne processione vi recasse il
-santo sudario, ed esortasse i Cristiani alla carità, dandone
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-egli stesso esempio col distribuir pane, vino e
-carne a quanti vi assistevano. Millecinquecento malati
-vi dimoravano costantemente; ospitati i poveri d’ogni
-condizione e paese; ed anche ora annualmente vi sono
-raccolti ottocento esposti, di cui più di duemila vi
-stanno ordinariamente; e la spesa se ne calcola a centomila
-scudi l’anno.
-</p>
-
-<p>
-A tanto fiore di carità univa una fervorosa devozione
-nel celebrare gli uffizj divini e nel predicare: i trattati
-e le omelie sue il mostrano versatissimo nelle sacre
-carte; compose diversi inni, e ancora si cantano dalla
-Chiesa il <i>Veni, sancte Spiritus</i> e lo <i>Stabat mater</i>.
-</p>
-
-<p>
-A tali qualità di cristiano e di pontefice accoppiava
-quelle di principe; principe in ben miglior senso di
-cotesti altri suoi contemporanei. Amò Atene per le antiche
-glorie, Parigi per l’università, alla quale diede
-regole e privilegi; rifabbricò chiese, e fecele dipingere
-da Marchione d’Arezzo primo scultore e architetto dei
-tempi rinnovati, e da altri; crebbe e ornò San Pietro e
-il Laterano; e sulla piazza di Nerva fece alzar la torre
-dei Conti, meraviglia di quel tempo<a class="tag" id="tag238" href="#note238">[238]</a>, e che gli è
-rinfacciata come una condiscendenza ai parenti, della
-cui grandezza in fatto fu tutt’altro che negligente.
-</p>
-
-<p>
-Ne’ suoi Stati non affidava la giustizia che a persone
-di senno e bontà: profondo nelle leggi, ristabilì la consuetudine
-di presedere tre volte la settimana a una
-congregazione di cardinali, ove a tutti era dato portar
-quistioni. Credesi abbia istituito il processo in iscritto,
-per escludere il sospetto di frode, e attestare la regolarità
-degli atti; e fece abolire i giudizj di Dio<a class="tag" id="tag239" href="#note239">[239]</a>. A
-Roma allora recavansi in supremo appello tutte le cause
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-di rilievo; e Innocenzo, assiduo ai concistorj ove le si
-dibattevano, spesso udiva le parti egli stesso in privato,
-esaminava gli atti, addolciva coi modi le sentenze ch’era
-obbligato portar contrarie. Ci rimangono di lui tremila
-ottocencinquantacinque lettere, la più parte di sua
-mano, e che dividendosi sopra quattordici anni (di
-quattro mancano), danno un medio di ducensettantacinque
-l’anno: e tanto credito ottennero, da divenire
-testo nelle università.
-</p>
-
-<p>
-Tenace di memoria, esuberante d’erudizione, elevato
-nell’ideare, perseverante nell’eseguire, sagace nell’antivedere
-gli effetti, attingeva forza dagli ostacoli, rispondeva
-e operava pronto non precipitato, circospetto non
-oscillante, e sempre dopo consultati i cardinali; severo
-coi pertinaci, benevolo ai docili, propenso all’indulgenza
-e a credere il bene; degli ordinamenti che uscirono
-sotto il suo regno, nessuno fu derogato.
-</p>
-
-<p>
-Colle idee di Gregorio VII egli sottentrava ai carichi
-che pesavano sopra un pontefice allora, quando non
-dovea soltanto curare la salute delle anime e l’interesse
-della cattolica verità, ma attendere al miglior governo
-della società cristiana e difendendo la libertà della
-Chiesa, vigilare agl’interessi dei popoli, e a mantenerli
-ne’ loro doveri come ne’ loro diritti. Assicurare la purezza
-dell’operare e del credere contro i simoniaci,
-eretici, re adulteri, impedire si accumulassero i benefizj,
-dare e rinnovare privilegi a conventi, a ordini, a
-chiese, e cassare i pregiudizievoli, introdur feste, proteggere
-i deboli contro prelati o capitoli prepotenti,
-pronunziare generali decisioni di fede, e risolvere dubbj
-e casi particolari, confermare o rivedere sentenze dei
-legati, far rispettare gli ordini de’ predecessori suoi,
-revocar quelli carpiti con frode, reprimere gli arbitrj
-dei re e dei baroni, raccomandar funzionarj o poveri
-preti, sancire convenzioni fra ecclesiastici, ribenedire
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-scomunicati, canonizzare santi, tali e assai più erano
-gli uffizj che un pontefice estendeva a tutto il mondo.
-E Innocenzo con intima persuasione proclamava quest’autorità,
-stabilita nel cristianesimo per congiungere
-tutti coloro che lo professano, tutelare i diritti, determinare
-i doveri di tutti, far rispettata la legittimità dal
-suddito e dal principe, egualmente servi a Dio per la
-verità e la giustizia.
-</p>
-
-<p>
-Prima raccomandazione a’ suoi legati era d’aver gli
-occhi e gli orecchi ai portamenti del clero, francheggiare
-la ragione, svellere gli abusi, comporre le differenze,
-frenare la cupidigia di guadagno. Anche di
-mezzo ai laici procurava estirpare gli scandali, introdurre
-usi che mettessero gravità ne’ modi; ordine nella
-vita, e tutelava il matrimonio contro i voluttuosi capricci
-de’ principi. Qui prescrive limiti all’usura, là disegna
-il vestire de’ laureati di Parigi o de’ cavalieri
-Teutonici; oggi ammonisce il clero milanese del come
-trattare i nunzj in viaggio, domani il doge di Venezia
-di ritirare un ordine troppo severo contro un privato;
-scrive ad alcuni principi perchè vigilino alla sicurezza
-delle strade, ad altri perchè non alterino le monete, o
-non aggravino i tributi, o non impongano nuovi pedaggi.
-Non una legge della Chiesa è violata, ch’e’ non
-la ripristini; non fatta un’ingiuria al debole, ch’e’ non
-ne chieda riparazione. Prende in tutela Federico II,
-Ladislao d’Ungheria, Enrico di Castiglia, l’infante d’Aragona,
-orfani reali: Gualtieri di Montpellier sbandito a
-lui ricorre; a lui le nazioni trafficanti per risolvere i
-loro piati. Pietro II d’Aragona, il re de’ Bulgari, lo
-stesso re d’Inghilterra non credettero meglio assicurare
-la propria corona che facendola vassalla della santa
-sede: i regni di Navarra, di Portogallo, di Scozia, d’Ungheria,
-di Danimarca si gloriavano di mettersi sotto
-l’alto dominio del papato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le basi del quale già eransi assodate; ogni nuovo
-pontefice v’avea recato una pietra, Innocenzo s’accingeva
-a porvi il colmo. Alla morale e alla dignità de’ prelati
-credeva, come Gregorio VII, fosse spediente render
-la Chiesa al possibile indipendente dalla podestà temporale.
-Cominciò dall’assicurare il dominio pontifizio in
-Roma, i cui eterni contrasti obbligavano a tener ristretto
-fra i sette colli lo sguardo che dovea girarsi
-su tutto il mondo. La nobiltà vi era cresciuta di baldanza
-fra le contrarie pretensioni dell’imperatore e del
-pontefice, parteggiando coll’uno o coll’altro secondo
-l’interesse.
-</p>
-
-<p>
-La parte cesarea era rappresentata dal prefetto di
-Roma, investito dall’imperatore colla spada: poi dai
-tempi d’Arnaldo sussisteva un senato, la cui autorità
-era dal popolo stata ridotta in un solo, straniero, capo
-supremo della giustizia, del governo civile e della forza
-armata, centro insomma del governo, siccome altrove
-il podestà. Quando Clemente III ritornò in Roma, patteggiò
-col popolo confermando la dignità del senato,
-la città, la zecca; di questa però riservavasi un terzo,
-mediante il quale la chiesa di san Pietro e le chiese e
-vescovadi tassatisi per la guerra venissero anno per
-anno esonerati fin all’estinzione dell’obbligo assunto.
-Restituiva le regalie in città e fuori; egli difenderebbe
-i capitani e gli altri magistrati della città: i senatori
-giurerebbero annualmente fedeltà al papa; resterebbero
-alla romana Chiesa i possessi di Tusculo, in qualunque
-modo esso possa soggiogarsi, dando ogn’anno cento
-libbre dal ricavo di essi, onde restaurare le mura di
-Roma. Di rimpatto i senatori assicuravano pace e sicurezza
-al papa, ai vescovi, ai cardinali, a tutta la curia,
-e chi v’andava e dimorava. Il papa eleggerà dieci o
-più persone per ciascuna delle regioni della città, dalle
-quali i senatori faran giurare questa pace. Se occorra
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-difendere il patrimonio di san Pietro, i Romani vi andranno
-colle spese consuete<a class="tag" id="tag240" href="#note240">[240]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tale era trovato il governo di Roma da Innocenzo.
-Il quale, conoscendo come alle repubbliche pregiudicassero
-queste ingerenze imperiali, risolse torle di
-mezzo; fe snidare i Tedeschi dai contorni di Roma, recuperando
-i castelli da loro presidiati; obbligò il prefetto
-a non prestar più all’imperatore l’omaggio ligio,
-ma ricevere da esso papa il manto, con giuramento
-di rinunziarvi ogniqualvolta ne fosse richiesto; il senatore
-ridusse ad esercitare la podestà, non più in
-nome del popolo, ma del papa.
-</p>
-
-<p>
-Spenta così l’autorità regia in Roma, invitò gli abitanti
-della marca d’Ancona a cacciare il tedesco Markwaldo,
-«giacchè nessuna violenza può abolire i diritti»;
-onde Ancona, Fermo, Osimo, Camerino, Fano, Jesi,
-Sinigaglia, Pesaro vennero all’obbedienza papale: altrettanto,
-espulso Corrado Moscaincervello, avvenne del
-contado di Spoleto, che abbracciava Rieti, Assisi, Foligno,
-Nocera; seguirono Perugia, Gubbio, Todi, Città
-di Castello, cosicchè i nostri esultarono di vedersi sbrattati
-da Tedeschi; e lo Stato della Chiesa non fu più
-soltanto un nome, ma diveniva una realtà.
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo bramava aggiungervi l’esarcato di Ravenna
-e i beni della contessa Matilde; ma poichè saldo
-li difendeva Filippo di Svevia, esso si diede a fomentare
-gli spiriti liberali de’ Toscani, spiacenti di durare
-in tirannia mentre i Lombardi s’erano assicurata la
-libertà. Inanimiti da esso a confederarsi al modo
-de’ Lombardi per tutelar le franchigie <span class="sidenote">(1199)</span>, Firenze, Lucca,
-Volterra, Prato, Samminiato ed altre giurarono pace
-e lega, invitandovi tutti gli Stati e i liberi o nobili che
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-vi volessero aderire, affine di vigilare all’osservanza
-della legge, combattere chiunque facesse guerra ad alcun
-collegato, rimetter pace se tra questi nascesse dissidio,
-obbligandosi a stare alla decisione di arbitri. I rettori
-s’adunerebbero sotto un priore per provvedere al meglio
-della Lega, la quale prometteva obbedirli: si punirebbero
-severamente i trasgressori. I consoli o podestà
-farebbero giurar essa Lega da tutti i loro cittadini; così
-i vescovi e conti da tutti i loro militi e pedoni, e dai
-loro figli. Non si riconoscerebbe imperatore, o legato
-o nunzio d’imperatore o principe, duca o marchese,
-senza speciale assenso della Chiesa romana. A questa
-si assisterebbe affinchè recuperasse i beni, purchè non
-fosse contro qualche membro della Lega. Se il papa
-e i cardinali non adempissero i loro obblighi verso
-questa, la Chiesa se ne terrebbe esclusa<a class="tag" id="tag241" href="#note241">[241]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma Pisa, Pistoja, Poggibonsi mantenevansi coll’Impero,
-sicchè, scissa la Toscana in due, cominciò
-a divulgarsi ivi pure la qualificazione di guelfo e
-ghibellino.
-</p>
-
-<p>
-Gente raffinata come vedemmo essere i Siciliani, e
-che cominciava in sua favella a far intendere i suoni
-della nuova poesia, considerava per barbari i Tedeschi.
-Enrico VI, accortosi d’avere preparato cattivo letto al
-suo fanciullo Federico, morendo il raccomandò al papa.
-Accettò questi; ma oltre volere che n’uscissero le truppe
-tedesche, scopo all’ira popolare, pose per patto alcune
-modificazioni nei <i>quattro capitoli</i> della monarchia, ed
-erano che i vescovi fossero eletti canonicamente, e i
-re li confermassero; a ciascun ecclesiastico siciliano
-fosse permesso appellarsi a Roma; il papa potesse deputare
-legati nell’isola: di rimpatto riduceva il censo
-a mille schifati. Costanza non seppe ricusare; e anch’essa,
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-quando morì <span class="sidenote">(1198)</span>, lasciò la tutela di Federico ad Innocenzo,
-colla provvigione di trentamila tarì (lire 80,000).
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo gli diede per aji gli arcivescovi di Palermo,
-Monreale e Capua, e tosto spedì un legato che traesse
-a sè il governo; onde nelle stesse mani trovandosi il
-potere ecclesiastico e il civile, ogni contestazione restava
-tolta di mezzo. I baroni del Regno sel recavano in
-sinistra parte; e il duca Markwaldo, che, espulso di Romagna,
-erasi ridotto nel suo contado di Molise, erettosi
-capo della parzialità imperiale, pretese alla tutela del
-giovane re, come via di farsi indipendente, assediò
-San Germano, e ajutato dai Pisani sbarcò in Sicilia. Lo
-favorirono i Siciliani, paurosi d’una persecuzione; ma
-mentre i nobili, tenendo coi Ghibellini, avvicendavano
-arroganza e viltà, il popolo esecrava i Tedeschi a segno,
-che nè tampoco i pellegrini di questa nazione potevano
-traversare impunemente il Reame per andare in
-Terrasanta.
-</p>
-
-<p>
-Gualtieri conte di Brienne, francese povero ma di
-gran valore e nobiltà, avea sposato la primogenita del
-re Tancredi, che era stata messa in libertà per istanza
-del papa; e ridomandava Taranto e Lecce, che i figli
-di Tancredi si erano riservati nel cedere il diritto ereditario
-alla corona. Venne egli a Roma con Sibilla e
-colla moglie; e il papa, lieto d’aversi un tal vassallo, lo
-sostenne, sicchè egli, messi insieme sessanta Francesi,
-mille lire tornesi, e cinquecento oncie d’oro dategli dal
-papa, riportò nel Reame molte vittorie; ma Gualtieri
-Paliario, arcivescovo di Palermo ed arcicancelliere del
-regno, che tramestava la Sicilia a suo talento, e dava
-e toglieva contadi e feudi, vi oppose proteste e forza.
-Innocenzo scomunicollo, ma per conservare integro il
-patrimonio al suo pupillo fu costretto ricorrere alle
-armi: la fortuna de’ combattimenti si bilicò, ma alfine
-arrise a Markwaldo, che avendo in mano Federico, e
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-spargendo voce ch’e’ fosse un parto supposto<a class="tag" id="tag242" href="#note242">[242]</a>, tenne
-suddita la Sicilia, e faceasene re ove non l’avesse rattenuto
-paura del conte di Brienne. Nel farsi operar
-della pietra morì <span class="sidenote">(1201)</span>, ma Capperone continuò la parte di
-lui, sempre opponendosegli il conte di Brienne, il quale
-però, sebbene vantasse che Tedeschi armati non avrebbero
-tampoco osato affrontare Francesi disarmati, fu
-sorpreso e imprigionato all’assedio del castello di Sarno,
-e morì di ferite. Delle turbolenze siciliane vollero profittare
-i Pisani per occupare Siracusa: ma i Genovesi,
-perpetui avversarj di essi, accorsero, ne trucidarono
-quanti vollero, e posero in quella città chi la governasse
-a nome loro. Finalmente il pontefice trionfò dappertutto,
-ristabilì le città nelle antiche franchigie, e da
-Federico ottenne il contado di Sora per suo fratello
-Ricardo, principale autore di quelle vittorie.
-</p>
-
-<p>
-Qui i parziali interessi cedono a fronte della crociata,
-interesse generale non solo pel pio intento, ma pei tanti
-Europei che eransi piantati nell’Asia, fondando colonie,
-scali di commercio, principati, e confidandosi sugli ajuti
-promessi dai fratelli d’Europa. Dicemmo dello sgomento
-propagatosi allorchè Gerusalemme ricadde ai
-Musulmani: ma quando il gran Saladino, glorioso di
-quel trionfo, morì <span class="sidenote">(1193)</span>, diciassette suoi figli si disputarono
-il dominio, onde il vigoroso regno degli Ajubiti si disciolse
-in piena anarchia. Innocenzo III credette caduto
-con quello l’antemurale dell’islam, e opportunissimo
-l’istante di ricuperare la santa città, sicchè bandì la
-croce: Enrico VI la prese, poi, fallendo alla promessa,
-si valse dell’esercito nelle sue gare private, e lasciò che
-altri principi andassero in Palestina <span class="sidenote">(1195)</span>, ove Malek Adel,
-fratello di Saladino, li fece mal capitati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo, come voleva il perfezionamento della
-Chiesa per mezzo della morale e dell’indipendenza, così
-s’infervorò al ricupero della santa città; proibì gli spettacoli
-e tornei per cinque anni, mandò a raccattare
-denaro per tutta cristianità, egli stesso fece fondere il
-suo vasellame d’oro e d’argento, riducendosi ad argilla
-e legno. Folco curato di Neuilly predicò per Francia
-la crociata, e moltissimi baroni e prelati gli ascoltarono,
-all’impresa non accettandosi la turba, ma solo gente
-disciplinata. Spedirono essi ambasciadori a Venezia per
-chiederle navi da trasporto e ajuti: ma mentre i papi
-e gli altri popoli lanciavansi a quell’impresa <span class="sidenote">(1198)</span> con impeto
-devoto e pio disinteresse, le repubbliche nostre
-marittime vi scorgeano occasioni di guadagno, e opportunità
-di fondar banchi e scali e prevalere agli emuli;
-anzi non si faceano scrupolo di somministrar navi, arredi
-e piloti a que’ Saracini, contro cui la cristianità
-combatteva. Già in molte città della Siria e della Grecia
-teneano colonie, regolate colle patrie leggi; ma il
-contatto coi Greci avea portato ai Veneziani disgusti e
-sanguinose animadversioni. Sentendosi cresciuti in forze
-dacchè i Latini dominavano nel Levante, cessarono gli
-antichi riguardi verso gl’imperatori; dicemmo come
-gli osteggiassero, e covavano sempre il desiderio di
-umiliare i Greci sprezzati, e insieme di distruggere i
-banchi che quelli aveano concesso ai Pisani.
-</p>
-
-<p>
-A Venezia soleano prendere imbarco i pellegrini per
-Terrasanta, ai quali restava permesso vagare per la
-città con croci e gonfaloni; e alcuni uffiziali, detti Tolomazzi,
-erano eletti al solo uopo di assisterli e consigliarli
-nell’acquistare il bisognevole pel viaggio e pattuire i
-noli; i <i>signori di notte</i> decidevano sommariamente le
-cause e querele loro; e il pellegrino alle processioni
-poteva intervenire appajato ad un patrizio, che gli cedeva
-la destra e gli regalava il cero. Ma questa volta
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-non vi vennero solo devoti palmieri, bensì ambasciatori
-della più alta baronia di Francia.
-</p>
-
-<p>
-Sedeva allora doge Enrico Dandolo <span class="sidenote">(1201)</span>, che colle armi
-e coi maneggi avea sempre sostenuto la gloria nazionale,
-nè languiva benchè nonagenario. Personalmente
-era stato offeso dall’imperatore di Costantinopoli, e
-quasi accecato, sicchè dovette accogliere volonteroso
-l’occasione di vendicarsi con un’impresa che tornerebbe
-di onore e vantaggio della patria. Convocato il
-popolo in San Marco, dopo la messa dello Spirito Santo
-si levò ed espose: — I baroni francesi chiedono a voi,
-popolo veneziano, navi per trasportare quattromilacinquecento
-cavalli, ventimila fanti e provvigioni per nove
-mesi. Noi domandammo per compenso ottantacinquemila
-marchi (4,250,000 lire). Inoltre, se a voi piaccia, la
-Repubblica armerà cinquanta galee, purchè le sia ceduta
-metà delle conquiste che si faranno. Piace a voi,
-popolo veneziano, la proposta e il patto?» I messi
-francesi in ginocchione tendeano le mani supplichevoli
-ripetendo la domanda, persuasi che i soli potenti fossero
-i Veneziani sul mare, i Franchi per terra; e giuravano
-sulle armi e sul vangelo di mantenere le
-convenzioni.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo a gran voci applaudiva al trattato, e più
-crebbe il fervore quando il doge dal pulpito soggiunse
-a’ suoi: — Voi siete accompagnati alla miglior gente
-del mondo, e per la più nobile impresa che mai alcun
-popolo assumesse. Vecchio son io e fiaccato, e avrei
-mestieri di riposo e di pensare alla fine del mio corso:
-ma vedo che nessuno vi potrebbe regolare come io
-vostro capo. E però, se volete che io pigli la croce per
-custodirvi e governarvi, e in luogo mio lasci i miei figliuoli
-a guardia della patria, io verrò a vivere e morire
-con voi e coi pellegrini». Tutti ad una voce gridarono
-<i>Si faccia, Dio lo vuole</i>; egli attaccossi la croce
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-al corno ducale; e inteneriti si mischiavano in abbracci
-i baroni francesi coi veneti negozianti<a class="tag" id="tag243" href="#note243">[243]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La gelosia fe stare inoperose Pisa e Genova, tanto
-più che esse si faceano guerra accannita, dalla quale
-tentò invano distorle il papa: però Lombardi e Piemontesi
-vi vennero, fra cui Sicardo vescovo di Cremona,
-che nella sua storia ci descrisse questi fatti; e capo
-della spedizione fu eletto Bonifazio II marchese di
-Monferrato, fratello del prode Corrado marchese di
-Tiro. Da Francia, da Borgogna, da Fiandra accorrevano
-cavalieri a Venezia, dove trovarono arredati i
-navigli; ma altri imbarcaronsi altrove, con pregiudizio
-proprio dell’impresa. Imperocchè vennero a mancare
-i denari onde pagare il noleggio ai Veneziani, benchè
-giojelli e vasi fossero convertiti in zecchini, dando tutto
-fuorchè i cavalli e l’armi, e confidandosi nella Provvidenza.
-Pertanto il doge disse: — Ebbene, noi rimetteremo
-questo debito ai Crociati, purchè ci ajutino a
-riprendere Zara, sottrattasi a noi per darsi al re d’Ungheria».
-Molti faceansi coscienza del voltare contro
-Cristiani l’armi giurate contro Infedeli; più si oppose
-il papa, sul riflesso che quel re, avendo anch’egli preso
-la croce, restava protetto dalla tregua di Dio: ma il
-doge non vi badò, con grave scandalo de’ Settentrionali
-avvezzi a sottoporre interessi e calcoli al volere
-pontifizio.
-</p>
-
-<p>
-Salpata la più bella flotta che mai avesse veleggiato
-l’Adriatico, prendono Trieste, spezzano le catene del
-porto di Zara; ma qui pullulano fiere discordie fra i
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-Crociati, che si uccidono gli uni gli altri, e il papa disapprovando
-l’impresa, ordina di restituire il bottino,
-e far penitenza e riparazione: e poichè i Veneti in
-quella vece diroccano le mura, li scomunica, senza per
-questo disobbligarli dal voto, mentre ribenedice i Francesi
-che mandarono a scusarsi, ed ordina che, senza
-volgersi a destra nè a sinistra, passino in Siria.
-</p>
-
-<p>
-Frattanto gravi accidenti complicavano l’intento della
-spedizione. Benchè gl’imperatori bisantini dominassero
-sempre su molta parte dell’Italia, noi reputammo
-alieno dal nostro soggetto il seguirne la serie e i fatti.
-Del resto il lettore che si ricorda degli ultimi tempi di
-Roma imperiale può figurare vi continuasse quel sistema
-di serraglio, con regnanti dappoco, favoriti onnipotenti,
-da null’altro temperati che da frequenti rivoluzioni,
-per cui un intrigo di palazzo cambiava o gli
-imperatori o i ministri; e Costantinopoli vi applaudiva,
-e tutto l’Impero non facea che mutare il nome di
-quello a cui obbedire. In quella Chiesa non vi era stato
-l’antagonismo col Governo; e sottomessa com’era, non
-potè impedire la corruzione del potere, che a vicenda
-era trascinato negli errori dell’autorità che aveva a sè
-riunita. Intanto assalti sempre più stringenti di nemici
-esterni; intanto le coscienze turbate dalla regia pretensione
-d’interporsi ai dogmi e ai riti; intanto una letteratura,
-non ancor rimestata da stranieri, eppure impotente,
-che degl’insigni classici non sapea valersi se non
-per commentarli, e la lingua più bella e forbita adoperava
-soltanto a trastulli senili e a sofistiche controversie.
-</p>
-
-<p>
-Questo quadro tengano sott’occhio coloro che non
-hanno se non vilipendio pei paesi invasi da Barbari, e
-rimpianto per la dominazione romana schiantata dall’Italia.
-Qualche nuovo vigore parve recare su quel
-trono d’orpello la famiglia Comneno, di cui era quell’Alessio
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-che vedemmo barcollante amico e coperto
-nemico dei Crociati: e per poco ch’e’ valesse, nessuno
-l’eguagliò de’ suoi successori. Giovanni Comneno <span class="sidenote">(1118)</span> menò
-per ventiquattro anni guerre felici. A Manuele <span class="sidenote">(1143)</span>, succedutogli
-con spiriti cavallereschi più che prudenza a dirigerli,
-Ruggero II di Sicilia portò l’assalto che dicemmo,
-in cui desolò le coste del Jonio, espugnò Tebe e Corinto,
-menando via quanto di meglio trovò d’uomini robusti,
-di belle donne, d’abili operaj. Manuele divisò allora
-snidare i Normanni d’Italia <span class="sidenote">(1155)</span>, e in fatto i suoi presero
-Bari e Brindisi: ma ben presto seguì la pace.
-</p>
-
-<p>
-Alessio II suo figliuolo gli succedette <span class="sidenote">(1180)</span>, reggente la
-madre Maria d’Antiochia; ma questa affidavasi tutta al
-protosebaste Alessio nipote di Manuele, scandolezzando
-e scontentando la Corte, sicchè fu tramato a favore di
-Andronico Comneno. Costui, tenuto prigione dodici
-anni, fuggì, e dopo romanzesche avventure perdonato,
-osteggiò di continuo il protosebaste; e dal patriarca
-eccitato a liberare la patria, si mosse raccogliendo gli
-scontenti. Appena compare a Calcedonia, il popolo lo
-acclama reggente <span class="sidenote">(1183)</span>; ed egli fa accecare Alessio, trucidare
-senza distinzione quanti Latini coglie in Costantinopoli,
-avvelenare Maria sorella dell’imperatore e il marito di
-lei marchese di Monferrato, strangolare l’imperatrice
-madre; e così cacciatosi addosso la porpora, la conservò,
-e viepeggio quando Guglielmo II di Sicilia, aspirando
-alla conquista dell’Impero, prese Durazzo e
-Tessalonica, e marciò sopra Costantinopoli.
-</p>
-
-<p>
-Vittima designata dal tiranno era Isacco Langelo,
-cittadino di molto seguito: ma questi uccide il carnefice,
-rifugge in Santa Sofia, e dal popolo tumultuante
-è, mal suo grado, proclamato imperatore <span class="sidenote">(1185)</span>. Andronico,
-abbandonato al furore del popolo, fu per più giorni
-tratto a strapazzo, in fine appiccato per li piedi in
-teatro, rinnovando le scene che erano famigliari alla
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-Roma del Basso Impero. Con questo vecchio di settantacinque
-anni terminò la stirpe dei Comneni.
-</p>
-
-<p>
-Femminesco di vita e inetto di mente, Isacco abbandonava
-le cure a ministri indegni; ebbe contese con
-Federico Barbarossa, a cui danno <span class="sidenote">(1195)</span> sollecitò le repubbliche
-lombarde: poi da Alessio fratel suo fu deposto,
-accecato e messo in carcere col figlio. Questi, Alessio
-anch’egli di nome, riuscì a fuggire presso Filippo di
-Svevia suo cognato, appunto allorchè più in Europa
-caldeggiavasi la crociata; e poichè de’ cavalieri armati
-in questa era divisa il difendere l’innocenza, raddrizzare
-i torti, sostenere gli oppressi, andò invocare il loro
-braccio, proponendo assalissero Costantinopoli, e rimettessero
-in trono lui, che gli avrebbe poi d’ogni sua
-possa ajutati alla santa impresa. Invano altri insinuava
-che non per ciò aveano impugnato le armi, che i Greci
-non moveano lamento contro l’usurpatore, che gl’imperatori
-s’erano pôrti scarsamente favorevoli ai Crociati:
-gli scaltri trovavano miglior conto nel guerreggiare
-Costantinopoli, più vicina e più ricca; a molti
-sapea di meritorio l’assalire gente scismatica; presa
-Costantinopoli, diverrebbe la base della spedizione contro
-Gerusalemme. Si narrò che Malek Adel facesse
-vendere i beni del clero cristiano in Egitto, e col ricavo
-comprasse fautori in Venezia, promettendo alla repubblica
-ogni agevolezza di traffici in Alessandria se stornasse
-la spedizione dalla Siria: del resto, occorrevano
-altri stimoli ai Veneziani per volere vendicarsi degli
-imperatori, e schiantare i banchi fondati in Grecia dai
-Pisani?
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore bisantino, non meno fiacco del predecessore,
-angariava e anneghittiva; vendeva la giustizia
-per rifarsi dello speso nell’usurpazione; e mentre Bulgari
-e Turchi straziavano i confini, dentro lasciavasi
-governare dalla moglie Eufrosina. Quando Enrico VI
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-professava voler rinnovare l’antico impero romano, e
-frattanto gli ridomandava le provincie fra Durazzo e
-Tessalonica, o per equivalente cinquanta quintali annui
-d’oro, Alessio non allestì resistenza, ma mercanteggiò
-facendolo accontentare di sedici, per adunare i quali
-spogliò le chiese e fin le tombe degl’imperatori: ma la
-tempestiva morte di Enrico lo assolse dal <i>tributo tedesco</i>.
-All’addensarsi della nuova procella, ricorse al
-papa acciocchè non permettesse di così snaturare la
-santa impresa: nulla però prometteva a vantaggio della
-crociata, nè di quel che tanto ai papi stava a cuore, la
-riconciliazione della Chiesa greca colla latina. Pure Innocenzo
-III, che metteva la giustizia innanzi a tutto,
-interdisse l’impresa ai crociati; i quali litigando pel sì
-e pel no, si logoravano a vicenda. Ma il sì prevalse, ed
-Alessio figlio d’Isacco Langelo fu salutato imperatore <span class="sidenote">(1203)</span>,
-e colla sua presenza infervorò la spedizione.
-</p>
-
-<p>
-L’armata fece testa a Corfù, donde veleggiò sopra
-Costantinopoli; e trenta migliaja d’uomini accinti a
-conquistare un impero di molti milioni, la vigilia di san
-Giovanni gettarono l’àncora sulla costa asiatica, tre
-miglia dalla capitale. Quivi all’attonito loro sguardo
-spiegossi l’impareggiabile bellezza della Propontide,
-colla vegetazione rigogliosa, i frutti succulenti, le dolci
-uve, ridondante pescagione, limpidi ruscelli, freschi
-bagni, canti di rosignuoli, e tutta la pompa che nella
-vigorosa sua maestà spiegava l’estate. Sopra le onde
-increspate da leni zefiri, l’occhio scorreva verso le rive
-ammantate di fiori, e sui giardini e le campagne ridenti
-di laureti e olezzanti di perpetui rosaj, e sulle
-ville e le case cittadine, che all’ombra de’ platani e dei
-cipressi dalle falde lambite dal mare ascendono fino in
-vetta alle colline che contornano l’orizzonte.
-</p>
-
-<p>
-Fra tante bellezze, come la luna fra le stelle, pompeggiava
-Costantinopoli, serpeggiante per immenso spazio
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-sulle sette colline, cinta d’elevate mura, con trecentottantasei
-torri, e chiese e conventi senza numero, raddoppiati
-dal riflesso delle onde, che parevano baciarle
-il piede come servi, o fremere come difensori minacciosi.
-Ai Crociati, non che parole a descrivere, appena
-bastavano i sensi per ammirare quel porto immenso
-di due mari: diamante che scintilla tra il zaffiro delle
-onde e lo smeraldo delle campagne; il soggiorno più
-bello dell’uomo per comodi e sicurezza, emulo di Roma
-per dignità, di Gerusalemme per reliquie e santuarj,
-di Babilonia per vastità.
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore aveva lasciato per avarizia ridurre allo
-stremo l’esercito e la flotta; e mal si difendea col
-braccio de’ Varanghi, mercenarj settentrionali, coll’assistenza
-de’ Pisani, e col fuoco greco, liquido combustibile
-che parve inventato per prolungare l’agonia di
-quell’impero, e che con esso perì. I nostri, spezzate le
-catene del porto, prendono Galata <span class="sidenote">(17 luglio)</span>, e danno l’assalto:
-Enrico Dandolo, sulle spalle de’ suoi si fa mettere a
-terra col vessillo di san Marco, che ben presto sventola
-sopra una torre, e Costantinopoli è presa.
-</p>
-
-<p>
-Alessio fuggì per nave, abbandonando ogni cosa,
-bestemmiato da quelli che jeri l’incensavano: suo fratello
-Isacco dalla prigione è portato al trono, compianto
-dei mali suoi or che sono cessati. A lui si presentano
-i messi dei Crociati imponendogli, — Ratificate la
-promessa fatta da vostro figlio di darci ducentomila
-marchi, vitto per un anno, ed ogni ajuto per la guerra
-santa»; ed egli deve accettare, solo pregandoli di
-tenersi accampati a Gàlata, cioè sul lido opposto.
-</p>
-
-<p>
-Quel subito mutamento, quel vedersi risparmiate le
-battaglie temute, portavano al colmo il tripudio dei
-nostri, che forniti d’ogni abbondanza, ammiravano
-tante magnificenze, e più di tutto le reliquie, di cui era
-una devota profusione. Il nuovo imperatore, coronato
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-fra il corteggio dei baroni, pompa inusata agli augusti
-orientali, pagò parte della promessa somma; e se le
-cose fossero procedute da buon a buono, forse era il
-momento di svecchiare l’Impero, rimettendolo nell’alleanza
-cattolica, a parte della comune impresa, e d’accordo
-respingere il nemico di tutta la cristianità.
-</p>
-
-<p>
-Cavallerescamente i baroni mandarono araldi ad
-annunziare il loro arrivo al sultano del Cairo e di Damasco,
-in nome di Cristo, dell’imperatore di Costantinopoli,
-de’ principi e signori d’Occidente; informarono
-anche il papa e i principi cristiani del prospero
-successo, invitandoli a parteciparvi; ma il papa rispose
-rimproveri, e negò benedirli; solo accettò le
-scuse di Alessio Langelo, esortandolo a mantenere le
-promesse.
-</p>
-
-<p>
-E le promesse erano di dar denari, e ricongiungere
-la Chiesa greca colla latina. Per la prima Alessio si
-gettò in rovina, spogliando fin le chiese; per l’altra
-obbligò i suoi ad abjurare lo scisma, ed i Crociati non
-risparmiarono la forza contro i renitenti. Così egli
-venne a procacciarsi l’odio dei sudditi, portato al colmo
-da un incendio che per otto giorni guastò Costantinopoli,
-e che s’imputò a questi stranieri. Alessio dunque
-supplicava i Crociati: — Non partite, altrimenti io
-soccomberò alle rivolte, e l’eresia risorgerà; aspettate
-la primavera; intanto io vi fornirò d’ogni bisogno».
-</p>
-
-<p>
-Ma convivendo coi nostri, scapitava nella loro riverenza;
-e talvolta qualche nicoletto veneto, toltogli il
-gemmato diadema, gli sostituiva il suo berretto. Ne
-fremevano i Greci, ne ingelosiva il cieco Isacco: e
-Alessio, sentendo non poter fare gran conto sopra i
-Latini, nè i monaci e astrologi di cui si cingeva sapendo
-dargli buoni consigli, alle ribellioni non conosceva rimedj
-migliori che trasportare dall’ippodromo al suo
-palazzo il cignale caledonio, simbolo del popolo furioso,
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-come il popolo abbatteva una statua di Minerva, accagionata
-delle presenti sventure.
-</p>
-
-<p>
-Ecco intanto da Palestina messi in gramaglia <span class="sidenote">(1204)</span>, narrando
-come i Crociati di Fiandra e di Champagne, che
-con molti Inglesi e Bretoni, spiccatisi dall’esercito a
-Zara, erano sbarcati in Siria ed unitisi al principe di
-Armenia, fossero stati dai Musulmani sorpresi e sbarattati;
-fame e peste desolassero il paese, e a Tolemaide
-si sepellissero duemila cadaveri in un giorno.
-I Crociati allora, risoluti d’avacciare l’impresa, sollecitavano
-i sussidj promessi: ma i due imperatori, che
-non osavano mostrarsi all’aperta per non ammutinare
-il popolo, mascherano la paura col rispondere insolentemente;
-gli animi si esacerbano; i Latini s’accingono
-a prendere un’altra volta Costantinopoli. I Greci attentano
-alla flotta veneziana, e diciassette battelli incendiarj
-lanciano nottetempo contro di essa, e già dalle
-mura applaudiscono al fuoco che s’avanza contro i Latini:
-ma questi riescono a sviarlo, e infelloniti alla
-vendetta, più non badano a proteste del loro creato.
-Murzuflo, scaltro sommovitore, che fingendosi amico
-a tutti, tutti ingannava, sparge che i Langeli vogliano
-consegnare Costantinopoli ai Latini; onde il popolo, che
-suol essere più feroce quando ha maggior paura, a
-gran voci chiede un nuovo imperatore; Alessio IV è
-strangolato, Isacco muor di spavento e crepacuore, e
-Murzuflo è portato trionfalmente in Santa Sofia.
-</p>
-
-<p>
-Il doge e i baroni latini, che poc’anzi si svelenivano
-contro i due imperatori, or giurano vendicare que’ loro
-creati, e assaltano Murzuflo. Costui non mancava del
-valore che dee avere un capopopolo, e colla spada e la
-mazza ferrata scorreva, rattizzando col proprio il coraggio
-de’ Greci; tentò di nuovo incendiare e sorprendere
-i Latini; ma quando cadde in man di questi lo
-stendardo di Maria Vergine, i Greci si credettero abbandonati
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-dalla loro tutrice, e si chiusero nella capitale.
-Quivi giorno e notte centomila uomini lavoravano ad
-allestire difese, e i Crociati sentivano la difficoltà di
-espugnare una piazza sì mirabilmente situata. Pure
-raccolti a parlamento, deliberarono: — Non cesseremo
-finchè non sia deposto Murzuflo; gli sostituiremo un
-imperatore latino, che possieda un quarto delle conquiste;
-il resto sarà diviso fra Veneziani e Franchi,
-e determinati i diritti feudali degli imperatori, dei
-sudditi, de’ grandi e de’ piccoli vassalli».
-</p>
-
-<p>
-Mossi poi all’assalto dalla banda di mare, superano
-le bastite, Murzuflo fugge, e Costantinopoli è presa
-un’altra volta. Chi sarìa bastato a tenere a freno quella
-moltitudine, lieta d’aver conseguito una preda sì lungamente
-appetita? Non onestà, non santità di chiese o
-di tombe fu rispettata: una meretrice assidevasi sulla
-cattedra di Santa Sofia; muli straccarichi di spoglie,
-feriti insanguinavano gli altari; v’era intanto chi vestiva
-gli strascicanti abiti de’ Greci, e bardava i cavalli coi
-berretti di tela e coi cordoni di seta degli Orientali; e
-scorrevano le vie, in luogo di spade brandendo calamaj
-e carta per beffare la imbelle dottrina de’ Greci, ed
-esclamavano: — Da che mondo è mondo, mai non fu
-visto più pingue bottino».
-</p>
-
-<p>
-Le spoglie, che doveano mettersi in comune (e furono
-appiccati molti che ne distrassero), sommarono a
-cinquecentomila marchi d’argento (24 milioni), dopo
-due incendj, dopo il molto trafugare, dopo messo in
-disparte un quarto pel futuro imperatore, e compensati
-i Veneziani del noleggio; ond’è poco il valutarle cinquanta
-milioni: e se si fosse ceduta la preda ai Veneziani,
-com’essi proponeano, ne avrebbero ricavato di
-più e con minori sevizie. Il bottino fu distribuito in tal
-proporzione, che un cavaliere toccasse quanto due uomini
-a cavallo, uno a cavallo quanto due fanti. I monumenti,
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-onde Costantino e i successori avevano arricchita
-la città, andarono guasti o predati<a class="tag" id="tag244" href="#note244">[244]</a>; non men che
-l’oro e i tappeti, avidamente erano rubate le reliquie,
-con frodi e violenze e fin sangue; e il mondo se n’empì.
-Dopo di che i Crociati celebrarono divotamente la
-Pasqua.
-</p>
-
-<p>
-A sei elettori veneziani e altrettanti ecclesiastici francesi
-fu affidata la scelta d’un imperatore. Candidati
-Enrico Dandolo, il marchese di Monferrato e Baldovino
-di Fiandra: il Dandolo alla signoria d’una città vinta preferì
-rimaner capo della gloriosa conquistatrice, come
-nessun antico Romano avrebbe voluto cessare d’esser
-cittadino per divenir re di Cartagine. D’altra parte i
-Veneziani s’adombrerebbero del vedere il loro doge a
-capo del grande Impero: chi gli assicurava che la cosa
-non passerebbe in esempio? e non potrebbe la loro
-patria diventare colonia all’Impero? Perciò il Dandolo
-ricusò la corona; e la gelosia de’ Veneziani per l’ingrandimento
-del signore del Monferrato li fece favorire
-Baldovino, che fu acclamato. Feste all’occidentale e
-cantici latini nelle chiese celebrarono il nuovo imperatore,
-cui il legato pontifizio indossò la porpora, e, secondo
-il costume, gli fu offerto un vaso pieno d’ossa e
-polvere, e dato fuoco ad un fiocco di bambage, per
-rammentare come passa la gloria del mondo.
-</p>
-
-<p>
-Questo colpo, che già avea dato per lo desiderio ai
-primi Crociati, era un trionfo del papato, sebbene
-fatto contro sua voglia. Baldovino assunse il titolo di
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-cavaliere della santa Sede; ad Innocenzo III annunziava
-essere stata sottomessa una nuova gente al pontefice, e
-l’invitava venisse a godere di quella vittoria; il marchese
-di Monferrato protestavasi disposto a tornare o
-morir colà, secondo i cenni del papa; il doge implorò
-d’essere assolto di quella conquista, a scusa adducendo
-l’essere Costantinopoli scala necessaria per Gerusalemme.
-Innocenzo, amante d’una politica netta ed evidente,
-volea la guerra contro l’islam, non già che a
-redimere l’Oriente si cominciasse coll’impadronirsene;
-onde, non valutando il vantaggio della santa Sede, li
-rimproverava d’aver preferito le utilità terrene alle
-celesti; della licenza militare e delle violate cose sacre
-chiedessero a Dio perdonanza, e la meritassero collo
-adempiere al voto di liberar Terrasanta: nella quale
-fiducia ribenedisse gl’interdetti, congratulatosi coi vescovi
-del castigo toccato all’ostinazione dei Greci, e
-invitava altri a partecipare alle glorie ed alle nuove
-fatiche.
-</p>
-
-<p>
-Secondo il convenuto, Baldovino ebbe un quarto
-dell’impero greco, Venezia tre degli otto quartieri della
-città, e un quarto e mezzo dell’impero, cioè la più parte
-del Peloponneso, le isole dell’Arcipelago, Egina, Corcira,
-la costa orientale dell’Adriatico, quella della Propontide
-e del Ponto Eusino, le rive dell’Ebro e del
-Varda, le terre marittime della Tessaglia, e le città di
-Cipsede, Didimotica, Adrianopoli, insomma sette in
-ottomila leghe quadrate di dominio con sette in otto
-milioni di sudditi e una catena di banchi lungo la marina
-da Ragusi fino al mar Nero. I Franchi sortirono
-la Bitinia, la Tracia, la Tessalonica, la Grecia dalle Termopile
-al Sunnio, e le maggiori isole dell’Arcipelago:
-i paesi di là dal Bosforo e Candia furono attribuiti al
-marchese di Monferrato, il quale poi fu coronato re
-di Tessaglia, e assediata Napoli di Malvasìa e Corinto
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-tenute ancora dall’usurpatore Alessio, prese questo colla
-famiglia e il mandò per Genova nel Monferrato, ma
-poi combattendo gl’infedeli perdè la vita. Anche le
-chiese di Costantinopoli furono ripartite fra Veneziani
-e Francesi, ed assunto a patriarca Tommaso Morosini.
-Splendidissima vittoria, ma poco sicura.
-</p>
-
-<p>
-Concitate le fantasie da questi rapidi acquisti, già i
-baroni figuravansi regni e ducati sulle rive dell’Oronte
-e dell Eufrate, mentre altri convertivano il bottino in
-comperare feudi nell’impero conquistato e non ancora
-ben soggetto. Tornarono da Palestina quei che vi si
-erano affrettati; accorsero nuovi Crociati dall’Occidente<a class="tag" id="tag245" href="#note245">[245]</a>;
-accorsero Templari e Spedalieri, dove erano
-imprese facili e lucrose: talchè in ogni parte formavansi
-Stati nuovi, pel diritto della spada.
-</p>
-
-<p>
-Come i Longobardi s’erano dato un codice per soli
-essi vincitori, così i Latini promulgarono le Assise di
-Gerusalemme nel nuovo impero, che come quelli si
-erano diviso, e che governarono a foggia dei feudi di
-Europa. Venezia, per nulla smaniosa di conquiste cui
-dovea piuttosto difendere che usufruttare, le abbandonò
-la più parte a’ suoi nobili, concedendo che ciascuno
-potesse armare e sottomettere le isole greche e le città
-delle coste, riconoscendole come semplice feudo perpetuo
-della repubblica. E i Sanuto fondarono il ducato
-di Nasso, che abbracciava anche le isole di Paro, Melo,
-Santorino; i Navagero ebbero il granducato di Lemno;
-i Michiel il principato di Ceo; quello d’Andros i Dandolo;
-i Ghisi quel di Teone, Micone e Soiros; altri le
-signorie di Metelino e Lesbo, di Focea, di Enos, le
-contee di Zante, di Corfù, Cefalonia, il ducato di Durazzo;
-poi i Vicari fondarono quel di Gallipoli nel
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-chersoneso Tracio. Anche a stranieri furono concessi
-feudi; come a Michele Comneno il paese fra Durazzo
-e Lepanto, a Robano delle Carceri Negroponte, Adrianopoli
-a Teodoro Brana.
-</p>
-
-<p>
-Tutti que’ signori prestavano giuramento, tributo e
-sussidio in guerra: ne’ loro paesi era privilegiato ai
-Veneziani il far traffico; e i Veneziani che vi dimorassero,
-restavano indipendenti e con governo proprio: a
-Costantinopoli sedeva un balio. Per tal modo Venezia
-assicuravasi una dominazione scarca di cure, facile a
-conservare mediante le flotte. Fu anche messo al partito
-se tornasse meglio trasferire a Costantinopoli la
-sede della repubblica; e due soli voti fecero prevalere
-il no<a class="tag" id="tag246" href="#note246">[246]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il marchese Bonifazio vedendo non poter conservare
-Candia, la vendette ai Veneziani coi crediti verso Alessio
-per mille marchi d’argento, e per tanto territorio nella
-Macedonia occidentale che rendesse mille fiorini di
-oro<a class="tag" id="tag247" href="#note247">[247]</a>. Candia era più importante al traffico che non
-Costantinopoli, e dovette esser regolata con maggiori
-cure. Gli abitanti erano gente incostante e perfida; il
-che forse non esprimeva se non repugnante al dominio
-forestiero. Essendo troppo vasta per concedersi a un
-solo, vi fu introdotta una colonia, come più opportuna
-a tenere in soggezione i vinti. Difficilmente però si trovava
-chi volesse rinunziare alla patria, per quanto gli
-si offrissero ricchezze, dignità, potere; onde da’ sei sestieri
-della città si scelsero cinquecentoquaranta famiglie,
-a cui capo fu posto un duca biennale che rappresentava
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-il doge, eletto dal maggior consiglio di Venezia,
-assistito da due consiglieri superiori, e sotto di lui i
-magistrati come a Venezia: e colle opere obbligate dei
-servi si edificò e munì la città di Canea.
-</p>
-
-<p>
-La giurisdizione d’essa città e del distretto spettava
-al capitano e consigliere della repubblica eletto a Venezia:
-del Comune veneto erano gli Ebrei, il porto,
-l’arsenale, le porte. Il paese fu distribuito in trentadue
-feudi di cavalieri e centotto di sergenti: ogni cavaliere
-era obbligato aver buona armadura, e condurvi da Venezia
-e tenere due cavalli, uno del valore almeno di
-lire ottanta venete, ed uno di cinquanta, e dell’età di
-tre anni; poi fra un mese e mezzo comprarne un altro
-di lire venticinque; inoltre avere un sergente con bel
-cavallo armato a ferro, e tre scudieri pure con corazza
-e ogni arma di cavalleria; e due balestre di corno, con
-due scudieri almeno che sappiano trarle, latini, fra i
-venti e i quarant’anni. I sergenti che hanno mezza cavalleria,
-conducano da Venezia un cavallo di lire cinquanta
-almeno, e due scudieri; poi fra un mese e mezzo
-procaccino un altro cavallo di lire venticinque, e siano
-ben in arme. Le cavallerie non potranno impegnarsi o
-staggirsi per debito, e lo stipendio di settecento lire
-deve convertirsi anzitutto nell’acquisto d’essa terra. Del
-resto ajutino in ogni modo i rettori dell’isola, e in essa
-il Comune di Venezia<a class="tag" id="tag248" href="#note248">[248]</a>. Ai nobili del paese si ebbero
-riguardi, e si diede partecipazione al governo; e il
-gran consiglio, composto d’indigeni, eleggeva i magistrati
-minori. I Musulmani furono sofferti, ma in istato
-di servitù.
-</p>
-
-<p>
-Così trentamila vigorosi, avidi di bottino e di preda,
-erano prevalsi facilmente a milioni di Greci, fradici nel
-lusso, nelle abitudini depravate, nella vanità delle frivole
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-cose. Ma la conquista, fatta senza senno, essiccava
-le fonti della prosperità, sin a difettare del vivere; il
-sistema feudale toglieva l’accordo in guerra ed il buon
-ordine in pace; alcune città governavansi metà con
-leggi feudali, metà colle venete e colle ecclesiastiche;
-poi la mollezza di quel clima non tardò a sdulcinare i
-soldati, e lo spregio reciproco impedì si fondessero
-vincitori e vinti. Baldovino dopo due anni periva prigioniero
-dei Bulgari: anche Enrico Dandolo era morto
-a Costantinopoli dopo vista la rapida decadenza dell’impero
-latino. Venezia ne trasse più danno che vantaggio,
-poichè troppa gente si sviò dalla navigazione e dal
-commercio per buttarsi alle imprese cavalleresche e a
-conquiste che non doveano durare; e quel che peggio,
-coll’abbattere Costantinopoli rompeva la sua barriera
-più salda contro i Musulmani, che doveano divenirle
-formidabili vicini.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap88">CAPITOLO LXXXVIII.
-<span class="smaller">Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro
-stadio. Nobili e plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-In quell’innesto della teocrazia col feudalismo l’imperatore,
-detto perciò romano, non si teneva per tale
-sinchè non fosse coronato dal papa, quale rappresentante
-di Dio <i>per cui solo regnano i re</i>; e l’imperatore
-gloriavasi del titolo di avvocato e difensore della Chiesa.
-Primato sovra gli altri re gli attribuiva l’opinione, favorita
-dai leggisti, i quali nella dieta di Roncaglia
-udimmo sentenziare, secondo i codici di Teodosio e
-Giustiniano, lui essere la legge vigente; e il cancelliere
-del Barbarossa chiamava <i>reges provinciales</i> gli altri
-potentati. Ma nel fatto, oltre che i re operavano indipendenti,
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-il sistema feudale da un lato, dall’altro l’incremento
-delle repubbliche attenuava di giorno in
-giorno la potenza degl’imperatori. Perfino nella Germania
-il regnante procacciavasi fautori col largheggiare
-franchigie, cioè lentare più sempre la dipendenza dei
-dinasti e delle città, le quali, ora mercè del commercio,
-ora mediante le leghe, venivano a quella prosperità
-materiale, che più non tollera l’oppressione politica.
-Pure le città non poterono colà elevarsi a repubbliche
-come da noi, perchè vi dimoravano soltanto minuti
-trafficanti e artieri, mentre i signori si tenevano nei
-castelli, soli agitando le lotte fra lo scettro e il pastorale,
-fra Guelfi e Ghibellini: nelle nostre, al contrario,
-si comprendevano e dotti e signori, avanzi romani e
-avanzi longobardi e franchi, e i parteggiamenti giunsero
-fino alle plebi, le quali appresero a discutere i diritti, a
-combattere per un’opinione, e così a divenir libere.
-</p>
-
-<p>
-Il re di Germania, che dominava pure sui regni di
-Lorena, d’Arles, di Pomerania, veniva eletto dai grandi
-signori, non esclusi i primarj baroni d’Italia. Però
-ciascun imperante adoprava l’ingerenza che gli davano
-il suo grado e la devozione de’ proprj vassalli, onde
-farsi destinare successore uno della famiglia stessa.
-</p>
-
-<p>
-Al re fruttavano i molti beni della corona sparsi per
-tutta Germania, i pedaggi, i fiumi, le foreste, le miniere,
-porzione delle multe, e lo spoglio de’ vescovi
-ed abati defunti: le città doveangli alcune contribuzioni,
-e così gli Ebrei per ottenere protezione siccome
-servi della Camera imperiale, e i Lombardi o Caorsini
-che andavano in giro vendendo spezie e guadagnando
-d’usure, o, come diciam ora, facendo commercio di
-banca. Essendo elettiva la corona, non si aggregavano
-ad essa i possedimenti patrimoniali de’ nuovi re eletti:
-anzi questi, potendo disporre dei feudi ad essa ricadenti
-per mancanza d’eredi o di fellonia, ne arricchivano le
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-famiglie proprie, col qual modo salirono tanto alto in
-prima la Casa sveva, poi le povere dei conti di Luxenburg
-e d’Habsburg.
-</p>
-
-<p>
-All’imperatore spettava il far guerra: ma dovendo i
-soldati essergli somministrati dai feudatarj, occorrevagli
-il consenso di questi. Ora le lunghe e malarrivate spedizioni
-di Federico I in Italia aveano svogliato i signori
-dallo sciupare forze e denaro per interessi cui erano
-estranj; sicchè da quell’ora fino a Sigismondo più non
-fu decretata veruna spedizione generale, per quante
-minaccie o promesse replicassero gl’imperatori, per
-quanto paressero richieste dal bene della patria o della
-cristianità. Agli imperatori dunque nelle loro guerre
-non rimanevano se non gli uomini dovuti dai loro
-vassalli particolari, ovvero da paesi a loro direttamente
-soggetti, come era la Sicilia per gli Svevi, o da principi
-e città con cui avessero alleanza.
-</p>
-
-<p>
-La Germania era povera; sebbene Lubecca, Anversa,
-Colonia, Ratisbona, Vienna, qualche altra città sul Reno
-o sul Danubio fiorissero di traffici e industria, e la Fiandra
-fabbricasse pannilani, il mancare di strade e di
-prodotti da cambiare ne impediva la prosperità; molto
-denaro n’era anche portato via dalle crociate. Pure
-allora il commercio s’andava estendendo; eransi scoperte
-le miniere d’argento della Sassonia; col che e
-colle libertà comunali la Germania avrebbe potuto vantaggiarsi
-del primato fra le nazioni europee, e del predominio
-che acquistava sopra le genti slave, a domare
-e incivilir le quali fortunata lei e noi se avesse dirizzato
-il suo ardore. Sciaguratamente gl’imperatori non si
-contentarono della cristiana supremazia sull’Italia, e
-vollero direttamente mestarne gli affari; dove urtatisi
-colle repubbliche e coi papi, ebbero conflitti, a’ quali
-già vedemmo soccombere una dinastia, e presto vedremo
-un’altra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-</p>
-
-<p>
-Morto Enrico VI <span class="sidenote">(1197)</span>, i signori di Germania credettero
-a tempi così momentosi non convenirsi un imperatore
-fanciullo, com’era Federico Ruggero. Vero è che suo
-padre gli aveva indotti a prestargli omaggio, ma essi
-non vi si tenevano obbligati perchè non era ancor battezzato.
-Filippo di Svevia, figlio del Barbarossa e duca
-di Toscana, come il più prossimo parente dell’imperatore,
-erasi preso lo scettro, la spada, la corona, il
-globo d’oro riempito di polvere, la sacra lancia e il
-diamante detto smisurato (<i>der Weile</i>): fuggendo di
-qui fra gli strapazzi degli Italiani, che uccisero anche
-molti del suo seguito, andò in Germania, e brigò tanto,
-che gli stati di Svevia, Baviera, Sassonia, Franconia
-e Boemia lo elessero re <span class="sidenote">(1198 — marzo)</span>. Ma i Guelfi gli opponevano
-Ottone di Brunswick, figlio di quell’Enrico il Leone
-duca di Sassonia e Baviera, che lottato col Barbarossa,
-n’era stato spossessato, e nipote di Ricardo Cuor di
-Leone re d’Inghilterra.
-</p>
-
-<p>
-Ottone, ardito come questo, gigante della persona,
-prodigo, soldatesco, risoluto a reprimere le prepotenze,
-onde i grandi l’intitolarono <i>Superbo</i>, e i popoli
-<i>Padre della giustizia</i>, impadronitosi d’Aquisgrana, vi
-si fece ungere dall’arcivescovo di Colonia; e genti e
-signori svaginarono le spade per sostenere ciascuno il
-proprio eletto. Onde risparmiare il sangue civile, fu
-rimessa la decisione al papa, e questi, esaminatala sotto
-il triplice aspetto del diritto, della convenienza e dell’utilità,
-escluse Federico perchè non se ne conosceano
-l’intelletto e il cuore, e la Scrittura dice: <i>Guaj alla
-terra, cui re è un fanciullo</i>; riprovò Filippo come
-usurpatore delle giustizie della Chiesa in Toscana<a class="tag" id="tag249" href="#note249">[249]</a>,
-e perchè teneva ancora prigioni il vescovo di Salerno
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-e la famiglia reale di Tancredi; lodò Ottone, ma parvegli
-eletto da troppo scarsi voti. Professavasi dunque
-imparziale tra una famiglia sempre ostile e l’altra
-sempre favorevole alla Chiesa, sicchè, scontenti del
-pari, i due emuli avventaronsi all’armi; sinchè, indotto
-dai Guelfi, il papa mandò un legato che scomunicasse
-Filippo e i suoi, e dicesse Ottone legittimo
-imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Questi, davanti a tre legati pontifizj <span class="sidenote">(1201 — 8 giugno)</span>, prestò un giuramento
-siffatto: — Io Ottone, per grazia di Dio, prometto
-e giuro proteggere con ogni mia forza e di buona
-fede il signore papa Innocenzo, i suoi successori e la
-Chiesa romana in tutti i dominj loro, feudi e diritti,
-quali sono definiti dagli atti di molti imperatori, da
-Lodovico Pio fino a noi; non turbarli in ciò che già
-hanno acquistato, ajutarli in ciò che lor resta ad acquistare,
-se il papa me lo ordini quando sarò chiamato
-alla sede apostolica per la corona. Inoltre presterò il
-braccio alla Chiesa romana per difendere il regno di
-Sicilia, mostrando al signore papa Innocenzo obbedienza
-e onore, come costumarono i pii imperatori cattolici
-fino a quest’oggi. Quanto all’assicurare i diritti e le consuetudini
-del popolo e delle Leghe Lombarda e Toscana,
-m’atterrò ai consigli e alle intenzioni della santa Sede,
-e così in ciò che concerne la pace col re di Francia. Se
-la Chiesa romana venisse in guerra per causa mia, le
-somministrerò denaro secondo i miei mezzi. Il presente
-giuramento sarà rinnovato a voce e per iscritto quando
-otterrò la corona imperiale».
-</p>
-
-<p>
-I Tedeschi, che vorrebbero vedere sempre l’imperatore
-sovrapposto al pontefice, e l’Italia sottomessa
-alla Germania, rinfacciano a Ottone quest’atto, dove in
-sostanza ciò che il papa esigeva era l’indipendenza della
-Chiesa e dell’Italia. I principi tedeschi se ne indignarono,
-e ne scrissero parole risolute ad Innocenzo, il cui
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-favore non toglieva che svenisse il partito di Ottone,
-considerato scialacquatore della nazionale sovranità. Intanto
-Filippo di Svevia moriva trucidato <span class="sidenote">(1208)</span>, quinto figlio
-del Barbarossa che finiva in valida età, lasciando sol
-quattro figlie; nè di quella casa sopravviveva che Federico
-Ruggero. Allora, dopo dieci anni di contesa fra
-guerresca e politica, mediante le premure di Roma i
-suffragi si raccolsero tutti sopra Ottone: anzi, per togliere
-in avvenire le scissure e insieme le ambizioni di
-qualc’altra famiglia, fu istituito che nessuno pretendesse
-alla corona germanica per diritto ereditario; l’elezione
-fosse devoluta a tre principi ecclesiastici, cioè gli arcivescovi
-di Magonza, Colonia, Treveri, e tre laici, cioè
-il palatino del Reno, il duca di Sassonia, il marchese
-di Brandeburgo; e quando i voti fossero pari, anche il
-re di Boemia. Da quel punto al popolo non rimase più
-parte alcuna nelle nomine, e gl’italiani ne restarono
-affatto esclusi. Ottone avendo sposato Beatrice <span class="sidenote">(1209)</span> figlia
-dell’ucciso Filippo, rannodò le due case de’ Guelfi e
-degli Hohenstaufen, e svelse dalla Germania quella gramigna
-funesta de’ Guelfi e Ghibellini mentre appunto
-essa pigliava rigoglio in Italia.
-</p>
-
-<p>
-Qui, in dodici anni dacchè tedeschi eserciti non apparivano,
-le Repubbliche aveano preso incremento.
-Determinate da bisogni individuali, esse non avevano
-preteso estendere le franchigie su tutto il paese, distruggere
-ogni orma della sofferta oppressione, piantare
-l’uguaglianza di tutti in faccia alla legge. Del Comune
-da principio facevano parte soltanto i capitanei e valvassori
-e arimanni; poi vi si aggiunsero i borghesi liberi,
-ceto medio, cresciuto sì per l’arricchimento del
-commercio, sì per molte case nobili che giurarono la
-città, sì per quelli che vi rifuggivano dai signori feudali
-o ecclesiastici. Il resto degli abitanti dipendeva ancora
-dai nobili o dai visconti vescovili, in qualità di servi o
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-d’uomini ligi, con patti che spesso riducevansi in carta,
-e che tanto vagliono a manifestare la condizione personale
-de’ popolani<a class="tag" id="tag250" href="#note250">[250]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Gli antichi conti della città eransi ritirati alla campagna,
-dove conservavano i possessi e le giurisdizioni;
-sicchè i contadi rurali od erano frazioni d’antico contado
-cui era stata tolta la città, o porzioni assegnate da
-un conte ai proprj figliuoli. Quei di Bergamo nel <span class="smcap lowercase">X</span> secolo
-aveano avuto per quattro generazioni la suprema
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-dignità di conti del regio palazzo, e furono imparentati
-coi marchesi d’Ivrea e di Toscana: costretti poi ad
-uscir di città, si indebolirono suddividendosi nei conti
-Almenno, Martinengo, Camisano, Offenengo ed altri<a class="tag" id="tag251" href="#note251">[251]</a>.
-Sotto il 1222 gli storici annoverano una quantità di
-castelli donati o ceduti a Bergamo dai possessori, come
-Morníco, Cologna, Grumello, Solto, Plenico, Cene, Civedate,
-Telgate, Villadadda, Morengo, Calepio, Sárnico, la
-Bretta e via; e già prima v’erano stati indotti o costretti
-i canonici e il vescovo. Milano, che prima limitava
-la sua giurisdizione a un raggio di tre miglia,
-sottopose i contadi del Seprio, della Bulgaria, della
-Martesana, di Parabiago, di Lecco<a class="tag" id="tag252" href="#note252">[252]</a>. I conti di Verona
-si ritirarono a San Bonifazio, donde presero il titolo:
-quei di Padova, fra i colli Euganei, coi titoli di Baone,
-Àbano, Maltraverso e altri. E tutti dominarono sulla
-campagna, rubando, ponendo pedaggi, escludendo, serrandosi
-attorno a un principale, che intitolavasi vicario
-imperiale e che aveva una scorta di Tedeschi: del resto
-avversando i Comuni, ridendo dei consoli e degli statuti,
-pronti ad affollarsi intorno al piccolo esercito che
-l’imperatore conducesse in Italia, trasformando in valanga
-l’impercettibile nucleo degli oltramontani; e continuar
-battaglie e invasioni anco dopo partito quello.
-</p>
-
-<p>
-Non poteva darsi che le città libere gran tempo tollerassero
-attorno a sè borghi servilmente sottoposti a
-feudatarj privilegiati d’assoluta giurisdizione, conservatori
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-degli abusi detestati. Se a Costanza avean acquistato
-il diritto di far guerra alle città lontane, tanto più
-ai castelli vicini: onde coglievano le occasioni di portarvi
-la più legittima delle guerre, quella che propaga
-e francheggia i diritti dell’uomo. Talora scendeasi a
-patti, e la campagna restava emancipata dalle parziali
-servitù. Asti mosse contro ai duchi di Monferrato, Chieri
-agli arcivescovi di Torino: quei di Borgo Sansepolcro
-intimarono ai tanti castellani di val Tiberina di lasciare
-le rôcche, chi non volle costrinsero, e diroccato il castello
-di Mansciano, ne portarono via le pietre, di cui
-edificarono i proprj baluardi, e una campana che posero
-sulla torre di Berta<a class="tag" id="tag253" href="#note253">[253]</a>. Gli abitanti di Vico, Vasco,
-Breo, Carassone, guasti dalle male intelligenze coi Lombardi
-e coll’imperatore, si proposero una reciproca
-unione, della quale fu frutto la terra di Mondovì. I
-Pavesi respinsero il conte rurale, che si rifuggì a Lumello;
-ma quivi pure incalzato, ebbe a smettere la sua
-giurisdizione, e rendersi cittadino e suddito della sua
-città<a class="tag" id="tag254" href="#note254">[254]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I consoli di Biandrate appajono già in una carta del
-5 febbrajo 1093, dove quei conti ai militi abitanti le
-loro terre danno una specie di costituzione, e «delle
-discordie e concordie attenderanno quel che decidano
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-i dodici consoli eletti; i quali giurano giudicare le liti
-insorte come meglio sapranno giovare al Comune, salva
-la fedeltà ai signori». A Guido di Biandrate, che tanto
-di lui ben meritò, Federico Barbarossa concedeva ampio
-privilegio, togliendolo in protezione, confermandogli
-i beni e onori che aveva avuto da’ suoi antecessori,
-stabilendo non deva esser chiesto in giudizio se non davanti
-all’imperatore; per tutto il vescovado di Novara
-gli conferma la capitananza (<i>conductum</i>), e che niuna
-battaglia si faccia se non lui presente; gli uomini di quel
-contado abbiano egual diritto di vendere e comprare in
-tutto il vescovado di Novara, Vercelli, Ivrea, quanto i
-mercanti d’essa città. Poi il conte di Biandrate nel 1170
-fece concordia coi Vercellesi, cedendo il suo castello di
-Montegrande, i cui abitanti siano ricevuti pacificamente
-a Vercelli, senza ch’egli però perda la fedeltà d’essi castellani;
-cede pure quanto ha in Candelo, Arborio, Albano
-e di qua dalla Sesia; due volte l’anno farà per
-essi campo, e sarà in oste con trecento uomini; abiterà
-in Vercelli, e farà giurare a quaranta suoi militi di
-comprarvi case; darà della sua cassa diecimila lire pavesi;
-farà dare il fodro da essi militi agli uomini di
-Vercelli, come sogliono gli altri concittadini; farà fine
-e pace di tutti i danni recati a sè e alla casa sua; non
-porterà guerra senza il consiglio de’ consoli maggiori
-e dei consoli di Santo Stefano e di tutta la credenza;
-non alzerà castello dalla valle della Sesia e da Romagnano
-in giù, nè vi farà conquista di castello o torre o
-corte. Erano quei di Biandrate i più potenti signori
-del contorno di Milano, ma ben presto il loro castello
-fu assediato e distrutto, e dispersine gli abitanti in quattro
-villaggi: e Novara facea statuto, che il console giurasse
-di tener distrutto Biandrate, ogn’anno visitarlo
-due volte, e se nel ricinto della fossa sorgesse alcuna casa,
-la demolirebbe fra venti giorni. Altre terre rimaste
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-dovetter quei conti cedere a Novara nel 1247 per ottomila
-lire, con cui comprare una casa e terreni nel distretto.
-I conti infestavano tuttavia la val di Sesia,
-volendo contaminar tutte le fanciulle: sinchè i paesani
-indignati li scannano tutti, sol una fanciulla serbando, alla
-quale infliggono gli oltraggi che le loro aveano sofferto.
-Altre terre possedeano sull’Astigiano, e avendo nel 1250
-rubato del panno a mercanti, la città li punisce privandoli
-dei villaggi. Su un di questi avventavasi notturno
-nel 1290 il conte Manuele; ma gli Astigiani invadono
-le terre di esso, ne devastano i vigneti e le biade, uccidono
-suo figlio: talchè il conte, per salvare il resto,
-cede il castello di Porcello alle città, e vende a chi più
-ne dà i castelli di Montacuto e Santo Stefano.
-</p>
-
-<p>
-Patti consimili ma più largamente esplicati si convennero
-tra i Vercellesi e i marchesi di Monferrato,
-aggiungendo la promessa di ajutar questi dalla Lega
-Lombarda, cioè col pregare i collegati e intercedere
-per essi.
-</p>
-
-<p>
-Il Comune di Brescia (se la cronaca di Ardicio è genuina)
-fin dal 1104 avea lega e società con altri della
-Lombardia e del Trevisano, giurata nel chiostro di Palazzuolo:
-dai Martinengo comprava il castello di Orzivecchi,
-dai conti Lumellini quanto possedeano nella
-diocesi a titolo feudale, dai conti Calepio i castelli di
-Sárnico, Merlo, Calepio, obbligandoli ad impiegare il
-prezzo in acquistare allodj nel Bresciano; riceveva in
-protezione gli abati di Leno e Sant’Eufemia; distruggeva
-il forte di Montechiaro e quel di Gavardo cacciandone
-il presidio; così smantellò Asola ch’era dei conti
-di Casalalto, e il forte di Monterotondo. Un consiglio
-del 1203 stabilisce che gli abitanti di ville e castelli
-comprati da nobili non addetti al Comune devano prestar
-giuramento alla repubblica. Ne’ cui statuti è prescritto,
-chi vuol diventare cittadino, fabbrichi una casa
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-nella città, e rimangavi sempre, eccetto un mese di
-primavera, uno d’autunno; privati non possano eriger
-forti in Pontevico, Palazzuolo, Mura, Quinzano, Caneto,
-Gavardo, Iseo; e tutti i curati e dignitarj ecclesiastici
-siano bresciani<a class="tag" id="tag255" href="#note255">[255]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I conti di Treviso si piantarono ne’ loro possessi sul
-Piave, ma senza nimicarsi colla città, nella quale sostennero
-molti uffizj comunali, e conservarono anche il titolo,
-che poi mutarono in quel di Collalto. Di Treviso stessa
-presero la cittadinanza nel 1183 Vecello e Gabriele da
-Camino, e nel 1190 Matteo vescovo di Céneda, pattuendo
-che quel Comune esercitasse la giurisdizione
-nella sua diocesi. Bertoldo patriarca d’Aquileja nel
-1220 si ridusse cittadino di Padova, e in segno vi fabbricò
-palazzo, si sottopose ai dazj e alle taglie, e mandava
-ogn’anno dodici cavalieri a giurare obbedienza al
-nuovo podestà: lo che imitò pure il vescovo di Feltre
-e Belluno<a class="tag" id="tag256" href="#note256">[256]</a>. Padova stessa obbligò i marchesi d’Este
-a venir cittadini, ed immurare le porte della loro
-rôcca. Parma sottomette Salsomaggiore, obbligandolo a
-pagare dieci soldi ogni san Martino(1138), e Uberto
-Pelavicino che le fa omaggio di San Donnino (1140):
-Piacenza sottomette Caverzago, Collagura, Specchio,
-Fabricà; nel 1138 compra metà del castello di Montalbo,
-metà nel 48; sottopone la valle e il borgo di
-Taro; Moruello Malaspina nel 1194 prende la cittadinanza
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-di Piacenza, mentre altri di quella famiglia si
-accomandavano a Lucca. I Córvoli del Frignano nel 1156
-affidaronsi con Modena a questi patti: ajutare la città
-contro chicchefosse, eccetto il duca Guelfo d’Este e suoi
-ligi e vassalli; dimorare in città colle lor donne ogni
-anno un mese in tempo di pace, due in tempo di
-guerra; lasciare ai cittadini traversar liberamente le
-loro terre, nè tenere mai chiusi i castelli a’ magistrati
-della città; obbligare i loro villani a pagare sei denari
-lucchesi per ogni par di bovi, eccetto i castellani, valletti
-e gastaldi. Modena obbligavasi di rimpatto a investirli
-di certi beni e castelli ch’essi doveano conquistare,
-ajutarli a rivendicare certe ragioni da altri nobili, e
-proteggerli contro i nemici<a class="tag" id="tag257" href="#note257">[257]</a>. Faenza demolisce Selvamaggiore
-(1098), combatte i conti di Cunio (1115),
-demolisce la Pergola (1135); distrugge Solarido (1138)
-diviso fra le due lottanti famiglie de’ Silingardi e de’
-Guglielmi, sbrattando così la via di San Giuliano; nel
-1144 assalta Castelleone; nel 1149 Cunio, Donigaglia,
-Bagnacavallo, che pretendeano un censo da’ Faentani
-che vi tenesser banchi. Il conte dovette cercar pace
-mettendo casa in Faenza, lasciando mettere in Cunio
-guarnigione faentina, e ritraendosi dalla politica: ma
-ben presto, sotto titolo che abbia mancato ai patti, è
-assalito e distrutto il castello. Poi vien la volta di Lacerata,
-di Modigliana, di Bagnacavallo.
-</p>
-
-<p>
-Terracina ai Frangipani, già signori della città, poi
-ritiratisi a Circello e Traversa, vieta di accostarsi oltre
-la chiesa di S. Nicola fuor le mura, fuorchè per affari
-e senz’armi nè seguito. Benevento sfascia Apice, Terroggia,
-Sableta, ove Roberto Sclavo ora imprigionava i
-passeggeri, or li spogliava od uccideva, come faceano
-pure i signori di Frassineta, per ciò spodestati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-</p>
-
-<p>
-I Bolognesi avevano preso i castelli di Corbara,
-Sassatello, Monteveglio, Monte Cadumo, Ibora, Dozza,
-Fagnano, e avuti a soggezione i signori Cetolani, Savignanesi,
-di Oliveto, Moreto, Caneto<a class="tag" id="tag258" href="#note258">[258]</a>. Egual movimento
-ci si mostrerà in Toscana.
-</p>
-
-<p>
-Casse in tal guisa le giurisdizioni feudali, le tenute
-appartenevano tutte a cittadini, ed erano coltivate da
-pigionanti e mezzajuoli, trasformandosi il sistema tedesco
-dei possessi, e ai servi sottentrando liberi coltivatori.
-</p>
-
-<p>
-Liberi, ma non per questo erano considerati come
-popolo, cioè donati della piena cittadinanza; e l’infima
-gente e gli operaj non restavano rappresentati nel
-Governo, non votavano le imposizioni che essi medesimi
-pagavano, o la conversione di esse. Ma in ogni
-rivoluzione, al primo passo che consiste nel liberarsi,
-suole tener dietro l’altro, ove la classe liberatrice vien
-giudicata tiranna o insufficiente, e una più bassa pretende
-prima eguagliarla, poi soverchiarla. Alla rivoluzione
-che affrancò i Comuni aveano data principal
-opera i nobili e i meglio stanti, che in conseguenza
-diedero i consoli e i magistrati; gloria particolare di
-molte prosapie nostre, di derivare la loro nobiltà dai
-liberatori della patria.
-</p>
-
-<p>
-Ben presto i plebei pretesero parte al governo, e
-questa seconda êra delle repubbliche valse un secolo
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-intero di agitazioni, ora costituzionali, ora violente.
-Dentro le città cominciarono dunque a contendere nobili
-e borghesi, quelli volendo ricuperare l’autorità che
-un tempo aveano posseduta, questi pretendendo in
-prima parteciparvi equamente, poi arrogarla a sè soli.
-La quale contesa non è altro se non quella che tuttodì
-si agita nei paesi costituzionali, cioè se a’ soli proprietarj
-devasi concedere pienezza di diritti: stantechè non
-al sangue si faceva mente, ma ai possessi; nobile era
-chi avesse.
-</p>
-
-<p>
-I grossi nobili o casatici, discendenti dagli antichi
-conti e marchesi e capitanei, tradizionalmente poderosi,
-e sostenuti dagl’imperatori, s’erano abituati al comando
-sui loro feudi; ed anche giurandosi cittadini, conservavano
-i possedimenti e le rôcche, dalle quali sì spesso
-erano invitati alle magistrature urbane. Alla plebe,
-attenta alle arti e ai traffici, non era possibile esercitarsi
-nell’armi, che al contrario formavano l’occupazione
-e il sollazzo dei nobili; onde a questi bisognava
-ricorrere ne’ casi di guerra, massime per la cavalleria.
-Anche dopo svestite le armi, al comandare erano predisposti
-dal patronato che esercitavano sopra gli antichi
-loro servi e gli attuali clienti; dall’inclinazione a riverire
-nei figliuoli le doti e i meriti de’ padri; dal trovarsi
-fra sè legati per parentele o per ispirito di corpo; dall’avere
-sì larghi possessi che poteano a loro voglia
-affamare la città. Chiamati podestà o capitanei in paesi
-forestieri, contraevano l’abitudine dal maggioreggiare,
-che tanto facile s’acquista quanto difficilmente si smette;
-e anche nel proprio Comune ottenevano onoranze sì
-per le cariche sostenute, sì pel fregio della cavalleria.
-In qualche città soli nobili aveano gli impieghi, come
-sembra fosse in Bergamo, ove non appajono contese
-fra nobili e plebei, ma de’ nobili fra loro.
-</p>
-
-<p>
-Altre volte questi, impediti di prepotere legalmente,
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-volgeansi all’infima classe, esclusa dal governo e tributaria
-della città; la blandivano perchè più docile, e
-perchè non aveva nè diritti da opporre ai loro, nè ricchezze
-per egualiarli; e se le facevano sostegno ne’ tribunali,
-o nei richiami contro l’oppressione: di che
-sorgevano due fazioni, la nobiltà unita ai plebei, e i
-borghesi indipendenti da quella. Si contrariavano esse
-ne’ partiti, nelle elezioni, nei piati, e spesso il litigio
-incalorivasi fino a venire alle mani. Vincevano i nobili?
-eccoli padroni delle cariche, arbitri delle leggi, e
-decretare quanto meglio torna al loro ordine; applauditi
-dalla ciurma, che al solito astiava i cittadini grassi.
-Soccombevano? ritiravansi nelle avite rôcche, aspettando
-di ritornar necessarj per essere ridomandati, o,
-data occasione, rientrare a forza. Come avviene dei
-conflitti in città, la plebe per lo più restava vincitrice;
-e inetta a governarsi, e facile ad essere raggirata dagli
-scaltri, s’appoggiava ad un signore territoriale, concedendogli
-poteri illimitati, quali deve averli chi rappresenta
-il popolo, e così spianando la via alle tirannidi.
-Quei medesimi baroni che aveano giurato il Comune,
-oltre esercitare nelle città il potere o l’ingerenza che
-deriva dall’antica abitudine del comando, dalla ricchezza
-e dalla pratica delle armi, negli accordi eransi
-riservati certi diritti di guerra e di alleanza, e prerogative.
-</p>
-
-<p>
-Per quel carattere personale che aveano tutti gli
-obblighi nel sistema feudale, a simili accordi poteasi
-rinunziare ad arbitrio; e poichè talvolta il nobile era cittadino
-di due Comuni, cercava appoggio dall’altro
-qualora coll’uno cozzasse: fomento a fraterni dissidj.
-Difficilmente poi rinunziavano al diritto preziosamente
-mantenuto delle guerre private, e dentro le città stesse
-moveansi battaglie tra loro; perciò munivano i palazzi
-a guisa di fortezze, con ponti levatoj e torri e catene
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-per le vie. Trentadue torri coronavano o minacciavano
-Ferrara, cento Pavia, poco meno Cremona e Bologna:
-diecimila a Pisa, dice Beniamino da Tudela, e «creda
-chi vuole» esclama il Muratori; a Firenze l’architettura
-massiccia, coll’enormi bugne, le anguste finestre, le
-molte torri, e le porte ferrate, attesta ancora quello
-stato di guerra da vicino a vicino. Lo statuto di Genova
-proibiva di lanciare projetti dalle torri, neppure in
-occasione di combattimento: se ne seguisse omicidio,
-la torre veniva demolita; se no, multa di venti lire; e
-se il padrone non potesse pagarla, distruggevansi due
-solaj d’essa torre. Talvolta una città era divisa tra più
-signori, e per esempio in Mantova i Bonaccossi e i
-Grossolani erano capi-parte nel quartiere di Santo
-Stefano, gli Arlotti e i Poltroni in quello di Cittavecchia,
-i Riva e i Casaloldi in quel di San Jacopo, i
-Zanecalli e i Gaffari in quel di San Leonardo. Bisognava
-dunque munire un quartiere contro l’altro, serragliare
-i ponti, sorvegliare le strade.
-</p>
-
-<p>
-Nelle città più floride per commercio, i mercanti
-vollero partecipare alla sovranità d’una patria, al cui
-prosperamento sentivano aver tanto contribuito. E fin
-qui chiedeano il giusto; ma l’irritamento prodotto dal
-contrasto e la baldanza del successo li spinsero a volere
-esclusi quelli, cui da principio non avevano che domandato
-di compartecipare. Firenze rimosse dalla Signoria
-chi non fosse matricolato in un’arte; i nove signori di
-Siena e gli anziani di Pistoja dovean essere mercanti
-o della classe mezzana; altrettanto in Arezzo; di maniera
-che per infamia notavansi tra’ nobili chi mal
-meritasse del Comune. Modena pure ebbe un registro
-sì fatto, e l’imitarono alcun tempo Bologna, Padova,
-Brescia, Genova ed altre città libere sullo scorcio del
-xiii secolo. Anzi a Pisa i nobili erano esclusi dal far
-testimonianza contro un plebeo; pena la testa se uscissero
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-di casa con arme o senza quando si faceva rumore;
-e bastava la voce popolare per condannarli<a class="tag" id="tag259" href="#note259">[259]</a>. Il
-cencinquantesimo del libro I degli statuti di Roma prescrive
-che un barone o una baronessa, i quali abbiano
-una lite civile o criminale con un popolano, non possano
-entrare in palazzo, ma solo i loro avvocati e
-procuratori; e se il popolano comprometter voglia la
-lite in due popolani, essi baroni sieno costretti starvi:
-nè tampoco il giudice della causa possa mai parlare
-con essi barone e baronessa.
-</p>
-
-<p>
-A Lucca soli i cittadini abitanti in città costituivano
-propriamente la repubblica; gli altri chiamavansi <i>foretanei</i>
-se oriundi lucchesi, e <i>foresi</i> se avveniticci, e non
-partecipavano ai privilegi urbani. I cittadini poi divideansi
-in potenti o casatici, e popolari. I casatici non
-solo erano esclusi dal governo e dalle società delle
-armi del popolo, come i cavalieri e cattanei, ma non
-si ammettevano a testimoniare contro popolani; mentre
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-questi non erano puniti di calunnia se non potessero
-provare la incolpazione data ad un patrizio<a class="tag" id="tag260" href="#note260">[260]</a>. Era
-insomma un ricolpo de’ mercadanti contro l’aristocrazia,
-della ricchezza industre contro la territoriale. I
-commercianti e i possessori apparecchiavano governi
-a tutto vantaggio della propria classe e a danno dell’altra,
-senza riguardo al grosso della popolazione, che
-però acquistando di forza, sorgeva colle sue pretensioni,
-ed aumentava quel bollimento universale.
-</p>
-
-<p>
-Noi non teniamo vera repubblica se non il governo
-di tutti per vantaggio di tutti: l’antagonismo conduce
-necessariamente a rotture, e queste riescono a rivoluzioni
-o di governo o di piazza; ma come evitarle
-sinchè stanno a fronte due razze non ancora fuse, i
-conquistatori e i conquistati? I nobili si agitavano e
-combattevano perchè n’aveano i mezzi; atteso il gran
-numero di parenti, avvolgeano ne’ loro litigi lo Stato
-intero; e perciò diceasi che i nobili erano la ruina del
-paese. Pure in essi si suppongono educazione più accurata,
-sentimenti meno interessati, spirito di famiglia
-conservato: vi occorrono maggiori esempj di fermezza,
-come a Sparta, a Roma, a Venezia, attesochè, non conoscendo
-superiore che Dio, elevano gli spiriti sovra il
-resto della nazione, e di grandi cose li fa capaci l’emulazione
-de’ loro pari. Ma facilmente trascendono in
-oligarchia, non soltanto insuperbendo della propria
-indipendenza, ma minacciando l’altrui; e per restare
-tirannetti ne’ castelli, piaggiano i regnanti, despoti e
-schiavi al tempo stesso.
-</p>
-
-<p>
-D’altro lato è agevole e comune il lanciare un motto
-di sprezzo sui governi di mercanti: ma oseremo noi
-farlo quando vediamo Firenze durare sì lunghi e magnanimi
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-sforzi, elevarsi a splendidissima civiltà, ed
-ultima conservare sua franchezza in Italia? Certo, la
-esclusione dei nobili sottraeva forze utilissime alle repubbliche
-italiane; il Governo decretava parzialissimo;
-i popolani grassi e la gente nuova trascorsero a fasto
-e prepotenza quanto i nobili, senz’essere sostenuti come
-questi dal lustro de’ padri, che pur lusinga le plebi. Le
-quali se veneravano nel signor d’oggi la memoria del
-magistrato e del capitano antico, mal si rassegnavano
-all’aristocrazia mercantile, sia perchè più speculatrice
-e men generosa, sia perchè duole il veder coloro che
-soleansi riverire conculcati da altri, cui unico merito
-erano i sùbiti guadagni. Adunque sprezzati dalle famiglie,
-sgraditi alla plebe, minacciati da superiori e da
-inferiori, dovettero i mercanti reggersi anch’essi con
-modi arbitrarj ed assoluti.
-</p>
-
-<p>
-Non che dunque la gara fra nobili e plebei fosse
-misero parto della libertà, nasceva dal non essersi, al
-tempo della rivoluzione, ottenuta intiera la franchezza
-e lasciate accanto ai liberi Comuni la campagna servile,
-le giurisdizioni feudali, e dappertutto la sciagurata ingerenza
-degl’imperatori. In grazia della quale le contese
-cittadine furono inacerbite dalla divisione di Guelfi e
-Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Questi nomi, nati in Germania (pag. 89), furono
-troppo presto adottati dall’Italia per designare due
-partiti, in lei da secoli contrariantisi; li conservò
-quando più non s’udivano negli altri paesi, e per essi
-straziò le proprie viscere anche quando già era fatta
-cadavere. «Quelli che si chiamavano Guelfi, amavano
-lo stato della Chiesa e del papa; quelli che si chiamavano
-Ghibellini, amavano lo stato dell’Imperio e favorivano
-l’imperatore e suoi seguaci» (<span class="smcap">Villani</span>). Ne’ primi
-prevaleva il desiderio di vendicarsi della dinastia sveva,
-e sviluppare da ogni legame forestiero la libertà dei
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-Comuni: i Ghibellini credeano che il conservarsi ciascun
-paese in libertà, senza dipendere da un poter superiore,
-recherebbe inevitabilmente a discordie, per
-le quali gli Italiani si logorerebbero colle proprie forze.
-Gli uni dunque aspiravano come a supremo bene alla
-indipendenza dell’Italia, e che potesse ordinare i proprj
-Governi senza influsso forestiero: gli altri vagheggiavano
-l’unità del potere, come unico modo di fare l’Italia
-concorde entro e rispettata fuori, dovesse pure sminuirsene
-la libertà fortuneggiante.
-</p>
-
-<p>
-Erano dunque due partiti generosi e con aspetto
-entrambi di equità; e solo que’ liberalastri che nel passato
-rivangano ragioni di oltraggiare i presenti, possono
-sentenziare infamia o apoteosi all’uno o all’altro. I due
-partiti riconoscono un principio superiore a tutte le
-rivoluzioni, la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico,
-dello spirito dal comando, della fede dal
-diritto, della coscienza dell’individuo dal vigore della
-società, dell’unità umana dall’unità civile. Il prevalere
-d’ognuna di queste tesi porta necessariamente l’antitesi
-dell’altra; se la Chiesa si fa democratica col popolo,
-l’impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi stabiliscono
-l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono tutelarla
-colla legge; se prevale l’idea della libertà individuale,
-rendesi necessario frenarla colla potenza sociale. Il sapere
-con qual dei due stesse la miglior ragione è viepiù
-difficile a chi non sappia trasferirsi in quell’età e valutarne
-le condizioni e gli avvicendati mutamenti; giacchè
-può ben disputarsi se le fasce convengano o no al
-bambino, ma traviserebbe la quistione chi rispondesse
-che all’uomo adulto non stanno bene. Quelli che non
-apprezzano la libertà se non politica, e questa negativa,
-oppositrice, non sanno credere che il papato rapresentasse
-per tutto il medio evo la parte più franca ed
-avanzata, unico oppositore alle prepotenze, unica voce
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-del popolo contro i guerrieri, del pensiero contro le
-lancie.
-</p>
-
-<p>
-Matteo Villani chiamava la parte guelfa «fondamento
-e rôcca ferma e stabile della libertà d’Italia, e contraria
-a tutte le tirannie, per modo che, se alcuno diviene
-tiranno, conviene per forza ch’e’ diventi ghibellino, e
-di ciò spesso s’è veduto l’esperienza». E soggiunge: — L’Italia
-tutta è divisa mistamente in due parti; l’una
-che séguita nei fatti del mondo la santa Chiesa, secondo
-il principato che ha da Dio e dal santo Imperio in
-quello; e questi sono denominati Guelfi, cioè <i>guardatori
-di fe</i>; e l’altra parte seguitano l’Imperio, o fedele
-o infedele che sia nelle cose del mondo a santa Chiesa,
-e chiamansi Ghibellini, quasi <i>guida belli</i>, cioè guidatori
-di battaglie, e séguitane il fatto che per lo titolo
-imperiale sopra gli altri sono superbi e motori di lite
-e di guerra. Gl’imperatori alamanni hanno più usato
-favoreggiare i Ghibellini che i Guelfi, e per questo
-hanno lasciato nelle loro città vicarj imperiali con loro
-masnade; i quali continuando la signoria, e morti gli
-imperatori di cui erano vicarj, sono rimasti tiranni,
-levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti signori e
-nemici della parte fedele a santa Chiesa e alla loro
-libertà. E questa non è piccola cagione a guardarsi dal
-sottomettersi senza patti a detti imperatori. Appresso è
-da considerare che i costumi e i movimenti della lingua
-tedesca sono come barbari e strani agl’italiani, la cui
-lingua e le cui leggi e costumi, e i gravi e moderati
-movimenti, diedono ammaestramento a tutto l’universo,
-e a loro la monarchia del mondo. E però venendo gli
-imperatori d’Alemagna col supremo titolo, e volendo
-col senno e con la forza d’Alemagna reggere gl’italiani,
-non lo sanno e non lo possono fare: e per questo nelle
-città d’Italia generano tumulti e commozioni di popoli,
-e se ne dilettano per essere per controversia quello che
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-essere non possono nè sanno per virtù o per ragione
-d’intendimento, di costumi e di vita. E per questo la
-necessità stringe le città e i popoli, che le loro franchigie
-e stato vogliono mantenere e conservare, e non
-esser ribelli agl’imperatori alamanni, di provvedersi e
-patteggiarsi con loro; e innanzi rimanere in contumacie
-con gl’imperatori, che senza gran sicurtà li mettano
-nelle loro città»<a class="tag" id="tag261" href="#note261">[261]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Da qui, e più dalla serie storica appare come i Guelfi
-non volessero sottrarsi da ogni soggezione degl’imperatori,
-bensì non sottoporvisi che a patti; sicchè oggi
-si paragonerebbero al partito costituzionale. Chi guardi
-i mali che gl’imperatori cagionarono all’Italia, e l’esecrazione
-che popolare dura fin oggi contro il Barbarossa;
-chi pensi che le più generose città, Milano e
-Firenze, stettero sempre antesignane della parte guelfa,
-e che quest’ultima diede l’estremo ricovero all’indipendenza
-italica, mentre chi voleva tiranneggiare un
-paese ergeva bandiera ghibellina, propende a desiderare
-che i Guelfi fossero prevalsi, e le città ordinatesi
-a comune sotto il manto del pontefice, che coi consigli
-le dirigeva, e coll’armi spirituali reprimeva gli stranieri.
-</p>
-
-<p>
-Gli alti e insegnati uomini che caldeggiarono il sentimento
-ghibellino, od erano gente stipendiata dagl’imperatori
-come Pier dalle Vigne, o infatuati dell’antichità
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-come i giureconsulti, o trascinati da passione come
-Dante, il quale, sbandito da’ Guelfi, si fe ragionato propugnatore
-della opinione avversa: eppure nel suo libro
-<i>Della monarchia</i>, ove (credo senza servilità d’animo,
-ma per quella stanchezza del parteggiar cittadino che
-cerca riposo fin nel despotismo) assoda la incondizionata
-tirannide, brama che l’Italia riducasi sotto un
-imperatore, bensì a patto che questo sieda in Roma.
-Chi più ghibellino del Machiavelli? eppure con magnanimo
-voto chiude l’abominevole suo libro.
-</p>
-
-<p>
-D’altra parte i diritti imperiali intendevansi allora
-ben altrimenti da oggi, importando essi nulla meglio
-che una supremazia, innocua alle particolari libertà.
-Pertanto i Guelfi ideando la teocrazia si mostrarono
-più immaginosi, probi utopisti; i Ghibellini, più reali
-e pratici, ricordavano che le società sono fatte d’uomini
-e per uomini: lo spirito democratico dei primi
-declinava all’insolenza individuale e alla sregolatezza;
-l’idea organatrice degli altri li portava alla forza e
-alla tirannide: ma in fondo la loro è la causa stessa,
-la stessa divisione che appare in tutte le storie, di
-plebei e patrizj, di schiavi e franchi, di Rose Rossa e
-Bianca, di Cavalieri e Teste Rotonde, di progressisti e
-retrivi, di liberali e servili.
-</p>
-
-<p>
-È natura delle fazioni di svisare il più onesto scopo;
-e abusandone o esagerando o traviando, porre il torto
-dov’era la ragione. I grandi feudatarj che i perduti
-privilegi ambivano ricuperare, non ne vedeano via che
-coll’attaccarsi all’imperatore e appoggiarne le pretendenze:
-sempre poi amavano meglio dipendere da esso,
-grandissimo e lontano, che non dai borghesi, da villani
-rifatti, da un frate che talora li dirigeva. Chiarivansi
-dunque ghibellini, stimolavano l’imperatore a calare in
-Italia, e per contrariare al papa furono sin veduti
-favorire gli eretici.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gran potere davano ai papi nella bassa Italia l’alto
-dominio sopra la Sicilia; nell’alta, i radicati rancori
-contro gli Svevi; dappertutto le insinuazioni del clero e
-massime dei frati, guide dell’opinione, la quale può
-tutto ne’ governi a popolo, dove si delibera secondo
-fantasia e sentimento. L’imperatore valeva sulle repubbliche
-soltanto colla forza delle armi, giacchè non è
-facile guadagnare tutta una gente, sempre gelosa di
-chi possiede l’autorità. Al pontefice non restava che
-l’efficacia della persuasione: ma anch’egli principava,
-e disponeva d’eserciti, e spesso, come uomo, serviva a
-private passioni; e i Guelfi sposavano talora una causa,
-non perchè giusta e confacevole alla libertà, ma perchè
-dal pontefice preferita. I Ghibellini han vinto; Italia
-non ha ancora finito di piangerne.
-</p>
-
-<p>
-Nè li crediate meri nomi di taglia: avevano Comune,
-sindaci, podestà proprj; nascevasi d’una tale parzialità,
-e diserzione consideravasi il passare ad altra; i trattati
-si facevano a nome della repubblica e della fazione
-prevalente. Fin nei minuti costumi doveano fra loro
-sceverarsi: questi un berretto, quegli un diverso usavano;
-due finestre aprivano i casamenti dei Guelfi, tre
-i Ghibellini; quegli alzavano i merli quadrati, questi a
-scacco; e la nappa, o un fiore<a class="tag" id="tag262" href="#note262">[262]</a>, o l’acconciatura
-de’ capelli, o il saluto, e fin il modo di trinciare il pane
-o di piegare il tovagliuolo discernevano il Guelfo dal
-Ghibellino. I Ghibellini giurano alzando l’indice, i Guelfi
-il pollice; i primi tagliano i pomi di traverso, i secondi
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-perpendicolarmente; quelli adoprano vasi semplici, cesellati
-questi; il modo di passeggiare, di scoccar le dita,
-di sbadigliare, di arnesar gli animali, la dritta o la sinistra,
-il numero due o il tre, tutto insomma divien segnale;
-i Bergamaschi conobbero che certi Calabresi eran di fazione
-opposta al modo di tagliar l’aglio. A Firenze, coi
-beni tolti ai Ghibellini espulsi si formò una <i>massa
-guelfa</i> onde mantenere e invigorire la parte trionfante;
-un magistrato apposta la amministrava con tre capi bimensili,
-consiglio secreto di quattordici membri ed uno
-grande di sessanta, tre priori, un tesoriere, un accusatore
-dei Ghibellini; società regolare e permanente,
-armata e ricca, che si sostenne quanto la repubblica.
-</p>
-
-<p>
-Al tempo di Carlo d’Angiò e per suo suggerimento
-i Parmigiani formarono (1266) una <i>Società de’ Crociati</i>
-per sostenere la causa guelfa, sotto la protezione di
-sant’Ilario vescovo di Poitiers; e a quella si aggregarono
-altre corporazioni del paese, talchè divenne potentissima,
-comprendendo molte migliaja d’uomini, che
-erano iscritti in un registro. Aveano un capitano e
-alquanti primicerj, che doveano anche tor di mezzo
-ogni dissensione, senza usar forza. Molti statuti furono
-fatti ad incremento di questa Società, ed uno vietava
-agli abitanti della città e del territorio di parte guelfa
-di entrare in parentela con chi non fosse della parte
-stessa. Il capitano de’ crociati, e che poi fu detto capitano
-del popolo, e aveva il comando delle milizie, era
-forestiero, durava sei mesi, aveva un giudice, un socio,
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-due notaj, il che attesta che esercitava una parte di
-giurisdizione, benchè sussistesse anche il podestà: e
-questo e quello subivano il sindacato. Il gran consiglio
-di cinquecento doveva, come i magistrati, essere eletto
-tra quei che formavano la Società de’ Crociati, la quale
-così divenne arbitra del Comune, e sorgente unica del
-potere legislativo, benchè non perdesse il carattere di
-milizia<a class="tag" id="tag263" href="#note263">[263]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Solo tardi i nomi di Guelfi e Ghibellini perdettero la
-primitiva significazione, e parve non designassero che
-partiti, nati dalle ambizioni di persone e di case; s’abbracciava
-l’uno senz’altro motivo se non lo stare
-coll’altro gli avversarj; uomini e città li cangiavano
-dalla state al verno; pretesto a rancori privati, a baruffe,
-a sbranarsi tra sè, finchè riuscissero all’ultimo
-conforto degli stolti, il servir tutti<a class="tag" id="tag264" href="#note264">[264]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-</p>
-
-<p>
-In popolo libero non si governa che per via di fazioni,
-anzi una fazione è il Governo stesso, il quale
-tanto è più forte e perseverante, quanto tra il popolo
-si trovano partiti più permanenti e compatti. Ma siffatti
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-non si formano e mantengono se non dove fra gl’interessi
-de’ cittadini esistono dissomiglianze e opposizioni
-così evidenti e durevoli, che gl’intelletti siano condotti
-e fissati da sè in opinioni opposte: all’incontro, è difficile
-restringer molti in una politica uniforme là dove i
-cittadini rimangono ad un bel circa eguali, giacchè
-allora bisogni effimeri, frivoli capricci, interessi particolari
-creano e scompongono ogni istante fazioni,
-l’incertezza e avvicendamento delle quali fa agli uomini
-nojosa l’indipendenza, e mette a repentaglio la libertà,
-non in grazia dei partiti, ma perchè niun partito è in
-grado di governare.
-</p>
-
-<p>
-Nè essi portano gran pregiudizio quando rampollano
-dalla costituzione, giacchè allo scopo loro si connette
-sempre la speranza di migliore governo; anzi a quelli
-vanno debitrici di loro prosperità le nazioni che liberamente
-si reggono, e in cui, pendasi ad aristocrazia
-o a democrazia, a governo personale o a ministeriale,
-sempre si tende e spesso si giunge al meglio del paese.
-Ma quando si mescoli, come in Italia, un fomite forestiero,
-l’interesse della fazione prevale a quello della
-patria, e s’immola fin la libertà per conseguirlo. Toscana
-e Venezia furono l’una democratica, aristocratica
-l’altra, eppure stettero: in Lombardia Guelfi e Ghibellini
-spingevano l’occhio fuor della patria, e del pari la
-sagrificavano.
-</p>
-
-<p>
-Robusti, caldi di superbia e d’invidia, nel consiglio
-impugnano il parere più sano, perchè proposto dalla
-parte avversa; poi mene segrete e intelligenze parziali;
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-poi sconnesse le famiglie dal campeggiare padri e fratelli
-sotto bandiera diversa; poi per ogni lieve occasione
-rompere ai peggiori termini di nemici. «Quasi
-ogni dì, o di due dì l’uno si combattevano insieme
-cittadini in più parti della città, di vicinanza in vicinanza,
-come erano le parti; e aveano armate le torri,
-che n’avea la città (di Firenze) in gran quantità e numero,
-e alte cento e cenventi braccia l’una. E sopra
-quelle facevano màngani e manganelle per gettare
-dall’una all’altra, ed era asserragliata la strada in più
-parti. E tanto venne in uso questo gareggiar fra’ cittadini,
-che l’un dì si combattevano, e l’altro dì mangiavano
-e beveano insieme, novellando delle prodezze
-l’un dell’altro che si facevano a quelle battaglie»<a class="tag" id="tag265" href="#note265">[265]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Cominciasi da un conflitto in piazza, determinato da
-qualche accidente in apparenza frivolo, ma realmente
-derivato dall’intima natura della città; e subito i cittadini
-dividonsi in due partiti, i quali non cercano che
-annichilarsi un l’altro, senza riguardi, senza capitolazione.
-L’ira è unica ispiratrice; una parte trovasi
-inferiore, e non tanto perchè impotente a sostenersi,
-quanto pel dispetto di non voler obbedire agli avversarj,
-esce di città. I suoi fautori rimasti, deboli e vinti,
-sono uccisi senza pietà da quella rabbia che si esacerba
-nello sfogarsi; dei profughi sono demolite le case,
-confiscati e sperperati i terreni, e la metà trionfante
-stabilisce nella città quella pace che viene dalla mancanza
-di nemici. Presto però i vincitori medesimi si
-suddividono in moderati ed eccessivi; i fuorusciti, congiunti
-dalla sventura, si rannodano alla campagna con
-altri di lor colore, e con sussidj di borgate o città consenzienti,
-riminacciano la città, l’assalgono, la prendono,
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-e alla lor volta uccidono, incendiano, proscrivono.
-</p>
-
-<p>
-È la parte de’ popolani che leva il rumore? tocca a
-stormo; le vie si asserragliano per impacciare i cavalli,
-nerbo della nobiltà; questa assalgono ne’ palazzi fortificati,
-ne espugnano le torri. I gentiluomini, rincacciati di
-posto in posto, a grave stento possono aprirsi un varco,
-mentre i vincitori malmenano i clienti e le robe dei
-vinti, il tempio del Dio della pace profanano cogl’inni
-della vittoria fratricida. Ma appena in campagna aperta
-può la loro cavalleria spiegarsi, i nobili tornano superiori;
-ricorrono per ajuto ai signori castellani o ad
-altri paesi di egual fazione, trattano con quelli come
-potenze riconosciute, li persuadono a guerra; allora
-bloccano la patria, l’affamano, e v’entrano a forza, alla
-lor volta diroccando ed esigliando; oppure rientrano
-a patti, e giurano paci centenarie che fra un mese saranno
-violate. Queste alterne espulsioni formano la
-quasi unica storia del tempo.
-</p>
-
-<p>
-Così si amplia la guerra cittadina in cospirazioni,
-adunanze, consigli, alleanze; cercasi una città anche
-nemica, perchè del partito medesimo; i fuorusciti figurano
-come una potenza distinta; le fazioni interne si
-intralciano colle esterne; e l’economia geografica è
-sbilanciata dalla logica de’ partiti, finchè questa viene a
-identificarsi con quella.
-</p>
-
-<p>
-Nè gli uni nè gli altri però vogliono la distruzione
-della città, bensì di possederla e dominarla. A questo
-intento, anche allorchè vi stanno entrambi i partiti,
-devono tenersi in guardia e in disciplina, avendo magistrati
-proprj, riunioni, erario, forza, e di fuori alleanze
-speciali, alle quali rifuggendo allorchè in città
-non son sicuri di poter dimorare tutto il domani, cominciano
-a considerarsi qualcosa più che semplici cittadini,
-a concepir l’idea d’un partito, d’una nazione,
-nella quale tutta quanta si trovano alle prese i due
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-partiti. Ma la lotta, fondandosi su passioni non su principj,
-è necessariamente interminabile, non avendo un
-esito, non portando una vittoria definitiva, ma intanto
-elevando un sempre maggior numero di persone alla
-dignità di cittadini.
-</p>
-
-<p>
-I popolani di Piacenza nel 1234, espulsi i loro nobili,
-si allearono coi popolani di Cremona, i quali aveano
-tolto a capitano il marchese Pelavicino; e questo con
-cento cavalieri e molti balestrieri delle due città ruppe
-i nobili fuorusciti. Essi fanno lega con quei di Borgotaro,
-di Castellarquato, di Firenzuola, e presentano a Gravago
-battaglia, dove lasciano prigionieri quarantacinque
-uomini d’arme e da ottanta fanti. I popolani cremonesi
-e piacentini prorompono di nuovo in armi, assediano il
-castello di Rivalgario, ma non possono espugnarlo. Alfine,
-per intromessa di Sozzo Colleoni di Bergamo, si
-riconciliano coi nobili, pattuendo che questi avessero
-metà de’ pubblici onori e due terzi delle ambasciate.
-</p>
-
-<p>
-I vincitori non sempre erano moderati, nè solo momentanei
-i danni; e nell’ebbrezza del trionfo si spingeva
-la città a guerra coi vicini, o nello statuto si
-introducevano mutazioni non per utilità comune, bensì
-per corroborare la parte trionfante; ma sicurtà vera non
-si trovò mai, restando sempre una fazione malcontenta
-e una turba fuoruscita, gagliardissimo strumento ad
-ogni tentatore di novità. In una sola volta escono dal
-Cremonese centomila esigliati nel 1226; nel 1274 trecento
-famiglie da Bologna, composte di dodicimila
-persone: quando Castruccio nel 1323 osteggiava Firenze,
-per ottenere perdonanza venivano ad offrirsi di
-servire contro di lui ben quattromila Fiorentini, piccolo
-resto di quelli cacciati vent’anni prima<a class="tag" id="tag266" href="#note266">[266]</a>. Non durerà
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-mai quieto il paese che ha molti fuorusciti, i quali,
-per desiderio della patria, per la baldanza che dà il
-non aver nulla a perdere, per le facili speranze che
-sono il retaggio degli esigliati, movono, praticano, irritano
-dentro e fuori.
-</p>
-
-<p>
-Quindi per tutta Italia un combattersi da terra a terra,
-e talvolta per ragioni sì frivole, quanto oggi ne’ duelli.
-Nomi d’obbrobrio ciascuna città aveva affisso all’avversaria,
-e da questi cominciavansi diverbj che terminavano
-col sangue<a class="tag" id="tag267" href="#note267">[267]</a>. Un cardinale romano convita
-l’ambasciatore di Firenze, e udendogli lodare un suo
-bel catellino, glielo promette; sopraggiunge l’ambasciatore
-di Pisa, che del cagnuolo s’invoglia anch’esso, e
-n’ha promessa eguale: da ciò discordia e guerra viva.
-Una secchia, dai Bolognesi rapita a quei di Modena,
-diede soggetto a guerra e al poema del Tassoni. Un
-catorcio involato suscitò guerra fra Anghiari e Borgo
-Sansepolcro, di che il Tevere andò tinto in rosso. Quei
-di Chiusi combatterono i Perugini per l’anello pronubo
-di Maria Vergine, che essi conservano preziosamente,
-che un frate aveva sottratto.
-</p>
-
-<p>
-Quali cronache non sono piene di queste rivalità
-energiche e clamorose, e de’ vergognosi trionfi sopra i
-vicini? I Modenesi assediano Ponte Dosolo, e smantellatolo
-ne involano la campana che pongono nella torre
-maggiore: un’altra volta da Bologna portano via le
-petriere e le collocano nella cattedrale, e voltano lo
-Scultenna su quel territorio per guastarlo. Genova impone
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-a Pisa di abbassar tutte le case fin al primo solajo:
-e ancora vi stanno sospese le catene strappate a
-Porto Pisano; e sull’edifizio del Banco un grifo che
-adunghia l’aquila e la volpe, simboli di Federico I e di
-Pisa, col motto <i>Griphus ut has angit, sic hostes
-Genua frangit.</i> Lucca mette degli specchi sulla torre
-d’Asciano perchè le donne di Pisa vi si possano mirare;
-e Pisa va ad assediar Lucca, e mette grandi specchi
-affinchè i loro nemici vedano come impallidiscono;
-un’altra fiata fabbricano il forte d’Illice, e vi scrivono:
-«Scopabocca al genovese, crepacuore al portovenerese,
-strappaborsello al lucchese». Perugia erge innanzi a
-Chiusi la torre <i>Becca questa</i>, e i Chiusini vi oppongono
-la <i>Becca quella</i>. All’arco di Galieno in Roma era
-attaccata la chiave della porta Salciccia di Viterbo, ribellatasi
-contro il senato: i Perugini dalla vinta Foligno
-asportarono le porte sovra il carroccio de’ vinti, e da
-Siena le catene della giustizia, che collocarono sovra la
-porta del podestà: i Lodigiani eternarono (si dice) nelle
-medaglie uno scorno usato ai vinti Milanesi: questi
-faceano giurare al podestà di non lasciar più mai rifabbricare
-il distrutto Castel Seprio; Siena imponeva
-altrettanto per quel di Menzano, i Novaresi per quel
-di Biandrate.
-</p>
-
-<p>
-È fatica persino in una storia municipale il seguitar
-quelle guerre senza gloria, interrotte da paci senza riposo,
-varie negli accidenti, ma uniformi negli impulsi;
-nè noi vogliam dare che i lineamenti e il carattere
-generale di quella età. Brescia stava sempre in armi
-da un lato contro Cremona, massime in causa delle
-acque dell’Oglio, dall’altro contro Bergamo pei disputati
-confini del lago d’Iseo e della val Camonica; e
-avendo essa, come dicemmo, nel 1191 aggiunto al suo
-territorio i Castelli di Sarnico, Calepio e Merlo, i Bergamaschi,
-per vendicarsene, s’unirono ai Cremonesi,
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-già da essi ajutati contro i Bresciani. Subito una parte
-e l’altra si prepara di alleanze, e Pavia, Lodi, Como,
-Parma, Ferrara, Reggio, Mantova, Verona, Piacenza,
-Modena, Bologna vengono contro i Bresciani, e assediano
-i castelli di Telgate e Parlasco; ma i Bresciani,
-capitanati da Biatta di Palazzo, gli affrontano a Rudiano,
-e li mettono in tal rotta, che rimase al luogo il
-nome di Malamorte.
-</p>
-
-<p>
-I nobili, che aveano in mano il governo di Brescia,
-istigati dai Milanesi, vollero poco dopo spingere a
-nuova guerra contro i Bergamaschi; ma il popolo, svogliato
-di tanti sacrifizj, ritorse le armi contro i nobili,
-e sanguinosamente li cacciò di città. Essi ricoverarono
-sul Cremonese, e formarono la società di San Fausto,
-alla quale i plebei opposero un’altra, detta Bruzella: e
-quelli si allearono con Cremona, Bergamo, Mantova,
-questi coi Veronesi, e lungamente agitarono le nimistà.
-Altre ne mossero il 1199 Parma e Piacenza, disputandosi
-Borgo Sandonnino: e colla prima campeggiarono
-Cremona, Reggio, Modena, Bergamo, Pavia; coll’altra
-i Milanesi, Bresciani, Comaschi, Vercellesi, Novaresi,
-Astigiani, Alessandrini, finchè l’abate di Lucedio non
-riuscì a metter pace. Nel 1225 Genova trovavasi impegnata
-in guerra contro gli Alessandrini, collegati questi
-con Vercelli, Alba, Tortona; con lei Asti, il conte Tommaso
-di Savoja, le due Riviere, i conti di Ventimiglia,
-i marchesi del Carretto, di Ceva, di Cravezana, del
-Bosco, tutti i castellani del Garessio e val di Tanaro, ed
-altri baroni e capitani.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1208 il marchese Azzo d’Este coi Ferraresi del
-suo partito e col Comune di Ferrara<a class="tag" id="tag268" href="#note268">[268]</a> combinava
-lega coi Cremonesi, obbligandosi a guardare, salvare,
-difendere, in tutta la terra e l’acqua del vescovado e
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-del distretto loro nell’andare, stare e tornare, tutti gli
-uomini di Cremona nella persona e negli averi; soccorrerli
-a mantenere o recuperare la loro terra contro
-qualsifosse gente o persona, e nominatamente Crema
-e l’isola Fulcheria e le terre di qua dall’Adda; ogni
-anno andranno al servizio di Cremona col carroccio<a class="tag" id="tag269" href="#note269">[269]</a>
-e coi loro cavalieri e fanti; e due volte l’anno con tutti
-i soldati e arcieri della città e del vescovado staranno
-in servizio loro a spese e danni proprj per quindici
-giorni; nè partiranno senza licenza de’ rettori di Cremona,
-data in parlamento o nel consiglio di credenza.
-Passati quei giorni, se i Cremonesi vogliono rifare i
-danni e le spese, dovranno quelli rimanere quindici
-altri dì, ove ne siano richiesti. Altrettanti opreranno
-qualvolta siano richiesti dai rettori o dai consoli o per
-lettere sigillate del comune di Cremona; e quindici dì
-dopo l’avviso movendo col carroccio e altre forze, al
-più presto si metteranno nell’esercito di Cremona, e a
-tutti i nemici di questa vieteranno il passo, i soccorsi
-e ogni negozio sulle lor terre. Se mentre essi campeggiano
-in servizio di Cremona prendono alcuni dei nemici
-di questa, li daranno a quel Comune fra otto giorni,
-salvo il cambio se sia stato preso alcuno dei loro. Ogni
-anno il podestà o console delle città prelodate giurerà
-questi accordi, e si farà ogni quinquennio giurare da
-tutti i cittadini di sopra dei quindici anni e di sotto dei
-settanta.
-</p>
-
-<p>
-Le gare talvolta componeansi a giudizio d’amici o
-di arbitri; come le differenze tra città e vassalli o Comuni
-si compromettevano ne’ consoli di giustizia o nei
-savj. Quando poi l’ire infierivano peggio, nè altro riparo
-trovavasi, soccorreva quello che in essi tempi era
-universale, la religione, che tra le baruffe private, tra
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-le file dei combattenti inviava l’inerme sua milizia, a
-sospendere le izze fraterne in nome del Signore. Ma
-poichè ognuno era persuaso che chi non otteneva supremazia
-rimarrebbe all’ultima oppressione, le discordie
-ben presto divampavano: talvolta, nel mentre
-stesso che giuravasi la pace, un’occhiata dispettosa, un
-motto frizzante, un gesto mal interpretato, facea di
-nuovo sguainar le spade.
-</p>
-
-<p>
-Le gelosie e le gare rinascenti indebolivano la coscienza
-dei doveri da Stato a Stato, da uomo a uomo;
-impedivano si consolidasse uno spirito pubblico, fondamento
-di nobile avvenire; alla patria restava tolto
-di valersi dei migliori, esclusi perchè guelfi o perchè
-ghibellini; consigliandosi coll’ira o col favore anzichè
-colla giustizia, non si cercava il più giusto e libero governo,
-ma il trionfo d’una parte, adoprandovi mezzi
-che sovvertivano la libertà. Quello stuolo di fuorusciti,
-intenti sempre a governare il paese da di fuori e con
-passioni malevole, stoglieva dall’opposizione legale e
-dallo sviluppo progressivo; abituava a non regolarsi
-su principj ben posati, a non calcolare l’andamento
-dei fatti e la situazione, ma sempre attendere dall’esterno
-avvenimenti impreveduti, e fidare ne’ cataclismi: funesta
-abitudine, che gl’italiani più non doveano disimparare.
-</p>
-
-<p>
-Nessun momento più pericoloso alle franchigie che
-quello d’una vittoria. Inebbriati da questa, i popoli più
-non ravvisano pericoli, e non che por limiti a chi li
-guidò al trionfo, credono acquisto il fortificarlo in
-modo, che possa impedire un nuovo rialzarsi della fazione
-avversa. Ma i mezzi offertigli a quest’uopo facilmente
-può egli convertire a disastro della patria. A
-Como rimasti vincitori i Rusca nel 1283, i tre podestà
-del Comune, del popolo e della parte dominante ebbero
-facoltà di stabilire, col consiglio di savj eletti,
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-qualunque statuto giudicassero opportuno ad essi Rusca
-e al comune di Como. Rivalsi i Vitani nel 96, il podestà
-di questi decretò che ogni mese si creassero due podestà
-di essa fazione, i quali attendessero all’innalzamento
-di questa e alla depressione dei Rusca; di cui
-si abbattessero le insegne, si cassassero le vendite e le
-donazioni, i loro vassalli e clienti si spogliassero d’ogni
-diritto acquistato da diciotto anni in poi, s’annullassero
-i giuramenti fatti a loro, e se ne squarciassero le torri
-e le abitazioni.
-</p>
-
-<p>
-Guardiamoci però dal giudicare quei subugli colle
-idee d’un secolo che reputa primo elemento di felicità
-il riposo; e di far bordone alle sentimentalità di chi
-non sa vedervi che ricchezze sperperate e fratelli uccisi
-da fratelli. Capricci di re, puntigli di ministri,
-guerre dinastiche, ambizioni napoleoniche in qualche
-anno scialacquarono il decuplo di sangue e denaro,
-che non in secoli tutte le battaglie de’ Comuni italiani.
-Le quali nelle storie leggiamo accumulate così, che facilmente
-crediamo continui i macelli; e a tacere le
-lunghe paci, non vogliamo ricordarci che quelle guerre
-finivano in un giorno o in pochi; che le battaglie riuscivano
-sì poco sanguinose, da attirare le beffe degli
-inumani politici del secolo xvi, i quali vedeano le ben
-diverse qui recate dagli stranieri<a class="tag" id="tag270" href="#note270">[270]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’odierna civiltà strappa alle famiglie un figliuolo
-sul quale vivono padre e madre, e lo obbliga a servire
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-la società per un prezzo che a pena basta al sostentamento,
-e ciò negli anni suoi migliori, per poi dopo
-molti rimandarlo senza un mestiere e disusato dalla fatica.
-I nostri coscritti videro tremando scuotersi il loro
-nome nell’urna che dovea decidere qual d’essi lascerebbe
-le occupazioni e le consuetudini della sua gioventù, per
-militare in causa che ignora, sotto capitani che non
-conosce, obbedendo come una macchina, e trattato
-come inferiore agli altri cittadini. Lontano dalla patria,
-dai cari, alcuni si logorano per le fatiche inconsuete,
-molti pel tedio e per ribrama dei paterni tetti. Perisce?
-è un soldato di meno, un nome di più sulla lista dei
-morti. Vince? non altro godimento gliene viene che di
-veder trionfare i suoi capi, o forse di poter incrudelire
-contro i vinti. È ferito? lo gettano negli spedali a cura
-di medici principianti o subalterni. Finisce la sua capitolazione?
-torna alla famiglia avvezzo al bagordo, al
-prepotere, al non far nulla.
-</p>
-
-<p>
-Allora, al contrario, la guerra era un momentaneo
-dovere, un episodio della vita. Dalla fanciullezza s’addestravano
-agli esercizj; divenivano soldati quando il
-bisogno lo richiedesse; cessavano appena il bisogno
-finisse; combattevano sotto le mura della patria per
-salvezza de’ suoi, o per quella causa ch’essi aveano giudicata
-migliore. I monotoni patimenti de’ quartieri e
-delle guarnigioni non erano conosciuti: al tocco della
-campana, l’uomo piglia le armi, ancora ammaccate
-dalle ascie tedesche o dal brando feudale; corre sotto
-la bandiera della sua parrocchia; va all’assalto; vince?
-la sera stessa o il domani torna alla patria, ostentando
-i trofei rapiti al vinto; è ferito? trova ristoro nella propria
-casa; muore? la patria il compiange, e quella
-venerazione alimenta il valore degli altri, e lenisce il
-lutto di quei che sopravivono.
-</p>
-
-<p>
-Queste guerre faceano soffrire; chi lo nega? Il Machiavello
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-ne’ Guelfi e Ghibellini non vede che umori di
-parte, follie di malcontenti e di ambiziosi, pestilenza
-derivata alla sua città da una prima discordia di famiglie.
-Anche il Muratori esce dalla dabbene sua calma
-per irritarsi contro queste frenesie di sêtte diaboliche
-e maledette, ove per vane parole si sagrificavano ricchezze,
-sangue, vita, senza riflettere se la causa fosse
-utile o giusta. Ma quelle risse erano inevitabili fra piccoli
-Stati, e fra tanti elementi eterogenei che conveniva
-o assimilare o svellere: non erano frutto della libertà,
-ma sforzi per conquistarla, effetti del non possederla
-intera. L’unirsi Guelfi e Ghibellini, Repubblicanti e Imperiali
-a tempesta e bonaccia pel pubblico interesse,
-concentrarsi in un pensiero generale, subordinare le
-personali inclinazioni a un vantaggio comune ben avvisato,
-garantirsi a vicenda in imprese che riuscendo
-devono profittare anche a quelli che le impacciano,
-insomma il patriotismo qual noi l’intendiamo eppure
-nol pratichiamo, poteva sperarsi da gente ancor nuova,
-da passioni non ammansate? poteva sperarsi che quegli
-inesperti conciliassero la libertà coi governi forti, se
-nol sappiamo far noi dopo tante misere prove?
-</p>
-
-<p>
-Più che da stizze, nascevano le nimicizie da intelletto
-acuto, che reca a conoscere il meglio, e dolersi di non
-possederlo; sicchè nello squilibrio fra i bisogni e il
-modo di soddisfarli, l’uomo contende e s’affatica, nè può
-fare che non dia d’urto ai vicini. In altri tempi sembra
-unanimità nazionale la quiete prodotta dalla comune
-oppressione: in quelli invece ogni uomo pensava ed
-operava da sè; ingegnavasi ad un fine ch’egli nettamente
-ravvisava, e con mezzi che da sè sceglieva; e quell’agitazione,
-l’esistenza occupata ne’ pubblici interessi, il
-dramma continuo, le passioni cozzanti, le quistioni di
-diritto e d’onore più che d’interessi materiali, il tendere
-animato verso una meta sempre varia ma sempre
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-alta, il soffrire per un oggetto nobile, il trionfare nei
-trionfi della patria o della propria fazione, erano parte
-di felicità.
-</p>
-
-<p>
-Mal ci apponiamo ancora quando non vediamo in
-queste battaglie che fraterne riotte. Gli stranieri aveano
-occupato il paese, spodestati i natii, e ridottili a servi
-o a plebe senza diritti; mentr’essi, col nome di feudatarj
-o di nobili, si presero i privilegi e il dominio
-e i possessi tutti, e dichiararono nazione se medesimi.
-Per noi, cui il nascer plebe o patrizio non importa
-che qualche distinzione nel povero senno dei
-vulgari, ha del ridicolo e del compassionevole quel
-combattersi fra i due ordini: ma allora significava la
-prevalenza de’ forestieri o de’ nazionali; se i nostri padri
-dovessero languir sulla gleba sudata e non posseduta;
-se il signore di questa, che la tenea per ragione di conquista,
-dovesse poter fare di loro ogni sua voglia, sino
-ad ucciderli per pochi denari.
-</p>
-
-<p>
-Prevalgono i popolani: ma la parte già dominatrice
-usa forza e astuzia per reprimerli e corromperli, e
-all’uopo s’associa colla potenza forestiera, da cui trae
-l’origine sua. Col procedere del conflitto, lo scopo ne
-diviene men chiaro, ma in fondo sussiste; poi ravvicinandosi
-e innestandosi i partiti, nel nome della fazione
-dimenticano la diversità dell’origine, e tutti si chiamano
-Italiani.
-</p>
-
-<p>
-Ciò non toglie di deplorare quell’assiduo parteggiamento,
-le cui conseguenze nocquero alla più tarda posterità.
-Le città guardandosi con odio e sospetto, non
-si poterono mai accordare in una federazione di utilità
-universale e comune difesa; le scissure interne producevano
-lotta anche nell’alta politica, ambi i contendenti
-sapendo di trovare un appoggio esteriore; alla
-fine quasi dappertutto la parte popolare ebbe il sopravvento,
-e meno esperta delle faccende pubbliche, ombrosa
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-per natura sua, e troppo occupata per applicarsi
-al pubblico reggimento, rimetteva l’uso delle proprie
-forze e l’esercizio de’ proprj diritti al valore del più
-prode o al senno del più avveduto; e così le tirannie
-vennero eredi delle comunali libertà.
-</p>
-
-<p>
-Altre famiglie non aveano mai perduto i possessi
-aviti, anzi gli estendevano, e massime quelli compresi
-nella disputata eredità della contessa Matilde; poi nelle
-guerre parteggiando coll’imperatore, ne ottenevano privilegi
-e immunità, e diventavano feudatarj. Gl’imperatori,
-che da principio avevano favorito i Comuni a
-popolo contro i signori feudali, dacchè li videro ingigantire
-trovarono di loro conto spalleggiare i nobili
-liberi, contrappeso alla potenza cittadina, e scolte
-disposte sul loro passaggio. Altri s’erano conservati indipendenti
-negli aviti castelli, massime se piantati fra
-i monti, e cercavano acquistare sulle vicine città il dominio
-che un tempo vi avevano tenuto i conti: tali erano
-i marchesi del Monferrato e di Este, i più poderosi dell’Italia
-settentrionale, ingranditi dal Barbarossa come
-suoi fedeli.
-</p>
-
-<p>
-Nella marca Trevisana, ove le estreme falde dell’Alpi
-e le colline Euganee si sporgono in mezzo a liete campagne
-e città fiorenti, dalle ben munite alture i signori
-poterono continuare a tenere una mano sopra le città,
-nelle quali fabbricarono anche palazzi, somiglianti a fortezze.
-Tra queste famiglie erano prevalsi i Salinguerra
-di Ferrara, i Camposampiero di Padova, i Guelfi d’Este,
-gli Ezelini da Romano. Gli Ezelini discendeano da un
-Tedesco passato in Italia con Corrado II, e infeudato
-delle terre d’Onàra e Romano nella marca di Treviso:
-colle violenze e l’abilità crebbero i suoi discendenti,
-costituitisi corifei della parte ghibellina là intorno, imparentatisi
-di voglia o di forza con grosse famiglie, ed
-alleatisi con Verona e Padova. A fronte a loro stavano
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-gli Estensi, di famose ricchezze, e parenti di quei Guelfi
-che vedemmo dominare in Baviera e Sassonia, donde
-la parte guelfa nell’alta Lombardia prese il titolo di
-marchesca. Padova gli aveva obbligati a giurare la loro
-città, lasciar deserta la rôcca d’Este, e porsi sotto la
-protezione del popolo che i loro padri aveano calpesto;
-e spesso chiamati podestà e capitanei, all’ombra repubblicana
-ricuperavano la primazia, perduta secondo
-l’aspetto feudale.
-</p>
-
-<p>
-Ferrara, sobbalzata dalle fazioni, diede nel 1208 il
-primo esempio di signoria col domandare a principe
-il marchese d’Este, conferendogli pieno arbitrio di fare
-e disfare leggi, paci, alleanze, guerre. Ne fu tocco al
-vivo Salinguerra di Torello, primario in Ferrara e caporione
-de’ Ghibellini, e ne originarono baruffe e sangue,
-e avvicendate espulsioni, e ripetuti e sempre falliti accordi,
-sinchè rimase convenuto che tra i due emuli,
-ossia tra le due fazioni, restassero partiti gli uffizj della
-città; il marchese non potea venire a Ferrara che con
-un determinato numero di seguaci, e Salinguerra gli
-usciva incontro con tutta la nobiltà guelfa e ghibellina,
-e si celebrava un cortese banchetto<a class="tag" id="tag271" href="#note271">[271]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Anche altrove questi signori si facevano guerra dall’un
-all’altro, onde preponderare nelle città del contorno,
-che pertanto piegavano ad infelice oligarchia, turbata
-da incessanti dissidj, spesso prorompenti in guerre
-guerreggiate. Tra queste li trovò Ottone IV allorchè
-scese dall’Alpi, e sperava che i Guelfi l’appoggierebbero
-per l’origine sua e pel favor papale <span class="sidenote">(1209)</span>, mentre i Ghibellini
-non gli avrebbero negato favore come a re di Germania.
-Rappaciò egli infatti molti discordi, e singolarmente
-Ezelino da Romano con Azzo d’Este; ma poco
-durò la costoro benevolenza, e Guelfi e Ghibellini si
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-brigavano delle proprie pretensioni, non già dell’imperatore,
-cui non favorivano se non in quanto sentissero
-d’averne bisogno.
-</p>
-
-<p>
-Pure egli fu accolto a festa dai tanti nemici della
-Casa sveva; Innocenzo III gli mosse incontro sin a Viterbo,
-e lo coronò; ma breve fu l’armonia. Già l’arroganza
-tedesca stomacava i Romani, che ebbero una
-delle solite abbaruffate in città, dove perirono molti
-cavalieri; un grosso di cardinali mantenevasi ostile ad
-Ottone, il quale coll’eredità della contessa Matilde pretendeva
-revocare alla corona Viterbo, Montefiascone,
-Orvieto, Perugia, Spoleto, donati alla santa sede, e che
-militarmente occupò. Certo l’avranno istigato i giureconsulti,
-indefessi apostoli della sovranità imperiale: e
-quando il papa gli rammentò le promesse e il giuramento,
-rispose che un giuramento anteriore lo obbligava
-a ricuperare all’Impero quanto ne fosse stato distratto:
-favorì la famiglia Pierleoni, ghibellina arrabbiata;
-investì la marca d’Ancona ad Azzo d’Este in nome
-proprio, non in nome del papa; per fare smacco a Federico
-di Svevia entrò nella Puglia pretendendovi la
-primazia imperiale, ed alleossi co’ generali tedeschi che
-colà erano rimasi. Papa Innocenzo vide imminente
-quell’aggregazione della Sicilia coll’Impero, alla quale
-sempre erasi opposto, e viepiù pericolosa perchè fatta
-dal capo de’ Guelfi, i quali lo secondavano per odio agli
-Hohenstaufen; nè trovando altro riparo, scomunicò
-l’imperatore <span class="sidenote">(1210)</span>: ma questo proseguì la conquista nella
-Puglia, ed accingevasi a passare in Sicilia.
-</p>
-
-<p>
-Se non che l’anatema aveva sommossa la Germania;
-la morte di Beatrice sua moglie lentò i legami che a
-lui univano la fazione ghibellina; intanto il papa era
-riuscito a sottrarre dai custodi tedeschi Federico di
-Svevia, e a grande onore accolto in Roma, colla sua
-benedizione e colle sue galee l’inviò a Genova <span class="sidenote">(1212)</span>. Il giovane
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-reale, bello, colto, attraente per l’ingegno non
-meno che per le agitazioni della prima sua età, attraversò
-la Lombardia procacciandosi amici coll’affabilità
-e colla munificenza, pur sempre contrastato dalle città
-guelfe, memori del Barbarossa: il marchese d’Este suo
-cugino sotto buona scorta pel lago di Como lo convogliò
-a Coira, il cui vescovo fu primo a salutarlo re di
-Germania. Ottone, poco atto a guadagnarsi i cuori, avea
-dovuto uscire dalla Puglia senz’altro lasciarvi se non
-raccomandazioni di fedeltà calde e poco sentite; a Lodi
-convocò le città lombarde, ma non vennero se non le
-dichiarate amiche di Milano, la quale tenevasi con lui
-per astio contro gli Svevi. Laonde nessun frutto colse,
-nè le fazioni sospesero il combattersi; peggiorando anzi
-per le sêtte religiose allora pullulanti, e che logoravano
-la potenza clericale, avvezzavano a non curar di scomuniche,
-e conculcavano il dogma dell’autorità. Venezia
-osteggiò Padova che voleva precluderle il commercio
-di terraferma: Milano combattè con Pavia e co’ marchesi
-del Monferrato, i Malaspina della Lunigiana con
-Genova, questa con Ventimiglia; i Carraresi, i signori
-di Montemagno, i Porcaresi contro Pisa, i Sanminiatesi
-contro Borgo Sanginnesio, i Salinguerra con Modena:
-Lucca non cessò mai guerra a Pisa, e fabbricato il castel
-di Cotone in val del Serchio, pose patto ai nuovi abitatori
-che non contraessero parentela o aderenza coi
-Pisani: la rivalità de’ Buondelmonti cogli Amidei fe
-sentire primamente in Firenze i nomi di Guelfi e
-Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Ottone avea procurato chetar la tempesta suscitatagli
-in Germania, fin col sottomettersi al giudizio degli
-stati; ma tale umiliazione crebbe ardire ai malcontenti:
-quando poi, marciato a’ danni del re di Francia, fu
-sconfitto e vôlto in fuga a Bovines <span class="sidenote">(1214)</span>, scaduto d’ogni credito
-si ritirò ne’ suoi Stati ereditarj, talchè Federico di
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-Svevia fu di nuovo coronato re di Germania ad Aquisgrana.
-Secondo il convenuto con Innocenzo, Federico
-confermò tutte le prerogative e i possedimenti della
-Sede romana, promise recuperarle dai Pisani la Sardegna
-e la Corsica, e cedere la Sicilia appena divenisse
-imperatore: condizione che il papa esigeva come nuova
-garanzia all’indipendenza d’Italia, troppo minacciata se
-un suo re fosse anche capo dell’Impero. A Federico
-aveva egli sposata Costanza d’Aragona, sua pupilla
-anch’essa; e avendo collocato sul trono un allievo della
-santa Sede, poteva a questa sperar pace e nuova grandezza:
-eppure allora si rinnovò la guerra fra il Sacerdozio
-e l’Impero. Prima di divisare la quale, giovi por
-mente alle nuove armi, di cui l’uno e l’altro venivano
-accinti al secondo duello.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap89">CAPITOLO LXXXIX.
-<span class="smaller">Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-All’autorità pontifizia davano grande appoggio i frati.
-Benedettini, Agostiniani, Basiliani continuavano a pregare,
-studiare, cantare, conservar libri e monumenti;
-gli austeri Certosini, i mistici Carmelitani, i caritatevoli
-Trinitarj o del Riscatto (istituiti da san Giovanni di
-Matha gentiluomo nizzardo), ed altri monaci fondati in
-quei tempi, si estesero in Italia; e massime gli operosi
-Cistercensi, qui portati da san Bernardo, oltre l’opere
-dello spirito, grandemente giovarono a ridurre a fertilità
-stagni e valli, principalmente nel Milanese e nel
-Lodigiano<a class="tag" id="tag272" href="#note272">[272]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-</p>
-
-<p>
-Alcuni Milanesi, trasportati prigionieri in Germania
-nelle guerre coll’Impero, disingannati del mondo, fecero
-voto, se ricuperassero la patria, di dedicarsi a speciale
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-devozione di Maria. Resi alla terra natale, istituirono
-l’Ordine degli Umiliati <span class="sidenote">(1200)</span>, vivendo ciascuno nella propria
-casa, ma solinghi e in opere sante, avvolti in sajone
-cinericcio. Crebbero, e, compra una casa, vi si congregavano
-la festa a salmeggiare e ad opere di pietà; e
-sull’esempio de’ mariti, anche le donne si ritrassero in
-devozione e lavori. Avuta da san Bernardo una regola,
-gli Umiliati si separarono dalle mogli, ed oltre gli uffizj
-spirituali, procacciavano nel lanifizio e nella mercatura;
-indi il beato Giovanni da Meda, che li piantò a
-Como, perfezionò l’istituto, promovendo alcuni alla dignità
-sacerdotale, e mettendo a ciascuna <i>casa</i> un preposto.
-Così si estesero, e col traffico e col lavorio dei
-pannilani arricchirono l’Ordine e il paese. Alla quale
-società, che, a parte la devozione, potrebbe servir di
-modello a quelle che propongono e non sanno effettuare
-gli odierni Socialisti, aggiungiamo quelle che un
-buon romito di Parma raccolse per fabbricare un ponte
-sul Taro e custodirlo.
-</p>
-
-<p>
-Silvestro da Osimo, al veder morto un uomo bellissimo,
-si ricoverò tutto a vita di spirito, e nel monastero
-di Monte Fano della Marca fondò nel 1231 i Silvestrini,
-presto propagatisi. L’anno seguente, sette signori fiorentini,
-membri d’una confraternita di Maria Vergine, ebbero
-in visione il comando di rinunziare al mondo;
-sicchè, distribuito ogni aver loro ai poveri, coperti di
-sacco e di cenere, e vivendo d’accatto, presero il nome
-di Servi di Maria, ed apersero il primo convento sul
-monte Senario appo Firenze.
-</p>
-
-<p>
-I frati, oltre portare nella comunione dei Fedeli tanta
-messe di preghiere, adempivano molti uffizj, oggi attribuiti
-all’autorità amministrativa, e principalmente a
-curar malati, assistere pellegrini, assicurare strade. A
-Sant’Egidio di Moncalieri il ponte e l’ospedale erano
-affidati a’ Templari; ai Vallombrosani il tragitto sulla
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-Stura presso Torino; ad altri i passi del grande e del
-piccolo Sanbernardo; quelli di Sant’Antonio curavano i
-malati di fuoco sacro, quelli di San Lazzaro i lebbrosi, i
-Trinitarj d’ogni aver loro faceano tre parti, una pel proprio
-mantenimento, una pei poveri e infermi, una pel
-riscatto de’ Cristiani presi da Saracini. Le repubbliche
-poi se ne valeano a servigi gelosi; ambascerie, custodire
-denari, riscuotere dazj, metter paci: il Comune di Mantova
-lasciava alla loro guardia il libro dei decreti<a class="tag" id="tag273" href="#note273">[273]</a>.
-</p>
-
-<p>
-In tanti rami già erasi variato il vivere monastico,
-che Innocenzo III decretò non se ne introducessero altri:
-eppure sotto di lui nacquero due Ordini che eclissarono
-i precedenti, i frati Minori e i frati Predicatori.
-</p>
-
-<p>
-Alla moglie di Pier Bernardone, agiato negoziante
-d’Assisi, un angelo comandò andasse a partorire sulle
-paglie d’una stalla <span class="sidenote">(1182)</span>. Ivi nacque Giovanni, il quale, condotto
-in Francia da suo padre, s’addestrò sì bene nella
-lingua di là, che ne trasse il soprannome di Francesco.
-Balioso, vivace, gajo compagnone, buon poeta fino ai
-venticinque anni, allora consente alla chiamata di Dio,
-e va e vende le sue merci a Foligno, porta i denari a
-un prete, e perchè questo ricusa riceverli, li getta dalla
-finestra. Il padre, che da buon massajo computava la
-bontà coll’abachino, lo crede scemo della mente, e
-trattolo al vescovo, lo fa interdire. Giubilante, Francesco
-si spoglia nudo nato, se non che il vescovo gli getta
-addosso il proprio mantello; e rinunziato alla famiglia,
-fa adottarsi da un pitocco, veste cenci, e comincia ad
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-esalare in prediche l’esuberanza interna della carità,
-per la quale si lusinga di conquistare il mondo colla
-predicazione popolare.
-</p>
-
-<p>
-A Bernardo cittadino d’Assisi, suo primo discepolo,
-che gli chiedeva se abbandonare il mondo, rispose: — Chiedilo
-a Dio». Aperto il vangelo a caso, vi legge:
-<i>Se vuoi esser perfetto, vendi quanto hai, e dallo ai poveri</i>;
-lo riapre, e trova: <i>Non portate in viaggio oro
-nè argento nè bisaccia nè tunica o sandali o bastone</i>. — Questo
-io cerco, questo desidero di cuore, quest’è
-la regola mia», esclama Francesco, e gitta quanto gli
-restava, eccetto una tunica col cappuccio e una corda
-a cintura. Così nel mondo inebbriato di ricchezze e piaceri,
-esce predicando la povertà; nel mondo dell’ira,
-delle superbie, delle guerre, d’Ezelino e di Federico II,
-va a bandir l’amore; e attiratisi undici compagni, si
-sottomette con loro a rigide penitenze e a povertà così
-assoluta, da non considerare suo nè l’abito tampoco o
-i libri. Dai Benedettini impetrò una cappelletta nel
-piano d’Assisi, che fu detta la <i>Porziuncula</i>, e rifabbricatala <span class="sidenote">(1208)</span>,
-vi pose i fondamenti del suo Ordine, che per
-umiltà intitolò dei Frati Minori, eleggendo di stare fra
-poveri, malati, lebbrosi, lavorar per vivere, e mendicare.
-</p>
-
-<p>
-Rinnegata affatto la propria volontà, Francesco diceva: — Beato
-il servo il quale non si tien migliore
-quand’è dagli uomini esaltato che quand’è preso a
-vile; perchè l’uomo è quel ch’egli è avanti a Dio, e
-nulla più». All’amor suo non bastando abbracciare tutti
-gli uomini, lo estende ad ogni creatura; e va per le foreste
-cantando, e invitando gli uccelli, che chiama fratelli
-suoi, perchè celebrino seco il Creatore; prega le
-rondini <i>sue sorelle</i> a cessare il pigolìo mentre predica;
-e sorelle son le mosche, e sorella la cenere<a class="tag" id="tag274" href="#note274">[274]</a>. Una
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-cicala canta? gli è stimolo a lodare Iddio; alle formiche
-rimprovera di mostrarsi troppo sollecite dell’avvenire;
-storna dal cammino il verme che può esservi
-calpestato; porta miele alle api nell’inverno; salva le
-lepri e le tortore inseguite; vende il mantello per riscattare
-una pecora dal macellajo; il giorno di Natale
-voleva si porgesse miglior nutrimento all’asino e al
-bue; anche biade, vigne, sassi, selve, quanto han di
-bello i campi e gli elementi, per lui sono eccitamenti
-ad amar Dio; nell’orticello d’ogni convento da’ suoi
-dovea riservarsi un quadro a’ più bei fiori, per lodarne
-il Signore<a class="tag" id="tag275" href="#note275">[275]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La piena di questo affetto espandea Francesco in
-poesie, originali come lui stesso, ove niuna reminiscenza
-d’antichità, ma viva effusione di cuore, impeti
-d’amore infinito<a class="tag" id="tag276" href="#note276">[276]</a>: fu dei primi ad usar nelle laudi la
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-lingua volgare; e frà Pacifico, suo allievo, meritò la
-laurea poetica da Federico II.
-</p>
-
-<p>
-Vedendo moltiplicati i Minori, Francesco pensò dettarne
-la regola; e stando sopra tale pensiero, ecco la
-notte gli pare aver raccolto tre bricciole di pane, e doverle
-distribuire a una turba di frati famelici. E temeva
-non gli andassero perdute fra le mani, quando una
-voce gli gridò: — «Fanne un’ostia, e danne a chiunque
-vuole cibo». Fece, e chi non ricevea devotamente
-quella particella, coprivasi di lebbra. Narrò Francesco
-la visione ai fratelli senza intenderne il senso; ma il
-giorno dappoi, mentre pregava, una voce dal cielo gli
-disse: «Francesco, le bricciole di pane sono le parole
-del vangelo, l’ostia è la regola, lebbra l’iniquità».
-</p>
-
-<p>
-Ritiratosi dunque con due compagni s’un monte,
-digiunando a pane e acqua, fe scrivere la sua regola
-secondo il divino spirito gli dettava entro. Essa comincia: — La
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-regola de’ Frati Minori è d’osservare il
-vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio
-e in castità». Chi v’entrasse dovea vendere ogni aver
-suo a profitto de’ poveri, e subire un anno di prove rigorose
-prima di proferire i voti. Tutti essendo <i>frati
-minori</i>, gareggiavano d’umiltà, e lavavansi i piedi un
-all’altro: i superiori chiamavansi servi: chi sa un mestiere,
-può esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no,
-vada alla busca, ma non di denaro. Neppur l’Ordine
-può possedere altro che il puro necessario. Prendano
-in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi
-stando ammalato s’impazienta o sollecita medicine, è
-indegno del titolo di frate, perchè mostra maggior cura
-del corpo che dell’anima. Non vedano femmine, e a
-queste predichino sempre la penitenza: che se alcuno
-pecca in esse, venga tosto cacciato. In viaggio rechino
-l’abito e null’altro, nè tampoco il bastone; e se diano
-nei ladri, si lascino spogliare. Non predichi chi non vi
-sia autorizzato; e prometta insegnar la dottrina della
-Chiesa senza formole di scienza profana, senza cercare
-suffragi. Un generale, eletto da tutti i membri, risiede a
-Roma, assistito da un consiglio, e da esso dipendono i
-provinciali e i priori. Ai capitoli generali prendono
-parte i capi di ciascuna provincia, i priori e i deputati
-dei monaci di ciascun convento. Ogni comunità tiene
-capitolo una volta l’anno: i superiori d’Italia si congregano
-ogn’anno, e ogni tre quelli di là dall’alpe e
-dal mare.
-</p>
-
-<p>
-Francesco si presentò al papa chiedendo la conferma
-del suo Ordine, cioè il diritto di predicare, mendicare
-e non posseder nulla. Innocenzo III fu d’avviso che l’assunto
-trascendesse le forze d’uomini: quand’ecco in
-visione parvegli la chiesa di San Giovanni Laterano barcollare,
-minacciando rovina; e sorreggerla due uomini,
-un italiano ed uno spagnuolo, Francesco d’Assisi e Domenico
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-Gusman. Pertanto approvò l’Ordine solennemente
-nel IV concilio di Laterano <span class="sidenote">(1215)</span>.
-</p>
-
-<p>
-Chiara, nobil donna d’Assisi, tocca all’esempio ed ai
-sermoni di Francesco, abbandona il mondo <span class="sidenote">(1212)</span> e istituisce
-le povere donne Clarisse, colla regola stessa. Non sapea
-Francesco risolvere qual fosse meglio, la preghiera o
-la predicazione; e Chiara e frà Silvestro il persuadono
-a quest’ultima, ond’egli compare a Roma ballonzando
-per gioja, e chiede al papa licenza d’andare apostolando
-in traccia di conversioni e del martirio. E va
-per la Spagna, la Barberia, l’Egitto; crociata incruenta,
-ove grido di guerra era <i>La pace sia con voi</i>. In Africa
-arrivò mentre i Crociati osteggiavano Damiata <span class="sidenote">(1219)</span>; e presentatosi
-a Melik el-Kamel (Meledino), gli espose il vangelo,
-sfidò i dottori di quella legge, s’offerse di saltare
-in un rogo divampante per dimostrare la verità della
-sua dottrina. Melik l’ascoltò, e rimandollo senza nè la
-conversione nè il martirio.
-</p>
-
-<p>
-A’ suoi che inviava a predicare, Francesco diceva: — In
-nome del Signore camminate due a due con
-umiltà e modestia; in particolare con esattissimo silenzio
-dal mattino fino a terza, pregando Dio nel vostro
-cuore. Fra voi non parole oziose e inutili: ed anche
-per via comportatevi umili e modesti, come foste in
-un romitaggio o nella vostra cella; imperciocchè, in
-qualunque parte siamo, è sempre con noi la nostra
-cella, che è il corpo nostro fratello, essendo l’anima
-nostra il romito che dimora in questa cella, per pregare
-e pensare a Dio. Perciò, se l’anima non istà in riposo
-in questa cella, la cella esteriore nulla serve ai religiosi.
-Sia tale la vostra condotta in mezzo alla gente, che
-qualunque vi vedrà o ascolterà, lodi il celeste Padre.
-Annunziate la pace a tutti; ma abbiatela nel cuore come
-nella bocca, anzi più. Non porgete occasione di collera
-o di scandalo, ma colla vostra mansuetudine fate che
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-ognuno inclini alla bontà, alla pace, alla concordia. Noi
-siamo chiamati per guarire i feriti e richiamare gli
-erranti; molti vi sembreranno figli del diavolo, che
-saranno un giorno discepoli di Gesù».
-</p>
-
-<p>
-Questi frati erano membri d’una repubblica che avea
-per sede il mondo, per cittadino chiunque ne adottava
-le rigide virtù: e scalzi, col vestire dei poveri d’allora,
-coll’idioma dei vulghi, diffondeansi per tutto, al popolo
-parlando come esso vuol gli si parli, con forza, con
-drammatica, e fino con vulgarità, destando al pianto e
-al riso col ridere e piangere essi stessi, affrontando e
-provocando i tormenti come le beffe. Egli medesimo,
-il santo fondatore, se mai talvolta rompesse il digiuno,
-volea lo strascinassero per le vie, battendolo e gridandogli
-dietro: — Ve’ ve’ il ghiottone che s’impingua
-di carne di polli senza che voi lo sappiate». A Natale
-predicava in una vera stalla, ove il presepio e il fieno
-e l’asino e il bue; e nel pronunziare <i>Betlemme</i>, belava
-come un pecorino; e nel nominare Gesù, leccavasi le
-labbra, quasi ne sentisse dolcezza. Poi alla sera di sua
-vita portava le stigmate delle piaghe di Cristo impresse
-sul proprio corpo.
-</p>
-
-<p>
-L’uomo stesso gittava il balsamo della sua parola
-sopra gli spiriti inveleniti. Udito stare in cagnesco i
-magistrati e il vescovo d’Assisi, mandò i suoi fratelli a
-cantare al vescovado il suo cantico del Sole, al quale
-aggiunse allora le parole: Lodato sia il Signore in
-quelli che perdonano per amor suo, e sopportano patimenti
-e tribolazioni. Beati quelli che perseverano nella
-pace, perchè saranno coronati dall’Altissimo». Tanto
-bastò per mitigare gli sdegni. — Il dì dell’Assunta del
-1220 (scrive Tommaso arcidiacono di Spalatro), stando
-io agli studj a Bologna, vidi Francesco predicare sulla
-piazza davanti al pubblico palazzo, dove tutta quasi la
-città era raccolta. E fu esordio al suo predicare <i>Angeli,
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-uomini e demonj</i>; e di questi spiriti tanto bene propose,
-che a molti letterati ivi presenti recò non poca
-meraviglia un parlare sì giusto di persona idiota. E
-tutto il contesto del suo ragionare tendeva ad estinguere
-le nimicizie, e far accordi di pace. Sordido d’abiti,
-spregevole d’aspetto, di faccia abjetta, pure Iddio aggiunse
-tanta efficacia alle parole di lui, che molte tribù
-di nobili, fra cui inumana rabbia d’inveterate nimicizie
-aveva infuriato con molta effusione di sangue, vennero
-ridotte a consiglio di pace»<a class="tag" id="tag277" href="#note277">[277]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Così il <i>padre serafico</i> seguì fino ai quarantaquattro
-anni, allorchè morì. Per la sua Porziuncola invocò dal
-cielo e dal pontefice un’indulgenza, a lucrar la quale
-non fosse mestieri di veruna offerta. E quando ogni
-2 d’agosto essa è proclamata nell’ora solenne dell’apparizione
-di Maria, una folla sterminata accorre da quei
-fortunati contorni ad implorare l’effusione della grazia
-gratuita. E noi, che non sappiamo pellegrinare soltanto
-alla zazzera di Voltaire e all’isoletta di Rousseau, cercammo
-commossi le colline e i laghi attorno a quella
-deliziosa vallata, piena di tante benevole memorie; e
-nel maestoso tempio di Maria degli Angeli, eretto
-sopra quell’umile cella, monumento alla povertà fra i
-tanti consacrati alla forza e al fasto, meditammo compunti
-quanta santità ne uscisse, quanta potenza.
-</p>
-
-<p>
-Alla povertà stettero fedeli i suoi: al papa, che la
-esortava ad assicurare la sussistenza del suo Ordine
-coll’acquistare beni sodi, e offriva assolverla dal voto,
-santa Chiara rispose: — Non domando altra assoluzione
-che de’ miei peccati»: sant’Antonio i doni offertigli
-da Ezelino rifiutò costantemente, dicendo non volere
-dei frutti del peccato: frà Egidio, per vivere in
-Roma, andava a far legna e venderla: gli altri campavano
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-accattando, e dappertutto erano accolti a suon di
-campane e rami d’ulivi. E perchè mai gli Ordini mendicanti
-esercitarono maggior potenza degli altri sul
-popolo? perchè con esso divideano il pane quotidiano;
-perchè il popolo rispetta un’indipendenza acquistata
-con sacrifizj volontari.
-</p>
-
-<p>
-Affine di più addentro insinuarsi nella società, oltre i
-professi e i frati laici, v’ebbe un <i>terz’ordine</i>, cui poteva
-aggregarsi qualunque secolare per via di certe devote
-pratiche volesse partecipare ai tesori delle preghiere
-senza abbandonare il mondo, senza cessare d’essere
-moglie, padre, vescovo, cavaliere, pontefice. Quattro
-le condizioni: restituire ogni mal tolto, riconciliarsi col
-prossimo, osservare i comandamenti di Dio e della
-Chiesa, le donne abbiano il consenso del marito; e
-perchè non vi fosse altro legame che il libero volere,
-si ammonivano gli adepti che l’osservanza della regola
-non obbligava sotto pena di peccato mortale. Sbandito
-il lusso e la cupidigia del guadagno, non teatri, non
-festini; a prevenire i litigi, ciascuno abbia preparato il
-suo testamento; le differenze fra loro si compongano,
-se no volgansi ai giudici naturali, non a fòri privilegiati;
-non diano mai giuramenti, che rendano ligi ad
-un uomo o ad una fazione; non portino armi che per
-difendere la Chiesa, la fede, la patria<a class="tag" id="tag278" href="#note278">[278]</a>. Oh, Francesco
-mostrava ben conoscere come le riforme devono
-cominciare dalla vita domestica, dalla famiglia.
-</p>
-
-<p>
-Contemporaneamente Domenico Gusman, illustre castigliano,
-assetato di dolori e d’amore, introdusse il
-nuovo ordine de’ Predicatori <span class="sidenote">(1216)</span>, destinato alla scienza divina
-e all’apostolato. Qui pure tutte le cariche erano
-elettive, obbligo la povertà: e al santo istitutore in
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-Bologna, ove morì <span class="sidenote">(1221)</span>, fu posta un’urna fregiata nel più
-bel modo che sapessero frà Guglielmo, Nicola di Pisa,
-Nicola di Bari, Alfonso Lombardi; indi un tempio
-magnificentissimo.
-</p>
-
-<p>
-Appena quattro anni dopo l’approvazione, Francesco
-radunò il primo capitolo detto <i>delle stuoje</i> perchè fu
-in campo aperto sotto trabacche, ov’erano cinquemila
-frati della sola Italia, e da cinquecento novizj si presentarono:
-poi crebbero tanto, che, malgrado mezza
-Europa perduta per la Riforma, dicono alla rivoluzione
-francese sommassero a cenquindici mila, in settemila
-conventi, suddivisi fra molte regole e riforme. Anche
-i Domenicani si diffusero rapidamente; a Siena nel
-1219 si posero nello spedale della Maddalena, finchè
-nel 27 i Malavolti li regalarono d’un terreno per fabbricare
-quel sontuoso convento; a Milano nello spedale
-de’ pellegrini a San Barnaba il 1218; e presto ebber
-fabbricate le chiese di Santa Maria Novella in Firenze,
-di Santa Maria sopra Minerva in Roma, di San Giovanni
-e Paolo in Venezia, di San Nicolò in Treviso, di San
-Domenico a Napoli, a Prato, a Pistoja, di Santa Caterina
-a Pisa, delle Grazie a Milano, ed altre, segnalate
-per ricca semplicità, e per lo più architettate da frati.
-</p>
-
-<p>
-Fin dal principio i due Ordini destarono meraviglia
-e simpatia nei migliori<a class="tag" id="tag279" href="#note279">[279]</a>, e in folla attrassero pii ed
-illustri proseliti. A Domenico s’unisce Nicola Pulla di
-Giovenazzo appena uditolo a Bologna, e l’accompagna
-e seconda sempre, finchè, operati gran frutti di santità,
-muore a Perugia: a lui Renoldo da Sant’Egidio, professore
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-di scienza canonica a Parigi; il medico Rolando
-di Cremona, che da capo della scuola bolognese passa
-a professare la teologia nella parigina; il Moneta, famoso
-maestro d’arti; frà Ristoro e frà Sisto, architetti
-de’ migliori; frà Cavalca, frà Jacopo Passavanti, frà
-Giordano da Pisa, dei primi prosatori italiani; i sommi
-pittori frà Angelico e frà Bartolomeo; indi Vincenzo
-da Beauvais l’enciclopedista; i cardinali Ugo Saint-Cher
-ed Enrico da Susa, autori d’una <i>Concordanza della
-Bibbia</i> e di una <i>Somma aurata</i>; e Tommaso d’Aquino,
-il maggior filosofo del medio evo.
-</p>
-
-<p>
-Con Francesco si arruolano Pacifico poeta laureato,
-Egidio portento di semplice sapienza, Giovanni da
-Pinna nel Fermano, Giovanni da Cortona, Benvenuto
-d’Ancona poi vescovo d’Osimo, altri ed altri: più tardi
-ne cinsero il cordone il gran teologo Scoto, il gran
-mistico san Bonaventura, Ruggero Bacone ravvivatore
-delle scienze sperimentali. Mogli e figlie di re vestono
-quell’abito; Margherita, scandalo di Cortona, diviene
-specchio di penitenza; Rosa da Viterbo, in diciassette
-anni appena di vita, merita le persecuzioni di Federico
-II e l’ammirazione del popolo, il quale diceva che
-la pietra da cui essa gli predicava si alzasse da terra, e
-che il cadavere della beata si conservasse incorrotto
-fin da un incendio.
-</p>
-
-<p>
-Que’ frati andavano a diffondere la pace, e spandere
-la rugiada della Grazia sovra le moltitudini, avendo per
-unica rettorica una fede inconcussa e universale, e lo
-accettare tuttociò che servisse all’edificazione. Le prediche
-morali e dogmatiche d’alcuni di essi conservateci,
-evidentemente non sono che tessere d’aridezza scolastica;
-nè può render ragione della portentosa loro efficacia
-chi non le immagini rivestite d’una parola animatissima,
-e dirette a un uditorio che non vi portava la
-critica ma la convinzione. Poveri, penitenti, amici del
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-popolo e contraddittori dei tiranni, specchi di bontà e
-di dottrina, ecco perchè gli ordini de’ Minori e de’ Predicatori
-tanto poterono, e divennero il più valido sostegno
-della santa Sede. Dovunque si trovassero, poteano
-essi confessare e predicare, anzi ogni curato
-dovea ceder loro il pulpito; il popolo volonteroso gli
-udiva, li consultava, dividea con essi il pane dalla Provvidenza
-compartito; e quegli atti di astinenza e di
-abnegazione toccavano gli uomini, che riconoscono
-l’amore nel sagrifizio, e la virtù nell’amore.
-</p>
-
-<p>
-Le anime non volgari trovavansi obbligate a scegliere
-fra due strade: o nel mondo procelloso farsi
-largo colla fierezza e la perfidia; o voltargli le spalle,
-rinnegandone la vanità e le opinioni. I primi diventavano
-Ezelino, Salinguerra, Buoso da Dovara; gli altri
-Francesco, frà Pacifico, Antonio da Padova, gente che
-assumeva tutti i pesi del clero senza i vantaggi, e che
-anzi coll’umiltà e povertà sua faceva contrasto alle
-pompe e all’orgoglio di quello, una delle piaghe della
-società d’allora, ed uno dei più forti appigli per gli
-eretici.
-</p>
-
-<p>
-Quest’antitesi dei caratteri si manifesta ben anche
-nelle fabbriche d’allora: da un lato castelli, fortezze di
-baroni e principi, sgomento de’ popoli; dall’altro badie
-e monasteri, preparati al pellegrino, al soffrente, alle
-anime che han bisogno d’amare, di giovare, di pregare.
-Collo spirito di devozione e beneficenza viveva
-ne’ monaci il sentimento del bello, onde sceglievano
-situazioni ove l’anima, estatica nella contemplazione
-della natura, elevasi a benedire chi la creò. A venti
-miglia di Firenze, nella romantica valle dell’Arno superiore,
-tra magnifiche abetine sorge Vallombrosa, e
-nell’altura l’eremo del Paradisino, dal quale la vista,
-spaziando per immenso orizzonte, si perde negli interminabili
-fiotti del Mediterraneo. Qual potevano i monaci
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-scegliere più opportuno asilo per riposare dalle tempeste
-della società, e prepararsi ai casti godimenti della
-vita interiore? Se di colà tu risali verso le sorgenti
-dell’Arno, per entro il fertile Casentino eccoti Camaldoli,
-ricovero di San Romualdo da Ravenna, e culla
-d’un altro Ordine. Donde pure elevandoti alla schiena
-degli Appennini, giunto sul poggio agli Scali, trovi il
-Sacro Eremo, che par veramente inviti l’uomo a lodare
-il Creatore delle meraviglie che profuse sopra questa
-Italia, della quale puoi di lassù vedere i due pendii scendere,
-ridenti di diversa bellezza, a bagnarsi nel Mediterraneo
-e nell’Adriatico. Nè molto avrai a viaggiare
-per giungere all’Alvernia, il devoto ritiro di san Francesco,
-posto anch’esso in vetta d’un monte, che incanterebbe
-se già non si fossero veduti gli altri due. In
-questi amenissimi soggiorni si raccoglievano quegl’ingenui
-ammiratori di Dio, e mentre il mondo dilagava
-di fraterno sangue, essi passavano i giorni nella contemplazione
-del bello, nella ricerca del vero, nella pratica
-del buono.
-</p>
-
-<p>
-In un altro uffizio s’adoperarono vivamente i nuovi
-frati, qual fu di combattere colla parola gli eretici,
-farli ricredenti, o castigarli. Perocchè, sebbene il genio
-europeo non s’ingolfasse in sottigliezze e sofisterie come
-l’orientale, pure anche qui, e precisamente in Italia,
-tratto tratto scoprivansi degli eretici; e forse una tradizione
-di siffatti non fu mai interrotta fin dai Gnostici e
-dai Manichei dei primi tempi. A mezzo il secolo ix,
-Pietro vescovo di Padova trovò nella sua diocesi una
-setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e che solo
-cinquant’anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozelino.
-Nel Mille, a Ravenna un Vitgardo fondava non so quali
-delirj sopra Orazio, Virgilio, Giovenale. Eriberto, il
-famoso arcivescovo di Milano, seppe che alcuni eretici
-tenevano convegni nel castello di Monforte presso Asti,
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-e citatone uno di nome Gerardo, l’esaminò sulla sua
-fede: — Noi tutti (rispose) osserviamo la castità benchè
-ammogliati; non mangiamo carne, digiuniamo strettamente,
-leggiamo ogni giorno la Bibbia, molto preghiamo,
-e i nostri <i>maggiori</i> s’alternano dì e notte
-orando. I beni consideriamo come comuni; e il morir
-nelle pene ci è dolce per isfuggire i castighi eterni.
-Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito Santo,
-che hanno la facoltà di sciogliere e legare: e il Padre
-è l’eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo
-è lo spirito dell’uomo, cui Iddio amò; lo Spirito
-Santo è l’intelletto delle scienze divine, dal quale tutte
-le cose sono regolate. Non riconosciamo il vescovo di
-Roma o verun altro, ma un solo che ogni giorno visita
-i nostri fratelli per tutto il mondo e gli illumina; e
-quand’è mandato da Dio, presso lui è a trovare il perdono
-de’ peccati»<a class="tag" id="tag280" href="#note280">[280]</a>. Sembrò pericolosa quest’eresia
-al vescovo, tanto che menò contro Asti i suoi vassalli,
-e presi per forza i miscredenti, nè potendo indurli a
-ritrattarsi, li mandò al fuoco, ch’essi subirono come
-un martirio.
-</p>
-
-<p>
-Le opinioni ebbero viva scossa dalla lotta fra gl’imperatori
-e i pontefici, e l’opposizione a questi risolvevasi
-in eresia, e ad ogni modo scassinava l’autorità. Poi
-lo spirito di controversia, introdotto dalla logica scolastica
-e dalla giurisprudenza, recò spesso ad opporre
-alla credenza comune l’individuale sentimento; e si mescolarono
-di bel nuovo i dogmi cogli atti, la quistione
-religiosa colla sociale.
-</p>
-
-<p>
-Pietro Valdo, mercante di Lione <i>aliquantulum literatus</i>,
-venduti gli averi suoi come poi fece san Francesco,
-si eresse riformatore de’ costumi come questo,
-ma non sottoponendo la propria alla volontà della
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-Chiesa, anzi asserendo questa avere traviato dal vangelo
-e volersi richiamarla alla semplicità primitiva: a
-che il lusso del culto, la ricchezza dei preti, la potenza
-temporale de’ papi? povera umiltà come nei primi
-tempi. Perciò i suoi seguaci si dissero Poveri di Lione,
-e Catari cioè puri, e tanto erano persuasi di non uscire
-dal vero, che chiesero al pontefice la permissione di
-predicare<a class="tag" id="tag281" href="#note281">[281]</a>: ma ben tosto negarono l’autorità del
-papa, e dietro a ciò il purgatorio, l’invocazione dei
-santi, altri dogmi cardinali; proclamarono fosse libera
-anche ai laici la predicazione.
-</p>
-
-<p>
-Come mai, sotto un Dio buono, tanti mali opprimano
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-il mondo, è problema che tormentò e tormenterà i
-pensatori di tutte le generazioni. Col supporre un altro
-principio autor del male, lo scioglievano i Manichei, i
-quali, vinti fin dai tempi di sant’Agostino, sopravivevano
-però in Oriente, e coi varj nomi di Patarini, Bulgari,
-Pauliciani si propagarono in Europa e primamente
-a Milano. Quivi ebbero per vescovo un tal Marco,
-stato ordinato in Bulgaria, e che presedeva alla Lombardia,
-alla Marca e alla Toscana. Essendovi comparso
-un altro papa per nome Niceta, riprovò l’ordine della
-Bulgaria, e Marco ricevette quel della Drungaria, cioè
-di Traù (<i>Tragurium</i>) in Croazia<a class="tag" id="tag282" href="#note282">[282]</a>. A Milano, distingueano
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e
-Bulgaria, cresciuti singolarmente quando il Barbarossa
-li favoriva per far onta a papa Alessandro; e i nuovi,
-usciti circa il 1176 di Francia, che sarebbero i Valdesi.
-</p>
-
-<p>
-Questi si erano molto diffusi tra le Alpi, ma viepiù
-nella Linguadoca, fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo,
-paese più dirozzato della restante Gallia, e
-dove le città, memori o fors’anche avendo conservato
-gli avanzi delle istituzioni municipali romane, eransi
-costituite a comune, con una specie d’eguaglianza fra
-nobili e mercanti, opportuna all’incremento della civiltà;
-sicchè vi si erano svolti e grazia d’immaginazione
-e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: colà prima
-s’intesero versi nelle lingue nuove, sulla mandòla dell’elegante
-trovadore, che vagava pei castelli cantando
-l’amore e le prodezze, o satireggiando i magnati e i
-preti. E perchè in Alby, città principale, primamente
-furono tolti a perseguitare, vennero chiamati Albigesi.
-</p>
-
-<p>
-Non è facile sapere appunto i loro dogmi, o se avessero
-un fondo comune, sotto l’infinita varietà che è
-propria dell’errore. Un libro depositario di loro credenze
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-non ebbero: in coloro che li confutano e negli
-storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati
-di colpe le più contraddittorie; or proclamando creatore
-Iddio, ora il demonio; or facendo Iddio materiale,
-ora riducendo Cristo a ombra e null’altro: chi li fa
-ammettere alla fede tutti i mortali, chi escludere le
-donne dall’eterna felicità; chi semplificare il culto, chi
-ordinare cento genuflessioni il giorno; chi licenziare
-alle voluttà più grossolane, chi riprovare persino il matrimonio<a class="tag" id="tag283" href="#note283">[283]</a>.
-Impugnata l’autorità, e ridotti alla ragione
-individuale, doveano necessariamente variare in
-infinito: e frà Stefano di Bellavilla racconta che sette
-vescovi di credenza diversa si adunarono in una cattedrale
-di Lombardia, per accordarsi sui punti di loro
-fede; ma, non che riuscire, si separarono scomunicandosi
-reciprocamente.
-</p>
-
-<p>
-Tre sêtte primeggiavano quivi, i Catari, i Concorezzj,
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-i Bagnolesi. I Catari, che si dicevano anche Albanesi
-(corrotto probabilmente da Albigesi), venivano suddivisi
-in due parzialità: alla prima era vescovo Balansinanza
-veronese, all’altra Giovanni di Lugio bergamasco.
-Oltre le credenze comuni che sopra noverammo, i primi
-dicevano che un angelo avesse portato il corpo di Gesù
-Cristo nell’utero di Maria, senza ch’ella v’avesse parte;
-solo in apparenza il Messia esser nato, vissuto, morto,
-risorto; i patriarchi essere stati ministri del demonio;
-il mondo eterno. Gli altri tenevano che le creature fossero
-state formate quali dal buono, quali dal tristo principio,
-ma ab eterno; che la creazione, la redenzione, i
-miracoli erano accaduti in un altro mondo, affatto diverso
-dal nostro; Dio non essere onnipotente, perchè
-nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè
-opposto; Cristo aver potuto peccare. — I Concorezzj
-(probabilmente così chiamati da Concorezzo, borgata
-presso Monza) ammettono un principio unico; aver Dio
-creato gli angeli e gli elementi; ma l’angelo ribellato
-e divenuto demonio formò l’uomo e quest’universo
-visibile; Cristo fu di natura angelica. I Bagnolesi (denominati
-dal Bagnolo di Piemonte o da quello di Provenza)
-volevano le anime fossero state create da Dio
-prima del mondo, e allora avessero peccato; la beata
-Vergine fosse un angelo; e Cristo avesse bensì assunto
-corpo umano per patire, ma non l’avesse già glorificato,
-anzi deposto all’ascensione.
-</p>
-
-<p>
-Frà Ranerio Saccone distingue sedici chiese di Catari
-in Lombardia: degli Albanesi, che stanno principalmente
-a Verona, e sono cinquecento; de’ Concorezzj,
-che fra tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e
-mezzo; de’ Bagnolesi sparsi a Mantova, Milano, nella
-Romagnola, in non più di ducento; la chiesa della
-Marca, che saranno cento; altrettanto in quelle di Toscana
-e di Spoleto; un cencinquanta della chiesa di
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-Francia, dimoranti a Verona e per Lombardia; ducento
-delle chiese di Tolosa, di Alby, di Carcassona; cinquanta
-di quelle di Latini e Greci in Costantinopoli; e cinquecento
-delle altre di Schiavonia, Romania, Filadelfia,
-Bulgaria. Ma questi quattromila (avverte l’autore) sono
-da intendere per uomini perfetti; giacchè di credenti
-ve n’ha senza numero.
-</p>
-
-<p>
-Sembra fosse comune la credenza nei due principj,
-ed al malvagio essere dovuto il mondo e il Vecchio Testamento.
-Appoggiati all’<i>Obedire oportet magis Deo
-quam hominibus</i>, si emancipavano d’ogni autorità terrena;
-non papa, non vescovi, non canoni o decretali,
-non dominio temporale dei preti; la Chiesa romana non
-essere concilio sacro, ma congrega di malignanti; non
-darsi risurrezione della carne, ridevole la distinzione
-dei peccati in veniali e mortali, prestigi del diavolo i
-miracoli; non doversi adorare la croce, simbolo d’obbrobrio;
-per niuna cosa giurare; nè esser diritto ai
-magistrati d’infliggere pena corporale. Quanto ai riti,
-repudiavano l’estrema unzione, il purgatorio e di conseguenza
-i suffragi pei morti, l’intercessione dei santi e
-l’<i>Ave Maria</i>; per il matrimonio bastare il consenso
-de’ contraenti, senz’uopo di benedizione; non valere il
-battesimo amministrato agl’infanti; non discendere Dio
-nell’ostia consacrata da un indegno; i sacramenti non
-furono istituiti da Cristo, ma inventati dall’uomo.
-</p>
-
-<p>
-Del sacramento dell’Ordine teneva luogo l’elezione dei
-loro gerarchi, ch’erano disposti in quattro gradi: il
-vescovo, il figliuolo maggiore, il figliuolo minore e il
-diacono. Al vescovo spettava di preferenza l’imporre le
-mani, frangere il pane, dir l’orazione: mancando lui,
-suppliva il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono;
-e in difetto, un semplice credente, e fin anche
-una catara. I due figliuoli coadjuvavano al vescovo, visitavano
-i fedeli, e in ogni città v’era un diacono per
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-ascoltare i peccati leggieri una volta al mese; il che dai
-Lombardi (i quali ritennero la distinzione dei peccati
-veniali) dicevasi <i>caregare servitium</i>. Il vescovo poi,
-avanti morire, inaugurava a succedergli il figliuolo
-maggiore imponendogli le mani.
-</p>
-
-<p>
-Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata,
-il maggiore fra i convitati sorgeva, e recatosi in
-mano il pane ed il vino, proferiva <i>Gratia domini nostri
-Jesu Christi sit semper cum omnibus vobis</i>, spezzava
-quel pane, lo distribuiva, e quest’era la loro eucaristia.
-Il giorno della cena del Signore, imbandivano
-più solennemente; e il ministro, postosi ad un tavoliere,
-su cui erano una coppa di vino ed una focaccia d’azimo,
-diceva: — Preghiamo Dio ci perdoni i peccati per sua
-misericordia, ed esaudisca alle nostre petizioni; e recitiamo
-sette volte il <i>Pater noster</i> a onor di Dio e della
-santissima Trinità». Tutti s’inginocchiano; orato, sorgono;
-esso benedice il pane e il vino, frange quello,
-dà mangiare e bere; e così è compiuto il sagrifizio.
-</p>
-
-<p>
-Confessione non particolareggiata, ma uno recitava
-a nome di tutti: — Confessiamo innanzi a Dio ed a voi,
-che molto peccammo in opere, in parole, colla vista, col
-pensiero, ecc.». In casi più solenni, il peccatore presentandosi
-al cospetto di molti col vangelo sul petto proferiva: — Io
-sono qui avanti a Dio ed a voi, per confessarmi
-e chiamarmi in colpa di tutti i peccati che ho
-sin ora commessi, e ricevere da voi la perdonanza».
-Era assolto col posargli il vangelo sopra il capo. Se
-un credente ricadesse, doveva confessarsene, e ricevere
-di nuovo l’imposizione delle mani in privato. L’imposizione
-delle mani, o <i>consolamento</i>, o battesimo spirituale,
-era necessaria per rimettere il peccato mortale,
-o comunicare lo spirito consolatore; e se uno dei <i>perfetti</i>
-le imponga a un moribondo, e ripeta l’orazione
-domenicale, quello va a sicura salvazione. Fu per opporsi
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-al consolamento de’ Patarini che il concilio Lateranense
-IV ingiunse ai Cattolici di confessarsi almeno
-una volta l’anno.
-</p>
-
-<p>
-Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al
-moribondo, gli chiedevano se volesse in cielo andare
-tra i martiri o tra i confessori: eleggeva i primi? lo
-facevano strangolare da un sicario a ciò stipendiato; i
-confessori? più non gli davano bere nè mangiare. Atrocità
-gratuite, solite apporsi dall’ignoranza o dalla malignità
-a tutte le congreghe secrete. E per vero non
-c’è misfatto di cui non siansi tacciati i Patarini; essi
-ladri, essi usuraj, essi sovrattutto carnali, con connubj
-promiscui e contro natura; adulterio e incesto in qualsiasi
-grado; non poter l’uomo peccare dall’umbilico in
-giù, perchè il peccato origina dal cuore. Ma come credere
-questa bacchica santificazione del libertinaggio,
-quando altrove, e ne’ libri de’ loro stessi nemici, troviamo
-che giudicavano peccato fino il commercio maritale,
-imponeansi penose astinenze onde reprimere la
-carne ribelle alla volontà ed opera del principio cattivo,
-tre quaresime l’anno, perpetua astinenza da carni
-e latte, replicati digiuni, iterate preghiere? e san Bernardo,
-implacabile indagatore di loro colpe, dice: — Non
-v’era cosa in apparenza più cristiana che i loro
-discorsi, nè più lontana da ogni taccia che i costumi
-loro»<a class="tag" id="tag284" href="#note284">[284]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Non esitiamo a rifiutare per ispurie alcune professioni
-di fede esibiteci da loro antagonisti, secondo le
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-quali gl’iniziati rinunziavano, non solo a tutte le sane
-credenze della religione, ma ad ogni costume, pudore,
-virtù. Ranerio, uno dei Consolati egli medesimo, indi
-acerrimo loro persecutore, narra come per l’iniziazione,
-adunati i credenti, il vescovo interrogasse il neofito: — Vuoi
-tu renderti alla fede nostra?» Questo afferma,
-s’inginocchia e pronuncia il <i>Benedicite</i>; al che il ministro
-ripete tre volte — Dio ti benedica», sempre più
-discostandosi dall’iniziato. Il quale soggiunge: — Pregate
-Iddio mi faccia buon cristiano». L’interroga poi: — Ti
-rendi a Dio ed al vangelo? <i>Sì</i>. — Prometti non
-mangiar carne, ova, formaggio, nè altra cosa se non
-d’acqua e di legno? (cioè pesci e frutte). <i>Sì</i>. — Non
-mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure
-vitelli? non farai libidini nel tuo corpo? non andrai
-scompagnato quando puoi avere compagni; non mangerai
-da solo potendo aver commensali? non ti coricherai
-senza brache e camicia? non lascerai la fede
-per timore di fuoco, d’acqua o d’altro supplizio?»
-Risposto che avesse il neofito a ciascuna domanda, l’universa
-assemblea mettevasi ginocchione: il sacerdote
-posava sopra il novizio il volume dei vangeli, e leggeva
-il principio di quel di san Giovanni, poi lo baciava tre
-volte: così facevano tutti gli altri, che egualmente si
-davano l’uno all’altro la pace: indi veniva messo al
-collo dell’iniziato un fil di lana e di lino, ch’e’ non
-doveva levarsi giammai.
-</p>
-
-<p>
-La colpa, onde più grave e concordemente sono rinfacciati
-i Patarini, è l’ostinazione. Fra strazj e tormenti,
-al cospetto di morte obbrobriosa, non che convertirsi,
-più s’induravano, protestavansi innocenti, spiravano
-cantando lodi al Signore, colla speranza di presto congiungersi
-nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono
-memoria d’una fanciulla, di cui la bellezza e l’età mettevano
-in tutti compassione; talchè, deliberati a salvarla,
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-vollero assistesse mentre padre, madre, fratelli venivano
-consunti dalle fiamme, così sperando si sarebbe
-per terrore convertita: ma no; poi ch’ebbe durato alquanto
-lo spettacolo atroce, si svincola dalle braccia
-de’ suoi manigoldi, e corre a precipitarsi nelle fiamme,
-e confonde l’ultimo suo anelito con quello dei
-parenti<a class="tag" id="tag285" href="#note285">[285]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La più grave urgenza di queste eresie era la guerra
-che portavano alla Chiesa esteriore, scassinando i dogmi
-inerenti all’unità del sacerdozio, per costituire società
-religiose speciali. Pur troppo i loro attacchi trovavano
-appiglio nello scarmigliato vivere del clero, di cui
-e predicatori e poeti si accordano nell’attestare la
-depravazione.
-</p>
-
-<p>
-Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj
-che a lei convengono, riformare i suoi, ammonire o
-scomunicare i dissenzienti, e vi drizzò lo zelo principalmente
-dei nuovi frati: poi si valse anche di mezzi
-mondani e del braccio secolare. Che la società pagana
-non tollerasse le religioni diverse è attestato, non fosse
-altro, dalle migliaja di martiri. I padri della Chiesa
-proclamarono la libertà delle credenze, finchè la loro
-fu perseguitata; ma come, prevalsa questa, videro gli
-eretici turbarla, argomentarono che il reprimere gli
-errori fosse diritto e difesa legittima contro della persecuzione
-e della seduzione. Se la Chiesa è unica depositaria
-e interprete della verità, e in essa sola vi è
-salute, non dovrà con ogni modo opporsi alla propagazione
-dell’errore? Gl’imperatori di Roma cristiani,
-memori di quanto univano in sè i due poteri quali capi
-dello Stato e supremi pontefici, credettero che la legge
-dovesse, come i beni e la persona, così tutelare le
-credenze e il culto; e moltiplicarono decreti in tal
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-proposito<a class="tag" id="tag286" href="#note286">[286]</a>; diverse pene comminando, di rado la
-morte, perchè vi si opponevano i vescovi: a questi era
-affidato il decidere se un’opinione fosse ereticale; la
-cognizione del fatto e la sentenza spettavano al magistrato
-secolare.
-</p>
-
-<p>
-Così procedette la cosa nel declino dell’Impero Occidentale;
-così continuò in Oriente: ma fra noi, dopo
-l’invasione, se accadesse di punire un trasgressore
-delle leggi ecclesiastiche, i vescovi usavano quell’autorità
-mista di sacro e di secolare, che vedemmo ad
-essi attribuita. Talvolta ancora, considerandosi l’eresia
-come politica disobbedienza, procedeasi colla forza,
-siccome dicemmo di Eriberto arcivescovo di Milano.
-</p>
-
-<p>
-Ridesto il diritto romano, come alla tirannia, così
-vi si trovò appoggio alle persecuzioni contro i miscredenti,
-poco ricordando che la legge d’amore aveva
-abolita quella fiera legalità. Ottone III poneva Gazari e
-Patarini al bando dell’Impero e a gravi castighi. Federico
-Barbarossa, tenuto congresso a Verona con papa
-Lucio III, ordinò ai vescovi d’informarsi delle persone
-sospette d’eresia, e distinguere gli accusati, i convinti,
-i pentiti, i ricaduti; quelli convinti d’eresia sieno spogliati
-dei benefizj se religiosi e abbandonati al braccio
-secolare; i sospetti si purghino, ma se ricadono, vengano
-puniti senz’altro. Sgomentato dal vedere i Valdesi
-distendersi fra le Alpi, Giacomo vescovo di Torino pensò
-reprimerli anche col braccio secolare; laonde da Ottone
-IV ottenne ampia facoltà di espellerli dalla sua
-diocesi<a class="tag" id="tag287" href="#note287">[287]</a>. Indi Federico II al tempo della sua coronazione
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-fulminò pene temporali contro gli eretici, e le
-ripetè da Padova con quattro editti, ove, «usando la
-spada che Dio gli ha concesso contro i nemici della
-fede», vuole che i molti eretici ond’è singolarmente
-infetta la Lombardia, sieno presi dai vescovi e dati
-alle fiamme ultrici, o privati della lingua<a class="tag" id="tag288" href="#note288">[288]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-</p>
-
-<p>
-È questa la prima legge di morte contro i miscredenti:
-egli stesso poi nelle <i>Costituzioni del regno di
-Sicilia</i> ne pose un’altra, lamentandosi che dalla Lombardia,
-ove n’era il semenzajo, i Patarini fossero largamente
-penetrati in Roma e perfino nella Sicilia<a class="tag" id="tag289" href="#note289">[289]</a>,
-e a perseguitarli spedì l’arcivescovo di Reggio e il
-maresciallo Ricardo di Principato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-</p>
-
-<p>
-Sull’esempio e coll’autorità dei decreti imperiali, le
-varie città fecero statuti contro gli eretici: il senatore
-di Roma giurava non usare indulgenza ai Patarini, o
-incorrerebbe la pena di ducento marchi d’argento: in
-Milano fu posto che<i> qualunque persona a sua libera
-voluntate potesse prendere ciascuno heretico; item
-che le case dove eran ritrovati si dovessero rovinare,
-e li beni che in esse si ritrovavano fossero pubblicati</i><a class="tag" id="tag290" href="#note290">[290]</a>.
-L’arcivescovo Enrico di Settala, allora istituito
-inquisitore, <i>jugulavit hæreses</i>, come lo loda il suo
-epitafio; ma i cittadini lo discacciarono. Resta ancora
-in Milano la statua equestre di Oldrado da Trezzeno
-podestà, lodato nell’iscrizione perchè <i>Catharos ut debuit
-uxit</i><a class="tag" id="tag291" href="#note291">[291]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nè per questo cessavano gli eretici, e da Tolosa,
-Roma de’ Patarini, spargeano missionarj. L’armi spirituali
-essendo uscite indarno, Enrico cardinale vescovo
-di Albano implorò il braccio laico, e menato un esercito
-ad estirpar l’errore, mandò a ferro e a fuoco la
-Linguadoca. Innocenzo III, appena unto papa, divisò i
-modi di svellere quei bronchi dalla vigna di Cristo, e
-spedì monaci a predicare <span class="sidenote">(1205)</span>, esortando i principi a secondarli;
-e quando Ranerio e Guido inquisitori avessero
-scomunicato uno, i signori doveano confiscargli i beni
-e sbandirlo, e far peggio a chi resistesse. Di qui cominciò
-la crociata contro gli Albigesi, che non è da
-questo luogo il raccontare, ma dove sotto l’apparenza
-religiosa dibatteasi la nazionalità, giacchè la Francia,
-per ottenere quell’unità che tanti desidererebbero a
-qualsiasi costo anche per l’Italia, volle sottomettere la
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-Provenza e la Linguadoca, che come romane repugnavano
-dalle ordinanze germaniche, prevalse nel paese
-settentrionale <span class="sidenote">(1208)</span>. La spedizione fu accompagnata da tutti
-gli orrori delle guerre civili; ma solo gli adulatori del
-potere secolare poteano versarne ogni colpa sul papa
-e sulla religione. Oggimai la storia accertò che Innocenzo,
-mal informato delle iniquità commesse da ambe
-le parti, non avea mai cessato di predicar pace e moderazione,
-e dopo la vittoria spedì legato a-latere il
-cardinale Pietro di Benevento, perchè riconciliasse
-colla Chiesa gli scomunicati, e riducesse Tolosa a repubblica
-indipendente, purchè convertita; assolse i capi
-della insurrezione, e al figlio di Raimondo da Tolosa,
-condottiero della guerra, prodigò consolazioni, assegnò
-il contado Venesino, Beaucaire e la Provenza, e ripeteva: — Abbi
-pazienza fino al nuovo concilio».
-</p>
-
-<p>
-Sotto i suoi successori la guerra fu proseguita colla
-ferocia delle guerre nazionali, finchè la Provenza restò
-sottoposta affatto al re di Francia. Questo era san Luigi,
-e al nuovo acquisto volle accomunare i provvedimenti
-che contro l’eresia vegliavano in Francia, dov’essa,
-secondo il diritto comune, era considerata delitto
-contro lo Stato, e punita del fuoco. Romano, cardinale
-di Sant’Angelo, per ottenerne la estirpazione raccolse
-un concilio <span class="sidenote">(1213)</span>, dove si stabilì che i vescovi nominerebbero
-in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o
-tre laici, i quali giurassero <i>inquisire</i> gli eretici, e farli
-noti ai magistrati; chi ne celasse alcuno, fosse punito;
-e distrutta la casa dove uno fosse côlto. Tal è l’origine
-del tribunale dell’Inquisizione, specie di corte marziale
-in paese sovvertito da lunga guerra, e dove rinasceva
-la mal repressa sollevazione. Invece delle precedenti
-stragi, e dei tribunali senza diritto di grazia, l’inquisizione
-era esercitata da ecclesiastici, gente più addottrinata
-e meno fiera; ammoniva due volte prima di
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva
-al pentimento, e spesso contentavasi di castighi
-morali; col che salvò moltissimi, che i tribunali secolari
-avrebbero condannati. Gregorio IX poi la sistemò <span class="sidenote">(1233)</span> col
-togliere ai vescovi i processi, onde riservarli ai frati
-Predicatori.
-</p>
-
-<p>
-L’Inquisizione avea potestà su tutti i laici, non esclusi
-i dominanti; ed anche sul basso clero. Arrivato nella
-città, l’inquisitore ne dava avviso ai magistrati invitandoli
-a sè; e tosto il capo giurava far eseguire i
-decreti contro gli eretici, ed ajutare a scoprirli e coglierli;
-se alcun uffiziale del principe disobbedisse,
-l’inquisitore poteva sospenderlo e scomunicarlo, e mettere
-all’interdetto la città. Le denunzie aveano effetto
-soltanto se il reo non si presentasse di voglia; scorso
-il termine, era citato; e i testimonj interrogavansi coll’assistenza
-dell’attuaro e di due ecclesiastici. L’istruzione
-preparatoria riusciva sfavorevole? gl’inquisitori
-ordinavano l’arresto dell’accusato, più non protetto da
-privilegi od asili. Arrestato, nessun più comunicava
-con esso, faceasi la visita della sua casa, e il sequestro
-de’ beni.
-</p>
-
-<p>
-Secondo il diritto germanico, ogni libero è obbligato
-intervenire al giudizio e alla sentenza; le prove di Dio
-traevano il popolo a spettacolo; il signore feudale convocava
-i vassalli per rendere giustizia; e la natura dei
-giudici e del giudizio portava semplicità di procedure.
-Ma ne’ paesi di stirpe romana conosceansi le leggi antiche,
-di molti affari faceasi carta, il giudizio stesso si scriveva;
-pure non si pensava ancora di occultare i testimonj
-al prevenuto, nè di torgli i sussidj che sogliono concedersi
-in negozj di minore importanza, come sono i civili.
-</p>
-
-<p>
-Una costituzione di Celestino III e d’Innocenzo III,
-riferita nel <i>Diritto canonico</i><a class="tag" id="tag292" href="#note292">[292]</a>, distingue le procedure
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-per accusa secondo il codice romano, per denunzia,
-e per inquisizione; ma in tutte sono pubblicate
-le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento.
-Gli eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica,
-benchè mancassero del giudizio dei pari, poteano conoscere
-i testimonj e l’accusatore, avere un consiglio, e
-pubblico dibattimento. Solo Bonifazio VIII dispensò gli
-inquisitori da tante forme qualora ne derivasse pericolo
-ai testimonj<a class="tag" id="tag293" href="#note293">[293]</a>; Innocenzo VI, dichiarando che tal
-pericolo può presumersi sempre, generalizzò la riserva,
-e così venne la procedura secreta, per quanto ostassero
-i leggisti, la nobiltà, gli uomini comuni che si trovavano
-esposti all’arbitrio. Tolta la discussione pubblica,
-ai giudici cessò il modo d’acquistare intima convinzione,
-e a regole aritmetiche fu sottoposta la coscienza, inventando
-una convinzione legale diversa dalla convinzione
-morale, frazionando le prove, e portando fino
-alla odierna illiberalità.
-</p>
-
-<p>
-Dalla quale è chiaro quanto fossero lontani i primi
-tribunali d’inquisizione. Ne’ governi teocratici, come
-quelli del medioevo, la religione non va distinta dalla
-politica; laonde l’eresia è giustiziabile dal braccio secolare.
-Poi gl’inquisiti erano imputati d’altri delitti contro
-i cardini della società, come sono la famiglia, la proprietà,
-l’onore, i quali oggi pure si castigherebbero:
-se ne fossero colpevoli o no, è difficile assicurarlo,
-come in tutti i processi secreti. Piantato un tribunale,
-potea sperarsi differente dagli altri del suo tempo? onde
-si videro rinnovate tutte le sevizie de’ processi di Roma
-pagana, e il cavillo e la tortura e supplizj esacerbati.
-</p>
-
-<p>
-L’Inquisizione desta raccapriccio ai buoni Cristiani
-per le taccie che attirò sopra la religione nostra, e
-perchè parve giustificare incolpazioni gravissime. Ma
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-oltre essere, nel fatto e in relazione co’ suoi tempi, assai
-meno orribile che non si sparnazzi, essa proponevasi
-almeno un fine morale, a differenza delle istituzioni
-oggi sostituitele, ove si procede e castiga nell’interesse
-d’un principe o per mantenere un dominio costituito
-sulla forza: se restringeva il pensiero, il faceva o credea
-farlo per salvezza delle anime, non per puro vantaggio
-d’un potere dominante: nè quegli spaventi tolsero il
-sorgere di grandi e robusti pensatori.
-</p>
-
-<p>
-La Chiesa poi, sebbene non ne abbia mostrato orrore,
-e siasene valsa come d’una legittima difesa e di
-una prevenzione contro mali gravissimi, non approvò
-mai, almeno in concilio, un’istituzione siffatta. Sopratutto
-vuolsi ben distinguerla dalla Inquisizione spagnuola,
-fiera e indipendente a guisa d’una vendetta
-nazionale, giacchè nei Mori perseguitava non solo i
-nemici della religione, ma gli stranieri conquistatori
-contro cui erasi menata per otto secoli la guerra. La
-congregazione del Sant’Uffizio a Roma, composta di
-sei cardinali, e fondata da Paolo III nel 1542, non versò
-sangue<a class="tag" id="tag294" href="#note294">[294]</a>, benchè fosse il tempo che uomini bruciavansi
-in Francia, in Portogallo, in Inghilterra. Ecco
-perchè nel secolo xvi vedremo i nostri respingere fin
-coll’armi l’Inquisizione spagnuola, mentre invocavano
-la romana.
-</p>
-
-<p>
-Stando ai primi tempi, non mancò da fare all’Inquisizione
-anche fuori di Linguadoca, e in Italia variissime
-di forma ed estese furono le eresie. Intanto la vicinanza
-del papa e l’esservi egli anche principe temporale abituava
-a resistergli; e nei conflitti di Guelfi e Ghibellini
-si metteva in discussione l’autorità sua, col passaggio
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-che troppo è facile dalla mondana alla spirituale. I
-Comuni aveano acquistato la libertà strappandola ai
-vescovi, sicchè era scemata la riverenza a questi, e in
-molte lettere i pontefici ne movono querela alle nostre
-repubbliche, le quali anche non di rado violarono e i
-beni e le persone dei vescovi<a class="tag" id="tag295" href="#note295">[295]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Uscente il <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo, Orvieto formicolava di Manichei,
-introdotti dal fiorentino Diotisalvi, e da un Girardo di
-Marsano; e diceano nulla significare il sacramento dell’eucaristia,
-il battesimo non occorrere alla salvezza,
-non giovarsi ai morti con limosine ed orazioni. Espulsi
-questi dal vescovo, comparvero Melita e Giulita, che
-uomini e donne sedussero con aspetto di santità, finchè
-il vescovo col consiglio di canonici, giudici ed altri, ne
-esigliò ed uccise molti. Un Pier Lombardo vi venne
-poi da Viterbo, contro del quale Innocenzo III deputò
-Pietro da Parenzo, nobile romano, che ricevuto fra
-ulivi e palme, proibì i combattimenti che si costumavano
-in carnevale e che finivano in sangue; ma poichè
-gli eretici stimolarono a disobbedire, il primo giorno
-di quaresima si mischiò fiera zuffa, e Pietro fece abbattere
-le torri donde i grandi aveano ferito il popolo,
-e diè buoni provvedimenti. A Pietro tornato il papa
-domandò: — Come hai bene eseguito gli ordini nostri? — Così
-bene, che gli eretici mi cercano a morte. — Dunque
-va, persevera a combatterli, chè non possono
-uccidere se non il corpo; e se t’ammazzeranno,
-io t’assolvo d’ogni peccato». E Pietro, fatto testamento
-e congedatosi dalla desolata famiglia, ritornò<a class="tag" id="tag296" href="#note296">[296]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo mosse in persona contro i molti Manichei
-di Viterbo, rimbrottò i cittadini che tra quelli sceglievano
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-i consoli, e ordinò che, qualunque ne fosse trovato
-sul patrimonio di san Pietro, lo consegnassero al
-braccio secolare per castigarlo, e i beni dividerne fra
-il delatore, il Comune e il tribunale giudicante<a class="tag" id="tag297" href="#note297">[297]</a>.
-D’altri abbiam ricordo in Volterra, dove gl’inquisitori,
-a malgrado del vescovo, atterrarono alcune case di
-eretici in Montieri<a class="tag" id="tag298" href="#note298">[298]</a>. Nel 1193 il vescovo di Worms,
-legato dell’imperatore Enrico VI, venuto a Prato, fece
-distruggere case e possessi dei Patarini, con severo
-divieto di dar loro consiglio od ajuto, o di mettere
-ostacolo a lui quando li facesse incarcerare<a class="tag" id="tag299" href="#note299">[299]</a>. Bandi
-severissimi contro Catari e Patarini e d’altro nome
-novatori pubblicò Gregorio IX in qualità di sovrano di
-Roma, volendo fossero mandati al fuoco, o se si convertivano,
-a carcere perpetuo; e guaj a chi li raccogliesse
-o non denunziasse. Molti in fatto furono arsi,
-molti chiusi a penitenza nei monasteri di Montecassino
-e della Cava.
-</p>
-
-<p>
-Come ricettatore d’eretici fu assalito, per insinuazione
-d’Innocenzo IV, il conte Egidio di Cortenova nel
-Bergamasco, e distruttone il castello. Molti ne avea
-Brescia, così sfacciati, che dalle torri scagliando fiaccole
-ardenti scomunicavano la Chiesa romana. Contro di
-loro papa Onorio III inviò il vescovo di Rimini, il quale
-abbattè più chiese da essi contaminate <span class="sidenote">(1225)</span>, e le torri dei
-Gàmbara, degli Ugoni, degli Oriani, dei Bottazzi. Altri
-in Piacenza bruciò il podestà Raimondo Zoccola; sessanta
-a Verona frà Giovanni di Schio in tre giorni subito
-dopo la pace di Paquara <span class="sidenote">(1233)</span>. Nè il Regno ne mancava,
-ed è probabilmente come una protesta contro le costoro
-predicazioni che un eremita calabrese andava attorno
-gridando nel dialetto patrio: <i>Benedittu, laudatu e santificatu
-<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
-lu Patre; benedittu, laudatu e santificatu lu
-Fillu; benedittu, laudatu e santificatu lu Spiritu
-Santu</i><a class="tag" id="tag300" href="#note300">[300]</a>. Ivone da Narbona scriveva a Gerardo arcivescovo
-di Bordeaux, come viaggiando in Italia e’ si
-finse cataro, lo perchè in tutte le città ebbe lietissime
-accoglienze; e «a Clemona, città celebratissima del
-Friuli, bevvi squisiti vini de’ Patarini, robiole, ceratia,
-ed altri lachezzi»<a class="tag" id="tag301" href="#note301">[301]</a>. Costoro vescovo era un tal
-Pietro Gallo, che, scoperto di fornicazione, fu cacciato
-di seggio e dalla società.
-</p>
-
-<p>
-Contraddisse vivamente all’errore Antonio di Padova <span class="sidenote">(1195-1231)</span>,
-nativo di Lisbona, italiano di dimora, che dai Padovani
-impetrò remissione ai debitori incolpevoli, e che a
-nome della religione e dell’umana libertà protestò contro
-Ezelino, il quale diceva aver più paura de’ frati
-Minori che di qualsiasi persona al mondo. Singolarmente
-in Rimini combattè gli eretici colla parola e coi
-miracoli, giacchè una volta non badandogli gli uomini,
-furono veduti i pesci venir su per la Marecchia, e collocarsi
-a bocca aperta ad ascoltarlo; un’altra un giumento,
-da lungo tempo digiuno, si prostrò davanti
-all’ostia consacrata, benchè il padrone patarino gli porgesse
-il truogolo dell’avena. Egli fu da Gregorio IX
-dichiarato arca dei due Testamenti, armadio delle divine
-scritture; e dai popoli il taumaturgo, il santo;
-per ornare il cui tempio parvero a gara risuscitare
-le arti.
-</p>
-
-<p>
-Martello degli eretici fu detto san Tommaso d’Aquino;
-nè men fervoroso apparve san Bonaventura. In Toscana,
-una matassa di proseliti avea fatti il vescovo
-Paternon: Gregorio IX aveva ordinato a frà Giovanni
-da Salerno <span class="sidenote">(1128)</span> compagno di san Domenico e ad altri di
-procedere giuridicamente contro costui; e il Paternon
-<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
-abjurò, ma ben tosto ricadde, e la potenza de’ suoi settarj
-lo assicurava d’impunità, e quando per prudenza
-mutò paese, gli furono surrogati nel ministerio Torsello,
-poi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che con
-un Marchisiano e un Farnese erano da prima ministri
-di esso vescovo.
-</p>
-
-<p>
-Il primo inquisitore domenicano stabilito regolarmente
-a Firenze fu frà Ruggero Calcagni, con autorità
-d’aver tribunale in convento; cominciò un processo nel
-1243, citando gran numero di Patarini, ed oltre le
-pene pecuniarie e la censura ai contumaci, il papa aveva
-ingiunto alla Signoria di consegnare i rei in mano
-degli ecclesiastici. Caporioni degli eretici comparivano
-Baron del Barone e Pulce di Pulce, appoggiati dalla
-fazione imperiale, e secondati da Gherardo Cavriani e
-casa sua, Chiaro di Manetto, conte di Lingraccio, Uguccione
-di Cavalcante, i Saraceni, i Malpresa, e da molte
-dame, fra cui Teodora Pulce, un’Aldobrandesca, una
-Contrelda, un’Ubaldina ed altre, che erano sempre le
-prime a dare impulso alle collette apertesi a favore dei
-poveri e de’ predicanti. Teneansi le adunanze in casa
-de’ baroni, che, come dipendenti dall’Impero, rimanevano
-esenti dalla giurisdizione comunale: Ruggero però
-ne fece carcerare alquanti, e avendoli i baroni rimessi
-in libertà, il papa esortò la Signoria a conservar forza
-alle leggi, e per appoggio inviò frà Pietro da Verona.
-</p>
-
-<p>
-Il costui zelo s’infervorò contro di essi; la piazza di
-Santa Maria Novella era angusta alla folla accorrente
-per udirlo, sicchè ad istanza di lui la Signoria dovette
-farla ampliare; la società de’ Laudesi, da lui istituita,
-cantava Maria e il Sacramento <span class="sidenote">(1244)</span>, quasi a sconto degli
-oltraggi che questi riceveano dai Patarini. Sistemò
-pure alquanti nobili per guardia al convento dei Domenicani,
-ed altri che eseguissero i decreti di questi,
-donde sorse la sacra milizia dei Capitani di Santa
-<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
-Maria<a class="tag" id="tag302" href="#note302">[302]</a>. Crebbero allora processi ed esecuzioni, per
-quanto i signori le gridassero inumane e illegali, e si
-appellassero all’Impero: e avendo il podestà Pace da
-Pesannola bergamasco tolto a difendere i Patarini e
-protestato contro le sentenze, dagl’inquisitori con solennità
-fu interdetto <span class="sidenote">(1255)</span>; ne nasce parte e tumulto, le chiese
-sono manomesse, di macello contaminati il Trebbio,
-la Croce, piazza Santa Felicita, finchè i Cattolici riescono
-superiori.
-</p>
-
-<p>
-Segnalato per tanto zelo, Pietro viene a farne prova
-sui Cremonesi e Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie
-mal riuscite contro Federico II, bestemmiavano
-il cielo, insultavano ai riti, e sospendeano capovolti i
-crocifissi. Cominciò egli la persecuzione; ma Stefano
-de’ Gonfalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono,
-e lo fecero uccidere mentre passava da
-Milano a Como. Egli trafitto intrise il dito nel proprio
-sangue, scrisse per terra <i>Credo</i>, e spirò <span class="sidenote">(1252)</span>. D’egual moneta
-aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona
-sulla piazza di Piacenza mentre predicava: Pietro d’Arcagnago,
-frate Minore, fu scannato in Milano presso
-Brera per opera di Manfredo da Sesto caporione dei
-Patarini lombardi con Roberto Patta da Giussano; frà
-Pagano da Lecco, trucidato co’ compagni mentre andava
-a stabilire l’Inquisizione in Valtellina; ed altri. Nel
-1279, avendo gl’inquisitori condannata al fuoco una
-Tedesca in Parma, i cittadini insorsero, saccheggiando
-<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
-il convento de’ Domenicani, alcuni anche ferendone,
-talchè i frati a croce alzata partirono. Ma il podestà e
-gli anziani e i canonici li seguirono e gl’indussero a
-tornare, promettendo rifarli dei danni e punire gli offensori<a class="tag" id="tag303" href="#note303">[303]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A Pietro da Verona, subito venerato col nome di
-san Pietro Martire, successe frà Ranerio Saccone suddetto,
-che spianò la <i>Gatta</i> ritrovo degli eretici <span class="sidenote">(1259)</span>, e fece
-bruciare i cadaveri di due loro vescovi, Desiderio e
-Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè
-Martin Torriano nol fe cacciare.
-</p>
-
-<p>
-Nè per tanto Milano restò purgata, e vi levò rumore
-una Guglielmina, diceano oriunda di Boemia e di gente
-reale, e che spacciava essere lo Spirito Santo incarnato;
-da Raffaele arcangelo annunziata a sua madre il dì della
-Pentecoste, come mandata a redimere i Giudei, i Saracini
-e i cattivi Cristiani; dover morire, poscia risorgere,
-ed elevare al cielo l’umanità femminile. Quanto
-visse, il popolo la venerò; morta, fu tumulata splendidamente
-a Chiaravalle, casa de’ Cistercensi presso Milano,
-e tenuta in conto di santa: ma poi l’Inquisizione cominciò
-ad esaminare i miracoli spacciati, e il vulgo
-colla solita versatilità suppose che le adunanze de’ suoi
-proseliti fossero convegni di nefandi peccati; onde le
-ossa di lei furono gettate alle fiamme coi primarj suoi
-seguaci.
-</p>
-
-<p>
-Anche alcuni frati Minori, lasciata la loro religione,
-viveano solitarj, affettando estremo rigore, ed erano
-chiamati Fraticelli, Bizocchi, Beghini, principalmente
-negli Abruzzi e nella marca d’Ancona, ed ebbero a
-maestri un frà Pietro da Macerata e frà Pietro da Forosempronio.
-Scoperti di errori, vennero condannati e
-perseguitati (vedi Cap. <span class="smcap lowercase">CXVII</span>).
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito
-alla contemplazione, e fissando un quadro ov’erano
-rappresentati gli Apostoli avvolti in mantelli cogli zoccoli
-e la barba, credette doverli imitare in quel vestito,
-e fin nel circoncidersi e farsi fasciare e adagiare in
-cuna al modo del celeste bambino. Formò seguaci che
-si dissero Apostolici; vendette quanto possedeva, e
-dalla ringhiera di Parma gittò il denaro a una ciurmaglia
-che giocava; ed iva predicando, da chi creduto
-santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe cogliere
-(1280) e metter prigione; ma egli si finse pazzo,
-onde tenuto cortesemente in vescovado, divenne ludibrio
-del servidorame; poi sbandito, e di nuovo al fine
-richiamato, convinto di vizj, fu bruciato il 18 luglio
-1300.
-</p>
-
-<p>
-Frà Dolcino e Margherita sua donna predicavano
-attorno a Novara, togliendo ogni restrizione fra i sessi,
-e permettendo lo spergiuro in cose d’inquisizione; traevansi
-dietro migliaja di proseliti, sinchè, per ordine di
-Clemente V, furono cerchiati ed uccisi<a class="tag" id="tag304" href="#note304">[304]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’Inquisizione fu ammessa in Venezia il 1286, composta
-di tre giudici, che erano il vescovo, un Domenicano,
-e il nunzio apostolico, sotto la sorveglianza dei
-magistrati ordinarj; nè poteano sedere in tribunale
-senza commissione sottoscritta dal doge. Procedere
-doveano puramente contro l’eresia; non contro Turchi
-ed Ebrei che non erano eretici; non contro Greci,
-perchè la loro controversia coi papi non era per anco
-stata risolta; non contro i bigami, perchè il secondo
-matrimonio essendo nullo, aveano violato le leggi civili,
-non il sacramento; gli usuraj pure non intaccavano
-<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
-alcun dogma; i bestemmiatori mancavano di riverenza
-alla religione, ma non la negavano; neppure stregoni e
-fatucchiere doveano essere passibili a quel tribunale,
-se non si provasse che avessero abusato de’ sacramenti.
-</p>
-
-<p>
-Agli erranti la Chiesa contrastava anche col crescere
-devozione alle cose che da quelli erano conculcate. La
-compagnia dei Laudesi dalla Toscana erasi propagata
-nella Lombardia. Giovanni da Schio, il famoso paciere,
-instituì il pio saluto del <i>Sia lodato Gesù Cristo</i>. La
-venerazione verso il Sacramento fu cresciuta da miracoli
-che allora si narrarono: Urbano IV estese a tutta
-la Chiesa la festa del <i>Corpus Domini</i>, e Tommaso d’Aquino
-ne compose la bella uffiziatura. A Maria poi si
-tributò l’entusiasmo col quale i cavalieri veneravano le
-dame loro; e il dogma dell’immacolata sua concezione
-fu sostenuto fervorosamente dai Francescani; ad onore
-di lei si formò un salterio sulla forma del davidico; di
-lei parlarono Pier Damiani, Bernardo, Bonaventura, con
-un ardore che rimembra quel dello sposo de’ Cantici; e
-fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e
-con fiori di tenerezza. L’<i>ave Maria</i> si rese generale
-verso il 1240. San Domenico introdusse il rosario; divozione
-che fu poi connessa alla ricordanza della vittoria
-di Lèpanto (1573), quella in cui fu decisa la
-superiorità de’ Cristiani sopra i Turchi, nell’ora appunto
-che in tutto l’orbe cattolico recitavasi quella semplice
-formola di saluto, di congratulazione, di condoglianza,
-di preghiera.
-</p>
-
-<p>
-Maria ispira le opere d’arte d’allora: il suo scapolare,
-propagato dai monaci del Carmelo, orna il petto
-di tutti, come una divisa di combattenti contro le passioni:
-ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti, della Mercede
-sotto gli auspizj di lei, quello s’aggiunge dei Gaudenti,
-da Linguadoca passati in Italia <span class="sidenote">(1208)</span>, ove singolarmente
-si resero memorabili. Continuavano essi a vivere nel
-<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
-mondo e nel matrimonio, «solo imposto odiare e fuggire
-il vizio, desiare e seguir la virtù, ed alcuna soave
-soavissima regola, data in segno di onestà, in remissione
-d’ogni peccato, ed in premio d’eterna vita» (<span class="smcap">Frà
-Guittone</span>).
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap90">CAPITOLO XC.
-<span class="smaller">La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del
-canonico. Le Università. Le Scienze occulte.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Questi conflitti della ragione contro l’autorità, questo
-esame delle credenze, quest’indipendenza del pensiero
-attestano che non fosse così servile la fede, così intera
-l’ignoranza, come cianciano alcuni.
-</p>
-
-<p>
-Hanno intitolato il decimo secolo di tenebre e di
-ferro, giacchè, cessato l’impulso dato da Carlo Magno,
-alle grandi sventure soccombeva ogni tentativo di pacifiche
-ricerche. Eppure un chierico di Novara interrogava
-per lettera i monaci di Reichenau, se tenessero
-per Aristotele il quale non crede agli universali, o per
-Platone che gli ammette; ed essi rispondeano, entrambi
-godere tale autorità, che non si osa l’uno all’altro preferire<a class="tag" id="tag305" href="#note305">[305]</a>.
-Dunque conoscevansi i grandi pensatori, si
-studiava, si dubitava, si chiedeva, s’intrecciavano su
-ciò corrispondenze lontane, si agitavano le quistioni
-supreme, e fra gente incatenata alle regole durava l’indipendenza
-del pensiero, esercitata nei modi del tempo.
-Chi sia imbevuto de’ pregiudizj filosofistici dee restare
-attonito allorchè di buona fede osservi come, nella
-<i>neghittosa ignoranza</i> de’ chiostri, il bisogno del pensare
-<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
-agitasse que’ monaci vilipesi; come senza scrupolo
-e senza apprensioni usando della propria ragione, affrontassero
-i problemi cardinali dell’intelligenza.
-</p>
-
-<p>
-Le scienze, giusta la divisione di Marciano Capella,
-erano distribuite in sette, formanti un trivio e un quadrivio:
-al primo appartenevano la grammatica, la retorica,
-la dialettica; al secondo l’aritmetica, la geometria,
-l’astronomia, la musica<a class="tag" id="tag306" href="#note306">[306]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma come la religione era base della società, così
-scienza capitale la teologia; nè quasi altri che il clero
-avea tempo e mezzi di volgere l’attività dagl’interessi
-del secolo a quelli della dottrina e della verità. I primi
-Padri del cristianesimo aveano fondata la loro scienza
-sulla Bibbia, spiegandola e commentandola giusta il
-sentimento loro particolare e quel della Chiesa. I successivi
-arrestarono lo studio su quelli, facendone estratti
-e catene per proprio comodo, onde all’uopo fiancheggiarsi
-delle loro asserzioni: e come la giurisprudenza
-romana sopra certi assiomi, così la teologia posava
-sull’autorità, limitandosi ad applicarla con argomentazione
-sottile, affar di logica e nulla più, trascurando
-l’indagine dei fatti e il sentimento della realtà.
-</p>
-
-<p>
-Boezio, usando la filosofia greca e pagana per raffinare
-la scienza cristiana, nell’<i>Organon</i> svolse il raziocinio
-senza intaccare la fede, e divenuto autore universale,
-<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
-abituò gl’intelletti a una rigorosa coerenza di
-discutere, dimostrare, difendere, impugnare per via di
-regole prefinite; quella dialettica insomma, che prima
-l’italiano Zenone d’Elea aveva insegnata, e che fu delle
-primarie coadjutrici della scienza greca, ma che, se si
-restringa a pure forme e categorie, impaccia la ragione,
-mentre intende soccorrerla. Tale divenne nelle
-scuole, onde prese il nome di <i>scolastica</i>, troppo a torto
-derisa.
-</p>
-
-<p>
-Questa geometria della ragione mette innanzi precisamente
-il suo teorema, da principj inconcussi deduce
-con raziocinio serrato, senza abbellimenti nè svaghi,
-valendosi solo di parole chiaramente definite, eliminando
-le idee vaghe e i termini equivoci, e procedendo
-sempre dal noto all’ignoto. Que’ principj generali indubitabili
-non potea darli che la rivelazione. Si esercitavano
-sulle due nozioni fondamentali del Creatore e della
-creatura, per trovarne e chiarirne la relazione ch’è la
-fonte d’ogni morale, e conciliare la fede rivelata colla
-ragion pura e coi fenomeni della vita esterna; limitavansi
-insomma a difendere e chiarire dogmi parziali, a
-vedere in che modo accettar la rivelazione e conoscere
-il sentimento comune, rinunziando alla disputa non
-appena la Chiesa avesse sentenziato.
-</p>
-
-<p>
-Nulla più facile che l’abusare della logica. Il minuzioso
-speculare disgiunto dall’applicazione, dalla sperienza,
-dalla erudizione, da ogni bellezza, le frivole
-distinzioni, il sillogizzare non tanto per raggiungere la
-verità, quanto per uniformarsi a certe regole o per avviluppare
-gli avversarj, il puntigliarsi fin sulla distinzione
-di sillabe, congiunzioni, preposizioni, e innestare
-alla dialettica quanto di vano comprendevano la grammatica
-e la geometria affine di dimostrare ogni cosa,
-perfino i contrarj, furono gli abusi della Scolastica, che
-mettendo la disputa per iscopo non per mezzo, e confondendo
-<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
-il metodo colla sostanza, faceva invanire e
-delirare nella presunta onnipotenza della logica.
-</p>
-
-<p>
-Suo oracolo era Aristotele, per verità maestro eccellente,
-perchè in esso trovasi anche la critica degli altrui
-sistemi e il modo di confutarli, mentre Platone non dà
-che il proprio dogma. Ma lo Stagirita che erige in
-principio supremo la natura, come poteva essere l’oracolo
-d’una scienza tutta religiosa? Poi esso giungeva in
-Europa nelle versioni e commenti de’ Musulmani e degli
-Ebrei, che gli aveano prestato assurdi sentimenti e sofisterie.
-I nostri, nel tradurre quelle traduzioni, nuovi
-errori vi sovraposero; nè la critica e la filologia sapevano
-riconoscervi l’alterazione, mentre l’idolatria professatagli
-impediva di crederlo in fallo. Anzichè duce,
-ne venne un ingombro d’errori, fatica erculea a quelli
-che voleano conciliarli colla teologia dogmatica. Più
-tardi Federico II ne procurò una versione sopra il testo
-greco, e la fece deporre nell’università di Bologna;
-Manfredi suo figlio la spedì a Parigi: ma nulla ce ne
-rimane per poter dire quanto avviasse alla retta intelligenza
-di quello che per antonomasia chiamavasi
-l’Autore.
-</p>
-
-<p>
-Quest’esclusiva predilezione incagliava lo sviluppo cattolico
-delle scienze, e le logiche speculazioni sviavano
-dalle ricerche storiche, baloccandosi attorno a frivole
-quistioni. Cosa faceva e dove stava Iddio prima di
-creare? se nulla avesse creato, qual sarebbe la sua
-prescienza? potè egli fare le cose in altro modo da
-quel che le fece? v’ha tempo in cui egli conosca più
-cose che in un altro? può fare che ciò che è non sia,
-e per esempio, che una meretrice sia vergine? Iddio,
-incarnandosi, si unì all’individuo od alla specie? il
-corpo di Cristo alla destra del Padre sta seduto o in
-piedi? e le vesti con cui comparve agli apostoli dopo
-risorto, erano reali od apparenti? e le assunse con sè
-<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
-in cielo? e ve le tiene ancora? e nell’eucaristia sta nudo
-o vestito? che divengono le specie eucaristiche dopo
-mangiate? in qual maniera s’operò l’incarnazione nel
-seno di Maria? san Paolo fu rapito al terzo cielo nel
-corpo o senza? il pontefice potrebbe cassare i decreti
-degli apostoli, e formare un articolo di fede? o abolire
-il purgatorio? è semplice mortale, o una specie di divinità?
-e tutta la Bibbia diveniva un’arena di disputazioni,
-secondo che gli uni vi rintracciavano il senso letterale,
-altri l’allegorico, altri il mistico. Censurare,
-come si fa, la scienza per gli abusi che ne derivarono,
-è ingiusto come di chi condannasse la letteratura
-odierna a cagione de’ giornalisti; e tanto più che quelle
-formole e quello spineto non erano frutto della barbarie,
-ma già si trovano ne’ dialettici antichi, anzi in
-Aristotele stesso.
-</p>
-
-<p>
-La Chiesa non soffogava quell’attività, ma stava in
-occhi a tutelare i dogmi, e ben presto fu chiaro che
-con questi tutelava la verità e la ragione. Accortasi degli
-errori che rampollavano sopra la dottrina aristotelica,
-talora ne proibì l’insegnamentò: onde altri si diedero
-a sceverare due ordini di verità, la filosofica e la religiosa:
-e lasciando arbitri di questa i santi Padri, discutevano
-secondo Aristotele i fenomeni dell’intelletto,
-l’origine e il valore delle idee, i fondamenti della conoscenza,
-in somma la metafisica.
-</p>
-
-<p>
-Altri hanno faticosamente tratteggiato i procedimenti
-del pensiero in que’ secoli mal conosciuti; e noi,
-limitandoci alle glorie italiane, ricorderemo gl’insigni
-Lanfranco di Pavia e Anselmo d’Aosta, che in Inghilterra
-rappresentarono il principio spirituale a fronte
-del potere politico. Il primo, nato da famiglia senatoria <span class="sidenote">(1005-89)</span>,
-educato nelle scuole di arti liberali e di legislazione
-secondo il patrio costume<a class="tag" id="tag307" href="#note307">[307]</a>, andò frate, e non sentendosi
-<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
-vigore bastante pei lavori campestri a cui si
-dedicavano i monaci, già godendo grido di dialettico e
-giureconsulto nella patria scuola de’ giudici longobardi,
-recossi in Normandia. Aggresso da masnadieri e lasciato
-avvinto a un albero tutta la notte, aspettando la
-morte volle pregare, e trovò che neppur una preghiera
-sapeva a memoria. Vergognoso, stabilì darsi tutto a
-Dio, e liberato da alcuni passeggeri, si fe da loro indicare
-il convento più umile e povero. Gli nominarono
-Bec, ed egli vi si rese, subì un severo noviziato, tacendo
-per tre anni, e quando leggeva in refettorio, il priore
-lo rimproverava di proferir male il latino: una volta
-lo corresse dell’aver fatta lunga la seconda di <i>docere</i>,
-e il valente dottore si rassegnò a proferirla breve, stimando
-un errore di prosodia minor male che una
-insubordinazione.
-</p>
-
-<p>
-In questa docilità imparò a comandare, e presto fu
-assunto arcivescovo di Cantorberì, a consigliere e ministro
-di Guglielmo conquistatore dell’Inghilterra; e
-sostenendo l’interesse cattolico in quell’isola dopo soggiogata
-dai Normanni, favorì a questi perchè credea
-giovassero a quello. Negl’impacci di chi è a parte dell’autorità
-e sembra farsene strumento, quante volte ribramò
-e chiese la solitudine del suo chiostro, ove ad
-assicurar la pace della coscienza basta una cosa, obbedire!
-Ma il terribile conquistatore spesso correggeva o
-frenava; udendo un cortigiano paragonare la reggia
-alla maestà del cielo, come avrebbe potuto fare un poeta
-napoleonico, esortò a farlo vergheggiare perchè più
-non osasse bestemmie tali: se accondiscese a Guglielmo,
-seppe evitare il conflitto che prevedeva imminente col
-potere ecclesiastico.
-</p>
-
-<p>
-I tanti affari non lo distolsero dagli studj, e risuscitando
-<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span>
-l’arte critica, confrontò, corresse i testi che Berengario
-avea falsati per negare la presenza reale nell’eucaristia:
-sviluppandosi dalle fasce scolastiche, spaziò
-in modo oratorio; e riprovando la sottigliezza dei tropi
-e dei sillogismi e l’<i>inane dialettica</i> d’Aristotele, chiama
-sapiente chi conosce e glorifica Dio, e pienezza della
-dottrina l’intenderne il mistero e la sapienza.
-</p>
-
-<p>
-Discepolo suo, e successore nel priorato di Bec, poi
-nell’arcivescovado, Anselmo d’Aosta <span class="sidenote">(1033-1109)</span>, con fermezza calma
-e dolce, non affrontando la persecuzione, ma non isviando
-punto dal sentiero per evitarla, intelletto elevato e cuor
-puro, carattere amabile che traeva grandezze dalla fede
-profonda e dall’amor di Dio, per sagacia e pietà fu
-qualificato un secondo Agostino, e sulle traccie di questo
-diede dimostrazioni ancor venerate sopra l’essenza divina,
-la trinità, l’incarnazione, la creazione, l’accordo
-del libero arbitrio colla Grazia. I suoi monaci l’aveano
-pregato a valersi di forme agevoli, e d’argomenti adatti
-alla comune capacità, e provare per via di raziocinj
-rigorosi e necessarj<a class="tag" id="tag308" href="#note308">[308]</a>: e in fatto nel <i>Monologium</i>
-s’industria a spiegare la scienza delle cose soprannaturali
-per via di razionali principj, cercando l’alleanza
-della fede colla ragione, proteggendo la religion naturale
-e la rivelata da tutte le objezioni mediante un
-argomentar sottile; estendendosi anche alla metafisica
-e alla fisica, che speculano l’una sulla parola rivelata,
-l’altra sulla natura manifestata dai sensi; e digredendo
-su altre materie non immediatamente connesse col
-dogma. Al supremo problema dell’intelletto cercò egli
-spiegazione nell’idea universale, la quale non potrebbe
-sussistere come percezione dello spirito senza la realità
-dell’oggetto; eccedette fosse quella della perfezione infinita
-di Dio, il quale nell’ordine logico sta a capo di
-<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span>
-tutte le idee, come di tutti gli esseri nell’ordine reale.
-</p>
-
-<p>
-Lo stolto che dice <i>Non v’è Dio</i>, concepisce un essere
-a tutti superiore, sebbene affermi che non esiste. Affermazione
-assurda, atteso che quest’ente resterebbe inferiore
-a un altro che a tutte le perfezioni congiungesse
-l’esistenza. Sono gli argomenti stessi che furono svolti
-poi da Cartesio; ed un monaco dell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo trovava
-e precisamente esponeva la sola prova compiuta e soddisfacente
-dell’esistenza di Dio, cioè elevava la coscienza
-fino alla nozione dell’essere, ed edificava una teologia
-dottrinale sovra un concetto della ragione. Mettendo in
-scena un ignorante che cerca la verità colla scorta dell’intelletto
-puro, vuol mostrare che la ragione non riprova
-ma comprova le verità rivelate; e protestando
-insieme che la fede non cerca comprendere ma credere,
-chiaramente determina i confini della filosofia e della
-teologia.
-</p>
-
-<p>
-Ricondurre le quistioni scolastiche al punto ove i
-padri le aveano lasciate fu l’assunto di Pier Lombardo <span class="sidenote">(1100-1164)</span>,
-fanciullo novarese, mantenuto per carità agli studj, poi
-vescovo di Parigi. Nei quattro libri <i>Sententiarum</i> raccolse
-in un ordine alquanto arbitrario le proposizioni
-dei santi Padri intorno ai dogmi, sicchè non rimanesse
-che d’applicarle nelle varie quistioni. Ma poichè delle
-difficoltà esposte non porgeva la soluzione, apriva
-campo a troppe dispute dialettiche ed a sottigliezze,
-per quanto egli richiamasse continuo verso gli studj
-positivi e i monumenti della prisca filosofia cristiana.
-Inoltre dava in argomenti speculativi: — Iddio padre,
-generando suo figlio, generò se medesimo o un altro
-Dio? generò di necessità o per elezione? egli stesso è
-Dio spontaneamente o necessariamente? Gesù Cristo
-potea nascere d’una specie d’uomini differente dalla
-stirpe d’Adamo? potea prendere il sesso femminile?»
-accettava autorità apocrife; e quando la logica gli paresse
-<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span>
-condurre a conclusioni diverse dalla fede, diceva: — Su
-questo punto amo meglio udire altri, che non
-parlare io stesso». Pure il <i>maestro delle sentenze</i>,
-com’egli fu titolato, rimase il testo delle scuole, ebbe
-replicate edizioni ne’ primi tempi della stampa; Racine,
-nel ristretto di storia ecclesiastica, gli dà ducenventiquattro
-commentatori, che, a detta del conte di San Raffaele,
-si potrebbero facilmente raddoppiare; e fin a
-mezzo il secolo passato l’università di Parigi celebrava
-l’anniversario di lui con esequie assistite da tutti i baccellieri
-licenziati.
-</p>
-
-<p>
-D’altra levatura e originalità fu Tommaso dei conti
-d’Aquino <span class="sidenote">(1227-74)</span>, castello di cui vedonsi gli avanzi presso Montecassino.
-Pronipote di Federico Barbarossa, cugino di
-Enrico VI e di Federico II, discendente per madre dai
-principi normanni, abbandonò le delizie e le speranze
-della condizione sua per vestirsi domenicano, malgrado
-de’ parenti. Gracile di salute, taciturno, assorto nelle
-meditazioni, i condiscepoli canzonando quel suo fare
-semplice, gli occhi incantati, la bocca chiusa, lo chiamavano
-il bue muto di Sicilia. Ma ben presto mostrò
-intelletto filosofico s’alcun mai, erudizione estesissima,
-passione de’ grandi risultamenti; e a quarantun anno
-si propose coi materiali sparsi della scienza coordinare
-la prima volta in sistema compiuto la teologia e la filosofia.
-I conflitti che da dodici secoli la Chiesa sosteneva
-intorno ai fondamentali articoli della fede, e quanto
-aveano insegnato, approvato, riprovato i Padri, i dottori,
-i papi, i concilj, compendiò in un volume. La
-scienza e l’erudizione tutta che al suo tempo avessero
-Cristiani od Arabi, svolse sotto la forma del sillogismo,
-in maestosa sintesi tendendo a riprodurre l’ordine assoluto
-delle cose, Dio uno, la Trinità, la creazione, le
-leggi del mondo, l’uomo, la Grazia; e opporre la verità
-agli errori moltiformi che venivanle opposti dal Corano,
-<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span>
-dal Talmud, dal manicheismo. Ch’egli si occupasse di
-scienze al tempo suo non esistenti, o usasse una lingua
-che l’età sua non gli dava, nessuno lo pretenderà;
-mentre eccitano meraviglia la chiarezza, la brevità nervosa,
-la schietta indagine della verità, che con bella e
-profonda definizione egli fa consistere in un’equazione
-tra l’asserto e il suo oggetto<a class="tag" id="tag309" href="#note309">[309]</a>.
-</p>
-
-<p>
-All’ispirazione ed elevazione dei primi Padri non arriva
-egli, ma porge formole dotte e profonde distinzioni,
-il suo metodo consistendo nell’appoggiare col
-sillogismo una maggiore assiomatica, data da quelli.
-Pertanto posa un teorema, poi sillogizza tutte le opposizioni
-filosofiche (<i>videtur quod non</i>), mettendo l’objezione
-condensata, multipla, in tutta la sua forza, per
-modo che poterono da lui attingere eresie e difficoltà
-quanti ebbero la mala fede di sopprimere le risposte.
-Non si ferma a confutarla, ma in contraddizione (<i>sed
-contra</i>) adduce alcuni passi di Aristotele, della Bibbia,
-dei Padri, principalmente di sant’Agostino, e prova conciso
-e preciso, facendo brillar la vera luce accanto alla
-falsa, sicuro che ne risulterà la certezza. Allora ripiegandosi
-sopra l’objezione, la distrugge invincibilmente
-(<i>conclusio</i>) collocando la sua risposta in termini concisi,
-enucleandoli poi dialetticamente, e non di rado con
-poche parole d’inarrivabile precisione recidendo avviluppatissimi
-problemi; e adoprandovi un mirabile buon
-senso ognora calmo, imparziale, lontano da sistematiche
-esclusioni, disposto ad accettar tutto il vero, approvare
-tutto il buono.
-</p>
-
-<p>
-Quanto al fondo, sostiene che la scienza deriva da
-Dio e a Dio si riferisce, atteso che il filosofo, sempre
-in traccia del primo ente e della cagion delle cose, e
-<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span>
-proponendosi il perfezionamento dell’uomo, è costretto
-elevarsi alla causa ed alla ragion prima. E siccome
-nella società umana dirige colui che maggiore intelletto
-possiede, così nelle dottrine quella che si occupa delle
-cose più intelligenti, cioè la metafisica, scienza dell’essere
-in generale e delle sue proprietà, che considera
-le cause prime nella loro purezza e comprensibilità
-maggiore.
-</p>
-
-<p>
-Scienza di Dio, dell’uomo, della natura, la teologia
-risale a Dio per contemplarlo, e col raggio che ne attinge
-discende la scala del creato illuminando le sfere
-inferiori. Fra i corpi puramente materiali e il mondo
-delle pure intelligenze, riflesso della vita e delle perfezioni
-di Dio, sta l’umanità, partecipe degli uni e degli
-altri: tre mondi connessi da legami infiniti, donde risultano
-l’ordine naturale e il soprannaturale, e in seno
-all’opera di Dio nasce l’opera dell’uomo, mediante la
-libertà creata. Di qui la mistura di bene e di male,
-di verità e di errore, che costituisce la storia umana.
-Delle creature alcune sono assolutamente immateriali,
-altre materiali, altre miste; e nel formarle Iddio si
-propose il bene, cioè di assimilarle a sè. Del qual
-bene partecipano anche i corpi, in quanto possiedono
-l’essere e sono l’effetto della bontà divina; e concorrono
-alla perfezione dell’universo, che deve contenere
-una gradazione di esseri, gli uni subordinati agli altri
-secondo che più o meno perfetti. Chi li consideri uno
-ad uno, non ne vede che l’inanità: ben altrimenti chi
-li guardi come istromenti degli spiriti; avvegnachè tutto
-ciò che si riferisce all’ordine spirituale appar più grande
-quanto più viene conosciuto.
-</p>
-
-<p>
-Culmine della creazione è l’uomo, il cui spirito vive
-di triplice vita, la sensiva, la vegetativa e la razionale,
-la quale ancora si divide in intelligente e volitiva. A
-quest’ultima san Tommaso assegna regole rettissime,
-<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span>
-giacchè fondate sugl’insegnamenti della Chiesa: ma poichè
-il nostro lavoro verte tanto sulla scienza degli Stati,
-noi lasceremo il resto per arrestarci alquanto sul diritto
-e la politica di lui, che insomma sono quelli professati
-dal clero, quand’anche non applicati.
-</p>
-
-<p>
-Fonda Tommaso la sua teoria del diritto sopra la
-legge. Questa è quadrupla: l’<i>eterna</i>, legge del governo
-divino generale del mondo; la <i>naturale</i>, partecipazione
-della legge eterna, valevole per tutti gli enti finiti razionali;
-l’<i>umana</i>, riferibile alle condizioni particolari
-degli uomini; la <i>divina</i>, che consiste nell’ordine di salute
-da Dio stabilito nella sua <i>speciale</i> provvidenza per
-gli uomini. Il diritto nello Stato è <i>naturale</i>, fondato
-nella natura invariabile dell’uomo, o <i>positivo</i>, stabilito
-per convenzione o promessa: e concerne solo la legalità
-degli atti esterni, mentre la giustizia interiore impone
-di fare il giusto per amor di Dio.
-</p>
-
-<p>
-La legge è una misura imposta ai nostri atti, un motivo
-che ci spinge o distoglie dal fare, una dipendenza
-della ragione: ed ha per iscopo il ben essere comune.
-Dovendo il fine essere adempito da chi vi ha interesse
-immediato, le leggi saranno opera di tutto il popolo,
-o di chi del bene di esso è incaricato; e però la legge
-può definirsi «un ordine ragionevole a comune vantaggio,
-promulgato da chi ha cura del pubblico interesse».
-Diretta a mantenere la pace e propagare la
-virtù fra gli uomini, deve conformarsi alla giustizia pel
-fine che si propone, per l’autore da cui deriva, per le
-forme che osserva, cioè mirare al bene dei più, non
-trascendere l’autorità del legislatore, ed equamente distribuire
-i pesi che ciascuno dee portare pel comune
-vantaggio. È ingiusta ove s’opponga al bene relativo
-dell’uomo, o al bene assoluto che è Dio: e in tal caso
-non è legge ma violenza, nè obbliga al fôro interno,
-se non fosse per gli scandali che produrrebbe la trasgressione.
-<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span>
-E per natura e per ragione si deve a gradi
-procedere dal meno al più perfetto; onde i cangiamenti
-nella legislazione sono giustificati dalla mobilità della
-ragione, dalla mutabilità delle circostanze. Popolo pacifico,
-grave, oculato ai proprj vantaggi, ha diritto di
-scegliere i suoi magistrati; lo perde se corrotto.
-</p>
-
-<p>
-Vuolsi che durino la città e la nazione? tutti abbiano
-parte al governo generale, acciocchè tutti sieno interessati
-a mantenere la pace pubblica; nella forma politica
-le autorità si bilancino. La più destra combinazione
-sarebbe un principe virtuoso, che sotto di sè ordinasse
-un certo numero di grandi cariche per governare secondo
-l’equità, cernendoli da ogni classe e sottoponendoli
-ai suffragi della moltitudine, col che associerebbe
-al governo l’intera società. Il principe deve al suddito
-la fedeltà stessa che ne esige: se avvilisce Dio ne’ poveri,
-imita i soldati che percotevano Cristo colla canna
-messagli in mano: se grava le imposte, pecca d’infedeltà
-agli uomini, d’ingratitudine a Dio, di sprezzo agli
-angeli custodi, sopra i quali ricadono le offese recate
-ai loro custoditi.
-</p>
-
-<p>
-Colpa mortale sarebbe la ribellione contro alla giustizia
-e all’utilità comune, non il resistere e combattere
-pel pubblico bene. Principe che si propone il personale
-soddisfacimento anzichè la comune felicità, cessa d’essere
-legittimo, e l’abbatterlo non è più sedizione, se
-pur non si operi con disordine tale da cagionare mali
-maggiori della tirannia stessa. Il tiranno si tiene fra
-certi limiti? convien tollerarlo per cansare pericolo di
-peggio; eccede? può essere giudicato e anche deposto
-da un potere regolarmente costituito: attentare contro
-la sua persona per fanatismo e vendetta non è mai
-lecito.
-</p>
-
-<p>
-Su questi larghi principj posavasi il liberalismo, che
-la Scuola talora spinse fin al di là; donde la taccia che
-<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span>
-il secolo nostro, ipocrito in parole come sguajato in
-fatti, le dà di avere giustificato il regicidio. Al moderno
-diritto delle genti pose Tommaso le fondamenta, che
-lo distinguono dal micidiale degli antichi: e certi missionari
-d’un nuovo cristianesimo, che credono nati jeri
-i concetti della libertà e dell’eguaglianza, stupirebbero
-leggendo quel che Tommaso pensava della nobiltà<a class="tag" id="tag310" href="#note310">[310]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma come la pensava egli sul propagare la fede per
-mezzo della forza? Degli Infedeli alcuni non abbracciarono
-mai la fede, come Pagani ed Ebrei; altri ne
-disertarono, come gli eretici e gli apostati. Questi sono
-mentitori d’una promessa, e ne sono puniti: gli altri
-non devono per verun modo essere forzati alla fede,
-ma solo a non manometterla con bestemmie, con prediche,
-con violenze. I fedeli muovono spesso guerra
-agl’infedeli, non già per costringerli a credere, ed
-anche dopo la vittoria se ne lascia libertà al prigioniero,
-ma perchè non impediscano ai credenti il convertirsi
-o il perseverare<a class="tag" id="tag311" href="#note311">[311]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Sì grand’uomo, eppure umilissimo, ricusò nell’Ordine
-ogn’altra dignità fuor quella di definitore: e nella
-<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span>
-contemplazione talmente restava assorto, che navigando
-non s’accorse d’una fiera burrasca; tenendo una candela
-non sentì da quella bruciarsi il pugno; sedendo al banchetto
-col re di Francia, repente battè sulla tavola
-esclamando: — Ecco un argomento invincibile contro
-i Manichei». La leggenda dice che, avanti morire, stava
-davanti a un Crocifisso, e questo piegossi, e dissegli: — Tommaso,
-bene hai scritto di me: qual ricompensa
-domandi? — Niun’altra cosa che voi stesso», egli rispose.
-Quando poco dopo si trattò di canonizzarlo, gli
-oppositori notavano ch’e’ non aveva operato miracoli;
-ma papa Giovanni XXII esclamò: — Ne fece tanti, quanti
-articoli scrisse»; e soggiungeva: — Tommaso rischiarò
-la Chiesa più che tutti insieme i dottori, e maggior
-profitto si trae dallo studiare un anno agli scritti suoi
-che dal leggere tutta la vita que’ degli altri».
-</p>
-
-<p>
-Diversa eppur non avversa alla scolastica argomentatrice,
-la scuola mistica cercava non esercizio allo spirito
-ma nutrimento all’affetto; tutto riconduceva al
-sentimento ed alla contemplazione, assegnando i gradi
-onde con questa elevarsi al primo vero; in luogo dell’arida
-dialettica adoperava linguaggio immaginoso,
-simbolicamente interpretando la natura appoggiandosi
-sulla misteriosa attrazione verso il bene assoluto e l’infinito,
-e sulla dilezione estatica, fondo della nostra
-sensibilità.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni Fidanza da Bagnarea <span class="sidenote">(1221-74)</span> fu salvato da una malattia
-infantile per intercessione di san Francesco, il
-quale disse a sua madre: — È una buona ventura»;
-onde vestitosi francescano, fu noto col nome fratesco di
-<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span>
-Bonaventura. Dotto di tutta la scienza d’allora, sommesso
-insieme e indipendente, cautamente valutando
-le forze relative della credenza e dell’intelletto, tentò
-conciliare Aristotelici, Platonici, Arabi; cioè il raziocinio
-e l’intuizione, il misticismo e la didattica dirigere
-in armonia, non ad arguzie curiose, ma a supreme quistioni.
-Non che negare ogni certezza ai sensi, tende a
-rintegrare l’infallibilità della ragione, facendo che Dio
-abbia poste le premesse nell’intelletto, e conformatolo
-in guisa che sia costretto assentire al vero, non come
-ad una percezione nuova, ma quasi riconosca cose innate
-in sè. Osò anche tentare un albero enciclopedico
-dell’umano sapere, men lodato, non men lodevole di
-altri posteriori<a class="tag" id="tag312" href="#note312">[312]</a>, e che mostra come sapessero d’alto
-luogo riguardare la scienza questi Scolastici cui si dà
-taccia di angusti e meschini.
-</p>
-
-<p>
-Bonaventura fu noverato fra’ più insigni del tempo:
-quando san Tommaso suo amico gli domandava da
-quai libri traesse tanta scienza, gli mostrò il crocifisso;
-e tutte pietà sono la sua <i>Vita di san Francesco</i>, lo
-<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span>
-<i>Specchio della Vergine</i>, l’<i>Itinerario dell’anima al
-cielo</i>. A forza di preghiere si fece esonerare dall’andare
-arcivescovo di York; e stava lavando le scodelle quando
-gli fu annunziato che era fatto cardinale. Alle sue
-esequie assistettero Gregorio X, il re d’Aragona, cinquanta
-vescovi, sessanta abati, più di mille preti; ottant’anni
-dopo morto fu canonizzato, e iscritto col titolo
-di <i>serafico</i><a class="tag" id="tag313" href="#note313">[313]</a> fra i dottori della Chiesa, dopo Ambrogio,
-Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e l’Aquinate.
-</p>
-
-<p>
-Anche la scuola contemplativa ebbe i suoi deliramenti,
-e Giovanni di Parma pubblicò un <i>Introduttorio
-all’evangelo eterno</i>, ove annunziava che, siccome il
-Testamento antico avea dato luogo al nuovo, così
-questo non bastava più alla perfezione, e un altro ne
-verrebbe tutto d’intelligenza e di spirito. Altri caddero
-nel panteismo e nella negazione del proprio essere, ed
-applicati alle scienze s’abbujarono nell’astrologia e nell’alchimia.
-</p>
-
-<p>
-Del diritto romano mai non erasi perduta affatto la
-memoria; ma quella legislazione è troppo complicata
-e dotta per gente incolta, troppo difficile ad armonizzare
-col sistema barbaro. Si dovette dunque applicarsi
-ad agevolare l’uso quotidiano del gius longobardo, e
-ridurlo a sistema per via d’un testo intelligibile, di
-dichiarazioni, di formole di processo. A ciò diede
-principale opera la scuola di Pavia, che volta solo
-alla letteratura nei tempi de’ Carolingi, da quelli di
-Ottone I vi unì la giurisprudenza, e compilò il <i>Liber
-<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span>
-legum Longobardorum</i>. I maestri di quella erano anche
-giudici, e accoppiando la teoria alla pratica, e
-conoscendo il diritto romano, composero una glossa
-che fu equiparata al testo legale. Ebbero nome tra essi
-Sigefredo, Guglielmo, Bajlardo, Buonfiglio, e quel Lanfranco
-da Pavia, di cui dicemmo<a class="tag" id="tag314" href="#note314">[314]</a>. Man mano che
-le città italiane crescevano di ricchezze, di commercio,
-di potenza, occorreano nuove complicazioni, cui non
-era sufficiente il diritto germanico, mentre si trovavano
-risolte nel romano; sicchè a questo applicaronsi gl’ingegni,
-costituendo una nuova classe di cittadini, i
-giureconsulti.
-</p>
-
-<p>
-Quando i Pisani espugnarono Amalfi nel 1135, ne
-tolsero l’unico esemplare delle <i>Pandette</i>, e Lotario II in
-benemerenza lo cedette a loro, decretando che nella
-pratica si sostituisse il gius romano al germanico,
-e cattedre per insegnarlo. Così dicono: ma nessun
-vide questo diploma, ed è dimostrato che in verun
-tempo le Pandette erano cadute in dimenticanza<a class="tag" id="tag315" href="#note315">[315]</a>;
-sicchè questa è una novella che traduce in racconto di
-tempo e di luogo determinato un avvenimento d’incerta
-origine. Esso codice fu gran tempo custodito a
-<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span>
-Pisa come una reliquia, nè mostrato che con solennità,
-poi trasferito a Firenze, monumento d’altre vittorie,
-ove può non difficilmente vedersi in quel tesoro di
-manoscritti ch’è la biblioteca Laurenziana. La scrittura
-il prova contemporaneo di Giustiniano; e che sia l’unico
-originale risulterebbe da questa bizzarria, che avendovi
-il legatore per isbaglio trasposto un foglio, tutti
-gli esemplari conosciuti hanno l’errore medesimo,
-come materialmente trascritti. Eppure sembra che i
-glossatori possedessero altri testi, collazionando i quali
-ne formarono uno bolognese, detto la vulgata: pure
-la loro rarità è attestata dall’importanza attaccata al
-possesso di questo codice, la cui scoperta e il trionfo
-menatone fissarono su quello l’attenzione dei molti che
-la progredita civiltà avea disposti ad una legislazione
-più raffinata. Allora dunque lo studio del romano diritto
-penetra nelle scuole, in gara colla teologia e la scolastica,
-mentre s’applica alla vita.
-</p>
-
-<p>
-Irnerio, che prima aveva insegnato grammatica,
-passò a leggere le Pandette a Bologna sua patria <span class="sidenote">(1100-20)</span>; e
-i giovani che trassero in folla a questa scienza nuova,
-reduci ai loro paesi, ne applicavano i canoni ai casi
-particolari, se non altro come supplemento alla legge
-locale. Restano in gran parte le glosse di quest’illustre,
-e memoria d’altre opere sue ad uso della scuola, dalla
-quale poi si staccò per servire all’imperatore. Pensator
-rigoroso, trasse ogni cosa dal proprio capo, ignorando
-i lavori intorno al diritto, fatti o tentati ne’ secoli
-precedenti<a class="tag" id="tag316" href="#note316">[316]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Si nominano fra’ suoi discepoli più insegnati i bolognesi
-<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span>
-Bùlgaro <i>os aureum</i>, Martin Gossia <i>copia legum</i>,
-Jacopo e Ugone da Porta Ravegnana. La <i>Somma del
-Codice</i> di Roggerio è il primo tentativo di sistemar la
-scienza del diritto. Il Piacentino, che alcuni chiamano
-Ottone, per quanto assoluto e di smisurata vanità, non
-manca di intelletto scientifico e cognizione delle fonti.
-Assalito nottetempo da Enrico di Baila, di cui avea
-confutato un’opinione, a stento campò, e ricoverato a
-Montpellier, v’aperse la prima scuola di diritto <span class="sidenote">(1192)</span>. Giovanni
-Bassiano da Cremona, preciso nell’esposizione,
-trovò forme ingegnose, benchè talvolta buje; professò
-a Mantova.
-</p>
-
-<p>
-Pillio da Medicina professava giovanissimo a Bologna,
-quando i magistrati lo costrinsero a giurare che per
-due anni non insegnerebbe altrove: i Modenesi, cui
-forse importava più il toglierlo agli emuli che il possederlo
-essi medesimi, gli offersero cento marchi d’argento
-purchè venisse nella loro città, anche senza
-insegnare, siccome fece. Scrive per lo più in dialoghi
-fra la giurisprudenza e l’autore, con molta vanità e
-affettazione logica<a class="tag" id="tag317" href="#note317">[317]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Lodano pure Guglielmo di Cavriano da Brescia, Alberico
-da Porta Ravegnana che per l’affluenza di scolari
-dettava nella sala del Consiglio, Giovanni Azzon da
-Bologna che aveva fin mille uditori, ed altri che lungo
-sarebbe il recitare. Francesco Accursio da Bagnòlo
-presso Firenze, nella <i>Glossa continua</i> <span class="sidenote">(1129)</span> abbracciò le anteriori,
-così conservandoci l’opinione di molti, ma senza
-<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span>
-tropp’arte nello scegliere. Al suo tempo citavasi nei
-tribunali come legge, e fu in gran nominanza finchè
-parve merito il cumulo di erudizione; ma nel Cinquecento,
-quando si studiarono l’antichità e gli storici,
-prevalse un miglior gusto, mentre minorava l’elevatezza
-de’ pensieri.
-</p>
-
-<p>
-Que’ glossatori possedevano le Pandette, il Codice,
-gl’Istituti, le Autentiche, l’Epitome di Giuliano, nè altro.
-Scarsi di storia e filologia, invece di raddrizzare i testi,
-accertare i tempi, insinuarsi nella intenzione delle leggi,
-si fermano a spiegare che <i>etsi</i> equivale a <i>quamvis</i>,
-<i>admodum</i> a <i>valde</i>; derivano il nome del Tevere dall’imperatore
-Tiberio; fanno vivere Ulpiano e Giustiniano
-avanti Cristo, uccidere Papiniano da Marc’Antonio; interpretano
-<i>pontifex</i> per <i>papa</i> o <i>episcopus</i>; se trovano
-una parola greca, la saltano, onde il proverbio <i>Græcum
-est, non potest legi</i>. Pure non mancano di sagacia e
-industria, massime Accursio, nel ravvicinare passi,
-conciliare apparenti divergenze, ricorrere per l’interpretazione
-alle fonti quanto poteasi in quell’ignoranza
-della storia, che durerebbe anche oggi se la fortuna
-non avesse scoperto Ulpiano ed altri giureconsulti
-vetusti.
-</p>
-
-<p>
-Ben presto seguirono pedestri imitatori, destri nella
-dialettica quanto sforniti di scientifico intelletto; prolissi,
-d’inesauste minuzie, che affogano il testo ne’ commenti,
-<i>multorum camelorum onus</i>, nulla rimettendo
-all’intelligenza degli scolari; espongono in uno stile
-barbaro, da cui non sa forbirsi neppure Dino da Mugello.
-Il quale godette tanta riputazione, che ancor vivo
-i vescovi stabilirono, ove le leggi municipali e le
-romane e le chiose dell’Accursio tacessero o si contraddicessero,
-a Dino si riportasse la risoluzione.
-</p>
-
-<p>
-Sconciatesi le repubbliche, e andata ogni cosa per
-fazioni, poi per arbitrio di tiranni, senza quella libertà
-<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span>
-che è necessaria alla ponderazione delle leggi, nel metodo
-prevalsero sempre più le forme dialettiche, con
-distinzioni e restrizioni senza termine; l’argomentare
-non si aggirò sul testo ma sulla glossa, la quale divenne
-un ostacolo a intenderlo; ogni originalità rimase
-tolta dal porre ognuno il piede sull’orme dell’altro.
-</p>
-
-<p>
-Cino da Pistoja scolaro di Dino <span class="sidenote">(-1337)</span>, cacciato dai Guelfi,
-torna coi Ghibellini. Ammira i dialettici, pure sa emanciparsi
-dalle triche di scuola, e pensare di sua testa; e
-si fiancheggia cogli statuti de’ varj popoli e la pratica
-de’ tribunali. Bartolo da Sassoferrato scolaro di lui,
-maestro a Pisa e Perugia, ove morì in fresca età, superiore
-in fama a tutti i giureconsulti, spiegato dalle
-cattedre, tenuto in conto di legge nella Spagna, per
-critica e metodo sta a gran distanza dagli antichi glossatori,
-impacciato dai troppi commenti.
-</p>
-
-<p>
-Avanzandosi i tempi, ebbe grido Baldo da Perugia <span class="sidenote">(-1400)</span>,
-che professò per cinquantasei anni, e versò nei pubblici
-negozj. «Nella smania di distinzione (dice il Gravina)
-egli non divide, ma sfrantuma il soggetto tanto,
-che i frantumi ne van col vento; ma per quanto ciò
-nuoccia all’interpretazione della legge romana come
-codice positivo, fu utilissimo al giureconsulto pratico
-per la moltiplicità dei casi che lo spirito suo fecondo
-ritrovò; sicchè ben rado si dà di consultarlo senza
-trovarvi una soluzione qual ch’ella sia». Luca di Penna
-negli Abruzzi, autore del commento sui <i>Tres Libri</i>,
-supera i contemporanei per metodo e stile, e ricorre
-direttamente ai testi coll’indipendenza datagli dal non
-essersi formato nelle scuole ma negli affari. I successivi,
-più che nelle magistrature, presero pratica nei
-consulti, fonte di rinomanza e di ricchezze.
-</p>
-
-<p>
-Come questi il diritto romano, altri studiarono il
-feudale, di applicazioni ancora frequenti; e Oberto
-dall’Orto e Gerardo del Negro, consoli milanesi, attorno
-<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span>
-al 1170 radunarono le costituzioni imperiali e le consuetudini
-delle varie città, le sentenze in proposito e le
-interpretazioni proprie e d’altri giuristi. Valore di
-legge non ebbero mai, ma autorità perfino ne’ tribunali
-pontifizj. Infiniti commenti e glosse ebbero da
-Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo, Goffredo...,
-e principalmente da Giovanni Colombino;
-tutti superati dal napoletano Andrea d’Isernia, e più
-tardi da Matteo degli Afflitti. Nel 1436 Antonio Mincuccio
-di Pratovecchio bolognese avea ridotti i libri
-feudali in miglior forma, e l’imperatore Federico III
-li confermò, onde in Bologna erano letti pubblicamente.
-L’illustre Cujacio con maggior critica ed eleganza,
-e deponendo il disprezzo che i giuristi soleano
-avere per ciò che non fosse romano, migliorò ed illustrò
-quella raccolta, la quale si compie colle leggi feudali
-pubblicate dal Barbarossa, che sono le più numerose e
-precise, e da cui era stata proibita l’alienazione dei
-feudi, ristabilite le regalie imperiali in Italia<a class="tag" id="tag318" href="#note318">[318]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Contemporaneamente si compiva il diritto canonico.
-Una raccolta autentica delle leggi ecclesiastiche emanate
-dai concilij e dagli imperatori, disposta da Giovanni
-Scolastico patriarca di Costantinopoli a mezzo il
-secolo <span class="smcap lowercase">VI</span>, divenne legge della Chiesa d’Oriente. In Occidente,
-dopo le collezioni che accennammo (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 472)
-di Dionigi il piccolo e d’Isidoro, Reginone abate di
-Pum, uscente il secolo <span class="smcap lowercase">IX</span>, ne fece una, poi Burcardo
-<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span>
-vescovo di Worms il <i>Magnum decretorum volumen</i>,
-che da uno storpio del nome suo è chiamato <i>Brocardo</i>,
-e passò ad indicare quistioni scabrose ed incerte. Ivone
-di Chartres dispose metodicamente il <i>Decreto</i> in diciassette
-libri; finchè Graziano di Chiusi benedettino, nella
-<i>Concordantia canonum</i> o <i>Decretum</i> <span class="sidenote">(1151)</span>, compì sistematicamente
-la giurisprudenza canonica. Eugenio III
-dicono l’approvasse, e l’autore con Ranieri Bellapecora
-pei primi professarono tale materia in Bologna. L’opera
-sua comprende i canoni degli Apostoli, quelli di cencinque
-concilj, le decretali de’ papi, non escludendo
-quelle del falso Isidoro, e molti passi tratti da santi
-padri, da libri pontificali, dal codice Teodosiano e da
-altri. Autorevole nel canonico, come il codice Giustinianeo
-nel diritto civile, il Decreto di Graziano trovò
-moltissimi commentatori: lo sceverarne la mondaglia
-doveva essere cura di secoli meglio veggenti<a class="tag" id="tag319" href="#note319">[319]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Successive consultazioni diedero luogo a nuove decretali,
-di cui una raccolta fece Bernardo Circa, vescovo
-di Faenza poi di Pavia; una fu ordinata a Pier di Benevento
-da Innocenzo III, ed approvata per pubblica
-autorità; poi un’anonima dopo il 1215. Nessuna era
-completa, e v’avea decreti incerti: pertanto Gregorio IX
-incaricò Raimondo di Pegnafort barcellonese di raccorre
-le decretali posteriori al 1150, ove finisce la
-compilazione di Graziano; onde venne il secondo corpo
-e principale del diritto canonico, cresciuto anch’esso
-con successive aggiunte.
-</p>
-
-<p>
-Suprema efficacia ebbe lo studio del diritto, facendo
-rivivere a pro de’ moderni l’esperienza degli antichi,
-<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span>
-disposta in un sistema di leggi, ove tutto ciò che essenzialmente
-importa alla civile società era determinato
-con sagacia, equità e precisione, ben superiore ai
-tentativi de’ codici barbari. Introdotta la prova testimoniale,
-lo spirito umano s’addestrò nell’indagare le
-verità ed applicarle, risalì agli studj classici per meglio
-chiarire il senso, e quel ragionare sodo e sopra i fatti
-emendava l’inclinazione sofistica delle scuole.
-</p>
-
-<p>
-Ai baroni nè dottrina nè pazienza bastando, i leggisti
-presero il luogo de’ feudatarj negli uffizj giuridici. Allettati
-dalla costituzione romana, stabilirono essi una
-scuola teorica e pratica di governo, cui primo canone
-era l’unità e indivisibilità del potere sovrano, talchè
-guardava come usurpazione le signorie feudali, come
-non avvenuta l’occupazione dei Barbari, e indegne del
-nome di leggi quelle emanate da loro: fatto meraviglioso
-ed unico, che la legislazione morta d’un popolo
-perito divenisse scienza politica e sociale per tutta Europa,
-e che fin ad oggi i codici trovino appoggio, commento
-o supplemento nelle decisioni di Papiniano e
-nell’opinione de’ glossatori.
-</p>
-
-<p>
-Ben fa dolore che le nazioni nuove non abbiano pensato
-estrarne quel solo che ad esse confacevasi, anzichè
-adottare intero un cumulo di cose estranee ai costumi
-e all’ordine sociale nuovo, e principj assoluti, e formole
-materiali, e rigide conseguenze, non armonizzanti colla
-società nuova nè coi costumi moderni e col cristianesimo.
-Per vero, l’adottare è molto più facile che lo scegliere;
-e la parzialità ghibellina aveva interesse a considerare
-i Federichi come successori di Teodosio: onde
-n’uscì una legislazione implicata, incoerente, ancora
-oscura dopo infiniti commenti, e forse in grazia di questi.
-</p>
-
-<p>
-Ma nelle città libere i giuristi costituivano un corpo,
-con impieghi d’onore ed alte cariche e singolare considerazione:
-e persone elevate portavano nella giurisprudenza
-<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span>
-gran senso pratico e reale dignità. Il diritto
-poi fu un grande miglioramento sì alla legislazione, sì
-e più alla condizione dei vulghi. Rispetto all’ordine
-delle successioni, ai matrimonj, ad altri punti legali, i
-preti che ragione aveano di far leggi inique? Ne’ concilj,
-composti di prelati d’ogni paese, specie di areopago
-superiore alle convenienze feudali, e scevro di parzialità,
-di rado i canoni si circoscriveano ad un paese; e
-togliendo per base la morale anzichè la politica, servivasi
-alla rettitudine universale. Le giurisdizioni signorili
-riuscirono men vessatorie in mano di abati e vescovi
-che di conti e baroni, perchè il prete era obbligato ad
-alcune virtù, da cui il laico si tenea dispensato. La carità
-e il perdono delle ingiurie, essenza della morale
-cristiana, v’erano specialmente comandati in tempi di
-guerra di tutti contro tutti. Più miti le pene; abolita la
-croce e il bollare in faccia, per non deturpare l’immagine
-di Dio; niuno sentenziato a morte, e spesso si
-mandava il reo a far penitenza e migliorarsi ne’ chiostri.
-La tortura, approvata dal divino Augusto<a class="tag" id="tag320" href="#note320">[320]</a> e conservata
-lungo tempo fin dagl’Inglesi tanto adulti nella
-libertà, era esclusa dal diritto canonico: e doveano
-passar de’ secoli prima che la filosofia si facesse bella
-di tali documenti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il clero, alieno dalle armi, repudiava le prove del
-duello o dell’ordalia<a class="tag" id="tag321" href="#note321">[321]</a>, e vi surrogava i testimonj,
-e come prova sussidiaria il giuramento; più regolare
-rendeva l’amministrazione della giustizia, e le vendite,
-i prestiti, le ipoteche, giacchè richiamavasi al fôro
-ecclesiastico ogni obbligo contratto con giuramento.
-Innocenzo III e il IV concilio Lateranese istituirono il
-processo scritto, prescrivendo che nel giudizio ordinario
-e nello straordinario il giudice si faccia assistere
-da un pubblico notajo, se è possibile; e due persone
-sufficienti scrivano gli atti, cioè le citazioni, proroghe,
-petizioni, eccezioni, testimonianze, e così via, il tutto
-coll’indicazione de’ luoghi, de’ tempi, delle persone; e
-ne dia copia alle parti, serbando l’originale per ogni
-caso di dubbio<a class="tag" id="tag322" href="#note322">[322]</a>. Il diritto stesso ebbe determinato
-il metodo delle citazioni e la sostanza della processura,
-agevolate le riconvenzionali, tentate le vie di conciliazione,
-negli appelli distinto l’effetto devolutivo dal sospensivo,
-ai rimedj possessorj dato ampiezza e rigore.
-</p>
-
-<p>
-Mentre il diritto civile non lasciava star le donne in
-giudizio senza consenso del marito, lo che impediva di
-reclamare contro di questo, non così era de’ tribunali
-<span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span>
-ecclesiastici, davanti ai quali veniva contratta l’unione,
-stipulata la dote, discusso della infedeltà, delle separazioni,
-del divorzio. Le leggi che proteggeano i beni del
-clero insegnavano esistere un’altra proprietà non derivata
-dalla spada, con altre garanzie che la violenza;
-garanzie che poi doveano diventare comuni. Altre inviolabilità
-delle persone si conosceano dove l’ecclesiastico
-era valutato a prezzo maggiore, non si potea
-sfidarne i parenti, e l’offensore trovavasi a fare con una
-intera società poderosa. L’asilo sottraeva il colpevole
-alla vendetta subitanea, non già alla giustizia, a cui lo
-restituiva se riconosciuto reo: l’escludere il duello obbligava
-ad accettare la composizione de’ tribunali.
-Laonde, mentre pareva intendere al solo interesse proprio,
-la Chiesa operava per le nazioni, che un giorno
-si assicurerebbero come diritti quei ch’essa introduceva
-come privilegi<a class="tag" id="tag323" href="#note323">[323]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Così miglioravasi il potere legislativo, passato dai
-forti ne’ savj; più ne migliorava l’opinione: sicchè al
-cristianesimo, dice Montesquieu, andiam debitori di un
-certo diritto delle genti nella guerra, di cui la natura
-umana non potrà mai essergli abbastanza riconoscente;
-<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span>
-il qual diritto fa tra noi che la vittoria lasci ai vinti la
-vita, la libertà, le proprietà, le leggi, la religione. Dopo
-di che, io mi confesso propenso a compatire ai compilatori
-delle Decretali se non ebbero bastante critica
-per discernere le false, e se credettero veramente che
-il papa fosse superiore a tutti i vescovi, e potesse imporre
-ai re d’esser giusti e di non opprimere d’imposte
-i popoli.
-</p>
-
-<p>
-Intanto colla giurisprudenza la dottrina usciva dal
-santuario, e lo scienziato non era soltanto <i>cherico</i> ma
-anche dottore. Tutte quelle discussioni poi, miste di
-teorica e di pratica, attestano un inaspettato movimento
-intellettuale, che innovava la società non meno che lo
-facesse lo sviluppo politico. Perocchè, quando una nazione
-si sveglia, estende la sua attività sopra tutte le
-parti, siano le politiche come le intellettuali e morali.
-</p>
-
-<p>
-Università chiamavasi già prima qualunque libera
-unione; e quel nome presero anche gli scienziati in
-associazioni libere che prevenivano l’azione de’ governi,
-e che ciascuna amministrava i proprj affari. Qualche
-scienziato di grido prendeva a leggere in una città;
-accorrevano uditori, altri dotti ne profittavano per venirvi
-a spacciare la propria dottrina, e così formavasi
-una università. In tanta scarsezza di libri e d’istruzione
-particolare non poteasi imparare che dalla viva voce,
-onde non vi concorrevano ragazzi, ma uomini fatti e
-già ragguardevoli; ed assumendo l’aria della società
-civile, costituivansi a modo di Comuni, con onori e
-<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span>
-franchigie per gli studenti e i professori; e avvivate
-dall’interesse che ispira la verbale comunicazione fra
-questi e quelli, cogli studj indipendenti crescevano di
-forza e dignità; e al modo de’ Comuni, cercavano privilegi
-ai re e ai papi, il principale dei quali era di
-poter conferire il dottorato.
-</p>
-
-<p>
-I professori, ai quali grande incitamento dava il trovarsi
-esposti al guardo di tutta l’Europa letteraria, erano
-rimunerati dagli scolari, nè l’università mantenevasi
-che per la reputazione di quelli. Le città, vantaggiate
-dal concorso degli studiosi, adoperavano a mantenere
-quelle unioni; poi fecero gara di offrire grossi stipendj.
-</p>
-
-<p>
-E maestri e università erano dunque tutt’altra cosa
-di queste moderne, fomite inutile di corruzione in una
-gioventù che, mentre potrebbe dappertutto ritrovare e
-libri e insegnanti, è raccolta a dissipare fra lo stravizzo
-e il mal esempio il fiore dell’età, la freschezza de’ sentimenti,
-i precetti morali bevuti al focolare paterno, e
-far le prime prove del vizio, seguendo un corso uffiziale
-sotto professori di cui non ha stima e fiducia, ma
-che sono decretati da un governo che forse disama.
-</p>
-
-<p>
-L’importanza delle università fece favoleggiarne le
-origini. Quella di Bologna si pretendea fondata da Teodosio
-II nel 443; ma il primo privilegio, copiato da
-quel di Giustiniano per Berito, le fu rilasciato in Roncaglia
-da Federico Barbarossa, onde proteggere quei
-che di fuori venissero a quello studio, esimerli da processo
-per delitti o per debiti, e potessero scegliere la
-particolare giurisdizione dei professori, per esercitare
-la quale l’università eleggeva il rettore. Da principio vi
-si studiò soltanto diritto, poi si aggiunsero arti liberali
-e medicina; al fine Innocenzo VI v’unì scuola teologica
-sul modello della parigina, sorta contemporaneamente,
-e che avea vanto nella teologia scolastica e nella filosofia,
-come Bologna nella giurisprudenza. Furono le
-<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span>
-due università più nominate nel medioevo: ma la bolognese
-era composta degli scolari i quali sceglievano dei
-capi, a’ quali dovevano rispondere anche i professori;
-alla parigina non appartenevano che i professori, subordinati
-restando i discepoli: sistemi derivanti dal
-diverso Governo delle due città e dalla natura dell’insegnamento;
-quella, repubblica e volta alle leggi; questa,
-monarchia e teologica.
-</p>
-
-<p>
-A Bologna dunque i varj portici formavano distinte
-università; e quella del diritto era divisa in due, degli
-ultramontani con diciotto nazioni, dei citramontani con
-diciassette<a class="tag" id="tag324" href="#note324">[324]</a>. Gli stranieri studenti di diritto (<i>advenæ
-<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span>
-forenses</i>) godeano piene prerogative civili; e convocati
-dal rettore, cui annualmente giuravano obbedienza,
-costituivano università propria, con voce nelle assemblee.
-Ciascuna nazione faceasi rappresentare da uno o
-due consiglieri, i quali, col rettore, costituivano il senato
-per la disamina degli affari. Un sindaco annuo
-rappresentava in giustizia le due università: un notaro
-ne rogava gli atti, annuale anch’esso, come il massajo
-e i due bidelli. Ogni anno pure eleggevasi un tassatore
-dalla città ed uno dagli studenti, che fissassero il prezzo
-degli alloggi: lo scolaro avea facoltà di rimanere tre
-anni nella casa prescelta; e il padrone che esigesse di
-<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span>
-più, o a torto si querelasse del pigionale, o lo trattasse
-men convenientemente, non potea più dare albergo ad
-altri.
-</p>
-
-<p>
-I professori, all’atto della promozione, poi una volta
-all’anno doveano giurare obbedienza al rettore e agli
-statuti: potevano essere sospesi e multati, non portar
-voto nelle adunanze, nè sostenere le cariche dell’università:
-altrettanto era degli scolari natii di Bologna,
-che non rimanevano sottratti dall’autorità municipale.
-Il rettore, che doveva essere letterato, celibe, d’almeno
-venticinque anni, di sufficienti sostanze, avere a proprie
-spese studiato il diritto almeno cinque anni, e non appartenere
-ad ordini religiosi, rinnovavasi annualmente
-a voce del predecessore, de’ consiglieri e di alcuni
-elettori scelti dalle università; e nelle funzioni aveva
-il passo sopra vescovi ed arcivescovi, eccetto quel di
-Bologna, ed anche sopra i cardinali secolari. Il titolo
-di <i>magnifico</i> nacque nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span>
-</p>
-
-<p>
-Pertanto nella città di Bologna quattro distinte giurisdizioni
-vegliavano: i magistrati ordinarj, la curia
-vescovile, i professori, il rettore. Le frequenti collisioni
-tra questi, l’irrequietudine degli studenti e le riotte
-agitarono spesso la repubblica; qualche fiata gli scolari
-tutti ritiraronsi in un’altra città, finchè non si consentisse
-alle esorbitanti loro domande; qualche altra, dai
-papi scomunicata o messa al bando dell’Impero, Bologna
-vedeva migrare la dotta folla, a cui dovea vita e
-ricchezze. Con grandi privilegi la città allettava gli
-studiosi; esimeva i professori dal servigio militare, poi
-da ogni tassa; rifaceva de’ furti sofferti, se il rubatore
-non potesse.
-</p>
-
-<p>
-I dottorati doveano giurare non insegnerebbero altrove
-che a Bologna; e morte e confisca era minacciata
-ai cittadini che sviassero uno scolaro da quell’università,
-e così a professori bolognesi maggiori di cinquant’anni,
-o agli stranieri stipendiati che passassero ad altra
-scuola prima che la condotta scadesse. L’università
-toglieva in protezione gli artisti che a servizio di essa
-lavoravano, come amanuensi, miniatori, legatori, i fanti
-degli studenti, e alcuni banchieri privilegiati per dare
-a prestanza agli scolari. Una bizzarra regola imponeva
-agli Ebrei di pagare centoquattro libbre e mezzo ai
-legali, e settanta agli studiosi delle arti per fare un festino
-in carnevale. Alla prima neve che fioccasse, gli
-studenti andavano alla busca, e di quel raccogliessero
-faceano statue o ritratti ai più celebri professori.
-</p>
-
-<p>
-Dell’arcidiacono di Bologna era privilegio il laureare,
-nè altro benefizio egli godeva che una parte delle propine.
-Il dottorato conferivasi come grado dal collegio
-de’ legali, e dava diritto d’insegnare e d’essere promosso:
-sebbene ai posti supremi non s’elevassero che
-natii bolognesi. Sei anni di studio si richiedevano per
-passar dottore in diritto canonico, otto pel civile; giurato
-<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span>
-d’aver compito questo tempo, lo scolaro sosteneva
-l’esame privato e il pubblico; e sopra due testi assegnati
-disputava innanzi all’arcidiacono e al dottore che
-lo presentava, libero essendo agli altri dottori d’objettare;
-e tosto era ricevuto fra’ licenziati. L’esame pubblico
-teneasi nella cattedrale in solenne pompa, ove il
-licenziato recitava la disposta diceria, ed esponeva una
-tesi di diritto, contro cui gli studenti potevano argomentare;
-indi l’arcidiacono o un dottore pronunziava
-l’encomio acclamandolo dottore, e gli si davano il
-libro, l’anello, il berretto. Giuramento d’adempier bene
-gli obblighi del dottorato non si prestava, sibbene alcuni
-giuramenti particolari.
-</p>
-
-<p>
-Laureato che uno fosse, avea diritto d’insegnare non
-solo a Bologna, ma in qualunque università costituita
-per bolla papale. Ogni scolaro, dopo cinque anni di
-studio, poteva insegnare, ma sopra un titolo solo; e
-dopo sei, sopra un trattato intero, annuente il rettore:
-questi chiamavansi baccellieri. Il corso durava dal 19
-o 28 novembre al 7 settembre; e ogni giovedì era vacanza,
-qualora nella settimana non cadesse altra feria.
-Le lezioni si facevano parte all’avemaria del mattino,
-parte dopo le diciannove ore, tutte occupate nell’insegnamento
-orale. I corsi distinguevansi in ordinarj e
-straordinarj, secondo i libri. Testi ordinarj, pel diritto
-romano il Digesto vecchio e il Codice, pel canonico il
-Decreto e le Decretali: ogni altro libro era straordinario,
-e i professori autorizzati a leggere su questi non
-poteano insegnare sugli ordinarj.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1260 vi si contarono fin diecimila scolari, con
-gran lucro dei professori. Ai quali poi si assegnarono
-pubblici stipendj; e nel 1384 ne troviamo a Bologna
-diciannove pel diritto, aventi dai cinquanta ai trecento
-fiorini di trentatre soldi. Quando furono tutti stipendiati,
-il professorato si riguardò come pubblica funzione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span>
-</p>
-
-<p>
-Lo studio della giurisprudenza tardò ad introdursi
-nelle università forestiere, di modo che il trionfo di
-quella scienza fu sempre in Italia, e non per decreto o
-favore de’ sovrani, ma per necessità dei tempi. Alle
-città lombarde, libere, trafficanti, ricche, popolose, non
-bastavano più le anguste transazioni dei codici germanici
-e la scarsa cognizione del romano: dileguandosi il
-diritto personale introdotto da Carlo Magno, s’abituavano
-a considerare gran parte dei popoli d’Europa
-come intimamente uniti sotto l’Impero, e fra le varietà
-nazionali riconoscere alcun che di comune, l’Impero,
-la Chiesa, la lingua latina. Ora, appena formatasi la
-scuola bolognese, e diffuse le cognizioni coi consulti,
-cogli scritti, con nuove scuole, anche il diritto romano
-si considerò comune a tutta cristianità, il che lo ingrandiva
-nel concetto de’ popoli.
-</p>
-
-<p>
-In Bologna primamente fu aggiunta agli altri studj
-la grammatica, e Buoncompagno fiorentino, il quale
-fu coronato d’alloro, vi lesse la sua <i>Forma literarum
-scholasticarum</i>, metodo per iscrivere a principi e magistrati.
-Era costume che, chi bramava professare
-grammatica, mandasse innanzi un’epistola, stillante eleganza
-ed erudizione, <i>picturato verborum fastu et
-auctoritate philosophorum</i>; onde Buoncompagno, motteggiatore
-superbo, ne finse una di siffatte, quasi venisse
-da un professor nuovo, che chiamava a sfida lui stesso.
-Ne tripudiarono gli emuli, levando a cielo la forbitezza
-della lettera finta; poi al dì prefisso si raccolsero affollati
-nella metropolitana: ma Buoncompagno sopragiunto
-manifestò la burla e mandò scornati i rivali, mentre gli
-amici portarono lui a casa in trionfo.
-</p>
-
-<p>
-Sturbati dai tumulti civili di Bologna, alcuni scolari
-trapiantarono a Padova la scuola di diritto (1222),
-divenuta poi nucleo di quell’università, con statuti modellati
-sui bolognesi: se non che nella comunanza
-<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span>
-entravano studenti, professori ed impiegati; e i maestri
-erano eletti dagli scolari. Nessun suddito veneto saliva
-ad alte magistrature, che non avesse studiato in quella
-università, la sovraintendenza della quale era affidata
-a tre senatori. Un’altra volta quegli scolari aveano
-trasferita l’università a Vicenza (1264), ove durò sette
-anni. Un’altra (1316) si mutarono a Siena, che offrì
-seimila fiorini per riscattare i libri da essi lasciati in
-pegno: ma quella scuola fu presto chiusa, indi ripristinata
-da Carlo IV nel 1357; la facoltà teologica vi fu
-aggiunta nel 1408 da Gregorio XII. L’università di Perugia
-nacque il 1276: della parmense (1221) è memoria
-in Donnizone<a class="tag" id="tag325" href="#note325">[325]</a>. Il Comune di Vercelli nel
-1228 ne aperse una per teologia, diritto civile e canonico,
-scienze mediche, dialettica, grammatica, divisa in
-quattro nazioni, una di Francia, Normandia, Inghilterra,
-una d’Italiani, la terza di Teutonici, l’ultima di
-Provenzali, Spagnuoli, Catalani; i rettori si obbligavano
-a condurre molti scolari, e principalmente trarvene da
-Padova, non allearsi alle fazioni del paese; e il Comune
-prometteva allestire cinquecento camere agli scolari,
-buon mercato di vettovaglie, pubblica tranquillità, non
-lasciarli inquietare per debiti o per rappresaglia, stipendiare
-a detta di due scolari e due cittadini i maestri
-che sarebbero eletti dal rettore.
-</p>
-
-<p>
-Fin dal <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo Pisa avea professori di diritto,
-ma lo studio generale soltanto nel 1444 vi fu trasferito
-da Firenze, quasi a ristoro della rapitale libertà, assegnandole
-annui seimila fiorini d’oro sul tesoro, e cinquemila
-ottenendone dal papa per dispensa di benefizj,
-<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span>
-onde lautamente provvedere ai professori<a class="tag" id="tag326" href="#note326">[326]</a>. È anteriore
-a Federico II la scuola di Ferrara, da Bonifazio IX
-nel 1391 privilegiata come studio generale. La
-romana, posta da Innocenzo IV, fu colla santa Sede
-trasferita in Avignone, e Giovanni XXII la autorizzò a
-conferire i gradi. Federico II istituì le scuole di Napoli
-nel 1224; sebbene non permettesse di formare l’università
-di scolari e professori, largheggiò di privilegi
-cogli studenti; ma non potè mai levarle a quel fiore
-che ottenevano le scuole fondate dal libero concorso e
-dalla fiducia degli studiosi.
-</p>
-
-<p>
-Altre n’ebbe Italia in que’ secoli e ne’ seguenti, massime
-di diritto, a Piacenza (1243), a Modena (1189), a
-Reggio (1188). Da Carlo IV nel 1360 fu privilegiata
-quella di Pavia, e Galeazzo Visconti proibì a’ suoi sudditi
-di studiare altrove, e largamente rimunerò i professori<a class="tag" id="tag327" href="#note327">[327]</a>.
-Quella di Torino fu riconosciuta dal papa
-solo nel 1405, e sei anni dappoi dall’imperatore: cancelliere
-n’era il vescovo. All’università di Parigi, famosa
-per teologia, Alessandro III spedì molti giovani ecclesiastici;
-molti Venezia di quelli che doveano poi salire
-ai primi onori.
-</p>
-
-<p>
-Resta che diciamo dell’altro studio universitario, la
-medicina. V’aveano rinomanza gli Arabi, che tradussero
-e commentarono gli autori greci, e tramandarono
-a noi varj medicamenti ed elixir. Anche gli Ebrei erano
-medici e chirurghi reputati, e ne’ libri talmudici si trovano
-<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span>
-idee molto avanzate intorno all’anatomia. Fra’ Cristiani,
-questo, come ogni altro sapere, venne a ridursi
-in mano di ecclesiastici e principalmente di monaci,
-sebbene a questi dai canoni fossero vietate le operazioni
-con fuoco e ferri taglienti; e san Benedetto a’ suoi
-di Montecassino e Salerno impose la cura de’ malati.
-Costantino Africano filosofo, visitate per quarant’anni
-le scuole arabe a Bagdad, in Egitto, nell’India, di ritorno
-corse rischio d’essere ucciso per mago <span class="sidenote">(1070 ?)</span>; onde rifuggì
-a Salerno, e divenne secretario di Roberto Guiscardo;
-poi nauseato dal fragor cortigiano, si ritirò a
-Montecassino, traducendo i medici orientali. Ne crebbe
-rinomanza alla scuola salernitana, e v’affluivano malati,
-alla cui guarigione contribuivano la salubre posizione
-e le reliquie di san Matteo, santa Tecla e santa Susanna.
-Venuto Enrico II a farsi estrarre la pietra, san Benedetto
-durante il sonno compieva l’operazione, ponevagli
-la pietra in mano, e cicatrizzava la ferita<a class="tag" id="tag328" href="#note328">[328]</a>.
-Nel secolo seguente, sotto la direzione di Giovan da
-Milano vi si scrissero certi canoni d’igiene in versi leonini,
-divulgati proverbialmente<a class="tag" id="tag329" href="#note329">[329]</a> e tradotti in tutte
-le lingue. Poco dopo il Mille, Garisponto medico di Salerno
-pubblicò il <i>Passionarius Galeni</i>, rimedj contro
-<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span>
-ogni sorta malattie, tratti principalmente da Teodoro
-Prisciano: nè meglio vale Cofone, che pubblicò una
-terapeutica generale (<i>Ars medendi</i>) secondo Ippocrate,
-Galeno e gli Arabi, dove è a scorgere la prima indicazione
-del sistema linfatico. Romualdo vescovo di
-Salerno fu consultato dai due Guglielmi di Sicilia e dal
-papa. L’<i>Erbario</i> della scuola salernitana, compilato
-certamente prima del secolo <span class="smcap lowercase">XII</span>, si diffuse per tutta
-Europa.
-</p>
-
-<p>
-Questa scuola fu la prima in Occidente ad introdurre
-i diversi gradi accademici, imitandoli dagli Arabi.
-Dappoi Federico II ordinò, nessuno esercitasse medicina
-se non licenziato da essa, e provato di nascere
-legittimo, aver compito ventun anno, studiato logica
-tre anni, poi cinque l’arte, e la chirurgia <i>che ne forma
-piccola parte</i>, e spiegato l’<i>Arte</i> di Galeno, il primo
-libro d’Avicenna, o un passo degli <i>Aforismi</i> d’Ippocrate,
-ed aver fatto pratica sotto un esperto. Il candidato
-giurava attenersi alle cure consuete, denunziare il
-farmacista che adulterasse i medicamenti, e trattare i
-poveri senza mercede. Dai chirurghi chiedeasi un anno
-di studio a Salerno e Napoli, poi un esame. Da poi si
-prescrissero cento minuzie; il medico visiti due volte
-al giorno i malati che dimorano entro la città, e che
-possono anche chiamarlo una volta la notte: il compenso
-era di mezzo tarì per giorno, e fino a tre se il
-malato abitasse fuori. Così per le farmacie era assegnata
-la tariffa, e dove piantarle, e gelose precauzioni.
-</p>
-
-<p>
-Allettavansi i medici con privilegi, esentarli da taglie,
-provvederli d’uno o due cavalli; e Ugo di Lucca s’obbligò
-servire gratuitamente a quei del contado bolognese
-nelle malattie ordinarie; ma per ferita grave,
-osso rotto o slogato, possa da gente mezzana esigere un
-carro di legna, dai ricchi soldi venti e un carro di
-fieno, nulla dai poveri; accompagni l’esercito in campo,
-<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span>
-ed in compenso tocchi lire seicento bolognesi. Fu dei
-primi a curar le ferite con solo vino<a class="tag" id="tag330" href="#note330">[330]</a>, e seguì i
-suoi concittadini in Terrasanta nel 1218.
-</p>
-
-<p>
-Quell’abitare a troppi insieme, il vestire di lana, i
-pellegrinaggi, le nessune cautele sanitarie, agevolavano
-la propagazione de’ mali, e la peste può dirsi non cessasse
-mai; ne’ tempi più infetti vedeansi a folla trarre
-i pellegrini a perdonanze e giubilei; e tardi si pensò a
-contumacie ed altri provvedimenti contro il contagio;
-nel che il Comune di Milano diede forse il primo esempio.
-Dal Levante vennero pure malattie nuove, di cui
-la più durevole e funesta fu il vajuolo, che sembra arrivasse
-cogli Arabi al primo loro sbucare dalla penisola
-natìa. Coi Crociati credesi qui venuto il fuoco
-sacro, a curare il quale si dedicarono i frati di Sant’Antonio.
-Anche il ballo di san Vito comparve dopo il
-Mille, come nella Puglia la tarantella. Più spesso la
-lebbra serpeggiò sotto forme orride e schifose: prurito
-alle mani, atroci spasimi interni; poi la pelle facevasi
-squamosa, e chiazzata di macchie livide, rosse e fin
-nere, infine scabra quasi scorza d’alberi; allora si copriva
-d’ulceri rossastre e tumori cancerosi; dita, mani,
-piedi tumefacevansi sformatamente; le carni cadeano a
-brani, restandone miserabilmente segnata la via dove
-molti fossero passati: il viso prendeva un ringhio ributtante,
-i peli cadeano, rauca la voce; il male invadeva
-il tessuto mucoso, membrane, glandule, muscoli, cartilagini,
-ossa: fiera melanconia occupava l’infermo, che
-vedeva a passi lentissimi avvicinarsi l’inevitabile risolvimento
-del morbo.
-</p>
-
-<p>
-Sotto i Longobardi i lebbrosi cacciavansi di città, e
-non poteano vendere od alienare i proprj averi, affiggendovi
-l’idea d’un particolare castigo di Dio, secondo
-<span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span>
-qualche passo della Bibbia, della quale vi si applicarono
-le precauzioni. Gli statuti d’ogni Comune provvedono
-sullo scoprirli ed isolarli: la Chiesa stessa, che parea
-maledirli, veniva a disacerbare le miserie, e a volgerle
-in espiazione colle cerimonie miste di tristezza e di
-speranza, onde li staccava dalla società. Celebrato in
-presenza dell’infermo l’uffizio da morto, esortava ad
-essere buon cristiano e confidare nella carità dei fratelli,
-da cui corporalmente era sequestrato; gli si vietava
-d’accostarsi all’abitazione dei viventi, di lavarsi in
-rivo o in fontana, d’andare per istrade anguste, di toccar
-bambini o la fune dei pozzi, nè bevere che dalla
-sua scodella; poi benedetti gli utensili che doveano
-servirgli nella solitudine, fattagli limosina da ciascun
-assistente, il clero accompagnato dai fedeli lo conduceva
-alla capanna destinatagli, davanti a cui piantata
-una croce di legno, vi sospendeva un bossolo per ricevere
-la limosina de’ passeggeri. Un abito particolare
-distingueva quell’infelice, e guanti e certi battagliuoli
-ch’e’ dovea sonare invece di parlare. A Pasqua poteva
-uscire dall’anticipato sepolcro, e per alcuni giorni entrar
-nella città o nei villaggi, partecipe all’universale esultanza
-della cristianità. Le mogli poteano seguirli, e
-procacciare le consolazioni della famiglia. Quelle poi
-della carità erano pari al male: il concilio Lateranese III,
-disapprovando il rigore con cui alcuno li
-trattava, dichiarò la Chiesa esser madre comune dei
-Fedeli; i lebbrosi poter essere più meritevoli che i sani;
-perciò si facesser loro e chiesa e cimitero distinti, e un
-prete a cura delle loro anime, e dispensati dal dare la
-decima degli orti e del bestiame. A loro pro moltiplicavansi
-i lazzaretti, così denominati (ed essi lazzari) dal
-povero del vangelo. L’arcivescovo di Milano alla domenica
-delle palme, andando in processione a San Lorenzo,
-al Carrobbio lavava e vestiva di nuovo un lebbroso;
-<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span>
-per ispeciale loro sollievo fu istituito l’ordine di san
-Lazzaro, il cui granmaestro doveva essere lebbroso,
-acciocchè meglio sapesse consolare mali che avea provati:
-stupendo sforzo della cavalleria cristiana il nobilitare
-in certo modo la più stomachevole delle malattie.
-</p>
-
-<p>
-Caterina da Siena curando e sepellendo una lebbrosa,
-ne contrasse l’infermità; ma di subito le mani sue divennero
-bianche e liscie come d’un bambino. Francesco
-d’Assisi, trovatone uno in val di Spoleto, l’abbracciò e
-baciò nella bocca cancerosa, e così l’ebbe guarito: vedendone
-un altro nel piano d’Assisi, s’accostò a fargli
-limosina; e ad un tratto più nol vide, sicchè restò persuaso
-fosse nostro Signore, che spesso assumeva quella
-schifosa sembianza per mettere a prova la carità. E
-però Francesco raccomandava a’ suoi frati i lebbrosi, e
-congedava i novizj che non sapessero sostenerne la cura.
-Uno che per l’impazienza e per le bestemmie era insoffribile
-a’ frati, tolse Francesco a curarlo egli stesso,
-e l’imbonì, e lavò, e «dove toccava il santo colle sue
-mani, si partiva la lebbra dall’infermo, e rimaneva la
-sua carne perfettamente sana; sì che mentre il corpo si
-mondava di fuori dalla lebbra, l’anima si mondava dal
-peccato dentro per la contrizione». Dopo rigorose
-penitenze il lebbroso morì, e comparve a Francesco e gli
-disse: — Mi riconosci tu? io son quel lebbroso che fu
-sanato da Cristo per li tuoi meriti, e oggi me ne vado
-alla gloria eterna; di che rendo grazie a Dio e a te, perocchè
-per te molte anime si salveranno quaggiù»<a class="tag" id="tag331" href="#note331">[331]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nelle spedizioni in Asia i nostri poterono profittare
-della sperienza degli Arabi, e di fatto allora si conobbero
-la cassia e la senna: la teriaca, polifarmaco fondamentale
-del medioevo, fu da Antiochia portata a
-Venezia, che lungamente ne custodì il secreto. Ruggero
-<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span>
-di Parma raccomandò la spugna marina per le scrofole,
-ed eccellenti pratiche chirurgiche. Rolando di Parma
-stese un trattato di chirurgia, commentato poi da quattro
-Salernitani. Guglielmo da Saliceto piacentino, uno
-de’ migliori di quell’età e abbastanza indipendente, stese
-con qualche esattezza un’anatomia compendiosa, precedette
-Willis nel distinguere i nervi addetti alla volontà
-o no, e descrive fin d’allora la sifilide.
-</p>
-
-<p>
-Lanfranco di Milano, spatriato quando più non potè
-opporsi a Matteo Visconti, rizzò cattedra a Parigi <span class="sidenote">(1295)</span>, e
-trasse tanti ascoltatori, che celeberrima divenne la scuola
-dei chirurghi secolari. Sebbene il chirurgo si tenesse
-molto inferiore ai medici, che perciò non si sarebbero
-prestati alle operazioni, preferendo usare farmachi,
-Lanfranco operò spesso, ed è lodevole quel suo dare
-l’anatomia dell’organo di cui descrive le lesioni.
-</p>
-
-<p>
-Teodorico vescovo di Bitonto osservò da sè, e sostituì
-le fasciature di tela ai grandi apparecchi di legno nella
-frattura di ossa. Taddeo d’Alderotto fiorentino, filosoficamente
-illustrando Ippocrate e Galeno, acquistò tanta
-reputazione nella sua scienza quanto Accursio nella
-legale: eppure delira qualvolta pretende rivelare i segreti
-delle arti, nascosti sotto il gergo degli autori. Chiamato
-ad assistere il nobile Gherardo Rangone <span class="sidenote">(1285)</span>, volle
-che, per istromento rogato, i tre procuratori di quello
-il garantissero d’ogni danno in viaggio, e che lo ricondurrebbero
-in Bologna indenne della persona e della
-borsa, non molestato da ladri o da nemici, non fermato
-contro voglia a Modena; in caso contrario, gli si
-pagherebbero lire mille imperiali per ciascuno degli
-articoli violati; essi poi gli restituiranno tremila lire
-bolognesi, che confessano aver ricevuto in deposito:
-finzione che vela una remunerazione esorbitante<a class="tag" id="tag332" href="#note332">[332]</a>.
-<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span>
-Al papa domandò cento ducati d’oro il giorno, perchè
-più ricco degli altri, i quali gliene davano cinquanta;
-onde, finita la cura, ne toccò diecimila. Bartolomeo da
-Varignana dal marchese d’Este ebbe per una cura ducensessanta
-fiorini d’oro.
-</p>
-
-<p>
-Simon di Cordo genovese, medico di Nicolò IV, nella
-<i>Clavis sanationis</i>, dizionario de’ medicamenti semplici,
-cercò sbrogliare la varietà di nomenclatura. Viaggiò
-trent’anni per scientifico intento la Grecia e l’Oriente,
-ma invece di determinare i corpi secondo la natura
-loro, si stava a qualità medicinali, e non desunte da
-sperienza ma da supposte doti elementari. E appunto i
-progressi delle scienze naturali erano impacciati dall’empirismo
-superstizioso, dalla cieca venerazione per
-l’autorità, e dal farnetico di sostituire la dialettica allo
-sperimento, aggomitolando interminabili argomentazioni
-sopra oziosissime ricerche. Per esempio, chiedevasi
-se la tal bevanda possa guarire la febbre, e rispondeasi
-di no, perchè quella è una sostanza e questa un
-<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span>
-accidente, nè quindi l’uno può sull’altro. Poco si studiava
-l’anatomia: le operazioni non si eseguivano senza
-consultare le stelle, supponendo intimo nesso fra il
-corpo umano e l’universo, e principalmente i pianeti:
-e le scienze sperimentali cedevano il primo posto alle
-occulte.
-</p>
-
-<p>
-Oggetto di queste era conoscere l’avvenire, scoprir
-tesori, trasmutare i metalli, fare amuleti e incantagioni,
-e comporre il rimedio universale e l’elisir dell’immortalità:
-a scopi così elevati qual fatica aveva a
-parere soverchia? Sull’avvenire cavavansi presagi da
-segni fortuiti, dalle linee della mano, dalle stelle, dai
-sogni, della cui divinazione come dubitare dopo quel
-che Ippocrate n’aveva scritto? e indovinavasi in fatti
-alcuna volta, perchè è difficile non riuscirvi quando si
-dice un po’ di tutto e vagamente.
-</p>
-
-<p>
-L’astrologia, pazza figlia di savia madre, si trova all’infanzia
-come alla decrepitezza della società, fra i dotti
-Romani come fra semplici Oceanici. L’uomo è centro
-e scopo della creazione, onde a lui si riferisce ogni
-cosa; e se (com’è certo) il sole e le altre stelle influiscono
-sulle stagioni, sulla vegetazione, sugli animali,
-quanto più non devono sull’uomo, prediletta fra le
-creature? Le storie (dicono gli astrologi) e il consenso
-de’ filosofi antichi s’accordano nel riconoscere un’analogia
-fra gli anni della vita e i gradi percorsi da ciascun
-segno sull’eclittica. Per iscoprirla, vuolsi accertare
-l’effetto degli astri sopra le varie cose naturali, e
-i computi de’ moti, e certe formole arcane, mediante le
-quali o crescere le forze della natura, o determinare
-l’influsso dei pianeti, massime all’istante natalizio, od
-evocare gli spiriti e i morti. Il sapiente che conosca le
-occulte proprietà delle cose, non solo indovinerà l’avvenire,
-ma opererà su di esso, eccitando odio od amore,
-scoprendo i secreti divisamenti, i tesori occulti, i rimedj
-<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span>
-ai mali, e fin il supremo della scienza, l’arte di far oro.
-</p>
-
-<p>
-I fenomeni della natura sono invigoriti dai numeri,
-attesochè secondo questi è disposto l’universo, e possedono
-arcana efficacia. Di qui la cabala, che da combinazione
-di numeri credea divinar le cose arcane, ed
-acquistare autorità sopra gli spiriti: e ogni astrologo
-ed alchimista si millantava di qualche demone famigliare
-obbediente a’ suoi cenni. Così intralciavansi fra
-sè gli errori, dalla pagana superstizione tramandatici
-attraverso alle scuole neoplatoniche e al gnosticismo.
-</p>
-
-<p>
-Fu l’astrologia onorata di cattedre, e l’università di
-Bologna ne decretava un professore <i>tamquam necessarissimum</i>,
-e principi e repubbliche ne teneano uno
-da consultare ne’ più gravi casi. Ezelino, Buoso da
-Dovara, Uberto Pelavicino, tiranni formidabili, tremavano
-davanti alle potenze incognite, e i calcoli della
-prudenza e dell’ambizione sottoponevano alla decisione
-degli astri e dei loro interpreti; e nella Vaticana si conservano
-le risposte che ai loro consulti dava Gherardo
-da Sabbionetta cremonese. Federico II voleasi attorno
-il fior degli astrologi, a senno loro mutando divisamenti<a class="tag" id="tag333" href="#note333">[333]</a>;
-e quando nel 1239 udì la ribellione di
-Treviso, fece dalla torre di Padova osservare l’ascendente
-<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span>
-da maestro Teodoro; ma non avvertì (riflette
-Rolandino) che allora nella terza casa stava lo scorpione,
-il quale avendo il veleno nella coda, indicava
-che l’esercito sarebbe offeso verso il fine. Stando in
-Vicenza, volle che un astrologo gl’indovinasse per qual
-porta uscirebbe il domani; e quegli la scrisse in un polizzino,
-che suggellato consegnò a Federico perchè non
-l’aprisse se non uscito. L’imperatore fece una breccia
-nella mura, e per quella se n’andò; allora, aperto il
-foglietto, trovò scritto: <i>Per porta nuova</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il suddetto Gherardo andò a Toledo per leggere
-l’<i>Almagesto</i> di Tolomeo, e lo voltò in latino, come il
-trattato de’ crepuscoli di Al-Gazen e altre opere; inventò
-lo specillo, e la sua <i>Theoria planetarum</i> leggevasi
-nelle università<a class="tag" id="tag334" href="#note334">[334]</a>. Andalon Di Negro genovese,
-<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span>
-arricchitosi di cognizioni nei viaggi, ci lasciò un trattato
-latino della composizione dell’astrolabio.
-</p>
-
-<p>
-Guido Bonatto da Forlì diede la quintessenza di
-<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span>
-quanto gli Arabi n’aveano scritto<a class="tag" id="tag335" href="#note335">[335]</a>, e coll’ajuto di
-Dio e di san Valeriano, patrono della sua patria, discorre
-l’utilità dell’astrologia, la natura de’ pianeti e
-<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span>
-loro congiunzioni ed influenze, i giudizj che se ne deducono,
-e varie questioni che si possono risolvere con
-questa scienza. Mirabile nella pratica di quest’impostura,
-a Federico II scoperse una congiura ordita a Grosseto;
-fabbricò una statua che rispondeva oracoli; dirigeva
-ogni operazione di Guido da Montefeltro; e allorchè
-questi uscisse a campo, il Bonatto saliva sul campanile
-di San Mercuriale, e con un tocco della squilla accennava
-il momento di vestir l’armadura, con un altro
-quel di montare a cavallo, col terzo la marciata. Pretendeva
-che Gesù Cristo medesimo si valesse dell’astrologia,
-e imbizzarrisse contro i <i>tunicati</i> che si opponevano
-alle sue predizioni.
-</p>
-
-<p>
-Pietro d’Abano, educato a Costantinopoli <span class="sidenote">(1316)</span>, fu sì fortunato
-da cogliere la postura degli astri, designata da
-Abul-Nasar come quella in cui Dio non può rifiutare
-domanda che gli sia fatta: e ne profittò per chiedere
-la sapienza, e subito restò illuminato a conoscere l’avvenire.
-Moltissime fole si accumularono sul conto di
-lui; delle sette arti liberali acquistò cognizione per
-mezzo di sette spiriti; avea facoltà di far tornare i denari
-dopo spesi; non avendo pozzo in casa, fe portarsi
-quel del vicino che gliene negava l’uso, o, come altri
-disse, fe portare in istrada il proprio onde non essere
-disturbato dagli accorrenti. In realtà nel suo <i>Conciliator
-differentiarum</i>, un de’ migliori libri medici d’allora,
-insegna il salasso non esser mai sì opportuno come nel
-primo quarto della luna; che per guarire i dolori nefritici
-bisogna, al momento che il sole passa pel meridiano,
-disegnare con cuore di leone sopra una lastra
-d’oro una figura di quest’animale, e appenderla al
-collo del malato; che per cauterizzare valgono meglio
-stromenti d’oro che di ferro, attesa la grande influenza
-di Marte sulla chirurgia.
-</p>
-
-<p>
-Fu professore a Padova ed a Parigi, ove lo accusarono
-<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span>
-di magia per cure mediche ben riuscitegli; poi
-d’eresia a Roma, ma per autorità pontifizia andò assolto.
-Riferì al corso degli astri i periodi delle febbri;
-il pubblico palazzo di Padova fece dipingere a costellazioni;
-e dell’astrologia era persuaso a tal punto, che
-procurò indurre i Padovani a spianar la loro città per
-rifabbricarla sotto una combinazione di pianeti allora
-comparsa, tanto fortunata che niuna più. Forse queste
-son ciancie di Pier da Reggio, che, vinto da lui in dottrina,
-tentò perderlo nell’opinione; onde con accuse
-contraddittorie Pietro d’Abano fu imputato da una parte
-di non credere al diavolo, dall’altra di tenerne sette in
-un’ampolla ad ogni suo cenno; per le quali accuse e
-per altre più serie l’Inquisizione lo processò. Venuto a
-morte, disse agli amici: — A tre nobili scienze io ho
-dato opera, delle quali una m’ha fatto sottile, una ricco,
-la terza menzognero; filosofia, medicina, astrologia».
-Nel testamento si protesta buon cattolico, e aveva implorato
-d’essere sepolto ne’ Domenicani; ma l’Inquisizione
-gli continuò il processo, e ne turbò le ossa. L’illustre
-medico Gentile da Foligno, entrando nella scuola
-di lui, s’inginocchiò, e levate le mani sclamò: — Ave,
-santo tempio»; poi, visti alcuni suoi manoscritti, se li
-pose sul seno e li baciava con riverenza<a class="tag" id="tag336" href="#note336">[336]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Sebbene la Chiesa vi si opponesse, vescovi e prelati
-non rimasero incontaminati da queste follie, che durarono
-ben oltre i tempi che descriviamo. Conseguente a
-tali falsità fu il ripigliare le classiche credenze in folletti,
-spettri, fantasmi, vampiri; credenze fatte energiche
-come i tempi, e che acquistarono maggior fede allorchè
-si videro perseguitate con regolari processi: l’immaginativa
-fingeva avvenimenti ch’essa medesima credea
-poi veri; e uomini di bollente fantasia si isolavano, dispettando
-<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span>
-il mondo reale per uno fantastico, e mescolando
-l’impostura, l’allucinamento e il fanatismo. La
-legislazione dovette intervenire a reprimere gente che
-destava le procelle, mutava le forme de’ corpi e degli
-uomini, produceva malattie; e gli assurdi processi traviarono
-gran tempo la giustizia, siccome avremo a deplorare
-nel secolo che chiamano d’oro.
-</p>
-
-<p>
-Non alle vite, ma alle sostanze recò danni la ricerca
-del come improvvisamente arricchire. A ciò due strade
-offerivano le scienze occulte; trovare tesori, e tramutare
-i metalli. Intorno ai tesori, stupendi fatti raccontano
-le cronache, e gli assegnano perfino ad Alberto
-Magno e a papa Silvestro II<a class="tag" id="tag337" href="#note337">[337]</a>. In Apulia era una
-statua di marmo con una corona d’oro iscritta: <i>A calen
-di maggio, sole nascente, ho il capo d’oro</i>. Nessuno
-intese il motto, sinchè Roberto Guiscardo ne strappò il
-secreto ad un prigioniero saracino; e fissato ove cadeva
-l’ombra della testa al primo maggio, trovò tesoro.
-</p>
-
-<p>
-La chimica degli antichi teneva che i corpi risultino
-dalla combinazione de’ quattro elementi, e che l’armonia
-di questi produca la perfezione nei corpi. Chi
-dunque scopra le migliori combinazioni, potrà non solo
-ridonar la sanità e prolungare indefinitamente la vita,
-ma anche trasformare corpi e metalli. Sentimento
-<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span>
-sublime, comunque erroneo, della potenza dell’uomo e
-della perfettibilità di tutto il creato. E poichè l’uomo
-vede nell’oro il rappresentante universale dei godimenti,
-la scienza s’industriò in ispecial modo a tramutare in
-esso lo stagno e il mercurio, mediante la <i>pietra filosofale</i>
-e la <i>polvere di projezione</i>; e non riuscendovi coi
-mezzi semplici, ricorse allo spirito universale, all’anima
-generale del mondo, all’influsso delle stelle per raggiungere
-l’<i>opera grande</i>. Di qui la scienza arcana e
-tenebrosa dell’alchimia, che tanti spiriti occupò.
-</p>
-
-<p>
-Le sue ricette erano positive: se non che spiegavasi
-l’arcano con termini non meno arcani. Volete, intonavano,
-fare l’elisir de’ sapienti? prendete il mercurio dei
-filosofi, trasformatelo successivamente colla calcinazione
-in leon verde e leon rosso, fatelo digerire in bagno di
-sabbia con spirto acre di vite, e distillate il prodotto;
-ma il lambicco sia coperto dalle ombre cimerie, e al
-fondo si troverà un drago nero che mangia la propria
-coda... Inoltre la scienza ermetica ajutavasi della verga
-di Mosè, del sasso di Sisifo, del vello di Giasone, del
-vaso di Pandora, del femore aureo di Pitagora; se nulla
-profittassero, ricorrevasi al diavolo barbuto, specialmente
-incaricato di tali ministeri.
-</p>
-
-<p>
-A questo delirio di classica origine<a class="tag" id="tag338" href="#note338">[338]</a>, continuato
-<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span>
-ancora secoli e secoli, alcuni si prestavano di buona
-fede; e la testimonianza altrui o le apparenze illusorie
-li persuasero potersi trovare questa polvere di projezione:
-onde vi si affaticarono con passione, faceano
-lunghi viaggi massime al Sinai, all’Oreb, all’Atos. Più
-spesso era un lacciuolo ai creduli, per trarne l’oro necessario
-a far oro; ma a Giovanni Augurello, che gli
-presentò un poema sull’arte di far l’oro (<i>Crisopeia</i>),
-papa Leone X diè per unico regalo una borsa vuota,
-nella quale potesse riporlo.
-</p>
-
-<p>
-Facile è il deridere le ignoranze o stranezze de’ nostri
-maggiori, massime a chi perda di vista quelle che
-in noi derideranno i nostri nipoti. La scienza seria
-anche in questi traviamenti indaga i progressi dell’intelletto
-e della società, e riconosce nell’errore un aspetto
-<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span>
-fallace della verità, ma nuovo e progressivo. Il disputare
-nelle università al cospetto di tutto il mondo erudito
-d’allora, e fra una gioventù che vivamente parteggiava,
-conduceva a ricorrere a sottigliezze, quando
-la pessima sventura per un dottore sarebbe stata il rimanere
-accalappiato in un’argomentazione da cui non
-sapesse strigarsi: onde i dibattimenti diventavano non
-uno sforzo verso la verità, ma un’arena di capiglie; e
-la filosofia, come già la teologia, ebbe martiri ostinati
-d’indicifrabili enigmi. Pure se sbriciolavasi il pensiero,
-veniva anche analizzato; acuivasi il raziocinio, che
-dell’errore e della verità è veicolo, non mai causa; in
-quella ginnastica gl’intelletti si foggiavano allo stretto
-ragionamento, all’ordine ed all’economia delle idee, alla
-costanza del metodo, e si poterono svolgere i concetti
-morali e metafisici di cui la Scolastica avea posto i
-germi, conservandone il fondo, cangiando la forma.
-Della Scolastica è merito l’andamento analitico delle
-moderne favelle, che per la stretta relazione delle parole
-colle cose svelano il logico procedere della ragione
-odierna, dovuto a quella comunque malaccorta educazione.
-L’astrologia e l’alchimia portarono a meditare
-sopra il sistema del mondo e la composizione dei corpi.
-</p>
-
-<p>
-Nè le matematiche, la parte più rilevante dello scibile
-dopo la lingua, erano perite, e basterebbero ad
-attestarlo i progressi della meccanica e dell’architettura.
-Resta nella cattedrale di Firenze un calendario scritto
-nell’813, con bellissime traccie d’osservazioni celesti,
-per le quali l’autore si era accorto dello spostamento
-de’ punti equinoziali dopo il concilio Niceno I, stando
-al computo giuliano. D’un geografo di Ravenna abbiamo
-una rozza descrizione del mondo, cui può servire
-di schiarimento una mappa del 787 che sta nella biblioteca
-di Torino in un commento manoscritto dell’Apocalisse.
-La geografia dovea vantaggiarsi dai tanti viaggi
-<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span>
-di devozione, per guida dei quali stendevansi itinerarj;
-ma come scienza ben poco progredì.
-</p>
-
-<p>
-San Tommaso intendeva addentro nelle matematiche,
-e scrisse degli acquedotti e delle macchine idrauliche.
-Campano novarese commentò Euclide, studiò
-alla quadratura del circolo e alla teorica de’ pianeti, e
-indicò la genesi de’ poligoni stellati: Urbano IV lo teneva
-frequente alla sua tavola con altri, da cui godeva
-sentire spiegate le quistioni che proponesse. Paolo Dagomeri
-da Prato, detto l’Abbaco per la sua perizia
-nell’aritmetica e nella geometria, rappresentava in macchine
-tutti i moti degli astri: fu il primo a pubblicare
-un almanacco. Biagio Pelacani da Parma spiegò le apparenze
-prodigiose dell’atmosfera mediante la riflessione
-delle nubi.
-</p>
-
-<p>
-Di que’ tempi, e merito degli Italiani fu una comodissima
-novità. Mentre gli antichi, siano i classici, siano
-gli Ebrei e gli Arabi, notavano i numeri con lettere,
-gl’Indiani possedevano una numerazione più ragionata,
-ove le cifre, oltre il proprio, hanno un valore di posizione,
-sicchè trasportate al penultimo posto esprimono
-le decine, al terz’ultimo le centinaja, e così via: da essi
-l’appresero gli Arabi, e alcun Europeo se ne valse in
-opere scientifiche. Leonardo Fibonacci di Pisa, stando
-impiegato nelle dogane a Bugia di Barberia, cercò
-quanto d’aritmetica sapeasi in Egitto, in Grecia, in Siria,
-in Sicilia, e in un trattato d’aritmetica e d’algebra del
-1202 si valse di queste ch’egli chiama cifre indiane.
-Gloria sua più certa è l’avere primo fra i Cristiani trattato
-dell’algebra, e in modo tale che tre secoli di concordi
-fatiche non aggiunsero un punto a quel ch’egli
-insegnò. L’applica esso a problemi mercantili, senza
-un cenno delle operazioni magiche, dietro cui deliravano
-anche i più valenti. Così un negoziante fiorentino recò
-all’Europa e il calcolo de’ valori e quello delle funzioni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span>
-</p>
-
-<p>
-Altra invenzione importantissima di quel tempo sarebbero
-le note musicali, che si attribuiscono a Guido
-d’Arezzo monaco benedettino <span class="sidenote">(n. 955)</span>; ma in che consista il
-merito di lui, non è ben certo. Imperocchè i righi e i
-punti già erano conosciuti; non fu lui che introducesse
-la gamma per imparare il solfeggio; non lui che estese
-la scala aggiungendo cinque corde alle quindici degli
-antichi. La tradizione dice soltanto ch’egli trovò note,
-onde in brevissim’ora imparavasi la musica, che dapprima
-richiedeva molti anni; e che Benedetto VIII, invitatolo
-a Roma per farne prova, se ne chiamò soddisfatto.
-La sua scala è la stessa de’ Greci, solo estesa alquanto
-aggiungendovi un tetracordo nell’accordo e una
-corda nel grave<a class="tag" id="tag339" href="#note339">[339]</a>; e alcun vuole che allora alle
-lettere gregoriane si sostituissero punti quadrati o rotondi
-sopra righi paralleli e negli intervalli, sicchè le
-relazioni armoniche de’ toni divennero quasi sensibili
-<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span>
-alla vista, e la facilità del notarle con punti sopra punti
-(contrappunto) ne rese agevole l’esecuzione.
-</p>
-
-<p>
-Sant’Ambrogio e Gregorio Magno aveano redenta la
-musica dalle pagane profanità e dall’elemento mondano,
-secondo il quale proponeasi unicamente d’esprimere la
-durata delle sensazioni, e imitare i movimenti delle
-impressioni prodotte dalla passione e dal sentimento;
-abolito il ritmo, sicchè il canto non fosse più capace di
-esprimere i sentimenti e le passioni, ma restasse affatto
-spirituale; atteso che, essendo le note tutte di durata
-eguale, meglio esprimevano, nel vestire le parole sante,
-l’inalterabile calma dell’onnipotenza. Però si conservarono
-i modi antichi, che erano toni esprimenti la differenza
-dal grave all’acuto fra i varj punti di partenza
-dei sistemi di successione. Ambrogio aveva unito i due
-tetracordi per formare la scala; e scelto fra i modi
-greci i quattro che più acconci gli parvero alla maestà
-del canto e all’estensione della voce, sbandì gli ornamenti
-introdotti nella melopea, e gran numero di ritmi:
-insigne semplificazione e barriera alle novità corruttrici,
-perchè anche la musica colla purezza semplice e
-maestosa ritraesse la severa austerità del culto. Gregorio,
-sull’orme d’Ambrogio, e schivandone gl’inconvenienti,
-aggiunse quattro nuovi modi, ond’evitare la
-monotonia.
-</p>
-
-<p>
-Restava che la musica cristiana conquistasse l’armonia,
-ignota ai Greci; e mentre in questi le regole non
-miravano che a stabilire successioni, ora doveasi introdurre
-la simultaneità dei suoni. Malgrado gli ostacoli
-dell’abitudine e della venerazione verso gli antichi, si
-poterono fare intendere due voci a un tratto: ma quando
-si cominciasse non si sa. Guido d’Arezzo non diede
-nuove regole all’arte, ma mostra evidente che già allora
-conoscevasi la difonia, quantunque ignoriamo a
-quali regole formata.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap91">CAPITOLO XCI.
-<span class="smaller">Federico II. Seconda guerra dell’investitura.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Nel concilio Lateranense IV, aperto l’11 novembre
-1215, l’autorità pontifizia apparve nella maggior sua
-magnificenza. I due imperatori d’Oriente e d’Occidente,
-i re di Cipro, di Gerusalemme, di Sicilia, di Francia,
-d’Inghilterra, d’Aragona, d’Ungheria mandaronvi ambasciadori;
-i patriarchi d’Antiochia e di Gerusalemme
-v’assistettero in persona, e per rappresentanti quei di
-Costantinopoli e d’Alessandria; settantuno arcivescovi,
-quattrocendodici vescovi, e più di ottocento abati e
-priori; e tale affluenza di popolo, che alcuni prelati non
-poterono penetrare nella basilica, e il vescovo d’Amalfi
-restò soffocato. In mezzo a un circolo di cardinali ornati
-in maestosa semplicità, compariva il pontefice,
-che aveva veduto Costantinopoli rimessa alla sua obbedienza;
-era uscito trionfante dalla guerra degli Albigesi
-e dalla lotta con Ottone imperatore e col re d’Inghilterra,
-che gli fe omaggio della sua corona; all’ombra
-di lui, quest’isola aveva ottenuto la <i>Magna Charta</i>
-salvaguardia di sua libertà, le città toscane formato una
-confederazione, e le lombarde rinnovato l’antica; gli
-Spagnuoli nel piano di Tolosa riportata insigne vittoria
-che li francheggiava omai dall’araba servitù; da lui il
-re d’Aragona domandò la corona; quel di Bulgaria gli
-sottomise la sua; sulla Sicilia avea sodato la supremazia
-della santa Sede, dopo averla rinfrancata in Roma; in
-due Ordini, baliosi di gioventù, erasi creata una milizia
-stabile, disposta ad ogni suo comando. Ed ora al mondo
-intero, pendente dalle sue infallibili decisioni, dettava
-i canoni della credenza e le regole della disciplina ecclesiastica
-<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span>
-e civile: vietato l’affidare funzioni pubbliche
-a Musulmani o Ebrei, o il vendere armi agli Infedeli;
-frenata l’usura, proscritti i Patarini, e per distinguersi
-da questi dovessero i Cattolici almeno una volta l’anno
-comunicarsi alla propria parrocchia; confermata la
-dottrina di Pier Lombardo intorno alla Trinità, riprovando
-quel che n’avea scritto «il calabrese abate Gioacchino»,
-scrittore mistico, rinomato per predizioni;
-ordinata pace generale per quattro anni.
-</p>
-
-<p>
-Vicario della divinità in terra pel governo temporale
-e per lo spirituale, il pontefice avea dunque portate ad
-effetto le massime che le Decretali avevano sancite,
-proclamando la potenza ecclesiastica essere il sole, da
-cui, a guisa di luna, la imperiale traeva il suo splendore<a class="tag" id="tag340" href="#note340">[340]</a>.
-Spiegando le relazioni del potere temporale
-collo spirituale, Innocenzo III scriveva<a class="tag" id="tag341" href="#note341">[341]</a>: — Il Signore
-<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span>
-non solo per costituire l’ordine spirituale, ma
-anche perchè una certa uniformità fra la creazione e il
-corso degli avvenimenti l’annunzii autore di tutte le
-cose, stabilì armonia fra cielo e terra, in modo che la
-meravigliosa consonanza del piccolo col grande, del
-basso coll’alto, ce lo riveli per unico e supremo creatore.
-Come stampò due grandi luminari sulla volta celeste,
-così affisse al firmamento della Chiesa due supreme
-dignità, una che splenda il giorno, cioè illumini
-gl’intelletti sopra le cose spirituali, e franchi dalle catene
-le anime tenute nell’errore; l’altra che schiari le
-notti, cioè gli eretici indurati e i nemici della fede, e
-impugni la spada per castigo de’ reprobi e gloria dei
-fedeli. E come, offuscando la luna, buja notte involge
-le cose; così, quando mancasi d’imperatore, prorompe
-la rabbia degli eretici e dei pagani».
-</p>
-
-<p>
-Pretendenze non meno assolute sillogizzavano i giuristi,
-attribuendo agli imperatori un potere senza
-limiti, quale avea formato la possa e l’obbrobrio di
-Roma antica; e con argomento di pari calibro nelle
-nuove università insegnando il <i>sacro impero</i> elevarsi
-sopra ogni mondana cosa, l’imperatore portare in mano
-il globo a significare la padronanza sull’universo mondo.
-</p>
-
-<p>
-Arroganze sì opposte doveano rinnovare il conflitto
-tra il pastorale e lo scettro. Cominciato da Gregorio VII,
-erasi sopito con un accordo, ove l’imperatore crebbe
-di vantaggi, il papa d’opinione. Dopo ottant’anni si
-ridestò più palese e meglio determinato, non trattandosi
-più d’una formalità feudale, ma se la Chiesa dovesse
-star sottoposta all’Impero. Anche i lottanti erano
-<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span>
-ben differenti: l’inflessibile Gregorio più non viveva, e
-al posto d’un Enrico IV, principe scapestrato e inviso,
-stavano i principi di Svevia, nobili, generosi, cortesi,
-fautori delle lettere, cinti da signori tedeschi, che fedeli
-al re e alla donna di lui, lo seguivano del pari al torneo
-od alle spedizioni oltre l’alpi e il mare.
-</p>
-
-<p>
-Federico II, rampollo ghibellino allevato dal papa e
-da lui sostenuto contro il guelfo Ottone, sicchè per
-ischerno veniva detto il re dei preti, mostrò deferenza
-e rispetto a Innocenzo III finchè n’ebbe bisogno: esortò
-il senato romano ad obbedirgli; nella dieta di Egra
-solennemente professò, pei tanti favori avuti dalla romana
-Chiesa, le sarebbe sempre rispettoso e sommesso;
-le confermava le concessioni fatte da Ottone; l’aiuterebbe
-a conservare i dominj, e nominatamente la Sicilia,
-la Sardegna, la Corsica, e a recuperare i disputati,
-come l’eredità della contessa Matilde; — Appena consacrati
-a Roma (soggiungeva) emanciperemo nostro
-figlio Enrico, cedendogli il regno nostro ereditario di
-Sicilia, sicchè il tenga come il teniam noi dalla santa
-Sede; e noi rinunzieremo al titolo regio e al governo
-di quel paese, di modo che mai non possa essere unito
-all’Impero»<a class="tag" id="tag342" href="#note342">[342]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Oggi chiameremmo ciò politica; allora parve ipocrisia:
-giacchè al tempo stesso ricusava far giustizia
-alle domande della Chiesa; pretese che Innocenzo gli
-avesse peggiorato il patrimonio, e perciò a Ricardo
-fratello di lui ritolse il contado di Sora, e spogliò altri
-che dal papa erano stati investiti; fece anche morire
-qualche vescovo per ribelle, e non rifiniva di lamentarsi
-che Roma raccogliesse chi a lui era sfavorevole;
-<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span>
-e soltanto la morte sottrasse Innocenzo dal vedere il
-suo pupillo morsicare il seno che l’aveva nodrito.
-</p>
-
-<p>
-Federico, gioviale, colto, amabile, atto a conciliarsi
-gli animi, quanto alienavali la rozzezza d’Ottone, rimase
-indisputato re di Germania allorchè questo morì
-pentito e ricreduto della guerra portata alla Chiesa, e
-facendosi flagellare dai servi per penitenza <span class="sidenote">(1218)</span>. Propenso
-alle armi a somiglianza degli Svevi paterni, e a somiglianza
-dei materni Normanni destro nella politica e
-dissimulato, segnò con buoni provvedimenti i cinque
-anni che dimorò in Germania; poi si volse all’Italia,
-alla quale lo traevano la bellezza del cielo, le rimembranze
-di sua gioventù, la coltura degli abitanti, e il
-proposito di tornar vigoroso l’Impero. Raccontavasi
-che, ancor fanciullo, tra il sogno gridò: — Non posso,
-non posso»; e interrogato rispose parevagli di mangiare
-tutte le campane del mondo: ma ne abboccò una
-così grossa, che in verun modo non potea trangugiare.
-Vedemmo più volte il medio evo tradurre i fatti in
-cotali storielle.
-</p>
-
-<p>
-In Lombardia le città principali venivano allargando
-il dominio, non più soltanto sovra le terre circostanti,
-ma su città minori, inviandovi podestà ed esigendone
-tributi, per modo che l’infinito sminuzzamento riconosciuto
-dalla Lega Lombarda restringevasi attorno ad
-alcuni centri. Uno de’ principali era Milano, che moltiplicava
-guerre a Pavesi, Cremonesi, Parmigiani, Modenesi,
-e che caporione della parte guelfa, trovavasi però,
-come fautore di Ottone IV, scomunicata dal papa, divenuto
-patrono del discendente degli Svevi.
-</p>
-
-<p>
-Federico vide non riuscirebbe ad alcun pro fra tanto
-rimestìo; e differendo a miglior tempo il cingere la
-corona di ferro, scese verso il mezzodì. Il nuovo papa
-Onorio III dei Savelli era stato ricevuto dai Romani
-con tripudj <span class="sidenote">(1216)</span>, quali niuno ricordava d’aver veduti; pochi
-<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span>
-mesi dopo dai Romani fu espulso, e costretto a ritirarsi
-a Rieti e a Viterbo. Mite pontefice in mezzo a
-due robusti, ai re insinuava continuo la mansuetudine
-sua stessa: istruito dal nunzio che lo scisma greco non
-potrebbe ricomporsi che col rigore, vietò d’usarne, non
-dovendosi tutelare la fede che coll’istruzione, la preghiera,
-il buon esempio e la pazienza. Da Federico, a
-cui nome era stato governatore di Palermo, aveva egli
-a ripetere tre promesse fatte al suo predecessore: di
-crociarsi, di restituire il retaggio della contessa Matilde,
-di rinunziare alla corona di Sicilia, sicchè non fosse unita
-all’Impero. Rinnovate queste promesse, Federico ottenne
-d’essere unto imperatore <span class="sidenote">(1220 — 20 7bre)</span>; nel quale incontro derogò
-qualsifosse legge restrittiva delle libertà della Chiesa, ed
-ordinò severamente l’estirpazione delle eresie.
-</p>
-
-<p>
-Il retaggio della contessa Matilde nella realtà non era
-venuto nè all’impero nè al pontefice, avvegnachè i signori
-posti a governarlo s’erano poc’a poco scossi dalla
-dipendenza, intanto che molti Comuni colla forza, col
-denaro, colla persistenza redimeansi in libertà, fra’ quali
-primeggiava Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Quanto sia alla crociata, dopo la presa di Costantinopoli
-e la fondazione dell’impero latino, Innocenzo III
-non avea cessato di spingere alla liberazione del santo
-sepolcro, tanto più che allora andava attorno, essere
-giunto a sera il dominio di Maometto, simboleggiato
-nella bestia dell’Apocalisse, la quale non oltrepasserebbe
-i seicento anni. Genova vide in quel tempo capitare un
-nuvolo di fanciulli, che, assunta la croce, volevano passare
-alla liberazione di Gerusalemme: infelici! e per
-via perirono tutti, quali di fame e stenti, quali affogati
-ne’ fiumi, alcuni côlti da avidi speculatori per venderli
-schiavi. Innocenzo li compassionò, ma non rifiniva di
-farne raffaccio agli adulti, i quali vigorosi non sapeano
-compiere quel che aveano tentato fanciulli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span>
-</p>
-
-<p>
-Al suo intento veniva opportuno un campione che
-onorate prove avea dato di valore e fedeltà alla Chiesa,
-Giovanni di Brienne, francese lodatissimo in fatti di
-guerra, fratello di quel che vedemmo poc’anzi pretendere
-l’eredità di re Tancredi nella Puglia: ito in Palestina,
-avea preso per moglie Maria figlia di Corrado di
-Monferrato <span class="sidenote">(1219)</span>, e per dote diritti al trono di Gerusalemme.
-Innocenzo lo riconobbe re di questa, e raccolti molti
-Crociati, proponevasi guidarli egli in persona, quando
-morì. Onorio III promise seguitare l’impresa, e ottenne
-che Ungheresi e Tedeschi passassero in Terrasanta su
-navi di Venezia e di Zara. All’assedio di Damiata il
-legato pontifizio a capo degli Italiani <span class="sidenote">(1218)</span> scalò primo le
-mura in buja notte, e la croce d’orifiamma, stendardo
-che conservasi a Brescia, vuolsi vi fosse allora piantata
-dal vescovo Alberto a capo di millecinquecento Bresciani,
-impresa per la quale ottenne il patriarcato di
-Antiochia. Poco poi Enrico di Settala, arcivescovo di
-Milano, condusse un rinforzo di suoi cittadini<a class="tag" id="tag343" href="#note343">[343]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Moadham sultano di Damasco, disperando tenere
-Gerusalemme, ne avea diroccato le mura, e pensava
-anche abbattere il santo sepolcro, quando la fortuna
-cangiò, e la crociata uscì alla peggio. Ne sbigottì tutta
-cristianità, e il papa imputava Federico, che, promesso
-ripetutamente di prendervi parte, sempre avesse mancato.
-Vennero poi in Italia i granmaestri de’ Templari,
-degli Spedalieri, dei Teutonici, il patriarca, e re Giovanni
-di Brienne, e si presentarono supplichevoli all’imperatore
-<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span>
-in Verona; il quale non solo mostrò ascoltarli,
-ma sposò Jolanda figlia ereditiera di re Giovanni,
-col che pareva assumere come cosa propria la difesa e
-il ricupero di Terrasanta. Allestì navi in Sicilia, impose
-taglie e accatti, mandava retoriche esortazioni agli altri
-principi; ma alla nuova stagione destinata alla partita
-egli trovò sotterfugi, domandò il titolo di re di Gerusalemme
-a scapito del suocero, mentre palesava nè voglia
-di assumere nè lealtà di seguire l’impresa.
-</p>
-
-<p>
-Più stavagli a cuore di sottomettere e regolare la
-sua Sicilia. Colà fumava ancora il sangue in cui Enrico VI
-avea tuffato i privilegi de’ baroni, e ne fermentava
-quel miscuglio di vecchio e di nuovo, di ribrame
-e di speranze, che turba ogni recente dominazione. Nei
-passati scompigli la giustizia era stata sovversa; la
-gerarchia d’impieghi stabilita da re Ruggero non serviva
-che a camuffare di legalità esazioni esuberanti; i
-feudi erano stati occupati a volontà, e ciascuno nel
-proprio arrogavasi la sovranità fino al diritto di sangue,
-e in tumultuosa indipendenza tutto era furto, assassinj,
-guerre.
-</p>
-
-<p>
-Volendo farsi perdonare la rivolta o venirgli in grazia,
-i baroni andarono fin a Roma incontro a Federico,
-offrendogli doni e duemila cavalli di Puglia; poi al
-suo arrivo gli prodigarono omaggi, e gli consegnarono
-i maggiori avversarj. Federico li carezza, ma di mezzo
-alle feste si fa cedere i diritti regali dall’abate di San
-Germano; a forza sottopone i conti di Celano e di Molise;
-imprigiona quelli d’Aquila, di Caserta, di Sanseverino,
-di Tricarico perchè non gli avevano dato tutte
-le truppe che doveano; fa radere le fortezze erette dopo
-un certo tempo; a Capua pianta un tribunale che riconosca
-i diritti de’ feudatarj, e incameri i feudi di cui
-mancasse il titolo. Per tal modo snervò la feudalità;
-e smantellate le rôcche baronali alla campagna, ne fabbricò
-<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span>
-di proprie nelle città più grosse, e castel Capuano
-in Napoli.
-</p>
-
-<p>
-Valendosi delle istituzioni normanne e dandovi maggior
-ordine, ebbe fitto l’animo costantemente a render
-robusta la regia autorità a spese dei privilegi e delle
-entrate de’ feudatarj; impedire si costituissero grandi
-Comuni, quali in Lombardia; fare che tra il popolo e
-il re non si frapponesse che la legge e i magistrati.
-Mentre non solo Italia ma tutta Europa era sbocconcellata
-in municipj e feudi, egli prevenne i tempi col
-volere stabilire lo Stato qual noi lo concepiamo, e quell’unità
-amministrativa che forma il vanto e forse il
-disastro de’ tempi nostri, in sè e ne’ suoi uffiziali accentrando
-il pubblico potere, tolto ai signori, ai vescovi,
-alle città. Seguendo la missione provvidenziale dei re
-nel feudalismo, elevò le condizioni infime, ai sudditi
-demaniali attribuendo maggiori privilegi che non ne
-avessero i feudali; gli uomini si stimassero affissi al
-terreno che teneano dai signori, e di più franche condizioni
-fossero giovati; le proprietà libere si crescessero;
-alleggerite o tolte le prestazioni di corpo stipulate per
-contratti: intenzioni superiori all’età.
-</p>
-
-<p>
-Per togliere il disaccordo venuto dagli avvicendati
-dominj, Federico dettò un codice, che abbracciava la
-legislazione feudale, l’ecclesiastica, la civile, oltre la
-politica ed amministrativa, e dov’erano pareggiati Normanni,
-Franchi, Greci e Latini. Lodando i Romani che
-colla legge regia trasferivano nel principe la facoltà
-legislativa, affinchè nel medesimo imperante si trovassero
-e l’origine della giustizia e il diritto di tutelarla,
-anch’egli avocò tutta la giurisdizione; e toltala ai baroni
-e prelati, proclamò (cosa insueta fra gli ordini feudali)
-i magistrati suoi proferirebbero su tutti i sudditi<a class="tag" id="tag344" href="#note344">[344]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span>
-neppure esclusi i feudatarj; e pel giudizio di fatto bastava
-la testimonianza di due pari, ovvero di quattro
-dell’ordine inferiore, cioè per un conte vi voleano due
-conti, o quattro baroni, od otto cavalieri, o sedici cittadini.
-La giurisdizione criminale rimarrebbe divisa
-dalla civile. Fa meraviglia di trovar già nelle sue <i>Costituzioni
-Augustali</i> una gerarchia giudiziaria attaccata
-a un centro comune, fissate nettamente le competenze,
-sostituito il giudizio dei pari alla giustizia emanante dal
-monarca, conservato con dispiacere il duello giudiziario
-e ridotto a stretti confini; provveduti d’uffizio di campioni
-o d’avvocati gli orfani, i minori, le vedove, i poveri.
-I <i>bajuli</i>, scelti per titolo d’onoratezza più che di
-conoscenza di leggi, riscotevano le imposte, tassavano
-i viveri; e con un assessore giurisperito e nominato
-dal re, decideano dei delitti campestri e delle cause
-civili, poteano arrestare malfattori e sospetti per tradurli
-ai tribunali. Soprastavano come secondo grado i
-<i>camerarj</i> per gli affari civili e fiscali. Poi i <i>giustizieri</i>
-per le cause di polizia e criminali, con un notaro e un
-assessore stipendiati dal re, rendevano gratuita giustizia:
-duravano un anno, e doveano scegliersi stranieri
-alla provincia. Nessuna causa potea prolungarsi oltre
-due mesi; solo i giudici inferiori erano retribuiti dalle
-parti; gli avvocati non poteano pretendere più della
-sessantesima del valore contestato. Gli appelli da tutti
-i sudditi e le cause feudali recavansi ad una suprema
-Corte, composta di quattro giudici e del gran giustiziere,
-il quale una volta l’anno percorreva le provincie tenendo
-assise. Questa Corte vegliava anche sull’amministrazione
-della rendita, difendeva pupilli e vedove. In
-maggio e novembre si raccoglievano provinciali sindacature
-davanti ai prelati, conti, baroni, magistrati della
-provincia, ricevendo le querele portate contro gli
-impiegati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span>
-</p>
-
-<p>
-A una camera fiscale, detta Segrezia, spettava l’alta
-giurisdizione in cause di finanza, l’amministrare i beni
-vacanti o staggiti, l’intendenza sui palazzi e le ville regie,
-le fortezze, i fondi destinati alla flotta: sugli uffiziali di
-finanza e sull’amministrazione vigilavano procuratori,
-rivendicando i beni confiscati, affittando quelli della
-corona; e rendevano ragione delle entrate e spese a
-un’alta Camera de’ conti in Palermo. Una commissione
-esaminava i concorrenti alle cariche od a professioni
-universitarie.
-</p>
-
-<p>
-Il duello giudiziario mantenevasi soltanto pel caso
-di morte data da mano sconosciuta, e di lesa maestà;
-proibite le guerre private sotto pena della vita, le rappresaglie
-sotto pena dell’esiglio; fino il portare armi
-se non in guerra o in viaggio, multavasi con cinque
-once d’oro per un conte, quattro per un barone, tre
-per un cavaliero, due per un cittadino, una per un
-villano. Le figlie poteano succedere nei feudi: punito
-il barone che esigesse oltre il dovuto; agli ecclesiastici
-vietato il ricever doni e lasciti, e le funzioni di balio
-o giustiziere<a class="tag" id="tag345" href="#note345">[345]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Se tali provvedimenti palesano spiriti elevati, durezza
-traspira dalle pene: la galera, il taglio della mano prodigati;
-la forca a chi frauda le imposte, sia per astuzia
-o per miseria; città intere distrusse, inventò supplizj
-atroci, e nelle tradizioni e nei versi di Dante restarono
-famose le cappe di piombo che infocate metteva addosso
-<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span>
-ai ribelli: poi, per ingrazianirsi i baroni, con deplorabile
-debolezza li riabilitò ad usare la forza contro
-i vassalli.
-</p>
-
-<p>
-Ai parlamenti, istituzione antica, insieme co’ vescovi
-e coi baroni chiamò due <i>buoni uomini</i> di ciascuna
-città e borgata<a class="tag" id="tag346" href="#note346">[346]</a>, neppure eccettuando le terre sottomesse
-a’ feudatarj. Essi buoni uomini (da cui poi vennero
-i sindaci, quando il bisogno di sempre nuove
-imposte lo costrinse a mascherarle coll’assenso popolare)
-portavano richiami per le leggi che fossero violate
-dagli uffiziali, ed esponevano i bisogni dei loro mittenti:
-primo esempio al mondo d’una vera rappresentanza
-nazionale.
-</p>
-
-<p>
-In ogni luogo due giurati paesani doveano vigilare
-sopra gli artieri, i ritaglienti, le osterie, le monete, i
-giuochi zarosi. Napoli, Messina, Salerno e qualc’altra
-conservarono vestigia degli antichi istituti, ma sotto
-tutela. Del resto, adombrato dall’emancipazione dell’alta
-Italia, severamente proibì dappertutto di istituire Comuni
-indipendenti; e il nominar consoli, podestà o simili
-magistrati municipali costava la forca agli eletti,
-e il saccheggio al paese<a class="tag" id="tag347" href="#note347">[347]</a>. Fu sottilissimo trovatore
-di girandole finanziarie e di tasse per cavar denaro,
-massime sul commercio coi diritti di fondaco, di porto,
-d’imbarco, d’estrazione ed altri, e ridusse a monopolio
-<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span>
-il sale, il ferro, la pece, le pelli dorate; levò fin sei
-collette all’anno, cioè sussidj straordinarj non consentiti
-ma imposti, e fu volta che gli ecclesiastici pagarono fin
-la metà dei proventi. Volle anche limitare le usure col
-proibire ogni interesse maggiore del dieci per cento; ordine
-improvvido, che fu corretto al solito dalle frodi<a class="tag" id="tag348" href="#note348">[348]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span>
-</p>
-
-<p>
-Pier delle Vigne, nato poveramente a Capua, e invaghito
-degli studj, andò mendicando a Bologna, e quivi
-ammesso nell’università, primeggiò tanto che Federico
-sel tolse a segretario, poi lo alzò giudice, consigliero,
-pronotaro, governatore della Puglia, infine cancelliere
-e tutto. Bellissimo favellatore, arguto giureconsulto, le
-cure nol distolsero dalle lettere, e come il primo codice
-dell’Italia moderna, così dettò il primo sonetto: a’ consigli
-di lui va attribuita la protezione che alle dottrine
-concesse Federico, il quale anche l’insegnamento accentrò
-alla moderna, volendo unica scuola nel Regno
-l’università di Napoli; e i governatori doveano colà
-mandare tutti gli studenti, dove trovavansi allettati da
-<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span>
-privilegi, giudicati dai proprj maestri, buon trattamento
-e sicurezza ne’ viaggi, le migliori case e a tenue fitto;
-non mancherebbero mai di grano, vino, carni, pesci, e
-di chi prestasse denaro<a class="tag" id="tag349" href="#note349">[349]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Federico fece eseguire la prima versione di Aristotele
-dal testo greco; formò un serraglio d’animali
-forestieri; chiunque avesse merito, accoglieva alla sua
-Corte, ove si dirozzò il linguaggio italiano, e qualche
-poeta, imitando gli esempj de’ Tedeschi e Provenzali,
-avvezzò la musa sicula a nuovi concenti. Egli stesso
-«savio di scrittura e di senno naturale, universale in
-tutte le cose, seppe di lingua latina e vulgare, tedesca,
-francese, greca, saracena» (<span class="smcap">Villani</span>); scrisse un libro
-sulla caccia a falcone; uno sopra la natura del cavallo
-dettò a Giordano Rufo suo scudiere. Del denaro cavato
-dai beni suoi e dal traffico che non isdegnava, facea
-larghezza agli amici e in fabbriche; e a lui sono dovuti
-i ponti sul Volturno<a class="tag" id="tag350" href="#note350">[350]</a>, le torri di Montecassino, i
-castelli di Gaeta, di Capua, di Sant’Erasmo, la città di
-Monteleone ed altri forti e villaggi; di là dal Faro
-ristaurò Antea, Flegella, Eraclea, fondò le rôcche di
-Lilibeo, di Nicosia, di Girgenti: Napoli, abbellita e accresciuta
-di popolo e ricchezza come sede del sommo
-tribunale e dell’università, avviò a divenir capitale del
-regno. Ecco perchè egli v’è ancora nominato con popolare
-benevolenza.
-</p>
-
-<p>
-Tante belle qualità non seppe acconciare coi tempi,
-ai quali non fu conforme nei vizj nè nelle virtù. A
-modo dei re moderni, voleva sottoporre anche la religione
-<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span>
-all’amministrazione, e tenea fitto il pensiero ad
-affievolire i papi, come quelli che repugnavano a’ suoi
-divisamenti. Essi avevano costituita la dignità dell’imperatore
-perchè fosse tutela alla Chiesa, affidandola
-sempre a un capo elettivo, cioè degno; volendo l’indipendenza
-d’Italia, come necessaria all’indipendenza
-pontifizia, impedivano che alla corona imperiale s’annestasse
-quella della Sicilia, paese sempre della prima
-importanza in faccia agli stranieri. Federico invece
-aspirava a rendere ereditario in sua casa l’impero, e
-unirvi la Sicilia; solo dabbenaggine de’ popoli e astuzia
-de’ papi avere supremato la santa Sede, tutrice incomoda
-e umiliante. Nè solo la Lombardia voleva egli
-soggetta, ma tutta l’Italia, quasi retaggio proprio. Ad
-un principe italiano scriveva, ogni suo sforzo essere in
-sottomettere la penisola rinserrata fra dominj suoi, e
-renderla parte integrante dell’impero, come il regno
-di Gerusalemme eredità di sua moglie, come la Sicilia
-eredità della madre<a class="tag" id="tag351" href="#note351">[351]</a>; e nel congresso di Piacenza
-non dissimulò di voler soggiogare la media Italia, impresa
-difficile, alla quale soccombette.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span>
-</p>
-
-<p>
-Non tardò ad accorgersi come, malgrado il momentaneo
-svolgimento, alleati suoi naturali fossero i
-Ghibellini; onde a questi s’annodò, sperando, fra il
-tempestare delle fazioni in Lombardia, riuscire a quello
-dov’era fallito l’avo suo Barbarossa, e fra i divisi piantare
-l’ordine; parola che, allora e poi, fu spesso intesa
-per servitù. A suo desiderio il servirebbero le forze
-del Reame e quelle della Germania, e i mercenarj
-che d’ogni parte comprava colle spoglie delle città
-italiane, e col concedere franchezza a qualunque bandito
-o malfattore prendesse servizio nelle truppe<a class="tag" id="tag352" href="#note352">[352]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nè pago delle masnade tedesche comandate da Rinaldo,
-figlio del famoso Markwaldo, cercò rinforzo da
-nemici del nome cristiano. Dalle montagne centrali
-dove s’erano ridotti dopo perduto il dominio, gli Arabi
-sbucavano a devastare la Sicilia, e «v’aveano uccise
-più persone ch’essa non conti abitanti». Alla conquista
-sveva non fecero opposizione, e perciò sfuggirono
-alle vendette esercitate contro i Normanni. Nella
-minorità di Federico, per odio al papa persistettero a
-favorire Markwaldo: vinto lui, si forticarono ne’ castelli
-di val di Màzara, blandirono Ottone IV, e gli spedirono
-regali. Federico li domò, e fino a sessantamila ne trasferì
-nella Capitanata, assettandoli a Nocera <span class="sidenote">(1222)</span>, che oggi
-ancora chiamasi de’ Pagani, e a Lucera, posta s’una
-ultima pendice dell’Appennino, donde si dominano i
-piani della Puglia, chiusi a levante e settentrione dalla
-catena del Gargano e dal mare Adriatico. Quivi tentarono
-ripetutamente fuggire o sollevarsi, poi rassegnatisi
-divennero fedelissimi a Federico, che da questa colonia
-traea ventimila combattenti, devoti ad ogni suo cenno
-e, ch’era più, inaccessibili alle aspirazioni nazionali
-degl’italiani e agli anatemi dei papi. E quando i papi
-<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span>
-gli apponevano di avere introdotto i Musulmani in mezzo
-a Cristiani, Federico se ne imbelliva anzi, come avesse
-con ciò liberato la Sicilia dal flagello delle loro correrie,
-e col porli fra’ Cristiani agevolato le conversioni. Il
-fatto sta che ebbe per tal modo anche un esercito stabile,
-a guisa dei re moderni.
-</p>
-
-<p>
-A suo figlio Enrico, che faceva i nove anni quando
-egli ventisei<a class="tag" id="tag353" href="#note353">[353]</a>, avea dai principi di Germania ottenuta
-la corona. Ora col pretesto della crociata lo invitò
-a scendere in Lombardia coll’esercito, e trovarsi a
-Cremona, ove per pasqua intimava la dieta <span class="sidenote">(1226)</span>. — Una
-adunanza raccolta sotto le spade può ella essere libera?»
-dissero le città lombarde; e non ben fidando
-nel papa, che condiscendeva a Federico onde indurlo
-a quel ch’era suo primo desiderio, la crociata, provvedono
-al caso dubbio e pericoloso rinnovando la Lega
-Lombarda, secondo n’erano autorizzati dal trattato di
-Costanza. A Mosio sul Mantovano convennero dunque
-i rettori, podestà, ambasciatori di Bologna, Piacenza,
-Verona, Milano, Brescia, Faenza, Mantova, Vercelli,
-Lodi, Bergamo, Torino, Alessandria, Vicenza, Padova,
-Treviso, e giuraronsi alleati per venticinque anni. — I
-malfattori escluderemo da tutti i luoghi e dalle
-città collegate, nè di bando potranno essere tratti senza
-mandato dei rettori o della Lega: a chi contraffacesse,
-faremo guerra a senno dei rettori: nessuna città, luogo
-o particolare persona de’ collegati verrà ad accordo
-<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span>
-con alcuna città o luogo fuor della Lega, o in danno di
-quella, altrimenti sarà avuta per ribelle, e i beni dei
-suoi abitatori pubblicati e devastati. Se alcuna città,
-luogo o persona particolare della Lega sia osteggiata
-dai nemici, le collegate le daranno ajuto, e reciprocamente
-rifaremo i danni ad arbitrio de’ rettori».
-</p>
-
-<p>
-Tale era il giuramento; e quello dei rettori della Lega: — Giuro
-pei santi evangelj che con buona fede eserciterò
-l’uffizio a me commesso e le ragioni della giurisdizione
-a me sottoposte; concorderò cogli altri rettori
-in quanto concerna lo stato e utilità di tutta la Lega, e
-di ciascun Comune che v’entri; senza frode darò opera
-di mantenere e far osservare questa Lega; nulla manifesterò
-di quello che sarà trattato; niente piglierò per
-me nè per sommessa persona in detrimento della società;
-e se cosa alcuna mi sarà offerta, al più presto
-la farò manifesta a tutti i rettori. Le querele deferite a
-me od a’ miei colleghi, ad arbitrio degli altri rettori,
-fra quaranta giorni definirò, secondo la ragione e la
-buona consuetudine: quindici giorni avanti che scada
-il mio uffizio darò opera si faccia un altro rettore, il
-quale giuri siccome ho giurato io. Attenderò al meglio
-della università e non della specialità; e darò ogni
-opera a conservare la libertà di ciascun Comune, e
-difendere i beni contra tutte e singole le persone contrarie
-a tal società» (<span class="smcap">Corio</span>).
-</p>
-
-<p>
-Tosto la Lega si pone in piede ostile, far armi, troncare
-ogni comunicazione colle città ghibelline, proibire
-ai cittadini di trattar coll’Impero, nè ricevere ordini o
-donativi. Federico buttò giù la buffa anch’egli, ed
-avendo dalla sua Reggio, Modena, Parma, Cremona,
-Asti, Lucca e Pisa, mosse armato. Ma Faenza e Bologna,
-capo della lega Cispadana, gli chiusero le porte
-in faccia, sicchè dovette attendare alla campagna, poi
-affrontato da buoni eserciti, forza gli fu dare indietro.
-<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span>
-Spedì proposizioni alle federate; e ricusato, le pose al
-bando dell’Impero; e non so se di buon senno o per
-contraffare le scomuniche papali, fece scomunicarle dal
-vescovo d’Ildesheim, e proibì d’andare a studio a Bologna:
-grave colpo per una città che viveva sopra
-dodici mila scolari. Le confederate non fecero come
-sbigottite; ma Onorio III papa, avendo in cima a tutti
-i suoi pensieri la crociata, e perciò la concordia fra i
-Cristiani, s’interpose, e rattaccò una pace <span class="sidenote">(1227 — 5 genn.)</span>, dove Federico
-obbligavasi a cancellare que’ bandi, e i Lombardi
-a null’altro che rappattumarsi coi Ghibellini, e
-somministrare quattrocento uomini pel passaggio in
-Terrasanta: ma Onorio non potè vedere la spedizione
-desiderata.
-</p>
-
-<p>
-Il successore suo Gregorio IX, dei conti di Anagni,
-aveva ottantacinque anni; ma parve ringiovanire nel
-ricevere in deposito le chiavi eterne: con pompa maggiore
-delle consuete si fece coronare, sette giorni continuando
-le feste; e l’ultimo cantata messa in San Pietro,
-menò una lunga processione ricchissimamente in addobbo,
-con due corone al capo, sopra un cavallo superbamente
-bardato, tenuto alla briglia dal prefetto di
-Roma e dal senatore; precedeano i cardinali, seguivano
-giudici e uffiziali in broccato d’oro, e una dirotta di
-popolo, fra le cui acclamazioni e ulivi e palme entrò
-al palazzo, quasi celebrasse il trionfo dell’autorità papale,
-che di fatto mai non era tanto salita.
-</p>
-
-<p>
-Federico aveva preso tutti quei provvedimenti in
-Sicilia senza informarne il papa, che pur riconosceva
-per signore sovrano; imponeva tasse sugli ecclesiastici
-col pretesto della crociata, alla quale non risolvevasi
-mai; ed ai lamenti di Roma rispondeva col protestarsele
-docilissimo, e obbligato ad essa come a madre che
-Io aveva nutrito. Alla longanimità di Onorio verso un
-principe mentitore e subdolo come Federico, mal rassegnavasi
-<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span>
-l’operosa fermezza di Gregorio, il quale
-intimò alle città longobarde di tenersi in pace <span class="sidenote">(1228)</span>, e all’imperatore
-di partire per oltre mare, egli ch’era stato
-«posto da Dio in questo mondo siccome un cherubino
-armato di spada per mostrare agli smarriti la via dell’albero
-della vita». Più non avea ragioni o pretesti
-costui da indugiare, e con poche truppe s’imbarcò a
-Brindisi. Già dappertutto preludevasi a vittoria, già
-s’immaginava la santa città restituita agli inni dei devoti,
-quando si sparge che l’imperatore era tornato a
-terra dopo tre giorni, allegando le malattie dell’esercito
-e la sua. Al pontefice più non parve di pazientare, e
-lanciò la scomunica, denunziando Federico come spergiuro
-e infedele; suo delitto se la moglie Jolanda morì
-sovra parto; colpa sua se di fame e di caldo perirono
-i Crociati nella Puglia. Non meno iracondo Federico
-inveiva contro il papa che, in luogo di soccorrerlo,
-istigasse contro di lui il suocero suo stesso; il quale di
-fatto, appoggiandosi alla scomunica, in armi veniva a
-ridomandare il titolo regio che Federico gli aveva
-usurpato. Pure, avuto intesa delle discordie scoppiate
-fra i principi Ajubiti, l’imperatore si risolse al passaggio;
-data la posta a’ guerrieri nella pianura di Barletta,
-vi troneggiò in tutta la maestà imperiale e colla croce
-di pellegrino, lesse il proprio testamento, facendo giurare
-i baroni d’adempirlo se nell’impresa perisse, e
-precipitò gl’indugi.
-</p>
-
-<p>
-Gregorio IX dichiarò scandalo che uno scomunicato
-capitanasse l’impresa santa; dichiarò imprudenza
-l’assumerla con sole venti galee e seicento cavalieri,
-armata da corsaro, non da imperatore; e interruppe
-la canonizzazione del pacifico san Francesco per ripetere
-gli anatemi contro Federico, il quale non vi diede
-ascolto.
-</p>
-
-<p>
-In Levante i figli di Malek Adel, spartitosi il dominio,
-<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span>
-si faceano guerra dall’uno all’altro; e Melik el-Kamel,
-signore dell’Egitto e di Gerusalemme, cercò prevalere
-a’ fratelli coll’allearsi all’imperatore d’Occidente, al
-qual uopo gli spedì un emir, mentre l’arcivescovo
-di Palermo arrivava al Cairo con gran regali per lui <span class="sidenote">(1229)</span>,
-e si ricambiarono proteste d’amicizia. Melik el-Kamel
-invase di fatto la Palestina; sicchè l’imperatore, sapendo
-di non dovervi trovar nemici, non credette
-aspettare i rinforzi di Germania. Approdato, vi era
-dai nostri accolto come un Messia, quando due Francescani
-annunziarono la scomunica. Detto fatto, gli
-si toglie fiducia e rispetto, a segno che gli ordini non
-dava più in proprio nome, ma di Dio e del popolo cristiano.
-Melik el-Kamel non meno che Federico desiderava
-la pace; sicchè tutta la campagna si ridusse a
-trattative, quanto una guerra moderna, sempre avvolte
-però nel mistero. L’imperatore mandò al soldano pelliccie,
-eccellenti destrieri, bellissime armi di Germania,
-il cavallo di battaglia, la spada, parte dell’armadura di
-cui egli servivasi in campo, protestando non chiedere
-che le già promessegli città, titolare patrimonio di suo
-figlio; vedesse in quanto scredito cadrebbe se tornasse
-in Occidente senza nulla ottenere. L’emir lo ricambiava
-con stoffe di seta, un elefante, dromedarj e scimie,
-altre rarità dell’India, dell’Arabia, dell’Egitto, e una
-banda di ballerine e cantatrici, soggetto ai Musulmani
-di rimproveri, di scandalo ai nostri, cui davano gelosia
-e dispetto quelle benevole relazioni<a class="tag" id="tag354" href="#note354">[354]</a>. I due signori
-convennero d’una tregua decenne; Gerusalemme, Betlem,
-Nazaret, Toron e i prigionieri sarebbero consegnati
-a Federico con quanto siede fra Gerusalemme,
-<span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span>
-Acri, Tiro e Sidone; conservate ai Musulmani le moschee,
-e libero esercizio del loro culto; Federico distoglierebbe
-i Franchi da nuovi atti ostili contro di essi.
-</p>
-
-<p>
-Il patto seppe dell’empio ad entrambe le religioni;
-imami e cadì appellavansi al califfo contro la cessione
-della <i>città del Profeta</i>, i vescovi al papa contro l’indegnità
-di mescolare i due culti: il sultano di Damasco
-ricusò l’accordo; il patriarca di Gerusalemme pose all’interdetto
-i luoghi recuperati. In conseguenza Federico
-entrò in Gerusalemme senz’altro accompagnamento
-che de’ suoi baroni tedeschi e de’ cavalieri Teutonici; e
-nella chiesa del Santo Sepolcro, tesa a bruno, abbandonata
-dai preti, mentre, lui connivente, dai minareti
-continuavasi a gridare: — Non v’è altro dio che Dio e
-Maometto è suo profeta», Federico colle proprie mani
-dovette porsi in capo il diadema. Nè potè ottenere obbedienza
-neppure sevendo contro i cittadini, battendo
-frati, impacciando i pellegrini che venivano per la settimana
-santa, e i Templari che voleano rialzar le mura:
-la sua partenza da Gerusalemme fu festeggiata quanto
-l’arrivo; e gli assennati gli faceano rimprovero di non
-avere provveduto tampoco nè a conservare gli acquisti
-nè ad assicurarvi i fedeli: sì poco gli caleva del regno
-di Cristo quando il suo pericolava.
-</p>
-
-<p>
-Perocchè in Sicilia il papa gli suscitava nemici mandando
-nunzj, compiangendo che quei popoli, sotto un
-nuovo Nerone, perdessero fino il desiderio della libertà: — Vi
-ha forse Dio collocati sotto cielo sì ridente
-per trascinare catene vergognose?» Sollecitava anche
-soccorsi da’ collegati lombardi, e messo insieme un
-esercito, lo affidò a Giovanni di Brienne, che sotto lo
-stendardo delle chiavi entrò devastando il reame di suo
-genero.
-</p>
-
-<p>
-Federico, sbuffante vendetta, muove le schiere tedesche
-ricondotte di Palestina, e i fedeli suoi Saracini,
-<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span>
-segnati della croce, combatteano fieramente contro i
-papalini, segnati delle chiavi; e messi questi in isbaratto,
-recupera le piazze del Regno, invade le terre del
-papa, ne stramena i fautori, e gli suscita nemici in
-Roma stessa. Giovanni di Brienne era stato chiamato a
-Costantinopoli a regnare invece del fanciullo Baldovino
-II suo genero, e benchè ottagenario si mostrò
-eroe nel combattere i Bulgari. I Romani, espulso il
-pontefice, aveano gravato di esazioni le chiese, i conventi,
-i vassalli della santa Sede, e aizzato Federico alla
-totale rovina del papa; ma una straordinaria inondazione
-del Tevere, considerata come castigo del cielo,
-indusse e popolo e senato a richiamarlo in segno di penitenza.
-I prelati però mal sopportavano di dover contribuire
-alle spese a titolo della crociata; alle città
-lombarde pesava l’essere trascinate in una guerra offensiva,
-esse collegatesi solo per la difesa: laonde fu
-praticato un accordo <span class="sidenote">(1230)</span>, e dopo lunghi dibattimenti si annunziò
-qualmente l’imperatore concedeva perdonanza
-universale, revocava il bando messo sopra le città lombarde,
-e prometteva che i benefiziati sarebbero eletti
-secondo le leggi ecclesiastiche, nè gravati d’imposte o
-collette. A tali condizioni fu prosciolto dalla scomunica,
-e le campane sonarono a letizia, il re baciò il piede
-del papa, n’ebbe la benedizione, e sedettero alla stessa
-mensa. I popoli credettero fosse pace, ma non era che
-un respiro ch’egli si procacciava per allestirsi all’ultima
-prova.
-</p>
-
-<p>
-Quando i capi erano disuniti, tutte le membra se ne
-risentivano, e l’Italia peggio che mai trambustava, facendo
-guerra Venezia a Ferrara, Padova e Brescia a
-Verona, Mantova e Milano a Cremona, Bologna a Imola
-e Modena, Parma a Pavia, Firenze a Siena, Genova a
-Savona ed Albenga, Prato a Pistoja; signorotti feudali
-saliti a gran potenza mescolavano battaglie fra sè o
-<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span>
-colle città; e ai rancori ed alle ambizioni private pretessevasi
-il nome del papa o dell’imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Questi convocò la dieta in Ravenna <span class="sidenote">(1231)</span>, ma al tempo
-stesso da Germania invitava coll’esercito il figlio Enrico:
-di che adombrate le città, e mal fidandosi alle assicurazioni
-nè del papa, nè dell’imperatore, abbarrarono i
-passi, tanto che Enrico rimase di là, e Federico rinnovò
-il bando contra la Lega Lombarda, cassando qualunque
-diritto mai avessero ottenuto le città di quella.
-Mancando però d’esercito, le minaccie non fecero che
-rinserrare quella Lega. Milano mette in ordine sette
-capitani con mille uomini a cavallo ciascuno, giurati a
-sostenere la libertà, e morire in campo piuttosto che
-fuggire; disponeva delle forze di Parma, Piacenza, Novara,
-Vercelli, Alessandria, benchè indipendenti; ed essendosi
-Tommaso conte di Savoja tenuto sempre fedele
-all’imperatore, dal quale anzi fu costituito vicario, i
-Milanesi si spinsero fin nelle Alpi, e per sorreggere
-alcune terre a lui ribellate fondarono il Pizzo di Cuneo,
-che poi dovea divenire una delle primarie fortezze di
-quella casa e dell’Italia.
-</p>
-
-<p>
-A Federico poi si ribellavano i proprj paesi, da
-lui fraudati delle consuetudini municipali, e specialmente
-Messina, avvezza a reggersi con stratigoti proprj:
-ond’egli moltissimi appiccò ed arse vivi; il castello
-di Centoripa distrusse dalle fondamenta; Gaeta, benchè
-amnistiata, fe spoglia dell’antico diritto di eleggere
-i consoli, e circondò di trenta fortini: insomma questo
-eroe, magnificato da coloro che venerano in lui l’antagonista
-de’ papi, trovò continuamente rivoltose la Puglia
-e la Sicilia, nè seppe frenarle che collo spediente dei
-tiranni, le fortezze.
-</p>
-
-<p>
-Appoggio gli erano, dopo i Saracini, i signorotti
-ch’eransi eretti tiranni di alcune città e provincie, e che
-dai diplomi di lui <span class="sidenote">(1215)</span> credeano trarre legittimità e fermezza.
-<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span>
-Principale tra questi fu Ezelino da Romano, che
-succeduto ad Ezelino il Monaco suo padre, all’avito
-dominio aveva aggiunto Bassano e Treviso, poi anche
-Verona e Padova, secondato dal fratello Alberico e dai
-Ghibellini della Marca Trevisana; e con una fermezza
-che non si arrestava alla necessità del sangue e del
-delitto, era divenuto il più spaventoso tiranno che la
-patria storia ricordi. Vi faceva contrasto Azzo d’Este,
-con larghissimi possessi e col favore di tutti i Guelfi:
-ma Ezelino prevalse alla venuta di Federico, del quale
-sposò Selvaggia figlia naturale. In queste emulazioni la
-Marca non meno che la Lombardia andava a strazio di
-deplorabili guerre, alle quali metter fine non potea la
-politica, ma solo qualche armistizio la religione, adoprantesi
-incessantemente a questo scopo.
-</p>
-
-<p>
-Già vedemmo come essa dettasse la tregua di Dio;
-e i due nuovi Ordini di Domenicani e di Francescani
-furono tutti in attutire gli sdegni, frammettersi alle baruffe
-quotidiane, persuadendo e portando la pace da
-signore a signore, da una all’altra città; e cuori feroci,
-cui vigor di legge o possanza di magistrati non ratteneva,
-aprivansi alla pietà, gli stocchi tornavano alla vagina,
-e nel nome di Cristo fondendosi in lagrime, il
-nemico correva ad abbracciare il nemico.
-</p>
-
-<p>
-Grandi paci conchiuse il santo d’Assisi; grandi il
-seguace suo Antonio da Padova. Nel 1176 i cardinali
-di Santa Cecilia e di Santa Maria in via Lata per delegazione
-pontifizia componeano molte quistioni, agitate
-fra le repubbliche di Pisa e Genova rispetto ai loro
-diritti sopra la Sardegna<a class="tag" id="tag355" href="#note355">[355]</a>. Sui cui esempio frà
-Guala da Bergamo, che fu poi vescovo di Brescia, riamicò
-i Bolognesi coi Modenesi, i Trevisani coi Bellunesi.
-In Cremona il popolo della città nuova viveva in
-<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span>
-cagnesco con quel della vecchia, e il vescovo Sicardo li
-riconciliò; e così coi Vicentini il beato Giordano da Forzatè,
-coi Milanesi frà Leon da Perego. Sta manoscritto
-nella biblioteca Ambrosiana un prolisso discorso d’un
-ecclesiastico che esortava alla concordia, e diceva: — Popolo
-milanese, tu cerchi soppiantare il cremonese,
-sovvertire il pavese, distruggere il novarese; le tue
-mani contro tutti, e le mani di tutti contro te... Oh
-quando fia quel giorno che il Pavese dica al Milanese,
-<i>Il popolo tuo è popol mio</i>; e il Cremasco al Cremonese,
-<i>La città tua è mia città!</i>»
-</p>
-
-<p>
-I Genovesi aveano contaminato le loro vie di molto
-sangue civile, massime per l’odio tra li Avogadri e i
-marchesi della Volta; quando si pensò porvi fine. Innanzi
-giorno ecco toccar la campana a parlamento: e
-i cittadini accorrendo attoniti, videro il vecchio arcivescovo
-Ugo in pontificale tra il clero con candele
-accese, e tra cittadini notevoli con croci alla mano, attorno
-alle venerate reliquie del Battista; scongiurava a
-deporre gli odj e gli sdegni, e giurare sui vangeli la
-concordia, che sola poteva salvare la patria. Rolando,
-capo degli Avogadri, non poteva indursi a perdonare
-il sangue di tanti parenti suoi, de’ quali aveva promesso
-vendetta; ma tanto insistettero i preti e i savj, che l’ebbero
-indotto: poi corsero alla casa dei Volta, che non
-erano voluti presentarsi, e li trassero a dare il bacio
-ai nemici; e campane a festa e <i>Tedeum</i> celebrarono
-l’evento<a class="tag" id="tag356" href="#note356">[356]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ambrogio de’ Sansedoni di Siena, che fu poi canonizzato,
-venne spedito a predicar la pace in Germania,
-<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span>
-quindi tornò in patria per riconciliarla col papa che
-l’aveva interdetta come fautrice di Federico, e volle
-si cominciasse l’emenda dal perdono reciproco. Un magnate,
-sazio de’ suoi consigli, lo cacciava come impostore
-e vanaglorioso; ed egli: — Dio si chiama re della
-pace, ma non la dà se non a chi di buon cuore la conceda
-altrui. Quel che fo, lo fo per volontà di Colui che
-può sopra di me. Se v’irritai, ve ne chiedo scusa, e se
-merito supplizio, lo sosterrò di buon cuore per isconto
-delle mie colpe». Il forte a tanta umiltà venne a resipiscenza.
-Ambrogio predicava continuo che la vendetta
-è peccato d’idolatria, perchè usurpa la parte di Dio che
-a sè la riservò. Non riuscì mai a calmare un di Siena,
-sicchè gli disse: — Pregherò per voi», e insegnò una
-preghiera siffatta: — Signor Gesù, interponete la podestà
-vostra a queste vendette, e riserbatele a voi,
-acciocchè tutti conoscano che a voi solo spetta il punire
-gli offensori»; ed esortava a dirla avanti quelli che si
-ostinassero nelle ire. Anche quel pertinace, mentre ordiva
-co’ suoi consorti di non fare mai pace, la udì, ne
-fu compunto, e passati due giorni nella riflessione e nel
-digiuno, va e prega il santo a perdonargli e a rimetterlo
-in pace<a class="tag" id="tag357" href="#note357">[357]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Continuò anche in appresso questa pia intromissione,
-e nel luglio 1273 Gregorio X conciliò una solenne
-pace in Firenze tra Guelfi e Ghibellini, e cencinquanta
-sindaci per parte si baciarono in bocca in sul greto
-d’Arno, dove esso papa volle si edificasse una chiesa
-che i Mozzi, suoi ospiti e grandi mercanti, dedicarono a
-san Gregorio<a class="tag" id="tag358" href="#note358">[358]</a>. Ma essendo il giorno stesso tornati
-<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span>
-a sospetti e a risse, un’altra concordia fu solennissimamente
-celebrata il 1280 per mezzo del cardinale Latino
-nunzio, rogandone atto, e volendo trecensessantasei
-mallevadori de’ Ghibellini, trecentottantaquattro dei
-Guelfi, e alquanti castelli<a class="tag" id="tag359" href="#note359">[359]</a>. L’anno precedente, esso
-Latino in Bologna riamicava i Lambertazzi co’ Geremei,
-in Faenza gli Acarisi coi Manfredi, in Ravenna i Polenta
-coi Traversari; e frà Bartolomeo di Vicenza instituì
-l’Ordine militare di Santa Maria Gloriosa, per
-mantenere in calma le città italiane. Nel 1266 il sartore
-Giacomo Barisello a Parma inalbera il segno della
-redenzione, e forma la compagnia della Croce di cinquecento
-seguaci, co’ quali va di casa in casa riconciliando
-Guelfi e Ghibellini, e facendoli giurar fede al
-pontefice. La compagnia ebbe tale successo, che ottenne
-uffiziali proprj, con autorità di giudicare, e d’intervenire
-negli affari del Comune, esercitandovi importanza
-principale per mezzo secolo<a class="tag" id="tag360" href="#note360">[360]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di nuovo il cardinale Nicolò da Prato rappacificò
-Firenze; e «a dì 26 aprile 1304, raunato il popolo
-sulla piazza di Santa Maria Novella, nella presenzia dei
-<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span>
-signori, fatte molte paci, si baciarono in bocca per pace
-fatta, e contratti se ne fece, e puosono pene a chi contrafacesse,
-e con rami d’ulivo in mano pacificarono i
-Gherardini con gli Almieri; e tanto parea che la pace
-piacesse a ognuno, che vegnendo quel dì una gran
-piova, niuno si partì, e non parea la sentissono. I
-fuochi furono grandi, le chiese sonavano, rallegrandosi
-ciascuno» (<span class="smcap">Compagni</span>).
-</p>
-
-<p>
-In Milano, contrastandosi nobili e popolani, si fece
-compromesso in quattro frati, e si stette al loro lodo;
-poi nimicatisi di nuovo, si accolsero in Parabiago, ove
-due frati dettarono condizioni d’accordo. Nel secolo
-seguente andò a predicarvi pace il beato Amedeo cavaliere
-portoghese, che di limosine fabbricò Santa Maria
-della Pace. Molte resie private e pubbliche in Valtellina
-e pel Comasco racconciò frà Venturino da Bergamo,
-che indusse diecimila Lombardi a pellegrinare
-penitenti a Roma, gridando pace e misericordia, e
-mantenendosi di carità. Molto profittarono pure in Lombardia
-san Bernardino e fra Silvestro da Siena.
-</p>
-
-<p>
-Certamente anche allora potea dirsi, — Perchè frati e
-preti s’hanno a mescolare d’interessi mondani?
-</p>
-
-<p>
-Ai tempi del nostro racconto, Gregorio IX, struggendosi
-di acconciare in buona pace gl’Italiani, sì per
-dovere di papa, sì per agevolare la crociata, mandava
-Nicolò vescovo di Reggio a ricomporre i Modenesi
-co’ Bolognesi; il cardinale Giovanni della Colonna a
-calmare i Perugini inveleniti fra loro, e ripatriarvi gli
-sbanditi; il cardinale Tommaso a Viterbo; il cardinale
-Giacomo da Preneste a Verona a concordare i Capuleti
-e i Montecchi, fazioni note per le compiante avventure
-di Giulietta e Romeo; frà Gherardo di Modena nella sua
-patria e a Parma, dove fu anche costituito podestà
-per riformare gli statuti; a Piacenza frà Orlando da
-Cremona.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span>
-</p>
-
-<p>
-Principale in queste missioni fu Giovanni da Schio
-domenicano, ch’e’ destinò in varj luoghi e nominatamente
-a Bologna, avvezza gli anni passati ad ascoltare
-Francesco, Domenico, Antonio già santi, poi venuta
-in urto col papa per le giurisdizioni vescovili, e perciò
-fin privata dell’università. Alla voce del frate da Schio
-si compromisero i litigi, si scarcerarono i debitori, si
-rintegrarono gli esuli; ed esso riformò a suo senno gli
-statuti, frenò le usure, indusse le donne a vestire più
-composto, e tutti a salutarsi col <i>Sia lodato Gesù
-Cristo</i>; e più nol voleano lasciar partire, tanto che il
-papa dovette fin minacciarli d’interdetto. Allora lo inviò
-a Siena; ma poichè a questa non potè rappacificare i
-Fiorentini, il papa li proferì interdetti; ed essi per
-capriccio d’incomposta libertà sprezzarono quel castigo.
-</p>
-
-<p>
-Frà Giovanni fu destinato principalmente a disacerbare
-i furori della Marca Trevisana; e a Feltre, a
-Belluno, a Treviso, a Conegliano, a Vicenza, a Padova,
-per tutto operò prodigi di riconciliazioni; incontrato
-come santo fra le bandiere sciorinate, richiamava gli
-sbanditi, liberava i prigioni; e quando in Prato della
-valle a Padova predicava di stando sul carroccio e
-contornato dai carrocci delle altre città accorse, prorompeva
-dai cuori l’evangelico <i>Son pur belli i piedi
-di chi evangelizza la pace</i>. Tutto predisposto, frà Giovanni
-ordinò un generale ritrovo a Paquara, vasta pianura
-sull’Adige, tre miglia sotto Verona. Al cenno d’un
-frate, tutte le città e le ville accorsero coi carrocci cantando
-laudi al Signore; e quindici vescovi, tutti i baroni
-delle vicinanze, i conti di Sanbonifazio, i signori
-Camino, i Camposampiero, il tremendo Salinguerra di
-Ferrara, e più tremendi ancora Ezelino ed Alberico da
-Romano, vennero per udire predicarsi carità. Giovanni,
-salito in pergolo, e preso per testo <i>La pace mia vi do,
-la pace mia vi lascio</i>, parlò con una eloquenza, la cui
-<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span>
-efficacia veniva tutta dallo spettacolo e dalla persuasione
-della santità. A parole che ben pochi poteano intendere,
-ma che tutti sentivano, e a cui ciascuno sottoponeva
-quel che il cuore e la fantasia gli dettavano,
-avresti veduto quegli iracondi per penitenza picchiarsi
-i petti, poi gettarsi un al collo dell’altro, e chiedersi perdono,
-e promettersi amicizia. Il frate si valse dell’autorità
-concedutagli dal papa per assolvere da interdetti
-e scomuniche; e alzato il crocifisso, esclamava: — Benedetto
-chi conserverà questa pace», e centomila voci
-echeggiavano <i>Benedetto</i>; — Maledetto chi tornerà sulle
-risse», e centomila voci, <i>Maledetto</i>.
-</p>
-
-<p>
-Se non che queste paci, indotte per impeto di sentimento,
-combinate in nome della universale carità,
-non isvelleano veruna delle cause delle nimicizie, talchè
-fra breve si era di ricapo alle armi. Pochi giorni dopo
-la spettacolosa concordia di Paquara, gli sdegni erano
-riarsi, le spade tinte di nuovo sangue, tutto tornato a
-peggio che mai per l’addietro si fosse; e i popolani
-che aveano inneggiato il frate santo, lo bestemmiavano
-uom di parte, venduto ai Guelfi, zimbello del papa. Egli
-stesso provocò quegli sdegni colla severità adoprata
-verso gli eretici, di cui ben sessanta bruciò nella piazza
-di Verona; poi a Vicenza, appoggiato dal popolo minuto,
-si dichiarò signore e conte, distribuì a suo senno
-le magistrature, riformò gli statuti; e colla solita volubilità
-popolesca fu cacciato prigione e respinto da un
-paese che lasciava in peggiori discordie di prima<a class="tag" id="tag361" href="#note361">[361]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il pontefice, offertosi arbitro tra Federico e la Lega
-Lombarda, proferì che l’imperatore dimenticasse ogni
-offesa, revocasse la proscrizione, compensasse chi n’avea
-sofferto pregiudizio; per ricambio i Lombardi rifacessero
-i danni all’imperatore ed a’ suoi, e per due anni
-<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span>
-mantenessero cinquecento cavalli in Terrasanta. Federico
-trovò parziale quel lodo, e lesivo della maestà
-regia: ma pel papa quelle repubbliche erano corpi politici
-legittimi e riconosciuti, nè aveano peggiorato
-verun diritto imperiale col rannodare la Lega, a cui
-erano stati autorizzati dal patto di Costanza.
-</p>
-
-<p>
-Esso papa era tergiversato dai Romani, che gli negavano
-il diritto di sbandire un cittadino, esigevano
-una retribuzione che da immemorabile la Chiesa dava
-alla città, infine gli contestavano la sovranità temporale.
-Quello a cui s’incurvava tutto il mondo, si trovò
-costretto rifuggire in Perugia <span class="sidenote">(1234)</span>; Roma tornò repubblica
-e Luca Savelli senatore ideò di fondare la Toscana e
-la media Italia in una confederazione, che togliesse di
-mezzo il dominio pontifizio, come dell’imperiale avevano
-fatto i Lombardi. Le fazioni scrupoleggiano mai
-sui mezzi? Questi repubblicani solleticarono le antipatie
-di Federico, chiedendo li sostenesse; ma egli, temendo
-ancor più la libertà che il pontefice, esibì soccorsi a
-questo per tornare al dovere Roma. In riconoscenza, e
-perchè la guerra che prevedeva inevitabile non avesse
-a frastornare i soccorsi a Terrasanta, Gregorio IX dichiarava
-gl’interessi di Federico essere interessi suoi,
-atteso i grandi servigi che rese alla Chiesa<a class="tag" id="tag362" href="#note362">[362]</a>: s’industriava
-di tirare i Longobardi a più larghe condizioni;
-ma essi indugiarono oltre il termine prefisso, e la mediazione
-fu mandata a vuoto dagli avvenimenti di
-Germania.
-</p>
-
-<p>
-Colà sentivasi il ricolpo de’ fatti italiani: ed Enrico
-lasciato a governarla, non che difettare della necessaria
-robustezza, si abbandonò alle proterve inclinazioni,
-oltraggiando la moglie, invidiando il fratello, tradendo
-il padre, fino a rompere ad aperta ribellione; e mal
-sostenuto dai Tedeschi, si drizzò alle città lombarde.
-<span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span>
-Milano, Brescia, Bologna, Novara, Lodi, il marchese di
-Monferrato gli esibirono quella corona <span class="sidenote">(1235)</span> che sempre avevano
-negata a Federico<a class="tag" id="tag363" href="#note363">[363]</a>; e n’ottennero conferma
-a tutti i loro privilegi, e che accettasse per amici e nemici
-quei della Lega. Pertanto guerra civile e domestica.
-Federico soleva menare nel suo esercito come
-trofeo camelli ed elefanti che avea condotti dalla sua
-spedizione in Asia; e i Milanesi saputo che ne inviava
-alcuno a’ Cremonesi in segno di benevolenza, assalgono
-quel popolo, e a Zenevolta lo sconfiggono: ma Parmigiani,
-Reggiani, Pavesi, Modenesi vengono a sostegno
-di quello, talchè il combattimento si fa generale, e città
-e principati si sbranano in fazioni. Dalla Sicilia, dove
-sanguinosamente avea chetato i tentativi dei Comuni
-di recuperare le fraudate franchigie, Federico traversa
-inerme la Lombardia, che non volle profittare della
-sua umiliazione; e fatto da settanta prelati e principi
-dichiarar fellone Enrico, che altamente era disapprovato
-anche dal papa<a class="tag" id="tag364" href="#note364">[364]</a>, lo fa arrestare e tradurre
-nel forte di San Felice in Puglia, e ve lo lascia stentare
-fin alla morte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nella dieta da Federico radunata a Magonza, numerosa
-di ottanta principi e prelati e di milleducento
-signori, furono pubblicati molti savj provvedimenti e
-una pace pubblica; terminata la lunga lite tra la famiglia
-guelfa e la ghibellina, col dare a Ottone il Fanciullo,
-unico guelfo superstite, le terre di cui si formò
-il ducato di Brunswick, e sulle quali Federico rinunziava
-ad ogni pretensione. Costui vi sfoggiò una grandezza,
-alla quale non mancava se non il sapere moderarla; e
-con istraordinaria maestà solennizzò un nuovo matrimonio
-con Isabella, figlia del re inglese Giovanni
-Senzaterra. Una nobiltà di cavalieri e baroni incontrò
-la sposa alle frontiere; dappertutto il clero usciva a
-suon di campane; a Colonia diecimila borghesi a cavallo,
-splendidi d’armi e di vesti, la corteggiarono;
-minnesingeri in tedesco, trovadori in provenzale, forse
-anche siculi in italiano osannavano; mentre da carri,
-festonati di tappeti e porpora, mirabile armonia diffondeano
-gli organi nascosi; e la notte cori di fanciulle
-non interruppero mai le serenate sotto ai balconi della
-sposa. Quattro re, undici duchi, trenta conti e marchesi
-assistevano, e pari alla dignità furono i regali di Federico;
-una corona d’oro, collane, giojelli, scrigni, un
-intero servizio d’oro e d’argento a ceselli, fin gli utensili
-da cucina e le pentole erano d’argento; fra i quali Federico
-presentò al regio suocero tre leopardi menati
-d’Oriente, allusivi allo stemma d’Inghilterra. Isabella fu
-sposata per procura da Pier delle Vigne, poi dal re quando
-gli astrologi trovarono opportuno l’istante; portava in
-dote trentamila sterline, che oggi rappresenterebbero
-1,140,000 lire; ebbe in dominio tutto il val di Màzara,
-e nel palazzo era servita da eunuchi mori e siciliani<a class="tag" id="tag365" href="#note365">[365]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore fece eleggere re de’ Romani suo figlio
-Corrado; ma più che il trionfare in Germania lo lusingava
-il lottare in Italia. La Germania vedea come
-gloria nazionale le spedizioni contro la penisola; ma
-gli Svevi le ripeterono e prolungarono in modo, che
-sì gravi sagrifizj e infruttuosi rincrebbero, non si volle
-più decretare i sussidj, e Federico si trovò ridotto ai
-mezzi che gli offrivano il proprio regno e i Ghibellini,
-ed ai mercenarj. Ai pesanti e ferrati cavalieri tedeschi
-associò gli scorridori saracini, le rapide evoluzioni
-moderandone colle lente mosse di un elefante, che
-portava una torre sulla quale spiegavasi lo stendardo,
-tenendo vece del carroccio e della croce. Ad esercito
-così bene assortito e diretto i Lombardi non aveano
-ad opporre che milizie d’artieri e contadini raccolti
-al momento del bisogno, nè addestrati alla fredda costanza
-di regolari battaglie. Schivavano dunque gli
-scontri in campagna rasa, preferendo aspettarlo in
-chiuse mura; e poichè dall’Alpi al Po seguitava una
-tela di fortezze, lungo e penoso riusciva il prenderle
-una dopo una, quanto pericoloso il lasciarle alle spalle:
-onde Federico doveva logorare dei mesi sotto a povere
-bicocche, come Carcano, Roncarello o Crevalcuore.
-</p>
-
-<p>
-Rinserrata l’alleanza <span class="sidenote">(1237)</span>, e costituita una cassa comune,
-noi attendemmo il Tedesco, il quale confidava principalmente
-nei castellani. Schiusagli Verona da Ezelino,
-uniti a diecimila Arabi i Ghibellini di Cremona, Parma,
-Reggio, Modena, sconfisse gli Estensi, prese Vicenza,
-costrinse a patti Mantova, orribilmente stramenò il
-Bresciano. I Milanesi, accorsi coi Guelfi di Brescia,
-Bologna, Vercelli, Novara, Alessandria, Vicenza, lo pettoreggiarono
-valorosamente, ma poi lasciatisi sorprendere
-a Cortenova nel Cremasco <span class="sidenote">(27 9bre)</span>, n’andavano colla
-peggio. La compagnia de’ Gagliardi avea però tenuto
-saldo attorno al carroccio: ma vedendo che al domani
-<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span>
-non potrebbero reggere a nuovo assalto, provvidero a
-ritirarsi, ed essendo difficile trarre quel pesante carro
-in terreno molliccio per natura e per le pioggie, ivi lo
-abbandonarono sguarnito. Allora sì che Federico menò
-vampo! scrisse a tutti i potentati avere ucciso diecimila
-Lombardi; fe trascinare quel trofeo dietro al suo elefante
-per le città, poi riporre sovra cinque colonne in
-Campidoglio a Roma, ove si legge ancora la pomposa
-iscrizione con cui volle eternare questa sua vittoria,
-mentre eternava la sua paura e la nostra prodezza<a class="tag" id="tag366" href="#note366">[366]</a>.
-Avendo côlto fra’ prigionieri Pietro Tiepolo podestà di
-Milano e figlio del doge di Venezia, lo fece strozzare.
-</p>
-
-<p>
-Se molti Lombardi tentennarono dalla paura, non
-Milano; non Brescia, che sembra predestinata a feroci
-oppugnazioni e a magnanime resistenze, e che per sessanta
-giorni resse l’assedio postole dall’imperatore, ajutata
-dalle macchine dell’ingegnere Clamendrino, sicchè
-Federico bruciò le proprie, e voltò a Cremona. Allora
-i Guelfi ripigliano cuore, Genova li sostiene; Venezia,
-indignata dal supplizio del Tiepolo, si scopre nemica
-all’imperatore; Gregorio IX, scontento della fierezza
-ond’egli trattava le città lombarde, della predilezione
-mostrata ai Saracini, degli arbitrj usati in Sicilia, dell’avversione
-perpetua alla Chiesa, e dell’essere mancato
-al compromesso, s’allea co’ Veneziani, cedendo
-loro quanta parte di Sicilia occuperebbero.
-</p>
-
-<p>
-Realmente Federico non lasciava sfuggirsi occasione
-di oltraggiare la Chiesa. Un nipote del re di Tunisi,
-<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span>
-convertito dai Domenicani, va a Roma per farsi battezzare;
-e Federico lo arresta, dicendo non potersi
-trarlo al cristianesimo senza permissione dello zio.
-Vescovi, côlti, è vero, colle armi, lasciò straziare e impiccare
-da’ suoi Saracini; e smurar chiese per costruirne
-moschee: a Nocera de’ Pagani erge un palazzo
-s’una chiesa distrutta, e dov’era l’altare vi mette la
-fogna<a class="tag" id="tag367" href="#note367">[367]</a>: dalle sedi dell’Italia meridionale sbandisce
-i migliori prelati e gli uccide, e non lascia destinarvi
-i successori.
-</p>
-
-<p>
-Federico corteggiava sempre il Vecchio della montagna,
-il dey di Tripoli, che gli pagava tributo, il
-sultano d’Egitto, che gli mandò fra altri doni una
-magnifica tenda con un orologio, stimato ventimila
-marchi d’argento, che segnava le ore e il corso degli
-astri; i loro ambasciadori teneva a tavola coi vescovi,
-di che pensate come si scandolezzassero i Cristiani. La
-sua Corte somigliava a un harem; eunuchi negri e
-nostrali custodivano sua moglie; «teneva mamelucchi
-e donne molte, a sfogo di lussuria ed onta della religione;
-menava vita epicurea, non facendo conto che
-mai altra vita fosse»<a class="tag" id="tag368" href="#note368">[368]</a>; nè tampoco s’asteneva
-dall’oltraggiare la natura. Nè solo papi e frati e guelfi,
-ma l’arabo Abulfeda dice che propendeva all’islam
-<i>perchè educato in Sicilia</i>; ed alcuni suoi frizzi mostrano
-come sentisse di scemo nella fede. — Se Dio
-avesse visto la mia bella Sicilia, non avrebbe scelto
-per suo regno la squallida Palestina», esclamò mentre
-<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span>
-era crociato; e portandosi il viatico: — Quando si finiranno
-coteste ciurmerie?» e trattava da pazzo chi
-credesse al parto della Vergine, o ad altre cose repugnanti,
-secondo lui, alla ragione e alla natura<a class="tag" id="tag369" href="#note369">[369]</a>.
-Si bucinò anche d’un libro <i>De tribus impostoribus</i>,
-attribuito a lui o a Pier delle Vigne, ma nessuno lo
-vide; nè par credibile n’avessero taciuto i papi ed i
-fautori loro, che dissotterrarono ogni minimo reato
-della famiglia di Svevia: ma che Federico avesse detto,
-il mondo essere stato giuntato da Mosè, Cristo e Maometto,
-era voce tanto diffusa, che Pier delle Vigne
-credette doverla smentire in una lettera ove l’imperatore
-fa professione di fede: e convenendo che tale
-diceria correva, ma deboli essere gli argomenti tratti
-dal pubblico cicaleccio<a class="tag" id="tag370" href="#note370">[370]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’eresia sua capitale però consisteva nell’impugnare
-incessantemente la maestà pontifizia, e svigorire le censure
-<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span>
-ecclesiastiche<a class="tag" id="tag371" href="#note371">[371]</a>; esclamava: — Pur beati i
-principi asiatici, che non hanno a temere sollevazione
-di sudditi, nè opposizioni di papi!» ed avrebbe voluto
-ridur Roma a sua capitale, il papa a suo cappellano.
-Col quale, nuovo motivo sopravenne di disgusto.
-</p>
-
-<p>
-I signori Pisani che avevano occupato la Sardegna,
-presero il titolo dalle giudicature di quella, restando
-vassalli della patria. I papi pretendeano la sovranità
-della Sardegna come di tutte le isole, e Innocenzo III
-indusse i Pisani a rinunziargliela: ma Ubaldo e Lamberto
-dei Visconti di Pisa fecero guerra per proprio
-conto ai signorotti che tenevansi a bandiera della
-Chiesa; onde furono scomunicati <span class="sidenote">(1237)</span>, poi ribenedetti quando
-riconobbero la supremazia papale, abjurando quella di
-Pisa. I Pisani se ne indignano, i conti della Gherardesca
-si armano, e Conti e Visconti divengono le denominazioni
-de’ Ghibellini e de’ Guelfi che straziano
-Pisa. Federico s’industria a calmarli, e fa ad Adelaide,
-vedova di Ubaldo Visconti, signora di Gallura e della
-Torre, sposare Enzo suo figlio naturale <span class="sidenote">(1238)</span>, conferendogli
-il titolo di re di Sardegna, e pretendendo che questa
-fosse stata distratta dall’Impero in tempi fortunosi, e
-dover egli perciò sottrarla alla supremazia pontifizia.
-</p>
-
-<p>
-Al papa che restava se non impugnare le proprie
-armi? e mentre Federico in Padova festeggiava con
-Ezelino la depressione della parte repubblicana, gli
-lanciò la grande scomunica <span class="sidenote">(1239)</span>, intimazione d’una seconda
-guerra fra l’Impero e la Chiesa. Federico, conoscendo
-a prova qual colpo facessero tali sentenze sopra i popoli,
-fece da Pier delle Vigne recitare, nella gran sala
-<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span>
-della Ragione, una lunga discolpa: ma il popolo l’ascoltò
-in significante silenzio; i signori stessi vacillavano;
-tanto ch’egli volle averne ostaggi, che spedì in
-Puglia; mandò circolari pei regni e i popoli tutti, irose
-al papa fino ad accusare di dissolutezze questo vecchio
-nonagenario: — Tu vivi unicamente per mangiare;
-sui vasi e le coppe d’oro hai scritto <i>Io bevo, tu bevi</i>;
-e così spesso ripeti il passato di questo verbo, che,
-quasi rapito al terzo cielo, parli ebraico, greco, latino:
-piena l’epa, ricolmo il sacco, allora ti credi seduto
-sull’ali dei venti, e che l’Impero ti sia sottomesso, e
-che i re della terra ti portino doni, e che ti servano
-tutte le genti»: aggiungeva che, per ligezza ai collegati
-lombardi, connivesse ai Catari, il cui nido era Milano;
-egli fariseo, assiso nella cattedra del dogma perverso;
-egli unto coll’olio di malizia più di tutti i malvagi; il
-gran dragone che seduce, il Balaamo, l’anticristo.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo credea meglio al papa, ai parroci, ai frati,
-i quali ripetevano come Federico fosse mal cristiano;
-ma quel ricambio d’improperj svergognava ambe le
-cause: e mentre la Chiesa e l’Impero contrariavansi, i
-Mongoli, suscitati dal tremendo Gengis-kan, devastavano
-non solo l’Asia, ma il settentrione dell’Europa, e
-minacciavano dappresso la Germania. Il denaro raccolto
-nelle chiese di tutta cristianità per respingere
-questi Infedeli, viene adoprato a strazio de’ Cristiani;
-Gregorio IX impegna tutta Europa a sbalzar Federico;
-Federico caccia e spoglia i vescovi siciliani; la parte
-guelfa, che in quella scomunica vedeva un diversivo al
-colpo finale minacciato alla libertà, rialza dappertutto
-la testa; gli Estensi ricuperano le terre perdute, Treviso
-si rivolta, Padova è a pena frenata dai torrenti di
-sangue che versa Ezelino. Federico, difilando sopra
-Milano, devasta la pieve di Locate, assistito dai nobili
-e dai Comaschi: ma i Milanesi, esortati dal legato pontifizio
-<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span>
-che fece prendere le armi anche a preti e monaci,
-lo affrontano a Camporgnano, gli voltano addosso le
-acque, e lo costringono a ripiegare.
-</p>
-
-<p>
-Di peggiori ferite egli colpì le terre pontifizie; v’assediò
-Faenza, e l’ebbe a patti; così Cesena e Benevento;
-e difilò sopra Roma <span class="sidenote">(1240)</span>. Chi l’avrebbe difesa da questo
-eroe? tanto più che vi abbondavano i Ghibellini, e Federico
-teneva intelligenze coi Frangipani, che, occupato
-il Coliseo, poteano dargli una fortezza nel cuore della
-città. Ma frati predicano la croce, preti chiedono licenza
-d’armarsi, e il papa «trasse di <i>Sancta Sanctorum</i>
-del Laterano le teste de’ beati apostoli Pietro e
-Paolo, e con esse in mano, coi cardinali, con tutti i
-vescovi, arcivescovi e altri prelati, e con tutto il chiericato,
-con solenni digiuni e orazioni andò per tutte le
-principali chiese di Roma; per la quale devozione e
-per miracolo di detti apostoli, il popolo di Roma fu
-tutto rivocato alla difesa di santa Chiesa e del papa, e
-quasi tutti si crociarono contro a Federico, dando il
-papa indulgenza di colpa e pena» (<span class="smcap">Villani</span>).
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore, costretto a levare il campo, torna a
-Napoli per far uomini e denaro, coi quali rientra in
-Lombardia; ma vede soccombere coloro sui quali più
-s’appoggiava. Bolognesi, Lombardi, Estensi assalsero
-Ferrara, difesa da Salinguerra Torelli, intrepido ottagenario,
-che aveva ottocento uomini d’arme tedeschi
-e molti assoldati; ma il suo luogotenente lo tradì, e il
-marchese, invitatolo a un banchetto, lo fece prendere
-e mandare a Venezia, ove sopravisse quattro anni in
-carcere.
-</p>
-
-<p>
-Bisogna pur risolvere il ripigliato litigio; bisogna
-interrogare la cristianità se approvi e sostenga l’operato
-del papa. A tal fine Gregorio convoca un concilio
-generale a Roma <span class="sidenote">(1241)</span>: e Federico, che sempre aveva a questo
-appellato, ora non vi vede che una dimostrazione ostile,
-<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span>
-e scrive ai principi non lascino venirvi i cardinali, e
-dispone guardie, alle quali concede le spoglie de’ prelati
-che vogliano andarvi. Perciò un grosso di cardinali
-francesi, inglesi, lombardi, risoluti di obbedire al papa,
-scelgono la via di mare affidandosi ai Genovesi, avversi
-a Federico dacchè egli, dopo lusingatili di ampli privilegi
-in Sicilia, invece li sottopose alle comuni gravezze,
-e li privò sin d’un palazzo che v’aveano avuto in dono.
-Federico colla flotta pisana manda Enzo suo figliuolo,
-che tra il Giglio e lo scoglio della Meloria scontrato
-quel convoglio <span class="sidenote">(1241 — 3 maggio)</span>, parte manda a picco, moltissimi cattura.
-Federico in trionfo ne informava il re d’Inghilterra,
-vantando che da duemila v’affogarono, e circa
-quattromila Genovesi restarono suoi prigioni: il vulgo
-aggiunse che l’oro fu diviso collo stajo fra Pisani e
-Napoletani. I Genovesi, di tal rotta dato ragguaglio al
-papa, soggiungevano: — La perdita di nostre genti e
-navi non ci nuoce quanto l’ignominia di nostro signore
-e il male de’ santi prelati, che in virtù d’obbedienza
-accorrevano al concilio per soccorrere la santità vostra
-di giusti e salutari avvisi. A vendicare sì atroce nequizia,
-a difendere la Chiesa di Dio col popolo a lei devoto, deliberammo
-dal primo all’ultimo porre le vite e le cose
-nostre, non perdonando a fatica, riposo, vigilie, finchè
-conculcata non abbiamo la ribellione, e preso vendetta
-delle morti, ferite e contumelie che gl’innocenti patirono
-ad onore e gloria del nome di Gesù Cristo, della
-santissima vostra persona, de’ venerabili fratelli vostri,
-della Chiesa universale, e di tutti i fedeli. Ogni Genovese,
-grande o piccolo che sia, posto da banda qualunque
-rissa, cura e negozio, attende assiduo, a fabbricare e
-munire navi e galee, affinchè abbiamo vittoria de’ nostri
-nemici, e la Chiesa di Dio possa la sua grandezza e
-potenza manifestare contro il figliuolo di perdizione,
-scelleratissimo apostato Federico, sedicente imperatore,
-<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span>
-e i complici suoi e fautori. Nè pare ch’egli per altro
-sia salito in tanta fortuna, se non per precipitare da
-luogo più eminente nel baratro di estrema vergogna.
-Quindi genuflessi supplichiamo alla santità vostra, pel
-sangue di Cristo, le cui veci sostenete in terra, a non
-desistere dal proponimento pel sofferto sinistro, anzi
-sorreggere la navicella di Pietro, battuta dalle tempeste
-e quasi assorta, e condurla al porto di gaudio e salute».
-</p>
-
-<p>
-I prelati furono tenuti in cattura a Pisa o ne’ varj
-castelli del Napoletano; e intanto Federico spediva la
-flotta a danno di Genova, contro cui istigava pure i
-suoi alleati Pavesi, Alessandrini, Vercellini, Tortonesi,
-e i marchesi di Monferrato, del Bosco, Pelavicino;
-chiedeva a prestanza gli argenti delle chiese di Puglia;
-occupava altre città romane fin a Tivoli e Montalbano;
-e nel sacro collegio istesso trovò chi tradisse il papa,
-come il cardinale Giovanni Colonna, che afforzando i
-castelli di Lagosta ed altri, circondava Roma. Chiuso
-in questa, il papa muore: e, detto fatto, Federico sospende
-le ostilità, quasi a lasciar intendere fossero dirette
-personalmente contro il pontefice; ma non per
-questo proscioglie i cardinali carcerati, anzi intercetta
-il denaro che da tutto il mondo spedivasi a Roma,
-mette Saracini a devastare il patrimonio, e ai pochissimi
-cardinali raccolti nel conclave, che ad arte egli
-traeva in lungo, scriveva: — A voi, figliuoli di Belial;
-a voi, figliuoli di Efrem; a voi, greggie di dispersione;
-a voi, colpevoli dello scompiglio del mondo».
-</p>
-
-<p>
-Celestino IV, dopo appena diciassette giorni di papato,
-morì di veleno; e tenendo l’imperatore ancora
-in prigione o a confino i cardinali, più d’un anno passò
-prima che si potessero unire quanti bastavano per
-eleggergli un successore, che fu Sinibaldo Fieschi genovese
-col nome d’Innocenzo IV <span class="sidenote">(1243)</span>. Era egli di famiglia
-e di persona favorevole all’imperatore, onde speravasi
-<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span>
-un componimento; ma Federico disse: — Ho perduto
-un amico per acquistare un nemico». Però il vescovo
-di Porto con Taddeo da Suessa e Pier delle Vigne parve
-riuscissero a trar Federico a condizioni ragionevoli; e
-gli ambasciatori di questo il giovedì santo del 1244 in
-piazza del Laterano giurarono la pace, presenti esso
-papa, i cardinali, Baldovino II imperatore di Costantinopoli,
-il senato, il popolo.
-</p>
-
-<p>
-Già l’Italia e la Chiesa credeansi rabbonacciate,
-quand’ecco frammettersi puntigli: Innocenzo pretendeva
-Federico cominciasse dal rilasciar le terre e gli uomini
-presi; Federico voleva ch’egli prima lo ricomunicasse, e
-discernesse la causa sua da quella delle città lombarde,
-usurpatrici delle regalie, mentre il papa contendeva
-non fossero obbligate rispondere ai tribunali dell’Impero.
-Federico, palpato invano il pontefice col cercargli
-una nipote per isposa a suo figlio Corrado, s’avventa
-da capo all’armi, e ne occupa tutte le città; il papa,
-nè tampoco fidandosi (così il conosceva) di rimanere
-in Roma, fugge a Genova e di là in Francia. Federico,
-stizzendo che la vittima gli fosse sfuggita, scrisse,
-mandò, e tanto era potente e riverito, che il papa non
-trovò asilo da nessuno, neppure da san Luigi. Fortunatamente
-Lione era città libera, sicchè colà ricoverato,
-e ricevendo grand’onoranza da gente che affluiva da
-tutta cristianità, e anche dall’Italia per quanto l’imperatore
-vigilasse i passi, aprì il XIV concilio generale <span class="sidenote">(1245 — 25 giugno)</span>.
-</p>
-
-<p>
-Cenquaranta prelati v’intervennero, e fu allora che
-Innocenzo ornò del cappello rosso i cardinali, per indicarli
-pronti a versare il sangue per la Chiesa, e v’aggiunse
-la valigia e la mazza d’argento, ornato regio,
-quasi a protestare contro di Federico, il quale pretendeva
-ridurli all’apostolica semplicità. Ai congregati
-espose le cinque piaghe della Chiesa: lo scisma dei
-Greci, le eresie crescenti, Terrasanta devastata dai Carismiti,
-<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span>
-la minaccia dei Mongoli, e le enormità dell’imperatore,
-eretico, musulmano, bestemmiatore, spergiuro,
-spogliator delle chiese, persecutore del clero.
-L’avrebbe però ricevuto a pace, purchè rilasciasse i
-prigionieri, rendesse le terre alla Chiesa, e compromettesse
-in lui le sue differenze coi Lombardi; ma Federico
-stette al niego: finse poi voler condursi in persona
-al concilio, ma vi andò solo Taddeo da Suessa.
-</p>
-
-<p>
-Grand’eloquenza, gran dialettica adoprò costui per
-menomare le accuse di eretico, d’epicureo, di ateo; ma
-indarno ripetute le proroghe acciocchè Federico comparisse
-in persona, fu in contumacia proferita la scomunica
-contro di esso: — Io vicario di Cristo; e quel
-che legherò sulla terra fia legato in cielo. Pertanto,
-deliberato coi cardinali fratelli nostri e col concilio,
-dichiaro Federico accusato e convinto di sacrilegio e
-d’eresia, scomunicato e scaduto dall’impero; assolvo
-per sempre dal giuramento quelli che gli promisero
-fedeltà; proibisco obbedirgli sotto pena della scomunica
-<i>ipso facto</i>; comando agli Elettori che scelgano un altro
-imperatore, riservando a me il disporre del regno di
-Sicilia». I cardinali gettarono per terra le candele accese,
-colla rituale esecrazione; Taddeo si picchiava il
-petto, esclamando: — Giorno di collera, giorno di calamità,
-di miseria»; ed Innocenzo intonò il <i>Tedeum</i>.
-</p>
-
-<p>
-Federico trovavasi in Torino quando lo seppe; e
-chiesta la corona, se la calcò in capo, dicendo come
-un altro ai nostri giorni: — Guaj a chi me la tocca!
-guaj al pontefice che spezzò i legami che a lui mi avvincevano,
-nè mi lascia più altri consigli che dello
-sdegno!» E scrisse ai principi, lagnandosi d’essere
-stato condannato prima che convinto, negando al papa
-il diritto di deporre i re<a class="tag" id="tag372" href="#note372">[372]</a>: — Come mai voi soffrite
-<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span>
-d’obbedire ai figli dei vostri sudditi? Vedete come si
-impinguano di limosine, e tronfj d’ambizione sperano
-che tutto il Giordano coli nella loro bocca. Quanto denaro
-risparmiereste sbarazzandovi da questi scribi e
-farisei! quando voi tendete loro la mano, essi pigliano
-tutto il braccio. Presi nelle loro ragne, somigliate all’uccello
-che, cercando fuggire, viepiù s’accalappia. Nostra
-intenzione fu sempre di voler colla forza tornare la
-Chiesa alla primitiva purità, e togliere a costoro i tesori
-di cui sono satolli». Così chiarivasi eretico nella lettera
-stessa ove di questa imputazione voleva scagionarsi.
-</p>
-
-<p>
-Ma la voce del concilio era ascoltata e diffusa, e il
-papa scriveva a’ Siciliani: — A molti fa meraviglia che
-voi, oppressi da vergognosa servitù, gravati nella persona
-e nei beni, abbiate trascurato di procacciarvi le
-dolcezze della libertà, come fecero le altre nazioni. Il
-terrore che occupò il cuor vostro sotto al giogo d’un
-nuovo Nerone, vi è scusa presso la santa Sede, la quale
-per voi sentendo pietà e paterno affetto, pensa come
-alleviare le vostre sofferenze, e fors’anche portarvi ad
-intera libertà. Su, spezzate le catene della schiavitù, e
-prosperi nel vostro Comune la libertà e la pace. Vada
-voce tra le nazioni che il vostro regno, tanto famoso
-per nobiltà e per abbondanza di prodotti, ajutante la
-divina Provvidenza, potè a tanti altri vantaggi unire
-quello d’una stabile libertà»<a class="tag" id="tag373" href="#note373">[373]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Siciliani porsero ascolto a questi incitamenti, e,
-<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span>
-mal per loro, tesserono congiure contro la vita di Federico,
-che ne tolse ragione di versare sangue illustre.
-Anche in Germania la corona fu data ad Enrico Raspon <span class="sidenote">(1246-47)</span>,
-landgravio di Turingia, che, favorito dalle dissensioni,
-e dal denaro e dai brevi del papa, vinse il re Corrado
-di Svevia: ma poi rivinto, morì di crepacuore.
-</p>
-
-<p>
-Non per questo migliorò la causa di Federico, il
-quale troppi titoli aveva onde bramarsi a riva. San
-Luigi di Francia, cui era sembrato un eccesso il condannare
-inascoltato il maggiore principe della cristianità,
-e che d’altra parte struggeasi di vedere i Fedeli in
-pace per ripigliare la crociata, s’interpose più volte,
-rammentando al pontefice la mansuetudine che conviensi
-al vicario di Cristo, e quante migliaja di pellegrini
-in Oriente implorassero l’armonia fra’ principi
-cristiani ond’essere redenti dal giogo: ma Innocenzo
-stava saldo, imponeva decime al clero, estorceva denaro
-in ogni modo, sollecitava i principi lontani, spediva
-ciascun giorno frati a predicare contro l’imperatore.
-Questi erasi accorto quanta potenza avessero le riforme
-portate dalla istituzione dei nuovi frati, riforme che
-toccarono alle viscere della società, cui ai tiranni giova
-lasciar corrotte, e perciò gli odiava. Pier delle Vigne
-scagliavasi contro costoro, che «nel principio parendo
-calpestare la gloria del mondo, assunsero poi il fasto
-che disprezzavano; non avendo nulla, possiedono tutto,
-e son più ricchi dei ricchi stessi. Frati Minori e frati Predicatori
-(soggiungeva) si elevarono contro di noi in ira,
-pubblicamente riprovarono la vita e la conversazione
-nostra, spezzarono i nostri diritti, e ci ridussero al nulla...
-E per affievolirci ancora più e toglierci la devozione dei
-popoli, crearono due nuove fraternite, che abbracciano
-gli uomini e le donne tutte; appena uno od una si
-trova, che a questa o quella non sia aggregato»<a class="tag" id="tag374" href="#note374">[374]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span>
-</p>
-
-<p>
-In fatto essi resistettero intrepidi alla tirannia di Federico,
-e nell’andare a mettere pace faceano giurare
-obbedienza al papa. I Pagani da Nocera irrompendo
-nella valle di Spoleto, giunsero un dì fin sotto Assisi:
-al pericolo, le monache di San Damiano si stringono
-attorno alla malata lor madre santa Chiara; ed ella si
-alza, prende l’ostensorio, lo colloca sulla porta, e inginocchiata
-al cospetto dei Musulmani, supplica Dio a
-proteggere la città: e Dio per sensibile voce la rassicura,
-gl’Infedeli voltansi in fuga, e da quel punto la santa è
-dipinta coll’ostensorio alla mano. Un’altra volta Vitale
-di Aversa, capitano dell’imperatore, menava sue masnade
-contro Assisi, sperperando i contorni: Chiara ne
-restò compunta, e radunate le suore, — Noi riceviamo
-sostentamento quotidiano da questa città; è ben giusto
-che la soccorriamo a poter nostro»; e si spargono di
-cenere, e supplicano, finchè Dio le esaudisce e sbratta
-il paese dagli Imperiali.
-</p>
-
-<p>
-Il beato Giordano, generale de’ Predicatori, andò
-all’imperatore, e statogli avanti alcun tempo silenzioso,
-proruppe: — Sire, varie contrade io giro, secondo è
-l’uffizio mio; or come non mi chiedete qual fama corra
-di voi? — Io tengo gente a tutte le corti e provincie,
-e so quanto accade in tutto il mondo», rispose Federico.
-E il frate: — Gesù Cristo sapeva tutto, e pur domandava
-a’ discepoli che cosa si dicesse di lui. Voi
-siete uomo, ed ignorate assai cose che vi gioverebbe
-sapere. Si dice che opprimete le chiese, sprezzate le
-<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span>
-censure, date fede agli augurj, favorite Giudei e Saracini,
-non onorate il papa vicario di Gesù Cristo. Ciò è
-indegno di voi»<a class="tag" id="tag375" href="#note375">[375]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Federico rispondeva colle crudeltà <span class="sidenote">(1247)</span>; prese e distrusse
-Benevento città papale; e facendo criminali le parole e
-il pensiero, infieriva contro i sudditi; scriveva al re
-d’Inghilterra che i frati Minori combattevano contro
-di lui a lancia e spada, e assolvevano d’ogni peccato
-chi lo combattesse; accusava il papa di raccogliere i
-nemici suoi e rimunerarli; a quanti frati cogliesse, faceva
-in capo una croce col ferro rovente; appiccava
-qualunque portasse lettere d’interesse papale; rubò e
-disertò il convento di Montecassino: poi a tratto raumiliando,
-si faceva esaminare intorno alla fede da
-cinque prelati italiani.
-</p>
-
-<p>
-Nè le città lombarde ristavano: e Federico assalì di
-nuovo i Milanesi, sempre fidi al papa, e distrutto il
-monastero di Morimondo, accampò presso Abbiategrasso;
-ma l’esercito milanese stettegli a fronte sulla
-sinistra riva del Ticino, impedendogli di varcarlo. Bensì
-suo figlio Enzo, che coi Cremonesi e con altri Ghibellini
-assediava i castelli bresciani, tragittò l’Adda a Cassano:
-ma a Gorgonzola fu sconfitto e preso dal prode Simon
-da Locarno, il quale lo rese in libertà purchè giurasse
-non entrare più sul territorio lombardo.
-</p>
-
-<p>
-La perseveranza di una città lombarda diede il tracollo
-a Federico. I Guelfi, capitanati dai Rossi e dai
-Correggio, sinistrarono in Parma e ne furono espulsi
-dai Ghibellini, talchè l’imperatore come in città propria
-vi destinò podestà Arrigo Testa di Arezzo. Ma i fuorusciti
-pervennero a recuperarla, uccidendo in battaglia
-quel podestà, e scacciando il presidio imperiale. Questa
-rivolta noceva grandemente a Federico, perchè Parma
-<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span>
-serviva d’anello fra le città ghibelline ch’erano schierate
-dall’Alpi alla Puglia, cioè Torino, Alessandria,
-Pavia, Cremona, Reggio, Modena, la Toscana; e ciò
-che più rileva, con Verona e coi dominj di Ezelino e la
-Germania. Pertanto egli si propose di recuperarla ad
-ogni costo: Enzo si postò sul Taro per impedire i soccorsi
-de’ Lombardi: l’imperatore da Torino vi accorse
-con diecimila cavalli e molti balestrieri saracini e colle
-truppe d’Ezelino e degli altri Ghibellini; sostenne quanti
-studenti o soldati o gentiluomini parmigiani trovò, facendone
-morire quattro il giorno al cospetto della patria,
-finchè i Pavesi gli dichiararono: — Noi siamo
-venuti a combattere i Parmigiani, non a farne il boja».
-Incontro a Parma alzò egli una gran bastita a guisa di
-città, col nome di Vittoria: ma mentre egli baloccavasi
-alla caccia, i Parmigiani che erano soccorsi dai Lombardi,
-sortiti distrussero le mura e il campo, fecero
-macello de’ Saracini e de’ Pugliesi <span class="sidenote">(1248)</span>, fra i morti lasciando
-il marchese Lancia e il famoso Taddeo da Suessa, e
-tolsero a Federico il tesoro, le gioje della corona e la
-speranza del vincere. La città di Vittoria andò in
-fiamme, il carroccio de’ Cremonesi ornò il trionfo dei
-Parmigiani<a class="tag" id="tag376" href="#note376">[376]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore pensò rivalersi sulla Lega Toscana dei
-mali fattigli dalla Lombarda, e mandò suo figlio Federico
-<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span>
-re d’Antiochia con milleseicento cavalli tedeschi a
-Firenze, che eccitò la consorteria degli Uberti a prender
-l’armi; e cavalcata la città, e prese una dopo l’altra le
-barricate de’ Guelfi, la ridussero a segno ghibellino;
-abbatterono trentasei palazzi colle torri, fra cui alcune
-ornate artisticamente, come quella de’ Tosinghi in Mercato
-vecchio, alta quarantacinque metri; rincacciarono
-poi i Guelfi ne’ loro castelli forensi; a Capraja l’imperatore
-stesso venne a porre l’assedio, e presala, molti
-<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span>
-uccise, molti accecò, gli altri sepellì nelle prigioni di
-Puglia.
-</p>
-
-<p>
-Ma intanto Corrado suo figlio restava superato da
-Guglielmo d’Olanda, nuovo anticesare in Germania.
-Più al vivo l’avea tocco la sventura dell’altro figlio Enzo,
-bello e colto giovane di venticinque anni e già d’onorato
-nome in cose di guerra, che essendo venuto contro
-i Bolognesi, a Fossalto cadde in costoro mano. Essi lo
-tennero in cortese prigionia, ma per qualunque dire o
-<span class="pagenum" id="Page_468">[468]</span>
-fare più nol rilasciarono quanto visse. Raccontasi fosse
-fabbricato per lui il palazzo rimpetto al duomo, e che
-da Lucia Vendagoli avesse un figliuolo ch’e’ nominò
-Bentivoglio <span class="sidenote">(1269)</span>, donde derivò la famiglia di questo nome<a class="tag" id="tag377" href="#note377">[377]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Al dispetto della superbia ammaccata s’aggiunse in
-Federico il più crudele e consueto flagello che Dio
-scagli sui tiranni, il sospetto. Le volte del palazzo di
-Palermo echeggiarono ai gemiti de’ baroni ch’egli vi
-chiudeva a morire, mentre le donne loro consumavansi
-di doglia. Che più? Pier delle Vigne, l’uomo cui
-avea fidate le <i>chiavi del suo cuore</i>, l’uomo che per
-anni ed anni avea scritto le lettere di lui, senza farsi
-scrupolo di urtare le idee allora più sacre, e di meritar
-taccia di servile presso la posterità, anch’esso gli cadde
-in sospetto. Privato degli occhi, Pietro non seppe tollerare
-di vedersi calpesto da quello ch’egli aveva tanto
-esaltato, onde si diede morte da se stesso; e dalle incolpazioni
-lo assolse il giudizio dei contemporanei
-espresso da Dante<a class="tag" id="tag378" href="#note378">[378]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_469">[469]</span>
-</p>
-
-<p>
-La parte ghibellina, sostenuta da Pisa e Siena, prevaleva
-in Toscana; in Lombardia tenevasi in bílico coll’avversa,
-mercè la fierezza d’Ezelino; trionfi della
-forza: i Romani stessi minacciavano insorgere se il
-papa non tornasse. Potea dunque Federico lusingarsi
-d’un buon accordo, quando morì di sessantasei anni <span class="sidenote">(1250 — 15 xbre)</span>.
-Rosa da Viterbo avea preveduta in visione la morte di
-lui, e intimatogli tornasse al cuore. Gli astrologi aveangli
-preveduta fatale una terra che traeva nome dal fiore;
-lo perchè non era mai voluto entrare in Firenze: ma
-l’ultima malattia lo colse a Fiorentino, villa della Capitanata.
-Prima di spirare fu ricomunicato: ma la fama
-divulgò che suo figlio Manfredi lo soffocasse: uno
-de’ molti misfatti, di cui quella famiglia fu aggravata
-dall’odio dei popoli e dei sacerdoti.
-</p>
-
-<p>
-Tanto eroe ch’egli era, in cinquantatre anni che stette
-re di Sicilia, e trentadue che imperò, Federico nulla
-compì di grande, perchè, com’ebbe a dire san Luigi,
-fe guerra a Dio coi doni di Dio. Qual divario in fatti
-<span class="pagenum" id="Page_470">[470]</span>
-dal limitare della sua vita, quand’era non solo amico,
-ma in tutela della Chiesa, e gli ultimi vent’anni in cui
-durò ritroso e contumace all’autorità spirituale! Acuto
-a scorgere i difetti e pregiudizj, stizzoso per beffarli,
-non amorevole per compatirli e correggerli, in un mondo
-che ancora operava per fede, volle trapiantare la politica
-materiale, facendo dichiarare da Pier delle Vigne
-che l’Impero è arbitro delle cose umane e divine; visitò
-il sepolcro di Cristo come alleato de’ Musulmani; si
-circondò di zanzeri, di odalische e di Saracini, a lor
-modo costumando la vita, e parve vagheggiare la coltura
-orientale a preferenza della cristiana.
-</p>
-
-<p>
-Questa rivolta contro la forza vitale del cristianesimo
-poteva essa tollerarsi da un secolo credente? Con volontà
-baldanzosa cozzando contro l’opinione, Federico
-non potette appoggiarsi che sui peggiori uomini che
-producesse l’Italia, e ricorrere ai mezzi repugnanti alla
-sua natura; incrudelire contro il proprio figliuolo, tenendolo
-a vita prigione; trovare o sospettar ribelli i
-suoi più intimi, vendicarsi ogni giorno con mannaje e
-capestri, distruggere città, crocifigger preti e frati. Nell’alta
-Italia non riusci a comprimere nè le città nè i
-baroni, anzi li fe chiari di quel che loro mancava per
-sostenersi. Divorò colla speranza il patrimonio di san
-Pietro, e i papi sopravissero a spargere d’acquasanta
-la fossa dell’ultimo rampollo di sua prosapia. Nel suo
-regno di Sicilia attentò le franchigie, quantunque il
-facesse colla solita canzone de’ tiranni, «Lasciate ogni
-potere a noi, e noi vi faremo felici»; e così cumulò
-tesori di memori ire. A maggior diritto lo tacciano i
-Tedeschi d’avere, per soggiogar l’Italia, trascurato il
-loro paese quasi una provincia; e mentre avrebbe
-potuto unire all’Impero tutto il settentrione e l’oriente
-dell’Europa, diffondendo la civiltà fra la razza slava,
-cui dappertutto preponderava allora la germanica, per
-<span class="pagenum" id="Page_471">[471]</span>
-capriccio di soperchiare i papi e per costituire un regno
-alla propria famiglia permise si eclissasse l’Impero,
-che più mai non ricuperò il suo splendore.
-</p>
-
-<p>
-Testando lasciava il regno a suo figlio Corrado;
-mancando questo senza prole, gli surrogava il suo
-figlio naturale Manfredi, che intanto destinava balio in
-Italia: si rendano in libertà tutti i prigioni, eccetto
-quelli presi per la congiura contro di lui; anzi a nessuno
-dei felloni del regno sia permesso tornarvi, e
-gli eredi suoi siano obbligati a trarne vendetta: alla
-Chiesa si restituiscano i diritti, se essa restituisca quelli
-dell’Impero: ai baroni o feudatarj ripristinava i privilegi
-e le franchigie che godeano al tempo di Guglielmo
-II, col che annichilava la fatica di tutto il suo
-regno, cioè il restringimento delle giurisdizioni feudali,
-quasi credesse che tutta la riazione fosse venuta da
-loro, e volesse evitarla a’ suoi figliuoli. La storia non
-dovrebbe ammirare che la grandezza morale; e Federico
-nulla fondò; operava per passioni personali e intenti
-domestici, e nè tampoco la propria famiglia potè
-assodare. Il popolo, guardando tra meraviglia e compassione
-il suo sepolcro, conchiudeva come il cronista
-Salimbeni, che sarebbe stato senza pari sulla terra <i>se
-avesse amato l’anima sua</i>.
-</p>
-
-<p>
-Dopo sei secoli di progresso un altro imperatore doveva
-elevarsi colla medesima assolutezza, la medesima
-nimicizia alla libertà, il medesimo conto della religione
-come stromento di politica e ordigno di Stato, la medesima
-ostilità ai papi; e come lui trionfare colla violenza,
-e come lui soccombere alla voce di Dio e del
-popolo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_472">[472]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap92">CAPITOLO XCII.
-<span class="smaller">Fine degli Svevi e della seconda guerra delle Investiture.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-«Esultino i cieli, giubili la terra, poichè in freschi
-zefiri e in fecondatrici rugiade si risolsero il fulmine
-e la burrasca, da Dio sospesi sul vostro capo»<a class="tag" id="tag379" href="#note379">[379]</a>,
-esclamava Innocenzo IV all’udire la morte di Federico
-II; ma non parevagli perfetta l’impresa finchè restasse
-razza o seme degli Hohenstaufen. Scrisse ai baroni
-delle Due Sicilie, non riconoscessero altro re dal
-papa in fuori; e alle città e ai principi di Germania
-cessassero ogni devozione verso Corrado IV, scaduto,
-non che dal trono, fin dal ducato di Svevia; e favorissero
-invece Guglielmo d’Olanda, eletto imperatore;
-non fosse accettato alla comunione o a dar testimonianza
-se non chi si segregasse dagli Hohenstaufen. Poi,
-ad invito de’ Guelfi, da Lione suo ricovero venne alla
-patria Genova, traversò la Lombardia benedicendo e
-scomunicando, spegnendo e attizzando guerre. Le città,
-che la benedizione sua avea tanto francheggiate nel
-tener testa al Tedesco, tripudiavano ora nel nome di
-lui: tutti i Milanesi gli uscirono incontro, formandogli
-doppia siepe per dieci miglia di strada, e inventarono
-un cielone di seta portato da cittadini di rispetto, il
-quale poi fu detto baldacchino; e per due mesi che vi
-dimorò, gli accumularono dimostrazioni e n’ottennero
-grazie spirituali. Essi Milanesi sconfiggevano i Lodigiani,
-vi collocavano un podestà di loro scelta, e vinceano
-i Tortonesi in modo da farli quasi tutti prigionieri:
-Firenze rimetteva in città i Guelfi, i quali ben
-<span class="pagenum" id="Page_473">[473]</span>
-tosto furono in grado di cacciarne i Ghibellini: molte
-città del Regno insorsero, e fin Capua, Napoli, Messina,
-e i conti d’Acerra, d’Aquino, di Caserta.
-</p>
-
-<p>
-Solo in Roma prevalevano i Ghibellini; e non che
-accogliere il papa con feste o calma, si volle scegliere
-un senatore non più paesano, ma forestiero come soleansi
-i podestà. E fu Brancaleone d’Andalo bolognese,
-conte di Casalecchia <span class="sidenote">(1253)</span>, legato con Ezelino, col Pelavicino
-e cogli altri di quella risma; il quale accettò solo a
-patto di durare tre anni, e di mandare nella sua patria
-come ostaggi trenta giovani di famiglie primarie; con
-giustizia inflessibile e governo di sangue tenne tranquilla
-la città, distrusse cenquaranta torri de’ nobili,
-molti ne mandò al supplizio o in esiglio; ad Innocenzo,
-ch’erasi collocato in Assisi, intimò di restituirsi alla
-sua sede se voleva essere riconosciuto, minacciando
-diroccare la città che il ricoverava, come già avea fatto
-colle riottose Ostia, Porto, Alba, Tivoli, Sabina, Tusculano.
-Tanta severità irritò il popolo, che cacciollo; ma
-presto lo rivolle, e quando morì ne collocò la testa in
-un vaso d’alabastro sopra una colonna.
-</p>
-
-<p>
-Ai Ghibellini s’appoggiò pure Corrado quando con
-iscarsissimi mezzi venne in Italia <span class="sidenote">(1251)</span>, e a Goito sul Mantovano
-convocò i Cremonesi, Pavesi, Piacentini, Padovani,
-e il caporione della parte imperiale, Ezelino, il
-quale era a un punto di costituire una potenza indipendente,
-se troppo lubrico fondamento non fosse il
-sangue. Invano dal papa tentato con promesse e minaccie,
-costui seguitò la strada della violenza, e con
-questa sostenea l’imperatore: sicchè le città guelfe rinnovavano
-la lega, che aveano imparato esser modo di
-salvamento; e il papa vi promise trecento lancie
-mantenute.
-</p>
-
-<p>
-Corrado si tragittò per mare nel Regno, ove tutto
-andava a subuglio, perchè pretendeano governarlo gli
-<span class="pagenum" id="Page_474">[474]</span>
-uni a nome del pontefice, gli altri de’ figli di Federico.
-Uno n’avea questi lasciato d’Isabella d’Inghilterra, per
-nome Enrico; ma finendo solo i tredici anni, non bastava
-a tali procelle: dell’altro Enrico, che era stato
-re, avanzavano due bambini. Ma la figlia di Bonifazio
-Guttuario signore d’Anglano presso Asti e d’una Napoletana
-di casa Maletta, vedova del marchese Lancia, a
-Federico avea generato Manfredi, che fu intitolato principe
-di Taranto. Nel vigore dei diciott’anni, tutto spiriti
-cavallereschi ed ambizione, alla morte del padre
-naturale egli si recò in mano le cose, e sanguinosamente
-reprimeva la Sicilia e le città che, confortate anche dal
-papa a quella libertà <i>che godeano quelli direttamente
-soggetti alla Chiesa</i><a class="tag" id="tag380" href="#note380">[380]</a>, aspiravano a saldare il governo
-municipale, forse non mai perito colà, ed eleggevano
-un consiglio invece de’ bajuli regj. Manfredi coi Saracini
-di Nocera e di Sicilia ajutò Corrado a sottometterle;
-il quale, avuta Napoli stessa dopo lunga resistenza,
-la mandò a sacco, costrinse i cittadini a smantellarla,
-e fece <i>gran giustizia</i>, cioè esterminio de’ capi
-ribelli. Queste ed altre severità e le rincarite imposizioni
-faceano che i popoli dicessero di lui «Gli è un tedesco»,
-mentre di Manfredi ripeteano «È un italiano».
-</p>
-
-<p>
-Per quanto Manfredi si fosse buon’ora addestrato nell’arte
-di fingere e inchinarsi, l’attività e la benevolenza
-il posero in sospetto a Corrado, il quale, dopo che gli
-nacque un figlio nominato Corradino <span class="sidenote">(1252)</span>, cessò d’avergli
-riguardi; per fargli smacco abolì le donazioni fatte
-dopo morto Federico, depose il gran giustiziere di Taranto
-ed altre creature di esso, ne cacciò i parenti materni,
-lui stesso privò del ricco appanaggio di cui l’avea
-provveduto. Al tempo di loro amicizia aveali la pubblica
-<span class="pagenum" id="Page_475">[475]</span>
-voce accusati d’avere avvelenato il giovane lor
-fratello Enrico e il nipote Federico: dopo la loro scissura
-si imputò a Manfredi il morire di Corrado <span class="sidenote">(1254)</span>. Costui,
-finendo sul fiore de’ ventisei anni, temea il veleno in
-ogni posizione, e rimordeasi d’aver disgustato la Chiesa,
-prevedendo ch’essa trionferebbe d’una Casa ridotta a
-una cuna. Allora Guglielmo d’Olanda non ebbe più emuli
-nel regno di Germania: ma, benchè giovane ardimentoso,
-non potè mai ispirare nè amore nè rispetto; e
-prima di cingersi la corona in Italia, morì osteggiando
-i Frisoni.
-</p>
-
-<p>
-Sì abjette erano le condizioni dell’Impero <span class="sidenote">(1256)</span>, che nessun
-principe nazionale vi aspirò, ma gli uni facevano guerra
-agli altri in universale anarchia. Alfonso X re di Castiglia
-comprò con grosse somme <span class="sidenote">(1257)</span> il voto d’alcuni elettori;
-d’altri con somme maggiori Ricardo di Cornovaglia,
-non conosciuto per altro merito che per isfondolate
-ricchezze: sicchè l’impero di Carlo Magno tornava,
-come ai tempi di Didio Giuliano, a vendersi al migliore
-offerente. Ricardo, appena coronato, dovette tornare in
-Inghilterra, ove morì; Alfonso dai domestici affari e
-dagli studj astronomici fu trattenuto in Ispagna, nè
-cinse mai la corona di re de’ Romani: sicchè quel tempo
-chiamossi <i>il grande interregno</i>, non perchè mancassero
-imperatori, ma perchè di nessuno fu riconosciuta
-ed efficace l’autorità. Tempo deplorabile per la Germania,
-dove rivisse peggio che mai il diritto del pugno,
-cioè delle guerre private; e dove alle antiche, nuove
-occasioni di battaglia aggiungevano le investiture date
-dagli emuli imperatori; nè ai popoli restava cui ricorrere
-contro le angherie dei signori, i quali faceansi
-unica legge il proprio talento.
-</p>
-
-<p>
-Pensate se ai Tedeschi rimaneva agio di badare all’Italia,
-dove la lite fra l’Impero e il Sacerdozio invelenivasi
-per nazionali rancori. Cotesta razza sveva innestata
-<span class="pagenum" id="Page_476">[476]</span>
-sul tronco normanno, che appoggiavasi unicamente
-sopra guerrieri saracini o tedeschi, che fra gli
-Arabi avea scelto quasi tutti i giustizieri del Regno e i
-principali provvisionati, spiaceva agli Italiani, gelosi dell’indipendenza
-patria; spiaceva alle Repubbliche, come
-ereditaria nemica delle loro franchigie; spiaceva ai
-papi, che l’aveano perpetua contradditrice. Corrado
-lasciò, unico fiato di quella stirpe, un bambolo di tre
-anni, Corradino, partoritogli da Isabella di Baviera; e
-diffidando di Manfredi, gli avea destinato tutore Bertoldo
-di Hohenburg, signore bavarese di molta ambizione
-e scarsa capacità. Conformandosi all’intenzione
-del defunto, questo lo raccomandò al papa, il quale rispose
-gli lascerebbe il ducato di Svevia e il titolo di
-re di Gerusalemme; quando fosse cresciuto, farebbe
-esaminare i diritti di esso sulla Sicilia, che era ricaduta
-alla Chiesa. E la esibì al suddetto Ricardo di Cornovaglia,
-che ricusò, paragonandolo a chi gli esibisse
-la luna: Enrico III d’Inghilterra l’accettò per suo figlio
-Edmondo, tanto perchè anche questo gobbo avesse un
-appanaggio, e spedì qualche denaro per alimentare la
-guerra, ma null’altro ne fece.
-</p>
-
-<p>
-In tali incertezze ognuno ghermiva qualche brano
-di potere, chi a nome del papa, chi del re, chi del
-Comune, chi di nessuno; gli ordinamenti municipali
-allargavansi in repubblica; e Bertoldo, vedendo gl’italiani
-mal intalentati verso lui straniero, rimise la reggenza
-in man di Manfredi.
-</p>
-
-<p>
-Federico lo aveva in testamento sostituito a succedergli,
-caso che Corrado morisse senza prole; e chi
-conosce le ambizioni umane, non si recherà difficile a
-credere ch’egli aspirasse ad acquistare quel regno
-come suo, pur mostrando faticare pel nipote. Di forme
-ben assortite, nobile portamento, discreto trattare, si
-era coltivato colle lettere; e robustezza, valore, grazia
-<span class="pagenum" id="Page_477">[477]</span>
-attrattiva, senno, scaltrimenti avea quanto bisognava
-al riuscire. Sulle prime, quando mancava di denaro,
-e i baroni vedeva nojati della dominazione tedesca,
-s’umiliò al papa, gli consegnò le rôcche, e lo riconobbe
-non solo come caposignore, ma come vero sovrano
-del Regno: al qual patto Innocenzo gli consentì il
-principato di Taranto e l’altre terre qual feudo della
-Chiesa, col peso di dare ad ogni richiesta cinquanta
-cavalieri per quaranta giorni; e il deputò suo vicario
-di qua dal Faro, coll’assegno d’ottomila once d’oro,
-mentre la Sicilia restava a governo di Pietro Rufo,
-speditovi da Corrado IV. Innocenzo entrò nel Regno,
-accompagnato dagli esuli cui restituiva la patria, e
-accolto ad onoranza dal popolo e dai signori.
-</p>
-
-<p>
-Conciliazione apparente, ove gareggiavano qual
-dei due meglio simulasse. Manfredi secondava or le
-pretensioni del pontefice, or le esigenze de’ Tedeschi
-e de’ Saracini che si vedevano sbancati per la dominazione
-papale<a class="tag" id="tag381" href="#note381">[381]</a>; tradimenti e battaglie aperte ricorrevano
-fra le due fazioni. In una di queste perì Borello
-d’Anglone, creatura pontifizia; e Manfredi, citato a
-scagionarsi della costui morte, invece pensò resistere,
-e adottò la politica paterna di confidare sulla forza e
-sui mercenarj forestieri. Attraversando dunque il paese,
-tutto malvolto a lui scomunicato <span class="sidenote">(1254 — 9bre)</span>, giunse nella Capitanata
-fra gravi pericoli. Giovanni il Moro, nato da una
-schiava nel palazzo reale, brutto, sconcio, ma astutissimo,
-era stato allevato con gran finezza per cura di
-Federico, che lo pose fra’ suoi secretarj, il fece persino
-gran cameriere del regno, e insieme capitano de’ Saracini
-di Lucera. Manfredi gli lasciò le dignità; eppure
-colui patteggiò col pontefice, che lo ricevette come
-feudatario e sotto la protezione speciale della chiesa di
-<span class="pagenum" id="Page_478">[478]</span>
-San Pietro<a class="tag" id="tag382" href="#note382">[382]</a>. Fortunatamente egli era andato a ricevere
-l’investitura quando Manfredi arrivò a Lucera,
-dove i Saracini lo accolsero festosi, e posero a discrezione
-di lui i tesori depostivi da suo padre e da Corrado,
-coi quali soldò mercenarj di qual fossero nazione
-o colore; e avendo i baroni protestato di non tenersi
-obbligati a militare fuori del Regno, Manfredi ne li
-dispensò, e in quella vece condusse duemila Tedeschi
-per sei mesi a paga doppia: e ai capitani di cotesti
-forestieri, o ai conti rurali, gente anch’essa forestiera,
-e agli Arabi affidava la guardia e il governo delle città
-guelfe che sottomettesse, o delle ghibelline che gli si
-unissero.
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo IV, inesorabile alla casa sveva, era morto <span class="sidenote">(7 xbre)</span>
-a Napoli, e fra l’agonia udendo i parenti suoi piangere
-e singhiozzare, esclamò: — Miserabili! non v’ho io
-abbastanza arricchiti?»<a class="tag" id="tag383" href="#note383">[383]</a>. Gli succedette Alessandro
-IV, dei Conti di Segni, donde in sessant’anni erano
-venuti alla tiara Innocenzo III e Gregorio IX; tutto
-pietà, ma raggirato dai cortigiani. Manfredi, inebbriato
-sul prosperare delle sue armi, gli ricusò omaggio,
-sicchè la guerra divampò, e il legato Ottaviano degli
-Ubaldini raccolse quanti erano avversarj a Manfredi,
-e nominatamente il marchese Bertoldo, disgustato dal
-vedere che costui operava per sè, non più per Corradino,
-il quale anche con diploma reale avealo nominato
-reggente «come quello che per prudenza, fedeltà, alto
-senno ben meritava la sua confidenza, oltre che aveva
-diritto»<a class="tag" id="tag384" href="#note384">[384]</a>: ma poi Manfredi trionfava in ogni parte,
-<span class="pagenum" id="Page_479">[479]</span>
-coll’operosità mostravasi degno di regnare; adunato il
-parlamento, distribuì i feudi a’ suoi fidati, spogliò gli
-avversi, e avuto in mano Bertoldo e i fratelli suoi, li
-mandò a morire in prigione. Divulgò o lasciò divulgare
-che Corradino fosse morto; in conseguenza si fece coronare
-a Palermo. Il papa lo scomunica co’ suoi aderenti <span class="sidenote">(1258 — 11 agosto)</span>;
-ed egli si costituisce centro de’ Ghibellini di tutta
-Italia; occupa Napoli, e se la concilia col perdono e
-l’oblio; trovandosi come padrone nelle marche d’Ancona
-e di Spoleto, piglia in mezzo gli Stati papali;
-essendogli morta Beatrice di Savoja, sposa Elena Comneno
-figlia del despoto dell’Epiro, e la festeggia
-con magnificenza; ama le caccie, ama le canzoni di
-poeti tedeschi, i serventesi di provenzali, gli strambotti
-d’italiani<a class="tag" id="tag385" href="#note385">[385]</a>; circondasi di dotti, giocolieri, concubine,
-e corte all’orientale; intanto spedisce truppe sia in
-Grecia a sostenere lo suocero, sia nella Marca e in Toscana
-a fiancheggiare i Ghibellini, i quali lo favorivano
-perchè non tanto forte da metterli al freno, e perchè
-altro Tedesco non venisse in Italia<a class="tag" id="tag386" href="#note386">[386]</a>. In quattro anni
-era egli riuscito a ritogliere dalla mano dei papi quello
-scettro che suo padre avea con tanto vigore impugnato;
-carezzava baroni, prometteva rintegrare le franchigie
-municipali, distribuiva onori e contee, dava risalto al
-valor suo personale a fronte delle codarde fughe dei
-preti, e non mancava di punire atrocemente le città
-contumaci.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_480">[480]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il nuovo papa Urbano IV <span class="sidenote">(1261)</span>, uom di robusto petto<a class="tag" id="tag387" href="#note387">[387]</a>,
-sulle vetriate di Troyes sua patria fe ritrarre suo padre
-intento allo spago di ciabattino; si cinse di buoni cardinali;
-e degl’interdetti allora prodigati mitigò il rigore,
-permettendo la messa e i sacramenti purchè a porte
-chiuse. Ordinò che il corpo di Saracini stanziatosi sugli
-Stati papali sgombrasse, o bandirebbe la crociata; e
-fu obbedito da Manfredi, fors’anche per paura d’un
-nuovo entusiasmo che erasi diffuso. Una dirotta di
-battuti, uomini, donne, fanciulli, a lunghe file in disordine
-seguendo un crocifisso, flagellandosi a sangue, e
-cantando lo <i>Stabat Mater</i>, tragittavansi di città a città,
-intimando penitenza e concordando paci. Allorchè si
-accostavano ad una, podestà e clero uscivano ad incontrarli
-colle croci e il gonfalone, i campagnuoli interrompevano
-i lavori, ognuno voleva sorpassare i
-precedenti in austerità di penitenze e asprezza di flagellazione,
-e le donne si radunavano la notte per applicarsi
-la disciplina, e tutti gli abitanti si metteano dietro
-alle croci. A questa clamorosa devozione, non promulgata
-da predicatori, non istituita dal pontefice, diffusa
-rapidamente da un capo all’altro d’Europa senza che
-si sapesse da chi e perchè, entrava negli animi la
-persuasione d’alcuna grave sventura, con cui Dio fosse
-per risciacquare la terra peccatrice; tacquero le danze
-e le canzoni d’amore, per far luogo a pellegrinaggi e
-a devote cantilene; usurieri e ladri restituivano il mal
-tolto, peccatori inveterati si confessavano e ravvedevano,
-le violente ire ammorzavansi come un incendio
-sotto un mucchio di terra.
-</p>
-
-<p>
-Il marchese Oberto Pelavicino piantò delle forche al
-confine del suo Stato, minacciando appendervi quanti
-Flagellanti lo passassero. Manfredi egualmente gli
-<span class="pagenum" id="Page_481">[481]</span>
-escluse dal Regno; ma comprese che guaj a lui se il
-papa avesse cavato pro da quell’entusiasmo per dirigerlo
-contr’esso.
-</p>
-
-<p>
-Anche in Sicilia un paltoniero finse d’essere Federico,
-che per espiazione fosse rimasto dieci anni in
-miseria; e trovò seguaci e denari, e fu forza mandar
-l’esercito per dissiparli e appiccare i capi. Manfredi, ito
-in persona a chetar l’isola, raccolse il parlamento generale
-a Palermo, dove i nobili vennero offrendo doni,
-fra cui un cavaliere di val di Mazzara cento muli condotti
-da altrettanti schiavi negri<a class="tag" id="tag388" href="#note388">[388]</a>. Gratificarsi il
-popolo con largheggiare libertà e istituir Comuni non
-osava, egli erede de’ rancori degli Svevi; anzi era costretto
-gravare sempre peggio le imposte, oltre esigere
-trentamila once d’oro pel matrimonio di sua figlia
-Costanza con Pietro infante d’Aragona, sul che dicevasi
-profittasse per la propria borsa<a class="tag" id="tag389" href="#note389">[389]</a>. Altre spese
-cagionavano le feste, a cui tanto si piaceva Manfredi:
-e di segnalate ne diede in occasione che sbarcò a Bari
-Baldovino spossessato imperatore di Costantinopoli,
-quando tra banchetti e balli v’ebbe un torneo ove
-ruppero le lancie venti cavalieri cristiani e due musulmani
-di Lucera, e premio era una collana d’oro
-coll’effigie di Manfredi. «Ogni jorno se fecero balli,
-dove erano donne bellissime, d’onne sorte; e lo re
-presentava egualmente a tutte, e non sapea qual chiù
-li piaceva» (<span class="smcap">Spinelli</span>).
-</p>
-
-<p>
-Questi cercò anche d’accordarsi col papa, fin mettendo
-di mezzo il famoso giurista Raimondo di Pegnafort,
-ma senza niun degno pro; anzi Manfredi ricusò rilasciare
-il vescovo di Verona, che diceva arrestato a capo
-d’insorgenti; e inveendo contro il pontefice, — Cessi
-<span class="pagenum" id="Page_482">[482]</span>
-(esclamava) una volta di metter la falce nella messe
-altrui; obbedisca al divino precetto di rendere a Cesare
-quel ch’è di Cesare, a Dio quel che di Dio»; e
-scrisse ai Romani che non al papa ma al senato e alla
-città loro spettava il diritto di dare e togliere la corona
-imperiale, e mandò mercenarj tedeschi a ripigliare le
-ostilità<a class="tag" id="tag390" href="#note390">[390]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di questa lotta erano stanchi i principi d’Europa,
-giacchè per sostenerla i pontefici imponevano continue
-decime e annate sui beni ecclesiastici; e vedendo che
-quelli ostinavansi a volere sbalzata la casa Sveva, s’acconciarono
-essi pure a questo partito, e si diede nerbo
-alla guerra coll’opporre a Manfredi un altro campione.
-</p>
-
-<p>
-Raimondo Berengario, conte della Provenza che
-molta parte avea avuto nelle vicende di Nizza, di Genova
-e delle alpi Marittime, sposò Beatrice figlia di
-Tommaso conte di Savoja, bellissima, letterata, e protettrice
-del sapere, che tenea spesso corti bandite e
-corti d’amore, favoriva trovadori, circondavasi di
-donne nominate fra le poetesse, quali Beatrice sua
-cugina, Agnesina di Saluzzo, Massa dei Malaspina, la
-contessa Del Carretto, la principessa Barbossa. Di lei
-Raimondo generò quattro figliuole, di cui maritò una
-al re di Francia, una a quel d’Inghilterra, una al duca
-di Cornovaglia eletto re de’ Romani, e morendo lasciava
-nubile Beatrice in tutela della madre. La quale,
-per sottrarla agli Aragonesi che aspiravano a quel dominio,
-la menò alla corte di Luigi IX di Francia suo
-genero, e quivi la fidanzò a Carlo d’Angiò, il minore
-fratello di lui. Voleva poi continuare in uffizio di contessa
-della Provenza, ma Carlo tergiversolla; del che
-abbiamo una lettera consolatoria che le scriveva l’altro
-genero Enrico d’Inghilterra<a class="tag" id="tag391" href="#note391">[391]</a>: e infine essa dovette
-<span class="pagenum" id="Page_483">[483]</span>
-abbandonare il paese e restituirsi in Savoja, dove fondò
-alle Scale uno spedale, e vi fu sepolta in un mausoleo
-di ventidue statue, distrutto poi nelle guerre del
-Seicento.
-</p>
-
-<p>
-Dispiacere e sgomento risentì la Provenza, che subito
-si vide allagata d’uffiziali francesi; e mozze le
-libertà di quel gran Comune, ordinato alla foggia dei
-nostri, si moltiplicarono imposte, confische, prigionie,
-supplizj arbitrarj. Carlo, allora sui quarantasei anni,
-oltre questo possesso della moglie, teneva, come figlio
-di Francia, la contea d’Angiò; sicchè era il più ricco e
-potente de’ principi non coronati; educato austeramente
-dalla regina Bianca, di valore avea fatto splendide
-prove alla crociata e ne’ tornei, de’ quali vivamente
-si piaceva; credea perduto il tempo dato al
-dormire, amava le suntuosità e le cortesie non meno
-che le avventure e le prodezze, cupo di naturale, non
-scrupoloso sui mezzi, implacabile coi nemici, pertinace
-nelle risoluzioni e paziente ad aspettarne la riuscita,
-fedifrago quando occorresse. Colla spada assodò e ingrandì
-il dominio, sottomettendo, fra altre, le importanti
-città di Arles e Marsiglia, strettamente collegate per
-commercio con Pisa e Genova; e allungandosi verso
-l’Italia, ebbe Ventimiglia e Nizza.
-</p>
-
-<p>
-Qual meraviglia ch’egli ambisse di non essere da
-meno del regio fratello? Sua moglie poi struggevasi
-di portare onore di corona e di reame come le tre
-sorelle, colle quali trovatasi ad una corte bandita, fu
-obbligata prendere un posto inferiore. Quando dunque
-il papa gli offrì il regno delle Sicilie, volontieri l’accettò
-Carlo; ma Bianca, allora reggente di Francia, non gli
-consentì l’impresa. Egli però non distaccava gli occhi
-dall’Italia, e di qua dai monti acquistò Alba, Cuneo,
-Mondovì Piano, Cherasco; poi venuto alla tiara Urbano
-IV, rinnovò la pratica, e tolti gli scrupoli che
-<span class="pagenum" id="Page_484">[484]</span>
-nasceano a san Luigi sopra i diritti di Corradino, s’accinse
-ad acquistare il Reame. Prima di moversi acconciò
-i suoi affari in Provenza, compromise le discordie
-che avea con Tommaso marchese di Saluzzo pel possesso
-di Busca e della val di Stura, e fece costruir navi
-nell’arsenale di Nizza, traendovi legname dai monti
-vicini per opera degli uomini di Peglia<a class="tag" id="tag392" href="#note392">[392]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma la Provenza non dava guerrieri che per quaranta
-giorni e per brevi distanze; sicchè fu forza ricorrere
-a venturieri, stipendiandoli in parte colle decime imposte
-alle chiese di Francia, in parte colle gioje della
-contessa poste in pegno: vi si unirono i migliori campioni
-di Francia e di Provenza, volendo, per amore
-cavalleresco verso Beatrice, <i>farla reina</i>; altri per ingordigia
-di bottino; altri per acquistare le indulgenze che il
-papa prometteva, quasi fosse una crociata per chiudere
-il varco che agli Arabi aveano riaperto gli Svevi annidandoli
-in Italia. Così furono messi in acconcio quindicimila
-fanti, cinquemila lancie, diecimila balestrieri;
-sostenuto dai quali e dagli indulti, Carlo s’avviò all’Italia.
-</p>
-
-<p>
-Ad altri forti erano ricorsi i pontefici fin dal tempo
-de’ Pepini; vi ricorsero dappoi fino a’ dì nostri, per
-sostenere buone cause e sciagurate: e i frutti furono
-sì differenti, che non si osa misurar la lode o il biasimo
-sopra gli effetti. Solo possiam francamente desiderare
-che la podestà sovreminente si trovi costretta
-il men possibile a implicarsi in interessi mondani, dai
-quali trasse sovente contaminazione, sempre il disgusto
-di qualche parte di coloro che tutti le sono figli in
-Cristo.
-</p>
-
-<p>
-Urbano, incalzato più sempre dai Ghibellini e da
-Manfredi fin nella sua Roma, morì <span class="sidenote">(1263)</span>; e Clemente IV
-suo successore si professò avverso al nepotismo, e ad
-<span class="pagenum" id="Page_485">[485]</span>
-un suo nipote scrisse: — Non t’inorgogliare d’un’elevazione
-che noi umilia a’ nostri occhi, e che svanirà
-come la rugiada del mattino. Non uscire dal tuo stato;
-nè tu o tuo fratello e altri nostri parenti vengano alla
-corte senz’esservi chiamati, se non vogliano partirne
-colmi di confusione. Non cercare alle tue sorelle mariti
-di condizione superiore, chè ci troveresti repugnanti:
-ma se si mariteranno a semplici cavalieri, daremo loro
-trecento lire tornesi, purchè ciò sia noto solo a te e
-tua madre. Le figlie nostre (egli era stato ammogliato)
-non prendano altri mariti che se noi fossimo rimasti
-semplici preti. Niuno ardisca venirci a sollecitare, nè
-accettar regali; le vostre istanze sarebbero anzi nocevoli
-che vantaggiose»<a class="tag" id="tag393" href="#note393">[393]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Come provenzale egli pendea verso Carlo, e più
-quando, nella guerra politica e insieme religiosa di
-tutta Italia, vide Manfredi assicurare prevalenza agli
-avversarj de’ papi. Carlo, a malgrado delle flotte combinate
-di Sicilia e di Pisa, con mille cavalieri scelti
-sbarcò a Roma, i cui cittadini lo chiesero senatore, e
-lo ricevettero con feste quali a nessun principe mai.
-Egli pattuì col pontefice sotto fede giurata di conseguire
-le Due Sicilie per sè e pe’ maschi suoi discendenti,
-o nati da figlie secondo l’ordine delle geniture;
-non dividerebbe o estenderebbe que’ dominj, nè s’intrometterebbe
-agli affari di Lombardia e Toscana; pagherebbe
-una somma allor allora, poi ottomila once d’oro
-l’anno, sotto pena di decadenza; darebbe al papa ad
-ogni richiesta trecento lancie da almeno tre cavalli
-ciascuna per tre mesi; ogn’anno gli presenterebbe un
-palafreno bianco, bello e di buona razza, in segno di
-omaggio<a class="tag" id="tag394" href="#note394">[394]</a>; non accetterebbe mai la dignità imperiale;
-<span class="pagenum" id="Page_486">[486]</span>
-quella di senatore di Roma deporrebbe appena
-stabilito in trono; del resto rispetterebbe la costituzione
-che il papa fosse per dare alla Sicilia, restituirebbe
-alla Chiesa ogni bene o titolo usurpatole, e lascerebbe
-la piena libertà delle elezioni e provvisioni prelatizie,
-sicchè nè prima nè dopo fosse necessario il regio assenso;
-i chierici e le cause ecclesiastiche si tratterebbero
-al tribunale de’ vescovi.
-</p>
-
-<p>
-Fra ciò, pei colli dell’Argentiera e di Tenda veniva
-di Francia l’esercito di Carlo. Pietro conte di Savoja
-e Guglielmo marchese di Monferrato, disertati dalla
-parte ghibellina, favorivano i nuovi vincitori; Acqui e
-Novi ne provarono le vendette; Torino, Vercelli, Novara
-gli accolsero lietamente; donde voltarono al Milanese,
-ai Guelfi dando il sopravvento, e cacciando i
-Ghibellini. Questi, e principalmente i Del Carretto e il
-marchese Pelavicino, ch’erasi formato uno Stato poderoso
-fra Cremona e Brescia, si opposero; ma, fors’anche
-per tradimento di Buoso da Dovara, i crocesignati
-poterono fendere il Bresciano, poi spingersi a Ferrara
-e al Bolognese, evitando la Toscana ancor fedele a
-Manfredi, indi raggiungere Carlo a Roma. Quivi arrivavano
-stanchi, poveri, nudi, affamati delle ricchezze
-romane; ma Carlo le aveva esauste, prestiti non si trovavano
-<span class="pagenum" id="Page_487">[487]</span>
-più perchè non si restituivano, e il paese era
-manomesso come una conquista.
-</p>
-
-<p>
-Clemente non voleva andare a Roma per non mettersi
-in balìa di Carlo, che allora egli conosceva ambizioso
-insieme ed egoisto, gran pezzo inferiore all’aspettazione
-e alle pompose promesse, e che incessantemente chiedeva
-denaro, «quasi (scrive il papa) noi avessimo
-montagne d’oro e fiumi di ricchezze»: tanto per
-ismorbare la città s’affrettò a fargli dare la corona di
-Sicilia e il gonfalone della Chiesa <span class="sidenote">(1266)</span>, dopo nuovi giuramenti
-di ligezza; e lo sollecitò a rompere gl’indugi,
-benchè di fitto verno. Il papa levava decime e centesime
-per tutta la cristianità, dava in ipoteca i beni
-proprj e de’ cardinali per ottenere prestiti da Senesi e
-Fiorentini, moltiplicava indulgenze, assolveva incendiarj
-e sacrileghi purchè pigliassero la croce bianca e
-rossa; e col re mandò il suo legato Pignatelli vescovo
-di Cosenza, portatore d’assoluzioni e di scomuniche.
-</p>
-
-<p>
-Manfredi facea côlta di gente, di moneta, di coraggio,
-chiese il contingente de’ feudatarj, chiamò nuovi Saracini
-d’Africa; una flotta di legni siculi, genovesi, pisani
-postò fra la Sardegna e l’Italia, ed assalì il patrimonio
-pontifizio, sperando sterminare i Francesi prima che
-sopravenisse l’esercito grosso; ma tutto gli facea sentire
-che la nazione non era con lui: i Napoletani,
-stanchi dell’interdetto, lo supplicavano a far pace col
-papa, ed egli protestava non averne colpa; prometteva
-mandare trecento Saracini, che obbligherebbero i
-preti a riaprire le chiese e cantar messe; colle congiure
-ribellò Roma ai papi, ma altre congiure lo costrinsero
-a ritirarsi dal territorio della Chiesa. Munì gagliardamente
-quelle gole, che sarebbero accessibili soltanto
-per tradimento o per vigliaccheria dei difensori: ma
-con tutto ciò la paura stringeva i cuori<a class="tag" id="tag395" href="#note395">[395]</a>; poi dicono
-<span class="pagenum" id="Page_488">[488]</span>
-che il conte di Caserta, messo a guardia del fiume
-Garigliano, per vendicarsi dell’oltraggio fattogli da
-Manfredi nella moglie, lasciasse il varco ai Francesi.
-Manfredi, sentendosi preso fra le spire del tradimento,
-colle parlate e coi manifesti non ottenendo che promesse
-o quella compassione che nobilita ma non prospera
-le bandiere, propose un accordo; ma Carlo
-rispose: — Dite al soldano di Nocera che seco nè pace
-nè tregua; oggi io manderò lui all’inferno, od egli me
-in paradiso».
-</p>
-
-<p>
-Altre volte vedemmo la disperanza del vincere infondere
-una smania di azzuffarsi e finirla; e mentre
-col ricoverare nelle fortezze poteva prolungare la resistenza,
-Manfredi volle tutto avventurare in una giornata
-campale a Grandella presso Benevento <span class="sidenote">(1266 — 26 febbr.)</span>. Quivi da
-una parte gl’indovini arabi prendeano dagli astri il
-punto favorevole a ingaggiare la mischia<a class="tag" id="tag396" href="#note396">[396]</a>; dall’altra
-il vescovo d’Auxerre tutto in arme compartiva l’assoluzione
-ai Francesi, e — Per penitenza vi do di ferire
-molto forte e a colpi raddoppiati». Si mescola la battaglia;
-i Guelfi, massime toscani, fanno meraviglie di
-valore; di maggiori e con più arte ne fanno Manfredi,
-i suoi Arabi e i cavalieri tedeschi, che alti e vigorosi, le
-lunghe spade rotando a due mani, prevaleano ai Francesi,
-le cui spade corte e dritte si rintuzzavano battendo
-il taglio sulle armadure temprate a tutta botta.
-Carlo allora getta da banda le delicatezze cavalleresche,
-e ordina <i>Di stocco, di stocco</i>, e di dare colla punta
-sotto le ascelle de’ Tedeschi come alzano le braccia, e
-di ferire ai destrieri<a class="tag" id="tag397" href="#note397">[397]</a>; sicchè i Tedeschi scavalcati
-<span class="pagenum" id="Page_489">[489]</span>
-non possono rialzarsi di sotto la poderosa armadura.
-Manfredi vuole allora avanzare i Pugliesi tenuti in riserva,
-ma li trova renitenti: suo zio conte di Maletta
-gran cameriere dà il segno della defezione: lo seguono
-il conte d’Acerra cognato di Manfredi, e altri cavalieri,
-già d’intesa col nemico. Fremente all’abbandono del
-fior dei prodi, e risoluto a morire da re piuttosto che
-campare esule e compassionevole<a class="tag" id="tag398" href="#note398">[398]</a>, Manfredi getta
-<span class="pagenum" id="Page_490">[490]</span>
-le insegne vistose e prende un elmo senza corona; ma
-l’aquila che ne formava il cimiero casca. <i>Hoc est signum
-Dei</i>, esclama egli, e avventatosi disperatamente
-nella mischia, cade trafitto. Il cadavere suo, trovato
-fra un mucchio di uccisi, fu riconosciuto al pianto dei
-suoi fedeli; i baroni francesi gli voleano rendere gli
-onori militari, ma Carlo riflettè che, come scomunicato,
-doveva essere escluso dalla sepoltura sacra: onde
-deposto in una fossa, i soldati vi gettarono ciascuno
-una pietra, elevando così un tumulo come ai prischi
-eroi. Nè quella tomba tampoco gli assentì il legato
-pontifizio, e lo fe gettare sulla dritta del fiume Verde,
-che fra Ceprano e Sora contermina il Reame e la Romagna.
-</p>
-
-<p>
-Noi non graveremo la memoria di Manfredi quanto
-fece l’ira de’ Guelfi; anzi ci alletta quel far suo cavalleresco,
-generoso, ameno, e la costanza con cui affrontò
-la sventura: pure, incominciata la carriera della
-usurpazione, dovette procedere per vie oblique e finzioni;
-come i suoi padri, badò a sè anzi che ai popoli
-e ai loro bisogni e desiderj, e non ne cercò l’amore;
-combattè col braccio di stranieri, gravi anche quando
-non fossero rapaci; e i tradimenti de’ suoi più vicini ci
-fanno orrore, ma suppongono forti motivi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_491">[491]</span>
-</p>
-
-<p>
-Elena moglie di lui cercò fuggire a suo padre in
-Epiro, ma a Trani restò côlta a tradimento, e mandata
-prigione a Nocera; tra lei e i figli assegnatile sei carlini,
-di stento e di cruccio morì cinque anni dappoi:
-sua figlia Beatrice sol dopo diciotto anni fu rimessa in
-libertà; i tre maschi vissero tapini di prigione in prigione.
-I fautori di Manfredi furono mandati in Provenza
-o nelle fortezze del regno o profughi: i traditori ottennero
-scarsi premj e disprezzo. I Saracini, assediati nei
-loro ricoveri, dopo orrida fame dovettero rendersi a
-discrezione, e abbandonare ai supplizj i Ghibellini che
-aveano ricoverati; alcuni abjurarono, altri furono dispersi
-nel Regno; pochi durarono a Lucera, fatta nido
-de’ malcontenti, sicchè Carlo li rivinse, poi li tollerò, e
-se ne valse in guerra; infine Carlo II dissipò quella
-colonia, e ne mutò il nome in Santa Maria <span class="sidenote">(1303)</span>, e Benedetto
-XI lo felicitava d’avere annichilata in Italia la fede
-eterodossa.
-</p>
-
-<p>
-Coll’annunzio della vittoria di Benevento Carlo di
-Angiò spedì al papa due preziosissimi candelabri d’oro,
-molti giojelli e un trono gemmato; pure non impedì
-che Benevento, città pontifizia, fosse mandata al peggiore
-saccheggio. Napoli andò in gongolo vedendo
-entrar la regina Beatrice con carrozze dorate e quantità
-di damigelle e un lusso inusato<a class="tag" id="tag399" href="#note399">[399]</a>, e coi leoni,
-gli elefanti e i dromedarj ch’erano stati dell’imperatore
-Federico I. I tesori che Manfredi avea deposti nel castello
-di Porta Capuana sarebbero dovuti spartirsi fra
-i compagni dell’impresa, al qual uopo Carlo domandò
-le bilancie. — Che bilancie?» proruppe Ugo del Balzo
-cavaliere provenzale; e coi piedi fattone tre mucchi, — Questo
-vada a monsignore il re, questo alla regina,
-questo ai vostri cavalieri». Carlo rimunerollo colla
-<span class="pagenum" id="Page_492">[492]</span>
-contea d’Avellino; poi dappertutto stabilì baroni, magistrati,
-giustizieri di sua gente, volendo a cose nuove
-persone nuove, e portando tutti i guaj d’un’altra conquista
-e d’una vantata liberazione. Il sistema fiscale
-introdotto da Federico II fu mantenuto non solo, ma
-applicato con rigore insolito; e perchè Roma voleva
-immuni i beni ecclesiastici, succhiavansi il sangue e le
-midolle degli altri<a class="tag" id="tag400" href="#note400">[400]</a>. I nascosti amici della casa
-Sveva gemeano; quei troppi che sogliono ripromettersi
-ogni bene dai liberatori, delusi levavano lamento, ed — O
-buon re Manfredi, mal ti conoscemmo da vivo,
-morto ti deploriamo. Ci sembravi un lupo rapace fra
-noi pecore; ma dacchè la volubilità nostra ci mutò al
-presente dominio, comprendiamo ch’eri un agnello.
-Già c’incresceva che parte delle nostre sostanze venisse
-alle tue mani; ed ecco i beni tutti e fin le persone sono
-in balìa d’una gente straniera».
-</p>
-
-<p>
-Antica canzone, che i popoli ripetono ad ogni cangiare
-di dominio, ma che non profitta nè per risparmiarsi
-i disinganni prima, nè per fare tolleranti delle
-conseguenze. Anche il pontefice, tratto alla necessità
-di appoggiarsi sugli stranieri, di lanciare scomuniche a
-città anticamente fedeli alla sua bandiera, di concitare
-le passioni popolari, tanto difficili a calmare dopo che
-proruppe l’egoistica esasperazione de’ partiti; caricatosi
-di debiti, avea sperato pagarli tostochè Carlo sedesse
-in trono, e poter così rientrare a Roma: ma dov’erasi
-creduto avere in costui un devoto, trovava un despoto;
-aveva cercato le franchigie de’ Siciliani, e vedea di
-avervi piantato un tiranno. Non cessava dunque di
-fargli rimproveri, e — Se tuoi ministri (scrivevagli)
-spogliano il regno, a te si ascrive la colpa, che gli uffizj
-empisti di ladri e assassini, i quali si permettono
-<span class="pagenum" id="Page_493">[493]</span>
-azioni, di cui non può Iddio sopportare la vista... ratti,
-adulterj, estorsioni, ladronecci... M’alleghi a scusa la
-povertà! non ti basta dunque un regno, colle cui entrate
-un grand’uomo qual fu Federico sosteneva ben
-maggiori spese, saziava l’avidità della Lombardia, della
-Toscana, delle Marche, della Germania, eppure accumulò
-immense ricchezze?»<a class="tag" id="tag401" href="#note401">[401]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il papa, vedendo rannodarsi brighe in senso ghibellino,
-mandò come paciere in Toscana Carlo <span class="sidenote">(1267)</span>, con giuramento
-che non terrebbe l’autorità più di tre anni, e
-la cederebbe tosto che un imperatore fosse riconosciuto.
-Firenze gli si assoggetta per dieci anni, ed il
-paciere vi eccita guerra di sterminio: anche molte città
-lombarde chiedono da lui i podestà; ond’egli osa perfino
-domandare lo eleggano lor signore; ma le più
-risposero: — Amico sì, ma non padrone». Dichiarato
-dal papa vicario dell’Impero vacante, estende la giurisdizione
-sovra il Piemonte, che gl’importava come
-vicino alla Provenza sua; e con titolo di rabbonacciare,
-assoda pertutto la dominazione propria e de’ Guelfi.
-</p>
-
-<p>
-Allora rinacque compassione e desiderio di quella
-stirpe che pur dianzi erasi maledetta; e gli occhi volgevansi
-di là dall’Alpi, ove ne sopravivea l’unico rampollo.
-Corradino, spoglio de’ beni e delle dignità avite,
-proscritto prima di nascere colla discendenza tutta di
-Federico II, cresceva a Landshut presso il duca Lodovico
-di Baviera sotto gli occhi della madre Elisabetta:
-a sedici anni, bellissimo di persona, liberale comunque
-povero, dato alla caccia e all’armeggiare, colto nel latino,
-nel tedesco componeva poesie che ebbero lode
-fra le prime di quella lingua. Balocco di tutti i partiti,
-mira di tutti i malcontenti, erasi fin pensato crearlo
-imperatore di Germania: la taccia d’infingardaggine
-<span class="pagenum" id="Page_494">[494]</span>
-inflittagli dai Tedeschi<a class="tag" id="tag402" href="#note402">[402]</a>, le sollecitazioni degl’Italiani,
-le esagerazioni de’ vicini alimentavangli i sogni
-di risorgimento, abituali ai discendenti di razze scoronate,
-cui la nebbia degl’incensi toglie di vedere la situazione
-e di calcolare i mezzi e le probabilità. I Lancia,
-parenti per madre di Manfredi e fedelissimi a questo
-nella gloria e nelle sventure, riusciti a fuggire dalle
-carceri di re Carlo, furono principali in sollecitar Corradino
-a rivendicare la corona, portandogli centomila
-fiorini, i voti di Pisa e Siena, e offerte pompose; potrebbe
-soldare mercenarj; cavalieri di ventura sarebbero
-accorsi a sì nobile impresa; si mostrasse appena,
-e gl’Italiani, stanchi de’ Guelfi, de’ papi, degli Angioini,
-volerebbero tutti al suo stendardo.
-</p>
-
-<p>
-Coll’ardore d’un giovane e la cecità d’un pretendente,
-mosse egli dunque verso l’Italia, per quanto sua
-madre lo disortasse: i duchi di Baviera suoi zii lo accompagnarono
-fino a Verona con diecimila combattenti;
-ma poichè a lui venne meno il denaro da soldarli,
-questi diedero volta, e soli tremila potè ritenerne impegnando
-il proprio patrimonio. Che importa? gli
-amici di suo avo, i Ghibellini di tutta Italia, i malcontenti
-di Sicilia gli largheggiavano promesse, merce di
-poco costo; uomini e denari affluirebbero; il solo Maletta,
-quel che dicemmo aver tradito Manfredi a Benevento,
-e che era divenuto gran tesoriere di Carlo, lo
-aveva assicurato di sedicimila once d’oro e mille cavalieri
-stipendiati. Vero è che nè uomini nè denaro comparivano:
-ma intanto Corradino componeva manifesti,
-arma di chi è debole nelle altre; incorava gl’italiani a
-venire incontro a lui, che rialzerebbe l’onore dell’Italia
-<span class="pagenum" id="Page_495">[495]</span>
-e la dignità del nome tedesco<a class="tag" id="tag403" href="#note403">[403]</a>; ai principi d’Europa
-si lagnava dei papi: — Innocente ha nociuto a
-me innocente, Urbano mi si è mostro inurbano, Clemente
-mi usò inclemenza, e Roma mi odia a segno,
-da non volermi pur vivo, me rampollo di magnifica
-stirpe, che sì lungamente imperò, e dalla quale non
-voglio dirazzar io, eletto e creato alla sublimità dell’impero
-sulle orme de’ miei progenitori».
-</p>
-
-<p>
-Fra ciò gli Astigiani, che, per seguire l’andazzo, si
-erano sottomessi a pagar tributo a Carlo, vedendo che
-neppure con ciò poteano schermirsi dalle prepotenze
-dei marescialli che per lui tenevano Torino, Alba,
-Alessandria, Savigliano, soldarono millecinquecento uomini,
-e collegatisi coi Pavesi e col marchese di Monferrato
-(genero di Alfonso di Castiglia imperatore
-eletto e vicario di questo in Italia), ribellarono a Carlo
-le città soggette: del che incoraggiati anche i Genovesi
-batterono le flotte di lui; come i Pisani con ventiquattro
-galee, comandate da Federico Lancia, sconfissero a
-Melazzo la flotta provenzale. Ne prendeva lieto augurio
-Corradino, e prevenendo la resistenza delle repubbliche
-guelfe raccoltesi nuovamente in lega, e sostenuto dalle
-ghibelline, da Pavia con ardita marcia varcò i gioghi
-liguri <span class="sidenote">(1268)</span>; ad un piccolo porto presso Savona trovò galee
-che lo trasportarono a Pisa; e non contrastato nè sulle
-Alpi nè ai grossi fiumi, poteva ormai portare le armi
-nel paese stesso dei nemici, agitato dalle memorie e
-dalle trame.
-</p>
-
-<p>
-Clemente IV, tuttochè scontento di re Carlo, più si
-adombrava di questo fanciullo, che pretendeva ancora
-congiungere l’Impero e la Sicilia; onde lo dichiarò
-<span class="pagenum" id="Page_496">[496]</span>
-scomunicato co’ suoi aderenti, e decaduto non solo da
-qualsifosse diritto sopra il regno di Sicilia, ma anche
-sopra il ducato di Svevia e il nominale reame di Gerusalemme;
-e insultava a questo «reatino, uscito dalla
-razza velenosa del tortuoso serpente, che aspirando all’esterminio
-della romana madre Chiesa, col suo fiato
-appesta le contrade toscane, e manda traditori nelle
-diverse città dell’Impero vacante e del nostro regno di
-Sicilia»<a class="tag" id="tag404" href="#note404">[404]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tali parole già indicano come non mancassero al
-pretendente que’ partigiani che facilmente trova chiunque
-venga a sommovere regno nuovo. I baroni, che
-in Lombardia e in Toscana teneano feudi dell’Impero,
-e all’ombra di questo aveano esercitato la tirannia,
-bramavano un nuovo imperatore, massime se giovane
-e fiacco, sotto il cui nome velassero le superbe loro
-voglie. Corrado Capece, penetrato in Sicilia con un corpo
-d’Africani, vi avea ridestato l’immortale rancore contro
-Napoli, e sostenendo i <i>Fetenti</i> contro i <i>Ferracani</i>,
-come eransi colà intitolati i Ghibellini e i Guelfi, sollevò
-tutti i paesi, eccetto Siracusa e Messina. A Roma, sempre
-ricalcitrante al dominio papale, parteggiava apertamente
-per lui Enrico di Castiglia, che segnalatosi per
-vittorie sui Mori, e lungamente dimorato fra i Barbareschi
-di Tunisi, di cui aveva contratto i vizj, fatto senatore
-di Roma, vi esercitò indegna tirannide, perseguitando
-molti primati. Favorevole da principio a Carlo
-suo parente, se gli avversò dacchè questo l’impedì di
-ottenere l’ambito regno di Sardegna, e non gli restituiva
-i denari prestatigli; e non meno ritroso al papa,
-promise a Corradino la propria spada e un corpo di
-combattenti.
-</p>
-
-<p>
-Con tali lusinghe Corradino mosse da Pisa, traversò
-<span class="pagenum" id="Page_497">[497]</span>
-Siena, e spiegò le sue bandiere sotto le mura di Viterbo,
-nelle quali stava ricoverato il pontefice profugo
-da Roma, e che ai cardinali disse: — Non v’incuta
-paura questo giovane, trascinato dai malvagi come una
-pecora al macello», e tranquillamente celebrò la solennità
-della Pentecoste.
-</p>
-
-<p>
-I Romani festeggiarono Corradino come popolo che
-ha bisogno dello spettacolo; il terreno coperto d’abiti
-e di stoffe, le vie parate a ricchi tappeti, a pelliccie, a
-drappi di seta e d’oro, e tese di corde alle quali ciascuno
-avea sospeso quel che più vistoso possedesse di
-vesti, d’armi, di galanterie; e dappertutto suon di tamburi,
-di viole, di pifferi, e cori allegramente cantanti<a class="tag" id="tag405" href="#note405">[405]</a>.
-Corradino, gridato liberatore del popolo,
-spada d’Italia, e quegli altri titoli che d’età in età sono
-echeggiati dal vulgo di piazza e di gabinetto, ascese al
-Campidoglio, e tenne un discorso, ove il popolo romano
-avrà trovato tutte le bellezze di sentimento e di forma,
-perchè v’era adulato. Urli di gioja ridestarono l’eco
-dei sette colli, e in poesia e in prosa si inneggiò al legittimo
-<span class="pagenum" id="Page_498">[498]</span>
-successore di tanti Cesari. Quei che lo contrariarono
-ebbero prigione, saccheggio, confisca; il senatore,
-per far denari, spogliò le chiese e le sacristie,
-dove allora solevano anche i privati deporre le ricchezze;
-e stipendiato soldati, mosse a un conquisto, di
-cui forse sperava il miglior frutto.
-</p>
-
-<p>
-Ebbro di speranze, il giovane Svevo mosse per Tivoli
-e Vicovaro onde penetrare negli Abruzzi, monti così
-opportuni ad accamparsi, e dove verrebbero a raggiungiungerlo
-tutti i fazionieri suoi del Regno, e principalmente
-i Pagani di Lucera. Ma non dormiva Carlo, e a
-Tagliacozzo <span class="sidenote">(23 agosto)</span>, presso gli antichi <i>Campi Palentini</i>, trasformati
-in piano di San Valentino, pettoreggiò il rivale.
-Alle armi del re benediva il legato pontifizio,
-imprecava a quelle di Corradino: ma questi menava
-buon numero di Tedeschi, d’Italiani Galvano Lancia, di
-Spagnuoli Enrico di Castiglia. Ai Ghibellini parve assicurata
-la superiorità, sicchè Carlo disperavasi nel vedere
-i suoi sparpagliati e uccisi. Ma a consiglio di
-Erardo sire di Valery, canuto cavaliere francese reduce
-allora di Terrasanta, avea tenuto in riserva un corpo,
-col quale assalendo i Ghibellini già inebbriati sulla vittoria,
-li mise in pieno sbaratto con tale strage, che
-quella di Benevento parve un nulla<a class="tag" id="tag406" href="#note406">[406]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A Roma i Ghibellini aveano annunziato la vittoria di
-Corradino, occasione di nuove feste: ma ben tosto coi
-fuggiaschi giunse la verità; che Enrico senatore era in
-man del nemico; che Carlo ai prigionieri romani fece
-troncare i piedi, poi chiuderli in un recinto e quivi
-bruciare. I Guelfi, rialzatisi alla vendetta, con nuovi
-tripudj accolsero Carlo, che alla sua volta salì in Campidoglio
-fra apparati ed inni, ripigliò la dignità di
-<span class="pagenum" id="Page_499">[499]</span>
-senatore, e sedette giudicando: ma non perdette tempo
-ne’ trionfi.
-</p>
-
-<p>
-Corradino, così subitamente caduto dal vertice delle
-speranze nell’abisso della realtà, era corso a Roma,
-quasi a ripetere le promesse fattegli nella prosperità,
-ma non trovò che scherni e insidie, pane dei vinti;
-talchè vestito da villano fuggì con Galvano Lancia, il
-costui figlio e poc’altri, fedeli alla sventura, e specialmente
-Federico di Baden suo cugino, che spossessato
-del ducato d’Austria, era venuto a ricuperare il retaggio
-dell’amico, perchè poi l’ajutasse a ricuperare il suo.
-Presero la via del mare, cercando qualche legno che
-li tragittasse in Sicilia, ove il Capece teneva elevata la
-loro bandiera, e giunsero al fiumicello che la Campagna
-di Roma separa dalle Paludi Pontine, presso la rôcca
-d’Astura, ond’era castellano Giovanni Frangipane romano,
-che facendo guerra alle strade e al mar vicino,
-cercava d’ogni parte o preda o riscatti. Come gli altri
-baroni, aveva costui sposata la parte di Corradino; ed
-ora già imbarcato lo raggiunse e rimenò nel suo castello,
-in tentenno se cavar oro dal salvarlo o dal venderlo.
-Invano il papa mandò a chieder costoro, arrestati
-su terre sue: il Frangipane li consegnò agli Angioini:
-Carlo, venuto in persona a Gensano con un corpo di
-cavalleria per riceverli, senz’altro fece decapitare il
-Lancia, suo figlio ed altri di Puglia, vassalli ribelli.
-</p>
-
-<p>
-Clemente IV domandò Corradino, che, come scomunicato,
-doveva giudicarsi dalla Chiesa<a class="tag" id="tag407" href="#note407">[407]</a>; e avendo
-<span class="pagenum" id="Page_500">[500]</span>
-preso malavoglia dell’ambizione e della violenza di re
-Carlo, in quel giovane vedeva forse un pegno e uno
-spauracchio prezioso. Per ciò stesso doveva rifuggire
-Carlo dal consegnarglielo; e pare trovasse modo di
-sgomentare Corradino sul trattamento che gli destinerebbero
-questi preti, inesorabili alla sua casa, e di
-persuaderlo ad affidarsi alla sua reale clemenza. Di fatto
-il giovinetto confessò d’aver peccato contro la santa
-madre Chiesa; Ambrogio Sansedoni di Siena, predicatore
-nominato e santo, andò al pontefice, e sebbene
-avesse preparato un eloquente discorso, s’avvide dell’efficacia
-della semplicità, e non fece che prostrarsi,
-ricordargli la parabola del Figliuol prodigo, poi: — Santità,
-Corradino manda a dirvi, <i>Padre, ho peccato avanti
-ai cieli e a te</i>, e chiede umilmente la remissione del
-suo fallo per la misericordia ch’è in te». Il pontefice,
-tocco nel cuore dalle parole del frate e dall’alito di
-Dio, rispose subito: — Ambrogio, io ti dico in verità,
-la misericordia vogl’io, non il sagrifizio». E rivoltosi
-agli astanti: — Non è lui che parlò, ma lo spirito di
-Dio onnipotente». Clemente e tutti gli astanti stupirono
-della dolcezza che Dio avea fatta passare dalla bocca di
-Ambrogio ne’ loro cuori; e così Corradino fu assolto
-da ogni censura e dallo sdegno del pontefice<a class="tag" id="tag408" href="#note408">[408]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La Chiesa ribenediva, il re esultava di vedersi assicurata
-la sua preda<a class="tag" id="tag409" href="#note409">[409]</a>, perocchè, cessato coll’assoluzione
-<span class="pagenum" id="Page_501">[501]</span>
-ogni conflitto di giurisdizione, potè disporre il
-processo a suo senno. Convocò a Napoli due sindaci
-di ciascuna delle città del Principato e della Terra di
-Lavoro a lui devote, e innanzi a loro e a magistrati,
-tutti francesi, propose l’accusa di Corradino. Eppure i
-più lo tennero come un re che tenta ricuperare il toltogli
-dominio; vinto, dovere considerarsi come prigione
-di guerra: e perchè Carlo insisteva sull’essere quello
-colpevole di sacrilegio per gli arsi monasteri, Guido
-di Suzara valente giurista seppe rammentargli come un
-capo non possa farsi responsale dei trascorsi de’ suoi
-seguaci, e come l’esercito stesso di Carlo se ne fosse
-contaminato nella prima conquista. Mandato ai voti,
-tutti furono per l’assoluzione: unico Roberto di Bari
-provenzale, protonotaro del regno, opinò per la morte,
-e bastò perchè Carlo la decretasse.
-</p>
-
-<p>
-Giocava Corradino agli scacchi col cugino Federico <span class="sidenote">(8bre)</span>
-quando ebbero avviso della sentenza: e impetrati tre
-giorni per prepararsi alla morte e far testamento<a class="tag" id="tag410" href="#note410">[410]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_502">[502]</span>
-dal castello di San Salvadore furono con dieci compagni
-condotti alla piazza del Mercato, ov’era disposto il patibolo.
-Carlo volle darsi il fiero gusto d’osservare dal
-castello lo spettacolo. Roberto di Bari lesse la sentenza
-motivata, e Corradino, uditala, levossi il mantello, si
-pose a ginocchi, esclamò: — O madre, madre mia,
-qual notizia avete a sentire!» e posata la testa sul
-ceppo, giunte le mani verso il cielo, aspettò il colpo.
-Federico invece, urlando, bestemmiando, imprecando,
-senza chiedere mercè a Dio lasciossi strappar la vita.
-Gli altri lo seguirono.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo affollato guardava stupidamente e stupidamente
-piangeva; e alcuni Francesi, tardi indignati di
-essere stromenti alle vendette d’un conquistatore, esalavano
-la collera con que’ paroloni, di cui fa scialacquo
-<span class="pagenum" id="Page_503">[503]</span>
-quella nazione dopo i fatti consumati. Non in terra
-sacra, ma sul luogo stesso del supplizio furono sepolti
-i cadaveri sotto un cumulo di pietre. Nessun re fece
-reclamo a questo primo regio sangue versato dal carnefice:
-i più, scorgendo il dito di Dio che punisce fino
-alla quarta generazione, pure disapprovarono l’abuso
-della vittoria, e Giovan Villani scriveva: «Si vede per
-esperienza che chiunque si leva contro santa Chiesa ed
-è scomunicato, conviene che la fine sua sia rea per
-l’anima e per lo corpo: ma della sentenza lo re Carlo
-ne fu molto ripreso dal papa e dai suoi cardinali e da
-chiunque fu savio».
-</p>
-
-<p>
-La morte di due giovani principi era un bel soggetto
-per canti, e in tedesco e in provenzale se ne fecero:
-Saba Malaspina diede loro l’omaggio che uno storico
-<span class="pagenum" id="Page_504">[504]</span>
-può, la patetica narrazione della loro fine, e un compianto
-su quel cadavere che «giaceva come un fiore
-purpureo da improvvida falce succiso»: il vulgo narrò
-che un’aquila scesa dalle nubi intrise l’ala destra in
-quel sangue, e tosto risali al cielo. Era sangue di re,
-che un re avea fatto scorrere, giustificato dal diritto
-della vittoria, e dimenticando che la vittoria non è
-sempre pei re. Più grossolane baje inventarono i letterati,
-e la storia le raccolse con irragionevole compiacenza.
-</p>
-
-<p>
-Se a chiamare Carlo furono determinati i papi dal
-voler impedire che la Sicilia venisse congiunta all’Impero,
-e che unendo il settentrione col mezzodì dell’Italia
-si togliesse a questa l’indipendenza, lo scopo era
-raggiunto. Se della libertà i Guelfi aveano idee non
-più larghe de’ liberali moderni, e la poneano nello
-sbrattarsi da’ Tedeschi, eccoli soddisfatti, giacchè cogli
-Svevi terminano gl’imperatori che diretta efficacia
-esercitassero sopra l’ancor libera Italia, e per cinquant’anni
-nessun esercito di quella gente calpestò la
-sacra nostra terra.
-</p>
-
-<p>
-Lo sterminio degli Svevi lasciava trionfante il papato:
-ma Clemente IV non vide ricomposta la pace
-coll’Impero, atteso che, mentre accingevasi a pronunziare
-fra i competenti al trono di Germania, morì a
-Viterbo. Quivi stesso accoltisi i cardinali alla nuova
-elezione, per tre anni non seppero mettersi d’accordo,
-finchè compromessala in sei di essi, restò proclamato
-Tibaldo Visconti di Piacenza <span class="sidenote">(1271)</span>, allora legato in Palestina,
-che volle nominarsi Gregorio X. Onde prevenire il tristo
-spettacolo delle ultime elezioni e le lunghe vacanze,
-regolò la forma del conclave, i cardinali si chiudessero
-con un solo conclavista, ridotti a molte privazioni e a
-non comunicare con altri di fuori sinchè non eleggessero
-il pontefice.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_505">[505]</span>
-</p>
-
-<p>
-Radunato il XV concilio ecumenico a Lione <span class="sidenote">(1274 — 7 maggio)</span> affine di
-sollecitare una nuova crociata, e ricomporre lo scisma
-de’ Greci, vi si presentò Ottone, vicecancelliere di Rodolfo
-di Habsburg, povero conte dell’Argovia, che era
-stato poco prima eletto imperatore di Germania, e che
-nuovo s’un trono inaspettato, senza beni nè interessi in
-Italia, della quale non conosceva tampoco la geografia,
-e amando assodarsi in Germania più che guerreggiare
-per un regno lontano e quasi nominale, volle finire il
-litigio d’omai settant’anni, giurando adempirebbe le
-promesse d’Ottone IV e di Federico II; rinunzierebbe
-affatto alle terre disputate fra l’Impero e la Chiesa;
-non accetterebbe alcuna tenuta ecclesiastica quand’anche
-offertagli, nè cariche nello Stato romano senza assenso
-del papa; non turberebbe il re di Sicilia od altri
-vassalli della Chiesa, nè procurerebbe vendetta di Corradino.
-Poi, con atti che fece sottoscrivere anche dagli
-elettori, confermava al pontefice le antiche donazioni
-di quanti paesi sono da Radicofani a Ceprano, oltre
-l’Emilia, la marca d’Ancona, la Pentapoli e i possessi
-della contessa Matilde, Spoleto, il contado di Bertinoro,
-Massa, e quanto mai con diplomi fosse stato concesso
-a’ successori di san Pietro<a class="tag" id="tag411" href="#note411">[411]</a>; inoltre il dominio
-sulla Sicilia, la Corsica e la Sardegna. Così restava
-emancipata la Chiesa, e ottenuto il lungo intento dei
-Guelfi.
-</p>
-
-<p>
-Mentre, dalla prima guerra coll’Impero, la Chiesa,
-vinta in apparenza, era nel fatto uscita potentissima, da
-questa pace, coll’aspetto di vincitrice, cominciò la sua
-decadenza. Non che un palmo di terra acquistassero, i
-papi si trovavano sempre contrariati nella loro propria
-città; e dei nove che pontificarono in trentasei
-anni dopo la morte di Gregorio IX, sei non v’entrarono,
-<span class="pagenum" id="Page_506">[506]</span>
-gli altri solo per brevissimo. L’importanza che
-traevano dall’opporsi alla dominazione straniera, scadde
-dacchè per abbattere i Tedeschi si buttarono in braccio
-ai Francesi; onde i Guelfi, così devoti all’indipendenza,
-si convertirono in fautori de’ forestieri, ai quali facevano
-opposizione i Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Sempre più copiose dovizie avea potuto accumulare
-la Chiesa, vuoi in fondi per signorie e contadi interi
-avuti in dono o compri dai baroni che passavano oltremare,
-vuoi in denaro per le decime, estese fin sul
-commercio, sul bottino da guerra, che più? sul meschino
-guadagno de’ mendicanti e sul turpe delle meretrici.
-Ma se i beni ecclesiastici godevano immunità
-dai tributi al par degli altri feudali, i Comuni chiamarono
-anche il clero a parte dei pesi, com’era dei vantaggi
-di quel governo. Sulle prime non vi si trovò
-sconvenienza; poi, o fosse iniquo il riparto, o divenisse
-soverchio l’aggravio, spesse lamentanze ne mossero gli
-ecclesiastici; secondando ai quali, i concilj III e IV Lateranesi
-vietarono alle autorità di aggravezzare il clero,
-il quale dovea contribuirvi sol quando l’avesse trovato
-spediente al pubblico bene: ma i papi facilmente concedeano
-ai principi di tassarlo.
-</p>
-
-<p>
-Anche l’immunità del foro venne ristretta, procurando
-i governi intervenire alle decisioni delle curie,
-che quasi mai non punendo nel corpo, debolmente reprimevano
-il delitto. Gli stessi tribunali dell’Inquisizione
-posero la Chiesa in qualche dipendenza dai laici,
-di cui avevano ad invocare il braccio per eseguire le
-loro sentenze.
-</p>
-
-<p>
-Le armi spirituali, usate e abusate in interessi mondani,
-rimasero rintuzzate: quelle scomuniche motivate
-su odj che pareano personali, quelle indulgenze profuse
-a chi combattesse i nemici temporali della santa Sede,
-quelle decime imposte a titolo di redimere Terrasanta
-<span class="pagenum" id="Page_507">[507]</span>
-e adoprate invece a guerreggiar Federico o Corradino,
-quei prelati che accampavano e benedicevano la strage,
-sminuivano l’efficacia de’ pontefici anche quando a favore
-del popolo frenassero i regj arbitrj, reprimessero
-le esazioni di Carlo, proclamassero la pace. Nella contesa
-poi aveano dovuto chiamare il popolo a bilanciare
-le mutue ragioni; e questo revocò ad esame atti, cui
-fin allora si era sottomesso venerabondo: e un potere
-inerme, quand’è discusso, è caduto.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap93">CAPITOLO XCIII.
-<span class="smaller">I Mongoli. — Fine delle crociate, e loro effetti.
-Gli stemmi.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Nel mezzo di questi accadimenti anche le cose di
-Terrasanta erano tornate a peggio che mai per l’addietro
-si fossero. In quelle colonie, che avrebbero potuto
-esser tanto profittevoli alla civiltà, la discordia
-imbaldanziva non meno che in Europa, di modo che
-non si domandava se vincessero i Cristiani o i Saracini,
-ma se i Templari o gli Spedalieri, se i Genovesi o
-i Veneziani; i quali disputandosi l’imperio del mare e
-i frutti del commercio col Levante, impinguavano di
-sangue italico i mari e le terre straniere, e fin nelle
-chiese portavano il sacrilegio di uccisioni fraterne.
-Presa che fu Costantinopoli, vedemmo l’impero greco
-uscire di letargo, e rotta quella stupefacente sua unità,
-suddividersi in un centinajo di principati, ciascuno dei
-quali focolajo di nuova vita (pag. 265). Oltre gli Occidentali,
-anche signori greci aveano costituito particolari
-dominj, come Alessio Comneno a Trebisonda,
-Michele Comneno a Durazzo, Teodoro Láscari a Nicea
-<span class="pagenum" id="Page_508">[508]</span>
-di Bitinia. Michele Paleologo, tutore d’un fanciullo di
-quest’ultimo, ne usurpò la corona, e mentre la fortuna
-gli dava buono, assalse Costantinopoli <span class="sidenote">(1260)</span>. Quivi imperava
-Baldovino II, sostentato colle limosine della cristianità,
-e in tali strettezze che, non bastando impegnare gli ori
-del palazzo e delle chiese, vendette fino il piombo e il
-rame de’ tetti. Michele di sorpresa gli tolse la città e
-il trono, e ristabilì l’impero greco <span class="sidenote">(1261)</span> con una nuova dinastia.
-I Genovesi che, per umiliare i Veneziani, gli aveano
-dato ajuto, ottennero larghe concessioni e il sobborgo
-di Pera: nè però Venezia e Pisa furono spogliate degli
-antichi privilegi e d’avere giudizj proprj: e il console
-de’ Pisani, il podestà de’ Genovesi, il balio de’ Veneziani
-tennero posto fra i grandi uffiziali di quella corona.
-Michele poi non aveva ripigliato che le coste a
-scirocco del Peloponneso, restando in essere i principati
-stabiliti al centro e al mezzodì della Grecia dai
-Crociati.
-</p>
-
-<p>
-L’Occidente dava scarsa attenzione a questi mutamenti:
-se non che un nuovo flagello venne a minacciare
-non solo Terrasanta, ma tutta la cristianità, l’irruzione
-dei Mongoli o Tartari. Gengis-kan, una di quelle
-terribili incarnazioni della forza che sembrerebbero
-finzioni mitiche se troppo accertata non ne fosse e
-compianta l’esistenza, raccolse e dal cuor dell’Asia
-mosse questi Barbari, che con una rapidità appena
-credibile occuparono da una parte l’immenso impero
-della Cina, dall’altra minacciarono soggettare la Persia,
-conquistarono la Russia, e ridotta a deserto l’Ungheria,
-giunsero fin nella Dalmazia, cioè in vista dell’Italia.
-</p>
-
-<p>
-Tetro sgomento si diffuse per l’universa Europa all’accostarsi
-di questa gente <i>tartarea</i>, che non conoscea legge
-nè fede. Gregorio IX moltiplicava promesse, indulgenze,
-minaccie, assoluzioni per riunire tutta cristianità
-a resistervi, e perchè Federico II si facesse capo dell’impresa;
-<span class="pagenum" id="Page_509">[509]</span>
-ma questi se ne fingeva in ispasimo, e largheggiava
-in promesse retoriche<a class="tag" id="tag412" href="#note412">[412]</a>; poi operava tanto
-a rilento, che i suoi malevoli sparsero fosse d’accordo
-coi Tartari, e per onta al papa e alla religione gli avesse
-egli medesimo chiamati. Certo essi mandarono a lui,
-come soleano, l’intimata, perchè facesse omaggio dei
-suoi dominj al gran kan, in ricompensa offrendogli di
-scegliere qual carica gli garbasse alla corte di questo;
-al che Federico celiando, — Sceglierei l’uffizio di falconiere;
-si bene m’intendo d’uccelli di rapina».
-</p>
-
-<p>
-Ma quando i Mongoli ruppero guerra ai Turchi Selgiucidi,
-che allora signoreggiavano la Palestina, i Franchi
-vennero in isperanza che i nuovi Barbari li libererebbero
-dai loro oppressori, mossi da quella illusione
-tanto consueta, che fa guardare per amici nostri i nemici
-de’ nostri nemici. Si cercò dunque la loro alleanza,
-e a papa Innocenzo IV sorrise lusinga di trarli al cristianesimo.
-L’acquistare alla fede un popolo che erasi
-dilagato dal Mar Giallo al Danubio, sarebbe stato un
-avvenimento decisivo nella civiltà del mondo; ma per
-isperarlo nessun argomento umano s’aveva se non l’essere
-quelli avversi ai Musulmani. Però i pontefici quali
-prodigi non erano avvezzi a vedere dalle missioni? le
-crociate non erano una serie di miracoli? D’altra parte
-sapeasi così in confuso che quei popoli, tuffati in grossolane
-superstizioni, senza entusiasmo nè sacerdozio,
-eransi adagiati alla religione de’ popoli tra cui arrivavano;
-e se si fecero buddisti nella Cina, musulmani
-nella Persia, perchè non diverrebbero cristiani in Europa?
-Era indifferenza, nata da ignoranza, ma interpretavasi
-per propensione alla verità.
-</p>
-
-<p>
-Adunque Innocenzo divisò spedire missionarj ai Tartari,
-<span class="pagenum" id="Page_510">[510]</span>
-e i nuovi frati Domenicani e Francescani si offersero
-a gara. Furono prescelti i frati Minori Lorenzo di
-Portogallo, Benedetto Polacco discepolo di san Francesco,
-e Giovanni di Piano Carpino, il quale è il primo
-europeo che intorno a quel popolo desse ragguagli,
-quantunque grossieri e parabolani. Non muniti che della
-croce, questi intrepidi, attraverso all’Europa, non corsa
-allora che da pellegrini e da combattenti, in riva al
-Volga raggiunsero Batù generale de’ Mongoli <span class="sidenote">(1245)</span>, mentre
-a Basciù Nuyan, altro generale in Persia, arrivavano i
-Domenicani Simone da San Quintino francese, e gl’italiani
-Alessandro e Alberto Ascellino, Guiscardo da Cremona,
-Andrea da Longiumello. A que’ barbari, non
-conoscenti altro diritto che la forza, riuscì ridicola
-questa spedizione di frati, che in una lingua ignota e
-per sì lunga strada venivano rimproverarli perchè distruggessero
-le altre nazioni, ed invitarli a sottoporsi
-ad una religione, fuor della quale non vi sarebbe per
-essi che dannazione eterna. I nostri non fecero alla
-prima come scoraggiati, perchè non si ripromettevano
-premj o lodi umane; e procedettero fino alla corte del
-gran kan mongolo, e insieme coi messi di tutto il
-mondo gli fecero omaggio: ma non ne riportarono che
-spregio.
-</p>
-
-<p>
-Nè per questo i papi cessarono d’inviare missionarj
-ai Mongoli, e tra essi i frati Girardo da Prato, Antonio
-da Parma, Giovanni da Sant’Agata, Andrea da Firenze,
-Matteo d’Arezzo, eroi di nuovo genere, che la storia
-trascura perchè non uccisero nè devastarono. Più tardi
-vi fu destinato Giovanni da Montecorvino, che, corsa la
-Persia e l’India, predicò nella capitale dell’impero mongolo,
-vi fondò due chiese, e battezzò in pochi anni da
-seimila persone. Anzi l’avere il gran kan tollerato alla
-sua corte i riti nostri come quelli della Cina e della
-Persia, lasciò correr voce ch’e’ fosse cristiano. Più durò
-<span class="pagenum" id="Page_511">[511]</span>
-la credenza che un principe di quei paesi si fosse battezzato,
-e col nome di Prete Janni restò famoso ne’ racconti
-de’ nostri e nelle imposture di chi tratto tratto
-fingeasi da lui spedito.
-</p>
-
-<p>
-Il fatto è che allora primamente Europei penetrarono
-nell’estremo Oriente: un Francescano di Napoli
-sedette arcivescovo a Peking capitale della Cina; il
-beato Oderico da Pordenone minore osservante <span class="sidenote">(1318-30)</span>, traversata
-l’Asia da Costantinopoli a Trebisonda, ad Erzerum,
-alla commerciante Tebriz, per l’Indo arrivò alla
-costa del Malabar, donde i nostri tiravano il pepe, al
-Carnatico, a Giava feconda de’ garofani, delle noci moscade,
-dell’altre spezie ed aromi che Genovesi e Veneziani
-diffondeano per tutta Europa: volse poi alla
-Cina e al Tibet, e dimorò tre anni a Peking, dove trovava
-un convento di Francescani, e due a Zaitun. Reduce
-a Padova, a Guglielmo da Solana dettò una relazione
-del suo viaggio, senz’ordine nè discernimento,
-ma come gliel’affacciava la memoria; e fra tante ignoranze
-e corrività piace il vedere come tutto riferisca a
-cose italiane: in Tartaria non mangiano che datteri,
-de’ quali quarantadue libbre compransi a meno d’un
-grosso veneziano; il regno di Mangy ha duemila città,
-grandi ciascuna come Treviso insieme e Vicenza: Soustalay
-è come tre Venezie, Zaitun come due Bologne, e
-vi ha un idolo alto come un san Cristoforo: Chamsana
-è presso un fiume come Ferrara al Po.
-</p>
-
-<p>
-Non meno che la devozione, il commercio portava
-Italiani dappertutto, e non ne mancarono alla corte dei
-Mongoli. Biscarello di Gisulfo genovese fu ambasciadore
-del mongolo Argum signore della Persia: e la lettera
-di questo, ch’egli portò al re di Francia per esibirgli
-ajuti a ricuperare Terrasanta, è il più vetusto documento
-di lingua mongola, e v’è apposto un sigillo con
-caratteri cinesi, i primi che vedesse Europa. Più celebrati
-<span class="pagenum" id="Page_512">[512]</span>
-andarono i viaggi di Marco Polo, dei quali altrove
-ragioneremo (Cap. <span class="smcap lowercase">CXXIV</span>). Oltre diffondere la
-fede e la civiltà nostra, portavano di là cognizioni od
-arti, e la vista de’ costumi stranieri allargava il campo
-al limitato spirito europeo; nè andrebbe fuori di buona
-congettura chi pensasse che da que’ viaggi derivasse
-all’Europa la cognizione del carbon fossile, della carta,
-della polvere tonante e della stampa.
-</p>
-
-<p>
-Ma le imprese de’ Mongoli, non che spargere qualche
-rugiada sulla Palestina, aveanle dato l’ultimo tuffo.
-Gli abitanti di Carism, snidati da quelli, piombarono
-sovr’essa a istigazione del sultano del Cairo <span class="sidenote">(1244)</span>, con una
-ferocia non più udita; e dopo un combattimento a
-Gaza, donde non si salvarono che ottantatre Templari,
-ventisei Spedalieri, tre Teutonici, presero Gerusalemme,
-distruggendo il sepolcro di Cristo e quello dei re, sterminando
-gli abitanti, e tutto occuparono il paese, eccetto
-Giaffa, che rimase in signoria degli Egizj. Nell’universale
-amaritudine più dolorò il santo re di Francia
-Luigi; e risoluto a ogni costo rialzarvi la croce, ricorse
-per navicellaj e piloti alla Spagna e all’Italia, e due
-Genovesi sosteneano persona d’ammiragli <span class="sidenote">(1248)</span> della flotta
-francese ch’egli voltò sopra l’Egitto: ma il purissimo
-suo zelo e i ben meditati preparativi non furono sorrisi
-dal cielo, ed il re medesimo restò prigioniero dei
-Mamelucchi. Joinville, l’ingenuo biografo di quel re,
-appunta d’egoismo mercantile Genovesi e Pisani, che,
-per non partecipare alle sofferenze de’ Crociati, voleano
-abbandonarli appena li videro infelici; nè la regina li
-potè rattenere a Damiata se non promettendo mantenerli
-a spese della corona.
-</p>
-
-<p>
-Quando poi si udì la prigionia di Luigi, l’Italia,
-non che gemerne come tutta cristianità, ne esultò,
-per stimolo de’ Ghibellini che allora aveano il sopravvento,
-e che godeano de’ disastri del fratello di Carlo
-<span class="pagenum" id="Page_513">[513]</span>
-d’Angiò<a class="tag" id="tag413" href="#note413">[413]</a>; e corsari di Genova, Venezia e Pisa profittarono
-di quelle sventure per ispogliare i Cristiani
-che tornavano in Europa.
-</p>
-
-<p>
-Reso alla patria, e istruito non disanimato dal cattivo
-successo, Luigi volle ritentare l’impresa <span class="sidenote">(1267)</span>, e domandò
-ajuto alle repubbliche italiane. Genova ne prestò a
-buoni patti<a class="tag" id="tag414" href="#note414">[414]</a>; ma Venezia rifiutò, timorosa di pregiudicare
-ai banchi e agli scali suoi in Levante, e più
-gelosa di Genova che zelante della causa di Cristo.
-Carlo d’Angiò fratello avea promesso passare anch’egli
-con quindici vascelli, ma non fece che spedire ambascerie
-a Bibars sultano del Cairo per raccomandargli
-le colonie di Siria; e il papa si lagnava perchè «lo zelo
-di Carlo si sfogasse in vane promesse, e lasciasse temere
-di non venire a nulla»<a class="tag" id="tag415" href="#note415">[415]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Neppure il Paleologo aveva attenuta la promessa di
-riconciliare la Chiesa greca colla latina, onde il papa
-gli cercava nemici, e carezzò le ambizioni di Carlo,
-inducendo il deposto Baldovino a cedergli i diritti imperiali
-sull’Acaja, sulla Morea e sulle terre ch’erano
-state assegnate in dote a Elena moglie di re Manfredi,
-oltre l’aspettativa al trono di Costantinopoli. Carlo dunque
-cercò voltare la crociata sopra l’impero bisantino,
-onde dar fondamento a queste pretensioni; poi indusse
-ad assalire non più l’Egitto, bensì Tunisi, col pretesto
-che i pirati di questa faceano pericoloso il tragitto in
-Palestina, ma realmente perchè egli preferiva vedere
-conquistata l’Africa, posta rimpetto alla sua Sicilia, e
-<span class="pagenum" id="Page_514">[514]</span>
-che perciò gli sarebbe d’appoggio alla dominazione e
-di comodo al commercio.
-</p>
-
-<p>
-I Crociati si lasciarono persuadere, e lo precedettero:
-ma la caldura e le privazioni svilupparono ben
-presto lo scorbuto nell’esercito; e sui luoghi ove quindici
-secoli prima era perita Cartagine, Luigi morì rassegnato <span class="sidenote">(1270)</span>,
-fra calde preghiere e savj consigli. Carlo arrivò
-a tempo di vederlo cadavere, e assunto il comando,
-menò l’esercito a vittoria, tanto che il bey di Tunisi
-propose una pace, dove Carlo stipulò fossero date ducentomila
-once d’oro all’esercito per le spese, e a lui
-quarantamila scudi d’oro l’anno. Allora egli propose
-ai Crociati la conquista della Grecia e dell’impero d’Oriente;
-e perchè ricusarono seguirlo, apprese le navi
-e le robe che una fiera procella spinse sulle coste di
-Sicilia, ed impinguò il fisco colle spoglie dei proprj
-commilitoni.
-</p>
-
-<p>
-Le viscere di Luigi furono deposte nella badia di
-Monreale presso Palermo; il suo corpo traversò l’Italia,
-fra universale venerazione; le madri cercavano le monete
-coll’effigie di lui per appenderle al collo de’ figli; e
-pochi anni dopo Bonifazio VIII lo santificava esclamando: — Esulta,
-Casa di Francia, d’aver dato al
-mondo un principe sì grande; esulta, popolo di Francia,
-d’avere avuto un re sì buono».
-</p>
-
-<p>
-Gregorio X, ch’era nunzio in Palestina quando fu
-eletto pontefice<a class="tag" id="tag416" href="#note416">[416]</a>, adoprò il breve suo regno a ricomporre
-in pace i Cristiani perchè recuperassero Terrasanta;
-a tutti i sovrani consentì di levare le decime
-ecclesiastiche per sei anni onde armare; Filippo di
-<span class="pagenum" id="Page_515">[515]</span>
-Francia, Edoardo d’Inghilterra, Giacomo d’Aragona,
-Carlo di Sicilia aveano promesso crociarsi, e Rodolfo
-imperatore guidarli; Gregorio radunò all’uopo anche
-il concilio generale di Lione che dicemmo, ma tutta la
-macchina cadde colla sua morte <span class="sidenote">(1276)</span>.
-</p>
-
-<p>
-E qui finiscono le crociate. Le ampie conquiste in
-Oriente trovavansi compendiate nella città di Acri, nella
-quale accoglievansi i rappresentanti de’ re di Gerusalemme,
-di Cipro, di Sicilia, di Francia, d’Inghilterra,
-d’Armenia, i principi d’Antiochia e di Galilea, i conti
-di Giaffa e di Tripoli, il duca d’Atene, il patriarca gerosolimitano,
-i cavalieri del santo Sepolcro, del Tempio,
-di san Lazzaro, il nunzio del papa, e Genovesi, Veneti,
-Pisani. Ognuno aveva palazzi e quartiere, dove vivea
-indipendente e colle proprie leggi ritornate personali,
-sicchè ben cinquantotto tribunali esercitavano diritto di
-sangue; pel qual tenore ciascuno comandava, nessuno
-obbediva. Opposti anche d’interessi, agitavano incessanti
-discordie: spesso un litigio nato a Pisa o in Ancona,
-combattevasi da una all’altra delle case d’Acri,
-ridotte in fortezze.
-</p>
-
-<p>
-Un Veneziano batte un ragazzo genovese, i Genovesi
-l’han per pubblico oltraggio, e assalito il quartiere dei
-Veneziani, quali feriscono, quali fugano. Questi preparavansi
-alla rappresaglia, ma qualche prudente sopì
-quel fuoco. Però, come se ne intese in Genova: «dissero
-tutti: <i>Ora ne sia preso tale vendicamento, che
-mai non sia obliato;</i> le donne dissero ai loro mariti:
-<i>Noi non vogliamo più niente di nostre doti, nè per
-morte nè per vita; spendetelo per la vendetta;</i> e le
-<span class="pagenum" id="Page_516">[516]</span>
-pulcelle dissero ai loro padri, ai loro fratelli ed agli
-altri parenti loro: <i>Noi non vogliamo mariti: tutto ciò
-che ci dovreste donare per dote, spendetelo per vendicarci
-de’ Veneziani, e voi sdebitatevene portandoci
-le loro teste</i>»<a class="tag" id="tag417" href="#note417">[417]</a>. Fu dunque armata una spedizione:
-una nave veneta, che un Genovese avea compra dai pirati,
-è presa e ripresa, e tutto va a chi peggio: tredici
-navi arrivate da Venezia bruciano le genovesi sprovvedute
-nel porto, e ajutate da’ Pisani e Marsigliesi respingono
-altre galee venute in soccorso de’ nemici, ne
-guastano le canove, i palazzi e una mirabile loro
-torre, di cui molte pietre spedirono in patria. Il papa
-s’intromise di pace; ma le ire coperte non estinte divamparono
-allorquando i Genovesi ebbero ottenuto
-nella ripigliata Costantinopoli i quartieri e i privilegi
-che prima erano goduti dai Veneziani. I quali tanto fecero,
-che stornarono dai Genovesi l’animo di Michele
-Paleologo, e rinnovarono con esso amicizia.
-</p>
-
-<p>
-Lottanti fra sè, tutti si trovavano deboli a fronte
-de’ Musulmani; mentre Europa, disingannata da tanti
-tentativi falliti, assorta in interessi <i>più positivi</i>, cioè
-egoistici, pensava a tutt’altro che soccorrerli. Frattanto
-i Musulmani procedevano, e l’emir Kalif Ashraf pose
-assedio ad Acri, ultimo asilo della croce. Papa Nicola IV
-raddoppiò di zelo in provocare a soccorrerla; Parma
-vi spedì seicento persone, alquante le altre città, e per
-trasportarle Venezia dispose venti galee, sette ne prometteva
-Giacomo re di Sicilia; soccorsi parziali e perciò
-inadequati; e dopo lunga resistenza anche Acri fu espugnata <span class="sidenote">(1291)</span>.
-Vuolsi che trentamila Cristiani vi fossero sgozzati;
-la badessa di Santa Chiara, veneziana, persuase
-le sue monache di troncarsi le narici per sottrarsi alla
-libidine e ai harem de’ Musulmani; le navi genovesi
-<span class="pagenum" id="Page_517">[517]</span>
-poterono salvare alquanti, fra cui il re di Cipro; altri
-rifuggirono a Venezia, che gli accoglieva nella nobiltà;
-e ne’ paesi consacrati dalle memorie di Cristo più non
-risonò se non — Non v’è altro dio che Dio, e Maometto
-è suo profeta».
-</p>
-
-<p>
-All’annunzio di quella disgrazia, che pur doveasi
-aspettare e poteasi prevenire, gli Europei e massime
-gl’italiani ulularono di tardo dolore e sgomento, e Bonifazio
-VIII ritentò una crociata. Ma più non erano i tempi
-quando la pietà e la speranza del paradiso eccitavano
-l’entusiasmo; quando i papi parlavano ai monarchi in
-nome del Cielo sdegnato, rinfacciandone le colpe, e
-imponendo prendessero la croce per espiarle; anzi i re,
-tutt’assorti nel grande impegno di mozzare l’autorità
-pontifizia, rifuggivano dal secondare imprese che l’avrebbero
-accresciuta o almeno attestata. Solo i Genovesi,
-per redimersi dall’interdetto, gli diedero ascolto, e le
-donne, quasi a raffaccio degli uomini, assunsero la croce
-e l’armi. L’impresa svampò, ma Genova conservava fin
-testè nel suo arsenale le armadure di quelle eroine, e
-nell’archivio le congratulazioni del papa.
-</p>
-
-<p>
-Dopo d’allora, alla crociata, come impresa comune
-dell’Europa, più non si pensò da senno. Bensì i Genovesi
-verso il 1300 ne prepararono una contro i corsari
-barbareschi, ma fu uno stuzzicarli; e moltissimi
-navigli uscirono d’Africa alla vendetta, e intercettarono
-lungamente il commercio. Qualche parziale tentativo si
-rinnovò, e nel 1345 specialmente si eccitarono i Cristiani
-contro i Saracini, e molti miracoli vennero raccontati.
-Dicevasi che presso la città d’Aquila fosse apparsa
-Nostra Donna col Bambino in grembo avente in
-mano una croce, e ciascuno potè vederlo più fulgido
-del sole, e tutti i fanciulli che in quel giorno vi nacquero
-erano segnati d’una crocetta sulla spalla diritta. Ciò
-mosse molti a voler combattere gl’Infedeli, e frà Ubertino
-<span class="pagenum" id="Page_518">[518]</span>
-de Filippi vi rinfocava la gioventù fiorentina, e
-molti lo seguirono in Siria, tra cui frà Francesco da
-Carmignano ingegnere e dieci altri Domenicani. Ivi
-oppugnarono non sappiam bene quale città, e sostennero
-fra altre una battaglia presso Tiberiade contro più
-d’un milione di Musulmani: s’aggiunge che un’apparizione
-di san Giovanni Battista confortò i Cristiani al
-vincere: e i cadaveri de’ nostri si riconosceano dall’apparire
-sul capo di ciascuno un fuscelletto portante un
-fiore bianco a modo d’ostia, attorno al quale si leggea
-cristiano; e sopra di loro si udirono cantar versi dolcissimi
-e <i>Venite, benedicti patris mei</i><a class="tag" id="tag418" href="#note418">[418]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di buon’ora i frati Francescani eransi piantati in
-Terrasanta, e vi si mantennero a custodia del santo
-sepolcro anche dopo ricaduto in man dei Turchi: nel
-1212 Ahmed-scià sultano dava loro il diritto di rimanervi,
-e l’anno appresso Omer permetteva ristaurassero
-la chiesa di Betlem. Roberto re di Napoli volle che
-questa loro dimora divenisse legittima, e a denari nel
-1342 comprò dal sultano il diritto che i Francescani
-dimorassero in perpetuo nella chiesa del santo sepolcro,
-e vi celebrassero gli uffizj divini: del che si fece carta,
-ove ad esso re e a Sancia moglie sua son pure conceduti
-il cenacolo e la cappella dove Cristo si mostrò a
-san Tommaso; la qual Sancia sul monte Sion fe costruire
-una casa, in cui mantenere a sue spese dodici
-Francescani<a class="tag" id="tag419" href="#note419">[419]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1386 il re di Cipro, d’accordo col granmaestro
-di Rodi, volendo metter fine alle piraterie degli emiri
-di Siria e del sultano, stanziò d’assalire Alessandria; e
-i Veneziani lo secondarono, sì per le istanze del papa,
-<span class="pagenum" id="Page_519">[519]</span>
-che per la speranza di assicurarsi quel commercio
-senza le umiliazioni cui erano ridotti. Di fatto Alessandria
-fu presa, arsa la flotta egizia; ma il sultano ricomparve
-ben tosto, sicchè i Cristiani furono costretti
-ritirarsi, poche ricchezze trasportando seco, e lasciandovi
-acerbissimo odio, che si sfogò sui nostri colà dimoranti
-e sulle merci di Venezia, la quale così ebbe
-guasti i proprj traffichi.
-</p>
-
-<p>
-Soli i pontefici mai non gettarono ogni speranza di
-liberare Terrasanta, e questo fu il tema di declamazioni
-poetiche e qualche volta di ragionate scritture.
-Fra gli altri, Marin Sanuto, cronista veneto, vide il vero
-quando annunziò che ruina degli stabilimenti cristiani
-in Palestina erano i sultani d’Egitto, e che potenza di
-questi era il commercio nell’India, lo perchè consigliava
-ad esaurirne la fonte. A tal uopo viaggiò cinque volte
-nell’India, e se altro non potè, trasse notizie sui paesi
-del Mezzodì e del Levante. Il suo libro <i>Secreta fidelium
-Crucis</i> (1321), cui aggiunse un planisfero, divise
-in tre parti ad onore della Trinità, e perchè tre sono
-le maniere efficaci di rimettersi in salute, il siroppo
-preparatorio, la medicina opportuna, il regime. Alla
-crociata vuole egli persuadere, non più per entusiasmi
-devoti, ma da mercante ed economista; onde ai testi
-soggiunge la lista delle spezie che traggonsi per via
-di Terrasanta, quanto costino, quanto il trasporto: la
-migliore opportunità gli sembra uno sbarco in Egitto,
-che con dieci galee crede potersi bloccare; e chiuso
-quello, l’islam è ferito nel cuore. Divisa appienissimo
-uomini, viveri, denaro, sempre intento a ringrandire
-Venezia, di cui dev’essere tutta la flotta, e i cui marinaj
-crede soli capaci a guidar le navi tra i bassi canali del
-Nilo: designa la forma e struttura delle galee imbattagliate
-e delle navi da trasporto, alcune incamattate, o
-come oggi diciamo, mantellate: descrive minutamente
-<span class="pagenum" id="Page_520">[520]</span>
-i mangani colle dimensioni e proporzioni, e le balestre
-lontanarie; l’esercito di sbarco sommi a quindicimila
-fanti, trecento cavalieri. I precetti circa gli accampamenti
-desume da Vegezio e da Cesare: dimostra pratica
-nell’arte delle fortezze, secondo l’età sua, e ne dà
-saggio in una graziosa parabola. La spesa sarebbe tornata
-a quattordici milioni<a class="tag" id="tag420" href="#note420">[420]</a>; e tale disegno offrì alla
-sua patria e a tutte le corti, e n’ebbe lode e trascuranza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_521">[521]</span>
-</p>
-
-<p>
-Guido da Vigevano, medico di Enrico VII imperatore,
-nel 1335 stese precetti igienici e militari per difendersi
-dai Saracini e assalirli<a class="tag" id="tag421" href="#note421">[421]</a>. Frà Filippo Bruserio
-da Savona, professore di teologia a Parigi, da
-Benedetto XII spedito nel 1340 ambasciadore a Usbek
-kan del Capciac, con Pietro dall’Orto e con Alberto
-della colonia di Caffa, per impetrare la libera predicazione
-del cristianesimo attorno al mar Nero, scrisse il
-<i>Sepolcro di Terrasanta</i>, esponendo i mezzi di ricuperarlo.
-È notevole che i primi trattatisti d’arte militare
-ne davano per titolo il ricupero della Palestina, quasi
-il solo che potesse scusare quel feroce sviluppo della
-forza e dell’ingegno: Antonio da Archiburgo trentino
-nel 1391 stese su ciò un trattato, or manoscritto nella
-biblioteca nazionale di Parigi; Lampo Birago milanese,
-protetto da Francesco Sforza, propose una crociata
-tutta d’italiani, con milleducento cavalli, quindicimila
-fanti e cinquemila cavalleggieri forestieri, che sbarcata
-in Morea suscitasse i popoli, e in due o tre anni compirebbe
-l’impresa<a class="tag" id="tag422" href="#note422">[422]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Dante querelava i suoi contemporanei che il sepolcro
-di Cristo lasciassero in man de’ cani, e che esso «poco
-toccasse ai papi la memoria»<a class="tag" id="tag423" href="#note423">[423]</a>; e colloca in paradiso
-Goffredo, Cacciaguida ed altri Crociati. Petrarca
-esortò alla crociata nella canzone — O aspettata in ciel,
-<span class="pagenum" id="Page_522">[522]</span>
-beata e bella». Annio da Viterbo nel 1480 predicò a
-Genova con immenso applauso le future vittorie de’ Cristiani
-sui Turchi, dedotte da passi dell’Apocalisse.
-L’Ariosto fra le inesauribili sue celie trovava un accento
-elevato per mostrare quanto meglio varrebbe
-il combattere i Turchi che non il nocersi a vicenda i
-Cristiani. Il Tasso dirigeva a ciò tutto il nobile suo
-poema, sperando pure che <i>il buon popolo di Cristo</i>,
-tornato una volta in pace, tenterebbe <i>ritogliere l’ingiusta
-preda</i> al Musulmano. Altri pure innalzavano
-esortazioni generose e inascoltate.
-</p>
-
-<p>
-Chi realmente continuò la guerra contro i Musulmani
-furono da una parte i Veneziani, fattisi antimurale dell’Europa,
-che negligeva di sostenerne allora gli sforzi,
-salvo poi a codardamente vilipenderli; dall’altra i cavalieri
-del santo Sepolcro, che si ricovrarono prima a
-Cipro, poi a Rodi, infine a Malta, sempre col voto di
-non cessar guerra agl’Infedeli. Dappoi la generosità si
-ridusse negativa e beffarda, fu moda il declamare contro
-quelle spedizioni che fecero perire tanti uomini inutilmente.
-Lasciam via che non perirono quanti per le epiche
-guerre di Roma o per le ambiziose di Napoleone; ma
-colà morivano volenti e persuasi, non divelti alle case
-per ordine d’un re, ma lieti di dar la vita in servigio
-di Dio ed espiazione delle colpe, e affrontare una morte
-che apriva il paradiso.
-</p>
-
-<p>
-I Musulmani erano nemici d’ogni civiltà; conveniva
-respingerli: sterminavano ferocemente i Cristiani; conveniva
-punirli: minacciavano di nuova barbarie l’Europa;
-conveniva prevenirli, assalendoli ne’ loro paesi:
-e se l’intento fosse riuscito, chi non vede quanto diverse
-sarebbero procedute le sorti della civiltà?
-</p>
-
-<p>
-Già era stato vantaggio il mandare in Asia a sfogare
-l’umor battagliero que’ tanti che turbavano la patria;
-predicatori e papi volendo concordare i Cristiani alla
-<span class="pagenum" id="Page_523">[523]</span>
-santa impresa, condussero qualche pace fra tante battaglie,
-e la tregua di Dio copriva chiunque avesse preso
-la croce. Mentre il castellano era ito in Palestina, il
-villano rimasto a casa respirava dalle oppressioni; ricorreva
-all’autorità del Comune o del re, invece di quella
-del feudatario; benchè incatenato alla gleba, il signore
-non potea vietargli di crociarsi; anzi tanti servi passavano
-oltremare, che fu imposta la <i>decima saladina</i> a
-quei che il facessero senza beneplacito del padrone.
-Anche quelli che v’andavano per obbedire a questo,
-svincolati dalla schiavitù locale, disabituavansi dalla ereditaria
-servilità; aveano diviso i pericoli, gli stenti, la
-gloria del padrone, forse aveanlo salvato dal pugnale
-d’un Assassino tra le convalli del Libano, o dalla scimitarra
-di un Turco, o diviso con esso una ciotola
-d’acqua che gli valse la vita; erano dormiti al suo fianco
-nell’accampamento, pericolati nella lotta; l’avoltojo del
-castello erasi fatto vicino al lepre della valle non per
-isbranarlo ma per congiungere le forze.
-</p>
-
-<p>
-Nell’assenza dei baroni, i Comuni s’invigorivano, e
-strappavano a quelli la prepotenza di qualche antico
-abuso; o il barone stesso dava in pegno o vendeva il
-feudo o qualche privilegio per far denari, o morendo
-li lasciava vacanti. La giustizia era resa con maggior
-regolarità dal clero, la campagna avea pace, e l’abbassarsi
-dei nobili spianava la strada ai cittadini: sicchè
-quelle imprese, spinte dal clero, eseguite dalla nobiltà,
-realmente fruttarono pel popolo. Esse poi indicavano
-un miglioramento nella società, poichè non si trattava
-di conquistare e far servi, ma di procacciarsi la vita
-eterna e di salvare dall’inferno tanti Infedeli. Di mezzo
-alle parziali agitazioni della feudalità nasceva un pensiero
-di gloria, d’avvenire, di santità; lampeggiavano il
-bello e l’ideale fra i popoli e gli eserciti, i quali correvano
-a morte per dar trionfo alla verità: preludio dei
-<span class="pagenum" id="Page_524">[524]</span>
-tempi quando la guerra non si farà che per la pace.
-</p>
-
-<p>
-Ambizione, avarizia, altri vizj accompagnarono e
-rovinarono quelle imprese, ma pure nessun esercito fu
-più generalmente preoccupato dall’idea morale; il popolo
-era spinto da sentimento religioso, bene o male
-interpretato, ma superiore a calcoli personali; nei cavalieri
-videsi un’umiltà, un’abnegazione, mirabili fra
-la superbia e l’avidità d’imprese di quel tempo, non
-gloriandone sè ma Dio; tutti i combattenti riconosceano
-per fratelli, dacchè tutti la croce segnava. Quando il
-villano e il signore, il re e il vassallo, il Milanese, il
-Bretone, il Veneto si associavano nel nome di Cristiani,
-costumavansi a idee d’uguaglianza. Accanto ai baroni
-radicati al terreno sorgeva la nobiltà mobile de’ cavalieri
-chiamati per professione a quanto v’ha di generoso
-e disinteressato: come in imprese sante, molte paci si
-facevano in occasione di esse, molte colpe si riparavano:
-v’andavano anime straziate dai rimorsi a rigenerarsi,
-o spossate dai disinganni a ripigliar coraggio.
-</p>
-
-<p>
-Amedeo VI, nell’atto di salpare da Venezia per Terrasanta,
-esaminò la propria vita, e si risovvenne
-d’un Ansermeto Barberi che lungo tempo avea tenuto
-prigione per furto e che poi fu scoperto innocente, e
-gli fece dare ducento fiorini d’oro<a class="tag" id="tag424" href="#note424">[424]</a>. Veleggiò poi
-in una galea vagamente dipinta, colla poppa a foglie
-d’oro e argento; sull’azzurra bandiera di Savoja sventolava
-l’effigie della Madonna, e su altre la croce d’argento
-in campo rosso, coi nodi d’amore, emblema d’esso
-principe, e il teschio del leone, e il cimiero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_525">[525]</span>
-</p>
-
-<p>
-Lucia, monaca in Santa Caterina di Bologna, s’avvide
-che un giovane veniva ogni giorno a mirarla alla
-tribuna ove sentiva messa, onde non si presentò più
-che dietro la gelosia. L’innamorato giurò consacrarsi
-a Dio come la sua cara, e passato in Palestina, s’avventò
-nelle battaglie. Fatto prigione, e messo ai tormenti
-perchè rinnegasse la fede, esclamò: — Santa
-vergine, casta Lucia, se vivi ancora, sorreggi colle tue
-preghiere chi tanto ti amò; se in cielo ti bei, propiziami
-il Signore». Appena detto, fu preso da sonno
-profondo, e allo svegliarsi trovossi catenato, ma in patria
-e vicino al monastero della sua donna, la quale gli
-stava allato sfolgorante di bellezza. — Sei tu viva ancora,
-Lucia?» domandò egli; e quella — Viva sì, ma
-della vita vera; va e deponi i tuoi ferri sul mio sepolcro,
-ringraziando Iddio». La casta era morta il giorno
-ch’egli abbandonò l’Europa<a class="tag" id="tag425" href="#note425">[425]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Federico Barbarossa, giovinetto ancora, innamorò
-di Gela figlia d’un suo vassallo; ed ella rispose di verecondo
-amore, e non si tenendo degna d’averlo sposo,
-l’indusse a crociarsi. Sull’addio egli esclamò: — L’amor
-nostro è eterno. — Eterno», rispose ella, lasciando
-cascar la testa su quella dell’amante. Egli va, vince e
-ritorna, e per la morte del padre trovatosi duca, vola
-alla casa di Gela; ma non vi trova che un viglietto,
-iscritto: — Tu sei duca, e devi scegliere una sposa da
-par tuo. Della memoria di essere stata tua un anno, mi
-godrà l’animo tutta la vita. L’amor nostro è eterno».
-Erasi resa monaca; e Federico, nel boschetto ove si
-era congedato da lei, pose la prima pietra della città
-di Gelnhausen.
-</p>
-
-<p>
-A Torre San Donato in val d’Arno fu predicata la
-croce, e consegnato lo stendardo del popolo a Pazzino
-<span class="pagenum" id="Page_526">[526]</span>
-de’ Pazzi, il quale raccontano montasse primo sulle
-mura di Gerusalemme, e da Goffredo avesse in dono
-tre scaglie del santo sepolcro, colle quali in patria accese
-il fuoco benedetto, e si conservarono poi ne’ Santi
-Apostoli, e ne derivò a Firenze la festa dello scoppio
-del carro (vol. <span class="smcap lowercase">V</span>, pag. 554). Anche nel 1220, «quando
-fu presa Damiata, l’insegna del Comune di Firenze, il
-campo rosso e il giglio bianco, fu la prima che si vide
-in sulle mura per virtù de’ pellegrini toscani, che furono
-de’ primi combattendo a vincere la terra; e ancora
-per ricordanza il detto gonfalone si mostra in Firenze
-per le feste nella chiesa di San Giovanni al Duomo»
-(<span class="smcap">Villani</span>). A Verona si vuole che i reduci Crociati applicassero
-i nomi alla montuosa vicinanza verso nordovest,
-che diconsi Calvaria (<i>Monte San Rocco</i>) e Valdomia
-(<i>Val Domini</i>); e dentro Nazaret, Betlem, Monte
-Oliveto<a class="tag" id="tag426" href="#note426">[426]</a>. Alberto vescovo di Brescia portava da
-Terrasanta un grosso pezzo della santa croce, che chiuso
-in teca ornata di lamine argentee istoriate, conservasi
-nel duomo di quella città, dove anche la <i>croce del campo</i>,
-che credesi fosse portata in cima a un vessillo dai crociati
-in quella spedizione. A San Geminiano in Toscana
-pretendono che i Baccinelli andassero con altri alla prima
-crociata, e ritornando, colle spoglie de’ nemici, ergessero
-una magione di Templari sotto l’invocazione di
-San Jacobo.
-</p>
-
-<p>
-Della credulità si abusò per moltiplicare reliquie, e
-<span class="pagenum" id="Page_527">[527]</span>
-non fu paese che non volesse averne di Terrasanta; e
-ciascuna fu autenticata da miracoli, certo non meno
-credibili delle mille baje che la critica moderna raccoglie
-ogni dì dalle gazzette, e dalle storie che sulle gazzette
-si compilano.
-</p>
-
-<p>
-Alcuni monaci portarono da Gerusalemme a Montecassino
-un pezzo del tovagliuolo con cui Cristo asciugò
-i piedi agli apostoli; e vedendosi poco creduti, il posero
-in un turibolo, e all’istante divenne color di fuoco,
-e ne fu tolto intatto, e riposto fra oro, argento e gemme.
-Altri pellegrini navigando con uno de’ santi chiodi,
-giunti davanti a Torno sul lago di Como, non poterono
-più progredire, e dovettero lasciarlo colà, dove si venera
-ancora. Allorchè Saladino spediva in dono all’imperatore
-di Costantinopoli la vera croce, un Pisano
-trovò modo d’involarla, e traversando i mari a piede
-asciutto, la recò alla sua patria: ma un Dondadio Bo
-Fornaro genovese diceasi aver trovato in una nave di
-Veneziani essa croce, e toltala per arricchirne la sua
-città; e questi doppj sono vulgare soggetto d’epigrammi.
-L’anno che Acri fu presa, parve che la santa
-casa dove Cristo era cresciuto sdegnasse rimanere in
-una terra contaminata da Infedeli, e da Nazaret fu dagli
-Angeli trasportata a Tersacto di Dalmazia: statavi tre
-anni, eccola trasferita di qua dall’Adriatico, e deposta
-in una macchia sui poderi di una Lauretta di Recanati:
-i pastori la mattina trovarono quest’edifizio dove mai
-non n’aveano veduto, e tosto cominciò affluenza di forestieri
-e di doni, tanto che là presso si fondò una città
-detta Loreto.
-</p>
-
-<p>
-Roma fu piena di devoti cimelj, ed oggi ancora i
-sacristani vi riportano continuamente coi loro racconti
-ai tempi delle crociate e ai portenti compilati nel libro
-de’ <i>Sette Viaggi</i>. Padova tiene le spoglie di tre degli
-Innocenti, di Levante portate dal beato Giuliano in
-<span class="pagenum" id="Page_528">[528]</span>
-Santa Giustina. L’altare di santo Stefano a Cremona fu
-consacrato il 1141 col porvi alcun che de’ vestiti di
-Maria Vergine, della porpora onde fu beffeggiato Cristo,
-del legno della croce, del santo sepolcro. A Bologna
-fra Vitale Avanzi depose una delle idrie in cui Cristo
-mutò in vino l’acqua, e ogn’anno esponevasi nella
-chiesa de’ Servi la prima domenica dopo l’Epifania: un
-altro di quei vasi era nella certosa di Firenze. Genova
-nella crociata dalla Licia portò il corpo del Battista, e
-da Cesarea il sacro catino in cui fu operata la consacrazione
-nell’ultima cena; dal prode Montaldo, che
-l’avea ottenuta dall’imperatore Giovanni Paleologo, ebbe
-in dono l’effigie di Cristo, fatta fare da Abgaro re di
-Edessa, veneratissima in San Bartolomeo, benchè anche
-Roma si vanti tenerla. A un Lucchese ito a Gerusalemme
-vien rivelato in estasi che il volto santo ed altre
-reliquie del Salvatore giaciono ignorate nella cattedrale
-di Lucca, dove rinvenute, furono poste in devota venerazione.
-Non taciamo il santo latte a Montevarchi, donato
-a Guido Guerra da Carlo d’Angiò; sul quale diceva
-un valente scrittore che «la fede è buona, e salva ciascuno
-che l’ha; e chi archimia sì fatte cose, ne porta
-pena in questo e nell’altro mondo».
-</p>
-
-<p>
-I Pisani vollero dormire dopo morti entro terra della
-Palestina, e ne trasportarono di che empire il loro
-cimitero. I Veneziani recarono da Scio il corpo di
-sant’Isidoro, collocandolo in San Marco, dove anche la
-pietra dell’altare della cappella del battistero; da Cefalonia
-san Donato, ch’è in Santa Maria di Murano; da
-Costantinopoli santo Stefano, san Pantalèone, san Giacomo,
-e l’altre reliquie onde sono ricchissimi San
-Giorgio e San Marco. Il cardinale Ugolino, che poi fu
-papa Gregorio IX, persuase il doge a fabbricare nelle
-lagune Santa Maria Nuova di Gerusalemme, a memoria
-d’altra del titolo stesso, allora occupata dai Musulmani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_529">[529]</span>
-</p>
-
-<p>
-D’altro genere reliquie piacquero agl’italiani, i capi
-d’arte della Grecia e dell’Asia. Già era costume a Veneziani,
-Pisani e Genovesi trasportarne; e le loro cattedrali,
-cominciando fin dalla vetustissima di Torcello,
-furono, si può dire, fabbricate con avanzi antichi. Si
-estese quest’usanza nelle crociate, e massime da Costantinopoli
-i Veneziani trassero insigni lavori, fra i tanti
-che andarono perduti in quel fatto; e i cavalli della
-facciata di San Marco, e i leoni dell’arsenale, le colonne
-di San Marco e Teodoro sono trofei di buon gusto e
-di violenza.
-</p>
-
-<p>
-Alle crociate si riferiscono pure molte fondazioni di
-spedali per lebbrosi e pellegrini; e buon numero ne
-alloggiava in Genova la commenda di San Giovanni in
-Pre, del pari che l’ospedale di San Lazzaro, cui arrivavasi
-per l’unica via che allora sboccasse in Polcevera,
-e un altro in Savona.
-</p>
-
-<p>
-Le genealogie vollero tutte innestarsi sopra le crociate,
-e fu vanto l’ostentare nel proprio blasone la croce.
-Anzi il blasone ci venne dalle crociate e dalla cavalleria,
-con tutta la raffinatezza degli stemmi e delle divise.
-Finchè il cavaliero combatteva attorno al suo castello,
-qual mestieri avea di distintivo? uscendo lontano, ciascuno
-assumeva una divisa, cioè esprimeva l’affetto o
-l’intento particolare, mediante il colore della sopraveste
-e del cimiero, o qualche disegno fatto sul pezzo più
-insigne dell’armadura, qual era lo scudo. Quegli scudi
-poi si sospendeano nelle sale avite, testimonianza ai
-fasti e vanto ai figli che si piacquero di adottare l’insegna
-paterna, e così gli stemmi diventarono ereditarj,
-e distintivo non più dell’individuo ma delle famiglie.
-Nella presente uguaglianza più non è di verun conto
-l’araldica: ma lungamente fu arte di arguto studio il
-disporre gli stemmi, combinarne gli elementi, cioè i
-colori e le figure, e leggerli, e assicurarli come titoli
-<span class="pagenum" id="Page_530">[530]</span>
-domestici. Se ne moltiplicarono poi gli elementi e la
-disposizione, ma sempre i più vantati furono quelli che
-mostravano la croce, come indizio che un avo era stato
-a combattere in Palestina. I Michieli di Venezia portavano
-sopra una fascia d’argento i bisanti d’oro, perchè
-il doge Domenico Michiel alla crociata, venutogli meno
-il denaro, pagò con pezzi di cuojo, che poi al ritorno
-cambiò in sonanti. I Visconti di Milano vantavano che
-Ottone di loro famiglia avesse, alla prima crociata, ucciso
-un gigante che portava per cimiero un serpe con
-un fanciullo in gola; figura ch’essi adottarono. Il cardinale
-Giovanni, legato in Terrasanta, ne riportò la
-colonna della flagellazione, che la famiglia Colonna assunse
-per stemma, d’argento in campo azzurro; aggiungendovi
-la corona quando Stefano ebbe coronato
-l’imperatore Lodovico il Bavaro, e le quattordici bandiere
-turche che Marcantonio acquistò alla battaglia di
-Lépanto.
-</p>
-
-<p>
-Ed altre famiglie dallo stemma dedussero il nome;
-mentre d’alcune dietro al nome fu inventato lo stemma,
-con quelle che si dissero armi parlanti, come un orso
-per gli Orsini di Roma e gli Orseoli di Venezia, un
-gelso pe’ Moroni, un majale pe’ Porcelletti, un gambaro
-pei Gambara, un bove pei Vitelleschi, i Bossi, i Boselli,
-i Cavalcabò, le coste pei Costanzo, la carretta pei Del
-Carretto, pei Canossi un cane coll’osso in bocca, per
-gli Scaligeri la scala portante un’aquila. Il vulgo pure
-volle avere i suoi stemmi, e il tesserandolo e il merciajo
-adottava un’insegna che di padre in figlio trasmetteasi
-con sollecita cura di conservarla incontaminata.
-</p>
-
-<p>
-I nostri videro il lusso orientale, e si proposero imitarlo;
-la seta si propagò, e i tessuti serici di Damasco
-e quelli di pelo di camello ne eccitarono l’emulazione;
-a Venezia s’imitarono i Vetri di Tiro, e ben presto si
-fabbricarono specchi di cristallo e conterie; si conobbero
-<span class="pagenum" id="Page_531">[531]</span>
-i lavori a cesello e all’agiamina, l’applicazione
-dello smalto; e l’oreficeria ebbe grande esercizio nello
-incastonare le tante gemme e ornare le tante reliquie
-tolte all’Oriente.
-</p>
-
-<p>
-Esteso il viaggiare non a soli negozianti ma a moltitudini
-innumere, vennero sotto gli occhi altri costumi,
-la qual cosa chi non sa quanto serva a digrossare i
-proprj? I Settentrionali in Italia trovavano civiltà ben
-più raffinata; a Bologna udivano leggere le Pandette,
-in Salerno e a Montecassino scuole mediche, in Sicilia
-e a Venezia regolati governi, e i cittadini congregati
-dar l’assenso alle deliberazioni del doge; e Giacomo di
-Vitry, storico di quelle imprese, ammirava questi Italiani,
-segreti ne’ consigli, diligenti, studiosi nel procurare
-le pubbliche cose, provvidi del futuro, repugnanti da ogni
-giogo, di loro libertà acerrimi difensori. Anche i nostri
-avevano di che imparare sia dalla civiltà greca ancora
-in piedi, sia dall’araba allora fiorente, sia anche dal
-regolare governo istituito dalle Assise di Gerusalemme.
-</p>
-
-<p>
-I metodi allora introdotti dalla Chiesa per raccorre la
-decima e le limosine servirono di scuola per esigere
-le tasse meno arbitrariamente. E poichè a queste aveano
-dovuto sottoporsi anche gli ecclesiastici, s’imparò a
-farli coadjuvare alle pubbliche gravezze.
-</p>
-
-<p>
-Romanzi e novelle a josa passarono dall’Asia in Europa,
-eccitando e pascendo le giovani immaginazioni.
-La filosofia si valse di quanto le aveano aggiunto le
-scuole arabe; la medicina, se non metodi, adottò farmachi
-orientali, droghe nuove, nuovi composti; razze
-di cavalli arabi, cani da caccia vennero portati; e se
-Federico II ebbe elefanti a sola pompa, i Pisani si
-valsero dei camelli per coltivare la fattoria di San Rossore,
-dove ancora non sono dismessi. La cannamele
-avea ristorato la sete de’ Crociati, che la trapiantarono
-in Sicilia, donde passò in Ispagna, e di quivi a Madera
-<span class="pagenum" id="Page_532">[532]</span>
-e all’America, per procacciarci uno de’ condimenti oggi
-più usitati, lo zuccaro. Certe cipolle di Ascalona, certe
-prugne di Damasco allora arricchirono i nostri giardini;
-e se a torto si crede venuto di là il granoturco<a class="tag" id="tag427" href="#note427">[427]</a>,
-v’imparammo l’uso dell’allume, dello zafferano, dell’indaco.
-Vorrebbe credersi che la vista degli aerei edifizj
-orientali e degli emisferici greci producesse l’ordine
-gotico, certo esteso in quel tempo; e i furti fatti da
-Pisa, Genova, Sicilia, Venezia ridestarono l’amore delle
-arti belle, che, compostesi a quegli esemplari, s’accostarono
-ai segni dell’eleganza.
-</p>
-
-<p>
-Tanto movimento di popolo aumentò la marineria,
-del che principale vantaggio trassero gl’italiani, i quali
-lautamente guadagnarono dal trasportare i Crociati,
-poi stabilirono banchi su tutte le coste della Siria, del
-mar Jonio e del Nero, e convennero di vantaggiosi
-privilegi nelle terre sottomesse. Le navi si migliorarono<a class="tag" id="tag428" href="#note428">[428]</a>,
-e a’ lenti tragitti per terra si surrogarono i
-viaggi per acqua. A vantaggio de’ pellegrini si stesero
-<span class="pagenum" id="Page_533">[533]</span>
-itinerarj, che, se erano dettati dall’entusiasmo, valsero
-però tanto quanto a migliorare la geografia<a class="tag" id="tag429" href="#note429">[429]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_534">[534]</span>
-</p>
-
-<p>
-Continue relazioni mantenne l’Italia coll’Oriente, e
-ne sono piene le cronache piemontesi di Benvenuto da
-San Giorgio; le famiglie più insigni legarono parentadi
-coi principi levantini, e sei ne avvennero tra i marchesi
-di Monferrato e gli imperiali di Costantinopoli; il titolo
-di re di Gerusalemme e di Cipro ornava i duchi di
-Savoja prima che altro regio acquistassero. Gli stabilimenti
-italiani colà durarono più che quelli d’altra
-qualsiasi gente, e in modo si diffusero, che l’italiano era
-lingua comune de’ traffici sulle coste.
-</p>
-
-<p>
-Lasciam dunque ad altri deridere ciò che eccitò
-l’entusiasmo di due secoli; e non crediamo inutili queste
-imprese, che diedero tanto stimolo al sentimento,
-alla curiosità, all’immaginazione.
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE DEL TOMO SESTO E DEL LIBRO OTTAVO
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_535">[535]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td colspan="3" class="center">LIBRO OTTAVO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">Capitolo</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXI.</td> <td>Origine dei Comuni</td> <td class="pag"><a href="#cap81">pag. 1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXII.</td> <td>Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. Emancipazione dei servi</td> <td class="pag"><a href="#cap82">60</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXIII.</td> <td>I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori. Ruggero re di Sicilia. Arnaldo da Brescia</td> <td class="pag"><a href="#cap83">88</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXIV.</td> <td>Federico Barbarossa</td> <td class="pag"><a href="#cap84">112</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXV.</td> <td>Ordinamento e governo delle Repubbliche</td> <td class="pag"><a href="#cap85">153</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXVI.</td> <td>Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI</td> <td class="pag"><a href="#cap86">218</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXVII.</td> <td>Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente</td> <td class="pag"><a href="#cap87">242</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXVIII.</td> <td>Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro stadio. Nobili e plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini</td> <td class="pag"><a href="#cap88">268</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">LXXXIX.</td> <td>Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione</td> <td class="pag"><a href="#cap89">313</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XC.</td> <td>La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del canonico. Le Università. Le Scienze occulte</td> <td class="pag"><a href="#cap90">356</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XCI.</td> <td>Federico II. Seconda guerra dell’investitura</td> <td class="pag"><a href="#cap91">415</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XCII.</td> <td>Fine degli Svevi e della seconda guerra dell’investitura</td> <td class="pag"><a href="#cap92">472</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XCIII.</td> <td>I Mongoli. — Fine delle crociate e loro effetti. Gli stemmi</td> <td class="pag"><a href="#cap93">507</a></td>
- </tr>
-</table>
-
-<hr />
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Savigny</span>, <i>Storia del Diritto romano</i>; — <span class="smcap">Pagnoncelli</span>,
-<i>Dell’antica origine e continuazione dei governi municipali in
-Italia</i>, 1823 — <span class="smcap">Raynouard</span>, <i>Histoire du droit municipal en
-France</i>, 1838.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È l’opinione del Leo, <i>Entwickelung der Verfassung der
-lombardischen Städte bis zu Friedrich I</i>, 1824; del <span class="smcap">Raumer</span>,
-<i>Ueber die staatsrehtlichen Verhältnisse der italienischen Städte</i>;
-dell’<span class="smcap">Eichhorn</span>, di <span class="smcap">Ekstein</span>, di <span class="smcap">Behlmann-Holweg</span>, <i>Ursprung
-der lombardischen Städte Freiheit</i>, 1846, in confutazione del
-Savigny, dell’Hegel ecc. Fra i nostri la sostennero Cesare Balbo
-e Carlo Troya. Secondo questo, i Romani spossessati da Autari
-mai più non entrarono nel Comune; bensì i Romani giustinianei
-e teodosiani, cioè quelli sopravissuti in paesi ove si mantennero
-in vigore il diritto giustinianeo e il teodosiano; ma neppur questi
-mai non si pareggiarono ai dominatori, fin al tempo di Ottone I,
-quando tolsero la superiorità ai Franchi; talchè non ricuperarono
-i diritti antichi, ma acquistarono quelli dei vincitori.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note3">
-<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dissi <i>quasi</i>, acciocchè non ci si opponga qualche menzione
-di comunità. Nel 764, un Crispino fonda e dota la chiesa di San
-Martino d’Ussiano, lasciandone il patronato ai vescovi di Lucca;
-e nel descrivere i confini dei beni dice: <i>Alia petiola de terra
-mea, qui est similiter tenente capite uno in via publica et in ipso
-rivo Caprio, et vocitatur ad Campora communalia</i>. Ma era il
-Comune de’ vinti, o quel de’ vincitori? Più conchiuderebbe il
-diploma dell’imperatore Lamberto (<i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 341) che
-a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 concede e conferma
-tutti i beni, e la giurisdizione sui medesimi anche nella città,
-soggiungendo: <i>Sancimus etiam pretaxate ecclesie, juxta antecessorum
-nostrorum decreta, loca in quibus predicta civitas constructa
-est, stabilia maneant cum cancellariis, quos prisca consuetudo
-prefate ecclesie de clericis sui ordinis ad scribendos sue
-potestatis libellos et feothecarios habeat; vias quoque, portas,
-pontes, et <span class="upright">quicquid antiquo jure eidem civitati ac
-curatoribus reipublice solvebantur</span>, nostra vice liberam
-capiendi debitum ex eis censum habeat potestatem...</i> Qui
-respublica parmi abbia il senso che sotto gl’imperatori romani,
-ed equivalga al fisco. Anche Lodovico II nell’852, confermando
-alla chiesa di San Lorenzo di Giovenalta nel Cremonese il mercato,
-l’acquedotto e altri diritti, comanda che <i>nulla quelibet
-persona aut quislibet reipublice minister ullam contrarietatem
-facere presumat</i> (Antiq. M. Æ., <span class="smcap lowercase">II</span>. 868). Merita pure riflesso la
-costituzione di Carlo Magno del 787, dove conferma il dazio da
-pagarsi ai porti, già istituito da re Liutprando, stabilendo quel
-che dovranno pagare il vescovo di Comacchio, <i>et ceteri homines
-fideles nostri Comaclo civitate commanentes</i>, sottraendoli dalle
-eccessive esigenze dei Mantovani: ivi i Comacchiesi sono sempre
-trattati in corpo, non come individui, nè come spettanti a un
-signore.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note4">
-<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedilo nel Canciani; e giudicato dal Savigny, V. 132.
-Hennel ne scoperse una nuova copia nella biblioteca di Sangallo,
-che è desiderabile venga pubblicata. Il signor Bunturini promise
-una nuova lezione assai migliorata del testo udinese, che noi
-potemmo esaminare. <span class="smcap">C. Hegel</span> (<i>Gesch. der italienischen Städtefreiheit</i>,
-Lipsia 1847) attribuisce quel documento alla Curia
-Retiense cioè al paese de’ Grigioni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note5">
-<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Uno de’ più antichi esempj raccolgo dal <i>Codice diplomatico
-bresciano</i>, ove nel 781 Carlo Magno a Radoara badessa di
-San Salvadore in Brescia conferma i possessi <i>sub immunitatis
-nomine; quatenus nullus judex publicus ibidem ad causas audiendas,
-vel freda exigenda, seu mansiones vel paratas faciendum,
-nec fidejussores tollendum, nec nullas redibitiones publicas requirendum,
-judiciaria potestas quoquo tempore ingredere nec exactare
-non presumat</i>.
-</p>
-
-<p>
-Poi nell’822 Lodovico imperatore alle monache stesse, conforme
-alla carta d’immunità concessa da suo padre, ordina che
-<i>nullus judex publicus, vel quislibet ex judiciaria potestate in
-ecclesias aut agros et loca et reliquas possessiones, ad causas
-audiendas, vel freda exigenda... ingredi audeat; sed liceat conjugi
-nostrae</i> (Giuditta) <i>atque successores ejus cum omnes fredos concessos,
-et cum rebus</i> <span class="smcap lowercase">VEL HOMINIBUS LIBERIS</span> <i>seu comendatis ad
-idem monasterium pertinentes, sub immunitatis nostrae defensione
-quieto ordine possidere</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note6">
-<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi qui sopra la nota 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note7">
-<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Espone che il vescovo mandò a lui dicendo, <i>eandem urbem
-hostili quadam impugnatione devictam, unde nunc maxime sævorum
-Ungarorum incursione et ingenti comitum, suorumque
-ministrorum oppressione tenebatur, postulantes ut turres et
-muri ipsius civitatis rehedificentur studio et labore præfati episcopi,
-suorumque <span class="upright">concivium</span>, et ibi confugentium sub defensione
-ecclesiæ beati Alexandri in pristinum rehedificentur, et
-deducantur in statum</i>. Alle quali suppliche annuendo, egli stabilisce
-che sia ricostrutta <i>civitas ipsa pergamensis, ubicumque
-prædictus episcopus et <span class="upright">concives</span> necessarium duxerint... Turres
-quoque et muri, seu portæ urbis... sub potestate et defensione
-supradictæ ecclesiæ et prænominati episcopi suorumque successorum
-perpetuis consistant temporibus; domos quoque in turribus,
-et supra muros ubi necesse fuerit, potestatem habeat aedificandi,
-ut vigiliæ et propugnacula non minuantur, et sint sub potestate
-ejusdem ecclesiæ beati Alexandri. Districta vero omnia ipsius
-civitatis, quæ ad regis pertinent potestatem, sub ejusdem ecclesiæ
-tuitione, defensione et potestate predestinamus permanere etc.</i>
-Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span> Merita troppo poca fede l’Odorici perchè si
-accolga il documento del 13 maggio 909 da lui pubblicato, ove
-re Berengario riferisce che Troilo Volungo e Pamfilo de Lanternis(?)
-<i>legati</i> <span class="smcap lowercase">COMUNITATIS NOSTRÆ</span> <i>de Lonato comitatus Brixiæ</i>
-gli esposero i danni recati dagli Ungheri, e a nome dell’arciprete
-Lupo, del clero, di tutta la plebe di quel luogo, imploravano
-che, sovrastando ancora la rabbia de’ Barbari, possano
-costruire fortezze e mura a difesa de’ fedeli e delle cose sante;
-il che egli concede.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note8">
-<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi <span class="smcap">Moriondi</span>, <i>Monum. Aquensia</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 7. 9. 14. 21. 26; — <span class="smcap">Giulini</span>,
-<span class="smcap lowercase">II.</span> 340. 353; — <span class="smcap">Leo</span>, <i>Vicende delle costituzioni delle
-città lombarde</i>, part. <span class="smcap lowercase">III.</span> § 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note9">
-<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ottone I al vescovo Anpaldo di Novara nel 969 concedeva
-la giurisdizione della città e d’un circuito di 24 stadj, vietando
-<i>ne aliquis ejusdem civitatis quandocumque habitator,
-murum ipsius civitatis ad portas vel pusterulas faciendas sine
-episcopi jussu frangere præsumat</i>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1013 già Novara era in grado di resistere ad Arduino
-marchese d’Ivrea, e nel 1110 ad Enrico V, e Ottone di Frisinga
-al tempo di Barbarossa la qualificava <i>non magna, sed muro novo
-et vallo non modico munita</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note10">
-<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monumenta Historiæ patriæ</i>, Chartarum <span class="smcap lowercase">II.</span> 49.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note11">
-<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI.</span> 47; <span class="smcap">Affò</span>, <span class="smcap lowercase">II.</span> 13.
-</p>
-
-<p>
-Del 1037 Corrado conferma al vescovo d’Ascoli la donazione
-di Ottone: <i>Omnem terram sui episcopii, tam ad matricam ecclesiam
-pertinentem infra et extra civitatem suam, quam ad ceteras
-capellas sive monasteria... Monetam etiam in civitate construere...
-et quidquid ad regiam censuram et potestatem nostram pertinet,
-transfundimus in ejus et successorum illius jus et dominium.</i> Lo
-conferma nel 1045 Enrico re ad altri. <i>Archivio capitolare d’Ascoli.</i>
-Vedi <i>Giornale Arcadico</i>, vol. <span class="smcap lowercase">XLIII.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note12">
-<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, Storia della badia di Nonantola, <span class="smcap lowercase">II.</span> 188:
-<i>Confirmamus tam mutinensi ecclesiæ quam ejus civibus universos
-bonos usus quos antiquitus habuerunt.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note13">
-<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Prædictum districtum et aquam ac ripam Padicam omni
-theloneo seu curatura atque ripatico a Dulpariolo usque ad
-caput Adduæ, cunctasque piscationes cum molendinorum molitura
-et navium debito censu, et omnes rectitudines et redibitiones
-et forum seu ceteras consuetudines, et vias publicas, et cætera
-quæ in præceptis et notitiis antecessorum nostrorum continentur.</i>
-Ap. <span class="smcap">Campi</span>, <i>Hist. eccl.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note14">
-<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 708. E nel 1084 concedeva al monastero
-di San Zenone a Verona <i>liberos homines, quos vulgo arimannos
-vocant... cum omni debito, districtu, actione atque placito</i>.
-</p>
-
-<p>
-Al 2 luglio 1070 Enrico IV re dona alla chiesa di Vercelli il
-Casale coll’arimannia, e con tutto il servizio del contado Odalingo
-con tutti gli arimanni, e del contado Albalingo con tutti
-gli arimanni, Ocesingo con tutti gli arimanni, e così Momelerio,
-Selvolina, Redingo <i>cum omnibus arimannis</i>. <i>Monum. hist.
-patr.</i>, Chartarum <span class="smcap lowercase">I.</span> p. 622.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note15">
-<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Nullam deinceps vel eorum filii aut descendentes publicam
-functionem vel angariam, seu ullum servitium aut ullam districtionem
-cuique hominum faciant, vel usque in perpetuum persolvant;
-sed sub potestate pretaxati monasterii perenniter permaneant,
-præter nostrum regale fodrum quando in regnum istum
-devenerimus, et sculdassiam quam comitibus suis singulis annis
-debent.</i> Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note16">
-<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">D’Arco</span>, <i>Nuovi studj intorno all’economia politica del
-municipio di Mantova</i>, 1846.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note17">
-<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Paragonisi la nota 12.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note18">
-<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Di fatto Lotario II nel 1133 attribuiva a questa città
-<i>arimanniam cum rebus communibus ad mantuanam civitatem
-pertinentibus</i>. Del 1056 si ha l’investitura <i>Elisei episcopi
-Mantuæ facta communi et universitati et hominibus Mutuæ
-de tota aqua Padi</i>: al qual uopo due <i>sindaci et procuratores
-communis</i> pagarono ad esso vescovo quaranta lire imperiali per
-essere investiti di quel diritto. Altrove i nobili erano detti Lombardi;
-per es. negli statuti di Pisa, lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> rubr. 109: <i>Non patiemur
-aliquem vel filium militis vel nobilem vel lambardum etc.</i>;
-nel registro dei censi della chiesa romana: <i>Quidam milites, qui
-dicuntur Lambardi</i>; e ap. <span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 89,
-ove <i>Cattani et Lambardi de la Quercinola, Lambardi de Aquaviva
-etc.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note19">
-<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Legge</i> <span class="smcap lowercase">XXXI</span> delle aggiunte alla Longobarda, e la <span class="smcap lowercase">IV</span> delle
-<i>Leggi longobarde</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note20">
-<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Campi</span>, <i>Hist. eccl.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 480.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note21">
-<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 1020 e 493.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note22">
-<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II.</span> 191.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note23">
-<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ut omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere
-et emere, juraverunt omnes cambiarii et speciarii, qui ad
-cambium vel species stare voluerint, quod ab illa hora in antea
-non furtum faciant nec treccamentum aut falsitatem, infra
-curtem Sancti Martini, nec in domibus illis in quibus homines
-hospitantur... Sunt etiam insuper qui curtem istam custodiunt,
-et quicquid male factum fuerit, emendare faciunt.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note24">
-<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. dipl. Berg.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span> 621 e 773.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note25">
-<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 143.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note26">
-<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Breve recordacionis de concordia hominum Clavennatum
-et Pluriensium. Jurare debent quatuor homines de Clavenna et de
-Pìuri de guidare comune de Clavenna et de Pluri et eorum bona
-et personas bona fide, sine fraude in pace et in guerra; et de
-illis rebus quæ venient eis inter manus <span class="upright">per istam consulariam</span>
-non facient furtum, nec consentient facienti; et illud quod
-remanebit in fine suæ consulariæ de quæstu quod ipsi fecerint,
-partientur inter Clavennates et Plurienses, ita scilicet ut Clavennates
-habeant tres partes, et Plurienses quartam sine fraude:
-et si dispendium fuerit factum pro comuni de Clavenna, sine
-fraude illi de Pluri solvere debeant quartam partem et Clavennates
-tres partes etc.</i>
-</p>
-
-<p>
-È citato nella decisione che Anselmo Dell’Orto, console di
-Milano nel 1155, diede sopra una quistione fra i consoli di quei
-due luoghi; riportata dal padre Allegranza, <i>Dell’antico fonte
-battesimale di Chiavenna</i>. Venezia 1765.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note27">
-<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il più antico statuto che si conosca fatto da una corporazione
-in Lombardia sarebbe dell’835, con cui alla corte imperiale
-di Castelvetere, donata a Santa Maria di Cremona, i canonici
-di questa dettano statuti; che nessun uomo di quella venda
-o tenga albergo o taverna senza licenza loro, pena trenta soldi:
-non tener giuoco o bisca o meretrice; non rubare; non accoglier
-pubblico bandito o ladro; e si stabilisce la pena per chi ferisca
-in rissa, tiri pei capelli, faccia adulterio, guasti una fanciulla. I
-quali statuti furon letti in presenza di molti uomini di Castelvetere,
-e ricevuti e giurati da essi. — È pubblicato dall’Odorici
-nell’<i>Archivio storico</i>, nuova serie, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span>, pag. 39, ma potrebbe
-esser falso come altri di quella provenienza.
-</p>
-
-<p>
-Un de’ primi atti di Comune sarebbe quello che cita esso Odorici
-al 969, in cui re Ottone al Comune ed università di Maderno,
-nel Bresciano presso al Benáco, che aveangli mandato deputati
-per chieder la conferma della loro immunità, rimette tutti gli
-ossequj, usi, dazj che ai predecessori suoi soleano retribuire,
-assolvendo i Madernesi da ogni nodo di servitù, dando facoltà
-di pesca e caccia per tutto il lago e di farvi quel che credono,
-e considerandoli liberi con tutte le loro adjacenze, vigne, oliveti,
-campi colti e incolti, mobili ed immobili, telonei, ripatici, ostiatici;
-volendo che tutte queste cose vengano in diritto e proprietà
-d’esso Comune e università di Maderno in perpetuo. Peccato
-che l’Odorici non garantisca abbastanza i documenti che produce:
-affinchè, s’egli non è uomo da ingannare, assicurasse pure che
-non venne ingannato.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note28">
-<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Sotto l’896, Landolfo seniore indica che ad ognuna delle
-sei porte di Milano i Romani avessero formato di quelle opere
-di difesa, che essi chiamavano <i>procestre</i> o <i>clavicule</i>, e noi <i>rivellini</i>;
-e li dice altissimi e di pianta triangolare. Senza credere
-appartengano ai Romani, se ne induce, primo, l’antichità di tali
-fortificazioni, che alcuni vorrebbero inventate solo nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo;
-secondo, che la città non doveva essere stata rasa affatto da
-Uraja, come ci vogliono dare a credere, se trecent’anni dipoi
-v’aveva mura sì antiche da non ricordarsene la costruzione.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note29">
-<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Dandoli</span>, <i>Chron.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII.</span> c. 16.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note30">
-<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">II.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note31">
-<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note32">
-<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist, patriæ</i>, 998.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note33">
-<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Arch. diplom. sienese, Pergamene</i>, n. 14 e 21.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note34">
-<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Constitutiones quas habent de mari sic iis observabimus,
-sicut illorum est consuetudo. Nec marchionem aliquem in Tuscia
-mittemus sine laudatione hominum duodecim, electorum in colloquio
-facto sonantibus campants.</i> Antiq. M. Æ., diss. <span class="smcap lowercase">XLV.</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Incipit prologus constitutionum Pisanæ civitatis. Nobis Pisanorum
-consulibus, constituta facientibus æquitashortando suasit,
-omnibus ea scire atque intelligere volentibus, originem ipsorum
-et causam atque nomen exponere, ne, ut ita dixerimus, quasi
-illotis manibus, nulla præfatione facta, ex improvisu ad ipsa
-perveniant.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Pisana itaque civitas, a multis retro temporibus vivendo lege
-romana, <span class="upright">retentis quibusdam de lege longobarda</span>, sub
-judicio legis, propter conversationem diversarum gentium per
-diversas mundi partes suas consuetudines non scriptas habere
-meruit, super quas annuatim judices possint quos provisores
-appellavit; ut ex equitate, pro salute justitiæ et honore et salvamento
-civitatis, tam civibus quam advenis et peregrinis et omnibus
-universaliter in consuetudinibus providerent. Qui ex diversitate
-scientiæ atque intellectus, per diversa tempora eadem negotia
-atque similia, aliter alteri, et omnino e contra quam illi judicaverint;
-unde Pisani, qui fere præ omnibus aliis civibus justitiam
-et æquitatem semper observare cupierunt, consuetudines suas,
-quas propter conversationem quam cum diversis gentibus habuerunt,
-et hucusque in memoria retinuerunt, in scriptis statuerunt
-redigendas, pro cognitione eorum ea scire volentium. Qua
-de causa et nos, et ante nos quamplurimos alios sapientes civitatis
-elegerunt, qui hoc sub sacramento faceremus, et corrigenda
-corrigeremus, atque causas et quæstiones consuetudinum a causis
-et quæstionibus legum discernendo redigeremus in scriptis.
-Quorum statuta in scriptis redacta, sunt appellata constituta,
-quasi a pluribus statuta, et etiam a civitate recepta et confirmata.
-Ex quibus hoc volumen compositum a nobis et confirmatum
-consulibus justitiæ, scilicet, Rainerio de Parlascio et Lanfranco,
-pro se et suis sociis, scilicet Lamberto Grasso de Sancto
-Cassiano, Boccio Cocco, Henrico Friderici Bulso, olim Petri
-Albithonis, et Sysmundo quondam Henriqui Nithonis, per publicationem
-obtulimus et dedimus. Anno incarnationis Domini</i>
-<span class="smcap lowercase">MCLXI</span>, <i>indictione</i> <span class="smcap lowercase">IX</span>, <i>pridie kalendas januarii, regnante domino
-Friderico felicissimo atque invictissimo imperatore nostro et
-semper augusto.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Extra quod volumen si quod aliud constitutum de usibus
-scriptum inveniatur, auctoritatem non habere constituimus, nisi
-super factis secundum sua tempora; servata et in eis constitutione
-hac</i> Sicut lege et constitutiones, etc.; <i>non tamen occasione
-hujus constitutionis in factis futuris ab hinc in antea vel ex quo
-illud constitutum emendatum vel sublatum fuerit protrahatur.</i>
-</p>
-
-<p>
-Su quegli statuti hanno fatto studj i Dal Borgo, il Valsecchi,
-il Targioni-Tozzetti, il Savigny, ecc., e più profittevoli il Bonaini.
-</p>
-
-<p>
-* Lo statuto dei Consoli del 1162 da lui pubblicato, non è il
-più antico. V’era un podestà nel 1190, e lo statuto di questo è
-più ampio perchè comprende gli statuti particolari.
-</p>
-
-<p>
-Daiberto tra il 1088 e il 1092 <i>episcopus Pisanorum</i>, aggiuntisi
-per socj i valorosi e sapienti Pietro Visconti, Rolando e
-Stefano Guinizone, Mariniano, Alberto; considerando l’antica
-peste della città pisana la superbia, per la quale faceansi quotidiani
-omicidj innumerevoli, spergiuri, incesti, principalmente in
-occasione di distrugger case e altri mali assai, col consenso e il
-lodo de’ sopradetti uomini, e di tutti gli abitanti di Pisa, di
-Borgo e Chinzica, ordina qual deva esser l’altezza delle torri,
-sia su terreno proprio, sia su feudale o ecclesiastico. E chi lo
-viola si abbia per scomunicato, e guardinsi da lui come da eretico
-e dannato, nè abbiasi comunione con lui in chiesa o in nave.
-</p>
-
-<p>
-Del 1154 si ha il catalogo dei consoli, con autorità <i>a cuncto
-Pisarum populo in publica contione concessa, clamante</i> <span class="smcap lowercase">FIAT FIAT</span>.
-</p>
-
-<p>
-Nel Pisano aveano statuti proprj Calci, Vico, Buti, Marti,
-Palaja, Peccioli, Piombino, Campiglia, Scarlino, Castiglione della
-Pescaja, l’isoletta di Pianosa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note35">
-<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ap. <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. Estensi</i>, part. <span class="smcap lowercase">I.</span> c. 17.
-</p>
-
-<p>
-Dell’immunità riportiamo solo le parti principali: <i>In nomine
-sancte et individue Trinitatis. Otto gratia Dei imperator augustus
-etc. Agnoscat universitas nostrorum fidelium... qualiter
-nos, pro Dei omnipotentis amore, nostrarumque animarum
-remedio inclinati precibus Huberti episcopi, dilecto fidelique
-nostro, per hoc nostrum preceptum donamus, concedimus atque
-largimur omnibus sacerdotibus, levitis, universis sacris ordinibus,
-Luce civitati commorantibus, seu etiam suburbanis, ut deinceps
-in antea a nullis magnis parvisque personis ad secularia judicia
-pro qualicumque controversia examinentur vel distringantur nisi
-ab eorum presule, et ut illis in domibus eorum aliqua invasione
-audeat inferre, vel tributum, seu etiam superimpositum iisdem
-sacerdotibus etc... a quaqua persona minime imponatur vel requiratur;
-et ne aliquis audeat se intromittere sine legali judicio in
-universis suppellectilibus eorum, sive in servis etc. Insuper concedimus
-ob nostram imper ialem dictionem omnibus sacer dotibus...
-ut eorum advocatus non aliter, nisi solus juret, sine ulla contradictione,
-sicut in sancta romana ecclesia agitatur... Et ita
-sane precipientes jubemus, ut nullus dux, sive marchio... audeat
-se ultro ingerere in omnibus casis et rebus jam superius prenotatis,
-vel etiam eis servitia, aut injurias inferre...</i> Segue la pena
-<i>auri optimi libras centum</i> contro i violatori, da pagarsi per
-metà <i>camere nostre, et medietatem predictis sacerdotibus... Quod
-ut verius credatur, diligentiusque ab omnibus observetur, manibus
-propriis roborantes annuli nostri impressione insigniri jussimus.</i> — <i>Signum
-domini Ottonis serenissimi imperatoris.</i>
-</p>
-
-<p>
-Ecco pure il diploma di Ottone II: <i>Ob amorem Dei, tranquillitatemque
-fratrum in Lucensi ecclesia famulantium, atque sub
-ipsius diæcesos degentium libenter concedere placuit, et hoc nostre
-auctoritatis preceptum immunitatis, atque tuitionis gratiam erga
-eandem ecclesiam fieri decrevimus, nominative de custodibus,
-castellis, monasteriis, plebibus, cellulis, aldionibus et aldiabus,
-servis et ancillis, piscationibus, aquis, aquarumque ductibus,
-pratis, vineis, campis etc... Precipientes quapropter jubemus, ut
-nullus dux, marchio, comes, vicecomes, judex publicus, aut gastaldus,
-vel quilibet ex judiciaria potestate, in cellulas, aut ecclesias,
-vel domos clericorum, curtes, seu villas, aut loca, vel agros,
-castella, seu reliquas possessiones memorate ecclesie.... ad causas
-audiendas, vel freda exigenda, aut mansiones vel paratas faciendas,
-aut fidejussores tollendos, aut homines ipsius ecclesie
-tam ingenuos quam servos distringendos, aut ullas redibitiones...
-illicitasve occasiones requirendas, nostris vel futuris temporibus
-ingredi audeat, vel ea que supra memorata sunt, penitus exigere
-presumat; sed liceat memorato presuli, suisque successoribus,
-sibi subjectis, vel omnibus ad se aspicientibus, sub tuitionis atque
-immunitatis nostre defensione, remota totius judiciarie potestatis
-inquiet udine possedere. Tonsos vero, quos sua parochia... et omnes
-homines in sua terra residentes, aut ad ejusdem terre castella
-confugientes, ad jam dicti episcopi suorumque successorum veniant
-judicium, et nulla imperii nostri magna parvaque persona
-habeat potestatem ad distringendum, sed liceat ei ad vicem regie
-potestatis eos distringere etc.</i> Memorie lucchesi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note36">
-<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Bullam plumbeam pro sigillo comunitatis.</i> <span class="smcap">Ptol. Lucensis</span>,
-<i>Ann. eccl.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note37">
-<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Lucanis civibus pro bene conservata fidelitate eorum in
-nos, et pro studioso servitio eorum, nostre regie potestatis auctoritate
-concedimus, et concedendo statuimus, ut nulla potestas,
-nullusque hominum murum lucensis civitatis antiquum seu novum
-in circuitu dirumpere aut destruere presumat; et domos quæ
-intra murum hunc edificate sunt vel adhuc edificabuntur, aut
-circa in suburbio, nulli mortalium aliquo ingenio aut sine legali
-judicio infringere liceat. Preterea concedimus predictis civibus
-ut nostrum regale palatium intra civitatem vel in burgo eorum
-non edificent, aut inibi vi vel potestate hospitia capiantur. Perdonamus
-etiam illis ut nemo deinceps ab illis exigat aliquod fodrum
-et curaturam a Papia usque Romam, ac ripaticum in
-civitate Pisa vel in ejus civitate. Statuimus etiam ut si qui homines
-veniant in flumine Serculo vel in Motrone cum navi causa
-negotiandi cum Lucensibus, nullus hominum eos vel Lucenses
-in mari vel in suprascriptis fluminibus eundo vel redeundo vel
-stando molestare, aut aliquam injuriam eis inferre, vel depredationem
-facere, aut aliquo modo hoc eis interdicere presumat.
-Precipimus etiam ut si qui negotiatores veniant per stratam a
-Luna usque Lucam, nullus homo eos venire interdicat, vel alio
-conducat, sive ad sinistram eos retorqueat, sed secure usque
-Lucam veniant, omnium contradictione remota. Volumus autem
-ut a predicta urbe infra sex milliaria castella non edificentur, et
-si quis aliquis munire presumserit, nostro imperio et auxilio
-destruantur. Et homines ejusdem civitatis vel suburbii sine legiptima
-judicatione non judicentur. Et si aliquis civium predictorum
-predium vel aliquam tricennalem possessionem tenuerit, si
-auctorem vel datorem habuerit, per pugnam vel per duellum non
-fatigetur... Longobardus judex judicium in jam dicta civitate
-vel in burgo aut placitum non exerceat nisi nostra aut filii
-nostri presente persona, vel etiam cancellarii nostri. In hac vero
-concessione sive largitione nostra sancimus ut nullus <span class="upright">episcopus</span>,
-dux, marchio, comes, nullaque nostri regni persona predictos
-cives in his concessis inquietare, molestare, disvestire presumat.</i>
-Pubblicato dal Minutoli nell’<i>Archivio storico</i>, vol. <span class="smcap lowercase">X.</span> doc. 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note38">
-<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questo giudicato si vedrà nel cap. <span class="smcap lowercase">LXXXV.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note39">
-<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Documenti per servire alla storia lucchese</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I.</span> p. 174: — <i>In
-nomine sanctæ et individuæ Trinitatis. Velfo dux Spoleti,
-marchio Tusciæ, princeps Sardiniæ, dominus domus comitissæ
-Mathildis.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Quia justum et rationi consentaneum videtur imperatorem,
-sive magnos principes imperii, fidelium petitionibus condescendere
-suorum; idcirco et ego, petitionibus fidelium et dilectissimorum
-suorum Lucensium condescendere volens, Lucanæ civitati
-totoque ejus populo do, concedo atque confirmo omnem ejus
-actionem, jurisdictionem, et omnes res quæ quoquomodo mihi
-pertinent, vel ad jus marchiæ pertinere videntur, vel ad jus
-quondam comitissæ Mathildis, vel quondam comitis Ugolini
-pertinuerunt, tam infra Bechariam civitatem ejusque burgos,
-quam extra infra quinque proxima milliaria prædictæ civitati,
-ab omni parte ejusdem civitatis, exceptis fodris meorum vassallorum
-ex parte marchiæ, vel prædicti comitis Ugolini. Præterea
-infra præfata quinque milliaria proxima Lucanæ civitati ab
-omni parte non ædificabo aliquod castellum, nec ædificare faciam.
-Pro qua mea datione et concessione consules vel rectores
-qui pro tempore in dicta civitate fuerint, vel aliqua persona pro
-subscripta civitate dare debeant mihi, vel meis successoribus aut
-misso nostro, infra prædictam civitatem omni anno in quadragesima
-infra proximos octo dies postquam a nobis vel a nostro
-nuntio literas sigillatas ostendendo prædictis consulibus, vel
-rectoribus aut populo denunciatum fuerit, solidos mille lucensium
-denariorum expendibilium, et sic debeant facere et observare
-prædicti consules, vel rectores aut aliqua persona pro civitate
-dehinc ad nonaginta annos. Et licet ego sciam quod hæc mea
-concessio annuatim majorem redditum quam sit dictum, et etiam
-ultra duplum promittat, tamen illam plenissima auctoritate corroboratam
-per me et meos successores firmiter et incorrupte, sicut
-dictum est, permanere constituo. Siqua vero persona contra hujus
-nostræ concessionis et dationis paginam venire præsumpscrit,
-statuimus ut libras centum auri componat, medietatem cameræ
-nostræ, et medietatem prædictæ civitati. Ut autem hæc scriptura
-immutabili veritate et stabilitate permaneat, sigilli nostri impressione
-insigniri jussimus, et propria manu confirmantes
-subscripsimus.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Acta sunt hæc in civitate Lucensi, anno incarnationis Domini</i>
-<span class="smcap lowercase">MCLX</span>, <span class="smcap lowercase">VIII</span> <i>idus aprilis, præsentibus vero testibus his, etc.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note40">
-<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il diploma è del 5 maggio 1129: l’originale dovette perire
-come il resto dopo la memorabile sollevazione del 1678, ma
-tutti gli storici ne parlano, e mostrano tenerlo per vero, eccetto
-in pochi casi di controversia. (Oggi alcuni l’impugnano).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note41">
-<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, v. 753.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note42">
-<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone per
-voler di Dio imperatore augusto. Se assentiamo alle domande
-degli altri nostri fedeli, molto più giustamente inclinar dobbiamo
-le orecchie alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano
-dunque tutti i fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio presenti
-e futuri, che Adelaide imperatrice augusta moglie nostra invocò
-la nostra clemenza, affinchè per amor suo gli abitanti dell’Isola
-Comacina e del luogo che dicesi Menaggio ricevessimo sotto la
-nostra difesa, e confermassimo coll’autorità nostra i privilegi
-che ebbero dagli antecessori nostri e da noi stessi avanti l’unzione
-imperiale, cioè di non far oste, non aver l’albergario, non
-dare la curatura, il terratico, il ripatico o la decima nel nostro
-regno, nè andare al placito, se non tre volte l’anno al placito
-generale in Milano. Tanto concediamo, ecc. Dato all’<span class="smcap lowercase">VIII</span> avanti
-le calende di settembre, anno dell’Incarnazione 962, <span class="smcap lowercase">I</span> dell’impero
-del piissimo Ottone, indizione V, in Como». <i>Ap</i>. <span class="smcap">Rovelli</span>,
-<i>Storia di Como</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. (Oggi vuolsi dubitarne).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note43">
-<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ughelli</span>, <i>Italia sacra</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 596.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note44">
-<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ea quæ sue locutionis proprietate comunia vocant.</i> Antiq.
-M. Æ., <span class="smcap lowercase">IV</span>. 24.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note45">
-<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Breve recordationis de Ardicio de Aimonibus.</i> Sul qual
-documento io ho troppo dubbj.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note46">
-<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antichità Estensi</i>, part. I. c. 29. — <i>In nomine sancte et
-individue Trinitatis. Velfo Dei gracia dux et marchio, Mathilda
-Dei gracia si quid est. Justis petitionibus adquiescere, et nostros
-fideles honoribus et commodis ampliare per omnia nostram condecet
-potestatem. Quapropter omnium sancte Dei ecclesie, nostrorumque
-fidelium tam futurorum quam presentium noverit
-industria, qualiter nostri fideles mantuani cives nostram adierunt
-clementiam, quorundam suorum concivium oppressiones
-relevari petentes, et erimannos omnes, et communes res sue civitatis
-a nostris predecessoribus illis ablatas, sibi restitui postulantes.
-Et nos, ob memorabilem eorum fidelitatem et servicium,
-justis eorum precibus annuentes, omnes exactiones et violentias
-non legales funditus deinceps abolendas, et radicitus extirpandas
-modis omnibus decernimus et firmamus. Statuentes etiam, ut neque
-nos, neque nostri heredes, neque ulla magna, parvaque nostre potestatis
-persona, predictos cives in mantuana civitate, vel in suburbio
-habitantes, vel deinceps habitaturos, de suis personis, sive
-de illorum servis, vel ancillis, seu de liberis hominibus in eorum
-residentibus terra, vel de ermanna, et communibus rebus ad predictam
-civitatem pertinentibus ex utraque parte fluminis Mincii
-sitis, sive de beneficiis, libellariis, precariis, investituris, seu etiam
-de omnibus eorum rebus mobilibus et immobilibus adquisitis, vel
-adquirendis, inquietare, molestare, disvestire sine legali judicio,
-vel ad aliquam publicam exactionem vel functionem cogere presumat.
-Sed et neque in predicta civitate in domo alicujus, vel in
-suburbio, in domo militis vel in caneva alicujus, illis invitis,
-hospitari audeat. Insuper et illis restituimus omnes res communes,
-parentibus illorum concessas per preceptum imperatorum,
-scilicet nominative Saccam, Sepringenti et Carpenetam, et quidquid
-de Armanorio nobis hucusque retinebamus, sive per cetera
-loca in comitatu mantuano rejacentia, piscationes per flumina
-et paludes, scilicet utrasque ripas fluminis Tartari, deinde sursum usque ad flumen Olei. De alia parte usque in Fossam altam.
-De tertia parte usque in ecclesiam sancti Faustini in caput
-Variana, et deinde seorsum usque in Agricia majore. Ut liceat
-illis pabulare, capulare, secare, venari, et quicquid juris ipsorum
-parentes antiquitus in illis habuerant. Decernimus etiam, ut
-liceat omnibus predictis civibus et suburbanis per omnen nostram
-potestatem secure ire et redire, sive per aquam et per terram
-quocumque voluerint, ita ut nec theloneum, nec ripaticum dent.
-Et insuper illam bonam et justam consuetudinem eos habere firmamus,</i>
-<span class="smcap">quam quelibet optima civitas Longobardie obtinet</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note47">
-<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, I. 730; e la nuova conferma fattane dal
-Barbarossa, 732.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note48">
-<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Pater ejus de ordine illorum, qui jura et leges civitatis
-asservabant, fuit.</i> <span class="smcap">Bolland</span>., <i>ad</i> 28 <i>maj</i>. In una carta del 721
-dell’archivio di Sant’Ambrogio è nominato Vitale suddiacono,
-<i>exceptor civitatis Placentinæ</i>, cioè notaro. A un diploma del
-1100 di Anselmo arcivescovo di Milano, il clero vercellese soscrive:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Hoc Vercellarum clerus decus ecclesiarum</i></p>
-<p class="i01"><i>Laudat <span class="upright">cum populo</span> laudibus egregio.</i></p>
-<p class="i05"> <span class="smcap">Puricelli</span>, Monumenta ambrosiana, 289.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Così Aosta ebbe statuti nel 1118, pubblicati dal Cibrario;
-Capua nel 1109, dati dal Bonaini; Verona, decreti di consoli
-nel 1140.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note49">
-<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Consulum epistolarum dictator.</i> Hist. Med., cap. 15.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note50">
-<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Consulibus, capitaneis, omni militiæ universoque mediolanensi
-populo. Civitas Dei inclyta conserva libertatem, ut pariter
-retineas nominis tui dignitatem, qui, quamdiu potestatibus
-Ecclesiæ inimicis resistere niteris, vere libertatis auctore Christo
-domino adjutore perfrueris.</i> <span class="smcap">Martene</span>, <i>Collect. vet. scriptorum et
-monumentorum</i>, tom. I. p. 640. Si avverta come non vi si faccia
-motto dell’arcivescovo, nè del clero. La prima menzione di consoli
-in Milano è nel 1100. Una carta del 1109 dell’archivio di
-San Fedele di Como fu stesa <i>multis adstantibus cumanis consulibus</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note51">
-<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Landulphi Sancti Pauli</span>, cap. 31.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note52">
-<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nell’897 il vescovo Adalberto costituisce il vivere comune
-de’ canonici dotandoli di molti beni, distratti dalla mensa vescovile;
-del che delibera in concilio coi sacerdoti e tutto il clero
-d’essa chiesa, <i>et reliquis nobilibus hominibus, qui eidem synodo
-intererant, tractans cum eis de statu et soliditate ipsius ecclesiæ</i>.
-Nel 1000 il vescovo Reginfredo fa molti doni ad essi canonici,
-ancora presenti <i>presbyteris et diaconibus cum certa parte nobilium
-laicorum</i>. <span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. dipl. Berg.</i>, tom. I. 1059. 1064. Sorte
-poi controversie fra i canonici di Sant’Alessandro e quei di
-San Vincenzo, nel 1081 il vescovo Arnulfo li rappacificava
-<i>secundum consilium multorum clericorum, civium, extraque urbe
-manentium sapientum et nobilium</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note53">
-<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>De civibus autem præfatæ civitatis, Alberto Tozoni, Arimbaldo
-Cozo, Petro de Curte regia, Adam de Castello, Lanfranco
-Nozo de Polterniano, Lanfranco Ottoni, et insuper compluribus.</i>
-Cod. dipl., 759.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note54">
-<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Laude duodecim habitatorum qui electi fuerunt ad hoc,
-vel laude comunitatis... laude duodecim consulum</i>. Nel 1167 essi
-conti, sgomenti dai progressi della Lega Lombarda, confermarono
-ed ampliarono tali privilegi ai vassalli e agli abitanti, obbligandoli
-al servizio militare e al fodro e alla fedeltà a Federico.
-I Novaresi, appena partito Federico, assediano il castello di
-Biandrate (1168) e si obbligano a tenerlo distrutto, e non ricevere
-i conti <i>nec pro habitantibus nec pro vicinis</i>. Monum. Hist.
-patriæ, I. 708. Sarebbe la prima menzione <i>contemporanea</i> di
-consoli.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note55">
-<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Del giuramento fatto prestare ai singoli membri d’un Comune
-trovansi i processi qua e là; ed alla stampa, fra altri, indicheremo
-quello con cui gli uomini del paese di Triora giurarono
-fedeltà al Comune di Genova nel marzo 1261; i sottoscritti sono
-circa trecentottanta. Nel <i>Liber jurium</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>, pag. 1334.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note56">
-<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Astensis ecclesiæ episcopus nostram efflagitans adiit celsitudinem,
-quatenus sibi suaque ecclesiæ... secundum avi et patris
-nostri præcepta... totum episcopatum astensem, cum integro
-districtu civitatis, cum quatuor miliariis in circuitu, nostræ confirmationis et donationis præcepto corroborare et largiri dignaremur...
-videlicet quidquid ad publicum jus pertinet in thelonei
-et mercati redibitione, seu aquatici atque ripatici... cum placitis
-et omnibus vectigalibus... Volentes etiam jubemus, nullus habitator
-in castellis aut villis sui episcopatus ad placitum alicujus
-comitis vel hominis, nisi ad episcopi placitum aut sui nuncii
-vadant aut legem faciant</i>. Monum. Hist. patriæ, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>., 289.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note57">
-<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Sotto l’invasione, una parte de’ vincitori collocossi in
-campagna, formandovi Comuni villerecci (<i>pagus, gaue</i>), governati
-con leggi tedesche; mentre altra parte della campagna
-spettava ai vinti e regolavasi giusta il colonato romano, cioè
-rimanendo le persone libere da servigi personali, e le terre
-in libero commercio, vendendosi e affittandosi senza tampoco
-l’obbligo all’affittuario d’abitarle e coltivarle. In que’ dei vincitori
-invece era stabilita la servitù della gleba. Tal condizione
-diversa appare da molti documenti, e specialmente da quelli
-che concernono la chiesa di Firenze e di Siena (Ap. <span class="smcap">Rumhor</span>,
-pag. 7-24), e da altri presso lo stesso che riguardano la repubblica
-sanese (pag. 25-41).
-</p>
-
-<p>
-Firenze, costituitasi a Comune, cercò fiaccare i feudatarj.
-Essi pertanto s’indussero a sminuire la propria potenza, esimendo
-i coloni dai servigi personali, del che molti documenti
-adduce esso Rumhor dalla metà del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo a quella del <span class="smcap lowercase">XIII</span>
-(pag. 42-82). O si precisavano i servigi imposti, o vi si surrogavano
-prestazioni in generi, o i padroni ripigliavansi parte
-delle terre lavorate dai coloni, a cui essi altra parte ne lasciavano
-in compenso del diritto che il gius romano dava a questi
-di non essere staccati dalla propria terra. Quindi nacquero in
-Toscana molti piccoli possidenti campagnuoli. Le repubbliche
-favorirono la redenzione dei coloni, e gli statuti ne sono pieni:
-Firenze nel 1289 ordinò l’intero loro affrancamento: ricomprò,
-l’anno seguente, i coloni del Mugello dalla mensa arcivescovile
-e dal capitolo di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Riscattati i coloni, le terre divennero di libera circolazione,
-e quindi oggetto alle speculazioni de’ denarosi, che
-compraronle dai coloni cui erano rimaste, e che le aveano
-suddivise per eredità: così entrando ne’ mercanti la voglia di
-possedere, adoprandovi anche la frode e la violenza. I comunelli
-di contadini, ch’eransi ordinati sui monti accanto alle
-rocche feudali, ne scesero per vivere in mezzo al podere. I signori
-che aveano riscattato i fondi, li diedero a coltivare agli
-antichi coloni con diversi patti, fra’ quali è costante la cura
-di mantener le piante di cui il fondo era vestito; cura che
-anche oggi è capitale. Così vennero la colonia parziaria, la
-mezzerìa.
-</p>
-
-<p>
-Questa nelle carte toscane appare stabilita verso il 1250.
-Ma pure non mancano esempi di affitto semplice a prestazione
-certa e in generi o in denaro.
-</p>
-
-<p>
-Vedansi <i>Cenni storici delle leggi sull’agricoltura, dai tempi
-romani fino ai nostri</i>, dell’avv. <span class="smcap">Enrico Poggi</span>, Firenze 1845.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note58">
-<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Lami</span>, <i>Memor. Eccl. florentinæ</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note59">
-<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. hist. patriæ</i>, Scriptorum, <span class="smcap lowercase">III</span>. 1569. 1614.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note60">
-<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Storia di Imola</i>, inserita in quella di Lugo, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 15.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note61">
-<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Atti dell’Acc. di Lucca</i>, tom. <span class="smcap lowercase">X</span>. E nel 1195 vacando la
-chiesa parrochiale a Montopoli, i consoli e il gastaldo supplicarono
-il vescovo di Lucca, <i>loro signore</i>, ad eleggerlo, come fece,
-<i>quia sum pro episcopatu patronus ejusdem ecclesiæ, et dominus
-illius terræ</i>. Mem. lucchesi, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note62">
-<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 40.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note63">
-<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ghilini</span>, <i>Annali</i>. Milano 1666.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note64">
-<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Così il Villani e il Malaspina; ma gli eruditi arruffano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note65">
-<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Flaminio Dal Borgo, nella <i>Raccolta di diplomi pisani</i>,
-1765, pag. 186, reca una formola della conferita cittadinanza,
-che tradotta suona così:
-</p>
-
-<p>
-«Parendo giusto e salutevole che, quando uomini di buona
-fama desiderano associarsi al consorzio della città di Pisa, e
-farsi cittadini pisani, siano ricevuti con equa benignità dopo
-prestato il giuramento di cittadinanza, e godano degli onori e
-privilegi dei Pisani, in ogni luogo, io Opizzino, figlio di Sano di
-Bientina, giuro sui santi vangelj di Dio che non sarò in consiglio
-od atto perchè la città pisana perda l’arcivescovado, nè i
-suoi vescovi, nè il primato, nè la legazione di Sardegna, nè
-l’onore e gli onori che ora ha o è per avere. E se abiterò nella
-città o no, qualunque cosa mi sarà ingiunta dal potestà, dai
-rettori, dal pretore, dai consoli, o da qualche delegato o capitano
-per l’onore della città, o per le persone o per le cose, sia
-direttamente o per nunzj o per lettere, senza frode lo farò e
-osserverò. Quando sappia che alcuno voglia sminuir l’onore
-della città, se lo potrò senza grave spesa, l’impedirò; se non
-potrò, lo significherò ad alcuni dei predetti al più presto. Le
-persone e cose de’ Pisani in terra, in acqua e dovunque possa
-difenderò. Le credenze che da alcuno de’ suddetti per giuramento
-mi siano imposte, non manifesterò. Queste cose per coscienza,
-senza frode osserverò, secondo la consuetudine degli
-altri cittadini di Pisa; e n’ho rogato Stefano giudice e notaro e
-cancelliere di Pisa.
-</p>
-
-<p>
-«Fatto a Pisa fuor porta ecc. l’anno 1198 dell’incarnazione,
-indiz. <span class="smcap lowercase">XV</span>, al <span class="smcap lowercase">V</span> dagli idi d’aprile».
-</p>
-
-<p>
-E incontinente, alla presenza de’ medesimi testimonj rogati,
-il signor conte Tedicio podestà del Comune e della città di Pisa,
-investì detto Opizzino di tutti gli onori e privilegi, di cui godono
-i cittadini pisani nella città e fuori, ne’ fondaci, nelle botteghe,
-nelle navi e in qualunque luogo di terra e d’acqua, talchè ne
-goda come gli altri cittadini pisani; e lo costituì e confermò
-cittadino pisano; e lui e gli eredi e i beni suoi liberò da tutti
-i pesi rusticani, sicchè più non sia tenuto fare servizj rusticani,
-nè dare la data, ecc.
-</p>
-
-<p>
-Altri di tali giuramenti sono nel Muratori, <i>Antiq. M. Æ.</i>,
-diss. <span class="smcap lowercase">XLVII</span>; e per esempio Guicellone da Camino e Gabriele suo
-figlio il 1183 facendosi cittadini di Treviso giuravano:
-</p>
-
-<p>
-«Abiteremo in essa città d’ogni anno due mesi in tempo di
-pace, e tre in tempo di guerra; qualora non ne siamo dispensati:
-ma in modo che, standovi l’uno, non sia obbligato l’altro;
-faremo giustizia e ragione sotto ai consoli o al podestà; apriremo tutte le borgate in pace e in guerra ai Trevisani per far
-guerra ai loro nemici; con buona fede e senza frode, custodiremo
-e salveremo i Trevisani e le cose loro in tutt’i borghi e le
-ville nostre, in piano e in monte; faremo oste e cavalcata, coi
-nostri uomini che sono dalla Livenza sin qua, liberi e servi; se
-si farà colletta o boateria (tassa sui bovi) fuor di città sopra i
-campagnuoli, vogliamo che vi obbediscano anche i nostri; daremo
-opera e consiglio affinchè quelli di Conegliano vengano a
-pace col Comune di Treviso, e prestino giuramento che noi prestiamo;
-faremo giurare dieci uomini di ciascuna nostra parrochia
-(<i>curia</i>), ad elezione dei consoli o del podestà, di seguirli e render
-ragione, e guardare e salvare gli uomini di Treviso e le cose
-loro.
-</p>
-
-<p>
-Il podestà e i consoli e il Comune di Treviso di rincontro
-giuravano, salvare e mantenere essi da Camino, come qualunque
-cittadino di Treviso, e i loro paesi e gli abitanti liberi
-o servi; se il comune di Treviso distruggerà alcun loro castello,
-lo riedificheranno; non osteranno a che ottengano ragione
-in qualunque lite o querela; non impediranno le guerre
-private già in corso, quand’anche le parti volessero fare il duello
-innanzi ad essi consoli o ai loro successori; non s’intrometteranno
-delle liti di libertà, mosse dagli uomini del loro contado;
-dan piena rimessione de’ danni e delle ingiurie passate, e delle
-pene e multe e dei bandi; e non si brigheranno degli uomini
-loro, abitanti di là della Livenza e in Cadubria; che se mancassero
-in alcuna di queste promesse, pagheranno lire quattromila
-venete, obbligando in sicurtà i beni comunali, di modo che
-possano occuparli e prenderne i frutti; e tutto ciò sarà giurato
-ogni dieci anni da cento militi e ducento pedoni.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1199 Alberto e Magninardo de’ conti Guidi cedevano ai
-Fiorentini il castello di Semifonte, giurando sui vangeli di salvare,
-custodire, difendere ogni persona della città di Firenze e
-dei borghi e sobborghi, far carta di vendita del poggio di Semifonte,
-quale è contenuto coi muri e le fossa, e <i>lasciar copiare</i>
-dal podestà e dai consiglieri le carte che vi sono; faran guerra
-quando ne siano domandati con lettere portanti il sigillo del
-Comune, nè faran pace o tregua o accordo co’ nemici senza
-consenso del podestà o de’ consoli; abiterà ogn’anno un di loro
-un mese in Firenze; faranno dazio al Comune di Firenze, sicchè
-possa mettere accatto su tutti i beni e le persone loro; del
-quale accatto metà andrà alla città di Firenze, metà al conte
-Alberto e sua discendenza; di qualunque strada passi sulla loro
-terra e giurisdizione non toglieranno pedaggio ad alcun cittadino o mercante di Firenze; non faranno alcun castello, nè
-incastelleranno alcuna terra nel poggio fra Virginio e l’Elsa, se
-non con permissione del magistrato di Firenze. <span class="smcap">Lami</span>, <i>Memor.
-Eccl. florent.</i>, pag. 389.
-</p>
-
-<p>
-Di simili patti n’ha molti nel II volume delle Carte nei <i>Monum.
-Hist. patriæ</i>. Così nel 1181 Ansaldo di Valenza giura la cittadinanza
-di Vercelli, promettendo comprarvi una casa di cinquanta
-lire pavesi ed abitarvi, difendere i Vercellesi, far guerra
-e pace con essi, dare ai consoli il fodro di quattrocento lire
-susine. Nel 1183 Obizzo marchese Malaspina e suo figlio Obizzino
-ai consoli di Piacenza consegnano il castello, il dongione,
-la torre e tutta la fortezza di Oramala. Nel 1185 Giacomo Zabolo
-e Pietro Bello di Cavaglià giuravano la cittadinanza di
-Vercelli, e comprerebbero una casa, la quale obbligavano ai
-consoli; l’anno seguente Guglielmo di Quarenga e Ansaldo; poi
-altri, sempre obbligandosi a comprare una casa e sottostare ai
-pesi comuni. Nel 1198, 22 aprile, si rogano i patti che gli Astigiani
-impongono ai signori di Manzano, Sarmatorio, Montefalcone,
-obbligandoli specialmente a far guerra ai marchesi di
-Monferrato e ai conti di Biandrate. Altri giuramenti al comune
-d’Asti vi sono alle pagine 1320, 1321, 1354, 1357, 1358, 1360.
-Ai 13 febbrajo 1190 Alba riceve per cittadini gli uomini di Magliano,
-Monticelli, Mango.
-</p>
-
-<p>
-* Il Comune di Vercelli fu de’ primi e più operosi a fondare
-borghi franchi, che furono sin 22 nel piccolo territorio. Sul che
-vedi <span class="smcap">Mandelli</span>, <i>Il Comune di Vercelli nel medioevo</i>, 1858.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note66">
-<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ex quo fit ut tota illa terra</i> (Lombardia) <i>intra civitates ferme
-divisa, singulæ ad commanendos secum diœcesanos compulerint;
-vixque aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri
-queat, qui civitatis suæ non sequatur imperium.</i> <span class="smcap">Otto Frisingensis</span>,
-lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note67">
-<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Omnium civitatum homines, maxime principalium, omnia
-civiliter et honeste agere oportet et decet. Est enim civitas conversatio
-populi assidua ad jure vivendum collecti.</i> Esordio d’un
-documento lucchese del 1124.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note68">
-<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Un documento del Dragoni, illustrato dall’Odorici nell’<i>Arch.
-Storico</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 21, parla di moneta cremonese nell’807; un
-altro dell’835 di soldi d’oro cremonesi, che farebbero presumere
-una zecca cremonese fin da Carlo Magno, e quel ch’è rarissimo
-allora, moneta d’oro e d’argento. È certo una soperchieria, come
-altre di quel codice.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note69">
-<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 204.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note70">
-<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bartoli</span>, <i>St. di Perugia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 216.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note71">
-<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Cumque tres ordines, idest capitaneorum, valvassorum et
-plebis esse noscantur, ad reprimendam superbiam, non de uno, sed de singulis consules eliguntur.</i> <span class="smcap">Otto Frising., ii.</span> 13. Il poeta
-bergamasco Mosè dice:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Tradita cura viris sanctis est hæc duodenis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Qui populum justis urbis moderatur habenis;</i></p>
-<p class="i01"><i>Hi sanctas leges scrutantes nocte dieque</i></p>
-<p class="i01"><i>Dispensant æquo cunctis moderamine quæque.</i></p>
-<p class="i01"><i>Annuus hic honor est, quia mens humana tumore</i></p>
-<p class="i01"><i>Tollitur assiduo cum sublimatur honore.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il Muratori, nella prefazione ad esso poema, crede che solo
-del 1184 cominciassero i consoli a Bergamo: ma già nel 1109
-si trova nominato Ripaldo dei Capitani di Scalve console; poi
-altri in una carta del 1117. Una lite nel 1114 fu decisa da quindici
-consoli di Como: ma qui si tratta di consoli de’ placiti,
-come sono forse i diciotto nominati in un documento del Giulini
-al 1117. Più importante è un altro presso il Lupo, <span class="smcap lowercase">II</span>, 945, dove
-sono annoverati tutti i consoli: <i>Nomina quorum consulum sunt,
-Arialdus Vesconte, Arialdus Grasso, Lanfrancus Ferrarius,
-Lanfrancus de Corte, Arnaldus de Rode, Arnaldus de Sexto,
-Azofonte, Mainfredus de Setara, Albericus de la Turre, Anselmus
-Avocatus; capitanei istius civitatis. Joannes Mainerii, Ardericus
-de Palazzo, Guazzo Arrestaguida, Malastrena, Otto de Fenebiago,
-Ugo Crivello, Guibertus Cotta, valvassores jam dictæ civitatis.
-Ugo Zavetarius, Alexius Lavezarius, Paganus, Ingovartus,
-Azo, Martinoni, Maxaso; cives ipsius civitatis.</i> Sono dunque
-sette cittadini, sette valvassori, e nove capitanei, forse perchè a
-questi vanno uniti il visconte, rappresentante dell’arcivescovo, e
-l’avvocato. Per Firenze vedi <span class="smcap">G. Villani, v.</span> 32.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note72">
-<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Pergamena nell’archivio diplomatico di Firenze.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note73">
-<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nei contratti, anche di chiese, trovasi tuttora menzione di
-aldj, di mundio, d’altre forme di legge longobarda. Nei <i>Monum.
-Hist patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 1170, trovo al 1195 la vendita d’un
-fondo fatta al capitolo di Santo Stefano di Biella dalla marchesa
-Guala, <i>viro et mundualdo suo consentiente</i>. Nell’istromento
-di nozze del beffato pittore Domenico Calandrini, al 24 febbrajo
-1320 in Firenze, si stipulò <i>consensu Benedicti mundualidi</i> della
-sposa, <i>quem eidem ad hoc in mundualdum constitui</i>. <span class="smcap">Manni</span>,
-<i>Veglie piacevoli</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. Lo statuto di Benevento del 1207, approvato
-da Innocenzo III, vuole che <i>secundum consuetudines approbatas
-et legem longobardam, et eis deficientibus, secundum
-legem romanam judicetur</i>. <span class="smcap">Borgia</span>, Mem. di Benev., <span class="smcap lowercase">II</span>. 182. 413.
-Nel <i>Liber consuetudinum Mediolani</i> del 1216 è una rubrica
-<i>Quando de crimine agitur criminaliter. Punitur in rebus et persona
-secundum legem municipalem nostræ civitatis, vel legem
-Langobardorum, vel legem Romanorum... Si is cui maleficium
-factum invenitur, jure Langobardorum vivebat, sicuti nonnulli nostræ jurisdictionis vivunt. Idemque erit si extraneus lege romana
-vivit</i>. Nello statuto di Como del 1281: <i>Lombarda non
-servetur nisi in pugnis et in illis casibus de quibus fit mentio in
-statutis</i>. Lo statuto di Pisa del 1186 ha una rubrica <i>De legibus
-seu titulis ex lege longobarda in nostro jure retentis et approbatis</i>;
-e nel prologo di quello rifatto il 1281 si ha: <i>Pisana
-civitas a multis retro temporibus vivendo lege romana, retentis
-quibusdam de lege longobarda, sub judicio legis etc.</i> L’antichissimo
-statuto pistojese, alle rubriche 8 e 9, determina le varie
-multe per ferite fatte con ferro e legno, al modo longobardo.
-</p>
-
-<p>
-La contessa Matilde ora professa vivere a legge salica, ora a
-longobarda; del che non seppero render ragione nè il Lupo, nè
-il Muratori, nè il Savigny. Noi pensiamo che tali professioni riguardassero
-non la persona, ma la natura de’ possessi pei quali
-si stipulava, o del feudo di cui si trattava. Potrebbe darsi anche
-oggi che un medesimo possedesse un feudo di ragione longobarda,
-cioè divisibile fra tutti i figli, e uno di salica, cioè trasmesso
-per primogenitura, e un benefizio ecclesiastico da conferirsi
-per voti.
-</p>
-
-<p>
-Essa Matilde, nel documento del settembre 1079, professa <i>ex
-natione mea legem vivere Langobardorum; pro parte suprascripti
-Gottifredi qui fuit viro meo, legem vivere videor salicam</i>;
-poi in un documento del 9 dicembre 1080 dice: <i>quæ professa
-sum ex natione mea lege vivere salica</i>. Ap. <span class="smcap">Fiorentino</span>, <i>Documenti</i>,
-pag. 128, e in un altro del <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. It.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>,
-pag. 277.
-</p>
-
-<p>
-Anche nelle <i>Antichità Estensi</i> trovansi Bugiardo, Scotto e
-Buggeri che professano <i>ex natione nostra lege vivere Langobardorum</i>;
-eppure Ottone loro padre professava <i>ex natione mea
-lege vivere romana</i>.
-</p>
-
-<p>
-A conferma di quanto altri asserì, che non è vero i preti vivessero
-a legge romana, qui mi vien in taglio di notare che
-nella splendida donazione che il vescovo Rozio di Padova faceva
-nell’871 all’ospedale di Santa Giustina da lui fabbricato, professa
-<i>vivere secundum legem salicam</i>; e nel suddetto <span class="smcap lowercase">II</span> volume
-di Carte dei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, pag. 161, al 1069 Alessandro
-prete di Biella fa testamento professando <i>ex nacione mea legem
-vivere Langobardorum</i>.
-</p>
-
-<p>
-E nel vol. <span class="smcap lowercase">I</span> <i>Chartarum</i>, col. 299, è nominato <i>Adalbertus presbiter
-filius quondam Gorzano, qui professus sum ex nacione
-mea legem vivere Langobardorum</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note74">
-<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel 1151: <i>Nos Sirus archiepiscopus et consules Januæ
-præcipimus tibi, Philippo Lamberti, ut ab hac die in ante non
-sis consul Januæ, nec guida osti Januæ, nec conciliator Januæ,
-nec legatus Januæ, et præcipimus tibi ut, per sacramenta quæ
-homines Rassæ adversus te fecerunt, non reddas eis vel alicui
-eorum illum malum meritum.</i>
-</p>
-
-<p>
-L’arcivescovo di Pisa ebbe il pedaggio della dogana del sale
-e del ferro dell’isola d’Elba; un altro pedaggio a Castel del
-Bosco; e nel 1286 aveva già da gran tempo lite cogli Anziani
-per la giurisdizione temporale sopra i castelli di Meli, Riparbella,
-Beliora, Pomaja, Santa Luce, Lorenzana, Collalberti,
-Nugola, Filettole, Avane, Bientina, Usigliano, Collemontanino.
-</p>
-
-<p>
-I vescovi di Fiesole mandavano il loro visdomino alla Rufina;
-ma gli uomini di questa doveano aver licenza dalla Signoria di
-Firenze prima di giurargli fedeltà.
-</p>
-
-<p>
-Il vescovo di Torino, come quel di Luni, avea diritto a una
-parte di tutti i pesci che si pescassero. Nel 1170 Pipino vescovo
-di Luni consentiva ai Sarzanesi, i quali già si reggevano per consoli,
-di trasferire il loro borgo in riva alla Macra, ove dicesi Asiano,
-dando egli il terreno e i casamenti, e ricevendo tributo e giuramento
-e le antiche consuetudini quanto ai giudizj, ai bandi, ai
-macelli, ai cambisti, ai mercati, alle curatele, alle fosse, ai mulini,
-ai forni. Nel 1183 esso vescovo emancipò affatto i Sarzanesi.
-<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 1021.
-</p>
-
-<p>
-Il vescovo di Modena pretendeva dal Comune la giurisdizione
-e giudicatura nella città e per tre miglia in giro, tanto del civile
-come del criminale, e nelle emancipazioni, tutele, curatele,
-duelli, e nelle cause mercantili; inoltre l’acquedotto della Secchia
-e della Scultenna; la giurisdizione nel civile e nel criminale,
-e nell’elezione de’ consoli o del podestà, nelle emancipazioni
-e tutele e duelli in castel Razzano, Savignano, Vignola,
-Porcile, ecc., oltre alcuni possessi. I Modenesi rispondevano,
-tali diritti e giurisdizioni e possessi spettare a loro per concessione
-imperiale e per la pace fatta a Roncaglia (<i>sic</i>) tra l’imperatore
-e i Lombardi; inoltre posseduti da tempo immemorabile.
-Per molti anni se ne litigò, finchè, stanchi delle noje e delle
-spese, nel 1227 le parti vennero a transazione, concedendo al
-vescovo alquanti possessi e canali ed altri comodi, e duemila
-libbre imperiali, mediante le quali recedeva dalle restanti prestazioni.
-Solo restavagli di pronunziar le sentenze contro gli
-eretici, le quali poi il Comune obbligavasi di far eseguire. <i>Antiq.
-M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 254.
-</p>
-
-<p>
-Del 1162 papa Alessandro III confermava i beni e le giurisdizioni
-dell’arcivescovo di Milano, tante che ne mostrano la
-potenza. Dipendevano da lui primieramente assai chiese, monasteri,
-pievi in commenda: cioè nel vescovado di Torino la
-badia di San Costanzo colle sue cappelle; in quello d’Asti la
-chiesa di San Pietro di Mazano; in Albenga la chiesa di Santa
-Maria; nel vescovado d’Alba la pieve di San Michele di Verduno;
-in Burgulio il monastero di San Pietro, le chiese di San
-Giovanni e di Santo Stefano; nel Vercellese la pieve di Sant’Ambrogio
-di Frassineto, sempre colle loro cappelle; nel Tortonese
-la badia di San Pietro di Mola; quella di San Salvadore nel
-Piacentino; nel Milanese il monastero di San Calocero di Civate;
-la Santissima Trinità di Buguzate (Codelago); il monastero dei
-Santi Felino e Gratiniano in Arona; il monastero di Cremella,
-quel di Bernaga, quel di San Salvadore in Monza. Nel vescovado
-d’Acqui il monastero di San Quintino di Spigno, e quel di
-Santa Cristina presso l’Olona nel Pavese. Seguono terre con
-giurisdizione e giuspatronato; Sesto Calende con molte cappelle;
-il marchesato di Genova, e un palazzo e cappelle in questa
-città; Pontecurone nel Tortonese, Coirana nel Pavese, Casale
-non so quale, Burgulio dove fu fabbricata Alessandria; Lecco e
-suo contado, Monza e suo distretto, le rive dell’Adda da Brivio
-a Cavanago, quelle del Ticino da Sesto a Fara, Palanzo sul
-lago di Como; cui potrebbero aggiugnersi, benchè non nominati,
-il castello d’Angera, quel di Brebia e sua Pieve, e Cassano
-d’Adda; inoltre la zecca (Vedi <span class="smcap">Giulini</span>). Sotto il 1210, Galvano
-Fiamma stima l’entrata degli arcivescovi di Milano ottantamila
-fiorini d’oro, che il Giulini ragguaglia a dieci milioni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note75">
-<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia pol. del medio evo</i>, pag. 135.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note76">
-<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>.&nbsp;&nbsp;</span>L’autore de’ <i>Saturnali</i> chiamavasi <i>Teodosio Ambrosio Macrobio
-Sicetino</i>; il consigliere di Teodorico, <i>Flavio Anicio Manlio
-Torquato Severino Boezio</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note77">
-<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel catalogo d’una confraternita troviamo sei Pietro, altrettante
-Marie, tre Andrea, due Cristine, due Ingelberghe,
-quattro Martini, dieci Giovanni, e così altri, senza verun criterio
-per discernere gli uni dagli altri. <i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note78">
-<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Atela, Adela, Adeligia, Adeligida, Adalasia, Atelasia,
-Aidia, son varie forme del nome di Adelaide imperatrice: Adelchi,
-Aldechisio, Adelgiso, Algiso è il nome del figlio di re Desiderio:
-Obizo, Oberto, Adalberto, Alberto; Cuniza e Cunegonda;
-Adam e Amizone, ecc. sono identici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note79">
-<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>.&nbsp;&nbsp;</span>In una carta dell’archivio casauriense: <i>Ideo constat me
-Artaberto, qui supranomen</i> fratello <i>vocatur</i>; in una presso l’Ughelli,
-tom. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. p. 43: <i>Joannes qui supranomine</i> Walterii <i>vocatur</i>;
-in un’altra del 954, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. 1359; <i>Petro viro magnifico,
-qui et supranomen vocatur</i> Pazii, <i>seu</i> Gregorii. Così nelle <i>Ant.
-ital.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 747, a un atto dell’882 sottoscrivonsi Joannes <i>qui
-vocatur</i> Clario, <i>Leo qui vocatur</i> Pipino, <i>Joannes qui vocatur</i>
-Peloso, <i>Joannes</i> Russo, <i>Urzulo qui</i> Mazuco <i>vocatur, Lupus
-qui dicitur</i> Bonellus, <i>Bonellus qui dicitur</i> Magnano: e altrove
-Giovan Rosso, Giovan Peloso, maestro Guglielmo, Martin Diacono,
-Lupo da Via, Ugo da Porta Ravennate, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note80">
-<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Bardellone, Taino, Bottesella, Butirone, Petracco, Passerino,
-Scarpetta, Carnevario, Cane e Mastino: poi Garzapane,
-Pandimiglio, Tornaquinci, Belbello, Menabò, Megliodeglialtri,
-Bracacurta, Soffiainpugno, Rubacastello, Animanigra, Buccadecane,
-Bellebono, Bragadelana, Nosaverta, Tantidanari, Basciacomari,
-Tettalasini, Bencivenne, Mezzovillano, Assainavemo,
-Seccamerenda, Segalorzo, Benintese, Ranacotta, Scannabecco,
-Mangiatroja, Brusamonega, Cavazocco, Codeporco, Coalunga,
-Ristoradanno, Datusdiabolo, Capodasino, Cagatossico, Cagainos,
-Mattosavio, Malfilioccio, Moscaincervello, Passamontagne, Castracani,
-Tosabue, Calzavegia, Cavalcasela, Guido Ajutamicristo,
-ecc. Anche case principali conservarono i nomi di
-Malaspina, Pelavicini, Maltraversi, Malatesta, Cavalcabò, Gambacurta...</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note81">
-<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Anichino di Bongardo dissero i nostri il capitano di
-Baumgarten; di Awcwood fecero Giovanni Acuto, e di Hohenstein
-Ovestagno. Reciprocamente i nostri Arrighetti fiorentini
-furono in Francia trasformati in Riquetti; i Giacomotti in Jaquemot,
-ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note82">
-<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. Ital.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note83">
-<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Subrogatum</i> (come prefetto d’Amalfi) <i>Ursum Marini
-comitis de Pantaleone comite filium Canucci Marci post sex
-menses quoque ejecerunt Successit Ursus Cabastensis, Joannes
-Salvus, Romani Vitalis filius.</i> <span class="smcap">Pansa</span>, St. della Repubblica d’Amalfi,
-<span class="smcap lowercase">I</span>, 33.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note84">
-<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Orderico Vitale, cap. 3, dice che <i>Rodolphus, quintus
-frater, clericus cognominatus est, quia peritia litterarum, aliarumque
-rerum apprime imbutus est. Clericus</i> pure chiamavasi it
-segretario, onde l’epitafio di Guglielmo Ambiense (ap. <span class="smcap">Moreri</span>)
-<i>Clericus angelici fuit hic regis Ludovici</i>: dal che il <i>clerc</i> rimasto
-ai Francesi per indicare lo scrivano. Una cronaca milanese, nei
-<i>Rer. ital. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 60, dice che Stefano da Vimercato <i>fuit in
-sæculo valde honorabilis clericus</i>. E Giovan Villani, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 3: <i>E’ fu
-molto chierico in scrittura</i>. Per avverso, Matteo Villani, <span class="smcap lowercase">III</span>. 60,
-scrive: <i>Il Comune fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciatori,
-de’ quali niuno si potè incolpare, che erano <span class="upright">secolari</span> e uomini
-che non sapeano quello che i titoli de’ giudici portassero</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note85">
-<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La contessa Matilde aveva moltissimi servi, e ne donò a
-varie chiese; nominatamente al canonico di Mantova regalò
-quelli che possedeva alla Volta; e l’atto del 1079 (ap. <span class="smcap">Fiorentini</span>,
-<i>Documenti concernenti Matilde</i>, pag. 122) porta i nomi di parecchi,
-dove notiamo <i>jugales cum filiis et cum peculiis eorum</i>, e
-concede ad essi canonici <i>quod faciant de jam dictis servis et
-ancillis, seu de peculiis quicquid voluerint</i>. In testamento poi
-ordinò fosser liberati innumerevoli servi, come attesta Donnizone:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Innumerosque suos famulos jubet hæc hera cunctos</i></p>
-<p class="i01"><i>Ingenuos, vitæ post ipsius fore finem.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note86">
-<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Cronaca Bolognese, 1283. <i>Comune Bononiæ fecit <span class="upright">fumantes</span>
-comitatus, et emit omnes servos et ancillas ab omnibus
-civitatis Bononiæ, pro pretio unius stari frumenti pro quolibet
-qui habeat boves, et unius quartarolæ pro quolibet de zappa.</i> — <span class="smcap">C.
-F. Rumhor</span>, <i>Ursprung Besitzlosigkeit der Colonen des innerern
-Toskana</i>. Amburgo 1830.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note87">
-<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Cum libertas, qua cujusque voluntas non ex alieno sed ex
-proprio dependit arbitrio, jure naturali multipliciter decoretur,
-qua etiam civitates et popoli ab oppressionibus defenduntur, et
-ipsorum jura tuentur et augentur in melius, volentes ipsam et
-ejus species non solum manutenere sed etiam augmentare, per
-dominos priores artium civitatis Florentiæ etc. et alios sapientes
-et bonos viros ad hoc habito... provisum ordinatum exstitit salubriter,
-et firmatum, quod nullus, undecumque sit et cujusque
-conditionis dignitatis vel status existat, possit, audeat vel præsumat
-per se vel per alium tacite vel expresse emere, vel aliquo
-alio titulo, jure, modo vel causa adquirere in perpetuum vel ad
-tempus aliquos fideles, colonnos perpetuos vel conditionales, adscriptitios
-vel censitos, vel aliquos alios cujuscumque conditionis
-existant, vel aliqua alia jura, scilicet angharia vel proangharia,
-vel quævis alia contra libertatem personæ et conditionem personæ
-alicujus in civitate, vel comitatu, vel districtu Florentiæ etc.</i>
-Osservatore fiorentino, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note88">
-<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Daru</span>, <i>St. di Venezia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX</span>. § 7.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note89">
-<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«In nome de Dio amen: in mille e triscento e <span class="smcap lowercase">LXV</span> adi <span class="smcap lowercase">VXII</span>
-de feurer, in la strouilea in caxa mia de mi Symon da Imola
-e de Marco Bon de Viniexia e de Zorzi Fustagner da Coron, e
-de mi Symon noder infrascripto, lo sauio et discreto homo ser
-Andriolo Bragadin, fyolo de mis. Jacomo Bragadin de Viniexia
-de la contrada de sento Zemignan, se eno qui convegnudi insembre
-cum mis. Tantardido de Mezo da Viniexia in honorando
-consylier de Coron, et ali uendudo uno so sclauo lo quale elo
-aueua comprado in la Tana da uno Sarayni per cento e cinquanta
-aspri de arzento cum lazo (<i>agio</i>), segondo la confession del dito
-sclauo, et a dato infrascripto mis. Tantardido a lo sourascripto
-ser Andriolo in pagamento per lo dito sclauo ducati de oro uinti
-et uno in moneda cum lazo, lo quale sclauo a nome Piero Rosso
-et in presencia de li sourascripti testimoni e de lo dito sclauo
-fo fatto lo pagamento, e siando pagado e contento lo dito ser
-Andriolo dal dito mis. Tantardido, lo dito ser Andriolo pygla
-per la man lo dito Piero Rosso so sclauo e si lo de in man de lo
-sourascripto mis. Tantardido e de tutto questo fe contento lo
-dito sclauo Piero Rosso et inclinato per so signor lo dito mis.
-Tantardido. Oblegandose lo dito sclauo de auerlo per so signor
-cusi como elo aueua lo dito ser Andriolo, lo dito ser Andriolo
-se oblega de defenderlilo in tute le parti del mondo e in ogni
-zudixio, et lo dito mis. Tantardido per lo sclauo de ogno dano
-et interesse che interuegnisse a mis. Tantardido infrascripto
-per lo pagamento de lo dicto sclauo quando elo podesse prouar
-che elo non fosse so sclauo, lo dito ser Andriolo se oblega de
-refarli lo dito pagamento a ducati de oro <span class="smcap lowercase">XXI</span> de bon pexo.
-</p>
-
-<p>
-«Et io Symon figliolo mis. Jacomo de li Bruni da Imola per
-la imperiale autoritate not. publico e zudexe ordenario fui presente
-a tutto. Una cum li sourascripti testimonj mmss».
-</p>
-
-<p>
-Il notajo non segna il luogo dove rogò l’istromento; ma puossi
-arguire si facesse appunto in Corone o nelle sue vicinanze.
-<i>Serie degli scritti in dialetto veneziano, di</i> <span class="smcap">Bartol. Gamba</span>,
-pag. 35.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note90">
-<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fontanini</span>, <i>Diss. de masnadis</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note91">
-<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Quod sclavi super navigiis non leventur; quod aliqua persona
-januensis non possit deferre mamaluchos mares et fœminas
-in Alexandriam ultra mare vel ad aliquem locum subditum soldano
-Babiloniæ</i> (cioè del Cairo).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note92">
-<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. 20. 55. 93. Nel succitato volume II dei <i>Monum. Hist. patriæ</i> occorrono moltissimi ricordi di vendite e d’emancipazione
-di schiavi a Genova, fra cui ne scegliamo alcuni:
-</p>
-
-<p>
-Nel 1156 Guglielmo Zulenio vende per otto lire la sua serva
-Agnese <i>non fugitivam, neque furem, sed boni moris</i>. — L’anno
-stesso, Simone di Mongiardino emancipa Girardo figlio di Ubaldo
-suo servo, pel prezzo di lire otto pavesi, senza ritener nulla del
-peculio che abbia o possa avere.
-</p>
-
-<p>
-1158, 16 agosto. Mosso e sua moglie Marsibilia per lire cinquanta
-danno a Frederzone loro servo <i>omnimodam facultatem
-vivendi, standi, agendi et faciendi quod velit utpote liber homo</i>.
-</p>
-
-<p>
-1159, 12 maggio. Malovriere <i>tum amore Dei, tum pro solidis
-vigintiquinque</i> libera Alvarda sua serva; pena dieci libbre d’oro
-se egli o i suoi eredi vi attentino.
-</p>
-
-<p>
-1160, 25 novembre. Guglielmo da Castenollo vende un servo
-Saracino per cinquantanove soldi.
-</p>
-
-<p>
-1161, 23 febbrajo. Amico di Mirto dona a Lanfranco la porzione
-di proprietà che ha sopra Angelica sua serva e la figlia
-di lei. — 10 giugno seg. Guglielmo Moraga di Narbona vende
-per cinquantacinque soldi a prezzo finito un suo Saracino. — 28
-luglio. Filippo Aradello libera il suo servo Giovanni per amore
-dell’anima sua: e gli dice: <i>Proficiscere liber in Deo</i>; e Giovanni
-in ricambio promette stare al suo servigio per quattro anni. — 17
-settembre. Ribaldo de Curia libera il servo Pasquale col suo
-peculio per venticinque lire e per salute dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-1162, 9 ottobre. Senebaldo regala a suo figlio Alberto metà
-de’ proprj beni feudali e allodiali, <i>excepta tantum Boneta ancilla
-mea et filiam ejus</i>. — 19 novembre seg. Ogerio Vento nel testamento
-dichiara liberi tutti i servi e le ancelle sue se il Signore
-lo chiami a sè in quella malattia. Non morì, e un altro testamento
-fece l’11 maggio seg., colla stessa clausola, eccettuando
-però il peculio d’essi servi.
-</p>
-
-<p>
-1163, 4 agosto. Giulia Bulferico per mercede dell’anima sua
-e del marito manomette l’ancella Adelusia e il suo peculio.
-</p>
-
-<p>
-1164, 1º maggio. Pier Cappellano e Stanfilla jugali manomettono
-Guglielmo servo con venti libbre di suo peculio. — Nell’inventario
-dell’eredità abbandonata da Guglielmo Scarsuria, del
-17 giugno seg., è noverata <i>Saracenam unam cum libertatis
-condicione testamento defuncti insercta</i>.
-</p>
-
-<p>
-1165, 21 giugno. Lanfranco Arzema per quattro lire e mezzo
-libera e manomette Aidelina sua ancella. Luca, figlia emancipata
-di lui, rinunzia pure ogni diritto che v’avesse. Giovanni
-Tossico, a un cui servo la Aidelina erasi unita (<i>adhesisset</i>), dichiara
-liberi i due primi figli che ne nascessero.
-</p>
-
-<p>
-1192. Pietro re d’Arborea promette ai Genovesi che, se si
-ottenga di porre una chiesa in Oristano, darà al vescovo di
-Genova una curia con tanti possessi e <i>servi</i> quanti ne ha in
-Arborea il vescovo di Pisa.
-</p>
-
-<p>
-Luigi Cibrario produsse carte genovesi di più tarde vendite
-di schiavi. Nel 1378 Benvegnuda vende <i>quandam servam suam
-sclavam de progenie Tartarorum</i> per ventidue lire di Barcellona,
-<i>sanam ab omnibus magagnis occultis</i>. Una pure <i>de progenie
-Tartarorum</i> è venduta il 1389 da Antonio di San Pier d’Arena;
-un’altra il 1391; un’altra di venticinque anni nel 1484, per sessanta
-lire di genovini, che sarebbero oggi fr. 1033.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1851 Giovanni Zucchetti pubblicava a Mantova una carta
-dell’archivio Arconati di Milano, secondo la quale, nel 1434, il
-nobile Giacomo de’ Bigli di Milano vendeva al nobile Giovanni
-da Castelletto, pur di Milano, una Tartara di anni diciannove
-per cinquantotto ducati d’oro; l’atto fu rogato a Recanati.
-</p>
-
-<p>
-Nel testamento del famoso Filippo Strozzi, 14 maggio 1491,
-si legge: «Item a Giovanni Grande <i>nero</i>, mio schiavo, lascio e
-lego la liberatione, e che lui sia libero e franco da ogni servitù
-dopo la vita mia, et per detto effetto et per a quel tempo da
-hora lo libero et absolvo da la mia potestà et da ogni servitù a
-che lui mi fosse tenuto; et bisognandoli, per effecto di dicta sua
-liberatione o per cautela alcuna sua intorno a ciò, voglio che gli
-heredi mie gliene faccino quella cautela che lui vorrà, per
-potere dicta sua liberatione sempre mostrare et farne fede».
-Nella <i>Cronaca fiorentina</i> del Cambi trovo che nel 1529, quando
-Genova fu presa, i Franzesi ebber l’arte di togliere tutti gli
-schiavi, i quali rivelarono dove stessero riposte le ricchezze dei
-padroni.
-</p>
-
-<p>
-Melchior Gioja (<i>Nuovo prospetto delle scienze economiche</i>,
-par. <span class="smcap lowercase">III</span>) asserisce che «non è la religione che abbia fatto sparire
-la schiavitù dalla maggior parte dell’Europa, ma il lento
-progresso delle arti e del lusso». Guglielmo Libri (<i>Histoire des
-sciences mathém. en Italie</i>) s’arrabatta a provare che la Chiesa
-non fece nulla per la liberazione dei servi, anzi il contrario.
-L’argomento suo contro la Chiesa equivale precisamente a
-quest’altro: «Non è vero che il codice Albertino proibisca il
-furto, giacchè ladri vi ha dov’esso è in vigore». Fra i libri che
-costui dovette compulsare per la sua storia, sono quelli di Girolamo
-Cardano, del quale noi parliamo più avanti. Nel vol. <span class="smcap lowercase">X</span>
-dell’edizione di Lione sta il trattato <i>De arcanis æternitatis</i>,
-che a pag. 31 vuol sostenere la legittimità degli schiavi naturali,
-confutando la Chiesa che dichiara gli uomini eguali. «Questo
-genere di servi, acciocchè nessuno potesse riguardarlo come
-propagato dalla natura, e perciò legittimo, fu tolto affatto
-da la religione nostra, ossia da quelli che pubblicarono costituzioni,
-interpretando quel detto che <i>appo Dio non v’è nè
-servo nè libero</i>. Sarebbe come se alcuno, interpretando quel
-di Cristo <i>In quel giorno nè sposeranno, nè saranno sposati</i>,
-dicesse inutile il matrimonio. Che una servitù moderata e
-giusta sia utile allo Stato, è così certo, che anche la ingiusta
-e smodata è più utile che il non esserne alcuna; giacchè i
-paesi dei Gentili furono più felici, ed ora quei de’ Maomettani,
-che non i Cristiani». Questo passo è decisivo a mostrare
-le due influenze sempre in contrasto, del paganesimo con Aristotele,
-e della religione col Vangelo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note93">
-<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Anno Domini <span class="smcap lowercase">MXCVIII</span> cepit guerra de Cremona, magnum
-frixorium Cremonensium.</i> <span class="smcap">Sicardus</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note94">
-<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Quæque meis oculis vidi, potius reserabo.</i> Anon. Cumanus,
-nei <i>Rer. it. Script.</i>, V.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note95">
-<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Mittunt ad cunctas legatos agmina partes</i></p>
-<p class="i01"><i>Ducere; Cremonæ Papiæque mittere curant;</i></p>
-<p class="i01"><i>Cum quibus et veniunt cum Brixia Pergama; totas</i></p>
-<p class="i01"><i>Ducere jussa suas simul et Liguria gentes;</i></p>
-<p class="i01"><i>Nec non adveniunt Vercellæ, cum quibus Astum,</i></p>
-<p class="i01"><i>Et comitissa suum gestando brachia natum;</i></p>
-<p class="i01"><i>Sponte sua tota cum gente Novaria venit;</i></p>
-<p class="i01"><i>Aspera cum multis venit et Verona vocata;</i></p>
-<p class="i01"><i>Docta suas secum duxit Bononia leges;</i></p>
-<p class="i01"><i>Attulit inde suas Ferraria nempe sagittas;</i></p>
-<p class="i01"><i>Mantua cum rigidis nimium studiosa sagittis;</i></p>
-<p class="i01"><i>Venit et ipsa simul quæ Guardastalla vocatur;</i></p>
-<p class="i01"><i>Parma suos equites conduxit Garfanienses.</i></p>
-<p class="i14"> Anon. Cumanus.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note96">
-<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Gli sono confermati in un diploma di Federico I, 29 settembre
-1164.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note97">
-<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ap. <span class="smcap">Baluzio</span>, <i>Miscel.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. p. 64.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note98">
-<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ildeberto, vescovo di Reims nell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo, cantava:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Par tibi, Roma, nihil, cum sis prope tota ruina;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quam magni fueris integra, fracta doces.</i></p>
-<p class="i01"><i>Urbs cecidit, de qua si quicquam dicere dignum</i></p>
-<p class="i02"> <i>Moliar, hoc potero dicere, Roma fuit.</i></p>
-<p class="i01"><i>Non tamen annorum series, non flamma, nec ensis</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ad plenum potuit hoc abolere decus.</i></p>
-<p class="i01"><i>Tantum restat adhuc, tantum ruit, ut neque pars stans</i></p>
-<p class="i02"> <i>Æquari possit, diruta nec refici</i>.....</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note99">
-<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Che nei secoli dell’ignoranza e del fanatismo si facesse
-colpa a costui di discendere da Ebrei, e san Bernardo stesso
-il chiamasse <i>judaica soboles</i>, poca meraviglia. Ma Voltaire,
-accoppiando al solito la leggerezza e l’intolleranza, non rifina
-di ridere di un <i>papa ebreo</i>. La storia, se avesse voluto consultarla,
-gli avrebbe detto ch’e’ non era <i>ebreo</i> e non fu <i>papa</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note100">
-<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questo fatto si rappresentò in un quadro del palazzo di
-Laterano, ove Lotario riceve la corona di man del papa, colla
-leggenda:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Rex venit ante fores, jurans prius urbis honores,</i></p>
-<p class="i01"><i>Post homo fit papæ, recipit quo dante coronam.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note101">
-<p><span class="label"><a href="#tag101">101</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Con queste insegne sono effigiati re Ruggero nel tempio
-di Monreale e Guglielmo nella Martorana a Palermo: il cadavere
-di Federico II si trovò rivestito di abiti pontificali. Sin a
-Filippo II le suppliche per affari ecclesiastici dirigeansi al re
-col titolo di <i>beatissimo padre</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note102">
-<p><span class="label"><a href="#tag102">102</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Concedimus, donamus et auctorizamus tibi, filio tuo
-Rogerio, et aliis filiis tuis secundum tuam ordinationem in regno
-substituendis, et hæredibus suis, coronam regni Siciliæ et Calabriæ
-et Apuliæ etc. Tu autem et hæredes tui censum, videlicet
-sexcentos schifatos, annis singulis Romanæ Ecclesiæ persolvere
-debes etc.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note103">
-<p><span class="label"><a href="#tag103">103</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ep.</i> 31. lib. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note104">
-<p><span class="label"><a href="#tag104">104</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">...... <i>Arnoldus, quem Brixia protulit ortu</i></p>
-<p class="i01"><i>Pestifero, tenui nutrivit Gallia sumtu</i>....</p>
-<p class="i01">..... <i>assumpta sapientis fronte, diserto</i></p>
-<p class="i01"><i>Fallebat sermone rudes, clerumque procaci</i></p>
-<p class="i01"><i>Insectans odio, monachorum acerrimus hostis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Plebis adulator, gaudens popularibus auris,</i></p>
-<p class="i01"><i>Pontifices, ipsum que gravi corrodere lingua</i></p>
-<p class="i01"><i>Audebat papam</i>.....</p>
-<p class="i01"><i>Articulos etiam fidei, certumque tenorem</i></p>
-<p class="i01"><i>Non satis exacta stolidus pietate fovebat,</i></p>
-<p class="i01"><i>Impia mellifluis admiscens toxica verbis.</i></p>
-<p class="i08"> <span class="smcap">Guntheri</span> <i>Ligur. Carmina</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vedi la nota 7 del capo seguente.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note105">
-<p><span class="label"><a href="#tag105">105</a>.&nbsp;&nbsp;</span>San Bernardo diresse a Eugenio III i suoi libri <i>De consideratione</i>,
-nel <span class="smcap lowercase">IV</span> de’ quali gli dice: — Qual cosa è più nota ai
-secoli, che la protervia e il fasto de’ Romani? gente disavvezza
-dalla pace, avvezza al tumulto; gente immite e intrattabile
-finora, che non sa star sottomessa se non quando non vale a
-resistere. Quest’è la piaga, e a te spetta il curarla. Ridi forse
-di me, credendola incurabile? non diffidare».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note106">
-<p><span class="label"><a href="#tag106">106</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Otto Frising.</span>, <i>De gestis Frid.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cc. 27. 28. — Le
-proposizioni de’ Romani a Corrado furono compendiate in questi
-versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Rex valeat: quidquid cupit obtineat; super hostes</i></p>
-<p class="i01"><i>Imperium teneat; Romæ sedeat; regat orbem</i></p>
-<p class="i01"><i>Princeps terrarum, ceu fecit Justinianus;</i></p>
-<p class="i01"><i>Cæsaris accipiat Cæsar, quæ sunt sua præsul,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ut Christus jussit Petro solvente tributum.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note107">
-<p><span class="label"><a href="#tag107">107</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Amand</span>, <i>De primis actibus Friderici</i>. — <span class="smcap">Otto Frising.</span>,
-<i>De gestis Friderici</i>. Ottone morì nel 1158, e lo continuò Radevico
-canonico di Frisinga, molto inferiore pel dettato e più pei
-concetti. Le loro storie furono ridotte in versi dal Guntero,
-tedesco contemporaneo, in un poema intitolato <i>Ligurinus</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note108">
-<p><span class="label"><a href="#tag108">108</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Ductus ab antiquo priscorum tempore regum</i></p>
-<p class="i01"><i>Mos habet, ut, quoties regnator teutonus Alpem</i></p>
-<p class="i01"><i>Transit, et italicas invisere destinat oras,</i></p>
-<p class="i01"><i>Qui repetant fisco fiscalia jura fideles</i></p>
-<p class="i01"><i>Per quoscumque suos præmittere debeat urbes:</i></p>
-<p class="i01"><i>At quæcumque ream se perfida fecerit ausu</i></p>
-<p class="i01"><i>Sacrilego, regique suo sua jura negarit,</i></p>
-<p class="i01"><i>Strata luat meritas fraudato principe pœnas:</i></p>
-<p class="i01"><i>Inde fit ut fractis deformiter horrida muris</i></p>
-<p class="i01"><i>Nunc quoque per totam videas loca plurima terram.</i></p>
-<p class="i02"> <i>Hoc quoque per cunctas regnator teutonus urbes,</i></p>
-<p class="i01"><i>Non modo teutonicas, sed et hic et ubique jacentes,</i></p>
-<p class="i01"><i>Jus habet, ut præsens quasi maximus omnia judex</i></p>
-<p class="i01"><i>Claudere jura manu, cunctasque recidere lites</i></p>
-<p class="i01"><i>Debeat, atque omnis judex, omnisque potestas</i></p>
-<p class="i01"><i>Atque magistratus, ipso præsente, quiescant.</i></p>
-<p class="i02"> <i>Hunc etiam regi priscarum sanctio legum</i></p>
-<p class="i01"><i>Longævique vigor moris profitetur honorem,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ut cunctos fœtus, quos educat itala tellus</i></p>
-<p class="i01"><i>(His modo, quæ poscit terræ cultura, retentis)</i></p>
-<p class="i01"><i>Principis ad nutum fisco præstare colonus</i></p>
-<p class="i01"><i>Debeat, in regni sumptus et militis usum.</i></p>
-<p class="i11"> <span class="smcap">Gunteri</span> <i>Ligurinus</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note109">
-<p><span class="label"><a href="#tag109">109</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>De gestis Frid.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 3. Guntero chiama i Lombardi
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Gens astuta, sagax, prudens, industria solers,</i></p>
-<p class="i01"><i>Provida consilio, legum jurisque perita.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note110">
-<p><span class="label"><a href="#tag110">110</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Guilhelmus marchio de Monteferrato, vir nobilis et magnus,
-qui, pene solus ex Italiæ baronibus, civitatum effugere potuit
-imperium.</i> <span class="smcap">Otto Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 13.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note111">
-<p><span class="label"><a href="#tag111">111</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ne, si Mediolanensium partem amplexus esset, altera parte
-Longobardiæ subjugatæ, Mediolanenses, quia fortiores erant,
-rebelles existerent.</i> <span class="smcap">Sire Raul</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note112">
-<p><span class="label"><a href="#tag112">112</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La strada più consueta e più breve dalla Lombardia a
-Roma era la così detta via Romea o Francesca, che dal territorio
-di Parma e Piacenza varcava l’Appennino del monte Bardone
-per scendere a Pontremoli, indi a Villafranca, Sarzana,
-Luni, il Frigido, il Salto della Cervia, Lucca, Altopascio, il
-Galleno; passato l’Arno sotto Fucecchio, mettevasi sulla via
-traversa di Castel Fiorentino, donde a Certaldo, Poggibonsi,
-Staggia, Siena, Buonconvento, Sanquirico, Spedaletto di Bricole,
-Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo,
-Sutri, Portacastello di Roma. È divisata nell’itinerario di Filippo
-Augusto re di Francia, quando nel 1191 tornava dalla
-crociata.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note113">
-<p><span class="label"><a href="#tag113">113</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Fu impiccato e bruciato, e le sue ceneri sparse nel
-Tevere, acciocchè la stolida plebe non venerasse il corpo di
-questo infame», dice il buon Muratori.
-</p>
-
-<p>
-* Arnaldo è divenuto un mito, e in conseguenza la storia di
-lui fu peggio che mai alterata. I Giansenisti nel secolo passato
-magnificavano Arnaldo, poi nel nostro i demolitori dell’autorità
-temporale dei papi. La tragedia del Niccolini è mera declamazione,
-ove Arnaldo è fatto eretico, mentre nella prefazione
-si vuole purgarlo di questa taccia. Cesare Balbo lo imputa di
-avere sollevato il popolo romano contro il papa, quando il
-papa e il popolo sarebbero dovuti unirsi ai Lombardi per difendere
-l’indipendenza: e così ritardò la lega di Pontida e cagionò
-la distruzione di Milano.
-</p>
-
-<p>
-Il mettere un Lutero o un Ciciruacchio nel secolo XII è un
-anacronismo, quanto il mettere ai giorni nostri un Pietro Martire
-o un Francesco d’Assisi. Ci fu sempre, fino ai giorni nostri,
-chi sperò sbalzare il papa mediante l’ajuto degli stranieri, e così
-meditava Arnaldo. Ma il prefetto di Roma, che, in occasione delle
-prediche di Arnaldo, era stato insultato e peggio, lo fece prendere
-e impiccare, valendosi della piena podestà che gli conferiva la
-presenza dell’imperatore. Onde Goffredo da Viterbo canta:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Arnoldus capitur, quem Brixia sensit alumnum,</i></p>
-<p class="i01"><i>Dogmata cujus erant quasi pervertentia mundum:</i></p>
-<p class="i01"><i>Strangulat hunc laqueus, ignis et unda vehunt.</i></p>
-<p class="i14"> Pantheon, 464.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Anche il Guntero lo dice fatto reo d’ambe le maestà:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i07"> <i>Sic læsus stultus utraque</i></p>
-<p class="i01"><i>Majestate reum geminæ se fecerat aulæ.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Gerhochus di Reichersperg contemporaneo ne porta questo
-giudizio: <i>Quem ego vellem, pro tali doctrina sua, quamvis prava,
-vel exilio, vel carcere aut alia pœna præter mortem punitum esse,
-vel saltem taliter occisum ut romana Ecclesia, sive curia ejus
-necis quæstione caveret! Nam, ut ajunt, absque ipsorum scientia
-et consensu a præfecto urbis Romæ, de eorum custodia in qua
-tenebatur ereptus, ac pro speciali causa occisus ab ejus servis
-est. Maximam siquidem cladem ex occasione ejusdem doctrinæ
-idem præfectus a romanis civibus perpessus fuerat: quare non
-saltem ab occisi crematione et submersione ejus occisores metuerunt
-quatenus a domo sacerdotali quæstio sanguinis remota
-esset. Sed de his ipsi viderint. Sane de doctrina et nece Arnaldi
-idcirco inserere præsenti loco volui, ne vel doctrinæ ejus pravæ,
-quæ, etsi zelo forte bono, sed minori scientia prolata est, vel
-ejus necis perperam actæ videar assensum præbere.</i> Nel libro <span class="smcap lowercase">I</span>
-<i>De investigat. antichrist.</i>, apud <span class="smcap">Gretser</span>, <i>Prolegomena ad
-scriptores adversus Waldenses</i>, cap. 4.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note114">
-<p><span class="label"><a href="#tag114">114</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Hospes eras, civem feci: advena fuisti ex transalpinis
-partibus, principem constitui.</i> <span class="smcap">Otto Frising.</span>, 721. E gli fa rispondere:
-<i>Legitimus possessor sum.... Principem populo, non
-populum principi leges præscribere oportet.</i> E narrate le stragi,
-con atroce ironia soggiunge: <i>Hæc est pecunia, quam tibi
-princeps tuus pro tua offert corona.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note115">
-<p><span class="label"><a href="#tag115">115</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Roma ferax febrium, necis et uberrima frugum:</i></p>
-<p class="i01"><i>Romanæ febres stabili sunt jure fideles.</i></p>
-<p class="i12"> <span class="smcap">Pier Damiani.</span></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note116">
-<p><span class="label"><a href="#tag116">116</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il Sismondi ed altri snaturano questo fatto, in modo che
-paja con Federico stare la ragione, e Adriano aver fatto umili
-scuse. Il torto del primo era in tanto maggiore, in quanto la
-lettera diceva in plurale <i>majora beneficia</i>, nè feudo superiore
-all’Impero avrebbe potuto immaginarsi. Il papa poi si ritrattò,
-ma dichiarando che quella espressione <i>utique nedum tanti viri,
-sed ne cujuslibet minoris animum merito commovisset</i>. È bizzarro
-a vedere come il Sismondi dipinga Federico per un mostro di
-crudeltà, e micidiale d’ogni franchigia quando lotta colle repubbliche;
-poi ne faccia un portento di ragionevolezza quando contrasta
-coi papi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note117">
-<p><span class="label"><a href="#tag117">117</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Radevicus Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 26.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note118">
-<p><span class="label"><a href="#tag118">118</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Da Lodi vecchio i Lodigiani trasferirono allora al nuovo
-il corpo del loro patrono san Bassiano, uno de’ primi vescovi,
-e speciale protettore contro la lebbra.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note119">
-<p><span class="label"><a href="#tag119">119</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È nominato Lodovico nella scomunica del papa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note120">
-<p><span class="label"><a href="#tag120">120</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Otto Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cc. 27. 28.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note121">
-<p><span class="label"><a href="#tag121">121</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sire Raul.</span> Radevico dice centomila armati.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note122">
-<p><span class="label"><a href="#tag122">122</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sire Raul.</span> Delira il Giulini ragguagliandoli a venti
-milioni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note123">
-<p><span class="label"><a href="#tag123">123</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il Guntero, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>, dice che
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Tum demum victus Federicus ab urbe recessit,</i></p>
-<p class="i01"><i>Modoicumgue petens, prisco dignatus honore</i></p>
-<p class="i01"><i>Illustrare locum, sacro diademate crines</i></p>
-<p class="i01"><i>Induit, et dextra gestavit sceptra potenti.</i></p>
-<p class="i01"><i>Hanc fortuna diu, Ligurumque potentia dives</i></p>
-<p class="i01"><i>Eximiam regni proavorum tempore sedem</i></p>
-<p class="i01"><i>Presserat, et longa victam ditione tenebat:</i></p>
-<p class="i01"><i>Sed placidus princeps primævo cuncta decori</i></p>
-<p class="i01"><i>Restituenda putans, injustis legibus illam</i></p>
-<p class="i01"><i>Exemit, priscumque loco reparavit honorem.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non vuol dire che si facesse coronare a Monza, ma che vi
-comparve solennemente colla corona. Federico stette a Monza
-cinque giorni, nei quali si consumarono mille carri di legna per
-la sua cucina, e cento lire imperiali. <span class="smcap">Giulini.</span>
-</p>
-
-<p>
-Bonincontro riferisce questi versi in lode di Monza:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Monzia terra bona, civili digna corona.</i></p>
-<p class="i01"><i>Monzia cunctorum dives et plena bonorum.</i></p>
-<p class="i01"><i>Monzia dat drappos cunctis mercantibus aptos.</i></p>
-<p class="i01"><i>Monzia stat damnis precibus defensa Johannis.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note124">
-<p><span class="label"><a href="#tag124">124</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Scias omne jus populi in condendis legibus tibi concessum:
-tua voluntas jus est, sicuti dicitur. Quod principi placuit,
-legis habet vigorem, cum populus ei et in eo omne suum imperium
-et potestatem concesserit.</i> <span class="smcap">Radevic.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 4.
-</p>
-
-<p>
-La cronaca soggiunge che, cavalcando il Barbarossa fra
-Bulgaro e Martino, domandò loro chi fosse padrone del mondo.
-Martino asserì l’imperatore; ma Bulgaro sostenne non essere
-lui padrone quanto alla proprietà. L’imperatore regalò a
-Martino il proprio cavallo; onde Bulgaro disse: <i>Amisi equum,
-quia dixi æquum quod non fuit æquum</i>. <span class="smcap">Otto Morena.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note125">
-<p><span class="label"><a href="#tag125">125</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Radevico trova orrenda iniquità, non quella del Tedesco
-che esponeva gli ostaggi, ma quella de’ nostri che li colpivano:
-<i>Seditiosi, quod etiam Barbaris incognitum et dictu quidem
-horrendum, auditu vero incredibile, non minus crebris ictibus
-turres impellebant, neque eos sanguinis et naturalis vinculi
-communio, neque ætatis movebat miseratio. Sicque aliquot ex
-pueris, lapidibus icti, miserabiliter interierunt; alii, miserabilius
-adhuc vivi superstites, crudelissimam necem, et diræ calamitatis
-horrorem penduli expectabant: oh facinus!</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note126">
-<p><span class="label"><a href="#tag126">126</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Propter destructionem Mediolani, omnes dederunt imperatori
-præsto copiosam et immensam pecuniam.</i> <span class="smcap">Sire Raul</span>,
-pag. 1187.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note127">
-<p><span class="label"><a href="#tag127">127</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Tra i fautori del Barbarossa era Algiso abate del monastero
-di Clivate, fondato da Desiderio re. Nel 1162 <i>Papie
-post destructionem Mediolani</i>, Federico gli dava un ampio privilegio,
-che comincia: <i>Cum ad promovendum imperii honorem
-et ad debellandos hostes Imperii, præcipue Mediolanenses,
-Italiam cum exercitu intraverimus, inter multos quidem fideles,
-qui nobis in laboribus nostris fideliter adstiterunt, invenimus
-venerabilem Algisum, Clivatensis ecclesiæ abbatem, quem devotissimum
-nobis ac fidelissimum certis argumentis experti sumus.
-Multis enim retrorsum abeuntibus, prædictus abbas fuit vir
-fidelis, et constans nobis firmiter adhesit, et immobilis nobiscum
-perseveravit etc.</i> Credo che ivi sia per la prima volta nominata
-la Brianza.
-</p>
-
-<p>
-Le vittorie di Federico furono celebrate da un poeta popolare
-innominato, da cui scegliamo poche strofe:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Salve mundi domine, Cæsar noster ave,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Cujus bonis omnibus jugum est suave;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quisquis contra calcitrat, putans illud grave,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Obstinati cordis est, cervicis prave.</i></p>
-<p class="i01"><i>Princeps terre principum, Cesar Friderice,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Cujus tuba titubant arces inimice,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Tibi colla subdimus tigres et formice,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Et cum cedris Libani vepres et mirice....</i></p>
-<p class="i01"><i>Scimus per desidiam regum Romanorum</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ortas in imperio, spinas impiorum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Et sumpsisse cornua multos populorum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>De quibus commemoro gentem Lombardorum;</i></p>
-<p class="i01"><i>Que dum turres erigit more giganteo,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Volens altis turribus obviare Deo,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Contumax et fulmine digna ciclopeo,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Instituta principum sprevit ausu reo.</i></p>
-<p class="i01"><i>De tributo Cesaris nemo cogitabat,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Omnes erant Cesares, nemo censum dabat;</i></p>
-<p class="i02"> <i><span class="upright">Civitas Ambrosii</span> velut Troja stabat;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Deos parum, homines minus formidabat....</i></p>
-<p class="i01"><i>Prima sua domino paruit <span class="upright">Papia</span>,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Urbs bona, flos urbium, clara, potens, pia,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Digna foret laudibus et topographia,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Nisi quod nunc utimur brevitatis via.</i></p>
-<p class="i01"><i>Post Papiam ponitur urbs <span class="upright">Novariensis</span>,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Cujus in principio dimicavit ensis;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Frangens et reverberans viribus immensis</i></p>
-<p class="i02"> <i>Impetum superbi Mediolanensis.</i></p>
-<p class="i01"><i>Carmine, Novaria, sepe meo vives.</i></p>
-<p class="i02"> <i>Cujus sunt per omnia commendandi cives:</i></p>
-<p class="i02"> <i>Inter urbes alias eris laude dives,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Donec desint Alpibus frigora vel nives...</i></p>
-<p class="i01"><i>Mediolanensium dolor est immensus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Pro dolore nimium conturbatur sensus;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Civibus Ambrosii furor est accensus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Dum ab eis petitur, ut a servis, census.</i></p>
-<p class="i01"><i>Interim precipio tibi, Constantine,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Jam depone dexteram, tue cessent mine;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Mediolanensium tante sunt ruine,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quot in urbe media modo regnant spine,</i></p>
-<p class="i01"><i>Tantus erat populus atque locus ille,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Si venisset Grecia tota cum Achille,</i></p>
-<p class="i02"> <i>In qua tot sunt menia, tot potentes ville,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Non eam subjicere possent armis mille.</i></p>
-<p class="i01"><i>Jussu tamen Cesaris obsidetur locus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Donec ita venditur esca sicut crocus:</i></p>
-<p class="i02"> <i>In tanta penuria non est ibi jocus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ludum tandem Cesaris terminavit rocus...</i></p>
-<p class="i01"><i>Erant in Italia greges vispillonum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Semitas obsederat rabies predonum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quorum cor ad scelera semper erat pronum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quibus malum facere videbatur bonum.</i></p>
-<p class="i01"><i>Cesaris est gloria, Cesaris est donum</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quod jam patent omnibus vie regionum,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Dum ventis exposita corpora latronum</i></p>
-<p class="i02"> <i>Surda flautis, Boree captant aure sonum...</i></p>
-<p class="i01"><i>Jam tiranno siculo Siculi detrectant,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Siculi Te sitiunt, Cesar, et expectant,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Jam libenter <span class="upright">Apuli</span> tibi genuflectant,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Mirantur quid detinet, oculos humectant...</i></p>
-<p class="i01"><i>Imperator nobilis, age sicut agis,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Sicut exaltatus es, exaltare magis!</i></p>
-<p class="i02"> <i>Fove tuos subditos, hostes cede plagis,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Super eos irruens ultione stragis.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Apud <span class="smcap">Grimm</span>, <i>Geschichte des Mittelalters aus König Friedrich
-der Staufen und aus seiner wie der nächstfolgenden Zeit.</i>
-Berlino 1845.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note128">
-<p><span class="label"><a href="#tag128">128</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Sicque factum est, quod Lombardi, qui inter alias nationes
-libertatis singularitate gaudebant, pro Mediolani invidia,
-cum Mediolano pariter corruerent, et se Teutonicorum servituti
-misere subdiderunt.</i> Cron. Salern.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note129">
-<p><span class="label"><a href="#tag129">129</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Episcopi, marchiones, comites, capitanei, aliique etiam
-proceres, ac quamplures alii etiam Longobardiæ homines, tam
-magni quam parvi, alii cum crucibus, alii sine crucibus, ante
-imperatorem venientes, de imperatoris procuratoribus nimis
-valde conquerebantur..... Ipse, quærimonias Longobardorum
-quasi vilipendens, et pro nihilo habens, nihil inde fecit.</i> <span class="smcap">Otto
-Morena</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note130">
-<p><span class="label"><a href="#tag130">130</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il giuramento fu rinnovato nel 1170 in questi termini:
-<i>In nomine Domini, amen. Ego juro ad sancta Dei evangelia
-quod non faciam neque treguam, neque guerram recredutam, nec
-aliquam concordiam cum Frederico imperatore, neque cum filiis
-ejus, nec cum uxore ejus, neque cum alia quacumque persona
-ejus nomine, nec per me, nec per aliam quamcumque personam,
-et ab alio homine facta, non habebo ratam. Et bona fide pro meo
-posse operam dabo viribus quibuscumque potero, ne aliquis exercitus
-modicus vel magnus de Alemannia, vel de alia terra imperatoris
-quæ sit ultra montes, intret Italiam. Et si prædictus
-exercitus intraverit, ego vivam guerram faciam imperatori et
-omnibus illis personis quæ modo sunt ex parte imperatoris, vel
-pro tempore fuerint, per quas prædictus exercitus debeat exire
-de Italia, donec prædictus exercitus de Italia exeat. Ego bona
-fide, per me et per omnes personas, totius meæ virtutis salvabo et
-guardabo personas et res omnium hominum societatis Lombardiæ,
-Marchiæ et Romaniæ, et nominatim dominum marchionem
-Malaspinam, et omnes personas quæ modo sunt in societate vel
-extra. Et ego nullam concordiam feci vel faciam cum imperatore
-constantinopolitano.... sine consilio credentiæ cujusque civitatis...
-Et filios meos qui sunt in ætate quatuordecim annorum, infra
-duos menses..... faciam jurare omnia prædicta et attendere.</i>
-</p>
-
-<p>
-Disputano di qual Enrico si tratti: e poco importa; ma tanto
-basta per ismentire l’asserzione del Sigonio, e tanto più l’estensione
-datavi dal Sismondi, che Ottone avesse, con una costituzione
-generale, liberati i municipj. A quella si sarebbero appellati,
-non a consuetudini incerte.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note131">
-<p><span class="label"><a href="#tag131">131</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Giovanni di Sarisbery, <i>ep.</i> 210, ap. <span class="smcap">Labbe</span>, <i>Concil.</i>,
-tom. <span class="smcap lowercase">X</span>. 1450.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note132">
-<p><span class="label"><a href="#tag132">132</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Montes aureos et cum honore et gloria imperii gratiam
-sempiternam.</i> <span class="smcap">Tommaso de Cantuaria</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note133">
-<p><span class="label"><a href="#tag133">133</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Buoncompagno maestro fiorentino narrò quell’assedio
-(<i>Rer. it. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>). Egli sclama: <i>Non credam Italiam posse
-fieri tributariam alicui, nisi Italicorum malitia procederet ac
-livore; in legibus enim habetur: Non est provincia, sed domina
-provinciarum.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note134">
-<p><span class="label"><a href="#tag134">134</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il terreno su cui venne costruita Alessandria apparteneva
-ai marchesi del Bosco, i quali lo cedettero nel 1180 in
-feudo ai cittadini di quella, colle ville Marenzana e Ponzano,
-assolvendo da ogni fedeltà i villani, arimanni, mercanti, artieri
-di esse terre, <i>Monumenta Aquensia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Al vescovado d’Alessandria il papa avea voluto aggregare
-quello di Acqui; ma gli Acquensi resistettero accannitamente, e
-ne venne guerra, finchè Innocenzo III disgiunse novamente le
-due diocesi. Vedi <span class="smcap">Chenna</span>, <i>Del vescovato di Alessandria</i>, 1790.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note135">
-<p><span class="label"><a href="#tag135">135</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il primo aveva egli menato nel 1154; il secondo nell’estate
-1158; il terzo gli fu condotto l’anno dopo dalla imperatrice;
-il quarto fu de’ principi germanici che distrussero
-Milano; col quinto Federico osteggiò Roma, e lo perdette di
-febbri; il sesto fece mala impresa ad Alessandria; il settimo fu
-sconfitto a Legnano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note136">
-<p><span class="label"><a href="#tag136">136</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Card. Arrag.</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 468.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note137">
-<p><span class="label"><a href="#tag137">137</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Secondo gli atti prodotti dal Muratori, <i>Antiq. ital. medii
-ævi</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLVIII</span>, i luoghi e le persone del partito imperiale erano
-Cremona, Pavia, Genova, Tortona, Asti, Alba, Acqui, Torino,
-Ivrea, Ventimiglia, Savona, Albenga, Casale di Sant’Evasio,
-Montevelio, Castel Bolognese, Imola, Faenza, Ravenna, Forlì,
-Forlimpopoli, Cesena, Rimini, Castrocaro, il marchese di Monferrato,
-i conti di Biandrate, i marchesi del Guasto e del Bosco,
-e i conti di Lomello. All’incontro nella Lega di Lombardia erano
-Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Ferrara,
-Mantova, Bergamo, Lodi, Milano, Como (benchè da noi poco
-fa veduto aderente a Federico), Novara, Vercelli, Alessandria,
-Carsino e Belmonte, Piacenza, Bobbio, Obizo Malaspina marchese,
-Parma, Reggio, Modena, Bologna, Doccia, San Cassano,
-ed altri luoghi e persone dell’Esarcato e della Lombardia.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note138">
-<p><span class="label"><a href="#tag138">138</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Romoaldo Salern.</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 220.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note139">
-<p><span class="label"><a href="#tag139">139</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Gaufridi Vosiensis</span> <i>Chron.</i> Il fatto del piede posto sul
-collo di Federico fu sostenuto in prima dal benedettino Fortunato
-Olmo nel 1629, <i>Historia della venuta a Venetia occultamente
-nel 1177 di papa Alessandro III, e della vittoria ottenuta
-da Sebastiano Ziani doge</i>; e ultimamente da Carlo Lodovico
-Ring, nel <i>Saggio storico per illustrare un fatto finora messo in
-dubbio della vita di due contemporanei, aspiranti entrambi alla
-signoria del mondo</i> (ted.); Stuttgard 1835. Nel Cicogna, <i>Iscriz.
-venete</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 574-93, è una dissertazione di Angelo Zon
-sulla venuta di Alessandro III a Venezia. A Venezia si trovavano
-già rifuggiti moltissimi vescovi di Lombardia, cacciati da
-altri scismatici; v’accorse poi grandissima folla di prelati e
-signori; ed è curioso documento una cronaca che riferisce uno
-per uno questi personaggi col loro seguito. Per dire solo d’alcuni
-Italiani, Girardo arcivescovo di Ravenna giunse con settanta
-uomini; Lodovico vescovo di Brescia con un abbate e trenta
-uomini; e così Salomone di Trento; Tebaldo di Piacenza con
-due preposti e venti uomini; Guala di Bergamo con dodici;
-Alberico di Lodi coll’abate di San Pietro, e il prevosto di San
-Geminiano e quattro consoli, con diciannove uomini; Offredo di
-Cremona con quaranta; Anselmo di Como col suo arcidiacono e
-quaranta uomini; Algiso arcivescovo di Milano con Milone
-vescovo di Torino, coll’arcidiacono e arciprete suo e l’abate di
-San Dionigi e uomini sessanta; e così gli altri vescovi. Seguono
-Corrado marchese di Monferrato con venti uomini, il marchese
-Moruello Malaspina con cenquindici, il podestà di Verona con
-sessanta uomini, e due avvocati de’ Veronesi con undici; il
-podestà di Bergamo con venti, di Vercelli con sedici; dieci consoli
-di Cremona con novantacinque uomini, quattro di Piacenza
-con trentacinque, quattro di Novara con sedici, quattro d’Alessandria
-con trentacinque; il podestà di Bologna con quindici
-uomini; quattro consoli di Milano con trenta; il conte di Biandrate
-con ventisette; Ezelino da Treviso con trenta; nove cattanei
-di Treviso con quarantacinque; i marchesi d’Este con
-centottanta; il conte Guido Guerra con cento; e lasciamo indietro
-altri; i Tedeschi aveano più numerosi accompagnamenti.
-Il cronista soggiunge: «De zascheduna zittade de Lombardia
-e de la Marca e de Toscana e de Romagna e de la Marca d’Ancona
-ve fò catanii e possenti homeni, lo nome e lo numero deli
-quali no savemo. Suma lo numero de le persone numerade e i
-so prinzipali nominadi per nome, in tutto homeni 6390». <span class="smcap">Olmo</span>,
-op. cit.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note140">
-<p><span class="label"><a href="#tag140">140</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi <span class="smcap">Carlini</span>, <i>De pace Constantiæ disquisitio</i>. Verona
-1763; <span class="smcap">Giac. Durando</span>, <i>Saggio sulla Lega Lombarda e sulla pace
-di Costanza</i>, nel vol. <span class="smcap lowercase">XL</span> delle <i>Memorie dell’Accademia di Torino</i>.
-</p>
-
-<p>
-Frà Jacopo d’Acqui aggiunge che i Veneziani voleano che il
-loro doge al banchetto sedesse a fianco del Barbarossa: ma
-questi pigliò il sedile preparatogli e lo pose sopra il suo, e si
-sedè così in alto, mentre <i>quel villano</i>, com’esso il chiamava,
-dovè sedere sulla panca.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note141">
-<p><span class="label"><a href="#tag141">141</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Centum mille noto pro Christi tempore toto</i></p>
-<p class="i01"><i>Octaginta datis super his et quinque peractis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Sub mense maji Federico cæsare stante</i></p>
-<p class="i01"><i>Septima lux mensis præerat factis gerendis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Cum relevata fuit Crema, statumque resumsit.</i></p>
-<p class="i01"><i>Per Placentinos grates meruere divinas,</i></p>
-<p class="i01"><i>Unde Cremonenses doleant et sine modo flentes</i></p>
-<p class="i01"><i>Et fletu quorum lætetur quisque virorum.</i></p>
-<p class="i06"> Iscriz. presso <span class="smcap">Alamanno Fino</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note142">
-<p><span class="label"><a href="#tag142">142</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Tutini</span>, <i>Disc. de’ sette uffizj</i>, pag. 34. Nell’archivio di
-Napoli è copia autentica di questo catalogo. Registro di Carlo II
-al 1322, da pag. 14 alla 63.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note143">
-<p><span class="label"><a href="#tag143">143</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Quella del Barbarossa è l’età eroica delle repubbliche
-italiane, che perciò v’attaccarono ciascuna tradizioni particolari,
-singolarmente sulla tirannia de’ suoi podestà, e sul modo con
-cui se ne redensero. A Bergamo ricordasi un’Antonia, nobile
-verginella, rimasta viva nella strage del 1168, e che insidiata
-dal Barbarossa, nè potendo altrimenti salvare l’onestà, si uccise.
-<i>Vedi</i> <span class="smcap">Calvi</span>. I Comaschi nominano ancora con orrore il podestà
-Pagano; e i Cremonesi vantano Zanino dalla Balla, o Baldesio,
-che però altri portano ai tempi di Enrico III. Un altro Pagano
-tiranneggiava Padova, che rapì Speronella moglie di Jacopino da
-Carrara: ma i Padovani se ne vendicarono cacciandolo; donde
-cominciò l’annua festa del san Giovanni, ecc.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Hans Prutz</span>, <i>Kaiser Friedrich I</i> (Danzica 1871-74, 3 volumi),
-è una continua giustificazione di quell’imperatore, rimasto leggendario
-fra i Tedeschi: aver mosso guerra ai Comuni Lombardi
-sol come ostacolo che erano al suo concetto di sottoporre
-tutta l’Italia e per essa il Mediterraneo, e in conseguenza tutto
-il mondo civile, istituendo la vera grandezza dell’impero germanico.
-«La distruzione di Milano era un avvenimento destinato
-ad aprire una nuova splendida epoca del regno di Federico».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note144">
-<p><span class="label"><a href="#tag144">144</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giulini</span>, part. <span class="smcap lowercase">VII</span>. l. 48. — <i>Dilectorum fidelium nostrorum</i>
-<i>civium Mediolanensium strenuitatem, fidem ac devotionem, quo,
-ferventiori ceteris affectu, nostræ in dies dignationi gratiores se
-exhibent.</i> Ap. <span class="smcap">Puricelli</span>, <i>Monum. Eccl. Ambrosianæ</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note145">
-<p><span class="label"><a href="#tag145">145</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 622.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note146">
-<p><span class="label"><a href="#tag146">146</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Federico, nell’investire Aicardo dei feudi di Robbio, Confienza,
-Palestro, Rivautella nel Vercellese, stabilisce <i>Quod si ipse vel heredes sui justitiam de hominibus suis facere obmiserint,
-legatus noster justitiam de eis faciat; et si aliquis adversus eum
-vel heredes suos querimoniam coram nobis deposuerit, vel ad
-curiam nostram <span class="upright">appellaverit</span>, coram legatis nostris indubitanter
-veniant justitiam facturi et accepturi</i>. Monum. Hist.
-patriæ, <i>Chart.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>. 894.
-</p>
-
-<p>
-Fra tanti altri esempj dell’importuna intervenzione regia
-negli interessi anche privati citerò solo un privilegio dato il
-1162 dal Barbarossa stesso ad Enrico vescovo di Como, per cui,
-visti i gravi debiti della chiesa comasca, le rimette non solo
-gl’interessi, ma anche i capitali, salvo quelli che si trovassero
-prestati a servizio regio o per utilità della Chiesa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note147">
-<p><span class="label"><a href="#tag147">147</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel 1189 Enrico concede al vescovo Lanfranco di Bergamo
-di risolvere gli appelli ad esso re riservati, dandone notizia
-<i>fidelibus suis comitibus, nobilibus, consulibus, et universo
-populo in civitate et per totum pergamensem episcopatum constituto</i>.
-Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 1599.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note148">
-<p><span class="label"><a href="#tag148">148</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È nelle <i>Lettere</i> di Pier dalle Vigne, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. c. 1: <i>Te de
-latere nostro sumptum generalem vicarium a Papia inferius in
-Lombardia, ad eos velut conscientiæ nostræ conscium pro conservatione
-pacis et justitiæ specialiter destinamus, ut vices
-nostras universaliter geras ibidem. Nec tamen te sola vicarii
-potestate volumus esse contentum, licet solo vicarii nomine censearis;
-sed tibi usque ad aliud mandatum nostrum adjicimus
-officium <span class="upright">præsidiatus</span>, concedentes tibi merum et purum imperium
-et gladii potestatem, et ut facinorosos animadvertere valeas
-vice nostra purgando provinciam, malefactores inquiras, et
-punias inquisitos et specialiter eos qui stratas et itinera publica
-ausu temerario violare præsumunt. Criminales etiam quæstiones
-audias et civiles, quarum cognitio si præsentes essemus ad nostrum
-auditum pertinet. Liberaliter quoque audias et determines
-quæstiones; et imponendi banna et multas ubi expedierit, auctoritatem
-tibi plenariam impertimur. Decreta utique interponas,
-quæ super transactione alimentorum, alienatione ecclesiasticarum
-rerum et tuitione minorum, secundum justitiam interponi
-petuntur. Tutores etiam et curatores dandi quibuslibet tibi concedimus
-potestatem. Et ut majoribus et minoribus, quibus universa
-jura succurrunt, causa cognita, restitutionis in integrum
-beneficium valeas impertiri, ad audientiam quoque tuam, tam
-in criminalibus quam in civilibus causis, appellationes adferri
-volumus, quas a sententiis ordinariorum judicum et eorum
-omnium, qui jurisdictionem ab imperio sunt nacti, in provincia
-ipsa, videlicet a Papia inferius in Lombardia (prout superius
-dictum est) contigerit interponi. Ita tamen quod inde a sententia
-tua ad audientiam nostri culminis possit libere provocari, nisi
-vel causæ qualitas vel appellationum numerus appellationis
-auxilium adimat appellanti. Quapropter fidelitati tuæ firmiter
-et districte præcipiendo mandamus, quatenus ad statum pacificum
-regionis ipsius et recuperationem nostrorum et imperii
-virium, in eamdem fidem tuam et sollicitudinem, sicut gratiam
-nostram charam diligis, sic efficaciter et diligenter impendas...</i>
-È pubblicata anche con qualche diversità nei <i>Monum. hist.
-patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 1400.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note149">
-<p><span class="label"><a href="#tag149">149</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bonincontro Morigia</span>, <i>Chron. Modoetiæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 116:
-<span class="smcap">Ptolomei Lucensis</span>, <i>Hist. eccl.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XXIV</span>. c. 21. — L’ultimo atto
-che io conosca di volontaria giurisdizione esercitata da un messo
-regio, è del 1223, e sta nell’archivio della semicattedrale di
-Lugano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note150">
-<p><span class="label"><a href="#tag150">150</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Rossus, Guadardus et Guillelmus, majores Lucanæ civitatis
-consules, quisque pro se ad sancta Dei evangelia juravit ita:</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ego ab hac hora in antea fidelis ero domini Frederici Romanorum
-imperatoris, sicut de jure debeo domino imperatori meo;
-et non ero in facto vel in consilio sive auxilio quod perdat vitam
-vel membra sua, vel coronam, vel imperium seu honorem suum,
-vel quod in captione aliqua contra voluntatem suam teneatur; et
-bona fide juvabo eum retinere coronam et honorem suum, et
-nominatim civitatem Lucanam et ejus comitatum, et quæcumque
-regalia, quæ de jure in ea debet habere intus vel foris. Hæc
-omnia contra omnes adjuvabo eum retinere bona fide, et si perdiderit
-recuperare; et credentias suas, quas per se vel per suum
-certum missum, vel per suas literas certas mihi significaverit,
-bona fide celabo; et præcepta ejus quæ mihi fecerit de pace servanda,
-vel guerra in Tuscia facenda, sive de regalibus suis adimplebo,
-nisi per parabolam domini imperatoris, vel domini archicancellarii,
-vel ejus certi missi remanserit; et fodrum ei per
-episcopatum et comitatum Lucanum bona fide recolligi juvabo,
-cum ab ejus certo misso ad hoc destinatus requisitus fuero. Et
-homines civitatis Lucanæ idem sacramentum fidelitatis domini
-imperatoris pro posse meo jurare faciam bona fide. Et stratam
-non offendam, et ne ab aliquo offendatur bona fide pro posse
-meo defendam et vindicabo. Et dabo domino imperatori Frederico,
-in expeditione versus Romam, Apuliam et Calabriam,
-milites viginti, et ad illos terminos, quos dominus imperator per
-se vel per certum suum missum ad hoc destinatum imposuerit
-mihi. Et conventionem factam de pecunia quadringentarum
-librarum annuatim solvenda observabo; et nullum recipiam in
-consulatu, qui hoc sacramentum de pecunia solvenda non
-juret....</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Concordia vero inter nos et Lucanos consules quomodo sit et
-esse debeat, per Rainaldum Coloniensem electum, et archicancellarium
-Italiæ atque imperatoriæ majestatis legatum facta, talis
-est; videlicet quod ipsi consules, a proximis kalendis augusti
-usque ad sex annos, debeant omnia regalia quæ habent, tam in
-civitate quam extra, salvo fodro domini imperatoris, extra civitatem
-libere tenere dando in Purificatione beatæ Mariæ in unoquoque
-anno domino Frederico imperatori, vel suo certo misso
-nominatim ad hoc delegato, quadringentas libras lucanæ monetæ
-publice probatæ; et ipsis sex annis transactis, ipsa prælibata
-regalia prælibato domino imperatoris resignabunt, et per parabolam
-prædicti Frederici imperatoris vel ejusdem Rainaldi Coloniensis
-electi, et Italiæ archicancellarii, vel sui certi missi ad
-hoc destinati.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Præterea dominus imperator concedit civitati Lucanæ, ut
-eligant omni anno ex se consules quos voluerint, qui debeant
-jurare, ita videlicet, quod guidabunt et regent populum et civitatem
-Lucanam ad honorem Dei, et ad servitium domini imperatoris
-Frederici, et ad ipsius civitatis salvamentum. Et ex ipsis
-consulibus qui electi fuerint, ibunt omni anno in præsentia
-ipsius domini imperatoris Frederici si in Italia fuerit, aut unus
-si in Alemania fuerit, recepturi investituram a domino imperatore
-vice omnium. Et si domino imperatori placuerit quod
-Lucæ solvant duci solidos mille quos convenerunt, tanto minus
-domino imperatori de prædicta pecunia usque ad prædictum
-terminum solvere debent; alias secundum prædictum ordinem
-totum solvere debent. Item consules qui fuerunt electi omni anno,
-si non habuerint juratam domino imperatori fidelitatem, eam
-jurare debent.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Et hanc totam conventionem nostram per nostrum mandatum
-et auctoritatem ab eodem Coloniensi electo et Italiæ archicancellario
-factam præsentis paginæ scripto corroboramus, ac
-sigillo majestatis nostræ confirmamus.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note151">
-<p><span class="label"><a href="#tag151">151</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ad legem et justitiam facendam, gubernandum per te et
-tuum nuntium, ita sicut nos et noster nuntius agere debuissemus.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note152">
-<p><span class="label"><a href="#tag152">152</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Tommaso</span>, <i>Sommario</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 5. — Atti d’autorità sovrana,
-esercitati da Enrico VI ancor vivo il padre, già ne vedemmo al
-Cap. <span class="smcap lowercase">LXXXI</span>. Un altro esempio ce n’offrono i <i>Monumenta Historiæ
-patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 945, dove esso re nel 1187 conferma una
-sentenza dei consoli d’Asti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note153">
-<p><span class="label"><a href="#tag153">153</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Egli conferma il privilegio che riportammo alla nota 34
-del Cap. <span class="smcap lowercase">LXXXI</span>. Le spiegazioni che se ne danno nel vol. <span class="smcap lowercase">I</span> delle
-<i>Memorie e docum. per servire alla storia lucchese</i> non reggono
-coi nuovi lumi storici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note154">
-<p><span class="label"><a href="#tag154">154</a>.&nbsp;&nbsp;</span>...... <i>Civitatis Lucæ fideles nostri majestati nostræ
-humiliter supplicarunt, ut castrum Motronis, Montifegatensi, et
-castrum Luliani, quæ sunt de Carfagnana, cum omnibus eorum
-et cujusque eorum rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et
-districtu, eis concedere in perpetuum, et dare licentiam eidem
-communi recipiendi et retinendi homines et personas quaslibet
-Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum, qui vel quæ effici
-voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives civitatis ejusdem
-et eisdem hominibus et personis veniendi ad eamdem civitatem ad
-habitandum, si voluerint, vel alias se concives faciendi, et quod
-liceat communibus et aliis singularibus personis de Carfagnana
-recipere potestates et rectores civitatis praedictæ de gratia nostri
-culminis dignaremur. Nos vero ejusdem communis nostrorum
-fidelium supplicationibus benignius inclinati, attendentes etiam
-grata et accepta servitia quæ idem commune majestati nostræ
-exhibuit, hactenus exhibet in præsenti, et quæ exhibere poterit
-in futurum, eidem communi castra de Carfagnana superius
-denotata cum omnibus eorum et cujusque eorum rationibus, pertinentiis,
-jurisdictionibus et districtu concedimus, nec non ipsis
-licentiam recipiendi et retinendi homines et quaslibet personas
-Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum, qui vel quæ effici
-voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives civitatis ejusdem,
-et eisdem hominibus et personis veniendi ad ipsam civitatem ad
-habitandum si voluerit, vel alias se concives faciendi, et hominibus
-et aliis singularibus personis de Carfagnana recipiendi
-potestates et rectores civitatis prædictæ de gratia majestatis
-nostræ et plenitudine potestatis, salva in omnibus imperiali
-justitia.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note155">
-<p><span class="label"><a href="#tag155">155</a>.&nbsp;&nbsp;</span>... <i>Licet nos olim provinciam Carfagnanæ cum juribus
-et pertinentiis suis Henrico juniori illustri regi Sardiniæ, sacri
-imperii in Italia generali legato, dilecto filio nostro, de mera
-donatione nostra duximus conferendam; attendentes tamen fidei
-puræ zelum quem communi Lucæ fideles erga majestatis nostræ
-personam habere noscuntur... provinciam ipsam cum castris,
-villis, hominibus, jurisdictionibus, possessionibus, terris cultis et
-incultis, aquis et aquarum decursibus, justitiis, rationibus
-omnibus et pertinentiis suis, videlicet quæ de dimanio in dimanium,
-et quæ de servitio in servitium eidem communi fidelibus
-nostris in fide et devotione nostra persistentibus, in <span class="upright">rectum
-feudum</span> duximus concedendum. Ita tamen quod provincia ipsa
-a nobis et successoribus nostris in perpetuum nomine recti feudi
-de cætero teneant, sicut tenent alias terras eorum districtus, et a
-nobis et imperio recognoscunt, eis olim a divis augustis progenitoribus
-nostris concessas, et a nobis postmodum confirmatas,
-debita quoque et consueta servitia proinde nobis et imperio facere
-teneantur.</i>
-</p>
-
-<p>
-Le concessioni imperiali non di rado s’intralciano e si contraddicono.
-Nel 1163 Federico Barbarossa da Lodi dava un diploma,
-ricevendo sotto la sua protezione, cioè affrancando il borgo e
-gli uomini di Sarzana, concedendo un mercato ogni sabbato, la
-libera scelta de’ proprj consoli ecc.: diploma confermato da
-Federico II il 1226. Ora nel 1185 lo stesso Barbarossa assegnava
-al vescovo di Luni la giurisdizione, il bando, il mercato, la pesca,
-il distretto, insomma la signoria sui popoli di Santo Stefano e
-Sarzana. Nel 1355 Carlo IV, scialacquatore di privilegi, confermava
-al vescovo lunese il diploma di Federico: eppure al tempo
-stesso dava in feudo ai marchesi Malaspina e alla città di Pisa
-molte terre comprese in quella concessione.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note156">
-<p><span class="label"><a href="#tag156">156</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Breve recordacionis de Ardicio de Aimonibus.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note157">
-<p><span class="label"><a href="#tag157">157</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 813.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note158">
-<p><span class="label"><a href="#tag158">158</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Da <i>credere</i> in senso d’affidare, usato dai Latini e dai
-nostri. In un placito di Limonta dell’888: <i>Cum ibi essent nobiles</i>
-<i>et credentes homines, liberi arimanni, habitantes Belasio loco.</i>
-Antiq. M. Æ., diss. <span class="smcap lowercase">XLI</span>. — <i>Quisquis in hujuscemodi tribunalis
-consilium admittebatur, jurabat in credentiam consulum, hoc est
-se tacite retenturum quæcumque eo in consilio dicta vel acta fuissent,
-nec enunciaturum uspiam in profanum vulgus.</i> Rer. It.
-Scrip., <span class="smcap lowercase">VI</span>. 962. E nell’Ariosto: «Nelle cui man s’era creduta». — <i>Homines
-credentes</i> valea quanto uomini di credito, fededegni:
-«Vincenzo di Naldo, fiorentino, uomo molto creduto in quel
-contado». <span class="smcap">Bembo</span>, <i>Storia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note159">
-<p><span class="label"><a href="#tag159">159</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il Serra, <i>Storia della Liguria</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>, 277, lo adduce come del
-950: ma pare da mettere fra il 1121 e il 1130. Vedi <span class="smcap">Vincent</span>,
-<i>Hist. de la rép. de Gênes</i>. Parigi 1842.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note160">
-<p><span class="label"><a href="#tag160">160</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Alcuno immaginò che maggiori fossero quelli tolti dalla
-nobiltà, minori quelli da plebei. Vedi <span class="smcap">Benvoglienti</span>, <i>Osservazioni
-intorno agli statuti pistojesi</i>. Il contrario pensa Muratori,
-<i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLVI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note161">
-<p><span class="label"><a href="#tag161">161</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Statuta Mantuæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. rub. 15.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note162">
-<p><span class="label"><a href="#tag162">162</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mariotti</span>, <i>Saggio di mem. storiche civili ed ecclesiastiche
-di Perugia</i>, 1806, pag. 248.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note163">
-<p><span class="label"><a href="#tag163">163</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Varchi</span>, <i>Ercolano</i>. Il Muratori (<i>Antiq. M. Æ.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>)
-pubblicò l’<i>Oculus pastoralis pascens officia et continens radium
-dulcibus pomis suis</i>, che è un’istruzione ad un futuro podestà
-intorno a tutte le parti del suo uffizio: ma è forse opera di
-qualche monaco, più attento alla parte morale che alla giuridica;
-come fa pure ser Brunetto Latini, nel lib. <span class="smcap lowercase">IX</span> del suo <i>Tesoro</i>,
-dove largamente divisa i doveri del podestà. Fra le altre cose
-dice: — Sopra tutte cose debbe il podestà fare che la città che
-ha suo governamento, sia in buono stato, senza briga e senza
-forfatto. E questo non può fare, s’egli non fa che li malfattori,
-ladroni e falsatori sieno fuori del paese: chè la legge comanda
-bene che ’l signore possa purgare il paese della mala gente.
-Però ha egli la signoria sopra i forestieri e sopra’ cittadini che
-fanno li peccati nella sua jurisdizione, e non pertanto egli non
-giudicherà a pena quello ch’è senza colpa: ch’egli è più santa
-cosa a solvere un peccatore che dannare un giusto, e laida cosa
-è che tu perda il nome d’innocenza per odio d’un nocente.......
-Sopra li maleficj debbe il signore e i suoi uffiziali seguire il modo
-del paese e l’ordine di ragione, in questa maniera. Prima debbe
-quello che accusa giurare sopra il libro di dire il vero in accusando
-e in difendendo, e che non vi mena nullo testimonio a suo
-sciente; allora dee dare l’accusa in iscritto, ed il notajo la
-scriva tutta a parola a parola, sì come egli la divisa: si dee
-inchiedere da lui medesimo diligentemente ciò ch’egli o li giudici
-od i signori crederanno apertamente che sia del fatto, o
-della cosa: e poi si mandi a richiedere quelli che è accusato del
-maleficio; e s’egli viene, sì lo faccia giurare e sicurare la corte
-dei malfattori, e metta in iscritto sua confessione e sua negazione,
-sì come egli dice: e se non dai malfattori, o che ’l maleficio
-sia troppo grande, allora debbe il signore od il giudice
-porre il dì da provare, e da ricevere li testimonj che vegnono,
-e costringere quelli che non vegnono, ed esaminar ogni cosa
-bene e saviamente, e mettere li detti in iscritto: e quando i
-testimonj sono ben ricevuti, il giudice ed il notajo debbon far
-richiedere le parti dinanzi da loro; e s’elli vegnono, si debbon
-aprire li detti de’ testimonj, e darli a ciascuno perchè si possano
-consigliare e mostrar loro ragione. Ora addiviene alcuna volta
-ne’ grandi maleficj, che non possono essere provati interamente,
-ma l’uomo trova ben contra quelli ch’è accusato alcuno segno e
-forti argomenti di sospezione: a quel punto il può l’uomo mettere
-alla colla per farli confessare la colpa, altrimenti no; e si
-dico io, ch’alla colla il giudice non deve dimandare se Giovanni
-fece maleficio, ma generalmente dee dimandare chi ’l fece».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note164">
-<p><span class="label"><a href="#tag164">164</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Serra</span>, <i>Storia della Liguria</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 8: <span class="smcap">Giulini</span>, <i>Continuaz.</i>,
-part. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 64; <i>Chron. parmense</i>, Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">IX</span>. 819;
-<span class="smcap">Corio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. — I patti del podestà di Genova sono divisati nei
-<i>Monumenta Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 1334.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note165">
-<p><span class="label"><a href="#tag165">165</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ma se io non potrò avere lo delinquente, puniroe lo
-figliuol suo, u vero li figliuoli del delinquente, se lui u se loro
-potrò avere. Ma se lo figliuolo u vero li figliuoli del delinquente
-aver non potrò, puniroe lo padre del delinquente, se io lo potrò
-avere, così in avere come in persona ad mio arbitrio..... Et
-non dimeno li loro beni, poichè in del bando saranno incorsi,
-siano pubblicati al comune di Pisa, et siano guasti et distructi
-così in de la città come in del contado in tutto, sicchè poi non
-si rifacciano, nè rifare li permetterò nè abitare u lavorare u
-vendere u alienare. Et ciascheduno che li abitasse, lavorasse,
-vendesse, alienasse, comprasse et per qualunque altro titolo
-ricevesse, puniroe...
-</p>
-
-<p>
-«Et intorno alle suprascripte tutte cose investigare et trovare
-io capitano abbia pieno, libero et generale arbitrio così in
-ponere ad questioni et tormenti et punire in avere et persona
-come eziandio ad tutte altre cose..... Et ad catuna persona che
-cotale malefactore prendesse et preso a me capitano l’apprezentasse
-u vero uccidesse, darò u farò dare dei beni del comune di
-Pisa 1. <span class="smcap lowercase">M</span>. di danari...» <i>Statuto di Pisa, ms.</i> § 12.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note166">
-<p><span class="label"><a href="#tag166">166</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nella <i>Cronaca di Padova</i> trovo Galvano Lanza podestà
-nel 1243 e 44; Guzelo de Prata nel 1247, 48, 49; Ansedisio de’
-Guidotti da Treviso dal 1250 al 55. Vero è che erano i tempi
-della tirannia di Federico II e di Ezelino.
-</p>
-
-<p>
-Parma aveva un podestà nel 1175 (<span class="smcap">Affò</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 259): Cremona nel
-1180 (<i>R. I. S.</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 635); Faenza nel 1184 (<i>Rerum Favent. Script.</i>,
-c. 82): Genova nel 1191 (<i>R. I. S.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 364); Firenze nel 1193 con
-Gerardo Caponsacchi, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note167">
-<p><span class="label"><a href="#tag167">167</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel <i>Cod. Just.</i>, tit. <span class="smcap lowercase">XLIX</span>. l. 1 e nella <i>Nov.</i> <span class="smcap lowercase">VIII</span>. c. 9 è
-comandato che gli uffiziali di provincia rimangano cinquanta
-giorni in luogo, dopo scaduti di carica, per soddisfare a tutte le
-doglianze. E cinquanta giorni sono prefissi nello statuto antico
-di Pistoja (<i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. 70, al § 76); poi variò secondo
-i paesi. Lo statuto di Torino <i>De sacramento DD. vicarii et
-judicis</i> porta: <i>Juramus quod stabimus decem diebus in Taurino
-post nostrum regimen, ad faciendam rationem cuilibet..... conquerenti
-de nobis.</i> Quello di Roma: <i>Senator, finito suo officio,
-cum omnibus judicibus et familiaribus et officialibus suis teneatur
-stare et sistere personaliter decem diebus coram judice, sindico
-deputando ad ratiocinia ejus; et coram ipso, ipse et officiales
-prædicti teneantur de gestis et administratis et factis durante
-officio reddere rationem, et unicuique conquerenti respondere de
-jure, et omnibus satisfacere quibus de jure tenetur. De quibus
-omnibus dictus judex summarie cognoscat, et intra decem dictos
-dies causam decidat de plano, sine strepito et figura judicii, non
-obstantibus feriis et non obstantibus solemnitatibus juris, dummodo
-veritas discutiatur, et ad illam saltem respectus et consideratio
-per judicem habeatur.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note168">
-<p><span class="label"><a href="#tag168">168</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 684.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note169">
-<p><span class="label"><a href="#tag169">169</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Franco Sacchetti</span>, <i>Nov.</i> 196.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note170">
-<p><span class="label"><a href="#tag170">170</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Capitaneus populi, ad defensionem libertatis et popularis
-status, et ad observandam unionem civium principaliter est institutus
-etc.</i> Statuti lucchesi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note171">
-<p><span class="label"><a href="#tag171">171</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Una savia e piena informazione del governo di Firenze
-dal 1280 al 92 è riportata nelle <i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>.
-256.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note172">
-<p><span class="label"><a href="#tag172">172</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Tale complicazione era espressa con questi versi popolari:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Trenta elegge il consegio;</p>
-<p class="i01">De quai, nove hanno il megio:</p>
-<p class="i01">Questi elegon quaranta,</p>
-<p class="i01">Ma chi più in lor se vanta</p>
-<p class="i01">Son dodese che fano</p>
-<p class="i01">Venticinque: ma stano</p>
-<p class="i01">De questi soli nove,</p>
-<p class="i01">Che fan con le lor prove</p>
-<p class="i01">Quarantacinque a ponto;</p>
-<p class="i01">De quali ondese in conto</p>
-<p class="i01">Elegon quarantuno,</p>
-<p class="i01">Che chiusi tuti in uno</p>
-<p class="i01">Con venticinque almeno</p>
-<p class="i01">Voti fano el sereno</p>
-<p class="i01">Principe che coregge</p>
-<p class="i01">Statuti, ordine e legge.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note173">
-<p><span class="label"><a href="#tag173">173</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Et non possit ire ad brevia vel esse consiliarius</i> (nè elettore
-nè eletto) <i>qui non sit habitator Lucanæ civitatis, vel qui
-sit extimatus minus</i> <span class="smcap lowercase">XXV</span> <i>libris, ad ultimas et proximiores extimationes
-factas in camera Lucani communis</i>. Statuto lucchese
-del 1308.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note174">
-<p><span class="label"><a href="#tag174">174</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La varietà delle condizioni personali ci appare in questo
-passo: — Il 1233, essendo podestà di Firenze Torello da Strada,
-fece intendere a tutti gli abitatori del contado fiorentino che
-venissero a comparire nella città, con esporre ai notaj de’ sestieri
-a ciò deputati di che condizione si fossero; o fosse cavaliere
-nobile (<i>per nascita</i>), o fattizio, o aloderio (<i>che aveva allodj</i>),
-o masnadiere, o uomo d’altri, o fittajuolo, o lavoratore, o d’altra
-condizione». <span class="smcap">Scipione Ammirato</span>, <i>Storie fiorentine</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note175">
-<p><span class="label"><a href="#tag175">175</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Alcuni vollero argomentare la quantità de’ Longobardi
-o de’ Romani o de’ Salici nei varj paesi e nei diversi tempi dai
-nomi loro. Giudizio affatto inconcludente, e ne deduco poche
-prove dai soli <i>Monumenta Hist. patriæ</i>:
-</p>
-
-<p>
-<i>Ego <span class="upright">Benedictus</span> filius quondam <span class="upright">Constanci</span>, qui professus
-sum ex nacione mea legem vivere Langobardorum</i>. Chart.
-<span class="smcap lowercase">I</span>. 458. Due altri suoi fratelli si chiamavano Garino e Giovanni.
-</p>
-
-<p>
-E viceversa al 1039: <i>Ego Amicus clericus, filius quondam
-<span class="upright">Aldeprandi</span>, qui professus sum ex nacione mea lege vivere
-romana.</i>
-</p>
-
-<p>
-E al 1069: <i>Ego <span class="upright">Aldeprandus</span> presbiter, filius quondam
-<span class="upright">Constancii</span>, qui professus sum ex nacione mea legem vivere
-Langobardorum</i>.
-</p>
-
-<p>
-Al 1071: <i>Ego <span class="upright">Drodo</span> filius quondam <span class="upright">Manfredi</span>, qui
-professus sum ex nacione mea lege vivere romana.</i>
-</p>
-
-<p>
-Al 1074: <i>Ego <span class="upright">Adam</span> presbiter, filius quondam <span class="upright">Petri</span>, qui
-professus sum ex nacione mea lege vivere Langobardorum.</i>
-</p>
-
-<p>
-Al 1088: <i><span class="upright">Oddo</span> presbiter, qui profitebat se ex nacione sua</i>
-<i>lege vivere romana; e Villelmus subdiaconus, filius Verada femina,
-qui profitetur se ex nacione sua lege vivere romana.</i>
-</p>
-
-<p>
-Al 1089: <i>Constat nos <span class="upright">Laurencius</span> et <span class="upright">Johannes</span> germani,
-filii quondam <span class="upright">Gisulfo</span>, qui professus sum ex nacione
-nostra legem vivere romanam;</i> e son firmati testimonj <i>Alberto
-et Ricardo ambi lege viventes romana.</i>
-</p>
-
-<p>
-Al 1092 è un curioso documento di tutti gli abitanti di
-Saorgio, con nomi d’ogni colore, <i>qui professi sumus omnes ex
-natione nostra lege vivere romana.</i>
-</p>
-
-<p>
-V’ha di più. Anselmo, abate di San Gennaro di Lucedio al
-1092, professando vivere a legge romana, promette non inquietare
-il marchese Tebaldo; <i>et ad hunc confirmandum promissionis
-breve, ego qui supra Anselmus abbas a te Tebaldus, exinde
-launechild capa una, ut hec mea promissio firma permaneat.</i>
-Coma c’entra il launechildo colla legge romana?
-</p>
-
-<p>
-Egualmente al 1098 Raiverto e Martino figli di Aldebrando,
-e Bolesinda moglie di Raiverto <i>professi omnes ex nacione nostra
-lege vivere romana</i>, fanno una vendita, dove Raiverto stipula
-come mundualdo di Bolesinda, <i>jugale et mundualdo meo consentiente</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note176">
-<p><span class="label"><a href="#tag176">176</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Zanfredolo da Besozzo nel 1321 diede statuti per le
-terre d’Invorio, Garazuolo, Montegiasca presso il lago Maggiore,
-da lui dipendenti. Il borgo di San Colombano li fece compilare
-da dodici giurisperiti. Pompeo Neri conta cinquecento statuti
-diversi nella sola Toscana, vissuti sino agli ultimi tempi, e anche
-in piccole terre, come Montorsojo, Montopoli, Firenzuola, Parlascio,
-Palaja, la badia di Vallombrosa, ecc. Abbiamo gli statuti
-di Cremella in Brianza, della Val Taleggio nel 1368, della Valsassina
-nel 1388, di Bovegno in val Trompia nel 1341, e d’altre
-terre minime.
-</p>
-
-<p>
-Lo statuto più antico che si conoscesse era quello di Treviso
-del 1207, ma Vittorio Mandelli, negli <i>Studj sul Comune di Vercelli
-nel medioevo</i> (1857), trova indizio di statuti a Vercelli sin
-dal 1187: e nel 1202 è mentovato il volume di essi, <i>super quo
-jurabant potestas vel consules comunis et consules justiciæ.</i>
-Questo Comune avrebbe fatto un bando per l’abolizione generale
-della servitù della gleba sin dal 1243, mentre quel di
-Bologna è solo del 1251.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note177">
-<p><span class="label"><a href="#tag177">177</a>.&nbsp;&nbsp;</span>L’illustre giureconsulto Azo (<i>Summa in</i> <span class="smcap lowercase">VIII</span> <i>libros Codicis</i>)
-definiva che «la consuetudine è formatrice, abrogatrice ed interprete
-della legge». I Veneziani, ne’ casi che la legge taceva,
-rimettevansi all’intimo convincimento dei giudici; per le ordinanze
-marittime, ne’ dubbj risolveva la signoria. I più antichi
-statuti di Milano sono intitolati <i>Consuetudines</i> in un manoscritto
-della biblioteca Ambrosiana del 1216; nel proemio alla riforma
-di essi, pubblicata il 1396, vien detto essere costume antico che
-negli atti pubblici fossero registrati da un notajo determinato
-tutti gli editti e statuti che di tempo in tempo venivano pubblicati;
-quest’archivista chiamavasi governatore degli statuti.
-Quelli di Como sono del 1219, riformati il 1296. Fra’ più antichi
-si noverano quei di Mantova del 1116, e di Pistoja del 1117.
-Amedeo III di Savoja dava gli Statuti a Susa, confermati poi da
-Tommaso suo nipote nel 1197. Aosta nel 1188 gli aveva da
-Tommaso conte di Morienna. Davanti all’edizione della <i>Posta</i>,
-cioè dello statuto di Verona, cominciato verso il 1150, compito
-nel 1228, l’arciprete Carmagnola pubblicò una sentenza del
-1140, data dai consoli d’essa città «secondo la lunghissima ed
-antichissima consuetudine dei re, duchi, marchesi ed altri laici
-principi e cherici, secondo la legge longobarda». Vedi <span class="smcap">Federico
-Sclopis</span>, <i>St. della legislazione in Italia</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note178">
-<p><span class="label"><a href="#tag178">178</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Corio</span>, f. 131; <span class="smcap">Caffaro</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 384. — Peggio era
-nello statuto veneto. Secondo il Corio, nessuno doveva asportar
-grano dalla città nè altra grascia, o perderebbe il carro, i bovi,
-i cavalli: se non potesse pagar la multa, gli si taglierebbe il
-piede destro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note179">
-<p><span class="label"><a href="#tag179">179</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi fra gli altri la rubrica 15 dell’antico statuto di
-Pistoja.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note180">
-<p><span class="label"><a href="#tag180">180</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi il <i>Libro del Potere di Brescia</i>. Un altro esempio
-adducemmo a pag. 20.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note181">
-<p><span class="label"><a href="#tag181">181</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">X</span>. rub. 18. 28.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note182">
-<p><span class="label"><a href="#tag182">182</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Feudum, precaria aut libellum; nullus audeat nec debeat
-jurare fidelitatem alicui, nec fieri vassallus alicujus aliqua occasione
-vel ingenio quod excogitari possit.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note183">
-<p><span class="label"><a href="#tag183">183</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel 1178 i rappresentanti della Lega Lombarda cassarono
-una sentenza che i consoli comaschi aveano portata a favore
-del comune di Bellagio contro gli abitanti di Civenna e Limonta,
-a proposito di certe strade e pasture usurpate dai Bellagini.
-<i>Ap.</i> <span class="smcap">Puricelli</span>, <i>Monum. eccl. Ambr.</i> Nº 573 e seg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note184">
-<p><span class="label"><a href="#tag184">184</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">LXX</span>. A gran torto Meyer, nelle
-<i>Origini e progressi delle istituzioni giudiziarie</i>, tralascia le italiane
-come poco importanti, mentre, massimamente avuto riguardo
-all’età, potevano sole offrire la spiegazione di varj
-istituti, ora comuni in Europa. Vi supplì in parte Sclopis, <i>Dell’autorità
-giudiziaria</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note185">
-<p><span class="label"><a href="#tag185">185</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">G. Villani, xi</span>, 93; <span class="smcap">Dino Compagni</span>, <i>Cronaca</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>;
-<i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>, 256. — In Pisa erano dieci
-tribunali, <i>curia foretaneorum, curia appellationum, curia arbitrorum,
-curia nova pupillorum, curia confitentium, curia assessoris,
-curia judicum et advocatorum, curia grassæ, curia notariorum,
-curia mercatorum</i>. <span class="smcap">Dal Borgo</span>, Diss. sopra i codici
-pisani delle Pandette.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note186">
-<p><span class="label"><a href="#tag186">186</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XII</span>. Vedi pag. 309. Nel 1150 abbiamo
-la curia cremonese; <i>Rer. it. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VII.</span> 643. Nel 1163, 27 agosto,
-Ottone, giudice cioè avvocato di Milano, s’impegna con Corvetto
-e con altri a patrocinarli a Genova in tutte le cause che possano
-avere; e una volta all’anno se occorra andrà fin a Levanto
-e a Passano, e vi resterà dieci o dodici dì, però a loro spesa.
-<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 874.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note187">
-<p><span class="label"><a href="#tag187">187</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giulini</span>, part. <span class="smcap lowercase">VII</span>. l. 50.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note188">
-<p><span class="label"><a href="#tag188">188</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 250 e 233.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note189">
-<p><span class="label"><a href="#tag189">189</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note190">
-<p><span class="label"><a href="#tag190">190</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Di tali suddivisioni di possessi recammo esempj. Nei
-<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1318, abbiamo Bonifazio de
-Briada, il quale da Giacomo vescovo d’Asti teneva in feudo la
-sesta parte della metà del castello vecchio di Sanfrè, che cambiò
-con altrettanta del nuovo nel 1224.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note191">
-<p><span class="label"><a href="#tag191">191</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Toselli, nel <i>Dizionario gallo-italico</i>, pubblicò estratti di
-varie sentenze di Bologna. Nel 1288 Uzzolo, accusato di aver
-fatto violenza a Bonora Nascimbene, è condannato al taglio d’un
-piede: ma poi ella è riconosciuta calunniatrice, e condannata al
-taglio della lingua. Nel 1295 Enrichetto, condannato alle forche,
-confessa avere indotto falsi testimonj contro Superchia, la quale
-fu dannata alle fiamme. Nel 1291 un Ferrarese accusava certa
-Imelda da Bologna d’avere affaturato Bittino figliuolo di lui, e
-resolo incapace al matrimonio. Nel 1328 una Mina e una Francesca
-sono processate come famose fatucchiere e maghe contro
-la vita d’innocenti, turbatrici degli elementi, e che aveano fatto
-una malìa per innamorare uno: confesse, furono bruciate.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note192">
-<p><span class="label"><a href="#tag192">192</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Nos de Impoli et ejus curte, qui sumus de comitatu florentino,
-et episcopatu seu de pleberio de Impoli, juramus ad
-Evangelia sacramento corporaliter præstito, salvare et custodire
-et defendere et adjuvare omnes personas civitatis Florentiæ,
-ejusque burgorum et subburgorum, et generaliter et specialiter,
-et eorum bona in tota nostra fortia, et ubicumque potuerimus
-sine fraude et contra omnem personam.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item si quo in tempore aliqua persona, quæ habitet infra
-prædictos nostros confines, deprædaverit aliquem praedictum
-Florentinorum, seu aliquem dapnum ei fecerit, faciemus ei integrum
-emendare et restituere infra dies quindecim proximos,
-postquam consul vel rector Florentiæ nos inquisiverit vel inquirere
-fecerit, sive nuntio vel literis, aut ille qui dapnum substinuerit,
-si rector tunc non extaret in civitate Florentiæ.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item quocumque tempore et quotiescumque consul vel rector
-qui pro tempore extiterit in civitate Florentiæ inquiret nos vel
-faciet inquirere, seu per nuntium, vel quod mittat nobis literas
-ut faciamus ei ostem vel cavalcatam, faciemus eis intra dies octo
-proximos post inquisitionem, quomodocumque eis placuerit, et
-ubicumque, excepto contra comitem Guidonem, nisi in quantum
-nobis terminum prolongarent, quod ita teneamur ad terminum,
-si quod bona voluntate eis placuerit prolongare, ut dictum est.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item guerram seu guerras et pacem faciemus ubi et quibus vel
-quomodo consulibus vel rectori, qui pro tempore fuerit Florentiæ,
-placuerit: exceptamus in hoc capitulo comitem Guidonem.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item infra octo dies proximos post inquisitionem, ex quo
-consul Florentiæ vel rector non inquisierit vel inquirere fecerit,
-habebimus factum jurare ad hoc Breve omnes homines habitantes
-infra prædictos nostros confines, qui convenientes erunt ad jurandum,
-nisi in quantum per ipsum consulem vel rectorem steterit;
-et si terminum vel terminos nobis.... mutaverit seu prolungaverit,
-ita teneamur sicut constituerit et dixerit.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item omni anno in festo sancti Johannis mensis junii, vel
-antea, dabimus in civitate Florentiæ consulibus, vel rectoribus,
-seu rectori, secundum qui pro tempore erit in eadem civitate,
-libras quinquaginta bonorum denariorum de tali moneta qualiter
-pro tempore comuniter expendetur per civitatem Florentiæ;
-et si consules, vel rectores non essent in civitate, dabimus consulibus
-mercatorum Florentiæ ut eam recipiant pro communi
-Florentiæ, sed tamen in hoc anno dabimus consulibus Florentiæ
-qui modo sunt intra kal. mart. proxime vel antea lib. centum et
-solid. sex bonorum denariorum. Item omni anno portabimus
-Florentiam in festo sancti Johannis unum meliorem cereum,
-quam illud quod Ponturmenses ibi offerunt et soliti sunt
-offerre.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Hæc omnia, ut in hoc Breve scripta sunt, juramus tenere et observare et facere in perpetuum, et si consulibus, vel rectori, qui
-pro tempore extiterit in civitate Florentiæ placuerit, teneamur
-de</i> <span class="smcap lowercase">VII</span> <i>in</i> <span class="smcap lowercase">VII</span> <i>annis renovare hæc juramenta in totum. Item
-cum consules vel rectores Florentiæ steterint pro recipiendis
-prædictis juramentis, vel renovandis, dabimus eis, et personis
-quibus secum duxerint, expensas omnes, donec steterint pro ea
-complenda.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Et omnia præscripta juramus et promittimus observare, sub
-pœna centum marcorum de puro argento, et post pœnam solutam
-communi Florentiæ omnia prædicta stent firma.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Hæc omnia supradicta juramus observare et adimplere et firma
-tenere perpetuo, ad sanum et planum intellectum consulum Florentiæ
-remota omni fraude, et sub hoc intellectu, quod imperator
-nec papa nec aliquis clericus vel laicus vel nulla alia persona
-possit nos absolvere in aliquo vel de aliquo ab hoc juramento, nec
-pro aliqua de causa possimus occasionare hoc juramentum.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Scripta sunt hæc anno</i> <span class="smcap lowercase">MCLXXXI</span>, <i>tertio nonas februar.,
-ind.</i> <span class="smcap lowercase">XV</span>.
-</p>
-
-<p>
-Il più antico documento di sommessione d’una città ad un’altra
-è quello di Fano, che, assalita da Ravenna, Pesaro, Sinigaglia
-nel 1140, accettò la signoria di Venezia, stipulando che, qualunque
-volta i Veneziani farebber oste da Ragusi fin a Ravenna,
-i Fanesi gli aiuterebbero con una galea armata a proprie spese:
-nelle guerre da Ancona fin a Ravenna, militerebbero con loro:
-inoltre manderebbero i loro savj al parlamento comune in Venezia,
-ogniqualvolta fossero chiamati, siccome usano tutti gli
-altri <i>fedeli</i>: e di ciò fanno ampio giuramento salvo sempre il
-servigio all’imperatore di Germania. <span class="smcap">Amiani</span>, <i>Memorie storiche
-di Fano</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, parte 7ª.
-</p>
-
-<p>
-Pergine, grossa borgata sulla via fra Trento e Bassano, godeva
-di antichissime libertà sotto la primazia del vescovo Tridentino,
-ma molte gliene usurpò il castellano imperiale, che la
-rese feudo ereditario di sua famiglia, colle prepotenze consuete.
-Stanchi delle quali, e profittando delle guerre del Barbarossa,
-i Perginesi nel 1166 s’accolsero nel monastero benedettino di
-Santa Maria in Valdo, e stesero un atto con cui i rettori e
-seniori di tutte le gastaldie di quel Comune si sottoponeano al
-Comune di Vicenza, obbligandosi con giuramento ad essergli
-fedeli servidori e amici, ajutarlo in guerra con ducento armati,
-pagar la solita colletta sui fuochi; ne riceveranno un podestà,
-che però li lasci viver <i>secondo le consuetudini che tengono da
-cento, ducento e quattrocento anni, tanto a legge salica che a
-longobarda:</i> essi li libereranno e preserveranno dalla tirannia
-di Gundibaldo castellano di quel distretto, aboliranno tutte le
-angherie e pesi da esso imposti, e il godimento delle prime
-notti, e i servigi di corpo a cui esso li forzava, retribuendogli
-invece qualvolta devano prestar opera al podestà in castello.
-Possano, come in antico, eleggersi il giudice, soggetto però al
-podestà; non siano mai per veruna ragione ceduti a Gundibaldo
-o alla sua famiglia; nè costretti guerreggiar contro l’impero o
-le chiese di Trento e di Feltre. Il documento è stampato nelle
-<i>Notizie storiche intorno al b. m. Adelperto vescovo di Trento</i>
-di frà <span class="smcap">Benedetto Bonelli</span>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. Trento 1761.
-</p>
-
-<p>
-Nel <i>Liber jurium</i> al 1199 leggonsi i patti con cui il Comune
-di Vinguelia, quello di Albenga, quello di Diano si sottoposero
-al Comune di Genova; e quelli di Oneglia, San Remo, Porto
-Maurizio si allearono con esso: nel 1202 quel di Savona si
-sottomise.
-</p>
-
-<p>
-In tal anno gli uomini delle valli d’Arocia, d’Andoria, d’Oneglia,
-di Petralata, di Rezio, di Nasco fecero alleanza coi Genovesi;
-e i primi, per mezzo de’ loro consoli, promettevano salvare
-e custodire gli uomini di Genova e del distretto per mare e per
-terra; «non proibiremo si porti a Genova grano o altra vivanda
-o merce; se quel Comune faccia oste o cavalcata, daremo
-all’esercito mercato di grano e vettovaglie; richiesti faremo
-esercito a nostre spese, e campeggeremo per tutto il contado
-di Ventimiglia, la marca d’Albenga, il vescovado di Savona, a
-comando de’ consoli o podestà; se il Comune di Genova guerreggi
-da Gavi o da Palodo fin a Portovenere, terremo nell’esercito
-cento arcieri; se alcuna città, vescovo o persona della
-riviera e del contado citerà in giudizio alcuna di esse valli, gli
-faremo giustizia nella curia di Genova; per custodia di Porto
-Bonifacio daremo ogni anno due uomini a spese nostre, come
-ordineranno il podestà e i consoli di Genova; se il podestà o i
-consoli ci richiedano di consiglio, gli daremo il migliore, e gli
-terremo credenza de’ secreti affidatici; ogni anno a san Giambattista,
-in segno di devozione e fedeltà, manderemo alla chiesa
-di San Lorenzo un cero di venticinque libbre; non faremo patto
-o giuro con verun luogo o terra o persona senza salvare ed
-eccettuare questa convenzione, la quale farem giurare da tutti
-gli uomini di esse valli e luoghi dai quindici ai settant’anni, e
-rinnovare ogni cinque anni». Di rimpatto il podestà di Genova
-prometteva protezione e salvezza agli uomini di que’ Comuni;
-«darò un mercato ad Andoria il primo d’agosto, e l’altro ad
-Oneglia l’Ognissanti, dove se nasca alcuna controversia, sarà
-definita da quelli che Genova deputerà all’uopo; vi correranno
-i pesi e le misure della città, come negli altri mercati del contado
-e della riviera; se alcuno di Ventimiglia, d’Albenga, di
-Savona voglia forzarvi contro giustizia, appellerete alla curia
-di Genova, e noi li citeremo, e se non compajono, vi difenderemo
-e manterremo nel diritto vostro; vi concediamo che possiate
-comprare ed estrarre da Genova qualunque merce vi
-occorra, salvi i diritti della città e dei cittadini». Il cintraco,
-vogliam dire il gastaldo, a nome e sull’anima del popolo giurò
-queste convenzioni in un parlamento, ove ad essi fu data l’insegna
-del Comune di Genova, perchè appaja che meritarono la
-piena grazia della città. — <i>Liber jurium</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 473.
-</p>
-
-<p>
-Segue una stipulazione molto più particolareggiata coi consoli
-di Naulo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note193">
-<p><span class="label"><a href="#tag193">193</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 861. Il 1183 i consoli di
-Casale rimettono ogni pretensione per danni recati al loro Comune
-da Vercellesi, confermandolo tutti i cittadini maggiori e
-minori, radunati nella solita piazza al campanile di Sant’Evasio.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note194">
-<p><span class="label"><a href="#tag194">194</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, 20 aprile 1212.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note195">
-<p><span class="label"><a href="#tag195">195</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 1040, 1231.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note196">
-<p><span class="label"><a href="#tag196">196</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Daniel</span>, <i>Chron. ms.</i> ap. <i>Antichità longobardiche milanesi</i>,
-diss. <span class="smcap lowercase">XXI</span>; <i>Archivio storico</i>, tom. <span class="smcap lowercase">XV</span>. D’altre più recenti si trova
-esempio in Romagna fin nel secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span>, come i Pacifici estesi per
-tatto il paese, e la Santa Unione a Fano. V. <span class="smcap">Amiani</span>, <i>Mem. di
-Fano</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 146.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note197">
-<p><span class="label"><a href="#tag197">197</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>St. della monarchia di Savoja</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. doc. 2º.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note198">
-<p><span class="label"><a href="#tag198">198</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia politica del medioevo</i>, 392.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note199">
-<p><span class="label"><a href="#tag199">199</a>.&nbsp;&nbsp;</span>I documenti sono pubblicati dal Minutoli nel vol. <span class="smcap lowercase">X</span> dell’<i>Archivio
-storico</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note200">
-<p><span class="label"><a href="#tag200">200</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Pubblicati nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>. Vedi pure <span class="smcap">Cibrario</span>,
-<i>Storia di Chieri. — Si quis, qui non sit de societate Sancti Georgii,
-percusserit aliquem dicte societatis, vel manum posuerit in persona
-alicujus dicte societatis, podestas vel rector dicte societatis, vel consules
-teneantur et debeant precise et sine tenore facere sonari stremitam,
-et se armare et currere ad arma omnes illos predicte societatis,
-et ad se venire armatos facere, et facere cum ipsis ultionem
-de maleficio commisso secundum qualitatem maleficii et personæ;
-et si incontinenti ultionem non fecerit, potestas vel rector vel consules
-habeant plenam licentiam et bayliam ad suam voluntatem
-faciendi ultionem in illo qui malificium commiserit, vel coadjutoribus
-suis, ita quod ultio fiat, et non possit remanere ullo
-modo q.... Item statutum est quod si contingeret (quod absit)
-quod rumor sive rixa moveretur in aliquo loco inter aliquas
-personas, quod quilibet supradicte societatis qui hoc audiverit
-vel viderit illuc, currat omni obmisso negocio: et si viderit quod
-dicta rixa esset inter aliquos qui essent de dicta societate, quod
-ille et illi qui ibi erunt de dicta societate debeant fortiter et
-robuste prestare illi vel illis qui essent de dicta societate qui
-rixam haberent, auxilium, consilium et favorem totis viribus
-atque posse cum armis vel sine armis etc.</i> Statuta Cherii,
-pag. 774. 776.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note201">
-<p><span class="label"><a href="#tag201">201</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Cronaca di Neri di Donato</i>. Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XV</span>. 224-294.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note202">
-<p><span class="label"><a href="#tag202">202</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi, per Genova, <span class="smcap">Cuneo</span>, <i>Mem. sopra l’antico debito
-pubblico ecc.</i>, pag. 258; per Firenze <span class="smcap">G. Villani</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>; per
-Napoli <span class="smcap">Andrea d’Isernia</span>, <i>Commento alle Costituz.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. — In Bologna
-ogni forestiere che entrasse dovea farsi porre un suggello
-di cera rossa sull’ugna del pollice. Michelangelo non conoscendo
-quest’uso, fu multato in cinquanta lire di bolognini, come narra
-A. Condivi nella Vita di esso.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note203">
-<p><span class="label"><a href="#tag203">203</a>.&nbsp;&nbsp;</span>In Milano la prima menzione di tale gabella è del 1271;
-poi Filippo Maria Visconti sostituì il sale forzato alla tassa dei
-focolari. In Genova la gabella del sale è accennata nel 1214
-(<span class="smcap">Caffaro, iv</span>. 406); in Reggio nel 1261 (<i>Mem. potest. reg.</i> Rer.
-It. Scrip., <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 1172); in Parma il 1292 (<i>Chron. parm.</i>, ib. <span class="smcap lowercase">IX</span>. 823).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note204">
-<p><span class="label"><a href="#tag204">204</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Stima il Giulini che l’imposta diretta sui fondi siasi primamente
-stabilita sotto il duca Filippo Maria, circa il 1423; e
-che nell’immunità accordata al convento di Pontida (ann. 1129
-ap. <span class="smcap">Tristano Calco</span>, <i>quibus pergravari interdum prædia solent</i>)
-quell’<i>interdum</i> mostri appunto che non era costante. Il fatto
-da noi riferito secondo il Fiamma e il Corio al 1240, lo contraddice.
-Vedi <span class="smcap">Corio</span> e <span class="smcap">Giulini</span>, <i>passim.</i>; <span class="smcap">G. Villani, x</span>. 17;
-<span class="smcap">Caffaro, iv</span>. 17; <span class="smcap">Pagnini</span>, <i>Della decima fiorentina</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 25.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note205">
-<p><span class="label"><a href="#tag205">205</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giulini</span>, lib. <span class="smcap">liv — Innocentii</span> IV, <i>Ep.</i> 24 settembre 1250 — <span class="smcap">Caffaro,
-viii.</span> 541 — <i>Ant. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XL</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note206">
-<p><span class="label"><a href="#tag206">206</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Fra i Turchi d’oggi i pesi pubblici decretati sono più
-leggeri che in qualunque dipendenza europea: ma noi, pagata
-l’imposta, siam garantiti del resto, e possiamo goderlo o accumularlo
-a volontà; colà invece può venire il bascià o un suo
-satellite a spogliarvi. Manca dunque la sicurezza: perciò si fabbrica
-il men possibile; non si restaura; se un muro minaccia
-cadere, si puntella; se cade, è una camera di meno; se cade
-tutta la casa, si ritirano il più presso che possono per valersi dei
-materiali ed erigerne un’altra.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note207">
-<p><span class="label"><a href="#tag207">207</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Nullus audiatur de jure suo, qui dare aliquid teneatur
-communi</i>. Stat. Fior., lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. <i>Tract. de extimis</i>, rubr. 33. Altrettanto
-portavano gli statuti di Chieri, di Casale, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note208">
-<p><span class="label"><a href="#tag208">208</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedine gli statuti nei <i>Monum. hist. patriæ. — Anno etc.
-presentia etc. Rainerius de Monbello obligavit consulibus Vercellarum
-nomine communis casam quam emit a Manifredo Caroso,
-ita quod sit aperta communi si ullo tempore habitaculum Vercellarum
-relinquerent</i>. Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 995. E prima e dopo vi ha moltissimi
-patti di cittadinanza assunta in Vercelli, sempre con
-questa convenzione della casa. I Vercellesi, volendo avere il
-cittadinatico in Milano, vi comprarono una casa nel 1221 al
-prezzo di 210 lire di terzoli. Nei tante volte citati <i>Monum. Hist.
-patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span> al 1199 e seguenti, stanno le divisioni degli
-uomini di Biandrate, fatte tra i Comuni di Vercelli e Novara;
-poi nel 1201 divisero i territorj di Biandrate, Vicolungo, Casalbertrando;
-e gli uomini ammessi al Comune danno tutti la
-garanzia d’una casa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note209">
-<p><span class="label"><a href="#tag209">209</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il diritto di zecca era talmente ritenuto regio, che Venezia
-nel 1285, cioè quando era indipendente da otto secoli,
-chiese al papa ed all’imperatore il diritto di battere gli zecchini
-(<span class="smcap">Sanuto</span>, <i>Vite dei dogi</i>; <span class="smcap">Zanetti</span>, <i>Delle monete e zecche d’Italia</i>;
-<span class="smcap">Carli</span> e <span class="smcap">Argelati</span>, <i>Delle monete d’Italia</i>). Vecchie sono le monete
-di Napoli col solo tipo di san Gennaro. I Normanni ne
-coniarono, s’ignora dove. Venezia neppur si sa quando n’ebbe
-il diritto; la più vecchia sua moneta è del 972. Nè si sa quando
-cominciasse Ancona col tipo di san Ciriaco. Dopo l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo
-Aquila, Aquileja, Rimini, Arezzo, Ascoli, Asti, Bergamo, Messina
-1139, Piacenza 1140, Bologna 1191, Brescia 1162, forse
-Cortona, certo Cremona 1115, Tortona da Federico I, Ferrara
-1164, Fermo dai papi all’entrare del secolo <span class="smcap lowercase">XIII</span>, Firenze, Genova
-e Piacenza da Corrado II. Monete si citano di Mantova avanti
-l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo, di Modena, Parma, Padova, Perugia e Reggio nel
-<span class="smcap lowercase">XIII</span>, di Pisa fin dal 1175: dubbie sono quelle dei conti di Savoja
-salenti fin al 1048: Siena vantane il privilegio del 1086; forse
-Spoleto sotto i Longobardi, e Torino a mezzo il secolo <span class="smcap lowercase">XIII</span>,
-Verona nell’<span class="smcap lowercase">XI</span>, Volterra al 1231. Più recenti sono quelle di
-Urbino, Vigevano, Vicenza, Sinigaglia, Saluzzo, Recanati, Pesaro,
-Macerata, Forlì. Dopo il 1500 ebbero zecca Lecco e Musso,
-durante il dominio di Gian Giacomo Medici. Il Carli, leggendo
-<i>genenses</i> per <i>ticinenses</i> credette la zecca di Genova esistesse nel
-769. Giovan Gandolfi (<i>Della moneta antica di Genova</i>) prova
-che Genova battea monete prima del 1139, in cui n’ebbe diploma
-da Corrado II; e certo fin dal 1102, però col tipo di
-Pavia; inoltre, che un anno prima di Firenze coniò la moneta
-d’oro, la quale, secondo lui, potè servir d’esempio al fiorino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note210">
-<p><span class="label"><a href="#tag210">210</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Allora 72 grani d’oro equivalevano a 770 d’argento.
-Sarebbe stato opportunissimo tener per legale un solo metallo,
-e non alterare la proporzione fra i due col variare le parti
-aliquote dell’argento come si fece. La moneta d’argento chiamata
-<i>lira</i> non fu battuta che da Cosimo I nel 1531, della bontà
-di 90&#x202f;<span class="above">3</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">4</span>, e del taglio di 72 la libbra. Tre sorta di ducati avevano
-i Veneziani: quello d’oro di circa lire 17; d’argento, valuta
-effettiva da lire 4 a 4,50; di conto da lire 3,25 a lire 4. Nell’amministrazione
-contavasi per ducati effettivi; in commercio, per
-ducati di conto: l’effettivo valeva 8 lire venete, l’altro lire 6 e
-denari 4. Vedi <span class="smcap">Carli</span>, diss. <span class="smcap lowercase">VII</span>.
-</p>
-
-<p>
-In un istromento del 1265 nell’Archivio diplomatico di Firenze,
-rogato in Passignano, un debitore di lire quattro cede a
-un suo fratello creditore un pezzo di terra al Poggio a vento,
-perchè si rimborsi coi frutti di questo, valutati ai prezzi seguenti:
-</p>
-
-<table class="gener" summary="">
- <tr>
- <td>Lo stajo del grano</td> <td class="center">soldi</td> <td class="num">2</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Lo stajo dell’orzo e delle fave</td> <td class="center">»</td> <td class="num">2</td> <td class="center">denari</td> <td class="num">4</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il congio del vino</td> <td class="center">»</td> <td class="num">8</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’orcio dell’olio</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La mannella del lino a saggio</td> <td class="center">»</td> <td class="num">—</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10</td>
- </tr>
-</table>
-
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note211">
-<p><span class="label"><a href="#tag211">211</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il barbaro <i>budget</i> è di origine italiana, derivando dalla
-<i>bolgetta</i> o tasca, in cui il massajo o ministro delle finanze portava
-i conti al parlamento.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note212">
-<p><span class="label"><a href="#tag212">212</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Leggi del 10 dicembre 1268, e 21 luglio 1296.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note213">
-<p><span class="label"><a href="#tag213">213</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È stampato nella storia di Giugurta Tommaso.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note214">
-<p><span class="label"><a href="#tag214">214</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Quosdam montes et nemora quæ sunt circa Panormum,
-muro fecit lapideo circumcludi, et parcum deliciosum satis et
-amœnum diversis arboribus insitum et plantatum construi jussit,
-et in eo damas, capreolos, porcos sylvestres jussit includi:
-fecit et in hoc parco palatium, ad quod aquam de fonte lucidissimo
-per condiictus subterraneos jussit adduci.</i> Chron. Salern.
-in <i>Rer. It. Scrip.</i>, vol. <span class="smcap lowercase">VII</span>. pag. 194.
-</p>
-
-<p>
-Ancora la campagna di Palermo è sparsa di guglie (ivi dicono
-all’arabica <i>giarre</i>), che sono sfiatatoj degli acquedotti sotterranei
-fabbricativi al tempo degli emiri, e che ricreano di fontane
-la città, ed elevano l’acqua anche ai piani superiori delle
-case.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note215">
-<p><span class="label"><a href="#tag215">215</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Un quartiere di Palermo serba tuttora il nome di Papireto.
-Non è della natura dell’egizio, bensì di quello di Siria, e
-differisce da quello che germoglia a Siracusa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note216">
-<p><span class="label"><a href="#tag216">216</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Nec vero illas palatio adhærentes silentio præterire convenit
-officinas, ubi in fila, variis distincta coloribus, serum vella
-tenuantur, et sibi invicem multiplici texendi genere coaptantur.
-Hinc enim videas amita, damitaque et trimita minori peritia
-perfici</i> (cioè di uno, due, tre licci): <i>hinc examita</i> (sciamito) <i>uberioris
-materia condensari: heic diarhodon igneo fulgore visum
-reverberat; heic diapisti color subviridis intuentium oculos
-grato blanditur aspectu; hinc exantosmata</i> (a fiori) <i>circulorum
-varietatibus insignita, majorem quidem artificum industriam
-et materia ubertatem desiderant, majori nihilominus pretio
-distrahenda. Multa quidem et alia videas ibi varii coloris ac
-diversi generis ornamenta, in quibus ex sericis aurum intexitur,
-et multiformis picturæ varietas, gemmis interlucentibus illustratur.
-Margaritæ quoque aut integræ cistulis aureis includuntur,
-aut perforatæ filo tenui connectuntur, et eleganti quadam dispositionis
-industria, picturati jubentur formam operis exhibere.</i>
-<span class="smcap">Ugo Falcando</span>, in <i>Rer. It. Scrip.</i>, vol. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note217">
-<p><span class="label"><a href="#tag217">217</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Rosario de Gregorio</span>, <i>Discorso intorno alla Sicilia</i>, Palermo
-1826.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note218">
-<p><span class="label"><a href="#tag218">218</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Romualdi Salernitani</span> <i>Chron. ad</i> 1153.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note219">
-<p><span class="label"><a href="#tag219">219</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Frammento pubblicato da M. Amari. Parigi 1846.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note220">
-<p><span class="label"><a href="#tag220">220</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pellegrini</span>, <i>Ad Falcandum Benevent.</i> ad an. 1140.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note221">
-<p><span class="label"><a href="#tag221">221</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Quoscumque viros aut consiliis utiles, aut bello claros compererat,
-cumulatis eos ad virtutem beneficiis invitabat, transalpinos
-maxime.</i> <span class="smcap">Ugo Falcando</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note222">
-<p><span class="label"><a href="#tag222">222</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giannone</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>, c. 4.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note223">
-<p><span class="label"><a href="#tag223">223</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dicevasi che costei fosse monaca, e allora se ne sciogliessero
-i voti:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Sorella fu, e così le fu tolta</p>
-<p class="i02"> Di capo l’ombra delle sacre bende.</p>
-<p class="i01">Ma poi che pur al mondo fu rivolta</p>
-<p class="i02"> Contro suo grado e contro buona usanza,</p>
-<p class="i02"> Non fu dal vel del cor giammai disciolta.</p>
-<p class="i11"> <span class="smcap">Dante</span>, <i>Parad.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Un cronista la fa zoppa e guercia, mentre Goffredo di Viterbo
-canta:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> <i>Sponsa fuit speciosa nimis, Constantia dicta.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note224">
-<p><span class="label"><a href="#tag224">224</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Chr. Placent.</i> Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note225">
-<p><span class="label"><a href="#tag225">225</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Omnes cœperunt inter se de majoritate contendere, et ad
-regni solium aspirare</i>. <span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note226">
-<p><span class="label"><a href="#tag226">226</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Hist. Sicula</i>, pag. 252 e seg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note227">
-<p><span class="label"><a href="#tag227">227</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ruggero Hoveden cronista inglese racconta che il papa
-pose in testa all’imperatore e all’imperatrice la corona coi piedi,
-e subito pur coi piedi ne la sbalzò, per significare la sua autorità
-di dare e togliere i regni. Ha poco del probabile.
-</p>
-
-<p>
-Il giuramento era: <i>Ego N. futurus imperator, juro me servaturum
-Romanis bonas consuetudines, et firmo chartas totius
-generis et libelli sine fraude et malo ingenio. Sic me Deus adjuvet
-et hæc sancta Evangelia.</i> Le cerimonie della coronazione
-sono descritte dal cardinale Cencio, che poi fu papa Onorio III,
-e ch’era stato presente alla coronazione di Enrico; e furono
-pubblicate da <span class="smcap">Pertz</span>, <i>Monum. germ. hist.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 187.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note228">
-<p><span class="label"><a href="#tag228">228</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Imperium in hoc non mediocriter dehonestavit.</i> <span class="smcap">Otto de
-S. Blasio</span>, pag. 889.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note229">
-<p><span class="label"><a href="#tag229">229</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Imperator ipse regnum intrat, papa prohibente et contradicente</i>.
-<span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, pag. 972.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note230">
-<p><span class="label"><a href="#tag230">230</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il marco di Colonia pesa gramme 233.87. Il franco contiene
-gramme 4&#x202f;<span class="above">1</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span> di fino; sicchè il marco di Colonia vale
-fr. 51.97. Dunque centomila marchi fanno franchi 5,197,100.
-In Sicilia correvano gli <i>schifati</i>, moneta greca, detta così perchè
-formati a barca. Una col nome di Guglielmo II in arabo, pesa
-16 grani d’oro fino, sicchè oggi varrebbe franchi 2.88. Altra
-moneta siciliana erano i <i>tarì</i>, dei quali, sul fine del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo,
-si tagliavano 24 da un’oncia d’oro, cioè pesavano gramme
-0.8792, valenti oggi franchi 2.63. Poco dopo se ne tagliavano
-29&#x202f;<span class="above">1</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span>, e spesso il peso variò; giacchè l’impronta garantiva il
-titolo, ma del resto si contrattavano a peso.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note231">
-<p><span class="label"><a href="#tag231">231</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Omne aurum et argentum, quod de regno ad manus
-habere potuit, congregavit, et in Alemanniam misit.</i> Chron.
-Fossæ Novæ, pag. 880. Vedi <span class="smcap">Otto de S. Blasio</span>, pag. 897.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note232">
-<p><span class="label"><a href="#tag232">232</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Le cronache raccontano le precauzioni con cui essa ne
-dimostrò ai popoli la realità: il papa stesso dovette intervenirvi,
-e le fece dar giuramento che quel figlio era procreato da
-Enrico.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note233">
-<p><span class="label"><a href="#tag233">233</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fazelli</span>, <i>Storia di Sicilia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. c. 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note234">
-<p><span class="label"><a href="#tag234">234</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nella rotta data in Sicilia a Markwaldo si trovò il testamento
-di Enrico VI, ove imponeva a Federico suo figlio di riconoscere
-dal papa il regno di Sicilia, il quale tornasse alla
-Chiesa qualora mancassero eredi; se il papa confermasse al
-figlio l’Impero, ne fosse ricompensato col restituirgli tutta l’eredità
-della contessa Matilde; Markwaldo riconosca dal papa e
-dalla Chiesa il ducato di Ravenna, la terra di Bertinoro, la
-marca d’Ancona, Medicina e Argelata sul Bolognese, i quali
-ricadano alla Chiesa s’egli muore senza eredi. Il testamento è
-stampato dal Muratori.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni da Ceccano esclama: — È pur morto quel leone
-feroce, quel lupo sterminatore delle agnelle, quell’orrido serpente
-che tanti immolò. Apuli, Calabri, Toscani, Liguri, tutti i
-popoli partecipano alla gioja del sommo pontefice, ed esultano
-di vedersi finalmente liberati dal tiranno che la mano di Dio
-colpì». E Ottone di San Biagio: — I Tedeschi devono eternamente
-deplorare il lamentabile fine dell’imperatore Enrico,
-perchè egli arricchì la Germania e la rese terror delle nazioni.
-Col coraggio e l’abilità avrebbe rimesso l’impero romano nel
-primitivo splendore se morte nol preveniva».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note235">
-<p><span class="label"><a href="#tag235">235</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, pag. 978.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note236">
-<p><span class="label"><a href="#tag236">236</a>.&nbsp;&nbsp;</span>A Verona v’ha questo epitafio lambiccato:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Luca dedit lucem tibi Luci, pontificatum</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ostia, papatum Roma, Verona mori;</i></p>
-<p class="i01"><i>Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma</i></p>
-<p class="i02"> <i>Exilium, curas Ostia, Luca mori.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note237">
-<p><span class="label"><a href="#tag237">237</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>In qua plus timebatur ipse quam papa</i>. Gesta Innocentii
-III, § 8.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note238">
-<p><span class="label"><a href="#tag238">238</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Scossa dal tremuoto del 1319, fu poi demolita sotto
-Urbano III.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note239">
-<p><span class="label"><a href="#tag239">239</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi il 2º e l’8º can. del IV concilio Lateranese <i>de probatione</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note240">
-<p><span class="label"><a href="#tag240">240</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Antonio Vitale scrisse la <i>Storia de’ senatori di Roma</i>: ma
-è opera che meriterebbe essere rifatta. La storia di Roma fu
-sempre confusa con quella dei papi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note241">
-<p><span class="label"><a href="#tag241">241</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il testo della lega Toscana fu pubblicato da Scipione Ammirato
-juniore nella <i>Storia dei conti Guidi</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note242">
-<p><span class="label"><a href="#tag242">242</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Suppositus partus, quod testibus adstruere promittebat</i>.
-Gesta Innocentii III, § 23.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note243">
-<p><span class="label"><a href="#tag243">243</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ce lo racconta il francese Villehardouin, che v’assisteva
-in persona. A Paolo Ramusio il giovane, figlio del cosmografo
-Giovan Battista, il senato veneto diede incarico di tradurre in
-latino la storia della conquista di Costantinopoli di esso Villehardouin.
-Esso svolse altre memorie intorno a que’ fatti, e in
-sedici anni formò l’opera <i>De bello Constantinopolitano</i>, finita il
-1573, ma stampata solo nel 1609.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note244">
-<p><span class="label"><a href="#tag244">244</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Fu allora che i Veneziani acquistarono i cavalli di Lisippo,
-che ornano ora il pronao di San Marco. Narra il Sanuto che
-nel trasportarli a Venezia si spezzò la gamba di un cavallo:
-Domenico Morosini, che comandava il vascello di trasporto, impetrò
-di conservarla come un ricordo; e il consiglio assentì, e
-ne fece mettere una nuova, <i>ed io ho veduto il detto piede</i>.
-Questo fatto sfuggì ai descrittori di quel trofeo di tante
-vittorie.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note245">
-<p><span class="label"><a href="#tag245">245</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Allora Cremona spedì mille persone per arricchirsi
-delle spoglie di Costantinopoli, come mandò una gran nave
-sotto Acri.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note246">
-<p><span class="label"><a href="#tag246">246</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sandi</span>, <i>Storia civile</i>, pag. 620.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note247">
-<p><span class="label"><a href="#tag247">247</a>.&nbsp;&nbsp;</span>I patti per la imposta di Costantinopoli, stipulati nel
-marzo 1204 fra la Signoria veneta da una parte, e dall’altra il
-marchese Bonifazio di Monferrato e i conti di Fiandra, di Blois,
-di San Paolo, sono stampati nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>.
-1109, dove pure la cessione che esso Bonifazio fa ai Veneziani
-dell’isola di Creta e d’altre terre in Levante.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note248">
-<p><span class="label"><a href="#tag248">248</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Decretum venetum</i> ap. <span class="smcap">Canciani</span>, v. 124.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note249">
-<p><span class="label"><a href="#tag249">249</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La lettera d’Innocenzo III è importantissima per conoscere
-le pretensioni e il modo di vedere della santa Sede. <i>Regesta
-Imperii</i>, nota 20 e seg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note250">
-<p><span class="label"><a href="#tag250">250</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nel 1160 Uguccione, vescovo di Vercelli, con un legno che
-teneva in mano, investe gli uomini di Biella del monte Piazzo
-come feudo, a patto che quei di loro che vogliano abitarvi
-devano ciascuno far fedeltà a maniera di vassallo; poi maschi
-e femmine possiedano essa terra finchè vivono, indi abbiano
-podestà di venderla tra sè, ma non a chi non sia abitante di esso
-luogo. Il vescovo permette che godano in esso monte i buoni
-usi che godevano da antico in Biella (<i>omnibus bonis usis, quos
-erant usi habere in loco Bugelle in veteri tempore</i>); onde rimette
-i bandi che egli soleva avere in essa Biella, salvo i seguenti:
-spergiuro, adulterio, furto, omicidio o ferita, pesche e caccie.
-Essi uomini devano salire quel monte, edificarvi, non impedire
-che il vescovo vi salga con suo seguito; ma egli non vi porrà
-castellano se non con loro consenso. <span class="smcap">Mullatera</span>, <i>St. di Biella</i>,
-pag. 36.
-</p>
-
-<p>
-Bongiovanni, nunzio del vescovo di Vercelli, imponeva che i
-possessori di un tal manso portassero ogni anno i rami di olivo
-per la domenica delle Palme, e metà del crisma, ed empissero
-metà delle fonti; e quei dell’altro, portassero l’altra metà del
-crisma, ed empissero il resto delle fonti, e facessero il fuoco a
-Natale e a Santo Stefano, e scuotesserlo alla Candelara e al
-sabbato santo. <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1294.
-</p>
-
-<p>
-Gualterio vescovo di Luni nel 1200 questi patti faceva agli
-uomini di sua giurisdizione. Se molti siano consorti in un villaggio,
-ed uno o più facciano tradimento, sieno privati d’esso
-villaggio, ed aprasi ai loro eredi; o se non n’abbiano, vi sottentrino
-i consorti. Se alcuno tardi due anni il fitto o livello, paghi
-il doppio, oppure sia privato dell’ente per cui paga. Nessuno
-acquisti casa o campo o vigna senza istromento. Se alcuno
-depone querela contro un altro, anticipi quattro lire imperiali
-al giudice o ai consoli; e questi non ricevano più di sedici denari
-per lira, da pagarsi da chi perde la causa. Così determina
-il prezzo degli atti notarili. Se alcuno mena moglie, non dia
-come antefatto più d’un terzo della dote. Nessuna vedova si
-mariti durante il lutto, ecc. <i>Ivi</i>, 1203.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note251">
-<p><span class="label"><a href="#tag251">251</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. diplom.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, passim; <span class="smcap">Ronchetti</span>, <i>Mem. stor.
-della città e chiesa di Bergamo</i>, cap. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 27.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note252">
-<p><span class="label"><a href="#tag252">252</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Et sic civitas Mediolani, quæ territorio trium milliariorum
-extra civitatem contenta fuerat, longe lateque alas suas expandit.
-Nam ducatus Burgariæ, marchionatus Marthexanæ, comitatus
-Seprii, comitatus Parabiagi, et comitatus Leuci, qui omnes quasi
-domestici inimici terram istam semper invaserant...., facti sunt
-subjecti et servi perpetui civitatis Mediolani.</i> <span class="smcap">Galv. Fiamma</span>,
-Manip. florum.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note253">
-<p><span class="label"><a href="#tag253">253</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Breve istoria dell’origine e fondazione della città del Borgo
-di Sansepolcro</i>, per <span class="smcap">Alessandro Goracci</span>, 1636. Gli storici del
-secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span> e <span class="smcap lowercase">XVII</span> non intendono nulla degli ordinamenti municipali;
-pure aveano sottocchio carte che poi si smarrirono, e
-tradizioni non ancora spente. In tutti vedi una città che si
-redime dai conti, compra privilegi dagli imperatori, abbatte i
-castellani vicini, i quali poi venuti in città, vi portano resìe.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note254">
-<p><span class="label"><a href="#tag254">254</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Et nunc iste comes, consors et conscius ante,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ille potens princeps, sub quo romana securis</i></p>
-<p class="i01"><i>Italice punire reos, de more vetusto,</i></p>
-<p class="i01"><i>Debuit injustitiæ, victrici cogitur urbi</i></p>
-<p class="i01"><i>Et modicus servire cliens, nulloque relicto</i></p>
-<p class="i01"><i>Jure sibi, dominicæ metuit mandata superbæ.</i></p>
-<p class="i13"> <span class="smcap">Guntero</span>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note255">
-<p><span class="label"><a href="#tag255">255</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 708. 807. 865. 910.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note256">
-<p><span class="label"><a href="#tag256">256</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Bertoldus princeps Aquilejæ est amicatus cum Paduanis,
-et factus est paduanus civis; et in cittadinantiæ firmitatem et
-signum fecit de sua camera quædam in Padua ædificari palatia,
-et se poni fecit cum aliis civibus Paduæ in coltam sive datiam.
-Tunc quoque incepit mittere, et adhuc mittit hodie omni anno de
-suis melioribus militibus duodecim, qui jurant, in principio potestariæ
-cujuslibet, præcepta et sequentia potestatis pro domino
-patriarca et suis. Quod videns feltrensis et belunensis episcopus,
-fecit et ipse similiter, non tamen in quantitate eadem.</i> <span class="smcap">Rolandino</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note257">
-<p><span class="label"><a href="#tag257">257</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Savioli</span>, <i>Ann. bologn.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. dipl. <span class="smcap lowercase">CLVI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note258">
-<p><span class="label"><a href="#tag258">258</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dalle storie bolognesi ricaviamo che nel 1123 i consoli
-col vescovo ricevono in protezione i castelli di Rudiliano, Sanguineta,
-Cavriglia; nel 1131 quei di Nonantola come cittadini
-d’una delle quattro porte, ed essi giurano fare due spedizioni
-all’anno fin ai confini, una con cavalli, l’altra pedoni; nel 1144
-quei di Savignano e Cetola si fanno cittadini, cedendo la rôcca
-e la curia; nel 1157 quei di Monteveglio, Moreto, Caneto giurano,
-obbligandosi militare pei Bolognesi anche contro l’Impero;
-nel 1164 i castelli di Bedolo, Battidizio, Gesso, Trifane giurano
-obbedienza al popolo maggiore e minore di Bologna, e pagargli
-il fitto e il feudo ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note259">
-<p><span class="label"><a href="#tag259">259</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Et che nullo nobile.... undunque sia, possa u debbia in
-alcuna cauza criminale in alcuna Corte contro alcuno di popolo
-rendere testimonia, e se la rendrà la testimonia non vaglia,
-ne tegna ipso jure, et nondimeno sia condannato dal capitano
-del populo da lire <span class="smcap lowercase">X</span>. in lire <span class="smcap lowercase">C</span> ad suo arbitrio, <i>Statuti di Pisa,
-ms</i>. § 162. — Et che nullo nobile della cita di Pisa u daltronde,
-ad tempo d’alcuno romore, durante lo romore ardisca u presuma
-d’escire con arme u sensa arme della casa in de la quale elli
-abita sotto pena del avere et della persona ad arbitrio del
-capitano. <i>Ivi</i>, § 165».
-</p>
-
-<p>
-Con bel decreto, dato da Parma il luglio 1226, Federico II
-manda suo podestà alla ghibellina Pavia Villano Aldighieri di
-Ferrara, perchè severamente mantenga la concordia fra’ cittadini:
-a tal uopo ordina si sciolga qualunque società di popolani
-o di militi; nè gli uni nè gli altri abbiano podestà o consoli
-speciali, ma vengano tutti governati dal rettore del Comune,
-dal quale solo dipendano gli armati; statuarj, consiglieri, uffiziali
-sieno eletti come faceasi da dieci anni in poi; annullata la
-libertà dai militi data ad alcuni borghi od abitanti del distretto;
-non si ponga ostacolo al portar vittovaglie in città; non si faccia
-adunanza di nobili o di popolo a suon di campana; bando e infamia
-a chi contraffà.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note260">
-<p><span class="label"><a href="#tag260">260</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Statut.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 168. 169. Lo statuto 170, <i>de cerna potentium</i>,
-fa il catalogo delle famiglie nobili, <i>ne sub velamine popularium
-defendantur</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note261">
-<p><span class="label"><a href="#tag261">261</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Croniche</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 78. — Ai Guelfi rende giustizia persino
-Voltaire, dicendo che l’imperatore <i>voulait régner sur l’Italie
-sans borne et sans partage</i> (Essai, cap. 66); e chiama i Guelfi
-<i>partisans de la papauté, et encore plus de la liberté</i> (cap. 52).
-Guelfi e Ghibellini erano come i Tories e Whigs dell’odierna Inghilterra;
-bisogna essere di quel partito, e conservarlo quand’anche
-cambia; i Tories del 1843 fecero tutto quello che voleano
-i Whigs nel 1830. Così i Guelfi di Firenze divengono fautori
-dell’Impero e nemici del papa; non cambiano nome, ma diconsi
-<i>bianchi e neri</i>; Dante era guelfo, come testè fu tory Roberto Peel.
-</p>
-
-<p>
-Vedi il trattato di Bártolo sui Guelfi e Ghibellini. Una storia
-de’ Guelfi e Ghibellini nostri sarebbe la più bella spiegazione
-delle vicende italiane.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note262">
-<p><span class="label"><a href="#tag262">262</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nelle <i>Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca</i>,
-vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 47, leggesi: <i>Orlandinus notarius, filius domini Lanfranchi,
-et Chele filius Lamberti, sindici et procuratores hominum
-partis guelfæ, eorum terræ.... volentes se et alios eorum
-partis ab erroris tramite revocare, et Lucanam civitatem
-recognoscere tamquam eorum matrem, et ad hoc ut tota provincia
-vallis Neubulæ</i> (val di Nievole) <i>bonum statum sortiatur,
-promiserunt et concenerunt... quod ipsi et alii eorum partis
-guelfæ de dictis communitatibus perpetuo erunt in devotione
-Lucani communis etc.</i>
-</p>
-
-<p>
-In Milano il colore de’ Guelfi era il bianco, de’ Ghibellini il
-rosso. In Valtellina i Guelfi portavano piume bianche alla tempia
-destra e un fiore all’orecchio destro; i Ghibellini piume rosse
-o un fiore alla sinistra. Tutti i palazzi di Firenze hanno merli
-quadrati, eccetto uno. Brescia nel 1212 avea tre podestà, eletti
-da tre fazioni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note263">
-<p><span class="label"><a href="#tag263">263</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedasi in capo ai vol. <span class="smcap lowercase">I</span> e <span class="smcap lowercase">II</span> dei <i>Monumenta historica ad
-provincias Parmensem et Placentinam pertinentia</i> (Parma 1857)
-un discorso del cav. Ronchini, che dà la storia civile del paese.
-L’ultimo degli statuti di Parma, stampati nel 1858, è tale:
-<i>Nullus de civitate vel episcopatu Parmæ de cetero contrahat
-aliquam parentelam vel matrimonium cum aliquo vel cum aliqua,
-qui vel quæ non sit de parte Ecclesiæ: nec aliquis sit mediator
-nec proxeneta nec relator verborum aliquorum dictæ parentelæ
-faciendæ, nec testis, nec instrumentum celebret seu scribat, nec
-promissionem, nec securitatem, nec tractatum faciat, vel recipiat
-ullo modo alicujus parentelæ faciendæ, in aliquo tempore. Et si
-aliqua promissio vel securitas facta est de aliqua parentela
-facienda, sit nullius momenti. Et si qui vel si qua de cetero
-contra prædicta vel aliquod prædictorum fecerit vel facere præsumserit,
-in tantum puniatur. Mediator vero, sive proxeneta
-puniatur in trecentis libris parm.; et testis in trecentis libris
-parm., et tabellio puniatur in tantumdem, et perpetuo ab officio
-notariatus sit remotus: fratres nihilominus mulierum, si patrem
-mulier non habet, in mille libris parm. quilibet puniantur.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note264">
-<p><span class="label"><a href="#tag264">264</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Non s’attien fede nè a comun nè a parte,</p>
-<p class="i02"> Chè Guelfo e Ghibellino</p>
-<p class="i02"> Veggio andar pellegrino,</p>
-<p class="i02"> E dal principe suo esser deserto.</p>
-<p class="i02"> Misera Italia! tu l’hai bene esperto</p>
-<p class="i02"> Che in te non è latino</p>
-<p class="i02"> Che non strugga il vicino</p>
-<p class="i02"> Quando per forza e quando per mal arte.</p>
-<p class="i05"> <span class="smcap">Graziolo</span>, cancelliere bolognese nel 1220.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ed ora in te non stanno senza guerra</p>
-<p class="i02"> Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode</p>
-<p class="i02"> Di quei che un muro ed una fossa serra.</p>
-<p class="i01">Cerca, misera, intorno dalle prode</p>
-<p class="i02"> Le tue marine, e poi ti guarda in seno</p>
-<p class="i02"> Se alcuna parte in te di pace gode.</p>
-<p class="i11"> <span class="smcap">Dante</span>, <i>Purg.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Benchè non fossero costanti nel parteggiare, offriamo alquanti
-dei nomi che assumeano le fazioni in varie città:
-</p>
-
-<table class="gener" summary="">
- <tr>
- <td>&nbsp;</td> <td><span class="smcap">Guelfi</span></td> <td><span class="smcap">Ghibellini</span></td>
- </tr>
-<tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Milano</td> <td>Torriani</td> <td>Visconti</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Firenze</td> <td>Neri</td> <td>Bianchi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Arezzo</td> <td>Verdi</td> <td>Secchi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Genova</td> <td>Rampini</td> <td>Mascherati</td>
- </tr>
- <tr>
- <td></td> <td>Grimaldi e Fieschi</td> <td>Doria e Spinola</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Como</td> <td>Vitani</td> <td>Rusca</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Pistoja</td> <td>Cancellieri</td> <td>Panciatichi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Modena</td> <td>Aigoni</td> <td>Grasolfi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Bologna</td> <td>Scacchesi (Geremei)</td> <td>Maltraversi (Lambertazzi)</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Verona</td> <td>San Bonifazio</td> <td>Tegio</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Piacenza</td> <td>Cattanei</td> <td>Landi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Pisa</td> <td>Pergolini (Visconti)</td> <td>Raspanti (Conti)</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Roma</td> <td>Orsini</td> <td>Savelli</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Siena</td> <td>Tolomei</td> <td>Salimbeni</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Orvieto</td> <td>Malcorini</td> <td>Beffati</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Asti</td> <td>Solari</td> <td>Rotari</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-A Roma i due fratelli Stefano e Sciarra Colonna erano capi,
-uno dei Guelfi, l’altro de’ Ghibellini. Inoltre erano emuli nelle
-varie città, senza star saldi a una parte sola, Beccaria e Langosco
-in Pavia; Tornielli e Cavalazzi o Brusati in Novara; in
-Ferrara Salinguerra e Adelardi; in Vercelli Avvocati e Tizzoni;
-in Lodi, Vignati e Vistarini; in Genova, Doria e Adorni; in Asti,
-Isnardi e Gottuari; in Perugia, Oddi e Baglioni; in Bergamo,
-Suardi e Colleoni, Bongi e Rivoli; in Brescia, Casalalta e Bruzella;
-in Perugia, Bettona, Assisi la parte di sopra e quella di
-sotto; in Padova, Carrara e Macaruffo; in Sicilia, Palizzi, Alagona,
-Ventimiglia, Chiaramonti; in Ravenna, Polenta e Bagnacavallo; in Imola, Mendoli e Brizi; in Faenza, Manfredi e Acarisi;
-in Rimini, Gambacari e Amadei; in Forlì, Ordelaffi e Galboli;
-in Cesena, Righizzi e Popolo; in Sangeminiano, Ardinghelli e
-Salvucci; in Sansepolcro, Graziani e Goracci contro Pichi e
-Righi; in Acqui, i Blesi e i Bellingeri.... A Savigliano erano
-ghibellini i Cambiano, i Soleri, i Galateri; in Alba, capi dei
-Guelfi i Graffagnini; e così via.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note265">
-<p><span class="label"><a href="#tag265">265</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">G. Villani, v</span>. 9. — <i>In diebus meis vidi plusquam quinquies
-expulsos stare milites de Papia, quia populus fortior illis
-erat</i>. <i>Ventura</i>, <i>Chron. Astense</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note266">
-<p><span class="label"><a href="#tag266">266</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Chron. Astense</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XVII</span>. — <span class="smcap">Savioli</span>, <i>Ann. bologn. ad
-ann.</i> — <span class="smcap">G. Villani, ix.</span> 213.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note267">
-<p><span class="label"><a href="#tag267">267</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dicevansi i Senesi il popolo più orgoglioso della Toscana
-e vendicativo; di malafede i Romagnuoli; volubili e impazienti
-i Genovesi: i Milanesi pacchioni ecc. San Bernardo nel 1152
-scriveva: <i>Quid tam notum sæculis quam protervia et fastus
-Romanorum? gens insueta paci, tumultui assueta, gens immitis
-et intractabilis usque adhuc, subdi nescia nisi quum non valet
-resistere.</i> De consideratione, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 2. Basta legger Dante per raccorvi
-ingiurie contro ciascuno de’ nostri popoli.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note268">
-<p><span class="label"><a href="#tag268">268</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Avverti la distinzione tra i Ferraresi e il Comune di Ferrara.
-<i>Ant. Estensi</i>, part. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 39.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note269">
-<p><span class="label"><a href="#tag269">269</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il carroccio di Cremona chiamavasi Gajardo; quel di
-Padova, Berta; quel di Parma, Crepacuore o Regoglio ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note270">
-<p><span class="label"><a href="#tag270">270</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi spesso il Machiavelli, che dice come le guerre
-prima de’ suoi dì «si cominciavano senza paura, trattavansi
-senza pericolo, finivansi senza danno»; lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. Anche il Guicciardini
-dice la battaglia del Taro «memorabile, perchè fu la
-prima che da lunghissimo tempo in qua si combattesse con
-occisione e col sangue in Italia». E più umanamente il buon
-Muratori narra d’una battaglia del 1469, importante «ma con
-uccisione di pochi perchè in questi tempi gli Italiani faceano
-guerra non da barbari ma da cristiani, e davano quartiere a
-chiunque non potendo resistere si arrendeva».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note271">
-<p><span class="label"><a href="#tag271">271</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Chron. Ferrariæ</i>, Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note272">
-<p><span class="label"><a href="#tag272">272</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Chi ricorda le colonie civilizzanti e lavoratrici che proponevano
-i Sansimoniani nel 1833, e i Falansteri di Fourier predicati dopo il 1840, ne troverà già il modello nei Cistercensi.
-Dove era il grosso dei loro possessi doveva porsi una colonia di
-frati conversi, diretti da un professo, il quale era come il fattore
-di tutta la grancia o cascina. Egli dava il segno quando dovessero
-uscire al lavoro, egli distribuiva ad essi i ferri del mestiere,
-egli ne fissava le funzioni di armentiero, carrettiere, zappatore,
-boaro, e così via. Non doveva accettarsi frate se non chi potesse
-guadagnarsi il vivere colle proprie mani. I conversi non doveano
-tenere alcun libro, nè imparar altre preci che il <i>pater</i>, il <i>credo</i>
-e il <i>miserere</i>. Chi avesse dei fondi male andati chiamava una
-colonia di Cistercensi a rimetterli in essere: così Rainaldo arcivescovo
-di Colonia, ch’era venuto a portarci guerra col Barbarossa,
-avendo trovato la sua prebenda in disordine, chiamò di
-tali frati, <i>qui et curtibus præessent, et annuos redditus reformarent</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il monastero di Chiaravalle fu fondato nel 1135 con tenuissime
-rendite, ma i monaci lavorando, comprando principalmente
-i <i>zerbi</i> cioè incolti, e prendendo a livello, ebber in breve quattro
-buone possessioni: indi acquistarono il fondo di Cerreto nel
-Lodigiano, e Morimondo nel Pavese, e altri. A Chiaravalle,
-sopra uno spazio di tre pertiche appena, si incrocicchiano ben
-sette acquedotti artifiziali. Fin del 1138 ci resta un contratto,
-ove quei monaci compravano alquanti zerbi da un Giovan Villano
-col diritto di trarre acqua dalla Vetabia, e di potere all’uopo
-fare fossati traverso ai poderi d’esso Villano e una chiusa: <i>ut
-monasterium possit ex Vectabia trahere lectum, ubi ipsum
-monasterium voluerit: et si fuerit opus, liceat facere eidem monasterio
-fossata super terram ipsius Johannis ab una parte vie
-et ab alia, et possit firmare et habere clusam in prato ipsius
-Johannis, etc.</i> Di simil tenore molte carte sono addotte nelle
-<i>Memorie Longobardiche Milanesi</i>, e massime per l’acquisto
-delle acque d’un fosso che i Milanesi aveano fatto attorno alla
-città, obbligandosi di tenerlo spurgato. Fin d’allora vi riscontriamo
-tutti gli artifizj presenti di paratoje, stravacatori, salti di
-gatto, bocchelli, incastri; insegnarono essi l’economica distribuzione
-per ore, vendendo e affittandone il diritto. Coltivavano
-anche la vigna, e tutti gli storici nostri menzionano una botte
-di 500 brente di vino, ch’essi distribuivano in elemosina. <i>Prati
-marcidi</i> son mentovati in carte del 1233 e 35 e 54.
-</p>
-
-<p>
-È un dovere il rammentare al secolo gaudente le opere di
-quei poltroni di frati (nota tratta dalla <i>Storia di Milano</i> del
-Cantù).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note273">
-<p><span class="label"><a href="#tag273">273</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Affò</span>, <i>Storia di Parma</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 249. Anche più tardi
-Amedeo VIII di Savoja faceva doni a un eremita che s’occupava
-di mantenere le strade presso Ginevra, ed altri a un canonico
-che fondò la strada da Meillery a Bret. V. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia
-polit.</i>, 363. Una supplica sporta il 5 aprile 1317 alla Signoria di
-Firenze comincia: <i>Cum fratres Sancti Salvatoris de Septimo et
-fratres Humiliatorum omnium Sanctorum de Florentia, olim et
-hodie multipliciter servierint et quotidie serviant communi et
-populo florentino in omnibus quæ ipsi communi expediunt etc.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note274">
-<p><span class="label"><a href="#tag274">274</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«E tutte le creature appellava fratelli e sirocchie, dicendo
-che tutti aveano uno cominciamento da un medesimo creatore
-e padre». <i>Vite de’ Santi Padri.</i> — <i>Fratres mei aves, multum
-debetis laudare Creatorem.... Sorores meæ hirundines... Segetes,
-vineas, lapides et silvas, et omnia speciosa camporum, terramque
-et ignem, aerem et ventum, ad divinum movebat amorem.... Omnes
-creaturas fratris nomine nuncupabat, frater cinis, soror musca.</i>
-<span class="smcap">Tom. Celano</span> suo discepolo. <i>Acta SS. octobris</i>. Vedi i <i>Fioretti</i>
-di san Francesco, uno de’ più ingenui libri del nostro Trecento.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note275">
-<p><span class="label"><a href="#tag275">275</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È particolarità notevole nei frati questa venerazione per
-le opere di Dio, e la custodia delle piante storiche. Abbiamo già
-accennato l’albero di san Benedetto a Napoli: a Roma si sta
-volentieri al rezzo di quello ove san Filippo Neri col bello educava
-alla virtù i giovani del suo Oratorio: ivi pure a Santa Sabina
-additano un arancio piantato da san Domenico: uno da
-san Tommaso d’Aquino a Fondi. Se Aristotele o Teofrasto scrivessero
-ora la storia naturale, non dimenticherebbero queste
-particolarità.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note276">
-<p><span class="label"><a href="#tag276">276</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Nullo donca oramai più mi riprenda,</p>
-<p class="i01">Se tal amore mi fa pazzo gire.</p>
-<p class="i01">Già non è core che più si difenda...</p>
-<p class="i01">Pensi ciascun come cor non si fenda,</p>
-<p class="i01">Fornace tal come possa patire....</p>
-<p class="i02"> Data m’è la sentenza</p>
-<p class="i02"> Che d’amore io sia morto;</p>
-<p class="i02"> Già non voglio conforto</p>
-<p class="i02"> Se non morir d’amore....</p>
-<p class="i01">Amore, amore, grida tutto il mondo;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, ogni cosa clama...</p>
-<p class="i01">Amore, amor, tanto pensar mi fai;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, nol posso patire;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, tanto mi ti dai;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, ben credo morire;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, tanto preso m’hai;</p>
-<p class="i01">Amore, amore, fammi in te transire;</p>
-<p class="i02"> Amor, dolce languire;</p>
-<p class="i02"> Amor mio desioso,</p>
-<p class="i02"> Amor mio dilettoso,</p>
-<p class="i02"> Annegami d’amore.</p>
-<p class="i01">Amor, amor, Jesù son zonto a porto;</p>
-<p class="i01">Amor, amor, Jesù dammi conforto;</p>
-<p class="i01">Amor, amor, Jesù sì m’ha infiammato;</p>
-<p class="i01">Amor, amor, Jesù io sono morto...</p>
-<p class="i01">Amor, amor, per te sono rapita;</p>
-<p class="i01">Amor, amor, viva, non me dispregia;</p>
-<p class="i01">Amor, amor, l’anima teco unita;</p>
-<p class="i02"> Amor, tu sei sua vita,</p>
-<p class="i02"> Jam non se po’ partire,</p>
-<p class="i02"> Perchè la fai languire,</p>
-<p class="i02"> Tanto struggendo amore.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note277">
-<p><span class="label"><a href="#tag277">277</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ap</i>. <span class="smcap">Joh. Lucium</span>, <i>De regno Dalmatiæ</i>, pag. 338; e <span class="smcap">Ghirardacci</span>,
-<i>Storia di Bologna</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note278">
-<p><span class="label"><a href="#tag278">278</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Impugnationis arma secum fratres non deferant nisi pro
-defensione romanæ ecclesiæ, christianæ fidei, vel etiam terræ
-ipsorum</i>. Cap. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note279">
-<p><span class="label"><a href="#tag279">279</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Guitton d’Arezzo scriveva di san Francesco:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Cieco era il mondo, tu failo visare;</p>
-<p class="i01">Lebbroso, hailo mondato;</p>
-<p class="i01">Morto, l’hai suscitato;</p>
-<p class="i01">Sceso ad inferno, failo al ciel montare.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Dante ne pone un magnifico elogio in bocca a san Tommaso
-e san Bonaventura nel <span class="smcap lowercase">X</span> e <span class="smcap lowercase">XI</span> del <i>Paradiso</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note280">
-<p><span class="label"><a href="#tag280">280</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Landulfi Senioris</span> <i>Historia Mediolani</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 27.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note281">
-<p><span class="label"><a href="#tag281">281</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Multa petebant instantia prædicationis auctoritatem sibi
-confirmari.</i> Stefano di Borbon ap. <span class="smcap">Giesler</span>, pag. 510.
-</p>
-
-<p>
-Che il nome di Valdesi derivi da Pietro Valdo, lo smentirebbe
-il trovarlo in un manoscritto della <i>Noble leçon</i> di Cambridge
-che si suppone del 1100, cioè prima di esso Valdo, ove leggesi
-in provenzale:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Que non vollìa maudire, ni jurar, ni mentire,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ni ahountar, ni ancire, ni prenre de l’autrui,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ni venjar se de li sio ennemie,</i></p>
-<p class="i01"><i>Illi disent quel és Vaudés, e degne de murir.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Forse viene dal tedesco <i>wald</i> foresta. — Cataro in greco vuol
-dire <i>puro</i>, e forse presero tal nome per la pretesa innocente
-vita. Sant’Agostino già chiama <i>cataristi</i> i Manichei, <i>De hær.
-Manich.</i> I Tedeschi chiamano ancora <i>ketzer</i> gli eretici. — <i>Patarini</i>
-furon detti da <i>pati</i>, perchè ostentavano penitenza; o dal
-<i>pater</i>, che era la loro preghiera. In una costituzione di Federico
-II leggesi: <i>In exemplum martyrum, qui pro fide catholica
-marthyria subierunt, Patarenos se nominant, veluti expositos
-passioni.</i> Ed anche le <i>Assise</i> di Carlo I portano nel francese
-d’allora: <i>Li vice de ceaus son coneu par leur anciens nons, et ne
-veulent mie qu’il soient apelé par leur propres nons, mais s’apellent
-Patalins par aucune excellence, et entendent que Patalins
-vaut autant comme chose abandonnée à soufrir passion en l’essemble
-des martyrs, qui souffrirent torment pour la sainte foy.</i>
-</p>
-
-<p>
-Con infiniti nomi se ne indicavano le varie sêtte, de’ <i>Gazari</i>,
-<i>Arnaldisti</i>, <i>Giuseppini</i>, <i>Leonisti</i>, <i>Bulgari</i> (da cui il <i>bougre</i> dei
-Francesi, e il <i>bolgiron</i> de’ Lombardi), <i>Circoncisi</i>, <i>Publicani</i>,
-<i>Insabbatati</i>, <i>Comisti</i> (che alcuno volle chiamati così da Como),
-<i>Credenti di Milano</i>, <i>di Bagnolo</i>, <i>di Concorezzo</i>, <i>Vanni</i>, <i>Fursci</i>,
-<i>Romulari</i>, <i>Carantani</i>....</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note282">
-<p><span class="label"><a href="#tag282">282</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Così il Vignerio, reputato dai Protestanti restauratore
-della storia ecclesiastica. <i>Bibliotheca historica</i>, addiz. alla P. <span class="smcap lowercase">II</span>.
-p. 313. Anche frà Ranerio Saccone dà per origine delle chiese
-di Francia e d’Italia quelle di Bulgaria e Drungaria.
-</p>
-
-<p>
-«Quando i Valdesi si separarono da noi, ben pochi dogmi
-avevano contrarj ai nostri, o forse nessuno». <span class="smcap">Bossuet</span>, <i>Hist.
-des variations</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>. — E fra Ranerio Saccone: <i>Cum omnes
-aliæ sectæ immanitate blasphemiarum in Deum audientibus horrorem
-inducant, hæc magnam habet speciem pietatis, eo quod
-coram hominibus juste vivant, et bene omnia de Deo credant, et
-omnes articulos qui in symbolo continentur observent; solummodo
-romanam ecclesiam blasphemant et clerum</i>. Corrado Uspergense
-dice che papa Lucio li condannò per alcuni dogmi ed
-osservazioni superstiziose. Claudio di Seyssel arcivescovo di
-Torino dichiarò irriprovevole la loro vita: locchè a Bossuet
-pare una nuova seduzione del demonio.
-</p>
-
-<p>
-Moltissimi autori ne scrissero: e dopo tornati i suoi re al
-Piemonte nel 1814, qualche inquietudine fu data ai Valdesi
-rifuggiti nelle valli subalpine; onde i re di Prussia ed Inghilterra
-porsero ad essi soccorso. Allora varj Inglesi andarono a visitarli,
-e ne uscirono diversi scritti, quali sono <i>Authentic details of the
-Valdenses in Piedmont and other countries, with abridged translations
-of</i> L’histoire des Vaudois par Bresse, <i>and</i> La rentrée
-glorieuse d’Henri Armand; <i>with the ancient Valdesian catechism;
-to which is subjoined original letters, written during a
-residence among the Vaudois of Piedmont and Würtemberg in</i>
-1825. Londra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Gilly</span>, <i>Narrative of an excursion to the mountains of Piedmont
-in the year 1823, and researches among the Vaudois or
-Waldenses protestants inhabitants of the Cottien alpes. With
-maps</i>. Londra 1820.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Jones</span>, <i>The history of the Christian Church, including the
-very interesting account of the Waldenses and Albigenses</i>, 2 vol.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Lowthec’s</span> <i>Brief observations on the present state of the
-Waldenses</i>. 1825.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Acland</span>, <i>A brief sketch of the history and present situation
-of the Vaudois</i>. 1826.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Allix</span>, <i>Some remarks upon the ecclesiastical history of the
-ancient churches of Piedmont</i>.
-</p>
-
-<p>
-<i>Recherches historiques sur la véritable origine des Vaudois</i>.
-Parigi 1836. È cattolico.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Peyrun</span>, <i>Notice sur l’état actuel des églises vaudoises</i>. Ivi,
-1822. Li sostiene coevi del cristianesimo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">A. Muston</span>, <i>Hist. des Vaudois des vallées du Piémont</i>. 1834.
-</p>
-
-<p>
-<i>L’Israel des Alpes, ou les Martyrs vaudois</i> li fa oriundi da
-Leone, che nel <span class="smcap lowercase">IV</span> secolo si separò da papa Silvestro, quando
-questi accettò beni temporali da Costantino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note283">
-<p><span class="label"><a href="#tag283">283</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Abbiamo consultato in proposito moltissime opere e
-diversi manoscritti e processi. Il cremonese Moneta, uom dissoluto,
-sentendo predicare in Bologna Reginaldo d’Orléans,
-si convertì, e fatto inquisitor della fede a Milano il 1220,
-<i>tamquam leo rugiens</i> si scagliò contro le eresie, e scrisse una
-<i>Summa theologica</i>, grosso volume in-foglio, edito a Roma il 1743
-dal padre Tommaso Agostino Richino col titolo <i>Venerabilis
-patris Monetæ Cremonensis, ordinis Prædicatorum, sancto patri
-Dominico æqualis, adversus Catharos et Valdenses libri quinque.</i>
-Il Saccone, dopo stato cataro diciassett’anni, si convertì, e li
-perseguitò come vedremo; e la sua <i>Summa de Catharis et Leonistis,
-sive Pauperibus de Lugduno</i> fu inserita nel <i>Thesaurus
-novus anecdotorum</i> dei PP. Martène e Durand, Parigi 1717,
-tom. <span class="smcap lowercase">V</span>. In questa <i>Summa</i> trovo menzionato un volume di dieci
-quaderni, in cui Giovanni di Lugio avea deposti i suoi errori.
-Buonaccorso, già vescovo dei Catari in Milano, li confutò nella
-<i>Manifestatio hæreseos Catharorum</i>: è nello <i>Spicilegio</i> del padre
-d’Achery, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 208 del 1723. Nel suddetto <i>Thesaurus</i>
-vedasi pure una <i>dissertatio inter Catholicum et Patarinum</i>; e
-l’opera di frà Stefano di Bellavilla inquisitore.
-</p>
-
-<p>
-Questo punto si attacca a opinioni ridestatesi ai giorni nostri
-sul comunismo, onde molto se ne parlò di recente, e noi di proposito
-ne abbiamo trattato negli <i>Eretici d’Italia</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note284">
-<p><span class="label"><a href="#tag284">284</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare
-gli archivj del Sant’Uffizio in Toscana, scrive: — Per quanto io
-abbia cercato ne’ processi eretti da’ nostri frati, non ho trovato
-che gli eretici Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e
-che si commettesse mai da loro, massime tra uomini e donne,
-eccesso di senso; onde, se i frati non si tacquero per modestia,
-il che non mi par credibile in uomini che abbadavano a tutto, i
-loro errori erano, più che di sensualità, d’intelletto». Ap. <span class="smcap">Lanzi</span>,
-<i>Lezioni di antichità toscane</i>, <span class="smcap lowercase">XVII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note285">
-<p><span class="label"><a href="#tag285">285</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Monetæ</span> <i>Summa</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note286">
-<p><span class="label"><a href="#tag286">286</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Due ne pubblicò Costantino contro gli eretici, uno Valentiniano
-I, due Graziano, quindici Teodosio I, tre Valentiniano II,
-dodici Arcadio, diciotto Onorio, dieci Teodosio II, e tre Valentiniano
-III, tutti inseriti nel codice Giustinianeo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note287">
-<p><span class="label"><a href="#tag287">287</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Late patet Dei clementia, qui, pulso infidelitatis errore,
-veritatem fidei suis fidelibus patefecit: justus enim ex fide vivit,
-qui vero non credit, jam judicatus est. Nos igitur, qui gratiam
-fidei in vanum non recipimus, omnes non recte credentes, qui
-lumen fidei catholicæ hæretica pravitate in imperio nostro conantur
-extinguere, imperiali volumus severitate puniri, et a
-consortio fidelium per totum imperium separari; præsentium
-tibi auctoritate mandantes, quatenus hæreticos Valdenses et
-omnes qui in Taurinensi diœcesi zizaniam seminant falsitatis,
-et fidem catholicam alicujus erroris seu pravitatis doctrina impugnant,
-a toto Taurinensi episcopatu imperiali auctoritate
-expellas; licentiam enim, auctoritatem omnimodam, et plenam
-tibi conferimus potestatem, ut, per tuæ studium sollicitudinis,
-Taurinensis episcopatus area ventiletur, et omnis pravitas, quæ
-fidei catholicæ contradicit, penitus expurgetur</i>. Ap. <span class="smcap">Gioffredo</span>,
-Storia delle Alpi Marittime al 1209.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note288">
-<p><span class="label"><a href="#tag288">288</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Höffler pubblicò (<i>Kaiser Friedrich II, ein Beytrag etc.</i>
-Monaco 1844) nuove lettere di Federico II, fra cui la seguente
-a papa Gregorio IX, relativa all’inquisizione ereticale:
-</p>
-
-<p>
-<i>Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia
-cuncta disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni
-fastigium ad mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri
-materialis conferens gladii potestatem, ut hominum ac dierum
-excrescente malitia, et humanis mentibus diversarum superstitionum
-erroribus inquinatis, uterque justitie gladius ad correctionem
-errorum in medio surgeret, et dignam pro meritis in
-auctores scelerum exerceret ultionem.... Quia igitur ex apostolice
-provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam hereticam
-pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium
-precibus et monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre,
-zelo fidei quo tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem
-gratanter assurgimus, beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes,
-illam diligentiam et sollicitudinem impensuri ad evellendum
-et dissipandum de predictis civitatibus pestem heretice
-pravitatis, ut auctore Deo, cui gratum inde obsequium prestare
-confidimus ac vestris coadjuvantibus meritis, nullum in eis vestigium
-supersit erroris, ac finitimas et remotas quascumque fama
-partes attigerit, inflicta pena perterreat, et omnibus innotescat
-nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus hostes fidei
-ad gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio potenter
-accingi. Dat. Tarenti</i> <span class="smcap lowercase">XXVIII</span> <i>febr. indict.</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>.
-</p>
-
-<p>
-In un’altra lettera esso Federico insiste con nuovo fervore
-per la repressione degli eretici: <i>Ut regi regum, de cujus nutu
-feliciter imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus,
-tanto magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis
-filii mater Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei
-christiane, cujus sumus tamquam catholicus imperator precipui
-defensores, novum opus assumpsimus ad extirpandam de regno
-nostro hereticam pravitatem, que latenter irrepit et tacite contra
-fidem. Cum enim ad nostram audientiam pervenisset, quod, sicut
-multorum tenet manifesta suspicio, partes aliquas regni nostri
-contagium heretice pestis invaserit, et in locis quibusdam occulte
-latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum credidimus
-per penas debitas extirpasse radices, incendio traditis, quos
-evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas
-regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de
-talium statu diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus
-suspicio sit hereticos latitare, omni sollicitudine discutiant veritatem.
-Quidquid autem invenerint, fideliter redactum in scriptis,
-sub amborum testimonio serenitati nostre significent, ut per eos
-instructi, ne processu temporis illic hereticorum germina pullulent,
-ubi fundare studemus fidei firmamentum, contra hereticos,
-et fautores eorum, si qui fuerint, animadversione debita insurgamus.
-Quia vero supradicta vellemus per Italiam et Imperium
-exequi ut sub felicibus temporibus nostris exaltetur status fidei
-christiane, et ut principes alii super his Cesar em imitentur;
-rogamus beatitudinem vestram quatenus ad vos, quem spectat
-relevare christiane religionis incommodum, ad tam pium opus
-et officii vestri debitum exequendum diligentem operam assumatis,
-nostrum si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut de
-utriusque sententia gladii, quorum de celesti provisione vobis ac
-nobis est collata potentia, subsidium non dedignatur alternum,
-hereticorum insania feriatur, qui in contemtum divine potentie
-extra matrem Ecclesiam de perverso dogmate sibi gloriam arroganter
-assumunt. Messine</i> <span class="smcap lowercase">XV</span> <i>jul. indict.</i> <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note289">
-<p><span class="label"><a href="#tag289">289</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Constitutio <i>Inconsutilem</i>; Const. <i>De receptoribus</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, — Una
-lettera d’Onorio III papa alle città lombarde 1226
-(<span class="smcap">Raynaldi</span>, <i>ad an.</i> Nº 26) dice che «l’imperatore gli recò lamento
-perchè esse città l’avessero impedito di procedere come
-si era proposto contro l’eresia».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note290">
-<p><span class="label"><a href="#tag290">290</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Raynaldi</span>, <i>ad</i> 1231. — <span class="smcap">Corio</span>, part. <span class="smcap lowercase">II</span>. f. 72.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note291">
-<p><span class="label"><a href="#tag291">291</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Per <i>ussit</i>: è in piazza de’ Mercanti. Ma Galvano Fiamma,
-frate, cronista di retto senso, dice: <i>In marmore super equum
-residens sculptus fuit, quod magnum vituperium fuit.</i> Il Frisi,
-nelle <i>Mem. di Monza,</i> <span class="smcap lowercase">II.</span> 101, reca gli statuti dell’arcivescovo
-Leon da Perego e dell’arciprete di Monza contro gli eretici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note292">
-<p><span class="label"><a href="#tag292">292</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Cap. <span class="smcap lowercase">XXXI</span> <i>De simonia</i>; cap. <span class="smcap lowercase">XXIV</span> <i>De accusationibus</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note293">
-<p><span class="label"><a href="#tag293">293</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Cap. fin. <i>De hæreticis</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note294">
-<p><span class="label"><a href="#tag294">294</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bergier</span>, <i>Dictionnaire théol.</i>, voc. <i>Inquisition</i>. Gli enciclopedisti
-rimproverano all’Inquisizione spagnuola d’avere abusato
-«nell’esercizio d’una giurisdizione, in cui gl’italiani suoi
-inventori usarono tanta dolcezza».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note295">
-<p><span class="label"><a href="#tag295">295</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Per dire un caso fra cento, nel 1220 i Trevisani diedero
-il guasto alle diocesi di Ceneda e di Feltre e Belluno; e dell’ultima
-uccisero anche il vescovo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note296">
-<p><span class="label"><a href="#tag296">296</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bolland.</span>, tom. <span class="smcap lowercase">X</span>, <i>Vita s. Petri Parens</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note297">
-<p><span class="label"><a href="#tag297">297</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Regesta</i>, num. 123. 124, e pag. 130. lib. <span class="smcap lowercase">X</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note298">
-<p><span class="label"><a href="#tag298">298</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giachi</span>, <i>App. alle Ricerche storiche di Volterra</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note299">
-<p><span class="label"><a href="#tag299">299</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Archivio dipl. fiorentino</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note300">
-<p><span class="label"><a href="#tag300">300</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, <i>Chron. ad ann</i>. 1232.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note301">
-<p><span class="label"><a href="#tag301">301</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ap. <span class="smcap">Mattia Paris</span> <i>ad</i> 1243.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note302">
-<p><span class="label"><a href="#tag302">302</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Firenze serba molte memorie di que’ fatti. Sulla facciata
-dell’uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due affreschi di
-Taddeo Gaddi figurano san Pietro martire quando a dodici
-nobili fiorentini dà lo stendardo bianco colla croce rossa per
-tutela della fede. San Pietro fu deposto in altro magnifico arco
-in Sant’Eustorgio a Milano coll’epitafio scritto da san Tommaso:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Præco, lucerna, pugil Christi, populi fideique.</i></p>
-<p class="i01"><i>Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique</i></p>
-<p class="i01"><i>Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,</i></p>
-<p class="i01"><i>Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum etc.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note303">
-<p><span class="label"><a href="#tag303">303</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Chron. parmense</i> nei Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note304">
-<p><span class="label"><a href="#tag304">304</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fr. Christ. Schlosser</span>,<i> Abelardo e Dolcino; vita ed
-opinioni d’un entusiasta e d’un filosofo.</i> Gota 1807. — <span class="smcap">C. Baggiolini</span>,
-<i>Dolcino e i Patareni</i>. Novara 1838. — <span class="smcap">Julius Krone</span>,
-<i>Frà Dolcino und die Patarener, historische Episode aus den
-piemontesischen Religionskriegen</i>. Leipzig 1844.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note305">
-<p><span class="label"><a href="#tag305">305</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Martène</span> e <span class="smcap">Durand,</span> <i>Collect. ampl.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 304.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note306">
-<p><span class="label"><a href="#tag306">306</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Furono espresse con questo barbaro distico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Gram. <i>loquitur</i>: dia. <i>vera docet</i>: rhet. <i>verba colorat</i>:</p>
-<p class="i01">Mus. <i>canit</i>: ar. <i>numerat</i>: geo. <i>ponderat</i>: ast. <i>colit astra</i>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Meno rozzamente le compendiò l’Ostiense, <i>Summ. lit. de
-magistris</i>:
-</p>
-
-<table class="gener" summary="">
- <tr>
- <td>Grammatica.</td> <td><i>Quidquid agunt artes, ego semper prædico partes.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Dialectica.</td> <td><i>Me sine, doctores frustra coluere sorores.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Rhetorica.</td> <td><i>Est mihi dicendi ratio cum flore loquendi.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Musica.</td> <td><i>Invenere locum per me modulamina vocum.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Geometria.</td> <td><i>Rerum mensuras, et rerum signo figuras.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Arithmetica.</td> <td><i>Explico per numerum quid sit proportio rerum.</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Astronomia.</td> <td><i>Astra viasque poli vindico mihi soli.</i></td>
- </tr>
-</table>
-
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note307">
-<p><span class="label"><a href="#tag307">307</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ab annis puerilibus eruditus est in scholis liberalium artium et legum secularium, ad suæ morem patriæ</i>. <span class="smcap">Milone Crispino</span>,
-Vita Lanfr., cap. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note308">
-<p><span class="label"><a href="#tag308">308</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Præfatio ad Monologium.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note309">
-<p><span class="label"><a href="#tag309">309</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Veritas intellectus est adæquatio intellectus et rei, secundum
-quod intellectus dicit esse quod est, vel non esse quod non est.</i>
-Adv. gent., <span class="smcap lowercase">I</span>. 49. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note310">
-<p><span class="label"><a href="#tag310">310</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Errano molti credendosi nobili perchè di nobile casato;
-il qual errore in molti modi può ribattersi. E primieramente, se
-si consideri la causa creatrice, Iddio col farsi autore di nostra
-schiatta, la nobilita tutta; se la causa seconda è creata, i primi
-padri da cui discendiamo sono gli stessi per tutti, tutti ne ricevettero
-egual nobiltà e natura. La medesima spica dà il fior di
-farina e la crusca; questa gettasi ai porci, quella sale alla mensa
-dei re; così dal medesimo tronco potran nascere due uomini,
-uno vile, nobile l’altro. Se ciò che viene da un nobile ne ereditasse
-la nobiltà, gl’insetti del suo capo e le naturali superfluità
-in lui generate diverrebbero nobili del pari. Bello è il non deviare
-dagli esempj de’ nobili avi, ma più bello l’avere illustrato un
-umile nascimento con grandi azioni. Ripeto dunque con san Girolamo,
-che in questa nobiltà pretesa ereditaria nulla merita
-invidia, se non l’essere i nobili obbligati alla virtù per vergogna
-di dirazzare. Nobiltà vera è quella sola dell’anima».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note311">
-<p><span class="label"><a href="#tag311">311</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Infidelium quidam sunt qui nunquam susceperunt fidem,
-sicut Gentiles et Judæi; et tales nullo modo sunt ad fidem compellendi ut ipsi credant, quia credere voluntatis est; sunt tamen
-compellendi a fidelibus, si adsit facultas, ut fidem non impediant
-vel blasphemiis, vel malis persuasionibus, vel etiam apertis persecutionibus.
-Et propter hoc fideles Christi frequenter contra
-infideles bellum movent etc.</i> Summa, 2a 2æ, quæst. <span class="smcap lowercase">X</span>, art. 8.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note312">
-<p><span class="label"><a href="#tag312">312</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ogni dono perfetto, secondo lui, viene dal padre dei lumi,
-e per quattro vie: l’esteriore che rischiara le arti meccaniche,
-l’inferiore che produce le nozioni sensitive, l’interna o cognizione
-filosofica, e quella della santa scrittura. La prima si propone
-di soddisfare i bisogni corporei, divisa nelle sette arti del
-tessere, fabbricare armi, caccia, agricoltura, navigazione, drammatica,
-medicina. La seconda illumina le forme esteriori; e lo
-spirito, luminoso per sua natura, risiede nei nervi, la cui essenza
-si moltiplica ne’ cinque sensi. La cognizione filosofica cerca le
-cause segrete per via dei principj di verità, insiti nella natura
-dell’uomo, le quali si riferiscono o alle parole o alle cose o ai
-costumi, onde la filosofia è o razionale o naturale o morale: la
-razionale è grammatica, o logica, o retorica; la naturale comprende
-fisica, matematica e metafisica; la morale è personale,
-economica o politica, secondo che concerne l’uomo, la famiglia
-o lo Stato. Le cose eccedenti la ragione sono manifestate all’uomo
-dalla luce superna della Grazia e della rivelazione; e
-come le cognizioni tutte derivano dalla luce stessa, così sono
-ordinate alla scienza delle verità sante, e da esse perfezionate.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note313">
-<p><span class="label"><a href="#tag313">313</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Fu un vezzo della scuola l’attribuire un aggettivo caratteristico
-ai varj dottori. Così san Tommaso fu detto <i>l’angelo
-della scuola</i>; san Bonaventura <i>il serafico</i>; Duncano Scoto <i>il sottile</i>;
-Ockam <i>il singolare</i>; Enrico di Gand <i>il solenne</i>; Egidio di
-Roma <i>il fondatissimo</i>; Alano dell’Isola <i>l’universale</i>; Ruggero
-Bacone <i>l’ammirabile</i>; Guglielmo Durand <i>il risolutissimo</i>;
-Middleton <i>il solido</i>, o <i>l’autentico</i>; Pier Lombardo <i>il maestro
-delle sentenze</i>, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note314">
-<p><span class="label"><a href="#tag314">314</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questa scuola può dirsi scoperta da Merkel nella <i>Geschichte
-des Langobardenrechts</i>. Berlino 1850.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note315">
-<p><span class="label"><a href="#tag315">315</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Del 752 si ha una causa del vescovo d’Arezzo contro
-quello di Siena; dove spesso è citato il Digesto: <i>Si hoc vendicare
-neglexerint, infamia laborare, ut in Codicis libro <span class="smcap lowercase">IX</span>, tit. de
-sepulcro violato</i>, Si quis sepulcrum lesurus etc.... <i>Item in
-<span class="smcap lowercase">VIII</span> libro Codicis legitur</i> Si quis in tanta furoris etc.... <i>Quod
-autem hæc quæstio procedere debeat, <span class="smcap lowercase">IX</span> Codicis liber testatur,
-titulo ad legem Juliam de vi publica et privata</i>, Si quis ad
-se etc.
-</p>
-
-<p>
-Il Muratori, <i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">XLIV</span>, pubblica una carta del 767
-affatto guasta, in cui al monastero di Santa Maria in Cosmedin
-a Ravenna si donano molti beni, promettendo l’evizione, rinunziando
-per sè e suoi <i>legum beneficia, juris et facti ignorantia,
-foris locisque, prescriptione alia, senatoconsulto</i> (probabilmente
-il SC. Vellejano, l. <span class="smcap lowercase">XVI</span>, § 1) <i>quod de mulieribus prestitit</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note316">
-<p><span class="label"><a href="#tag316">316</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Alcuno assegna a lui anche le <i>Autentiche</i>, cioè gli estratti
-delle <i>Novelle</i>, deroganti le costituzioni imperiali, che trovansi
-ne’ manoscritti del <i>Codice</i>, e che furono citate e seguite come
-leggi; e pare in effetto che le più siano da attribuire a lui, e
-fossero poi cresciute da’ suoi successori, fino ad Accursio che
-ne chiuse la serie.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note317">
-<p><span class="label"><a href="#tag317">317</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Si narra che alcuni muratori stando a lavorare, gridavano
-ai passeggieri di guardarsi. Uno non badò all’avviso, e rimase
-colpito da una pietra; di che portò querela. Pillio consigliò i
-querelati di non rispondere; talchè i giudici li rimandavano per
-muti, quando l’accusatore uscì ad esclamare: — Come muti, se
-mi hanno gridato di guardarmi?» Tanto bastò a mandarli
-assolti. Storiella da scolari, come se ne suole inventare tante
-anche al nostro tempo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note318">
-<p><span class="label"><a href="#tag318">318</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Secondo Cujacio (<i>De feud.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>), la consuetudine variava
-fra le città: a Milano, Cremona, Pavia il vassallo poteva alienare
-il feudo senza consenso del signore, mentre era indispensabile
-a Mantova e Verona; in Piacenza chi investiva altri d’un
-feudo trasmissibile al successore, non poteva toglierlo finchè
-viveva; a Milano e Cremona sì. Le consuetudini della Puglia e
-Sicilia in tal materia si conservavano in libri chiamati <i>Defetarj</i>,
-che perirono sotto Guglielmo I, ma a memoria li supplì Matteo
-Notaro. <span class="smcap">Giannone</span>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note319">
-<p><span class="label"><a href="#tag319">319</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dopo i varj tentativi, anche per ordine ed opera dei pontefici,
-il torinese Sebastiano Berardi stampò a Venezia nel 1777
-<i>Gratiani canones genuini ab apocryphis discreti; corrupti ad
-emendatiorum codicum fidem exacti; difficiliores commoda interpretatione
-illustrati</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note320">
-<p><span class="label"><a href="#tag320">320</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, pr. D. de quæst.: <i>Cum capitalia et atrociora
-maleficia non aliter explorari possunt quam per servorum quæstiones,
-efficacissimas eas esse ad requirendam veritatem existimo,
-et habendas censeo.</i> Papa Nicola I, in una lettera ai Bulgari di
-recente convertiti, la riprova, come avrebbe potuto fare il Beccaria
-nove secoli appresso: — So che, preso un ladro, con
-tormenti lo cruciate finchè palesi: ma nessuna umana o divina
-legge il concede, dovendo la confessione venire spontanea, non
-istrapparsi a forza, ma proferirsi volontariamente. Se, inflitte
-quelle pene, nulla non iscoprite di ciò ond’è imputato, non arrossite?
-non v’appare l’iniquo vostro giudizio? E se alcuno, non
-reggendo ai tormenti, si confessi colpevole senz’essere, di chi
-è l’empietà se non di colui che lo forza a confessare mendacemente?
-Lasciate dunque, ed esecrate tali usi».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note321">
-<p><span class="label"><a href="#tag321">321</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nello statuto che Giordano, abbate del monastero di
-sant’Elena, dava al castello di Montecalvo nel 1190, erano
-proibiti i giudizj di Dio, e assicurata la libertà personale, non
-dovendo uno essere catturato se non in forza di giudizio, e potendo
-esimersene col dare una garanzia: <i>Nemo Montiscalvi
-judicium ferri fervidi et aquæ calidæ, vel pugnam facere debet.
-Nemo habitator Montiscalvi capi debet antequam judicetur: ac
-si judicatus fuerit, capi non debet si fidejussorem dare potuerit,
-præter in gravioribus culpis, de quibus corporaliter judicatur.
-Insuper nihil in eodem castro sine judicio capi debet.</i> È precisamente
-la legge inglese dell’<i>Habeas corpus</i>. V. <span class="smcap">Tria</span>, <i>Mem. storiche
-della città e diocesi di Larino</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note322">
-<p><span class="label"><a href="#tag322">322</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Capit. <span class="smcap lowercase">II</span> <i>De probat.</i> nelle Decretali di Gregorio IX. E per
-quel che segue vedi i titoli De indiciis et de libellis oblat.; <i>De
-off. et pot. jud. deleg.; De foro comp.</i> Vedi pure <span class="smcap">Rocco</span>, <i>Jus canonicum
-ad civilem jurisprudentiam perficiendam quid attulerit</i>.
-Palermo 1839.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note323">
-<p><span class="label"><a href="#tag323">323</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Se v’è alcuno che nel secolo nostro abbia conservato
-tutti i rancori e le prevenzioni del secolo passato contro l’ordinamento
-ecclesiastico, è Guglielmo Libri. Pure scrive: <i>A la
-chûte de l’empire romain l’Eglise devint dépositaire de la civilisation
-de l’Europe, et préchant l’évangile aux envahisseurs, elle
-adoucit les mœurs des plus farouches, et leur enseigna la charité.
-Par l’influence de la religion, ils apprirent les éléments des
-lettres latines, et s’habituèrent à vénérer en Rome, même après
-l’avoir asservie, la capitale de la chrétienté. Les pieux missionnaires
-qui parcouraient alors l’Occident, représentaient un ordre
-social bien moins imparfait que tout ce qui existait chez les barbares;
-et leur parole désarmée descendant sur des hommes qui
-semblaient destinés à faire de l’Europe un immense tombeau,
-les arrêta, les subjugua, leur inspira l’amour du prochain, qui
-était pour eux la plus nécessaire des vertus. Ce fut le plus beau
-temps du christianisme.... qui fut plus vénérable, plus sublime
-aux jours de lutte et d’adversité, que dans ses temps de puissance et de splendeur</i> (Hist. des sciences mathématiques en Italie;
-vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 2). Di qui passa a sostenere la nimicizia della Chiesa
-per qualunque scienza, eccetto il catechismo; e che ai Musulmani
-è dovuto il risorgimento del sapere: <i>Les Arabes ont semé
-partout les germes de la civilisation.... partout la civilisation
-arabe communique aux esprits une nouvelle activité... ils ont
-été les maîtres en tout des chrétiens</i>; essi fecero in pochi anni
-quel che la Chiesa non aveva saputo in molti secoli.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note324">
-<p><span class="label"><a href="#tag324">324</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Gli ultramontani erano Gallia, Portogallo, Provenza,
-Inghilterra, Borgogna, Savoja, Guascogna, e Alvernia, Bituria,
-Turena, Castiglia, Aragona, Catalogna, Navarra, Alemagna,
-Ungheria, Polonia, Boemia, Fiandra. I citramontani Romagna,
-Abruzzo e Terra di Lavoro, Puglia e Calabria, la Marca Anconitana
-inferiore, la superiore, Sicilia, Firenze, Pisa e Lucca,
-Siena, Spoleto, Ravenna, Venezia, Genova, Milano, Lombardi,
-Tessalonici (?), Celestini (?). Nel 1848, quando credeasi inventata
-allor allora l’idea di nazionalità, gli scolari delle università
-di Germania si organizzarono secondo le nazioni; novità anche
-questa di seicento anni in data.
-</p>
-
-<p>
-Le lezioni versavano sopra le cinque parti del <i>Corpus juris</i>,
-e ancora ci restano quelle d’Odofredo sulle tre parti del Digesto
-e sui nove primi libri del Codice. Uno potea fare molti corsi e
-perciò bastare a moltissimi scolari, ogni corso durando un anno,
-e ogni adunanza un’ora: poi nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span> ne fu variata la
-distribuzione; le tre parti del Digesto e il Codice s’insegnarono
-simultaneamente da due dottori, da un altro il <i>Volumen</i>, che
-conteneva gl’Instituti, le Autentiche, il diritto feudale, le leggi
-imperiali, e i tre ultimi libri del Codice. Più tardi s’introdussero
-corsi speciali sopra una materia sola; e principalmente a Bologna
-ne tenevano i notaj per la loro professione, col diritto
-anche di dottorare.
-</p>
-
-<p>
-Ecco il metodo ordinario de’ corsi. Cominciato da un prospetto
-generale (<i>summa</i>), leggevano il testo sopra cui esercitare
-la critica; poi chiarivano le difficoltà, le contraddizioni, i casi
-speciali (<i>casus</i>); riepilogavano le regole generali (<i>brocarda</i>);
-discutevano i punti dubbj (<i>quæstiones</i>); il qual ordine non
-toglieva che ciascun professore restasse libero nel metodo e
-nell’insegnamento; gli scolari poi scrivevano sotto dettatura,
-liberi d’interrompere e far domande, massime nelle lezioni
-straordinarie che si davano dopo il pranzo. Dipoi s’introdussero
-i Quinternetti o <i>glossæ</i>, che da principio eran note, fatte da
-ciascuno in margine del proprio testo, e perfezionate via via col
-tempo, e che dopo la morte del maestro venivano cerche con
-avidità, poichè contenevano il sostanziale della scienza dell’autore;
-più tardi s’ingrandirono, e da schiarimenti d’una parola
-divennero un commento. Vi tennero dietro le Quistioni, libri
-intorno all’ordine giudiziale, trattati sulle azioni, distinzioni,
-raccolte di controversie, che a gara si ricopiavano. Nelle scuole
-era determinato su quali libri esercitarsi; e generalmente non
-si spiegavano in ciascun anno che alcuni testi, con iscapito della
-profondità e dell’indipendenza.
-</p>
-
-<p>
-L’esame privato costava sessanta lire, ottanta il pubblico;
-ventiquattro al dottore che presentava, e due od una a ciascun
-dottore assistente, secondo era pubblico o privato; dodici e
-mezzo all’arcidiacono per ciascun esame, e tre per ciascun discorso.
-Più spendeasi negli apparati, talchè nel 1311 il papa
-ordinò che in tal lusso nessuno consumasse di là dalle cinquecento
-lire.
-</p>
-
-<p>
-Ho preso appunto dello stipendio di qualche professore. Guido
-da Suzzara obbligossi d’interpretare il Digesto a Bologna per
-lire trecento bolognesi promessegli dagli scolari. Dino da Mugello
-insegnò a Pistoja per lire ducento pisane annue; poi a
-Bologna per dieci bolognesi, forse aggiunte alla retribuzione
-degli scolari: Napoli gli esibì cento oncie d’oro. I frati del
-Sacco nel 1270 condussero Lapo fiorentino a leggere fisica e
-logica nel loro convento, per lire trenta bolognesi oltre il vitto;
-nel 1261 i Vicentini Arnoldo a leggere diritto canonico, per
-cinquecento lire di stipendio, patto che avesse almeno venti
-scolari; Aldovrando degli Ulciporzi bergamasco, a leggere l’<i>inforzato</i>
-per lire cenventi, e per cencinquanta Raulo la medicina.
-Il Pillio venne ad insegnare diritto civile a Modena per cento
-marchi d’argento. Tommaso d’Aquino riceveva da Carlo I
-un’oncia d’oro al mese; nel 1399 in Piacenza Baldo toccava lire
-censessantaquattro mensili per leggere il Codice, e nel 1397
-milleducento annue: Marsilio di Santa Sofia, lire censettanta,
-compresa la pigione della casa: gli altri, da quattro fin a sessantasei
-lire al mese. Talvolta gli scolari servivano quasi di paggi
-ai maestri, tagliando innanzi, versando alla coppa, ecc. Odofredo,
-oltre le lezioni all’università, ne dava di straordinarie a chi
-pagasse; ma poco cavandone, finì la spiegazione del Digesto
-così: — E vi dico che l’anno vegnente intendo insegnare ordinariamente
-bene e legalmente, come mai non feci; ma straordinariamente
-non credo leggere, perchè gli scolari non sono
-buoni pagatori, vogliono intendere e non ispendere, giusta quel
-dettato <i>Imparar vuole ognun, nessun pagare.</i> Altro non ho a
-dirvi; ite colla benedizione del Signore». Garzia spagnuolo fu
-il primo, cui nel 1280 si assegnasse non uno stipendio annuo, ma
-il capitale di lire cencinquanta: poi nel 1289 al professore di
-diritto civile si fissarono annue lire cento, e cencinquanta a
-quel di canonico.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note325">
-<p><span class="label"><a href="#tag325">325</a>.&nbsp;&nbsp;</span>E’ la chiama Crisopoli
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> <i>quia grammatica manet alta</i></p>
-<p class="i01"><i>Artes et septem studiose sunt ibi lectæ.</i></p>
-<p class="i08"> Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">V</span>. p. 454.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note326">
-<p><span class="label"><a href="#tag326">326</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nell’Archivio diplomatico di Firenze si trovano gli istromenti
-fatti con Francesco Dataro di Piacenza medico per fiorini
-cinquecento; con Giorgio d’Arrighetto Nati d’Asti canonista per
-fiorini quattrocento; con Girolamo della Torre di Verona medico,
-con Pier Leoni di Spoleto, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note327">
-<p><span class="label"><a href="#tag327">327</a>.&nbsp;&nbsp;</span>A Baldo nel 1397 milleducento fiorini; a Giason del
-Maino nel 1492 duemila ducencinquanta; all’Alciato dal 1536 al
-40 scudi mille, poi dal 1544 al 50 lire settemilacinquecento; a
-Menochio nel 1589 lire seimila....</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note328">
-<p><span class="label"><a href="#tag328">328</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Vita sancti Meinwerci.</i> Gli stupefacenti e il sonno magnetico
-che oggi s’adoprano a tali operazioni, obbligano a riflettere
-su quei racconti, anzichè riderne.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note329">
-<p><span class="label"><a href="#tag329">329</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Ova recentia, vina rubentia, pinguia jura,</i></p>
-<p class="i01"><i>Cum simila pura naturæ sunt valitura.</i></p>
-<p class="i01"><i>Cœna brevis, vel cœna levis fit raro molesta,</i></p>
-<p class="i01"><i>Magna nocet, medicina docet, res est manifesta.</i></p>
-<p class="i01"><i>Si fore vis sanus ablue sæpe manus:</i></p>
-<p class="i01"><i>Lotio post mensam tibi conferet munera bina,</i></p>
-<p class="i01"><i>Mundificat palmas, et lumina reddit acuta.</i></p>
-<p class="i01"><i>Prima dies maji non carnibus auseris uti.</i></p>
-<p class="i01"><i>Ruta viris minuit venerem, mulieribus addit</i></p>
-<p class="i11"> <i>... Cruda comesta</i></p>
-<p class="i01"><i>Ruta facit castum, dat lumen et ingerit astum:</i></p>
-<p class="i01"><i>Cocta et ruta facit de pulcibus loca tuta.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note330">
-<p><span class="label"><a href="#tag330">330</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sarti</span>, <i>Dei prof. bologn.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 144. — <span class="smcap">Renzi</span>, <i>St. della
-Medicina</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note331">
-<p><span class="label"><a href="#tag331">331</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fioretti</span>, cap. <span class="smcap lowercase">XXIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note332">
-<p><span class="label"><a href="#tag332">332</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sarti</span>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 153. — Nelle Assise di Gerusalemme,
-adottate nei possessi degl’Italiani in Levante, e che del resto
-rappresentano le consuetudini de’ paesi europei, è stabilito che
-se uno schiavo s’ammali, e un medico pattuisca col padrone di
-esso di guarirlo, e gli dia cose calde e mollificanti mentre dovea
-darne di fredde e restringenti, sicchè muoja, il medico sia obbligato
-dare un servo simile, o il prezzo che costò fin al giorno
-della morte: così se gli cavi sangue non a proposito o troppo;
-o se, essendo idropico, gli tagli il ventre (praticavasi dunque la
-paracentesi), poi non sappia trargli l’umore, e s’indebolisca e
-muoja; o se, soffrendo di febbre quotidiana, lo purghi, e gli dia
-troppa scamonea, e svuoti il ventre sin a morire. Se uno schiavo
-abbia la lebbra o rogna o altra malattia, e il medico s’accordi
-di guarirlo a patto che metà del valor di esso sia del medico,
-metà del padrone, e faccia quanto sa ma nol guarisca, non è
-obbligato a pagarlo, avendo perduto le proprie fatiche. Se così
-avvenga a un libero o a una libera, il medico sarà impiccato,
-dopo mandatolo per la terra frustandolo <i>con un urinal in man
-per spaurir li altri de simel caso</i>, e i suoi beni confiscati dal
-signore del luogo. Nessun medico venuto di fuori possa esercitare
-l’arte sua se non riconosciuto abile dagli altri medici e dal
-vescovo; altrimenti sia frustato per la terra.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note333">
-<p><span class="label"><a href="#tag333">333</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Saba Malaspina</span>, <i>Hist.</i>, cap. <span class="smcap lowercase">II</span>.
-</p>
-
-<p>
-Federico II, fra gli altri spauracchi alla Corte romana, credette
-opporvi pure l’astrologia, e fe circolare tali versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Fata monent, stellæque docent, aviumque volatus</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quod Federicus ego malleus orbis ero.</i></p>
-<p class="i01"><i>Roma diu titubans, variis erroribus acta,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Concidet et mundi desinet esse caput.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Colla calma della ragione gli fu risposto:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Fata silent, stellæeque tacent, nil predicat ales;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Solius est proprium scire futura Dei.</i></p>
-<p class="i01"><i>Niteris incassum navem submergere Petri;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Fluctuat et nunquam mergitur ista ratis.</i></p>
-<p class="i01"><i>Quid divina manus possit, sensit Julianus;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Tu succedis ei: te tenet ira Dei.</i></p>
-<p class="i10"> <span class="smcap">Jordani</span>, <i>Chron.</i>, cap. 221.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note334">
-<p><span class="label"><a href="#tag334">334</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Negli <i>Atti dell’Accademia de’ nuovi Lincei</i>, 1851, trovo
-notizie intorno a Gherardo Cremonese, per B. Boncompagni,
-raccolta paziente di quanto di lui si ha o si disse, ma nè esame
-nè giudizio. Importante è un brano inedito di traduzione d’un
-trattato d’algebra che, se non il più antico, è de’ primi ove
-fosse insegnata agli Europei questa scienza del raziocinio generale
-per via della lingua simbolica. Ivi si trova anche il segno
-negativo, mentre gli Arabi, e così il Fibonacci, non conosceano
-che quantità positive; eppure si tardò trecento anni a dedurne
-l’utilissima applicazione, cioè fino a Michele Stifel. La soluzione
-delle equazioni di secondo grado vi è espressa con questi versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Cum rebus censum si quis dragmis dabis equum</i></p>
-<p class="i01"><i>Res quadra medias quadratum adjice dragmas,</i></p>
-<p class="i01"><i>Radici quorum medias res excipe demum,</i></p>
-<p class="i01"><i>Residuum quæsti census radicem ostendet.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non v’è chi non sappia che dagli algebristi per <i>cosa</i> s’intendeva
-l’incognita, per <i>censo</i> il quadrato, per <i>numero</i> il noto; onde coi
-simboli moderni si costruirebbe:
-</p>
-
-<p class="center">
-<i>x<sup>2</sup></i> + <i>px</i> = <i>q</i>
-</p>
-
-<p class="center">
-Donde <i>x</i> = -<span class="above">1</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span> <i>p</i> + √(<span class="above">1</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">4</span> <i>p<sup>2</sup></i> + <i>q</i>).
-</p>
-
-<p>
-Seguono gli altri casi: e ognuno vede che con ciò trovasi prevenuto
-frà Luca Paciolo.
-</p>
-
-<p>
-Ai dilettanti di tale scienza non isgarberà veder qui un problema
-e la sua soluzione.
-</p>
-
-<p>
-<i>Quæritur quænam sint illæ partes denarii, quarum differentia,
-juncta tetragonis earundem, collige 54.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Sit una partium res, altera 10 minus re</i> (cioè x, e 10 - x).
-<i>Differentia 10 minus duabus rebus, ex qua 2 partium tetragonis
-conjunctis colligantur 100, et 2 census minus 20 rebus, quæ data
-sunt æqualia 54</i> (cioè x<sup>2</sup> + (10 - x<sup>2</sup>) + 10 - 2 x = 54). <i>Per
-restaurationem itaque rerum, 2 census cum 100 equivalent 54 et
-22 rebus</i> (cioè 3 x<sup>2</sup> + 110 = 54 + 22 x). <i>Per ejectionem vero
-abundantis numeri 56 et 2 census, 22 rebus adæquantur</i> (cioè
-2 x<sup>2</sup> + 56 = 22 x). <i>Et per conversionem unus census cum 28
-æquentur 11 rebus</i> (cioè x<sup>2</sup> + 28 = 11 x). <i>Resolve per quintum
-modum, et re erit 4.</i>
-</p>
-
-<p class="center">
-Cioè x = <span class="above">1</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span> 11 ± √<span class="above">9</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">4</span>
-</p>
-
-<p class="center">
-&nbsp; &nbsp; = <span class="above">5</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span> ± <span class="above">3</span>&#xfeff;&#8260;&#xfeff;<span class="below">2</span>
-</p>
-
-<p class="center">
-onde i due valori<br />
-x = <sup>2</sup><br />
-&nbsp;x = 4.
-</p>
-
-<p>
-L’autore indica solo quest’ultimo.
-</p>
-
-<p>
-Se non isbaglio, ivi è un tentativo di rappresentare le quantità
-per lettere, come noi usiamo. Perocchè, dove cerca <i>qualiter
-figurentur census radices et dragmæ</i>, insegna: <i>Numero censum
-litera </i>c<i>, numero radicum litera </i>r<i>; deorsum virgulas habentes,
-subterius apponantur. Dragmæ vero sine literis virgulas habeant,
-quotiens hæc sine diminutione proponuntur. Verbi gratia, duo
-census, tres radices, quatuor dragmæ sic figurentur</i>
-</p>
-
-<table class="gener" summary="">
- <tr>
- <td class="center">2</td> <td class="center">3</td> <td class="center">4</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center"><i>c</i></td> <td class="center"><i>r</i></td> <td class="center"><i>d</i></td>
- </tr>
-</table>
-
-<table class="gener" summary="">
- <tr>
- <td rowspan="2" class="vcen">Qui</td> <td>2</td> <td rowspan="2" class="vcen">equivale</td> <td rowspan="2" class="vcen">al nostro</td> <td rowspan="2" class="vcen">2 x<sup>2</sup></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>c</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td>3</td> <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td rowspan="2" class="vcen">a</td> <td rowspan="2" class="vcen">3 x</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>r</i></td>
- </tr>
- <tr>
- <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td>4</td> <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td rowspan="2" class="vcen">al numero</td> <td rowspan="2" class="vcen">4</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>d</i></td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-Chasles aveva asserito che l’algebra numerica fu introdotta
-in Europa dai traduttori del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo. Guglielmo Libri lo impugnò
-acerbamente. Ecco chi avesse ragione. (<i>Questa nota è tolta
-dall’</i>Ezelino da Romano, storia d’un ghibellino
-esumata da <span class="smcap">Cesare Cantù</span>, Milano 1854).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note335">
-<p><span class="label"><a href="#tag335">335</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Guido Bonatus</span> <i>de Forlivio, decem continens tractatus
-astronomiæ</i>. Venezia 1506.
-</p>
-
-<p>
-Questi anni si litigò sulla patria sua; titolo d’onore, direbbero
-i pedanti, senza ricordare che, vivi noi, si è disputato con tutto
-il calore ammoniacale delle gazzette, se una cantatrice, viva e
-nata nel paese ove se ne disputava, appartenesse a una provincia
-o alla sua vicina. Filippo Villani, nella vita del Bonatto,
-che sta inedita nella biblioteca Barberini di Roma, dice: <i>Guido
-Bonatti iratus, cum esset florentinus origine, de Foro Livii se
-maluit appellari... Fuit sane, quidquid ipse iratus loquatur, de
-oppido Casciæ oriundus.</i> Cascia è terra del Valdarno superiore.
-</p>
-
-<p>
-Non è d’onor poco argomento l’essersi, ai cominciamenti della
-tipografia, fatte tre edizioni del <i>Liber introductorius ad indicia
-stellarum</i> del Bonatto: la prima ad Augusta il 1491; l’altra a
-Basilea il 1550; l’altra a Venezia il 1506, che io ho sott’occhio,
-col titolo <i>Guido Bonattus de Forlivio decem continens tractatus
-Astronomiæ</i>. È in carattere quadro in foglio di 191 carte, con
-incisionette. In fronte v’è Urania e l’astronomia coi dodici segni
-dello zodiaco, e in mezzo seduto Guido, avvolto in un vestone
-coll’ermellino arrovesciato sulle spalle, barbuto, in testa il berretto
-aguzzo, in mano un globo ed un quadrante. Il Mazzuchelli
-dice una copia manoscritta trovarsene nella biblioteca
-Ambrosiana, ma in fatto non è che la copia di 169 considerazioni
-de’ <i>Giudizj dell’astronomia</i>. Francesco Sirigatti (che nel
-1500 fu astrologo della Signoria di Firenze) tradusse in italiano
-quest’opera, per conforti di quel valentuomo che fu Gino Capponi,
-e sta manoscritta nella Laurenziana. Il 1572 fu stampato in
-tedesco a Basilea col titolo di <i>Auslegung des menschlichen Geburt-Stunden</i>.
-Fu pur messo in francese, e certo anche in altre lingue,
-chi avesse voglia di cercarlo. Giacchè ho nominato il Sirigatti,
-aggiungerò che nel copia-lettere di monsignor Gore Gheri,
-conservato nella biblioteca Capponi, n’è una del 1º marzo 1516
-al duca Lorenzo de’ Medici, siffatta: «El Sirigatto mi è venuto
-a trovare, et decto ch’io ricordi alla Ex. V. che non faccia fatto
-d’arme da <span class="smcap lowercase">V</span> a <span class="smcap lowercase">XII</span> di questo mese. Ma quando venisse uno bel
-tracto che con ragione si vedesse da vincere e’ nemici, io attenderei
-a quello che io vedessi in terra et non in cielo». (<i>Questa
-nota è tolta anch’essa dall’</i>Ezelino da Romano).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note336">
-<p><span class="label"><a href="#tag336">336</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Savonarola</span>, <i>De laud. Patavii</i>, pag. 1155.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note337">
-<p><span class="label"><a href="#tag337">337</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vide una statua coll’indice teso, e scrittovi al capo <i>Qui
-percuoti</i>. I cercatori avevano percosso delle volte assai quel
-capo; ma l’accorto monaco fissò dove l’ombra dell’indice cadeva
-al mezzodì, e nottetempo, con solo un compagno, sterrò e rinvenne
-un’ampia reggia tutta d’oro: i soldati facevano ai dadi,
-re e regina sedevano a mensa, da costa un damigello teneva
-teso l’arco; e tutto ciò d’oro, e illuminato da un tizzone ardente
-nel mezzo; e se si voleva toccare l’arciero, moveansi belle fanciulle
-in danza. Gerberto, non ben fidandosi del compagno,
-tolse soltanto dal desco un coltello di mirabile lavoro; ed ecco
-sorgere frementi le danzatrici, l’arciere saettar il lume, tornando
-bujo, ed obbligando così a lasciare ogni cosa intatta, senz’altro
-raccogliere se non vaticinj che poi furono avverati. <span class="smcap">Jordani</span>,
-<i>Chron.</i>, cap. 220 e 222.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note338">
-<p><span class="label"><a href="#tag338">338</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Molte odierne ubbie, che si sogliono attribuire a ignoranza
-del medioevo, ci vennero dagli antichi; verbigrazia, che
-il tintinnire degli orecchi sia indizio che altri parli di noi; che
-bevuto l’uovo, debba schiacciarsi il guscio (<span class="smcap">Ovidio</span>, <i>Fasti</i>).
-Sant’Agostino (<i>Expositio epistolæ ad Galatas</i>, c. <span class="smcap lowercase">IV</span>) dice: <i>Vulgatissimus
-est error Gentilium iste, ut vel in agendis rebus, vel in
-expectandis eventibus vitæ ac negotiorum suorum, ab astrologis
-notatos dies et menses et annos et tempora observent</i>. Così il
-mangiar ceci alla Commemorazione dei morti faceasi dai Romani
-nelle feste Lemurali in maggio, nel qual tempo si astenevano
-dalle nozze (<i>Fasti</i>, <span class="smcap lowercase">V</span>); l’augurare al Capodanno; il dir <i>Dio
-t’ajuti</i> quand’uno starnuta (<span class="smcap">Plinio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 2. § 11); l’affiggere
-sulle porte gufi e barbagianni (<i>Quid quod istas nocturnas aves,
-cum penetraverint larem quempiam; sollicite prehensas, foribus</i>
-<i>videmus affigi?</i> <span class="smcap">Apulejo</span>, <i>Metam.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>). Nei <i>Cesti</i> di Giulio
-Africano, vissuto sotto Alessandro Severo, tra tant’altre follie
-si dà il <i>modo di disfarsi dei nemici</i>: — Preparate dei pani a
-questo modo. Prendete sul fin del giorno una rana di campo o
-rospo e una vipera, quali vedete designati nel pentagono perfetto
-al sito della figura dove si trovano i segni della proslambanomene
-del tropo lidio, cioè, un ζητα senza coda o un ταυ sdraiato<img src="images/ill-tau.jpg" class="letter" alt="" />(è la nota musicale <i>fa di sis</i>): chiudete questi animali
-insieme in un vaso di terra, turandolo ermeticamente con argilla,
-affinchè non ricevano nè aria nè luce. Ciò fatto, dopo un
-tempo convenevole spezzate il vaso, e i resti che vi troverete
-stemprate in acqua, nella quale impasterete il pane: di più, ungete
-le tegghie in cui cocerete esso pane con tale composizione,
-pericolosa fino a chi l’adopera. Preparata così questa pastura,
-datela ai vostri nemici come potrete».
-</p>
-
-<p>
-Si sa che Caligola spese somme pel segreto di far l’oro; e
-sotto Diocleziano v’ebbe una specie di persecuzione contro gli
-alchimisti. Forse qualcuno avendo, così fra il tentare, ricotto
-del borace e del cremor di tartaro con mercurio sublimato, e
-fattolo svaporare sopra la superficie d’un vaso d’argento, trovò
-questo indorato. Ebbe dunque a credere d’avere scoperto la
-pietra filosofale, e andò ritentando quelle combinazioni, in cui,
-sotto gli strani nomi d’allora, vediam sempre ritornare il borace,
-il tartaro, il mercurio, il sal marino; i quali si sa che danno
-all’argento una tinta gialla, ma che se ne va con una semplice
-lavatura d’acido nitrico diluito.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note339">
-<p><span class="label"><a href="#tag339">339</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Gl’Indiani adopravano, da quattromila anni fa, pei sette
-suoni della loro scala, le lettere <i>s</i>, <i>r</i>, <i>g</i>, <i>m</i>, <i>p</i>, <i>d</i>, <i>n</i>; i Tibetani, le
-cifre numeriche; i Greci, le lettere del loro alfabeto dall’Α alla
-Ω, variando secondo i modi. Anche gl’Italiani ebbero una notazione
-alfabetica, composta delle prime quindici lettere, che Gregorio
-Magno ridusse alle sette prime per la scala diatonica,
-distinguendo le ottave colle lettere majuscole per l’inferiore, e
-colle minuscole per la superiore. Da poi si surrogarono i punti,
-collocandoli sui righi: ma consisteva qui l’invenzione di Guido?
-Egli trasse i nomi delle note dalle sillabe iniziali dell’inno del
-Battista:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="smcap lowercase">UT</span> <i>queant laxis</i> <span class="smcap lowercase">RE</span><i>sonare fibris</i></p>
-<p class="i01"><span class="smcap lowercase">MI</span><i>ra gestorum</i> <span class="smcap lowercase">FA</span><i>muli tuorum</i></p>
-<p class="i01"><span class="smcap lowercase">SOL</span><i>ve polluti</i> <span class="smcap lowercase">LA</span><i>bii reatum</i>,</p>
-<p class="i07"> <i>Sancte Joannes</i>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il <i>si</i> fu aggiunto nel secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span> da Van der Putten (<i>Erycius
-Puteanus</i>). Kircher asserisce di aver veduto nella biblioteca dei
-Gesuiti a Messina un ms. greco antico, con varj inni notati al
-modo che si dice inventato da Guido. La corda grave ch’egli
-aggiunse, fu segnata col gamma greco; e poichè questa lettera
-si trovava così collocata in capo alla scala al modo usato allora,
-la scala ne prese il nome di <i>gamma</i>. Le prime stampe di note
-musicali si fecero a Milano, e ognun sa che le diverse espressioni
-del linguaggio musicale sono italiane.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note340">
-<p><span class="label"><a href="#tag340">340</a>.&nbsp;&nbsp;</span>I canonisti soggiungevano che, come la terra è sette volte
-maggiore della luna, e il sole otto volte maggiore della terra, il
-papato era cinquantasei volte più grande dell’imperatore. Laurentius
-il fa millesettecentoquattro volte più alto che l’imperatore
-e i re. Non conosco gli elementi di questi calcoli.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note341">
-<p><span class="label"><a href="#tag341">341</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Regesta</i>, 32. Egli definiva il papa <i>vicarius Jesus Christi,
-successor Petri, Christus Domini, Deus Pharaonis, citra Deum,
-ultra hominem, minor Deo, major homine</i>: Serm. de consecr.
-pont.
-</p>
-
-<p>
-I diritti degl’imperatori sono distintamente formolati nello
-<i>Specchio di Svevia</i>. Tacendo molte altre cose, ivi è prefisso che
-il re eletto perde il diritto di sua nazione, e deve vivere secondo
-la legge dei Franchi: nessuno può scomunicare l’imperatore,
-fuorchè il papa, e questo per tre cause: se dubita della fede
-ortodossa, se ripudia la moglie, se turba le chiese e le case di
-Dio. Cristo principe della pace lasciò in terra due spade per
-difesa della cristianità, entrambe affidate a san Pietro, una pel
-giudizio secolare, una pel giudizio ecclesiastico: la prima è dal
-papa prestata all’imperatore (<i>Des weltlichen Gerichtes schwert
-darlihet der Papst dem Kaiser</i>); l’altra rimane al papa, per
-giudicare montato su bianco palafreno, e l’imperatore dee
-tenergli la staffa acciocchè la sella non si scomponga: ciò significa
-che, se alcuno resiste ostinatamente al papa, l’imperatore e
-gli altri principi devono costringerlo colla proscrizione. Se si
-trovano eretici, bisogna procedere contro di essi ai tribunali
-ecclesiastico e secolare; la pena è il fuoco. Ogni principe che
-non punisce gli eretici, sarà scomunicato; e se fra un anno non
-venga a resipiscenza, il papa lo priverà dell’uffizio principesco e
-di tutte le sue dignità. Si giudicheranno alla pari i poveri ed i
-signori. <span class="smcap">Schilter</span>, <i>Antiq. Teuton.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note342">
-<p><span class="label"><a href="#tag342">342</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ita quod ex tunc nec habebimus nec nominabimus nos
-regem Siciliæ... ne forte aliquid unionis regnum ad imperium
-quovis tempore putaretur habere.</i> <span class="smcap">Lunig</span>, <i>Cod. dipl. ital.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span>
-p. 866.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note343">
-<p><span class="label"><a href="#tag343">343</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Guglielmo marchese di Monferrato, dolente che Teodoro
-Làscari avesse tolto a Demetrio suo fratello il regno di Tessalonica,
-allestì una spedizione, e non avendo denari, ne chiese a
-Federico II, dandogli in pegno la più parte delle terre e de’
-vassalli suoi in Monferrato. Passato il mare, ricuperò Tessalonica,
-ma poi morì avvelenato; l’esercito andò scomposto, e non
-si sa come i beni del Monferrato fossero poi redenti. L’istromento
-è addotto da Benvenuto di San Giorgio, <i>Cr. del Monferrato</i>
-sotto il 24 marzo 1224.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note344">
-<p><span class="label"><a href="#tag344">344</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> tit. 30, rubr. <i>Quod nullus prælatus, comes, baro
-officium justitiæ gerat.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note345">
-<p><span class="label"><a href="#tag345">345</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Gregorio</span>, <i>Consider. sopra la storia della Sicilia</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. — Huillard
-Bréholles pubblica i registri di Federico II; ma
-finora non uscirono che quelli concernenti la prima metà della
-sua vita, cioè la meno rilevante. Fra i documenti inediti v’ha
-molte lettere di Gregorio IX alla Lega Lombarda; altre relative
-alla crociata, cui pure appella un itinerario di Federico, e una
-relazione tolta dalla biblioteca imperiale di Parigi; inoltre una
-cronaca sicula da Roberto Guiscardo al 1250, tratta dall’archivio
-vaticano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note346">
-<p><span class="label"><a href="#tag346">346</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Le città del dominio reale, convocate direttamente dalla
-corona, erano: in Sicilia, Palermo, Messina, Catania, Siracusa,
-Augusta, Lentini, Calata Gironi, Platia, Castrogiovanni, Trapani,
-Nicosia; in terraferma, Gaeta, Napoli, Aversa, Montefuscolo,
-Avellino, Eboli, Ariano, Policastro, Amalfi, Sorrento,
-Salerno, Termoli, Troja, Civitella, Siponto, Monte Sant’Angelo,
-Potenza, Melfi, Molfetta, Vigiliano, Giovenazzo, Bitonto, Monopoli,
-Bari, Trani, Barletta, Gravina, Matera, Taranto, Brindisi,
-Otranto, Cosenza, Cotrone, Nicastro, Reggio. La prima intervenzione
-di buoni uomini fu nel 1241. Solo nel 1265 trovansi
-chiamati i borghesi al parlamento d’Inghilterra.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note347">
-<p><span class="label"><a href="#tag347">347</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Qua pœna universitates teneantur, quæ creant potestates et
-alios officiales</i>. Tit. 47.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note348">
-<p><span class="label"><a href="#tag348">348</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bianchini</span>, <i>St. delle finanze nel regno di Napoli</i>. Il <i>Regestum
-Friderici II</i>, ann. 1239 e 40, edito dal Carcani nel 1786,
-contiene mille e otto lettere di Federico, desunte dall’archivio
-di Napoli, e che concernono principalmente le finanze, dove
-l’imperatore mostra molta intelligenza, sebbene costretto dalle
-continue guerre a smungere il paese ch’e’ volea rifiorire.
-</p>
-
-<p>
-Non è superfluo l’esaminare con quali fornimenti Federico e
-i suoi nemici nutricavano la guerra in tempo che scarsissimo
-era il contante:
-</p>
-
-<p>
-Federico guastò il bel sistema d’imposte della Sicilia con
-espedienti rovinosi, che appajono dalle sue lettere: ordinò una
-colletta generale; pose ingenti contribuzioni sui beni degli ecclesiastici,
-e fece amministrare da economi regj i vacanti; chiedeva
-ogni tratto tutto il denaro che fosse entrato nelle casse
-regie, lasciando così a scoperto le spese cui era destinato, e persino
-il vestire e nutrire Rinaldo d’Este e re Enrico suoi prigionieri
-od ostaggi. Una volta il giustiziere di Terra di Bari avendogli
-recate sole once d’oro cinquecento (lire 31,500), Federico
-volea farlo precipitare dalle mura, poi s’accontentò di destituirlo,
-surrogandogli il saracino Raasch; e ai sopportanti ordinò fra
-quindici giorni soddisfacessero, pena la galera (<span class="smcap">Matteo Spinelli
-di Giovenazzo</span>, <i>Diurnali</i>, § 44). Limitò gl’interessi al dieci per
-cento, eppure tolse a prestanza fin al tre cadun mese; poi alla
-scadenza, mancandogli fondi, pagava il quattro e il cinque d’aggiunta.
-Avendo preso per tre mesi da diversi mercanti settemila
-ottocensessantatre once al tre e fin al cinque per cento il mese,
-alla scadenza capitalizzò l’interesse, crescendo così a undicimila
-seicentotre once. Queste somme erano contate in moneta di
-Venezia, sulle quali i mercanti guadagnavano ancora pel giro
-del cambio. All’assedio di Faenza non solo fuse tutto il suo
-vasellame e impegnò le gioje, ma battè una moneta di cuojo,
-avente da una parte un chiodetto d’argento, dall’altra l’effigie
-dell’imperatore, e dovea valere un agostaro d’oro, colla promessa
-di cambiarla in moneta buona, come fece. Le truppe, per
-regola, non avevano soldo, onde variavasi a norma delle circostanze:
-Federico dava ai pedoni da tre a cinque tarì e il vivere;
-a un cavaliere tre once d’oro al mese, coll’obbligo di provvedersi
-uno scudiere, un valletto, cavalli ed armi. L’oncia d’oro, pesante
-gramme 21.10, divideasi in trenta tarì: e quella valea lire 63.30,
-questi lire 2.11: onde il medio di un pedone era lire 8.44, d’un
-cavaliere 190; e il valore sta al quintuplo dell’odierno.
-</p>
-
-<p>
-Le rendite del papa consistevano nelle regalie, e in un tanto
-per fuoco che pagavasi dai Comuni di dominio diretto, ch’era di
-nove denari ogni fumante, eccettuati ecclesiastici, militi, giudici,
-avvocati, notaj, e chi non avesse alcuna proprietà aggravezzata.
-I comuni però solean ridurla a un tanto fisso, che era
-per Fano, Pesaro, Camerino di cinquanta libbre d’argento ciascuna,
-cioè lire cinquemila; di quaranta per Jesi. L’imperatore
-poi occupava la maggior parte del territorio, sicchè ben poco
-da questo poteasi ricavare. Suppliva la decima del cinque, del
-dieci, fin dei venti per cento sulle rendite ecclesiastiche di tutto
-l’orbe cattolico, oltre le collette che si esigevano a titolo di crociata.
-Quando Gregorio IX noleggiò le navi di Genova per trasportare
-i cardinali al concilio di Roma, tolse a prestito mille
-marchi, ipotecati sui beni del clero, e pagò ducento libbre genovesi
-per un mese d’interesse. Il totale armamento costò cinquemila
-marchi, cioè lire ducencinquantamila, che alcuni mercanti
-si obbligarono di far pagare a Genova, a trenta giorni,
-mediante lo sconto di cinquantasette marchi (<i>Regesta</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>,
-nº 3, 4). Esso Gregorio lasciò un debito di quarantamila marchi,
-pel quale i mercanti molestarono assai il suo successore.
-</p>
-
-<p>
-I Milanesi emisero una carta monetata, con cui poteasi pagare
-le pene pecuniarie; nessun creditore era obbligato riceverla in
-pagamento, ma il debitore non andava soggetto a sequestro se
-avesse in cedole di banco tanto di che soddisfarlo. Per ritirarla
-poi di corso, si formò il catasto delle rendite, sulle quali si
-stabilì una tassa che in otto anni rimborsò quel debito.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note349">
-<p><span class="label"><a href="#tag349">349</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ep. Petri de Vineis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. Preside all’università era
-il celebre giureconsulto Pietro d’Isernia con dodici oncie d’oro
-all’anno.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note350">
-<p><span class="label"><a href="#tag350">350</a>.&nbsp;&nbsp;</span>In testa al ponte v’avea un castello con due torri; era
-ornato di marmi, bassorilievi, statue, fra cui quelle dell’imperatore,
-di Pier delle Vigne, di Taddeo di Suessa. Il monumento
-costò ventimila once d’oro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note351">
-<p><span class="label"><a href="#tag351">351</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sigonio</span>, <i>De regno ital.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 80: <i>Nec enim ob aliud
-credimus quod providentia Salvatoris sic magnifice, imo mirifice
-dirigit gressus nostros, dum ab orientali zona regnum hierosolimitanum,
-Conradi clarissimi nati nostri materna successio, ac
-deinde regnum Siciliæ, præclara materna nostræ successionis
-hereditas, et præpotens Germaniæ principatus sic nutu cælestis
-arbitrii, pacatis undique populis, sub devotione nostri nominis
-perseverat, nisi ut illud Italiæ medium, quod nostris undique
-viribus circumdatur, ad nostræ serenitatis obsequia redeat et
-imperii unitatem</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il volere che la Sicilia non appartenesse a un principe il
-quale dominasse altrove, è imputato ai papi come un sentimento
-antitaliano, figlio della barbarie del medioevo e della stupida
-ambizione pretina. Ma nell’anno del riscatto dell’italianità,
-nel 1848, i Siciliani, insorti come tutto il resto della penisola,
-davansi una costituzione, il cui § 2 diceva: — Il re de’ Siciliani
-non potrà regnare o governare su verun altro paese. Ciò avvenendo,
-sarà decaduto <i>ipso facto</i>».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note352">
-<p><span class="label"><a href="#tag352">352</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ricardo da San Germano</span>, pag. 1039. — <span class="smcap">Godi</span>, <i>Chron</i>.,
-pag. 82.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note353">
-<p><span class="label"><a href="#tag353">353</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È curioso una specie di atto verbale, per cui nel 1216,
-dovendo passar d’Italia in Germania re Enrico figlio di Federico
-II, il podestà di Modena con gran comitiva gli andò
-incontro per riceverlo, e con sicurezza e libertà condurlo traverso
-al dominio modenese; cioè all’ospedale di San Pellegrino
-gli fu consegnato dall’arcivescovo di Palermo, che promise condurlo
-e custodirlo per le Alpi e sin al ponte di Guiligua in
-mezzo all’alveo del fiume, dove lo consegnò agli ambasciatori
-di Parma e Reggio. <i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 224.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note354">
-<p><span class="label"><a href="#tag354">354</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Quelle trattative sono esposte dagli autori arabi, raccolti
-nel <span class="smcap lowercase">IV</span>. vol. della <i>Bibliothèque des Croisades</i> di Michaud, pag. 427;
-e a pag. 249 le corrispondenze loro e i sentimenti degli scrittori
-musulmani in proposito.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note355">
-<p><span class="label"><a href="#tag355">355</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 881.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note356">
-<p><span class="label"><a href="#tag356">356</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Caffaro</span>, <i>Ann. Gen.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. Al 1217 dice che <i>ob multas
-discordias quæ vertebantur inter civitates Lombardiæ, quum
-multæ religiosæ personæ se intromitterent de pace et concordia
-componenda, tandem, auxilio Dei, inter Papiam, Mediolanum,
-Placentiam, Tordonam et Alexandriam pax firma fuit et firmata
-mense junii</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note357">
-<p><span class="label"><a href="#tag357">357</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Acta SS</i>., 20 <i>martii</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note358">
-<p><span class="label"><a href="#tag358">358</a>.&nbsp;&nbsp;</span>È bellissimo il discorso di papa Gregorio X ai Fiorentini
-perchè accogliessero gli scacciati Ghibellini: <i>Gibellinus est, at
-christianus, at civis, at proximus. Ergo hæc tot et tam valida
-conjunctionis nomina Gibellino succumbent? et id unum atque
-inane nomen, quod quid significet nemo intelligit, plus valebit ad
-odium, quam ista omnia tam clara et tam solide expressa ad
-charitatem? Sed quoniam hæc vestra partium studia pro romanis
-pontificibus contra eorum inimicos suscepisse asseveratis,
-ego romanus pontifex hos vestros cives, etsi hactenus offenderint,
-redeuntes tamen ad gremium recepi, ac remissis injuriis pro
-filiis habeo.</i>
-</p>
-
-<p>
-La lapide posta a quella chiesa diceva:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Gregorio X papa sancti sub honore</i></p>
-<p class="i01"><i>Gregorii primi pro Christi fundor amore.</i></p>
-<p class="i01"><i>Hic ghibelline cum guelfis pace patrata</i></p>
-<p class="i01"><i>Cessavere mine sub qua sum luce creata....</i></p>
-<p class="i01"><i>Gregorio bella decima fuit ista cappella</i></p>
-<p class="i01"><i>Pacis fundata Mozzis edificata.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note359">
-<p><span class="label"><a href="#tag359">359</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Gli atti trovansi nelle <i>Delizie degli eruditi toscani</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>.
-pag. 96.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note360">
-<p><span class="label"><a href="#tag360">360</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Affò</span>, <i>St. di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. pag. 274-293.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note361">
-<p><span class="label"><a href="#tag361">361</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vero è che questi ultimi fatti ci sono raccontati solo da
-Ghibellini. Vedi il nostro <i>Ezelino</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note362">
-<p><span class="label"><a href="#tag362">362</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lettera del 28 luglio 1233, ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>, nº 41. 42.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note363">
-<p><span class="label"><a href="#tag363">363</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Promiserunt ei dare coronam ferream, quam patri suo
-dare numquam voluerunt</i>. <span class="smcap">Galvano Fiamma</span>, cap. 264.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note364">
-<p><span class="label"><a href="#tag364">364</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Divinæ legis immemor et affectionis humanæ contemptor</i>.
-Regesta Gregorii IX, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>, nº 461-62 ... Lo fece anche
-scomunicare dal vescovo di Salisburgo, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>, nº 172. Vedasi se
-n’era istigatore!
-</p>
-
-<p>
-Tra le favolette, che a scorno una dell’altra inventavano le
-popolazioni, fu questa: che i Cremonesi levarono a battesimo
-Corrado figlio di Federico II, e profusero regali, e fecero fare
-una quantità di mannaje per uccidere tutti i nemici di esso,
-talchè ben trentamila se ne videro in una sola rassegna. In compenso
-domandarono una grazia grande, che concedesse alla loro
-città di crescere in infinito e più che Roma, che si facesse due
-volte l’anno il ricolto, e due fruttificassero gli alberi, e ogni cosa
-vi fosse doppia, e grossi i denari così, che cascando per terra
-facessero <i>tun tun</i>. E l’imperatore ne fe decreto, e che anche
-avessero l’anno di dodici mesi, ecc. <i>Monum. Hist. patriæ</i>,
-Scrip., <span class="smcap lowercase">III</span>. 1577.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note365">
-<p><span class="label"><a href="#tag365">365</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Imperator imperatricem quamplurimis mauris spadonibus
-et vetulis larvis consimilibus custodiendam mancipavit</i>. <span class="smcap">Mattia
-Paris</span>, Hist. Angl., pag. 402.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note366">
-<p><span class="label"><a href="#tag366">366</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Urbs decus orbis, ave. Victus tibi destinor, ave.</i></p>
-<p class="i01"><i>Currus ab Augusto Friderico Cæsare justo.</i></p>
-<p class="i01"><i>Fle Mediolanum, jam sentis spernere vanum</i></p>
-<p class="i01"><i>Imperii vires proprias tibi tollere vires.</i></p>
-<p class="i01"><i>Ergo triumphorum potes urbs memor esse priorum</i></p>
-<p class="i01"><i>Quos tibi mittebant reges qui bella gerebant.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-È dato da Ricobaldo, e m’ha odore di quel tempo più che
-l’epigramma che oggi può leggere ciascuno in Campidoglio.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note367">
-<p><span class="label"><a href="#tag367">367</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Vita Gregorii IX</i>, tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. pag. 583.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note368">
-<p><span class="label"><a href="#tag368">368</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Villani</span>. — <i>Nuntios soldani ad convivium vocat, et eis,
-multis episcopis assidentibus, festivas epulas parat</i>. <span class="smcap">Godefridi</span>
-monaci Annales, p. 398. — <i>In pluribus terris Apuliæ suarum
-meretricularum loca construxit.... et non contentus juvenculis,
-mulieribus et puellis, tamquam scelestus infami vitio laborabat;
-nam ipsum peccatum quasi Sodoma aperte prædicabat, nec penitus
-occultabat</i>. <span class="smcap">Nic. de Curbio</span>, Vita Innocentii IV, § 29.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note369">
-<p><span class="label"><a href="#tag369">369</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Heu me! quandiu durabit truffa ista?</i> <span class="smcap">Alberici</span> Chron.
-<i>Fatui sunt qui credunt nasci ex virgine Deum</i>. Ep. Gregorii,
-<i>ap</i>. <span class="smcap">Mattia Paris</span>, pag. 494.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note370">
-<p><span class="label"><a href="#tag370">370</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Iste rex pestilentiæ a tribus baratatoribus, ut ejus verbis
-utamur, Christo Jesu, et Moise, et Mahometo, totum mundum
-dixit fuisse deceptum</i>. <span class="smcap">M. Paris</span>, ad ann. 1238. L’epistola accennata
-di Pier delle Vigne è nel lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cap. 31. — Generale è,
-negli scritti d’allora e di poco poi, l’opinione della sua miscredenza,
-e correva pure fra’ Musulmani. Jafei dice: «L’emir
-Fakr-eddin entrò ben innanzi nella confidenza dell’imperatore,
-spesso disputavano di filosofia, e pareano in molti punti d’accordo....».
-Ai Cristiani veniva scandalo di tale amicizia. Esso
-diceva all’emir: «Io non avrei tanto insistito sulla consegna di
-Gerusalemme, se non avessi temuto perdere ogni credito in Occidente;
-mi premeva di conservare Gerusalemme o altra cosa
-siffatta, ma la stima dei Franchi.... L’imperatore era rosso e
-calvo, di vista debole; se fosse stato uno schiavo, non se ne sarebbero
-pagate ducento dramme. Dai suoi parlari appariva che
-non credeva alla religione cristiana; non ne parlava che per
-voltarla in baja. Un muezin recitò innanzi a lui un versetto del
-Corano che nega la divinità di Cristo, e il sultano volea punirlo;
-ma Federico si oppose». <i>Bibl. des Croisades</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 417. Vedi
-<span class="smcap">Reynaud</span>, <i>Extrait des historiens arabes relatifs aux Croisades</i>,
-pag. 431.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note371">
-<p><span class="label"><a href="#tag371">371</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ecclesiasticæ censuræ vigorem debilitat et conculcat</i>.
-Regesta Urbani III, nº 95. Nella biblioteca di Vienna è una
-lettera di Federico a Vatace imperatore d’Oriente suo genero,
-ove scrive: <i>O felix Asia, o felices Orientalium potestates, quæ
-subditorum arma non metuunt, et adinventiones pontificum non
-verentur</i>. Cod. philol., nº 305, p. 128.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note372">
-<p><span class="label"><a href="#tag372">372</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il fatto anzi vale a mostrare come questo diritto fosse
-riconosciuto universalmente. Quando il papa nel 1239 offerse al
-conte Roberto di Francia la corona dello scomunicato Federico,
-i baroni francesi protestarono contro quest’atto, finchè non si
-fosse ben certi che l’imperatore avea peccato contro la fede:
-<i>Missuros ad imperatorem, qui quomodo de fide catholica sentiat
-diligenter inquirant: tum ipsum, si male de Deo senserit, usque ad
-internecionem persecuturos.</i> <span class="smcap">M. Paris.</span> Al concilio poi di Lione
-assistevano gli ambasciadori di tutte le potenze, e nessuno contestò
-la competenza di quel tribunale, solo limitandosi a mitigare
-il papa ed a scolpar l’imperatore.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note373">
-<p><span class="label"><a href="#tag373">373</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Da Lione, aprile 1246. <i>Ap.</i> <span class="smcap">Rainaldi</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note374">
-<p><span class="label"><a href="#tag374">374</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ep. 37. lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> Pare che Federico cercasse guadagnare
-l’opinione col far tradurre in italiano le lettere che dirigeva ai
-papi e ai re, simili agli odierni manifesti; nè altra origine saprei
-dare a quelle volgarizzate che si pubblicarono dal Lami nelle
-<i>Delizie degli eruditi toscani</i>, e ultimamente dal Corazzini, Firenze
-1853. Ivi n’è pure una di Gregorio papa, che riepiloga gli
-aggravj contro Federico; e basta leggerla per vedere quanto
-sovrasti per vigore e concisione alle sempre retoriche di Pier
-delle Vigne.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note375">
-<p><span class="label"><a href="#tag375">375</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ap.</i> <span class="smcap">Bolland</span>, <i>Vitæ Patrum prædic.</i>, p. 54: <span class="smcap">Giulini</span>,
-<i>Memorie di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 534.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note376">
-<p><span class="label"><a href="#tag376">376</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La poesia popolare insultò alla sconfitta di Federico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Fridericus dentibus fremdit et tabescit,</i></p>
-<p class="i02"> <i>In vindictam sublimans minas non compescit,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Antiquum proverbium sapientis nescit:</i></p>
-<p class="i02"> <i>In vindictam sepius dedecus accrescit.....</i></p>
-<p class="i01"><i>Ipsum hostem</i> Brixia, <i>que prior fugasti,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Gaude quia gaudium tuum duplicasti,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Dum in</i> Parme <i>gloria gaudens exultasti,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Cui talis per spacium patet orbis vasti.</i></p>
-<p class="i01">Mediolanensi <i>sit applausus multus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ejus ope quoniam Parmensis suffultus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>In hostem Ecclesie hac in suum ultus,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Potius a se repulit hostiles insultus.</i></p>
-<p class="i01"><i>Gratuletur</i> Janua, <i>quia, res est certa,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quia hostis fracta sunt cornua et serta,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Fiat Janua per me Parme laus aperta,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Nam in Parma manus est Domini reperta.</i></p>
-<p class="i01"><i>Gratuletur civitas placens</i> Placentina</p>
-<p class="i02"> <i>In Parme victoria et hostis ruina,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Parma manu quoniam adjuta divina,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Hostem fugans hostium fecit morticina.</i></p>
-<p class="i01"><i>Bonorum</i> Bononia <i>bona nacione</i></p>
-<p class="i02"> <i>Letetur letantium leta concione</i>,</p>
-<p class="i02"> <i>Nam quod secum Dominus in dilectione</i></p>
-<p class="i02"> <i>Parma victrix premium meretur corone.</i></p>
-<p class="i01"><i>Honorem Ecclesie que manu tuetur,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Gloria civitas</i> Mantua <i>letetur,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Nam Parma, que Mantuam amat et veretur,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Triumphat ne amplius hostis coronetur.</i></p>
-<p class="i01"><i>Exultet</i> Venetia, <i>civitas electa,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quia Parma spoliis hostis est refecta,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Inimice copia gentis interfecta,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Reliqua carceribus aut fuge subjecta.</i></p>
-<p class="i01"><i>Psallet cordis organo et in oris sono</i></p>
-<p class="i02"> Anchona, <i>quam merito laudans post pono,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Restituta</i> Marchia <i>nobis ejus dono</i></p>
-<p class="i02"> <i>Anchona proposito quia fuit bono.....</i></p>
-<p class="i01"><i>Ve ve Christi Babilon! civitas</i> Papie,</p>
-<p class="i02"> <i>Ad ruinam quoniam tibi patent vie,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ab illa, qua victus est Fridericus, die,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Per Parmam auxilio Virginis Marie.</i></p>
-<p class="i01"><i>O</i> Pisani <i>perfidi, socj Pilati,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Vos fecistis iterum crucifixum pati;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Sed surrexit Dominus nostre libertati,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Jam sue apparuit Parme civitati.</i></p>
-<p class="i01"><i>Dum opem et operam hosti prebuistis,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Ut prelatos caperet, vos eos cepistis,</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quibus nec discipulis suis peperistis;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Quia fui minimus de captivi istis...</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vedi <i>Regesta Innocentii IV, herausgegeben von</i> <span class="smcap">D. C. Höfler.</span>
-Stuttgard 1847. È singolare che la fama di Federico sia ora commendata
-tanto da letterati, mentre in un tempo di letteratura
-sì scarsa come il suo, egli si trova maledetto in tanti versi. Ursone
-notaro di Genova, autore di un <i>Liber fabularum moralium</i>,
-scrisse un poemetto <i>Della vittoria che i Genovesi riportarono contro
-le genti mandate dall’imperatore per sottomettere Genova</i>. Fu
-stampato nel vol. <span class="smcap lowercase">II</span> delle Carte nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>; e sebbene
-corrottissimo il testo, vi si scorge verso non infelice, e conoscenza
-di Omero, di Claudiano, specialmente di Virgilio. Minutissimamente
-descrive que’ fatti, e così inveisce contro i Pisani:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Gens pisana tamen, majori turbine nutans,</i></p>
-<p class="i01"><i>Partim tecta petit, tenuit pars altera pontum.</i></p>
-<p class="i01"><i>Impia gens, scelerata cohors, conjunctio nequam,</i></p>
-<p class="i01"><i>Perfidiæ populus, duri cœtus Pharaonis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Grex bonitate carens, infidus, perfida massa,</i></p>
-<p class="i01"><i>Præsumens violare crucis fideique vigorem,</i></p>
-<p class="i01"><i>Contemptor Domini, sacrorum nescius, exsul</i></p>
-<p class="i01"><i>Justitiæ, veri calcator, schismatis auctor,</i></p>
-<p class="i01"><i>A facie Domini nullo feriente fugatur,</i></p>
-<p class="i01"><i>Et crucis athletas bello tollerare nequivit.</i></p>
-<p class="i01"><i>Hanc immensa Dei virtutem dextera fecit,</i></p>
-<p class="i01"><i>Quodque terens tumidum, confringens quodque superbum.</i></p>
-<p class="i01"><i>Discat quisque malus, cognoscat criminis actor</i></p>
-<p class="i01"><i>Quod malefacta nocent, quod dant peccata pudorem,</i></p>
-<p class="i01"><i>Quod peccando miser dominum peccator acerbat,</i></p>
-<p class="i01"><i>Quod perclementem sibi durum vertit in hostem,</i></p>
-<p class="i01"><i>Quod sceleris primo se damnat conscius ipse.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note377">
-<p><span class="label"><a href="#tag377">377</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Epitafio di re Enzo in San Domenico a Bologna:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Tempora currebant Christi nativa potentis</i></p>
-<p class="i01"><i>Tunc duo cum decie septem cum mille ducentis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Dum pia Cæsarei proles cineratur in arca</i></p>
-<p class="i01"><i>Ista Federici, maluit quem sternere Parca.</i></p>
-<p class="i01"><i>Rex erat, et comptos pressit diademate crines</i></p>
-<p class="i01"><i>Hentius, inque poli meruit mens tendere fines.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Sembra posteriore quest’altro:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Felsina Sardiniæ regem sibi vincla minantem</i></p>
-<p class="i02"> <i>Victrix captivum, consule ovante, trahit.</i></p>
-<p class="i01"><i>Nec patris imperio cedit, nec capitur auro;</i></p>
-<p class="i02"> <i>Sic cane non magno sæpe tenetur aper.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Una biografia di Enzo fu stesa da Ernesto Munch con molti
-documenti. Luisburg 1828.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note378">
-<p><span class="label"><a href="#tag378">378</a>.&nbsp;&nbsp;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Io son colui che tenni ambo le chiavi</p>
-<p class="i02"> Del cuor di Federico, e che le volsi</p>
-<p class="i02"> Serrando e disserrando sì soavi,</p>
-<p class="i01">Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi;</p>
-<p class="i02"> Fede portai al glorioso uffizio,</p>
-<p class="i02"> Tanto ch’i’ ne perdei le vene e i polsi.</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i02"> Vi giuro che giammai non ruppi fede</p>
-<p class="i02"> Al mio signor, che fu d’onor sì degno.</p>
-<p class="i12"> <i>Inf.</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Le cronache raccontano che Pier delle Vigne avea bella
-donna, ed era geloso dell’imperatore, che però mai non v’ebbe a
-fare. Ma una mattina, andato a casa di Pietro, questi era già
-uscito, e la sua donna dormiva colle braccia scoperte. L’imperatore
-la coprì, e andò via; ma o a posta o in fallo vi lasciò un
-guanto. Pietro tornato e vistolo, se ne coceva ma dissimulava;
-finchè una volta, trovandosi solo coll’imperatore e colla moglie,
-volle rinfacciare il fallo con questi versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Una vigna ho piantà; per travers è intrà</i></p>
-<p class="i01"><i>Chi la vigna m’ha guastà; han fet gran peccà.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-La donna rispose sulla stessa intonazione:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Vigna son, vigna sarai;</i></p>
-<p class="i01"><i>La mia vigna non fallì mai.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Onde Pietro consolato ripigliò:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Se così è come è narrà,</i></p>
-<p class="i01"><i>Più amo la vigna che fi mai.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vedi <span class="smcap">Jacopo d’Acqui</span>, <i>Imago mundi</i>, pag. 1577.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note379">
-<p><span class="label"><a href="#tag379">379</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Innocentii</span> IV <i>Ep</i>., lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note380">
-<p><span class="label"><a href="#tag380">380</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Habituri perpetuam tranquillitatem et pacem, ac illam
-tutissimam et delectabilem libertatem, qua cæteri speciales Ecclesiæ
-filii feliciter et firmiter sunt muniti</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note381">
-<p><span class="label"><a href="#tag381">381</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Dava uno colpo allo cerchio, e n’autro allo tompagno».
-<span class="smcap">Matteo Spinelli di Giovenazzo</span>, <i>Diurnali</i>, § 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note382">
-<p><span class="label"><a href="#tag382">382</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Regesta Innocentii IV</i>, lib. 12, N. 284, 337. Vedi pure
-<span class="smcap">Nicola de Jamsilla</span>, pag. 500, 536; <span class="smcap">Saba Malaspina</span>, <i>Hist.</i>,
-lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 22 nei <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note383">
-<p><span class="label"><a href="#tag383">383</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mattia Paris</span>, pag. 868.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note384">
-<p><span class="label"><a href="#tag384">384</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Dato da Wasserburg il 20 aprile 1255. Trovasi nell’archivio
-de’ Frari, allegato da Manfredi in un trattato coi Veneziani.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note385">
-<p><span class="label"><a href="#tag385">385</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Spesso la notte usciva per Barletta cantando strambotti
-e canzoni, ed ivi pigliando il fresco, e con esso ivano due musici
-siciliani che erano grandi romanzatori». <span class="smcap">Spinelli.</span>
-</p>
-
-<p>
-Contemporanei sono pure l’Anonimo di Taranto, Ricordano
-Malaspini, Inveges, e di poco posteriori Dante e Giovan Villani,
-che raccontano o accennano questi fatti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note386">
-<p><span class="label"><a href="#tag386">386</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Lo papa e la gente de lo Reame non averieno comportato
-di fare chiù signoriare la natione tudisca». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note387">
-<p><span class="label"><a href="#tag387">387</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Subito fece conoscere ch’era d’autro stomaco che papa
-Alessandro». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note388">
-<p><span class="label"><a href="#tag388">388</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Malaspina</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 6.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note389">
-<p><span class="label"><a href="#tag389">389</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Si dice che a chisto maritaggio lo re ne avanza chiù
-della mitate». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note390">
-<p><span class="label"><a href="#tag390">390</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pipini</span> <i>Chron.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. cap. 7.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note391">
-<p><span class="label"><a href="#tag391">391</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ap. <span class="smcap">Rymer</span>, <i>Acta publica</i>, 1816, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 352.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note392">
-<p><span class="label"><a href="#tag392">392</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Gioffredo</span>, <i>St. delle Alpi marittime</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note393">
-<p><span class="label"><a href="#tag393">393</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Regesta Clementis IV</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, nº 548.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note394">
-<p><span class="label"><a href="#tag394">394</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>In recognitionem veri dominii eorumdem regni et terræ.</i>
-Il giuramento che diede diceva: <i>Papæ, ejus successoribus, ac
-romanæ ecclesiæ ligium homagium facimus pro regno Siciliæ, ac
-tota terra quæ est citra Pharum, usque ad confinia terrarum,
-excepta civitate Beneventana cum toto territorio et omnibus
-districtibus et pertinentiis suis, nobis et heredibus nostris a prædicta
-Ecclesia romana concessis etc.</i> Le ottomila once erano <i>ad
-generale pondus</i>, il che indicava che se ne riteneva il dieci per
-cento, cioè riducevansi a settemiladucento: valutandole lire
-63.30, il censo sarebbe stato di lire 453,760, che oggi s’avvicinerebbero
-a due milioni. Nel 1276 Carlo trovandosi a Roma,
-e sollecitato a pagare questa somma, nè avendola, scrisse a’
-suoi tesorieri impegnassero la sua corona grande e le gioje per
-ottenerla in prestito. <span class="smcap">Giannone</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX</span>. cap. 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note395">
-<p><span class="label"><a href="#tag395">395</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«Con tutto questo stettemo con gran paura». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note396">
-<p><span class="label"><a href="#tag396">396</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Misit in Siciliam et Lombardiam ut inde arcesseret duos
-astrologos: is enim incredibile est quantam fidem haberet astrorum
-posituris.</i> <span class="smcap">Malaspina</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note397">
-<p><span class="label"><a href="#tag397">397</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Reddite vos attentos, ut potius equos quam homines offendatis.</i>
-Lo stesso.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note398">
-<p><span class="label"><a href="#tag398">398</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Potius hodie volo mori rex, quam vivere exul et miser</i>.
-<span class="smcap">Ricobaldo Ferrarese</span>. — Ch’ei fosse portato attorno da un
-ribaldo s’un asino, è smentito dalla lettera di Carlo che dice:
-<i>Contigit quod die dominica corpus inventum est nudum penitus
-inter cadavera peremptorum... Ego, naturali pietate inductus,
-corpus ipsum cum quadam honorificentia sepulturæ, non tamen
-ecclesiasticæ, tradi feci.</i> Ap. <span class="smcap">Tutini</span>. Manfredi erasi già preparata
-la sepoltura nel famoso santuario di Monte Vergine, ove
-tuttora, nella cappella a destra dell’altare maggiore, è il sarcofago
-antico destinatogli e un gran crocifisso da lui regalato.
-</p>
-
-<p>
-Un ossesso in Puglia, interrogato se Manfredi fosse in luogo di
-salvazione, rispose: — Cinque parole lo salvarono, le quali ti
-dirà il conte Enrico». Ed erano <i>Deus propitius esto mihi peccatori</i>,
-che proferì morendo. <i>Chronicum imaginis mundi</i>, 1595.
-</p>
-
-<p>
-Dante incontra Manfredi nel Purgatorio, supponendo siasi
-pentito in morte, ma deve restare in aspettazione tanto tempo
-quanto stette in contumacia della santa Chiesa:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Biondo era e bello e di gentile aspetto,</p>
-<p class="i02"> Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.</p>
-<p class="i09"> .... Io son Manfredi</p>
-<p class="i02"> Nipote di Costanza imperatrice....</p>
-<p class="i01">Poscia ch’io ebbi rotta la persona</p>
-<p class="i02"> Da due punte mortali, io mi rendei</p>
-<p class="i02"> Pentito a quei che volentier perdona.</p>
-<p class="i01">Orribil furon li peccati miei,</p>
-<p class="i02"> Ma la bontà divina ha sì gran braccia,</p>
-<p class="i02"> Che prende ciò che si rivolve a lei...</p>
-<p class="i01">Per lor maledizion sì non si perde</p>
-<p class="i02"> Che non possa tornar l’eterno amore</p>
-<p class="i02"> Mentre che la speranza ha fior di verde....</p>
-<p class="i08"> ... L’ossa del corpo mio</p>
-<p class="i01">Or le bagna la pioggia e move ’l vento</p>
-<p class="i02"> Di fuor del Regno quasi lungo ’l Verde</p>
-<p class="i02"> Onde le trasmutò a lume spento.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vedasi <span class="smcap">Davanzati</span>, <i>Della seconda moglie di Manfredi</i>. Tra i
-più fedeli a costui era stato Matteo da Termini, leggista reputato, e da quello fatto consigliere e giudice della grancorte.
-Rotto il signor suo, nel cui esercito combattè, fuggì in Sicilia, e
-caduto in grave infermità, fece voto, se guariva, consacrarsi a
-Dio. Di fatto entrò agostiniano, col nome di Agostino Novello
-celando la primitiva grandezza fra studj e penitenze. Si ricoverò
-agli eremi di Siena, ma quivi il generale dell’Ordine lo
-volle compagno, poi in Roma fu ordinato sacerdote, e da
-Nicola IV scelto confessore e sacrista. Assunto generale dell’Ordine,
-dopo due anni riuscì a liberarsene e tornare alla
-devota solitudine. Bonifazio VIII il voleva alla sua corte, ma
-egli ritirato nell’eremo di San Leonardo presso Siena, venne in
-grand’odore di santità, e quando morì nel 1309, fu ascritto fra
-i beati. Vedi <span class="smcap">Capecelatro</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note399">
-<p><span class="label"><a href="#tag399">399</a>.&nbsp;&nbsp;</span>«A vita mia non vidi la chiù bella vista». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note400">
-<p><span class="label"><a href="#tag400">400</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Cruorem eliciunt et medullas</i>. <span class="smcap">Malaspina</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note401">
-<p><span class="label"><a href="#tag401">401</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ap. <span class="smcap">Martène</span>, <i>Thes. Anecd.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. pag. 524.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note402">
-<p><span class="label"><a href="#tag402">402</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Quietem quæsivit, et ob hoc a vulgo ignominiam multam
-suscepit; nam de eo carmina prava decantaverunt.</i> Joh. Vittodur.
-ap. <span class="smcap">Eccard</span>, <i>Corpus Hist.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 5.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note403">
-<p><span class="label"><a href="#tag403">403</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Così un suo manifesto nella biblioteca dell’Accademia di
-Torino, D. N. 38 f. 70. Pel resto vedi <span class="smcap">Lunig</span>, <i>Codex it. dipl.</i>,
-<span class="smcap lowercase">II</span>. 41. <i>Protestatio Conradini</i>; e altri documenti dell’11 gennajo
-1267, e 7 luglio 1268.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note404">
-<p><span class="label"><a href="#tag404">404</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Cont. del Baronio, al 1268.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note405">
-<p><span class="label"><a href="#tag405">405</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ne fu testimonio il Malaspina, che particolareggia appienissimo
-questi fatti, tutto compassione per i soccombenti:
-egli pretende che i signori napoletani congiurassero con Enrico
-per farlo re di Sicilia dopo vinto Carlo col nome di Corradino,
-il quale co’ suoi fedeli sarebbe stato tolto di mezzo. Anche lo
-Spinelli scrisse in dialetto pugliese il suo diario fino alla giornata
-di Tagliacozzo, ove forse morì. Voglionsi aggiungere il
-<i>Chronicon Cavense</i>, pubblicato dal <span class="smcap">Pertz</span>; la <i>Cronaca inedita</i>
-del <span class="smcap">Salimbene</span>; e varj documenti nuovi, prodotti da <span class="smcap">Saint-Priest</span>
-nella <i>Histoire de Charles d’Anjou</i>, da <span class="smcap">Raumer</span>, <i>Gesch. der
-Hohenstaufen</i>, da <span class="smcap">Huillard Bréholles</span>, <i>Recherches sur les monuments
-de la maison de Souabe</i> e <i>Nouvelles Recherches sur la
-mort de Conradin</i>, da <span class="smcap">Jager</span>, <i>Conradins Geschichte</i>, da <span class="smcap">Di Cesare</span>,
-<i>La colonna di Corradino</i>, ecc.
-</p>
-
-<p>
-* Il sig. <span class="smcap">Minieri Riccio</span> (<i>Alcuni fatti riguardanti Carlo I
-d’Angiò dal</i> 6 <i>agosto</i> 1252 <i>al</i> 30 <i>dicembre</i> 1270, <i>tratti dall’Archivio
-angioino di Napoli</i>, 1874) chiarì quei tempi, e come per
-Corradino parteggiassero nel regno i Ghibellini e i Saraceni, e
-massime Reggio, che fu sottomessa a forza.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note406">
-<p><span class="label"><a href="#tag406">406</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Illa strage quæ in campo Beneventano facta fuit, hujus
-respectu valde modica fuit</i>, scriveva Carlo al papa, <i>ap</i>. <span class="smcap">Martène</span>,
-N. 690.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note407">
-<p><span class="label"><a href="#tag407">407</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Sunt qui dicunt per pontificem et cardinales, ut Conradus
-et cæteri in eorum potestatem et carcerem venirent, fuisse decretum.
-Quod ne accideret, Carolus sategit.</i> <span class="smcap">Ricobaldo Ferr.</span> e
-<span class="smcap">Pipino</span> nei <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 137. <span class="smcap lowercase">IX</span>. 684.
-</p>
-
-<p>
-Dicono che il papa, interrogato dal re che dovesse farne del
-prigioniero, rispondesse: — La vita di Corradino è morte di
-Carlo; la vita di Carlo è morte di Corradino». Se il Giannone,
-nella sua servilità ai re, che poi doveano ripagarlo di tal moneta,
-bevette questa brutalità colla sua solita irriflessione, la trovò
-improbabile perfino il Sismondi, così corrivo in tutto ciò che
-denigri i pontefici. Anche il sardo cronista di Pisa e ghibellino
-scrive che Carlo mandò al papa chiedendo «ciò che di loro
-dovesse fare», e che il papa rispose che «non era consiglio di
-prete che altri andasse alla justizia». Secondo il <i>Chron. imaginis
-mundi</i>, la risposta di Clemente fu: <i>De Conradino filio
-iniquitatis vindictam non querimus, nec justitiam denegamus</i>;
-nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note408">
-<p><span class="label"><a href="#tag408">408</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Presso i Bollandisti, <i>Acta SS. martii</i>, tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 190.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note409">
-<p><span class="label"><a href="#tag409">409</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ut faciat rex de vitulo superstite victimam, Conradinum
-recognoscentem sæpius contra matrem Ecclesiam deliquisse, nec
-minus contra regem ipsum vehementer errasse, procuravit per
-quosdam Ecclesiæ cardinales illuc propterea per sedem apostolicam
-destinatos absolvi.</i> <span class="smcap">Malaspina.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note410">
-<p><span class="label"><a href="#tag410">410</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nell’archivio di Stuttgard esiste il testamento di Corradino,
-o piuttosto codicillo di testamento anteriore non pervenutoci,
-dettato il 29 ottobre, presenti Giovanni Bricaudi sire di
-Nangey, e quell’Erardo di Valery che avea dato a Carlo il suggerimento
-per cui vinse la battaglia di Tagliacozzo. Provvede al
-pagamento d’alcuni debiti; fa molti legati a monasteri germanici;
-ai duchi di Baviera suoi zii lascia «tutti i beni patrimoniali e
-feudali con tutte le persone d’ambo i sessi a lui appartenenti
-ne’ paesi germanici o ne’ latini», e raccomanda loro Corrado e
-Federico d’Antiochia suoi cugini. Della madre non fa cenno,
-non della sua fidanzata, che si suppone fosse Brigida dei marchesi
-di Misnia: che non parlasse d’un erede a’ suoi diritti sul
-trono di Sicilia è facile comprenderlo, dettando egli sotto gli
-occhi di amici del nemico suo.
-</p>
-
-<p>
-È tradizione destituita di fondamento che Elisabetta di Baviera
-(la quale erasi rimaritata in Mainardo conte del Tirolo
-della casa di Gorizia) venisse in persona, sovra una galea tutta
-nera, a raccogliere il corpo del figlio, per farlo sepellire nella
-chiesa del Carmine da lei fondata; e che in memoria di ciò que’
-frati ponessero una statua colla borsa in mano, statua che or
-mutila è abbandonata in un magazzino del museo degli Studj.
-L’iscrizione che or accenna quel fatto, fu posta il secolo passato
-per cura di Michele Vecchione.
-</p>
-
-<p>
-Sotto Giovanni I, un cuojajo napoletano, di nome Domenico di
-Persio, si ricordò di quell’infelice che i parenti principeschi
-aveano dimenticato, e dalla regina si fe cedere il terreno dove
-era stato ucciso, e vi fece erigere una cappella ed una colonna
-sormontata da una croce colla Madonna e la Maddalena e il
-simbolo affettuoso del pellicano. La confraternita de’ cuojaj la
-prese in cura, e vi facea celebrare nelle solennità, finchè la cappella
-non bruciò nel 1785. La colonna vedesi ancora al vestibolo
-della sacristia nella moderna chiesa delle Anime del
-Purgatorio, e la croce staccatane è nella sacristia stessa sovra
-un altare.
-</p>
-
-<p>
-Ricordano Malaspini e dietro lui altri annalisti raccontano
-come al supplizio assistesse Roberto conte di Fiandra, genero
-di Carlo, e che, udita la sentenza, s’avventò al protonotaro
-esclamando: — Malnato! tocca a te condannar un signore sì
-nobile e gentile?» e lo trafisse. Colpo da francese: ma, per
-disgrazia de’ romanzieri, in un <i>Memoriale del podestà di Reggio</i>,
-inserito nel tom. <span class="smcap lowercase">VIII.</span> del <i>Rer. Ital. Scrip.</i>, si trova che il 18 ottobre
-Margherita di Borgogna, nuova sposa di Carlo d’Angiò, pervenne
-a Reggio e vi si fermò, ed ivi giunse a incontrarla Roberto
-alla fin del mese, quando appunto accadeva il supplizio di
-Corradino; poi nel lib. iii. p. 215 del <span class="smcap">Summonte</span>, <i>Istoria di Napoli</i>,
-è riferito un diploma reale del 15 dicembre seguente, dato
-per mano di maestro Goffredo di Belmonte cancelliere e Roberto
-di Bari protonotaro del regno.
-</p>
-
-<p>
-Ogni scolaretto ha inteso raccontare che Corradino dal palco
-gettò un guanto, come segno che invitava alla vendetta il suo
-erede, che era Pietro d’Aragona, al quale fu portato da Giovanni
-di Procida o da Enrico di Waldburg. Questo fatto non
-appare in alcuno storico napoletano avanti il Collenuccio; ma
-prima ne avea parlato Giovanni abate di Victring in Carintia,
-che fece una cronaca sin al 1344; autorità lontana di tempo e
-di luogo. Del resto, come c’entrava Pietro d’Aragona? Costui
-avea sposato Costanza figlia di Manfredi, da Corradino ritenuto
-per usurpatore e spergiuro; possibile ora volesse designarlo
-come erede? Per giustificare l’assalto della Sicilia, Pietro non
-cercò altri titoli che la chiamata del popolo, non allegò questo
-guanto nè la successione di Corradino, bensì quella di Manfredi.
-Da Federico II era nata legittimamente Margherita di Svevia
-maritata in Alberto langravio di Turingia, alla quale avrebbe
-potuto competere l’eredità degli Hohenstaufen, se altrimenti
-non n’avesse già disposto la spada, e lei in fatti aveva il re
-Corrado indicata erede ove si estinguesse la linea mascolina; e
-suo figlio Federico non dimenticò i suoi diritti al regno di Sicilia,
-e ne prese il titolo, sotto il quale diede concessioni e ricevette
-ambasciate dalle città lombarde e dalle sicule.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note411">
-<p><span class="label"><a href="#tag411">411</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ep. Rodulphi</i>, ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note412">
-<p><span class="label"><a href="#tag412">412</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Jactatis inanibus verborum lenociniis, oratorem, quam,
-rapto contra Tartaros exercitu, Christianum imperatorem agere
-malebat.</i> Ep. di Gregorio IX, ap. <span class="smcap">M. Paris</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note413">
-<p><span class="label"><a href="#tag413">413</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Villani</span>, lib. <span class="smcap lowercase">VI.</span> 36.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note414">
-<p><span class="label"><a href="#tag414">414</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Giaciono negli archivj massimamente di Genova i contratti
-dei signori francesi che davano in pegno le loro terre; e per
-cura di re Luigi Filippo ne fu tratta la serie de’ signori che parteciparono
-a quelle imprese, e i cui nomi e gli stemmi ornarono
-poi la sala delle crociate nel palazzo di Versailles.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note415">
-<p><span class="label"><a href="#tag415">415</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Lettera del 27 maggio 1267, ap. <span class="smcap">Martene</span>, nº 471.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note416">
-<p><span class="label"><a href="#tag416">416</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Carlo d’Angiò e suo nipote Filippo re di Francia erano
-andati a Viterbo per sollecitare i cardinali a nominare il nuovo
-papa. Ivi stava pure Enrico figliuolo di Ricardo di Cornovaglia
-imperatore eletto; e vi capitò anche Guido di Monforte, vicario
-di Carlo in Toscana. Per vendicare il conte Simone suo padre,
-ucciso in Inghilterra come ribelle, costui entrò in chiesa, mentre dicevasi messa, scannò Enrico ed uscì. Ma alcuno gli disse: — Non
-ti ricordi che tuo padre fu anche strascinato per le vie?»
-Ed egli rientrato prese pe’ capelli il cadavere, e lo trasse fuori;
-e i due re stettero a vedere, senza impedire nè risentirsi. Più
-tardi l’omicida fu côlto, e terminò la vita nelle carceri di
-Sicilia.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note417">
-<p><span class="label"><a href="#tag417">417</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Da Canale</span>, <i>Cronaca veneta</i>, in francese, <span class="smcap lowercase">CLIX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note418">
-<p><span class="label"><a href="#tag418">418</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Istorie pistolesi</i> ad ann.; <span class="smcap">Biliotti</span>, <i>Cron.</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XXXV.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note419">
-<p><span class="label"><a href="#tag419">419</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Quaresmius</span>, <i>Elucidatio Terræsanctæ</i>. — Gli atti di re
-Roberto sono riferiti nella bolla <i>Gratias agimus</i> data da Clemente VI
-il 2 dicembre 1342 da Avignone.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note420">
-<p><span class="label"><a href="#tag420">420</a>.&nbsp;&nbsp;</span>— Se la santità vostra (dic’egli al papa) volesse informarsi
-quanto costerà ogni bisogno, e quali pratiche da imprendersi
-coi Tartari, rispondo che in tre anni quella spesa ascenderebbe
-a ventuna volte centomila fiorini, contando il fiorino a
-due soldi di grossi di Venezia; cioè settecentomila fiorini di
-rimbuono ogni anno per stipendj, munizioni, e mantener buono
-accordo coi Tartari; e per vascelli, armamento, castrametazione,
-rimonte, trecentomila fiorini in tre anni; in tutto settecentomila
-fiorini all’anno». <i>Secreta</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span> p. i. c. 4.
-</p>
-
-<p>
-Questo cenno ajuta a conoscere i valori d’allora. Poniamo
-che l’uomo a cavallo costi tre volte il pedone: se un esercito
-di quindicimila fanti e trecento cavalieri costa 600,000 fiorini
-annui, uno di diecimila fanti con millequattrocento cavalli deve
-costarne 535,849: aggiungi 300,000 fiorini per le prime spese
-della spedizione, saranno 835,849 fiorini. Il Sanuto ragguaglia
-il fiorino a due soldi di grossi di Venezia; onde questa spedizione
-dovea costare 1,671,789 soldi di grossi. Il soldo era la
-ventesima parte della lira, e la lira valeva dieci ducati, i
-quali allora doveano conguagliare a diciassette franchi d’oggi.
-Tale esercito dovea dunque costare 14,210,282, cioè ogni uomo
-annui mille franchi.
-</p>
-
-<p>
-Si può avere la riprova di questa stima comparandola ai valori
-fissi delle grasce. Il Sanuto ce ne porge il mezzo, dicendo: — La
-libbra di biscotto costa quattro denari e un terzo. La
-razione giornaliera di un uomo essendo una libbra e mezzo,
-costerà denari sei e mezzo; quarantacinque libbre consumate
-da un uomo in trenta giorni costeranno sedici soldi e tre denari,
-moneta piccola: e in dodici mesi, cinquecentoquaranta
-libbre di biscotto saranno costate sei soldi di grossi, un grosso
-e quattro denaretti». Quest’ultima somma dunque rappresentava
-a que’ tempi 540 libbre di pane; 1,671,790 soldi dovevano
-rappresentarne 149,218,334. Tale quantità equivaleva a
-17,177,145 libbre metriche. Ponendo quel pane a 20 centesimi,
-darebbero 14,235,409. I due computi servono dunque di riprova
-un all’altro.
-</p>
-
-<p>
-Potrebbe tentarsi lo stesso calcolo sul vino, le carni salate, i
-legumi, e così via; ma la variabilità di valore di tali comestibili
-e l’incertezza sulle misure antiche renderebbero troppo ipotetica
-la stima. Al sommar dei conti però avremo che per nutrire
-un uomo a pane, vino, carne salata, fave, cacio voleansi l’anno
-dodici soldi di grossi, cioè lire 102.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note421">
-<p><span class="label"><a href="#tag421">421</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Thesaurus regis Franciæ acquisitionis Terræsanctæ de
-ultra mare, nec non sanitatis corporis ejus, et vitae ipsius prolungationis,
-ac etiam cum custodia propter venenum.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note422">
-<p><span class="label"><a href="#tag422">422</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ad Nicolaum V pontificem strategicon adversus Turcas.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note423">
-<p><span class="label"><a href="#tag423">423</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Par.</i>, <span class="smcap lowercase">IX.</span> 126; e nel <span class="smcap lowercase">XV</span>,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Dietro gli andai incontro alla nequizia</p>
-<p class="i02"> Di quella legge, il cui popolo usurpa,</p>
-<p class="i02"> Per colpa de’ pastor, vostra giustizia.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note424">
-<p><span class="label"><a href="#tag424">424</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Sta negli archivj di corte a Torino il conto del viaggio di
-esso duca in Oriente.
-</p>
-
-<p>
-Amedeo III di Savoja nel 1147 volendo crociarsi, prese a
-prestito dal monastero di San Maurizio d’Agaceno una tavola
-doro del peso di sessantacinque marchi, guarnita di pietre
-preziose.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note425">
-<p><span class="label"><a href="#tag425">425</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Ghirardacci</span>, <i>St. di Bologna</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note426">
-<p><span class="label"><a href="#tag426">426</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Maffei</span>, <i>Notizie generali sopra Verona</i>.
-</p>
-
-<p>
-È nota la storiella dell’asino che condusse Maria in Egitto, e
-infine capitò a Verona, o chi dice a Genova.
-</p>
-
-<p>
-Lo statuto di Verona del 1228 porta che il podestà giura:
-<i>Eum peregrinorum post crucem, qui ivit vel ibit ultra mare,
-defendam in suis possessionibus rerum mobilium et immobilium
-vel sese moventium, quas detinuit vel detinebit sine litis inquietudine
-usque ad crucem susceptam; si tamen reliquerit procuratorem,
-qui possit agere et conveniri de quasi re mobili... De
-rebus vero immobilibus eis absentibus jus non dicatur.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note427">
-<p><span class="label"><a href="#tag427">427</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nella <i>Storia d’Incisa e del celebre suo marchesato</i> (Asti
-1810) è riferita una carta del 1204 fatta colà, ove dicesi che
-Bonifazio marchese di Monferrato regalò al Comune un pezzo
-della santa croce e l’ottava parte d’uno stajo d’un grano color
-d’oro e parte bianco, non prima usato e portato dalla Natolia,
-e detto <i>melica</i>. Il documento dev’essere spurio, nè del grano turco
-appare memoria prima della scoperta dell’America. Però nell’archivio
-vescovile di Bergamo trovo un atto rogato da Montenario
-de’ Papi <i>die <span class="smcap lowercase">IV</span> exeunte octobri</i> del 1249, ove Alberto di
-Terza vescovo investe a titolo di perpetua enfiteusi i sindaci
-del comune di Sorisole di tutta la decima appartenente al
-vescovado ne’ territorj di Sorisole e Poscante, un sestario di
-vino, una <i>corbam de loa panici quæ extimatur duo sextaria</i>, etc.
-Anche oggi chiamasi <i>loa</i> lo spigone del turco, il quale pure è
-detto <i>panico</i> in molti luoghi. Questo documento, da niuno osservato,
-ch’io sappia, merita dunque qualche attenzione.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note428">
-<p><span class="label"><a href="#tag428">428</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Delle navi spedite da Venezia in ajuto di san Luigi una
-era lunga centotto piedi, larga settanta; una centodieci per
-settanta; nessuna meno di ottanta. <span class="smcap">Marin Sanuto.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note429">
-<p><span class="label"><a href="#tag429">429</a>.&nbsp;&nbsp;</span>L’<i>Iter siriacum</i> del Petrarca è una descrizione del
-viaggio a Gerusalemme, diretta a Giovanni da Milano, che probabilmente
-era un Mandelli.
-</p>
-
-<p>
-Lionardo di Nicolò Frescobaldi fiorentino (il cui viaggio fu
-edito dal Manzi il 1817) nel 1384 passava in Palestina, per
-tutto venerando e cercando reliquie, e noverando quelle che
-vide a Venezia, in Egitto, poi in Palestina; finchè «in capo
-d’undici mesi e mezzo rientrammo in casa nostra, dando consolazione
-alle nostre famiglie. Trovammo a Vinegia molti pellegrini
-franceschi e alquanti viniziani, fra’ quali fu messer Remigi
-Soranzi di Vinegia, il quale convitò una sera a cena tutti quelli
-che doveano andare al Sepolcro, e fecesi grande onore, e la
-sua casa parea una casa d’oro, ed avvi più camere che poco vi
-si vede altro che oro e azzurro fino; e costògli da duemila ducati,
-e bene tremila ve ne spese poi lui». Andò con lui Simone
-Sigoli, del quale pure fu nel 1822 trovato il viaggio, di schiettissima
-dettatura, e col lungo catalogo di tutti i perdoni che si
-aveano in Terrasanta. Del 1431 vi tornò la terza volta fra
-Mariano da Siena, del quale parimenti teniamo la descrizione: — In
-sulla terza, col nome dello sviscerato ed innamorato
-Gesù entrammo nella santa città, e nella prima entrata, chi
-vi va in atto di peregrinazione confesso e pentito, si ha plenaria
-indulgenza e remissione di tutti i peccati; e chi vuole
-piaceri e consolazioni spirituali, faccia questo cammino. Io per
-me lo dico, che mai non seppi che consolazione spirituale si
-fosse se non qui, e passa tutti i cammini, sia qual si vuole».
-Egli assicura che «il mezzo del mondo <i>ad literam</i> viene in
-mezzo fra ’l luogo dove Cristo fu crocifisso e dove resuscitò...
-Rimpetto alla natività, scendendo tre scaglioni, si è quello santo
-presepio, nel quale la dolcissima Madre riposò il suo dolcissimo
-Figliuolo Gesù piccolino; e qui il bue e l’asino l’adorarono, e
-feciongli buona compagnia. Questo è il più devoto luogo che
-io mai vedessi; ogni cosa è un sasso; la mangiatoja è tutta
-foderata di bellissimi marmi; allato si ha un altare. Dissivi
-messa... ed ebbine la maggior consolazione del mondo. Tuttavia
-mi parea avere quell’amoroso Bambino dinanzi gli occhi nella
-mangiatoja; e così tutti gli altri peregrini si comunicano. Tutta
-la notte non possono stare i peregrini in chiesa nè nessun cristiano,
-perchè vi stanno que’ Saracini che ci accompagnano,
-ed hanno grandissima devozione al luogo della natività di
-Cristo».
-</p>
-
-<p>
-Francesco Baldelli nel 1551 tradusse in italiano la <i>Prima
-Crociata</i> di Roberto Monaco; ed è commovente l’entusiasmo
-de’ pellegrini al primo vedere la città santa: — O quante
-lagrime, pietosissimo Dio e giustissimo Signore, sparsero gli
-occhi dell’esercito tuo fedelissimo, allorachè per loro si videro
-le mura della terrena Gerusalemme! Quindi tosto chinandosi
-verso la terra, con la bocca e col capo salutarono divotamente
-il santissimo sepolcro del corpo suo sacratissimo, ed appresso
-adoraron te, che morto in esso giacesti, come quello che siedi
-alla destra del Padre, come quel giudice che venir dèi a giudicar
-le cose tutte. Ora sì che si può veramente dire che per
-te fosse addolcito il cuore di ciascuno, e che dove prima era
-di pietra, da te levato, fu dato loro di carne; e nel mezzo di
-loro mandasti lo Spirito Santo».</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici. In particolare il testo in greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione; si è proceduto in modo analogo per l'equazione nella nota 334 pag. 403.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI 15) ***</div>
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-Defect you cause.
-</div>
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-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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-</div>
-
-</div>
-
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