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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Storia degli Italiani, vol. 6 (di 15) - -Author: Cesare Cantù - -Release Date: September 20, 2021 [eBook #66347] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at - http://www.pgdp.net (This file was produced from images made - available by The Internet Archive) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI -15) *** - - STORIA - DEGLI ITALIANI - - - PER - CESARE CANTÙ - - - EDIZIONE POPOLARE - RIVEDUTA DALL’AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI - - TOMO VI. - - - - TORINO - UNIONE TIPOGRAFICA EDITRICE - 1875 - - - - -LIBRO OTTAVO - - - - -CAPITOLO LXXXI. - -Origine dei Comuni. - - -Un pregiudizio attaccatoci da moderni scrittori confonde il Comune -colla repubblica, la libertà civile colla libertà politica; onde, -al nominare l’istituzione dei Comuni, immaginiamo una di quelle -formidabili sollevazioni del dolore irritato, ove le plebi insorgessero -contro i governanti, risolute di partecipare ai diritti politici di -questi. - -Nulla di ciò. Erano i deboli, che aspiravano ai diritti dell’umanità, -a scuotersi di dosso il giogo feudale divenuto intollerabile, staccarsi -dalla gleba, tornare liberi della persona, degli averi, della volontà, -unendosi coi signori sotto una comune giustizia. In Italia queste -franchigie crebbero fino a costituire gloriose repubbliche; in -Francia, al contrario, diedero fondamento all’autorità monarchica; -in Inghilterra i Comuni si congiunsero coi baroni onde fare a -quella contrappeso; insomma possono associarsi con qual sia forma di -governo, essendo il Comune un’estensione della famiglia, anzichè uno -sminuzzamento del principato. - -L’origine de’ Comuni è uno dei punti che più vennero esaminati e -controversi, dopochè le molte carte tratte in luce, e l’esame de’ varj -elementi della vita sociale mostrarono l’importanza di quella oscura -transizione dal vecchio mondo al moderno, donde cominciò il medio -ceto, o, come dicono, il terzo stato, che in sostanza è il popolo -d’oggi. Gli scrittori municipali troppo poco s’avvidero dell’interesse -che ispirerebbe ai loro racconti il tratteggiare la vita interna e il -particolare incremento degli uomini e della società comunale: sicchè -noi non abbiamo, ch’io sappia, la compiuta storia d’alcun Comune. Il -Sismondi saltò di netto la quistione, che pur era capitalissima in una -storia delle repubbliche. Il Muratori adunò preziosi documenti, ma non -ne dedusse un concetto generale e coerente, pur in massima allineandosi -co’ suoi contemporanei nel credere che i Comuni nostri fossero una -continuazione degli antichi. Ciò fu sostenuto incidentemente da molti -e con erudizione dal Savigny e dal Pagnoncelli; il quale avrebbe -avanzato assai questo tema se avesse meglio distinti i tempi. Altri -sentirono col Raynouard, che in Francia, e principalmente nella parte -meridionale, vedea le antiche municipalità sopravivere al naufragio -barbarico, e al lentare dell’oppressione rigalleggiare per formare -il Comune[1]. S’egli in ciò (come in quella sua lingua romanza, alla -quale pur aderirono spensieratamente altri Italiani) abbia recato -un’erudizione di buona lega, se con rettissima coscienza sostenuto -un paradosso, non è qui luogo a discuterlo: basti che in quistioni sì -delicate bisogna stare guardinghi di non attribuire un senso generale a -ciò ch’è particolare, nè applicare ad una nazione quel che in un’altra -si avveri. - -V’inciamparono in senso opposto i Tedeschi, sostenendo i Comuni -nostri figliati dalla società germanica; essere in ogni città rimasti -uomini della stirpe conquistatrice, e in conseguenza liberi, sebbene -non possessori di feudi, e dipendenti soltanto dal re; i quali -moltiplicaronsi mediante le emancipazioni ed il commercio, tanto che il -loro Comune esclusivo divenne il nuovo Comune generale[2]. - -L’eclettismo, riprovevole quando assonni in mezze verità gli spiriti -non bisognosi di profonde convinzioni, merita lode quando, nessuna -escludendone, tutte le pondera senza predilezione, onde raggiungere la -certezza relativa dove l’assoluta è inarrivabile. E in Italia appunto -tutti que’ sistemi hanno alcuna parte di verità, attesa la diversissima -sorte che corsero i paesi nostri, da diversissimi elementi derivando. - -Prima di Roma, l’Europa civile era disposta in municipalità sovrane, -mai non essendosi alzato un grande impero che le singole riducesse -ad unità di legge e di amministrazione; e in ciò risiede la capitale -differenza dei popoli nostri dagli asiatici. Roma stessa fu un -municipio, il quale prevalse dapprima agli altri italici, poi a -tutti d’Europa, e quei governi parziali restrinse all’amministrazione -civile. Tali noi gli abbandonammo allo sfasciarsi dell’Impero; tali li -trovarono i Barbari. Questi forse lasciarono sussistere qualche forma -di regime comunale, non già per generosa indulgenza, ma per ignoranza -e per difetto d’ordini surrogabili; ma se permisero alla stirpe vinta -qualche resto di paesano reggimento, non potè essere che ristretto e -precario quanto il portava una militare oppressione. Tassarsi fra loro -per conservare un ponte, una via; eleggere chi riscotesse le taglie -imposte dal vincitore; congregarsi per nominare i parroci e i vescovi; -qualc’altro atto di non maggiore rilievo, erano per avventura i soli -residui di costituzione cittadina. Vero è che ogni memoria quasi ce -ne manca nel IX e X secolo[3]: ma di quant’altre cose non è allora -interrotta la ricordanza fra tanto scompiglio e sì poche scritture? - -Nè questa persistenza sotto i Barbari parrà fuori di buona congettura -a chi veda persino i Turchi abbattere amministrazione, istituzioni, -costumi, gerarchia dell’impero orientale; eppure ai tributarj non -imporre nè le loro forme amministrative, nè la legge civile, talchè le -istituzioni adottate dai raja si mantennero indipendenti affatto dal -canone musulmano. - -Quel che meno comprendo è come mai il Comune potesse conservarsi sotto -le sbricciolate dominazioni feudali, quando ogni villaggio avea, direi -quasi, un re che immediatamente amministrava, giudicava, provvedeva; -e forse perì del tutto il sistema comunale ove il feudalismo si -assodò. In Italia, per altro, a conservarne almeno la memoria valse -il non esservi mai caduto in totale dimenticanza il diritto romano, -il quale forse si insegnò sempre nelle scuole, certo modificò -le barbare legislazioni, spesso fu applicato nelle decisioni dei -tribunali, massime degli ecclesiastici. Un codice romano del secolo -IX o X nell’archivio di Udine mostrerebbe magistrati municipali, e -che le città avessero decurioni, nominassero giudici per amministrare -la giustizia e per sovrantendere ai beni ed alle entrate loro, con -giurisdizione però dipendente dalla pubblica, e limitata agli affari -civili dei Romani, cioè dei vinti, e ai minori delitti delle classi -basse[4]. Ma, qual l’abbiamo alle stampe, quel documento è rozzo e -incoerente, nè tampoco sappiamo per qual paese venisse compilato. - -Alle città che rimasero sottoposte ai Greci era stata, pel codice -Giustinianeo, tolta la scelta de’ proprj magistrati, che costituisce -il privilegio capitale del Comune. Ma molte, inviolate dai Barbari, -dall’impero greco dipendeano di mero nome; onde non v’è ragione che -n’andasse abolita la costituzione comunale. Tali ci pajono Roma, Gaeta, -le isole venete, ove, allo sfasciarsi dell’Impero, le curie presero -le redini, l’amministrazione traducendo in governo. Gl’imperanti di -Costantinopoli, che agio, che forza aveano per provvedere a queste -disgregate provincie? onde anche quelle che stavano a loro obbedienza, -si videro spinte ad amministrarsi e difendersi da sè. A tal uso -applicarono il tributo che riscotevano col metodo antico; come ebbero -erario, così formarono una milizia; regolarono la polizia; fecero -anche decreti quando li sentissero necessarj. Il duce che soleva -essere mandato da Costantinopoli, fu eletto fra cittadini, a nessun -più importando di venire fin qui ad una dignità di molto peso e di -scarso profitto; poi ogni legame andò sciolto in tempi di vacanza o di -anarchia, e definitamente nella guerra che gl’imperatori teologastri -indissero alle sacre immagini; talchè ne uscì un governo affatto a -popolo. - -Questi vivi e vicini esempj e le non cancellate reminiscenze poterono -nutrire o ridestare il desiderio della libertà ne’ residui Italiani, -appena l’oppressura si rallentasse a segno, che non dovessero pensare -unicamente alla vita e alla sicurezza. - -Ma non dal solo elemento romano costituironsi i Comuni; bensì, come -ogni altra cosa del medioevo, dal germanico insieme e dal cristiano. -L’invasione dei Longobardi avea ridotto i natii a condizione quasi -servile; esclusi interamente dal governo perchè esclusi dall’armi, -restavano uomini altrui, mentre i conquistatori formavano la classe -dei liberi, de’ quali soli la legge prendeva cura; e non si disse più -un cittadino milanese o bergamasco, ma soltanto un Longobardo o un -Romano. Altrettanto seguitò sotto i Franchi; ma la prosapia vinta fu -più ravvicinata alla vincitrice, giacchè si prefisse un guidrigildo -anche sulla vita e sulle offese recate ai Romani; e se ciascuna -stirpe conservava le leggi proprie, i capitolari emanati dai Carolingi -obbligavano tutti; allo stesso diritto longobardico faceansi glosse e -commenti di senso romano, alterandoli per modo che, restando longobarda -la legge, romanamente giudicava il fôro. - -Spezzatosi l’impero di Carlo Magno, coll’estendere dei feudi si -spegnevano le differenze d’origine, poichè l’uomo non era più -longobardo o franco o romano, ma del tal feudo o del tal signore; -e nell’autonomia, propria di ciascun feudatario, restava assorta la -varietà di diritti. I feudi passo a passo s’intrusero anche nelle terre -dominate dai Greci, massime dopo la conquista dei Normanni; sicchè -per la più parte d’Italia restò mutata la natura delle proprietà, e -ciascuno fu l’uomo del proprio terreno, e corse la fortuna di quello. - -Ciò in campagna. Ma delle città le più non dipendevano da un -feudatario, bensì da un conte, magistrato regio. I conti si rendeano -sempre meno dipendenti da imperatori fiacchi e distanti; onde -screditavasi l’autorità regia, mentre invigoriva la feudale. Squarciato -il corpo politico in infiniti brani si può dire indipendenti, e -scomposta l’unità governativa, i grandi vassalli operavano di pieno -arbitrio nella loro giurisdizione, quasi la tenessero non dai re, ma -in patrimonio; negli interregni strascinavano in lungo la nomina del -successore, e lo desideravano debole perchè non pensasse a ricuperare -il ceduto od usurpato dominio. Duranti poi le violenze che descrivemmo -fra l’Impero e la Chiesa, tutto andava in frazioni e sêtte, che -ondeggiavano a seconda dei capi e degli accidenti; nè ben accertandosi -qual fosse il re legittimo, se ne togliea pretesto di non obbedire -a nessuno, o poneasi la docilità a prezzo di crescenti privilegi. -In società d’origine feudale, stante il generale principio che ogni -podestà emana dal re, nessun diritto si trova che non sia privilegio -e concessione; lo saldano, lo garantiscono, lo dilatano, ma sempre -come concessione. Laonde la libertà cui allora si aspirava, non era -un governo fondato sull’assenso di tutti i membri del corpo sociale -adunati, ma un privilegio concesso ad alcuni in particolare. - -Sarebbesi allora potuto scomporre affatto la monarchia, ma le città -non sentivano ancora la propria forza; i gentiluomini e la nobiltà -inferiore, discendenti dai primitivi conquistatori, temeano che il -cessare di essa non li riducesse dipendenti da altri nobili, sicchè -preferirono di cercare dal re immunità, cioè d’esercitare giurisdizione -sulle proprie terre o sui proprj dipendenti, senza che il conte regio -vi potesse. Primi a domandarla furono gli arimanni[5], cioè uomini -liberi, residuo dei conquistatori, non legati a verun feudatario, e -protetti dal conte come appartenenza del re; poi i monasteri, i corpi -d’arte, gli ordini cavallereschi. Re e gran signori non rendeansi -malagevoli ad emanciparli, contenti anzi di far con ciò acquisto di -sudditi per sè, e indebolire i vassalli dipendenti. I feudatarj poi -e i vescovi domandavano immunità più estese, cioè che il conte regio -cessasse da ogni giurisdizione anche sovra i liberi, abitanti nel -loro terreno, nel quale ne istituivano una loro propria, dove erano -richiesti alla pari e i liberi discendenti dai conquistatori, ed i -villani e censuali, gente per lo più romana. Eccovi un embrione del -Comune. - -Stanno dunque a fronte molti poteri. I re, mirando a ridurre in -prerogativa monarchica il primato feudale, desiderano comandare -direttamente al popolo senza l’interposizione dei baroni, e perciò -quello da questi emancipare. I baroni, all’opposto, eransi affaticati -ad assicurarsi l’indipendenza e convertire il politico dominio in -reale e personale privato, e v’erano riusciti col rendere vitalizj -i feudi, poi ereditarj. Da ultimo i vinti, non gravati più dal peso -sproporzionato di un potere centrale, ridestavansi per conservare o -ricuperare i possessi antichi, le leggi non dimentiche, la contrastata -religione, partecipare ai privilegi dei vincitori, ed essere -considerati pari alla gente dominatrice ne’ servigi e nella giustizia. -In Francia si strinsero attorno al re, che venne per tal modo via via -rinforzandosi: in Italia non poteano altrettanto, perchè la regia era -accoppiata all’autorità imperiale, che si mutò da Franchi a Italiani, -poi a Tedeschi, controbilanciati sempre dai papi e dai grandi vassalli. - -Mentre a questi dava rinforzo la lontananza del principe, gl’indeboliva -l’aumentarsi dei piccoli feudatarj e il prevalere degli ecclesiastici, -che, come ogni altra cosa d’allora, aveano preso sembianza feudale, -cioè congiunto ai possessi la sovranità. La Chiesa è costituita con -forme a popolo; assemblee, rappresentanza, giurisdizione propria -mantenne anche sotto ai Barbari; unica aveva asili contro la -prepotenza, richiami contro la tirannia. Il popolo dei vinti, privo -d’ogni diritto legale in faccia al conquistatore, più volentieri recava -le sue querele ai sacerdoti che non ai baroni; a chi le giudicasse -per prudenza e per leggi scritte, che non a chi le recideva a colpi -di sciabola; onde l’autorità ecclesiastica erasi ingrandita perchè -popolare. L’innalzarsi dunque del clero importava sollievo del popolo; -e tanto avvenne allorchè, sotto ai Franchi, esso diventò essenziale -elemento della civile società, e i vescovi entrarono nelle assemblee -legislative, e finirono col signoreggiarle. Venuti di tanto peso nelle -pubbliche rivolture, ottennero dai re l’immunità dei proprj possessi, -indi delle città ove sedevano, per modo che al conte più non restasse -giurisdizione, ma fosse trasferita nel vescovo. Così la esercitavano -sopra i liberi borghesi, i quali non godeano rappresentanza nella -costituzione, ma crescevano d’importanza col crescere del commercio e -delle industrie. - -Il primo esempio sicuro d’immunità in Italia è di Carlo il Grosso, -che al vescovo di Parma concede di «giudicare, definire, deliberare, -come il conte del nostro palazzo, tutte le cose e le famiglie, sì de’ -cherici come di tutti gli abitanti d’essa città». Lamberto imperatore -a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 confermava tutti i possessi, e -che, _secondo il costume delle altre chiese_, gli affari della modenese -siano esaminati da persone idonee e veraci, fin alla piena giustizia; -nè alcun conte pubblico o curatore della repubblica vada a cercar -ragione ne’ monasteri o nelle chiese, o ad esigere fredi e tributi nei -possessi, o farvi mansioni e parate, o levarne statichi, o pignorare od -obbligar uomini, siano servi o liberi, nè condurli in oste o chiederli -d’illeciti servizj; nella città stessa continuino ad esservi chierici -che stendano libelli e citazioni negli affari ecclesiastici; possa la -chiesa, invece del re, esigere il censo dovuto dalle strade, porte, -ponti, e da quanto già pagavasi _anticamente_ alla città e ai curatori -della repubblica; e cavar fossi, costruire mulini, eriger porte e forti -a due miglia in giro, e aprire e chiudere l’acqua senza _pubblica_ -opposizione[6]. - -Nel 904 re Berengario privilegiava il vescovo di Bergamo di riedificar -le mura della sua città a riparo dagli Ungheri, dovunque esso vescovo -e i suoi _concittadini_ credessero necessario; e a lui assicurava la -libera giurisdizione sopra la città e i distretti[7]. Ottone II nel -973 concedeagli di nuovo _omnes districtiones et publicæ functiones -villarum et castellorum, quæ sunt in circuitu ipsius civitatis de eodem -comitatu pertinentes, usque ad spacium et extensionem, per omnes partes -ejusdem civitatis, trium miliarium_, fin ad Aciano e Seriate; inoltre -la val Seriana fino alla Camonica. Enrico III nel 1041 confermava -a quel vescovo tutto il contado bergamasco sino alla Valtellina, -all’Adda, all’Oglio, a Casal Butano, con piena autorità di fare e -disfare, senz’essere impedito da veruna autorità superiore. - -Ottone il Grande aveva largheggiato di tali concessioni a segno, che -ne fu tenuto l’autore universale: al vescovo d’Acqui assicurava la -giurisdizione della città e di quattro miglia in giro[8]; a quel di -Lodi, l’esenzione per sette miglia; per tre miglia a quel di Novara[9]; -per cinque a quel di Cremona; e così a Reggio, a Bologna, a Como, -il cui vescovo ebbe anche il contado di Bellinzona; quel di Firenze -credeva pure aver da lui ottenuto la giurisdizione di sei miglia. - -Al vescovo di Pavia nel 977 Ottone II concedeva e confermava i possessi -e il dominio, e che _castella, ville, eidem episcopo subjecta, ita -sub ditione episcopi maneant, ut residentes in eis ad nullius hominis -placitum eant neque distringantur: sed si quis ab eis legem poposcerit, -presentia ejusdem episcopi vel ejus missi justitiam quam exigent -accipiet_[10]. Anche nel diploma del 1004 di re Enrico, attesi i molti -litigi e scismi, che dalla parte del conte venivano alla chiesa, è -concesso al vescovo il muro di Parma, il distretto, il teloneo e ogni -funzione pubblica nella città e fuori sin a tre miglia in giro[11]. -Morto il conte, Corrado Salico nel 1035 estese a tutto il contado la -giurisdizione del vescovo. - -Guido vescovo di Volterra sporgeva querele contro il conte e gli altri -ministri pubblici per la fierezza con cui esigevano dal clero e dai -loro servi i diritti regj: laonde Enrico III nel 1052 lui e il clero -esentuava dai conti, autorizzando il vescovo a trarre a sè le cause in -tal materia, e definire le contestazioni mediante il duello. Più tardi -da Federico Barbarossa il vescovo Galgano ebbe titolo di principe, e -il governo della città e di molti luoghi, l’elezione dei consoli e la -zecca, retribuendo al regio erario sei marchi d’argento. - -Nel 1055 Eriberto vescovo di Modena, coi _cittadini suoi_, invocò da -Enrico III di poter riedificare, fortificare, ingrandire essa città; -e quegli il permise, concedendone al vescovo tutte le regalie e la -giurisdizione, pure confermando alla chiesa e ai cittadini le buone -consuetudini antiche: ai quali cittadini presenti e futuri concede -di derivar canali dalla Secchia, dalla Scultenna e da qualunque altro -fiume[12]. - -Enrico IV confermava a Landolfo vescovo di Cremona la giudicatura -della città e di cinque miglia in circuito, già attribuitagli da’ -suoi antecessori[13]. A Gregorio vescovo di Vercelli concedeva -Casale, Olceningo, Oldenigo, Momolerio, Scherino, Rodingo, _con -tutti gli arimanni e con quanto spetta al contado_[14], vale a dire -le giurisdizioni che il conte esercitava, fra cui era quella sugli -uomini liberi. Molti abitanti di Treviglio, borgata della Geradadda, -si sottoposero alla badia di San Simpliciano in Milano, e nel 1081 -Enrico confermava questo fatto, e che essi e i loro figli o discendenti -rimanessero perpetuamente in podestà di quel monastero, non dovendo più -alcuna funzione pubblica od angaria o altro servizio a chichefosse, -eccettuato il fodero al re quando venga in paese, e la sculdassia ai -conti ogni anno[15]. - -Talvolta queste concessioni davansi in premio di prestato favore, tal -altra per castigare un conte sleale: e poichè ogni giorno cresceva il -numero de’ semplici cittadini, i quali, invece del magistrato regio, -si mettevano in tutela de’ signori immuni, i re non iscapitavano gran -fatto col cedere ai vescovi i contadi, che ormai non teneano dipendenti -se non di nome. - -Ecco dunque città e borgate dalla giurisdizione del conte passare a -quella del vescovo o d’un monastero; e mentre dapprima la popolazione -restava divisa fra dipendenti dalle chiese e dipendenti dal re, fra -la giurisdizione laica e l’ecclesiastica, vennero a formare un Comune -solo conquistati e conquistatori; nobiltà feudale e semplici liberi si -trovarono chiamati al medesimo tribunale; e gli scabini dei nobili e -quelli dei liberi costituirono un collegio unico, sottomesso al vicario -secolare del vescovo, detto l’avvocato o il visdomino o il visconte -appunto perchè esercitava gli uffizj devoluti una volta al conte. - -Il vescovo di Mantova era stato fatto immune da Ottone III nel 997, -col diritto di nominare avvocati e batter monete; e nel 1084 Ubaldo -vescovo, costituendo visdomino un suo nipote, divisava i diritti -attribuitigli. I quali sono di andare per tutta la diocesi di qua e -di là dal Po, tenendo albergaria e placito, esaminando e definendo -discordie, liti, offese personali e reali, infliggendo la pena a -sua volontà. Tutto il denaro percepito in tali operazioni lo lascia -a lui, e un terzo del ricavo della pesca, dell’investitura, degli -approdi, dello sterpatico. Da ciascuna masseria del vescovo abbia due -majali grossi, e così la decima delle giumente e dei porci di tutte le -terre vescovili. Promette che gli uomini di lui non saranno giudicati -dal vescovo nè da’ suoi successori o messi o gastaldi o decani, nè -richiesti al placito, a prestar garanzia o albergo o fodro[16]. - -Al popolo tornava vantaggio dall’essere i contadi attribuiti ai vescovi -piuttosto che ai conti, crescendo probabilità di vederli affidati al -merito, anzichè distribuiti dal capriccio della nascita o dalla volontà -d’un re straniero; e se la plebe e i manenti restavano ancora senza -diritti nè rappresentanza, ne migliorava la giustizia, che è il bisogno -più immediato de’ popoli. - -La decisa predilezione del clero pel diritto antico indurrebbe a -credere che le forme municipali romane, dove ancora sopraviveano, si -sodassero dacchè il vescovo si trovò investito del governo cittadino. -Ma poichè ogni cosa aveva a conformarsi al reggimento che unico allora -si conoscesse, i vescovi, fatti conti delle città, ridussero a feudali -le cariche municipali, alterandone la natura senza forse annichilarle. - -Pertanto dal vescovo dipendevano le città e i beni immuni; dal conte il -resto, cioè la campagna, la quale da ciò prese il nome di contado. Ma -que’ beni immuni trovavansi intarsiati ai contadi per modo, che vescovi -e signori s’impacciavano a vicenda nell’esercizio della mal determinata -giurisdizione. Tendevano i primi a dilatare la propria anche sul -contado; i signori vi si opponeano, e cercavano ingrandire a spese de’ -vassalli minori: sicchè la lotta intestina discendeva sino agl’infimi -elementi della società. Epperò Corrado Salico emanò la famosa legge dei -feudi (t. V., p. 443), per cui anche i piccoli passassero in eredità, e -non si potessero togliere se non per sentenza degli scabini. - -Si trovava allora il dominio feudale partito fra i capitanei o -valvassori maggiori, immediatamente investiti dalla corona; i -valvassori, cioè vassalli de’ capitanei; e i valvassini, che ritraevano -dai predetti. Valvassori e valvassini, assicurati d’esistenza -indipendente, più non furono stromenti agli arbitrj de’ vescovi, i -quali non poterono, come in Germania, riuscire principi ecclesiastici. - -Ma altrove i nobili vassalli e i semplici liberi, formato il Comune, -aveano costituito rappresentanti e giudici proprj, che equipollevano -alla curia vescovile, e indipendentemente da questa assumevano aspetto -di civile ordinanza. Altrove ancora la gente raccoltasi sopra terre -di un feudatario, crescendo di ricchezze per l’industria, e a quello -rendendosi necessaria, lo costringeva a concessioni, che non davano la -civile indipendenza, ma favorivano il prosperamento e l’importanza del -Comune. - -Scomposta ogni centrale potestà per lasciar solo associazioni -limitatissime e poteri meramente locali, più facilmente poterono -costituirsi da sè le città, nelle quali gli uomini trovavano maggior -numero d’interessi comuni. Queste allora ebbero giurisdizione propria, -e l’affidarono agli scabini, del che ricrebbe il terzo stato; e nobili -e liberi venendo abbracciati nel Comune medesimo, cioè sotto comune -giustizia, mozzavasi la prerogativa feudale, atteso che, chi bisognava -di sicurezza, non andavala a chiedere sotto la rôcca d’un barone, ma -tra le mura d’una città. - -Benchè il feudalismo togliesse importanza alle città, le nostre non -la perdettero mai, ed erano abitate da ricchi e nobili col nome di -arimanni[17], i quali anzi costituivano un’università o corporazione, -e avevano possessi e ragioni comuni. Nel 1014 Enrico II agli arimanni -della città di Mantova e d’altri luoghi confermava i possedimenti con -tutte le loro eredità paterne o materne, e i beni comunali e il teloneo -e ripatico a Garda e Lazise e Riva, e che niun magistrato li turbasse. -I cittadini di Mantova, cioè gli arimanni abitanti in essa città, -ricorsero a Enrico III contro le eccedenti esazioni e gl’importuni -aggravj (_superstitiosas exactiones et importunas violentias_); ed esso -decretò che queste cessassero e s’abolissero radicalmente, e nessuna -autorità grande o piccola si mescolasse dei costoro beni comuni, de’ -benefizj precarj o livelli, de’ servi, delle ancelle, o d’altro qual -fosse loro possesso mobile o immobile. Tanto confermava Enrico IV il -1091, volendo avessero «la buona e giusta consuetudine che ottiene -qualunque città del nostro impero». Donde parrebbe che gli arimanni -avessero una tal quale signoria di Mantova[18]. - -Il Gennari, negli _Annali della città di Padova_, sotto il 1077 adduce -un placito ivi tenuto avanti a due messi regj, al conte della città -Ogerio avvocato, e a varj giudici e buoni uomini. Ai quali Giovanni -abate di Santa Giustina dichiarò come i cittadini dentro e fuori -della città gli avevano intentato lite (_cives vel intra civitatem -vel extra nobis intentionem mittunt_) circa al possesso della val del -Mercato e del prato col Zairo, dell’acqua del fiume Rodolone, e degli -altri possessi del monastero. Fu dato torto ai cittadini, ed obbligati -all’intera cessione; la quale fecero col prendere una lunga verga, e -trasmetterla al vescovo, che la consegnò all’abate. - -Anche nel peggior tempo del dominio militare questi arimanni formavano -tra loro delle _gilde_, le quali non m’hanno aria di fraternite -religiose, bensì di quelle associazioni, di cui maggiore si sente -il bisogno quanto più lentato è il legame sociale. In effetto esse -fecero paura ai forti; e Carlo Magno decretava che «nessuno presuma -far giuramento per gildonia; se vogliono disporre delle limosine per -incendj o naufragi, il facciano in altro modo che giurando». E più -rigorosamente Lotario I: — Non vogliamo che alcuno per giuramento nè -per obbligazione faccia gildonia; e se l’oserà, chi primo ne diede -consiglio venga dal conte mandato a confine in Corsica, e gli altri -paghino multa»[19]. - -Ripetiamo che qualche rappresentanza il popolo aveva sempre goduta -in faccia alla Chiesa; e a tacere le lettere di Gregorio Magno già -indicate (t. V, p. 133), il Diurno Romano offre la formola, con cui il -clero e il popolo invocano dal papa e dal metropolita che confermi il -vescovo da essi eletto: all’elezione di Guido vescovo di Piacenza il -904, sono sottoscritti preti, diaconi, suddiaconi, acoliti, e infine -ventisei _e populo_[20]: Giovanni vescovo di Modena nel 998 faceva -al monastero di San Pietro una donazione con notizia e consenso dei -canonici, de’ militi e del popolo: l’anno stesso in Ravenna si tenne -un placito, _assistentibus in judicio pollentibus et bonæ opinionis -et laudabilis famæ viris de civitate Ravennæ_[21]; e nel 1004 Turbino -giudice di Cagliari, _col consenso de’ suoi parenti e di tutto il -suo popolo_, donava alcuni dazj ai Pisani amici suoi, affinchè _quel -popolo_ gli fosse amico[22]. - -Ecco qui pure una rappresentanza e un esercizio di diritti comuni, che -avviava all’emancipazione. Viepiù vi condusse l’essersi nella città pel -commercio formate compagnie, le quali offrivano l’embrione d’un governo -a comune, e poteano divenir tali per poco che si ampliassero. - -Una lapida sotto al portico della notabilissima cattedrale di Lucca -riferisce come nel 1111 i cambisti e mercanti, che allora stavano -di bottega nella corte di San Martino, ove pure gli alberghi de’ -forestieri, giuravano di non far frode[23]; antichissima sistemazione -del commercio in consorzj, con consoli per risolvere i litigi. - -Già nel 1046 Enrico III _confermava_ agli abitanti della bergamasca -val di Scalve il diritto di negoziar di ferro per tutto l’impero, -col solo aggravio di mille libbre di ferro _secandum suorum parentum -morem_; nessun duca, marchese, vescovo, conte o altra qualsiasi -persona _hominibus in prædicto monte Scalvi habitantibus audeat aliquam -molestiam aut aliquam superpositam inferre_; e a chi violi l’ordine -commina cento libbre d’oro, metà da darsi alla Camera, _et medietatem -prædictis hominibus_. Poi nel 1091 nella città di Bergamo tenendo -placito il conte Corrado, messo regio _ad justitias singulorum hominum -faciendas ac deliberandas_, con molti giudici e conti e col vescovo, -gli si presentarono alcuni _vicini et consortes de loco Burno_, che è -in val Camonica, e gli chiesero pronunziasse un bando _super nos et -super nostros vicinos vel consortes_ a proposito del monte Negrino, -che era stato ad essi usurpato da quelli di val di Scalve: e il -conte Corrado gli esaudì[24]. Non sono queste evidenti forme comunali -con possessi consorziali? I querelanti nel loro libello citano una -decisione già riportata anteriormente; e come in tali litigi _centum -quinquaginta librarum denariorum mediolanensium veteris monetæ inter -judices et advocatos dispendio in Bergamo perpessi sumus damnum_; e gli -Scalvini usarono ad essi prepotenze molte, onde reclamano giustizia, -_quia dedecus est omnium nostrum_. - -Esempj di simili comunanze ricorrono in Toscana, ove nel 1004 Filippo -di Fidante e Benedetto di Martino furono nominati consoli del comune -ed università di Monte Castelli[25]. Chiavenna, borgo della diocesi -comasca, situata allo sbocco di due valli che mettono ai paesi -transalpini del Reno e dell’Inn, faceva una concordia, citata già come -antica nel 1155, tra gli abitanti suoi e quelli del vicino Piuro, per -la quale quattro uomini di ciascuno di essi giuravano di guidare i due -Comuni e le persone e i beni loro con buona fede e senza frode in pace -ed in guerra, non usurparsi roba alcuna, ma d’ogni acquisto ripartire -tre quarti a’ Chiavennaschi, uno a’ Piuriesi, e nell’eguale proporzione -le spese[26]. - -N’era vantaggiata l’industria; e poichè essa è gran conduttrice di -libertà, si cominciò a levar lamenti delle violenze che turbavano il -commercio; i lamenti procedeano a minaccie; e se queste non trovassero -ascolto, riuscivano in aperta rivolta, cacciando gli esattori e gli -espilatori del barone, assalendone anche il castello, e opponendogli -barricate e mura; e unitisi sulla piazza del mercato o nella chiesa, -gl’interessati giuravano sostenersi contro chiunque pretendesse -sopraffarli. E a noi si fa credibile che uno de’ più efficaci -addirizzi a costituire i Comuni fossero appunto le società mercantili -e artigiane, che trovandosi già ordinate con una gerarchia, con -regolamenti, con statuti[27], con cassa, non aveano a dare che un passo -per chiedere di partecipare coi nobili al Governo. - -Talvolta i re medesimi ne’ loro bisogni esibivano di vendere -le regalìe, cioè dogane, zecche, mercati, pedaggi; e i Comuni -s’affrettavano a comperarle, o le ottenevano in premio della fedeltà e -del favore prestato. Tal altra i grandi vassalli insorgevano contro dei -vescovi, e gli uni e gli altri armavano i cittadini, che per tal modo -venivano a conoscere le proprie forze, e invocavan diritti, in prezzo -degli offerti soccorsi. Nella contesa, capitanei e vescovi apprendevano -che ricchezza principale era l’abbondare d’uomini, lo perchè ne -favorivano l’incremento sminuzzando i possessi, e contentandosi d’una -tenue prestazione, purchè vi andasse congiunto l’obbligo di servire -nelle milizie. - -Stiamo dunque a gran pezza da chi crede che i Comuni derivassero da -generosità dei re, o da accorgimento loro politico. Erano conseguenza -del risorgimento popolare; ma i diritti che i liberi traevano in -campo, non erano astrazioni costituzionali, e accademici divisamenti -repubblicani, bensì un richiamo alle norme dell’umanità, a quella -libertà d’innocui atti, di cui ciascuno sente mestieri come dell’aria. -L’associazione dirigevasi non a riforme amministrative, ma ad acquistar -forza per diminuire la propria servitù; specie di mutua assicurazione -delle inferme moltitudini contro i pochi armati. Non che fosse -rivoluzione contro il Governo regio, a questo appoggiavansi coloro i -quali scotevano il giogo feudale. E poichè il feudatario, il re ed il -vescovo trovavansi spesso a cozzo, e dividevano tra sè i possessi e le -città, all’uno ricorreva chi fosse malcontento dell’altro, sicuri di -trovarlo favorevole, non per generosità ma per proprio interesse. - -Neppure fu una rivoluzione sola che mutasse la forma politica, -giacchè non v’aveva un potere unico da abbattere; e a ciascun Comune -sovrastando un signore particolare, in ciascuno richiedevasi una -particolare rivoluzione. Variissimi dunque erano gl’impulsi, variissimi -i mezzi e i risultamenti, e molto vi poteva il caso, nè sempre -riuscivasi all’intento; ma la libertà, fallisca cento volte, non però -dispera. - -Sarebbe peraltro stato difficile strappare ai feudatarj anche sì poco, -quando essi soli e i loro castelli fossero stati muniti, e tutto il -resto inerme; atteso che la forza brutale può a lungo conservare gli -ordini più repugnanti alla ragione. Ma allorchè gli Ungheri avevano -passato le Alpi, non si potè combattere in campagna rasa e con -eserciti ordinati le loro bande scorridore, ma dovette munirsi ciascun -villaggio, ciascuna casa, ciascuna persona; le città rinnovarono le -mura, diroccate dai Barbari o sfasciate dal tempo[28]; ogni monastero, -ogni borgata scavò una fossa, rizzò uno steccato; e le armi, adoperate -soltanto dagli uomini del feudatario e per suo cenno, si affilarono -per l’individuale sicurezza. Qual cosa infonde tanto coraggio, quanto -il conoscere di bastare alla propria difesa? e i nostri padri, che -si erano misurati contro l’Unghero, più non temeano d’affrontare la -masnada del vescovo o del castellano. - -Di più, in Italia l’aristocrazia non avea messo così robuste radici -come oltr’Alpi; e nella vasta Lombardia soli forse il marchese di -Monferrato e il conte di Biandrate estendeano tanto i possessi, -da abbracciare borghi e città. La supremazia che i re di Germania -pretendevano qui, era d’opinione più che di forza. Dalla lontananza -o dalle guerre proprie erano impediti di venirvi sovente in persona, -unico modo di farvi valere la propria autorità; se venissero, senza -truppe nè rendite mal si reggevano, e lagnavansi che i vassalli non -gli sovvenissero del necessario, e li riducessero a cascar di fame. -Maggiormente si protraevano gl’interregni di qua dell’Alpi, atteso che -non bastava che un re fosse nominato in Germania, ma conveniva venisse -a farsi coronare in Milano e Roma; nè di rado i signori nostri negavano -omaggio all’eletto dai Tedeschi. Tutto ciò fece la contesa men dura, e -più pronto l’effetto. - -Questo restituire gli uffizj da signorili a municipali ed elettivi -cominciò attorno al Mille, crebbe mentre Ottone II combatteva gli emuli -in Germania e i Greci in Calabria, e più nei tredici anni che Ottone -III indugiò a scendere in Italia. Allora i Comuni cittadini costrinsero -i baroni ad accasarsi nelle città, che si trovarono popolate non -più da soli artieri ed arimanni, ma anche da potenti, e crebbero di -lustro e considerazione. Alcune gelose ottennero che gli imperatori -non entrassero più nelle loro mura; altre ne demolirono il palazzo, -per edificarlo nei sobborghi; sicchè debole e limitata restava la -giurisdizione dei re, i quali tanto più facilmente cedevano per denaro -o per favore ciò che nè ricusare potevano, nè conservato fruttava. -Pavia nel 1024 distrusse il palazzo regio, e quando Enrico III volle -costringerla a riedificarlo, gli si oppose con un giusto esercito, -avendo alleati molti signori. - -Gran destro ne porse la contesa fra il Sacerdozio e l’Impero, giacchè -in quelle reciproche esagerazioni, dove più che le armi poteva -l’opinione, si trovavano messe in bilancia le competenze delle due -autorità, richiamato a discussione quanto la conquista germanica -aveva innestato sul tronco romano, la legittimità del potere nato -dalla forza, il dominio della spada sovra gli spiriti, l’intrusione -delle discipline militari nell’ordine civile e fin nella gerarchia -ecclesiastica; e l’una e l’altra parte si credette obbligata -a dimostrare le proprie ragioni ai popoli, di cui le bisognava -l’appoggio. E i popoli impararono che avevano diritti, che per -argomenti potevano scegliere a quale prestare il sussidio dell’oro, del -brando, delle convinzioni; e di quelli e di queste misurata la potenza, -vollero servirsene ad assicurare e crescere quei diritti, che avevano -appreso a conoscere e stimare. Trattavasi poi di combattere? bisognava -che il conte o il vescovo si servissero del braccio delle plebi: e guaj -pe’ tiranni il giorno che han bisogno de’ loro oppressi! - -Contesa tanto vitale non limitavasi a battaglie in campo aperto, -ma penetrava nelle città e nelle case: spesso una chiesa trovavasi -disputata da due vescovi, uno papale ed uno intruso, i quali si -perseguivano in guerra; diuturne le vacanze, perchè o il papa negava -l’investitura, o i cittadini obbedienza al nominato dall’imperatore; -e sempre i vescovi sentivansi sotto ai piedi vacillare il terreno, -perchè o non investiti dal re, o non riconosciuti dal papa; e per -formare e mantenersi partigiani, cedevano particelle de’ loro diritti -ai Comuni. Esse città giuravansi con altre del sentire medesimo, onde -in armi tener testa alle contrarie. Uscita poi vittoriosa la parte -ecclesiastica, ingegnavasi di menomare le prerogative regie, ma con ciò -raccorciava anche la podestà temporale de’ vescovi, fondata sopra regie -concessioni. - -Col carroccio (t. V, p. 439) i popolani s’erano avvezzi a considerarsi, -non più guerrieri obbligati d’un signore, ma d’una bandiera -cittadina, del Cristo che allargava le braccia su quell’antenna, del -sant’Ambrogio, del san Zenone, del sant’Alessandro che li benediceva -dal gonfalone. Quel parteggiare per l’imperatore o pel papa avea misto -i varj ordini d’uomini, per modo che non si guardava tanto se uno fosse -capitaneo, nobile o plebeo, ma se imperiale o pontifizio. Le armi e -i campi comuni, e la necessità di usare concordemente le braccia o -l’ingegno nella mischia o nei parlamenti, scemavano le distanze fra -quelli della parzialità medesima; poi la trionfante conseguiva vantaggi -o privilegi sull’altra, sicchè gli ordini fin allora scrupolosamente -distinti venivano ad unirsi nel Comune cittadinesco; e i giudici -della città, che già, duranti le vacanze del vescovado, decidevano in -propria testa senza riguardo al visconte, qualora al conte o al vescovo -strappassero alcuna nuova porzione di autorità, la esercitavano più -piena sovra maggior numero di cittadini, e con restrizioni minori. - -Insegnati a discutere dei diritti, prendono in dispetto gravezze -fino allora tollerate di cheto; alla prima taglia troppo pesante si -ammutinano; cominciato che uno abbia, il seguono altri; la torre, da -cui il feudatario o il conte minacciava, diviene spesso il ricovero -degli affrancati; spesso i monumenti dell’antica magnificenza -convertonsi in difese di nuova libertà; e si preparano lotte, risolute -perchè di scopo evidente e semplice, e non per capriccio o per -obbedienza, ma per tutela dei diritti più sacri. Il tentativo fallisce? -sono smantellati i fortilizj, uccisi gl’insorti: riesce? i sollevati -comprendono la necessità di unirsi. - -Non poca opportunità vi aggiunsero le crociate; per passare a -terrasanta molti baroni vendettero od impegnarono i dominj, o per -denaro cedettero qualche parte della giurisdizione ai cittadini, -che, durante l’assenza loro, rassodarono i diritti, e di nuovi -ne acquistarono; mentre gli uomini che combattevano in Palestina -s’abituavano alla libera disciplina dei campi, s’accostavano fra -loro ed ai padroni, e ne riportavano più libere idee, men servili -sentimenti. Quelli poi che fossero capaci di riflettere e di ponderare -i civili ordinamenti, dovevano rimanere attoniti allo spettacolo di -Venezia, di Pisa, d’altre città marittime, che già si reggevano a -popolo: poi nelle Assise di Gerusalemme trovavano un governo, baronale -bensì, ma dov’era provveduto anche alla plebe, chiamata pur essa a -parte delle discussioni. - -Ecco dunque risalire alla dignità civile quei che l’avevano perduta -fin dall’invasione dei Longobardi: ecco vincitori e vinti ricondotti -sotto una giustizia ed un governo medesimi. E poichè le reliquie degli -antichi Romani, sentendo rivalere l’ingegno sopra la forza, tornavano -su quelle antiche memorie che un popolo perde per ultima cosa, e che -servono spesso di lievito acciocchè l’inerte massa non imputridisca; -e i discendenti medesimi de’ conquistatori rispettavano quelli che -un tempo avevano soggiogati; perciò si ridestarono i nomi e le forme -romane, e i magistrati cittadini non s’intitolarono più scabini alla -tedesca, ma _consoli_. - -Adunque in due atti spiegavasi quel movimento: sottrarsi con braccio -forte alla dominazione armata, poi colla prudenza costituirsi. Che se -era difficile quel primo contro conquistatori armati, difficilissimo è -sempre il secondo, e allora viepiù quando di costituzioni non s’aveva -alcuna esperienza. - -Ma in che consistevano le pretensioni dei Comuni? Domandavano libertà -materiale di andare e venire senza pagar pedaggi; di vendere, comprare, -possedere il proprio, e lasciarlo ai figli; contrar matrimonj anche -fuori del feudo, e con persone di qualsiasi condizione; sicurezza della -casa e della persona; una misura fissa nei dazj, nelle decime, nelle -prestazioni di corpo dovute al signore, ne’ giorni in cui servirlo -colla marra o colle armi, nella retribuzione pel forno o pel mulino -privilegiato in tutto il feudo; se qualche bestia si svii, non venga -al castellano, ma rendasi al proprietario; possa tagliarsi legna morta -al bosco; nessuno arresti un comunista senza intervenzione di giudici; -siavi un tribunale a cui richiamarsi anche dei torti ricevuti dal -signore, e dove giustificarsi col giuramento o per testimoni, anzichè -col duello. - -Scossi che si fossero dal giogo, non d’un Tedesco o d’un Franco, ma -d’un tiranno, vinto in unanime concorso il contrasto del vescovo o -del conte, cercavano un titolo ai loro diritti col farseli non dare -ma confermare dal re in quelle che chiamaronsi _carte di Comune_. I -re vi trovavano il proprio conto, perchè, oltre deprimere i feudatari -privandoli della giurisdizione, con esse carte davano regole di diritto -criminale e civile, traendo a sè una parte sì principale della regia -autorità qual è la legislativa, istituendo o convalidando le costumanze -locali. - -Le carte che ci rimangono, per quanto variate, importano l’abolizione -delle servitù personali e delle tasse arbitrarie, assicurato agli -abitanti lo scegliersi i magistrati municipali, e data a questi -autorità di movere in armi i comunisti quando il credano necessario -a tutelare i diritti e le libertà del Comune, sia contro i vicini, -sia contro il signore. In quelle medesime ove propriamente veniva -riconosciuta una giurisdizione distinta, non si stabiliva già chiaro e -preciso in qual relazione starebbe d’allora innanzi il Comune col re, -col feudatario, col vescovo, bensì riducevasi in iscritto l’ordinamento -sociale interno, tutto ciò che potesse contribuire alla civile -sicurezza, e massime all’applicazione della giustizia; la parte ove i -popoli sentono più immediatamente la servitù o la libertà. - -V’avea però Comuni propriamente stabiliti da baroni o da re, -sulle proprie terre aprendo asilo ai vagabondi e agli avveniticci, -costituendo _città nuove_, _borghi nuovi_, _castel franchi_, _franche -ville_, sotto un preposto del re o dei signori, con una carta, -alla quale davano pubblicità affine di allettare gente forestiera -a stanziarvisi e comprare terreni. Il conte Guido Guerra, suocero -del famoso Bellincion Berti, nel 1208 dava nel suo viscontado di val -d’Ambra il diritto ad uno per ciascuna terra di formare insieme uno -statuto, unirsi per deliberare degli interessi pubblici, e assistere -lui, capo dello Stato; il quale delegava i suoi poteri al podestà, -salvo l’arbitrio di modificarne le sentenze. - -Siffatte carte occorrono men frequenti in Italia, forse perchè, -sussistendo alcuni Comuni fin dall’età romana, od essendosene -costituiti durante il reggimento feudale, non si trovava bisogno di -nuovi diplomi per regolare l’amministrazione interna, i diritti de’ -magistrati, le relazioni col signore e coi vicini. Pure d’alcune -abbiamo gli apografi, d’altre fondatissima presunzione, tanto da poter -asserire che i Comuni nostri sono i più antichi del mondo moderno, -e fin anche di quello di Leon in Ispagna, conceduto da Alfonso V -coll’assenso delle Cortes entrante l’XI secolo. - -Venezia dall’origine sua medesima si trovò stabilita in repubblica; e -a lei somigliare dovevano le altre città marittime di maggior fiore, -Pisa, Amalfi, Napoli, Gaeta. Adria, ancora di qualche conto, nel 1017 -menò guerra coi Veneziani, i quali vincitori obbligarono il vescovo -Pietro e i primati a venire al doge, chiedere scusa, e promettere -fedeltà. Dall’alto di tal sommessione esso vescovo appare anche capo -politico del Governo; ma contraeva coll’intervento de’ suoi canonici e -di varj laici, de’ quali il primo è _Anastasius consul_. Le città del -litorale istriano, aggregato talvolta al regno d’Italia, conservarono -le forme comunali all’antica, e nel 991 Capodistria faceva col doge -Pietro Orseolo II una convenzione, stipulata da un conte Sicardo suo -governatore, _e cunctos habitantes civitatis Justinopolitanæ, tam -majores quam minores_[29]. Anche Ragusi, città mista che per tante -ragioni s’annesta alla storia italiana, e che sotto una costituzione -aristocratica gareggiò con Venezia, e fu l’Atene della letteratura -slavo-illirica, degna di storia più che i vasti imperj da cui fu -ingojata, antichissimo esempio ci è di governo municipale, poichè in -un diploma del 1044 Pietro detto Slaba (slavo) priore, _cum omnibus -pariter nobiles, atque ignobiles mei, tam senes, juvenes, adolescentes, -quam etiam pueri_, restituisce alcuni beni all’abate di Santa Maria di -Lacroma, presente il vescovo Vitale[30]. - -I Genovesi, costretti a schermirsi dai Saracini di Frassineto, buon’ora -si ordinarono a comune sotto il vescovo, dividendo le città nelle -_compagne_ di Castello, Borgo, Piazzalunga, Maccagnana, San Lorenzo, -Portanuova, Sosiglia e Portoria, ciascuna avente consuetudini proprie -e gonfalone, e deliberando per consigli e parlamenti. All’888 si fanno -risalire i suoi primi consoli, il senato, l’assemblea del popolo e le -forme municipali, che ricevettero conferma da un diploma di Berengario -II del 958, il quale assicurava ai Genovesi le proprietà, già _jure_ -acquistate[31]. Poi nel 1056 Alberto marchese giurava osservare le -consuetudini di essi, che sono le seguenti: - -«Qualora si contenda sopra la sincerità d’una carta tra Genovesi e -forestieri, se il notajo e i testimonj sieno presenti, basta che il -presentatore della carta giuri non l’avere corrotta in veruna parte: se -manchino notajo e testimonj, il presentatore trovi quattro persone che -il giurino con lui. La femmina longobarda può vendere e donare senza -l’assenso dei parenti e l’autorità del principe. Così pure i servi, gli -aldj delle chiese e i servi del re vendano e donino liberamente le cose -di loro proprietà, ed anche le livellarie. I villani de’ Genovesi, che -abitano sui poderi dei padroni, non sono tenuti a dare fodro, fodrello, -albergaria o placito ai marchesi, nè ai visconti, o loro mandati. -I livellarj delle chiese, che per gravi casi non possono soddisfare -l’annuo canone, non perdano un fondo livellato, se prima del decimo -anno paghino i livelli scaduti. Gli abitanti di Genova non devono -stare in giudizio fuori di città, nè obbediscano a sentenza renduta -fuori. I rettori di Sant’Ambrogio possano conceder beni a livello. -I forestieri abitanti in Genova devono fare la guardia coi Genovesi -contro gl’insulti dei Pagani. Chi giura con quattro testimonj di aver -posseduto per trent’anni un podere, sia cheto contro qualunque podestà -ecclesiastica o laica, nè v’abbia luogo a duello. Quando i marchesi -vengano a tener placito a Genova, il bando non duri che quindici -giorni. Un laico a cui un cherico abbia ceduto i beni ecclesiastici, li -posseda tranquillamente finchè il vescovo vive. Se uomo o femmina prese -a livello beni ecclesiastici, o per compra, o per eredità, niun altro -può acquistare livello sui medesimi: e se nasce controversia, chi è in -possesso giuri con quattro testimonj che da dieci anni egli od i suoi -antecessori possedono quei beni a livello. I cherici legittimamente -investiti di beni ecclesiastici li tengano alla sicura quanto vivono, -nè altro cherico acquisti ragioni su quelli. Gli uomini dei Genovesi, -che vogliono risedere sui poderi de’ padroni, sieno franchi da ogni -servizio pubblico». - -Nel 1109 il conte Bertrando donava al Comune di Genova la terra di -Gibeletto in Siria: nel 1130 Pavesi e Genovesi stipulavano concordia e -reciproca difesa. Nel 1166 i consoli de’ mercanti e de’ marinaj di Roma -agli uomini del Genovesato da Portovenere fino a Noli concedeano pace e -sicurezza della persona e degli averi per terra e per mare da Terracina -a Corneto, cassando le rappresaglie e qualunque procedura per rapine da -trent’anni in poi; renderanno buona giustizia e riparazione; potranno -condurre a Roma qualsiasi merce, e farvi contratto; obbligheranno a -giurar questa pace i visconti e balii di Terracina, Stura, Ostia, -Porto, Santasevera, Civitavecchia; se alcun Romano rechi danno a -Genovesi, l’obbligheranno a rifarli, e se non possa, li rifaranno -dal Comune; non soffriranno si armino a danno loro legni di corso da -Capodanzo a Terracina, e da Caponaro a Corneto; terranno per nemici i -Pisani, nè gli accoglieranno sul loro territorio; serberanno pace cogli -uomini di Albenga, Portomaurizio, Diano, San Romolo, Ventimiglia, se -i loro consoli la giurino ad essi. Di rimpatto i consoli del Comune di -Genova giuravano pace ai Romani coi patti medesimi[32]. - -Siena, città primaria sino al tempo de’ Longobardi, e dove il vescovo -appare lungamente anche capo temporale, già avea Comune nel 1151 quando -il conte Paltonieri dava in pegno al sindaco il castello di San Giovan -d’Asso col suo distretto, per dieci anni: anzi nel 1137, _in communi -colloquio_ molti nobili di Staggia e Strove donavano alcuni castelli -a Ranieri vescovo e capo civile di Siena. Poi nel 1186 Enrico di -Svevia, vivo Federico Barbarossa, dava e confermava a questo Comune -la zecca, la libera elezione de’ consoli, del rettore, del podestà, -con giurisdizione sopra tutto il contado, salvo ai giudici imperiali -l’ultimo appello delle cause, e pagando alla Camera imperiale settanta -marche d’argento[33]. - -Pisa, a comodo anche dei tanti avventicci, raccoglieva, fin dal -1160, gli statuti precedenti, fin allora tenuti per memoria, donde -ricaviamo l’interno suo ordinamento e la persistenza del diritto -romano; aggiungeva regole per le contestazioni marittime, che voglionsi -approvate il 1075 da papa Gregorio VII; poi nel 1085 Enrico IV, oltre -varie esenzioni, le prometteva osservarne le consuetudini di mare, -lasciare che i seniori facessero le leggi e rendessero giustizia, non -mandare in Toscana verun marchese se non approvato da dodici uomini, -eletti nell’assemblea dei cittadini di Pisa, raccolta a suon di -campana[34]. Prometteva inoltre non distruggere le case, non incendiar -la città nè diroccarne le mura, non esigerne alloggi; se rechi offesa -ad alcuno, ne giudicherà per mezzo di dodici sacramentali senza duello, -salvo se si tratti della vita o dell’onore del re; non impedirà i -viaggi, e di mariti che siano in viaggio non arresterà le mogli; non -porrà altro aggravio se non quello che tre seniori per ciascuna villa e -castello giurino essersi praticato al tempo del marchese Ugo; lascerà -che vedove e fanciulle si maritino, senza costringerle a sposarsi a -chi egli voglia, o esigerne prezzo; non torrà nè farà lavorar le terre -a mezzo miglio in giro, che furono paludi o pascoli pubblici o delle -chiese; il pezzo del muro vecchio sin all’Arno lascerà libero a comune -vantaggio, non permettendo vi si eriga casa; se alcuna nave sia fermata -da Gaeta a Luni, nessuno ardisca predarla. - -Lucca, prediletta sede dei marchesi di Toscana, in un documento -del 1124 chiamata _gloriosa civitas, multis dignitatibus decorata, -atque super universam Tusciae marchiam caput ab exordio constituta_, -possiede uno de’ più ricchi archivj d’Italia, da cui potrebbe trarsene -la storia comunale. Fra il 965 e il 972 Ottone I conferiva a quella -Chiesa un’immunità, la quale era piuttosto personale ed ecclesiastica, -salvo che cedevasi ad essa Chiesa e al clero la facoltà regia di -eleggere il proprio avvocato, e dispensavasi dal giurare nelle cause -con molti _sacramentarj_. Ottone II nel 981 confermò ed estese questi -privilegi, volendo che tutte le persone dimoranti nelle terre e -castella d’esso vescovado fossero sottoposte unicamente al tribunale -del vescovo, che potesse citarli e giudicarli (_distringere_) a modo -della potestà regia. Nessun duca, marchese, conte, visconte, giudice -pubblico o gastaldo o qualsiasi altro magistrato presuma porvi piede -per udir cause, esigere multe, far foraggio, levare sfatichi; chiunque -possedesse beni del vescovado ingiustamente, li restituisca[35]; -seguono altri provvedimenti opportuni al libero esercizio del dominio -e dei diritti vescovili, e comminando ai contravventori mille libbre -d’ottimo oro, da pagare metà al fisco imperiale, e metà alla chiesa di -Lucca _ejusque vicario_. Alessandro II papa attribuì a quel Comune per -sigillo una bolla di piombo[36]. - -Vedemmo Anselmo vescovo di Lucca zelantissimo per Gregorio VII contro -l’imperatore; onde i cittadini gli si ribellarono, ed Enrico IV, -da Roma il 23 giugno 1081, in premio della fedeltà e de’ servigi -prestatigli, conferiva ai Lucchesi un privilegio, nel quale vieta ai -_vescovi_, duchi, marchesi, conti e qualsiasi persona o autorità di -demolire il recinto delle mura nè i casamenti urbani o suburbani; o -di fabbricare castelli nel circuito di sei miglia, nè di esigervi il -fodro o il ripatico; abolendo le _consuetudini perverse, introdotte -dalla durezza_ del marchese Bonifazio; non vi abbia palazzo imperiale -in città o nel borgo, nè siano tenuti agli alloggi; chi per negozj va a -Lucca sia pel Serchio sia per terra, non venga molestato nè derubato, -nè alcuno lo impedisca o svii; i Lucchesi possano negoziare sopra i -mercati di Parma e San Donnino ad esclusione dei Fiorentini; siano -giudicati solo da chi ha legittima giurisdizione; non venga obbligato -al duello chi adduca il possesso di trent’anni, o altro documento; il -giudice longobardo non possa proferirvi giudizio, se non in presenza -del re o del suo cancelliere[37]. - -Qui avete sott’occhio una vera carta di Comune; e quantunque v’appajano -come concessioni quelle che oggi si hanno per generale giustizia, -pure alleggeriva la soggezione immediata ai marchesi e conti; la -mediata moderava nell’esigenza delle tasse e ne’ giudizj; dava a Lucca -un’esistenza comunale in faccia ad altri Stati, sicchè l’università e i -singoli cittadini fossero rispettati come tali. - -Benchè, col cessare della guerra delle Investiture, rivalesse -l’autorità dei marchesi, questa non tolse al Comune di Lucca di operare -indipendente: dal 1088 al 1144, ebbe guerra coi Pisani; distrusse i -castelli Castagnoli, Vaccole, Vecchiano, Ripafratta, appartenenti a -Cattanei o conti rurali; da Uguccione e Veltro, visconti di Corvara -nella Versilia, comprò questo tenimento e il castello di Vorno che -spianò; e chiamò a giudizio arbitrale i vescovi di Luni e i marchesi -di Malaspina[38]. Non sapremmo dunque definire a che si riducesse la -supremazia dei marchesi di Toscana, che pur sussistette fino a che il -marchese Guelfo della casa di Matilde, principe di Sardegna, e duca -di Spoleto, nel 1160 al popolo lucchese cedette ogni diritto, azione, -giurisdizione, che gli competessero sia a titolo del marchesato, sia -per l’eredità della contessa; solo per novant’anni riservandosi il -censo di mille soldi, sebbene non siano pur la metà di quel ch’egli -potrebbe ritrarne[39]. Così que’ cittadini furono riscattati da ogni -servitù particolare, e l’assicurata libertà garantirono col giurar -fedeltà e sommessione all’imperatore. - -Benchè Lucca sia così ricca di documenti, il Tommasi, nel _Sommario_ -della storia di essa, dice non potersi «fissar con sicurezza quando -v’incominciasse la repubblica, gli storici lucchesi segnando un’epoca -chi più chi meno remota;..... se narrano i primi scrittori fatti -bastantemente provati donde traspirano manifesti segni di libertà -e d’indipendenza, producono i secondi tali carte contemporanee da -smentire appieno gl’indicati segni, perocchè mostrano esse più presto -soggezione gravissima, che la ben menoma franchigia». Quest’incertezza -è di gran lunga maggiore per gli altri Comuni, e deriva dal fatto -dei mal determinati poteri, tanto dominante nel medioevo, che non -deve presumere d’intendere la storia civile chi non l’abbia sempre -sott’occhio. - -Ampio privilegio fu concesso il 1129 da re Ruggero, e confermato il -1164 da re Guglielmo alla città di Messina, in benemerenza de’ sussidj -prestati a snidare i Normanni. Portava che i Messinesi, tranne i -casi di Stato, non potessero convenirsi in civile o in criminale se -non da giudici eletti da loro, neppur nelle cause col fisco; il re -non operasse dispotico, ma si attenesse alle leggi, e se contrario -a queste dava alcun decreto, fosse irrito e nullo; non nominasse -uffiziali pubblici che messinesi e benevisi; e fosse reputato cittadino -coronato di Messina. I deputati di questa tenessero il primo luogo -nelle assemblee convocate dal re; solo colà si coniasse la moneta -del regno; nel tribunale suo fosse un consolato per deliberare in -affari marittimi, composto di Messinesi, _nominati dai padroni delle -navi e dai negozianti_. I Messinesi andassero esenti da dogana per -tutto il regno; potessero senza compenso tagliar nelle foreste regie -quanto occorresse a fabbricare e risarcir le navi: nessuno d’essi -fosse forzato al servizio militare; la galera di Messina inalberasse -lo stendardo reale; nelle assemblee dal re convocate per gl’interessi -di quella città non si deliberasse che in presenza dello stratego, -dei giudici e d’altri uffiziali della città; gli ebrei vi godessero -diritti e immunità pari ai cristiani. Tale carta, confermata poi ed -accresciuta, rendeva il comune di Messina quasi sovrano[40]. - -Al popolo di Ferrara Enrico III nel 1055 concedeva che i _cortensi_ -fossero assolti dal dare la terza pel placito; i villani nelle -lor terre abitanti non andassero al placito pubblico, ma per loro -rispondessero i padroni; le navi e i cavalli loro non fossero obbligati -a servizio se non quando esso imperatore venisse in Italia; non -pagassero il ripatico se non a Pavia; e così vien fissato quanto -retribuire pei pesci, pel sale a Cremona, a Venezia, a Ravenna; -tutt’altrove si era immuni d’ogni esazione. Due volte l’anno tengano il -placito generale per tre giorni, in ciascun de’ quali diano tre porci, -cento pani, una libbra di pepe, una di cinnamomo, tre sestieri di -miele, e in tutto una vezza di vino; al quarto giorno diano a colui che -tenne il placito, un majale e cinquanta pani[41]. - -Anteriori diritti possedevano le comunità del lago di Como, giacchè -Ottone il Grande nel 962, ad istanza dell’imperatrice Adelaide, -confermava agli abitanti dell’Isola Comacina e di Menaggio i privilegi -che avevano ottenuti dagli antecessori suoi, assolvendoli da molti pesi -e dal venire al placito, se non tre volte l’anno in Milano[42]. Verso -il 1090 troviamo i Comaschi alle prese coi popoli della riva dell’Adda, -quando il beato Alberto, fondatore del famoso convento di Pontida, -s’interpose di pace: i Comaschi lacerarono il suo lodo; mal per loro, -giacchè nel combattimento ebbero la peggio. - -Fin dal 990 il popolo di Cremona sosteneva briga con Olderico, suo -vescovo insieme e conte, e cacciatolo, abbattè la città antica, e una -maggiore ne fabbricò contro l’onore imperiale[43]. Il 1114 Enrico V -confermava i privilegi de’ Cremonesi, cioè i beni _ch’essi in loro -lingua chiamano proprietà comunali_[44], e di fabbricare fuor di città -il palazzo imperiale, il che equivaleva a promessa di non entrarvi -coll’esercito. - -Del Comune di Brescia trovansi vestigia al 1000: nel 1020 già sono -citate le concioni pubbliche che si tenevano in San Pietro de Dom, e il -banditore comunale, a nome di esso Comune, investiva gli uomini degli -Orzi del castello, delle fosse e degli spaldi di Orzi: essi a vicenda -promettendo difendere quella rôcca contro chi fosse ardito a disputarne -il possesso al Comune di Brescia, presterebbero ogni quindici anni il -giuramento, pagherebbero alla madonna d’agosto cinque soldi milanesi. -Del 1029 si conosce uno statuto che concerne anche i feudi. Nel 1037, -per togliere le contese tra il vescovo e il Comune, più di cencinquanta -uomini liberi di Brescia si radunano, e Odorico vescovo promette non -eriger fortilizj sul colle Cidneo, e cedere al popolo alcuni boschi di -Castenedolo e di Montedegno, pena duemila libbre d’oro se fallisca al -promesso. - -I Bresciani nel 1102 avevano promulgato una legge contro gli usuraj: e -due anni appresso Ardizzo Aimone, console di colà, girava per le città -lombarde onde indurle a federarsi in difesa comune, convenendo nel -monastero di Palazzuolo[45]. - -Dicemmo come a Mantova fosse costituito il Comune degli arimanni. -Ai 27 giugno 1090 la contessa Matilde gittava un bando qualmente _i -fedeli suoi Mantovani cittadini_ ricorsero alla clemenza di essa, -bramando esser rilevati dall’oppressione d’alcuni loro concittadini -e domandando fosser loro restituiti gli arimanni, e le cose tutte -_comuni_, tolte ad essa città dai predecessori della contessa. Al che -annuendo, abolisce e sterpa tutte le esazioni ed angarie non legali, -imponendo che nè essa nè gli eredi suoi od altra persona grande o -piccola di sua podestà possa molestare i cittadini di Mantova per le -persone loro, i servi, le ancelle, i liberi dimoranti in quella terra, -e l’arimannia e le cose comuni ad essa città spettanti sulle rive del -Mincio, o le cose mobili e immobili. Nessuno alloggi in qualsiasi casa -della città, o in quella d’un gentiluomo (_militis_) nel sobborgo, o -nella canova di chicchessia, contra lor voglia. Restituisce loro i beni -occupati, in modo che pascolino, seghino, caccino a voglia; possano -sicuramente andare e venire per acqua e per terra senza pagar pedaggio, -ed avere quella buona e giusta consuetudine che ottiene ogni miglior -città di Lombardia[46]. Nel 1133 Lotario II confermava al popolo di -Mantova i privilegi conceduti già dall’imperatore Enrico II,_ compresa -l’arimannia e le cose comuni di essa città, su ambe le rive del Mincio -e del Tàrtaro_; abbiano facoltà di trasferire il palazzo imperiale dal -borgo San Giovanni al monastero di San Rufino di là dal Mincio; restino -liberi dall’albergaria, e possano andare e venire a tutti i mercati -dell’Impero, senza molestia nè esazione di teloneo. Concede inoltre -l’isola dov’era stato il castello di Ripalta, sicchè altro fabbricarne -non potesse egli nè i successori suoi[47]. - -Nella vita del beato Lanfranco, sotto il 1030, leggesi che il padre -di questo era di coloro che custodivano le leggi e i diritti della -città di Milano[48]; e lo storico Landolfo di San Paolo nel 1107 -chiamasi secretario dei consoli[49]. In quell’anno stesso i Milanesi -erano alle mani colla città di Lodi, e la stringevano d’assedio; -Pavia cavalcava Tortona, la quale chiese l’alleanza dei Milanesi, -mentre Pavia univasi co’ Lodigiani e Cremonesi, e presa la città -nemica, la mandò a fuoco. E di vita propria ci diè sentore Milano sia -nell’antica contesa coll’arcivescovo Landolfo, sia più chiaramente in -quelle delle Investiture e pel matrimonio dei preti; poi i principi -di Germania e Federico arcivescovo di Colonia nel 1118 scrivevano ai -_consoli, capitanei, cavalieri e all’intero popolo milanese_, come -a Comune indipendente, istigandoli contro Enrico V a tutelare le -proprie libertà, fidati nell’ajuto di Cristo[50]. Nel 1117 i Lombardi, -sgomentati da fenomeni straordinarj, pioggie di sangue, nascite -di mostri, tuoni sotterranei, risolsero provvedere alla giustizia, -all’ordine, alla penitenza; onde l’arcivescovo Giordano radunò in -Milano una dieta straordinaria, dove non comparvero più principi e -conti o feudatarj, ma sovra un palco da una parte si posero tutt’i -vescovi, dall’altra i consoli delle varie città, i giurisperiti e -popolo immenso, e trattarono del metter pace[51]: assemblea di liberi, -che da se stessi consultano il proprio meglio, e che forse allora -avvisarono come adempiere al difetto della giurisdizione reale, caduta -così in basso. Sembra difficile che si abbia a intendere qui soltanto -del Comune dei conquistatori, senza partecipazione del popolo. - -Di questa distinzione del Comune dei nobili dal popolano ci presentò -insigne documento Mantova; un altro abbiamo in Bergamo, dove i nobili -troviamo più volte convocati insieme col clero a trattare di possessi -ecclesiastici[52]. Poi re Corrado nel 1088 teneva in quella città un -placito, assistenti varj giudici del sacro palazzo, alquanti vescovi, -marchesi, conti, valvassori milanesi e bergamaschi, e _varj cittadini_ -di essa città[53]. - -Quanto alle terre del Piemonte, nel 1090 Ottone Riso e Benedetta sua -moglie vendono una casa e una cascina _omnibus vicinis de Bugella_; -acquisto comune, che indica una comune amministrazione dei Biellesi, -benchè qui pure potrebbe supporsi dei soli conquistatori. Due anni -appresso, gli abitanti di Saorgio maschi e femmine fanno una donazione -a Sant’Onorato di Lerino. Nel seguente trovasi già in Biandrate un -Comune con dodici consoli, e quei conti Guido e Alberto fanno patto di -assistenza coi militi, cioè coi valvassori, per conservare i possessi -e feudi che ottennero, promettendo lasciar che trasmettessero ai -loro figli maschi e femmine i terreni di cui gli abbiano infeudati, -nè proibire che vendano un edifizio che v’abbiano eretto, purchè -non vendano essa terra senza consenso dei conti. I quali conti non -imporranno pena ai militi di Biandrate se non per omicidio, spergiuro, -furto, adulterio con una parente, tradimento, duello giudiziale e -aggressione; gli altri delitti rimetteranno al laudo di dodici consoli. -I militi a vicenda giuravano stare ligi ad essi conti, conservarne -di buona fede i feudi; e tra loro stessi promettevano garantirsi i -possessi contro chicchessia, nelle discordie rimettersi ai dodici -consoli[54]: i quali pure giureranno risolvere le liti in Biandrate al -miglior vantaggio del Comune e ad onor del luogo[55]. - -Nel 901 Lodovico IV imperatore al vescovo d’Asti Eilulfo concedeva la -corte e il castello di Bene, Cervere, Niella, Salmour, e la contea -di Bredulo fra il Tanaro e la Stura: ma nella città non aveano que’ -vescovi che il castelvecchio, sin quando Ottone III nel 992 a Pietro -concesse anche la città con quattro miglia in giro, e giurisdizione, -il letto del Tanaro e le rive, e tutti i diritti camerali, e le -successioni agli intestati, vietando a qualsiasi conte di pigliarvi -ingerenza[56]. L’anno stesso agli _abitanti_ d’Asti esso Ottone -concedea facoltà di trafficare ove loro paresse; poi Corrado Salico -nel 1037 li faceva esenti da ogni dazio e dogana in qualunque parte -arrivassero mercatando, sempre ad istanza del vescovo. Al quale però -già stavano mal soggetti, talchè due volte la principessa Adelaide -dovette venire ad assisterlo, gettando il fuoco alla città; poi alla -morte di essa, vi si formò il Comune, e li troviamo ben presto sostener -guerra col marchese Bonifazio di Savona, e nel 1098 già stringer lega -con Umberto II di Savoja erede di essa Adelaide. Amedeo III di quella -casa, morto il 1148, dava franchigie comunali a Susa; Tommaso ad Aosta -nel 1188, ricevendola in protezione: attesochè l’esser costituiti in -Comune non repugnava alla dipendenza da un signore. - -Chi cercasse, troverebbe in quel torno stabilite a Comune tutte -le città italiane; ma l’accertarne il principio è difficile tra -quell’_agitazione costituzionale_, reggimento indeciso fra la pace e -la guerra, fra la sommessione e la rivolta, fra l’opposizione legale e -l’insurrezione. - -D’altro passo erano proceduti i paesi di Romagna. Inviolati da Barbari, -aveano essi conservato l’ordinamento quale sotto l’Impero bisantino, -con consoli sopra il Governo e i giudizj, e con tribuni che comandavano -ai borghesi, distribuiti in scuole militari. Staccati che furono da -quello, la difesa venne commessa ai vassalli, e il loro capo assunse -l’aspetto generale d’allora, cioè di signore feudale ereditario, e -trasse il titolo dalle terre che possedeva. L’ordinamento civile vi si -trasformò quando i varj vescovi, che pretendevano alla superiorità, -dopo Ottone il Grande s’inchinarono al pontefice; sicchè a questo -rimase la primazia sovra la Romagna, e ai vescovi la giurisdizione e -il nominare i magistrati, che, secondo allora solea, retribuivansi con -terre feudali. A capo pertanto d’ogni contado aveasi un visconte, sotto -cui i capitanei vescovili, indi i vassalli e i valvassori, e da ultimo -il Comune dei liberi, i quali formavano il consiglio municipale coi -vassalli del vescovo. - -In qualche città, e nominatamente a Ravenna e sue dipendenti come -Bologna, durava traccia delle istituzioni bisantine, essendo i -cittadini distribuiti per scuole d’arti, che erano ad un tempo -divisioni militari, aventi alla testa decurioni finchè durò l’antica -costituzione romana, e con magistrati particolari per definire i loro -affari, detti consoli de’ mercanti, de’ pescatori, de’ calzolaj, -e così via. In ciascheduna corporazione un _capitolario_ vigilava -che fossero mantenuti i capitoli, vale a dire i diritti speciali di -ciascuno, regolava i mercati, e risolveva le controversie. Il popolo di -Bologna nel 1116 ottenne da Enrico V la conferma dei privilegi e delle -consuetudini sue. - - -Più tardi si riscosse la campagna. La conquista dei Barbari aveva -arrestato lo spopolamento, prodotto dall’affluire della gente nelle -città; poi collo stabilirsi dei feudi la politica prevalenza fu -trasferita dalle città alla campagna[57]. Attorno al castello del -barone o al sagrato della chiesa accoglievasi una gente laboriosa, -manufattrice, mercadante, che presto cresceva in borgate. I signori, -accortisi come potessero vantaggiarne d’entrate e di forza materiale, -concessero alcuni privilegi, che non li facevano indipendenti, ma ne -cresceano le ricchezze e gli abitanti; e quest’incremento rendeva -necessarj nuovi privilegi, per quanto poco garantiti contro la -prepotenza. Alcuni anche per bisogno li vendevano, nè denaro mancava -ai sudditi per tale acquisto, avessero pur dovuto togliersi il pane di -bocca. Altrove non erano concessi ma pretesi, e l’esempio delle città -ispirava ai campagnuoli desiderio di scuotere la dipendenza, e fiducia -di riuscirvi. Rifuggiti in un bosco, sovra un colle, dietro un terrato, -sfidavano di colà lo sdegno del signore finchè egli non calasse a -ragionevole componimento. - -Del come si formassero le borgate attorno alle chiese un bel documento -ci resta. Compita nel 1093 la chiesa di Empoli, una delle più antiche -collegiate di Toscana, prete Rolando ne divenne _custode e prevosto_, -al quale nel 1119 la contessa Emilia promise quel che il marito suo -Guido Guerra signore di Empoli già aveva giurato, cioè che a tutti gli -uomini del distretto empolitano, o vivessero sparpagliati o riuniti -in castelli e ville, imporrebbe di stabilirsi attorno alla chiesa -matrice di Sant’Andrea, donando a tutte le famiglie un appezzamento -di terra per costruirvi le abitazioni, oltre uno per erigere il -castello: prometteva pure difendere esse case, di modo che, se mai, -per guerra o per violenza dei ministri regj o per altro, fossero -abbattute, i conjugi Guido le rifarebbero a loro spese[58]. Di poi nel -1182 i Fiorentini obbligarono gli Empolitani a giurar loro obbedienza -e fedeltà contro chicchefosse, eccetto i conti Guido antichi loro -signori, pagar cinquanta lire annue nel giorno del Battista, un cero -più grosso di quel che gli uomini di Pontormo offerivano quand’erano -vassalli del conte Guido Borgognone di Capraja. - -Il parabolano frà Jacopo d’Acqui ricorda che, al tempo del Barbarossa, -molte terre grosse si formarono in Piemonte coll’unire ville: e prima -Chivasso, per opera de’ Milanesi: poi alquanti rustici, congregati -in opposizione ai marchesi di Saluzzo, edificarono Savigliano, che -vuol dire savio-villano, per venire dalla servitù di essi marchesi -a libertà: altri coll’ajuto de’ Milanesi fra la Stura e il Gesso -fecero una città detta Cuneo, perchè avea tal forma: così furono -costituiti Fossano, Mondovì, Cherasco, per tenere in freno quei di Asti -e di Alba[59]. Nel 1251 molte famiglie di Marmirolo nel Mantovano, -trovandosi angariate da Guidone Gonzaga, abbandonarono in unanime -concorso la patria, e si mutarono nel paese di Imola: il qual Comune -donò loro molte terre colte e incolte, che essi obbligaronsi di mettere -a frutto, pagandone annuo censo, e abitando uniti in un villaggio che -Imola fabbricherebbe apposta, e che fu Massa Lombarda[60]. Fin dal -1157 il popolo di Marti e quello di Montopoli nel Valdarno inferiore -discutevano de’ proprj confini, e si citarono i consoli a far -dichiarare dai più vecchi e probi quali fossero veramente[61]. Firenze, -l’anno 1300, decretava si facessero tre terre nel Valdarno superiore, -per frenare gli Libertini di Gavelle e quei di Soffena e i Pazzi; le -quali furono Terranova, Castelfranco di Sopra e San Giovanni. - -Ad emanciparsi erano i borghi ajutati dalle medesime città, cui giovava -l’aversi in giro consenso di liberi, anzichè minaccia di tiranni. -Perciò i fuggiaschi s’accoglievano sopra le terre suburbane, che -anticamente erano appartenute al vescovo, o, come allora dicevasi, al -santo patrono, e perciò si chiamavano _corpi santi_ in Lombardia, e -_appodiato_ a Bologna, _camperie_ nella Toscana, sottoposte alle leggi -e al podestà medesimo della città. Se i Comuni cittadini avessero -dichiarato sciolti i feudi, tutti i campagnuoli sarebbero affluiti -nelle città: ma queste non aveano mai avuto mente a costituire un -diritto nuovo demolendo il preesistente, onde non attentavano ai -legami che tenevano l’uomo alla terra ed al padrone, sebbene volentieri -aprissero ricovero a’ fuggiaschi, e sostenessero chi si ribellava ai -conti rurali. - -Milano nel 1211 concedeva a tutti i contadini e borghesi di accasarsi -in città, e li faceva esenti da ogni gravezza rurale, e accomunati ai -diritti di cittadini, purchè non lavorassero di propria mano la terra, -abitassero in città trent’anni, eccetto il tempo del ricolto. Imola nel -1221 prometteva la quinta parte degli uffizj a quei di Castello Imolese -che andassero accasarsi in città. L’anno stesso Bologna prometteva -immunità ai forestieri, e il consolato ad ogni venti famiglie che -venissero a formar villa nel territorio bolognese. - -I signori si opponevano a che i loro dipendenti _giurassero il -Comune_; ed essendosi i terrazzani di Limonta e Civenna accomandati -al Comune di Bellagio sul lago di Como, l’abate di Sant’Ambrogio, che -n’era feudatario, protestò non averne mai dato concessione, e chiese -sentenza, per la quale furono assolti dalla vicinanza dei Bellagini, -dal contribuire il fodro, e venire al placito e alla giurisdizione[62]. - -Ad alcuni signori le comunità indissero guerra, poichè il diritto -della personale vendetta, allora universalmente riconosciuto, rendeva -alle città legittimo l’osteggiare i baroni, che fin sotto le loro mura -aveano piantato fortifizj; e bandivasi pace alle capanne e guerra ai -castelli. I conti d’Acquesena dominavano sei popolose terre in val -di Belbo, e sorretti dal marchese di Monferrato e dalle armi, mille -soprusi si permettevano sopra i vassalli, ed esigevano una oscena -primizia. I terrieri soffersero un pezzo come sbigottiti; poi fecero -popolo, e al tocco della campana di Belmonte assalsero determinatissimi -le rôcche dei signori, questi uccisero, quelle diroccarono; e -difesisi dal marchese Bonifazio mediante l’ajuto degli Alessandrini, -trasferirono le proprie abitazioni là dove la Nizza sbocca nel Belbo, e -vi edificarono Nizza della Paglia[63]. - -Altre volte non colla forza, ma otteneasi cogli accordi: come i conti -Guido cedettero a Firenze i loro castelli per cinquecento fiorini; e -come troveremo spesso nel procedere. Ma gli abitanti di Montegiavello, -scontenti della dominazione d’essi conti Guido, scesero a stormo -dall’altura, e compro un prato sul Bisenzio, vi costituirono il Comune, -che poi fu la cittadina di Prato[64]. - -Nel 1200 la città d’Asti dai molti consignori comprava il castello e il -territorio di Manzano, obbligando gli uomini a trasferirsi nel nuovo -paese di Cherasco. Nel 1228 Genova comprava dai marchesi di Clavesana -i castelli e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro, Taggia, San -Giorgio, Dolcedo, per l’annua prestazione di lire ducencinquantadue -genovesi: nel 1233 faceva altrettanto con Laigueglia. Nel 1180 il -Comune di Vercelli comprava in moltissime porzioni il castello di -Casalvolone. - -Converrebbe fare la storia di ciascuna borgata chi volesse dire come -le città crescevano dalle ruine della feudalità campagnuola. Alcuni -signori abbracciarono spontanei lo stato civile, fosse per maggior -sicurezza o per godere l’autorità che l’opulenza, il dominio antico, -le aderenze procacciano sempre in una comunità; sicchè discendendo -dalle minacciose rôcche, giuravano il Comune e fedeltà ai magistrati -cittadini, sottoporre i loro terreni alle tasse, servire alla patria -colla persona e coi vassalli, e parte almeno dell’anno fissar dimora -nelle città[65]. - -I Transalpini, avvezzi ancora a non vedere nei loro paesi che dominio -de’ baroni, meravigliavano allo scorgere che le città di Lombardia -aveano ridotto tutti i signori della diocesi a coabitare; talmente -che a fatica si trovava alcun nobile o grande che non obbedisse alle -leggi della città[66]. Alquanti duravano ancora nei loro castelli, -massime ove li francheggiava la montagna, circondandosi di armigeri e -di donzelli, per conservare l’antico potere: ma sebbene dissoggetti -dai Comuni, non poterono mai costituire una salda aristocrazia, -attraversati com’erano dalle altre classi. Restava dunque che -sfoggiassero in lusso e in finte prodezze, assaltando un pagliajo -od una grancia, o ferendo torneamenti, ovvero empiendo il tempo con -giocare alle palle, agli aliossi, alla quintana, e mettersi attorno -buffoni, nani, cantastorie, sonatori: finchè impararono a vendere ai -pacifici Comuni il valore, cui si erano educati ed esercitati. - -A tal modo formaronsi i Comuni; e combinando le idee classiche -colle nuove, definivano la città essere un convegno di popolo, -raccolto a vivere secondo il diritto; e che tutti gli uomini d’una -città, e massimamente delle principali, devono operare civilmente e -onestamente[67]. - - - - -CAPITOLO LXXXII. - -Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. Emancipazione dei servi. - - -Se dunque ricapitoliamo la storia del popolo, dopo Carlo Magno ci -occorre anarchia e scompaginamento universale; città e stirpi discordi; -ogni barone, ogni guerriero animato da interessi diversi; non un -pensiero della povera plebe. La feudalità comincia a collegare duchi e -conti col vincolo di devozione allo stesso capo e di servizj reciproci; -i possessori di allodj, franchi di ogni carico pubblico, indipendenti -fra loro e quindi antisociali, consentono o sono forzati a divenire -vassalli, cioè a prestare ligezza ad un signore, nella cui protezione -trovano un compenso alle servitù, all’omaggio, agli obblighi. L’uomo -preferisce sempre lo stato socievole all’isolamento, e il governo -feudale offriva la combinazione per allora migliore di sforzi materiali -onde organizzare la pace e dirigere la guerra. - -Nelle città non v’era modo come uno potesse distinguersi: ignote -le lettere; a soli nobili le ricchezze; dei gregarj le armi. -In conseguenza le plebi rimanevano ancora fuori della società, -e ad insinuarvele s’industriarono i Comuni, dove conquistati e -conquistatori, uomini dipendenti dal re o dal vescovo o dai signori, -venivano fondendosi in una stessa cittadinanza, a giurisdizione dei -vescovi; poi anche da questi si emanciparono, istituendo il Comune -laico. Nè era un tremuoto popolare che diroccasse i castelli: essi non -domandavano la libertà, ma l’eguaglianza sotto un signore, un freno -alla gerarchia feudale, o di potere in questa pigliar posto. Per tal -modo la gente bassa diventa un ordine; la ricchezza mobile si erige -a fianco alla fondiaria; e il feudalismo, che dianzi era la società -intera, si restringe a sola la nobiltà. - -L’Italia non avea di quei duchi o conti, poderosi quasi piccoli re: -l’autorità regia, annessa all’imperiale, restava lontana e controversa; -sicchè le città trovarono minori ostacoli a costituirsi, tanto più che -avevano sugli occhi l’esempio delle marittime. Perciò, caduta la Casa -Salica, i Comuni lombardi muovono guerra ai capitanei, togliendo loro -le entrate e la giurisdizione di conti, e la esercitano in vece loro. I -Comuni si valgono degli imperatori e dei papi per cacciar le picche più -a fondo nelle viscere de’ nemici; e li strascinano nelle microscopiche -loro inimicizie; laonde queste parziali associazioni, combinate per -salvarsi dalle baronali prepotenze e dal politico scompiglio, vennero -ottenendo o conquistando giurisdizione particolare, diritto di guerra -e di moneta[68], governo proprio, insomma a farsi piccole repubbliche. -Gli uffiziali, non più dai vassalli, ma sono scelti fra’ comunisti; -onde sottentra l’abitudine agli affari, e ne vengono magistrati da far -fronte allo Impero, giuristi che in parlamento potranno pettoreggiare i -capi della feudalità, e dottori alle cattedre, e cherici che saliranno -ai vescovadi e alla tiara. - -_Consoli_ era l’antico nome de’ magistrati civili, detti alla tedesca -_scabini_ o giudici perchè principale loro uffizio il giudicare. Altri -consoli erano i capi delle maestranze e delle compagnie mercantili, -la cui efficacia nella istituzione de’ Comuni fu maggiore che non -soglia credersi. Man mano che si affrancassero, le città attribuivano i -poteri a questi magistrati, che allora dalle funzioni giuridiche fecero -tragitto alle amministrative, dalle particolari alle pubbliche. Il -vescovo di Luni avea guerra col marchese di Malaspina, che compose nel -1124 coll’interposto dei consoli di Lucca[69]. - -I consoli erano due o più: Perugia, che vuolsi già facesse guerra a -Chiusi nel 1012, a Cortona nel 49, a Foligno nell’80 e 90, ad Assisi -nel 94, era governata da dieci consoli nel 1130, quando in piazza San -Lorenzo gli uomini dell’isola Palvese fecero la loro sommessione[70]: -Bergamo n’avea dodici: Milano sei o sette per ciascuno dei tre ordini -di capitanei, valvassori e cittadini[71]: probabilmente anche altrove -erano scelti in questa proporzione, ovvero da cittadini e nobili, dove -questi costituissero un unico stato, o anche da uno stato solo, che -fosse agli altri prevalso. A Firenze furono quattro, poi sei, secondo -la città era divisa per quartieri o sestieri; ma uno godeva maggior -fama e stato, e dal nome di esso qualche cronista notava l’anno. - -Nè le sole città, ma anche borghi e castellari ebbero consoli proprj: -e per mille esempj valga Pescia, non ancora città, i cui consoli e -consiglieri nel 1202 concordavano con quelli delle limitrofe comunità -di Uzzano e Vivinaja intorno all’elezione e alle attribuzioni dei -consoli, per evitare le controversie[72]. - -Niuno confonda i Comuni del medioevo coi municipj che trovammo fra -gli antichi. Questi ultimi erano formati da coloni venuti da Roma, -che, sostenuti dalle armi della metropoli, si piantavano sopra il -territorio conquistato per tenere i vinti in soggezione: nel medioevo -sono i vinti stessi che aspirano ad esser pareggiati ai vincitori, -acquistando i diritti, prima d’uomini, poi di cittadini. Nel Comune -romano il padre è in casa sua magistrato e sacerdote: nel nuovo, il -clero costituisce classe distinta e indipendente, e l’autorità paterna -rimane circoscritta entro i limiti della pietà. Alla comunanza romana -non partecipava propriamente che l’_ordo_, vogliam dire le prosapie -senatorie iscritte nell’_album_, per eredità trasmettendo il potere -e l’amministrazione; che se una si estinguesse, l’Ordine medesimo -sceglieva tra le megliostanti della città quella che dovesse empiere -il vuoto: pochi ricchi, in possesso della piena cittadinanza, erano -circondati da una turba di schiavi, alle cui mani abbandonavano tutti -i servizj. Nel nuovo Comune invece, per la prima volta al mondo, -l’industria si esercita libera, e frutta ricchezze e franchigie. In -quello gli uomini di miglior diritto stanno adunati nelle città, -rimanendo alla campagna i servi: nel medioevo i prepotenti vivono -ne’ castelletti foresi, mentre le città sono di gente industriosa, -che poc’a poco e a forza di lavoro si affranca. Colà insomma è -aristocrazia, qua democrazia: quello provvede alla politica potenza -d’una classe eccezionale, questo ai diritti dell’intera popolazione: in -quello i privilegiati si conservano col gelosamente escludere le classi -inferiori; nel moderno ognuno si travaglia verso miglior condizione, e -nella lotta invigorisce la personalità. - -Ma la prima rivoluzione dei Comuni può considerarsi come aristocratica, -tanti elementi signorili abbondarono nella sua composizione, i -quali vedremo poi sistemare i governi, dettar leggi a tutto loro -pro, combattere più valorosamente che non avrebbe saputo una plebe -inesercitata. Dipoi si ampliò il Comune a segno, che chiunque avesse -pane e vino proprio, esercitasse mestiere d’importanza, o si trovasse -agiato di sue fortune, ebbe parte almeno indiretta alla municipale -autorità, e contribuiva ad eleggere i magistrati nel generale convegno -degli abitanti. Allora nella classe degli uomini liberi si trovarono -accomunati gli antichi arimanni, liberi quantunque non possessori; -gli abitanti delle città municipali, sempre rimasti indipendenti; i -borghesi affrancati delle città feudali; gli abitanti sollevati dei -Comuni; alfine anche i servi emancipati della campagna. - -Ma dalla libertà civile e dall’equità suprema, ch’è ora il fondamento -d’ogni Stato, stavano ben lontane. Dappertutto le persone rimaneano -libere in grado diverso; sopra viveva qualche antico arimanno; in -alcuni Comuni, sebbene già redenti, sussistevano borghesi del re e -borghesi dei signori, i primi più alteri e in migliore stato, gli -altri affrancati sì, ma in mezzo a parenti ed amici tuttavia servili; -poi i nobili, i liberi uomini del Comune, del barone, dei privati; -ecclesiastici privilegiati, guerrieri assoldati, viventi con diritto -straniero. - -Tutto ciò derivava dal sistema feudale, che non fu già distrutto, -come sarebbe avvenuto in una rivoluzione radicale, ma in esso presero -posto i Comuni, che perciò si potrebbero chiamare repubbliche feudali; -carattere che non vuolsi dimenticare da chi brami intenderne la -storia e le evoluzioni. I Comuni entravano nella feudale società, -traendo a sè i diritti già proprj de’ signori, come giudizj, imposte, -zecca, guerra, e via discorrete: e conseguivano un grado in quella -gerarchia, rilevando da re o dall’imperatore, e tenendo sotto di sè -altre persone o corpi morali. Il concetto feudale non ammette esistenza -indipendente; e però i Comuni si consideravano vassalli d’un signore, -ed obbligati verso lui a certi doveri pattuiti, siccome un uomo. Tale -dipendenza non era più del cittadino, bensì del Comune; ma coloro che -a questo non appartenessero, restavano quasi iloti, senza impiego, -nè nomi, nè le esenzioni o i privilegi degli altri. Come membri della -società feudale, i Comuni aveano il diritto della vendetta privata, in -conseguenza la guerra. Ciascuno era poi tenuto a quel solo per cui si -era personalmente obbligato; donde una grande indipendenza personale; -e il Comune provvedeva non al meglio degli individui, bensì all’oggetto -di sua formazione, cioè a francarsi dalle vessazioni. - -In conseguenza voleasi garantire la sicurezza o la prosperità -col costituire altri Comuni nel Comune, fossero quelli di nobili, -d’ecclesiastici, di borghesi, o i minori di ciascun’arte, o de’ singoli -quartieri. E ogni Comune avea vita propria, con magistrati, borsa, -leggi, tutto ordinato sempre alla propria conservazione, nè cooperante -al ben generale se non in gravi contingenze. - -Gli elementi stessi ond’eransi formati, doveano sfiancare i -Comuni, uscendo da una società costituita guerrescamente, e da una -sovrapposizione di conquiste. Da ciò confusione e mistura nei diritti; -e per tradizione o per usurpamento o concessione o pietà, chi l’uno -assumeva, chi l’altro; e v’avea possessi e contratti ed eredità a legge -romana, a salica, a longobarda[73]. Il signore feudale o il vescovo a -cui eransi sottratti, conservava diritto ad alcune tasse o a privilegi, -e a nominare il magistrato coll’assistenza dei deputati comunali. -All’arcivescovo di Milano rimaneva sottomessa la parte di città che -si chiamava il Brolo; in nome di lui si proferivano le sentenze, -quantunque non vi prendesse più parte; suo un pedaggio alle porte, -sua la zecca: privilegi ottenuti dagl’imperatori, o che forse erasi -riservati quando volontario o costretto depose l’autorità principesca -di conte della città. Quel di Genova partecipava al governo insieme coi -consoli, anche in suo nome faceansi i trattati e si segnavano gli atti, -e nel suo palazzo s’adunava il consiglio[74]. - -Volta veniva che, nel medesimo Comune, sopra certi reati avesse -giurisdizione il conte, sopra altri il vescovo; a questo pagavasi una -taglia, a quello una dogana; alla tal chiesa un canone speciale, un -altro alla comunità, un terzo all’imperatore, forse il quarto ad un -privato od al Comune confinante. Chi dunque dalla città uscisse al -territorio, passava sopra uno Stato diverso: da una città all’altra -v’era la differenza che oggi da regno a regno: che più? una città era -qualche volta divisa in due o fin tre giurisdizioni; una ecclesiastica -intorno al vescovado, una regia intorno al palazzo o al castello, una -comunale; nè di rado ciascuna era cinta di mura proprie, con porte che -si custodivano gelosamente. Qualche villaggio era diviso fra due o più -condomini, aventi ciascuno diverse gabelle, giurisdizioni distinte: -l’università godeva privilegio di foro pe’ suoi scolari, le maestranze -una giurisdizione sopra i loro consociati, il monastero sopra la tal -fiera da esso istituita: poi diritti d’asilo, poi immunità personali. -A Como il vescovo riscoteva il teloneo da’ fornaj: a Pisa la pubblica -pesa era privilegio dei Casapieri della Stadera. Talora diversi Comuni -costituivano una sola repubblica senza reciproca dipendenza, com’era -in Piemonte la Valsesia, e così i dodici cantoni della val di Maira, -sottopostisi poi ai marchesi di Saluzzo[75], e come fin oggi vediamo -ne’ Comuni de’ Grigioni. Talora un Comune ne soggiogava altri, formando -più estesa signoria. - -Uniformandosi a questa natura feudale, anche i Comuni, divenuti -persone con privilegi e rappresentanza, assunsero una bandiera propria -e uno stemma. I più dei nostri ebbero la croce, variamente colorata, -partita, campeggiata: Venezia adottò il leone del santo suo patrono; -Napoli la sirena; Sicilia le tre gambe che ricordano la forma triquetra -dell’isola; Empoli la facciata del tempio di Sant’Andrea, attorno a -cui si formò la nuova città. Milano aveva l’insegna bianca colla croce -rossa; poi ogni quartiere spiegava insegna propria, cioè porta Romana -rosso, la Ticinese bianco, la Comacina scaccato rosso e bianco, la -Vercellina rosso sopra e bianco sotto, la Nuova un leone a scacchi -rossi e bianchi, la Orientale un leon nero. Delle regioni di Roma, -quella de’ Monti ebbe per insegna tre monti in campo bianco; Trevi, -tre spade in campo rosso; Campo Marzio, la mezzaluna in rosso; Ponte, -il ponte Sant’Angelo in rosso; Parione, l’ippogrifo in campo bianco; -Regolo, un cervo in campo azzurro; Sant’Eustachio, una testa di cervo -portante la croce; Pigna, una pigna. Così delle otto compagne di Genova -quella di Castello avea per arma un castello sopra archi sormontato da -una bandiera, avente in campo bianco croce vermiglia; di Maccagnana, -partito di azzurro e bianco; Piazzalunga, scudo terzato in palo -d’azzurro; San Lorenzo, campo ondato rosso; Portoria, orlo di rosso, -e in campo un P; Sosiglia, banda di rosso in campo bianco; Portanuova, -inquartato d’azzurro e bianco; Borgo, palato in otto pezzi d’azzurro e -argento. Altrettanto dicasi dell’altre città. - -Sul vago e artistico pavimento della cattedrale di Siena vedesi, fatto -nel 1373 a pietre tessellate, un rosone, artifiziosamente intrecciato -di nove, oltre quattro tondi agli angoli del quadrato circoscritto; -e figura lo stemma di questa città, cioè una lupa che allatta due -gemelli, e attorno ad essa il nome e i simboli di dodici città amiche; -il leone per Firenze, il lupo cerviero o pantera per Lucca, il lepre -per Pisa, l’unicorno per Viterbo, la cicogna per Perugia, l’elefante -colla torre per Roma, l’oca per Orvieto, il cavallo per Arezzo, il -leone rampante con rastrello per Massa, il grifone per Grosseto, -l’avoltojo per Volterra, il drago per Pistoja; animali diversi da -quelli che esse città portavano di consuetudine. - -Monza, posseditrice della corona ferrea, la improntò sul suo suggello, -nel quale già da antico leggevasi _Est sedes Italiæ regni Modæcia -magni_. Lucca portava _Luca potens sternit sibi quæ contraria cernit_. -Verona, _Est justi latrix urbs hæc et laudis amatrix_. Padova, i proprj -confini, _Muson, Mons, Athesis, Mare certos dant mihi fines_. Bologna, -un san Pietro in pontificale, e _Petrus ubique pater, legum Bononia -mater_; e così _Urbs hec Aquilegie capud est Italie; — Est aquilejensis -fides hec urbs Utinensis; — Ferrariam cordi teneas, o sante Georgi; — -Salvet Virgo Senam quam signat amenam; — Herculea clava domat Florentia -prava_ e _Det tibi florere Christus Florentia vere_. Messina dopo i -Vespri siciliani alzò lo stendardo colla croce portata da un leone, e -il motto _Fert leo vexillum Messana cum cruce signum_. Pistoja scrive -attorno agli scacchi del suo stemma _Quæ volo tantillo Pistoria celo -sigillo_. Firenze ebbe da principio la bandiera partita bianca e rossa, -cui unì la luna rossa di Fiesole; dappoi il giglio, o piuttosto il fior -di giuggiolo (_ireos florentina_): e quando i Guelfi prevalsero, si -adottò il giglio rosso in campo bianco, mentre i Ghibellini tennero il -giglio bianco, unendovi l’aquila nera imperiale. Inalberava anche il -leone, il quale pure sta nel sigillo di Cortona colla scritta _Tutor -Cortonæ sis semper Marce patrone_. - -Spesso l’arma era parlante: come a Torino il toro rampante; a Monsumano -e Montecatino, un monte sormontato da una mano o da un catino; a Barga -una barca; a Pescia un pesce coronato. Gli animali stessi dello stemma -si mantenevano vivi nelle città, come a Venezia e Firenze i leoni, -una lionessa a Parma, gli orsi a Berna, Appenzell e Sangallo. Quando i -tirannetti s’impadronivano d’un Comune, vi univano il proprio stemma, -come i Visconti diedero a Milano la vipera; la quale poi insieme col -leone veneto entrò nel petto dell’aquila bicipite austriaca. - -Nati dal bisogno sentito di esimersi da ingiuste gravezze, non -determinati da mutua fiducia ma da mutuo timore, de’ loro poteri non -trovandosi in verun luogo la definizione e il confine, i Comuni, -siccome si erano congiurati per la difesa, congiuravansi di nuovo -per sostenere o una fazione o un capriccio; i signori per ricuperare -le giurisdizioni; i mestieri e le università per sottrarsi ai pesi -ed agli abusi: donde reciproca diffidenza, sfrenato egoismo, gelosia -che induceva a ricorrere a particolari aggregazioni di classe o di -sella, le quali generano il sentimento di corpo, tanto micidiale al -sentimento di patria. Mancando un legame universale fra tanti parziali, -si perpetuava la lotta de’ vassalli colle corporazioni tra sè, de’ -confratelli di ciascuna corporazione, delle suddivisioni di ciascun -Comune: mancando un freno e una direzione centrale, rompevano a guerre, -tenevansi armati nel cuor della pace, edificavano le case a foggia di -torri, e l’amministrazione era esercitata in mezzo e coll’aspetto d’un -perpetuo stato di guerra. - -Fondati non su libertà generali, ma su privilegi esclusivi e reciproca -gelosia, tutti i Comuni cercavano prerogative a scapito degli altri; -ciò che un tempo avevano praticato i feudatarj, allora lo facevano -essi, imponendo pedaggi e taglie ad arbitrio, servizj gravissimi -ed obbrobriosi: i magistrati municipali operavano con altrettanta -prepotenza che i feudali; i prevalenti voleano soperchiare: gli -oppressi se ne rifaceano sopra chi non fosse cittadino: l’oligarchia -rinnovava le scene dell’aristocrazia antica; anzi, nel mentre i tiranni -opprimevano l’uomo, qui toglievasi qualche volta la vita civile a -classi intere; e uno statuto milanese del Comune aristocratico, al -nobile che uccidesse un plebeo non comminava che tenue multa. - -Mal si andrebbero dunque a cercare fra quei Comuni gli esempj -della libertà politica, come oggi la intendiamo; alla quale nulla è -più avverso che lo spirito di famiglia e di paese. Onde sottrarsi -all’anarchia di piazza, i possessori cercavano stabilire qualche -ordine restringendosi col re o coll’antico feudatario, donde i partiti -interni, fomite di nuove dissensioni. Altre volte ricorsero a que’ -signorotti medesimi da cui s’erano emancipati, e questi, unita la -forza all’abilità, riuscirono a costituirsi tiranni. E tanto più che -bastavano bensì a frangere l’ingrata soggezione, e prevalere al barone -e al vescovo; ma allorchè que’ signori si collegassero, o venisse -contro di loro il re o l’imperatore, l’impeto, comunque volonteroso, di -borghesi e mercanti non valeva contro eserciti agguerriti, e bisognava -ricorrere a capitani addestrati. - -I Comuni dunque a principio crebbero a grande importanza, poi cozzarono -tra loro; e se in paesi stranieri, annodatisi intorno al monarca, -ebbero meno splendore, ma condussero all’unità nazionale, qui la -impedirono. Come in fatto si sarebbe potuto maturare la coscienza -nazionale ove ciascuna comunità avendo l’occhio soltanto a sè, nella -sua piccola indipendenza per nulla brigavasi del ben generale? anche -quando nell’universale pericolo le città s’allearono, come vedremo -nella Lega Lombarda o nella Toscana, il vincolo era troppo lasso, -troppo scarsa la civile sperienza, sicchè potessero costituire una -regolata federazione. - -Nei patimenti aveano i borghesi invigorito il carattere per modo, da -sdegnare la servitù: ma è mai possibile arricchirsi a un tratto di -civile sperienza? Furono dunque costretti procedere tentoni, parte -servendo alle idee rimaste delle antiche istituzioni municipali, -parte imitando l’ecclesiastica gerarchia, poi innovando via via che -il bisogno si sentiva o cadeva l’opportunità. Ma se non riuscirono -a coronare l’edifizio civile, niuno corra ad incolparli prima di -riflettere che costoro erano un pugno di popolani inermi e disorganati, -ignari della guerra come della politica, circondati da villani -rozzissimi e incalliti al servire, contrastati dall’autorità regia, -dalla signorile, dalla sacerdotale; talchè ci dee piuttosto toccare di -grata meraviglia che essi abbiano osato ripudiare la servitù e aprire -la nuova era del popolo. - -E immensi furono i vantaggi venuti dai Comuni, chi li guardi meno -come rivoluzione politica, che come sociale. Mentre la scala degli -antichi proprietarj scendeva dal barone o valvassore fino al semplice -fittajuolo, quella dei redenti si elevava dal servo della gleba al -semplice libero, talchè le razze servili poterono sottrarsi dalle -nobili, per arrivare ad un’amministrazione propria e indipendente. -In siffatta comunanza d’uffizj e di servigi ribattezzavansi nel nome -di cittadini, disimparavano a tenere come unico diritto la conquista -e la forza, e obbligati ad uscire dall’angusto circolo de’ personali -interessi per provvedere ai pubblici, ripigliavano la coscienza delle -magnanime cose. - - -Coi Comuni crebbe l’importanza delle famiglie e degli individui, e in -conseguenza si dovette notarli e distinguerli meglio che non si facesse -quando l’uomo non era nulla se non per la terra che possedesse, o -pel signore cui apparteneva. L’uso latino de’ nomi, prenomi, cognomi -e soprannomi, accumulati all’eccesso negli ultimi tempi[76], cadde -coll’Impero; giacchè non rimasero quasi che schiavi d’un nome solo, -e stranieri che un solo pure ne usavano. I nomi dei santi ebraici -o cristiani prevalsero ben presto, e si applicavano o mutavano nel -battesimo, il quale soleasi conferire in età già fatta, ovvero nella -cresima; talora le donne lo cangiavano al matrimonio, e frati e monache -conservarono fin ad oggi di cangiarlo all’atto del professarsi. E -poichè ai costumi antichi sta tenace la Chiesa, oggi medesimo i vescovi -non soscrivono che col nome di battesimo, e i frati si distinguono solo -dalla patria, come usava al tempo della loro istituzione. - -Per quanto scarse fossero le relazioni, è facile scorgere quanta -confusione dovesse produrre l’indicarsi l’uomo col nome soltanto[77]; -tanto più che, nelle scritture, il nome stesso ci si presenta mozzo, -diminuito, accresciuto, storpiato[78]. Vi si rimediava in parte coi -soprannomi, dedotti da qualità personali, dal luogo d’abitazione o di -provenienza, dall’impiego[79], e spesso anche beffardi[80]. - -Queste però erano denominazioni personali, che non si trasmetteano -alla parentela. Solo quando i feudi si resero ereditarj verso il -Mille, da questi si dedusse il titolo delle famiglie; donde quelli -di Ro, di Este, di Romano, di Muntecuccoli: e poichè talora veniva -da paesi tedeschi, alterandosi nel tragitto in Italia, n’è scomparsa -l’etimologia[81]. Non è però sicuro indizio d’antico possesso d’un -paese l’averne il cognome, attesochè spesso plebeamente traevasi -dalla terra da cui uno si fosse mutato in un’altra. Ma le famiglie che -spingono l’albero genealogico più indietro del Mille, e que’ cataloghi -di vescovi, di cui si nota il casato fin in antichissimo, sono vanità e -imposture. - -I Veneziani, reliquia latina, aveano ritenuto i cognomi antichi, -e tali pajono que’ Crassi, Memmi, Cornelj, Querini, Balbi, Curzj; -fin nell’800 troviamo i dogi indicati col cognome de’ Particiaci, -Candiani, Giustiniani e simili; e in una scritta del 1090 sono firmate -cencinquanta persone, a nessuna delle quali manca il cognome[82]: -Cornuinda Molino, Stefano Logavessi, Bonfilio Pepo, Giovanni de Arbore, -Sebastiano Cancanino, Manifredo Mauroceni, Stadio Praciolani, Domenico -Contareno, e così via. Anche Genova conservò molti cognomi latini: -Apronj, Asprenate, Balbi, Bassi, Bibulini, Calvini, Camilli, Carboni, -Cerchi, Clementi, Costa, Crarsi, Erminj, Fabiani, Forti, Galerj, Galli, -Galleni, Gavi, Gemelli, Giusti, Graziani, Laberj, Lena, Longhi, Lupi, -Mari, Marciani, Marini, Massa, Montani, Muzj, Natta, Nigri, Ottoni, -Palma, Pansa, Persi, Persici, Pisani, Ponzj, Ruffini, Sabini, Salvi, -Serrani, Settimj, Sertorj, Staieni, Stella, Valenti, Veri, Viviani; non -gliene mancano di greci: Bisio, Cybo, Grillo, Macarj, Medoni, Parodi, -Partenopei; e in una carta del 1117 vi si trovano nominati i buoni -uomini che presero parte a un laudo, fra’ quali Lanfranco Roca, Oberto -Maluccello, Lamberto Gezone, Uggero Capra, ed altri _quorum nomina sunt -difficilia scribere_. - -Era consuetudine nei nobili di rifare l’avo nel nipote, talora anche il -padre nel figlio, o riducendolo a diminutivo, o aggiungendo _juniore, -novello_ o simile; onde Guido Novello da Polenta, Malatestino, Ezelino -da Etzel. Siffatto nome di predilezione si trasformò spesso in casato, -onde i Pieri, i Ludovisi, i Carli, i Mattei, gli Agnesi: o adottavasi -quel d’un personaggio che si fosse distinto, come i Degiorgi, i -Delpietro: talvolta anche vi si prefisse la parola _figlio_ sincopata, -onde i Figiovanni, i Fighinelli, i Firidolfi; o il titolo, come i -Serangeli, i Serrislori. Talora nella bassa Italia, ad esempio degli -Arabi, enumeravasi tutta l’ascendenza[83]. - -A molti venne il nomignolo dalla nazione, come Franceschi, Lombardi, -Milanesi: a molti più dal soprannome d’alcuno, ridotto ereditario, -ovvero dalla sua professione o dignità; onde i Grossi, i Grassi, i -Villani, i Caligaj, i Molinari, i Calzolaj, i Sartorj, i Malatesta, -i Balbi, i Cavalieri, i Barattieri, i Fabbri, i Cacciatori, i -Ferrari, i Cancellieri, i Medici, i Visconti, gli Avvocati, e i tanti -Confalonieri e Capitanei o Cattanei. La bella moglie acquistò il titolo -ai Dellabella; ai Dellacroce un crociato; il pellegrinaggio a Roma ai -Romei e Bonromei: l’amore di re Enzo prigioniero per una fanciulla -bolognese è ricordato nei Ben-ti-voglio; un’invenzione preziosa -nei Dondi dell’Orologio. Poi il carretto, la rovere, il tizzone, la -colonna, la spada, la luna, la stella che uno assumeva per impresa -del torneo o per stemma nelle spedizioni, diventava nomignolo; come il -colore bianco, rosso, verde, nero, di cui si divisava nelle comparse, o -che distingueva la fazione. - -Son dunque i cognomi o aristocratici, dedotti dalla terra o dallo -stemma; o borghesi, derivati dal mestiero; o popoleschi, tratti dai -soprannomi; e molti rustici, dalla località o dalla coltivazione, come -i Demonte, Dell’era, Dellavalle, Delprato, Delpero, Dellavernaccia. -Si sbizzarrì poi assumendo nomi che consonassero o contrastassero col -cognome, onde Castruccio Castracani, Spinello Spinelli, Nero Neri, -Buontraverso de’ Maltraversi, e somiglianti. - -I Latini usavano lo schietto _tu_, dicevano semplicemente _Cesare -saluta Mecenate_, ed Augusto ricusò fermamente il titolo di -_dominus_, e s’adontò quando si volle offrirlo a’ suoi nipoti. Tosto -però l’accettarono i successori suoi, e fin nelle medaglie trovasi -surrogato a quel di _divus_: indi irruppero titoli più pomposi, di -_nobilissimo, felicissimo, piissimo: religiosissimo_ fu intitolato -Costante da un concilio, dopo convertiti i Donatisti dell’Africa: -poi nelle acclamazioni il senato fe gara di aggettivi encomiastici -agl’imperatori. Allora pure invalse di non parlar più alla persona loro -direttamente, ma alla _clemenza_, alla _celsitudine_, all’_eternità_ -di essi. Nell’ordinamento del Basso Impero, la gerarchia delle cariche -vedemmo distinta coi titoli d’_illustre, illustrissimo, eccelso, -chiaro_. - -Coi Barbari tornò la semplicità antica, ma al _tu_ fu sorrogato -il _voi_; il titolo di _domnus_, proprio di vescovi, abati e re, -s’accomunò a tutti i monaci; più tardi se l’arrogarono anche i laici, -raccorciato in _don_. Ambito era il nome di _cherico_, che sonava uom -di lettere, per contrapposto di _laico_ od illetterato[84]; indizio di -tempi, in cui la scienza era tutta ristretta ne’ sacri recinti. - -Nel secolo XIV, _monsignore_ intitolavasi un principe della Chiesa, -_messere_ un cavaliero e gentiluomo, e _madonna_ la moglie sua; -_maestro_ l’avvocato o magistrato o chi sapesse, il che continuano -gl’Inglesi. Nelle legazioni del Cinquecento vediamo col _tu_ trattati -ancora gli ambasciadori dalle repubbliche e dai principi; e «s’usa -comunemente (dice il Varchi de’ Fiorentini nel XVI secolo) se non -è distinzione di grado e di molta età, dire _tu_ e non _voi_ ad -un solo; e solo a cavalieri e canonici si dà del messere, come a’ -medici del maestro, e ai frati del padre». Dagli Spagnuoli ci fu poi -attaccata la prurigine dei titoli; quando Carlo V s’intitolò maestà, -moltiplicaronsi le _altezze_, e colle aggiunte di _serenissima_ e di -_reale_; l’_eccellenza_ restò ai nobili, tanto che Urbano VIII nel 1631 -trovò pei cardinali il nuovo titolo d’_eminenza_: quelli di cavaliere, -dottore, notajo, conte del sacro romano imperio furono pascolo della -vanità borghese. - -Nell’attuazione dei Comuni, tra i fatti isolati se ne consumava uno -grandissimo, l’emancipazione del servo. Sempre la religione vi si -era adoperata, e molti per pietà e per salvezza dell’anima propria -affrancavano i loro schiavi[85]. I Comuni, appena costituitisi, -aprivano asilo ai servi cui riuscisse importabile il giogo del -padrone, o a denaro li ricompravano; e quando movessero in armi contro -i baroni del contorno, li sollecitavano a vendicarsi in libertà, -sicchè fuggendo lasciavano questi indeboliti, mentre invigorivano la -città. Si estesero le manomessioni, e talvolta vennero affrancati -tutti gli abitanti d’un borgo, o certe professioni. Così a Bologna -nell’anno 1256 il prefetto Bonacursio raduna anziani, consoli, maestri -dell’arti e dell’armi, e tutti i membri del grande e del piccolo -Consiglio, e propone si liberino i servi e le serve del Comune tutto. -Passato il partito, si stanzia chi ne possiede li venda al prefetto -e al pretore, per soldi dieci se di quattordici anni, otto se meno, -sborsati dall’erario; e furono annoverati tra i fumanti, coll’obbligo -di dare certa quantità di grano[86]. Erano descritti in un libro -chiamato _Paradisum_ dalla parola con cui cominciava, e dove esponeasi -la creazione dell’uomo, il peccato, la redenzione, per la quale gli -uomini son rifatti liberi: laonde _Civitas Bononiæ quæ semper pro -libertate pugnavit_, avea redenti a prezzo i servi, _statuens ne quis, -adstrictus aliqua servitute, in civitate vel episcopatu Bononiensi -deinceps audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis, quæ -redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento aliquo servitutis, -cum modicum fermentum totam massam corrumpit, et consortium unius -mali bonos plurimos dehonestet_. Un atto solenne del 1289 appella -a uno statuto del Comune di Firenze, pel quale, essendo di naturale -diritto la libertà individuale e il non dipendere ciascuno che dal -proprio arbitrio, laonde le città pure e i popoli si schermiscono -dall’oppressione, e i proprj diritti difendono e sviluppano, veniva -provveduto che nessuno, di qual paese o condizione si fosse, potesse -comprare, o altrimenti acquistare coloni, servi, censiti, nè angherie o -altro vincolo alla libertà delle persone[87]. Due anni dopo, la legge -fu confermata, perdonando a quei che l’avessero trasgredita per lo -addietro. - -Erano tentativi isolati, come ogn’altra cosa di quel tempo; nè un -generale provvedimento per abolire la schiavitù mai fu preso: pure si -vedono scemare i servi personali nel XII e XIII secolo, succedendovi -i famigli o servi moderni, i quali a volontà possono togliere congedo -dal padrone. Le chiese, che erano state di tanto sollievo agli schiavi, -furono di ritardo alla totale loro affrancazione, atteso che non -credeansi in diritto d’alienare le proprietà, delle quali l’attuale -investito si considera solo utente: la stessa larghezza con cui li -trattavano, facea non si trovasse tale schiavitù ripugnante all’umanità -e alla religione. Perciò servi della gleba in Italia trovanti ancora -nel secolo XIV. - -Nei capitoli del 1296 di Federico I d’Aragona pel legno di Sicilia, -frequente memoria ricorre di schiavi anche cristiani; del qual tempo -anche lettere papali e contratti ne menzionano: tra i Veneziani -ne incontriamo eziandio nel seguente, come nel Friuli sottoposto -al patriarca d’Aquileja[88]. Del 1365 abbiamo un contratto, ove -uno schiavo consente di passare da uno ad altro padrone[89]. Fra i -provvedimenti fatti per sostenere la guerra di Chioggia, s’imposero -tre lire d’argento il mese per ogni testa di schiavo; anzi nel 1463 -i Triestini obbligavansi a restituire ai Veneziani i loro schiavi -disertori[90]. - -A contatto con paesi non cristiani, i nostri poterono trarne di là, o -imparare a tenerne per lusso, talchè la schiavitù si prolungò sotto la -forma domestica. Gli statuti di Lucca fin nel 1537 dichiarano che il -padrone d’una schiava può costringere il violatore di essa a comprarla -pel doppio valsente, oltr’essere multato in cento lire. Le leggi -genovesi opponeansi al trasportare gli schiavi in terra d’Egitto[91]; -ma il divieto si eludeva col recarli a Caffa, dove il soldano spediva -a farne accatto, giovandosi della franchigia di quel porto. Lo statuto -criminale di Genova del 1556 pronunzia pene contro chi ruba schiavi, -e considera il servo qual proprietà del padrone[92]: quello dell’88 lo -tiene qual mercanzia, e caso che devasi far getto, si riparta il danno -_per æs et libram_ all’antica, _comprehensis pecuniis, auro, argento, -jocatibus, _servis masculis et fœminis, equis et aliis animalibus_. -Probabilmente questi tardi servi erano di gente infedele, e massime -prigionieri musulmani, quando la tolleranza religiosa neppur di nome -si conosceva. Altre volte i soldati per abuso della vittoria vendevano -schiavi i vinti, come i ribaldi dello Sforza fecero nel 1447 coi -Piacentini: alla schiavitù condannavano pure le scomuniche. N’era però -sempre tenuissimo il numero: come eccezione si notavano nel catasto -delle città; e voglionsi intendere piuttosto come dipendenti, giacchè -il famoso Bartolo a’ suoi tempi già dichiarava che servi propriamente -detti non v’erano più. - -Nei Comuni adunque non s’ebbero i vantaggi rapidi d’una subitanea -e radicale rivoluzione; ma neppure la terribile responsalità -d’un’insurrezione fallita. Riuniti per la resistenza, ponendo questa -per primo dovere e mezzo e scopo, invece di sistemare aveano a -distruggere, invece di fondare sconnetteano. Nella lotta si vince, ma -l’odio sopravive e diventa seme di discordie; i dinasti mal frenati si -rialzano per soggiogare i Comuni; i re ingrandiscono favorendo questi; -la spada prolunga la guerra contro l’industria e la capacità. Que’ -mali passarono, ma restano gli effetti; resta la rivoluzione da loro -operata, perpetua e legittima come quelle che migliorano la sorte delle -classi numerose: lo schiavo non è più cosa, ma uomo, dall’impersonalità -sollevato ad avere nome proprio e responsalità: nè sforzi e sangue -e rovine pajono soverchi a questo fine sacrosanto. Dove a pochi è -data la forza e l’intelligenza, facile è guidar la moltitudine: dove -tanti esercizj s’aprono alle facoltà morali e intellettive, come -avviene nelle fazioni, grandemente sono eccitati gl’ingegni, e ne -esce una gente operosa, accorta, che cerca e trova mille occasioni di -segnalarsi: e l’uomo dall’angustia degl’interessi domestici volgendosi -alle pubbliche cose, mentre cresce di pratica, nobilita le passioni, -dilata l’accorgimento, scopre e pondera i diritti. Che se a noi -Italiani i Comuni non lasciarono una patria, lasciarono la dignità -d’uomini; ed offrono nella storia moderna le prime di quelle pagine, -tanto attraenti, dove si vede un popolo travagliarsi contro i suoi -oppressori, ingrandire col proprio coraggio, rassodarsi con opportune -se non sempre savie istituzioni. - - - - -CAPITOLO LXXXIII. - -I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori. Ruggero re di -Sicilia. Arnaldo da Brescia. - - -Sciolta la servitù della gleba, raccolti sotto un’amministrazione e una -giudicatura sola i tre ordini ridetti cittadini, e da tutti scegliendo -i consoli, e una specie di unità ricevendo dalla supremazia del papa, -l’Italia trovavasi in essere di nazione assai più che non la Francia -o la Germania. Non condensata, è vero, intorno ad una reggia, ma -vigorosamente ripartita attorno ai tre centri d’autorità, il castello, -la chiesa, il palazzo comunale, sarebbe camminata ad altissime fortune -se gl’imperatori non l’avessero scompigliata col crearsi un partito. - -Deboli erano questi, in Germania osteggiati dai maggiori feudatarj, -che aspiravano alla sovranità territoriale; e in Italia dai papi -nel lungo certame delle Investiture. Enrico V, ambizioso ed avido -ma operoso, accorto, sprezzatore della pubblica opinione, poco -sopravisse all’accordo di Worms col papa, e in lui si estinse la -stirpe francona, che avea per un secolo dominato la Germania. Lotario -II datogli successore (1125), rassegnò il suo ducato di Sassonia, e -molt’altri possedimenti al genero Enrico di Baviera, della casa Guelfa: -glieli disputò Federico il Losco di Hohenstaufen duca di Svevia, uno -degli aspiranti al trono germanico: sicchè fra le due case cominciò -l’inimicizia, che, dopo mutato natura ed oggetto, sconvolse Germania e -Italia sotto il nome di Guelfi e Ghibellini. - -Questi ultimi traevano il nome dal castello di Waiblingen nella -diocesi di Augusta, appartenente agli Hohenstaufen; gli altri dalla -famiglia bavarese dei Guelfi d’Altdorf. Azzo, marchese di Lombardia, -morendo centenario nel 1097, avea lasciato tre figli: Guelfo, che, -come nato da Cunegonda erede dei Guelfi di Baviera, andò a ducare -questo paese, e divenne stipite della casa di Brunswick, salita poi al -trono d’Inghilterra; Ugo si condusse alla peggio, e vendè le proprie -ragioni all’altro fratello Folco figlio di Garsenda principessa del -Maine, e progenitore dei marchesi d’Este in Italia. Signoreggiava -egli il paese dal Mincio fin al mare, cioè Este, Rovigo col Polesine, -Montagnana, Badia, oltre molte terre nella Lunigiana e nella Toscana. -Guelfo ne pretendeva una porzione; e venuto a ripeterla coll’esercito, -collegandosi al duca di Carintia e al patriarca d’Aquileja, di molti -paesi s’impadroni: infine fu stipulato che la linea di Germania tenesse -un terzo della città di Rovigo e la terra d’Este, senza pregiudicare -alle pretensioni che ostentava sull’eredità della contessa Matilde. - -Da questa linea proveniva Enrico, che per la cessione di Lotario era -divenuto il più ricco signore d’Europa e il più potente di Germania, -tenendo una serie di paesi dal mar Baltico al Tirreno. Ma dalla parte -ghibellina Corrado duca di Franconia, fratello di Federico il Losco, -aveva redato di qua dell’Alpi i beni allodiali della casa Salica, e -scese in Italia cercandone la corona. Un principe non d’altre forze -provveduto che di quelle somministrategli dal paese, non poteva riuscir -pericoloso alla nascente libertà, onde fu il ben arrivato. A Milano -lo storico Landolfo di San Paolo e il cavaliere Ruggero de’ Crivelli, -deputati dall’arcivescovo Anselmo, discussero le ragioni dei due -principi emuli davanti al popolo, il quale indusse il metropolita a -coronar re Corrado (1128): molte città gli prestarono omaggio e doni; -ma Pavia, Novara, Piacenza, Brescia e Cremona stettero contrarie a -Milano, fin a dichiararne scomunicato l’arcivescovo che aveva unto -l’usurpatore; anche la Toscana repugnò da lui; e Onorio II papa, che -aveva riconosciuto imperatore Lotario, scomunicò questo pretendente. -Il quale tentò invano occupar Roma; sicchè gli stessi che s’erano -chiariti a lui favorevoli per farsene un appoggio, l’abbandonarono -quando il videro incentivo di guerre. Maneggiatosi alcun tempo, egli -si riconciliò con Lotario, e dopo essere stato a carico de’ Milanesi -e Parmigiani, partì dall’Italia covando contro i Comuni lombardi un -dispetto che trasmise al nipote Federico Barbarossa. - -Essi Comuni, appena costituitisi, esercitavano nimicizie un -contro l’altro; e particolarmente in quel piano che dalle alpi -Retiche e Leponzie declina sino al Po ed al mare, ricco di nove -città indipendenti, Como, Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, Crema, -Cremona, Pavia, Novara, frequenti appigli di risse porgeano i -terreni confinanti, le rivalità di mercato, la comunanza delle -acque irrigatorie. Presosi quel diritto del pugno, cioè della guerra -particolare, che fin là avevano esercitato i feudatarj, i Comuni, -non compressi da superiorità materiale, non da morale ritegno, -abbandonavansi a quella ostilità di vicini a vicini, che sembra -inesorabile maledizione degl’Italiani. Non avevano ancor finito di -abbattere i conti rurali, e già rompevano guerra (1110) Cremona a Crema -e Brescia, Pavia a Tortona, Milano a Novara e Lodi; l’ambizione e la -forza davano ai poderosi il desiderio e l’ardire di opprimere i deboli. - -Pavia, memore di essere stata sede dei re goti e longobardi, e Milano -superba d’antichità, di vasto territorio, di popolazione maggiore -e della superiorità metropolitica, gareggiavano di preminenza, e -si contrariavano in ogni fatto. Nella lite delle Investiture Pavia -propendeva alla parte imperiale, alla pontifizia Milano, con cui -parteggiarono Lodi, Cremona, Piacenza; e per insinuazione della -contessa Matilde, giurarono lega di vent’anni onde osteggiare re -Enrico, e sostenere Corrado quando al padre si ribellò. Le due -parti erano equilibrate di forze; e poichè nessuno stabile nodo le -congiungeva, era sicura della vittoria quella che arrivasse ad isolar -la rivale. In fatto, secondo preponderasse una parzialità o l’altra, -le città mutavano bandiera; e girati pochi anni, a Milano troviamo -unite Crema, Tortona, Parma, Modena, Brescia (1117); mentre con Pavia -parteggiavano Cremona, Lodi, Novara, Asti, Reggio, Piacenza. - -Quella mescolata che allora si faceva delle prerogative secolari colle -ecclesiastiche, portava a nuove scissure. Crema col suo contado, che -chiamavasi Isola di Folcherio, era stata a giurisdizione de’ marchesi -di Toscana, fin quando nel 1098 la contessa Matilde ne fe cessione al -vescovo e alla città di Cremona. Tale dipendenza spiacque ai Cremaschi, -che coll’armi assicurarono la propria libertà: ma di qui cominciarono -nimicizie lunghe e vergognose[93]. - -Milano pretendeva non solo alla superiorità che il suo metropolita -traeva dal posto gerarchico, e per cui ordinava i vescovi della -provincia e li convocava a concilio; ma che a lui competesse anche -l’eleggerli, mentre le chiese particolari tenevano gelosamente -al diritto antico di nominare i proprj pastori. Da ciò elezioni -tempestose, contrastate, doppie, complicate dall’appoggio del papa -e dell’imperatore, e per le quali il litigio delle Investiture dalle -sommità sociali scendeva fin a contingenze affatto particolari. Per -simili ragioni, e insieme per gelosia del ricco mercato che vi si -teneva, i Milanesi campeggiarono Lodi, rinnovando le ostilità, cioè -lo sperpero della campagna e la rapina delle messi per quattro anni, -in capo ai quali ridottala per fame, la smantellarono (1111); gli -abitanti dissiparono in sei borgate del contorno, sottoposte a rigide -condizioni; sciolsero il ricco mercato, nè Lodi-vecchio risorse più. - -Eguale contesa per l’elezione dei vescovi cagionò la guerra di Milano -contro Como, descritta da un rozzo poeta contemporaneo[94], dolente -di pubblicare il duolo anzichè la letizia d’un popolo da molti secoli -fiorente. Aveano i Comaschi eletto canonicamente Guido de’ Grimoldi -di Cavallasca; mentre il milanese Landolfo da Carcano, destinatovi da -Enrico V, si fece ordinare dal patriarca d’Aquileja, parziale d’esso -imperatore; intruso di rapina nella sede, procurava mantenervisi ad -onta del popolo, e fortificatosi nel castello di San Giorgio presso -Maliaso sul lago di Lugano, scialacquava in privilegi e donazioni -il patrimonio della mensa. Risoluti a tor di mezzo lo scisma e lo -sperpero, i consoli comaschi Adamo del Pero e Gaudenzio da Fontanella -coi vassalli di Guido vi assalgono Landolfo, e fattolo prigione, lo -consegnano a Guido. Essendo nella mischia rimasto ucciso Ottone insigne -capitano milanese (1116), Giordano da Clivio arcivescovo di Milano, -invece d’insinuare pace e perdono, espone alla basilica Ambrosiana -le vesti insanguinate e le vedove degli uccisi, le quali strillando -chiedono vendetta; e serrata la chiesa, egli dichiara resteranno -sospesi i sacramenti, finchè non sia vendicato il sangue sparso. - -In quelle assemblee tumultuose, dove la passione è unica consigliera, -e l’urlo predomina sulla ragione, fu decretata la guerra; i Milanesi, -mandato un araldo a denunziarla, assalsero Como, e incominciarono una -guerra, paragonata all’assedio di Troja per la durata, e meglio per -l’accordarsi delle forze lombarde contro una sola città. - -Il guerreggiare d’allora non conduceva a pronti esiti, come le imprese -comandate e dirette da volontà unica e robusta. Un Comune avea ricevuto -un torto, e nel consiglio erasi decisa la guerra? più giorni rintoccava -la campana, acciocchè gli uomini capaci s’allestissero d’armi; uomini -che mai non s’erano esercitati insieme, che fin allora aveano badato -ai campi o alle arti, e che non usavano nè vestire nè armi uniformi, -unicamente diretti a vincere e far al nemico il peggior male. A buona -stagione traevasi fuori il carroccio, e dietro e attorno a quello -moveva la gente contro il territorio nemico, stramenava le campagne, -sfasciava i casali, rapiva gli armenti che non avessero avuto tempo -di ridursi nel recinto della città, alla quale poi mettevasi assedio, -procurando il più delle volte prenderla per fame, giacchè, prima -de’ cannoni, le terre murate aveano sempre il vantaggio sopra gli -assalitori. Nelle guerre feudali vedemmo i soldati abbandonare il capo -a mezzo dell’impresa, allo scadere dell’obbligato servizio. Qui gli -assalitori erano gente che avevano campi, arti, famiglia, interessi, -onde mal sopportavano i diuturni accampamenti, e alla mietitura o -all’avvicinarsi della vernata tornavano a casa a rifocillarsi, per -ripigliar poi col nuovo anno la campagna. - -Di tal guisa fu condotta la guerra contro Como. I Comaschi erano -valorosissimi fra i Lombardi, come montanari e avvezzi in opra di -caccia e battaglie: e chiuso colla Camerlata e col castello Baradello -il passo verso Milano, poterono impedire gli approcci al patrio suolo. -Li secondavano gli abitanti della Vallintelvi, intrepidi petti, e -insieme abilissimi a inventare congegni militari. Maggior numero -di città prese parte con Milano, quali Cremona, Pavia, Brescia, -Bergamo, la Liguria, Vercelli colla mercantile Asti, e colla contessa -di Biandrate recante in braccio il giovane figliuolo: Novara venne -spontanea, invitata la forte Verona, e Bologna dotta nelle leggi, -e Ferrara non meno famosa che Mantova per bravissimi arcadori, e -Guastalla e Parma coi cavalieri della Garfagnana, benchè avesse guerra -con Piacenza[95]. La politica gli avrebbe stornati dal favorire la -poderosa città contro la inoffensiva, ma v’erano costretti dalla -prepotenza. Ch’è peggio, gli abitanti dell’isola Comacina e di -quei contorni si chiarirono ostili a Como, sicchè anche il lago fu -contaminato di battaglie navali. Fin a Varese si allargò la guerra e al -lago di Lugano; ardite le fazioni, alterni i successi; or una parte or -l’altra innalzavano al cielo inni per vittorie fratricide. Se non che -fra tanto ardore poca era l’abilità, pochissima la disciplina, nessuna -autorità preponderante; e come avviene nelle mosse tumultuarie, ognuno -volea comandare, nessuno obbedire. La campagna era una desolazione, -straziati i fecondi oliveti e le vigne della spiaggia, rapite le -mandre. - -Moriva intanto il vescovo Guido, causa e fomento della guerra; moriva -esortando a star saldi nella cattolica fede e nella carità e difendere -la patria. I Comaschi aveano perduto molti valorosi; soffrivano da -dieci anni di devastazione sì per terra, sì dal lago, del quale la -sponda orientale apparteneva ai Milanesi, che con tutti i loro alleati -s’accinsero all’estremo sforzo. Tratti legnami da Lecco, ingegneri e -costruttori da Genova e Pisa, strinsero dappresso la città (1127), -i cui abitanti, sprovveduti d’ogni altro riparo, l’abbandonarono -notturni, per ricoverarsi nel munito borgo di Vico; e quivi interposero -di pace Anselmo arcivescovo di Milano. E ne fu condizione, che, -salve le vite, si sfasciassero le mura e le fortificazioni della -città e dei sobborghi; Como riconoscesse Milano con annuo tributo. -Eppure i vincitori sfrenati posero a sacco e fuoco la città, menarono -in cattività agricoltori, servi, cittadini. Non s’aveano allora -guarnigioni per tener in ceppi i vinti, e perciò bisognava disperderli: -in fatto i Comaschi furono costretti abitare all’aperto, pagare -annualmente il viatico e il fodro, e smettere il solito mercato. -Ciò per altro non li privava del governarsi a comune, con leggi e -magistrati proprj. - -Di questa guerra narrammo le particolarità, come esempio di tutte -le altre allora agitate. Ne inorgoglì Milano, che poco poi osteggiò -Crema, e tutta Lombardia andava a scompiglio per fazioni interne; -laonde papa Innocenzo II s’argomentò al riparo spedendo san Bernardo, -borgognone, fondatore de’ Cistercensi ed anima della società cristiana -di quel tempo. Ne’ monasteri non voleva egli si cercasse un rifugio -contro il mondo, bensì forza di combatterlo e guidarlo; l’operosità -essere principio di salute, e perciò i monaci addestrava alle lettere e -all’agricoltura. Dottissimo coi teologi, popolarissimo coi campagnuoli, -vigilava sull’intera cristianità, maneggiava gl’interessi delle -nazioni, pur sempre ribramando la sua devota solitudine, alla quale -tornava appena avesse finito di riconciliare i re, di far riconoscere -i papi, o di spingere tutta Europa contro l’Asia; e preparava libri -che il fecero collocare allato ai santi padri, e fra gli ascetici -prediletti alle anime contemplative. Quand’egli calò in Lombardia, -accorreva la gente per udirlo, e il riceveano a ginocchi, e mettendo -fuori argento, oro, arazzi, quanto aveano di meglio; e beato chi -ottenesse un filo della sua tunica. Riuscì egli ad esaltare lo zelo, -sicchè uomini e donne si vedeano in capelli raccorci e vesti dimesse, -e sulle tavole acqua invece dei vini generosi; liberati prigionieri, -emendati i costumi, e ciò che più era difficile, ristabilita -dappertutto la pace. I Milanesi, meravigliati all’unione di tanto -senno con tanta bontà, il voleano arcivescovo (1135); ma egli, per cui -i gradi e le comparse erano una condanna, s’affrettò di tornare alle -maschie voluttà della solitudine penitente, lasciando presso Milano -il monastero di Chiaravalle, dal quale e dagli altri di Morimondo -e di Cerreto i Cistercensi tolsero a sanare le pantanose pianure, -introducendovi i prati irrigatorj, la fabbrica de’ formaggi e la -coltivazione del riso. - -Non avea fatto che partire Bernardo, e gli sdegni ribollirono; e -Cremona e Pavia, dove l’eloquenza di lui poco aveva approdato, si -ritorsero contro Milano. Il vescovo pavese guidò le milizie; e i -Milanesi non solo lo sconfissero, ma lui stesso fecero prigioniero -con molti de’ suoi, i quali rimandarono colle mani legate al tergo, e -attaccato un fascetto di fieno acceso tra i fischi plebei. Tornarono -i Pavesi alla riscossa, ma a Maconago furono rotti ancora. I Milanesi -portarono pur guerra a Novara e Cremona, la quale oppose loro il -castello di Pizzighettone sull’Adda. Violenze che partorivano violenze, -e colle violenze doveano finire. - -Quel che intitolavasi regno d’Italia era diviso tra molti feudatarj, -quali il marchese di Monferrato tra gli Appennini, il Po e il Tànaro; -il marchese del Vasto, che poi fu detto di Saluzzo, fra il Po e le alpi -Marittime; ai quali due s’interponeva il contado d’Asti, e accanto quel -di Biandrate che dominava il Canavese fra la Dora Riparia e la Baltea. -Gl’imperatori, per assicurarsi il passo in Italia, aveano sottoposto a -duchi tedeschi anche il pendio meridionale dell’Alpi; onde la Baviera -stendeasi fin a Bolzano, cioè di qua dall’alpi Retiche che ci separano -dai Tedeschi; i Guelfi e il ducato d’Alemagna fino a Bellinzona, di -qua dalle Lepontine; quel di Svevia fino a Chiavenna, di qua dalle -Retiche; le alpi Giulie erano a dominio del duca di Carintia, al quale -furono recate la contea di Trento, e le marche di Verona, d’Aquileja, -d’Istria, tenendo in rispetto la Lombardia da un lato, dall’altro -gli Ungheresi. Ma i re tedeschi, intenti ad assicurare la prevalenza -della gente germanica sopra la slava, vollero estenuare la Carintia, -sicchè abbondarono di concessioni col Veronese, che poi da quella restò -separato del tutto quando i patriarchi d’Aquileja ebbero la sovranità -del Friúli, poi dell’intera Istria, succedendo alle famiglie ereditarie -degli Eppenstein, Sponheim, Andechs. Allora Verona, tornata italiana, -maturò pur essa i germi repubblicani, sotto un vescovo cui dava -importanza il custodire gli sbocchi dell’Alpi e il passo del fiume, che -coprono l’Italia dai Tedeschi. - -Il marchese Obizzo Malaspina, oltre la Lunigiana, avea possessi nel -confine di Cremona, e da Massa presso il Lucchese fino a Nazzano presso -Pavia: tratto di settanta miglia[96]. La Casa savojarda di Morienna -usciva dalle sue valli allobroghe per allargarsi sempre più di qua -dall’Alpi, occupando i marchesati d’Ivrea e di Susa; e Ulrico Manfredi, -al tempo d’Enrico I, possedeva dall’alpi Cozie fin alla riviera di -Genova, e da Mondovì ad Asti: la qual città era signoreggiata da un -suo fratello vescovo. Ma troppo spesso suddivisa per eredità, la casa -di Savoja non accennava all’importanza che trasse più tardi dalla sua -postura. - -Nell’Appennino toscano avanzavano conti e marchesi e molti dominj -immuni di nobili; ovvero monasteri, badie, beni vescovili isolati, -sceveri dal movimento repubblicano. La potenza dei marchesi, poi della -contessa Matilde, avea nell’Etruria frenato le fazioni, e assicurato -il predominio papale, sicchè rado o non mai s’era veduto un vescovado -diviso fra due competitori. I governi liberi vi tardarono dunque -a svolgersi fin quando, disputandosi fra il papa e l’imperatore la -successione a quella signoria, i popoli, incerti a chi obbedire, furono -men soggetti ad entrambi i competitori, e nella negligenza di questi -provvidero da sè al proprio ordinamento. - -Roma offriva sempre gran mescolanza d’antichissimo e di novissimo, e -dei tre elementi di popolo, di feudo, di sacerdozio. Prefetto, consoli, -senato offrivano una costituzione repubblicana, i feudatarj e i -castelli rappresentavano il diritto della spada, il papa la sovranità; -e si urtavano e prevaleano a vicenda. Nel X secolo, tutto forza, -sormontarono i feudatarj, oligarchia turbolenta, che quasi assorbì la -ecclesiastica. Colla restaurazione degli Ottoni la nobiltà fu repressa -e il papato rialzossi, appoggiandosi però allo straniero, che riservava -a sè la moneta e la giustizia. - -I pontefici, mentre aveano assodata l’autorità su tutto il mondo, -pochissima ne godevano nella città di loro residenza. Per le ripetute -donazioni imperiali dominavano l’antico ducato di Roma, l’Esarcato -e la Pentapoli: ma erano cinti da robusti signori, quali il duca di -Spoleto nell’Ombria meridionale, nel Piceno e in parte del Sannio; a -mezzodì il marchesato di Guarnerio fra gli Appennini e l’Adriatico, da -Pésaro ad Osimo; di qui alla Pescàra quel di Camerino e di Fermo; quel -di Teate dalla Pescàra a Trivento: principi indipendenti non appena -l’imperatore avesse vôlto le spalle all’Italia. Le città poi a levante -del Lazio e a maestro della Toscana formavano altrettanti ducati sotto -vescovi e signori. La stessa campagna romana era sparsa di signorotti, -che da Palestrina, da Tùsculo, da Bracciano ne faceano infelice -governo, impedivano la coltura de’ campi, e perfino nei sepolcri di -Cecilia Metella e di Nerone, o nelle terme di Caracalla fortificandosi, -teneano serva ai loro capricci l’antica capitale del mondo: fra le sue -mura stesse, sovente una fazione dal Coliseo, un’altra dalla torre di -Crescenzio, una terza dal Pincio venivano a provocarsi. - -_Urbs_, cioè la città per eccellenza, chiamavasi Roma, e senato -il suo consiglio comunale come ai tempi di Cesare e di Scipione. -Dieci elettori di ciascuno dei tredici rioni della città, ogn’anno -sceglievano cinquantasei senatori; è probabile fossero tutti nobili, -e che alcuni formassero per turno il consiglio secreto del patrizio, -rappresentante della repubblica. Geroo, prevosto di Reichersperg, nel -1100, scrive ad Enrico prete cardinale: — I senatori romani giudicano -delle cause civili; le maggiori e universali spettano al pontefice o -al suo vicario, ed all’imperatore o al vicario di lui prefetto della -città; il quale la dignità propria rileva da entrambi, cioè dal papa -a cui fa omaggio, e dall’imperatore da cui riceve le insegne della -dignità, cioè la spada sguainata. E come coloro cui spetta guidar -l’esercito sono investiti col vessillo, così per lungo uso il prefetto -della città è investito colla spada, sguainata contro i malfattori. -Il prefetto della città poi della spada usa legittimamente a sgomento -de’ malvagi e conforto dei buoni, a onor del sacerdozio ed a servizio -dell’Impero»[97]. - -I nomi pomposi mal mascheravano il decadimento, giacchè i palazzi -si sfasciavano[98]; la liberazione di Roberto Guiscardo avea ridotto -deserti i quartieri fra il Coliseo e il Laterano, che la mal’aria finì -di spopolare; il suo territorio abbracciava angusto circuito, di là -del quale Roma trovava nemici i Comuni di Albano e di Tusculo come ai -tempi di Romolo, ed ogni primavera bisognava uscire a combatterli, e -devastare la già povera campagna. Unica ricchezza della città erano -il denaro e i forestieri che vi traeva la presenza del papa: ma -mentre questo nella restante Italia era venerato come capo del partito -nazionale e tutore della libertà, quivi era esoso come principe; spesso -n’era cacciato dai signori che ricusavano stargli dipendenti; ma il -popolo che, con vezzo non più disimparato, avea gridato _Morte_ e -_Fuori_, ben tosto ne sentiva bisogno e desiderio, e gridava _Viva_ e -_Torna_, con quegli schiamazzi plateali che stoltamente si giudicano -pubblico voto. - -Dividevano allora la città due fazioni, guidate l’una da Leone de’ -Frangipani, l’altra da Pier di Leone; e con violenze e tranelli -faticarono a dare un successore a Calisto II. I Frangipani portavano -Lamberto vescovo d’Ostia (1124), che prevalse col nome di Onorio II: -ma alla costui morte si rinnovano bucheramenti e tumulti a favore -d’un figliuolo di Pier di Leone: e sebbene i migliori s’accordino ad -eleggere Gregorio cardinal di Sant’Angelo (1130), che volle chiamarsi -Innocenzo II, gli altri vi oppongono il loro creato col nome di -Anacleto II[99], e ne nasce uno scisma scandaloso. Anacleto colle -spoglie della basilica Vaticana compra fautori ed armi; Innocenzo, che -non poteva se non tenersi nei palazzi muniti dei Frangipani, stabilisce -andarsene, e dalle navi pisane portato in Francia, in Inghilterra, in -Germania, ricevette omaggio e riverenza, giovato dall’eloquenza di San -Bernardo. La cella di questo, al concilio di Pisa, vedeasi affollata di -prelati, ansiosi di trattar seco degli affari del mondo e dell’anima. - -Per assistere Innocenzo contro l’antipapa e per frenare le città -emancipate, Lotario imperatore (1133) calò dall’Alpi, non accompagnato -da verun cavaliere di Svevia nè di Franconia, ed avendo per -portastendardo quel Corrado, che dianzi aveva accettato la corona -d’Italia. Ma a Milano si vide chiuse le porte in faccia, essendosi -Anacleto amicato quell’arcivescovo Anselmo, scomunicato da Onorio II, -talchè non potè farsi coronare re d’Italia; a Roma Anacleto respinse il -competitore, fortificandosi in Vaticano, mentre Innocenzo doveva munire -il Laterano, ove coronò Lotario. - -Messa allora in campo la controversia dell’eredità della contessa -Matilde, fu conciliata con questo patto, che Innocenzo investisse -Lotario vita sua durante, e dopo lui il duca di Baviera genero di -esso imperatore, siccome di feudi della Chiesa, alla quale dovessero -retribuire cento marchi d’argento l’anno, poi al morire dell’ultimo -tornerebbero alla santa sede. Con quest’atto l’imperatore veniva a -riconoscersi vassallo e tributario del pontefice[100]. - -La fazione d’Anacleto rialzò ben presto il capo, sicchè Innocenzo -invocò Lotario, il quale, riconciliatosi colla casa di Hohenstaufen, -tornò con maggiori forze: ma gli effetti furono poco meglio felici -che la prima volta; perchè, se Milano il favorì, gli si avversarono -Cremona, Parma, Piacenza, che egli dovette per forza ridurre ad -obbedienza. - -Restavano sempre avversi all’Impero nelle parti meridionali i Normanni, -che avendo ormai sottratte tutte le città greche ai catapani, e -occupata la nuova Longobardia, eccetto Benevento che rimaneva ai papi, -e Napoli che di nome dipendeva dai Greci, viepiù sentivano il bisogno -dei forti, l’indipendenza. Quantunque sostenitori del pontefice contro -gli stranieri, poca mostravangli condiscendenza nell’interno loro -dominio, nè si tenevano in dovere di ricevere legati papali in paesi -che essi col proprio braccio aveano sottratti agl’Infedeli o ai Greci, -e restituiti alla vera Chiesa. Urbano II erasi guadagnato Ruggero, -nominandolo legato in Sicilia (1098), cosa mai più concessa a verun -regnante, e donde derivò quel che chiamarono poi _tribunale della -monarchia di Sicilia_, cioè che esso e i suoi discendenti godessero il -titolo ed esercitassero i diritti di legati ereditarj e perpetui della -santa sede, per ciò portando nelle solennità mitra, anello, sandali, -dalmatica, pastorale[101]. Morto poi Guglielmo II duca di Puglia, anche -il dominio di qua dal Faro restò a Ruggero (1127), che così possedeva -tutto quel che fu poi regno di Napoli. - -Onorio II vide lesa la sua superiorità nel fare un tanto acquisto -senza sua adesione, ben conoscendo come il gran conte dominando la -Sicilia, la Puglia, la Calabria, avrebbe dettalo la legge a Roma. E -perchè quegli assalì Benevento, città pontifizia, Onorio lo scomunicò, -e mosse contro di esso in armi, dando perfino indulgenza plenaria -a chi perisse in quella guerra. I principali conti assecondarono il -pontefice; ma Ruggero, venuto di Sicilia con buon esercito, prese le -città primarie; e il papa, che vedeva ogni giorno diminuirsi le sue -truppe, s’accontentò d’investirlo della Puglia e Calabria. Non andò -troppo sottigliando sui diritti l’antipapa Anacleto, e bisognoso di -fautori, a Ruggero consentì il titolo di re di Sicilia, l’investitura -della Puglia, Calabria, Salerno, e la supremazia sul ducato di Napoli e -il principato di Capua; in Palermo fu celebrata la pomposa coronazione, -e restò costituito il regno delle Due Sicilie, terminando le antiche -repubbliche nel mezzodì, quando nel settentrione d’Italia sbocciavano -le nuove. - -I baroni e conti, fin allora tutti pari di potenza, mal soffersero di -vedersi imposto un superiore; e Roberto dovette star sempre coll’armi -in pugno, e con ferro, fuoco, prigioni soffogando le rinascenti -rivolte, cagionò guasti non minori di quelli de’ Musulmani. Anche -Amalfi fu costretta demolire le fortificazioni e a lui sottoporsi. -Roberto principe di Capua, primo tra i baroni normanni e che -intitolavasi _per la grazia di Dio_, vedendosi rapita l’indipendenza, -si unì coi signori che voleano difenderla e collo straticò di Napoli. -Soccombuto, andò invocare soccorsi dai Pisani, ma Ruggero colla flotta -di Sicilia e della soggiogata Amalfi assalì Napoli, il cui straticò -seppe resistere all’armi e alla fame. - -Tanta possa di Ruggero ingelosiva e gl’imperatori d’Oriente, già altre -volte minacciati dai Normanni; e Lotario, a cui esclamavano i tanti -oppressi da Ruggero; e più Innocenzo, che vedea sempre peggio rimossa -la speranza di ricuperare la sua sede. Lotario, spinto dalle preghiere -di Roberto di Capua, ed esortato da san Bernardo a toglier via lo -scisma (1137), mosse contro Ruggero, allargò Napoli, rimise Roberto in -Capua, sicchè Ruggero, perdute tutte le terre di qua del Faro, dovette -ricoverare in Sicilia. I Pisani, vedendo il bel destro di vendicarsi -dell’antica emula, con ben cento navi assalirono Amalfi, e costrettala -a cedere, vi esercitarono fieramente i diritti della vittoria. Da -quel punto (1157) Amalfi più non contò, sebbene le forme repubblicane -conservasse internamente fin quando nel 1350 i re di Napoli le -abolirono. I suoi banchi in Levante restarono deserti, od occupati da -più felici successori; a’ suoi porti non concorsero più se non i devoti -a visitare il corpo di sant’Andrea, che il cardinale Capuano rapì alla -chiesa di Costantinopoli nel 1207, e che stillava manna. Chi oggi, -andando a interrogare i tanti problemi della storia nazionale, visita -la patria di Flavio Gioja e di Masaniello sulla deliziosa riva dove il -mare frange tra Napoli e Salerno, sentesi stringere il cuore ai pochi e -luridi abituri sopravanzati colà dove sorgeva l’antica legislatrice del -Mediterraneo; e sedendo pensoso su qualche barca pescareccia nel porto -a cui affluivano le ricchezze d’Oriente, invece dell’operoso tumulto -di ottantamila abitanti, non vede che l’abbandonata negligenza di pochi -pescatori, non ode che il gemito de’ limosinanti. - -Era quello il momento di mettere al nulla il dominio de’ Normanni -se, al solito, non fossero entrate contestazioni tra i federati. -Alla presa di Salerno i Pisani recaronsi a dispetto che l’imperatore -segnasse la capitolazione senza loro intervento: poi il papa pretendeva -quella città appartenesse a lui, e volendo sminuzzare il dominio -coll’eleggere un nuovo duca di Puglia, disputavasi a chi toccasse -dargli l’investitura; alfine conchiusero gliela conferirebbero e il -papa e l’imperatore, tenendo entrambi il gonfalone. Altre controversie -nacquero per Montecassino: ma pure rappattumati, Innocenzo e Lotario -ripresero la via di Roma, ove il papa coll’armi imperiali potè -rientrare. Lotario, devastata l’Italia nell’andata e nel ritorno, se ne -partiva con poca gloria e meno frutto, allorchè morì (5 xbre) vicin di -Trento: uom prode e d’onore, amico del retto, ma non robusto quanto ai -tempi occorreva. - -Ruggero, che aveva aspettato il consueto scomporsi dell’esercito -imperiale, tornò bentosto, riprese la città senza dare ascolto a san -Bernardo, venuto consigliatore di pace: anzi pretese erigersi arbitro -fra Innocenzo e l’antipapa Anacleto; e morto questo, ne nominò un altro -(1138) in Vittore IV. Però Bernardo tanto fece, che menò l’antipapa -a’ piedi d’Innocenzo, al quale pure si sottomisero i dissidenti. Ed -egli raccolse in Laterano l’XI concilio ecumenico (1139) con duemila -prelati, ai quali disse: — Voi sapete che Roma è capitale del mondo; -che le dignità ecclesiastiche si ricevono per concessione del sommo -pontefice, siccome feudo; nè senza di ciò possono legittimamente -possedersi». - -Ivi scomunicò Ruggero, poi in persona mosse con buone armi, disposto -a guerreggiarlo se non accettasse le proposizioni di pace. Rejette -queste, attaccò il pertinace, ma incontrò sfortuna eguale al suo -predecessore Leone IX, e come lui ne trasse profitto: perocchè, caduto -prigione con molti cardinali, vide il suo vincitore gittarsegli a’ -piedi e domandargli perdono dell’averlo vinto; laonde egli conchiuse -pace con Ruggero, rinnovandogli l’investitura già avuta dall’antipapa, -purchè prestasse alla romana Chiesa l’omaggio e seicento schifati -d’oro ogn’anno[102]. Nel titolo restava eccettuato Salerno, sul cui -principato i papi ebbero sempre pretensioni; ma erano comprese Capua, -tolta al perseverante Roberto, e Napoli colle sue dipendenze, la quale, -avendo perduto in battaglia il duca, accettò di sottomettersi al nuovo -re. - -Di qui restò confermato l’alto dominio della santa sede, già da -essa acquistato mezzo secolo prima, sopra il Reame. Ruggero da nuove -vittorie, da bandi e confische cercò una legittimazione, che al secolo -nostro garba meglio che non la benedizione papale. - -A re Lotario in Germania parea dovesse succedere il guelfo Enrico, ma -prevalse Corrado di Franconia, che, abdicata la corona italica, poco -dopo andò crociato (1147) con settantamila cavalieri e innumerevoli -fanti, pochi de’ quali dopo orribili patimenti lo accompagnarono -al ritorno. Nella sua lunga assenza, i Comuni presero incremento in -Italia; e sotto diverse sembianze ma in ogni parte appariva la libertà, -e manifestavasi nel cozzarsi di Venezia con Ravenna, di Pisa e Firenze -con Lucca, di Vicenza con Treviso, di Fano con Pésaro, Fossombrone, -Sinigaglia, di Verona con Padova perchè avea stornato il letto -dell’Adige; di Modena con Bologna perchè a questa erasi data la badia -di Nonantola; di Cremona e Pavia con Milano, che già non paga della -libertà, voleva anche dominio sulle città del contorno. Mal sostenuti -dal potere imperiale, i baroni soccombevano agli sforzi de’ Comuni, -che venivano estendendo l’eguaglianza popolare; sicchè questa prevalse -anche in Toscana. Firenze, Siena, Pistoja, Arezzo primeggiavano sui -Comuni e sui dinasti limitrofi; e, secondo una lettera di Pietro -abate di Cluny a re Ruggero, «miserabile era l’aspetto della Toscana, -confondendosi le cose umane e le divine; città, castelli, borgate, -ville, strade pubbliche, fin le chiese erano esposte a omicidj, -sacrilegi, rapine; pellegrini, cherici, monaci, abati, preti, vescovi, -patriarchi v’erano presi, spogliati, battuti, uccisi»[103]. I principi -normanni reprimevano a mezzodì il movimento repubblicano; ma non -che favorissero gl’imperatori, stavano in sospetto delle antiche -pretensioni che potessero addurre contro il recente loro dominio. - -In ogni parte la podestà imperiale era dunque in calo: nè prosperava la -pontifizia, alla quale nuovo genere di sfide recò Arnaldo da Brescia. -Educatosi in Francia alla scuola di Abelardo, libero pensatore, più -rinomato per gli amori e le sventure sue che per l’ardimento del -suo eclettismo, Arnaldo fu prima guerriero, poi monaco, e cominciò -a propagare in Italia le dubitanti e negative idee del suo maestro, -e censurare la depravazione del clero. Bel parlatore, e ascoltato -avidamente com’è sempre chi esercita la maldicenza, prese a battere -la potenza ecclesiastica; repugnare al buon diritto che il clero -possedesse beni, e regalie i vescovi, mentre avrebbero dovuto vivere -all’apostolica di decime e di oblazioni, restituendo i possessi al -principe cui appartenevano[104]; e in ciò metteva convinzione ed -entusiasmo maggiore che non que’ novatori, i quali più tardi sull’orme -sue vennero a scassinare col ragionamento il regime cristiano dello -Stato e della Chiesa. Paragonava egli i Governi d’allora colle antiche -repubbliche, sogno o delirio perpetuo degl’Italiani, che allora veniva -infervorato dai rinnovati studj classici de’ giureconsulti. Volentieri -lo ascoltavano i laici, che tenendo feudalmente privilegi dai vescovi, -bramavano rendersene indipendenti; e i _Politici_, come si chiamavano -i suoi fazionieri, crescendo più sempre di numero, scotevansi -risolutamente dall’obbedienza del papa. - -Era questo venuto in ira anche ai popolani perchè, essendosi rivoltati -i cittadini di Tivoli e avendo sconfitto in malo modo i Romani, esso -gli assalì da vero, e coll’assedio li costrinse a capitolare, ma non -sterminò le vite e le mura loro. Imprecando dunque a tale benignità -col solito titolo di tradimento, i Romani traggono tumultuosi al -Campidoglio (1141), e come pegno della rinnovata repubblica rintegrano -il senato di cinquantasei membri, e in nome di questo e del popolo -romano intimano guerra ai vicini. Innocenzo morì prima di poterli -domare (1143); e Celestino II, succedutogli per pochi mesi, tolse -a perseguitare Arnaldo, benchè già amico suo, e che, mal sorretto -dalla volubile aura vulgare, fuggì a Zurigo, prevenendo Zuinglio nel -predicare contro la Chiesa, poi in Francia, in Germania, inseguito -dappertutto dall’occhio e dalla voce di san Bernardo. - -Le famiglie primarie dei Pierleoni e dei Frangipani, fin allora -nemiche, si mettono d’accordo per umiliare la fazione democratica e -svellere l’ordine repubblicano: ma i popolani, guidati dalla nobiltà -inferiore, invocano l’immediata sovranità dell’imperatore, qual soleva -ai tempi di Roma antica. Lucio II papa (1144), che in processione -armata marciava al Campidoglio per isnidare i nuovi magistrati, è -respinto a sassi, così che ne muore. Imbaldanzì la fazione avversa, e -a fatica si potè nominare Eugenio III discepolo di san Bernardo (1145), -il quale, per non dovere a forza riconoscere il senato, fuggì di Roma. -Arnaldo soldò duemila Svizzeri, e questa forza mercenaria condusse a -raffermare la magistratura repubblicana del Campidoglio. Proponevasi -egli istituire un ordine equestre, medio tra il popolo ed il senato, -ristabilire i consoli e i tribuni, insomma con una pedantesca e -intempestiva restaurazione del passato ingrandire l’autorità imperiale, -mentre il papa restringeva ai soli giudizj ecclesiastici. - -Il vulgo è facile a credere che cogli antichi nomi ritornino le antiche -grandezze; e coll’entusiasmo dell’applauso accoppiando al solito -l’entusiasmo del furore, abbatte le torri e i palazzi dei nobili -avversi e de’ cardinali, non senza ferirne alcuni, abolisce la dignità -di prefetto di Roma per nominare patrizio Giordano, fratello d’Anacleto -antipapa, ed obbliga tutti a prestargli giuramento. Eugenio, tentata -invano la riconciliazione, scomunicò costui; poi, unite le sue forze -con quelle di Tivoli, costrinse a tornare all’obbedienza, e fu accolto -con tante feste, con quante n’era stato escluso[105]. Breve trionfo: e -ben tosto costretto uscirne di nuovo, passò in Francia a sollecitar la -crociata; mentre i repubblicani chiamavano Corrado III, vantando non -avere operato ad altro fine che per restituire l’Impero nella grandezza -che aveva sotto Costantino e Giustiniano, e perchè egli ricuperasse -tutti gli onori che gli competevano e gli erano stati usurpati; avere -perciò demolito le fortezze dei prepotenti; venisse in persona a -compier l’opera, collocare sua sede in Roma, e abbattere i Normanni -fautori del papa[106]. - -L’imperatore, mal fidandosi a quel popolo leggero, provvide di truppe -il pontefice; che con queste e con altre di Francia piantossi a -Tusculo, e da quei terrieri e dai Normanni sostenuto, potè rinnovare -i patti col popolo, lasciandogli il senato, ma nominando egli stesso -un prefetto, giusta la prisca consuetudine. Però se il popolo voleva -conformare lo statuto ai concetti di Arnaldo e della storia, senza -sgomentarsi delle idee classiche sopra l’illimitata autorità del -principe, l’alta nobiltà desiderava mantenere la condizione feudale, -impedendo e ai papi di dominare e al popolo di emanciparsi. Continuò -la repubblica sotto Anastasio IV; ma Adriano IV inglese (1153-54), -avendo la plebe assassinato il cardinale di Santa Pudenziana, diede -lo straordinario esempio di interdire la capitale del cristianesimo -finchè Arnaldo non fosse espulso. Il popolo sgomentato, massime che -s’avvicinava la pasqua, cacciò Arnaldo, che rifuggì presso un conte di -Campania. - -Anche Ruggero, che teneva carezzati i pontefici sol in quanto gli -giovavano, poco avea tardato a venire in nuova rotta con essi, ne -devastò le terre, guerreggiò e depredò Montecassino. Guerra più -gloriosa recò ai Barbareschi d’Africa, assalendo Tripoli nido di -corsari, Bona, Tunisi, e menandone schiave le donne in Sicilia. -Gl’imperatori d’Oriente non cessavano di credere usurpati a sè i -possessi de’ Normanni, e li molestavano; onde Ruggero mandò un’armata -verso l’Epiro, prese Corfù, Cefalonia, Corinto, Negroponte, Atene, -asportandone immense ricchezze e persone da ripopolarne la Sicilia, ma -specialmente operaj di seta. L’imperatore bisantino, cognato di Corrado -III, sollecitava questo a venire in Italia e rintuzzare il baldanzoso -Normanno; intanto egli medesimo faceva grosse armi, e col soccorso de’ -Veneziani assalse Corfù; ma Ruggero ardì spingersi a Costantinopoli, -gettando razzi incendiarj contro il palazzo imperiale. Pure Corfù gli -venne tolta, e la sua flotta battuta dalla veneta e genovese. - -Corrado accingevasi a calare in Italia per la corona, e insieme per -guerreggiare Ruggero (1152), quando morì a Bamberga, si volle dire -avvelenato da medici della famosa scuola di Salerno, ch’erano rifuggiti -a lui fingendo paura di Ruggero. - - - - -CAPITOLO LXXXIV. - -Federico Barbarossa. - - -Federico di Buren, feudatario della Svevia, che oggi diciamo Baviera, -Baden, Würtenberg, a poche miglia da Goeppingen fabbricò s’un’altura -un casale, detto perciò Hohenstaufen, donde trasse il titolo la sua -famiglia. Quanto coraggioso, tanto fu leale verso l’imperatore Enrico -IV, che in compenso gli diede il ducato di Svevia e la mano di sua -figlia Agnese. Morendo vecchissimo, lasciò due figli, Federico e -Corrado, il primo de’ quali fu investito da Enrico V de’ feudi paterni, -l’altro della Franconia (1137), e fu anche coronato re d’Italia dai -Milanesi (pag. 90), ed eletto imperatore da alcuni, poi da tutti -alla morte di Lotario di Sassonia. Morendo lasciò un figliuolo, ma -conoscendo non esser tempi da fanciulli, raccomandò un figlio di suo -fratello, Federico di nome, di soprannome Barbarossa. Alla dieta di -Francoforte, dai principi dell’Impero e da molti baroni di Lombardia, -di Toscana e d’altri paesi italici eletto re (1152), coronato in -Aquisgrana, mandò ad Eugenio III e all’Italia notificando la sua -elezione, che fu generalmente aggradita, anche nella speranza ch’egli -riconciliasse Guelfi e Ghibellini, giacchè, capo di questi pel padre, -per madre era nipote di Guelfo di Baviera, capo degli altri. - -Sul fiore dei trent’anni, già era famoso nelle battaglie, ne’ tornei, -nelle crociate; saldo d’animo e di corpo, pronto d’ingegno, di memoria -prodigiosa, dolce nel favellare, semplice nei costumi, paragone di -castità, provvido ne’ consigli, valentissimo in opere di guerra, dai -Tedeschi vien noverato fra i principi più insigni; certo fu de’ più -robusti caratteri del medioevo; proteggeva i poeti e verseggiava egli -stesso, sapeva di latino e di storia, e volle che dal cugino Ottone -vescovo di Frisinga fossero scritte le sue geste[107]. Offuscava -tante doti coll’ambizione e l’avarizia, o almeno così qualificarono -gl’italiani il suo desiderio di ristabilire qui la regia prerogativa, -e d’ottenerne i mezzi, cioè il denaro. Certamente a una profonda idea -del dovere come egli lo intendeva, sagrificava interessi, sentimenti, -pietà; e dovere supremo pareagli il rintegrare l’autorità imperiale, -come tipi di questa togliendo Costantino e Giustiniano nell’aspetto -ch’erano presentati dalla risorta giurisprudenza romana; e le idee -sistematiche proseguiva coll’ostinatezza propria della sua nazione. Di -qui le città, acquistato vigore, meno docili si manifestavano; di là -la Chiesa aveva dimostrato la sua indipendenza, almeno in diritto; i -baroni si tenevano in armi per assicurarsi la supremazia territoriale; -e Federico si propose di frangere tutti questi ostacoli col riformare -il sistema ecclesiastico e il feudale, e abolire i Comuni. - -Coronato appena, ecco deputati del pontefice a pregarlo di soccorsi -contro i Romani rivoltosi; ecco Roberto di Capua invocare d’essere -rimesso nel principato, toltogli dal re di Sicilia; ecco cittadini -di Como e di Lodi, che, trovandosi colà per traffici, senza missione -delle proprie città se gli buttano ai piedi, cospersi di cenere e con -croci alla mano, implorando riparazione, e vendetta delle loro patrie -soccombute ai Milanesi. - -Diedero pel talento a Federico queste occasioni di assumere aspetto -di vindice dei deboli, cui potrebbe poi a sua volta regolare; mentre -alleandosi coi forti, non avrebbe fatto che crescere a questi la -baldanza. I Lodigiani stavano talmente allibiti, che invece di saper -grado a quei loro concittadini, li caricarono d’ingiurie; a Sicherio, -che il Barbarossa spediva con lettere di rimprovero ai Milanesi, -non osarono fare accoglienze: di pessime poi n’ebbe costui allorchè -le presentò ai Milanesi, che le calpestarono urlando; e fu gran che -s’egli potè uscire dalle lor mani e camparsi in Germania. Dello smacco -s’inviperì Federico; e i Lodigiani vollero mansuefarlo collo spedirgli -una chiave d’oro, e raccomandarsegli caldamente; anche Cremona e Pavia -gli inviarono grossi regali; Milano pure ravveduta il donò d’una coppa -d’oro piena di denaro: omaggi di paura, e i re li credono d’amore. - -Pubblicato l’eribanno, Federico coll’esercito feudale mosse verso -l’Italia, perocchè la potenza e il primato di questi imperatori -non valeano se non discendendo in persona. Per via raccoglievano -dai feudatarj immediati il donativo, il foraggio e la tangente di -milizie; mandavano ad esigere dalle città le dovute regalie; e poichè -reprimevano coll’armi i contumaci, il loro viaggio era segnato da -devastazioni. All’arrivo del re rimaneva sospesa la giurisdizione -dei magistrati feudali, ed egli in persona rendeva giustizia, e -ascoltava in appello chiunque si credesse gravato dal proprio signore -o inesaudito. Altrettanto avveniva nelle città; le quali pertanto -consideravano come di gran conto il privilegio che non entrassero nelle -loro mura i re, i quali, quanto vi stavano, erano despoti; iti che se -ne fossero, tornava ognuno a fare il proprio talento[108]. - -A questa forma calossi il Barbarossa, e truppe non minori delle sue -gli menava Enrico il Leone, de’ Guelfi d’Este. A questa famiglia -l’imperatore avea dato l’investitura della marca di Toscana, del -ducato di Spoleto, del principato di Sardegna, e dei beni allodiali -della contessa Matilde; ed Enrico, gran prode, possedendo i ducati di -Sassonia e Baviera, acquistata Lubecca, avuto il diritto di erigere -vescovadi di là dall’Elba, e adopratosi a sottoporre gli Slavi, era -riuscito de’ più potenti di Germania, nè inferiore al Barbarossa se non -perchè gli mancava la corona. - -Convocati i baroni nel solito piano di Roncaglia (1154), minacciando -spossessare del feudo chi non intervenisse, Federico vi ricevette pure -i consoli delle varie città che gli giurarono fede. Ottone vescovo, -suo storiografo, tuttochè nemico, ammirava i popoli d’Italia, i -quali nulla ritenevano della barbarica rozzezza longobarda, ma nei -costumi e nel linguaggio mostravano la pulitezza e leggiadria degli -antichi Romani. Gelosi di loro libertà (prosegue egli), non soffrono -il governo di un solo, ma eleggono dei consoli fra i tre ordini de’ -capitanei, valvassori e plebei, di modo che nessun ordine soperchii -l’altro, e li mutano ogn’anno. Per popolare le città costringono i -nobili e signorotti di ciascuna diocesi, comunque baroni immediati, a -sottomettersi alle città, e starvi a dimora. Nella milizia poi e ne’ -pubblici impieghi ammettono persino i meccanici e i braccianti; per -le quali arti esse città superano in ricchezza e potenza tutte quelle -d’oltr’Alpi. Da ciò derivano la superbia, il poco rispetto ai re, il -vederli malvolentieri in Italia, e non obbedirli se non costretti dalla -forza[109]. - -Federico incominciò ad unir le sue truppe con quelle del cugino -Guglielmo marchese di Monferrato, uno dei pochi che conservava la -feudale potenza, malgrado le città[110]; e gli diè mano ad assalire e -disfare i liberi Comuni di Asti e Chieri. - -I Milanesi, avuto sentore dei mali uffizj fatti dai Pavesi, gli -avevano assaltati senza pietà: e l’imperatore, ben vedendo che, se -avesse parteggiato coi Milanesi, questi monterebbero in tal forza -da più non obbedirlo[111], si chiarì pei Pavesi, nella loro città -prese il diadema regio, mandò guastare il territorio de’ Milanesi, -e quanti ne colse attaccò alle code de’ cavalli; soddisfece all’ira -dei Pavesi col mettere a sterminio Tortona dopo robusta resistenza; -bruciò Rosate, Galliate, Trecate, Momo, colle fiere esecuzioni sperando -incutere spavento e distorre dal resistergli. A tacere la crudeltà, fu -improvvido questo baloccarsi in fazioni parziali, invece di difilare -sopra Milano. Nè per allora fece altro che sgomentare; poi mosse su -Roma[112]. - -Ivi durava la repubblica proclamata da Arnaldo da Brescia; e i -novatori, ridotto il papa alla Città Leonina, gl’intimarono rinunziasse -ad ogni podestà temporale, accontentandosi del regno che non è di -questo mondo: ma Adriano IV repulsava quelle domande. Al venir dunque -dell’imperatore, tutti gli animi stavano sospesi. Ajuterebbe egli i -repubblicani per umiliare il papa, antico avversario dell’impero? -o vorrebbe reprimere questo slancio della gran città verso la -forma sempre prediletta in Italia, e che annichilava la prerogativa -imperiale? Federico non tardò a chiarirsi: dal conte di Campania, a cui -erasi rifuggito, richiese Arnaldo, e lo consegnò (1155) al prefetto -imperiale della città; e Roma, dalle tre lunghe vie che sboccano in -piazza Popolo, potè vedere il rogo su cui l’eretico e ribelle era -bruciato[113]. - -Non atterriti dal supplizio di Arnaldo (1155), i cittadini vollero -patteggiare con Federico prima di riceverlo in città; ed i senatori, -scesi dal Campidoglio a prestargli il giuramento, sciorinarongli una -diceria sulle antiche glorie romane, e sull’onore che gli facevano -accettando cittadino lui straniero e cercandolo oltr’Alpi per farlo -imperatore; giurasse osservar le leggi, e mantener la costituzione -della città e difenderla contro i Barbari; per le spese pagherebbe -cinquemila libbre. - -Di frasi retoriche i nostri furono sempre vaghi; ma il Tedesco positivo -ai vanti postumi oppose la presente umiliazione; lui esser loro re, -perchè Carlo e Ottone Magni gli avevano colle armi soggiogati, nè -dovere i sudditi imporre legge al sovrano, bensì questo a quelli[114]: -e mandò dietro loro un migliajo di cavalieri, che occuparono Castel -Sant’Angelo e la Città Leonina. Colà fu coronato dal papa (18 giug), -e si piegò alla rituale consuetudine di tenergli la staffa. I Romani, -ch’erano stati esclusi da quella cerimonia e costretti a rimanere -sull’altra riva del Tevere, levano rumore, e dalle grida passando ai -fatti cominciano un’abbaruffata, ove molti cittadini rimangono uccisi, -ma anche non pochi Tedeschi: gli altri al domani, per manco di viveri, -dovettero abbandonare la città. - -Tale era omai il solito accompagnamento della tedesca coronazione. -Poi le febbri romane, come spesso, fecero giustizia contro la pioggia -di ferro che la Germania versava sull’Italia[115]; e spirando il -termine prefisso ai vassalli per militare, il Barbarossa dovette -risolversi al ritorno. Non avea dunque abolito la repubblica romana, -non francheggiato le pretensioni sue sovra la Puglia. Il re di -Sicilia, avuto nelle mani Roberto di Capua, lo fe accecare, poi -sepellire in carcere; e prese o battè gli altri baroni che avevano -levato il capo fidando in Federico, il quale si volse indietro, ancora -squarciando città. I Lombardi, rincoraggiati al vederlo in ritirata, -lo bersagliarono con insistenza, e massime i Veronesi con tronchi -abbandonati alla corrente arietarono il ponte di barche, per cui -l’esercito tragittava l’Adige: poi nell’angusta valle di questo fiume -il cavaliere Alberico di Verona lo molestò con pietre, e pretendeva -da esso re ottocento libbre d’argento, e una corazza e un cavallo per -ogni cavaliere tedesco, se volesse liberamente passare; ma il palatino -Ottone di Wittelsbach lo snidò dalle alture. Federico, tornato in -Germania, della sua spedizione diede ragguaglio allo storico con una -lettera che si conserva, dove alla sconfitta trova le solite scuse, -quand’anche non la maschera sotto una sicurezza minacciosa. - -Come una molla al cessare della compressione, i Milanesi rialzano la -testa; raddoppiano lamenti i tanti cui egli avea tolto la patria; -per dispetto si vuol disfare ogni fatto di lui. Dugento cavalieri -e dugento fanti di due quartieri di Milano vanno a riporre Tortona, -che per loro amore si era sagrificata, e le consegnano la tromba da -convocare il popolo, la bandiera, e un sigillo collo stemma delle due -città, in segno d’unione. Lanciansi poi contro chi stava al segno -dell’imperatore: ma i Pavesi li sbaragliano, assalgono la città, -e v’entrano anche con due bandiere; alfine son ridotti a umilianti -condizioni, battuta Novara, spianato Vigevano, presi venti castelli del -Luganese e i fortissimi di Chiasso e Stabbio, sfasciata di nuovo Como, -punita Cremona e i marchesi di Monferrato. Anche i Bresciani ruppero -guerra ai Bergamaschi, e nell’infausta giornata di Palusco tolsero -loro, con molti prigionieri, il gonfalone, che poi spiegavano ogni -anno nella chiesa de’ Santi Faustino e Giovita. Devastazioni fraterne -punivano le devastazioni straniere. - -Il lamento de’ soccombenti arrivò di là dall’Alpi, e Federico -struggevasi di riparare la vergogna e il danno. Anco assai gli coceva -che il papa, senza sua partecipazione, avesse conferito il titolo di re -della Puglia a Guglielmo figlio di Ruggero: onde moltiplicò querele, -e proibì agli ecclesiastici de’ suoi Stati di volgersi a Roma per -collazione di benefizj nè per qual si fosse motivo. - -Federico non fondavasi più soltanto sul brutale diritto delle spade, -ma era circondato di leggisti, i quali, gonfi d’una scienza nuova, -proponevansi d’imitare gli antichi giureconsulti non solo collo zelare -le prerogative imperiali, ma col cavillar le parole e sottigliare -sulle interpretazioni. Avendo i Tedeschi arrestato un vescovo, il papa -diresse all’imperatore un richiamo, ove diceva tra le altre cose: — -Noi ti abbiamo concesso la corona imperiale, nè avremmo esitato ad -accordarti _benefizj_ maggiori, se di maggiori ne poteano essere». -Colla sofisteria di chi vuole azzeccar litigi, i legulej di Federico -pretesero il papa con ciò indicasse che l’Impero fosse benefizio, -vale dire feudo e dipendenza della Chiesa. Se ne levò dunque un rumor -grande, e trattandosene nella dieta di Besanzone, invelenì la contesa -il cardinale legato Rolando Bandinelli esclamando: — Ma se l’imperatore -non tiene l’Impero dal papa, e da chi dunque?» - -Pretensione siffatta era tutt’altro che nuova nel diritto pubblico -d’allora; ma Ottone di Wittelsbach, che portava la spada dell’Impero, -lanciolla per trapassare il legato, che a fatica si salvò, e che -ebbe ordine di andarsene senza vedere convento o vescovo per via. -L’imperatore diede straordinaria pubblicità all’incidente per eccitare -l’indignazione tedesca contro le tracotanze papali: se non che Adriano -dichiarò aver usata la parola _benefizio_ non per feudo, ma nel -senso scritturale; nè altrimenti poterla intendere chi avesse fior -d’intelletto[116]. - -Importava a Federico di venir prontamente a farla finita con questi -Comuni italiani, che ormai si risolvevano in repubbliche. Perciò la -cavalleria (che tale era principalmente la truppa feudale) d’Austria, -Carintia, Svevia, Borgogna e Sassonia scende divisa per le tre vie del -Friuli, di Chiavenna e del San Gotardo; l’imperatore medesimo conduce -per val d’Adige il fiore de’ militi romani, franchi, bavaresi, con -Vladislao re di Boemia, e conti e duchi e vescovi assai; e giunto -sul territorio milanese (1158), proclama la _pace del principe_. -Consisteva questa in regolamenti di militare disciplina, diretti a -reprimere e punire legalmente le ingiurie, affine di prevenire le -private battaglie, delle quali durava sempre il diritto. A tal uopo -si prefiggevano pene proporzionate agl’insulti che fossero provati da -due testimonj, cioè, secondo i casi, la confisca dell’equipaggio, le -sferzate, il taglio de’ capelli, il marchio rovente sulla mascella; -per gli omicidj poi la morte: che se mancassero testimonj, doveasi -ricorrere al duello; e se si trattasse di servi, alla prova del ferro -rovente. A protezione del commercio si statuì che il soldato il quale -spogliò il mercante, renda il doppio, se pur non giuri non conosceva -la condizione del derubato. Chi abbrucia una casa, sia battuto, tosato -e bollato. Chi trova vino sel prenda, ma non rompa i dogli, nè tolga -i cerchi alle botti. Un castello espugnato saccheggino a voglia loro, -ma non lo abbrucino senz’ordine. Se un Tedesco ferisca un Italiano -il quale possa provare con due testimonj d’aver giurato la pace, -sia punito[117]. Diritto di guerra violento; ma pure tanto quanto -assicurava le persone. - -Allora Federico comincia le ostilità contro Brescia (1158), e -quantunque «ricca d’onor, di ferro e di coraggio», ne guasta i -deliziosi contorni finchè la costringe ad arrendersi: passata l’Adda -a Cassano, preso il castel di Trezzo, rifabbrica Lodi-nuovo sull’Adda -alquanto lungi dal luogo ove Pompeo avea posto il vecchio[118]. -Riedifica anche Como, e ad un suo fedele dà a custodire quel castel -Baradello[119]; e spedisce colà il boemo Vladislao perchè rimetta i -Comaschi in concordia coi Cremaschi e cogli isolani del lago, gente -ricca, forte, bellicosa, avvezza al corseggiare, e che repugnò da ogni -accordo finchè l’imperatore non vi andò in persona[120]. Isolati così i -Milanesi, s’accinse a combatterli, convocando all’oste tutti i popoli -di questo regno. E vennero armati da Parma, Cremona, Pavia, Novara, -Asti, Vercelli, Como, Vicenza, Treviso, Padova, Verona, Ferrara, -Ravenna, Bologna, Reggio, Modena, Brescia, ed altri di Toscana, -sommando a quindicimila cavalli, oltre innumerevole fanteria[121]; e -con questi piomba sopra Milano. - -Questa città, oltre rifare i ponti rotti sull’Adda e sul Ticino, -e rialzare i castelli e le borgate sue amiche, erasi preparata di -fosse e di mura, spendendo cinquantamila marchi d’argento puro[122]: -valorosamente si difese, ma tanta turba dalla campagna e dalle -circostanti borgate vi s’era rifuggita, che presto si trovò ridotta a -dura fame, e alla conseguente epidemia. Accettò dunque la mediazione -del conte di Biandrate, mercè del quale ebbe dall’imperatore patti -da vinta ma pur libera potenza: rendesse la franchezza a Como e -Lodi; fabbricasse all’imperatore un palazzo; pagasse novemila marchi -d’argento, cioè circa mezzo milione; rinunziasse alle regalie usurpate, -come la zecca e le gabelle; eleggesse da sè i proprj consoli, ma questi -giurassero fedeltà all’imperatore, il quale nella città non entrerebbe -coll’esercito. I nobili a piè scalzi e con le spade ignude, il clero -colle reliquie dei santi, il popolo con soghe al collo, vennero a -giurare obbedienza a Federico, a cui furono dati cento ostaggi per -ciascuno dei tre ordini de’ capitanei, de’ valvassori e de’ plebei: -e la bandiera imperiale sventolò sulla torre della metropolitana di -Milano[123]. - -Coll’umiliazione della principale città di Lombardia sgomentate le -altre, da tutte ebbe ostaggi, e da Ferrara li tolse per forza: e -approfittando di quel terrore, intimò una dieta in Roncaglia per -definire le regie prerogative. Le città (quante volte lo ripetemmo?) -non pretendevansi immuni dalla dipendenza verso l’imperatore, nè -questo credeva che la corona gli conferisse pieno arbitrio, come -potrebbero chiedere i re del secol nostro, non aventi nè patto coi -popoli, nè rispetto a moralità superiore. Ma perchè i reciproci doveri -venivano diversamente apprezzati in Germania e in Italia, ne nascevano -perpetue controversie. I Tedeschi, deducendo la loro costituzione -dalle consuetudini germaniche, non vedevano nel re se non l’eletto -dai capi del popolo, primo tra i pari; in Italia, le città volevano -tenersi verso l’imperatore soltanto in una dipendenza feudale, come a -caposignore, e come all’unto dal pontefice: ma i ridesti studj della -storia e della giurisprudenza romana abituavano gli eruditi ad ampliare -la podestà, guardandolo come successore di quei Cesari, la cui volontà -era unica legge a Roma antica. Federico amava, come dicemmo, ritemprare -coi testi le sue spade, e alla dieta invitò Bùlgaro, Martin Gossia, -Jacopo e Ugone da Porta Ravegnana, cima de’ giureconsulti d’allora, -insieme con due deputati di ciascuna delle quattordici repubbliche, -perchè determinassero in che consistevano le regalie. Ma da che la -giurisdizione di conte divenne ereditaria, consoli e scabini non -erano stati più nominati dagl’imperatori; e ciascuno di questi re che -calò in Italia, fece diversa stima dei proprj diritti, a norma della -propria forza; laonde dalle consuetudini non si poteva nulla dedurre. -Si ricorse dunque al diritto romano; e nel sentimento di questo, e con -parole vecchie onestando la tirannia nuova, i giureconsulti definirono -che competeano all’imperatore tutte le regalie, compresi i ducati, -marchesati, contadi, la moneta, il fodro, ossia diritto d’essere -nodrito e albergato dai vassalli e dalle città quando soggiornava in -Italia; e così i ponti, i mulini, l’uso de’ fiumi, la capitazione, il -far guerra e pace, e il nominare i consoli e i giudici, il popolo non -avendo che a prestarvi l’assenso; di modo che gl’investiti dovettero -rassegnarli all’imperatore, se pur non avessero a mostrare i titoli -del possesso. I conti e i vescovi, che dal costituirsi dei Comuni -erano stati sbalzati di dominio, applaudivano a queste esuberanti -pretensioni, sperando trarne a sè alcuna particella; e l’arcivescovo -di Milano, colla scienza appoggiando la servilità, gli diceva: — State -ben fermo, poichè trovasi scritto che la volontà del principe fa legge, -attesochè il popolo gli concesse ogni imperio e podestà»[124]. Le -città poi quale eccezione potevano contraporre sopra un fatto che mai -non era sussistito, e sopra diritti sostenuti da un forte esercito? -onde fremevano nel veder l’imperatore, da sovrano feudale, mutarsi in -assoluto padrone d’Italia. - -I Genovesi erano venuti alla dieta non per isporgere querele o ricevere -ordini, ma come indipendenti, per far mostra e regalo di lioni, -struzzi, papagalli e dei prodotti dell’Oriente; e furono i primi a -protestare contro quel lodo; e ne spacciarono avviso alla patria, la -quale subito con vivissimo ardore si rifece di mura, lavorandovi uomini -e donne, e l’arcivescovo Siro dandovi il valore de’ proprj arredi; e -(fatto nuovo) soldò truppe a difesa. Chi vuol pace prepara la guerra; -e di fatto Federico calò con essa a patti, assentendole di eleggere i -proprj consoli, i quali potessero chiamare all’armi tutti gli abitanti -della riviera da Monaco sin a Portovenere; la privilegiò del commercio -in ogni luogo a mare, neppur eccettuata Venezia; esenzione da imposte e -servizj militari e da regalie, sol che pagasse milleducento marchi. - -Federico aveva in quella dieta proibito di lasciare feudi alle chiese; -poi, sempre mal vôlto a papa Adriano, volle rammemorargli l’apostolica -umiltà; e poichè la cancelleria romana trattava seco col _tu_ solenne, -ordinò facesse altrettanto la sua col papa, e nelle soscrizioni il -nome se ne posponesse a quello di lui imperatore: asseriva ancora che -il patrimonio papale rilevava dall’Impero, e pretendeva di mandare a -Roma ad amministrare la giustizia, e di alloggiare i proprj nunzj ne’ -palazzi vescovili. Il senato romano al solito favoriva le pretensioni -di Federico, sicchè il papa scontento intendevasi colle città lombarde, -e preparava forse la scomunica contro il prepotente. - -Il quale, dichiarato unico depositario del potere legislativo e -giudiziale, deputa in ogni paese suoi magistrati, che furono detti -_podestà_ perchè esercitavano i regj poteri e giurisdizione in molte -cause. Questo e le leggi sulla pace pubblica e il divieto delle guerre -private non urterebbero punto colle idee d’oggi; ma secondo i privilegi -d’allora, stabiliti meglio che sulla carta, erano un grave attentato -alla libertà e all’indipendenza comunale: onde i Milanesi, a cui nella -capitolazione aveva garantito magistrati proprj, e a cui, in onta -di quella, avea sottratte non solo Como e Lodi, ma Monza e il Seprio -e la Martesana, capirono ch’e’ non tenevasi obbligato a convenzioni -fatte coi sudditi, e fremendo insorgono (1159); accolgono a sassate i -messi regj venuti per attuare i decreti di Roncaglia, gridando _Fora -fora, Mora mora_; cacciano la guarnigione dal castello di Trezzo che -assicurava ai Tedeschi il passo dell’Adda, e si serrano alla difesa. -Anche i Cremaschi, loro alleati, cui egli mandò intimare di demolir la -mura, risposero coll’avventarsi alle armi. - -Federico, messili al bando dell’Impero, giura non cinger più il -diadema che non gli abbia domati, e tosto dalla Ponteba al San Gotardo -ogni valle versa Tedeschi sovra il piano lombardo; qui il Palatino -del Reno, i duchi di Svevia, di Baviera, d’Austria, di Zaringen, il -figliuolo del re di Boemia, il conte del Tirolo, gli arcivescovi di -Colonia, di Magonza, di Treveri, di Magdeburgo, il fiore insomma della -Germania. E cominciano guerra da Barbari (1162), sperperano il paese, -uccidono, appiccano: una volta l’imperatore fa acciecar una banda di -foraggiatori, lasciando sol un occhio ad uno per ricondurli: assediata -Crema, pone i figliuoli che teneva ostaggi, a bersaglio de’ colpi -paterni, onde proteggere le macchine[125]: e dopo sei mesi d’ostinati -assalti presala per tradimento dell’ingegnere, la abbandona alla -brutalità de’ suoi e alla vendetta de’ nemici Cremonesi. - -Milano non si lasciò sbigottire a quell’insolita ferità; cercò rialzare -Crema; e il castello di Carcano sporgente nel laghetto d’Alserio, e le -colline fra Cantù e il monte Baradello furono teatro di sue vittorie -sopra gl’imperiali. Ma sentivasi indebolita dalla ripetuta devastazione -de’ suoi campi e dal distacco di tutti i vicini, quando Federico la -assalì (1162) scorrazzando colla cavalleria e vietando di portarle -viveri, sin col tagliare le mani a venticinque villani in un giorno, -côlti in tale servizio. Resistè ancora vigorosa: ma dai tradimenti, -dalla fame, da un incendio de’ magazzini, dalla superiorità dell’armi -feudali, collegate pur troppo con quelle non solo dei castellani e -dei conti di Malaspina e di Biandrate, ma anche de’ Comuni italiani, -fu costretta cedere alle grida del vulgo, e rendersi a discrezione. -Al quartier generale in Lodi venne il popolo in abito penitente, con -croci in mano, dietro al carroccio, che avvezzo un tempo a pavesarsi -di trionfate bandiere, allora chinò l’antenna e il gonfalone di -sant’Ambrogio avanti all’imperatore, fra il mesto squillo delle trombe; -e il sacro carro e novantaquattro stendardi furono dati al nemico; -otto consoli degli ultimi tre anni, trecento cavalieri, tenendo -in mano le spade ignude, fecero atto di sommessione. Non soltanto -Italiani e il conte di Biandrate, ma fin i baroni tedeschi e la corte -supplicavano Federico di clemenza: ma egli, dalla vittoria fatto sordo -alla compassione, e stimolato anche dalle invide città che all’uopo -gli diedero grosse somme[126], ordinò a’ Milanesi tornassero a casa -e v’attendessero le sue risoluzioni. Dieci giorni passarono i nostri -in quella affannosa aspettazione che è peggio del male istesso: alla -fine Federico arrivò, e nell’imperiale sua clemenza perdonando alle -vite, impose che, usciti i cittadini, Milano fosse abbandonata alla -distruzione. A ciascuna delle città alleate ne assegnò un quartiere a -diroccare, quasi volesse che tutte si contaminassero col fratricidio, e -i rancori allontanassero la possibilità di nuovi accordi. - -Esultarono i Lombardi all’umiliazione della gran nemica; ma un senso di -sgomento occupò tutta l’Italia. Brescia, Piacenza, Bologna evitarono -la distruzione col sottomettersi. Genova, dianzi così risoluta alla -difesa, sbigottì; mandò ambasciadori con gratulazioni e proteste; il -suo storico uffiziale Caffaro tributava a Federico i titoli di _sempre -augusto, sempre trionfante, che elevò l’Impero al colmo della gloria_. -E Federico in Pavia cingevasi di nuovo il diadema che avea giurato -più non portare finchè Milano sussistesse; e datava i suoi atti dalla -distruzione di Milano[127]. - -Le città lombarde non andarono guari ad accorgersi quanti abbia -pericoli la lega col potente: perocchè, toltasi d’in su le braccia la -città che unica potea reggere seco in bilancia, Federico cessò da ogni -riguardo verso le altre, le angariò a baldanza, pretendendo esigerne -nuove gravezze e smantellarle; a’ Cremonesi, Pavesi, Lodigiani, suoi -fedelissimi, permise bensì d’eleggersi consoli proprj, ma a Ferrara, -Bologna, Faenza, Imola, Parma, Como, Novara, che pur seco tenevano, -mandò podestà imperiali, fossero Tedeschi o di que’ vili che col -maltrattare i compatrioti vogliono farsi perdonare la colpa d’essere -Italiani[128]. - -All’eguale stregua meditava Federico ridurre il Patrimonio di san -Pietro. Quel Rolando Bandinelli da Siena, che poc’anzi accennammo, -celebratissimo per dottrina, virtù, esperienza del mondo, era succeduto -papa col nome di Alessandro III (1159); ma il cardinale Ottaviano -romano, fautore di Federico, turbolentemente s’indossò le divise -pontificali, tenne prigione il papa e i cardinali, e prese il nome -di Vittore IV. Il popolo e i Frangipani liberarono Alessandro, che -si ritirò da Roma; mentre l’antipapa comprava vescovi, e blandiva -l’imperatore, il quale sostenendo questo, poi tre altri antipapi -(Pasquale III, Calisto III, Innocenzo III) squarciava la cattolica -unità egli che n’era il rappresentante secolare. Allora scomuniche -contro lui, contro i vescovi e i principi e i consoli di Cremona, Lodi, -Pavia, Novara, Vercelli suoi aderenti. Di queste trascendenze e de’ -soprusi de’ luogotenenti imperiali chiedevano fine o moderanza vescovi, -marchesi, conti, capitanei ed altri magnati, e cittadini grandi e -piccoli; ma Federico non usò nè giustizia nè misericordia[129]; e -svallato con un nuovo esercito (1164), andava rimettendo al freno le -città che tumultuavano. Ma Veronesi, Vicentini, Padovani, Trevisani, -coll’ajuto dei Veneti, aveano cacciato i podestà di lui, e quand’egli -andò per domarli, sentì non potere fidarsi delle truppe italiane che -l’accompagnavano, onde voltò come in fuga (1166), mentre essi munivano -le chiuse perchè non potesse rimenare eserciti. - -Tutto ciò rendeva più sentiti i lamenti dei Milanesi, che senza patria -tapinavano di città in città, invocando soccorso e vendetta. Perchè lo -straniero era prevalso alla comune libertà? perchè li trovò disuniti -e nemici. Per tornar forti e mantenersi liberi di che han dunque -bisogno? di concordia e d’unione. Lo compresero; e quelli che nella -prosperità non s’erano scontrati che coll’ingiuria sul labbro, col -pugno sul brando, nella depressione rinnovellarono la fratellanza, e -posti giù gli odj e le gelosie, nel convento di Pontida (1167 aprile), -terra sull’orlo del Milanese e del Bergamasco, si strinsero in lega, e -i varj popoli della Lombardia, della Marca e della Romagna sul santo -Vangelo giurarono d’ajutarsi reciprocamente, compensarsi a vicenda -dei danni che patissero a tutela della libertà, non far tregua o -pace con Federico imperatore o co’ suoi se non di comune accordo, non -soffrire che esercito tedesco scendesse in Lombardia; o se scendesse, -combatteranno l’imperatore e qualunque persona lo favorisca, sinchè -esso esercito non esca d’Italia, talchè si possano recuperare i diritti -che la Lombardia, la Marca e la Romagna possedevano al tempo d’Enrico -III[130]. Oltre le città che firmarono, fu lasciato (come oggi si dice) -protocollo aperto a quelle che volessero accedervi. - -Posata una mano sulla spada, stesa l’altra ai fratelli, conobbero la -potenza dell’unione. Primo atto de’ collegati Lombardi fu rifabbricare -Milano per concordi cure, come per ira concorde l’avevano sfasciata; -poi tentate invano le persuasioni, mossero a soggettar le città, che la -gratitudine o la paura serbava con Federico, e costringerle ad entrare -nella Lega Lombarda. - -Papa Alessandro III erasi ricusato di rimettere a un concilio, raccolto -in Pisa da Federico, la decisione fra lui e l’antipapa; ma vedendo -occupate tutte le terre di santa Chiesa da scismatici e imperiali, dovè -cercare rifugio in Francia; dove ebbe grandi onori, e i re di questa e -d’Inghilterra camminarono allato al suo cavallo tenendogli le staffe. -Di là favoriva di conforti o di benedizioni la Lega, e lanciò contro -Federico la scomunica, in cui, come «vicario di san Pietro costituito -da Dio sopra le nazioni e i regni, assolve gl’italiani e tutti dal -giuramento di fedeltà che a quello li legasse fosse per l’impero o per -il regno; toglie coll’autorità di Dio che egli abbia mai più forza ne’ -combattimenti, o vittoria sopra Cristiani, o in parte veruna goda pace -e riposo, finchè non faccia frutti degni di penitenza»[131]. - -Favoriva pure ai collegati Guglielmo II di Sicilia, desideroso che -Federico si trovasse impelagato in Lombardia così, da non poter -minacciare alla Puglia. Enrico III d’Inghilterra, se ottenessero che -il papa degradasse l’arcivescovo di Cantorbery avversario suo, offriva -trecento marchi ai Milanesi e di restaurarne le mura, altrettanti -ai Cremonesi, mille a’ Parmigiani e Bolognesi. Fin Manuele Comneno -di Costantinopoli, che rimeditava i suoi diritti sull’Italia, spedì -ambasciadori al pontefice per trattare di togliere lo scisma e -ricongiungere la Chiesa greca alla latina, purchè egli pure riunisse -sul capo di lui la corona dell’impero d’Occidente e d’Oriente, esibendo -quant’oro bastasse a snidare d’Italia i Tedeschi; intanto concedette -sposa una figlia ad Ottone Frangipani, principalissimo in Roma, cercò -l’amicizia de’ Genovesi, e ai collegati Lombardi somministrò oro per -comprare i mercenarj, allora introdottisi nelle nostre guerre. Però il -papa, fido all’idea de’ suoi predecessori, voleva la sede del rannodato -impero non fosse che a Roma; il Comneno ostinavasi per Costantinopoli, -tantochè restarono disconchiusi. - -A soffogare quest’incendio, Federico scende di nuovo per la val -Camonica, e imparato linguaggio più mite a fronte de’ popoli concordi, -promette far ragione delle querele. Intanto di nuove ne eccita con -trattamenti da nemico, devasta il Bolognese per vendicare Bosone -suo ministro ivi ucciso, e leva contribuzioni e ostaggi. Ma udito -che gli abitanti di Tusculo e d’Albano, a lui favorevoli, erano -stati aggressi dai Romani coi soliti guasti, accorse, e diede una -battaglia sanguinosissima ai Romani, poi volse sopra la loro città. -La pose in difesa Alessandro, secondato dai Siciliani; ma Pasquale -antipapa inanimava Federico, che per prendere il Vaticano gettò fuoco -alla chiesa di San Pietro, e dal suo papa si fe novamente coronare. -Allora propone ai Romani che inducano Alessandro ad abdicare, ed egli -a vicenda vi indurrà Pasquale, in tal modo finendo lo scisma: e i -Romani, desiderosi di pace, gli davano ascolto; sicchè Alessandro, -nè tampoco tenendosi sicuro nelle incastellate case de’ Frangipani, -ricoverò a Gaeta. I Pisani secondavano l’imperatore, e misero in fuga -il loro arcivescovo che li dissuadeva dall’osteggiare il pontefice, e -lo ajutarono a prender Roma. Ma la mal’aria decimò il suo esercito, -ed uccise l’arcivescovo di Colonia, sette vescovi, molti principi e -magnati; onde Federico si levò in isconfitta, perdendo per istrada gran -parte dell’equipaggio, e forse duemila baroni e prelati e cavalieri, -oltre i soldati. A Pavia, mantenutasegli fedele, mette al bando -dell’Impero le città federate, e gitta in aria il guanto in segno di -sfidarle; ma non osa assalirle, per tema che negl’italiani che seco -militavano, l’amor de’ fratelli non prevalga alla feudale lealtà; -infine, con solo un pugno d’uomini riprende la strada della Savoja, -lasciando appiccati qua e là ostaggi lombardi. I cittadini di Susa gli -tolsero gli altri, e insidiavano lui pure, che col promettere monti -d’oro[132] e ogni grazia e bene al conte di Morienna ottenne di passare -per le sue terre (1168) travestito in Germania. - -Ne’ sei anni che Federico stette fuori, ingrandirono di numero e vigore -le nostre repubbliche, ripigliammo le città imperiali, costringemmo -l’antipapa a venire alla devozione di Alessandro III, togliemmo le -fortezze ai fazionieri dell’imperatore, e specialmente al conte di -Biandrate, distruggendone la rôcca, levandone gli ostaggi, e uccidendo -la guarnigione. Federico mandò un grosso di truppe, guidate da -Cristiano arcivescovo di Magonza e cancelliere dell’Impero, guerriero -terribile, che una volta colla mazza sfracellò trenta nemici, e insieme -voluttuoso sì, che traeva dietro donne e muli tanti, da costare più -che il corteggio imperiale. Malmenò costui la Lombardia, e guastatine -i dintorni, assediò Ancona, città molto cara all’imperatore Comneno -come opportunissima a sbarcare in Italia; e lo ajutarono i Veneziani -per disgusto che presero coll’imperatore bisantino, o per emulazione -commerciale. La città fu ridotta a pascersi di sorci e di cuojo secco, -pur resistette con coraggio degno degli antichi eroi. Raccontano che -un prete Giovanni con una scure andò nuotando a tagliar la gomona -d’un grossissimo naviglio veneto detto _Tutt’il mondo_, per quanto -lo saettassero i marinaj, che a stento si salvarono; mentre altri -sull’esempio suo recisero le àncore di sette altre navi, che dalla -tempesta furono fracassate. La vedova Stamura vedendo i suoi dare -indietro da una sortita fatta per incendiare le macchine nemiche, prese -un tizzone e si avventò verso quelle, malgrado le freccie appiccandovi -la fiamma. Un’altra donna, visto un combattente estenuato perchè -da più giorni non assaggiava cibo, gli porse il poco latte del suo -petto, sottraendolo al proprio bambino[133]. E la perseveranza ebbe -premio, perocchè Ancona fu liberata dai Ferraresi e dalla contessa di -Bertinoro. - -Non che la parzialità imperiale fosse spenta, sopravviveva quasi in -ciascun paese, e dove prevalesse lo traeva a quella bandiera. Così -in Bergamo il vescovo Gherardo parteggiava pel Barbarossa, mentre il -popolo pe’ suoi avversarj. Cremona e Tortona accettarono l’alleanza -di Federico. Como era spinto a vicenda da un partito o dall’altro; e -quando gl’imperiali rizzarono le creste, distrussero il castello di -Gravedona, e la memorabile isola Comacina (1169), la quale più non -risorse. - -In Roma il senato non volea spossessarsi dell’acquistata autorità, -sicchè Alessandro non potea rimettervi piede. Si continuava pure -ostinata guerra ai Tusculani, i quali non videro scampo che nel -porsi alla tutela del papa stesso. Ma i Romani proposero a questo di -pacificarsi e riceverlo entro se li lasciasse abbattere le mura di -Tusculo: ed egli acconsentì: ma essi, sfogata l’ira, non si curarono -della promessa, sicchè il papa (il cui nome or si sparnazza fra i -liberatori d’Italia) fu costretto stare in armi nella campagna. - -Costanti coll’Impero in Lombardia teneansi principalmente la città -di Pavia e il duca di Monferrato, e per la vicinanza si sorreggeano -l’un l’altro. I collegati lombardi pensarono dunque porre una barriera -fra costoro: e uniti i loro stendardi, invece di più ricostruire -Tortona, una nuova città piantarono (1168) ove la Bòrmida confluisce -col Tànaro; dal nome del pontefice la dissero Alessandria, e i nemici -la soprannomarono _della paglia_, perchè di paglia si coprirono le -case fretta fretta fabbricate, e recinte di nulla più che un siepato, -un terrapieno e liberi petti. Ebbe subito quindicimila cittadini, -privilegio di libero Comune, e sette anni dopo il vescovado[134]. - -Appena gli affari di Germania glielo assentirono, Federico in persona -calò un’altra volta; fra via distrusse Susa in vendetta dello smacco -soffertovi; coll’assedio costrinse Asti a rinunziare alla Lega; e -rinforzato da nuova gente di tutta Germania e di mezza Italia, assediò -la neonata Alessandria. Ma per quanto vi moltiplicasse valore, crudeltà -e astuzie, dovette allargarla al sopravvenire di un esercito lombardo, -che il sagrifizio della magnanima cittadella avea dato tempo di -radunare. A questo si fe incontro Federico. Onest’uomini e religiosi -s’interposero, al cui lodo si rimisero ed egli e i Lombardi. Ma quegli -volea salvi i diritti imperiali, questi salve le libertà loro e della -Chiesa; sicchè del conchiudere fu nulla, e Federico avendo consumato -anche il sesto esercito, mandò a sollecitarne un nuovo, che di Germania -gli fu condotto dalla moglie per l’Engadina, Chiavenna e il lago di -Como. A incontrarlo mosse egli coi Lodigiani, e ritornava accompagnato -dai Comaschi per congiungersi ai Pavesi e ai Monferrini, quando nella -pianura di Legnano (1176 — 29 mag.) ecco gli si attraversa l’esercito -de’ collegati. Sulle prime egli ebbe il vantaggio, e vide le spalle de’ -nostri; ma la Compagnia della Morte, giovani risoluti a perire anzichè -perdere, si strinse attorno al carroccio, scompose l’ordinanza nemica, -e la mandò a sbaraglio. Federico stesso non campò la vita che tenendosi -rimpiattato sotto i cadaveri; e la moglie, da lui lasciata nel castel -Baradello di Como, il pianse per morto finchè nol vide ricomparire -umiliato e fremente. - -Il Tedesco aveva trovato sostegno da alcune repubbliche marittime, che -lo bramavano favorevole alle loro ambizioni. Barisone d’Arborea, uno -de’ giudici o re di Sardegna (1163), agognando tutta l’isola, ne aveva -impetrata da Federico l’investitura per quattromila marchi d’argento: -ma nè l’imperatore avea diritto a disporre di quella, nè Barisone i -denari da pagarla. Questi gli furono anticipati da Genova, desiderosa -d’accorciare i panni all’emula Pisa, che colà teneva sovranità: ma -Barisone, non essendo in grado nè di restituire ai Genovesi nè di -resistere ai Pisani, si conciliò con questi; talchè i Genovesi rimasero -peggiorati della somma e della speranza. Ne venne guerra sanguinosa di -molti anni, dove i Liguri riuscirono superiori, attenendosi a Federico, -promettendogli la flotta per l’impresa di Sicilia, e ricevendo da lui -promessa di cedere Siracusa e ducencinquanta feudi in val di Noto, -appena dell’isola si fosse insignorito. Di rimpatto i Pisani si volsero -all’imperatore di Costantinopoli, e mandati e ricevuti ambasciadori, -conchiusero un’alleanza che assicurava loro la franchigia in tutti i -porti dell’impero greco, ogni anno il tributo di cinquecento bisanti -d’oro, e due tappeti di seta a Pisa, e di quaranta bisanti e un -tappeto all’arcivescovo. Invano Federico intimò che Genovesi e Pisani -rimettessero in lui le loro differenze, e gli uni e gli altri speravano -da esso l’investitura della Sardegna, e intanto lo accarezzavano e lo -provvedevano per le sue imprese. - -Tanto bastava perchè gliene volessero male i Veneziani, i quali, se -dapprima l’aveano favoreggiato per isbaldanzire le repubbliche di -terraferma, s’adombrarono poi delle crescenti pretensioni; diedero -incoraggiamenti alla Lega Lombarda, e ricovero al fuggiasco Alessandro -III. E quando Federico minacciò piantar le sue aquile vincitrici in -faccia a San Marco, risposero alla bravata armando settantacinque -galee; e il doge, cui il papa cinse la spada d’oro, sbarattò la -flotta che Genovesi e Pisani aveano allestita all’imperatore. Côlto lo -stesso figlio di costui, lo trattarono decorosamente, e rinviarono con -proposizioni di pace. - -E pace dovea desiderare Federico, dopo logorati ventidue anni e -sette eserciti[135] contro il clima e le libertà d’Italia. Pertanto -s’industriò di staccare dalla Lega Alessandro, e gli inviò deputati ad -Anagni, i quali gli dissero: — È indubitato che, dai primordj della -Chiesa, Dio volle vi fossero due capi, dai quali venisse governato -questo mondo: la dignità sacerdotale, e la podestà regia. Se queste non -si appoggino in vicendevole concordia, non potrà mantenersi la pace, -e il mondo andrà in subugli e guerre. Cessi dunque la nimistà fra voi -due, capi del mondo; e vostra mercè sia resa la pace alla Chiesa e al -popolo cristiano»[136]. Alessandro rispose, ben egli volerla, ma questa -dover essere comune anche a’ suoi alleati e difensori. Il pontefice -trattava di ciò pubblicamente; gli ambasciadori imperiali avrebbero -voluto stipulare in privato, col pretesto che alcuni avversavano la -loro concordia: ma sebbene per quindici giorni si disputasse, nulla fu -tratto a riva. Federico dunque chiese un abboccamento con Alessandro, -e questi (tanto si fidava) volle da lui, da suo figlio e dagli altri -grandi il giuramento di non nuocere alla sua persona, e andò a Venezia -coi deputati delle città lombarde[137]. - -Federico proponeva o si stesse al dettato della dieta di Roncaglia, -oppure a quanto osservavasi al tempo di Enrico IV: i Lombardi -rifiutavano la prima, non convenzione, ma ordinanza di Roncaglia; -quanto all’altra, dicevano mal ricordarsi di quegli usi; sapere che da -un pezzo godeano le regalie e il diritto di eleggere i magistrati, e -voler conservarlo; sicchè non potè venirsi a conchiusione. Bastò dunque -appuntare un accordo (1177), ove Federico riconosceva il pontefice -escludendo gli antipapi, e prometteva tregua per quindici anni col -re di Sicilia, per sei colle città lombarde, duranti i quali egli -non n’esigerebbe il giuramento di fedeltà, e si stabilirebbero de’ -_treguarj_ che terminassero le contese eventuali, impedendo di farsi -ragione colle armi. Esso imperatore in compenso godrebbe per quindici -anni i beni allodiali della contessa Matilde, che poi cederebbe alla -Chiesa romana; e a tali condizioni verrebbe ricomunicato. - -Fu Alessandro III uno sleale, che abbandonò gli alleati suoi per -patteggiare in disparte? o fu un inetto che non seppe cogliere il -destro di distruggere la potestà imperiale e l’ingerenza tedesca, e -assicurare per sempre l’indipendenza d’Italia? - -Nè l’un nè l’altro può crederlo chi non confonda le idee e le -aspirazioni dei tempi nostri con quelli d’allora. I Lombardi non aveano -mai inteso d’annichilar l’imperatore, e fino ne’ momenti più prosperi -chiesero soltanto di vedere assicurati i proprj privilegi, sotto la -primazia di quello: come gli arimanni si consideravano liberi perchè -dipendenti dal solo re, così libere chiamavansi le città che non -avessero altra superiorità che l’imperatore. Anzi i capi della Lega -dinanzi al papa nella chiesa di Ferrara il 1177 dichiaravano: — Sia -noto alla santità vostra e alla potestà imperiale, che con riconoscenza -riceveremo la pace dall’imperatore, salvo l’onore dell’Italia, e che -desideriamo essere rimessi nella grazia di lui, secondo le vecchie -consuetudini, nè ricusiamo le antiche giustizie: ma non consentiremo -mai a spogliarci della nostra libertà, che abbiamo ereditata dai padri -e dagli avi, e non la perderemo che colla vita, essendoci più caro il -morir liberi che il vivere in servitù»[138]. - -A tale intento avviava appunto la tregua, durante la quale fu stipulata -una soda pace. Quanto al pontefice, abbattendo l’imperatore avrebbe -disfatto l’opera de’ predecessori suoi, i quali avevano ridesto il -nome d’imperator romano, e affidato a quello la primazia temporale -della cristianità; e quand’anco gli ebbero contumaci e ribelli, mai -non pensarono distruggerli, ma al più surrogarne uno, meglio docile e -religioso. - -I Veneziani che aveano giurato ad Alessandro, finch’egli vi stesse, -non ricevere nella loro città Federico, dispensati dalla promessa, -andarono a prenderlo da Chioggia colla splendidezza che la sposa -dell’Adriatico pose sempre nelle sue feste. Federico, approdato alla -piazzetta, baciò il piede del papa, al quale poi servì da mazziere, -allontanando colla verga la folla; della predica che Alessandro recitò -in latino, il patriarca d’Aquileja fece la spiegazione in tedesco, onde -contentare la devozione dell’imperatore; il quale assolto, dopo il -_credo_ baciò ancora il calcagno del pontefice e fe l’oblazione; poi -ne ricevette la comunione; e finita la messa, lo accompagnò per mano -sino alla porta della basilica, gli tenne la staffa, e lo menò per la -briglia fino al palazzo[139]. Che il papa mettesse il piede sovra il -collo dell’umiliato imperatore, proferendo il versetto del salmo _Sovra -l’aspide e il basilisco passeggerai, calcherai il leone e il drago_, -e che Federico rispondesse di rendere quell’omaggio non a lui ma a san -Pietro, è un fatto controverso, ma che nulla ripugna coi tempi; che se -gli spiriti forti del secolo passato, striscianti appiè dei troni, lo -negarono con orrore, la libera Venezia non esitò a farlo dipingere tra -i fasti nazionali. - -In nome del Barbarossa, Enrico di Diesse giurò sui vangeli, sulle -reliquie, e sopra l’anima dell’imperatore, che questo manterrebbe la -pace: altrettanto fecero dodici principi dell’Impero, gli ambasciadori -di Sicilia, e i consoli di Milano, Piacenza, Brescia, Bergamo, Verona, -Parma, Reggio, Bologna, Novara, Alessandria, Padova, Venezia. I vescovi -di Padova, Pavia, Piacenza, Cremona, Brescia, Novara, Acqui, Mantova, -Fano, che in opposizione alle loro plebi aveano favorito all’imperatore -e all’antipapa, furono ribenedetti. - -Alessandro III fu ricevuto festivamente anche dai Romani, avendo -conceduto che il senato durasse, ma con giuramento di fedeltà al -papa, al quale si restituissero la basilica di San Pietro e le -regalie. L’antipapa venne all’obbedienza dacchè si trovò abbandonato -dall’imperatore: ma un avanzo di coloro che credono fermezza -l’ostinazione, nominò un altro che presto fu imprigionato. Un concilio -ecumenico in Laterano di trecentodue vescovi procurò rimarginar le -piaghe della Chiesa. - -Federico, ch’era tornato in Germania per racconciarne il freno, -mandò deputati, i quali in Piacenza stesero i preliminari d’un -accordo. A Costanza, memorabile città lietamente posta colà dove il -Reno sfugge dal lago, e al verdeggiante declivio fan contrasto le -ghiacciaje del Sangallo e d’Appenzell, fu poi conchiusa tra le città -lombarde e l’Impero la pace (1183 — giugno) che coronava i magnanimi -sforzi, e consolidava le repubbliche nostre, non più come un fatto -ma come un diritto. L’imperatore dichiarava avrebbe potuto castigare -i colpevoli, ma per clemenza e dolcezza preferiva perdonare, e far -loro del bene. Comprese nel trattato furono Milano, Vercelli, Novara, -Lodi, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, -Bologna, Faenza, Modena, Reggio, Parma, Piacenza: come alleate -dell’imperatore figurarono Pavia, Cremona, Como, Genova, Alba, Tortona, -Asti, Alessandria che, anticipando la pace, n’aveva conchiusa una -particolare, e mutato il nome in Cesarea. De’ signori feudatarj non -appajono che Obizo Malaspina di Lunigiana colla parte imperiale; colla -nostra i conti di Biandrate e di Monferrato. A Ferrara si lasciò -arbitrio di accedere fra due mesi. Restarono escluse nominatamente -Imola, Castro, San Cassiano, Bobbio, Gravedona, Feltre, Belluno, -Céneda. Venezia non v’è tampoco nominata, giacchè, essendo indipendente -affatto dall’Impero, non voleva pregiudicarsi con questo trattato. - -A tenore del quale, le città della Lombardia, della Marca e -della Romagna, entro il loro recinto godrebbero le regalie che da -immemorabile possedevano, e fuori di esso, solo in quanto n’avessero -concessione dall’imperatore; il vescovo con deputati imperiali -esaminerebbe quali infatti fossero tali diritti, se pure le città non -volessero declinare quest’indagine col pagare ciascuna annui duemila -marchi d’argento, o meno, a volontà dell’imperatore. Questi, salva -la sua supremazia, conferma le immunità e i diritti concessi avanti -la guerra da lui o da’ predecessori, purchè non cadano a pregiudizio -d’un terzo. I vescovi che per lo innanzi solessero per imperiale -concessione confermare i consoli, continuassero; nelle altre città -si facessero tra cinque anni confermare dai commissarj imperiali, -e in appresso ricevessero l’investitura dall’imperatore. Il quale -ponesse in ogni città un giudice, cui appellarsi nelle cause civili -eccedenti il valore di venticinque lire imperiali (lire 1575), e che -giudicassero fra due mesi, ma secondo le leggi della città. Tutti i -cittadini dai sedici ai sessant’anni giureranno fedeltà all’imperatore -ogni dieci anni; a questo, ogniqualvolta venisse in Italia, daranno -il fodro e gli alloggi, ripareranno le strade, apriranno mercato pel -suo approvvigionamento: egli però non si baderà a lungo in nessuna -città o diocesi, per non esserle di soverchio aggravio. Del resto sia -in arbitrio delle città il fortificarsi e confederarsi, e rimangano -cessate le infeudazioni che si fossero concedute dopo la guerra a -pregiudizio di esse[140]. - -L’imperatore tornò poi la sesta volta in Italia, ma in aspetto amico; -sicchè le città nostre gareggiarono in mostrare che, come gli aveano -resistito in campo, sapeano accoglierlo ed onorarlo pacificato. -A Verona durò tre mesi molto alle strette col pontefice Lucio III -intorno ai beni della contessa Matilde, senza riuscire ancora ad una -definizione. I Romani, tornati ben tosto sugli umori vecchi e sulle -idee di Arnaldo, ostinavansi non tanto ad aver repubblica quanto a -disobbedire al papa, che tennero sempre fuori di Roma; e marciati -contro Tusculo, dove s’erano fortificati gli avversarj, presi molti -cherici, gli accecarono, conservando gli occhi a un solo che li -riconducesse in città sovra giumenti e con mitere in capo. Così i -nostri emulavano la brutalità tedesca: e qual bene promettersi da una -repubblica mancante di quel che n’è primo fondamento la morale? Il -papa li scomunicò (1188); ma solo a Clemente III venne fatto di sopire -la rivolta di quarantacinque anni, col solito scapito della libertà; -poichè egli ridusse sotto la propria autorità il senato, il Comune, -la basilica di San Pietro, e le altre chiese e i diritti regali, pochi -lasciandone alla città. - -Federico, malgrado la pace, ad or ad ora abbandonavasi allo sdegno; -indispettito coi Cremonesi che, da fedelissimi, gli erano poi mancati, -non solo edificò Crema a loro dispetto[141], ma li guerreggiò; col papa -Urbano III ebbe nuovi diverbj per l’eredità della contessa Matilde; -de’ vescovi che morissero occupava i beni; col pretesto di punire -badesse scandalose, invadeva possessi de’ monasteri; impediva il passo -dell’Alpi a quei che andassero a Roma. Fe’ cingere la corona di ferro a -suo figlio Enrico; e perchè quello di re d’Italia non fosse un titolo -senza soggetto, procurò congiungere alla primazia sui Lombardi il -dominio del reame meridionale: ma donde sperava il consolidamento della -grandezza di sua casa, ne venne la ruina. - -Commessi gli affari d’Italia ad Enrico, il Barbarossa tornò in Germania -a domare i baroni che gli aveano recato molestia durante la guerra -d’Italia, ed esercitò l’autorità imperiale con rigore qual altri non -aveva usato da Carlo Magno in poi, fisso soprattutto nel pensiero di -renderla ereditaria nella sua famiglia. Singolarmente gli diede a fare -Enrico il Leone. Avendo esso imperatore saputo indurre il vecchio -Guelfo a rinunziargli i beni di sua casa in Italia e in Germania, -fra cui l’eredità della contessa Matilde, Enrico da quel giorno negò -soccorrerlo nelle guerre d’Italia, benchè supplicato a ginocchi; -messo al bando dell’Impero, fu vinto, e a stento ottenne di conservare -il Brunswick e il Luneburg: ma l’abbassamento di quella casa lasciò -rialzarsi i baroni secolari ed ecclesiastici, che si assicurarono il -pieno dominio del proprio territorio. - -Repente un gemito universale annunziò che Gerusalemme, la santa città, -liberata col sangue di tutta Europa, era stata ripresa dai Musulmani, -e il colle di Sion e la valle del Cedron echeggiavano ancora alle -invocazioni di Allah. Il gran Saladino, profittando della rivalità dei -principi latini, gli assalì (1187) e sconfisse, occupò Acri, Cesarea, -Nazaret, Betlem, e alfine Gerusalemme stessa: ed ebbe prigioniero il re -Guido di Lusignano. Menò egli strage particolarmente de’ cavalieri del -Tempio e dell’Ospedale, moltissimi fece prigioni, fra cui Guglielmo di -Monferrato, cugino del Barbarossa, il cui figlio avea sposato Sibilla -sorella di Baldovino re di Gerusalemme, che gli portò in dote la contea -di Joppe. Un altro suo figlio Corrado, trovandosi allora pellegrino in -Terrasanta, tolse a difendere Tiro, durando intrepido, benchè Saladino -minacciasse uccidergli il vecchio padre se non rendesse questa città. - -La nuova di tali disastri fu portata in Italia da messi vestiti -a bruno, che andavano tratteggiando gli esecrandi oltraggi usati -alla religione, la santa croce trascinata per le vie, il sepolcro -insozzato, i fanciulli educati al Corano, le donne tratte negli harem, -e mostravano una immagine dove Cristo era battuto e calpesto da un -Arabo, nel quale doveva riconoscersi Maometto. Quest’annunzio accelerò -la morte ad Urbano III, che prima aveva scritto a tutti i potentati -cristiani eccitandoli a soccorrere Terrasanta. Come avviene nei gravi -disastri, una riforma generale parve diffondersi; tregua si convenne -fra tutti i combattenti; i cardinali raccolti a Ferrara per eleggere il -nuovo pontefice, non solo incitarono i re alla crociata, ma proposero -voler guidarla essi stessi; bandirono la tregua di Dio per sette anni, -e scomunicato chi la violasse; e cominciando l’ammenda da sè, promisero -vivere poveramente, e non ricever doni da sollecitatori, non montare -a cavallo (1187), finchè la terra santificata dalla presenza di Cristo -non fosse ricuperata. Gregorio VIII, vecchio di santa vita e macero da -penitenze, nel brevissimo regno non fece che predicare la spedizione, -e a tal uopo cercò rappattumare i discordi, e principalmente Genovesi e -Pisani che si erano continuato feroce guerra. Clemente III succedutogli -persistette nell’intento: fra gli altri, Guglielmo arcivescovo di Tiro, -ministro di Baldovino IV e storico delle crociate, predicò a Milano, -a Bologna, ove duemila cittadini presero la croce, e in altre città: -si permise ai re di riscuotere una _decima Saladina_ sopra tutte le -rendite d’ecclesiastici e di secolari per le spese della guerra: si -comandò il magro ogni mercoledì, digiuno ogni sabbato, non giurare, -non giocare a dadi, non imbandire più di due piatti, non portare vesti -scarlatte o vajo o zibellino, ed altre manifestazioni che durano quanto -l’entusiasmo. - -Gl’Italiani, che, appunto in quest’occasione, Corrado abate uspergense -chiama «bellicosi, discreti, sobrj, lontani dalla prodigalità, parchi -nelle spese quando non sieno necessarie, e soli fra tutti i popoli -che si reggano a leggi scritte», corsero primi all’impresa; e Toscani -e Romagnuoli, sotto la guida degli arcivescovi di Pisa e di Ravenna, -approdarono a Tiro. Guglielmo il Buono ordinò un generale registro -di tutti i feudatarj del regno di Sicilia e degli uomini che ciascun -doveva[142], intimando stessero pronti a partire; ed essi s’obbligarono -a contribuire il doppio d’uomini: e una flotta condotta dall’ammiraglio -Margaritone di Brindisi valse non poco a sostener Tiro. Saladino, -costretto a lasciare questa città, tentò sorprendere Tripoli; ma i -nostri giunsero in tempo a salvare quegli ultimi resti del _glorioso -acquisto_. - -Federico Barbarossa, che giovane avea fatto l’impresa di Terrasanta, -volle coronare la faticosa vita coll’assumere di nuovo la croce. -Imbevuto del concetto della onnipotenza imperiale qual gli era stata -definita a Roncaglia, mandò intimare a Saladino lasciasse la città -santa a lui, signore universale perchè successore degli antichi -cesari. Saladino vi oppose il diritto della conquista, e si preparò a -sostenerlo. Il Barbarossa col proprio figlio e con sessantotto signori, -trentamila cavalieri e ottantaduemila fanti passò dunque in Palestina -e prosperò; ma traversando il fiume Salef restò annegato; e la crociata -riuscì a fine disastroso. - -Il Barbarossa, come gli eroi della tragedia antica, operava in forza -del carattere, non della moralità; postosi un principio, voleva -seguirlo. I Comaschi gli applausero come restauratore del diritto, -punitor delle violenze; altrove fu esaltato come liberatore d’Italia, -mirando solo agli interessi particolari e a quella indipendenza -che spesso fu considerata come idea principale, mentre non è che -secondaria. Tutti poi i nostri lo inneggiarono quando rinunziò alle -idee germaniche, conservando sola la lealtà, con cui accettò il patto -di Costanza. I Germani lo venerarono qual rappresentante della loro -stirpe, e non lo credettero morto, ma che si fosse ridotto nel campo -dorato sul Kiffhäuser, tenendo corte colla figlia e coi burgravi, -sedendo a una tavola di marmo, attorno alla quale crebbe la sua barba -rossa. E verrà giorno che uscirà ancora co’ suoi fedeli, e farà grande -il popolo tedesco sopra tutti gli altri. In Italia altrimenti; e mentre -a Carlo e Ottone, perchè favorevoli alla causa popolare, fu mantenuto -il titolo di Grandi, Federico, non inferiore ad essi, vien tuttora -ricordato con orrore dal popolo, cui si mostrò infesto[143]. - - - - -CAPITOLO LXXXV. - -Ordinamento e governo delle Repubbliche. - - -Così scarsi tornano nella nostra storia i momenti, ai quali possa -confortarsi la ragione ed esaltarsi il sentimento, che è ben dritto se -gl’italiani si fermano con compiacenza sopra la Lega Lombarda. - -Legame puramente esterno e di momentanea provvisione, essa non cambiava -le condizioni de’ singoli Stati, ciascuno de’ quali come indipendente -proseguiva nella fatica di ordinarsi. Abbastanza ripetemmo che la -rivoluzione dei Comuni, tanto decisiva, non fu radicale, e lasciò -sussistere molte parti del passato, che oggi sarebbero le prime a -distruggersi. Oggi poi si vorrebbe innanzi tutto precisare i diritti -dei cittadini, farli tutti eguali in faccia alla legge, concentrare i -poteri maestatici in un magistrato supremo, abbastanza robusto nella -sua azione; separare la podestà legislativa dall’esecutiva, e dare -indipendenza e stabilità alla giudiziale, distribuita in una gerarchia -di tribunali con precise attribuzioni; proclamare leggi fisse, ed -evitare ogni tumultuosa applicazione di esse; discutere pubblicamente -i conti, scompartire con equità l’imposta, ottenere l’esercizio rapido -e uniforme dell’autorità, sottraendola all’arbitrio di un capo, alle -gelosie dell’aristocrazia, alle tumultuose incostanze del vulgo; -trovare il modo più conveniente a rendere rappresentato ogni bisogno, -ogni forza, ogni capacità, ed anche la provincia per togliere la -prevalenza oppressiva della capitale; chiarire e sodare le relazioni -cogli Stati vicini, e i diritti e doveri reciproci; e principalmente -assicurare l’indipendenza dello Stato per maniera che nessuno estranio -s’intrometta dell’interno suo ordinamento. - -Non a questo senso intendevasi allora la libertà, nè chiaro concetto -si avea di ciò che or chiamiamo lo Stato; e dal tentonare d’inesperti -sarebbe troppo l’attendersi quel senno e quella prudenza, che sì spesso -fallisce a noi pure, a noi insegnati da lunghissima esperienza e da -tanti errori. Ingegniamoci di orientarci per quanto è possibile fra -tanta varietà di ordini, di statuti, di vicende. - -Sottoposta che fu la campagna alla città, limite di ciascuna Repubblica -rimase ordinariamente quello delle giurisdizioni vescovili; onde oggi -ancora le diocesi, colla bizzarra loro conformazione, indicano il -territorio di quelle. Da ciò, se non originata, mantenuta la prodigiosa -differenza dei dialetti; da ciò la moltiplicità di edifizj civili e -religiosi, nessuna volendo restare di sotto della vicina; da ciò le -guerricciole; da ciò fatti meno penosi i frequenti esigli, poichè il -fuoruscito a due passi trovava sicurezza, senza aver mutato nè favella -nè clima. - -La pace di Costanza ebbe sanzionata la rivoluzione, che da serve -ridusse franche le città, ma non attribuiva loro l’indipendenza, -bensì la libera podestà di governo, il diritto d’eleggere ciascuna -i proprj magistrati, far leggi, munirsi, conchiudere pace e guerra, -imporsi tributi e ripartirli, regolare la polizia rurale e l’industria, -militare sotto la propria bandiera, non essere obbligati andar fuori -del Comune per pagare tributo o rispondere a citazioni, esercitare -liberamente la pesca e la caccia. Essa pace non conferiva però nuovi -diritti, neppure uguagliava gli antichi; ciascuno rimaneva nella -condizione ove l’avea trovato la guerra, con più o meno privilegi, -secondo gli aveva compri, estorti, acquistati, ottenuti. Nè tampoco -si distruggeva veruna delle antiche dipendenze; e nella città libera -potevano ancora durare un conte feudale, un vescovo con diritti -sovrani, qualche uomo indipendente dai comuni magistrati, e servi fuor -della legge. - -Di sopra poi di tutti stava un re o un imperatore, la cui supremazia -in sostanza si riduceva a mettere il proprio nome sulle monete e -agli istromenti, riscuotere annuo tributo, e la _paratica_ al primo -suo venire in Italia, determinata per ciascun Comune con particolari -convenzioni. Nel 1185 Federico I «volendo viemeglio premiare quelli -che più perseverano nella devozione alla sacra maestà dell’Impero, -ed osservando il valore, la fede, la devozione de’ _suoi_ diletti -cittadini milanesi, il cui affetto, più degli altri ardente, li mostra -di giorno in giorno meglio meritevoli de’ suoi favori»[144], cede loro -tutte le regalie che esso teneva nell’arcivescovado di Milano in terra -e in mare, determinando il tributo in lire trecento, oltre la paratica. -Quest’ultima dagli abitanti di Treviglio fu fissata in sei marchi -d’argento. Il Comune di Brescia ricompravasi nel 1192 da tutte le -regalie per due marchi l’anno, e gliene faceva carta Enrico VI. - -I diritti regali non espressi nel patto di Costanza era convenuto -sarebbero ponderati dal vescovo di ciascuna città insieme con probi -uomini; ma essi non competendo se non al re che fosse eletto dal voto -nazionale, pochi fra’ successori del Barbarossa li godettero; e per -lo più s’accontentarono d’un omaggio e del giuramento di fedeltà, -trattando i nostri a maniera d’alleati. Enrico VI e Federico II, -bisognando d’ajuti in guerra, strinsero leghe con qualche città, -assolvendola dagli obblighi imposti dalla pace di Costanza; di modo che -o per cessione del re, o per ritrosia de’ popoli, s’andò smettendo ogni -aggravio, eccetto il fodro, che venne convertito in sussidio grazioso. - -Anche dalla conferma dei magistrati, riservata all’imperatore o a’ -suoi messi, le città si riscossero a denaro; sebbene le ghibelline, per -condiscendenza, gliela chiedessero ancora. Nel 1195, davanti alla porta -Torre di Como, Girardo de Zanibone, Tettamanzo de Gaidaldi, Odone di -Medolate, consoli del Comune di Cremona, col mezzo della lancia e del -gonfalone rosso con croce bianca, riceveano da Enrico VI l’investitura -di quanto si contiene nel privilegio di esso Comune[145]. - -Federico I erasi riservata l’appellazione delle cause[146], e a -riceverla delegava vicarj; venuti però questi di peso, le città se ne -fecero esentare, traendo anche tale diritto ai proprj magistrati o ai -vescovi[147]. - -Dapprima i messi regj ed i vicarj imperiali poteano ogni cosa quanto -l’imperatore, salvo che conferire i feudi maggiori o di trono, e -alienare o ipotecare beni e diritti dell’Impero. Abbiamo l’investitura -che Federico II dava nel 1249 a Tommaso conte di Savoja quale vicario -della Lombardia da Pavia in giù, affinchè conservasse la pace e la -giustizia; concedendogli perciò il mero e misto imperio e podestà -della spada contro i malfattori, principalmente quei che molestano -le strade; udire e risolvere le quistioni civili e criminali, -competenti all’imperatore; imporre bandi e multe; interporre decreti -per l’alienazione di cose ecclesiastiche e per tutela de’ pupilli; -dar tutori e curatori, restituire in intero, ricevere l’appello -dalle sentenze dei giudici ordinarj; ma dalla sentenza di lui possa -ricorrersi al trono[148]. Sì estesa autorità andò restringendosi; -i messi regj si ridussero a poco meglio che nodari; e il vicariato, -non che sostenere l’autorità imperiale, servì ad ampliare quella de’ -grandi, che compravano esso titolo per assodare la propria dominazione. -Guarnieri conte di Humberg, vicario d’Enrico VII, dovette abbandonare -la Lombardia per assoluta mancanza di denaro: per la causa istessa -Princivalle del Fiesco, vicario di Rodolfo d’Habsburg, vendette alle -città di Toscana le giurisdizioni dell’Impero[149]. - -Ne’ ricchissimi archivj di Lucca investigammo altrove la formazione di -quel Comune (pag. 38): studiandovi ora le relazioni delle Repubbliche -coll’Impero, troviamo che nel 1162, alla presenza dell’arcivescovo di -Colonia, arcicancelliere dell’Italia e legato imperiale, i consoli -maggiori giurarono sugli evangeli fedeltà a Federico I, e di nulla -attentare a suo danno, anzi soccorrerlo a sostener la corona e -l’onor suo, o recuperarli; non palesare gli ordini secreti ch’egli -trasmettesse; e per la guerra o per la pace in Toscana e per le regalie -starà alla sua parola, l’ajuterà a riscuotere il fodro nel vescovado -di Lucca, da tutti i cittadini farà dargli il giuramento, non guastare -nè lasciar guastare la strada, dare all’imperatore venti militi nella -spedizione verso Roma e la Puglia, pagare l’annuo tributo convenuto -di quattrocento lire, in ricompra di tutte le regalie per sei anni. -L’imperatore concede in ricambio alla città di Lucca di eleggere i -consoli, i quali vadano a ricevere da esso l’investitura, e gli giurino -fedeltà[150]. - -Qui è riconosciuta la piena libertà del Comune: eppure, due anni dopo, -esso Federico confermava il mero e misto imperio al vescovo di Lucca -sopra gran quantità di terre, ville, castelli, autorizzandolo a far -leggi e giustizia, e governare per sè o pel suo nunzio, come farebbe -l’imperatore o un nunzio suo[151]. Poi nel 1185 dava un diploma in -favore dei Comuni e signori di Garfagnana, di Montemagno, di Versilia, -di Camajore, prendendoli in protezione, esimendoli da ogni dominio -di città o di autorità qualunque, come soggetti a sè solo; abroga -le occupazioni di terre, borghi, castelli fatte da consoli; obbliga -Lucca a riedificare i castelli che v’avesse demoliti[152]. L’anno -vegnente, Enrico VI rinnovava a questa il privilegio della zecca, delle -giurisdizioni e regalie nella città e nel distretto, non accennando -più all’obbligo d’andare i consoli a giurare fedeltà; però, anche -ne’ trattati con altre potenze, riservino la fedeltà all’Impero, e -gli paghino sessanta marche d’argento l’anno. Nel 1209 Ottone IV, -imperatore disputato, confermava la carta anticamente datale da Enrico -IV, con questo che nessun mai guastasse le mura della città o le -case; non dovessero avere palazzo per l’imperatore, nè dare alloggi; -non paghino alcun pedaggio da Pavia sino a Roma o in Pisa; non abbia -molestia chi vien a commerciare con Lucca pel mare o pel Serchio; -non si fabbrichi castello o fortino a sei miglia di circuito; nessun -giudice di Lombardia eserciti giurisdizione in Lucca, se non presente -l’imperatore o il suo cancelliere[153]. - -Dall’assicurare il libero governo interno, le esazioni, i mercati, -le caccie, le pesche, i forni, i mulini, le Repubbliche passarono a -pretendere dominio sopra i vicini, e ne chiedeano ancora la ratifica -dagl’imperatori. Pertanto nel 1244 Federico II al Comune di Lucca -concedeva che i castelli di Motrone, Montefegatese e Luliano nella -Garfagnana con tutte le loro pertinenze gli stessero sottoposti; -accettasse come concittadini le persone della Garfagnana che il -vogliano; e i Comuni e le persone di questa possano ricevere i podestà -e rettori di Lucca: vale a dire, li sottraeva alla giurisdizione -imperiale per sottoporli alla comunale[154]. Quando i Lucchesi -parteggiarono col papa, esso Federico cassò quelle concessioni, -investendone invece il figlio e vicario suo Enzo; ma riconciliatosi, -le restituì al Comune di Lucca come feudo, talchè questa città, -internamente repubblicana, riguardo agli esterni avea posto nella -gerarchia feudale[155]. Eppure lo stesso Federico donava in perpetuo a -Pagano Baldovin messinese il territorio di Viareggio. - -La libertà dei Comuni guardavasi dunque non come un diritto primitivo, -ma come una concessione sovrana; dal re si chiedevano come privilegio -fin le giustizie; dal re si facevano confermare i successivi acquisti: -ma, secondo il senso feudale, consideravasi indipendenza il non aver -altro superiore che gl’imperatori. - -Tanto però bastava perchè questi potessero turbare le Repubbliche -colle loro pretensioni. Altre ne mettevano in campo i feudatarj e -conti, che solo per necessità aveano rassegnato i diritti antichi. Già -dicemmo (pag. 69) come i vescovi fossero ricchissimi e signori di tanta -parte di feudi e di giurisdizione. A quello di Brescia spettava un -quinto dei feudi della diocesi: ed erano tanti, che Enrico imperatore -avendone sequestrati alcuni in pena del favore dato ai papi, trovaronsi -ammontare a tremila biolche di terra; che poi il Comune di Brescia -ritolse alla Camera imperiale, dandole a livello a tremila poveri. -Arimanno vescovo cercò ricuperare quei feudi ed altri che l’imperatore -aveva investiti a laici; ma i nuovi investiti si opposero, fecero -lega cogli arimanni, irati al vescovo e al Comune che li gravava di -contribuzioni ad onta dell’antica immunità: ne venne guerra di fortuna -varia, sinchè anche gli arimanni ottennero per patto i privilegi che -già godeano i valvassori, e assoluzione da ogni tributo e servizio di -corpo[156]. - -I vescovi essendo stati sovrani, consideravano come usurpatore o -astiavano come vincitore il Comune, e sofisticavano sui diritti di -quello. Intendo in questo senso una carta del 1158, ove i canonici di -Santa Maria di Novara giurano fra loro di non dar mano a far passare al -Comune le cose di essa chiesa, nè col fatto o col consiglio permettere -che questa paghi fodro o dazio al popolo o ai consoli; nè ajutarli -in ciò che spetti al fortificare la città; nè daranno canonicati -ai discendenti dei consoli che aveano aperto a forza il granajo del -capitolo, sinchè i padri son vivi, nè di quei consoli che in alcun modo -pregiudicassero alla chiesa, o entrassero per forza nella canonica o -nelle case de’ fratelli[157]. - -Sempre poi i vescovi serbarono qualche resto dell’autorità loro; e -come ricchissimi che manteneansi ancora, e capi d’una gerarchia e di -un tribunale ecclesiastico, guardavansi quai primi cittadini, opinando -prima di tutti, e facendo la prima comparsa negli affari. Questo -intralciamento di diritti e di pretensioni potea non recare trista -sequela di cozzi e di gelosie? - -In mezzo a queste, le Repubbliche si organizzarono ciascuna -distintamente con una varietà che è mirabile sintomo d’estesa ragione -negl’Italiani, ma che è impossibile a seguirsi se non nelle storie -domestiche. Accennando que’ sommi capi in che le più s’accordavano, -dirò come la suprema signoria stesse nell’assemblea dei cittadini, -alla quale, a suon di trombe o di campana, convocavansi plebei insieme -e nobili, sommati talvolta a centinaja e migliaja. In Milano era di -ottocento, poi fu cresciuta e là ed altrove sino a millecinquecento e -a tremila, escludendo solo i mestieri sordidi. A Firenze vi entravano -le ventiquattro arti e i settantadue mestieri. In quella generale -adunanza, a voti si decideva della pace, della guerra, delle alleanze. -Sembra non vi si favellasse molto, e che ciò fosse un male lo lascerem -dire ad altri; ma i partiti non si pigliavano generalmente a semplice -maggioranza, volendosi ove i due terzi, ove i tre quarti; in alcun -luogo si raccoglieva complessivamente il voto di ciascuno de’ corpi che -componeano il gran consiglio. - -Pei molti affari dove occorre segreto e decisione spedita e -spassionata, venne istituito il consiglio minore o _di credenza_[158], -composto de’ più ragguardevoli, giurati di non palesare i trattamenti. -Erano di spettanza sua le finanze, il vigilare sopra i consoli, le -relazioni esterne, e vi si disponevano i partiti da sottoporre alla -deliberazione del popolo. - -I consoli, magistratura, come dicemmo, di attribuzioni particolari, -e che al formarsi de’ Comuni furono posti al governo, erano scelti -per suffragi; e senza la cauta divisione de’ poteri, doveano render -giustizia e amministrare la guerra, quasi non corresse divario fra i -perturbatori dell’ordine interno e dell’esteriore. I campagnuoli non -erano partecipi della pubblica amministrazione; ma molti castelli e -borghi, massime di Lombardia, crearono consoli proprj, più limitati di -autorità, sebbene intenti ad emulare i consoli cittadini. - -I doveri dei consoli venivano annoverati nel giuramento che essi -prestavano entrando in carica, e che inscrivasi negli statuti. In -quelli di Genova, i più antichi che si conoscano[159], leggesi il -seguente: - -— In nome del Signore, noi piglieremo il magistrato questo giorno -della purificazione della Madonna, e nel medesimo giorno, terminata la -compagnia, il deporremo. - -«Opereremo sempre a utilità del vescovado e Comune nostro, e ad onore -della santa madre Chiesa. - -«Esamineremo le quistioni private sulle istanze degli interessati, le -pubbliche anche senza istanza, di buona fede, secondo ragione e con -perfetta egualità, non pregiudicando al Comune in favore de’ privati, -nè ai privati in favor del Comune. - -«In caso di disparere tra noi, varrà la pluralità; in caso di parità, -ci riporteremo a un savio, di cui non sia conosciuto il parere. - -«Rivocheremo e miglioreremo le sentenze fatte dal nostro consolato, -qualunque volta il richieda la giustizia. - -«Sentenzieremo in pubblico entro quindici giorni dopo presentato il -libello, quando non cada in dì festivo, o l’attore non si ritiri. - -«Per una sentenza non percepiremo direttamente o indirettamente più di -tre soldi. - -«Quando alcuna parte non trovi avvocato difensore, a sua istanza -glien’eleggeremo; e se l’eletto ricusi, o non si adoperi di buona fede, -gli vieteremo di comparirci dinanzi per tutto il nostro consolato. - -«Imporremo a’ testimonj chiamati in giudizio dalle parti, di comparire -e deporre il vero, obbligandoli, in caso di rifiuto, al rifacimento del -danno. Nelle cause maggiori non si vorrà meno di dodici testimonj. Di -chi citato a testimoniare, negasse comparire davanti a noi e giurare -il vero, faremo vendetta a nostro arbitrio, ancorchè sia negli ordini -sacri, perchè così vuole ragione. - -«Le proprietà, i feudi e i diritti posseduti pacificamente per -trent’anni, conserveremo intatti a’ possessori. - -«In caso d’omicidio premeditato e palese, manderemo in esiglio il -colpevole, daremo il guasto a’ suoi beni, e il possesso di quelli a’ -più stretti congiunti dell’ucciso, o, quando li rifiutassero, alla -cattedrale. Se non sia provato chiaramente il reo, permetteremo a’ -congiunti fino in terzo grado di domandargli d’ammenda quanto vorranno, -o quanto almeno potrà dare l’accusato. E s’egli rifiuterà pagarla, -e sfiderà a battaglia l’accusatore, sarà lecito, e il soccombente -puniremo come avremmo punito il palese omicida. - -«Chiunque portasse armi dal suono del campanone sin alla fine del -parlamento, condanneremo in lire dieci se n’abbia almeno cinquanta, o -in una se n’abbia sopra dieci, e in meno a nostro arbitrio se povero. - -«Non permetteremo torri più alte di ottanta piedi, e a venti soldi per -piede condanneremo i trasgressori. - -«I falsatori di monete e i complici loro spoglieremo d’ogni avere e -d’ogni diritto a favore del pubblico erario; proporremo al parlamento -che siano banditi in perpetuo; e venendo in nostro potere, farem -loro troncare la destra. Sarà però necessario a un tanto castigo o la -confessione del reo, o ch’e’ sia convinto mediante legale deposizione -de’ testimonj. - -«Ad ambasciatori assegneremo solo l’onorario approvato dalla -maggioranza del parlamento. - -«Vieteremo il portare nel nostro distretto merci pregiudicievoli alle -nostrali, salvo i legnami e guarnimenti di nave. - -«Non imprenderemo guerra, nè faremo oste, divieto o imposizione senza -il consenso del parlamento; nè aumenteremo i dazj marittimi, fuorchè -all’occasione di nuova guerra in mare; e i pesi cadranno uguali su -tutti. - -«Chiunque, invitato da noi o dal popolo ad ascriversi nella nostra -compagnia, non avrà aderito entro undici giorni, ne sarà escluso per -tre anni avvenire; non accetteremo in giudizio le sue istanze, salvo -fosse per difesa; nè lo nomineremo ai pubblici uffizj, e farem divieto -che nessuno della nostra compagnia lo serva delle sue navi, o lo -difenda ai tribunali. - -«Qualunque volta un estranio sarà accettato nella nostra compagnia, gli -daremo il giuramento di abitazione non interrotta nella nostra città, -secondo il consueto degli altri cittadini. Pe’ conti, pe’ marchesi -e per le persone domiciliate fra Chiavari e Portovenere basterà -l’abitazione di tre mesi l’anno. - -«Osserveremo fedelmente l’appalto delle monete a coloro che si sono -obbligati verso il Comune, e saranno leali alle convenzioni co’ -principi e popoli forestieri». - -Per correggere lo sconcio feudale di lasciare nelle mani stesse -l’amministrazione e la giustizia, si distinsero i consoli minori -o dei placiti, specialmente applicati ai giudizj, a differenza di -quei del Comune o maggiori[160]. Trattavano collegialmente le cause: -tenendo giurisdizione separata in distinti quartieri: e il tribunale -di ciascuno distinguevasi con insegna particolare, dicendosi del bue, -dell’aquila, dell’orso, del leone, e così via; a Piacenza erano dipinti -sul tribunale il griffone e il cervo, a Verona l’ariete; a Mantova -diceansi del banco di san Pietro, di sant’Andrea, di san Giacomo, di -san Martino[161]. - -Consoli chiamavansi, fin prima della libertà, altri sovrantendenti -alle grasce, alla marina, alle arti o simili, e così continuarono. Nel -1172 Milano creava otto consoli de’ mercanti, collo stipendio di sette -lire di terzuoli, e l’obbligo di sopravvedere alle misure, riscuotere -le multe dei bandi, delle bestemmie e di somiglianti trasgressioni, -e provvedere che i mercanti andassero sicuri. I consoli delle faggie -doveano rivendicare e difendere i diritti del Comune sovra i pascoli -intorno alla città, e sopravvegliare alle strade: il quale uffizio a -Chieri chiamavasi dei sacristi, a Siena de’ viaj. Di poi ciascun corpo -volle avere o piuttosto conservò consoli proprj; e così le parrocchie -e le terre, dove sussistettero fin ai giorni nostri quali agenti del -Comune. - -Nell’elezione dei consoli operavano spesso l’intrigo e l’ingerenza -delle famiglie potenti; e trovandosi scelti da case e da fazioni -nemiche, si contrariavano gli uni gli altri, incagliando gli affari, e -per tema o preghiere o disservigio lasciando lesa o monca la giustizia. -La potenza de’ consoli annui ed elettivi non era bastante a reprimere -i faziosi, nè potea reggersi che appoggiata ad un partito, mancando -dell’imparzialità necessaria a garantire i diritti di tutti. I consoli, -nemici personali de’ castellani ch’essi aveano spossessati, poteano -esserne giudici? Tornando cittadini dopo un anno, trovavansi esposti -alle vendette de’ ribaldi che avessero puniti o delle famiglie offese. -Per dominar l’anarchia bisognava un tribunale che da più alto reggesse -cittadini e castellani, che non fosse nè feudale nè borghese, che -potesse reprimer robustamente le lotte; popolare così che i cittadini -lo potessero opporre ai nobili, eppur nobile affinchè l’aristocrazia -l’accettasse, e che per origine non avesse e per lunga dimora non -adottasse le passioni de’ cittadini. A tale intento Bologna chiamò -il faentino Guido di Ranieri da Sasso, che esercitasse il potere de’ -consoli del Comune, e presedesse a quelli de’ placiti. Questo nuovo -magistrato s’intitolò _la podestà_, come quelli che il Barbarossa -ai Comuni sottomessi aveva imposti invece dei consoli; e dovea -rappresentare l’antico elemento imperiale, quasi custode della legale -società, e di quella giustizia che, anche dopo l’emancipazione, si -considerava come privilegio imperiale. - -Tale novità si conobbe spediente per ridurre nel Comune anche -quest’avanzo delle pretensioni imperiali, ottenere più disinteressata -l’applicazione delle leggi, e operare ne’ casi urgenti colla prestezza -che viene dall’unità dell’esecutore. Fu dunque adottata, e cernivasi -il podestà fosse dalla nobiltà castellana rimasta indipendente, fosse -da città della fazione medesima, fosse tra persone celebrate per -onestà o per conoscenza di leggi. Proposto nel pubblico consiglio, era -eletto a pluralità di voti, ovvero se ne comprometteva la nomina in un -certo numero di probi: taluni lo chiedeano al papa o all’imperatore, -ma presentandogli le convenzioni o lo statuto ch’ei dovea giurare -anche prima di conoscerlo. Da Perugia si mandavano cittadini, e più -volentieri frati, a conoscere nelle città forestiere gli uomini -di maggior vaglia, da’ cui nomi imborsati si sortiva il nuovo -podestà[162]. - -Al designato spedivasi un’ambasceria; ed egli, al Capodanno o al san -Martino, entrava con solenne incontro de’ cittadini e del vescovo, -e con messa e panegirica orazione; e venuto sulla piazza maggiore, -recitava una diceria, giurava osservare gli statuti, non ritenere -la carica oltre un anno, e non partirsi prima d’aver subìto il -sindacato[163], e nel nome di Dio assumeva l’uffizio. - -Egli menava seco due cavalieri per guardia ed onoranza; assessori e -giudici per consiglio, notaj, siniscalco, ministri, servi, cavalli. -La giustizia talvolta esercitava col solo privato consesso, in alcuni -paesi coi consoli de’ placiti come a Milano, o co’ giudici de’ collegi -come a Parma[164]. Funzionario unico, riuniva l’autorità politica e -la giudiziaria de’ consoli, ridotti a semplici consiglieri col titolo -di priori, anziani, rettori o simili: straniero come gli antichi -conti, eppur magistrato responsale come un cittadino, uom di toga e di -spada, giudice e dittatore, reprime e castellani e borghesi del pari, -eseguendo egli stesso i suoi decreti, e usava poteri discrezionali come -in tempo di guerra. Qui pure il giuramento specificava i doveri del -podestà, alcuni dei quali erano generici, altri speciali d’un tempo e -d’un luogo. - -Lo statuto genovese porta che il consiglio nomini ogni anno trenta -elettori, i quali procedano all’elezione del podestà per via di -polizze: all’eletto accettante due nunzj portino a giurare i seguenti -capitoli, presente il consiglio della natìa sua terra: — Non vedrà gli -statuti di Genova se non dopo giurato di osservarli: sarà servito da -venti persone, e accompagnato da tre cavalieri e da due a tre giudici -a sua elezione, i quali con titolo di vicarj o luogotenenti terranno -gradatamente sue veci in caso di assenza, malattia o morte: salarj, -pigioni, spese di viaggio resteranno a carico di lui, ma riceverà -provvisione di lire milletrecento di Genova (da mezz’oncia d’oro), -due lire al giorno di più nelle campagne marittime, nelle terrestri -quattro, nelle ambascerie quanto deciderà il consiglio: l’anniversario -del giorno che avrà preso il magistrato, dovrà uscire di Genova, e -seco i suoi terrazzani e distrettuali, del che si rogherà speciale -istromento. - -Il podestà di Milano giurava comportarsi col miglior modo e senno -all’utile della comunità, specialmente per la pace e le guerre; le -convenzioni e concordie tra Milano ed altre città o private persone -farà mettere in iscritto e conservare; il Comune manterrà nelle -concordie e convenzioni e nelle concessioni e dazj, e a ricuperarli -e serbarli; non sarà guida nè spia a danno della città, per servizio -di niun suo nemico. Quando si trovi entro i pubblici fossati, ogni -giorno monterà al suo uffizio, e la giustizia eserciterà a pro della -repubblica, nè oltre venti giorni in tutto l’anno starà fuori del -Comune; non commetterà furto nè frode, nè consentirallo ad altri, ed -i commessi denunzierà nel pubblico arringo. A titolo d’uffizio non -piglierà cosa alcuna nè egli nè sua moglie o figliuoli, e neppure nelle -legazioni; nè avrà altro stipendio che di lire duemila, e il salario -di cinque giudici. Nelle cause pertinenti a’ consoli di giustizia o -del Comune, non darà alcun consiglio se non ai giudici; delle sentenze -sue piglierà soltanto dodici denari per libbra, cioè dieci pel Comune -e due pe’ giudici suoi; le sentenze da proferire non manifesterà -se non ad un suo giudice ed al notaro che ha a scriverle, e saranno -conformi alle leggi di Milano. L’appalto del viatico, del fodro, della -moneta non delibererà, se non avuto il consiglio de’ savj. Rileverà i -consoli di tutte le cause che pronunziarono di suo comando o precetto, -e parimenti d’ogni giuramento in fine dell’uffizio suo. Non farà -remissione di alcuna taglia, se non per cagione d’incendio, tempesta, -povertà nota, od altra giusta causa approvata dal consiglio di -credenza. Non prenderà alcun prestito se non fuori della giurisdizione -in benefizio della repubblica. Ogni mese riceva e renda i conti, -stendendone autentica scrittura; e si faccia rileggere il giuramento, -diligentemente ascoltandolo. Villa nè borghigiano o rustico alcuno -affranchi dai carichi imposti per la repubblica, senza il consentimento -del comune consiglio. Le costituzioni del Comune non muti senza il -consiglio di credenza. Faccia eseguire le sentenze proferite, e le -pene contro i fornai delinquenti e i malfattori. Quelli posti nel -bando per omicidio o congiurato, non permetta abitare nel comune di -Milano, e le terre o abitazioni di quelli tenga incolte e devastate: -non conceda verun uffizio o ambasciata a banditi, nè a falliti od -infami: definisca le appellazioni fatte sopra cause di omicidj, bandi, -incendj, battaglie, eccetto se l’appellante non dia all’avversario -sicurtà della restituzion delle spese, giurando non aver dato niente -al giudice delle appellazioni, nè ad altra persona fuor dell’avvocato, -o per cavare scritture. Fedelmente ricercherà se niun ufficiale faccia -frode: tutti i provvisionati del Comune costringerà a dar conto ogni -quattro mesi de’ denari avuti per la comunità. Non farà o lascerà far -ricerca sulle condanne date per gli antecessori suoi, nè sui denari -spesi dal Comune per tali uffiziali. Giudei ed eretici deve sbandire da -Milano e suo contado, dopo che per l’arcivescovo gli sieno denunziati; -quelli che gli avessero ricettati ammonisca perchè fra venti giorni -gli abbiano espulsi, altrimenti essi pure saranno posti nel bando, dal -quale non si potranno cavare senza licenza ecclesiastica; le case loro -faccia diroccare. Se alcuno statuto ritrovasse contrario alla Chiesa, -lo annullerebbe. Finito il suo reggimento, quindici giorni dimorasse a -Milano insieme colla sua comitiva, aspettando il sindacato (CORIO). - -La spada sguainata che si recava innanzi al podestà, esprimeva il -diritto di sangue: ma spesso doveva esercitarlo con aspetto di guerra -e di violenza. Alcun pubblico delitto era denunziato? dal balcone -del palazzo egli sciorinava il gonfalone di giustizia, colle trombe -chiamava i cittadini alle armi, e a capo loro moveva ad assediare la -casa del reo. A Perugia sono uccisi due giudici, e si ordina di tener -chiuse le botteghe finchè non siano scoperti i rei; e così stettero -per tre mesi. — Giuro che, se alcun nobile, o non giurato in popolo, -ucciderà o farà uccidere o consentirà che si uccida alcun anziano o -notajo d’anziani o uomo giurato in popolo..., senza intervallo farò -sonare la campana del popolo, e con quel popolo o alcuna parte di -esso, con sterminato furore andrò alla casa di quel cotale uccisore, -e innanzi che quindi mi parta, infino alle fondamenta farò disfare... -E insino a tanto che la distruzione e il guastamento di tutti i beni -del malfattore predetto, così nella città come nel contado, non sia -compiuto di fare, nulla bottega d’arte o mestiere, o corte alcuna della -città fia tenuta aperta». In tale sentenza ogn’anno giurava il capitano -del popolo di Pisa; e aggiungeva che punirebbe il figlio pel padre, il -padre pel figlio, non lascerebbe mai più coltivare o comprare i loro -beni, darebbe un premio a chi li pigliasse o uccidesse[165]. - -Tanto fin la giustizia assumeva aspetto di violenza, perchè le -Repubbliche, a modo de’ feudatarj, traevano il diritto punitivo da -quel della guerra privata e della vendetta personale, e i signori erano -avvezzi a obbedire soltanto alla forza; onde non era se non la pubblica -sostituita alla privata, e i castighi somigliavano alle rappresaglie -delle passioni, le quali non si erano spente ma solo dirette, -ignorandosi ancora la pacifica amministrazione. - -In somma il podestà comprendeva in sè l’antitesi della società -d’allora. Come dittatore, veste carattere politico, assale, difende, -bandisce, uccide, dirocca case e castelli, arma e disarma la città, -conduce l’esercito; e riconoscendo due partiti ostili, due tendenze -contrapposte, le regola col reprimerne una, cioè col limitare la -libertà. Come giudice, veste carattere legale, semplice stromento della -legge, innanzi alla quale si eclissano partiti, persone, famiglie; nè -egli dee permettersi verun passo che offenda la libertà. Giurato ad -osservar gli statuti, contornato da persone di legge, venuto da paese -estraneo per amministrar con imparzialità; esposto al sindacato; eppure -come dittatore è costretto a un’ingiustizia continua fra i due partiti -in lotta; è esposto all’eventualità de’ conflitti; robusto in un -momento di sollevazione, è inetto allorchè le due fazioni s’accordino -in modo, che egli non possa valersi dell’una per reprimere l’altra. - -Di tanta autorità poteva facilmente abusare; onde fu assiepato di -gelose precauzioni: ad invitarlo si deputavano persone religiose, -estranie alle brighe; talvolta a sei e fin a tre mesi se ne limitò -la durata, benchè talaltra venisse allungata[166]; in città non -dovea contrarre parentele, non mangiare presso alcuno. La breve -durata cagionava gli scomodi d’un perpetuo tirocinio; eppure durante -l’effimera magistratura il podestà rimaneva arbitro delle vite, -per la latitudine concessa dalle consuetudini. Il potere giudiziale -esercitavasi troppo mescolatamente col politico, e la ragion di Stato -soffocava la schietta voce della giustizia. Nelle rivoluzioni poi al -podestà concedevasi balìa dittatoria, sicchè castigava a tumulto i rei, -cioè la parte avversa e la soccombente. I Bolognesi nel 1192 tolsero a -podestà Gherardo Scannabecchi loro vescovo, ma nojatisi di lui, vollero -sostituirvi i consoli: il vescovo s’ostinava a tener il potere, sinchè -una levata di popolo lo gittò in fuga. I Pisani chiesero podestà papa -Bonifazio VIII, ed egli accettò collo stipendio di quattromila fiorini: -altrove fu podestà un re. Il sindacato non era una cautela politica -contro gli abusi del potere, giacchè si facea sol dopo scaduto di -carica, ma una salvaguardia della moralità e un risarcimento ai danni -privati, derivato esso pure da consuetudini romane[167]. N’usciva con -lode? il podestà riceveva dal Comune un pennone, una targa o altro -segno; a Giovanni Raffacani fiorentino gli Orvietani nel partire -posero in capo una corona d’oro, e gli diedero una spada e uno scudo -con gran trionfo[168]; e non v’è città che non serbi una lapida o -l’effigie d’alcuno: onorificenze dappoi profuse per piacenteria o per -amistà[169]. - -Procedendo a tentone come gente inesperta, al primo sconcio che -apparisse mutavano forma di governo, salvo a tornare fra pochi mesi al -primiero. Fu volta che, scontenta del comune aristocratico, la plebe -elesse un capitano suo proprio, straniero anch’egli, che per un anno -o per sei mesi la tutelasse[170]; talaltra nominavasi un capitano -di guerra, che dimezzava il potere dei predetti, avendo in mano la -forza. In Bologna il comune dei nobili era preseduto dal pretore; i -non nobili formavano il popolo, con un prefetto o capitano. Milano nel -1186 eleggea primo podestà Uberto Visconti; l’anno appresso tornò al -consolato; nel 1191 usava ancora un podestà, tre nel 1201, cinque nel -seguente, tre ancora nel 1204. Firenze erasi divisa in dodici arti; -sette maggiori, de’ giureconsulti e notaj, de’ mercanti di panno in -Calimala, de’ cambisti, lanajuoli, medici e speziali, mercanti di -seta, pellicciaj; e cinque minori, de’ bottegaj, macellari, calzolaj, -muratori e falegnami, mariscalchi e magnani: ed anche il nobile che -volesse impieghi doveva essere in qualcuna matricolato. Nel 1294 -creatasi la signoria dei priori delle arti e della libertà, alla -prima elezione non presero parte che le tre prime, alla seconda sei, -a ciascuna delle quali toglievasi un priore, rinnovandoli ogni terzo -mese. Viveano in comune a pubbliche spese, non uscendo di palazzo per -quanto la balìa durava; rappresentavano lo Stato, ed esercitavano il -potere esecutivo; ed uniti coi capi e coi consigli o capitudini delle -arti maggiori, con alcuni aggiunti (_arroti_) nominavano a scrutinio i -proprj successori[171]. Mal rassegnandosi i nobili a questa oligarchia -plebea, fu introdotto nel 1292 il gonfaloniere della giustizia, per -reprimere i perturbatori della quiete: e quand’egli esponesse la -bandiera sul pubblico palazzo, i capi delle venti compagnie doveano -raggiungerlo, per assalire con lui i sediziosi e punirli. Quest’esempio -trovò i seguaci. - -Un abate del popolo o molti incontriamo altrove: un doge al modo di -Venezia assumevano ne’ maggiori frangenti Pisa e Genova; trasferendo -in esso ogni pubblico potere, salvi però i collegi delle arti e i -pubblici ordinamenti. In Bologna l’autorità sovrana era divisa fra -il podestà, i consoli e tre consigli, cioè il generale, lo speciale -e quel di credenza: nel primo entravano tutti i cittadini sopra i -diciott’anni, esclusi gl’infimi artieri; il secondo era di seicento; -nell’altro di minor numero aveano luogo tutti i giureconsulti paesani. -Dicembre entrante, i due primi consigli venivano convocati dai consoli -o dal podestà, e messe innanzi al loro tribunale due urne coi nomi -dei componenti essi consigli; e da ciascuna delle quattro tribù in -cui era partita la città, estratti a sorte dieci elettori, venivano -rinchiusi insieme, ed obbligati, entro ventiquattr’ore, a nominare, -colla maggioranza di ventisette voti, quei che dovessero entrare ne’ -consigli. Ai consoli o al podestà spettava l’iniziativa degli affari, -che poi erano decisi dai consigli, dove per lo più quattro oratori soli -avevano la parola, gli altri limitavansi a votare. - -È questo uno dei mille modi coi quali fu dai Comuni del medioevo -affrontato quel che oggi pure è intricato problema dei paesi -costituzionali, le elezioni. Nulla è men sincero che il voto emesso -dall’intera nazione radunata, dove esso va confuso collo schiamazzo -plebeo o la tresca astuta, dove non tutte le classi sono equamente -rappresentate, dove l’ignaro e l’intrigante valgono l’onesto -e illuminato, e la libertà ne va il più spesso alla peggio. Si -procurarono dunque varj ripari, per lo più ricorrendo alla sorte o a -complicatissime combinazioni, di cui Venezia e Lucca particolarmente -offrono bizzarri esempj. - -In Venezia il doge ne’ primi sei secoli era scelto dal popolo; dopo -il 1173 da undici elettori; dopo il 1178 il maggior consiglio cerniva -quattro commissarj, ciascun de’ quali nominava dieci elettori, -cresciuti poi a quarantuno nel 1249. Così durò fino al 1268, quando, -per cansare il broglio, s’introdusse la più strana complicazione. -I membri d’esso consiglio metteansi a squittinio con palle di cera, -trenta delle quali chiudevano una cartolina iscritta _elector_: dei -nove cui toccavano le fortunate, due venivano esclusi, gli altri -designavano quaranta elettori, i quali col metodo stesso riduceansi -a dodici. Il primo di essi ne eleggeva tre, due gli altri, e tutti -venticinque doveano essere confermati da nove voti; poi ridotti a nove, -ciascuno doveva indicarne cinque, e tutti i quarantacinque ottenere -almeno sette voti. I primi otto tra questi ne _cappavano_ quattro -ciascheduno, e tre i tre ultimi; onde venivano quarantun elettori, che -messi ai voti, doveano riportare almen nove delle undici palle. Se un -elettore nel maggior consiglio non conseguisse l’assoluta maggioranza, -restava escluso, e gli undici dovevano surrogarne un altro. Così cinque -ballottazioni e cinque scrutinj producevano i quarantun elettori. Di -botto erano chiusi in una sala, finchè non avessero nominato il doge; -trattati splendidamente, liberi di chiedere qualunque capriccio, ma -quel che uno domandasse era dato a tutti: uno volle un rosario, e -se ne recarono quarantuno; un altro le favole d’Esopo, e fu fatica -il ritrovarne altrettanti esemplari. Gli elettori nominavano tre -presidenti priori; indi due segretarj che restassero chiusi con essi. -Allora per ordine d’età venivano chiamati innanzi ai priori, e ciascuno -di proprio pugno scriveva sopra una scheda il nome del proposto, che -dovea aver compiuti i trent’anni ed appartenere al maggior consiglio. -Un segretario, tratto a sorte uno di que’ viglietti, ne pubblicava il -nome, e ciascuno potea fare gli appunti che credesse. Passatili tutti -in rassegna, mandavasi ai voti, e sortiva doge quel che ne conseguisse -almeno venticinque. A questo modo fu eletto per la prima volta Lorenzo -Tiepolo[172]. - -A Lucca era condizione d’eleggibilità il censo[173]; e supremo -magistrato i nove anziani, tra cui il gonfaloniere; poi un consiglio di -trentasei, e il consiglio generale di settantadue. La signoria sedeva -due mesi, e chi era seduto avea divieto due anni; essa scompartivasi -coi trentasei gli onori e gli utili dello Stato. «Imborsano (dice il -Machiavelli), ogni due anni, tutti quelli signori e gonfalonieri, che -nelli due anni futuri debbono sedere; e per fare questo, ragunati che -sono i signori con il consiglio de’ trentasei in una stanza a questo -ordinata, mettono in un’altra stanza propinqua a quella i segretarj -dei partiti con un frate, ed un altro frate sta sull’uscio che entra ai -segretarj, quello a chi ei rende il partito, e a chi ei vuole che altri -lo rendano; dipoi ne va innanzi ai segretarj, e mette una ballotta nel -bossolo. Tornato che è il gonfaloniere a sedere, va uno dei signori di -più tempo, poi vanno tutti gli altri di mano in mano; dopo i signori -va tutto il consiglio, e ciascuno quando giunge al frate domanda chi -è stato nominato ed a chi egli debba rendere il partito, e non prima; -talchè non ha tempo a deliberarsi, se non quel tempo che pena a ire dal -frate ai segretarj. Renduto che ciascuno ha il partito, e’ si vôta il -bossolo, e s’egli ha tre quarti del favore, egli è scritto per uno dei -signori; se non l’ha, è lasciato ire fra i perduti. Ito che è costui, -il più vecchio dei signori va e nomina un altro nell’orecchio al -frate; dipoi ciascuno va a rendergli il partito, e così di mano in mano -ciascuno nomina uno, e il più delle volte torna loro fatta la signoria -in tre tornate di consiglio. E ad avere il pieno loro conviene che -gli abbiano centotto signori vinti, e dodici gonfalonieri: il che come -hanno, squittinano infra di loro gli assortitori, i quali assortiscano -che questi siano i tali mesi, e quelli i tali, e così assortiti, ogni -due mesi si pubblicano». - -Tanto basti a chiarire quanto lontani dall’uniformità fossero quei -reggimenti. Nell’interno durava la diversità delle persone: e primi -erano i militi, derivanti dagli antichi feudatarj e da arimanni -e baroni; seguivano gli ecclesiastici; poi i leggisti, col nome -di _judices, advocati, procuratores_; indi i _paratici_, cioè le -corporazioni d’artieri; ultimi i popolani[174]. Allato della libertà -comunale sussistevano privilegi feudali, ecclesiastici, regj, consorzj -di famiglie e d’arti; servitù di possessi e di persone; libertà -romana, clericale, barbarica. In alcuni paesi, massime nel Piemonte, -molti Comuni rimanevano sotto la supremazia immediata dell’imperatore -o de’ suoi vicarj, laonde non godeano l’intera sovranità, cioè il -diritto di pace, guerra, moneta, e la suprema giurisdizione, ma -del resto si governavano senza differenza dagli altri, giacchè le -franchigie comunali si credeano parte del diritto pubblico interno, e -l’amministrare distinguevasi dal regnare. La città d’Ivrea, dandosi nel -1313 ad Amedeo V conte di Savoja, stipulava che il podestà, i giudici -e gli altri uffiziali di giustizia conserverebbero il mero e misto -imperio, e si farebbero gli statuti come per l’addietro. - -Rimanevano traccie del diritto personale alla germanica[175]; ma -prevaleva il diritto romano, nelle diverse città modificato da una -moltitudine di ordinanze municipali. Gl’imperatori seguitarono a -far leggi nella dieta nazionale, ma concernevano soltanto feudi, -vassalli, monasteri: mentre era nella natura de’ popoli germanici che -o la consuetudine o il consenso de’ migliori e maggiori della terra -producessero un gius privato. - -Profittando della facoltà ottenuta nella pace di Costanza, tutte -le repubbliche tradussero le consuetudini in leggi compilando -statuti proprj; e fin borgate, fin monasteri vollero averne di -particolari[176]. Erano decreti relativi all’uffizio de’ magistrati o -all’amministrazione del pubblico; poi alla polizia, a pesi e misure, -alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma occorreva -ai bisogni ed ai costumi. Obbligavano soltanto gli accomunati, non i -feudatarj, non i corpi o le persone immediatamente dipendenti dal re. -Aggiravansi ora sopra l’applicazione della legge romana o longobarda, -ora sopra la consuetudine; e v’avea talvolta regolamenti distinti -per le due giurisprudenze, come a Pisa un _constitutum legis_ e un -_constitutum usus_. - -Francesco da Legnano diceva a Matteo Visconti: — Voi giurerete reggere -il popolo nel nome del Signore da oggi innanzi fino a cinque anni -con buona fede, senza frode; e di custodire e salvare esso popolo e -gli statuti; e _dove questi taciano, starete alle leggi romane_». È -questo il cenno più antico del diritto comune, chiamato in supplimento -alla legge municipale[177]. Il diritto comune conteneva i principii -generali di giustizia, applicabili nell’interesse sì del pubblico -sì de’ privati; il municipale era legge di eccezione, riguardante -le qualità e i diritti particolari di ciascun Comune. Il primo era -spiegato per scienza, e solo l’imperatore avrebbe potuto aggiungervi -qualche costituzione: negli statuti venivano fatte aggiunte o deroghe -secondo l’opportunità dai magistrati municipali. Il primo conteneva la -ragione scritta, e progredita mediante gli studj legali e filosofici: -negli statuti si trova la storia contemporanea di cadaun Comune, e -l’espressione dei costumi e delle credenze. - -Sopravviveano le consuetudini germaniche del mundio, del comporsi a -denaro, delle prove di Dio, del duello giudiziario, non però colla -spada ma con bastone e scudo in presenza del popolo e d’un console. -Pene sproporzionatamente feroci si applicavano, come era nello statuto -milanese lo strappar un occhio al ladro la prima volta, la seconda -troncargli le mani, alla terza la forca[178]. Dalle libertà germaniche -proveniva la legge in molti ripetuta di non arrestare alcun cittadino -se non per ordine de’ consoli; l’_habeas corpus_, di cui si compiaciono -così giustamente gl’Inglesi[179]. Qualche vestigio vi rimane ancora -delle antiche associazioni, dove tutti erano interessati alla sicurezza -de’ singoli, perchè del danno sofferto doveano compenso: così in una -convenzione del 1219 fra Bergamo e Brescia è statuito che se qualche -Bresciano, fra giorno, sia da’ masnadieri derubato sulla strada -reale che mette a Milano, il comune di Bergamo deva fra venti giorni -risarcirlo; altrettanto pei Bergamaschi[180]. Quel di Mantova rifaceva -i danni per manomessione di argini e campi, e così per incendj; del -forestiero rendeva garante l’ospite o l’albergatore, che doveva subito -notificarlo[181]. - -In generale tu vi scorgi una diffidenza continua verso i vicini e tra -gli stessi accomunati; poi sottentra la cura di mantenere distinte -le classi; e i beni e l’autorità ristretti in poche famiglie; una -fiscalità argutissima; le donne escluse dalle successioni, ricevendo -a saldo la dote. Da alcuno vedemmo abolite le servitù personali; -quel di Modena del 1221 cancellò perfino ogni possesso o dipendenza -feudale[182]; e le tante gelosissime diligenze attorno ai contratti, -ai fitti, alle enfiteusi, alle usure, danno a vedere la crescente -importanza della ricchezza mobile e della agricola, e come questa -si sminuzzasse affinchè un maggior numero ne ritraesse vantaggi -individuali. Ma di quel volere ingerirsi d’ogni atto gli appunteremo -noi, se fin oggi i governi non hanno imparato che la loro attribuzione -razionale si riduce alla legittima difesa dei diritti degli individui? - -Ne conseguiva che non potesse uniformemente amministrarsi la giustizia: -e la parte peggiore d’esse Repubbliche era appunto questa, che è -quella di cui più immediatamente i cittadini risentono. V’avea giudici -del re, ve n’avea del municipio, del podestà, del feudatario, oltre -gli ecclesiastici. I rettori della Lega Lombarda, quando si univano -or qua or là per gl’interessi comuni, ricevevano anche l’appello da -sentenze di consoli, al modo che soleano un tempo i re d’Italia[183]; -i quali pure non cessarono d’esercitare questa supremazia qualvolta qui -tenessero dieta. - -La giurisdizione dei vescovi si restrinse ai loro feudi; e ampliandosi -il reggimento repubblicano, i consoli talvolta pretesero sentenziare -anche sopra persone ecclesiastiche, per quanto i concilj vi si -opponessero[184]. I feudatarj laici o cherici amministravano la -giustizia personalmente, o per via di gastaldi e nunzj, i quali -solevano affidarla a giudici scelti fra gli abitanti del luogo; e da -loro davasi appello al giudice feudale, il quale però nulla poteva -direttamente sopra i cittadini che abitassero nel fondo. Le cause -feudali erano riservate a un doppio tribunale de’ pari maggiori e -minori, ed alla regia curia. - -In Firenze il podestà e il capitano di giustizia, sempre forestieri, -abitavano quello nel palazzo del Comune, questo nel palazzo del -popolo, entrando nell’annuo uffizio l’uno a maggio, l’altro a -gennajo, e ambidue conoscendo delle cause civili e delle criminali. Il -podestà conduceva sette giudici, tre cavalieri, diciotto notaj, nove -berrovieri, tutti non toscani; e quello colla sua famiglia riceveva -seimila lire, l’altro seimila cinquecento. Il podestà deputava uno -de’ suoi giudici ogni due sestieri della città per inquisire ne’ casi -criminali: nessuno poteva dar querela se non al giudice del proprio -sestiere: il reo seguiva il fôro dell’attore, i forestieri sceglievano -qual volessero. Nelle cause di poco momento si procedeva sull’istanza -dell’ingiuriato o di un suo parente; nelle gravi, di chicchefosse, -purchè sottoscritta; d’uffizio, nel caso che l’ingiuriato ricusasse di -farlo. L’accusatore giurava proseguire la causa, dandone malleveria -per cento soldi: il reo citavasi a spese dell’attore. Le esamine -si scriveano, convincevasi per testimonj, e al reo si assegnavano -dieci giorni a difendersi. Entro venticinque giorni il giudice doveva -esaminar la causa, e conferirla con altri giudici e col podestà; poi -fra cinque altri proferire la sentenza. Le cause civili in prima -istanza conoscevansi dai giudici de’ sestieri, cittadini dottori, -mutabili ogni sei mesi e pagati. L’appello recavasi al giudice annuo, -forestiero e dottore; se confermasse, la causa passava in giudicato; -se no, recavasi al podestà, con quattro giudici collaterali pronunciava -definitivamente. Del capitano del popolo erano competenza le violenze, -estorsioni, falsità a lui denunziate, le cause riguardanti estimo -e gabelle, e i delitti di cui il podestà non proferisse fra trenta -giorni. I cavalieri andavano in volta coi berrovieri, cercando i -violatori degli statuti; in molti casi non poteasi catturare alcuno se -non in loro presenza; o in difetto supplivano i notaj, cui uffizio era -coadjuvare i giudici. S’aggiunga la corte del vescovo, l’inquisitore -dell’eresia, il giudice sopra le gabelle, quello dell’appellazione, e -forse altri, chè ciascuno teneva ragione e corda da tormentare. Ciò -che è più strano, cittadini nelle proprie abitazioni esercitavano -il diritto punitivo, e i Bostichi «collavano gli uomini in casa -loro, in mercato nel mezzo della città, e di mezzodì li mettevano al -tormento»[185]. - -Tante giurisdizioni nel territorio d’una sola repubblica! Collegi di -giureconsulti trovansi fin nell’XI secolo[186]; crebbero nel XIII in -tutte le città, dove pure se ne formarono di notaj, che pigliaronsi -il diritto di nominare i proprj colleghi. I giudici milanesi giuravano -valersi del voto d’un giurisprudente, sentenziare in buona fede secondo -le leggi, non concedere al reo oltre otto giorni per rispondere, -proferire fra quattro mesi dopo la contestazione, e mettere in -iscritto la sentenza nelle cause che eccedessero i soldi quaranta -di terzuoli[187]. La semplicità e la speditezza mal redimevano dal -pericolo dell’ignoranza, della passione, dell’arbitrio; e troppo mal si -pensava a concordare la libertà di tutti colla sicurezza de’ singoli. -Al senatore di Siena un Cenni accusa per ladro Durdo di Naccino: quegli -trovando tutto il contrario, fa vestire Durdo di bianco, e andare -innanzi coll’ulivo in mano, e dietro a lui il Cenni vestito di nero; e -giunti al luogo del supplizio, questo è appiccato, l’altro dimesso. Un -Fiorentino avendo rotto il bando, fu condannato alle forche. Il podestà -Nicola Rosso, prima di mandarvelo, gli domandò se avesse moglie. -— L’ho, e bella; e se la tiene il tal cittadino». Era il cittadino -appunto che avea brigato per farlo eseguire, poi denunziatolo per la -rottura del bando; e il podestà fe togliere il capestro al condannato e -stringerlo a costui, per quanto reclamassero i parenti[188]. Sarà stata -giustizia, ma chi, se non un Turco, soffrirebbe modi così assoluti? - -Uno dei Ricci di Firenze, sullo scorcio del secolo XIV, scrisse di -alcuni insigni personaggi della sua famiglia, tra’ quali molto lodato -messer Rosso di Ricciardo, che fu capitano de’ Fiorentini nel 1370 -contro Bernabò Visconti. Essendo podestà a Perugia, ebbe deposizione -da un ladro che, ascososi in una cava per rubare, vide un cittadino -condurvi un suo nipote, e quivi ucciderlo e sepellirlo. Il Ricci -mandò a cercare nella cava, e trovate le ossa, fece recarsele in un -sacco. Ma poichè l’uccisore era di grand’animo e séguito in città, -lo chiamò a sè con amichevoli apparenze, poi mostrategli le ossa, lo -indusse a confessare il delitto. Subito in città si leva gran rumore, -gente armata viene in piazza; e il podestà li tiene a buone parole, ma -intanto fa impiccare il cittadino. Quella fermezza sgomenta i faziosi, -che tornano a disarmarsi; e quando scadde egli fu commendato e onorato. -Al ladro denunziatore avea promesso salva la vita, ma gli fece troncar -le mani. - -In Norcia redimevasi ancora l’omicidio a denaro: e mentre vi sedeva -podestà esso Ricci, due cittadini uccisero un altro. Presi per ordine -di lui, quelli confessarono il delitto, ma d’aver pagato ducento lire -per ammenda. Ciò non ostante esso li condannò a morte: e andando i -signori del paese a lamentarsene, rispose che così gli era paruto il -giusto; ma se ad essi sembrassero morti immeritamente, ecco, pagava -loro l’ammenda. Così li chiariva come fosse iniqua tal legge, e «la -fe correggere che, chi uccidesse alcuno, lo dovesse pacificare colla -propria vita e non altrimenti»[189]. - -Rechiamo un esempio di giudizj regolari. Andrea vescovo di Luni e i -marchesi Malaspina e Guglielmo Francesco essendo in guerra, la città di -Lucca, che gli aveva presi in amicizia, spedì persuadendoli a pace. Le -due parti subito vennero a Lucca, e in Sant’Alessandro si congregarono -da _sessanta consoli_ e molte altre savie persone, e chiesero che -le parti li costituissero arbitri della contesa; e quelle promisero -stare al lodo, sotto pena di cento libbre d’oro fino. Qui Guglielmo -d’Apulia, avvocato dei Malaspina, narrò come, essendo questi andati -coi loro militi al Pozzo nel Monte Caprone per edificarvi un castello, -l’esercito del vescovo si fè loro incontro per cacciarneli, con grave -guasto d’uomini e di cavalli: i marchesi, valorosamente resistendo, -ascesero il poggio, e cominciarono la fabbrica. Chiedeva dunque al -consolato che il vescovo dovesse rifare i danni che recò coll’esercito, -senz’avere tampoco premoniti i marchesi, come a vescovo conviene. - -Il vescovo rispose che al marchese Guglielmo, il quale gli aveva -giurato libertà, esso avea fatto sentire che il fabbricar quel castello -gli sarebbe rincresciuto quanto il cavargli il fegato, perchè ne -rimarrebbe diminuito e quasi annichilato il vescovado: al Malaspina -non fe motto perchè gli era nemico. Maginardo di Pontremoli arringò -pel vescovo; non dover questi verun compenso, attesochè quel castello -fabbricavano a ruina del vescovado, e sopra terra in gran parte a -questo appartenente. Interrogato intorno a tale possesso dall’avvocato -avversario, Maginardo rispose che il vescovo Filippo comprò la parte -che spettava al marchese Folco, parte ebbe in legato da Malnevote, -parte in dono dal marchese Pelavicino[190]. - -Oppose Guglielmo che del lascito di Malnevote non era a tener conto, -perchè lo fece da disennato e in odio del fratello: il Pelavicino poi -e il Folco non poteano disporre di esso monte, perchè il monte e i -coloni suoi erano stati divisi in modo, che una metà toccò in comune al -proavo del Pelavicino e a quello del marchese Guglielmo; l’altra metà -al proavo di Malaspina e all’avo di Atone marchese, nella qual parte -cadeva il poggio disputato; che, fatta la divisione, rimase al proavo -di Malaspina. - -Bisognando recar le prove di lutto ciò, fu chiesta una proroga, spirata -la quale, produssero gli istromenti e i testimonj, nessun de’ quali era -decisivo. E poichè i consoli erano arbitri non solo secondo le leggi e -il diritto, ma anche come meglio volessero, proferirono che metà d’esso -poggio spettava alla chiesa di Santa Maria, vietando ai marchesi di -fabbricarvi il castello od altro; dovendo i vescovi esser più benigni -ai laici, che non questi a quelli, il vescovo compensi dei danni fatti -ai marchesi con mille soldi lucchesi; i marchesi prometteranno nè essi -nè i loro eredi più nulla pretendere di quella metà del poggio; se -no, paghino cento libbre d’oro; e così pure il vescovo; gli uomini dei -marchesi abbandonino quella metà, e sia distrutto ogni cominciamento -del castello; in presenza loro si diano la parola e il bacio di pace. - -Gregorio legisperito fu rogato di quest’atto al 15 avanti le calende -di novembre 1124, e vi si sottoscrissero le parti e i consoli: la -sentenza fu confermata e sottoscritta da Leone, giudice costituito -dall’imperatore Enrico, ed eletto arbitro in questa causa[191]. - -Qui parlammo dei Comuni sovrani; ma questi s’erano sovraposti a ville -e borgate, cui lasciavano la giurisdizione solo in limiti ristretti; -ed anche città, nelle quali esercitavano superiorità, e ne impedivano -il libero governo, senza però riformare il Comune per assimilarlo a -sè. Como mandava il podestà a Lugano, Mendrisio, Bellagio, Menaggio, -Teglio, alle Tre Pievi del Lago, ai terzieri della Valtellina, a -Chiavenna, Poschiavo, Sondrio, Ponte, Porlezza, Bormio, i cui abitanti -doveano tre volte l’anno condursi a Tresivio per ricevere giustizia dal -podestà di Como, e recarvi le appellazioni. Pisa inviava il capitano -a Piombino, che amministrasse la giustizia anche a Populonia, Porto -Baratti e all’isola d’Elba. - -I Fiorentini nel 1181 sottoposero il Comune d’Empoli, appartenuto -dapprima ai conti Alberti, e l’obbligarono a giurare sui vangeli di -custodire e ajutare ogni persona di Firenze e de’ suoi borghi: se -alcuno del loro Comune danneggi qualche Fiorentino, l’obbligheranno a -rifare i danni tra quindici giorni: chiesti dal magistrato di Firenze, -andranno a oste e a cavalcata e guerre e paci, e faranno come quello -vorrà, purchè non sia contro il conte Guido. Al san Giovanni d’ogni -anno davano ai consoli di Firenze cinquanta libbre di buoni denari, e -alla chiesa maggiore un cero[192]. - -I Perugini si erano sottomessi non solo i Catani, ma le città vicine, -che tutte doveano mandare il pallio nella solennità di sant’Ercolano; -Spoleto doveva aggiungervi un cavallo covertato di scarlatto; così -Sarteano, oltre cento fiorini d’oro in una coppa d’argento; le -città di Castello e di Gubbio lasciavano che Perugia prendesse parte -all’elezione dei consoli; Montepulciano ne riceveva il podestà, che -per sei mesi doveva esser de’ nobili, per sei de’ popolani, con piena -giurisdizione criminale e civile, e la custodia delle chiavi delle -porte e de’ fortilizj; e nel giorno di sant’Ercolano spedire il pallio -che valesse almeno venticinque fiorini d’oro, da presentarsi a piè -della scalea di San Lorenzo. Assisi scosse l’ubbidienza; ma costretta -calare a patti, i Perugini v’entrarono il 1322, uccisero più di cento -ribelli, e ridussero quel paese a contado, diroccandone le mura. - -Padova si arrogò di eleggere il podestà di Vicenza. A quest’uopo -raccolto il maggior consiglio, estraevansi da un’urna quaranta -polizze, e quelli cui la polizza toccasse divenivano elettori. Questi -quaranta si chiudeano nella chiesa del palazzo, accendendo una dopo -l’altra due candelette da due denari; e prima che fossero consumate, -essi doveano eleggere, fuor di loro, tre cittadini: fra i quali poi -la sorte designava il podestà. Se non fosse cavaliere, veniva fatto; -avea tremila lire di stipendio, dovea dar mille marche d’argento per -malleveria al Comune, e la sua corte era tutta di Padovani. - -Casale sul Po, fabbricato, dicono, da re Liutprando appo una chiesa -di Sant’Evasio, fu città libera, ma debole, sicchè presto venne a -soggezione de’ Vercellesi. I quali nel 1170 impongono agli uomini di -esso che di buona fede salvino e custodiscano le persone e cose dei -Vercellesi; di là alla festa di san Michele abbiano alzate e finite -cento braccia delle mura di Vercelli, dove i consoli consegneranno -loro i rottami d’altra cerchia: se i Vercellesi assumano guerra, essi -pure l’abbiano di buona fede: ogni decennio i Casalaschi dai quindici -anni fino ai sessanta prestino il giuramento ai consoli di Vercelli: -se questi domandino il passaggio del Po per tragittare l’esercito o -una cavalcata, non devono negarlo[193]. Lo stesso Comune agli abitanti -di Trino concedeva di cacciare, pescare, pascolare nel loro distretto; -non daranno alloggi; per cinque anni li provvederà di fieno, paglia e -legno, purchè osservino i bandi di Vercelli; in tempo di guerra non -riscoterà fitto delle terre; non saran tenuti a venire al podestà o -ai consoli vercellesi per contratti fatti da qui indietro, salvo che -per omicidj o per appellazioni; possano far legna nel bosco pagando un -fitto[194]. - -Il Ghirardacci reca la formola con cui quelli di Monteveglio si -sottomisero al Comune di Bologna: — Noi uomini di Monteveglio diamo il -castello nostro al popolo di Bologna, con tutti i cavalieri e i fanti, -per far guerra contro tutti i nemici suoi che sono o saranno, come più -piacerà al pretore o a’ consoli; e con giuramento affermiamo di salvare -i Bolognesi e le fortune loro, promettendo mandarvi l’esercito a nostre -spese qualunque volta ne saremo richiesti, insino al fiume Secchia e -dalle alpi alle paludi; e promettiamo pagare il tributo per quei che -abitano dalla parte del fiume Samoggia. E tutto questo osserveremo -contro chicchessia, eccettuato l’imperatore o duca o altro che tenga -o terrà il patrimonio della contessa Matilde a nome dell’imperatore. -Domandiamo però che i consoli bolognesi insieme col consiglio giurino -conservare Monteveglio e i suoi abitatori e le facoltà loro, e che -non ci abbiano a togliere il castello; e se in alcun tempo i Bolognesi -facessero guerra all’imperatore, ci difendano colle nostre fortune, e -ottenendo la pace, la impetrino anche per noi». - -Altre volte i Comuni fondavano ville e borghi con diritti e riserve -speciali. - -I consoli e gli uomini di Vercelli nel 1197 stabiliscono che il -luogo di Villanova rimanga libero e assoluto in perpetuo, ad onore e -comodità del Comune vercellese, talchè nessuno presuma dagli abitanti -estorcere fodro o bando o curadia o correggio o capponi o focaccie -o spalle; nè pretenda sulla pesca, su alloggi, su giurisdizione -qualunque. Essi abitanti coi loro eredi sieno liberi e immuni; salvo -che, quei che n’hanno diritto, possano costruire molini, e dare terre -da coltivare sia a terzo, o a fitto, o con qualsiasi altro patto. -Essi abitanti restino liberi possessori dei sedimi a loro assegnati, -potendo venderli, donarli, mutarli, distrarli. Nessuna forza vi si -possa introdurre, se non dal Comune vercellese. Nessun de’ signori deva -abitare in esso borgo, nè avervi diritto o giurisdizione. - -Nel 1217 Vercelli stessa fondava Borgofranco, con fossati, quattro -porte, quattro battifredi, chiesa di legno e graticci, coperta di -tegoli, agli abitanti assegnando un sedime di casa ciascuno, sul -quale si conduceano tre carri di legname d’opera a spese del Comune, -e mattoni e tegoli quanti occorrono. Abbiano la strada da Casale e da -Pontestura, mercato, pascolo verso Vercelli. Gli abitanti non devano -render ragione ad uomini che non siano della giurisdizione vercellese, -de’ contratti o danni fatti anteriormente, se non sul luogo stesso e -sotto i loro proprj consoli. Avranno venti mansi del bosco di Lucedio -a venti soldi il manso di fitto. Siano loro concesse per quattro anni -tutte le spese del Comune: dopo cinque anni pagheranno il fodro, come -i cittadini vercellesi: e come questi pagheranno la legna del bosco di -Lucedio. Se alcuno muore senza erede, possa la sua parte vendersi ad -altri fuor della giurisdizione di Vercelli. - -Ivrea nel 1250 fondava Castelfranco, invitando ed anche costringendo -andarvi ad abitare gli uomini di Bolengo, Pessano, Anipesso, e farvi -guaite, scaraguaite, e ogni arredo di castello: a ciascuno si daranno -abitazioni in proporzione di quelle che lasciano. Saranno considerati -come abitanti d’una porta di Ivrea: liberi e franchi, giacchè -inestimabil dono è la libertà, nè ben si venderebbe per tutto l’oro del -mondo. Siano dunque immuni dal fodro, dal banno, dalla giurisdizione, -dall’esercito, dalla cavalcata, dalla successione; abbiano il mero e -misto imperio; si farà uno statuto, che le podestà di Ivrea giureranno -d’osservare[195]. - -1 Comuni erano una specie d’associazione contro gli abusi e le -prepotenze: sicchè quando la forza pubblica non sapesse o volesse -provvedervi, formavano associazioni particolari, solito rifugio delle -libertà, perchè coll’attenzione e anche colla forza garantissero i -diritti, e che venivano a formare uno Stato nello Stato. E come già -v’aveva alberghi di nobili, cioè aggregazioni di famiglie derivanti -da ceppo comune, o unite per accordo, così il popolo pensò fare -altrettanto col restringersi in leghe o in maestranze, onde col numero -equilibrare la potenza o l’accortezza maggiore. - -Nel 1198 il popolo di Milano, scontento dei nobili, istituì la credenza -di Sant’Ambrogio, detta anche de’ Paratici, cioè degli artigiani, -affidando la propria tutela ad un tribuno, e assumendo per divisa -una balzana bianca e nera; i mercanti e le arti liberali stabilirono -la Motta, che inclinava al governo d’un solo; i nobili rinserraronsi -in quella de’ Gagliardi; i catanei e valvassori, che teneano fondo -dai nobili, ne formarono una quarta sotto l’arcivescovo, pretendendo -recuperare a questo il dominio temporale della città: ciascuna avea -consoli proprj, pubblicavano editti e decreti, ed esercitavano atti di -giurisdizione sovrana. - -Siffatte erano in Bologna la lega della Giustizia; in Vercelli le -società di Sant’Eusebio e Santo Stefano; in Asti quelle di Castello -e dei Solari. A Firenze verso il 1260 i pivieri di campagna eransi -raccolti in quarantatre leghe, ciascuna delle quali ricevea dalla -Signoria ogni semestre un capitano _cittadino e popolano della città -di Firenze e veramente guelfo;_ prometteano non ricettare i banditi -l’una dell’altra; nessuno potea ricusare gli uffizj affidatigli dalla -lega[196]. Siena era divisa per _terzi_, e ciascuno di questi in circa -venti _contrade_, ognuna delle quali eleggeva un capitano e un alfiere, -preseduti dal gonfaloniere del terzo. A Genova fin dal 1130 fra sette -poi otto _compagne_ vedemmo divisi tutti i cittadini: e ognuno ajutava -i proprj membri contro ingiustizia e violenza qualsifosse, fin alla -morte degli avversarj; e da ciascuna si traeva un’egual contribuzione -di cavalli, fanti e denaro[197]. - -Talvolta tre o quattro persone con atto pubblico si costituivano in -fratellanza, stipulando comunione di beni e reciprocamente difenderli -e succedersi. Talaltra alquante famiglie formavano una consorteria, -pigliando un nome comune, fabbricando una torre per difesa e ricovero -di tutti, come i Pugliesi e i Maladerra di Sanminiato, che presero il -nomignolo di Paraleoni[198]. Forse teneva dell’indole stessa quella -delle tredici famiglie di Borgo Sansepolcro, che insieme aveano -fabbricato la torre di piazza. In Lucca già nel 1203 esisteva la -società di Concordia de’ pedoni (probabilmente detti in opposizione -ai cavalieri o nobili) con priori e capitani e giuramento d’ajutarsi -a vicenda con armi e senza, rifarsi reciprocamente dei danni; e guaj a -chi offendesse alcun di loro: nessuno poteva essere accusato ad altro -giudice prima d’informarne i priori[199]. - -Non di rado i Comuni affidavano il governo, o parte di esso, o un -affare, od un’amministrazione, o l’eseguimento d’una condanna a -qualcuna di siffatte compagnie; e dove l’una esorbitasse, se ne -innalzava una contraria. - -In Chieri erano le società de’ Militi e di San Giorgio; e della seconda -abbiamo gli statuti, preziosi a qui ricordarsi[200]. Vi si entrava -per successione o per nomina: chi ne uscisse per passare in altra, -era passibile di cinquanta lire e dell’infamia. La società pagava le -imposte di ciascuno; e solo ai membri di essa poteano vendersi le case -e le terre. Come il Comune, quella città era ordinata sotto quattro -rettori cittadini o un solo forestiero, che duravano quattro mesi, -con notaj e massari per le spese ed entrate. Eravi un minor consiglio -ed uno maggiore, il quale eleggeva i rettori. Non poteansi proporre -per gli uffizj del Comune se non membri della società; non arringare -contro il partito preso da questa; e poteva obbligarsi ogni membro a -dir nel consiglio pubblico il suo parere; che se per ciò incadesse in -una multa, era pagata dalla compagnia. Ai rettori di questa incombeva -di difendere i membri, e mantenerli illesi, dovess’anche urtare contro -le deliberazioni del Comune. Alcun di essi era insidiato? lo facevano -custodire: ferito o percosso? domandavano riparazione e compenso: -non l’ottenevano? toccavasi a stormo, e tutti tutti gli accomunati -erano tenuti prender le armi, e correre a mettere a ferro e fuoco i -beni dell’offensore; e così gli anni successivi, in sino a che non -si fossero accordati. A chi rifiutasse obbedire alla chiamata, o non -soccorresse al compagno avvolto in contese, multa di cinquanta lire. -Niuno praticasse con chi aveva offeso uno della compagnia. - -Non è questa una repubblica costituita nella repubblica? e gl’interessi -de’ consorti poteano essere in collisione con quelli del Comune, e la -loro unione facea che fossero pronti a sorreggere una parte o l’altra -nelle insurrezioni, che così invelenivano di ciò ch’era preparato -per loro rimedio. A Siena nel 1371 i lavoranti di lana garriscono coi -loro maestri, pretendendo essere tassati secondo le leggi del Comune, -non secondo quelle dell’arte; e levano rumore, minacciando sangue: -ma la forza pubblica prevale, e presine tre, li mette alla corda; i -compagni per liberarli s’avventano alle armi, la città prende partito -per essi; la querela diventa politica, gli ordini pubblici ne restano -mutati, e gli artigiani dominarono in Siena, fin quando nel 1384 i -nobili, unitisi al popolo minuto, li spodestarono, e fin a quattromila -ne espulsero: onde la città perdette le arti, e se ne bonificarono -l’Anconitano, il Patrimonio, il Regno e Pisa[201]. - -Le taglie che già si solevano pagare ai re o ai conti, furono forse -conservate, pagandole al Comune: ma di esse e del sistema di esazione -non si raccoglie soddisfacente concetto; e il variare di qualità -e quantità secondo i tempi, a fatica si seguirebbe in una storia -municipale, non che in questa generale. La rendita maggiore proveniva -da gabelle e dazj che, secondo la scarsa economia d’allora, molto -gravavano sulle merci introdotte ed esportate. Da principio quelle che -entrassero nelle città o sul distretto pagavano per teloneo un tanto -al carro o alla bestia: dipoi più equamente si prefinirono tariffe -sul valore. La prima milanese è del 1216, e impone quattro denari -per lira del prezzo delle mercanzie, cioè un mezzo per cento: poi -nel 1396 fu alzata al dodici per lira, cioè cinque per cento, senza -distinzione[202]. Fruttavano pure all’erario le multe de’ condannati e -le confische. Poi il genio fiscale altre imposizioni introdusse, come -quella del sale[203], dei forni, del bollo alle misure, del vino al -minuto, delle acque di pubblica ragione. - -In maggiori strettezze ricorrevasi a prestiti, dando in pegno qualche -preziosità, come i Milanesi diedero più volte il tesoro di Monza. -Quel Comune, per combattere Federico II, supplì alla carezza del -denaro con carta monetata, prefiggendo potessero con essa scontarsi -le pene pecuniarie; il creditore privato non fosse tenuto riceverla -in pagamento, ma il debitore non restasse esposto al sequestro se in -cedole avesse tanto da spegnere il suo dovere. Per togliere di giro -questa carta monetata si pensò formare il catasto de’ beni, neppure -eccettuati gli ecclesiastici, misurati da geometri, e prezzati -dall’uffizio degli inventarj. Con tale provvedimento il debito -fluttuante restò rimborsato nel 1248; ma per fare il Naviglio grande, -poi per uno o per altro titolo la tassa venne prolungata[204]. - -I Milanesi lagnavansi che i nobili, abitando in campagna, si -sottraessero ai carichi dello Stato; nella concordia del 1225 questi -soli, e non la plebe, si volle soggetti alle taglie. A Firenze, il -1362, non trovandosi chi prestasse al cinque per cento, ser Piero di -Grifo, uomo molto saputo in tali materie, suggerì che, a chi prestasse -cento fiorini, gliene fosse scritto trecento; onde quel monte fu detto -_dell’uno tre_. Poi, per altra guerra, a chi prestava cento si scrisse -ducento, e chiamossi il monte _dell’uno due_. Nel 1380 fu ridotto -tutto al cinque per cento, e il capitale nominale al reale; dal che -nacque grandissima confusione a motivo di quelli che aveano venduto e -comprato. - -Il catasto sovra dichiarazione giurata del possessore e di testimonj -si eresse a Genova nel 1214, a Bologna il 1235, a Parma il 1302. In -Firenze al 1336, secondo Giovan Villani, i tributi erano, la gabella -della mercanzia, del sale, de’ contratti, il vin minuto, le bestie, -la macina, e _l’estimo del contado_, fruttanti in tutto trecentomila -fiorini. Pare da ciò che solo il contado fosse colà sottoposto a -taglia, forse per conguagliare le gravezze particolari ai cittadini: -e in fatto l’estimo della città non potè farsi stabilmente che per -opera di Giovanni Medici nel 1427, obbligando a descrivervi tutti i -beni mobili od immobili che ciascuna famiglia possedesse dentro o fuori -del dominio fiorentino, compresevi le somme di denaro, i crediti, i -traffichi, le mercanzie che avevano, _gli schiavi e le schiave_, i -bovi, i cavalli, le gregge d’altri animali, regolando al sette e mezzo -per cento, sicchè ogni sette fiorini di rendita se ne poneva cento di -stima. Sottraevansi le spese e i carichi, poi dell’avanzo si riscoteva -la decima. Chi non pagasse metteasi a specchio, cioè si registrava in -un libro, e rimaneva escluso dalle magistrature. - -Chiese, monasteri, ecclesiastici andavano immuni, coi loro contadini e -livellari, e fin coi beni di nuovo acquisto, per quanto le Repubbliche -tentassero aggravezzare almeno questi; e a malincuore i preti -s’inducevano a pagare pei beni patrimoniali, non però in mano di laico, -ma del vescovo, cui per tale occorrente comunicavano il registro dei -loro beni[205]. - -Le imposte moderate, tali cioè che il gravato creda poterle sostenere -col crescere di operosità, servono di stimolo; scoraggiano allorchè -costringono a mutare le abitudini; giudicate importabili, svogliano -dagli sforzi, e uccidono l’industria. I Comuni nostri mostravansi al -fatto persuasi che ogni spesa fatta dal Governo al di là di quel che -occorre a conservare e proteggere l’ordine sociale, è un dissipamento -e un’ingiustizia oppressiva: ma per questo vorremo noi misurare la -felicità d’un paese dai centesimi dell’estimo?[206]. - -Il valutare le rendite è difficilissimo, prima perchè di lor natura -sono variabili, poi perchè la scarsezza del denaro faceva se ne -esigesse gran parte in derrate; oltrechè le forme della contabilità -erano troppo diverse dalle odierne. - -Variissimi erano i modi dell’esazione, i tesorieri, i deputati alle -grasce e all’annona, eletti parte dal pubblico consiglio, parte dal -podestà, parte a sorte, e da’ feudatarj nelle proprie giurisdizioni, -ma sempre sottoposti al sindacato. Spesso la riscossione affidavasi -a qualche monaco, od a corpi religiosi, come più disinteressati; e -per renderla più sicura ordinavasi perfino a chi non l’avesse ancor -pagata non venisse resa giustizia[207]; del quale ripiego si valeano -principalmente per tassare anche i cherici. Nel contado a ciascuna -pieve si assegnava una quota da ripartire fra le ville ed esigere: -al qual uopo v’avea consigli o adunanze; dove sussistevano ancora -i visconti vescovili, questi presedevano a tal bisogna insieme coi -consoli di campagna. - -Le case costituivano quasi la garanzia del cittadino in faccia -al Comune. Pertanto il venderle equivaleva a perdere la qualità -d’accomunato; per ciò stesso di chi fosse espulso veniva demolita -l’abitazione, e al forestiere non si permetteva di possederne; e i -nobili di campagna, quando fossero accettati in città, per prima cosa -vi fabbricavano un palazzo. Ad Ivrea si considerava cittadino chi vi -abitasse, possedesse pel valore di dieci lire, fosse scritto nel libro -dell’imposta del Comune[208]. - -Zecche ebbero già i Longobardi a Pavia, a Milano, Verona, nel Friuli, -a Lucca, e forse a Spoleto e Benevento; e possiam credere continuasse -così sotto ai Franchi e agli imperatori tedeschi: ma presto conti -e marchesi domandarono o pretesero moneta propria. Per privilegio -dell’imperatore Lotario I a Manasse, gli arcivescovi soli poteano -coniarne a Milano; diritto che conservarono finchè la repubblica il -trasse a sè. Altrettanto sarà addivenuto nell’altre città, e ci restano -monete di più di cento zecche nostrali: anche alcune famiglie n’aveano -il diritto, come in Piemonte i discendenti di Aleramo, marchesi di -Monferrato, di Saluzzo, di Ceva, di Busca, di Savona, del Carretto; e -alcuni feudatarj dell’Impero, quali i conti di Desana, di Crescentino, -di Cocconato, ecc. Per lo più quelle monete aveano corso soltanto nel -paese. - -Tentò il Barbarossa ritrarre a sè questa regalia, e fece battere i -soldi imperiali nei villaggi dove avea distribuito i cittadini della -distrutta Milano; ma poi la dovette consentire alle città federate, -le quali ben presto all’effigie dell’imperatore surrogarono i santi -patroni[209]. Cadute le repubbliche ai tiranni, Azzone Visconti a -Milano diede il primo esempio di stampare del proprio nome le monete: -Genova ne battea prima del 1139, quando ne chiese e ottenne privilegio -da Corrado II di Germania. A imitazione del genoino, i Fiorentini -nel 1252 batterono il ducato, che da una parte recava il Battista, -dall’altra il giglio, donde il nome di fiorini che si propagò in tutta -Europa, con oro di ventiquattro carati, e il peso d’un ottavo d’oncia, -o un sessantaquattresimo di marco, e divideasi in venti soldi[210]. -Subito gl’imitarono Francesi, Ungheresi ed altri popoli, e fra noi i re -di Napoli, i conti di Savoja, i marchesi di Monferrato, i Veneziani; -e molto accreditato fu in commercio lo zecchino veneto, battuto -primamente nel 1284, sul quale si conservarono sempre la rozza impronta -primitiva del doge che riceve lo stendardo da san Marco, e la barbara -e devota iscrizione _Sit tibi, Christe, datus quem tu regis iste -ducatus._ - -Dacchè la lira cessò d’equivalere veramente al peso d’una libbra d’oro -o d’argento, variò senza limite la proporzione, solo sussistendo la -divisione in venti soldi, e del soldo in dodici denari. Non entreremo -nel pecoreccio degli avvicendati valori delle monete e del conguaglio -fra l’oro e l’argento; e basti dire che quest’ultimo era principalmente -adoperato nel commercio di Levante e che in generale vuolsi fare stima -che la scoperta dell’America ne ridusse il valore a un sesto, e a un -terzo quel dell’oro. - -Monete di rame non si conoscono de’ tempi barbari, onde o mancavano al -giornaliero commercio, o si dovea coniarne di argento troppo sottili, o -peggiorare la lega. - -È argomento dell’opulenza italiana che Venezia, all’entrare del secolo -xv, battesse l’anno un milione di zecchini; e Firenze quattrocentomila -fiorini in oro, e più di ducentomila libbre d’argento; e dal 1365 al -1415 vi si erano coniati undici milioni e mezzo di zecchini d’oro. Se -vogliansi lodare come manifatture e come lusinga alla nazionale vanità -che tanto lega i cittadini, ognun però vede quanta confusione dovesse -derivare da tanta varietà. Il disordine introduceva il solito morbo -de’ cambisti, che soli tenendo il filo di quel labirinto, vantaggiavano -alla grossa. - -La scienza amministrativa e finanziera nacque in Italia, o qui prima si -pensò a ridurre in un quadro tutte le entrate e le uscite, formandone -il bilancio, come si chiamava con nome espressivo[211]. - -Pisani, Genovesi, Amalfitani, ma principalmente i Veneziani, estesi -in tanto commercio, sentirono il bisogno di conoscere le condizioni -proprie e dei popoli con cui erano in relazione di traffici e di -politica. Fin dal xii secolo Venezia ordinò ne’ suoi archivj i pubblici -atti, fe scrivere la storia civile, e stabilì le forme secondo cui -gli agenti diplomatici dovessero raccogliere e presentare al senato -i ragguagli dei paesi ov’erano spediti[212]. Quindi nessun governo -fu altrettanto istruito; e que’ ragguagli su’ principi, sulle forze, -sulla potenza de’ varj Stati, allora anticipavano l’esperienza, ora -sono miniera di statistiche cognizioni. Anche nell’interno i governanti -doveano dare minuto ragguaglio delle provincie loro; poi nel 1338 vi -troviamo traccie di anagrafi. Nel 1330 Jacopo Tondi, uno della Signoria -di Siena, eseguì una visita uffiziale dello Stato sanese e ne compilò -una relazione, che è il primo saggio di quei prospetti statistici, dei -quali si fa vanto la nostra età[213]. Le altre repubbliche adopravano -a somiglianza, e potrebbero raccogliersi le statistiche dagli storici -e dagli archivj, dove pure giaciono gli atti verbali de’ consigli -d’allora, ricchissimi d’insegnamento. - -Se fra tante disparità vogliamo cercare i fattori comuni, troviamo -dappertutto la sovranità del popolo, che ne’ casi più rilevanti la -esercitava direttamente, negli ordinarj la delegava a rappresentanti. -Erano questi divisi in un consiglio maggiore, specialmente incaricato -del potere legislativo; e in un minore, che assisteva il capo dello -Stato nell’esecutivo. I pubblici uffizj erano elettivi, di breve -durata, e sottoposti a sindacato. Ogni Comune aveva uno statuto, in -cui si comprendevano le leggi organiche della repubblica, i diritti e -le consuetudini di tutti e de’ singoli, le leggi criminali e i decreti -civili, mescolati di romano e di germanico; e dove gran parte aveano le -ordinanze censorie e suntuarie. Questi statuti obbligavano in quanto -ciascuno li giurava o all’atto di divenir cittadino, o nell’assumere -una magistratura; avanzo del diritto feudale, per cui la fede rimaneva -un fatto personale. Ciascun quartiere o consorzio o maestranza era -responsale della condotta dei consorti; e il reo sottoponevasi alle -loro speciali giudicature prima di trasmetterlo al tribunale del -Comune. Queste divisioni del Comune stesso in corpi moltiplicavano -occasioni di conflitto: lo perchè speciale studio degli statuti era il -conservare la pace pubblica. - -L’età nuova comincia dunque colla stessa varietà di forme che -già trovammo nella prisca. Tante erano quante le città, le quali, -costituitesi ognuna indipendentemente dall’altra, aveano provveduto -come credevano al proprio meglio; di che infinite varietà, spesso -stravaganti, sempre inesperte. - -Ma il fatto più appariscente è che esistevano municipi, non provincie, -non Stati. Nè qui soltanto, ma in tutta Europa presentavasi allora -questa moltiplicità di centri sopra angusto spazio, senza nesso comune; -e dove il ben generale terminava ai limiti del territorio, considerando -proprio vantaggio il danno del vicino. Quindi diversità di statuti, -di pesi, di misure, di dogane; quindi un incomodo succedersi di -pedaggi, mentre rimanevano degradate le strade, sia perchè non vi aveva -accordo a mantenerle, sia perchè ad ogni rompere di nimicizia venivano -guastate. E di nimicizia era seme la vicinanza stessa; e quando ogni -Comune costituiva uno Stato, sconnesso dal vicino, le investiture, i -privilegi, gli statuti si assimilavano a trattati di pace e di mutua -assicurazione. - -Niuna podestà sovremineva; giacchè il re vigilava bensì perchè -fosse pagato il censo dovuto alla Camera, e dati i doni o i sussidj -convenuti; e perchè i giudici del feudo o del Comune non proferissero -sui casi riservati agli uffiziali regj, nè di persone o beni al -re solo sottoposti; ma non dovea nè potea mescolarsi dell’interna -amministrazione. Ne derivava come difetto generale la debolezza, -essendo il Governo diretto da troppi, e spesso dalla piazza, la -peggiore delle tirannie e delle miserie. I magistrati (solito effetto -del voto universale) non erano tanto solleciti del vero bene, quanto -dell’opinione degli elettori; e non tiranneggiavano, ma dove complisse -peccavano d’ingiustizia. - -Mentre poi ciascuna repubblica studiava a formarsi una legislazione -particolare, nessuna seppe prepararsi statuti che garantissero la sua -libertà, frenassero i prepotenti, limitassero i depositarj del potere. -In sottigliezza di costituzioni mal s’intende il grosso del popolo, -mentre di ciascuno è bisogno la giustizia, dalla quale dipendono -persone e beni. Solleciti della sicurezza dei contratti, di ordinare -le successioni, reprimere i piccoli delitti, non provvidero ad assodare -una buona struttura pubblica con quel ch’è primo scopo della politica, -un Governo regolato insieme e libero. Adunque non previdenza per -l’avvenire, non freno all’ambizione de’ pochi o alle esuberanze della -moltitudine, paghi della libertà senza sfuggire l’anarchia, nessuno -pensò a combinarla colla sicurezza personale e pubblica, a secondare -lo svolgimento delle istituzioni. Le passioni, più impetuose quando -non temperate da costumi e da studj, rendevano frequenti i delitti; e -quello sminuzzamento di Stati agevolava il sottrarsi al castigo. Quindi -incerte idee sulla moralità, un delitto portando pena diversa a pochi -passi di distanza: quindi mancato quel ch’è efficacissimo carattere -della giustizia, la certezza della punizione, giacchè il delinquente -trovava vicinissimo un asilo su terra forestiera: quindi il Governo -costretto occuparsi quasi unicamente d’amministrare la giustizia -criminale, ed ai magistrati doveva affidarsi un potere illimitato, che -facilmente diveniva micidiale della libertà, o che portava per reazione -la vita privata a ribellarsi alla pubblica, l’individuo a nuocere al -cittadino, cercando l’affrancazione in quell’isolamento che era stato -carattere della feudalità. - -Così delle singole repubbliche: tutte insieme poi non seppero stabilire -una buona federazione, che non solo le avrebbe salvate dai nemici, -ma poteva offrire un modello alla restante Europa. La Lega Lombarda, -esemplarmente gloriosa ne’ primi effetti, non conobbe altrettanto la -civile prudenza; non seppe quel che spesso noi pure dimentichiamo, che -non v’è autorità senza unità, e senz’autorità non v’è pace e libertà: e -il formare una salda confederazione che avesse centro a Milano, patria -dappertutto, e feste ed esercito comune, e tesoro e patti e assemblee -determinate; il vedere che il torto fatto ad una era fatto a tutte, -minaccia di tutte la morte di una; il rassegnarsi a un male immediato -per reprimere un abuso che causerebbe mali remoti, era un troppo -aspettarsi da gente abbagliata dal trionfo, e nuova negli accorgimenti -politici. - -D’unità nazionale neppur nacque il pensiero, tant’era cosa insolita; -come a Napoleone non venne l’idea di valersi de’ battelli a vapore -o dell’inescazione fulminante. Che le libertà parziali non valgono -senza l’indipendenza, chi allora lo capiva? Non ebbero parlamenti -savj come l’inglese, non rivoluzioni iniziatrici come la francese: -ma questi sarebbero riusciti tali senza la esperienza de’ nostri -Comuni? Il reggere ai mali che accompagnano la libertà è difficile, -lento il successo; talchè il grosso degli uomini cade per istanchezza -o precipita per impazienza. Troppo rari il Cielo suscita di quegli -eroi civili che vagliano ad erigere tutta la popolazione alla propria -altezza, e che tengano per condizione e per unico mezzo di riuscita -il libero concorso di quella. Le nazioni libere possono aspirare -alla vittoria, non al riposo; e i Comuni nostri, nel fervore della -lotta, nell’ebbrezza della vittoria e nella fiducia della rinnovata -fratellanza, si abbandonarono al buon volere dei collegati e al senno -dei rettori, che, qualvolta occorresse, doveano raccogliersi per -discutere dell’interesse universale; tutti gli spedienti furono attuali -e momentanei, senz’avvisare al tempo in cui sarebbe allontanato il -pericolo, sbollito l’ardore, sottentrate le brighe e le gelosie, ahi! -troppo pronte seguaci delle vittorie popolari. - - - - -CAPITOLO LXXXVI. - -Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI. - - -Abbiam veduto come il paese più meridionale d’Italia, cuna di -tante magnanime repubbliche prima della conquista romana, poi dopo -l’irruzione dei Barbari suddiviso tra molti principati longobardi e -molti Comuni greci, venisse concentrato dai Normanni in un dominio, che -d’allora gl’italiani chiamarono per antonomasia _il regno_ (1130). Re -di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua, Ruggero II assunse la -pomposa divisa _Appulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer_; anzi -Falcone Beneventano riferisce un documento, ov’egli s’intitola _Dei -gratia Siciliæ et Italiæ rex, Christianorum adjutor et clypeus_. - -Colle genti che rapì sì nella spedizione di Grecia, sì in quella contro -Tripoli e l’isola delle Gerbe, ripopolò la sua isola. Come sapesse -a tempo chinarsi e resistere ai papi, narrammo; si mostrò sempre -riverente a san Brunone, che in Calabria avea fondato i Certosini; le -scienze amò e protesse; all’Edrisi, famoso geografo musulmano, diede -un feudo perchè dimorasse alla sua corte compilando le _Peregrinazioni -d’un curioso che vuol conoscere a fondo i diversi paesi del mondo_, -ove dispose in nuovo e bizzarro sistema le cognizioni geografiche -degli Arabi, ad illustrazione d’una sfera d’argento, pesante ottocento -marche, dov’erano incisi tutti i paesi conosciuti. Il palazzo di -Palermo sua capitale, colla magnifica cappella di san Pietro, avente -le pareti e il pavimento a musaici squisiti, e dove ancora si legge -l’iscrizione trilingue da lui apposta al primo oriuolo che ivi collocò; -la cattedrale di Cefalù e quella di Salerno, ricca delle spoglie -di Pesto; le chiese di San Nicolò a Messina e a Bari, il monastero -della Cava, sono monumenti della magnificenza di Ruggero. A Palermo, -oltre edifizj spiranti dovizia e splendidezza, aperse un vasto parco, -popolato di selvaggina, e ricreato d’acque condotte sotterra[214]: -dalla Grecia e dall’Africa trasferì la coltura dell’albero del pane, -del papiro[215], del pistacchio, della canna da zuccaro; e dalla -Morea i gelsi e i filugelli, e operaj di seta. Che però questa già vi -si lavorasse dagli Arabi, lo prova il famoso manto imperiale, fatto -per ordine di Ruggero, con iscrizione cufica del 528 dell’egira, -rispondente al 1133; e che poi portato in Germania da Enrico VI, ora -conservasi a Norimberga. Ma allora i telaj rompevano il silenzio della -reggia di Ruggero per preparare d’ogni genere tessuti, e broccati, e -fiorami, e arabeschi, con gemme interposte e colori variatissimi[216]; -oltre che vi si convertiva in panni la lana francese. - -Tornando d’Oriente, Pisani, Veneziani, Genovesi rinfrescavano a -Palermo: Spedalieri e Templari rizzarono conventi in Trapani, ordinaria -posata de’ Crociati[217]: i Veneziani aveano a Palermo una società -mercantile con magistrati proprj, cassieri e presidente; i Genovesi un -banco a Siracusa e casa forte a Messina: gli Amalfitani empivano una -strada di Napoli di loro botteghe, massime di stoffe di lana e seta, e -avevano un quartiere a Siracusa, un consorzio mercantile a Messina. - -I Musulmani conservavano ancora alcune campagne, godendo eguaglianza -di leggi, con una tolleranza unica a quei tempi; quartiere proprio -nelle città con franchigie, magistrati e notaj, e libero culto; sin -feudi ottennero; e se alcuni come prigioni di guerra teneansi in -condizione servile, più di centomila distribuiti in tribù sotto i loro -sceicchi lavoravano liberamente il val di Màzara ed altri territorj. -Filippo, uno degli eunuchi di Ruggero, musulmano convertito, salì fino -grand’ammiraglio, e fu spedito ad espugnare Bona in Africa (1149). Ne -presero gelosia i baroni normanni, che l’accusarono di mangiar carne il -venerdì e in quaresima, andare con repugnanza nelle chiese, e di piatto -tornare alle moschee: e Ruggero l’abbandonò al loro rancore, sicchè, -legato alla coda d’un cavallo indomito, fu fatto a pezzi, e i pezzi -gettati al fuoco[218]. - -Pochi anni dappoi il musulmano Mohammed ebn-Giobair, che viaggiò in -Sicilia, scriveva: — Re Guglielmo, commendevole ne’ suoi portamenti, si -giova de’ Musulmani, e ha paggi eunuchi per intimi, fedeli all’islam -benchè nascostamente; ha gran confidenza ne’ Musulmani, e v’affida -anche gli affari più delicati; tiene una compagnia di Negri musulmani -sotto un comandante musulmano; i visiri e i ciambellani trae dai -molti paggi, i quali sono e impiegati del Governo e persone di Corte, -e sfoggiano lusso di vesti, agili cavalli, e tutti hanno corteggio e -seguito proprio. Il re a Messina ha un palazzo bianco come una colomba, -dove stanno occupati molti paggi e fanciulle; esso s’abbandona ai -piaceri della Corte a modo dei re musulmani, cui imita nel sistema -delle leggi, nell’andamento del Governo, nella distribuzione dei -sudditi, nella magnificenza. Molto deferisce ai medici e astrologi -suoi: dicono legga e scriva l’arabo, e un suo intimo ci assicurò -abbia adottato il motto _Lode a Dio, giusta è la sua lode_; come il -motto di suo padre era _Lode a Dio in riconoscenza de’ suoi benefizj_. -Le fanciulle e concubine del suo palazzo sono musulmane tutte; e un -cameriere di nome Yahia, impiegato nella manifattura de’ panni, dove -ricama a oro le vesti del re, ci assicurò che le cristiane Franche -dimoranti in palazzo erano state convertite dalle nostre senza che il -re lo sapesse, e molto s’industriavano in opere di carità. - -«A Palermo i Musulmani conservano un avanzo di fede; tengono -pulitamente le moschee, fan la preghiera alla chiamata del muezzin, -dimorano in borgate distinte dai Cristiani, tengono e frequentano i -mercati. Proibita la pubblica professione di fede (_khotbah_), fanno -solo l’adunanza del venerdì, ma ne’ giorni del beiram pregano per -i principi abbassidi. Hanno un cadì, che giudica i loro processi: -una moschea principale ed altre innumerevoli, nella più parte delle -quali si dà lezione del Corano. Le donne cristiane nell’eleganza -del parlare e nel modo di velarsi e di portare i mantelli imitano le -musulmane. A Natale escono in vesti di seta color d’oro, avvolte in -mantelli eleganti, coperte di veli di colore, con stivaletti dorati, -e pompeggiano nelle chiese, cariche di collane, d’essenze, di belletto -come le musulmane. - -«Non è guari, arrivò a Trapani il caid Abu’l-Kassem, capo de’ -Musulmani in Sicilia, caduto in disgrazia del re per calunnie; e -sebbene sfuggisse la condanna, gli furono estorti trentamila denari -d’oro, senza rendergli alcuna delle case e terre avite. Dianzi riebbe -il favore del re, che lo pose in un servizio di governo, ed egli vi -si rassegnò, come lo schiavo di cui siansi presi la persona e gli -averi»[219]. - -E segue raccontando come qualunque Musulmano, per sottrarsi alla -collera de’ parenti, rifuggisse in una chiesa, era battezzato; che i -Musulmani offrivano le loro figlie ai pellegrini perchè le sposassero, -e queste lasciavano liete la famiglia per sottrarsi alla tentazione -dell’apostasia e per vivere in paese musulmano. Sono le consuete -esagerazioni de’ partiti soccombenti; ma ne trapela come i principi -normanni procurassero usufruttare la civiltà orientale; e lungamente -noi incontreremo ancora quegl’Infedeli nelle vicende della Sicilia. - -Anche gli Ebrei, altrove perseguitati, ivi ebbero sicurezza, -e Beniamino di Tudela nel suo viaggio del 1172 ne contava -millecinquecento a Palermo, ducento a Messina. - -Bizzarra mescolanza dovea presentare in quei tempi il paese; indigeni -abbattuti da lungo servaggio, cavalieri normanni in corazza e morione, -Musulmani con turbanti; santoni insieme e frati; corse del gerid e -tornei; Nordici ignoranti e corrotti Meridionali; fastosi Asiatici -e severi Scandinavi: vi si parlava greco, latino vulgare, arabo, -normando, e in ognuna di queste lingue si pubblicavano i bandi; i quali -doveano tanto quanto acconciarsi al codice Giustinianeo pei Greci, al -_Coutumier_ pei Normanni, al Corano pei Saracini, al codice longobardo -pei precedenti signori. - -I Normanni, pochi e deboli, dovettero fiancheggiarsi di politica e -d’astuzie, formando un governo più abile che robusto, e sprovvisto di -quella vigorosa unità che è necessaria per tiranneggiare un popolo, -e convergerne gli sforzi ad unico intento, massime in paese come il -napoletano, così spezzato e vario di origini. Delle istituzioni de’ -Longobardi e de’ Greci non cangiarono se non ciò ch’era richiesto -dall’introdurvisi della feudalità al modo dei Franchi. Magistrati e -conti longobardi, resisi ereditarj, aveano già formato la classe de’ -baroni, che conservò la nobiltà anche dopo avere, per la conquista -normanna, perduto le giurisdizioni. I Normanni investiti di feudi li -sottinfeudavano a cavalieri, cioè vassalli nobili, e a gran dignitarj -ecclesiastici. Ma que’ primi Normanni, e gli altri continuamente -chiamati di Francia ad esercitare il lor valore, voleano sulle proprie -tenute regolarsi col diritto patrio: dal che vennero i feudj al -modo Franco, la cui principale differenza dai longobardi consisteva -nell’esservi ammesso alla successione soltanto il primogenito, mentre -in questi ciascun figlio ereditava. - -Il sistema feudale fu comunicato anche ai paesi fin allora sottoposti -ai Greci, e Ruggero a tutti i cavalieri di Napoli infeudò cinque -moggia di terra con cinque coloni affissi a quella[220]; lo trapiantò -anche nella Sicilia, che mai non n’avea gustato, scomponendovi ogni -regolamento de’ Saracini. I coloni da liberi vennero dipendenti; -le praterie furono aggravate di pascere i cavalli del vincitore; -sottoposti a taglie i boschi e i servi della gleba; un’amministrazione -fiscale e investigatrice, surrogata alla larga e tollerante dei -Saracini, deteriorò l’agricoltura e il commercio. - -Usati in patria a raccogliersi in adunanze legislative e giudiziali, -i Normanni non ne interruppero l’uso; e il nome di _parlamento_ -trasportarono, come nella conquistata Inghilterra, così pure nel paese -di qua e di là dal Faro. Aperto sulle prime soltanto a Normanni, vi -si traforarono poi anche indigeni, fondendosi vinti e vincitori. Ma -al popolo non potea farsi luogo colà dove del suolo non avevano la -proprietà che abati e signori; sicchè non v’erano ammessi che i due -_bracci_ de’ baroni e degli ecclesiastici. Poi le città acquistarono -il diritto di riscattarsi dai baroni, e rendersi libere, cioè non -dipendenti che dalla regia autorità; ed allora all’ecclesiastico ed al -baronale fu aggiunto il braccio _demaniale_, cioè che rilevava solo dal -dominio del re. Quest’opera vedremo compiuta da Federico II. - -Ruggero accentrò l’amministrazione nella Corte di Palermo, intorno a -sè disponendo sette grandi cariche, e sotto queste gli altri signori. -A capo di ciascun distretto stavano baroni e connestabili; di tutta -la nobiltà il gran connestabile; della marina il grand’ammiraglio: il -gran cancelliere serviva d’anello tra gli incaricati e il principe: -aggiungeansi il gran giustiziere, il gran cameriere, il gran -protonotaro, il gran siniscalco. L’archimandrita o abate generale, -eletto dai monaci, confermato dal re, aveva ispezione sulle chiese, -e specialmente le vacanti; pure i vescovi doveano a Roma ricevere la -consacrazione dal papa. - -Gastaldi e sculdasci aveano ceduto i giudizj a balii, giustizieri, -castellani, i quali, col re a capo e con privilegi distinti, formavano -una gerarchia d’amministrazione, che fu la prima foggiata alla moderna, -non composta di vassalli feudalmente congiunti al signore, ma di -uffiziali che coordinatamente esercitavano la porzione di potere ad -essi affidata. Mentre dunque l’antica nobiltà restava in opposizione ai -conquistatori, una nuova nascea di gente ammessa agli impieghi, fosse -natìa o forestiera[221]: nel che pure il siciliano differiva dagli -altri diritti. - -Alle leggi longobarde, che fin allora avevano forza di diritto comune, -con qualche mistura delle romane e delle consuetudini scandinave, -Ruggero sostituì le _Costituzioni_, promulgate nelle pubbliche -assemblee di baroni, uffiziali e vescovi, e che valeano in ambe le -parti del Regno. Desunse dal diritto romano la legge che dichiara -sacrilegio il mettere in disputa i fatti, i consigli, le deliberazioni -del re. Morte comminò a chi tosa o áltera la moneta; a chi rapisce una -dal monastero, sebbene non ancora velata e a titolo di sposarla; al -magistrato che malversa il pubblico denaro, o al giudice che si lasciò -corrompere; a chi dà farmachi per ispirare avversione, o ferisce a -morte alcuno nel rotolare o menare un sasso o una trave senza darne -avviso. Vietò severamente di vendere o alienare i feudi, nè che i -feudatarj contraessero matrimonj senza consenso del re, e tanto meno -maritassero le proprie figlie aventi l’eventualità di succedere. -Nessuno eserciti la medicina se non licenziato: nessuno sia fatto -cavaliere nè giudice se non venga da stirpe di militi e notaj. Molte -pene concernono le adultere e le prostitute. Chi vende un uomo libero è -ridotto in servitù[222]. - -Ruggero è da’ suoi esaltato colle lodi che sogliono prodigarsi al -fondatore dell’indipendenza d’uno Stato, e all’ambizione fortunata -di chi non tien conto della moralità dei mezzi. Perduti i figliuoli -Alfonso e Ruggero, l’unico superstite Guglielmo fe coronare come -collega (1154); e poco stante morì a sessantun anno, dopo ventiquattro -di regno. - -Avaro, sospettoso, pusillanime, inetto riuscì quel suo successore; e -chiuso nella reggia fra sozzi e barbari piaceri, del ben pubblico non -si dava pensiero. Gl’imperatori d’Oriente e d’Occidente ne presero -baldanza di mettere in campo opposte pretensioni sopra il Reame, -mossero armi, e sollecitarono i baroni sempre inquieti. Questi aveano -avuto ricorso al Barbarossa, e quand’egli scese in Italia la prima -volta, si sollevarono dappertutto; ma esso non potè ajutarli. Bensì -gl’imperatori greci, che anelavano vendicarsi delle spedizioni dei due -Ruggeri, e che già possedeano Ancona ed altri porti sull’Adriatico, -occuparono Brindisi, che divenne il quartiere de’ baroni rivoltosi: -ma Majone, oliandolo di Bari, coll’ingegno, l’eloquenza e l’arte del -simulare e dissimulare divenuto cancelliere e grand’almirante del -regno, ed arbitro de’ consigli e degli atti di Guglielmo, riprese -questa città, e i ricoverati fece uccidere, abbacinare, sepellire nelle -carceri di Palermo. Di ciò si volle gran male a Majone, e dell’aver -lasciato che la fortezza di Mahadia sulle coste d’Africa, tenuta dai -Siciliani, soccombesse ad Abd al-Mumin re di Marocco. Spargeasi pure -che colui volesse impossessarsi della corona; onde i baroni cospirarono -contro di esso; Campania e Puglia si sollevarono; lo stesso conte -Matteo Bonello, da lui predestinato genero, se gli avversò, e riuscì -ad ucciderlo e a tenere prigioniero Guglielmo (1161). L’abuso della -vittoria fece esosi i congiurati, onde alla fine Bonello fu preso ed -accecato, rimesso l’ordine coi supplizj, e Guglielmo serbò nella storia -il titolo di _malvagio_. - -Quel di _buono_ fu dato a suo figlio Guglielmo, che succeduto (1166) -sotto la tutela di Margherita di Navarra, bello e giovane, procurò -cattivarsi i cuori scarcerando quella folla di prigionieri di Stato; -ma le fazioni inferocirono per disputarsi influenza nella tutela; e -le eterogenee parti ond’erasi compaginato ma non formato quel regno, -tendevano a separarsi. Margherita cercò appoggio empiendo la corte di -Franchi, tra i quali Ugo Falcando, detto il Tacito della Sicilia pel -nero e vibrato modo con cui descrisse quelle turbolenze; e di varj -prelati e gran savj in diritto. Ma da contrasti e guerre il paese -era tutto sovvolto, non meno che da tremuoti, pei quali Catania fu -distrutta, squarciate Taormina, Lentini, Siracusa; le fonti versarono -acque sanguigne; il mare nel Faro si ritirò, poi ringorgando verso la -riva elevossi fin sopra le mura di Messina, tutto miseramente lavando -(1169). - -Guglielmo, tenutosi amico di Alessandro III, impedì che il Barbarossa -attentasse al suo regno; ebbe nobil parte alla conchiusione della lega -Lombarda e della pace di Venezia; poi armato per ristabilire Alessio -Comneno sul trono d’Oriente, prese Durazzo, Tessalonica ed altre piazze -di Grecia, ma da Costantinopoli fu respinto. Ajutò pure Antiochia, -Tiro, Tripoli contro il Saladino; ma di soli trentasei anni morì -(1189). La tradizione raccontò che Guglielmo il Malvagio avesse voluto -smungere tutto il denaro del suo popolo; e per far prova se alcuno ne -avesse ritenuto, mandò a vendere in piazza per tenue prezzo un suo -bellissimo cavallo arabo. Un giovane signore lo comprò in fatto, il -quale, chiesto in processo, confessò aver violato la tomba del proprio -padre per tôrre quel poco denaro. Tutto quel tesoro fece Guglielmo -sotterrare, poi corrervi sopra un fiume: ma Guglielmo il Buono riuscì -miracolosamente a scoprirne il posto, ed ivi, in riconoscenza, fabbricò -la magnifica badia di Monreale, dove ebbe la tomba, e che attesta la -suntuosità e il progresso dell’arti sicule in quell’età. - -Di Guglielmo non restando figli, l’eredità ricadeva in Costanza -figlia postuma di Ruggero II e perciò sua zia[223]. Benchè di là dai -trent’anni, il Barbarossa erasi affrettato a cercarla sposa per suo -figlio Enrico; e l’inglese Gualtiero Ofamiglio, arcivescovo di Palermo, -indusse il debole Guglielmo a consentirgliela. Costanza partì con più -di cencinquanta cavalli carichi d’oro, argento, sciamiti, pallj grigi, -vaj ed altre buone cose[224]; e le nozze furono celebrate in Milano con -istraordinaria magnificenza, ma non colla benedizione dell’arcivescovo, -che era papa Urbano III, reluttante da un connubio che saldava in -Italia una famiglia ereditariamente avversa ai pontefici per la -successione della contessa Matilde, e che li privava dell’appoggio -avuto sin allora contro le esuberanze imperiali, e preparando l’unione -anche di quella corona all’Impero, scassinava l’edifizio eretto -dall’ardita perseveranza di Gregorio VII. - -Guglielmo avea chiuso gli occhi fra i preparativi della terza crociata -che dicemmo; ed essendo allora i feudatarj occupati oltremare, Enrico -VI non potè mandar forze ad occupare violentemente il Regno; sicchè -estremo disordine vi irruppe. Poco badando ad Enrico e Costanza -lontani, chiunque teneva al lignaggio dei Normanni pretendeva una -porzione di dominio, e se la disputavano[225]; nell’isola i baroni -ripetevano il prisco diritto elettorale delle assemblee nazionali -come in trono vacante; nella terraferma (solita peste) si amava il -contrario per gelosia verso Palermo: l’arcivescovo Gualtiero sosteneva -il diritto ereditario di Costanza, e il giuramento ad essa prestato -in Lecce; Matteo d’Ajello, vicecancelliere, vecchione abile a condurre -un partito, animava quei che repugnavano dal vedere la Sicilia, fatta -indipendente pel valore de’ Normanni, or in piena pace cadere a re -straniero e avverso, e negava che, come a feudo, potesse una donna -succedere; i più aborrivano la dominazione tedesca, e lo storico -Falcando ripeteva: — Dio vi guardi da cotesti armati di Germania, -barbari, grossolani, stranieri ai costumi e alla civiltà vostra! Sotto -il Tedesco, Sicilia più non sarebbe che una miserabile provincia, -disgiunta dal suo sovrano, abbandonata alle espilazioni de’ suoi -uffiziali. Già parmi vederla invasa da quelle orde portate dall’impeto -a stremare col terrore, colla strage, colle rapine, colla lussuria, -e far serva quella nobiltà di Corintj che pose anticamente nido nella -Sicilia, indarno bella di filosofi e poeti tanti, e cui sarebbe tornato -men grave il giogo degli antichi tiranni. Guaj a te, Aretusa, volta -a tanta miseria, che mentre solevi modulare i carmi de’ poeti, or odi -l’ebbrietà delle tedesche baruffe, e servi alle loro turpezze!»[226]. - -Come avviene quando l’autorità è sfasciata, la ciurma e gli -arruffapopolo alzarono il capo; e poichè in tali occasioni vuolsi -sempre qualche capro espiatorio, si buttarono sovra i Saracini. -Per quanto tollerati, non poteasi sperar pace fra antichi padroni e -nuovi, fra due religioni così repugnanti, l’una guardante a Marocco, -l’altra a Roma. Gli Arabi aveano trescato nella minorità di Guglielmo, -e Abu’l-Kassem degli Amaditi d’Africa s’era accordato cogli eunuchi -di palazzo e coi baroni malcontenti per isvertare Stefano da Perche -francese. Ora i Palermitani saccheggiarono le case de’ Saracini, e -molti uccisero; gli altri a forza s’apersero la ritirata fino in val di -Mazara, ove i centomila loro fratelli presero l’armi per vendicarli, -nè chetarono finchè non ebbero promessa di sicurezza e de’ primitivi -privilegi. - -Quand’anche tali incendj nascono spontanei, v’è chi vi soffia, -acciocchè la necessità dell’ordine costringa a prendere il partito -che il primo scaltro suggerisce: e il partito or fu si convocasse il -parlamento de’ baroni e si eleggesse un re. - -Ruggero duca di Puglia, fratello maggiore del primo re di Sicilia, -dalla figliuola di Roberto conte di Lecce avea generato Tancredi, e -presto lasciatolo orfano. Guglielmo il Malvagio perseguitò questo -bastardo, e prima in carcere, poi lo spinse in esiglio: l’altro -Guglielmo l’accolse, gli affidò l’esercito contro la Grecia, e lo -titolò conte di Lecce. Istrutto dalla sventura, prudente, educato alle -matematiche, all’astrologia, alla musica, parve degno della corona e -l’ottenne: la _matrice_ di Palermo, specioso monumento di architettura -moresca mista a normanna, e dove ancora si ammirano, benchè guaste -dall’incendio del 1811, le tombe di porfido di quei re, risonò -d’applausi alla coronazione di Tancredi e del suo figlioletto Ruggero; -e fu riconosciuto pure da tutte le provincie di terraferma, e investito -ben volentieri dal pontefice. - -Di quel tempo i Crociati d’Inghilterra e di Francia, guidati dai loro -re Ricardo Cuor di Leone e Filippo Augusto, eransi data la posta a -Messina, onde di conserva, dopo la svernata, passare in Terrasanta. -Fiera burrasca gittò la flotta genovese sulle coste di Calabria, -per modo che i Francesi, perduti cavalli e provvigioni, poveramente -approdarono in Sicilia. Ricardo, di gente normanna e d’impaziente -arditezza, quasi solo traversò a cavallo le montagne di Calabria, e -si tragittò a Messina. La caccia era rigorosissimamente osservata in -Inghilterra: non così in Sicilia: onde Ricardo, mentre a quella si -divertiva, udito un falco stridire nell’abituro d’un villano, entrò -per portarglielo via. I nostri, men chinati nella servilità, a pietre -e bastoni respinsero il prepotente, che solo alla fuga dovette la -salvezza. - -A Tancredi dava noja l’arrivo di Filippo Augusto, alleato d’Enrico -VI, e di Ricardo fratello della vedova di Guglielmo, da lui tenuta -prigione. In fatto fu costretto rilasciar questa, restituendole la -dote di ventiquattromila once d’oro; ma Ricardo pretendeva anche, come -assegno vedovile, quantità di vasi d’oro e d’argento, un trono, due -tripodi, e una tavola larga mezzo metro e lunga quattro, tutti d’oro, -una tenda di damasco bastante a ducento cavalieri, inoltre cento galee -provvigionate per un anno. Tanto era di ricchezze famosa la Sicilia! -Ricusato, l’Inglese aggredì Messina; ma questa si difese a sassi, tanto -che Ricardo dovette venire ad accordo, giurando pace e protezione, e -fidanzando una figlia di Tancredi all’erede d’Inghilterra. - -Enrico VI, coronato re dei Romani, per sostenere i minacciati suoi -diritti venne in Italia (1191) coi feudatarj, che rovinatisi nella -crociata, qui speravano rifarsi; e come suo padre fantasticando la -dominazione universale, si prefiggeva di conquistare la Sicilia, -farsi coronare a Roma, avere in arbitrio la Lombardia e la Toscana, -sottomettere le coste d’Africa già tributarie ai Normanni, conquistare -il trono di Costantinopoli, preda immancabile del primo occupante. -Ma, non che gli bastassero forze a sì larghi disegni, dovea cercarne -alle città lombarde col conceder loro la sua alleanza e sempre nuovi -privilegi. - -Coi soccorsi di esse e delle repubbliche marittime, calò verso Roma. -Celestino III, sortito allora papa d’ottantacinque anni, procrastinava -la propria consacrazione per non dovere coronare Enrico; onde i Romani -offersero a questo di costringervelo, purchè egli abbandonasse alla -loro vendetta Tusculo, contro di cui non aveano cessato mai l’odio, e -di rado la guerra. Compiacque Enrico al fratricida desiderio (1191 — -13 aprile); unto il papa, Enrico e sua moglie dopo iterati giuramenti -furono ricevuti in città. Entrati da porta Collina gettando denari al -popolo perchè applaudisse, procedettero per Borgonuovo fin a Santa -Maria Transpontina, donde il clero in processione li condusse al -Vaticano. Precedeano il prefetto di Roma colla spada sguainata, il -conte del sacro palazzo, i magistrati della repubblica, poi i giudici, -i camerieri, l’imperatrice, i vescovi tedeschi e italiani, i principi -e dignitarj dell’impero. Celestino stava sopra elevato trono in capo -alla scalea di San Pietro, coi cardinali, vescovi e preti alla destra, -i diaconi alla sinistra, e dietro i suddiaconi colla nobiltà romana e -gli uffiziali di palazzo. Il re, scavalcato, andò al bacio del piede -pontifizio, e ginocchione colla mano sul Vangelo giurogli fedeltà, -e di soccorrerlo a mantenere i possessi, gli onori, i diritti. Il -papa gli chiese tre volte se volesse rimanere in pace colla Chiesa, -e mostrarsene figlio rispettoso; e avuto il sì, ripigliò: — Ed io ti -ricevo come figlio diletto, e ti do la pace come Dio la diede a’ suoi -discepoli», e lo baciò. - -Allora mossero in processione; e alla porta Argentea esaminato sulla -fede religiosa, l’imperatore ebbe il chiericato, promettendo riprovare -gli eretici, ed assister poveri e pellegrini. Il cardinale d’Ostia -unse Enrico al braccio destro e fra le spalle; il pontefice gli porse -l’anello, la spada, lo scettro, e impose la corona d’oro a lui e alla -moglie[227]. Poi si celebrò il santo sacrifizio, durante il quale si -cantava vittoria e lunga vita al papa, all’imperatore, all’imperatrice; -l’imperatore offrì pane, cera, oro, e ricevette l’eucaristia. Finita la -messa, dal conte del palazzo gli furono posti gli stivaletti imperiali -e gli sproni di san Maurizio; poi tenne la staffa del cavallo bianco -del papa, e l’addestrò fin al Laterano: al pasto, sedette alla destra -del pontefice, mentre l’imperatrice in separata sala convitava vescovi -e grandi. - -Non mancò lo spettacolo del sangue, poichè la guarnigione tedesca -uscì di Tusculo, ed i Romani, senza udir prego nè pianto, uccisero, -accecarono, mutilarono quegli abitanti, e disfecero il paese[228]. -Alcuni poterono fuggire tra le montagne; altri, per amore del luogo -natìo, si tennero vicino alla patria devastata sotto _frascati_, che -poi dieder nome al paese che vi succedette. - -Lasciato così deplorabile segno di sua presenza, Enrico con grosse -armi, colle promesse, colla corruzione procede alla conquista; e -contraddetto dal papa[229], ajutato dall’abate di Montecassino, prende -e devasta Roma, e senza incontrare ostacoli arriva sotto Napoli e -l’assedia. Questa, ristretta allora al quartiere che dalle falde -di Sant’Elmo e di Capodimonte declina al mare, difesa da robusti -spaldi e da buone truppe comandate dal prode Aligerno Cuttone, e col -mare aperto, resiste: Pisani e Genovesi menano navi per secondare i -Tedeschi, che intanto devastavano la campagna: ma le malattie puniscono -gli invasori, sicchè Enrico è costretto tornare in Germania pensieroso -più che pentito; Genovesi e Pisani cessano di caldeggiare un alleato -infelice; i Salernitani arrestano Costanza e la consegnano a Tancredi, -che la tiene prigioniera in Sicilia, finchè, ad istanza del papa, la -restituì senza patti nè riscatto, fidando nella gratitudine. - -Tancredi, che non avea saputo mostrarsi degno del diadema col -difenderlo in persona, morì ben presto, ed essendogli premorto il -primogenito (1194), non lasciava che il fanciullo Guglielmo III in -tutela di sua moglie Sibilla d’Acerra, in mezzo a gare de’ baroni coi -cavalieri, inviperite, lunghe, disastrose e a nulla conducenti. Era -uscita alla peggio la crociata; e Filippo Augusto, sbarcato a Otranto, -ebbe a Roma dal papa dispensa dal voto e la palma de’ pellegrini: anche -il Cuor di Leone, dopo imprese da paladino, tornò in Europa travestito -per isfuggire ai molti nemici; ma il duca d’Austria lo colse, e lo -cedette all’imperatore (1192) per sessantamila marchi d’argento; e -questi lo rivendette all’Inghilterra per centomila, oltre metà tanti -per finire l’impresa di Sicilia[230]. - -Al fiuto di questa somma accorsero i baroni tedeschi ad offrirsi -ad Enrico, che allestitosi, scese nella Lombardia. La trovava in -nuovi subugli. I vescovi aveano perduto l’autorità temporale, nè -i Comuni ancora assodata la propria in modo d’aver pace. I diversi -ordini partecipavano diversamente al Governo, e secondo i varj paesi -variavano le relazioni coi vicini, per modo che ogni città regolavasi -con politica e leggi differenti, demolito l’antico, non istabilito -il nuovo. Le leghe riuscivano meno a stabilir la concordia che ad -impacciare la legge; i signori conservatisi indipendenti s’arrogavano -diritti di sovranità; le città maggiori voleano sottomettere le vicine, -ed eroismo era l’energia dell’odio. Che se tra quella confusione (del -resto naturale ad ogni reggimento nuovo) alcuno ergevasi a metter -ordine, sì il faceva con guise tiranniche. - -Essendosi Enrico mostrato propizio a Pavia e Cremona (1194), -permettendo a quella di valersi di tutte l’acque del Ticino, e a questa -sottomettendo Crema, le due imbaldanzite eransi collegate con Lodi, -Como, Bergamo e col marchese di Monferrato a’ danni di Milano; la quale -nelle giornate campali riusciva superiore, è vero, ma trovavasi cinta -di nemici, che le sperperavano le campagne e rompevano i commerci. - -Enrico, raccolti gli stati a Vercelli, procurò instaurare la quiete; -ma lontano e dalla politica e dalla forza del padre, scarsamente -approdò; onde seguì sua via per Genova, anch’essa sovvertita da -fazioni, da frequenti zuffe, da effimeri Governi, e che allora stava -sotto al podestà Oberto di Olevano pavese. Ai Genovesi scrisse: — -Se, ajutanti voi, io ricupero il Reame, mio sarà l’onore, vostro il -profitto: giacchè non io od i Tedeschi miei vi soggiorneremo, ma voi -stessi»; e seguiva confermando le esenzioni precedenti, e dando nuove -giurisdizioni e privilegi, la città di Siracusa, ducencinquanta feudi -in val di Noto: a Pisa parimenti concesse in feudo Gaeta, Mazara, -Trapani, e metà di Palermo, Salerno, Napoli, Messina, oltre molti -ingrandimenti in Toscana. Così largheggiando di promesse quanto meno -intendeva mantenerle, ottenne soccorsi; poi entrato nel Reame, ebbe -spontanee tutte le città, perfino quella Napoli, che poc’anzi si era -con tanta costanza sostenuta. Salerno, sentendosi rea d’aver tradito -l’imperatrice Costanza, si difese ostinata; ma presa, fu messa a -sacco e ferro, neppur risparmiando le chiese, e i cittadini migliori -impiccando, torturando, cacciando in prigione o in esiglio, sicchè la -città, di famosa importanza sotto i Longobardi e i Normanni, più non -risorse. Capua pure fu espugnata a forza da Guglielmo di Monferrato e -da’ Genovesi e Pisani: Eraclea (Policora), patria di Zeusi, colonia -fiorentissima in antico, fu distrutta: qualunque città esitasse a -sottomettersi, era devastata senza pietà. In Sicilia sottoposte Messina -e Palermo, l’imperatore, colla pompa che suggerisce la paura, fu -incoronato, e tutta l’isola gli giurò obbedienza. - -Con fallaci lusinghe aveva egli tratto Sibilla ed i figliuoli dal -castello di Calatabelotta, dove s’erano fortificati coi loro fedeli; -poi raccolti gli stati a Palermo, accusò lei e molti grandi di una -congiura. Non la fondava che sopra una lettera consegnatagli (diceva) -da un frate; ma bastò perchè quanti aveano tenuto col partito -nazionale, laici od ecclesiastici, fossero mandati alla forca o al -palo, accecati, arsi vivi, esposti alle beffe, relegati in Germania; re -Guglielmo, toltogli il vedere e il generare, fu tenuto prigione finchè -andò monaco; Sibilla e le figlie rapite in carcere, poi nella badia di -Hohenbruck in Alsazia; turbate le ossa di Tancredi per istrappare il -diadema a lui e al figlio Ruggero; bruciati quanti aveano contribuito -alla loro coronazione. - -Fu spenta così nel sangue la dinastia normanna, di cui i regnicoli -ricordano ancora con compiacenza i tempi e le famose ricchezze. Re -Tancredi avea dato ventimila oncie d’oro per dote di sua figlia; -Arnaldo di Lubecca ci rammentò le tavole, i letti, le sedie d’oro nel -palazzo di Palermo; Ruggero Hoveden fa trovare da Enrico nel tesoro di -Salerno ducentomila oncie d’oro; e in quel di Palermo senza fine armi -ricche, stoffe d’oro e d’argento, sete ricamate, altre preziosità, con -cui potè far larghezza a’ suoi fedeli; eppure censessanta somieri vi -vollero per trasportarne il resto nel castello di Trifels[231]. - -Con tirannia stolidamente feroce sottentrava la dinastia sveva, che -mal per lei. Anche le città sottomessesi volontarie, furono trattate -come conquista; Siracusa e la risorta Catania incendiate, senza -riguardo a nobiltà o a grado; Napoli e Capua smantellate, e per le -vie di questa trascinato a coda di cavallo, poi impeso pei piedi, indi -strozzato da un buffone Ricardo conte d’Acerra, cognato di Tancredi, -ultimo lustro dell’antica dinastia. Giordano e Margaritone, più ligi -all’imperatore perchè un tempo avevano sguainato pe’ suoi nemici, -inventavano delitti e trame, affine d’intitolar punizione la vendetta. -Uno ch’erasi millantato di poter rendere la libertà e il trono a -Sibilla, fu collocato sopra un seggio di fuoco, con corona di ferro -rovente: massime su ecclesiastici e prelati s’infierì, e chi fu arso, -chi scorticato, chi mutilo, chi mazzerato. - -Non che mancare alle condizioni promesse a Genovesi e Pisani, Enrico -li fraudò degli antichi privilegi, proibendo vi tenessero consoli, -e proscrivendo tutti i negozianti forestieri. Del papa non si curò -più che tanto, nè gli chiese l’investitura; onde questo l’avrebbe -scomunicato, se nol tratteneva la naturale bontà, e la speranza che -mantenesse la ripetuta promessa di crociarsi. - -Dava fiducia di presti cambiamenti il non aver successori il re svevo; -quando si annunziò che Costanza era feconda. Enrico volle venisse nel -Reame, quasi per dare un re indigeno; e avendo essa partorito a Jesi, -al bambino pose nome Federico Ruggero, come quello che univa i due -sangui nobilissimi. I Ghibellini ne fecero galla; i Guelfi sparsero -ogni sorta di dicerie su questo intempestivo natale[232]; ed Enrico ne -prese baldanza a compiere il disegno del Barbarossa di far ereditario -l’impero in sua casa, tanto più da che trovavasi favorito dalla -vittoria e dai tesori della Sicilia. - -Cominciò dal sistemare la media Italia in modo di tener soggetta tutta -la penisola. Pertanto a Filippo, ultimo figlio del Barbarossa e che poi -divenne duca di Svevia, diede in moglie Irene figlia d’Isacco Langelo -imperatore di Costantinopoli, e vedova del primogenito di Tancredi; e -in feudo la Toscana ed altri beni della contessa Matilde: a Markwaldo -d’Anweiler suo siniscalco, e ministro delle crudeltà, infeudò la marca -d’Ancona: a Corrado di Svevia quella di Spoleto usurpandola alla Chiesa -con titolo di rintegrare le imperiali prerogative, e restringendo -il papa a poco più che all’indocile Roma. Vedendosi riminacciato il -giogo degli Svevi, le città guelfe di Lombardia, da lui poste al bando -dell’Impero, rinnovarono a Borgo Sandonnino la Lega Lombarda (1193 — 13 -giugno), alla quale diedero il nome Verona, Mantova, Modena, Faenza, -Bologna, Reggio, Padova, Piacenza, Gravedona, oltre Crema, Brescia e -Milano. Così i Guelfi perseveravano nell’assunto loro di campare Italia -dalla straniera servitù. - -E servitù veramente minacciava Enrico, avvicendando crudeltà e perfidie -contro i nostri non solo ma anche contro i Tedeschi. Raccolti gli -stati a Magonza, propose di rendere in sua casa ereditario l’Impero, al -quale aggregherebbe Puglia, Calabria, Capua e Sicilia, rinunzierebbe -alla pretensione regia sulle spoglie de’ vescovi e abati defunti, -riconoscerebbe ereditarj i feudi anche nelle donne. A proposte sì -lusinghiere ben cinquantadue principi aderirono: e per vero quel -suo concetto potea tornar buono onde evitare le contestazioni che -rinasceano tra le famiglie aspiranti alla corona della Germania, e -ridur questa sotto leggi uniformi. Ma poteasi mai sperare v’assentisse -il papa, il quale con ciò perdeva un preziosissimo diritto, e snaturava -una dignità, attribuibile non alla nascita ma al merito personale? Poi -a riuscirvi si voleva altro accorgimento politico, e carattere ben -più stimabile che non l’avesse Enrico, il quale, mentre inorgogliva -del tenersi come successore dei romani augusti, operava da inetto -e crudele, scambiava per grandiosi disegni le velleità della sua -ambizione; prometteva alle repubbliche privilegi, al papa di crociarsi, -ai principi di favorirli, e a tutti perfidiava sfacciatamente; poi -trovandosi impotente ai concetti, saltava in furore. - -Il divisamento medesimo egli rivoltò in altra guisa, meditando cavare -dalla nullità l’impero bisantino assalendolo come aveano fatto i -predecessori, e sedutosi sul trono di Costantino, congiungere le due -Chiese, e ridurre il papa alla docilità dei patriarchi orientali. A -tal uopo, fingendo secondare la predicazione della crociata, tutto -dispose per questa in Italia e in Germania, e un esercito mandò in -Sicilia; ma in realtà non fece che raddoppiarvi le taglie, e supplizj -di nuova invenzione, fin cinquecento nobili in un sol giorno facendo -bruciare al piè del palazzo[233], quasi tenesse fitto il pensiero di -sterminare tutti i Normanni; sicchè meritò il titolo che i Siciliani -gli applicarono di Ciclopo. Indarno Costanza sua procurava mitigarlo, -compatendo a quelli fra cui era nata e cresciuta, e ch’erano sua -eredità; e di cui ella acquistò l’amore mentre governava, lui assente. -Quand’egli fe mutilare Margaritone grand’ammiraglio, ella s’affiatò -coi nemici dell’imperatore; i Palermitani uccisero molti Tedeschi, -la sommossa scoppiò in diversi punti; e fra questi bollimenti -Enrico fu côlto dalla morte a Messina (1197), di trentatre anni. In -agonia assalito dal rimorso, largheggiò cogli ecclesiastici, offrì -compensi a Ricardo cuor di Leone, alla Chiesa romana fece concessioni -amplissime[234] confessandone la fin allora rinnegata supremazia. - -Gl’Italiani spiegarono soprumana allegrezza di questa morte: ne -gemettero i Tedeschi, e sparsero che sua moglie l’avesse attossicato -per vendicare sul marito la patria, resa infelice da quella sciagurata -conquista, che tanti altri mali dovea trarre sull’Italia. Costanza -cercò far cessare in Sicilia il dominio militare e quei che chiamavansi -_costumi tedeschi_, cioè la violenza e il ladroneccio[235]; allontanò -l’odiato Markwaldo, che a stento fuggì la popolare vendetta: ma -anch’essa morì ben presto (1198 — 27 8bre), lasciando solo un bambino, -Federico Ruggero. Di quattro anni, odiato dai popoli, massime dagli -Italiani che d’ogni parte insorgevano, insidiato dagli emuli e dagli -stessi fedeli di suo padre che carpivano i brani del dominio, non trovò -ricovero che sotto al manto del papa, che poi egli dovea faticarsi a -stracciare. - - - - -CAPITOLO LXXXVII. - -Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente. - - -L’elezione de’ pontefici era stata da Nicola II ristretta nei -cardinali, vescovi e preti; poi Alessandro III, il promotore della Lega -Lombarda, ascrisse al sacro collegio i capi del clero romano (1179) -formandone i cardinali diaconi, escluse gli altri ecclesiastici, ed -ordinò che, per essere papa legittimo, convenisse ottenere i suffragi -di due terzi de’ cardinali. - -Colla nuova forma fu eletto Lucio III (1181), che sedette a Vellètri, -poi a Verona[236], sfuggendo dalla plebe romana, irrequieta e riottosa -tanto, che avea preso a sassi fin il cadavere del suo predecessore, e -accecati quanti cherici colse nell’espugnato Tusculo. A Urbano III fu -precipitata la morte (1185) dalla notizia della presa di Gerusalemme; -alla cui ricuperazione (1187) s’applicò Gregorio VIII nel brevissimo -suo regno. A Clemente III succedutogli riuscì alfine di conchiuder pace -coi Romani, abbandonando alla loro vendetta Tivoli e Tusculo. Il nuovo -pontefice Celestino III (1191) non aveva potuto impedire che Enrico -VI disponesse dell’eredità della contessa Matilde, e assegnasse a’ -suoi baroni molte terre della Romagna, e fino alle porte della città, -lasciando a San Pietro soltanto la Campania, dove pure l’imperatore più -era temuto che il papa[237]. - -Da Alessandro III in poi era dunque in calo l’autorità pontifizia, -sicchè i cardinali sentirono la necessità d’affidarla a un robusto, -qual fu Lotario (1198) dei Conti di Segni, col nome di Innocenzo III. -Erudito se alcun n’era dell’età sua, in gioventù avea dettato _Del -disprezzo del mondo, e delle miserie dell’umana condizione_, non come -uno scettico che nauseato predica la vanità delle cose terrene senza -por mente a quelle di sopra, ma elevando il cuore alle non peribili. -Versò a lungo negli affari, alla prudenza del concepire aggiungendo la -fermezza dell’effettuare e l’abilità del trovarne le guise. - -Assunto pontefice nella vigorosa età di trentasette anni, del tesoro -che trovò fe mettere in disparte una porzione per le emergenze -imprevedute, il resto distribuì ai conventi di Roma; provvide -agl’istituti di beneficenza; destinò ai poveri i doni offerti a san -Pietro ed a’ suoi piedi, e la decima di tutti i suoi proventi; in una -carestia mantenne ottomila poveri al giorno, oltre le distribuzioni per -le case; molti riceveano quindici libbre di pane per settimana, alcuni -presentavansi allo sparecchio per raccogliere i rilievi della sua -mensa. - -Di que’ giorni i pescatori ebbero a raccorre dal Tevere tre bambini -gettati; e Innocenzo ne fu sì tocco, che stabilì provvedere a -quest’infelici; onde rifabbricò ed estese l’ospedale di Santo Spirito -in Sassia, dotandolo lautamente, e stabilendo che in perpetuo, l’ottava -dell’Epifania, il papa in solenne processione vi recasse il santo -sudario, ed esortasse i Cristiani alla carità, dandone egli stesso -esempio col distribuir pane, vino e carne a quanti vi assistevano. -Millecinquecento malati vi dimoravano costantemente; ospitati i poveri -d’ogni condizione e paese; ed anche ora annualmente vi sono raccolti -ottocento esposti, di cui più di duemila vi stanno ordinariamente; e la -spesa se ne calcola a centomila scudi l’anno. - -A tanto fiore di carità univa una fervorosa devozione nel celebrare gli -uffizj divini e nel predicare: i trattati e le omelie sue il mostrano -versatissimo nelle sacre carte; compose diversi inni, e ancora si -cantano dalla Chiesa il _Veni, sancte Spiritus_ e lo _Stabat mater_. - -A tali qualità di cristiano e di pontefice accoppiava quelle -di principe; principe in ben miglior senso di cotesti altri -suoi contemporanei. Amò Atene per le antiche glorie, Parigi per -l’università, alla quale diede regole e privilegi; rifabbricò chiese, e -fecele dipingere da Marchione d’Arezzo primo scultore e architetto dei -tempi rinnovati, e da altri; crebbe e ornò San Pietro e il Laterano; e -sulla piazza di Nerva fece alzar la torre dei Conti, meraviglia di quel -tempo[238], e che gli è rinfacciata come una condiscendenza ai parenti, -della cui grandezza in fatto fu tutt’altro che negligente. - -Ne’ suoi Stati non affidava la giustizia che a persone di senno e -bontà: profondo nelle leggi, ristabilì la consuetudine di presedere -tre volte la settimana a una congregazione di cardinali, ove a tutti -era dato portar quistioni. Credesi abbia istituito il processo in -iscritto, per escludere il sospetto di frode, e attestare la regolarità -degli atti; e fece abolire i giudizj di Dio[239]. A Roma allora -recavansi in supremo appello tutte le cause di rilievo; e Innocenzo, -assiduo ai concistorj ove le si dibattevano, spesso udiva le parti -egli stesso in privato, esaminava gli atti, addolciva coi modi le -sentenze ch’era obbligato portar contrarie. Ci rimangono di lui -tremila ottocencinquantacinque lettere, la più parte di sua mano, e che -dividendosi sopra quattordici anni (di quattro mancano), danno un medio -di ducensettantacinque l’anno: e tanto credito ottennero, da divenire -testo nelle università. - -Tenace di memoria, esuberante d’erudizione, elevato nell’ideare, -perseverante nell’eseguire, sagace nell’antivedere gli effetti, -attingeva forza dagli ostacoli, rispondeva e operava pronto non -precipitato, circospetto non oscillante, e sempre dopo consultati -i cardinali; severo coi pertinaci, benevolo ai docili, propenso -all’indulgenza e a credere il bene; degli ordinamenti che uscirono -sotto il suo regno, nessuno fu derogato. - -Colle idee di Gregorio VII egli sottentrava ai carichi che pesavano -sopra un pontefice allora, quando non dovea soltanto curare la salute -delle anime e l’interesse della cattolica verità, ma attendere al -miglior governo della società cristiana e difendendo la libertà della -Chiesa, vigilare agl’interessi dei popoli, e a mantenerli ne’ loro -doveri come ne’ loro diritti. Assicurare la purezza dell’operare e -del credere contro i simoniaci, eretici, re adulteri, impedire si -accumulassero i benefizj, dare e rinnovare privilegi a conventi, -a ordini, a chiese, e cassare i pregiudizievoli, introdur feste, -proteggere i deboli contro prelati o capitoli prepotenti, pronunziare -generali decisioni di fede, e risolvere dubbj e casi particolari, -confermare o rivedere sentenze dei legati, far rispettare gli ordini -de’ predecessori suoi, revocar quelli carpiti con frode, reprimere -gli arbitrj dei re e dei baroni, raccomandar funzionarj o poveri -preti, sancire convenzioni fra ecclesiastici, ribenedire scomunicati, -canonizzare santi, tali e assai più erano gli uffizj che un pontefice -estendeva a tutto il mondo. E Innocenzo con intima persuasione -proclamava quest’autorità, stabilita nel cristianesimo per congiungere -tutti coloro che lo professano, tutelare i diritti, determinare i -doveri di tutti, far rispettata la legittimità dal suddito e dal -principe, egualmente servi a Dio per la verità e la giustizia. - -Prima raccomandazione a’ suoi legati era d’aver gli occhi e gli -orecchi ai portamenti del clero, francheggiare la ragione, svellere -gli abusi, comporre le differenze, frenare la cupidigia di guadagno. -Anche di mezzo ai laici procurava estirpare gli scandali, introdurre -usi che mettessero gravità ne’ modi; ordine nella vita, e tutelava il -matrimonio contro i voluttuosi capricci de’ principi. Qui prescrive -limiti all’usura, là disegna il vestire de’ laureati di Parigi o de’ -cavalieri Teutonici; oggi ammonisce il clero milanese del come trattare -i nunzj in viaggio, domani il doge di Venezia di ritirare un ordine -troppo severo contro un privato; scrive ad alcuni principi perchè -vigilino alla sicurezza delle strade, ad altri perchè non alterino -le monete, o non aggravino i tributi, o non impongano nuovi pedaggi. -Non una legge della Chiesa è violata, ch’e’ non la ripristini; non -fatta un’ingiuria al debole, ch’e’ non ne chieda riparazione. Prende -in tutela Federico II, Ladislao d’Ungheria, Enrico di Castiglia, -l’infante d’Aragona, orfani reali: Gualtieri di Montpellier sbandito a -lui ricorre; a lui le nazioni trafficanti per risolvere i loro piati. -Pietro II d’Aragona, il re de’ Bulgari, lo stesso re d’Inghilterra non -credettero meglio assicurare la propria corona che facendola vassalla -della santa sede: i regni di Navarra, di Portogallo, di Scozia, -d’Ungheria, di Danimarca si gloriavano di mettersi sotto l’alto dominio -del papato. - -Le basi del quale già eransi assodate; ogni nuovo pontefice v’avea -recato una pietra, Innocenzo s’accingeva a porvi il colmo. Alla morale -e alla dignità de’ prelati credeva, come Gregorio VII, fosse spediente -render la Chiesa al possibile indipendente dalla podestà temporale. -Cominciò dall’assicurare il dominio pontifizio in Roma, i cui eterni -contrasti obbligavano a tener ristretto fra i sette colli lo sguardo -che dovea girarsi su tutto il mondo. La nobiltà vi era cresciuta di -baldanza fra le contrarie pretensioni dell’imperatore e del pontefice, -parteggiando coll’uno o coll’altro secondo l’interesse. - -La parte cesarea era rappresentata dal prefetto di Roma, investito -dall’imperatore colla spada: poi dai tempi d’Arnaldo sussisteva un -senato, la cui autorità era dal popolo stata ridotta in un solo, -straniero, capo supremo della giustizia, del governo civile e della -forza armata, centro insomma del governo, siccome altrove il podestà. -Quando Clemente III ritornò in Roma, patteggiò col popolo confermando -la dignità del senato, la città, la zecca; di questa però riservavasi -un terzo, mediante il quale la chiesa di san Pietro e le chiese e -vescovadi tassatisi per la guerra venissero anno per anno esonerati fin -all’estinzione dell’obbligo assunto. Restituiva le regalie in città e -fuori; egli difenderebbe i capitani e gli altri magistrati della città: -i senatori giurerebbero annualmente fedeltà al papa; resterebbero alla -romana Chiesa i possessi di Tusculo, in qualunque modo esso possa -soggiogarsi, dando ogn’anno cento libbre dal ricavo di essi, onde -restaurare le mura di Roma. Di rimpatto i senatori assicuravano pace -e sicurezza al papa, ai vescovi, ai cardinali, a tutta la curia, e chi -v’andava e dimorava. Il papa eleggerà dieci o più persone per ciascuna -delle regioni della città, dalle quali i senatori faran giurare questa -pace. Se occorra difendere il patrimonio di san Pietro, i Romani vi -andranno colle spese consuete[240]. - -Tale era trovato il governo di Roma da Innocenzo. Il quale, conoscendo -come alle repubbliche pregiudicassero queste ingerenze imperiali, -risolse torle di mezzo; fe snidare i Tedeschi dai contorni di Roma, -recuperando i castelli da loro presidiati; obbligò il prefetto a non -prestar più all’imperatore l’omaggio ligio, ma ricevere da esso papa il -manto, con giuramento di rinunziarvi ogniqualvolta ne fosse richiesto; -il senatore ridusse ad esercitare la podestà, non più in nome del -popolo, ma del papa. - -Spenta così l’autorità regia in Roma, invitò gli abitanti della marca -d’Ancona a cacciare il tedesco Markwaldo, «giacchè nessuna violenza -può abolire i diritti»; onde Ancona, Fermo, Osimo, Camerino, Fano, -Jesi, Sinigaglia, Pesaro vennero all’obbedienza papale: altrettanto, -espulso Corrado Moscaincervello, avvenne del contado di Spoleto, che -abbracciava Rieti, Assisi, Foligno, Nocera; seguirono Perugia, Gubbio, -Todi, Città di Castello, cosicchè i nostri esultarono di vedersi -sbrattati da Tedeschi; e lo Stato della Chiesa non fu più soltanto un -nome, ma diveniva una realtà. - -Innocenzo bramava aggiungervi l’esarcato di Ravenna e i beni della -contessa Matilde; ma poichè saldo li difendeva Filippo di Svevia, esso -si diede a fomentare gli spiriti liberali de’ Toscani, spiacenti di -durare in tirannia mentre i Lombardi s’erano assicurata la libertà. -Inanimiti da esso a confederarsi al modo de’ Lombardi per tutelar -le franchigie (1199), Firenze, Lucca, Volterra, Prato, Samminiato ed -altre giurarono pace e lega, invitandovi tutti gli Stati e i liberi -o nobili che vi volessero aderire, affine di vigilare all’osservanza -della legge, combattere chiunque facesse guerra ad alcun collegato, -rimetter pace se tra questi nascesse dissidio, obbligandosi a stare -alla decisione di arbitri. I rettori s’adunerebbero sotto un priore -per provvedere al meglio della Lega, la quale prometteva obbedirli: si -punirebbero severamente i trasgressori. I consoli o podestà farebbero -giurar essa Lega da tutti i loro cittadini; così i vescovi e conti da -tutti i loro militi e pedoni, e dai loro figli. Non si riconoscerebbe -imperatore, o legato o nunzio d’imperatore o principe, duca o marchese, -senza speciale assenso della Chiesa romana. A questa si assisterebbe -affinchè recuperasse i beni, purchè non fosse contro qualche membro -della Lega. Se il papa e i cardinali non adempissero i loro obblighi -verso questa, la Chiesa se ne terrebbe esclusa[241]. - -Ma Pisa, Pistoja, Poggibonsi mantenevansi coll’Impero, sicchè, scissa -la Toscana in due, cominciò a divulgarsi ivi pure la qualificazione di -guelfo e ghibellino. - -Gente raffinata come vedemmo essere i Siciliani, e che cominciava in -sua favella a far intendere i suoni della nuova poesia, considerava -per barbari i Tedeschi. Enrico VI, accortosi d’avere preparato cattivo -letto al suo fanciullo Federico, morendo il raccomandò al papa. -Accettò questi; ma oltre volere che n’uscissero le truppe tedesche, -scopo all’ira popolare, pose per patto alcune modificazioni nei -_quattro capitoli_ della monarchia, ed erano che i vescovi fossero -eletti canonicamente, e i re li confermassero; a ciascun ecclesiastico -siciliano fosse permesso appellarsi a Roma; il papa potesse deputare -legati nell’isola: di rimpatto riduceva il censo a mille schifati. -Costanza non seppe ricusare; e anch’essa, quando morì (1198), lasciò la -tutela di Federico ad Innocenzo, colla provvigione di trentamila tarì -(lire 80,000). - -Innocenzo gli diede per aji gli arcivescovi di Palermo, Monreale -e Capua, e tosto spedì un legato che traesse a sè il governo; onde -nelle stesse mani trovandosi il potere ecclesiastico e il civile, -ogni contestazione restava tolta di mezzo. I baroni del Regno sel -recavano in sinistra parte; e il duca Markwaldo, che, espulso di -Romagna, erasi ridotto nel suo contado di Molise, erettosi capo della -parzialità imperiale, pretese alla tutela del giovane re, come via di -farsi indipendente, assediò San Germano, e ajutato dai Pisani sbarcò -in Sicilia. Lo favorirono i Siciliani, paurosi d’una persecuzione; -ma mentre i nobili, tenendo coi Ghibellini, avvicendavano arroganza -e viltà, il popolo esecrava i Tedeschi a segno, che nè tampoco i -pellegrini di questa nazione potevano traversare impunemente il Reame -per andare in Terrasanta. - -Gualtieri conte di Brienne, francese povero ma di gran valore e -nobiltà, avea sposato la primogenita del re Tancredi, che era stata -messa in libertà per istanza del papa; e ridomandava Taranto e Lecce, -che i figli di Tancredi si erano riservati nel cedere il diritto -ereditario alla corona. Venne egli a Roma con Sibilla e colla moglie; -e il papa, lieto d’aversi un tal vassallo, lo sostenne, sicchè egli, -messi insieme sessanta Francesi, mille lire tornesi, e cinquecento -oncie d’oro dategli dal papa, riportò nel Reame molte vittorie; ma -Gualtieri Paliario, arcivescovo di Palermo ed arcicancelliere del -regno, che tramestava la Sicilia a suo talento, e dava e toglieva -contadi e feudi, vi oppose proteste e forza. Innocenzo scomunicollo, -ma per conservare integro il patrimonio al suo pupillo fu costretto -ricorrere alle armi: la fortuna de’ combattimenti si bilicò, ma alfine -arrise a Markwaldo, che avendo in mano Federico, e spargendo voce ch’e’ -fosse un parto supposto[242], tenne suddita la Sicilia, e faceasene re -ove non l’avesse rattenuto paura del conte di Brienne. Nel farsi operar -della pietra morì (1201), ma Capperone continuò la parte di lui, sempre -opponendosegli il conte di Brienne, il quale però, sebbene vantasse -che Tedeschi armati non avrebbero tampoco osato affrontare Francesi -disarmati, fu sorpreso e imprigionato all’assedio del castello di -Sarno, e morì di ferite. Delle turbolenze siciliane vollero profittare -i Pisani per occupare Siracusa: ma i Genovesi, perpetui avversarj di -essi, accorsero, ne trucidarono quanti vollero, e posero in quella -città chi la governasse a nome loro. Finalmente il pontefice trionfò -dappertutto, ristabilì le città nelle antiche franchigie, e da Federico -ottenne il contado di Sora per suo fratello Ricardo, principale autore -di quelle vittorie. - -Qui i parziali interessi cedono a fronte della crociata, interesse -generale non solo pel pio intento, ma pei tanti Europei che eransi -piantati nell’Asia, fondando colonie, scali di commercio, principati, -e confidandosi sugli ajuti promessi dai fratelli d’Europa. Dicemmo -dello sgomento propagatosi allorchè Gerusalemme ricadde ai Musulmani: -ma quando il gran Saladino, glorioso di quel trionfo, morì (1193), -diciassette suoi figli si disputarono il dominio, onde il vigoroso -regno degli Ajubiti si disciolse in piena anarchia. Innocenzo III -credette caduto con quello l’antemurale dell’islam, e opportunissimo -l’istante di ricuperare la santa città, sicchè bandì la croce: Enrico -VI la prese, poi, fallendo alla promessa, si valse dell’esercito nelle -sue gare private, e lasciò che altri principi andassero in Palestina -(1195), ove Malek Adel, fratello di Saladino, li fece mal capitati. - -Innocenzo, come voleva il perfezionamento della Chiesa per mezzo -della morale e dell’indipendenza, così s’infervorò al ricupero della -santa città; proibì gli spettacoli e tornei per cinque anni, mandò a -raccattare denaro per tutta cristianità, egli stesso fece fondere il -suo vasellame d’oro e d’argento, riducendosi ad argilla e legno. Folco -curato di Neuilly predicò per Francia la crociata, e moltissimi baroni -e prelati gli ascoltarono, all’impresa non accettandosi la turba, ma -solo gente disciplinata. Spedirono essi ambasciadori a Venezia per -chiederle navi da trasporto e ajuti: ma mentre i papi e gli altri -popoli lanciavansi a quell’impresa (1198) con impeto devoto e pio -disinteresse, le repubbliche nostre marittime vi scorgeano occasioni -di guadagno, e opportunità di fondar banchi e scali e prevalere agli -emuli; anzi non si faceano scrupolo di somministrar navi, arredi e -piloti a que’ Saracini, contro cui la cristianità combatteva. Già -in molte città della Siria e della Grecia teneano colonie, regolate -colle patrie leggi; ma il contatto coi Greci avea portato ai Veneziani -disgusti e sanguinose animadversioni. Sentendosi cresciuti in forze -dacchè i Latini dominavano nel Levante, cessarono gli antichi riguardi -verso gl’imperatori; dicemmo come gli osteggiassero, e covavano sempre -il desiderio di umiliare i Greci sprezzati, e insieme di distruggere i -banchi che quelli aveano concesso ai Pisani. - -A Venezia soleano prendere imbarco i pellegrini per Terrasanta, ai -quali restava permesso vagare per la città con croci e gonfaloni; -e alcuni uffiziali, detti Tolomazzi, erano eletti al solo uopo di -assisterli e consigliarli nell’acquistare il bisognevole pel viaggio e -pattuire i noli; i _signori di notte_ decidevano sommariamente le cause -e querele loro; e il pellegrino alle processioni poteva intervenire -appajato ad un patrizio, che gli cedeva la destra e gli regalava -il cero. Ma questa volta non vi vennero solo devoti palmieri, bensì -ambasciatori della più alta baronia di Francia. - -Sedeva allora doge Enrico Dandolo (1201), che colle armi e coi -maneggi avea sempre sostenuto la gloria nazionale, nè languiva -benchè nonagenario. Personalmente era stato offeso dall’imperatore di -Costantinopoli, e quasi accecato, sicchè dovette accogliere volonteroso -l’occasione di vendicarsi con un’impresa che tornerebbe di onore e -vantaggio della patria. Convocato il popolo in San Marco, dopo la messa -dello Spirito Santo si levò ed espose: — I baroni francesi chiedono -a voi, popolo veneziano, navi per trasportare quattromilacinquecento -cavalli, ventimila fanti e provvigioni per nove mesi. Noi domandammo -per compenso ottantacinquemila marchi (4,250,000 lire). Inoltre, se a -voi piaccia, la Repubblica armerà cinquanta galee, purchè le sia ceduta -metà delle conquiste che si faranno. Piace a voi, popolo veneziano, la -proposta e il patto?» I messi francesi in ginocchione tendeano le mani -supplichevoli ripetendo la domanda, persuasi che i soli potenti fossero -i Veneziani sul mare, i Franchi per terra; e giuravano sulle armi e sul -vangelo di mantenere le convenzioni. - -Il popolo a gran voci applaudiva al trattato, e più crebbe il fervore -quando il doge dal pulpito soggiunse a’ suoi: — Voi siete accompagnati -alla miglior gente del mondo, e per la più nobile impresa che mai -alcun popolo assumesse. Vecchio son io e fiaccato, e avrei mestieri -di riposo e di pensare alla fine del mio corso: ma vedo che nessuno -vi potrebbe regolare come io vostro capo. E però, se volete che io -pigli la croce per custodirvi e governarvi, e in luogo mio lasci i miei -figliuoli a guardia della patria, io verrò a vivere e morire con voi e -coi pellegrini». Tutti ad una voce gridarono _Si faccia, Dio lo vuole_; -egli attaccossi la croce al corno ducale; e inteneriti si mischiavano -in abbracci i baroni francesi coi veneti negozianti[243]. - -La gelosia fe stare inoperose Pisa e Genova, tanto più che esse si -faceano guerra accannita, dalla quale tentò invano distorle il papa: -però Lombardi e Piemontesi vi vennero, fra cui Sicardo vescovo di -Cremona, che nella sua storia ci descrisse questi fatti; e capo della -spedizione fu eletto Bonifazio II marchese di Monferrato, fratello del -prode Corrado marchese di Tiro. Da Francia, da Borgogna, da Fiandra -accorrevano cavalieri a Venezia, dove trovarono arredati i navigli; -ma altri imbarcaronsi altrove, con pregiudizio proprio dell’impresa. -Imperocchè vennero a mancare i denari onde pagare il noleggio ai -Veneziani, benchè giojelli e vasi fossero convertiti in zecchini, dando -tutto fuorchè i cavalli e l’armi, e confidandosi nella Provvidenza. -Pertanto il doge disse: — Ebbene, noi rimetteremo questo debito ai -Crociati, purchè ci ajutino a riprendere Zara, sottrattasi a noi per -darsi al re d’Ungheria». Molti faceansi coscienza del voltare contro -Cristiani l’armi giurate contro Infedeli; più si oppose il papa, sul -riflesso che quel re, avendo anch’egli preso la croce, restava protetto -dalla tregua di Dio: ma il doge non vi badò, con grave scandalo de’ -Settentrionali avvezzi a sottoporre interessi e calcoli al volere -pontifizio. - -Salpata la più bella flotta che mai avesse veleggiato l’Adriatico, -prendono Trieste, spezzano le catene del porto di Zara; ma qui -pullulano fiere discordie fra i Crociati, che si uccidono gli uni -gli altri, e il papa disapprovando l’impresa, ordina di restituire il -bottino, e far penitenza e riparazione: e poichè i Veneti in quella -vece diroccano le mura, li scomunica, senza per questo disobbligarli -dal voto, mentre ribenedice i Francesi che mandarono a scusarsi, ed -ordina che, senza volgersi a destra nè a sinistra, passino in Siria. - -Frattanto gravi accidenti complicavano l’intento della spedizione. -Benchè gl’imperatori bisantini dominassero sempre su molta parte -dell’Italia, noi reputammo alieno dal nostro soggetto il seguirne -la serie e i fatti. Del resto il lettore che si ricorda degli ultimi -tempi di Roma imperiale può figurare vi continuasse quel sistema di -serraglio, con regnanti dappoco, favoriti onnipotenti, da null’altro -temperati che da frequenti rivoluzioni, per cui un intrigo di -palazzo cambiava o gli imperatori o i ministri; e Costantinopoli vi -applaudiva, e tutto l’Impero non facea che mutare il nome di quello -a cui obbedire. In quella Chiesa non vi era stato l’antagonismo col -Governo; e sottomessa com’era, non potè impedire la corruzione del -potere, che a vicenda era trascinato negli errori dell’autorità -che aveva a sè riunita. Intanto assalti sempre più stringenti di -nemici esterni; intanto le coscienze turbate dalla regia pretensione -d’interporsi ai dogmi e ai riti; intanto una letteratura, non ancor -rimestata da stranieri, eppure impotente, che degl’insigni classici non -sapea valersi se non per commentarli, e la lingua più bella e forbita -adoperava soltanto a trastulli senili e a sofistiche controversie. - -Questo quadro tengano sott’occhio coloro che non hanno se non -vilipendio pei paesi invasi da Barbari, e rimpianto per la dominazione -romana schiantata dall’Italia. Qualche nuovo vigore parve recare su -quel trono d’orpello la famiglia Comneno, di cui era quell’Alessio che -vedemmo barcollante amico e coperto nemico dei Crociati: e per poco -ch’e’ valesse, nessuno l’eguagliò de’ suoi successori. Giovanni Comneno -(1118) menò per ventiquattro anni guerre felici. A Manuele (1143), -succedutogli con spiriti cavallereschi più che prudenza a dirigerli, -Ruggero II di Sicilia portò l’assalto che dicemmo, in cui desolò le -coste del Jonio, espugnò Tebe e Corinto, menando via quanto di meglio -trovò d’uomini robusti, di belle donne, d’abili operaj. Manuele divisò -allora snidare i Normanni d’Italia (1155), e in fatto i suoi presero -Bari e Brindisi: ma ben presto seguì la pace. - -Alessio II suo figliuolo gli succedette (1180), reggente la madre Maria -d’Antiochia; ma questa affidavasi tutta al protosebaste Alessio nipote -di Manuele, scandolezzando e scontentando la Corte, sicchè fu tramato -a favore di Andronico Comneno. Costui, tenuto prigione dodici anni, -fuggì, e dopo romanzesche avventure perdonato, osteggiò di continuo il -protosebaste; e dal patriarca eccitato a liberare la patria, si mosse -raccogliendo gli scontenti. Appena compare a Calcedonia, il popolo lo -acclama reggente (1183); ed egli fa accecare Alessio, trucidare senza -distinzione quanti Latini coglie in Costantinopoli, avvelenare Maria -sorella dell’imperatore e il marito di lei marchese di Monferrato, -strangolare l’imperatrice madre; e così cacciatosi addosso la porpora, -la conservò, e viepeggio quando Guglielmo II di Sicilia, aspirando -alla conquista dell’Impero, prese Durazzo e Tessalonica, e marciò sopra -Costantinopoli. - -Vittima designata dal tiranno era Isacco Langelo, cittadino di molto -seguito: ma questi uccide il carnefice, rifugge in Santa Sofia, e dal -popolo tumultuante è, mal suo grado, proclamato imperatore (1185). -Andronico, abbandonato al furore del popolo, fu per più giorni tratto -a strapazzo, in fine appiccato per li piedi in teatro, rinnovando -le scene che erano famigliari alla Roma del Basso Impero. Con questo -vecchio di settantacinque anni terminò la stirpe dei Comneni. - -Femminesco di vita e inetto di mente, Isacco abbandonava le cure a -ministri indegni; ebbe contese con Federico Barbarossa, a cui danno -(1195) sollecitò le repubbliche lombarde: poi da Alessio fratel suo -fu deposto, accecato e messo in carcere col figlio. Questi, Alessio -anch’egli di nome, riuscì a fuggire presso Filippo di Svevia suo -cognato, appunto allorchè più in Europa caldeggiavasi la crociata; -e poichè de’ cavalieri armati in questa era divisa il difendere -l’innocenza, raddrizzare i torti, sostenere gli oppressi, andò invocare -il loro braccio, proponendo assalissero Costantinopoli, e rimettessero -in trono lui, che gli avrebbe poi d’ogni sua possa ajutati alla santa -impresa. Invano altri insinuava che non per ciò aveano impugnato -le armi, che i Greci non moveano lamento contro l’usurpatore, che -gl’imperatori s’erano pôrti scarsamente favorevoli ai Crociati: gli -scaltri trovavano miglior conto nel guerreggiare Costantinopoli, -più vicina e più ricca; a molti sapea di meritorio l’assalire gente -scismatica; presa Costantinopoli, diverrebbe la base della spedizione -contro Gerusalemme. Si narrò che Malek Adel facesse vendere i beni del -clero cristiano in Egitto, e col ricavo comprasse fautori in Venezia, -promettendo alla repubblica ogni agevolezza di traffici in Alessandria -se stornasse la spedizione dalla Siria: del resto, occorrevano -altri stimoli ai Veneziani per volere vendicarsi degli imperatori, e -schiantare i banchi fondati in Grecia dai Pisani? - -L’imperatore bisantino, non meno fiacco del predecessore, angariava -e anneghittiva; vendeva la giustizia per rifarsi dello speso -nell’usurpazione; e mentre Bulgari e Turchi straziavano i confini, -dentro lasciavasi governare dalla moglie Eufrosina. Quando Enrico VI -professava voler rinnovare l’antico impero romano, e frattanto gli -ridomandava le provincie fra Durazzo e Tessalonica, o per equivalente -cinquanta quintali annui d’oro, Alessio non allestì resistenza, ma -mercanteggiò facendolo accontentare di sedici, per adunare i quali -spogliò le chiese e fin le tombe degl’imperatori: ma la tempestiva -morte di Enrico lo assolse dal _tributo tedesco_. All’addensarsi -della nuova procella, ricorse al papa acciocchè non permettesse di -così snaturare la santa impresa: nulla però prometteva a vantaggio -della crociata, nè di quel che tanto ai papi stava a cuore, la -riconciliazione della Chiesa greca colla latina. Pure Innocenzo III, -che metteva la giustizia innanzi a tutto, interdisse l’impresa ai -crociati; i quali litigando pel sì e pel no, si logoravano a vicenda. -Ma il sì prevalse, ed Alessio figlio d’Isacco Langelo fu salutato -imperatore (1203), e colla sua presenza infervorò la spedizione. - -L’armata fece testa a Corfù, donde veleggiò sopra Costantinopoli; -e trenta migliaja d’uomini accinti a conquistare un impero di molti -milioni, la vigilia di san Giovanni gettarono l’àncora sulla costa -asiatica, tre miglia dalla capitale. Quivi all’attonito loro sguardo -spiegossi l’impareggiabile bellezza della Propontide, colla vegetazione -rigogliosa, i frutti succulenti, le dolci uve, ridondante pescagione, -limpidi ruscelli, freschi bagni, canti di rosignuoli, e tutta la -pompa che nella vigorosa sua maestà spiegava l’estate. Sopra le onde -increspate da leni zefiri, l’occhio scorreva verso le rive ammantate di -fiori, e sui giardini e le campagne ridenti di laureti e olezzanti di -perpetui rosaj, e sulle ville e le case cittadine, che all’ombra de’ -platani e dei cipressi dalle falde lambite dal mare ascendono fino in -vetta alle colline che contornano l’orizzonte. - -Fra tante bellezze, come la luna fra le stelle, pompeggiava -Costantinopoli, serpeggiante per immenso spazio sulle sette colline, -cinta d’elevate mura, con trecentottantasei torri, e chiese e conventi -senza numero, raddoppiati dal riflesso delle onde, che parevano -baciarle il piede come servi, o fremere come difensori minacciosi. Ai -Crociati, non che parole a descrivere, appena bastavano i sensi per -ammirare quel porto immenso di due mari: diamante che scintilla tra -il zaffiro delle onde e lo smeraldo delle campagne; il soggiorno più -bello dell’uomo per comodi e sicurezza, emulo di Roma per dignità, di -Gerusalemme per reliquie e santuarj, di Babilonia per vastità. - -L’imperatore aveva lasciato per avarizia ridurre allo stremo l’esercito -e la flotta; e mal si difendea col braccio de’ Varanghi, mercenarj -settentrionali, coll’assistenza de’ Pisani, e col fuoco greco, -liquido combustibile che parve inventato per prolungare l’agonia di -quell’impero, e che con esso perì. I nostri, spezzate le catene del -porto, prendono Galata (17 luglio), e danno l’assalto: Enrico Dandolo, -sulle spalle de’ suoi si fa mettere a terra col vessillo di san Marco, -che ben presto sventola sopra una torre, e Costantinopoli è presa. - -Alessio fuggì per nave, abbandonando ogni cosa, bestemmiato da quelli -che jeri l’incensavano: suo fratello Isacco dalla prigione è portato al -trono, compianto dei mali suoi or che sono cessati. A lui si presentano -i messi dei Crociati imponendogli, — Ratificate la promessa fatta da -vostro figlio di darci ducentomila marchi, vitto per un anno, ed ogni -ajuto per la guerra santa»; ed egli deve accettare, solo pregandoli di -tenersi accampati a Gàlata, cioè sul lido opposto. - -Quel subito mutamento, quel vedersi risparmiate le battaglie temute, -portavano al colmo il tripudio dei nostri, che forniti d’ogni -abbondanza, ammiravano tante magnificenze, e più di tutto le reliquie, -di cui era una devota profusione. Il nuovo imperatore, coronato fra il -corteggio dei baroni, pompa inusata agli augusti orientali, pagò parte -della promessa somma; e se le cose fossero procedute da buon a buono, -forse era il momento di svecchiare l’Impero, rimettendolo nell’alleanza -cattolica, a parte della comune impresa, e d’accordo respingere il -nemico di tutta la cristianità. - -Cavallerescamente i baroni mandarono araldi ad annunziare il -loro arrivo al sultano del Cairo e di Damasco, in nome di Cristo, -dell’imperatore di Costantinopoli, de’ principi e signori d’Occidente; -informarono anche il papa e i principi cristiani del prospero successo, -invitandoli a parteciparvi; ma il papa rispose rimproveri, e negò -benedirli; solo accettò le scuse di Alessio Langelo, esortandolo a -mantenere le promesse. - -E le promesse erano di dar denari, e ricongiungere la Chiesa greca -colla latina. Per la prima Alessio si gettò in rovina, spogliando -fin le chiese; per l’altra obbligò i suoi ad abjurare lo scisma, -ed i Crociati non risparmiarono la forza contro i renitenti. Così -egli venne a procacciarsi l’odio dei sudditi, portato al colmo da un -incendio che per otto giorni guastò Costantinopoli, e che s’imputò a -questi stranieri. Alessio dunque supplicava i Crociati: — Non partite, -altrimenti io soccomberò alle rivolte, e l’eresia risorgerà; aspettate -la primavera; intanto io vi fornirò d’ogni bisogno». - -Ma convivendo coi nostri, scapitava nella loro riverenza; e talvolta -qualche nicoletto veneto, toltogli il gemmato diadema, gli sostituiva -il suo berretto. Ne fremevano i Greci, ne ingelosiva il cieco Isacco: e -Alessio, sentendo non poter fare gran conto sopra i Latini, nè i monaci -e astrologi di cui si cingeva sapendo dargli buoni consigli, alle -ribellioni non conosceva rimedj migliori che trasportare dall’ippodromo -al suo palazzo il cignale caledonio, simbolo del popolo furioso, come -il popolo abbatteva una statua di Minerva, accagionata delle presenti -sventure. - -Ecco intanto da Palestina messi in gramaglia (1204), narrando -come i Crociati di Fiandra e di Champagne, che con molti Inglesi e -Bretoni, spiccatisi dall’esercito a Zara, erano sbarcati in Siria ed -unitisi al principe di Armenia, fossero stati dai Musulmani sorpresi -e sbarattati; fame e peste desolassero il paese, e a Tolemaide si -sepellissero duemila cadaveri in un giorno. I Crociati allora, risoluti -d’avacciare l’impresa, sollecitavano i sussidj promessi: ma i due -imperatori, che non osavano mostrarsi all’aperta per non ammutinare -il popolo, mascherano la paura col rispondere insolentemente; -gli animi si esacerbano; i Latini s’accingono a prendere un’altra -volta Costantinopoli. I Greci attentano alla flotta veneziana, e -diciassette battelli incendiarj lanciano nottetempo contro di essa, e -già dalle mura applaudiscono al fuoco che s’avanza contro i Latini: -ma questi riescono a sviarlo, e infelloniti alla vendetta, più non -badano a proteste del loro creato. Murzuflo, scaltro sommovitore, -che fingendosi amico a tutti, tutti ingannava, sparge che i Langeli -vogliano consegnare Costantinopoli ai Latini; onde il popolo, che -suol essere più feroce quando ha maggior paura, a gran voci chiede un -nuovo imperatore; Alessio IV è strangolato, Isacco muor di spavento e -crepacuore, e Murzuflo è portato trionfalmente in Santa Sofia. - -Il doge e i baroni latini, che poc’anzi si svelenivano contro i -due imperatori, or giurano vendicare que’ loro creati, e assaltano -Murzuflo. Costui non mancava del valore che dee avere un capopopolo, -e colla spada e la mazza ferrata scorreva, rattizzando col proprio il -coraggio de’ Greci; tentò di nuovo incendiare e sorprendere i Latini; -ma quando cadde in man di questi lo stendardo di Maria Vergine, i -Greci si credettero abbandonati dalla loro tutrice, e si chiusero nella -capitale. Quivi giorno e notte centomila uomini lavoravano ad allestire -difese, e i Crociati sentivano la difficoltà di espugnare una piazza -sì mirabilmente situata. Pure raccolti a parlamento, deliberarono: -— Non cesseremo finchè non sia deposto Murzuflo; gli sostituiremo un -imperatore latino, che possieda un quarto delle conquiste; il resto -sarà diviso fra Veneziani e Franchi, e determinati i diritti feudali -degli imperatori, dei sudditi, de’ grandi e de’ piccoli vassalli». - -Mossi poi all’assalto dalla banda di mare, superano le bastite, -Murzuflo fugge, e Costantinopoli è presa un’altra volta. Chi sarìa -bastato a tenere a freno quella moltitudine, lieta d’aver conseguito -una preda sì lungamente appetita? Non onestà, non santità di chiese -o di tombe fu rispettata: una meretrice assidevasi sulla cattedra di -Santa Sofia; muli straccarichi di spoglie, feriti insanguinavano gli -altari; v’era intanto chi vestiva gli strascicanti abiti de’ Greci, -e bardava i cavalli coi berretti di tela e coi cordoni di seta degli -Orientali; e scorrevano le vie, in luogo di spade brandendo calamaj e -carta per beffare la imbelle dottrina de’ Greci, ed esclamavano: — Da -che mondo è mondo, mai non fu visto più pingue bottino». - -Le spoglie, che doveano mettersi in comune (e furono appiccati molti -che ne distrassero), sommarono a cinquecentomila marchi d’argento (24 -milioni), dopo due incendj, dopo il molto trafugare, dopo messo in -disparte un quarto pel futuro imperatore, e compensati i Veneziani -del noleggio; ond’è poco il valutarle cinquanta milioni: e se si -fosse ceduta la preda ai Veneziani, com’essi proponeano, ne avrebbero -ricavato di più e con minori sevizie. Il bottino fu distribuito in tal -proporzione, che un cavaliere toccasse quanto due uomini a cavallo, uno -a cavallo quanto due fanti. I monumenti, onde Costantino e i successori -avevano arricchita la città, andarono guasti o predati[244]; non men -che l’oro e i tappeti, avidamente erano rubate le reliquie, con frodi -e violenze e fin sangue; e il mondo se n’empì. Dopo di che i Crociati -celebrarono divotamente la Pasqua. - -A sei elettori veneziani e altrettanti ecclesiastici francesi fu -affidata la scelta d’un imperatore. Candidati Enrico Dandolo, il -marchese di Monferrato e Baldovino di Fiandra: il Dandolo alla signoria -d’una città vinta preferì rimaner capo della gloriosa conquistatrice, -come nessun antico Romano avrebbe voluto cessare d’esser cittadino per -divenir re di Cartagine. D’altra parte i Veneziani s’adombrerebbero del -vedere il loro doge a capo del grande Impero: chi gli assicurava che la -cosa non passerebbe in esempio? e non potrebbe la loro patria diventare -colonia all’Impero? Perciò il Dandolo ricusò la corona; e la gelosia -de’ Veneziani per l’ingrandimento del signore del Monferrato li fece -favorire Baldovino, che fu acclamato. Feste all’occidentale e cantici -latini nelle chiese celebrarono il nuovo imperatore, cui il legato -pontifizio indossò la porpora, e, secondo il costume, gli fu offerto un -vaso pieno d’ossa e polvere, e dato fuoco ad un fiocco di bambage, per -rammentare come passa la gloria del mondo. - -Questo colpo, che già avea dato per lo desiderio ai primi Crociati, -era un trionfo del papato, sebbene fatto contro sua voglia. Baldovino -assunse il titolo di cavaliere della santa Sede; ad Innocenzo III -annunziava essere stata sottomessa una nuova gente al pontefice, -e l’invitava venisse a godere di quella vittoria; il marchese di -Monferrato protestavasi disposto a tornare o morir colà, secondo i -cenni del papa; il doge implorò d’essere assolto di quella conquista, -a scusa adducendo l’essere Costantinopoli scala necessaria per -Gerusalemme. Innocenzo, amante d’una politica netta ed evidente, -volea la guerra contro l’islam, non già che a redimere l’Oriente si -cominciasse coll’impadronirsene; onde, non valutando il vantaggio -della santa Sede, li rimproverava d’aver preferito le utilità terrene -alle celesti; della licenza militare e delle violate cose sacre -chiedessero a Dio perdonanza, e la meritassero collo adempiere al voto -di liberar Terrasanta: nella quale fiducia ribenedisse gl’interdetti, -congratulatosi coi vescovi del castigo toccato all’ostinazione dei -Greci, e invitava altri a partecipare alle glorie ed alle nuove -fatiche. - -Secondo il convenuto, Baldovino ebbe un quarto dell’impero greco, -Venezia tre degli otto quartieri della città, e un quarto e -mezzo dell’impero, cioè la più parte del Peloponneso, le isole -dell’Arcipelago, Egina, Corcira, la costa orientale dell’Adriatico, -quella della Propontide e del Ponto Eusino, le rive dell’Ebro e del -Varda, le terre marittime della Tessaglia, e le città di Cipsede, -Didimotica, Adrianopoli, insomma sette in ottomila leghe quadrate di -dominio con sette in otto milioni di sudditi e una catena di banchi -lungo la marina da Ragusi fino al mar Nero. I Franchi sortirono la -Bitinia, la Tracia, la Tessalonica, la Grecia dalle Termopile al -Sunnio, e le maggiori isole dell’Arcipelago: i paesi di là dal Bosforo -e Candia furono attribuiti al marchese di Monferrato, il quale poi -fu coronato re di Tessaglia, e assediata Napoli di Malvasìa e Corinto -tenute ancora dall’usurpatore Alessio, prese questo colla famiglia e -il mandò per Genova nel Monferrato, ma poi combattendo gl’infedeli -perdè la vita. Anche le chiese di Costantinopoli furono ripartite -fra Veneziani e Francesi, ed assunto a patriarca Tommaso Morosini. -Splendidissima vittoria, ma poco sicura. - -Concitate le fantasie da questi rapidi acquisti, già i baroni -figuravansi regni e ducati sulle rive dell’Oronte e dell Eufrate, -mentre altri convertivano il bottino in comperare feudi nell’impero -conquistato e non ancora ben soggetto. Tornarono da Palestina quei che -vi si erano affrettati; accorsero nuovi Crociati dall’Occidente[245]; -accorsero Templari e Spedalieri, dove erano imprese facili e lucrose: -talchè in ogni parte formavansi Stati nuovi, pel diritto della spada. - -Come i Longobardi s’erano dato un codice per soli essi vincitori, così -i Latini promulgarono le Assise di Gerusalemme nel nuovo impero, che -come quelli si erano diviso, e che governarono a foggia dei feudi di -Europa. Venezia, per nulla smaniosa di conquiste cui dovea piuttosto -difendere che usufruttare, le abbandonò la più parte a’ suoi nobili, -concedendo che ciascuno potesse armare e sottomettere le isole -greche e le città delle coste, riconoscendole come semplice feudo -perpetuo della repubblica. E i Sanuto fondarono il ducato di Nasso, -che abbracciava anche le isole di Paro, Melo, Santorino; i Navagero -ebbero il granducato di Lemno; i Michiel il principato di Ceo; quello -d’Andros i Dandolo; i Ghisi quel di Teone, Micone e Soiros; altri le -signorie di Metelino e Lesbo, di Focea, di Enos, le contee di Zante, -di Corfù, Cefalonia, il ducato di Durazzo; poi i Vicari fondarono quel -di Gallipoli nel chersoneso Tracio. Anche a stranieri furono concessi -feudi; come a Michele Comneno il paese fra Durazzo e Lepanto, a Robano -delle Carceri Negroponte, Adrianopoli a Teodoro Brana. - -Tutti que’ signori prestavano giuramento, tributo e sussidio in guerra: -ne’ loro paesi era privilegiato ai Veneziani il far traffico; e i -Veneziani che vi dimorassero, restavano indipendenti e con governo -proprio: a Costantinopoli sedeva un balio. Per tal modo Venezia -assicuravasi una dominazione scarca di cure, facile a conservare -mediante le flotte. Fu anche messo al partito se tornasse meglio -trasferire a Costantinopoli la sede della repubblica; e due soli voti -fecero prevalere il no[246]. - -Il marchese Bonifazio vedendo non poter conservare Candia, la vendette -ai Veneziani coi crediti verso Alessio per mille marchi d’argento, -e per tanto territorio nella Macedonia occidentale che rendesse -mille fiorini di oro[247]. Candia era più importante al traffico che -non Costantinopoli, e dovette esser regolata con maggiori cure. Gli -abitanti erano gente incostante e perfida; il che forse non esprimeva -se non repugnante al dominio forestiero. Essendo troppo vasta per -concedersi a un solo, vi fu introdotta una colonia, come più opportuna -a tenere in soggezione i vinti. Difficilmente però si trovava chi -volesse rinunziare alla patria, per quanto gli si offrissero ricchezze, -dignità, potere; onde da’ sei sestieri della città si scelsero -cinquecentoquaranta famiglie, a cui capo fu posto un duca biennale -che rappresentava il doge, eletto dal maggior consiglio di Venezia, -assistito da due consiglieri superiori, e sotto di lui i magistrati -come a Venezia: e colle opere obbligate dei servi si edificò e munì la -città di Canea. - -La giurisdizione d’essa città e del distretto spettava al capitano e -consigliere della repubblica eletto a Venezia: del Comune veneto erano -gli Ebrei, il porto, l’arsenale, le porte. Il paese fu distribuito in -trentadue feudi di cavalieri e centotto di sergenti: ogni cavaliere -era obbligato aver buona armadura, e condurvi da Venezia e tenere -due cavalli, uno del valore almeno di lire ottanta venete, ed uno di -cinquanta, e dell’età di tre anni; poi fra un mese e mezzo comprarne -un altro di lire venticinque; inoltre avere un sergente con bel -cavallo armato a ferro, e tre scudieri pure con corazza e ogni arma -di cavalleria; e due balestre di corno, con due scudieri almeno che -sappiano trarle, latini, fra i venti e i quarant’anni. I sergenti -che hanno mezza cavalleria, conducano da Venezia un cavallo di lire -cinquanta almeno, e due scudieri; poi fra un mese e mezzo procaccino un -altro cavallo di lire venticinque, e siano ben in arme. Le cavallerie -non potranno impegnarsi o staggirsi per debito, e lo stipendio di -settecento lire deve convertirsi anzitutto nell’acquisto d’essa terra. -Del resto ajutino in ogni modo i rettori dell’isola, e in essa il -Comune di Venezia[248]. Ai nobili del paese si ebbero riguardi, e -si diede partecipazione al governo; e il gran consiglio, composto -d’indigeni, eleggeva i magistrati minori. I Musulmani furono sofferti, -ma in istato di servitù. - -Così trentamila vigorosi, avidi di bottino e di preda, erano prevalsi -facilmente a milioni di Greci, fradici nel lusso, nelle abitudini -depravate, nella vanità delle frivole cose. Ma la conquista, fatta -senza senno, essiccava le fonti della prosperità, sin a difettare del -vivere; il sistema feudale toglieva l’accordo in guerra ed il buon -ordine in pace; alcune città governavansi metà con leggi feudali, -metà colle venete e colle ecclesiastiche; poi la mollezza di quel -clima non tardò a sdulcinare i soldati, e lo spregio reciproco -impedì si fondessero vincitori e vinti. Baldovino dopo due anni -periva prigioniero dei Bulgari: anche Enrico Dandolo era morto a -Costantinopoli dopo vista la rapida decadenza dell’impero latino. -Venezia ne trasse più danno che vantaggio, poichè troppa gente si -sviò dalla navigazione e dal commercio per buttarsi alle imprese -cavalleresche e a conquiste che non doveano durare; e quel che peggio, -coll’abbattere Costantinopoli rompeva la sua barriera più salda contro -i Musulmani, che doveano divenirle formidabili vicini. - - - - -CAPITOLO LXXXVIII. - -Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro stadio. Nobili e -plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini. - - -In quell’innesto della teocrazia col feudalismo l’imperatore, detto -perciò romano, non si teneva per tale sinchè non fosse coronato dal -papa, quale rappresentante di Dio _per cui solo regnano i re_; e -l’imperatore gloriavasi del titolo di avvocato e difensore della -Chiesa. Primato sovra gli altri re gli attribuiva l’opinione, -favorita dai leggisti, i quali nella dieta di Roncaglia udimmo -sentenziare, secondo i codici di Teodosio e Giustiniano, lui essere -la legge vigente; e il cancelliere del Barbarossa chiamava _reges -provinciales_ gli altri potentati. Ma nel fatto, oltre che i re -operavano indipendenti, il sistema feudale da un lato, dall’altro -l’incremento delle repubbliche attenuava di giorno in giorno -la potenza degl’imperatori. Perfino nella Germania il regnante -procacciavasi fautori col largheggiare franchigie, cioè lentare più -sempre la dipendenza dei dinasti e delle città, le quali, ora mercè -del commercio, ora mediante le leghe, venivano a quella prosperità -materiale, che più non tollera l’oppressione politica. Pure le città -non poterono colà elevarsi a repubbliche come da noi, perchè vi -dimoravano soltanto minuti trafficanti e artieri, mentre i signori -si tenevano nei castelli, soli agitando le lotte fra lo scettro e il -pastorale, fra Guelfi e Ghibellini: nelle nostre, al contrario, si -comprendevano e dotti e signori, avanzi romani e avanzi longobardi -e franchi, e i parteggiamenti giunsero fino alle plebi, le quali -appresero a discutere i diritti, a combattere per un’opinione, e così a -divenir libere. - -Il re di Germania, che dominava pure sui regni di Lorena, d’Arles, -di Pomerania, veniva eletto dai grandi signori, non esclusi i primarj -baroni d’Italia. Però ciascun imperante adoprava l’ingerenza che gli -davano il suo grado e la devozione de’ proprj vassalli, onde farsi -destinare successore uno della famiglia stessa. - -Al re fruttavano i molti beni della corona sparsi per tutta Germania, -i pedaggi, i fiumi, le foreste, le miniere, porzione delle multe, e -lo spoglio de’ vescovi ed abati defunti: le città doveangli alcune -contribuzioni, e così gli Ebrei per ottenere protezione siccome servi -della Camera imperiale, e i Lombardi o Caorsini che andavano in giro -vendendo spezie e guadagnando d’usure, o, come diciam ora, facendo -commercio di banca. Essendo elettiva la corona, non si aggregavano -ad essa i possedimenti patrimoniali de’ nuovi re eletti: anzi questi, -potendo disporre dei feudi ad essa ricadenti per mancanza d’eredi o di -fellonia, ne arricchivano le famiglie proprie, col qual modo salirono -tanto alto in prima la Casa sveva, poi le povere dei conti di Luxenburg -e d’Habsburg. - -All’imperatore spettava il far guerra: ma dovendo i soldati essergli -somministrati dai feudatarj, occorrevagli il consenso di questi. Ora -le lunghe e malarrivate spedizioni di Federico I in Italia aveano -svogliato i signori dallo sciupare forze e denaro per interessi -cui erano estranj; sicchè da quell’ora fino a Sigismondo più non fu -decretata veruna spedizione generale, per quante minaccie o promesse -replicassero gl’imperatori, per quanto paressero richieste dal bene -della patria o della cristianità. Agli imperatori dunque nelle loro -guerre non rimanevano se non gli uomini dovuti dai loro vassalli -particolari, ovvero da paesi a loro direttamente soggetti, come era la -Sicilia per gli Svevi, o da principi e città con cui avessero alleanza. - -La Germania era povera; sebbene Lubecca, Anversa, Colonia, Ratisbona, -Vienna, qualche altra città sul Reno o sul Danubio fiorissero di -traffici e industria, e la Fiandra fabbricasse pannilani, il mancare -di strade e di prodotti da cambiare ne impediva la prosperità; molto -denaro n’era anche portato via dalle crociate. Pure allora il commercio -s’andava estendendo; eransi scoperte le miniere d’argento della -Sassonia; col che e colle libertà comunali la Germania avrebbe potuto -vantaggiarsi del primato fra le nazioni europee, e del predominio -che acquistava sopra le genti slave, a domare e incivilir le quali -fortunata lei e noi se avesse dirizzato il suo ardore. Sciaguratamente -gl’imperatori non si contentarono della cristiana supremazia -sull’Italia, e vollero direttamente mestarne gli affari; dove urtatisi -colle repubbliche e coi papi, ebbero conflitti, a’ quali già vedemmo -soccombere una dinastia, e presto vedremo un’altra. - -Morto Enrico VI (1197), i signori di Germania credettero a tempi così -momentosi non convenirsi un imperatore fanciullo, com’era Federico -Ruggero. Vero è che suo padre gli aveva indotti a prestargli omaggio, -ma essi non vi si tenevano obbligati perchè non era ancor battezzato. -Filippo di Svevia, figlio del Barbarossa e duca di Toscana, come -il più prossimo parente dell’imperatore, erasi preso lo scettro, la -spada, la corona, il globo d’oro riempito di polvere, la sacra lancia -e il diamante detto smisurato (_der Weile_): fuggendo di qui fra gli -strapazzi degli Italiani, che uccisero anche molti del suo seguito, -andò in Germania, e brigò tanto, che gli stati di Svevia, Baviera, -Sassonia, Franconia e Boemia lo elessero re (1198 — marzo). Ma i Guelfi -gli opponevano Ottone di Brunswick, figlio di quell’Enrico il Leone -duca di Sassonia e Baviera, che lottato col Barbarossa, n’era stato -spossessato, e nipote di Ricardo Cuor di Leone re d’Inghilterra. - -Ottone, ardito come questo, gigante della persona, prodigo, soldatesco, -risoluto a reprimere le prepotenze, onde i grandi l’intitolarono -_Superbo_, e i popoli _Padre della giustizia_, impadronitosi -d’Aquisgrana, vi si fece ungere dall’arcivescovo di Colonia; e genti -e signori svaginarono le spade per sostenere ciascuno il proprio -eletto. Onde risparmiare il sangue civile, fu rimessa la decisione al -papa, e questi, esaminatala sotto il triplice aspetto del diritto, -della convenienza e dell’utilità, escluse Federico perchè non se ne -conosceano l’intelletto e il cuore, e la Scrittura dice: _Guaj alla -terra, cui re è un fanciullo_; riprovò Filippo come usurpatore delle -giustizie della Chiesa in Toscana[249], e perchè teneva ancora prigioni -il vescovo di Salerno e la famiglia reale di Tancredi; lodò Ottone, ma -parvegli eletto da troppo scarsi voti. Professavasi dunque imparziale -tra una famiglia sempre ostile e l’altra sempre favorevole alla Chiesa, -sicchè, scontenti del pari, i due emuli avventaronsi all’armi; sinchè, -indotto dai Guelfi, il papa mandò un legato che scomunicasse Filippo e -i suoi, e dicesse Ottone legittimo imperatore. - -Questi, davanti a tre legati pontifizj (1201 — 8 giugno), prestò -un giuramento siffatto: — Io Ottone, per grazia di Dio, prometto e -giuro proteggere con ogni mia forza e di buona fede il signore papa -Innocenzo, i suoi successori e la Chiesa romana in tutti i dominj -loro, feudi e diritti, quali sono definiti dagli atti di molti -imperatori, da Lodovico Pio fino a noi; non turbarli in ciò che già -hanno acquistato, ajutarli in ciò che lor resta ad acquistare, se il -papa me lo ordini quando sarò chiamato alla sede apostolica per la -corona. Inoltre presterò il braccio alla Chiesa romana per difendere -il regno di Sicilia, mostrando al signore papa Innocenzo obbedienza e -onore, come costumarono i pii imperatori cattolici fino a quest’oggi. -Quanto all’assicurare i diritti e le consuetudini del popolo e delle -Leghe Lombarda e Toscana, m’atterrò ai consigli e alle intenzioni della -santa Sede, e così in ciò che concerne la pace col re di Francia. Se la -Chiesa romana venisse in guerra per causa mia, le somministrerò denaro -secondo i miei mezzi. Il presente giuramento sarà rinnovato a voce e -per iscritto quando otterrò la corona imperiale». - -I Tedeschi, che vorrebbero vedere sempre l’imperatore sovrapposto al -pontefice, e l’Italia sottomessa alla Germania, rinfacciano a Ottone -quest’atto, dove in sostanza ciò che il papa esigeva era l’indipendenza -della Chiesa e dell’Italia. I principi tedeschi se ne indignarono, e -ne scrissero parole risolute ad Innocenzo, il cui favore non toglieva -che svenisse il partito di Ottone, considerato scialacquatore della -nazionale sovranità. Intanto Filippo di Svevia moriva trucidato (1208), -quinto figlio del Barbarossa che finiva in valida età, lasciando sol -quattro figlie; nè di quella casa sopravviveva che Federico Ruggero. -Allora, dopo dieci anni di contesa fra guerresca e politica, mediante -le premure di Roma i suffragi si raccolsero tutti sopra Ottone: -anzi, per togliere in avvenire le scissure e insieme le ambizioni -di qualc’altra famiglia, fu istituito che nessuno pretendesse alla -corona germanica per diritto ereditario; l’elezione fosse devoluta a -tre principi ecclesiastici, cioè gli arcivescovi di Magonza, Colonia, -Treveri, e tre laici, cioè il palatino del Reno, il duca di Sassonia, -il marchese di Brandeburgo; e quando i voti fossero pari, anche il re -di Boemia. Da quel punto al popolo non rimase più parte alcuna nelle -nomine, e gl’italiani ne restarono affatto esclusi. Ottone avendo -sposato Beatrice (1209) figlia dell’ucciso Filippo, rannodò le due -case de’ Guelfi e degli Hohenstaufen, e svelse dalla Germania quella -gramigna funesta de’ Guelfi e Ghibellini mentre appunto essa pigliava -rigoglio in Italia. - -Qui, in dodici anni dacchè tedeschi eserciti non apparivano, -le Repubbliche aveano preso incremento. Determinate da bisogni -individuali, esse non avevano preteso estendere le franchigie su -tutto il paese, distruggere ogni orma della sofferta oppressione, -piantare l’uguaglianza di tutti in faccia alla legge. Del Comune da -principio facevano parte soltanto i capitanei e valvassori e arimanni; -poi vi si aggiunsero i borghesi liberi, ceto medio, cresciuto sì per -l’arricchimento del commercio, sì per molte case nobili che giurarono -la città, sì per quelli che vi rifuggivano dai signori feudali o -ecclesiastici. Il resto degli abitanti dipendeva ancora dai nobili o -dai visconti vescovili, in qualità di servi o d’uomini ligi, con patti -che spesso riducevansi in carta, e che tanto vagliono a manifestare la -condizione personale de’ popolani[250]. - -Gli antichi conti della città eransi ritirati alla campagna, dove -conservavano i possessi e le giurisdizioni; sicchè i contadi rurali -od erano frazioni d’antico contado cui era stata tolta la città, o -porzioni assegnate da un conte ai proprj figliuoli. Quei di Bergamo -nel X secolo aveano avuto per quattro generazioni la suprema dignità -di conti del regio palazzo, e furono imparentati coi marchesi d’Ivrea -e di Toscana: costretti poi ad uscir di città, si indebolirono -suddividendosi nei conti Almenno, Martinengo, Camisano, Offenengo -ed altri[251]. Sotto il 1222 gli storici annoverano una quantità -di castelli donati o ceduti a Bergamo dai possessori, come Morníco, -Cologna, Grumello, Solto, Plenico, Cene, Civedate, Telgate, Villadadda, -Morengo, Calepio, Sárnico, la Bretta e via; e già prima v’erano stati -indotti o costretti i canonici e il vescovo. Milano, che prima limitava -la sua giurisdizione a un raggio di tre miglia, sottopose i contadi del -Seprio, della Bulgaria, della Martesana, di Parabiago, di Lecco[252]. -I conti di Verona si ritirarono a San Bonifazio, donde presero il -titolo: quei di Padova, fra i colli Euganei, coi titoli di Baone, -Àbano, Maltraverso e altri. E tutti dominarono sulla campagna, rubando, -ponendo pedaggi, escludendo, serrandosi attorno a un principale, che -intitolavasi vicario imperiale e che aveva una scorta di Tedeschi: -del resto avversando i Comuni, ridendo dei consoli e degli statuti, -pronti ad affollarsi intorno al piccolo esercito che l’imperatore -conducesse in Italia, trasformando in valanga l’impercettibile nucleo -degli oltramontani; e continuar battaglie e invasioni anco dopo partito -quello. - -Non poteva darsi che le città libere gran tempo tollerassero attorno -a sè borghi servilmente sottoposti a feudatarj privilegiati d’assoluta -giurisdizione, conservatori degli abusi detestati. Se a Costanza avean -acquistato il diritto di far guerra alle città lontane, tanto più -ai castelli vicini: onde coglievano le occasioni di portarvi la più -legittima delle guerre, quella che propaga e francheggia i diritti -dell’uomo. Talora scendeasi a patti, e la campagna restava emancipata -dalle parziali servitù. Asti mosse contro ai duchi di Monferrato, -Chieri agli arcivescovi di Torino: quei di Borgo Sansepolcro intimarono -ai tanti castellani di val Tiberina di lasciare le rôcche, chi non -volle costrinsero, e diroccato il castello di Mansciano, ne portarono -via le pietre, di cui edificarono i proprj baluardi, e una campana -che posero sulla torre di Berta[253]. Gli abitanti di Vico, Vasco, -Breo, Carassone, guasti dalle male intelligenze coi Lombardi e -coll’imperatore, si proposero una reciproca unione, della quale fu -frutto la terra di Mondovì. I Pavesi respinsero il conte rurale, che -si rifuggì a Lumello; ma quivi pure incalzato, ebbe a smettere la sua -giurisdizione, e rendersi cittadino e suddito della sua città[254]. - -I consoli di Biandrate appajono già in una carta del 5 febbrajo -1093, dove quei conti ai militi abitanti le loro terre danno una -specie di costituzione, e «delle discordie e concordie attenderanno -quel che decidano i dodici consoli eletti; i quali giurano giudicare -le liti insorte come meglio sapranno giovare al Comune, salva la -fedeltà ai signori». A Guido di Biandrate, che tanto di lui ben -meritò, Federico Barbarossa concedeva ampio privilegio, togliendolo -in protezione, confermandogli i beni e onori che aveva avuto da’ suoi -antecessori, stabilendo non deva esser chiesto in giudizio se non -davanti all’imperatore; per tutto il vescovado di Novara gli conferma -la capitananza (_conductum_), e che niuna battaglia si faccia se non -lui presente; gli uomini di quel contado abbiano egual diritto di -vendere e comprare in tutto il vescovado di Novara, Vercelli, Ivrea, -quanto i mercanti d’essa città. Poi il conte di Biandrate nel 1170 fece -concordia coi Vercellesi, cedendo il suo castello di Montegrande, i cui -abitanti siano ricevuti pacificamente a Vercelli, senza ch’egli però -perda la fedeltà d’essi castellani; cede pure quanto ha in Candelo, -Arborio, Albano e di qua dalla Sesia; due volte l’anno farà per essi -campo, e sarà in oste con trecento uomini; abiterà in Vercelli, e farà -giurare a quaranta suoi militi di comprarvi case; darà della sua cassa -diecimila lire pavesi; farà dare il fodro da essi militi agli uomini -di Vercelli, come sogliono gli altri concittadini; farà fine e pace -di tutti i danni recati a sè e alla casa sua; non porterà guerra senza -il consiglio de’ consoli maggiori e dei consoli di Santo Stefano e di -tutta la credenza; non alzerà castello dalla valle della Sesia e da -Romagnano in giù, nè vi farà conquista di castello o torre o corte. -Erano quei di Biandrate i più potenti signori del contorno di Milano, -ma ben presto il loro castello fu assediato e distrutto, e dispersine -gli abitanti in quattro villaggi: e Novara facea statuto, che il -console giurasse di tener distrutto Biandrate, ogn’anno visitarlo -due volte, e se nel ricinto della fossa sorgesse alcuna casa, la -demolirebbe fra venti giorni. Altre terre rimaste dovetter quei conti -cedere a Novara nel 1247 per ottomila lire, con cui comprare una casa -e terreni nel distretto. I conti infestavano tuttavia la val di Sesia, -volendo contaminar tutte le fanciulle: sinchè i paesani indignati li -scannano tutti, sol una fanciulla serbando, alla quale infliggono -gli oltraggi che le loro aveano sofferto. Altre terre possedeano -sull’Astigiano, e avendo nel 1250 rubato del panno a mercanti, la -città li punisce privandoli dei villaggi. Su un di questi avventavasi -notturno nel 1290 il conte Manuele; ma gli Astigiani invadono le terre -di esso, ne devastano i vigneti e le biade, uccidono suo figlio: talchè -il conte, per salvare il resto, cede il castello di Porcello alle -città, e vende a chi più ne dà i castelli di Montacuto e Santo Stefano. - -Patti consimili ma più largamente esplicati si convennero tra i -Vercellesi e i marchesi di Monferrato, aggiungendo la promessa di -ajutar questi dalla Lega Lombarda, cioè col pregare i collegati e -intercedere per essi. - -Il Comune di Brescia (se la cronaca di Ardicio è genuina) fin dal -1104 avea lega e società con altri della Lombardia e del Trevisano, -giurata nel chiostro di Palazzuolo: dai Martinengo comprava il castello -di Orzivecchi, dai conti Lumellini quanto possedeano nella diocesi -a titolo feudale, dai conti Calepio i castelli di Sárnico, Merlo, -Calepio, obbligandoli ad impiegare il prezzo in acquistare allodj nel -Bresciano; riceveva in protezione gli abati di Leno e Sant’Eufemia; -distruggeva il forte di Montechiaro e quel di Gavardo cacciandone -il presidio; così smantellò Asola ch’era dei conti di Casalalto, -e il forte di Monterotondo. Un consiglio del 1203 stabilisce che -gli abitanti di ville e castelli comprati da nobili non addetti al -Comune devano prestar giuramento alla repubblica. Ne’ cui statuti -è prescritto, chi vuol diventare cittadino, fabbrichi una casa -nella città, e rimangavi sempre, eccetto un mese di primavera, uno -d’autunno; privati non possano eriger forti in Pontevico, Palazzuolo, -Mura, Quinzano, Caneto, Gavardo, Iseo; e tutti i curati e dignitarj -ecclesiastici siano bresciani[255]. - -I conti di Treviso si piantarono ne’ loro possessi sul Piave, ma senza -nimicarsi colla città, nella quale sostennero molti uffizj comunali, e -conservarono anche il titolo, che poi mutarono in quel di Collalto. Di -Treviso stessa presero la cittadinanza nel 1183 Vecello e Gabriele da -Camino, e nel 1190 Matteo vescovo di Céneda, pattuendo che quel Comune -esercitasse la giurisdizione nella sua diocesi. Bertoldo patriarca -d’Aquileja nel 1220 si ridusse cittadino di Padova, e in segno vi -fabbricò palazzo, si sottopose ai dazj e alle taglie, e mandava -ogn’anno dodici cavalieri a giurare obbedienza al nuovo podestà: lo che -imitò pure il vescovo di Feltre e Belluno[256]. Padova stessa obbligò -i marchesi d’Este a venir cittadini, ed immurare le porte della loro -rôcca. Parma sottomette Salsomaggiore, obbligandolo a pagare dieci -soldi ogni san Martino(1138), e Uberto Pelavicino che le fa omaggio di -San Donnino (1140): Piacenza sottomette Caverzago, Collagura, Specchio, -Fabricà; nel 1138 compra metà del castello di Montalbo, metà nel 48; -sottopone la valle e il borgo di Taro; Moruello Malaspina nel 1194 -prende la cittadinanza di Piacenza, mentre altri di quella famiglia si -accomandavano a Lucca. I Córvoli del Frignano nel 1156 affidaronsi con -Modena a questi patti: ajutare la città contro chicchefosse, eccetto -il duca Guelfo d’Este e suoi ligi e vassalli; dimorare in città colle -lor donne ogni anno un mese in tempo di pace, due in tempo di guerra; -lasciare ai cittadini traversar liberamente le loro terre, nè tenere -mai chiusi i castelli a’ magistrati della città; obbligare i loro -villani a pagare sei denari lucchesi per ogni par di bovi, eccetto -i castellani, valletti e gastaldi. Modena obbligavasi di rimpatto -a investirli di certi beni e castelli ch’essi doveano conquistare, -ajutarli a rivendicare certe ragioni da altri nobili, e proteggerli -contro i nemici[257]. Faenza demolisce Selvamaggiore (1098), combatte -i conti di Cunio (1115), demolisce la Pergola (1135); distrugge -Solarido (1138) diviso fra le due lottanti famiglie de’ Silingardi e -de’ Guglielmi, sbrattando così la via di San Giuliano; nel 1144 assalta -Castelleone; nel 1149 Cunio, Donigaglia, Bagnacavallo, che pretendeano -un censo da’ Faentani che vi tenesser banchi. Il conte dovette cercar -pace mettendo casa in Faenza, lasciando mettere in Cunio guarnigione -faentina, e ritraendosi dalla politica: ma ben presto, sotto titolo che -abbia mancato ai patti, è assalito e distrutto il castello. Poi vien la -volta di Lacerata, di Modigliana, di Bagnacavallo. - -Terracina ai Frangipani, già signori della città, poi ritiratisi a -Circello e Traversa, vieta di accostarsi oltre la chiesa di S. Nicola -fuor le mura, fuorchè per affari e senz’armi nè seguito. Benevento -sfascia Apice, Terroggia, Sableta, ove Roberto Sclavo ora imprigionava -i passeggeri, or li spogliava od uccideva, come faceano pure i signori -di Frassineta, per ciò spodestati. - -I Bolognesi avevano preso i castelli di Corbara, Sassatello, -Monteveglio, Monte Cadumo, Ibora, Dozza, Fagnano, e avuti a soggezione -i signori Cetolani, Savignanesi, di Oliveto, Moreto, Caneto[258]. Egual -movimento ci si mostrerà in Toscana. - -Casse in tal guisa le giurisdizioni feudali, le tenute appartenevano -tutte a cittadini, ed erano coltivate da pigionanti e mezzajuoli, -trasformandosi il sistema tedesco dei possessi, e ai servi sottentrando -liberi coltivatori. - -Liberi, ma non per questo erano considerati come popolo, cioè donati -della piena cittadinanza; e l’infima gente e gli operaj non restavano -rappresentati nel Governo, non votavano le imposizioni che essi -medesimi pagavano, o la conversione di esse. Ma in ogni rivoluzione, al -primo passo che consiste nel liberarsi, suole tener dietro l’altro, ove -la classe liberatrice vien giudicata tiranna o insufficiente, e una più -bassa pretende prima eguagliarla, poi soverchiarla. Alla rivoluzione -che affrancò i Comuni aveano data principal opera i nobili e i meglio -stanti, che in conseguenza diedero i consoli e i magistrati; gloria -particolare di molte prosapie nostre, di derivare la loro nobiltà dai -liberatori della patria. - -Ben presto i plebei pretesero parte al governo, e questa seconda -êra delle repubbliche valse un secolo intero di agitazioni, ora -costituzionali, ora violente. Dentro le città cominciarono dunque a -contendere nobili e borghesi, quelli volendo ricuperare l’autorità che -un tempo aveano posseduta, questi pretendendo in prima parteciparvi -equamente, poi arrogarla a sè soli. La quale contesa non è altro se -non quella che tuttodì si agita nei paesi costituzionali, cioè se a’ -soli proprietarj devasi concedere pienezza di diritti: stantechè non al -sangue si faceva mente, ma ai possessi; nobile era chi avesse. - -I grossi nobili o casatici, discendenti dagli antichi conti e marchesi -e capitanei, tradizionalmente poderosi, e sostenuti dagl’imperatori, -s’erano abituati al comando sui loro feudi; ed anche giurandosi -cittadini, conservavano i possedimenti e le rôcche, dalle quali sì -spesso erano invitati alle magistrature urbane. Alla plebe, attenta -alle arti e ai traffici, non era possibile esercitarsi nell’armi, -che al contrario formavano l’occupazione e il sollazzo dei nobili; -onde a questi bisognava ricorrere ne’ casi di guerra, massime per la -cavalleria. Anche dopo svestite le armi, al comandare erano predisposti -dal patronato che esercitavano sopra gli antichi loro servi e gli -attuali clienti; dall’inclinazione a riverire nei figliuoli le doti -e i meriti de’ padri; dal trovarsi fra sè legati per parentele o -per ispirito di corpo; dall’avere sì larghi possessi che poteano a -loro voglia affamare la città. Chiamati podestà o capitanei in paesi -forestieri, contraevano l’abitudine dal maggioreggiare, che tanto -facile s’acquista quanto difficilmente si smette; e anche nel proprio -Comune ottenevano onoranze sì per le cariche sostenute, sì pel fregio -della cavalleria. In qualche città soli nobili aveano gli impieghi, -come sembra fosse in Bergamo, ove non appajono contese fra nobili e -plebei, ma de’ nobili fra loro. - -Altre volte questi, impediti di prepotere legalmente, volgeansi -all’infima classe, esclusa dal governo e tributaria della città; la -blandivano perchè più docile, e perchè non aveva nè diritti da opporre -ai loro, nè ricchezze per egualiarli; e se le facevano sostegno ne’ -tribunali, o nei richiami contro l’oppressione: di che sorgevano due -fazioni, la nobiltà unita ai plebei, e i borghesi indipendenti da -quella. Si contrariavano esse ne’ partiti, nelle elezioni, nei piati, -e spesso il litigio incalorivasi fino a venire alle mani. Vincevano i -nobili? eccoli padroni delle cariche, arbitri delle leggi, e decretare -quanto meglio torna al loro ordine; applauditi dalla ciurma, che al -solito astiava i cittadini grassi. Soccombevano? ritiravansi nelle -avite rôcche, aspettando di ritornar necessarj per essere ridomandati, -o, data occasione, rientrare a forza. Come avviene dei conflitti in -città, la plebe per lo più restava vincitrice; e inetta a governarsi, -e facile ad essere raggirata dagli scaltri, s’appoggiava ad un signore -territoriale, concedendogli poteri illimitati, quali deve averli chi -rappresenta il popolo, e così spianando la via alle tirannidi. Quei -medesimi baroni che aveano giurato il Comune, oltre esercitare nelle -città il potere o l’ingerenza che deriva dall’antica abitudine del -comando, dalla ricchezza e dalla pratica delle armi, negli accordi -eransi riservati certi diritti di guerra e di alleanza, e prerogative. - -Per quel carattere personale che aveano tutti gli obblighi nel sistema -feudale, a simili accordi poteasi rinunziare ad arbitrio; e poichè -talvolta il nobile era cittadino di due Comuni, cercava appoggio -dall’altro qualora coll’uno cozzasse: fomento a fraterni dissidj. -Difficilmente poi rinunziavano al diritto preziosamente mantenuto delle -guerre private, e dentro le città stesse moveansi battaglie tra loro; -perciò munivano i palazzi a guisa di fortezze, con ponti levatoj e -torri e catene per le vie. Trentadue torri coronavano o minacciavano -Ferrara, cento Pavia, poco meno Cremona e Bologna: diecimila a Pisa, -dice Beniamino da Tudela, e «creda chi vuole» esclama il Muratori; -a Firenze l’architettura massiccia, coll’enormi bugne, le anguste -finestre, le molte torri, e le porte ferrate, attesta ancora quello -stato di guerra da vicino a vicino. Lo statuto di Genova proibiva di -lanciare projetti dalle torri, neppure in occasione di combattimento: -se ne seguisse omicidio, la torre veniva demolita; se no, multa di -venti lire; e se il padrone non potesse pagarla, distruggevansi due -solaj d’essa torre. Talvolta una città era divisa tra più signori, e -per esempio in Mantova i Bonaccossi e i Grossolani erano capi-parte -nel quartiere di Santo Stefano, gli Arlotti e i Poltroni in quello di -Cittavecchia, i Riva e i Casaloldi in quel di San Jacopo, i Zanecalli e -i Gaffari in quel di San Leonardo. Bisognava dunque munire un quartiere -contro l’altro, serragliare i ponti, sorvegliare le strade. - -Nelle città più floride per commercio, i mercanti vollero partecipare -alla sovranità d’una patria, al cui prosperamento sentivano aver tanto -contribuito. E fin qui chiedeano il giusto; ma l’irritamento prodotto -dal contrasto e la baldanza del successo li spinsero a volere esclusi -quelli, cui da principio non avevano che domandato di compartecipare. -Firenze rimosse dalla Signoria chi non fosse matricolato in un’arte; i -nove signori di Siena e gli anziani di Pistoja dovean essere mercanti o -della classe mezzana; altrettanto in Arezzo; di maniera che per infamia -notavansi tra’ nobili chi mal meritasse del Comune. Modena pure ebbe un -registro sì fatto, e l’imitarono alcun tempo Bologna, Padova, Brescia, -Genova ed altre città libere sullo scorcio del xiii secolo. Anzi a Pisa -i nobili erano esclusi dal far testimonianza contro un plebeo; pena la -testa se uscissero di casa con arme o senza quando si faceva rumore; e -bastava la voce popolare per condannarli[259]. Il cencinquantesimo del -libro I degli statuti di Roma prescrive che un barone o una baronessa, -i quali abbiano una lite civile o criminale con un popolano, non -possano entrare in palazzo, ma solo i loro avvocati e procuratori; e se -il popolano comprometter voglia la lite in due popolani, essi baroni -sieno costretti starvi: nè tampoco il giudice della causa possa mai -parlare con essi barone e baronessa. - -A Lucca soli i cittadini abitanti in città costituivano propriamente -la repubblica; gli altri chiamavansi _foretanei_ se oriundi lucchesi, -e _foresi_ se avveniticci, e non partecipavano ai privilegi urbani. -I cittadini poi divideansi in potenti o casatici, e popolari. I -casatici non solo erano esclusi dal governo e dalle società delle -armi del popolo, come i cavalieri e cattanei, ma non si ammettevano -a testimoniare contro popolani; mentre questi non erano puniti -di calunnia se non potessero provare la incolpazione data ad -un patrizio[260]. Era insomma un ricolpo de’ mercadanti contro -l’aristocrazia, della ricchezza industre contro la territoriale. I -commercianti e i possessori apparecchiavano governi a tutto vantaggio -della propria classe e a danno dell’altra, senza riguardo al grosso -della popolazione, che però acquistando di forza, sorgeva colle sue -pretensioni, ed aumentava quel bollimento universale. - -Noi non teniamo vera repubblica se non il governo di tutti per -vantaggio di tutti: l’antagonismo conduce necessariamente a rotture, -e queste riescono a rivoluzioni o di governo o di piazza; ma -come evitarle sinchè stanno a fronte due razze non ancora fuse, i -conquistatori e i conquistati? I nobili si agitavano e combattevano -perchè n’aveano i mezzi; atteso il gran numero di parenti, avvolgeano -ne’ loro litigi lo Stato intero; e perciò diceasi che i nobili -erano la ruina del paese. Pure in essi si suppongono educazione più -accurata, sentimenti meno interessati, spirito di famiglia conservato: -vi occorrono maggiori esempj di fermezza, come a Sparta, a Roma, a -Venezia, attesochè, non conoscendo superiore che Dio, elevano gli -spiriti sovra il resto della nazione, e di grandi cose li fa capaci -l’emulazione de’ loro pari. Ma facilmente trascendono in oligarchia, -non soltanto insuperbendo della propria indipendenza, ma minacciando -l’altrui; e per restare tirannetti ne’ castelli, piaggiano i regnanti, -despoti e schiavi al tempo stesso. - -D’altro lato è agevole e comune il lanciare un motto di sprezzo sui -governi di mercanti: ma oseremo noi farlo quando vediamo Firenze durare -sì lunghi e magnanimi sforzi, elevarsi a splendidissima civiltà, -ed ultima conservare sua franchezza in Italia? Certo, la esclusione -dei nobili sottraeva forze utilissime alle repubbliche italiane; il -Governo decretava parzialissimo; i popolani grassi e la gente nuova -trascorsero a fasto e prepotenza quanto i nobili, senz’essere sostenuti -come questi dal lustro de’ padri, che pur lusinga le plebi. Le quali se -veneravano nel signor d’oggi la memoria del magistrato e del capitano -antico, mal si rassegnavano all’aristocrazia mercantile, sia perchè -più speculatrice e men generosa, sia perchè duole il veder coloro -che soleansi riverire conculcati da altri, cui unico merito erano i -sùbiti guadagni. Adunque sprezzati dalle famiglie, sgraditi alla plebe, -minacciati da superiori e da inferiori, dovettero i mercanti reggersi -anch’essi con modi arbitrarj ed assoluti. - -Non che dunque la gara fra nobili e plebei fosse misero parto della -libertà, nasceva dal non essersi, al tempo della rivoluzione, ottenuta -intiera la franchezza e lasciate accanto ai liberi Comuni la campagna -servile, le giurisdizioni feudali, e dappertutto la sciagurata -ingerenza degl’imperatori. In grazia della quale le contese cittadine -furono inacerbite dalla divisione di Guelfi e Ghibellini. - -Questi nomi, nati in Germania (pag. 89), furono troppo presto adottati -dall’Italia per designare due partiti, in lei da secoli contrariantisi; -li conservò quando più non s’udivano negli altri paesi, e per essi -straziò le proprie viscere anche quando già era fatta cadavere. «Quelli -che si chiamavano Guelfi, amavano lo stato della Chiesa e del papa; -quelli che si chiamavano Ghibellini, amavano lo stato dell’Imperio e -favorivano l’imperatore e suoi seguaci» (VILLANI). Ne’ primi prevaleva -il desiderio di vendicarsi della dinastia sveva, e sviluppare da -ogni legame forestiero la libertà dei Comuni: i Ghibellini credeano -che il conservarsi ciascun paese in libertà, senza dipendere da un -poter superiore, recherebbe inevitabilmente a discordie, per le quali -gli Italiani si logorerebbero colle proprie forze. Gli uni dunque -aspiravano come a supremo bene alla indipendenza dell’Italia, e che -potesse ordinare i proprj Governi senza influsso forestiero: gli altri -vagheggiavano l’unità del potere, come unico modo di fare l’Italia -concorde entro e rispettata fuori, dovesse pure sminuirsene la libertà -fortuneggiante. - -Erano dunque due partiti generosi e con aspetto entrambi di equità; -e solo que’ liberalastri che nel passato rivangano ragioni di -oltraggiare i presenti, possono sentenziare infamia o apoteosi all’uno -o all’altro. I due partiti riconoscono un principio superiore a tutte -le rivoluzioni, la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico, -dello spirito dal comando, della fede dal diritto, della coscienza -dell’individuo dal vigore della società, dell’unità umana dall’unità -civile. Il prevalere d’ognuna di queste tesi porta necessariamente -l’antitesi dell’altra; se la Chiesa si fa democratica col popolo, -l’impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi stabiliscono -l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono tutelarla colla legge; se prevale -l’idea della libertà individuale, rendesi necessario frenarla colla -potenza sociale. Il sapere con qual dei due stesse la miglior ragione è -viepiù difficile a chi non sappia trasferirsi in quell’età e valutarne -le condizioni e gli avvicendati mutamenti; giacchè può ben disputarsi -se le fasce convengano o no al bambino, ma traviserebbe la quistione -chi rispondesse che all’uomo adulto non stanno bene. Quelli che non -apprezzano la libertà se non politica, e questa negativa, oppositrice, -non sanno credere che il papato rapresentasse per tutto il medio evo la -parte più franca ed avanzata, unico oppositore alle prepotenze, unica -voce del popolo contro i guerrieri, del pensiero contro le lancie. - -Matteo Villani chiamava la parte guelfa «fondamento e rôcca ferma e -stabile della libertà d’Italia, e contraria a tutte le tirannie, per -modo che, se alcuno diviene tiranno, conviene per forza ch’e’ diventi -ghibellino, e di ciò spesso s’è veduto l’esperienza». E soggiunge: -— L’Italia tutta è divisa mistamente in due parti; l’una che séguita -nei fatti del mondo la santa Chiesa, secondo il principato che ha da -Dio e dal santo Imperio in quello; e questi sono denominati Guelfi, -cioè _guardatori di fe_; e l’altra parte seguitano l’Imperio, o fedele -o infedele che sia nelle cose del mondo a santa Chiesa, e chiamansi -Ghibellini, quasi _guida belli_, cioè guidatori di battaglie, e -séguitane il fatto che per lo titolo imperiale sopra gli altri sono -superbi e motori di lite e di guerra. Gl’imperatori alamanni hanno -più usato favoreggiare i Ghibellini che i Guelfi, e per questo hanno -lasciato nelle loro città vicarj imperiali con loro masnade; i quali -continuando la signoria, e morti gli imperatori di cui erano vicarj, -sono rimasti tiranni, levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti -signori e nemici della parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà. -E questa non è piccola cagione a guardarsi dal sottomettersi senza -patti a detti imperatori. Appresso è da considerare che i costumi e i -movimenti della lingua tedesca sono come barbari e strani agl’italiani, -la cui lingua e le cui leggi e costumi, e i gravi e moderati movimenti, -diedono ammaestramento a tutto l’universo, e a loro la monarchia del -mondo. E però venendo gli imperatori d’Alemagna col supremo titolo, -e volendo col senno e con la forza d’Alemagna reggere gl’italiani, -non lo sanno e non lo possono fare: e per questo nelle città d’Italia -generano tumulti e commozioni di popoli, e se ne dilettano per essere -per controversia quello che essere non possono nè sanno per virtù o per -ragione d’intendimento, di costumi e di vita. E per questo la necessità -stringe le città e i popoli, che le loro franchigie e stato vogliono -mantenere e conservare, e non esser ribelli agl’imperatori alamanni, di -provvedersi e patteggiarsi con loro; e innanzi rimanere in contumacie -con gl’imperatori, che senza gran sicurtà li mettano nelle loro -città»[261]. - -Da qui, e più dalla serie storica appare come i Guelfi non volessero -sottrarsi da ogni soggezione degl’imperatori, bensì non sottoporvisi -che a patti; sicchè oggi si paragonerebbero al partito costituzionale. -Chi guardi i mali che gl’imperatori cagionarono all’Italia, e -l’esecrazione che popolare dura fin oggi contro il Barbarossa; chi -pensi che le più generose città, Milano e Firenze, stettero sempre -antesignane della parte guelfa, e che quest’ultima diede l’estremo -ricovero all’indipendenza italica, mentre chi voleva tiranneggiare -un paese ergeva bandiera ghibellina, propende a desiderare che i -Guelfi fossero prevalsi, e le città ordinatesi a comune sotto il manto -del pontefice, che coi consigli le dirigeva, e coll’armi spirituali -reprimeva gli stranieri. - -Gli alti e insegnati uomini che caldeggiarono il sentimento ghibellino, -od erano gente stipendiata dagl’imperatori come Pier dalle Vigne, o -infatuati dell’antichità come i giureconsulti, o trascinati da passione -come Dante, il quale, sbandito da’ Guelfi, si fe ragionato propugnatore -della opinione avversa: eppure nel suo libro _Della monarchia_, ove -(credo senza servilità d’animo, ma per quella stanchezza del parteggiar -cittadino che cerca riposo fin nel despotismo) assoda la incondizionata -tirannide, brama che l’Italia riducasi sotto un imperatore, bensì a -patto che questo sieda in Roma. Chi più ghibellino del Machiavelli? -eppure con magnanimo voto chiude l’abominevole suo libro. - -D’altra parte i diritti imperiali intendevansi allora ben altrimenti -da oggi, importando essi nulla meglio che una supremazia, innocua -alle particolari libertà. Pertanto i Guelfi ideando la teocrazia si -mostrarono più immaginosi, probi utopisti; i Ghibellini, più reali e -pratici, ricordavano che le società sono fatte d’uomini e per uomini: -lo spirito democratico dei primi declinava all’insolenza individuale -e alla sregolatezza; l’idea organatrice degli altri li portava alla -forza e alla tirannide: ma in fondo la loro è la causa stessa, la -stessa divisione che appare in tutte le storie, di plebei e patrizj, -di schiavi e franchi, di Rose Rossa e Bianca, di Cavalieri e Teste -Rotonde, di progressisti e retrivi, di liberali e servili. - -È natura delle fazioni di svisare il più onesto scopo; e abusandone -o esagerando o traviando, porre il torto dov’era la ragione. I grandi -feudatarj che i perduti privilegi ambivano ricuperare, non ne vedeano -via che coll’attaccarsi all’imperatore e appoggiarne le pretendenze: -sempre poi amavano meglio dipendere da esso, grandissimo e lontano, -che non dai borghesi, da villani rifatti, da un frate che talora li -dirigeva. Chiarivansi dunque ghibellini, stimolavano l’imperatore a -calare in Italia, e per contrariare al papa furono sin veduti favorire -gli eretici. - -Gran potere davano ai papi nella bassa Italia l’alto dominio sopra la -Sicilia; nell’alta, i radicati rancori contro gli Svevi; dappertutto -le insinuazioni del clero e massime dei frati, guide dell’opinione, la -quale può tutto ne’ governi a popolo, dove si delibera secondo fantasia -e sentimento. L’imperatore valeva sulle repubbliche soltanto colla -forza delle armi, giacchè non è facile guadagnare tutta una gente, -sempre gelosa di chi possiede l’autorità. Al pontefice non restava che -l’efficacia della persuasione: ma anch’egli principava, e disponeva -d’eserciti, e spesso, come uomo, serviva a private passioni; e i Guelfi -sposavano talora una causa, non perchè giusta e confacevole alla -libertà, ma perchè dal pontefice preferita. I Ghibellini han vinto; -Italia non ha ancora finito di piangerne. - -Nè li crediate meri nomi di taglia: avevano Comune, sindaci, podestà -proprj; nascevasi d’una tale parzialità, e diserzione consideravasi -il passare ad altra; i trattati si facevano a nome della repubblica -e della fazione prevalente. Fin nei minuti costumi doveano fra loro -sceverarsi: questi un berretto, quegli un diverso usavano; due finestre -aprivano i casamenti dei Guelfi, tre i Ghibellini; quegli alzavano -i merli quadrati, questi a scacco; e la nappa, o un fiore[262], o -l’acconciatura de’ capelli, o il saluto, e fin il modo di trinciare il -pane o di piegare il tovagliuolo discernevano il Guelfo dal Ghibellino. -I Ghibellini giurano alzando l’indice, i Guelfi il pollice; i primi -tagliano i pomi di traverso, i secondi perpendicolarmente; quelli -adoprano vasi semplici, cesellati questi; il modo di passeggiare, di -scoccar le dita, di sbadigliare, di arnesar gli animali, la dritta -o la sinistra, il numero due o il tre, tutto insomma divien segnale; -i Bergamaschi conobbero che certi Calabresi eran di fazione opposta -al modo di tagliar l’aglio. A Firenze, coi beni tolti ai Ghibellini -espulsi si formò una _massa guelfa_ onde mantenere e invigorire la -parte trionfante; un magistrato apposta la amministrava con tre capi -bimensili, consiglio secreto di quattordici membri ed uno grande di -sessanta, tre priori, un tesoriere, un accusatore dei Ghibellini; -società regolare e permanente, armata e ricca, che si sostenne quanto -la repubblica. - -Al tempo di Carlo d’Angiò e per suo suggerimento i Parmigiani formarono -(1266) una _Società de’ Crociati_ per sostenere la causa guelfa, -sotto la protezione di sant’Ilario vescovo di Poitiers; e a quella si -aggregarono altre corporazioni del paese, talchè divenne potentissima, -comprendendo molte migliaja d’uomini, che erano iscritti in un -registro. Aveano un capitano e alquanti primicerj, che doveano anche -tor di mezzo ogni dissensione, senza usar forza. Molti statuti furono -fatti ad incremento di questa Società, ed uno vietava agli abitanti -della città e del territorio di parte guelfa di entrare in parentela -con chi non fosse della parte stessa. Il capitano de’ crociati, e che -poi fu detto capitano del popolo, e aveva il comando delle milizie, -era forestiero, durava sei mesi, aveva un giudice, un socio, due -notaj, il che attesta che esercitava una parte di giurisdizione, benchè -sussistesse anche il podestà: e questo e quello subivano il sindacato. -Il gran consiglio di cinquecento doveva, come i magistrati, essere -eletto tra quei che formavano la Società de’ Crociati, la quale così -divenne arbitra del Comune, e sorgente unica del potere legislativo, -benchè non perdesse il carattere di milizia[263]. - -Solo tardi i nomi di Guelfi e Ghibellini perdettero la primitiva -significazione, e parve non designassero che partiti, nati dalle -ambizioni di persone e di case; s’abbracciava l’uno senz’altro motivo -se non lo stare coll’altro gli avversarj; uomini e città li cangiavano -dalla state al verno; pretesto a rancori privati, a baruffe, a -sbranarsi tra sè, finchè riuscissero all’ultimo conforto degli stolti, -il servir tutti[264]. - -In popolo libero non si governa che per via di fazioni, anzi una -fazione è il Governo stesso, il quale tanto è più forte e perseverante, -quanto tra il popolo si trovano partiti più permanenti e compatti. -Ma siffatti non si formano e mantengono se non dove fra gl’interessi -de’ cittadini esistono dissomiglianze e opposizioni così evidenti e -durevoli, che gl’intelletti siano condotti e fissati da sè in opinioni -opposte: all’incontro, è difficile restringer molti in una politica -uniforme là dove i cittadini rimangono ad un bel circa eguali, giacchè -allora bisogni effimeri, frivoli capricci, interessi particolari creano -e scompongono ogni istante fazioni, l’incertezza e avvicendamento delle -quali fa agli uomini nojosa l’indipendenza, e mette a repentaglio la -libertà, non in grazia dei partiti, ma perchè niun partito è in grado -di governare. - -Nè essi portano gran pregiudizio quando rampollano dalla costituzione, -giacchè allo scopo loro si connette sempre la speranza di migliore -governo; anzi a quelli vanno debitrici di loro prosperità le nazioni -che liberamente si reggono, e in cui, pendasi ad aristocrazia o a -democrazia, a governo personale o a ministeriale, sempre si tende e -spesso si giunge al meglio del paese. Ma quando si mescoli, come in -Italia, un fomite forestiero, l’interesse della fazione prevale a -quello della patria, e s’immola fin la libertà per conseguirlo. Toscana -e Venezia furono l’una democratica, aristocratica l’altra, eppure -stettero: in Lombardia Guelfi e Ghibellini spingevano l’occhio fuor -della patria, e del pari la sagrificavano. - -Robusti, caldi di superbia e d’invidia, nel consiglio impugnano il -parere più sano, perchè proposto dalla parte avversa; poi mene segrete -e intelligenze parziali; poi sconnesse le famiglie dal campeggiare -padri e fratelli sotto bandiera diversa; poi per ogni lieve occasione -rompere ai peggiori termini di nemici. «Quasi ogni dì, o di due dì -l’uno si combattevano insieme cittadini in più parti della città, -di vicinanza in vicinanza, come erano le parti; e aveano armate le -torri, che n’avea la città (di Firenze) in gran quantità e numero, e -alte cento e cenventi braccia l’una. E sopra quelle facevano màngani -e manganelle per gettare dall’una all’altra, ed era asserragliata -la strada in più parti. E tanto venne in uso questo gareggiar fra’ -cittadini, che l’un dì si combattevano, e l’altro dì mangiavano e -beveano insieme, novellando delle prodezze l’un dell’altro che si -facevano a quelle battaglie»[265]. - -Cominciasi da un conflitto in piazza, determinato da qualche -accidente in apparenza frivolo, ma realmente derivato dall’intima -natura della città; e subito i cittadini dividonsi in due partiti, i -quali non cercano che annichilarsi un l’altro, senza riguardi, senza -capitolazione. L’ira è unica ispiratrice; una parte trovasi inferiore, -e non tanto perchè impotente a sostenersi, quanto pel dispetto di non -voler obbedire agli avversarj, esce di città. I suoi fautori rimasti, -deboli e vinti, sono uccisi senza pietà da quella rabbia che si -esacerba nello sfogarsi; dei profughi sono demolite le case, confiscati -e sperperati i terreni, e la metà trionfante stabilisce nella città -quella pace che viene dalla mancanza di nemici. Presto però i vincitori -medesimi si suddividono in moderati ed eccessivi; i fuorusciti, -congiunti dalla sventura, si rannodano alla campagna con altri di lor -colore, e con sussidj di borgate o città consenzienti, riminacciano la -città, l’assalgono, la prendono, e alla lor volta uccidono, incendiano, -proscrivono. - -È la parte de’ popolani che leva il rumore? tocca a stormo; le vie -si asserragliano per impacciare i cavalli, nerbo della nobiltà; -questa assalgono ne’ palazzi fortificati, ne espugnano le torri. I -gentiluomini, rincacciati di posto in posto, a grave stento possono -aprirsi un varco, mentre i vincitori malmenano i clienti e le robe dei -vinti, il tempio del Dio della pace profanano cogl’inni della vittoria -fratricida. Ma appena in campagna aperta può la loro cavalleria -spiegarsi, i nobili tornano superiori; ricorrono per ajuto ai signori -castellani o ad altri paesi di egual fazione, trattano con quelli -come potenze riconosciute, li persuadono a guerra; allora bloccano la -patria, l’affamano, e v’entrano a forza, alla lor volta diroccando ed -esigliando; oppure rientrano a patti, e giurano paci centenarie che -fra un mese saranno violate. Queste alterne espulsioni formano la quasi -unica storia del tempo. - -Così si amplia la guerra cittadina in cospirazioni, adunanze, consigli, -alleanze; cercasi una città anche nemica, perchè del partito medesimo; -i fuorusciti figurano come una potenza distinta; le fazioni interne si -intralciano colle esterne; e l’economia geografica è sbilanciata dalla -logica de’ partiti, finchè questa viene a identificarsi con quella. - -Nè gli uni nè gli altri però vogliono la distruzione della città, -bensì di possederla e dominarla. A questo intento, anche allorchè vi -stanno entrambi i partiti, devono tenersi in guardia e in disciplina, -avendo magistrati proprj, riunioni, erario, forza, e di fuori alleanze -speciali, alle quali rifuggendo allorchè in città non son sicuri di -poter dimorare tutto il domani, cominciano a considerarsi qualcosa -più che semplici cittadini, a concepir l’idea d’un partito, d’una -nazione, nella quale tutta quanta si trovano alle prese i due partiti. -Ma la lotta, fondandosi su passioni non su principj, è necessariamente -interminabile, non avendo un esito, non portando una vittoria -definitiva, ma intanto elevando un sempre maggior numero di persone -alla dignità di cittadini. - -I popolani di Piacenza nel 1234, espulsi i loro nobili, si allearono -coi popolani di Cremona, i quali aveano tolto a capitano il marchese -Pelavicino; e questo con cento cavalieri e molti balestrieri delle due -città ruppe i nobili fuorusciti. Essi fanno lega con quei di Borgotaro, -di Castellarquato, di Firenzuola, e presentano a Gravago battaglia, -dove lasciano prigionieri quarantacinque uomini d’arme e da ottanta -fanti. I popolani cremonesi e piacentini prorompono di nuovo in armi, -assediano il castello di Rivalgario, ma non possono espugnarlo. Alfine, -per intromessa di Sozzo Colleoni di Bergamo, si riconciliano coi -nobili, pattuendo che questi avessero metà de’ pubblici onori e due -terzi delle ambasciate. - -I vincitori non sempre erano moderati, nè solo momentanei i danni; e -nell’ebbrezza del trionfo si spingeva la città a guerra coi vicini, -o nello statuto si introducevano mutazioni non per utilità comune, -bensì per corroborare la parte trionfante; ma sicurtà vera non si trovò -mai, restando sempre una fazione malcontenta e una turba fuoruscita, -gagliardissimo strumento ad ogni tentatore di novità. In una sola volta -escono dal Cremonese centomila esigliati nel 1226; nel 1274 trecento -famiglie da Bologna, composte di dodicimila persone: quando Castruccio -nel 1323 osteggiava Firenze, per ottenere perdonanza venivano ad -offrirsi di servire contro di lui ben quattromila Fiorentini, piccolo -resto di quelli cacciati vent’anni prima[266]. Non durerà mai quieto il -paese che ha molti fuorusciti, i quali, per desiderio della patria, per -la baldanza che dà il non aver nulla a perdere, per le facili speranze -che sono il retaggio degli esigliati, movono, praticano, irritano -dentro e fuori. - -Quindi per tutta Italia un combattersi da terra a terra, e talvolta -per ragioni sì frivole, quanto oggi ne’ duelli. Nomi d’obbrobrio -ciascuna città aveva affisso all’avversaria, e da questi cominciavansi -diverbj che terminavano col sangue[267]. Un cardinale romano convita -l’ambasciatore di Firenze, e udendogli lodare un suo bel catellino, -glielo promette; sopraggiunge l’ambasciatore di Pisa, che del cagnuolo -s’invoglia anch’esso, e n’ha promessa eguale: da ciò discordia e -guerra viva. Una secchia, dai Bolognesi rapita a quei di Modena, diede -soggetto a guerra e al poema del Tassoni. Un catorcio involato suscitò -guerra fra Anghiari e Borgo Sansepolcro, di che il Tevere andò tinto -in rosso. Quei di Chiusi combatterono i Perugini per l’anello pronubo -di Maria Vergine, che essi conservano preziosamente, che un frate aveva -sottratto. - -Quali cronache non sono piene di queste rivalità energiche e clamorose, -e de’ vergognosi trionfi sopra i vicini? I Modenesi assediano Ponte -Dosolo, e smantellatolo ne involano la campana che pongono nella -torre maggiore: un’altra volta da Bologna portano via le petriere e le -collocano nella cattedrale, e voltano lo Scultenna su quel territorio -per guastarlo. Genova impone a Pisa di abbassar tutte le case fin al -primo solajo: e ancora vi stanno sospese le catene strappate a Porto -Pisano; e sull’edifizio del Banco un grifo che adunghia l’aquila e -la volpe, simboli di Federico I e di Pisa, col motto _Griphus ut has -angit, sic hostes Genua frangit._ Lucca mette degli specchi sulla torre -d’Asciano perchè le donne di Pisa vi si possano mirare; e Pisa va ad -assediar Lucca, e mette grandi specchi affinchè i loro nemici vedano -come impallidiscono; un’altra fiata fabbricano il forte d’Illice, e -vi scrivono: «Scopabocca al genovese, crepacuore al portovenerese, -strappaborsello al lucchese». Perugia erge innanzi a Chiusi la torre -_Becca questa_, e i Chiusini vi oppongono la _Becca quella_. All’arco -di Galieno in Roma era attaccata la chiave della porta Salciccia di -Viterbo, ribellatasi contro il senato: i Perugini dalla vinta Foligno -asportarono le porte sovra il carroccio de’ vinti, e da Siena le -catene della giustizia, che collocarono sovra la porta del podestà: i -Lodigiani eternarono (si dice) nelle medaglie uno scorno usato ai vinti -Milanesi: questi faceano giurare al podestà di non lasciar più mai -rifabbricare il distrutto Castel Seprio; Siena imponeva altrettanto per -quel di Menzano, i Novaresi per quel di Biandrate. - -È fatica persino in una storia municipale il seguitar quelle guerre -senza gloria, interrotte da paci senza riposo, varie negli accidenti, -ma uniformi negli impulsi; nè noi vogliam dare che i lineamenti e -il carattere generale di quella età. Brescia stava sempre in armi -da un lato contro Cremona, massime in causa delle acque dell’Oglio, -dall’altro contro Bergamo pei disputati confini del lago d’Iseo e -della val Camonica; e avendo essa, come dicemmo, nel 1191 aggiunto al -suo territorio i Castelli di Sarnico, Calepio e Merlo, i Bergamaschi, -per vendicarsene, s’unirono ai Cremonesi, già da essi ajutati contro i -Bresciani. Subito una parte e l’altra si prepara di alleanze, e Pavia, -Lodi, Como, Parma, Ferrara, Reggio, Mantova, Verona, Piacenza, Modena, -Bologna vengono contro i Bresciani, e assediano i castelli di Telgate -e Parlasco; ma i Bresciani, capitanati da Biatta di Palazzo, gli -affrontano a Rudiano, e li mettono in tal rotta, che rimase al luogo il -nome di Malamorte. - -I nobili, che aveano in mano il governo di Brescia, istigati -dai Milanesi, vollero poco dopo spingere a nuova guerra contro i -Bergamaschi; ma il popolo, svogliato di tanti sacrifizj, ritorse le -armi contro i nobili, e sanguinosamente li cacciò di città. Essi -ricoverarono sul Cremonese, e formarono la società di San Fausto, -alla quale i plebei opposero un’altra, detta Bruzella: e quelli -si allearono con Cremona, Bergamo, Mantova, questi coi Veronesi, e -lungamente agitarono le nimistà. Altre ne mossero il 1199 Parma e -Piacenza, disputandosi Borgo Sandonnino: e colla prima campeggiarono -Cremona, Reggio, Modena, Bergamo, Pavia; coll’altra i Milanesi, -Bresciani, Comaschi, Vercellesi, Novaresi, Astigiani, Alessandrini, -finchè l’abate di Lucedio non riuscì a metter pace. Nel 1225 Genova -trovavasi impegnata in guerra contro gli Alessandrini, collegati questi -con Vercelli, Alba, Tortona; con lei Asti, il conte Tommaso di Savoja, -le due Riviere, i conti di Ventimiglia, i marchesi del Carretto, di -Ceva, di Cravezana, del Bosco, tutti i castellani del Garessio e val di -Tanaro, ed altri baroni e capitani. - -Nel 1208 il marchese Azzo d’Este coi Ferraresi del suo partito e col -Comune di Ferrara[268] combinava lega coi Cremonesi, obbligandosi a -guardare, salvare, difendere, in tutta la terra e l’acqua del vescovado -e del distretto loro nell’andare, stare e tornare, tutti gli uomini -di Cremona nella persona e negli averi; soccorrerli a mantenere -o recuperare la loro terra contro qualsifosse gente o persona, e -nominatamente Crema e l’isola Fulcheria e le terre di qua dall’Adda; -ogni anno andranno al servizio di Cremona col carroccio[269] e coi loro -cavalieri e fanti; e due volte l’anno con tutti i soldati e arcieri -della città e del vescovado staranno in servizio loro a spese e danni -proprj per quindici giorni; nè partiranno senza licenza de’ rettori di -Cremona, data in parlamento o nel consiglio di credenza. Passati quei -giorni, se i Cremonesi vogliono rifare i danni e le spese, dovranno -quelli rimanere quindici altri dì, ove ne siano richiesti. Altrettanti -opreranno qualvolta siano richiesti dai rettori o dai consoli o per -lettere sigillate del comune di Cremona; e quindici dì dopo l’avviso -movendo col carroccio e altre forze, al più presto si metteranno -nell’esercito di Cremona, e a tutti i nemici di questa vieteranno -il passo, i soccorsi e ogni negozio sulle lor terre. Se mentre essi -campeggiano in servizio di Cremona prendono alcuni dei nemici di -questa, li daranno a quel Comune fra otto giorni, salvo il cambio se -sia stato preso alcuno dei loro. Ogni anno il podestà o console delle -città prelodate giurerà questi accordi, e si farà ogni quinquennio -giurare da tutti i cittadini di sopra dei quindici anni e di sotto dei -settanta. - -Le gare talvolta componeansi a giudizio d’amici o di arbitri; come le -differenze tra città e vassalli o Comuni si compromettevano ne’ consoli -di giustizia o nei savj. Quando poi l’ire infierivano peggio, nè altro -riparo trovavasi, soccorreva quello che in essi tempi era universale, -la religione, che tra le baruffe private, tra le file dei combattenti -inviava l’inerme sua milizia, a sospendere le izze fraterne in nome del -Signore. Ma poichè ognuno era persuaso che chi non otteneva supremazia -rimarrebbe all’ultima oppressione, le discordie ben presto divampavano: -talvolta, nel mentre stesso che giuravasi la pace, un’occhiata -dispettosa, un motto frizzante, un gesto mal interpretato, facea di -nuovo sguainar le spade. - -Le gelosie e le gare rinascenti indebolivano la coscienza dei doveri da -Stato a Stato, da uomo a uomo; impedivano si consolidasse uno spirito -pubblico, fondamento di nobile avvenire; alla patria restava tolto -di valersi dei migliori, esclusi perchè guelfi o perchè ghibellini; -consigliandosi coll’ira o col favore anzichè colla giustizia, non si -cercava il più giusto e libero governo, ma il trionfo d’una parte, -adoprandovi mezzi che sovvertivano la libertà. Quello stuolo di -fuorusciti, intenti sempre a governare il paese da di fuori e con -passioni malevole, stoglieva dall’opposizione legale e dallo sviluppo -progressivo; abituava a non regolarsi su principj ben posati, a non -calcolare l’andamento dei fatti e la situazione, ma sempre attendere -dall’esterno avvenimenti impreveduti, e fidare ne’ cataclismi: funesta -abitudine, che gl’italiani più non doveano disimparare. - -Nessun momento più pericoloso alle franchigie che quello d’una -vittoria. Inebbriati da questa, i popoli più non ravvisano pericoli, -e non che por limiti a chi li guidò al trionfo, credono acquisto il -fortificarlo in modo, che possa impedire un nuovo rialzarsi della -fazione avversa. Ma i mezzi offertigli a quest’uopo facilmente può -egli convertire a disastro della patria. A Como rimasti vincitori i -Rusca nel 1283, i tre podestà del Comune, del popolo e della parte -dominante ebbero facoltà di stabilire, col consiglio di savj eletti, -qualunque statuto giudicassero opportuno ad essi Rusca e al comune di -Como. Rivalsi i Vitani nel 96, il podestà di questi decretò che ogni -mese si creassero due podestà di essa fazione, i quali attendessero -all’innalzamento di questa e alla depressione dei Rusca; di cui si -abbattessero le insegne, si cassassero le vendite e le donazioni, i -loro vassalli e clienti si spogliassero d’ogni diritto acquistato da -diciotto anni in poi, s’annullassero i giuramenti fatti a loro, e se ne -squarciassero le torri e le abitazioni. - -Guardiamoci però dal giudicare quei subugli colle idee d’un secolo -che reputa primo elemento di felicità il riposo; e di far bordone -alle sentimentalità di chi non sa vedervi che ricchezze sperperate -e fratelli uccisi da fratelli. Capricci di re, puntigli di -ministri, guerre dinastiche, ambizioni napoleoniche in qualche anno -scialacquarono il decuplo di sangue e denaro, che non in secoli tutte -le battaglie de’ Comuni italiani. Le quali nelle storie leggiamo -accumulate così, che facilmente crediamo continui i macelli; e a tacere -le lunghe paci, non vogliamo ricordarci che quelle guerre finivano in -un giorno o in pochi; che le battaglie riuscivano sì poco sanguinose, -da attirare le beffe degli inumani politici del secolo xvi, i quali -vedeano le ben diverse qui recate dagli stranieri[270]. - -L’odierna civiltà strappa alle famiglie un figliuolo sul quale vivono -padre e madre, e lo obbliga a servire la società per un prezzo che a -pena basta al sostentamento, e ciò negli anni suoi migliori, per poi -dopo molti rimandarlo senza un mestiere e disusato dalla fatica. I -nostri coscritti videro tremando scuotersi il loro nome nell’urna che -dovea decidere qual d’essi lascerebbe le occupazioni e le consuetudini -della sua gioventù, per militare in causa che ignora, sotto capitani -che non conosce, obbedendo come una macchina, e trattato come inferiore -agli altri cittadini. Lontano dalla patria, dai cari, alcuni si -logorano per le fatiche inconsuete, molti pel tedio e per ribrama dei -paterni tetti. Perisce? è un soldato di meno, un nome di più sulla -lista dei morti. Vince? non altro godimento gliene viene che di veder -trionfare i suoi capi, o forse di poter incrudelire contro i vinti. -È ferito? lo gettano negli spedali a cura di medici principianti o -subalterni. Finisce la sua capitolazione? torna alla famiglia avvezzo -al bagordo, al prepotere, al non far nulla. - -Allora, al contrario, la guerra era un momentaneo dovere, un episodio -della vita. Dalla fanciullezza s’addestravano agli esercizj; divenivano -soldati quando il bisogno lo richiedesse; cessavano appena il bisogno -finisse; combattevano sotto le mura della patria per salvezza de’ -suoi, o per quella causa ch’essi aveano giudicata migliore. I monotoni -patimenti de’ quartieri e delle guarnigioni non erano conosciuti: al -tocco della campana, l’uomo piglia le armi, ancora ammaccate dalle -ascie tedesche o dal brando feudale; corre sotto la bandiera della sua -parrocchia; va all’assalto; vince? la sera stessa o il domani torna -alla patria, ostentando i trofei rapiti al vinto; è ferito? trova -ristoro nella propria casa; muore? la patria il compiange, e quella -venerazione alimenta il valore degli altri, e lenisce il lutto di quei -che sopravivono. - -Queste guerre faceano soffrire; chi lo nega? Il Machiavello ne’ Guelfi -e Ghibellini non vede che umori di parte, follie di malcontenti e di -ambiziosi, pestilenza derivata alla sua città da una prima discordia di -famiglie. Anche il Muratori esce dalla dabbene sua calma per irritarsi -contro queste frenesie di sêtte diaboliche e maledette, ove per vane -parole si sagrificavano ricchezze, sangue, vita, senza riflettere -se la causa fosse utile o giusta. Ma quelle risse erano inevitabili -fra piccoli Stati, e fra tanti elementi eterogenei che conveniva -o assimilare o svellere: non erano frutto della libertà, ma sforzi -per conquistarla, effetti del non possederla intera. L’unirsi Guelfi -e Ghibellini, Repubblicanti e Imperiali a tempesta e bonaccia pel -pubblico interesse, concentrarsi in un pensiero generale, subordinare -le personali inclinazioni a un vantaggio comune ben avvisato, -garantirsi a vicenda in imprese che riuscendo devono profittare -anche a quelli che le impacciano, insomma il patriotismo qual noi -l’intendiamo eppure nol pratichiamo, poteva sperarsi da gente ancor -nuova, da passioni non ammansate? poteva sperarsi che quegli inesperti -conciliassero la libertà coi governi forti, se nol sappiamo far noi -dopo tante misere prove? - -Più che da stizze, nascevano le nimicizie da intelletto acuto, che -reca a conoscere il meglio, e dolersi di non possederlo; sicchè nello -squilibrio fra i bisogni e il modo di soddisfarli, l’uomo contende e -s’affatica, nè può fare che non dia d’urto ai vicini. In altri tempi -sembra unanimità nazionale la quiete prodotta dalla comune oppressione: -in quelli invece ogni uomo pensava ed operava da sè; ingegnavasi ad un -fine ch’egli nettamente ravvisava, e con mezzi che da sè sceglieva; -e quell’agitazione, l’esistenza occupata ne’ pubblici interessi, -il dramma continuo, le passioni cozzanti, le quistioni di diritto e -d’onore più che d’interessi materiali, il tendere animato verso una -meta sempre varia ma sempre alta, il soffrire per un oggetto nobile, il -trionfare nei trionfi della patria o della propria fazione, erano parte -di felicità. - -Mal ci apponiamo ancora quando non vediamo in queste battaglie che -fraterne riotte. Gli stranieri aveano occupato il paese, spodestati -i natii, e ridottili a servi o a plebe senza diritti; mentr’essi, col -nome di feudatarj o di nobili, si presero i privilegi e il dominio e -i possessi tutti, e dichiararono nazione se medesimi. Per noi, cui -il nascer plebe o patrizio non importa che qualche distinzione nel -povero senno dei vulgari, ha del ridicolo e del compassionevole quel -combattersi fra i due ordini: ma allora significava la prevalenza de’ -forestieri o de’ nazionali; se i nostri padri dovessero languir sulla -gleba sudata e non posseduta; se il signore di questa, che la tenea per -ragione di conquista, dovesse poter fare di loro ogni sua voglia, sino -ad ucciderli per pochi denari. - -Prevalgono i popolani: ma la parte già dominatrice usa forza e astuzia -per reprimerli e corromperli, e all’uopo s’associa colla potenza -forestiera, da cui trae l’origine sua. Col procedere del conflitto, lo -scopo ne diviene men chiaro, ma in fondo sussiste; poi ravvicinandosi e -innestandosi i partiti, nel nome della fazione dimenticano la diversità -dell’origine, e tutti si chiamano Italiani. - -Ciò non toglie di deplorare quell’assiduo parteggiamento, le cui -conseguenze nocquero alla più tarda posterità. Le città guardandosi -con odio e sospetto, non si poterono mai accordare in una federazione -di utilità universale e comune difesa; le scissure interne producevano -lotta anche nell’alta politica, ambi i contendenti sapendo di trovare -un appoggio esteriore; alla fine quasi dappertutto la parte popolare -ebbe il sopravvento, e meno esperta delle faccende pubbliche, -ombrosa per natura sua, e troppo occupata per applicarsi al pubblico -reggimento, rimetteva l’uso delle proprie forze e l’esercizio de’ -proprj diritti al valore del più prode o al senno del più avveduto; e -così le tirannie vennero eredi delle comunali libertà. - -Altre famiglie non aveano mai perduto i possessi aviti, anzi gli -estendevano, e massime quelli compresi nella disputata eredità della -contessa Matilde; poi nelle guerre parteggiando coll’imperatore, -ne ottenevano privilegi e immunità, e diventavano feudatarj. -Gl’imperatori, che da principio avevano favorito i Comuni a popolo -contro i signori feudali, dacchè li videro ingigantire trovarono di -loro conto spalleggiare i nobili liberi, contrappeso alla potenza -cittadina, e scolte disposte sul loro passaggio. Altri s’erano -conservati indipendenti negli aviti castelli, massime se piantati fra -i monti, e cercavano acquistare sulle vicine città il dominio che un -tempo vi avevano tenuto i conti: tali erano i marchesi del Monferrato -e di Este, i più poderosi dell’Italia settentrionale, ingranditi dal -Barbarossa come suoi fedeli. - -Nella marca Trevisana, ove le estreme falde dell’Alpi e le colline -Euganee si sporgono in mezzo a liete campagne e città fiorenti, dalle -ben munite alture i signori poterono continuare a tenere una mano -sopra le città, nelle quali fabbricarono anche palazzi, somiglianti a -fortezze. Tra queste famiglie erano prevalsi i Salinguerra di Ferrara, -i Camposampiero di Padova, i Guelfi d’Este, gli Ezelini da Romano. Gli -Ezelini discendeano da un Tedesco passato in Italia con Corrado II, e -infeudato delle terre d’Onàra e Romano nella marca di Treviso: colle -violenze e l’abilità crebbero i suoi discendenti, costituitisi corifei -della parte ghibellina là intorno, imparentatisi di voglia o di forza -con grosse famiglie, ed alleatisi con Verona e Padova. A fronte a loro -stavano gli Estensi, di famose ricchezze, e parenti di quei Guelfi che -vedemmo dominare in Baviera e Sassonia, donde la parte guelfa nell’alta -Lombardia prese il titolo di marchesca. Padova gli aveva obbligati a -giurare la loro città, lasciar deserta la rôcca d’Este, e porsi sotto -la protezione del popolo che i loro padri aveano calpesto; e spesso -chiamati podestà e capitanei, all’ombra repubblicana ricuperavano la -primazia, perduta secondo l’aspetto feudale. - -Ferrara, sobbalzata dalle fazioni, diede nel 1208 il primo esempio di -signoria col domandare a principe il marchese d’Este, conferendogli -pieno arbitrio di fare e disfare leggi, paci, alleanze, guerre. Ne fu -tocco al vivo Salinguerra di Torello, primario in Ferrara e caporione -de’ Ghibellini, e ne originarono baruffe e sangue, e avvicendate -espulsioni, e ripetuti e sempre falliti accordi, sinchè rimase -convenuto che tra i due emuli, ossia tra le due fazioni, restassero -partiti gli uffizj della città; il marchese non potea venire a Ferrara -che con un determinato numero di seguaci, e Salinguerra gli usciva -incontro con tutta la nobiltà guelfa e ghibellina, e si celebrava un -cortese banchetto[271]. - -Anche altrove questi signori si facevano guerra dall’un all’altro, -onde preponderare nelle città del contorno, che pertanto piegavano ad -infelice oligarchia, turbata da incessanti dissidj, spesso prorompenti -in guerre guerreggiate. Tra queste li trovò Ottone IV allorchè scese -dall’Alpi, e sperava che i Guelfi l’appoggierebbero per l’origine sua e -pel favor papale (1209), mentre i Ghibellini non gli avrebbero negato -favore come a re di Germania. Rappaciò egli infatti molti discordi, -e singolarmente Ezelino da Romano con Azzo d’Este; ma poco durò la -costoro benevolenza, e Guelfi e Ghibellini si brigavano delle proprie -pretensioni, non già dell’imperatore, cui non favorivano se non in -quanto sentissero d’averne bisogno. - -Pure egli fu accolto a festa dai tanti nemici della Casa sveva; -Innocenzo III gli mosse incontro sin a Viterbo, e lo coronò; ma -breve fu l’armonia. Già l’arroganza tedesca stomacava i Romani, che -ebbero una delle solite abbaruffate in città, dove perirono molti -cavalieri; un grosso di cardinali mantenevasi ostile ad Ottone, il -quale coll’eredità della contessa Matilde pretendeva revocare alla -corona Viterbo, Montefiascone, Orvieto, Perugia, Spoleto, donati -alla santa sede, e che militarmente occupò. Certo l’avranno istigato -i giureconsulti, indefessi apostoli della sovranità imperiale: e -quando il papa gli rammentò le promesse e il giuramento, rispose che -un giuramento anteriore lo obbligava a ricuperare all’Impero quanto -ne fosse stato distratto: favorì la famiglia Pierleoni, ghibellina -arrabbiata; investì la marca d’Ancona ad Azzo d’Este in nome proprio, -non in nome del papa; per fare smacco a Federico di Svevia entrò -nella Puglia pretendendovi la primazia imperiale, ed alleossi co’ -generali tedeschi che colà erano rimasi. Papa Innocenzo vide imminente -quell’aggregazione della Sicilia coll’Impero, alla quale sempre erasi -opposto, e viepiù pericolosa perchè fatta dal capo de’ Guelfi, i quali -lo secondavano per odio agli Hohenstaufen; nè trovando altro riparo, -scomunicò l’imperatore (1210): ma questo proseguì la conquista nella -Puglia, ed accingevasi a passare in Sicilia. - -Se non che l’anatema aveva sommossa la Germania; la morte di Beatrice -sua moglie lentò i legami che a lui univano la fazione ghibellina; -intanto il papa era riuscito a sottrarre dai custodi tedeschi Federico -di Svevia, e a grande onore accolto in Roma, colla sua benedizione -e colle sue galee l’inviò a Genova (1212). Il giovane reale, bello, -colto, attraente per l’ingegno non meno che per le agitazioni -della prima sua età, attraversò la Lombardia procacciandosi amici -coll’affabilità e colla munificenza, pur sempre contrastato dalle città -guelfe, memori del Barbarossa: il marchese d’Este suo cugino sotto -buona scorta pel lago di Como lo convogliò a Coira, il cui vescovo -fu primo a salutarlo re di Germania. Ottone, poco atto a guadagnarsi -i cuori, avea dovuto uscire dalla Puglia senz’altro lasciarvi se non -raccomandazioni di fedeltà calde e poco sentite; a Lodi convocò le -città lombarde, ma non vennero se non le dichiarate amiche di Milano, -la quale tenevasi con lui per astio contro gli Svevi. Laonde nessun -frutto colse, nè le fazioni sospesero il combattersi; peggiorando anzi -per le sêtte religiose allora pullulanti, e che logoravano la potenza -clericale, avvezzavano a non curar di scomuniche, e conculcavano il -dogma dell’autorità. Venezia osteggiò Padova che voleva precluderle -il commercio di terraferma: Milano combattè con Pavia e co’ marchesi -del Monferrato, i Malaspina della Lunigiana con Genova, questa con -Ventimiglia; i Carraresi, i signori di Montemagno, i Porcaresi contro -Pisa, i Sanminiatesi contro Borgo Sanginnesio, i Salinguerra con -Modena: Lucca non cessò mai guerra a Pisa, e fabbricato il castel -di Cotone in val del Serchio, pose patto ai nuovi abitatori che -non contraessero parentela o aderenza coi Pisani: la rivalità de’ -Buondelmonti cogli Amidei fe sentire primamente in Firenze i nomi di -Guelfi e Ghibellini. - -Ottone avea procurato chetar la tempesta suscitatagli in Germania, fin -col sottomettersi al giudizio degli stati; ma tale umiliazione crebbe -ardire ai malcontenti: quando poi, marciato a’ danni del re di Francia, -fu sconfitto e vôlto in fuga a Bovines (1214), scaduto d’ogni credito -si ritirò ne’ suoi Stati ereditarj, talchè Federico di Svevia fu di -nuovo coronato re di Germania ad Aquisgrana. Secondo il convenuto con -Innocenzo, Federico confermò tutte le prerogative e i possedimenti -della Sede romana, promise recuperarle dai Pisani la Sardegna e la -Corsica, e cedere la Sicilia appena divenisse imperatore: condizione -che il papa esigeva come nuova garanzia all’indipendenza d’Italia, -troppo minacciata se un suo re fosse anche capo dell’Impero. A Federico -aveva egli sposata Costanza d’Aragona, sua pupilla anch’essa; e avendo -collocato sul trono un allievo della santa Sede, poteva a questa sperar -pace e nuova grandezza: eppure allora si rinnovò la guerra fra il -Sacerdozio e l’Impero. Prima di divisare la quale, giovi por mente alle -nuove armi, di cui l’uno e l’altro venivano accinti al secondo duello. - - - - -CAPITOLO LXXXIX. - -Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione. - - -All’autorità pontifizia davano grande appoggio i frati. Benedettini, -Agostiniani, Basiliani continuavano a pregare, studiare, cantare, -conservar libri e monumenti; gli austeri Certosini, i mistici -Carmelitani, i caritatevoli Trinitarj o del Riscatto (istituiti da -san Giovanni di Matha gentiluomo nizzardo), ed altri monaci fondati in -quei tempi, si estesero in Italia; e massime gli operosi Cistercensi, -qui portati da san Bernardo, oltre l’opere dello spirito, grandemente -giovarono a ridurre a fertilità stagni e valli, principalmente nel -Milanese e nel Lodigiano[272]. - -Alcuni Milanesi, trasportati prigionieri in Germania nelle guerre -coll’Impero, disingannati del mondo, fecero voto, se ricuperassero la -patria, di dedicarsi a speciale devozione di Maria. Resi alla terra -natale, istituirono l’Ordine degli Umiliati (1200), vivendo ciascuno -nella propria casa, ma solinghi e in opere sante, avvolti in sajone -cinericcio. Crebbero, e, compra una casa, vi si congregavano la festa -a salmeggiare e ad opere di pietà; e sull’esempio de’ mariti, anche le -donne si ritrassero in devozione e lavori. Avuta da san Bernardo una -regola, gli Umiliati si separarono dalle mogli, ed oltre gli uffizj -spirituali, procacciavano nel lanifizio e nella mercatura; indi il -beato Giovanni da Meda, che li piantò a Como, perfezionò l’istituto, -promovendo alcuni alla dignità sacerdotale, e mettendo a ciascuna -_casa_ un preposto. Così si estesero, e col traffico e col lavorio dei -pannilani arricchirono l’Ordine e il paese. Alla quale società, che, a -parte la devozione, potrebbe servir di modello a quelle che propongono -e non sanno effettuare gli odierni Socialisti, aggiungiamo quelle che -un buon romito di Parma raccolse per fabbricare un ponte sul Taro e -custodirlo. - -Silvestro da Osimo, al veder morto un uomo bellissimo, si ricoverò -tutto a vita di spirito, e nel monastero di Monte Fano della Marca -fondò nel 1231 i Silvestrini, presto propagatisi. L’anno seguente, -sette signori fiorentini, membri d’una confraternita di Maria -Vergine, ebbero in visione il comando di rinunziare al mondo; sicchè, -distribuito ogni aver loro ai poveri, coperti di sacco e di cenere, e -vivendo d’accatto, presero il nome di Servi di Maria, ed apersero il -primo convento sul monte Senario appo Firenze. - -I frati, oltre portare nella comunione dei Fedeli tanta messe di -preghiere, adempivano molti uffizj, oggi attribuiti all’autorità -amministrativa, e principalmente a curar malati, assistere pellegrini, -assicurare strade. A Sant’Egidio di Moncalieri il ponte e l’ospedale -erano affidati a’ Templari; ai Vallombrosani il tragitto sulla Stura -presso Torino; ad altri i passi del grande e del piccolo Sanbernardo; -quelli di Sant’Antonio curavano i malati di fuoco sacro, quelli di San -Lazzaro i lebbrosi, i Trinitarj d’ogni aver loro faceano tre parti, una -pel proprio mantenimento, una pei poveri e infermi, una pel riscatto -de’ Cristiani presi da Saracini. Le repubbliche poi se ne valeano a -servigi gelosi; ambascerie, custodire denari, riscuotere dazj, metter -paci: il Comune di Mantova lasciava alla loro guardia il libro dei -decreti[273]. - -In tanti rami già erasi variato il vivere monastico, che Innocenzo III -decretò non se ne introducessero altri: eppure sotto di lui nacquero -due Ordini che eclissarono i precedenti, i frati Minori e i frati -Predicatori. - -Alla moglie di Pier Bernardone, agiato negoziante d’Assisi, un angelo -comandò andasse a partorire sulle paglie d’una stalla (1182). Ivi -nacque Giovanni, il quale, condotto in Francia da suo padre, s’addestrò -sì bene nella lingua di là, che ne trasse il soprannome di Francesco. -Balioso, vivace, gajo compagnone, buon poeta fino ai venticinque anni, -allora consente alla chiamata di Dio, e va e vende le sue merci a -Foligno, porta i denari a un prete, e perchè questo ricusa riceverli, -li getta dalla finestra. Il padre, che da buon massajo computava la -bontà coll’abachino, lo crede scemo della mente, e trattolo al vescovo, -lo fa interdire. Giubilante, Francesco si spoglia nudo nato, se non -che il vescovo gli getta addosso il proprio mantello; e rinunziato -alla famiglia, fa adottarsi da un pitocco, veste cenci, e comincia ad -esalare in prediche l’esuberanza interna della carità, per la quale si -lusinga di conquistare il mondo colla predicazione popolare. - -A Bernardo cittadino d’Assisi, suo primo discepolo, che gli chiedeva -se abbandonare il mondo, rispose: — Chiedilo a Dio». Aperto il vangelo -a caso, vi legge: _Se vuoi esser perfetto, vendi quanto hai, e dallo -ai poveri_; lo riapre, e trova: _Non portate in viaggio oro nè argento -nè bisaccia nè tunica o sandali o bastone_. — Questo io cerco, questo -desidero di cuore, quest’è la regola mia», esclama Francesco, e gitta -quanto gli restava, eccetto una tunica col cappuccio e una corda -a cintura. Così nel mondo inebbriato di ricchezze e piaceri, esce -predicando la povertà; nel mondo dell’ira, delle superbie, delle -guerre, d’Ezelino e di Federico II, va a bandir l’amore; e attiratisi -undici compagni, si sottomette con loro a rigide penitenze e a povertà -così assoluta, da non considerare suo nè l’abito tampoco o i libri. Dai -Benedettini impetrò una cappelletta nel piano d’Assisi, che fu detta la -_Porziuncula_, e rifabbricatala (1208), vi pose i fondamenti del suo -Ordine, che per umiltà intitolò dei Frati Minori, eleggendo di stare -fra poveri, malati, lebbrosi, lavorar per vivere, e mendicare. - -Rinnegata affatto la propria volontà, Francesco diceva: — Beato il -servo il quale non si tien migliore quand’è dagli uomini esaltato che -quand’è preso a vile; perchè l’uomo è quel ch’egli è avanti a Dio, e -nulla più». All’amor suo non bastando abbracciare tutti gli uomini, lo -estende ad ogni creatura; e va per le foreste cantando, e invitando gli -uccelli, che chiama fratelli suoi, perchè celebrino seco il Creatore; -prega le rondini _sue sorelle_ a cessare il pigolìo mentre predica; -e sorelle son le mosche, e sorella la cenere[274]. Una cicala canta? -gli è stimolo a lodare Iddio; alle formiche rimprovera di mostrarsi -troppo sollecite dell’avvenire; storna dal cammino il verme che può -esservi calpestato; porta miele alle api nell’inverno; salva le lepri e -le tortore inseguite; vende il mantello per riscattare una pecora dal -macellajo; il giorno di Natale voleva si porgesse miglior nutrimento -all’asino e al bue; anche biade, vigne, sassi, selve, quanto han di -bello i campi e gli elementi, per lui sono eccitamenti ad amar Dio; -nell’orticello d’ogni convento da’ suoi dovea riservarsi un quadro a’ -più bei fiori, per lodarne il Signore[275]. - -La piena di questo affetto espandea Francesco in poesie, originali -come lui stesso, ove niuna reminiscenza d’antichità, ma viva effusione -di cuore, impeti d’amore infinito[276]: fu dei primi ad usar nelle -laudi la lingua volgare; e frà Pacifico, suo allievo, meritò la laurea -poetica da Federico II. - -Vedendo moltiplicati i Minori, Francesco pensò dettarne la regola; e -stando sopra tale pensiero, ecco la notte gli pare aver raccolto tre -bricciole di pane, e doverle distribuire a una turba di frati famelici. -E temeva non gli andassero perdute fra le mani, quando una voce gli -gridò: — «Fanne un’ostia, e danne a chiunque vuole cibo». Fece, e -chi non ricevea devotamente quella particella, coprivasi di lebbra. -Narrò Francesco la visione ai fratelli senza intenderne il senso; -ma il giorno dappoi, mentre pregava, una voce dal cielo gli disse: -«Francesco, le bricciole di pane sono le parole del vangelo, l’ostia è -la regola, lebbra l’iniquità». - -Ritiratosi dunque con due compagni s’un monte, digiunando a pane e -acqua, fe scrivere la sua regola secondo il divino spirito gli dettava -entro. Essa comincia: — La regola de’ Frati Minori è d’osservare il -vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio e in castità». -Chi v’entrasse dovea vendere ogni aver suo a profitto de’ poveri, -e subire un anno di prove rigorose prima di proferire i voti. Tutti -essendo _frati minori_, gareggiavano d’umiltà, e lavavansi i piedi -un all’altro: i superiori chiamavansi servi: chi sa un mestiere, può -esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no, vada alla busca, ma non -di denaro. Neppur l’Ordine può possedere altro che il puro necessario. -Prendano in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi -stando ammalato s’impazienta o sollecita medicine, è indegno del -titolo di frate, perchè mostra maggior cura del corpo che dell’anima. -Non vedano femmine, e a queste predichino sempre la penitenza: che -se alcuno pecca in esse, venga tosto cacciato. In viaggio rechino -l’abito e null’altro, nè tampoco il bastone; e se diano nei ladri, si -lascino spogliare. Non predichi chi non vi sia autorizzato; e prometta -insegnar la dottrina della Chiesa senza formole di scienza profana, -senza cercare suffragi. Un generale, eletto da tutti i membri, risiede -a Roma, assistito da un consiglio, e da esso dipendono i provinciali -e i priori. Ai capitoli generali prendono parte i capi di ciascuna -provincia, i priori e i deputati dei monaci di ciascun convento. Ogni -comunità tiene capitolo una volta l’anno: i superiori d’Italia si -congregano ogn’anno, e ogni tre quelli di là dall’alpe e dal mare. - -Francesco si presentò al papa chiedendo la conferma del suo Ordine, -cioè il diritto di predicare, mendicare e non posseder nulla. Innocenzo -III fu d’avviso che l’assunto trascendesse le forze d’uomini: -quand’ecco in visione parvegli la chiesa di San Giovanni Laterano -barcollare, minacciando rovina; e sorreggerla due uomini, un italiano -ed uno spagnuolo, Francesco d’Assisi e Domenico Gusman. Pertanto -approvò l’Ordine solennemente nel IV concilio di Laterano (1215). - -Chiara, nobil donna d’Assisi, tocca all’esempio ed ai sermoni di -Francesco, abbandona il mondo (1212) e istituisce le povere donne -Clarisse, colla regola stessa. Non sapea Francesco risolvere qual fosse -meglio, la preghiera o la predicazione; e Chiara e frà Silvestro il -persuadono a quest’ultima, ond’egli compare a Roma ballonzando per -gioja, e chiede al papa licenza d’andare apostolando in traccia di -conversioni e del martirio. E va per la Spagna, la Barberia, l’Egitto; -crociata incruenta, ove grido di guerra era _La pace sia con voi_. -In Africa arrivò mentre i Crociati osteggiavano Damiata (1219); e -presentatosi a Melik el-Kamel (Meledino), gli espose il vangelo, sfidò -i dottori di quella legge, s’offerse di saltare in un rogo divampante -per dimostrare la verità della sua dottrina. Melik l’ascoltò, e -rimandollo senza nè la conversione nè il martirio. - -A’ suoi che inviava a predicare, Francesco diceva: — In nome del -Signore camminate due a due con umiltà e modestia; in particolare -con esattissimo silenzio dal mattino fino a terza, pregando Dio nel -vostro cuore. Fra voi non parole oziose e inutili: ed anche per via -comportatevi umili e modesti, come foste in un romitaggio o nella -vostra cella; imperciocchè, in qualunque parte siamo, è sempre con -noi la nostra cella, che è il corpo nostro fratello, essendo l’anima -nostra il romito che dimora in questa cella, per pregare e pensare a -Dio. Perciò, se l’anima non istà in riposo in questa cella, la cella -esteriore nulla serve ai religiosi. Sia tale la vostra condotta in -mezzo alla gente, che qualunque vi vedrà o ascolterà, lodi il celeste -Padre. Annunziate la pace a tutti; ma abbiatela nel cuore come nella -bocca, anzi più. Non porgete occasione di collera o di scandalo, ma -colla vostra mansuetudine fate che ognuno inclini alla bontà, alla -pace, alla concordia. Noi siamo chiamati per guarire i feriti e -richiamare gli erranti; molti vi sembreranno figli del diavolo, che -saranno un giorno discepoli di Gesù». - -Questi frati erano membri d’una repubblica che avea per sede il mondo, -per cittadino chiunque ne adottava le rigide virtù: e scalzi, col -vestire dei poveri d’allora, coll’idioma dei vulghi, diffondeansi per -tutto, al popolo parlando come esso vuol gli si parli, con forza, con -drammatica, e fino con vulgarità, destando al pianto e al riso col -ridere e piangere essi stessi, affrontando e provocando i tormenti -come le beffe. Egli medesimo, il santo fondatore, se mai talvolta -rompesse il digiuno, volea lo strascinassero per le vie, battendolo -e gridandogli dietro: — Ve’ ve’ il ghiottone che s’impingua di -carne di polli senza che voi lo sappiate». A Natale predicava in una -vera stalla, ove il presepio e il fieno e l’asino e il bue; e nel -pronunziare _Betlemme_, belava come un pecorino; e nel nominare Gesù, -leccavasi le labbra, quasi ne sentisse dolcezza. Poi alla sera di sua -vita portava le stigmate delle piaghe di Cristo impresse sul proprio -corpo. - -L’uomo stesso gittava il balsamo della sua parola sopra gli spiriti -inveleniti. Udito stare in cagnesco i magistrati e il vescovo d’Assisi, -mandò i suoi fratelli a cantare al vescovado il suo cantico del Sole, -al quale aggiunse allora le parole: Lodato sia il Signore in quelli -che perdonano per amor suo, e sopportano patimenti e tribolazioni. -Beati quelli che perseverano nella pace, perchè saranno coronati -dall’Altissimo». Tanto bastò per mitigare gli sdegni. — Il dì -dell’Assunta del 1220 (scrive Tommaso arcidiacono di Spalatro), stando -io agli studj a Bologna, vidi Francesco predicare sulla piazza davanti -al pubblico palazzo, dove tutta quasi la città era raccolta. E fu -esordio al suo predicare _Angeli, uomini e demonj_; e di questi spiriti -tanto bene propose, che a molti letterati ivi presenti recò non poca -meraviglia un parlare sì giusto di persona idiota. E tutto il contesto -del suo ragionare tendeva ad estinguere le nimicizie, e far accordi -di pace. Sordido d’abiti, spregevole d’aspetto, di faccia abjetta, -pure Iddio aggiunse tanta efficacia alle parole di lui, che molte -tribù di nobili, fra cui inumana rabbia d’inveterate nimicizie aveva -infuriato con molta effusione di sangue, vennero ridotte a consiglio di -pace»[277]. - -Così il _padre serafico_ seguì fino ai quarantaquattro anni, allorchè -morì. Per la sua Porziuncola invocò dal cielo e dal pontefice -un’indulgenza, a lucrar la quale non fosse mestieri di veruna -offerta. E quando ogni 2 d’agosto essa è proclamata nell’ora solenne -dell’apparizione di Maria, una folla sterminata accorre da quei -fortunati contorni ad implorare l’effusione della grazia gratuita. E -noi, che non sappiamo pellegrinare soltanto alla zazzera di Voltaire -e all’isoletta di Rousseau, cercammo commossi le colline e i laghi -attorno a quella deliziosa vallata, piena di tante benevole memorie; -e nel maestoso tempio di Maria degli Angeli, eretto sopra quell’umile -cella, monumento alla povertà fra i tanti consacrati alla forza e al -fasto, meditammo compunti quanta santità ne uscisse, quanta potenza. - -Alla povertà stettero fedeli i suoi: al papa, che la esortava ad -assicurare la sussistenza del suo Ordine coll’acquistare beni sodi, e -offriva assolverla dal voto, santa Chiara rispose: — Non domando altra -assoluzione che de’ miei peccati»: sant’Antonio i doni offertigli -da Ezelino rifiutò costantemente, dicendo non volere dei frutti del -peccato: frà Egidio, per vivere in Roma, andava a far legna e venderla: -gli altri campavano accattando, e dappertutto erano accolti a suon di -campane e rami d’ulivi. E perchè mai gli Ordini mendicanti esercitarono -maggior potenza degli altri sul popolo? perchè con esso divideano il -pane quotidiano; perchè il popolo rispetta un’indipendenza acquistata -con sacrifizj volontari. - -Affine di più addentro insinuarsi nella società, oltre i professi e i -frati laici, v’ebbe un _terz’ordine_, cui poteva aggregarsi qualunque -secolare per via di certe devote pratiche volesse partecipare ai tesori -delle preghiere senza abbandonare il mondo, senza cessare d’essere -moglie, padre, vescovo, cavaliere, pontefice. Quattro le condizioni: -restituire ogni mal tolto, riconciliarsi col prossimo, osservare i -comandamenti di Dio e della Chiesa, le donne abbiano il consenso del -marito; e perchè non vi fosse altro legame che il libero volere, si -ammonivano gli adepti che l’osservanza della regola non obbligava sotto -pena di peccato mortale. Sbandito il lusso e la cupidigia del guadagno, -non teatri, non festini; a prevenire i litigi, ciascuno abbia preparato -il suo testamento; le differenze fra loro si compongano, se no volgansi -ai giudici naturali, non a fòri privilegiati; non diano mai giuramenti, -che rendano ligi ad un uomo o ad una fazione; non portino armi che per -difendere la Chiesa, la fede, la patria[278]. Oh, Francesco mostrava -ben conoscere come le riforme devono cominciare dalla vita domestica, -dalla famiglia. - -Contemporaneamente Domenico Gusman, illustre castigliano, assetato di -dolori e d’amore, introdusse il nuovo ordine de’ Predicatori (1216), -destinato alla scienza divina e all’apostolato. Qui pure tutte le -cariche erano elettive, obbligo la povertà: e al santo istitutore in -Bologna, ove morì (1221), fu posta un’urna fregiata nel più bel modo -che sapessero frà Guglielmo, Nicola di Pisa, Nicola di Bari, Alfonso -Lombardi; indi un tempio magnificentissimo. - -Appena quattro anni dopo l’approvazione, Francesco radunò il -primo capitolo detto _delle stuoje_ perchè fu in campo aperto -sotto trabacche, ov’erano cinquemila frati della sola Italia, e da -cinquecento novizj si presentarono: poi crebbero tanto, che, malgrado -mezza Europa perduta per la Riforma, dicono alla rivoluzione francese -sommassero a cenquindici mila, in settemila conventi, suddivisi fra -molte regole e riforme. Anche i Domenicani si diffusero rapidamente; -a Siena nel 1219 si posero nello spedale della Maddalena, finchè nel -27 i Malavolti li regalarono d’un terreno per fabbricare quel sontuoso -convento; a Milano nello spedale de’ pellegrini a San Barnaba il 1218; -e presto ebber fabbricate le chiese di Santa Maria Novella in Firenze, -di Santa Maria sopra Minerva in Roma, di San Giovanni e Paolo in -Venezia, di San Nicolò in Treviso, di San Domenico a Napoli, a Prato, -a Pistoja, di Santa Caterina a Pisa, delle Grazie a Milano, ed altre, -segnalate per ricca semplicità, e per lo più architettate da frati. - -Fin dal principio i due Ordini destarono meraviglia e simpatia nei -migliori[279], e in folla attrassero pii ed illustri proseliti. A -Domenico s’unisce Nicola Pulla di Giovenazzo appena uditolo a Bologna, -e l’accompagna e seconda sempre, finchè, operati gran frutti di -santità, muore a Perugia: a lui Renoldo da Sant’Egidio, professore di -scienza canonica a Parigi; il medico Rolando di Cremona, che da capo -della scuola bolognese passa a professare la teologia nella parigina; -il Moneta, famoso maestro d’arti; frà Ristoro e frà Sisto, architetti -de’ migliori; frà Cavalca, frà Jacopo Passavanti, frà Giordano da -Pisa, dei primi prosatori italiani; i sommi pittori frà Angelico e frà -Bartolomeo; indi Vincenzo da Beauvais l’enciclopedista; i cardinali Ugo -Saint-Cher ed Enrico da Susa, autori d’una _Concordanza della Bibbia_ -e di una _Somma aurata_; e Tommaso d’Aquino, il maggior filosofo del -medio evo. - -Con Francesco si arruolano Pacifico poeta laureato, Egidio portento -di semplice sapienza, Giovanni da Pinna nel Fermano, Giovanni da -Cortona, Benvenuto d’Ancona poi vescovo d’Osimo, altri ed altri: -più tardi ne cinsero il cordone il gran teologo Scoto, il gran -mistico san Bonaventura, Ruggero Bacone ravvivatore delle scienze -sperimentali. Mogli e figlie di re vestono quell’abito; Margherita, -scandalo di Cortona, diviene specchio di penitenza; Rosa da Viterbo, in -diciassette anni appena di vita, merita le persecuzioni di Federico II -e l’ammirazione del popolo, il quale diceva che la pietra da cui essa -gli predicava si alzasse da terra, e che il cadavere della beata si -conservasse incorrotto fin da un incendio. - -Que’ frati andavano a diffondere la pace, e spandere la rugiada -della Grazia sovra le moltitudini, avendo per unica rettorica una -fede inconcussa e universale, e lo accettare tuttociò che servisse -all’edificazione. Le prediche morali e dogmatiche d’alcuni di essi -conservateci, evidentemente non sono che tessere d’aridezza scolastica; -nè può render ragione della portentosa loro efficacia chi non le -immagini rivestite d’una parola animatissima, e dirette a un uditorio -che non vi portava la critica ma la convinzione. Poveri, penitenti, -amici del popolo e contraddittori dei tiranni, specchi di bontà e di -dottrina, ecco perchè gli ordini de’ Minori e de’ Predicatori tanto -poterono, e divennero il più valido sostegno della santa Sede. Dovunque -si trovassero, poteano essi confessare e predicare, anzi ogni curato -dovea ceder loro il pulpito; il popolo volonteroso gli udiva, li -consultava, dividea con essi il pane dalla Provvidenza compartito; e -quegli atti di astinenza e di abnegazione toccavano gli uomini, che -riconoscono l’amore nel sagrifizio, e la virtù nell’amore. - -Le anime non volgari trovavansi obbligate a scegliere fra due strade: -o nel mondo procelloso farsi largo colla fierezza e la perfidia; o -voltargli le spalle, rinnegandone la vanità e le opinioni. I primi -diventavano Ezelino, Salinguerra, Buoso da Dovara; gli altri Francesco, -frà Pacifico, Antonio da Padova, gente che assumeva tutti i pesi del -clero senza i vantaggi, e che anzi coll’umiltà e povertà sua faceva -contrasto alle pompe e all’orgoglio di quello, una delle piaghe della -società d’allora, ed uno dei più forti appigli per gli eretici. - -Quest’antitesi dei caratteri si manifesta ben anche nelle fabbriche -d’allora: da un lato castelli, fortezze di baroni e principi, sgomento -de’ popoli; dall’altro badie e monasteri, preparati al pellegrino, -al soffrente, alle anime che han bisogno d’amare, di giovare, di -pregare. Collo spirito di devozione e beneficenza viveva ne’ monaci -il sentimento del bello, onde sceglievano situazioni ove l’anima, -estatica nella contemplazione della natura, elevasi a benedire chi -la creò. A venti miglia di Firenze, nella romantica valle dell’Arno -superiore, tra magnifiche abetine sorge Vallombrosa, e nell’altura -l’eremo del Paradisino, dal quale la vista, spaziando per immenso -orizzonte, si perde negli interminabili fiotti del Mediterraneo. -Qual potevano i monaci scegliere più opportuno asilo per riposare -dalle tempeste della società, e prepararsi ai casti godimenti della -vita interiore? Se di colà tu risali verso le sorgenti dell’Arno, -per entro il fertile Casentino eccoti Camaldoli, ricovero di San -Romualdo da Ravenna, e culla d’un altro Ordine. Donde pure elevandoti -alla schiena degli Appennini, giunto sul poggio agli Scali, trovi il -Sacro Eremo, che par veramente inviti l’uomo a lodare il Creatore -delle meraviglie che profuse sopra questa Italia, della quale puoi -di lassù vedere i due pendii scendere, ridenti di diversa bellezza, a -bagnarsi nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Nè molto avrai a viaggiare -per giungere all’Alvernia, il devoto ritiro di san Francesco, posto -anch’esso in vetta d’un monte, che incanterebbe se già non si fossero -veduti gli altri due. In questi amenissimi soggiorni si raccoglievano -quegl’ingenui ammiratori di Dio, e mentre il mondo dilagava di fraterno -sangue, essi passavano i giorni nella contemplazione del bello, nella -ricerca del vero, nella pratica del buono. - -In un altro uffizio s’adoperarono vivamente i nuovi frati, qual fu di -combattere colla parola gli eretici, farli ricredenti, o castigarli. -Perocchè, sebbene il genio europeo non s’ingolfasse in sottigliezze e -sofisterie come l’orientale, pure anche qui, e precisamente in Italia, -tratto tratto scoprivansi degli eretici; e forse una tradizione di -siffatti non fu mai interrotta fin dai Gnostici e dai Manichei dei -primi tempi. A mezzo il secolo ix, Pietro vescovo di Padova trovò -nella sua diocesi una setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e -che solo cinquant’anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozelino. Nel -Mille, a Ravenna un Vitgardo fondava non so quali delirj sopra Orazio, -Virgilio, Giovenale. Eriberto, il famoso arcivescovo di Milano, seppe -che alcuni eretici tenevano convegni nel castello di Monforte presso -Asti, e citatone uno di nome Gerardo, l’esaminò sulla sua fede: — Noi -tutti (rispose) osserviamo la castità benchè ammogliati; non mangiamo -carne, digiuniamo strettamente, leggiamo ogni giorno la Bibbia, molto -preghiamo, e i nostri _maggiori_ s’alternano dì e notte orando. I -beni consideriamo come comuni; e il morir nelle pene ci è dolce per -isfuggire i castighi eterni. Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello -Spirito Santo, che hanno la facoltà di sciogliere e legare: e il Padre -è l’eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo è lo -spirito dell’uomo, cui Iddio amò; lo Spirito Santo è l’intelletto delle -scienze divine, dal quale tutte le cose sono regolate. Non riconosciamo -il vescovo di Roma o verun altro, ma un solo che ogni giorno visita i -nostri fratelli per tutto il mondo e gli illumina; e quand’è mandato -da Dio, presso lui è a trovare il perdono de’ peccati»[280]. Sembrò -pericolosa quest’eresia al vescovo, tanto che menò contro Asti i -suoi vassalli, e presi per forza i miscredenti, nè potendo indurli a -ritrattarsi, li mandò al fuoco, ch’essi subirono come un martirio. - -Le opinioni ebbero viva scossa dalla lotta fra gl’imperatori e i -pontefici, e l’opposizione a questi risolvevasi in eresia, e ad ogni -modo scassinava l’autorità. Poi lo spirito di controversia, introdotto -dalla logica scolastica e dalla giurisprudenza, recò spesso ad opporre -alla credenza comune l’individuale sentimento; e si mescolarono di bel -nuovo i dogmi cogli atti, la quistione religiosa colla sociale. - -Pietro Valdo, mercante di Lione _aliquantulum literatus_, venduti -gli averi suoi come poi fece san Francesco, si eresse riformatore de’ -costumi come questo, ma non sottoponendo la propria alla volontà della -Chiesa, anzi asserendo questa avere traviato dal vangelo e volersi -richiamarla alla semplicità primitiva: a che il lusso del culto, la -ricchezza dei preti, la potenza temporale de’ papi? povera umiltà come -nei primi tempi. Perciò i suoi seguaci si dissero Poveri di Lione, -e Catari cioè puri, e tanto erano persuasi di non uscire dal vero, -che chiesero al pontefice la permissione di predicare[281]: ma ben -tosto negarono l’autorità del papa, e dietro a ciò il purgatorio, -l’invocazione dei santi, altri dogmi cardinali; proclamarono fosse -libera anche ai laici la predicazione. - -Come mai, sotto un Dio buono, tanti mali opprimano il mondo, è problema -che tormentò e tormenterà i pensatori di tutte le generazioni. -Col supporre un altro principio autor del male, lo scioglievano i -Manichei, i quali, vinti fin dai tempi di sant’Agostino, sopravivevano -però in Oriente, e coi varj nomi di Patarini, Bulgari, Pauliciani -si propagarono in Europa e primamente a Milano. Quivi ebbero per -vescovo un tal Marco, stato ordinato in Bulgaria, e che presedeva alla -Lombardia, alla Marca e alla Toscana. Essendovi comparso un altro papa -per nome Niceta, riprovò l’ordine della Bulgaria, e Marco ricevette -quel della Drungaria, cioè di Traù (_Tragurium_) in Croazia[282]. A -Milano, distingueano i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e -Bulgaria, cresciuti singolarmente quando il Barbarossa li favoriva per -far onta a papa Alessandro; e i nuovi, usciti circa il 1176 di Francia, -che sarebbero i Valdesi. - -Questi si erano molto diffusi tra le Alpi, ma viepiù nella Linguadoca, -fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo, paese più dirozzato della -restante Gallia, e dove le città, memori o fors’anche avendo conservato -gli avanzi delle istituzioni municipali romane, eransi costituite a -comune, con una specie d’eguaglianza fra nobili e mercanti, opportuna -all’incremento della civiltà; sicchè vi si erano svolti e grazia -d’immaginazione e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: colà prima -s’intesero versi nelle lingue nuove, sulla mandòla dell’elegante -trovadore, che vagava pei castelli cantando l’amore e le prodezze, o -satireggiando i magnati e i preti. E perchè in Alby, città principale, -primamente furono tolti a perseguitare, vennero chiamati Albigesi. - -Non è facile sapere appunto i loro dogmi, o se avessero un fondo -comune, sotto l’infinita varietà che è propria dell’errore. Un libro -depositario di loro credenze non ebbero: in coloro che li confutano e -negli storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati di colpe -le più contraddittorie; or proclamando creatore Iddio, ora il demonio; -or facendo Iddio materiale, ora riducendo Cristo a ombra e null’altro: -chi li fa ammettere alla fede tutti i mortali, chi escludere le donne -dall’eterna felicità; chi semplificare il culto, chi ordinare cento -genuflessioni il giorno; chi licenziare alle voluttà più grossolane, -chi riprovare persino il matrimonio[283]. Impugnata l’autorità, e -ridotti alla ragione individuale, doveano necessariamente variare -in infinito: e frà Stefano di Bellavilla racconta che sette vescovi -di credenza diversa si adunarono in una cattedrale di Lombardia, per -accordarsi sui punti di loro fede; ma, non che riuscire, si separarono -scomunicandosi reciprocamente. - -Tre sêtte primeggiavano quivi, i Catari, i Concorezzj, i Bagnolesi. -I Catari, che si dicevano anche Albanesi (corrotto probabilmente -da Albigesi), venivano suddivisi in due parzialità: alla prima era -vescovo Balansinanza veronese, all’altra Giovanni di Lugio bergamasco. -Oltre le credenze comuni che sopra noverammo, i primi dicevano che un -angelo avesse portato il corpo di Gesù Cristo nell’utero di Maria, -senza ch’ella v’avesse parte; solo in apparenza il Messia esser -nato, vissuto, morto, risorto; i patriarchi essere stati ministri del -demonio; il mondo eterno. Gli altri tenevano che le creature fossero -state formate quali dal buono, quali dal tristo principio, ma ab -eterno; che la creazione, la redenzione, i miracoli erano accaduti in -un altro mondo, affatto diverso dal nostro; Dio non essere onnipotente, -perchè nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè -opposto; Cristo aver potuto peccare. — I Concorezzj (probabilmente così -chiamati da Concorezzo, borgata presso Monza) ammettono un principio -unico; aver Dio creato gli angeli e gli elementi; ma l’angelo ribellato -e divenuto demonio formò l’uomo e quest’universo visibile; Cristo fu di -natura angelica. I Bagnolesi (denominati dal Bagnolo di Piemonte o da -quello di Provenza) volevano le anime fossero state create da Dio prima -del mondo, e allora avessero peccato; la beata Vergine fosse un angelo; -e Cristo avesse bensì assunto corpo umano per patire, ma non l’avesse -già glorificato, anzi deposto all’ascensione. - -Frà Ranerio Saccone distingue sedici chiese di Catari in Lombardia: -degli Albanesi, che stanno principalmente a Verona, e sono cinquecento; -de’ Concorezzj, che fra tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e -mezzo; de’ Bagnolesi sparsi a Mantova, Milano, nella Romagnola, in non -più di ducento; la chiesa della Marca, che saranno cento; altrettanto -in quelle di Toscana e di Spoleto; un cencinquanta della chiesa di -Francia, dimoranti a Verona e per Lombardia; ducento delle chiese di -Tolosa, di Alby, di Carcassona; cinquanta di quelle di Latini e Greci -in Costantinopoli; e cinquecento delle altre di Schiavonia, Romania, -Filadelfia, Bulgaria. Ma questi quattromila (avverte l’autore) sono -da intendere per uomini perfetti; giacchè di credenti ve n’ha senza -numero. - -Sembra fosse comune la credenza nei due principj, ed al malvagio essere -dovuto il mondo e il Vecchio Testamento. Appoggiati all’_Obedire -oportet magis Deo quam hominibus_, si emancipavano d’ogni autorità -terrena; non papa, non vescovi, non canoni o decretali, non dominio -temporale dei preti; la Chiesa romana non essere concilio sacro, ma -congrega di malignanti; non darsi risurrezione della carne, ridevole -la distinzione dei peccati in veniali e mortali, prestigi del diavolo -i miracoli; non doversi adorare la croce, simbolo d’obbrobrio; per -niuna cosa giurare; nè esser diritto ai magistrati d’infliggere pena -corporale. Quanto ai riti, repudiavano l’estrema unzione, il purgatorio -e di conseguenza i suffragi pei morti, l’intercessione dei santi e -l’_Ave Maria_; per il matrimonio bastare il consenso de’ contraenti, -senz’uopo di benedizione; non valere il battesimo amministrato -agl’infanti; non discendere Dio nell’ostia consacrata da un indegno; i -sacramenti non furono istituiti da Cristo, ma inventati dall’uomo. - -Del sacramento dell’Ordine teneva luogo l’elezione dei loro gerarchi, -ch’erano disposti in quattro gradi: il vescovo, il figliuolo maggiore, -il figliuolo minore e il diacono. Al vescovo spettava di preferenza -l’imporre le mani, frangere il pane, dir l’orazione: mancando lui, -suppliva il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono; e in -difetto, un semplice credente, e fin anche una catara. I due figliuoli -coadjuvavano al vescovo, visitavano i fedeli, e in ogni città v’era -un diacono per ascoltare i peccati leggieri una volta al mese; -il che dai Lombardi (i quali ritennero la distinzione dei peccati -veniali) dicevasi _caregare servitium_. Il vescovo poi, avanti morire, -inaugurava a succedergli il figliuolo maggiore imponendogli le mani. - -Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata, il maggiore -fra i convitati sorgeva, e recatosi in mano il pane ed il vino, -proferiva _Gratia domini nostri Jesu Christi sit semper cum omnibus -vobis_, spezzava quel pane, lo distribuiva, e quest’era la loro -eucaristia. Il giorno della cena del Signore, imbandivano più -solennemente; e il ministro, postosi ad un tavoliere, su cui erano -una coppa di vino ed una focaccia d’azimo, diceva: — Preghiamo Dio -ci perdoni i peccati per sua misericordia, ed esaudisca alle nostre -petizioni; e recitiamo sette volte il _Pater noster_ a onor di Dio e -della santissima Trinità». Tutti s’inginocchiano; orato, sorgono; esso -benedice il pane e il vino, frange quello, dà mangiare e bere; e così è -compiuto il sagrifizio. - -Confessione non particolareggiata, ma uno recitava a nome di tutti: -— Confessiamo innanzi a Dio ed a voi, che molto peccammo in opere, -in parole, colla vista, col pensiero, ecc.». In casi più solenni, il -peccatore presentandosi al cospetto di molti col vangelo sul petto -proferiva: — Io sono qui avanti a Dio ed a voi, per confessarmi e -chiamarmi in colpa di tutti i peccati che ho sin ora commessi, e -ricevere da voi la perdonanza». Era assolto col posargli il vangelo -sopra il capo. Se un credente ricadesse, doveva confessarsene, e -ricevere di nuovo l’imposizione delle mani in privato. L’imposizione -delle mani, o _consolamento_, o battesimo spirituale, era necessaria -per rimettere il peccato mortale, o comunicare lo spirito consolatore; -e se uno dei _perfetti_ le imponga a un moribondo, e ripeta l’orazione -domenicale, quello va a sicura salvazione. Fu per opporsi al -consolamento de’ Patarini che il concilio Lateranense IV ingiunse ai -Cattolici di confessarsi almeno una volta l’anno. - -Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al moribondo, -gli chiedevano se volesse in cielo andare tra i martiri o tra i -confessori: eleggeva i primi? lo facevano strangolare da un sicario a -ciò stipendiato; i confessori? più non gli davano bere nè mangiare. -Atrocità gratuite, solite apporsi dall’ignoranza o dalla malignità -a tutte le congreghe secrete. E per vero non c’è misfatto di cui non -siansi tacciati i Patarini; essi ladri, essi usuraj, essi sovrattutto -carnali, con connubj promiscui e contro natura; adulterio e incesto -in qualsiasi grado; non poter l’uomo peccare dall’umbilico in giù, -perchè il peccato origina dal cuore. Ma come credere questa bacchica -santificazione del libertinaggio, quando altrove, e ne’ libri de’ -loro stessi nemici, troviamo che giudicavano peccato fino il commercio -maritale, imponeansi penose astinenze onde reprimere la carne ribelle -alla volontà ed opera del principio cattivo, tre quaresime l’anno, -perpetua astinenza da carni e latte, replicati digiuni, iterate -preghiere? e san Bernardo, implacabile indagatore di loro colpe, dice: -— Non v’era cosa in apparenza più cristiana che i loro discorsi, nè più -lontana da ogni taccia che i costumi loro»[284]. - -Non esitiamo a rifiutare per ispurie alcune professioni di fede -esibiteci da loro antagonisti, secondo le quali gl’iniziati -rinunziavano, non solo a tutte le sane credenze della religione, ma ad -ogni costume, pudore, virtù. Ranerio, uno dei Consolati egli medesimo, -indi acerrimo loro persecutore, narra come per l’iniziazione, adunati -i credenti, il vescovo interrogasse il neofito: — Vuoi tu renderti -alla fede nostra?» Questo afferma, s’inginocchia e pronuncia il -_Benedicite_; al che il ministro ripete tre volte — Dio ti benedica», -sempre più discostandosi dall’iniziato. Il quale soggiunge: — Pregate -Iddio mi faccia buon cristiano». L’interroga poi: — Ti rendi a Dio ed -al vangelo? _Sì_. — Prometti non mangiar carne, ova, formaggio, nè -altra cosa se non d’acqua e di legno? (cioè pesci e frutte). _Sì_. -— Non mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure vitelli? non -farai libidini nel tuo corpo? non andrai scompagnato quando puoi -avere compagni; non mangerai da solo potendo aver commensali? non ti -coricherai senza brache e camicia? non lascerai la fede per timore di -fuoco, d’acqua o d’altro supplizio?» Risposto che avesse il neofito -a ciascuna domanda, l’universa assemblea mettevasi ginocchione: il -sacerdote posava sopra il novizio il volume dei vangeli, e leggeva -il principio di quel di san Giovanni, poi lo baciava tre volte: così -facevano tutti gli altri, che egualmente si davano l’uno all’altro -la pace: indi veniva messo al collo dell’iniziato un fil di lana e di -lino, ch’e’ non doveva levarsi giammai. - -La colpa, onde più grave e concordemente sono rinfacciati i Patarini, -è l’ostinazione. Fra strazj e tormenti, al cospetto di morte -obbrobriosa, non che convertirsi, più s’induravano, protestavansi -innocenti, spiravano cantando lodi al Signore, colla speranza di presto -congiungersi nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono memoria d’una -fanciulla, di cui la bellezza e l’età mettevano in tutti compassione; -talchè, deliberati a salvarla, vollero assistesse mentre padre, madre, -fratelli venivano consunti dalle fiamme, così sperando si sarebbe per -terrore convertita: ma no; poi ch’ebbe durato alquanto lo spettacolo -atroce, si svincola dalle braccia de’ suoi manigoldi, e corre a -precipitarsi nelle fiamme, e confonde l’ultimo suo anelito con quello -dei parenti[285]. - -La più grave urgenza di queste eresie era la guerra che portavano -alla Chiesa esteriore, scassinando i dogmi inerenti all’unità del -sacerdozio, per costituire società religiose speciali. Pur troppo -i loro attacchi trovavano appiglio nello scarmigliato vivere del -clero, di cui e predicatori e poeti si accordano nell’attestare la -depravazione. - -Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj che a lei -convengono, riformare i suoi, ammonire o scomunicare i dissenzienti, e -vi drizzò lo zelo principalmente dei nuovi frati: poi si valse anche -di mezzi mondani e del braccio secolare. Che la società pagana non -tollerasse le religioni diverse è attestato, non fosse altro, dalle -migliaja di martiri. I padri della Chiesa proclamarono la libertà -delle credenze, finchè la loro fu perseguitata; ma come, prevalsa -questa, videro gli eretici turbarla, argomentarono che il reprimere -gli errori fosse diritto e difesa legittima contro della persecuzione -e della seduzione. Se la Chiesa è unica depositaria e interprete della -verità, e in essa sola vi è salute, non dovrà con ogni modo opporsi -alla propagazione dell’errore? Gl’imperatori di Roma cristiani, memori -di quanto univano in sè i due poteri quali capi dello Stato e supremi -pontefici, credettero che la legge dovesse, come i beni e la persona, -così tutelare le credenze e il culto; e moltiplicarono decreti in tal -proposito[286]; diverse pene comminando, di rado la morte, perchè vi si -opponevano i vescovi: a questi era affidato il decidere se un’opinione -fosse ereticale; la cognizione del fatto e la sentenza spettavano al -magistrato secolare. - -Così procedette la cosa nel declino dell’Impero Occidentale; così -continuò in Oriente: ma fra noi, dopo l’invasione, se accadesse di -punire un trasgressore delle leggi ecclesiastiche, i vescovi usavano -quell’autorità mista di sacro e di secolare, che vedemmo ad essi -attribuita. Talvolta ancora, considerandosi l’eresia come politica -disobbedienza, procedeasi colla forza, siccome dicemmo di Eriberto -arcivescovo di Milano. - -Ridesto il diritto romano, come alla tirannia, così vi si trovò -appoggio alle persecuzioni contro i miscredenti, poco ricordando che la -legge d’amore aveva abolita quella fiera legalità. Ottone III poneva -Gazari e Patarini al bando dell’Impero e a gravi castighi. Federico -Barbarossa, tenuto congresso a Verona con papa Lucio III, ordinò ai -vescovi d’informarsi delle persone sospette d’eresia, e distinguere gli -accusati, i convinti, i pentiti, i ricaduti; quelli convinti d’eresia -sieno spogliati dei benefizj se religiosi e abbandonati al braccio -secolare; i sospetti si purghino, ma se ricadono, vengano puniti -senz’altro. Sgomentato dal vedere i Valdesi distendersi fra le Alpi, -Giacomo vescovo di Torino pensò reprimerli anche col braccio secolare; -laonde da Ottone IV ottenne ampia facoltà di espellerli dalla sua -diocesi[287]. Indi Federico II al tempo della sua coronazione fulminò -pene temporali contro gli eretici, e le ripetè da Padova con quattro -editti, ove, «usando la spada che Dio gli ha concesso contro i nemici -della fede», vuole che i molti eretici ond’è singolarmente infetta -la Lombardia, sieno presi dai vescovi e dati alle fiamme ultrici, o -privati della lingua[288]. - -È questa la prima legge di morte contro i miscredenti: egli stesso -poi nelle _Costituzioni del regno di Sicilia_ ne pose un’altra, -lamentandosi che dalla Lombardia, ove n’era il semenzajo, i Patarini -fossero largamente penetrati in Roma e perfino nella Sicilia[289], e a -perseguitarli spedì l’arcivescovo di Reggio e il maresciallo Ricardo di -Principato. - -Sull’esempio e coll’autorità dei decreti imperiali, le varie città -fecero statuti contro gli eretici: il senatore di Roma giurava non -usare indulgenza ai Patarini, o incorrerebbe la pena di ducento -marchi d’argento: in Milano fu posto che_ qualunque persona a sua -libera voluntate potesse prendere ciascuno heretico; item che le case -dove eran ritrovati si dovessero rovinare, e li beni che in esse si -ritrovavano fossero pubblicati_[290]. L’arcivescovo Enrico di Settala, -allora istituito inquisitore, _jugulavit hæreses_, come lo loda il suo -epitafio; ma i cittadini lo discacciarono. Resta ancora in Milano la -statua equestre di Oldrado da Trezzeno podestà, lodato nell’iscrizione -perchè _Catharos ut debuit uxit_[291]. - -Nè per questo cessavano gli eretici, e da Tolosa, Roma de’ Patarini, -spargeano missionarj. L’armi spirituali essendo uscite indarno, Enrico -cardinale vescovo di Albano implorò il braccio laico, e menato un -esercito ad estirpar l’errore, mandò a ferro e a fuoco la Linguadoca. -Innocenzo III, appena unto papa, divisò i modi di svellere quei bronchi -dalla vigna di Cristo, e spedì monaci a predicare (1205), esortando i -principi a secondarli; e quando Ranerio e Guido inquisitori avessero -scomunicato uno, i signori doveano confiscargli i beni e sbandirlo, -e far peggio a chi resistesse. Di qui cominciò la crociata contro -gli Albigesi, che non è da questo luogo il raccontare, ma dove sotto -l’apparenza religiosa dibatteasi la nazionalità, giacchè la Francia, -per ottenere quell’unità che tanti desidererebbero a qualsiasi costo -anche per l’Italia, volle sottomettere la Provenza e la Linguadoca, -che come romane repugnavano dalle ordinanze germaniche, prevalse nel -paese settentrionale (1208). La spedizione fu accompagnata da tutti -gli orrori delle guerre civili; ma solo gli adulatori del potere -secolare poteano versarne ogni colpa sul papa e sulla religione. -Oggimai la storia accertò che Innocenzo, mal informato delle iniquità -commesse da ambe le parti, non avea mai cessato di predicar pace e -moderazione, e dopo la vittoria spedì legato a-latere il cardinale -Pietro di Benevento, perchè riconciliasse colla Chiesa gli scomunicati, -e riducesse Tolosa a repubblica indipendente, purchè convertita; -assolse i capi della insurrezione, e al figlio di Raimondo da Tolosa, -condottiero della guerra, prodigò consolazioni, assegnò il contado -Venesino, Beaucaire e la Provenza, e ripeteva: — Abbi pazienza fino al -nuovo concilio». - -Sotto i suoi successori la guerra fu proseguita colla ferocia delle -guerre nazionali, finchè la Provenza restò sottoposta affatto al re di -Francia. Questo era san Luigi, e al nuovo acquisto volle accomunare -i provvedimenti che contro l’eresia vegliavano in Francia, dov’essa, -secondo il diritto comune, era considerata delitto contro lo Stato, e -punita del fuoco. Romano, cardinale di Sant’Angelo, per ottenerne la -estirpazione raccolse un concilio (1213), dove si stabilì che i vescovi -nominerebbero in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o tre laici, -i quali giurassero _inquisire_ gli eretici, e farli noti ai magistrati; -chi ne celasse alcuno, fosse punito; e distrutta la casa dove uno -fosse côlto. Tal è l’origine del tribunale dell’Inquisizione, specie di -corte marziale in paese sovvertito da lunga guerra, e dove rinasceva -la mal repressa sollevazione. Invece delle precedenti stragi, e dei -tribunali senza diritto di grazia, l’inquisizione era esercitata da -ecclesiastici, gente più addottrinata e meno fiera; ammoniva due volte -prima di procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva -al pentimento, e spesso contentavasi di castighi morali; col che salvò -moltissimi, che i tribunali secolari avrebbero condannati. Gregorio -IX poi la sistemò (1233) col togliere ai vescovi i processi, onde -riservarli ai frati Predicatori. - -L’Inquisizione avea potestà su tutti i laici, non esclusi i dominanti; -ed anche sul basso clero. Arrivato nella città, l’inquisitore ne -dava avviso ai magistrati invitandoli a sè; e tosto il capo giurava -far eseguire i decreti contro gli eretici, ed ajutare a scoprirli e -coglierli; se alcun uffiziale del principe disobbedisse, l’inquisitore -poteva sospenderlo e scomunicarlo, e mettere all’interdetto la città. -Le denunzie aveano effetto soltanto se il reo non si presentasse di -voglia; scorso il termine, era citato; e i testimonj interrogavansi -coll’assistenza dell’attuaro e di due ecclesiastici. L’istruzione -preparatoria riusciva sfavorevole? gl’inquisitori ordinavano l’arresto -dell’accusato, più non protetto da privilegi od asili. Arrestato, -nessun più comunicava con esso, faceasi la visita della sua casa, e il -sequestro de’ beni. - -Secondo il diritto germanico, ogni libero è obbligato intervenire -al giudizio e alla sentenza; le prove di Dio traevano il popolo -a spettacolo; il signore feudale convocava i vassalli per rendere -giustizia; e la natura dei giudici e del giudizio portava semplicità di -procedure. Ma ne’ paesi di stirpe romana conosceansi le leggi antiche, -di molti affari faceasi carta, il giudizio stesso si scriveva; pure non -si pensava ancora di occultare i testimonj al prevenuto, nè di torgli -i sussidj che sogliono concedersi in negozj di minore importanza, come -sono i civili. - -Una costituzione di Celestino III e d’Innocenzo III, riferita nel -_Diritto canonico_[292], distingue le procedure per accusa secondo -il codice romano, per denunzia, e per inquisizione; ma in tutte sono -pubblicate le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento. Gli -eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica, benchè mancassero -del giudizio dei pari, poteano conoscere i testimonj e l’accusatore, -avere un consiglio, e pubblico dibattimento. Solo Bonifazio VIII -dispensò gli inquisitori da tante forme qualora ne derivasse pericolo -ai testimonj[293]; Innocenzo VI, dichiarando che tal pericolo può -presumersi sempre, generalizzò la riserva, e così venne la procedura -secreta, per quanto ostassero i leggisti, la nobiltà, gli uomini comuni -che si trovavano esposti all’arbitrio. Tolta la discussione pubblica, -ai giudici cessò il modo d’acquistare intima convinzione, e a regole -aritmetiche fu sottoposta la coscienza, inventando una convinzione -legale diversa dalla convinzione morale, frazionando le prove, e -portando fino alla odierna illiberalità. - -Dalla quale è chiaro quanto fossero lontani i primi tribunali -d’inquisizione. Ne’ governi teocratici, come quelli del medioevo, -la religione non va distinta dalla politica; laonde l’eresia è -giustiziabile dal braccio secolare. Poi gl’inquisiti erano imputati -d’altri delitti contro i cardini della società, come sono la famiglia, -la proprietà, l’onore, i quali oggi pure si castigherebbero: se ne -fossero colpevoli o no, è difficile assicurarlo, come in tutti i -processi secreti. Piantato un tribunale, potea sperarsi differente -dagli altri del suo tempo? onde si videro rinnovate tutte le sevizie -de’ processi di Roma pagana, e il cavillo e la tortura e supplizj -esacerbati. - -L’Inquisizione desta raccapriccio ai buoni Cristiani per le taccie -che attirò sopra la religione nostra, e perchè parve giustificare -incolpazioni gravissime. Ma oltre essere, nel fatto e in relazione -co’ suoi tempi, assai meno orribile che non si sparnazzi, essa -proponevasi almeno un fine morale, a differenza delle istituzioni oggi -sostituitele, ove si procede e castiga nell’interesse d’un principe -o per mantenere un dominio costituito sulla forza: se restringeva il -pensiero, il faceva o credea farlo per salvezza delle anime, non per -puro vantaggio d’un potere dominante: nè quegli spaventi tolsero il -sorgere di grandi e robusti pensatori. - -La Chiesa poi, sebbene non ne abbia mostrato orrore, e siasene -valsa come d’una legittima difesa e di una prevenzione contro mali -gravissimi, non approvò mai, almeno in concilio, un’istituzione -siffatta. Sopratutto vuolsi ben distinguerla dalla Inquisizione -spagnuola, fiera e indipendente a guisa d’una vendetta nazionale, -giacchè nei Mori perseguitava non solo i nemici della religione, ma -gli stranieri conquistatori contro cui erasi menata per otto secoli -la guerra. La congregazione del Sant’Uffizio a Roma, composta di sei -cardinali, e fondata da Paolo III nel 1542, non versò sangue[294], -benchè fosse il tempo che uomini bruciavansi in Francia, in Portogallo, -in Inghilterra. Ecco perchè nel secolo xvi vedremo i nostri respingere -fin coll’armi l’Inquisizione spagnuola, mentre invocavano la romana. - -Stando ai primi tempi, non mancò da fare all’Inquisizione anche fuori -di Linguadoca, e in Italia variissime di forma ed estese furono -le eresie. Intanto la vicinanza del papa e l’esservi egli anche -principe temporale abituava a resistergli; e nei conflitti di Guelfi -e Ghibellini si metteva in discussione l’autorità sua, col passaggio -che troppo è facile dalla mondana alla spirituale. I Comuni aveano -acquistato la libertà strappandola ai vescovi, sicchè era scemata la -riverenza a questi, e in molte lettere i pontefici ne movono querela -alle nostre repubbliche, le quali anche non di rado violarono e i beni -e le persone dei vescovi[295]. - -Uscente il XII secolo, Orvieto formicolava di Manichei, introdotti -dal fiorentino Diotisalvi, e da un Girardo di Marsano; e diceano nulla -significare il sacramento dell’eucaristia, il battesimo non occorrere -alla salvezza, non giovarsi ai morti con limosine ed orazioni. Espulsi -questi dal vescovo, comparvero Melita e Giulita, che uomini e donne -sedussero con aspetto di santità, finchè il vescovo col consiglio -di canonici, giudici ed altri, ne esigliò ed uccise molti. Un Pier -Lombardo vi venne poi da Viterbo, contro del quale Innocenzo III -deputò Pietro da Parenzo, nobile romano, che ricevuto fra ulivi e -palme, proibì i combattimenti che si costumavano in carnevale e che -finivano in sangue; ma poichè gli eretici stimolarono a disobbedire, -il primo giorno di quaresima si mischiò fiera zuffa, e Pietro fece -abbattere le torri donde i grandi aveano ferito il popolo, e diè -buoni provvedimenti. A Pietro tornato il papa domandò: — Come hai bene -eseguito gli ordini nostri? — Così bene, che gli eretici mi cercano a -morte. — Dunque va, persevera a combatterli, chè non possono uccidere -se non il corpo; e se t’ammazzeranno, io t’assolvo d’ogni peccato». -E Pietro, fatto testamento e congedatosi dalla desolata famiglia, -ritornò[296]. - -Innocenzo mosse in persona contro i molti Manichei di Viterbo, -rimbrottò i cittadini che tra quelli sceglievano i consoli, e ordinò -che, qualunque ne fosse trovato sul patrimonio di san Pietro, lo -consegnassero al braccio secolare per castigarlo, e i beni dividerne -fra il delatore, il Comune e il tribunale giudicante[297]. D’altri -abbiam ricordo in Volterra, dove gl’inquisitori, a malgrado del -vescovo, atterrarono alcune case di eretici in Montieri[298]. Nel 1193 -il vescovo di Worms, legato dell’imperatore Enrico VI, venuto a Prato, -fece distruggere case e possessi dei Patarini, con severo divieto di -dar loro consiglio od ajuto, o di mettere ostacolo a lui quando li -facesse incarcerare[299]. Bandi severissimi contro Catari e Patarini -e d’altro nome novatori pubblicò Gregorio IX in qualità di sovrano -di Roma, volendo fossero mandati al fuoco, o se si convertivano, a -carcere perpetuo; e guaj a chi li raccogliesse o non denunziasse. -Molti in fatto furono arsi, molti chiusi a penitenza nei monasteri di -Montecassino e della Cava. - -Come ricettatore d’eretici fu assalito, per insinuazione d’Innocenzo -IV, il conte Egidio di Cortenova nel Bergamasco, e distruttone il -castello. Molti ne avea Brescia, così sfacciati, che dalle torri -scagliando fiaccole ardenti scomunicavano la Chiesa romana. Contro -di loro papa Onorio III inviò il vescovo di Rimini, il quale abbattè -più chiese da essi contaminate (1225), e le torri dei Gàmbara, degli -Ugoni, degli Oriani, dei Bottazzi. Altri in Piacenza bruciò il podestà -Raimondo Zoccola; sessanta a Verona frà Giovanni di Schio in tre -giorni subito dopo la pace di Paquara (1233). Nè il Regno ne mancava, -ed è probabilmente come una protesta contro le costoro predicazioni -che un eremita calabrese andava attorno gridando nel dialetto patrio: -_Benedittu, laudatu e santificatu lu Patre; benedittu, laudatu e -santificatu lu Fillu; benedittu, laudatu e santificatu lu Spiritu -Santu_[300]. Ivone da Narbona scriveva a Gerardo arcivescovo di -Bordeaux, come viaggiando in Italia e’ si finse cataro, lo perchè -in tutte le città ebbe lietissime accoglienze; e «a Clemona, città -celebratissima del Friuli, bevvi squisiti vini de’ Patarini, robiole, -ceratia, ed altri lachezzi»[301]. Costoro vescovo era un tal Pietro -Gallo, che, scoperto di fornicazione, fu cacciato di seggio e dalla -società. - -Contraddisse vivamente all’errore Antonio di Padova (1195-1231), nativo -di Lisbona, italiano di dimora, che dai Padovani impetrò remissione -ai debitori incolpevoli, e che a nome della religione e dell’umana -libertà protestò contro Ezelino, il quale diceva aver più paura de’ -frati Minori che di qualsiasi persona al mondo. Singolarmente in Rimini -combattè gli eretici colla parola e coi miracoli, giacchè una volta non -badandogli gli uomini, furono veduti i pesci venir su per la Marecchia, -e collocarsi a bocca aperta ad ascoltarlo; un’altra un giumento, da -lungo tempo digiuno, si prostrò davanti all’ostia consacrata, benchè -il padrone patarino gli porgesse il truogolo dell’avena. Egli fu da -Gregorio IX dichiarato arca dei due Testamenti, armadio delle divine -scritture; e dai popoli il taumaturgo, il santo; per ornare il cui -tempio parvero a gara risuscitare le arti. - -Martello degli eretici fu detto san Tommaso d’Aquino; nè men fervoroso -apparve san Bonaventura. In Toscana, una matassa di proseliti avea -fatti il vescovo Paternon: Gregorio IX aveva ordinato a frà Giovanni -da Salerno (1128) compagno di san Domenico e ad altri di procedere -giuridicamente contro costui; e il Paternon abjurò, ma ben tosto -ricadde, e la potenza de’ suoi settarj lo assicurava d’impunità, e -quando per prudenza mutò paese, gli furono surrogati nel ministerio -Torsello, poi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che con un -Marchisiano e un Farnese erano da prima ministri di esso vescovo. - -Il primo inquisitore domenicano stabilito regolarmente a Firenze fu frà -Ruggero Calcagni, con autorità d’aver tribunale in convento; cominciò -un processo nel 1243, citando gran numero di Patarini, ed oltre le -pene pecuniarie e la censura ai contumaci, il papa aveva ingiunto alla -Signoria di consegnare i rei in mano degli ecclesiastici. Caporioni -degli eretici comparivano Baron del Barone e Pulce di Pulce, appoggiati -dalla fazione imperiale, e secondati da Gherardo Cavriani e casa sua, -Chiaro di Manetto, conte di Lingraccio, Uguccione di Cavalcante, -i Saraceni, i Malpresa, e da molte dame, fra cui Teodora Pulce, -un’Aldobrandesca, una Contrelda, un’Ubaldina ed altre, che erano sempre -le prime a dare impulso alle collette apertesi a favore dei poveri -e de’ predicanti. Teneansi le adunanze in casa de’ baroni, che, come -dipendenti dall’Impero, rimanevano esenti dalla giurisdizione comunale: -Ruggero però ne fece carcerare alquanti, e avendoli i baroni rimessi in -libertà, il papa esortò la Signoria a conservar forza alle leggi, e per -appoggio inviò frà Pietro da Verona. - -Il costui zelo s’infervorò contro di essi; la piazza di Santa Maria -Novella era angusta alla folla accorrente per udirlo, sicchè ad istanza -di lui la Signoria dovette farla ampliare; la società de’ Laudesi, da -lui istituita, cantava Maria e il Sacramento (1244), quasi a sconto -degli oltraggi che questi riceveano dai Patarini. Sistemò pure alquanti -nobili per guardia al convento dei Domenicani, ed altri che eseguissero -i decreti di questi, donde sorse la sacra milizia dei Capitani di -Santa Maria[302]. Crebbero allora processi ed esecuzioni, per quanto i -signori le gridassero inumane e illegali, e si appellassero all’Impero: -e avendo il podestà Pace da Pesannola bergamasco tolto a difendere -i Patarini e protestato contro le sentenze, dagl’inquisitori con -solennità fu interdetto (1255); ne nasce parte e tumulto, le chiese -sono manomesse, di macello contaminati il Trebbio, la Croce, piazza -Santa Felicita, finchè i Cattolici riescono superiori. - -Segnalato per tanto zelo, Pietro viene a farne prova sui Cremonesi -e Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie mal riuscite contro -Federico II, bestemmiavano il cielo, insultavano ai riti, e sospendeano -capovolti i crocifissi. Cominciò egli la persecuzione; ma Stefano -de’ Gonfalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono, e -lo fecero uccidere mentre passava da Milano a Como. Egli trafitto -intrise il dito nel proprio sangue, scrisse per terra _Credo_, e spirò -(1252). D’egual moneta aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona -sulla piazza di Piacenza mentre predicava: Pietro d’Arcagnago, frate -Minore, fu scannato in Milano presso Brera per opera di Manfredo da -Sesto caporione dei Patarini lombardi con Roberto Patta da Giussano; -frà Pagano da Lecco, trucidato co’ compagni mentre andava a stabilire -l’Inquisizione in Valtellina; ed altri. Nel 1279, avendo gl’inquisitori -condannata al fuoco una Tedesca in Parma, i cittadini insorsero, -saccheggiando il convento de’ Domenicani, alcuni anche ferendone, -talchè i frati a croce alzata partirono. Ma il podestà e gli anziani e -i canonici li seguirono e gl’indussero a tornare, promettendo rifarli -dei danni e punire gli offensori[303]. - -A Pietro da Verona, subito venerato col nome di san Pietro Martire, -successe frà Ranerio Saccone suddetto, che spianò la _Gatta_ ritrovo -degli eretici (1259), e fece bruciare i cadaveri di due loro vescovi, -Desiderio e Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè -Martin Torriano nol fe cacciare. - -Nè per tanto Milano restò purgata, e vi levò rumore una Guglielmina, -diceano oriunda di Boemia e di gente reale, e che spacciava essere lo -Spirito Santo incarnato; da Raffaele arcangelo annunziata a sua madre -il dì della Pentecoste, come mandata a redimere i Giudei, i Saracini -e i cattivi Cristiani; dover morire, poscia risorgere, ed elevare al -cielo l’umanità femminile. Quanto visse, il popolo la venerò; morta, -fu tumulata splendidamente a Chiaravalle, casa de’ Cistercensi presso -Milano, e tenuta in conto di santa: ma poi l’Inquisizione cominciò ad -esaminare i miracoli spacciati, e il vulgo colla solita versatilità -suppose che le adunanze de’ suoi proseliti fossero convegni di nefandi -peccati; onde le ossa di lei furono gettate alle fiamme coi primarj -suoi seguaci. - -Anche alcuni frati Minori, lasciata la loro religione, viveano -solitarj, affettando estremo rigore, ed erano chiamati Fraticelli, -Bizocchi, Beghini, principalmente negli Abruzzi e nella marca -d’Ancona, ed ebbero a maestri un frà Pietro da Macerata e frà Pietro -da Forosempronio. Scoperti di errori, vennero condannati e perseguitati -(vedi Cap. CXVII). - -Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito alla contemplazione, -e fissando un quadro ov’erano rappresentati gli Apostoli avvolti in -mantelli cogli zoccoli e la barba, credette doverli imitare in quel -vestito, e fin nel circoncidersi e farsi fasciare e adagiare in cuna -al modo del celeste bambino. Formò seguaci che si dissero Apostolici; -vendette quanto possedeva, e dalla ringhiera di Parma gittò il denaro -a una ciurmaglia che giocava; ed iva predicando, da chi creduto -santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe cogliere (1280) -e metter prigione; ma egli si finse pazzo, onde tenuto cortesemente in -vescovado, divenne ludibrio del servidorame; poi sbandito, e di nuovo -al fine richiamato, convinto di vizj, fu bruciato il 18 luglio 1300. - -Frà Dolcino e Margherita sua donna predicavano attorno a Novara, -togliendo ogni restrizione fra i sessi, e permettendo lo spergiuro in -cose d’inquisizione; traevansi dietro migliaja di proseliti, sinchè, -per ordine di Clemente V, furono cerchiati ed uccisi[304]. - -L’Inquisizione fu ammessa in Venezia il 1286, composta di tre giudici, -che erano il vescovo, un Domenicano, e il nunzio apostolico, sotto la -sorveglianza dei magistrati ordinarj; nè poteano sedere in tribunale -senza commissione sottoscritta dal doge. Procedere doveano puramente -contro l’eresia; non contro Turchi ed Ebrei che non erano eretici; -non contro Greci, perchè la loro controversia coi papi non era per -anco stata risolta; non contro i bigami, perchè il secondo matrimonio -essendo nullo, aveano violato le leggi civili, non il sacramento; gli -usuraj pure non intaccavano alcun dogma; i bestemmiatori mancavano -di riverenza alla religione, ma non la negavano; neppure stregoni -e fatucchiere doveano essere passibili a quel tribunale, se non si -provasse che avessero abusato de’ sacramenti. - -Agli erranti la Chiesa contrastava anche col crescere devozione -alle cose che da quelli erano conculcate. La compagnia dei Laudesi -dalla Toscana erasi propagata nella Lombardia. Giovanni da Schio, il -famoso paciere, instituì il pio saluto del _Sia lodato Gesù Cristo_. -La venerazione verso il Sacramento fu cresciuta da miracoli che -allora si narrarono: Urbano IV estese a tutta la Chiesa la festa del -_Corpus Domini_, e Tommaso d’Aquino ne compose la bella uffiziatura. -A Maria poi si tributò l’entusiasmo col quale i cavalieri veneravano -le dame loro; e il dogma dell’immacolata sua concezione fu sostenuto -fervorosamente dai Francescani; ad onore di lei si formò un salterio -sulla forma del davidico; di lei parlarono Pier Damiani, Bernardo, -Bonaventura, con un ardore che rimembra quel dello sposo de’ Cantici; -e fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e con fiori -di tenerezza. L’_ave Maria_ si rese generale verso il 1240. San -Domenico introdusse il rosario; divozione che fu poi connessa alla -ricordanza della vittoria di Lèpanto (1573), quella in cui fu decisa -la superiorità de’ Cristiani sopra i Turchi, nell’ora appunto che in -tutto l’orbe cattolico recitavasi quella semplice formola di saluto, di -congratulazione, di condoglianza, di preghiera. - -Maria ispira le opere d’arte d’allora: il suo scapolare, propagato -dai monaci del Carmelo, orna il petto di tutti, come una divisa di -combattenti contro le passioni: ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti, -della Mercede sotto gli auspizj di lei, quello s’aggiunge dei Gaudenti, -da Linguadoca passati in Italia (1208), ove singolarmente si resero -memorabili. Continuavano essi a vivere nel mondo e nel matrimonio, -«solo imposto odiare e fuggire il vizio, desiare e seguir la virtù, ed -alcuna soave soavissima regola, data in segno di onestà, in remissione -d’ogni peccato, ed in premio d’eterna vita» (FRÀ GUITTONE). - - - - -CAPITOLO XC. - -La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del canonico. Le -Università. Le Scienze occulte. - - -Questi conflitti della ragione contro l’autorità, questo esame delle -credenze, quest’indipendenza del pensiero attestano che non fosse così -servile la fede, così intera l’ignoranza, come cianciano alcuni. - -Hanno intitolato il decimo secolo di tenebre e di ferro, giacchè, -cessato l’impulso dato da Carlo Magno, alle grandi sventure soccombeva -ogni tentativo di pacifiche ricerche. Eppure un chierico di Novara -interrogava per lettera i monaci di Reichenau, se tenessero per -Aristotele il quale non crede agli universali, o per Platone che gli -ammette; ed essi rispondeano, entrambi godere tale autorità, che non -si osa l’uno all’altro preferire[305]. Dunque conoscevansi i grandi -pensatori, si studiava, si dubitava, si chiedeva, s’intrecciavano -su ciò corrispondenze lontane, si agitavano le quistioni supreme, e -fra gente incatenata alle regole durava l’indipendenza del pensiero, -esercitata nei modi del tempo. Chi sia imbevuto de’ pregiudizj -filosofistici dee restare attonito allorchè di buona fede osservi -come, nella _neghittosa ignoranza_ de’ chiostri, il bisogno del pensare -agitasse que’ monaci vilipesi; come senza scrupolo e senza apprensioni -usando della propria ragione, affrontassero i problemi cardinali -dell’intelligenza. - -Le scienze, giusta la divisione di Marciano Capella, erano distribuite -in sette, formanti un trivio e un quadrivio: al primo appartenevano -la grammatica, la retorica, la dialettica; al secondo l’aritmetica, la -geometria, l’astronomia, la musica[306]. - -Ma come la religione era base della società, così scienza capitale la -teologia; nè quasi altri che il clero avea tempo e mezzi di volgere -l’attività dagl’interessi del secolo a quelli della dottrina e della -verità. I primi Padri del cristianesimo aveano fondata la loro scienza -sulla Bibbia, spiegandola e commentandola giusta il sentimento loro -particolare e quel della Chiesa. I successivi arrestarono lo studio su -quelli, facendone estratti e catene per proprio comodo, onde all’uopo -fiancheggiarsi delle loro asserzioni: e come la giurisprudenza romana -sopra certi assiomi, così la teologia posava sull’autorità, limitandosi -ad applicarla con argomentazione sottile, affar di logica e nulla più, -trascurando l’indagine dei fatti e il sentimento della realtà. - -Boezio, usando la filosofia greca e pagana per raffinare la scienza -cristiana, nell’_Organon_ svolse il raziocinio senza intaccare la fede, -e divenuto autore universale, abituò gl’intelletti a una rigorosa -coerenza di discutere, dimostrare, difendere, impugnare per via di -regole prefinite; quella dialettica insomma, che prima l’italiano -Zenone d’Elea aveva insegnata, e che fu delle primarie coadjutrici -della scienza greca, ma che, se si restringa a pure forme e categorie, -impaccia la ragione, mentre intende soccorrerla. Tale divenne nelle -scuole, onde prese il nome di _scolastica_, troppo a torto derisa. - -Questa geometria della ragione mette innanzi precisamente il suo -teorema, da principj inconcussi deduce con raziocinio serrato, senza -abbellimenti nè svaghi, valendosi solo di parole chiaramente definite, -eliminando le idee vaghe e i termini equivoci, e procedendo sempre dal -noto all’ignoto. Que’ principj generali indubitabili non potea darli -che la rivelazione. Si esercitavano sulle due nozioni fondamentali del -Creatore e della creatura, per trovarne e chiarirne la relazione ch’è -la fonte d’ogni morale, e conciliare la fede rivelata colla ragion pura -e coi fenomeni della vita esterna; limitavansi insomma a difendere e -chiarire dogmi parziali, a vedere in che modo accettar la rivelazione e -conoscere il sentimento comune, rinunziando alla disputa non appena la -Chiesa avesse sentenziato. - -Nulla più facile che l’abusare della logica. Il minuzioso speculare -disgiunto dall’applicazione, dalla sperienza, dalla erudizione, da -ogni bellezza, le frivole distinzioni, il sillogizzare non tanto per -raggiungere la verità, quanto per uniformarsi a certe regole o per -avviluppare gli avversarj, il puntigliarsi fin sulla distinzione di -sillabe, congiunzioni, preposizioni, e innestare alla dialettica quanto -di vano comprendevano la grammatica e la geometria affine di dimostrare -ogni cosa, perfino i contrarj, furono gli abusi della Scolastica, che -mettendo la disputa per iscopo non per mezzo, e confondendo il metodo -colla sostanza, faceva invanire e delirare nella presunta onnipotenza -della logica. - -Suo oracolo era Aristotele, per verità maestro eccellente, perchè -in esso trovasi anche la critica degli altrui sistemi e il modo -di confutarli, mentre Platone non dà che il proprio dogma. Ma lo -Stagirita che erige in principio supremo la natura, come poteva essere -l’oracolo d’una scienza tutta religiosa? Poi esso giungeva in Europa -nelle versioni e commenti de’ Musulmani e degli Ebrei, che gli aveano -prestato assurdi sentimenti e sofisterie. I nostri, nel tradurre quelle -traduzioni, nuovi errori vi sovraposero; nè la critica e la filologia -sapevano riconoscervi l’alterazione, mentre l’idolatria professatagli -impediva di crederlo in fallo. Anzichè duce, ne venne un ingombro -d’errori, fatica erculea a quelli che voleano conciliarli colla -teologia dogmatica. Più tardi Federico II ne procurò una versione sopra -il testo greco, e la fece deporre nell’università di Bologna; Manfredi -suo figlio la spedì a Parigi: ma nulla ce ne rimane per poter dire -quanto avviasse alla retta intelligenza di quello che per antonomasia -chiamavasi l’Autore. - -Quest’esclusiva predilezione incagliava lo sviluppo cattolico delle -scienze, e le logiche speculazioni sviavano dalle ricerche storiche, -baloccandosi attorno a frivole quistioni. Cosa faceva e dove stava -Iddio prima di creare? se nulla avesse creato, qual sarebbe la sua -prescienza? potè egli fare le cose in altro modo da quel che le fece? -v’ha tempo in cui egli conosca più cose che in un altro? può fare -che ciò che è non sia, e per esempio, che una meretrice sia vergine? -Iddio, incarnandosi, si unì all’individuo od alla specie? il corpo di -Cristo alla destra del Padre sta seduto o in piedi? e le vesti con cui -comparve agli apostoli dopo risorto, erano reali od apparenti? e le -assunse con sè in cielo? e ve le tiene ancora? e nell’eucaristia sta -nudo o vestito? che divengono le specie eucaristiche dopo mangiate? -in qual maniera s’operò l’incarnazione nel seno di Maria? san Paolo -fu rapito al terzo cielo nel corpo o senza? il pontefice potrebbe -cassare i decreti degli apostoli, e formare un articolo di fede? o -abolire il purgatorio? è semplice mortale, o una specie di divinità? -e tutta la Bibbia diveniva un’arena di disputazioni, secondo che -gli uni vi rintracciavano il senso letterale, altri l’allegorico, -altri il mistico. Censurare, come si fa, la scienza per gli abusi -che ne derivarono, è ingiusto come di chi condannasse la letteratura -odierna a cagione de’ giornalisti; e tanto più che quelle formole e -quello spineto non erano frutto della barbarie, ma già si trovano ne’ -dialettici antichi, anzi in Aristotele stesso. - -La Chiesa non soffogava quell’attività, ma stava in occhi a tutelare -i dogmi, e ben presto fu chiaro che con questi tutelava la verità e -la ragione. Accortasi degli errori che rampollavano sopra la dottrina -aristotelica, talora ne proibì l’insegnamentò: onde altri si diedero -a sceverare due ordini di verità, la filosofica e la religiosa: -e lasciando arbitri di questa i santi Padri, discutevano secondo -Aristotele i fenomeni dell’intelletto, l’origine e il valore delle -idee, i fondamenti della conoscenza, in somma la metafisica. - -Altri hanno faticosamente tratteggiato i procedimenti del pensiero in -que’ secoli mal conosciuti; e noi, limitandoci alle glorie italiane, -ricorderemo gl’insigni Lanfranco di Pavia e Anselmo d’Aosta, che in -Inghilterra rappresentarono il principio spirituale a fronte del potere -politico. Il primo, nato da famiglia senatoria (1005-89), educato -nelle scuole di arti liberali e di legislazione secondo il patrio -costume[307], andò frate, e non sentendosi vigore bastante pei lavori -campestri a cui si dedicavano i monaci, già godendo grido di dialettico -e giureconsulto nella patria scuola de’ giudici longobardi, recossi -in Normandia. Aggresso da masnadieri e lasciato avvinto a un albero -tutta la notte, aspettando la morte volle pregare, e trovò che neppur -una preghiera sapeva a memoria. Vergognoso, stabilì darsi tutto a Dio, -e liberato da alcuni passeggeri, si fe da loro indicare il convento -più umile e povero. Gli nominarono Bec, ed egli vi si rese, subì un -severo noviziato, tacendo per tre anni, e quando leggeva in refettorio, -il priore lo rimproverava di proferir male il latino: una volta lo -corresse dell’aver fatta lunga la seconda di _docere_, e il valente -dottore si rassegnò a proferirla breve, stimando un errore di prosodia -minor male che una insubordinazione. - -In questa docilità imparò a comandare, e presto fu assunto arcivescovo -di Cantorberì, a consigliere e ministro di Guglielmo conquistatore -dell’Inghilterra; e sostenendo l’interesse cattolico in quell’isola -dopo soggiogata dai Normanni, favorì a questi perchè credea giovassero -a quello. Negl’impacci di chi è a parte dell’autorità e sembra -farsene strumento, quante volte ribramò e chiese la solitudine del -suo chiostro, ove ad assicurar la pace della coscienza basta una cosa, -obbedire! Ma il terribile conquistatore spesso correggeva o frenava; -udendo un cortigiano paragonare la reggia alla maestà del cielo, come -avrebbe potuto fare un poeta napoleonico, esortò a farlo vergheggiare -perchè più non osasse bestemmie tali: se accondiscese a Guglielmo, -seppe evitare il conflitto che prevedeva imminente col potere -ecclesiastico. - -I tanti affari non lo distolsero dagli studj, e risuscitando l’arte -critica, confrontò, corresse i testi che Berengario avea falsati per -negare la presenza reale nell’eucaristia: sviluppandosi dalle fasce -scolastiche, spaziò in modo oratorio; e riprovando la sottigliezza dei -tropi e dei sillogismi e l’_inane dialettica_ d’Aristotele, chiama -sapiente chi conosce e glorifica Dio, e pienezza della dottrina -l’intenderne il mistero e la sapienza. - -Discepolo suo, e successore nel priorato di Bec, poi -nell’arcivescovado, Anselmo d’Aosta (1033-1109), con fermezza calma -e dolce, non affrontando la persecuzione, ma non isviando punto dal -sentiero per evitarla, intelletto elevato e cuor puro, carattere -amabile che traeva grandezze dalla fede profonda e dall’amor di Dio, -per sagacia e pietà fu qualificato un secondo Agostino, e sulle traccie -di questo diede dimostrazioni ancor venerate sopra l’essenza divina, la -trinità, l’incarnazione, la creazione, l’accordo del libero arbitrio -colla Grazia. I suoi monaci l’aveano pregato a valersi di forme -agevoli, e d’argomenti adatti alla comune capacità, e provare per via -di raziocinj rigorosi e necessarj[308]: e in fatto nel _Monologium_ -s’industria a spiegare la scienza delle cose soprannaturali per via -di razionali principj, cercando l’alleanza della fede colla ragione, -proteggendo la religion naturale e la rivelata da tutte le objezioni -mediante un argomentar sottile; estendendosi anche alla metafisica -e alla fisica, che speculano l’una sulla parola rivelata, l’altra -sulla natura manifestata dai sensi; e digredendo su altre materie non -immediatamente connesse col dogma. Al supremo problema dell’intelletto -cercò egli spiegazione nell’idea universale, la quale non potrebbe -sussistere come percezione dello spirito senza la realità dell’oggetto; -eccedette fosse quella della perfezione infinita di Dio, il quale -nell’ordine logico sta a capo di tutte le idee, come di tutti gli -esseri nell’ordine reale. - -Lo stolto che dice _Non v’è Dio_, concepisce un essere a tutti -superiore, sebbene affermi che non esiste. Affermazione assurda, -atteso che quest’ente resterebbe inferiore a un altro che a tutte le -perfezioni congiungesse l’esistenza. Sono gli argomenti stessi che -furono svolti poi da Cartesio; ed un monaco dell’XI secolo trovava -e precisamente esponeva la sola prova compiuta e soddisfacente -dell’esistenza di Dio, cioè elevava la coscienza fino alla nozione -dell’essere, ed edificava una teologia dottrinale sovra un concetto -della ragione. Mettendo in scena un ignorante che cerca la verità colla -scorta dell’intelletto puro, vuol mostrare che la ragione non riprova -ma comprova le verità rivelate; e protestando insieme che la fede non -cerca comprendere ma credere, chiaramente determina i confini della -filosofia e della teologia. - -Ricondurre le quistioni scolastiche al punto ove i padri le aveano -lasciate fu l’assunto di Pier Lombardo (1100-1164), fanciullo novarese, -mantenuto per carità agli studj, poi vescovo di Parigi. Nei quattro -libri _Sententiarum_ raccolse in un ordine alquanto arbitrario le -proposizioni dei santi Padri intorno ai dogmi, sicchè non rimanesse che -d’applicarle nelle varie quistioni. Ma poichè delle difficoltà esposte -non porgeva la soluzione, apriva campo a troppe dispute dialettiche -ed a sottigliezze, per quanto egli richiamasse continuo verso gli -studj positivi e i monumenti della prisca filosofia cristiana. Inoltre -dava in argomenti speculativi: — Iddio padre, generando suo figlio, -generò se medesimo o un altro Dio? generò di necessità o per elezione? -egli stesso è Dio spontaneamente o necessariamente? Gesù Cristo potea -nascere d’una specie d’uomini differente dalla stirpe d’Adamo? potea -prendere il sesso femminile?» accettava autorità apocrife; e quando la -logica gli paresse condurre a conclusioni diverse dalla fede, diceva: -— Su questo punto amo meglio udire altri, che non parlare io stesso». -Pure il _maestro delle sentenze_, com’egli fu titolato, rimase il testo -delle scuole, ebbe replicate edizioni ne’ primi tempi della stampa; -Racine, nel ristretto di storia ecclesiastica, gli dà ducenventiquattro -commentatori, che, a detta del conte di San Raffaele, si potrebbero -facilmente raddoppiare; e fin a mezzo il secolo passato l’università di -Parigi celebrava l’anniversario di lui con esequie assistite da tutti i -baccellieri licenziati. - -D’altra levatura e originalità fu Tommaso dei conti d’Aquino (1227-74), -castello di cui vedonsi gli avanzi presso Montecassino. Pronipote di -Federico Barbarossa, cugino di Enrico VI e di Federico II, discendente -per madre dai principi normanni, abbandonò le delizie e le speranze -della condizione sua per vestirsi domenicano, malgrado de’ parenti. -Gracile di salute, taciturno, assorto nelle meditazioni, i condiscepoli -canzonando quel suo fare semplice, gli occhi incantati, la bocca -chiusa, lo chiamavano il bue muto di Sicilia. Ma ben presto mostrò -intelletto filosofico s’alcun mai, erudizione estesissima, passione de’ -grandi risultamenti; e a quarantun anno si propose coi materiali sparsi -della scienza coordinare la prima volta in sistema compiuto la teologia -e la filosofia. I conflitti che da dodici secoli la Chiesa sosteneva -intorno ai fondamentali articoli della fede, e quanto aveano insegnato, -approvato, riprovato i Padri, i dottori, i papi, i concilj, compendiò -in un volume. La scienza e l’erudizione tutta che al suo tempo avessero -Cristiani od Arabi, svolse sotto la forma del sillogismo, in maestosa -sintesi tendendo a riprodurre l’ordine assoluto delle cose, Dio uno, la -Trinità, la creazione, le leggi del mondo, l’uomo, la Grazia; e opporre -la verità agli errori moltiformi che venivanle opposti dal Corano, dal -Talmud, dal manicheismo. Ch’egli si occupasse di scienze al tempo suo -non esistenti, o usasse una lingua che l’età sua non gli dava, nessuno -lo pretenderà; mentre eccitano meraviglia la chiarezza, la brevità -nervosa, la schietta indagine della verità, che con bella e profonda -definizione egli fa consistere in un’equazione tra l’asserto e il suo -oggetto[309]. - -All’ispirazione ed elevazione dei primi Padri non arriva egli, ma -porge formole dotte e profonde distinzioni, il suo metodo consistendo -nell’appoggiare col sillogismo una maggiore assiomatica, data da -quelli. Pertanto posa un teorema, poi sillogizza tutte le opposizioni -filosofiche (_videtur quod non_), mettendo l’objezione condensata, -multipla, in tutta la sua forza, per modo che poterono da lui -attingere eresie e difficoltà quanti ebbero la mala fede di sopprimere -le risposte. Non si ferma a confutarla, ma in contraddizione (_sed -contra_) adduce alcuni passi di Aristotele, della Bibbia, dei Padri, -principalmente di sant’Agostino, e prova conciso e preciso, facendo -brillar la vera luce accanto alla falsa, sicuro che ne risulterà -la certezza. Allora ripiegandosi sopra l’objezione, la distrugge -invincibilmente (_conclusio_) collocando la sua risposta in termini -concisi, enucleandoli poi dialetticamente, e non di rado con poche -parole d’inarrivabile precisione recidendo avviluppatissimi problemi; e -adoprandovi un mirabile buon senso ognora calmo, imparziale, lontano da -sistematiche esclusioni, disposto ad accettar tutto il vero, approvare -tutto il buono. - -Quanto al fondo, sostiene che la scienza deriva da Dio e a Dio si -riferisce, atteso che il filosofo, sempre in traccia del primo ente e -della cagion delle cose, e proponendosi il perfezionamento dell’uomo, -è costretto elevarsi alla causa ed alla ragion prima. E siccome nella -società umana dirige colui che maggiore intelletto possiede, così nelle -dottrine quella che si occupa delle cose più intelligenti, cioè la -metafisica, scienza dell’essere in generale e delle sue proprietà, che -considera le cause prime nella loro purezza e comprensibilità maggiore. - -Scienza di Dio, dell’uomo, della natura, la teologia risale a Dio per -contemplarlo, e col raggio che ne attinge discende la scala del creato -illuminando le sfere inferiori. Fra i corpi puramente materiali e il -mondo delle pure intelligenze, riflesso della vita e delle perfezioni -di Dio, sta l’umanità, partecipe degli uni e degli altri: tre mondi -connessi da legami infiniti, donde risultano l’ordine naturale e il -soprannaturale, e in seno all’opera di Dio nasce l’opera dell’uomo, -mediante la libertà creata. Di qui la mistura di bene e di male, di -verità e di errore, che costituisce la storia umana. Delle creature -alcune sono assolutamente immateriali, altre materiali, altre miste; e -nel formarle Iddio si propose il bene, cioè di assimilarle a sè. Del -qual bene partecipano anche i corpi, in quanto possiedono l’essere -e sono l’effetto della bontà divina; e concorrono alla perfezione -dell’universo, che deve contenere una gradazione di esseri, gli -uni subordinati agli altri secondo che più o meno perfetti. Chi li -consideri uno ad uno, non ne vede che l’inanità: ben altrimenti chi -li guardi come istromenti degli spiriti; avvegnachè tutto ciò che -si riferisce all’ordine spirituale appar più grande quanto più viene -conosciuto. - -Culmine della creazione è l’uomo, il cui spirito vive di triplice vita, -la sensiva, la vegetativa e la razionale, la quale ancora si divide -in intelligente e volitiva. A quest’ultima san Tommaso assegna regole -rettissime, giacchè fondate sugl’insegnamenti della Chiesa: ma poichè -il nostro lavoro verte tanto sulla scienza degli Stati, noi lasceremo -il resto per arrestarci alquanto sul diritto e la politica di lui, che -insomma sono quelli professati dal clero, quand’anche non applicati. - -Fonda Tommaso la sua teoria del diritto sopra la legge. Questa è -quadrupla: l’_eterna_, legge del governo divino generale del mondo; -la _naturale_, partecipazione della legge eterna, valevole per tutti -gli enti finiti razionali; l’_umana_, riferibile alle condizioni -particolari degli uomini; la _divina_, che consiste nell’ordine di -salute da Dio stabilito nella sua _speciale_ provvidenza per gli -uomini. Il diritto nello Stato è _naturale_, fondato nella natura -invariabile dell’uomo, o _positivo_, stabilito per convenzione o -promessa: e concerne solo la legalità degli atti esterni, mentre la -giustizia interiore impone di fare il giusto per amor di Dio. - -La legge è una misura imposta ai nostri atti, un motivo che ci spinge -o distoglie dal fare, una dipendenza della ragione: ed ha per iscopo -il ben essere comune. Dovendo il fine essere adempito da chi vi ha -interesse immediato, le leggi saranno opera di tutto il popolo, o -di chi del bene di esso è incaricato; e però la legge può definirsi -«un ordine ragionevole a comune vantaggio, promulgato da chi ha cura -del pubblico interesse». Diretta a mantenere la pace e propagare la -virtù fra gli uomini, deve conformarsi alla giustizia pel fine che si -propone, per l’autore da cui deriva, per le forme che osserva, cioè -mirare al bene dei più, non trascendere l’autorità del legislatore, -ed equamente distribuire i pesi che ciascuno dee portare pel comune -vantaggio. È ingiusta ove s’opponga al bene relativo dell’uomo, o al -bene assoluto che è Dio: e in tal caso non è legge ma violenza, nè -obbliga al fôro interno, se non fosse per gli scandali che produrrebbe -la trasgressione. E per natura e per ragione si deve a gradi procedere -dal meno al più perfetto; onde i cangiamenti nella legislazione sono -giustificati dalla mobilità della ragione, dalla mutabilità delle -circostanze. Popolo pacifico, grave, oculato ai proprj vantaggi, ha -diritto di scegliere i suoi magistrati; lo perde se corrotto. - -Vuolsi che durino la città e la nazione? tutti abbiano parte al -governo generale, acciocchè tutti sieno interessati a mantenere la -pace pubblica; nella forma politica le autorità si bilancino. La più -destra combinazione sarebbe un principe virtuoso, che sotto di sè -ordinasse un certo numero di grandi cariche per governare secondo -l’equità, cernendoli da ogni classe e sottoponendoli ai suffragi della -moltitudine, col che associerebbe al governo l’intera società. Il -principe deve al suddito la fedeltà stessa che ne esige: se avvilisce -Dio ne’ poveri, imita i soldati che percotevano Cristo colla canna -messagli in mano: se grava le imposte, pecca d’infedeltà agli uomini, -d’ingratitudine a Dio, di sprezzo agli angeli custodi, sopra i quali -ricadono le offese recate ai loro custoditi. - -Colpa mortale sarebbe la ribellione contro alla giustizia e all’utilità -comune, non il resistere e combattere pel pubblico bene. Principe che -si propone il personale soddisfacimento anzichè la comune felicità, -cessa d’essere legittimo, e l’abbatterlo non è più sedizione, se -pur non si operi con disordine tale da cagionare mali maggiori -della tirannia stessa. Il tiranno si tiene fra certi limiti? convien -tollerarlo per cansare pericolo di peggio; eccede? può essere giudicato -e anche deposto da un potere regolarmente costituito: attentare contro -la sua persona per fanatismo e vendetta non è mai lecito. - -Su questi larghi principj posavasi il liberalismo, che la Scuola talora -spinse fin al di là; donde la taccia che il secolo nostro, ipocrito -in parole come sguajato in fatti, le dà di avere giustificato il -regicidio. Al moderno diritto delle genti pose Tommaso le fondamenta, -che lo distinguono dal micidiale degli antichi: e certi missionari d’un -nuovo cristianesimo, che credono nati jeri i concetti della libertà e -dell’eguaglianza, stupirebbero leggendo quel che Tommaso pensava della -nobiltà[310]. - -Ma come la pensava egli sul propagare la fede per mezzo della forza? -Degli Infedeli alcuni non abbracciarono mai la fede, come Pagani ed -Ebrei; altri ne disertarono, come gli eretici e gli apostati. Questi -sono mentitori d’una promessa, e ne sono puniti: gli altri non devono -per verun modo essere forzati alla fede, ma solo a non manometterla con -bestemmie, con prediche, con violenze. I fedeli muovono spesso guerra -agl’infedeli, non già per costringerli a credere, ed anche dopo la -vittoria se ne lascia libertà al prigioniero, ma perchè non impediscano -ai credenti il convertirsi o il perseverare[311]. - -Sì grand’uomo, eppure umilissimo, ricusò nell’Ordine ogn’altra dignità -fuor quella di definitore: e nella contemplazione talmente restava -assorto, che navigando non s’accorse d’una fiera burrasca; tenendo una -candela non sentì da quella bruciarsi il pugno; sedendo al banchetto -col re di Francia, repente battè sulla tavola esclamando: — Ecco un -argomento invincibile contro i Manichei». La leggenda dice che, avanti -morire, stava davanti a un Crocifisso, e questo piegossi, e dissegli: — -Tommaso, bene hai scritto di me: qual ricompensa domandi? — Niun’altra -cosa che voi stesso», egli rispose. Quando poco dopo si trattò di -canonizzarlo, gli oppositori notavano ch’e’ non aveva operato miracoli; -ma papa Giovanni XXII esclamò: — Ne fece tanti, quanti articoli -scrisse»; e soggiungeva: — Tommaso rischiarò la Chiesa più che tutti -insieme i dottori, e maggior profitto si trae dallo studiare un anno -agli scritti suoi che dal leggere tutta la vita que’ degli altri». - -Diversa eppur non avversa alla scolastica argomentatrice, la -scuola mistica cercava non esercizio allo spirito ma nutrimento -all’affetto; tutto riconduceva al sentimento ed alla contemplazione, -assegnando i gradi onde con questa elevarsi al primo vero; in luogo -dell’arida dialettica adoperava linguaggio immaginoso, simbolicamente -interpretando la natura appoggiandosi sulla misteriosa attrazione verso -il bene assoluto e l’infinito, e sulla dilezione estatica, fondo della -nostra sensibilità. - -Giovanni Fidanza da Bagnarea (1221-74) fu salvato da una malattia -infantile per intercessione di san Francesco, il quale disse a sua -madre: — È una buona ventura»; onde vestitosi francescano, fu noto -col nome fratesco di Bonaventura. Dotto di tutta la scienza d’allora, -sommesso insieme e indipendente, cautamente valutando le forze relative -della credenza e dell’intelletto, tentò conciliare Aristotelici, -Platonici, Arabi; cioè il raziocinio e l’intuizione, il misticismo e -la didattica dirigere in armonia, non ad arguzie curiose, ma a supreme -quistioni. Non che negare ogni certezza ai sensi, tende a rintegrare -l’infallibilità della ragione, facendo che Dio abbia poste le premesse -nell’intelletto, e conformatolo in guisa che sia costretto assentire al -vero, non come ad una percezione nuova, ma quasi riconosca cose innate -in sè. Osò anche tentare un albero enciclopedico dell’umano sapere, men -lodato, non men lodevole di altri posteriori[312], e che mostra come -sapessero d’alto luogo riguardare la scienza questi Scolastici cui si -dà taccia di angusti e meschini. - -Bonaventura fu noverato fra’ più insigni del tempo: quando san Tommaso -suo amico gli domandava da quai libri traesse tanta scienza, gli mostrò -il crocifisso; e tutte pietà sono la sua _Vita di san Francesco_, lo -_Specchio della Vergine_, l’_Itinerario dell’anima al cielo_. A forza -di preghiere si fece esonerare dall’andare arcivescovo di York; e stava -lavando le scodelle quando gli fu annunziato che era fatto cardinale. -Alle sue esequie assistettero Gregorio X, il re d’Aragona, cinquanta -vescovi, sessanta abati, più di mille preti; ottant’anni dopo morto fu -canonizzato, e iscritto col titolo di _serafico_[313] fra i dottori -della Chiesa, dopo Ambrogio, Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e -l’Aquinate. - -Anche la scuola contemplativa ebbe i suoi deliramenti, e Giovanni di -Parma pubblicò un _Introduttorio all’evangelo eterno_, ove annunziava -che, siccome il Testamento antico avea dato luogo al nuovo, così -questo non bastava più alla perfezione, e un altro ne verrebbe tutto -d’intelligenza e di spirito. Altri caddero nel panteismo e nella -negazione del proprio essere, ed applicati alle scienze s’abbujarono -nell’astrologia e nell’alchimia. - -Del diritto romano mai non erasi perduta affatto la memoria; ma quella -legislazione è troppo complicata e dotta per gente incolta, troppo -difficile ad armonizzare col sistema barbaro. Si dovette dunque -applicarsi ad agevolare l’uso quotidiano del gius longobardo, e -ridurlo a sistema per via d’un testo intelligibile, di dichiarazioni, -di formole di processo. A ciò diede principale opera la scuola di -Pavia, che volta solo alla letteratura nei tempi de’ Carolingi, da -quelli di Ottone I vi unì la giurisprudenza, e compilò il _Liber -legum Longobardorum_. I maestri di quella erano anche giudici, e -accoppiando la teoria alla pratica, e conoscendo il diritto romano, -composero una glossa che fu equiparata al testo legale. Ebbero nome -tra essi Sigefredo, Guglielmo, Bajlardo, Buonfiglio, e quel Lanfranco -da Pavia, di cui dicemmo[314]. Man mano che le città italiane -crescevano di ricchezze, di commercio, di potenza, occorreano nuove -complicazioni, cui non era sufficiente il diritto germanico, mentre si -trovavano risolte nel romano; sicchè a questo applicaronsi gl’ingegni, -costituendo una nuova classe di cittadini, i giureconsulti. - -Quando i Pisani espugnarono Amalfi nel 1135, ne tolsero l’unico -esemplare delle _Pandette_, e Lotario II in benemerenza lo cedette -a loro, decretando che nella pratica si sostituisse il gius romano -al germanico, e cattedre per insegnarlo. Così dicono: ma nessun vide -questo diploma, ed è dimostrato che in verun tempo le Pandette erano -cadute in dimenticanza[315]; sicchè questa è una novella che traduce -in racconto di tempo e di luogo determinato un avvenimento d’incerta -origine. Esso codice fu gran tempo custodito a Pisa come una reliquia, -nè mostrato che con solennità, poi trasferito a Firenze, monumento -d’altre vittorie, ove può non difficilmente vedersi in quel tesoro -di manoscritti ch’è la biblioteca Laurenziana. La scrittura il prova -contemporaneo di Giustiniano; e che sia l’unico originale risulterebbe -da questa bizzarria, che avendovi il legatore per isbaglio trasposto un -foglio, tutti gli esemplari conosciuti hanno l’errore medesimo, come -materialmente trascritti. Eppure sembra che i glossatori possedessero -altri testi, collazionando i quali ne formarono uno bolognese, detto -la vulgata: pure la loro rarità è attestata dall’importanza attaccata -al possesso di questo codice, la cui scoperta e il trionfo menatone -fissarono su quello l’attenzione dei molti che la progredita civiltà -avea disposti ad una legislazione più raffinata. Allora dunque lo -studio del romano diritto penetra nelle scuole, in gara colla teologia -e la scolastica, mentre s’applica alla vita. - -Irnerio, che prima aveva insegnato grammatica, passò a leggere le -Pandette a Bologna sua patria (1100-20); e i giovani che trassero in -folla a questa scienza nuova, reduci ai loro paesi, ne applicavano i -canoni ai casi particolari, se non altro come supplemento alla legge -locale. Restano in gran parte le glosse di quest’illustre, e memoria -d’altre opere sue ad uso della scuola, dalla quale poi si staccò per -servire all’imperatore. Pensator rigoroso, trasse ogni cosa dal proprio -capo, ignorando i lavori intorno al diritto, fatti o tentati ne’ secoli -precedenti[316]. - -Si nominano fra’ suoi discepoli più insegnati i bolognesi Bùlgaro -_os aureum_, Martin Gossia _copia legum_, Jacopo e Ugone da Porta -Ravegnana. La _Somma del Codice_ di Roggerio è il primo tentativo di -sistemar la scienza del diritto. Il Piacentino, che alcuni chiamano -Ottone, per quanto assoluto e di smisurata vanità, non manca di -intelletto scientifico e cognizione delle fonti. Assalito nottetempo da -Enrico di Baila, di cui avea confutato un’opinione, a stento campò, e -ricoverato a Montpellier, v’aperse la prima scuola di diritto (1192). -Giovanni Bassiano da Cremona, preciso nell’esposizione, trovò forme -ingegnose, benchè talvolta buje; professò a Mantova. - -Pillio da Medicina professava giovanissimo a Bologna, quando i -magistrati lo costrinsero a giurare che per due anni non insegnerebbe -altrove: i Modenesi, cui forse importava più il toglierlo agli emuli -che il possederlo essi medesimi, gli offersero cento marchi d’argento -purchè venisse nella loro città, anche senza insegnare, siccome fece. -Scrive per lo più in dialoghi fra la giurisprudenza e l’autore, con -molta vanità e affettazione logica[317]. - -Lodano pure Guglielmo di Cavriano da Brescia, Alberico da Porta -Ravegnana che per l’affluenza di scolari dettava nella sala del -Consiglio, Giovanni Azzon da Bologna che aveva fin mille uditori, ed -altri che lungo sarebbe il recitare. Francesco Accursio da Bagnòlo -presso Firenze, nella _Glossa continua_ (1129) abbracciò le anteriori, -così conservandoci l’opinione di molti, ma senza tropp’arte nello -scegliere. Al suo tempo citavasi nei tribunali come legge, e fu in -gran nominanza finchè parve merito il cumulo di erudizione; ma nel -Cinquecento, quando si studiarono l’antichità e gli storici, prevalse -un miglior gusto, mentre minorava l’elevatezza de’ pensieri. - -Que’ glossatori possedevano le Pandette, il Codice, gl’Istituti, -le Autentiche, l’Epitome di Giuliano, nè altro. Scarsi di storia e -filologia, invece di raddrizzare i testi, accertare i tempi, insinuarsi -nella intenzione delle leggi, si fermano a spiegare che _etsi_ -equivale a _quamvis_, _admodum_ a _valde_; derivano il nome del Tevere -dall’imperatore Tiberio; fanno vivere Ulpiano e Giustiniano avanti -Cristo, uccidere Papiniano da Marc’Antonio; interpretano _pontifex_ per -_papa_ o _episcopus_; se trovano una parola greca, la saltano, onde il -proverbio _Græcum est, non potest legi_. Pure non mancano di sagacia -e industria, massime Accursio, nel ravvicinare passi, conciliare -apparenti divergenze, ricorrere per l’interpretazione alle fonti quanto -poteasi in quell’ignoranza della storia, che durerebbe anche oggi se la -fortuna non avesse scoperto Ulpiano ed altri giureconsulti vetusti. - -Ben presto seguirono pedestri imitatori, destri nella dialettica quanto -sforniti di scientifico intelletto; prolissi, d’inesauste minuzie, -che affogano il testo ne’ commenti, _multorum camelorum onus_, nulla -rimettendo all’intelligenza degli scolari; espongono in uno stile -barbaro, da cui non sa forbirsi neppure Dino da Mugello. Il quale -godette tanta riputazione, che ancor vivo i vescovi stabilirono, ove le -leggi municipali e le romane e le chiose dell’Accursio tacessero o si -contraddicessero, a Dino si riportasse la risoluzione. - -Sconciatesi le repubbliche, e andata ogni cosa per fazioni, poi -per arbitrio di tiranni, senza quella libertà che è necessaria alla -ponderazione delle leggi, nel metodo prevalsero sempre più le forme -dialettiche, con distinzioni e restrizioni senza termine; l’argomentare -non si aggirò sul testo ma sulla glossa, la quale divenne un ostacolo -a intenderlo; ogni originalità rimase tolta dal porre ognuno il piede -sull’orme dell’altro. - -Cino da Pistoja scolaro di Dino (-1337), cacciato dai Guelfi, torna -coi Ghibellini. Ammira i dialettici, pure sa emanciparsi dalle triche -di scuola, e pensare di sua testa; e si fiancheggia cogli statuti de’ -varj popoli e la pratica de’ tribunali. Bartolo da Sassoferrato scolaro -di lui, maestro a Pisa e Perugia, ove morì in fresca età, superiore in -fama a tutti i giureconsulti, spiegato dalle cattedre, tenuto in conto -di legge nella Spagna, per critica e metodo sta a gran distanza dagli -antichi glossatori, impacciato dai troppi commenti. - -Avanzandosi i tempi, ebbe grido Baldo da Perugia (-1400), che professò -per cinquantasei anni, e versò nei pubblici negozj. «Nella smania -di distinzione (dice il Gravina) egli non divide, ma sfrantuma il -soggetto tanto, che i frantumi ne van col vento; ma per quanto ciò -nuoccia all’interpretazione della legge romana come codice positivo, fu -utilissimo al giureconsulto pratico per la moltiplicità dei casi che lo -spirito suo fecondo ritrovò; sicchè ben rado si dà di consultarlo senza -trovarvi una soluzione qual ch’ella sia». Luca di Penna negli Abruzzi, -autore del commento sui _Tres Libri_, supera i contemporanei per metodo -e stile, e ricorre direttamente ai testi coll’indipendenza datagli dal -non essersi formato nelle scuole ma negli affari. I successivi, più che -nelle magistrature, presero pratica nei consulti, fonte di rinomanza e -di ricchezze. - -Come questi il diritto romano, altri studiarono il feudale, di -applicazioni ancora frequenti; e Oberto dall’Orto e Gerardo del Negro, -consoli milanesi, attorno al 1170 radunarono le costituzioni imperiali -e le consuetudini delle varie città, le sentenze in proposito e le -interpretazioni proprie e d’altri giuristi. Valore di legge non ebbero -mai, ma autorità perfino ne’ tribunali pontifizj. Infiniti commenti -e glosse ebbero da Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo, -Goffredo..., e principalmente da Giovanni Colombino; tutti superati dal -napoletano Andrea d’Isernia, e più tardi da Matteo degli Afflitti. Nel -1436 Antonio Mincuccio di Pratovecchio bolognese avea ridotti i libri -feudali in miglior forma, e l’imperatore Federico III li confermò, -onde in Bologna erano letti pubblicamente. L’illustre Cujacio con -maggior critica ed eleganza, e deponendo il disprezzo che i giuristi -soleano avere per ciò che non fosse romano, migliorò ed illustrò -quella raccolta, la quale si compie colle leggi feudali pubblicate -dal Barbarossa, che sono le più numerose e precise, e da cui era stata -proibita l’alienazione dei feudi, ristabilite le regalie imperiali in -Italia[318]. - -Contemporaneamente si compiva il diritto canonico. Una raccolta -autentica delle leggi ecclesiastiche emanate dai concilij e dagli -imperatori, disposta da Giovanni Scolastico patriarca di Costantinopoli -a mezzo il secolo VI, divenne legge della Chiesa d’Oriente. In -Occidente, dopo le collezioni che accennammo (t. V, p. 472) di Dionigi -il piccolo e d’Isidoro, Reginone abate di Pum, uscente il secolo IX, ne -fece una, poi Burcardo vescovo di Worms il _Magnum decretorum volumen_, -che da uno storpio del nome suo è chiamato _Brocardo_, e passò ad -indicare quistioni scabrose ed incerte. Ivone di Chartres dispose -metodicamente il _Decreto_ in diciassette libri; finchè Graziano di -Chiusi benedettino, nella _Concordantia canonum_ o _Decretum_ (1151), -compì sistematicamente la giurisprudenza canonica. Eugenio III dicono -l’approvasse, e l’autore con Ranieri Bellapecora pei primi professarono -tale materia in Bologna. L’opera sua comprende i canoni degli Apostoli, -quelli di cencinque concilj, le decretali de’ papi, non escludendo -quelle del falso Isidoro, e molti passi tratti da santi padri, da libri -pontificali, dal codice Teodosiano e da altri. Autorevole nel canonico, -come il codice Giustinianeo nel diritto civile, il Decreto di Graziano -trovò moltissimi commentatori: lo sceverarne la mondaglia doveva essere -cura di secoli meglio veggenti[319]. - -Successive consultazioni diedero luogo a nuove decretali, di cui una -raccolta fece Bernardo Circa, vescovo di Faenza poi di Pavia; una -fu ordinata a Pier di Benevento da Innocenzo III, ed approvata per -pubblica autorità; poi un’anonima dopo il 1215. Nessuna era completa, -e v’avea decreti incerti: pertanto Gregorio IX incaricò Raimondo di -Pegnafort barcellonese di raccorre le decretali posteriori al 1150, -ove finisce la compilazione di Graziano; onde venne il secondo corpo -e principale del diritto canonico, cresciuto anch’esso con successive -aggiunte. - -Suprema efficacia ebbe lo studio del diritto, facendo rivivere a pro -de’ moderni l’esperienza degli antichi, disposta in un sistema di -leggi, ove tutto ciò che essenzialmente importa alla civile società -era determinato con sagacia, equità e precisione, ben superiore ai -tentativi de’ codici barbari. Introdotta la prova testimoniale, lo -spirito umano s’addestrò nell’indagare le verità ed applicarle, risalì -agli studj classici per meglio chiarire il senso, e quel ragionare sodo -e sopra i fatti emendava l’inclinazione sofistica delle scuole. - -Ai baroni nè dottrina nè pazienza bastando, i leggisti presero il luogo -de’ feudatarj negli uffizj giuridici. Allettati dalla costituzione -romana, stabilirono essi una scuola teorica e pratica di governo, cui -primo canone era l’unità e indivisibilità del potere sovrano, talchè -guardava come usurpazione le signorie feudali, come non avvenuta -l’occupazione dei Barbari, e indegne del nome di leggi quelle emanate -da loro: fatto meraviglioso ed unico, che la legislazione morta d’un -popolo perito divenisse scienza politica e sociale per tutta Europa, e -che fin ad oggi i codici trovino appoggio, commento o supplemento nelle -decisioni di Papiniano e nell’opinione de’ glossatori. - -Ben fa dolore che le nazioni nuove non abbiano pensato estrarne quel -solo che ad esse confacevasi, anzichè adottare intero un cumulo di cose -estranee ai costumi e all’ordine sociale nuovo, e principj assoluti, e -formole materiali, e rigide conseguenze, non armonizzanti colla società -nuova nè coi costumi moderni e col cristianesimo. Per vero, l’adottare -è molto più facile che lo scegliere; e la parzialità ghibellina aveva -interesse a considerare i Federichi come successori di Teodosio: onde -n’uscì una legislazione implicata, incoerente, ancora oscura dopo -infiniti commenti, e forse in grazia di questi. - -Ma nelle città libere i giuristi costituivano un corpo, con impieghi -d’onore ed alte cariche e singolare considerazione: e persone elevate -portavano nella giurisprudenza gran senso pratico e reale dignità. Il -diritto poi fu un grande miglioramento sì alla legislazione, sì e più -alla condizione dei vulghi. Rispetto all’ordine delle successioni, ai -matrimonj, ad altri punti legali, i preti che ragione aveano di far -leggi inique? Ne’ concilj, composti di prelati d’ogni paese, specie di -areopago superiore alle convenienze feudali, e scevro di parzialità, -di rado i canoni si circoscriveano ad un paese; e togliendo per base -la morale anzichè la politica, servivasi alla rettitudine universale. -Le giurisdizioni signorili riuscirono men vessatorie in mano di abati e -vescovi che di conti e baroni, perchè il prete era obbligato ad alcune -virtù, da cui il laico si tenea dispensato. La carità e il perdono -delle ingiurie, essenza della morale cristiana, v’erano specialmente -comandati in tempi di guerra di tutti contro tutti. Più miti le pene; -abolita la croce e il bollare in faccia, per non deturpare l’immagine -di Dio; niuno sentenziato a morte, e spesso si mandava il reo a far -penitenza e migliorarsi ne’ chiostri. La tortura, approvata dal divino -Augusto[320] e conservata lungo tempo fin dagl’Inglesi tanto adulti -nella libertà, era esclusa dal diritto canonico: e doveano passar de’ -secoli prima che la filosofia si facesse bella di tali documenti. - -Il clero, alieno dalle armi, repudiava le prove del duello o -dell’ordalia[321], e vi surrogava i testimonj, e come prova sussidiaria -il giuramento; più regolare rendeva l’amministrazione della giustizia, -e le vendite, i prestiti, le ipoteche, giacchè richiamavasi al fôro -ecclesiastico ogni obbligo contratto con giuramento. Innocenzo III e il -IV concilio Lateranese istituirono il processo scritto, prescrivendo -che nel giudizio ordinario e nello straordinario il giudice si -faccia assistere da un pubblico notajo, se è possibile; e due persone -sufficienti scrivano gli atti, cioè le citazioni, proroghe, petizioni, -eccezioni, testimonianze, e così via, il tutto coll’indicazione de’ -luoghi, de’ tempi, delle persone; e ne dia copia alle parti, serbando -l’originale per ogni caso di dubbio[322]. Il diritto stesso ebbe -determinato il metodo delle citazioni e la sostanza della processura, -agevolate le riconvenzionali, tentate le vie di conciliazione, negli -appelli distinto l’effetto devolutivo dal sospensivo, ai rimedj -possessorj dato ampiezza e rigore. - -Mentre il diritto civile non lasciava star le donne in giudizio senza -consenso del marito, lo che impediva di reclamare contro di questo, -non così era de’ tribunali ecclesiastici, davanti ai quali veniva -contratta l’unione, stipulata la dote, discusso della infedeltà, -delle separazioni, del divorzio. Le leggi che proteggeano i beni -del clero insegnavano esistere un’altra proprietà non derivata dalla -spada, con altre garanzie che la violenza; garanzie che poi doveano -diventare comuni. Altre inviolabilità delle persone si conosceano dove -l’ecclesiastico era valutato a prezzo maggiore, non si potea sfidarne -i parenti, e l’offensore trovavasi a fare con una intera società -poderosa. L’asilo sottraeva il colpevole alla vendetta subitanea, -non già alla giustizia, a cui lo restituiva se riconosciuto reo: -l’escludere il duello obbligava ad accettare la composizione de’ -tribunali. Laonde, mentre pareva intendere al solo interesse proprio, -la Chiesa operava per le nazioni, che un giorno si assicurerebbero come -diritti quei ch’essa introduceva come privilegi[323]. - -Così miglioravasi il potere legislativo, passato dai forti ne’ -savj; più ne migliorava l’opinione: sicchè al cristianesimo, dice -Montesquieu, andiam debitori di un certo diritto delle genti nella -guerra, di cui la natura umana non potrà mai essergli abbastanza -riconoscente; il qual diritto fa tra noi che la vittoria lasci ai vinti -la vita, la libertà, le proprietà, le leggi, la religione. Dopo di che, -io mi confesso propenso a compatire ai compilatori delle Decretali se -non ebbero bastante critica per discernere le false, e se credettero -veramente che il papa fosse superiore a tutti i vescovi, e potesse -imporre ai re d’esser giusti e di non opprimere d’imposte i popoli. - -Intanto colla giurisprudenza la dottrina usciva dal santuario, e -lo scienziato non era soltanto _cherico_ ma anche dottore. Tutte -quelle discussioni poi, miste di teorica e di pratica, attestano un -inaspettato movimento intellettuale, che innovava la società non meno -che lo facesse lo sviluppo politico. Perocchè, quando una nazione -si sveglia, estende la sua attività sopra tutte le parti, siano le -politiche come le intellettuali e morali. - -Università chiamavasi già prima qualunque libera unione; e quel -nome presero anche gli scienziati in associazioni libere che -prevenivano l’azione de’ governi, e che ciascuna amministrava i -proprj affari. Qualche scienziato di grido prendeva a leggere in una -città; accorrevano uditori, altri dotti ne profittavano per venirvi -a spacciare la propria dottrina, e così formavasi una università. -In tanta scarsezza di libri e d’istruzione particolare non poteasi -imparare che dalla viva voce, onde non vi concorrevano ragazzi, ma -uomini fatti e già ragguardevoli; ed assumendo l’aria della società -civile, costituivansi a modo di Comuni, con onori e franchigie per -gli studenti e i professori; e avvivate dall’interesse che ispira la -verbale comunicazione fra questi e quelli, cogli studj indipendenti -crescevano di forza e dignità; e al modo de’ Comuni, cercavano -privilegi ai re e ai papi, il principale dei quali era di poter -conferire il dottorato. - -I professori, ai quali grande incitamento dava il trovarsi esposti al -guardo di tutta l’Europa letteraria, erano rimunerati dagli scolari, -nè l’università mantenevasi che per la reputazione di quelli. Le città, -vantaggiate dal concorso degli studiosi, adoperavano a mantenere quelle -unioni; poi fecero gara di offrire grossi stipendj. - -E maestri e università erano dunque tutt’altra cosa di queste moderne, -fomite inutile di corruzione in una gioventù che, mentre potrebbe -dappertutto ritrovare e libri e insegnanti, è raccolta a dissipare -fra lo stravizzo e il mal esempio il fiore dell’età, la freschezza -de’ sentimenti, i precetti morali bevuti al focolare paterno, e far -le prime prove del vizio, seguendo un corso uffiziale sotto professori -di cui non ha stima e fiducia, ma che sono decretati da un governo che -forse disama. - -L’importanza delle università fece favoleggiarne le origini. Quella -di Bologna si pretendea fondata da Teodosio II nel 443; ma il primo -privilegio, copiato da quel di Giustiniano per Berito, le fu rilasciato -in Roncaglia da Federico Barbarossa, onde proteggere quei che di -fuori venissero a quello studio, esimerli da processo per delitti o -per debiti, e potessero scegliere la particolare giurisdizione dei -professori, per esercitare la quale l’università eleggeva il rettore. -Da principio vi si studiò soltanto diritto, poi si aggiunsero arti -liberali e medicina; al fine Innocenzo VI v’unì scuola teologica sul -modello della parigina, sorta contemporaneamente, e che avea vanto -nella teologia scolastica e nella filosofia, come Bologna nella -giurisprudenza. Furono le due università più nominate nel medioevo: -ma la bolognese era composta degli scolari i quali sceglievano dei -capi, a’ quali dovevano rispondere anche i professori; alla parigina -non appartenevano che i professori, subordinati restando i discepoli: -sistemi derivanti dal diverso Governo delle due città e dalla natura -dell’insegnamento; quella, repubblica e volta alle leggi; questa, -monarchia e teologica. - -A Bologna dunque i varj portici formavano distinte università; e -quella del diritto era divisa in due, degli ultramontani con diciotto -nazioni, dei citramontani con diciassette[324]. Gli stranieri studenti -di diritto (_advenæ forenses_) godeano piene prerogative civili; -e convocati dal rettore, cui annualmente giuravano obbedienza, -costituivano università propria, con voce nelle assemblee. Ciascuna -nazione faceasi rappresentare da uno o due consiglieri, i quali, -col rettore, costituivano il senato per la disamina degli affari. -Un sindaco annuo rappresentava in giustizia le due università: un -notaro ne rogava gli atti, annuale anch’esso, come il massajo e i due -bidelli. Ogni anno pure eleggevasi un tassatore dalla città ed uno -dagli studenti, che fissassero il prezzo degli alloggi: lo scolaro avea -facoltà di rimanere tre anni nella casa prescelta; e il padrone che -esigesse di più, o a torto si querelasse del pigionale, o lo trattasse -men convenientemente, non potea più dare albergo ad altri. - -I professori, all’atto della promozione, poi una volta all’anno doveano -giurare obbedienza al rettore e agli statuti: potevano essere sospesi -e multati, non portar voto nelle adunanze, nè sostenere le cariche -dell’università: altrettanto era degli scolari natii di Bologna, -che non rimanevano sottratti dall’autorità municipale. Il rettore, -che doveva essere letterato, celibe, d’almeno venticinque anni, -di sufficienti sostanze, avere a proprie spese studiato il diritto -almeno cinque anni, e non appartenere ad ordini religiosi, rinnovavasi -annualmente a voce del predecessore, de’ consiglieri e di alcuni -elettori scelti dalle università; e nelle funzioni aveva il passo -sopra vescovi ed arcivescovi, eccetto quel di Bologna, ed anche sopra i -cardinali secolari. Il titolo di _magnifico_ nacque nel XV secolo. - -Pertanto nella città di Bologna quattro distinte giurisdizioni -vegliavano: i magistrati ordinarj, la curia vescovile, i professori, -il rettore. Le frequenti collisioni tra questi, l’irrequietudine degli -studenti e le riotte agitarono spesso la repubblica; qualche fiata gli -scolari tutti ritiraronsi in un’altra città, finchè non si consentisse -alle esorbitanti loro domande; qualche altra, dai papi scomunicata o -messa al bando dell’Impero, Bologna vedeva migrare la dotta folla, a -cui dovea vita e ricchezze. Con grandi privilegi la città allettava -gli studiosi; esimeva i professori dal servigio militare, poi da ogni -tassa; rifaceva de’ furti sofferti, se il rubatore non potesse. - -I dottorati doveano giurare non insegnerebbero altrove che a Bologna; -e morte e confisca era minacciata ai cittadini che sviassero uno -scolaro da quell’università, e così a professori bolognesi maggiori -di cinquant’anni, o agli stranieri stipendiati che passassero ad -altra scuola prima che la condotta scadesse. L’università toglieva -in protezione gli artisti che a servizio di essa lavoravano, come -amanuensi, miniatori, legatori, i fanti degli studenti, e alcuni -banchieri privilegiati per dare a prestanza agli scolari. Una bizzarra -regola imponeva agli Ebrei di pagare centoquattro libbre e mezzo ai -legali, e settanta agli studiosi delle arti per fare un festino in -carnevale. Alla prima neve che fioccasse, gli studenti andavano alla -busca, e di quel raccogliessero faceano statue o ritratti ai più -celebri professori. - -Dell’arcidiacono di Bologna era privilegio il laureare, nè altro -benefizio egli godeva che una parte delle propine. Il dottorato -conferivasi come grado dal collegio de’ legali, e dava diritto -d’insegnare e d’essere promosso: sebbene ai posti supremi non -s’elevassero che natii bolognesi. Sei anni di studio si richiedevano -per passar dottore in diritto canonico, otto pel civile; giurato -d’aver compito questo tempo, lo scolaro sosteneva l’esame privato e il -pubblico; e sopra due testi assegnati disputava innanzi all’arcidiacono -e al dottore che lo presentava, libero essendo agli altri dottori -d’objettare; e tosto era ricevuto fra’ licenziati. L’esame pubblico -teneasi nella cattedrale in solenne pompa, ove il licenziato recitava -la disposta diceria, ed esponeva una tesi di diritto, contro cui -gli studenti potevano argomentare; indi l’arcidiacono o un dottore -pronunziava l’encomio acclamandolo dottore, e gli si davano il libro, -l’anello, il berretto. Giuramento d’adempier bene gli obblighi del -dottorato non si prestava, sibbene alcuni giuramenti particolari. - -Laureato che uno fosse, avea diritto d’insegnare non solo a Bologna, -ma in qualunque università costituita per bolla papale. Ogni scolaro, -dopo cinque anni di studio, poteva insegnare, ma sopra un titolo solo; -e dopo sei, sopra un trattato intero, annuente il rettore: questi -chiamavansi baccellieri. Il corso durava dal 19 o 28 novembre al 7 -settembre; e ogni giovedì era vacanza, qualora nella settimana non -cadesse altra feria. Le lezioni si facevano parte all’avemaria del -mattino, parte dopo le diciannove ore, tutte occupate nell’insegnamento -orale. I corsi distinguevansi in ordinarj e straordinarj, secondo -i libri. Testi ordinarj, pel diritto romano il Digesto vecchio e il -Codice, pel canonico il Decreto e le Decretali: ogni altro libro era -straordinario, e i professori autorizzati a leggere su questi non -poteano insegnare sugli ordinarj. - -Nel 1260 vi si contarono fin diecimila scolari, con gran lucro dei -professori. Ai quali poi si assegnarono pubblici stipendj; e nel 1384 -ne troviamo a Bologna diciannove pel diritto, aventi dai cinquanta ai -trecento fiorini di trentatre soldi. Quando furono tutti stipendiati, -il professorato si riguardò come pubblica funzione. - -Lo studio della giurisprudenza tardò ad introdursi nelle università -forestiere, di modo che il trionfo di quella scienza fu sempre in -Italia, e non per decreto o favore de’ sovrani, ma per necessità dei -tempi. Alle città lombarde, libere, trafficanti, ricche, popolose, non -bastavano più le anguste transazioni dei codici germanici e la scarsa -cognizione del romano: dileguandosi il diritto personale introdotto da -Carlo Magno, s’abituavano a considerare gran parte dei popoli d’Europa -come intimamente uniti sotto l’Impero, e fra le varietà nazionali -riconoscere alcun che di comune, l’Impero, la Chiesa, la lingua latina. -Ora, appena formatasi la scuola bolognese, e diffuse le cognizioni coi -consulti, cogli scritti, con nuove scuole, anche il diritto romano si -considerò comune a tutta cristianità, il che lo ingrandiva nel concetto -de’ popoli. - -In Bologna primamente fu aggiunta agli altri studj la grammatica, e -Buoncompagno fiorentino, il quale fu coronato d’alloro, vi lesse la -sua _Forma literarum scholasticarum_, metodo per iscrivere a principi -e magistrati. Era costume che, chi bramava professare grammatica, -mandasse innanzi un’epistola, stillante eleganza ed erudizione, -_picturato verborum fastu et auctoritate philosophorum_; onde -Buoncompagno, motteggiatore superbo, ne finse una di siffatte, quasi -venisse da un professor nuovo, che chiamava a sfida lui stesso. Ne -tripudiarono gli emuli, levando a cielo la forbitezza della lettera -finta; poi al dì prefisso si raccolsero affollati nella metropolitana: -ma Buoncompagno sopragiunto manifestò la burla e mandò scornati i -rivali, mentre gli amici portarono lui a casa in trionfo. - -Sturbati dai tumulti civili di Bologna, alcuni scolari trapiantarono -a Padova la scuola di diritto (1222), divenuta poi nucleo di -quell’università, con statuti modellati sui bolognesi: se non che -nella comunanza entravano studenti, professori ed impiegati; e i -maestri erano eletti dagli scolari. Nessun suddito veneto saliva ad -alte magistrature, che non avesse studiato in quella università, la -sovraintendenza della quale era affidata a tre senatori. Un’altra -volta quegli scolari aveano trasferita l’università a Vicenza (1264), -ove durò sette anni. Un’altra (1316) si mutarono a Siena, che offrì -seimila fiorini per riscattare i libri da essi lasciati in pegno: -ma quella scuola fu presto chiusa, indi ripristinata da Carlo IV nel -1357; la facoltà teologica vi fu aggiunta nel 1408 da Gregorio XII. -L’università di Perugia nacque il 1276: della parmense (1221) è memoria -in Donnizone[325]. Il Comune di Vercelli nel 1228 ne aperse una per -teologia, diritto civile e canonico, scienze mediche, dialettica, -grammatica, divisa in quattro nazioni, una di Francia, Normandia, -Inghilterra, una d’Italiani, la terza di Teutonici, l’ultima di -Provenzali, Spagnuoli, Catalani; i rettori si obbligavano a condurre -molti scolari, e principalmente trarvene da Padova, non allearsi alle -fazioni del paese; e il Comune prometteva allestire cinquecento camere -agli scolari, buon mercato di vettovaglie, pubblica tranquillità, -non lasciarli inquietare per debiti o per rappresaglia, stipendiare a -detta di due scolari e due cittadini i maestri che sarebbero eletti dal -rettore. - -Fin dal XII secolo Pisa avea professori di diritto, ma lo studio -generale soltanto nel 1444 vi fu trasferito da Firenze, quasi a ristoro -della rapitale libertà, assegnandole annui seimila fiorini d’oro sul -tesoro, e cinquemila ottenendone dal papa per dispensa di benefizj, -onde lautamente provvedere ai professori[326]. È anteriore a Federico -II la scuola di Ferrara, da Bonifazio IX nel 1391 privilegiata come -studio generale. La romana, posta da Innocenzo IV, fu colla santa Sede -trasferita in Avignone, e Giovanni XXII la autorizzò a conferire i -gradi. Federico II istituì le scuole di Napoli nel 1224; sebbene non -permettesse di formare l’università di scolari e professori, largheggiò -di privilegi cogli studenti; ma non potè mai levarle a quel fiore che -ottenevano le scuole fondate dal libero concorso e dalla fiducia degli -studiosi. - -Altre n’ebbe Italia in que’ secoli e ne’ seguenti, massime di -diritto, a Piacenza (1243), a Modena (1189), a Reggio (1188). Da -Carlo IV nel 1360 fu privilegiata quella di Pavia, e Galeazzo Visconti -proibì a’ suoi sudditi di studiare altrove, e largamente rimunerò i -professori[327]. Quella di Torino fu riconosciuta dal papa solo nel -1405, e sei anni dappoi dall’imperatore: cancelliere n’era il vescovo. -All’università di Parigi, famosa per teologia, Alessandro III spedì -molti giovani ecclesiastici; molti Venezia di quelli che doveano poi -salire ai primi onori. - -Resta che diciamo dell’altro studio universitario, la medicina. -V’aveano rinomanza gli Arabi, che tradussero e commentarono gli autori -greci, e tramandarono a noi varj medicamenti ed elixir. Anche gli Ebrei -erano medici e chirurghi reputati, e ne’ libri talmudici si trovano -idee molto avanzate intorno all’anatomia. Fra’ Cristiani, questo, -come ogni altro sapere, venne a ridursi in mano di ecclesiastici e -principalmente di monaci, sebbene a questi dai canoni fossero vietate -le operazioni con fuoco e ferri taglienti; e san Benedetto a’ suoi -di Montecassino e Salerno impose la cura de’ malati. Costantino -Africano filosofo, visitate per quarant’anni le scuole arabe a Bagdad, -in Egitto, nell’India, di ritorno corse rischio d’essere ucciso -per mago (1070 ?); onde rifuggì a Salerno, e divenne secretario di -Roberto Guiscardo; poi nauseato dal fragor cortigiano, si ritirò -a Montecassino, traducendo i medici orientali. Ne crebbe rinomanza -alla scuola salernitana, e v’affluivano malati, alla cui guarigione -contribuivano la salubre posizione e le reliquie di san Matteo, santa -Tecla e santa Susanna. Venuto Enrico II a farsi estrarre la pietra, -san Benedetto durante il sonno compieva l’operazione, ponevagli la -pietra in mano, e cicatrizzava la ferita[328]. Nel secolo seguente, -sotto la direzione di Giovan da Milano vi si scrissero certi canoni -d’igiene in versi leonini, divulgati proverbialmente[329] e tradotti -in tutte le lingue. Poco dopo il Mille, Garisponto medico di Salerno -pubblicò il _Passionarius Galeni_, rimedj contro ogni sorta malattie, -tratti principalmente da Teodoro Prisciano: nè meglio vale Cofone, che -pubblicò una terapeutica generale (_Ars medendi_) secondo Ippocrate, -Galeno e gli Arabi, dove è a scorgere la prima indicazione del sistema -linfatico. Romualdo vescovo di Salerno fu consultato dai due Guglielmi -di Sicilia e dal papa. L’_Erbario_ della scuola salernitana, compilato -certamente prima del secolo XII, si diffuse per tutta Europa. - -Questa scuola fu la prima in Occidente ad introdurre i diversi -gradi accademici, imitandoli dagli Arabi. Dappoi Federico II ordinò, -nessuno esercitasse medicina se non licenziato da essa, e provato -di nascere legittimo, aver compito ventun anno, studiato logica tre -anni, poi cinque l’arte, e la chirurgia _che ne forma piccola parte_, -e spiegato l’_Arte_ di Galeno, il primo libro d’Avicenna, o un passo -degli _Aforismi_ d’Ippocrate, ed aver fatto pratica sotto un esperto. -Il candidato giurava attenersi alle cure consuete, denunziare il -farmacista che adulterasse i medicamenti, e trattare i poveri senza -mercede. Dai chirurghi chiedeasi un anno di studio a Salerno e Napoli, -poi un esame. Da poi si prescrissero cento minuzie; il medico visiti -due volte al giorno i malati che dimorano entro la città, e che possono -anche chiamarlo una volta la notte: il compenso era di mezzo tarì per -giorno, e fino a tre se il malato abitasse fuori. Così per le farmacie -era assegnata la tariffa, e dove piantarle, e gelose precauzioni. - -Allettavansi i medici con privilegi, esentarli da taglie, provvederli -d’uno o due cavalli; e Ugo di Lucca s’obbligò servire gratuitamente -a quei del contado bolognese nelle malattie ordinarie; ma per ferita -grave, osso rotto o slogato, possa da gente mezzana esigere un carro di -legna, dai ricchi soldi venti e un carro di fieno, nulla dai poveri; -accompagni l’esercito in campo, ed in compenso tocchi lire seicento -bolognesi. Fu dei primi a curar le ferite con solo vino[330], e seguì i -suoi concittadini in Terrasanta nel 1218. - -Quell’abitare a troppi insieme, il vestire di lana, i pellegrinaggi, -le nessune cautele sanitarie, agevolavano la propagazione de’ mali, e -la peste può dirsi non cessasse mai; ne’ tempi più infetti vedeansi a -folla trarre i pellegrini a perdonanze e giubilei; e tardi si pensò -a contumacie ed altri provvedimenti contro il contagio; nel che il -Comune di Milano diede forse il primo esempio. Dal Levante vennero -pure malattie nuove, di cui la più durevole e funesta fu il vajuolo, -che sembra arrivasse cogli Arabi al primo loro sbucare dalla penisola -natìa. Coi Crociati credesi qui venuto il fuoco sacro, a curare il -quale si dedicarono i frati di Sant’Antonio. Anche il ballo di san Vito -comparve dopo il Mille, come nella Puglia la tarantella. Più spesso -la lebbra serpeggiò sotto forme orride e schifose: prurito alle mani, -atroci spasimi interni; poi la pelle facevasi squamosa, e chiazzata di -macchie livide, rosse e fin nere, infine scabra quasi scorza d’alberi; -allora si copriva d’ulceri rossastre e tumori cancerosi; dita, mani, -piedi tumefacevansi sformatamente; le carni cadeano a brani, restandone -miserabilmente segnata la via dove molti fossero passati: il viso -prendeva un ringhio ributtante, i peli cadeano, rauca la voce; il male -invadeva il tessuto mucoso, membrane, glandule, muscoli, cartilagini, -ossa: fiera melanconia occupava l’infermo, che vedeva a passi -lentissimi avvicinarsi l’inevitabile risolvimento del morbo. - -Sotto i Longobardi i lebbrosi cacciavansi di città, e non poteano -vendere od alienare i proprj averi, affiggendovi l’idea d’un -particolare castigo di Dio, secondo qualche passo della Bibbia, -della quale vi si applicarono le precauzioni. Gli statuti d’ogni -Comune provvedono sullo scoprirli ed isolarli: la Chiesa stessa, che -parea maledirli, veniva a disacerbare le miserie, e a volgerle in -espiazione colle cerimonie miste di tristezza e di speranza, onde li -staccava dalla società. Celebrato in presenza dell’infermo l’uffizio -da morto, esortava ad essere buon cristiano e confidare nella carità -dei fratelli, da cui corporalmente era sequestrato; gli si vietava -d’accostarsi all’abitazione dei viventi, di lavarsi in rivo o in -fontana, d’andare per istrade anguste, di toccar bambini o la fune dei -pozzi, nè bevere che dalla sua scodella; poi benedetti gli utensili -che doveano servirgli nella solitudine, fattagli limosina da ciascun -assistente, il clero accompagnato dai fedeli lo conduceva alla -capanna destinatagli, davanti a cui piantata una croce di legno, vi -sospendeva un bossolo per ricevere la limosina de’ passeggeri. Un abito -particolare distingueva quell’infelice, e guanti e certi battagliuoli -ch’e’ dovea sonare invece di parlare. A Pasqua poteva uscire -dall’anticipato sepolcro, e per alcuni giorni entrar nella città o -nei villaggi, partecipe all’universale esultanza della cristianità. Le -mogli poteano seguirli, e procacciare le consolazioni della famiglia. -Quelle poi della carità erano pari al male: il concilio Lateranese III, -disapprovando il rigore con cui alcuno li trattava, dichiarò la Chiesa -esser madre comune dei Fedeli; i lebbrosi poter essere più meritevoli -che i sani; perciò si facesser loro e chiesa e cimitero distinti, e un -prete a cura delle loro anime, e dispensati dal dare la decima degli -orti e del bestiame. A loro pro moltiplicavansi i lazzaretti, così -denominati (ed essi lazzari) dal povero del vangelo. L’arcivescovo di -Milano alla domenica delle palme, andando in processione a San Lorenzo, -al Carrobbio lavava e vestiva di nuovo un lebbroso; per ispeciale loro -sollievo fu istituito l’ordine di san Lazzaro, il cui granmaestro -doveva essere lebbroso, acciocchè meglio sapesse consolare mali che -avea provati: stupendo sforzo della cavalleria cristiana il nobilitare -in certo modo la più stomachevole delle malattie. - -Caterina da Siena curando e sepellendo una lebbrosa, ne contrasse -l’infermità; ma di subito le mani sue divennero bianche e liscie come -d’un bambino. Francesco d’Assisi, trovatone uno in val di Spoleto, -l’abbracciò e baciò nella bocca cancerosa, e così l’ebbe guarito: -vedendone un altro nel piano d’Assisi, s’accostò a fargli limosina; e -ad un tratto più nol vide, sicchè restò persuaso fosse nostro Signore, -che spesso assumeva quella schifosa sembianza per mettere a prova -la carità. E però Francesco raccomandava a’ suoi frati i lebbrosi, -e congedava i novizj che non sapessero sostenerne la cura. Uno che -per l’impazienza e per le bestemmie era insoffribile a’ frati, tolse -Francesco a curarlo egli stesso, e l’imbonì, e lavò, e «dove toccava -il santo colle sue mani, si partiva la lebbra dall’infermo, e rimaneva -la sua carne perfettamente sana; sì che mentre il corpo si mondava -di fuori dalla lebbra, l’anima si mondava dal peccato dentro per la -contrizione». Dopo rigorose penitenze il lebbroso morì, e comparve -a Francesco e gli disse: — Mi riconosci tu? io son quel lebbroso che -fu sanato da Cristo per li tuoi meriti, e oggi me ne vado alla gloria -eterna; di che rendo grazie a Dio e a te, perocchè per te molte anime -si salveranno quaggiù»[331]. - -Nelle spedizioni in Asia i nostri poterono profittare della sperienza -degli Arabi, e di fatto allora si conobbero la cassia e la senna: -la teriaca, polifarmaco fondamentale del medioevo, fu da Antiochia -portata a Venezia, che lungamente ne custodì il secreto. Ruggero -di Parma raccomandò la spugna marina per le scrofole, ed eccellenti -pratiche chirurgiche. Rolando di Parma stese un trattato di chirurgia, -commentato poi da quattro Salernitani. Guglielmo da Saliceto -piacentino, uno de’ migliori di quell’età e abbastanza indipendente, -stese con qualche esattezza un’anatomia compendiosa, precedette Willis -nel distinguere i nervi addetti alla volontà o no, e descrive fin -d’allora la sifilide. - -Lanfranco di Milano, spatriato quando più non potè opporsi a Matteo -Visconti, rizzò cattedra a Parigi (1295), e trasse tanti ascoltatori, -che celeberrima divenne la scuola dei chirurghi secolari. Sebbene -il chirurgo si tenesse molto inferiore ai medici, che perciò non -si sarebbero prestati alle operazioni, preferendo usare farmachi, -Lanfranco operò spesso, ed è lodevole quel suo dare l’anatomia -dell’organo di cui descrive le lesioni. - -Teodorico vescovo di Bitonto osservò da sè, e sostituì le fasciature -di tela ai grandi apparecchi di legno nella frattura di ossa. Taddeo -d’Alderotto fiorentino, filosoficamente illustrando Ippocrate e Galeno, -acquistò tanta reputazione nella sua scienza quanto Accursio nella -legale: eppure delira qualvolta pretende rivelare i segreti delle -arti, nascosti sotto il gergo degli autori. Chiamato ad assistere il -nobile Gherardo Rangone (1285), volle che, per istromento rogato, i -tre procuratori di quello il garantissero d’ogni danno in viaggio, -e che lo ricondurrebbero in Bologna indenne della persona e della -borsa, non molestato da ladri o da nemici, non fermato contro voglia -a Modena; in caso contrario, gli si pagherebbero lire mille imperiali -per ciascuno degli articoli violati; essi poi gli restituiranno tremila -lire bolognesi, che confessano aver ricevuto in deposito: finzione che -vela una remunerazione esorbitante[332]. Al papa domandò cento ducati -d’oro il giorno, perchè più ricco degli altri, i quali gliene davano -cinquanta; onde, finita la cura, ne toccò diecimila. Bartolomeo da -Varignana dal marchese d’Este ebbe per una cura ducensessanta fiorini -d’oro. - -Simon di Cordo genovese, medico di Nicolò IV, nella _Clavis -sanationis_, dizionario de’ medicamenti semplici, cercò sbrogliare la -varietà di nomenclatura. Viaggiò trent’anni per scientifico intento -la Grecia e l’Oriente, ma invece di determinare i corpi secondo la -natura loro, si stava a qualità medicinali, e non desunte da sperienza -ma da supposte doti elementari. E appunto i progressi delle scienze -naturali erano impacciati dall’empirismo superstizioso, dalla cieca -venerazione per l’autorità, e dal farnetico di sostituire la dialettica -allo sperimento, aggomitolando interminabili argomentazioni sopra -oziosissime ricerche. Per esempio, chiedevasi se la tal bevanda possa -guarire la febbre, e rispondeasi di no, perchè quella è una sostanza e -questa un accidente, nè quindi l’uno può sull’altro. Poco si studiava -l’anatomia: le operazioni non si eseguivano senza consultare le -stelle, supponendo intimo nesso fra il corpo umano e l’universo, e -principalmente i pianeti: e le scienze sperimentali cedevano il primo -posto alle occulte. - -Oggetto di queste era conoscere l’avvenire, scoprir tesori, trasmutare -i metalli, fare amuleti e incantagioni, e comporre il rimedio -universale e l’elisir dell’immortalità: a scopi così elevati qual -fatica aveva a parere soverchia? Sull’avvenire cavavansi presagi da -segni fortuiti, dalle linee della mano, dalle stelle, dai sogni, della -cui divinazione come dubitare dopo quel che Ippocrate n’aveva scritto? -e indovinavasi in fatti alcuna volta, perchè è difficile non riuscirvi -quando si dice un po’ di tutto e vagamente. - -L’astrologia, pazza figlia di savia madre, si trova all’infanzia -come alla decrepitezza della società, fra i dotti Romani come fra -semplici Oceanici. L’uomo è centro e scopo della creazione, onde a -lui si riferisce ogni cosa; e se (com’è certo) il sole e le altre -stelle influiscono sulle stagioni, sulla vegetazione, sugli animali, -quanto più non devono sull’uomo, prediletta fra le creature? Le storie -(dicono gli astrologi) e il consenso de’ filosofi antichi s’accordano -nel riconoscere un’analogia fra gli anni della vita e i gradi percorsi -da ciascun segno sull’eclittica. Per iscoprirla, vuolsi accertare -l’effetto degli astri sopra le varie cose naturali, e i computi de’ -moti, e certe formole arcane, mediante le quali o crescere le forze -della natura, o determinare l’influsso dei pianeti, massime all’istante -natalizio, od evocare gli spiriti e i morti. Il sapiente che conosca -le occulte proprietà delle cose, non solo indovinerà l’avvenire, -ma opererà su di esso, eccitando odio od amore, scoprendo i secreti -divisamenti, i tesori occulti, i rimedj ai mali, e fin il supremo della -scienza, l’arte di far oro. - -I fenomeni della natura sono invigoriti dai numeri, attesochè secondo -questi è disposto l’universo, e possedono arcana efficacia. Di qui la -cabala, che da combinazione di numeri credea divinar le cose arcane, ed -acquistare autorità sopra gli spiriti: e ogni astrologo ed alchimista -si millantava di qualche demone famigliare obbediente a’ suoi cenni. -Così intralciavansi fra sè gli errori, dalla pagana superstizione -tramandatici attraverso alle scuole neoplatoniche e al gnosticismo. - -Fu l’astrologia onorata di cattedre, e l’università di Bologna -ne decretava un professore _tamquam necessarissimum_, e principi -e repubbliche ne teneano uno da consultare ne’ più gravi casi. -Ezelino, Buoso da Dovara, Uberto Pelavicino, tiranni formidabili, -tremavano davanti alle potenze incognite, e i calcoli della prudenza -e dell’ambizione sottoponevano alla decisione degli astri e dei loro -interpreti; e nella Vaticana si conservano le risposte che ai loro -consulti dava Gherardo da Sabbionetta cremonese. Federico II voleasi -attorno il fior degli astrologi, a senno loro mutando divisamenti[333]; -e quando nel 1239 udì la ribellione di Treviso, fece dalla torre -di Padova osservare l’ascendente da maestro Teodoro; ma non avvertì -(riflette Rolandino) che allora nella terza casa stava lo scorpione, -il quale avendo il veleno nella coda, indicava che l’esercito sarebbe -offeso verso il fine. Stando in Vicenza, volle che un astrologo -gl’indovinasse per qual porta uscirebbe il domani; e quegli la -scrisse in un polizzino, che suggellato consegnò a Federico perchè non -l’aprisse se non uscito. L’imperatore fece una breccia nella mura, e -per quella se n’andò; allora, aperto il foglietto, trovò scritto: _Per -porta nuova_. - -Il suddetto Gherardo andò a Toledo per leggere l’_Almagesto_ di -Tolomeo, e lo voltò in latino, come il trattato de’ crepuscoli -di Al-Gazen e altre opere; inventò lo specillo, e la sua _Theoria -planetarum_ leggevasi nelle università[334]. Andalon Di Negro genovese, -arricchitosi di cognizioni nei viaggi, ci lasciò un trattato latino -della composizione dell’astrolabio. - -Guido Bonatto da Forlì diede la quintessenza di quanto gli Arabi -n’aveano scritto[335], e coll’ajuto di Dio e di san Valeriano, patrono -della sua patria, discorre l’utilità dell’astrologia, la natura de’ -pianeti e loro congiunzioni ed influenze, i giudizj che se ne deducono, -e varie questioni che si possono risolvere con questa scienza. Mirabile -nella pratica di quest’impostura, a Federico II scoperse una congiura -ordita a Grosseto; fabbricò una statua che rispondeva oracoli; dirigeva -ogni operazione di Guido da Montefeltro; e allorchè questi uscisse -a campo, il Bonatto saliva sul campanile di San Mercuriale, e con un -tocco della squilla accennava il momento di vestir l’armadura, con un -altro quel di montare a cavallo, col terzo la marciata. Pretendeva che -Gesù Cristo medesimo si valesse dell’astrologia, e imbizzarrisse contro -i _tunicati_ che si opponevano alle sue predizioni. - -Pietro d’Abano, educato a Costantinopoli (1316), fu sì fortunato da -cogliere la postura degli astri, designata da Abul-Nasar come quella in -cui Dio non può rifiutare domanda che gli sia fatta: e ne profittò per -chiedere la sapienza, e subito restò illuminato a conoscere l’avvenire. -Moltissime fole si accumularono sul conto di lui; delle sette arti -liberali acquistò cognizione per mezzo di sette spiriti; avea facoltà -di far tornare i denari dopo spesi; non avendo pozzo in casa, fe -portarsi quel del vicino che gliene negava l’uso, o, come altri -disse, fe portare in istrada il proprio onde non essere disturbato -dagli accorrenti. In realtà nel suo _Conciliator differentiarum_, -un de’ migliori libri medici d’allora, insegna il salasso non esser -mai sì opportuno come nel primo quarto della luna; che per guarire i -dolori nefritici bisogna, al momento che il sole passa pel meridiano, -disegnare con cuore di leone sopra una lastra d’oro una figura di -quest’animale, e appenderla al collo del malato; che per cauterizzare -valgono meglio stromenti d’oro che di ferro, attesa la grande influenza -di Marte sulla chirurgia. - -Fu professore a Padova ed a Parigi, ove lo accusarono di magia per -cure mediche ben riuscitegli; poi d’eresia a Roma, ma per autorità -pontifizia andò assolto. Riferì al corso degli astri i periodi delle -febbri; il pubblico palazzo di Padova fece dipingere a costellazioni; -e dell’astrologia era persuaso a tal punto, che procurò indurre -i Padovani a spianar la loro città per rifabbricarla sotto una -combinazione di pianeti allora comparsa, tanto fortunata che niuna -più. Forse queste son ciancie di Pier da Reggio, che, vinto da lui in -dottrina, tentò perderlo nell’opinione; onde con accuse contraddittorie -Pietro d’Abano fu imputato da una parte di non credere al diavolo, -dall’altra di tenerne sette in un’ampolla ad ogni suo cenno; per le -quali accuse e per altre più serie l’Inquisizione lo processò. Venuto -a morte, disse agli amici: — A tre nobili scienze io ho dato opera, -delle quali una m’ha fatto sottile, una ricco, la terza menzognero; -filosofia, medicina, astrologia». Nel testamento si protesta buon -cattolico, e aveva implorato d’essere sepolto ne’ Domenicani; ma -l’Inquisizione gli continuò il processo, e ne turbò le ossa. L’illustre -medico Gentile da Foligno, entrando nella scuola di lui, s’inginocchiò, -e levate le mani sclamò: — Ave, santo tempio»; poi, visti alcuni suoi -manoscritti, se li pose sul seno e li baciava con riverenza[336]. - -Sebbene la Chiesa vi si opponesse, vescovi e prelati non rimasero -incontaminati da queste follie, che durarono ben oltre i tempi che -descriviamo. Conseguente a tali falsità fu il ripigliare le classiche -credenze in folletti, spettri, fantasmi, vampiri; credenze fatte -energiche come i tempi, e che acquistarono maggior fede allorchè si -videro perseguitate con regolari processi: l’immaginativa fingeva -avvenimenti ch’essa medesima credea poi veri; e uomini di bollente -fantasia si isolavano, dispettando il mondo reale per uno fantastico, e -mescolando l’impostura, l’allucinamento e il fanatismo. La legislazione -dovette intervenire a reprimere gente che destava le procelle, mutava -le forme de’ corpi e degli uomini, produceva malattie; e gli assurdi -processi traviarono gran tempo la giustizia, siccome avremo a deplorare -nel secolo che chiamano d’oro. - -Non alle vite, ma alle sostanze recò danni la ricerca del come -improvvisamente arricchire. A ciò due strade offerivano le scienze -occulte; trovare tesori, e tramutare i metalli. Intorno ai tesori, -stupendi fatti raccontano le cronache, e gli assegnano perfino ad -Alberto Magno e a papa Silvestro II[337]. In Apulia era una statua di -marmo con una corona d’oro iscritta: _A calen di maggio, sole nascente, -ho il capo d’oro_. Nessuno intese il motto, sinchè Roberto Guiscardo -ne strappò il secreto ad un prigioniero saracino; e fissato ove cadeva -l’ombra della testa al primo maggio, trovò tesoro. - -La chimica degli antichi teneva che i corpi risultino dalla -combinazione de’ quattro elementi, e che l’armonia di questi produca -la perfezione nei corpi. Chi dunque scopra le migliori combinazioni, -potrà non solo ridonar la sanità e prolungare indefinitamente la vita, -ma anche trasformare corpi e metalli. Sentimento sublime, comunque -erroneo, della potenza dell’uomo e della perfettibilità di tutto il -creato. E poichè l’uomo vede nell’oro il rappresentante universale dei -godimenti, la scienza s’industriò in ispecial modo a tramutare in esso -lo stagno e il mercurio, mediante la _pietra filosofale_ e la _polvere -di projezione_; e non riuscendovi coi mezzi semplici, ricorse allo -spirito universale, all’anima generale del mondo, all’influsso delle -stelle per raggiungere l’_opera grande_. Di qui la scienza arcana e -tenebrosa dell’alchimia, che tanti spiriti occupò. - -Le sue ricette erano positive: se non che spiegavasi l’arcano -con termini non meno arcani. Volete, intonavano, fare l’elisir -de’ sapienti? prendete il mercurio dei filosofi, trasformatelo -successivamente colla calcinazione in leon verde e leon rosso, fatelo -digerire in bagno di sabbia con spirto acre di vite, e distillate il -prodotto; ma il lambicco sia coperto dalle ombre cimerie, e al fondo si -troverà un drago nero che mangia la propria coda... Inoltre la scienza -ermetica ajutavasi della verga di Mosè, del sasso di Sisifo, del vello -di Giasone, del vaso di Pandora, del femore aureo di Pitagora; se nulla -profittassero, ricorrevasi al diavolo barbuto, specialmente incaricato -di tali ministeri. - -A questo delirio di classica origine[338], continuato ancora secoli -e secoli, alcuni si prestavano di buona fede; e la testimonianza -altrui o le apparenze illusorie li persuasero potersi trovare questa -polvere di projezione: onde vi si affaticarono con passione, faceano -lunghi viaggi massime al Sinai, all’Oreb, all’Atos. Più spesso era -un lacciuolo ai creduli, per trarne l’oro necessario a far oro; ma a -Giovanni Augurello, che gli presentò un poema sull’arte di far l’oro -(_Crisopeia_), papa Leone X diè per unico regalo una borsa vuota, nella -quale potesse riporlo. - -Facile è il deridere le ignoranze o stranezze de’ nostri maggiori, -massime a chi perda di vista quelle che in noi derideranno i nostri -nipoti. La scienza seria anche in questi traviamenti indaga i -progressi dell’intelletto e della società, e riconosce nell’errore un -aspetto fallace della verità, ma nuovo e progressivo. Il disputare -nelle università al cospetto di tutto il mondo erudito d’allora, e -fra una gioventù che vivamente parteggiava, conduceva a ricorrere a -sottigliezze, quando la pessima sventura per un dottore sarebbe stata -il rimanere accalappiato in un’argomentazione da cui non sapesse -strigarsi: onde i dibattimenti diventavano non uno sforzo verso la -verità, ma un’arena di capiglie; e la filosofia, come già la teologia, -ebbe martiri ostinati d’indicifrabili enigmi. Pure se sbriciolavasi -il pensiero, veniva anche analizzato; acuivasi il raziocinio, che -dell’errore e della verità è veicolo, non mai causa; in quella -ginnastica gl’intelletti si foggiavano allo stretto ragionamento, -all’ordine ed all’economia delle idee, alla costanza del metodo, e si -poterono svolgere i concetti morali e metafisici di cui la Scolastica -avea posto i germi, conservandone il fondo, cangiando la forma. Della -Scolastica è merito l’andamento analitico delle moderne favelle, che -per la stretta relazione delle parole colle cose svelano il logico -procedere della ragione odierna, dovuto a quella comunque malaccorta -educazione. L’astrologia e l’alchimia portarono a meditare sopra il -sistema del mondo e la composizione dei corpi. - -Nè le matematiche, la parte più rilevante dello scibile dopo la lingua, -erano perite, e basterebbero ad attestarlo i progressi della meccanica -e dell’architettura. Resta nella cattedrale di Firenze un calendario -scritto nell’813, con bellissime traccie d’osservazioni celesti, per le -quali l’autore si era accorto dello spostamento de’ punti equinoziali -dopo il concilio Niceno I, stando al computo giuliano. D’un geografo -di Ravenna abbiamo una rozza descrizione del mondo, cui può servire di -schiarimento una mappa del 787 che sta nella biblioteca di Torino in un -commento manoscritto dell’Apocalisse. La geografia dovea vantaggiarsi -dai tanti viaggi di devozione, per guida dei quali stendevansi -itinerarj; ma come scienza ben poco progredì. - -San Tommaso intendeva addentro nelle matematiche, e scrisse degli -acquedotti e delle macchine idrauliche. Campano novarese commentò -Euclide, studiò alla quadratura del circolo e alla teorica de’ pianeti, -e indicò la genesi de’ poligoni stellati: Urbano IV lo teneva frequente -alla sua tavola con altri, da cui godeva sentire spiegate le quistioni -che proponesse. Paolo Dagomeri da Prato, detto l’Abbaco per la sua -perizia nell’aritmetica e nella geometria, rappresentava in macchine -tutti i moti degli astri: fu il primo a pubblicare un almanacco. -Biagio Pelacani da Parma spiegò le apparenze prodigiose dell’atmosfera -mediante la riflessione delle nubi. - -Di que’ tempi, e merito degli Italiani fu una comodissima novità. -Mentre gli antichi, siano i classici, siano gli Ebrei e gli Arabi, -notavano i numeri con lettere, gl’Indiani possedevano una numerazione -più ragionata, ove le cifre, oltre il proprio, hanno un valore di -posizione, sicchè trasportate al penultimo posto esprimono le decine, -al terz’ultimo le centinaja, e così via: da essi l’appresero gli Arabi, -e alcun Europeo se ne valse in opere scientifiche. Leonardo Fibonacci -di Pisa, stando impiegato nelle dogane a Bugia di Barberia, cercò -quanto d’aritmetica sapeasi in Egitto, in Grecia, in Siria, in Sicilia, -e in un trattato d’aritmetica e d’algebra del 1202 si valse di queste -ch’egli chiama cifre indiane. Gloria sua più certa è l’avere primo -fra i Cristiani trattato dell’algebra, e in modo tale che tre secoli -di concordi fatiche non aggiunsero un punto a quel ch’egli insegnò. -L’applica esso a problemi mercantili, senza un cenno delle operazioni -magiche, dietro cui deliravano anche i più valenti. Così un negoziante -fiorentino recò all’Europa e il calcolo de’ valori e quello delle -funzioni. - -Altra invenzione importantissima di quel tempo sarebbero le note -musicali, che si attribuiscono a Guido d’Arezzo monaco benedettino (n. -955); ma in che consista il merito di lui, non è ben certo. Imperocchè -i righi e i punti già erano conosciuti; non fu lui che introducesse -la gamma per imparare il solfeggio; non lui che estese la scala -aggiungendo cinque corde alle quindici degli antichi. La tradizione -dice soltanto ch’egli trovò note, onde in brevissim’ora imparavasi -la musica, che dapprima richiedeva molti anni; e che Benedetto VIII, -invitatolo a Roma per farne prova, se ne chiamò soddisfatto. La sua -scala è la stessa de’ Greci, solo estesa alquanto aggiungendovi un -tetracordo nell’accordo e una corda nel grave[339]; e alcun vuole -che allora alle lettere gregoriane si sostituissero punti quadrati o -rotondi sopra righi paralleli e negli intervalli, sicchè le relazioni -armoniche de’ toni divennero quasi sensibili alla vista, e la facilità -del notarle con punti sopra punti (contrappunto) ne rese agevole -l’esecuzione. - -Sant’Ambrogio e Gregorio Magno aveano redenta la musica dalle pagane -profanità e dall’elemento mondano, secondo il quale proponeasi -unicamente d’esprimere la durata delle sensazioni, e imitare i -movimenti delle impressioni prodotte dalla passione e dal sentimento; -abolito il ritmo, sicchè il canto non fosse più capace di esprimere -i sentimenti e le passioni, ma restasse affatto spirituale; atteso -che, essendo le note tutte di durata eguale, meglio esprimevano, -nel vestire le parole sante, l’inalterabile calma dell’onnipotenza. -Però si conservarono i modi antichi, che erano toni esprimenti la -differenza dal grave all’acuto fra i varj punti di partenza dei sistemi -di successione. Ambrogio aveva unito i due tetracordi per formare -la scala; e scelto fra i modi greci i quattro che più acconci gli -parvero alla maestà del canto e all’estensione della voce, sbandì -gli ornamenti introdotti nella melopea, e gran numero di ritmi: -insigne semplificazione e barriera alle novità corruttrici, perchè -anche la musica colla purezza semplice e maestosa ritraesse la severa -austerità del culto. Gregorio, sull’orme d’Ambrogio, e schivandone -gl’inconvenienti, aggiunse quattro nuovi modi, ond’evitare la -monotonia. - -Restava che la musica cristiana conquistasse l’armonia, ignota ai -Greci; e mentre in questi le regole non miravano che a stabilire -successioni, ora doveasi introdurre la simultaneità dei suoni. Malgrado -gli ostacoli dell’abitudine e della venerazione verso gli antichi, si -poterono fare intendere due voci a un tratto: ma quando si cominciasse -non si sa. Guido d’Arezzo non diede nuove regole all’arte, ma mostra -evidente che già allora conoscevasi la difonia, quantunque ignoriamo a -quali regole formata. - - - - -CAPITOLO XCI. - -Federico II. Seconda guerra dell’investitura. - - -Nel concilio Lateranense IV, aperto l’11 novembre 1215, l’autorità -pontifizia apparve nella maggior sua magnificenza. I due imperatori -d’Oriente e d’Occidente, i re di Cipro, di Gerusalemme, di Sicilia, di -Francia, d’Inghilterra, d’Aragona, d’Ungheria mandaronvi ambasciadori; -i patriarchi d’Antiochia e di Gerusalemme v’assistettero in persona, e -per rappresentanti quei di Costantinopoli e d’Alessandria; settantuno -arcivescovi, quattrocendodici vescovi, e più di ottocento abati e -priori; e tale affluenza di popolo, che alcuni prelati non poterono -penetrare nella basilica, e il vescovo d’Amalfi restò soffocato. -In mezzo a un circolo di cardinali ornati in maestosa semplicità, -compariva il pontefice, che aveva veduto Costantinopoli rimessa alla -sua obbedienza; era uscito trionfante dalla guerra degli Albigesi e -dalla lotta con Ottone imperatore e col re d’Inghilterra, che gli fe -omaggio della sua corona; all’ombra di lui, quest’isola aveva ottenuto -la _Magna Charta_ salvaguardia di sua libertà, le città toscane formato -una confederazione, e le lombarde rinnovato l’antica; gli Spagnuoli nel -piano di Tolosa riportata insigne vittoria che li francheggiava omai -dall’araba servitù; da lui il re d’Aragona domandò la corona; quel di -Bulgaria gli sottomise la sua; sulla Sicilia avea sodato la supremazia -della santa Sede, dopo averla rinfrancata in Roma; in due Ordini, -baliosi di gioventù, erasi creata una milizia stabile, disposta ad ogni -suo comando. Ed ora al mondo intero, pendente dalle sue infallibili -decisioni, dettava i canoni della credenza e le regole della disciplina -ecclesiastica e civile: vietato l’affidare funzioni pubbliche a -Musulmani o Ebrei, o il vendere armi agli Infedeli; frenata l’usura, -proscritti i Patarini, e per distinguersi da questi dovessero i -Cattolici almeno una volta l’anno comunicarsi alla propria parrocchia; -confermata la dottrina di Pier Lombardo intorno alla Trinità, -riprovando quel che n’avea scritto «il calabrese abate Gioacchino», -scrittore mistico, rinomato per predizioni; ordinata pace generale per -quattro anni. - -Vicario della divinità in terra pel governo temporale e per lo -spirituale, il pontefice avea dunque portate ad effetto le massime che -le Decretali avevano sancite, proclamando la potenza ecclesiastica -essere il sole, da cui, a guisa di luna, la imperiale traeva il suo -splendore[340]. Spiegando le relazioni del potere temporale collo -spirituale, Innocenzo III scriveva[341]: — Il Signore non solo per -costituire l’ordine spirituale, ma anche perchè una certa uniformità -fra la creazione e il corso degli avvenimenti l’annunzii autore di -tutte le cose, stabilì armonia fra cielo e terra, in modo che la -meravigliosa consonanza del piccolo col grande, del basso coll’alto, ce -lo riveli per unico e supremo creatore. Come stampò due grandi luminari -sulla volta celeste, così affisse al firmamento della Chiesa due -supreme dignità, una che splenda il giorno, cioè illumini gl’intelletti -sopra le cose spirituali, e franchi dalle catene le anime tenute -nell’errore; l’altra che schiari le notti, cioè gli eretici indurati -e i nemici della fede, e impugni la spada per castigo de’ reprobi -e gloria dei fedeli. E come, offuscando la luna, buja notte involge -le cose; così, quando mancasi d’imperatore, prorompe la rabbia degli -eretici e dei pagani». - -Pretendenze non meno assolute sillogizzavano i giuristi, attribuendo -agli imperatori un potere senza limiti, quale avea formato la possa e -l’obbrobrio di Roma antica; e con argomento di pari calibro nelle nuove -università insegnando il _sacro impero_ elevarsi sopra ogni mondana -cosa, l’imperatore portare in mano il globo a significare la padronanza -sull’universo mondo. - -Arroganze sì opposte doveano rinnovare il conflitto tra il pastorale -e lo scettro. Cominciato da Gregorio VII, erasi sopito con un -accordo, ove l’imperatore crebbe di vantaggi, il papa d’opinione. Dopo -ottant’anni si ridestò più palese e meglio determinato, non trattandosi -più d’una formalità feudale, ma se la Chiesa dovesse star sottoposta -all’Impero. Anche i lottanti erano ben differenti: l’inflessibile -Gregorio più non viveva, e al posto d’un Enrico IV, principe -scapestrato e inviso, stavano i principi di Svevia, nobili, generosi, -cortesi, fautori delle lettere, cinti da signori tedeschi, che fedeli -al re e alla donna di lui, lo seguivano del pari al torneo od alle -spedizioni oltre l’alpi e il mare. - -Federico II, rampollo ghibellino allevato dal papa e da lui sostenuto -contro il guelfo Ottone, sicchè per ischerno veniva detto il re dei -preti, mostrò deferenza e rispetto a Innocenzo III finchè n’ebbe -bisogno: esortò il senato romano ad obbedirgli; nella dieta di Egra -solennemente professò, pei tanti favori avuti dalla romana Chiesa, -le sarebbe sempre rispettoso e sommesso; le confermava le concessioni -fatte da Ottone; l’aiuterebbe a conservare i dominj, e nominatamente -la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e a recuperare i disputati, -come l’eredità della contessa Matilde; — Appena consacrati a Roma -(soggiungeva) emanciperemo nostro figlio Enrico, cedendogli il regno -nostro ereditario di Sicilia, sicchè il tenga come il teniam noi dalla -santa Sede; e noi rinunzieremo al titolo regio e al governo di quel -paese, di modo che mai non possa essere unito all’Impero»[342]. - -Oggi chiameremmo ciò politica; allora parve ipocrisia: giacchè al -tempo stesso ricusava far giustizia alle domande della Chiesa; pretese -che Innocenzo gli avesse peggiorato il patrimonio, e perciò a Ricardo -fratello di lui ritolse il contado di Sora, e spogliò altri che dal -papa erano stati investiti; fece anche morire qualche vescovo per -ribelle, e non rifiniva di lamentarsi che Roma raccogliesse chi a lui -era sfavorevole; e soltanto la morte sottrasse Innocenzo dal vedere il -suo pupillo morsicare il seno che l’aveva nodrito. - -Federico, gioviale, colto, amabile, atto a conciliarsi gli animi, -quanto alienavali la rozzezza d’Ottone, rimase indisputato re di -Germania allorchè questo morì pentito e ricreduto della guerra portata -alla Chiesa, e facendosi flagellare dai servi per penitenza (1218). -Propenso alle armi a somiglianza degli Svevi paterni, e a somiglianza -dei materni Normanni destro nella politica e dissimulato, segnò con -buoni provvedimenti i cinque anni che dimorò in Germania; poi si -volse all’Italia, alla quale lo traevano la bellezza del cielo, le -rimembranze di sua gioventù, la coltura degli abitanti, e il proposito -di tornar vigoroso l’Impero. Raccontavasi che, ancor fanciullo, tra il -sogno gridò: — Non posso, non posso»; e interrogato rispose parevagli -di mangiare tutte le campane del mondo: ma ne abboccò una così grossa, -che in verun modo non potea trangugiare. Vedemmo più volte il medio evo -tradurre i fatti in cotali storielle. - -In Lombardia le città principali venivano allargando il dominio, non -più soltanto sovra le terre circostanti, ma su città minori, inviandovi -podestà ed esigendone tributi, per modo che l’infinito sminuzzamento -riconosciuto dalla Lega Lombarda restringevasi attorno ad alcuni -centri. Uno de’ principali era Milano, che moltiplicava guerre a -Pavesi, Cremonesi, Parmigiani, Modenesi, e che caporione della parte -guelfa, trovavasi però, come fautore di Ottone IV, scomunicata dal -papa, divenuto patrono del discendente degli Svevi. - -Federico vide non riuscirebbe ad alcun pro fra tanto rimestìo; e -differendo a miglior tempo il cingere la corona di ferro, scese verso -il mezzodì. Il nuovo papa Onorio III dei Savelli era stato ricevuto -dai Romani con tripudj (1216), quali niuno ricordava d’aver veduti; -pochi mesi dopo dai Romani fu espulso, e costretto a ritirarsi a Rieti -e a Viterbo. Mite pontefice in mezzo a due robusti, ai re insinuava -continuo la mansuetudine sua stessa: istruito dal nunzio che lo -scisma greco non potrebbe ricomporsi che col rigore, vietò d’usarne, -non dovendosi tutelare la fede che coll’istruzione, la preghiera, -il buon esempio e la pazienza. Da Federico, a cui nome era stato -governatore di Palermo, aveva egli a ripetere tre promesse fatte al suo -predecessore: di crociarsi, di restituire il retaggio della contessa -Matilde, di rinunziare alla corona di Sicilia, sicchè non fosse unita -all’Impero. Rinnovate queste promesse, Federico ottenne d’essere unto -imperatore (1220 — 20 7bre); nel quale incontro derogò qualsifosse -legge restrittiva delle libertà della Chiesa, ed ordinò severamente -l’estirpazione delle eresie. - -Il retaggio della contessa Matilde nella realtà non era venuto nè -all’impero nè al pontefice, avvegnachè i signori posti a governarlo -s’erano poc’a poco scossi dalla dipendenza, intanto che molti Comuni -colla forza, col denaro, colla persistenza redimeansi in libertà, fra’ -quali primeggiava Firenze. - -Quanto sia alla crociata, dopo la presa di Costantinopoli e la -fondazione dell’impero latino, Innocenzo III non avea cessato -di spingere alla liberazione del santo sepolcro, tanto più -che allora andava attorno, essere giunto a sera il dominio di -Maometto, simboleggiato nella bestia dell’Apocalisse, la quale non -oltrepasserebbe i seicento anni. Genova vide in quel tempo capitare -un nuvolo di fanciulli, che, assunta la croce, volevano passare alla -liberazione di Gerusalemme: infelici! e per via perirono tutti, quali -di fame e stenti, quali affogati ne’ fiumi, alcuni côlti da avidi -speculatori per venderli schiavi. Innocenzo li compassionò, ma non -rifiniva di farne raffaccio agli adulti, i quali vigorosi non sapeano -compiere quel che aveano tentato fanciulli. - -Al suo intento veniva opportuno un campione che onorate prove avea -dato di valore e fedeltà alla Chiesa, Giovanni di Brienne, francese -lodatissimo in fatti di guerra, fratello di quel che vedemmo poc’anzi -pretendere l’eredità di re Tancredi nella Puglia: ito in Palestina, -avea preso per moglie Maria figlia di Corrado di Monferrato (1219), -e per dote diritti al trono di Gerusalemme. Innocenzo lo riconobbe -re di questa, e raccolti molti Crociati, proponevasi guidarli egli -in persona, quando morì. Onorio III promise seguitare l’impresa, e -ottenne che Ungheresi e Tedeschi passassero in Terrasanta su navi di -Venezia e di Zara. All’assedio di Damiata il legato pontifizio a capo -degli Italiani (1218) scalò primo le mura in buja notte, e la croce -d’orifiamma, stendardo che conservasi a Brescia, vuolsi vi fosse allora -piantata dal vescovo Alberto a capo di millecinquecento Bresciani, -impresa per la quale ottenne il patriarcato di Antiochia. Poco poi -Enrico di Settala, arcivescovo di Milano, condusse un rinforzo di suoi -cittadini[343]. - -Moadham sultano di Damasco, disperando tenere Gerusalemme, ne avea -diroccato le mura, e pensava anche abbattere il santo sepolcro, quando -la fortuna cangiò, e la crociata uscì alla peggio. Ne sbigottì tutta -cristianità, e il papa imputava Federico, che, promesso ripetutamente -di prendervi parte, sempre avesse mancato. Vennero poi in Italia -i granmaestri de’ Templari, degli Spedalieri, dei Teutonici, il -patriarca, e re Giovanni di Brienne, e si presentarono supplichevoli -all’imperatore in Verona; il quale non solo mostrò ascoltarli, ma sposò -Jolanda figlia ereditiera di re Giovanni, col che pareva assumere come -cosa propria la difesa e il ricupero di Terrasanta. Allestì navi in -Sicilia, impose taglie e accatti, mandava retoriche esortazioni agli -altri principi; ma alla nuova stagione destinata alla partita egli -trovò sotterfugi, domandò il titolo di re di Gerusalemme a scapito del -suocero, mentre palesava nè voglia di assumere nè lealtà di seguire -l’impresa. - -Più stavagli a cuore di sottomettere e regolare la sua Sicilia. Colà -fumava ancora il sangue in cui Enrico VI avea tuffato i privilegi -de’ baroni, e ne fermentava quel miscuglio di vecchio e di nuovo, di -ribrame e di speranze, che turba ogni recente dominazione. Nei passati -scompigli la giustizia era stata sovversa; la gerarchia d’impieghi -stabilita da re Ruggero non serviva che a camuffare di legalità -esazioni esuberanti; i feudi erano stati occupati a volontà, e ciascuno -nel proprio arrogavasi la sovranità fino al diritto di sangue, e in -tumultuosa indipendenza tutto era furto, assassinj, guerre. - -Volendo farsi perdonare la rivolta o venirgli in grazia, i baroni -andarono fin a Roma incontro a Federico, offrendogli doni e duemila -cavalli di Puglia; poi al suo arrivo gli prodigarono omaggi, e gli -consegnarono i maggiori avversarj. Federico li carezza, ma di mezzo -alle feste si fa cedere i diritti regali dall’abate di San Germano; -a forza sottopone i conti di Celano e di Molise; imprigiona quelli -d’Aquila, di Caserta, di Sanseverino, di Tricarico perchè non gli -avevano dato tutte le truppe che doveano; fa radere le fortezze erette -dopo un certo tempo; a Capua pianta un tribunale che riconosca i -diritti de’ feudatarj, e incameri i feudi di cui mancasse il titolo. -Per tal modo snervò la feudalità; e smantellate le rôcche baronali -alla campagna, ne fabbricò di proprie nelle città più grosse, e castel -Capuano in Napoli. - -Valendosi delle istituzioni normanne e dandovi maggior ordine, ebbe -fitto l’animo costantemente a render robusta la regia autorità a spese -dei privilegi e delle entrate de’ feudatarj; impedire si costituissero -grandi Comuni, quali in Lombardia; fare che tra il popolo e il re non -si frapponesse che la legge e i magistrati. Mentre non solo Italia ma -tutta Europa era sbocconcellata in municipj e feudi, egli prevenne -i tempi col volere stabilire lo Stato qual noi lo concepiamo, e -quell’unità amministrativa che forma il vanto e forse il disastro -de’ tempi nostri, in sè e ne’ suoi uffiziali accentrando il pubblico -potere, tolto ai signori, ai vescovi, alle città. Seguendo la missione -provvidenziale dei re nel feudalismo, elevò le condizioni infime, ai -sudditi demaniali attribuendo maggiori privilegi che non ne avessero i -feudali; gli uomini si stimassero affissi al terreno che teneano dai -signori, e di più franche condizioni fossero giovati; le proprietà -libere si crescessero; alleggerite o tolte le prestazioni di corpo -stipulate per contratti: intenzioni superiori all’età. - -Per togliere il disaccordo venuto dagli avvicendati dominj, -Federico dettò un codice, che abbracciava la legislazione feudale, -l’ecclesiastica, la civile, oltre la politica ed amministrativa, e -dov’erano pareggiati Normanni, Franchi, Greci e Latini. Lodando i -Romani che colla legge regia trasferivano nel principe la facoltà -legislativa, affinchè nel medesimo imperante si trovassero e l’origine -della giustizia e il diritto di tutelarla, anch’egli avocò tutta la -giurisdizione; e toltala ai baroni e prelati, proclamò (cosa insueta -fra gli ordini feudali) i magistrati suoi proferirebbero su tutti i -sudditi[344], neppure esclusi i feudatarj; e pel giudizio di fatto -bastava la testimonianza di due pari, ovvero di quattro dell’ordine -inferiore, cioè per un conte vi voleano due conti, o quattro baroni, -od otto cavalieri, o sedici cittadini. La giurisdizione criminale -rimarrebbe divisa dalla civile. Fa meraviglia di trovar già nelle -sue _Costituzioni Augustali_ una gerarchia giudiziaria attaccata a un -centro comune, fissate nettamente le competenze, sostituito il giudizio -dei pari alla giustizia emanante dal monarca, conservato con dispiacere -il duello giudiziario e ridotto a stretti confini; provveduti d’uffizio -di campioni o d’avvocati gli orfani, i minori, le vedove, i poveri. -I _bajuli_, scelti per titolo d’onoratezza più che di conoscenza di -leggi, riscotevano le imposte, tassavano i viveri; e con un assessore -giurisperito e nominato dal re, decideano dei delitti campestri e delle -cause civili, poteano arrestare malfattori e sospetti per tradurli -ai tribunali. Soprastavano come secondo grado i _camerarj_ per gli -affari civili e fiscali. Poi i _giustizieri_ per le cause di polizia e -criminali, con un notaro e un assessore stipendiati dal re, rendevano -gratuita giustizia: duravano un anno, e doveano scegliersi stranieri -alla provincia. Nessuna causa potea prolungarsi oltre due mesi; solo -i giudici inferiori erano retribuiti dalle parti; gli avvocati non -poteano pretendere più della sessantesima del valore contestato. Gli -appelli da tutti i sudditi e le cause feudali recavansi ad una suprema -Corte, composta di quattro giudici e del gran giustiziere, il quale -una volta l’anno percorreva le provincie tenendo assise. Questa Corte -vegliava anche sull’amministrazione della rendita, difendeva pupilli e -vedove. In maggio e novembre si raccoglievano provinciali sindacature -davanti ai prelati, conti, baroni, magistrati della provincia, -ricevendo le querele portate contro gli impiegati. - -A una camera fiscale, detta Segrezia, spettava l’alta giurisdizione -in cause di finanza, l’amministrare i beni vacanti o staggiti, -l’intendenza sui palazzi e le ville regie, le fortezze, i -fondi destinati alla flotta: sugli uffiziali di finanza e -sull’amministrazione vigilavano procuratori, rivendicando i beni -confiscati, affittando quelli della corona; e rendevano ragione delle -entrate e spese a un’alta Camera de’ conti in Palermo. Una commissione -esaminava i concorrenti alle cariche od a professioni universitarie. - -Il duello giudiziario mantenevasi soltanto pel caso di morte data da -mano sconosciuta, e di lesa maestà; proibite le guerre private sotto -pena della vita, le rappresaglie sotto pena dell’esiglio; fino il -portare armi se non in guerra o in viaggio, multavasi con cinque once -d’oro per un conte, quattro per un barone, tre per un cavaliero, due -per un cittadino, una per un villano. Le figlie poteano succedere -nei feudi: punito il barone che esigesse oltre il dovuto; agli -ecclesiastici vietato il ricever doni e lasciti, e le funzioni di balio -o giustiziere[345]. - -Se tali provvedimenti palesano spiriti elevati, durezza traspira dalle -pene: la galera, il taglio della mano prodigati; la forca a chi frauda -le imposte, sia per astuzia o per miseria; città intere distrusse, -inventò supplizj atroci, e nelle tradizioni e nei versi di Dante -restarono famose le cappe di piombo che infocate metteva addosso ai -ribelli: poi, per ingrazianirsi i baroni, con deplorabile debolezza li -riabilitò ad usare la forza contro i vassalli. - -Ai parlamenti, istituzione antica, insieme co’ vescovi e coi baroni -chiamò due _buoni uomini_ di ciascuna città e borgata[346], neppure -eccettuando le terre sottomesse a’ feudatarj. Essi buoni uomini (da -cui poi vennero i sindaci, quando il bisogno di sempre nuove imposte lo -costrinse a mascherarle coll’assenso popolare) portavano richiami per -le leggi che fossero violate dagli uffiziali, ed esponevano i bisogni -dei loro mittenti: primo esempio al mondo d’una vera rappresentanza -nazionale. - -In ogni luogo due giurati paesani doveano vigilare sopra gli artieri, i -ritaglienti, le osterie, le monete, i giuochi zarosi. Napoli, Messina, -Salerno e qualc’altra conservarono vestigia degli antichi istituti, ma -sotto tutela. Del resto, adombrato dall’emancipazione dell’alta Italia, -severamente proibì dappertutto di istituire Comuni indipendenti; e -il nominar consoli, podestà o simili magistrati municipali costava -la forca agli eletti, e il saccheggio al paese[347]. Fu sottilissimo -trovatore di girandole finanziarie e di tasse per cavar denaro, massime -sul commercio coi diritti di fondaco, di porto, d’imbarco, d’estrazione -ed altri, e ridusse a monopolio il sale, il ferro, la pece, le pelli -dorate; levò fin sei collette all’anno, cioè sussidj straordinarj non -consentiti ma imposti, e fu volta che gli ecclesiastici pagarono fin -la metà dei proventi. Volle anche limitare le usure col proibire ogni -interesse maggiore del dieci per cento; ordine improvvido, che fu -corretto al solito dalle frodi[348]. - -Pier delle Vigne, nato poveramente a Capua, e invaghito degli studj, -andò mendicando a Bologna, e quivi ammesso nell’università, primeggiò -tanto che Federico sel tolse a segretario, poi lo alzò giudice, -consigliero, pronotaro, governatore della Puglia, infine cancelliere -e tutto. Bellissimo favellatore, arguto giureconsulto, le cure nol -distolsero dalle lettere, e come il primo codice dell’Italia moderna, -così dettò il primo sonetto: a’ consigli di lui va attribuita la -protezione che alle dottrine concesse Federico, il quale anche -l’insegnamento accentrò alla moderna, volendo unica scuola nel Regno -l’università di Napoli; e i governatori doveano colà mandare tutti gli -studenti, dove trovavansi allettati da privilegi, giudicati dai proprj -maestri, buon trattamento e sicurezza ne’ viaggi, le migliori case e a -tenue fitto; non mancherebbero mai di grano, vino, carni, pesci, e di -chi prestasse denaro[349]. - -Federico fece eseguire la prima versione di Aristotele dal testo greco; -formò un serraglio d’animali forestieri; chiunque avesse merito, -accoglieva alla sua Corte, ove si dirozzò il linguaggio italiano, e -qualche poeta, imitando gli esempj de’ Tedeschi e Provenzali, avvezzò -la musa sicula a nuovi concenti. Egli stesso «savio di scrittura e di -senno naturale, universale in tutte le cose, seppe di lingua latina -e vulgare, tedesca, francese, greca, saracena» (VILLANI); scrisse -un libro sulla caccia a falcone; uno sopra la natura del cavallo -dettò a Giordano Rufo suo scudiere. Del denaro cavato dai beni suoi -e dal traffico che non isdegnava, facea larghezza agli amici e in -fabbriche; e a lui sono dovuti i ponti sul Volturno[350], le torri di -Montecassino, i castelli di Gaeta, di Capua, di Sant’Erasmo, la città -di Monteleone ed altri forti e villaggi; di là dal Faro ristaurò Antea, -Flegella, Eraclea, fondò le rôcche di Lilibeo, di Nicosia, di Girgenti: -Napoli, abbellita e accresciuta di popolo e ricchezza come sede del -sommo tribunale e dell’università, avviò a divenir capitale del regno. -Ecco perchè egli v’è ancora nominato con popolare benevolenza. - -Tante belle qualità non seppe acconciare coi tempi, ai quali non -fu conforme nei vizj nè nelle virtù. A modo dei re moderni, voleva -sottoporre anche la religione all’amministrazione, e tenea fitto -il pensiero ad affievolire i papi, come quelli che repugnavano a’ -suoi divisamenti. Essi avevano costituita la dignità dell’imperatore -perchè fosse tutela alla Chiesa, affidandola sempre a un capo -elettivo, cioè degno; volendo l’indipendenza d’Italia, come necessaria -all’indipendenza pontifizia, impedivano che alla corona imperiale -s’annestasse quella della Sicilia, paese sempre della prima importanza -in faccia agli stranieri. Federico invece aspirava a rendere ereditario -in sua casa l’impero, e unirvi la Sicilia; solo dabbenaggine de’ -popoli e astuzia de’ papi avere supremato la santa Sede, tutrice -incomoda e umiliante. Nè solo la Lombardia voleva egli soggetta, -ma tutta l’Italia, quasi retaggio proprio. Ad un principe italiano -scriveva, ogni suo sforzo essere in sottomettere la penisola rinserrata -fra dominj suoi, e renderla parte integrante dell’impero, come il -regno di Gerusalemme eredità di sua moglie, come la Sicilia eredità -della madre[351]; e nel congresso di Piacenza non dissimulò di voler -soggiogare la media Italia, impresa difficile, alla quale soccombette. - -Non tardò ad accorgersi come, malgrado il momentaneo svolgimento, -alleati suoi naturali fossero i Ghibellini; onde a questi s’annodò, -sperando, fra il tempestare delle fazioni in Lombardia, riuscire a -quello dov’era fallito l’avo suo Barbarossa, e fra i divisi piantare -l’ordine; parola che, allora e poi, fu spesso intesa per servitù. A suo -desiderio il servirebbero le forze del Reame e quelle della Germania, -e i mercenarj che d’ogni parte comprava colle spoglie delle città -italiane, e col concedere franchezza a qualunque bandito o malfattore -prendesse servizio nelle truppe[352]. - -Nè pago delle masnade tedesche comandate da Rinaldo, figlio del -famoso Markwaldo, cercò rinforzo da nemici del nome cristiano. Dalle -montagne centrali dove s’erano ridotti dopo perduto il dominio, -gli Arabi sbucavano a devastare la Sicilia, e «v’aveano uccise più -persone ch’essa non conti abitanti». Alla conquista sveva non fecero -opposizione, e perciò sfuggirono alle vendette esercitate contro i -Normanni. Nella minorità di Federico, per odio al papa persistettero -a favorire Markwaldo: vinto lui, si forticarono ne’ castelli di val -di Màzara, blandirono Ottone IV, e gli spedirono regali. Federico li -domò, e fino a sessantamila ne trasferì nella Capitanata, assettandoli -a Nocera (1222), che oggi ancora chiamasi de’ Pagani, e a Lucera, posta -s’una ultima pendice dell’Appennino, donde si dominano i piani della -Puglia, chiusi a levante e settentrione dalla catena del Gargano e dal -mare Adriatico. Quivi tentarono ripetutamente fuggire o sollevarsi, -poi rassegnatisi divennero fedelissimi a Federico, che da questa -colonia traea ventimila combattenti, devoti ad ogni suo cenno e, ch’era -più, inaccessibili alle aspirazioni nazionali degl’italiani e agli -anatemi dei papi. E quando i papi gli apponevano di avere introdotto -i Musulmani in mezzo a Cristiani, Federico se ne imbelliva anzi, come -avesse con ciò liberato la Sicilia dal flagello delle loro correrie, -e col porli fra’ Cristiani agevolato le conversioni. Il fatto sta che -ebbe per tal modo anche un esercito stabile, a guisa dei re moderni. - -A suo figlio Enrico, che faceva i nove anni quando egli ventisei[353], -avea dai principi di Germania ottenuta la corona. Ora col pretesto -della crociata lo invitò a scendere in Lombardia coll’esercito, e -trovarsi a Cremona, ove per pasqua intimava la dieta (1226). — Una -adunanza raccolta sotto le spade può ella essere libera?» dissero -le città lombarde; e non ben fidando nel papa, che condiscendeva a -Federico onde indurlo a quel ch’era suo primo desiderio, la crociata, -provvedono al caso dubbio e pericoloso rinnovando la Lega Lombarda, -secondo n’erano autorizzati dal trattato di Costanza. A Mosio sul -Mantovano convennero dunque i rettori, podestà, ambasciatori di -Bologna, Piacenza, Verona, Milano, Brescia, Faenza, Mantova, Vercelli, -Lodi, Bergamo, Torino, Alessandria, Vicenza, Padova, Treviso, e -giuraronsi alleati per venticinque anni. — I malfattori escluderemo da -tutti i luoghi e dalle città collegate, nè di bando potranno essere -tratti senza mandato dei rettori o della Lega: a chi contraffacesse, -faremo guerra a senno dei rettori: nessuna città, luogo o particolare -persona de’ collegati verrà ad accordo con alcuna città o luogo fuor -della Lega, o in danno di quella, altrimenti sarà avuta per ribelle, -e i beni dei suoi abitatori pubblicati e devastati. Se alcuna città, -luogo o persona particolare della Lega sia osteggiata dai nemici, -le collegate le daranno ajuto, e reciprocamente rifaremo i danni ad -arbitrio de’ rettori». - -Tale era il giuramento; e quello dei rettori della Lega: — Giuro pei -santi evangelj che con buona fede eserciterò l’uffizio a me commesso -e le ragioni della giurisdizione a me sottoposte; concorderò cogli -altri rettori in quanto concerna lo stato e utilità di tutta la Lega, -e di ciascun Comune che v’entri; senza frode darò opera di mantenere -e far osservare questa Lega; nulla manifesterò di quello che sarà -trattato; niente piglierò per me nè per sommessa persona in detrimento -della società; e se cosa alcuna mi sarà offerta, al più presto la -farò manifesta a tutti i rettori. Le querele deferite a me od a’ -miei colleghi, ad arbitrio degli altri rettori, fra quaranta giorni -definirò, secondo la ragione e la buona consuetudine: quindici giorni -avanti che scada il mio uffizio darò opera si faccia un altro rettore, -il quale giuri siccome ho giurato io. Attenderò al meglio della -università e non della specialità; e darò ogni opera a conservare la -libertà di ciascun Comune, e difendere i beni contra tutte e singole le -persone contrarie a tal società» (CORIO). - -Tosto la Lega si pone in piede ostile, far armi, troncare ogni -comunicazione colle città ghibelline, proibire ai cittadini di trattar -coll’Impero, nè ricevere ordini o donativi. Federico buttò giù la -buffa anch’egli, ed avendo dalla sua Reggio, Modena, Parma, Cremona, -Asti, Lucca e Pisa, mosse armato. Ma Faenza e Bologna, capo della lega -Cispadana, gli chiusero le porte in faccia, sicchè dovette attendare -alla campagna, poi affrontato da buoni eserciti, forza gli fu dare -indietro. Spedì proposizioni alle federate; e ricusato, le pose al -bando dell’Impero; e non so se di buon senno o per contraffare le -scomuniche papali, fece scomunicarle dal vescovo d’Ildesheim, e proibì -d’andare a studio a Bologna: grave colpo per una città che viveva sopra -dodici mila scolari. Le confederate non fecero come sbigottite; ma -Onorio III papa, avendo in cima a tutti i suoi pensieri la crociata, -e perciò la concordia fra i Cristiani, s’interpose, e rattaccò una -pace (1227 — 5 genn.), dove Federico obbligavasi a cancellare que’ -bandi, e i Lombardi a null’altro che rappattumarsi coi Ghibellini, -e somministrare quattrocento uomini pel passaggio in Terrasanta: ma -Onorio non potè vedere la spedizione desiderata. - -Il successore suo Gregorio IX, dei conti di Anagni, aveva ottantacinque -anni; ma parve ringiovanire nel ricevere in deposito le chiavi eterne: -con pompa maggiore delle consuete si fece coronare, sette giorni -continuando le feste; e l’ultimo cantata messa in San Pietro, menò -una lunga processione ricchissimamente in addobbo, con due corone al -capo, sopra un cavallo superbamente bardato, tenuto alla briglia dal -prefetto di Roma e dal senatore; precedeano i cardinali, seguivano -giudici e uffiziali in broccato d’oro, e una dirotta di popolo, fra le -cui acclamazioni e ulivi e palme entrò al palazzo, quasi celebrasse il -trionfo dell’autorità papale, che di fatto mai non era tanto salita. - -Federico aveva preso tutti quei provvedimenti in Sicilia senza -informarne il papa, che pur riconosceva per signore sovrano; imponeva -tasse sugli ecclesiastici col pretesto della crociata, alla quale non -risolvevasi mai; ed ai lamenti di Roma rispondeva col protestarsele -docilissimo, e obbligato ad essa come a madre che Io aveva nutrito. -Alla longanimità di Onorio verso un principe mentitore e subdolo -come Federico, mal rassegnavasi l’operosa fermezza di Gregorio, -il quale intimò alle città longobarde di tenersi in pace (1228), e -all’imperatore di partire per oltre mare, egli ch’era stato «posto -da Dio in questo mondo siccome un cherubino armato di spada per -mostrare agli smarriti la via dell’albero della vita». Più non avea -ragioni o pretesti costui da indugiare, e con poche truppe s’imbarcò -a Brindisi. Già dappertutto preludevasi a vittoria, già s’immaginava -la santa città restituita agli inni dei devoti, quando si sparge che -l’imperatore era tornato a terra dopo tre giorni, allegando le malattie -dell’esercito e la sua. Al pontefice più non parve di pazientare, e -lanciò la scomunica, denunziando Federico come spergiuro e infedele; -suo delitto se la moglie Jolanda morì sovra parto; colpa sua se di fame -e di caldo perirono i Crociati nella Puglia. Non meno iracondo Federico -inveiva contro il papa che, in luogo di soccorrerlo, istigasse contro -di lui il suocero suo stesso; il quale di fatto, appoggiandosi alla -scomunica, in armi veniva a ridomandare il titolo regio che Federico -gli aveva usurpato. Pure, avuto intesa delle discordie scoppiate fra i -principi Ajubiti, l’imperatore si risolse al passaggio; data la posta -a’ guerrieri nella pianura di Barletta, vi troneggiò in tutta la maestà -imperiale e colla croce di pellegrino, lesse il proprio testamento, -facendo giurare i baroni d’adempirlo se nell’impresa perisse, e -precipitò gl’indugi. - -Gregorio IX dichiarò scandalo che uno scomunicato capitanasse l’impresa -santa; dichiarò imprudenza l’assumerla con sole venti galee e seicento -cavalieri, armata da corsaro, non da imperatore; e interruppe la -canonizzazione del pacifico san Francesco per ripetere gli anatemi -contro Federico, il quale non vi diede ascolto. - -In Levante i figli di Malek Adel, spartitosi il dominio, si faceano -guerra dall’uno all’altro; e Melik el-Kamel, signore dell’Egitto e di -Gerusalemme, cercò prevalere a’ fratelli coll’allearsi all’imperatore -d’Occidente, al qual uopo gli spedì un emir, mentre l’arcivescovo -di Palermo arrivava al Cairo con gran regali per lui (1229), e si -ricambiarono proteste d’amicizia. Melik el-Kamel invase di fatto la -Palestina; sicchè l’imperatore, sapendo di non dovervi trovar nemici, -non credette aspettare i rinforzi di Germania. Approdato, vi era dai -nostri accolto come un Messia, quando due Francescani annunziarono -la scomunica. Detto fatto, gli si toglie fiducia e rispetto, a segno -che gli ordini non dava più in proprio nome, ma di Dio e del popolo -cristiano. Melik el-Kamel non meno che Federico desiderava la pace; -sicchè tutta la campagna si ridusse a trattative, quanto una guerra -moderna, sempre avvolte però nel mistero. L’imperatore mandò al -soldano pelliccie, eccellenti destrieri, bellissime armi di Germania, -il cavallo di battaglia, la spada, parte dell’armadura di cui egli -servivasi in campo, protestando non chiedere che le già promessegli -città, titolare patrimonio di suo figlio; vedesse in quanto scredito -cadrebbe se tornasse in Occidente senza nulla ottenere. L’emir lo -ricambiava con stoffe di seta, un elefante, dromedarj e scimie, altre -rarità dell’India, dell’Arabia, dell’Egitto, e una banda di ballerine e -cantatrici, soggetto ai Musulmani di rimproveri, di scandalo ai nostri, -cui davano gelosia e dispetto quelle benevole relazioni[354]. I due -signori convennero d’una tregua decenne; Gerusalemme, Betlem, Nazaret, -Toron e i prigionieri sarebbero consegnati a Federico con quanto -siede fra Gerusalemme, Acri, Tiro e Sidone; conservate ai Musulmani le -moschee, e libero esercizio del loro culto; Federico distoglierebbe i -Franchi da nuovi atti ostili contro di essi. - -Il patto seppe dell’empio ad entrambe le religioni; imami e cadì -appellavansi al califfo contro la cessione della _città del Profeta_, -i vescovi al papa contro l’indegnità di mescolare i due culti: il -sultano di Damasco ricusò l’accordo; il patriarca di Gerusalemme pose -all’interdetto i luoghi recuperati. In conseguenza Federico entrò in -Gerusalemme senz’altro accompagnamento che de’ suoi baroni tedeschi -e de’ cavalieri Teutonici; e nella chiesa del Santo Sepolcro, tesa -a bruno, abbandonata dai preti, mentre, lui connivente, dai minareti -continuavasi a gridare: — Non v’è altro dio che Dio e Maometto è suo -profeta», Federico colle proprie mani dovette porsi in capo il diadema. -Nè potè ottenere obbedienza neppure sevendo contro i cittadini, -battendo frati, impacciando i pellegrini che venivano per la settimana -santa, e i Templari che voleano rialzar le mura: la sua partenza da -Gerusalemme fu festeggiata quanto l’arrivo; e gli assennati gli faceano -rimprovero di non avere provveduto tampoco nè a conservare gli acquisti -nè ad assicurarvi i fedeli: sì poco gli caleva del regno di Cristo -quando il suo pericolava. - -Perocchè in Sicilia il papa gli suscitava nemici mandando nunzj, -compiangendo che quei popoli, sotto un nuovo Nerone, perdessero fino -il desiderio della libertà: — Vi ha forse Dio collocati sotto cielo -sì ridente per trascinare catene vergognose?» Sollecitava anche -soccorsi da’ collegati lombardi, e messo insieme un esercito, lo -affidò a Giovanni di Brienne, che sotto lo stendardo delle chiavi entrò -devastando il reame di suo genero. - -Federico, sbuffante vendetta, muove le schiere tedesche ricondotte di -Palestina, e i fedeli suoi Saracini, segnati della croce, combatteano -fieramente contro i papalini, segnati delle chiavi; e messi questi -in isbaratto, recupera le piazze del Regno, invade le terre del papa, -ne stramena i fautori, e gli suscita nemici in Roma stessa. Giovanni -di Brienne era stato chiamato a Costantinopoli a regnare invece del -fanciullo Baldovino II suo genero, e benchè ottagenario si mostrò -eroe nel combattere i Bulgari. I Romani, espulso il pontefice, aveano -gravato di esazioni le chiese, i conventi, i vassalli della santa Sede, -e aizzato Federico alla totale rovina del papa; ma una straordinaria -inondazione del Tevere, considerata come castigo del cielo, indusse e -popolo e senato a richiamarlo in segno di penitenza. I prelati però mal -sopportavano di dover contribuire alle spese a titolo della crociata; -alle città lombarde pesava l’essere trascinate in una guerra offensiva, -esse collegatesi solo per la difesa: laonde fu praticato un accordo -(1230), e dopo lunghi dibattimenti si annunziò qualmente l’imperatore -concedeva perdonanza universale, revocava il bando messo sopra le -città lombarde, e prometteva che i benefiziati sarebbero eletti -secondo le leggi ecclesiastiche, nè gravati d’imposte o collette. A -tali condizioni fu prosciolto dalla scomunica, e le campane sonarono -a letizia, il re baciò il piede del papa, n’ebbe la benedizione, e -sedettero alla stessa mensa. I popoli credettero fosse pace, ma non era -che un respiro ch’egli si procacciava per allestirsi all’ultima prova. - -Quando i capi erano disuniti, tutte le membra se ne risentivano, e -l’Italia peggio che mai trambustava, facendo guerra Venezia a Ferrara, -Padova e Brescia a Verona, Mantova e Milano a Cremona, Bologna a Imola -e Modena, Parma a Pavia, Firenze a Siena, Genova a Savona ed Albenga, -Prato a Pistoja; signorotti feudali saliti a gran potenza mescolavano -battaglie fra sè o colle città; e ai rancori ed alle ambizioni private -pretessevasi il nome del papa o dell’imperatore. - -Questi convocò la dieta in Ravenna (1231), ma al tempo stesso da -Germania invitava coll’esercito il figlio Enrico: di che adombrate -le città, e mal fidandosi alle assicurazioni nè del papa, nè -dell’imperatore, abbarrarono i passi, tanto che Enrico rimase di là, e -Federico rinnovò il bando contra la Lega Lombarda, cassando qualunque -diritto mai avessero ottenuto le città di quella. Mancando però -d’esercito, le minaccie non fecero che rinserrare quella Lega. Milano -mette in ordine sette capitani con mille uomini a cavallo ciascuno, -giurati a sostenere la libertà, e morire in campo piuttosto che -fuggire; disponeva delle forze di Parma, Piacenza, Novara, Vercelli, -Alessandria, benchè indipendenti; ed essendosi Tommaso conte di Savoja -tenuto sempre fedele all’imperatore, dal quale anzi fu costituito -vicario, i Milanesi si spinsero fin nelle Alpi, e per sorreggere -alcune terre a lui ribellate fondarono il Pizzo di Cuneo, che poi dovea -divenire una delle primarie fortezze di quella casa e dell’Italia. - -A Federico poi si ribellavano i proprj paesi, da lui fraudati delle -consuetudini municipali, e specialmente Messina, avvezza a reggersi -con stratigoti proprj: ond’egli moltissimi appiccò ed arse vivi; -il castello di Centoripa distrusse dalle fondamenta; Gaeta, benchè -amnistiata, fe spoglia dell’antico diritto di eleggere i consoli, -e circondò di trenta fortini: insomma questo eroe, magnificato da -coloro che venerano in lui l’antagonista de’ papi, trovò continuamente -rivoltose la Puglia e la Sicilia, nè seppe frenarle che collo spediente -dei tiranni, le fortezze. - -Appoggio gli erano, dopo i Saracini, i signorotti ch’eransi eretti -tiranni di alcune città e provincie, e che dai diplomi di lui (1215) -credeano trarre legittimità e fermezza. Principale tra questi fu -Ezelino da Romano, che succeduto ad Ezelino il Monaco suo padre, -all’avito dominio aveva aggiunto Bassano e Treviso, poi anche Verona -e Padova, secondato dal fratello Alberico e dai Ghibellini della Marca -Trevisana; e con una fermezza che non si arrestava alla necessità del -sangue e del delitto, era divenuto il più spaventoso tiranno che la -patria storia ricordi. Vi faceva contrasto Azzo d’Este, con larghissimi -possessi e col favore di tutti i Guelfi: ma Ezelino prevalse alla -venuta di Federico, del quale sposò Selvaggia figlia naturale. In -queste emulazioni la Marca non meno che la Lombardia andava a strazio -di deplorabili guerre, alle quali metter fine non potea la politica, -ma solo qualche armistizio la religione, adoprantesi incessantemente a -questo scopo. - -Già vedemmo come essa dettasse la tregua di Dio; e i due nuovi Ordini -di Domenicani e di Francescani furono tutti in attutire gli sdegni, -frammettersi alle baruffe quotidiane, persuadendo e portando la pace -da signore a signore, da una all’altra città; e cuori feroci, cui vigor -di legge o possanza di magistrati non ratteneva, aprivansi alla pietà, -gli stocchi tornavano alla vagina, e nel nome di Cristo fondendosi in -lagrime, il nemico correva ad abbracciare il nemico. - -Grandi paci conchiuse il santo d’Assisi; grandi il seguace suo Antonio -da Padova. Nel 1176 i cardinali di Santa Cecilia e di Santa Maria in -via Lata per delegazione pontifizia componeano molte quistioni, agitate -fra le repubbliche di Pisa e Genova rispetto ai loro diritti sopra -la Sardegna[355]. Sui cui esempio frà Guala da Bergamo, che fu poi -vescovo di Brescia, riamicò i Bolognesi coi Modenesi, i Trevisani coi -Bellunesi. In Cremona il popolo della città nuova viveva in cagnesco -con quel della vecchia, e il vescovo Sicardo li riconciliò; e così -coi Vicentini il beato Giordano da Forzatè, coi Milanesi frà Leon -da Perego. Sta manoscritto nella biblioteca Ambrosiana un prolisso -discorso d’un ecclesiastico che esortava alla concordia, e diceva: -— Popolo milanese, tu cerchi soppiantare il cremonese, sovvertire il -pavese, distruggere il novarese; le tue mani contro tutti, e le mani -di tutti contro te... Oh quando fia quel giorno che il Pavese dica al -Milanese, _Il popolo tuo è popol mio_; e il Cremasco al Cremonese, _La -città tua è mia città!_» - -I Genovesi aveano contaminato le loro vie di molto sangue civile, -massime per l’odio tra li Avogadri e i marchesi della Volta; quando si -pensò porvi fine. Innanzi giorno ecco toccar la campana a parlamento: e -i cittadini accorrendo attoniti, videro il vecchio arcivescovo Ugo in -pontificale tra il clero con candele accese, e tra cittadini notevoli -con croci alla mano, attorno alle venerate reliquie del Battista; -scongiurava a deporre gli odj e gli sdegni, e giurare sui vangeli -la concordia, che sola poteva salvare la patria. Rolando, capo degli -Avogadri, non poteva indursi a perdonare il sangue di tanti parenti -suoi, de’ quali aveva promesso vendetta; ma tanto insistettero i preti -e i savj, che l’ebbero indotto: poi corsero alla casa dei Volta, che -non erano voluti presentarsi, e li trassero a dare il bacio ai nemici; -e campane a festa e _Tedeum_ celebrarono l’evento[356]. - -Ambrogio de’ Sansedoni di Siena, che fu poi canonizzato, venne -spedito a predicar la pace in Germania, quindi tornò in patria -per riconciliarla col papa che l’aveva interdetta come fautrice di -Federico, e volle si cominciasse l’emenda dal perdono reciproco. -Un magnate, sazio de’ suoi consigli, lo cacciava come impostore e -vanaglorioso; ed egli: — Dio si chiama re della pace, ma non la dà -se non a chi di buon cuore la conceda altrui. Quel che fo, lo fo per -volontà di Colui che può sopra di me. Se v’irritai, ve ne chiedo scusa, -e se merito supplizio, lo sosterrò di buon cuore per isconto delle -mie colpe». Il forte a tanta umiltà venne a resipiscenza. Ambrogio -predicava continuo che la vendetta è peccato d’idolatria, perchè usurpa -la parte di Dio che a sè la riservò. Non riuscì mai a calmare un di -Siena, sicchè gli disse: — Pregherò per voi», e insegnò una preghiera -siffatta: — Signor Gesù, interponete la podestà vostra a queste -vendette, e riserbatele a voi, acciocchè tutti conoscano che a voi -solo spetta il punire gli offensori»; ed esortava a dirla avanti quelli -che si ostinassero nelle ire. Anche quel pertinace, mentre ordiva co’ -suoi consorti di non fare mai pace, la udì, ne fu compunto, e passati -due giorni nella riflessione e nel digiuno, va e prega il santo a -perdonargli e a rimetterlo in pace[357]. - -Continuò anche in appresso questa pia intromissione, e nel luglio -1273 Gregorio X conciliò una solenne pace in Firenze tra Guelfi -e Ghibellini, e cencinquanta sindaci per parte si baciarono in -bocca in sul greto d’Arno, dove esso papa volle si edificasse una -chiesa che i Mozzi, suoi ospiti e grandi mercanti, dedicarono a san -Gregorio[358]. Ma essendo il giorno stesso tornati a sospetti e a -risse, un’altra concordia fu solennissimamente celebrata il 1280 -per mezzo del cardinale Latino nunzio, rogandone atto, e volendo -trecensessantasei mallevadori de’ Ghibellini, trecentottantaquattro -dei Guelfi, e alquanti castelli[359]. L’anno precedente, esso Latino -in Bologna riamicava i Lambertazzi co’ Geremei, in Faenza gli Acarisi -coi Manfredi, in Ravenna i Polenta coi Traversari; e frà Bartolomeo -di Vicenza instituì l’Ordine militare di Santa Maria Gloriosa, per -mantenere in calma le città italiane. Nel 1266 il sartore Giacomo -Barisello a Parma inalbera il segno della redenzione, e forma la -compagnia della Croce di cinquecento seguaci, co’ quali va di casa -in casa riconciliando Guelfi e Ghibellini, e facendoli giurar fede -al pontefice. La compagnia ebbe tale successo, che ottenne uffiziali -proprj, con autorità di giudicare, e d’intervenire negli affari del -Comune, esercitandovi importanza principale per mezzo secolo[360]. - -Di nuovo il cardinale Nicolò da Prato rappacificò Firenze; e «a -dì 26 aprile 1304, raunato il popolo sulla piazza di Santa Maria -Novella, nella presenzia dei signori, fatte molte paci, si baciarono -in bocca per pace fatta, e contratti se ne fece, e puosono pene a chi -contrafacesse, e con rami d’ulivo in mano pacificarono i Gherardini con -gli Almieri; e tanto parea che la pace piacesse a ognuno, che vegnendo -quel dì una gran piova, niuno si partì, e non parea la sentissono. -I fuochi furono grandi, le chiese sonavano, rallegrandosi ciascuno» -(COMPAGNI). - -In Milano, contrastandosi nobili e popolani, si fece compromesso in -quattro frati, e si stette al loro lodo; poi nimicatisi di nuovo, si -accolsero in Parabiago, ove due frati dettarono condizioni d’accordo. -Nel secolo seguente andò a predicarvi pace il beato Amedeo cavaliere -portoghese, che di limosine fabbricò Santa Maria della Pace. Molte -resie private e pubbliche in Valtellina e pel Comasco racconciò frà -Venturino da Bergamo, che indusse diecimila Lombardi a pellegrinare -penitenti a Roma, gridando pace e misericordia, e mantenendosi di -carità. Molto profittarono pure in Lombardia san Bernardino e fra -Silvestro da Siena. - -Certamente anche allora potea dirsi, — Perchè frati e preti s’hanno a -mescolare d’interessi mondani? - -Ai tempi del nostro racconto, Gregorio IX, struggendosi di acconciare -in buona pace gl’Italiani, sì per dovere di papa, sì per agevolare la -crociata, mandava Nicolò vescovo di Reggio a ricomporre i Modenesi co’ -Bolognesi; il cardinale Giovanni della Colonna a calmare i Perugini -inveleniti fra loro, e ripatriarvi gli sbanditi; il cardinale Tommaso -a Viterbo; il cardinale Giacomo da Preneste a Verona a concordare i -Capuleti e i Montecchi, fazioni note per le compiante avventure di -Giulietta e Romeo; frà Gherardo di Modena nella sua patria e a Parma, -dove fu anche costituito podestà per riformare gli statuti; a Piacenza -frà Orlando da Cremona. - -Principale in queste missioni fu Giovanni da Schio domenicano, ch’e’ -destinò in varj luoghi e nominatamente a Bologna, avvezza gli anni -passati ad ascoltare Francesco, Domenico, Antonio già santi, poi venuta -in urto col papa per le giurisdizioni vescovili, e perciò fin privata -dell’università. Alla voce del frate da Schio si compromisero i litigi, -si scarcerarono i debitori, si rintegrarono gli esuli; ed esso riformò -a suo senno gli statuti, frenò le usure, indusse le donne a vestire -più composto, e tutti a salutarsi col _Sia lodato Gesù Cristo_; e più -nol voleano lasciar partire, tanto che il papa dovette fin minacciarli -d’interdetto. Allora lo inviò a Siena; ma poichè a questa non potè -rappacificare i Fiorentini, il papa li proferì interdetti; ed essi per -capriccio d’incomposta libertà sprezzarono quel castigo. - -Frà Giovanni fu destinato principalmente a disacerbare i furori della -Marca Trevisana; e a Feltre, a Belluno, a Treviso, a Conegliano, -a Vicenza, a Padova, per tutto operò prodigi di riconciliazioni; -incontrato come santo fra le bandiere sciorinate, richiamava gli -sbanditi, liberava i prigioni; e quando in Prato della valle a Padova -predicava di stando sul carroccio e contornato dai carrocci delle -altre città accorse, prorompeva dai cuori l’evangelico _Son pur belli -i piedi di chi evangelizza la pace_. Tutto predisposto, frà Giovanni -ordinò un generale ritrovo a Paquara, vasta pianura sull’Adige, tre -miglia sotto Verona. Al cenno d’un frate, tutte le città e le ville -accorsero coi carrocci cantando laudi al Signore; e quindici vescovi, -tutti i baroni delle vicinanze, i conti di Sanbonifazio, i signori -Camino, i Camposampiero, il tremendo Salinguerra di Ferrara, e più -tremendi ancora Ezelino ed Alberico da Romano, vennero per udire -predicarsi carità. Giovanni, salito in pergolo, e preso per testo -_La pace mia vi do, la pace mia vi lascio_, parlò con una eloquenza, -la cui efficacia veniva tutta dallo spettacolo e dalla persuasione -della santità. A parole che ben pochi poteano intendere, ma che tutti -sentivano, e a cui ciascuno sottoponeva quel che il cuore e la fantasia -gli dettavano, avresti veduto quegli iracondi per penitenza picchiarsi -i petti, poi gettarsi un al collo dell’altro, e chiedersi perdono, e -promettersi amicizia. Il frate si valse dell’autorità concedutagli dal -papa per assolvere da interdetti e scomuniche; e alzato il crocifisso, -esclamava: — Benedetto chi conserverà questa pace», e centomila voci -echeggiavano _Benedetto_; — Maledetto chi tornerà sulle risse», e -centomila voci, _Maledetto_. - -Se non che queste paci, indotte per impeto di sentimento, combinate -in nome della universale carità, non isvelleano veruna delle cause -delle nimicizie, talchè fra breve si era di ricapo alle armi. Pochi -giorni dopo la spettacolosa concordia di Paquara, gli sdegni erano -riarsi, le spade tinte di nuovo sangue, tutto tornato a peggio che mai -per l’addietro si fosse; e i popolani che aveano inneggiato il frate -santo, lo bestemmiavano uom di parte, venduto ai Guelfi, zimbello del -papa. Egli stesso provocò quegli sdegni colla severità adoprata verso -gli eretici, di cui ben sessanta bruciò nella piazza di Verona; poi a -Vicenza, appoggiato dal popolo minuto, si dichiarò signore e conte, -distribuì a suo senno le magistrature, riformò gli statuti; e colla -solita volubilità popolesca fu cacciato prigione e respinto da un paese -che lasciava in peggiori discordie di prima[361]. - -Il pontefice, offertosi arbitro tra Federico e la Lega Lombarda, -proferì che l’imperatore dimenticasse ogni offesa, revocasse la -proscrizione, compensasse chi n’avea sofferto pregiudizio; per ricambio -i Lombardi rifacessero i danni all’imperatore ed a’ suoi, e per due -anni mantenessero cinquecento cavalli in Terrasanta. Federico trovò -parziale quel lodo, e lesivo della maestà regia: ma pel papa quelle -repubbliche erano corpi politici legittimi e riconosciuti, nè aveano -peggiorato verun diritto imperiale col rannodare la Lega, a cui erano -stati autorizzati dal patto di Costanza. - -Esso papa era tergiversato dai Romani, che gli negavano il diritto di -sbandire un cittadino, esigevano una retribuzione che da immemorabile -la Chiesa dava alla città, infine gli contestavano la sovranità -temporale. Quello a cui s’incurvava tutto il mondo, si trovò -costretto rifuggire in Perugia (1234); Roma tornò repubblica e Luca -Savelli senatore ideò di fondare la Toscana e la media Italia in una -confederazione, che togliesse di mezzo il dominio pontifizio, come -dell’imperiale avevano fatto i Lombardi. Le fazioni scrupoleggiano mai -sui mezzi? Questi repubblicani solleticarono le antipatie di Federico, -chiedendo li sostenesse; ma egli, temendo ancor più la libertà che -il pontefice, esibì soccorsi a questo per tornare al dovere Roma. -In riconoscenza, e perchè la guerra che prevedeva inevitabile non -avesse a frastornare i soccorsi a Terrasanta, Gregorio IX dichiarava -gl’interessi di Federico essere interessi suoi, atteso i grandi servigi -che rese alla Chiesa[362]: s’industriava di tirare i Longobardi a più -larghe condizioni; ma essi indugiarono oltre il termine prefisso, e la -mediazione fu mandata a vuoto dagli avvenimenti di Germania. - -Colà sentivasi il ricolpo de’ fatti italiani: ed Enrico lasciato a -governarla, non che difettare della necessaria robustezza, si abbandonò -alle proterve inclinazioni, oltraggiando la moglie, invidiando il -fratello, tradendo il padre, fino a rompere ad aperta ribellione; e -mal sostenuto dai Tedeschi, si drizzò alle città lombarde. Milano, -Brescia, Bologna, Novara, Lodi, il marchese di Monferrato gli esibirono -quella corona (1235) che sempre avevano negata a Federico[363]; e -n’ottennero conferma a tutti i loro privilegi, e che accettasse per -amici e nemici quei della Lega. Pertanto guerra civile e domestica. -Federico soleva menare nel suo esercito come trofeo camelli ed elefanti -che avea condotti dalla sua spedizione in Asia; e i Milanesi saputo che -ne inviava alcuno a’ Cremonesi in segno di benevolenza, assalgono quel -popolo, e a Zenevolta lo sconfiggono: ma Parmigiani, Reggiani, Pavesi, -Modenesi vengono a sostegno di quello, talchè il combattimento si fa -generale, e città e principati si sbranano in fazioni. Dalla Sicilia, -dove sanguinosamente avea chetato i tentativi dei Comuni di recuperare -le fraudate franchigie, Federico traversa inerme la Lombardia, che non -volle profittare della sua umiliazione; e fatto da settanta prelati e -principi dichiarar fellone Enrico, che altamente era disapprovato anche -dal papa[364], lo fa arrestare e tradurre nel forte di San Felice in -Puglia, e ve lo lascia stentare fin alla morte. - -Nella dieta da Federico radunata a Magonza, numerosa di ottanta -principi e prelati e di milleducento signori, furono pubblicati molti -savj provvedimenti e una pace pubblica; terminata la lunga lite tra la -famiglia guelfa e la ghibellina, col dare a Ottone il Fanciullo, unico -guelfo superstite, le terre di cui si formò il ducato di Brunswick, e -sulle quali Federico rinunziava ad ogni pretensione. Costui vi sfoggiò -una grandezza, alla quale non mancava se non il sapere moderarla; e -con istraordinaria maestà solennizzò un nuovo matrimonio con Isabella, -figlia del re inglese Giovanni Senzaterra. Una nobiltà di cavalieri e -baroni incontrò la sposa alle frontiere; dappertutto il clero usciva -a suon di campane; a Colonia diecimila borghesi a cavallo, splendidi -d’armi e di vesti, la corteggiarono; minnesingeri in tedesco, trovadori -in provenzale, forse anche siculi in italiano osannavano; mentre da -carri, festonati di tappeti e porpora, mirabile armonia diffondeano gli -organi nascosi; e la notte cori di fanciulle non interruppero mai le -serenate sotto ai balconi della sposa. Quattro re, undici duchi, trenta -conti e marchesi assistevano, e pari alla dignità furono i regali -di Federico; una corona d’oro, collane, giojelli, scrigni, un intero -servizio d’oro e d’argento a ceselli, fin gli utensili da cucina e le -pentole erano d’argento; fra i quali Federico presentò al regio suocero -tre leopardi menati d’Oriente, allusivi allo stemma d’Inghilterra. -Isabella fu sposata per procura da Pier delle Vigne, poi dal re quando -gli astrologi trovarono opportuno l’istante; portava in dote trentamila -sterline, che oggi rappresenterebbero 1,140,000 lire; ebbe in dominio -tutto il val di Màzara, e nel palazzo era servita da eunuchi mori e -siciliani[365]. - -L’imperatore fece eleggere re de’ Romani suo figlio Corrado; ma più che -il trionfare in Germania lo lusingava il lottare in Italia. La Germania -vedea come gloria nazionale le spedizioni contro la penisola; ma gli -Svevi le ripeterono e prolungarono in modo, che sì gravi sagrifizj -e infruttuosi rincrebbero, non si volle più decretare i sussidj, e -Federico si trovò ridotto ai mezzi che gli offrivano il proprio regno e -i Ghibellini, ed ai mercenarj. Ai pesanti e ferrati cavalieri tedeschi -associò gli scorridori saracini, le rapide evoluzioni moderandone -colle lente mosse di un elefante, che portava una torre sulla quale -spiegavasi lo stendardo, tenendo vece del carroccio e della croce. Ad -esercito così bene assortito e diretto i Lombardi non aveano ad opporre -che milizie d’artieri e contadini raccolti al momento del bisogno, -nè addestrati alla fredda costanza di regolari battaglie. Schivavano -dunque gli scontri in campagna rasa, preferendo aspettarlo in chiuse -mura; e poichè dall’Alpi al Po seguitava una tela di fortezze, lungo -e penoso riusciva il prenderle una dopo una, quanto pericoloso il -lasciarle alle spalle: onde Federico doveva logorare dei mesi sotto a -povere bicocche, come Carcano, Roncarello o Crevalcuore. - -Rinserrata l’alleanza (1237), e costituita una cassa comune, -noi attendemmo il Tedesco, il quale confidava principalmente nei -castellani. Schiusagli Verona da Ezelino, uniti a diecimila Arabi -i Ghibellini di Cremona, Parma, Reggio, Modena, sconfisse gli -Estensi, prese Vicenza, costrinse a patti Mantova, orribilmente -stramenò il Bresciano. I Milanesi, accorsi coi Guelfi di Brescia, -Bologna, Vercelli, Novara, Alessandria, Vicenza, lo pettoreggiarono -valorosamente, ma poi lasciatisi sorprendere a Cortenova nel Cremasco -(27 9bre), n’andavano colla peggio. La compagnia de’ Gagliardi avea -però tenuto saldo attorno al carroccio: ma vedendo che al domani -non potrebbero reggere a nuovo assalto, provvidero a ritirarsi, ed -essendo difficile trarre quel pesante carro in terreno molliccio per -natura e per le pioggie, ivi lo abbandonarono sguarnito. Allora sì -che Federico menò vampo! scrisse a tutti i potentati avere ucciso -diecimila Lombardi; fe trascinare quel trofeo dietro al suo elefante -per le città, poi riporre sovra cinque colonne in Campidoglio a Roma, -ove si legge ancora la pomposa iscrizione con cui volle eternare questa -sua vittoria, mentre eternava la sua paura e la nostra prodezza[366]. -Avendo côlto fra’ prigionieri Pietro Tiepolo podestà di Milano e figlio -del doge di Venezia, lo fece strozzare. - -Se molti Lombardi tentennarono dalla paura, non Milano; non Brescia, -che sembra predestinata a feroci oppugnazioni e a magnanime resistenze, -e che per sessanta giorni resse l’assedio postole dall’imperatore, -ajutata dalle macchine dell’ingegnere Clamendrino, sicchè Federico -bruciò le proprie, e voltò a Cremona. Allora i Guelfi ripigliano cuore, -Genova li sostiene; Venezia, indignata dal supplizio del Tiepolo, si -scopre nemica all’imperatore; Gregorio IX, scontento della fierezza -ond’egli trattava le città lombarde, della predilezione mostrata ai -Saracini, degli arbitrj usati in Sicilia, dell’avversione perpetua alla -Chiesa, e dell’essere mancato al compromesso, s’allea co’ Veneziani, -cedendo loro quanta parte di Sicilia occuperebbero. - -Realmente Federico non lasciava sfuggirsi occasione di oltraggiare la -Chiesa. Un nipote del re di Tunisi, convertito dai Domenicani, va a -Roma per farsi battezzare; e Federico lo arresta, dicendo non potersi -trarlo al cristianesimo senza permissione dello zio. Vescovi, côlti, -è vero, colle armi, lasciò straziare e impiccare da’ suoi Saracini; -e smurar chiese per costruirne moschee: a Nocera de’ Pagani erge -un palazzo s’una chiesa distrutta, e dov’era l’altare vi mette la -fogna[367]: dalle sedi dell’Italia meridionale sbandisce i migliori -prelati e gli uccide, e non lascia destinarvi i successori. - -Federico corteggiava sempre il Vecchio della montagna, il dey di -Tripoli, che gli pagava tributo, il sultano d’Egitto, che gli mandò -fra altri doni una magnifica tenda con un orologio, stimato ventimila -marchi d’argento, che segnava le ore e il corso degli astri; i loro -ambasciadori teneva a tavola coi vescovi, di che pensate come si -scandolezzassero i Cristiani. La sua Corte somigliava a un harem; -eunuchi negri e nostrali custodivano sua moglie; «teneva mamelucchi e -donne molte, a sfogo di lussuria ed onta della religione; menava vita -epicurea, non facendo conto che mai altra vita fosse»[368]; nè tampoco -s’asteneva dall’oltraggiare la natura. Nè solo papi e frati e guelfi, -ma l’arabo Abulfeda dice che propendeva all’islam _perchè educato in -Sicilia_; ed alcuni suoi frizzi mostrano come sentisse di scemo nella -fede. — Se Dio avesse visto la mia bella Sicilia, non avrebbe scelto -per suo regno la squallida Palestina», esclamò mentre era crociato; -e portandosi il viatico: — Quando si finiranno coteste ciurmerie?» e -trattava da pazzo chi credesse al parto della Vergine, o ad altre cose -repugnanti, secondo lui, alla ragione e alla natura[369]. Si bucinò -anche d’un libro _De tribus impostoribus_, attribuito a lui o a Pier -delle Vigne, ma nessuno lo vide; nè par credibile n’avessero taciuto -i papi ed i fautori loro, che dissotterrarono ogni minimo reato della -famiglia di Svevia: ma che Federico avesse detto, il mondo essere stato -giuntato da Mosè, Cristo e Maometto, era voce tanto diffusa, che Pier -delle Vigne credette doverla smentire in una lettera ove l’imperatore -fa professione di fede: e convenendo che tale diceria correva, ma -deboli essere gli argomenti tratti dal pubblico cicaleccio[370]. - -L’eresia sua capitale però consisteva nell’impugnare incessantemente -la maestà pontifizia, e svigorire le censure ecclesiastiche[371]; -esclamava: — Pur beati i principi asiatici, che non hanno a temere -sollevazione di sudditi, nè opposizioni di papi!» ed avrebbe voluto -ridur Roma a sua capitale, il papa a suo cappellano. Col quale, nuovo -motivo sopravenne di disgusto. - -I signori Pisani che avevano occupato la Sardegna, presero il titolo -dalle giudicature di quella, restando vassalli della patria. I papi -pretendeano la sovranità della Sardegna come di tutte le isole, e -Innocenzo III indusse i Pisani a rinunziargliela: ma Ubaldo e Lamberto -dei Visconti di Pisa fecero guerra per proprio conto ai signorotti che -tenevansi a bandiera della Chiesa; onde furono scomunicati (1237), poi -ribenedetti quando riconobbero la supremazia papale, abjurando quella -di Pisa. I Pisani se ne indignano, i conti della Gherardesca si armano, -e Conti e Visconti divengono le denominazioni de’ Ghibellini e de’ -Guelfi che straziano Pisa. Federico s’industria a calmarli, e fa ad -Adelaide, vedova di Ubaldo Visconti, signora di Gallura e della Torre, -sposare Enzo suo figlio naturale (1238), conferendogli il titolo di re -di Sardegna, e pretendendo che questa fosse stata distratta dall’Impero -in tempi fortunosi, e dover egli perciò sottrarla alla supremazia -pontifizia. - -Al papa che restava se non impugnare le proprie armi? e mentre -Federico in Padova festeggiava con Ezelino la depressione della parte -repubblicana, gli lanciò la grande scomunica (1239), intimazione -d’una seconda guerra fra l’Impero e la Chiesa. Federico, conoscendo -a prova qual colpo facessero tali sentenze sopra i popoli, fece da -Pier delle Vigne recitare, nella gran sala della Ragione, una lunga -discolpa: ma il popolo l’ascoltò in significante silenzio; i signori -stessi vacillavano; tanto ch’egli volle averne ostaggi, che spedì in -Puglia; mandò circolari pei regni e i popoli tutti, irose al papa -fino ad accusare di dissolutezze questo vecchio nonagenario: — Tu -vivi unicamente per mangiare; sui vasi e le coppe d’oro hai scritto -_Io bevo, tu bevi_; e così spesso ripeti il passato di questo verbo, -che, quasi rapito al terzo cielo, parli ebraico, greco, latino: piena -l’epa, ricolmo il sacco, allora ti credi seduto sull’ali dei venti, -e che l’Impero ti sia sottomesso, e che i re della terra ti portino -doni, e che ti servano tutte le genti»: aggiungeva che, per ligezza ai -collegati lombardi, connivesse ai Catari, il cui nido era Milano; egli -fariseo, assiso nella cattedra del dogma perverso; egli unto coll’olio -di malizia più di tutti i malvagi; il gran dragone che seduce, il -Balaamo, l’anticristo. - -Il popolo credea meglio al papa, ai parroci, ai frati, i quali -ripetevano come Federico fosse mal cristiano; ma quel ricambio -d’improperj svergognava ambe le cause: e mentre la Chiesa e l’Impero -contrariavansi, i Mongoli, suscitati dal tremendo Gengis-kan, -devastavano non solo l’Asia, ma il settentrione dell’Europa, e -minacciavano dappresso la Germania. Il denaro raccolto nelle chiese -di tutta cristianità per respingere questi Infedeli, viene adoprato -a strazio de’ Cristiani; Gregorio IX impegna tutta Europa a sbalzar -Federico; Federico caccia e spoglia i vescovi siciliani; la parte -guelfa, che in quella scomunica vedeva un diversivo al colpo finale -minacciato alla libertà, rialza dappertutto la testa; gli Estensi -ricuperano le terre perdute, Treviso si rivolta, Padova è a pena -frenata dai torrenti di sangue che versa Ezelino. Federico, difilando -sopra Milano, devasta la pieve di Locate, assistito dai nobili e -dai Comaschi: ma i Milanesi, esortati dal legato pontifizio che fece -prendere le armi anche a preti e monaci, lo affrontano a Camporgnano, -gli voltano addosso le acque, e lo costringono a ripiegare. - -Di peggiori ferite egli colpì le terre pontifizie; v’assediò Faenza, e -l’ebbe a patti; così Cesena e Benevento; e difilò sopra Roma (1240). -Chi l’avrebbe difesa da questo eroe? tanto più che vi abbondavano -i Ghibellini, e Federico teneva intelligenze coi Frangipani, che, -occupato il Coliseo, poteano dargli una fortezza nel cuore della città. -Ma frati predicano la croce, preti chiedono licenza d’armarsi, e il -papa «trasse di _Sancta Sanctorum_ del Laterano le teste de’ beati -apostoli Pietro e Paolo, e con esse in mano, coi cardinali, con tutti -i vescovi, arcivescovi e altri prelati, e con tutto il chiericato, con -solenni digiuni e orazioni andò per tutte le principali chiese di Roma; -per la quale devozione e per miracolo di detti apostoli, il popolo di -Roma fu tutto rivocato alla difesa di santa Chiesa e del papa, e quasi -tutti si crociarono contro a Federico, dando il papa indulgenza di -colpa e pena» (VILLANI). - -L’imperatore, costretto a levare il campo, torna a Napoli per far -uomini e denaro, coi quali rientra in Lombardia; ma vede soccombere -coloro sui quali più s’appoggiava. Bolognesi, Lombardi, Estensi -assalsero Ferrara, difesa da Salinguerra Torelli, intrepido -ottagenario, che aveva ottocento uomini d’arme tedeschi e molti -assoldati; ma il suo luogotenente lo tradì, e il marchese, invitatolo -a un banchetto, lo fece prendere e mandare a Venezia, ove sopravisse -quattro anni in carcere. - -Bisogna pur risolvere il ripigliato litigio; bisogna interrogare -la cristianità se approvi e sostenga l’operato del papa. A tal fine -Gregorio convoca un concilio generale a Roma (1241): e Federico, che -sempre aveva a questo appellato, ora non vi vede che una dimostrazione -ostile, e scrive ai principi non lascino venirvi i cardinali, e -dispone guardie, alle quali concede le spoglie de’ prelati che vogliano -andarvi. Perciò un grosso di cardinali francesi, inglesi, lombardi, -risoluti di obbedire al papa, scelgono la via di mare affidandosi ai -Genovesi, avversi a Federico dacchè egli, dopo lusingatili di ampli -privilegi in Sicilia, invece li sottopose alle comuni gravezze, e -li privò sin d’un palazzo che v’aveano avuto in dono. Federico colla -flotta pisana manda Enzo suo figliuolo, che tra il Giglio e lo scoglio -della Meloria scontrato quel convoglio (1241 — 3 maggio), parte -manda a picco, moltissimi cattura. Federico in trionfo ne informava -il re d’Inghilterra, vantando che da duemila v’affogarono, e circa -quattromila Genovesi restarono suoi prigioni: il vulgo aggiunse che -l’oro fu diviso collo stajo fra Pisani e Napoletani. I Genovesi, di -tal rotta dato ragguaglio al papa, soggiungevano: — La perdita di -nostre genti e navi non ci nuoce quanto l’ignominia di nostro signore -e il male de’ santi prelati, che in virtù d’obbedienza accorrevano al -concilio per soccorrere la santità vostra di giusti e salutari avvisi. -A vendicare sì atroce nequizia, a difendere la Chiesa di Dio col popolo -a lei devoto, deliberammo dal primo all’ultimo porre le vite e le cose -nostre, non perdonando a fatica, riposo, vigilie, finchè conculcata -non abbiamo la ribellione, e preso vendetta delle morti, ferite e -contumelie che gl’innocenti patirono ad onore e gloria del nome di -Gesù Cristo, della santissima vostra persona, de’ venerabili fratelli -vostri, della Chiesa universale, e di tutti i fedeli. Ogni Genovese, -grande o piccolo che sia, posto da banda qualunque rissa, cura e -negozio, attende assiduo, a fabbricare e munire navi e galee, affinchè -abbiamo vittoria de’ nostri nemici, e la Chiesa di Dio possa la sua -grandezza e potenza manifestare contro il figliuolo di perdizione, -scelleratissimo apostato Federico, sedicente imperatore, e i complici -suoi e fautori. Nè pare ch’egli per altro sia salito in tanta fortuna, -se non per precipitare da luogo più eminente nel baratro di estrema -vergogna. Quindi genuflessi supplichiamo alla santità vostra, pel -sangue di Cristo, le cui veci sostenete in terra, a non desistere dal -proponimento pel sofferto sinistro, anzi sorreggere la navicella di -Pietro, battuta dalle tempeste e quasi assorta, e condurla al porto di -gaudio e salute». - -I prelati furono tenuti in cattura a Pisa o ne’ varj castelli del -Napoletano; e intanto Federico spediva la flotta a danno di Genova, -contro cui istigava pure i suoi alleati Pavesi, Alessandrini, -Vercellini, Tortonesi, e i marchesi di Monferrato, del Bosco, -Pelavicino; chiedeva a prestanza gli argenti delle chiese di Puglia; -occupava altre città romane fin a Tivoli e Montalbano; e nel sacro -collegio istesso trovò chi tradisse il papa, come il cardinale Giovanni -Colonna, che afforzando i castelli di Lagosta ed altri, circondava -Roma. Chiuso in questa, il papa muore: e, detto fatto, Federico -sospende le ostilità, quasi a lasciar intendere fossero dirette -personalmente contro il pontefice; ma non per questo proscioglie i -cardinali carcerati, anzi intercetta il denaro che da tutto il mondo -spedivasi a Roma, mette Saracini a devastare il patrimonio, e ai -pochissimi cardinali raccolti nel conclave, che ad arte egli traeva -in lungo, scriveva: — A voi, figliuoli di Belial; a voi, figliuoli di -Efrem; a voi, greggie di dispersione; a voi, colpevoli dello scompiglio -del mondo». - -Celestino IV, dopo appena diciassette giorni di papato, morì di veleno; -e tenendo l’imperatore ancora in prigione o a confino i cardinali, -più d’un anno passò prima che si potessero unire quanti bastavano per -eleggergli un successore, che fu Sinibaldo Fieschi genovese col nome -d’Innocenzo IV (1243). Era egli di famiglia e di persona favorevole -all’imperatore, onde speravasi un componimento; ma Federico disse: -— Ho perduto un amico per acquistare un nemico». Però il vescovo -di Porto con Taddeo da Suessa e Pier delle Vigne parve riuscissero -a trar Federico a condizioni ragionevoli; e gli ambasciatori di -questo il giovedì santo del 1244 in piazza del Laterano giurarono -la pace, presenti esso papa, i cardinali, Baldovino II imperatore di -Costantinopoli, il senato, il popolo. - -Già l’Italia e la Chiesa credeansi rabbonacciate, quand’ecco -frammettersi puntigli: Innocenzo pretendeva Federico cominciasse dal -rilasciar le terre e gli uomini presi; Federico voleva ch’egli prima -lo ricomunicasse, e discernesse la causa sua da quella delle città -lombarde, usurpatrici delle regalie, mentre il papa contendeva non -fossero obbligate rispondere ai tribunali dell’Impero. Federico, -palpato invano il pontefice col cercargli una nipote per isposa a -suo figlio Corrado, s’avventa da capo all’armi, e ne occupa tutte le -città; il papa, nè tampoco fidandosi (così il conosceva) di rimanere -in Roma, fugge a Genova e di là in Francia. Federico, stizzendo che -la vittima gli fosse sfuggita, scrisse, mandò, e tanto era potente -e riverito, che il papa non trovò asilo da nessuno, neppure da san -Luigi. Fortunatamente Lione era città libera, sicchè colà ricoverato, -e ricevendo grand’onoranza da gente che affluiva da tutta cristianità, -e anche dall’Italia per quanto l’imperatore vigilasse i passi, aprì il -XIV concilio generale (1245 — 25 giugno). - -Cenquaranta prelati v’intervennero, e fu allora che Innocenzo ornò del -cappello rosso i cardinali, per indicarli pronti a versare il sangue -per la Chiesa, e v’aggiunse la valigia e la mazza d’argento, ornato -regio, quasi a protestare contro di Federico, il quale pretendeva -ridurli all’apostolica semplicità. Ai congregati espose le cinque -piaghe della Chiesa: lo scisma dei Greci, le eresie crescenti, -Terrasanta devastata dai Carismiti, la minaccia dei Mongoli, e le -enormità dell’imperatore, eretico, musulmano, bestemmiatore, spergiuro, -spogliator delle chiese, persecutore del clero. L’avrebbe però -ricevuto a pace, purchè rilasciasse i prigionieri, rendesse le terre -alla Chiesa, e compromettesse in lui le sue differenze coi Lombardi; -ma Federico stette al niego: finse poi voler condursi in persona al -concilio, ma vi andò solo Taddeo da Suessa. - -Grand’eloquenza, gran dialettica adoprò costui per menomare le accuse -di eretico, d’epicureo, di ateo; ma indarno ripetute le proroghe -acciocchè Federico comparisse in persona, fu in contumacia proferita la -scomunica contro di esso: — Io vicario di Cristo; e quel che legherò -sulla terra fia legato in cielo. Pertanto, deliberato coi cardinali -fratelli nostri e col concilio, dichiaro Federico accusato e convinto -di sacrilegio e d’eresia, scomunicato e scaduto dall’impero; assolvo -per sempre dal giuramento quelli che gli promisero fedeltà; proibisco -obbedirgli sotto pena della scomunica _ipso facto_; comando agli -Elettori che scelgano un altro imperatore, riservando a me il disporre -del regno di Sicilia». I cardinali gettarono per terra le candele -accese, colla rituale esecrazione; Taddeo si picchiava il petto, -esclamando: — Giorno di collera, giorno di calamità, di miseria»; ed -Innocenzo intonò il _Tedeum_. - -Federico trovavasi in Torino quando lo seppe; e chiesta la corona, -se la calcò in capo, dicendo come un altro ai nostri giorni: — Guaj -a chi me la tocca! guaj al pontefice che spezzò i legami che a lui -mi avvincevano, nè mi lascia più altri consigli che dello sdegno!» E -scrisse ai principi, lagnandosi d’essere stato condannato prima che -convinto, negando al papa il diritto di deporre i re[372]: — Come -mai voi soffrite d’obbedire ai figli dei vostri sudditi? Vedete come -si impinguano di limosine, e tronfj d’ambizione sperano che tutto -il Giordano coli nella loro bocca. Quanto denaro risparmiereste -sbarazzandovi da questi scribi e farisei! quando voi tendete loro -la mano, essi pigliano tutto il braccio. Presi nelle loro ragne, -somigliate all’uccello che, cercando fuggire, viepiù s’accalappia. -Nostra intenzione fu sempre di voler colla forza tornare la Chiesa alla -primitiva purità, e togliere a costoro i tesori di cui sono satolli». -Così chiarivasi eretico nella lettera stessa ove di questa imputazione -voleva scagionarsi. - -Ma la voce del concilio era ascoltata e diffusa, e il papa scriveva -a’ Siciliani: — A molti fa meraviglia che voi, oppressi da vergognosa -servitù, gravati nella persona e nei beni, abbiate trascurato di -procacciarvi le dolcezze della libertà, come fecero le altre nazioni. -Il terrore che occupò il cuor vostro sotto al giogo d’un nuovo -Nerone, vi è scusa presso la santa Sede, la quale per voi sentendo -pietà e paterno affetto, pensa come alleviare le vostre sofferenze, -e fors’anche portarvi ad intera libertà. Su, spezzate le catene della -schiavitù, e prosperi nel vostro Comune la libertà e la pace. Vada voce -tra le nazioni che il vostro regno, tanto famoso per nobiltà e per -abbondanza di prodotti, ajutante la divina Provvidenza, potè a tanti -altri vantaggi unire quello d’una stabile libertà»[373]. - -I Siciliani porsero ascolto a questi incitamenti, e, mal per loro, -tesserono congiure contro la vita di Federico, che ne tolse ragione -di versare sangue illustre. Anche in Germania la corona fu data ad -Enrico Raspon (1246-47), landgravio di Turingia, che, favorito dalle -dissensioni, e dal denaro e dai brevi del papa, vinse il re Corrado di -Svevia: ma poi rivinto, morì di crepacuore. - -Non per questo migliorò la causa di Federico, il quale troppi titoli -aveva onde bramarsi a riva. San Luigi di Francia, cui era sembrato -un eccesso il condannare inascoltato il maggiore principe della -cristianità, e che d’altra parte struggeasi di vedere i Fedeli in -pace per ripigliare la crociata, s’interpose più volte, rammentando al -pontefice la mansuetudine che conviensi al vicario di Cristo, e quante -migliaja di pellegrini in Oriente implorassero l’armonia fra’ principi -cristiani ond’essere redenti dal giogo: ma Innocenzo stava saldo, -imponeva decime al clero, estorceva denaro in ogni modo, sollecitava -i principi lontani, spediva ciascun giorno frati a predicare contro -l’imperatore. Questi erasi accorto quanta potenza avessero le riforme -portate dalla istituzione dei nuovi frati, riforme che toccarono -alle viscere della società, cui ai tiranni giova lasciar corrotte, e -perciò gli odiava. Pier delle Vigne scagliavasi contro costoro, che -«nel principio parendo calpestare la gloria del mondo, assunsero poi -il fasto che disprezzavano; non avendo nulla, possiedono tutto, e -son più ricchi dei ricchi stessi. Frati Minori e frati Predicatori -(soggiungeva) si elevarono contro di noi in ira, pubblicamente -riprovarono la vita e la conversazione nostra, spezzarono i nostri -diritti, e ci ridussero al nulla... E per affievolirci ancora più e -toglierci la devozione dei popoli, crearono due nuove fraternite, che -abbracciano gli uomini e le donne tutte; appena uno od una si trova, -che a questa o quella non sia aggregato»[374]. - -In fatto essi resistettero intrepidi alla tirannia di Federico, e -nell’andare a mettere pace faceano giurare obbedienza al papa. I -Pagani da Nocera irrompendo nella valle di Spoleto, giunsero un dì -fin sotto Assisi: al pericolo, le monache di San Damiano si stringono -attorno alla malata lor madre santa Chiara; ed ella si alza, prende -l’ostensorio, lo colloca sulla porta, e inginocchiata al cospetto dei -Musulmani, supplica Dio a proteggere la città: e Dio per sensibile voce -la rassicura, gl’Infedeli voltansi in fuga, e da quel punto la santa -è dipinta coll’ostensorio alla mano. Un’altra volta Vitale di Aversa, -capitano dell’imperatore, menava sue masnade contro Assisi, sperperando -i contorni: Chiara ne restò compunta, e radunate le suore, — Noi -riceviamo sostentamento quotidiano da questa città; è ben giusto che -la soccorriamo a poter nostro»; e si spargono di cenere, e supplicano, -finchè Dio le esaudisce e sbratta il paese dagli Imperiali. - -Il beato Giordano, generale de’ Predicatori, andò all’imperatore, -e statogli avanti alcun tempo silenzioso, proruppe: — Sire, varie -contrade io giro, secondo è l’uffizio mio; or come non mi chiedete qual -fama corra di voi? — Io tengo gente a tutte le corti e provincie, e so -quanto accade in tutto il mondo», rispose Federico. E il frate: — Gesù -Cristo sapeva tutto, e pur domandava a’ discepoli che cosa si dicesse -di lui. Voi siete uomo, ed ignorate assai cose che vi gioverebbe -sapere. Si dice che opprimete le chiese, sprezzate le censure, date -fede agli augurj, favorite Giudei e Saracini, non onorate il papa -vicario di Gesù Cristo. Ciò è indegno di voi»[375]. - -Federico rispondeva colle crudeltà (1247); prese e distrusse Benevento -città papale; e facendo criminali le parole e il pensiero, infieriva -contro i sudditi; scriveva al re d’Inghilterra che i frati Minori -combattevano contro di lui a lancia e spada, e assolvevano d’ogni -peccato chi lo combattesse; accusava il papa di raccogliere i nemici -suoi e rimunerarli; a quanti frati cogliesse, faceva in capo una croce -col ferro rovente; appiccava qualunque portasse lettere d’interesse -papale; rubò e disertò il convento di Montecassino: poi a tratto -raumiliando, si faceva esaminare intorno alla fede da cinque prelati -italiani. - -Nè le città lombarde ristavano: e Federico assalì di nuovo i Milanesi, -sempre fidi al papa, e distrutto il monastero di Morimondo, accampò -presso Abbiategrasso; ma l’esercito milanese stettegli a fronte sulla -sinistra riva del Ticino, impedendogli di varcarlo. Bensì suo figlio -Enzo, che coi Cremonesi e con altri Ghibellini assediava i castelli -bresciani, tragittò l’Adda a Cassano: ma a Gorgonzola fu sconfitto e -preso dal prode Simon da Locarno, il quale lo rese in libertà purchè -giurasse non entrare più sul territorio lombardo. - -La perseveranza di una città lombarda diede il tracollo a Federico. I -Guelfi, capitanati dai Rossi e dai Correggio, sinistrarono in Parma e -ne furono espulsi dai Ghibellini, talchè l’imperatore come in città -propria vi destinò podestà Arrigo Testa di Arezzo. Ma i fuorusciti -pervennero a recuperarla, uccidendo in battaglia quel podestà, e -scacciando il presidio imperiale. Questa rivolta noceva grandemente -a Federico, perchè Parma serviva d’anello fra le città ghibelline -ch’erano schierate dall’Alpi alla Puglia, cioè Torino, Alessandria, -Pavia, Cremona, Reggio, Modena, la Toscana; e ciò che più rileva, con -Verona e coi dominj di Ezelino e la Germania. Pertanto egli si propose -di recuperarla ad ogni costo: Enzo si postò sul Taro per impedire i -soccorsi de’ Lombardi: l’imperatore da Torino vi accorse con diecimila -cavalli e molti balestrieri saracini e colle truppe d’Ezelino e degli -altri Ghibellini; sostenne quanti studenti o soldati o gentiluomini -parmigiani trovò, facendone morire quattro il giorno al cospetto -della patria, finchè i Pavesi gli dichiararono: — Noi siamo venuti -a combattere i Parmigiani, non a farne il boja». Incontro a Parma -alzò egli una gran bastita a guisa di città, col nome di Vittoria: ma -mentre egli baloccavasi alla caccia, i Parmigiani che erano soccorsi -dai Lombardi, sortiti distrussero le mura e il campo, fecero macello -de’ Saracini e de’ Pugliesi (1248), fra i morti lasciando il marchese -Lancia e il famoso Taddeo da Suessa, e tolsero a Federico il tesoro, -le gioje della corona e la speranza del vincere. La città di Vittoria -andò in fiamme, il carroccio de’ Cremonesi ornò il trionfo dei -Parmigiani[376]. - -L’imperatore pensò rivalersi sulla Lega Toscana dei mali fattigli dalla -Lombarda, e mandò suo figlio Federico re d’Antiochia con milleseicento -cavalli tedeschi a Firenze, che eccitò la consorteria degli Uberti -a prender l’armi; e cavalcata la città, e prese una dopo l’altra le -barricate de’ Guelfi, la ridussero a segno ghibellino; abbatterono -trentasei palazzi colle torri, fra cui alcune ornate artisticamente, -come quella de’ Tosinghi in Mercato vecchio, alta quarantacinque -metri; rincacciarono poi i Guelfi ne’ loro castelli forensi; a Capraja -l’imperatore stesso venne a porre l’assedio, e presala, molti uccise, -molti accecò, gli altri sepellì nelle prigioni di Puglia. - -Ma intanto Corrado suo figlio restava superato da Guglielmo d’Olanda, -nuovo anticesare in Germania. Più al vivo l’avea tocco la sventura -dell’altro figlio Enzo, bello e colto giovane di venticinque anni -e già d’onorato nome in cose di guerra, che essendo venuto contro -i Bolognesi, a Fossalto cadde in costoro mano. Essi lo tennero in -cortese prigionia, ma per qualunque dire o fare più nol rilasciarono -quanto visse. Raccontasi fosse fabbricato per lui il palazzo rimpetto -al duomo, e che da Lucia Vendagoli avesse un figliuolo ch’e’ nominò -Bentivoglio (1269), donde derivò la famiglia di questo nome[377]. - -Al dispetto della superbia ammaccata s’aggiunse in Federico il più -crudele e consueto flagello che Dio scagli sui tiranni, il sospetto. Le -volte del palazzo di Palermo echeggiarono ai gemiti de’ baroni ch’egli -vi chiudeva a morire, mentre le donne loro consumavansi di doglia. -Che più? Pier delle Vigne, l’uomo cui avea fidate le _chiavi del suo -cuore_, l’uomo che per anni ed anni avea scritto le lettere di lui, -senza farsi scrupolo di urtare le idee allora più sacre, e di meritar -taccia di servile presso la posterità, anch’esso gli cadde in sospetto. -Privato degli occhi, Pietro non seppe tollerare di vedersi calpesto da -quello ch’egli aveva tanto esaltato, onde si diede morte da se stesso; -e dalle incolpazioni lo assolse il giudizio dei contemporanei espresso -da Dante[378]. - -La parte ghibellina, sostenuta da Pisa e Siena, prevaleva in Toscana; -in Lombardia tenevasi in bílico coll’avversa, mercè la fierezza -d’Ezelino; trionfi della forza: i Romani stessi minacciavano insorgere -se il papa non tornasse. Potea dunque Federico lusingarsi d’un buon -accordo, quando morì di sessantasei anni (1250 — 15 xbre). Rosa da -Viterbo avea preveduta in visione la morte di lui, e intimatogli -tornasse al cuore. Gli astrologi aveangli preveduta fatale una terra -che traeva nome dal fiore; lo perchè non era mai voluto entrare in -Firenze: ma l’ultima malattia lo colse a Fiorentino, villa della -Capitanata. Prima di spirare fu ricomunicato: ma la fama divulgò che -suo figlio Manfredi lo soffocasse: uno de’ molti misfatti, di cui -quella famiglia fu aggravata dall’odio dei popoli e dei sacerdoti. - -Tanto eroe ch’egli era, in cinquantatre anni che stette re di Sicilia, -e trentadue che imperò, Federico nulla compì di grande, perchè, -com’ebbe a dire san Luigi, fe guerra a Dio coi doni di Dio. Qual -divario in fatti dal limitare della sua vita, quand’era non solo -amico, ma in tutela della Chiesa, e gli ultimi vent’anni in cui durò -ritroso e contumace all’autorità spirituale! Acuto a scorgere i difetti -e pregiudizj, stizzoso per beffarli, non amorevole per compatirli e -correggerli, in un mondo che ancora operava per fede, volle trapiantare -la politica materiale, facendo dichiarare da Pier delle Vigne che -l’Impero è arbitro delle cose umane e divine; visitò il sepolcro di -Cristo come alleato de’ Musulmani; si circondò di zanzeri, di odalische -e di Saracini, a lor modo costumando la vita, e parve vagheggiare la -coltura orientale a preferenza della cristiana. - -Questa rivolta contro la forza vitale del cristianesimo poteva essa -tollerarsi da un secolo credente? Con volontà baldanzosa cozzando -contro l’opinione, Federico non potette appoggiarsi che sui peggiori -uomini che producesse l’Italia, e ricorrere ai mezzi repugnanti -alla sua natura; incrudelire contro il proprio figliuolo, tenendolo -a vita prigione; trovare o sospettar ribelli i suoi più intimi, -vendicarsi ogni giorno con mannaje e capestri, distruggere città, -crocifigger preti e frati. Nell’alta Italia non riusci a comprimere -nè le città nè i baroni, anzi li fe chiari di quel che loro mancava -per sostenersi. Divorò colla speranza il patrimonio di san Pietro, e i -papi sopravissero a spargere d’acquasanta la fossa dell’ultimo rampollo -di sua prosapia. Nel suo regno di Sicilia attentò le franchigie, -quantunque il facesse colla solita canzone de’ tiranni, «Lasciate ogni -potere a noi, e noi vi faremo felici»; e così cumulò tesori di memori -ire. A maggior diritto lo tacciano i Tedeschi d’avere, per soggiogar -l’Italia, trascurato il loro paese quasi una provincia; e mentre -avrebbe potuto unire all’Impero tutto il settentrione e l’oriente -dell’Europa, diffondendo la civiltà fra la razza slava, cui dappertutto -preponderava allora la germanica, per capriccio di soperchiare i papi -e per costituire un regno alla propria famiglia permise si eclissasse -l’Impero, che più mai non ricuperò il suo splendore. - -Testando lasciava il regno a suo figlio Corrado; mancando questo senza -prole, gli surrogava il suo figlio naturale Manfredi, che intanto -destinava balio in Italia: si rendano in libertà tutti i prigioni, -eccetto quelli presi per la congiura contro di lui; anzi a nessuno -dei felloni del regno sia permesso tornarvi, e gli eredi suoi siano -obbligati a trarne vendetta: alla Chiesa si restituiscano i diritti, se -essa restituisca quelli dell’Impero: ai baroni o feudatarj ripristinava -i privilegi e le franchigie che godeano al tempo di Guglielmo II, col -che annichilava la fatica di tutto il suo regno, cioè il restringimento -delle giurisdizioni feudali, quasi credesse che tutta la riazione fosse -venuta da loro, e volesse evitarla a’ suoi figliuoli. La storia non -dovrebbe ammirare che la grandezza morale; e Federico nulla fondò; -operava per passioni personali e intenti domestici, e nè tampoco la -propria famiglia potè assodare. Il popolo, guardando tra meraviglia e -compassione il suo sepolcro, conchiudeva come il cronista Salimbeni, -che sarebbe stato senza pari sulla terra _se avesse amato l’anima sua_. - -Dopo sei secoli di progresso un altro imperatore doveva elevarsi colla -medesima assolutezza, la medesima nimicizia alla libertà, il medesimo -conto della religione come stromento di politica e ordigno di Stato, la -medesima ostilità ai papi; e come lui trionfare colla violenza, e come -lui soccombere alla voce di Dio e del popolo. - - - - -CAPITOLO XCII. - -Fine degli Svevi e della seconda guerra delle Investiture. - - -«Esultino i cieli, giubili la terra, poichè in freschi zefiri e in -fecondatrici rugiade si risolsero il fulmine e la burrasca, da Dio -sospesi sul vostro capo»[379], esclamava Innocenzo IV all’udire la -morte di Federico II; ma non parevagli perfetta l’impresa finchè -restasse razza o seme degli Hohenstaufen. Scrisse ai baroni delle Due -Sicilie, non riconoscessero altro re dal papa in fuori; e alle città -e ai principi di Germania cessassero ogni devozione verso Corrado IV, -scaduto, non che dal trono, fin dal ducato di Svevia; e favorissero -invece Guglielmo d’Olanda, eletto imperatore; non fosse accettato -alla comunione o a dar testimonianza se non chi si segregasse dagli -Hohenstaufen. Poi, ad invito de’ Guelfi, da Lione suo ricovero venne -alla patria Genova, traversò la Lombardia benedicendo e scomunicando, -spegnendo e attizzando guerre. Le città, che la benedizione sua avea -tanto francheggiate nel tener testa al Tedesco, tripudiavano ora nel -nome di lui: tutti i Milanesi gli uscirono incontro, formandogli doppia -siepe per dieci miglia di strada, e inventarono un cielone di seta -portato da cittadini di rispetto, il quale poi fu detto baldacchino; -e per due mesi che vi dimorò, gli accumularono dimostrazioni e -n’ottennero grazie spirituali. Essi Milanesi sconfiggevano i Lodigiani, -vi collocavano un podestà di loro scelta, e vinceano i Tortonesi in -modo da farli quasi tutti prigionieri: Firenze rimetteva in città i -Guelfi, i quali ben tosto furono in grado di cacciarne i Ghibellini: -molte città del Regno insorsero, e fin Capua, Napoli, Messina, e i -conti d’Acerra, d’Aquino, di Caserta. - -Solo in Roma prevalevano i Ghibellini; e non che accogliere il papa -con feste o calma, si volle scegliere un senatore non più paesano, -ma forestiero come soleansi i podestà. E fu Brancaleone d’Andalo -bolognese, conte di Casalecchia (1253), legato con Ezelino, col -Pelavicino e cogli altri di quella risma; il quale accettò solo a -patto di durare tre anni, e di mandare nella sua patria come ostaggi -trenta giovani di famiglie primarie; con giustizia inflessibile e -governo di sangue tenne tranquilla la città, distrusse cenquaranta -torri de’ nobili, molti ne mandò al supplizio o in esiglio; ad -Innocenzo, ch’erasi collocato in Assisi, intimò di restituirsi alla -sua sede se voleva essere riconosciuto, minacciando diroccare la città -che il ricoverava, come già avea fatto colle riottose Ostia, Porto, -Alba, Tivoli, Sabina, Tusculano. Tanta severità irritò il popolo, che -cacciollo; ma presto lo rivolle, e quando morì ne collocò la testa in -un vaso d’alabastro sopra una colonna. - -Ai Ghibellini s’appoggiò pure Corrado quando con iscarsissimi -mezzi venne in Italia (1251), e a Goito sul Mantovano convocò i -Cremonesi, Pavesi, Piacentini, Padovani, e il caporione della parte -imperiale, Ezelino, il quale era a un punto di costituire una potenza -indipendente, se troppo lubrico fondamento non fosse il sangue. -Invano dal papa tentato con promesse e minaccie, costui seguitò la -strada della violenza, e con questa sostenea l’imperatore: sicchè le -città guelfe rinnovavano la lega, che aveano imparato esser modo di -salvamento; e il papa vi promise trecento lancie mantenute. - -Corrado si tragittò per mare nel Regno, ove tutto andava a subuglio, -perchè pretendeano governarlo gli uni a nome del pontefice, gli -altri de’ figli di Federico. Uno n’avea questi lasciato d’Isabella -d’Inghilterra, per nome Enrico; ma finendo solo i tredici anni, -non bastava a tali procelle: dell’altro Enrico, che era stato re, -avanzavano due bambini. Ma la figlia di Bonifazio Guttuario signore -d’Anglano presso Asti e d’una Napoletana di casa Maletta, vedova del -marchese Lancia, a Federico avea generato Manfredi, che fu intitolato -principe di Taranto. Nel vigore dei diciott’anni, tutto spiriti -cavallereschi ed ambizione, alla morte del padre naturale egli si -recò in mano le cose, e sanguinosamente reprimeva la Sicilia e le -città che, confortate anche dal papa a quella libertà _che godeano -quelli direttamente soggetti alla Chiesa_[380], aspiravano a saldare -il governo municipale, forse non mai perito colà, ed eleggevano un -consiglio invece de’ bajuli regj. Manfredi coi Saracini di Nocera -e di Sicilia ajutò Corrado a sottometterle; il quale, avuta Napoli -stessa dopo lunga resistenza, la mandò a sacco, costrinse i cittadini -a smantellarla, e fece _gran giustizia_, cioè esterminio de’ capi -ribelli. Queste ed altre severità e le rincarite imposizioni faceano -che i popoli dicessero di lui «Gli è un tedesco», mentre di Manfredi -ripeteano «È un italiano». - -Per quanto Manfredi si fosse buon’ora addestrato nell’arte di fingere -e inchinarsi, l’attività e la benevolenza il posero in sospetto a -Corrado, il quale, dopo che gli nacque un figlio nominato Corradino -(1252), cessò d’avergli riguardi; per fargli smacco abolì le donazioni -fatte dopo morto Federico, depose il gran giustiziere di Taranto -ed altre creature di esso, ne cacciò i parenti materni, lui stesso -privò del ricco appanaggio di cui l’avea provveduto. Al tempo di -loro amicizia aveali la pubblica voce accusati d’avere avvelenato il -giovane lor fratello Enrico e il nipote Federico: dopo la loro scissura -si imputò a Manfredi il morire di Corrado (1254). Costui, finendo -sul fiore de’ ventisei anni, temea il veleno in ogni posizione, e -rimordeasi d’aver disgustato la Chiesa, prevedendo ch’essa trionferebbe -d’una Casa ridotta a una cuna. Allora Guglielmo d’Olanda non ebbe più -emuli nel regno di Germania: ma, benchè giovane ardimentoso, non potè -mai ispirare nè amore nè rispetto; e prima di cingersi la corona in -Italia, morì osteggiando i Frisoni. - -Sì abjette erano le condizioni dell’Impero (1256), che nessun -principe nazionale vi aspirò, ma gli uni facevano guerra agli altri -in universale anarchia. Alfonso X re di Castiglia comprò con grosse -somme (1257) il voto d’alcuni elettori; d’altri con somme maggiori -Ricardo di Cornovaglia, non conosciuto per altro merito che per -isfondolate ricchezze: sicchè l’impero di Carlo Magno tornava, come -ai tempi di Didio Giuliano, a vendersi al migliore offerente. Ricardo, -appena coronato, dovette tornare in Inghilterra, ove morì; Alfonso dai -domestici affari e dagli studj astronomici fu trattenuto in Ispagna, -nè cinse mai la corona di re de’ Romani: sicchè quel tempo chiamossi -_il grande interregno_, non perchè mancassero imperatori, ma perchè di -nessuno fu riconosciuta ed efficace l’autorità. Tempo deplorabile per -la Germania, dove rivisse peggio che mai il diritto del pugno, cioè -delle guerre private; e dove alle antiche, nuove occasioni di battaglia -aggiungevano le investiture date dagli emuli imperatori; nè ai popoli -restava cui ricorrere contro le angherie dei signori, i quali faceansi -unica legge il proprio talento. - -Pensate se ai Tedeschi rimaneva agio di badare all’Italia, dove la -lite fra l’Impero e il Sacerdozio invelenivasi per nazionali rancori. -Cotesta razza sveva innestata sul tronco normanno, che appoggiavasi -unicamente sopra guerrieri saracini o tedeschi, che fra gli Arabi -avea scelto quasi tutti i giustizieri del Regno e i principali -provvisionati, spiaceva agli Italiani, gelosi dell’indipendenza -patria; spiaceva alle Repubbliche, come ereditaria nemica delle loro -franchigie; spiaceva ai papi, che l’aveano perpetua contradditrice. -Corrado lasciò, unico fiato di quella stirpe, un bambolo di tre -anni, Corradino, partoritogli da Isabella di Baviera; e diffidando -di Manfredi, gli avea destinato tutore Bertoldo di Hohenburg, -signore bavarese di molta ambizione e scarsa capacità. Conformandosi -all’intenzione del defunto, questo lo raccomandò al papa, il quale -rispose gli lascerebbe il ducato di Svevia e il titolo di re di -Gerusalemme; quando fosse cresciuto, farebbe esaminare i diritti -di esso sulla Sicilia, che era ricaduta alla Chiesa. E la esibì al -suddetto Ricardo di Cornovaglia, che ricusò, paragonandolo a chi gli -esibisse la luna: Enrico III d’Inghilterra l’accettò per suo figlio -Edmondo, tanto perchè anche questo gobbo avesse un appanaggio, e spedì -qualche denaro per alimentare la guerra, ma null’altro ne fece. - -In tali incertezze ognuno ghermiva qualche brano di potere, chi a nome -del papa, chi del re, chi del Comune, chi di nessuno; gli ordinamenti -municipali allargavansi in repubblica; e Bertoldo, vedendo gl’italiani -mal intalentati verso lui straniero, rimise la reggenza in man di -Manfredi. - -Federico lo aveva in testamento sostituito a succedergli, caso che -Corrado morisse senza prole; e chi conosce le ambizioni umane, non si -recherà difficile a credere ch’egli aspirasse ad acquistare quel regno -come suo, pur mostrando faticare pel nipote. Di forme ben assortite, -nobile portamento, discreto trattare, si era coltivato colle lettere; -e robustezza, valore, grazia attrattiva, senno, scaltrimenti avea -quanto bisognava al riuscire. Sulle prime, quando mancava di denaro, -e i baroni vedeva nojati della dominazione tedesca, s’umiliò al papa, -gli consegnò le rôcche, e lo riconobbe non solo come caposignore, ma -come vero sovrano del Regno: al qual patto Innocenzo gli consentì il -principato di Taranto e l’altre terre qual feudo della Chiesa, col peso -di dare ad ogni richiesta cinquanta cavalieri per quaranta giorni; e -il deputò suo vicario di qua dal Faro, coll’assegno d’ottomila once -d’oro, mentre la Sicilia restava a governo di Pietro Rufo, speditovi -da Corrado IV. Innocenzo entrò nel Regno, accompagnato dagli esuli cui -restituiva la patria, e accolto ad onoranza dal popolo e dai signori. - -Conciliazione apparente, ove gareggiavano qual dei due meglio -simulasse. Manfredi secondava or le pretensioni del pontefice, or le -esigenze de’ Tedeschi e de’ Saracini che si vedevano sbancati per la -dominazione papale[381]; tradimenti e battaglie aperte ricorrevano -fra le due fazioni. In una di queste perì Borello d’Anglone, creatura -pontifizia; e Manfredi, citato a scagionarsi della costui morte, -invece pensò resistere, e adottò la politica paterna di confidare -sulla forza e sui mercenarj forestieri. Attraversando dunque il paese, -tutto malvolto a lui scomunicato (1254 — 9bre), giunse nella Capitanata -fra gravi pericoli. Giovanni il Moro, nato da una schiava nel palazzo -reale, brutto, sconcio, ma astutissimo, era stato allevato con gran -finezza per cura di Federico, che lo pose fra’ suoi secretarj, il fece -persino gran cameriere del regno, e insieme capitano de’ Saracini di -Lucera. Manfredi gli lasciò le dignità; eppure colui patteggiò col -pontefice, che lo ricevette come feudatario e sotto la protezione -speciale della chiesa di San Pietro[382]. Fortunatamente egli era -andato a ricevere l’investitura quando Manfredi arrivò a Lucera, dove -i Saracini lo accolsero festosi, e posero a discrezione di lui i tesori -depostivi da suo padre e da Corrado, coi quali soldò mercenarj di qual -fossero nazione o colore; e avendo i baroni protestato di non tenersi -obbligati a militare fuori del Regno, Manfredi ne li dispensò, e in -quella vece condusse duemila Tedeschi per sei mesi a paga doppia: e -ai capitani di cotesti forestieri, o ai conti rurali, gente anch’essa -forestiera, e agli Arabi affidava la guardia e il governo delle città -guelfe che sottomettesse, o delle ghibelline che gli si unissero. - -Innocenzo IV, inesorabile alla casa sveva, era morto (7 xbre) a Napoli, -e fra l’agonia udendo i parenti suoi piangere e singhiozzare, esclamò: -— Miserabili! non v’ho io abbastanza arricchiti?»[383]. Gli succedette -Alessandro IV, dei Conti di Segni, donde in sessant’anni erano venuti -alla tiara Innocenzo III e Gregorio IX; tutto pietà, ma raggirato dai -cortigiani. Manfredi, inebbriato sul prosperare delle sue armi, gli -ricusò omaggio, sicchè la guerra divampò, e il legato Ottaviano degli -Ubaldini raccolse quanti erano avversarj a Manfredi, e nominatamente -il marchese Bertoldo, disgustato dal vedere che costui operava per -sè, non più per Corradino, il quale anche con diploma reale avealo -nominato reggente «come quello che per prudenza, fedeltà, alto senno -ben meritava la sua confidenza, oltre che aveva diritto»[384]: ma -poi Manfredi trionfava in ogni parte, coll’operosità mostravasi degno -di regnare; adunato il parlamento, distribuì i feudi a’ suoi fidati, -spogliò gli avversi, e avuto in mano Bertoldo e i fratelli suoi, li -mandò a morire in prigione. Divulgò o lasciò divulgare che Corradino -fosse morto; in conseguenza si fece coronare a Palermo. Il papa lo -scomunica co’ suoi aderenti (1258 — 11 agosto); ed egli si costituisce -centro de’ Ghibellini di tutta Italia; occupa Napoli, e se la concilia -col perdono e l’oblio; trovandosi come padrone nelle marche d’Ancona e -di Spoleto, piglia in mezzo gli Stati papali; essendogli morta Beatrice -di Savoja, sposa Elena Comneno figlia del despoto dell’Epiro, e la -festeggia con magnificenza; ama le caccie, ama le canzoni di poeti -tedeschi, i serventesi di provenzali, gli strambotti d’italiani[385]; -circondasi di dotti, giocolieri, concubine, e corte all’orientale; -intanto spedisce truppe sia in Grecia a sostenere lo suocero, sia nella -Marca e in Toscana a fiancheggiare i Ghibellini, i quali lo favorivano -perchè non tanto forte da metterli al freno, e perchè altro Tedesco non -venisse in Italia[386]. In quattro anni era egli riuscito a ritogliere -dalla mano dei papi quello scettro che suo padre avea con tanto vigore -impugnato; carezzava baroni, prometteva rintegrare le franchigie -municipali, distribuiva onori e contee, dava risalto al valor suo -personale a fronte delle codarde fughe dei preti, e non mancava di -punire atrocemente le città contumaci. - -Il nuovo papa Urbano IV (1261), uom di robusto petto[387], sulle -vetriate di Troyes sua patria fe ritrarre suo padre intento allo spago -di ciabattino; si cinse di buoni cardinali; e degl’interdetti allora -prodigati mitigò il rigore, permettendo la messa e i sacramenti purchè -a porte chiuse. Ordinò che il corpo di Saracini stanziatosi sugli -Stati papali sgombrasse, o bandirebbe la crociata; e fu obbedito da -Manfredi, fors’anche per paura d’un nuovo entusiasmo che erasi diffuso. -Una dirotta di battuti, uomini, donne, fanciulli, a lunghe file in -disordine seguendo un crocifisso, flagellandosi a sangue, e cantando -lo _Stabat Mater_, tragittavansi di città a città, intimando penitenza -e concordando paci. Allorchè si accostavano ad una, podestà e clero -uscivano ad incontrarli colle croci e il gonfalone, i campagnuoli -interrompevano i lavori, ognuno voleva sorpassare i precedenti -in austerità di penitenze e asprezza di flagellazione, e le donne -si radunavano la notte per applicarsi la disciplina, e tutti gli -abitanti si metteano dietro alle croci. A questa clamorosa devozione, -non promulgata da predicatori, non istituita dal pontefice, diffusa -rapidamente da un capo all’altro d’Europa senza che si sapesse da chi e -perchè, entrava negli animi la persuasione d’alcuna grave sventura, con -cui Dio fosse per risciacquare la terra peccatrice; tacquero le danze e -le canzoni d’amore, per far luogo a pellegrinaggi e a devote cantilene; -usurieri e ladri restituivano il mal tolto, peccatori inveterati -si confessavano e ravvedevano, le violente ire ammorzavansi come un -incendio sotto un mucchio di terra. - -Il marchese Oberto Pelavicino piantò delle forche al confine del -suo Stato, minacciando appendervi quanti Flagellanti lo passassero. -Manfredi egualmente gli escluse dal Regno; ma comprese che guaj a -lui se il papa avesse cavato pro da quell’entusiasmo per dirigerlo -contr’esso. - -Anche in Sicilia un paltoniero finse d’essere Federico, che per -espiazione fosse rimasto dieci anni in miseria; e trovò seguaci e -denari, e fu forza mandar l’esercito per dissiparli e appiccare i capi. -Manfredi, ito in persona a chetar l’isola, raccolse il parlamento -generale a Palermo, dove i nobili vennero offrendo doni, fra cui -un cavaliere di val di Mazzara cento muli condotti da altrettanti -schiavi negri[388]. Gratificarsi il popolo con largheggiare libertà e -istituir Comuni non osava, egli erede de’ rancori degli Svevi; anzi era -costretto gravare sempre peggio le imposte, oltre esigere trentamila -once d’oro pel matrimonio di sua figlia Costanza con Pietro infante -d’Aragona, sul che dicevasi profittasse per la propria borsa[389]. -Altre spese cagionavano le feste, a cui tanto si piaceva Manfredi: e di -segnalate ne diede in occasione che sbarcò a Bari Baldovino spossessato -imperatore di Costantinopoli, quando tra banchetti e balli v’ebbe un -torneo ove ruppero le lancie venti cavalieri cristiani e due musulmani -di Lucera, e premio era una collana d’oro coll’effigie di Manfredi. -«Ogni jorno se fecero balli, dove erano donne bellissime, d’onne -sorte; e lo re presentava egualmente a tutte, e non sapea qual chiù li -piaceva» (SPINELLI). - -Questi cercò anche d’accordarsi col papa, fin mettendo di mezzo il -famoso giurista Raimondo di Pegnafort, ma senza niun degno pro; anzi -Manfredi ricusò rilasciare il vescovo di Verona, che diceva arrestato a -capo d’insorgenti; e inveendo contro il pontefice, — Cessi (esclamava) -una volta di metter la falce nella messe altrui; obbedisca al divino -precetto di rendere a Cesare quel ch’è di Cesare, a Dio quel che di -Dio»; e scrisse ai Romani che non al papa ma al senato e alla città -loro spettava il diritto di dare e togliere la corona imperiale, e -mandò mercenarj tedeschi a ripigliare le ostilità[390]. - -Di questa lotta erano stanchi i principi d’Europa, giacchè per -sostenerla i pontefici imponevano continue decime e annate sui beni -ecclesiastici; e vedendo che quelli ostinavansi a volere sbalzata la -casa Sveva, s’acconciarono essi pure a questo partito, e si diede nerbo -alla guerra coll’opporre a Manfredi un altro campione. - -Raimondo Berengario, conte della Provenza che molta parte avea avuto -nelle vicende di Nizza, di Genova e delle alpi Marittime, sposò -Beatrice figlia di Tommaso conte di Savoja, bellissima, letterata, e -protettrice del sapere, che tenea spesso corti bandite e corti d’amore, -favoriva trovadori, circondavasi di donne nominate fra le poetesse, -quali Beatrice sua cugina, Agnesina di Saluzzo, Massa dei Malaspina, -la contessa Del Carretto, la principessa Barbossa. Di lei Raimondo -generò quattro figliuole, di cui maritò una al re di Francia, una a -quel d’Inghilterra, una al duca di Cornovaglia eletto re de’ Romani, -e morendo lasciava nubile Beatrice in tutela della madre. La quale, -per sottrarla agli Aragonesi che aspiravano a quel dominio, la menò -alla corte di Luigi IX di Francia suo genero, e quivi la fidanzò -a Carlo d’Angiò, il minore fratello di lui. Voleva poi continuare -in uffizio di contessa della Provenza, ma Carlo tergiversolla; del -che abbiamo una lettera consolatoria che le scriveva l’altro genero -Enrico d’Inghilterra[391]: e infine essa dovette abbandonare il paese -e restituirsi in Savoja, dove fondò alle Scale uno spedale, e vi fu -sepolta in un mausoleo di ventidue statue, distrutto poi nelle guerre -del Seicento. - -Dispiacere e sgomento risentì la Provenza, che subito si vide -allagata d’uffiziali francesi; e mozze le libertà di quel gran Comune, -ordinato alla foggia dei nostri, si moltiplicarono imposte, confische, -prigionie, supplizj arbitrarj. Carlo, allora sui quarantasei anni, -oltre questo possesso della moglie, teneva, come figlio di Francia, -la contea d’Angiò; sicchè era il più ricco e potente de’ principi -non coronati; educato austeramente dalla regina Bianca, di valore -avea fatto splendide prove alla crociata e ne’ tornei, de’ quali -vivamente si piaceva; credea perduto il tempo dato al dormire, amava -le suntuosità e le cortesie non meno che le avventure e le prodezze, -cupo di naturale, non scrupoloso sui mezzi, implacabile coi nemici, -pertinace nelle risoluzioni e paziente ad aspettarne la riuscita, -fedifrago quando occorresse. Colla spada assodò e ingrandì il dominio, -sottomettendo, fra altre, le importanti città di Arles e Marsiglia, -strettamente collegate per commercio con Pisa e Genova; e allungandosi -verso l’Italia, ebbe Ventimiglia e Nizza. - -Qual meraviglia ch’egli ambisse di non essere da meno del regio -fratello? Sua moglie poi struggevasi di portare onore di corona e di -reame come le tre sorelle, colle quali trovatasi ad una corte bandita, -fu obbligata prendere un posto inferiore. Quando dunque il papa gli -offrì il regno delle Sicilie, volontieri l’accettò Carlo; ma Bianca, -allora reggente di Francia, non gli consentì l’impresa. Egli però -non distaccava gli occhi dall’Italia, e di qua dai monti acquistò -Alba, Cuneo, Mondovì Piano, Cherasco; poi venuto alla tiara Urbano -IV, rinnovò la pratica, e tolti gli scrupoli che nasceano a san Luigi -sopra i diritti di Corradino, s’accinse ad acquistare il Reame. Prima -di moversi acconciò i suoi affari in Provenza, compromise le discordie -che avea con Tommaso marchese di Saluzzo pel possesso di Busca e della -val di Stura, e fece costruir navi nell’arsenale di Nizza, traendovi -legname dai monti vicini per opera degli uomini di Peglia[392]. - -Ma la Provenza non dava guerrieri che per quaranta giorni e per brevi -distanze; sicchè fu forza ricorrere a venturieri, stipendiandoli in -parte colle decime imposte alle chiese di Francia, in parte colle gioje -della contessa poste in pegno: vi si unirono i migliori campioni di -Francia e di Provenza, volendo, per amore cavalleresco verso Beatrice, -_farla reina_; altri per ingordigia di bottino; altri per acquistare -le indulgenze che il papa prometteva, quasi fosse una crociata per -chiudere il varco che agli Arabi aveano riaperto gli Svevi annidandoli -in Italia. Così furono messi in acconcio quindicimila fanti, cinquemila -lancie, diecimila balestrieri; sostenuto dai quali e dagli indulti, -Carlo s’avviò all’Italia. - -Ad altri forti erano ricorsi i pontefici fin dal tempo de’ Pepini; -vi ricorsero dappoi fino a’ dì nostri, per sostenere buone cause e -sciagurate: e i frutti furono sì differenti, che non si osa misurar -la lode o il biasimo sopra gli effetti. Solo possiam francamente -desiderare che la podestà sovreminente si trovi costretta il men -possibile a implicarsi in interessi mondani, dai quali trasse sovente -contaminazione, sempre il disgusto di qualche parte di coloro che tutti -le sono figli in Cristo. - -Urbano, incalzato più sempre dai Ghibellini e da Manfredi fin nella -sua Roma, morì (1263); e Clemente IV suo successore si professò -avverso al nepotismo, e ad un suo nipote scrisse: — Non t’inorgogliare -d’un’elevazione che noi umilia a’ nostri occhi, e che svanirà come la -rugiada del mattino. Non uscire dal tuo stato; nè tu o tuo fratello -e altri nostri parenti vengano alla corte senz’esservi chiamati, -se non vogliano partirne colmi di confusione. Non cercare alle tue -sorelle mariti di condizione superiore, chè ci troveresti repugnanti: -ma se si mariteranno a semplici cavalieri, daremo loro trecento lire -tornesi, purchè ciò sia noto solo a te e tua madre. Le figlie nostre -(egli era stato ammogliato) non prendano altri mariti che se noi -fossimo rimasti semplici preti. Niuno ardisca venirci a sollecitare, -nè accettar regali; le vostre istanze sarebbero anzi nocevoli che -vantaggiose»[393]. - -Come provenzale egli pendea verso Carlo, e più quando, nella guerra -politica e insieme religiosa di tutta Italia, vide Manfredi assicurare -prevalenza agli avversarj de’ papi. Carlo, a malgrado delle flotte -combinate di Sicilia e di Pisa, con mille cavalieri scelti sbarcò -a Roma, i cui cittadini lo chiesero senatore, e lo ricevettero con -feste quali a nessun principe mai. Egli pattuì col pontefice sotto -fede giurata di conseguire le Due Sicilie per sè e pe’ maschi suoi -discendenti, o nati da figlie secondo l’ordine delle geniture; non -dividerebbe o estenderebbe que’ dominj, nè s’intrometterebbe agli -affari di Lombardia e Toscana; pagherebbe una somma allor allora, poi -ottomila once d’oro l’anno, sotto pena di decadenza; darebbe al papa -ad ogni richiesta trecento lancie da almeno tre cavalli ciascuna per -tre mesi; ogn’anno gli presenterebbe un palafreno bianco, bello e di -buona razza, in segno di omaggio[394]; non accetterebbe mai la dignità -imperiale; quella di senatore di Roma deporrebbe appena stabilito -in trono; del resto rispetterebbe la costituzione che il papa fosse -per dare alla Sicilia, restituirebbe alla Chiesa ogni bene o titolo -usurpatole, e lascerebbe la piena libertà delle elezioni e provvisioni -prelatizie, sicchè nè prima nè dopo fosse necessario il regio assenso; -i chierici e le cause ecclesiastiche si tratterebbero al tribunale de’ -vescovi. - -Fra ciò, pei colli dell’Argentiera e di Tenda veniva di Francia -l’esercito di Carlo. Pietro conte di Savoja e Guglielmo marchese -di Monferrato, disertati dalla parte ghibellina, favorivano i nuovi -vincitori; Acqui e Novi ne provarono le vendette; Torino, Vercelli, -Novara gli accolsero lietamente; donde voltarono al Milanese, ai -Guelfi dando il sopravvento, e cacciando i Ghibellini. Questi, e -principalmente i Del Carretto e il marchese Pelavicino, ch’erasi -formato uno Stato poderoso fra Cremona e Brescia, si opposero; ma, -fors’anche per tradimento di Buoso da Dovara, i crocesignati poterono -fendere il Bresciano, poi spingersi a Ferrara e al Bolognese, evitando -la Toscana ancor fedele a Manfredi, indi raggiungere Carlo a Roma. -Quivi arrivavano stanchi, poveri, nudi, affamati delle ricchezze -romane; ma Carlo le aveva esauste, prestiti non si trovavano più perchè -non si restituivano, e il paese era manomesso come una conquista. - -Clemente non voleva andare a Roma per non mettersi in balìa di -Carlo, che allora egli conosceva ambizioso insieme ed egoisto, gran -pezzo inferiore all’aspettazione e alle pompose promesse, e che -incessantemente chiedeva denaro, «quasi (scrive il papa) noi avessimo -montagne d’oro e fiumi di ricchezze»: tanto per ismorbare la città -s’affrettò a fargli dare la corona di Sicilia e il gonfalone della -Chiesa (1266), dopo nuovi giuramenti di ligezza; e lo sollecitò a -rompere gl’indugi, benchè di fitto verno. Il papa levava decime e -centesime per tutta la cristianità, dava in ipoteca i beni proprj e de’ -cardinali per ottenere prestiti da Senesi e Fiorentini, moltiplicava -indulgenze, assolveva incendiarj e sacrileghi purchè pigliassero la -croce bianca e rossa; e col re mandò il suo legato Pignatelli vescovo -di Cosenza, portatore d’assoluzioni e di scomuniche. - -Manfredi facea côlta di gente, di moneta, di coraggio, chiese il -contingente de’ feudatarj, chiamò nuovi Saracini d’Africa; una flotta -di legni siculi, genovesi, pisani postò fra la Sardegna e l’Italia, ed -assalì il patrimonio pontifizio, sperando sterminare i Francesi prima -che sopravenisse l’esercito grosso; ma tutto gli facea sentire che -la nazione non era con lui: i Napoletani, stanchi dell’interdetto, lo -supplicavano a far pace col papa, ed egli protestava non averne colpa; -prometteva mandare trecento Saracini, che obbligherebbero i preti -a riaprire le chiese e cantar messe; colle congiure ribellò Roma ai -papi, ma altre congiure lo costrinsero a ritirarsi dal territorio della -Chiesa. Munì gagliardamente quelle gole, che sarebbero accessibili -soltanto per tradimento o per vigliaccheria dei difensori: ma con -tutto ciò la paura stringeva i cuori[395]; poi dicono che il conte -di Caserta, messo a guardia del fiume Garigliano, per vendicarsi -dell’oltraggio fattogli da Manfredi nella moglie, lasciasse il varco ai -Francesi. Manfredi, sentendosi preso fra le spire del tradimento, colle -parlate e coi manifesti non ottenendo che promesse o quella compassione -che nobilita ma non prospera le bandiere, propose un accordo; ma Carlo -rispose: — Dite al soldano di Nocera che seco nè pace nè tregua; oggi -io manderò lui all’inferno, od egli me in paradiso». - -Altre volte vedemmo la disperanza del vincere infondere una smania di -azzuffarsi e finirla; e mentre col ricoverare nelle fortezze poteva -prolungare la resistenza, Manfredi volle tutto avventurare in una -giornata campale a Grandella presso Benevento (1266 — 26 febbr.). -Quivi da una parte gl’indovini arabi prendeano dagli astri il punto -favorevole a ingaggiare la mischia[396]; dall’altra il vescovo -d’Auxerre tutto in arme compartiva l’assoluzione ai Francesi, e — -Per penitenza vi do di ferire molto forte e a colpi raddoppiati». Si -mescola la battaglia; i Guelfi, massime toscani, fanno meraviglie di -valore; di maggiori e con più arte ne fanno Manfredi, i suoi Arabi e -i cavalieri tedeschi, che alti e vigorosi, le lunghe spade rotando -a due mani, prevaleano ai Francesi, le cui spade corte e dritte si -rintuzzavano battendo il taglio sulle armadure temprate a tutta botta. -Carlo allora getta da banda le delicatezze cavalleresche, e ordina -_Di stocco, di stocco_, e di dare colla punta sotto le ascelle de’ -Tedeschi come alzano le braccia, e di ferire ai destrieri[397]; sicchè -i Tedeschi scavalcati non possono rialzarsi di sotto la poderosa -armadura. Manfredi vuole allora avanzare i Pugliesi tenuti in riserva, -ma li trova renitenti: suo zio conte di Maletta gran cameriere -dà il segno della defezione: lo seguono il conte d’Acerra cognato -di Manfredi, e altri cavalieri, già d’intesa col nemico. Fremente -all’abbandono del fior dei prodi, e risoluto a morire da re piuttosto -che campare esule e compassionevole[398], Manfredi getta le insegne -vistose e prende un elmo senza corona; ma l’aquila che ne formava -il cimiero casca. _Hoc est signum Dei_, esclama egli, e avventatosi -disperatamente nella mischia, cade trafitto. Il cadavere suo, trovato -fra un mucchio di uccisi, fu riconosciuto al pianto dei suoi fedeli; -i baroni francesi gli voleano rendere gli onori militari, ma Carlo -riflettè che, come scomunicato, doveva essere escluso dalla sepoltura -sacra: onde deposto in una fossa, i soldati vi gettarono ciascuno -una pietra, elevando così un tumulo come ai prischi eroi. Nè quella -tomba tampoco gli assentì il legato pontifizio, e lo fe gettare sulla -dritta del fiume Verde, che fra Ceprano e Sora contermina il Reame e la -Romagna. - -Noi non graveremo la memoria di Manfredi quanto fece l’ira de’ Guelfi; -anzi ci alletta quel far suo cavalleresco, generoso, ameno, e la -costanza con cui affrontò la sventura: pure, incominciata la carriera -della usurpazione, dovette procedere per vie oblique e finzioni; come i -suoi padri, badò a sè anzi che ai popoli e ai loro bisogni e desiderj, -e non ne cercò l’amore; combattè col braccio di stranieri, gravi anche -quando non fossero rapaci; e i tradimenti de’ suoi più vicini ci fanno -orrore, ma suppongono forti motivi. - -Elena moglie di lui cercò fuggire a suo padre in Epiro, ma a Trani -restò côlta a tradimento, e mandata prigione a Nocera; tra lei e i -figli assegnatile sei carlini, di stento e di cruccio morì cinque -anni dappoi: sua figlia Beatrice sol dopo diciotto anni fu rimessa in -libertà; i tre maschi vissero tapini di prigione in prigione. I fautori -di Manfredi furono mandati in Provenza o nelle fortezze del regno o -profughi: i traditori ottennero scarsi premj e disprezzo. I Saracini, -assediati nei loro ricoveri, dopo orrida fame dovettero rendersi -a discrezione, e abbandonare ai supplizj i Ghibellini che aveano -ricoverati; alcuni abjurarono, altri furono dispersi nel Regno; pochi -durarono a Lucera, fatta nido de’ malcontenti, sicchè Carlo li rivinse, -poi li tollerò, e se ne valse in guerra; infine Carlo II dissipò quella -colonia, e ne mutò il nome in Santa Maria (1303), e Benedetto XI lo -felicitava d’avere annichilata in Italia la fede eterodossa. - -Coll’annunzio della vittoria di Benevento Carlo di Angiò spedì al papa -due preziosissimi candelabri d’oro, molti giojelli e un trono gemmato; -pure non impedì che Benevento, città pontifizia, fosse mandata al -peggiore saccheggio. Napoli andò in gongolo vedendo entrar la regina -Beatrice con carrozze dorate e quantità di damigelle e un lusso -inusato[399], e coi leoni, gli elefanti e i dromedarj ch’erano stati -dell’imperatore Federico I. I tesori che Manfredi avea deposti nel -castello di Porta Capuana sarebbero dovuti spartirsi fra i compagni -dell’impresa, al qual uopo Carlo domandò le bilancie. — Che bilancie?» -proruppe Ugo del Balzo cavaliere provenzale; e coi piedi fattone tre -mucchi, — Questo vada a monsignore il re, questo alla regina, questo -ai vostri cavalieri». Carlo rimunerollo colla contea d’Avellino; poi -dappertutto stabilì baroni, magistrati, giustizieri di sua gente, -volendo a cose nuove persone nuove, e portando tutti i guaj d’un’altra -conquista e d’una vantata liberazione. Il sistema fiscale introdotto da -Federico II fu mantenuto non solo, ma applicato con rigore insolito; -e perchè Roma voleva immuni i beni ecclesiastici, succhiavansi il -sangue e le midolle degli altri[400]. I nascosti amici della casa -Sveva gemeano; quei troppi che sogliono ripromettersi ogni bene dai -liberatori, delusi levavano lamento, ed — O buon re Manfredi, mal ti -conoscemmo da vivo, morto ti deploriamo. Ci sembravi un lupo rapace fra -noi pecore; ma dacchè la volubilità nostra ci mutò al presente dominio, -comprendiamo ch’eri un agnello. Già c’incresceva che parte delle nostre -sostanze venisse alle tue mani; ed ecco i beni tutti e fin le persone -sono in balìa d’una gente straniera». - -Antica canzone, che i popoli ripetono ad ogni cangiare di dominio, -ma che non profitta nè per risparmiarsi i disinganni prima, nè per -fare tolleranti delle conseguenze. Anche il pontefice, tratto alla -necessità di appoggiarsi sugli stranieri, di lanciare scomuniche a -città anticamente fedeli alla sua bandiera, di concitare le passioni -popolari, tanto difficili a calmare dopo che proruppe l’egoistica -esasperazione de’ partiti; caricatosi di debiti, avea sperato pagarli -tostochè Carlo sedesse in trono, e poter così rientrare a Roma: ma -dov’erasi creduto avere in costui un devoto, trovava un despoto; aveva -cercato le franchigie de’ Siciliani, e vedea di avervi piantato un -tiranno. Non cessava dunque di fargli rimproveri, e — Se tuoi ministri -(scrivevagli) spogliano il regno, a te si ascrive la colpa, che gli -uffizj empisti di ladri e assassini, i quali si permettono azioni, di -cui non può Iddio sopportare la vista... ratti, adulterj, estorsioni, -ladronecci... M’alleghi a scusa la povertà! non ti basta dunque un -regno, colle cui entrate un grand’uomo qual fu Federico sosteneva ben -maggiori spese, saziava l’avidità della Lombardia, della Toscana, delle -Marche, della Germania, eppure accumulò immense ricchezze?»[401]. - -Il papa, vedendo rannodarsi brighe in senso ghibellino, mandò come -paciere in Toscana Carlo (1267), con giuramento che non terrebbe -l’autorità più di tre anni, e la cederebbe tosto che un imperatore -fosse riconosciuto. Firenze gli si assoggetta per dieci anni, -ed il paciere vi eccita guerra di sterminio: anche molte città -lombarde chiedono da lui i podestà; ond’egli osa perfino domandare -lo eleggano lor signore; ma le più risposero: — Amico sì, ma non -padrone». Dichiarato dal papa vicario dell’Impero vacante, estende -la giurisdizione sovra il Piemonte, che gl’importava come vicino -alla Provenza sua; e con titolo di rabbonacciare, assoda pertutto la -dominazione propria e de’ Guelfi. - -Allora rinacque compassione e desiderio di quella stirpe che pur -dianzi erasi maledetta; e gli occhi volgevansi di là dall’Alpi, -ove ne sopravivea l’unico rampollo. Corradino, spoglio de’ beni e -delle dignità avite, proscritto prima di nascere colla discendenza -tutta di Federico II, cresceva a Landshut presso il duca Lodovico -di Baviera sotto gli occhi della madre Elisabetta: a sedici anni, -bellissimo di persona, liberale comunque povero, dato alla caccia e -all’armeggiare, colto nel latino, nel tedesco componeva poesie che -ebbero lode fra le prime di quella lingua. Balocco di tutti i partiti, -mira di tutti i malcontenti, erasi fin pensato crearlo imperatore di -Germania: la taccia d’infingardaggine inflittagli dai Tedeschi[402], le -sollecitazioni degl’Italiani, le esagerazioni de’ vicini alimentavangli -i sogni di risorgimento, abituali ai discendenti di razze scoronate, -cui la nebbia degl’incensi toglie di vedere la situazione e di -calcolare i mezzi e le probabilità. I Lancia, parenti per madre di -Manfredi e fedelissimi a questo nella gloria e nelle sventure, riusciti -a fuggire dalle carceri di re Carlo, furono principali in sollecitar -Corradino a rivendicare la corona, portandogli centomila fiorini, i -voti di Pisa e Siena, e offerte pompose; potrebbe soldare mercenarj; -cavalieri di ventura sarebbero accorsi a sì nobile impresa; si -mostrasse appena, e gl’Italiani, stanchi de’ Guelfi, de’ papi, degli -Angioini, volerebbero tutti al suo stendardo. - -Coll’ardore d’un giovane e la cecità d’un pretendente, mosse egli -dunque verso l’Italia, per quanto sua madre lo disortasse: i duchi -di Baviera suoi zii lo accompagnarono fino a Verona con diecimila -combattenti; ma poichè a lui venne meno il denaro da soldarli, questi -diedero volta, e soli tremila potè ritenerne impegnando il proprio -patrimonio. Che importa? gli amici di suo avo, i Ghibellini di tutta -Italia, i malcontenti di Sicilia gli largheggiavano promesse, merce -di poco costo; uomini e denari affluirebbero; il solo Maletta, quel -che dicemmo aver tradito Manfredi a Benevento, e che era divenuto -gran tesoriere di Carlo, lo aveva assicurato di sedicimila once -d’oro e mille cavalieri stipendiati. Vero è che nè uomini nè denaro -comparivano: ma intanto Corradino componeva manifesti, arma di chi è -debole nelle altre; incorava gl’italiani a venire incontro a lui, che -rialzerebbe l’onore dell’Italia e la dignità del nome tedesco[403]; -ai principi d’Europa si lagnava dei papi: — Innocente ha nociuto a me -innocente, Urbano mi si è mostro inurbano, Clemente mi usò inclemenza, -e Roma mi odia a segno, da non volermi pur vivo, me rampollo di -magnifica stirpe, che sì lungamente imperò, e dalla quale non voglio -dirazzar io, eletto e creato alla sublimità dell’impero sulle orme de’ -miei progenitori». - -Fra ciò gli Astigiani, che, per seguire l’andazzo, si erano sottomessi -a pagar tributo a Carlo, vedendo che neppure con ciò poteano schermirsi -dalle prepotenze dei marescialli che per lui tenevano Torino, -Alba, Alessandria, Savigliano, soldarono millecinquecento uomini, -e collegatisi coi Pavesi e col marchese di Monferrato (genero di -Alfonso di Castiglia imperatore eletto e vicario di questo in Italia), -ribellarono a Carlo le città soggette: del che incoraggiati anche i -Genovesi batterono le flotte di lui; come i Pisani con ventiquattro -galee, comandate da Federico Lancia, sconfissero a Melazzo la flotta -provenzale. Ne prendeva lieto augurio Corradino, e prevenendo la -resistenza delle repubbliche guelfe raccoltesi nuovamente in lega, e -sostenuto dalle ghibelline, da Pavia con ardita marcia varcò i gioghi -liguri (1268); ad un piccolo porto presso Savona trovò galee che lo -trasportarono a Pisa; e non contrastato nè sulle Alpi nè ai grossi -fiumi, poteva ormai portare le armi nel paese stesso dei nemici, -agitato dalle memorie e dalle trame. - -Clemente IV, tuttochè scontento di re Carlo, più si adombrava di questo -fanciullo, che pretendeva ancora congiungere l’Impero e la Sicilia; -onde lo dichiarò scomunicato co’ suoi aderenti, e decaduto non solo -da qualsifosse diritto sopra il regno di Sicilia, ma anche sopra il -ducato di Svevia e il nominale reame di Gerusalemme; e insultava a -questo «reatino, uscito dalla razza velenosa del tortuoso serpente, -che aspirando all’esterminio della romana madre Chiesa, col suo fiato -appesta le contrade toscane, e manda traditori nelle diverse città -dell’Impero vacante e del nostro regno di Sicilia»[404]. - -Tali parole già indicano come non mancassero al pretendente que’ -partigiani che facilmente trova chiunque venga a sommovere regno nuovo. -I baroni, che in Lombardia e in Toscana teneano feudi dell’Impero, e -all’ombra di questo aveano esercitato la tirannia, bramavano un nuovo -imperatore, massime se giovane e fiacco, sotto il cui nome velassero -le superbe loro voglie. Corrado Capece, penetrato in Sicilia con un -corpo d’Africani, vi avea ridestato l’immortale rancore contro Napoli, -e sostenendo i _Fetenti_ contro i _Ferracani_, come eransi colà -intitolati i Ghibellini e i Guelfi, sollevò tutti i paesi, eccetto -Siracusa e Messina. A Roma, sempre ricalcitrante al dominio papale, -parteggiava apertamente per lui Enrico di Castiglia, che segnalatosi -per vittorie sui Mori, e lungamente dimorato fra i Barbareschi di -Tunisi, di cui aveva contratto i vizj, fatto senatore di Roma, vi -esercitò indegna tirannide, perseguitando molti primati. Favorevole da -principio a Carlo suo parente, se gli avversò dacchè questo l’impedì -di ottenere l’ambito regno di Sardegna, e non gli restituiva i denari -prestatigli; e non meno ritroso al papa, promise a Corradino la propria -spada e un corpo di combattenti. - -Con tali lusinghe Corradino mosse da Pisa, traversò Siena, e spiegò le -sue bandiere sotto le mura di Viterbo, nelle quali stava ricoverato il -pontefice profugo da Roma, e che ai cardinali disse: — Non v’incuta -paura questo giovane, trascinato dai malvagi come una pecora al -macello», e tranquillamente celebrò la solennità della Pentecoste. - -I Romani festeggiarono Corradino come popolo che ha bisogno dello -spettacolo; il terreno coperto d’abiti e di stoffe, le vie parate a -ricchi tappeti, a pelliccie, a drappi di seta e d’oro, e tese di corde -alle quali ciascuno avea sospeso quel che più vistoso possedesse di -vesti, d’armi, di galanterie; e dappertutto suon di tamburi, di viole, -di pifferi, e cori allegramente cantanti[405]. Corradino, gridato -liberatore del popolo, spada d’Italia, e quegli altri titoli che d’età -in età sono echeggiati dal vulgo di piazza e di gabinetto, ascese al -Campidoglio, e tenne un discorso, ove il popolo romano avrà trovato -tutte le bellezze di sentimento e di forma, perchè v’era adulato. -Urli di gioja ridestarono l’eco dei sette colli, e in poesia e in -prosa si inneggiò al legittimo successore di tanti Cesari. Quei che -lo contrariarono ebbero prigione, saccheggio, confisca; il senatore, -per far denari, spogliò le chiese e le sacristie, dove allora solevano -anche i privati deporre le ricchezze; e stipendiato soldati, mosse a un -conquisto, di cui forse sperava il miglior frutto. - -Ebbro di speranze, il giovane Svevo mosse per Tivoli e Vicovaro -onde penetrare negli Abruzzi, monti così opportuni ad accamparsi, -e dove verrebbero a raggiungiungerlo tutti i fazionieri suoi del -Regno, e principalmente i Pagani di Lucera. Ma non dormiva Carlo, -e a Tagliacozzo (23 agosto), presso gli antichi _Campi Palentini_, -trasformati in piano di San Valentino, pettoreggiò il rivale. Alle armi -del re benediva il legato pontifizio, imprecava a quelle di Corradino: -ma questi menava buon numero di Tedeschi, d’Italiani Galvano Lancia, -di Spagnuoli Enrico di Castiglia. Ai Ghibellini parve assicurata la -superiorità, sicchè Carlo disperavasi nel vedere i suoi sparpagliati -e uccisi. Ma a consiglio di Erardo sire di Valery, canuto cavaliere -francese reduce allora di Terrasanta, avea tenuto in riserva un corpo, -col quale assalendo i Ghibellini già inebbriati sulla vittoria, li mise -in pieno sbaratto con tale strage, che quella di Benevento parve un -nulla[406]. - -A Roma i Ghibellini aveano annunziato la vittoria di Corradino, -occasione di nuove feste: ma ben tosto coi fuggiaschi giunse la verità; -che Enrico senatore era in man del nemico; che Carlo ai prigionieri -romani fece troncare i piedi, poi chiuderli in un recinto e quivi -bruciare. I Guelfi, rialzatisi alla vendetta, con nuovi tripudj -accolsero Carlo, che alla sua volta salì in Campidoglio fra apparati -ed inni, ripigliò la dignità di senatore, e sedette giudicando: ma non -perdette tempo ne’ trionfi. - -Corradino, così subitamente caduto dal vertice delle speranze -nell’abisso della realtà, era corso a Roma, quasi a ripetere le -promesse fattegli nella prosperità, ma non trovò che scherni e insidie, -pane dei vinti; talchè vestito da villano fuggì con Galvano Lancia, -il costui figlio e poc’altri, fedeli alla sventura, e specialmente -Federico di Baden suo cugino, che spossessato del ducato d’Austria, -era venuto a ricuperare il retaggio dell’amico, perchè poi l’ajutasse -a ricuperare il suo. Presero la via del mare, cercando qualche legno -che li tragittasse in Sicilia, ove il Capece teneva elevata la loro -bandiera, e giunsero al fiumicello che la Campagna di Roma separa dalle -Paludi Pontine, presso la rôcca d’Astura, ond’era castellano Giovanni -Frangipane romano, che facendo guerra alle strade e al mar vicino, -cercava d’ogni parte o preda o riscatti. Come gli altri baroni, aveva -costui sposata la parte di Corradino; ed ora già imbarcato lo raggiunse -e rimenò nel suo castello, in tentenno se cavar oro dal salvarlo o dal -venderlo. Invano il papa mandò a chieder costoro, arrestati su terre -sue: il Frangipane li consegnò agli Angioini: Carlo, venuto in persona -a Gensano con un corpo di cavalleria per riceverli, senz’altro fece -decapitare il Lancia, suo figlio ed altri di Puglia, vassalli ribelli. - -Clemente IV domandò Corradino, che, come scomunicato, doveva giudicarsi -dalla Chiesa[407]; e avendo preso malavoglia dell’ambizione e della -violenza di re Carlo, in quel giovane vedeva forse un pegno e uno -spauracchio prezioso. Per ciò stesso doveva rifuggire Carlo dal -consegnarglielo; e pare trovasse modo di sgomentare Corradino sul -trattamento che gli destinerebbero questi preti, inesorabili alla -sua casa, e di persuaderlo ad affidarsi alla sua reale clemenza. Di -fatto il giovinetto confessò d’aver peccato contro la santa madre -Chiesa; Ambrogio Sansedoni di Siena, predicatore nominato e santo, -andò al pontefice, e sebbene avesse preparato un eloquente discorso, -s’avvide dell’efficacia della semplicità, e non fece che prostrarsi, -ricordargli la parabola del Figliuol prodigo, poi: — Santità, Corradino -manda a dirvi, _Padre, ho peccato avanti ai cieli e a te_, e chiede -umilmente la remissione del suo fallo per la misericordia ch’è in te». -Il pontefice, tocco nel cuore dalle parole del frate e dall’alito di -Dio, rispose subito: — Ambrogio, io ti dico in verità, la misericordia -vogl’io, non il sagrifizio». E rivoltosi agli astanti: — Non è lui che -parlò, ma lo spirito di Dio onnipotente». Clemente e tutti gli astanti -stupirono della dolcezza che Dio avea fatta passare dalla bocca di -Ambrogio ne’ loro cuori; e così Corradino fu assolto da ogni censura e -dallo sdegno del pontefice[408]. - -La Chiesa ribenediva, il re esultava di vedersi assicurata la sua -preda[409], perocchè, cessato coll’assoluzione ogni conflitto di -giurisdizione, potè disporre il processo a suo senno. Convocò a Napoli -due sindaci di ciascuna delle città del Principato e della Terra di -Lavoro a lui devote, e innanzi a loro e a magistrati, tutti francesi, -propose l’accusa di Corradino. Eppure i più lo tennero come un re -che tenta ricuperare il toltogli dominio; vinto, dovere considerarsi -come prigione di guerra: e perchè Carlo insisteva sull’essere quello -colpevole di sacrilegio per gli arsi monasteri, Guido di Suzara valente -giurista seppe rammentargli come un capo non possa farsi responsale -dei trascorsi de’ suoi seguaci, e come l’esercito stesso di Carlo se ne -fosse contaminato nella prima conquista. Mandato ai voti, tutti furono -per l’assoluzione: unico Roberto di Bari provenzale, protonotaro del -regno, opinò per la morte, e bastò perchè Carlo la decretasse. - -Giocava Corradino agli scacchi col cugino Federico (8bre) quando ebbero -avviso della sentenza: e impetrati tre giorni per prepararsi alla -morte e far testamento[410], dal castello di San Salvadore furono con -dieci compagni condotti alla piazza del Mercato, ov’era disposto il -patibolo. Carlo volle darsi il fiero gusto d’osservare dal castello lo -spettacolo. Roberto di Bari lesse la sentenza motivata, e Corradino, -uditala, levossi il mantello, si pose a ginocchi, esclamò: — O madre, -madre mia, qual notizia avete a sentire!» e posata la testa sul ceppo, -giunte le mani verso il cielo, aspettò il colpo. Federico invece, -urlando, bestemmiando, imprecando, senza chiedere mercè a Dio lasciossi -strappar la vita. Gli altri lo seguirono. - -Il popolo affollato guardava stupidamente e stupidamente piangeva; -e alcuni Francesi, tardi indignati di essere stromenti alle vendette -d’un conquistatore, esalavano la collera con que’ paroloni, di cui fa -scialacquo quella nazione dopo i fatti consumati. Non in terra sacra, -ma sul luogo stesso del supplizio furono sepolti i cadaveri sotto un -cumulo di pietre. Nessun re fece reclamo a questo primo regio sangue -versato dal carnefice: i più, scorgendo il dito di Dio che punisce fino -alla quarta generazione, pure disapprovarono l’abuso della vittoria, e -Giovan Villani scriveva: «Si vede per esperienza che chiunque si leva -contro santa Chiesa ed è scomunicato, conviene che la fine sua sia rea -per l’anima e per lo corpo: ma della sentenza lo re Carlo ne fu molto -ripreso dal papa e dai suoi cardinali e da chiunque fu savio». - -La morte di due giovani principi era un bel soggetto per canti, e -in tedesco e in provenzale se ne fecero: Saba Malaspina diede loro -l’omaggio che uno storico può, la patetica narrazione della loro fine, -e un compianto su quel cadavere che «giaceva come un fiore purpureo -da improvvida falce succiso»: il vulgo narrò che un’aquila scesa dalle -nubi intrise l’ala destra in quel sangue, e tosto risali al cielo. Era -sangue di re, che un re avea fatto scorrere, giustificato dal diritto -della vittoria, e dimenticando che la vittoria non è sempre pei re. Più -grossolane baje inventarono i letterati, e la storia le raccolse con -irragionevole compiacenza. - -Se a chiamare Carlo furono determinati i papi dal voler impedire che -la Sicilia venisse congiunta all’Impero, e che unendo il settentrione -col mezzodì dell’Italia si togliesse a questa l’indipendenza, lo scopo -era raggiunto. Se della libertà i Guelfi aveano idee non più larghe -de’ liberali moderni, e la poneano nello sbrattarsi da’ Tedeschi, -eccoli soddisfatti, giacchè cogli Svevi terminano gl’imperatori che -diretta efficacia esercitassero sopra l’ancor libera Italia, e per -cinquant’anni nessun esercito di quella gente calpestò la sacra nostra -terra. - -Lo sterminio degli Svevi lasciava trionfante il papato: ma Clemente IV -non vide ricomposta la pace coll’Impero, atteso che, mentre accingevasi -a pronunziare fra i competenti al trono di Germania, morì a Viterbo. -Quivi stesso accoltisi i cardinali alla nuova elezione, per tre anni -non seppero mettersi d’accordo, finchè compromessala in sei di essi, -restò proclamato Tibaldo Visconti di Piacenza (1271), allora legato -in Palestina, che volle nominarsi Gregorio X. Onde prevenire il tristo -spettacolo delle ultime elezioni e le lunghe vacanze, regolò la forma -del conclave, i cardinali si chiudessero con un solo conclavista, -ridotti a molte privazioni e a non comunicare con altri di fuori sinchè -non eleggessero il pontefice. - -Radunato il XV concilio ecumenico a Lione (1274 — 7 maggio) affine di -sollecitare una nuova crociata, e ricomporre lo scisma de’ Greci, vi -si presentò Ottone, vicecancelliere di Rodolfo di Habsburg, povero -conte dell’Argovia, che era stato poco prima eletto imperatore di -Germania, e che nuovo s’un trono inaspettato, senza beni nè interessi -in Italia, della quale non conosceva tampoco la geografia, e amando -assodarsi in Germania più che guerreggiare per un regno lontano e -quasi nominale, volle finire il litigio d’omai settant’anni, giurando -adempirebbe le promesse d’Ottone IV e di Federico II; rinunzierebbe -affatto alle terre disputate fra l’Impero e la Chiesa; non accetterebbe -alcuna tenuta ecclesiastica quand’anche offertagli, nè cariche nello -Stato romano senza assenso del papa; non turberebbe il re di Sicilia -od altri vassalli della Chiesa, nè procurerebbe vendetta di Corradino. -Poi, con atti che fece sottoscrivere anche dagli elettori, confermava -al pontefice le antiche donazioni di quanti paesi sono da Radicofani -a Ceprano, oltre l’Emilia, la marca d’Ancona, la Pentapoli e i -possessi della contessa Matilde, Spoleto, il contado di Bertinoro, -Massa, e quanto mai con diplomi fosse stato concesso a’ successori -di san Pietro[411]; inoltre il dominio sulla Sicilia, la Corsica e -la Sardegna. Così restava emancipata la Chiesa, e ottenuto il lungo -intento dei Guelfi. - -Mentre, dalla prima guerra coll’Impero, la Chiesa, vinta in apparenza, -era nel fatto uscita potentissima, da questa pace, coll’aspetto di -vincitrice, cominciò la sua decadenza. Non che un palmo di terra -acquistassero, i papi si trovavano sempre contrariati nella loro -propria città; e dei nove che pontificarono in trentasei anni dopo -la morte di Gregorio IX, sei non v’entrarono, gli altri solo per -brevissimo. L’importanza che traevano dall’opporsi alla dominazione -straniera, scadde dacchè per abbattere i Tedeschi si buttarono in -braccio ai Francesi; onde i Guelfi, così devoti all’indipendenza, si -convertirono in fautori de’ forestieri, ai quali facevano opposizione i -Ghibellini. - -Sempre più copiose dovizie avea potuto accumulare la Chiesa, vuoi in -fondi per signorie e contadi interi avuti in dono o compri dai baroni -che passavano oltremare, vuoi in denaro per le decime, estese fin sul -commercio, sul bottino da guerra, che più? sul meschino guadagno de’ -mendicanti e sul turpe delle meretrici. Ma se i beni ecclesiastici -godevano immunità dai tributi al par degli altri feudali, i Comuni -chiamarono anche il clero a parte dei pesi, com’era dei vantaggi di -quel governo. Sulle prime non vi si trovò sconvenienza; poi, o fosse -iniquo il riparto, o divenisse soverchio l’aggravio, spesse lamentanze -ne mossero gli ecclesiastici; secondando ai quali, i concilj III e IV -Lateranesi vietarono alle autorità di aggravezzare il clero, il quale -dovea contribuirvi sol quando l’avesse trovato spediente al pubblico -bene: ma i papi facilmente concedeano ai principi di tassarlo. - -Anche l’immunità del foro venne ristretta, procurando i governi -intervenire alle decisioni delle curie, che quasi mai non punendo -nel corpo, debolmente reprimevano il delitto. Gli stessi tribunali -dell’Inquisizione posero la Chiesa in qualche dipendenza dai laici, di -cui avevano ad invocare il braccio per eseguire le loro sentenze. - -Le armi spirituali, usate e abusate in interessi mondani, rimasero -rintuzzate: quelle scomuniche motivate su odj che pareano personali, -quelle indulgenze profuse a chi combattesse i nemici temporali della -santa Sede, quelle decime imposte a titolo di redimere Terrasanta -e adoprate invece a guerreggiar Federico o Corradino, quei prelati -che accampavano e benedicevano la strage, sminuivano l’efficacia de’ -pontefici anche quando a favore del popolo frenassero i regj arbitrj, -reprimessero le esazioni di Carlo, proclamassero la pace. Nella contesa -poi aveano dovuto chiamare il popolo a bilanciare le mutue ragioni; -e questo revocò ad esame atti, cui fin allora si era sottomesso -venerabondo: e un potere inerme, quand’è discusso, è caduto. - - - - -CAPITOLO XCIII. - -I Mongoli. — Fine delle crociate, e loro effetti. Gli stemmi. - - -Nel mezzo di questi accadimenti anche le cose di Terrasanta erano -tornate a peggio che mai per l’addietro si fossero. In quelle -colonie, che avrebbero potuto esser tanto profittevoli alla civiltà, -la discordia imbaldanziva non meno che in Europa, di modo che -non si domandava se vincessero i Cristiani o i Saracini, ma se i -Templari o gli Spedalieri, se i Genovesi o i Veneziani; i quali -disputandosi l’imperio del mare e i frutti del commercio col Levante, -impinguavano di sangue italico i mari e le terre straniere, e fin -nelle chiese portavano il sacrilegio di uccisioni fraterne. Presa -che fu Costantinopoli, vedemmo l’impero greco uscire di letargo, e -rotta quella stupefacente sua unità, suddividersi in un centinajo di -principati, ciascuno dei quali focolajo di nuova vita (pag. 265). Oltre -gli Occidentali, anche signori greci aveano costituito particolari -dominj, come Alessio Comneno a Trebisonda, Michele Comneno a Durazzo, -Teodoro Láscari a Nicea di Bitinia. Michele Paleologo, tutore d’un -fanciullo di quest’ultimo, ne usurpò la corona, e mentre la fortuna -gli dava buono, assalse Costantinopoli (1260). Quivi imperava Baldovino -II, sostentato colle limosine della cristianità, e in tali strettezze -che, non bastando impegnare gli ori del palazzo e delle chiese, -vendette fino il piombo e il rame de’ tetti. Michele di sorpresa gli -tolse la città e il trono, e ristabilì l’impero greco (1261) con una -nuova dinastia. I Genovesi che, per umiliare i Veneziani, gli aveano -dato ajuto, ottennero larghe concessioni e il sobborgo di Pera: nè -però Venezia e Pisa furono spogliate degli antichi privilegi e d’avere -giudizj proprj: e il console de’ Pisani, il podestà de’ Genovesi, il -balio de’ Veneziani tennero posto fra i grandi uffiziali di quella -corona. Michele poi non aveva ripigliato che le coste a scirocco del -Peloponneso, restando in essere i principati stabiliti al centro e al -mezzodì della Grecia dai Crociati. - -L’Occidente dava scarsa attenzione a questi mutamenti: se non che un -nuovo flagello venne a minacciare non solo Terrasanta, ma tutta la -cristianità, l’irruzione dei Mongoli o Tartari. Gengis-kan, una di -quelle terribili incarnazioni della forza che sembrerebbero finzioni -mitiche se troppo accertata non ne fosse e compianta l’esistenza, -raccolse e dal cuor dell’Asia mosse questi Barbari, che con una -rapidità appena credibile occuparono da una parte l’immenso impero -della Cina, dall’altra minacciarono soggettare la Persia, conquistarono -la Russia, e ridotta a deserto l’Ungheria, giunsero fin nella Dalmazia, -cioè in vista dell’Italia. - -Tetro sgomento si diffuse per l’universa Europa all’accostarsi di -questa gente _tartarea_, che non conoscea legge nè fede. Gregorio IX -moltiplicava promesse, indulgenze, minaccie, assoluzioni per riunire -tutta cristianità a resistervi, e perchè Federico II si facesse capo -dell’impresa; ma questi se ne fingeva in ispasimo, e largheggiava -in promesse retoriche[412]; poi operava tanto a rilento, che i suoi -malevoli sparsero fosse d’accordo coi Tartari, e per onta al papa e -alla religione gli avesse egli medesimo chiamati. Certo essi mandarono -a lui, come soleano, l’intimata, perchè facesse omaggio dei suoi dominj -al gran kan, in ricompensa offrendogli di scegliere qual carica gli -garbasse alla corte di questo; al che Federico celiando, — Sceglierei -l’uffizio di falconiere; si bene m’intendo d’uccelli di rapina». - -Ma quando i Mongoli ruppero guerra ai Turchi Selgiucidi, che allora -signoreggiavano la Palestina, i Franchi vennero in isperanza che i -nuovi Barbari li libererebbero dai loro oppressori, mossi da quella -illusione tanto consueta, che fa guardare per amici nostri i nemici -de’ nostri nemici. Si cercò dunque la loro alleanza, e a papa Innocenzo -IV sorrise lusinga di trarli al cristianesimo. L’acquistare alla fede -un popolo che erasi dilagato dal Mar Giallo al Danubio, sarebbe stato -un avvenimento decisivo nella civiltà del mondo; ma per isperarlo -nessun argomento umano s’aveva se non l’essere quelli avversi ai -Musulmani. Però i pontefici quali prodigi non erano avvezzi a vedere -dalle missioni? le crociate non erano una serie di miracoli? D’altra -parte sapeasi così in confuso che quei popoli, tuffati in grossolane -superstizioni, senza entusiasmo nè sacerdozio, eransi adagiati alla -religione de’ popoli tra cui arrivavano; e se si fecero buddisti nella -Cina, musulmani nella Persia, perchè non diverrebbero cristiani in -Europa? Era indifferenza, nata da ignoranza, ma interpretavasi per -propensione alla verità. - -Adunque Innocenzo divisò spedire missionarj ai Tartari, e i nuovi -frati Domenicani e Francescani si offersero a gara. Furono prescelti i -frati Minori Lorenzo di Portogallo, Benedetto Polacco discepolo di san -Francesco, e Giovanni di Piano Carpino, il quale è il primo europeo -che intorno a quel popolo desse ragguagli, quantunque grossieri e -parabolani. Non muniti che della croce, questi intrepidi, attraverso -all’Europa, non corsa allora che da pellegrini e da combattenti, in -riva al Volga raggiunsero Batù generale de’ Mongoli (1245), mentre -a Basciù Nuyan, altro generale in Persia, arrivavano i Domenicani -Simone da San Quintino francese, e gl’italiani Alessandro e Alberto -Ascellino, Guiscardo da Cremona, Andrea da Longiumello. A que’ -barbari, non conoscenti altro diritto che la forza, riuscì ridicola -questa spedizione di frati, che in una lingua ignota e per sì lunga -strada venivano rimproverarli perchè distruggessero le altre nazioni, -ed invitarli a sottoporsi ad una religione, fuor della quale non vi -sarebbe per essi che dannazione eterna. I nostri non fecero alla prima -come scoraggiati, perchè non si ripromettevano premj o lodi umane; -e procedettero fino alla corte del gran kan mongolo, e insieme coi -messi di tutto il mondo gli fecero omaggio: ma non ne riportarono che -spregio. - -Nè per questo i papi cessarono d’inviare missionarj ai Mongoli, e -tra essi i frati Girardo da Prato, Antonio da Parma, Giovanni da -Sant’Agata, Andrea da Firenze, Matteo d’Arezzo, eroi di nuovo genere, -che la storia trascura perchè non uccisero nè devastarono. Più tardi vi -fu destinato Giovanni da Montecorvino, che, corsa la Persia e l’India, -predicò nella capitale dell’impero mongolo, vi fondò due chiese, e -battezzò in pochi anni da seimila persone. Anzi l’avere il gran kan -tollerato alla sua corte i riti nostri come quelli della Cina e della -Persia, lasciò correr voce ch’e’ fosse cristiano. Più durò la credenza -che un principe di quei paesi si fosse battezzato, e col nome di Prete -Janni restò famoso ne’ racconti de’ nostri e nelle imposture di chi -tratto tratto fingeasi da lui spedito. - -Il fatto è che allora primamente Europei penetrarono nell’estremo -Oriente: un Francescano di Napoli sedette arcivescovo a Peking capitale -della Cina; il beato Oderico da Pordenone minore osservante (1318-30), -traversata l’Asia da Costantinopoli a Trebisonda, ad Erzerum, alla -commerciante Tebriz, per l’Indo arrivò alla costa del Malabar, donde -i nostri tiravano il pepe, al Carnatico, a Giava feconda de’ garofani, -delle noci moscade, dell’altre spezie ed aromi che Genovesi e Veneziani -diffondeano per tutta Europa: volse poi alla Cina e al Tibet, e dimorò -tre anni a Peking, dove trovava un convento di Francescani, e due a -Zaitun. Reduce a Padova, a Guglielmo da Solana dettò una relazione del -suo viaggio, senz’ordine nè discernimento, ma come gliel’affacciava la -memoria; e fra tante ignoranze e corrività piace il vedere come tutto -riferisca a cose italiane: in Tartaria non mangiano che datteri, de’ -quali quarantadue libbre compransi a meno d’un grosso veneziano; il -regno di Mangy ha duemila città, grandi ciascuna come Treviso insieme e -Vicenza: Soustalay è come tre Venezie, Zaitun come due Bologne, e vi ha -un idolo alto come un san Cristoforo: Chamsana è presso un fiume come -Ferrara al Po. - -Non meno che la devozione, il commercio portava Italiani dappertutto, e -non ne mancarono alla corte dei Mongoli. Biscarello di Gisulfo genovese -fu ambasciadore del mongolo Argum signore della Persia: e la lettera di -questo, ch’egli portò al re di Francia per esibirgli ajuti a ricuperare -Terrasanta, è il più vetusto documento di lingua mongola, e v’è -apposto un sigillo con caratteri cinesi, i primi che vedesse Europa. -Più celebrati andarono i viaggi di Marco Polo, dei quali altrove -ragioneremo (Cap. CXXIV). Oltre diffondere la fede e la civiltà nostra, -portavano di là cognizioni od arti, e la vista de’ costumi stranieri -allargava il campo al limitato spirito europeo; nè andrebbe fuori di -buona congettura chi pensasse che da que’ viaggi derivasse all’Europa -la cognizione del carbon fossile, della carta, della polvere tonante e -della stampa. - -Ma le imprese de’ Mongoli, non che spargere qualche rugiada sulla -Palestina, aveanle dato l’ultimo tuffo. Gli abitanti di Carism, snidati -da quelli, piombarono sovr’essa a istigazione del sultano del Cairo -(1244), con una ferocia non più udita; e dopo un combattimento a Gaza, -donde non si salvarono che ottantatre Templari, ventisei Spedalieri, -tre Teutonici, presero Gerusalemme, distruggendo il sepolcro di Cristo -e quello dei re, sterminando gli abitanti, e tutto occuparono il paese, -eccetto Giaffa, che rimase in signoria degli Egizj. Nell’universale -amaritudine più dolorò il santo re di Francia Luigi; e risoluto a -ogni costo rialzarvi la croce, ricorse per navicellaj e piloti alla -Spagna e all’Italia, e due Genovesi sosteneano persona d’ammiragli -(1248) della flotta francese ch’egli voltò sopra l’Egitto: ma il -purissimo suo zelo e i ben meditati preparativi non furono sorrisi dal -cielo, ed il re medesimo restò prigioniero dei Mamelucchi. Joinville, -l’ingenuo biografo di quel re, appunta d’egoismo mercantile Genovesi e -Pisani, che, per non partecipare alle sofferenze de’ Crociati, voleano -abbandonarli appena li videro infelici; nè la regina li potè rattenere -a Damiata se non promettendo mantenerli a spese della corona. - -Quando poi si udì la prigionia di Luigi, l’Italia, non che gemerne come -tutta cristianità, ne esultò, per stimolo de’ Ghibellini che allora -aveano il sopravvento, e che godeano de’ disastri del fratello di -Carlo d’Angiò[413]; e corsari di Genova, Venezia e Pisa profittarono di -quelle sventure per ispogliare i Cristiani che tornavano in Europa. - -Reso alla patria, e istruito non disanimato dal cattivo successo, Luigi -volle ritentare l’impresa (1267), e domandò ajuto alle repubbliche -italiane. Genova ne prestò a buoni patti[414]; ma Venezia rifiutò, -timorosa di pregiudicare ai banchi e agli scali suoi in Levante, e -più gelosa di Genova che zelante della causa di Cristo. Carlo d’Angiò -fratello avea promesso passare anch’egli con quindici vascelli, -ma non fece che spedire ambascerie a Bibars sultano del Cairo per -raccomandargli le colonie di Siria; e il papa si lagnava perchè «lo -zelo di Carlo si sfogasse in vane promesse, e lasciasse temere di non -venire a nulla»[415]. - -Neppure il Paleologo aveva attenuta la promessa di riconciliare la -Chiesa greca colla latina, onde il papa gli cercava nemici, e carezzò -le ambizioni di Carlo, inducendo il deposto Baldovino a cedergli i -diritti imperiali sull’Acaja, sulla Morea e sulle terre ch’erano state -assegnate in dote a Elena moglie di re Manfredi, oltre l’aspettativa -al trono di Costantinopoli. Carlo dunque cercò voltare la crociata -sopra l’impero bisantino, onde dar fondamento a queste pretensioni; -poi indusse ad assalire non più l’Egitto, bensì Tunisi, col pretesto -che i pirati di questa faceano pericoloso il tragitto in Palestina, -ma realmente perchè egli preferiva vedere conquistata l’Africa, posta -rimpetto alla sua Sicilia, e che perciò gli sarebbe d’appoggio alla -dominazione e di comodo al commercio. - -I Crociati si lasciarono persuadere, e lo precedettero: ma la caldura -e le privazioni svilupparono ben presto lo scorbuto nell’esercito; e -sui luoghi ove quindici secoli prima era perita Cartagine, Luigi morì -rassegnato (1270), fra calde preghiere e savj consigli. Carlo arrivò -a tempo di vederlo cadavere, e assunto il comando, menò l’esercito -a vittoria, tanto che il bey di Tunisi propose una pace, dove Carlo -stipulò fossero date ducentomila once d’oro all’esercito per le -spese, e a lui quarantamila scudi d’oro l’anno. Allora egli propose ai -Crociati la conquista della Grecia e dell’impero d’Oriente; e perchè -ricusarono seguirlo, apprese le navi e le robe che una fiera procella -spinse sulle coste di Sicilia, ed impinguò il fisco colle spoglie dei -proprj commilitoni. - -Le viscere di Luigi furono deposte nella badia di Monreale presso -Palermo; il suo corpo traversò l’Italia, fra universale venerazione; le -madri cercavano le monete coll’effigie di lui per appenderle al collo -de’ figli; e pochi anni dopo Bonifazio VIII lo santificava esclamando: -— Esulta, Casa di Francia, d’aver dato al mondo un principe sì grande; -esulta, popolo di Francia, d’avere avuto un re sì buono». - -Gregorio X, ch’era nunzio in Palestina quando fu eletto pontefice[416], -adoprò il breve suo regno a ricomporre in pace i Cristiani perchè -recuperassero Terrasanta; a tutti i sovrani consentì di levare le -decime ecclesiastiche per sei anni onde armare; Filippo di Francia, -Edoardo d’Inghilterra, Giacomo d’Aragona, Carlo di Sicilia aveano -promesso crociarsi, e Rodolfo imperatore guidarli; Gregorio radunò -all’uopo anche il concilio generale di Lione che dicemmo, ma tutta la -macchina cadde colla sua morte (1276). - -E qui finiscono le crociate. Le ampie conquiste in Oriente trovavansi -compendiate nella città di Acri, nella quale accoglievansi i -rappresentanti de’ re di Gerusalemme, di Cipro, di Sicilia, di Francia, -d’Inghilterra, d’Armenia, i principi d’Antiochia e di Galilea, i conti -di Giaffa e di Tripoli, il duca d’Atene, il patriarca gerosolimitano, -i cavalieri del santo Sepolcro, del Tempio, di san Lazzaro, il nunzio -del papa, e Genovesi, Veneti, Pisani. Ognuno aveva palazzi e quartiere, -dove vivea indipendente e colle proprie leggi ritornate personali, -sicchè ben cinquantotto tribunali esercitavano diritto di sangue; -pel qual tenore ciascuno comandava, nessuno obbediva. Opposti anche -d’interessi, agitavano incessanti discordie: spesso un litigio nato -a Pisa o in Ancona, combattevasi da una all’altra delle case d’Acri, -ridotte in fortezze. - -Un Veneziano batte un ragazzo genovese, i Genovesi l’han per pubblico -oltraggio, e assalito il quartiere dei Veneziani, quali feriscono, -quali fugano. Questi preparavansi alla rappresaglia, ma qualche -prudente sopì quel fuoco. Però, come se ne intese in Genova: «dissero -tutti: _Ora ne sia preso tale vendicamento, che mai non sia obliato;_ -le donne dissero ai loro mariti: _Noi non vogliamo più niente di nostre -doti, nè per morte nè per vita; spendetelo per la vendetta;_ e le -pulcelle dissero ai loro padri, ai loro fratelli ed agli altri parenti -loro: _Noi non vogliamo mariti: tutto ciò che ci dovreste donare per -dote, spendetelo per vendicarci de’ Veneziani, e voi sdebitatevene -portandoci le loro teste_»[417]. Fu dunque armata una spedizione: una -nave veneta, che un Genovese avea compra dai pirati, è presa e ripresa, -e tutto va a chi peggio: tredici navi arrivate da Venezia bruciano le -genovesi sprovvedute nel porto, e ajutate da’ Pisani e Marsigliesi -respingono altre galee venute in soccorso de’ nemici, ne guastano -le canove, i palazzi e una mirabile loro torre, di cui molte pietre -spedirono in patria. Il papa s’intromise di pace; ma le ire coperte -non estinte divamparono allorquando i Genovesi ebbero ottenuto nella -ripigliata Costantinopoli i quartieri e i privilegi che prima erano -goduti dai Veneziani. I quali tanto fecero, che stornarono dai Genovesi -l’animo di Michele Paleologo, e rinnovarono con esso amicizia. - -Lottanti fra sè, tutti si trovavano deboli a fronte de’ Musulmani; -mentre Europa, disingannata da tanti tentativi falliti, assorta -in interessi _più positivi_, cioè egoistici, pensava a tutt’altro -che soccorrerli. Frattanto i Musulmani procedevano, e l’emir Kalif -Ashraf pose assedio ad Acri, ultimo asilo della croce. Papa Nicola IV -raddoppiò di zelo in provocare a soccorrerla; Parma vi spedì seicento -persone, alquante le altre città, e per trasportarle Venezia dispose -venti galee, sette ne prometteva Giacomo re di Sicilia; soccorsi -parziali e perciò inadequati; e dopo lunga resistenza anche Acri fu -espugnata (1291). Vuolsi che trentamila Cristiani vi fossero sgozzati; -la badessa di Santa Chiara, veneziana, persuase le sue monache -di troncarsi le narici per sottrarsi alla libidine e ai harem de’ -Musulmani; le navi genovesi poterono salvare alquanti, fra cui il re di -Cipro; altri rifuggirono a Venezia, che gli accoglieva nella nobiltà; -e ne’ paesi consacrati dalle memorie di Cristo più non risonò se non — -Non v’è altro dio che Dio, e Maometto è suo profeta». - -All’annunzio di quella disgrazia, che pur doveasi aspettare e -poteasi prevenire, gli Europei e massime gl’italiani ulularono di -tardo dolore e sgomento, e Bonifazio VIII ritentò una crociata. Ma -più non erano i tempi quando la pietà e la speranza del paradiso -eccitavano l’entusiasmo; quando i papi parlavano ai monarchi in nome -del Cielo sdegnato, rinfacciandone le colpe, e imponendo prendessero -la croce per espiarle; anzi i re, tutt’assorti nel grande impegno -di mozzare l’autorità pontifizia, rifuggivano dal secondare imprese -che l’avrebbero accresciuta o almeno attestata. Solo i Genovesi, per -redimersi dall’interdetto, gli diedero ascolto, e le donne, quasi a -raffaccio degli uomini, assunsero la croce e l’armi. L’impresa svampò, -ma Genova conservava fin testè nel suo arsenale le armadure di quelle -eroine, e nell’archivio le congratulazioni del papa. - -Dopo d’allora, alla crociata, come impresa comune dell’Europa, più -non si pensò da senno. Bensì i Genovesi verso il 1300 ne prepararono -una contro i corsari barbareschi, ma fu uno stuzzicarli; e moltissimi -navigli uscirono d’Africa alla vendetta, e intercettarono lungamente -il commercio. Qualche parziale tentativo si rinnovò, e nel 1345 -specialmente si eccitarono i Cristiani contro i Saracini, e molti -miracoli vennero raccontati. Dicevasi che presso la città d’Aquila -fosse apparsa Nostra Donna col Bambino in grembo avente in mano -una croce, e ciascuno potè vederlo più fulgido del sole, e tutti i -fanciulli che in quel giorno vi nacquero erano segnati d’una crocetta -sulla spalla diritta. Ciò mosse molti a voler combattere gl’Infedeli, -e frà Ubertino de Filippi vi rinfocava la gioventù fiorentina, e molti -lo seguirono in Siria, tra cui frà Francesco da Carmignano ingegnere e -dieci altri Domenicani. Ivi oppugnarono non sappiam bene quale città, -e sostennero fra altre una battaglia presso Tiberiade contro più d’un -milione di Musulmani: s’aggiunge che un’apparizione di san Giovanni -Battista confortò i Cristiani al vincere: e i cadaveri de’ nostri si -riconosceano dall’apparire sul capo di ciascuno un fuscelletto portante -un fiore bianco a modo d’ostia, attorno al quale si leggea cristiano; -e sopra di loro si udirono cantar versi dolcissimi e _Venite, benedicti -patris mei_[418]. - -Di buon’ora i frati Francescani eransi piantati in Terrasanta, e vi -si mantennero a custodia del santo sepolcro anche dopo ricaduto in -man dei Turchi: nel 1212 Ahmed-scià sultano dava loro il diritto di -rimanervi, e l’anno appresso Omer permetteva ristaurassero la chiesa -di Betlem. Roberto re di Napoli volle che questa loro dimora divenisse -legittima, e a denari nel 1342 comprò dal sultano il diritto che i -Francescani dimorassero in perpetuo nella chiesa del santo sepolcro, -e vi celebrassero gli uffizj divini: del che si fece carta, ove ad -esso re e a Sancia moglie sua son pure conceduti il cenacolo e la -cappella dove Cristo si mostrò a san Tommaso; la qual Sancia sul -monte Sion fe costruire una casa, in cui mantenere a sue spese dodici -Francescani[419]. - -Nel 1386 il re di Cipro, d’accordo col granmaestro di Rodi, volendo -metter fine alle piraterie degli emiri di Siria e del sultano, stanziò -d’assalire Alessandria; e i Veneziani lo secondarono, sì per le istanze -del papa, che per la speranza di assicurarsi quel commercio senza le -umiliazioni cui erano ridotti. Di fatto Alessandria fu presa, arsa la -flotta egizia; ma il sultano ricomparve ben tosto, sicchè i Cristiani -furono costretti ritirarsi, poche ricchezze trasportando seco, e -lasciandovi acerbissimo odio, che si sfogò sui nostri colà dimoranti e -sulle merci di Venezia, la quale così ebbe guasti i proprj traffichi. - -Soli i pontefici mai non gettarono ogni speranza di liberare -Terrasanta, e questo fu il tema di declamazioni poetiche e qualche -volta di ragionate scritture. Fra gli altri, Marin Sanuto, cronista -veneto, vide il vero quando annunziò che ruina degli stabilimenti -cristiani in Palestina erano i sultani d’Egitto, e che potenza di -questi era il commercio nell’India, lo perchè consigliava ad esaurirne -la fonte. A tal uopo viaggiò cinque volte nell’India, e se altro non -potè, trasse notizie sui paesi del Mezzodì e del Levante. Il suo libro -_Secreta fidelium Crucis_ (1321), cui aggiunse un planisfero, divise -in tre parti ad onore della Trinità, e perchè tre sono le maniere -efficaci di rimettersi in salute, il siroppo preparatorio, la medicina -opportuna, il regime. Alla crociata vuole egli persuadere, non più -per entusiasmi devoti, ma da mercante ed economista; onde ai testi -soggiunge la lista delle spezie che traggonsi per via di Terrasanta, -quanto costino, quanto il trasporto: la migliore opportunità gli sembra -uno sbarco in Egitto, che con dieci galee crede potersi bloccare; -e chiuso quello, l’islam è ferito nel cuore. Divisa appienissimo -uomini, viveri, denaro, sempre intento a ringrandire Venezia, di cui -dev’essere tutta la flotta, e i cui marinaj crede soli capaci a guidar -le navi tra i bassi canali del Nilo: designa la forma e struttura delle -galee imbattagliate e delle navi da trasporto, alcune incamattate, o -come oggi diciamo, mantellate: descrive minutamente i mangani colle -dimensioni e proporzioni, e le balestre lontanarie; l’esercito di -sbarco sommi a quindicimila fanti, trecento cavalieri. I precetti -circa gli accampamenti desume da Vegezio e da Cesare: dimostra pratica -nell’arte delle fortezze, secondo l’età sua, e ne dà saggio in una -graziosa parabola. La spesa sarebbe tornata a quattordici milioni[420]; -e tale disegno offrì alla sua patria e a tutte le corti, e n’ebbe lode -e trascuranza. - -Guido da Vigevano, medico di Enrico VII imperatore, nel 1335 -stese precetti igienici e militari per difendersi dai Saracini e -assalirli[421]. Frà Filippo Bruserio da Savona, professore di teologia -a Parigi, da Benedetto XII spedito nel 1340 ambasciadore a Usbek -kan del Capciac, con Pietro dall’Orto e con Alberto della colonia di -Caffa, per impetrare la libera predicazione del cristianesimo attorno -al mar Nero, scrisse il _Sepolcro di Terrasanta_, esponendo i mezzi -di ricuperarlo. È notevole che i primi trattatisti d’arte militare -ne davano per titolo il ricupero della Palestina, quasi il solo che -potesse scusare quel feroce sviluppo della forza e dell’ingegno: -Antonio da Archiburgo trentino nel 1391 stese su ciò un trattato, -or manoscritto nella biblioteca nazionale di Parigi; Lampo Birago -milanese, protetto da Francesco Sforza, propose una crociata tutta -d’italiani, con milleducento cavalli, quindicimila fanti e cinquemila -cavalleggieri forestieri, che sbarcata in Morea suscitasse i popoli, e -in due o tre anni compirebbe l’impresa[422]. - -Dante querelava i suoi contemporanei che il sepolcro di Cristo -lasciassero in man de’ cani, e che esso «poco toccasse ai papi la -memoria»[423]; e colloca in paradiso Goffredo, Cacciaguida ed altri -Crociati. Petrarca esortò alla crociata nella canzone — O aspettata -in ciel, beata e bella». Annio da Viterbo nel 1480 predicò a Genova -con immenso applauso le future vittorie de’ Cristiani sui Turchi, -dedotte da passi dell’Apocalisse. L’Ariosto fra le inesauribili sue -celie trovava un accento elevato per mostrare quanto meglio varrebbe il -combattere i Turchi che non il nocersi a vicenda i Cristiani. Il Tasso -dirigeva a ciò tutto il nobile suo poema, sperando pure che _il buon -popolo di Cristo_, tornato una volta in pace, tenterebbe _ritogliere -l’ingiusta preda_ al Musulmano. Altri pure innalzavano esortazioni -generose e inascoltate. - -Chi realmente continuò la guerra contro i Musulmani furono da una -parte i Veneziani, fattisi antimurale dell’Europa, che negligeva di -sostenerne allora gli sforzi, salvo poi a codardamente vilipenderli; -dall’altra i cavalieri del santo Sepolcro, che si ricovrarono prima -a Cipro, poi a Rodi, infine a Malta, sempre col voto di non cessar -guerra agl’Infedeli. Dappoi la generosità si ridusse negativa e -beffarda, fu moda il declamare contro quelle spedizioni che fecero -perire tanti uomini inutilmente. Lasciam via che non perirono quanti -per le epiche guerre di Roma o per le ambiziose di Napoleone; ma colà -morivano volenti e persuasi, non divelti alle case per ordine d’un re, -ma lieti di dar la vita in servigio di Dio ed espiazione delle colpe, e -affrontare una morte che apriva il paradiso. - -I Musulmani erano nemici d’ogni civiltà; conveniva respingerli: -sterminavano ferocemente i Cristiani; conveniva punirli: minacciavano -di nuova barbarie l’Europa; conveniva prevenirli, assalendoli ne’ -loro paesi: e se l’intento fosse riuscito, chi non vede quanto diverse -sarebbero procedute le sorti della civiltà? - -Già era stato vantaggio il mandare in Asia a sfogare l’umor battagliero -que’ tanti che turbavano la patria; predicatori e papi volendo -concordare i Cristiani alla santa impresa, condussero qualche pace fra -tante battaglie, e la tregua di Dio copriva chiunque avesse preso la -croce. Mentre il castellano era ito in Palestina, il villano rimasto a -casa respirava dalle oppressioni; ricorreva all’autorità del Comune o -del re, invece di quella del feudatario; benchè incatenato alla gleba, -il signore non potea vietargli di crociarsi; anzi tanti servi passavano -oltremare, che fu imposta la _decima saladina_ a quei che il facessero -senza beneplacito del padrone. Anche quelli che v’andavano per obbedire -a questo, svincolati dalla schiavitù locale, disabituavansi dalla -ereditaria servilità; aveano diviso i pericoli, gli stenti, la gloria -del padrone, forse aveanlo salvato dal pugnale d’un Assassino tra le -convalli del Libano, o dalla scimitarra di un Turco, o diviso con esso -una ciotola d’acqua che gli valse la vita; erano dormiti al suo fianco -nell’accampamento, pericolati nella lotta; l’avoltojo del castello -erasi fatto vicino al lepre della valle non per isbranarlo ma per -congiungere le forze. - -Nell’assenza dei baroni, i Comuni s’invigorivano, e strappavano a -quelli la prepotenza di qualche antico abuso; o il barone stesso dava -in pegno o vendeva il feudo o qualche privilegio per far denari, -o morendo li lasciava vacanti. La giustizia era resa con maggior -regolarità dal clero, la campagna avea pace, e l’abbassarsi dei nobili -spianava la strada ai cittadini: sicchè quelle imprese, spinte dal -clero, eseguite dalla nobiltà, realmente fruttarono pel popolo. Esse -poi indicavano un miglioramento nella società, poichè non si trattava -di conquistare e far servi, ma di procacciarsi la vita eterna e di -salvare dall’inferno tanti Infedeli. Di mezzo alle parziali agitazioni -della feudalità nasceva un pensiero di gloria, d’avvenire, di santità; -lampeggiavano il bello e l’ideale fra i popoli e gli eserciti, i quali -correvano a morte per dar trionfo alla verità: preludio dei tempi -quando la guerra non si farà che per la pace. - -Ambizione, avarizia, altri vizj accompagnarono e rovinarono quelle -imprese, ma pure nessun esercito fu più generalmente preoccupato -dall’idea morale; il popolo era spinto da sentimento religioso, bene -o male interpretato, ma superiore a calcoli personali; nei cavalieri -videsi un’umiltà, un’abnegazione, mirabili fra la superbia e l’avidità -d’imprese di quel tempo, non gloriandone sè ma Dio; tutti i combattenti -riconosceano per fratelli, dacchè tutti la croce segnava. Quando il -villano e il signore, il re e il vassallo, il Milanese, il Bretone, -il Veneto si associavano nel nome di Cristiani, costumavansi a idee -d’uguaglianza. Accanto ai baroni radicati al terreno sorgeva la -nobiltà mobile de’ cavalieri chiamati per professione a quanto v’ha -di generoso e disinteressato: come in imprese sante, molte paci si -facevano in occasione di esse, molte colpe si riparavano: v’andavano -anime straziate dai rimorsi a rigenerarsi, o spossate dai disinganni a -ripigliar coraggio. - -Amedeo VI, nell’atto di salpare da Venezia per Terrasanta, esaminò la -propria vita, e si risovvenne d’un Ansermeto Barberi che lungo tempo -avea tenuto prigione per furto e che poi fu scoperto innocente, e -gli fece dare ducento fiorini d’oro[424]. Veleggiò poi in una galea -vagamente dipinta, colla poppa a foglie d’oro e argento; sull’azzurra -bandiera di Savoja sventolava l’effigie della Madonna, e su altre -la croce d’argento in campo rosso, coi nodi d’amore, emblema d’esso -principe, e il teschio del leone, e il cimiero. - -Lucia, monaca in Santa Caterina di Bologna, s’avvide che un giovane -veniva ogni giorno a mirarla alla tribuna ove sentiva messa, onde non -si presentò più che dietro la gelosia. L’innamorato giurò consacrarsi -a Dio come la sua cara, e passato in Palestina, s’avventò nelle -battaglie. Fatto prigione, e messo ai tormenti perchè rinnegasse la -fede, esclamò: — Santa vergine, casta Lucia, se vivi ancora, sorreggi -colle tue preghiere chi tanto ti amò; se in cielo ti bei, propiziami il -Signore». Appena detto, fu preso da sonno profondo, e allo svegliarsi -trovossi catenato, ma in patria e vicino al monastero della sua donna, -la quale gli stava allato sfolgorante di bellezza. — Sei tu viva -ancora, Lucia?» domandò egli; e quella — Viva sì, ma della vita vera; -va e deponi i tuoi ferri sul mio sepolcro, ringraziando Iddio». La -casta era morta il giorno ch’egli abbandonò l’Europa[425]. - -Federico Barbarossa, giovinetto ancora, innamorò di Gela figlia d’un -suo vassallo; ed ella rispose di verecondo amore, e non si tenendo -degna d’averlo sposo, l’indusse a crociarsi. Sull’addio egli esclamò: -— L’amor nostro è eterno. — Eterno», rispose ella, lasciando cascar la -testa su quella dell’amante. Egli va, vince e ritorna, e per la morte -del padre trovatosi duca, vola alla casa di Gela; ma non vi trova che -un viglietto, iscritto: — Tu sei duca, e devi scegliere una sposa da -par tuo. Della memoria di essere stata tua un anno, mi godrà l’animo -tutta la vita. L’amor nostro è eterno». Erasi resa monaca; e Federico, -nel boschetto ove si era congedato da lei, pose la prima pietra della -città di Gelnhausen. - -A Torre San Donato in val d’Arno fu predicata la croce, e consegnato -lo stendardo del popolo a Pazzino de’ Pazzi, il quale raccontano -montasse primo sulle mura di Gerusalemme, e da Goffredo avesse in dono -tre scaglie del santo sepolcro, colle quali in patria accese il fuoco -benedetto, e si conservarono poi ne’ Santi Apostoli, e ne derivò a -Firenze la festa dello scoppio del carro (vol. V, pag. 554). Anche nel -1220, «quando fu presa Damiata, l’insegna del Comune di Firenze, il -campo rosso e il giglio bianco, fu la prima che si vide in sulle mura -per virtù de’ pellegrini toscani, che furono de’ primi combattendo -a vincere la terra; e ancora per ricordanza il detto gonfalone si -mostra in Firenze per le feste nella chiesa di San Giovanni al Duomo» -(VILLANI). A Verona si vuole che i reduci Crociati applicassero i nomi -alla montuosa vicinanza verso nordovest, che diconsi Calvaria (_Monte -San Rocco_) e Valdomia (_Val Domini_); e dentro Nazaret, Betlem, Monte -Oliveto[426]. Alberto vescovo di Brescia portava da Terrasanta un -grosso pezzo della santa croce, che chiuso in teca ornata di lamine -argentee istoriate, conservasi nel duomo di quella città, dove anche la -_croce del campo_, che credesi fosse portata in cima a un vessillo dai -crociati in quella spedizione. A San Geminiano in Toscana pretendono -che i Baccinelli andassero con altri alla prima crociata, e ritornando, -colle spoglie de’ nemici, ergessero una magione di Templari sotto -l’invocazione di San Jacobo. - -Della credulità si abusò per moltiplicare reliquie, e non fu paese -che non volesse averne di Terrasanta; e ciascuna fu autenticata da -miracoli, certo non meno credibili delle mille baje che la critica -moderna raccoglie ogni dì dalle gazzette, e dalle storie che sulle -gazzette si compilano. - -Alcuni monaci portarono da Gerusalemme a Montecassino un pezzo del -tovagliuolo con cui Cristo asciugò i piedi agli apostoli; e vedendosi -poco creduti, il posero in un turibolo, e all’istante divenne color -di fuoco, e ne fu tolto intatto, e riposto fra oro, argento e gemme. -Altri pellegrini navigando con uno de’ santi chiodi, giunti davanti -a Torno sul lago di Como, non poterono più progredire, e dovettero -lasciarlo colà, dove si venera ancora. Allorchè Saladino spediva in -dono all’imperatore di Costantinopoli la vera croce, un Pisano trovò -modo d’involarla, e traversando i mari a piede asciutto, la recò alla -sua patria: ma un Dondadio Bo Fornaro genovese diceasi aver trovato -in una nave di Veneziani essa croce, e toltala per arricchirne la -sua città; e questi doppj sono vulgare soggetto d’epigrammi. L’anno -che Acri fu presa, parve che la santa casa dove Cristo era cresciuto -sdegnasse rimanere in una terra contaminata da Infedeli, e da Nazaret -fu dagli Angeli trasportata a Tersacto di Dalmazia: statavi tre anni, -eccola trasferita di qua dall’Adriatico, e deposta in una macchia sui -poderi di una Lauretta di Recanati: i pastori la mattina trovarono -quest’edifizio dove mai non n’aveano veduto, e tosto cominciò affluenza -di forestieri e di doni, tanto che là presso si fondò una città detta -Loreto. - -Roma fu piena di devoti cimelj, ed oggi ancora i sacristani vi -riportano continuamente coi loro racconti ai tempi delle crociate e -ai portenti compilati nel libro de’ _Sette Viaggi_. Padova tiene le -spoglie di tre degli Innocenti, di Levante portate dal beato Giuliano -in Santa Giustina. L’altare di santo Stefano a Cremona fu consacrato -il 1141 col porvi alcun che de’ vestiti di Maria Vergine, della -porpora onde fu beffeggiato Cristo, del legno della croce, del santo -sepolcro. A Bologna fra Vitale Avanzi depose una delle idrie in cui -Cristo mutò in vino l’acqua, e ogn’anno esponevasi nella chiesa de’ -Servi la prima domenica dopo l’Epifania: un altro di quei vasi era -nella certosa di Firenze. Genova nella crociata dalla Licia portò il -corpo del Battista, e da Cesarea il sacro catino in cui fu operata la -consacrazione nell’ultima cena; dal prode Montaldo, che l’avea ottenuta -dall’imperatore Giovanni Paleologo, ebbe in dono l’effigie di Cristo, -fatta fare da Abgaro re di Edessa, veneratissima in San Bartolomeo, -benchè anche Roma si vanti tenerla. A un Lucchese ito a Gerusalemme -vien rivelato in estasi che il volto santo ed altre reliquie del -Salvatore giaciono ignorate nella cattedrale di Lucca, dove rinvenute, -furono poste in devota venerazione. Non taciamo il santo latte a -Montevarchi, donato a Guido Guerra da Carlo d’Angiò; sul quale diceva -un valente scrittore che «la fede è buona, e salva ciascuno che l’ha; -e chi archimia sì fatte cose, ne porta pena in questo e nell’altro -mondo». - -I Pisani vollero dormire dopo morti entro terra della Palestina, e ne -trasportarono di che empire il loro cimitero. I Veneziani recarono da -Scio il corpo di sant’Isidoro, collocandolo in San Marco, dove anche -la pietra dell’altare della cappella del battistero; da Cefalonia san -Donato, ch’è in Santa Maria di Murano; da Costantinopoli santo Stefano, -san Pantalèone, san Giacomo, e l’altre reliquie onde sono ricchissimi -San Giorgio e San Marco. Il cardinale Ugolino, che poi fu papa Gregorio -IX, persuase il doge a fabbricare nelle lagune Santa Maria Nuova di -Gerusalemme, a memoria d’altra del titolo stesso, allora occupata dai -Musulmani. - -D’altro genere reliquie piacquero agl’italiani, i capi d’arte della -Grecia e dell’Asia. Già era costume a Veneziani, Pisani e Genovesi -trasportarne; e le loro cattedrali, cominciando fin dalla vetustissima -di Torcello, furono, si può dire, fabbricate con avanzi antichi. Si -estese quest’usanza nelle crociate, e massime da Costantinopoli i -Veneziani trassero insigni lavori, fra i tanti che andarono perduti -in quel fatto; e i cavalli della facciata di San Marco, e i leoni -dell’arsenale, le colonne di San Marco e Teodoro sono trofei di buon -gusto e di violenza. - -Alle crociate si riferiscono pure molte fondazioni di spedali per -lebbrosi e pellegrini; e buon numero ne alloggiava in Genova la -commenda di San Giovanni in Pre, del pari che l’ospedale di San -Lazzaro, cui arrivavasi per l’unica via che allora sboccasse in -Polcevera, e un altro in Savona. - -Le genealogie vollero tutte innestarsi sopra le crociate, e fu vanto -l’ostentare nel proprio blasone la croce. Anzi il blasone ci venne -dalle crociate e dalla cavalleria, con tutta la raffinatezza degli -stemmi e delle divise. Finchè il cavaliero combatteva attorno al suo -castello, qual mestieri avea di distintivo? uscendo lontano, ciascuno -assumeva una divisa, cioè esprimeva l’affetto o l’intento particolare, -mediante il colore della sopraveste e del cimiero, o qualche disegno -fatto sul pezzo più insigne dell’armadura, qual era lo scudo. Quegli -scudi poi si sospendeano nelle sale avite, testimonianza ai fasti e -vanto ai figli che si piacquero di adottare l’insegna paterna, e così -gli stemmi diventarono ereditarj, e distintivo non più dell’individuo -ma delle famiglie. Nella presente uguaglianza più non è di verun conto -l’araldica: ma lungamente fu arte di arguto studio il disporre gli -stemmi, combinarne gli elementi, cioè i colori e le figure, e leggerli, -e assicurarli come titoli domestici. Se ne moltiplicarono poi gli -elementi e la disposizione, ma sempre i più vantati furono quelli che -mostravano la croce, come indizio che un avo era stato a combattere in -Palestina. I Michieli di Venezia portavano sopra una fascia d’argento i -bisanti d’oro, perchè il doge Domenico Michiel alla crociata, venutogli -meno il denaro, pagò con pezzi di cuojo, che poi al ritorno cambiò in -sonanti. I Visconti di Milano vantavano che Ottone di loro famiglia -avesse, alla prima crociata, ucciso un gigante che portava per cimiero -un serpe con un fanciullo in gola; figura ch’essi adottarono. Il -cardinale Giovanni, legato in Terrasanta, ne riportò la colonna della -flagellazione, che la famiglia Colonna assunse per stemma, d’argento -in campo azzurro; aggiungendovi la corona quando Stefano ebbe coronato -l’imperatore Lodovico il Bavaro, e le quattordici bandiere turche che -Marcantonio acquistò alla battaglia di Lépanto. - -Ed altre famiglie dallo stemma dedussero il nome; mentre d’alcune -dietro al nome fu inventato lo stemma, con quelle che si dissero armi -parlanti, come un orso per gli Orsini di Roma e gli Orseoli di Venezia, -un gelso pe’ Moroni, un majale pe’ Porcelletti, un gambaro pei Gambara, -un bove pei Vitelleschi, i Bossi, i Boselli, i Cavalcabò, le coste pei -Costanzo, la carretta pei Del Carretto, pei Canossi un cane coll’osso -in bocca, per gli Scaligeri la scala portante un’aquila. Il vulgo pure -volle avere i suoi stemmi, e il tesserandolo e il merciajo adottava -un’insegna che di padre in figlio trasmetteasi con sollecita cura di -conservarla incontaminata. - -I nostri videro il lusso orientale, e si proposero imitarlo; la seta si -propagò, e i tessuti serici di Damasco e quelli di pelo di camello ne -eccitarono l’emulazione; a Venezia s’imitarono i Vetri di Tiro, e ben -presto si fabbricarono specchi di cristallo e conterie; si conobbero -i lavori a cesello e all’agiamina, l’applicazione dello smalto; e -l’oreficeria ebbe grande esercizio nello incastonare le tante gemme e -ornare le tante reliquie tolte all’Oriente. - -Esteso il viaggiare non a soli negozianti ma a moltitudini innumere, -vennero sotto gli occhi altri costumi, la qual cosa chi non sa quanto -serva a digrossare i proprj? I Settentrionali in Italia trovavano -civiltà ben più raffinata; a Bologna udivano leggere le Pandette, -in Salerno e a Montecassino scuole mediche, in Sicilia e a Venezia -regolati governi, e i cittadini congregati dar l’assenso alle -deliberazioni del doge; e Giacomo di Vitry, storico di quelle imprese, -ammirava questi Italiani, segreti ne’ consigli, diligenti, studiosi nel -procurare le pubbliche cose, provvidi del futuro, repugnanti da ogni -giogo, di loro libertà acerrimi difensori. Anche i nostri avevano di -che imparare sia dalla civiltà greca ancora in piedi, sia dall’araba -allora fiorente, sia anche dal regolare governo istituito dalle Assise -di Gerusalemme. - -I metodi allora introdotti dalla Chiesa per raccorre la decima e le -limosine servirono di scuola per esigere le tasse meno arbitrariamente. -E poichè a queste aveano dovuto sottoporsi anche gli ecclesiastici, -s’imparò a farli coadjuvare alle pubbliche gravezze. - -Romanzi e novelle a josa passarono dall’Asia in Europa, eccitando e -pascendo le giovani immaginazioni. La filosofia si valse di quanto le -aveano aggiunto le scuole arabe; la medicina, se non metodi, adottò -farmachi orientali, droghe nuove, nuovi composti; razze di cavalli -arabi, cani da caccia vennero portati; e se Federico II ebbe elefanti -a sola pompa, i Pisani si valsero dei camelli per coltivare la -fattoria di San Rossore, dove ancora non sono dismessi. La cannamele -avea ristorato la sete de’ Crociati, che la trapiantarono in Sicilia, -donde passò in Ispagna, e di quivi a Madera e all’America, per -procacciarci uno de’ condimenti oggi più usitati, lo zuccaro. Certe -cipolle di Ascalona, certe prugne di Damasco allora arricchirono i -nostri giardini; e se a torto si crede venuto di là il granoturco[427], -v’imparammo l’uso dell’allume, dello zafferano, dell’indaco. Vorrebbe -credersi che la vista degli aerei edifizj orientali e degli emisferici -greci producesse l’ordine gotico, certo esteso in quel tempo; e i -furti fatti da Pisa, Genova, Sicilia, Venezia ridestarono l’amore delle -arti belle, che, compostesi a quegli esemplari, s’accostarono ai segni -dell’eleganza. - -Tanto movimento di popolo aumentò la marineria, del che principale -vantaggio trassero gl’italiani, i quali lautamente guadagnarono dal -trasportare i Crociati, poi stabilirono banchi su tutte le coste della -Siria, del mar Jonio e del Nero, e convennero di vantaggiosi privilegi -nelle terre sottomesse. Le navi si migliorarono[428], e a’ lenti -tragitti per terra si surrogarono i viaggi per acqua. A vantaggio de’ -pellegrini si stesero itinerarj, che, se erano dettati dall’entusiasmo, -valsero però tanto quanto a migliorare la geografia[429]. - -Continue relazioni mantenne l’Italia coll’Oriente, e ne sono piene -le cronache piemontesi di Benvenuto da San Giorgio; le famiglie più -insigni legarono parentadi coi principi levantini, e sei ne avvennero -tra i marchesi di Monferrato e gli imperiali di Costantinopoli; il -titolo di re di Gerusalemme e di Cipro ornava i duchi di Savoja prima -che altro regio acquistassero. Gli stabilimenti italiani colà durarono -più che quelli d’altra qualsiasi gente, e in modo si diffusero, che -l’italiano era lingua comune de’ traffici sulle coste. - -Lasciam dunque ad altri deridere ciò che eccitò l’entusiasmo di due -secoli; e non crediamo inutili queste imprese, che diedero tanto -stimolo al sentimento, alla curiosità, all’immaginazione. - - - FINE DEL TOMO SESTO E DEL LIBRO OTTAVO - - - - -INDICE - - -LIBRO OTTAVO - - Capitolo LXXXI. Origine dei Comuni pag. 1 - » LXXXII. Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. - Emancipazione dei servi » 60 - » LXXXIII. I Comuni lombardi. Lotario II e - Corrado III imperatori. Ruggero - re di Sicilia. Arnaldo da Brescia » 88 - » LXXXIV. Federico Barbarossa » 112 - » LXXXV. Ordinamento e governo delle - Repubbliche » 153 - » LXXXVI. Ultimi Normanni in Sicilia. - Enrico VI » 218 - » LXXXVII. Innocenzo III. Quarta crociata. - L’impero latino in Oriente » 242 - » LXXXVIII. Ottone IV. Sviluppo delle - Repubbliche, e secondo loro - stadio. Nobili e plebei in lotta. - Guelfi e Ghibellini » 268 - » LXXXIX. Frati. Eresie. Patarini. - Inquisizione » 313 - » XC. La Scolastica. Efficacia civile - del Diritto romano e del canonico. - Le Università. Le Scienze occulte » 356 - » XCI. Federico II. Seconda guerra - dell’investitura » 415 - » XCII. Fine degli Svevi e della seconda - guerra dell’investitura » 472 - » XCIII. I Mongoli. — Fine delle crociate e - loro effetti. Gli stemmi » 507 - - - - -NOTE: - - -[1] SAVIGNY, _Storia del Diritto romano_; — PAGNONCELLI, _Dell’antica -origine e continuazione dei governi municipali in Italia_, 1823 — -RAYNOUARD, _Histoire du droit municipal en France_, 1838. - -[2] È l’opinione del Leo, _Entwickelung der Verfassung der -lombardischen Städte bis zu Friedrich I_, 1824; del RAUMER, _Ueber die -staatsrehtlichen Verhältnisse der italienischen Städte_; dell’EICHHORN, -di EKSTEIN, di BEHLMANN-HOLWEG, _Ursprung der lombardischen Städte -Freiheit_, 1846, in confutazione del Savigny, dell’Hegel ecc. Fra i -nostri la sostennero Cesare Balbo e Carlo Troya. Secondo questo, i -Romani spossessati da Autari mai più non entrarono nel Comune; bensì -i Romani giustinianei e teodosiani, cioè quelli sopravissuti in paesi -ove si mantennero in vigore il diritto giustinianeo e il teodosiano; -ma neppur questi mai non si pareggiarono ai dominatori, fin al tempo -di Ottone I, quando tolsero la superiorità ai Franchi; talchè non -ricuperarono i diritti antichi, ma acquistarono quelli dei vincitori. - -[3] Dissi _quasi_, acciocchè non ci si opponga qualche menzione di -comunità. Nel 764, un Crispino fonda e dota la chiesa di San Martino -d’Ussiano, lasciandone il patronato ai vescovi di Lucca; e nel -descrivere i confini dei beni dice: _Alia petiola de terra mea, qui est -similiter tenente capite uno in via publica et in ipso rivo Caprio, -et vocitatur ad Campora _communalia__. Ma era il Comune de’ vinti, -o quel de’ vincitori? Più conchiuderebbe il diploma dell’imperatore -Lamberto (_Antiq. M. Æ._, VI. 341) che a Gamenulfo vescovo di Modena -nell’898 concede e conferma tutti i beni, e la giurisdizione sui -medesimi anche nella città, soggiungendo: _Sancimus etiam pretaxate -ecclesie, juxta antecessorum nostrorum decreta, loca in quibus predicta -civitas constructa est, stabilia maneant cum cancellariis, quos prisca -consuetudo prefate ecclesie de clericis sui ordinis ad scribendos -sue potestatis libellos et feothecarios habeat; vias quoque, portas, -pontes, et _quicquid antiquo jure eidem civitati ac curatoribus -reipublice solvebantur_, nostra vice liberam capiendi debitum ex eis -censum habeat potestatem..._ Qui respublica parmi abbia il senso che -sotto gl’imperatori romani, ed equivalga al fisco. Anche Lodovico II -nell’852, confermando alla chiesa di San Lorenzo di Giovenalta nel -Cremonese il mercato, l’acquedotto e altri diritti, comanda che _nulla -quelibet persona aut quislibet reipublice minister ullam contrarietatem -facere presumat_ (Antiq. M. Æ., II. 868). Merita pure riflesso la -costituzione di Carlo Magno del 787, dove conferma il dazio da pagarsi -ai porti, già istituito da re Liutprando, stabilendo quel che dovranno -pagare il vescovo di Comacchio, _et ceteri homines fideles nostri -Comaclo civitate commanentes_, sottraendoli dalle eccessive esigenze -dei Mantovani: ivi i Comacchiesi sono sempre trattati in corpo, non -come individui, nè come spettanti a un signore. - -[4] Vedilo nel Canciani; e giudicato dal Savigny, V. 132. Hennel -ne scoperse una nuova copia nella biblioteca di Sangallo, che è -desiderabile venga pubblicata. Il signor Bunturini promise una nuova -lezione assai migliorata del testo udinese, che noi potemmo esaminare. -C. HEGEL (_Gesch. der italienischen Städtefreiheit_, Lipsia 1847) -attribuisce quel documento alla Curia Retiense cioè al paese de’ -Grigioni. - -[5] Uno de’ più antichi esempj raccolgo dal _Codice diplomatico -bresciano_, ove nel 781 Carlo Magno a Radoara badessa di San Salvadore -in Brescia conferma i possessi _sub immunitatis nomine; quatenus nullus -judex publicus ibidem ad causas audiendas, vel freda exigenda, seu -mansiones vel paratas faciendum, nec fidejussores tollendum, nec nullas -redibitiones publicas requirendum, judiciaria potestas quoquo tempore -ingredere nec exactare non presumat_. - -Poi nell’822 Lodovico imperatore alle monache stesse, conforme alla -carta d’immunità concessa da suo padre, ordina che _nullus judex -publicus, vel quislibet ex judiciaria potestate in ecclesias aut agros -et loca et reliquas possessiones, ad causas audiendas, vel freda -exigenda... ingredi audeat; sed liceat conjugi nostrae_ (Giuditta) -_atque successores ejus cum omnes fredos concessos, et cum rebus_ VEL -HOMINIBUS LIBERIS _seu comendatis ad idem monasterium pertinentes, sub -immunitatis nostrae defensione quieto ordine possidere_. - -[6] Vedi qui sopra la nota 3. - -[7] Espone che il vescovo mandò a lui dicendo, _eandem urbem -hostili quadam impugnatione devictam, unde nunc maxime sævorum -Ungarorum incursione et ingenti comitum, suorumque ministrorum -oppressione tenebatur, postulantes ut turres et muri ipsius civitatis -rehedificentur studio et labore præfati episcopi, suorumque -_concivium_, et ibi confugentium sub defensione ecclesiæ beati -Alexandri in pristinum rehedificentur, et deducantur in statum_. -Alle quali suppliche annuendo, egli stabilisce che sia ricostrutta -_civitas ipsa pergamensis, ubicumque prædictus episcopus et _concives_ -necessarium duxerint... Turres quoque et muri, seu portæ urbis... sub -potestate et defensione supradictæ ecclesiæ et prænominati episcopi -suorumque successorum perpetuis consistant temporibus; domos quoque -in turribus, et supra muros ubi necesse fuerit, potestatem habeat -aedificandi, ut vigiliæ et propugnacula non minuantur, et sint sub -potestate ejusdem ecclesiæ beati Alexandri. Districta vero omnia ipsius -civitatis, quæ ad regis pertinent potestatem, sub ejusdem ecclesiæ -tuitione, defensione et potestate predestinamus permanere etc._ Ap. -LUPO, lib. II. Merita troppo poca fede l’Odorici perchè si accolga -il documento del 13 maggio 909 da lui pubblicato, ove re Berengario -riferisce che Troilo Volungo e Pamfilo de Lanternis(?) _legati_ -COMUNITATIS NOSTRÆ _de Lonato comitatus Brixiæ_ gli esposero i danni -recati dagli Ungheri, e a nome dell’arciprete Lupo, del clero, di tutta -la plebe di quel luogo, imploravano che, sovrastando ancora la rabbia -de’ Barbari, possano costruire fortezze e mura a difesa de’ fedeli e -delle cose sante; il che egli concede. - -[8] Vedi MORIONDI, _Monum. Aquensia_, I. 7. 9. 14. 21. 26; — GIULINI, -II. 340. 353; — LEO, _Vicende delle costituzioni delle città lombarde_, -part. III. § 2. - -[9] Ottone I al vescovo Anpaldo di Novara nel 969 concedeva la -giurisdizione della città e d’un circuito di 24 stadj, vietando -_ne aliquis ejusdem civitatis quandocumque habitator, murum ipsius -civitatis ad portas vel pusterulas faciendas sine episcopi jussu -frangere præsumat_. - -Nel 1013 già Novara era in grado di resistere ad Arduino marchese -d’Ivrea, e nel 1110 ad Enrico V, e Ottone di Frisinga al tempo di -Barbarossa la qualificava _non magna, sed muro novo et vallo non modico -munita_. - -[10] _Monumenta Historiæ patriæ_, Chartarum II. 49. - -[11] _Antiq. M. Æ._, VI. 47; AFFÒ, II. 13. - -Del 1037 Corrado conferma al vescovo d’Ascoli la donazione di Ottone: -_Omnem terram sui episcopii, tam ad matricam ecclesiam pertinentem -infra et extra civitatem suam, quam ad ceteras capellas sive -monasteria... Monetam etiam in civitate construere... et quidquid ad -regiam censuram et potestatem nostram pertinet, transfundimus in ejus -et successorum illius jus et dominium._ Lo conferma nel 1045 Enrico -re ad altri. _Archivio capitolare d’Ascoli._ Vedi _Giornale Arcadico_, -vol. XLIII. - -[12] TIRABOSCHI, Storia della badia di Nonantola, II. 188: _Confirmamus -tam mutinensi ecclesiæ quam ejus civibus universos bonos usus quos -antiquitus habuerunt._ - -[13] _Prædictum districtum et aquam ac ripam Padicam omni theloneo seu -curatura atque ripatico a Dulpariolo usque ad caput Adduæ, cunctasque -piscationes cum molendinorum molitura et navium debito censu, et omnes -rectitudines et redibitiones et forum seu ceteras consuetudines, et -vias publicas, et cætera quæ in præceptis et notitiis antecessorum -nostrorum continentur._ Ap. CAMPI, _Hist. eccl._, I. - -[14] _Antiq. M. Æ._, I. 708. E nel 1084 concedeva al monastero di San -Zenone a Verona _liberos homines, quos vulgo arimannos vocant... cum -omni debito, districtu, actione atque placito_. - -Al 2 luglio 1070 Enrico IV re dona alla chiesa di Vercelli il Casale -coll’arimannia, e con tutto il servizio del contado Odalingo con tutti -gli arimanni, e del contado Albalingo con tutti gli arimanni, Ocesingo -con tutti gli arimanni, e così Momelerio, Selvolina, Redingo _cum -omnibus arimannis_. _Monum. hist. patr._, Chartarum I. p. 622. - -[15] _Nullam deinceps vel eorum filii aut descendentes publicam -functionem vel angariam, seu ullum servitium aut ullam districtionem -cuique hominum faciant, vel usque in perpetuum persolvant; sed sub -potestate pretaxati monasterii perenniter permaneant, præter nostrum -regale fodrum quando in regnum istum devenerimus, et sculdassiam quam -comitibus suis singulis annis debent._ Ap. LUPO, lib. II. - -[16] D’ARCO, _Nuovi studj intorno all’economia politica del municipio -di Mantova_, 1846. - -[17] Paragonisi la nota 12. - -[18] Di fatto Lotario II nel 1133 attribuiva a questa città _arimanniam -cum rebus communibus ad mantuanam civitatem pertinentibus_. Del -1056 si ha l’investitura _Elisei episcopi Mantuæ facta communi et -universitati et hominibus Mutuæ de tota aqua Padi_: al qual uopo due -_sindaci et procuratores communis_ pagarono ad esso vescovo quaranta -lire imperiali per essere investiti di quel diritto. Altrove i nobili -erano detti Lombardi; per es. negli statuti di Pisa, lib. I. rubr. 109: -_Non patiemur aliquem vel filium militis vel nobilem vel lambardum -etc._; nel registro dei censi della chiesa romana: _Quidam milites, -qui dicuntur Lambardi_; e ap. TARGIONI TOZZETTI, _Viaggi_, I. 89, ove -_Cattani et Lambardi de la Quercinola, Lambardi de Aquaviva etc._ - -[19] _Legge_ XXXI delle aggiunte alla Longobarda, e la IV delle _Leggi -longobarde_. - -[20] CAMPI, _Hist. eccl._, I. 480. - -[21] _Antiq. M. Æ._, I. 1020 e 493. - -[22] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. 191. - -[23] _Ut omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere et -emere, juraverunt omnes cambiarii et speciarii, qui ad cambium vel -species stare voluerint, quod ab illa hora in antea non furtum faciant -nec treccamentum aut falsitatem, infra curtem Sancti Martini, nec -in domibus illis in quibus homines hospitantur... Sunt etiam insuper -qui curtem istam custodiunt, et quicquid male factum fuerit, emendare -faciunt._ - -[24] LUPO, _Cod. dipl. Berg._, tom. II. 621 e 773. - -[25] TARGIONI TOZZETTI, _Viaggi_, I. 143. - -[26] _Breve recordacionis de concordia hominum Clavennatum et -Pluriensium. Jurare debent quatuor homines de Clavenna et de Pìuri -de guidare comune de Clavenna et de Pluri et eorum bona et personas -bona fide, sine fraude in pace et in guerra; et de illis rebus quæ -venient eis inter manus _per istam consulariam_ non facient furtum, nec -consentient facienti; et illud quod remanebit in fine suæ consulariæ de -quæstu quod ipsi fecerint, partientur inter Clavennates et Plurienses, -ita scilicet ut Clavennates habeant tres partes, et Plurienses quartam -sine fraude: et si dispendium fuerit factum pro comuni de Clavenna, -sine fraude illi de Pluri solvere debeant quartam partem et Clavennates -tres partes etc._ - -È citato nella decisione che Anselmo Dell’Orto, console di Milano nel -1155, diede sopra una quistione fra i consoli di quei due luoghi; -riportata dal padre Allegranza, _Dell’antico fonte battesimale di -Chiavenna_. Venezia 1765. - -[27] Il più antico statuto che si conosca fatto da una corporazione -in Lombardia sarebbe dell’835, con cui alla corte imperiale di -Castelvetere, donata a Santa Maria di Cremona, i canonici di questa -dettano statuti; che nessun uomo di quella venda o tenga albergo o -taverna senza licenza loro, pena trenta soldi: non tener giuoco o -bisca o meretrice; non rubare; non accoglier pubblico bandito o ladro; -e si stabilisce la pena per chi ferisca in rissa, tiri pei capelli, -faccia adulterio, guasti una fanciulla. I quali statuti furon letti in -presenza di molti uomini di Castelvetere, e ricevuti e giurati da essi. -— È pubblicato dall’Odorici nell’_Archivio storico_, nuova serie, tom. -II., pag. 39, ma potrebbe esser falso come altri di quella provenienza. - -Un de’ primi atti di Comune sarebbe quello che cita esso Odorici al -969, in cui re Ottone al Comune ed università di Maderno, nel Bresciano -presso al Benáco, che aveangli mandato deputati per chieder la conferma -della loro immunità, rimette tutti gli ossequj, usi, dazj che ai -predecessori suoi soleano retribuire, assolvendo i Madernesi da ogni -nodo di servitù, dando facoltà di pesca e caccia per tutto il lago e -di farvi quel che credono, e considerandoli liberi con tutte le loro -adjacenze, vigne, oliveti, campi colti e incolti, mobili ed immobili, -telonei, ripatici, ostiatici; volendo che tutte queste cose vengano in -diritto e proprietà d’esso Comune e università di Maderno in perpetuo. -Peccato che l’Odorici non garantisca abbastanza i documenti che -produce: affinchè, s’egli non è uomo da ingannare, assicurasse pure che -non venne ingannato. - -[28] Sotto l’896, Landolfo seniore indica che ad ognuna delle sei -porte di Milano i Romani avessero formato di quelle opere di difesa, -che essi chiamavano _procestre_ o _clavicule_, e noi _rivellini_; e -li dice altissimi e di pianta triangolare. Senza credere appartengano -ai Romani, se ne induce, primo, l’antichità di tali fortificazioni, -che alcuni vorrebbero inventate solo nel XV secolo; secondo, che la -città non doveva essere stata rasa affatto da Uraja, come ci vogliono -dare a credere, se trecent’anni dipoi v’aveva mura sì antiche da non -ricordarsene la costruzione. - -[29] DANDOLI, _Chron._, lib. VIII. c. 16. - -[30] _Antiq. M. Æ._, diss. II. - -[31] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. - -[32] _Monum. Hist, patriæ_, 998. - -[33] _Arch. diplom. sienese, Pergamene_, n. 14 e 21. - -[34] _Constitutiones quas habent de mari sic iis observabimus, sicut -illorum est consuetudo. Nec marchionem aliquem in Tuscia mittemus sine -laudatione hominum duodecim, electorum in colloquio facto sonantibus -campants._ Antiq. M. Æ., diss. XLV. - -_Incipit prologus constitutionum Pisanæ civitatis. Nobis Pisanorum -consulibus, constituta facientibus æquitashortando suasit, omnibus ea -scire atque intelligere volentibus, originem ipsorum et causam atque -nomen exponere, ne, ut ita dixerimus, quasi illotis manibus, nulla -præfatione facta, ex improvisu ad ipsa perveniant._ - -_Pisana itaque civitas, a multis retro temporibus vivendo lege -romana, _retentis quibusdam de lege longobarda_, sub judicio legis, -propter conversationem diversarum gentium per diversas mundi partes -suas consuetudines non scriptas habere meruit, super quas annuatim -judices possint quos provisores appellavit; ut ex equitate, pro salute -justitiæ et honore et salvamento civitatis, tam civibus quam advenis -et peregrinis et omnibus universaliter in consuetudinibus providerent. -Qui ex diversitate scientiæ atque intellectus, per diversa tempora -eadem negotia atque similia, aliter alteri, et omnino e contra quam -illi judicaverint; unde Pisani, qui fere præ omnibus aliis civibus -justitiam et æquitatem semper observare cupierunt, consuetudines suas, -quas propter conversationem quam cum diversis gentibus habuerunt, et -hucusque in memoria retinuerunt, in scriptis statuerunt redigendas, -pro cognitione eorum ea scire volentium. Qua de causa et nos, et ante -nos quamplurimos alios sapientes civitatis elegerunt, qui hoc sub -sacramento faceremus, et corrigenda corrigeremus, atque causas et -quæstiones consuetudinum a causis et quæstionibus legum discernendo -redigeremus in scriptis. Quorum statuta in scriptis redacta, sunt -appellata constituta, quasi a pluribus statuta, et etiam a civitate -recepta et confirmata. Ex quibus hoc volumen compositum a nobis et -confirmatum consulibus justitiæ, scilicet, Rainerio de Parlascio et -Lanfranco, pro se et suis sociis, scilicet Lamberto Grasso de Sancto -Cassiano, Boccio Cocco, Henrico Friderici Bulso, olim Petri Albithonis, -et Sysmundo quondam Henriqui Nithonis, per publicationem obtulimus et -dedimus. Anno incarnationis Domini_ MCLXI, _indictione_ IX, _pridie -kalendas januarii, regnante domino Friderico felicissimo atque -invictissimo imperatore nostro et semper augusto._ - -_Extra quod volumen si quod aliud constitutum de usibus scriptum -inveniatur, auctoritatem non habere constituimus, nisi super factis -secundum sua tempora; servata et in eis constitutione hac_ Sicut lege -et constitutiones, etc.; _non tamen occasione hujus constitutionis in -factis futuris ab hinc in antea vel ex quo illud constitutum emendatum -vel sublatum fuerit protrahatur._ - -Su quegli statuti hanno fatto studj i Dal Borgo, il Valsecchi, il -Targioni-Tozzetti, il Savigny, ecc., e più profittevoli il Bonaini. - -* Lo statuto dei Consoli del 1162 da lui pubblicato, non è il più -antico. V’era un podestà nel 1190, e lo statuto di questo è più ampio -perchè comprende gli statuti particolari. - -Daiberto tra il 1088 e il 1092 _episcopus Pisanorum_, aggiuntisi -per socj i valorosi e sapienti Pietro Visconti, Rolando e Stefano -Guinizone, Mariniano, Alberto; considerando l’antica peste della -città pisana la superbia, per la quale faceansi quotidiani omicidj -innumerevoli, spergiuri, incesti, principalmente in occasione di -distrugger case e altri mali assai, col consenso e il lodo de’ -sopradetti uomini, e di tutti gli abitanti di Pisa, di Borgo e -Chinzica, ordina qual deva esser l’altezza delle torri, sia su terreno -proprio, sia su feudale o ecclesiastico. E chi lo viola si abbia per -scomunicato, e guardinsi da lui come da eretico e dannato, nè abbiasi -comunione con lui in chiesa o in nave. - -Del 1154 si ha il catalogo dei consoli, con autorità _a cuncto Pisarum -populo in publica contione concessa, clamante_ FIAT FIAT. - -Nel Pisano aveano statuti proprj Calci, Vico, Buti, Marti, Palaja, -Peccioli, Piombino, Campiglia, Scarlino, Castiglione della Pescaja, -l’isoletta di Pianosa. - -[35] Ap. MURATORI, _Ant. Estensi_, part. I. c. 17. - -Dell’immunità riportiamo solo le parti principali: _In nomine sancte et -individue Trinitatis. Otto gratia Dei imperator augustus etc. Agnoscat -universitas nostrorum fidelium... qualiter nos, pro Dei omnipotentis -amore, nostrarumque animarum remedio inclinati precibus Huberti -episcopi, dilecto fidelique nostro, per hoc nostrum preceptum donamus, -concedimus atque largimur omnibus sacerdotibus, levitis, universis -sacris ordinibus, Luce civitati commorantibus, seu etiam suburbanis, -ut deinceps in antea a nullis magnis parvisque personis ad secularia -judicia pro qualicumque controversia examinentur vel distringantur -nisi ab eorum presule, et ut illis in domibus eorum aliqua invasione -audeat inferre, vel tributum, seu etiam superimpositum iisdem -sacerdotibus etc... a quaqua persona minime imponatur vel requiratur; -et ne aliquis audeat se intromittere sine legali judicio in universis -suppellectilibus eorum, sive in servis etc. Insuper concedimus ob -nostram imper ialem dictionem omnibus sacer dotibus... ut eorum -advocatus non aliter, nisi solus juret, sine ulla contradictione, sicut -in sancta romana ecclesia agitatur... Et ita sane precipientes jubemus, -ut nullus dux, sive marchio... audeat se ultro ingerere in omnibus -casis et rebus jam superius prenotatis, vel etiam eis servitia, aut -injurias inferre..._ Segue la pena _auri optimi libras centum_ contro i -violatori, da pagarsi per metà _camere nostre, et medietatem predictis -sacerdotibus... Quod ut verius credatur, diligentiusque ab omnibus -observetur, manibus propriis roborantes annuli nostri impressione -insigniri jussimus._ — _Signum domini Ottonis serenissimi imperatoris._ - -Ecco pure il diploma di Ottone II: _Ob amorem Dei, tranquillitatemque -fratrum in Lucensi ecclesia famulantium, atque sub ipsius diæcesos -degentium libenter concedere placuit, et hoc nostre auctoritatis -preceptum immunitatis, atque tuitionis gratiam erga eandem ecclesiam -fieri decrevimus, nominative de custodibus, castellis, monasteriis, -plebibus, cellulis, aldionibus et aldiabus, servis et ancillis, -piscationibus, aquis, aquarumque ductibus, pratis, vineis, campis -etc... Precipientes quapropter jubemus, ut nullus dux, marchio, comes, -vicecomes, judex publicus, aut gastaldus, vel quilibet ex judiciaria -potestate, in cellulas, aut ecclesias, vel domos clericorum, curtes, -seu villas, aut loca, vel agros, castella, seu reliquas possessiones -memorate ecclesie.... ad causas audiendas, vel freda exigenda, aut -mansiones vel paratas faciendas, aut fidejussores tollendos, aut -homines ipsius ecclesie tam ingenuos quam servos distringendos, aut -ullas redibitiones... illicitasve occasiones requirendas, nostris -vel futuris temporibus ingredi audeat, vel ea que supra memorata -sunt, penitus exigere presumat; sed liceat memorato presuli, suisque -successoribus, sibi subjectis, vel omnibus ad se aspicientibus, sub -tuitionis atque immunitatis nostre defensione, remota totius judiciarie -potestatis inquiet udine possedere. Tonsos vero, quos sua parochia... -et omnes homines in sua terra residentes, aut ad ejusdem terre castella -confugientes, ad jam dicti episcopi suorumque successorum veniant -judicium, et nulla imperii nostri magna parvaque persona habeat -potestatem ad distringendum, sed liceat ei ad vicem regie potestatis -eos distringere etc._ Memorie lucchesi. - -[36] _Bullam plumbeam pro sigillo comunitatis._ PTOL. LUCENSIS, _Ann. -eccl._, lib. XIX. - -[37] _Lucanis civibus pro bene conservata fidelitate eorum in nos, -et pro studioso servitio eorum, nostre regie potestatis auctoritate -concedimus, et concedendo statuimus, ut nulla potestas, nullusque -hominum murum lucensis civitatis antiquum seu novum in circuitu -dirumpere aut destruere presumat; et domos quæ intra murum hunc -edificate sunt vel adhuc edificabuntur, aut circa in suburbio, nulli -mortalium aliquo ingenio aut sine legali judicio infringere liceat. -Preterea concedimus predictis civibus ut nostrum regale palatium -intra civitatem vel in burgo eorum non edificent, aut inibi vi vel -potestate hospitia capiantur. Perdonamus etiam illis ut nemo deinceps -ab illis exigat aliquod fodrum et curaturam a Papia usque Romam, ac -ripaticum in civitate Pisa vel in ejus civitate. Statuimus etiam ut si -qui homines veniant in flumine Serculo vel in Motrone cum navi causa -negotiandi cum Lucensibus, nullus hominum eos vel Lucenses in mari vel -in suprascriptis fluminibus eundo vel redeundo vel stando molestare, -aut aliquam injuriam eis inferre, vel depredationem facere, aut -aliquo modo hoc eis interdicere presumat. Precipimus etiam ut si qui -negotiatores veniant per stratam a Luna usque Lucam, nullus homo eos -venire interdicat, vel alio conducat, sive ad sinistram eos retorqueat, -sed secure usque Lucam veniant, omnium contradictione remota. Volumus -autem ut a predicta urbe infra sex milliaria castella non edificentur, -et si quis aliquis munire presumserit, nostro imperio et auxilio -destruantur. Et homines ejusdem civitatis vel suburbii sine legiptima -judicatione non judicentur. Et si aliquis civium predictorum predium -vel aliquam tricennalem possessionem tenuerit, si auctorem vel datorem -habuerit, per pugnam vel per duellum non fatigetur... Longobardus judex -judicium in jam dicta civitate vel in burgo aut placitum non exerceat -nisi nostra aut filii nostri presente persona, vel etiam cancellarii -nostri. In hac vero concessione sive largitione nostra sancimus ut -nullus _episcopus_, dux, marchio, comes, nullaque nostri regni persona -predictos cives in his concessis inquietare, molestare, disvestire -presumat._ Pubblicato dal Minutoli nell’_Archivio storico_, vol. X. -doc. 1. - -[38] Questo giudicato si vedrà nel cap. LXXXV. - -[39] _Documenti per servire alla storia lucchese_, vol. I. p. 174: — -_In nomine sanctæ et individuæ Trinitatis. Velfo dux Spoleti, marchio -Tusciæ, princeps Sardiniæ, dominus domus comitissæ Mathildis._ - -_Quia justum et rationi consentaneum videtur imperatorem, sive magnos -principes imperii, fidelium petitionibus condescendere suorum; idcirco -et ego, petitionibus fidelium et dilectissimorum suorum Lucensium -condescendere volens, Lucanæ civitati totoque ejus populo do, concedo -atque confirmo omnem ejus actionem, jurisdictionem, et omnes res quæ -quoquomodo mihi pertinent, vel ad jus marchiæ pertinere videntur, -vel ad jus quondam comitissæ Mathildis, vel quondam comitis Ugolini -pertinuerunt, tam infra Bechariam civitatem ejusque burgos, quam -extra infra quinque proxima milliaria prædictæ civitati, ab omni parte -ejusdem civitatis, exceptis fodris meorum vassallorum ex parte marchiæ, -vel prædicti comitis Ugolini. Præterea infra præfata quinque milliaria -proxima Lucanæ civitati ab omni parte non ædificabo aliquod castellum, -nec ædificare faciam. Pro qua mea datione et concessione consules vel -rectores qui pro tempore in dicta civitate fuerint, vel aliqua persona -pro subscripta civitate dare debeant mihi, vel meis successoribus -aut misso nostro, infra prædictam civitatem omni anno in quadragesima -infra proximos octo dies postquam a nobis vel a nostro nuntio literas -sigillatas ostendendo prædictis consulibus, vel rectoribus aut populo -denunciatum fuerit, solidos mille lucensium denariorum expendibilium, -et sic debeant facere et observare prædicti consules, vel rectores aut -aliqua persona pro civitate dehinc ad nonaginta annos. Et licet ego -sciam quod hæc mea concessio annuatim majorem redditum quam sit dictum, -et etiam ultra duplum promittat, tamen illam plenissima auctoritate -corroboratam per me et meos successores firmiter et incorrupte, sicut -dictum est, permanere constituo. Siqua vero persona contra hujus nostræ -concessionis et dationis paginam venire præsumpscrit, statuimus ut -libras centum auri componat, medietatem cameræ nostræ, et medietatem -prædictæ civitati. Ut autem hæc scriptura immutabili veritate et -stabilitate permaneat, sigilli nostri impressione insigniri jussimus, -et propria manu confirmantes subscripsimus._ - -_Acta sunt hæc in civitate Lucensi, anno incarnationis Domini_ MCLX, -VIII _idus aprilis, præsentibus vero testibus his, etc._ - -[40] Il diploma è del 5 maggio 1129: l’originale dovette perire come il -resto dopo la memorabile sollevazione del 1678, ma tutti gli storici -ne parlano, e mostrano tenerlo per vero, eccetto in pochi casi di -controversia. (Oggi alcuni l’impugnano). - -[41] _Antiq. M. Æ._, v. 753. - -[42] «In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone per voler -di Dio imperatore augusto. Se assentiamo alle domande degli altri -nostri fedeli, molto più giustamente inclinar dobbiamo le orecchie -alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano dunque tutti i -fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio presenti e futuri, che -Adelaide imperatrice augusta moglie nostra invocò la nostra clemenza, -affinchè per amor suo gli abitanti dell’Isola Comacina e del luogo che -dicesi Menaggio ricevessimo sotto la nostra difesa, e confermassimo -coll’autorità nostra i privilegi che ebbero dagli antecessori nostri -e da noi stessi avanti l’unzione imperiale, cioè di non far oste, non -aver l’albergario, non dare la curatura, il terratico, il ripatico o -la decima nel nostro regno, nè andare al placito, se non tre volte -l’anno al placito generale in Milano. Tanto concediamo, ecc. Dato -all’VIII avanti le calende di settembre, anno dell’Incarnazione 962, I -dell’impero del piissimo Ottone, indizione V, in Como». _Ap_. ROVELLI, -_Storia di Como_, tom. II. (Oggi vuolsi dubitarne). - -[43] UGHELLI, _Italia sacra_, tom. IV. col. 596. - -[44] _Ea quæ sue locutionis proprietate comunia vocant._ Antiq. M. Æ., -IV. 24. - -[45] _Breve recordationis de Ardicio de Aimonibus._ Sul qual documento -io ho troppo dubbj. - -[46] _Antichità Estensi_, part. I. c. 29. — _In nomine sancte et -individue Trinitatis. Velfo Dei gracia dux et marchio, Mathilda Dei -gracia si quid est. Justis petitionibus adquiescere, et nostros fideles -honoribus et commodis ampliare per omnia nostram condecet potestatem. -Quapropter omnium sancte Dei ecclesie, nostrorumque fidelium tam -futurorum quam presentium noverit industria, qualiter nostri fideles -mantuani cives nostram adierunt clementiam, quorundam suorum concivium -oppressiones relevari petentes, et erimannos omnes, et communes res -sue civitatis a nostris predecessoribus illis ablatas, sibi restitui -postulantes. Et nos, ob memorabilem eorum fidelitatem et servicium, -justis eorum precibus annuentes, omnes exactiones et violentias non -legales funditus deinceps abolendas, et radicitus extirpandas modis -omnibus decernimus et firmamus. Statuentes etiam, ut neque nos, neque -nostri heredes, neque ulla magna, parvaque nostre potestatis persona, -predictos cives in mantuana civitate, vel in suburbio habitantes, vel -deinceps habitaturos, de suis personis, sive de illorum servis, vel -ancillis, seu de liberis hominibus in eorum residentibus terra, vel de -ermanna, et communibus rebus ad predictam civitatem pertinentibus ex -utraque parte fluminis Mincii sitis, sive de beneficiis, libellariis, -precariis, investituris, seu etiam de omnibus eorum rebus mobilibus -et immobilibus adquisitis, vel adquirendis, inquietare, molestare, -disvestire sine legali judicio, vel ad aliquam publicam exactionem vel -functionem cogere presumat. Sed et neque in predicta civitate in domo -alicujus, vel in suburbio, in domo militis vel in caneva alicujus, -illis invitis, hospitari audeat. Insuper et illis restituimus omnes -res communes, parentibus illorum concessas per preceptum imperatorum, -scilicet nominative Saccam, Sepringenti et Carpenetam, et quidquid de -Armanorio nobis hucusque retinebamus, sive per cetera loca in comitatu -mantuano rejacentia, piscationes per flumina et paludes, scilicet -utrasque ripas fluminis Tartari, deinde sursum usque ad flumen Olei. De -alia parte usque in Fossam altam. De tertia parte usque in ecclesiam -sancti Faustini in caput Variana, et deinde seorsum usque in Agricia -majore. Ut liceat illis pabulare, capulare, secare, venari, et quicquid -juris ipsorum parentes antiquitus in illis habuerant. Decernimus etiam, -ut liceat omnibus predictis civibus et suburbanis per omnen nostram -potestatem secure ire et redire, sive per aquam et per terram quocumque -voluerint, ita ut nec theloneum, nec ripaticum dent. Et insuper illam -bonam et justam consuetudinem eos habere firmamus,_ QUAM QUELIBET -OPTIMA CIVITAS LONGOBARDIE OBTINET. - -[47] _Antiq. M. Æ._, I. 730; e la nuova conferma fattane dal -Barbarossa, 732. - -[48] _Pater ejus de ordine illorum, qui jura et leges civitatis -asservabant, fuit._ BOLLAND., _ad_ 28 _maj_. In una carta del 721 -dell’archivio di Sant’Ambrogio è nominato Vitale suddiacono, _exceptor -civitatis Placentinæ_, cioè notaro. A un diploma del 1100 di Anselmo -arcivescovo di Milano, il clero vercellese soscrive: - - _Hoc Vercellarum clerus decus ecclesiarum_ - _Laudat _cum populo_ laudibus egregio._ - PURICELLI, Monumenta ambrosiana, 289. - -Così Aosta ebbe statuti nel 1118, pubblicati dal Cibrario; Capua nel -1109, dati dal Bonaini; Verona, decreti di consoli nel 1140. - -[49] _Consulum epistolarum dictator._ Hist. Med., cap. 15. - -[50] _Consulibus, capitaneis, omni militiæ universoque mediolanensi -populo. Civitas Dei inclyta conserva libertatem, ut pariter retineas -nominis tui dignitatem, qui, quamdiu potestatibus Ecclesiæ inimicis -resistere niteris, vere libertatis auctore Christo domino adjutore -perfrueris._ MARTENE, _Collect. vet. scriptorum et monumentorum_, tom. -I. p. 640. Si avverta come non vi si faccia motto dell’arcivescovo, -nè del clero. La prima menzione di consoli in Milano è nel 1100. Una -carta del 1109 dell’archivio di San Fedele di Como fu stesa _multis -adstantibus cumanis consulibus_. - -[51] LANDULPHI SANCTI PAULI, cap. 31. - -[52] Nell’897 il vescovo Adalberto costituisce il vivere comune de’ -canonici dotandoli di molti beni, distratti dalla mensa vescovile; del -che delibera in concilio coi sacerdoti e tutto il clero d’essa chiesa, -_et reliquis nobilibus hominibus, qui eidem synodo intererant, tractans -cum eis de statu et soliditate ipsius ecclesiæ_. Nel 1000 il vescovo -Reginfredo fa molti doni ad essi canonici, ancora presenti _presbyteris -et diaconibus cum certa parte nobilium laicorum_. LUPO, _Cod. dipl. -Berg._, tom. I. 1059. 1064. Sorte poi controversie fra i canonici di -Sant’Alessandro e quei di San Vincenzo, nel 1081 il vescovo Arnulfo li -rappacificava _secundum consilium multorum clericorum, civium, extraque -urbe manentium sapientum et nobilium_. - -[53] _De civibus autem præfatæ civitatis, Alberto Tozoni, Arimbaldo -Cozo, Petro de Curte regia, Adam de Castello, Lanfranco Nozo de -Polterniano, Lanfranco Ottoni, et insuper compluribus._ Cod. dipl., -759. - -[54] _Laude duodecim habitatorum qui electi fuerunt ad hoc, vel -laude comunitatis... laude duodecim consulum_. Nel 1167 essi conti, -sgomenti dai progressi della Lega Lombarda, confermarono ed ampliarono -tali privilegi ai vassalli e agli abitanti, obbligandoli al servizio -militare e al fodro e alla fedeltà a Federico. I Novaresi, appena -partito Federico, assediano il castello di Biandrate (1168) e si -obbligano a tenerlo distrutto, e non ricevere i conti _nec pro -habitantibus nec pro vicinis_. Monum. Hist. patriæ, I. 708. Sarebbe la -prima menzione _contemporanea_ di consoli. - -[55] Del giuramento fatto prestare ai singoli membri d’un Comune -trovansi i processi qua e là; ed alla stampa, fra altri, indicheremo -quello con cui gli uomini del paese di Triora giurarono fedeltà -al Comune di Genova nel marzo 1261; i sottoscritti sono circa -trecentottanta. Nel _Liber jurium_, vol. I, pag. 1334. - -[56] _Astensis ecclesiæ episcopus nostram efflagitans adiit -celsitudinem, quatenus sibi suaque ecclesiæ... secundum avi et patris -nostri præcepta... totum episcopatum astensem, cum integro districtu -civitatis, cum quatuor miliariis in circuitu, nostræ confirmationis -et donationis præcepto corroborare et largiri dignaremur... videlicet -quidquid ad publicum jus pertinet in thelonei et mercati redibitione, -seu aquatici atque ripatici... cum placitis et omnibus vectigalibus... -Volentes etiam jubemus, nullus habitator in castellis aut villis sui -episcopatus ad placitum alicujus comitis vel hominis, nisi ad episcopi -placitum aut sui nuncii vadant aut legem faciant_. Monum. Hist. patriæ, -vol. I., 289. - -[57] Sotto l’invasione, una parte de’ vincitori collocossi in campagna, -formandovi Comuni villerecci (_pagus, gaue_), governati con leggi -tedesche; mentre altra parte della campagna spettava ai vinti e -regolavasi giusta il colonato romano, cioè rimanendo le persone libere -da servigi personali, e le terre in libero commercio, vendendosi e -affittandosi senza tampoco l’obbligo all’affittuario d’abitarle e -coltivarle. In que’ dei vincitori invece era stabilita la servitù della -gleba. Tal condizione diversa appare da molti documenti, e specialmente -da quelli che concernono la chiesa di Firenze e di Siena (Ap. RUMHOR, -pag. 7-24), e da altri presso lo stesso che riguardano la repubblica -sanese (pag. 25-41). - -Firenze, costituitasi a Comune, cercò fiaccare i feudatarj. Essi -pertanto s’indussero a sminuire la propria potenza, esimendo i coloni -dai servigi personali, del che molti documenti adduce esso Rumhor dalla -metà del XII secolo a quella del XIII (pag. 42-82). O si precisavano i -servigi imposti, o vi si surrogavano prestazioni in generi, o i padroni -ripigliavansi parte delle terre lavorate dai coloni, a cui essi altra -parte ne lasciavano in compenso del diritto che il gius romano dava a -questi di non essere staccati dalla propria terra. Quindi nacquero in -Toscana molti piccoli possidenti campagnuoli. Le repubbliche favorirono -la redenzione dei coloni, e gli statuti ne sono pieni: Firenze nel 1289 -ordinò l’intero loro affrancamento: ricomprò, l’anno seguente, i coloni -del Mugello dalla mensa arcivescovile e dal capitolo di Firenze. - -Riscattati i coloni, le terre divennero di libera circolazione, e -quindi oggetto alle speculazioni de’ denarosi, che compraronle dai -coloni cui erano rimaste, e che le aveano suddivise per eredità: così -entrando ne’ mercanti la voglia di possedere, adoprandovi anche la -frode e la violenza. I comunelli di contadini, ch’eransi ordinati sui -monti accanto alle rocche feudali, ne scesero per vivere in mezzo al -podere. I signori che aveano riscattato i fondi, li diedero a coltivare -agli antichi coloni con diversi patti, fra’ quali è costante la cura di -mantener le piante di cui il fondo era vestito; cura che anche oggi è -capitale. Così vennero la colonia parziaria, la mezzerìa. - -Questa nelle carte toscane appare stabilita verso il 1250. Ma pure non -mancano esempi di affitto semplice a prestazione certa e in generi o in -denaro. - -Vedansi _Cenni storici delle leggi sull’agricoltura, dai tempi romani -fino ai nostri_, dell’avv. ENRICO POGGI, Firenze 1845. - -[58] LAMI, _Memor. Eccl. florentinæ_, tom. IV. - -[59] _Monum. hist. patriæ_, Scriptorum, III. 1569. 1614. - -[60] _Storia di Imola_, inserita in quella di Lugo, lib. III. c. 15. - -[61] _Atti dell’Acc. di Lucca_, tom. X. E nel 1195 vacando la chiesa -parrochiale a Montopoli, i consoli e il gastaldo supplicarono il -vescovo di Lucca, _loro signore_, ad eleggerlo, come fece, _quia sum -pro episcopatu patronus ejusdem ecclesiæ, et dominus illius terræ_. -Mem. lucchesi, IV. 2. - -[62] _Antiq. M. Æ._, IV. 40. - -[63] GHILINI, _Annali_. Milano 1666. - -[64] Così il Villani e il Malaspina; ma gli eruditi arruffano. - -[65] Flaminio Dal Borgo, nella _Raccolta di diplomi pisani_, 1765, pag. -186, reca una formola della conferita cittadinanza, che tradotta suona -così: - -«Parendo giusto e salutevole che, quando uomini di buona fama -desiderano associarsi al consorzio della città di Pisa, e farsi -cittadini pisani, siano ricevuti con equa benignità dopo prestato -il giuramento di cittadinanza, e godano degli onori e privilegi dei -Pisani, in ogni luogo, io Opizzino, figlio di Sano di Bientina, giuro -sui santi vangelj di Dio che non sarò in consiglio od atto perchè la -città pisana perda l’arcivescovado, nè i suoi vescovi, nè il primato, -nè la legazione di Sardegna, nè l’onore e gli onori che ora ha o è per -avere. E se abiterò nella città o no, qualunque cosa mi sarà ingiunta -dal potestà, dai rettori, dal pretore, dai consoli, o da qualche -delegato o capitano per l’onore della città, o per le persone o per le -cose, sia direttamente o per nunzj o per lettere, senza frode lo farò -e osserverò. Quando sappia che alcuno voglia sminuir l’onore della -città, se lo potrò senza grave spesa, l’impedirò; se non potrò, lo -significherò ad alcuni dei predetti al più presto. Le persone e cose -de’ Pisani in terra, in acqua e dovunque possa difenderò. Le credenze -che da alcuno de’ suddetti per giuramento mi siano imposte, non -manifesterò. Queste cose per coscienza, senza frode osserverò, secondo -la consuetudine degli altri cittadini di Pisa; e n’ho rogato Stefano -giudice e notaro e cancelliere di Pisa. - -«Fatto a Pisa fuor porta ecc. l’anno 1198 dell’incarnazione, indiz. XV, -al V dagli idi d’aprile». - -E incontinente, alla presenza de’ medesimi testimonj rogati, il signor -conte Tedicio podestà del Comune e della città di Pisa, investì detto -Opizzino di tutti gli onori e privilegi, di cui godono i cittadini -pisani nella città e fuori, ne’ fondaci, nelle botteghe, nelle navi e -in qualunque luogo di terra e d’acqua, talchè ne goda come gli altri -cittadini pisani; e lo costituì e confermò cittadino pisano; e lui e -gli eredi e i beni suoi liberò da tutti i pesi rusticani, sicchè più -non sia tenuto fare servizj rusticani, nè dare la data, ecc. - -Altri di tali giuramenti sono nel Muratori, _Antiq. M. Æ._, diss. -XLVII; e per esempio Guicellone da Camino e Gabriele suo figlio il 1183 -facendosi cittadini di Treviso giuravano: - -«Abiteremo in essa città d’ogni anno due mesi in tempo di pace, e tre -in tempo di guerra; qualora non ne siamo dispensati: ma in modo che, -standovi l’uno, non sia obbligato l’altro; faremo giustizia e ragione -sotto ai consoli o al podestà; apriremo tutte le borgate in pace e -in guerra ai Trevisani per far guerra ai loro nemici; con buona fede -e senza frode, custodiremo e salveremo i Trevisani e le cose loro in -tutt’i borghi e le ville nostre, in piano e in monte; faremo oste e -cavalcata, coi nostri uomini che sono dalla Livenza sin qua, liberi e -servi; se si farà colletta o boateria (tassa sui bovi) fuor di città -sopra i campagnuoli, vogliamo che vi obbediscano anche i nostri; -daremo opera e consiglio affinchè quelli di Conegliano vengano a -pace col Comune di Treviso, e prestino giuramento che noi prestiamo; -faremo giurare dieci uomini di ciascuna nostra parrochia (_curia_), -ad elezione dei consoli o del podestà, di seguirli e render ragione, e -guardare e salvare gli uomini di Treviso e le cose loro. - -Il podestà e i consoli e il Comune di Treviso di rincontro giuravano, -salvare e mantenere essi da Camino, come qualunque cittadino di -Treviso, e i loro paesi e gli abitanti liberi o servi; se il comune -di Treviso distruggerà alcun loro castello, lo riedificheranno; non -osteranno a che ottengano ragione in qualunque lite o querela; non -impediranno le guerre private già in corso, quand’anche le parti -volessero fare il duello innanzi ad essi consoli o ai loro successori; -non s’intrometteranno delle liti di libertà, mosse dagli uomini del -loro contado; dan piena rimessione de’ danni e delle ingiurie passate, -e delle pene e multe e dei bandi; e non si brigheranno degli uomini -loro, abitanti di là della Livenza e in Cadubria; che se mancassero -in alcuna di queste promesse, pagheranno lire quattromila venete, -obbligando in sicurtà i beni comunali, di modo che possano occuparli e -prenderne i frutti; e tutto ciò sarà giurato ogni dieci anni da cento -militi e ducento pedoni. - -Nel 1199 Alberto e Magninardo de’ conti Guidi cedevano ai Fiorentini -il castello di Semifonte, giurando sui vangeli di salvare, custodire, -difendere ogni persona della città di Firenze e dei borghi e sobborghi, -far carta di vendita del poggio di Semifonte, quale è contenuto coi -muri e le fossa, e _lasciar copiare_ dal podestà e dai consiglieri le -carte che vi sono; faran guerra quando ne siano domandati con lettere -portanti il sigillo del Comune, nè faran pace o tregua o accordo co’ -nemici senza consenso del podestà o de’ consoli; abiterà ogn’anno un -di loro un mese in Firenze; faranno dazio al Comune di Firenze, sicchè -possa mettere accatto su tutti i beni e le persone loro; del quale -accatto metà andrà alla città di Firenze, metà al conte Alberto e sua -discendenza; di qualunque strada passi sulla loro terra e giurisdizione -non toglieranno pedaggio ad alcun cittadino o mercante di Firenze; non -faranno alcun castello, nè incastelleranno alcuna terra nel poggio fra -Virginio e l’Elsa, se non con permissione del magistrato di Firenze. -LAMI, _Memor. Eccl. florent._, pag. 389. - -Di simili patti n’ha molti nel II volume delle Carte nei _Monum. -Hist. patriæ_. Così nel 1181 Ansaldo di Valenza giura la cittadinanza -di Vercelli, promettendo comprarvi una casa di cinquanta lire -pavesi ed abitarvi, difendere i Vercellesi, far guerra e pace con -essi, dare ai consoli il fodro di quattrocento lire susine. Nel -1183 Obizzo marchese Malaspina e suo figlio Obizzino ai consoli -di Piacenza consegnano il castello, il dongione, la torre e tutta -la fortezza di Oramala. Nel 1185 Giacomo Zabolo e Pietro Bello di -Cavaglià giuravano la cittadinanza di Vercelli, e comprerebbero una -casa, la quale obbligavano ai consoli; l’anno seguente Guglielmo di -Quarenga e Ansaldo; poi altri, sempre obbligandosi a comprare una -casa e sottostare ai pesi comuni. Nel 1198, 22 aprile, si rogano i -patti che gli Astigiani impongono ai signori di Manzano, Sarmatorio, -Montefalcone, obbligandoli specialmente a far guerra ai marchesi di -Monferrato e ai conti di Biandrate. Altri giuramenti al comune d’Asti -vi sono alle pagine 1320, 1321, 1354, 1357, 1358, 1360. Ai 13 febbrajo -1190 Alba riceve per cittadini gli uomini di Magliano, Monticelli, -Mango. - -* Il Comune di Vercelli fu de’ primi e più operosi a fondare borghi -franchi, che furono sin 22 nel piccolo territorio. Sul che vedi -MANDELLI, _Il Comune di Vercelli nel medioevo_, 1858. - -[66] _Ex quo fit ut tota illa terra_ (Lombardia) _intra civitates ferme -divisa, singulæ ad commanendos secum diœcesanos compulerint; vixque -aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri queat, qui -civitatis suæ non sequatur imperium._ OTTO FRISINGENSIS, lib. II. cap. -3. - -[67] _Omnium civitatum homines, maxime principalium, omnia civiliter -et honeste agere oportet et decet. Est enim civitas conversatio populi -assidua ad jure vivendum collecti._ Esordio d’un documento lucchese del -1124. - -[68] Un documento del Dragoni, illustrato dall’Odorici nell’_Arch. -Storico_, II. 21, parla di moneta cremonese nell’807; un altro dell’835 -di soldi d’oro cremonesi, che farebbero presumere una zecca cremonese -fin da Carlo Magno, e quel ch’è rarissimo allora, moneta d’oro e -d’argento. È certo una soperchieria, come altre di quel codice. - -[69] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., II. 204. - -[70] BARTOLI, _St. di Perugia_, tom. I. p. 216. - -[71] _Cumque tres ordines, idest capitaneorum, valvassorum et plebis -esse noscantur, ad reprimendam superbiam, non de uno, sed de singulis -consules eliguntur._ OTTO FRISING., II. 13. Il poeta bergamasco Mosè -dice: - - _Tradita cura viris sanctis est hæc duodenis,_ - _Qui populum justis urbis moderatur habenis;_ - _Hi sanctas leges scrutantes nocte dieque_ - _Dispensant æquo cunctis moderamine quæque._ - _Annuus hic honor est, quia mens humana tumore_ - _Tollitur assiduo cum sublimatur honore._ - -Il Muratori, nella prefazione ad esso poema, crede che solo del 1184 -cominciassero i consoli a Bergamo: ma già nel 1109 si trova nominato -Ripaldo dei Capitani di Scalve console; poi altri in una carta del -1117. Una lite nel 1114 fu decisa da quindici consoli di Como: ma qui -si tratta di consoli de’ placiti, come sono forse i diciotto nominati -in un documento del Giulini al 1117. Più importante è un altro presso -il Lupo, II, 945, dove sono annoverati tutti i consoli: _Nomina -quorum consulum sunt, Arialdus Vesconte, Arialdus Grasso, Lanfrancus -Ferrarius, Lanfrancus de Corte, Arnaldus de Rode, Arnaldus de Sexto, -Azofonte, Mainfredus de Setara, Albericus de la Turre, Anselmus -Avocatus; capitanei istius civitatis. Joannes Mainerii, Ardericus -de Palazzo, Guazzo Arrestaguida, Malastrena, Otto de Fenebiago, -Ugo Crivello, Guibertus Cotta, valvassores jam dictæ civitatis. Ugo -Zavetarius, Alexius Lavezarius, Paganus, Ingovartus, Azo, Martinoni, -Maxaso; cives ipsius civitatis._ Sono dunque sette cittadini, sette -valvassori, e nove capitanei, forse perchè a questi vanno uniti il -visconte, rappresentante dell’arcivescovo, e l’avvocato. Per Firenze -vedi G. VILLANI, V. 32. - -[72] Pergamena nell’archivio diplomatico di Firenze. - -[73] Nei contratti, anche di chiese, trovasi tuttora menzione di -aldj, di mundio, d’altre forme di legge longobarda. Nei _Monum. Hist -patriæ_, Chart. II, p. 1170, trovo al 1195 la vendita d’un fondo fatta -al capitolo di Santo Stefano di Biella dalla marchesa Guala, _viro -et mundualdo suo consentiente_. Nell’istromento di nozze del beffato -pittore Domenico Calandrini, al 24 febbrajo 1320 in Firenze, si stipulò -_consensu Benedicti mundualidi_ della sposa, _quem eidem ad hoc in -mundualdum constitui_. MANNI, _Veglie piacevoli_, II. Lo statuto di -Benevento del 1207, approvato da Innocenzo III, vuole che _secundum -consuetudines approbatas et legem longobardam, et eis deficientibus, -secundum legem romanam judicetur_. BORGIA, Mem. di Benev., II. 182. -413. Nel _Liber consuetudinum Mediolani_ del 1216 è una rubrica _Quando -de crimine agitur criminaliter. Punitur in rebus et persona secundum -legem municipalem nostræ civitatis, vel legem Langobardorum, vel legem -Romanorum... Si is cui maleficium factum invenitur, jure Langobardorum -vivebat, sicuti nonnulli nostræ jurisdictionis vivunt. Idemque erit si -extraneus lege romana vivit_. Nello statuto di Como del 1281: _Lombarda -non servetur nisi in pugnis et in illis casibus de quibus fit mentio in -statutis_. Lo statuto di Pisa del 1186 ha una rubrica _De legibus seu -titulis ex lege longobarda in nostro jure retentis et approbatis_; e -nel prologo di quello rifatto il 1281 si ha: _Pisana civitas a multis -retro temporibus vivendo lege romana, retentis quibusdam de lege -longobarda, sub judicio legis etc._ L’antichissimo statuto pistojese, -alle rubriche 8 e 9, determina le varie multe per ferite fatte con -ferro e legno, al modo longobardo. - -La contessa Matilde ora professa vivere a legge salica, ora a -longobarda; del che non seppero render ragione nè il Lupo, nè -il Muratori, nè il Savigny. Noi pensiamo che tali professioni -riguardassero non la persona, ma la natura de’ possessi pei quali -si stipulava, o del feudo di cui si trattava. Potrebbe darsi anche -oggi che un medesimo possedesse un feudo di ragione longobarda, cioè -divisibile fra tutti i figli, e uno di salica, cioè trasmesso per -primogenitura, e un benefizio ecclesiastico da conferirsi per voti. - -Essa Matilde, nel documento del settembre 1079, professa _ex natione -mea legem vivere Langobardorum; pro parte suprascripti Gottifredi qui -fuit viro meo, legem vivere videor salicam_; poi in un documento del -9 dicembre 1080 dice: _quæ professa sum ex natione mea lege vivere -salica_. Ap. FIORENTINO, _Documenti_, pag. 128, e in un altro del -MURATORI, _Ant. It._, tom. II, pag. 277. - -Anche nelle _Antichità Estensi_ trovansi Bugiardo, Scotto e Buggeri che -professano _ex natione nostra lege vivere Langobardorum_; eppure Ottone -loro padre professava _ex natione mea lege vivere romana_. - -A conferma di quanto altri asserì, che non è vero i preti vivessero -a legge romana, qui mi vien in taglio di notare che nella splendida -donazione che il vescovo Rozio di Padova faceva nell’871 all’ospedale -di Santa Giustina da lui fabbricato, professa _vivere secundum legem -salicam_; e nel suddetto II volume di Carte dei _Monum. Hist. patriæ_, -pag. 161, al 1069 Alessandro prete di Biella fa testamento professando -_ex nacione mea legem vivere Langobardorum_. - -E nel vol. I _Chartarum_, col. 299, è nominato _Adalbertus presbiter -filius quondam Gorzano, qui professus sum ex nacione mea legem vivere -Langobardorum_. - -[74] Nel 1151: _Nos Sirus archiepiscopus et consules Januæ præcipimus -tibi, Philippo Lamberti, ut ab hac die in ante non sis consul Januæ, -nec guida osti Januæ, nec conciliator Januæ, nec legatus Januæ, et -præcipimus tibi ut, per sacramenta quæ homines Rassæ adversus te -fecerunt, non reddas eis vel alicui eorum illum malum meritum._ - -L’arcivescovo di Pisa ebbe il pedaggio della dogana del sale e del -ferro dell’isola d’Elba; un altro pedaggio a Castel del Bosco; e nel -1286 aveva già da gran tempo lite cogli Anziani per la giurisdizione -temporale sopra i castelli di Meli, Riparbella, Beliora, Pomaja, Santa -Luce, Lorenzana, Collalberti, Nugola, Filettole, Avane, Bientina, -Usigliano, Collemontanino. - -I vescovi di Fiesole mandavano il loro visdomino alla Rufina; ma gli -uomini di questa doveano aver licenza dalla Signoria di Firenze prima -di giurargli fedeltà. - -Il vescovo di Torino, come quel di Luni, avea diritto a una parte -di tutti i pesci che si pescassero. Nel 1170 Pipino vescovo di Luni -consentiva ai Sarzanesi, i quali già si reggevano per consoli, di -trasferire il loro borgo in riva alla Macra, ove dicesi Asiano, dando -egli il terreno e i casamenti, e ricevendo tributo e giuramento e -le antiche consuetudini quanto ai giudizj, ai bandi, ai macelli, ai -cambisti, ai mercati, alle curatele, alle fosse, ai mulini, ai forni. -Nel 1183 esso vescovo emancipò affatto i Sarzanesi. _Monum. Hist. -patriæ_, Chart., II. 1021. - -Il vescovo di Modena pretendeva dal Comune la giurisdizione e -giudicatura nella città e per tre miglia in giro, tanto del civile -come del criminale, e nelle emancipazioni, tutele, curatele, duelli, -e nelle cause mercantili; inoltre l’acquedotto della Secchia e della -Scultenna; la giurisdizione nel civile e nel criminale, e nell’elezione -de’ consoli o del podestà, nelle emancipazioni e tutele e duelli -in castel Razzano, Savignano, Vignola, Porcile, ecc., oltre alcuni -possessi. I Modenesi rispondevano, tali diritti e giurisdizioni e -possessi spettare a loro per concessione imperiale e per la pace fatta -a Roncaglia (_sic_) tra l’imperatore e i Lombardi; inoltre posseduti da -tempo immemorabile. Per molti anni se ne litigò, finchè, stanchi delle -noje e delle spese, nel 1227 le parti vennero a transazione, concedendo -al vescovo alquanti possessi e canali ed altri comodi, e duemila libbre -imperiali, mediante le quali recedeva dalle restanti prestazioni. Solo -restavagli di pronunziar le sentenze contro gli eretici, le quali poi -il Comune obbligavasi di far eseguire. _Antiq. M. Æ._, VI. 254. - -Del 1162 papa Alessandro III confermava i beni e le giurisdizioni -dell’arcivescovo di Milano, tante che ne mostrano la potenza. -Dipendevano da lui primieramente assai chiese, monasteri, pievi in -commenda: cioè nel vescovado di Torino la badia di San Costanzo colle -sue cappelle; in quello d’Asti la chiesa di San Pietro di Mazano; in -Albenga la chiesa di Santa Maria; nel vescovado d’Alba la pieve di -San Michele di Verduno; in Burgulio il monastero di San Pietro, le -chiese di San Giovanni e di Santo Stefano; nel Vercellese la pieve di -Sant’Ambrogio di Frassineto, sempre colle loro cappelle; nel Tortonese -la badia di San Pietro di Mola; quella di San Salvadore nel Piacentino; -nel Milanese il monastero di San Calocero di Civate; la Santissima -Trinità di Buguzate (Codelago); il monastero dei Santi Felino e -Gratiniano in Arona; il monastero di Cremella, quel di Bernaga, quel -di San Salvadore in Monza. Nel vescovado d’Acqui il monastero di San -Quintino di Spigno, e quel di Santa Cristina presso l’Olona nel Pavese. -Seguono terre con giurisdizione e giuspatronato; Sesto Calende con -molte cappelle; il marchesato di Genova, e un palazzo e cappelle in -questa città; Pontecurone nel Tortonese, Coirana nel Pavese, Casale non -so quale, Burgulio dove fu fabbricata Alessandria; Lecco e suo contado, -Monza e suo distretto, le rive dell’Adda da Brivio a Cavanago, quelle -del Ticino da Sesto a Fara, Palanzo sul lago di Como; cui potrebbero -aggiugnersi, benchè non nominati, il castello d’Angera, quel di Brebia -e sua Pieve, e Cassano d’Adda; inoltre la zecca (Vedi GIULINI). Sotto -il 1210, Galvano Fiamma stima l’entrata degli arcivescovi di Milano -ottantamila fiorini d’oro, che il Giulini ragguaglia a dieci milioni. - -[75] CIBRARIO, _Economia pol. del medio evo_, pag. 135. - -[76] L’autore de’ _Saturnali_ chiamavasi _Teodosio Ambrosio Macrobio -Sicetino_; il consigliere di Teodorico, _Flavio Anicio Manlio Torquato -Severino Boezio_. - -[77] Nel catalogo d’una confraternita troviamo sei Pietro, altrettante -Marie, tre Andrea, due Cristine, due Ingelberghe, quattro Martini, -dieci Giovanni, e così altri, senza verun criterio per discernere gli -uni dagli altri. _Antiq. M. Æ._, diss. XLI. - -[78] Atela, Adela, Adeligia, Adeligida, Adalasia, Atelasia, Aidia, -son varie forme del nome di Adelaide imperatrice: Adelchi, Aldechisio, -Adelgiso, Algiso è il nome del figlio di re Desiderio: Obizo, Oberto, -Adalberto, Alberto; Cuniza e Cunegonda; Adam e Amizone, ecc. sono -identici. - -[79] In una carta dell’archivio casauriense: _Ideo constat me -Artaberto, qui supranomen_ fratello _vocatur_; in una presso l’Ughelli, -tom. VIII. p. 43: _Joannes qui supranomine_ Walterii _vocatur_; -in un’altra del 954, lib. V. 1359; _Petro viro magnifico, qui et -supranomen vocatur_ Pazii, _seu_ Gregorii. Così nelle _Ant. ital._, -III. p. 747, a un atto dell’882 sottoscrivonsi Joannes _qui vocatur_ -Clario, _Leo qui vocatur_ Pipino, _Joannes qui vocatur_ Peloso, -_Joannes_ Russo, _Urzulo qui_ Mazuco _vocatur, Lupus qui dicitur_ -Bonellus, _Bonellus qui dicitur_ Magnano: e altrove Giovan Rosso, -Giovan Peloso, maestro Guglielmo, Martin Diacono, Lupo da Via, Ugo da -Porta Ravennate, ecc. - -[80] Bardellone, Taino, Bottesella, Butirone, Petracco, Passerino, -Scarpetta, Carnevario, Cane e Mastino: poi Garzapane, Pandimiglio, -Tornaquinci, Belbello, Menabò, Megliodeglialtri, Bracacurta, -Soffiainpugno, Rubacastello, Animanigra, Buccadecane, Bellebono, -Bragadelana, Nosaverta, Tantidanari, Basciacomari, Tettalasini, -Bencivenne, Mezzovillano, Assainavemo, Seccamerenda, Segalorzo, -Benintese, Ranacotta, Scannabecco, Mangiatroja, Brusamonega, Cavazocco, -Codeporco, Coalunga, Ristoradanno, Datusdiabolo, Capodasino, -Cagatossico, Cagainos, Mattosavio, Malfilioccio, Moscaincervello, -Passamontagne, Castracani, Tosabue, Calzavegia, Cavalcasela, Guido -Ajutamicristo, ecc. Anche case principali conservarono i nomi di -Malaspina, Pelavicini, Maltraversi, Malatesta, Cavalcabò, Gambacurta... - -[81] Anichino di Bongardo dissero i nostri il capitano di Baumgarten; -di Awcwood fecero Giovanni Acuto, e di Hohenstein Ovestagno. -Reciprocamente i nostri Arrighetti fiorentini furono in Francia -trasformati in Riquetti; i Giacomotti in Jaquemot, ecc. - -[82] MURATORI, _Ant. Ital._, diss. XVI. - -[83] _Subrogatum_ (come prefetto d’Amalfi) _Ursum Marini comitis de -Pantaleone comite filium Canucci Marci post sex menses quoque ejecerunt -Successit Ursus Cabastensis, Joannes Salvus, Romani Vitalis filius._ -PANSA, St. della Repubblica d’Amalfi, I, 33. - -[84] Orderico Vitale, cap. 3, dice che _Rodolphus, quintus frater, -clericus cognominatus est, quia peritia litterarum, aliarumque rerum -apprime imbutus est. Clericus_ pure chiamavasi it segretario, onde -l’epitafio di Guglielmo Ambiense (ap. MORERI) _Clericus angelici -fuit hic regis Ludovici_: dal che il _clerc_ rimasto ai Francesi -per indicare lo scrivano. Una cronaca milanese, nei _Rer. ital. -Script._, III. 60, dice che Stefano da Vimercato _fuit in sæculo valde -honorabilis clericus_. E Giovan Villani, IV. 3: _E’ fu molto chierico -in scrittura_. Per avverso, Matteo Villani, III. 60, scrive: _Il Comune -fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciatori, de’ quali niuno si potè -incolpare, che erano _secolari_ e uomini che non sapeano quello che i -titoli de’ giudici portassero_. - -[85] La contessa Matilde aveva moltissimi servi, e ne donò a varie -chiese; nominatamente al canonico di Mantova regalò quelli che -possedeva alla Volta; e l’atto del 1079 (ap. FIORENTINI, _Documenti -concernenti Matilde_, pag. 122) porta i nomi di parecchi, dove -notiamo _jugales cum filiis et cum peculiis eorum_, e concede ad -essi canonici _quod faciant de jam dictis servis et ancillis, seu de -peculiis quicquid voluerint_. In testamento poi ordinò fosser liberati -innumerevoli servi, come attesta Donnizone: - - _Innumerosque suos famulos jubet hæc hera cunctos_ - _Ingenuos, vitæ post ipsius fore finem._ - -[86] Cronaca Bolognese, 1283. _Comune Bononiæ fecit _fumantes_ -comitatus, et emit omnes servos et ancillas ab omnibus civitatis -Bononiæ, pro pretio unius stari frumenti pro quolibet qui habeat boves, -et unius quartarolæ pro quolibet de zappa._ — C. F. RUMHOR, _Ursprung -Besitzlosigkeit der Colonen des innerern Toskana_. Amburgo 1830. - -[87] _Cum libertas, qua cujusque voluntas non ex alieno sed ex proprio -dependit arbitrio, jure naturali multipliciter decoretur, qua etiam -civitates et popoli ab oppressionibus defenduntur, et ipsorum jura -tuentur et augentur in melius, volentes ipsam et ejus species non -solum manutenere sed etiam augmentare, per dominos priores artium -civitatis Florentiæ etc. et alios sapientes et bonos viros ad hoc -habito... provisum ordinatum exstitit salubriter, et firmatum, -quod nullus, undecumque sit et cujusque conditionis dignitatis vel -status existat, possit, audeat vel præsumat per se vel per alium -tacite vel expresse emere, vel aliquo alio titulo, jure, modo vel -causa adquirere in perpetuum vel ad tempus aliquos fideles, colonnos -perpetuos vel conditionales, adscriptitios vel censitos, vel aliquos -alios cujuscumque conditionis existant, vel aliqua alia jura, scilicet -angharia vel proangharia, vel quævis alia contra libertatem personæ et -conditionem personæ alicujus in civitate, vel comitatu, vel districtu -Florentiæ etc._ Osservatore fiorentino, tom. IV. - -[88] DARU, _St. di Venezia_, lib. XIX. § 7. - -[89] «In nome de Dio amen: in mille e triscento e LXV adi VXII de -feurer, in la strouilea in caxa mia de mi Symon da Imola e de Marco -Bon de Viniexia e de Zorzi Fustagner da Coron, e de mi Symon noder -infrascripto, lo sauio et discreto homo ser Andriolo Bragadin, fyolo -de mis. Jacomo Bragadin de Viniexia de la contrada de sento Zemignan, -se eno qui convegnudi insembre cum mis. Tantardido de Mezo da Viniexia -in honorando consylier de Coron, et ali uendudo uno so sclauo lo quale -elo aueua comprado in la Tana da uno Sarayni per cento e cinquanta -aspri de arzento cum lazo (_agio_), segondo la confession del dito -sclauo, et a dato infrascripto mis. Tantardido a lo sourascripto ser -Andriolo in pagamento per lo dito sclauo ducati de oro uinti et uno in -moneda cum lazo, lo quale sclauo a nome Piero Rosso et in presencia de -li sourascripti testimoni e de lo dito sclauo fo fatto lo pagamento, e -siando pagado e contento lo dito ser Andriolo dal dito mis. Tantardido, -lo dito ser Andriolo pygla per la man lo dito Piero Rosso so sclauo e -si lo de in man de lo sourascripto mis. Tantardido e de tutto questo -fe contento lo dito sclauo Piero Rosso et inclinato per so signor -lo dito mis. Tantardido. Oblegandose lo dito sclauo de auerlo per so -signor cusi como elo aueua lo dito ser Andriolo, lo dito ser Andriolo -se oblega de defenderlilo in tute le parti del mondo e in ogni zudixio, -et lo dito mis. Tantardido per lo sclauo de ogno dano et interesse che -interuegnisse a mis. Tantardido infrascripto per lo pagamento de lo -dicto sclauo quando elo podesse prouar che elo non fosse so sclauo, lo -dito ser Andriolo se oblega de refarli lo dito pagamento a ducati de -oro XXI de bon pexo. - -«Et io Symon figliolo mis. Jacomo de li Bruni da Imola per la imperiale -autoritate not. publico e zudexe ordenario fui presente a tutto. Una -cum li sourascripti testimonj mmss». - -Il notajo non segna il luogo dove rogò l’istromento; ma puossi arguire -si facesse appunto in Corone o nelle sue vicinanze. _Serie degli -scritti in dialetto veneziano, di_ BARTOL. GAMBA, pag. 35. - -[90] FONTANINI, _Diss. de masnadis_. - -[91] _Quod sclavi super navigiis non leventur; quod aliqua persona -januensis non possit deferre mamaluchos mares et fœminas in Alexandriam -ultra mare vel ad aliquem locum subditum soldano Babiloniæ_ (cioè del -Cairo). - -[92] Lib. II. 20. 55. 93. Nel succitato volume II dei _Monum. Hist. -patriæ_ occorrono moltissimi ricordi di vendite e d’emancipazione di -schiavi a Genova, fra cui ne scegliamo alcuni: - -Nel 1156 Guglielmo Zulenio vende per otto lire la sua serva Agnese -_non fugitivam, neque furem, sed boni moris_. — L’anno stesso, Simone -di Mongiardino emancipa Girardo figlio di Ubaldo suo servo, pel prezzo -di lire otto pavesi, senza ritener nulla del peculio che abbia o possa -avere. - -1158, 16 agosto. Mosso e sua moglie Marsibilia per lire cinquanta danno -a Frederzone loro servo _omnimodam facultatem vivendi, standi, agendi -et faciendi quod velit utpote liber homo_. - -1159, 12 maggio. Malovriere _tum amore Dei, tum pro solidis -vigintiquinque_ libera Alvarda sua serva; pena dieci libbre d’oro se -egli o i suoi eredi vi attentino. - -1160, 25 novembre. Guglielmo da Castenollo vende un servo Saracino per -cinquantanove soldi. - -1161, 23 febbrajo. Amico di Mirto dona a Lanfranco la porzione di -proprietà che ha sopra Angelica sua serva e la figlia di lei. — 10 -giugno seg. Guglielmo Moraga di Narbona vende per cinquantacinque -soldi a prezzo finito un suo Saracino. — 28 luglio. Filippo Aradello -libera il suo servo Giovanni per amore dell’anima sua: e gli dice: -_Proficiscere liber in Deo_; e Giovanni in ricambio promette stare al -suo servigio per quattro anni. — 17 settembre. Ribaldo de Curia libera -il servo Pasquale col suo peculio per venticinque lire e per salute -dell’anima. - -1162, 9 ottobre. Senebaldo regala a suo figlio Alberto metà de’ proprj -beni feudali e allodiali, _excepta tantum Boneta ancilla mea et filiam -ejus_. — 19 novembre seg. Ogerio Vento nel testamento dichiara liberi -tutti i servi e le ancelle sue se il Signore lo chiami a sè in quella -malattia. Non morì, e un altro testamento fece l’11 maggio seg., colla -stessa clausola, eccettuando però il peculio d’essi servi. - -1163, 4 agosto. Giulia Bulferico per mercede dell’anima sua e del -marito manomette l’ancella Adelusia e il suo peculio. - -1164, 1º maggio. Pier Cappellano e Stanfilla jugali manomettono -Guglielmo servo con venti libbre di suo peculio. — Nell’inventario -dell’eredità abbandonata da Guglielmo Scarsuria, del 17 giugno seg., è -noverata _Saracenam unam cum libertatis condicione testamento defuncti -insercta_. - -1165, 21 giugno. Lanfranco Arzema per quattro lire e mezzo libera -e manomette Aidelina sua ancella. Luca, figlia emancipata di lui, -rinunzia pure ogni diritto che v’avesse. Giovanni Tossico, a un cui -servo la Aidelina erasi unita (_adhesisset_), dichiara liberi i due -primi figli che ne nascessero. - -1192. Pietro re d’Arborea promette ai Genovesi che, se si ottenga di -porre una chiesa in Oristano, darà al vescovo di Genova una curia con -tanti possessi e _servi_ quanti ne ha in Arborea il vescovo di Pisa. - -Luigi Cibrario produsse carte genovesi di più tarde vendite di schiavi. -Nel 1378 Benvegnuda vende _quandam servam suam sclavam de progenie -Tartarorum_ per ventidue lire di Barcellona, _sanam ab omnibus magagnis -occultis_. Una pure _de progenie Tartarorum_ è venduta il 1389 da -Antonio di San Pier d’Arena; un’altra il 1391; un’altra di venticinque -anni nel 1484, per sessanta lire di genovini, che sarebbero oggi fr. -1033. - -Nel 1851 Giovanni Zucchetti pubblicava a Mantova una carta -dell’archivio Arconati di Milano, secondo la quale, nel 1434, il nobile -Giacomo de’ Bigli di Milano vendeva al nobile Giovanni da Castelletto, -pur di Milano, una Tartara di anni diciannove per cinquantotto ducati -d’oro; l’atto fu rogato a Recanati. - -Nel testamento del famoso Filippo Strozzi, 14 maggio 1491, si -legge: «Item a Giovanni Grande _nero_, mio schiavo, lascio e lego la -liberatione, e che lui sia libero e franco da ogni servitù dopo la -vita mia, et per detto effetto et per a quel tempo da hora lo libero -et absolvo da la mia potestà et da ogni servitù a che lui mi fosse -tenuto; et bisognandoli, per effecto di dicta sua liberatione o per -cautela alcuna sua intorno a ciò, voglio che gli heredi mie gliene -faccino quella cautela che lui vorrà, per potere dicta sua liberatione -sempre mostrare et farne fede». Nella _Cronaca fiorentina_ del Cambi -trovo che nel 1529, quando Genova fu presa, i Franzesi ebber l’arte di -togliere tutti gli schiavi, i quali rivelarono dove stessero riposte le -ricchezze dei padroni. - -Melchior Gioja (_Nuovo prospetto delle scienze economiche_, par. -III) asserisce che «non è la religione che abbia fatto sparire la -schiavitù dalla maggior parte dell’Europa, ma il lento progresso delle -arti e del lusso». Guglielmo Libri (_Histoire des sciences mathém. -en Italie_) s’arrabatta a provare che la Chiesa non fece nulla per -la liberazione dei servi, anzi il contrario. L’argomento suo contro -la Chiesa equivale precisamente a quest’altro: «Non è vero che il -codice Albertino proibisca il furto, giacchè ladri vi ha dov’esso -è in vigore». Fra i libri che costui dovette compulsare per la sua -storia, sono quelli di Girolamo Cardano, del quale noi parliamo più -avanti. Nel vol. X dell’edizione di Lione sta il trattato _De arcanis -æternitatis_, che a pag. 31 vuol sostenere la legittimità degli schiavi -naturali, confutando la Chiesa che dichiara gli uomini eguali. «Questo -genere di servi, acciocchè nessuno potesse riguardarlo come propagato -dalla natura, e perciò legittimo, fu tolto affatto da la religione -nostra, ossia da quelli che pubblicarono costituzioni, interpretando -quel detto che _appo Dio non v’è nè servo nè libero_. Sarebbe come se -alcuno, interpretando quel di Cristo _In quel giorno nè sposeranno, -nè saranno sposati_, dicesse inutile il matrimonio. Che una servitù -moderata e giusta sia utile allo Stato, è così certo, che anche la -ingiusta e smodata è più utile che il non esserne alcuna; giacchè i -paesi dei Gentili furono più felici, ed ora quei de’ Maomettani, che -non i Cristiani». Questo passo è decisivo a mostrare le due influenze -sempre in contrasto, del paganesimo con Aristotele, e della religione -col Vangelo. - -[93] _Anno Domini MXCVIII cepit guerra de Cremona, magnum frixorium -Cremonensium._ SICARDUS. - -[94] _Quæque meis oculis vidi, potius reserabo._ Anon. Cumanus, nei -_Rer. it. Script._, V. - -[95] - - _Mittunt ad cunctas legatos agmina partes_ - _Ducere; Cremonæ Papiæque mittere curant;_ - _Cum quibus et veniunt cum Brixia Pergama; totas_ - _Ducere jussa suas simul et Liguria gentes;_ - _Nec non adveniunt Vercellæ, cum quibus Astum,_ - _Et comitissa suum gestando brachia natum;_ - _Sponte sua tota cum gente Novaria venit;_ - _Aspera cum multis venit et Verona vocata;_ - _Docta suas secum duxit Bononia leges;_ - _Attulit inde suas Ferraria nempe sagittas;_ - _Mantua cum rigidis nimium studiosa sagittis;_ - _Venit et ipsa simul quæ Guardastalla vocatur;_ - _Parma suos equites conduxit Garfanienses._ - Anon. Cumanus. - -[96] Gli sono confermati in un diploma di Federico I, 29 settembre 1164. - -[97] Ap. BALUZIO, _Miscel._, lib. V. p. 64. - -[98] Ildeberto, vescovo di Reims nell’XI secolo, cantava: - - _Par tibi, Roma, nihil, cum sis prope tota ruina;_ - _Quam magni fueris integra, fracta doces._ - _Urbs cecidit, de qua si quicquam dicere dignum_ - _Moliar, hoc potero dicere, Roma fuit._ - _Non tamen annorum series, non flamma, nec ensis_ - _Ad plenum potuit hoc abolere decus._ - _Tantum restat adhuc, tantum ruit, ut neque pars stans_ - _Æquari possit, diruta nec refici_..... - -[99] Che nei secoli dell’ignoranza e del fanatismo si facesse colpa -a costui di discendere da Ebrei, e san Bernardo stesso il chiamasse -_judaica soboles_, poca meraviglia. Ma Voltaire, accoppiando al solito -la leggerezza e l’intolleranza, non rifina di ridere di un _papa -ebreo_. La storia, se avesse voluto consultarla, gli avrebbe detto -ch’e’ non era _ebreo_ e non fu _papa_. - -[100] Questo fatto si rappresentò in un quadro del palazzo di Laterano, -ove Lotario riceve la corona di man del papa, colla leggenda: - - _Rex venit ante fores, jurans prius urbis honores,_ - _Post homo fit papæ, recipit quo dante coronam._ - -[101] Con queste insegne sono effigiati re Ruggero nel tempio di -Monreale e Guglielmo nella Martorana a Palermo: il cadavere di -Federico II si trovò rivestito di abiti pontificali. Sin a Filippo II -le suppliche per affari ecclesiastici dirigeansi al re col titolo di -_beatissimo padre_. - -[102] _Concedimus, donamus et auctorizamus tibi, filio tuo Rogerio, et -aliis filiis tuis secundum tuam ordinationem in regno substituendis, -et hæredibus suis, coronam regni Siciliæ et Calabriæ et Apuliæ etc. -Tu autem et hæredes tui censum, videlicet sexcentos schifatos, annis -singulis Romanæ Ecclesiæ persolvere debes etc._ - -[103] _Ep._ 31. lib. V. - -[104] - - ...... _Arnoldus, quem Brixia protulit ortu_ - _Pestifero, tenui nutrivit Gallia sumtu_.... - ..... _assumpta sapientis fronte, diserto_ - _Fallebat sermone rudes, clerumque procaci_ - _Insectans odio, monachorum acerrimus hostis,_ - _Plebis adulator, gaudens popularibus auris,_ - _Pontifices, ipsum que gravi corrodere lingua_ - _Audebat papam_..... - _Articulos etiam fidei, certumque tenorem_ - _Non satis exacta stolidus pietate fovebat,_ - _Impia mellifluis admiscens toxica verbis._ - GUNTHERI _Ligur. Carmina_, lib. III. - -Vedi la nota 7 del capo seguente. - -[105] San Bernardo diresse a Eugenio III i suoi libri _De -consideratione_, nel IV de’ quali gli dice: — Qual cosa è più nota -ai secoli, che la protervia e il fasto de’ Romani? gente disavvezza -dalla pace, avvezza al tumulto; gente immite e intrattabile finora, -che non sa star sottomessa se non quando non vale a resistere. Quest’è -la piaga, e a te spetta il curarla. Ridi forse di me, credendola -incurabile? non diffidare». - -[106] OTTO FRISING., _De gestis Frid._, lib. I. cc. 27. 28. — Le -proposizioni de’ Romani a Corrado furono compendiate in questi versi: - - _Rex valeat: quidquid cupit obtineat; super hostes_ - _Imperium teneat; Romæ sedeat; regat orbem_ - _Princeps terrarum, ceu fecit Justinianus;_ - _Cæsaris accipiat Cæsar, quæ sunt sua præsul,_ - _Ut Christus jussit Petro solvente tributum._ - -[107] AMAND, _De primis actibus Friderici_. — OTTO FRISING., _De gestis -Friderici_. Ottone morì nel 1158, e lo continuò Radevico canonico -di Frisinga, molto inferiore pel dettato e più pei concetti. Le loro -storie furono ridotte in versi dal Guntero, tedesco contemporaneo, in -un poema intitolato _Ligurinus_. - -[108] - - _Ductus ab antiquo priscorum tempore regum_ - _Mos habet, ut, quoties regnator teutonus Alpem_ - _Transit, et italicas invisere destinat oras,_ - _Qui repetant fisco fiscalia jura fideles_ - _Per quoscumque suos præmittere debeat urbes:_ - _At quæcumque ream se perfida fecerit ausu_ - _Sacrilego, regique suo sua jura negarit,_ - _Strata luat meritas fraudato principe pœnas:_ - _Inde fit ut fractis deformiter horrida muris_ - _Nunc quoque per totam videas loca plurima terram._ - _Hoc quoque per cunctas regnator teutonus urbes,_ - _Non modo teutonicas, sed et hic et ubique jacentes,_ - _Jus habet, ut præsens quasi maximus omnia judex_ - _Claudere jura manu, cunctasque recidere lites_ - _Debeat, atque omnis judex, omnisque potestas_ - _Atque magistratus, ipso præsente, quiescant._ - _Hunc etiam regi priscarum sanctio legum_ - _Longævique vigor moris profitetur honorem,_ - _Ut cunctos fœtus, quos educat itala tellus_ - _(His modo, quæ poscit terræ cultura, retentis)_ - _Principis ad nutum fisco præstare colonus_ - _Debeat, in regni sumptus et militis usum._ - GUNTERI _Ligurinus_, lib. II. - -[109] _De gestis Frid._, lib. II. c. 3. Guntero chiama i Lombardi - - _Gens astuta, sagax, prudens, industria solers,_ - _Provida consilio, legum jurisque perita._ - -[110] _Guilhelmus marchio de Monteferrato, vir nobilis et magnus, qui, -pene solus ex Italiæ baronibus, civitatum effugere potuit imperium._ -OTTO FRISING., lib. II. c. 13. - -[111] _Ne, si Mediolanensium partem amplexus esset, altera parte -Longobardiæ subjugatæ, Mediolanenses, quia fortiores erant, rebelles -existerent._ SIRE RAUL. - -[112] La strada più consueta e più breve dalla Lombardia a Roma era -la così detta via Romea o Francesca, che dal territorio di Parma -e Piacenza varcava l’Appennino del monte Bardone per scendere a -Pontremoli, indi a Villafranca, Sarzana, Luni, il Frigido, il Salto -della Cervia, Lucca, Altopascio, il Galleno; passato l’Arno sotto -Fucecchio, mettevasi sulla via traversa di Castel Fiorentino, donde -a Certaldo, Poggibonsi, Staggia, Siena, Buonconvento, Sanquirico, -Spedaletto di Bricole, Radicofani, Acquapendente, Bolsena, -Montefiascone, Viterbo, Sutri, Portacastello di Roma. È divisata -nell’itinerario di Filippo Augusto re di Francia, quando nel 1191 -tornava dalla crociata. - -[113] «Fu impiccato e bruciato, e le sue ceneri sparse nel Tevere, -acciocchè la stolida plebe non venerasse il corpo di questo infame», -dice il buon Muratori. - -* Arnaldo è divenuto un mito, e in conseguenza la storia di lui fu -peggio che mai alterata. I Giansenisti nel secolo passato magnificavano -Arnaldo, poi nel nostro i demolitori dell’autorità temporale dei papi. -La tragedia del Niccolini è mera declamazione, ove Arnaldo è fatto -eretico, mentre nella prefazione si vuole purgarlo di questa taccia. -Cesare Balbo lo imputa di avere sollevato il popolo romano contro il -papa, quando il papa e il popolo sarebbero dovuti unirsi ai Lombardi -per difendere l’indipendenza: e così ritardò la lega di Pontida e -cagionò la distruzione di Milano. - -Il mettere un Lutero o un Ciciruacchio nel secolo XII è un anacronismo, -quanto il mettere ai giorni nostri un Pietro Martire o un Francesco -d’Assisi. Ci fu sempre, fino ai giorni nostri, chi sperò sbalzare -il papa mediante l’ajuto degli stranieri, e così meditava Arnaldo. -Ma il prefetto di Roma, che, in occasione delle prediche di Arnaldo, -era stato insultato e peggio, lo fece prendere e impiccare, valendosi -della piena podestà che gli conferiva la presenza dell’imperatore. Onde -Goffredo da Viterbo canta: - - _Arnoldus capitur, quem Brixia sensit alumnum,_ - _Dogmata cujus erant quasi pervertentia mundum:_ - _Strangulat hunc laqueus, ignis et unda vehunt._ - Pantheon, 464. - -Anche il Guntero lo dice fatto reo d’ambe le maestà: - - _Sic læsus stultus utraque_ - _Majestate reum geminæ se fecerat aulæ._ - -Gerhochus di Reichersperg contemporaneo ne porta questo giudizio: -_Quem ego vellem, pro tali doctrina sua, quamvis prava, vel exilio, vel -carcere aut alia pœna præter mortem punitum esse, vel saltem taliter -occisum ut romana Ecclesia, sive curia ejus necis quæstione caveret! -Nam, ut ajunt, absque ipsorum scientia et consensu a præfecto urbis -Romæ, de eorum custodia in qua tenebatur ereptus, ac pro speciali -causa occisus ab ejus servis est. Maximam siquidem cladem ex occasione -ejusdem doctrinæ idem præfectus a romanis civibus perpessus fuerat: -quare non saltem ab occisi crematione et submersione ejus occisores -metuerunt quatenus a domo sacerdotali quæstio sanguinis remota esset. -Sed de his ipsi viderint. Sane de doctrina et nece Arnaldi idcirco -inserere præsenti loco volui, ne vel doctrinæ ejus pravæ, quæ, etsi -zelo forte bono, sed minori scientia prolata est, vel ejus necis -perperam actæ videar assensum præbere._ Nel libro I _De investigat. -antichrist._, apud GRETSER, _Prolegomena ad scriptores adversus -Waldenses_, cap. 4. - -[114] _Hospes eras, civem feci: advena fuisti ex transalpinis partibus, -principem constitui._ OTTO FRISING., 721. E gli fa rispondere: -_Legitimus possessor sum.... Principem populo, non populum principi -leges præscribere oportet._ E narrate le stragi, con atroce ironia -soggiunge: _Hæc est pecunia, quam tibi princeps tuus pro tua offert -corona._ - -[115] - - _Roma ferax febrium, necis et uberrima frugum:_ - _Romanæ febres stabili sunt jure fideles._ - PIER DAMIANI. - -[116] Il Sismondi ed altri snaturano questo fatto, in modo che paja -con Federico stare la ragione, e Adriano aver fatto umili scuse. Il -torto del primo era in tanto maggiore, in quanto la lettera diceva -in plurale _majora beneficia_, nè feudo superiore all’Impero avrebbe -potuto immaginarsi. Il papa poi si ritrattò, ma dichiarando che quella -espressione _utique nedum tanti viri, sed ne cujuslibet minoris animum -merito commovisset_. È bizzarro a vedere come il Sismondi dipinga -Federico per un mostro di crudeltà, e micidiale d’ogni franchigia -quando lotta colle repubbliche; poi ne faccia un portento di -ragionevolezza quando contrasta coi papi. - -[117] RADEVICUS FRISING., lib. I. c. 26. - -[118] Da Lodi vecchio i Lodigiani trasferirono allora al nuovo il -corpo del loro patrono san Bassiano, uno de’ primi vescovi, e speciale -protettore contro la lebbra. - -[119] È nominato Lodovico nella scomunica del papa. - -[120] OTTO FRISING., lib. I. cc. 27. 28. - -[121] SIRE RAUL. Radevico dice centomila armati. - -[122] SIRE RAUL. Delira il Giulini ragguagliandoli a venti milioni. - -[123] Il Guntero, lib. VIII, dice che - - _Tum demum victus Federicus ab urbe recessit,_ - _Modoicumgue petens, prisco dignatus honore_ - _Illustrare locum, sacro diademate crines_ - _Induit, et dextra gestavit sceptra potenti._ - _Hanc fortuna diu, Ligurumque potentia dives_ - _Eximiam regni proavorum tempore sedem_ - _Presserat, et longa victam ditione tenebat:_ - _Sed placidus princeps primævo cuncta decori_ - _Restituenda putans, injustis legibus illam_ - _Exemit, priscumque loco reparavit honorem._ - -Non vuol dire che si facesse coronare a Monza, ma che vi comparve -solennemente colla corona. Federico stette a Monza cinque giorni, nei -quali si consumarono mille carri di legna per la sua cucina, e cento -lire imperiali. GIULINI. - -Bonincontro riferisce questi versi in lode di Monza: - - _Monzia terra bona, civili digna corona._ - _Monzia cunctorum dives et plena bonorum._ - _Monzia dat drappos cunctis mercantibus aptos._ - _Monzia stat damnis precibus defensa Johannis._ - -[124] _Scias omne jus populi in condendis legibus tibi concessum: tua -voluntas jus est, sicuti dicitur. Quod principi placuit, legis habet -vigorem, cum populus ei et in eo omne suum imperium et potestatem -concesserit._ RADEVIC., lib. II. c. 4. - -La cronaca soggiunge che, cavalcando il Barbarossa fra Bulgaro e -Martino, domandò loro chi fosse padrone del mondo. Martino asserì -l’imperatore; ma Bulgaro sostenne non essere lui padrone quanto alla -proprietà. L’imperatore regalò a Martino il proprio cavallo; onde -Bulgaro disse: _Amisi equum, quia dixi æquum quod non fuit æquum_. OTTO -MORENA. - -[125] Radevico trova orrenda iniquità, non quella del Tedesco -che esponeva gli ostaggi, ma quella de’ nostri che li colpivano: -_Seditiosi, quod etiam Barbaris incognitum et dictu quidem horrendum, -auditu vero incredibile, non minus crebris ictibus turres impellebant, -neque eos sanguinis et naturalis vinculi communio, neque ætatis movebat -miseratio. Sicque aliquot ex pueris, lapidibus icti, miserabiliter -interierunt; alii, miserabilius adhuc vivi superstites, crudelissimam -necem, et diræ calamitatis horrorem penduli expectabant: oh facinus!_ - -[126] _Propter destructionem Mediolani, omnes dederunt imperatori -præsto copiosam et immensam pecuniam._ SIRE RAUL, pag. 1187. - -[127] Tra i fautori del Barbarossa era Algiso abate del monastero di -Clivate, fondato da Desiderio re. Nel 1162 _Papie post destructionem -Mediolani_, Federico gli dava un ampio privilegio, che comincia: -_Cum ad promovendum imperii honorem et ad debellandos hostes Imperii, -præcipue Mediolanenses, Italiam cum exercitu intraverimus, inter multos -quidem fideles, qui nobis in laboribus nostris fideliter adstiterunt, -invenimus venerabilem Algisum, Clivatensis ecclesiæ abbatem, quem -devotissimum nobis ac fidelissimum certis argumentis experti sumus. -Multis enim retrorsum abeuntibus, prædictus abbas fuit vir fidelis, -et constans nobis firmiter adhesit, et immobilis nobiscum perseveravit -etc._ Credo che ivi sia per la prima volta nominata la Brianza. - -Le vittorie di Federico furono celebrate da un poeta popolare -innominato, da cui scegliamo poche strofe: - - _Salve mundi domine, Cæsar noster ave,_ - _Cujus bonis omnibus jugum est suave;_ - _Quisquis contra calcitrat, putans illud grave,_ - _Obstinati cordis est, cervicis prave._ - _Princeps terre principum, Cesar Friderice,_ - _Cujus tuba titubant arces inimice,_ - _Tibi colla subdimus tigres et formice,_ - _Et cum cedris Libani vepres et mirice...._ - _Scimus per desidiam regum Romanorum_ - _Ortas in imperio, spinas impiorum,_ - _Et sumpsisse cornua multos populorum,_ - _De quibus commemoro gentem Lombardorum;_ - _Que dum turres erigit more giganteo,_ - _Volens altis turribus obviare Deo,_ - _Contumax et fulmine digna ciclopeo,_ - _Instituta principum sprevit ausu reo._ - _De tributo Cesaris nemo cogitabat,_ - _Omnes erant Cesares, nemo censum dabat;_ - __Civitas Ambrosii_ velut Troja stabat;_ - _Deos parum, homines minus formidabat...._ - _Prima sua domino paruit _Papia_,_ - _Urbs bona, flos urbium, clara, potens, pia,_ - _Digna foret laudibus et topographia,_ - _Nisi quod nunc utimur brevitatis via._ - _Post Papiam ponitur urbs _Novariensis_,_ - _Cujus in principio dimicavit ensis;_ - _Frangens et reverberans viribus immensis_ - _Impetum superbi Mediolanensis._ - _Carmine, Novaria, sepe meo vives._ - _Cujus sunt per omnia commendandi cives:_ - _Inter urbes alias eris laude dives,_ - _Donec desint Alpibus frigora vel nives..._ - _Mediolanensium dolor est immensus,_ - _Pro dolore nimium conturbatur sensus;_ - _Civibus Ambrosii furor est accensus,_ - _Dum ab eis petitur, ut a servis, census._ - _Interim precipio tibi, Constantine,_ - _Jam depone dexteram, tue cessent mine;_ - _Mediolanensium tante sunt ruine,_ - _Quot in urbe media modo regnant spine,_ - _Tantus erat populus atque locus ille,_ - _Si venisset Grecia tota cum Achille,_ - _In qua tot sunt menia, tot potentes ville,_ - _Non eam subjicere possent armis mille._ - _Jussu tamen Cesaris obsidetur locus,_ - _Donec ita venditur esca sicut crocus:_ - _In tanta penuria non est ibi jocus,_ - _Ludum tandem Cesaris terminavit rocus..._ - _Erant in Italia greges vispillonum,_ - _Semitas obsederat rabies predonum,_ - _Quorum cor ad scelera semper erat pronum,_ - _Quibus malum facere videbatur bonum._ - _Cesaris est gloria, Cesaris est donum_ - _Quod jam patent omnibus vie regionum,_ - _Dum ventis exposita corpora latronum_ - _Surda flautis, Boree captant aure sonum..._ - _Jam tiranno siculo Siculi detrectant,_ - _Siculi Te sitiunt, Cesar, et expectant,_ - _Jam libenter _Apuli_ tibi genuflectant,_ - _Mirantur quid detinet, oculos humectant..._ - _Imperator nobilis, age sicut agis,_ - _Sicut exaltatus es, exaltare magis!_ - _Fove tuos subditos, hostes cede plagis,_ - _Super eos irruens ultione stragis._ - -Apud GRIMM, _Geschichte des Mittelalters aus König Friedrich der -Staufen und aus seiner wie der nächstfolgenden Zeit._ Berlino 1845. - -[128] _Sicque factum est, quod Lombardi, qui inter alias nationes -libertatis singularitate gaudebant, pro Mediolani invidia, cum -Mediolano pariter corruerent, et se Teutonicorum servituti misere -subdiderunt._ Cron. Salern. - -[129] _Episcopi, marchiones, comites, capitanei, aliique etiam -proceres, ac quamplures alii etiam Longobardiæ homines, tam -magni quam parvi, alii cum crucibus, alii sine crucibus, ante -imperatorem venientes, de imperatoris procuratoribus nimis valde -conquerebantur..... Ipse, quærimonias Longobardorum quasi vilipendens, -et pro nihilo habens, nihil inde fecit._ OTTO MORENA. - -[130] Il giuramento fu rinnovato nel 1170 in questi termini: _In nomine -Domini, amen. Ego juro ad sancta Dei evangelia quod non faciam neque -treguam, neque guerram recredutam, nec aliquam concordiam cum Frederico -imperatore, neque cum filiis ejus, nec cum uxore ejus, neque cum alia -quacumque persona ejus nomine, nec per me, nec per aliam quamcumque -personam, et ab alio homine facta, non habebo ratam. Et bona fide pro -meo posse operam dabo viribus quibuscumque potero, ne aliquis exercitus -modicus vel magnus de Alemannia, vel de alia terra imperatoris quæ sit -ultra montes, intret Italiam. Et si prædictus exercitus intraverit, -ego vivam guerram faciam imperatori et omnibus illis personis quæ -modo sunt ex parte imperatoris, vel pro tempore fuerint, per quas -prædictus exercitus debeat exire de Italia, donec prædictus exercitus -de Italia exeat. Ego bona fide, per me et per omnes personas, totius -meæ virtutis salvabo et guardabo personas et res omnium hominum -societatis Lombardiæ, Marchiæ et Romaniæ, et nominatim dominum -marchionem Malaspinam, et omnes personas quæ modo sunt in societate -vel extra. Et ego nullam concordiam feci vel faciam cum imperatore -constantinopolitano.... sine consilio credentiæ cujusque civitatis... -Et filios meos qui sunt in ætate quatuordecim annorum, infra duos -menses..... faciam jurare omnia prædicta et attendere._ - -Disputano di qual Enrico si tratti: e poco importa; ma tanto basta per -ismentire l’asserzione del Sigonio, e tanto più l’estensione datavi dal -Sismondi, che Ottone avesse, con una costituzione generale, liberati i -municipj. A quella si sarebbero appellati, non a consuetudini incerte. - -[131] Giovanni di Sarisbery, _ep._ 210, ap. LABBE, _Concil._, tom. X. -1450. - -[132] _Montes aureos et cum honore et gloria imperii gratiam -sempiternam._ TOMMASO DE CANTUARIA. - -[133] Buoncompagno maestro fiorentino narrò quell’assedio (_Rer. it. -Scrip._, VI). Egli sclama: _Non credam Italiam posse fieri tributariam -alicui, nisi Italicorum malitia procederet ac livore; in legibus enim -habetur: Non est provincia, sed domina provinciarum._ - -[134] Il terreno su cui venne costruita Alessandria apparteneva ai -marchesi del Bosco, i quali lo cedettero nel 1180 in feudo ai cittadini -di quella, colle ville Marenzana e Ponzano, assolvendo da ogni fedeltà -i villani, arimanni, mercanti, artieri di esse terre, _Monumenta -Aquensia_. - -Al vescovado d’Alessandria il papa avea voluto aggregare quello di -Acqui; ma gli Acquensi resistettero accannitamente, e ne venne guerra, -finchè Innocenzo III disgiunse novamente le due diocesi. Vedi CHENNA, -_Del vescovato di Alessandria_, 1790. - -[135] Il primo aveva egli menato nel 1154; il secondo nell’estate 1158; -il terzo gli fu condotto l’anno dopo dalla imperatrice; il quarto fu -de’ principi germanici che distrussero Milano; col quinto Federico -osteggiò Roma, e lo perdette di febbri; il sesto fece mala impresa ad -Alessandria; il settimo fu sconfitto a Legnano. - -[136] CARD. ARRAG., _Rer. It. Scrip._, III. 468. - -[137] Secondo gli atti prodotti dal Muratori, _Antiq. ital. medii -ævi_, diss. XLVIII, i luoghi e le persone del partito imperiale erano -Cremona, Pavia, Genova, Tortona, Asti, Alba, Acqui, Torino, Ivrea, -Ventimiglia, Savona, Albenga, Casale di Sant’Evasio, Montevelio, Castel -Bolognese, Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Rimini, -Castrocaro, il marchese di Monferrato, i conti di Biandrate, i marchesi -del Guasto e del Bosco, e i conti di Lomello. All’incontro nella Lega -di Lombardia erano Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, -Ferrara, Mantova, Bergamo, Lodi, Milano, Como (benchè da noi poco fa -veduto aderente a Federico), Novara, Vercelli, Alessandria, Carsino e -Belmonte, Piacenza, Bobbio, Obizo Malaspina marchese, Parma, Reggio, -Modena, Bologna, Doccia, San Cassano, ed altri luoghi e persone -dell’Esarcato e della Lombardia. - -[138] ROMOALDO SALERN., _Rer. It. Scrip._, VII. 220. - -[139] GAUFRIDI VOSIENSIS _Chron._ Il fatto del piede posto sul collo -di Federico fu sostenuto in prima dal benedettino Fortunato Olmo nel -1629, _Historia della venuta a Venetia occultamente nel 1177 di papa -Alessandro III, e della vittoria ottenuta da Sebastiano Ziani doge_; e -ultimamente da Carlo Lodovico Ring, nel _Saggio storico per illustrare -un fatto finora messo in dubbio della vita di due contemporanei, -aspiranti entrambi alla signoria del mondo_ (ted.); Stuttgard 1835. -Nel Cicogna, _Iscriz. venete_, vol. IV. p. 574-93, è una dissertazione -di Angelo Zon sulla venuta di Alessandro III a Venezia. A Venezia si -trovavano già rifuggiti moltissimi vescovi di Lombardia, cacciati -da altri scismatici; v’accorse poi grandissima folla di prelati e -signori; ed è curioso documento una cronaca che riferisce uno per uno -questi personaggi col loro seguito. Per dire solo d’alcuni Italiani, -Girardo arcivescovo di Ravenna giunse con settanta uomini; Lodovico -vescovo di Brescia con un abbate e trenta uomini; e così Salomone di -Trento; Tebaldo di Piacenza con due preposti e venti uomini; Guala di -Bergamo con dodici; Alberico di Lodi coll’abate di San Pietro, e il -prevosto di San Geminiano e quattro consoli, con diciannove uomini; -Offredo di Cremona con quaranta; Anselmo di Como col suo arcidiacono -e quaranta uomini; Algiso arcivescovo di Milano con Milone vescovo di -Torino, coll’arcidiacono e arciprete suo e l’abate di San Dionigi e -uomini sessanta; e così gli altri vescovi. Seguono Corrado marchese -di Monferrato con venti uomini, il marchese Moruello Malaspina con -cenquindici, il podestà di Verona con sessanta uomini, e due avvocati -de’ Veronesi con undici; il podestà di Bergamo con venti, di Vercelli -con sedici; dieci consoli di Cremona con novantacinque uomini, quattro -di Piacenza con trentacinque, quattro di Novara con sedici, quattro -d’Alessandria con trentacinque; il podestà di Bologna con quindici -uomini; quattro consoli di Milano con trenta; il conte di Biandrate con -ventisette; Ezelino da Treviso con trenta; nove cattanei di Treviso -con quarantacinque; i marchesi d’Este con centottanta; il conte -Guido Guerra con cento; e lasciamo indietro altri; i Tedeschi aveano -più numerosi accompagnamenti. Il cronista soggiunge: «De zascheduna -zittade de Lombardia e de la Marca e de Toscana e de Romagna e de la -Marca d’Ancona ve fò catanii e possenti homeni, lo nome e lo numero -deli quali no savemo. Suma lo numero de le persone numerade e i so -prinzipali nominadi per nome, in tutto homeni 6390». OLMO, op. cit. - -[140] Vedi CARLINI, _De pace Constantiæ disquisitio_. Verona 1763; -GIAC. DURANDO, _Saggio sulla Lega Lombarda e sulla pace di Costanza_, -nel vol. XL delle _Memorie dell’Accademia di Torino_. - -Frà Jacopo d’Acqui aggiunge che i Veneziani voleano che il loro doge al -banchetto sedesse a fianco del Barbarossa: ma questi pigliò il sedile -preparatogli e lo pose sopra il suo, e si sedè così in alto, mentre -_quel villano_, com’esso il chiamava, dovè sedere sulla panca. - -[141] - - _Centum mille noto pro Christi tempore toto_ - _Octaginta datis super his et quinque peractis,_ - _Sub mense maji Federico cæsare stante_ - _Septima lux mensis præerat factis gerendis,_ - _Cum relevata fuit Crema, statumque resumsit._ - _Per Placentinos grates meruere divinas,_ - _Unde Cremonenses doleant et sine modo flentes_ - _Et fletu quorum lætetur quisque virorum._ - Iscriz. presso ALAMANNO FINO, lib. II. - -[142] TUTINI, _Disc. de’ sette uffizj_, pag. 34. Nell’archivio di -Napoli è copia autentica di questo catalogo. Registro di Carlo II al -1322, da pag. 14 alla 63. - -[143] Quella del Barbarossa è l’età eroica delle repubbliche italiane, -che perciò v’attaccarono ciascuna tradizioni particolari, singolarmente -sulla tirannia de’ suoi podestà, e sul modo con cui se ne redensero. -A Bergamo ricordasi un’Antonia, nobile verginella, rimasta viva nella -strage del 1168, e che insidiata dal Barbarossa, nè potendo altrimenti -salvare l’onestà, si uccise. _Vedi_ CALVI. I Comaschi nominano ancora -con orrore il podestà Pagano; e i Cremonesi vantano Zanino dalla Balla, -o Baldesio, che però altri portano ai tempi di Enrico III. Un altro -Pagano tiranneggiava Padova, che rapì Speronella moglie di Jacopino da -Carrara: ma i Padovani se ne vendicarono cacciandolo; donde cominciò -l’annua festa del san Giovanni, ecc. - -HANS PRUTZ, _Kaiser Friedrich I_ (Danzica 1871-74, 3 volumi), è una -continua giustificazione di quell’imperatore, rimasto leggendario fra -i Tedeschi: aver mosso guerra ai Comuni Lombardi sol come ostacolo -che erano al suo concetto di sottoporre tutta l’Italia e per essa il -Mediterraneo, e in conseguenza tutto il mondo civile, istituendo la -vera grandezza dell’impero germanico. «La distruzione di Milano era un -avvenimento destinato ad aprire una nuova splendida epoca del regno di -Federico». - -[144] GIULINI, part. VII. l. 48. — _Dilectorum fidelium nostrorum_ -_civium Mediolanensium strenuitatem, fidem ac devotionem, quo, -ferventiori ceteris affectu, nostræ in dies dignationi gratiores se -exhibent._ Ap. PURICELLI, _Monum. Eccl. Ambrosianæ_. - -[145] _Antiq. M. Æ._, tom. I. pag. 622. - -[146] Federico, nell’investire Aicardo dei feudi di Robbio, Confienza, -Palestro, Rivautella nel Vercellese, stabilisce _Quod si ipse vel -heredes sui justitiam de hominibus suis facere obmiserint, legatus -noster justitiam de eis faciat; et si aliquis adversus eum vel -heredes suos querimoniam coram nobis deposuerit, vel ad curiam nostram -_appellaverit_, coram legatis nostris indubitanter veniant justitiam -facturi et accepturi_. Monum. Hist. patriæ, _Chart._ I. 894. - -Fra tanti altri esempj dell’importuna intervenzione regia negli -interessi anche privati citerò solo un privilegio dato il 1162 dal -Barbarossa stesso ad Enrico vescovo di Como, per cui, visti i gravi -debiti della chiesa comasca, le rimette non solo gl’interessi, ma anche -i capitali, salvo quelli che si trovassero prestati a servizio regio o -per utilità della Chiesa. - -[147] Nel 1189 Enrico concede al vescovo Lanfranco di Bergamo di -risolvere gli appelli ad esso re riservati, dandone notizia _fidelibus -suis comitibus, nobilibus, consulibus, et universo populo in civitate -et per totum pergamensem episcopatum constituto_. Ap. LUPO, II. 1599. - -[148] È nelle _Lettere_ di Pier dalle Vigne, lib. V. c. 1: _Te de -latere nostro sumptum generalem vicarium a Papia inferius in Lombardia, -ad eos velut conscientiæ nostræ conscium pro conservatione pacis et -justitiæ specialiter destinamus, ut vices nostras universaliter geras -ibidem. Nec tamen te sola vicarii potestate volumus esse contentum, -licet solo vicarii nomine censearis; sed tibi usque ad aliud mandatum -nostrum adjicimus officium _præsidiatus_, concedentes tibi merum et -purum imperium et gladii potestatem, et ut facinorosos animadvertere -valeas vice nostra purgando provinciam, malefactores inquiras, et -punias inquisitos et specialiter eos qui stratas et itinera publica -ausu temerario violare præsumunt. Criminales etiam quæstiones audias -et civiles, quarum cognitio si præsentes essemus ad nostrum auditum -pertinet. Liberaliter quoque audias et determines quæstiones; et -imponendi banna et multas ubi expedierit, auctoritatem tibi plenariam -impertimur. Decreta utique interponas, quæ super transactione -alimentorum, alienatione ecclesiasticarum rerum et tuitione minorum, -secundum justitiam interponi petuntur. Tutores etiam et curatores dandi -quibuslibet tibi concedimus potestatem. Et ut majoribus et minoribus, -quibus universa jura succurrunt, causa cognita, restitutionis in -integrum beneficium valeas impertiri, ad audientiam quoque tuam, -tam in criminalibus quam in civilibus causis, appellationes adferri -volumus, quas a sententiis ordinariorum judicum et eorum omnium, qui -jurisdictionem ab imperio sunt nacti, in provincia ipsa, videlicet -a Papia inferius in Lombardia (prout superius dictum est) contigerit -interponi. Ita tamen quod inde a sententia tua ad audientiam nostri -culminis possit libere provocari, nisi vel causæ qualitas vel -appellationum numerus appellationis auxilium adimat appellanti. -Quapropter fidelitati tuæ firmiter et districte præcipiendo mandamus, -quatenus ad statum pacificum regionis ipsius et recuperationem -nostrorum et imperii virium, in eamdem fidem tuam et sollicitudinem, -sicut gratiam nostram charam diligis, sic efficaciter et diligenter -impendas..._ È pubblicata anche con qualche diversità nei _Monum. hist. -patriæ_, Chart., I. 1400. - -[149] BONINCONTRO MORIGIA, _Chron. Modoetiæ_, lib. II. c. 116: PTOLOMEI -LUCENSIS, _Hist. eccl._, lib. XXIV. c. 21. — L’ultimo atto che io -conosca di volontaria giurisdizione esercitata da un messo regio, è del -1223, e sta nell’archivio della semicattedrale di Lugano. - -[150] _Rossus, Guadardus et Guillelmus, majores Lucanæ civitatis -consules, quisque pro se ad sancta Dei evangelia juravit ita:_ - -_Ego ab hac hora in antea fidelis ero domini Frederici Romanorum -imperatoris, sicut de jure debeo domino imperatori meo; et non ero in -facto vel in consilio sive auxilio quod perdat vitam vel membra sua, -vel coronam, vel imperium seu honorem suum, vel quod in captione aliqua -contra voluntatem suam teneatur; et bona fide juvabo eum retinere -coronam et honorem suum, et nominatim civitatem Lucanam et ejus -comitatum, et quæcumque regalia, quæ de jure in ea debet habere intus -vel foris. Hæc omnia contra omnes adjuvabo eum retinere bona fide, -et si perdiderit recuperare; et credentias suas, quas per se vel per -suum certum missum, vel per suas literas certas mihi significaverit, -bona fide celabo; et præcepta ejus quæ mihi fecerit de pace servanda, -vel guerra in Tuscia facenda, sive de regalibus suis adimplebo, -nisi per parabolam domini imperatoris, vel domini archicancellarii, -vel ejus certi missi remanserit; et fodrum ei per episcopatum et -comitatum Lucanum bona fide recolligi juvabo, cum ab ejus certo misso -ad hoc destinatus requisitus fuero. Et homines civitatis Lucanæ idem -sacramentum fidelitatis domini imperatoris pro posse meo jurare faciam -bona fide. Et stratam non offendam, et ne ab aliquo offendatur bona -fide pro posse meo defendam et vindicabo. Et dabo domino imperatori -Frederico, in expeditione versus Romam, Apuliam et Calabriam, milites -viginti, et ad illos terminos, quos dominus imperator per se vel per -certum suum missum ad hoc destinatum imposuerit mihi. Et conventionem -factam de pecunia quadringentarum librarum annuatim solvenda observabo; -et nullum recipiam in consulatu, qui hoc sacramentum de pecunia -solvenda non juret...._ - -_Concordia vero inter nos et Lucanos consules quomodo sit et esse -debeat, per Rainaldum Coloniensem electum, et archicancellarium -Italiæ atque imperatoriæ majestatis legatum facta, talis est; -videlicet quod ipsi consules, a proximis kalendis augusti usque -ad sex annos, debeant omnia regalia quæ habent, tam in civitate -quam extra, salvo fodro domini imperatoris, extra civitatem libere -tenere dando in Purificatione beatæ Mariæ in unoquoque anno domino -Frederico imperatori, vel suo certo misso nominatim ad hoc delegato, -quadringentas libras lucanæ monetæ publice probatæ; et ipsis sex -annis transactis, ipsa prælibata regalia prælibato domino imperatoris -resignabunt, et per parabolam prædicti Frederici imperatoris vel -ejusdem Rainaldi Coloniensis electi, et Italiæ archicancellarii, vel -sui certi missi ad hoc destinati._ - -_Præterea dominus imperator concedit civitati Lucanæ, ut eligant omni -anno ex se consules quos voluerint, qui debeant jurare, ita videlicet, -quod guidabunt et regent populum et civitatem Lucanam ad honorem Dei, -et ad servitium domini imperatoris Frederici, et ad ipsius civitatis -salvamentum. Et ex ipsis consulibus qui electi fuerint, ibunt omni -anno in præsentia ipsius domini imperatoris Frederici si in Italia -fuerit, aut unus si in Alemania fuerit, recepturi investituram a -domino imperatore vice omnium. Et si domino imperatori placuerit quod -Lucæ solvant duci solidos mille quos convenerunt, tanto minus domino -imperatori de prædicta pecunia usque ad prædictum terminum solvere -debent; alias secundum prædictum ordinem totum solvere debent. Item -consules qui fuerunt electi omni anno, si non habuerint juratam domino -imperatori fidelitatem, eam jurare debent._ - -_Et hanc totam conventionem nostram per nostrum mandatum et -auctoritatem ab eodem Coloniensi electo et Italiæ archicancellario -factam præsentis paginæ scripto corroboramus, ac sigillo majestatis -nostræ confirmamus._ - -[151] _Ad legem et justitiam facendam, gubernandum per te et tuum -nuntium, ita sicut nos et noster nuntius agere debuissemus._ - -[152] TOMMASO, _Sommario_, lib. I. c. 5. — Atti d’autorità sovrana, -esercitati da Enrico VI ancor vivo il padre, già ne vedemmo al Cap. -LXXXI. Un altro esempio ce n’offrono i _Monumenta Historiæ patriæ_, -Chart., I. 945, dove esso re nel 1187 conferma una sentenza dei consoli -d’Asti. - -[153] Egli conferma il privilegio che riportammo alla nota 34 del -Cap. LXXXI. Le spiegazioni che se ne danno nel vol. I delle _Memorie -e docum. per servire alla storia lucchese_ non reggono coi nuovi lumi -storici. - -[154] ...... _Civitatis Lucæ fideles nostri majestati nostræ humiliter -supplicarunt, ut castrum Motronis, Montifegatensi, et castrum -Luliani, quæ sunt de Carfagnana, cum omnibus eorum et cujusque eorum -rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et districtu, eis concedere -in perpetuum, et dare licentiam eidem communi recipiendi et retinendi -homines et personas quaslibet Carfagnanæ fideles nostros in concives -eorum, qui vel quæ effici voluerint habitatores et incolæ, vel alias -concives civitatis ejusdem et eisdem hominibus et personis veniendi ad -eamdem civitatem ad habitandum, si voluerint, vel alias se concives -faciendi, et quod liceat communibus et aliis singularibus personis -de Carfagnana recipere potestates et rectores civitatis praedictæ de -gratia nostri culminis dignaremur. Nos vero ejusdem communis nostrorum -fidelium supplicationibus benignius inclinati, attendentes etiam -grata et accepta servitia quæ idem commune majestati nostræ exhibuit, -hactenus exhibet in præsenti, et quæ exhibere poterit in futurum, eidem -communi castra de Carfagnana superius denotata cum omnibus eorum et -cujusque eorum rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et districtu -concedimus, nec non ipsis licentiam recipiendi et retinendi homines -et quaslibet personas Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum, -qui vel quæ effici voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives -civitatis ejusdem, et eisdem hominibus et personis veniendi ad ipsam -civitatem ad habitandum si voluerit, vel alias se concives faciendi, -et hominibus et aliis singularibus personis de Carfagnana recipiendi -potestates et rectores civitatis prædictæ de gratia majestatis nostræ -et plenitudine potestatis, salva in omnibus imperiali justitia._ - -[155] ... _Licet nos olim provinciam Carfagnanæ cum juribus et -pertinentiis suis Henrico juniori illustri regi Sardiniæ, sacri -imperii in Italia generali legato, dilecto filio nostro, de mera -donatione nostra duximus conferendam; attendentes tamen fidei puræ -zelum quem communi Lucæ fideles erga majestatis nostræ personam -habere noscuntur... provinciam ipsam cum castris, villis, hominibus, -jurisdictionibus, possessionibus, terris cultis et incultis, aquis -et aquarum decursibus, justitiis, rationibus omnibus et pertinentiis -suis, videlicet quæ de dimanio in dimanium, et quæ de servitio in -servitium eidem communi fidelibus nostris in fide et devotione nostra -persistentibus, in _rectum feudum_ duximus concedendum. Ita tamen -quod provincia ipsa a nobis et successoribus nostris in perpetuum -nomine recti feudi de cætero teneant, sicut tenent alias terras eorum -districtus, et a nobis et imperio recognoscunt, eis olim a divis -augustis progenitoribus nostris concessas, et a nobis postmodum -confirmatas, debita quoque et consueta servitia proinde nobis et -imperio facere teneantur._ - -Le concessioni imperiali non di rado s’intralciano e si contraddicono. -Nel 1163 Federico Barbarossa da Lodi dava un diploma, ricevendo sotto -la sua protezione, cioè affrancando il borgo e gli uomini di Sarzana, -concedendo un mercato ogni sabbato, la libera scelta de’ proprj -consoli ecc.: diploma confermato da Federico II il 1226. Ora nel 1185 -lo stesso Barbarossa assegnava al vescovo di Luni la giurisdizione, -il bando, il mercato, la pesca, il distretto, insomma la signoria sui -popoli di Santo Stefano e Sarzana. Nel 1355 Carlo IV, scialacquatore di -privilegi, confermava al vescovo lunese il diploma di Federico: eppure -al tempo stesso dava in feudo ai marchesi Malaspina e alla città di -Pisa molte terre comprese in quella concessione. - -[156] _Breve recordacionis de Ardicio de Aimonibus._ - -[157] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., I. 813. - -[158] Da _credere_ in senso d’affidare, usato dai Latini e dai nostri. -In un placito di Limonta dell’888: _Cum ibi essent nobiles_ _et -credentes homines, liberi arimanni, habitantes Belasio loco._ Antiq. -M. Æ., diss. XLI. — _Quisquis in hujuscemodi tribunalis consilium -admittebatur, jurabat in credentiam consulum, hoc est se tacite -retenturum quæcumque eo in consilio dicta vel acta fuissent, nec -enunciaturum uspiam in profanum vulgus._ Rer. It. Scrip., VI. 962. E -nell’Ariosto: «Nelle cui man s’era creduta». — _Homines credentes_ -valea quanto uomini di credito, fededegni: «Vincenzo di Naldo, -fiorentino, uomo molto creduto in quel contado». BEMBO, _Storia_, lib. -VII. - -[159] Il Serra, _Storia della Liguria_, I, 277, lo adduce come del 950: -ma pare da mettere fra il 1121 e il 1130. Vedi VINCENT, _Hist. de la -rép. de Gênes_. Parigi 1842. - -[160] Alcuno immaginò che maggiori fossero quelli tolti dalla nobiltà, -minori quelli da plebei. Vedi BENVOGLIENTI, _Osservazioni intorno agli -statuti pistojesi_. Il contrario pensa Muratori, _Antiq. M. Æ._, diss. -XLVI. - -[161] _Statuta Mantuæ_, lib. II. rub. 15. - -[162] MARIOTTI, _Saggio di mem. storiche civili ed ecclesiastiche di -Perugia_, 1806, pag. 248. - -[163] VARCHI, _Ercolano_. Il Muratori (_Antiq. M. Æ._, tom. IV) -pubblicò l’_Oculus pastoralis pascens officia et continens radium -dulcibus pomis suis_, che è un’istruzione ad un futuro podestà intorno -a tutte le parti del suo uffizio: ma è forse opera di qualche monaco, -più attento alla parte morale che alla giuridica; come fa pure ser -Brunetto Latini, nel lib. IX del suo _Tesoro_, dove largamente divisa -i doveri del podestà. Fra le altre cose dice: — Sopra tutte cose -debbe il podestà fare che la città che ha suo governamento, sia in -buono stato, senza briga e senza forfatto. E questo non può fare, -s’egli non fa che li malfattori, ladroni e falsatori sieno fuori -del paese: chè la legge comanda bene che ’l signore possa purgare il -paese della mala gente. Però ha egli la signoria sopra i forestieri -e sopra’ cittadini che fanno li peccati nella sua jurisdizione, e non -pertanto egli non giudicherà a pena quello ch’è senza colpa: ch’egli è -più santa cosa a solvere un peccatore che dannare un giusto, e laida -cosa è che tu perda il nome d’innocenza per odio d’un nocente....... -Sopra li maleficj debbe il signore e i suoi uffiziali seguire il -modo del paese e l’ordine di ragione, in questa maniera. Prima debbe -quello che accusa giurare sopra il libro di dire il vero in accusando -e in difendendo, e che non vi mena nullo testimonio a suo sciente; -allora dee dare l’accusa in iscritto, ed il notajo la scriva tutta -a parola a parola, sì come egli la divisa: si dee inchiedere da -lui medesimo diligentemente ciò ch’egli o li giudici od i signori -crederanno apertamente che sia del fatto, o della cosa: e poi si mandi -a richiedere quelli che è accusato del maleficio; e s’egli viene, -sì lo faccia giurare e sicurare la corte dei malfattori, e metta -in iscritto sua confessione e sua negazione, sì come egli dice: e -se non dai malfattori, o che ’l maleficio sia troppo grande, allora -debbe il signore od il giudice porre il dì da provare, e da ricevere -li testimonj che vegnono, e costringere quelli che non vegnono, ed -esaminar ogni cosa bene e saviamente, e mettere li detti in iscritto: -e quando i testimonj sono ben ricevuti, il giudice ed il notajo debbon -far richiedere le parti dinanzi da loro; e s’elli vegnono, si debbon -aprire li detti de’ testimonj, e darli a ciascuno perchè si possano -consigliare e mostrar loro ragione. Ora addiviene alcuna volta ne’ -grandi maleficj, che non possono essere provati interamente, ma l’uomo -trova ben contra quelli ch’è accusato alcuno segno e forti argomenti -di sospezione: a quel punto il può l’uomo mettere alla colla per farli -confessare la colpa, altrimenti no; e si dico io, ch’alla colla il -giudice non deve dimandare se Giovanni fece maleficio, ma generalmente -dee dimandare chi ’l fece». - -[164] SERRA, _Storia della Liguria_, lib. III. c. 8: GIULINI, -_Continuaz._, part. I. p. 64; _Chron. parmense_, Rer. It. Scrip., IX. -819; CORIO, lib. II. — I patti del podestà di Genova sono divisati nei -_Monumenta Hist. patriæ_, Chart., II. 1334. - -[165] Ma se io non potrò avere lo delinquente, puniroe lo figliuol suo, -u vero li figliuoli del delinquente, se lui u se loro potrò avere. Ma -se lo figliuolo u vero li figliuoli del delinquente aver non potrò, -puniroe lo padre del delinquente, se io lo potrò avere, così in avere -come in persona ad mio arbitrio..... Et non dimeno li loro beni, poichè -in del bando saranno incorsi, siano pubblicati al comune di Pisa, et -siano guasti et distructi così in de la città come in del contado in -tutto, sicchè poi non si rifacciano, nè rifare li permetterò nè abitare -u lavorare u vendere u alienare. Et ciascheduno che li abitasse, -lavorasse, vendesse, alienasse, comprasse et per qualunque altro titolo -ricevesse, puniroe... - -«Et intorno alle suprascripte tutte cose investigare et trovare io -capitano abbia pieno, libero et generale arbitrio così in ponere ad -questioni et tormenti et punire in avere et persona come eziandio -ad tutte altre cose..... Et ad catuna persona che cotale malefactore -prendesse et preso a me capitano l’apprezentasse u vero uccidesse, darò -u farò dare dei beni del comune di Pisa 1. M. di danari...» _Statuto di -Pisa, ms._ § 12. - -[166] Nella _Cronaca di Padova_ trovo Galvano Lanza podestà nel 1243 e -44; Guzelo de Prata nel 1247, 48, 49; Ansedisio de’ Guidotti da Treviso -dal 1250 al 55. Vero è che erano i tempi della tirannia di Federico II -e di Ezelino. - -Parma aveva un podestà nel 1175 (AFFÒ, II. 259): Cremona nel 1180 (_R. -I. S._, VII. 635); Faenza nel 1184 (_Rerum Favent. Script._, c. 82): -Genova nel 1191 (_R. I. S._, VI. 364); Firenze nel 1193 con Gerardo -Caponsacchi, ecc. - -[167] Nel _Cod. Just._, tit. XLIX. l. 1 e nella _Nov._ VIII. c. 9 è -comandato che gli uffiziali di provincia rimangano cinquanta giorni in -luogo, dopo scaduti di carica, per soddisfare a tutte le doglianze. -E cinquanta giorni sono prefissi nello statuto antico di Pistoja -(_Antiq. M. Æ._, diss. 70, al § 76); poi variò secondo i paesi. -Lo statuto di Torino _De sacramento DD. vicarii et judicis_ porta: -_Juramus quod stabimus decem diebus in Taurino post nostrum regimen, ad -faciendam rationem cuilibet..... conquerenti de nobis._ Quello di Roma: -_Senator, finito suo officio, cum omnibus judicibus et familiaribus -et officialibus suis teneatur stare et sistere personaliter decem -diebus coram judice, sindico deputando ad ratiocinia ejus; et coram -ipso, ipse et officiales prædicti teneantur de gestis et administratis -et factis durante officio reddere rationem, et unicuique conquerenti -respondere de jure, et omnibus satisfacere quibus de jure tenetur. De -quibus omnibus dictus judex summarie cognoscat, et intra decem dictos -dies causam decidat de plano, sine strepito et figura judicii, non -obstantibus feriis et non obstantibus solemnitatibus juris, dummodo -veritas discutiatur, et ad illam saltem respectus et consideratio per -judicem habeatur._ - -[168] _Rer. It. Scrip._, XV. 684. - -[169] FRANCO SACCHETTI, _Nov._ 196. - -[170] _Capitaneus populi, ad defensionem libertatis et popularis -status, et ad observandam unionem civium principaliter est institutus -etc._ Statuti lucchesi. - -[171] Una savia e piena informazione del governo di Firenze dal 1280 al -92 è riportata nelle _Delizie degli eruditi toscani_, IX. 256. - -[172] Tale complicazione era espressa con questi versi popolari: - - Trenta elegge il consegio; - De quai, nove hanno il megio: - Questi elegon quaranta, - Ma chi più in lor se vanta - Son dodese che fano - Venticinque: ma stano - De questi soli nove, - Che fan con le lor prove - Quarantacinque a ponto; - De quali ondese in conto - Elegon quarantuno, - Che chiusi tuti in uno - Con venticinque almeno - Voti fano el sereno - Principe che coregge - Statuti, ordine e legge. - -[173] _Et non possit ire ad brevia vel esse consiliarius_ (nè elettore -nè eletto) _qui non sit habitator Lucanæ civitatis, vel qui sit -extimatus minus_ XXV _libris, ad ultimas et proximiores extimationes -factas in camera Lucani communis_. Statuto lucchese del 1308. - -[174] La varietà delle condizioni personali ci appare in questo passo: -— Il 1233, essendo podestà di Firenze Torello da Strada, fece intendere -a tutti gli abitatori del contado fiorentino che venissero a comparire -nella città, con esporre ai notaj de’ sestieri a ciò deputati di che -condizione si fossero; o fosse cavaliere nobile (_per nascita_), -o fattizio, o aloderio (_che aveva allodj_), o masnadiere, o uomo -d’altri, o fittajuolo, o lavoratore, o d’altra condizione». SCIPIONE -AMMIRATO, _Storie fiorentine_, lib. I. - -[175] Alcuni vollero argomentare la quantità de’ Longobardi o de’ -Romani o de’ Salici nei varj paesi e nei diversi tempi dai nomi loro. -Giudizio affatto inconcludente, e ne deduco poche prove dai soli -_Monumenta Hist. patriæ_: - -_Ego _Benedictus_ filius quondam _Constanci_, qui professus sum ex -nacione mea legem vivere Langobardorum_. Chart. I. 458. Due altri suoi -fratelli si chiamavano Garino e Giovanni. - -E viceversa al 1039: _Ego Amicus clericus, filius quondam _Aldeprandi_, -qui professus sum ex nacione mea lege vivere romana._ - -E al 1069: _Ego _Aldeprandus_ presbiter, filius quondam _Constancii_, -qui professus sum ex nacione mea legem vivere Langobardorum_. - -Al 1071: _Ego _Drodo_ filius quondam _Manfredi_, qui professus sum ex -nacione mea lege vivere romana._ - -Al 1074: _Ego _Adam_ presbiter, filius quondam _Petri_, qui professus -sum ex nacione mea lege vivere Langobardorum._ - -Al 1088: __Oddo_ presbiter, qui profitebat se ex nacione sua_ _lege -vivere romana; e Villelmus subdiaconus, filius Verada femina, qui -profitetur se ex nacione sua lege vivere romana._ - -Al 1089: _Constat nos _Laurencius_ et _Johannes_ germani, filii quondam -_Gisulfo_, qui professus sum ex nacione nostra legem vivere romanam;_ e -son firmati testimonj _Alberto et Ricardo ambi lege viventes romana._ - -Al 1092 è un curioso documento di tutti gli abitanti di Saorgio, con -nomi d’ogni colore, _qui professi sumus omnes ex natione nostra lege -vivere romana._ - -V’ha di più. Anselmo, abate di San Gennaro di Lucedio al 1092, -professando vivere a legge romana, promette non inquietare il marchese -Tebaldo; _et ad hunc confirmandum promissionis breve, ego qui supra -Anselmus abbas a te Tebaldus, exinde launechild capa una, ut hec mea -promissio firma permaneat._ Coma c’entra il launechildo colla legge -romana? - -Egualmente al 1098 Raiverto e Martino figli di Aldebrando, e Bolesinda -moglie di Raiverto _professi omnes ex nacione nostra lege vivere -romana_, fanno una vendita, dove Raiverto stipula come mundualdo di -Bolesinda, _jugale et mundualdo meo consentiente_. - -[176] Zanfredolo da Besozzo nel 1321 diede statuti per le terre -d’Invorio, Garazuolo, Montegiasca presso il lago Maggiore, da lui -dipendenti. Il borgo di San Colombano li fece compilare da dodici -giurisperiti. Pompeo Neri conta cinquecento statuti diversi nella sola -Toscana, vissuti sino agli ultimi tempi, e anche in piccole terre, -come Montorsojo, Montopoli, Firenzuola, Parlascio, Palaja, la badia di -Vallombrosa, ecc. Abbiamo gli statuti di Cremella in Brianza, della Val -Taleggio nel 1368, della Valsassina nel 1388, di Bovegno in val Trompia -nel 1341, e d’altre terre minime. - -Lo statuto più antico che si conoscesse era quello di Treviso del 1207, -ma Vittorio Mandelli, negli _Studj sul Comune di Vercelli nel medioevo_ -(1857), trova indizio di statuti a Vercelli sin dal 1187: e nel 1202 è -mentovato il volume di essi, _super quo jurabant potestas vel consules -comunis et consules justiciæ._ Questo Comune avrebbe fatto un bando per -l’abolizione generale della servitù della gleba sin dal 1243, mentre -quel di Bologna è solo del 1251. - -[177] L’illustre giureconsulto Azo (_Summa in_ VIII _libros Codicis_) -definiva che «la consuetudine è formatrice, abrogatrice ed interprete -della legge». I Veneziani, ne’ casi che la legge taceva, rimettevansi -all’intimo convincimento dei giudici; per le ordinanze marittime, -ne’ dubbj risolveva la signoria. I più antichi statuti di Milano -sono intitolati _Consuetudines_ in un manoscritto della biblioteca -Ambrosiana del 1216; nel proemio alla riforma di essi, pubblicata il -1396, vien detto essere costume antico che negli atti pubblici fossero -registrati da un notajo determinato tutti gli editti e statuti che -di tempo in tempo venivano pubblicati; quest’archivista chiamavasi -governatore degli statuti. Quelli di Como sono del 1219, riformati -il 1296. Fra’ più antichi si noverano quei di Mantova del 1116, e -di Pistoja del 1117. Amedeo III di Savoja dava gli Statuti a Susa, -confermati poi da Tommaso suo nipote nel 1197. Aosta nel 1188 gli aveva -da Tommaso conte di Morienna. Davanti all’edizione della _Posta_, cioè -dello statuto di Verona, cominciato verso il 1150, compito nel 1228, -l’arciprete Carmagnola pubblicò una sentenza del 1140, data dai consoli -d’essa città «secondo la lunghissima ed antichissima consuetudine dei -re, duchi, marchesi ed altri laici principi e cherici, secondo la legge -longobarda». Vedi FEDERICO SCLOPIS, _St. della legislazione in Italia_. - -[178] CORIO, f. 131; CAFFARO, lib. IV. col. 384. — Peggio era nello -statuto veneto. Secondo il Corio, nessuno doveva asportar grano dalla -città nè altra grascia, o perderebbe il carro, i bovi, i cavalli: se -non potesse pagar la multa, gli si taglierebbe il piede destro. - -[179] Vedi fra gli altri la rubrica 15 dell’antico statuto di Pistoja. - -[180] Vedi il _Libro del Potere di Brescia_. Un altro esempio adducemmo -a pag. 20. - -[181] Lib. X. rub. 18. 28. - -[182] _Feudum, precaria aut libellum; nullus audeat nec debeat jurare -fidelitatem alicui, nec fieri vassallus alicujus aliqua occasione vel -ingenio quod excogitari possit._ - -[183] Nel 1178 i rappresentanti della Lega Lombarda cassarono una -sentenza che i consoli comaschi aveano portata a favore del comune di -Bellagio contro gli abitanti di Civenna e Limonta, a proposito di certe -strade e pasture usurpate dai Bellagini. _Ap._ PURICELLI, _Monum. eccl. -Ambr._ Nº 573 e seg. - -[184] _Antiq. M. Æ._, diss. LXX. A gran torto Meyer, nelle _Origini e -progressi delle istituzioni giudiziarie_, tralascia le italiane come -poco importanti, mentre, massimamente avuto riguardo all’età, potevano -sole offrire la spiegazione di varj istituti, ora comuni in Europa. Vi -supplì in parte Sclopis, _Dell’autorità giudiziaria_. - -[185] G. VILLANI, XI, 93; DINO COMPAGNI, _Cronaca_, lib. II; _Delizie -degli eruditi toscani_, IX, 256. — In Pisa erano dieci tribunali, -_curia foretaneorum, curia appellationum, curia arbitrorum, curia nova -pupillorum, curia confitentium, curia assessoris, curia judicum et -advocatorum, curia grassæ, curia notariorum, curia mercatorum_. DAL -BORGO, Diss. sopra i codici pisani delle Pandette. - -[186] _Antiq. M. Æ._, diss. XII. Vedi pag. 309. Nel 1150 abbiamo la -curia cremonese; _Rer. it. Scrip._, VII. 643. Nel 1163, 27 agosto, -Ottone, giudice cioè avvocato di Milano, s’impegna con Corvetto e con -altri a patrocinarli a Genova in tutte le cause che possano avere; e -una volta all’anno se occorra andrà fin a Levanto e a Passano, e vi -resterà dieci o dodici dì, però a loro spesa. _Monum. Hist. patriæ_, -Chart., II. 874. - -[187] GIULINI, part. VII. l. 50. - -[188] _Rer. It. Scrip._, XV. 250 e 233. - -[189] _Delizie degli eruditi toscani_, XV. - -[190] Di tali suddivisioni di possessi recammo esempj. Nei _Monum. -Hist. patriæ_, Chart. II. 1318, abbiamo Bonifazio de Briada, il quale -da Giacomo vescovo d’Asti teneva in feudo la sesta parte della metà del -castello vecchio di Sanfrè, che cambiò con altrettanta del nuovo nel -1224. - -[191] Toselli, nel _Dizionario gallo-italico_, pubblicò estratti di -varie sentenze di Bologna. Nel 1288 Uzzolo, accusato di aver fatto -violenza a Bonora Nascimbene, è condannato al taglio d’un piede: ma poi -ella è riconosciuta calunniatrice, e condannata al taglio della lingua. -Nel 1295 Enrichetto, condannato alle forche, confessa avere indotto -falsi testimonj contro Superchia, la quale fu dannata alle fiamme. Nel -1291 un Ferrarese accusava certa Imelda da Bologna d’avere affaturato -Bittino figliuolo di lui, e resolo incapace al matrimonio. Nel 1328 una -Mina e una Francesca sono processate come famose fatucchiere e maghe -contro la vita d’innocenti, turbatrici degli elementi, e che aveano -fatto una malìa per innamorare uno: confesse, furono bruciate. - -[192] _Nos de Impoli et ejus curte, qui sumus de comitatu florentino, -et episcopatu seu de pleberio de Impoli, juramus ad Evangelia -sacramento corporaliter præstito, salvare et custodire et defendere -et adjuvare omnes personas civitatis Florentiæ, ejusque burgorum et -subburgorum, et generaliter et specialiter, et eorum bona in tota -nostra fortia, et ubicumque potuerimus sine fraude et contra omnem -personam. - -Item si quo in tempore aliqua persona, quæ habitet infra prædictos -nostros confines, deprædaverit aliquem praedictum Florentinorum, seu -aliquem dapnum ei fecerit, faciemus ei integrum emendare et restituere -infra dies quindecim proximos, postquam consul vel rector Florentiæ -nos inquisiverit vel inquirere fecerit, sive nuntio vel literis, aut -ille qui dapnum substinuerit, si rector tunc non extaret in civitate -Florentiæ. - -Item quocumque tempore et quotiescumque consul vel rector qui pro -tempore extiterit in civitate Florentiæ inquiret nos vel faciet -inquirere, seu per nuntium, vel quod mittat nobis literas ut faciamus -ei ostem vel cavalcatam, faciemus eis intra dies octo proximos post -inquisitionem, quomodocumque eis placuerit, et ubicumque, excepto -contra comitem Guidonem, nisi in quantum nobis terminum prolongarent, -quod ita teneamur ad terminum, si quod bona voluntate eis placuerit -prolongare, ut dictum est. - -Item guerram seu guerras et pacem faciemus ubi et quibus vel quomodo -consulibus vel rectori, qui pro tempore fuerit Florentiæ, placuerit: -exceptamus in hoc capitulo comitem Guidonem. - -Item infra octo dies proximos post inquisitionem, ex quo consul -Florentiæ vel rector non inquisierit vel inquirere fecerit, habebimus -factum jurare ad hoc Breve omnes homines habitantes infra prædictos -nostros confines, qui convenientes erunt ad jurandum, nisi in quantum -per ipsum consulem vel rectorem steterit; et si terminum vel terminos -nobis.... mutaverit seu prolungaverit, ita teneamur sicut constituerit -et dixerit. - -Item omni anno in festo sancti Johannis mensis junii, vel antea, -dabimus in civitate Florentiæ consulibus, vel rectoribus, seu rectori, -secundum qui pro tempore erit in eadem civitate, libras quinquaginta -bonorum denariorum de tali moneta qualiter pro tempore comuniter -expendetur per civitatem Florentiæ; et si consules, vel rectores -non essent in civitate, dabimus consulibus mercatorum Florentiæ ut -eam recipiant pro communi Florentiæ, sed tamen in hoc anno dabimus -consulibus Florentiæ qui modo sunt intra kal. mart. proxime vel antea -lib. centum et solid. sex bonorum denariorum. Item omni anno portabimus -Florentiam in festo sancti Johannis unum meliorem cereum, quam illud -quod Ponturmenses ibi offerunt et soliti sunt offerre. - -Hæc omnia, ut in hoc Breve scripta sunt, juramus tenere et observare -et facere in perpetuum, et si consulibus, vel rectori, qui pro tempore -extiterit in civitate Florentiæ placuerit, teneamur de_ VII _in_ -VII _annis renovare hæc juramenta in totum. Item cum consules vel -rectores Florentiæ steterint pro recipiendis prædictis juramentis, vel -renovandis, dabimus eis, et personis quibus secum duxerint, expensas -omnes, donec steterint pro ea complenda. - -Et omnia præscripta juramus et promittimus observare, sub pœna centum -marcorum de puro argento, et post pœnam solutam communi Florentiæ omnia -prædicta stent firma. - -Hæc omnia supradicta juramus observare et adimplere et firma tenere -perpetuo, ad sanum et planum intellectum consulum Florentiæ remota omni -fraude, et sub hoc intellectu, quod imperator nec papa nec aliquis -clericus vel laicus vel nulla alia persona possit nos absolvere in -aliquo vel de aliquo ab hoc juramento, nec pro aliqua de causa possimus -occasionare hoc juramentum. - -Scripta sunt hæc anno_ MCLXXXI, _tertio nonas februar., ind._ XV. - -Il più antico documento di sommessione d’una città ad un’altra è quello -di Fano, che, assalita da Ravenna, Pesaro, Sinigaglia nel 1140, accettò -la signoria di Venezia, stipulando che, qualunque volta i Veneziani -farebber oste da Ragusi fin a Ravenna, i Fanesi gli aiuterebbero con -una galea armata a proprie spese: nelle guerre da Ancona fin a Ravenna, -militerebbero con loro: inoltre manderebbero i loro savj al parlamento -comune in Venezia, ogniqualvolta fossero chiamati, siccome usano tutti -gli altri _fedeli_: e di ciò fanno ampio giuramento salvo sempre il -servigio all’imperatore di Germania. AMIANI, _Memorie storiche di -Fano_, tom. II, parte 7ª. - -Pergine, grossa borgata sulla via fra Trento e Bassano, godeva -di antichissime libertà sotto la primazia del vescovo Tridentino, -ma molte gliene usurpò il castellano imperiale, che la rese feudo -ereditario di sua famiglia, colle prepotenze consuete. Stanchi delle -quali, e profittando delle guerre del Barbarossa, i Perginesi nel -1166 s’accolsero nel monastero benedettino di Santa Maria in Valdo, -e stesero un atto con cui i rettori e seniori di tutte le gastaldie -di quel Comune si sottoponeano al Comune di Vicenza, obbligandosi con -giuramento ad essergli fedeli servidori e amici, ajutarlo in guerra con -ducento armati, pagar la solita colletta sui fuochi; ne riceveranno un -podestà, che però li lasci viver _secondo le consuetudini che tengono -da cento, ducento e quattrocento anni, tanto a legge salica che a -longobarda:_ essi li libereranno e preserveranno dalla tirannia di -Gundibaldo castellano di quel distretto, aboliranno tutte le angherie -e pesi da esso imposti, e il godimento delle prime notti, e i servigi -di corpo a cui esso li forzava, retribuendogli invece qualvolta -devano prestar opera al podestà in castello. Possano, come in antico, -eleggersi il giudice, soggetto però al podestà; non siano mai per -veruna ragione ceduti a Gundibaldo o alla sua famiglia; nè costretti -guerreggiar contro l’impero o le chiese di Trento e di Feltre. Il -documento è stampato nelle _Notizie storiche intorno al b. m. Adelperto -vescovo di Trento_ di frà BENEDETTO BONELLI, tom. II. Trento 1761. - -Nel _Liber jurium_ al 1199 leggonsi i patti con cui il Comune di -Vinguelia, quello di Albenga, quello di Diano si sottoposero al Comune -di Genova; e quelli di Oneglia, San Remo, Porto Maurizio si allearono -con esso: nel 1202 quel di Savona si sottomise. - -In tal anno gli uomini delle valli d’Arocia, d’Andoria, d’Oneglia, di -Petralata, di Rezio, di Nasco fecero alleanza coi Genovesi; e i primi, -per mezzo de’ loro consoli, promettevano salvare e custodire gli uomini -di Genova e del distretto per mare e per terra; «non proibiremo si -porti a Genova grano o altra vivanda o merce; se quel Comune faccia -oste o cavalcata, daremo all’esercito mercato di grano e vettovaglie; -richiesti faremo esercito a nostre spese, e campeggeremo per tutto il -contado di Ventimiglia, la marca d’Albenga, il vescovado di Savona, a -comando de’ consoli o podestà; se il Comune di Genova guerreggi da Gavi -o da Palodo fin a Portovenere, terremo nell’esercito cento arcieri; -se alcuna città, vescovo o persona della riviera e del contado citerà -in giudizio alcuna di esse valli, gli faremo giustizia nella curia di -Genova; per custodia di Porto Bonifacio daremo ogni anno due uomini -a spese nostre, come ordineranno il podestà e i consoli di Genova; -se il podestà o i consoli ci richiedano di consiglio, gli daremo il -migliore, e gli terremo credenza de’ secreti affidatici; ogni anno -a san Giambattista, in segno di devozione e fedeltà, manderemo alla -chiesa di San Lorenzo un cero di venticinque libbre; non faremo patto -o giuro con verun luogo o terra o persona senza salvare ed eccettuare -questa convenzione, la quale farem giurare da tutti gli uomini di -esse valli e luoghi dai quindici ai settant’anni, e rinnovare ogni -cinque anni». Di rimpatto il podestà di Genova prometteva protezione -e salvezza agli uomini di que’ Comuni; «darò un mercato ad Andoria il -primo d’agosto, e l’altro ad Oneglia l’Ognissanti, dove se nasca alcuna -controversia, sarà definita da quelli che Genova deputerà all’uopo; vi -correranno i pesi e le misure della città, come negli altri mercati del -contado e della riviera; se alcuno di Ventimiglia, d’Albenga, di Savona -voglia forzarvi contro giustizia, appellerete alla curia di Genova, e -noi li citeremo, e se non compajono, vi difenderemo e manterremo nel -diritto vostro; vi concediamo che possiate comprare ed estrarre da -Genova qualunque merce vi occorra, salvi i diritti della città e dei -cittadini». Il cintraco, vogliam dire il gastaldo, a nome e sull’anima -del popolo giurò queste convenzioni in un parlamento, ove ad essi fu -data l’insegna del Comune di Genova, perchè appaja che meritarono la -piena grazia della città. — _Liber jurium_, tom. I. pag. 473. - -Segue una stipulazione molto più particolareggiata coi consoli di Naulo. - -[193] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., I. 861. Il 1183 i consoli di -Casale rimettono ogni pretensione per danni recati al loro Comune da -Vercellesi, confermandolo tutti i cittadini maggiori e minori, radunati -nella solita piazza al campanile di Sant’Evasio. - -[194] Ivi, 20 aprile 1212. - -[195] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1040, 1231. - -[196] DANIEL, _Chron. ms._ ap. _Antichità longobardiche milanesi_, -diss. XXI; _Archivio storico_, tom. XV. D’altre più recenti si trova -esempio in Romagna fin nel secolo XVI, come i Pacifici estesi per tatto -il paese, e la Santa Unione a Fano. V. AMIANI, _Mem. di Fano_, II. 146. - -[197] CIBRARIO, _St. della monarchia di Savoja_, tom. I. doc. 2º. - -[198] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, 392. - -[199] I documenti sono pubblicati dal Minutoli nel vol. X -dell’_Archivio storico_. - -[200] Pubblicati nei _Monum. Hist. patriæ_. Vedi pure CIBRARIO, -_Storia di Chieri. — Si quis, qui non sit de societate Sancti Georgii, -percusserit aliquem dicte societatis, vel manum posuerit in persona -alicujus dicte societatis, podestas vel rector dicte societatis, vel -consules teneantur et debeant precise et sine tenore facere sonari -stremitam, et se armare et currere ad arma omnes illos predicte -societatis, et ad se venire armatos facere, et facere cum ipsis -ultionem de maleficio commisso secundum qualitatem maleficii et -personæ; et si incontinenti ultionem non fecerit, potestas vel rector -vel consules habeant plenam licentiam et bayliam ad suam voluntatem -faciendi ultionem in illo qui malificium commiserit, vel coadjutoribus -suis, ita quod ultio fiat, et non possit remanere ullo modo q.... -Item statutum est quod si contingeret (quod absit) quod rumor sive -rixa moveretur in aliquo loco inter aliquas personas, quod quilibet -supradicte societatis qui hoc audiverit vel viderit illuc, currat omni -obmisso negocio: et si viderit quod dicta rixa esset inter aliquos -qui essent de dicta societate, quod ille et illi qui ibi erunt de -dicta societate debeant fortiter et robuste prestare illi vel illis -qui essent de dicta societate qui rixam haberent, auxilium, consilium -et favorem totis viribus atque posse cum armis vel sine armis etc._ -Statuta Cherii, pag. 774. 776. - -[201] _Cronaca di Neri di Donato_. Rer. It. Scrip., XV. 224-294. - -[202] Vedi, per Genova, CUNEO, _Mem. sopra l’antico debito pubblico -ecc._, pag. 258; per Firenze G. VILLANI, lib. XI; per Napoli ANDREA -D’ISERNIA, _Commento alle Costituz._, I. — In Bologna ogni forestiere -che entrasse dovea farsi porre un suggello di cera rossa sull’ugna del -pollice. Michelangelo non conoscendo quest’uso, fu multato in cinquanta -lire di bolognini, come narra A. Condivi nella Vita di esso. - -[203] In Milano la prima menzione di tale gabella è del 1271; poi -Filippo Maria Visconti sostituì il sale forzato alla tassa dei -focolari. In Genova la gabella del sale è accennata nel 1214 (CAFFARO, -IV. 406); in Reggio nel 1261 (_Mem. potest. reg._ Rer. It. Scrip., -VIII. 1172); in Parma il 1292 (_Chron. parm._, ib. IX. 823). - -[204] Stima il Giulini che l’imposta diretta sui fondi siasi -primamente stabilita sotto il duca Filippo Maria, circa il 1423; e che -nell’immunità accordata al convento di Pontida (ann. 1129 ap. TRISTANO -CALCO, _quibus pergravari interdum prædia solent_) quell’_interdum_ -mostri appunto che non era costante. Il fatto da noi riferito secondo -il Fiamma e il Corio al 1240, lo contraddice. Vedi CORIO e GIULINI, -_passim._; G. VILLANI, X. 17; CAFFARO, IV. 17; PAGNINI, _Della decima -fiorentina_, I. 25. - -[205] GIULINI, lib. LIV — INNOCENTII IV, _Ep._ 24 settembre 1250 — -CAFFARO, VIII. 541 — _Ant. M. Æ._, diss. XL. - -[206] Fra i Turchi d’oggi i pesi pubblici decretati sono più leggeri -che in qualunque dipendenza europea: ma noi, pagata l’imposta, siam -garantiti del resto, e possiamo goderlo o accumularlo a volontà; -colà invece può venire il bascià o un suo satellite a spogliarvi. -Manca dunque la sicurezza: perciò si fabbrica il men possibile; non -si restaura; se un muro minaccia cadere, si puntella; se cade, è una -camera di meno; se cade tutta la casa, si ritirano il più presso che -possono per valersi dei materiali ed erigerne un’altra. - -[207] _Nullus audiatur de jure suo, qui dare aliquid teneatur communi_. -Stat. Fior., lib. IV. _Tract. de extimis_, rubr. 33. Altrettanto -portavano gli statuti di Chieri, di Casale, ecc. - -[208] Vedine gli statuti nei _Monum. hist. patriæ. — Anno etc. -presentia etc. Rainerius de Monbello obligavit consulibus Vercellarum -nomine communis casam quam emit a Manifredo Caroso, ita quod sit aperta -communi si ullo tempore habitaculum Vercellarum relinquerent_. Chart. -I. 995. E prima e dopo vi ha moltissimi patti di cittadinanza assunta -in Vercelli, sempre con questa convenzione della casa. I Vercellesi, -volendo avere il cittadinatico in Milano, vi comprarono una casa nel -1221 al prezzo di 210 lire di terzoli. Nei tante volte citati _Monum. -Hist. patriæ_, Chart. I al 1199 e seguenti, stanno le divisioni degli -uomini di Biandrate, fatte tra i Comuni di Vercelli e Novara; poi nel -1201 divisero i territorj di Biandrate, Vicolungo, Casalbertrando; e -gli uomini ammessi al Comune danno tutti la garanzia d’una casa. - -[209] Il diritto di zecca era talmente ritenuto regio, che Venezia nel -1285, cioè quando era indipendente da otto secoli, chiese al papa ed -all’imperatore il diritto di battere gli zecchini (SANUTO, _Vite dei -dogi_; ZANETTI, _Delle monete e zecche d’Italia_; CARLI e ARGELATI, -_Delle monete d’Italia_). Vecchie sono le monete di Napoli col solo -tipo di san Gennaro. I Normanni ne coniarono, s’ignora dove. Venezia -neppur si sa quando n’ebbe il diritto; la più vecchia sua moneta è -del 972. Nè si sa quando cominciasse Ancona col tipo di san Ciriaco. -Dopo l’XI secolo Aquila, Aquileja, Rimini, Arezzo, Ascoli, Asti, -Bergamo, Messina 1139, Piacenza 1140, Bologna 1191, Brescia 1162, -forse Cortona, certo Cremona 1115, Tortona da Federico I, Ferrara -1164, Fermo dai papi all’entrare del secolo XIII, Firenze, Genova e -Piacenza da Corrado II. Monete si citano di Mantova avanti l’XI secolo, -di Modena, Parma, Padova, Perugia e Reggio nel XIII, di Pisa fin dal -1175: dubbie sono quelle dei conti di Savoja salenti fin al 1048: Siena -vantane il privilegio del 1086; forse Spoleto sotto i Longobardi, e -Torino a mezzo il secolo XIII, Verona nell’XI, Volterra al 1231. Più -recenti sono quelle di Urbino, Vigevano, Vicenza, Sinigaglia, Saluzzo, -Recanati, Pesaro, Macerata, Forlì. Dopo il 1500 ebbero zecca Lecco e -Musso, durante il dominio di Gian Giacomo Medici. Il Carli, leggendo -_genenses_ per _ticinenses_ credette la zecca di Genova esistesse nel -769. Giovan Gandolfi (_Della moneta antica di Genova_) prova che Genova -battea monete prima del 1139, in cui n’ebbe diploma da Corrado II; e -certo fin dal 1102, però col tipo di Pavia; inoltre, che un anno prima -di Firenze coniò la moneta d’oro, la quale, secondo lui, potè servir -d’esempio al fiorino. - -[210] Allora 72 grani d’oro equivalevano a 770 d’argento. Sarebbe -stato opportunissimo tener per legale un solo metallo, e non alterare -la proporzione fra i due col variare le parti aliquote dell’argento -come si fece. La moneta d’argento chiamata _lira_ non fu battuta che -da Cosimo I nel 1531, della bontà di 90-3/4, e del taglio di 72 la -libbra. Tre sorta di ducati avevano i Veneziani: quello d’oro di circa -lire 17; d’argento, valuta effettiva da lire 4 a 4,50; di conto da lire -3,25 a lire 4. Nell’amministrazione contavasi per ducati effettivi; -in commercio, per ducati di conto: l’effettivo valeva 8 lire venete, -l’altro lire 6 e denari 4. Vedi CARLI, diss. VII. - -In un istromento del 1265 nell’Archivio diplomatico di Firenze, rogato -in Passignano, un debitore di lire quattro cede a un suo fratello -creditore un pezzo di terra al Poggio a vento, perchè si rimborsi coi -frutti di questo, valutati ai prezzi seguenti: - - Lo stajo del grano soldi 2 - » dell’orzo e delle fave » 2 denari 4 - Il congio del vino » 8 - L’orcio dell’olio » 10 - La mannella del lino a saggio » — » 10 - -[211] Il barbaro _budget_ è di origine italiana, derivando dalla -_bolgetta_ o tasca, in cui il massajo o ministro delle finanze portava -i conti al parlamento. - -[212] Leggi del 10 dicembre 1268, e 21 luglio 1296. - -[213] È stampato nella storia di Giugurta Tommaso. - -[214] _Quosdam montes et nemora quæ sunt circa Panormum, muro -fecit lapideo circumcludi, et parcum deliciosum satis et amœnum -diversis arboribus insitum et plantatum construi jussit, et in eo -damas, capreolos, porcos sylvestres jussit includi: fecit et in hoc -parco palatium, ad quod aquam de fonte lucidissimo per condiictus -subterraneos jussit adduci._ Chron. Salern. in _Rer. It. Scrip._, vol. -VII. pag. 194. - -Ancora la campagna di Palermo è sparsa di guglie (ivi dicono -all’arabica _giarre_), che sono sfiatatoj degli acquedotti sotterranei -fabbricativi al tempo degli emiri, e che ricreano di fontane la città, -ed elevano l’acqua anche ai piani superiori delle case. - -[215] Un quartiere di Palermo serba tuttora il nome di Papireto. Non -è della natura dell’egizio, bensì di quello di Siria, e differisce da -quello che germoglia a Siracusa. - -[216] _Nec vero illas palatio adhærentes silentio præterire convenit -officinas, ubi in fila, variis distincta coloribus, serum vella -tenuantur, et sibi invicem multiplici texendi genere coaptantur. -Hinc enim videas amita, damitaque et trimita minori peritia perfici_ -(cioè di uno, due, tre licci): _hinc examita_ (sciamito) _uberioris -materia condensari: heic diarhodon igneo fulgore visum reverberat; heic -diapisti color subviridis intuentium oculos grato blanditur aspectu; -hinc exantosmata_ (a fiori) _circulorum varietatibus insignita, majorem -quidem artificum industriam et materia ubertatem desiderant, majori -nihilominus pretio distrahenda. Multa quidem et alia videas ibi varii -coloris ac diversi generis ornamenta, in quibus ex sericis aurum -intexitur, et multiformis picturæ varietas, gemmis interlucentibus -illustratur. Margaritæ quoque aut integræ cistulis aureis includuntur, -aut perforatæ filo tenui connectuntur, et eleganti quadam dispositionis -industria, picturati jubentur formam operis exhibere._ UGO FALCANDO, in -_Rer. It. Scrip._, vol. VII. - -[217] ROSARIO DE GREGORIO, _Discorso intorno alla Sicilia_, Palermo -1826. - -[218] ROMUALDI SALERNITANI _Chron. ad_ 1153. - -[219] Frammento pubblicato da M. Amari. Parigi 1846. - -[220] PELLEGRINI, _Ad Falcandum Benevent._ ad an. 1140. - -[221] _Quoscumque viros aut consiliis utiles, aut bello claros -compererat, cumulatis eos ad virtutem beneficiis invitabat, -transalpinos maxime._ UGO FALCANDO. - -[222] GIANNONE, lib. XI, c. 4. - -[223] Dicevasi che costei fosse monaca, e allora se ne sciogliessero i -voti: - - Sorella fu, e così le fu tolta - Di capo l’ombra delle sacre bende. - Ma poi che pur al mondo fu rivolta - Contro suo grado e contro buona usanza, - Non fu dal vel del cor giammai disciolta. - DANTE, _Parad._, III. - -Un cronista la fa zoppa e guercia, mentre Goffredo di Viterbo canta: - - _Sponsa fuit speciosa nimis, Constantia dicta._ - -[224] _Chr. Placent._ Rer. It. Scrip., XVI. - -[225] _Omnes cœperunt inter se de majoritate contendere, et ad regni -solium aspirare_. RICARDI S. GERMANI, _Rer. It. Scrip._, VI. - -[226] _Hist. Sicula_, pag. 252 e seg. - -[227] Ruggero Hoveden cronista inglese racconta che il papa pose in -testa all’imperatore e all’imperatrice la corona coi piedi, e subito -pur coi piedi ne la sbalzò, per significare la sua autorità di dare e -togliere i regni. Ha poco del probabile. - -Il giuramento era: _Ego N. futurus imperator, juro me servaturum -Romanis bonas consuetudines, et firmo chartas totius generis et -libelli sine fraude et malo ingenio. Sic me Deus adjuvet et hæc sancta -Evangelia._ Le cerimonie della coronazione sono descritte dal cardinale -Cencio, che poi fu papa Onorio III, e ch’era stato presente alla -coronazione di Enrico; e furono pubblicate da PERTZ, _Monum. germ. -hist._, tom. IV. p. 187. - -[228] _Imperium in hoc non mediocriter dehonestavit._ OTTO DE S. -BLASIO, pag. 889. - -[229] _Imperator ipse regnum intrat, papa prohibente et contradicente_. -RICARDI S. GERMANI, pag. 972. - -[230] Il marco di Colonia pesa gramme 233.87. Il franco contiene -gramme 4-1/2 di fino; sicchè il marco di Colonia vale fr. 51.97. -Dunque centomila marchi fanno franchi 5,197,100. In Sicilia correvano -gli _schifati_, moneta greca, detta così perchè formati a barca. Una -col nome di Guglielmo II in arabo, pesa 16 grani d’oro fino, sicchè -oggi varrebbe franchi 2.88. Altra moneta siciliana erano i _tarì_, dei -quali, sul fine del XII secolo, si tagliavano 24 da un’oncia d’oro, -cioè pesavano gramme 0.8792, valenti oggi franchi 2.63. Poco dopo se ne -tagliavano 29-1/2, e spesso il peso variò; giacchè l’impronta garantiva -il titolo, ma del resto si contrattavano a peso. - -[231] _Omne aurum et argentum, quod de regno ad manus habere potuit, -congregavit, et in Alemanniam misit._ Chron. Fossæ Novæ, pag. 880. Vedi -OTTO DE S. BLASIO, pag. 897. - -[232] Le cronache raccontano le precauzioni con cui essa ne dimostrò ai -popoli la realità: il papa stesso dovette intervenirvi, e le fece dar -giuramento che quel figlio era procreato da Enrico. - -[233] FAZELLI, _Storia di Sicilia_, lib. VIII. c. 1. - -[234] Nella rotta data in Sicilia a Markwaldo si trovò il testamento di -Enrico VI, ove imponeva a Federico suo figlio di riconoscere dal papa -il regno di Sicilia, il quale tornasse alla Chiesa qualora mancassero -eredi; se il papa confermasse al figlio l’Impero, ne fosse ricompensato -col restituirgli tutta l’eredità della contessa Matilde; Markwaldo -riconosca dal papa e dalla Chiesa il ducato di Ravenna, la terra di -Bertinoro, la marca d’Ancona, Medicina e Argelata sul Bolognese, i -quali ricadano alla Chiesa s’egli muore senza eredi. Il testamento è -stampato dal Muratori. - -Giovanni da Ceccano esclama: — È pur morto quel leone feroce, quel lupo -sterminatore delle agnelle, quell’orrido serpente che tanti immolò. -Apuli, Calabri, Toscani, Liguri, tutti i popoli partecipano alla gioja -del sommo pontefice, ed esultano di vedersi finalmente liberati dal -tiranno che la mano di Dio colpì». E Ottone di San Biagio: — I Tedeschi -devono eternamente deplorare il lamentabile fine dell’imperatore -Enrico, perchè egli arricchì la Germania e la rese terror delle -nazioni. Col coraggio e l’abilità avrebbe rimesso l’impero romano nel -primitivo splendore se morte nol preveniva». - -[235] RICARDI S. GERMANI, pag. 978. - -[236] A Verona v’ha questo epitafio lambiccato: - - _Luca dedit lucem tibi Luci, pontificatum_ - _Ostia, papatum Roma, Verona mori;_ - _Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma_ - _Exilium, curas Ostia, Luca mori._ - -[237] _In qua plus timebatur ipse quam papa_. Gesta Innocentii III, § 8. - -[238] Scossa dal tremuoto del 1319, fu poi demolita sotto Urbano III. - -[239] Vedi il 2º e l’8º can. del IV concilio Lateranese _de probatione_. - -[240] Antonio Vitale scrisse la _Storia de’ senatori di Roma_: ma -è opera che meriterebbe essere rifatta. La storia di Roma fu sempre -confusa con quella dei papi. - -[241] Il testo della lega Toscana fu pubblicato da Scipione Ammirato -juniore nella _Storia dei conti Guidi_. - -[242] _Suppositus partus, quod testibus adstruere promittebat_. Gesta -Innocentii III, § 23. - -[243] Ce lo racconta il francese Villehardouin, che v’assisteva in -persona. A Paolo Ramusio il giovane, figlio del cosmografo Giovan -Battista, il senato veneto diede incarico di tradurre in latino la -storia della conquista di Costantinopoli di esso Villehardouin. Esso -svolse altre memorie intorno a que’ fatti, e in sedici anni formò -l’opera _De bello Constantinopolitano_, finita il 1573, ma stampata -solo nel 1609. - -[244] Fu allora che i Veneziani acquistarono i cavalli di Lisippo, che -ornano ora il pronao di San Marco. Narra il Sanuto che nel trasportarli -a Venezia si spezzò la gamba di un cavallo: Domenico Morosini, che -comandava il vascello di trasporto, impetrò di conservarla come un -ricordo; e il consiglio assentì, e ne fece mettere una nuova, _ed io -ho veduto il detto piede_. Questo fatto sfuggì ai descrittori di quel -trofeo di tante vittorie. - -[245] Allora Cremona spedì mille persone per arricchirsi delle spoglie -di Costantinopoli, come mandò una gran nave sotto Acri. - -[246] SANDI, _Storia civile_, pag. 620. - -[247] I patti per la imposta di Costantinopoli, stipulati nel marzo -1204 fra la Signoria veneta da una parte, e dall’altra il marchese -Bonifazio di Monferrato e i conti di Fiandra, di Blois, di San Paolo, -sono stampati nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1109, dove pure -la cessione che esso Bonifazio fa ai Veneziani dell’isola di Creta e -d’altre terre in Levante. - -[248] _Decretum venetum_ ap. CANCIANI, v. 124. - -[249] La lettera d’Innocenzo III è importantissima per conoscere le -pretensioni e il modo di vedere della santa Sede. _Regesta Imperii_, -nota 20 e seg. - -[250] Nel 1160 Uguccione, vescovo di Vercelli, con un legno che teneva -in mano, investe gli uomini di Biella del monte Piazzo come feudo, -a patto che quei di loro che vogliano abitarvi devano ciascuno far -fedeltà a maniera di vassallo; poi maschi e femmine possiedano essa -terra finchè vivono, indi abbiano podestà di venderla tra sè, ma non a -chi non sia abitante di esso luogo. Il vescovo permette che godano in -esso monte i buoni usi che godevano da antico in Biella (_omnibus bonis -usis, quos erant usi habere in loco Bugelle in veteri tempore_); onde -rimette i bandi che egli soleva avere in essa Biella, salvo i seguenti: -spergiuro, adulterio, furto, omicidio o ferita, pesche e caccie. -Essi uomini devano salire quel monte, edificarvi, non impedire che il -vescovo vi salga con suo seguito; ma egli non vi porrà castellano se -non con loro consenso. MULLATERA, _St. di Biella_, pag. 36. - -Bongiovanni, nunzio del vescovo di Vercelli, imponeva che i possessori -di un tal manso portassero ogni anno i rami di olivo per la domenica -delle Palme, e metà del crisma, ed empissero metà delle fonti; e -quei dell’altro, portassero l’altra metà del crisma, ed empissero il -resto delle fonti, e facessero il fuoco a Natale e a Santo Stefano, e -scuotesserlo alla Candelara e al sabbato santo. _Monum. Hist. patriæ_, -Chart. II. 1294. - -Gualterio vescovo di Luni nel 1200 questi patti faceva agli uomini di -sua giurisdizione. Se molti siano consorti in un villaggio, ed uno o -più facciano tradimento, sieno privati d’esso villaggio, ed aprasi -ai loro eredi; o se non n’abbiano, vi sottentrino i consorti. Se -alcuno tardi due anni il fitto o livello, paghi il doppio, oppure sia -privato dell’ente per cui paga. Nessuno acquisti casa o campo o vigna -senza istromento. Se alcuno depone querela contro un altro, anticipi -quattro lire imperiali al giudice o ai consoli; e questi non ricevano -più di sedici denari per lira, da pagarsi da chi perde la causa. Così -determina il prezzo degli atti notarili. Se alcuno mena moglie, non -dia come antefatto più d’un terzo della dote. Nessuna vedova si mariti -durante il lutto, ecc. _Ivi_, 1203. - -[251] LUPO, _Cod. diplom._, tom. II, passim; RONCHETTI, _Mem. stor. -della città e chiesa di Bergamo_, cap. IV. p. 27. - -[252] _Et sic civitas Mediolani, quæ territorio trium milliariorum -extra civitatem contenta fuerat, longe lateque alas suas expandit. Nam -ducatus Burgariæ, marchionatus Marthexanæ, comitatus Seprii, comitatus -Parabiagi, et comitatus Leuci, qui omnes quasi domestici inimici terram -istam semper invaserant...., facti sunt subjecti et servi perpetui -civitatis Mediolani._ GALV. FIAMMA, Manip. florum. - -[253] _Breve istoria dell’origine e fondazione della città del Borgo di -Sansepolcro_, per ALESSANDRO GORACCI, 1636. Gli storici del secolo XVI -e XVII non intendono nulla degli ordinamenti municipali; pure aveano -sottocchio carte che poi si smarrirono, e tradizioni non ancora spente. -In tutti vedi una città che si redime dai conti, compra privilegi dagli -imperatori, abbatte i castellani vicini, i quali poi venuti in città, -vi portano resìe. - -[254] - - _Et nunc iste comes, consors et conscius ante,_ - _Ille potens princeps, sub quo romana securis_ - _Italice punire reos, de more vetusto,_ - _Debuit injustitiæ, victrici cogitur urbi_ - _Et modicus servire cliens, nulloque relicto_ - _Jure sibi, dominicæ metuit mandata superbæ._ - GUNTERO, lib. III. - -[255] Nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 708. 807. 865. 910. - -[256] _Bertoldus princeps Aquilejæ est amicatus cum Paduanis, et factus -est paduanus civis; et in cittadinantiæ firmitatem et signum fecit -de sua camera quædam in Padua ædificari palatia, et se poni fecit cum -aliis civibus Paduæ in coltam sive datiam. Tunc quoque incepit mittere, -et adhuc mittit hodie omni anno de suis melioribus militibus duodecim, -qui jurant, in principio potestariæ cujuslibet, præcepta et sequentia -potestatis pro domino patriarca et suis. Quod videns feltrensis et -belunensis episcopus, fecit et ipse similiter, non tamen in quantitate -eadem._ ROLANDINO. - -[257] SAVIOLI, _Ann. bologn._, I. dipl. CLVI. - -[258] Dalle storie bolognesi ricaviamo che nel 1123 i consoli col -vescovo ricevono in protezione i castelli di Rudiliano, Sanguineta, -Cavriglia; nel 1131 quei di Nonantola come cittadini d’una delle -quattro porte, ed essi giurano fare due spedizioni all’anno fin ai -confini, una con cavalli, l’altra pedoni; nel 1144 quei di Savignano -e Cetola si fanno cittadini, cedendo la rôcca e la curia; nel 1157 -quei di Monteveglio, Moreto, Caneto giurano, obbligandosi militare -pei Bolognesi anche contro l’Impero; nel 1164 i castelli di Bedolo, -Battidizio, Gesso, Trifane giurano obbedienza al popolo maggiore e -minore di Bologna, e pagargli il fitto e il feudo ecc. - -[259] «Et che nullo nobile.... undunque sia, possa u debbia in alcuna -cauza criminale in alcuna Corte contro alcuno di popolo rendere -testimonia, e se la rendrà la testimonia non vaglia, ne tegna ipso -jure, et nondimeno sia condannato dal capitano del populo da lire -X. in lire C ad suo arbitrio, _Statuti di Pisa, ms_. § 162. — Et che -nullo nobile della cita di Pisa u daltronde, ad tempo d’alcuno romore, -durante lo romore ardisca u presuma d’escire con arme u sensa arme -della casa in de la quale elli abita sotto pena del avere et della -persona ad arbitrio del capitano. _Ivi_, § 165». - -Con bel decreto, dato da Parma il luglio 1226, Federico II manda suo -podestà alla ghibellina Pavia Villano Aldighieri di Ferrara, perchè -severamente mantenga la concordia fra’ cittadini: a tal uopo ordina si -sciolga qualunque società di popolani o di militi; nè gli uni nè gli -altri abbiano podestà o consoli speciali, ma vengano tutti governati -dal rettore del Comune, dal quale solo dipendano gli armati; statuarj, -consiglieri, uffiziali sieno eletti come faceasi da dieci anni in poi; -annullata la libertà dai militi data ad alcuni borghi od abitanti del -distretto; non si ponga ostacolo al portar vittovaglie in città; non -si faccia adunanza di nobili o di popolo a suon di campana; bando e -infamia a chi contraffà. - -[260] _Statut._, lib. III. c. 168. 169. Lo statuto 170, _de cerna -potentium_, fa il catalogo delle famiglie nobili, _ne sub velamine -popularium defendantur_. - -[261] _Croniche_, IV. 78. — Ai Guelfi rende giustizia persino Voltaire, -dicendo che l’imperatore _voulait régner sur l’Italie sans borne et -sans partage_ (Essai, cap. 66); e chiama i Guelfi _partisans de la -papauté, et encore plus de la liberté_ (cap. 52). Guelfi e Ghibellini -erano come i Tories e Whigs dell’odierna Inghilterra; bisogna essere -di quel partito, e conservarlo quand’anche cambia; i Tories del 1843 -fecero tutto quello che voleano i Whigs nel 1830. Così i Guelfi di -Firenze divengono fautori dell’Impero e nemici del papa; non cambiano -nome, ma diconsi _bianchi e neri_; Dante era guelfo, come testè fu tory -Roberto Peel. - -Vedi il trattato di Bártolo sui Guelfi e Ghibellini. Una storia de’ -Guelfi e Ghibellini nostri sarebbe la più bella spiegazione delle -vicende italiane. - -[262] Nelle _Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca_, -vol. III. p. 47, leggesi: _Orlandinus notarius, filius domini -Lanfranchi, et Chele filius Lamberti, sindici et procuratores hominum -partis guelfæ, eorum terræ.... volentes se et alios eorum partis ab -erroris tramite revocare, et Lucanam civitatem recognoscere tamquam -eorum matrem, et ad hoc ut tota provincia vallis Neubulæ_ (val di -Nievole) _bonum statum sortiatur, promiserunt et concenerunt... quod -ipsi et alii eorum partis guelfæ de dictis communitatibus perpetuo -erunt in devotione Lucani communis etc._ - -In Milano il colore de’ Guelfi era il bianco, de’ Ghibellini il rosso. -In Valtellina i Guelfi portavano piume bianche alla tempia destra e -un fiore all’orecchio destro; i Ghibellini piume rosse o un fiore alla -sinistra. Tutti i palazzi di Firenze hanno merli quadrati, eccetto uno. -Brescia nel 1212 avea tre podestà, eletti da tre fazioni. - -[263] Vedasi in capo ai vol. I e II dei _Monumenta historica ad -provincias Parmensem et Placentinam pertinentia_ (Parma 1857) un -discorso del cav. Ronchini, che dà la storia civile del paese. L’ultimo -degli statuti di Parma, stampati nel 1858, è tale: _Nullus de civitate -vel episcopatu Parmæ de cetero contrahat aliquam parentelam vel -matrimonium cum aliquo vel cum aliqua, qui vel quæ non sit de parte -Ecclesiæ: nec aliquis sit mediator nec proxeneta nec relator verborum -aliquorum dictæ parentelæ faciendæ, nec testis, nec instrumentum -celebret seu scribat, nec promissionem, nec securitatem, nec tractatum -faciat, vel recipiat ullo modo alicujus parentelæ faciendæ, in aliquo -tempore. Et si aliqua promissio vel securitas facta est de aliqua -parentela facienda, sit nullius momenti. Et si qui vel si qua de cetero -contra prædicta vel aliquod prædictorum fecerit vel facere præsumserit, -in tantum puniatur. Mediator vero, sive proxeneta puniatur in trecentis -libris parm.; et testis in trecentis libris parm., et tabellio puniatur -in tantumdem, et perpetuo ab officio notariatus sit remotus: fratres -nihilominus mulierum, si patrem mulier non habet, in mille libris parm. -quilibet puniantur._ - -[264] - - Non s’attien fede nè a comun nè a parte, - Chè Guelfo e Ghibellino - Veggio andar pellegrino, - E dal principe suo esser deserto. - Misera Italia! tu l’hai bene esperto - Che in te non è latino - Che non strugga il vicino - Quando per forza e quando per mal arte. - GRAZIOLO, cancelliere bolognese nel 1220. - - Ed ora in te non stanno senza guerra - Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode - Di quei che un muro ed una fossa serra. - Cerca, misera, intorno dalle prode - Le tue marine, e poi ti guarda in seno - Se alcuna parte in te di pace gode. - DANTE, _Purg._, VI. - -Benchè non fossero costanti nel parteggiare, offriamo alquanti dei nomi -che assumeano le fazioni in varie città: - - GUELFI GHIBELLINI - Milano Torriani Visconti - Firenze Neri Bianchi - Arezzo Verdi Secchi - Genova Rampini Mascherati - Grimaldi e Fieschi Doria e Spinola - Como Vitani Rusca - Pistoja Cancellieri Panciatichi - Modena Aigoni Grasolfi - Bologna Scacchesi (Geremei) Maltraversi (Lambertazzi) - Verona San Bonifazio Tegio - Piacenza Cattanei Landi - Pisa Pergolini (Visconti) Raspanti (Conti) - Roma Orsini Savelli - Siena Tolomei Salimbeni - Orvieto Malcorini Beffati - Asti Solari Rotari - -A Roma i due fratelli Stefano e Sciarra Colonna erano capi, uno dei -Guelfi, l’altro de’ Ghibellini. Inoltre erano emuli nelle varie città, -senza star saldi a una parte sola, Beccaria e Langosco in Pavia; -Tornielli e Cavalazzi o Brusati in Novara; in Ferrara Salinguerra e -Adelardi; in Vercelli Avvocati e Tizzoni; in Lodi, Vignati e Vistarini; -in Genova, Doria e Adorni; in Asti, Isnardi e Gottuari; in Perugia, -Oddi e Baglioni; in Bergamo, Suardi e Colleoni, Bongi e Rivoli; in -Brescia, Casalalta e Bruzella; in Perugia, Bettona, Assisi la parte di -sopra e quella di sotto; in Padova, Carrara e Macaruffo; in Sicilia, -Palizzi, Alagona, Ventimiglia, Chiaramonti; in Ravenna, Polenta e -Bagnacavallo; in Imola, Mendoli e Brizi; in Faenza, Manfredi e Acarisi; -in Rimini, Gambacari e Amadei; in Forlì, Ordelaffi e Galboli; in -Cesena, Righizzi e Popolo; in Sangeminiano, Ardinghelli e Salvucci; in -Sansepolcro, Graziani e Goracci contro Pichi e Righi; in Acqui, i Blesi -e i Bellingeri.... A Savigliano erano ghibellini i Cambiano, i Soleri, -i Galateri; in Alba, capi dei Guelfi i Graffagnini; e così via. - -[265] G. VILLANI, V. 9. — _In diebus meis vidi plusquam quinquies -expulsos stare milites de Papia, quia populus fortior illis erat_. -_Ventura_, _Chron. Astense_, cap. VIII. Rer. It. Scrip., XI. - -[266] _Chron. Astense_, cap. XVII. — SAVIOLI, _Ann. bologn. ad ann._ — -G. VILLANI, IX. 213. - -[267] Dicevansi i Senesi il popolo più orgoglioso della Toscana -e vendicativo; di malafede i Romagnuoli; volubili e impazienti i -Genovesi: i Milanesi pacchioni ecc. San Bernardo nel 1152 scriveva: -_Quid tam notum sæculis quam protervia et fastus Romanorum? gens -insueta paci, tumultui assueta, gens immitis et intractabilis usque -adhuc, subdi nescia nisi quum non valet resistere._ De consideratione, -IV. 2. Basta legger Dante per raccorvi ingiurie contro ciascuno de’ -nostri popoli. - -[268] Avverti la distinzione tra i Ferraresi e il Comune di Ferrara. -_Ant. Estensi_, part. I. c. 39. - -[269] Il carroccio di Cremona chiamavasi Gajardo; quel di Padova, -Berta; quel di Parma, Crepacuore o Regoglio ecc. - -[270] Vedi spesso il Machiavelli, che dice come le guerre prima de’ -suoi dì «si cominciavano senza paura, trattavansi senza pericolo, -finivansi senza danno»; lib. V. Anche il Guicciardini dice la battaglia -del Taro «memorabile, perchè fu la prima che da lunghissimo tempo -in qua si combattesse con occisione e col sangue in Italia». E più -umanamente il buon Muratori narra d’una battaglia del 1469, importante -«ma con uccisione di pochi perchè in questi tempi gli Italiani faceano -guerra non da barbari ma da cristiani, e davano quartiere a chiunque -non potendo resistere si arrendeva». - -[271] _Chron. Ferrariæ_, Rer. It. Scrip., VIII. - -[272] Chi ricorda le colonie civilizzanti e lavoratrici che proponevano -i Sansimoniani nel 1833, e i Falansteri di Fourier predicati dopo il -1840, ne troverà già il modello nei Cistercensi. Dove era il grosso -dei loro possessi doveva porsi una colonia di frati conversi, diretti -da un professo, il quale era come il fattore di tutta la grancia o -cascina. Egli dava il segno quando dovessero uscire al lavoro, egli -distribuiva ad essi i ferri del mestiere, egli ne fissava le funzioni -di armentiero, carrettiere, zappatore, boaro, e così via. Non doveva -accettarsi frate se non chi potesse guadagnarsi il vivere colle proprie -mani. I conversi non doveano tenere alcun libro, nè imparar altre preci -che il _pater_, il _credo_ e il _miserere_. Chi avesse dei fondi male -andati chiamava una colonia di Cistercensi a rimetterli in essere: così -Rainaldo arcivescovo di Colonia, ch’era venuto a portarci guerra col -Barbarossa, avendo trovato la sua prebenda in disordine, chiamò di tali -frati, _qui et curtibus præessent, et annuos redditus reformarent_. - -Il monastero di Chiaravalle fu fondato nel 1135 con tenuissime rendite, -ma i monaci lavorando, comprando principalmente i _zerbi_ cioè incolti, -e prendendo a livello, ebber in breve quattro buone possessioni: indi -acquistarono il fondo di Cerreto nel Lodigiano, e Morimondo nel Pavese, -e altri. A Chiaravalle, sopra uno spazio di tre pertiche appena, si -incrocicchiano ben sette acquedotti artifiziali. Fin del 1138 ci resta -un contratto, ove quei monaci compravano alquanti zerbi da un Giovan -Villano col diritto di trarre acqua dalla Vetabia, e di potere all’uopo -fare fossati traverso ai poderi d’esso Villano e una chiusa: _ut -monasterium possit ex Vectabia trahere lectum, ubi ipsum monasterium -voluerit: et si fuerit opus, liceat facere eidem monasterio fossata -super terram ipsius Johannis ab una parte vie et ab alia, et possit -firmare et habere clusam in prato ipsius Johannis, etc._ Di simil -tenore molte carte sono addotte nelle _Memorie Longobardiche Milanesi_, -e massime per l’acquisto delle acque d’un fosso che i Milanesi aveano -fatto attorno alla città, obbligandosi di tenerlo spurgato. Fin -d’allora vi riscontriamo tutti gli artifizj presenti di paratoje, -stravacatori, salti di gatto, bocchelli, incastri; insegnarono essi -l’economica distribuzione per ore, vendendo e affittandone il diritto. -Coltivavano anche la vigna, e tutti gli storici nostri menzionano una -botte di 500 brente di vino, ch’essi distribuivano in elemosina. _Prati -marcidi_ son mentovati in carte del 1233 e 35 e 54. - -È un dovere il rammentare al secolo gaudente le opere di quei poltroni -di frati (nota tratta dalla _Storia di Milano_ del Cantù). - -[273] AFFÒ, _Storia di Parma_, tom. II. p. 249. Anche più tardi Amedeo -VIII di Savoja faceva doni a un eremita che s’occupava di mantenere -le strade presso Ginevra, ed altri a un canonico che fondò la strada -da Meillery a Bret. V. CIBRARIO, _Economia polit._, 363. Una supplica -sporta il 5 aprile 1317 alla Signoria di Firenze comincia: _Cum fratres -Sancti Salvatoris de Septimo et fratres Humiliatorum omnium Sanctorum -de Florentia, olim et hodie multipliciter servierint et quotidie -serviant communi et populo florentino in omnibus quæ ipsi communi -expediunt etc._ - -[274] «E tutte le creature appellava fratelli e sirocchie, dicendo -che tutti aveano uno cominciamento da un medesimo creatore e padre». -_Vite de’ Santi Padri._ — _Fratres mei aves, multum debetis laudare -Creatorem.... Sorores meæ hirundines... Segetes, vineas, lapides -et silvas, et omnia speciosa camporum, terramque et ignem, aerem et -ventum, ad divinum movebat amorem.... Omnes creaturas fratris nomine -nuncupabat, frater cinis, soror musca._ TOM. CELANO suo discepolo. -_Acta SS. octobris_. Vedi i _Fioretti_ di san Francesco, uno de’ più -ingenui libri del nostro Trecento. - -[275] È particolarità notevole nei frati questa venerazione per -le opere di Dio, e la custodia delle piante storiche. Abbiamo già -accennato l’albero di san Benedetto a Napoli: a Roma si sta volentieri -al rezzo di quello ove san Filippo Neri col bello educava alla virtù -i giovani del suo Oratorio: ivi pure a Santa Sabina additano un -arancio piantato da san Domenico: uno da san Tommaso d’Aquino a Fondi. -Se Aristotele o Teofrasto scrivessero ora la storia naturale, non -dimenticherebbero queste particolarità. - -[276] - - Nullo donca oramai più mi riprenda, - Se tal amore mi fa pazzo gire. - Già non è core che più si difenda... - Pensi ciascun come cor non si fenda, - Fornace tal come possa patire.... - Data m’è la sentenza - Che d’amore io sia morto; - Già non voglio conforto - Se non morir d’amore.... - Amore, amore, grida tutto il mondo; - Amore, amore, ogni cosa clama... - Amore, amor, tanto pensar mi fai; - Amore, amore, nol posso patire; - Amore, amore, tanto mi ti dai; - Amore, amore, ben credo morire; - Amore, amore, tanto preso m’hai; - Amore, amore, fammi in te transire; - Amor, dolce languire; - Amor mio desioso, - Amor mio dilettoso, - Annegami d’amore. - Amor, amor, Jesù son zonto a porto; - Amor, amor, Jesù dammi conforto; - Amor, amor, Jesù sì m’ha infiammato; - Amor, amor, Jesù io sono morto... - Amor, amor, per te sono rapita; - Amor, amor, viva, non me dispregia; - Amor, amor, l’anima teco unita; - Amor, tu sei sua vita, - Jam non se po’ partire, - Perchè la fai languire, - Tanto struggendo amore. - -[277] _Ap_. JOH. LUCIUM, _De regno Dalmatiæ_, pag. 338; e GHIRARDACCI, -_Storia di Bologna_, lib. V. - -[278] _Impugnationis arma secum fratres non deferant nisi pro -defensione romanæ ecclesiæ, christianæ fidei, vel etiam terræ ipsorum_. -Cap. VII. - -[279] Guitton d’Arezzo scriveva di san Francesco: - - Cieco era il mondo, tu failo visare; - Lebbroso, hailo mondato; - Morto, l’hai suscitato; - Sceso ad inferno, failo al ciel montare. - -Dante ne pone un magnifico elogio in bocca a san Tommaso e san -Bonaventura nel X e XI del _Paradiso_. - -[280] LANDULFI SENIORIS _Historia Mediolani_, II. 27. - -[281] _Multa petebant instantia prædicationis auctoritatem sibi -confirmari._ Stefano di Borbon ap. GIESLER, pag. 510. - -Che il nome di Valdesi derivi da Pietro Valdo, lo smentirebbe il -trovarlo in un manoscritto della _Noble leçon_ di Cambridge che si -suppone del 1100, cioè prima di esso Valdo, ove leggesi in provenzale: - - _Que non vollìa maudire, ni jurar, ni mentire,_ - _Ni ahountar, ni ancire, ni prenre de l’autrui,_ - _Ni venjar se de li sio ennemie,_ - _Illi disent quel és Vaudés, e degne de murir._ - -Forse viene dal tedesco _wald_ foresta. — Cataro in greco vuol dire -_puro_, e forse presero tal nome per la pretesa innocente vita. -Sant’Agostino già chiama _cataristi_ i Manichei, _De hær. Manich._ I -Tedeschi chiamano ancora _ketzer_ gli eretici. — _Patarini_ furon detti -da _pati_, perchè ostentavano penitenza; o dal _pater_, che era la loro -preghiera. In una costituzione di Federico II leggesi: _In exemplum -martyrum, qui pro fide catholica marthyria subierunt, Patarenos se -nominant, veluti expositos passioni._ Ed anche le _Assise_ di Carlo I -portano nel francese d’allora: _Li vice de ceaus son coneu par leur -anciens nons, et ne veulent mie qu’il soient apelé par leur propres -nons, mais s’apellent Patalins par aucune excellence, et entendent -que Patalins vaut autant comme chose abandonnée à soufrir passion en -l’essemble des martyrs, qui souffrirent torment pour la sainte foy._ - -Con infiniti nomi se ne indicavano le varie sêtte, de’ _Gazari_, -_Arnaldisti_, _Giuseppini_, _Leonisti_, _Bulgari_ (da cui il _bougre_ -dei Francesi, e il _bolgiron_ de’ Lombardi), _Circoncisi_, _Publicani_, -_Insabbatati_, _Comisti_ (che alcuno volle chiamati così da Como), -_Credenti di Milano_, _di Bagnolo_, _di Concorezzo_, _Vanni_, _Fursci_, -_Romulari_, _Carantani_.... - -[282] Così il Vignerio, reputato dai Protestanti restauratore della -storia ecclesiastica. _Bibliotheca historica_, addiz. alla P. II. p. -313. Anche frà Ranerio Saccone dà per origine delle chiese di Francia e -d’Italia quelle di Bulgaria e Drungaria. - -«Quando i Valdesi si separarono da noi, ben pochi dogmi avevano -contrarj ai nostri, o forse nessuno». BOSSUET, _Hist. des variations_, -lib. XI. — E fra Ranerio Saccone: _Cum omnes aliæ sectæ immanitate -blasphemiarum in Deum audientibus horrorem inducant, hæc magnam -habet speciem pietatis, eo quod coram hominibus juste vivant, et bene -omnia de Deo credant, et omnes articulos qui in symbolo continentur -observent; solummodo romanam ecclesiam blasphemant et clerum_. -Corrado Uspergense dice che papa Lucio li condannò per alcuni dogmi ed -osservazioni superstiziose. Claudio di Seyssel arcivescovo di Torino -dichiarò irriprovevole la loro vita: locchè a Bossuet pare una nuova -seduzione del demonio. - -Moltissimi autori ne scrissero: e dopo tornati i suoi re al Piemonte -nel 1814, qualche inquietudine fu data ai Valdesi rifuggiti nelle -valli subalpine; onde i re di Prussia ed Inghilterra porsero ad essi -soccorso. Allora varj Inglesi andarono a visitarli, e ne uscirono -diversi scritti, quali sono _Authentic details of the Valdenses in -Piedmont and other countries, with abridged translations of_ L’histoire -des Vaudois par Bresse, _and_ La rentrée glorieuse d’Henri Armand; -_with the ancient Valdesian catechism; to which is subjoined original -letters, written during a residence among the Vaudois of Piedmont and -Würtemberg in_ 1825. Londra. - -GILLY, _Narrative of an excursion to the mountains of Piedmont in the -year 1823, and researches among the Vaudois or Waldenses protestants -inhabitants of the Cottien alpes. With maps_. Londra 1820. - -JONES, _The history of the Christian Church, including the very -interesting account of the Waldenses and Albigenses_, 2 vol. - -LOWTHEC’S _Brief observations on the present state of the Waldenses_. -1825. - -ACLAND, _A brief sketch of the history and present situation of the -Vaudois_. 1826. - -ALLIX, _Some remarks upon the ecclesiastical history of the ancient -churches of Piedmont_. - -_Recherches historiques sur la véritable origine des Vaudois_. Parigi -1836. È cattolico. - -PEYRUN, _Notice sur l’état actuel des églises vaudoises_. Ivi, 1822. Li -sostiene coevi del cristianesimo. - -A. MUSTON, _Hist. des Vaudois des vallées du Piémont_. 1834. - -_L’Israel des Alpes, ou les Martyrs vaudois_ li fa oriundi da Leone, -che nel IV secolo si separò da papa Silvestro, quando questi accettò -beni temporali da Costantino. - -[283] Abbiamo consultato in proposito moltissime opere e diversi -manoscritti e processi. Il cremonese Moneta, uom dissoluto, sentendo -predicare in Bologna Reginaldo d’Orléans, si convertì, e fatto -inquisitor della fede a Milano il 1220, _tamquam leo rugiens_ -si scagliò contro le eresie, e scrisse una _Summa theologica_, -grosso volume in-foglio, edito a Roma il 1743 dal padre Tommaso -Agostino Richino col titolo _Venerabilis patris Monetæ Cremonensis, -ordinis Prædicatorum, sancto patri Dominico æqualis, adversus -Catharos et Valdenses libri quinque._ Il Saccone, dopo stato cataro -diciassett’anni, si convertì, e li perseguitò come vedremo; e la -sua _Summa de Catharis et Leonistis, sive Pauperibus de Lugduno_ fu -inserita nel _Thesaurus novus anecdotorum_ dei PP. Martène e Durand, -Parigi 1717, tom. V. In questa _Summa_ trovo menzionato un volume di -dieci quaderni, in cui Giovanni di Lugio avea deposti i suoi errori. -Buonaccorso, già vescovo dei Catari in Milano, li confutò nella -_Manifestatio hæreseos Catharorum_: è nello _Spicilegio_ del padre -d’Achery, tom. I. p. 208 del 1723. Nel suddetto _Thesaurus_ vedasi -pure una _dissertatio inter Catholicum et Patarinum_; e l’opera di frà -Stefano di Bellavilla inquisitore. - -Questo punto si attacca a opinioni ridestatesi ai giorni nostri sul -comunismo, onde molto se ne parlò di recente, e noi di proposito ne -abbiamo trattato negli _Eretici d’Italia_. - -[284] Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare gli archivj -del Sant’Uffizio in Toscana, scrive: — Per quanto io abbia cercato -ne’ processi eretti da’ nostri frati, non ho trovato che gli eretici -Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e che si commettesse -mai da loro, massime tra uomini e donne, eccesso di senso; onde, se -i frati non si tacquero per modestia, il che non mi par credibile -in uomini che abbadavano a tutto, i loro errori erano, più che di -sensualità, d’intelletto». Ap. LANZI, _Lezioni di antichità toscane_, -XVII. - -[285] MONETÆ _Summa_. - -[286] Due ne pubblicò Costantino contro gli eretici, uno Valentiniano -I, due Graziano, quindici Teodosio I, tre Valentiniano II, dodici -Arcadio, diciotto Onorio, dieci Teodosio II, e tre Valentiniano III, -tutti inseriti nel codice Giustinianeo. - -[287] _Late patet Dei clementia, qui, pulso infidelitatis errore, -veritatem fidei suis fidelibus patefecit: justus enim ex fide vivit, -qui vero non credit, jam judicatus est. Nos igitur, qui gratiam fidei -in vanum non recipimus, omnes non recte credentes, qui lumen fidei -catholicæ hæretica pravitate in imperio nostro conantur extinguere, -imperiali volumus severitate puniri, et a consortio fidelium per -totum imperium separari; præsentium tibi auctoritate mandantes, -quatenus hæreticos Valdenses et omnes qui in Taurinensi diœcesi -zizaniam seminant falsitatis, et fidem catholicam alicujus erroris seu -pravitatis doctrina impugnant, a toto Taurinensi episcopatu imperiali -auctoritate expellas; licentiam enim, auctoritatem omnimodam, et -plenam tibi conferimus potestatem, ut, per tuæ studium sollicitudinis, -Taurinensis episcopatus area ventiletur, et omnis pravitas, quæ fidei -catholicæ contradicit, penitus expurgetur_. Ap. GIOFFREDO, Storia delle -Alpi Marittime al 1209. - -[288] Höffler pubblicò (_Kaiser Friedrich II, ein Beytrag etc._ Monaco -1844) nuove lettere di Federico II, fra cui la seguente a papa Gregorio -IX, relativa all’inquisizione ereticale: - -_Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia cuncta -disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni fastigium -ad mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri materialis -conferens gladii potestatem, ut hominum ac dierum excrescente malitia, -et humanis mentibus diversarum superstitionum erroribus inquinatis, -uterque justitie gladius ad correctionem errorum in medio surgeret, -et dignam pro meritis in auctores scelerum exerceret ultionem.... Quia -igitur ex apostolice provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam -hereticam pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium -precibus et monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre, -zelo fidei quo tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem gratanter -assurgimus, beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes, illam -diligentiam et sollicitudinem impensuri ad evellendum et dissipandum -de predictis civitatibus pestem heretice pravitatis, ut auctore Deo, -cui gratum inde obsequium prestare confidimus ac vestris coadjuvantibus -meritis, nullum in eis vestigium supersit erroris, ac finitimas et -remotas quascumque fama partes attigerit, inflicta pena perterreat, et -omnibus innotescat nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus -hostes fidei ad gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio -potenter accingi. Dat. Tarenti_ XXVIII _febr. indict._ IV. - -In un’altra lettera esso Federico insiste con nuovo fervore per la -repressione degli eretici: _Ut regi regum, de cujus nutu feliciter -imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus, tanto -magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis filii mater -Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei christiane, cujus -sumus tamquam catholicus imperator precipui defensores, novum opus -assumpsimus ad extirpandam de regno nostro hereticam pravitatem, que -latenter irrepit et tacite contra fidem. Cum enim ad nostram audientiam -pervenisset, quod, sicut multorum tenet manifesta suspicio, partes -aliquas regni nostri contagium heretice pestis invaserit, et in locis -quibusdam occulte latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum -credidimus per penas debitas extirpasse radices, incendio traditis, -quos evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas -regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de talium statu -diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus suspicio -sit hereticos latitare, omni sollicitudine discutiant veritatem. -Quidquid autem invenerint, fideliter redactum in scriptis, sub amborum -testimonio serenitati nostre significent, ut per eos instructi, ne -processu temporis illic hereticorum germina pullulent, ubi fundare -studemus fidei firmamentum, contra hereticos, et fautores eorum, si -qui fuerint, animadversione debita insurgamus. Quia vero supradicta -vellemus per Italiam et Imperium exequi ut sub felicibus temporibus -nostris exaltetur status fidei christiane, et ut principes alii -super his Cesar em imitentur; rogamus beatitudinem vestram quatenus -ad vos, quem spectat relevare christiane religionis incommodum, ad -tam pium opus et officii vestri debitum exequendum diligentem operam -assumatis, nostrum si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut -de utriusque sententia gladii, quorum de celesti provisione vobis -ac nobis est collata potentia, subsidium non dedignatur alternum, -hereticorum insania feriatur, qui in contemtum divine potentie extra -matrem Ecclesiam de perverso dogmate sibi gloriam arroganter assumunt. -Messine_ XV _jul. indict._ VI. - -[289] Constitutio _Inconsutilem_; Const. _De receptoribus_, lib. I, — -Una lettera d’Onorio III papa alle città lombarde 1226 (RAYNALDI, _ad -an._ Nº 26) dice che «l’imperatore gli recò lamento perchè esse città -l’avessero impedito di procedere come si era proposto contro l’eresia». - -[290] RAYNALDI, _ad_ 1231. — CORIO, part. II. f. 72. - -[291] Per _ussit_: è in piazza de’ Mercanti. Ma Galvano Fiamma, -frate, cronista di retto senso, dice: _In marmore super equum residens -sculptus fuit, quod magnum vituperium fuit._ Il Frisi, nelle _Mem. di -Monza,_ II. 101, reca gli statuti dell’arcivescovo Leon da Perego e -dell’arciprete di Monza contro gli eretici. - -[292] Cap. XXXI _De simonia_; cap. XXIV _De accusationibus_. - -[293] Cap. fin. _De hæreticis_. - -[294] BERGIER, _Dictionnaire théol._, voc. _Inquisition_. Gli -enciclopedisti rimproverano all’Inquisizione spagnuola d’avere abusato -«nell’esercizio d’una giurisdizione, in cui gl’italiani suoi inventori -usarono tanta dolcezza». - -[295] Per dire un caso fra cento, nel 1220 i Trevisani diedero il -guasto alle diocesi di Ceneda e di Feltre e Belluno; e dell’ultima -uccisero anche il vescovo. - -[296] BOLLAND., tom. X, _Vita s. Petri Parens_. - -[297] _Regesta_, num. 123. 124, e pag. 130. lib. X. - -[298] GIACHI, _App. alle Ricerche storiche di Volterra_. - -[299] _Archivio dipl. fiorentino_. - -[300] RICARDI S. GERMANI, _Chron. ad ann_. 1232. - -[301] Ap. MATTIA PARIS _ad_ 1243. - -[302] Firenze serba molte memorie di que’ fatti. Sulla facciata -dell’uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due affreschi -di Taddeo Gaddi figurano san Pietro martire quando a dodici nobili -fiorentini dà lo stendardo bianco colla croce rossa per tutela della -fede. San Pietro fu deposto in altro magnifico arco in Sant’Eustorgio a -Milano coll’epitafio scritto da san Tommaso: - - _Præco, lucerna, pugil Christi, populi fideique._ - _Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique_ - _Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,_ - _Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum etc._ - -[303] _Chron. parmense_ nei Rer. It. Scrip., IX. - -[304] FR. CHRIST. SCHLOSSER,_ Abelardo e Dolcino; vita ed opinioni d’un -entusiasta e d’un filosofo._ Gota 1807. — C. BAGGIOLINI, _Dolcino e i -Patareni_. Novara 1838. — JULIUS KRONE, _Frà Dolcino und die Patarener, -historische Episode aus den piemontesischen Religionskriegen_. Leipzig -1844. - -[305] MARTÈNE e DURAND, _Collect. ampl._, III. 304. - -[306] Furono espresse con questo barbaro distico: - - Gram. _loquitur_: dia. _vera docet_: rhet. _verba colorat_: - Mus. _canit_: ar. _numerat_: geo. _ponderat_: ast. _colit astra_. - -Meno rozzamente le compendiò l’Ostiense, _Summ. lit. de magistris_: - - Grammatica. _Quidquid agunt artes, ego semper prædico partes._ - Dialectica. _Me sine, doctores frustra coluere sorores._ - Rhetorica. _Est mihi dicendi ratio cum flore loquendi._ - Musica. _Invenere locum per me modulamina vocum._ - Geometria. _Rerum mensuras, et rerum signo figuras._ - Arithmetica. _Explico per numerum quid sit proportio rerum._ - Astronomia. _Astra viasque poli vindico mihi soli._ - -[307] _Ab annis puerilibus eruditus est in scholis liberalium artium et -legum secularium, ad suæ morem patriæ_. MILONE CRISPINO, Vita Lanfr., -cap. V. - -[308] _Præfatio ad Monologium._ - -[309] _Veritas intellectus est adæquatio intellectus et rei, secundum -quod intellectus dicit esse quod est, vel non esse quod non est._ Adv. -gent., I. 49. I. - -[310] «Errano molti credendosi nobili perchè di nobile casato; il qual -errore in molti modi può ribattersi. E primieramente, se si consideri -la causa creatrice, Iddio col farsi autore di nostra schiatta, la -nobilita tutta; se la causa seconda è creata, i primi padri da cui -discendiamo sono gli stessi per tutti, tutti ne ricevettero egual -nobiltà e natura. La medesima spica dà il fior di farina e la crusca; -questa gettasi ai porci, quella sale alla mensa dei re; così dal -medesimo tronco potran nascere due uomini, uno vile, nobile l’altro. Se -ciò che viene da un nobile ne ereditasse la nobiltà, gl’insetti del suo -capo e le naturali superfluità in lui generate diverrebbero nobili del -pari. Bello è il non deviare dagli esempj de’ nobili avi, ma più bello -l’avere illustrato un umile nascimento con grandi azioni. Ripeto dunque -con san Girolamo, che in questa nobiltà pretesa ereditaria nulla merita -invidia, se non l’essere i nobili obbligati alla virtù per vergogna di -dirazzare. Nobiltà vera è quella sola dell’anima». - -[311] _Infidelium quidam sunt qui nunquam susceperunt fidem, sicut -Gentiles et Judæi; et tales nullo modo sunt ad fidem compellendi ut -ipsi credant, quia credere voluntatis est; sunt tamen compellendi a -fidelibus, si adsit facultas, ut fidem non impediant vel blasphemiis, -vel malis persuasionibus, vel etiam apertis persecutionibus. Et propter -hoc fideles Christi frequenter contra infideles bellum movent etc._ -Summa, 2a 2æ, quæst. X, art. 8. - -[312] Ogni dono perfetto, secondo lui, viene dal padre dei lumi, e per -quattro vie: l’esteriore che rischiara le arti meccaniche, l’inferiore -che produce le nozioni sensitive, l’interna o cognizione filosofica, -e quella della santa scrittura. La prima si propone di soddisfare i -bisogni corporei, divisa nelle sette arti del tessere, fabbricare armi, -caccia, agricoltura, navigazione, drammatica, medicina. La seconda -illumina le forme esteriori; e lo spirito, luminoso per sua natura, -risiede nei nervi, la cui essenza si moltiplica ne’ cinque sensi. La -cognizione filosofica cerca le cause segrete per via dei principj di -verità, insiti nella natura dell’uomo, le quali si riferiscono o alle -parole o alle cose o ai costumi, onde la filosofia è o razionale o -naturale o morale: la razionale è grammatica, o logica, o retorica; -la naturale comprende fisica, matematica e metafisica; la morale -è personale, economica o politica, secondo che concerne l’uomo, la -famiglia o lo Stato. Le cose eccedenti la ragione sono manifestate -all’uomo dalla luce superna della Grazia e della rivelazione; e come -le cognizioni tutte derivano dalla luce stessa, così sono ordinate alla -scienza delle verità sante, e da esse perfezionate. - -[313] Fu un vezzo della scuola l’attribuire un aggettivo caratteristico -ai varj dottori. Così san Tommaso fu detto _l’angelo della scuola_; -san Bonaventura _il serafico_; Duncano Scoto _il sottile_; Ockam -_il singolare_; Enrico di Gand _il solenne_; Egidio di Roma _il -fondatissimo_; Alano dell’Isola _l’universale_; Ruggero Bacone -_l’ammirabile_; Guglielmo Durand _il risolutissimo_; Middleton _il -solido_, o _l’autentico_; Pier Lombardo _il maestro delle sentenze_, -ecc. - -[314] Questa scuola può dirsi scoperta da Merkel nella _Geschichte des -Langobardenrechts_. Berlino 1850. - -[315] Del 752 si ha una causa del vescovo d’Arezzo contro quello di -Siena; dove spesso è citato il Digesto: _Si hoc vendicare neglexerint, -infamia laborare, ut in Codicis libro IX, tit. de sepulcro violato_, Si -quis sepulcrum lesurus etc.... _Item in VIII libro Codicis legitur_ Si -quis in tanta furoris etc.... _Quod autem hæc quæstio procedere debeat, -IX Codicis liber testatur, titulo ad legem Juliam de vi publica et -privata_, Si quis ad se etc. - -Il Muratori, _Antiq. M. Æ._, XLIV, pubblica una carta del 767 affatto -guasta, in cui al monastero di Santa Maria in Cosmedin a Ravenna -si donano molti beni, promettendo l’evizione, rinunziando per sè e -suoi _legum beneficia, juris et facti ignorantia, foris locisque, -prescriptione alia, senatoconsulto_ (probabilmente il SC. Vellejano, l. -XVI, § 1) _quod de mulieribus prestitit_. - -[316] Alcuno assegna a lui anche le _Autentiche_, cioè gli estratti -delle _Novelle_, deroganti le costituzioni imperiali, che trovansi ne’ -manoscritti del _Codice_, e che furono citate e seguite come leggi; -e pare in effetto che le più siano da attribuire a lui, e fossero poi -cresciute da’ suoi successori, fino ad Accursio che ne chiuse la serie. - -[317] Si narra che alcuni muratori stando a lavorare, gridavano ai -passeggieri di guardarsi. Uno non badò all’avviso, e rimase colpito -da una pietra; di che portò querela. Pillio consigliò i querelati -di non rispondere; talchè i giudici li rimandavano per muti, quando -l’accusatore uscì ad esclamare: — Come muti, se mi hanno gridato di -guardarmi?» Tanto bastò a mandarli assolti. Storiella da scolari, come -se ne suole inventare tante anche al nostro tempo. - -[318] Secondo Cujacio (_De feud._, lib. I), la consuetudine variava -fra le città: a Milano, Cremona, Pavia il vassallo poteva alienare il -feudo senza consenso del signore, mentre era indispensabile a Mantova -e Verona; in Piacenza chi investiva altri d’un feudo trasmissibile al -successore, non poteva toglierlo finchè viveva; a Milano e Cremona sì. -Le consuetudini della Puglia e Sicilia in tal materia si conservavano -in libri chiamati _Defetarj_, che perirono sotto Guglielmo I, ma a -memoria li supplì Matteo Notaro. GIANNONE, XIII. 3. - -[319] Dopo i varj tentativi, anche per ordine ed opera dei pontefici, -il torinese Sebastiano Berardi stampò a Venezia nel 1777 _Gratiani -canones genuini ab apocryphis discreti; corrupti ad emendatiorum -codicum fidem exacti; difficiliores commoda interpretatione -illustrati_. - -[320] Lib. I, pr. D. de quæst.: _Cum capitalia et atrociora -maleficia non aliter explorari possunt quam per servorum quæstiones, -efficacissimas eas esse ad requirendam veritatem existimo, et -habendas censeo._ Papa Nicola I, in una lettera ai Bulgari di recente -convertiti, la riprova, come avrebbe potuto fare il Beccaria nove -secoli appresso: — So che, preso un ladro, con tormenti lo cruciate -finchè palesi: ma nessuna umana o divina legge il concede, dovendo la -confessione venire spontanea, non istrapparsi a forza, ma proferirsi -volontariamente. Se, inflitte quelle pene, nulla non iscoprite di ciò -ond’è imputato, non arrossite? non v’appare l’iniquo vostro giudizio? E -se alcuno, non reggendo ai tormenti, si confessi colpevole senz’essere, -di chi è l’empietà se non di colui che lo forza a confessare -mendacemente? Lasciate dunque, ed esecrate tali usi». - -[321] Nello statuto che Giordano, abbate del monastero di sant’Elena, -dava al castello di Montecalvo nel 1190, erano proibiti i giudizj -di Dio, e assicurata la libertà personale, non dovendo uno essere -catturato se non in forza di giudizio, e potendo esimersene col dare -una garanzia: _Nemo Montiscalvi judicium ferri fervidi et aquæ calidæ, -vel pugnam facere debet. Nemo habitator Montiscalvi capi debet antequam -judicetur: ac si judicatus fuerit, capi non debet si fidejussorem -dare potuerit, præter in gravioribus culpis, de quibus corporaliter -judicatur. Insuper nihil in eodem castro sine judicio capi debet._ -È precisamente la legge inglese dell’_Habeas corpus_. V. TRIA, _Mem. -storiche della città e diocesi di Larino_. - -[322] Capit. II _De probat._ nelle Decretali di Gregorio IX. E per quel -che segue vedi i titoli De indiciis et de libellis oblat.; _De off. -et pot. jud. deleg.; De foro comp._ Vedi pure ROCCO, _Jus canonicum ad -civilem jurisprudentiam perficiendam quid attulerit_. Palermo 1839. - -[323] Se v’è alcuno che nel secolo nostro abbia conservato tutti -i rancori e le prevenzioni del secolo passato contro l’ordinamento -ecclesiastico, è Guglielmo Libri. Pure scrive: _A la chûte de l’empire -romain l’Eglise devint dépositaire de la civilisation de l’Europe, et -préchant l’évangile aux envahisseurs, elle adoucit les mœurs des plus -farouches, et leur enseigna la charité. Par l’influence de la religion, -ils apprirent les éléments des lettres latines, et s’habituèrent -à vénérer en Rome, même après l’avoir asservie, la capitale de la -chrétienté. Les pieux missionnaires qui parcouraient alors l’Occident, -représentaient un ordre social bien moins imparfait que tout ce qui -existait chez les barbares; et leur parole désarmée descendant sur des -hommes qui semblaient destinés à faire de l’Europe un immense tombeau, -les arrêta, les subjugua, leur inspira l’amour du prochain, qui était -pour eux la plus nécessaire des vertus. Ce fut le plus beau temps du -christianisme.... qui fut plus vénérable, plus sublime aux jours de -lutte et d’adversité, que dans ses temps de puissance et de splendeur_ -(Hist. des sciences mathématiques en Italie; vol. IV. p. 2). Di qui -passa a sostenere la nimicizia della Chiesa per qualunque scienza, -eccetto il catechismo; e che ai Musulmani è dovuto il risorgimento del -sapere: _Les Arabes ont semé partout les germes de la civilisation.... -partout la civilisation arabe communique aux esprits une nouvelle -activité... ils ont été les maîtres en tout des chrétiens_; essi fecero -in pochi anni quel che la Chiesa non aveva saputo in molti secoli. - -[324] Gli ultramontani erano Gallia, Portogallo, Provenza, Inghilterra, -Borgogna, Savoja, Guascogna, e Alvernia, Bituria, Turena, Castiglia, -Aragona, Catalogna, Navarra, Alemagna, Ungheria, Polonia, Boemia, -Fiandra. I citramontani Romagna, Abruzzo e Terra di Lavoro, Puglia -e Calabria, la Marca Anconitana inferiore, la superiore, Sicilia, -Firenze, Pisa e Lucca, Siena, Spoleto, Ravenna, Venezia, Genova, -Milano, Lombardi, Tessalonici (?), Celestini (?). Nel 1848, quando -credeasi inventata allor allora l’idea di nazionalità, gli scolari -delle università di Germania si organizzarono secondo le nazioni; -novità anche questa di seicento anni in data. - -Le lezioni versavano sopra le cinque parti del _Corpus juris_, e ancora -ci restano quelle d’Odofredo sulle tre parti del Digesto e sui nove -primi libri del Codice. Uno potea fare molti corsi e perciò bastare a -moltissimi scolari, ogni corso durando un anno, e ogni adunanza un’ora: -poi nel secolo XIV ne fu variata la distribuzione; le tre parti del -Digesto e il Codice s’insegnarono simultaneamente da due dottori, da -un altro il _Volumen_, che conteneva gl’Instituti, le Autentiche, il -diritto feudale, le leggi imperiali, e i tre ultimi libri del Codice. -Più tardi s’introdussero corsi speciali sopra una materia sola; e -principalmente a Bologna ne tenevano i notaj per la loro professione, -col diritto anche di dottorare. - -Ecco il metodo ordinario de’ corsi. Cominciato da un prospetto generale -(_summa_), leggevano il testo sopra cui esercitare la critica; -poi chiarivano le difficoltà, le contraddizioni, i casi speciali -(_casus_); riepilogavano le regole generali (_brocarda_); discutevano -i punti dubbj (_quæstiones_); il qual ordine non toglieva che ciascun -professore restasse libero nel metodo e nell’insegnamento; gli scolari -poi scrivevano sotto dettatura, liberi d’interrompere e far domande, -massime nelle lezioni straordinarie che si davano dopo il pranzo. Dipoi -s’introdussero i Quinternetti o _glossæ_, che da principio eran note, -fatte da ciascuno in margine del proprio testo, e perfezionate via via -col tempo, e che dopo la morte del maestro venivano cerche con avidità, -poichè contenevano il sostanziale della scienza dell’autore; più tardi -s’ingrandirono, e da schiarimenti d’una parola divennero un commento. -Vi tennero dietro le Quistioni, libri intorno all’ordine giudiziale, -trattati sulle azioni, distinzioni, raccolte di controversie, che -a gara si ricopiavano. Nelle scuole era determinato su quali libri -esercitarsi; e generalmente non si spiegavano in ciascun anno che -alcuni testi, con iscapito della profondità e dell’indipendenza. - -L’esame privato costava sessanta lire, ottanta il pubblico; -ventiquattro al dottore che presentava, e due od una a ciascun -dottore assistente, secondo era pubblico o privato; dodici e mezzo -all’arcidiacono per ciascun esame, e tre per ciascun discorso. Più -spendeasi negli apparati, talchè nel 1311 il papa ordinò che in tal -lusso nessuno consumasse di là dalle cinquecento lire. - -Ho preso appunto dello stipendio di qualche professore. Guido da -Suzzara obbligossi d’interpretare il Digesto a Bologna per lire -trecento bolognesi promessegli dagli scolari. Dino da Mugello insegnò -a Pistoja per lire ducento pisane annue; poi a Bologna per dieci -bolognesi, forse aggiunte alla retribuzione degli scolari: Napoli -gli esibì cento oncie d’oro. I frati del Sacco nel 1270 condussero -Lapo fiorentino a leggere fisica e logica nel loro convento, per lire -trenta bolognesi oltre il vitto; nel 1261 i Vicentini Arnoldo a leggere -diritto canonico, per cinquecento lire di stipendio, patto che avesse -almeno venti scolari; Aldovrando degli Ulciporzi bergamasco, a leggere -l’_inforzato_ per lire cenventi, e per cencinquanta Raulo la medicina. -Il Pillio venne ad insegnare diritto civile a Modena per cento marchi -d’argento. Tommaso d’Aquino riceveva da Carlo I un’oncia d’oro al mese; -nel 1399 in Piacenza Baldo toccava lire censessantaquattro mensili per -leggere il Codice, e nel 1397 milleducento annue: Marsilio di Santa -Sofia, lire censettanta, compresa la pigione della casa: gli altri, da -quattro fin a sessantasei lire al mese. Talvolta gli scolari servivano -quasi di paggi ai maestri, tagliando innanzi, versando alla coppa, ecc. -Odofredo, oltre le lezioni all’università, ne dava di straordinarie a -chi pagasse; ma poco cavandone, finì la spiegazione del Digesto così: -— E vi dico che l’anno vegnente intendo insegnare ordinariamente bene e -legalmente, come mai non feci; ma straordinariamente non credo leggere, -perchè gli scolari non sono buoni pagatori, vogliono intendere e non -ispendere, giusta quel dettato _Imparar vuole ognun, nessun pagare._ -Altro non ho a dirvi; ite colla benedizione del Signore». Garzia -spagnuolo fu il primo, cui nel 1280 si assegnasse non uno stipendio -annuo, ma il capitale di lire cencinquanta: poi nel 1289 al professore -di diritto civile si fissarono annue lire cento, e cencinquanta a quel -di canonico. - -[325] E’ la chiama Crisopoli - - _quia grammatica manet alta_ - _Artes et septem studiose sunt ibi lectæ._ - Rer. It. Scrip., V. p. 454. - -[326] Nell’Archivio diplomatico di Firenze si trovano gli istromenti -fatti con Francesco Dataro di Piacenza medico per fiorini cinquecento; -con Giorgio d’Arrighetto Nati d’Asti canonista per fiorini -quattrocento; con Girolamo della Torre di Verona medico, con Pier Leoni -di Spoleto, ecc. - -[327] A Baldo nel 1397 milleducento fiorini; a Giason del Maino nel -1492 duemila ducencinquanta; all’Alciato dal 1536 al 40 scudi mille, -poi dal 1544 al 50 lire settemilacinquecento; a Menochio nel 1589 lire -seimila.... - -[328] _Vita sancti Meinwerci._ Gli stupefacenti e il sonno magnetico -che oggi s’adoprano a tali operazioni, obbligano a riflettere su quei -racconti, anzichè riderne. - -[329] - - _Ova recentia, vina rubentia, pinguia jura,_ - _Cum simila pura naturæ sunt valitura._ - _Cœna brevis, vel cœna levis fit raro molesta,_ - _Magna nocet, medicina docet, res est manifesta._ - _Si fore vis sanus ablue sæpe manus:_ - _Lotio post mensam tibi conferet munera bina,_ - _Mundificat palmas, et lumina reddit acuta._ - _Prima dies maji non carnibus auseris uti._ - _Ruta viris minuit venerem, mulieribus addit_ - _... Cruda comesta_ - _Ruta facit castum, dat lumen et ingerit astum:_ - _Cocta et ruta facit de pulcibus loca tuta._ - -[330] SARTI, _Dei prof. bologn._, tom. I. p. 144. — RENZI, _St. della -Medicina_, tom. II. - -[331] FIORETTI, cap. XXIII. - -[332] SARTI, tom. II. p. 153. — Nelle Assise di Gerusalemme, adottate -nei possessi degl’Italiani in Levante, e che del resto rappresentano -le consuetudini de’ paesi europei, è stabilito che se uno schiavo -s’ammali, e un medico pattuisca col padrone di esso di guarirlo, -e gli dia cose calde e mollificanti mentre dovea darne di fredde e -restringenti, sicchè muoja, il medico sia obbligato dare un servo -simile, o il prezzo che costò fin al giorno della morte: così se gli -cavi sangue non a proposito o troppo; o se, essendo idropico, gli tagli -il ventre (praticavasi dunque la paracentesi), poi non sappia trargli -l’umore, e s’indebolisca e muoja; o se, soffrendo di febbre quotidiana, -lo purghi, e gli dia troppa scamonea, e svuoti il ventre sin a morire. -Se uno schiavo abbia la lebbra o rogna o altra malattia, e il medico -s’accordi di guarirlo a patto che metà del valor di esso sia del -medico, metà del padrone, e faccia quanto sa ma nol guarisca, non è -obbligato a pagarlo, avendo perduto le proprie fatiche. Se così avvenga -a un libero o a una libera, il medico sarà impiccato, dopo mandatolo -per la terra frustandolo _con un urinal in man per spaurir li altri -de simel caso_, e i suoi beni confiscati dal signore del luogo. Nessun -medico venuto di fuori possa esercitare l’arte sua se non riconosciuto -abile dagli altri medici e dal vescovo; altrimenti sia frustato per la -terra. - -[333] SABA MALASPINA, _Hist._, cap. II. - -Federico II, fra gli altri spauracchi alla Corte romana, credette -opporvi pure l’astrologia, e fe circolare tali versi: - - _Fata monent, stellæque docent, aviumque volatus_ - _Quod Federicus ego malleus orbis ero._ - _Roma diu titubans, variis erroribus acta,_ - _Concidet et mundi desinet esse caput._ - -Colla calma della ragione gli fu risposto: - - _Fata silent, stellæeque tacent, nil predicat ales;_ - _Solius est proprium scire futura Dei._ - _Niteris incassum navem submergere Petri;_ - _Fluctuat et nunquam mergitur ista ratis._ - _Quid divina manus possit, sensit Julianus;_ - _Tu succedis ei: te tenet ira Dei._ - JORDANI, _Chron._, cap. 221. - -[334] Negli _Atti dell’Accademia de’ nuovi Lincei_, 1851, trovo notizie -intorno a Gherardo Cremonese, per B. Boncompagni, raccolta paziente di -quanto di lui si ha o si disse, ma nè esame nè giudizio. Importante -è un brano inedito di traduzione d’un trattato d’algebra che, se non -il più antico, è de’ primi ove fosse insegnata agli Europei questa -scienza del raziocinio generale per via della lingua simbolica. Ivi si -trova anche il segno negativo, mentre gli Arabi, e così il Fibonacci, -non conosceano che quantità positive; eppure si tardò trecento anni -a dedurne l’utilissima applicazione, cioè fino a Michele Stifel. La -soluzione delle equazioni di secondo grado vi è espressa con questi -versi: - - _Cum rebus censum si quis dragmis dabis equum_ - _Res quadra medias quadratum adjice dragmas,_ - _Radici quorum medias res excipe demum,_ - _Residuum quæsti census radicem ostendet._ - -Non v’è chi non sappia che dagli algebristi per _cosa_ s’intendeva -l’incognita, per _censo_ il quadrato, per _numero_ il noto; onde coi -simboli moderni si costruirebbe: - -x^2 + px = q - -Donde x = -1/2 p + √(1/4 p^2 + q). - -Seguono gli altri casi: e ognuno vede che con ciò trovasi prevenuto frà -Luca Paciolo. - -Ai dilettanti di tale scienza non isgarberà veder qui un problema e la -sua soluzione. - -_Quæritur quænam sint illæ partes denarii, quarum differentia, juncta -tetragonis earundem, collige 54._ - -_Sit una partium res, altera 10 minus re_ (cioè x, e 10 - x). -_Differentia 10 minus duabus rebus, ex qua 2 partium tetragonis -conjunctis colligantur 100, et 2 census minus 20 rebus, quæ data -sunt æqualia 54_ (cioè x^2 + (10 - x^2) + 10 - 2 x = 54). _Per -restaurationem itaque rerum, 2 census cum 100 equivalent 54 et 22 -rebus_ (cioè 3 x^2 + 110 = 54 + 22 x). _Per ejectionem vero abundantis -numeri 56 et 2 census, 22 rebus adæquantur_ (cioè 2 x^2 + 56 = 22 x). -_Et per conversionem unus census cum 28 æquentur 11 rebus_ (cioè x^2 + -28 = 11 x). _Resolve per quintum modum, et re erit 4._ - - Cioè x = 1/2 × 11 ± √9/4 - - = 5/2 ± 3/2 - - onde i due valori x = ^2 - x = 4. - -L’autore indica solo quest’ultimo. - -Se non isbaglio, ivi è un tentativo di rappresentare le quantità per -lettere, come noi usiamo. Perocchè, dove cerca _qualiter figurentur -census radices et dragmæ_, insegna: _Numero censum litera _c_, -numero radicum litera _r_; deorsum virgulas habentes, subterius -apponantur. Dragmæ vero sine literis virgulas habeant, quotiens hæc -sine diminutione proponuntur. Verbi gratia, duo census, tres radices, -quatuor dragmæ sic figurentur_ - - +———————+ - | 2 3 4 | - | | - | c r d | - +———————+ - - 2 - Qui c equivale al nostro 2 x^2 - - 3 - » r » a 3 x - - 4 - » d » al numero 4 - -Chasles aveva asserito che l’algebra numerica fu introdotta in Europa -dai traduttori del XII secolo. Guglielmo Libri lo impugnò acerbamente. -Ecco chi avesse ragione. (_Questa nota è tolta dall’_Ezelino da Romano, -storia d’un ghibellino esumata da CESARE CANTÙ, Milano 1854). - -[335] GUIDO BONATUS _de Forlivio, decem continens tractatus -astronomiæ_. Venezia 1506. - -Questi anni si litigò sulla patria sua; titolo d’onore, direbbero i -pedanti, senza ricordare che, vivi noi, si è disputato con tutto il -calore ammoniacale delle gazzette, se una cantatrice, viva e nata nel -paese ove se ne disputava, appartenesse a una provincia o alla sua -vicina. Filippo Villani, nella vita del Bonatto, che sta inedita nella -biblioteca Barberini di Roma, dice: _Guido Bonatti iratus, cum esset -florentinus origine, de Foro Livii se maluit appellari... Fuit sane, -quidquid ipse iratus loquatur, de oppido Casciæ oriundus._ Cascia è -terra del Valdarno superiore. - -Non è d’onor poco argomento l’essersi, ai cominciamenti della -tipografia, fatte tre edizioni del _Liber introductorius ad indicia -stellarum_ del Bonatto: la prima ad Augusta il 1491; l’altra a Basilea -il 1550; l’altra a Venezia il 1506, che io ho sott’occhio, col titolo -_Guido Bonattus de Forlivio decem continens tractatus Astronomiæ_. -È in carattere quadro in foglio di 191 carte, con incisionette. In -fronte v’è Urania e l’astronomia coi dodici segni dello zodiaco, e in -mezzo seduto Guido, avvolto in un vestone coll’ermellino arrovesciato -sulle spalle, barbuto, in testa il berretto aguzzo, in mano un globo -ed un quadrante. Il Mazzuchelli dice una copia manoscritta trovarsene -nella biblioteca Ambrosiana, ma in fatto non è che la copia di 169 -considerazioni de’ _Giudizj dell’astronomia_. Francesco Sirigatti (che -nel 1500 fu astrologo della Signoria di Firenze) tradusse in italiano -quest’opera, per conforti di quel valentuomo che fu Gino Capponi, e -sta manoscritta nella Laurenziana. Il 1572 fu stampato in tedesco a -Basilea col titolo di _Auslegung des menschlichen Geburt-Stunden_. -Fu pur messo in francese, e certo anche in altre lingue, chi avesse -voglia di cercarlo. Giacchè ho nominato il Sirigatti, aggiungerò che -nel copia-lettere di monsignor Gore Gheri, conservato nella biblioteca -Capponi, n’è una del 1º marzo 1516 al duca Lorenzo de’ Medici, -siffatta: «El Sirigatto mi è venuto a trovare, et decto ch’io ricordi -alla Ex. V. che non faccia fatto d’arme da V a XII di questo mese. Ma -quando venisse uno bel tracto che con ragione si vedesse da vincere -e’ nemici, io attenderei a quello che io vedessi in terra et non in -cielo». (_Questa nota è tolta anch’essa dall’_Ezelino da Romano). - -[336] SAVONAROLA, _De laud. Patavii_, pag. 1155. - -[337] Vide una statua coll’indice teso, e scrittovi al capo _Qui -percuoti_. I cercatori avevano percosso delle volte assai quel capo; -ma l’accorto monaco fissò dove l’ombra dell’indice cadeva al mezzodì, -e nottetempo, con solo un compagno, sterrò e rinvenne un’ampia -reggia tutta d’oro: i soldati facevano ai dadi, re e regina sedevano -a mensa, da costa un damigello teneva teso l’arco; e tutto ciò -d’oro, e illuminato da un tizzone ardente nel mezzo; e se si voleva -toccare l’arciero, moveansi belle fanciulle in danza. Gerberto, non -ben fidandosi del compagno, tolse soltanto dal desco un coltello di -mirabile lavoro; ed ecco sorgere frementi le danzatrici, l’arciere -saettar il lume, tornando bujo, ed obbligando così a lasciare ogni -cosa intatta, senz’altro raccogliere se non vaticinj che poi furono -avverati. JORDANI, _Chron._, cap. 220 e 222. - -[338] Molte odierne ubbie, che si sogliono attribuire a ignoranza del -medioevo, ci vennero dagli antichi; verbigrazia, che il tintinnire -degli orecchi sia indizio che altri parli di noi; che bevuto l’uovo, -debba schiacciarsi il guscio (OVIDIO, _Fasti_). Sant’Agostino -(_Expositio epistolæ ad Galatas_, c. IV) dice: _Vulgatissimus est error -Gentilium iste, ut vel in agendis rebus, vel in expectandis eventibus -vitæ ac negotiorum suorum, ab astrologis notatos dies et menses et -annos et tempora observent_. Così il mangiar ceci alla Commemorazione -dei morti faceasi dai Romani nelle feste Lemurali in maggio, nel qual -tempo si astenevano dalle nozze (_Fasti_, V); l’augurare al Capodanno; -il dir _Dio t’ajuti_ quand’uno starnuta (PLINIO, lib. II. c. 2. § 11); -l’affiggere sulle porte gufi e barbagianni (_Quid quod istas nocturnas -aves, cum penetraverint larem quempiam; sollicite prehensas, foribus_ -_videmus affigi?_ APULEJO, _Metam._, lib. III). Nei _Cesti_ di Giulio -Africano, vissuto sotto Alessandro Severo, tra tant’altre follie si dà -il _modo di disfarsi dei nemici_: — Preparate dei pani a questo modo. -Prendete sul fin del giorno una rana di campo o rospo e una vipera, -quali vedete designati nel pentagono perfetto al sito della figura -dove si trovano i segni della proslambanomene del tropo lidio, cioè, -un ζητα senza coda o un ταυ sdraiato (è la nota musicale _fa di sis_): -chiudete questi animali insieme in un vaso di terra, turandolo -ermeticamente con argilla, affinchè non ricevano nè aria nè luce. Ciò -fatto, dopo un tempo convenevole spezzate il vaso, e i resti che vi -troverete stemprate in acqua, nella quale impasterete il pane: di più, -ungete le tegghie in cui cocerete esso pane con tale composizione, -pericolosa fino a chi l’adopera. Preparata così questa pastura, -datela ai vostri nemici come potrete». - -Si sa che Caligola spese somme pel segreto di far l’oro; e sotto -Diocleziano v’ebbe una specie di persecuzione contro gli alchimisti. -Forse qualcuno avendo, così fra il tentare, ricotto del borace e del -cremor di tartaro con mercurio sublimato, e fattolo svaporare sopra la -superficie d’un vaso d’argento, trovò questo indorato. Ebbe dunque a -credere d’avere scoperto la pietra filosofale, e andò ritentando quelle -combinazioni, in cui, sotto gli strani nomi d’allora, vediam sempre -ritornare il borace, il tartaro, il mercurio, il sal marino; i quali -si sa che danno all’argento una tinta gialla, ma che se ne va con una -semplice lavatura d’acido nitrico diluito. - -[339] Gl’Indiani adopravano, da quattromila anni fa, pei sette suoni -della loro scala, le lettere _s_, _r_, _g_, _m_, _p_, _d_, _n_; i -Tibetani, le cifre numeriche; i Greci, le lettere del loro alfabeto -dall’Α alla Ω, variando secondo i modi. Anche gl’Italiani ebbero -una notazione alfabetica, composta delle prime quindici lettere, -che Gregorio Magno ridusse alle sette prime per la scala diatonica, -distinguendo le ottave colle lettere majuscole per l’inferiore, e colle -minuscole per la superiore. Da poi si surrogarono i punti, collocandoli -sui righi: ma consisteva qui l’invenzione di Guido? Egli trasse i nomi -delle note dalle sillabe iniziali dell’inno del Battista: - - UT _queant laxis_ RE_sonare fibris_ - MI_ra gestorum_ FA_muli tuorum_ - SOL_ve polluti_ LA_bii reatum_, - _Sancte Joannes_. - -Il _si_ fu aggiunto nel secolo XVI da Van der Putten (_Erycius -Puteanus_). Kircher asserisce di aver veduto nella biblioteca dei -Gesuiti a Messina un ms. greco antico, con varj inni notati al modo che -si dice inventato da Guido. La corda grave ch’egli aggiunse, fu segnata -col gamma greco; e poichè questa lettera si trovava così collocata -in capo alla scala al modo usato allora, la scala ne prese il nome di -_gamma_. Le prime stampe di note musicali si fecero a Milano, e ognun -sa che le diverse espressioni del linguaggio musicale sono italiane. - -[340] I canonisti soggiungevano che, come la terra è sette volte -maggiore della luna, e il sole otto volte maggiore della terra, il -papato era cinquantasei volte più grande dell’imperatore. Laurentius il -fa millesettecentoquattro volte più alto che l’imperatore e i re. Non -conosco gli elementi di questi calcoli. - -[341] _Regesta_, 32. Egli definiva il papa _vicarius Jesus Christi, -successor Petri, Christus Domini, Deus Pharaonis, citra Deum, ultra -hominem, minor Deo, major homine_: Serm. de consecr. pont. - -I diritti degl’imperatori sono distintamente formolati nello _Specchio -di Svevia_. Tacendo molte altre cose, ivi è prefisso che il re eletto -perde il diritto di sua nazione, e deve vivere secondo la legge dei -Franchi: nessuno può scomunicare l’imperatore, fuorchè il papa, e -questo per tre cause: se dubita della fede ortodossa, se ripudia -la moglie, se turba le chiese e le case di Dio. Cristo principe -della pace lasciò in terra due spade per difesa della cristianità, -entrambe affidate a san Pietro, una pel giudizio secolare, una pel -giudizio ecclesiastico: la prima è dal papa prestata all’imperatore -(_Des weltlichen Gerichtes schwert darlihet der Papst dem Kaiser_); -l’altra rimane al papa, per giudicare montato su bianco palafreno, -e l’imperatore dee tenergli la staffa acciocchè la sella non si -scomponga: ciò significa che, se alcuno resiste ostinatamente al -papa, l’imperatore e gli altri principi devono costringerlo colla -proscrizione. Se si trovano eretici, bisogna procedere contro di -essi ai tribunali ecclesiastico e secolare; la pena è il fuoco. Ogni -principe che non punisce gli eretici, sarà scomunicato; e se fra -un anno non venga a resipiscenza, il papa lo priverà dell’uffizio -principesco e di tutte le sue dignità. Si giudicheranno alla pari i -poveri ed i signori. SCHILTER, _Antiq. Teuton._, tom. II. - -[342] _Ita quod ex tunc nec habebimus nec nominabimus nos regem -Siciliæ... ne forte aliquid unionis regnum ad imperium quovis tempore -putaretur habere._ LUNIG, _Cod. dipl. ital._, tom. II. p. 866. - -[343] Guglielmo marchese di Monferrato, dolente che Teodoro Làscari -avesse tolto a Demetrio suo fratello il regno di Tessalonica, allestì -una spedizione, e non avendo denari, ne chiese a Federico II, dandogli -in pegno la più parte delle terre e de’ vassalli suoi in Monferrato. -Passato il mare, ricuperò Tessalonica, ma poi morì avvelenato; -l’esercito andò scomposto, e non si sa come i beni del Monferrato -fossero poi redenti. L’istromento è addotto da Benvenuto di San -Giorgio, _Cr. del Monferrato_ sotto il 24 marzo 1224. - -[344] Lib. I. tit. 30, rubr. _Quod nullus prælatus, comes, baro -officium justitiæ gerat._ - -[345] GREGORIO, _Consider. sopra la storia della Sicilia_, vol. III. -— Huillard Bréholles pubblica i registri di Federico II; ma finora non -uscirono che quelli concernenti la prima metà della sua vita, cioè la -meno rilevante. Fra i documenti inediti v’ha molte lettere di Gregorio -IX alla Lega Lombarda; altre relative alla crociata, cui pure appella -un itinerario di Federico, e una relazione tolta dalla biblioteca -imperiale di Parigi; inoltre una cronaca sicula da Roberto Guiscardo al -1250, tratta dall’archivio vaticano. - -[346] Le città del dominio reale, convocate direttamente dalla corona, -erano: in Sicilia, Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Augusta, -Lentini, Calata Gironi, Platia, Castrogiovanni, Trapani, Nicosia; in -terraferma, Gaeta, Napoli, Aversa, Montefuscolo, Avellino, Eboli, -Ariano, Policastro, Amalfi, Sorrento, Salerno, Termoli, Troja, -Civitella, Siponto, Monte Sant’Angelo, Potenza, Melfi, Molfetta, -Vigiliano, Giovenazzo, Bitonto, Monopoli, Bari, Trani, Barletta, -Gravina, Matera, Taranto, Brindisi, Otranto, Cosenza, Cotrone, -Nicastro, Reggio. La prima intervenzione di buoni uomini fu nel 1241. -Solo nel 1265 trovansi chiamati i borghesi al parlamento d’Inghilterra. - -[347] _Qua pœna universitates teneantur, quæ creant potestates et alios -officiales_. Tit. 47. - -[348] BIANCHINI, _St. delle finanze nel regno di Napoli_. Il _Regestum -Friderici II_, ann. 1239 e 40, edito dal Carcani nel 1786, contiene -mille e otto lettere di Federico, desunte dall’archivio di Napoli, -e che concernono principalmente le finanze, dove l’imperatore mostra -molta intelligenza, sebbene costretto dalle continue guerre a smungere -il paese ch’e’ volea rifiorire. - -Non è superfluo l’esaminare con quali fornimenti Federico e i suoi -nemici nutricavano la guerra in tempo che scarsissimo era il contante: - -Federico guastò il bel sistema d’imposte della Sicilia con espedienti -rovinosi, che appajono dalle sue lettere: ordinò una colletta -generale; pose ingenti contribuzioni sui beni degli ecclesiastici, -e fece amministrare da economi regj i vacanti; chiedeva ogni tratto -tutto il denaro che fosse entrato nelle casse regie, lasciando così a -scoperto le spese cui era destinato, e persino il vestire e nutrire -Rinaldo d’Este e re Enrico suoi prigionieri od ostaggi. Una volta -il giustiziere di Terra di Bari avendogli recate sole once d’oro -cinquecento (lire 31,500), Federico volea farlo precipitare dalle mura, -poi s’accontentò di destituirlo, surrogandogli il saracino Raasch; e ai -sopportanti ordinò fra quindici giorni soddisfacessero, pena la galera -(MATTEO SPINELLI DI GIOVENAZZO, _Diurnali_, § 44). Limitò gl’interessi -al dieci per cento, eppure tolse a prestanza fin al tre cadun mese; -poi alla scadenza, mancandogli fondi, pagava il quattro e il cinque -d’aggiunta. Avendo preso per tre mesi da diversi mercanti settemila -ottocensessantatre once al tre e fin al cinque per cento il mese, -alla scadenza capitalizzò l’interesse, crescendo così a undicimila -seicentotre once. Queste somme erano contate in moneta di Venezia, -sulle quali i mercanti guadagnavano ancora pel giro del cambio. -All’assedio di Faenza non solo fuse tutto il suo vasellame e impegnò le -gioje, ma battè una moneta di cuojo, avente da una parte un chiodetto -d’argento, dall’altra l’effigie dell’imperatore, e dovea valere un -agostaro d’oro, colla promessa di cambiarla in moneta buona, come fece. -Le truppe, per regola, non avevano soldo, onde variavasi a norma delle -circostanze: Federico dava ai pedoni da tre a cinque tarì e il vivere; -a un cavaliere tre once d’oro al mese, coll’obbligo di provvedersi uno -scudiere, un valletto, cavalli ed armi. L’oncia d’oro, pesante gramme -21.10, divideasi in trenta tarì: e quella valea lire 63.30, questi lire -2.11: onde il medio di un pedone era lire 8.44, d’un cavaliere 190; e -il valore sta al quintuplo dell’odierno. - -Le rendite del papa consistevano nelle regalie, e in un tanto per fuoco -che pagavasi dai Comuni di dominio diretto, ch’era di nove denari -ogni fumante, eccettuati ecclesiastici, militi, giudici, avvocati, -notaj, e chi non avesse alcuna proprietà aggravezzata. I comuni però -solean ridurla a un tanto fisso, che era per Fano, Pesaro, Camerino di -cinquanta libbre d’argento ciascuna, cioè lire cinquemila; di quaranta -per Jesi. L’imperatore poi occupava la maggior parte del territorio, -sicchè ben poco da questo poteasi ricavare. Suppliva la decima del -cinque, del dieci, fin dei venti per cento sulle rendite ecclesiastiche -di tutto l’orbe cattolico, oltre le collette che si esigevano a -titolo di crociata. Quando Gregorio IX noleggiò le navi di Genova per -trasportare i cardinali al concilio di Roma, tolse a prestito mille -marchi, ipotecati sui beni del clero, e pagò ducento libbre genovesi -per un mese d’interesse. Il totale armamento costò cinquemila marchi, -cioè lire ducencinquantamila, che alcuni mercanti si obbligarono di far -pagare a Genova, a trenta giorni, mediante lo sconto di cinquantasette -marchi (_Regesta_, lib. XIV, nº 3, 4). Esso Gregorio lasciò un debito -di quarantamila marchi, pel quale i mercanti molestarono assai il suo -successore. - -I Milanesi emisero una carta monetata, con cui poteasi pagare le pene -pecuniarie; nessun creditore era obbligato riceverla in pagamento, -ma il debitore non andava soggetto a sequestro se avesse in cedole di -banco tanto di che soddisfarlo. Per ritirarla poi di corso, si formò -il catasto delle rendite, sulle quali si stabilì una tassa che in otto -anni rimborsò quel debito. - -[349] _Ep. Petri de Vineis_, lib. III. Preside all’università era il -celebre giureconsulto Pietro d’Isernia con dodici oncie d’oro all’anno. - -[350] In testa al ponte v’avea un castello con due torri; era ornato di -marmi, bassorilievi, statue, fra cui quelle dell’imperatore, di Pier -delle Vigne, di Taddeo di Suessa. Il monumento costò ventimila once -d’oro. - -[351] SIGONIO, _De regno ital._, I. pag. 80: _Nec enim ob aliud -credimus quod providentia Salvatoris sic magnifice, imo mirifice -dirigit gressus nostros, dum ab orientali zona regnum hierosolimitanum, -Conradi clarissimi nati nostri materna successio, ac deinde regnum -Siciliæ, præclara materna nostræ successionis hereditas, et præpotens -Germaniæ principatus sic nutu cælestis arbitrii, pacatis undique -populis, sub devotione nostri nominis perseverat, nisi ut illud Italiæ -medium, quod nostris undique viribus circumdatur, ad nostræ serenitatis -obsequia redeat et imperii unitatem_. - -Il volere che la Sicilia non appartenesse a un principe il quale -dominasse altrove, è imputato ai papi come un sentimento antitaliano, -figlio della barbarie del medioevo e della stupida ambizione pretina. -Ma nell’anno del riscatto dell’italianità, nel 1848, i Siciliani, -insorti come tutto il resto della penisola, davansi una costituzione, -il cui § 2 diceva: — Il re de’ Siciliani non potrà regnare o governare -su verun altro paese. Ciò avvenendo, sarà decaduto _ipso facto_». - -[352] RICARDO DA SAN GERMANO, pag. 1039. — GODI, _Chron_., pag. 82. - -[353] È curioso una specie di atto verbale, per cui nel 1216, dovendo -passar d’Italia in Germania re Enrico figlio di Federico II, il -podestà di Modena con gran comitiva gli andò incontro per riceverlo, -e con sicurezza e libertà condurlo traverso al dominio modenese; cioè -all’ospedale di San Pellegrino gli fu consegnato dall’arcivescovo -di Palermo, che promise condurlo e custodirlo per le Alpi e sin al -ponte di Guiligua in mezzo all’alveo del fiume, dove lo consegnò agli -ambasciatori di Parma e Reggio. _Antiq. M. Æ._, IV. 224. - -[354] Quelle trattative sono esposte dagli autori arabi, raccolti nel -IV. vol. della _Bibliothèque des Croisades_ di Michaud, pag. 427; -e a pag. 249 le corrispondenze loro e i sentimenti degli scrittori -musulmani in proposito. - -[355] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 881. - -[356] CAFFARO, _Ann. Gen._, lib. IV. Al 1217 dice che _ob multas -discordias quæ vertebantur inter civitates Lombardiæ, quum multæ -religiosæ personæ se intromitterent de pace et concordia componenda, -tandem, auxilio Dei, inter Papiam, Mediolanum, Placentiam, Tordonam et -Alexandriam pax firma fuit et firmata mense junii_. - -[357] _Acta SS_., 20 _martii_. - -[358] È bellissimo il discorso di papa Gregorio X ai Fiorentini -perchè accogliessero gli scacciati Ghibellini: _Gibellinus est, -at christianus, at civis, at proximus. Ergo hæc tot et tam valida -conjunctionis nomina Gibellino succumbent? et id unum atque inane -nomen, quod quid significet nemo intelligit, plus valebit ad odium, -quam ista omnia tam clara et tam solide expressa ad charitatem? Sed -quoniam hæc vestra partium studia pro romanis pontificibus contra -eorum inimicos suscepisse asseveratis, ego romanus pontifex hos vestros -cives, etsi hactenus offenderint, redeuntes tamen ad gremium recepi, ac -remissis injuriis pro filiis habeo._ - -La lapide posta a quella chiesa diceva: - - _Gregorio X papa sancti sub honore_ - _Gregorii primi pro Christi fundor amore._ - _Hic ghibelline cum guelfis pace patrata_ - _Cessavere mine sub qua sum luce creata...._ - _Gregorio bella decima fuit ista cappella_ - _Pacis fundata Mozzis edificata._ - -[359] Gli atti trovansi nelle _Delizie degli eruditi toscani_, vol. IV. -pag. 96. - -[360] AFFÒ, _St. di Parma_, vol. III. pag. 274-293. - -[361] Vero è che questi ultimi fatti ci sono raccontati solo da -Ghibellini. Vedi il nostro _Ezelino_. - -[362] Lettera del 28 luglio 1233, ap. RAYNALDI, nº 41. 42. - -[363] _Promiserunt ei dare coronam ferream, quam patri suo dare numquam -voluerunt_. GALVANO FIAMMA, cap. 264. - -[364] _Divinæ legis immemor et affectionis humanæ contemptor_. Regesta -Gregorii IX, lib. VIII, nº 461-62 ... Lo fece anche scomunicare dal -vescovo di Salisburgo, lib. IX, nº 172. Vedasi se n’era istigatore! - -Tra le favolette, che a scorno una dell’altra inventavano le -popolazioni, fu questa: che i Cremonesi levarono a battesimo Corrado -figlio di Federico II, e profusero regali, e fecero fare una quantità -di mannaje per uccidere tutti i nemici di esso, talchè ben trentamila -se ne videro in una sola rassegna. In compenso domandarono una grazia -grande, che concedesse alla loro città di crescere in infinito e -più che Roma, che si facesse due volte l’anno il ricolto, e due -fruttificassero gli alberi, e ogni cosa vi fosse doppia, e grossi i -denari così, che cascando per terra facessero _tun tun_. E l’imperatore -ne fe decreto, e che anche avessero l’anno di dodici mesi, ecc. _Monum. -Hist. patriæ_, Scrip., III. 1577. - -[365] _Imperator imperatricem quamplurimis mauris spadonibus et vetulis -larvis consimilibus custodiendam mancipavit_. MATTIA PARIS, Hist. -Angl., pag. 402. - -[366] - - _Urbs decus orbis, ave. Victus tibi destinor, ave._ - _Currus ab Augusto Friderico Cæsare justo._ - _Fle Mediolanum, jam sentis spernere vanum_ - _Imperii vires proprias tibi tollere vires._ - _Ergo triumphorum potes urbs memor esse priorum_ - _Quos tibi mittebant reges qui bella gerebant._ - -È dato da Ricobaldo, e m’ha odore di quel tempo più che l’epigramma che -oggi può leggere ciascuno in Campidoglio. - -[367] _Vita Gregorii IX_, tom. III. pag. 583. - -[368] VILLANI. — _Nuntios soldani ad convivium vocat, et eis, multis -episcopis assidentibus, festivas epulas parat_. GODEFRIDI monaci -Annales, p. 398. — _In pluribus terris Apuliæ suarum meretricularum -loca construxit.... et non contentus juvenculis, mulieribus et puellis, -tamquam scelestus infami vitio laborabat; nam ipsum peccatum quasi -Sodoma aperte prædicabat, nec penitus occultabat_. NIC. DE CURBIO, Vita -Innocentii IV, § 29. - -[369] _Heu me! quandiu durabit truffa ista?_ ALBERICI Chron. _Fatui -sunt qui credunt nasci ex virgine Deum_. Ep. Gregorii, _ap_. MATTIA -PARIS, pag. 494. - -[370] _Iste rex pestilentiæ a tribus baratatoribus, ut ejus verbis -utamur, Christo Jesu, et Moise, et Mahometo, totum mundum dixit -fuisse deceptum_. M. PARIS, ad ann. 1238. L’epistola accennata di -Pier delle Vigne è nel lib. I. cap. 31. — Generale è, negli scritti -d’allora e di poco poi, l’opinione della sua miscredenza, e correva -pure fra’ Musulmani. Jafei dice: «L’emir Fakr-eddin entrò ben innanzi -nella confidenza dell’imperatore, spesso disputavano di filosofia, e -pareano in molti punti d’accordo....». Ai Cristiani veniva scandalo -di tale amicizia. Esso diceva all’emir: «Io non avrei tanto insistito -sulla consegna di Gerusalemme, se non avessi temuto perdere ogni -credito in Occidente; mi premeva di conservare Gerusalemme o altra -cosa siffatta, ma la stima dei Franchi.... L’imperatore era rosso e -calvo, di vista debole; se fosse stato uno schiavo, non se ne sarebbero -pagate ducento dramme. Dai suoi parlari appariva che non credeva alla -religione cristiana; non ne parlava che per voltarla in baja. Un muezin -recitò innanzi a lui un versetto del Corano che nega la divinità di -Cristo, e il sultano volea punirlo; ma Federico si oppose». _Bibl. -des Croisades_, vol. IV. p. 417. Vedi REYNAUD, _Extrait des historiens -arabes relatifs aux Croisades_, pag. 431. - -[371] _Ecclesiasticæ censuræ vigorem debilitat et conculcat_. Regesta -Urbani III, nº 95. Nella biblioteca di Vienna è una lettera di Federico -a Vatace imperatore d’Oriente suo genero, ove scrive: _O felix Asia, -o felices Orientalium potestates, quæ subditorum arma non metuunt, et -adinventiones pontificum non verentur_. Cod. philol., nº 305, p. 128. - -[372] Il fatto anzi vale a mostrare come questo diritto fosse -riconosciuto universalmente. Quando il papa nel 1239 offerse al conte -Roberto di Francia la corona dello scomunicato Federico, i baroni -francesi protestarono contro quest’atto, finchè non si fosse ben certi -che l’imperatore avea peccato contro la fede: _Missuros ad imperatorem, -qui quomodo de fide catholica sentiat diligenter inquirant: tum ipsum, -si male de Deo senserit, usque ad internecionem persecuturos._ M. -PARIS. Al concilio poi di Lione assistevano gli ambasciadori di tutte -le potenze, e nessuno contestò la competenza di quel tribunale, solo -limitandosi a mitigare il papa ed a scolpar l’imperatore. - -[373] Da Lione, aprile 1246. _Ap._ RAINALDI. - -[374] Ep. 37. lib. I. Pare che Federico cercasse guadagnare l’opinione -col far tradurre in italiano le lettere che dirigeva ai papi e ai re, -simili agli odierni manifesti; nè altra origine saprei dare a quelle -volgarizzate che si pubblicarono dal Lami nelle _Delizie degli eruditi -toscani_, e ultimamente dal Corazzini, Firenze 1853. Ivi n’è pure una -di Gregorio papa, che riepiloga gli aggravj contro Federico; e basta -leggerla per vedere quanto sovrasti per vigore e concisione alle sempre -retoriche di Pier delle Vigne. - -[375] _Ap._ BOLLAND, _Vitæ Patrum prædic._, p. 54: GIULINI, _Memorie di -Milano_, VII. 534. - -[376] La poesia popolare insultò alla sconfitta di Federico: - - _Fridericus dentibus fremdit et tabescit,_ - _In vindictam sublimans minas non compescit,_ - _Antiquum proverbium sapientis nescit:_ - _In vindictam sepius dedecus accrescit....._ - _Ipsum hostem_ Brixia, _que prior fugasti,_ - _Gaude quia gaudium tuum duplicasti,_ - _Dum in_ Parme _gloria gaudens exultasti,_ - _Cui talis per spacium patet orbis vasti._ - Mediolanensi _sit applausus multus,_ - _Ejus ope quoniam Parmensis suffultus,_ - _In hostem Ecclesie hac in suum ultus,_ - _Potius a se repulit hostiles insultus._ - _Gratuletur_ Janua, _quia, res est certa,_ - _Quia hostis fracta sunt cornua et serta,_ - _Fiat Janua per me Parme laus aperta,_ - _Nam in Parma manus est Domini reperta._ - _Gratuletur civitas placens_ Placentina - _In Parme victoria et hostis ruina,_ - _Parma manu quoniam adjuta divina,_ - _Hostem fugans hostium fecit morticina._ - _Bonorum_ Bononia _bona nacione_ - _Letetur letantium leta concione_, - _Nam quod secum Dominus in dilectione_ - _Parma victrix premium meretur corone._ - _Honorem Ecclesie que manu tuetur,_ - _Gloria civitas_ Mantua _letetur,_ - _Nam Parma, que Mantuam amat et veretur,_ - _Triumphat ne amplius hostis coronetur._ - _Exultet_ Venetia, _civitas electa,_ - _Quia Parma spoliis hostis est refecta,_ - _Inimice copia gentis interfecta,_ - _Reliqua carceribus aut fuge subjecta._ - _Psallet cordis organo et in oris sono_ - Anchona, _quam merito laudans post pono,_ - _Restituta_ Marchia _nobis ejus dono_ - _Anchona proposito quia fuit bono....._ - _Ve ve Christi Babilon! civitas_ Papie, - _Ad ruinam quoniam tibi patent vie,_ - _Ab illa, qua victus est Fridericus, die,_ - _Per Parmam auxilio Virginis Marie._ - _O_ Pisani _perfidi, socj Pilati,_ - _Vos fecistis iterum crucifixum pati;_ - _Sed surrexit Dominus nostre libertati,_ - _Jam sue apparuit Parme civitati._ - _Dum opem et operam hosti prebuistis,_ - _Ut prelatos caperet, vos eos cepistis,_ - _Quibus nec discipulis suis peperistis;_ - _Quia fui minimus de captivi istis..._ - -Vedi _Regesta Innocentii IV, herausgegeben von_ D. C. HÖFLER. Stuttgard -1847. È singolare che la fama di Federico sia ora commendata tanto da -letterati, mentre in un tempo di letteratura sì scarsa come il suo, -egli si trova maledetto in tanti versi. Ursone notaro di Genova, autore -di un _Liber fabularum moralium_, scrisse un poemetto _Della vittoria -che i Genovesi riportarono contro le genti mandate dall’imperatore per -sottomettere Genova_. Fu stampato nel vol. II delle Carte nei _Monum. -Hist. patriæ_; e sebbene corrottissimo il testo, vi si scorge verso -non infelice, e conoscenza di Omero, di Claudiano, specialmente di -Virgilio. Minutissimamente descrive que’ fatti, e così inveisce contro -i Pisani: - - _Gens pisana tamen, majori turbine nutans,_ - _Partim tecta petit, tenuit pars altera pontum._ - _Impia gens, scelerata cohors, conjunctio nequam,_ - _Perfidiæ populus, duri cœtus Pharaonis,_ - _Grex bonitate carens, infidus, perfida massa,_ - _Præsumens violare crucis fideique vigorem,_ - _Contemptor Domini, sacrorum nescius, exsul_ - _Justitiæ, veri calcator, schismatis auctor,_ - _A facie Domini nullo feriente fugatur,_ - _Et crucis athletas bello tollerare nequivit._ - _Hanc immensa Dei virtutem dextera fecit,_ - _Quodque terens tumidum, confringens quodque superbum._ - _Discat quisque malus, cognoscat criminis actor_ - _Quod malefacta nocent, quod dant peccata pudorem,_ - _Quod peccando miser dominum peccator acerbat,_ - _Quod perclementem sibi durum vertit in hostem,_ - _Quod sceleris primo se damnat conscius ipse._ - -[377] Epitafio di re Enzo in San Domenico a Bologna: - - _Tempora currebant Christi nativa potentis_ - _Tunc duo cum decie septem cum mille ducentis,_ - _Dum pia Cæsarei proles cineratur in arca_ - _Ista Federici, maluit quem sternere Parca._ - _Rex erat, et comptos pressit diademate crines_ - _Hentius, inque poli meruit mens tendere fines._ - -Sembra posteriore quest’altro: - - _Felsina Sardiniæ regem sibi vincla minantem_ - _Victrix captivum, consule ovante, trahit._ - _Nec patris imperio cedit, nec capitur auro;_ - _Sic cane non magno sæpe tenetur aper._ - -Una biografia di Enzo fu stesa da Ernesto Munch con molti documenti. -Luisburg 1828. - -[378] - - Io son colui che tenni ambo le chiavi - Del cuor di Federico, e che le volsi - Serrando e disserrando sì soavi, - Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi; - Fede portai al glorioso uffizio, - Tanto ch’i’ ne perdei le vene e i polsi. - . . . . . . . . . . . . . . . . . - Vi giuro che giammai non ruppi fede - Al mio signor, che fu d’onor sì degno. - _Inf._, XIII. - -Le cronache raccontano che Pier delle Vigne avea bella donna, ed era -geloso dell’imperatore, che però mai non v’ebbe a fare. Ma una mattina, -andato a casa di Pietro, questi era già uscito, e la sua donna dormiva -colle braccia scoperte. L’imperatore la coprì, e andò via; ma o a posta -o in fallo vi lasciò un guanto. Pietro tornato e vistolo, se ne coceva -ma dissimulava; finchè una volta, trovandosi solo coll’imperatore e -colla moglie, volle rinfacciare il fallo con questi versi: - - _Una vigna ho piantà; per travers è intrà_ - _Chi la vigna m’ha guastà; han fet gran peccà._ - -La donna rispose sulla stessa intonazione: - - _Vigna son, vigna sarai;_ - _La mia vigna non fallì mai._ - -Onde Pietro consolato ripigliò: - - _Se così è come è narrà,_ - _Più amo la vigna che fi mai._ - -Vedi JACOPO D’ACQUI, _Imago mundi_, pag. 1577. - -[379] INNOCENTII IV _Ep_., lib. VIII. 1. - -[380] _Habituri perpetuam tranquillitatem et pacem, ac illam tutissimam -et delectabilem libertatem, qua cæteri speciales Ecclesiæ filii -feliciter et firmiter sunt muniti_. - -[381] «Dava uno colpo allo cerchio, e n’autro allo tompagno». MATTEO -SPINELLI DI GIOVENAZZO, _Diurnali_, § 3. - -[382] _Regesta Innocentii IV_, lib. 12, N. 284, 337. Vedi pure NICOLA -DE JAMSILLA, pag. 500, 536; SABA MALASPINA, _Hist._, lib. II. cap. 22 -nei _Rer. It. Scrip._, VIII. - -[383] MATTIA PARIS, pag. 868. - -[384] Dato da Wasserburg il 20 aprile 1255. Trovasi nell’archivio de’ -Frari, allegato da Manfredi in un trattato coi Veneziani. - -[385] «Spesso la notte usciva per Barletta cantando strambotti e -canzoni, ed ivi pigliando il fresco, e con esso ivano due musici -siciliani che erano grandi romanzatori». SPINELLI. - -Contemporanei sono pure l’Anonimo di Taranto, Ricordano Malaspini, -Inveges, e di poco posteriori Dante e Giovan Villani, che raccontano o -accennano questi fatti. - -[386] «Lo papa e la gente de lo Reame non averieno comportato di fare -chiù signoriare la natione tudisca». SPINELLI. - -[387] «Subito fece conoscere ch’era d’autro stomaco che papa -Alessandro». SPINELLI. - -[388] MALASPINA, lib. II. cap. 6. - -[389] «Si dice che a chisto maritaggio lo re ne avanza chiù della -mitate». SPINELLI. - -[390] PIPINI _Chron._, lib. III. cap. 7. - -[391] Ap. RYMER, _Acta publica_, 1816, tom. I. pag. 352. - -[392] GIOFFREDO, _St. delle Alpi marittime_. - -[393] _Regesta Clementis IV_, lib. I, nº 548. - -[394] _In recognitionem veri dominii eorumdem regni et terræ._ Il -giuramento che diede diceva: _Papæ, ejus successoribus, ac romanæ -ecclesiæ ligium homagium facimus pro regno Siciliæ, ac tota terra -quæ est citra Pharum, usque ad confinia terrarum, excepta civitate -Beneventana cum toto territorio et omnibus districtibus et pertinentiis -suis, nobis et heredibus nostris a prædicta Ecclesia romana concessis -etc._ Le ottomila once erano _ad generale pondus_, il che indicava che -se ne riteneva il dieci per cento, cioè riducevansi a settemiladucento: -valutandole lire 63.30, il censo sarebbe stato di lire 453,760, che -oggi s’avvicinerebbero a due milioni. Nel 1276 Carlo trovandosi a -Roma, e sollecitato a pagare questa somma, nè avendola, scrisse a’ suoi -tesorieri impegnassero la sua corona grande e le gioje per ottenerla in -prestito. GIANNONE, lib. XIX. cap. 2. - -[395] «Con tutto questo stettemo con gran paura». SPINELLI. - -[396] _Misit in Siciliam et Lombardiam ut inde arcesseret duos -astrologos: is enim incredibile est quantam fidem haberet astrorum -posituris._ MALASPINA. - -[397] _Reddite vos attentos, ut potius equos quam homines offendatis._ -Lo stesso. - -[398] _Potius hodie volo mori rex, quam vivere exul et miser_. -RICOBALDO FERRARESE. — Ch’ei fosse portato attorno da un ribaldo -s’un asino, è smentito dalla lettera di Carlo che dice: _Contigit -quod die dominica corpus inventum est nudum penitus inter cadavera -peremptorum... Ego, naturali pietate inductus, corpus ipsum cum quadam -honorificentia sepulturæ, non tamen ecclesiasticæ, tradi feci._ Ap. -TUTINI. Manfredi erasi già preparata la sepoltura nel famoso santuario -di Monte Vergine, ove tuttora, nella cappella a destra dell’altare -maggiore, è il sarcofago antico destinatogli e un gran crocifisso da -lui regalato. - -Un ossesso in Puglia, interrogato se Manfredi fosse in luogo di -salvazione, rispose: — Cinque parole lo salvarono, le quali ti dirà -il conte Enrico». Ed erano _Deus propitius esto mihi peccatori_, che -proferì morendo. _Chronicum imaginis mundi_, 1595. - -Dante incontra Manfredi nel Purgatorio, supponendo siasi pentito in -morte, ma deve restare in aspettazione tanto tempo quanto stette in -contumacia della santa Chiesa: - - Biondo era e bello e di gentile aspetto, - Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. - .... Io son Manfredi - Nipote di Costanza imperatrice.... - Poscia ch’io ebbi rotta la persona - Da due punte mortali, io mi rendei - Pentito a quei che volentier perdona. - Orribil furon li peccati miei, - Ma la bontà divina ha sì gran braccia, - Che prende ciò che si rivolve a lei... - Per lor maledizion sì non si perde - Che non possa tornar l’eterno amore - Mentre che la speranza ha fior di verde.... - ... L’ossa del corpo mio - Or le bagna la pioggia e move ’l vento - Di fuor del Regno quasi lungo ’l Verde - Onde le trasmutò a lume spento. - -Vedasi DAVANZATI, _Della seconda moglie di Manfredi_. Tra i più fedeli -a costui era stato Matteo da Termini, leggista reputato, e da quello -fatto consigliere e giudice della grancorte. Rotto il signor suo, nel -cui esercito combattè, fuggì in Sicilia, e caduto in grave infermità, -fece voto, se guariva, consacrarsi a Dio. Di fatto entrò agostiniano, -col nome di Agostino Novello celando la primitiva grandezza fra studj -e penitenze. Si ricoverò agli eremi di Siena, ma quivi il generale -dell’Ordine lo volle compagno, poi in Roma fu ordinato sacerdote, e da -Nicola IV scelto confessore e sacrista. Assunto generale dell’Ordine, -dopo due anni riuscì a liberarsene e tornare alla devota solitudine. -Bonifazio VIII il voleva alla sua corte, ma egli ritirato nell’eremo -di San Leonardo presso Siena, venne in grand’odore di santità, e quando -morì nel 1309, fu ascritto fra i beati. Vedi CAPECELATRO. - -[399] «A vita mia non vidi la chiù bella vista». SPINELLI. - -[400] _Cruorem eliciunt et medullas_. MALASPINA. - -[401] Ap. MARTÈNE, _Thes. Anecd._, tom. II. pag. 524. - -[402] _Quietem quæsivit, et ob hoc a vulgo ignominiam multam suscepit; -nam de eo carmina prava decantaverunt._ Joh. Vittodur. ap. ECCARD, -_Corpus Hist._, I. 5. - -[403] Così un suo manifesto nella biblioteca dell’Accademia di Torino, -D. N. 38 f. 70. Pel resto vedi LUNIG, _Codex it. dipl._, II. 41. -_Protestatio Conradini_; e altri documenti dell’11 gennajo 1267, e 7 -luglio 1268. - -[404] Cont. del Baronio, al 1268. - -[405] Ne fu testimonio il Malaspina, che particolareggia appienissimo -questi fatti, tutto compassione per i soccombenti: egli pretende che -i signori napoletani congiurassero con Enrico per farlo re di Sicilia -dopo vinto Carlo col nome di Corradino, il quale co’ suoi fedeli -sarebbe stato tolto di mezzo. Anche lo Spinelli scrisse in dialetto -pugliese il suo diario fino alla giornata di Tagliacozzo, ove forse -morì. Voglionsi aggiungere il _Chronicon Cavense_, pubblicato dal -PERTZ; la _Cronaca inedita_ del SALIMBENE; e varj documenti nuovi, -prodotti da SAINT-PRIEST nella _Histoire de Charles d’Anjou_, da -RAUMER, _Gesch. der Hohenstaufen_, da HUILLARD BRÉHOLLES, _Recherches -sur les monuments de la maison de Souabe_ e _Nouvelles Recherches sur -la mort de Conradin_, da JAGER, _Conradins Geschichte_, da DI CESARE, -_La colonna di Corradino_, ecc. - -* Il sig. MINIERI RICCIO (_Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò -dal_ 6 _agosto_ 1252 _al_ 30 _dicembre_ 1270, _tratti dall’Archivio -angioino di Napoli_, 1874) chiarì quei tempi, e come per Corradino -parteggiassero nel regno i Ghibellini e i Saraceni, e massime Reggio, -che fu sottomessa a forza. - -[406] _Illa strage quæ in campo Beneventano facta fuit, hujus respectu -valde modica fuit_, scriveva Carlo al papa, _ap_. MARTÈNE, N. 690. - -[407] _Sunt qui dicunt per pontificem et cardinales, ut Conradus et -cæteri in eorum potestatem et carcerem venirent, fuisse decretum. Quod -ne accideret, Carolus sategit._ RICOBALDO FERR. e PIPINO nei _Rer. It. -Scrip._, VIII. 137. IX. 684. - -Dicono che il papa, interrogato dal re che dovesse farne del -prigioniero, rispondesse: — La vita di Corradino è morte di Carlo; -la vita di Carlo è morte di Corradino». Se il Giannone, nella sua -servilità ai re, che poi doveano ripagarlo di tal moneta, bevette -questa brutalità colla sua solita irriflessione, la trovò improbabile -perfino il Sismondi, così corrivo in tutto ciò che denigri i pontefici. -Anche il sardo cronista di Pisa e ghibellino scrive che Carlo mandò al -papa chiedendo «ciò che di loro dovesse fare», e che il papa rispose -che «non era consiglio di prete che altri andasse alla justizia». -Secondo il _Chron. imaginis mundi_, la risposta di Clemente fu: _De -Conradino filio iniquitatis vindictam non querimus, nec justitiam -denegamus_; nei _Monum. Hist. patriæ_. - -[408] Presso i Bollandisti, _Acta SS. martii_, tom. III. p. 190. - -[409] _Ut faciat rex de vitulo superstite victimam, Conradinum -recognoscentem sæpius contra matrem Ecclesiam deliquisse, nec minus -contra regem ipsum vehementer errasse, procuravit per quosdam Ecclesiæ -cardinales illuc propterea per sedem apostolicam destinatos absolvi._ -MALASPINA. - -[410] Nell’archivio di Stuttgard esiste il testamento di Corradino, -o piuttosto codicillo di testamento anteriore non pervenutoci, -dettato il 29 ottobre, presenti Giovanni Bricaudi sire di Nangey, e -quell’Erardo di Valery che avea dato a Carlo il suggerimento per cui -vinse la battaglia di Tagliacozzo. Provvede al pagamento d’alcuni -debiti; fa molti legati a monasteri germanici; ai duchi di Baviera suoi -zii lascia «tutti i beni patrimoniali e feudali con tutte le persone -d’ambo i sessi a lui appartenenti ne’ paesi germanici o ne’ latini», e -raccomanda loro Corrado e Federico d’Antiochia suoi cugini. Della madre -non fa cenno, non della sua fidanzata, che si suppone fosse Brigida -dei marchesi di Misnia: che non parlasse d’un erede a’ suoi diritti sul -trono di Sicilia è facile comprenderlo, dettando egli sotto gli occhi -di amici del nemico suo. - -È tradizione destituita di fondamento che Elisabetta di Baviera (la -quale erasi rimaritata in Mainardo conte del Tirolo della casa di -Gorizia) venisse in persona, sovra una galea tutta nera, a raccogliere -il corpo del figlio, per farlo sepellire nella chiesa del Carmine da -lei fondata; e che in memoria di ciò que’ frati ponessero una statua -colla borsa in mano, statua che or mutila è abbandonata in un magazzino -del museo degli Studj. L’iscrizione che or accenna quel fatto, fu posta -il secolo passato per cura di Michele Vecchione. - -Sotto Giovanni I, un cuojajo napoletano, di nome Domenico di Persio, -si ricordò di quell’infelice che i parenti principeschi aveano -dimenticato, e dalla regina si fe cedere il terreno dove era stato -ucciso, e vi fece erigere una cappella ed una colonna sormontata da -una croce colla Madonna e la Maddalena e il simbolo affettuoso del -pellicano. La confraternita de’ cuojaj la prese in cura, e vi facea -celebrare nelle solennità, finchè la cappella non bruciò nel 1785. La -colonna vedesi ancora al vestibolo della sacristia nella moderna chiesa -delle Anime del Purgatorio, e la croce staccatane è nella sacristia -stessa sovra un altare. - -Ricordano Malaspini e dietro lui altri annalisti raccontano come al -supplizio assistesse Roberto conte di Fiandra, genero di Carlo, e che, -udita la sentenza, s’avventò al protonotaro esclamando: — Malnato! -tocca a te condannar un signore sì nobile e gentile?» e lo trafisse. -Colpo da francese: ma, per disgrazia de’ romanzieri, in un _Memoriale -del podestà di Reggio_, inserito nel tom. VIII. del _Rer. Ital. -Scrip._, si trova che il 18 ottobre Margherita di Borgogna, nuova -sposa di Carlo d’Angiò, pervenne a Reggio e vi si fermò, ed ivi giunse -a incontrarla Roberto alla fin del mese, quando appunto accadeva il -supplizio di Corradino; poi nel lib. iii. p. 215 del SUMMONTE, _Istoria -di Napoli_, è riferito un diploma reale del 15 dicembre seguente, dato -per mano di maestro Goffredo di Belmonte cancelliere e Roberto di Bari -protonotaro del regno. - -Ogni scolaretto ha inteso raccontare che Corradino dal palco gettò -un guanto, come segno che invitava alla vendetta il suo erede, che -era Pietro d’Aragona, al quale fu portato da Giovanni di Procida -o da Enrico di Waldburg. Questo fatto non appare in alcuno storico -napoletano avanti il Collenuccio; ma prima ne avea parlato Giovanni -abate di Victring in Carintia, che fece una cronaca sin al 1344; -autorità lontana di tempo e di luogo. Del resto, come c’entrava -Pietro d’Aragona? Costui avea sposato Costanza figlia di Manfredi, da -Corradino ritenuto per usurpatore e spergiuro; possibile ora volesse -designarlo come erede? Per giustificare l’assalto della Sicilia, Pietro -non cercò altri titoli che la chiamata del popolo, non allegò questo -guanto nè la successione di Corradino, bensì quella di Manfredi. Da -Federico II era nata legittimamente Margherita di Svevia maritata in -Alberto langravio di Turingia, alla quale avrebbe potuto competere -l’eredità degli Hohenstaufen, se altrimenti non n’avesse già disposto -la spada, e lei in fatti aveva il re Corrado indicata erede ove si -estinguesse la linea mascolina; e suo figlio Federico non dimenticò i -suoi diritti al regno di Sicilia, e ne prese il titolo, sotto il quale -diede concessioni e ricevette ambasciate dalle città lombarde e dalle -sicule. - -[411] _Ep. Rodulphi_, ap. RAYNALDI. - -[412] _Jactatis inanibus verborum lenociniis, oratorem, quam, rapto -contra Tartaros exercitu, Christianum imperatorem agere malebat._ Ep. -di Gregorio IX, ap. M. PARIS. - -[413] VILLANI, lib. VI. 36. - -[414] Giaciono negli archivj massimamente di Genova i contratti dei -signori francesi che davano in pegno le loro terre; e per cura di re -Luigi Filippo ne fu tratta la serie de’ signori che parteciparono a -quelle imprese, e i cui nomi e gli stemmi ornarono poi la sala delle -crociate nel palazzo di Versailles. - -[415] Lettera del 27 maggio 1267, ap. MARTENE, nº 471. - -[416] Carlo d’Angiò e suo nipote Filippo re di Francia erano andati -a Viterbo per sollecitare i cardinali a nominare il nuovo papa. Ivi -stava pure Enrico figliuolo di Ricardo di Cornovaglia imperatore -eletto; e vi capitò anche Guido di Monforte, vicario di Carlo in -Toscana. Per vendicare il conte Simone suo padre, ucciso in Inghilterra -come ribelle, costui entrò in chiesa, mentre dicevasi messa, scannò -Enrico ed uscì. Ma alcuno gli disse: — Non ti ricordi che tuo padre -fu anche strascinato per le vie?» Ed egli rientrato prese pe’ capelli -il cadavere, e lo trasse fuori; e i due re stettero a vedere, senza -impedire nè risentirsi. Più tardi l’omicida fu côlto, e terminò la vita -nelle carceri di Sicilia. - -[417] DA CANALE, _Cronaca veneta_, in francese, CLIX. - -[418] _Istorie pistolesi_ ad ann.; BILIOTTI, _Cron._, cap. XXXV. - -[419] QUARESMIUS, _Elucidatio Terræsanctæ_. — Gli atti di re Roberto -sono riferiti nella bolla _Gratias agimus_ data da Clemente VI il 2 -dicembre 1342 da Avignone. - -[420] — Se la santità vostra (dic’egli al papa) volesse informarsi -quanto costerà ogni bisogno, e quali pratiche da imprendersi coi -Tartari, rispondo che in tre anni quella spesa ascenderebbe a ventuna -volte centomila fiorini, contando il fiorino a due soldi di grossi -di Venezia; cioè settecentomila fiorini di rimbuono ogni anno per -stipendj, munizioni, e mantener buono accordo coi Tartari; e per -vascelli, armamento, castrametazione, rimonte, trecentomila fiorini in -tre anni; in tutto settecentomila fiorini all’anno». _Secreta_, lib. -II. p. i. c. 4. - -Questo cenno ajuta a conoscere i valori d’allora. Poniamo che l’uomo a -cavallo costi tre volte il pedone: se un esercito di quindicimila fanti -e trecento cavalieri costa 600,000 fiorini annui, uno di diecimila -fanti con millequattrocento cavalli deve costarne 535,849: aggiungi -300,000 fiorini per le prime spese della spedizione, saranno 835,849 -fiorini. Il Sanuto ragguaglia il fiorino a due soldi di grossi di -Venezia; onde questa spedizione dovea costare 1,671,789 soldi di -grossi. Il soldo era la ventesima parte della lira, e la lira valeva -dieci ducati, i quali allora doveano conguagliare a diciassette franchi -d’oggi. Tale esercito dovea dunque costare 14,210,282, cioè ogni uomo -annui mille franchi. - -Si può avere la riprova di questa stima comparandola ai valori -fissi delle grasce. Il Sanuto ce ne porge il mezzo, dicendo: — -La libbra di biscotto costa quattro denari e un terzo. La razione -giornaliera di un uomo essendo una libbra e mezzo, costerà denari -sei e mezzo; quarantacinque libbre consumate da un uomo in trenta -giorni costeranno sedici soldi e tre denari, moneta piccola: e in -dodici mesi, cinquecentoquaranta libbre di biscotto saranno costate -sei soldi di grossi, un grosso e quattro denaretti». Quest’ultima -somma dunque rappresentava a que’ tempi 540 libbre di pane; 1,671,790 -soldi dovevano rappresentarne 149,218,334. Tale quantità equivaleva a -17,177,145 libbre metriche. Ponendo quel pane a 20 centesimi, darebbero -14,235,409. I due computi servono dunque di riprova un all’altro. - -Potrebbe tentarsi lo stesso calcolo sul vino, le carni salate, i -legumi, e così via; ma la variabilità di valore di tali comestibili -e l’incertezza sulle misure antiche renderebbero troppo ipotetica la -stima. Al sommar dei conti però avremo che per nutrire un uomo a pane, -vino, carne salata, fave, cacio voleansi l’anno dodici soldi di grossi, -cioè lire 102. - -[421] _Thesaurus regis Franciæ acquisitionis Terræsanctæ de ultra mare, -nec non sanitatis corporis ejus, et vitae ipsius prolungationis, ac -etiam cum custodia propter venenum._ - -[422] _Ad Nicolaum V pontificem strategicon adversus Turcas._ - -[423] _Par._, IX. 126; e nel XV, - - Dietro gli andai incontro alla nequizia - Di quella legge, il cui popolo usurpa, - Per colpa de’ pastor, vostra giustizia. - -[424] Sta negli archivj di corte a Torino il conto del viaggio di esso -duca in Oriente. - -Amedeo III di Savoja nel 1147 volendo crociarsi, prese a prestito -dal monastero di San Maurizio d’Agaceno una tavola doro del peso di -sessantacinque marchi, guarnita di pietre preziose. - -[425] GHIRARDACCI, _St. di Bologna_, lib. IV. - -[426] MAFFEI, _Notizie generali sopra Verona_. - -È nota la storiella dell’asino che condusse Maria in Egitto, e infine -capitò a Verona, o chi dice a Genova. - -Lo statuto di Verona del 1228 porta che il podestà giura: _Eum -peregrinorum post crucem, qui ivit vel ibit ultra mare, defendam in -suis possessionibus rerum mobilium et immobilium vel sese moventium, -quas detinuit vel detinebit sine litis inquietudine usque ad crucem -susceptam; si tamen reliquerit procuratorem, qui possit agere -et conveniri de quasi re mobili... De rebus vero immobilibus eis -absentibus jus non dicatur._ - -[427] Nella _Storia d’Incisa e del celebre suo marchesato_ (Asti 1810) -è riferita una carta del 1204 fatta colà, ove dicesi che Bonifazio -marchese di Monferrato regalò al Comune un pezzo della santa croce e -l’ottava parte d’uno stajo d’un grano color d’oro e parte bianco, non -prima usato e portato dalla Natolia, e detto _melica_. Il documento -dev’essere spurio, nè del grano turco appare memoria prima della -scoperta dell’America. Però nell’archivio vescovile di Bergamo trovo un -atto rogato da Montenario de’ Papi _die IV exeunte octobri_ del 1249, -ove Alberto di Terza vescovo investe a titolo di perpetua enfiteusi -i sindaci del comune di Sorisole di tutta la decima appartenente al -vescovado ne’ territorj di Sorisole e Poscante, un sestario di vino, -una _corbam de loa panici quæ extimatur duo sextaria_, etc. Anche oggi -chiamasi _loa_ lo spigone del turco, il quale pure è detto _panico_ -in molti luoghi. Questo documento, da niuno osservato, ch’io sappia, -merita dunque qualche attenzione. - -[428] Delle navi spedite da Venezia in ajuto di san Luigi una era lunga -centotto piedi, larga settanta; una centodieci per settanta; nessuna -meno di ottanta. MARIN SANUTO. - -[429] L’_Iter siriacum_ del Petrarca è una descrizione del viaggio a -Gerusalemme, diretta a Giovanni da Milano, che probabilmente era un -Mandelli. - -Lionardo di Nicolò Frescobaldi fiorentino (il cui viaggio fu edito dal -Manzi il 1817) nel 1384 passava in Palestina, per tutto venerando e -cercando reliquie, e noverando quelle che vide a Venezia, in Egitto, -poi in Palestina; finchè «in capo d’undici mesi e mezzo rientrammo -in casa nostra, dando consolazione alle nostre famiglie. Trovammo a -Vinegia molti pellegrini franceschi e alquanti viniziani, fra’ quali -fu messer Remigi Soranzi di Vinegia, il quale convitò una sera a cena -tutti quelli che doveano andare al Sepolcro, e fecesi grande onore, -e la sua casa parea una casa d’oro, ed avvi più camere che poco vi si -vede altro che oro e azzurro fino; e costògli da duemila ducati, e bene -tremila ve ne spese poi lui». Andò con lui Simone Sigoli, del quale -pure fu nel 1822 trovato il viaggio, di schiettissima dettatura, e -col lungo catalogo di tutti i perdoni che si aveano in Terrasanta. Del -1431 vi tornò la terza volta fra Mariano da Siena, del quale parimenti -teniamo la descrizione: — In sulla terza, col nome dello sviscerato -ed innamorato Gesù entrammo nella santa città, e nella prima entrata, -chi vi va in atto di peregrinazione confesso e pentito, si ha plenaria -indulgenza e remissione di tutti i peccati; e chi vuole piaceri e -consolazioni spirituali, faccia questo cammino. Io per me lo dico, -che mai non seppi che consolazione spirituale si fosse se non qui, -e passa tutti i cammini, sia qual si vuole». Egli assicura che «il -mezzo del mondo _ad literam_ viene in mezzo fra ’l luogo dove Cristo -fu crocifisso e dove resuscitò... Rimpetto alla natività, scendendo -tre scaglioni, si è quello santo presepio, nel quale la dolcissima -Madre riposò il suo dolcissimo Figliuolo Gesù piccolino; e qui il bue -e l’asino l’adorarono, e feciongli buona compagnia. Questo è il più -devoto luogo che io mai vedessi; ogni cosa è un sasso; la mangiatoja -è tutta foderata di bellissimi marmi; allato si ha un altare. Dissivi -messa... ed ebbine la maggior consolazione del mondo. Tuttavia mi parea -avere quell’amoroso Bambino dinanzi gli occhi nella mangiatoja; e così -tutti gli altri peregrini si comunicano. Tutta la notte non possono -stare i peregrini in chiesa nè nessun cristiano, perchè vi stanno que’ -Saracini che ci accompagnano, ed hanno grandissima devozione al luogo -della natività di Cristo». - -Francesco Baldelli nel 1551 tradusse in italiano la _Prima Crociata_ -di Roberto Monaco; ed è commovente l’entusiasmo de’ pellegrini al -primo vedere la città santa: — O quante lagrime, pietosissimo Dio e -giustissimo Signore, sparsero gli occhi dell’esercito tuo fedelissimo, -allorachè per loro si videro le mura della terrena Gerusalemme! Quindi -tosto chinandosi verso la terra, con la bocca e col capo salutarono -divotamente il santissimo sepolcro del corpo suo sacratissimo, ed -appresso adoraron te, che morto in esso giacesti, come quello che siedi -alla destra del Padre, come quel giudice che venir dèi a giudicar le -cose tutte. Ora sì che si può veramente dire che per te fosse addolcito -il cuore di ciascuno, e che dove prima era di pietra, da te levato, fu -dato loro di carne; e nel mezzo di loro mandasti lo Spirito Santo». - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. In particolare il testo -in greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione; si è -proceduto in modo analogo per l'equazione nella nota 334 pag. 403. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI -15) *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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CANTÙ<br /> -STORIA DEGLI ITALIANI -<span class="smaller">TOMO VI.</span> -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -<span class="small">STORIA</span><br /> -DEGLI ITALIANI -</p> - -<p class="pad2"> -PER -</p> - -<p class="pad1 x-large"> -CESARE CANTÙ -</p> - -<p class="pad2 small"> -EDIZIONE POPOLARE<br /> -RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO VI. -</p> - -<p class="pad4"> -<span class="large">TORINO</span><br /> -<span class="small">UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE</span><br /> -1875 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<h2 id="libro8">LIBRO OTTAVO</h2> - -<h2 id="cap81">CAPITOLO LXXXI. -<span class="smaller">Origine dei Comuni.</span></h2> -</div> - -<p> -Un pregiudizio attaccatoci da moderni scrittori confonde -il Comune colla repubblica, la libertà civile colla -libertà politica; onde, al nominare l’istituzione dei -Comuni, immaginiamo una di quelle formidabili sollevazioni -del dolore irritato, ove le plebi insorgessero -contro i governanti, risolute di partecipare ai diritti -politici di questi. -</p> - -<p> -Nulla di ciò. Erano i deboli, che aspiravano ai diritti -dell’umanità, a scuotersi di dosso il giogo feudale -divenuto intollerabile, staccarsi dalla gleba, tornare -liberi della persona, degli averi, della volontà, unendosi -coi signori sotto una comune giustizia. In Italia queste -franchigie crebbero fino a costituire gloriose repubbliche; -in Francia, al contrario, diedero fondamento -all’autorità monarchica; in Inghilterra i Comuni si congiunsero -coi baroni onde fare a quella contrappeso; -insomma possono associarsi con qual sia forma di -governo, essendo il Comune un’estensione della famiglia, -anzichè uno sminuzzamento del principato. -</p> - -<p> -L’origine de’ Comuni è uno dei punti che più vennero -esaminati e controversi, dopochè le molte carte tratte -in luce, e l’esame de’ varj elementi della vita sociale -mostrarono l’importanza di quella oscura transizione -dal vecchio mondo al moderno, donde cominciò il -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -medio ceto, o, come dicono, il terzo stato, che in -sostanza è il popolo d’oggi. Gli scrittori municipali -troppo poco s’avvidero dell’interesse che ispirerebbe -ai loro racconti il tratteggiare la vita interna e il particolare -incremento degli uomini e della società comunale: -sicchè noi non abbiamo, ch’io sappia, la compiuta -storia d’alcun Comune. Il Sismondi saltò di netto la -quistione, che pur era capitalissima in una storia delle -repubbliche. Il Muratori adunò preziosi documenti, ma -non ne dedusse un concetto generale e coerente, pur -in massima allineandosi co’ suoi contemporanei nel -credere che i Comuni nostri fossero una continuazione -degli antichi. Ciò fu sostenuto incidentemente da molti -e con erudizione dal Savigny e dal Pagnoncelli; il quale -avrebbe avanzato assai questo tema se avesse meglio -distinti i tempi. Altri sentirono col Raynouard, che -in Francia, e principalmente nella parte meridionale, -vedea le antiche municipalità sopravivere al naufragio -barbarico, e al lentare dell’oppressione rigalleggiare -per formare il Comune<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>. S’egli in ciò (come in quella -sua lingua romanza, alla quale pur aderirono spensieratamente -altri Italiani) abbia recato un’erudizione di -buona lega, se con rettissima coscienza sostenuto un -paradosso, non è qui luogo a discuterlo: basti che in -quistioni sì delicate bisogna stare guardinghi di non -attribuire un senso generale a ciò ch’è particolare, nè -applicare ad una nazione quel che in un’altra si avveri. -</p> - -<p> -V’inciamparono in senso opposto i Tedeschi, sostenendo -i Comuni nostri figliati dalla società germanica; -essere in ogni città rimasti uomini della stirpe conquistatrice, -e in conseguenza liberi, sebbene non possessori -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -di feudi, e dipendenti soltanto dal re; i quali moltiplicaronsi -mediante le emancipazioni ed il commercio, tanto -che il loro Comune esclusivo divenne il nuovo Comune -generale<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>. -</p> - -<p> -L’eclettismo, riprovevole quando assonni in mezze -verità gli spiriti non bisognosi di profonde convinzioni, -merita lode quando, nessuna escludendone, tutte le -pondera senza predilezione, onde raggiungere la certezza -relativa dove l’assoluta è inarrivabile. E in Italia -appunto tutti que’ sistemi hanno alcuna parte di verità, -attesa la diversissima sorte che corsero i paesi nostri, -da diversissimi elementi derivando. -</p> - -<p> -Prima di Roma, l’Europa civile era disposta in municipalità -sovrane, mai non essendosi alzato un grande -impero che le singole riducesse ad unità di legge e di -amministrazione; e in ciò risiede la capitale differenza dei -popoli nostri dagli asiatici. Roma stessa fu un municipio, -il quale prevalse dapprima agli altri italici, poi a tutti -d’Europa, e quei governi parziali restrinse all’amministrazione -civile. Tali noi gli abbandonammo allo sfasciarsi -dell’Impero; tali li trovarono i Barbari. Questi -forse lasciarono sussistere qualche forma di regime -comunale, non già per generosa indulgenza, ma per -ignoranza e per difetto d’ordini surrogabili; ma se permisero -alla stirpe vinta qualche resto di paesano reggimento, -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -non potè essere che ristretto e precario quanto -il portava una militare oppressione. Tassarsi fra loro -per conservare un ponte, una via; eleggere chi riscotesse -le taglie imposte dal vincitore; congregarsi per -nominare i parroci e i vescovi; qualc’altro atto di non -maggiore rilievo, erano per avventura i soli residui di -costituzione cittadina. Vero è che ogni memoria quasi -ce ne manca nel IX e X secolo<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>: ma di quant’altre -cose non è allora interrotta la ricordanza fra tanto -scompiglio e sì poche scritture? -</p> - -<p> -Nè questa persistenza sotto i Barbari parrà fuori di -buona congettura a chi veda persino i Turchi abbattere -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -amministrazione, istituzioni, costumi, gerarchia dell’impero -orientale; eppure ai tributarj non imporre nè le -loro forme amministrative, nè la legge civile, talchè -le istituzioni adottate dai raja si mantennero indipendenti -affatto dal canone musulmano. -</p> - -<p> -Quel che meno comprendo è come mai il Comune -potesse conservarsi sotto le sbricciolate dominazioni -feudali, quando ogni villaggio avea, direi quasi, un re -che immediatamente amministrava, giudicava, provvedeva; -e forse perì del tutto il sistema comunale ove -il feudalismo si assodò. In Italia, per altro, a conservarne -almeno la memoria valse il non esservi mai caduto in -totale dimenticanza il diritto romano, il quale forse si -insegnò sempre nelle scuole, certo modificò le barbare -legislazioni, spesso fu applicato nelle decisioni dei tribunali, -massime degli ecclesiastici. Un codice romano -del secolo <span class="smcap lowercase">IX</span> o <span class="smcap lowercase">X</span> nell’archivio di Udine mostrerebbe -magistrati municipali, e che le città avessero decurioni, -nominassero giudici per amministrare la giustizia e per -sovrantendere ai beni ed alle entrate loro, con giurisdizione -però dipendente dalla pubblica, e limitata agli -affari civili dei Romani, cioè dei vinti, e ai minori -delitti delle classi basse<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. Ma, qual l’abbiamo alle -stampe, quel documento è rozzo e incoerente, nè tampoco -sappiamo per qual paese venisse compilato. -</p> - -<p> -Alle città che rimasero sottoposte ai Greci era stata, -pel codice Giustinianeo, tolta la scelta de’ proprj magistrati, -che costituisce il privilegio capitale del Comune. -Ma molte, inviolate dai Barbari, dall’impero greco -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -dipendeano di mero nome; onde non v’è ragione che -n’andasse abolita la costituzione comunale. Tali ci pajono -Roma, Gaeta, le isole venete, ove, allo sfasciarsi dell’Impero, -le curie presero le redini, l’amministrazione traducendo -in governo. Gl’imperanti di Costantinopoli, -che agio, che forza aveano per provvedere a queste -disgregate provincie? onde anche quelle che stavano a -loro obbedienza, si videro spinte ad amministrarsi e -difendersi da sè. A tal uso applicarono il tributo che -riscotevano col metodo antico; come ebbero erario, -così formarono una milizia; regolarono la polizia; fecero -anche decreti quando li sentissero necessarj. Il -duce che soleva essere mandato da Costantinopoli, fu -eletto fra cittadini, a nessun più importando di venire -fin qui ad una dignità di molto peso e di scarso profitto; -poi ogni legame andò sciolto in tempi di vacanza o di -anarchia, e definitamente nella guerra che gl’imperatori -teologastri indissero alle sacre immagini; talchè ne -uscì un governo affatto a popolo. -</p> - -<p> -Questi vivi e vicini esempj e le non cancellate reminiscenze -poterono nutrire o ridestare il desiderio della -libertà ne’ residui Italiani, appena l’oppressura si rallentasse -a segno, che non dovessero pensare unicamente -alla vita e alla sicurezza. -</p> - -<p> -Ma non dal solo elemento romano costituironsi i -Comuni; bensì, come ogni altra cosa del medioevo, -dal germanico insieme e dal cristiano. L’invasione dei -Longobardi avea ridotto i natii a condizione quasi servile; -esclusi interamente dal governo perchè esclusi -dall’armi, restavano uomini altrui, mentre i conquistatori -formavano la classe dei liberi, de’ quali soli la legge -prendeva cura; e non si disse più un cittadino milanese -o bergamasco, ma soltanto un Longobardo o un Romano. -Altrettanto seguitò sotto i Franchi; ma la prosapia -vinta fu più ravvicinata alla vincitrice, giacchè si prefisse -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -un guidrigildo anche sulla vita e sulle offese recate -ai Romani; e se ciascuna stirpe conservava le leggi -proprie, i capitolari emanati dai Carolingi obbligavano -tutti; allo stesso diritto longobardico faceansi glosse e -commenti di senso romano, alterandoli per modo che, -restando longobarda la legge, romanamente giudicava -il fôro. -</p> - -<p> -Spezzatosi l’impero di Carlo Magno, coll’estendere -dei feudi si spegnevano le differenze d’origine, poichè -l’uomo non era più longobardo o franco o romano, -ma del tal feudo o del tal signore; e nell’autonomia, -propria di ciascun feudatario, restava assorta la varietà -di diritti. I feudi passo a passo s’intrusero anche nelle -terre dominate dai Greci, massime dopo la conquista -dei Normanni; sicchè per la più parte d’Italia restò -mutata la natura delle proprietà, e ciascuno fu l’uomo -del proprio terreno, e corse la fortuna di quello. -</p> - -<p> -Ciò in campagna. Ma delle città le più non dipendevano -da un feudatario, bensì da un conte, magistrato -regio. I conti si rendeano sempre meno dipendenti da -imperatori fiacchi e distanti; onde screditavasi l’autorità -regia, mentre invigoriva la feudale. Squarciato il corpo -politico in infiniti brani si può dire indipendenti, e -scomposta l’unità governativa, i grandi vassalli operavano -di pieno arbitrio nella loro giurisdizione, quasi -la tenessero non dai re, ma in patrimonio; negli interregni -strascinavano in lungo la nomina del successore, -e lo desideravano debole perchè non pensasse a ricuperare -il ceduto od usurpato dominio. Duranti poi le -violenze che descrivemmo fra l’Impero e la Chiesa, -tutto andava in frazioni e sêtte, che ondeggiavano a -seconda dei capi e degli accidenti; nè ben accertandosi -qual fosse il re legittimo, se ne togliea pretesto di non -obbedire a nessuno, o poneasi la docilità a prezzo di -crescenti privilegi. -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -In società d’origine feudale, stante il generale principio -che ogni podestà emana dal re, nessun diritto si -trova che non sia privilegio e concessione; lo saldano, -lo garantiscono, lo dilatano, ma sempre come concessione. -Laonde la libertà cui allora si aspirava, non era -un governo fondato sull’assenso di tutti i membri del -corpo sociale adunati, ma un privilegio concesso ad -alcuni in particolare. -</p> - -<p> -Sarebbesi allora potuto scomporre affatto la monarchia, -ma le città non sentivano ancora la propria forza; -i gentiluomini e la nobiltà inferiore, discendenti dai -primitivi conquistatori, temeano che il cessare di essa -non li riducesse dipendenti da altri nobili, sicchè preferirono -di cercare dal re immunità, cioè d’esercitare -giurisdizione sulle proprie terre o sui proprj dipendenti, -senza che il conte regio vi potesse. Primi a domandarla -furono gli arimanni<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>, cioè uomini liberi, residuo -dei conquistatori, non legati a verun feudatario, e protetti -dal conte come appartenenza del re; poi i monasteri, -i corpi d’arte, gli ordini cavallereschi. Re e gran -signori non rendeansi malagevoli ad emanciparli, contenti -anzi di far con ciò acquisto di sudditi per sè, e -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -indebolire i vassalli dipendenti. I feudatarj poi e i -vescovi domandavano immunità più estese, cioè che il -conte regio cessasse da ogni giurisdizione anche sovra -i liberi, abitanti nel loro terreno, nel quale ne istituivano -una loro propria, dove erano richiesti alla pari e i -liberi discendenti dai conquistatori, ed i villani e censuali, -gente per lo più romana. Eccovi un embrione -del Comune. -</p> - -<p> -Stanno dunque a fronte molti poteri. I re, mirando -a ridurre in prerogativa monarchica il primato feudale, -desiderano comandare direttamente al popolo senza -l’interposizione dei baroni, e perciò quello da questi -emancipare. I baroni, all’opposto, eransi affaticati ad -assicurarsi l’indipendenza e convertire il politico dominio -in reale e personale privato, e v’erano riusciti -col rendere vitalizj i feudi, poi ereditarj. Da ultimo i -vinti, non gravati più dal peso sproporzionato di un -potere centrale, ridestavansi per conservare o ricuperare -i possessi antichi, le leggi non dimentiche, la -contrastata religione, partecipare ai privilegi dei vincitori, -ed essere considerati pari alla gente dominatrice -ne’ servigi e nella giustizia. In Francia si strinsero -attorno al re, che venne per tal modo via via rinforzandosi: -in Italia non poteano altrettanto, perchè la -regia era accoppiata all’autorità imperiale, che si mutò -da Franchi a Italiani, poi a Tedeschi, controbilanciati -sempre dai papi e dai grandi vassalli. -</p> - -<p> -Mentre a questi dava rinforzo la lontananza del principe, -gl’indeboliva l’aumentarsi dei piccoli feudatarj e -il prevalere degli ecclesiastici, che, come ogni altra -cosa d’allora, aveano preso sembianza feudale, cioè -congiunto ai possessi la sovranità. La Chiesa è costituita -con forme a popolo; assemblee, rappresentanza, giurisdizione -propria mantenne anche sotto ai Barbari; -unica aveva asili contro la prepotenza, richiami contro -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -la tirannia. Il popolo dei vinti, privo d’ogni diritto legale -in faccia al conquistatore, più volentieri recava le sue -querele ai sacerdoti che non ai baroni; a chi le giudicasse -per prudenza e per leggi scritte, che non a chi -le recideva a colpi di sciabola; onde l’autorità ecclesiastica -erasi ingrandita perchè popolare. L’innalzarsi -dunque del clero importava sollievo del popolo; e tanto -avvenne allorchè, sotto ai Franchi, esso diventò essenziale -elemento della civile società, e i vescovi entrarono -nelle assemblee legislative, e finirono col signoreggiarle. -Venuti di tanto peso nelle pubbliche rivolture, ottennero -dai re l’immunità dei proprj possessi, indi delle -città ove sedevano, per modo che al conte più non -restasse giurisdizione, ma fosse trasferita nel vescovo. -Così la esercitavano sopra i liberi borghesi, i quali non -godeano rappresentanza nella costituzione, ma crescevano -d’importanza col crescere del commercio e delle -industrie. -</p> - -<p> -Il primo esempio sicuro d’immunità in Italia è di -Carlo il Grosso, che al vescovo di Parma concede di -«giudicare, definire, deliberare, come il conte del -nostro palazzo, tutte le cose e le famiglie, sì de’ cherici -come di tutti gli abitanti d’essa città». Lamberto imperatore -a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 confermava -tutti i possessi, e che, <i>secondo il costume delle -altre chiese</i>, gli affari della modenese siano esaminati -da persone idonee e veraci, fin alla piena giustizia; nè -alcun conte pubblico o curatore della repubblica vada -a cercar ragione ne’ monasteri o nelle chiese, o ad -esigere fredi e tributi nei possessi, o farvi mansioni e -parate, o levarne statichi, o pignorare od obbligar -uomini, siano servi o liberi, nè condurli in oste o chiederli -d’illeciti servizj; nella città stessa continuino ad -esservi chierici che stendano libelli e citazioni negli -affari ecclesiastici; possa la chiesa, invece del re, esigere -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -il censo dovuto dalle strade, porte, ponti, e da quanto già -pagavasi <i>anticamente</i> alla città e ai curatori della repubblica; -e cavar fossi, costruire mulini, eriger porte e -forti a due miglia in giro, e aprire e chiudere l’acqua -senza <i>pubblica</i> opposizione<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>. -</p> - -<p> -Nel 904 re Berengario privilegiava il vescovo di -Bergamo di riedificar le mura della sua città a riparo -dagli Ungheri, dovunque esso vescovo e i suoi <i>concittadini</i> -credessero necessario; e a lui assicurava la -libera giurisdizione sopra la città e i distretti<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>. Ottone -II nel 973 concedeagli di nuovo <i>omnes districtiones -et publicæ functiones villarum et castellorum, -quæ sunt in circuitu ipsius civitatis de eodem comitatu -pertinentes, usque ad spacium et extensionem, -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -per omnes partes ejusdem civitatis, trium miliarium</i>, -fin ad Aciano e Seriate; inoltre la val Seriana fino alla -Camonica. Enrico III nel 1041 confermava a quel -vescovo tutto il contado bergamasco sino alla Valtellina, -all’Adda, all’Oglio, a Casal Butano, con piena autorità di -fare e disfare, senz’essere impedito da veruna autorità -superiore. -</p> - -<p> -Ottone il Grande aveva largheggiato di tali concessioni -a segno, che ne fu tenuto l’autore universale: al -vescovo d’Acqui assicurava la giurisdizione della città -e di quattro miglia in giro<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>; a quel di Lodi, l’esenzione -per sette miglia; per tre miglia a quel di Novara<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>; -per cinque a quel di Cremona; e così a -Reggio, a Bologna, a Como, il cui vescovo ebbe anche -il contado di Bellinzona; quel di Firenze credeva pure -aver da lui ottenuto la giurisdizione di sei miglia. -</p> - -<p> -Al vescovo di Pavia nel 977 Ottone II concedeva e -confermava i possessi e il dominio, e che <i>castella, -ville, eidem episcopo subjecta, ita sub ditione episcopi -maneant, ut residentes in eis ad nullius hominis -placitum eant neque distringantur: sed si quis ab -eis legem poposcerit, presentia ejusdem episcopi vel -ejus missi justitiam quam exigent accipiet</i><a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>. Anche -nel diploma del 1004 di re Enrico, attesi i molti litigi -e scismi, che dalla parte del conte venivano alla chiesa, -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -è concesso al vescovo il muro di Parma, il distretto, il -teloneo e ogni funzione pubblica nella città e fuori sin -a tre miglia in giro<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>. Morto il conte, Corrado Salico -nel 1035 estese a tutto il contado la giurisdizione del -vescovo. -</p> - -<p> -Guido vescovo di Volterra sporgeva querele contro -il conte e gli altri ministri pubblici per la fierezza con -cui esigevano dal clero e dai loro servi i diritti regj: -laonde Enrico III nel 1052 lui e il clero esentuava dai -conti, autorizzando il vescovo a trarre a sè le cause -in tal materia, e definire le contestazioni mediante il -duello. Più tardi da Federico Barbarossa il vescovo -Galgano ebbe titolo di principe, e il governo della città -e di molti luoghi, l’elezione dei consoli e la zecca, retribuendo -al regio erario sei marchi d’argento. -</p> - -<p> -Nel 1055 Eriberto vescovo di Modena, coi <i>cittadini -suoi</i>, invocò da Enrico III di poter riedificare, fortificare, -ingrandire essa città; e quegli il permise, concedendone -al vescovo tutte le regalie e la giurisdizione, -pure confermando alla chiesa e ai cittadini le buone -consuetudini antiche: ai quali cittadini presenti e futuri -concede di derivar canali dalla Secchia, dalla Scultenna -e da qualunque altro fiume<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>. -</p> - -<p> -Enrico IV confermava a Landolfo vescovo di Cremona -la giudicatura della città e di cinque miglia in -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -circuito, già attribuitagli da’ suoi antecessori<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>. A -Gregorio vescovo di Vercelli concedeva Casale, Olceningo, -Oldenigo, Momolerio, Scherino, Rodingo, <i>con -tutti gli arimanni e con quanto spetta al contado</i><a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>, -vale a dire le giurisdizioni che il conte esercitava, fra -cui era quella sugli uomini liberi. Molti abitanti di -Treviglio, borgata della Geradadda, si sottoposero alla -badia di San Simpliciano in Milano, e nel 1081 Enrico -confermava questo fatto, e che essi e i loro figli o discendenti -rimanessero perpetuamente in podestà di -quel monastero, non dovendo più alcuna funzione pubblica -od angaria o altro servizio a chichefosse, eccettuato -il fodero al re quando venga in paese, e la sculdassia -ai conti ogni anno<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>. -</p> - -<p> -Talvolta queste concessioni davansi in premio di prestato -favore, tal altra per castigare un conte sleale: e -poichè ogni giorno cresceva il numero de’ semplici -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -cittadini, i quali, invece del magistrato regio, si mettevano -in tutela de’ signori immuni, i re non iscapitavano -gran fatto col cedere ai vescovi i contadi, che ormai -non teneano dipendenti se non di nome. -</p> - -<p> -Ecco dunque città e borgate dalla giurisdizione del -conte passare a quella del vescovo o d’un monastero; -e mentre dapprima la popolazione restava divisa fra -dipendenti dalle chiese e dipendenti dal re, fra la giurisdizione -laica e l’ecclesiastica, vennero a formare un -Comune solo conquistati e conquistatori; nobiltà feudale -e semplici liberi si trovarono chiamati al medesimo -tribunale; e gli scabini dei nobili e quelli dei liberi -costituirono un collegio unico, sottomesso al vicario -secolare del vescovo, detto l’avvocato o il visdomino o -il visconte appunto perchè esercitava gli uffizj devoluti -una volta al conte. -</p> - -<p> -Il vescovo di Mantova era stato fatto immune da -Ottone III nel 997, col diritto di nominare avvocati e -batter monete; e nel 1084 Ubaldo vescovo, costituendo -visdomino un suo nipote, divisava i diritti attribuitigli. -I quali sono di andare per tutta la diocesi di qua e di -là dal Po, tenendo albergaria e placito, esaminando e -definendo discordie, liti, offese personali e reali, infliggendo -la pena a sua volontà. Tutto il denaro percepito -in tali operazioni lo lascia a lui, e un terzo del -ricavo della pesca, dell’investitura, degli approdi, dello -sterpatico. Da ciascuna masseria del vescovo abbia due -majali grossi, e così la decima delle giumente e dei -porci di tutte le terre vescovili. Promette che gli uomini -di lui non saranno giudicati dal vescovo nè da’ suoi -successori o messi o gastaldi o decani, nè richiesti al -placito, a prestar garanzia o albergo o fodro<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>. -</p> - -<p> -Al popolo tornava vantaggio dall’essere i contadi -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -attribuiti ai vescovi piuttosto che ai conti, crescendo probabilità -di vederli affidati al merito, anzichè distribuiti -dal capriccio della nascita o dalla volontà d’un re straniero; -e se la plebe e i manenti restavano ancora senza -diritti nè rappresentanza, ne migliorava la giustizia, che -è il bisogno più immediato de’ popoli. -</p> - -<p> -La decisa predilezione del clero pel diritto antico indurrebbe -a credere che le forme municipali romane, -dove ancora sopraviveano, si sodassero dacchè il vescovo -si trovò investito del governo cittadino. Ma poichè -ogni cosa aveva a conformarsi al reggimento che -unico allora si conoscesse, i vescovi, fatti conti delle -città, ridussero a feudali le cariche municipali, alterandone -la natura senza forse annichilarle. -</p> - -<p> -Pertanto dal vescovo dipendevano le città e i beni -immuni; dal conte il resto, cioè la campagna, la quale -da ciò prese il nome di contado. Ma que’ beni immuni -trovavansi intarsiati ai contadi per modo, che vescovi -e signori s’impacciavano a vicenda nell’esercizio della -mal determinata giurisdizione. Tendevano i primi a -dilatare la propria anche sul contado; i signori vi si -opponeano, e cercavano ingrandire a spese de’ vassalli -minori: sicchè la lotta intestina discendeva sino agl’infimi -elementi della società. Epperò Corrado Salico -emanò la famosa legge dei feudi (t. <span class="smcap lowercase">V.</span>, p. 443), per cui -anche i piccoli passassero in eredità, e non si potessero -togliere se non per sentenza degli scabini. -</p> - -<p> -Si trovava allora il dominio feudale partito fra i -capitanei o valvassori maggiori, immediatamente investiti -dalla corona; i valvassori, cioè vassalli de’ capitanei; -e i valvassini, che ritraevano dai predetti. Valvassori -e valvassini, assicurati d’esistenza indipendente, -più non furono stromenti agli arbitrj de’ vescovi, i quali -non poterono, come in Germania, riuscire principi ecclesiastici. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -</p> - -<p> -Ma altrove i nobili vassalli e i semplici liberi, formato -il Comune, aveano costituito rappresentanti e -giudici proprj, che equipollevano alla curia vescovile, -e indipendentemente da questa assumevano aspetto di -civile ordinanza. Altrove ancora la gente raccoltasi sopra -terre di un feudatario, crescendo di ricchezze per -l’industria, e a quello rendendosi necessaria, lo costringeva -a concessioni, che non davano la civile indipendenza, -ma favorivano il prosperamento e l’importanza -del Comune. -</p> - -<p> -Scomposta ogni centrale potestà per lasciar solo associazioni -limitatissime e poteri meramente locali, più -facilmente poterono costituirsi da sè le città, nelle quali -gli uomini trovavano maggior numero d’interessi comuni. -Queste allora ebbero giurisdizione propria, e -l’affidarono agli scabini, del che ricrebbe il terzo stato; -e nobili e liberi venendo abbracciati nel Comune medesimo, -cioè sotto comune giustizia, mozzavasi la prerogativa -feudale, atteso che, chi bisognava di sicurezza, -non andavala a chiedere sotto la rôcca d’un barone, -ma tra le mura d’una città. -</p> - -<p> -Benchè il feudalismo togliesse importanza alle città, -le nostre non la perdettero mai, ed erano abitate da -ricchi e nobili col nome di arimanni<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>, i quali anzi -costituivano un’università o corporazione, e avevano -possessi e ragioni comuni. Nel 1014 Enrico II agli -arimanni della città di Mantova e d’altri luoghi confermava -i possedimenti con tutte le loro eredità paterne -o materne, e i beni comunali e il teloneo e ripatico a -Garda e Lazise e Riva, e che niun magistrato li turbasse. -I cittadini di Mantova, cioè gli arimanni abitanti -in essa città, ricorsero a Enrico III contro le eccedenti -esazioni e gl’importuni aggravj (<i>superstitiosas exactiones -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -et importunas violentias</i>); ed esso decretò che -queste cessassero e s’abolissero radicalmente, e nessuna -autorità grande o piccola si mescolasse dei costoro -beni comuni, de’ benefizj precarj o livelli, de’ servi, -delle ancelle, o d’altro qual fosse loro possesso mobile -o immobile. Tanto confermava Enrico IV il 1091, volendo -avessero «la buona e giusta consuetudine che -ottiene qualunque città del nostro impero». Donde -parrebbe che gli arimanni avessero una tal quale signoria -di Mantova<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>. -</p> - -<p> -Il Gennari, negli <i>Annali della città di Padova</i>, sotto -il 1077 adduce un placito ivi tenuto avanti a due messi -regj, al conte della città Ogerio avvocato, e a varj giudici -e buoni uomini. Ai quali Giovanni abate di Santa -Giustina dichiarò come i cittadini dentro e fuori della -città gli avevano intentato lite (<i>cives vel intra civitatem -vel extra nobis intentionem mittunt</i>) circa al possesso -della val del Mercato e del prato col Zairo, dell’acqua -del fiume Rodolone, e degli altri possessi del -monastero. Fu dato torto ai cittadini, ed obbligati all’intera -cessione; la quale fecero col prendere una -lunga verga, e trasmetterla al vescovo, che la consegnò -all’abate. -</p> - -<p> -Anche nel peggior tempo del dominio militare questi -arimanni formavano tra loro delle <i>gilde</i>, le quali non -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -m’hanno aria di fraternite religiose, bensì di quelle -associazioni, di cui maggiore si sente il bisogno quanto -più lentato è il legame sociale. In effetto esse fecero -paura ai forti; e Carlo Magno decretava che «nessuno -presuma far giuramento per gildonia; se vogliono disporre -delle limosine per incendj o naufragi, il facciano -in altro modo che giurando». E più rigorosamente -Lotario I: — Non vogliamo che alcuno per giuramento -nè per obbligazione faccia gildonia; e se l’oserà, chi -primo ne diede consiglio venga dal conte mandato a -confine in Corsica, e gli altri paghino multa»<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>. -</p> - -<p> -Ripetiamo che qualche rappresentanza il popolo aveva -sempre goduta in faccia alla Chiesa; e a tacere le lettere -di Gregorio Magno già indicate (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 133), il Diurno -Romano offre la formola, con cui il clero e il popolo -invocano dal papa e dal metropolita che confermi il -vescovo da essi eletto: all’elezione di Guido vescovo di -Piacenza il 904, sono sottoscritti preti, diaconi, suddiaconi, -acoliti, e infine ventisei <i>e populo</i><a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>: Giovanni -vescovo di Modena nel 998 faceva al monastero di -San Pietro una donazione con notizia e consenso dei -canonici, de’ militi e del popolo: l’anno stesso in Ravenna -si tenne un placito, <i>assistentibus in judicio pollentibus -et bonæ opinionis et laudabilis famæ viris -de civitate Ravennæ</i><a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>; e nel 1004 Turbino giudice -di Cagliari, <i>col consenso de’ suoi parenti e di tutto il -suo popolo</i>, donava alcuni dazj ai Pisani amici suoi, -affinchè <i>quel popolo</i> gli fosse amico<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>. -</p> - -<p> -Ecco qui pure una rappresentanza e un esercizio di -diritti comuni, che avviava all’emancipazione. Viepiù -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -vi condusse l’essersi nella città pel commercio formate -compagnie, le quali offrivano l’embrione d’un governo -a comune, e poteano divenir tali per poco che si ampliassero. -</p> - -<p> -Una lapida sotto al portico della notabilissima cattedrale -di Lucca riferisce come nel 1111 i cambisti e -mercanti, che allora stavano di bottega nella corte di -San Martino, ove pure gli alberghi de’ forestieri, giuravano -di non far frode<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>; antichissima sistemazione -del commercio in consorzj, con consoli per risolvere i -litigi. -</p> - -<p> -Già nel 1046 Enrico III <i>confermava</i> agli abitanti -della bergamasca val di Scalve il diritto di negoziar di -ferro per tutto l’impero, col solo aggravio di mille -libbre di ferro <i>secandum suorum parentum morem</i>; -nessun duca, marchese, vescovo, conte o altra qualsiasi -persona <i>hominibus in prædicto monte Scalvi habitantibus -audeat aliquam molestiam aut aliquam superpositam -inferre</i>; e a chi violi l’ordine commina cento -libbre d’oro, metà da darsi alla Camera, <i>et medietatem -prædictis hominibus</i>. Poi nel 1091 nella città di -Bergamo tenendo placito il conte Corrado, messo regio -<i>ad justitias singulorum hominum faciendas ac deliberandas</i>, -con molti giudici e conti e col vescovo, -gli si presentarono alcuni <i>vicini et consortes de loco -Burno</i>, che è in val Camonica, e gli chiesero pronunziasse -un bando <i>super nos et super nostros vicinos vel -consortes</i> a proposito del monte Negrino, che era stato -ad essi usurpato da quelli di val di Scalve: e il conte -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -Corrado gli esaudì<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>. Non sono queste evidenti forme -comunali con possessi consorziali? I querelanti nel loro -libello citano una decisione già riportata anteriormente; -e come in tali litigi <i>centum quinquaginta librarum -denariorum mediolanensium veteris monetæ inter judices -et advocatos dispendio in Bergamo perpessi sumus -damnum</i>; e gli Scalvini usarono ad essi prepotenze -molte, onde reclamano giustizia, <i>quia dedecus est -omnium nostrum</i>. -</p> - -<p> -Esempj di simili comunanze ricorrono in Toscana, -ove nel 1004 Filippo di Fidante e Benedetto di Martino -furono nominati consoli del comune ed università di -Monte Castelli<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>. Chiavenna, borgo della diocesi comasca, -situata allo sbocco di due valli che mettono ai -paesi transalpini del Reno e dell’Inn, faceva una concordia, -citata già come antica nel 1155, tra gli abitanti -suoi e quelli del vicino Piuro, per la quale quattro uomini -di ciascuno di essi giuravano di guidare i due Comuni -e le persone e i beni loro con buona fede e senza -frode in pace ed in guerra, non usurparsi roba alcuna, -ma d’ogni acquisto ripartire tre quarti a’ Chiavennaschi, -uno a’ Piuriesi, e nell’eguale proporzione le spese<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -</p> - -<p> -N’era vantaggiata l’industria; e poichè essa è gran -conduttrice di libertà, si cominciò a levar lamenti delle -violenze che turbavano il commercio; i lamenti procedeano -a minaccie; e se queste non trovassero ascolto, -riuscivano in aperta rivolta, cacciando gli esattori e gli -espilatori del barone, assalendone anche il castello, e -opponendogli barricate e mura; e unitisi sulla piazza -del mercato o nella chiesa, gl’interessati giuravano sostenersi -contro chiunque pretendesse sopraffarli. E a -noi si fa credibile che uno de’ più efficaci addirizzi a -costituire i Comuni fossero appunto le società mercantili -e artigiane, che trovandosi già ordinate con una -gerarchia, con regolamenti, con statuti<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, con cassa, -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -non aveano a dare che un passo per chiedere di partecipare -coi nobili al Governo. -</p> - -<p> -Talvolta i re medesimi ne’ loro bisogni esibivano di -vendere le regalìe, cioè dogane, zecche, mercati, pedaggi; -e i Comuni s’affrettavano a comperarle, o le -ottenevano in premio della fedeltà e del favore prestato. -Tal altra i grandi vassalli insorgevano contro dei vescovi, -e gli uni e gli altri armavano i cittadini, che per tal -modo venivano a conoscere le proprie forze, e invocavan -diritti, in prezzo degli offerti soccorsi. Nella contesa, -capitanei e vescovi apprendevano che ricchezza -principale era l’abbondare d’uomini, lo perchè ne favorivano -l’incremento sminuzzando i possessi, e contentandosi -d’una tenue prestazione, purchè vi andasse -congiunto l’obbligo di servire nelle milizie. -</p> - -<p> -Stiamo dunque a gran pezza da chi crede che i Comuni -derivassero da generosità dei re, o da accorgimento -loro politico. Erano conseguenza del risorgimento -popolare; ma i diritti che i liberi traevano in -campo, non erano astrazioni costituzionali, e accademici -divisamenti repubblicani, bensì un richiamo alle -norme dell’umanità, a quella libertà d’innocui atti, di -cui ciascuno sente mestieri come dell’aria. L’associazione -dirigevasi non a riforme amministrative, ma ad -acquistar forza per diminuire la propria servitù; specie -di mutua assicurazione delle inferme moltitudini contro -i pochi armati. Non che fosse rivoluzione contro il Governo -regio, a questo appoggiavansi coloro i quali scotevano -il giogo feudale. E poichè il feudatario, il re ed -il vescovo trovavansi spesso a cozzo, e dividevano tra -sè i possessi e le città, all’uno ricorreva chi fosse malcontento -dell’altro, sicuri di trovarlo favorevole, non -per generosità ma per proprio interesse. -</p> - -<p> -Neppure fu una rivoluzione sola che mutasse la -forma politica, giacchè non v’aveva un potere unico da -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -abbattere; e a ciascun Comune sovrastando un signore -particolare, in ciascuno richiedevasi una particolare -rivoluzione. Variissimi dunque erano gl’impulsi, variissimi -i mezzi e i risultamenti, e molto vi poteva il caso, -nè sempre riuscivasi all’intento; ma la libertà, fallisca -cento volte, non però dispera. -</p> - -<p> -Sarebbe peraltro stato difficile strappare ai feudatarj -anche sì poco, quando essi soli e i loro castelli fossero -stati muniti, e tutto il resto inerme; atteso che la forza -brutale può a lungo conservare gli ordini più repugnanti -alla ragione. Ma allorchè gli Ungheri avevano -passato le Alpi, non si potè combattere in campagna -rasa e con eserciti ordinati le loro bande scorridore, -ma dovette munirsi ciascun villaggio, ciascuna casa, ciascuna -persona; le città rinnovarono le mura, diroccate -dai Barbari o sfasciate dal tempo<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>; ogni monastero, -ogni borgata scavò una fossa, rizzò uno steccato; e le -armi, adoperate soltanto dagli uomini del feudatario e -per suo cenno, si affilarono per l’individuale sicurezza. -Qual cosa infonde tanto coraggio, quanto il conoscere -di bastare alla propria difesa? e i nostri padri, che si -erano misurati contro l’Unghero, più non temeano d’affrontare -la masnada del vescovo o del castellano. -</p> - -<p> -Di più, in Italia l’aristocrazia non avea messo così -robuste radici come oltr’Alpi; e nella vasta Lombardia -soli forse il marchese di Monferrato e il conte di Biandrate -estendeano tanto i possessi, da abbracciare borghi -e città. La supremazia che i re di Germania pretendevano -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -qui, era d’opinione più che di forza. Dalla -lontananza o dalle guerre proprie erano impediti di -venirvi sovente in persona, unico modo di farvi valere -la propria autorità; se venissero, senza truppe nè rendite -mal si reggevano, e lagnavansi che i vassalli non -gli sovvenissero del necessario, e li riducessero a cascar -di fame. Maggiormente si protraevano gl’interregni di -qua dell’Alpi, atteso che non bastava che un re fosse -nominato in Germania, ma conveniva venisse a farsi -coronare in Milano e Roma; nè di rado i signori nostri -negavano omaggio all’eletto dai Tedeschi. Tutto ciò -fece la contesa men dura, e più pronto l’effetto. -</p> - -<p> -Questo restituire gli uffizj da signorili a municipali -ed elettivi cominciò attorno al Mille, crebbe mentre Ottone -II combatteva gli emuli in Germania e i Greci in -Calabria, e più nei tredici anni che Ottone III indugiò -a scendere in Italia. Allora i Comuni cittadini costrinsero -i baroni ad accasarsi nelle città, che si trovarono -popolate non più da soli artieri ed arimanni, ma anche -da potenti, e crebbero di lustro e considerazione. Alcune -gelose ottennero che gli imperatori non entrassero -più nelle loro mura; altre ne demolirono il palazzo, -per edificarlo nei sobborghi; sicchè debole e -limitata restava la giurisdizione dei re, i quali tanto più -facilmente cedevano per denaro o per favore ciò che -nè ricusare potevano, nè conservato fruttava. Pavia nel -1024 distrusse il palazzo regio, e quando Enrico III -volle costringerla a riedificarlo, gli si oppose con un -giusto esercito, avendo alleati molti signori. -</p> - -<p> -Gran destro ne porse la contesa fra il Sacerdozio e -l’Impero, giacchè in quelle reciproche esagerazioni, -dove più che le armi poteva l’opinione, si trovavano -messe in bilancia le competenze delle due autorità, richiamato -a discussione quanto la conquista germanica -aveva innestato sul tronco romano, la legittimità del -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -potere nato dalla forza, il dominio della spada sovra gli -spiriti, l’intrusione delle discipline militari nell’ordine -civile e fin nella gerarchia ecclesiastica; e l’una e l’altra -parte si credette obbligata a dimostrare le proprie ragioni -ai popoli, di cui le bisognava l’appoggio. E i popoli -impararono che avevano diritti, che per argomenti -potevano scegliere a quale prestare il sussidio -dell’oro, del brando, delle convinzioni; e di quelli e di -queste misurata la potenza, vollero servirsene ad assicurare -e crescere quei diritti, che avevano appreso a -conoscere e stimare. Trattavasi poi di combattere? -bisognava che il conte o il vescovo si servissero del -braccio delle plebi: e guaj pe’ tiranni il giorno che han -bisogno de’ loro oppressi! -</p> - -<p> -Contesa tanto vitale non limitavasi a battaglie in -campo aperto, ma penetrava nelle città e nelle case: -spesso una chiesa trovavasi disputata da due vescovi, -uno papale ed uno intruso, i quali si perseguivano in -guerra; diuturne le vacanze, perchè o il papa negava -l’investitura, o i cittadini obbedienza al nominato dall’imperatore; -e sempre i vescovi sentivansi sotto ai piedi -vacillare il terreno, perchè o non investiti dal re, o non -riconosciuti dal papa; e per formare e mantenersi partigiani, -cedevano particelle de’ loro diritti ai Comuni. -Esse città giuravansi con altre del sentire medesimo, -onde in armi tener testa alle contrarie. Uscita poi vittoriosa -la parte ecclesiastica, ingegnavasi di menomare -le prerogative regie, ma con ciò raccorciava anche -la podestà temporale de’ vescovi, fondata sopra regie -concessioni. -</p> - -<p> -Col carroccio (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 439) i popolani s’erano avvezzi -a considerarsi, non più guerrieri obbligati d’un signore, -ma d’una bandiera cittadina, del Cristo che allargava -le braccia su quell’antenna, del sant’Ambrogio, del -san Zenone, del sant’Alessandro che li benediceva dal -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -gonfalone. Quel parteggiare per l’imperatore o pel papa -avea misto i varj ordini d’uomini, per modo che non si -guardava tanto se uno fosse capitaneo, nobile o plebeo, -ma se imperiale o pontifizio. Le armi e i campi comuni, -e la necessità di usare concordemente le braccia -o l’ingegno nella mischia o nei parlamenti, scemavano -le distanze fra quelli della parzialità medesima; poi la -trionfante conseguiva vantaggi o privilegi sull’altra, -sicchè gli ordini fin allora scrupolosamente distinti venivano -ad unirsi nel Comune cittadinesco; e i giudici -della città, che già, duranti le vacanze del vescovado, -decidevano in propria testa senza riguardo al visconte, -qualora al conte o al vescovo strappassero alcuna nuova -porzione di autorità, la esercitavano più piena sovra -maggior numero di cittadini, e con restrizioni minori. -</p> - -<p> -Insegnati a discutere dei diritti, prendono in dispetto -gravezze fino allora tollerate di cheto; alla prima taglia -troppo pesante si ammutinano; cominciato che uno -abbia, il seguono altri; la torre, da cui il feudatario o -il conte minacciava, diviene spesso il ricovero degli -affrancati; spesso i monumenti dell’antica magnificenza -convertonsi in difese di nuova libertà; e si preparano -lotte, risolute perchè di scopo evidente e semplice, e -non per capriccio o per obbedienza, ma per tutela dei -diritti più sacri. Il tentativo fallisce? sono smantellati -i fortilizj, uccisi gl’insorti: riesce? i sollevati comprendono -la necessità di unirsi. -</p> - -<p> -Non poca opportunità vi aggiunsero le crociate; per -passare a terrasanta molti baroni vendettero od impegnarono -i dominj, o per denaro cedettero qualche parte -della giurisdizione ai cittadini, che, durante l’assenza -loro, rassodarono i diritti, e di nuovi ne acquistarono; -mentre gli uomini che combattevano in Palestina s’abituavano -alla libera disciplina dei campi, s’accostavano -fra loro ed ai padroni, e ne riportavano più libere idee, -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -men servili sentimenti. Quelli poi che fossero capaci -di riflettere e di ponderare i civili ordinamenti, dovevano -rimanere attoniti allo spettacolo di Venezia, di -Pisa, d’altre città marittime, che già si reggevano a -popolo: poi nelle Assise di Gerusalemme trovavano un -governo, baronale bensì, ma dov’era provveduto anche -alla plebe, chiamata pur essa a parte delle discussioni. -</p> - -<p> -Ecco dunque risalire alla dignità civile quei che l’avevano -perduta fin dall’invasione dei Longobardi: ecco -vincitori e vinti ricondotti sotto una giustizia ed un governo -medesimi. E poichè le reliquie degli antichi Romani, -sentendo rivalere l’ingegno sopra la forza, tornavano -su quelle antiche memorie che un popolo perde -per ultima cosa, e che servono spesso di lievito acciocchè -l’inerte massa non imputridisca; e i discendenti -medesimi de’ conquistatori rispettavano quelli che un -tempo avevano soggiogati; perciò si ridestarono i nomi -e le forme romane, e i magistrati cittadini non s’intitolarono -più scabini alla tedesca, ma <i>consoli</i>. -</p> - -<p> -Adunque in due atti spiegavasi quel movimento: -sottrarsi con braccio forte alla dominazione armata, poi -colla prudenza costituirsi. Che se era difficile quel primo -contro conquistatori armati, difficilissimo è sempre il -secondo, e allora viepiù quando di costituzioni non -s’aveva alcuna esperienza. -</p> - -<p> -Ma in che consistevano le pretensioni dei Comuni? -Domandavano libertà materiale di andare e venire senza -pagar pedaggi; di vendere, comprare, possedere il -proprio, e lasciarlo ai figli; contrar matrimonj anche -fuori del feudo, e con persone di qualsiasi condizione; -sicurezza della casa e della persona; una misura fissa -nei dazj, nelle decime, nelle prestazioni di corpo dovute -al signore, ne’ giorni in cui servirlo colla marra -o colle armi, nella retribuzione pel forno o pel mulino -privilegiato in tutto il feudo; se qualche bestia si svii, -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -non venga al castellano, ma rendasi al proprietario; -possa tagliarsi legna morta al bosco; nessuno arresti -un comunista senza intervenzione di giudici; siavi un -tribunale a cui richiamarsi anche dei torti ricevuti dal -signore, e dove giustificarsi col giuramento o per testimoni, -anzichè col duello. -</p> - -<p> -Scossi che si fossero dal giogo, non d’un Tedesco o -d’un Franco, ma d’un tiranno, vinto in unanime concorso -il contrasto del vescovo o del conte, cercavano un -titolo ai loro diritti col farseli non dare ma confermare -dal re in quelle che chiamaronsi <i>carte di Comune</i>. I -re vi trovavano il proprio conto, perchè, oltre deprimere -i feudatari privandoli della giurisdizione, con esse -carte davano regole di diritto criminale e civile, traendo -a sè una parte sì principale della regia autorità qual è -la legislativa, istituendo o convalidando le costumanze -locali. -</p> - -<p> -Le carte che ci rimangono, per quanto variate, importano -l’abolizione delle servitù personali e delle tasse -arbitrarie, assicurato agli abitanti lo scegliersi i magistrati -municipali, e data a questi autorità di movere in -armi i comunisti quando il credano necessario a tutelare -i diritti e le libertà del Comune, sia contro i vicini, -sia contro il signore. In quelle medesime ove propriamente -veniva riconosciuta una giurisdizione distinta, -non si stabiliva già chiaro e preciso in qual relazione -starebbe d’allora innanzi il Comune col re, col feudatario, -col vescovo, bensì riducevasi in iscritto l’ordinamento -sociale interno, tutto ciò che potesse contribuire -alla civile sicurezza, e massime all’applicazione della -giustizia; la parte ove i popoli sentono più immediatamente -la servitù o la libertà. -</p> - -<p> -V’avea però Comuni propriamente stabiliti da baroni -o da re, sulle proprie terre aprendo asilo ai vagabondi -e agli avveniticci, costituendo <i>città nuove</i>, <i>borghi nuovi</i>, -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -<i>castel franchi</i>, <i>franche ville</i>, sotto un preposto del re -o dei signori, con una carta, alla quale davano pubblicità -affine di allettare gente forestiera a stanziarvisi e -comprare terreni. Il conte Guido Guerra, suocero del famoso -Bellincion Berti, nel 1208 dava nel suo viscontado -di val d’Ambra il diritto ad uno per ciascuna terra di -formare insieme uno statuto, unirsi per deliberare degli -interessi pubblici, e assistere lui, capo dello Stato; il -quale delegava i suoi poteri al podestà, salvo l’arbitrio -di modificarne le sentenze. -</p> - -<p> -Siffatte carte occorrono men frequenti in Italia, forse -perchè, sussistendo alcuni Comuni fin dall’età romana, -od essendosene costituiti durante il reggimento feudale, -non si trovava bisogno di nuovi diplomi per regolare -l’amministrazione interna, i diritti de’ magistrati, le relazioni -col signore e coi vicini. Pure d’alcune abbiamo -gli apografi, d’altre fondatissima presunzione, tanto da -poter asserire che i Comuni nostri sono i più antichi -del mondo moderno, e fin anche di quello di Leon -in Ispagna, conceduto da Alfonso V coll’assenso delle -Cortes entrante l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo. -</p> - -<p> -Venezia dall’origine sua medesima si trovò stabilita -in repubblica; e a lei somigliare dovevano le altre città -marittime di maggior fiore, Pisa, Amalfi, Napoli, Gaeta. -Adria, ancora di qualche conto, nel 1017 menò guerra -coi Veneziani, i quali vincitori obbligarono il vescovo -Pietro e i primati a venire al doge, chiedere scusa, e -promettere fedeltà. Dall’alto di tal sommessione esso -vescovo appare anche capo politico del Governo; ma -contraeva coll’intervento de’ suoi canonici e di varj -laici, de’ quali il primo è <i>Anastasius consul</i>. Le città -del litorale istriano, aggregato talvolta al regno d’Italia, -conservarono le forme comunali all’antica, e nel 991 -Capodistria faceva col doge Pietro Orseolo II una convenzione, -stipulata da un conte Sicardo suo governatore, -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -<i>e cunctos habitantes civitatis Justinopolitanæ, tam -majores quam minores</i><a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>. Anche Ragusi, città -mista che per tante ragioni s’annesta alla storia italiana, -e che sotto una costituzione aristocratica gareggiò con -Venezia, e fu l’Atene della letteratura slavo-illirica, -degna di storia più che i vasti imperj da cui fu ingojata, -antichissimo esempio ci è di governo municipale, poichè -in un diploma del 1044 Pietro detto Slaba (slavo) priore, -<i>cum omnibus pariter nobiles, atque ignobiles mei, -tam senes, juvenes, adolescentes, quam etiam pueri</i>, -restituisce alcuni beni all’abate di Santa Maria di Lacroma, -presente il vescovo Vitale<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>. -</p> - -<p> -I Genovesi, costretti a schermirsi dai Saracini di -Frassineto, buon’ora si ordinarono a comune sotto il -vescovo, dividendo le città nelle <i>compagne</i> di Castello, -Borgo, Piazzalunga, Maccagnana, San Lorenzo, Portanuova, -Sosiglia e Portoria, ciascuna avente consuetudini -proprie e gonfalone, e deliberando per consigli e -parlamenti. All’888 si fanno risalire i suoi primi consoli, -il senato, l’assemblea del popolo e le forme municipali, -che ricevettero conferma da un diploma di Berengario II -del 958, il quale assicurava ai Genovesi le proprietà, -già <i>jure</i> acquistate<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. Poi nel 1056 Alberto marchese -giurava osservare le consuetudini di essi, che sono le -seguenti: -</p> - -<p> -«Qualora si contenda sopra la sincerità d’una carta -tra Genovesi e forestieri, se il notajo e i testimonj sieno -presenti, basta che il presentatore della carta giuri non -l’avere corrotta in veruna parte: se manchino notajo e -testimonj, il presentatore trovi quattro persone che il -giurino con lui. La femmina longobarda può vendere -e donare senza l’assenso dei parenti e l’autorità del -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -principe. Così pure i servi, gli aldj delle chiese e i servi -del re vendano e donino liberamente le cose di loro -proprietà, ed anche le livellarie. I villani de’ Genovesi, -che abitano sui poderi dei padroni, non sono tenuti a -dare fodro, fodrello, albergaria o placito ai marchesi, -nè ai visconti, o loro mandati. I livellarj delle chiese, -che per gravi casi non possono soddisfare l’annuo -canone, non perdano un fondo livellato, se prima del -decimo anno paghino i livelli scaduti. Gli abitanti di -Genova non devono stare in giudizio fuori di città, nè -obbediscano a sentenza renduta fuori. I rettori di -Sant’Ambrogio possano conceder beni a livello. I forestieri -abitanti in Genova devono fare la guardia coi -Genovesi contro gl’insulti dei Pagani. Chi giura con -quattro testimonj di aver posseduto per trent’anni un -podere, sia cheto contro qualunque podestà ecclesiastica -o laica, nè v’abbia luogo a duello. Quando i marchesi -vengano a tener placito a Genova, il bando non duri che -quindici giorni. Un laico a cui un cherico abbia ceduto -i beni ecclesiastici, li posseda tranquillamente finchè il -vescovo vive. Se uomo o femmina prese a livello beni -ecclesiastici, o per compra, o per eredità, niun altro -può acquistare livello sui medesimi: e se nasce controversia, -chi è in possesso giuri con quattro testimonj -che da dieci anni egli od i suoi antecessori possedono -quei beni a livello. I cherici legittimamente investiti di -beni ecclesiastici li tengano alla sicura quanto vivono, -nè altro cherico acquisti ragioni su quelli. Gli uomini -dei Genovesi, che vogliono risedere sui poderi de’ padroni, -sieno franchi da ogni servizio pubblico». -</p> - -<p> -Nel 1109 il conte Bertrando donava al Comune di -Genova la terra di Gibeletto in Siria: nel 1130 Pavesi -e Genovesi stipulavano concordia e reciproca difesa. -Nel 1166 i consoli de’ mercanti e de’ marinaj di Roma -agli uomini del Genovesato da Portovenere fino a Noli -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -concedeano pace e sicurezza della persona e degli averi -per terra e per mare da Terracina a Corneto, cassando -le rappresaglie e qualunque procedura per rapine da -trent’anni in poi; renderanno buona giustizia e riparazione; -potranno condurre a Roma qualsiasi merce, e -farvi contratto; obbligheranno a giurar questa pace i -visconti e balii di Terracina, Stura, Ostia, Porto, Santasevera, -Civitavecchia; se alcun Romano rechi danno -a Genovesi, l’obbligheranno a rifarli, e se non possa, -li rifaranno dal Comune; non soffriranno si armino a -danno loro legni di corso da Capodanzo a Terracina, e -da Caponaro a Corneto; terranno per nemici i Pisani, -nè gli accoglieranno sul loro territorio; serberanno -pace cogli uomini di Albenga, Portomaurizio, Diano, -San Romolo, Ventimiglia, se i loro consoli la giurino -ad essi. Di rimpatto i consoli del Comune di Genova -giuravano pace ai Romani coi patti medesimi<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>. -</p> - -<p> -Siena, città primaria sino al tempo de’ Longobardi, -e dove il vescovo appare lungamente anche capo temporale, -già avea Comune nel 1151 quando il conte -Paltonieri dava in pegno al sindaco il castello di San -Giovan d’Asso col suo distretto, per dieci anni: anzi -nel 1137, <i>in communi colloquio</i> molti nobili di Staggia -e Strove donavano alcuni castelli a Ranieri vescovo e -capo civile di Siena. Poi nel 1186 Enrico di Svevia, -vivo Federico Barbarossa, dava e confermava a questo -Comune la zecca, la libera elezione de’ consoli, del rettore, -del podestà, con giurisdizione sopra tutto il contado, -salvo ai giudici imperiali l’ultimo appello delle -cause, e pagando alla Camera imperiale settanta marche -d’argento<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>. -</p> - -<p> -Pisa, a comodo anche dei tanti avventicci, raccoglieva, -fin dal 1160, gli statuti precedenti, fin allora tenuti per -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -memoria, donde ricaviamo l’interno suo ordinamento -e la persistenza del diritto romano; aggiungeva regole -per le contestazioni marittime, che voglionsi approvate -il 1075 da papa Gregorio VII; poi nel 1085 Enrico IV, -oltre varie esenzioni, le prometteva osservarne le consuetudini -di mare, lasciare che i seniori facessero le -leggi e rendessero giustizia, non mandare in Toscana -verun marchese se non approvato da dodici uomini, -eletti nell’assemblea dei cittadini di Pisa, raccolta a -suon di campana<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>. Prometteva inoltre non distruggere -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -le case, non incendiar la città nè diroccarne le mura, -non esigerne alloggi; se rechi offesa ad alcuno, ne giudicherà -per mezzo di dodici sacramentali senza duello, -salvo se si tratti della vita o dell’onore del re; non -impedirà i viaggi, e di mariti che siano in viaggio non -arresterà le mogli; non porrà altro aggravio se non -quello che tre seniori per ciascuna villa e castello giurino -essersi praticato al tempo del marchese Ugo; -lascerà che vedove e fanciulle si maritino, senza -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -costringerle a sposarsi a chi egli voglia, o esigerne -prezzo; non torrà nè farà lavorar le terre a mezzo -miglio in giro, che furono paludi o pascoli pubblici o -delle chiese; il pezzo del muro vecchio sin all’Arno -lascerà libero a comune vantaggio, non permettendo -vi si eriga casa; se alcuna nave sia fermata da Gaeta a -Luni, nessuno ardisca predarla. -</p> - -<p> -Lucca, prediletta sede dei marchesi di Toscana, in -un documento del 1124 chiamata <i>gloriosa civitas, -multis dignitatibus decorata, atque super universam -Tusciae marchiam caput ab exordio constituta</i>, possiede -uno de’ più ricchi archivj d’Italia, da cui potrebbe -trarsene la storia comunale. Fra il 965 e il 972 Ottone -I conferiva a quella Chiesa un’immunità, la quale -era piuttosto personale ed ecclesiastica, salvo che cedevasi -ad essa Chiesa e al clero la facoltà regia di eleggere -il proprio avvocato, e dispensavasi dal giurare -nelle cause con molti <i>sacramentarj</i>. Ottone II nel 981 -confermò ed estese questi privilegi, volendo che tutte -le persone dimoranti nelle terre e castella d’esso vescovado -fossero sottoposte unicamente al tribunale del -vescovo, che potesse citarli e giudicarli (<i>distringere</i>) a -modo della potestà regia. Nessun duca, marchese, conte, -visconte, giudice pubblico o gastaldo o qualsiasi altro -magistrato presuma porvi piede per udir cause, esigere -multe, far foraggio, levare sfatichi; chiunque possedesse -beni del vescovado ingiustamente, li restituisca<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>; seguono -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -altri provvedimenti opportuni al libero esercizio -del dominio e dei diritti vescovili, e comminando ai -contravventori mille libbre d’ottimo oro, da pagare -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -metà al fisco imperiale, e metà alla chiesa di Lucca -<i>ejusque vicario</i>. Alessandro II papa attribuì a quel -Comune per sigillo una bolla di piombo<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>. -</p> - -<p> -Vedemmo Anselmo vescovo di Lucca zelantissimo -per Gregorio VII contro l’imperatore; onde i cittadini -gli si ribellarono, ed Enrico IV, da Roma il 23 giugno -1081, in premio della fedeltà e de’ servigi prestatigli, -conferiva ai Lucchesi un privilegio, nel quale vieta ai -<i>vescovi</i>, duchi, marchesi, conti e qualsiasi persona o -autorità di demolire il recinto delle mura nè i casamenti -urbani o suburbani; o di fabbricare castelli nel -circuito di sei miglia, nè di esigervi il fodro o il ripatico; -abolendo le <i>consuetudini perverse, introdotte dalla -durezza</i> del marchese Bonifazio; non vi abbia palazzo -imperiale in città o nel borgo, nè siano tenuti agli -alloggi; chi per negozj va a Lucca sia pel Serchio sia -per terra, non venga molestato nè derubato, nè alcuno -lo impedisca o svii; i Lucchesi possano negoziare sopra -i mercati di Parma e San Donnino ad esclusione dei -Fiorentini; siano giudicati solo da chi ha legittima giurisdizione; -non venga obbligato al duello chi adduca -il possesso di trent’anni, o altro documento; il giudice -longobardo non possa proferirvi giudizio, se non in -presenza del re o del suo cancelliere<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -</p> - -<p> -Qui avete sott’occhio una vera carta di Comune; e -quantunque v’appajano come concessioni quelle che oggi -si hanno per generale giustizia, pure alleggeriva la -soggezione immediata ai marchesi e conti; la mediata -moderava nell’esigenza delle tasse e ne’ giudizj; dava -a Lucca un’esistenza comunale in faccia ad altri Stati, -sicchè l’università e i singoli cittadini fossero rispettati -come tali. -</p> - -<p> -Benchè, col cessare della guerra delle Investiture, -rivalesse l’autorità dei marchesi, questa non tolse al -Comune di Lucca di operare indipendente: dal 1088 -al 1144, ebbe guerra coi Pisani; distrusse i castelli -Castagnoli, Vaccole, Vecchiano, Ripafratta, appartenenti -a Cattanei o conti rurali; da Uguccione e Veltro, visconti -di Corvara nella Versilia, comprò questo tenimento -e il castello di Vorno che spianò; e chiamò a -giudizio arbitrale i vescovi di Luni e i marchesi di -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -Malaspina<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>. Non sapremmo dunque definire a che si -riducesse la supremazia dei marchesi di Toscana, che -pur sussistette fino a che il marchese Guelfo della casa -di Matilde, principe di Sardegna, e duca di Spoleto, -nel 1160 al popolo lucchese cedette ogni diritto, azione, -giurisdizione, che gli competessero sia a titolo del -marchesato, sia per l’eredità della contessa; solo per -novant’anni riservandosi il censo di mille soldi, sebbene -non siano pur la metà di quel ch’egli potrebbe ritrarne<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>. -Così que’ cittadini furono riscattati da ogni -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -servitù particolare, e l’assicurata libertà garantirono -col giurar fedeltà e sommessione all’imperatore. -</p> - -<p> -Benchè Lucca sia così ricca di documenti, il Tommasi, -nel <i>Sommario</i> della storia di essa, dice non -potersi «fissar con sicurezza quando v’incominciasse -la repubblica, gli storici lucchesi segnando un’epoca -chi più chi meno remota;..... se narrano i primi scrittori -fatti bastantemente provati donde traspirano manifesti -segni di libertà e d’indipendenza, producono i -secondi tali carte contemporanee da smentire appieno -gl’indicati segni, perocchè mostrano esse più presto -soggezione gravissima, che la ben menoma franchigia». -Quest’incertezza è di gran lunga maggiore per gli altri -Comuni, e deriva dal fatto dei mal determinati poteri, -tanto dominante nel medioevo, che non deve presumere -d’intendere la storia civile chi non l’abbia sempre -sott’occhio. -</p> - -<p> -Ampio privilegio fu concesso il 1129 da re Ruggero, -e confermato il 1164 da re Guglielmo alla città di -Messina, in benemerenza de’ sussidj prestati a snidare -i Normanni. Portava che i Messinesi, tranne i casi di -Stato, non potessero convenirsi in civile o in criminale -se non da giudici eletti da loro, neppur nelle cause col -fisco; il re non operasse dispotico, ma si attenesse alle -leggi, e se contrario a queste dava alcun decreto, fosse -irrito e nullo; non nominasse uffiziali pubblici che -messinesi e benevisi; e fosse reputato cittadino coronato -di Messina. I deputati di questa tenessero il primo -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -luogo nelle assemblee convocate dal re; solo colà si -coniasse la moneta del regno; nel tribunale suo fosse -un consolato per deliberare in affari marittimi, composto -di Messinesi, <i>nominati dai padroni delle navi e -dai negozianti</i>. I Messinesi andassero esenti da dogana -per tutto il regno; potessero senza compenso tagliar -nelle foreste regie quanto occorresse a fabbricare e -risarcir le navi: nessuno d’essi fosse forzato al servizio -militare; la galera di Messina inalberasse lo stendardo -reale; nelle assemblee dal re convocate per gl’interessi -di quella città non si deliberasse che in presenza dello -stratego, dei giudici e d’altri uffiziali della città; gli -ebrei vi godessero diritti e immunità pari ai cristiani. -Tale carta, confermata poi ed accresciuta, rendeva il -comune di Messina quasi sovrano<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>. -</p> - -<p> -Al popolo di Ferrara Enrico III nel 1055 concedeva -che i <i>cortensi</i> fossero assolti dal dare la terza pel placito; -i villani nelle lor terre abitanti non andassero al -placito pubblico, ma per loro rispondessero i padroni; -le navi e i cavalli loro non fossero obbligati a servizio -se non quando esso imperatore venisse in Italia; non -pagassero il ripatico se non a Pavia; e così vien fissato -quanto retribuire pei pesci, pel sale a Cremona, a Venezia, -a Ravenna; tutt’altrove si era immuni d’ogni -esazione. Due volte l’anno tengano il placito generale -per tre giorni, in ciascun de’ quali diano tre porci, -cento pani, una libbra di pepe, una di cinnamomo, tre -sestieri di miele, e in tutto una vezza di vino; al quarto -giorno diano a colui che tenne il placito, un majale e -cinquanta pani<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -</p> - -<p> -Anteriori diritti possedevano le comunità del lago di -Como, giacchè Ottone il Grande nel 962, ad istanza -dell’imperatrice Adelaide, confermava agli abitanti dell’Isola -Comacina e di Menaggio i privilegi che avevano -ottenuti dagli antecessori suoi, assolvendoli da molti pesi -e dal venire al placito, se non tre volte l’anno in Milano<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. -Verso il 1090 troviamo i Comaschi alle -prese coi popoli della riva dell’Adda, quando il beato -Alberto, fondatore del famoso convento di Pontida, -s’interpose di pace: i Comaschi lacerarono il suo lodo; -mal per loro, giacchè nel combattimento ebbero la -peggio. -</p> - -<p> -Fin dal 990 il popolo di Cremona sosteneva briga -con Olderico, suo vescovo insieme e conte, e cacciatolo, -abbattè la città antica, e una maggiore ne fabbricò -contro l’onore imperiale<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>. Il 1114 Enrico V confermava -i privilegi de’ Cremonesi, cioè i beni <i>ch’essi -in loro lingua chiamano proprietà comunali</i><a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>, e -di fabbricare fuor di città il palazzo imperiale, il che -equivaleva a promessa di non entrarvi coll’esercito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -</p> - -<p> -Del Comune di Brescia trovansi vestigia al 1000: nel -1020 già sono citate le concioni pubbliche che si tenevano -in San Pietro de Dom, e il banditore comunale, -a nome di esso Comune, investiva gli uomini degli Orzi -del castello, delle fosse e degli spaldi di Orzi: essi a -vicenda promettendo difendere quella rôcca contro chi -fosse ardito a disputarne il possesso al Comune di -Brescia, presterebbero ogni quindici anni il giuramento, -pagherebbero alla madonna d’agosto cinque soldi milanesi. -Del 1029 si conosce uno statuto che concerne -anche i feudi. Nel 1037, per togliere le contese tra il -vescovo e il Comune, più di cencinquanta uomini liberi -di Brescia si radunano, e Odorico vescovo promette -non eriger fortilizj sul colle Cidneo, e cedere al popolo -alcuni boschi di Castenedolo e di Montedegno, pena -duemila libbre d’oro se fallisca al promesso. -</p> - -<p> -I Bresciani nel 1102 avevano promulgato una legge -contro gli usuraj: e due anni appresso Ardizzo Aimone, -console di colà, girava per le città lombarde onde -indurle a federarsi in difesa comune, convenendo nel -monastero di Palazzuolo<a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>. -</p> - -<p> -Dicemmo come a Mantova fosse costituito il Comune -degli arimanni. Ai 27 giugno 1090 la contessa Matilde -gittava un bando qualmente <i>i fedeli suoi Mantovani -cittadini</i> ricorsero alla clemenza di essa, bramando -esser rilevati dall’oppressione d’alcuni loro concittadini -e domandando fosser loro restituiti gli arimanni, e le -cose tutte <i>comuni</i>, tolte ad essa città dai predecessori -della contessa. Al che annuendo, abolisce e sterpa tutte -le esazioni ed angarie non legali, imponendo che nè -essa nè gli eredi suoi od altra persona grande o piccola -di sua podestà possa molestare i cittadini di Mantova -per le persone loro, i servi, le ancelle, i liberi dimoranti -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -in quella terra, e l’arimannia e le cose comuni ad -essa città spettanti sulle rive del Mincio, o le cose -mobili e immobili. Nessuno alloggi in qualsiasi casa -della città, o in quella d’un gentiluomo (<i>militis</i>) nel -sobborgo, o nella canova di chicchessia, contra lor -voglia. Restituisce loro i beni occupati, in modo che -pascolino, seghino, caccino a voglia; possano sicuramente -andare e venire per acqua e per terra senza -pagar pedaggio, ed avere quella buona e giusta consuetudine -che ottiene ogni miglior città di Lombardia<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a>. -Nel 1133 Lotario II confermava al popolo di -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -Mantova i privilegi conceduti già dall’imperatore Enrico -II,<i> compresa l’arimannia e le cose comuni di essa -città, su ambe le rive del Mincio e del Tàrtaro</i>; abbiano -facoltà di trasferire il palazzo imperiale dal borgo -San Giovanni al monastero di San Rufino di là dal -Mincio; restino liberi dall’albergaria, e possano andare -e venire a tutti i mercati dell’Impero, senza molestia -nè esazione di teloneo. Concede inoltre l’isola dov’era -stato il castello di Ripalta, sicchè altro fabbricarne non -potesse egli nè i successori suoi<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a>. -</p> - -<p> -Nella vita del beato Lanfranco, sotto il 1030, leggesi -che il padre di questo era di coloro che custodivano -le leggi e i diritti della città di Milano<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>; e lo storico -Landolfo di San Paolo nel 1107 chiamasi secretario dei -consoli<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>. In quell’anno stesso i Milanesi erano alle -mani colla città di Lodi, e la stringevano d’assedio; -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -Pavia cavalcava Tortona, la quale chiese l’alleanza dei -Milanesi, mentre Pavia univasi co’ Lodigiani e Cremonesi, -e presa la città nemica, la mandò a fuoco. E di -vita propria ci diè sentore Milano sia nell’antica contesa -coll’arcivescovo Landolfo, sia più chiaramente in -quelle delle Investiture e pel matrimonio dei preti; poi -i principi di Germania e Federico arcivescovo di Colonia -nel 1118 scrivevano ai <i>consoli, capitanei, cavalieri -e all’intero popolo milanese</i>, come a Comune -indipendente, istigandoli contro Enrico V a tutelare le -proprie libertà, fidati nell’ajuto di Cristo<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>. Nel 1117 -i Lombardi, sgomentati da fenomeni straordinarj, pioggie -di sangue, nascite di mostri, tuoni sotterranei, -risolsero provvedere alla giustizia, all’ordine, alla penitenza; -onde l’arcivescovo Giordano radunò in Milano -una dieta straordinaria, dove non comparvero più -principi e conti o feudatarj, ma sovra un palco da una -parte si posero tutt’i vescovi, dall’altra i consoli delle -varie città, i giurisperiti e popolo immenso, e trattarono -del metter pace<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>: assemblea di liberi, che da se -stessi consultano il proprio meglio, e che forse allora -avvisarono come adempiere al difetto della giurisdizione -reale, caduta così in basso. Sembra difficile che -si abbia a intendere qui soltanto del Comune dei conquistatori, -senza partecipazione del popolo. -</p> - -<p> -Di questa distinzione del Comune dei nobili dal -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -popolano ci presentò insigne documento Mantova; un -altro abbiamo in Bergamo, dove i nobili troviamo più -volte convocati insieme col clero a trattare di possessi -ecclesiastici<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>. Poi re Corrado nel 1088 teneva in -quella città un placito, assistenti varj giudici del sacro -palazzo, alquanti vescovi, marchesi, conti, valvassori -milanesi e bergamaschi, e <i>varj cittadini</i> di essa -città<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>. -</p> - -<p> -Quanto alle terre del Piemonte, nel 1090 Ottone Riso -e Benedetta sua moglie vendono una casa e una cascina -<i>omnibus vicinis de Bugella</i>; acquisto comune, che -indica una comune amministrazione dei Biellesi, benchè -qui pure potrebbe supporsi dei soli conquistatori. Due -anni appresso, gli abitanti di Saorgio maschi e femmine -fanno una donazione a Sant’Onorato di Lerino. Nel -seguente trovasi già in Biandrate un Comune con dodici -consoli, e quei conti Guido e Alberto fanno patto di -assistenza coi militi, cioè coi valvassori, per conservare -i possessi e feudi che ottennero, promettendo lasciar -che trasmettessero ai loro figli maschi e femmine i -terreni di cui gli abbiano infeudati, nè proibire che -vendano un edifizio che v’abbiano eretto, purchè non -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -vendano essa terra senza consenso dei conti. I quali -conti non imporranno pena ai militi di Biandrate se -non per omicidio, spergiuro, furto, adulterio con una -parente, tradimento, duello giudiziale e aggressione; -gli altri delitti rimetteranno al laudo di dodici consoli. -I militi a vicenda giuravano stare ligi ad essi conti, -conservarne di buona fede i feudi; e tra loro stessi -promettevano garantirsi i possessi contro chicchessia, -nelle discordie rimettersi ai dodici consoli<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>: i quali -pure giureranno risolvere le liti in Biandrate al miglior -vantaggio del Comune e ad onor del luogo<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>. -</p> - -<p> -Nel 901 Lodovico IV imperatore al vescovo d’Asti -Eilulfo concedeva la corte e il castello di Bene, Cervere, -Niella, Salmour, e la contea di Bredulo fra il Tanaro e -la Stura: ma nella città non aveano que’ vescovi che il -castelvecchio, sin quando Ottone III nel 992 a Pietro -concesse anche la città con quattro miglia in giro, e -giurisdizione, il letto del Tanaro e le rive, e tutti i -diritti camerali, e le successioni agli intestati, vietando -a qualsiasi conte di pigliarvi ingerenza<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a>. L’anno -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -stesso agli <i>abitanti</i> d’Asti esso Ottone concedea facoltà -di trafficare ove loro paresse; poi Corrado Salico nel -1037 li faceva esenti da ogni dazio e dogana in qualunque -parte arrivassero mercatando, sempre ad istanza -del vescovo. Al quale però già stavano mal soggetti, -talchè due volte la principessa Adelaide dovette venire -ad assisterlo, gettando il fuoco alla città; poi alla morte -di essa, vi si formò il Comune, e li troviamo ben presto -sostener guerra col marchese Bonifazio di Savona, e -nel 1098 già stringer lega con Umberto II di Savoja -erede di essa Adelaide. Amedeo III di quella casa, -morto il 1148, dava franchigie comunali a Susa; Tommaso -ad Aosta nel 1188, ricevendola in protezione: -attesochè l’esser costituiti in Comune non repugnava -alla dipendenza da un signore. -</p> - -<p> -Chi cercasse, troverebbe in quel torno stabilite a -Comune tutte le città italiane; ma l’accertarne il principio -è difficile tra quell’<i>agitazione costituzionale</i>, reggimento -indeciso fra la pace e la guerra, fra la sommessione -e la rivolta, fra l’opposizione legale e l’insurrezione. -</p> - -<p> -D’altro passo erano proceduti i paesi di Romagna. -Inviolati da Barbari, aveano essi conservato l’ordinamento -quale sotto l’Impero bisantino, con consoli sopra -il Governo e i giudizj, e con tribuni che comandavano -ai borghesi, distribuiti in scuole militari. Staccati che -furono da quello, la difesa venne commessa ai vassalli, -e il loro capo assunse l’aspetto generale d’allora, cioè -di signore feudale ereditario, e trasse il titolo dalle terre -che possedeva. L’ordinamento civile vi si trasformò -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -quando i varj vescovi, che pretendevano alla superiorità, -dopo Ottone il Grande s’inchinarono al pontefice; -sicchè a questo rimase la primazia sovra la Romagna, -e ai vescovi la giurisdizione e il nominare i magistrati, -che, secondo allora solea, retribuivansi con terre feudali. -A capo pertanto d’ogni contado aveasi un visconte, -sotto cui i capitanei vescovili, indi i vassalli e i valvassori, -e da ultimo il Comune dei liberi, i quali formavano -il consiglio municipale coi vassalli del vescovo. -</p> - -<p> -In qualche città, e nominatamente a Ravenna e sue -dipendenti come Bologna, durava traccia delle istituzioni -bisantine, essendo i cittadini distribuiti per scuole -d’arti, che erano ad un tempo divisioni militari, aventi -alla testa decurioni finchè durò l’antica costituzione -romana, e con magistrati particolari per definire i loro -affari, detti consoli de’ mercanti, de’ pescatori, de’ calzolaj, -e così via. In ciascheduna corporazione un <i>capitolario</i> -vigilava che fossero mantenuti i capitoli, vale a -dire i diritti speciali di ciascuno, regolava i mercati, e -risolveva le controversie. Il popolo di Bologna nel 1116 -ottenne da Enrico V la conferma dei privilegi e delle -consuetudini sue. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Più tardi si riscosse la campagna. La conquista dei -Barbari aveva arrestato lo spopolamento, prodotto -dall’affluire della gente nelle città; poi collo stabilirsi -dei feudi la politica prevalenza fu trasferita dalle città -alla campagna<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>. Attorno al castello del barone o -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -al sagrato della chiesa accoglievasi una gente laboriosa, -manufattrice, mercadante, che presto cresceva in borgate. -I signori, accortisi come potessero vantaggiarne -d’entrate e di forza materiale, concessero alcuni privilegi, -che non li facevano indipendenti, ma ne cresceano -le ricchezze e gli abitanti; e quest’incremento rendeva -necessarj nuovi privilegi, per quanto poco garantiti -contro la prepotenza. Alcuni anche per bisogno li vendevano, -nè denaro mancava ai sudditi per tale acquisto, -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -avessero pur dovuto togliersi il pane di bocca. Altrove -non erano concessi ma pretesi, e l’esempio delle città -ispirava ai campagnuoli desiderio di scuotere la dipendenza, -e fiducia di riuscirvi. Rifuggiti in un bosco, -sovra un colle, dietro un terrato, sfidavano di colà lo -sdegno del signore finchè egli non calasse a ragionevole -componimento. -</p> - -<p> -Del come si formassero le borgate attorno alle chiese -un bel documento ci resta. Compita nel 1093 la chiesa -di Empoli, una delle più antiche collegiate di Toscana, -prete Rolando ne divenne <i>custode e prevosto</i>, al quale -nel 1119 la contessa Emilia promise quel che il marito -suo Guido Guerra signore di Empoli già aveva giurato, -cioè che a tutti gli uomini del distretto empolitano, o -vivessero sparpagliati o riuniti in castelli e ville, imporrebbe -di stabilirsi attorno alla chiesa matrice di Sant’Andrea, -donando a tutte le famiglie un appezzamento -di terra per costruirvi le abitazioni, oltre uno per erigere -il castello: prometteva pure difendere esse case, di -modo che, se mai, per guerra o per violenza dei ministri -regj o per altro, fossero abbattute, i conjugi Guido le -rifarebbero a loro spese<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>. Di poi nel 1182 i Fiorentini -obbligarono gli Empolitani a giurar loro obbedienza -e fedeltà contro chicchefosse, eccetto i conti -Guido antichi loro signori, pagar cinquanta lire annue -nel giorno del Battista, un cero più grosso di quel che -gli uomini di Pontormo offerivano quand’erano vassalli -del conte Guido Borgognone di Capraja. -</p> - -<p> -Il parabolano frà Jacopo d’Acqui ricorda che, al -tempo del Barbarossa, molte terre grosse si formarono -in Piemonte coll’unire ville: e prima Chivasso, per opera -de’ Milanesi: poi alquanti rustici, congregati in opposizione -ai marchesi di Saluzzo, edificarono Savigliano, -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -che vuol dire savio-villano, per venire dalla servitù di -essi marchesi a libertà: altri coll’ajuto de’ Milanesi fra -la Stura e il Gesso fecero una città detta Cuneo, perchè -avea tal forma: così furono costituiti Fossano, Mondovì, -Cherasco, per tenere in freno quei di Asti e di Alba<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a>. -Nel 1251 molte famiglie di Marmirolo nel Mantovano, -trovandosi angariate da Guidone Gonzaga, abbandonarono -in unanime concorso la patria, e si mutarono -nel paese di Imola: il qual Comune donò loro molte -terre colte e incolte, che essi obbligaronsi di mettere a -frutto, pagandone annuo censo, e abitando uniti in un -villaggio che Imola fabbricherebbe apposta, e che fu -Massa Lombarda<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>. Fin dal 1157 il popolo di Marti -e quello di Montopoli nel Valdarno inferiore discutevano -de’ proprj confini, e si citarono i consoli a far -dichiarare dai più vecchi e probi quali fossero veramente<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>. -Firenze, l’anno 1300, decretava si facessero -tre terre nel Valdarno superiore, per frenare gli Libertini -di Gavelle e quei di Soffena e i Pazzi; le quali -furono Terranova, Castelfranco di Sopra e San Giovanni. -</p> - -<p> -Ad emanciparsi erano i borghi ajutati dalle medesime -città, cui giovava l’aversi in giro consenso di liberi, -anzichè minaccia di tiranni. Perciò i fuggiaschi s’accoglievano -sopra le terre suburbane, che anticamente -erano appartenute al vescovo, o, come allora dicevasi, -al santo patrono, e perciò si chiamavano <i>corpi santi</i> -in Lombardia, e <i>appodiato</i> a Bologna, <i>camperie</i> nella -Toscana, sottoposte alle leggi e al podestà medesimo -della città. Se i Comuni cittadini avessero dichiarato -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -sciolti i feudi, tutti i campagnuoli sarebbero affluiti -nelle città: ma queste non aveano mai avuto mente a -costituire un diritto nuovo demolendo il preesistente, -onde non attentavano ai legami che tenevano l’uomo -alla terra ed al padrone, sebbene volentieri aprissero -ricovero a’ fuggiaschi, e sostenessero chi si ribellava ai -conti rurali. -</p> - -<p> -Milano nel 1211 concedeva a tutti i contadini e borghesi -di accasarsi in città, e li faceva esenti da ogni gravezza -rurale, e accomunati ai diritti di cittadini, purchè -non lavorassero di propria mano la terra, abitassero in -città trent’anni, eccetto il tempo del ricolto. Imola nel -1221 prometteva la quinta parte degli uffizj a quei di -Castello Imolese che andassero accasarsi in città. L’anno -stesso Bologna prometteva immunità ai forestieri, e il -consolato ad ogni venti famiglie che venissero a formar -villa nel territorio bolognese. -</p> - -<p> -I signori si opponevano a che i loro dipendenti <i>giurassero -il Comune</i>; ed essendosi i terrazzani di Limonta -e Civenna accomandati al Comune di Bellagio -sul lago di Como, l’abate di Sant’Ambrogio, che n’era -feudatario, protestò non averne mai dato concessione, -e chiese sentenza, per la quale furono assolti dalla vicinanza -dei Bellagini, dal contribuire il fodro, e venire al -placito e alla giurisdizione<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>. -</p> - -<p> -Ad alcuni signori le comunità indissero guerra, poichè -il diritto della personale vendetta, allora universalmente -riconosciuto, rendeva alle città legittimo l’osteggiare -i baroni, che fin sotto le loro mura aveano -piantato fortifizj; e bandivasi pace alle capanne e guerra -ai castelli. I conti d’Acquesena dominavano sei popolose -terre in val di Belbo, e sorretti dal marchese di Monferrato -e dalle armi, mille soprusi si permettevano -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -sopra i vassalli, ed esigevano una oscena primizia. I -terrieri soffersero un pezzo come sbigottiti; poi fecero -popolo, e al tocco della campana di Belmonte assalsero -determinatissimi le rôcche dei signori, questi uccisero, -quelle diroccarono; e difesisi dal marchese Bonifazio -mediante l’ajuto degli Alessandrini, trasferirono le -proprie abitazioni là dove la Nizza sbocca nel Belbo, e -vi edificarono Nizza della Paglia<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>. -</p> - -<p> -Altre volte non colla forza, ma otteneasi cogli accordi: -come i conti Guido cedettero a Firenze i loro castelli -per cinquecento fiorini; e come troveremo spesso nel -procedere. Ma gli abitanti di Montegiavello, scontenti -della dominazione d’essi conti Guido, scesero a stormo -dall’altura, e compro un prato sul Bisenzio, vi costituirono -il Comune, che poi fu la cittadina di Prato<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>. -</p> - -<p> -Nel 1200 la città d’Asti dai molti consignori comprava -il castello e il territorio di Manzano, obbligando -gli uomini a trasferirsi nel nuovo paese di Cherasco. -Nel 1228 Genova comprava dai marchesi di Clavesana -i castelli e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro, -Taggia, San Giorgio, Dolcedo, per l’annua prestazione -di lire ducencinquantadue genovesi: nel 1233 faceva -altrettanto con Laigueglia. Nel 1180 il Comune di Vercelli -comprava in moltissime porzioni il castello di -Casalvolone. -</p> - -<p> -Converrebbe fare la storia di ciascuna borgata chi -volesse dire come le città crescevano dalle ruine della -feudalità campagnuola. Alcuni signori abbracciarono -spontanei lo stato civile, fosse per maggior sicurezza o -per godere l’autorità che l’opulenza, il dominio antico, -le aderenze procacciano sempre in una comunità; -sicchè discendendo dalle minacciose rôcche, giuravano -il Comune e fedeltà ai magistrati cittadini, sottoporre -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -i loro terreni alle tasse, servire alla patria colla -persona e coi vassalli, e parte almeno dell’anno fissar -dimora nelle città<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -</p> - -<p> -I Transalpini, avvezzi ancora a non vedere nei loro -paesi che dominio de’ baroni, meravigliavano allo scorgere -che le città di Lombardia aveano ridotto tutti i -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -signori della diocesi a coabitare; talmente che a fatica -si trovava alcun nobile o grande che non obbedisse alle -leggi della città<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>. Alquanti duravano ancora nei -loro castelli, massime ove li francheggiava la montagna, -circondandosi di armigeri e di donzelli, per conservare -l’antico potere: ma sebbene dissoggetti dai Comuni, -non poterono mai costituire una salda aristocrazia, -attraversati com’erano dalle altre classi. Restava dunque -che sfoggiassero in lusso e in finte prodezze, assaltando -un pagliajo od una grancia, o ferendo torneamenti, -ovvero empiendo il tempo con giocare alle palle, agli -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -aliossi, alla quintana, e mettersi attorno buffoni, nani, -cantastorie, sonatori: finchè impararono a vendere ai -pacifici Comuni il valore, cui si erano educati ed -esercitati. -</p> - -<p> -A tal modo formaronsi i Comuni; e combinando le -idee classiche colle nuove, definivano la città essere un -convegno di popolo, raccolto a vivere secondo il diritto; -e che tutti gli uomini d’una città, e massimamente -delle principali, devono operare civilmente e -onestamente<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap82">CAPITOLO LXXXII. -<span class="smaller">Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. -Emancipazione dei servi.</span></h2> -</div> - -<p> -Se dunque ricapitoliamo la storia del popolo, dopo -Carlo Magno ci occorre anarchia e scompaginamento -universale; città e stirpi discordi; ogni barone, ogni -guerriero animato da interessi diversi; non un pensiero -della povera plebe. La feudalità comincia a collegare -duchi e conti col vincolo di devozione allo stesso capo -e di servizj reciproci; i possessori di allodj, franchi di -ogni carico pubblico, indipendenti fra loro e quindi -antisociali, consentono o sono forzati a divenire vassalli, -cioè a prestare ligezza ad un signore, nella cui protezione -trovano un compenso alle servitù, all’omaggio, -agli obblighi. L’uomo preferisce sempre lo stato socievole -all’isolamento, e il governo feudale offriva la -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -combinazione per allora migliore di sforzi materiali -onde organizzare la pace e dirigere la guerra. -</p> - -<p> -Nelle città non v’era modo come uno potesse distinguersi: -ignote le lettere; a soli nobili le ricchezze; dei -gregarj le armi. In conseguenza le plebi rimanevano -ancora fuori della società, e ad insinuarvele s’industriarono -i Comuni, dove conquistati e conquistatori, uomini -dipendenti dal re o dal vescovo o dai signori, venivano -fondendosi in una stessa cittadinanza, a giurisdizione -dei vescovi; poi anche da questi si emanciparono, -istituendo il Comune laico. Nè era un tremuoto popolare -che diroccasse i castelli: essi non domandavano la libertà, -ma l’eguaglianza sotto un signore, un freno alla -gerarchia feudale, o di potere in questa pigliar posto. -Per tal modo la gente bassa diventa un ordine; la ricchezza -mobile si erige a fianco alla fondiaria; e il feudalismo, -che dianzi era la società intera, si restringe a -sola la nobiltà. -</p> - -<p> -L’Italia non avea di quei duchi o conti, poderosi -quasi piccoli re: l’autorità regia, annessa all’imperiale, -restava lontana e controversa; sicchè le città trovarono -minori ostacoli a costituirsi, tanto più che avevano -sugli occhi l’esempio delle marittime. Perciò, caduta la -Casa Salica, i Comuni lombardi muovono guerra ai -capitanei, togliendo loro le entrate e la giurisdizione di -conti, e la esercitano in vece loro. I Comuni si valgono -degli imperatori e dei papi per cacciar le picche più -a fondo nelle viscere de’ nemici; e li strascinano nelle -microscopiche loro inimicizie; laonde queste parziali -associazioni, combinate per salvarsi dalle baronali prepotenze -e dal politico scompiglio, vennero ottenendo o -conquistando giurisdizione particolare, diritto di guerra -e di moneta<a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>, governo proprio, insomma a farsi -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -piccole repubbliche. Gli uffiziali, non più dai vassalli, -ma sono scelti fra’ comunisti; onde sottentra l’abitudine -agli affari, e ne vengono magistrati da far fronte allo -Impero, giuristi che in parlamento potranno pettoreggiare -i capi della feudalità, e dottori alle cattedre, e -cherici che saliranno ai vescovadi e alla tiara. -</p> - -<p> -<i>Consoli</i> era l’antico nome de’ magistrati civili, detti -alla tedesca <i>scabini</i> o giudici perchè principale loro -uffizio il giudicare. Altri consoli erano i capi delle -maestranze e delle compagnie mercantili, la cui efficacia -nella istituzione de’ Comuni fu maggiore che non soglia -credersi. Man mano che si affrancassero, le città attribuivano -i poteri a questi magistrati, che allora dalle -funzioni giuridiche fecero tragitto alle amministrative, -dalle particolari alle pubbliche. Il vescovo di Luni avea -guerra col marchese di Malaspina, che compose nel -1124 coll’interposto dei consoli di Lucca<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>. -</p> - -<p> -I consoli erano due o più: Perugia, che vuolsi già -facesse guerra a Chiusi nel 1012, a Cortona nel 49, a -Foligno nell’80 e 90, ad Assisi nel 94, era governata -da dieci consoli nel 1130, quando in piazza San Lorenzo -gli uomini dell’isola Palvese fecero la loro sommessione<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>: -Bergamo n’avea dodici: Milano sei o sette -per ciascuno dei tre ordini di capitanei, valvassori e -cittadini<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>: probabilmente anche altrove erano scelti -in questa proporzione, ovvero da cittadini e nobili, -dove questi costituissero un unico stato, o anche da uno -stato solo, che fosse agli altri prevalso. A Firenze -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -furono quattro, poi sei, secondo la città era divisa -per quartieri o sestieri; ma uno godeva maggior -fama e stato, e dal nome di esso qualche cronista notava -l’anno. -</p> - -<p> -Nè le sole città, ma anche borghi e castellari ebbero -consoli proprj: e per mille esempj valga Pescia, non -ancora città, i cui consoli e consiglieri nel 1202 concordavano -con quelli delle limitrofe comunità di Uzzano -e Vivinaja intorno all’elezione e alle attribuzioni dei -consoli, per evitare le controversie<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>. -</p> - -<p> -Niuno confonda i Comuni del medioevo coi municipj -che trovammo fra gli antichi. Questi ultimi erano formati -da coloni venuti da Roma, che, sostenuti dalle -armi della metropoli, si piantavano sopra il territorio -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -conquistato per tenere i vinti in soggezione: nel medioevo -sono i vinti stessi che aspirano ad esser pareggiati -ai vincitori, acquistando i diritti, prima d’uomini, -poi di cittadini. Nel Comune romano il padre è in casa -sua magistrato e sacerdote: nel nuovo, il clero costituisce -classe distinta e indipendente, e l’autorità paterna -rimane circoscritta entro i limiti della pietà. Alla comunanza -romana non partecipava propriamente che -l’<i>ordo</i>, vogliam dire le prosapie senatorie iscritte nell’<i>album</i>, -per eredità trasmettendo il potere e l’amministrazione; -che se una si estinguesse, l’Ordine medesimo -sceglieva tra le megliostanti della città quella che -dovesse empiere il vuoto: pochi ricchi, in possesso della -piena cittadinanza, erano circondati da una turba di -schiavi, alle cui mani abbandonavano tutti i servizj. -Nel nuovo Comune invece, per la prima volta al mondo, -l’industria si esercita libera, e frutta ricchezze e franchigie. -In quello gli uomini di miglior diritto stanno -adunati nelle città, rimanendo alla campagna i servi: -nel medioevo i prepotenti vivono ne’ castelletti foresi, -mentre le città sono di gente industriosa, che poc’a -poco e a forza di lavoro si affranca. Colà insomma è -aristocrazia, qua democrazia: quello provvede alla -politica potenza d’una classe eccezionale, questo ai diritti -dell’intera popolazione: in quello i privilegiati si -conservano col gelosamente escludere le classi inferiori; -nel moderno ognuno si travaglia verso miglior condizione, -e nella lotta invigorisce la personalità. -</p> - -<p> -Ma la prima rivoluzione dei Comuni può considerarsi -come aristocratica, tanti elementi signorili abbondarono -nella sua composizione, i quali vedremo poi sistemare -i governi, dettar leggi a tutto loro pro, combattere più -valorosamente che non avrebbe saputo una plebe inesercitata. -Dipoi si ampliò il Comune a segno, che -chiunque avesse pane e vino proprio, esercitasse mestiere -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -d’importanza, o si trovasse agiato di sue fortune, -ebbe parte almeno indiretta alla municipale autorità, -e contribuiva ad eleggere i magistrati nel generale -convegno degli abitanti. Allora nella classe degli uomini -liberi si trovarono accomunati gli antichi arimanni, -liberi quantunque non possessori; gli abitanti delle -città municipali, sempre rimasti indipendenti; i borghesi -affrancati delle città feudali; gli abitanti sollevati dei -Comuni; alfine anche i servi emancipati della campagna. -</p> - -<p> -Ma dalla libertà civile e dall’equità suprema, ch’è ora -il fondamento d’ogni Stato, stavano ben lontane. Dappertutto -le persone rimaneano libere in grado diverso; -sopra viveva qualche antico arimanno; in alcuni Comuni, -sebbene già redenti, sussistevano borghesi del re e borghesi -dei signori, i primi più alteri e in migliore stato, -gli altri affrancati sì, ma in mezzo a parenti ed amici -tuttavia servili; poi i nobili, i liberi uomini del Comune, -del barone, dei privati; ecclesiastici privilegiati, guerrieri -assoldati, viventi con diritto straniero. -</p> - -<p> -Tutto ciò derivava dal sistema feudale, che non fu -già distrutto, come sarebbe avvenuto in una rivoluzione -radicale, ma in esso presero posto i Comuni, che perciò -si potrebbero chiamare repubbliche feudali; carattere -che non vuolsi dimenticare da chi brami intenderne la -storia e le evoluzioni. I Comuni entravano nella feudale -società, traendo a sè i diritti già proprj de’ signori, -come giudizj, imposte, zecca, guerra, e via discorrete: -e conseguivano un grado in quella gerarchia, rilevando -da re o dall’imperatore, e tenendo sotto di sè -altre persone o corpi morali. Il concetto feudale non -ammette esistenza indipendente; e però i Comuni si -consideravano vassalli d’un signore, ed obbligati verso -lui a certi doveri pattuiti, siccome un uomo. Tale dipendenza -non era più del cittadino, bensì del Comune; ma -coloro che a questo non appartenessero, restavano -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -quasi iloti, senza impiego, nè nomi, nè le esenzioni o i -privilegi degli altri. Come membri della società feudale, -i Comuni aveano il diritto della vendetta privata, in -conseguenza la guerra. Ciascuno era poi tenuto a quel -solo per cui si era personalmente obbligato; donde una -grande indipendenza personale; e il Comune provvedeva -non al meglio degli individui, bensì all’oggetto di sua -formazione, cioè a francarsi dalle vessazioni. -</p> - -<p> -In conseguenza voleasi garantire la sicurezza o la -prosperità col costituire altri Comuni nel Comune, -fossero quelli di nobili, d’ecclesiastici, di borghesi, o -i minori di ciascun’arte, o de’ singoli quartieri. E ogni -Comune avea vita propria, con magistrati, borsa, leggi, -tutto ordinato sempre alla propria conservazione, nè -cooperante al ben generale se non in gravi contingenze. -</p> - -<p> -Gli elementi stessi ond’eransi formati, doveano sfiancare -i Comuni, uscendo da una società costituita guerrescamente, -e da una sovrapposizione di conquiste. Da -ciò confusione e mistura nei diritti; e per tradizione o -per usurpamento o concessione o pietà, chi l’uno assumeva, -chi l’altro; e v’avea possessi e contratti ed eredità -a legge romana, a salica, a longobarda<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. Il signore -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -feudale o il vescovo a cui eransi sottratti, conservava -diritto ad alcune tasse o a privilegi, e a nominare il -magistrato coll’assistenza dei deputati comunali. All’arcivescovo -di Milano rimaneva sottomessa la parte di -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -città che si chiamava il Brolo; in nome di lui si proferivano -le sentenze, quantunque non vi prendesse più -parte; suo un pedaggio alle porte, sua la zecca: privilegi -ottenuti dagl’imperatori, o che forse erasi riservati -quando volontario o costretto depose l’autorità principesca -di conte della città. Quel di Genova partecipava -al governo insieme coi consoli, anche in suo nome faceansi -i trattati e si segnavano gli atti, e nel suo palazzo -s’adunava il consiglio<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -</p> - -<p> -Volta veniva che, nel medesimo Comune, sopra certi -reati avesse giurisdizione il conte, sopra altri il vescovo; -a questo pagavasi una taglia, a quello una dogana; alla -tal chiesa un canone speciale, un altro alla comunità, -un terzo all’imperatore, forse il quarto ad un privato -od al Comune confinante. Chi dunque dalla città uscisse -al territorio, passava sopra uno Stato diverso: da una -città all’altra v’era la differenza che oggi da regno a -regno: che più? una città era qualche volta divisa in -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -due o fin tre giurisdizioni; una ecclesiastica intorno al -vescovado, una regia intorno al palazzo o al castello, -una comunale; nè di rado ciascuna era cinta di mura -proprie, con porte che si custodivano gelosamente. -Qualche villaggio era diviso fra due o più condomini, -aventi ciascuno diverse gabelle, giurisdizioni distinte: -l’università godeva privilegio di foro pe’ suoi scolari, -le maestranze una giurisdizione sopra i loro consociati, -il monastero sopra la tal fiera da esso istituita: poi diritti -d’asilo, poi immunità personali. A Como il vescovo -riscoteva il teloneo da’ fornaj: a Pisa la pubblica pesa -era privilegio dei Casapieri della Stadera. Talora diversi -Comuni costituivano una sola repubblica senza reciproca -dipendenza, com’era in Piemonte la Valsesia, e -così i dodici cantoni della val di Maira, sottopostisi poi -ai marchesi di Saluzzo<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>, e come fin oggi vediamo -ne’ Comuni de’ Grigioni. Talora un Comune ne soggiogava -altri, formando più estesa signoria. -</p> - -<p> -Uniformandosi a questa natura feudale, anche i Comuni, -divenuti persone con privilegi e rappresentanza, -assunsero una bandiera propria e uno stemma. I più -dei nostri ebbero la croce, variamente colorata, partita, -campeggiata: Venezia adottò il leone del santo suo -patrono; Napoli la sirena; Sicilia le tre gambe che -ricordano la forma triquetra dell’isola; Empoli la facciata -del tempio di Sant’Andrea, attorno a cui si formò -la nuova città. Milano aveva l’insegna bianca colla croce -rossa; poi ogni quartiere spiegava insegna propria, -cioè porta Romana rosso, la Ticinese bianco, la Comacina -scaccato rosso e bianco, la Vercellina rosso sopra -e bianco sotto, la Nuova un leone a scacchi rossi e -bianchi, la Orientale un leon nero. Delle regioni di Roma, -quella de’ Monti ebbe per insegna tre monti in campo -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -bianco; Trevi, tre spade in campo rosso; Campo Marzio, -la mezzaluna in rosso; Ponte, il ponte Sant’Angelo -in rosso; Parione, l’ippogrifo in campo bianco; Regolo, -un cervo in campo azzurro; Sant’Eustachio, una testa -di cervo portante la croce; Pigna, una pigna. Così -delle otto compagne di Genova quella di Castello avea -per arma un castello sopra archi sormontato da una -bandiera, avente in campo bianco croce vermiglia; di -Maccagnana, partito di azzurro e bianco; Piazzalunga, -scudo terzato in palo d’azzurro; San Lorenzo, campo -ondato rosso; Portoria, orlo di rosso, e in campo un P; -Sosiglia, banda di rosso in campo bianco; Portanuova, -inquartato d’azzurro e bianco; Borgo, palato in otto -pezzi d’azzurro e argento. Altrettanto dicasi dell’altre -città. -</p> - -<p> -Sul vago e artistico pavimento della cattedrale di -Siena vedesi, fatto nel 1373 a pietre tessellate, un rosone, -artifiziosamente intrecciato di nove, oltre quattro -tondi agli angoli del quadrato circoscritto; e figura lo -stemma di questa città, cioè una lupa che allatta due -gemelli, e attorno ad essa il nome e i simboli di -dodici città amiche; il leone per Firenze, il lupo cerviero -o pantera per Lucca, il lepre per Pisa, l’unicorno -per Viterbo, la cicogna per Perugia, l’elefante colla -torre per Roma, l’oca per Orvieto, il cavallo per Arezzo, -il leone rampante con rastrello per Massa, il grifone -per Grosseto, l’avoltojo per Volterra, il drago per Pistoja; -animali diversi da quelli che esse città portavano -di consuetudine. -</p> - -<p> -Monza, posseditrice della corona ferrea, la improntò -sul suo suggello, nel quale già da antico leggevasi <i>Est -sedes Italiæ regni Modæcia magni</i>. Lucca portava -<i>Luca potens sternit sibi quæ contraria cernit</i>. Verona, -<i>Est justi latrix urbs hæc et laudis amatrix</i>. Padova, -i proprj confini, <i>Muson, Mons, Athesis, Mare certos -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -dant mihi fines</i>. Bologna, un san Pietro in pontificale, -e <i>Petrus ubique pater, legum Bononia mater</i>; e così -<i>Urbs hec Aquilegie capud est Italie; — Est aquilejensis -fides hec urbs Utinensis; — Ferrariam cordi -teneas, o sante Georgi; — Salvet Virgo Senam quam -signat amenam; — Herculea clava domat Florentia -prava</i> e <i>Det tibi florere Christus Florentia vere</i>. Messina -dopo i Vespri siciliani alzò lo stendardo colla croce -portata da un leone, e il motto <i>Fert leo vexillum Messana -cum cruce signum</i>. Pistoja scrive attorno agli -scacchi del suo stemma <i>Quæ volo tantillo Pistoria celo -sigillo</i>. Firenze ebbe da principio la bandiera partita -bianca e rossa, cui unì la luna rossa di Fiesole; dappoi -il giglio, o piuttosto il fior di giuggiolo (<i>ireos florentina</i>): -e quando i Guelfi prevalsero, si adottò il giglio -rosso in campo bianco, mentre i Ghibellini tennero il -giglio bianco, unendovi l’aquila nera imperiale. Inalberava -anche il leone, il quale pure sta nel sigillo di -Cortona colla scritta <i>Tutor Cortonæ sis semper Marce -patrone</i>. -</p> - -<p> -Spesso l’arma era parlante: come a Torino il toro -rampante; a Monsumano e Montecatino, un monte sormontato -da una mano o da un catino; a Barga una -barca; a Pescia un pesce coronato. Gli animali stessi -dello stemma si mantenevano vivi nelle città, come a -Venezia e Firenze i leoni, una lionessa a Parma, gli -orsi a Berna, Appenzell e Sangallo. Quando i tirannetti -s’impadronivano d’un Comune, vi univano il proprio -stemma, come i Visconti diedero a Milano la vipera; -la quale poi insieme col leone veneto entrò nel petto -dell’aquila bicipite austriaca. -</p> - -<p> -Nati dal bisogno sentito di esimersi da ingiuste gravezze, -non determinati da mutua fiducia ma da mutuo -timore, de’ loro poteri non trovandosi in verun luogo -la definizione e il confine, i Comuni, siccome si erano -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -congiurati per la difesa, congiuravansi di nuovo per -sostenere o una fazione o un capriccio; i signori per -ricuperare le giurisdizioni; i mestieri e le università -per sottrarsi ai pesi ed agli abusi: donde reciproca -diffidenza, sfrenato egoismo, gelosia che induceva a -ricorrere a particolari aggregazioni di classe o di sella, -le quali generano il sentimento di corpo, tanto micidiale -al sentimento di patria. Mancando un legame universale -fra tanti parziali, si perpetuava la lotta de’ vassalli -colle corporazioni tra sè, de’ confratelli di ciascuna -corporazione, delle suddivisioni di ciascun Comune: -mancando un freno e una direzione centrale, rompevano -a guerre, tenevansi armati nel cuor della pace, -edificavano le case a foggia di torri, e l’amministrazione -era esercitata in mezzo e coll’aspetto d’un perpetuo stato -di guerra. -</p> - -<p> -Fondati non su libertà generali, ma su privilegi -esclusivi e reciproca gelosia, tutti i Comuni cercavano -prerogative a scapito degli altri; ciò che un tempo avevano -praticato i feudatarj, allora lo facevano essi, imponendo -pedaggi e taglie ad arbitrio, servizj gravissimi -ed obbrobriosi: i magistrati municipali operavano con -altrettanta prepotenza che i feudali; i prevalenti voleano -soperchiare: gli oppressi se ne rifaceano sopra chi non -fosse cittadino: l’oligarchia rinnovava le scene dell’aristocrazia -antica; anzi, nel mentre i tiranni opprimevano -l’uomo, qui toglievasi qualche volta la vita civile -a classi intere; e uno statuto milanese del Comune aristocratico, -al nobile che uccidesse un plebeo non comminava -che tenue multa. -</p> - -<p> -Mal si andrebbero dunque a cercare fra quei Comuni -gli esempj della libertà politica, come oggi la intendiamo; -alla quale nulla è più avverso che lo spirito di -famiglia e di paese. Onde sottrarsi all’anarchia di -piazza, i possessori cercavano stabilire qualche ordine -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -restringendosi col re o coll’antico feudatario, donde i -partiti interni, fomite di nuove dissensioni. Altre volte -ricorsero a que’ signorotti medesimi da cui s’erano -emancipati, e questi, unita la forza all’abilità, riuscirono -a costituirsi tiranni. E tanto più che bastavano bensì a -frangere l’ingrata soggezione, e prevalere al barone e -al vescovo; ma allorchè que’ signori si collegassero, o -venisse contro di loro il re o l’imperatore, l’impeto, comunque -volonteroso, di borghesi e mercanti non valeva -contro eserciti agguerriti, e bisognava ricorrere a -capitani addestrati. -</p> - -<p> -I Comuni dunque a principio crebbero a grande importanza, -poi cozzarono tra loro; e se in paesi stranieri, -annodatisi intorno al monarca, ebbero meno -splendore, ma condussero all’unità nazionale, qui la impedirono. -Come in fatto si sarebbe potuto maturare la -coscienza nazionale ove ciascuna comunità avendo l’occhio -soltanto a sè, nella sua piccola indipendenza per -nulla brigavasi del ben generale? anche quando nell’universale -pericolo le città s’allearono, come vedremo -nella Lega Lombarda o nella Toscana, il vincolo era -troppo lasso, troppo scarsa la civile sperienza, sicchè -potessero costituire una regolata federazione. -</p> - -<p> -Nei patimenti aveano i borghesi invigorito il carattere -per modo, da sdegnare la servitù: ma è mai possibile -arricchirsi a un tratto di civile sperienza? Furono -dunque costretti procedere tentoni, parte servendo alle -idee rimaste delle antiche istituzioni municipali, parte -imitando l’ecclesiastica gerarchia, poi innovando via -via che il bisogno si sentiva o cadeva l’opportunità. Ma -se non riuscirono a coronare l’edifizio civile, niuno -corra ad incolparli prima di riflettere che costoro erano -un pugno di popolani inermi e disorganati, ignari della -guerra come della politica, circondati da villani rozzissimi -e incalliti al servire, contrastati dall’autorità regia, -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -dalla signorile, dalla sacerdotale; talchè ci dee piuttosto -toccare di grata meraviglia che essi abbiano osato ripudiare -la servitù e aprire la nuova era del popolo. -</p> - -<p> -E immensi furono i vantaggi venuti dai Comuni, chi -li guardi meno come rivoluzione politica, che come -sociale. Mentre la scala degli antichi proprietarj scendeva -dal barone o valvassore fino al semplice fittajuolo, -quella dei redenti si elevava dal servo della gleba al -semplice libero, talchè le razze servili poterono sottrarsi -dalle nobili, per arrivare ad un’amministrazione -propria e indipendente. In siffatta comunanza d’uffizj e -di servigi ribattezzavansi nel nome di cittadini, disimparavano -a tenere come unico diritto la conquista e la -forza, e obbligati ad uscire dall’angusto circolo de’ personali -interessi per provvedere ai pubblici, ripigliavano -la coscienza delle magnanime cose. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Coi Comuni crebbe l’importanza delle famiglie e -degli individui, e in conseguenza si dovette notarli e -distinguerli meglio che non si facesse quando l’uomo -non era nulla se non per la terra che possedesse, o pel -signore cui apparteneva. L’uso latino de’ nomi, prenomi, -cognomi e soprannomi, accumulati all’eccesso negli ultimi -tempi<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>, cadde coll’Impero; giacchè non rimasero -quasi che schiavi d’un nome solo, e stranieri che -un solo pure ne usavano. I nomi dei santi ebraici o -cristiani prevalsero ben presto, e si applicavano o mutavano -nel battesimo, il quale soleasi conferire in età -già fatta, ovvero nella cresima; talora le donne lo cangiavano -al matrimonio, e frati e monache conservarono -fin ad oggi di cangiarlo all’atto del professarsi. E poichè -ai costumi antichi sta tenace la Chiesa, oggi medesimo -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -i vescovi non soscrivono che col nome di battesimo, -e i frati si distinguono solo dalla patria, come -usava al tempo della loro istituzione. -</p> - -<p> -Per quanto scarse fossero le relazioni, è facile scorgere -quanta confusione dovesse produrre l’indicarsi -l’uomo col nome soltanto<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>; tanto più che, nelle scritture, -il nome stesso ci si presenta mozzo, diminuito, -accresciuto, storpiato<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>. Vi si rimediava in parte coi -soprannomi, dedotti da qualità personali, dal luogo -d’abitazione o di provenienza, dall’impiego<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>, e -spesso anche beffardi<a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -</p> - -<p> -Queste però erano denominazioni personali, che non -si trasmetteano alla parentela. Solo quando i feudi si -resero ereditarj verso il Mille, da questi si dedusse il -titolo delle famiglie; donde quelli di Ro, di Este, di -Romano, di Muntecuccoli: e poichè talora veniva da -paesi tedeschi, alterandosi nel tragitto in Italia, n’è -scomparsa l’etimologia<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>. Non è però sicuro indizio -d’antico possesso d’un paese l’averne il cognome, attesochè -spesso plebeamente traevasi dalla terra da cui -uno si fosse mutato in un’altra. Ma le famiglie che -spingono l’albero genealogico più indietro del Mille, e -que’ cataloghi di vescovi, di cui si nota il casato fin in -antichissimo, sono vanità e imposture. -</p> - -<p> -I Veneziani, reliquia latina, aveano ritenuto i cognomi -antichi, e tali pajono que’ Crassi, Memmi, Cornelj, -Querini, Balbi, Curzj; fin nell’800 troviamo i dogi -indicati col cognome de’ Particiaci, Candiani, Giustiniani -e simili; e in una scritta del 1090 sono firmate cencinquanta -persone, a nessuna delle quali manca il cognome<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>: -Cornuinda Molino, Stefano Logavessi, Bonfilio -Pepo, Giovanni de Arbore, Sebastiano Cancanino, -Manifredo Mauroceni, Stadio Praciolani, Domenico Contareno, -e così via. Anche Genova conservò molti cognomi -latini: Apronj, Asprenate, Balbi, Bassi, Bibulini, -Calvini, Camilli, Carboni, Cerchi, Clementi, Costa, Crarsi, -Erminj, Fabiani, Forti, Galerj, Galli, Galleni, Gavi, Gemelli, -Giusti, Graziani, Laberj, Lena, Longhi, Lupi, Mari, -Marciani, Marini, Massa, Montani, Muzj, Natta, Nigri, -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -Ottoni, Palma, Pansa, Persi, Persici, Pisani, Ponzj, -Ruffini, Sabini, Salvi, Serrani, Settimj, Sertorj, Staieni, -Stella, Valenti, Veri, Viviani; non gliene mancano di -greci: Bisio, Cybo, Grillo, Macarj, Medoni, Parodi, Partenopei; -e in una carta del 1117 vi si trovano nominati -i buoni uomini che presero parte a un laudo, -fra’ quali Lanfranco Roca, Oberto Maluccello, Lamberto -Gezone, Uggero Capra, ed altri <i>quorum nomina sunt -difficilia scribere</i>. -</p> - -<p> -Era consuetudine nei nobili di rifare l’avo nel nipote, -talora anche il padre nel figlio, o riducendolo a diminutivo, -o aggiungendo <i>juniore, novello</i> o simile; onde -Guido Novello da Polenta, Malatestino, Ezelino da Etzel. -Siffatto nome di predilezione si trasformò spesso in casato, -onde i Pieri, i Ludovisi, i Carli, i Mattei, gli -Agnesi: o adottavasi quel d’un personaggio che si fosse -distinto, come i Degiorgi, i Delpietro: talvolta anche vi -si prefisse la parola <i>figlio</i> sincopata, onde i Figiovanni, -i Fighinelli, i Firidolfi; o il titolo, come i Serangeli, i -Serrislori. Talora nella bassa Italia, ad esempio degli -Arabi, enumeravasi tutta l’ascendenza<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>. -</p> - -<p> -A molti venne il nomignolo dalla nazione, come Franceschi, -Lombardi, Milanesi: a molti più dal soprannome -d’alcuno, ridotto ereditario, ovvero dalla sua professione -o dignità; onde i Grossi, i Grassi, i Villani, i Caligaj, -i Molinari, i Calzolaj, i Sartorj, i Malatesta, i Balbi, -i Cavalieri, i Barattieri, i Fabbri, i Cacciatori, i Ferrari, -i Cancellieri, i Medici, i Visconti, gli Avvocati, e -i tanti Confalonieri e Capitanei o Cattanei. La bella moglie -acquistò il titolo ai Dellabella; ai Dellacroce un -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -crociato; il pellegrinaggio a Roma ai Romei e Bonromei: -l’amore di re Enzo prigioniero per una fanciulla -bolognese è ricordato nei Ben-ti-voglio; un’invenzione -preziosa nei Dondi dell’Orologio. Poi il carretto, la -rovere, il tizzone, la colonna, la spada, la luna, la stella -che uno assumeva per impresa del torneo o per stemma -nelle spedizioni, diventava nomignolo; come il colore -bianco, rosso, verde, nero, di cui si divisava nelle comparse, -o che distingueva la fazione. -</p> - -<p> -Son dunque i cognomi o aristocratici, dedotti dalla -terra o dallo stemma; o borghesi, derivati dal mestiero; -o popoleschi, tratti dai soprannomi; e molti rustici, -dalla località o dalla coltivazione, come i Demonte, -Dell’era, Dellavalle, Delprato, Delpero, Dellavernaccia. -Si sbizzarrì poi assumendo nomi che consonassero o -contrastassero col cognome, onde Castruccio Castracani, -Spinello Spinelli, Nero Neri, Buontraverso de’ Maltraversi, -e somiglianti. -</p> - -<p> -I Latini usavano lo schietto <i>tu</i>, dicevano semplicemente -<i>Cesare saluta Mecenate</i>, ed Augusto ricusò fermamente -il titolo di <i>dominus</i>, e s’adontò quando si -volle offrirlo a’ suoi nipoti. Tosto però l’accettarono i -successori suoi, e fin nelle medaglie trovasi surrogato -a quel di <i>divus</i>: indi irruppero titoli più pomposi, di -<i>nobilissimo, felicissimo, piissimo: religiosissimo</i> fu -intitolato Costante da un concilio, dopo convertiti i -Donatisti dell’Africa: poi nelle acclamazioni il senato -fe gara di aggettivi encomiastici agl’imperatori. Allora -pure invalse di non parlar più alla persona loro direttamente, -ma alla <i>clemenza</i>, alla <i>celsitudine</i>, all’<i>eternità</i> -di essi. Nell’ordinamento del Basso Impero, la gerarchia -delle cariche vedemmo distinta coi titoli d’<i>illustre, -illustrissimo, eccelso, chiaro</i>. -</p> - -<p> -Coi Barbari tornò la semplicità antica, ma al <i>tu</i> fu -sorrogato il <i>voi</i>; il titolo di <i>domnus</i>, proprio di vescovi, -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -abati e re, s’accomunò a tutti i monaci; più tardi -se l’arrogarono anche i laici, raccorciato in <i>don</i>. Ambito -era il nome di <i>cherico</i>, che sonava uom di lettere, -per contrapposto di <i>laico</i> od illetterato<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a>; indizio di -tempi, in cui la scienza era tutta ristretta ne’ sacri -recinti. -</p> - -<p> -Nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>, <i>monsignore</i> intitolavasi un principe -della Chiesa, <i>messere</i> un cavaliero e gentiluomo, e <i>madonna</i> -la moglie sua; <i>maestro</i> l’avvocato o magistrato -o chi sapesse, il che continuano gl’Inglesi. Nelle legazioni -del Cinquecento vediamo col <i>tu</i> trattati ancora -gli ambasciadori dalle repubbliche e dai principi; e -«s’usa comunemente (dice il Varchi de’ Fiorentini nel -<span class="smcap lowercase">XVI</span> secolo) se non è distinzione di grado e di molta -età, dire <i>tu</i> e non <i>voi</i> ad un solo; e solo a cavalieri e -canonici si dà del messere, come a’ medici del maestro, -e ai frati del padre». Dagli Spagnuoli ci fu poi attaccata -la prurigine dei titoli; quando Carlo V s’intitolò -maestà, moltiplicaronsi le <i>altezze</i>, e colle aggiunte di -<i>serenissima</i> e di <i>reale</i>; l’<i>eccellenza</i> restò ai nobili, -tanto che Urbano VIII nel 1631 trovò pei cardinali il -nuovo titolo d’<i>eminenza</i>: quelli di cavaliere, dottore, -notajo, conte del sacro romano imperio furono pascolo -della vanità borghese. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -</p> - -<p> -Nell’attuazione dei Comuni, tra i fatti isolati se ne -consumava uno grandissimo, l’emancipazione del servo. -Sempre la religione vi si era adoperata, e molti per -pietà e per salvezza dell’anima propria affrancavano i -loro schiavi<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>. I Comuni, appena costituitisi, aprivano -asilo ai servi cui riuscisse importabile il giogo del padrone, -o a denaro li ricompravano; e quando movessero -in armi contro i baroni del contorno, li sollecitavano -a vendicarsi in libertà, sicchè fuggendo lasciavano -questi indeboliti, mentre invigorivano la città. Si estesero -le manomessioni, e talvolta vennero affrancati -tutti gli abitanti d’un borgo, o certe professioni. Così -a Bologna nell’anno 1256 il prefetto Bonacursio raduna -anziani, consoli, maestri dell’arti e dell’armi, e tutti i -membri del grande e del piccolo Consiglio, e propone -si liberino i servi e le serve del Comune tutto. Passato -il partito, si stanzia chi ne possiede li venda al prefetto -e al pretore, per soldi dieci se di quattordici anni, otto -se meno, sborsati dall’erario; e furono annoverati tra i -fumanti, coll’obbligo di dare certa quantità di grano<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>. -Erano descritti in un libro chiamato <i>Paradisum</i> dalla -parola con cui cominciava, e dove esponeasi la creazione -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -dell’uomo, il peccato, la redenzione, per la quale -gli uomini son rifatti liberi: laonde <i>Civitas Bononiæ -quæ semper pro libertate pugnavit</i>, avea redenti a -prezzo i servi, <i>statuens ne quis, adstrictus aliqua servitute, -in civitate vel episcopatu Bononiensi deinceps -audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis, -quæ redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento -aliquo servitutis, cum modicum fermentum -totam massam corrumpit, et consortium unius mali -bonos plurimos dehonestet</i>. Un atto solenne del 1289 -appella a uno statuto del Comune di Firenze, pel quale, -essendo di naturale diritto la libertà individuale e il non -dipendere ciascuno che dal proprio arbitrio, laonde le -città pure e i popoli si schermiscono dall’oppressione, -e i proprj diritti difendono e sviluppano, veniva provveduto -che nessuno, di qual paese o condizione si fosse, -potesse comprare, o altrimenti acquistare coloni, servi, -censiti, nè angherie o altro vincolo alla libertà delle -persone<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. Due anni dopo, la legge fu confermata, -perdonando a quei che l’avessero trasgredita per lo -addietro. -</p> - -<p> -Erano tentativi isolati, come ogn’altra cosa di quel -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -tempo; nè un generale provvedimento per abolire la -schiavitù mai fu preso: pure si vedono scemare i -servi personali nel <span class="smcap lowercase">XII</span> e <span class="smcap lowercase">XIII</span> secolo, succedendovi i famigli -o servi moderni, i quali a volontà possono togliere -congedo dal padrone. Le chiese, che erano state -di tanto sollievo agli schiavi, furono di ritardo alla totale -loro affrancazione, atteso che non credeansi in diritto -d’alienare le proprietà, delle quali l’attuale investito si -considera solo utente: la stessa larghezza con cui li -trattavano, facea non si trovasse tale schiavitù ripugnante -all’umanità e alla religione. Perciò servi della -gleba in Italia trovanti ancora nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>. -</p> - -<p> -Nei capitoli del 1296 di Federico I d’Aragona pel -legno di Sicilia, frequente memoria ricorre di schiavi -anche cristiani; del qual tempo anche lettere papali e -contratti ne menzionano: tra i Veneziani ne incontriamo -eziandio nel seguente, come nel Friuli sottoposto al -patriarca d’Aquileja<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>. Del 1365 abbiamo un contratto, -ove uno schiavo consente di passare da uno -ad altro padrone<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>. Fra i provvedimenti fatti per -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -sostenere la guerra di Chioggia, s’imposero tre lire -d’argento il mese per ogni testa di schiavo; anzi nel -1463 i Triestini obbligavansi a restituire ai Veneziani -i loro schiavi disertori<a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>. -</p> - -<p> -A contatto con paesi non cristiani, i nostri poterono -trarne di là, o imparare a tenerne per lusso, talchè -la schiavitù si prolungò sotto la forma domestica. Gli -statuti di Lucca fin nel 1537 dichiarano che il padrone -d’una schiava può costringere il violatore di essa a -comprarla pel doppio valsente, oltr’essere multato in -cento lire. Le leggi genovesi opponeansi al trasportare -gli schiavi in terra d’Egitto<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>; ma il divieto si eludeva -col recarli a Caffa, dove il soldano spediva a farne -accatto, giovandosi della franchigia di quel porto. Lo -statuto criminale di Genova del 1556 pronunzia pene -contro chi ruba schiavi, e considera il servo qual proprietà -del padrone<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>: quello dell’88 lo tiene qual -mercanzia, e caso che devasi far getto, si riparta il danno -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -<i>per æs et libram</i> all’antica, <i>comprehensis pecuniis, -auro, argento, jocatibus, servis masculis et fœminis, -equis et aliis animalibus</i>. Probabilmente questi -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -tardi servi erano di gente infedele, e massime prigionieri -musulmani, quando la tolleranza religiosa neppur -di nome si conosceva. Altre volte i soldati per abuso -della vittoria vendevano schiavi i vinti, come i ribaldi -dello Sforza fecero nel 1447 coi Piacentini: alla schiavitù -condannavano pure le scomuniche. N’era però sempre -tenuissimo il numero: come eccezione si notavano -nel catasto delle città; e voglionsi intendere piuttosto -come dipendenti, giacchè il famoso Bartolo a’ suoi -tempi già dichiarava che servi propriamente detti non -v’erano più. -</p> - -<p> -Nei Comuni adunque non s’ebbero i vantaggi rapidi -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -d’una subitanea e radicale rivoluzione; ma neppure la -terribile responsalità d’un’insurrezione fallita. Riuniti -per la resistenza, ponendo questa per primo dovere e -mezzo e scopo, invece di sistemare aveano a distruggere, -invece di fondare sconnetteano. Nella lotta si vince, -ma l’odio sopravive e diventa seme di discordie; i dinasti -mal frenati si rialzano per soggiogare i Comuni; -i re ingrandiscono favorendo questi; la spada prolunga -la guerra contro l’industria e la capacità. Que’ mali -passarono, ma restano gli effetti; resta la rivoluzione -da loro operata, perpetua e legittima come quelle che -migliorano la sorte delle classi numerose: lo schiavo -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -non è più cosa, ma uomo, dall’impersonalità sollevato -ad avere nome proprio e responsalità: nè sforzi e -sangue e rovine pajono soverchi a questo fine sacrosanto. -Dove a pochi è data la forza e l’intelligenza, facile -è guidar la moltitudine: dove tanti esercizj s’aprono -alle facoltà morali e intellettive, come avviene nelle fazioni, -grandemente sono eccitati gl’ingegni, e ne esce -una gente operosa, accorta, che cerca e trova mille -occasioni di segnalarsi: e l’uomo dall’angustia degl’interessi -domestici volgendosi alle pubbliche cose, mentre -cresce di pratica, nobilita le passioni, dilata l’accorgimento, -scopre e pondera i diritti. Che se a noi Italiani -i Comuni non lasciarono una patria, lasciarono la dignità -d’uomini; ed offrono nella storia moderna le prime -di quelle pagine, tanto attraenti, dove si vede un popolo -travagliarsi contro i suoi oppressori, ingrandire -col proprio coraggio, rassodarsi con opportune se non -sempre savie istituzioni. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap83">CAPITOLO LXXXIII. -<span class="smaller">I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori. -Ruggero re di Sicilia. Arnaldo da Brescia.</span></h2> -</div> - -<p> -Sciolta la servitù della gleba, raccolti sotto un’amministrazione -e una giudicatura sola i tre ordini ridetti -cittadini, e da tutti scegliendo i consoli, e una specie -di unità ricevendo dalla supremazia del papa, l’Italia -trovavasi in essere di nazione assai più che non la Francia -o la Germania. Non condensata, è vero, intorno ad -una reggia, ma vigorosamente ripartita attorno ai tre -centri d’autorità, il castello, la chiesa, il palazzo comunale, -sarebbe camminata ad altissime fortune se gl’imperatori -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -non l’avessero scompigliata col crearsi un -partito. -</p> - -<p> -Deboli erano questi, in Germania osteggiati dai maggiori -feudatarj, che aspiravano alla sovranità territoriale; -e in Italia dai papi nel lungo certame delle Investiture. -Enrico V, ambizioso ed avido ma operoso, -accorto, sprezzatore della pubblica opinione, poco sopravisse -all’accordo di Worms col papa, e in lui si -estinse la stirpe francona, che avea per un secolo dominato -la Germania. Lotario II datogli successore <span class="sidenote">(1125)</span>, rassegnò -il suo ducato di Sassonia, e molt’altri possedimenti -al genero Enrico di Baviera, della casa Guelfa: -glieli disputò Federico il Losco di Hohenstaufen duca -di Svevia, uno degli aspiranti al trono germanico: sicchè -fra le due case cominciò l’inimicizia, che, dopo mutato -natura ed oggetto, sconvolse Germania e Italia sotto il -nome di Guelfi e Ghibellini. -</p> - -<p> -Questi ultimi traevano il nome dal castello di Waiblingen -nella diocesi di Augusta, appartenente agli -Hohenstaufen; gli altri dalla famiglia bavarese dei -Guelfi d’Altdorf. Azzo, marchese di Lombardia, morendo -centenario nel 1097, avea lasciato tre figli: -Guelfo, che, come nato da Cunegonda erede dei -Guelfi di Baviera, andò a ducare questo paese, e divenne -stipite della casa di Brunswick, salita poi al trono -d’Inghilterra; Ugo si condusse alla peggio, e vendè -le proprie ragioni all’altro fratello Folco figlio di Garsenda -principessa del Maine, e progenitore dei marchesi -d’Este in Italia. Signoreggiava egli il paese dal -Mincio fin al mare, cioè Este, Rovigo col Polesine, -Montagnana, Badia, oltre molte terre nella Lunigiana e -nella Toscana. Guelfo ne pretendeva una porzione; e -venuto a ripeterla coll’esercito, collegandosi al duca di -Carintia e al patriarca d’Aquileja, di molti paesi s’impadroni: -infine fu stipulato che la linea di Germania -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -tenesse un terzo della città di Rovigo e la terra d’Este, -senza pregiudicare alle pretensioni che ostentava sull’eredità -della contessa Matilde. -</p> - -<p> -Da questa linea proveniva Enrico, che per la cessione -di Lotario era divenuto il più ricco signore d’Europa -e il più potente di Germania, tenendo una serie -di paesi dal mar Baltico al Tirreno. Ma dalla parte -ghibellina Corrado duca di Franconia, fratello di Federico -il Losco, aveva redato di qua dell’Alpi i beni -allodiali della casa Salica, e scese in Italia cercandone -la corona. Un principe non d’altre forze provveduto che -di quelle somministrategli dal paese, non poteva riuscir -pericoloso alla nascente libertà, onde fu il ben arrivato. -A Milano lo storico Landolfo di San Paolo e il -cavaliere Ruggero de’ Crivelli, deputati dall’arcivescovo -Anselmo, discussero le ragioni dei due principi emuli -davanti al popolo, il quale indusse il metropolita a -coronar re Corrado <span class="sidenote">(1128)</span>: molte città gli prestarono omaggio -e doni; ma Pavia, Novara, Piacenza, Brescia e Cremona -stettero contrarie a Milano, fin a dichiararne -scomunicato l’arcivescovo che aveva unto l’usurpatore; -anche la Toscana repugnò da lui; e Onorio II papa, -che aveva riconosciuto imperatore Lotario, scomunicò -questo pretendente. Il quale tentò invano occupar Roma; -sicchè gli stessi che s’erano chiariti a lui favorevoli -per farsene un appoggio, l’abbandonarono quando il -videro incentivo di guerre. Maneggiatosi alcun tempo, -egli si riconciliò con Lotario, e dopo essere stato a -carico de’ Milanesi e Parmigiani, partì dall’Italia covando -contro i Comuni lombardi un dispetto che trasmise -al nipote Federico Barbarossa. -</p> - -<p> -Essi Comuni, appena costituitisi, esercitavano nimicizie -un contro l’altro; e particolarmente in quel piano -che dalle alpi Retiche e Leponzie declina sino al Po -ed al mare, ricco di nove città indipendenti, Como, -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, Crema, Cremona, -Pavia, Novara, frequenti appigli di risse porgeano i -terreni confinanti, le rivalità di mercato, la comunanza -delle acque irrigatorie. Presosi quel diritto del pugno, -cioè della guerra particolare, che fin là avevano esercitato -i feudatarj, i Comuni, non compressi da superiorità -materiale, non da morale ritegno, abbandonavansi -a quella ostilità di vicini a vicini, che sembra -inesorabile maledizione degl’Italiani. Non avevano ancor -finito di abbattere i conti rurali, e già rompevano -guerra <span class="sidenote">(1110)</span> Cremona a Crema e Brescia, Pavia a Tortona, -Milano a Novara e Lodi; l’ambizione e la forza davano -ai poderosi il desiderio e l’ardire di opprimere i deboli. -</p> - -<p> -Pavia, memore di essere stata sede dei re goti e -longobardi, e Milano superba d’antichità, di vasto territorio, -di popolazione maggiore e della superiorità -metropolitica, gareggiavano di preminenza, e si contrariavano -in ogni fatto. Nella lite delle Investiture -Pavia propendeva alla parte imperiale, alla pontifizia -Milano, con cui parteggiarono Lodi, Cremona, Piacenza; -e per insinuazione della contessa Matilde, giurarono -lega di vent’anni onde osteggiare re Enrico, e -sostenere Corrado quando al padre si ribellò. Le due -parti erano equilibrate di forze; e poichè nessuno stabile -nodo le congiungeva, era sicura della vittoria quella -che arrivasse ad isolar la rivale. In fatto, secondo preponderasse -una parzialità o l’altra, le città mutavano -bandiera; e girati pochi anni, a Milano troviamo unite -Crema, Tortona, Parma, Modena, Brescia <span class="sidenote">(1117)</span>; mentre con -Pavia parteggiavano Cremona, Lodi, Novara, Asti, Reggio, -Piacenza. -</p> - -<p> -Quella mescolata che allora si faceva delle prerogative -secolari colle ecclesiastiche, portava a nuove scissure. -Crema col suo contado, che chiamavasi Isola di -Folcherio, era stata a giurisdizione de’ marchesi di -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -Toscana, fin quando nel 1098 la contessa Matilde ne -fe cessione al vescovo e alla città di Cremona. Tale -dipendenza spiacque ai Cremaschi, che coll’armi assicurarono -la propria libertà: ma di qui cominciarono -nimicizie lunghe e vergognose<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>. -</p> - -<p> -Milano pretendeva non solo alla superiorità che il -suo metropolita traeva dal posto gerarchico, e per cui -ordinava i vescovi della provincia e li convocava a -concilio; ma che a lui competesse anche l’eleggerli, -mentre le chiese particolari tenevano gelosamente al -diritto antico di nominare i proprj pastori. Da ciò elezioni -tempestose, contrastate, doppie, complicate dall’appoggio -del papa e dell’imperatore, e per le quali il -litigio delle Investiture dalle sommità sociali scendeva -fin a contingenze affatto particolari. Per simili ragioni, -e insieme per gelosia del ricco mercato che vi si teneva, -i Milanesi campeggiarono Lodi, rinnovando le -ostilità, cioè lo sperpero della campagna e la rapina -delle messi per quattro anni, in capo ai quali ridottala -per fame, la smantellarono <span class="sidenote">(1111)</span>; gli abitanti dissiparono in -sei borgate del contorno, sottoposte a rigide condizioni; -sciolsero il ricco mercato, nè Lodi-vecchio risorse più. -</p> - -<p> -Eguale contesa per l’elezione dei vescovi cagionò la -guerra di Milano contro Como, descritta da un rozzo -poeta contemporaneo<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a>, dolente di pubblicare il duolo -anzichè la letizia d’un popolo da molti secoli fiorente. -Aveano i Comaschi eletto canonicamente Guido de’ Grimoldi -di Cavallasca; mentre il milanese Landolfo da -Carcano, destinatovi da Enrico V, si fece ordinare dal -patriarca d’Aquileja, parziale d’esso imperatore; intruso -di rapina nella sede, procurava mantenervisi ad -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -onta del popolo, e fortificatosi nel castello di San Giorgio -presso Maliaso sul lago di Lugano, scialacquava in -privilegi e donazioni il patrimonio della mensa. Risoluti -a tor di mezzo lo scisma e lo sperpero, i consoli comaschi -Adamo del Pero e Gaudenzio da Fontanella coi -vassalli di Guido vi assalgono Landolfo, e fattolo prigione, -lo consegnano a Guido. Essendo nella mischia -rimasto ucciso Ottone insigne capitano milanese <span class="sidenote">(1116)</span>, Giordano -da Clivio arcivescovo di Milano, invece d’insinuare -pace e perdono, espone alla basilica Ambrosiana le vesti -insanguinate e le vedove degli uccisi, le quali strillando -chiedono vendetta; e serrata la chiesa, egli dichiara -resteranno sospesi i sacramenti, finchè non sia vendicato -il sangue sparso. -</p> - -<p> -In quelle assemblee tumultuose, dove la passione è -unica consigliera, e l’urlo predomina sulla ragione, fu -decretata la guerra; i Milanesi, mandato un araldo a -denunziarla, assalsero Como, e incominciarono una -guerra, paragonata all’assedio di Troja per la durata, -e meglio per l’accordarsi delle forze lombarde contro -una sola città. -</p> - -<p> -Il guerreggiare d’allora non conduceva a pronti -esiti, come le imprese comandate e dirette da volontà -unica e robusta. Un Comune avea ricevuto un torto, e -nel consiglio erasi decisa la guerra? più giorni rintoccava -la campana, acciocchè gli uomini capaci s’allestissero -d’armi; uomini che mai non s’erano esercitati -insieme, che fin allora aveano badato ai campi o alle -arti, e che non usavano nè vestire nè armi uniformi, -unicamente diretti a vincere e far al nemico il peggior -male. A buona stagione traevasi fuori il carroccio, e -dietro e attorno a quello moveva la gente contro il territorio -nemico, stramenava le campagne, sfasciava i -casali, rapiva gli armenti che non avessero avuto tempo -di ridursi nel recinto della città, alla quale poi mettevasi -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -assedio, procurando il più delle volte prenderla -per fame, giacchè, prima de’ cannoni, le terre murate -aveano sempre il vantaggio sopra gli assalitori. Nelle -guerre feudali vedemmo i soldati abbandonare il capo -a mezzo dell’impresa, allo scadere dell’obbligato servizio. -Qui gli assalitori erano gente che avevano campi, -arti, famiglia, interessi, onde mal sopportavano i diuturni -accampamenti, e alla mietitura o all’avvicinarsi -della vernata tornavano a casa a rifocillarsi, per ripigliar -poi col nuovo anno la campagna. -</p> - -<p> -Di tal guisa fu condotta la guerra contro Como. I -Comaschi erano valorosissimi fra i Lombardi, come -montanari e avvezzi in opra di caccia e battaglie: e -chiuso colla Camerlata e col castello Baradello il passo -verso Milano, poterono impedire gli approcci al patrio -suolo. Li secondavano gli abitanti della Vallintelvi, intrepidi -petti, e insieme abilissimi a inventare congegni -militari. Maggior numero di città prese parte con Milano, -quali Cremona, Pavia, Brescia, Bergamo, la Liguria, -Vercelli colla mercantile Asti, e colla contessa di -Biandrate recante in braccio il giovane figliuolo: Novara -venne spontanea, invitata la forte Verona, e Bologna -dotta nelle leggi, e Ferrara non meno famosa che -Mantova per bravissimi arcadori, e Guastalla e Parma -coi cavalieri della Garfagnana, benchè avesse guerra -con Piacenza<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a>. La politica gli avrebbe stornati dal -favorire la poderosa città contro la inoffensiva, ma -v’erano costretti dalla prepotenza. Ch’è peggio, gli abitanti -dell’isola Comacina e di quei contorni si chiarirono -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -ostili a Como, sicchè anche il lago fu contaminato di -battaglie navali. Fin a Varese si allargò la guerra e al -lago di Lugano; ardite le fazioni, alterni i successi; or -una parte or l’altra innalzavano al cielo inni per vittorie -fratricide. Se non che fra tanto ardore poca era l’abilità, -pochissima la disciplina, nessuna autorità preponderante; -e come avviene nelle mosse tumultuarie, -ognuno volea comandare, nessuno obbedire. La campagna -era una desolazione, straziati i fecondi oliveti e -le vigne della spiaggia, rapite le mandre. -</p> - -<p> -Moriva intanto il vescovo Guido, causa e fomento -della guerra; moriva esortando a star saldi nella cattolica -fede e nella carità e difendere la patria. I Comaschi -aveano perduto molti valorosi; soffrivano da dieci anni -di devastazione sì per terra, sì dal lago, del quale la -sponda orientale apparteneva ai Milanesi, che con tutti -i loro alleati s’accinsero all’estremo sforzo. Tratti legnami -da Lecco, ingegneri e costruttori da Genova e -Pisa, strinsero dappresso la città <span class="sidenote">(1127)</span>, i cui abitanti, sprovveduti -d’ogni altro riparo, l’abbandonarono notturni, -per ricoverarsi nel munito borgo di Vico; e quivi interposero -di pace Anselmo arcivescovo di Milano. E ne -fu condizione, che, salve le vite, si sfasciassero le mura -e le fortificazioni della città e dei sobborghi; Como riconoscesse -Milano con annuo tributo. Eppure i vincitori -sfrenati posero a sacco e fuoco la città, menarono in -cattività agricoltori, servi, cittadini. Non s’aveano allora -guarnigioni per tener in ceppi i vinti, e perciò bisognava -disperderli: in fatto i Comaschi furono costretti abitare -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -all’aperto, pagare annualmente il viatico e il fodro, e -smettere il solito mercato. Ciò per altro non li privava -del governarsi a comune, con leggi e magistrati proprj. -</p> - -<p> -Di questa guerra narrammo le particolarità, come -esempio di tutte le altre allora agitate. Ne inorgoglì -Milano, che poco poi osteggiò Crema, e tutta Lombardia -andava a scompiglio per fazioni interne; laonde papa -Innocenzo II s’argomentò al riparo spedendo san Bernardo, -borgognone, fondatore de’ Cistercensi ed anima -della società cristiana di quel tempo. Ne’ monasteri non -voleva egli si cercasse un rifugio contro il mondo, bensì -forza di combatterlo e guidarlo; l’operosità essere principio -di salute, e perciò i monaci addestrava alle lettere -e all’agricoltura. Dottissimo coi teologi, popolarissimo -coi campagnuoli, vigilava sull’intera cristianità, maneggiava -gl’interessi delle nazioni, pur sempre ribramando -la sua devota solitudine, alla quale tornava appena -avesse finito di riconciliare i re, di far riconoscere i -papi, o di spingere tutta Europa contro l’Asia; e preparava -libri che il fecero collocare allato ai santi padri, -e fra gli ascetici prediletti alle anime contemplative. -Quand’egli calò in Lombardia, accorreva la gente per -udirlo, e il riceveano a ginocchi, e mettendo fuori argento, -oro, arazzi, quanto aveano di meglio; e beato -chi ottenesse un filo della sua tunica. Riuscì egli ad -esaltare lo zelo, sicchè uomini e donne si vedeano in -capelli raccorci e vesti dimesse, e sulle tavole acqua -invece dei vini generosi; liberati prigionieri, emendati -i costumi, e ciò che più era difficile, ristabilita dappertutto -la pace. I Milanesi, meravigliati all’unione di tanto -senno con tanta bontà, il voleano arcivescovo <span class="sidenote">(1135)</span>; ma egli, -per cui i gradi e le comparse erano una condanna, s’affrettò -di tornare alle maschie voluttà della solitudine -penitente, lasciando presso Milano il monastero di Chiaravalle, -dal quale e dagli altri di Morimondo e di Cerreto -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -i Cistercensi tolsero a sanare le pantanose pianure, -introducendovi i prati irrigatorj, la fabbrica de’ formaggi -e la coltivazione del riso. -</p> - -<p> -Non avea fatto che partire Bernardo, e gli sdegni -ribollirono; e Cremona e Pavia, dove l’eloquenza di lui -poco aveva approdato, si ritorsero contro Milano. Il -vescovo pavese guidò le milizie; e i Milanesi non solo -lo sconfissero, ma lui stesso fecero prigioniero con -molti de’ suoi, i quali rimandarono colle mani legate al -tergo, e attaccato un fascetto di fieno acceso tra i fischi -plebei. Tornarono i Pavesi alla riscossa, ma a Maconago -furono rotti ancora. I Milanesi portarono pur guerra a -Novara e Cremona, la quale oppose loro il castello di -Pizzighettone sull’Adda. Violenze che partorivano violenze, -e colle violenze doveano finire. -</p> - -<p> -Quel che intitolavasi regno d’Italia era diviso tra -molti feudatarj, quali il marchese di Monferrato tra gli -Appennini, il Po e il Tànaro; il marchese del Vasto, che -poi fu detto di Saluzzo, fra il Po e le alpi Marittime; -ai quali due s’interponeva il contado d’Asti, e accanto -quel di Biandrate che dominava il Canavese fra la Dora -Riparia e la Baltea. Gl’imperatori, per assicurarsi il -passo in Italia, aveano sottoposto a duchi tedeschi anche -il pendio meridionale dell’Alpi; onde la Baviera stendeasi -fin a Bolzano, cioè di qua dall’alpi Retiche che ci -separano dai Tedeschi; i Guelfi e il ducato d’Alemagna -fino a Bellinzona, di qua dalle Lepontine; quel di Svevia -fino a Chiavenna, di qua dalle Retiche; le alpi -Giulie erano a dominio del duca di Carintia, al quale -furono recate la contea di Trento, e le marche di Verona, -d’Aquileja, d’Istria, tenendo in rispetto la Lombardia -da un lato, dall’altro gli Ungheresi. Ma i re -tedeschi, intenti ad assicurare la prevalenza della gente -germanica sopra la slava, vollero estenuare la Carintia, -sicchè abbondarono di concessioni col Veronese, che -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -poi da quella restò separato del tutto quando i patriarchi -d’Aquileja ebbero la sovranità del Friúli, poi dell’intera -Istria, succedendo alle famiglie ereditarie degli -Eppenstein, Sponheim, Andechs. Allora Verona, tornata -italiana, maturò pur essa i germi repubblicani, sotto un -vescovo cui dava importanza il custodire gli sbocchi -dell’Alpi e il passo del fiume, che coprono l’Italia dai -Tedeschi. -</p> - -<p> -Il marchese Obizzo Malaspina, oltre la Lunigiana, -avea possessi nel confine di Cremona, e da Massa presso -il Lucchese fino a Nazzano presso Pavia: tratto di settanta -miglia<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a>. La Casa savojarda di Morienna usciva -dalle sue valli allobroghe per allargarsi sempre più di -qua dall’Alpi, occupando i marchesati d’Ivrea e di Susa; -e Ulrico Manfredi, al tempo d’Enrico I, possedeva dall’alpi -Cozie fin alla riviera di Genova, e da Mondovì ad -Asti: la qual città era signoreggiata da un suo fratello -vescovo. Ma troppo spesso suddivisa per eredità, la -casa di Savoja non accennava all’importanza che trasse -più tardi dalla sua postura. -</p> - -<p> -Nell’Appennino toscano avanzavano conti e marchesi -e molti dominj immuni di nobili; ovvero monasteri, -badie, beni vescovili isolati, sceveri dal movimento repubblicano. -La potenza dei marchesi, poi della contessa -Matilde, avea nell’Etruria frenato le fazioni, e assicurato -il predominio papale, sicchè rado o non mai s’era veduto -un vescovado diviso fra due competitori. I governi -liberi vi tardarono dunque a svolgersi fin quando, disputandosi -fra il papa e l’imperatore la successione a -quella signoria, i popoli, incerti a chi obbedire, furono -men soggetti ad entrambi i competitori, e nella negligenza -di questi provvidero da sè al proprio ordinamento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -</p> - -<p> -Roma offriva sempre gran mescolanza d’antichissimo -e di novissimo, e dei tre elementi di popolo, di feudo, -di sacerdozio. Prefetto, consoli, senato offrivano una -costituzione repubblicana, i feudatarj e i castelli rappresentavano -il diritto della spada, il papa la sovranità; -e si urtavano e prevaleano a vicenda. Nel X secolo, -tutto forza, sormontarono i feudatarj, oligarchia turbolenta, -che quasi assorbì la ecclesiastica. Colla restaurazione -degli Ottoni la nobiltà fu repressa e il papato -rialzossi, appoggiandosi però allo straniero, che riservava -a sè la moneta e la giustizia. -</p> - -<p> -I pontefici, mentre aveano assodata l’autorità su tutto -il mondo, pochissima ne godevano nella città di loro -residenza. Per le ripetute donazioni imperiali dominavano -l’antico ducato di Roma, l’Esarcato e la Pentapoli: -ma erano cinti da robusti signori, quali il duca di Spoleto -nell’Ombria meridionale, nel Piceno e in parte del -Sannio; a mezzodì il marchesato di Guarnerio fra gli -Appennini e l’Adriatico, da Pésaro ad Osimo; di qui alla -Pescàra quel di Camerino e di Fermo; quel di Teate -dalla Pescàra a Trivento: principi indipendenti non appena -l’imperatore avesse vôlto le spalle all’Italia. Le -città poi a levante del Lazio e a maestro della Toscana -formavano altrettanti ducati sotto vescovi e signori. La -stessa campagna romana era sparsa di signorotti, che -da Palestrina, da Tùsculo, da Bracciano ne faceano infelice -governo, impedivano la coltura de’ campi, e perfino -nei sepolcri di Cecilia Metella e di Nerone, o nelle -terme di Caracalla fortificandosi, teneano serva ai loro -capricci l’antica capitale del mondo: fra le sue mura -stesse, sovente una fazione dal Coliseo, un’altra dalla -torre di Crescenzio, una terza dal Pincio venivano a -provocarsi. -</p> - -<p> -<i>Urbs</i>, cioè la città per eccellenza, chiamavasi Roma, -e senato il suo consiglio comunale come ai tempi di -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -Cesare e di Scipione. Dieci elettori di ciascuno dei tredici -rioni della città, ogn’anno sceglievano cinquantasei -senatori; è probabile fossero tutti nobili, e che alcuni -formassero per turno il consiglio secreto del patrizio, -rappresentante della repubblica. Geroo, prevosto di -Reichersperg, nel 1100, scrive ad Enrico prete cardinale: — I -senatori romani giudicano delle cause civili; -le maggiori e universali spettano al pontefice o al suo -vicario, ed all’imperatore o al vicario di lui prefetto -della città; il quale la dignità propria rileva da entrambi, -cioè dal papa a cui fa omaggio, e dall’imperatore da -cui riceve le insegne della dignità, cioè la spada sguainata. -E come coloro cui spetta guidar l’esercito sono -investiti col vessillo, così per lungo uso il prefetto della -città è investito colla spada, sguainata contro i malfattori. -Il prefetto della città poi della spada usa legittimamente -a sgomento de’ malvagi e conforto dei buoni, -a onor del sacerdozio ed a servizio dell’Impero»<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>. -</p> - -<p> -I nomi pomposi mal mascheravano il decadimento, -giacchè i palazzi si sfasciavano<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>; la liberazione di -Roberto Guiscardo avea ridotto deserti i quartieri fra -il Coliseo e il Laterano, che la mal’aria finì di spopolare; -il suo territorio abbracciava angusto circuito, di -là del quale Roma trovava nemici i Comuni di Albano -e di Tusculo come ai tempi di Romolo, ed ogni primavera -bisognava uscire a combatterli, e devastare la già -povera campagna. Unica ricchezza della città erano il -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -denaro e i forestieri che vi traeva la presenza del papa: -ma mentre questo nella restante Italia era venerato -come capo del partito nazionale e tutore della libertà, -quivi era esoso come principe; spesso n’era cacciato -dai signori che ricusavano stargli dipendenti; ma il -popolo che, con vezzo non più disimparato, avea -gridato <i>Morte</i> e <i>Fuori</i>, ben tosto ne sentiva bisogno -e desiderio, e gridava <i>Viva</i> e <i>Torna</i>, con quegli schiamazzi -plateali che stoltamente si giudicano pubblico -voto. -</p> - -<p> -Dividevano allora la città due fazioni, guidate l’una -da Leone de’ Frangipani, l’altra da Pier di Leone; e -con violenze e tranelli faticarono a dare un successore a -Calisto II. I Frangipani portavano Lamberto vescovo -d’Ostia <span class="sidenote">(1124)</span>, che prevalse col nome di Onorio II: ma alla -costui morte si rinnovano bucheramenti e tumulti a -favore d’un figliuolo di Pier di Leone: e sebbene i -migliori s’accordino ad eleggere Gregorio cardinal di -Sant’Angelo <span class="sidenote">(1130)</span>, che volle chiamarsi Innocenzo II, gli altri -vi oppongono il loro creato col nome di Anacleto II<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>, -e ne nasce uno scisma scandaloso. Anacleto colle spoglie -della basilica Vaticana compra fautori ed armi; -Innocenzo, che non poteva se non tenersi nei palazzi -muniti dei Frangipani, stabilisce andarsene, e dalle -navi pisane portato in Francia, in Inghilterra, in Germania, -ricevette omaggio e riverenza, giovato dall’eloquenza -di San Bernardo. La cella di questo, al concilio -di Pisa, vedeasi affollata di prelati, ansiosi di trattar -seco degli affari del mondo e dell’anima. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -</p> - -<p> -Per assistere Innocenzo contro l’antipapa e per frenare -le città emancipate, Lotario imperatore <span class="sidenote">(1133)</span> calò dall’Alpi, -non accompagnato da verun cavaliere di Svevia -nè di Franconia, ed avendo per portastendardo quel -Corrado, che dianzi aveva accettato la corona d’Italia. -Ma a Milano si vide chiuse le porte in faccia, essendosi -Anacleto amicato quell’arcivescovo Anselmo, scomunicato -da Onorio II, talchè non potè farsi coronare re -d’Italia; a Roma Anacleto respinse il competitore, -fortificandosi in Vaticano, mentre Innocenzo doveva -munire il Laterano, ove coronò Lotario. -</p> - -<p> -Messa allora in campo la controversia dell’eredità -della contessa Matilde, fu conciliata con questo patto, -che Innocenzo investisse Lotario vita sua durante, e -dopo lui il duca di Baviera genero di esso imperatore, -siccome di feudi della Chiesa, alla quale dovessero -retribuire cento marchi d’argento l’anno, poi al morire -dell’ultimo tornerebbero alla santa sede. Con quest’atto -l’imperatore veniva a riconoscersi vassallo e tributario -del pontefice<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>. -</p> - -<p> -La fazione d’Anacleto rialzò ben presto il capo, -sicchè Innocenzo invocò Lotario, il quale, riconciliatosi -colla casa di Hohenstaufen, tornò con maggiori -forze: ma gli effetti furono poco meglio felici che la -prima volta; perchè, se Milano il favorì, gli si avversarono -Cremona, Parma, Piacenza, che egli dovette -per forza ridurre ad obbedienza. -</p> - -<p> -Restavano sempre avversi all’Impero nelle parti -meridionali i Normanni, che avendo ormai sottratte -tutte le città greche ai catapani, e occupata la nuova -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -Longobardia, eccetto Benevento che rimaneva ai papi, -e Napoli che di nome dipendeva dai Greci, viepiù sentivano -il bisogno dei forti, l’indipendenza. Quantunque -sostenitori del pontefice contro gli stranieri, poca mostravangli -condiscendenza nell’interno loro dominio, nè -si tenevano in dovere di ricevere legati papali in paesi -che essi col proprio braccio aveano sottratti agl’Infedeli -o ai Greci, e restituiti alla vera Chiesa. Urbano II -erasi guadagnato Ruggero, nominandolo legato in -Sicilia <span class="sidenote">(1098)</span>, cosa mai più concessa a verun regnante, e -donde derivò quel che chiamarono poi <i>tribunale della -monarchia di Sicilia</i>, cioè che esso e i suoi discendenti -godessero il titolo ed esercitassero i diritti di legati -ereditarj e perpetui della santa sede, per ciò portando -nelle solennità mitra, anello, sandali, dalmatica, pastorale<a class="tag" id="tag101" href="#note101">[101]</a>. -Morto poi Guglielmo II duca di Puglia, anche -il dominio di qua dal Faro restò a Ruggero <span class="sidenote">(1127)</span>, che così -possedeva tutto quel che fu poi regno di Napoli. -</p> - -<p> -Onorio II vide lesa la sua superiorità nel fare un -tanto acquisto senza sua adesione, ben conoscendo -come il gran conte dominando la Sicilia, la Puglia, -la Calabria, avrebbe dettalo la legge a Roma. E perchè -quegli assalì Benevento, città pontifizia, Onorio lo -scomunicò, e mosse contro di esso in armi, dando perfino -indulgenza plenaria a chi perisse in quella guerra. -I principali conti assecondarono il pontefice; ma Ruggero, -venuto di Sicilia con buon esercito, prese le città -primarie; e il papa, che vedeva ogni giorno diminuirsi -le sue truppe, s’accontentò d’investirlo della Puglia e -Calabria. Non andò troppo sottigliando sui diritti l’antipapa -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -Anacleto, e bisognoso di fautori, a Ruggero -consentì il titolo di re di Sicilia, l’investitura della -Puglia, Calabria, Salerno, e la supremazia sul ducato -di Napoli e il principato di Capua; in Palermo fu celebrata -la pomposa coronazione, e restò costituito il -regno delle Due Sicilie, terminando le antiche repubbliche -nel mezzodì, quando nel settentrione d’Italia -sbocciavano le nuove. -</p> - -<p> -I baroni e conti, fin allora tutti pari di potenza, mal -soffersero di vedersi imposto un superiore; e Roberto -dovette star sempre coll’armi in pugno, e con ferro, -fuoco, prigioni soffogando le rinascenti rivolte, cagionò -guasti non minori di quelli de’ Musulmani. Anche -Amalfi fu costretta demolire le fortificazioni e a lui -sottoporsi. Roberto principe di Capua, primo tra i baroni -normanni e che intitolavasi <i>per la grazia di Dio</i>, -vedendosi rapita l’indipendenza, si unì coi signori che -voleano difenderla e collo straticò di Napoli. Soccombuto, -andò invocare soccorsi dai Pisani, ma Ruggero -colla flotta di Sicilia e della soggiogata Amalfi assalì -Napoli, il cui straticò seppe resistere all’armi e alla -fame. -</p> - -<p> -Tanta possa di Ruggero ingelosiva e gl’imperatori -d’Oriente, già altre volte minacciati dai Normanni; e -Lotario, a cui esclamavano i tanti oppressi da Ruggero; -e più Innocenzo, che vedea sempre peggio rimossa la -speranza di ricuperare la sua sede. Lotario, spinto -dalle preghiere di Roberto di Capua, ed esortato da -san Bernardo a toglier via lo scisma <span class="sidenote">(1137)</span>, mosse contro -Ruggero, allargò Napoli, rimise Roberto in Capua, -sicchè Ruggero, perdute tutte le terre di qua del -Faro, dovette ricoverare in Sicilia. I Pisani, vedendo -il bel destro di vendicarsi dell’antica emula, con ben -cento navi assalirono Amalfi, e costrettala a cedere, -vi esercitarono fieramente i diritti della vittoria. Da -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -quel punto <span class="sidenote">(1157)</span> Amalfi più non contò, sebbene le forme -repubblicane conservasse internamente fin quando nel -1350 i re di Napoli le abolirono. I suoi banchi in -Levante restarono deserti, od occupati da più felici -successori; a’ suoi porti non concorsero più se non -i devoti a visitare il corpo di sant’Andrea, che il cardinale -Capuano rapì alla chiesa di Costantinopoli nel -1207, e che stillava manna. Chi oggi, andando a interrogare -i tanti problemi della storia nazionale, visita -la patria di Flavio Gioja e di Masaniello sulla deliziosa -riva dove il mare frange tra Napoli e Salerno, sentesi -stringere il cuore ai pochi e luridi abituri sopravanzati -colà dove sorgeva l’antica legislatrice del Mediterraneo; -e sedendo pensoso su qualche barca pescareccia nel -porto a cui affluivano le ricchezze d’Oriente, invece -dell’operoso tumulto di ottantamila abitanti, non vede -che l’abbandonata negligenza di pochi pescatori, non -ode che il gemito de’ limosinanti. -</p> - -<p> -Era quello il momento di mettere al nulla il dominio -de’ Normanni se, al solito, non fossero entrate -contestazioni tra i federati. Alla presa di Salerno i -Pisani recaronsi a dispetto che l’imperatore segnasse -la capitolazione senza loro intervento: poi il papa -pretendeva quella città appartenesse a lui, e volendo -sminuzzare il dominio coll’eleggere un nuovo duca di -Puglia, disputavasi a chi toccasse dargli l’investitura; -alfine conchiusero gliela conferirebbero e il papa e -l’imperatore, tenendo entrambi il gonfalone. Altre controversie -nacquero per Montecassino: ma pure rappattumati, -Innocenzo e Lotario ripresero la via di Roma, -ove il papa coll’armi imperiali potè rientrare. Lotario, -devastata l’Italia nell’andata e nel ritorno, se ne partiva -con poca gloria e meno frutto, allorchè morì <span class="sidenote">(5 xbre)</span> vicin di -Trento: uom prode e d’onore, amico del retto, ma -non robusto quanto ai tempi occorreva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<p> -Ruggero, che aveva aspettato il consueto scomporsi -dell’esercito imperiale, tornò bentosto, riprese la città -senza dare ascolto a san Bernardo, venuto consigliatore -di pace: anzi pretese erigersi arbitro fra Innocenzo -e l’antipapa Anacleto; e morto questo, ne nominò -un altro <span class="sidenote">(1138)</span> in Vittore IV. Però Bernardo tanto -fece, che menò l’antipapa a’ piedi d’Innocenzo, al -quale pure si sottomisero i dissidenti. Ed egli raccolse -in Laterano l’XI concilio ecumenico <span class="sidenote">(1139)</span> con duemila -prelati, ai quali disse: — Voi sapete che Roma è capitale -del mondo; che le dignità ecclesiastiche si ricevono -per concessione del sommo pontefice, siccome feudo; -nè senza di ciò possono legittimamente possedersi». -</p> - -<p> -Ivi scomunicò Ruggero, poi in persona mosse con -buone armi, disposto a guerreggiarlo se non accettasse -le proposizioni di pace. Rejette queste, attaccò -il pertinace, ma incontrò sfortuna eguale al suo predecessore -Leone IX, e come lui ne trasse profitto: -perocchè, caduto prigione con molti cardinali, vide -il suo vincitore gittarsegli a’ piedi e domandargli -perdono dell’averlo vinto; laonde egli conchiuse pace -con Ruggero, rinnovandogli l’investitura già avuta dall’antipapa, -purchè prestasse alla romana Chiesa l’omaggio -e seicento schifati d’oro ogn’anno<a class="tag" id="tag102" href="#note102">[102]</a>. Nel titolo -restava eccettuato Salerno, sul cui principato i papi -ebbero sempre pretensioni; ma erano comprese Capua, -tolta al perseverante Roberto, e Napoli colle sue -dipendenze, la quale, avendo perduto in battaglia il -duca, accettò di sottomettersi al nuovo re. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -</p> - -<p> -Di qui restò confermato l’alto dominio della santa -sede, già da essa acquistato mezzo secolo prima, sopra -il Reame. Ruggero da nuove vittorie, da bandi e -confische cercò una legittimazione, che al secolo nostro -garba meglio che non la benedizione papale. -</p> - -<p> -A re Lotario in Germania parea dovesse succedere -il guelfo Enrico, ma prevalse Corrado di Franconia, -che, abdicata la corona italica, poco dopo andò crociato -<span class="sidenote">(1147)</span> con settantamila cavalieri e innumerevoli fanti, -pochi de’ quali dopo orribili patimenti lo accompagnarono -al ritorno. Nella sua lunga assenza, i Comuni -presero incremento in Italia; e sotto diverse sembianze -ma in ogni parte appariva la libertà, e manifestavasi -nel cozzarsi di Venezia con Ravenna, di Pisa e Firenze -con Lucca, di Vicenza con Treviso, di Fano con Pésaro, -Fossombrone, Sinigaglia, di Verona con Padova perchè -avea stornato il letto dell’Adige; di Modena con Bologna -perchè a questa erasi data la badia di Nonantola; di -Cremona e Pavia con Milano, che già non paga della -libertà, voleva anche dominio sulle città del contorno. -Mal sostenuti dal potere imperiale, i baroni soccombevano -agli sforzi de’ Comuni, che venivano estendendo -l’eguaglianza popolare; sicchè questa prevalse anche -in Toscana. Firenze, Siena, Pistoja, Arezzo primeggiavano -sui Comuni e sui dinasti limitrofi; e, secondo una -lettera di Pietro abate di Cluny a re Ruggero, «miserabile -era l’aspetto della Toscana, confondendosi le cose -umane e le divine; città, castelli, borgate, ville, strade -pubbliche, fin le chiese erano esposte a omicidj, sacrilegi, -rapine; pellegrini, cherici, monaci, abati, preti, -vescovi, patriarchi v’erano presi, spogliati, battuti, uccisi»<a class="tag" id="tag103" href="#note103">[103]</a>. -I principi normanni reprimevano a mezzodì -il movimento repubblicano; ma non che favorissero -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -gl’imperatori, stavano in sospetto delle antiche pretensioni -che potessero addurre contro il recente loro -dominio. -</p> - -<p> -In ogni parte la podestà imperiale era dunque in -calo: nè prosperava la pontifizia, alla quale nuovo -genere di sfide recò Arnaldo da Brescia. Educatosi in -Francia alla scuola di Abelardo, libero pensatore, più -rinomato per gli amori e le sventure sue che per l’ardimento -del suo eclettismo, Arnaldo fu prima guerriero, -poi monaco, e cominciò a propagare in Italia le dubitanti -e negative idee del suo maestro, e censurare la -depravazione del clero. Bel parlatore, e ascoltato avidamente -com’è sempre chi esercita la maldicenza, prese -a battere la potenza ecclesiastica; repugnare al buon -diritto che il clero possedesse beni, e regalie i vescovi, -mentre avrebbero dovuto vivere all’apostolica di decime -e di oblazioni, restituendo i possessi al principe cui appartenevano<a class="tag" id="tag104" href="#note104">[104]</a>; -e in ciò metteva convinzione ed entusiasmo -maggiore che non que’ novatori, i quali più -tardi sull’orme sue vennero a scassinare col ragionamento -il regime cristiano dello Stato e della Chiesa. -Paragonava egli i Governi d’allora colle antiche repubbliche, -sogno o delirio perpetuo degl’Italiani, che allora -veniva infervorato dai rinnovati studj classici de’ giureconsulti. -Volentieri lo ascoltavano i laici, che tenendo -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -feudalmente privilegi dai vescovi, bramavano rendersene -indipendenti; e i <i>Politici</i>, come si chiamavano i -suoi fazionieri, crescendo più sempre di numero, scotevansi -risolutamente dall’obbedienza del papa. -</p> - -<p> -Era questo venuto in ira anche ai popolani perchè, -essendosi rivoltati i cittadini di Tivoli e avendo sconfitto -in malo modo i Romani, esso gli assalì da vero, e coll’assedio -li costrinse a capitolare, ma non sterminò le -vite e le mura loro. Imprecando dunque a tale benignità -col solito titolo di tradimento, i Romani traggono -tumultuosi al Campidoglio <span class="sidenote">(1141)</span>, e come pegno della rinnovata -repubblica rintegrano il senato di cinquantasei -membri, e in nome di questo e del popolo romano intimano -guerra ai vicini. Innocenzo morì prima di poterli -domare <span class="sidenote">(1143)</span>; e Celestino II, succedutogli per pochi -mesi, tolse a perseguitare Arnaldo, benchè già amico -suo, e che, mal sorretto dalla volubile aura vulgare, -fuggì a Zurigo, prevenendo Zuinglio nel predicare -contro la Chiesa, poi in Francia, in Germania, inseguito -dappertutto dall’occhio e dalla voce di san Bernardo. -</p> - -<p> -Le famiglie primarie dei Pierleoni e dei Frangipani, -fin allora nemiche, si mettono d’accordo per umiliare -la fazione democratica e svellere l’ordine repubblicano: -ma i popolani, guidati dalla nobiltà inferiore, invocano -l’immediata sovranità dell’imperatore, qual soleva ai -tempi di Roma antica. Lucio II papa <span class="sidenote">(1144)</span>, che in processione -armata marciava al Campidoglio per isnidare i -nuovi magistrati, è respinto a sassi, così che ne muore. -Imbaldanzì la fazione avversa, e a fatica si potè nominare -Eugenio III discepolo di san Bernardo <span class="sidenote">(1145)</span>, il quale, -per non dovere a forza riconoscere il senato, fuggì di -Roma. Arnaldo soldò duemila Svizzeri, e questa forza -mercenaria condusse a raffermare la magistratura repubblicana -del Campidoglio. Proponevasi egli istituire -un ordine equestre, medio tra il popolo ed il senato, -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -ristabilire i consoli e i tribuni, insomma con una pedantesca -e intempestiva restaurazione del passato ingrandire -l’autorità imperiale, mentre il papa restringeva -ai soli giudizj ecclesiastici. -</p> - -<p> -Il vulgo è facile a credere che cogli antichi nomi -ritornino le antiche grandezze; e coll’entusiasmo dell’applauso -accoppiando al solito l’entusiasmo del furore, -abbatte le torri e i palazzi dei nobili avversi e -de’ cardinali, non senza ferirne alcuni, abolisce la dignità -di prefetto di Roma per nominare patrizio Giordano, -fratello d’Anacleto antipapa, ed obbliga tutti a -prestargli giuramento. Eugenio, tentata invano la riconciliazione, -scomunicò costui; poi, unite le sue forze con -quelle di Tivoli, costrinse a tornare all’obbedienza, e -fu accolto con tante feste, con quante n’era stato -escluso<a class="tag" id="tag105" href="#note105">[105]</a>. Breve trionfo: e ben tosto costretto -uscirne di nuovo, passò in Francia a sollecitar la crociata; -mentre i repubblicani chiamavano Corrado III, -vantando non avere operato ad altro fine che per restituire -l’Impero nella grandezza che aveva sotto Costantino -e Giustiniano, e perchè egli ricuperasse tutti -gli onori che gli competevano e gli erano stati usurpati; -avere perciò demolito le fortezze dei prepotenti; venisse -in persona a compier l’opera, collocare sua sede in -Roma, e abbattere i Normanni fautori del papa<a class="tag" id="tag106" href="#note106">[106]</a>. -</p> - -<p> -L’imperatore, mal fidandosi a quel popolo leggero, -provvide di truppe il pontefice; che con queste e con -altre di Francia piantossi a Tusculo, e da quei terrieri -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -e dai Normanni sostenuto, potè rinnovare i patti col -popolo, lasciandogli il senato, ma nominando egli stesso -un prefetto, giusta la prisca consuetudine. Però se il -popolo voleva conformare lo statuto ai concetti di -Arnaldo e della storia, senza sgomentarsi delle idee -classiche sopra l’illimitata autorità del principe, l’alta -nobiltà desiderava mantenere la condizione feudale, -impedendo e ai papi di dominare e al popolo di -emanciparsi. Continuò la repubblica sotto Anastasio IV; -ma Adriano IV inglese <span class="sidenote">(1153-54)</span>, avendo la plebe assassinato il -cardinale di Santa Pudenziana, diede lo straordinario -esempio di interdire la capitale del cristianesimo finchè -Arnaldo non fosse espulso. Il popolo sgomentato, massime -che s’avvicinava la pasqua, cacciò Arnaldo, che -rifuggì presso un conte di Campania. -</p> - -<p> -Anche Ruggero, che teneva carezzati i pontefici sol -in quanto gli giovavano, poco avea tardato a venire in -nuova rotta con essi, ne devastò le terre, guerreggiò e -depredò Montecassino. Guerra più gloriosa recò ai -Barbareschi d’Africa, assalendo Tripoli nido di corsari, -Bona, Tunisi, e menandone schiave le donne in Sicilia. -Gl’imperatori d’Oriente non cessavano di credere usurpati -a sè i possessi de’ Normanni, e li molestavano; -onde Ruggero mandò un’armata verso l’Epiro, prese -Corfù, Cefalonia, Corinto, Negroponte, Atene, asportandone -immense ricchezze e persone da ripopolarne la -Sicilia, ma specialmente operaj di seta. L’imperatore -bisantino, cognato di Corrado III, sollecitava questo a -venire in Italia e rintuzzare il baldanzoso Normanno; -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -intanto egli medesimo faceva grosse armi, e col soccorso -de’ Veneziani assalse Corfù; ma Ruggero ardì -spingersi a Costantinopoli, gettando razzi incendiarj -contro il palazzo imperiale. Pure Corfù gli venne tolta, -e la sua flotta battuta dalla veneta e genovese. -</p> - -<p> -Corrado accingevasi a calare in Italia per la corona, -e insieme per guerreggiare Ruggero <span class="sidenote">(1152)</span>, quando morì a -Bamberga, si volle dire avvelenato da medici della famosa -scuola di Salerno, ch’erano rifuggiti a lui fingendo -paura di Ruggero. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap84">CAPITOLO LXXXIV. -<span class="smaller">Federico Barbarossa.</span></h2> -</div> - -<p> -Federico di Buren, feudatario della Svevia, che oggi -diciamo Baviera, Baden, Würtenberg, a poche miglia -da Goeppingen fabbricò s’un’altura un casale, detto -perciò Hohenstaufen, donde trasse il titolo la sua famiglia. -Quanto coraggioso, tanto fu leale verso l’imperatore -Enrico IV, che in compenso gli diede il ducato -di Svevia e la mano di sua figlia Agnese. Morendo -vecchissimo, lasciò due figli, Federico e Corrado, il -primo de’ quali fu investito da Enrico V de’ feudi paterni, -l’altro della Franconia <span class="sidenote">(1137)</span>, e fu anche coronato re -d’Italia dai Milanesi (pag. 90), ed eletto imperatore -da alcuni, poi da tutti alla morte di Lotario di Sassonia. -Morendo lasciò un figliuolo, ma conoscendo non esser -tempi da fanciulli, raccomandò un figlio di suo fratello, -Federico di nome, di soprannome Barbarossa. Alla -dieta di Francoforte, dai principi dell’Impero e da -molti baroni di Lombardia, di Toscana e d’altri paesi -italici eletto re <span class="sidenote">(1152)</span>, coronato in Aquisgrana, mandò ad -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -Eugenio III e all’Italia notificando la sua elezione, che -fu generalmente aggradita, anche nella speranza ch’egli -riconciliasse Guelfi e Ghibellini, giacchè, capo di questi -pel padre, per madre era nipote di Guelfo di Baviera, -capo degli altri. -</p> - -<p> -Sul fiore dei trent’anni, già era famoso nelle battaglie, -ne’ tornei, nelle crociate; saldo d’animo e di corpo, -pronto d’ingegno, di memoria prodigiosa, dolce nel -favellare, semplice nei costumi, paragone di castità, -provvido ne’ consigli, valentissimo in opere di guerra, -dai Tedeschi vien noverato fra i principi più insigni; -certo fu de’ più robusti caratteri del medioevo; proteggeva -i poeti e verseggiava egli stesso, sapeva di latino -e di storia, e volle che dal cugino Ottone vescovo -di Frisinga fossero scritte le sue geste<a class="tag" id="tag107" href="#note107">[107]</a>. Offuscava -tante doti coll’ambizione e l’avarizia, o almeno così -qualificarono gl’italiani il suo desiderio di ristabilire -qui la regia prerogativa, e d’ottenerne i mezzi, cioè -il denaro. Certamente a una profonda idea del dovere -come egli lo intendeva, sagrificava interessi, sentimenti, -pietà; e dovere supremo pareagli il rintegrare l’autorità -imperiale, come tipi di questa togliendo Costantino -e Giustiniano nell’aspetto ch’erano presentati dalla risorta -giurisprudenza romana; e le idee sistematiche -proseguiva coll’ostinatezza propria della sua nazione. -Di qui le città, acquistato vigore, meno docili si manifestavano; -di là la Chiesa aveva dimostrato la sua -indipendenza, almeno in diritto; i baroni si tenevano -in armi per assicurarsi la supremazia territoriale; e -Federico si propose di frangere tutti questi ostacoli -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -col riformare il sistema ecclesiastico e il feudale, e -abolire i Comuni. -</p> - -<p> -Coronato appena, ecco deputati del pontefice a pregarlo -di soccorsi contro i Romani rivoltosi; ecco Roberto -di Capua invocare d’essere rimesso nel principato, -toltogli dal re di Sicilia; ecco cittadini di Como -e di Lodi, che, trovandosi colà per traffici, senza -missione delle proprie città se gli buttano ai piedi, -cospersi di cenere e con croci alla mano, implorando -riparazione, e vendetta delle loro patrie soccombute -ai Milanesi. -</p> - -<p> -Diedero pel talento a Federico queste occasioni di -assumere aspetto di vindice dei deboli, cui potrebbe -poi a sua volta regolare; mentre alleandosi coi forti, -non avrebbe fatto che crescere a questi la baldanza. I -Lodigiani stavano talmente allibiti, che invece di saper -grado a quei loro concittadini, li caricarono d’ingiurie; -a Sicherio, che il Barbarossa spediva con lettere di -rimprovero ai Milanesi, non osarono fare accoglienze: -di pessime poi n’ebbe costui allorchè le presentò ai -Milanesi, che le calpestarono urlando; e fu gran che -s’egli potè uscire dalle lor mani e camparsi in Germania. -Dello smacco s’inviperì Federico; e i Lodigiani -vollero mansuefarlo collo spedirgli una chiave d’oro, e -raccomandarsegli caldamente; anche Cremona e Pavia -gli inviarono grossi regali; Milano pure ravveduta il -donò d’una coppa d’oro piena di denaro: omaggi di -paura, e i re li credono d’amore. -</p> - -<p> -Pubblicato l’eribanno, Federico coll’esercito feudale -mosse verso l’Italia, perocchè la potenza e il primato -di questi imperatori non valeano se non discendendo -in persona. Per via raccoglievano dai feudatarj immediati -il donativo, il foraggio e la tangente di milizie; -mandavano ad esigere dalle città le dovute regalie; e -poichè reprimevano coll’armi i contumaci, il loro -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -viaggio era segnato da devastazioni. All’arrivo del re -rimaneva sospesa la giurisdizione dei magistrati feudali, -ed egli in persona rendeva giustizia, e ascoltava -in appello chiunque si credesse gravato dal proprio -signore o inesaudito. Altrettanto avveniva nelle città; -le quali pertanto consideravano come di gran conto il -privilegio che non entrassero nelle loro mura i re, i -quali, quanto vi stavano, erano despoti; iti che se ne -fossero, tornava ognuno a fare il proprio talento<a class="tag" id="tag108" href="#note108">[108]</a>. -</p> - -<p> -A questa forma calossi il Barbarossa, e truppe non -minori delle sue gli menava Enrico il Leone, de’ Guelfi -d’Este. A questa famiglia l’imperatore avea dato l’investitura -della marca di Toscana, del ducato di Spoleto, -del principato di Sardegna, e dei beni allodiali della -contessa Matilde; ed Enrico, gran prode, possedendo i -ducati di Sassonia e Baviera, acquistata Lubecca, avuto -il diritto di erigere vescovadi di là dall’Elba, e adopratosi -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -a sottoporre gli Slavi, era riuscito de’ più potenti -di Germania, nè inferiore al Barbarossa se non perchè -gli mancava la corona. -</p> - -<p> -Convocati i baroni nel solito piano di Roncaglia <span class="sidenote">(1154)</span>, minacciando -spossessare del feudo chi non intervenisse, -Federico vi ricevette pure i consoli delle varie città che -gli giurarono fede. Ottone vescovo, suo storiografo, -tuttochè nemico, ammirava i popoli d’Italia, i quali nulla -ritenevano della barbarica rozzezza longobarda, ma nei -costumi e nel linguaggio mostravano la pulitezza e leggiadria -degli antichi Romani. Gelosi di loro libertà -(prosegue egli), non soffrono il governo di un solo, ma -eleggono dei consoli fra i tre ordini de’ capitanei, valvassori -e plebei, di modo che nessun ordine soperchii -l’altro, e li mutano ogn’anno. Per popolare le città costringono -i nobili e signorotti di ciascuna diocesi, comunque -baroni immediati, a sottomettersi alle città, e -starvi a dimora. Nella milizia poi e ne’ pubblici impieghi -ammettono persino i meccanici e i braccianti; per -le quali arti esse città superano in ricchezza e potenza -tutte quelle d’oltr’Alpi. Da ciò derivano la superbia, il -poco rispetto ai re, il vederli malvolentieri in Italia, e -non obbedirli se non costretti dalla forza<a class="tag" id="tag109" href="#note109">[109]</a>. -</p> - -<p> -Federico incominciò ad unir le sue truppe con quelle -del cugino Guglielmo marchese di Monferrato, uno dei -pochi che conservava la feudale potenza, malgrado le -città<a class="tag" id="tag110" href="#note110">[110]</a>; e gli diè mano ad assalire e disfare i liberi -Comuni di Asti e Chieri. -</p> - -<p> -I Milanesi, avuto sentore dei mali uffizj fatti dai Pavesi, -gli avevano assaltati senza pietà: e l’imperatore, ben -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -vedendo che, se avesse parteggiato coi Milanesi, questi -monterebbero in tal forza da più non obbedirlo<a class="tag" id="tag111" href="#note111">[111]</a>, si -chiarì pei Pavesi, nella loro città prese il diadema regio, -mandò guastare il territorio de’ Milanesi, e quanti ne -colse attaccò alle code de’ cavalli; soddisfece all’ira dei -Pavesi col mettere a sterminio Tortona dopo robusta -resistenza; bruciò Rosate, Galliate, Trecate, Momo, colle -fiere esecuzioni sperando incutere spavento e distorre -dal resistergli. A tacere la crudeltà, fu improvvido questo -baloccarsi in fazioni parziali, invece di difilare sopra -Milano. Nè per allora fece altro che sgomentare; poi -mosse su Roma<a class="tag" id="tag112" href="#note112">[112]</a>. -</p> - -<p> -Ivi durava la repubblica proclamata da Arnaldo da -Brescia; e i novatori, ridotto il papa alla Città Leonina, -gl’intimarono rinunziasse ad ogni podestà temporale, -accontentandosi del regno che non è di questo mondo: -ma Adriano IV repulsava quelle domande. Al venir dunque -dell’imperatore, tutti gli animi stavano sospesi. -Ajuterebbe egli i repubblicani per umiliare il papa, -antico avversario dell’impero? o vorrebbe reprimere -questo slancio della gran città verso la forma sempre -prediletta in Italia, e che annichilava la prerogativa -imperiale? Federico non tardò a chiarirsi: dal conte -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -di Campania, a cui erasi rifuggito, richiese Arnaldo, e -lo consegnò <span class="sidenote">(1155)</span> al prefetto imperiale della città; e Roma, -dalle tre lunghe vie che sboccano in piazza Popolo, -potè vedere il rogo su cui l’eretico e ribelle era bruciato<a class="tag" id="tag113" href="#note113">[113]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -</p> - -<p> -Non atterriti dal supplizio di Arnaldo <span class="sidenote">(1155)</span>, i cittadini vollero -patteggiare con Federico prima di riceverlo in -città; ed i senatori, scesi dal Campidoglio a prestargli -il giuramento, sciorinarongli una diceria sulle antiche -glorie romane, e sull’onore che gli facevano accettando -cittadino lui straniero e cercandolo oltr’Alpi per farlo -imperatore; giurasse osservar le leggi, e mantener la -costituzione della città e difenderla contro i Barbari; -per le spese pagherebbe cinquemila libbre. -</p> - -<p> -Di frasi retoriche i nostri furono sempre vaghi; ma -il Tedesco positivo ai vanti postumi oppose la presente -umiliazione; lui esser loro re, perchè Carlo e Ottone -Magni gli avevano colle armi soggiogati, nè dovere i -sudditi imporre legge al sovrano, bensì questo a -quelli<a class="tag" id="tag114" href="#note114">[114]</a>: e mandò dietro loro un migliajo di cavalieri, -che occuparono Castel Sant’Angelo e la Città Leonina. -Colà fu coronato dal papa <span class="sidenote">(18 giug)</span>, e si piegò alla rituale consuetudine -di tenergli la staffa. I Romani, ch’erano stati -esclusi da quella cerimonia e costretti a rimanere sull’altra -riva del Tevere, levano rumore, e dalle grida -passando ai fatti cominciano un’abbaruffata, ove molti -cittadini rimangono uccisi, ma anche non pochi Tedeschi: -gli altri al domani, per manco di viveri, dovettero -abbandonare la città. -</p> - -<p> -Tale era omai il solito accompagnamento della tedesca -coronazione. Poi le febbri romane, come spesso, fecero -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -giustizia contro la pioggia di ferro che la Germania -versava sull’Italia<a class="tag" id="tag115" href="#note115">[115]</a>; e spirando il termine prefisso ai -vassalli per militare, il Barbarossa dovette risolversi al -ritorno. Non avea dunque abolito la repubblica romana, -non francheggiato le pretensioni sue sovra la Puglia. -Il re di Sicilia, avuto nelle mani Roberto di Capua, -lo fe accecare, poi sepellire in carcere; e prese o battè -gli altri baroni che avevano levato il capo fidando in -Federico, il quale si volse indietro, ancora squarciando -città. I Lombardi, rincoraggiati al vederlo in ritirata, lo -bersagliarono con insistenza, e massime i Veronesi con -tronchi abbandonati alla corrente arietarono il ponte -di barche, per cui l’esercito tragittava l’Adige: poi nell’angusta -valle di questo fiume il cavaliere Alberico di -Verona lo molestò con pietre, e pretendeva da esso re -ottocento libbre d’argento, e una corazza e un cavallo -per ogni cavaliere tedesco, se volesse liberamente passare; -ma il palatino Ottone di Wittelsbach lo snidò -dalle alture. Federico, tornato in Germania, della sua -spedizione diede ragguaglio allo storico con una lettera -che si conserva, dove alla sconfitta trova le solite scuse, -quand’anche non la maschera sotto una sicurezza minacciosa. -</p> - -<p> -Come una molla al cessare della compressione, i -Milanesi rialzano la testa; raddoppiano lamenti i tanti -cui egli avea tolto la patria; per dispetto si vuol disfare -ogni fatto di lui. Dugento cavalieri e dugento fanti di -due quartieri di Milano vanno a riporre Tortona, che -per loro amore si era sagrificata, e le consegnano la -tromba da convocare il popolo, la bandiera, e un sigillo -collo stemma delle due città, in segno d’unione. -Lanciansi poi contro chi stava al segno dell’imperatore: -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -ma i Pavesi li sbaragliano, assalgono la città, e -v’entrano anche con due bandiere; alfine son ridotti a -umilianti condizioni, battuta Novara, spianato Vigevano, -presi venti castelli del Luganese e i fortissimi di Chiasso -e Stabbio, sfasciata di nuovo Como, punita Cremona e -i marchesi di Monferrato. Anche i Bresciani ruppero -guerra ai Bergamaschi, e nell’infausta giornata di Palusco -tolsero loro, con molti prigionieri, il gonfalone, -che poi spiegavano ogni anno nella chiesa de’ Santi -Faustino e Giovita. Devastazioni fraterne punivano le -devastazioni straniere. -</p> - -<p> -Il lamento de’ soccombenti arrivò di là dall’Alpi, e -Federico struggevasi di riparare la vergogna e il danno. -Anco assai gli coceva che il papa, senza sua partecipazione, -avesse conferito il titolo di re della Puglia a -Guglielmo figlio di Ruggero: onde moltiplicò querele, -e proibì agli ecclesiastici de’ suoi Stati di volgersi a -Roma per collazione di benefizj nè per qual si fosse -motivo. -</p> - -<p> -Federico non fondavasi più soltanto sul brutale diritto -delle spade, ma era circondato di leggisti, i quali, -gonfi d’una scienza nuova, proponevansi d’imitare gli -antichi giureconsulti non solo collo zelare le prerogative -imperiali, ma col cavillar le parole e sottigliare -sulle interpretazioni. Avendo i Tedeschi arrestato un -vescovo, il papa diresse all’imperatore un richiamo, -ove diceva tra le altre cose: — Noi ti abbiamo concesso -la corona imperiale, nè avremmo esitato ad accordarti -<i>benefizj</i> maggiori, se di maggiori ne poteano -essere». Colla sofisteria di chi vuole azzeccar litigi, i -legulej di Federico pretesero il papa con ciò indicasse -che l’Impero fosse benefizio, vale dire feudo e dipendenza -della Chiesa. Se ne levò dunque un rumor grande, -e trattandosene nella dieta di Besanzone, invelenì la -contesa il cardinale legato Rolando Bandinelli esclamando: — Ma -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -se l’imperatore non tiene l’Impero dal -papa, e da chi dunque?» -</p> - -<p> -Pretensione siffatta era tutt’altro che nuova nel diritto -pubblico d’allora; ma Ottone di Wittelsbach, che -portava la spada dell’Impero, lanciolla per trapassare -il legato, che a fatica si salvò, e che ebbe ordine di -andarsene senza vedere convento o vescovo per via. -L’imperatore diede straordinaria pubblicità all’incidente -per eccitare l’indignazione tedesca contro le tracotanze -papali: se non che Adriano dichiarò aver usata la parola -<i>benefizio</i> non per feudo, ma nel senso scritturale; -nè altrimenti poterla intendere chi avesse fior d’intelletto<a class="tag" id="tag116" href="#note116">[116]</a>. -</p> - -<p> -Importava a Federico di venir prontamente a farla -finita con questi Comuni italiani, che ormai si risolvevano -in repubbliche. Perciò la cavalleria (che tale -era principalmente la truppa feudale) d’Austria, Carintia, -Svevia, Borgogna e Sassonia scende divisa per -le tre vie del Friuli, di Chiavenna e del San Gotardo; -l’imperatore medesimo conduce per val d’Adige il fiore -de’ militi romani, franchi, bavaresi, con Vladislao re di -Boemia, e conti e duchi e vescovi assai; e giunto sul -territorio milanese <span class="sidenote">(1158)</span>, proclama la <i>pace del principe</i>. Consisteva -questa in regolamenti di militare disciplina, -diretti a reprimere e punire legalmente le ingiurie, affine -di prevenire le private battaglie, delle quali durava -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -sempre il diritto. A tal uopo si prefiggevano pene proporzionate -agl’insulti che fossero provati da due testimonj, -cioè, secondo i casi, la confisca dell’equipaggio, -le sferzate, il taglio de’ capelli, il marchio rovente sulla -mascella; per gli omicidj poi la morte: che se mancassero -testimonj, doveasi ricorrere al duello; e se si -trattasse di servi, alla prova del ferro rovente. A protezione -del commercio si statuì che il soldato il quale -spogliò il mercante, renda il doppio, se pur non giuri -non conosceva la condizione del derubato. Chi abbrucia -una casa, sia battuto, tosato e bollato. Chi trova vino -sel prenda, ma non rompa i dogli, nè tolga i cerchi -alle botti. Un castello espugnato saccheggino a voglia -loro, ma non lo abbrucino senz’ordine. Se un Tedesco -ferisca un Italiano il quale possa provare con due testimonj -d’aver giurato la pace, sia punito<a class="tag" id="tag117" href="#note117">[117]</a>. Diritto -di guerra violento; ma pure tanto quanto assicurava le -persone. -</p> - -<p> -Allora Federico comincia le ostilità contro Brescia <span class="sidenote">(1158)</span>, -e quantunque «ricca d’onor, di ferro e di coraggio», -ne guasta i deliziosi contorni finchè la costringe ad arrendersi: -passata l’Adda a Cassano, preso il castel di -Trezzo, rifabbrica Lodi-nuovo sull’Adda alquanto lungi -dal luogo ove Pompeo avea posto il vecchio<a class="tag" id="tag118" href="#note118">[118]</a>. Riedifica -anche Como, e ad un suo fedele dà a custodire -quel castel Baradello<a class="tag" id="tag119" href="#note119">[119]</a>; e spedisce colà il boemo -Vladislao perchè rimetta i Comaschi in concordia coi -Cremaschi e cogli isolani del lago, gente ricca, forte, -bellicosa, avvezza al corseggiare, e che repugnò da ogni -accordo finchè l’imperatore non vi andò in persona<a class="tag" id="tag120" href="#note120">[120]</a>. -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -Isolati così i Milanesi, s’accinse a combatterli, convocando -all’oste tutti i popoli di questo regno. E vennero -armati da Parma, Cremona, Pavia, Novara, Asti, Vercelli, -Como, Vicenza, Treviso, Padova, Verona, Ferrara, -Ravenna, Bologna, Reggio, Modena, Brescia, ed altri -di Toscana, sommando a quindicimila cavalli, oltre innumerevole -fanteria<a class="tag" id="tag121" href="#note121">[121]</a>; e con questi piomba sopra -Milano. -</p> - -<p> -Questa città, oltre rifare i ponti rotti sull’Adda e sul -Ticino, e rialzare i castelli e le borgate sue amiche, -erasi preparata di fosse e di mura, spendendo cinquantamila -marchi d’argento puro<a class="tag" id="tag122" href="#note122">[122]</a>: valorosamente -si difese, ma tanta turba dalla campagna e dalle circostanti -borgate vi s’era rifuggita, che presto si trovò -ridotta a dura fame, e alla conseguente epidemia. Accettò -dunque la mediazione del conte di Biandrate, -mercè del quale ebbe dall’imperatore patti da vinta ma -pur libera potenza: rendesse la franchezza a Como e -Lodi; fabbricasse all’imperatore un palazzo; pagasse -novemila marchi d’argento, cioè circa mezzo milione; -rinunziasse alle regalie usurpate, come la zecca e le -gabelle; eleggesse da sè i proprj consoli, ma questi giurassero -fedeltà all’imperatore, il quale nella città non -entrerebbe coll’esercito. I nobili a piè scalzi e con le -spade ignude, il clero colle reliquie dei santi, il popolo -con soghe al collo, vennero a giurare obbedienza a Federico, -a cui furono dati cento ostaggi per ciascuno -dei tre ordini de’ capitanei, de’ valvassori e de’ plebei: e -la bandiera imperiale sventolò sulla torre della metropolitana -di Milano<a class="tag" id="tag123" href="#note123">[123]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -</p> - -<p> -Coll’umiliazione della principale città di Lombardia -sgomentate le altre, da tutte ebbe ostaggi, e da Ferrara -li tolse per forza: e approfittando di quel terrore, -intimò una dieta in Roncaglia per definire le regie -prerogative. Le città (quante volte lo ripetemmo?) non -pretendevansi immuni dalla dipendenza verso l’imperatore, -nè questo credeva che la corona gli conferisse -pieno arbitrio, come potrebbero chiedere i re del secol -nostro, non aventi nè patto coi popoli, nè rispetto a -moralità superiore. Ma perchè i reciproci doveri venivano -diversamente apprezzati in Germania e in Italia, -ne nascevano perpetue controversie. I Tedeschi, deducendo -la loro costituzione dalle consuetudini germaniche, -non vedevano nel re se non l’eletto dai capi del -popolo, primo tra i pari; in Italia, le città volevano -tenersi verso l’imperatore soltanto in una dipendenza -feudale, come a caposignore, e come all’unto dal pontefice: -ma i ridesti studj della storia e della giurisprudenza -romana abituavano gli eruditi ad ampliare la -podestà, guardandolo come successore di quei Cesari, -la cui volontà era unica legge a Roma antica. Federico -amava, come dicemmo, ritemprare coi testi le sue -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -spade, e alla dieta invitò Bùlgaro, Martin Gossia, Jacopo -e Ugone da Porta Ravegnana, cima de’ giureconsulti -d’allora, insieme con due deputati di ciascuna delle -quattordici repubbliche, perchè determinassero in che -consistevano le regalie. Ma da che la giurisdizione di -conte divenne ereditaria, consoli e scabini non erano -stati più nominati dagl’imperatori; e ciascuno di questi -re che calò in Italia, fece diversa stima dei proprj diritti, -a norma della propria forza; laonde dalle consuetudini -non si poteva nulla dedurre. Si ricorse dunque -al diritto romano; e nel sentimento di questo, e con -parole vecchie onestando la tirannia nuova, i giureconsulti -definirono che competeano all’imperatore tutte -le regalie, compresi i ducati, marchesati, contadi, la -moneta, il fodro, ossia diritto d’essere nodrito e albergato -dai vassalli e dalle città quando soggiornava in -Italia; e così i ponti, i mulini, l’uso de’ fiumi, la capitazione, -il far guerra e pace, e il nominare i consoli e -i giudici, il popolo non avendo che a prestarvi l’assenso; -di modo che gl’investiti dovettero rassegnarli all’imperatore, -se pur non avessero a mostrare i titoli del -possesso. I conti e i vescovi, che dal costituirsi dei -Comuni erano stati sbalzati di dominio, applaudivano -a queste esuberanti pretensioni, sperando trarne a sè -alcuna particella; e l’arcivescovo di Milano, colla scienza -appoggiando la servilità, gli diceva: — State ben fermo, -poichè trovasi scritto che la volontà del principe fa -legge, attesochè il popolo gli concesse ogni imperio e -podestà»<a class="tag" id="tag124" href="#note124">[124]</a>. Le città poi quale eccezione potevano -contraporre sopra un fatto che mai non era sussistito, -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -e sopra diritti sostenuti da un forte esercito? onde fremevano -nel veder l’imperatore, da sovrano feudale, -mutarsi in assoluto padrone d’Italia. -</p> - -<p> -I Genovesi erano venuti alla dieta non per isporgere -querele o ricevere ordini, ma come indipendenti, per -far mostra e regalo di lioni, struzzi, papagalli e dei -prodotti dell’Oriente; e furono i primi a protestare -contro quel lodo; e ne spacciarono avviso alla patria, -la quale subito con vivissimo ardore si rifece di mura, -lavorandovi uomini e donne, e l’arcivescovo Siro dandovi -il valore de’ proprj arredi; e (fatto nuovo) soldò -truppe a difesa. Chi vuol pace prepara la guerra; e di -fatto Federico calò con essa a patti, assentendole di -eleggere i proprj consoli, i quali potessero chiamare -all’armi tutti gli abitanti della riviera da Monaco sin -a Portovenere; la privilegiò del commercio in ogni -luogo a mare, neppur eccettuata Venezia; esenzione -da imposte e servizj militari e da regalie, sol che pagasse -milleducento marchi. -</p> - -<p> -Federico aveva in quella dieta proibito di lasciare -feudi alle chiese; poi, sempre mal vôlto a papa Adriano, -volle rammemorargli l’apostolica umiltà; e poichè la -cancelleria romana trattava seco col <i>tu</i> solenne, ordinò -facesse altrettanto la sua col papa, e nelle soscrizioni -il nome se ne posponesse a quello di lui imperatore: -asseriva ancora che il patrimonio papale rilevava dall’Impero, -e pretendeva di mandare a Roma ad amministrare -la giustizia, e di alloggiare i proprj nunzj -ne’ palazzi vescovili. Il senato romano al solito favoriva -le pretensioni di Federico, sicchè il papa scontento -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -intendevasi colle città lombarde, e preparava forse la -scomunica contro il prepotente. -</p> - -<p> -Il quale, dichiarato unico depositario del potere legislativo -e giudiziale, deputa in ogni paese suoi magistrati, -che furono detti <i>podestà</i> perchè esercitavano i -regj poteri e giurisdizione in molte cause. Questo e le -leggi sulla pace pubblica e il divieto delle guerre private -non urterebbero punto colle idee d’oggi; ma secondo -i privilegi d’allora, stabiliti meglio che sulla carta, -erano un grave attentato alla libertà e all’indipendenza -comunale: onde i Milanesi, a cui nella capitolazione -aveva garantito magistrati proprj, e a cui, in onta di -quella, avea sottratte non solo Como e Lodi, ma Monza -e il Seprio e la Martesana, capirono ch’e’ non tenevasi -obbligato a convenzioni fatte coi sudditi, e fremendo -insorgono <span class="sidenote">(1159)</span>; accolgono a sassate i messi regj venuti per -attuare i decreti di Roncaglia, gridando <i>Fora fora, -Mora mora</i>; cacciano la guarnigione dal castello di -Trezzo che assicurava ai Tedeschi il passo dell’Adda, e -si serrano alla difesa. Anche i Cremaschi, loro alleati, -cui egli mandò intimare di demolir la mura, risposero -coll’avventarsi alle armi. -</p> - -<p> -Federico, messili al bando dell’Impero, giura non -cinger più il diadema che non gli abbia domati, e tosto -dalla Ponteba al San Gotardo ogni valle versa Tedeschi -sovra il piano lombardo; qui il Palatino del Reno, i -duchi di Svevia, di Baviera, d’Austria, di Zaringen, il -figliuolo del re di Boemia, il conte del Tirolo, gli arcivescovi -di Colonia, di Magonza, di Treveri, di Magdeburgo, -il fiore insomma della Germania. E cominciano -guerra da Barbari <span class="sidenote">(1162)</span>, sperperano il paese, uccidono, appiccano: -una volta l’imperatore fa acciecar una banda -di foraggiatori, lasciando sol un occhio ad uno per ricondurli: -assediata Crema, pone i figliuoli che teneva -ostaggi, a bersaglio de’ colpi paterni, onde proteggere -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -le macchine<a class="tag" id="tag125" href="#note125">[125]</a>: e dopo sei mesi d’ostinati assalti -presala per tradimento dell’ingegnere, la abbandona -alla brutalità de’ suoi e alla vendetta de’ nemici Cremonesi. -</p> - -<p> -Milano non si lasciò sbigottire a quell’insolita ferità; -cercò rialzare Crema; e il castello di Carcano sporgente -nel laghetto d’Alserio, e le colline fra Cantù e il monte -Baradello furono teatro di sue vittorie sopra gl’imperiali. -Ma sentivasi indebolita dalla ripetuta devastazione -de’ suoi campi e dal distacco di tutti i vicini, -quando Federico la assalì <span class="sidenote">(1162)</span> scorrazzando colla cavalleria -e vietando di portarle viveri, sin col tagliare le mani -a venticinque villani in un giorno, côlti in tale servizio. -Resistè ancora vigorosa: ma dai tradimenti, dalla -fame, da un incendio de’ magazzini, dalla superiorità -dell’armi feudali, collegate pur troppo con quelle non -solo dei castellani e dei conti di Malaspina e di Biandrate, -ma anche de’ Comuni italiani, fu costretta cedere -alle grida del vulgo, e rendersi a discrezione. Al quartier -generale in Lodi venne il popolo in abito penitente, -con croci in mano, dietro al carroccio, che avvezzo un -tempo a pavesarsi di trionfate bandiere, allora chinò -l’antenna e il gonfalone di sant’Ambrogio avanti all’imperatore, -fra il mesto squillo delle trombe; e il sacro -carro e novantaquattro stendardi furono dati al nemico; -otto consoli degli ultimi tre anni, trecento cavalieri, tenendo -in mano le spade ignude, fecero atto di sommessione. -Non soltanto Italiani e il conte di Biandrate, -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -ma fin i baroni tedeschi e la corte supplicavano Federico -di clemenza: ma egli, dalla vittoria fatto sordo alla -compassione, e stimolato anche dalle invide città che -all’uopo gli diedero grosse somme<a class="tag" id="tag126" href="#note126">[126]</a>, ordinò a’ Milanesi -tornassero a casa e v’attendessero le sue risoluzioni. -Dieci giorni passarono i nostri in quella affannosa -aspettazione che è peggio del male istesso: alla fine -Federico arrivò, e nell’imperiale sua clemenza perdonando -alle vite, impose che, usciti i cittadini, Milano -fosse abbandonata alla distruzione. A ciascuna delle -città alleate ne assegnò un quartiere a diroccare, -quasi volesse che tutte si contaminassero col fratricidio, -e i rancori allontanassero la possibilità di nuovi -accordi. -</p> - -<p> -Esultarono i Lombardi all’umiliazione della gran -nemica; ma un senso di sgomento occupò tutta l’Italia. -Brescia, Piacenza, Bologna evitarono la distruzione col -sottomettersi. Genova, dianzi così risoluta alla difesa, -sbigottì; mandò ambasciadori con gratulazioni e proteste; -il suo storico uffiziale Caffaro tributava a Federico -i titoli di <i>sempre augusto, sempre trionfante, che -elevò l’Impero al colmo della gloria</i>. E Federico in -Pavia cingevasi di nuovo il diadema che avea giurato -più non portare finchè Milano sussistesse; e datava i -suoi atti dalla distruzione di Milano<a class="tag" id="tag127" href="#note127">[127]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -</p> - -<p> -Le città lombarde non andarono guari ad accorgersi -quanti abbia pericoli la lega col potente: perocchè, -toltasi d’in su le braccia la città che unica potea -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -reggere seco in bilancia, Federico cessò da ogni riguardo -verso le altre, le angariò a baldanza, pretendendo -esigerne nuove gravezze e smantellarle; a’ Cremonesi, -Pavesi, Lodigiani, suoi fedelissimi, permise -bensì d’eleggersi consoli proprj, ma a Ferrara, Bologna, -Faenza, Imola, Parma, Como, Novara, che pur seco tenevano, -mandò podestà imperiali, fossero Tedeschi o -di que’ vili che col maltrattare i compatrioti vogliono -farsi perdonare la colpa d’essere Italiani<a class="tag" id="tag128" href="#note128">[128]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -</p> - -<p> -All’eguale stregua meditava Federico ridurre il Patrimonio -di san Pietro. Quel Rolando Bandinelli da -Siena, che poc’anzi accennammo, celebratissimo per -dottrina, virtù, esperienza del mondo, era succeduto -papa col nome di Alessandro III <span class="sidenote">(1159)</span>; ma il cardinale Ottaviano -romano, fautore di Federico, turbolentemente -s’indossò le divise pontificali, tenne prigione il papa e -i cardinali, e prese il nome di Vittore IV. Il popolo e -i Frangipani liberarono Alessandro, che si ritirò da -Roma; mentre l’antipapa comprava vescovi, e blandiva -l’imperatore, il quale sostenendo questo, poi tre altri -antipapi (Pasquale III, Calisto III, Innocenzo III) squarciava -la cattolica unità egli che n’era il rappresentante -secolare. Allora scomuniche contro lui, contro i vescovi -e i principi e i consoli di Cremona, Lodi, Pavia, Novara, -Vercelli suoi aderenti. Di queste trascendenze e -de’ soprusi de’ luogotenenti imperiali chiedevano fine o -moderanza vescovi, marchesi, conti, capitanei ed altri -magnati, e cittadini grandi e piccoli; ma Federico non -usò nè giustizia nè misericordia<a class="tag" id="tag129" href="#note129">[129]</a>; e svallato con un -nuovo esercito <span class="sidenote">(1164)</span>, andava rimettendo al freno le città che -tumultuavano. Ma Veronesi, Vicentini, Padovani, Trevisani, -coll’ajuto dei Veneti, aveano cacciato i podestà -di lui, e quand’egli andò per domarli, sentì non potere -fidarsi delle truppe italiane che l’accompagnavano, onde -voltò come in fuga <span class="sidenote">(1166)</span>, mentre essi munivano le chiuse -perchè non potesse rimenare eserciti. -</p> - -<p> -Tutto ciò rendeva più sentiti i lamenti dei Milanesi, -che senza patria tapinavano di città in città, invocando -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -soccorso e vendetta. Perchè lo straniero era prevalso -alla comune libertà? perchè li trovò disuniti e nemici. -Per tornar forti e mantenersi liberi di che han dunque -bisogno? di concordia e d’unione. Lo compresero; e -quelli che nella prosperità non s’erano scontrati che coll’ingiuria -sul labbro, col pugno sul brando, nella depressione -rinnovellarono la fratellanza, e posti giù gli -odj e le gelosie, nel convento di Pontida <span class="sidenote">(1167 aprile)</span>, terra sull’orlo -del Milanese e del Bergamasco, si strinsero in lega, e -i varj popoli della Lombardia, della Marca e della Romagna -sul santo Vangelo giurarono d’ajutarsi reciprocamente, -compensarsi a vicenda dei danni che patissero -a tutela della libertà, non far tregua o pace con -Federico imperatore o co’ suoi se non di comune -accordo, non soffrire che esercito tedesco scendesse in -Lombardia; o se scendesse, combatteranno l’imperatore -e qualunque persona lo favorisca, sinchè esso esercito -non esca d’Italia, talchè si possano recuperare i -diritti che la Lombardia, la Marca e la Romagna possedevano -al tempo d’Enrico III<a class="tag" id="tag130" href="#note130">[130]</a>. Oltre le città che -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -firmarono, fu lasciato (come oggi si dice) protocollo -aperto a quelle che volessero accedervi. -</p> - -<p> -Posata una mano sulla spada, stesa l’altra ai fratelli, -conobbero la potenza dell’unione. Primo atto -de’ collegati Lombardi fu rifabbricare Milano per concordi -cure, come per ira concorde l’avevano sfasciata; -poi tentate invano le persuasioni, mossero a soggettar -le città, che la gratitudine o la paura serbava con Federico, -e costringerle ad entrare nella Lega Lombarda. -</p> - -<p> -Papa Alessandro III erasi ricusato di rimettere a un -concilio, raccolto in Pisa da Federico, la decisione fra -lui e l’antipapa; ma vedendo occupate tutte le terre di -santa Chiesa da scismatici e imperiali, dovè cercare -rifugio in Francia; dove ebbe grandi onori, e i re di -questa e d’Inghilterra camminarono allato al suo cavallo -tenendogli le staffe. Di là favoriva di conforti o -di benedizioni la Lega, e lanciò contro Federico la scomunica, -in cui, come «vicario di san Pietro costituito -da Dio sopra le nazioni e i regni, assolve gl’italiani e -tutti dal giuramento di fedeltà che a quello li legasse -fosse per l’impero o per il regno; toglie coll’autorità -di Dio che egli abbia mai più forza ne’ combattimenti, -o vittoria sopra Cristiani, o in parte veruna goda pace -e riposo, finchè non faccia frutti degni di penitenza»<a class="tag" id="tag131" href="#note131">[131]</a>. -</p> - -<p> -Favoriva pure ai collegati Guglielmo II di Sicilia, -desideroso che Federico si trovasse impelagato in Lombardia -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -così, da non poter minacciare alla Puglia. Enrico -III d’Inghilterra, se ottenessero che il papa degradasse -l’arcivescovo di Cantorbery avversario suo, offriva -trecento marchi ai Milanesi e di restaurarne le -mura, altrettanti ai Cremonesi, mille a’ Parmigiani e -Bolognesi. Fin Manuele Comneno di Costantinopoli, che -rimeditava i suoi diritti sull’Italia, spedì ambasciadori -al pontefice per trattare di togliere lo scisma e ricongiungere -la Chiesa greca alla latina, purchè egli pure -riunisse sul capo di lui la corona dell’impero d’Occidente -e d’Oriente, esibendo quant’oro bastasse a snidare -d’Italia i Tedeschi; intanto concedette sposa una figlia -ad Ottone Frangipani, principalissimo in Roma, cercò -l’amicizia de’ Genovesi, e ai collegati Lombardi somministrò -oro per comprare i mercenarj, allora introdottisi -nelle nostre guerre. Però il papa, fido all’idea -de’ suoi predecessori, voleva la sede del rannodato impero -non fosse che a Roma; il Comneno ostinavasi per -Costantinopoli, tantochè restarono disconchiusi. -</p> - -<p> -A soffogare quest’incendio, Federico scende di -nuovo per la val Camonica, e imparato linguaggio più -mite a fronte de’ popoli concordi, promette far ragione -delle querele. Intanto di nuove ne eccita con trattamenti -da nemico, devasta il Bolognese per vendicare -Bosone suo ministro ivi ucciso, e leva contribuzioni e -ostaggi. Ma udito che gli abitanti di Tusculo e d’Albano, -a lui favorevoli, erano stati aggressi dai Romani coi -soliti guasti, accorse, e diede una battaglia sanguinosissima -ai Romani, poi volse sopra la loro città. La -pose in difesa Alessandro, secondato dai Siciliani; ma -Pasquale antipapa inanimava Federico, che per prendere -il Vaticano gettò fuoco alla chiesa di San Pietro, -e dal suo papa si fe novamente coronare. Allora propone -ai Romani che inducano Alessandro ad abdicare, -ed egli a vicenda vi indurrà Pasquale, in tal modo -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -finendo lo scisma: e i Romani, desiderosi di pace, gli -davano ascolto; sicchè Alessandro, nè tampoco tenendosi -sicuro nelle incastellate case de’ Frangipani, ricoverò -a Gaeta. I Pisani secondavano l’imperatore, e -misero in fuga il loro arcivescovo che li dissuadeva dall’osteggiare -il pontefice, e lo ajutarono a prender Roma. -Ma la mal’aria decimò il suo esercito, ed uccise l’arcivescovo -di Colonia, sette vescovi, molti principi e -magnati; onde Federico si levò in isconfitta, perdendo -per istrada gran parte dell’equipaggio, e forse duemila -baroni e prelati e cavalieri, oltre i soldati. A Pavia, -mantenutasegli fedele, mette al bando dell’Impero le -città federate, e gitta in aria il guanto in segno di sfidarle; -ma non osa assalirle, per tema che negl’italiani -che seco militavano, l’amor de’ fratelli non prevalga -alla feudale lealtà; infine, con solo un pugno d’uomini -riprende la strada della Savoja, lasciando appiccati qua -e là ostaggi lombardi. I cittadini di Susa gli tolsero -gli altri, e insidiavano lui pure, che col promettere -monti d’oro<a class="tag" id="tag132" href="#note132">[132]</a> e ogni grazia e bene al conte di Morienna -ottenne di passare per le sue terre <span class="sidenote">(1168)</span> travestito in -Germania. -</p> - -<p> -Ne’ sei anni che Federico stette fuori, ingrandirono -di numero e vigore le nostre repubbliche, ripigliammo -le città imperiali, costringemmo l’antipapa a venire -alla devozione di Alessandro III, togliemmo le fortezze -ai fazionieri dell’imperatore, e specialmente al conte di -Biandrate, distruggendone la rôcca, levandone gli -ostaggi, e uccidendo la guarnigione. Federico mandò -un grosso di truppe, guidate da Cristiano arcivescovo -di Magonza e cancelliere dell’Impero, guerriero terribile, -che una volta colla mazza sfracellò trenta nemici, -e insieme voluttuoso sì, che traeva dietro donne e muli -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -tanti, da costare più che il corteggio imperiale. Malmenò -costui la Lombardia, e guastatine i dintorni, -assediò Ancona, città molto cara all’imperatore Comneno -come opportunissima a sbarcare in Italia; e lo -ajutarono i Veneziani per disgusto che presero coll’imperatore -bisantino, o per emulazione commerciale. -La città fu ridotta a pascersi di sorci e di cuojo secco, -pur resistette con coraggio degno degli antichi eroi. -Raccontano che un prete Giovanni con una scure andò -nuotando a tagliar la gomona d’un grossissimo naviglio -veneto detto <i>Tutt’il mondo</i>, per quanto lo saettassero -i marinaj, che a stento si salvarono; mentre -altri sull’esempio suo recisero le àncore di sette altre -navi, che dalla tempesta furono fracassate. La vedova -Stamura vedendo i suoi dare indietro da una sortita -fatta per incendiare le macchine nemiche, prese un tizzone -e si avventò verso quelle, malgrado le freccie -appiccandovi la fiamma. Un’altra donna, visto un combattente -estenuato perchè da più giorni non assaggiava -cibo, gli porse il poco latte del suo petto, sottraendolo -al proprio bambino<a class="tag" id="tag133" href="#note133">[133]</a>. E la perseveranza -ebbe premio, perocchè Ancona fu liberata dai Ferraresi -e dalla contessa di Bertinoro. -</p> - -<p> -Non che la parzialità imperiale fosse spenta, sopravviveva -quasi in ciascun paese, e dove prevalesse -lo traeva a quella bandiera. Così in Bergamo il vescovo -Gherardo parteggiava pel Barbarossa, mentre il popolo -pe’ suoi avversarj. Cremona e Tortona accettarono -l’alleanza di Federico. Como era spinto a vicenda da -un partito o dall’altro; e quando gl’imperiali rizzarono -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -le creste, distrussero il castello di Gravedona, e la memorabile -isola Comacina <span class="sidenote">(1169)</span>, la quale più non risorse. -</p> - -<p> -In Roma il senato non volea spossessarsi dell’acquistata -autorità, sicchè Alessandro non potea rimettervi -piede. Si continuava pure ostinata guerra ai Tusculani, -i quali non videro scampo che nel porsi alla tutela -del papa stesso. Ma i Romani proposero a questo di -pacificarsi e riceverlo entro se li lasciasse abbattere -le mura di Tusculo: ed egli acconsentì: ma essi, sfogata -l’ira, non si curarono della promessa, sicchè il -papa (il cui nome or si sparnazza fra i liberatori d’Italia) -fu costretto stare in armi nella campagna. -</p> - -<p> -Costanti coll’Impero in Lombardia teneansi principalmente -la città di Pavia e il duca di Monferrato, e -per la vicinanza si sorreggeano l’un l’altro. I collegati -lombardi pensarono dunque porre una barriera fra -costoro: e uniti i loro stendardi, invece di più ricostruire -Tortona, una nuova città piantarono <span class="sidenote">(1168)</span> ove la Bòrmida -confluisce col Tànaro; dal nome del pontefice -la dissero Alessandria, e i nemici la soprannomarono -<i>della paglia</i>, perchè di paglia si coprirono le case -fretta fretta fabbricate, e recinte di nulla più che un -siepato, un terrapieno e liberi petti. Ebbe subito quindicimila -cittadini, privilegio di libero Comune, e sette -anni dopo il vescovado<a class="tag" id="tag134" href="#note134">[134]</a>. -</p> - -<p> -Appena gli affari di Germania glielo assentirono, -Federico in persona calò un’altra volta; fra via distrusse -Susa in vendetta dello smacco soffertovi; coll’assedio -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -costrinse Asti a rinunziare alla Lega; e rinforzato da -nuova gente di tutta Germania e di mezza Italia, assediò -la neonata Alessandria. Ma per quanto vi moltiplicasse -valore, crudeltà e astuzie, dovette allargarla al -sopravvenire di un esercito lombardo, che il sagrifizio -della magnanima cittadella avea dato tempo di radunare. -A questo si fe incontro Federico. Onest’uomini -e religiosi s’interposero, al cui lodo si rimisero ed -egli e i Lombardi. Ma quegli volea salvi i diritti imperiali, -questi salve le libertà loro e della Chiesa; -sicchè del conchiudere fu nulla, e Federico avendo -consumato anche il sesto esercito, mandò a sollecitarne -un nuovo, che di Germania gli fu condotto dalla moglie -per l’Engadina, Chiavenna e il lago di Como. A -incontrarlo mosse egli coi Lodigiani, e ritornava accompagnato -dai Comaschi per congiungersi ai Pavesi -e ai Monferrini, quando nella pianura di Legnano <span class="sidenote">(1176 — 29 mag.)</span> ecco -gli si attraversa l’esercito de’ collegati. Sulle prime egli -ebbe il vantaggio, e vide le spalle de’ nostri; ma la -Compagnia della Morte, giovani risoluti a perire anzichè -perdere, si strinse attorno al carroccio, scompose -l’ordinanza nemica, e la mandò a sbaraglio. Federico -stesso non campò la vita che tenendosi rimpiattato -sotto i cadaveri; e la moglie, da lui lasciata nel castel -Baradello di Como, il pianse per morto finchè nol vide -ricomparire umiliato e fremente. -</p> - -<p> -Il Tedesco aveva trovato sostegno da alcune repubbliche -marittime, che lo bramavano favorevole alle loro -ambizioni. Barisone d’Arborea, uno de’ giudici o re di -Sardegna <span class="sidenote">(1163)</span>, agognando tutta l’isola, ne aveva impetrata -da Federico l’investitura per quattromila marchi d’argento: -ma nè l’imperatore avea diritto a disporre di -quella, nè Barisone i denari da pagarla. Questi gli furono -anticipati da Genova, desiderosa d’accorciare i -panni all’emula Pisa, che colà teneva sovranità: ma -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -Barisone, non essendo in grado nè di restituire ai Genovesi -nè di resistere ai Pisani, si conciliò con questi; -talchè i Genovesi rimasero peggiorati della somma e -della speranza. Ne venne guerra sanguinosa di molti -anni, dove i Liguri riuscirono superiori, attenendosi a -Federico, promettendogli la flotta per l’impresa di Sicilia, -e ricevendo da lui promessa di cedere Siracusa -e ducencinquanta feudi in val di Noto, appena dell’isola -si fosse insignorito. Di rimpatto i Pisani si volsero all’imperatore -di Costantinopoli, e mandati e ricevuti ambasciadori, -conchiusero un’alleanza che assicurava loro -la franchigia in tutti i porti dell’impero greco, ogni anno -il tributo di cinquecento bisanti d’oro, e due tappeti di -seta a Pisa, e di quaranta bisanti e un tappeto all’arcivescovo. -Invano Federico intimò che Genovesi e Pisani -rimettessero in lui le loro differenze, e gli uni e gli altri -speravano da esso l’investitura della Sardegna, e intanto -lo accarezzavano e lo provvedevano per le sue imprese. -</p> - -<p> -Tanto bastava perchè gliene volessero male i Veneziani, -i quali, se dapprima l’aveano favoreggiato per -isbaldanzire le repubbliche di terraferma, s’adombrarono -poi delle crescenti pretensioni; diedero incoraggiamenti -alla Lega Lombarda, e ricovero al fuggiasco -Alessandro III. E quando Federico minacciò piantar le -sue aquile vincitrici in faccia a San Marco, risposero -alla bravata armando settantacinque galee; e il doge, -cui il papa cinse la spada d’oro, sbarattò la flotta che -Genovesi e Pisani aveano allestita all’imperatore. Côlto -lo stesso figlio di costui, lo trattarono decorosamente, -e rinviarono con proposizioni di pace. -</p> - -<p> -E pace dovea desiderare Federico, dopo logorati -ventidue anni e sette eserciti<a class="tag" id="tag135" href="#note135">[135]</a> contro il clima e le -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -libertà d’Italia. Pertanto s’industriò di staccare dalla -Lega Alessandro, e gli inviò deputati ad Anagni, i quali -gli dissero: — È indubitato che, dai primordj della -Chiesa, Dio volle vi fossero due capi, dai quali venisse -governato questo mondo: la dignità sacerdotale, e la -podestà regia. Se queste non si appoggino in vicendevole -concordia, non potrà mantenersi la pace, e il -mondo andrà in subugli e guerre. Cessi dunque la nimistà -fra voi due, capi del mondo; e vostra mercè sia -resa la pace alla Chiesa e al popolo cristiano»<a class="tag" id="tag136" href="#note136">[136]</a>. Alessandro -rispose, ben egli volerla, ma questa dover essere -comune anche a’ suoi alleati e difensori. Il pontefice -trattava di ciò pubblicamente; gli ambasciadori imperiali -avrebbero voluto stipulare in privato, col pretesto -che alcuni avversavano la loro concordia: ma sebbene -per quindici giorni si disputasse, nulla fu tratto a riva. -Federico dunque chiese un abboccamento con Alessandro, -e questi (tanto si fidava) volle da lui, da suo -figlio e dagli altri grandi il giuramento di non nuocere -alla sua persona, e andò a Venezia coi deputati -delle città lombarde<a class="tag" id="tag137" href="#note137">[137]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -</p> - -<p> -Federico proponeva o si stesse al dettato della dieta -di Roncaglia, oppure a quanto osservavasi al tempo -di Enrico IV: i Lombardi rifiutavano la prima, non -convenzione, ma ordinanza di Roncaglia; quanto all’altra, -dicevano mal ricordarsi di quegli usi; sapere -che da un pezzo godeano le regalie e il diritto di eleggere -i magistrati, e voler conservarlo; sicchè non potè -venirsi a conchiusione. Bastò dunque appuntare un -accordo <span class="sidenote">(1177)</span>, ove Federico riconosceva il pontefice escludendo -gli antipapi, e prometteva tregua per quindici -anni col re di Sicilia, per sei colle città lombarde, duranti -i quali egli non n’esigerebbe il giuramento di -fedeltà, e si stabilirebbero de’ <i>treguarj</i> che terminassero -le contese eventuali, impedendo di farsi ragione -colle armi. Esso imperatore in compenso godrebbe per -quindici anni i beni allodiali della contessa Matilde, che -poi cederebbe alla Chiesa romana; e a tali condizioni -verrebbe ricomunicato. -</p> - -<p> -Fu Alessandro III uno sleale, che abbandonò gli -alleati suoi per patteggiare in disparte? o fu un inetto -che non seppe cogliere il destro di distruggere la potestà -imperiale e l’ingerenza tedesca, e assicurare per -sempre l’indipendenza d’Italia? -</p> - -<p> -Nè l’un nè l’altro può crederlo chi non confonda le -idee e le aspirazioni dei tempi nostri con quelli d’allora. -I Lombardi non aveano mai inteso d’annichilar -l’imperatore, e fino ne’ momenti più prosperi chiesero -soltanto di vedere assicurati i proprj privilegi, sotto -la primazia di quello: come gli arimanni si consideravano -liberi perchè dipendenti dal solo re, così libere -chiamavansi le città che non avessero altra superiorità -che l’imperatore. Anzi i capi della Lega dinanzi al papa -nella chiesa di Ferrara il 1177 dichiaravano: — Sia -noto alla santità vostra e alla potestà imperiale, che -con riconoscenza riceveremo la pace dall’imperatore, -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -salvo l’onore dell’Italia, e che desideriamo essere rimessi -nella grazia di lui, secondo le vecchie consuetudini, -nè ricusiamo le antiche giustizie: ma non consentiremo -mai a spogliarci della nostra libertà, che -abbiamo ereditata dai padri e dagli avi, e non la perderemo -che colla vita, essendoci più caro il morir liberi -che il vivere in servitù»<a class="tag" id="tag138" href="#note138">[138]</a>. -</p> - -<p> -A tale intento avviava appunto la tregua, durante la -quale fu stipulata una soda pace. Quanto al pontefice, -abbattendo l’imperatore avrebbe disfatto l’opera de’ predecessori -suoi, i quali avevano ridesto il nome d’imperator -romano, e affidato a quello la primazia temporale -della cristianità; e quand’anco gli ebbero contumaci -e ribelli, mai non pensarono distruggerli, ma al più -surrogarne uno, meglio docile e religioso. -</p> - -<p> -I Veneziani che aveano giurato ad Alessandro, finch’egli -vi stesse, non ricevere nella loro città Federico, -dispensati dalla promessa, andarono a prenderlo da -Chioggia colla splendidezza che la sposa dell’Adriatico -pose sempre nelle sue feste. Federico, approdato alla -piazzetta, baciò il piede del papa, al quale poi servì -da mazziere, allontanando colla verga la folla; della -predica che Alessandro recitò in latino, il patriarca -d’Aquileja fece la spiegazione in tedesco, onde contentare -la devozione dell’imperatore; il quale assolto, dopo -il <i>credo</i> baciò ancora il calcagno del pontefice e fe -l’oblazione; poi ne ricevette la comunione; e finita la -messa, lo accompagnò per mano sino alla porta della -basilica, gli tenne la staffa, e lo menò per la briglia fino -al palazzo<a class="tag" id="tag139" href="#note139">[139]</a>. Che il papa mettesse il piede sovra il -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -collo dell’umiliato imperatore, proferendo il versetto -del salmo <i>Sovra l’aspide e il basilisco passeggerai, -calcherai il leone e il drago</i>, e che Federico rispondesse -di rendere quell’omaggio non a lui ma a san -Pietro, è un fatto controverso, ma che nulla ripugna -coi tempi; che se gli spiriti forti del secolo passato, -striscianti appiè dei troni, lo negarono con orrore, la -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -libera Venezia non esitò a farlo dipingere tra i fasti -nazionali. -</p> - -<p> -In nome del Barbarossa, Enrico di Diesse giurò sui -vangeli, sulle reliquie, e sopra l’anima dell’imperatore, -che questo manterrebbe la pace: altrettanto fecero dodici -principi dell’Impero, gli ambasciadori di Sicilia, e -i consoli di Milano, Piacenza, Brescia, Bergamo, Verona, -Parma, Reggio, Bologna, Novara, Alessandria, -Padova, Venezia. I vescovi di Padova, Pavia, Piacenza, -Cremona, Brescia, Novara, Acqui, Mantova, Fano, che -in opposizione alle loro plebi aveano favorito all’imperatore -e all’antipapa, furono ribenedetti. -</p> - -<p> -Alessandro III fu ricevuto festivamente anche dai -Romani, avendo conceduto che il senato durasse, ma -con giuramento di fedeltà al papa, al quale si restituissero -la basilica di San Pietro e le regalie. L’antipapa -venne all’obbedienza dacchè si trovò abbandonato dall’imperatore: -ma un avanzo di coloro che credono fermezza -l’ostinazione, nominò un altro che presto fu imprigionato. -Un concilio ecumenico in Laterano di trecentodue -vescovi procurò rimarginar le piaghe della -Chiesa. -</p> - -<p> -Federico, ch’era tornato in Germania per racconciarne -il freno, mandò deputati, i quali in Piacenza -stesero i preliminari d’un accordo. A Costanza, memorabile -città lietamente posta colà dove il Reno sfugge -dal lago, e al verdeggiante declivio fan contrasto le -ghiacciaje del Sangallo e d’Appenzell, fu poi conchiusa -tra le città lombarde e l’Impero la pace <span class="sidenote">(1183 — giugno)</span> che coronava -i magnanimi sforzi, e consolidava le repubbliche nostre, -non più come un fatto ma come un diritto. L’imperatore -dichiarava avrebbe potuto castigare i colpevoli, -ma per clemenza e dolcezza preferiva perdonare, -e far loro del bene. Comprese nel trattato furono Milano, -Vercelli, Novara, Lodi, Bergamo, Brescia, Mantova, -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Bologna, Faenza, -Modena, Reggio, Parma, Piacenza: come alleate dell’imperatore -figurarono Pavia, Cremona, Como, Genova, -Alba, Tortona, Asti, Alessandria che, anticipando -la pace, n’aveva conchiusa una particolare, e mutato -il nome in Cesarea. De’ signori feudatarj non appajono -che Obizo Malaspina di Lunigiana colla parte imperiale; -colla nostra i conti di Biandrate e di Monferrato. -A Ferrara si lasciò arbitrio di accedere fra due mesi. -Restarono escluse nominatamente Imola, Castro, San -Cassiano, Bobbio, Gravedona, Feltre, Belluno, Céneda. -Venezia non v’è tampoco nominata, giacchè, essendo -indipendente affatto dall’Impero, non voleva pregiudicarsi -con questo trattato. -</p> - -<p> -A tenore del quale, le città della Lombardia, della -Marca e della Romagna, entro il loro recinto godrebbero -le regalie che da immemorabile possedevano, e -fuori di esso, solo in quanto n’avessero concessione -dall’imperatore; il vescovo con deputati imperiali esaminerebbe -quali infatti fossero tali diritti, se pure le -città non volessero declinare quest’indagine col pagare -ciascuna annui duemila marchi d’argento, o meno, a -volontà dell’imperatore. Questi, salva la sua supremazia, -conferma le immunità e i diritti concessi avanti la -guerra da lui o da’ predecessori, purchè non cadano a -pregiudizio d’un terzo. I vescovi che per lo innanzi solessero -per imperiale concessione confermare i consoli, -continuassero; nelle altre città si facessero tra cinque -anni confermare dai commissarj imperiali, e in appresso -ricevessero l’investitura dall’imperatore. Il quale -ponesse in ogni città un giudice, cui appellarsi nelle -cause civili eccedenti il valore di venticinque lire imperiali -(lire 1575), e che giudicassero fra due mesi, -ma secondo le leggi della città. Tutti i cittadini dai -sedici ai sessant’anni giureranno fedeltà all’imperatore -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -ogni dieci anni; a questo, ogniqualvolta venisse in Italia, -daranno il fodro e gli alloggi, ripareranno le strade, -apriranno mercato pel suo approvvigionamento: egli -però non si baderà a lungo in nessuna città o diocesi, -per non esserle di soverchio aggravio. Del resto sia in -arbitrio delle città il fortificarsi e confederarsi, e rimangano -cessate le infeudazioni che si fossero concedute -dopo la guerra a pregiudizio di esse<a class="tag" id="tag140" href="#note140">[140]</a>. -</p> - -<p> -L’imperatore tornò poi la sesta volta in Italia, ma -in aspetto amico; sicchè le città nostre gareggiarono in -mostrare che, come gli aveano resistito in campo, -sapeano accoglierlo ed onorarlo pacificato. A Verona -durò tre mesi molto alle strette col pontefice Lucio III -intorno ai beni della contessa Matilde, senza riuscire -ancora ad una definizione. I Romani, tornati ben tosto -sugli umori vecchi e sulle idee di Arnaldo, ostinavansi -non tanto ad aver repubblica quanto a disobbedire al -papa, che tennero sempre fuori di Roma; e marciati -contro Tusculo, dove s’erano fortificati gli avversarj, -presi molti cherici, gli accecarono, conservando gli occhi -a un solo che li riconducesse in città sovra giumenti -e con mitere in capo. Così i nostri emulavano la -brutalità tedesca: e qual bene promettersi da una repubblica -mancante di quel che n’è primo fondamento -la morale? Il papa li scomunicò <span class="sidenote">(1188)</span>; ma solo a Clemente III -venne fatto di sopire la rivolta di quarantacinque anni, -col solito scapito della libertà; poichè egli ridusse sotto -la propria autorità il senato, il Comune, la basilica di -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -San Pietro, e le altre chiese e i diritti regali, pochi -lasciandone alla città. -</p> - -<p> -Federico, malgrado la pace, ad or ad ora abbandonavasi -allo sdegno; indispettito coi Cremonesi che, da -fedelissimi, gli erano poi mancati, non solo edificò -Crema a loro dispetto<a class="tag" id="tag141" href="#note141">[141]</a>, ma li guerreggiò; col papa -Urbano III ebbe nuovi diverbj per l’eredità della contessa -Matilde; de’ vescovi che morissero occupava i -beni; col pretesto di punire badesse scandalose, invadeva -possessi de’ monasteri; impediva il passo dell’Alpi -a quei che andassero a Roma. Fe’ cingere la corona di -ferro a suo figlio Enrico; e perchè quello di re d’Italia -non fosse un titolo senza soggetto, procurò congiungere -alla primazia sui Lombardi il dominio del reame -meridionale: ma donde sperava il consolidamento della -grandezza di sua casa, ne venne la ruina. -</p> - -<p> -Commessi gli affari d’Italia ad Enrico, il Barbarossa -tornò in Germania a domare i baroni che gli aveano -recato molestia durante la guerra d’Italia, ed esercitò -l’autorità imperiale con rigore qual altri non aveva -usato da Carlo Magno in poi, fisso soprattutto nel pensiero -di renderla ereditaria nella sua famiglia. Singolarmente -gli diede a fare Enrico il Leone. Avendo esso -imperatore saputo indurre il vecchio Guelfo a rinunziargli -i beni di sua casa in Italia e in Germania, fra -cui l’eredità della contessa Matilde, Enrico da quel -giorno negò soccorrerlo nelle guerre d’Italia, benchè -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -supplicato a ginocchi; messo al bando dell’Impero, fu -vinto, e a stento ottenne di conservare il Brunswick e -il Luneburg: ma l’abbassamento di quella casa lasciò -rialzarsi i baroni secolari ed ecclesiastici, che si assicurarono -il pieno dominio del proprio territorio. -</p> - -<p> -Repente un gemito universale annunziò che Gerusalemme, -la santa città, liberata col sangue di tutta Europa, -era stata ripresa dai Musulmani, e il colle di Sion -e la valle del Cedron echeggiavano ancora alle invocazioni -di Allah. Il gran Saladino, profittando della rivalità -dei principi latini, gli assalì <span class="sidenote">(1187)</span> e sconfisse, occupò -Acri, Cesarea, Nazaret, Betlem, e alfine Gerusalemme -stessa: ed ebbe prigioniero il re Guido di Lusignano. -Menò egli strage particolarmente de’ cavalieri del Tempio -e dell’Ospedale, moltissimi fece prigioni, fra cui -Guglielmo di Monferrato, cugino del Barbarossa, il cui -figlio avea sposato Sibilla sorella di Baldovino re di -Gerusalemme, che gli portò in dote la contea di Joppe. -Un altro suo figlio Corrado, trovandosi allora pellegrino -in Terrasanta, tolse a difendere Tiro, durando -intrepido, benchè Saladino minacciasse uccidergli il vecchio -padre se non rendesse questa città. -</p> - -<p> -La nuova di tali disastri fu portata in Italia da messi -vestiti a bruno, che andavano tratteggiando gli esecrandi -oltraggi usati alla religione, la santa croce trascinata -per le vie, il sepolcro insozzato, i fanciulli educati -al Corano, le donne tratte negli harem, e mostravano -una immagine dove Cristo era battuto e calpesto -da un Arabo, nel quale doveva riconoscersi Maometto. -Quest’annunzio accelerò la morte ad Urbano III, che -prima aveva scritto a tutti i potentati cristiani eccitandoli -a soccorrere Terrasanta. Come avviene nei gravi -disastri, una riforma generale parve diffondersi; tregua -si convenne fra tutti i combattenti; i cardinali raccolti -a Ferrara per eleggere il nuovo pontefice, non solo -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -incitarono i re alla crociata, ma proposero voler guidarla -essi stessi; bandirono la tregua di Dio per sette -anni, e scomunicato chi la violasse; e cominciando l’ammenda -da sè, promisero vivere poveramente, e non -ricever doni da sollecitatori, non montare a cavallo <span class="sidenote">(1187)</span>, -finchè la terra santificata dalla presenza di Cristo -non fosse ricuperata. Gregorio VIII, vecchio di santa -vita e macero da penitenze, nel brevissimo regno non -fece che predicare la spedizione, e a tal uopo cercò -rappattumare i discordi, e principalmente Genovesi e -Pisani che si erano continuato feroce guerra. Clemente -III succedutogli persistette nell’intento: fra gli -altri, Guglielmo arcivescovo di Tiro, ministro di Baldovino -IV e storico delle crociate, predicò a Milano, -a Bologna, ove duemila cittadini presero la croce, e -in altre città: si permise ai re di riscuotere una <i>decima -Saladina</i> sopra tutte le rendite d’ecclesiastici e -di secolari per le spese della guerra: si comandò il -magro ogni mercoledì, digiuno ogni sabbato, non giurare, -non giocare a dadi, non imbandire più di due -piatti, non portare vesti scarlatte o vajo o zibellino, ed -altre manifestazioni che durano quanto l’entusiasmo. -</p> - -<p> -Gl’Italiani, che, appunto in quest’occasione, Corrado -abate uspergense chiama «bellicosi, discreti, sobrj, -lontani dalla prodigalità, parchi nelle spese quando -non sieno necessarie, e soli fra tutti i popoli che si -reggano a leggi scritte», corsero primi all’impresa; -e Toscani e Romagnuoli, sotto la guida degli arcivescovi -di Pisa e di Ravenna, approdarono a Tiro. Guglielmo -il Buono ordinò un generale registro di tutti i -feudatarj del regno di Sicilia e degli uomini che ciascun -doveva<a class="tag" id="tag142" href="#note142">[142]</a>, intimando stessero pronti a partire; -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -ed essi s’obbligarono a contribuire il doppio d’uomini: -e una flotta condotta dall’ammiraglio Margaritone di -Brindisi valse non poco a sostener Tiro. Saladino, costretto -a lasciare questa città, tentò sorprendere Tripoli; -ma i nostri giunsero in tempo a salvare quegli -ultimi resti del <i>glorioso acquisto</i>. -</p> - -<p> -Federico Barbarossa, che giovane avea fatto l’impresa -di Terrasanta, volle coronare la faticosa vita coll’assumere -di nuovo la croce. Imbevuto del concetto -della onnipotenza imperiale qual gli era stata definita -a Roncaglia, mandò intimare a Saladino lasciasse la -città santa a lui, signore universale perchè successore -degli antichi cesari. Saladino vi oppose il diritto della -conquista, e si preparò a sostenerlo. Il Barbarossa col -proprio figlio e con sessantotto signori, trentamila cavalieri -e ottantaduemila fanti passò dunque in Palestina -e prosperò; ma traversando il fiume Salef restò annegato; -e la crociata riuscì a fine disastroso. -</p> - -<p> -Il Barbarossa, come gli eroi della tragedia antica, -operava in forza del carattere, non della moralità; -postosi un principio, voleva seguirlo. I Comaschi gli -applausero come restauratore del diritto, punitor delle -violenze; altrove fu esaltato come liberatore d’Italia, -mirando solo agli interessi particolari e a quella indipendenza -che spesso fu considerata come idea principale, -mentre non è che secondaria. Tutti poi i nostri -lo inneggiarono quando rinunziò alle idee germaniche, -conservando sola la lealtà, con cui accettò il patto di -Costanza. I Germani lo venerarono qual rappresentante -della loro stirpe, e non lo credettero morto, ma -che si fosse ridotto nel campo dorato sul Kiffhäuser, -tenendo corte colla figlia e coi burgravi, sedendo a -una tavola di marmo, attorno alla quale crebbe la sua -barba rossa. E verrà giorno che uscirà ancora co’ suoi -fedeli, e farà grande il popolo tedesco sopra tutti gli -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -altri. In Italia altrimenti; e mentre a Carlo e Ottone, -perchè favorevoli alla causa popolare, fu mantenuto il -titolo di Grandi, Federico, non inferiore ad essi, vien -tuttora ricordato con orrore dal popolo, cui si mostrò -infesto<a class="tag" id="tag143" href="#note143">[143]</a>. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap85">CAPITOLO LXXXV. -<span class="smaller">Ordinamento e governo delle Repubbliche.</span></h2> -</div> - -<p> -Così scarsi tornano nella nostra storia i momenti, -ai quali possa confortarsi la ragione ed esaltarsi il -sentimento, che è ben dritto se gl’italiani si fermano -con compiacenza sopra la Lega Lombarda. -</p> - -<p> -Legame puramente esterno e di momentanea provvisione, -essa non cambiava le condizioni de’ singoli -Stati, ciascuno de’ quali come indipendente proseguiva -nella fatica di ordinarsi. Abbastanza ripetemmo che la -rivoluzione dei Comuni, tanto decisiva, non fu radicale, -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -e lasciò sussistere molte parti del passato, che oggi -sarebbero le prime a distruggersi. Oggi poi si vorrebbe -innanzi tutto precisare i diritti dei cittadini, farli -tutti eguali in faccia alla legge, concentrare i poteri -maestatici in un magistrato supremo, abbastanza robusto -nella sua azione; separare la podestà legislativa -dall’esecutiva, e dare indipendenza e stabilità alla giudiziale, -distribuita in una gerarchia di tribunali con -precise attribuzioni; proclamare leggi fisse, ed evitare -ogni tumultuosa applicazione di esse; discutere pubblicamente -i conti, scompartire con equità l’imposta, -ottenere l’esercizio rapido e uniforme dell’autorità, -sottraendola all’arbitrio di un capo, alle gelosie dell’aristocrazia, -alle tumultuose incostanze del vulgo; trovare -il modo più conveniente a rendere rappresentato ogni -bisogno, ogni forza, ogni capacità, ed anche la provincia -per togliere la prevalenza oppressiva della capitale; -chiarire e sodare le relazioni cogli Stati vicini, -e i diritti e doveri reciproci; e principalmente assicurare -l’indipendenza dello Stato per maniera che nessuno -estranio s’intrometta dell’interno suo ordinamento. -</p> - -<p> -Non a questo senso intendevasi allora la libertà, nè -chiaro concetto si avea di ciò che or chiamiamo lo Stato; -e dal tentonare d’inesperti sarebbe troppo l’attendersi -quel senno e quella prudenza, che sì spesso fallisce a -noi pure, a noi insegnati da lunghissima esperienza e -da tanti errori. Ingegniamoci di orientarci per quanto -è possibile fra tanta varietà di ordini, di statuti, di -vicende. -</p> - -<p> -Sottoposta che fu la campagna alla città, limite di -ciascuna Repubblica rimase ordinariamente quello delle -giurisdizioni vescovili; onde oggi ancora le diocesi, -colla bizzarra loro conformazione, indicano il territorio -di quelle. Da ciò, se non originata, mantenuta -la prodigiosa differenza dei dialetti; da ciò la moltiplicità -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -di edifizj civili e religiosi, nessuna volendo restare -di sotto della vicina; da ciò le guerricciole; da -ciò fatti meno penosi i frequenti esigli, poichè il fuoruscito -a due passi trovava sicurezza, senza aver mutato -nè favella nè clima. -</p> - -<p> -La pace di Costanza ebbe sanzionata la rivoluzione, -che da serve ridusse franche le città, ma non attribuiva -loro l’indipendenza, bensì la libera podestà di -governo, il diritto d’eleggere ciascuna i proprj magistrati, -far leggi, munirsi, conchiudere pace e guerra, -imporsi tributi e ripartirli, regolare la polizia rurale -e l’industria, militare sotto la propria bandiera, non -essere obbligati andar fuori del Comune per pagare -tributo o rispondere a citazioni, esercitare liberamente -la pesca e la caccia. Essa pace non conferiva però -nuovi diritti, neppure uguagliava gli antichi; ciascuno -rimaneva nella condizione ove l’avea trovato la guerra, -con più o meno privilegi, secondo gli aveva compri, -estorti, acquistati, ottenuti. Nè tampoco si distruggeva -veruna delle antiche dipendenze; e nella città libera -potevano ancora durare un conte feudale, un vescovo -con diritti sovrani, qualche uomo indipendente dai comuni -magistrati, e servi fuor della legge. -</p> - -<p> -Di sopra poi di tutti stava un re o un imperatore, -la cui supremazia in sostanza si riduceva a mettere il -proprio nome sulle monete e agli istromenti, riscuotere -annuo tributo, e la <i>paratica</i> al primo suo venire -in Italia, determinata per ciascun Comune con particolari -convenzioni. Nel 1185 Federico I «volendo viemeglio -premiare quelli che più perseverano nella devozione -alla sacra maestà dell’Impero, ed osservando il -valore, la fede, la devozione de’ <i>suoi</i> diletti cittadini -milanesi, il cui affetto, più degli altri ardente, li mostra -di giorno in giorno meglio meritevoli de’ suoi favori»<a class="tag" id="tag144" href="#note144">[144]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -cede loro tutte le regalie che esso teneva nell’arcivescovado -di Milano in terra e in mare, determinando il -tributo in lire trecento, oltre la paratica. Quest’ultima -dagli abitanti di Treviglio fu fissata in sei marchi d’argento. -Il Comune di Brescia ricompravasi nel 1192 -da tutte le regalie per due marchi l’anno, e gliene faceva -carta Enrico VI. -</p> - -<p> -I diritti regali non espressi nel patto di Costanza era -convenuto sarebbero ponderati dal vescovo di ciascuna -città insieme con probi uomini; ma essi non competendo -se non al re che fosse eletto dal voto nazionale, -pochi fra’ successori del Barbarossa li godettero; e per -lo più s’accontentarono d’un omaggio e del giuramento -di fedeltà, trattando i nostri a maniera d’alleati. Enrico -VI e Federico II, bisognando d’ajuti in guerra, -strinsero leghe con qualche città, assolvendola dagli -obblighi imposti dalla pace di Costanza; di modo che -o per cessione del re, o per ritrosia de’ popoli, s’andò -smettendo ogni aggravio, eccetto il fodro, che venne -convertito in sussidio grazioso. -</p> - -<p> -Anche dalla conferma dei magistrati, riservata all’imperatore -o a’ suoi messi, le città si riscossero a denaro; -sebbene le ghibelline, per condiscendenza, gliela -chiedessero ancora. Nel 1195, davanti alla porta Torre -di Como, Girardo de Zanibone, Tettamanzo de Gaidaldi, -Odone di Medolate, consoli del Comune di Cremona, -col mezzo della lancia e del gonfalone rosso con croce -bianca, riceveano da Enrico VI l’investitura di quanto -si contiene nel privilegio di esso Comune<a class="tag" id="tag145" href="#note145">[145]</a>. -</p> - -<p> -Federico I erasi riservata l’appellazione delle cause<a class="tag" id="tag146" href="#note146">[146]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -e a riceverla delegava vicarj; venuti però questi di -peso, le città se ne fecero esentare, traendo anche tale -diritto ai proprj magistrati o ai vescovi<a class="tag" id="tag147" href="#note147">[147]</a>. -</p> - -<p> -Dapprima i messi regj ed i vicarj imperiali poteano -ogni cosa quanto l’imperatore, salvo che conferire i -feudi maggiori o di trono, e alienare o ipotecare beni -e diritti dell’Impero. Abbiamo l’investitura che Federico -II dava nel 1249 a Tommaso conte di Savoja quale -vicario della Lombardia da Pavia in giù, affinchè conservasse -la pace e la giustizia; concedendogli perciò -il mero e misto imperio e podestà della spada contro -i malfattori, principalmente quei che molestano le strade; -udire e risolvere le quistioni civili e criminali, competenti -all’imperatore; imporre bandi e multe; interporre -decreti per l’alienazione di cose ecclesiastiche -e per tutela de’ pupilli; dar tutori e curatori, restituire -in intero, ricevere l’appello dalle sentenze dei giudici -ordinarj; ma dalla sentenza di lui possa ricorrersi al -trono<a class="tag" id="tag148" href="#note148">[148]</a>. Sì estesa autorità andò restringendosi; i -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -messi regj si ridussero a poco meglio che nodari; e -il vicariato, non che sostenere l’autorità imperiale, -servì ad ampliare quella de’ grandi, che compravano -esso titolo per assodare la propria dominazione. Guarnieri -conte di Humberg, vicario d’Enrico VII, dovette -abbandonare la Lombardia per assoluta mancanza di -denaro: per la causa istessa Princivalle del Fiesco, -vicario di Rodolfo d’Habsburg, vendette alle città di -Toscana le giurisdizioni dell’Impero<a class="tag" id="tag149" href="#note149">[149]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -</p> - -<p> -Ne’ ricchissimi archivj di Lucca investigammo altrove -la formazione di quel Comune (pag. 38): studiandovi -ora le relazioni delle Repubbliche coll’Impero, -troviamo che nel 1162, alla presenza dell’arcivescovo -di Colonia, arcicancelliere dell’Italia e legato imperiale, -i consoli maggiori giurarono sugli evangeli fedeltà a -Federico I, e di nulla attentare a suo danno, anzi soccorrerlo -a sostener la corona e l’onor suo, o recuperarli; -non palesare gli ordini secreti ch’egli trasmettesse; -e per la guerra o per la pace in Toscana e per -le regalie starà alla sua parola, l’ajuterà a riscuotere -il fodro nel vescovado di Lucca, da tutti i cittadini -farà dargli il giuramento, non guastare nè lasciar guastare -la strada, dare all’imperatore venti militi nella -spedizione verso Roma e la Puglia, pagare l’annuo -tributo convenuto di quattrocento lire, in ricompra di -tutte le regalie per sei anni. L’imperatore concede -in ricambio alla città di Lucca di eleggere i consoli, -i quali vadano a ricevere da esso l’investitura, e gli -giurino fedeltà<a class="tag" id="tag150" href="#note150">[150]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -</p> - -<p> -Qui è riconosciuta la piena libertà del Comune: eppure, -due anni dopo, esso Federico confermava il mero -e misto imperio al vescovo di Lucca sopra gran quantità -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -di terre, ville, castelli, autorizzandolo a far leggi e -giustizia, e governare per sè o pel suo nunzio, come -farebbe l’imperatore o un nunzio suo<a class="tag" id="tag151" href="#note151">[151]</a>. Poi nel 1185 -dava un diploma in favore dei Comuni e signori di Garfagnana, -di Montemagno, di Versilia, di Camajore, -prendendoli in protezione, esimendoli da ogni dominio -di città o di autorità qualunque, come soggetti a sè -solo; abroga le occupazioni di terre, borghi, castelli -fatte da consoli; obbliga Lucca a riedificare i castelli -che v’avesse demoliti<a class="tag" id="tag152" href="#note152">[152]</a>. L’anno vegnente, Enrico VI -rinnovava a questa il privilegio della zecca, delle giurisdizioni -e regalie nella città e nel distretto, non accennando -più all’obbligo d’andare i consoli a giurare fedeltà; -però, anche ne’ trattati con altre potenze, riservino la -fedeltà all’Impero, e gli paghino sessanta marche d’argento -l’anno. Nel 1209 Ottone IV, imperatore disputato, -confermava la carta anticamente datale da Enrico IV, -con questo che nessun mai guastasse le mura della città -o le case; non dovessero avere palazzo per l’imperatore, -nè dare alloggi; non paghino alcun pedaggio da -Pavia sino a Roma o in Pisa; non abbia molestia chi -vien a commerciare con Lucca pel mare o pel Serchio; -non si fabbrichi castello o fortino a sei miglia di circuito; -nessun giudice di Lombardia eserciti giurisdizione -in Lucca, se non presente l’imperatore o il suo -cancelliere<a class="tag" id="tag153" href="#note153">[153]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<p> -Dall’assicurare il libero governo interno, le esazioni, -i mercati, le caccie, le pesche, i forni, i mulini, le Repubbliche -passarono a pretendere dominio sopra i vicini, -e ne chiedeano ancora la ratifica dagl’imperatori. -Pertanto nel 1244 Federico II al Comune di Lucca -concedeva che i castelli di Motrone, Montefegatese e -Luliano nella Garfagnana con tutte le loro pertinenze -gli stessero sottoposti; accettasse come concittadini le -persone della Garfagnana che il vogliano; e i Comuni e -le persone di questa possano ricevere i podestà e rettori -di Lucca: vale a dire, li sottraeva alla giurisdizione imperiale -per sottoporli alla comunale<a class="tag" id="tag154" href="#note154">[154]</a>. Quando i -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -Lucchesi parteggiarono col papa, esso Federico cassò -quelle concessioni, investendone invece il figlio e vicario -suo Enzo; ma riconciliatosi, le restituì al Comune di -Lucca come feudo, talchè questa città, internamente -repubblicana, riguardo agli esterni avea posto nella gerarchia -feudale<a class="tag" id="tag155" href="#note155">[155]</a>. Eppure lo stesso Federico donava -in perpetuo a Pagano Baldovin messinese il territorio -di Viareggio. -</p> - -<p> -La libertà dei Comuni guardavasi dunque non come -un diritto primitivo, ma come una concessione sovrana; -dal re si chiedevano come privilegio fin le giustizie; -dal re si facevano confermare i successivi acquisti: ma, -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -secondo il senso feudale, consideravasi indipendenza il -non aver altro superiore che gl’imperatori. -</p> - -<p> -Tanto però bastava perchè questi potessero turbare -le Repubbliche colle loro pretensioni. Altre ne mettevano -in campo i feudatarj e conti, che solo per necessità -aveano rassegnato i diritti antichi. Già dicemmo -(pag. 69) come i vescovi fossero ricchissimi e signori -di tanta parte di feudi e di giurisdizione. A quello di -Brescia spettava un quinto dei feudi della diocesi: -ed erano tanti, che Enrico imperatore avendone sequestrati -alcuni in pena del favore dato ai papi, trovaronsi -ammontare a tremila biolche di terra; che poi -il Comune di Brescia ritolse alla Camera imperiale, -dandole a livello a tremila poveri. Arimanno vescovo -cercò ricuperare quei feudi ed altri che l’imperatore -aveva investiti a laici; ma i nuovi investiti si opposero, -fecero lega cogli arimanni, irati al vescovo e al Comune -che li gravava di contribuzioni ad onta dell’antica immunità: -ne venne guerra di fortuna varia, sinchè anche -gli arimanni ottennero per patto i privilegi che già -godeano i valvassori, e assoluzione da ogni tributo e -servizio di corpo<a class="tag" id="tag156" href="#note156">[156]</a>. -</p> - -<p> -I vescovi essendo stati sovrani, consideravano come -usurpatore o astiavano come vincitore il Comune, e sofisticavano -sui diritti di quello. Intendo in questo senso -una carta del 1158, ove i canonici di Santa Maria di -Novara giurano fra loro di non dar mano a far passare -al Comune le cose di essa chiesa, nè col fatto o col -consiglio permettere che questa paghi fodro o dazio al -popolo o ai consoli; nè ajutarli in ciò che spetti al fortificare -la città; nè daranno canonicati ai discendenti -dei consoli che aveano aperto a forza il granajo del -capitolo, sinchè i padri son vivi, nè di quei consoli che -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -in alcun modo pregiudicassero alla chiesa, o entrassero -per forza nella canonica o nelle case de’ fratelli<a class="tag" id="tag157" href="#note157">[157]</a>. -</p> - -<p> -Sempre poi i vescovi serbarono qualche resto dell’autorità -loro; e come ricchissimi che manteneansi ancora, -e capi d’una gerarchia e di un tribunale ecclesiastico, -guardavansi quai primi cittadini, opinando prima -di tutti, e facendo la prima comparsa negli affari. Questo -intralciamento di diritti e di pretensioni potea non recare -trista sequela di cozzi e di gelosie? -</p> - -<p> -In mezzo a queste, le Repubbliche si organizzarono -ciascuna distintamente con una varietà che è mirabile -sintomo d’estesa ragione negl’Italiani, ma che è impossibile -a seguirsi se non nelle storie domestiche. Accennando -que’ sommi capi in che le più s’accordavano, dirò come -la suprema signoria stesse nell’assemblea dei cittadini, -alla quale, a suon di trombe o di campana, convocavansi -plebei insieme e nobili, sommati talvolta a centinaja -e migliaja. In Milano era di ottocento, poi fu -cresciuta e là ed altrove sino a millecinquecento e a -tremila, escludendo solo i mestieri sordidi. A Firenze -vi entravano le ventiquattro arti e i settantadue mestieri. -In quella generale adunanza, a voti si decideva -della pace, della guerra, delle alleanze. Sembra non vi -si favellasse molto, e che ciò fosse un male lo lascerem -dire ad altri; ma i partiti non si pigliavano generalmente -a semplice maggioranza, volendosi ove i due -terzi, ove i tre quarti; in alcun luogo si raccoglieva -complessivamente il voto di ciascuno de’ corpi che componeano -il gran consiglio. -</p> - -<p> -Pei molti affari dove occorre segreto e decisione -spedita e spassionata, venne istituito il consiglio minore -o <i>di credenza</i><a class="tag" id="tag158" href="#note158">[158]</a>, composto de’ più ragguardevoli, -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -giurati di non palesare i trattamenti. Erano di spettanza -sua le finanze, il vigilare sopra i consoli, le relazioni -esterne, e vi si disponevano i partiti da sottoporre -alla deliberazione del popolo. -</p> - -<p> -I consoli, magistratura, come dicemmo, di attribuzioni -particolari, e che al formarsi de’ Comuni furono -posti al governo, erano scelti per suffragi; e senza la -cauta divisione de’ poteri, doveano render giustizia e -amministrare la guerra, quasi non corresse divario fra -i perturbatori dell’ordine interno e dell’esteriore. I -campagnuoli non erano partecipi della pubblica amministrazione; -ma molti castelli e borghi, massime di -Lombardia, crearono consoli proprj, più limitati di autorità, -sebbene intenti ad emulare i consoli cittadini. -</p> - -<p> -I doveri dei consoli venivano annoverati nel giuramento -che essi prestavano entrando in carica, e che -inscrivasi negli statuti. In quelli di Genova, i più antichi -che si conoscano<a class="tag" id="tag159" href="#note159">[159]</a>, leggesi il seguente: -</p> - -<p> -— In nome del Signore, noi piglieremo il magistrato -questo giorno della purificazione della Madonna, -e nel medesimo giorno, terminata la compagnia, il -deporremo. -</p> - -<p> -«Opereremo sempre a utilità del vescovado e Comune -nostro, e ad onore della santa madre Chiesa. -</p> - -<p> -«Esamineremo le quistioni private sulle istanze degli -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -interessati, le pubbliche anche senza istanza, di buona -fede, secondo ragione e con perfetta egualità, non pregiudicando -al Comune in favore de’ privati, nè ai privati -in favor del Comune. -</p> - -<p> -«In caso di disparere tra noi, varrà la pluralità; in -caso di parità, ci riporteremo a un savio, di cui non -sia conosciuto il parere. -</p> - -<p> -«Rivocheremo e miglioreremo le sentenze fatte dal -nostro consolato, qualunque volta il richieda la giustizia. -</p> - -<p> -«Sentenzieremo in pubblico entro quindici giorni -dopo presentato il libello, quando non cada in dì festivo, -o l’attore non si ritiri. -</p> - -<p> -«Per una sentenza non percepiremo direttamente o -indirettamente più di tre soldi. -</p> - -<p> -«Quando alcuna parte non trovi avvocato difensore, -a sua istanza glien’eleggeremo; e se l’eletto ricusi, o -non si adoperi di buona fede, gli vieteremo di comparirci -dinanzi per tutto il nostro consolato. -</p> - -<p> -«Imporremo a’ testimonj chiamati in giudizio dalle -parti, di comparire e deporre il vero, obbligandoli, in -caso di rifiuto, al rifacimento del danno. Nelle cause -maggiori non si vorrà meno di dodici testimonj. Di -chi citato a testimoniare, negasse comparire davanti a -noi e giurare il vero, faremo vendetta a nostro arbitrio, -ancorchè sia negli ordini sacri, perchè così vuole -ragione. -</p> - -<p> -«Le proprietà, i feudi e i diritti posseduti pacificamente -per trent’anni, conserveremo intatti a’ possessori. -</p> - -<p> -«In caso d’omicidio premeditato e palese, manderemo -in esiglio il colpevole, daremo il guasto a’ suoi beni, -e il possesso di quelli a’ più stretti congiunti dell’ucciso, -o, quando li rifiutassero, alla cattedrale. Se non sia -provato chiaramente il reo, permetteremo a’ congiunti -fino in terzo grado di domandargli d’ammenda quanto -vorranno, o quanto almeno potrà dare l’accusato. E -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -s’egli rifiuterà pagarla, e sfiderà a battaglia l’accusatore, -sarà lecito, e il soccombente puniremo come -avremmo punito il palese omicida. -</p> - -<p> -«Chiunque portasse armi dal suono del campanone -sin alla fine del parlamento, condanneremo in lire dieci -se n’abbia almeno cinquanta, o in una se n’abbia sopra -dieci, e in meno a nostro arbitrio se povero. -</p> - -<p> -«Non permetteremo torri più alte di ottanta piedi, -e a venti soldi per piede condanneremo i trasgressori. -</p> - -<p> -«I falsatori di monete e i complici loro spoglieremo -d’ogni avere e d’ogni diritto a favore del pubblico erario; -proporremo al parlamento che siano banditi in -perpetuo; e venendo in nostro potere, farem loro troncare -la destra. Sarà però necessario a un tanto castigo -o la confessione del reo, o ch’e’ sia convinto mediante -legale deposizione de’ testimonj. -</p> - -<p> -«Ad ambasciatori assegneremo solo l’onorario approvato -dalla maggioranza del parlamento. -</p> - -<p> -«Vieteremo il portare nel nostro distretto merci -pregiudicievoli alle nostrali, salvo i legnami e guarnimenti -di nave. -</p> - -<p> -«Non imprenderemo guerra, nè faremo oste, divieto -o imposizione senza il consenso del parlamento; nè -aumenteremo i dazj marittimi, fuorchè all’occasione di -nuova guerra in mare; e i pesi cadranno uguali su -tutti. -</p> - -<p> -«Chiunque, invitato da noi o dal popolo ad ascriversi -nella nostra compagnia, non avrà aderito entro -undici giorni, ne sarà escluso per tre anni avvenire; -non accetteremo in giudizio le sue istanze, salvo fosse -per difesa; nè lo nomineremo ai pubblici uffizj, e farem -divieto che nessuno della nostra compagnia lo serva -delle sue navi, o lo difenda ai tribunali. -</p> - -<p> -«Qualunque volta un estranio sarà accettato nella -nostra compagnia, gli daremo il giuramento di abitazione -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -non interrotta nella nostra città, secondo il consueto -degli altri cittadini. Pe’ conti, pe’ marchesi e per -le persone domiciliate fra Chiavari e Portovenere basterà -l’abitazione di tre mesi l’anno. -</p> - -<p> -«Osserveremo fedelmente l’appalto delle monete a -coloro che si sono obbligati verso il Comune, e saranno -leali alle convenzioni co’ principi e popoli forestieri». -</p> - -<p> -Per correggere lo sconcio feudale di lasciare nelle -mani stesse l’amministrazione e la giustizia, si distinsero -i consoli minori o dei placiti, specialmente applicati ai -giudizj, a differenza di quei del Comune o maggiori<a class="tag" id="tag160" href="#note160">[160]</a>. -Trattavano collegialmente le cause: tenendo giurisdizione -separata in distinti quartieri: e il tribunale di -ciascuno distinguevasi con insegna particolare, dicendosi -del bue, dell’aquila, dell’orso, del leone, e così -via; a Piacenza erano dipinti sul tribunale il griffone -e il cervo, a Verona l’ariete; a Mantova diceansi del -banco di san Pietro, di sant’Andrea, di san Giacomo, -di san Martino<a class="tag" id="tag161" href="#note161">[161]</a>. -</p> - -<p> -Consoli chiamavansi, fin prima della libertà, altri -sovrantendenti alle grasce, alla marina, alle arti o -simili, e così continuarono. Nel 1172 Milano creava -otto consoli de’ mercanti, collo stipendio di sette lire -di terzuoli, e l’obbligo di sopravvedere alle misure, -riscuotere le multe dei bandi, delle bestemmie e di -somiglianti trasgressioni, e provvedere che i mercanti -andassero sicuri. I consoli delle faggie doveano rivendicare -e difendere i diritti del Comune sovra i pascoli -intorno alla città, e sopravvegliare alle strade: il quale -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -uffizio a Chieri chiamavasi dei sacristi, a Siena de’ viaj. -Di poi ciascun corpo volle avere o piuttosto conservò -consoli proprj; e così le parrocchie e le terre, dove -sussistettero fin ai giorni nostri quali agenti del Comune. -</p> - -<p> -Nell’elezione dei consoli operavano spesso l’intrigo -e l’ingerenza delle famiglie potenti; e trovandosi scelti -da case e da fazioni nemiche, si contrariavano gli uni -gli altri, incagliando gli affari, e per tema o preghiere -o disservigio lasciando lesa o monca la giustizia. La -potenza de’ consoli annui ed elettivi non era bastante -a reprimere i faziosi, nè potea reggersi che appoggiata -ad un partito, mancando dell’imparzialità necessaria a -garantire i diritti di tutti. I consoli, nemici personali -de’ castellani ch’essi aveano spossessati, poteano esserne -giudici? Tornando cittadini dopo un anno, trovavansi -esposti alle vendette de’ ribaldi che avessero puniti o -delle famiglie offese. Per dominar l’anarchia bisognava -un tribunale che da più alto reggesse cittadini e castellani, -che non fosse nè feudale nè borghese, che potesse -reprimer robustamente le lotte; popolare così che i -cittadini lo potessero opporre ai nobili, eppur nobile -affinchè l’aristocrazia l’accettasse, e che per origine non -avesse e per lunga dimora non adottasse le passioni -de’ cittadini. A tale intento Bologna chiamò il faentino -Guido di Ranieri da Sasso, che esercitasse il potere -de’ consoli del Comune, e presedesse a quelli de’ placiti. -Questo nuovo magistrato s’intitolò <i>la podestà</i>, come -quelli che il Barbarossa ai Comuni sottomessi aveva imposti -invece dei consoli; e dovea rappresentare l’antico -elemento imperiale, quasi custode della legale società, -e di quella giustizia che, anche dopo l’emancipazione, -si considerava come privilegio imperiale. -</p> - -<p> -Tale novità si conobbe spediente per ridurre nel Comune -anche quest’avanzo delle pretensioni imperiali, -ottenere più disinteressata l’applicazione delle leggi, e -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -operare ne’ casi urgenti colla prestezza che viene dall’unità -dell’esecutore. Fu dunque adottata, e cernivasi -il podestà fosse dalla nobiltà castellana rimasta indipendente, -fosse da città della fazione medesima, fosse -tra persone celebrate per onestà o per conoscenza di -leggi. Proposto nel pubblico consiglio, era eletto a pluralità -di voti, ovvero se ne comprometteva la nomina -in un certo numero di probi: taluni lo chiedeano al -papa o all’imperatore, ma presentandogli le convenzioni -o lo statuto ch’ei dovea giurare anche prima di -conoscerlo. Da Perugia si mandavano cittadini, e più -volentieri frati, a conoscere nelle città forestiere gli -uomini di maggior vaglia, da’ cui nomi imborsati si -sortiva il nuovo podestà<a class="tag" id="tag162" href="#note162">[162]</a>. -</p> - -<p> -Al designato spedivasi un’ambasceria; ed egli, al -Capodanno o al san Martino, entrava con solenne incontro -de’ cittadini e del vescovo, e con messa e panegirica -orazione; e venuto sulla piazza maggiore, recitava -una diceria, giurava osservare gli statuti, non -ritenere la carica oltre un anno, e non partirsi prima -d’aver subìto il sindacato<a class="tag" id="tag163" href="#note163">[163]</a>, e nel nome di Dio assumeva -l’uffizio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -</p> - -<p> -Egli menava seco due cavalieri per guardia ed onoranza; -assessori e giudici per consiglio, notaj, siniscalco, -ministri, servi, cavalli. La giustizia talvolta esercitava -col solo privato consesso, in alcuni paesi coi consoli -de’ placiti come a Milano, o co’ giudici de’ collegi come -a Parma<a class="tag" id="tag164" href="#note164">[164]</a>. Funzionario unico, riuniva l’autorità politica -e la giudiziaria de’ consoli, ridotti a semplici -consiglieri col titolo di priori, anziani, rettori o simili: -straniero come gli antichi conti, eppur magistrato responsale -come un cittadino, uom di toga e di spada, -giudice e dittatore, reprime e castellani e borghesi del -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -pari, eseguendo egli stesso i suoi decreti, e usava poteri -discrezionali come in tempo di guerra. Qui pure il -giuramento specificava i doveri del podestà, alcuni dei -quali erano generici, altri speciali d’un tempo e d’un -luogo. -</p> - -<p> -Lo statuto genovese porta che il consiglio nomini -ogni anno trenta elettori, i quali procedano all’elezione -del podestà per via di polizze: all’eletto accettante due -nunzj portino a giurare i seguenti capitoli, presente il -consiglio della natìa sua terra: — Non vedrà gli statuti -di Genova se non dopo giurato di osservarli: sarà servito -da venti persone, e accompagnato da tre cavalieri -e da due a tre giudici a sua elezione, i quali con titolo -di vicarj o luogotenenti terranno gradatamente sue veci -in caso di assenza, malattia o morte: salarj, pigioni, -spese di viaggio resteranno a carico di lui, ma riceverà -provvisione di lire milletrecento di Genova (da mezz’oncia -d’oro), due lire al giorno di più nelle campagne -marittime, nelle terrestri quattro, nelle ambascerie -quanto deciderà il consiglio: l’anniversario del giorno -che avrà preso il magistrato, dovrà uscire di Genova, -e seco i suoi terrazzani e distrettuali, del che si rogherà -speciale istromento. -</p> - -<p> -Il podestà di Milano giurava comportarsi col miglior -modo e senno all’utile della comunità, specialmente -per la pace e le guerre; le convenzioni e concordie -tra Milano ed altre città o private persone farà mettere -in iscritto e conservare; il Comune manterrà nelle concordie -e convenzioni e nelle concessioni e dazj, e a -ricuperarli e serbarli; non sarà guida nè spia a danno -della città, per servizio di niun suo nemico. Quando si -trovi entro i pubblici fossati, ogni giorno monterà al suo -uffizio, e la giustizia eserciterà a pro della repubblica, -nè oltre venti giorni in tutto l’anno starà fuori del Comune; -non commetterà furto nè frode, nè consentirallo -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -ad altri, ed i commessi denunzierà nel pubblico arringo. -A titolo d’uffizio non piglierà cosa alcuna nè egli -nè sua moglie o figliuoli, e neppure nelle legazioni; nè -avrà altro stipendio che di lire duemila, e il salario di -cinque giudici. Nelle cause pertinenti a’ consoli di giustizia -o del Comune, non darà alcun consiglio se non -ai giudici; delle sentenze sue piglierà soltanto dodici -denari per libbra, cioè dieci pel Comune e due pe’ giudici -suoi; le sentenze da proferire non manifesterà se -non ad un suo giudice ed al notaro che ha a scriverle, -e saranno conformi alle leggi di Milano. L’appalto del -viatico, del fodro, della moneta non delibererà, se non -avuto il consiglio de’ savj. Rileverà i consoli di tutte le -cause che pronunziarono di suo comando o precetto, -e parimenti d’ogni giuramento in fine dell’uffizio suo. -Non farà remissione di alcuna taglia, se non per cagione -d’incendio, tempesta, povertà nota, od altra giusta -causa approvata dal consiglio di credenza. Non prenderà -alcun prestito se non fuori della giurisdizione in -benefizio della repubblica. Ogni mese riceva e renda i -conti, stendendone autentica scrittura; e si faccia rileggere -il giuramento, diligentemente ascoltandolo. Villa -nè borghigiano o rustico alcuno affranchi dai carichi -imposti per la repubblica, senza il consentimento del -comune consiglio. Le costituzioni del Comune non muti -senza il consiglio di credenza. Faccia eseguire le sentenze -proferite, e le pene contro i fornai delinquenti e -i malfattori. Quelli posti nel bando per omicidio o congiurato, -non permetta abitare nel comune di Milano, -e le terre o abitazioni di quelli tenga incolte e devastate: -non conceda verun uffizio o ambasciata a banditi, -nè a falliti od infami: definisca le appellazioni fatte sopra -cause di omicidj, bandi, incendj, battaglie, eccetto -se l’appellante non dia all’avversario sicurtà della restituzion -delle spese, giurando non aver dato niente al -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -giudice delle appellazioni, nè ad altra persona fuor -dell’avvocato, o per cavare scritture. Fedelmente ricercherà -se niun ufficiale faccia frode: tutti i provvisionati -del Comune costringerà a dar conto ogni quattro -mesi de’ denari avuti per la comunità. Non farà o lascerà -far ricerca sulle condanne date per gli antecessori -suoi, nè sui denari spesi dal Comune per tali uffiziali. -Giudei ed eretici deve sbandire da Milano e suo contado, -dopo che per l’arcivescovo gli sieno denunziati; -quelli che gli avessero ricettati ammonisca perchè fra -venti giorni gli abbiano espulsi, altrimenti essi pure -saranno posti nel bando, dal quale non si potranno -cavare senza licenza ecclesiastica; le case loro faccia -diroccare. Se alcuno statuto ritrovasse contrario alla -Chiesa, lo annullerebbe. Finito il suo reggimento, quindici -giorni dimorasse a Milano insieme colla sua comitiva, -aspettando il sindacato (<span class="smcap">Corio</span>). -</p> - -<p> -La spada sguainata che si recava innanzi al podestà, -esprimeva il diritto di sangue: ma spesso doveva esercitarlo -con aspetto di guerra e di violenza. Alcun pubblico -delitto era denunziato? dal balcone del palazzo -egli sciorinava il gonfalone di giustizia, colle trombe -chiamava i cittadini alle armi, e a capo loro moveva -ad assediare la casa del reo. A Perugia sono uccisi due -giudici, e si ordina di tener chiuse le botteghe finchè -non siano scoperti i rei; e così stettero per tre mesi. — Giuro -che, se alcun nobile, o non giurato in popolo, -ucciderà o farà uccidere o consentirà che si uccida -alcun anziano o notajo d’anziani o uomo giurato in popolo..., -senza intervallo farò sonare la campana del -popolo, e con quel popolo o alcuna parte di esso, con -sterminato furore andrò alla casa di quel cotale uccisore, -e innanzi che quindi mi parta, infino alle fondamenta -farò disfare... E insino a tanto che la distruzione -e il guastamento di tutti i beni del malfattore -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -predetto, così nella città come nel contado, non sia -compiuto di fare, nulla bottega d’arte o mestiere, o -corte alcuna della città fia tenuta aperta». In tale sentenza -ogn’anno giurava il capitano del popolo di Pisa; -e aggiungeva che punirebbe il figlio pel padre, il padre -pel figlio, non lascerebbe mai più coltivare o comprare -i loro beni, darebbe un premio a chi li pigliasse -o uccidesse<a class="tag" id="tag165" href="#note165">[165]</a>. -</p> - -<p> -Tanto fin la giustizia assumeva aspetto di violenza, -perchè le Repubbliche, a modo de’ feudatarj, traevano -il diritto punitivo da quel della guerra privata e della -vendetta personale, e i signori erano avvezzi a obbedire -soltanto alla forza; onde non era se non la pubblica -sostituita alla privata, e i castighi somigliavano -alle rappresaglie delle passioni, le quali non si erano -spente ma solo dirette, ignorandosi ancora la pacifica -amministrazione. -</p> - -<p> -In somma il podestà comprendeva in sè l’antitesi -della società d’allora. Come dittatore, veste carattere -politico, assale, difende, bandisce, uccide, dirocca case -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -e castelli, arma e disarma la città, conduce l’esercito; e -riconoscendo due partiti ostili, due tendenze contrapposte, -le regola col reprimerne una, cioè col limitare la -libertà. Come giudice, veste carattere legale, semplice -stromento della legge, innanzi alla quale si eclissano partiti, -persone, famiglie; nè egli dee permettersi verun passo -che offenda la libertà. Giurato ad osservar gli statuti, -contornato da persone di legge, venuto da paese estraneo -per amministrar con imparzialità; esposto al sindacato; -eppure come dittatore è costretto a un’ingiustizia continua -fra i due partiti in lotta; è esposto all’eventualità -de’ conflitti; robusto in un momento di sollevazione, è -inetto allorchè le due fazioni s’accordino in modo, che -egli non possa valersi dell’una per reprimere l’altra. -</p> - -<p> -Di tanta autorità poteva facilmente abusare; onde fu -assiepato di gelose precauzioni: ad invitarlo si deputavano -persone religiose, estranie alle brighe; talvolta -a sei e fin a tre mesi se ne limitò la durata, benchè -talaltra venisse allungata<a class="tag" id="tag166" href="#note166">[166]</a>; in città non dovea contrarre -parentele, non mangiare presso alcuno. La breve -durata cagionava gli scomodi d’un perpetuo tirocinio; -eppure durante l’effimera magistratura il podestà rimaneva -arbitro delle vite, per la latitudine concessa dalle -consuetudini. Il potere giudiziale esercitavasi troppo -mescolatamente col politico, e la ragion di Stato soffocava -la schietta voce della giustizia. Nelle rivoluzioni -poi al podestà concedevasi balìa dittatoria, sicchè -castigava a tumulto i rei, cioè la parte avversa e la -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -soccombente. I Bolognesi nel 1192 tolsero a podestà -Gherardo Scannabecchi loro vescovo, ma nojatisi di lui, -vollero sostituirvi i consoli: il vescovo s’ostinava a -tener il potere, sinchè una levata di popolo lo gittò in -fuga. I Pisani chiesero podestà papa Bonifazio VIII, ed -egli accettò collo stipendio di quattromila fiorini: altrove -fu podestà un re. Il sindacato non era una cautela -politica contro gli abusi del potere, giacchè si facea -sol dopo scaduto di carica, ma una salvaguardia della -moralità e un risarcimento ai danni privati, derivato esso -pure da consuetudini romane<a class="tag" id="tag167" href="#note167">[167]</a>. N’usciva con lode? -il podestà riceveva dal Comune un pennone, una targa -o altro segno; a Giovanni Raffacani fiorentino gli Orvietani -nel partire posero in capo una corona d’oro, e gli -diedero una spada e uno scudo con gran trionfo<a class="tag" id="tag168" href="#note168">[168]</a>; -e non v’è città che non serbi una lapida o l’effigie d’alcuno: -onorificenze dappoi profuse per piacenteria o per -amistà<a class="tag" id="tag169" href="#note169">[169]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -</p> - -<p> -Procedendo a tentone come gente inesperta, al primo -sconcio che apparisse mutavano forma di governo, salvo -a tornare fra pochi mesi al primiero. Fu volta che, scontenta -del comune aristocratico, la plebe elesse un capitano -suo proprio, straniero anch’egli, che per un anno o -per sei mesi la tutelasse<a class="tag" id="tag170" href="#note170">[170]</a>; talaltra nominavasi un -capitano di guerra, che dimezzava il potere dei predetti, -avendo in mano la forza. In Bologna il comune -dei nobili era preseduto dal pretore; i non nobili formavano -il popolo, con un prefetto o capitano. Milano -nel 1186 eleggea primo podestà Uberto Visconti; l’anno -appresso tornò al consolato; nel 1191 usava ancora un -podestà, tre nel 1201, cinque nel seguente, tre ancora -nel 1204. Firenze erasi divisa in dodici arti; sette maggiori, -de’ giureconsulti e notaj, de’ mercanti di panno -in Calimala, de’ cambisti, lanajuoli, medici e speziali, -mercanti di seta, pellicciaj; e cinque minori, de’ bottegaj, -macellari, calzolaj, muratori e falegnami, mariscalchi -e magnani: ed anche il nobile che volesse impieghi -doveva essere in qualcuna matricolato. Nel 1294 -creatasi la signoria dei priori delle arti e della libertà, -alla prima elezione non presero parte che le tre prime, -alla seconda sei, a ciascuna delle quali toglievasi un -priore, rinnovandoli ogni terzo mese. Viveano in comune -a pubbliche spese, non uscendo di palazzo per -quanto la balìa durava; rappresentavano lo Stato, ed -esercitavano il potere esecutivo; ed uniti coi capi e coi -consigli o capitudini delle arti maggiori, con alcuni -aggiunti (<i>arroti</i>) nominavano a scrutinio i proprj successori<a class="tag" id="tag171" href="#note171">[171]</a>. -Mal rassegnandosi i nobili a questa oligarchia -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -plebea, fu introdotto nel 1292 il gonfaloniere -della giustizia, per reprimere i perturbatori della quiete: -e quand’egli esponesse la bandiera sul pubblico palazzo, -i capi delle venti compagnie doveano raggiungerlo, per -assalire con lui i sediziosi e punirli. Quest’esempio trovò -i seguaci. -</p> - -<p> -Un abate del popolo o molti incontriamo altrove: -un doge al modo di Venezia assumevano ne’ maggiori -frangenti Pisa e Genova; trasferendo in esso ogni pubblico -potere, salvi però i collegi delle arti e i pubblici -ordinamenti. In Bologna l’autorità sovrana era divisa -fra il podestà, i consoli e tre consigli, cioè il generale, -lo speciale e quel di credenza: nel primo entravano -tutti i cittadini sopra i diciott’anni, esclusi gl’infimi artieri; -il secondo era di seicento; nell’altro di minor -numero aveano luogo tutti i giureconsulti paesani. Dicembre -entrante, i due primi consigli venivano convocati -dai consoli o dal podestà, e messe innanzi al loro -tribunale due urne coi nomi dei componenti essi consigli; -e da ciascuna delle quattro tribù in cui era partita -la città, estratti a sorte dieci elettori, venivano rinchiusi -insieme, ed obbligati, entro ventiquattr’ore, a nominare, -colla maggioranza di ventisette voti, quei che dovessero -entrare ne’ consigli. Ai consoli o al podestà spettava -l’iniziativa degli affari, che poi erano decisi dai consigli, -dove per lo più quattro oratori soli avevano la parola, -gli altri limitavansi a votare. -</p> - -<p> -È questo uno dei mille modi coi quali fu dai Comuni -del medioevo affrontato quel che oggi pure è intricato -problema dei paesi costituzionali, le elezioni. Nulla è -men sincero che il voto emesso dall’intera nazione radunata, -dove esso va confuso collo schiamazzo plebeo o -la tresca astuta, dove non tutte le classi sono equamente -rappresentate, dove l’ignaro e l’intrigante valgono l’onesto -e illuminato, e la libertà ne va il più spesso alla -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -peggio. Si procurarono dunque varj ripari, per lo più -ricorrendo alla sorte o a complicatissime combinazioni, -di cui Venezia e Lucca particolarmente offrono bizzarri -esempj. -</p> - -<p> -In Venezia il doge ne’ primi sei secoli era scelto dal -popolo; dopo il 1173 da undici elettori; dopo il 1178 -il maggior consiglio cerniva quattro commissarj, ciascun -de’ quali nominava dieci elettori, cresciuti poi a -quarantuno nel 1249. Così durò fino al 1268, quando, -per cansare il broglio, s’introdusse la più strana complicazione. -I membri d’esso consiglio metteansi a squittinio -con palle di cera, trenta delle quali chiudevano una -cartolina iscritta <i>elector</i>: dei nove cui toccavano le -fortunate, due venivano esclusi, gli altri designavano -quaranta elettori, i quali col metodo stesso riduceansi -a dodici. Il primo di essi ne eleggeva tre, due gli altri, -e tutti venticinque doveano essere confermati da nove -voti; poi ridotti a nove, ciascuno doveva indicarne cinque, -e tutti i quarantacinque ottenere almeno sette voti. -I primi otto tra questi ne <i>cappavano</i> quattro ciascheduno, -e tre i tre ultimi; onde venivano quarantun elettori, -che messi ai voti, doveano riportare almen nove -delle undici palle. Se un elettore nel maggior consiglio -non conseguisse l’assoluta maggioranza, restava escluso, -e gli undici dovevano surrogarne un altro. Così cinque -ballottazioni e cinque scrutinj producevano i quarantun -elettori. Di botto erano chiusi in una sala, finchè non -avessero nominato il doge; trattati splendidamente, liberi -di chiedere qualunque capriccio, ma quel che uno -domandasse era dato a tutti: uno volle un rosario, e se -ne recarono quarantuno; un altro le favole d’Esopo, e -fu fatica il ritrovarne altrettanti esemplari. Gli elettori -nominavano tre presidenti priori; indi due segretarj -che restassero chiusi con essi. Allora per ordine d’età -venivano chiamati innanzi ai priori, e ciascuno di proprio -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -pugno scriveva sopra una scheda il nome del -proposto, che dovea aver compiuti i trent’anni ed appartenere -al maggior consiglio. Un segretario, tratto a -sorte uno di que’ viglietti, ne pubblicava il nome, e -ciascuno potea fare gli appunti che credesse. Passatili -tutti in rassegna, mandavasi ai voti, e sortiva doge quel -che ne conseguisse almeno venticinque. A questo modo -fu eletto per la prima volta Lorenzo Tiepolo<a class="tag" id="tag172" href="#note172">[172]</a>. -</p> - -<p> -A Lucca era condizione d’eleggibilità il censo<a class="tag" id="tag173" href="#note173">[173]</a>; -e supremo magistrato i nove anziani, tra cui il gonfaloniere; -poi un consiglio di trentasei, e il consiglio generale -di settantadue. La signoria sedeva due mesi, e -chi era seduto avea divieto due anni; essa scompartivasi -coi trentasei gli onori e gli utili dello Stato. «Imborsano -(dice il Machiavelli), ogni due anni, tutti quelli -signori e gonfalonieri, che nelli due anni futuri debbono -sedere; e per fare questo, ragunati che sono i signori -con il consiglio de’ trentasei in una stanza a questo -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -ordinata, mettono in un’altra stanza propinqua a quella -i segretarj dei partiti con un frate, ed un altro frate -sta sull’uscio che entra ai segretarj, quello a chi ei -rende il partito, e a chi ei vuole che altri lo rendano; -dipoi ne va innanzi ai segretarj, e mette una ballotta -nel bossolo. Tornato che è il gonfaloniere a sedere, va -uno dei signori di più tempo, poi vanno tutti gli altri -di mano in mano; dopo i signori va tutto il consiglio, -e ciascuno quando giunge al frate domanda chi è stato -nominato ed a chi egli debba rendere il partito, e non -prima; talchè non ha tempo a deliberarsi, se non quel -tempo che pena a ire dal frate ai segretarj. Renduto -che ciascuno ha il partito, e’ si vôta il bossolo, e s’egli -ha tre quarti del favore, egli è scritto per uno dei signori; -se non l’ha, è lasciato ire fra i perduti. Ito che -è costui, il più vecchio dei signori va e nomina un altro -nell’orecchio al frate; dipoi ciascuno va a rendergli il -partito, e così di mano in mano ciascuno nomina uno, -e il più delle volte torna loro fatta la signoria in tre -tornate di consiglio. E ad avere il pieno loro conviene -che gli abbiano centotto signori vinti, e dodici gonfalonieri: -il che come hanno, squittinano infra di loro gli -assortitori, i quali assortiscano che questi siano i tali -mesi, e quelli i tali, e così assortiti, ogni due mesi si -pubblicano». -</p> - -<p> -Tanto basti a chiarire quanto lontani dall’uniformità -fossero quei reggimenti. Nell’interno durava la diversità -delle persone: e primi erano i militi, derivanti dagli -antichi feudatarj e da arimanni e baroni; seguivano -gli ecclesiastici; poi i leggisti, col nome di <i>judices, -advocati, procuratores</i>; indi i <i>paratici</i>, cioè le corporazioni -d’artieri; ultimi i popolani<a class="tag" id="tag174" href="#note174">[174]</a>. Allato della -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -libertà comunale sussistevano privilegi feudali, ecclesiastici, -regj, consorzj di famiglie e d’arti; servitù di -possessi e di persone; libertà romana, clericale, barbarica. -In alcuni paesi, massime nel Piemonte, molti -Comuni rimanevano sotto la supremazia immediata -dell’imperatore o de’ suoi vicarj, laonde non godeano -l’intera sovranità, cioè il diritto di pace, guerra, moneta, -e la suprema giurisdizione, ma del resto si governavano -senza differenza dagli altri, giacchè le franchigie -comunali si credeano parte del diritto pubblico interno, -e l’amministrare distinguevasi dal regnare. La città -d’Ivrea, dandosi nel 1313 ad Amedeo V conte di Savoja, -stipulava che il podestà, i giudici e gli altri uffiziali -di giustizia conserverebbero il mero e misto -imperio, e si farebbero gli statuti come per l’addietro. -</p> - -<p> -Rimanevano traccie del diritto personale alla germanica<a class="tag" id="tag175" href="#note175">[175]</a>; -ma prevaleva il diritto romano, nelle diverse -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -città modificato da una moltitudine di ordinanze municipali. -Gl’imperatori seguitarono a far leggi nella dieta -nazionale, ma concernevano soltanto feudi, vassalli, -monasteri: mentre era nella natura de’ popoli germanici -che o la consuetudine o il consenso de’ migliori e -maggiori della terra producessero un gius privato. -</p> - -<p> -Profittando della facoltà ottenuta nella pace di Costanza, -tutte le repubbliche tradussero le consuetudini -in leggi compilando statuti proprj; e fin borgate, fin -monasteri vollero averne di particolari<a class="tag" id="tag176" href="#note176">[176]</a>. Erano decreti -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -relativi all’uffizio de’ magistrati o all’amministrazione -del pubblico; poi alla polizia, a pesi e misure, -alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma -occorreva ai bisogni ed ai costumi. Obbligavano soltanto -gli accomunati, non i feudatarj, non i corpi o le persone -immediatamente dipendenti dal re. Aggiravansi ora -sopra l’applicazione della legge romana o longobarda, -ora sopra la consuetudine; e v’avea talvolta regolamenti -distinti per le due giurisprudenze, come a Pisa -un <i>constitutum legis</i> e un <i>constitutum usus</i>. -</p> - -<p> -Francesco da Legnano diceva a Matteo Visconti: — Voi -giurerete reggere il popolo nel nome del Signore -da oggi innanzi fino a cinque anni con buona -fede, senza frode; e di custodire e salvare esso popolo -e gli statuti; e <i>dove questi taciano, starete alle leggi -romane</i>». È questo il cenno più antico del diritto comune, -chiamato in supplimento alla legge municipale<a class="tag" id="tag177" href="#note177">[177]</a>. -Il diritto comune conteneva i principii generali -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -di giustizia, applicabili nell’interesse sì del pubblico -sì de’ privati; il municipale era legge di eccezione, -riguardante le qualità e i diritti particolari di ciascun -Comune. Il primo era spiegato per scienza, e solo l’imperatore -avrebbe potuto aggiungervi qualche costituzione: -negli statuti venivano fatte aggiunte o deroghe -secondo l’opportunità dai magistrati municipali. Il primo -conteneva la ragione scritta, e progredita mediante gli -studj legali e filosofici: negli statuti si trova la storia -contemporanea di cadaun Comune, e l’espressione dei -costumi e delle credenze. -</p> - -<p> -Sopravviveano le consuetudini germaniche del mundio, -del comporsi a denaro, delle prove di Dio, del -duello giudiziario, non però colla spada ma con bastone -e scudo in presenza del popolo e d’un console. Pene -sproporzionatamente feroci si applicavano, come era -nello statuto milanese lo strappar un occhio al ladro -la prima volta, la seconda troncargli le mani, alla terza -la forca<a class="tag" id="tag178" href="#note178">[178]</a>. Dalle libertà germaniche proveniva la -legge in molti ripetuta di non arrestare alcun cittadino -se non per ordine de’ consoli; l’<i>habeas corpus</i>, di cui -si compiaciono così giustamente gl’Inglesi<a class="tag" id="tag179" href="#note179">[179]</a>. Qualche -vestigio vi rimane ancora delle antiche associazioni, -dove tutti erano interessati alla sicurezza de’ singoli, -perchè del danno sofferto doveano compenso: così in -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -una convenzione del 1219 fra Bergamo e Brescia è statuito -che se qualche Bresciano, fra giorno, sia da’ masnadieri -derubato sulla strada reale che mette a Milano, -il comune di Bergamo deva fra venti giorni risarcirlo; -altrettanto pei Bergamaschi<a class="tag" id="tag180" href="#note180">[180]</a>. Quel di Mantova rifaceva -i danni per manomessione di argini e campi, e -così per incendj; del forestiero rendeva garante l’ospite -o l’albergatore, che doveva subito notificarlo<a class="tag" id="tag181" href="#note181">[181]</a>. -</p> - -<p> -In generale tu vi scorgi una diffidenza continua verso -i vicini e tra gli stessi accomunati; poi sottentra la cura -di mantenere distinte le classi; e i beni e l’autorità -ristretti in poche famiglie; una fiscalità argutissima; -le donne escluse dalle successioni, ricevendo a saldo -la dote. Da alcuno vedemmo abolite le servitù personali; -quel di Modena del 1221 cancellò perfino ogni -possesso o dipendenza feudale<a class="tag" id="tag182" href="#note182">[182]</a>; e le tante gelosissime -diligenze attorno ai contratti, ai fitti, alle enfiteusi, -alle usure, danno a vedere la crescente importanza -della ricchezza mobile e della agricola, e come questa -si sminuzzasse affinchè un maggior numero ne ritraesse -vantaggi individuali. Ma di quel volere ingerirsi d’ogni -atto gli appunteremo noi, se fin oggi i governi non -hanno imparato che la loro attribuzione razionale si riduce -alla legittima difesa dei diritti degli individui? -</p> - -<p> -Ne conseguiva che non potesse uniformemente amministrarsi -la giustizia: e la parte peggiore d’esse Repubbliche -era appunto questa, che è quella di cui più -immediatamente i cittadini risentono. V’avea giudici -del re, ve n’avea del municipio, del podestà, del feudatario, -oltre gli ecclesiastici. I rettori della Lega Lombarda, -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -quando si univano or qua or là per gl’interessi -comuni, ricevevano anche l’appello da sentenze di consoli, -al modo che soleano un tempo i re d’Italia<a class="tag" id="tag183" href="#note183">[183]</a>; -i quali pure non cessarono d’esercitare questa supremazia -qualvolta qui tenessero dieta. -</p> - -<p> -La giurisdizione dei vescovi si restrinse ai loro feudi; -e ampliandosi il reggimento repubblicano, i consoli -talvolta pretesero sentenziare anche sopra persone ecclesiastiche, -per quanto i concilj vi si opponessero<a class="tag" id="tag184" href="#note184">[184]</a>. -I feudatarj laici o cherici amministravano la giustizia -personalmente, o per via di gastaldi e nunzj, i quali -solevano affidarla a giudici scelti fra gli abitanti del -luogo; e da loro davasi appello al giudice feudale, il -quale però nulla poteva direttamente sopra i cittadini -che abitassero nel fondo. Le cause feudali erano riservate -a un doppio tribunale de’ pari maggiori e minori, -ed alla regia curia. -</p> - -<p> -In Firenze il podestà e il capitano di giustizia, sempre -forestieri, abitavano quello nel palazzo del Comune, -questo nel palazzo del popolo, entrando nell’annuo uffizio -l’uno a maggio, l’altro a gennajo, e ambidue conoscendo -delle cause civili e delle criminali. Il podestà -conduceva sette giudici, tre cavalieri, diciotto notaj, -nove berrovieri, tutti non toscani; e quello colla sua -famiglia riceveva seimila lire, l’altro seimila cinquecento. -Il podestà deputava uno de’ suoi giudici ogni due -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -sestieri della città per inquisire ne’ casi criminali: nessuno -poteva dar querela se non al giudice del proprio -sestiere: il reo seguiva il fôro dell’attore, i forestieri -sceglievano qual volessero. Nelle cause di poco momento -si procedeva sull’istanza dell’ingiuriato o di un -suo parente; nelle gravi, di chicchefosse, purchè sottoscritta; -d’uffizio, nel caso che l’ingiuriato ricusasse di -farlo. L’accusatore giurava proseguire la causa, dandone -malleveria per cento soldi: il reo citavasi a spese -dell’attore. Le esamine si scriveano, convincevasi per -testimonj, e al reo si assegnavano dieci giorni a difendersi. -Entro venticinque giorni il giudice doveva esaminar -la causa, e conferirla con altri giudici e col podestà; -poi fra cinque altri proferire la sentenza. Le cause civili -in prima istanza conoscevansi dai giudici de’ sestieri, -cittadini dottori, mutabili ogni sei mesi e pagati. L’appello -recavasi al giudice annuo, forestiero e dottore; se -confermasse, la causa passava in giudicato; se no, recavasi -al podestà, con quattro giudici collaterali pronunciava -definitivamente. Del capitano del popolo erano -competenza le violenze, estorsioni, falsità a lui denunziate, -le cause riguardanti estimo e gabelle, e i delitti -di cui il podestà non proferisse fra trenta giorni. I -cavalieri andavano in volta coi berrovieri, cercando i -violatori degli statuti; in molti casi non poteasi catturare -alcuno se non in loro presenza; o in difetto supplivano -i notaj, cui uffizio era coadjuvare i giudici. S’aggiunga -la corte del vescovo, l’inquisitore dell’eresia, il giudice -sopra le gabelle, quello dell’appellazione, e forse altri, -chè ciascuno teneva ragione e corda da tormentare. -Ciò che è più strano, cittadini nelle proprie abitazioni -esercitavano il diritto punitivo, e i Bostichi «collavano -gli uomini in casa loro, in mercato nel mezzo della città, -e di mezzodì li mettevano al tormento»<a class="tag" id="tag185" href="#note185">[185]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<p> -Tante giurisdizioni nel territorio d’una sola repubblica! -Collegi di giureconsulti trovansi fin nell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo<a class="tag" id="tag186" href="#note186">[186]</a>; -crebbero nel <span class="smcap lowercase">XIII</span> in tutte le città, dove pure -se ne formarono di notaj, che pigliaronsi il diritto di -nominare i proprj colleghi. I giudici milanesi giuravano -valersi del voto d’un giurisprudente, sentenziare in -buona fede secondo le leggi, non concedere al reo oltre -otto giorni per rispondere, proferire fra quattro mesi -dopo la contestazione, e mettere in iscritto la sentenza -nelle cause che eccedessero i soldi quaranta di terzuoli<a class="tag" id="tag187" href="#note187">[187]</a>. -La semplicità e la speditezza mal redimevano -dal pericolo dell’ignoranza, della passione, dell’arbitrio; -e troppo mal si pensava a concordare la libertà -di tutti colla sicurezza de’ singoli. Al senatore di Siena -un Cenni accusa per ladro Durdo di Naccino: quegli -trovando tutto il contrario, fa vestire Durdo di bianco, -e andare innanzi coll’ulivo in mano, e dietro a lui il -Cenni vestito di nero; e giunti al luogo del supplizio, -questo è appiccato, l’altro dimesso. Un Fiorentino -avendo rotto il bando, fu condannato alle forche. Il -podestà Nicola Rosso, prima di mandarvelo, gli domandò -se avesse moglie. — L’ho, e bella; e se la tiene -il tal cittadino». Era il cittadino appunto che avea brigato -per farlo eseguire, poi denunziatolo per la rottura -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -del bando; e il podestà fe togliere il capestro al condannato -e stringerlo a costui, per quanto reclamassero -i parenti<a class="tag" id="tag188" href="#note188">[188]</a>. Sarà stata giustizia, ma chi, se non un -Turco, soffrirebbe modi così assoluti? -</p> - -<p> -Uno dei Ricci di Firenze, sullo scorcio del secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>, -scrisse di alcuni insigni personaggi della sua famiglia, -tra’ quali molto lodato messer Rosso di Ricciardo, che -fu capitano de’ Fiorentini nel 1370 contro Bernabò -Visconti. Essendo podestà a Perugia, ebbe deposizione -da un ladro che, ascososi in una cava per rubare, vide -un cittadino condurvi un suo nipote, e quivi ucciderlo e -sepellirlo. Il Ricci mandò a cercare nella cava, e trovate -le ossa, fece recarsele in un sacco. Ma poichè l’uccisore -era di grand’animo e séguito in città, lo chiamò a sè con -amichevoli apparenze, poi mostrategli le ossa, lo indusse -a confessare il delitto. Subito in città si leva gran rumore, -gente armata viene in piazza; e il podestà li tiene -a buone parole, ma intanto fa impiccare il cittadino. -Quella fermezza sgomenta i faziosi, che tornano a disarmarsi; -e quando scadde egli fu commendato e onorato. -Al ladro denunziatore avea promesso salva la vita, ma -gli fece troncar le mani. -</p> - -<p> -In Norcia redimevasi ancora l’omicidio a denaro: e -mentre vi sedeva podestà esso Ricci, due cittadini uccisero -un altro. Presi per ordine di lui, quelli confessarono -il delitto, ma d’aver pagato ducento lire per -ammenda. Ciò non ostante esso li condannò a morte: -e andando i signori del paese a lamentarsene, rispose -che così gli era paruto il giusto; ma se ad essi sembrassero -morti immeritamente, ecco, pagava loro l’ammenda. -Così li chiariva come fosse iniqua tal legge, e -«la fe correggere che, chi uccidesse alcuno, lo dovesse -pacificare colla propria vita e non altrimenti»<a class="tag" id="tag189" href="#note189">[189]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -</p> - -<p> -Rechiamo un esempio di giudizj regolari. Andrea -vescovo di Luni e i marchesi Malaspina e Guglielmo -Francesco essendo in guerra, la città di Lucca, che -gli aveva presi in amicizia, spedì persuadendoli a -pace. Le due parti subito vennero a Lucca, e in Sant’Alessandro -si congregarono da <i>sessanta consoli</i> e molte -altre savie persone, e chiesero che le parti li costituissero -arbitri della contesa; e quelle promisero stare al -lodo, sotto pena di cento libbre d’oro fino. Qui Guglielmo -d’Apulia, avvocato dei Malaspina, narrò come, -essendo questi andati coi loro militi al Pozzo nel -Monte Caprone per edificarvi un castello, l’esercito -del vescovo si fè loro incontro per cacciarneli, con -grave guasto d’uomini e di cavalli: i marchesi, valorosamente -resistendo, ascesero il poggio, e cominciarono -la fabbrica. Chiedeva dunque al consolato che il vescovo -dovesse rifare i danni che recò coll’esercito, senz’avere -tampoco premoniti i marchesi, come a vescovo -conviene. -</p> - -<p> -Il vescovo rispose che al marchese Guglielmo, il -quale gli aveva giurato libertà, esso avea fatto sentire -che il fabbricar quel castello gli sarebbe rincresciuto -quanto il cavargli il fegato, perchè ne rimarrebbe diminuito -e quasi annichilato il vescovado: al Malaspina non -fe motto perchè gli era nemico. Maginardo di Pontremoli -arringò pel vescovo; non dover questi verun compenso, -attesochè quel castello fabbricavano a ruina del -vescovado, e sopra terra in gran parte a questo appartenente. -Interrogato intorno a tale possesso dall’avvocato -avversario, Maginardo rispose che il vescovo Filippo -comprò la parte che spettava al marchese Folco, parte -ebbe in legato da Malnevote, parte in dono dal marchese -Pelavicino<a class="tag" id="tag190" href="#note190">[190]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -</p> - -<p> -Oppose Guglielmo che del lascito di Malnevote non -era a tener conto, perchè lo fece da disennato e in odio -del fratello: il Pelavicino poi e il Folco non poteano -disporre di esso monte, perchè il monte e i coloni suoi -erano stati divisi in modo, che una metà toccò in comune -al proavo del Pelavicino e a quello del marchese -Guglielmo; l’altra metà al proavo di Malaspina e all’avo -di Atone marchese, nella qual parte cadeva il poggio -disputato; che, fatta la divisione, rimase al proavo di -Malaspina. -</p> - -<p> -Bisognando recar le prove di lutto ciò, fu chiesta -una proroga, spirata la quale, produssero gli istromenti -e i testimonj, nessun de’ quali era decisivo. E -poichè i consoli erano arbitri non solo secondo le leggi -e il diritto, ma anche come meglio volessero, proferirono -che metà d’esso poggio spettava alla chiesa di -Santa Maria, vietando ai marchesi di fabbricarvi il castello -od altro; dovendo i vescovi esser più benigni ai -laici, che non questi a quelli, il vescovo compensi dei -danni fatti ai marchesi con mille soldi lucchesi; i marchesi -prometteranno nè essi nè i loro eredi più nulla -pretendere di quella metà del poggio; se no, paghino -cento libbre d’oro; e così pure il vescovo; gli uomini -dei marchesi abbandonino quella metà, e sia distrutto -ogni cominciamento del castello; in presenza loro si -diano la parola e il bacio di pace. -</p> - -<p> -Gregorio legisperito fu rogato di quest’atto al 15 -avanti le calende di novembre 1124, e vi si sottoscrissero -le parti e i consoli: la sentenza fu confermata e -sottoscritta da Leone, giudice costituito dall’imperatore -Enrico, ed eletto arbitro in questa causa<a class="tag" id="tag191" href="#note191">[191]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -</p> - -<p> -Qui parlammo dei Comuni sovrani; ma questi s’erano -sovraposti a ville e borgate, cui lasciavano la giurisdizione -solo in limiti ristretti; ed anche città, nelle -quali esercitavano superiorità, e ne impedivano il libero -governo, senza però riformare il Comune per -assimilarlo a sè. Como mandava il podestà a Lugano, -Mendrisio, Bellagio, Menaggio, Teglio, alle Tre Pievi -del Lago, ai terzieri della Valtellina, a Chiavenna, Poschiavo, -Sondrio, Ponte, Porlezza, Bormio, i cui abitanti -doveano tre volte l’anno condursi a Tresivio per -ricevere giustizia dal podestà di Como, e recarvi le -appellazioni. Pisa inviava il capitano a Piombino, che -amministrasse la giustizia anche a Populonia, Porto -Baratti e all’isola d’Elba. -</p> - -<p> -I Fiorentini nel 1181 sottoposero il Comune d’Empoli, -appartenuto dapprima ai conti Alberti, e l’obbligarono -a giurare sui vangeli di custodire e ajutare ogni -persona di Firenze e de’ suoi borghi: se alcuno del -loro Comune danneggi qualche Fiorentino, l’obbligheranno -a rifare i danni tra quindici giorni: chiesti dal -magistrato di Firenze, andranno a oste e a cavalcata -e guerre e paci, e faranno come quello vorrà, purchè -non sia contro il conte Guido. Al san Giovanni d’ogni -anno davano ai consoli di Firenze cinquanta libbre di -buoni denari, e alla chiesa maggiore un cero<a class="tag" id="tag192" href="#note192">[192]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -</p> - -<p> -I Perugini si erano sottomessi non solo i Catani, ma -le città vicine, che tutte doveano mandare il pallio nella -solennità di sant’Ercolano; Spoleto doveva aggiungervi -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -un cavallo covertato di scarlatto; così Sarteano, oltre -cento fiorini d’oro in una coppa d’argento; le città di -Castello e di Gubbio lasciavano che Perugia prendesse -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -parte all’elezione dei consoli; Montepulciano ne riceveva -il podestà, che per sei mesi doveva esser de’ nobili, -per sei de’ popolani, con piena giurisdizione criminale -e civile, e la custodia delle chiavi delle porte e -de’ fortilizj; e nel giorno di sant’Ercolano spedire il -pallio che valesse almeno venticinque fiorini d’oro, da -presentarsi a piè della scalea di San Lorenzo. Assisi -scosse l’ubbidienza; ma costretta calare a patti, i Perugini -v’entrarono il 1322, uccisero più di cento ribelli, -e ridussero quel paese a contado, diroccandone le -mura. -</p> - -<p> -Padova si arrogò di eleggere il podestà di Vicenza. -A quest’uopo raccolto il maggior consiglio, estraevansi -da un’urna quaranta polizze, e quelli cui la polizza toccasse -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -divenivano elettori. Questi quaranta si chiudeano -nella chiesa del palazzo, accendendo una dopo l’altra -due candelette da due denari; e prima che fossero consumate, -essi doveano eleggere, fuor di loro, tre cittadini: -fra i quali poi la sorte designava il podestà. Se -non fosse cavaliere, veniva fatto; avea tremila lire di -stipendio, dovea dar mille marche d’argento per malleveria -al Comune, e la sua corte era tutta di Padovani. -</p> - -<p> -Casale sul Po, fabbricato, dicono, da re Liutprando -appo una chiesa di Sant’Evasio, fu città libera, ma debole, -sicchè presto venne a soggezione de’ Vercellesi. -I quali nel 1170 impongono agli uomini di esso che -di buona fede salvino e custodiscano le persone e cose -dei Vercellesi; di là alla festa di san Michele abbiano -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -alzate e finite cento braccia delle mura di Vercelli, -dove i consoli consegneranno loro i rottami d’altra -cerchia: se i Vercellesi assumano guerra, essi pure -l’abbiano di buona fede: ogni decennio i Casalaschi dai -quindici anni fino ai sessanta prestino il giuramento ai -consoli di Vercelli: se questi domandino il passaggio -del Po per tragittare l’esercito o una cavalcata, non -devono negarlo<a class="tag" id="tag193" href="#note193">[193]</a>. Lo stesso Comune agli abitanti -di Trino concedeva di cacciare, pescare, pascolare -nel loro distretto; non daranno alloggi; per cinque -anni li provvederà di fieno, paglia e legno, purchè osservino -i bandi di Vercelli; in tempo di guerra non -riscoterà fitto delle terre; non saran tenuti a venire al -podestà o ai consoli vercellesi per contratti fatti da -qui indietro, salvo che per omicidj o per appellazioni; -possano far legna nel bosco pagando un fitto<a class="tag" id="tag194" href="#note194">[194]</a>. -</p> - -<p> -Il Ghirardacci reca la formola con cui quelli di Monteveglio -si sottomisero al Comune di Bologna: — Noi -uomini di Monteveglio diamo il castello nostro al popolo -di Bologna, con tutti i cavalieri e i fanti, per far -guerra contro tutti i nemici suoi che sono o saranno, -come più piacerà al pretore o a’ consoli; e con giuramento -affermiamo di salvare i Bolognesi e le fortune -loro, promettendo mandarvi l’esercito a nostre spese -qualunque volta ne saremo richiesti, insino al fiume -Secchia e dalle alpi alle paludi; e promettiamo pagare -il tributo per quei che abitano dalla parte del fiume -Samoggia. E tutto questo osserveremo contro chicchessia, -eccettuato l’imperatore o duca o altro che tenga -o terrà il patrimonio della contessa Matilde a nome -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -dell’imperatore. Domandiamo però che i consoli bolognesi -insieme col consiglio giurino conservare Monteveglio -e i suoi abitatori e le facoltà loro, e che non -ci abbiano a togliere il castello; e se in alcun tempo -i Bolognesi facessero guerra all’imperatore, ci difendano -colle nostre fortune, e ottenendo la pace, la impetrino -anche per noi». -</p> - -<p> -Altre volte i Comuni fondavano ville e borghi con -diritti e riserve speciali. -</p> - -<p> -I consoli e gli uomini di Vercelli nel 1197 stabiliscono -che il luogo di Villanova rimanga libero e assoluto -in perpetuo, ad onore e comodità del Comune -vercellese, talchè nessuno presuma dagli abitanti estorcere -fodro o bando o curadia o correggio o capponi -o focaccie o spalle; nè pretenda sulla pesca, su alloggi, -su giurisdizione qualunque. Essi abitanti coi loro eredi -sieno liberi e immuni; salvo che, quei che n’hanno -diritto, possano costruire molini, e dare terre da coltivare -sia a terzo, o a fitto, o con qualsiasi altro patto. -Essi abitanti restino liberi possessori dei sedimi a loro -assegnati, potendo venderli, donarli, mutarli, distrarli. -Nessuna forza vi si possa introdurre, se non dal Comune -vercellese. Nessun de’ signori deva abitare in -esso borgo, nè avervi diritto o giurisdizione. -</p> - -<p> -Nel 1217 Vercelli stessa fondava Borgofranco, con -fossati, quattro porte, quattro battifredi, chiesa di legno -e graticci, coperta di tegoli, agli abitanti assegnando -un sedime di casa ciascuno, sul quale si conduceano -tre carri di legname d’opera a spese del Comune, e -mattoni e tegoli quanti occorrono. Abbiano la strada -da Casale e da Pontestura, mercato, pascolo verso Vercelli. -Gli abitanti non devano render ragione ad uomini -che non siano della giurisdizione vercellese, de’ contratti -o danni fatti anteriormente, se non sul luogo stesso -e sotto i loro proprj consoli. Avranno venti mansi del -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -bosco di Lucedio a venti soldi il manso di fitto. Siano -loro concesse per quattro anni tutte le spese del Comune: -dopo cinque anni pagheranno il fodro, come i -cittadini vercellesi: e come questi pagheranno la legna -del bosco di Lucedio. Se alcuno muore senza erede, -possa la sua parte vendersi ad altri fuor della giurisdizione -di Vercelli. -</p> - -<p> -Ivrea nel 1250 fondava Castelfranco, invitando ed -anche costringendo andarvi ad abitare gli uomini di -Bolengo, Pessano, Anipesso, e farvi guaite, scaraguaite, -e ogni arredo di castello: a ciascuno si daranno abitazioni -in proporzione di quelle che lasciano. Saranno -considerati come abitanti d’una porta di Ivrea: liberi -e franchi, giacchè inestimabil dono è la libertà, nè ben -si venderebbe per tutto l’oro del mondo. Siano dunque -immuni dal fodro, dal banno, dalla giurisdizione, -dall’esercito, dalla cavalcata, dalla successione; abbiano -il mero e misto imperio; si farà uno statuto, che le -podestà di Ivrea giureranno d’osservare<a class="tag" id="tag195" href="#note195">[195]</a>. -</p> - -<p> -1 Comuni erano una specie d’associazione contro gli -abusi e le prepotenze: sicchè quando la forza pubblica -non sapesse o volesse provvedervi, formavano associazioni -particolari, solito rifugio delle libertà, perchè -coll’attenzione e anche colla forza garantissero i diritti, -e che venivano a formare uno Stato nello Stato. E -come già v’aveva alberghi di nobili, cioè aggregazioni -di famiglie derivanti da ceppo comune, o unite per -accordo, così il popolo pensò fare altrettanto col restringersi -in leghe o in maestranze, onde col numero -equilibrare la potenza o l’accortezza maggiore. -</p> - -<p> -Nel 1198 il popolo di Milano, scontento dei nobili, -istituì la credenza di Sant’Ambrogio, detta anche de’ Paratici, -cioè degli artigiani, affidando la propria tutela -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -ad un tribuno, e assumendo per divisa una balzana -bianca e nera; i mercanti e le arti liberali stabilirono -la Motta, che inclinava al governo d’un solo; i nobili -rinserraronsi in quella de’ Gagliardi; i catanei e valvassori, -che teneano fondo dai nobili, ne formarono -una quarta sotto l’arcivescovo, pretendendo recuperare -a questo il dominio temporale della città: ciascuna -avea consoli proprj, pubblicavano editti e decreti, ed -esercitavano atti di giurisdizione sovrana. -</p> - -<p> -Siffatte erano in Bologna la lega della Giustizia; in -Vercelli le società di Sant’Eusebio e Santo Stefano; in -Asti quelle di Castello e dei Solari. A Firenze verso il -1260 i pivieri di campagna eransi raccolti in quarantatre -leghe, ciascuna delle quali ricevea dalla Signoria -ogni semestre un capitano <i>cittadino e popolano della -città di Firenze e veramente guelfo;</i> prometteano non -ricettare i banditi l’una dell’altra; nessuno potea ricusare -gli uffizj affidatigli dalla lega<a class="tag" id="tag196" href="#note196">[196]</a>. Siena era divisa -per <i>terzi</i>, e ciascuno di questi in circa venti <i>contrade</i>, -ognuna delle quali eleggeva un capitano e un alfiere, -preseduti dal gonfaloniere del terzo. A Genova fin dal -1130 fra sette poi otto <i>compagne</i> vedemmo divisi tutti -i cittadini: e ognuno ajutava i proprj membri contro -ingiustizia e violenza qualsifosse, fin alla morte degli -avversarj; e da ciascuna si traeva un’egual contribuzione -di cavalli, fanti e denaro<a class="tag" id="tag197" href="#note197">[197]</a>. -</p> - -<p> -Talvolta tre o quattro persone con atto pubblico si -costituivano in fratellanza, stipulando comunione di -beni e reciprocamente difenderli e succedersi. Talaltra -alquante famiglie formavano una consorteria, pigliando -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -un nome comune, fabbricando una torre per difesa e -ricovero di tutti, come i Pugliesi e i Maladerra di Sanminiato, -che presero il nomignolo di Paraleoni<a class="tag" id="tag198" href="#note198">[198]</a>. -Forse teneva dell’indole stessa quella delle tredici famiglie -di Borgo Sansepolcro, che insieme aveano fabbricato -la torre di piazza. In Lucca già nel 1203 esisteva -la società di Concordia de’ pedoni (probabilmente -detti in opposizione ai cavalieri o nobili) con priori e -capitani e giuramento d’ajutarsi a vicenda con armi e -senza, rifarsi reciprocamente dei danni; e guaj a chi -offendesse alcun di loro: nessuno poteva essere accusato -ad altro giudice prima d’informarne i priori<a class="tag" id="tag199" href="#note199">[199]</a>. -</p> - -<p> -Non di rado i Comuni affidavano il governo, o parte -di esso, o un affare, od un’amministrazione, o l’eseguimento -d’una condanna a qualcuna di siffatte compagnie; -e dove l’una esorbitasse, se ne innalzava una -contraria. -</p> - -<p> -In Chieri erano le società de’ Militi e di San Giorgio; -e della seconda abbiamo gli statuti, preziosi a qui ricordarsi<a class="tag" id="tag200" href="#note200">[200]</a>. -Vi si entrava per successione o per nomina: -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -chi ne uscisse per passare in altra, era passibile -di cinquanta lire e dell’infamia. La società pagava le -imposte di ciascuno; e solo ai membri di essa poteano -vendersi le case e le terre. Come il Comune, quella -città era ordinata sotto quattro rettori cittadini o un -solo forestiero, che duravano quattro mesi, con notaj -e massari per le spese ed entrate. Eravi un minor consiglio -ed uno maggiore, il quale eleggeva i rettori. Non -poteansi proporre per gli uffizj del Comune se non -membri della società; non arringare contro il partito -preso da questa; e poteva obbligarsi ogni membro a -dir nel consiglio pubblico il suo parere; che se per -ciò incadesse in una multa, era pagata dalla compagnia. -Ai rettori di questa incombeva di difendere i -membri, e mantenerli illesi, dovess’anche urtare contro -le deliberazioni del Comune. Alcun di essi era insidiato? -lo facevano custodire: ferito o percosso? domandavano -riparazione e compenso: non l’ottenevano? toccavasi -a stormo, e tutti tutti gli accomunati erano tenuti prender -le armi, e correre a mettere a ferro e fuoco i beni dell’offensore; -e così gli anni successivi, in sino a che non -si fossero accordati. A chi rifiutasse obbedire alla chiamata, -o non soccorresse al compagno avvolto in contese, -multa di cinquanta lire. Niuno praticasse con chi -aveva offeso uno della compagnia. -</p> - -<p> -Non è questa una repubblica costituita nella repubblica? -e gl’interessi de’ consorti poteano essere in collisione -con quelli del Comune, e la loro unione facea -che fossero pronti a sorreggere una parte o l’altra nelle -insurrezioni, che così invelenivano di ciò ch’era preparato -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -per loro rimedio. A Siena nel 1371 i lavoranti -di lana garriscono coi loro maestri, pretendendo essere -tassati secondo le leggi del Comune, non secondo quelle -dell’arte; e levano rumore, minacciando sangue: ma -la forza pubblica prevale, e presine tre, li mette alla -corda; i compagni per liberarli s’avventano alle armi, -la città prende partito per essi; la querela diventa politica, -gli ordini pubblici ne restano mutati, e gli artigiani -dominarono in Siena, fin quando nel 1384 i -nobili, unitisi al popolo minuto, li spodestarono, e fin a -quattromila ne espulsero: onde la città perdette le arti, -e se ne bonificarono l’Anconitano, il Patrimonio, il -Regno e Pisa<a class="tag" id="tag201" href="#note201">[201]</a>. -</p> - -<p> -Le taglie che già si solevano pagare ai re o ai conti, -furono forse conservate, pagandole al Comune: ma di -esse e del sistema di esazione non si raccoglie soddisfacente -concetto; e il variare di qualità e quantità secondo -i tempi, a fatica si seguirebbe in una storia -municipale, non che in questa generale. La rendita -maggiore proveniva da gabelle e dazj che, secondo la -scarsa economia d’allora, molto gravavano sulle merci -introdotte ed esportate. Da principio quelle che entrassero -nelle città o sul distretto pagavano per teloneo -un tanto al carro o alla bestia: dipoi più equamente -si prefinirono tariffe sul valore. La prima milanese è -del 1216, e impone quattro denari per lira del prezzo -delle mercanzie, cioè un mezzo per cento: poi nel -1396 fu alzata al dodici per lira, cioè cinque per cento, -senza distinzione<a class="tag" id="tag202" href="#note202">[202]</a>. Fruttavano pure all’erario le -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -multe de’ condannati e le confische. Poi il genio fiscale -altre imposizioni introdusse, come quella del sale<a class="tag" id="tag203" href="#note203">[203]</a>, -dei forni, del bollo alle misure, del vino al minuto, -delle acque di pubblica ragione. -</p> - -<p> -In maggiori strettezze ricorrevasi a prestiti, dando in -pegno qualche preziosità, come i Milanesi diedero più -volte il tesoro di Monza. Quel Comune, per combattere -Federico II, supplì alla carezza del denaro -con carta monetata, prefiggendo potessero con essa -scontarsi le pene pecuniarie; il creditore privato non -fosse tenuto riceverla in pagamento, ma il debitore non -restasse esposto al sequestro se in cedole avesse tanto -da spegnere il suo dovere. Per togliere di giro questa -carta monetata si pensò formare il catasto de’ beni, -neppure eccettuati gli ecclesiastici, misurati da geometri, -e prezzati dall’uffizio degli inventarj. Con tale -provvedimento il debito fluttuante restò rimborsato -nel 1248; ma per fare il Naviglio grande, poi per uno -o per altro titolo la tassa venne prolungata<a class="tag" id="tag204" href="#note204">[204]</a>. -</p> - -<p> -I Milanesi lagnavansi che i nobili, abitando in campagna, -si sottraessero ai carichi dello Stato; nella concordia -del 1225 questi soli, e non la plebe, si volle -soggetti alle taglie. A Firenze, il 1362, non trovandosi -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -chi prestasse al cinque per cento, ser Piero di Grifo, -uomo molto saputo in tali materie, suggerì che, a chi -prestasse cento fiorini, gliene fosse scritto trecento; onde -quel monte fu detto <i>dell’uno tre</i>. Poi, per altra guerra, -a chi prestava cento si scrisse ducento, e chiamossi il -monte <i>dell’uno due</i>. Nel 1380 fu ridotto tutto al cinque -per cento, e il capitale nominale al reale; dal che -nacque grandissima confusione a motivo di quelli che -aveano venduto e comprato. -</p> - -<p> -Il catasto sovra dichiarazione giurata del possessore -e di testimonj si eresse a Genova nel 1214, a Bologna -il 1235, a Parma il 1302. In Firenze al 1336, secondo -Giovan Villani, i tributi erano, la gabella della mercanzia, -del sale, de’ contratti, il vin minuto, le bestie, la -macina, e <i>l’estimo del contado</i>, fruttanti in tutto trecentomila -fiorini. Pare da ciò che solo il contado fosse -colà sottoposto a taglia, forse per conguagliare le gravezze -particolari ai cittadini: e in fatto l’estimo della -città non potè farsi stabilmente che per opera di Giovanni -Medici nel 1427, obbligando a descrivervi tutti i -beni mobili od immobili che ciascuna famiglia possedesse -dentro o fuori del dominio fiorentino, compresevi -le somme di denaro, i crediti, i traffichi, le mercanzie -che avevano, <i>gli schiavi e le schiave</i>, i bovi, i -cavalli, le gregge d’altri animali, regolando al sette e -mezzo per cento, sicchè ogni sette fiorini di rendita se -ne poneva cento di stima. Sottraevansi le spese e i -carichi, poi dell’avanzo si riscoteva la decima. Chi non -pagasse metteasi a specchio, cioè si registrava in un -libro, e rimaneva escluso dalle magistrature. -</p> - -<p> -Chiese, monasteri, ecclesiastici andavano immuni, -coi loro contadini e livellari, e fin coi beni di nuovo -acquisto, per quanto le Repubbliche tentassero aggravezzare -almeno questi; e a malincuore i preti s’inducevano -a pagare pei beni patrimoniali, non però in mano -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -di laico, ma del vescovo, cui per tale occorrente comunicavano -il registro dei loro beni<a class="tag" id="tag205" href="#note205">[205]</a>. -</p> - -<p> -Le imposte moderate, tali cioè che il gravato creda -poterle sostenere col crescere di operosità, servono di -stimolo; scoraggiano allorchè costringono a mutare -le abitudini; giudicate importabili, svogliano dagli -sforzi, e uccidono l’industria. I Comuni nostri mostravansi -al fatto persuasi che ogni spesa fatta dal -Governo al di là di quel che occorre a conservare e -proteggere l’ordine sociale, è un dissipamento e un’ingiustizia -oppressiva: ma per questo vorremo noi -misurare la felicità d’un paese dai centesimi dell’estimo?<a class="tag" id="tag206" href="#note206">[206]</a>. -</p> - -<p> -Il valutare le rendite è difficilissimo, prima perchè -di lor natura sono variabili, poi perchè la scarsezza -del denaro faceva se ne esigesse gran parte in derrate; -oltrechè le forme della contabilità erano troppo diverse -dalle odierne. -</p> - -<p> -Variissimi erano i modi dell’esazione, i tesorieri, i -deputati alle grasce e all’annona, eletti parte dal pubblico -consiglio, parte dal podestà, parte a sorte, e -da’ feudatarj nelle proprie giurisdizioni, ma sempre -sottoposti al sindacato. Spesso la riscossione affidavasi -a qualche monaco, od a corpi religiosi, come più disinteressati; -e per renderla più sicura ordinavasi perfino -a chi non l’avesse ancor pagata non venisse resa -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -giustizia<a class="tag" id="tag207" href="#note207">[207]</a>; del quale ripiego si valeano principalmente -per tassare anche i cherici. Nel contado a ciascuna -pieve si assegnava una quota da ripartire fra le ville -ed esigere: al qual uopo v’avea consigli o adunanze; -dove sussistevano ancora i visconti vescovili, questi -presedevano a tal bisogna insieme coi consoli di campagna. -</p> - -<p> -Le case costituivano quasi la garanzia del cittadino -in faccia al Comune. Pertanto il venderle equivaleva a -perdere la qualità d’accomunato; per ciò stesso di chi -fosse espulso veniva demolita l’abitazione, e al forestiere -non si permetteva di possederne; e i nobili di -campagna, quando fossero accettati in città, per prima -cosa vi fabbricavano un palazzo. Ad Ivrea si considerava -cittadino chi vi abitasse, possedesse pel valore di -dieci lire, fosse scritto nel libro dell’imposta del Comune<a class="tag" id="tag208" href="#note208">[208]</a>. -</p> - -<p> -Zecche ebbero già i Longobardi a Pavia, a Milano, -Verona, nel Friuli, a Lucca, e forse a Spoleto e Benevento; -e possiam credere continuasse così sotto ai -Franchi e agli imperatori tedeschi: ma presto conti e -marchesi domandarono o pretesero moneta propria. -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -Per privilegio dell’imperatore Lotario I a Manasse, gli -arcivescovi soli poteano coniarne a Milano; diritto che -conservarono finchè la repubblica il trasse a sè. Altrettanto -sarà addivenuto nell’altre città, e ci restano monete -di più di cento zecche nostrali: anche alcune famiglie -n’aveano il diritto, come in Piemonte i discendenti -di Aleramo, marchesi di Monferrato, di Saluzzo, -di Ceva, di Busca, di Savona, del Carretto; e alcuni feudatarj -dell’Impero, quali i conti di Desana, di Crescentino, -di Cocconato, ecc. Per lo più quelle monete aveano -corso soltanto nel paese. -</p> - -<p> -Tentò il Barbarossa ritrarre a sè questa regalia, e -fece battere i soldi imperiali nei villaggi dove avea -distribuito i cittadini della distrutta Milano; ma poi -la dovette consentire alle città federate, le quali ben -presto all’effigie dell’imperatore surrogarono i santi -patroni<a class="tag" id="tag209" href="#note209">[209]</a>. Cadute le repubbliche ai tiranni, Azzone -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -Visconti a Milano diede il primo esempio di stampare -del proprio nome le monete: Genova ne battea prima -del 1139, quando ne chiese e ottenne privilegio da Corrado -II di Germania. A imitazione del genoino, i Fiorentini -nel 1252 batterono il ducato, che da una parte -recava il Battista, dall’altra il giglio, donde il nome di -fiorini che si propagò in tutta Europa, con oro di ventiquattro -carati, e il peso d’un ottavo d’oncia, o un sessantaquattresimo -di marco, e divideasi in venti soldi<a class="tag" id="tag210" href="#note210">[210]</a>. -Subito gl’imitarono Francesi, Ungheresi ed altri popoli, -e fra noi i re di Napoli, i conti di Savoja, i marchesi -di Monferrato, i Veneziani; e molto accreditato -fu in commercio lo zecchino veneto, battuto primamente -nel 1284, sul quale si conservarono sempre la -rozza impronta primitiva del doge che riceve lo stendardo -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -da san Marco, e la barbara e devota iscrizione -<i>Sit tibi, Christe, datus quem tu regis iste ducatus.</i> -</p> - -<p> -Dacchè la lira cessò d’equivalere veramente al peso -d’una libbra d’oro o d’argento, variò senza limite la -proporzione, solo sussistendo la divisione in venti soldi, -e del soldo in dodici denari. Non entreremo nel pecoreccio -degli avvicendati valori delle monete e del conguaglio -fra l’oro e l’argento; e basti dire che quest’ultimo -era principalmente adoperato nel commercio di -Levante e che in generale vuolsi fare stima che la scoperta -dell’America ne ridusse il valore a un sesto, e -a un terzo quel dell’oro. -</p> - -<p> -Monete di rame non si conoscono de’ tempi barbari, -onde o mancavano al giornaliero commercio, o si dovea -coniarne di argento troppo sottili, o peggiorare la lega. -</p> - -<p> -È argomento dell’opulenza italiana che Venezia, all’entrare -del secolo xv, battesse l’anno un milione di -zecchini; e Firenze quattrocentomila fiorini in oro, e -più di ducentomila libbre d’argento; e dal 1365 al -1415 vi si erano coniati undici milioni e mezzo di zecchini -d’oro. Se vogliansi lodare come manifatture e come -lusinga alla nazionale vanità che tanto lega i cittadini, -ognun però vede quanta confusione dovesse derivare -da tanta varietà. Il disordine introduceva il solito morbo -de’ cambisti, che soli tenendo il filo di quel labirinto, -vantaggiavano alla grossa. -</p> - -<p> -La scienza amministrativa e finanziera nacque in -Italia, o qui prima si pensò a ridurre in un quadro -tutte le entrate e le uscite, formandone il bilancio, come -si chiamava con nome espressivo<a class="tag" id="tag211" href="#note211">[211]</a>. -</p> - -<p> -Pisani, Genovesi, Amalfitani, ma principalmente i -Veneziani, estesi in tanto commercio, sentirono il bisogno -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -di conoscere le condizioni proprie e dei popoli con -cui erano in relazione di traffici e di politica. Fin dal -xii secolo Venezia ordinò ne’ suoi archivj i pubblici -atti, fe scrivere la storia civile, e stabilì le forme secondo -cui gli agenti diplomatici dovessero raccogliere -e presentare al senato i ragguagli dei paesi ov’erano -spediti<a class="tag" id="tag212" href="#note212">[212]</a>. Quindi nessun governo fu altrettanto istruito; -e que’ ragguagli su’ principi, sulle forze, sulla potenza -de’ varj Stati, allora anticipavano l’esperienza, ora sono -miniera di statistiche cognizioni. Anche nell’interno i -governanti doveano dare minuto ragguaglio delle provincie -loro; poi nel 1338 vi troviamo traccie di anagrafi. -Nel 1330 Jacopo Tondi, uno della Signoria di -Siena, eseguì una visita uffiziale dello Stato sanese e -ne compilò una relazione, che è il primo saggio di quei -prospetti statistici, dei quali si fa vanto la nostra età<a class="tag" id="tag213" href="#note213">[213]</a>. -Le altre repubbliche adopravano a somiglianza, e potrebbero -raccogliersi le statistiche dagli storici e dagli -archivj, dove pure giaciono gli atti verbali de’ consigli -d’allora, ricchissimi d’insegnamento. -</p> - -<p> -Se fra tante disparità vogliamo cercare i fattori comuni, -troviamo dappertutto la sovranità del popolo, che ne’ casi -più rilevanti la esercitava direttamente, negli ordinarj -la delegava a rappresentanti. Erano questi divisi in un -consiglio maggiore, specialmente incaricato del potere -legislativo; e in un minore, che assisteva il capo dello -Stato nell’esecutivo. I pubblici uffizj erano elettivi, di -breve durata, e sottoposti a sindacato. Ogni Comune -aveva uno statuto, in cui si comprendevano le leggi organiche -della repubblica, i diritti e le consuetudini di -tutti e de’ singoli, le leggi criminali e i decreti civili, -mescolati di romano e di germanico; e dove gran parte -aveano le ordinanze censorie e suntuarie. Questi statuti -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -obbligavano in quanto ciascuno li giurava o all’atto -di divenir cittadino, o nell’assumere una magistratura; -avanzo del diritto feudale, per cui la fede rimaneva un -fatto personale. Ciascun quartiere o consorzio o maestranza -era responsale della condotta dei consorti; e il -reo sottoponevasi alle loro speciali giudicature prima -di trasmetterlo al tribunale del Comune. Queste divisioni -del Comune stesso in corpi moltiplicavano occasioni -di conflitto: lo perchè speciale studio degli statuti era -il conservare la pace pubblica. -</p> - -<p> -L’età nuova comincia dunque colla stessa varietà di -forme che già trovammo nella prisca. Tante erano -quante le città, le quali, costituitesi ognuna indipendentemente -dall’altra, aveano provveduto come credevano -al proprio meglio; di che infinite varietà, spesso stravaganti, -sempre inesperte. -</p> - -<p> -Ma il fatto più appariscente è che esistevano municipi, -non provincie, non Stati. Nè qui soltanto, ma in -tutta Europa presentavasi allora questa moltiplicità di -centri sopra angusto spazio, senza nesso comune; e -dove il ben generale terminava ai limiti del territorio, -considerando proprio vantaggio il danno del vicino. -Quindi diversità di statuti, di pesi, di misure, di dogane; -quindi un incomodo succedersi di pedaggi, mentre -rimanevano degradate le strade, sia perchè non vi -aveva accordo a mantenerle, sia perchè ad ogni rompere -di nimicizia venivano guastate. E di nimicizia era seme -la vicinanza stessa; e quando ogni Comune costituiva -uno Stato, sconnesso dal vicino, le investiture, i privilegi, -gli statuti si assimilavano a trattati di pace e di -mutua assicurazione. -</p> - -<p> -Niuna podestà sovremineva; giacchè il re vigilava -bensì perchè fosse pagato il censo dovuto alla Camera, -e dati i doni o i sussidj convenuti; e perchè i giudici -del feudo o del Comune non proferissero sui casi riservati -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -agli uffiziali regj, nè di persone o beni al re solo -sottoposti; ma non dovea nè potea mescolarsi dell’interna -amministrazione. Ne derivava come difetto generale -la debolezza, essendo il Governo diretto da troppi, -e spesso dalla piazza, la peggiore delle tirannie e delle -miserie. I magistrati (solito effetto del voto universale) -non erano tanto solleciti del vero bene, quanto dell’opinione -degli elettori; e non tiranneggiavano, ma dove -complisse peccavano d’ingiustizia. -</p> - -<p> -Mentre poi ciascuna repubblica studiava a formarsi -una legislazione particolare, nessuna seppe prepararsi -statuti che garantissero la sua libertà, frenassero i prepotenti, -limitassero i depositarj del potere. In sottigliezza -di costituzioni mal s’intende il grosso del popolo, -mentre di ciascuno è bisogno la giustizia, dalla -quale dipendono persone e beni. Solleciti della sicurezza -dei contratti, di ordinare le successioni, reprimere i -piccoli delitti, non provvidero ad assodare una buona -struttura pubblica con quel ch’è primo scopo della politica, -un Governo regolato insieme e libero. Adunque -non previdenza per l’avvenire, non freno all’ambizione -de’ pochi o alle esuberanze della moltitudine, paghi della -libertà senza sfuggire l’anarchia, nessuno pensò a combinarla -colla sicurezza personale e pubblica, a secondare -lo svolgimento delle istituzioni. Le passioni, più -impetuose quando non temperate da costumi e da studj, -rendevano frequenti i delitti; e quello sminuzzamento -di Stati agevolava il sottrarsi al castigo. Quindi incerte -idee sulla moralità, un delitto portando pena diversa a -pochi passi di distanza: quindi mancato quel ch’è efficacissimo -carattere della giustizia, la certezza della punizione, -giacchè il delinquente trovava vicinissimo un -asilo su terra forestiera: quindi il Governo costretto -occuparsi quasi unicamente d’amministrare la giustizia -criminale, ed ai magistrati doveva affidarsi un potere -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -illimitato, che facilmente diveniva micidiale della libertà, -o che portava per reazione la vita privata a ribellarsi -alla pubblica, l’individuo a nuocere al cittadino, cercando -l’affrancazione in quell’isolamento che era stato -carattere della feudalità. -</p> - -<p> -Così delle singole repubbliche: tutte insieme poi non -seppero stabilire una buona federazione, che non solo -le avrebbe salvate dai nemici, ma poteva offrire un -modello alla restante Europa. La Lega Lombarda, esemplarmente -gloriosa ne’ primi effetti, non conobbe altrettanto -la civile prudenza; non seppe quel che spesso noi -pure dimentichiamo, che non v’è autorità senza unità, -e senz’autorità non v’è pace e libertà: e il formare una -salda confederazione che avesse centro a Milano, patria -dappertutto, e feste ed esercito comune, e tesoro e patti -e assemblee determinate; il vedere che il torto fatto -ad una era fatto a tutte, minaccia di tutte la morte di -una; il rassegnarsi a un male immediato per reprimere -un abuso che causerebbe mali remoti, era un -troppo aspettarsi da gente abbagliata dal trionfo, e -nuova negli accorgimenti politici. -</p> - -<p> -D’unità nazionale neppur nacque il pensiero, tant’era -cosa insolita; come a Napoleone non venne l’idea di -valersi de’ battelli a vapore o dell’inescazione fulminante. -Che le libertà parziali non valgono senza l’indipendenza, -chi allora lo capiva? Non ebbero parlamenti -savj come l’inglese, non rivoluzioni iniziatrici come la -francese: ma questi sarebbero riusciti tali senza la -esperienza de’ nostri Comuni? Il reggere ai mali che -accompagnano la libertà è difficile, lento il successo; -talchè il grosso degli uomini cade per istanchezza o -precipita per impazienza. Troppo rari il Cielo suscita -di quegli eroi civili che vagliano ad erigere tutta la -popolazione alla propria altezza, e che tengano per condizione -e per unico mezzo di riuscita il libero concorso -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -di quella. Le nazioni libere possono aspirare alla vittoria, -non al riposo; e i Comuni nostri, nel fervore della -lotta, nell’ebbrezza della vittoria e nella fiducia della rinnovata -fratellanza, si abbandonarono al buon volere dei -collegati e al senno dei rettori, che, qualvolta occorresse, -doveano raccogliersi per discutere dell’interesse -universale; tutti gli spedienti furono attuali e momentanei, -senz’avvisare al tempo in cui sarebbe allontanato -il pericolo, sbollito l’ardore, sottentrate le brighe -e le gelosie, ahi! troppo pronte seguaci delle vittorie -popolari. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap86">CAPITOLO LXXXVI. -<span class="smaller">Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI.</span></h2> -</div> - -<p> -Abbiam veduto come il paese più meridionale d’Italia, -cuna di tante magnanime repubbliche prima della conquista -romana, poi dopo l’irruzione dei Barbari suddiviso -tra molti principati longobardi e molti Comuni -greci, venisse concentrato dai Normanni in un dominio, -che d’allora gl’italiani chiamarono per antonomasia <i>il -regno</i> <span class="sidenote">(1130)</span>. Re di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua, -Ruggero II assunse la pomposa divisa <i>Appulus et Calaber, -Siculus mihi servit et Afer</i>; anzi Falcone Beneventano -riferisce un documento, ov’egli s’intitola -<i>Dei gratia Siciliæ et Italiæ rex, Christianorum adjutor -et clypeus</i>. -</p> - -<p> -Colle genti che rapì sì nella spedizione di Grecia, sì -in quella contro Tripoli e l’isola delle Gerbe, ripopolò -la sua isola. Come sapesse a tempo chinarsi e resistere -ai papi, narrammo; si mostrò sempre riverente a san -Brunone, che in Calabria avea fondato i Certosini; le -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -scienze amò e protesse; all’Edrisi, famoso geografo -musulmano, diede un feudo perchè dimorasse alla sua -corte compilando le <i>Peregrinazioni d’un curioso che -vuol conoscere a fondo i diversi paesi del mondo</i>, ove -dispose in nuovo e bizzarro sistema le cognizioni geografiche -degli Arabi, ad illustrazione d’una sfera d’argento, -pesante ottocento marche, dov’erano incisi tutti -i paesi conosciuti. Il palazzo di Palermo sua capitale, -colla magnifica cappella di san Pietro, avente le pareti -e il pavimento a musaici squisiti, e dove ancora si legge -l’iscrizione trilingue da lui apposta al primo oriuolo -che ivi collocò; la cattedrale di Cefalù e quella di Salerno, -ricca delle spoglie di Pesto; le chiese di San Nicolò -a Messina e a Bari, il monastero della Cava, sono -monumenti della magnificenza di Ruggero. A Palermo, -oltre edifizj spiranti dovizia e splendidezza, aperse un -vasto parco, popolato di selvaggina, e ricreato d’acque -condotte sotterra<a class="tag" id="tag214" href="#note214">[214]</a>: dalla Grecia e dall’Africa trasferì -la coltura dell’albero del pane, del papiro<a class="tag" id="tag215" href="#note215">[215]</a>, del pistacchio, -della canna da zuccaro; e dalla Morea i gelsi -e i filugelli, e operaj di seta. Che però questa già vi -si lavorasse dagli Arabi, lo prova il famoso manto imperiale, -fatto per ordine di Ruggero, con iscrizione cufica -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -del 528 dell’egira, rispondente al 1133; e che poi -portato in Germania da Enrico VI, ora conservasi a -Norimberga. Ma allora i telaj rompevano il silenzio -della reggia di Ruggero per preparare d’ogni genere -tessuti, e broccati, e fiorami, e arabeschi, con gemme -interposte e colori variatissimi<a class="tag" id="tag216" href="#note216">[216]</a>; oltre che vi si convertiva -in panni la lana francese. -</p> - -<p> -Tornando d’Oriente, Pisani, Veneziani, Genovesi rinfrescavano -a Palermo: Spedalieri e Templari rizzarono -conventi in Trapani, ordinaria posata de’ Crociati<a class="tag" id="tag217" href="#note217">[217]</a>: -i Veneziani aveano a Palermo una società -mercantile con magistrati proprj, cassieri e presidente; -i Genovesi un banco a Siracusa e casa forte a Messina: -gli Amalfitani empivano una strada di Napoli di loro -botteghe, massime di stoffe di lana e seta, e avevano -un quartiere a Siracusa, un consorzio mercantile a -Messina. -</p> - -<p> -I Musulmani conservavano ancora alcune campagne, -godendo eguaglianza di leggi, con una tolleranza unica -a quei tempi; quartiere proprio nelle città con franchigie, -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -magistrati e notaj, e libero culto; sin feudi ottennero; -e se alcuni come prigioni di guerra teneansi -in condizione servile, più di centomila distribuiti in -tribù sotto i loro sceicchi lavoravano liberamente il val -di Màzara ed altri territorj. Filippo, uno degli eunuchi -di Ruggero, musulmano convertito, salì fino grand’ammiraglio, -e fu spedito ad espugnare Bona in Africa <span class="sidenote">(1149)</span>. -Ne presero gelosia i baroni normanni, che l’accusarono -di mangiar carne il venerdì e in quaresima, andare -con repugnanza nelle chiese, e di piatto tornare alle -moschee: e Ruggero l’abbandonò al loro rancore, sicchè, -legato alla coda d’un cavallo indomito, fu fatto a -pezzi, e i pezzi gettati al fuoco<a class="tag" id="tag218" href="#note218">[218]</a>. -</p> - -<p> -Pochi anni dappoi il musulmano Mohammed ebn-Giobair, -che viaggiò in Sicilia, scriveva: — Re Guglielmo, -commendevole ne’ suoi portamenti, si giova -de’ Musulmani, e ha paggi eunuchi per intimi, fedeli -all’islam benchè nascostamente; ha gran confidenza -ne’ Musulmani, e v’affida anche gli affari più delicati; -tiene una compagnia di Negri musulmani sotto un comandante -musulmano; i visiri e i ciambellani trae dai -molti paggi, i quali sono e impiegati del Governo e -persone di Corte, e sfoggiano lusso di vesti, agili cavalli, -e tutti hanno corteggio e seguito proprio. Il re -a Messina ha un palazzo bianco come una colomba, dove -stanno occupati molti paggi e fanciulle; esso s’abbandona -ai piaceri della Corte a modo dei re musulmani, -cui imita nel sistema delle leggi, nell’andamento del -Governo, nella distribuzione dei sudditi, nella magnificenza. -Molto deferisce ai medici e astrologi suoi: dicono -legga e scriva l’arabo, e un suo intimo ci assicurò -abbia adottato il motto <i>Lode a Dio, giusta è la sua lode</i>; -come il motto di suo padre era <i>Lode a Dio in riconoscenza -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -de’ suoi benefizj</i>. Le fanciulle e concubine del -suo palazzo sono musulmane tutte; e un cameriere di -nome Yahia, impiegato nella manifattura de’ panni, dove -ricama a oro le vesti del re, ci assicurò che le cristiane -Franche dimoranti in palazzo erano state convertite -dalle nostre senza che il re lo sapesse, e molto -s’industriavano in opere di carità. -</p> - -<p> -«A Palermo i Musulmani conservano un avanzo di -fede; tengono pulitamente le moschee, fan la preghiera -alla chiamata del muezzin, dimorano in borgate distinte -dai Cristiani, tengono e frequentano i mercati. -Proibita la pubblica professione di fede (<i>khotbah</i>), fanno -solo l’adunanza del venerdì, ma ne’ giorni del beiram -pregano per i principi abbassidi. Hanno un cadì, che -giudica i loro processi: una moschea principale ed altre -innumerevoli, nella più parte delle quali si dà lezione -del Corano. Le donne cristiane nell’eleganza del parlare -e nel modo di velarsi e di portare i mantelli imitano -le musulmane. A Natale escono in vesti di seta -color d’oro, avvolte in mantelli eleganti, coperte di veli -di colore, con stivaletti dorati, e pompeggiano nelle -chiese, cariche di collane, d’essenze, di belletto come -le musulmane. -</p> - -<p> -«Non è guari, arrivò a Trapani il caid Abu’l-Kassem, -capo de’ Musulmani in Sicilia, caduto in disgrazia -del re per calunnie; e sebbene sfuggisse la condanna, -gli furono estorti trentamila denari d’oro, senza rendergli -alcuna delle case e terre avite. Dianzi riebbe il -favore del re, che lo pose in un servizio di governo, ed -egli vi si rassegnò, come lo schiavo di cui siansi presi -la persona e gli averi»<a class="tag" id="tag219" href="#note219">[219]</a>. -</p> - -<p> -E segue raccontando come qualunque Musulmano, -per sottrarsi alla collera de’ parenti, rifuggisse in una -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -chiesa, era battezzato; che i Musulmani offrivano le -loro figlie ai pellegrini perchè le sposassero, e queste -lasciavano liete la famiglia per sottrarsi alla tentazione -dell’apostasia e per vivere in paese musulmano. Sono -le consuete esagerazioni de’ partiti soccombenti; ma ne -trapela come i principi normanni procurassero usufruttare -la civiltà orientale; e lungamente noi incontreremo -ancora quegl’Infedeli nelle vicende della Sicilia. -</p> - -<p> -Anche gli Ebrei, altrove perseguitati, ivi ebbero sicurezza, -e Beniamino di Tudela nel suo viaggio del -1172 ne contava millecinquecento a Palermo, ducento -a Messina. -</p> - -<p> -Bizzarra mescolanza dovea presentare in quei tempi -il paese; indigeni abbattuti da lungo servaggio, cavalieri -normanni in corazza e morione, Musulmani con -turbanti; santoni insieme e frati; corse del gerid e -tornei; Nordici ignoranti e corrotti Meridionali; fastosi -Asiatici e severi Scandinavi: vi si parlava greco, latino -vulgare, arabo, normando, e in ognuna di queste lingue -si pubblicavano i bandi; i quali doveano tanto quanto -acconciarsi al codice Giustinianeo pei Greci, al <i>Coutumier</i> -pei Normanni, al Corano pei Saracini, al codice -longobardo pei precedenti signori. -</p> - -<p> -I Normanni, pochi e deboli, dovettero fiancheggiarsi -di politica e d’astuzie, formando un governo più abile -che robusto, e sprovvisto di quella vigorosa unità che -è necessaria per tiranneggiare un popolo, e convergerne -gli sforzi ad unico intento, massime in paese -come il napoletano, così spezzato e vario di origini. -Delle istituzioni de’ Longobardi e de’ Greci non cangiarono -se non ciò ch’era richiesto dall’introdurvisi della -feudalità al modo dei Franchi. Magistrati e conti longobardi, -resisi ereditarj, aveano già formato la classe -de’ baroni, che conservò la nobiltà anche dopo avere, -per la conquista normanna, perduto le giurisdizioni. I -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -Normanni investiti di feudi li sottinfeudavano a cavalieri, -cioè vassalli nobili, e a gran dignitarj ecclesiastici. -Ma que’ primi Normanni, e gli altri continuamente -chiamati di Francia ad esercitare il lor valore, voleano -sulle proprie tenute regolarsi col diritto patrio: dal -che vennero i feudj al modo Franco, la cui principale -differenza dai longobardi consisteva nell’esservi ammesso -alla successione soltanto il primogenito, mentre -in questi ciascun figlio ereditava. -</p> - -<p> -Il sistema feudale fu comunicato anche ai paesi fin -allora sottoposti ai Greci, e Ruggero a tutti i cavalieri -di Napoli infeudò cinque moggia di terra con cinque -coloni affissi a quella<a class="tag" id="tag220" href="#note220">[220]</a>; lo trapiantò anche nella Sicilia, -che mai non n’avea gustato, scomponendovi ogni -regolamento de’ Saracini. I coloni da liberi vennero -dipendenti; le praterie furono aggravate di pascere i -cavalli del vincitore; sottoposti a taglie i boschi e i -servi della gleba; un’amministrazione fiscale e investigatrice, -surrogata alla larga e tollerante dei Saracini, -deteriorò l’agricoltura e il commercio. -</p> - -<p> -Usati in patria a raccogliersi in adunanze legislative -e giudiziali, i Normanni non ne interruppero l’uso; -e il nome di <i>parlamento</i> trasportarono, come nella -conquistata Inghilterra, così pure nel paese di qua e -di là dal Faro. Aperto sulle prime soltanto a Normanni, -vi si traforarono poi anche indigeni, fondendosi vinti -e vincitori. Ma al popolo non potea farsi luogo colà -dove del suolo non avevano la proprietà che abati e -signori; sicchè non v’erano ammessi che i due <i>bracci</i> -de’ baroni e degli ecclesiastici. Poi le città acquistarono -il diritto di riscattarsi dai baroni, e rendersi libere, -cioè non dipendenti che dalla regia autorità; ed allora -all’ecclesiastico ed al baronale fu aggiunto il braccio -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -<i>demaniale</i>, cioè che rilevava solo dal dominio del re. -Quest’opera vedremo compiuta da Federico II. -</p> - -<p> -Ruggero accentrò l’amministrazione nella Corte di -Palermo, intorno a sè disponendo sette grandi cariche, -e sotto queste gli altri signori. A capo di ciascun distretto -stavano baroni e connestabili; di tutta la nobiltà -il gran connestabile; della marina il grand’ammiraglio: -il gran cancelliere serviva d’anello tra gli incaricati e -il principe: aggiungeansi il gran giustiziere, il gran -cameriere, il gran protonotaro, il gran siniscalco. L’archimandrita -o abate generale, eletto dai monaci, confermato -dal re, aveva ispezione sulle chiese, e specialmente -le vacanti; pure i vescovi doveano a Roma -ricevere la consacrazione dal papa. -</p> - -<p> -Gastaldi e sculdasci aveano ceduto i giudizj a balii, -giustizieri, castellani, i quali, col re a capo e con privilegi -distinti, formavano una gerarchia d’amministrazione, -che fu la prima foggiata alla moderna, non composta -di vassalli feudalmente congiunti al signore, ma -di uffiziali che coordinatamente esercitavano la porzione -di potere ad essi affidata. Mentre dunque l’antica nobiltà -restava in opposizione ai conquistatori, una nuova -nascea di gente ammessa agli impieghi, fosse natìa o -forestiera<a class="tag" id="tag221" href="#note221">[221]</a>: nel che pure il siciliano differiva dagli -altri diritti. -</p> - -<p> -Alle leggi longobarde, che fin allora avevano forza -di diritto comune, con qualche mistura delle romane e -delle consuetudini scandinave, Ruggero sostituì le <i>Costituzioni</i>, -promulgate nelle pubbliche assemblee di -baroni, uffiziali e vescovi, e che valeano in ambe le -parti del Regno. Desunse dal diritto romano la legge -che dichiara sacrilegio il mettere in disputa i fatti, i -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -consigli, le deliberazioni del re. Morte comminò a chi -tosa o áltera la moneta; a chi rapisce una dal monastero, -sebbene non ancora velata e a titolo di sposarla; -al magistrato che malversa il pubblico denaro, o al giudice -che si lasciò corrompere; a chi dà farmachi per -ispirare avversione, o ferisce a morte alcuno nel rotolare -o menare un sasso o una trave senza darne avviso. -Vietò severamente di vendere o alienare i feudi, nè -che i feudatarj contraessero matrimonj senza consenso -del re, e tanto meno maritassero le proprie figlie aventi -l’eventualità di succedere. Nessuno eserciti la medicina -se non licenziato: nessuno sia fatto cavaliere nè giudice -se non venga da stirpe di militi e notaj. Molte -pene concernono le adultere e le prostitute. Chi vende -un uomo libero è ridotto in servitù<a class="tag" id="tag222" href="#note222">[222]</a>. -</p> - -<p> -Ruggero è da’ suoi esaltato colle lodi che sogliono -prodigarsi al fondatore dell’indipendenza d’uno Stato, -e all’ambizione fortunata di chi non tien conto della -moralità dei mezzi. Perduti i figliuoli Alfonso e Ruggero, -l’unico superstite Guglielmo fe coronare come -collega <span class="sidenote">(1154)</span>; e poco stante morì a sessantun anno, dopo -ventiquattro di regno. -</p> - -<p> -Avaro, sospettoso, pusillanime, inetto riuscì quel suo -successore; e chiuso nella reggia fra sozzi e barbari -piaceri, del ben pubblico non si dava pensiero. Gl’imperatori -d’Oriente e d’Occidente ne presero baldanza -di mettere in campo opposte pretensioni sopra il Reame, -mossero armi, e sollecitarono i baroni sempre inquieti. -Questi aveano avuto ricorso al Barbarossa, e quand’egli -scese in Italia la prima volta, si sollevarono dappertutto; -ma esso non potè ajutarli. Bensì gl’imperatori -greci, che anelavano vendicarsi delle spedizioni dei due -Ruggeri, e che già possedeano Ancona ed altri porti -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -sull’Adriatico, occuparono Brindisi, che divenne il -quartiere de’ baroni rivoltosi: ma Majone, oliandolo di -Bari, coll’ingegno, l’eloquenza e l’arte del simulare e -dissimulare divenuto cancelliere e grand’almirante del -regno, ed arbitro de’ consigli e degli atti di Guglielmo, -riprese questa città, e i ricoverati fece uccidere, abbacinare, -sepellire nelle carceri di Palermo. Di ciò si volle -gran male a Majone, e dell’aver lasciato che la fortezza -di Mahadia sulle coste d’Africa, tenuta dai Siciliani, -soccombesse ad Abd al-Mumin re di Marocco. Spargeasi -pure che colui volesse impossessarsi della corona; -onde i baroni cospirarono contro di esso; Campania e -Puglia si sollevarono; lo stesso conte Matteo Bonello, -da lui predestinato genero, se gli avversò, e riuscì ad -ucciderlo e a tenere prigioniero Guglielmo <span class="sidenote">(1161)</span>. L’abuso -della vittoria fece esosi i congiurati, onde alla fine Bonello -fu preso ed accecato, rimesso l’ordine coi supplizj, -e Guglielmo serbò nella storia il titolo di <i>malvagio</i>. -</p> - -<p> -Quel di <i>buono</i> fu dato a suo figlio Guglielmo, che -succeduto <span class="sidenote">(1166)</span> sotto la tutela di Margherita di Navarra, -bello e giovane, procurò cattivarsi i cuori scarcerando -quella folla di prigionieri di Stato; ma le fazioni inferocirono -per disputarsi influenza nella tutela; e le eterogenee -parti ond’erasi compaginato ma non formato -quel regno, tendevano a separarsi. Margherita cercò -appoggio empiendo la corte di Franchi, tra i quali Ugo -Falcando, detto il Tacito della Sicilia pel nero e vibrato -modo con cui descrisse quelle turbolenze; e di varj -prelati e gran savj in diritto. Ma da contrasti e guerre -il paese era tutto sovvolto, non meno che da tremuoti, -pei quali Catania fu distrutta, squarciate Taormina, -Lentini, Siracusa; le fonti versarono acque sanguigne; -il mare nel Faro si ritirò, poi ringorgando verso la -riva elevossi fin sopra le mura di Messina, tutto miseramente -lavando <span class="sidenote">(1169)</span>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -</p> - -<p> -Guglielmo, tenutosi amico di Alessandro III, impedì -che il Barbarossa attentasse al suo regno; ebbe nobil -parte alla conchiusione della lega Lombarda e della -pace di Venezia; poi armato per ristabilire Alessio Comneno -sul trono d’Oriente, prese Durazzo, Tessalonica -ed altre piazze di Grecia, ma da Costantinopoli fu respinto. -Ajutò pure Antiochia, Tiro, Tripoli contro il -Saladino; ma di soli trentasei anni morì <span class="sidenote">(1189)</span>. La tradizione -raccontò che Guglielmo il Malvagio avesse voluto smungere -tutto il denaro del suo popolo; e per far prova -se alcuno ne avesse ritenuto, mandò a vendere in piazza -per tenue prezzo un suo bellissimo cavallo arabo. Un -giovane signore lo comprò in fatto, il quale, chiesto in -processo, confessò aver violato la tomba del proprio -padre per tôrre quel poco denaro. Tutto quel tesoro -fece Guglielmo sotterrare, poi corrervi sopra un fiume: -ma Guglielmo il Buono riuscì miracolosamente a scoprirne -il posto, ed ivi, in riconoscenza, fabbricò la magnifica -badia di Monreale, dove ebbe la tomba, e che -attesta la suntuosità e il progresso dell’arti sicule in -quell’età. -</p> - -<p> -Di Guglielmo non restando figli, l’eredità ricadeva -in Costanza figlia postuma di Ruggero II e perciò sua -zia<a class="tag" id="tag223" href="#note223">[223]</a>. Benchè di là dai trent’anni, il Barbarossa erasi -affrettato a cercarla sposa per suo figlio Enrico; e l’inglese -Gualtiero Ofamiglio, arcivescovo di Palermo, -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -indusse il debole Guglielmo a consentirgliela. Costanza -partì con più di cencinquanta cavalli carichi d’oro, -argento, sciamiti, pallj grigi, vaj ed altre buone cose<a class="tag" id="tag224" href="#note224">[224]</a>; -e le nozze furono celebrate in Milano con istraordinaria -magnificenza, ma non colla benedizione dell’arcivescovo, -che era papa Urbano III, reluttante da un connubio che -saldava in Italia una famiglia ereditariamente avversa -ai pontefici per la successione della contessa Matilde, e -che li privava dell’appoggio avuto sin allora contro le -esuberanze imperiali, e preparando l’unione anche di -quella corona all’Impero, scassinava l’edifizio eretto -dall’ardita perseveranza di Gregorio VII. -</p> - -<p> -Guglielmo avea chiuso gli occhi fra i preparativi -della terza crociata che dicemmo; ed essendo allora i -feudatarj occupati oltremare, Enrico VI non potè mandar -forze ad occupare violentemente il Regno; sicchè -estremo disordine vi irruppe. Poco badando ad Enrico -e Costanza lontani, chiunque teneva al lignaggio dei -Normanni pretendeva una porzione di dominio, e se -la disputavano<a class="tag" id="tag225" href="#note225">[225]</a>; nell’isola i baroni ripetevano il -prisco diritto elettorale delle assemblee nazionali come -in trono vacante; nella terraferma (solita peste) si -amava il contrario per gelosia verso Palermo: l’arcivescovo -Gualtiero sosteneva il diritto ereditario di Costanza, -e il giuramento ad essa prestato in Lecce; -Matteo d’Ajello, vicecancelliere, vecchione abile a condurre -un partito, animava quei che repugnavano dal -vedere la Sicilia, fatta indipendente pel valore de’ Normanni, -or in piena pace cadere a re straniero e avverso, -e negava che, come a feudo, potesse una donna succedere; -i più aborrivano la dominazione tedesca, e lo -storico Falcando ripeteva: — Dio vi guardi da cotesti -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -armati di Germania, barbari, grossolani, stranieri ai -costumi e alla civiltà vostra! Sotto il Tedesco, Sicilia -più non sarebbe che una miserabile provincia, disgiunta -dal suo sovrano, abbandonata alle espilazioni de’ suoi -uffiziali. Già parmi vederla invasa da quelle orde portate -dall’impeto a stremare col terrore, colla strage, -colle rapine, colla lussuria, e far serva quella nobiltà -di Corintj che pose anticamente nido nella Sicilia, indarno -bella di filosofi e poeti tanti, e cui sarebbe tornato -men grave il giogo degli antichi tiranni. Guaj a -te, Aretusa, volta a tanta miseria, che mentre solevi -modulare i carmi de’ poeti, or odi l’ebbrietà delle tedesche -baruffe, e servi alle loro turpezze!»<a class="tag" id="tag226" href="#note226">[226]</a>. -</p> - -<p> -Come avviene quando l’autorità è sfasciata, la ciurma -e gli arruffapopolo alzarono il capo; e poichè in tali -occasioni vuolsi sempre qualche capro espiatorio, si -buttarono sovra i Saracini. Per quanto tollerati, non -poteasi sperar pace fra antichi padroni e nuovi, fra due -religioni così repugnanti, l’una guardante a Marocco, -l’altra a Roma. Gli Arabi aveano trescato nella minorità -di Guglielmo, e Abu’l-Kassem degli Amaditi d’Africa -s’era accordato cogli eunuchi di palazzo e coi baroni -malcontenti per isvertare Stefano da Perche francese. -Ora i Palermitani saccheggiarono le case de’ Saracini, -e molti uccisero; gli altri a forza s’apersero la ritirata -fino in val di Mazara, ove i centomila loro fratelli presero -l’armi per vendicarli, nè chetarono finchè non -ebbero promessa di sicurezza e de’ primitivi privilegi. -</p> - -<p> -Quand’anche tali incendj nascono spontanei, v’è chi -vi soffia, acciocchè la necessità dell’ordine costringa a -prendere il partito che il primo scaltro suggerisce: e -il partito or fu si convocasse il parlamento de’ baroni e -si eleggesse un re. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -</p> - -<p> -Ruggero duca di Puglia, fratello maggiore del primo -re di Sicilia, dalla figliuola di Roberto conte di Lecce -avea generato Tancredi, e presto lasciatolo orfano. -Guglielmo il Malvagio perseguitò questo bastardo, e -prima in carcere, poi lo spinse in esiglio: l’altro Guglielmo -l’accolse, gli affidò l’esercito contro la Grecia, -e lo titolò conte di Lecce. Istrutto dalla sventura, prudente, -educato alle matematiche, all’astrologia, alla musica, -parve degno della corona e l’ottenne: la <i>matrice</i> -di Palermo, specioso monumento di architettura moresca -mista a normanna, e dove ancora si ammirano, -benchè guaste dall’incendio del 1811, le tombe di porfido -di quei re, risonò d’applausi alla coronazione di -Tancredi e del suo figlioletto Ruggero; e fu riconosciuto -pure da tutte le provincie di terraferma, e investito -ben volentieri dal pontefice. -</p> - -<p> -Di quel tempo i Crociati d’Inghilterra e di Francia, -guidati dai loro re Ricardo Cuor di Leone e Filippo -Augusto, eransi data la posta a Messina, onde di conserva, -dopo la svernata, passare in Terrasanta. Fiera -burrasca gittò la flotta genovese sulle coste di Calabria, -per modo che i Francesi, perduti cavalli e provvigioni, -poveramente approdarono in Sicilia. Ricardo, di gente -normanna e d’impaziente arditezza, quasi solo traversò -a cavallo le montagne di Calabria, e si tragittò a Messina. -La caccia era rigorosissimamente osservata in -Inghilterra: non così in Sicilia: onde Ricardo, mentre -a quella si divertiva, udito un falco stridire nell’abituro -d’un villano, entrò per portarglielo via. I nostri, -men chinati nella servilità, a pietre e bastoni respinsero -il prepotente, che solo alla fuga dovette la salvezza. -</p> - -<p> -A Tancredi dava noja l’arrivo di Filippo Augusto, -alleato d’Enrico VI, e di Ricardo fratello della vedova -di Guglielmo, da lui tenuta prigione. In fatto fu costretto -rilasciar questa, restituendole la dote di ventiquattromila -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -once d’oro; ma Ricardo pretendeva anche, -come assegno vedovile, quantità di vasi d’oro e d’argento, -un trono, due tripodi, e una tavola larga mezzo -metro e lunga quattro, tutti d’oro, una tenda di damasco -bastante a ducento cavalieri, inoltre cento galee -provvigionate per un anno. Tanto era di ricchezze famosa -la Sicilia! Ricusato, l’Inglese aggredì Messina; -ma questa si difese a sassi, tanto che Ricardo dovette -venire ad accordo, giurando pace e protezione, e fidanzando -una figlia di Tancredi all’erede d’Inghilterra. -</p> - -<p> -Enrico VI, coronato re dei Romani, per sostenere i -minacciati suoi diritti venne in Italia <span class="sidenote">(1191)</span> coi feudatarj, che -rovinatisi nella crociata, qui speravano rifarsi; e come -suo padre fantasticando la dominazione universale, si -prefiggeva di conquistare la Sicilia, farsi coronare a -Roma, avere in arbitrio la Lombardia e la Toscana, -sottomettere le coste d’Africa già tributarie ai Normanni, -conquistare il trono di Costantinopoli, preda -immancabile del primo occupante. Ma, non che gli bastassero -forze a sì larghi disegni, dovea cercarne alle -città lombarde col conceder loro la sua alleanza e sempre -nuovi privilegi. -</p> - -<p> -Coi soccorsi di esse e delle repubbliche marittime, -calò verso Roma. Celestino III, sortito allora papa -d’ottantacinque anni, procrastinava la propria consacrazione -per non dovere coronare Enrico; onde i Romani -offersero a questo di costringervelo, purchè egli -abbandonasse alla loro vendetta Tusculo, contro di cui -non aveano cessato mai l’odio, e di rado la guerra. -Compiacque Enrico al fratricida desiderio <span class="sidenote">(1191 — 13 aprile)</span>; unto il papa, -Enrico e sua moglie dopo iterati giuramenti furono ricevuti -in città. Entrati da porta Collina gettando denari -al popolo perchè applaudisse, procedettero per Borgonuovo -fin a Santa Maria Transpontina, donde il clero -in processione li condusse al Vaticano. Precedeano il -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -prefetto di Roma colla spada sguainata, il conte del -sacro palazzo, i magistrati della repubblica, poi i giudici, -i camerieri, l’imperatrice, i vescovi tedeschi e italiani, -i principi e dignitarj dell’impero. Celestino stava -sopra elevato trono in capo alla scalea di San Pietro, -coi cardinali, vescovi e preti alla destra, i diaconi alla -sinistra, e dietro i suddiaconi colla nobiltà romana e -gli uffiziali di palazzo. Il re, scavalcato, andò al bacio -del piede pontifizio, e ginocchione colla mano sul Vangelo -giurogli fedeltà, e di soccorrerlo a mantenere i -possessi, gli onori, i diritti. Il papa gli chiese tre volte -se volesse rimanere in pace colla Chiesa, e mostrarsene -figlio rispettoso; e avuto il sì, ripigliò: — Ed io ti ricevo -come figlio diletto, e ti do la pace come Dio la -diede a’ suoi discepoli», e lo baciò. -</p> - -<p> -Allora mossero in processione; e alla porta Argentea -esaminato sulla fede religiosa, l’imperatore ebbe il chiericato, -promettendo riprovare gli eretici, ed assister -poveri e pellegrini. Il cardinale d’Ostia unse Enrico al -braccio destro e fra le spalle; il pontefice gli porse -l’anello, la spada, lo scettro, e impose la corona d’oro -a lui e alla moglie<a class="tag" id="tag227" href="#note227">[227]</a>. Poi si celebrò il santo sacrifizio, -durante il quale si cantava vittoria e lunga vita al -papa, all’imperatore, all’imperatrice; l’imperatore offrì -pane, cera, oro, e ricevette l’eucaristia. Finita la messa, -dal conte del palazzo gli furono posti gli stivaletti imperiali -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -e gli sproni di san Maurizio; poi tenne la staffa -del cavallo bianco del papa, e l’addestrò fin al Laterano: -al pasto, sedette alla destra del pontefice, mentre -l’imperatrice in separata sala convitava vescovi e -grandi. -</p> - -<p> -Non mancò lo spettacolo del sangue, poichè la guarnigione -tedesca uscì di Tusculo, ed i Romani, senza -udir prego nè pianto, uccisero, accecarono, mutilarono -quegli abitanti, e disfecero il paese<a class="tag" id="tag228" href="#note228">[228]</a>. Alcuni poterono -fuggire tra le montagne; altri, per amore del -luogo natìo, si tennero vicino alla patria devastata -sotto <i>frascati</i>, che poi dieder nome al paese che vi -succedette. -</p> - -<p> -Lasciato così deplorabile segno di sua presenza, Enrico -con grosse armi, colle promesse, colla corruzione -procede alla conquista; e contraddetto dal papa<a class="tag" id="tag229" href="#note229">[229]</a>, -ajutato dall’abate di Montecassino, prende e devasta -Roma, e senza incontrare ostacoli arriva sotto Napoli e -l’assedia. Questa, ristretta allora al quartiere che dalle -falde di Sant’Elmo e di Capodimonte declina al mare, -difesa da robusti spaldi e da buone truppe comandate -dal prode Aligerno Cuttone, e col mare aperto, resiste: -Pisani e Genovesi menano navi per secondare i Tedeschi, -che intanto devastavano la campagna: ma le malattie -puniscono gli invasori, sicchè Enrico è costretto -tornare in Germania pensieroso più che pentito; Genovesi -e Pisani cessano di caldeggiare un alleato infelice; -i Salernitani arrestano Costanza e la consegnano a Tancredi, -che la tiene prigioniera in Sicilia, finchè, ad -istanza del papa, la restituì senza patti nè riscatto, fidando -nella gratitudine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -</p> - -<p> -Tancredi, che non avea saputo mostrarsi degno del -diadema col difenderlo in persona, morì ben presto, -ed essendogli premorto il primogenito <span class="sidenote">(1194)</span>, non lasciava -che il fanciullo Guglielmo III in tutela di sua moglie -Sibilla d’Acerra, in mezzo a gare de’ baroni coi cavalieri, -inviperite, lunghe, disastrose e a nulla conducenti. -Era uscita alla peggio la crociata; e Filippo -Augusto, sbarcato a Otranto, ebbe a Roma dal papa dispensa -dal voto e la palma de’ pellegrini: anche il Cuor -di Leone, dopo imprese da paladino, tornò in Europa -travestito per isfuggire ai molti nemici; ma il duca -d’Austria lo colse, e lo cedette all’imperatore <span class="sidenote">(1192)</span> per sessantamila -marchi d’argento; e questi lo rivendette all’Inghilterra -per centomila, oltre metà tanti per finire -l’impresa di Sicilia<a class="tag" id="tag230" href="#note230">[230]</a>. -</p> - -<p> -Al fiuto di questa somma accorsero i baroni tedeschi -ad offrirsi ad Enrico, che allestitosi, scese nella -Lombardia. La trovava in nuovi subugli. I vescovi -aveano perduto l’autorità temporale, nè i Comuni ancora -assodata la propria in modo d’aver pace. I diversi -ordini partecipavano diversamente al Governo, e secondo -i varj paesi variavano le relazioni coi vicini, per -modo che ogni città regolavasi con politica e leggi differenti, -demolito l’antico, non istabilito il nuovo. Le -leghe riuscivano meno a stabilir la concordia che ad -impacciare la legge; i signori conservatisi indipendenti -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -s’arrogavano diritti di sovranità; le città maggiori -voleano sottomettere le vicine, ed eroismo era -l’energia dell’odio. Che se tra quella confusione (del -resto naturale ad ogni reggimento nuovo) alcuno ergevasi -a metter ordine, sì il faceva con guise tiranniche. -</p> - -<p> -Essendosi Enrico mostrato propizio a Pavia e Cremona <span class="sidenote">(1194)</span>, -permettendo a quella di valersi di tutte l’acque -del Ticino, e a questa sottomettendo Crema, le due -imbaldanzite eransi collegate con Lodi, Como, Bergamo -e col marchese di Monferrato a’ danni di Milano; -la quale nelle giornate campali riusciva superiore, è -vero, ma trovavasi cinta di nemici, che le sperperavano -le campagne e rompevano i commerci. -</p> - -<p> -Enrico, raccolti gli stati a Vercelli, procurò instaurare -la quiete; ma lontano e dalla politica e dalla forza -del padre, scarsamente approdò; onde seguì sua via -per Genova, anch’essa sovvertita da fazioni, da frequenti -zuffe, da effimeri Governi, e che allora stava -sotto al podestà Oberto di Olevano pavese. Ai Genovesi -scrisse: — Se, ajutanti voi, io ricupero il Reame, mio -sarà l’onore, vostro il profitto: giacchè non io od i -Tedeschi miei vi soggiorneremo, ma voi stessi»; e seguiva -confermando le esenzioni precedenti, e dando -nuove giurisdizioni e privilegi, la città di Siracusa, ducencinquanta -feudi in val di Noto: a Pisa parimenti -concesse in feudo Gaeta, Mazara, Trapani, e metà di -Palermo, Salerno, Napoli, Messina, oltre molti ingrandimenti -in Toscana. Così largheggiando di promesse -quanto meno intendeva mantenerle, ottenne soccorsi; -poi entrato nel Reame, ebbe spontanee tutte le città, -perfino quella Napoli, che poc’anzi si era con tanta costanza -sostenuta. Salerno, sentendosi rea d’aver tradito -l’imperatrice Costanza, si difese ostinata; ma presa, fu -messa a sacco e ferro, neppur risparmiando le chiese, -e i cittadini migliori impiccando, torturando, cacciando -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -in prigione o in esiglio, sicchè la città, di famosa importanza -sotto i Longobardi e i Normanni, più non -risorse. Capua pure fu espugnata a forza da Guglielmo -di Monferrato e da’ Genovesi e Pisani: Eraclea (Policora), -patria di Zeusi, colonia fiorentissima in antico, fu distrutta: -qualunque città esitasse a sottomettersi, era -devastata senza pietà. In Sicilia sottoposte Messina e -Palermo, l’imperatore, colla pompa che suggerisce la -paura, fu incoronato, e tutta l’isola gli giurò obbedienza. -</p> - -<p> -Con fallaci lusinghe aveva egli tratto Sibilla ed i figliuoli -dal castello di Calatabelotta, dove s’erano fortificati -coi loro fedeli; poi raccolti gli stati a Palermo, -accusò lei e molti grandi di una congiura. Non la fondava -che sopra una lettera consegnatagli (diceva) da -un frate; ma bastò perchè quanti aveano tenuto col -partito nazionale, laici od ecclesiastici, fossero mandati -alla forca o al palo, accecati, arsi vivi, esposti alle beffe, -relegati in Germania; re Guglielmo, toltogli il vedere -e il generare, fu tenuto prigione finchè andò monaco; -Sibilla e le figlie rapite in carcere, poi nella badia di -Hohenbruck in Alsazia; turbate le ossa di Tancredi -per istrappare il diadema a lui e al figlio Ruggero; -bruciati quanti aveano contribuito alla loro coronazione. -</p> - -<p> -Fu spenta così nel sangue la dinastia normanna, di -cui i regnicoli ricordano ancora con compiacenza i -tempi e le famose ricchezze. Re Tancredi avea dato -ventimila oncie d’oro per dote di sua figlia; Arnaldo di -Lubecca ci rammentò le tavole, i letti, le sedie d’oro -nel palazzo di Palermo; Ruggero Hoveden fa trovare -da Enrico nel tesoro di Salerno ducentomila oncie -d’oro; e in quel di Palermo senza fine armi ricche, -stoffe d’oro e d’argento, sete ricamate, altre preziosità, -con cui potè far larghezza a’ suoi fedeli; eppure -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -censessanta somieri vi vollero per trasportarne il resto -nel castello di Trifels<a class="tag" id="tag231" href="#note231">[231]</a>. -</p> - -<p> -Con tirannia stolidamente feroce sottentrava la dinastia -sveva, che mal per lei. Anche le città sottomessesi -volontarie, furono trattate come conquista; Siracusa -e la risorta Catania incendiate, senza riguardo a -nobiltà o a grado; Napoli e Capua smantellate, e per -le vie di questa trascinato a coda di cavallo, poi impeso -pei piedi, indi strozzato da un buffone Ricardo conte -d’Acerra, cognato di Tancredi, ultimo lustro dell’antica -dinastia. Giordano e Margaritone, più ligi all’imperatore -perchè un tempo avevano sguainato pe’ suoi -nemici, inventavano delitti e trame, affine d’intitolar -punizione la vendetta. Uno ch’erasi millantato di poter -rendere la libertà e il trono a Sibilla, fu collocato sopra -un seggio di fuoco, con corona di ferro rovente: massime -su ecclesiastici e prelati s’infierì, e chi fu arso, chi -scorticato, chi mutilo, chi mazzerato. -</p> - -<p> -Non che mancare alle condizioni promesse a Genovesi -e Pisani, Enrico li fraudò degli antichi privilegi, -proibendo vi tenessero consoli, e proscrivendo tutti i -negozianti forestieri. Del papa non si curò più che tanto, -nè gli chiese l’investitura; onde questo l’avrebbe scomunicato, -se nol tratteneva la naturale bontà, e la speranza -che mantenesse la ripetuta promessa di crociarsi. -</p> - -<p> -Dava fiducia di presti cambiamenti il non aver successori -il re svevo; quando si annunziò che Costanza -era feconda. Enrico volle venisse nel Reame, quasi -per dare un re indigeno; e avendo essa partorito a -Jesi, al bambino pose nome Federico Ruggero, come -quello che univa i due sangui nobilissimi. I Ghibellini -ne fecero galla; i Guelfi sparsero ogni sorta di dicerie -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -su questo intempestivo natale<a class="tag" id="tag232" href="#note232">[232]</a>; ed Enrico ne prese -baldanza a compiere il disegno del Barbarossa di far -ereditario l’impero in sua casa, tanto più da che trovavasi -favorito dalla vittoria e dai tesori della Sicilia. -</p> - -<p> -Cominciò dal sistemare la media Italia in modo di -tener soggetta tutta la penisola. Pertanto a Filippo, ultimo -figlio del Barbarossa e che poi divenne duca di -Svevia, diede in moglie Irene figlia d’Isacco Langelo -imperatore di Costantinopoli, e vedova del primogenito -di Tancredi; e in feudo la Toscana ed altri beni -della contessa Matilde: a Markwaldo d’Anweiler suo -siniscalco, e ministro delle crudeltà, infeudò la marca -d’Ancona: a Corrado di Svevia quella di Spoleto usurpandola -alla Chiesa con titolo di rintegrare le imperiali -prerogative, e restringendo il papa a poco più che all’indocile -Roma. Vedendosi riminacciato il giogo degli -Svevi, le città guelfe di Lombardia, da lui poste al -bando dell’Impero, rinnovarono a Borgo Sandonnino -la Lega Lombarda <span class="sidenote">(1193 — 13 giugno)</span>, alla quale diedero il nome Verona, -Mantova, Modena, Faenza, Bologna, Reggio, Padova, -Piacenza, Gravedona, oltre Crema, Brescia e Milano. -Così i Guelfi perseveravano nell’assunto loro di campare -Italia dalla straniera servitù. -</p> - -<p> -E servitù veramente minacciava Enrico, avvicendando -crudeltà e perfidie contro i nostri non solo ma -anche contro i Tedeschi. Raccolti gli stati a Magonza, -propose di rendere in sua casa ereditario l’Impero, al -quale aggregherebbe Puglia, Calabria, Capua e Sicilia, -rinunzierebbe alla pretensione regia sulle spoglie de’ vescovi -e abati defunti, riconoscerebbe ereditarj i feudi -anche nelle donne. A proposte sì lusinghiere ben cinquantadue -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -principi aderirono: e per vero quel suo concetto -potea tornar buono onde evitare le contestazioni -che rinasceano tra le famiglie aspiranti alla corona -della Germania, e ridur questa sotto leggi uniformi. Ma -poteasi mai sperare v’assentisse il papa, il quale con -ciò perdeva un preziosissimo diritto, e snaturava una -dignità, attribuibile non alla nascita ma al merito personale? -Poi a riuscirvi si voleva altro accorgimento -politico, e carattere ben più stimabile che non l’avesse -Enrico, il quale, mentre inorgogliva del tenersi come -successore dei romani augusti, operava da inetto e crudele, -scambiava per grandiosi disegni le velleità della -sua ambizione; prometteva alle repubbliche privilegi, -al papa di crociarsi, ai principi di favorirli, e a tutti -perfidiava sfacciatamente; poi trovandosi impotente ai -concetti, saltava in furore. -</p> - -<p> -Il divisamento medesimo egli rivoltò in altra guisa, -meditando cavare dalla nullità l’impero bisantino assalendolo -come aveano fatto i predecessori, e sedutosi -sul trono di Costantino, congiungere le due Chiese, e -ridurre il papa alla docilità dei patriarchi orientali. A -tal uopo, fingendo secondare la predicazione della crociata, -tutto dispose per questa in Italia e in Germania, -e un esercito mandò in Sicilia; ma in realtà non fece -che raddoppiarvi le taglie, e supplizj di nuova invenzione, -fin cinquecento nobili in un sol giorno facendo -bruciare al piè del palazzo<a class="tag" id="tag233" href="#note233">[233]</a>, quasi tenesse fitto il -pensiero di sterminare tutti i Normanni; sicchè meritò -il titolo che i Siciliani gli applicarono di Ciclopo. Indarno -Costanza sua procurava mitigarlo, compatendo -a quelli fra cui era nata e cresciuta, e ch’erano sua -eredità; e di cui ella acquistò l’amore mentre governava, -lui assente. Quand’egli fe mutilare Margaritone -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -grand’ammiraglio, ella s’affiatò coi nemici dell’imperatore; -i Palermitani uccisero molti Tedeschi, la sommossa -scoppiò in diversi punti; e fra questi bollimenti -Enrico fu côlto dalla morte a Messina <span class="sidenote">(1197)</span>, di trentatre anni. -In agonia assalito dal rimorso, largheggiò cogli ecclesiastici, -offrì compensi a Ricardo cuor di Leone, alla -Chiesa romana fece concessioni amplissime<a class="tag" id="tag234" href="#note234">[234]</a> confessandone -la fin allora rinnegata supremazia. -</p> - -<p> -Gl’Italiani spiegarono soprumana allegrezza di questa -morte: ne gemettero i Tedeschi, e sparsero che sua -moglie l’avesse attossicato per vendicare sul marito la -patria, resa infelice da quella sciagurata conquista, che -tanti altri mali dovea trarre sull’Italia. Costanza cercò -far cessare in Sicilia il dominio militare e quei che -chiamavansi <i>costumi tedeschi</i>, cioè la violenza e il ladroneccio<a class="tag" id="tag235" href="#note235">[235]</a>; -allontanò l’odiato Markwaldo, che a -stento fuggì la popolare vendetta: ma anch’essa morì -ben presto <span class="sidenote">(1198 — 27 8bre)</span>, lasciando solo un bambino, Federico Ruggero. -Di quattro anni, odiato dai popoli, massime dagli -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -Italiani che d’ogni parte insorgevano, insidiato dagli -emuli e dagli stessi fedeli di suo padre che carpivano -i brani del dominio, non trovò ricovero che sotto al -manto del papa, che poi egli dovea faticarsi a stracciare. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap87">CAPITOLO LXXXVII. -<span class="smaller">Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente.</span></h2> -</div> - -<p> -L’elezione de’ pontefici era stata da Nicola II ristretta -nei cardinali, vescovi e preti; poi Alessandro III, -il promotore della Lega Lombarda, ascrisse al sacro -collegio i capi del clero romano <span class="sidenote">(1179)</span> formandone i cardinali -diaconi, escluse gli altri ecclesiastici, ed ordinò che, -per essere papa legittimo, convenisse ottenere i suffragi -di due terzi de’ cardinali. -</p> - -<p> -Colla nuova forma fu eletto Lucio III <span class="sidenote">(1181)</span>, che sedette a -Vellètri, poi a Verona<a class="tag" id="tag236" href="#note236">[236]</a>, sfuggendo dalla plebe romana, -irrequieta e riottosa tanto, che avea preso a sassi -fin il cadavere del suo predecessore, e accecati quanti -cherici colse nell’espugnato Tusculo. A Urbano III fu -precipitata la morte <span class="sidenote">(1185)</span> dalla notizia della presa di Gerusalemme; -alla cui ricuperazione <span class="sidenote">(1187)</span> s’applicò Gregorio VIII -nel brevissimo suo regno. A Clemente III succedutogli -riuscì alfine di conchiuder pace coi Romani, abbandonando -alla loro vendetta Tivoli e Tusculo. Il nuovo -pontefice Celestino III <span class="sidenote">(1191)</span> non aveva potuto impedire che -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -Enrico VI disponesse dell’eredità della contessa Matilde, -e assegnasse a’ suoi baroni molte terre della Romagna, -e fino alle porte della città, lasciando a San Pietro soltanto -la Campania, dove pure l’imperatore più era -temuto che il papa<a class="tag" id="tag237" href="#note237">[237]</a>. -</p> - -<p> -Da Alessandro III in poi era dunque in calo l’autorità -pontifizia, sicchè i cardinali sentirono la necessità -d’affidarla a un robusto, qual fu Lotario <span class="sidenote">(1198)</span> dei Conti di -Segni, col nome di Innocenzo III. Erudito se alcun n’era -dell’età sua, in gioventù avea dettato <i>Del disprezzo del -mondo, e delle miserie dell’umana condizione</i>, non -come uno scettico che nauseato predica la vanità delle -cose terrene senza por mente a quelle di sopra, ma -elevando il cuore alle non peribili. Versò a lungo negli -affari, alla prudenza del concepire aggiungendo la fermezza -dell’effettuare e l’abilità del trovarne le guise. -</p> - -<p> -Assunto pontefice nella vigorosa età di trentasette -anni, del tesoro che trovò fe mettere in disparte una -porzione per le emergenze imprevedute, il resto distribuì -ai conventi di Roma; provvide agl’istituti di -beneficenza; destinò ai poveri i doni offerti a san Pietro -ed a’ suoi piedi, e la decima di tutti i suoi proventi; in -una carestia mantenne ottomila poveri al giorno, oltre -le distribuzioni per le case; molti riceveano quindici -libbre di pane per settimana, alcuni presentavansi allo -sparecchio per raccogliere i rilievi della sua mensa. -</p> - -<p> -Di que’ giorni i pescatori ebbero a raccorre dal Tevere -tre bambini gettati; e Innocenzo ne fu sì tocco, -che stabilì provvedere a quest’infelici; onde rifabbricò ed -estese l’ospedale di Santo Spirito in Sassia, dotandolo -lautamente, e stabilendo che in perpetuo, l’ottava dell’Epifania, -il papa in solenne processione vi recasse il -santo sudario, ed esortasse i Cristiani alla carità, dandone -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -egli stesso esempio col distribuir pane, vino e -carne a quanti vi assistevano. Millecinquecento malati -vi dimoravano costantemente; ospitati i poveri d’ogni -condizione e paese; ed anche ora annualmente vi sono -raccolti ottocento esposti, di cui più di duemila vi -stanno ordinariamente; e la spesa se ne calcola a centomila -scudi l’anno. -</p> - -<p> -A tanto fiore di carità univa una fervorosa devozione -nel celebrare gli uffizj divini e nel predicare: i trattati -e le omelie sue il mostrano versatissimo nelle sacre -carte; compose diversi inni, e ancora si cantano dalla -Chiesa il <i>Veni, sancte Spiritus</i> e lo <i>Stabat mater</i>. -</p> - -<p> -A tali qualità di cristiano e di pontefice accoppiava -quelle di principe; principe in ben miglior senso di -cotesti altri suoi contemporanei. Amò Atene per le antiche -glorie, Parigi per l’università, alla quale diede -regole e privilegi; rifabbricò chiese, e fecele dipingere -da Marchione d’Arezzo primo scultore e architetto dei -tempi rinnovati, e da altri; crebbe e ornò San Pietro e -il Laterano; e sulla piazza di Nerva fece alzar la torre -dei Conti, meraviglia di quel tempo<a class="tag" id="tag238" href="#note238">[238]</a>, e che gli è -rinfacciata come una condiscendenza ai parenti, della -cui grandezza in fatto fu tutt’altro che negligente. -</p> - -<p> -Ne’ suoi Stati non affidava la giustizia che a persone -di senno e bontà: profondo nelle leggi, ristabilì la consuetudine -di presedere tre volte la settimana a una -congregazione di cardinali, ove a tutti era dato portar -quistioni. Credesi abbia istituito il processo in iscritto, -per escludere il sospetto di frode, e attestare la regolarità -degli atti; e fece abolire i giudizj di Dio<a class="tag" id="tag239" href="#note239">[239]</a>. A -Roma allora recavansi in supremo appello tutte le cause -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -di rilievo; e Innocenzo, assiduo ai concistorj ove le si -dibattevano, spesso udiva le parti egli stesso in privato, -esaminava gli atti, addolciva coi modi le sentenze ch’era -obbligato portar contrarie. Ci rimangono di lui tremila -ottocencinquantacinque lettere, la più parte di sua -mano, e che dividendosi sopra quattordici anni (di -quattro mancano), danno un medio di ducensettantacinque -l’anno: e tanto credito ottennero, da divenire -testo nelle università. -</p> - -<p> -Tenace di memoria, esuberante d’erudizione, elevato -nell’ideare, perseverante nell’eseguire, sagace nell’antivedere -gli effetti, attingeva forza dagli ostacoli, rispondeva -e operava pronto non precipitato, circospetto non -oscillante, e sempre dopo consultati i cardinali; severo -coi pertinaci, benevolo ai docili, propenso all’indulgenza -e a credere il bene; degli ordinamenti che uscirono -sotto il suo regno, nessuno fu derogato. -</p> - -<p> -Colle idee di Gregorio VII egli sottentrava ai carichi -che pesavano sopra un pontefice allora, quando non -dovea soltanto curare la salute delle anime e l’interesse -della cattolica verità, ma attendere al miglior governo -della società cristiana e difendendo la libertà della -Chiesa, vigilare agl’interessi dei popoli, e a mantenerli -ne’ loro doveri come ne’ loro diritti. Assicurare la purezza -dell’operare e del credere contro i simoniaci, -eretici, re adulteri, impedire si accumulassero i benefizj, -dare e rinnovare privilegi a conventi, a ordini, a -chiese, e cassare i pregiudizievoli, introdur feste, proteggere -i deboli contro prelati o capitoli prepotenti, -pronunziare generali decisioni di fede, e risolvere dubbj -e casi particolari, confermare o rivedere sentenze dei -legati, far rispettare gli ordini de’ predecessori suoi, -revocar quelli carpiti con frode, reprimere gli arbitrj -dei re e dei baroni, raccomandar funzionarj o poveri -preti, sancire convenzioni fra ecclesiastici, ribenedire -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -scomunicati, canonizzare santi, tali e assai più erano -gli uffizj che un pontefice estendeva a tutto il mondo. -E Innocenzo con intima persuasione proclamava quest’autorità, -stabilita nel cristianesimo per congiungere -tutti coloro che lo professano, tutelare i diritti, determinare -i doveri di tutti, far rispettata la legittimità dal -suddito e dal principe, egualmente servi a Dio per la -verità e la giustizia. -</p> - -<p> -Prima raccomandazione a’ suoi legati era d’aver gli -occhi e gli orecchi ai portamenti del clero, francheggiare -la ragione, svellere gli abusi, comporre le differenze, -frenare la cupidigia di guadagno. Anche di -mezzo ai laici procurava estirpare gli scandali, introdurre -usi che mettessero gravità ne’ modi; ordine nella -vita, e tutelava il matrimonio contro i voluttuosi capricci -de’ principi. Qui prescrive limiti all’usura, là disegna -il vestire de’ laureati di Parigi o de’ cavalieri -Teutonici; oggi ammonisce il clero milanese del come -trattare i nunzj in viaggio, domani il doge di Venezia -di ritirare un ordine troppo severo contro un privato; -scrive ad alcuni principi perchè vigilino alla sicurezza -delle strade, ad altri perchè non alterino le monete, o -non aggravino i tributi, o non impongano nuovi pedaggi. -Non una legge della Chiesa è violata, ch’e’ non -la ripristini; non fatta un’ingiuria al debole, ch’e’ non -ne chieda riparazione. Prende in tutela Federico II, -Ladislao d’Ungheria, Enrico di Castiglia, l’infante d’Aragona, -orfani reali: Gualtieri di Montpellier sbandito a -lui ricorre; a lui le nazioni trafficanti per risolvere i -loro piati. Pietro II d’Aragona, il re de’ Bulgari, lo -stesso re d’Inghilterra non credettero meglio assicurare -la propria corona che facendola vassalla della santa -sede: i regni di Navarra, di Portogallo, di Scozia, d’Ungheria, -di Danimarca si gloriavano di mettersi sotto -l’alto dominio del papato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<p> -Le basi del quale già eransi assodate; ogni nuovo -pontefice v’avea recato una pietra, Innocenzo s’accingeva -a porvi il colmo. Alla morale e alla dignità de’ prelati -credeva, come Gregorio VII, fosse spediente render -la Chiesa al possibile indipendente dalla podestà temporale. -Cominciò dall’assicurare il dominio pontifizio in -Roma, i cui eterni contrasti obbligavano a tener ristretto -fra i sette colli lo sguardo che dovea girarsi -su tutto il mondo. La nobiltà vi era cresciuta di baldanza -fra le contrarie pretensioni dell’imperatore e del -pontefice, parteggiando coll’uno o coll’altro secondo -l’interesse. -</p> - -<p> -La parte cesarea era rappresentata dal prefetto di -Roma, investito dall’imperatore colla spada: poi dai -tempi d’Arnaldo sussisteva un senato, la cui autorità -era dal popolo stata ridotta in un solo, straniero, capo -supremo della giustizia, del governo civile e della forza -armata, centro insomma del governo, siccome altrove -il podestà. Quando Clemente III ritornò in Roma, patteggiò -col popolo confermando la dignità del senato, -la città, la zecca; di questa però riservavasi un terzo, -mediante il quale la chiesa di san Pietro e le chiese e -vescovadi tassatisi per la guerra venissero anno per -anno esonerati fin all’estinzione dell’obbligo assunto. -Restituiva le regalie in città e fuori; egli difenderebbe -i capitani e gli altri magistrati della città: i senatori -giurerebbero annualmente fedeltà al papa; resterebbero -alla romana Chiesa i possessi di Tusculo, in qualunque -modo esso possa soggiogarsi, dando ogn’anno cento -libbre dal ricavo di essi, onde restaurare le mura di -Roma. Di rimpatto i senatori assicuravano pace e sicurezza -al papa, ai vescovi, ai cardinali, a tutta la curia, -e chi v’andava e dimorava. Il papa eleggerà dieci o -più persone per ciascuna delle regioni della città, dalle -quali i senatori faran giurare questa pace. Se occorra -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -difendere il patrimonio di san Pietro, i Romani vi andranno -colle spese consuete<a class="tag" id="tag240" href="#note240">[240]</a>. -</p> - -<p> -Tale era trovato il governo di Roma da Innocenzo. -Il quale, conoscendo come alle repubbliche pregiudicassero -queste ingerenze imperiali, risolse torle di -mezzo; fe snidare i Tedeschi dai contorni di Roma, recuperando -i castelli da loro presidiati; obbligò il prefetto -a non prestar più all’imperatore l’omaggio ligio, -ma ricevere da esso papa il manto, con giuramento -di rinunziarvi ogniqualvolta ne fosse richiesto; il senatore -ridusse ad esercitare la podestà, non più in -nome del popolo, ma del papa. -</p> - -<p> -Spenta così l’autorità regia in Roma, invitò gli abitanti -della marca d’Ancona a cacciare il tedesco Markwaldo, -«giacchè nessuna violenza può abolire i diritti»; -onde Ancona, Fermo, Osimo, Camerino, Fano, Jesi, -Sinigaglia, Pesaro vennero all’obbedienza papale: altrettanto, -espulso Corrado Moscaincervello, avvenne del -contado di Spoleto, che abbracciava Rieti, Assisi, Foligno, -Nocera; seguirono Perugia, Gubbio, Todi, Città -di Castello, cosicchè i nostri esultarono di vedersi sbrattati -da Tedeschi; e lo Stato della Chiesa non fu più -soltanto un nome, ma diveniva una realtà. -</p> - -<p> -Innocenzo bramava aggiungervi l’esarcato di Ravenna -e i beni della contessa Matilde; ma poichè saldo -li difendeva Filippo di Svevia, esso si diede a fomentare -gli spiriti liberali de’ Toscani, spiacenti di durare -in tirannia mentre i Lombardi s’erano assicurata la -libertà. Inanimiti da esso a confederarsi al modo -de’ Lombardi per tutelar le franchigie <span class="sidenote">(1199)</span>, Firenze, Lucca, -Volterra, Prato, Samminiato ed altre giurarono pace -e lega, invitandovi tutti gli Stati e i liberi o nobili che -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -vi volessero aderire, affine di vigilare all’osservanza -della legge, combattere chiunque facesse guerra ad alcun -collegato, rimetter pace se tra questi nascesse dissidio, -obbligandosi a stare alla decisione di arbitri. I rettori -s’adunerebbero sotto un priore per provvedere al meglio -della Lega, la quale prometteva obbedirli: si punirebbero -severamente i trasgressori. I consoli o podestà -farebbero giurar essa Lega da tutti i loro cittadini; così -i vescovi e conti da tutti i loro militi e pedoni, e dai -loro figli. Non si riconoscerebbe imperatore, o legato -o nunzio d’imperatore o principe, duca o marchese, -senza speciale assenso della Chiesa romana. A questa -si assisterebbe affinchè recuperasse i beni, purchè non -fosse contro qualche membro della Lega. Se il papa -e i cardinali non adempissero i loro obblighi verso -questa, la Chiesa se ne terrebbe esclusa<a class="tag" id="tag241" href="#note241">[241]</a>. -</p> - -<p> -Ma Pisa, Pistoja, Poggibonsi mantenevansi coll’Impero, -sicchè, scissa la Toscana in due, cominciò -a divulgarsi ivi pure la qualificazione di guelfo e -ghibellino. -</p> - -<p> -Gente raffinata come vedemmo essere i Siciliani, e -che cominciava in sua favella a far intendere i suoni -della nuova poesia, considerava per barbari i Tedeschi. -Enrico VI, accortosi d’avere preparato cattivo letto al -suo fanciullo Federico, morendo il raccomandò al papa. -Accettò questi; ma oltre volere che n’uscissero le truppe -tedesche, scopo all’ira popolare, pose per patto alcune -modificazioni nei <i>quattro capitoli</i> della monarchia, ed -erano che i vescovi fossero eletti canonicamente, e i -re li confermassero; a ciascun ecclesiastico siciliano -fosse permesso appellarsi a Roma; il papa potesse deputare -legati nell’isola: di rimpatto riduceva il censo -a mille schifati. Costanza non seppe ricusare; e anch’essa, -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -quando morì <span class="sidenote">(1198)</span>, lasciò la tutela di Federico ad Innocenzo, -colla provvigione di trentamila tarì (lire 80,000). -</p> - -<p> -Innocenzo gli diede per aji gli arcivescovi di Palermo, -Monreale e Capua, e tosto spedì un legato che traesse -a sè il governo; onde nelle stesse mani trovandosi il -potere ecclesiastico e il civile, ogni contestazione restava -tolta di mezzo. I baroni del Regno sel recavano in -sinistra parte; e il duca Markwaldo, che, espulso di Romagna, -erasi ridotto nel suo contado di Molise, erettosi -capo della parzialità imperiale, pretese alla tutela del -giovane re, come via di farsi indipendente, assediò -San Germano, e ajutato dai Pisani sbarcò in Sicilia. Lo -favorirono i Siciliani, paurosi d’una persecuzione; ma -mentre i nobili, tenendo coi Ghibellini, avvicendavano -arroganza e viltà, il popolo esecrava i Tedeschi a segno, -che nè tampoco i pellegrini di questa nazione potevano -traversare impunemente il Reame per andare in -Terrasanta. -</p> - -<p> -Gualtieri conte di Brienne, francese povero ma di -gran valore e nobiltà, avea sposato la primogenita del -re Tancredi, che era stata messa in libertà per istanza -del papa; e ridomandava Taranto e Lecce, che i figli -di Tancredi si erano riservati nel cedere il diritto ereditario -alla corona. Venne egli a Roma con Sibilla e -colla moglie; e il papa, lieto d’aversi un tal vassallo, lo -sostenne, sicchè egli, messi insieme sessanta Francesi, -mille lire tornesi, e cinquecento oncie d’oro dategli dal -papa, riportò nel Reame molte vittorie; ma Gualtieri -Paliario, arcivescovo di Palermo ed arcicancelliere del -regno, che tramestava la Sicilia a suo talento, e dava -e toglieva contadi e feudi, vi oppose proteste e forza. -Innocenzo scomunicollo, ma per conservare integro il -patrimonio al suo pupillo fu costretto ricorrere alle -armi: la fortuna de’ combattimenti si bilicò, ma alfine -arrise a Markwaldo, che avendo in mano Federico, e -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -spargendo voce ch’e’ fosse un parto supposto<a class="tag" id="tag242" href="#note242">[242]</a>, tenne -suddita la Sicilia, e faceasene re ove non l’avesse rattenuto -paura del conte di Brienne. Nel farsi operar -della pietra morì <span class="sidenote">(1201)</span>, ma Capperone continuò la parte di -lui, sempre opponendosegli il conte di Brienne, il quale -però, sebbene vantasse che Tedeschi armati non avrebbero -tampoco osato affrontare Francesi disarmati, fu -sorpreso e imprigionato all’assedio del castello di Sarno, -e morì di ferite. Delle turbolenze siciliane vollero profittare -i Pisani per occupare Siracusa: ma i Genovesi, -perpetui avversarj di essi, accorsero, ne trucidarono -quanti vollero, e posero in quella città chi la governasse -a nome loro. Finalmente il pontefice trionfò dappertutto, -ristabilì le città nelle antiche franchigie, e da -Federico ottenne il contado di Sora per suo fratello -Ricardo, principale autore di quelle vittorie. -</p> - -<p> -Qui i parziali interessi cedono a fronte della crociata, -interesse generale non solo pel pio intento, ma pei tanti -Europei che eransi piantati nell’Asia, fondando colonie, -scali di commercio, principati, e confidandosi sugli ajuti -promessi dai fratelli d’Europa. Dicemmo dello sgomento -propagatosi allorchè Gerusalemme ricadde ai -Musulmani: ma quando il gran Saladino, glorioso di -quel trionfo, morì <span class="sidenote">(1193)</span>, diciassette suoi figli si disputarono -il dominio, onde il vigoroso regno degli Ajubiti si disciolse -in piena anarchia. Innocenzo III credette caduto -con quello l’antemurale dell’islam, e opportunissimo -l’istante di ricuperare la santa città, sicchè bandì la -croce: Enrico VI la prese, poi, fallendo alla promessa, -si valse dell’esercito nelle sue gare private, e lasciò che -altri principi andassero in Palestina <span class="sidenote">(1195)</span>, ove Malek Adel, -fratello di Saladino, li fece mal capitati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -</p> - -<p> -Innocenzo, come voleva il perfezionamento della -Chiesa per mezzo della morale e dell’indipendenza, così -s’infervorò al ricupero della santa città; proibì gli spettacoli -e tornei per cinque anni, mandò a raccattare -denaro per tutta cristianità, egli stesso fece fondere il -suo vasellame d’oro e d’argento, riducendosi ad argilla -e legno. Folco curato di Neuilly predicò per Francia -la crociata, e moltissimi baroni e prelati gli ascoltarono, -all’impresa non accettandosi la turba, ma solo gente -disciplinata. Spedirono essi ambasciadori a Venezia per -chiederle navi da trasporto e ajuti: ma mentre i papi -e gli altri popoli lanciavansi a quell’impresa <span class="sidenote">(1198)</span> con impeto -devoto e pio disinteresse, le repubbliche nostre -marittime vi scorgeano occasioni di guadagno, e opportunità -di fondar banchi e scali e prevalere agli emuli; -anzi non si faceano scrupolo di somministrar navi, arredi -e piloti a que’ Saracini, contro cui la cristianità -combatteva. Già in molte città della Siria e della Grecia -teneano colonie, regolate colle patrie leggi; ma il -contatto coi Greci avea portato ai Veneziani disgusti e -sanguinose animadversioni. Sentendosi cresciuti in forze -dacchè i Latini dominavano nel Levante, cessarono gli -antichi riguardi verso gl’imperatori; dicemmo come -gli osteggiassero, e covavano sempre il desiderio di -umiliare i Greci sprezzati, e insieme di distruggere i -banchi che quelli aveano concesso ai Pisani. -</p> - -<p> -A Venezia soleano prendere imbarco i pellegrini per -Terrasanta, ai quali restava permesso vagare per la -città con croci e gonfaloni; e alcuni uffiziali, detti Tolomazzi, -erano eletti al solo uopo di assisterli e consigliarli -nell’acquistare il bisognevole pel viaggio e pattuire i -noli; i <i>signori di notte</i> decidevano sommariamente le -cause e querele loro; e il pellegrino alle processioni -poteva intervenire appajato ad un patrizio, che gli cedeva -la destra e gli regalava il cero. Ma questa volta -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -non vi vennero solo devoti palmieri, bensì ambasciatori -della più alta baronia di Francia. -</p> - -<p> -Sedeva allora doge Enrico Dandolo <span class="sidenote">(1201)</span>, che colle armi -e coi maneggi avea sempre sostenuto la gloria nazionale, -nè languiva benchè nonagenario. Personalmente -era stato offeso dall’imperatore di Costantinopoli, e -quasi accecato, sicchè dovette accogliere volonteroso -l’occasione di vendicarsi con un’impresa che tornerebbe -di onore e vantaggio della patria. Convocato il -popolo in San Marco, dopo la messa dello Spirito Santo -si levò ed espose: — I baroni francesi chiedono a voi, -popolo veneziano, navi per trasportare quattromilacinquecento -cavalli, ventimila fanti e provvigioni per nove -mesi. Noi domandammo per compenso ottantacinquemila -marchi (4,250,000 lire). Inoltre, se a voi piaccia, la -Repubblica armerà cinquanta galee, purchè le sia ceduta -metà delle conquiste che si faranno. Piace a voi, -popolo veneziano, la proposta e il patto?» I messi -francesi in ginocchione tendeano le mani supplichevoli -ripetendo la domanda, persuasi che i soli potenti fossero -i Veneziani sul mare, i Franchi per terra; e giuravano -sulle armi e sul vangelo di mantenere le -convenzioni. -</p> - -<p> -Il popolo a gran voci applaudiva al trattato, e più -crebbe il fervore quando il doge dal pulpito soggiunse -a’ suoi: — Voi siete accompagnati alla miglior gente -del mondo, e per la più nobile impresa che mai alcun -popolo assumesse. Vecchio son io e fiaccato, e avrei -mestieri di riposo e di pensare alla fine del mio corso: -ma vedo che nessuno vi potrebbe regolare come io -vostro capo. E però, se volete che io pigli la croce per -custodirvi e governarvi, e in luogo mio lasci i miei figliuoli -a guardia della patria, io verrò a vivere e morire -con voi e coi pellegrini». Tutti ad una voce gridarono -<i>Si faccia, Dio lo vuole</i>; egli attaccossi la croce -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -al corno ducale; e inteneriti si mischiavano in abbracci -i baroni francesi coi veneti negozianti<a class="tag" id="tag243" href="#note243">[243]</a>. -</p> - -<p> -La gelosia fe stare inoperose Pisa e Genova, tanto -più che esse si faceano guerra accannita, dalla quale -tentò invano distorle il papa: però Lombardi e Piemontesi -vi vennero, fra cui Sicardo vescovo di Cremona, -che nella sua storia ci descrisse questi fatti; e capo -della spedizione fu eletto Bonifazio II marchese di -Monferrato, fratello del prode Corrado marchese di -Tiro. Da Francia, da Borgogna, da Fiandra accorrevano -cavalieri a Venezia, dove trovarono arredati i -navigli; ma altri imbarcaronsi altrove, con pregiudizio -proprio dell’impresa. Imperocchè vennero a mancare -i denari onde pagare il noleggio ai Veneziani, benchè -giojelli e vasi fossero convertiti in zecchini, dando tutto -fuorchè i cavalli e l’armi, e confidandosi nella Provvidenza. -Pertanto il doge disse: — Ebbene, noi rimetteremo -questo debito ai Crociati, purchè ci ajutino a -riprendere Zara, sottrattasi a noi per darsi al re d’Ungheria». -Molti faceansi coscienza del voltare contro -Cristiani l’armi giurate contro Infedeli; più si oppose -il papa, sul riflesso che quel re, avendo anch’egli preso -la croce, restava protetto dalla tregua di Dio: ma il -doge non vi badò, con grave scandalo de’ Settentrionali -avvezzi a sottoporre interessi e calcoli al volere -pontifizio. -</p> - -<p> -Salpata la più bella flotta che mai avesse veleggiato -l’Adriatico, prendono Trieste, spezzano le catene del -porto di Zara; ma qui pullulano fiere discordie fra i -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -Crociati, che si uccidono gli uni gli altri, e il papa disapprovando -l’impresa, ordina di restituire il bottino, -e far penitenza e riparazione: e poichè i Veneti in -quella vece diroccano le mura, li scomunica, senza per -questo disobbligarli dal voto, mentre ribenedice i Francesi -che mandarono a scusarsi, ed ordina che, senza -volgersi a destra nè a sinistra, passino in Siria. -</p> - -<p> -Frattanto gravi accidenti complicavano l’intento della -spedizione. Benchè gl’imperatori bisantini dominassero -sempre su molta parte dell’Italia, noi reputammo -alieno dal nostro soggetto il seguirne la serie e i fatti. -Del resto il lettore che si ricorda degli ultimi tempi di -Roma imperiale può figurare vi continuasse quel sistema -di serraglio, con regnanti dappoco, favoriti onnipotenti, -da null’altro temperati che da frequenti rivoluzioni, -per cui un intrigo di palazzo cambiava o gli -imperatori o i ministri; e Costantinopoli vi applaudiva, -e tutto l’Impero non facea che mutare il nome di -quello a cui obbedire. In quella Chiesa non vi era stato -l’antagonismo col Governo; e sottomessa com’era, non -potè impedire la corruzione del potere, che a vicenda -era trascinato negli errori dell’autorità che aveva a sè -riunita. Intanto assalti sempre più stringenti di nemici -esterni; intanto le coscienze turbate dalla regia pretensione -d’interporsi ai dogmi e ai riti; intanto una letteratura, -non ancor rimestata da stranieri, eppure impotente, -che degl’insigni classici non sapea valersi se non -per commentarli, e la lingua più bella e forbita adoperava -soltanto a trastulli senili e a sofistiche controversie. -</p> - -<p> -Questo quadro tengano sott’occhio coloro che non -hanno se non vilipendio pei paesi invasi da Barbari, e -rimpianto per la dominazione romana schiantata dall’Italia. -Qualche nuovo vigore parve recare su quel -trono d’orpello la famiglia Comneno, di cui era quell’Alessio -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -che vedemmo barcollante amico e coperto -nemico dei Crociati: e per poco ch’e’ valesse, nessuno -l’eguagliò de’ suoi successori. Giovanni Comneno <span class="sidenote">(1118)</span> menò -per ventiquattro anni guerre felici. A Manuele <span class="sidenote">(1143)</span>, succedutogli -con spiriti cavallereschi più che prudenza a dirigerli, -Ruggero II di Sicilia portò l’assalto che dicemmo, -in cui desolò le coste del Jonio, espugnò Tebe e Corinto, -menando via quanto di meglio trovò d’uomini robusti, -di belle donne, d’abili operaj. Manuele divisò allora -snidare i Normanni d’Italia <span class="sidenote">(1155)</span>, e in fatto i suoi presero -Bari e Brindisi: ma ben presto seguì la pace. -</p> - -<p> -Alessio II suo figliuolo gli succedette <span class="sidenote">(1180)</span>, reggente la -madre Maria d’Antiochia; ma questa affidavasi tutta al -protosebaste Alessio nipote di Manuele, scandolezzando -e scontentando la Corte, sicchè fu tramato a favore di -Andronico Comneno. Costui, tenuto prigione dodici -anni, fuggì, e dopo romanzesche avventure perdonato, -osteggiò di continuo il protosebaste; e dal patriarca -eccitato a liberare la patria, si mosse raccogliendo gli -scontenti. Appena compare a Calcedonia, il popolo lo -acclama reggente <span class="sidenote">(1183)</span>; ed egli fa accecare Alessio, trucidare -senza distinzione quanti Latini coglie in Costantinopoli, -avvelenare Maria sorella dell’imperatore e il marito di -lei marchese di Monferrato, strangolare l’imperatrice -madre; e così cacciatosi addosso la porpora, la conservò, -e viepeggio quando Guglielmo II di Sicilia, aspirando -alla conquista dell’Impero, prese Durazzo e -Tessalonica, e marciò sopra Costantinopoli. -</p> - -<p> -Vittima designata dal tiranno era Isacco Langelo, -cittadino di molto seguito: ma questi uccide il carnefice, -rifugge in Santa Sofia, e dal popolo tumultuante -è, mal suo grado, proclamato imperatore <span class="sidenote">(1185)</span>. Andronico, -abbandonato al furore del popolo, fu per più giorni -tratto a strapazzo, in fine appiccato per li piedi in -teatro, rinnovando le scene che erano famigliari alla -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -Roma del Basso Impero. Con questo vecchio di settantacinque -anni terminò la stirpe dei Comneni. -</p> - -<p> -Femminesco di vita e inetto di mente, Isacco abbandonava -le cure a ministri indegni; ebbe contese con -Federico Barbarossa, a cui danno <span class="sidenote">(1195)</span> sollecitò le repubbliche -lombarde: poi da Alessio fratel suo fu deposto, -accecato e messo in carcere col figlio. Questi, Alessio -anch’egli di nome, riuscì a fuggire presso Filippo di -Svevia suo cognato, appunto allorchè più in Europa -caldeggiavasi la crociata; e poichè de’ cavalieri armati -in questa era divisa il difendere l’innocenza, raddrizzare -i torti, sostenere gli oppressi, andò invocare il loro -braccio, proponendo assalissero Costantinopoli, e rimettessero -in trono lui, che gli avrebbe poi d’ogni sua -possa ajutati alla santa impresa. Invano altri insinuava -che non per ciò aveano impugnato le armi, che i Greci -non moveano lamento contro l’usurpatore, che gl’imperatori -s’erano pôrti scarsamente favorevoli ai Crociati: -gli scaltri trovavano miglior conto nel guerreggiare -Costantinopoli, più vicina e più ricca; a molti -sapea di meritorio l’assalire gente scismatica; presa -Costantinopoli, diverrebbe la base della spedizione contro -Gerusalemme. Si narrò che Malek Adel facesse -vendere i beni del clero cristiano in Egitto, e col ricavo -comprasse fautori in Venezia, promettendo alla repubblica -ogni agevolezza di traffici in Alessandria se stornasse -la spedizione dalla Siria: del resto, occorrevano -altri stimoli ai Veneziani per volere vendicarsi degli -imperatori, e schiantare i banchi fondati in Grecia dai -Pisani? -</p> - -<p> -L’imperatore bisantino, non meno fiacco del predecessore, -angariava e anneghittiva; vendeva la giustizia -per rifarsi dello speso nell’usurpazione; e mentre Bulgari -e Turchi straziavano i confini, dentro lasciavasi -governare dalla moglie Eufrosina. Quando Enrico VI -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -professava voler rinnovare l’antico impero romano, e -frattanto gli ridomandava le provincie fra Durazzo e -Tessalonica, o per equivalente cinquanta quintali annui -d’oro, Alessio non allestì resistenza, ma mercanteggiò -facendolo accontentare di sedici, per adunare i quali -spogliò le chiese e fin le tombe degl’imperatori: ma la -tempestiva morte di Enrico lo assolse dal <i>tributo tedesco</i>. -All’addensarsi della nuova procella, ricorse al -papa acciocchè non permettesse di così snaturare la -santa impresa: nulla però prometteva a vantaggio della -crociata, nè di quel che tanto ai papi stava a cuore, la -riconciliazione della Chiesa greca colla latina. Pure Innocenzo -III, che metteva la giustizia innanzi a tutto, -interdisse l’impresa ai crociati; i quali litigando pel sì -e pel no, si logoravano a vicenda. Ma il sì prevalse, ed -Alessio figlio d’Isacco Langelo fu salutato imperatore <span class="sidenote">(1203)</span>, -e colla sua presenza infervorò la spedizione. -</p> - -<p> -L’armata fece testa a Corfù, donde veleggiò sopra -Costantinopoli; e trenta migliaja d’uomini accinti a -conquistare un impero di molti milioni, la vigilia di san -Giovanni gettarono l’àncora sulla costa asiatica, tre -miglia dalla capitale. Quivi all’attonito loro sguardo -spiegossi l’impareggiabile bellezza della Propontide, -colla vegetazione rigogliosa, i frutti succulenti, le dolci -uve, ridondante pescagione, limpidi ruscelli, freschi -bagni, canti di rosignuoli, e tutta la pompa che nella -vigorosa sua maestà spiegava l’estate. Sopra le onde -increspate da leni zefiri, l’occhio scorreva verso le rive -ammantate di fiori, e sui giardini e le campagne ridenti -di laureti e olezzanti di perpetui rosaj, e sulle -ville e le case cittadine, che all’ombra de’ platani e dei -cipressi dalle falde lambite dal mare ascendono fino in -vetta alle colline che contornano l’orizzonte. -</p> - -<p> -Fra tante bellezze, come la luna fra le stelle, pompeggiava -Costantinopoli, serpeggiante per immenso spazio -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -sulle sette colline, cinta d’elevate mura, con trecentottantasei -torri, e chiese e conventi senza numero, raddoppiati -dal riflesso delle onde, che parevano baciarle -il piede come servi, o fremere come difensori minacciosi. -Ai Crociati, non che parole a descrivere, appena -bastavano i sensi per ammirare quel porto immenso -di due mari: diamante che scintilla tra il zaffiro delle -onde e lo smeraldo delle campagne; il soggiorno più -bello dell’uomo per comodi e sicurezza, emulo di Roma -per dignità, di Gerusalemme per reliquie e santuarj, -di Babilonia per vastità. -</p> - -<p> -L’imperatore aveva lasciato per avarizia ridurre allo -stremo l’esercito e la flotta; e mal si difendea col -braccio de’ Varanghi, mercenarj settentrionali, coll’assistenza -de’ Pisani, e col fuoco greco, liquido combustibile -che parve inventato per prolungare l’agonia di -quell’impero, e che con esso perì. I nostri, spezzate le -catene del porto, prendono Galata <span class="sidenote">(17 luglio)</span>, e danno l’assalto: -Enrico Dandolo, sulle spalle de’ suoi si fa mettere a -terra col vessillo di san Marco, che ben presto sventola -sopra una torre, e Costantinopoli è presa. -</p> - -<p> -Alessio fuggì per nave, abbandonando ogni cosa, -bestemmiato da quelli che jeri l’incensavano: suo fratello -Isacco dalla prigione è portato al trono, compianto -dei mali suoi or che sono cessati. A lui si presentano -i messi dei Crociati imponendogli, — Ratificate la -promessa fatta da vostro figlio di darci ducentomila -marchi, vitto per un anno, ed ogni ajuto per la guerra -santa»; ed egli deve accettare, solo pregandoli di -tenersi accampati a Gàlata, cioè sul lido opposto. -</p> - -<p> -Quel subito mutamento, quel vedersi risparmiate le -battaglie temute, portavano al colmo il tripudio dei -nostri, che forniti d’ogni abbondanza, ammiravano -tante magnificenze, e più di tutto le reliquie, di cui era -una devota profusione. Il nuovo imperatore, coronato -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -fra il corteggio dei baroni, pompa inusata agli augusti -orientali, pagò parte della promessa somma; e se le -cose fossero procedute da buon a buono, forse era il -momento di svecchiare l’Impero, rimettendolo nell’alleanza -cattolica, a parte della comune impresa, e d’accordo -respingere il nemico di tutta la cristianità. -</p> - -<p> -Cavallerescamente i baroni mandarono araldi ad -annunziare il loro arrivo al sultano del Cairo e di Damasco, -in nome di Cristo, dell’imperatore di Costantinopoli, -de’ principi e signori d’Occidente; informarono -anche il papa e i principi cristiani del prospero -successo, invitandoli a parteciparvi; ma il papa rispose -rimproveri, e negò benedirli; solo accettò le -scuse di Alessio Langelo, esortandolo a mantenere le -promesse. -</p> - -<p> -E le promesse erano di dar denari, e ricongiungere -la Chiesa greca colla latina. Per la prima Alessio si -gettò in rovina, spogliando fin le chiese; per l’altra -obbligò i suoi ad abjurare lo scisma, ed i Crociati non -risparmiarono la forza contro i renitenti. Così egli -venne a procacciarsi l’odio dei sudditi, portato al colmo -da un incendio che per otto giorni guastò Costantinopoli, -e che s’imputò a questi stranieri. Alessio dunque -supplicava i Crociati: — Non partite, altrimenti io -soccomberò alle rivolte, e l’eresia risorgerà; aspettate -la primavera; intanto io vi fornirò d’ogni bisogno». -</p> - -<p> -Ma convivendo coi nostri, scapitava nella loro riverenza; -e talvolta qualche nicoletto veneto, toltogli il -gemmato diadema, gli sostituiva il suo berretto. Ne -fremevano i Greci, ne ingelosiva il cieco Isacco: e -Alessio, sentendo non poter fare gran conto sopra i -Latini, nè i monaci e astrologi di cui si cingeva sapendo -dargli buoni consigli, alle ribellioni non conosceva rimedj -migliori che trasportare dall’ippodromo al suo -palazzo il cignale caledonio, simbolo del popolo furioso, -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -come il popolo abbatteva una statua di Minerva, accagionata -delle presenti sventure. -</p> - -<p> -Ecco intanto da Palestina messi in gramaglia <span class="sidenote">(1204)</span>, narrando -come i Crociati di Fiandra e di Champagne, che -con molti Inglesi e Bretoni, spiccatisi dall’esercito a -Zara, erano sbarcati in Siria ed unitisi al principe di -Armenia, fossero stati dai Musulmani sorpresi e sbarattati; -fame e peste desolassero il paese, e a Tolemaide -si sepellissero duemila cadaveri in un giorno. -I Crociati allora, risoluti d’avacciare l’impresa, sollecitavano -i sussidj promessi: ma i due imperatori, che -non osavano mostrarsi all’aperta per non ammutinare -il popolo, mascherano la paura col rispondere insolentemente; -gli animi si esacerbano; i Latini s’accingono -a prendere un’altra volta Costantinopoli. I Greci attentano -alla flotta veneziana, e diciassette battelli incendiarj -lanciano nottetempo contro di essa, e già dalle -mura applaudiscono al fuoco che s’avanza contro i Latini: -ma questi riescono a sviarlo, e infelloniti alla -vendetta, più non badano a proteste del loro creato. -Murzuflo, scaltro sommovitore, che fingendosi amico -a tutti, tutti ingannava, sparge che i Langeli vogliano -consegnare Costantinopoli ai Latini; onde il popolo, che -suol essere più feroce quando ha maggior paura, a -gran voci chiede un nuovo imperatore; Alessio IV è -strangolato, Isacco muor di spavento e crepacuore, e -Murzuflo è portato trionfalmente in Santa Sofia. -</p> - -<p> -Il doge e i baroni latini, che poc’anzi si svelenivano -contro i due imperatori, or giurano vendicare que’ loro -creati, e assaltano Murzuflo. Costui non mancava del -valore che dee avere un capopopolo, e colla spada e la -mazza ferrata scorreva, rattizzando col proprio il coraggio -de’ Greci; tentò di nuovo incendiare e sorprendere -i Latini; ma quando cadde in man di questi lo -stendardo di Maria Vergine, i Greci si credettero abbandonati -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -dalla loro tutrice, e si chiusero nella capitale. -Quivi giorno e notte centomila uomini lavoravano ad -allestire difese, e i Crociati sentivano la difficoltà di -espugnare una piazza sì mirabilmente situata. Pure -raccolti a parlamento, deliberarono: — Non cesseremo -finchè non sia deposto Murzuflo; gli sostituiremo un -imperatore latino, che possieda un quarto delle conquiste; -il resto sarà diviso fra Veneziani e Franchi, -e determinati i diritti feudali degli imperatori, dei -sudditi, de’ grandi e de’ piccoli vassalli». -</p> - -<p> -Mossi poi all’assalto dalla banda di mare, superano -le bastite, Murzuflo fugge, e Costantinopoli è presa -un’altra volta. Chi sarìa bastato a tenere a freno quella -moltitudine, lieta d’aver conseguito una preda sì lungamente -appetita? Non onestà, non santità di chiese o -di tombe fu rispettata: una meretrice assidevasi sulla -cattedra di Santa Sofia; muli straccarichi di spoglie, -feriti insanguinavano gli altari; v’era intanto chi vestiva -gli strascicanti abiti de’ Greci, e bardava i cavalli coi -berretti di tela e coi cordoni di seta degli Orientali; e -scorrevano le vie, in luogo di spade brandendo calamaj -e carta per beffare la imbelle dottrina de’ Greci, ed -esclamavano: — Da che mondo è mondo, mai non fu -visto più pingue bottino». -</p> - -<p> -Le spoglie, che doveano mettersi in comune (e furono -appiccati molti che ne distrassero), sommarono a -cinquecentomila marchi d’argento (24 milioni), dopo -due incendj, dopo il molto trafugare, dopo messo in -disparte un quarto pel futuro imperatore, e compensati -i Veneziani del noleggio; ond’è poco il valutarle cinquanta -milioni: e se si fosse ceduta la preda ai Veneziani, -com’essi proponeano, ne avrebbero ricavato di -più e con minori sevizie. Il bottino fu distribuito in tal -proporzione, che un cavaliere toccasse quanto due uomini -a cavallo, uno a cavallo quanto due fanti. I monumenti, -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -onde Costantino e i successori avevano arricchita -la città, andarono guasti o predati<a class="tag" id="tag244" href="#note244">[244]</a>; non men che -l’oro e i tappeti, avidamente erano rubate le reliquie, -con frodi e violenze e fin sangue; e il mondo se n’empì. -Dopo di che i Crociati celebrarono divotamente la -Pasqua. -</p> - -<p> -A sei elettori veneziani e altrettanti ecclesiastici francesi -fu affidata la scelta d’un imperatore. Candidati -Enrico Dandolo, il marchese di Monferrato e Baldovino -di Fiandra: il Dandolo alla signoria d’una città vinta preferì -rimaner capo della gloriosa conquistatrice, come -nessun antico Romano avrebbe voluto cessare d’esser -cittadino per divenir re di Cartagine. D’altra parte i -Veneziani s’adombrerebbero del vedere il loro doge a -capo del grande Impero: chi gli assicurava che la cosa -non passerebbe in esempio? e non potrebbe la loro -patria diventare colonia all’Impero? Perciò il Dandolo -ricusò la corona; e la gelosia de’ Veneziani per l’ingrandimento -del signore del Monferrato li fece favorire -Baldovino, che fu acclamato. Feste all’occidentale e -cantici latini nelle chiese celebrarono il nuovo imperatore, -cui il legato pontifizio indossò la porpora, e, secondo -il costume, gli fu offerto un vaso pieno d’ossa e -polvere, e dato fuoco ad un fiocco di bambage, per -rammentare come passa la gloria del mondo. -</p> - -<p> -Questo colpo, che già avea dato per lo desiderio ai -primi Crociati, era un trionfo del papato, sebbene -fatto contro sua voglia. Baldovino assunse il titolo di -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -cavaliere della santa Sede; ad Innocenzo III annunziava -essere stata sottomessa una nuova gente al pontefice, e -l’invitava venisse a godere di quella vittoria; il marchese -di Monferrato protestavasi disposto a tornare o -morir colà, secondo i cenni del papa; il doge implorò -d’essere assolto di quella conquista, a scusa adducendo -l’essere Costantinopoli scala necessaria per Gerusalemme. -Innocenzo, amante d’una politica netta ed evidente, -volea la guerra contro l’islam, non già che a -redimere l’Oriente si cominciasse coll’impadronirsene; -onde, non valutando il vantaggio della santa Sede, li -rimproverava d’aver preferito le utilità terrene alle -celesti; della licenza militare e delle violate cose sacre -chiedessero a Dio perdonanza, e la meritassero collo -adempiere al voto di liberar Terrasanta: nella quale -fiducia ribenedisse gl’interdetti, congratulatosi coi vescovi -del castigo toccato all’ostinazione dei Greci, e -invitava altri a partecipare alle glorie ed alle nuove -fatiche. -</p> - -<p> -Secondo il convenuto, Baldovino ebbe un quarto -dell’impero greco, Venezia tre degli otto quartieri della -città, e un quarto e mezzo dell’impero, cioè la più parte -del Peloponneso, le isole dell’Arcipelago, Egina, Corcira, -la costa orientale dell’Adriatico, quella della Propontide -e del Ponto Eusino, le rive dell’Ebro e del -Varda, le terre marittime della Tessaglia, e le città di -Cipsede, Didimotica, Adrianopoli, insomma sette in -ottomila leghe quadrate di dominio con sette in otto -milioni di sudditi e una catena di banchi lungo la marina -da Ragusi fino al mar Nero. I Franchi sortirono -la Bitinia, la Tracia, la Tessalonica, la Grecia dalle Termopile -al Sunnio, e le maggiori isole dell’Arcipelago: -i paesi di là dal Bosforo e Candia furono attribuiti al -marchese di Monferrato, il quale poi fu coronato re -di Tessaglia, e assediata Napoli di Malvasìa e Corinto -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -tenute ancora dall’usurpatore Alessio, prese questo colla -famiglia e il mandò per Genova nel Monferrato, ma -poi combattendo gl’infedeli perdè la vita. Anche le -chiese di Costantinopoli furono ripartite fra Veneziani -e Francesi, ed assunto a patriarca Tommaso Morosini. -Splendidissima vittoria, ma poco sicura. -</p> - -<p> -Concitate le fantasie da questi rapidi acquisti, già i -baroni figuravansi regni e ducati sulle rive dell’Oronte -e dell Eufrate, mentre altri convertivano il bottino in -comperare feudi nell’impero conquistato e non ancora -ben soggetto. Tornarono da Palestina quei che vi si -erano affrettati; accorsero nuovi Crociati dall’Occidente<a class="tag" id="tag245" href="#note245">[245]</a>; -accorsero Templari e Spedalieri, dove erano -imprese facili e lucrose: talchè in ogni parte formavansi -Stati nuovi, pel diritto della spada. -</p> - -<p> -Come i Longobardi s’erano dato un codice per soli -essi vincitori, così i Latini promulgarono le Assise di -Gerusalemme nel nuovo impero, che come quelli si -erano diviso, e che governarono a foggia dei feudi di -Europa. Venezia, per nulla smaniosa di conquiste cui -dovea piuttosto difendere che usufruttare, le abbandonò -la più parte a’ suoi nobili, concedendo che ciascuno -potesse armare e sottomettere le isole greche e le città -delle coste, riconoscendole come semplice feudo perpetuo -della repubblica. E i Sanuto fondarono il ducato -di Nasso, che abbracciava anche le isole di Paro, Melo, -Santorino; i Navagero ebbero il granducato di Lemno; -i Michiel il principato di Ceo; quello d’Andros i Dandolo; -i Ghisi quel di Teone, Micone e Soiros; altri le -signorie di Metelino e Lesbo, di Focea, di Enos, le -contee di Zante, di Corfù, Cefalonia, il ducato di Durazzo; -poi i Vicari fondarono quel di Gallipoli nel -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -chersoneso Tracio. Anche a stranieri furono concessi -feudi; come a Michele Comneno il paese fra Durazzo -e Lepanto, a Robano delle Carceri Negroponte, Adrianopoli -a Teodoro Brana. -</p> - -<p> -Tutti que’ signori prestavano giuramento, tributo e -sussidio in guerra: ne’ loro paesi era privilegiato ai -Veneziani il far traffico; e i Veneziani che vi dimorassero, -restavano indipendenti e con governo proprio: a -Costantinopoli sedeva un balio. Per tal modo Venezia -assicuravasi una dominazione scarca di cure, facile a -conservare mediante le flotte. Fu anche messo al partito -se tornasse meglio trasferire a Costantinopoli la -sede della repubblica; e due soli voti fecero prevalere -il no<a class="tag" id="tag246" href="#note246">[246]</a>. -</p> - -<p> -Il marchese Bonifazio vedendo non poter conservare -Candia, la vendette ai Veneziani coi crediti verso Alessio -per mille marchi d’argento, e per tanto territorio nella -Macedonia occidentale che rendesse mille fiorini di -oro<a class="tag" id="tag247" href="#note247">[247]</a>. Candia era più importante al traffico che non -Costantinopoli, e dovette esser regolata con maggiori -cure. Gli abitanti erano gente incostante e perfida; il -che forse non esprimeva se non repugnante al dominio -forestiero. Essendo troppo vasta per concedersi a un -solo, vi fu introdotta una colonia, come più opportuna -a tenere in soggezione i vinti. Difficilmente però si trovava -chi volesse rinunziare alla patria, per quanto gli -si offrissero ricchezze, dignità, potere; onde da’ sei sestieri -della città si scelsero cinquecentoquaranta famiglie, -a cui capo fu posto un duca biennale che rappresentava -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -il doge, eletto dal maggior consiglio di Venezia, -assistito da due consiglieri superiori, e sotto di lui i -magistrati come a Venezia: e colle opere obbligate dei -servi si edificò e munì la città di Canea. -</p> - -<p> -La giurisdizione d’essa città e del distretto spettava -al capitano e consigliere della repubblica eletto a Venezia: -del Comune veneto erano gli Ebrei, il porto, -l’arsenale, le porte. Il paese fu distribuito in trentadue -feudi di cavalieri e centotto di sergenti: ogni cavaliere -era obbligato aver buona armadura, e condurvi da Venezia -e tenere due cavalli, uno del valore almeno di -lire ottanta venete, ed uno di cinquanta, e dell’età di -tre anni; poi fra un mese e mezzo comprarne un altro -di lire venticinque; inoltre avere un sergente con bel -cavallo armato a ferro, e tre scudieri pure con corazza -e ogni arma di cavalleria; e due balestre di corno, con -due scudieri almeno che sappiano trarle, latini, fra i -venti e i quarant’anni. I sergenti che hanno mezza cavalleria, -conducano da Venezia un cavallo di lire cinquanta -almeno, e due scudieri; poi fra un mese e mezzo -procaccino un altro cavallo di lire venticinque, e siano -ben in arme. Le cavallerie non potranno impegnarsi o -staggirsi per debito, e lo stipendio di settecento lire -deve convertirsi anzitutto nell’acquisto d’essa terra. Del -resto ajutino in ogni modo i rettori dell’isola, e in essa -il Comune di Venezia<a class="tag" id="tag248" href="#note248">[248]</a>. Ai nobili del paese si ebbero -riguardi, e si diede partecipazione al governo; e il -gran consiglio, composto d’indigeni, eleggeva i magistrati -minori. I Musulmani furono sofferti, ma in istato -di servitù. -</p> - -<p> -Così trentamila vigorosi, avidi di bottino e di preda, -erano prevalsi facilmente a milioni di Greci, fradici nel -lusso, nelle abitudini depravate, nella vanità delle frivole -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -cose. Ma la conquista, fatta senza senno, essiccava -le fonti della prosperità, sin a difettare del vivere; il -sistema feudale toglieva l’accordo in guerra ed il buon -ordine in pace; alcune città governavansi metà con -leggi feudali, metà colle venete e colle ecclesiastiche; -poi la mollezza di quel clima non tardò a sdulcinare i -soldati, e lo spregio reciproco impedì si fondessero -vincitori e vinti. Baldovino dopo due anni periva prigioniero -dei Bulgari: anche Enrico Dandolo era morto -a Costantinopoli dopo vista la rapida decadenza dell’impero -latino. Venezia ne trasse più danno che vantaggio, -poichè troppa gente si sviò dalla navigazione e dal -commercio per buttarsi alle imprese cavalleresche e a -conquiste che non doveano durare; e quel che peggio, -coll’abbattere Costantinopoli rompeva la sua barriera -più salda contro i Musulmani, che doveano divenirle -formidabili vicini. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap88">CAPITOLO LXXXVIII. -<span class="smaller">Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro -stadio. Nobili e plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini.</span></h2> -</div> - -<p> -In quell’innesto della teocrazia col feudalismo l’imperatore, -detto perciò romano, non si teneva per tale -sinchè non fosse coronato dal papa, quale rappresentante -di Dio <i>per cui solo regnano i re</i>; e l’imperatore -gloriavasi del titolo di avvocato e difensore della Chiesa. -Primato sovra gli altri re gli attribuiva l’opinione, favorita -dai leggisti, i quali nella dieta di Roncaglia -udimmo sentenziare, secondo i codici di Teodosio e -Giustiniano, lui essere la legge vigente; e il cancelliere -del Barbarossa chiamava <i>reges provinciales</i> gli altri -potentati. Ma nel fatto, oltre che i re operavano indipendenti, -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -il sistema feudale da un lato, dall’altro l’incremento -delle repubbliche attenuava di giorno in -giorno la potenza degl’imperatori. Perfino nella Germania -il regnante procacciavasi fautori col largheggiare -franchigie, cioè lentare più sempre la dipendenza dei -dinasti e delle città, le quali, ora mercè del commercio, -ora mediante le leghe, venivano a quella prosperità -materiale, che più non tollera l’oppressione politica. -Pure le città non poterono colà elevarsi a repubbliche -come da noi, perchè vi dimoravano soltanto minuti -trafficanti e artieri, mentre i signori si tenevano nei -castelli, soli agitando le lotte fra lo scettro e il pastorale, -fra Guelfi e Ghibellini: nelle nostre, al contrario, -si comprendevano e dotti e signori, avanzi romani e -avanzi longobardi e franchi, e i parteggiamenti giunsero -fino alle plebi, le quali appresero a discutere i diritti, a -combattere per un’opinione, e così a divenir libere. -</p> - -<p> -Il re di Germania, che dominava pure sui regni di -Lorena, d’Arles, di Pomerania, veniva eletto dai grandi -signori, non esclusi i primarj baroni d’Italia. Però -ciascun imperante adoprava l’ingerenza che gli davano -il suo grado e la devozione de’ proprj vassalli, onde -farsi destinare successore uno della famiglia stessa. -</p> - -<p> -Al re fruttavano i molti beni della corona sparsi per -tutta Germania, i pedaggi, i fiumi, le foreste, le miniere, -porzione delle multe, e lo spoglio de’ vescovi -ed abati defunti: le città doveangli alcune contribuzioni, -e così gli Ebrei per ottenere protezione siccome -servi della Camera imperiale, e i Lombardi o Caorsini -che andavano in giro vendendo spezie e guadagnando -d’usure, o, come diciam ora, facendo commercio di -banca. Essendo elettiva la corona, non si aggregavano -ad essa i possedimenti patrimoniali de’ nuovi re eletti: -anzi questi, potendo disporre dei feudi ad essa ricadenti -per mancanza d’eredi o di fellonia, ne arricchivano le -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -famiglie proprie, col qual modo salirono tanto alto in -prima la Casa sveva, poi le povere dei conti di Luxenburg -e d’Habsburg. -</p> - -<p> -All’imperatore spettava il far guerra: ma dovendo i -soldati essergli somministrati dai feudatarj, occorrevagli -il consenso di questi. Ora le lunghe e malarrivate spedizioni -di Federico I in Italia aveano svogliato i signori -dallo sciupare forze e denaro per interessi cui erano -estranj; sicchè da quell’ora fino a Sigismondo più non -fu decretata veruna spedizione generale, per quante -minaccie o promesse replicassero gl’imperatori, per -quanto paressero richieste dal bene della patria o della -cristianità. Agli imperatori dunque nelle loro guerre -non rimanevano se non gli uomini dovuti dai loro -vassalli particolari, ovvero da paesi a loro direttamente -soggetti, come era la Sicilia per gli Svevi, o da principi -e città con cui avessero alleanza. -</p> - -<p> -La Germania era povera; sebbene Lubecca, Anversa, -Colonia, Ratisbona, Vienna, qualche altra città sul Reno -o sul Danubio fiorissero di traffici e industria, e la Fiandra -fabbricasse pannilani, il mancare di strade e di -prodotti da cambiare ne impediva la prosperità; molto -denaro n’era anche portato via dalle crociate. Pure -allora il commercio s’andava estendendo; eransi scoperte -le miniere d’argento della Sassonia; col che e -colle libertà comunali la Germania avrebbe potuto vantaggiarsi -del primato fra le nazioni europee, e del predominio -che acquistava sopra le genti slave, a domare -e incivilir le quali fortunata lei e noi se avesse dirizzato -il suo ardore. Sciaguratamente gl’imperatori non si -contentarono della cristiana supremazia sull’Italia, e -vollero direttamente mestarne gli affari; dove urtatisi -colle repubbliche e coi papi, ebbero conflitti, a’ quali -già vedemmo soccombere una dinastia, e presto vedremo -un’altra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -</p> - -<p> -Morto Enrico VI <span class="sidenote">(1197)</span>, i signori di Germania credettero -a tempi così momentosi non convenirsi un imperatore -fanciullo, com’era Federico Ruggero. Vero è che suo -padre gli aveva indotti a prestargli omaggio, ma essi -non vi si tenevano obbligati perchè non era ancor battezzato. -Filippo di Svevia, figlio del Barbarossa e duca -di Toscana, come il più prossimo parente dell’imperatore, -erasi preso lo scettro, la spada, la corona, il -globo d’oro riempito di polvere, la sacra lancia e il -diamante detto smisurato (<i>der Weile</i>): fuggendo di -qui fra gli strapazzi degli Italiani, che uccisero anche -molti del suo seguito, andò in Germania, e brigò tanto, -che gli stati di Svevia, Baviera, Sassonia, Franconia -e Boemia lo elessero re <span class="sidenote">(1198 — marzo)</span>. Ma i Guelfi gli opponevano -Ottone di Brunswick, figlio di quell’Enrico il Leone -duca di Sassonia e Baviera, che lottato col Barbarossa, -n’era stato spossessato, e nipote di Ricardo Cuor di -Leone re d’Inghilterra. -</p> - -<p> -Ottone, ardito come questo, gigante della persona, -prodigo, soldatesco, risoluto a reprimere le prepotenze, -onde i grandi l’intitolarono <i>Superbo</i>, e i popoli -<i>Padre della giustizia</i>, impadronitosi d’Aquisgrana, vi -si fece ungere dall’arcivescovo di Colonia; e genti e -signori svaginarono le spade per sostenere ciascuno il -proprio eletto. Onde risparmiare il sangue civile, fu -rimessa la decisione al papa, e questi, esaminatala sotto -il triplice aspetto del diritto, della convenienza e dell’utilità, -escluse Federico perchè non se ne conosceano -l’intelletto e il cuore, e la Scrittura dice: <i>Guaj alla -terra, cui re è un fanciullo</i>; riprovò Filippo come -usurpatore delle giustizie della Chiesa in Toscana<a class="tag" id="tag249" href="#note249">[249]</a>, -e perchè teneva ancora prigioni il vescovo di Salerno -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -e la famiglia reale di Tancredi; lodò Ottone, ma parvegli -eletto da troppo scarsi voti. Professavasi dunque -imparziale tra una famiglia sempre ostile e l’altra -sempre favorevole alla Chiesa, sicchè, scontenti del -pari, i due emuli avventaronsi all’armi; sinchè, indotto -dai Guelfi, il papa mandò un legato che scomunicasse -Filippo e i suoi, e dicesse Ottone legittimo -imperatore. -</p> - -<p> -Questi, davanti a tre legati pontifizj <span class="sidenote">(1201 — 8 giugno)</span>, prestò un giuramento -siffatto: — Io Ottone, per grazia di Dio, prometto -e giuro proteggere con ogni mia forza e di buona -fede il signore papa Innocenzo, i suoi successori e la -Chiesa romana in tutti i dominj loro, feudi e diritti, -quali sono definiti dagli atti di molti imperatori, da -Lodovico Pio fino a noi; non turbarli in ciò che già -hanno acquistato, ajutarli in ciò che lor resta ad acquistare, -se il papa me lo ordini quando sarò chiamato -alla sede apostolica per la corona. Inoltre presterò il -braccio alla Chiesa romana per difendere il regno di -Sicilia, mostrando al signore papa Innocenzo obbedienza -e onore, come costumarono i pii imperatori cattolici -fino a quest’oggi. Quanto all’assicurare i diritti e le consuetudini -del popolo e delle Leghe Lombarda e Toscana, -m’atterrò ai consigli e alle intenzioni della santa Sede, -e così in ciò che concerne la pace col re di Francia. Se -la Chiesa romana venisse in guerra per causa mia, le -somministrerò denaro secondo i miei mezzi. Il presente -giuramento sarà rinnovato a voce e per iscritto quando -otterrò la corona imperiale». -</p> - -<p> -I Tedeschi, che vorrebbero vedere sempre l’imperatore -sovrapposto al pontefice, e l’Italia sottomessa -alla Germania, rinfacciano a Ottone quest’atto, dove in -sostanza ciò che il papa esigeva era l’indipendenza della -Chiesa e dell’Italia. I principi tedeschi se ne indignarono, -e ne scrissero parole risolute ad Innocenzo, il cui -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -favore non toglieva che svenisse il partito di Ottone, -considerato scialacquatore della nazionale sovranità. Intanto -Filippo di Svevia moriva trucidato <span class="sidenote">(1208)</span>, quinto figlio -del Barbarossa che finiva in valida età, lasciando sol -quattro figlie; nè di quella casa sopravviveva che Federico -Ruggero. Allora, dopo dieci anni di contesa fra -guerresca e politica, mediante le premure di Roma i -suffragi si raccolsero tutti sopra Ottone: anzi, per togliere -in avvenire le scissure e insieme le ambizioni di -qualc’altra famiglia, fu istituito che nessuno pretendesse -alla corona germanica per diritto ereditario; l’elezione -fosse devoluta a tre principi ecclesiastici, cioè gli arcivescovi -di Magonza, Colonia, Treveri, e tre laici, cioè -il palatino del Reno, il duca di Sassonia, il marchese -di Brandeburgo; e quando i voti fossero pari, anche il -re di Boemia. Da quel punto al popolo non rimase più -parte alcuna nelle nomine, e gl’italiani ne restarono -affatto esclusi. Ottone avendo sposato Beatrice <span class="sidenote">(1209)</span> figlia -dell’ucciso Filippo, rannodò le due case de’ Guelfi e -degli Hohenstaufen, e svelse dalla Germania quella gramigna -funesta de’ Guelfi e Ghibellini mentre appunto -essa pigliava rigoglio in Italia. -</p> - -<p> -Qui, in dodici anni dacchè tedeschi eserciti non apparivano, -le Repubbliche aveano preso incremento. -Determinate da bisogni individuali, esse non avevano -preteso estendere le franchigie su tutto il paese, distruggere -ogni orma della sofferta oppressione, piantare -l’uguaglianza di tutti in faccia alla legge. Del Comune -da principio facevano parte soltanto i capitanei e valvassori -e arimanni; poi vi si aggiunsero i borghesi liberi, -ceto medio, cresciuto sì per l’arricchimento del -commercio, sì per molte case nobili che giurarono la -città, sì per quelli che vi rifuggivano dai signori feudali -o ecclesiastici. Il resto degli abitanti dipendeva ancora -dai nobili o dai visconti vescovili, in qualità di servi o -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -d’uomini ligi, con patti che spesso riducevansi in carta, -e che tanto vagliono a manifestare la condizione personale -de’ popolani<a class="tag" id="tag250" href="#note250">[250]</a>. -</p> - -<p> -Gli antichi conti della città eransi ritirati alla campagna, -dove conservavano i possessi e le giurisdizioni; -sicchè i contadi rurali od erano frazioni d’antico contado -cui era stata tolta la città, o porzioni assegnate da -un conte ai proprj figliuoli. Quei di Bergamo nel <span class="smcap lowercase">X</span> secolo -aveano avuto per quattro generazioni la suprema -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -dignità di conti del regio palazzo, e furono imparentati -coi marchesi d’Ivrea e di Toscana: costretti poi ad -uscir di città, si indebolirono suddividendosi nei conti -Almenno, Martinengo, Camisano, Offenengo ed altri<a class="tag" id="tag251" href="#note251">[251]</a>. -Sotto il 1222 gli storici annoverano una quantità di -castelli donati o ceduti a Bergamo dai possessori, come -Morníco, Cologna, Grumello, Solto, Plenico, Cene, Civedate, -Telgate, Villadadda, Morengo, Calepio, Sárnico, la -Bretta e via; e già prima v’erano stati indotti o costretti -i canonici e il vescovo. Milano, che prima limitava -la sua giurisdizione a un raggio di tre miglia, -sottopose i contadi del Seprio, della Bulgaria, della -Martesana, di Parabiago, di Lecco<a class="tag" id="tag252" href="#note252">[252]</a>. I conti di Verona -si ritirarono a San Bonifazio, donde presero il titolo: -quei di Padova, fra i colli Euganei, coi titoli di Baone, -Àbano, Maltraverso e altri. E tutti dominarono sulla -campagna, rubando, ponendo pedaggi, escludendo, serrandosi -attorno a un principale, che intitolavasi vicario -imperiale e che aveva una scorta di Tedeschi: del resto -avversando i Comuni, ridendo dei consoli e degli statuti, -pronti ad affollarsi intorno al piccolo esercito che -l’imperatore conducesse in Italia, trasformando in valanga -l’impercettibile nucleo degli oltramontani; e continuar -battaglie e invasioni anco dopo partito quello. -</p> - -<p> -Non poteva darsi che le città libere gran tempo tollerassero -attorno a sè borghi servilmente sottoposti a -feudatarj privilegiati d’assoluta giurisdizione, conservatori -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -degli abusi detestati. Se a Costanza avean acquistato -il diritto di far guerra alle città lontane, tanto più -ai castelli vicini: onde coglievano le occasioni di portarvi -la più legittima delle guerre, quella che propaga -e francheggia i diritti dell’uomo. Talora scendeasi a -patti, e la campagna restava emancipata dalle parziali -servitù. Asti mosse contro ai duchi di Monferrato, Chieri -agli arcivescovi di Torino: quei di Borgo Sansepolcro -intimarono ai tanti castellani di val Tiberina di lasciare -le rôcche, chi non volle costrinsero, e diroccato il castello -di Mansciano, ne portarono via le pietre, di cui -edificarono i proprj baluardi, e una campana che posero -sulla torre di Berta<a class="tag" id="tag253" href="#note253">[253]</a>. Gli abitanti di Vico, Vasco, -Breo, Carassone, guasti dalle male intelligenze coi Lombardi -e coll’imperatore, si proposero una reciproca -unione, della quale fu frutto la terra di Mondovì. I -Pavesi respinsero il conte rurale, che si rifuggì a Lumello; -ma quivi pure incalzato, ebbe a smettere la sua -giurisdizione, e rendersi cittadino e suddito della sua -città<a class="tag" id="tag254" href="#note254">[254]</a>. -</p> - -<p> -I consoli di Biandrate appajono già in una carta del -5 febbrajo 1093, dove quei conti ai militi abitanti le -loro terre danno una specie di costituzione, e «delle -discordie e concordie attenderanno quel che decidano -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -i dodici consoli eletti; i quali giurano giudicare le liti -insorte come meglio sapranno giovare al Comune, salva -la fedeltà ai signori». A Guido di Biandrate, che tanto -di lui ben meritò, Federico Barbarossa concedeva ampio -privilegio, togliendolo in protezione, confermandogli -i beni e onori che aveva avuto da’ suoi antecessori, -stabilendo non deva esser chiesto in giudizio se non davanti -all’imperatore; per tutto il vescovado di Novara -gli conferma la capitananza (<i>conductum</i>), e che niuna -battaglia si faccia se non lui presente; gli uomini di quel -contado abbiano egual diritto di vendere e comprare in -tutto il vescovado di Novara, Vercelli, Ivrea, quanto i -mercanti d’essa città. Poi il conte di Biandrate nel 1170 -fece concordia coi Vercellesi, cedendo il suo castello di -Montegrande, i cui abitanti siano ricevuti pacificamente -a Vercelli, senza ch’egli però perda la fedeltà d’essi castellani; -cede pure quanto ha in Candelo, Arborio, Albano -e di qua dalla Sesia; due volte l’anno farà per -essi campo, e sarà in oste con trecento uomini; abiterà -in Vercelli, e farà giurare a quaranta suoi militi di -comprarvi case; darà della sua cassa diecimila lire pavesi; -farà dare il fodro da essi militi agli uomini di -Vercelli, come sogliono gli altri concittadini; farà fine -e pace di tutti i danni recati a sè e alla casa sua; non -porterà guerra senza il consiglio de’ consoli maggiori -e dei consoli di Santo Stefano e di tutta la credenza; -non alzerà castello dalla valle della Sesia e da Romagnano -in giù, nè vi farà conquista di castello o torre o -corte. Erano quei di Biandrate i più potenti signori -del contorno di Milano, ma ben presto il loro castello -fu assediato e distrutto, e dispersine gli abitanti in quattro -villaggi: e Novara facea statuto, che il console giurasse -di tener distrutto Biandrate, ogn’anno visitarlo -due volte, e se nel ricinto della fossa sorgesse alcuna casa, -la demolirebbe fra venti giorni. Altre terre rimaste -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -dovetter quei conti cedere a Novara nel 1247 per ottomila -lire, con cui comprare una casa e terreni nel distretto. -I conti infestavano tuttavia la val di Sesia, -volendo contaminar tutte le fanciulle: sinchè i paesani -indignati li scannano tutti, sol una fanciulla serbando, alla -quale infliggono gli oltraggi che le loro aveano sofferto. -Altre terre possedeano sull’Astigiano, e avendo nel 1250 -rubato del panno a mercanti, la città li punisce privandoli -dei villaggi. Su un di questi avventavasi notturno -nel 1290 il conte Manuele; ma gli Astigiani invadono -le terre di esso, ne devastano i vigneti e le biade, uccidono -suo figlio: talchè il conte, per salvare il resto, -cede il castello di Porcello alle città, e vende a chi più -ne dà i castelli di Montacuto e Santo Stefano. -</p> - -<p> -Patti consimili ma più largamente esplicati si convennero -tra i Vercellesi e i marchesi di Monferrato, -aggiungendo la promessa di ajutar questi dalla Lega -Lombarda, cioè col pregare i collegati e intercedere -per essi. -</p> - -<p> -Il Comune di Brescia (se la cronaca di Ardicio è genuina) -fin dal 1104 avea lega e società con altri della -Lombardia e del Trevisano, giurata nel chiostro di Palazzuolo: -dai Martinengo comprava il castello di Orzivecchi, -dai conti Lumellini quanto possedeano nella -diocesi a titolo feudale, dai conti Calepio i castelli di -Sárnico, Merlo, Calepio, obbligandoli ad impiegare il -prezzo in acquistare allodj nel Bresciano; riceveva in -protezione gli abati di Leno e Sant’Eufemia; distruggeva -il forte di Montechiaro e quel di Gavardo cacciandone -il presidio; così smantellò Asola ch’era dei conti -di Casalalto, e il forte di Monterotondo. Un consiglio -del 1203 stabilisce che gli abitanti di ville e castelli -comprati da nobili non addetti al Comune devano prestar -giuramento alla repubblica. Ne’ cui statuti è prescritto, -chi vuol diventare cittadino, fabbrichi una casa -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -nella città, e rimangavi sempre, eccetto un mese di -primavera, uno d’autunno; privati non possano eriger -forti in Pontevico, Palazzuolo, Mura, Quinzano, Caneto, -Gavardo, Iseo; e tutti i curati e dignitarj ecclesiastici -siano bresciani<a class="tag" id="tag255" href="#note255">[255]</a>. -</p> - -<p> -I conti di Treviso si piantarono ne’ loro possessi sul -Piave, ma senza nimicarsi colla città, nella quale sostennero -molti uffizj comunali, e conservarono anche il titolo, -che poi mutarono in quel di Collalto. Di Treviso stessa -presero la cittadinanza nel 1183 Vecello e Gabriele da -Camino, e nel 1190 Matteo vescovo di Céneda, pattuendo -che quel Comune esercitasse la giurisdizione -nella sua diocesi. Bertoldo patriarca d’Aquileja nel -1220 si ridusse cittadino di Padova, e in segno vi fabbricò -palazzo, si sottopose ai dazj e alle taglie, e mandava -ogn’anno dodici cavalieri a giurare obbedienza al -nuovo podestà: lo che imitò pure il vescovo di Feltre -e Belluno<a class="tag" id="tag256" href="#note256">[256]</a>. Padova stessa obbligò i marchesi d’Este -a venir cittadini, ed immurare le porte della loro -rôcca. Parma sottomette Salsomaggiore, obbligandolo a -pagare dieci soldi ogni san Martino(1138), e Uberto -Pelavicino che le fa omaggio di San Donnino (1140): -Piacenza sottomette Caverzago, Collagura, Specchio, -Fabricà; nel 1138 compra metà del castello di Montalbo, -metà nel 48; sottopone la valle e il borgo di -Taro; Moruello Malaspina nel 1194 prende la cittadinanza -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -di Piacenza, mentre altri di quella famiglia si -accomandavano a Lucca. I Córvoli del Frignano nel 1156 -affidaronsi con Modena a questi patti: ajutare la città -contro chicchefosse, eccetto il duca Guelfo d’Este e suoi -ligi e vassalli; dimorare in città colle lor donne ogni -anno un mese in tempo di pace, due in tempo di -guerra; lasciare ai cittadini traversar liberamente le -loro terre, nè tenere mai chiusi i castelli a’ magistrati -della città; obbligare i loro villani a pagare sei denari -lucchesi per ogni par di bovi, eccetto i castellani, valletti -e gastaldi. Modena obbligavasi di rimpatto a investirli -di certi beni e castelli ch’essi doveano conquistare, -ajutarli a rivendicare certe ragioni da altri nobili, e -proteggerli contro i nemici<a class="tag" id="tag257" href="#note257">[257]</a>. Faenza demolisce Selvamaggiore -(1098), combatte i conti di Cunio (1115), -demolisce la Pergola (1135); distrugge Solarido (1138) -diviso fra le due lottanti famiglie de’ Silingardi e de’ -Guglielmi, sbrattando così la via di San Giuliano; nel -1144 assalta Castelleone; nel 1149 Cunio, Donigaglia, -Bagnacavallo, che pretendeano un censo da’ Faentani -che vi tenesser banchi. Il conte dovette cercar pace -mettendo casa in Faenza, lasciando mettere in Cunio -guarnigione faentina, e ritraendosi dalla politica: ma -ben presto, sotto titolo che abbia mancato ai patti, è -assalito e distrutto il castello. Poi vien la volta di Lacerata, -di Modigliana, di Bagnacavallo. -</p> - -<p> -Terracina ai Frangipani, già signori della città, poi -ritiratisi a Circello e Traversa, vieta di accostarsi oltre -la chiesa di S. Nicola fuor le mura, fuorchè per affari -e senz’armi nè seguito. Benevento sfascia Apice, Terroggia, -Sableta, ove Roberto Sclavo ora imprigionava i -passeggeri, or li spogliava od uccideva, come faceano -pure i signori di Frassineta, per ciò spodestati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -</p> - -<p> -I Bolognesi avevano preso i castelli di Corbara, -Sassatello, Monteveglio, Monte Cadumo, Ibora, Dozza, -Fagnano, e avuti a soggezione i signori Cetolani, Savignanesi, -di Oliveto, Moreto, Caneto<a class="tag" id="tag258" href="#note258">[258]</a>. Egual movimento -ci si mostrerà in Toscana. -</p> - -<p> -Casse in tal guisa le giurisdizioni feudali, le tenute -appartenevano tutte a cittadini, ed erano coltivate da -pigionanti e mezzajuoli, trasformandosi il sistema tedesco -dei possessi, e ai servi sottentrando liberi coltivatori. -</p> - -<p> -Liberi, ma non per questo erano considerati come -popolo, cioè donati della piena cittadinanza; e l’infima -gente e gli operaj non restavano rappresentati nel -Governo, non votavano le imposizioni che essi medesimi -pagavano, o la conversione di esse. Ma in ogni -rivoluzione, al primo passo che consiste nel liberarsi, -suole tener dietro l’altro, ove la classe liberatrice vien -giudicata tiranna o insufficiente, e una più bassa pretende -prima eguagliarla, poi soverchiarla. Alla rivoluzione -che affrancò i Comuni aveano data principal -opera i nobili e i meglio stanti, che in conseguenza -diedero i consoli e i magistrati; gloria particolare di -molte prosapie nostre, di derivare la loro nobiltà dai -liberatori della patria. -</p> - -<p> -Ben presto i plebei pretesero parte al governo, e -questa seconda êra delle repubbliche valse un secolo -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -intero di agitazioni, ora costituzionali, ora violente. -Dentro le città cominciarono dunque a contendere nobili -e borghesi, quelli volendo ricuperare l’autorità che -un tempo aveano posseduta, questi pretendendo in -prima parteciparvi equamente, poi arrogarla a sè soli. -La quale contesa non è altro se non quella che tuttodì -si agita nei paesi costituzionali, cioè se a’ soli proprietarj -devasi concedere pienezza di diritti: stantechè non -al sangue si faceva mente, ma ai possessi; nobile era -chi avesse. -</p> - -<p> -I grossi nobili o casatici, discendenti dagli antichi -conti e marchesi e capitanei, tradizionalmente poderosi, -e sostenuti dagl’imperatori, s’erano abituati al comando -sui loro feudi; ed anche giurandosi cittadini, conservavano -i possedimenti e le rôcche, dalle quali sì spesso -erano invitati alle magistrature urbane. Alla plebe, -attenta alle arti e ai traffici, non era possibile esercitarsi -nell’armi, che al contrario formavano l’occupazione -e il sollazzo dei nobili; onde a questi bisognava -ricorrere ne’ casi di guerra, massime per la cavalleria. -Anche dopo svestite le armi, al comandare erano predisposti -dal patronato che esercitavano sopra gli antichi -loro servi e gli attuali clienti; dall’inclinazione a riverire -nei figliuoli le doti e i meriti de’ padri; dal trovarsi -fra sè legati per parentele o per ispirito di corpo; dall’avere -sì larghi possessi che poteano a loro voglia -affamare la città. Chiamati podestà o capitanei in paesi -forestieri, contraevano l’abitudine dal maggioreggiare, -che tanto facile s’acquista quanto difficilmente si smette; -e anche nel proprio Comune ottenevano onoranze sì -per le cariche sostenute, sì pel fregio della cavalleria. -In qualche città soli nobili aveano gli impieghi, come -sembra fosse in Bergamo, ove non appajono contese -fra nobili e plebei, ma de’ nobili fra loro. -</p> - -<p> -Altre volte questi, impediti di prepotere legalmente, -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -volgeansi all’infima classe, esclusa dal governo e tributaria -della città; la blandivano perchè più docile, e -perchè non aveva nè diritti da opporre ai loro, nè ricchezze -per egualiarli; e se le facevano sostegno ne’ tribunali, -o nei richiami contro l’oppressione: di che -sorgevano due fazioni, la nobiltà unita ai plebei, e i -borghesi indipendenti da quella. Si contrariavano esse -ne’ partiti, nelle elezioni, nei piati, e spesso il litigio -incalorivasi fino a venire alle mani. Vincevano i nobili? -eccoli padroni delle cariche, arbitri delle leggi, e -decretare quanto meglio torna al loro ordine; applauditi -dalla ciurma, che al solito astiava i cittadini grassi. -Soccombevano? ritiravansi nelle avite rôcche, aspettando -di ritornar necessarj per essere ridomandati, o, -data occasione, rientrare a forza. Come avviene dei -conflitti in città, la plebe per lo più restava vincitrice; -e inetta a governarsi, e facile ad essere raggirata dagli -scaltri, s’appoggiava ad un signore territoriale, concedendogli -poteri illimitati, quali deve averli chi rappresenta -il popolo, e così spianando la via alle tirannidi. -Quei medesimi baroni che aveano giurato il Comune, -oltre esercitare nelle città il potere o l’ingerenza che -deriva dall’antica abitudine del comando, dalla ricchezza -e dalla pratica delle armi, negli accordi eransi -riservati certi diritti di guerra e di alleanza, e prerogative. -</p> - -<p> -Per quel carattere personale che aveano tutti gli -obblighi nel sistema feudale, a simili accordi poteasi -rinunziare ad arbitrio; e poichè talvolta il nobile era cittadino -di due Comuni, cercava appoggio dall’altro -qualora coll’uno cozzasse: fomento a fraterni dissidj. -Difficilmente poi rinunziavano al diritto preziosamente -mantenuto delle guerre private, e dentro le città stesse -moveansi battaglie tra loro; perciò munivano i palazzi -a guisa di fortezze, con ponti levatoj e torri e catene -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -per le vie. Trentadue torri coronavano o minacciavano -Ferrara, cento Pavia, poco meno Cremona e Bologna: -diecimila a Pisa, dice Beniamino da Tudela, e «creda -chi vuole» esclama il Muratori; a Firenze l’architettura -massiccia, coll’enormi bugne, le anguste finestre, le -molte torri, e le porte ferrate, attesta ancora quello -stato di guerra da vicino a vicino. Lo statuto di Genova -proibiva di lanciare projetti dalle torri, neppure in -occasione di combattimento: se ne seguisse omicidio, -la torre veniva demolita; se no, multa di venti lire; e -se il padrone non potesse pagarla, distruggevansi due -solaj d’essa torre. Talvolta una città era divisa tra più -signori, e per esempio in Mantova i Bonaccossi e i -Grossolani erano capi-parte nel quartiere di Santo -Stefano, gli Arlotti e i Poltroni in quello di Cittavecchia, -i Riva e i Casaloldi in quel di San Jacopo, i -Zanecalli e i Gaffari in quel di San Leonardo. Bisognava -dunque munire un quartiere contro l’altro, serragliare -i ponti, sorvegliare le strade. -</p> - -<p> -Nelle città più floride per commercio, i mercanti -vollero partecipare alla sovranità d’una patria, al cui -prosperamento sentivano aver tanto contribuito. E fin -qui chiedeano il giusto; ma l’irritamento prodotto dal -contrasto e la baldanza del successo li spinsero a volere -esclusi quelli, cui da principio non avevano che domandato -di compartecipare. Firenze rimosse dalla Signoria -chi non fosse matricolato in un’arte; i nove signori di -Siena e gli anziani di Pistoja dovean essere mercanti -o della classe mezzana; altrettanto in Arezzo; di maniera -che per infamia notavansi tra’ nobili chi mal -meritasse del Comune. Modena pure ebbe un registro -sì fatto, e l’imitarono alcun tempo Bologna, Padova, -Brescia, Genova ed altre città libere sullo scorcio del -xiii secolo. Anzi a Pisa i nobili erano esclusi dal far -testimonianza contro un plebeo; pena la testa se uscissero -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -di casa con arme o senza quando si faceva rumore; -e bastava la voce popolare per condannarli<a class="tag" id="tag259" href="#note259">[259]</a>. Il -cencinquantesimo del libro I degli statuti di Roma prescrive -che un barone o una baronessa, i quali abbiano -una lite civile o criminale con un popolano, non possano -entrare in palazzo, ma solo i loro avvocati e -procuratori; e se il popolano comprometter voglia la -lite in due popolani, essi baroni sieno costretti starvi: -nè tampoco il giudice della causa possa mai parlare -con essi barone e baronessa. -</p> - -<p> -A Lucca soli i cittadini abitanti in città costituivano -propriamente la repubblica; gli altri chiamavansi <i>foretanei</i> -se oriundi lucchesi, e <i>foresi</i> se avveniticci, e non -partecipavano ai privilegi urbani. I cittadini poi divideansi -in potenti o casatici, e popolari. I casatici non -solo erano esclusi dal governo e dalle società delle -armi del popolo, come i cavalieri e cattanei, ma non -si ammettevano a testimoniare contro popolani; mentre -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -questi non erano puniti di calunnia se non potessero -provare la incolpazione data ad un patrizio<a class="tag" id="tag260" href="#note260">[260]</a>. Era -insomma un ricolpo de’ mercadanti contro l’aristocrazia, -della ricchezza industre contro la territoriale. I -commercianti e i possessori apparecchiavano governi -a tutto vantaggio della propria classe e a danno dell’altra, -senza riguardo al grosso della popolazione, che -però acquistando di forza, sorgeva colle sue pretensioni, -ed aumentava quel bollimento universale. -</p> - -<p> -Noi non teniamo vera repubblica se non il governo -di tutti per vantaggio di tutti: l’antagonismo conduce -necessariamente a rotture, e queste riescono a rivoluzioni -o di governo o di piazza; ma come evitarle -sinchè stanno a fronte due razze non ancora fuse, i -conquistatori e i conquistati? I nobili si agitavano e -combattevano perchè n’aveano i mezzi; atteso il gran -numero di parenti, avvolgeano ne’ loro litigi lo Stato -intero; e perciò diceasi che i nobili erano la ruina del -paese. Pure in essi si suppongono educazione più accurata, -sentimenti meno interessati, spirito di famiglia -conservato: vi occorrono maggiori esempj di fermezza, -come a Sparta, a Roma, a Venezia, attesochè, non conoscendo -superiore che Dio, elevano gli spiriti sovra il -resto della nazione, e di grandi cose li fa capaci l’emulazione -de’ loro pari. Ma facilmente trascendono in -oligarchia, non soltanto insuperbendo della propria -indipendenza, ma minacciando l’altrui; e per restare -tirannetti ne’ castelli, piaggiano i regnanti, despoti e -schiavi al tempo stesso. -</p> - -<p> -D’altro lato è agevole e comune il lanciare un motto -di sprezzo sui governi di mercanti: ma oseremo noi -farlo quando vediamo Firenze durare sì lunghi e magnanimi -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -sforzi, elevarsi a splendidissima civiltà, ed -ultima conservare sua franchezza in Italia? Certo, la -esclusione dei nobili sottraeva forze utilissime alle repubbliche -italiane; il Governo decretava parzialissimo; -i popolani grassi e la gente nuova trascorsero a fasto -e prepotenza quanto i nobili, senz’essere sostenuti come -questi dal lustro de’ padri, che pur lusinga le plebi. Le -quali se veneravano nel signor d’oggi la memoria del -magistrato e del capitano antico, mal si rassegnavano -all’aristocrazia mercantile, sia perchè più speculatrice -e men generosa, sia perchè duole il veder coloro che -soleansi riverire conculcati da altri, cui unico merito -erano i sùbiti guadagni. Adunque sprezzati dalle famiglie, -sgraditi alla plebe, minacciati da superiori e da -inferiori, dovettero i mercanti reggersi anch’essi con -modi arbitrarj ed assoluti. -</p> - -<p> -Non che dunque la gara fra nobili e plebei fosse -misero parto della libertà, nasceva dal non essersi, al -tempo della rivoluzione, ottenuta intiera la franchezza -e lasciate accanto ai liberi Comuni la campagna servile, -le giurisdizioni feudali, e dappertutto la sciagurata ingerenza -degl’imperatori. In grazia della quale le contese -cittadine furono inacerbite dalla divisione di Guelfi e -Ghibellini. -</p> - -<p> -Questi nomi, nati in Germania (pag. 89), furono -troppo presto adottati dall’Italia per designare due -partiti, in lei da secoli contrariantisi; li conservò -quando più non s’udivano negli altri paesi, e per essi -straziò le proprie viscere anche quando già era fatta -cadavere. «Quelli che si chiamavano Guelfi, amavano -lo stato della Chiesa e del papa; quelli che si chiamavano -Ghibellini, amavano lo stato dell’Imperio e favorivano -l’imperatore e suoi seguaci» (<span class="smcap">Villani</span>). Ne’ primi -prevaleva il desiderio di vendicarsi della dinastia sveva, -e sviluppare da ogni legame forestiero la libertà dei -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -Comuni: i Ghibellini credeano che il conservarsi ciascun -paese in libertà, senza dipendere da un poter superiore, -recherebbe inevitabilmente a discordie, per -le quali gli Italiani si logorerebbero colle proprie forze. -Gli uni dunque aspiravano come a supremo bene alla -indipendenza dell’Italia, e che potesse ordinare i proprj -Governi senza influsso forestiero: gli altri vagheggiavano -l’unità del potere, come unico modo di fare l’Italia -concorde entro e rispettata fuori, dovesse pure sminuirsene -la libertà fortuneggiante. -</p> - -<p> -Erano dunque due partiti generosi e con aspetto -entrambi di equità; e solo que’ liberalastri che nel passato -rivangano ragioni di oltraggiare i presenti, possono -sentenziare infamia o apoteosi all’uno o all’altro. I due -partiti riconoscono un principio superiore a tutte le -rivoluzioni, la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico, -dello spirito dal comando, della fede dal -diritto, della coscienza dell’individuo dal vigore della -società, dell’unità umana dall’unità civile. Il prevalere -d’ognuna di queste tesi porta necessariamente l’antitesi -dell’altra; se la Chiesa si fa democratica col popolo, -l’impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi stabiliscono -l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono tutelarla -colla legge; se prevale l’idea della libertà individuale, -rendesi necessario frenarla colla potenza sociale. Il sapere -con qual dei due stesse la miglior ragione è viepiù -difficile a chi non sappia trasferirsi in quell’età e valutarne -le condizioni e gli avvicendati mutamenti; giacchè -può ben disputarsi se le fasce convengano o no al -bambino, ma traviserebbe la quistione chi rispondesse -che all’uomo adulto non stanno bene. Quelli che non -apprezzano la libertà se non politica, e questa negativa, -oppositrice, non sanno credere che il papato rapresentasse -per tutto il medio evo la parte più franca ed -avanzata, unico oppositore alle prepotenze, unica voce -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -del popolo contro i guerrieri, del pensiero contro le -lancie. -</p> - -<p> -Matteo Villani chiamava la parte guelfa «fondamento -e rôcca ferma e stabile della libertà d’Italia, e contraria -a tutte le tirannie, per modo che, se alcuno diviene -tiranno, conviene per forza ch’e’ diventi ghibellino, e -di ciò spesso s’è veduto l’esperienza». E soggiunge: — L’Italia -tutta è divisa mistamente in due parti; l’una -che séguita nei fatti del mondo la santa Chiesa, secondo -il principato che ha da Dio e dal santo Imperio in -quello; e questi sono denominati Guelfi, cioè <i>guardatori -di fe</i>; e l’altra parte seguitano l’Imperio, o fedele -o infedele che sia nelle cose del mondo a santa Chiesa, -e chiamansi Ghibellini, quasi <i>guida belli</i>, cioè guidatori -di battaglie, e séguitane il fatto che per lo titolo -imperiale sopra gli altri sono superbi e motori di lite -e di guerra. Gl’imperatori alamanni hanno più usato -favoreggiare i Ghibellini che i Guelfi, e per questo -hanno lasciato nelle loro città vicarj imperiali con loro -masnade; i quali continuando la signoria, e morti gli -imperatori di cui erano vicarj, sono rimasti tiranni, -levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti signori e -nemici della parte fedele a santa Chiesa e alla loro -libertà. E questa non è piccola cagione a guardarsi dal -sottomettersi senza patti a detti imperatori. Appresso è -da considerare che i costumi e i movimenti della lingua -tedesca sono come barbari e strani agl’italiani, la cui -lingua e le cui leggi e costumi, e i gravi e moderati -movimenti, diedono ammaestramento a tutto l’universo, -e a loro la monarchia del mondo. E però venendo gli -imperatori d’Alemagna col supremo titolo, e volendo -col senno e con la forza d’Alemagna reggere gl’italiani, -non lo sanno e non lo possono fare: e per questo nelle -città d’Italia generano tumulti e commozioni di popoli, -e se ne dilettano per essere per controversia quello che -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -essere non possono nè sanno per virtù o per ragione -d’intendimento, di costumi e di vita. E per questo la -necessità stringe le città e i popoli, che le loro franchigie -e stato vogliono mantenere e conservare, e non -esser ribelli agl’imperatori alamanni, di provvedersi e -patteggiarsi con loro; e innanzi rimanere in contumacie -con gl’imperatori, che senza gran sicurtà li mettano -nelle loro città»<a class="tag" id="tag261" href="#note261">[261]</a>. -</p> - -<p> -Da qui, e più dalla serie storica appare come i Guelfi -non volessero sottrarsi da ogni soggezione degl’imperatori, -bensì non sottoporvisi che a patti; sicchè oggi -si paragonerebbero al partito costituzionale. Chi guardi -i mali che gl’imperatori cagionarono all’Italia, e l’esecrazione -che popolare dura fin oggi contro il Barbarossa; -chi pensi che le più generose città, Milano e -Firenze, stettero sempre antesignane della parte guelfa, -e che quest’ultima diede l’estremo ricovero all’indipendenza -italica, mentre chi voleva tiranneggiare un -paese ergeva bandiera ghibellina, propende a desiderare -che i Guelfi fossero prevalsi, e le città ordinatesi -a comune sotto il manto del pontefice, che coi consigli -le dirigeva, e coll’armi spirituali reprimeva gli stranieri. -</p> - -<p> -Gli alti e insegnati uomini che caldeggiarono il sentimento -ghibellino, od erano gente stipendiata dagl’imperatori -come Pier dalle Vigne, o infatuati dell’antichità -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -come i giureconsulti, o trascinati da passione come -Dante, il quale, sbandito da’ Guelfi, si fe ragionato propugnatore -della opinione avversa: eppure nel suo libro -<i>Della monarchia</i>, ove (credo senza servilità d’animo, -ma per quella stanchezza del parteggiar cittadino che -cerca riposo fin nel despotismo) assoda la incondizionata -tirannide, brama che l’Italia riducasi sotto un -imperatore, bensì a patto che questo sieda in Roma. -Chi più ghibellino del Machiavelli? eppure con magnanimo -voto chiude l’abominevole suo libro. -</p> - -<p> -D’altra parte i diritti imperiali intendevansi allora -ben altrimenti da oggi, importando essi nulla meglio -che una supremazia, innocua alle particolari libertà. -Pertanto i Guelfi ideando la teocrazia si mostrarono -più immaginosi, probi utopisti; i Ghibellini, più reali -e pratici, ricordavano che le società sono fatte d’uomini -e per uomini: lo spirito democratico dei primi -declinava all’insolenza individuale e alla sregolatezza; -l’idea organatrice degli altri li portava alla forza e -alla tirannide: ma in fondo la loro è la causa stessa, -la stessa divisione che appare in tutte le storie, di -plebei e patrizj, di schiavi e franchi, di Rose Rossa e -Bianca, di Cavalieri e Teste Rotonde, di progressisti e -retrivi, di liberali e servili. -</p> - -<p> -È natura delle fazioni di svisare il più onesto scopo; -e abusandone o esagerando o traviando, porre il torto -dov’era la ragione. I grandi feudatarj che i perduti -privilegi ambivano ricuperare, non ne vedeano via che -coll’attaccarsi all’imperatore e appoggiarne le pretendenze: -sempre poi amavano meglio dipendere da esso, -grandissimo e lontano, che non dai borghesi, da villani -rifatti, da un frate che talora li dirigeva. Chiarivansi -dunque ghibellini, stimolavano l’imperatore a calare in -Italia, e per contrariare al papa furono sin veduti -favorire gli eretici. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -</p> - -<p> -Gran potere davano ai papi nella bassa Italia l’alto -dominio sopra la Sicilia; nell’alta, i radicati rancori -contro gli Svevi; dappertutto le insinuazioni del clero e -massime dei frati, guide dell’opinione, la quale può -tutto ne’ governi a popolo, dove si delibera secondo -fantasia e sentimento. L’imperatore valeva sulle repubbliche -soltanto colla forza delle armi, giacchè non è -facile guadagnare tutta una gente, sempre gelosa di -chi possiede l’autorità. Al pontefice non restava che -l’efficacia della persuasione: ma anch’egli principava, -e disponeva d’eserciti, e spesso, come uomo, serviva a -private passioni; e i Guelfi sposavano talora una causa, -non perchè giusta e confacevole alla libertà, ma perchè -dal pontefice preferita. I Ghibellini han vinto; Italia -non ha ancora finito di piangerne. -</p> - -<p> -Nè li crediate meri nomi di taglia: avevano Comune, -sindaci, podestà proprj; nascevasi d’una tale parzialità, -e diserzione consideravasi il passare ad altra; i trattati -si facevano a nome della repubblica e della fazione -prevalente. Fin nei minuti costumi doveano fra loro -sceverarsi: questi un berretto, quegli un diverso usavano; -due finestre aprivano i casamenti dei Guelfi, tre -i Ghibellini; quegli alzavano i merli quadrati, questi a -scacco; e la nappa, o un fiore<a class="tag" id="tag262" href="#note262">[262]</a>, o l’acconciatura -de’ capelli, o il saluto, e fin il modo di trinciare il pane -o di piegare il tovagliuolo discernevano il Guelfo dal -Ghibellino. I Ghibellini giurano alzando l’indice, i Guelfi -il pollice; i primi tagliano i pomi di traverso, i secondi -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -perpendicolarmente; quelli adoprano vasi semplici, cesellati -questi; il modo di passeggiare, di scoccar le dita, -di sbadigliare, di arnesar gli animali, la dritta o la sinistra, -il numero due o il tre, tutto insomma divien segnale; -i Bergamaschi conobbero che certi Calabresi eran di fazione -opposta al modo di tagliar l’aglio. A Firenze, coi -beni tolti ai Ghibellini espulsi si formò una <i>massa -guelfa</i> onde mantenere e invigorire la parte trionfante; -un magistrato apposta la amministrava con tre capi bimensili, -consiglio secreto di quattordici membri ed uno -grande di sessanta, tre priori, un tesoriere, un accusatore -dei Ghibellini; società regolare e permanente, -armata e ricca, che si sostenne quanto la repubblica. -</p> - -<p> -Al tempo di Carlo d’Angiò e per suo suggerimento -i Parmigiani formarono (1266) una <i>Società de’ Crociati</i> -per sostenere la causa guelfa, sotto la protezione di -sant’Ilario vescovo di Poitiers; e a quella si aggregarono -altre corporazioni del paese, talchè divenne potentissima, -comprendendo molte migliaja d’uomini, che -erano iscritti in un registro. Aveano un capitano e -alquanti primicerj, che doveano anche tor di mezzo -ogni dissensione, senza usar forza. Molti statuti furono -fatti ad incremento di questa Società, ed uno vietava -agli abitanti della città e del territorio di parte guelfa -di entrare in parentela con chi non fosse della parte -stessa. Il capitano de’ crociati, e che poi fu detto capitano -del popolo, e aveva il comando delle milizie, era -forestiero, durava sei mesi, aveva un giudice, un socio, -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -due notaj, il che attesta che esercitava una parte di -giurisdizione, benchè sussistesse anche il podestà: e -questo e quello subivano il sindacato. Il gran consiglio -di cinquecento doveva, come i magistrati, essere eletto -tra quei che formavano la Società de’ Crociati, la quale -così divenne arbitra del Comune, e sorgente unica del -potere legislativo, benchè non perdesse il carattere di -milizia<a class="tag" id="tag263" href="#note263">[263]</a>. -</p> - -<p> -Solo tardi i nomi di Guelfi e Ghibellini perdettero la -primitiva significazione, e parve non designassero che -partiti, nati dalle ambizioni di persone e di case; s’abbracciava -l’uno senz’altro motivo se non lo stare -coll’altro gli avversarj; uomini e città li cangiavano -dalla state al verno; pretesto a rancori privati, a baruffe, -a sbranarsi tra sè, finchè riuscissero all’ultimo -conforto degli stolti, il servir tutti<a class="tag" id="tag264" href="#note264">[264]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -</p> - -<p> -In popolo libero non si governa che per via di fazioni, -anzi una fazione è il Governo stesso, il quale -tanto è più forte e perseverante, quanto tra il popolo -si trovano partiti più permanenti e compatti. Ma siffatti -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -non si formano e mantengono se non dove fra gl’interessi -de’ cittadini esistono dissomiglianze e opposizioni -così evidenti e durevoli, che gl’intelletti siano condotti -e fissati da sè in opinioni opposte: all’incontro, è difficile -restringer molti in una politica uniforme là dove i -cittadini rimangono ad un bel circa eguali, giacchè -allora bisogni effimeri, frivoli capricci, interessi particolari -creano e scompongono ogni istante fazioni, -l’incertezza e avvicendamento delle quali fa agli uomini -nojosa l’indipendenza, e mette a repentaglio la libertà, -non in grazia dei partiti, ma perchè niun partito è in -grado di governare. -</p> - -<p> -Nè essi portano gran pregiudizio quando rampollano -dalla costituzione, giacchè allo scopo loro si connette -sempre la speranza di migliore governo; anzi a quelli -vanno debitrici di loro prosperità le nazioni che liberamente -si reggono, e in cui, pendasi ad aristocrazia -o a democrazia, a governo personale o a ministeriale, -sempre si tende e spesso si giunge al meglio del paese. -Ma quando si mescoli, come in Italia, un fomite forestiero, -l’interesse della fazione prevale a quello della -patria, e s’immola fin la libertà per conseguirlo. Toscana -e Venezia furono l’una democratica, aristocratica -l’altra, eppure stettero: in Lombardia Guelfi e Ghibellini -spingevano l’occhio fuor della patria, e del pari la -sagrificavano. -</p> - -<p> -Robusti, caldi di superbia e d’invidia, nel consiglio -impugnano il parere più sano, perchè proposto dalla -parte avversa; poi mene segrete e intelligenze parziali; -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -poi sconnesse le famiglie dal campeggiare padri e fratelli -sotto bandiera diversa; poi per ogni lieve occasione -rompere ai peggiori termini di nemici. «Quasi -ogni dì, o di due dì l’uno si combattevano insieme -cittadini in più parti della città, di vicinanza in vicinanza, -come erano le parti; e aveano armate le torri, -che n’avea la città (di Firenze) in gran quantità e numero, -e alte cento e cenventi braccia l’una. E sopra -quelle facevano màngani e manganelle per gettare -dall’una all’altra, ed era asserragliata la strada in più -parti. E tanto venne in uso questo gareggiar fra’ cittadini, -che l’un dì si combattevano, e l’altro dì mangiavano -e beveano insieme, novellando delle prodezze -l’un dell’altro che si facevano a quelle battaglie»<a class="tag" id="tag265" href="#note265">[265]</a>. -</p> - -<p> -Cominciasi da un conflitto in piazza, determinato da -qualche accidente in apparenza frivolo, ma realmente -derivato dall’intima natura della città; e subito i cittadini -dividonsi in due partiti, i quali non cercano che -annichilarsi un l’altro, senza riguardi, senza capitolazione. -L’ira è unica ispiratrice; una parte trovasi -inferiore, e non tanto perchè impotente a sostenersi, -quanto pel dispetto di non voler obbedire agli avversarj, -esce di città. I suoi fautori rimasti, deboli e vinti, -sono uccisi senza pietà da quella rabbia che si esacerba -nello sfogarsi; dei profughi sono demolite le case, -confiscati e sperperati i terreni, e la metà trionfante -stabilisce nella città quella pace che viene dalla mancanza -di nemici. Presto però i vincitori medesimi si -suddividono in moderati ed eccessivi; i fuorusciti, congiunti -dalla sventura, si rannodano alla campagna con -altri di lor colore, e con sussidj di borgate o città consenzienti, -riminacciano la città, l’assalgono, la prendono, -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -e alla lor volta uccidono, incendiano, proscrivono. -</p> - -<p> -È la parte de’ popolani che leva il rumore? tocca a -stormo; le vie si asserragliano per impacciare i cavalli, -nerbo della nobiltà; questa assalgono ne’ palazzi fortificati, -ne espugnano le torri. I gentiluomini, rincacciati di -posto in posto, a grave stento possono aprirsi un varco, -mentre i vincitori malmenano i clienti e le robe dei -vinti, il tempio del Dio della pace profanano cogl’inni -della vittoria fratricida. Ma appena in campagna aperta -può la loro cavalleria spiegarsi, i nobili tornano superiori; -ricorrono per ajuto ai signori castellani o ad -altri paesi di egual fazione, trattano con quelli come -potenze riconosciute, li persuadono a guerra; allora -bloccano la patria, l’affamano, e v’entrano a forza, alla -lor volta diroccando ed esigliando; oppure rientrano -a patti, e giurano paci centenarie che fra un mese saranno -violate. Queste alterne espulsioni formano la -quasi unica storia del tempo. -</p> - -<p> -Così si amplia la guerra cittadina in cospirazioni, -adunanze, consigli, alleanze; cercasi una città anche -nemica, perchè del partito medesimo; i fuorusciti figurano -come una potenza distinta; le fazioni interne si -intralciano colle esterne; e l’economia geografica è -sbilanciata dalla logica de’ partiti, finchè questa viene a -identificarsi con quella. -</p> - -<p> -Nè gli uni nè gli altri però vogliono la distruzione -della città, bensì di possederla e dominarla. A questo -intento, anche allorchè vi stanno entrambi i partiti, -devono tenersi in guardia e in disciplina, avendo magistrati -proprj, riunioni, erario, forza, e di fuori alleanze -speciali, alle quali rifuggendo allorchè in città -non son sicuri di poter dimorare tutto il domani, cominciano -a considerarsi qualcosa più che semplici cittadini, -a concepir l’idea d’un partito, d’una nazione, -nella quale tutta quanta si trovano alle prese i due -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -partiti. Ma la lotta, fondandosi su passioni non su principj, -è necessariamente interminabile, non avendo un -esito, non portando una vittoria definitiva, ma intanto -elevando un sempre maggior numero di persone alla -dignità di cittadini. -</p> - -<p> -I popolani di Piacenza nel 1234, espulsi i loro nobili, -si allearono coi popolani di Cremona, i quali aveano -tolto a capitano il marchese Pelavicino; e questo con -cento cavalieri e molti balestrieri delle due città ruppe -i nobili fuorusciti. Essi fanno lega con quei di Borgotaro, -di Castellarquato, di Firenzuola, e presentano a Gravago -battaglia, dove lasciano prigionieri quarantacinque -uomini d’arme e da ottanta fanti. I popolani cremonesi -e piacentini prorompono di nuovo in armi, assediano il -castello di Rivalgario, ma non possono espugnarlo. Alfine, -per intromessa di Sozzo Colleoni di Bergamo, si -riconciliano coi nobili, pattuendo che questi avessero -metà de’ pubblici onori e due terzi delle ambasciate. -</p> - -<p> -I vincitori non sempre erano moderati, nè solo momentanei -i danni; e nell’ebbrezza del trionfo si spingeva -la città a guerra coi vicini, o nello statuto si -introducevano mutazioni non per utilità comune, bensì -per corroborare la parte trionfante; ma sicurtà vera non -si trovò mai, restando sempre una fazione malcontenta -e una turba fuoruscita, gagliardissimo strumento ad -ogni tentatore di novità. In una sola volta escono dal -Cremonese centomila esigliati nel 1226; nel 1274 trecento -famiglie da Bologna, composte di dodicimila -persone: quando Castruccio nel 1323 osteggiava Firenze, -per ottenere perdonanza venivano ad offrirsi di -servire contro di lui ben quattromila Fiorentini, piccolo -resto di quelli cacciati vent’anni prima<a class="tag" id="tag266" href="#note266">[266]</a>. Non durerà -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -mai quieto il paese che ha molti fuorusciti, i quali, -per desiderio della patria, per la baldanza che dà il -non aver nulla a perdere, per le facili speranze che -sono il retaggio degli esigliati, movono, praticano, irritano -dentro e fuori. -</p> - -<p> -Quindi per tutta Italia un combattersi da terra a terra, -e talvolta per ragioni sì frivole, quanto oggi ne’ duelli. -Nomi d’obbrobrio ciascuna città aveva affisso all’avversaria, -e da questi cominciavansi diverbj che terminavano -col sangue<a class="tag" id="tag267" href="#note267">[267]</a>. Un cardinale romano convita -l’ambasciatore di Firenze, e udendogli lodare un suo -bel catellino, glielo promette; sopraggiunge l’ambasciatore -di Pisa, che del cagnuolo s’invoglia anch’esso, e -n’ha promessa eguale: da ciò discordia e guerra viva. -Una secchia, dai Bolognesi rapita a quei di Modena, -diede soggetto a guerra e al poema del Tassoni. Un -catorcio involato suscitò guerra fra Anghiari e Borgo -Sansepolcro, di che il Tevere andò tinto in rosso. Quei -di Chiusi combatterono i Perugini per l’anello pronubo -di Maria Vergine, che essi conservano preziosamente, -che un frate aveva sottratto. -</p> - -<p> -Quali cronache non sono piene di queste rivalità -energiche e clamorose, e de’ vergognosi trionfi sopra i -vicini? I Modenesi assediano Ponte Dosolo, e smantellatolo -ne involano la campana che pongono nella torre -maggiore: un’altra volta da Bologna portano via le -petriere e le collocano nella cattedrale, e voltano lo -Scultenna su quel territorio per guastarlo. Genova impone -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -a Pisa di abbassar tutte le case fin al primo solajo: -e ancora vi stanno sospese le catene strappate a -Porto Pisano; e sull’edifizio del Banco un grifo che -adunghia l’aquila e la volpe, simboli di Federico I e di -Pisa, col motto <i>Griphus ut has angit, sic hostes -Genua frangit.</i> Lucca mette degli specchi sulla torre -d’Asciano perchè le donne di Pisa vi si possano mirare; -e Pisa va ad assediar Lucca, e mette grandi specchi -affinchè i loro nemici vedano come impallidiscono; -un’altra fiata fabbricano il forte d’Illice, e vi scrivono: -«Scopabocca al genovese, crepacuore al portovenerese, -strappaborsello al lucchese». Perugia erge innanzi a -Chiusi la torre <i>Becca questa</i>, e i Chiusini vi oppongono -la <i>Becca quella</i>. All’arco di Galieno in Roma era -attaccata la chiave della porta Salciccia di Viterbo, ribellatasi -contro il senato: i Perugini dalla vinta Foligno -asportarono le porte sovra il carroccio de’ vinti, e da -Siena le catene della giustizia, che collocarono sovra la -porta del podestà: i Lodigiani eternarono (si dice) nelle -medaglie uno scorno usato ai vinti Milanesi: questi -faceano giurare al podestà di non lasciar più mai rifabbricare -il distrutto Castel Seprio; Siena imponeva -altrettanto per quel di Menzano, i Novaresi per quel -di Biandrate. -</p> - -<p> -È fatica persino in una storia municipale il seguitar -quelle guerre senza gloria, interrotte da paci senza riposo, -varie negli accidenti, ma uniformi negli impulsi; -nè noi vogliam dare che i lineamenti e il carattere -generale di quella età. Brescia stava sempre in armi -da un lato contro Cremona, massime in causa delle -acque dell’Oglio, dall’altro contro Bergamo pei disputati -confini del lago d’Iseo e della val Camonica; e -avendo essa, come dicemmo, nel 1191 aggiunto al suo -territorio i Castelli di Sarnico, Calepio e Merlo, i Bergamaschi, -per vendicarsene, s’unirono ai Cremonesi, -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -già da essi ajutati contro i Bresciani. Subito una parte -e l’altra si prepara di alleanze, e Pavia, Lodi, Como, -Parma, Ferrara, Reggio, Mantova, Verona, Piacenza, -Modena, Bologna vengono contro i Bresciani, e assediano -i castelli di Telgate e Parlasco; ma i Bresciani, -capitanati da Biatta di Palazzo, gli affrontano a Rudiano, -e li mettono in tal rotta, che rimase al luogo il -nome di Malamorte. -</p> - -<p> -I nobili, che aveano in mano il governo di Brescia, -istigati dai Milanesi, vollero poco dopo spingere a -nuova guerra contro i Bergamaschi; ma il popolo, svogliato -di tanti sacrifizj, ritorse le armi contro i nobili, -e sanguinosamente li cacciò di città. Essi ricoverarono -sul Cremonese, e formarono la società di San Fausto, -alla quale i plebei opposero un’altra, detta Bruzella: e -quelli si allearono con Cremona, Bergamo, Mantova, -questi coi Veronesi, e lungamente agitarono le nimistà. -Altre ne mossero il 1199 Parma e Piacenza, disputandosi -Borgo Sandonnino: e colla prima campeggiarono -Cremona, Reggio, Modena, Bergamo, Pavia; coll’altra -i Milanesi, Bresciani, Comaschi, Vercellesi, Novaresi, -Astigiani, Alessandrini, finchè l’abate di Lucedio non -riuscì a metter pace. Nel 1225 Genova trovavasi impegnata -in guerra contro gli Alessandrini, collegati questi -con Vercelli, Alba, Tortona; con lei Asti, il conte Tommaso -di Savoja, le due Riviere, i conti di Ventimiglia, -i marchesi del Carretto, di Ceva, di Cravezana, del -Bosco, tutti i castellani del Garessio e val di Tanaro, ed -altri baroni e capitani. -</p> - -<p> -Nel 1208 il marchese Azzo d’Este coi Ferraresi del -suo partito e col Comune di Ferrara<a class="tag" id="tag268" href="#note268">[268]</a> combinava -lega coi Cremonesi, obbligandosi a guardare, salvare, -difendere, in tutta la terra e l’acqua del vescovado e -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -del distretto loro nell’andare, stare e tornare, tutti gli -uomini di Cremona nella persona e negli averi; soccorrerli -a mantenere o recuperare la loro terra contro -qualsifosse gente o persona, e nominatamente Crema -e l’isola Fulcheria e le terre di qua dall’Adda; ogni -anno andranno al servizio di Cremona col carroccio<a class="tag" id="tag269" href="#note269">[269]</a> -e coi loro cavalieri e fanti; e due volte l’anno con tutti -i soldati e arcieri della città e del vescovado staranno -in servizio loro a spese e danni proprj per quindici -giorni; nè partiranno senza licenza de’ rettori di Cremona, -data in parlamento o nel consiglio di credenza. -Passati quei giorni, se i Cremonesi vogliono rifare i -danni e le spese, dovranno quelli rimanere quindici -altri dì, ove ne siano richiesti. Altrettanti opreranno -qualvolta siano richiesti dai rettori o dai consoli o per -lettere sigillate del comune di Cremona; e quindici dì -dopo l’avviso movendo col carroccio e altre forze, al -più presto si metteranno nell’esercito di Cremona, e a -tutti i nemici di questa vieteranno il passo, i soccorsi -e ogni negozio sulle lor terre. Se mentre essi campeggiano -in servizio di Cremona prendono alcuni dei nemici -di questa, li daranno a quel Comune fra otto giorni, -salvo il cambio se sia stato preso alcuno dei loro. Ogni -anno il podestà o console delle città prelodate giurerà -questi accordi, e si farà ogni quinquennio giurare da -tutti i cittadini di sopra dei quindici anni e di sotto dei -settanta. -</p> - -<p> -Le gare talvolta componeansi a giudizio d’amici o -di arbitri; come le differenze tra città e vassalli o Comuni -si compromettevano ne’ consoli di giustizia o nei -savj. Quando poi l’ire infierivano peggio, nè altro riparo -trovavasi, soccorreva quello che in essi tempi era -universale, la religione, che tra le baruffe private, tra -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -le file dei combattenti inviava l’inerme sua milizia, a -sospendere le izze fraterne in nome del Signore. Ma -poichè ognuno era persuaso che chi non otteneva supremazia -rimarrebbe all’ultima oppressione, le discordie -ben presto divampavano: talvolta, nel mentre -stesso che giuravasi la pace, un’occhiata dispettosa, un -motto frizzante, un gesto mal interpretato, facea di -nuovo sguainar le spade. -</p> - -<p> -Le gelosie e le gare rinascenti indebolivano la coscienza -dei doveri da Stato a Stato, da uomo a uomo; -impedivano si consolidasse uno spirito pubblico, fondamento -di nobile avvenire; alla patria restava tolto -di valersi dei migliori, esclusi perchè guelfi o perchè -ghibellini; consigliandosi coll’ira o col favore anzichè -colla giustizia, non si cercava il più giusto e libero governo, -ma il trionfo d’una parte, adoprandovi mezzi -che sovvertivano la libertà. Quello stuolo di fuorusciti, -intenti sempre a governare il paese da di fuori e con -passioni malevole, stoglieva dall’opposizione legale e -dallo sviluppo progressivo; abituava a non regolarsi -su principj ben posati, a non calcolare l’andamento -dei fatti e la situazione, ma sempre attendere dall’esterno -avvenimenti impreveduti, e fidare ne’ cataclismi: funesta -abitudine, che gl’italiani più non doveano disimparare. -</p> - -<p> -Nessun momento più pericoloso alle franchigie che -quello d’una vittoria. Inebbriati da questa, i popoli più -non ravvisano pericoli, e non che por limiti a chi li -guidò al trionfo, credono acquisto il fortificarlo in -modo, che possa impedire un nuovo rialzarsi della fazione -avversa. Ma i mezzi offertigli a quest’uopo facilmente -può egli convertire a disastro della patria. A -Como rimasti vincitori i Rusca nel 1283, i tre podestà -del Comune, del popolo e della parte dominante ebbero -facoltà di stabilire, col consiglio di savj eletti, -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -qualunque statuto giudicassero opportuno ad essi Rusca -e al comune di Como. Rivalsi i Vitani nel 96, il podestà -di questi decretò che ogni mese si creassero due podestà -di essa fazione, i quali attendessero all’innalzamento -di questa e alla depressione dei Rusca; di cui -si abbattessero le insegne, si cassassero le vendite e le -donazioni, i loro vassalli e clienti si spogliassero d’ogni -diritto acquistato da diciotto anni in poi, s’annullassero -i giuramenti fatti a loro, e se ne squarciassero le torri -e le abitazioni. -</p> - -<p> -Guardiamoci però dal giudicare quei subugli colle -idee d’un secolo che reputa primo elemento di felicità -il riposo; e di far bordone alle sentimentalità di chi -non sa vedervi che ricchezze sperperate e fratelli uccisi -da fratelli. Capricci di re, puntigli di ministri, -guerre dinastiche, ambizioni napoleoniche in qualche -anno scialacquarono il decuplo di sangue e denaro, -che non in secoli tutte le battaglie de’ Comuni italiani. -Le quali nelle storie leggiamo accumulate così, che facilmente -crediamo continui i macelli; e a tacere le -lunghe paci, non vogliamo ricordarci che quelle guerre -finivano in un giorno o in pochi; che le battaglie riuscivano -sì poco sanguinose, da attirare le beffe degli -inumani politici del secolo xvi, i quali vedeano le ben -diverse qui recate dagli stranieri<a class="tag" id="tag270" href="#note270">[270]</a>. -</p> - -<p> -L’odierna civiltà strappa alle famiglie un figliuolo -sul quale vivono padre e madre, e lo obbliga a servire -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -la società per un prezzo che a pena basta al sostentamento, -e ciò negli anni suoi migliori, per poi dopo -molti rimandarlo senza un mestiere e disusato dalla fatica. -I nostri coscritti videro tremando scuotersi il loro -nome nell’urna che dovea decidere qual d’essi lascerebbe -le occupazioni e le consuetudini della sua gioventù, per -militare in causa che ignora, sotto capitani che non -conosce, obbedendo come una macchina, e trattato -come inferiore agli altri cittadini. Lontano dalla patria, -dai cari, alcuni si logorano per le fatiche inconsuete, -molti pel tedio e per ribrama dei paterni tetti. Perisce? -è un soldato di meno, un nome di più sulla lista dei -morti. Vince? non altro godimento gliene viene che di -veder trionfare i suoi capi, o forse di poter incrudelire -contro i vinti. È ferito? lo gettano negli spedali a cura -di medici principianti o subalterni. Finisce la sua capitolazione? -torna alla famiglia avvezzo al bagordo, al -prepotere, al non far nulla. -</p> - -<p> -Allora, al contrario, la guerra era un momentaneo -dovere, un episodio della vita. Dalla fanciullezza s’addestravano -agli esercizj; divenivano soldati quando il -bisogno lo richiedesse; cessavano appena il bisogno -finisse; combattevano sotto le mura della patria per -salvezza de’ suoi, o per quella causa ch’essi aveano giudicata -migliore. I monotoni patimenti de’ quartieri e -delle guarnigioni non erano conosciuti: al tocco della -campana, l’uomo piglia le armi, ancora ammaccate -dalle ascie tedesche o dal brando feudale; corre sotto -la bandiera della sua parrocchia; va all’assalto; vince? -la sera stessa o il domani torna alla patria, ostentando -i trofei rapiti al vinto; è ferito? trova ristoro nella propria -casa; muore? la patria il compiange, e quella -venerazione alimenta il valore degli altri, e lenisce il -lutto di quei che sopravivono. -</p> - -<p> -Queste guerre faceano soffrire; chi lo nega? Il Machiavello -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -ne’ Guelfi e Ghibellini non vede che umori di -parte, follie di malcontenti e di ambiziosi, pestilenza -derivata alla sua città da una prima discordia di famiglie. -Anche il Muratori esce dalla dabbene sua calma -per irritarsi contro queste frenesie di sêtte diaboliche -e maledette, ove per vane parole si sagrificavano ricchezze, -sangue, vita, senza riflettere se la causa fosse -utile o giusta. Ma quelle risse erano inevitabili fra piccoli -Stati, e fra tanti elementi eterogenei che conveniva -o assimilare o svellere: non erano frutto della libertà, -ma sforzi per conquistarla, effetti del non possederla -intera. L’unirsi Guelfi e Ghibellini, Repubblicanti e Imperiali -a tempesta e bonaccia pel pubblico interesse, -concentrarsi in un pensiero generale, subordinare le -personali inclinazioni a un vantaggio comune ben avvisato, -garantirsi a vicenda in imprese che riuscendo -devono profittare anche a quelli che le impacciano, -insomma il patriotismo qual noi l’intendiamo eppure -nol pratichiamo, poteva sperarsi da gente ancor nuova, -da passioni non ammansate? poteva sperarsi che quegli -inesperti conciliassero la libertà coi governi forti, se -nol sappiamo far noi dopo tante misere prove? -</p> - -<p> -Più che da stizze, nascevano le nimicizie da intelletto -acuto, che reca a conoscere il meglio, e dolersi di non -possederlo; sicchè nello squilibrio fra i bisogni e il -modo di soddisfarli, l’uomo contende e s’affatica, nè può -fare che non dia d’urto ai vicini. In altri tempi sembra -unanimità nazionale la quiete prodotta dalla comune -oppressione: in quelli invece ogni uomo pensava ed -operava da sè; ingegnavasi ad un fine ch’egli nettamente -ravvisava, e con mezzi che da sè sceglieva; e quell’agitazione, -l’esistenza occupata ne’ pubblici interessi, il -dramma continuo, le passioni cozzanti, le quistioni di -diritto e d’onore più che d’interessi materiali, il tendere -animato verso una meta sempre varia ma sempre -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -alta, il soffrire per un oggetto nobile, il trionfare nei -trionfi della patria o della propria fazione, erano parte -di felicità. -</p> - -<p> -Mal ci apponiamo ancora quando non vediamo in -queste battaglie che fraterne riotte. Gli stranieri aveano -occupato il paese, spodestati i natii, e ridottili a servi -o a plebe senza diritti; mentr’essi, col nome di feudatarj -o di nobili, si presero i privilegi e il dominio -e i possessi tutti, e dichiararono nazione se medesimi. -Per noi, cui il nascer plebe o patrizio non importa -che qualche distinzione nel povero senno dei -vulgari, ha del ridicolo e del compassionevole quel -combattersi fra i due ordini: ma allora significava la -prevalenza de’ forestieri o de’ nazionali; se i nostri padri -dovessero languir sulla gleba sudata e non posseduta; -se il signore di questa, che la tenea per ragione di conquista, -dovesse poter fare di loro ogni sua voglia, sino -ad ucciderli per pochi denari. -</p> - -<p> -Prevalgono i popolani: ma la parte già dominatrice -usa forza e astuzia per reprimerli e corromperli, e -all’uopo s’associa colla potenza forestiera, da cui trae -l’origine sua. Col procedere del conflitto, lo scopo ne -diviene men chiaro, ma in fondo sussiste; poi ravvicinandosi -e innestandosi i partiti, nel nome della fazione -dimenticano la diversità dell’origine, e tutti si chiamano -Italiani. -</p> - -<p> -Ciò non toglie di deplorare quell’assiduo parteggiamento, -le cui conseguenze nocquero alla più tarda posterità. -Le città guardandosi con odio e sospetto, non -si poterono mai accordare in una federazione di utilità -universale e comune difesa; le scissure interne producevano -lotta anche nell’alta politica, ambi i contendenti -sapendo di trovare un appoggio esteriore; alla -fine quasi dappertutto la parte popolare ebbe il sopravvento, -e meno esperta delle faccende pubbliche, ombrosa -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -per natura sua, e troppo occupata per applicarsi -al pubblico reggimento, rimetteva l’uso delle proprie -forze e l’esercizio de’ proprj diritti al valore del più -prode o al senno del più avveduto; e così le tirannie -vennero eredi delle comunali libertà. -</p> - -<p> -Altre famiglie non aveano mai perduto i possessi -aviti, anzi gli estendevano, e massime quelli compresi -nella disputata eredità della contessa Matilde; poi nelle -guerre parteggiando coll’imperatore, ne ottenevano privilegi -e immunità, e diventavano feudatarj. Gl’imperatori, -che da principio avevano favorito i Comuni a -popolo contro i signori feudali, dacchè li videro ingigantire -trovarono di loro conto spalleggiare i nobili -liberi, contrappeso alla potenza cittadina, e scolte -disposte sul loro passaggio. Altri s’erano conservati indipendenti -negli aviti castelli, massime se piantati fra -i monti, e cercavano acquistare sulle vicine città il dominio -che un tempo vi avevano tenuto i conti: tali erano -i marchesi del Monferrato e di Este, i più poderosi dell’Italia -settentrionale, ingranditi dal Barbarossa come -suoi fedeli. -</p> - -<p> -Nella marca Trevisana, ove le estreme falde dell’Alpi -e le colline Euganee si sporgono in mezzo a liete campagne -e città fiorenti, dalle ben munite alture i signori -poterono continuare a tenere una mano sopra le città, -nelle quali fabbricarono anche palazzi, somiglianti a fortezze. -Tra queste famiglie erano prevalsi i Salinguerra -di Ferrara, i Camposampiero di Padova, i Guelfi d’Este, -gli Ezelini da Romano. Gli Ezelini discendeano da un -Tedesco passato in Italia con Corrado II, e infeudato -delle terre d’Onàra e Romano nella marca di Treviso: -colle violenze e l’abilità crebbero i suoi discendenti, -costituitisi corifei della parte ghibellina là intorno, imparentatisi -di voglia o di forza con grosse famiglie, ed -alleatisi con Verona e Padova. A fronte a loro stavano -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -gli Estensi, di famose ricchezze, e parenti di quei Guelfi -che vedemmo dominare in Baviera e Sassonia, donde -la parte guelfa nell’alta Lombardia prese il titolo di -marchesca. Padova gli aveva obbligati a giurare la loro -città, lasciar deserta la rôcca d’Este, e porsi sotto la -protezione del popolo che i loro padri aveano calpesto; -e spesso chiamati podestà e capitanei, all’ombra repubblicana -ricuperavano la primazia, perduta secondo -l’aspetto feudale. -</p> - -<p> -Ferrara, sobbalzata dalle fazioni, diede nel 1208 il -primo esempio di signoria col domandare a principe -il marchese d’Este, conferendogli pieno arbitrio di fare -e disfare leggi, paci, alleanze, guerre. Ne fu tocco al -vivo Salinguerra di Torello, primario in Ferrara e caporione -de’ Ghibellini, e ne originarono baruffe e sangue, -e avvicendate espulsioni, e ripetuti e sempre falliti accordi, -sinchè rimase convenuto che tra i due emuli, -ossia tra le due fazioni, restassero partiti gli uffizj della -città; il marchese non potea venire a Ferrara che con -un determinato numero di seguaci, e Salinguerra gli -usciva incontro con tutta la nobiltà guelfa e ghibellina, -e si celebrava un cortese banchetto<a class="tag" id="tag271" href="#note271">[271]</a>. -</p> - -<p> -Anche altrove questi signori si facevano guerra dall’un -all’altro, onde preponderare nelle città del contorno, -che pertanto piegavano ad infelice oligarchia, turbata -da incessanti dissidj, spesso prorompenti in guerre -guerreggiate. Tra queste li trovò Ottone IV allorchè -scese dall’Alpi, e sperava che i Guelfi l’appoggierebbero -per l’origine sua e pel favor papale <span class="sidenote">(1209)</span>, mentre i Ghibellini -non gli avrebbero negato favore come a re di Germania. -Rappaciò egli infatti molti discordi, e singolarmente -Ezelino da Romano con Azzo d’Este; ma poco -durò la costoro benevolenza, e Guelfi e Ghibellini si -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -brigavano delle proprie pretensioni, non già dell’imperatore, -cui non favorivano se non in quanto sentissero -d’averne bisogno. -</p> - -<p> -Pure egli fu accolto a festa dai tanti nemici della -Casa sveva; Innocenzo III gli mosse incontro sin a Viterbo, -e lo coronò; ma breve fu l’armonia. Già l’arroganza -tedesca stomacava i Romani, che ebbero una -delle solite abbaruffate in città, dove perirono molti -cavalieri; un grosso di cardinali mantenevasi ostile ad -Ottone, il quale coll’eredità della contessa Matilde pretendeva -revocare alla corona Viterbo, Montefiascone, -Orvieto, Perugia, Spoleto, donati alla santa sede, e che -militarmente occupò. Certo l’avranno istigato i giureconsulti, -indefessi apostoli della sovranità imperiale: e -quando il papa gli rammentò le promesse e il giuramento, -rispose che un giuramento anteriore lo obbligava -a ricuperare all’Impero quanto ne fosse stato distratto: -favorì la famiglia Pierleoni, ghibellina arrabbiata; -investì la marca d’Ancona ad Azzo d’Este in nome -proprio, non in nome del papa; per fare smacco a Federico -di Svevia entrò nella Puglia pretendendovi la -primazia imperiale, ed alleossi co’ generali tedeschi che -colà erano rimasi. Papa Innocenzo vide imminente -quell’aggregazione della Sicilia coll’Impero, alla quale -sempre erasi opposto, e viepiù pericolosa perchè fatta -dal capo de’ Guelfi, i quali lo secondavano per odio agli -Hohenstaufen; nè trovando altro riparo, scomunicò -l’imperatore <span class="sidenote">(1210)</span>: ma questo proseguì la conquista nella -Puglia, ed accingevasi a passare in Sicilia. -</p> - -<p> -Se non che l’anatema aveva sommossa la Germania; -la morte di Beatrice sua moglie lentò i legami che a -lui univano la fazione ghibellina; intanto il papa era -riuscito a sottrarre dai custodi tedeschi Federico di -Svevia, e a grande onore accolto in Roma, colla sua -benedizione e colle sue galee l’inviò a Genova <span class="sidenote">(1212)</span>. Il giovane -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -reale, bello, colto, attraente per l’ingegno non -meno che per le agitazioni della prima sua età, attraversò -la Lombardia procacciandosi amici coll’affabilità -e colla munificenza, pur sempre contrastato dalle città -guelfe, memori del Barbarossa: il marchese d’Este suo -cugino sotto buona scorta pel lago di Como lo convogliò -a Coira, il cui vescovo fu primo a salutarlo re di -Germania. Ottone, poco atto a guadagnarsi i cuori, avea -dovuto uscire dalla Puglia senz’altro lasciarvi se non -raccomandazioni di fedeltà calde e poco sentite; a Lodi -convocò le città lombarde, ma non vennero se non le -dichiarate amiche di Milano, la quale tenevasi con lui -per astio contro gli Svevi. Laonde nessun frutto colse, -nè le fazioni sospesero il combattersi; peggiorando anzi -per le sêtte religiose allora pullulanti, e che logoravano -la potenza clericale, avvezzavano a non curar di scomuniche, -e conculcavano il dogma dell’autorità. Venezia -osteggiò Padova che voleva precluderle il commercio -di terraferma: Milano combattè con Pavia e co’ marchesi -del Monferrato, i Malaspina della Lunigiana con -Genova, questa con Ventimiglia; i Carraresi, i signori -di Montemagno, i Porcaresi contro Pisa, i Sanminiatesi -contro Borgo Sanginnesio, i Salinguerra con Modena: -Lucca non cessò mai guerra a Pisa, e fabbricato il castel -di Cotone in val del Serchio, pose patto ai nuovi abitatori -che non contraessero parentela o aderenza coi -Pisani: la rivalità de’ Buondelmonti cogli Amidei fe -sentire primamente in Firenze i nomi di Guelfi e -Ghibellini. -</p> - -<p> -Ottone avea procurato chetar la tempesta suscitatagli -in Germania, fin col sottomettersi al giudizio degli -stati; ma tale umiliazione crebbe ardire ai malcontenti: -quando poi, marciato a’ danni del re di Francia, fu -sconfitto e vôlto in fuga a Bovines <span class="sidenote">(1214)</span>, scaduto d’ogni credito -si ritirò ne’ suoi Stati ereditarj, talchè Federico di -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -Svevia fu di nuovo coronato re di Germania ad Aquisgrana. -Secondo il convenuto con Innocenzo, Federico -confermò tutte le prerogative e i possedimenti della -Sede romana, promise recuperarle dai Pisani la Sardegna -e la Corsica, e cedere la Sicilia appena divenisse -imperatore: condizione che il papa esigeva come nuova -garanzia all’indipendenza d’Italia, troppo minacciata se -un suo re fosse anche capo dell’Impero. A Federico -aveva egli sposata Costanza d’Aragona, sua pupilla -anch’essa; e avendo collocato sul trono un allievo della -santa Sede, poteva a questa sperar pace e nuova grandezza: -eppure allora si rinnovò la guerra fra il Sacerdozio -e l’Impero. Prima di divisare la quale, giovi por -mente alle nuove armi, di cui l’uno e l’altro venivano -accinti al secondo duello. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap89">CAPITOLO LXXXIX. -<span class="smaller">Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione.</span></h2> -</div> - -<p> -All’autorità pontifizia davano grande appoggio i frati. -Benedettini, Agostiniani, Basiliani continuavano a pregare, -studiare, cantare, conservar libri e monumenti; -gli austeri Certosini, i mistici Carmelitani, i caritatevoli -Trinitarj o del Riscatto (istituiti da san Giovanni di -Matha gentiluomo nizzardo), ed altri monaci fondati in -quei tempi, si estesero in Italia; e massime gli operosi -Cistercensi, qui portati da san Bernardo, oltre l’opere -dello spirito, grandemente giovarono a ridurre a fertilità -stagni e valli, principalmente nel Milanese e nel -Lodigiano<a class="tag" id="tag272" href="#note272">[272]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -</p> - -<p> -Alcuni Milanesi, trasportati prigionieri in Germania -nelle guerre coll’Impero, disingannati del mondo, fecero -voto, se ricuperassero la patria, di dedicarsi a speciale -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -devozione di Maria. Resi alla terra natale, istituirono -l’Ordine degli Umiliati <span class="sidenote">(1200)</span>, vivendo ciascuno nella propria -casa, ma solinghi e in opere sante, avvolti in sajone -cinericcio. Crebbero, e, compra una casa, vi si congregavano -la festa a salmeggiare e ad opere di pietà; e -sull’esempio de’ mariti, anche le donne si ritrassero in -devozione e lavori. Avuta da san Bernardo una regola, -gli Umiliati si separarono dalle mogli, ed oltre gli uffizj -spirituali, procacciavano nel lanifizio e nella mercatura; -indi il beato Giovanni da Meda, che li piantò a -Como, perfezionò l’istituto, promovendo alcuni alla dignità -sacerdotale, e mettendo a ciascuna <i>casa</i> un preposto. -Così si estesero, e col traffico e col lavorio dei -pannilani arricchirono l’Ordine e il paese. Alla quale -società, che, a parte la devozione, potrebbe servir di -modello a quelle che propongono e non sanno effettuare -gli odierni Socialisti, aggiungiamo quelle che un -buon romito di Parma raccolse per fabbricare un ponte -sul Taro e custodirlo. -</p> - -<p> -Silvestro da Osimo, al veder morto un uomo bellissimo, -si ricoverò tutto a vita di spirito, e nel monastero -di Monte Fano della Marca fondò nel 1231 i Silvestrini, -presto propagatisi. L’anno seguente, sette signori fiorentini, -membri d’una confraternita di Maria Vergine, ebbero -in visione il comando di rinunziare al mondo; -sicchè, distribuito ogni aver loro ai poveri, coperti di -sacco e di cenere, e vivendo d’accatto, presero il nome -di Servi di Maria, ed apersero il primo convento sul -monte Senario appo Firenze. -</p> - -<p> -I frati, oltre portare nella comunione dei Fedeli tanta -messe di preghiere, adempivano molti uffizj, oggi attribuiti -all’autorità amministrativa, e principalmente a -curar malati, assistere pellegrini, assicurare strade. A -Sant’Egidio di Moncalieri il ponte e l’ospedale erano -affidati a’ Templari; ai Vallombrosani il tragitto sulla -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -Stura presso Torino; ad altri i passi del grande e del -piccolo Sanbernardo; quelli di Sant’Antonio curavano i -malati di fuoco sacro, quelli di San Lazzaro i lebbrosi, i -Trinitarj d’ogni aver loro faceano tre parti, una pel proprio -mantenimento, una pei poveri e infermi, una pel -riscatto de’ Cristiani presi da Saracini. Le repubbliche -poi se ne valeano a servigi gelosi; ambascerie, custodire -denari, riscuotere dazj, metter paci: il Comune di Mantova -lasciava alla loro guardia il libro dei decreti<a class="tag" id="tag273" href="#note273">[273]</a>. -</p> - -<p> -In tanti rami già erasi variato il vivere monastico, -che Innocenzo III decretò non se ne introducessero altri: -eppure sotto di lui nacquero due Ordini che eclissarono -i precedenti, i frati Minori e i frati Predicatori. -</p> - -<p> -Alla moglie di Pier Bernardone, agiato negoziante -d’Assisi, un angelo comandò andasse a partorire sulle -paglie d’una stalla <span class="sidenote">(1182)</span>. Ivi nacque Giovanni, il quale, condotto -in Francia da suo padre, s’addestrò sì bene nella -lingua di là, che ne trasse il soprannome di Francesco. -Balioso, vivace, gajo compagnone, buon poeta fino ai -venticinque anni, allora consente alla chiamata di Dio, -e va e vende le sue merci a Foligno, porta i denari a -un prete, e perchè questo ricusa riceverli, li getta dalla -finestra. Il padre, che da buon massajo computava la -bontà coll’abachino, lo crede scemo della mente, e -trattolo al vescovo, lo fa interdire. Giubilante, Francesco -si spoglia nudo nato, se non che il vescovo gli getta -addosso il proprio mantello; e rinunziato alla famiglia, -fa adottarsi da un pitocco, veste cenci, e comincia ad -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -esalare in prediche l’esuberanza interna della carità, -per la quale si lusinga di conquistare il mondo colla -predicazione popolare. -</p> - -<p> -A Bernardo cittadino d’Assisi, suo primo discepolo, -che gli chiedeva se abbandonare il mondo, rispose: — Chiedilo -a Dio». Aperto il vangelo a caso, vi legge: -<i>Se vuoi esser perfetto, vendi quanto hai, e dallo ai poveri</i>; -lo riapre, e trova: <i>Non portate in viaggio oro -nè argento nè bisaccia nè tunica o sandali o bastone</i>. — Questo -io cerco, questo desidero di cuore, quest’è -la regola mia», esclama Francesco, e gitta quanto gli -restava, eccetto una tunica col cappuccio e una corda -a cintura. Così nel mondo inebbriato di ricchezze e piaceri, -esce predicando la povertà; nel mondo dell’ira, -delle superbie, delle guerre, d’Ezelino e di Federico II, -va a bandir l’amore; e attiratisi undici compagni, si -sottomette con loro a rigide penitenze e a povertà così -assoluta, da non considerare suo nè l’abito tampoco o -i libri. Dai Benedettini impetrò una cappelletta nel -piano d’Assisi, che fu detta la <i>Porziuncula</i>, e rifabbricatala <span class="sidenote">(1208)</span>, -vi pose i fondamenti del suo Ordine, che per -umiltà intitolò dei Frati Minori, eleggendo di stare fra -poveri, malati, lebbrosi, lavorar per vivere, e mendicare. -</p> - -<p> -Rinnegata affatto la propria volontà, Francesco diceva: — Beato -il servo il quale non si tien migliore -quand’è dagli uomini esaltato che quand’è preso a -vile; perchè l’uomo è quel ch’egli è avanti a Dio, e -nulla più». All’amor suo non bastando abbracciare tutti -gli uomini, lo estende ad ogni creatura; e va per le foreste -cantando, e invitando gli uccelli, che chiama fratelli -suoi, perchè celebrino seco il Creatore; prega le -rondini <i>sue sorelle</i> a cessare il pigolìo mentre predica; -e sorelle son le mosche, e sorella la cenere<a class="tag" id="tag274" href="#note274">[274]</a>. Una -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -cicala canta? gli è stimolo a lodare Iddio; alle formiche -rimprovera di mostrarsi troppo sollecite dell’avvenire; -storna dal cammino il verme che può esservi -calpestato; porta miele alle api nell’inverno; salva le -lepri e le tortore inseguite; vende il mantello per riscattare -una pecora dal macellajo; il giorno di Natale -voleva si porgesse miglior nutrimento all’asino e al -bue; anche biade, vigne, sassi, selve, quanto han di -bello i campi e gli elementi, per lui sono eccitamenti -ad amar Dio; nell’orticello d’ogni convento da’ suoi -dovea riservarsi un quadro a’ più bei fiori, per lodarne -il Signore<a class="tag" id="tag275" href="#note275">[275]</a>. -</p> - -<p> -La piena di questo affetto espandea Francesco in -poesie, originali come lui stesso, ove niuna reminiscenza -d’antichità, ma viva effusione di cuore, impeti -d’amore infinito<a class="tag" id="tag276" href="#note276">[276]</a>: fu dei primi ad usar nelle laudi la -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -lingua volgare; e frà Pacifico, suo allievo, meritò la -laurea poetica da Federico II. -</p> - -<p> -Vedendo moltiplicati i Minori, Francesco pensò dettarne -la regola; e stando sopra tale pensiero, ecco la -notte gli pare aver raccolto tre bricciole di pane, e doverle -distribuire a una turba di frati famelici. E temeva -non gli andassero perdute fra le mani, quando una -voce gli gridò: — «Fanne un’ostia, e danne a chiunque -vuole cibo». Fece, e chi non ricevea devotamente -quella particella, coprivasi di lebbra. Narrò Francesco -la visione ai fratelli senza intenderne il senso; ma il -giorno dappoi, mentre pregava, una voce dal cielo gli -disse: «Francesco, le bricciole di pane sono le parole -del vangelo, l’ostia è la regola, lebbra l’iniquità». -</p> - -<p> -Ritiratosi dunque con due compagni s’un monte, -digiunando a pane e acqua, fe scrivere la sua regola -secondo il divino spirito gli dettava entro. Essa comincia: — La -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -regola de’ Frati Minori è d’osservare il -vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio -e in castità». Chi v’entrasse dovea vendere ogni aver -suo a profitto de’ poveri, e subire un anno di prove rigorose -prima di proferire i voti. Tutti essendo <i>frati -minori</i>, gareggiavano d’umiltà, e lavavansi i piedi un -all’altro: i superiori chiamavansi servi: chi sa un mestiere, -può esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no, -vada alla busca, ma non di denaro. Neppur l’Ordine -può possedere altro che il puro necessario. Prendano -in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi -stando ammalato s’impazienta o sollecita medicine, è -indegno del titolo di frate, perchè mostra maggior cura -del corpo che dell’anima. Non vedano femmine, e a -queste predichino sempre la penitenza: che se alcuno -pecca in esse, venga tosto cacciato. In viaggio rechino -l’abito e null’altro, nè tampoco il bastone; e se diano -nei ladri, si lascino spogliare. Non predichi chi non vi -sia autorizzato; e prometta insegnar la dottrina della -Chiesa senza formole di scienza profana, senza cercare -suffragi. Un generale, eletto da tutti i membri, risiede a -Roma, assistito da un consiglio, e da esso dipendono i -provinciali e i priori. Ai capitoli generali prendono -parte i capi di ciascuna provincia, i priori e i deputati -dei monaci di ciascun convento. Ogni comunità tiene -capitolo una volta l’anno: i superiori d’Italia si congregano -ogn’anno, e ogni tre quelli di là dall’alpe e -dal mare. -</p> - -<p> -Francesco si presentò al papa chiedendo la conferma -del suo Ordine, cioè il diritto di predicare, mendicare -e non posseder nulla. Innocenzo III fu d’avviso che l’assunto -trascendesse le forze d’uomini: quand’ecco in -visione parvegli la chiesa di San Giovanni Laterano barcollare, -minacciando rovina; e sorreggerla due uomini, -un italiano ed uno spagnuolo, Francesco d’Assisi e Domenico -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -Gusman. Pertanto approvò l’Ordine solennemente -nel IV concilio di Laterano <span class="sidenote">(1215)</span>. -</p> - -<p> -Chiara, nobil donna d’Assisi, tocca all’esempio ed ai -sermoni di Francesco, abbandona il mondo <span class="sidenote">(1212)</span> e istituisce -le povere donne Clarisse, colla regola stessa. Non sapea -Francesco risolvere qual fosse meglio, la preghiera o -la predicazione; e Chiara e frà Silvestro il persuadono -a quest’ultima, ond’egli compare a Roma ballonzando -per gioja, e chiede al papa licenza d’andare apostolando -in traccia di conversioni e del martirio. E va -per la Spagna, la Barberia, l’Egitto; crociata incruenta, -ove grido di guerra era <i>La pace sia con voi</i>. In Africa -arrivò mentre i Crociati osteggiavano Damiata <span class="sidenote">(1219)</span>; e presentatosi -a Melik el-Kamel (Meledino), gli espose il vangelo, -sfidò i dottori di quella legge, s’offerse di saltare -in un rogo divampante per dimostrare la verità della -sua dottrina. Melik l’ascoltò, e rimandollo senza nè la -conversione nè il martirio. -</p> - -<p> -A’ suoi che inviava a predicare, Francesco diceva: — In -nome del Signore camminate due a due con -umiltà e modestia; in particolare con esattissimo silenzio -dal mattino fino a terza, pregando Dio nel vostro -cuore. Fra voi non parole oziose e inutili: ed anche -per via comportatevi umili e modesti, come foste in -un romitaggio o nella vostra cella; imperciocchè, in -qualunque parte siamo, è sempre con noi la nostra -cella, che è il corpo nostro fratello, essendo l’anima -nostra il romito che dimora in questa cella, per pregare -e pensare a Dio. Perciò, se l’anima non istà in riposo -in questa cella, la cella esteriore nulla serve ai religiosi. -Sia tale la vostra condotta in mezzo alla gente, che -qualunque vi vedrà o ascolterà, lodi il celeste Padre. -Annunziate la pace a tutti; ma abbiatela nel cuore come -nella bocca, anzi più. Non porgete occasione di collera -o di scandalo, ma colla vostra mansuetudine fate che -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -ognuno inclini alla bontà, alla pace, alla concordia. Noi -siamo chiamati per guarire i feriti e richiamare gli -erranti; molti vi sembreranno figli del diavolo, che -saranno un giorno discepoli di Gesù». -</p> - -<p> -Questi frati erano membri d’una repubblica che avea -per sede il mondo, per cittadino chiunque ne adottava -le rigide virtù: e scalzi, col vestire dei poveri d’allora, -coll’idioma dei vulghi, diffondeansi per tutto, al popolo -parlando come esso vuol gli si parli, con forza, con -drammatica, e fino con vulgarità, destando al pianto e -al riso col ridere e piangere essi stessi, affrontando e -provocando i tormenti come le beffe. Egli medesimo, -il santo fondatore, se mai talvolta rompesse il digiuno, -volea lo strascinassero per le vie, battendolo e gridandogli -dietro: — Ve’ ve’ il ghiottone che s’impingua -di carne di polli senza che voi lo sappiate». A Natale -predicava in una vera stalla, ove il presepio e il fieno -e l’asino e il bue; e nel pronunziare <i>Betlemme</i>, belava -come un pecorino; e nel nominare Gesù, leccavasi le -labbra, quasi ne sentisse dolcezza. Poi alla sera di sua -vita portava le stigmate delle piaghe di Cristo impresse -sul proprio corpo. -</p> - -<p> -L’uomo stesso gittava il balsamo della sua parola -sopra gli spiriti inveleniti. Udito stare in cagnesco i -magistrati e il vescovo d’Assisi, mandò i suoi fratelli a -cantare al vescovado il suo cantico del Sole, al quale -aggiunse allora le parole: Lodato sia il Signore in -quelli che perdonano per amor suo, e sopportano patimenti -e tribolazioni. Beati quelli che perseverano nella -pace, perchè saranno coronati dall’Altissimo». Tanto -bastò per mitigare gli sdegni. — Il dì dell’Assunta del -1220 (scrive Tommaso arcidiacono di Spalatro), stando -io agli studj a Bologna, vidi Francesco predicare sulla -piazza davanti al pubblico palazzo, dove tutta quasi la -città era raccolta. E fu esordio al suo predicare <i>Angeli, -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -uomini e demonj</i>; e di questi spiriti tanto bene propose, -che a molti letterati ivi presenti recò non poca -meraviglia un parlare sì giusto di persona idiota. E -tutto il contesto del suo ragionare tendeva ad estinguere -le nimicizie, e far accordi di pace. Sordido d’abiti, -spregevole d’aspetto, di faccia abjetta, pure Iddio aggiunse -tanta efficacia alle parole di lui, che molte tribù -di nobili, fra cui inumana rabbia d’inveterate nimicizie -aveva infuriato con molta effusione di sangue, vennero -ridotte a consiglio di pace»<a class="tag" id="tag277" href="#note277">[277]</a>. -</p> - -<p> -Così il <i>padre serafico</i> seguì fino ai quarantaquattro -anni, allorchè morì. Per la sua Porziuncola invocò dal -cielo e dal pontefice un’indulgenza, a lucrar la quale -non fosse mestieri di veruna offerta. E quando ogni -2 d’agosto essa è proclamata nell’ora solenne dell’apparizione -di Maria, una folla sterminata accorre da quei -fortunati contorni ad implorare l’effusione della grazia -gratuita. E noi, che non sappiamo pellegrinare soltanto -alla zazzera di Voltaire e all’isoletta di Rousseau, cercammo -commossi le colline e i laghi attorno a quella -deliziosa vallata, piena di tante benevole memorie; e -nel maestoso tempio di Maria degli Angeli, eretto -sopra quell’umile cella, monumento alla povertà fra i -tanti consacrati alla forza e al fasto, meditammo compunti -quanta santità ne uscisse, quanta potenza. -</p> - -<p> -Alla povertà stettero fedeli i suoi: al papa, che la -esortava ad assicurare la sussistenza del suo Ordine -coll’acquistare beni sodi, e offriva assolverla dal voto, -santa Chiara rispose: — Non domando altra assoluzione -che de’ miei peccati»: sant’Antonio i doni offertigli -da Ezelino rifiutò costantemente, dicendo non volere -dei frutti del peccato: frà Egidio, per vivere in -Roma, andava a far legna e venderla: gli altri campavano -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -accattando, e dappertutto erano accolti a suon di -campane e rami d’ulivi. E perchè mai gli Ordini mendicanti -esercitarono maggior potenza degli altri sul -popolo? perchè con esso divideano il pane quotidiano; -perchè il popolo rispetta un’indipendenza acquistata -con sacrifizj volontari. -</p> - -<p> -Affine di più addentro insinuarsi nella società, oltre i -professi e i frati laici, v’ebbe un <i>terz’ordine</i>, cui poteva -aggregarsi qualunque secolare per via di certe devote -pratiche volesse partecipare ai tesori delle preghiere -senza abbandonare il mondo, senza cessare d’essere -moglie, padre, vescovo, cavaliere, pontefice. Quattro -le condizioni: restituire ogni mal tolto, riconciliarsi col -prossimo, osservare i comandamenti di Dio e della -Chiesa, le donne abbiano il consenso del marito; e -perchè non vi fosse altro legame che il libero volere, -si ammonivano gli adepti che l’osservanza della regola -non obbligava sotto pena di peccato mortale. Sbandito -il lusso e la cupidigia del guadagno, non teatri, non -festini; a prevenire i litigi, ciascuno abbia preparato il -suo testamento; le differenze fra loro si compongano, -se no volgansi ai giudici naturali, non a fòri privilegiati; -non diano mai giuramenti, che rendano ligi ad -un uomo o ad una fazione; non portino armi che per -difendere la Chiesa, la fede, la patria<a class="tag" id="tag278" href="#note278">[278]</a>. Oh, Francesco -mostrava ben conoscere come le riforme devono -cominciare dalla vita domestica, dalla famiglia. -</p> - -<p> -Contemporaneamente Domenico Gusman, illustre castigliano, -assetato di dolori e d’amore, introdusse il -nuovo ordine de’ Predicatori <span class="sidenote">(1216)</span>, destinato alla scienza divina -e all’apostolato. Qui pure tutte le cariche erano -elettive, obbligo la povertà: e al santo istitutore in -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -Bologna, ove morì <span class="sidenote">(1221)</span>, fu posta un’urna fregiata nel più -bel modo che sapessero frà Guglielmo, Nicola di Pisa, -Nicola di Bari, Alfonso Lombardi; indi un tempio -magnificentissimo. -</p> - -<p> -Appena quattro anni dopo l’approvazione, Francesco -radunò il primo capitolo detto <i>delle stuoje</i> perchè fu -in campo aperto sotto trabacche, ov’erano cinquemila -frati della sola Italia, e da cinquecento novizj si presentarono: -poi crebbero tanto, che, malgrado mezza -Europa perduta per la Riforma, dicono alla rivoluzione -francese sommassero a cenquindici mila, in settemila -conventi, suddivisi fra molte regole e riforme. Anche -i Domenicani si diffusero rapidamente; a Siena nel -1219 si posero nello spedale della Maddalena, finchè -nel 27 i Malavolti li regalarono d’un terreno per fabbricare -quel sontuoso convento; a Milano nello spedale -de’ pellegrini a San Barnaba il 1218; e presto ebber -fabbricate le chiese di Santa Maria Novella in Firenze, -di Santa Maria sopra Minerva in Roma, di San Giovanni -e Paolo in Venezia, di San Nicolò in Treviso, di San -Domenico a Napoli, a Prato, a Pistoja, di Santa Caterina -a Pisa, delle Grazie a Milano, ed altre, segnalate -per ricca semplicità, e per lo più architettate da frati. -</p> - -<p> -Fin dal principio i due Ordini destarono meraviglia -e simpatia nei migliori<a class="tag" id="tag279" href="#note279">[279]</a>, e in folla attrassero pii ed -illustri proseliti. A Domenico s’unisce Nicola Pulla di -Giovenazzo appena uditolo a Bologna, e l’accompagna -e seconda sempre, finchè, operati gran frutti di santità, -muore a Perugia: a lui Renoldo da Sant’Egidio, professore -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -di scienza canonica a Parigi; il medico Rolando -di Cremona, che da capo della scuola bolognese passa -a professare la teologia nella parigina; il Moneta, famoso -maestro d’arti; frà Ristoro e frà Sisto, architetti -de’ migliori; frà Cavalca, frà Jacopo Passavanti, frà -Giordano da Pisa, dei primi prosatori italiani; i sommi -pittori frà Angelico e frà Bartolomeo; indi Vincenzo -da Beauvais l’enciclopedista; i cardinali Ugo Saint-Cher -ed Enrico da Susa, autori d’una <i>Concordanza della -Bibbia</i> e di una <i>Somma aurata</i>; e Tommaso d’Aquino, -il maggior filosofo del medio evo. -</p> - -<p> -Con Francesco si arruolano Pacifico poeta laureato, -Egidio portento di semplice sapienza, Giovanni da -Pinna nel Fermano, Giovanni da Cortona, Benvenuto -d’Ancona poi vescovo d’Osimo, altri ed altri: più tardi -ne cinsero il cordone il gran teologo Scoto, il gran -mistico san Bonaventura, Ruggero Bacone ravvivatore -delle scienze sperimentali. Mogli e figlie di re vestono -quell’abito; Margherita, scandalo di Cortona, diviene -specchio di penitenza; Rosa da Viterbo, in diciassette -anni appena di vita, merita le persecuzioni di Federico -II e l’ammirazione del popolo, il quale diceva che -la pietra da cui essa gli predicava si alzasse da terra, e -che il cadavere della beata si conservasse incorrotto -fin da un incendio. -</p> - -<p> -Que’ frati andavano a diffondere la pace, e spandere -la rugiada della Grazia sovra le moltitudini, avendo per -unica rettorica una fede inconcussa e universale, e lo -accettare tuttociò che servisse all’edificazione. Le prediche -morali e dogmatiche d’alcuni di essi conservateci, -evidentemente non sono che tessere d’aridezza scolastica; -nè può render ragione della portentosa loro efficacia -chi non le immagini rivestite d’una parola animatissima, -e dirette a un uditorio che non vi portava la -critica ma la convinzione. Poveri, penitenti, amici del -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -popolo e contraddittori dei tiranni, specchi di bontà e -di dottrina, ecco perchè gli ordini de’ Minori e de’ Predicatori -tanto poterono, e divennero il più valido sostegno -della santa Sede. Dovunque si trovassero, poteano -essi confessare e predicare, anzi ogni curato -dovea ceder loro il pulpito; il popolo volonteroso gli -udiva, li consultava, dividea con essi il pane dalla Provvidenza -compartito; e quegli atti di astinenza e di -abnegazione toccavano gli uomini, che riconoscono -l’amore nel sagrifizio, e la virtù nell’amore. -</p> - -<p> -Le anime non volgari trovavansi obbligate a scegliere -fra due strade: o nel mondo procelloso farsi -largo colla fierezza e la perfidia; o voltargli le spalle, -rinnegandone la vanità e le opinioni. I primi diventavano -Ezelino, Salinguerra, Buoso da Dovara; gli altri -Francesco, frà Pacifico, Antonio da Padova, gente che -assumeva tutti i pesi del clero senza i vantaggi, e che -anzi coll’umiltà e povertà sua faceva contrasto alle -pompe e all’orgoglio di quello, una delle piaghe della -società d’allora, ed uno dei più forti appigli per gli -eretici. -</p> - -<p> -Quest’antitesi dei caratteri si manifesta ben anche -nelle fabbriche d’allora: da un lato castelli, fortezze di -baroni e principi, sgomento de’ popoli; dall’altro badie -e monasteri, preparati al pellegrino, al soffrente, alle -anime che han bisogno d’amare, di giovare, di pregare. -Collo spirito di devozione e beneficenza viveva -ne’ monaci il sentimento del bello, onde sceglievano -situazioni ove l’anima, estatica nella contemplazione -della natura, elevasi a benedire chi la creò. A venti -miglia di Firenze, nella romantica valle dell’Arno superiore, -tra magnifiche abetine sorge Vallombrosa, e -nell’altura l’eremo del Paradisino, dal quale la vista, -spaziando per immenso orizzonte, si perde negli interminabili -fiotti del Mediterraneo. Qual potevano i monaci -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -scegliere più opportuno asilo per riposare dalle tempeste -della società, e prepararsi ai casti godimenti della -vita interiore? Se di colà tu risali verso le sorgenti -dell’Arno, per entro il fertile Casentino eccoti Camaldoli, -ricovero di San Romualdo da Ravenna, e culla -d’un altro Ordine. Donde pure elevandoti alla schiena -degli Appennini, giunto sul poggio agli Scali, trovi il -Sacro Eremo, che par veramente inviti l’uomo a lodare -il Creatore delle meraviglie che profuse sopra questa -Italia, della quale puoi di lassù vedere i due pendii scendere, -ridenti di diversa bellezza, a bagnarsi nel Mediterraneo -e nell’Adriatico. Nè molto avrai a viaggiare -per giungere all’Alvernia, il devoto ritiro di san Francesco, -posto anch’esso in vetta d’un monte, che incanterebbe -se già non si fossero veduti gli altri due. In -questi amenissimi soggiorni si raccoglievano quegl’ingenui -ammiratori di Dio, e mentre il mondo dilagava -di fraterno sangue, essi passavano i giorni nella contemplazione -del bello, nella ricerca del vero, nella pratica -del buono. -</p> - -<p> -In un altro uffizio s’adoperarono vivamente i nuovi -frati, qual fu di combattere colla parola gli eretici, -farli ricredenti, o castigarli. Perocchè, sebbene il genio -europeo non s’ingolfasse in sottigliezze e sofisterie come -l’orientale, pure anche qui, e precisamente in Italia, -tratto tratto scoprivansi degli eretici; e forse una tradizione -di siffatti non fu mai interrotta fin dai Gnostici e -dai Manichei dei primi tempi. A mezzo il secolo ix, -Pietro vescovo di Padova trovò nella sua diocesi una -setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e che solo -cinquant’anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozelino. -Nel Mille, a Ravenna un Vitgardo fondava non so quali -delirj sopra Orazio, Virgilio, Giovenale. Eriberto, il -famoso arcivescovo di Milano, seppe che alcuni eretici -tenevano convegni nel castello di Monforte presso Asti, -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -e citatone uno di nome Gerardo, l’esaminò sulla sua -fede: — Noi tutti (rispose) osserviamo la castità benchè -ammogliati; non mangiamo carne, digiuniamo strettamente, -leggiamo ogni giorno la Bibbia, molto preghiamo, -e i nostri <i>maggiori</i> s’alternano dì e notte -orando. I beni consideriamo come comuni; e il morir -nelle pene ci è dolce per isfuggire i castighi eterni. -Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito Santo, -che hanno la facoltà di sciogliere e legare: e il Padre -è l’eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo -è lo spirito dell’uomo, cui Iddio amò; lo Spirito -Santo è l’intelletto delle scienze divine, dal quale tutte -le cose sono regolate. Non riconosciamo il vescovo di -Roma o verun altro, ma un solo che ogni giorno visita -i nostri fratelli per tutto il mondo e gli illumina; e -quand’è mandato da Dio, presso lui è a trovare il perdono -de’ peccati»<a class="tag" id="tag280" href="#note280">[280]</a>. Sembrò pericolosa quest’eresia -al vescovo, tanto che menò contro Asti i suoi vassalli, -e presi per forza i miscredenti, nè potendo indurli a -ritrattarsi, li mandò al fuoco, ch’essi subirono come -un martirio. -</p> - -<p> -Le opinioni ebbero viva scossa dalla lotta fra gl’imperatori -e i pontefici, e l’opposizione a questi risolvevasi -in eresia, e ad ogni modo scassinava l’autorità. Poi -lo spirito di controversia, introdotto dalla logica scolastica -e dalla giurisprudenza, recò spesso ad opporre -alla credenza comune l’individuale sentimento; e si mescolarono -di bel nuovo i dogmi cogli atti, la quistione -religiosa colla sociale. -</p> - -<p> -Pietro Valdo, mercante di Lione <i>aliquantulum literatus</i>, -venduti gli averi suoi come poi fece san Francesco, -si eresse riformatore de’ costumi come questo, -ma non sottoponendo la propria alla volontà della -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -Chiesa, anzi asserendo questa avere traviato dal vangelo -e volersi richiamarla alla semplicità primitiva: a -che il lusso del culto, la ricchezza dei preti, la potenza -temporale de’ papi? povera umiltà come nei primi -tempi. Perciò i suoi seguaci si dissero Poveri di Lione, -e Catari cioè puri, e tanto erano persuasi di non uscire -dal vero, che chiesero al pontefice la permissione di -predicare<a class="tag" id="tag281" href="#note281">[281]</a>: ma ben tosto negarono l’autorità del -papa, e dietro a ciò il purgatorio, l’invocazione dei -santi, altri dogmi cardinali; proclamarono fosse libera -anche ai laici la predicazione. -</p> - -<p> -Come mai, sotto un Dio buono, tanti mali opprimano -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -il mondo, è problema che tormentò e tormenterà i -pensatori di tutte le generazioni. Col supporre un altro -principio autor del male, lo scioglievano i Manichei, i -quali, vinti fin dai tempi di sant’Agostino, sopravivevano -però in Oriente, e coi varj nomi di Patarini, Bulgari, -Pauliciani si propagarono in Europa e primamente -a Milano. Quivi ebbero per vescovo un tal Marco, -stato ordinato in Bulgaria, e che presedeva alla Lombardia, -alla Marca e alla Toscana. Essendovi comparso -un altro papa per nome Niceta, riprovò l’ordine della -Bulgaria, e Marco ricevette quel della Drungaria, cioè -di Traù (<i>Tragurium</i>) in Croazia<a class="tag" id="tag282" href="#note282">[282]</a>. A Milano, distingueano -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e -Bulgaria, cresciuti singolarmente quando il Barbarossa -li favoriva per far onta a papa Alessandro; e i nuovi, -usciti circa il 1176 di Francia, che sarebbero i Valdesi. -</p> - -<p> -Questi si erano molto diffusi tra le Alpi, ma viepiù -nella Linguadoca, fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo, -paese più dirozzato della restante Gallia, e -dove le città, memori o fors’anche avendo conservato -gli avanzi delle istituzioni municipali romane, eransi -costituite a comune, con una specie d’eguaglianza fra -nobili e mercanti, opportuna all’incremento della civiltà; -sicchè vi si erano svolti e grazia d’immaginazione -e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: colà prima -s’intesero versi nelle lingue nuove, sulla mandòla dell’elegante -trovadore, che vagava pei castelli cantando -l’amore e le prodezze, o satireggiando i magnati e i -preti. E perchè in Alby, città principale, primamente -furono tolti a perseguitare, vennero chiamati Albigesi. -</p> - -<p> -Non è facile sapere appunto i loro dogmi, o se avessero -un fondo comune, sotto l’infinita varietà che è -propria dell’errore. Un libro depositario di loro credenze -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -non ebbero: in coloro che li confutano e negli -storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati -di colpe le più contraddittorie; or proclamando creatore -Iddio, ora il demonio; or facendo Iddio materiale, -ora riducendo Cristo a ombra e null’altro: chi li fa -ammettere alla fede tutti i mortali, chi escludere le -donne dall’eterna felicità; chi semplificare il culto, chi -ordinare cento genuflessioni il giorno; chi licenziare -alle voluttà più grossolane, chi riprovare persino il matrimonio<a class="tag" id="tag283" href="#note283">[283]</a>. -Impugnata l’autorità, e ridotti alla ragione -individuale, doveano necessariamente variare in -infinito: e frà Stefano di Bellavilla racconta che sette -vescovi di credenza diversa si adunarono in una cattedrale -di Lombardia, per accordarsi sui punti di loro -fede; ma, non che riuscire, si separarono scomunicandosi -reciprocamente. -</p> - -<p> -Tre sêtte primeggiavano quivi, i Catari, i Concorezzj, -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -i Bagnolesi. I Catari, che si dicevano anche Albanesi -(corrotto probabilmente da Albigesi), venivano suddivisi -in due parzialità: alla prima era vescovo Balansinanza -veronese, all’altra Giovanni di Lugio bergamasco. -Oltre le credenze comuni che sopra noverammo, i primi -dicevano che un angelo avesse portato il corpo di Gesù -Cristo nell’utero di Maria, senza ch’ella v’avesse parte; -solo in apparenza il Messia esser nato, vissuto, morto, -risorto; i patriarchi essere stati ministri del demonio; -il mondo eterno. Gli altri tenevano che le creature fossero -state formate quali dal buono, quali dal tristo principio, -ma ab eterno; che la creazione, la redenzione, i -miracoli erano accaduti in un altro mondo, affatto diverso -dal nostro; Dio non essere onnipotente, perchè -nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè -opposto; Cristo aver potuto peccare. — I Concorezzj -(probabilmente così chiamati da Concorezzo, borgata -presso Monza) ammettono un principio unico; aver Dio -creato gli angeli e gli elementi; ma l’angelo ribellato -e divenuto demonio formò l’uomo e quest’universo -visibile; Cristo fu di natura angelica. I Bagnolesi (denominati -dal Bagnolo di Piemonte o da quello di Provenza) -volevano le anime fossero state create da Dio -prima del mondo, e allora avessero peccato; la beata -Vergine fosse un angelo; e Cristo avesse bensì assunto -corpo umano per patire, ma non l’avesse già glorificato, -anzi deposto all’ascensione. -</p> - -<p> -Frà Ranerio Saccone distingue sedici chiese di Catari -in Lombardia: degli Albanesi, che stanno principalmente -a Verona, e sono cinquecento; de’ Concorezzj, -che fra tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e -mezzo; de’ Bagnolesi sparsi a Mantova, Milano, nella -Romagnola, in non più di ducento; la chiesa della -Marca, che saranno cento; altrettanto in quelle di Toscana -e di Spoleto; un cencinquanta della chiesa di -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -Francia, dimoranti a Verona e per Lombardia; ducento -delle chiese di Tolosa, di Alby, di Carcassona; cinquanta -di quelle di Latini e Greci in Costantinopoli; e cinquecento -delle altre di Schiavonia, Romania, Filadelfia, -Bulgaria. Ma questi quattromila (avverte l’autore) sono -da intendere per uomini perfetti; giacchè di credenti -ve n’ha senza numero. -</p> - -<p> -Sembra fosse comune la credenza nei due principj, -ed al malvagio essere dovuto il mondo e il Vecchio Testamento. -Appoggiati all’<i>Obedire oportet magis Deo -quam hominibus</i>, si emancipavano d’ogni autorità terrena; -non papa, non vescovi, non canoni o decretali, -non dominio temporale dei preti; la Chiesa romana non -essere concilio sacro, ma congrega di malignanti; non -darsi risurrezione della carne, ridevole la distinzione -dei peccati in veniali e mortali, prestigi del diavolo i -miracoli; non doversi adorare la croce, simbolo d’obbrobrio; -per niuna cosa giurare; nè esser diritto ai -magistrati d’infliggere pena corporale. Quanto ai riti, -repudiavano l’estrema unzione, il purgatorio e di conseguenza -i suffragi pei morti, l’intercessione dei santi e -l’<i>Ave Maria</i>; per il matrimonio bastare il consenso -de’ contraenti, senz’uopo di benedizione; non valere il -battesimo amministrato agl’infanti; non discendere Dio -nell’ostia consacrata da un indegno; i sacramenti non -furono istituiti da Cristo, ma inventati dall’uomo. -</p> - -<p> -Del sacramento dell’Ordine teneva luogo l’elezione dei -loro gerarchi, ch’erano disposti in quattro gradi: il -vescovo, il figliuolo maggiore, il figliuolo minore e il -diacono. Al vescovo spettava di preferenza l’imporre le -mani, frangere il pane, dir l’orazione: mancando lui, -suppliva il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono; -e in difetto, un semplice credente, e fin anche -una catara. I due figliuoli coadjuvavano al vescovo, visitavano -i fedeli, e in ogni città v’era un diacono per -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -ascoltare i peccati leggieri una volta al mese; il che dai -Lombardi (i quali ritennero la distinzione dei peccati -veniali) dicevasi <i>caregare servitium</i>. Il vescovo poi, -avanti morire, inaugurava a succedergli il figliuolo -maggiore imponendogli le mani. -</p> - -<p> -Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata, -il maggiore fra i convitati sorgeva, e recatosi in -mano il pane ed il vino, proferiva <i>Gratia domini nostri -Jesu Christi sit semper cum omnibus vobis</i>, spezzava -quel pane, lo distribuiva, e quest’era la loro eucaristia. -Il giorno della cena del Signore, imbandivano -più solennemente; e il ministro, postosi ad un tavoliere, -su cui erano una coppa di vino ed una focaccia d’azimo, -diceva: — Preghiamo Dio ci perdoni i peccati per sua -misericordia, ed esaudisca alle nostre petizioni; e recitiamo -sette volte il <i>Pater noster</i> a onor di Dio e della -santissima Trinità». Tutti s’inginocchiano; orato, sorgono; -esso benedice il pane e il vino, frange quello, -dà mangiare e bere; e così è compiuto il sagrifizio. -</p> - -<p> -Confessione non particolareggiata, ma uno recitava -a nome di tutti: — Confessiamo innanzi a Dio ed a voi, -che molto peccammo in opere, in parole, colla vista, col -pensiero, ecc.». In casi più solenni, il peccatore presentandosi -al cospetto di molti col vangelo sul petto proferiva: — Io -sono qui avanti a Dio ed a voi, per confessarmi -e chiamarmi in colpa di tutti i peccati che ho -sin ora commessi, e ricevere da voi la perdonanza». -Era assolto col posargli il vangelo sopra il capo. Se -un credente ricadesse, doveva confessarsene, e ricevere -di nuovo l’imposizione delle mani in privato. L’imposizione -delle mani, o <i>consolamento</i>, o battesimo spirituale, -era necessaria per rimettere il peccato mortale, -o comunicare lo spirito consolatore; e se uno dei <i>perfetti</i> -le imponga a un moribondo, e ripeta l’orazione -domenicale, quello va a sicura salvazione. Fu per opporsi -<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> -al consolamento de’ Patarini che il concilio Lateranense -IV ingiunse ai Cattolici di confessarsi almeno -una volta l’anno. -</p> - -<p> -Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al -moribondo, gli chiedevano se volesse in cielo andare -tra i martiri o tra i confessori: eleggeva i primi? lo -facevano strangolare da un sicario a ciò stipendiato; i -confessori? più non gli davano bere nè mangiare. Atrocità -gratuite, solite apporsi dall’ignoranza o dalla malignità -a tutte le congreghe secrete. E per vero non -c’è misfatto di cui non siansi tacciati i Patarini; essi -ladri, essi usuraj, essi sovrattutto carnali, con connubj -promiscui e contro natura; adulterio e incesto in qualsiasi -grado; non poter l’uomo peccare dall’umbilico in -giù, perchè il peccato origina dal cuore. Ma come credere -questa bacchica santificazione del libertinaggio, -quando altrove, e ne’ libri de’ loro stessi nemici, troviamo -che giudicavano peccato fino il commercio maritale, -imponeansi penose astinenze onde reprimere la -carne ribelle alla volontà ed opera del principio cattivo, -tre quaresime l’anno, perpetua astinenza da carni -e latte, replicati digiuni, iterate preghiere? e san Bernardo, -implacabile indagatore di loro colpe, dice: — Non -v’era cosa in apparenza più cristiana che i loro -discorsi, nè più lontana da ogni taccia che i costumi -loro»<a class="tag" id="tag284" href="#note284">[284]</a>. -</p> - -<p> -Non esitiamo a rifiutare per ispurie alcune professioni -di fede esibiteci da loro antagonisti, secondo le -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -quali gl’iniziati rinunziavano, non solo a tutte le sane -credenze della religione, ma ad ogni costume, pudore, -virtù. Ranerio, uno dei Consolati egli medesimo, indi -acerrimo loro persecutore, narra come per l’iniziazione, -adunati i credenti, il vescovo interrogasse il neofito: — Vuoi -tu renderti alla fede nostra?» Questo afferma, -s’inginocchia e pronuncia il <i>Benedicite</i>; al che il ministro -ripete tre volte — Dio ti benedica», sempre più -discostandosi dall’iniziato. Il quale soggiunge: — Pregate -Iddio mi faccia buon cristiano». L’interroga poi: — Ti -rendi a Dio ed al vangelo? <i>Sì</i>. — Prometti non -mangiar carne, ova, formaggio, nè altra cosa se non -d’acqua e di legno? (cioè pesci e frutte). <i>Sì</i>. — Non -mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure -vitelli? non farai libidini nel tuo corpo? non andrai -scompagnato quando puoi avere compagni; non mangerai -da solo potendo aver commensali? non ti coricherai -senza brache e camicia? non lascerai la fede -per timore di fuoco, d’acqua o d’altro supplizio?» -Risposto che avesse il neofito a ciascuna domanda, l’universa -assemblea mettevasi ginocchione: il sacerdote -posava sopra il novizio il volume dei vangeli, e leggeva -il principio di quel di san Giovanni, poi lo baciava tre -volte: così facevano tutti gli altri, che egualmente si -davano l’uno all’altro la pace: indi veniva messo al -collo dell’iniziato un fil di lana e di lino, ch’e’ non -doveva levarsi giammai. -</p> - -<p> -La colpa, onde più grave e concordemente sono rinfacciati -i Patarini, è l’ostinazione. Fra strazj e tormenti, -al cospetto di morte obbrobriosa, non che convertirsi, -più s’induravano, protestavansi innocenti, spiravano -cantando lodi al Signore, colla speranza di presto congiungersi -nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono -memoria d’una fanciulla, di cui la bellezza e l’età mettevano -in tutti compassione; talchè, deliberati a salvarla, -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -vollero assistesse mentre padre, madre, fratelli venivano -consunti dalle fiamme, così sperando si sarebbe -per terrore convertita: ma no; poi ch’ebbe durato alquanto -lo spettacolo atroce, si svincola dalle braccia -de’ suoi manigoldi, e corre a precipitarsi nelle fiamme, -e confonde l’ultimo suo anelito con quello dei -parenti<a class="tag" id="tag285" href="#note285">[285]</a>. -</p> - -<p> -La più grave urgenza di queste eresie era la guerra -che portavano alla Chiesa esteriore, scassinando i dogmi -inerenti all’unità del sacerdozio, per costituire società -religiose speciali. Pur troppo i loro attacchi trovavano -appiglio nello scarmigliato vivere del clero, di cui -e predicatori e poeti si accordano nell’attestare la -depravazione. -</p> - -<p> -Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj -che a lei convengono, riformare i suoi, ammonire o -scomunicare i dissenzienti, e vi drizzò lo zelo principalmente -dei nuovi frati: poi si valse anche di mezzi -mondani e del braccio secolare. Che la società pagana -non tollerasse le religioni diverse è attestato, non fosse -altro, dalle migliaja di martiri. I padri della Chiesa -proclamarono la libertà delle credenze, finchè la loro -fu perseguitata; ma come, prevalsa questa, videro gli -eretici turbarla, argomentarono che il reprimere gli -errori fosse diritto e difesa legittima contro della persecuzione -e della seduzione. Se la Chiesa è unica depositaria -e interprete della verità, e in essa sola vi è -salute, non dovrà con ogni modo opporsi alla propagazione -dell’errore? Gl’imperatori di Roma cristiani, -memori di quanto univano in sè i due poteri quali capi -dello Stato e supremi pontefici, credettero che la legge -dovesse, come i beni e la persona, così tutelare le -credenze e il culto; e moltiplicarono decreti in tal -<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> -proposito<a class="tag" id="tag286" href="#note286">[286]</a>; diverse pene comminando, di rado la -morte, perchè vi si opponevano i vescovi: a questi era -affidato il decidere se un’opinione fosse ereticale; la -cognizione del fatto e la sentenza spettavano al magistrato -secolare. -</p> - -<p> -Così procedette la cosa nel declino dell’Impero Occidentale; -così continuò in Oriente: ma fra noi, dopo -l’invasione, se accadesse di punire un trasgressore -delle leggi ecclesiastiche, i vescovi usavano quell’autorità -mista di sacro e di secolare, che vedemmo ad -essi attribuita. Talvolta ancora, considerandosi l’eresia -come politica disobbedienza, procedeasi colla forza, -siccome dicemmo di Eriberto arcivescovo di Milano. -</p> - -<p> -Ridesto il diritto romano, come alla tirannia, così -vi si trovò appoggio alle persecuzioni contro i miscredenti, -poco ricordando che la legge d’amore aveva -abolita quella fiera legalità. Ottone III poneva Gazari e -Patarini al bando dell’Impero e a gravi castighi. Federico -Barbarossa, tenuto congresso a Verona con papa -Lucio III, ordinò ai vescovi d’informarsi delle persone -sospette d’eresia, e distinguere gli accusati, i convinti, -i pentiti, i ricaduti; quelli convinti d’eresia sieno spogliati -dei benefizj se religiosi e abbandonati al braccio -secolare; i sospetti si purghino, ma se ricadono, vengano -puniti senz’altro. Sgomentato dal vedere i Valdesi -distendersi fra le Alpi, Giacomo vescovo di Torino pensò -reprimerli anche col braccio secolare; laonde da Ottone -IV ottenne ampia facoltà di espellerli dalla sua -diocesi<a class="tag" id="tag287" href="#note287">[287]</a>. Indi Federico II al tempo della sua coronazione -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -fulminò pene temporali contro gli eretici, e le -ripetè da Padova con quattro editti, ove, «usando la -spada che Dio gli ha concesso contro i nemici della -fede», vuole che i molti eretici ond’è singolarmente -infetta la Lombardia, sieno presi dai vescovi e dati -alle fiamme ultrici, o privati della lingua<a class="tag" id="tag288" href="#note288">[288]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -</p> - -<p> -È questa la prima legge di morte contro i miscredenti: -egli stesso poi nelle <i>Costituzioni del regno di -Sicilia</i> ne pose un’altra, lamentandosi che dalla Lombardia, -ove n’era il semenzajo, i Patarini fossero largamente -penetrati in Roma e perfino nella Sicilia<a class="tag" id="tag289" href="#note289">[289]</a>, -e a perseguitarli spedì l’arcivescovo di Reggio e il -maresciallo Ricardo di Principato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> -</p> - -<p> -Sull’esempio e coll’autorità dei decreti imperiali, le -varie città fecero statuti contro gli eretici: il senatore -di Roma giurava non usare indulgenza ai Patarini, o -incorrerebbe la pena di ducento marchi d’argento: in -Milano fu posto che<i> qualunque persona a sua libera -voluntate potesse prendere ciascuno heretico; item -che le case dove eran ritrovati si dovessero rovinare, -e li beni che in esse si ritrovavano fossero pubblicati</i><a class="tag" id="tag290" href="#note290">[290]</a>. -L’arcivescovo Enrico di Settala, allora istituito -inquisitore, <i>jugulavit hæreses</i>, come lo loda il suo -epitafio; ma i cittadini lo discacciarono. Resta ancora -in Milano la statua equestre di Oldrado da Trezzeno -podestà, lodato nell’iscrizione perchè <i>Catharos ut debuit -uxit</i><a class="tag" id="tag291" href="#note291">[291]</a>. -</p> - -<p> -Nè per questo cessavano gli eretici, e da Tolosa, -Roma de’ Patarini, spargeano missionarj. L’armi spirituali -essendo uscite indarno, Enrico cardinale vescovo -di Albano implorò il braccio laico, e menato un esercito -ad estirpar l’errore, mandò a ferro e a fuoco la -Linguadoca. Innocenzo III, appena unto papa, divisò i -modi di svellere quei bronchi dalla vigna di Cristo, e -spedì monaci a predicare <span class="sidenote">(1205)</span>, esortando i principi a secondarli; -e quando Ranerio e Guido inquisitori avessero -scomunicato uno, i signori doveano confiscargli i beni -e sbandirlo, e far peggio a chi resistesse. Di qui cominciò -la crociata contro gli Albigesi, che non è da -questo luogo il raccontare, ma dove sotto l’apparenza -religiosa dibatteasi la nazionalità, giacchè la Francia, -per ottenere quell’unità che tanti desidererebbero a -qualsiasi costo anche per l’Italia, volle sottomettere la -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -Provenza e la Linguadoca, che come romane repugnavano -dalle ordinanze germaniche, prevalse nel paese -settentrionale <span class="sidenote">(1208)</span>. La spedizione fu accompagnata da tutti -gli orrori delle guerre civili; ma solo gli adulatori del -potere secolare poteano versarne ogni colpa sul papa -e sulla religione. Oggimai la storia accertò che Innocenzo, -mal informato delle iniquità commesse da ambe -le parti, non avea mai cessato di predicar pace e moderazione, -e dopo la vittoria spedì legato a-latere il -cardinale Pietro di Benevento, perchè riconciliasse -colla Chiesa gli scomunicati, e riducesse Tolosa a repubblica -indipendente, purchè convertita; assolse i capi -della insurrezione, e al figlio di Raimondo da Tolosa, -condottiero della guerra, prodigò consolazioni, assegnò -il contado Venesino, Beaucaire e la Provenza, e ripeteva: — Abbi -pazienza fino al nuovo concilio». -</p> - -<p> -Sotto i suoi successori la guerra fu proseguita colla -ferocia delle guerre nazionali, finchè la Provenza restò -sottoposta affatto al re di Francia. Questo era san Luigi, -e al nuovo acquisto volle accomunare i provvedimenti -che contro l’eresia vegliavano in Francia, dov’essa, -secondo il diritto comune, era considerata delitto -contro lo Stato, e punita del fuoco. Romano, cardinale -di Sant’Angelo, per ottenerne la estirpazione raccolse -un concilio <span class="sidenote">(1213)</span>, dove si stabilì che i vescovi nominerebbero -in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o -tre laici, i quali giurassero <i>inquisire</i> gli eretici, e farli -noti ai magistrati; chi ne celasse alcuno, fosse punito; -e distrutta la casa dove uno fosse côlto. Tal è l’origine -del tribunale dell’Inquisizione, specie di corte marziale -in paese sovvertito da lunga guerra, e dove rinasceva -la mal repressa sollevazione. Invece delle precedenti -stragi, e dei tribunali senza diritto di grazia, l’inquisizione -era esercitata da ecclesiastici, gente più addottrinata -e meno fiera; ammoniva due volte prima di -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva -al pentimento, e spesso contentavasi di castighi -morali; col che salvò moltissimi, che i tribunali secolari -avrebbero condannati. Gregorio IX poi la sistemò <span class="sidenote">(1233)</span> col -togliere ai vescovi i processi, onde riservarli ai frati -Predicatori. -</p> - -<p> -L’Inquisizione avea potestà su tutti i laici, non esclusi -i dominanti; ed anche sul basso clero. Arrivato nella -città, l’inquisitore ne dava avviso ai magistrati invitandoli -a sè; e tosto il capo giurava far eseguire i -decreti contro gli eretici, ed ajutare a scoprirli e coglierli; -se alcun uffiziale del principe disobbedisse, -l’inquisitore poteva sospenderlo e scomunicarlo, e mettere -all’interdetto la città. Le denunzie aveano effetto -soltanto se il reo non si presentasse di voglia; scorso -il termine, era citato; e i testimonj interrogavansi coll’assistenza -dell’attuaro e di due ecclesiastici. L’istruzione -preparatoria riusciva sfavorevole? gl’inquisitori -ordinavano l’arresto dell’accusato, più non protetto da -privilegi od asili. Arrestato, nessun più comunicava -con esso, faceasi la visita della sua casa, e il sequestro -de’ beni. -</p> - -<p> -Secondo il diritto germanico, ogni libero è obbligato -intervenire al giudizio e alla sentenza; le prove di Dio -traevano il popolo a spettacolo; il signore feudale convocava -i vassalli per rendere giustizia; e la natura dei -giudici e del giudizio portava semplicità di procedure. -Ma ne’ paesi di stirpe romana conosceansi le leggi antiche, -di molti affari faceasi carta, il giudizio stesso si scriveva; -pure non si pensava ancora di occultare i testimonj -al prevenuto, nè di torgli i sussidj che sogliono concedersi -in negozj di minore importanza, come sono i civili. -</p> - -<p> -Una costituzione di Celestino III e d’Innocenzo III, -riferita nel <i>Diritto canonico</i><a class="tag" id="tag292" href="#note292">[292]</a>, distingue le procedure -<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> -per accusa secondo il codice romano, per denunzia, -e per inquisizione; ma in tutte sono pubblicate -le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento. -Gli eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica, -benchè mancassero del giudizio dei pari, poteano conoscere -i testimonj e l’accusatore, avere un consiglio, e -pubblico dibattimento. Solo Bonifazio VIII dispensò gli -inquisitori da tante forme qualora ne derivasse pericolo -ai testimonj<a class="tag" id="tag293" href="#note293">[293]</a>; Innocenzo VI, dichiarando che tal -pericolo può presumersi sempre, generalizzò la riserva, -e così venne la procedura secreta, per quanto ostassero -i leggisti, la nobiltà, gli uomini comuni che si trovavano -esposti all’arbitrio. Tolta la discussione pubblica, -ai giudici cessò il modo d’acquistare intima convinzione, -e a regole aritmetiche fu sottoposta la coscienza, inventando -una convinzione legale diversa dalla convinzione -morale, frazionando le prove, e portando fino -alla odierna illiberalità. -</p> - -<p> -Dalla quale è chiaro quanto fossero lontani i primi -tribunali d’inquisizione. Ne’ governi teocratici, come -quelli del medioevo, la religione non va distinta dalla -politica; laonde l’eresia è giustiziabile dal braccio secolare. -Poi gl’inquisiti erano imputati d’altri delitti contro -i cardini della società, come sono la famiglia, la proprietà, -l’onore, i quali oggi pure si castigherebbero: -se ne fossero colpevoli o no, è difficile assicurarlo, -come in tutti i processi secreti. Piantato un tribunale, -potea sperarsi differente dagli altri del suo tempo? onde -si videro rinnovate tutte le sevizie de’ processi di Roma -pagana, e il cavillo e la tortura e supplizj esacerbati. -</p> - -<p> -L’Inquisizione desta raccapriccio ai buoni Cristiani -per le taccie che attirò sopra la religione nostra, e -perchè parve giustificare incolpazioni gravissime. Ma -<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> -oltre essere, nel fatto e in relazione co’ suoi tempi, assai -meno orribile che non si sparnazzi, essa proponevasi -almeno un fine morale, a differenza delle istituzioni -oggi sostituitele, ove si procede e castiga nell’interesse -d’un principe o per mantenere un dominio costituito -sulla forza: se restringeva il pensiero, il faceva o credea -farlo per salvezza delle anime, non per puro vantaggio -d’un potere dominante: nè quegli spaventi tolsero il -sorgere di grandi e robusti pensatori. -</p> - -<p> -La Chiesa poi, sebbene non ne abbia mostrato orrore, -e siasene valsa come d’una legittima difesa e di -una prevenzione contro mali gravissimi, non approvò -mai, almeno in concilio, un’istituzione siffatta. Sopratutto -vuolsi ben distinguerla dalla Inquisizione spagnuola, -fiera e indipendente a guisa d’una vendetta -nazionale, giacchè nei Mori perseguitava non solo i -nemici della religione, ma gli stranieri conquistatori -contro cui erasi menata per otto secoli la guerra. La -congregazione del Sant’Uffizio a Roma, composta di -sei cardinali, e fondata da Paolo III nel 1542, non versò -sangue<a class="tag" id="tag294" href="#note294">[294]</a>, benchè fosse il tempo che uomini bruciavansi -in Francia, in Portogallo, in Inghilterra. Ecco -perchè nel secolo xvi vedremo i nostri respingere fin -coll’armi l’Inquisizione spagnuola, mentre invocavano -la romana. -</p> - -<p> -Stando ai primi tempi, non mancò da fare all’Inquisizione -anche fuori di Linguadoca, e in Italia variissime -di forma ed estese furono le eresie. Intanto la vicinanza -del papa e l’esservi egli anche principe temporale abituava -a resistergli; e nei conflitti di Guelfi e Ghibellini -si metteva in discussione l’autorità sua, col passaggio -<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> -che troppo è facile dalla mondana alla spirituale. I -Comuni aveano acquistato la libertà strappandola ai -vescovi, sicchè era scemata la riverenza a questi, e in -molte lettere i pontefici ne movono querela alle nostre -repubbliche, le quali anche non di rado violarono e i -beni e le persone dei vescovi<a class="tag" id="tag295" href="#note295">[295]</a>. -</p> - -<p> -Uscente il <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo, Orvieto formicolava di Manichei, -introdotti dal fiorentino Diotisalvi, e da un Girardo di -Marsano; e diceano nulla significare il sacramento dell’eucaristia, -il battesimo non occorrere alla salvezza, -non giovarsi ai morti con limosine ed orazioni. Espulsi -questi dal vescovo, comparvero Melita e Giulita, che -uomini e donne sedussero con aspetto di santità, finchè -il vescovo col consiglio di canonici, giudici ed altri, ne -esigliò ed uccise molti. Un Pier Lombardo vi venne -poi da Viterbo, contro del quale Innocenzo III deputò -Pietro da Parenzo, nobile romano, che ricevuto fra -ulivi e palme, proibì i combattimenti che si costumavano -in carnevale e che finivano in sangue; ma poichè -gli eretici stimolarono a disobbedire, il primo giorno -di quaresima si mischiò fiera zuffa, e Pietro fece abbattere -le torri donde i grandi aveano ferito il popolo, -e diè buoni provvedimenti. A Pietro tornato il papa -domandò: — Come hai bene eseguito gli ordini nostri? — Così -bene, che gli eretici mi cercano a morte. — Dunque -va, persevera a combatterli, chè non possono -uccidere se non il corpo; e se t’ammazzeranno, -io t’assolvo d’ogni peccato». E Pietro, fatto testamento -e congedatosi dalla desolata famiglia, ritornò<a class="tag" id="tag296" href="#note296">[296]</a>. -</p> - -<p> -Innocenzo mosse in persona contro i molti Manichei -di Viterbo, rimbrottò i cittadini che tra quelli sceglievano -<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> -i consoli, e ordinò che, qualunque ne fosse trovato -sul patrimonio di san Pietro, lo consegnassero al -braccio secolare per castigarlo, e i beni dividerne fra -il delatore, il Comune e il tribunale giudicante<a class="tag" id="tag297" href="#note297">[297]</a>. -D’altri abbiam ricordo in Volterra, dove gl’inquisitori, -a malgrado del vescovo, atterrarono alcune case di -eretici in Montieri<a class="tag" id="tag298" href="#note298">[298]</a>. Nel 1193 il vescovo di Worms, -legato dell’imperatore Enrico VI, venuto a Prato, fece -distruggere case e possessi dei Patarini, con severo -divieto di dar loro consiglio od ajuto, o di mettere -ostacolo a lui quando li facesse incarcerare<a class="tag" id="tag299" href="#note299">[299]</a>. Bandi -severissimi contro Catari e Patarini e d’altro nome -novatori pubblicò Gregorio IX in qualità di sovrano di -Roma, volendo fossero mandati al fuoco, o se si convertivano, -a carcere perpetuo; e guaj a chi li raccogliesse -o non denunziasse. Molti in fatto furono arsi, -molti chiusi a penitenza nei monasteri di Montecassino -e della Cava. -</p> - -<p> -Come ricettatore d’eretici fu assalito, per insinuazione -d’Innocenzo IV, il conte Egidio di Cortenova nel -Bergamasco, e distruttone il castello. Molti ne avea -Brescia, così sfacciati, che dalle torri scagliando fiaccole -ardenti scomunicavano la Chiesa romana. Contro di -loro papa Onorio III inviò il vescovo di Rimini, il quale -abbattè più chiese da essi contaminate <span class="sidenote">(1225)</span>, e le torri dei -Gàmbara, degli Ugoni, degli Oriani, dei Bottazzi. Altri -in Piacenza bruciò il podestà Raimondo Zoccola; sessanta -a Verona frà Giovanni di Schio in tre giorni subito -dopo la pace di Paquara <span class="sidenote">(1233)</span>. Nè il Regno ne mancava, -ed è probabilmente come una protesta contro le costoro -predicazioni che un eremita calabrese andava attorno -gridando nel dialetto patrio: <i>Benedittu, laudatu e santificatu -<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span> -lu Patre; benedittu, laudatu e santificatu lu -Fillu; benedittu, laudatu e santificatu lu Spiritu -Santu</i><a class="tag" id="tag300" href="#note300">[300]</a>. Ivone da Narbona scriveva a Gerardo arcivescovo -di Bordeaux, come viaggiando in Italia e’ si -finse cataro, lo perchè in tutte le città ebbe lietissime -accoglienze; e «a Clemona, città celebratissima del -Friuli, bevvi squisiti vini de’ Patarini, robiole, ceratia, -ed altri lachezzi»<a class="tag" id="tag301" href="#note301">[301]</a>. Costoro vescovo era un tal -Pietro Gallo, che, scoperto di fornicazione, fu cacciato -di seggio e dalla società. -</p> - -<p> -Contraddisse vivamente all’errore Antonio di Padova <span class="sidenote">(1195-1231)</span>, -nativo di Lisbona, italiano di dimora, che dai Padovani -impetrò remissione ai debitori incolpevoli, e che a -nome della religione e dell’umana libertà protestò contro -Ezelino, il quale diceva aver più paura de’ frati -Minori che di qualsiasi persona al mondo. Singolarmente -in Rimini combattè gli eretici colla parola e coi -miracoli, giacchè una volta non badandogli gli uomini, -furono veduti i pesci venir su per la Marecchia, e collocarsi -a bocca aperta ad ascoltarlo; un’altra un giumento, -da lungo tempo digiuno, si prostrò davanti -all’ostia consacrata, benchè il padrone patarino gli porgesse -il truogolo dell’avena. Egli fu da Gregorio IX -dichiarato arca dei due Testamenti, armadio delle divine -scritture; e dai popoli il taumaturgo, il santo; -per ornare il cui tempio parvero a gara risuscitare -le arti. -</p> - -<p> -Martello degli eretici fu detto san Tommaso d’Aquino; -nè men fervoroso apparve san Bonaventura. In Toscana, -una matassa di proseliti avea fatti il vescovo -Paternon: Gregorio IX aveva ordinato a frà Giovanni -da Salerno <span class="sidenote">(1128)</span> compagno di san Domenico e ad altri di -procedere giuridicamente contro costui; e il Paternon -<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span> -abjurò, ma ben tosto ricadde, e la potenza de’ suoi settarj -lo assicurava d’impunità, e quando per prudenza -mutò paese, gli furono surrogati nel ministerio Torsello, -poi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che con -un Marchisiano e un Farnese erano da prima ministri -di esso vescovo. -</p> - -<p> -Il primo inquisitore domenicano stabilito regolarmente -a Firenze fu frà Ruggero Calcagni, con autorità -d’aver tribunale in convento; cominciò un processo nel -1243, citando gran numero di Patarini, ed oltre le -pene pecuniarie e la censura ai contumaci, il papa aveva -ingiunto alla Signoria di consegnare i rei in mano -degli ecclesiastici. Caporioni degli eretici comparivano -Baron del Barone e Pulce di Pulce, appoggiati dalla -fazione imperiale, e secondati da Gherardo Cavriani e -casa sua, Chiaro di Manetto, conte di Lingraccio, Uguccione -di Cavalcante, i Saraceni, i Malpresa, e da molte -dame, fra cui Teodora Pulce, un’Aldobrandesca, una -Contrelda, un’Ubaldina ed altre, che erano sempre le -prime a dare impulso alle collette apertesi a favore dei -poveri e de’ predicanti. Teneansi le adunanze in casa -de’ baroni, che, come dipendenti dall’Impero, rimanevano -esenti dalla giurisdizione comunale: Ruggero però -ne fece carcerare alquanti, e avendoli i baroni rimessi -in libertà, il papa esortò la Signoria a conservar forza -alle leggi, e per appoggio inviò frà Pietro da Verona. -</p> - -<p> -Il costui zelo s’infervorò contro di essi; la piazza di -Santa Maria Novella era angusta alla folla accorrente -per udirlo, sicchè ad istanza di lui la Signoria dovette -farla ampliare; la società de’ Laudesi, da lui istituita, -cantava Maria e il Sacramento <span class="sidenote">(1244)</span>, quasi a sconto degli -oltraggi che questi riceveano dai Patarini. Sistemò -pure alquanti nobili per guardia al convento dei Domenicani, -ed altri che eseguissero i decreti di questi, -donde sorse la sacra milizia dei Capitani di Santa -<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span> -Maria<a class="tag" id="tag302" href="#note302">[302]</a>. Crebbero allora processi ed esecuzioni, per -quanto i signori le gridassero inumane e illegali, e si -appellassero all’Impero: e avendo il podestà Pace da -Pesannola bergamasco tolto a difendere i Patarini e -protestato contro le sentenze, dagl’inquisitori con solennità -fu interdetto <span class="sidenote">(1255)</span>; ne nasce parte e tumulto, le chiese -sono manomesse, di macello contaminati il Trebbio, -la Croce, piazza Santa Felicita, finchè i Cattolici riescono -superiori. -</p> - -<p> -Segnalato per tanto zelo, Pietro viene a farne prova -sui Cremonesi e Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie -mal riuscite contro Federico II, bestemmiavano -il cielo, insultavano ai riti, e sospendeano capovolti i -crocifissi. Cominciò egli la persecuzione; ma Stefano -de’ Gonfalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono, -e lo fecero uccidere mentre passava da -Milano a Como. Egli trafitto intrise il dito nel proprio -sangue, scrisse per terra <i>Credo</i>, e spirò <span class="sidenote">(1252)</span>. D’egual moneta -aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona -sulla piazza di Piacenza mentre predicava: Pietro d’Arcagnago, -frate Minore, fu scannato in Milano presso -Brera per opera di Manfredo da Sesto caporione dei -Patarini lombardi con Roberto Patta da Giussano; frà -Pagano da Lecco, trucidato co’ compagni mentre andava -a stabilire l’Inquisizione in Valtellina; ed altri. Nel -1279, avendo gl’inquisitori condannata al fuoco una -Tedesca in Parma, i cittadini insorsero, saccheggiando -<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span> -il convento de’ Domenicani, alcuni anche ferendone, -talchè i frati a croce alzata partirono. Ma il podestà e -gli anziani e i canonici li seguirono e gl’indussero a -tornare, promettendo rifarli dei danni e punire gli offensori<a class="tag" id="tag303" href="#note303">[303]</a>. -</p> - -<p> -A Pietro da Verona, subito venerato col nome di -san Pietro Martire, successe frà Ranerio Saccone suddetto, -che spianò la <i>Gatta</i> ritrovo degli eretici <span class="sidenote">(1259)</span>, e fece -bruciare i cadaveri di due loro vescovi, Desiderio e -Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè -Martin Torriano nol fe cacciare. -</p> - -<p> -Nè per tanto Milano restò purgata, e vi levò rumore -una Guglielmina, diceano oriunda di Boemia e di gente -reale, e che spacciava essere lo Spirito Santo incarnato; -da Raffaele arcangelo annunziata a sua madre il dì della -Pentecoste, come mandata a redimere i Giudei, i Saracini -e i cattivi Cristiani; dover morire, poscia risorgere, -ed elevare al cielo l’umanità femminile. Quanto -visse, il popolo la venerò; morta, fu tumulata splendidamente -a Chiaravalle, casa de’ Cistercensi presso Milano, -e tenuta in conto di santa: ma poi l’Inquisizione cominciò -ad esaminare i miracoli spacciati, e il vulgo -colla solita versatilità suppose che le adunanze de’ suoi -proseliti fossero convegni di nefandi peccati; onde le -ossa di lei furono gettate alle fiamme coi primarj suoi -seguaci. -</p> - -<p> -Anche alcuni frati Minori, lasciata la loro religione, -viveano solitarj, affettando estremo rigore, ed erano -chiamati Fraticelli, Bizocchi, Beghini, principalmente -negli Abruzzi e nella marca d’Ancona, ed ebbero a -maestri un frà Pietro da Macerata e frà Pietro da Forosempronio. -Scoperti di errori, vennero condannati e -perseguitati (vedi Cap. <span class="smcap lowercase">CXVII</span>). -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span> -</p> - -<p> -Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito -alla contemplazione, e fissando un quadro ov’erano -rappresentati gli Apostoli avvolti in mantelli cogli zoccoli -e la barba, credette doverli imitare in quel vestito, -e fin nel circoncidersi e farsi fasciare e adagiare in -cuna al modo del celeste bambino. Formò seguaci che -si dissero Apostolici; vendette quanto possedeva, e -dalla ringhiera di Parma gittò il denaro a una ciurmaglia -che giocava; ed iva predicando, da chi creduto -santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe cogliere -(1280) e metter prigione; ma egli si finse pazzo, -onde tenuto cortesemente in vescovado, divenne ludibrio -del servidorame; poi sbandito, e di nuovo al fine -richiamato, convinto di vizj, fu bruciato il 18 luglio -1300. -</p> - -<p> -Frà Dolcino e Margherita sua donna predicavano -attorno a Novara, togliendo ogni restrizione fra i sessi, -e permettendo lo spergiuro in cose d’inquisizione; traevansi -dietro migliaja di proseliti, sinchè, per ordine di -Clemente V, furono cerchiati ed uccisi<a class="tag" id="tag304" href="#note304">[304]</a>. -</p> - -<p> -L’Inquisizione fu ammessa in Venezia il 1286, composta -di tre giudici, che erano il vescovo, un Domenicano, -e il nunzio apostolico, sotto la sorveglianza dei -magistrati ordinarj; nè poteano sedere in tribunale -senza commissione sottoscritta dal doge. Procedere -doveano puramente contro l’eresia; non contro Turchi -ed Ebrei che non erano eretici; non contro Greci, -perchè la loro controversia coi papi non era per anco -stata risolta; non contro i bigami, perchè il secondo -matrimonio essendo nullo, aveano violato le leggi civili, -non il sacramento; gli usuraj pure non intaccavano -<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span> -alcun dogma; i bestemmiatori mancavano di riverenza -alla religione, ma non la negavano; neppure stregoni e -fatucchiere doveano essere passibili a quel tribunale, -se non si provasse che avessero abusato de’ sacramenti. -</p> - -<p> -Agli erranti la Chiesa contrastava anche col crescere -devozione alle cose che da quelli erano conculcate. La -compagnia dei Laudesi dalla Toscana erasi propagata -nella Lombardia. Giovanni da Schio, il famoso paciere, -instituì il pio saluto del <i>Sia lodato Gesù Cristo</i>. La -venerazione verso il Sacramento fu cresciuta da miracoli -che allora si narrarono: Urbano IV estese a tutta -la Chiesa la festa del <i>Corpus Domini</i>, e Tommaso d’Aquino -ne compose la bella uffiziatura. A Maria poi si -tributò l’entusiasmo col quale i cavalieri veneravano le -dame loro; e il dogma dell’immacolata sua concezione -fu sostenuto fervorosamente dai Francescani; ad onore -di lei si formò un salterio sulla forma del davidico; di -lei parlarono Pier Damiani, Bernardo, Bonaventura, con -un ardore che rimembra quel dello sposo de’ Cantici; e -fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e -con fiori di tenerezza. L’<i>ave Maria</i> si rese generale -verso il 1240. San Domenico introdusse il rosario; divozione -che fu poi connessa alla ricordanza della vittoria -di Lèpanto (1573), quella in cui fu decisa la -superiorità de’ Cristiani sopra i Turchi, nell’ora appunto -che in tutto l’orbe cattolico recitavasi quella semplice -formola di saluto, di congratulazione, di condoglianza, -di preghiera. -</p> - -<p> -Maria ispira le opere d’arte d’allora: il suo scapolare, -propagato dai monaci del Carmelo, orna il petto -di tutti, come una divisa di combattenti contro le passioni: -ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti, della Mercede -sotto gli auspizj di lei, quello s’aggiunge dei Gaudenti, -da Linguadoca passati in Italia <span class="sidenote">(1208)</span>, ove singolarmente -si resero memorabili. Continuavano essi a vivere nel -<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span> -mondo e nel matrimonio, «solo imposto odiare e fuggire -il vizio, desiare e seguir la virtù, ed alcuna soave -soavissima regola, data in segno di onestà, in remissione -d’ogni peccato, ed in premio d’eterna vita» (<span class="smcap">Frà -Guittone</span>). -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap90">CAPITOLO XC. -<span class="smaller">La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del -canonico. Le Università. Le Scienze occulte.</span></h2> -</div> - -<p> -Questi conflitti della ragione contro l’autorità, questo -esame delle credenze, quest’indipendenza del pensiero -attestano che non fosse così servile la fede, così intera -l’ignoranza, come cianciano alcuni. -</p> - -<p> -Hanno intitolato il decimo secolo di tenebre e di -ferro, giacchè, cessato l’impulso dato da Carlo Magno, -alle grandi sventure soccombeva ogni tentativo di pacifiche -ricerche. Eppure un chierico di Novara interrogava -per lettera i monaci di Reichenau, se tenessero -per Aristotele il quale non crede agli universali, o per -Platone che gli ammette; ed essi rispondeano, entrambi -godere tale autorità, che non si osa l’uno all’altro preferire<a class="tag" id="tag305" href="#note305">[305]</a>. -Dunque conoscevansi i grandi pensatori, si -studiava, si dubitava, si chiedeva, s’intrecciavano su -ciò corrispondenze lontane, si agitavano le quistioni -supreme, e fra gente incatenata alle regole durava l’indipendenza -del pensiero, esercitata nei modi del tempo. -Chi sia imbevuto de’ pregiudizj filosofistici dee restare -attonito allorchè di buona fede osservi come, nella -<i>neghittosa ignoranza</i> de’ chiostri, il bisogno del pensare -<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span> -agitasse que’ monaci vilipesi; come senza scrupolo -e senza apprensioni usando della propria ragione, affrontassero -i problemi cardinali dell’intelligenza. -</p> - -<p> -Le scienze, giusta la divisione di Marciano Capella, -erano distribuite in sette, formanti un trivio e un quadrivio: -al primo appartenevano la grammatica, la retorica, -la dialettica; al secondo l’aritmetica, la geometria, -l’astronomia, la musica<a class="tag" id="tag306" href="#note306">[306]</a>. -</p> - -<p> -Ma come la religione era base della società, così -scienza capitale la teologia; nè quasi altri che il clero -avea tempo e mezzi di volgere l’attività dagl’interessi -del secolo a quelli della dottrina e della verità. I primi -Padri del cristianesimo aveano fondata la loro scienza -sulla Bibbia, spiegandola e commentandola giusta il -sentimento loro particolare e quel della Chiesa. I successivi -arrestarono lo studio su quelli, facendone estratti -e catene per proprio comodo, onde all’uopo fiancheggiarsi -delle loro asserzioni: e come la giurisprudenza -romana sopra certi assiomi, così la teologia posava -sull’autorità, limitandosi ad applicarla con argomentazione -sottile, affar di logica e nulla più, trascurando -l’indagine dei fatti e il sentimento della realtà. -</p> - -<p> -Boezio, usando la filosofia greca e pagana per raffinare -la scienza cristiana, nell’<i>Organon</i> svolse il raziocinio -senza intaccare la fede, e divenuto autore universale, -<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span> -abituò gl’intelletti a una rigorosa coerenza di -discutere, dimostrare, difendere, impugnare per via di -regole prefinite; quella dialettica insomma, che prima -l’italiano Zenone d’Elea aveva insegnata, e che fu delle -primarie coadjutrici della scienza greca, ma che, se si -restringa a pure forme e categorie, impaccia la ragione, -mentre intende soccorrerla. Tale divenne nelle -scuole, onde prese il nome di <i>scolastica</i>, troppo a torto -derisa. -</p> - -<p> -Questa geometria della ragione mette innanzi precisamente -il suo teorema, da principj inconcussi deduce -con raziocinio serrato, senza abbellimenti nè svaghi, -valendosi solo di parole chiaramente definite, eliminando -le idee vaghe e i termini equivoci, e procedendo -sempre dal noto all’ignoto. Que’ principj generali indubitabili -non potea darli che la rivelazione. Si esercitavano -sulle due nozioni fondamentali del Creatore e della -creatura, per trovarne e chiarirne la relazione ch’è la -fonte d’ogni morale, e conciliare la fede rivelata colla -ragion pura e coi fenomeni della vita esterna; limitavansi -insomma a difendere e chiarire dogmi parziali, a -vedere in che modo accettar la rivelazione e conoscere -il sentimento comune, rinunziando alla disputa non -appena la Chiesa avesse sentenziato. -</p> - -<p> -Nulla più facile che l’abusare della logica. Il minuzioso -speculare disgiunto dall’applicazione, dalla sperienza, -dalla erudizione, da ogni bellezza, le frivole -distinzioni, il sillogizzare non tanto per raggiungere la -verità, quanto per uniformarsi a certe regole o per avviluppare -gli avversarj, il puntigliarsi fin sulla distinzione -di sillabe, congiunzioni, preposizioni, e innestare -alla dialettica quanto di vano comprendevano la grammatica -e la geometria affine di dimostrare ogni cosa, -perfino i contrarj, furono gli abusi della Scolastica, che -mettendo la disputa per iscopo non per mezzo, e confondendo -<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span> -il metodo colla sostanza, faceva invanire e -delirare nella presunta onnipotenza della logica. -</p> - -<p> -Suo oracolo era Aristotele, per verità maestro eccellente, -perchè in esso trovasi anche la critica degli altrui -sistemi e il modo di confutarli, mentre Platone non dà -che il proprio dogma. Ma lo Stagirita che erige in -principio supremo la natura, come poteva essere l’oracolo -d’una scienza tutta religiosa? Poi esso giungeva in -Europa nelle versioni e commenti de’ Musulmani e degli -Ebrei, che gli aveano prestato assurdi sentimenti e sofisterie. -I nostri, nel tradurre quelle traduzioni, nuovi -errori vi sovraposero; nè la critica e la filologia sapevano -riconoscervi l’alterazione, mentre l’idolatria professatagli -impediva di crederlo in fallo. Anzichè duce, -ne venne un ingombro d’errori, fatica erculea a quelli -che voleano conciliarli colla teologia dogmatica. Più -tardi Federico II ne procurò una versione sopra il testo -greco, e la fece deporre nell’università di Bologna; -Manfredi suo figlio la spedì a Parigi: ma nulla ce ne -rimane per poter dire quanto avviasse alla retta intelligenza -di quello che per antonomasia chiamavasi -l’Autore. -</p> - -<p> -Quest’esclusiva predilezione incagliava lo sviluppo cattolico -delle scienze, e le logiche speculazioni sviavano -dalle ricerche storiche, baloccandosi attorno a frivole -quistioni. Cosa faceva e dove stava Iddio prima di -creare? se nulla avesse creato, qual sarebbe la sua -prescienza? potè egli fare le cose in altro modo da -quel che le fece? v’ha tempo in cui egli conosca più -cose che in un altro? può fare che ciò che è non sia, -e per esempio, che una meretrice sia vergine? Iddio, -incarnandosi, si unì all’individuo od alla specie? il -corpo di Cristo alla destra del Padre sta seduto o in -piedi? e le vesti con cui comparve agli apostoli dopo -risorto, erano reali od apparenti? e le assunse con sè -<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span> -in cielo? e ve le tiene ancora? e nell’eucaristia sta nudo -o vestito? che divengono le specie eucaristiche dopo -mangiate? in qual maniera s’operò l’incarnazione nel -seno di Maria? san Paolo fu rapito al terzo cielo nel -corpo o senza? il pontefice potrebbe cassare i decreti -degli apostoli, e formare un articolo di fede? o abolire -il purgatorio? è semplice mortale, o una specie di divinità? -e tutta la Bibbia diveniva un’arena di disputazioni, -secondo che gli uni vi rintracciavano il senso letterale, -altri l’allegorico, altri il mistico. Censurare, -come si fa, la scienza per gli abusi che ne derivarono, -è ingiusto come di chi condannasse la letteratura -odierna a cagione de’ giornalisti; e tanto più che quelle -formole e quello spineto non erano frutto della barbarie, -ma già si trovano ne’ dialettici antichi, anzi in -Aristotele stesso. -</p> - -<p> -La Chiesa non soffogava quell’attività, ma stava in -occhi a tutelare i dogmi, e ben presto fu chiaro che -con questi tutelava la verità e la ragione. Accortasi degli -errori che rampollavano sopra la dottrina aristotelica, -talora ne proibì l’insegnamentò: onde altri si diedero -a sceverare due ordini di verità, la filosofica e la religiosa: -e lasciando arbitri di questa i santi Padri, discutevano -secondo Aristotele i fenomeni dell’intelletto, -l’origine e il valore delle idee, i fondamenti della conoscenza, -in somma la metafisica. -</p> - -<p> -Altri hanno faticosamente tratteggiato i procedimenti -del pensiero in que’ secoli mal conosciuti; e noi, -limitandoci alle glorie italiane, ricorderemo gl’insigni -Lanfranco di Pavia e Anselmo d’Aosta, che in Inghilterra -rappresentarono il principio spirituale a fronte -del potere politico. Il primo, nato da famiglia senatoria <span class="sidenote">(1005-89)</span>, -educato nelle scuole di arti liberali e di legislazione -secondo il patrio costume<a class="tag" id="tag307" href="#note307">[307]</a>, andò frate, e non sentendosi -<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span> -vigore bastante pei lavori campestri a cui si -dedicavano i monaci, già godendo grido di dialettico e -giureconsulto nella patria scuola de’ giudici longobardi, -recossi in Normandia. Aggresso da masnadieri e lasciato -avvinto a un albero tutta la notte, aspettando la -morte volle pregare, e trovò che neppur una preghiera -sapeva a memoria. Vergognoso, stabilì darsi tutto a -Dio, e liberato da alcuni passeggeri, si fe da loro indicare -il convento più umile e povero. Gli nominarono -Bec, ed egli vi si rese, subì un severo noviziato, tacendo -per tre anni, e quando leggeva in refettorio, il priore -lo rimproverava di proferir male il latino: una volta -lo corresse dell’aver fatta lunga la seconda di <i>docere</i>, -e il valente dottore si rassegnò a proferirla breve, stimando -un errore di prosodia minor male che una -insubordinazione. -</p> - -<p> -In questa docilità imparò a comandare, e presto fu -assunto arcivescovo di Cantorberì, a consigliere e ministro -di Guglielmo conquistatore dell’Inghilterra; e -sostenendo l’interesse cattolico in quell’isola dopo soggiogata -dai Normanni, favorì a questi perchè credea -giovassero a quello. Negl’impacci di chi è a parte dell’autorità -e sembra farsene strumento, quante volte ribramò -e chiese la solitudine del suo chiostro, ove ad -assicurar la pace della coscienza basta una cosa, obbedire! -Ma il terribile conquistatore spesso correggeva o -frenava; udendo un cortigiano paragonare la reggia -alla maestà del cielo, come avrebbe potuto fare un poeta -napoleonico, esortò a farlo vergheggiare perchè più -non osasse bestemmie tali: se accondiscese a Guglielmo, -seppe evitare il conflitto che prevedeva imminente col -potere ecclesiastico. -</p> - -<p> -I tanti affari non lo distolsero dagli studj, e risuscitando -<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span> -l’arte critica, confrontò, corresse i testi che Berengario -avea falsati per negare la presenza reale nell’eucaristia: -sviluppandosi dalle fasce scolastiche, spaziò -in modo oratorio; e riprovando la sottigliezza dei tropi -e dei sillogismi e l’<i>inane dialettica</i> d’Aristotele, chiama -sapiente chi conosce e glorifica Dio, e pienezza della -dottrina l’intenderne il mistero e la sapienza. -</p> - -<p> -Discepolo suo, e successore nel priorato di Bec, poi -nell’arcivescovado, Anselmo d’Aosta <span class="sidenote">(1033-1109)</span>, con fermezza calma -e dolce, non affrontando la persecuzione, ma non isviando -punto dal sentiero per evitarla, intelletto elevato e cuor -puro, carattere amabile che traeva grandezze dalla fede -profonda e dall’amor di Dio, per sagacia e pietà fu -qualificato un secondo Agostino, e sulle traccie di questo -diede dimostrazioni ancor venerate sopra l’essenza divina, -la trinità, l’incarnazione, la creazione, l’accordo -del libero arbitrio colla Grazia. I suoi monaci l’aveano -pregato a valersi di forme agevoli, e d’argomenti adatti -alla comune capacità, e provare per via di raziocinj -rigorosi e necessarj<a class="tag" id="tag308" href="#note308">[308]</a>: e in fatto nel <i>Monologium</i> -s’industria a spiegare la scienza delle cose soprannaturali -per via di razionali principj, cercando l’alleanza -della fede colla ragione, proteggendo la religion naturale -e la rivelata da tutte le objezioni mediante un -argomentar sottile; estendendosi anche alla metafisica -e alla fisica, che speculano l’una sulla parola rivelata, -l’altra sulla natura manifestata dai sensi; e digredendo -su altre materie non immediatamente connesse col -dogma. Al supremo problema dell’intelletto cercò egli -spiegazione nell’idea universale, la quale non potrebbe -sussistere come percezione dello spirito senza la realità -dell’oggetto; eccedette fosse quella della perfezione infinita -di Dio, il quale nell’ordine logico sta a capo di -<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span> -tutte le idee, come di tutti gli esseri nell’ordine reale. -</p> - -<p> -Lo stolto che dice <i>Non v’è Dio</i>, concepisce un essere -a tutti superiore, sebbene affermi che non esiste. Affermazione -assurda, atteso che quest’ente resterebbe inferiore -a un altro che a tutte le perfezioni congiungesse -l’esistenza. Sono gli argomenti stessi che furono svolti -poi da Cartesio; ed un monaco dell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo trovava -e precisamente esponeva la sola prova compiuta e soddisfacente -dell’esistenza di Dio, cioè elevava la coscienza -fino alla nozione dell’essere, ed edificava una teologia -dottrinale sovra un concetto della ragione. Mettendo in -scena un ignorante che cerca la verità colla scorta dell’intelletto -puro, vuol mostrare che la ragione non riprova -ma comprova le verità rivelate; e protestando -insieme che la fede non cerca comprendere ma credere, -chiaramente determina i confini della filosofia e della -teologia. -</p> - -<p> -Ricondurre le quistioni scolastiche al punto ove i -padri le aveano lasciate fu l’assunto di Pier Lombardo <span class="sidenote">(1100-1164)</span>, -fanciullo novarese, mantenuto per carità agli studj, poi -vescovo di Parigi. Nei quattro libri <i>Sententiarum</i> raccolse -in un ordine alquanto arbitrario le proposizioni -dei santi Padri intorno ai dogmi, sicchè non rimanesse -che d’applicarle nelle varie quistioni. Ma poichè delle -difficoltà esposte non porgeva la soluzione, apriva -campo a troppe dispute dialettiche ed a sottigliezze, -per quanto egli richiamasse continuo verso gli studj -positivi e i monumenti della prisca filosofia cristiana. -Inoltre dava in argomenti speculativi: — Iddio padre, -generando suo figlio, generò se medesimo o un altro -Dio? generò di necessità o per elezione? egli stesso è -Dio spontaneamente o necessariamente? Gesù Cristo -potea nascere d’una specie d’uomini differente dalla -stirpe d’Adamo? potea prendere il sesso femminile?» -accettava autorità apocrife; e quando la logica gli paresse -<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span> -condurre a conclusioni diverse dalla fede, diceva: — Su -questo punto amo meglio udire altri, che non -parlare io stesso». Pure il <i>maestro delle sentenze</i>, -com’egli fu titolato, rimase il testo delle scuole, ebbe -replicate edizioni ne’ primi tempi della stampa; Racine, -nel ristretto di storia ecclesiastica, gli dà ducenventiquattro -commentatori, che, a detta del conte di San Raffaele, -si potrebbero facilmente raddoppiare; e fin a -mezzo il secolo passato l’università di Parigi celebrava -l’anniversario di lui con esequie assistite da tutti i baccellieri -licenziati. -</p> - -<p> -D’altra levatura e originalità fu Tommaso dei conti -d’Aquino <span class="sidenote">(1227-74)</span>, castello di cui vedonsi gli avanzi presso Montecassino. -Pronipote di Federico Barbarossa, cugino di -Enrico VI e di Federico II, discendente per madre dai -principi normanni, abbandonò le delizie e le speranze -della condizione sua per vestirsi domenicano, malgrado -de’ parenti. Gracile di salute, taciturno, assorto nelle -meditazioni, i condiscepoli canzonando quel suo fare -semplice, gli occhi incantati, la bocca chiusa, lo chiamavano -il bue muto di Sicilia. Ma ben presto mostrò -intelletto filosofico s’alcun mai, erudizione estesissima, -passione de’ grandi risultamenti; e a quarantun anno -si propose coi materiali sparsi della scienza coordinare -la prima volta in sistema compiuto la teologia e la filosofia. -I conflitti che da dodici secoli la Chiesa sosteneva -intorno ai fondamentali articoli della fede, e quanto -aveano insegnato, approvato, riprovato i Padri, i dottori, -i papi, i concilj, compendiò in un volume. La -scienza e l’erudizione tutta che al suo tempo avessero -Cristiani od Arabi, svolse sotto la forma del sillogismo, -in maestosa sintesi tendendo a riprodurre l’ordine assoluto -delle cose, Dio uno, la Trinità, la creazione, le -leggi del mondo, l’uomo, la Grazia; e opporre la verità -agli errori moltiformi che venivanle opposti dal Corano, -<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span> -dal Talmud, dal manicheismo. Ch’egli si occupasse di -scienze al tempo suo non esistenti, o usasse una lingua -che l’età sua non gli dava, nessuno lo pretenderà; -mentre eccitano meraviglia la chiarezza, la brevità nervosa, -la schietta indagine della verità, che con bella e -profonda definizione egli fa consistere in un’equazione -tra l’asserto e il suo oggetto<a class="tag" id="tag309" href="#note309">[309]</a>. -</p> - -<p> -All’ispirazione ed elevazione dei primi Padri non arriva -egli, ma porge formole dotte e profonde distinzioni, -il suo metodo consistendo nell’appoggiare col -sillogismo una maggiore assiomatica, data da quelli. -Pertanto posa un teorema, poi sillogizza tutte le opposizioni -filosofiche (<i>videtur quod non</i>), mettendo l’objezione -condensata, multipla, in tutta la sua forza, per -modo che poterono da lui attingere eresie e difficoltà -quanti ebbero la mala fede di sopprimere le risposte. -Non si ferma a confutarla, ma in contraddizione (<i>sed -contra</i>) adduce alcuni passi di Aristotele, della Bibbia, -dei Padri, principalmente di sant’Agostino, e prova conciso -e preciso, facendo brillar la vera luce accanto alla -falsa, sicuro che ne risulterà la certezza. Allora ripiegandosi -sopra l’objezione, la distrugge invincibilmente -(<i>conclusio</i>) collocando la sua risposta in termini concisi, -enucleandoli poi dialetticamente, e non di rado con -poche parole d’inarrivabile precisione recidendo avviluppatissimi -problemi; e adoprandovi un mirabile buon -senso ognora calmo, imparziale, lontano da sistematiche -esclusioni, disposto ad accettar tutto il vero, approvare -tutto il buono. -</p> - -<p> -Quanto al fondo, sostiene che la scienza deriva da -Dio e a Dio si riferisce, atteso che il filosofo, sempre -in traccia del primo ente e della cagion delle cose, e -<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span> -proponendosi il perfezionamento dell’uomo, è costretto -elevarsi alla causa ed alla ragion prima. E siccome -nella società umana dirige colui che maggiore intelletto -possiede, così nelle dottrine quella che si occupa delle -cose più intelligenti, cioè la metafisica, scienza dell’essere -in generale e delle sue proprietà, che considera -le cause prime nella loro purezza e comprensibilità -maggiore. -</p> - -<p> -Scienza di Dio, dell’uomo, della natura, la teologia -risale a Dio per contemplarlo, e col raggio che ne attinge -discende la scala del creato illuminando le sfere -inferiori. Fra i corpi puramente materiali e il mondo -delle pure intelligenze, riflesso della vita e delle perfezioni -di Dio, sta l’umanità, partecipe degli uni e degli -altri: tre mondi connessi da legami infiniti, donde risultano -l’ordine naturale e il soprannaturale, e in seno -all’opera di Dio nasce l’opera dell’uomo, mediante la -libertà creata. Di qui la mistura di bene e di male, -di verità e di errore, che costituisce la storia umana. -Delle creature alcune sono assolutamente immateriali, -altre materiali, altre miste; e nel formarle Iddio si -propose il bene, cioè di assimilarle a sè. Del qual -bene partecipano anche i corpi, in quanto possiedono -l’essere e sono l’effetto della bontà divina; e concorrono -alla perfezione dell’universo, che deve contenere -una gradazione di esseri, gli uni subordinati agli altri -secondo che più o meno perfetti. Chi li consideri uno -ad uno, non ne vede che l’inanità: ben altrimenti chi -li guardi come istromenti degli spiriti; avvegnachè tutto -ciò che si riferisce all’ordine spirituale appar più grande -quanto più viene conosciuto. -</p> - -<p> -Culmine della creazione è l’uomo, il cui spirito vive -di triplice vita, la sensiva, la vegetativa e la razionale, -la quale ancora si divide in intelligente e volitiva. A -quest’ultima san Tommaso assegna regole rettissime, -<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span> -giacchè fondate sugl’insegnamenti della Chiesa: ma poichè -il nostro lavoro verte tanto sulla scienza degli Stati, -noi lasceremo il resto per arrestarci alquanto sul diritto -e la politica di lui, che insomma sono quelli professati -dal clero, quand’anche non applicati. -</p> - -<p> -Fonda Tommaso la sua teoria del diritto sopra la -legge. Questa è quadrupla: l’<i>eterna</i>, legge del governo -divino generale del mondo; la <i>naturale</i>, partecipazione -della legge eterna, valevole per tutti gli enti finiti razionali; -l’<i>umana</i>, riferibile alle condizioni particolari -degli uomini; la <i>divina</i>, che consiste nell’ordine di salute -da Dio stabilito nella sua <i>speciale</i> provvidenza per -gli uomini. Il diritto nello Stato è <i>naturale</i>, fondato -nella natura invariabile dell’uomo, o <i>positivo</i>, stabilito -per convenzione o promessa: e concerne solo la legalità -degli atti esterni, mentre la giustizia interiore impone -di fare il giusto per amor di Dio. -</p> - -<p> -La legge è una misura imposta ai nostri atti, un motivo -che ci spinge o distoglie dal fare, una dipendenza -della ragione: ed ha per iscopo il ben essere comune. -Dovendo il fine essere adempito da chi vi ha interesse -immediato, le leggi saranno opera di tutto il popolo, -o di chi del bene di esso è incaricato; e però la legge -può definirsi «un ordine ragionevole a comune vantaggio, -promulgato da chi ha cura del pubblico interesse». -Diretta a mantenere la pace e propagare la -virtù fra gli uomini, deve conformarsi alla giustizia pel -fine che si propone, per l’autore da cui deriva, per le -forme che osserva, cioè mirare al bene dei più, non -trascendere l’autorità del legislatore, ed equamente distribuire -i pesi che ciascuno dee portare pel comune -vantaggio. È ingiusta ove s’opponga al bene relativo -dell’uomo, o al bene assoluto che è Dio: e in tal caso -non è legge ma violenza, nè obbliga al fôro interno, -se non fosse per gli scandali che produrrebbe la trasgressione. -<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span> -E per natura e per ragione si deve a gradi -procedere dal meno al più perfetto; onde i cangiamenti -nella legislazione sono giustificati dalla mobilità della -ragione, dalla mutabilità delle circostanze. Popolo pacifico, -grave, oculato ai proprj vantaggi, ha diritto di -scegliere i suoi magistrati; lo perde se corrotto. -</p> - -<p> -Vuolsi che durino la città e la nazione? tutti abbiano -parte al governo generale, acciocchè tutti sieno interessati -a mantenere la pace pubblica; nella forma politica -le autorità si bilancino. La più destra combinazione -sarebbe un principe virtuoso, che sotto di sè ordinasse -un certo numero di grandi cariche per governare secondo -l’equità, cernendoli da ogni classe e sottoponendoli -ai suffragi della moltitudine, col che associerebbe -al governo l’intera società. Il principe deve al suddito -la fedeltà stessa che ne esige: se avvilisce Dio ne’ poveri, -imita i soldati che percotevano Cristo colla canna -messagli in mano: se grava le imposte, pecca d’infedeltà -agli uomini, d’ingratitudine a Dio, di sprezzo agli -angeli custodi, sopra i quali ricadono le offese recate -ai loro custoditi. -</p> - -<p> -Colpa mortale sarebbe la ribellione contro alla giustizia -e all’utilità comune, non il resistere e combattere -pel pubblico bene. Principe che si propone il personale -soddisfacimento anzichè la comune felicità, cessa d’essere -legittimo, e l’abbatterlo non è più sedizione, se -pur non si operi con disordine tale da cagionare mali -maggiori della tirannia stessa. Il tiranno si tiene fra -certi limiti? convien tollerarlo per cansare pericolo di -peggio; eccede? può essere giudicato e anche deposto -da un potere regolarmente costituito: attentare contro -la sua persona per fanatismo e vendetta non è mai -lecito. -</p> - -<p> -Su questi larghi principj posavasi il liberalismo, che -la Scuola talora spinse fin al di là; donde la taccia che -<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span> -il secolo nostro, ipocrito in parole come sguajato in -fatti, le dà di avere giustificato il regicidio. Al moderno -diritto delle genti pose Tommaso le fondamenta, che -lo distinguono dal micidiale degli antichi: e certi missionari -d’un nuovo cristianesimo, che credono nati jeri -i concetti della libertà e dell’eguaglianza, stupirebbero -leggendo quel che Tommaso pensava della nobiltà<a class="tag" id="tag310" href="#note310">[310]</a>. -</p> - -<p> -Ma come la pensava egli sul propagare la fede per -mezzo della forza? Degli Infedeli alcuni non abbracciarono -mai la fede, come Pagani ed Ebrei; altri ne -disertarono, come gli eretici e gli apostati. Questi sono -mentitori d’una promessa, e ne sono puniti: gli altri -non devono per verun modo essere forzati alla fede, -ma solo a non manometterla con bestemmie, con prediche, -con violenze. I fedeli muovono spesso guerra -agl’infedeli, non già per costringerli a credere, ed -anche dopo la vittoria se ne lascia libertà al prigioniero, -ma perchè non impediscano ai credenti il convertirsi -o il perseverare<a class="tag" id="tag311" href="#note311">[311]</a>. -</p> - -<p> -Sì grand’uomo, eppure umilissimo, ricusò nell’Ordine -ogn’altra dignità fuor quella di definitore: e nella -<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span> -contemplazione talmente restava assorto, che navigando -non s’accorse d’una fiera burrasca; tenendo una candela -non sentì da quella bruciarsi il pugno; sedendo al banchetto -col re di Francia, repente battè sulla tavola -esclamando: — Ecco un argomento invincibile contro -i Manichei». La leggenda dice che, avanti morire, stava -davanti a un Crocifisso, e questo piegossi, e dissegli: — Tommaso, -bene hai scritto di me: qual ricompensa -domandi? — Niun’altra cosa che voi stesso», egli rispose. -Quando poco dopo si trattò di canonizzarlo, gli -oppositori notavano ch’e’ non aveva operato miracoli; -ma papa Giovanni XXII esclamò: — Ne fece tanti, quanti -articoli scrisse»; e soggiungeva: — Tommaso rischiarò -la Chiesa più che tutti insieme i dottori, e maggior -profitto si trae dallo studiare un anno agli scritti suoi -che dal leggere tutta la vita que’ degli altri». -</p> - -<p> -Diversa eppur non avversa alla scolastica argomentatrice, -la scuola mistica cercava non esercizio allo spirito -ma nutrimento all’affetto; tutto riconduceva al -sentimento ed alla contemplazione, assegnando i gradi -onde con questa elevarsi al primo vero; in luogo dell’arida -dialettica adoperava linguaggio immaginoso, -simbolicamente interpretando la natura appoggiandosi -sulla misteriosa attrazione verso il bene assoluto e l’infinito, -e sulla dilezione estatica, fondo della nostra -sensibilità. -</p> - -<p> -Giovanni Fidanza da Bagnarea <span class="sidenote">(1221-74)</span> fu salvato da una malattia -infantile per intercessione di san Francesco, il -quale disse a sua madre: — È una buona ventura»; -onde vestitosi francescano, fu noto col nome fratesco di -<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span> -Bonaventura. Dotto di tutta la scienza d’allora, sommesso -insieme e indipendente, cautamente valutando -le forze relative della credenza e dell’intelletto, tentò -conciliare Aristotelici, Platonici, Arabi; cioè il raziocinio -e l’intuizione, il misticismo e la didattica dirigere -in armonia, non ad arguzie curiose, ma a supreme quistioni. -Non che negare ogni certezza ai sensi, tende a -rintegrare l’infallibilità della ragione, facendo che Dio -abbia poste le premesse nell’intelletto, e conformatolo -in guisa che sia costretto assentire al vero, non come -ad una percezione nuova, ma quasi riconosca cose innate -in sè. Osò anche tentare un albero enciclopedico -dell’umano sapere, men lodato, non men lodevole di -altri posteriori<a class="tag" id="tag312" href="#note312">[312]</a>, e che mostra come sapessero d’alto -luogo riguardare la scienza questi Scolastici cui si dà -taccia di angusti e meschini. -</p> - -<p> -Bonaventura fu noverato fra’ più insigni del tempo: -quando san Tommaso suo amico gli domandava da -quai libri traesse tanta scienza, gli mostrò il crocifisso; -e tutte pietà sono la sua <i>Vita di san Francesco</i>, lo -<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span> -<i>Specchio della Vergine</i>, l’<i>Itinerario dell’anima al -cielo</i>. A forza di preghiere si fece esonerare dall’andare -arcivescovo di York; e stava lavando le scodelle quando -gli fu annunziato che era fatto cardinale. Alle sue -esequie assistettero Gregorio X, il re d’Aragona, cinquanta -vescovi, sessanta abati, più di mille preti; ottant’anni -dopo morto fu canonizzato, e iscritto col titolo -di <i>serafico</i><a class="tag" id="tag313" href="#note313">[313]</a> fra i dottori della Chiesa, dopo Ambrogio, -Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e l’Aquinate. -</p> - -<p> -Anche la scuola contemplativa ebbe i suoi deliramenti, -e Giovanni di Parma pubblicò un <i>Introduttorio -all’evangelo eterno</i>, ove annunziava che, siccome il -Testamento antico avea dato luogo al nuovo, così -questo non bastava più alla perfezione, e un altro ne -verrebbe tutto d’intelligenza e di spirito. Altri caddero -nel panteismo e nella negazione del proprio essere, ed -applicati alle scienze s’abbujarono nell’astrologia e nell’alchimia. -</p> - -<p> -Del diritto romano mai non erasi perduta affatto la -memoria; ma quella legislazione è troppo complicata -e dotta per gente incolta, troppo difficile ad armonizzare -col sistema barbaro. Si dovette dunque applicarsi -ad agevolare l’uso quotidiano del gius longobardo, e -ridurlo a sistema per via d’un testo intelligibile, di -dichiarazioni, di formole di processo. A ciò diede -principale opera la scuola di Pavia, che volta solo -alla letteratura nei tempi de’ Carolingi, da quelli di -Ottone I vi unì la giurisprudenza, e compilò il <i>Liber -<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span> -legum Longobardorum</i>. I maestri di quella erano anche -giudici, e accoppiando la teoria alla pratica, e -conoscendo il diritto romano, composero una glossa -che fu equiparata al testo legale. Ebbero nome tra essi -Sigefredo, Guglielmo, Bajlardo, Buonfiglio, e quel Lanfranco -da Pavia, di cui dicemmo<a class="tag" id="tag314" href="#note314">[314]</a>. Man mano che -le città italiane crescevano di ricchezze, di commercio, -di potenza, occorreano nuove complicazioni, cui non -era sufficiente il diritto germanico, mentre si trovavano -risolte nel romano; sicchè a questo applicaronsi gl’ingegni, -costituendo una nuova classe di cittadini, i -giureconsulti. -</p> - -<p> -Quando i Pisani espugnarono Amalfi nel 1135, ne -tolsero l’unico esemplare delle <i>Pandette</i>, e Lotario II in -benemerenza lo cedette a loro, decretando che nella -pratica si sostituisse il gius romano al germanico, -e cattedre per insegnarlo. Così dicono: ma nessun -vide questo diploma, ed è dimostrato che in verun -tempo le Pandette erano cadute in dimenticanza<a class="tag" id="tag315" href="#note315">[315]</a>; -sicchè questa è una novella che traduce in racconto di -tempo e di luogo determinato un avvenimento d’incerta -origine. Esso codice fu gran tempo custodito a -<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span> -Pisa come una reliquia, nè mostrato che con solennità, -poi trasferito a Firenze, monumento d’altre vittorie, -ove può non difficilmente vedersi in quel tesoro di -manoscritti ch’è la biblioteca Laurenziana. La scrittura -il prova contemporaneo di Giustiniano; e che sia l’unico -originale risulterebbe da questa bizzarria, che avendovi -il legatore per isbaglio trasposto un foglio, tutti -gli esemplari conosciuti hanno l’errore medesimo, -come materialmente trascritti. Eppure sembra che i -glossatori possedessero altri testi, collazionando i quali -ne formarono uno bolognese, detto la vulgata: pure -la loro rarità è attestata dall’importanza attaccata al -possesso di questo codice, la cui scoperta e il trionfo -menatone fissarono su quello l’attenzione dei molti che -la progredita civiltà avea disposti ad una legislazione -più raffinata. Allora dunque lo studio del romano diritto -penetra nelle scuole, in gara colla teologia e la scolastica, -mentre s’applica alla vita. -</p> - -<p> -Irnerio, che prima aveva insegnato grammatica, -passò a leggere le Pandette a Bologna sua patria <span class="sidenote">(1100-20)</span>; e -i giovani che trassero in folla a questa scienza nuova, -reduci ai loro paesi, ne applicavano i canoni ai casi -particolari, se non altro come supplemento alla legge -locale. Restano in gran parte le glosse di quest’illustre, -e memoria d’altre opere sue ad uso della scuola, dalla -quale poi si staccò per servire all’imperatore. Pensator -rigoroso, trasse ogni cosa dal proprio capo, ignorando -i lavori intorno al diritto, fatti o tentati ne’ secoli -precedenti<a class="tag" id="tag316" href="#note316">[316]</a>. -</p> - -<p> -Si nominano fra’ suoi discepoli più insegnati i bolognesi -<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span> -Bùlgaro <i>os aureum</i>, Martin Gossia <i>copia legum</i>, -Jacopo e Ugone da Porta Ravegnana. La <i>Somma del -Codice</i> di Roggerio è il primo tentativo di sistemar la -scienza del diritto. Il Piacentino, che alcuni chiamano -Ottone, per quanto assoluto e di smisurata vanità, non -manca di intelletto scientifico e cognizione delle fonti. -Assalito nottetempo da Enrico di Baila, di cui avea -confutato un’opinione, a stento campò, e ricoverato a -Montpellier, v’aperse la prima scuola di diritto <span class="sidenote">(1192)</span>. Giovanni -Bassiano da Cremona, preciso nell’esposizione, -trovò forme ingegnose, benchè talvolta buje; professò -a Mantova. -</p> - -<p> -Pillio da Medicina professava giovanissimo a Bologna, -quando i magistrati lo costrinsero a giurare che per -due anni non insegnerebbe altrove: i Modenesi, cui -forse importava più il toglierlo agli emuli che il possederlo -essi medesimi, gli offersero cento marchi d’argento -purchè venisse nella loro città, anche senza -insegnare, siccome fece. Scrive per lo più in dialoghi -fra la giurisprudenza e l’autore, con molta vanità e -affettazione logica<a class="tag" id="tag317" href="#note317">[317]</a>. -</p> - -<p> -Lodano pure Guglielmo di Cavriano da Brescia, Alberico -da Porta Ravegnana che per l’affluenza di scolari -dettava nella sala del Consiglio, Giovanni Azzon da -Bologna che aveva fin mille uditori, ed altri che lungo -sarebbe il recitare. Francesco Accursio da Bagnòlo -presso Firenze, nella <i>Glossa continua</i> <span class="sidenote">(1129)</span> abbracciò le anteriori, -così conservandoci l’opinione di molti, ma senza -<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span> -tropp’arte nello scegliere. Al suo tempo citavasi nei -tribunali come legge, e fu in gran nominanza finchè -parve merito il cumulo di erudizione; ma nel Cinquecento, -quando si studiarono l’antichità e gli storici, -prevalse un miglior gusto, mentre minorava l’elevatezza -de’ pensieri. -</p> - -<p> -Que’ glossatori possedevano le Pandette, il Codice, -gl’Istituti, le Autentiche, l’Epitome di Giuliano, nè altro. -Scarsi di storia e filologia, invece di raddrizzare i testi, -accertare i tempi, insinuarsi nella intenzione delle leggi, -si fermano a spiegare che <i>etsi</i> equivale a <i>quamvis</i>, -<i>admodum</i> a <i>valde</i>; derivano il nome del Tevere dall’imperatore -Tiberio; fanno vivere Ulpiano e Giustiniano -avanti Cristo, uccidere Papiniano da Marc’Antonio; interpretano -<i>pontifex</i> per <i>papa</i> o <i>episcopus</i>; se trovano -una parola greca, la saltano, onde il proverbio <i>Græcum -est, non potest legi</i>. Pure non mancano di sagacia e -industria, massime Accursio, nel ravvicinare passi, -conciliare apparenti divergenze, ricorrere per l’interpretazione -alle fonti quanto poteasi in quell’ignoranza -della storia, che durerebbe anche oggi se la fortuna -non avesse scoperto Ulpiano ed altri giureconsulti -vetusti. -</p> - -<p> -Ben presto seguirono pedestri imitatori, destri nella -dialettica quanto sforniti di scientifico intelletto; prolissi, -d’inesauste minuzie, che affogano il testo ne’ commenti, -<i>multorum camelorum onus</i>, nulla rimettendo -all’intelligenza degli scolari; espongono in uno stile -barbaro, da cui non sa forbirsi neppure Dino da Mugello. -Il quale godette tanta riputazione, che ancor vivo -i vescovi stabilirono, ove le leggi municipali e le -romane e le chiose dell’Accursio tacessero o si contraddicessero, -a Dino si riportasse la risoluzione. -</p> - -<p> -Sconciatesi le repubbliche, e andata ogni cosa per -fazioni, poi per arbitrio di tiranni, senza quella libertà -<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span> -che è necessaria alla ponderazione delle leggi, nel metodo -prevalsero sempre più le forme dialettiche, con -distinzioni e restrizioni senza termine; l’argomentare -non si aggirò sul testo ma sulla glossa, la quale divenne -un ostacolo a intenderlo; ogni originalità rimase -tolta dal porre ognuno il piede sull’orme dell’altro. -</p> - -<p> -Cino da Pistoja scolaro di Dino <span class="sidenote">(-1337)</span>, cacciato dai Guelfi, -torna coi Ghibellini. Ammira i dialettici, pure sa emanciparsi -dalle triche di scuola, e pensare di sua testa; e -si fiancheggia cogli statuti de’ varj popoli e la pratica -de’ tribunali. Bartolo da Sassoferrato scolaro di lui, -maestro a Pisa e Perugia, ove morì in fresca età, superiore -in fama a tutti i giureconsulti, spiegato dalle -cattedre, tenuto in conto di legge nella Spagna, per -critica e metodo sta a gran distanza dagli antichi glossatori, -impacciato dai troppi commenti. -</p> - -<p> -Avanzandosi i tempi, ebbe grido Baldo da Perugia <span class="sidenote">(-1400)</span>, -che professò per cinquantasei anni, e versò nei pubblici -negozj. «Nella smania di distinzione (dice il Gravina) -egli non divide, ma sfrantuma il soggetto tanto, -che i frantumi ne van col vento; ma per quanto ciò -nuoccia all’interpretazione della legge romana come -codice positivo, fu utilissimo al giureconsulto pratico -per la moltiplicità dei casi che lo spirito suo fecondo -ritrovò; sicchè ben rado si dà di consultarlo senza -trovarvi una soluzione qual ch’ella sia». Luca di Penna -negli Abruzzi, autore del commento sui <i>Tres Libri</i>, -supera i contemporanei per metodo e stile, e ricorre -direttamente ai testi coll’indipendenza datagli dal non -essersi formato nelle scuole ma negli affari. I successivi, -più che nelle magistrature, presero pratica nei -consulti, fonte di rinomanza e di ricchezze. -</p> - -<p> -Come questi il diritto romano, altri studiarono il -feudale, di applicazioni ancora frequenti; e Oberto -dall’Orto e Gerardo del Negro, consoli milanesi, attorno -<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span> -al 1170 radunarono le costituzioni imperiali e le consuetudini -delle varie città, le sentenze in proposito e le -interpretazioni proprie e d’altri giuristi. Valore di -legge non ebbero mai, ma autorità perfino ne’ tribunali -pontifizj. Infiniti commenti e glosse ebbero da -Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo, Goffredo..., -e principalmente da Giovanni Colombino; -tutti superati dal napoletano Andrea d’Isernia, e più -tardi da Matteo degli Afflitti. Nel 1436 Antonio Mincuccio -di Pratovecchio bolognese avea ridotti i libri -feudali in miglior forma, e l’imperatore Federico III -li confermò, onde in Bologna erano letti pubblicamente. -L’illustre Cujacio con maggior critica ed eleganza, -e deponendo il disprezzo che i giuristi soleano -avere per ciò che non fosse romano, migliorò ed illustrò -quella raccolta, la quale si compie colle leggi feudali -pubblicate dal Barbarossa, che sono le più numerose e -precise, e da cui era stata proibita l’alienazione dei -feudi, ristabilite le regalie imperiali in Italia<a class="tag" id="tag318" href="#note318">[318]</a>. -</p> - -<p> -Contemporaneamente si compiva il diritto canonico. -Una raccolta autentica delle leggi ecclesiastiche emanate -dai concilij e dagli imperatori, disposta da Giovanni -Scolastico patriarca di Costantinopoli a mezzo il -secolo <span class="smcap lowercase">VI</span>, divenne legge della Chiesa d’Oriente. In Occidente, -dopo le collezioni che accennammo (t. <span class="smcap lowercase">V</span>, p. 472) -di Dionigi il piccolo e d’Isidoro, Reginone abate di -Pum, uscente il secolo <span class="smcap lowercase">IX</span>, ne fece una, poi Burcardo -<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span> -vescovo di Worms il <i>Magnum decretorum volumen</i>, -che da uno storpio del nome suo è chiamato <i>Brocardo</i>, -e passò ad indicare quistioni scabrose ed incerte. Ivone -di Chartres dispose metodicamente il <i>Decreto</i> in diciassette -libri; finchè Graziano di Chiusi benedettino, nella -<i>Concordantia canonum</i> o <i>Decretum</i> <span class="sidenote">(1151)</span>, compì sistematicamente -la giurisprudenza canonica. Eugenio III -dicono l’approvasse, e l’autore con Ranieri Bellapecora -pei primi professarono tale materia in Bologna. L’opera -sua comprende i canoni degli Apostoli, quelli di cencinque -concilj, le decretali de’ papi, non escludendo -quelle del falso Isidoro, e molti passi tratti da santi -padri, da libri pontificali, dal codice Teodosiano e da -altri. Autorevole nel canonico, come il codice Giustinianeo -nel diritto civile, il Decreto di Graziano trovò -moltissimi commentatori: lo sceverarne la mondaglia -doveva essere cura di secoli meglio veggenti<a class="tag" id="tag319" href="#note319">[319]</a>. -</p> - -<p> -Successive consultazioni diedero luogo a nuove decretali, -di cui una raccolta fece Bernardo Circa, vescovo -di Faenza poi di Pavia; una fu ordinata a Pier di Benevento -da Innocenzo III, ed approvata per pubblica -autorità; poi un’anonima dopo il 1215. Nessuna era -completa, e v’avea decreti incerti: pertanto Gregorio IX -incaricò Raimondo di Pegnafort barcellonese di raccorre -le decretali posteriori al 1150, ove finisce la -compilazione di Graziano; onde venne il secondo corpo -e principale del diritto canonico, cresciuto anch’esso -con successive aggiunte. -</p> - -<p> -Suprema efficacia ebbe lo studio del diritto, facendo -rivivere a pro de’ moderni l’esperienza degli antichi, -<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span> -disposta in un sistema di leggi, ove tutto ciò che essenzialmente -importa alla civile società era determinato -con sagacia, equità e precisione, ben superiore ai -tentativi de’ codici barbari. Introdotta la prova testimoniale, -lo spirito umano s’addestrò nell’indagare le -verità ed applicarle, risalì agli studj classici per meglio -chiarire il senso, e quel ragionare sodo e sopra i fatti -emendava l’inclinazione sofistica delle scuole. -</p> - -<p> -Ai baroni nè dottrina nè pazienza bastando, i leggisti -presero il luogo de’ feudatarj negli uffizj giuridici. Allettati -dalla costituzione romana, stabilirono essi una -scuola teorica e pratica di governo, cui primo canone -era l’unità e indivisibilità del potere sovrano, talchè -guardava come usurpazione le signorie feudali, come -non avvenuta l’occupazione dei Barbari, e indegne del -nome di leggi quelle emanate da loro: fatto meraviglioso -ed unico, che la legislazione morta d’un popolo -perito divenisse scienza politica e sociale per tutta Europa, -e che fin ad oggi i codici trovino appoggio, commento -o supplemento nelle decisioni di Papiniano e -nell’opinione de’ glossatori. -</p> - -<p> -Ben fa dolore che le nazioni nuove non abbiano pensato -estrarne quel solo che ad esse confacevasi, anzichè -adottare intero un cumulo di cose estranee ai costumi -e all’ordine sociale nuovo, e principj assoluti, e formole -materiali, e rigide conseguenze, non armonizzanti colla -società nuova nè coi costumi moderni e col cristianesimo. -Per vero, l’adottare è molto più facile che lo scegliere; -e la parzialità ghibellina aveva interesse a considerare -i Federichi come successori di Teodosio: onde -n’uscì una legislazione implicata, incoerente, ancora -oscura dopo infiniti commenti, e forse in grazia di questi. -</p> - -<p> -Ma nelle città libere i giuristi costituivano un corpo, -con impieghi d’onore ed alte cariche e singolare considerazione: -e persone elevate portavano nella giurisprudenza -<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span> -gran senso pratico e reale dignità. Il diritto -poi fu un grande miglioramento sì alla legislazione, sì -e più alla condizione dei vulghi. Rispetto all’ordine -delle successioni, ai matrimonj, ad altri punti legali, i -preti che ragione aveano di far leggi inique? Ne’ concilj, -composti di prelati d’ogni paese, specie di areopago -superiore alle convenienze feudali, e scevro di parzialità, -di rado i canoni si circoscriveano ad un paese; e -togliendo per base la morale anzichè la politica, servivasi -alla rettitudine universale. Le giurisdizioni signorili -riuscirono men vessatorie in mano di abati e vescovi -che di conti e baroni, perchè il prete era obbligato ad -alcune virtù, da cui il laico si tenea dispensato. La carità -e il perdono delle ingiurie, essenza della morale -cristiana, v’erano specialmente comandati in tempi di -guerra di tutti contro tutti. Più miti le pene; abolita la -croce e il bollare in faccia, per non deturpare l’immagine -di Dio; niuno sentenziato a morte, e spesso si -mandava il reo a far penitenza e migliorarsi ne’ chiostri. -La tortura, approvata dal divino Augusto<a class="tag" id="tag320" href="#note320">[320]</a> e conservata -lungo tempo fin dagl’Inglesi tanto adulti nella -libertà, era esclusa dal diritto canonico: e doveano -passar de’ secoli prima che la filosofia si facesse bella -di tali documenti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span> -</p> - -<p> -Il clero, alieno dalle armi, repudiava le prove del -duello o dell’ordalia<a class="tag" id="tag321" href="#note321">[321]</a>, e vi surrogava i testimonj, -e come prova sussidiaria il giuramento; più regolare -rendeva l’amministrazione della giustizia, e le vendite, -i prestiti, le ipoteche, giacchè richiamavasi al fôro -ecclesiastico ogni obbligo contratto con giuramento. -Innocenzo III e il IV concilio Lateranese istituirono il -processo scritto, prescrivendo che nel giudizio ordinario -e nello straordinario il giudice si faccia assistere -da un pubblico notajo, se è possibile; e due persone -sufficienti scrivano gli atti, cioè le citazioni, proroghe, -petizioni, eccezioni, testimonianze, e così via, il tutto -coll’indicazione de’ luoghi, de’ tempi, delle persone; e -ne dia copia alle parti, serbando l’originale per ogni -caso di dubbio<a class="tag" id="tag322" href="#note322">[322]</a>. Il diritto stesso ebbe determinato -il metodo delle citazioni e la sostanza della processura, -agevolate le riconvenzionali, tentate le vie di conciliazione, -negli appelli distinto l’effetto devolutivo dal sospensivo, -ai rimedj possessorj dato ampiezza e rigore. -</p> - -<p> -Mentre il diritto civile non lasciava star le donne in -giudizio senza consenso del marito, lo che impediva di -reclamare contro di questo, non così era de’ tribunali -<span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span> -ecclesiastici, davanti ai quali veniva contratta l’unione, -stipulata la dote, discusso della infedeltà, delle separazioni, -del divorzio. Le leggi che proteggeano i beni del -clero insegnavano esistere un’altra proprietà non derivata -dalla spada, con altre garanzie che la violenza; -garanzie che poi doveano diventare comuni. Altre inviolabilità -delle persone si conosceano dove l’ecclesiastico -era valutato a prezzo maggiore, non si potea -sfidarne i parenti, e l’offensore trovavasi a fare con una -intera società poderosa. L’asilo sottraeva il colpevole -alla vendetta subitanea, non già alla giustizia, a cui lo -restituiva se riconosciuto reo: l’escludere il duello obbligava -ad accettare la composizione de’ tribunali. -Laonde, mentre pareva intendere al solo interesse proprio, -la Chiesa operava per le nazioni, che un giorno -si assicurerebbero come diritti quei ch’essa introduceva -come privilegi<a class="tag" id="tag323" href="#note323">[323]</a>. -</p> - -<p> -Così miglioravasi il potere legislativo, passato dai -forti ne’ savj; più ne migliorava l’opinione: sicchè al -cristianesimo, dice Montesquieu, andiam debitori di un -certo diritto delle genti nella guerra, di cui la natura -umana non potrà mai essergli abbastanza riconoscente; -<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span> -il qual diritto fa tra noi che la vittoria lasci ai vinti la -vita, la libertà, le proprietà, le leggi, la religione. Dopo -di che, io mi confesso propenso a compatire ai compilatori -delle Decretali se non ebbero bastante critica -per discernere le false, e se credettero veramente che -il papa fosse superiore a tutti i vescovi, e potesse imporre -ai re d’esser giusti e di non opprimere d’imposte -i popoli. -</p> - -<p> -Intanto colla giurisprudenza la dottrina usciva dal -santuario, e lo scienziato non era soltanto <i>cherico</i> ma -anche dottore. Tutte quelle discussioni poi, miste di -teorica e di pratica, attestano un inaspettato movimento -intellettuale, che innovava la società non meno che lo -facesse lo sviluppo politico. Perocchè, quando una nazione -si sveglia, estende la sua attività sopra tutte le -parti, siano le politiche come le intellettuali e morali. -</p> - -<p> -Università chiamavasi già prima qualunque libera -unione; e quel nome presero anche gli scienziati in -associazioni libere che prevenivano l’azione de’ governi, -e che ciascuna amministrava i proprj affari. Qualche -scienziato di grido prendeva a leggere in una città; -accorrevano uditori, altri dotti ne profittavano per venirvi -a spacciare la propria dottrina, e così formavasi -una università. In tanta scarsezza di libri e d’istruzione -particolare non poteasi imparare che dalla viva voce, -onde non vi concorrevano ragazzi, ma uomini fatti e -già ragguardevoli; ed assumendo l’aria della società -civile, costituivansi a modo di Comuni, con onori e -<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span> -franchigie per gli studenti e i professori; e avvivate -dall’interesse che ispira la verbale comunicazione fra -questi e quelli, cogli studj indipendenti crescevano di -forza e dignità; e al modo de’ Comuni, cercavano privilegi -ai re e ai papi, il principale dei quali era di -poter conferire il dottorato. -</p> - -<p> -I professori, ai quali grande incitamento dava il trovarsi -esposti al guardo di tutta l’Europa letteraria, erano -rimunerati dagli scolari, nè l’università mantenevasi -che per la reputazione di quelli. Le città, vantaggiate -dal concorso degli studiosi, adoperavano a mantenere -quelle unioni; poi fecero gara di offrire grossi stipendj. -</p> - -<p> -E maestri e università erano dunque tutt’altra cosa -di queste moderne, fomite inutile di corruzione in una -gioventù che, mentre potrebbe dappertutto ritrovare e -libri e insegnanti, è raccolta a dissipare fra lo stravizzo -e il mal esempio il fiore dell’età, la freschezza de’ sentimenti, -i precetti morali bevuti al focolare paterno, e -far le prime prove del vizio, seguendo un corso uffiziale -sotto professori di cui non ha stima e fiducia, ma -che sono decretati da un governo che forse disama. -</p> - -<p> -L’importanza delle università fece favoleggiarne le -origini. Quella di Bologna si pretendea fondata da Teodosio -II nel 443; ma il primo privilegio, copiato da -quel di Giustiniano per Berito, le fu rilasciato in Roncaglia -da Federico Barbarossa, onde proteggere quei -che di fuori venissero a quello studio, esimerli da processo -per delitti o per debiti, e potessero scegliere la -particolare giurisdizione dei professori, per esercitare -la quale l’università eleggeva il rettore. Da principio vi -si studiò soltanto diritto, poi si aggiunsero arti liberali -e medicina; al fine Innocenzo VI v’unì scuola teologica -sul modello della parigina, sorta contemporaneamente, -e che avea vanto nella teologia scolastica e nella filosofia, -come Bologna nella giurisprudenza. Furono le -<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span> -due università più nominate nel medioevo: ma la bolognese -era composta degli scolari i quali sceglievano dei -capi, a’ quali dovevano rispondere anche i professori; -alla parigina non appartenevano che i professori, subordinati -restando i discepoli: sistemi derivanti dal -diverso Governo delle due città e dalla natura dell’insegnamento; -quella, repubblica e volta alle leggi; questa, -monarchia e teologica. -</p> - -<p> -A Bologna dunque i varj portici formavano distinte -università; e quella del diritto era divisa in due, degli -ultramontani con diciotto nazioni, dei citramontani con -diciassette<a class="tag" id="tag324" href="#note324">[324]</a>. Gli stranieri studenti di diritto (<i>advenæ -<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span> -forenses</i>) godeano piene prerogative civili; e convocati -dal rettore, cui annualmente giuravano obbedienza, -costituivano università propria, con voce nelle assemblee. -Ciascuna nazione faceasi rappresentare da uno o -due consiglieri, i quali, col rettore, costituivano il senato -per la disamina degli affari. Un sindaco annuo -rappresentava in giustizia le due università: un notaro -ne rogava gli atti, annuale anch’esso, come il massajo -e i due bidelli. Ogni anno pure eleggevasi un tassatore -dalla città ed uno dagli studenti, che fissassero il prezzo -degli alloggi: lo scolaro avea facoltà di rimanere tre -anni nella casa prescelta; e il padrone che esigesse di -<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span> -più, o a torto si querelasse del pigionale, o lo trattasse -men convenientemente, non potea più dare albergo ad -altri. -</p> - -<p> -I professori, all’atto della promozione, poi una volta -all’anno doveano giurare obbedienza al rettore e agli -statuti: potevano essere sospesi e multati, non portar -voto nelle adunanze, nè sostenere le cariche dell’università: -altrettanto era degli scolari natii di Bologna, -che non rimanevano sottratti dall’autorità municipale. -Il rettore, che doveva essere letterato, celibe, d’almeno -venticinque anni, di sufficienti sostanze, avere a proprie -spese studiato il diritto almeno cinque anni, e non appartenere -ad ordini religiosi, rinnovavasi annualmente -a voce del predecessore, de’ consiglieri e di alcuni -elettori scelti dalle università; e nelle funzioni aveva -il passo sopra vescovi ed arcivescovi, eccetto quel di -Bologna, ed anche sopra i cardinali secolari. Il titolo -di <i>magnifico</i> nacque nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span> -</p> - -<p> -Pertanto nella città di Bologna quattro distinte giurisdizioni -vegliavano: i magistrati ordinarj, la curia -vescovile, i professori, il rettore. Le frequenti collisioni -tra questi, l’irrequietudine degli studenti e le riotte -agitarono spesso la repubblica; qualche fiata gli scolari -tutti ritiraronsi in un’altra città, finchè non si consentisse -alle esorbitanti loro domande; qualche altra, dai -papi scomunicata o messa al bando dell’Impero, Bologna -vedeva migrare la dotta folla, a cui dovea vita e -ricchezze. Con grandi privilegi la città allettava gli -studiosi; esimeva i professori dal servigio militare, poi -da ogni tassa; rifaceva de’ furti sofferti, se il rubatore -non potesse. -</p> - -<p> -I dottorati doveano giurare non insegnerebbero altrove -che a Bologna; e morte e confisca era minacciata -ai cittadini che sviassero uno scolaro da quell’università, -e così a professori bolognesi maggiori di cinquant’anni, -o agli stranieri stipendiati che passassero ad altra -scuola prima che la condotta scadesse. L’università -toglieva in protezione gli artisti che a servizio di essa -lavoravano, come amanuensi, miniatori, legatori, i fanti -degli studenti, e alcuni banchieri privilegiati per dare -a prestanza agli scolari. Una bizzarra regola imponeva -agli Ebrei di pagare centoquattro libbre e mezzo ai -legali, e settanta agli studiosi delle arti per fare un festino -in carnevale. Alla prima neve che fioccasse, gli -studenti andavano alla busca, e di quel raccogliessero -faceano statue o ritratti ai più celebri professori. -</p> - -<p> -Dell’arcidiacono di Bologna era privilegio il laureare, -nè altro benefizio egli godeva che una parte delle propine. -Il dottorato conferivasi come grado dal collegio -de’ legali, e dava diritto d’insegnare e d’essere promosso: -sebbene ai posti supremi non s’elevassero che -natii bolognesi. Sei anni di studio si richiedevano per -passar dottore in diritto canonico, otto pel civile; giurato -<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span> -d’aver compito questo tempo, lo scolaro sosteneva -l’esame privato e il pubblico; e sopra due testi assegnati -disputava innanzi all’arcidiacono e al dottore che -lo presentava, libero essendo agli altri dottori d’objettare; -e tosto era ricevuto fra’ licenziati. L’esame pubblico -teneasi nella cattedrale in solenne pompa, ove il -licenziato recitava la disposta diceria, ed esponeva una -tesi di diritto, contro cui gli studenti potevano argomentare; -indi l’arcidiacono o un dottore pronunziava -l’encomio acclamandolo dottore, e gli si davano il -libro, l’anello, il berretto. Giuramento d’adempier bene -gli obblighi del dottorato non si prestava, sibbene alcuni -giuramenti particolari. -</p> - -<p> -Laureato che uno fosse, avea diritto d’insegnare non -solo a Bologna, ma in qualunque università costituita -per bolla papale. Ogni scolaro, dopo cinque anni di -studio, poteva insegnare, ma sopra un titolo solo; e -dopo sei, sopra un trattato intero, annuente il rettore: -questi chiamavansi baccellieri. Il corso durava dal 19 -o 28 novembre al 7 settembre; e ogni giovedì era vacanza, -qualora nella settimana non cadesse altra feria. -Le lezioni si facevano parte all’avemaria del mattino, -parte dopo le diciannove ore, tutte occupate nell’insegnamento -orale. I corsi distinguevansi in ordinarj e -straordinarj, secondo i libri. Testi ordinarj, pel diritto -romano il Digesto vecchio e il Codice, pel canonico il -Decreto e le Decretali: ogni altro libro era straordinario, -e i professori autorizzati a leggere su questi non -poteano insegnare sugli ordinarj. -</p> - -<p> -Nel 1260 vi si contarono fin diecimila scolari, con -gran lucro dei professori. Ai quali poi si assegnarono -pubblici stipendj; e nel 1384 ne troviamo a Bologna -diciannove pel diritto, aventi dai cinquanta ai trecento -fiorini di trentatre soldi. Quando furono tutti stipendiati, -il professorato si riguardò come pubblica funzione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span> -</p> - -<p> -Lo studio della giurisprudenza tardò ad introdursi -nelle università forestiere, di modo che il trionfo di -quella scienza fu sempre in Italia, e non per decreto o -favore de’ sovrani, ma per necessità dei tempi. Alle -città lombarde, libere, trafficanti, ricche, popolose, non -bastavano più le anguste transazioni dei codici germanici -e la scarsa cognizione del romano: dileguandosi il -diritto personale introdotto da Carlo Magno, s’abituavano -a considerare gran parte dei popoli d’Europa -come intimamente uniti sotto l’Impero, e fra le varietà -nazionali riconoscere alcun che di comune, l’Impero, -la Chiesa, la lingua latina. Ora, appena formatasi la -scuola bolognese, e diffuse le cognizioni coi consulti, -cogli scritti, con nuove scuole, anche il diritto romano -si considerò comune a tutta cristianità, il che lo ingrandiva -nel concetto de’ popoli. -</p> - -<p> -In Bologna primamente fu aggiunta agli altri studj -la grammatica, e Buoncompagno fiorentino, il quale -fu coronato d’alloro, vi lesse la sua <i>Forma literarum -scholasticarum</i>, metodo per iscrivere a principi e magistrati. -Era costume che, chi bramava professare -grammatica, mandasse innanzi un’epistola, stillante eleganza -ed erudizione, <i>picturato verborum fastu et -auctoritate philosophorum</i>; onde Buoncompagno, motteggiatore -superbo, ne finse una di siffatte, quasi venisse -da un professor nuovo, che chiamava a sfida lui stesso. -Ne tripudiarono gli emuli, levando a cielo la forbitezza -della lettera finta; poi al dì prefisso si raccolsero affollati -nella metropolitana: ma Buoncompagno sopragiunto -manifestò la burla e mandò scornati i rivali, mentre gli -amici portarono lui a casa in trionfo. -</p> - -<p> -Sturbati dai tumulti civili di Bologna, alcuni scolari -trapiantarono a Padova la scuola di diritto (1222), -divenuta poi nucleo di quell’università, con statuti modellati -sui bolognesi: se non che nella comunanza -<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span> -entravano studenti, professori ed impiegati; e i maestri -erano eletti dagli scolari. Nessun suddito veneto saliva -ad alte magistrature, che non avesse studiato in quella -università, la sovraintendenza della quale era affidata -a tre senatori. Un’altra volta quegli scolari aveano -trasferita l’università a Vicenza (1264), ove durò sette -anni. Un’altra (1316) si mutarono a Siena, che offrì -seimila fiorini per riscattare i libri da essi lasciati in -pegno: ma quella scuola fu presto chiusa, indi ripristinata -da Carlo IV nel 1357; la facoltà teologica vi fu -aggiunta nel 1408 da Gregorio XII. L’università di Perugia -nacque il 1276: della parmense (1221) è memoria -in Donnizone<a class="tag" id="tag325" href="#note325">[325]</a>. Il Comune di Vercelli nel -1228 ne aperse una per teologia, diritto civile e canonico, -scienze mediche, dialettica, grammatica, divisa in -quattro nazioni, una di Francia, Normandia, Inghilterra, -una d’Italiani, la terza di Teutonici, l’ultima di -Provenzali, Spagnuoli, Catalani; i rettori si obbligavano -a condurre molti scolari, e principalmente trarvene da -Padova, non allearsi alle fazioni del paese; e il Comune -prometteva allestire cinquecento camere agli scolari, -buon mercato di vettovaglie, pubblica tranquillità, non -lasciarli inquietare per debiti o per rappresaglia, stipendiare -a detta di due scolari e due cittadini i maestri -che sarebbero eletti dal rettore. -</p> - -<p> -Fin dal <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo Pisa avea professori di diritto, -ma lo studio generale soltanto nel 1444 vi fu trasferito -da Firenze, quasi a ristoro della rapitale libertà, assegnandole -annui seimila fiorini d’oro sul tesoro, e cinquemila -ottenendone dal papa per dispensa di benefizj, -<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span> -onde lautamente provvedere ai professori<a class="tag" id="tag326" href="#note326">[326]</a>. È anteriore -a Federico II la scuola di Ferrara, da Bonifazio IX -nel 1391 privilegiata come studio generale. La -romana, posta da Innocenzo IV, fu colla santa Sede -trasferita in Avignone, e Giovanni XXII la autorizzò a -conferire i gradi. Federico II istituì le scuole di Napoli -nel 1224; sebbene non permettesse di formare l’università -di scolari e professori, largheggiò di privilegi -cogli studenti; ma non potè mai levarle a quel fiore -che ottenevano le scuole fondate dal libero concorso e -dalla fiducia degli studiosi. -</p> - -<p> -Altre n’ebbe Italia in que’ secoli e ne’ seguenti, massime -di diritto, a Piacenza (1243), a Modena (1189), a -Reggio (1188). Da Carlo IV nel 1360 fu privilegiata -quella di Pavia, e Galeazzo Visconti proibì a’ suoi sudditi -di studiare altrove, e largamente rimunerò i professori<a class="tag" id="tag327" href="#note327">[327]</a>. -Quella di Torino fu riconosciuta dal papa -solo nel 1405, e sei anni dappoi dall’imperatore: cancelliere -n’era il vescovo. All’università di Parigi, famosa -per teologia, Alessandro III spedì molti giovani ecclesiastici; -molti Venezia di quelli che doveano poi salire -ai primi onori. -</p> - -<p> -Resta che diciamo dell’altro studio universitario, la -medicina. V’aveano rinomanza gli Arabi, che tradussero -e commentarono gli autori greci, e tramandarono -a noi varj medicamenti ed elixir. Anche gli Ebrei erano -medici e chirurghi reputati, e ne’ libri talmudici si trovano -<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span> -idee molto avanzate intorno all’anatomia. Fra’ Cristiani, -questo, come ogni altro sapere, venne a ridursi -in mano di ecclesiastici e principalmente di monaci, -sebbene a questi dai canoni fossero vietate le operazioni -con fuoco e ferri taglienti; e san Benedetto a’ suoi -di Montecassino e Salerno impose la cura de’ malati. -Costantino Africano filosofo, visitate per quarant’anni -le scuole arabe a Bagdad, in Egitto, nell’India, di ritorno -corse rischio d’essere ucciso per mago <span class="sidenote">(1070 ?)</span>; onde rifuggì -a Salerno, e divenne secretario di Roberto Guiscardo; -poi nauseato dal fragor cortigiano, si ritirò a -Montecassino, traducendo i medici orientali. Ne crebbe -rinomanza alla scuola salernitana, e v’affluivano malati, -alla cui guarigione contribuivano la salubre posizione -e le reliquie di san Matteo, santa Tecla e santa Susanna. -Venuto Enrico II a farsi estrarre la pietra, san Benedetto -durante il sonno compieva l’operazione, ponevagli -la pietra in mano, e cicatrizzava la ferita<a class="tag" id="tag328" href="#note328">[328]</a>. -Nel secolo seguente, sotto la direzione di Giovan da -Milano vi si scrissero certi canoni d’igiene in versi leonini, -divulgati proverbialmente<a class="tag" id="tag329" href="#note329">[329]</a> e tradotti in tutte -le lingue. Poco dopo il Mille, Garisponto medico di Salerno -pubblicò il <i>Passionarius Galeni</i>, rimedj contro -<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span> -ogni sorta malattie, tratti principalmente da Teodoro -Prisciano: nè meglio vale Cofone, che pubblicò una -terapeutica generale (<i>Ars medendi</i>) secondo Ippocrate, -Galeno e gli Arabi, dove è a scorgere la prima indicazione -del sistema linfatico. Romualdo vescovo di -Salerno fu consultato dai due Guglielmi di Sicilia e dal -papa. L’<i>Erbario</i> della scuola salernitana, compilato -certamente prima del secolo <span class="smcap lowercase">XII</span>, si diffuse per tutta -Europa. -</p> - -<p> -Questa scuola fu la prima in Occidente ad introdurre -i diversi gradi accademici, imitandoli dagli Arabi. -Dappoi Federico II ordinò, nessuno esercitasse medicina -se non licenziato da essa, e provato di nascere -legittimo, aver compito ventun anno, studiato logica -tre anni, poi cinque l’arte, e la chirurgia <i>che ne forma -piccola parte</i>, e spiegato l’<i>Arte</i> di Galeno, il primo -libro d’Avicenna, o un passo degli <i>Aforismi</i> d’Ippocrate, -ed aver fatto pratica sotto un esperto. Il candidato -giurava attenersi alle cure consuete, denunziare il -farmacista che adulterasse i medicamenti, e trattare i -poveri senza mercede. Dai chirurghi chiedeasi un anno -di studio a Salerno e Napoli, poi un esame. Da poi si -prescrissero cento minuzie; il medico visiti due volte -al giorno i malati che dimorano entro la città, e che -possono anche chiamarlo una volta la notte: il compenso -era di mezzo tarì per giorno, e fino a tre se il -malato abitasse fuori. Così per le farmacie era assegnata -la tariffa, e dove piantarle, e gelose precauzioni. -</p> - -<p> -Allettavansi i medici con privilegi, esentarli da taglie, -provvederli d’uno o due cavalli; e Ugo di Lucca s’obbligò -servire gratuitamente a quei del contado bolognese -nelle malattie ordinarie; ma per ferita grave, -osso rotto o slogato, possa da gente mezzana esigere un -carro di legna, dai ricchi soldi venti e un carro di -fieno, nulla dai poveri; accompagni l’esercito in campo, -<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span> -ed in compenso tocchi lire seicento bolognesi. Fu dei -primi a curar le ferite con solo vino<a class="tag" id="tag330" href="#note330">[330]</a>, e seguì i -suoi concittadini in Terrasanta nel 1218. -</p> - -<p> -Quell’abitare a troppi insieme, il vestire di lana, i -pellegrinaggi, le nessune cautele sanitarie, agevolavano -la propagazione de’ mali, e la peste può dirsi non cessasse -mai; ne’ tempi più infetti vedeansi a folla trarre -i pellegrini a perdonanze e giubilei; e tardi si pensò a -contumacie ed altri provvedimenti contro il contagio; -nel che il Comune di Milano diede forse il primo esempio. -Dal Levante vennero pure malattie nuove, di cui -la più durevole e funesta fu il vajuolo, che sembra arrivasse -cogli Arabi al primo loro sbucare dalla penisola -natìa. Coi Crociati credesi qui venuto il fuoco -sacro, a curare il quale si dedicarono i frati di Sant’Antonio. -Anche il ballo di san Vito comparve dopo il -Mille, come nella Puglia la tarantella. Più spesso la -lebbra serpeggiò sotto forme orride e schifose: prurito -alle mani, atroci spasimi interni; poi la pelle facevasi -squamosa, e chiazzata di macchie livide, rosse e fin -nere, infine scabra quasi scorza d’alberi; allora si copriva -d’ulceri rossastre e tumori cancerosi; dita, mani, -piedi tumefacevansi sformatamente; le carni cadeano a -brani, restandone miserabilmente segnata la via dove -molti fossero passati: il viso prendeva un ringhio ributtante, -i peli cadeano, rauca la voce; il male invadeva -il tessuto mucoso, membrane, glandule, muscoli, cartilagini, -ossa: fiera melanconia occupava l’infermo, che -vedeva a passi lentissimi avvicinarsi l’inevitabile risolvimento -del morbo. -</p> - -<p> -Sotto i Longobardi i lebbrosi cacciavansi di città, e -non poteano vendere od alienare i proprj averi, affiggendovi -l’idea d’un particolare castigo di Dio, secondo -<span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span> -qualche passo della Bibbia, della quale vi si applicarono -le precauzioni. Gli statuti d’ogni Comune provvedono -sullo scoprirli ed isolarli: la Chiesa stessa, che parea -maledirli, veniva a disacerbare le miserie, e a volgerle -in espiazione colle cerimonie miste di tristezza e di -speranza, onde li staccava dalla società. Celebrato in -presenza dell’infermo l’uffizio da morto, esortava ad -essere buon cristiano e confidare nella carità dei fratelli, -da cui corporalmente era sequestrato; gli si vietava -d’accostarsi all’abitazione dei viventi, di lavarsi in -rivo o in fontana, d’andare per istrade anguste, di toccar -bambini o la fune dei pozzi, nè bevere che dalla -sua scodella; poi benedetti gli utensili che doveano -servirgli nella solitudine, fattagli limosina da ciascun -assistente, il clero accompagnato dai fedeli lo conduceva -alla capanna destinatagli, davanti a cui piantata -una croce di legno, vi sospendeva un bossolo per ricevere -la limosina de’ passeggeri. Un abito particolare -distingueva quell’infelice, e guanti e certi battagliuoli -ch’e’ dovea sonare invece di parlare. A Pasqua poteva -uscire dall’anticipato sepolcro, e per alcuni giorni entrar -nella città o nei villaggi, partecipe all’universale esultanza -della cristianità. Le mogli poteano seguirli, e -procacciare le consolazioni della famiglia. Quelle poi -della carità erano pari al male: il concilio Lateranese III, -disapprovando il rigore con cui alcuno li -trattava, dichiarò la Chiesa esser madre comune dei -Fedeli; i lebbrosi poter essere più meritevoli che i sani; -perciò si facesser loro e chiesa e cimitero distinti, e un -prete a cura delle loro anime, e dispensati dal dare la -decima degli orti e del bestiame. A loro pro moltiplicavansi -i lazzaretti, così denominati (ed essi lazzari) dal -povero del vangelo. L’arcivescovo di Milano alla domenica -delle palme, andando in processione a San Lorenzo, -al Carrobbio lavava e vestiva di nuovo un lebbroso; -<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span> -per ispeciale loro sollievo fu istituito l’ordine di san -Lazzaro, il cui granmaestro doveva essere lebbroso, -acciocchè meglio sapesse consolare mali che avea provati: -stupendo sforzo della cavalleria cristiana il nobilitare -in certo modo la più stomachevole delle malattie. -</p> - -<p> -Caterina da Siena curando e sepellendo una lebbrosa, -ne contrasse l’infermità; ma di subito le mani sue divennero -bianche e liscie come d’un bambino. Francesco -d’Assisi, trovatone uno in val di Spoleto, l’abbracciò e -baciò nella bocca cancerosa, e così l’ebbe guarito: vedendone -un altro nel piano d’Assisi, s’accostò a fargli -limosina; e ad un tratto più nol vide, sicchè restò persuaso -fosse nostro Signore, che spesso assumeva quella -schifosa sembianza per mettere a prova la carità. E -però Francesco raccomandava a’ suoi frati i lebbrosi, e -congedava i novizj che non sapessero sostenerne la cura. -Uno che per l’impazienza e per le bestemmie era insoffribile -a’ frati, tolse Francesco a curarlo egli stesso, -e l’imbonì, e lavò, e «dove toccava il santo colle sue -mani, si partiva la lebbra dall’infermo, e rimaneva la -sua carne perfettamente sana; sì che mentre il corpo si -mondava di fuori dalla lebbra, l’anima si mondava dal -peccato dentro per la contrizione». Dopo rigorose -penitenze il lebbroso morì, e comparve a Francesco e gli -disse: — Mi riconosci tu? io son quel lebbroso che fu -sanato da Cristo per li tuoi meriti, e oggi me ne vado -alla gloria eterna; di che rendo grazie a Dio e a te, perocchè -per te molte anime si salveranno quaggiù»<a class="tag" id="tag331" href="#note331">[331]</a>. -</p> - -<p> -Nelle spedizioni in Asia i nostri poterono profittare -della sperienza degli Arabi, e di fatto allora si conobbero -la cassia e la senna: la teriaca, polifarmaco fondamentale -del medioevo, fu da Antiochia portata a -Venezia, che lungamente ne custodì il secreto. Ruggero -<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span> -di Parma raccomandò la spugna marina per le scrofole, -ed eccellenti pratiche chirurgiche. Rolando di Parma -stese un trattato di chirurgia, commentato poi da quattro -Salernitani. Guglielmo da Saliceto piacentino, uno -de’ migliori di quell’età e abbastanza indipendente, stese -con qualche esattezza un’anatomia compendiosa, precedette -Willis nel distinguere i nervi addetti alla volontà -o no, e descrive fin d’allora la sifilide. -</p> - -<p> -Lanfranco di Milano, spatriato quando più non potè -opporsi a Matteo Visconti, rizzò cattedra a Parigi <span class="sidenote">(1295)</span>, e -trasse tanti ascoltatori, che celeberrima divenne la scuola -dei chirurghi secolari. Sebbene il chirurgo si tenesse -molto inferiore ai medici, che perciò non si sarebbero -prestati alle operazioni, preferendo usare farmachi, -Lanfranco operò spesso, ed è lodevole quel suo dare -l’anatomia dell’organo di cui descrive le lesioni. -</p> - -<p> -Teodorico vescovo di Bitonto osservò da sè, e sostituì -le fasciature di tela ai grandi apparecchi di legno nella -frattura di ossa. Taddeo d’Alderotto fiorentino, filosoficamente -illustrando Ippocrate e Galeno, acquistò tanta -reputazione nella sua scienza quanto Accursio nella -legale: eppure delira qualvolta pretende rivelare i segreti -delle arti, nascosti sotto il gergo degli autori. Chiamato -ad assistere il nobile Gherardo Rangone <span class="sidenote">(1285)</span>, volle -che, per istromento rogato, i tre procuratori di quello -il garantissero d’ogni danno in viaggio, e che lo ricondurrebbero -in Bologna indenne della persona e della -borsa, non molestato da ladri o da nemici, non fermato -contro voglia a Modena; in caso contrario, gli si -pagherebbero lire mille imperiali per ciascuno degli -articoli violati; essi poi gli restituiranno tremila lire -bolognesi, che confessano aver ricevuto in deposito: -finzione che vela una remunerazione esorbitante<a class="tag" id="tag332" href="#note332">[332]</a>. -<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span> -Al papa domandò cento ducati d’oro il giorno, perchè -più ricco degli altri, i quali gliene davano cinquanta; -onde, finita la cura, ne toccò diecimila. Bartolomeo da -Varignana dal marchese d’Este ebbe per una cura ducensessanta -fiorini d’oro. -</p> - -<p> -Simon di Cordo genovese, medico di Nicolò IV, nella -<i>Clavis sanationis</i>, dizionario de’ medicamenti semplici, -cercò sbrogliare la varietà di nomenclatura. Viaggiò -trent’anni per scientifico intento la Grecia e l’Oriente, -ma invece di determinare i corpi secondo la natura -loro, si stava a qualità medicinali, e non desunte da -sperienza ma da supposte doti elementari. E appunto i -progressi delle scienze naturali erano impacciati dall’empirismo -superstizioso, dalla cieca venerazione per -l’autorità, e dal farnetico di sostituire la dialettica allo -sperimento, aggomitolando interminabili argomentazioni -sopra oziosissime ricerche. Per esempio, chiedevasi -se la tal bevanda possa guarire la febbre, e rispondeasi -di no, perchè quella è una sostanza e questa un -<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span> -accidente, nè quindi l’uno può sull’altro. Poco si studiava -l’anatomia: le operazioni non si eseguivano senza -consultare le stelle, supponendo intimo nesso fra il -corpo umano e l’universo, e principalmente i pianeti: -e le scienze sperimentali cedevano il primo posto alle -occulte. -</p> - -<p> -Oggetto di queste era conoscere l’avvenire, scoprir -tesori, trasmutare i metalli, fare amuleti e incantagioni, -e comporre il rimedio universale e l’elisir dell’immortalità: -a scopi così elevati qual fatica aveva a -parere soverchia? Sull’avvenire cavavansi presagi da -segni fortuiti, dalle linee della mano, dalle stelle, dai -sogni, della cui divinazione come dubitare dopo quel -che Ippocrate n’aveva scritto? e indovinavasi in fatti -alcuna volta, perchè è difficile non riuscirvi quando si -dice un po’ di tutto e vagamente. -</p> - -<p> -L’astrologia, pazza figlia di savia madre, si trova all’infanzia -come alla decrepitezza della società, fra i dotti -Romani come fra semplici Oceanici. L’uomo è centro -e scopo della creazione, onde a lui si riferisce ogni -cosa; e se (com’è certo) il sole e le altre stelle influiscono -sulle stagioni, sulla vegetazione, sugli animali, -quanto più non devono sull’uomo, prediletta fra le -creature? Le storie (dicono gli astrologi) e il consenso -de’ filosofi antichi s’accordano nel riconoscere un’analogia -fra gli anni della vita e i gradi percorsi da ciascun -segno sull’eclittica. Per iscoprirla, vuolsi accertare -l’effetto degli astri sopra le varie cose naturali, e -i computi de’ moti, e certe formole arcane, mediante le -quali o crescere le forze della natura, o determinare -l’influsso dei pianeti, massime all’istante natalizio, od -evocare gli spiriti e i morti. Il sapiente che conosca le -occulte proprietà delle cose, non solo indovinerà l’avvenire, -ma opererà su di esso, eccitando odio od amore, -scoprendo i secreti divisamenti, i tesori occulti, i rimedj -<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span> -ai mali, e fin il supremo della scienza, l’arte di far oro. -</p> - -<p> -I fenomeni della natura sono invigoriti dai numeri, -attesochè secondo questi è disposto l’universo, e possedono -arcana efficacia. Di qui la cabala, che da combinazione -di numeri credea divinar le cose arcane, ed -acquistare autorità sopra gli spiriti: e ogni astrologo -ed alchimista si millantava di qualche demone famigliare -obbediente a’ suoi cenni. Così intralciavansi fra -sè gli errori, dalla pagana superstizione tramandatici -attraverso alle scuole neoplatoniche e al gnosticismo. -</p> - -<p> -Fu l’astrologia onorata di cattedre, e l’università di -Bologna ne decretava un professore <i>tamquam necessarissimum</i>, -e principi e repubbliche ne teneano uno -da consultare ne’ più gravi casi. Ezelino, Buoso da -Dovara, Uberto Pelavicino, tiranni formidabili, tremavano -davanti alle potenze incognite, e i calcoli della -prudenza e dell’ambizione sottoponevano alla decisione -degli astri e dei loro interpreti; e nella Vaticana si conservano -le risposte che ai loro consulti dava Gherardo -da Sabbionetta cremonese. Federico II voleasi attorno -il fior degli astrologi, a senno loro mutando divisamenti<a class="tag" id="tag333" href="#note333">[333]</a>; -e quando nel 1239 udì la ribellione di -Treviso, fece dalla torre di Padova osservare l’ascendente -<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span> -da maestro Teodoro; ma non avvertì (riflette -Rolandino) che allora nella terza casa stava lo scorpione, -il quale avendo il veleno nella coda, indicava -che l’esercito sarebbe offeso verso il fine. Stando in -Vicenza, volle che un astrologo gl’indovinasse per qual -porta uscirebbe il domani; e quegli la scrisse in un polizzino, -che suggellato consegnò a Federico perchè non -l’aprisse se non uscito. L’imperatore fece una breccia -nella mura, e per quella se n’andò; allora, aperto il -foglietto, trovò scritto: <i>Per porta nuova</i>. -</p> - -<p> -Il suddetto Gherardo andò a Toledo per leggere -l’<i>Almagesto</i> di Tolomeo, e lo voltò in latino, come il -trattato de’ crepuscoli di Al-Gazen e altre opere; inventò -lo specillo, e la sua <i>Theoria planetarum</i> leggevasi -nelle università<a class="tag" id="tag334" href="#note334">[334]</a>. Andalon Di Negro genovese, -<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span> -arricchitosi di cognizioni nei viaggi, ci lasciò un trattato -latino della composizione dell’astrolabio. -</p> - -<p> -Guido Bonatto da Forlì diede la quintessenza di -<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span> -quanto gli Arabi n’aveano scritto<a class="tag" id="tag335" href="#note335">[335]</a>, e coll’ajuto di -Dio e di san Valeriano, patrono della sua patria, discorre -l’utilità dell’astrologia, la natura de’ pianeti e -<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span> -loro congiunzioni ed influenze, i giudizj che se ne deducono, -e varie questioni che si possono risolvere con -questa scienza. Mirabile nella pratica di quest’impostura, -a Federico II scoperse una congiura ordita a Grosseto; -fabbricò una statua che rispondeva oracoli; dirigeva -ogni operazione di Guido da Montefeltro; e allorchè -questi uscisse a campo, il Bonatto saliva sul campanile -di San Mercuriale, e con un tocco della squilla accennava -il momento di vestir l’armadura, con un altro -quel di montare a cavallo, col terzo la marciata. Pretendeva -che Gesù Cristo medesimo si valesse dell’astrologia, -e imbizzarrisse contro i <i>tunicati</i> che si opponevano -alle sue predizioni. -</p> - -<p> -Pietro d’Abano, educato a Costantinopoli <span class="sidenote">(1316)</span>, fu sì fortunato -da cogliere la postura degli astri, designata da -Abul-Nasar come quella in cui Dio non può rifiutare -domanda che gli sia fatta: e ne profittò per chiedere -la sapienza, e subito restò illuminato a conoscere l’avvenire. -Moltissime fole si accumularono sul conto di -lui; delle sette arti liberali acquistò cognizione per -mezzo di sette spiriti; avea facoltà di far tornare i denari -dopo spesi; non avendo pozzo in casa, fe portarsi -quel del vicino che gliene negava l’uso, o, come altri -disse, fe portare in istrada il proprio onde non essere -disturbato dagli accorrenti. In realtà nel suo <i>Conciliator -differentiarum</i>, un de’ migliori libri medici d’allora, -insegna il salasso non esser mai sì opportuno come nel -primo quarto della luna; che per guarire i dolori nefritici -bisogna, al momento che il sole passa pel meridiano, -disegnare con cuore di leone sopra una lastra -d’oro una figura di quest’animale, e appenderla al -collo del malato; che per cauterizzare valgono meglio -stromenti d’oro che di ferro, attesa la grande influenza -di Marte sulla chirurgia. -</p> - -<p> -Fu professore a Padova ed a Parigi, ove lo accusarono -<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span> -di magia per cure mediche ben riuscitegli; poi -d’eresia a Roma, ma per autorità pontifizia andò assolto. -Riferì al corso degli astri i periodi delle febbri; -il pubblico palazzo di Padova fece dipingere a costellazioni; -e dell’astrologia era persuaso a tal punto, che -procurò indurre i Padovani a spianar la loro città per -rifabbricarla sotto una combinazione di pianeti allora -comparsa, tanto fortunata che niuna più. Forse queste -son ciancie di Pier da Reggio, che, vinto da lui in dottrina, -tentò perderlo nell’opinione; onde con accuse -contraddittorie Pietro d’Abano fu imputato da una parte -di non credere al diavolo, dall’altra di tenerne sette in -un’ampolla ad ogni suo cenno; per le quali accuse e -per altre più serie l’Inquisizione lo processò. Venuto a -morte, disse agli amici: — A tre nobili scienze io ho -dato opera, delle quali una m’ha fatto sottile, una ricco, -la terza menzognero; filosofia, medicina, astrologia». -Nel testamento si protesta buon cattolico, e aveva implorato -d’essere sepolto ne’ Domenicani; ma l’Inquisizione -gli continuò il processo, e ne turbò le ossa. L’illustre -medico Gentile da Foligno, entrando nella scuola -di lui, s’inginocchiò, e levate le mani sclamò: — Ave, -santo tempio»; poi, visti alcuni suoi manoscritti, se li -pose sul seno e li baciava con riverenza<a class="tag" id="tag336" href="#note336">[336]</a>. -</p> - -<p> -Sebbene la Chiesa vi si opponesse, vescovi e prelati -non rimasero incontaminati da queste follie, che durarono -ben oltre i tempi che descriviamo. Conseguente a -tali falsità fu il ripigliare le classiche credenze in folletti, -spettri, fantasmi, vampiri; credenze fatte energiche -come i tempi, e che acquistarono maggior fede allorchè -si videro perseguitate con regolari processi: l’immaginativa -fingeva avvenimenti ch’essa medesima credea -poi veri; e uomini di bollente fantasia si isolavano, dispettando -<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span> -il mondo reale per uno fantastico, e mescolando -l’impostura, l’allucinamento e il fanatismo. La -legislazione dovette intervenire a reprimere gente che -destava le procelle, mutava le forme de’ corpi e degli -uomini, produceva malattie; e gli assurdi processi traviarono -gran tempo la giustizia, siccome avremo a deplorare -nel secolo che chiamano d’oro. -</p> - -<p> -Non alle vite, ma alle sostanze recò danni la ricerca -del come improvvisamente arricchire. A ciò due strade -offerivano le scienze occulte; trovare tesori, e tramutare -i metalli. Intorno ai tesori, stupendi fatti raccontano -le cronache, e gli assegnano perfino ad Alberto -Magno e a papa Silvestro II<a class="tag" id="tag337" href="#note337">[337]</a>. In Apulia era una -statua di marmo con una corona d’oro iscritta: <i>A calen -di maggio, sole nascente, ho il capo d’oro</i>. Nessuno -intese il motto, sinchè Roberto Guiscardo ne strappò il -secreto ad un prigioniero saracino; e fissato ove cadeva -l’ombra della testa al primo maggio, trovò tesoro. -</p> - -<p> -La chimica degli antichi teneva che i corpi risultino -dalla combinazione de’ quattro elementi, e che l’armonia -di questi produca la perfezione nei corpi. Chi -dunque scopra le migliori combinazioni, potrà non solo -ridonar la sanità e prolungare indefinitamente la vita, -ma anche trasformare corpi e metalli. Sentimento -<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span> -sublime, comunque erroneo, della potenza dell’uomo e -della perfettibilità di tutto il creato. E poichè l’uomo -vede nell’oro il rappresentante universale dei godimenti, -la scienza s’industriò in ispecial modo a tramutare in -esso lo stagno e il mercurio, mediante la <i>pietra filosofale</i> -e la <i>polvere di projezione</i>; e non riuscendovi coi -mezzi semplici, ricorse allo spirito universale, all’anima -generale del mondo, all’influsso delle stelle per raggiungere -l’<i>opera grande</i>. Di qui la scienza arcana e -tenebrosa dell’alchimia, che tanti spiriti occupò. -</p> - -<p> -Le sue ricette erano positive: se non che spiegavasi -l’arcano con termini non meno arcani. Volete, intonavano, -fare l’elisir de’ sapienti? prendete il mercurio dei -filosofi, trasformatelo successivamente colla calcinazione -in leon verde e leon rosso, fatelo digerire in bagno di -sabbia con spirto acre di vite, e distillate il prodotto; -ma il lambicco sia coperto dalle ombre cimerie, e al -fondo si troverà un drago nero che mangia la propria -coda... Inoltre la scienza ermetica ajutavasi della verga -di Mosè, del sasso di Sisifo, del vello di Giasone, del -vaso di Pandora, del femore aureo di Pitagora; se nulla -profittassero, ricorrevasi al diavolo barbuto, specialmente -incaricato di tali ministeri. -</p> - -<p> -A questo delirio di classica origine<a class="tag" id="tag338" href="#note338">[338]</a>, continuato -<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span> -ancora secoli e secoli, alcuni si prestavano di buona -fede; e la testimonianza altrui o le apparenze illusorie -li persuasero potersi trovare questa polvere di projezione: -onde vi si affaticarono con passione, faceano -lunghi viaggi massime al Sinai, all’Oreb, all’Atos. Più -spesso era un lacciuolo ai creduli, per trarne l’oro necessario -a far oro; ma a Giovanni Augurello, che gli -presentò un poema sull’arte di far l’oro (<i>Crisopeia</i>), -papa Leone X diè per unico regalo una borsa vuota, -nella quale potesse riporlo. -</p> - -<p> -Facile è il deridere le ignoranze o stranezze de’ nostri -maggiori, massime a chi perda di vista quelle che -in noi derideranno i nostri nipoti. La scienza seria -anche in questi traviamenti indaga i progressi dell’intelletto -e della società, e riconosce nell’errore un aspetto -<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span> -fallace della verità, ma nuovo e progressivo. Il disputare -nelle università al cospetto di tutto il mondo erudito -d’allora, e fra una gioventù che vivamente parteggiava, -conduceva a ricorrere a sottigliezze, quando -la pessima sventura per un dottore sarebbe stata il rimanere -accalappiato in un’argomentazione da cui non -sapesse strigarsi: onde i dibattimenti diventavano non -uno sforzo verso la verità, ma un’arena di capiglie; e -la filosofia, come già la teologia, ebbe martiri ostinati -d’indicifrabili enigmi. Pure se sbriciolavasi il pensiero, -veniva anche analizzato; acuivasi il raziocinio, che -dell’errore e della verità è veicolo, non mai causa; in -quella ginnastica gl’intelletti si foggiavano allo stretto -ragionamento, all’ordine ed all’economia delle idee, alla -costanza del metodo, e si poterono svolgere i concetti -morali e metafisici di cui la Scolastica avea posto i -germi, conservandone il fondo, cangiando la forma. -Della Scolastica è merito l’andamento analitico delle -moderne favelle, che per la stretta relazione delle parole -colle cose svelano il logico procedere della ragione -odierna, dovuto a quella comunque malaccorta educazione. -L’astrologia e l’alchimia portarono a meditare -sopra il sistema del mondo e la composizione dei corpi. -</p> - -<p> -Nè le matematiche, la parte più rilevante dello scibile -dopo la lingua, erano perite, e basterebbero ad -attestarlo i progressi della meccanica e dell’architettura. -Resta nella cattedrale di Firenze un calendario scritto -nell’813, con bellissime traccie d’osservazioni celesti, -per le quali l’autore si era accorto dello spostamento -de’ punti equinoziali dopo il concilio Niceno I, stando -al computo giuliano. D’un geografo di Ravenna abbiamo -una rozza descrizione del mondo, cui può servire -di schiarimento una mappa del 787 che sta nella biblioteca -di Torino in un commento manoscritto dell’Apocalisse. -La geografia dovea vantaggiarsi dai tanti viaggi -<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span> -di devozione, per guida dei quali stendevansi itinerarj; -ma come scienza ben poco progredì. -</p> - -<p> -San Tommaso intendeva addentro nelle matematiche, -e scrisse degli acquedotti e delle macchine idrauliche. -Campano novarese commentò Euclide, studiò -alla quadratura del circolo e alla teorica de’ pianeti, e -indicò la genesi de’ poligoni stellati: Urbano IV lo teneva -frequente alla sua tavola con altri, da cui godeva -sentire spiegate le quistioni che proponesse. Paolo Dagomeri -da Prato, detto l’Abbaco per la sua perizia -nell’aritmetica e nella geometria, rappresentava in macchine -tutti i moti degli astri: fu il primo a pubblicare -un almanacco. Biagio Pelacani da Parma spiegò le apparenze -prodigiose dell’atmosfera mediante la riflessione -delle nubi. -</p> - -<p> -Di que’ tempi, e merito degli Italiani fu una comodissima -novità. Mentre gli antichi, siano i classici, siano -gli Ebrei e gli Arabi, notavano i numeri con lettere, -gl’Indiani possedevano una numerazione più ragionata, -ove le cifre, oltre il proprio, hanno un valore di posizione, -sicchè trasportate al penultimo posto esprimono -le decine, al terz’ultimo le centinaja, e così via: da essi -l’appresero gli Arabi, e alcun Europeo se ne valse in -opere scientifiche. Leonardo Fibonacci di Pisa, stando -impiegato nelle dogane a Bugia di Barberia, cercò -quanto d’aritmetica sapeasi in Egitto, in Grecia, in Siria, -in Sicilia, e in un trattato d’aritmetica e d’algebra del -1202 si valse di queste ch’egli chiama cifre indiane. -Gloria sua più certa è l’avere primo fra i Cristiani trattato -dell’algebra, e in modo tale che tre secoli di concordi -fatiche non aggiunsero un punto a quel ch’egli -insegnò. L’applica esso a problemi mercantili, senza -un cenno delle operazioni magiche, dietro cui deliravano -anche i più valenti. Così un negoziante fiorentino recò -all’Europa e il calcolo de’ valori e quello delle funzioni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span> -</p> - -<p> -Altra invenzione importantissima di quel tempo sarebbero -le note musicali, che si attribuiscono a Guido -d’Arezzo monaco benedettino <span class="sidenote">(n. 955)</span>; ma in che consista il -merito di lui, non è ben certo. Imperocchè i righi e i -punti già erano conosciuti; non fu lui che introducesse -la gamma per imparare il solfeggio; non lui che estese -la scala aggiungendo cinque corde alle quindici degli -antichi. La tradizione dice soltanto ch’egli trovò note, -onde in brevissim’ora imparavasi la musica, che dapprima -richiedeva molti anni; e che Benedetto VIII, invitatolo -a Roma per farne prova, se ne chiamò soddisfatto. -La sua scala è la stessa de’ Greci, solo estesa alquanto -aggiungendovi un tetracordo nell’accordo e una -corda nel grave<a class="tag" id="tag339" href="#note339">[339]</a>; e alcun vuole che allora alle -lettere gregoriane si sostituissero punti quadrati o rotondi -sopra righi paralleli e negli intervalli, sicchè le -relazioni armoniche de’ toni divennero quasi sensibili -<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span> -alla vista, e la facilità del notarle con punti sopra punti -(contrappunto) ne rese agevole l’esecuzione. -</p> - -<p> -Sant’Ambrogio e Gregorio Magno aveano redenta la -musica dalle pagane profanità e dall’elemento mondano, -secondo il quale proponeasi unicamente d’esprimere la -durata delle sensazioni, e imitare i movimenti delle -impressioni prodotte dalla passione e dal sentimento; -abolito il ritmo, sicchè il canto non fosse più capace di -esprimere i sentimenti e le passioni, ma restasse affatto -spirituale; atteso che, essendo le note tutte di durata -eguale, meglio esprimevano, nel vestire le parole sante, -l’inalterabile calma dell’onnipotenza. Però si conservarono -i modi antichi, che erano toni esprimenti la differenza -dal grave all’acuto fra i varj punti di partenza -dei sistemi di successione. Ambrogio aveva unito i due -tetracordi per formare la scala; e scelto fra i modi -greci i quattro che più acconci gli parvero alla maestà -del canto e all’estensione della voce, sbandì gli ornamenti -introdotti nella melopea, e gran numero di ritmi: -insigne semplificazione e barriera alle novità corruttrici, -perchè anche la musica colla purezza semplice e -maestosa ritraesse la severa austerità del culto. Gregorio, -sull’orme d’Ambrogio, e schivandone gl’inconvenienti, -aggiunse quattro nuovi modi, ond’evitare la -monotonia. -</p> - -<p> -Restava che la musica cristiana conquistasse l’armonia, -ignota ai Greci; e mentre in questi le regole non -miravano che a stabilire successioni, ora doveasi introdurre -la simultaneità dei suoni. Malgrado gli ostacoli -dell’abitudine e della venerazione verso gli antichi, si -poterono fare intendere due voci a un tratto: ma quando -si cominciasse non si sa. Guido d’Arezzo non diede -nuove regole all’arte, ma mostra evidente che già allora -conoscevasi la difonia, quantunque ignoriamo a -quali regole formata. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span> -</p> - -<h2 id="cap91">CAPITOLO XCI. -<span class="smaller">Federico II. Seconda guerra dell’investitura.</span></h2> -</div> - -<p> -Nel concilio Lateranense IV, aperto l’11 novembre -1215, l’autorità pontifizia apparve nella maggior sua -magnificenza. I due imperatori d’Oriente e d’Occidente, -i re di Cipro, di Gerusalemme, di Sicilia, di Francia, -d’Inghilterra, d’Aragona, d’Ungheria mandaronvi ambasciadori; -i patriarchi d’Antiochia e di Gerusalemme -v’assistettero in persona, e per rappresentanti quei di -Costantinopoli e d’Alessandria; settantuno arcivescovi, -quattrocendodici vescovi, e più di ottocento abati e -priori; e tale affluenza di popolo, che alcuni prelati non -poterono penetrare nella basilica, e il vescovo d’Amalfi -restò soffocato. In mezzo a un circolo di cardinali ornati -in maestosa semplicità, compariva il pontefice, -che aveva veduto Costantinopoli rimessa alla sua obbedienza; -era uscito trionfante dalla guerra degli Albigesi -e dalla lotta con Ottone imperatore e col re d’Inghilterra, -che gli fe omaggio della sua corona; all’ombra -di lui, quest’isola aveva ottenuto la <i>Magna Charta</i> -salvaguardia di sua libertà, le città toscane formato una -confederazione, e le lombarde rinnovato l’antica; gli -Spagnuoli nel piano di Tolosa riportata insigne vittoria -che li francheggiava omai dall’araba servitù; da lui il -re d’Aragona domandò la corona; quel di Bulgaria gli -sottomise la sua; sulla Sicilia avea sodato la supremazia -della santa Sede, dopo averla rinfrancata in Roma; in -due Ordini, baliosi di gioventù, erasi creata una milizia -stabile, disposta ad ogni suo comando. Ed ora al mondo -intero, pendente dalle sue infallibili decisioni, dettava -i canoni della credenza e le regole della disciplina ecclesiastica -<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span> -e civile: vietato l’affidare funzioni pubbliche -a Musulmani o Ebrei, o il vendere armi agli Infedeli; -frenata l’usura, proscritti i Patarini, e per distinguersi -da questi dovessero i Cattolici almeno una volta l’anno -comunicarsi alla propria parrocchia; confermata la -dottrina di Pier Lombardo intorno alla Trinità, riprovando -quel che n’avea scritto «il calabrese abate Gioacchino», -scrittore mistico, rinomato per predizioni; -ordinata pace generale per quattro anni. -</p> - -<p> -Vicario della divinità in terra pel governo temporale -e per lo spirituale, il pontefice avea dunque portate ad -effetto le massime che le Decretali avevano sancite, -proclamando la potenza ecclesiastica essere il sole, da -cui, a guisa di luna, la imperiale traeva il suo splendore<a class="tag" id="tag340" href="#note340">[340]</a>. -Spiegando le relazioni del potere temporale -collo spirituale, Innocenzo III scriveva<a class="tag" id="tag341" href="#note341">[341]</a>: — Il Signore -<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span> -non solo per costituire l’ordine spirituale, ma -anche perchè una certa uniformità fra la creazione e il -corso degli avvenimenti l’annunzii autore di tutte le -cose, stabilì armonia fra cielo e terra, in modo che la -meravigliosa consonanza del piccolo col grande, del -basso coll’alto, ce lo riveli per unico e supremo creatore. -Come stampò due grandi luminari sulla volta celeste, -così affisse al firmamento della Chiesa due supreme -dignità, una che splenda il giorno, cioè illumini -gl’intelletti sopra le cose spirituali, e franchi dalle catene -le anime tenute nell’errore; l’altra che schiari le -notti, cioè gli eretici indurati e i nemici della fede, e -impugni la spada per castigo de’ reprobi e gloria dei -fedeli. E come, offuscando la luna, buja notte involge -le cose; così, quando mancasi d’imperatore, prorompe -la rabbia degli eretici e dei pagani». -</p> - -<p> -Pretendenze non meno assolute sillogizzavano i giuristi, -attribuendo agli imperatori un potere senza -limiti, quale avea formato la possa e l’obbrobrio di -Roma antica; e con argomento di pari calibro nelle -nuove università insegnando il <i>sacro impero</i> elevarsi -sopra ogni mondana cosa, l’imperatore portare in mano -il globo a significare la padronanza sull’universo mondo. -</p> - -<p> -Arroganze sì opposte doveano rinnovare il conflitto -tra il pastorale e lo scettro. Cominciato da Gregorio VII, -erasi sopito con un accordo, ove l’imperatore crebbe -di vantaggi, il papa d’opinione. Dopo ottant’anni si -ridestò più palese e meglio determinato, non trattandosi -più d’una formalità feudale, ma se la Chiesa dovesse -star sottoposta all’Impero. Anche i lottanti erano -<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span> -ben differenti: l’inflessibile Gregorio più non viveva, e -al posto d’un Enrico IV, principe scapestrato e inviso, -stavano i principi di Svevia, nobili, generosi, cortesi, -fautori delle lettere, cinti da signori tedeschi, che fedeli -al re e alla donna di lui, lo seguivano del pari al torneo -od alle spedizioni oltre l’alpi e il mare. -</p> - -<p> -Federico II, rampollo ghibellino allevato dal papa e -da lui sostenuto contro il guelfo Ottone, sicchè per -ischerno veniva detto il re dei preti, mostrò deferenza -e rispetto a Innocenzo III finchè n’ebbe bisogno: esortò -il senato romano ad obbedirgli; nella dieta di Egra -solennemente professò, pei tanti favori avuti dalla romana -Chiesa, le sarebbe sempre rispettoso e sommesso; -le confermava le concessioni fatte da Ottone; l’aiuterebbe -a conservare i dominj, e nominatamente la Sicilia, -la Sardegna, la Corsica, e a recuperare i disputati, -come l’eredità della contessa Matilde; — Appena consacrati -a Roma (soggiungeva) emanciperemo nostro -figlio Enrico, cedendogli il regno nostro ereditario di -Sicilia, sicchè il tenga come il teniam noi dalla santa -Sede; e noi rinunzieremo al titolo regio e al governo -di quel paese, di modo che mai non possa essere unito -all’Impero»<a class="tag" id="tag342" href="#note342">[342]</a>. -</p> - -<p> -Oggi chiameremmo ciò politica; allora parve ipocrisia: -giacchè al tempo stesso ricusava far giustizia -alle domande della Chiesa; pretese che Innocenzo gli -avesse peggiorato il patrimonio, e perciò a Ricardo -fratello di lui ritolse il contado di Sora, e spogliò altri -che dal papa erano stati investiti; fece anche morire -qualche vescovo per ribelle, e non rifiniva di lamentarsi -che Roma raccogliesse chi a lui era sfavorevole; -<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span> -e soltanto la morte sottrasse Innocenzo dal vedere il -suo pupillo morsicare il seno che l’aveva nodrito. -</p> - -<p> -Federico, gioviale, colto, amabile, atto a conciliarsi -gli animi, quanto alienavali la rozzezza d’Ottone, rimase -indisputato re di Germania allorchè questo morì -pentito e ricreduto della guerra portata alla Chiesa, e -facendosi flagellare dai servi per penitenza <span class="sidenote">(1218)</span>. Propenso -alle armi a somiglianza degli Svevi paterni, e a somiglianza -dei materni Normanni destro nella politica e -dissimulato, segnò con buoni provvedimenti i cinque -anni che dimorò in Germania; poi si volse all’Italia, -alla quale lo traevano la bellezza del cielo, le rimembranze -di sua gioventù, la coltura degli abitanti, e il -proposito di tornar vigoroso l’Impero. Raccontavasi -che, ancor fanciullo, tra il sogno gridò: — Non posso, -non posso»; e interrogato rispose parevagli di mangiare -tutte le campane del mondo: ma ne abboccò una -così grossa, che in verun modo non potea trangugiare. -Vedemmo più volte il medio evo tradurre i fatti in -cotali storielle. -</p> - -<p> -In Lombardia le città principali venivano allargando -il dominio, non più soltanto sovra le terre circostanti, -ma su città minori, inviandovi podestà ed esigendone -tributi, per modo che l’infinito sminuzzamento riconosciuto -dalla Lega Lombarda restringevasi attorno ad -alcuni centri. Uno de’ principali era Milano, che moltiplicava -guerre a Pavesi, Cremonesi, Parmigiani, Modenesi, -e che caporione della parte guelfa, trovavasi però, -come fautore di Ottone IV, scomunicata dal papa, divenuto -patrono del discendente degli Svevi. -</p> - -<p> -Federico vide non riuscirebbe ad alcun pro fra tanto -rimestìo; e differendo a miglior tempo il cingere la -corona di ferro, scese verso il mezzodì. Il nuovo papa -Onorio III dei Savelli era stato ricevuto dai Romani -con tripudj <span class="sidenote">(1216)</span>, quali niuno ricordava d’aver veduti; pochi -<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span> -mesi dopo dai Romani fu espulso, e costretto a ritirarsi -a Rieti e a Viterbo. Mite pontefice in mezzo a -due robusti, ai re insinuava continuo la mansuetudine -sua stessa: istruito dal nunzio che lo scisma greco non -potrebbe ricomporsi che col rigore, vietò d’usarne, non -dovendosi tutelare la fede che coll’istruzione, la preghiera, -il buon esempio e la pazienza. Da Federico, a -cui nome era stato governatore di Palermo, aveva egli -a ripetere tre promesse fatte al suo predecessore: di -crociarsi, di restituire il retaggio della contessa Matilde, -di rinunziare alla corona di Sicilia, sicchè non fosse unita -all’Impero. Rinnovate queste promesse, Federico ottenne -d’essere unto imperatore <span class="sidenote">(1220 — 20 7bre)</span>; nel quale incontro derogò -qualsifosse legge restrittiva delle libertà della Chiesa, ed -ordinò severamente l’estirpazione delle eresie. -</p> - -<p> -Il retaggio della contessa Matilde nella realtà non era -venuto nè all’impero nè al pontefice, avvegnachè i signori -posti a governarlo s’erano poc’a poco scossi dalla -dipendenza, intanto che molti Comuni colla forza, col -denaro, colla persistenza redimeansi in libertà, fra’ quali -primeggiava Firenze. -</p> - -<p> -Quanto sia alla crociata, dopo la presa di Costantinopoli -e la fondazione dell’impero latino, Innocenzo III -non avea cessato di spingere alla liberazione del santo -sepolcro, tanto più che allora andava attorno, essere -giunto a sera il dominio di Maometto, simboleggiato -nella bestia dell’Apocalisse, la quale non oltrepasserebbe -i seicento anni. Genova vide in quel tempo capitare un -nuvolo di fanciulli, che, assunta la croce, volevano passare -alla liberazione di Gerusalemme: infelici! e per -via perirono tutti, quali di fame e stenti, quali affogati -ne’ fiumi, alcuni côlti da avidi speculatori per venderli -schiavi. Innocenzo li compassionò, ma non rifiniva di -farne raffaccio agli adulti, i quali vigorosi non sapeano -compiere quel che aveano tentato fanciulli. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span> -</p> - -<p> -Al suo intento veniva opportuno un campione che -onorate prove avea dato di valore e fedeltà alla Chiesa, -Giovanni di Brienne, francese lodatissimo in fatti di -guerra, fratello di quel che vedemmo poc’anzi pretendere -l’eredità di re Tancredi nella Puglia: ito in Palestina, -avea preso per moglie Maria figlia di Corrado di -Monferrato <span class="sidenote">(1219)</span>, e per dote diritti al trono di Gerusalemme. -Innocenzo lo riconobbe re di questa, e raccolti molti -Crociati, proponevasi guidarli egli in persona, quando -morì. Onorio III promise seguitare l’impresa, e ottenne -che Ungheresi e Tedeschi passassero in Terrasanta su -navi di Venezia e di Zara. All’assedio di Damiata il -legato pontifizio a capo degli Italiani <span class="sidenote">(1218)</span> scalò primo le -mura in buja notte, e la croce d’orifiamma, stendardo -che conservasi a Brescia, vuolsi vi fosse allora piantata -dal vescovo Alberto a capo di millecinquecento Bresciani, -impresa per la quale ottenne il patriarcato di -Antiochia. Poco poi Enrico di Settala, arcivescovo di -Milano, condusse un rinforzo di suoi cittadini<a class="tag" id="tag343" href="#note343">[343]</a>. -</p> - -<p> -Moadham sultano di Damasco, disperando tenere -Gerusalemme, ne avea diroccato le mura, e pensava -anche abbattere il santo sepolcro, quando la fortuna -cangiò, e la crociata uscì alla peggio. Ne sbigottì tutta -cristianità, e il papa imputava Federico, che, promesso -ripetutamente di prendervi parte, sempre avesse mancato. -Vennero poi in Italia i granmaestri de’ Templari, -degli Spedalieri, dei Teutonici, il patriarca, e re Giovanni -di Brienne, e si presentarono supplichevoli all’imperatore -<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span> -in Verona; il quale non solo mostrò ascoltarli, -ma sposò Jolanda figlia ereditiera di re Giovanni, -col che pareva assumere come cosa propria la difesa e -il ricupero di Terrasanta. Allestì navi in Sicilia, impose -taglie e accatti, mandava retoriche esortazioni agli altri -principi; ma alla nuova stagione destinata alla partita -egli trovò sotterfugi, domandò il titolo di re di Gerusalemme -a scapito del suocero, mentre palesava nè voglia -di assumere nè lealtà di seguire l’impresa. -</p> - -<p> -Più stavagli a cuore di sottomettere e regolare la -sua Sicilia. Colà fumava ancora il sangue in cui Enrico VI -avea tuffato i privilegi de’ baroni, e ne fermentava -quel miscuglio di vecchio e di nuovo, di ribrame -e di speranze, che turba ogni recente dominazione. Nei -passati scompigli la giustizia era stata sovversa; la -gerarchia d’impieghi stabilita da re Ruggero non serviva -che a camuffare di legalità esazioni esuberanti; i -feudi erano stati occupati a volontà, e ciascuno nel -proprio arrogavasi la sovranità fino al diritto di sangue, -e in tumultuosa indipendenza tutto era furto, assassinj, -guerre. -</p> - -<p> -Volendo farsi perdonare la rivolta o venirgli in grazia, -i baroni andarono fin a Roma incontro a Federico, -offrendogli doni e duemila cavalli di Puglia; poi al -suo arrivo gli prodigarono omaggi, e gli consegnarono -i maggiori avversarj. Federico li carezza, ma di mezzo -alle feste si fa cedere i diritti regali dall’abate di San -Germano; a forza sottopone i conti di Celano e di Molise; -imprigiona quelli d’Aquila, di Caserta, di Sanseverino, -di Tricarico perchè non gli avevano dato tutte -le truppe che doveano; fa radere le fortezze erette dopo -un certo tempo; a Capua pianta un tribunale che riconosca -i diritti de’ feudatarj, e incameri i feudi di cui -mancasse il titolo. Per tal modo snervò la feudalità; -e smantellate le rôcche baronali alla campagna, ne fabbricò -<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span> -di proprie nelle città più grosse, e castel Capuano -in Napoli. -</p> - -<p> -Valendosi delle istituzioni normanne e dandovi maggior -ordine, ebbe fitto l’animo costantemente a render -robusta la regia autorità a spese dei privilegi e delle -entrate de’ feudatarj; impedire si costituissero grandi -Comuni, quali in Lombardia; fare che tra il popolo e -il re non si frapponesse che la legge e i magistrati. -Mentre non solo Italia ma tutta Europa era sbocconcellata -in municipj e feudi, egli prevenne i tempi col -volere stabilire lo Stato qual noi lo concepiamo, e quell’unità -amministrativa che forma il vanto e forse il -disastro de’ tempi nostri, in sè e ne’ suoi uffiziali accentrando -il pubblico potere, tolto ai signori, ai vescovi, -alle città. Seguendo la missione provvidenziale dei re -nel feudalismo, elevò le condizioni infime, ai sudditi -demaniali attribuendo maggiori privilegi che non ne -avessero i feudali; gli uomini si stimassero affissi al -terreno che teneano dai signori, e di più franche condizioni -fossero giovati; le proprietà libere si crescessero; -alleggerite o tolte le prestazioni di corpo stipulate per -contratti: intenzioni superiori all’età. -</p> - -<p> -Per togliere il disaccordo venuto dagli avvicendati -dominj, Federico dettò un codice, che abbracciava la -legislazione feudale, l’ecclesiastica, la civile, oltre la -politica ed amministrativa, e dov’erano pareggiati Normanni, -Franchi, Greci e Latini. Lodando i Romani che -colla legge regia trasferivano nel principe la facoltà -legislativa, affinchè nel medesimo imperante si trovassero -e l’origine della giustizia e il diritto di tutelarla, -anch’egli avocò tutta la giurisdizione; e toltala ai baroni -e prelati, proclamò (cosa insueta fra gli ordini feudali) -i magistrati suoi proferirebbero su tutti i sudditi<a class="tag" id="tag344" href="#note344">[344]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span> -neppure esclusi i feudatarj; e pel giudizio di fatto bastava -la testimonianza di due pari, ovvero di quattro -dell’ordine inferiore, cioè per un conte vi voleano due -conti, o quattro baroni, od otto cavalieri, o sedici cittadini. -La giurisdizione criminale rimarrebbe divisa -dalla civile. Fa meraviglia di trovar già nelle sue <i>Costituzioni -Augustali</i> una gerarchia giudiziaria attaccata -a un centro comune, fissate nettamente le competenze, -sostituito il giudizio dei pari alla giustizia emanante dal -monarca, conservato con dispiacere il duello giudiziario -e ridotto a stretti confini; provveduti d’uffizio di campioni -o d’avvocati gli orfani, i minori, le vedove, i poveri. -I <i>bajuli</i>, scelti per titolo d’onoratezza più che di -conoscenza di leggi, riscotevano le imposte, tassavano -i viveri; e con un assessore giurisperito e nominato -dal re, decideano dei delitti campestri e delle cause -civili, poteano arrestare malfattori e sospetti per tradurli -ai tribunali. Soprastavano come secondo grado i -<i>camerarj</i> per gli affari civili e fiscali. Poi i <i>giustizieri</i> -per le cause di polizia e criminali, con un notaro e un -assessore stipendiati dal re, rendevano gratuita giustizia: -duravano un anno, e doveano scegliersi stranieri -alla provincia. Nessuna causa potea prolungarsi oltre -due mesi; solo i giudici inferiori erano retribuiti dalle -parti; gli avvocati non poteano pretendere più della -sessantesima del valore contestato. Gli appelli da tutti -i sudditi e le cause feudali recavansi ad una suprema -Corte, composta di quattro giudici e del gran giustiziere, -il quale una volta l’anno percorreva le provincie tenendo -assise. Questa Corte vegliava anche sull’amministrazione -della rendita, difendeva pupilli e vedove. In -maggio e novembre si raccoglievano provinciali sindacature -davanti ai prelati, conti, baroni, magistrati della -provincia, ricevendo le querele portate contro gli -impiegati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span> -</p> - -<p> -A una camera fiscale, detta Segrezia, spettava l’alta -giurisdizione in cause di finanza, l’amministrare i beni -vacanti o staggiti, l’intendenza sui palazzi e le ville regie, -le fortezze, i fondi destinati alla flotta: sugli uffiziali di -finanza e sull’amministrazione vigilavano procuratori, -rivendicando i beni confiscati, affittando quelli della -corona; e rendevano ragione delle entrate e spese a -un’alta Camera de’ conti in Palermo. Una commissione -esaminava i concorrenti alle cariche od a professioni -universitarie. -</p> - -<p> -Il duello giudiziario mantenevasi soltanto pel caso -di morte data da mano sconosciuta, e di lesa maestà; -proibite le guerre private sotto pena della vita, le rappresaglie -sotto pena dell’esiglio; fino il portare armi -se non in guerra o in viaggio, multavasi con cinque -once d’oro per un conte, quattro per un barone, tre -per un cavaliero, due per un cittadino, una per un -villano. Le figlie poteano succedere nei feudi: punito -il barone che esigesse oltre il dovuto; agli ecclesiastici -vietato il ricever doni e lasciti, e le funzioni di balio -o giustiziere<a class="tag" id="tag345" href="#note345">[345]</a>. -</p> - -<p> -Se tali provvedimenti palesano spiriti elevati, durezza -traspira dalle pene: la galera, il taglio della mano prodigati; -la forca a chi frauda le imposte, sia per astuzia -o per miseria; città intere distrusse, inventò supplizj -atroci, e nelle tradizioni e nei versi di Dante restarono -famose le cappe di piombo che infocate metteva addosso -<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span> -ai ribelli: poi, per ingrazianirsi i baroni, con deplorabile -debolezza li riabilitò ad usare la forza contro -i vassalli. -</p> - -<p> -Ai parlamenti, istituzione antica, insieme co’ vescovi -e coi baroni chiamò due <i>buoni uomini</i> di ciascuna -città e borgata<a class="tag" id="tag346" href="#note346">[346]</a>, neppure eccettuando le terre sottomesse -a’ feudatarj. Essi buoni uomini (da cui poi vennero -i sindaci, quando il bisogno di sempre nuove -imposte lo costrinse a mascherarle coll’assenso popolare) -portavano richiami per le leggi che fossero violate -dagli uffiziali, ed esponevano i bisogni dei loro mittenti: -primo esempio al mondo d’una vera rappresentanza -nazionale. -</p> - -<p> -In ogni luogo due giurati paesani doveano vigilare -sopra gli artieri, i ritaglienti, le osterie, le monete, i -giuochi zarosi. Napoli, Messina, Salerno e qualc’altra -conservarono vestigia degli antichi istituti, ma sotto -tutela. Del resto, adombrato dall’emancipazione dell’alta -Italia, severamente proibì dappertutto di istituire Comuni -indipendenti; e il nominar consoli, podestà o simili -magistrati municipali costava la forca agli eletti, -e il saccheggio al paese<a class="tag" id="tag347" href="#note347">[347]</a>. Fu sottilissimo trovatore -di girandole finanziarie e di tasse per cavar denaro, -massime sul commercio coi diritti di fondaco, di porto, -d’imbarco, d’estrazione ed altri, e ridusse a monopolio -<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span> -il sale, il ferro, la pece, le pelli dorate; levò fin sei -collette all’anno, cioè sussidj straordinarj non consentiti -ma imposti, e fu volta che gli ecclesiastici pagarono fin -la metà dei proventi. Volle anche limitare le usure col -proibire ogni interesse maggiore del dieci per cento; ordine -improvvido, che fu corretto al solito dalle frodi<a class="tag" id="tag348" href="#note348">[348]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span> -</p> - -<p> -Pier delle Vigne, nato poveramente a Capua, e invaghito -degli studj, andò mendicando a Bologna, e quivi -ammesso nell’università, primeggiò tanto che Federico -sel tolse a segretario, poi lo alzò giudice, consigliero, -pronotaro, governatore della Puglia, infine cancelliere -e tutto. Bellissimo favellatore, arguto giureconsulto, le -cure nol distolsero dalle lettere, e come il primo codice -dell’Italia moderna, così dettò il primo sonetto: a’ consigli -di lui va attribuita la protezione che alle dottrine -concesse Federico, il quale anche l’insegnamento accentrò -alla moderna, volendo unica scuola nel Regno -l’università di Napoli; e i governatori doveano colà -mandare tutti gli studenti, dove trovavansi allettati da -<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span> -privilegi, giudicati dai proprj maestri, buon trattamento -e sicurezza ne’ viaggi, le migliori case e a tenue fitto; -non mancherebbero mai di grano, vino, carni, pesci, e -di chi prestasse denaro<a class="tag" id="tag349" href="#note349">[349]</a>. -</p> - -<p> -Federico fece eseguire la prima versione di Aristotele -dal testo greco; formò un serraglio d’animali -forestieri; chiunque avesse merito, accoglieva alla sua -Corte, ove si dirozzò il linguaggio italiano, e qualche -poeta, imitando gli esempj de’ Tedeschi e Provenzali, -avvezzò la musa sicula a nuovi concenti. Egli stesso -«savio di scrittura e di senno naturale, universale in -tutte le cose, seppe di lingua latina e vulgare, tedesca, -francese, greca, saracena» (<span class="smcap">Villani</span>); scrisse un libro -sulla caccia a falcone; uno sopra la natura del cavallo -dettò a Giordano Rufo suo scudiere. Del denaro cavato -dai beni suoi e dal traffico che non isdegnava, facea -larghezza agli amici e in fabbriche; e a lui sono dovuti -i ponti sul Volturno<a class="tag" id="tag350" href="#note350">[350]</a>, le torri di Montecassino, i -castelli di Gaeta, di Capua, di Sant’Erasmo, la città di -Monteleone ed altri forti e villaggi; di là dal Faro -ristaurò Antea, Flegella, Eraclea, fondò le rôcche di -Lilibeo, di Nicosia, di Girgenti: Napoli, abbellita e accresciuta -di popolo e ricchezza come sede del sommo -tribunale e dell’università, avviò a divenir capitale del -regno. Ecco perchè egli v’è ancora nominato con popolare -benevolenza. -</p> - -<p> -Tante belle qualità non seppe acconciare coi tempi, -ai quali non fu conforme nei vizj nè nelle virtù. A -modo dei re moderni, voleva sottoporre anche la religione -<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span> -all’amministrazione, e tenea fitto il pensiero ad -affievolire i papi, come quelli che repugnavano a’ suoi -divisamenti. Essi avevano costituita la dignità dell’imperatore -perchè fosse tutela alla Chiesa, affidandola -sempre a un capo elettivo, cioè degno; volendo l’indipendenza -d’Italia, come necessaria all’indipendenza -pontifizia, impedivano che alla corona imperiale s’annestasse -quella della Sicilia, paese sempre della prima -importanza in faccia agli stranieri. Federico invece -aspirava a rendere ereditario in sua casa l’impero, e -unirvi la Sicilia; solo dabbenaggine de’ popoli e astuzia -de’ papi avere supremato la santa Sede, tutrice incomoda -e umiliante. Nè solo la Lombardia voleva egli -soggetta, ma tutta l’Italia, quasi retaggio proprio. Ad -un principe italiano scriveva, ogni suo sforzo essere in -sottomettere la penisola rinserrata fra dominj suoi, e -renderla parte integrante dell’impero, come il regno -di Gerusalemme eredità di sua moglie, come la Sicilia -eredità della madre<a class="tag" id="tag351" href="#note351">[351]</a>; e nel congresso di Piacenza -non dissimulò di voler soggiogare la media Italia, impresa -difficile, alla quale soccombette. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span> -</p> - -<p> -Non tardò ad accorgersi come, malgrado il momentaneo -svolgimento, alleati suoi naturali fossero i -Ghibellini; onde a questi s’annodò, sperando, fra il -tempestare delle fazioni in Lombardia, riuscire a quello -dov’era fallito l’avo suo Barbarossa, e fra i divisi piantare -l’ordine; parola che, allora e poi, fu spesso intesa -per servitù. A suo desiderio il servirebbero le forze -del Reame e quelle della Germania, e i mercenarj -che d’ogni parte comprava colle spoglie delle città -italiane, e col concedere franchezza a qualunque bandito -o malfattore prendesse servizio nelle truppe<a class="tag" id="tag352" href="#note352">[352]</a>. -</p> - -<p> -Nè pago delle masnade tedesche comandate da Rinaldo, -figlio del famoso Markwaldo, cercò rinforzo da -nemici del nome cristiano. Dalle montagne centrali -dove s’erano ridotti dopo perduto il dominio, gli Arabi -sbucavano a devastare la Sicilia, e «v’aveano uccise -più persone ch’essa non conti abitanti». Alla conquista -sveva non fecero opposizione, e perciò sfuggirono -alle vendette esercitate contro i Normanni. Nella -minorità di Federico, per odio al papa persistettero a -favorire Markwaldo: vinto lui, si forticarono ne’ castelli -di val di Màzara, blandirono Ottone IV, e gli spedirono -regali. Federico li domò, e fino a sessantamila ne trasferì -nella Capitanata, assettandoli a Nocera <span class="sidenote">(1222)</span>, che oggi -ancora chiamasi de’ Pagani, e a Lucera, posta s’una -ultima pendice dell’Appennino, donde si dominano i -piani della Puglia, chiusi a levante e settentrione dalla -catena del Gargano e dal mare Adriatico. Quivi tentarono -ripetutamente fuggire o sollevarsi, poi rassegnatisi -divennero fedelissimi a Federico, che da questa colonia -traea ventimila combattenti, devoti ad ogni suo cenno -e, ch’era più, inaccessibili alle aspirazioni nazionali -degl’italiani e agli anatemi dei papi. E quando i papi -<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span> -gli apponevano di avere introdotto i Musulmani in mezzo -a Cristiani, Federico se ne imbelliva anzi, come avesse -con ciò liberato la Sicilia dal flagello delle loro correrie, -e col porli fra’ Cristiani agevolato le conversioni. Il -fatto sta che ebbe per tal modo anche un esercito stabile, -a guisa dei re moderni. -</p> - -<p> -A suo figlio Enrico, che faceva i nove anni quando -egli ventisei<a class="tag" id="tag353" href="#note353">[353]</a>, avea dai principi di Germania ottenuta -la corona. Ora col pretesto della crociata lo invitò -a scendere in Lombardia coll’esercito, e trovarsi a -Cremona, ove per pasqua intimava la dieta <span class="sidenote">(1226)</span>. — Una -adunanza raccolta sotto le spade può ella essere libera?» -dissero le città lombarde; e non ben fidando -nel papa, che condiscendeva a Federico onde indurlo -a quel ch’era suo primo desiderio, la crociata, provvedono -al caso dubbio e pericoloso rinnovando la Lega -Lombarda, secondo n’erano autorizzati dal trattato di -Costanza. A Mosio sul Mantovano convennero dunque -i rettori, podestà, ambasciatori di Bologna, Piacenza, -Verona, Milano, Brescia, Faenza, Mantova, Vercelli, -Lodi, Bergamo, Torino, Alessandria, Vicenza, Padova, -Treviso, e giuraronsi alleati per venticinque anni. — I -malfattori escluderemo da tutti i luoghi e dalle -città collegate, nè di bando potranno essere tratti senza -mandato dei rettori o della Lega: a chi contraffacesse, -faremo guerra a senno dei rettori: nessuna città, luogo -o particolare persona de’ collegati verrà ad accordo -<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span> -con alcuna città o luogo fuor della Lega, o in danno di -quella, altrimenti sarà avuta per ribelle, e i beni dei -suoi abitatori pubblicati e devastati. Se alcuna città, -luogo o persona particolare della Lega sia osteggiata -dai nemici, le collegate le daranno ajuto, e reciprocamente -rifaremo i danni ad arbitrio de’ rettori». -</p> - -<p> -Tale era il giuramento; e quello dei rettori della Lega: — Giuro -pei santi evangelj che con buona fede eserciterò -l’uffizio a me commesso e le ragioni della giurisdizione -a me sottoposte; concorderò cogli altri rettori -in quanto concerna lo stato e utilità di tutta la Lega, e -di ciascun Comune che v’entri; senza frode darò opera -di mantenere e far osservare questa Lega; nulla manifesterò -di quello che sarà trattato; niente piglierò per -me nè per sommessa persona in detrimento della società; -e se cosa alcuna mi sarà offerta, al più presto -la farò manifesta a tutti i rettori. Le querele deferite a -me od a’ miei colleghi, ad arbitrio degli altri rettori, -fra quaranta giorni definirò, secondo la ragione e la -buona consuetudine: quindici giorni avanti che scada -il mio uffizio darò opera si faccia un altro rettore, il -quale giuri siccome ho giurato io. Attenderò al meglio -della università e non della specialità; e darò ogni -opera a conservare la libertà di ciascun Comune, e -difendere i beni contra tutte e singole le persone contrarie -a tal società» (<span class="smcap">Corio</span>). -</p> - -<p> -Tosto la Lega si pone in piede ostile, far armi, troncare -ogni comunicazione colle città ghibelline, proibire -ai cittadini di trattar coll’Impero, nè ricevere ordini o -donativi. Federico buttò giù la buffa anch’egli, ed -avendo dalla sua Reggio, Modena, Parma, Cremona, -Asti, Lucca e Pisa, mosse armato. Ma Faenza e Bologna, -capo della lega Cispadana, gli chiusero le porte -in faccia, sicchè dovette attendare alla campagna, poi -affrontato da buoni eserciti, forza gli fu dare indietro. -<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span> -Spedì proposizioni alle federate; e ricusato, le pose al -bando dell’Impero; e non so se di buon senno o per -contraffare le scomuniche papali, fece scomunicarle dal -vescovo d’Ildesheim, e proibì d’andare a studio a Bologna: -grave colpo per una città che viveva sopra -dodici mila scolari. Le confederate non fecero come -sbigottite; ma Onorio III papa, avendo in cima a tutti -i suoi pensieri la crociata, e perciò la concordia fra i -Cristiani, s’interpose, e rattaccò una pace <span class="sidenote">(1227 — 5 genn.)</span>, dove Federico -obbligavasi a cancellare que’ bandi, e i Lombardi -a null’altro che rappattumarsi coi Ghibellini, e -somministrare quattrocento uomini pel passaggio in -Terrasanta: ma Onorio non potè vedere la spedizione -desiderata. -</p> - -<p> -Il successore suo Gregorio IX, dei conti di Anagni, -aveva ottantacinque anni; ma parve ringiovanire nel -ricevere in deposito le chiavi eterne: con pompa maggiore -delle consuete si fece coronare, sette giorni continuando -le feste; e l’ultimo cantata messa in San Pietro, -menò una lunga processione ricchissimamente in addobbo, -con due corone al capo, sopra un cavallo superbamente -bardato, tenuto alla briglia dal prefetto di -Roma e dal senatore; precedeano i cardinali, seguivano -giudici e uffiziali in broccato d’oro, e una dirotta di -popolo, fra le cui acclamazioni e ulivi e palme entrò -al palazzo, quasi celebrasse il trionfo dell’autorità papale, -che di fatto mai non era tanto salita. -</p> - -<p> -Federico aveva preso tutti quei provvedimenti in -Sicilia senza informarne il papa, che pur riconosceva -per signore sovrano; imponeva tasse sugli ecclesiastici -col pretesto della crociata, alla quale non risolvevasi -mai; ed ai lamenti di Roma rispondeva col protestarsele -docilissimo, e obbligato ad essa come a madre che -Io aveva nutrito. Alla longanimità di Onorio verso un -principe mentitore e subdolo come Federico, mal rassegnavasi -<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span> -l’operosa fermezza di Gregorio, il quale -intimò alle città longobarde di tenersi in pace <span class="sidenote">(1228)</span>, e all’imperatore -di partire per oltre mare, egli ch’era stato -«posto da Dio in questo mondo siccome un cherubino -armato di spada per mostrare agli smarriti la via dell’albero -della vita». Più non avea ragioni o pretesti -costui da indugiare, e con poche truppe s’imbarcò a -Brindisi. Già dappertutto preludevasi a vittoria, già -s’immaginava la santa città restituita agli inni dei devoti, -quando si sparge che l’imperatore era tornato a -terra dopo tre giorni, allegando le malattie dell’esercito -e la sua. Al pontefice più non parve di pazientare, e -lanciò la scomunica, denunziando Federico come spergiuro -e infedele; suo delitto se la moglie Jolanda morì -sovra parto; colpa sua se di fame e di caldo perirono -i Crociati nella Puglia. Non meno iracondo Federico -inveiva contro il papa che, in luogo di soccorrerlo, -istigasse contro di lui il suocero suo stesso; il quale di -fatto, appoggiandosi alla scomunica, in armi veniva a -ridomandare il titolo regio che Federico gli aveva -usurpato. Pure, avuto intesa delle discordie scoppiate -fra i principi Ajubiti, l’imperatore si risolse al passaggio; -data la posta a’ guerrieri nella pianura di Barletta, -vi troneggiò in tutta la maestà imperiale e colla croce -di pellegrino, lesse il proprio testamento, facendo giurare -i baroni d’adempirlo se nell’impresa perisse, e -precipitò gl’indugi. -</p> - -<p> -Gregorio IX dichiarò scandalo che uno scomunicato -capitanasse l’impresa santa; dichiarò imprudenza -l’assumerla con sole venti galee e seicento cavalieri, -armata da corsaro, non da imperatore; e interruppe -la canonizzazione del pacifico san Francesco per ripetere -gli anatemi contro Federico, il quale non vi diede -ascolto. -</p> - -<p> -In Levante i figli di Malek Adel, spartitosi il dominio, -<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span> -si faceano guerra dall’uno all’altro; e Melik el-Kamel, -signore dell’Egitto e di Gerusalemme, cercò prevalere -a’ fratelli coll’allearsi all’imperatore d’Occidente, al -qual uopo gli spedì un emir, mentre l’arcivescovo -di Palermo arrivava al Cairo con gran regali per lui <span class="sidenote">(1229)</span>, -e si ricambiarono proteste d’amicizia. Melik el-Kamel -invase di fatto la Palestina; sicchè l’imperatore, sapendo -di non dovervi trovar nemici, non credette -aspettare i rinforzi di Germania. Approdato, vi era -dai nostri accolto come un Messia, quando due Francescani -annunziarono la scomunica. Detto fatto, gli -si toglie fiducia e rispetto, a segno che gli ordini non -dava più in proprio nome, ma di Dio e del popolo cristiano. -Melik el-Kamel non meno che Federico desiderava -la pace; sicchè tutta la campagna si ridusse a -trattative, quanto una guerra moderna, sempre avvolte -però nel mistero. L’imperatore mandò al soldano pelliccie, -eccellenti destrieri, bellissime armi di Germania, -il cavallo di battaglia, la spada, parte dell’armadura di -cui egli servivasi in campo, protestando non chiedere -che le già promessegli città, titolare patrimonio di suo -figlio; vedesse in quanto scredito cadrebbe se tornasse -in Occidente senza nulla ottenere. L’emir lo ricambiava -con stoffe di seta, un elefante, dromedarj e scimie, -altre rarità dell’India, dell’Arabia, dell’Egitto, e una -banda di ballerine e cantatrici, soggetto ai Musulmani -di rimproveri, di scandalo ai nostri, cui davano gelosia -e dispetto quelle benevole relazioni<a class="tag" id="tag354" href="#note354">[354]</a>. I due signori -convennero d’una tregua decenne; Gerusalemme, Betlem, -Nazaret, Toron e i prigionieri sarebbero consegnati -a Federico con quanto siede fra Gerusalemme, -<span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span> -Acri, Tiro e Sidone; conservate ai Musulmani le moschee, -e libero esercizio del loro culto; Federico distoglierebbe -i Franchi da nuovi atti ostili contro di essi. -</p> - -<p> -Il patto seppe dell’empio ad entrambe le religioni; -imami e cadì appellavansi al califfo contro la cessione -della <i>città del Profeta</i>, i vescovi al papa contro l’indegnità -di mescolare i due culti: il sultano di Damasco -ricusò l’accordo; il patriarca di Gerusalemme pose all’interdetto -i luoghi recuperati. In conseguenza Federico -entrò in Gerusalemme senz’altro accompagnamento -che de’ suoi baroni tedeschi e de’ cavalieri Teutonici; e -nella chiesa del Santo Sepolcro, tesa a bruno, abbandonata -dai preti, mentre, lui connivente, dai minareti -continuavasi a gridare: — Non v’è altro dio che Dio e -Maometto è suo profeta», Federico colle proprie mani -dovette porsi in capo il diadema. Nè potè ottenere obbedienza -neppure sevendo contro i cittadini, battendo -frati, impacciando i pellegrini che venivano per la settimana -santa, e i Templari che voleano rialzar le mura: -la sua partenza da Gerusalemme fu festeggiata quanto -l’arrivo; e gli assennati gli faceano rimprovero di non -avere provveduto tampoco nè a conservare gli acquisti -nè ad assicurarvi i fedeli: sì poco gli caleva del regno -di Cristo quando il suo pericolava. -</p> - -<p> -Perocchè in Sicilia il papa gli suscitava nemici mandando -nunzj, compiangendo che quei popoli, sotto un -nuovo Nerone, perdessero fino il desiderio della libertà: — Vi -ha forse Dio collocati sotto cielo sì ridente -per trascinare catene vergognose?» Sollecitava anche -soccorsi da’ collegati lombardi, e messo insieme un -esercito, lo affidò a Giovanni di Brienne, che sotto lo -stendardo delle chiavi entrò devastando il reame di suo -genero. -</p> - -<p> -Federico, sbuffante vendetta, muove le schiere tedesche -ricondotte di Palestina, e i fedeli suoi Saracini, -<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span> -segnati della croce, combatteano fieramente contro i -papalini, segnati delle chiavi; e messi questi in isbaratto, -recupera le piazze del Regno, invade le terre del -papa, ne stramena i fautori, e gli suscita nemici in -Roma stessa. Giovanni di Brienne era stato chiamato a -Costantinopoli a regnare invece del fanciullo Baldovino -II suo genero, e benchè ottagenario si mostrò -eroe nel combattere i Bulgari. I Romani, espulso il -pontefice, aveano gravato di esazioni le chiese, i conventi, -i vassalli della santa Sede, e aizzato Federico alla -totale rovina del papa; ma una straordinaria inondazione -del Tevere, considerata come castigo del cielo, -indusse e popolo e senato a richiamarlo in segno di penitenza. -I prelati però mal sopportavano di dover contribuire -alle spese a titolo della crociata; alle città -lombarde pesava l’essere trascinate in una guerra offensiva, -esse collegatesi solo per la difesa: laonde fu -praticato un accordo <span class="sidenote">(1230)</span>, e dopo lunghi dibattimenti si annunziò -qualmente l’imperatore concedeva perdonanza -universale, revocava il bando messo sopra le città lombarde, -e prometteva che i benefiziati sarebbero eletti -secondo le leggi ecclesiastiche, nè gravati d’imposte o -collette. A tali condizioni fu prosciolto dalla scomunica, -e le campane sonarono a letizia, il re baciò il piede -del papa, n’ebbe la benedizione, e sedettero alla stessa -mensa. I popoli credettero fosse pace, ma non era che -un respiro ch’egli si procacciava per allestirsi all’ultima -prova. -</p> - -<p> -Quando i capi erano disuniti, tutte le membra se ne -risentivano, e l’Italia peggio che mai trambustava, facendo -guerra Venezia a Ferrara, Padova e Brescia a -Verona, Mantova e Milano a Cremona, Bologna a Imola -e Modena, Parma a Pavia, Firenze a Siena, Genova a -Savona ed Albenga, Prato a Pistoja; signorotti feudali -saliti a gran potenza mescolavano battaglie fra sè o -<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span> -colle città; e ai rancori ed alle ambizioni private pretessevasi -il nome del papa o dell’imperatore. -</p> - -<p> -Questi convocò la dieta in Ravenna <span class="sidenote">(1231)</span>, ma al tempo -stesso da Germania invitava coll’esercito il figlio Enrico: -di che adombrate le città, e mal fidandosi alle assicurazioni -nè del papa, nè dell’imperatore, abbarrarono i -passi, tanto che Enrico rimase di là, e Federico rinnovò -il bando contra la Lega Lombarda, cassando qualunque -diritto mai avessero ottenuto le città di quella. -Mancando però d’esercito, le minaccie non fecero che -rinserrare quella Lega. Milano mette in ordine sette -capitani con mille uomini a cavallo ciascuno, giurati a -sostenere la libertà, e morire in campo piuttosto che -fuggire; disponeva delle forze di Parma, Piacenza, Novara, -Vercelli, Alessandria, benchè indipendenti; ed essendosi -Tommaso conte di Savoja tenuto sempre fedele -all’imperatore, dal quale anzi fu costituito vicario, i -Milanesi si spinsero fin nelle Alpi, e per sorreggere -alcune terre a lui ribellate fondarono il Pizzo di Cuneo, -che poi dovea divenire una delle primarie fortezze di -quella casa e dell’Italia. -</p> - -<p> -A Federico poi si ribellavano i proprj paesi, da -lui fraudati delle consuetudini municipali, e specialmente -Messina, avvezza a reggersi con stratigoti proprj: -ond’egli moltissimi appiccò ed arse vivi; il castello -di Centoripa distrusse dalle fondamenta; Gaeta, benchè -amnistiata, fe spoglia dell’antico diritto di eleggere -i consoli, e circondò di trenta fortini: insomma questo -eroe, magnificato da coloro che venerano in lui l’antagonista -de’ papi, trovò continuamente rivoltose la Puglia -e la Sicilia, nè seppe frenarle che collo spediente dei -tiranni, le fortezze. -</p> - -<p> -Appoggio gli erano, dopo i Saracini, i signorotti -ch’eransi eretti tiranni di alcune città e provincie, e che -dai diplomi di lui <span class="sidenote">(1215)</span> credeano trarre legittimità e fermezza. -<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span> -Principale tra questi fu Ezelino da Romano, che -succeduto ad Ezelino il Monaco suo padre, all’avito -dominio aveva aggiunto Bassano e Treviso, poi anche -Verona e Padova, secondato dal fratello Alberico e dai -Ghibellini della Marca Trevisana; e con una fermezza -che non si arrestava alla necessità del sangue e del -delitto, era divenuto il più spaventoso tiranno che la -patria storia ricordi. Vi faceva contrasto Azzo d’Este, -con larghissimi possessi e col favore di tutti i Guelfi: -ma Ezelino prevalse alla venuta di Federico, del quale -sposò Selvaggia figlia naturale. In queste emulazioni la -Marca non meno che la Lombardia andava a strazio di -deplorabili guerre, alle quali metter fine non potea la -politica, ma solo qualche armistizio la religione, adoprantesi -incessantemente a questo scopo. -</p> - -<p> -Già vedemmo come essa dettasse la tregua di Dio; -e i due nuovi Ordini di Domenicani e di Francescani -furono tutti in attutire gli sdegni, frammettersi alle baruffe -quotidiane, persuadendo e portando la pace da -signore a signore, da una all’altra città; e cuori feroci, -cui vigor di legge o possanza di magistrati non ratteneva, -aprivansi alla pietà, gli stocchi tornavano alla vagina, -e nel nome di Cristo fondendosi in lagrime, il -nemico correva ad abbracciare il nemico. -</p> - -<p> -Grandi paci conchiuse il santo d’Assisi; grandi il -seguace suo Antonio da Padova. Nel 1176 i cardinali -di Santa Cecilia e di Santa Maria in via Lata per delegazione -pontifizia componeano molte quistioni, agitate -fra le repubbliche di Pisa e Genova rispetto ai loro -diritti sopra la Sardegna<a class="tag" id="tag355" href="#note355">[355]</a>. Sui cui esempio frà -Guala da Bergamo, che fu poi vescovo di Brescia, riamicò -i Bolognesi coi Modenesi, i Trevisani coi Bellunesi. -In Cremona il popolo della città nuova viveva in -<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span> -cagnesco con quel della vecchia, e il vescovo Sicardo li -riconciliò; e così coi Vicentini il beato Giordano da Forzatè, -coi Milanesi frà Leon da Perego. Sta manoscritto -nella biblioteca Ambrosiana un prolisso discorso d’un -ecclesiastico che esortava alla concordia, e diceva: — Popolo -milanese, tu cerchi soppiantare il cremonese, -sovvertire il pavese, distruggere il novarese; le tue -mani contro tutti, e le mani di tutti contro te... Oh -quando fia quel giorno che il Pavese dica al Milanese, -<i>Il popolo tuo è popol mio</i>; e il Cremasco al Cremonese, -<i>La città tua è mia città!</i>» -</p> - -<p> -I Genovesi aveano contaminato le loro vie di molto -sangue civile, massime per l’odio tra li Avogadri e i -marchesi della Volta; quando si pensò porvi fine. Innanzi -giorno ecco toccar la campana a parlamento: e -i cittadini accorrendo attoniti, videro il vecchio arcivescovo -Ugo in pontificale tra il clero con candele -accese, e tra cittadini notevoli con croci alla mano, attorno -alle venerate reliquie del Battista; scongiurava a -deporre gli odj e gli sdegni, e giurare sui vangeli la -concordia, che sola poteva salvare la patria. Rolando, -capo degli Avogadri, non poteva indursi a perdonare -il sangue di tanti parenti suoi, de’ quali aveva promesso -vendetta; ma tanto insistettero i preti e i savj, che l’ebbero -indotto: poi corsero alla casa dei Volta, che non -erano voluti presentarsi, e li trassero a dare il bacio -ai nemici; e campane a festa e <i>Tedeum</i> celebrarono -l’evento<a class="tag" id="tag356" href="#note356">[356]</a>. -</p> - -<p> -Ambrogio de’ Sansedoni di Siena, che fu poi canonizzato, -venne spedito a predicar la pace in Germania, -<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span> -quindi tornò in patria per riconciliarla col papa che -l’aveva interdetta come fautrice di Federico, e volle -si cominciasse l’emenda dal perdono reciproco. Un magnate, -sazio de’ suoi consigli, lo cacciava come impostore -e vanaglorioso; ed egli: — Dio si chiama re della -pace, ma non la dà se non a chi di buon cuore la conceda -altrui. Quel che fo, lo fo per volontà di Colui che -può sopra di me. Se v’irritai, ve ne chiedo scusa, e se -merito supplizio, lo sosterrò di buon cuore per isconto -delle mie colpe». Il forte a tanta umiltà venne a resipiscenza. -Ambrogio predicava continuo che la vendetta -è peccato d’idolatria, perchè usurpa la parte di Dio che -a sè la riservò. Non riuscì mai a calmare un di Siena, -sicchè gli disse: — Pregherò per voi», e insegnò una -preghiera siffatta: — Signor Gesù, interponete la podestà -vostra a queste vendette, e riserbatele a voi, -acciocchè tutti conoscano che a voi solo spetta il punire -gli offensori»; ed esortava a dirla avanti quelli che si -ostinassero nelle ire. Anche quel pertinace, mentre ordiva -co’ suoi consorti di non fare mai pace, la udì, ne -fu compunto, e passati due giorni nella riflessione e nel -digiuno, va e prega il santo a perdonargli e a rimetterlo -in pace<a class="tag" id="tag357" href="#note357">[357]</a>. -</p> - -<p> -Continuò anche in appresso questa pia intromissione, -e nel luglio 1273 Gregorio X conciliò una solenne -pace in Firenze tra Guelfi e Ghibellini, e cencinquanta -sindaci per parte si baciarono in bocca in sul greto -d’Arno, dove esso papa volle si edificasse una chiesa -che i Mozzi, suoi ospiti e grandi mercanti, dedicarono a -san Gregorio<a class="tag" id="tag358" href="#note358">[358]</a>. Ma essendo il giorno stesso tornati -<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span> -a sospetti e a risse, un’altra concordia fu solennissimamente -celebrata il 1280 per mezzo del cardinale Latino -nunzio, rogandone atto, e volendo trecensessantasei -mallevadori de’ Ghibellini, trecentottantaquattro dei -Guelfi, e alquanti castelli<a class="tag" id="tag359" href="#note359">[359]</a>. L’anno precedente, esso -Latino in Bologna riamicava i Lambertazzi co’ Geremei, -in Faenza gli Acarisi coi Manfredi, in Ravenna i Polenta -coi Traversari; e frà Bartolomeo di Vicenza instituì -l’Ordine militare di Santa Maria Gloriosa, per -mantenere in calma le città italiane. Nel 1266 il sartore -Giacomo Barisello a Parma inalbera il segno della -redenzione, e forma la compagnia della Croce di cinquecento -seguaci, co’ quali va di casa in casa riconciliando -Guelfi e Ghibellini, e facendoli giurar fede al -pontefice. La compagnia ebbe tale successo, che ottenne -uffiziali proprj, con autorità di giudicare, e d’intervenire -negli affari del Comune, esercitandovi importanza -principale per mezzo secolo<a class="tag" id="tag360" href="#note360">[360]</a>. -</p> - -<p> -Di nuovo il cardinale Nicolò da Prato rappacificò -Firenze; e «a dì 26 aprile 1304, raunato il popolo -sulla piazza di Santa Maria Novella, nella presenzia dei -<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span> -signori, fatte molte paci, si baciarono in bocca per pace -fatta, e contratti se ne fece, e puosono pene a chi contrafacesse, -e con rami d’ulivo in mano pacificarono i -Gherardini con gli Almieri; e tanto parea che la pace -piacesse a ognuno, che vegnendo quel dì una gran -piova, niuno si partì, e non parea la sentissono. I -fuochi furono grandi, le chiese sonavano, rallegrandosi -ciascuno» (<span class="smcap">Compagni</span>). -</p> - -<p> -In Milano, contrastandosi nobili e popolani, si fece -compromesso in quattro frati, e si stette al loro lodo; -poi nimicatisi di nuovo, si accolsero in Parabiago, ove -due frati dettarono condizioni d’accordo. Nel secolo -seguente andò a predicarvi pace il beato Amedeo cavaliere -portoghese, che di limosine fabbricò Santa Maria -della Pace. Molte resie private e pubbliche in Valtellina -e pel Comasco racconciò frà Venturino da Bergamo, -che indusse diecimila Lombardi a pellegrinare -penitenti a Roma, gridando pace e misericordia, e -mantenendosi di carità. Molto profittarono pure in Lombardia -san Bernardino e fra Silvestro da Siena. -</p> - -<p> -Certamente anche allora potea dirsi, — Perchè frati e -preti s’hanno a mescolare d’interessi mondani? -</p> - -<p> -Ai tempi del nostro racconto, Gregorio IX, struggendosi -di acconciare in buona pace gl’Italiani, sì per -dovere di papa, sì per agevolare la crociata, mandava -Nicolò vescovo di Reggio a ricomporre i Modenesi -co’ Bolognesi; il cardinale Giovanni della Colonna a -calmare i Perugini inveleniti fra loro, e ripatriarvi gli -sbanditi; il cardinale Tommaso a Viterbo; il cardinale -Giacomo da Preneste a Verona a concordare i Capuleti -e i Montecchi, fazioni note per le compiante avventure -di Giulietta e Romeo; frà Gherardo di Modena nella sua -patria e a Parma, dove fu anche costituito podestà -per riformare gli statuti; a Piacenza frà Orlando da -Cremona. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span> -</p> - -<p> -Principale in queste missioni fu Giovanni da Schio -domenicano, ch’e’ destinò in varj luoghi e nominatamente -a Bologna, avvezza gli anni passati ad ascoltare -Francesco, Domenico, Antonio già santi, poi venuta -in urto col papa per le giurisdizioni vescovili, e perciò -fin privata dell’università. Alla voce del frate da Schio -si compromisero i litigi, si scarcerarono i debitori, si -rintegrarono gli esuli; ed esso riformò a suo senno gli -statuti, frenò le usure, indusse le donne a vestire più -composto, e tutti a salutarsi col <i>Sia lodato Gesù -Cristo</i>; e più nol voleano lasciar partire, tanto che il -papa dovette fin minacciarli d’interdetto. Allora lo inviò -a Siena; ma poichè a questa non potè rappacificare i -Fiorentini, il papa li proferì interdetti; ed essi per -capriccio d’incomposta libertà sprezzarono quel castigo. -</p> - -<p> -Frà Giovanni fu destinato principalmente a disacerbare -i furori della Marca Trevisana; e a Feltre, a -Belluno, a Treviso, a Conegliano, a Vicenza, a Padova, -per tutto operò prodigi di riconciliazioni; incontrato -come santo fra le bandiere sciorinate, richiamava gli -sbanditi, liberava i prigioni; e quando in Prato della -valle a Padova predicava di stando sul carroccio e -contornato dai carrocci delle altre città accorse, prorompeva -dai cuori l’evangelico <i>Son pur belli i piedi -di chi evangelizza la pace</i>. Tutto predisposto, frà Giovanni -ordinò un generale ritrovo a Paquara, vasta pianura -sull’Adige, tre miglia sotto Verona. Al cenno d’un -frate, tutte le città e le ville accorsero coi carrocci cantando -laudi al Signore; e quindici vescovi, tutti i baroni -delle vicinanze, i conti di Sanbonifazio, i signori -Camino, i Camposampiero, il tremendo Salinguerra di -Ferrara, e più tremendi ancora Ezelino ed Alberico da -Romano, vennero per udire predicarsi carità. Giovanni, -salito in pergolo, e preso per testo <i>La pace mia vi do, -la pace mia vi lascio</i>, parlò con una eloquenza, la cui -<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span> -efficacia veniva tutta dallo spettacolo e dalla persuasione -della santità. A parole che ben pochi poteano intendere, -ma che tutti sentivano, e a cui ciascuno sottoponeva -quel che il cuore e la fantasia gli dettavano, -avresti veduto quegli iracondi per penitenza picchiarsi -i petti, poi gettarsi un al collo dell’altro, e chiedersi perdono, -e promettersi amicizia. Il frate si valse dell’autorità -concedutagli dal papa per assolvere da interdetti -e scomuniche; e alzato il crocifisso, esclamava: — Benedetto -chi conserverà questa pace», e centomila voci -echeggiavano <i>Benedetto</i>; — Maledetto chi tornerà sulle -risse», e centomila voci, <i>Maledetto</i>. -</p> - -<p> -Se non che queste paci, indotte per impeto di sentimento, -combinate in nome della universale carità, -non isvelleano veruna delle cause delle nimicizie, talchè -fra breve si era di ricapo alle armi. Pochi giorni dopo -la spettacolosa concordia di Paquara, gli sdegni erano -riarsi, le spade tinte di nuovo sangue, tutto tornato a -peggio che mai per l’addietro si fosse; e i popolani -che aveano inneggiato il frate santo, lo bestemmiavano -uom di parte, venduto ai Guelfi, zimbello del papa. Egli -stesso provocò quegli sdegni colla severità adoprata -verso gli eretici, di cui ben sessanta bruciò nella piazza -di Verona; poi a Vicenza, appoggiato dal popolo minuto, -si dichiarò signore e conte, distribuì a suo senno -le magistrature, riformò gli statuti; e colla solita volubilità -popolesca fu cacciato prigione e respinto da un -paese che lasciava in peggiori discordie di prima<a class="tag" id="tag361" href="#note361">[361]</a>. -</p> - -<p> -Il pontefice, offertosi arbitro tra Federico e la Lega -Lombarda, proferì che l’imperatore dimenticasse ogni -offesa, revocasse la proscrizione, compensasse chi n’avea -sofferto pregiudizio; per ricambio i Lombardi rifacessero -i danni all’imperatore ed a’ suoi, e per due anni -<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span> -mantenessero cinquecento cavalli in Terrasanta. Federico -trovò parziale quel lodo, e lesivo della maestà -regia: ma pel papa quelle repubbliche erano corpi politici -legittimi e riconosciuti, nè aveano peggiorato -verun diritto imperiale col rannodare la Lega, a cui -erano stati autorizzati dal patto di Costanza. -</p> - -<p> -Esso papa era tergiversato dai Romani, che gli negavano -il diritto di sbandire un cittadino, esigevano -una retribuzione che da immemorabile la Chiesa dava -alla città, infine gli contestavano la sovranità temporale. -Quello a cui s’incurvava tutto il mondo, si trovò -costretto rifuggire in Perugia <span class="sidenote">(1234)</span>; Roma tornò repubblica -e Luca Savelli senatore ideò di fondare la Toscana e -la media Italia in una confederazione, che togliesse di -mezzo il dominio pontifizio, come dell’imperiale avevano -fatto i Lombardi. Le fazioni scrupoleggiano mai -sui mezzi? Questi repubblicani solleticarono le antipatie -di Federico, chiedendo li sostenesse; ma egli, temendo -ancor più la libertà che il pontefice, esibì soccorsi a -questo per tornare al dovere Roma. In riconoscenza, e -perchè la guerra che prevedeva inevitabile non avesse -a frastornare i soccorsi a Terrasanta, Gregorio IX dichiarava -gl’interessi di Federico essere interessi suoi, -atteso i grandi servigi che rese alla Chiesa<a class="tag" id="tag362" href="#note362">[362]</a>: s’industriava -di tirare i Longobardi a più larghe condizioni; -ma essi indugiarono oltre il termine prefisso, e la mediazione -fu mandata a vuoto dagli avvenimenti di -Germania. -</p> - -<p> -Colà sentivasi il ricolpo de’ fatti italiani: ed Enrico -lasciato a governarla, non che difettare della necessaria -robustezza, si abbandonò alle proterve inclinazioni, -oltraggiando la moglie, invidiando il fratello, tradendo -il padre, fino a rompere ad aperta ribellione; e mal -sostenuto dai Tedeschi, si drizzò alle città lombarde. -<span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span> -Milano, Brescia, Bologna, Novara, Lodi, il marchese di -Monferrato gli esibirono quella corona <span class="sidenote">(1235)</span> che sempre avevano -negata a Federico<a class="tag" id="tag363" href="#note363">[363]</a>; e n’ottennero conferma -a tutti i loro privilegi, e che accettasse per amici e nemici -quei della Lega. Pertanto guerra civile e domestica. -Federico soleva menare nel suo esercito come -trofeo camelli ed elefanti che avea condotti dalla sua -spedizione in Asia; e i Milanesi saputo che ne inviava -alcuno a’ Cremonesi in segno di benevolenza, assalgono -quel popolo, e a Zenevolta lo sconfiggono: ma Parmigiani, -Reggiani, Pavesi, Modenesi vengono a sostegno -di quello, talchè il combattimento si fa generale, e città -e principati si sbranano in fazioni. Dalla Sicilia, dove -sanguinosamente avea chetato i tentativi dei Comuni -di recuperare le fraudate franchigie, Federico traversa -inerme la Lombardia, che non volle profittare della -sua umiliazione; e fatto da settanta prelati e principi -dichiarar fellone Enrico, che altamente era disapprovato -anche dal papa<a class="tag" id="tag364" href="#note364">[364]</a>, lo fa arrestare e tradurre -nel forte di San Felice in Puglia, e ve lo lascia stentare -fin alla morte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span> -</p> - -<p> -Nella dieta da Federico radunata a Magonza, numerosa -di ottanta principi e prelati e di milleducento -signori, furono pubblicati molti savj provvedimenti e -una pace pubblica; terminata la lunga lite tra la famiglia -guelfa e la ghibellina, col dare a Ottone il Fanciullo, -unico guelfo superstite, le terre di cui si formò -il ducato di Brunswick, e sulle quali Federico rinunziava -ad ogni pretensione. Costui vi sfoggiò una grandezza, -alla quale non mancava se non il sapere moderarla; e -con istraordinaria maestà solennizzò un nuovo matrimonio -con Isabella, figlia del re inglese Giovanni -Senzaterra. Una nobiltà di cavalieri e baroni incontrò -la sposa alle frontiere; dappertutto il clero usciva a -suon di campane; a Colonia diecimila borghesi a cavallo, -splendidi d’armi e di vesti, la corteggiarono; -minnesingeri in tedesco, trovadori in provenzale, forse -anche siculi in italiano osannavano; mentre da carri, -festonati di tappeti e porpora, mirabile armonia diffondeano -gli organi nascosi; e la notte cori di fanciulle -non interruppero mai le serenate sotto ai balconi della -sposa. Quattro re, undici duchi, trenta conti e marchesi -assistevano, e pari alla dignità furono i regali di Federico; -una corona d’oro, collane, giojelli, scrigni, un -intero servizio d’oro e d’argento a ceselli, fin gli utensili -da cucina e le pentole erano d’argento; fra i quali Federico -presentò al regio suocero tre leopardi menati -d’Oriente, allusivi allo stemma d’Inghilterra. Isabella fu -sposata per procura da Pier delle Vigne, poi dal re quando -gli astrologi trovarono opportuno l’istante; portava in -dote trentamila sterline, che oggi rappresenterebbero -1,140,000 lire; ebbe in dominio tutto il val di Màzara, -e nel palazzo era servita da eunuchi mori e siciliani<a class="tag" id="tag365" href="#note365">[365]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span> -</p> - -<p> -L’imperatore fece eleggere re de’ Romani suo figlio -Corrado; ma più che il trionfare in Germania lo lusingava -il lottare in Italia. La Germania vedea come -gloria nazionale le spedizioni contro la penisola; ma -gli Svevi le ripeterono e prolungarono in modo, che -sì gravi sagrifizj e infruttuosi rincrebbero, non si volle -più decretare i sussidj, e Federico si trovò ridotto ai -mezzi che gli offrivano il proprio regno e i Ghibellini, -ed ai mercenarj. Ai pesanti e ferrati cavalieri tedeschi -associò gli scorridori saracini, le rapide evoluzioni -moderandone colle lente mosse di un elefante, che -portava una torre sulla quale spiegavasi lo stendardo, -tenendo vece del carroccio e della croce. Ad esercito -così bene assortito e diretto i Lombardi non aveano -ad opporre che milizie d’artieri e contadini raccolti -al momento del bisogno, nè addestrati alla fredda costanza -di regolari battaglie. Schivavano dunque gli -scontri in campagna rasa, preferendo aspettarlo in -chiuse mura; e poichè dall’Alpi al Po seguitava una -tela di fortezze, lungo e penoso riusciva il prenderle -una dopo una, quanto pericoloso il lasciarle alle spalle: -onde Federico doveva logorare dei mesi sotto a povere -bicocche, come Carcano, Roncarello o Crevalcuore. -</p> - -<p> -Rinserrata l’alleanza <span class="sidenote">(1237)</span>, e costituita una cassa comune, -noi attendemmo il Tedesco, il quale confidava principalmente -nei castellani. Schiusagli Verona da Ezelino, -uniti a diecimila Arabi i Ghibellini di Cremona, Parma, -Reggio, Modena, sconfisse gli Estensi, prese Vicenza, -costrinse a patti Mantova, orribilmente stramenò il -Bresciano. I Milanesi, accorsi coi Guelfi di Brescia, -Bologna, Vercelli, Novara, Alessandria, Vicenza, lo pettoreggiarono -valorosamente, ma poi lasciatisi sorprendere -a Cortenova nel Cremasco <span class="sidenote">(27 9bre)</span>, n’andavano colla -peggio. La compagnia de’ Gagliardi avea però tenuto -saldo attorno al carroccio: ma vedendo che al domani -<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span> -non potrebbero reggere a nuovo assalto, provvidero a -ritirarsi, ed essendo difficile trarre quel pesante carro -in terreno molliccio per natura e per le pioggie, ivi lo -abbandonarono sguarnito. Allora sì che Federico menò -vampo! scrisse a tutti i potentati avere ucciso diecimila -Lombardi; fe trascinare quel trofeo dietro al suo elefante -per le città, poi riporre sovra cinque colonne in -Campidoglio a Roma, ove si legge ancora la pomposa -iscrizione con cui volle eternare questa sua vittoria, -mentre eternava la sua paura e la nostra prodezza<a class="tag" id="tag366" href="#note366">[366]</a>. -Avendo côlto fra’ prigionieri Pietro Tiepolo podestà di -Milano e figlio del doge di Venezia, lo fece strozzare. -</p> - -<p> -Se molti Lombardi tentennarono dalla paura, non -Milano; non Brescia, che sembra predestinata a feroci -oppugnazioni e a magnanime resistenze, e che per sessanta -giorni resse l’assedio postole dall’imperatore, ajutata -dalle macchine dell’ingegnere Clamendrino, sicchè -Federico bruciò le proprie, e voltò a Cremona. Allora -i Guelfi ripigliano cuore, Genova li sostiene; Venezia, -indignata dal supplizio del Tiepolo, si scopre nemica -all’imperatore; Gregorio IX, scontento della fierezza -ond’egli trattava le città lombarde, della predilezione -mostrata ai Saracini, degli arbitrj usati in Sicilia, dell’avversione -perpetua alla Chiesa, e dell’essere mancato -al compromesso, s’allea co’ Veneziani, cedendo -loro quanta parte di Sicilia occuperebbero. -</p> - -<p> -Realmente Federico non lasciava sfuggirsi occasione -di oltraggiare la Chiesa. Un nipote del re di Tunisi, -<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span> -convertito dai Domenicani, va a Roma per farsi battezzare; -e Federico lo arresta, dicendo non potersi -trarlo al cristianesimo senza permissione dello zio. -Vescovi, côlti, è vero, colle armi, lasciò straziare e impiccare -da’ suoi Saracini; e smurar chiese per costruirne -moschee: a Nocera de’ Pagani erge un palazzo -s’una chiesa distrutta, e dov’era l’altare vi mette la -fogna<a class="tag" id="tag367" href="#note367">[367]</a>: dalle sedi dell’Italia meridionale sbandisce -i migliori prelati e gli uccide, e non lascia destinarvi -i successori. -</p> - -<p> -Federico corteggiava sempre il Vecchio della montagna, -il dey di Tripoli, che gli pagava tributo, il -sultano d’Egitto, che gli mandò fra altri doni una -magnifica tenda con un orologio, stimato ventimila -marchi d’argento, che segnava le ore e il corso degli -astri; i loro ambasciadori teneva a tavola coi vescovi, -di che pensate come si scandolezzassero i Cristiani. La -sua Corte somigliava a un harem; eunuchi negri e -nostrali custodivano sua moglie; «teneva mamelucchi -e donne molte, a sfogo di lussuria ed onta della religione; -menava vita epicurea, non facendo conto che -mai altra vita fosse»<a class="tag" id="tag368" href="#note368">[368]</a>; nè tampoco s’asteneva -dall’oltraggiare la natura. Nè solo papi e frati e guelfi, -ma l’arabo Abulfeda dice che propendeva all’islam -<i>perchè educato in Sicilia</i>; ed alcuni suoi frizzi mostrano -come sentisse di scemo nella fede. — Se Dio -avesse visto la mia bella Sicilia, non avrebbe scelto -per suo regno la squallida Palestina», esclamò mentre -<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span> -era crociato; e portandosi il viatico: — Quando si finiranno -coteste ciurmerie?» e trattava da pazzo chi -credesse al parto della Vergine, o ad altre cose repugnanti, -secondo lui, alla ragione e alla natura<a class="tag" id="tag369" href="#note369">[369]</a>. -Si bucinò anche d’un libro <i>De tribus impostoribus</i>, -attribuito a lui o a Pier delle Vigne, ma nessuno lo -vide; nè par credibile n’avessero taciuto i papi ed i -fautori loro, che dissotterrarono ogni minimo reato -della famiglia di Svevia: ma che Federico avesse detto, -il mondo essere stato giuntato da Mosè, Cristo e Maometto, -era voce tanto diffusa, che Pier delle Vigne -credette doverla smentire in una lettera ove l’imperatore -fa professione di fede: e convenendo che tale -diceria correva, ma deboli essere gli argomenti tratti -dal pubblico cicaleccio<a class="tag" id="tag370" href="#note370">[370]</a>. -</p> - -<p> -L’eresia sua capitale però consisteva nell’impugnare -incessantemente la maestà pontifizia, e svigorire le censure -<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span> -ecclesiastiche<a class="tag" id="tag371" href="#note371">[371]</a>; esclamava: — Pur beati i -principi asiatici, che non hanno a temere sollevazione -di sudditi, nè opposizioni di papi!» ed avrebbe voluto -ridur Roma a sua capitale, il papa a suo cappellano. -Col quale, nuovo motivo sopravenne di disgusto. -</p> - -<p> -I signori Pisani che avevano occupato la Sardegna, -presero il titolo dalle giudicature di quella, restando -vassalli della patria. I papi pretendeano la sovranità -della Sardegna come di tutte le isole, e Innocenzo III -indusse i Pisani a rinunziargliela: ma Ubaldo e Lamberto -dei Visconti di Pisa fecero guerra per proprio -conto ai signorotti che tenevansi a bandiera della -Chiesa; onde furono scomunicati <span class="sidenote">(1237)</span>, poi ribenedetti quando -riconobbero la supremazia papale, abjurando quella di -Pisa. I Pisani se ne indignano, i conti della Gherardesca -si armano, e Conti e Visconti divengono le denominazioni -de’ Ghibellini e de’ Guelfi che straziano -Pisa. Federico s’industria a calmarli, e fa ad Adelaide, -vedova di Ubaldo Visconti, signora di Gallura e della -Torre, sposare Enzo suo figlio naturale <span class="sidenote">(1238)</span>, conferendogli -il titolo di re di Sardegna, e pretendendo che questa -fosse stata distratta dall’Impero in tempi fortunosi, e -dover egli perciò sottrarla alla supremazia pontifizia. -</p> - -<p> -Al papa che restava se non impugnare le proprie -armi? e mentre Federico in Padova festeggiava con -Ezelino la depressione della parte repubblicana, gli -lanciò la grande scomunica <span class="sidenote">(1239)</span>, intimazione d’una seconda -guerra fra l’Impero e la Chiesa. Federico, conoscendo -a prova qual colpo facessero tali sentenze sopra i popoli, -fece da Pier delle Vigne recitare, nella gran sala -<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span> -della Ragione, una lunga discolpa: ma il popolo l’ascoltò -in significante silenzio; i signori stessi vacillavano; -tanto ch’egli volle averne ostaggi, che spedì in -Puglia; mandò circolari pei regni e i popoli tutti, irose -al papa fino ad accusare di dissolutezze questo vecchio -nonagenario: — Tu vivi unicamente per mangiare; -sui vasi e le coppe d’oro hai scritto <i>Io bevo, tu bevi</i>; -e così spesso ripeti il passato di questo verbo, che, -quasi rapito al terzo cielo, parli ebraico, greco, latino: -piena l’epa, ricolmo il sacco, allora ti credi seduto -sull’ali dei venti, e che l’Impero ti sia sottomesso, e -che i re della terra ti portino doni, e che ti servano -tutte le genti»: aggiungeva che, per ligezza ai collegati -lombardi, connivesse ai Catari, il cui nido era Milano; -egli fariseo, assiso nella cattedra del dogma perverso; -egli unto coll’olio di malizia più di tutti i malvagi; il -gran dragone che seduce, il Balaamo, l’anticristo. -</p> - -<p> -Il popolo credea meglio al papa, ai parroci, ai frati, -i quali ripetevano come Federico fosse mal cristiano; -ma quel ricambio d’improperj svergognava ambe le -cause: e mentre la Chiesa e l’Impero contrariavansi, i -Mongoli, suscitati dal tremendo Gengis-kan, devastavano -non solo l’Asia, ma il settentrione dell’Europa, e -minacciavano dappresso la Germania. Il denaro raccolto -nelle chiese di tutta cristianità per respingere -questi Infedeli, viene adoprato a strazio de’ Cristiani; -Gregorio IX impegna tutta Europa a sbalzar Federico; -Federico caccia e spoglia i vescovi siciliani; la parte -guelfa, che in quella scomunica vedeva un diversivo al -colpo finale minacciato alla libertà, rialza dappertutto -la testa; gli Estensi ricuperano le terre perdute, Treviso -si rivolta, Padova è a pena frenata dai torrenti di -sangue che versa Ezelino. Federico, difilando sopra -Milano, devasta la pieve di Locate, assistito dai nobili -e dai Comaschi: ma i Milanesi, esortati dal legato pontifizio -<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span> -che fece prendere le armi anche a preti e monaci, -lo affrontano a Camporgnano, gli voltano addosso le -acque, e lo costringono a ripiegare. -</p> - -<p> -Di peggiori ferite egli colpì le terre pontifizie; v’assediò -Faenza, e l’ebbe a patti; così Cesena e Benevento; -e difilò sopra Roma <span class="sidenote">(1240)</span>. Chi l’avrebbe difesa da questo -eroe? tanto più che vi abbondavano i Ghibellini, e Federico -teneva intelligenze coi Frangipani, che, occupato -il Coliseo, poteano dargli una fortezza nel cuore della -città. Ma frati predicano la croce, preti chiedono licenza -d’armarsi, e il papa «trasse di <i>Sancta Sanctorum</i> -del Laterano le teste de’ beati apostoli Pietro e -Paolo, e con esse in mano, coi cardinali, con tutti i -vescovi, arcivescovi e altri prelati, e con tutto il chiericato, -con solenni digiuni e orazioni andò per tutte le -principali chiese di Roma; per la quale devozione e -per miracolo di detti apostoli, il popolo di Roma fu -tutto rivocato alla difesa di santa Chiesa e del papa, e -quasi tutti si crociarono contro a Federico, dando il -papa indulgenza di colpa e pena» (<span class="smcap">Villani</span>). -</p> - -<p> -L’imperatore, costretto a levare il campo, torna a -Napoli per far uomini e denaro, coi quali rientra in -Lombardia; ma vede soccombere coloro sui quali più -s’appoggiava. Bolognesi, Lombardi, Estensi assalsero -Ferrara, difesa da Salinguerra Torelli, intrepido ottagenario, -che aveva ottocento uomini d’arme tedeschi -e molti assoldati; ma il suo luogotenente lo tradì, e il -marchese, invitatolo a un banchetto, lo fece prendere -e mandare a Venezia, ove sopravisse quattro anni in -carcere. -</p> - -<p> -Bisogna pur risolvere il ripigliato litigio; bisogna -interrogare la cristianità se approvi e sostenga l’operato -del papa. A tal fine Gregorio convoca un concilio -generale a Roma <span class="sidenote">(1241)</span>: e Federico, che sempre aveva a questo -appellato, ora non vi vede che una dimostrazione ostile, -<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span> -e scrive ai principi non lascino venirvi i cardinali, e -dispone guardie, alle quali concede le spoglie de’ prelati -che vogliano andarvi. Perciò un grosso di cardinali -francesi, inglesi, lombardi, risoluti di obbedire al papa, -scelgono la via di mare affidandosi ai Genovesi, avversi -a Federico dacchè egli, dopo lusingatili di ampli privilegi -in Sicilia, invece li sottopose alle comuni gravezze, -e li privò sin d’un palazzo che v’aveano avuto in dono. -Federico colla flotta pisana manda Enzo suo figliuolo, -che tra il Giglio e lo scoglio della Meloria scontrato -quel convoglio <span class="sidenote">(1241 — 3 maggio)</span>, parte manda a picco, moltissimi cattura. -Federico in trionfo ne informava il re d’Inghilterra, -vantando che da duemila v’affogarono, e circa -quattromila Genovesi restarono suoi prigioni: il vulgo -aggiunse che l’oro fu diviso collo stajo fra Pisani e -Napoletani. I Genovesi, di tal rotta dato ragguaglio al -papa, soggiungevano: — La perdita di nostre genti e -navi non ci nuoce quanto l’ignominia di nostro signore -e il male de’ santi prelati, che in virtù d’obbedienza -accorrevano al concilio per soccorrere la santità vostra -di giusti e salutari avvisi. A vendicare sì atroce nequizia, -a difendere la Chiesa di Dio col popolo a lei devoto, deliberammo -dal primo all’ultimo porre le vite e le cose -nostre, non perdonando a fatica, riposo, vigilie, finchè -conculcata non abbiamo la ribellione, e preso vendetta -delle morti, ferite e contumelie che gl’innocenti patirono -ad onore e gloria del nome di Gesù Cristo, della -santissima vostra persona, de’ venerabili fratelli vostri, -della Chiesa universale, e di tutti i fedeli. Ogni Genovese, -grande o piccolo che sia, posto da banda qualunque -rissa, cura e negozio, attende assiduo, a fabbricare e -munire navi e galee, affinchè abbiamo vittoria de’ nostri -nemici, e la Chiesa di Dio possa la sua grandezza e -potenza manifestare contro il figliuolo di perdizione, -scelleratissimo apostato Federico, sedicente imperatore, -<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span> -e i complici suoi e fautori. Nè pare ch’egli per altro -sia salito in tanta fortuna, se non per precipitare da -luogo più eminente nel baratro di estrema vergogna. -Quindi genuflessi supplichiamo alla santità vostra, pel -sangue di Cristo, le cui veci sostenete in terra, a non -desistere dal proponimento pel sofferto sinistro, anzi -sorreggere la navicella di Pietro, battuta dalle tempeste -e quasi assorta, e condurla al porto di gaudio e salute». -</p> - -<p> -I prelati furono tenuti in cattura a Pisa o ne’ varj -castelli del Napoletano; e intanto Federico spediva la -flotta a danno di Genova, contro cui istigava pure i -suoi alleati Pavesi, Alessandrini, Vercellini, Tortonesi, -e i marchesi di Monferrato, del Bosco, Pelavicino; -chiedeva a prestanza gli argenti delle chiese di Puglia; -occupava altre città romane fin a Tivoli e Montalbano; -e nel sacro collegio istesso trovò chi tradisse il papa, -come il cardinale Giovanni Colonna, che afforzando i -castelli di Lagosta ed altri, circondava Roma. Chiuso -in questa, il papa muore: e, detto fatto, Federico sospende -le ostilità, quasi a lasciar intendere fossero dirette -personalmente contro il pontefice; ma non per -questo proscioglie i cardinali carcerati, anzi intercetta -il denaro che da tutto il mondo spedivasi a Roma, -mette Saracini a devastare il patrimonio, e ai pochissimi -cardinali raccolti nel conclave, che ad arte egli -traeva in lungo, scriveva: — A voi, figliuoli di Belial; -a voi, figliuoli di Efrem; a voi, greggie di dispersione; -a voi, colpevoli dello scompiglio del mondo». -</p> - -<p> -Celestino IV, dopo appena diciassette giorni di papato, -morì di veleno; e tenendo l’imperatore ancora -in prigione o a confino i cardinali, più d’un anno passò -prima che si potessero unire quanti bastavano per -eleggergli un successore, che fu Sinibaldo Fieschi genovese -col nome d’Innocenzo IV <span class="sidenote">(1243)</span>. Era egli di famiglia -e di persona favorevole all’imperatore, onde speravasi -<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span> -un componimento; ma Federico disse: — Ho perduto -un amico per acquistare un nemico». Però il vescovo -di Porto con Taddeo da Suessa e Pier delle Vigne parve -riuscissero a trar Federico a condizioni ragionevoli; e -gli ambasciatori di questo il giovedì santo del 1244 in -piazza del Laterano giurarono la pace, presenti esso -papa, i cardinali, Baldovino II imperatore di Costantinopoli, -il senato, il popolo. -</p> - -<p> -Già l’Italia e la Chiesa credeansi rabbonacciate, -quand’ecco frammettersi puntigli: Innocenzo pretendeva -Federico cominciasse dal rilasciar le terre e gli uomini -presi; Federico voleva ch’egli prima lo ricomunicasse, e -discernesse la causa sua da quella delle città lombarde, -usurpatrici delle regalie, mentre il papa contendeva -non fossero obbligate rispondere ai tribunali dell’Impero. -Federico, palpato invano il pontefice col cercargli -una nipote per isposa a suo figlio Corrado, s’avventa -da capo all’armi, e ne occupa tutte le città; il papa, -nè tampoco fidandosi (così il conosceva) di rimanere -in Roma, fugge a Genova e di là in Francia. Federico, -stizzendo che la vittima gli fosse sfuggita, scrisse, -mandò, e tanto era potente e riverito, che il papa non -trovò asilo da nessuno, neppure da san Luigi. Fortunatamente -Lione era città libera, sicchè colà ricoverato, -e ricevendo grand’onoranza da gente che affluiva da -tutta cristianità, e anche dall’Italia per quanto l’imperatore -vigilasse i passi, aprì il XIV concilio generale <span class="sidenote">(1245 — 25 giugno)</span>. -</p> - -<p> -Cenquaranta prelati v’intervennero, e fu allora che -Innocenzo ornò del cappello rosso i cardinali, per indicarli -pronti a versare il sangue per la Chiesa, e v’aggiunse -la valigia e la mazza d’argento, ornato regio, -quasi a protestare contro di Federico, il quale pretendeva -ridurli all’apostolica semplicità. Ai congregati -espose le cinque piaghe della Chiesa: lo scisma dei -Greci, le eresie crescenti, Terrasanta devastata dai Carismiti, -<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span> -la minaccia dei Mongoli, e le enormità dell’imperatore, -eretico, musulmano, bestemmiatore, spergiuro, -spogliator delle chiese, persecutore del clero. -L’avrebbe però ricevuto a pace, purchè rilasciasse i -prigionieri, rendesse le terre alla Chiesa, e compromettesse -in lui le sue differenze coi Lombardi; ma Federico -stette al niego: finse poi voler condursi in persona -al concilio, ma vi andò solo Taddeo da Suessa. -</p> - -<p> -Grand’eloquenza, gran dialettica adoprò costui per -menomare le accuse di eretico, d’epicureo, di ateo; ma -indarno ripetute le proroghe acciocchè Federico comparisse -in persona, fu in contumacia proferita la scomunica -contro di esso: — Io vicario di Cristo; e quel -che legherò sulla terra fia legato in cielo. Pertanto, -deliberato coi cardinali fratelli nostri e col concilio, -dichiaro Federico accusato e convinto di sacrilegio e -d’eresia, scomunicato e scaduto dall’impero; assolvo -per sempre dal giuramento quelli che gli promisero -fedeltà; proibisco obbedirgli sotto pena della scomunica -<i>ipso facto</i>; comando agli Elettori che scelgano un altro -imperatore, riservando a me il disporre del regno di -Sicilia». I cardinali gettarono per terra le candele accese, -colla rituale esecrazione; Taddeo si picchiava il -petto, esclamando: — Giorno di collera, giorno di calamità, -di miseria»; ed Innocenzo intonò il <i>Tedeum</i>. -</p> - -<p> -Federico trovavasi in Torino quando lo seppe; e -chiesta la corona, se la calcò in capo, dicendo come -un altro ai nostri giorni: — Guaj a chi me la tocca! -guaj al pontefice che spezzò i legami che a lui mi avvincevano, -nè mi lascia più altri consigli che dello -sdegno!» E scrisse ai principi, lagnandosi d’essere -stato condannato prima che convinto, negando al papa -il diritto di deporre i re<a class="tag" id="tag372" href="#note372">[372]</a>: — Come mai voi soffrite -<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span> -d’obbedire ai figli dei vostri sudditi? Vedete come si -impinguano di limosine, e tronfj d’ambizione sperano -che tutto il Giordano coli nella loro bocca. Quanto denaro -risparmiereste sbarazzandovi da questi scribi e -farisei! quando voi tendete loro la mano, essi pigliano -tutto il braccio. Presi nelle loro ragne, somigliate all’uccello -che, cercando fuggire, viepiù s’accalappia. Nostra -intenzione fu sempre di voler colla forza tornare la -Chiesa alla primitiva purità, e togliere a costoro i tesori -di cui sono satolli». Così chiarivasi eretico nella lettera -stessa ove di questa imputazione voleva scagionarsi. -</p> - -<p> -Ma la voce del concilio era ascoltata e diffusa, e il -papa scriveva a’ Siciliani: — A molti fa meraviglia che -voi, oppressi da vergognosa servitù, gravati nella persona -e nei beni, abbiate trascurato di procacciarvi le -dolcezze della libertà, come fecero le altre nazioni. Il -terrore che occupò il cuor vostro sotto al giogo d’un -nuovo Nerone, vi è scusa presso la santa Sede, la quale -per voi sentendo pietà e paterno affetto, pensa come -alleviare le vostre sofferenze, e fors’anche portarvi ad -intera libertà. Su, spezzate le catene della schiavitù, e -prosperi nel vostro Comune la libertà e la pace. Vada -voce tra le nazioni che il vostro regno, tanto famoso -per nobiltà e per abbondanza di prodotti, ajutante la -divina Provvidenza, potè a tanti altri vantaggi unire -quello d’una stabile libertà»<a class="tag" id="tag373" href="#note373">[373]</a>. -</p> - -<p> -I Siciliani porsero ascolto a questi incitamenti, e, -<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span> -mal per loro, tesserono congiure contro la vita di Federico, -che ne tolse ragione di versare sangue illustre. -Anche in Germania la corona fu data ad Enrico Raspon <span class="sidenote">(1246-47)</span>, -landgravio di Turingia, che, favorito dalle dissensioni, -e dal denaro e dai brevi del papa, vinse il re Corrado -di Svevia: ma poi rivinto, morì di crepacuore. -</p> - -<p> -Non per questo migliorò la causa di Federico, il -quale troppi titoli aveva onde bramarsi a riva. San -Luigi di Francia, cui era sembrato un eccesso il condannare -inascoltato il maggiore principe della cristianità, -e che d’altra parte struggeasi di vedere i Fedeli in -pace per ripigliare la crociata, s’interpose più volte, -rammentando al pontefice la mansuetudine che conviensi -al vicario di Cristo, e quante migliaja di pellegrini -in Oriente implorassero l’armonia fra’ principi -cristiani ond’essere redenti dal giogo: ma Innocenzo -stava saldo, imponeva decime al clero, estorceva denaro -in ogni modo, sollecitava i principi lontani, spediva -ciascun giorno frati a predicare contro l’imperatore. -Questi erasi accorto quanta potenza avessero le riforme -portate dalla istituzione dei nuovi frati, riforme che -toccarono alle viscere della società, cui ai tiranni giova -lasciar corrotte, e perciò gli odiava. Pier delle Vigne -scagliavasi contro costoro, che «nel principio parendo -calpestare la gloria del mondo, assunsero poi il fasto -che disprezzavano; non avendo nulla, possiedono tutto, -e son più ricchi dei ricchi stessi. Frati Minori e frati Predicatori -(soggiungeva) si elevarono contro di noi in ira, -pubblicamente riprovarono la vita e la conversazione -nostra, spezzarono i nostri diritti, e ci ridussero al nulla... -E per affievolirci ancora più e toglierci la devozione dei -popoli, crearono due nuove fraternite, che abbracciano -gli uomini e le donne tutte; appena uno od una si -trova, che a questa o quella non sia aggregato»<a class="tag" id="tag374" href="#note374">[374]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span> -</p> - -<p> -In fatto essi resistettero intrepidi alla tirannia di Federico, -e nell’andare a mettere pace faceano giurare -obbedienza al papa. I Pagani da Nocera irrompendo -nella valle di Spoleto, giunsero un dì fin sotto Assisi: -al pericolo, le monache di San Damiano si stringono -attorno alla malata lor madre santa Chiara; ed ella si -alza, prende l’ostensorio, lo colloca sulla porta, e inginocchiata -al cospetto dei Musulmani, supplica Dio a -proteggere la città: e Dio per sensibile voce la rassicura, -gl’Infedeli voltansi in fuga, e da quel punto la santa è -dipinta coll’ostensorio alla mano. Un’altra volta Vitale -di Aversa, capitano dell’imperatore, menava sue masnade -contro Assisi, sperperando i contorni: Chiara ne -restò compunta, e radunate le suore, — Noi riceviamo -sostentamento quotidiano da questa città; è ben giusto -che la soccorriamo a poter nostro»; e si spargono di -cenere, e supplicano, finchè Dio le esaudisce e sbratta -il paese dagli Imperiali. -</p> - -<p> -Il beato Giordano, generale de’ Predicatori, andò -all’imperatore, e statogli avanti alcun tempo silenzioso, -proruppe: — Sire, varie contrade io giro, secondo è -l’uffizio mio; or come non mi chiedete qual fama corra -di voi? — Io tengo gente a tutte le corti e provincie, -e so quanto accade in tutto il mondo», rispose Federico. -E il frate: — Gesù Cristo sapeva tutto, e pur domandava -a’ discepoli che cosa si dicesse di lui. Voi -siete uomo, ed ignorate assai cose che vi gioverebbe -sapere. Si dice che opprimete le chiese, sprezzate le -<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span> -censure, date fede agli augurj, favorite Giudei e Saracini, -non onorate il papa vicario di Gesù Cristo. Ciò è -indegno di voi»<a class="tag" id="tag375" href="#note375">[375]</a>. -</p> - -<p> -Federico rispondeva colle crudeltà <span class="sidenote">(1247)</span>; prese e distrusse -Benevento città papale; e facendo criminali le parole e -il pensiero, infieriva contro i sudditi; scriveva al re -d’Inghilterra che i frati Minori combattevano contro -di lui a lancia e spada, e assolvevano d’ogni peccato -chi lo combattesse; accusava il papa di raccogliere i -nemici suoi e rimunerarli; a quanti frati cogliesse, faceva -in capo una croce col ferro rovente; appiccava -qualunque portasse lettere d’interesse papale; rubò e -disertò il convento di Montecassino: poi a tratto raumiliando, -si faceva esaminare intorno alla fede da -cinque prelati italiani. -</p> - -<p> -Nè le città lombarde ristavano: e Federico assalì di -nuovo i Milanesi, sempre fidi al papa, e distrutto il -monastero di Morimondo, accampò presso Abbiategrasso; -ma l’esercito milanese stettegli a fronte sulla -sinistra riva del Ticino, impedendogli di varcarlo. Bensì -suo figlio Enzo, che coi Cremonesi e con altri Ghibellini -assediava i castelli bresciani, tragittò l’Adda a Cassano: -ma a Gorgonzola fu sconfitto e preso dal prode Simon -da Locarno, il quale lo rese in libertà purchè giurasse -non entrare più sul territorio lombardo. -</p> - -<p> -La perseveranza di una città lombarda diede il tracollo -a Federico. I Guelfi, capitanati dai Rossi e dai -Correggio, sinistrarono in Parma e ne furono espulsi -dai Ghibellini, talchè l’imperatore come in città propria -vi destinò podestà Arrigo Testa di Arezzo. Ma i fuorusciti -pervennero a recuperarla, uccidendo in battaglia -quel podestà, e scacciando il presidio imperiale. Questa -rivolta noceva grandemente a Federico, perchè Parma -<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span> -serviva d’anello fra le città ghibelline ch’erano schierate -dall’Alpi alla Puglia, cioè Torino, Alessandria, -Pavia, Cremona, Reggio, Modena, la Toscana; e ciò -che più rileva, con Verona e coi dominj di Ezelino e la -Germania. Pertanto egli si propose di recuperarla ad -ogni costo: Enzo si postò sul Taro per impedire i soccorsi -de’ Lombardi: l’imperatore da Torino vi accorse -con diecimila cavalli e molti balestrieri saracini e colle -truppe d’Ezelino e degli altri Ghibellini; sostenne quanti -studenti o soldati o gentiluomini parmigiani trovò, facendone -morire quattro il giorno al cospetto della patria, -finchè i Pavesi gli dichiararono: — Noi siamo -venuti a combattere i Parmigiani, non a farne il boja». -Incontro a Parma alzò egli una gran bastita a guisa di -città, col nome di Vittoria: ma mentre egli baloccavasi -alla caccia, i Parmigiani che erano soccorsi dai Lombardi, -sortiti distrussero le mura e il campo, fecero -macello de’ Saracini e de’ Pugliesi <span class="sidenote">(1248)</span>, fra i morti lasciando -il marchese Lancia e il famoso Taddeo da Suessa, e -tolsero a Federico il tesoro, le gioje della corona e la -speranza del vincere. La città di Vittoria andò in -fiamme, il carroccio de’ Cremonesi ornò il trionfo dei -Parmigiani<a class="tag" id="tag376" href="#note376">[376]</a>. -</p> - -<p> -L’imperatore pensò rivalersi sulla Lega Toscana dei -mali fattigli dalla Lombarda, e mandò suo figlio Federico -<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span> -re d’Antiochia con milleseicento cavalli tedeschi a -Firenze, che eccitò la consorteria degli Uberti a prender -l’armi; e cavalcata la città, e prese una dopo l’altra le -barricate de’ Guelfi, la ridussero a segno ghibellino; -abbatterono trentasei palazzi colle torri, fra cui alcune -ornate artisticamente, come quella de’ Tosinghi in Mercato -vecchio, alta quarantacinque metri; rincacciarono -poi i Guelfi ne’ loro castelli forensi; a Capraja l’imperatore -stesso venne a porre l’assedio, e presala, molti -<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span> -uccise, molti accecò, gli altri sepellì nelle prigioni di -Puglia. -</p> - -<p> -Ma intanto Corrado suo figlio restava superato da -Guglielmo d’Olanda, nuovo anticesare in Germania. -Più al vivo l’avea tocco la sventura dell’altro figlio Enzo, -bello e colto giovane di venticinque anni e già d’onorato -nome in cose di guerra, che essendo venuto contro -i Bolognesi, a Fossalto cadde in costoro mano. Essi lo -tennero in cortese prigionia, ma per qualunque dire o -<span class="pagenum" id="Page_468">[468]</span> -fare più nol rilasciarono quanto visse. Raccontasi fosse -fabbricato per lui il palazzo rimpetto al duomo, e che -da Lucia Vendagoli avesse un figliuolo ch’e’ nominò -Bentivoglio <span class="sidenote">(1269)</span>, donde derivò la famiglia di questo nome<a class="tag" id="tag377" href="#note377">[377]</a>. -</p> - -<p> -Al dispetto della superbia ammaccata s’aggiunse in -Federico il più crudele e consueto flagello che Dio -scagli sui tiranni, il sospetto. Le volte del palazzo di -Palermo echeggiarono ai gemiti de’ baroni ch’egli vi -chiudeva a morire, mentre le donne loro consumavansi -di doglia. Che più? Pier delle Vigne, l’uomo cui -avea fidate le <i>chiavi del suo cuore</i>, l’uomo che per -anni ed anni avea scritto le lettere di lui, senza farsi -scrupolo di urtare le idee allora più sacre, e di meritar -taccia di servile presso la posterità, anch’esso gli cadde -in sospetto. Privato degli occhi, Pietro non seppe tollerare -di vedersi calpesto da quello ch’egli aveva tanto -esaltato, onde si diede morte da se stesso; e dalle incolpazioni -lo assolse il giudizio dei contemporanei -espresso da Dante<a class="tag" id="tag378" href="#note378">[378]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_469">[469]</span> -</p> - -<p> -La parte ghibellina, sostenuta da Pisa e Siena, prevaleva -in Toscana; in Lombardia tenevasi in bílico coll’avversa, -mercè la fierezza d’Ezelino; trionfi della -forza: i Romani stessi minacciavano insorgere se il -papa non tornasse. Potea dunque Federico lusingarsi -d’un buon accordo, quando morì di sessantasei anni <span class="sidenote">(1250 — 15 xbre)</span>. -Rosa da Viterbo avea preveduta in visione la morte di -lui, e intimatogli tornasse al cuore. Gli astrologi aveangli -preveduta fatale una terra che traeva nome dal fiore; -lo perchè non era mai voluto entrare in Firenze: ma -l’ultima malattia lo colse a Fiorentino, villa della Capitanata. -Prima di spirare fu ricomunicato: ma la fama -divulgò che suo figlio Manfredi lo soffocasse: uno -de’ molti misfatti, di cui quella famiglia fu aggravata -dall’odio dei popoli e dei sacerdoti. -</p> - -<p> -Tanto eroe ch’egli era, in cinquantatre anni che stette -re di Sicilia, e trentadue che imperò, Federico nulla -compì di grande, perchè, com’ebbe a dire san Luigi, -fe guerra a Dio coi doni di Dio. Qual divario in fatti -<span class="pagenum" id="Page_470">[470]</span> -dal limitare della sua vita, quand’era non solo amico, -ma in tutela della Chiesa, e gli ultimi vent’anni in cui -durò ritroso e contumace all’autorità spirituale! Acuto -a scorgere i difetti e pregiudizj, stizzoso per beffarli, -non amorevole per compatirli e correggerli, in un mondo -che ancora operava per fede, volle trapiantare la politica -materiale, facendo dichiarare da Pier delle Vigne -che l’Impero è arbitro delle cose umane e divine; visitò -il sepolcro di Cristo come alleato de’ Musulmani; si -circondò di zanzeri, di odalische e di Saracini, a lor -modo costumando la vita, e parve vagheggiare la coltura -orientale a preferenza della cristiana. -</p> - -<p> -Questa rivolta contro la forza vitale del cristianesimo -poteva essa tollerarsi da un secolo credente? Con volontà -baldanzosa cozzando contro l’opinione, Federico -non potette appoggiarsi che sui peggiori uomini che -producesse l’Italia, e ricorrere ai mezzi repugnanti alla -sua natura; incrudelire contro il proprio figliuolo, tenendolo -a vita prigione; trovare o sospettar ribelli i -suoi più intimi, vendicarsi ogni giorno con mannaje e -capestri, distruggere città, crocifigger preti e frati. Nell’alta -Italia non riusci a comprimere nè le città nè i -baroni, anzi li fe chiari di quel che loro mancava per -sostenersi. Divorò colla speranza il patrimonio di san -Pietro, e i papi sopravissero a spargere d’acquasanta -la fossa dell’ultimo rampollo di sua prosapia. Nel suo -regno di Sicilia attentò le franchigie, quantunque il -facesse colla solita canzone de’ tiranni, «Lasciate ogni -potere a noi, e noi vi faremo felici»; e così cumulò -tesori di memori ire. A maggior diritto lo tacciano i -Tedeschi d’avere, per soggiogar l’Italia, trascurato il -loro paese quasi una provincia; e mentre avrebbe -potuto unire all’Impero tutto il settentrione e l’oriente -dell’Europa, diffondendo la civiltà fra la razza slava, -cui dappertutto preponderava allora la germanica, per -<span class="pagenum" id="Page_471">[471]</span> -capriccio di soperchiare i papi e per costituire un regno -alla propria famiglia permise si eclissasse l’Impero, -che più mai non ricuperò il suo splendore. -</p> - -<p> -Testando lasciava il regno a suo figlio Corrado; -mancando questo senza prole, gli surrogava il suo -figlio naturale Manfredi, che intanto destinava balio in -Italia: si rendano in libertà tutti i prigioni, eccetto -quelli presi per la congiura contro di lui; anzi a nessuno -dei felloni del regno sia permesso tornarvi, e -gli eredi suoi siano obbligati a trarne vendetta: alla -Chiesa si restituiscano i diritti, se essa restituisca quelli -dell’Impero: ai baroni o feudatarj ripristinava i privilegi -e le franchigie che godeano al tempo di Guglielmo -II, col che annichilava la fatica di tutto il suo -regno, cioè il restringimento delle giurisdizioni feudali, -quasi credesse che tutta la riazione fosse venuta da -loro, e volesse evitarla a’ suoi figliuoli. La storia non -dovrebbe ammirare che la grandezza morale; e Federico -nulla fondò; operava per passioni personali e intenti -domestici, e nè tampoco la propria famiglia potè -assodare. Il popolo, guardando tra meraviglia e compassione -il suo sepolcro, conchiudeva come il cronista -Salimbeni, che sarebbe stato senza pari sulla terra <i>se -avesse amato l’anima sua</i>. -</p> - -<p> -Dopo sei secoli di progresso un altro imperatore doveva -elevarsi colla medesima assolutezza, la medesima -nimicizia alla libertà, il medesimo conto della religione -come stromento di politica e ordigno di Stato, la medesima -ostilità ai papi; e come lui trionfare colla violenza, -e come lui soccombere alla voce di Dio e del -popolo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_472">[472]</span> -</p> - -<h2 id="cap92">CAPITOLO XCII. -<span class="smaller">Fine degli Svevi e della seconda guerra delle Investiture.</span></h2> -</div> - -<p> -«Esultino i cieli, giubili la terra, poichè in freschi -zefiri e in fecondatrici rugiade si risolsero il fulmine -e la burrasca, da Dio sospesi sul vostro capo»<a class="tag" id="tag379" href="#note379">[379]</a>, -esclamava Innocenzo IV all’udire la morte di Federico -II; ma non parevagli perfetta l’impresa finchè restasse -razza o seme degli Hohenstaufen. Scrisse ai baroni -delle Due Sicilie, non riconoscessero altro re dal -papa in fuori; e alle città e ai principi di Germania -cessassero ogni devozione verso Corrado IV, scaduto, -non che dal trono, fin dal ducato di Svevia; e favorissero -invece Guglielmo d’Olanda, eletto imperatore; -non fosse accettato alla comunione o a dar testimonianza -se non chi si segregasse dagli Hohenstaufen. Poi, -ad invito de’ Guelfi, da Lione suo ricovero venne alla -patria Genova, traversò la Lombardia benedicendo e -scomunicando, spegnendo e attizzando guerre. Le città, -che la benedizione sua avea tanto francheggiate nel -tener testa al Tedesco, tripudiavano ora nel nome di -lui: tutti i Milanesi gli uscirono incontro, formandogli -doppia siepe per dieci miglia di strada, e inventarono -un cielone di seta portato da cittadini di rispetto, il -quale poi fu detto baldacchino; e per due mesi che vi -dimorò, gli accumularono dimostrazioni e n’ottennero -grazie spirituali. Essi Milanesi sconfiggevano i Lodigiani, -vi collocavano un podestà di loro scelta, e vinceano -i Tortonesi in modo da farli quasi tutti prigionieri: -Firenze rimetteva in città i Guelfi, i quali ben -<span class="pagenum" id="Page_473">[473]</span> -tosto furono in grado di cacciarne i Ghibellini: molte -città del Regno insorsero, e fin Capua, Napoli, Messina, -e i conti d’Acerra, d’Aquino, di Caserta. -</p> - -<p> -Solo in Roma prevalevano i Ghibellini; e non che -accogliere il papa con feste o calma, si volle scegliere -un senatore non più paesano, ma forestiero come soleansi -i podestà. E fu Brancaleone d’Andalo bolognese, -conte di Casalecchia <span class="sidenote">(1253)</span>, legato con Ezelino, col Pelavicino -e cogli altri di quella risma; il quale accettò solo a -patto di durare tre anni, e di mandare nella sua patria -come ostaggi trenta giovani di famiglie primarie; con -giustizia inflessibile e governo di sangue tenne tranquilla -la città, distrusse cenquaranta torri de’ nobili, -molti ne mandò al supplizio o in esiglio; ad Innocenzo, -ch’erasi collocato in Assisi, intimò di restituirsi alla -sua sede se voleva essere riconosciuto, minacciando -diroccare la città che il ricoverava, come già avea fatto -colle riottose Ostia, Porto, Alba, Tivoli, Sabina, Tusculano. -Tanta severità irritò il popolo, che cacciollo; ma -presto lo rivolle, e quando morì ne collocò la testa in -un vaso d’alabastro sopra una colonna. -</p> - -<p> -Ai Ghibellini s’appoggiò pure Corrado quando con -iscarsissimi mezzi venne in Italia <span class="sidenote">(1251)</span>, e a Goito sul Mantovano -convocò i Cremonesi, Pavesi, Piacentini, Padovani, -e il caporione della parte imperiale, Ezelino, il -quale era a un punto di costituire una potenza indipendente, -se troppo lubrico fondamento non fosse il -sangue. Invano dal papa tentato con promesse e minaccie, -costui seguitò la strada della violenza, e con -questa sostenea l’imperatore: sicchè le città guelfe rinnovavano -la lega, che aveano imparato esser modo di -salvamento; e il papa vi promise trecento lancie -mantenute. -</p> - -<p> -Corrado si tragittò per mare nel Regno, ove tutto -andava a subuglio, perchè pretendeano governarlo gli -<span class="pagenum" id="Page_474">[474]</span> -uni a nome del pontefice, gli altri de’ figli di Federico. -Uno n’avea questi lasciato d’Isabella d’Inghilterra, per -nome Enrico; ma finendo solo i tredici anni, non bastava -a tali procelle: dell’altro Enrico, che era stato -re, avanzavano due bambini. Ma la figlia di Bonifazio -Guttuario signore d’Anglano presso Asti e d’una Napoletana -di casa Maletta, vedova del marchese Lancia, a -Federico avea generato Manfredi, che fu intitolato principe -di Taranto. Nel vigore dei diciott’anni, tutto spiriti -cavallereschi ed ambizione, alla morte del padre -naturale egli si recò in mano le cose, e sanguinosamente -reprimeva la Sicilia e le città che, confortate anche dal -papa a quella libertà <i>che godeano quelli direttamente -soggetti alla Chiesa</i><a class="tag" id="tag380" href="#note380">[380]</a>, aspiravano a saldare il governo -municipale, forse non mai perito colà, ed eleggevano -un consiglio invece de’ bajuli regj. Manfredi coi Saracini -di Nocera e di Sicilia ajutò Corrado a sottometterle; -il quale, avuta Napoli stessa dopo lunga resistenza, -la mandò a sacco, costrinse i cittadini a smantellarla, -e fece <i>gran giustizia</i>, cioè esterminio de’ capi -ribelli. Queste ed altre severità e le rincarite imposizioni -faceano che i popoli dicessero di lui «Gli è un tedesco», -mentre di Manfredi ripeteano «È un italiano». -</p> - -<p> -Per quanto Manfredi si fosse buon’ora addestrato nell’arte -di fingere e inchinarsi, l’attività e la benevolenza -il posero in sospetto a Corrado, il quale, dopo che gli -nacque un figlio nominato Corradino <span class="sidenote">(1252)</span>, cessò d’avergli -riguardi; per fargli smacco abolì le donazioni fatte -dopo morto Federico, depose il gran giustiziere di Taranto -ed altre creature di esso, ne cacciò i parenti materni, -lui stesso privò del ricco appanaggio di cui l’avea -provveduto. Al tempo di loro amicizia aveali la pubblica -<span class="pagenum" id="Page_475">[475]</span> -voce accusati d’avere avvelenato il giovane lor -fratello Enrico e il nipote Federico: dopo la loro scissura -si imputò a Manfredi il morire di Corrado <span class="sidenote">(1254)</span>. Costui, -finendo sul fiore de’ ventisei anni, temea il veleno in -ogni posizione, e rimordeasi d’aver disgustato la Chiesa, -prevedendo ch’essa trionferebbe d’una Casa ridotta a -una cuna. Allora Guglielmo d’Olanda non ebbe più emuli -nel regno di Germania: ma, benchè giovane ardimentoso, -non potè mai ispirare nè amore nè rispetto; e -prima di cingersi la corona in Italia, morì osteggiando -i Frisoni. -</p> - -<p> -Sì abjette erano le condizioni dell’Impero <span class="sidenote">(1256)</span>, che nessun -principe nazionale vi aspirò, ma gli uni facevano guerra -agli altri in universale anarchia. Alfonso X re di Castiglia -comprò con grosse somme <span class="sidenote">(1257)</span> il voto d’alcuni elettori; -d’altri con somme maggiori Ricardo di Cornovaglia, -non conosciuto per altro merito che per isfondolate -ricchezze: sicchè l’impero di Carlo Magno tornava, -come ai tempi di Didio Giuliano, a vendersi al migliore -offerente. Ricardo, appena coronato, dovette tornare in -Inghilterra, ove morì; Alfonso dai domestici affari e -dagli studj astronomici fu trattenuto in Ispagna, nè -cinse mai la corona di re de’ Romani: sicchè quel tempo -chiamossi <i>il grande interregno</i>, non perchè mancassero -imperatori, ma perchè di nessuno fu riconosciuta -ed efficace l’autorità. Tempo deplorabile per la Germania, -dove rivisse peggio che mai il diritto del pugno, -cioè delle guerre private; e dove alle antiche, nuove -occasioni di battaglia aggiungevano le investiture date -dagli emuli imperatori; nè ai popoli restava cui ricorrere -contro le angherie dei signori, i quali faceansi -unica legge il proprio talento. -</p> - -<p> -Pensate se ai Tedeschi rimaneva agio di badare all’Italia, -dove la lite fra l’Impero e il Sacerdozio invelenivasi -per nazionali rancori. Cotesta razza sveva innestata -<span class="pagenum" id="Page_476">[476]</span> -sul tronco normanno, che appoggiavasi unicamente -sopra guerrieri saracini o tedeschi, che fra gli -Arabi avea scelto quasi tutti i giustizieri del Regno e i -principali provvisionati, spiaceva agli Italiani, gelosi dell’indipendenza -patria; spiaceva alle Repubbliche, come -ereditaria nemica delle loro franchigie; spiaceva ai -papi, che l’aveano perpetua contradditrice. Corrado -lasciò, unico fiato di quella stirpe, un bambolo di tre -anni, Corradino, partoritogli da Isabella di Baviera; e -diffidando di Manfredi, gli avea destinato tutore Bertoldo -di Hohenburg, signore bavarese di molta ambizione -e scarsa capacità. Conformandosi all’intenzione -del defunto, questo lo raccomandò al papa, il quale rispose -gli lascerebbe il ducato di Svevia e il titolo di -re di Gerusalemme; quando fosse cresciuto, farebbe -esaminare i diritti di esso sulla Sicilia, che era ricaduta -alla Chiesa. E la esibì al suddetto Ricardo di Cornovaglia, -che ricusò, paragonandolo a chi gli esibisse -la luna: Enrico III d’Inghilterra l’accettò per suo figlio -Edmondo, tanto perchè anche questo gobbo avesse un -appanaggio, e spedì qualche denaro per alimentare la -guerra, ma null’altro ne fece. -</p> - -<p> -In tali incertezze ognuno ghermiva qualche brano -di potere, chi a nome del papa, chi del re, chi del -Comune, chi di nessuno; gli ordinamenti municipali -allargavansi in repubblica; e Bertoldo, vedendo gl’italiani -mal intalentati verso lui straniero, rimise la reggenza -in man di Manfredi. -</p> - -<p> -Federico lo aveva in testamento sostituito a succedergli, -caso che Corrado morisse senza prole; e chi -conosce le ambizioni umane, non si recherà difficile a -credere ch’egli aspirasse ad acquistare quel regno -come suo, pur mostrando faticare pel nipote. Di forme -ben assortite, nobile portamento, discreto trattare, si -era coltivato colle lettere; e robustezza, valore, grazia -<span class="pagenum" id="Page_477">[477]</span> -attrattiva, senno, scaltrimenti avea quanto bisognava -al riuscire. Sulle prime, quando mancava di denaro, -e i baroni vedeva nojati della dominazione tedesca, -s’umiliò al papa, gli consegnò le rôcche, e lo riconobbe -non solo come caposignore, ma come vero sovrano -del Regno: al qual patto Innocenzo gli consentì il -principato di Taranto e l’altre terre qual feudo della -Chiesa, col peso di dare ad ogni richiesta cinquanta -cavalieri per quaranta giorni; e il deputò suo vicario -di qua dal Faro, coll’assegno d’ottomila once d’oro, -mentre la Sicilia restava a governo di Pietro Rufo, -speditovi da Corrado IV. Innocenzo entrò nel Regno, -accompagnato dagli esuli cui restituiva la patria, e -accolto ad onoranza dal popolo e dai signori. -</p> - -<p> -Conciliazione apparente, ove gareggiavano qual -dei due meglio simulasse. Manfredi secondava or le -pretensioni del pontefice, or le esigenze de’ Tedeschi -e de’ Saracini che si vedevano sbancati per la dominazione -papale<a class="tag" id="tag381" href="#note381">[381]</a>; tradimenti e battaglie aperte ricorrevano -fra le due fazioni. In una di queste perì Borello -d’Anglone, creatura pontifizia; e Manfredi, citato a -scagionarsi della costui morte, invece pensò resistere, -e adottò la politica paterna di confidare sulla forza e -sui mercenarj forestieri. Attraversando dunque il paese, -tutto malvolto a lui scomunicato <span class="sidenote">(1254 — 9bre)</span>, giunse nella Capitanata -fra gravi pericoli. Giovanni il Moro, nato da una -schiava nel palazzo reale, brutto, sconcio, ma astutissimo, -era stato allevato con gran finezza per cura di -Federico, che lo pose fra’ suoi secretarj, il fece persino -gran cameriere del regno, e insieme capitano de’ Saracini -di Lucera. Manfredi gli lasciò le dignità; eppure -colui patteggiò col pontefice, che lo ricevette come -feudatario e sotto la protezione speciale della chiesa di -<span class="pagenum" id="Page_478">[478]</span> -San Pietro<a class="tag" id="tag382" href="#note382">[382]</a>. Fortunatamente egli era andato a ricevere -l’investitura quando Manfredi arrivò a Lucera, -dove i Saracini lo accolsero festosi, e posero a discrezione -di lui i tesori depostivi da suo padre e da Corrado, -coi quali soldò mercenarj di qual fossero nazione -o colore; e avendo i baroni protestato di non tenersi -obbligati a militare fuori del Regno, Manfredi ne li -dispensò, e in quella vece condusse duemila Tedeschi -per sei mesi a paga doppia: e ai capitani di cotesti -forestieri, o ai conti rurali, gente anch’essa forestiera, -e agli Arabi affidava la guardia e il governo delle città -guelfe che sottomettesse, o delle ghibelline che gli si -unissero. -</p> - -<p> -Innocenzo IV, inesorabile alla casa sveva, era morto <span class="sidenote">(7 xbre)</span> -a Napoli, e fra l’agonia udendo i parenti suoi piangere -e singhiozzare, esclamò: — Miserabili! non v’ho io -abbastanza arricchiti?»<a class="tag" id="tag383" href="#note383">[383]</a>. Gli succedette Alessandro -IV, dei Conti di Segni, donde in sessant’anni erano -venuti alla tiara Innocenzo III e Gregorio IX; tutto -pietà, ma raggirato dai cortigiani. Manfredi, inebbriato -sul prosperare delle sue armi, gli ricusò omaggio, -sicchè la guerra divampò, e il legato Ottaviano degli -Ubaldini raccolse quanti erano avversarj a Manfredi, -e nominatamente il marchese Bertoldo, disgustato dal -vedere che costui operava per sè, non più per Corradino, -il quale anche con diploma reale avealo nominato -reggente «come quello che per prudenza, fedeltà, alto -senno ben meritava la sua confidenza, oltre che aveva -diritto»<a class="tag" id="tag384" href="#note384">[384]</a>: ma poi Manfredi trionfava in ogni parte, -<span class="pagenum" id="Page_479">[479]</span> -coll’operosità mostravasi degno di regnare; adunato il -parlamento, distribuì i feudi a’ suoi fidati, spogliò gli -avversi, e avuto in mano Bertoldo e i fratelli suoi, li -mandò a morire in prigione. Divulgò o lasciò divulgare -che Corradino fosse morto; in conseguenza si fece coronare -a Palermo. Il papa lo scomunica co’ suoi aderenti <span class="sidenote">(1258 — 11 agosto)</span>; -ed egli si costituisce centro de’ Ghibellini di tutta -Italia; occupa Napoli, e se la concilia col perdono e -l’oblio; trovandosi come padrone nelle marche d’Ancona -e di Spoleto, piglia in mezzo gli Stati papali; -essendogli morta Beatrice di Savoja, sposa Elena Comneno -figlia del despoto dell’Epiro, e la festeggia -con magnificenza; ama le caccie, ama le canzoni di -poeti tedeschi, i serventesi di provenzali, gli strambotti -d’italiani<a class="tag" id="tag385" href="#note385">[385]</a>; circondasi di dotti, giocolieri, concubine, -e corte all’orientale; intanto spedisce truppe sia in -Grecia a sostenere lo suocero, sia nella Marca e in Toscana -a fiancheggiare i Ghibellini, i quali lo favorivano -perchè non tanto forte da metterli al freno, e perchè -altro Tedesco non venisse in Italia<a class="tag" id="tag386" href="#note386">[386]</a>. In quattro anni -era egli riuscito a ritogliere dalla mano dei papi quello -scettro che suo padre avea con tanto vigore impugnato; -carezzava baroni, prometteva rintegrare le franchigie -municipali, distribuiva onori e contee, dava risalto al -valor suo personale a fronte delle codarde fughe dei -preti, e non mancava di punire atrocemente le città -contumaci. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_480">[480]</span> -</p> - -<p> -Il nuovo papa Urbano IV <span class="sidenote">(1261)</span>, uom di robusto petto<a class="tag" id="tag387" href="#note387">[387]</a>, -sulle vetriate di Troyes sua patria fe ritrarre suo padre -intento allo spago di ciabattino; si cinse di buoni cardinali; -e degl’interdetti allora prodigati mitigò il rigore, -permettendo la messa e i sacramenti purchè a porte -chiuse. Ordinò che il corpo di Saracini stanziatosi sugli -Stati papali sgombrasse, o bandirebbe la crociata; e -fu obbedito da Manfredi, fors’anche per paura d’un -nuovo entusiasmo che erasi diffuso. Una dirotta di -battuti, uomini, donne, fanciulli, a lunghe file in disordine -seguendo un crocifisso, flagellandosi a sangue, e -cantando lo <i>Stabat Mater</i>, tragittavansi di città a città, -intimando penitenza e concordando paci. Allorchè si -accostavano ad una, podestà e clero uscivano ad incontrarli -colle croci e il gonfalone, i campagnuoli interrompevano -i lavori, ognuno voleva sorpassare i -precedenti in austerità di penitenze e asprezza di flagellazione, -e le donne si radunavano la notte per applicarsi -la disciplina, e tutti gli abitanti si metteano dietro -alle croci. A questa clamorosa devozione, non promulgata -da predicatori, non istituita dal pontefice, diffusa -rapidamente da un capo all’altro d’Europa senza che -si sapesse da chi e perchè, entrava negli animi la -persuasione d’alcuna grave sventura, con cui Dio fosse -per risciacquare la terra peccatrice; tacquero le danze -e le canzoni d’amore, per far luogo a pellegrinaggi e -a devote cantilene; usurieri e ladri restituivano il mal -tolto, peccatori inveterati si confessavano e ravvedevano, -le violente ire ammorzavansi come un incendio -sotto un mucchio di terra. -</p> - -<p> -Il marchese Oberto Pelavicino piantò delle forche al -confine del suo Stato, minacciando appendervi quanti -Flagellanti lo passassero. Manfredi egualmente gli -<span class="pagenum" id="Page_481">[481]</span> -escluse dal Regno; ma comprese che guaj a lui se il -papa avesse cavato pro da quell’entusiasmo per dirigerlo -contr’esso. -</p> - -<p> -Anche in Sicilia un paltoniero finse d’essere Federico, -che per espiazione fosse rimasto dieci anni in -miseria; e trovò seguaci e denari, e fu forza mandar -l’esercito per dissiparli e appiccare i capi. Manfredi, ito -in persona a chetar l’isola, raccolse il parlamento generale -a Palermo, dove i nobili vennero offrendo doni, -fra cui un cavaliere di val di Mazzara cento muli condotti -da altrettanti schiavi negri<a class="tag" id="tag388" href="#note388">[388]</a>. Gratificarsi il -popolo con largheggiare libertà e istituir Comuni non -osava, egli erede de’ rancori degli Svevi; anzi era costretto -gravare sempre peggio le imposte, oltre esigere -trentamila once d’oro pel matrimonio di sua figlia -Costanza con Pietro infante d’Aragona, sul che dicevasi -profittasse per la propria borsa<a class="tag" id="tag389" href="#note389">[389]</a>. Altre spese -cagionavano le feste, a cui tanto si piaceva Manfredi: -e di segnalate ne diede in occasione che sbarcò a Bari -Baldovino spossessato imperatore di Costantinopoli, -quando tra banchetti e balli v’ebbe un torneo ove -ruppero le lancie venti cavalieri cristiani e due musulmani -di Lucera, e premio era una collana d’oro -coll’effigie di Manfredi. «Ogni jorno se fecero balli, -dove erano donne bellissime, d’onne sorte; e lo re -presentava egualmente a tutte, e non sapea qual chiù -li piaceva» (<span class="smcap">Spinelli</span>). -</p> - -<p> -Questi cercò anche d’accordarsi col papa, fin mettendo -di mezzo il famoso giurista Raimondo di Pegnafort, -ma senza niun degno pro; anzi Manfredi ricusò rilasciare -il vescovo di Verona, che diceva arrestato a capo -d’insorgenti; e inveendo contro il pontefice, — Cessi -<span class="pagenum" id="Page_482">[482]</span> -(esclamava) una volta di metter la falce nella messe -altrui; obbedisca al divino precetto di rendere a Cesare -quel ch’è di Cesare, a Dio quel che di Dio»; e -scrisse ai Romani che non al papa ma al senato e alla -città loro spettava il diritto di dare e togliere la corona -imperiale, e mandò mercenarj tedeschi a ripigliare le -ostilità<a class="tag" id="tag390" href="#note390">[390]</a>. -</p> - -<p> -Di questa lotta erano stanchi i principi d’Europa, -giacchè per sostenerla i pontefici imponevano continue -decime e annate sui beni ecclesiastici; e vedendo che -quelli ostinavansi a volere sbalzata la casa Sveva, s’acconciarono -essi pure a questo partito, e si diede nerbo -alla guerra coll’opporre a Manfredi un altro campione. -</p> - -<p> -Raimondo Berengario, conte della Provenza che -molta parte avea avuto nelle vicende di Nizza, di Genova -e delle alpi Marittime, sposò Beatrice figlia di -Tommaso conte di Savoja, bellissima, letterata, e protettrice -del sapere, che tenea spesso corti bandite e -corti d’amore, favoriva trovadori, circondavasi di -donne nominate fra le poetesse, quali Beatrice sua -cugina, Agnesina di Saluzzo, Massa dei Malaspina, la -contessa Del Carretto, la principessa Barbossa. Di lei -Raimondo generò quattro figliuole, di cui maritò una -al re di Francia, una a quel d’Inghilterra, una al duca -di Cornovaglia eletto re de’ Romani, e morendo lasciava -nubile Beatrice in tutela della madre. La quale, -per sottrarla agli Aragonesi che aspiravano a quel dominio, -la menò alla corte di Luigi IX di Francia suo -genero, e quivi la fidanzò a Carlo d’Angiò, il minore -fratello di lui. Voleva poi continuare in uffizio di contessa -della Provenza, ma Carlo tergiversolla; del che -abbiamo una lettera consolatoria che le scriveva l’altro -genero Enrico d’Inghilterra<a class="tag" id="tag391" href="#note391">[391]</a>: e infine essa dovette -<span class="pagenum" id="Page_483">[483]</span> -abbandonare il paese e restituirsi in Savoja, dove fondò -alle Scale uno spedale, e vi fu sepolta in un mausoleo -di ventidue statue, distrutto poi nelle guerre del -Seicento. -</p> - -<p> -Dispiacere e sgomento risentì la Provenza, che subito -si vide allagata d’uffiziali francesi; e mozze le -libertà di quel gran Comune, ordinato alla foggia dei -nostri, si moltiplicarono imposte, confische, prigionie, -supplizj arbitrarj. Carlo, allora sui quarantasei anni, -oltre questo possesso della moglie, teneva, come figlio -di Francia, la contea d’Angiò; sicchè era il più ricco e -potente de’ principi non coronati; educato austeramente -dalla regina Bianca, di valore avea fatto splendide -prove alla crociata e ne’ tornei, de’ quali vivamente -si piaceva; credea perduto il tempo dato al -dormire, amava le suntuosità e le cortesie non meno -che le avventure e le prodezze, cupo di naturale, non -scrupoloso sui mezzi, implacabile coi nemici, pertinace -nelle risoluzioni e paziente ad aspettarne la riuscita, -fedifrago quando occorresse. Colla spada assodò e ingrandì -il dominio, sottomettendo, fra altre, le importanti -città di Arles e Marsiglia, strettamente collegate per -commercio con Pisa e Genova; e allungandosi verso -l’Italia, ebbe Ventimiglia e Nizza. -</p> - -<p> -Qual meraviglia ch’egli ambisse di non essere da -meno del regio fratello? Sua moglie poi struggevasi -di portare onore di corona e di reame come le tre -sorelle, colle quali trovatasi ad una corte bandita, fu -obbligata prendere un posto inferiore. Quando dunque -il papa gli offrì il regno delle Sicilie, volontieri l’accettò -Carlo; ma Bianca, allora reggente di Francia, non gli -consentì l’impresa. Egli però non distaccava gli occhi -dall’Italia, e di qua dai monti acquistò Alba, Cuneo, -Mondovì Piano, Cherasco; poi venuto alla tiara Urbano -IV, rinnovò la pratica, e tolti gli scrupoli che -<span class="pagenum" id="Page_484">[484]</span> -nasceano a san Luigi sopra i diritti di Corradino, s’accinse -ad acquistare il Reame. Prima di moversi acconciò -i suoi affari in Provenza, compromise le discordie -che avea con Tommaso marchese di Saluzzo pel possesso -di Busca e della val di Stura, e fece costruir navi -nell’arsenale di Nizza, traendovi legname dai monti -vicini per opera degli uomini di Peglia<a class="tag" id="tag392" href="#note392">[392]</a>. -</p> - -<p> -Ma la Provenza non dava guerrieri che per quaranta -giorni e per brevi distanze; sicchè fu forza ricorrere -a venturieri, stipendiandoli in parte colle decime imposte -alle chiese di Francia, in parte colle gioje della -contessa poste in pegno: vi si unirono i migliori campioni -di Francia e di Provenza, volendo, per amore -cavalleresco verso Beatrice, <i>farla reina</i>; altri per ingordigia -di bottino; altri per acquistare le indulgenze che il -papa prometteva, quasi fosse una crociata per chiudere -il varco che agli Arabi aveano riaperto gli Svevi annidandoli -in Italia. Così furono messi in acconcio quindicimila -fanti, cinquemila lancie, diecimila balestrieri; -sostenuto dai quali e dagli indulti, Carlo s’avviò all’Italia. -</p> - -<p> -Ad altri forti erano ricorsi i pontefici fin dal tempo -de’ Pepini; vi ricorsero dappoi fino a’ dì nostri, per -sostenere buone cause e sciagurate: e i frutti furono -sì differenti, che non si osa misurar la lode o il biasimo -sopra gli effetti. Solo possiam francamente desiderare -che la podestà sovreminente si trovi costretta -il men possibile a implicarsi in interessi mondani, dai -quali trasse sovente contaminazione, sempre il disgusto -di qualche parte di coloro che tutti le sono figli in -Cristo. -</p> - -<p> -Urbano, incalzato più sempre dai Ghibellini e da -Manfredi fin nella sua Roma, morì <span class="sidenote">(1263)</span>; e Clemente IV -suo successore si professò avverso al nepotismo, e ad -<span class="pagenum" id="Page_485">[485]</span> -un suo nipote scrisse: — Non t’inorgogliare d’un’elevazione -che noi umilia a’ nostri occhi, e che svanirà -come la rugiada del mattino. Non uscire dal tuo stato; -nè tu o tuo fratello e altri nostri parenti vengano alla -corte senz’esservi chiamati, se non vogliano partirne -colmi di confusione. Non cercare alle tue sorelle mariti -di condizione superiore, chè ci troveresti repugnanti: -ma se si mariteranno a semplici cavalieri, daremo loro -trecento lire tornesi, purchè ciò sia noto solo a te e -tua madre. Le figlie nostre (egli era stato ammogliato) -non prendano altri mariti che se noi fossimo rimasti -semplici preti. Niuno ardisca venirci a sollecitare, nè -accettar regali; le vostre istanze sarebbero anzi nocevoli -che vantaggiose»<a class="tag" id="tag393" href="#note393">[393]</a>. -</p> - -<p> -Come provenzale egli pendea verso Carlo, e più -quando, nella guerra politica e insieme religiosa di -tutta Italia, vide Manfredi assicurare prevalenza agli -avversarj de’ papi. Carlo, a malgrado delle flotte combinate -di Sicilia e di Pisa, con mille cavalieri scelti -sbarcò a Roma, i cui cittadini lo chiesero senatore, e -lo ricevettero con feste quali a nessun principe mai. -Egli pattuì col pontefice sotto fede giurata di conseguire -le Due Sicilie per sè e pe’ maschi suoi discendenti, -o nati da figlie secondo l’ordine delle geniture; -non dividerebbe o estenderebbe que’ dominj, nè s’intrometterebbe -agli affari di Lombardia e Toscana; pagherebbe -una somma allor allora, poi ottomila once d’oro -l’anno, sotto pena di decadenza; darebbe al papa ad -ogni richiesta trecento lancie da almeno tre cavalli -ciascuna per tre mesi; ogn’anno gli presenterebbe un -palafreno bianco, bello e di buona razza, in segno di -omaggio<a class="tag" id="tag394" href="#note394">[394]</a>; non accetterebbe mai la dignità imperiale; -<span class="pagenum" id="Page_486">[486]</span> -quella di senatore di Roma deporrebbe appena -stabilito in trono; del resto rispetterebbe la costituzione -che il papa fosse per dare alla Sicilia, restituirebbe -alla Chiesa ogni bene o titolo usurpatole, e lascerebbe -la piena libertà delle elezioni e provvisioni prelatizie, -sicchè nè prima nè dopo fosse necessario il regio assenso; -i chierici e le cause ecclesiastiche si tratterebbero -al tribunale de’ vescovi. -</p> - -<p> -Fra ciò, pei colli dell’Argentiera e di Tenda veniva -di Francia l’esercito di Carlo. Pietro conte di Savoja -e Guglielmo marchese di Monferrato, disertati dalla -parte ghibellina, favorivano i nuovi vincitori; Acqui e -Novi ne provarono le vendette; Torino, Vercelli, Novara -gli accolsero lietamente; donde voltarono al Milanese, -ai Guelfi dando il sopravvento, e cacciando i -Ghibellini. Questi, e principalmente i Del Carretto e il -marchese Pelavicino, ch’erasi formato uno Stato poderoso -fra Cremona e Brescia, si opposero; ma, fors’anche -per tradimento di Buoso da Dovara, i crocesignati -poterono fendere il Bresciano, poi spingersi a Ferrara -e al Bolognese, evitando la Toscana ancor fedele a -Manfredi, indi raggiungere Carlo a Roma. Quivi arrivavano -stanchi, poveri, nudi, affamati delle ricchezze -romane; ma Carlo le aveva esauste, prestiti non si trovavano -<span class="pagenum" id="Page_487">[487]</span> -più perchè non si restituivano, e il paese era -manomesso come una conquista. -</p> - -<p> -Clemente non voleva andare a Roma per non mettersi -in balìa di Carlo, che allora egli conosceva ambizioso -insieme ed egoisto, gran pezzo inferiore all’aspettazione -e alle pompose promesse, e che incessantemente chiedeva -denaro, «quasi (scrive il papa) noi avessimo -montagne d’oro e fiumi di ricchezze»: tanto per -ismorbare la città s’affrettò a fargli dare la corona di -Sicilia e il gonfalone della Chiesa <span class="sidenote">(1266)</span>, dopo nuovi giuramenti -di ligezza; e lo sollecitò a rompere gl’indugi, -benchè di fitto verno. Il papa levava decime e centesime -per tutta la cristianità, dava in ipoteca i beni -proprj e de’ cardinali per ottenere prestiti da Senesi e -Fiorentini, moltiplicava indulgenze, assolveva incendiarj -e sacrileghi purchè pigliassero la croce bianca e -rossa; e col re mandò il suo legato Pignatelli vescovo -di Cosenza, portatore d’assoluzioni e di scomuniche. -</p> - -<p> -Manfredi facea côlta di gente, di moneta, di coraggio, -chiese il contingente de’ feudatarj, chiamò nuovi Saracini -d’Africa; una flotta di legni siculi, genovesi, pisani -postò fra la Sardegna e l’Italia, ed assalì il patrimonio -pontifizio, sperando sterminare i Francesi prima che -sopravenisse l’esercito grosso; ma tutto gli facea sentire -che la nazione non era con lui: i Napoletani, -stanchi dell’interdetto, lo supplicavano a far pace col -papa, ed egli protestava non averne colpa; prometteva -mandare trecento Saracini, che obbligherebbero i -preti a riaprire le chiese e cantar messe; colle congiure -ribellò Roma ai papi, ma altre congiure lo costrinsero -a ritirarsi dal territorio della Chiesa. Munì gagliardamente -quelle gole, che sarebbero accessibili soltanto -per tradimento o per vigliaccheria dei difensori: ma -con tutto ciò la paura stringeva i cuori<a class="tag" id="tag395" href="#note395">[395]</a>; poi dicono -<span class="pagenum" id="Page_488">[488]</span> -che il conte di Caserta, messo a guardia del fiume -Garigliano, per vendicarsi dell’oltraggio fattogli da -Manfredi nella moglie, lasciasse il varco ai Francesi. -Manfredi, sentendosi preso fra le spire del tradimento, -colle parlate e coi manifesti non ottenendo che promesse -o quella compassione che nobilita ma non prospera -le bandiere, propose un accordo; ma Carlo -rispose: — Dite al soldano di Nocera che seco nè pace -nè tregua; oggi io manderò lui all’inferno, od egli me -in paradiso». -</p> - -<p> -Altre volte vedemmo la disperanza del vincere infondere -una smania di azzuffarsi e finirla; e mentre -col ricoverare nelle fortezze poteva prolungare la resistenza, -Manfredi volle tutto avventurare in una giornata -campale a Grandella presso Benevento <span class="sidenote">(1266 — 26 febbr.)</span>. Quivi da -una parte gl’indovini arabi prendeano dagli astri il -punto favorevole a ingaggiare la mischia<a class="tag" id="tag396" href="#note396">[396]</a>; dall’altra -il vescovo d’Auxerre tutto in arme compartiva l’assoluzione -ai Francesi, e — Per penitenza vi do di ferire -molto forte e a colpi raddoppiati». Si mescola la battaglia; -i Guelfi, massime toscani, fanno meraviglie di -valore; di maggiori e con più arte ne fanno Manfredi, -i suoi Arabi e i cavalieri tedeschi, che alti e vigorosi, le -lunghe spade rotando a due mani, prevaleano ai Francesi, -le cui spade corte e dritte si rintuzzavano battendo -il taglio sulle armadure temprate a tutta botta. -Carlo allora getta da banda le delicatezze cavalleresche, -e ordina <i>Di stocco, di stocco</i>, e di dare colla punta -sotto le ascelle de’ Tedeschi come alzano le braccia, e -di ferire ai destrieri<a class="tag" id="tag397" href="#note397">[397]</a>; sicchè i Tedeschi scavalcati -<span class="pagenum" id="Page_489">[489]</span> -non possono rialzarsi di sotto la poderosa armadura. -Manfredi vuole allora avanzare i Pugliesi tenuti in riserva, -ma li trova renitenti: suo zio conte di Maletta -gran cameriere dà il segno della defezione: lo seguono -il conte d’Acerra cognato di Manfredi, e altri cavalieri, -già d’intesa col nemico. Fremente all’abbandono del -fior dei prodi, e risoluto a morire da re piuttosto che -campare esule e compassionevole<a class="tag" id="tag398" href="#note398">[398]</a>, Manfredi getta -<span class="pagenum" id="Page_490">[490]</span> -le insegne vistose e prende un elmo senza corona; ma -l’aquila che ne formava il cimiero casca. <i>Hoc est signum -Dei</i>, esclama egli, e avventatosi disperatamente -nella mischia, cade trafitto. Il cadavere suo, trovato -fra un mucchio di uccisi, fu riconosciuto al pianto dei -suoi fedeli; i baroni francesi gli voleano rendere gli -onori militari, ma Carlo riflettè che, come scomunicato, -doveva essere escluso dalla sepoltura sacra: onde -deposto in una fossa, i soldati vi gettarono ciascuno -una pietra, elevando così un tumulo come ai prischi -eroi. Nè quella tomba tampoco gli assentì il legato -pontifizio, e lo fe gettare sulla dritta del fiume Verde, -che fra Ceprano e Sora contermina il Reame e la Romagna. -</p> - -<p> -Noi non graveremo la memoria di Manfredi quanto -fece l’ira de’ Guelfi; anzi ci alletta quel far suo cavalleresco, -generoso, ameno, e la costanza con cui affrontò -la sventura: pure, incominciata la carriera della -usurpazione, dovette procedere per vie oblique e finzioni; -come i suoi padri, badò a sè anzi che ai popoli -e ai loro bisogni e desiderj, e non ne cercò l’amore; -combattè col braccio di stranieri, gravi anche quando -non fossero rapaci; e i tradimenti de’ suoi più vicini ci -fanno orrore, ma suppongono forti motivi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_491">[491]</span> -</p> - -<p> -Elena moglie di lui cercò fuggire a suo padre in -Epiro, ma a Trani restò côlta a tradimento, e mandata -prigione a Nocera; tra lei e i figli assegnatile sei carlini, -di stento e di cruccio morì cinque anni dappoi: -sua figlia Beatrice sol dopo diciotto anni fu rimessa in -libertà; i tre maschi vissero tapini di prigione in prigione. -I fautori di Manfredi furono mandati in Provenza -o nelle fortezze del regno o profughi: i traditori ottennero -scarsi premj e disprezzo. I Saracini, assediati nei -loro ricoveri, dopo orrida fame dovettero rendersi a -discrezione, e abbandonare ai supplizj i Ghibellini che -aveano ricoverati; alcuni abjurarono, altri furono dispersi -nel Regno; pochi durarono a Lucera, fatta nido -de’ malcontenti, sicchè Carlo li rivinse, poi li tollerò, e -se ne valse in guerra; infine Carlo II dissipò quella -colonia, e ne mutò il nome in Santa Maria <span class="sidenote">(1303)</span>, e Benedetto -XI lo felicitava d’avere annichilata in Italia la fede -eterodossa. -</p> - -<p> -Coll’annunzio della vittoria di Benevento Carlo di -Angiò spedì al papa due preziosissimi candelabri d’oro, -molti giojelli e un trono gemmato; pure non impedì -che Benevento, città pontifizia, fosse mandata al peggiore -saccheggio. Napoli andò in gongolo vedendo -entrar la regina Beatrice con carrozze dorate e quantità -di damigelle e un lusso inusato<a class="tag" id="tag399" href="#note399">[399]</a>, e coi leoni, -gli elefanti e i dromedarj ch’erano stati dell’imperatore -Federico I. I tesori che Manfredi avea deposti nel castello -di Porta Capuana sarebbero dovuti spartirsi fra -i compagni dell’impresa, al qual uopo Carlo domandò -le bilancie. — Che bilancie?» proruppe Ugo del Balzo -cavaliere provenzale; e coi piedi fattone tre mucchi, — Questo -vada a monsignore il re, questo alla regina, -questo ai vostri cavalieri». Carlo rimunerollo colla -<span class="pagenum" id="Page_492">[492]</span> -contea d’Avellino; poi dappertutto stabilì baroni, magistrati, -giustizieri di sua gente, volendo a cose nuove -persone nuove, e portando tutti i guaj d’un’altra conquista -e d’una vantata liberazione. Il sistema fiscale -introdotto da Federico II fu mantenuto non solo, ma -applicato con rigore insolito; e perchè Roma voleva -immuni i beni ecclesiastici, succhiavansi il sangue e le -midolle degli altri<a class="tag" id="tag400" href="#note400">[400]</a>. I nascosti amici della casa -Sveva gemeano; quei troppi che sogliono ripromettersi -ogni bene dai liberatori, delusi levavano lamento, ed — O -buon re Manfredi, mal ti conoscemmo da vivo, -morto ti deploriamo. Ci sembravi un lupo rapace fra -noi pecore; ma dacchè la volubilità nostra ci mutò al -presente dominio, comprendiamo ch’eri un agnello. -Già c’incresceva che parte delle nostre sostanze venisse -alle tue mani; ed ecco i beni tutti e fin le persone sono -in balìa d’una gente straniera». -</p> - -<p> -Antica canzone, che i popoli ripetono ad ogni cangiare -di dominio, ma che non profitta nè per risparmiarsi -i disinganni prima, nè per fare tolleranti delle -conseguenze. Anche il pontefice, tratto alla necessità -di appoggiarsi sugli stranieri, di lanciare scomuniche a -città anticamente fedeli alla sua bandiera, di concitare -le passioni popolari, tanto difficili a calmare dopo che -proruppe l’egoistica esasperazione de’ partiti; caricatosi -di debiti, avea sperato pagarli tostochè Carlo sedesse -in trono, e poter così rientrare a Roma: ma dov’erasi -creduto avere in costui un devoto, trovava un despoto; -aveva cercato le franchigie de’ Siciliani, e vedea di -avervi piantato un tiranno. Non cessava dunque di -fargli rimproveri, e — Se tuoi ministri (scrivevagli) -spogliano il regno, a te si ascrive la colpa, che gli uffizj -empisti di ladri e assassini, i quali si permettono -<span class="pagenum" id="Page_493">[493]</span> -azioni, di cui non può Iddio sopportare la vista... ratti, -adulterj, estorsioni, ladronecci... M’alleghi a scusa la -povertà! non ti basta dunque un regno, colle cui entrate -un grand’uomo qual fu Federico sosteneva ben -maggiori spese, saziava l’avidità della Lombardia, della -Toscana, delle Marche, della Germania, eppure accumulò -immense ricchezze?»<a class="tag" id="tag401" href="#note401">[401]</a>. -</p> - -<p> -Il papa, vedendo rannodarsi brighe in senso ghibellino, -mandò come paciere in Toscana Carlo <span class="sidenote">(1267)</span>, con giuramento -che non terrebbe l’autorità più di tre anni, e -la cederebbe tosto che un imperatore fosse riconosciuto. -Firenze gli si assoggetta per dieci anni, ed il -paciere vi eccita guerra di sterminio: anche molte città -lombarde chiedono da lui i podestà; ond’egli osa perfino -domandare lo eleggano lor signore; ma le più -risposero: — Amico sì, ma non padrone». Dichiarato -dal papa vicario dell’Impero vacante, estende la giurisdizione -sovra il Piemonte, che gl’importava come -vicino alla Provenza sua; e con titolo di rabbonacciare, -assoda pertutto la dominazione propria e de’ Guelfi. -</p> - -<p> -Allora rinacque compassione e desiderio di quella -stirpe che pur dianzi erasi maledetta; e gli occhi volgevansi -di là dall’Alpi, ove ne sopravivea l’unico rampollo. -Corradino, spoglio de’ beni e delle dignità avite, -proscritto prima di nascere colla discendenza tutta di -Federico II, cresceva a Landshut presso il duca Lodovico -di Baviera sotto gli occhi della madre Elisabetta: -a sedici anni, bellissimo di persona, liberale comunque -povero, dato alla caccia e all’armeggiare, colto nel latino, -nel tedesco componeva poesie che ebbero lode -fra le prime di quella lingua. Balocco di tutti i partiti, -mira di tutti i malcontenti, erasi fin pensato crearlo -imperatore di Germania: la taccia d’infingardaggine -<span class="pagenum" id="Page_494">[494]</span> -inflittagli dai Tedeschi<a class="tag" id="tag402" href="#note402">[402]</a>, le sollecitazioni degl’Italiani, -le esagerazioni de’ vicini alimentavangli i sogni -di risorgimento, abituali ai discendenti di razze scoronate, -cui la nebbia degl’incensi toglie di vedere la situazione -e di calcolare i mezzi e le probabilità. I Lancia, -parenti per madre di Manfredi e fedelissimi a questo -nella gloria e nelle sventure, riusciti a fuggire dalle -carceri di re Carlo, furono principali in sollecitar Corradino -a rivendicare la corona, portandogli centomila -fiorini, i voti di Pisa e Siena, e offerte pompose; potrebbe -soldare mercenarj; cavalieri di ventura sarebbero -accorsi a sì nobile impresa; si mostrasse appena, -e gl’Italiani, stanchi de’ Guelfi, de’ papi, degli Angioini, -volerebbero tutti al suo stendardo. -</p> - -<p> -Coll’ardore d’un giovane e la cecità d’un pretendente, -mosse egli dunque verso l’Italia, per quanto sua -madre lo disortasse: i duchi di Baviera suoi zii lo accompagnarono -fino a Verona con diecimila combattenti; -ma poichè a lui venne meno il denaro da soldarli, -questi diedero volta, e soli tremila potè ritenerne impegnando -il proprio patrimonio. Che importa? gli -amici di suo avo, i Ghibellini di tutta Italia, i malcontenti -di Sicilia gli largheggiavano promesse, merce di -poco costo; uomini e denari affluirebbero; il solo Maletta, -quel che dicemmo aver tradito Manfredi a Benevento, -e che era divenuto gran tesoriere di Carlo, lo -aveva assicurato di sedicimila once d’oro e mille cavalieri -stipendiati. Vero è che nè uomini nè denaro comparivano: -ma intanto Corradino componeva manifesti, -arma di chi è debole nelle altre; incorava gl’italiani a -venire incontro a lui, che rialzerebbe l’onore dell’Italia -<span class="pagenum" id="Page_495">[495]</span> -e la dignità del nome tedesco<a class="tag" id="tag403" href="#note403">[403]</a>; ai principi d’Europa -si lagnava dei papi: — Innocente ha nociuto a -me innocente, Urbano mi si è mostro inurbano, Clemente -mi usò inclemenza, e Roma mi odia a segno, -da non volermi pur vivo, me rampollo di magnifica -stirpe, che sì lungamente imperò, e dalla quale non -voglio dirazzar io, eletto e creato alla sublimità dell’impero -sulle orme de’ miei progenitori». -</p> - -<p> -Fra ciò gli Astigiani, che, per seguire l’andazzo, si -erano sottomessi a pagar tributo a Carlo, vedendo che -neppure con ciò poteano schermirsi dalle prepotenze -dei marescialli che per lui tenevano Torino, Alba, -Alessandria, Savigliano, soldarono millecinquecento uomini, -e collegatisi coi Pavesi e col marchese di Monferrato -(genero di Alfonso di Castiglia imperatore -eletto e vicario di questo in Italia), ribellarono a Carlo -le città soggette: del che incoraggiati anche i Genovesi -batterono le flotte di lui; come i Pisani con ventiquattro -galee, comandate da Federico Lancia, sconfissero a -Melazzo la flotta provenzale. Ne prendeva lieto augurio -Corradino, e prevenendo la resistenza delle repubbliche -guelfe raccoltesi nuovamente in lega, e sostenuto dalle -ghibelline, da Pavia con ardita marcia varcò i gioghi -liguri <span class="sidenote">(1268)</span>; ad un piccolo porto presso Savona trovò galee -che lo trasportarono a Pisa; e non contrastato nè sulle -Alpi nè ai grossi fiumi, poteva ormai portare le armi -nel paese stesso dei nemici, agitato dalle memorie e -dalle trame. -</p> - -<p> -Clemente IV, tuttochè scontento di re Carlo, più si -adombrava di questo fanciullo, che pretendeva ancora -congiungere l’Impero e la Sicilia; onde lo dichiarò -<span class="pagenum" id="Page_496">[496]</span> -scomunicato co’ suoi aderenti, e decaduto non solo da -qualsifosse diritto sopra il regno di Sicilia, ma anche -sopra il ducato di Svevia e il nominale reame di Gerusalemme; -e insultava a questo «reatino, uscito dalla -razza velenosa del tortuoso serpente, che aspirando all’esterminio -della romana madre Chiesa, col suo fiato -appesta le contrade toscane, e manda traditori nelle -diverse città dell’Impero vacante e del nostro regno di -Sicilia»<a class="tag" id="tag404" href="#note404">[404]</a>. -</p> - -<p> -Tali parole già indicano come non mancassero al -pretendente que’ partigiani che facilmente trova chiunque -venga a sommovere regno nuovo. I baroni, che -in Lombardia e in Toscana teneano feudi dell’Impero, -e all’ombra di questo aveano esercitato la tirannia, -bramavano un nuovo imperatore, massime se giovane -e fiacco, sotto il cui nome velassero le superbe loro -voglie. Corrado Capece, penetrato in Sicilia con un corpo -d’Africani, vi avea ridestato l’immortale rancore contro -Napoli, e sostenendo i <i>Fetenti</i> contro i <i>Ferracani</i>, -come eransi colà intitolati i Ghibellini e i Guelfi, sollevò -tutti i paesi, eccetto Siracusa e Messina. A Roma, sempre -ricalcitrante al dominio papale, parteggiava apertamente -per lui Enrico di Castiglia, che segnalatosi per -vittorie sui Mori, e lungamente dimorato fra i Barbareschi -di Tunisi, di cui aveva contratto i vizj, fatto senatore -di Roma, vi esercitò indegna tirannide, perseguitando -molti primati. Favorevole da principio a Carlo -suo parente, se gli avversò dacchè questo l’impedì di -ottenere l’ambito regno di Sardegna, e non gli restituiva -i denari prestatigli; e non meno ritroso al papa, -promise a Corradino la propria spada e un corpo di -combattenti. -</p> - -<p> -Con tali lusinghe Corradino mosse da Pisa, traversò -<span class="pagenum" id="Page_497">[497]</span> -Siena, e spiegò le sue bandiere sotto le mura di Viterbo, -nelle quali stava ricoverato il pontefice profugo -da Roma, e che ai cardinali disse: — Non v’incuta -paura questo giovane, trascinato dai malvagi come una -pecora al macello», e tranquillamente celebrò la solennità -della Pentecoste. -</p> - -<p> -I Romani festeggiarono Corradino come popolo che -ha bisogno dello spettacolo; il terreno coperto d’abiti -e di stoffe, le vie parate a ricchi tappeti, a pelliccie, a -drappi di seta e d’oro, e tese di corde alle quali ciascuno -avea sospeso quel che più vistoso possedesse di -vesti, d’armi, di galanterie; e dappertutto suon di tamburi, -di viole, di pifferi, e cori allegramente cantanti<a class="tag" id="tag405" href="#note405">[405]</a>. -Corradino, gridato liberatore del popolo, -spada d’Italia, e quegli altri titoli che d’età in età sono -echeggiati dal vulgo di piazza e di gabinetto, ascese al -Campidoglio, e tenne un discorso, ove il popolo romano -avrà trovato tutte le bellezze di sentimento e di forma, -perchè v’era adulato. Urli di gioja ridestarono l’eco -dei sette colli, e in poesia e in prosa si inneggiò al legittimo -<span class="pagenum" id="Page_498">[498]</span> -successore di tanti Cesari. Quei che lo contrariarono -ebbero prigione, saccheggio, confisca; il senatore, -per far denari, spogliò le chiese e le sacristie, -dove allora solevano anche i privati deporre le ricchezze; -e stipendiato soldati, mosse a un conquisto, di -cui forse sperava il miglior frutto. -</p> - -<p> -Ebbro di speranze, il giovane Svevo mosse per Tivoli -e Vicovaro onde penetrare negli Abruzzi, monti così -opportuni ad accamparsi, e dove verrebbero a raggiungiungerlo -tutti i fazionieri suoi del Regno, e principalmente -i Pagani di Lucera. Ma non dormiva Carlo, e a -Tagliacozzo <span class="sidenote">(23 agosto)</span>, presso gli antichi <i>Campi Palentini</i>, trasformati -in piano di San Valentino, pettoreggiò il rivale. -Alle armi del re benediva il legato pontifizio, -imprecava a quelle di Corradino: ma questi menava -buon numero di Tedeschi, d’Italiani Galvano Lancia, di -Spagnuoli Enrico di Castiglia. Ai Ghibellini parve assicurata -la superiorità, sicchè Carlo disperavasi nel vedere -i suoi sparpagliati e uccisi. Ma a consiglio di -Erardo sire di Valery, canuto cavaliere francese reduce -allora di Terrasanta, avea tenuto in riserva un corpo, -col quale assalendo i Ghibellini già inebbriati sulla vittoria, -li mise in pieno sbaratto con tale strage, che -quella di Benevento parve un nulla<a class="tag" id="tag406" href="#note406">[406]</a>. -</p> - -<p> -A Roma i Ghibellini aveano annunziato la vittoria di -Corradino, occasione di nuove feste: ma ben tosto coi -fuggiaschi giunse la verità; che Enrico senatore era in -man del nemico; che Carlo ai prigionieri romani fece -troncare i piedi, poi chiuderli in un recinto e quivi -bruciare. I Guelfi, rialzatisi alla vendetta, con nuovi -tripudj accolsero Carlo, che alla sua volta salì in Campidoglio -fra apparati ed inni, ripigliò la dignità di -<span class="pagenum" id="Page_499">[499]</span> -senatore, e sedette giudicando: ma non perdette tempo -ne’ trionfi. -</p> - -<p> -Corradino, così subitamente caduto dal vertice delle -speranze nell’abisso della realtà, era corso a Roma, -quasi a ripetere le promesse fattegli nella prosperità, -ma non trovò che scherni e insidie, pane dei vinti; -talchè vestito da villano fuggì con Galvano Lancia, il -costui figlio e poc’altri, fedeli alla sventura, e specialmente -Federico di Baden suo cugino, che spossessato -del ducato d’Austria, era venuto a ricuperare il retaggio -dell’amico, perchè poi l’ajutasse a ricuperare il suo. -Presero la via del mare, cercando qualche legno che -li tragittasse in Sicilia, ove il Capece teneva elevata la -loro bandiera, e giunsero al fiumicello che la Campagna -di Roma separa dalle Paludi Pontine, presso la rôcca -d’Astura, ond’era castellano Giovanni Frangipane romano, -che facendo guerra alle strade e al mar vicino, -cercava d’ogni parte o preda o riscatti. Come gli altri -baroni, aveva costui sposata la parte di Corradino; ed -ora già imbarcato lo raggiunse e rimenò nel suo castello, -in tentenno se cavar oro dal salvarlo o dal venderlo. -Invano il papa mandò a chieder costoro, arrestati -su terre sue: il Frangipane li consegnò agli Angioini: -Carlo, venuto in persona a Gensano con un corpo di -cavalleria per riceverli, senz’altro fece decapitare il -Lancia, suo figlio ed altri di Puglia, vassalli ribelli. -</p> - -<p> -Clemente IV domandò Corradino, che, come scomunicato, -doveva giudicarsi dalla Chiesa<a class="tag" id="tag407" href="#note407">[407]</a>; e avendo -<span class="pagenum" id="Page_500">[500]</span> -preso malavoglia dell’ambizione e della violenza di re -Carlo, in quel giovane vedeva forse un pegno e uno -spauracchio prezioso. Per ciò stesso doveva rifuggire -Carlo dal consegnarglielo; e pare trovasse modo di -sgomentare Corradino sul trattamento che gli destinerebbero -questi preti, inesorabili alla sua casa, e di -persuaderlo ad affidarsi alla sua reale clemenza. Di fatto -il giovinetto confessò d’aver peccato contro la santa -madre Chiesa; Ambrogio Sansedoni di Siena, predicatore -nominato e santo, andò al pontefice, e sebbene -avesse preparato un eloquente discorso, s’avvide dell’efficacia -della semplicità, e non fece che prostrarsi, -ricordargli la parabola del Figliuol prodigo, poi: — Santità, -Corradino manda a dirvi, <i>Padre, ho peccato avanti -ai cieli e a te</i>, e chiede umilmente la remissione del -suo fallo per la misericordia ch’è in te». Il pontefice, -tocco nel cuore dalle parole del frate e dall’alito di -Dio, rispose subito: — Ambrogio, io ti dico in verità, -la misericordia vogl’io, non il sagrifizio». E rivoltosi -agli astanti: — Non è lui che parlò, ma lo spirito di -Dio onnipotente». Clemente e tutti gli astanti stupirono -della dolcezza che Dio avea fatta passare dalla bocca di -Ambrogio ne’ loro cuori; e così Corradino fu assolto -da ogni censura e dallo sdegno del pontefice<a class="tag" id="tag408" href="#note408">[408]</a>. -</p> - -<p> -La Chiesa ribenediva, il re esultava di vedersi assicurata -la sua preda<a class="tag" id="tag409" href="#note409">[409]</a>, perocchè, cessato coll’assoluzione -<span class="pagenum" id="Page_501">[501]</span> -ogni conflitto di giurisdizione, potè disporre il -processo a suo senno. Convocò a Napoli due sindaci -di ciascuna delle città del Principato e della Terra di -Lavoro a lui devote, e innanzi a loro e a magistrati, -tutti francesi, propose l’accusa di Corradino. Eppure i -più lo tennero come un re che tenta ricuperare il toltogli -dominio; vinto, dovere considerarsi come prigione -di guerra: e perchè Carlo insisteva sull’essere quello -colpevole di sacrilegio per gli arsi monasteri, Guido -di Suzara valente giurista seppe rammentargli come un -capo non possa farsi responsale dei trascorsi de’ suoi -seguaci, e come l’esercito stesso di Carlo se ne fosse -contaminato nella prima conquista. Mandato ai voti, -tutti furono per l’assoluzione: unico Roberto di Bari -provenzale, protonotaro del regno, opinò per la morte, -e bastò perchè Carlo la decretasse. -</p> - -<p> -Giocava Corradino agli scacchi col cugino Federico <span class="sidenote">(8bre)</span> -quando ebbero avviso della sentenza: e impetrati tre -giorni per prepararsi alla morte e far testamento<a class="tag" id="tag410" href="#note410">[410]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_502">[502]</span> -dal castello di San Salvadore furono con dieci compagni -condotti alla piazza del Mercato, ov’era disposto il patibolo. -Carlo volle darsi il fiero gusto d’osservare dal -castello lo spettacolo. Roberto di Bari lesse la sentenza -motivata, e Corradino, uditala, levossi il mantello, si -pose a ginocchi, esclamò: — O madre, madre mia, -qual notizia avete a sentire!» e posata la testa sul -ceppo, giunte le mani verso il cielo, aspettò il colpo. -Federico invece, urlando, bestemmiando, imprecando, -senza chiedere mercè a Dio lasciossi strappar la vita. -Gli altri lo seguirono. -</p> - -<p> -Il popolo affollato guardava stupidamente e stupidamente -piangeva; e alcuni Francesi, tardi indignati di -essere stromenti alle vendette d’un conquistatore, esalavano -la collera con que’ paroloni, di cui fa scialacquo -<span class="pagenum" id="Page_503">[503]</span> -quella nazione dopo i fatti consumati. Non in terra -sacra, ma sul luogo stesso del supplizio furono sepolti -i cadaveri sotto un cumulo di pietre. Nessun re fece -reclamo a questo primo regio sangue versato dal carnefice: -i più, scorgendo il dito di Dio che punisce fino -alla quarta generazione, pure disapprovarono l’abuso -della vittoria, e Giovan Villani scriveva: «Si vede per -esperienza che chiunque si leva contro santa Chiesa ed -è scomunicato, conviene che la fine sua sia rea per -l’anima e per lo corpo: ma della sentenza lo re Carlo -ne fu molto ripreso dal papa e dai suoi cardinali e da -chiunque fu savio». -</p> - -<p> -La morte di due giovani principi era un bel soggetto -per canti, e in tedesco e in provenzale se ne fecero: -Saba Malaspina diede loro l’omaggio che uno storico -<span class="pagenum" id="Page_504">[504]</span> -può, la patetica narrazione della loro fine, e un compianto -su quel cadavere che «giaceva come un fiore -purpureo da improvvida falce succiso»: il vulgo narrò -che un’aquila scesa dalle nubi intrise l’ala destra in -quel sangue, e tosto risali al cielo. Era sangue di re, -che un re avea fatto scorrere, giustificato dal diritto -della vittoria, e dimenticando che la vittoria non è -sempre pei re. Più grossolane baje inventarono i letterati, -e la storia le raccolse con irragionevole compiacenza. -</p> - -<p> -Se a chiamare Carlo furono determinati i papi dal -voler impedire che la Sicilia venisse congiunta all’Impero, -e che unendo il settentrione col mezzodì dell’Italia -si togliesse a questa l’indipendenza, lo scopo era -raggiunto. Se della libertà i Guelfi aveano idee non -più larghe de’ liberali moderni, e la poneano nello -sbrattarsi da’ Tedeschi, eccoli soddisfatti, giacchè cogli -Svevi terminano gl’imperatori che diretta efficacia -esercitassero sopra l’ancor libera Italia, e per cinquant’anni -nessun esercito di quella gente calpestò la -sacra nostra terra. -</p> - -<p> -Lo sterminio degli Svevi lasciava trionfante il papato: -ma Clemente IV non vide ricomposta la pace -coll’Impero, atteso che, mentre accingevasi a pronunziare -fra i competenti al trono di Germania, morì a -Viterbo. Quivi stesso accoltisi i cardinali alla nuova -elezione, per tre anni non seppero mettersi d’accordo, -finchè compromessala in sei di essi, restò proclamato -Tibaldo Visconti di Piacenza <span class="sidenote">(1271)</span>, allora legato in Palestina, -che volle nominarsi Gregorio X. Onde prevenire il tristo -spettacolo delle ultime elezioni e le lunghe vacanze, -regolò la forma del conclave, i cardinali si chiudessero -con un solo conclavista, ridotti a molte privazioni e a -non comunicare con altri di fuori sinchè non eleggessero -il pontefice. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_505">[505]</span> -</p> - -<p> -Radunato il XV concilio ecumenico a Lione <span class="sidenote">(1274 — 7 maggio)</span> affine di -sollecitare una nuova crociata, e ricomporre lo scisma -de’ Greci, vi si presentò Ottone, vicecancelliere di Rodolfo -di Habsburg, povero conte dell’Argovia, che era -stato poco prima eletto imperatore di Germania, e che -nuovo s’un trono inaspettato, senza beni nè interessi in -Italia, della quale non conosceva tampoco la geografia, -e amando assodarsi in Germania più che guerreggiare -per un regno lontano e quasi nominale, volle finire il -litigio d’omai settant’anni, giurando adempirebbe le -promesse d’Ottone IV e di Federico II; rinunzierebbe -affatto alle terre disputate fra l’Impero e la Chiesa; -non accetterebbe alcuna tenuta ecclesiastica quand’anche -offertagli, nè cariche nello Stato romano senza assenso -del papa; non turberebbe il re di Sicilia od altri -vassalli della Chiesa, nè procurerebbe vendetta di Corradino. -Poi, con atti che fece sottoscrivere anche dagli -elettori, confermava al pontefice le antiche donazioni -di quanti paesi sono da Radicofani a Ceprano, oltre -l’Emilia, la marca d’Ancona, la Pentapoli e i possessi -della contessa Matilde, Spoleto, il contado di Bertinoro, -Massa, e quanto mai con diplomi fosse stato concesso -a’ successori di san Pietro<a class="tag" id="tag411" href="#note411">[411]</a>; inoltre il dominio -sulla Sicilia, la Corsica e la Sardegna. Così restava -emancipata la Chiesa, e ottenuto il lungo intento dei -Guelfi. -</p> - -<p> -Mentre, dalla prima guerra coll’Impero, la Chiesa, -vinta in apparenza, era nel fatto uscita potentissima, da -questa pace, coll’aspetto di vincitrice, cominciò la sua -decadenza. Non che un palmo di terra acquistassero, i -papi si trovavano sempre contrariati nella loro propria -città; e dei nove che pontificarono in trentasei -anni dopo la morte di Gregorio IX, sei non v’entrarono, -<span class="pagenum" id="Page_506">[506]</span> -gli altri solo per brevissimo. L’importanza che -traevano dall’opporsi alla dominazione straniera, scadde -dacchè per abbattere i Tedeschi si buttarono in braccio -ai Francesi; onde i Guelfi, così devoti all’indipendenza, -si convertirono in fautori de’ forestieri, ai quali facevano -opposizione i Ghibellini. -</p> - -<p> -Sempre più copiose dovizie avea potuto accumulare -la Chiesa, vuoi in fondi per signorie e contadi interi -avuti in dono o compri dai baroni che passavano oltremare, -vuoi in denaro per le decime, estese fin sul -commercio, sul bottino da guerra, che più? sul meschino -guadagno de’ mendicanti e sul turpe delle meretrici. -Ma se i beni ecclesiastici godevano immunità -dai tributi al par degli altri feudali, i Comuni chiamarono -anche il clero a parte dei pesi, com’era dei vantaggi -di quel governo. Sulle prime non vi si trovò -sconvenienza; poi, o fosse iniquo il riparto, o divenisse -soverchio l’aggravio, spesse lamentanze ne mossero gli -ecclesiastici; secondando ai quali, i concilj III e IV Lateranesi -vietarono alle autorità di aggravezzare il clero, -il quale dovea contribuirvi sol quando l’avesse trovato -spediente al pubblico bene: ma i papi facilmente concedeano -ai principi di tassarlo. -</p> - -<p> -Anche l’immunità del foro venne ristretta, procurando -i governi intervenire alle decisioni delle curie, -che quasi mai non punendo nel corpo, debolmente reprimevano -il delitto. Gli stessi tribunali dell’Inquisizione -posero la Chiesa in qualche dipendenza dai laici, -di cui avevano ad invocare il braccio per eseguire le -loro sentenze. -</p> - -<p> -Le armi spirituali, usate e abusate in interessi mondani, -rimasero rintuzzate: quelle scomuniche motivate -su odj che pareano personali, quelle indulgenze profuse -a chi combattesse i nemici temporali della santa Sede, -quelle decime imposte a titolo di redimere Terrasanta -<span class="pagenum" id="Page_507">[507]</span> -e adoprate invece a guerreggiar Federico o Corradino, -quei prelati che accampavano e benedicevano la strage, -sminuivano l’efficacia de’ pontefici anche quando a favore -del popolo frenassero i regj arbitrj, reprimessero -le esazioni di Carlo, proclamassero la pace. Nella contesa -poi aveano dovuto chiamare il popolo a bilanciare -le mutue ragioni; e questo revocò ad esame atti, cui -fin allora si era sottomesso venerabondo: e un potere -inerme, quand’è discusso, è caduto. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap93">CAPITOLO XCIII. -<span class="smaller">I Mongoli. — Fine delle crociate, e loro effetti. -Gli stemmi.</span></h2> -</div> - -<p> -Nel mezzo di questi accadimenti anche le cose di -Terrasanta erano tornate a peggio che mai per l’addietro -si fossero. In quelle colonie, che avrebbero potuto -esser tanto profittevoli alla civiltà, la discordia -imbaldanziva non meno che in Europa, di modo che -non si domandava se vincessero i Cristiani o i Saracini, -ma se i Templari o gli Spedalieri, se i Genovesi o -i Veneziani; i quali disputandosi l’imperio del mare e -i frutti del commercio col Levante, impinguavano di -sangue italico i mari e le terre straniere, e fin nelle -chiese portavano il sacrilegio di uccisioni fraterne. -Presa che fu Costantinopoli, vedemmo l’impero greco -uscire di letargo, e rotta quella stupefacente sua unità, -suddividersi in un centinajo di principati, ciascuno dei -quali focolajo di nuova vita (pag. 265). Oltre gli Occidentali, -anche signori greci aveano costituito particolari -dominj, come Alessio Comneno a Trebisonda, -Michele Comneno a Durazzo, Teodoro Láscari a Nicea -<span class="pagenum" id="Page_508">[508]</span> -di Bitinia. Michele Paleologo, tutore d’un fanciullo di -quest’ultimo, ne usurpò la corona, e mentre la fortuna -gli dava buono, assalse Costantinopoli <span class="sidenote">(1260)</span>. Quivi imperava -Baldovino II, sostentato colle limosine della cristianità, -e in tali strettezze che, non bastando impegnare gli ori -del palazzo e delle chiese, vendette fino il piombo e il -rame de’ tetti. Michele di sorpresa gli tolse la città e -il trono, e ristabilì l’impero greco <span class="sidenote">(1261)</span> con una nuova dinastia. -I Genovesi che, per umiliare i Veneziani, gli aveano -dato ajuto, ottennero larghe concessioni e il sobborgo -di Pera: nè però Venezia e Pisa furono spogliate degli -antichi privilegi e d’avere giudizj proprj: e il console -de’ Pisani, il podestà de’ Genovesi, il balio de’ Veneziani -tennero posto fra i grandi uffiziali di quella corona. -Michele poi non aveva ripigliato che le coste a -scirocco del Peloponneso, restando in essere i principati -stabiliti al centro e al mezzodì della Grecia dai -Crociati. -</p> - -<p> -L’Occidente dava scarsa attenzione a questi mutamenti: -se non che un nuovo flagello venne a minacciare -non solo Terrasanta, ma tutta la cristianità, l’irruzione -dei Mongoli o Tartari. Gengis-kan, una di quelle -terribili incarnazioni della forza che sembrerebbero -finzioni mitiche se troppo accertata non ne fosse e -compianta l’esistenza, raccolse e dal cuor dell’Asia -mosse questi Barbari, che con una rapidità appena -credibile occuparono da una parte l’immenso impero -della Cina, dall’altra minacciarono soggettare la Persia, -conquistarono la Russia, e ridotta a deserto l’Ungheria, -giunsero fin nella Dalmazia, cioè in vista dell’Italia. -</p> - -<p> -Tetro sgomento si diffuse per l’universa Europa all’accostarsi -di questa gente <i>tartarea</i>, che non conoscea legge -nè fede. Gregorio IX moltiplicava promesse, indulgenze, -minaccie, assoluzioni per riunire tutta cristianità -a resistervi, e perchè Federico II si facesse capo dell’impresa; -<span class="pagenum" id="Page_509">[509]</span> -ma questi se ne fingeva in ispasimo, e largheggiava -in promesse retoriche<a class="tag" id="tag412" href="#note412">[412]</a>; poi operava tanto -a rilento, che i suoi malevoli sparsero fosse d’accordo -coi Tartari, e per onta al papa e alla religione gli avesse -egli medesimo chiamati. Certo essi mandarono a lui, -come soleano, l’intimata, perchè facesse omaggio dei -suoi dominj al gran kan, in ricompensa offrendogli di -scegliere qual carica gli garbasse alla corte di questo; -al che Federico celiando, — Sceglierei l’uffizio di falconiere; -si bene m’intendo d’uccelli di rapina». -</p> - -<p> -Ma quando i Mongoli ruppero guerra ai Turchi Selgiucidi, -che allora signoreggiavano la Palestina, i Franchi -vennero in isperanza che i nuovi Barbari li libererebbero -dai loro oppressori, mossi da quella illusione -tanto consueta, che fa guardare per amici nostri i nemici -de’ nostri nemici. Si cercò dunque la loro alleanza, -e a papa Innocenzo IV sorrise lusinga di trarli al cristianesimo. -L’acquistare alla fede un popolo che erasi -dilagato dal Mar Giallo al Danubio, sarebbe stato un -avvenimento decisivo nella civiltà del mondo; ma per -isperarlo nessun argomento umano s’aveva se non l’essere -quelli avversi ai Musulmani. Però i pontefici quali -prodigi non erano avvezzi a vedere dalle missioni? le -crociate non erano una serie di miracoli? D’altra parte -sapeasi così in confuso che quei popoli, tuffati in grossolane -superstizioni, senza entusiasmo nè sacerdozio, -eransi adagiati alla religione de’ popoli tra cui arrivavano; -e se si fecero buddisti nella Cina, musulmani -nella Persia, perchè non diverrebbero cristiani in Europa? -Era indifferenza, nata da ignoranza, ma interpretavasi -per propensione alla verità. -</p> - -<p> -Adunque Innocenzo divisò spedire missionarj ai Tartari, -<span class="pagenum" id="Page_510">[510]</span> -e i nuovi frati Domenicani e Francescani si offersero -a gara. Furono prescelti i frati Minori Lorenzo di -Portogallo, Benedetto Polacco discepolo di san Francesco, -e Giovanni di Piano Carpino, il quale è il primo -europeo che intorno a quel popolo desse ragguagli, -quantunque grossieri e parabolani. Non muniti che della -croce, questi intrepidi, attraverso all’Europa, non corsa -allora che da pellegrini e da combattenti, in riva al -Volga raggiunsero Batù generale de’ Mongoli <span class="sidenote">(1245)</span>, mentre -a Basciù Nuyan, altro generale in Persia, arrivavano i -Domenicani Simone da San Quintino francese, e gl’italiani -Alessandro e Alberto Ascellino, Guiscardo da Cremona, -Andrea da Longiumello. A que’ barbari, non -conoscenti altro diritto che la forza, riuscì ridicola -questa spedizione di frati, che in una lingua ignota e -per sì lunga strada venivano rimproverarli perchè distruggessero -le altre nazioni, ed invitarli a sottoporsi -ad una religione, fuor della quale non vi sarebbe per -essi che dannazione eterna. I nostri non fecero alla -prima come scoraggiati, perchè non si ripromettevano -premj o lodi umane; e procedettero fino alla corte del -gran kan mongolo, e insieme coi messi di tutto il -mondo gli fecero omaggio: ma non ne riportarono che -spregio. -</p> - -<p> -Nè per questo i papi cessarono d’inviare missionarj -ai Mongoli, e tra essi i frati Girardo da Prato, Antonio -da Parma, Giovanni da Sant’Agata, Andrea da Firenze, -Matteo d’Arezzo, eroi di nuovo genere, che la storia -trascura perchè non uccisero nè devastarono. Più tardi -vi fu destinato Giovanni da Montecorvino, che, corsa la -Persia e l’India, predicò nella capitale dell’impero mongolo, -vi fondò due chiese, e battezzò in pochi anni da -seimila persone. Anzi l’avere il gran kan tollerato alla -sua corte i riti nostri come quelli della Cina e della -Persia, lasciò correr voce ch’e’ fosse cristiano. Più durò -<span class="pagenum" id="Page_511">[511]</span> -la credenza che un principe di quei paesi si fosse battezzato, -e col nome di Prete Janni restò famoso ne’ racconti -de’ nostri e nelle imposture di chi tratto tratto -fingeasi da lui spedito. -</p> - -<p> -Il fatto è che allora primamente Europei penetrarono -nell’estremo Oriente: un Francescano di Napoli -sedette arcivescovo a Peking capitale della Cina; il -beato Oderico da Pordenone minore osservante <span class="sidenote">(1318-30)</span>, traversata -l’Asia da Costantinopoli a Trebisonda, ad Erzerum, -alla commerciante Tebriz, per l’Indo arrivò alla -costa del Malabar, donde i nostri tiravano il pepe, al -Carnatico, a Giava feconda de’ garofani, delle noci moscade, -dell’altre spezie ed aromi che Genovesi e Veneziani -diffondeano per tutta Europa: volse poi alla -Cina e al Tibet, e dimorò tre anni a Peking, dove trovava -un convento di Francescani, e due a Zaitun. Reduce -a Padova, a Guglielmo da Solana dettò una relazione -del suo viaggio, senz’ordine nè discernimento, -ma come gliel’affacciava la memoria; e fra tante ignoranze -e corrività piace il vedere come tutto riferisca a -cose italiane: in Tartaria non mangiano che datteri, -de’ quali quarantadue libbre compransi a meno d’un -grosso veneziano; il regno di Mangy ha duemila città, -grandi ciascuna come Treviso insieme e Vicenza: Soustalay -è come tre Venezie, Zaitun come due Bologne, e -vi ha un idolo alto come un san Cristoforo: Chamsana -è presso un fiume come Ferrara al Po. -</p> - -<p> -Non meno che la devozione, il commercio portava -Italiani dappertutto, e non ne mancarono alla corte dei -Mongoli. Biscarello di Gisulfo genovese fu ambasciadore -del mongolo Argum signore della Persia: e la lettera -di questo, ch’egli portò al re di Francia per esibirgli -ajuti a ricuperare Terrasanta, è il più vetusto documento -di lingua mongola, e v’è apposto un sigillo con -caratteri cinesi, i primi che vedesse Europa. Più celebrati -<span class="pagenum" id="Page_512">[512]</span> -andarono i viaggi di Marco Polo, dei quali altrove -ragioneremo (Cap. <span class="smcap lowercase">CXXIV</span>). Oltre diffondere la -fede e la civiltà nostra, portavano di là cognizioni od -arti, e la vista de’ costumi stranieri allargava il campo -al limitato spirito europeo; nè andrebbe fuori di buona -congettura chi pensasse che da que’ viaggi derivasse -all’Europa la cognizione del carbon fossile, della carta, -della polvere tonante e della stampa. -</p> - -<p> -Ma le imprese de’ Mongoli, non che spargere qualche -rugiada sulla Palestina, aveanle dato l’ultimo tuffo. -Gli abitanti di Carism, snidati da quelli, piombarono -sovr’essa a istigazione del sultano del Cairo <span class="sidenote">(1244)</span>, con una -ferocia non più udita; e dopo un combattimento a -Gaza, donde non si salvarono che ottantatre Templari, -ventisei Spedalieri, tre Teutonici, presero Gerusalemme, -distruggendo il sepolcro di Cristo e quello dei re, sterminando -gli abitanti, e tutto occuparono il paese, eccetto -Giaffa, che rimase in signoria degli Egizj. Nell’universale -amaritudine più dolorò il santo re di Francia -Luigi; e risoluto a ogni costo rialzarvi la croce, ricorse -per navicellaj e piloti alla Spagna e all’Italia, e due -Genovesi sosteneano persona d’ammiragli <span class="sidenote">(1248)</span> della flotta -francese ch’egli voltò sopra l’Egitto: ma il purissimo -suo zelo e i ben meditati preparativi non furono sorrisi -dal cielo, ed il re medesimo restò prigioniero dei -Mamelucchi. Joinville, l’ingenuo biografo di quel re, -appunta d’egoismo mercantile Genovesi e Pisani, che, -per non partecipare alle sofferenze de’ Crociati, voleano -abbandonarli appena li videro infelici; nè la regina li -potè rattenere a Damiata se non promettendo mantenerli -a spese della corona. -</p> - -<p> -Quando poi si udì la prigionia di Luigi, l’Italia, -non che gemerne come tutta cristianità, ne esultò, -per stimolo de’ Ghibellini che allora aveano il sopravvento, -e che godeano de’ disastri del fratello di Carlo -<span class="pagenum" id="Page_513">[513]</span> -d’Angiò<a class="tag" id="tag413" href="#note413">[413]</a>; e corsari di Genova, Venezia e Pisa profittarono -di quelle sventure per ispogliare i Cristiani -che tornavano in Europa. -</p> - -<p> -Reso alla patria, e istruito non disanimato dal cattivo -successo, Luigi volle ritentare l’impresa <span class="sidenote">(1267)</span>, e domandò -ajuto alle repubbliche italiane. Genova ne prestò a -buoni patti<a class="tag" id="tag414" href="#note414">[414]</a>; ma Venezia rifiutò, timorosa di pregiudicare -ai banchi e agli scali suoi in Levante, e più -gelosa di Genova che zelante della causa di Cristo. -Carlo d’Angiò fratello avea promesso passare anch’egli -con quindici vascelli, ma non fece che spedire ambascerie -a Bibars sultano del Cairo per raccomandargli -le colonie di Siria; e il papa si lagnava perchè «lo zelo -di Carlo si sfogasse in vane promesse, e lasciasse temere -di non venire a nulla»<a class="tag" id="tag415" href="#note415">[415]</a>. -</p> - -<p> -Neppure il Paleologo aveva attenuta la promessa di -riconciliare la Chiesa greca colla latina, onde il papa -gli cercava nemici, e carezzò le ambizioni di Carlo, -inducendo il deposto Baldovino a cedergli i diritti imperiali -sull’Acaja, sulla Morea e sulle terre ch’erano -state assegnate in dote a Elena moglie di re Manfredi, -oltre l’aspettativa al trono di Costantinopoli. Carlo dunque -cercò voltare la crociata sopra l’impero bisantino, -onde dar fondamento a queste pretensioni; poi indusse -ad assalire non più l’Egitto, bensì Tunisi, col pretesto -che i pirati di questa faceano pericoloso il tragitto in -Palestina, ma realmente perchè egli preferiva vedere -conquistata l’Africa, posta rimpetto alla sua Sicilia, e -<span class="pagenum" id="Page_514">[514]</span> -che perciò gli sarebbe d’appoggio alla dominazione e -di comodo al commercio. -</p> - -<p> -I Crociati si lasciarono persuadere, e lo precedettero: -ma la caldura e le privazioni svilupparono ben -presto lo scorbuto nell’esercito; e sui luoghi ove quindici -secoli prima era perita Cartagine, Luigi morì rassegnato <span class="sidenote">(1270)</span>, -fra calde preghiere e savj consigli. Carlo arrivò -a tempo di vederlo cadavere, e assunto il comando, -menò l’esercito a vittoria, tanto che il bey di Tunisi -propose una pace, dove Carlo stipulò fossero date ducentomila -once d’oro all’esercito per le spese, e a lui -quarantamila scudi d’oro l’anno. Allora egli propose -ai Crociati la conquista della Grecia e dell’impero d’Oriente; -e perchè ricusarono seguirlo, apprese le navi -e le robe che una fiera procella spinse sulle coste di -Sicilia, ed impinguò il fisco colle spoglie dei proprj -commilitoni. -</p> - -<p> -Le viscere di Luigi furono deposte nella badia di -Monreale presso Palermo; il suo corpo traversò l’Italia, -fra universale venerazione; le madri cercavano le monete -coll’effigie di lui per appenderle al collo de’ figli; e -pochi anni dopo Bonifazio VIII lo santificava esclamando: — Esulta, -Casa di Francia, d’aver dato al -mondo un principe sì grande; esulta, popolo di Francia, -d’avere avuto un re sì buono». -</p> - -<p> -Gregorio X, ch’era nunzio in Palestina quando fu -eletto pontefice<a class="tag" id="tag416" href="#note416">[416]</a>, adoprò il breve suo regno a ricomporre -in pace i Cristiani perchè recuperassero Terrasanta; -a tutti i sovrani consentì di levare le decime -ecclesiastiche per sei anni onde armare; Filippo di -<span class="pagenum" id="Page_515">[515]</span> -Francia, Edoardo d’Inghilterra, Giacomo d’Aragona, -Carlo di Sicilia aveano promesso crociarsi, e Rodolfo -imperatore guidarli; Gregorio radunò all’uopo anche -il concilio generale di Lione che dicemmo, ma tutta la -macchina cadde colla sua morte <span class="sidenote">(1276)</span>. -</p> - -<p> -E qui finiscono le crociate. Le ampie conquiste in -Oriente trovavansi compendiate nella città di Acri, nella -quale accoglievansi i rappresentanti de’ re di Gerusalemme, -di Cipro, di Sicilia, di Francia, d’Inghilterra, -d’Armenia, i principi d’Antiochia e di Galilea, i conti -di Giaffa e di Tripoli, il duca d’Atene, il patriarca gerosolimitano, -i cavalieri del santo Sepolcro, del Tempio, -di san Lazzaro, il nunzio del papa, e Genovesi, Veneti, -Pisani. Ognuno aveva palazzi e quartiere, dove vivea -indipendente e colle proprie leggi ritornate personali, -sicchè ben cinquantotto tribunali esercitavano diritto di -sangue; pel qual tenore ciascuno comandava, nessuno -obbediva. Opposti anche d’interessi, agitavano incessanti -discordie: spesso un litigio nato a Pisa o in Ancona, -combattevasi da una all’altra delle case d’Acri, -ridotte in fortezze. -</p> - -<p> -Un Veneziano batte un ragazzo genovese, i Genovesi -l’han per pubblico oltraggio, e assalito il quartiere dei -Veneziani, quali feriscono, quali fugano. Questi preparavansi -alla rappresaglia, ma qualche prudente sopì -quel fuoco. Però, come se ne intese in Genova: «dissero -tutti: <i>Ora ne sia preso tale vendicamento, che -mai non sia obliato;</i> le donne dissero ai loro mariti: -<i>Noi non vogliamo più niente di nostre doti, nè per -morte nè per vita; spendetelo per la vendetta;</i> e le -<span class="pagenum" id="Page_516">[516]</span> -pulcelle dissero ai loro padri, ai loro fratelli ed agli -altri parenti loro: <i>Noi non vogliamo mariti: tutto ciò -che ci dovreste donare per dote, spendetelo per vendicarci -de’ Veneziani, e voi sdebitatevene portandoci -le loro teste</i>»<a class="tag" id="tag417" href="#note417">[417]</a>. Fu dunque armata una spedizione: -una nave veneta, che un Genovese avea compra dai pirati, -è presa e ripresa, e tutto va a chi peggio: tredici -navi arrivate da Venezia bruciano le genovesi sprovvedute -nel porto, e ajutate da’ Pisani e Marsigliesi respingono -altre galee venute in soccorso de’ nemici, ne -guastano le canove, i palazzi e una mirabile loro -torre, di cui molte pietre spedirono in patria. Il papa -s’intromise di pace; ma le ire coperte non estinte divamparono -allorquando i Genovesi ebbero ottenuto -nella ripigliata Costantinopoli i quartieri e i privilegi -che prima erano goduti dai Veneziani. I quali tanto fecero, -che stornarono dai Genovesi l’animo di Michele -Paleologo, e rinnovarono con esso amicizia. -</p> - -<p> -Lottanti fra sè, tutti si trovavano deboli a fronte -de’ Musulmani; mentre Europa, disingannata da tanti -tentativi falliti, assorta in interessi <i>più positivi</i>, cioè -egoistici, pensava a tutt’altro che soccorrerli. Frattanto -i Musulmani procedevano, e l’emir Kalif Ashraf pose -assedio ad Acri, ultimo asilo della croce. Papa Nicola IV -raddoppiò di zelo in provocare a soccorrerla; Parma -vi spedì seicento persone, alquante le altre città, e per -trasportarle Venezia dispose venti galee, sette ne prometteva -Giacomo re di Sicilia; soccorsi parziali e perciò -inadequati; e dopo lunga resistenza anche Acri fu espugnata <span class="sidenote">(1291)</span>. -Vuolsi che trentamila Cristiani vi fossero sgozzati; -la badessa di Santa Chiara, veneziana, persuase -le sue monache di troncarsi le narici per sottrarsi alla -libidine e ai harem de’ Musulmani; le navi genovesi -<span class="pagenum" id="Page_517">[517]</span> -poterono salvare alquanti, fra cui il re di Cipro; altri -rifuggirono a Venezia, che gli accoglieva nella nobiltà; -e ne’ paesi consacrati dalle memorie di Cristo più non -risonò se non — Non v’è altro dio che Dio, e Maometto -è suo profeta». -</p> - -<p> -All’annunzio di quella disgrazia, che pur doveasi -aspettare e poteasi prevenire, gli Europei e massime -gl’italiani ulularono di tardo dolore e sgomento, e Bonifazio -VIII ritentò una crociata. Ma più non erano i tempi -quando la pietà e la speranza del paradiso eccitavano -l’entusiasmo; quando i papi parlavano ai monarchi in -nome del Cielo sdegnato, rinfacciandone le colpe, e -imponendo prendessero la croce per espiarle; anzi i re, -tutt’assorti nel grande impegno di mozzare l’autorità -pontifizia, rifuggivano dal secondare imprese che l’avrebbero -accresciuta o almeno attestata. Solo i Genovesi, -per redimersi dall’interdetto, gli diedero ascolto, e le -donne, quasi a raffaccio degli uomini, assunsero la croce -e l’armi. L’impresa svampò, ma Genova conservava fin -testè nel suo arsenale le armadure di quelle eroine, e -nell’archivio le congratulazioni del papa. -</p> - -<p> -Dopo d’allora, alla crociata, come impresa comune -dell’Europa, più non si pensò da senno. Bensì i Genovesi -verso il 1300 ne prepararono una contro i corsari -barbareschi, ma fu uno stuzzicarli; e moltissimi -navigli uscirono d’Africa alla vendetta, e intercettarono -lungamente il commercio. Qualche parziale tentativo si -rinnovò, e nel 1345 specialmente si eccitarono i Cristiani -contro i Saracini, e molti miracoli vennero raccontati. -Dicevasi che presso la città d’Aquila fosse apparsa -Nostra Donna col Bambino in grembo avente in -mano una croce, e ciascuno potè vederlo più fulgido -del sole, e tutti i fanciulli che in quel giorno vi nacquero -erano segnati d’una crocetta sulla spalla diritta. Ciò -mosse molti a voler combattere gl’Infedeli, e frà Ubertino -<span class="pagenum" id="Page_518">[518]</span> -de Filippi vi rinfocava la gioventù fiorentina, e -molti lo seguirono in Siria, tra cui frà Francesco da -Carmignano ingegnere e dieci altri Domenicani. Ivi -oppugnarono non sappiam bene quale città, e sostennero -fra altre una battaglia presso Tiberiade contro più -d’un milione di Musulmani: s’aggiunge che un’apparizione -di san Giovanni Battista confortò i Cristiani al -vincere: e i cadaveri de’ nostri si riconosceano dall’apparire -sul capo di ciascuno un fuscelletto portante un -fiore bianco a modo d’ostia, attorno al quale si leggea -cristiano; e sopra di loro si udirono cantar versi dolcissimi -e <i>Venite, benedicti patris mei</i><a class="tag" id="tag418" href="#note418">[418]</a>. -</p> - -<p> -Di buon’ora i frati Francescani eransi piantati in -Terrasanta, e vi si mantennero a custodia del santo -sepolcro anche dopo ricaduto in man dei Turchi: nel -1212 Ahmed-scià sultano dava loro il diritto di rimanervi, -e l’anno appresso Omer permetteva ristaurassero -la chiesa di Betlem. Roberto re di Napoli volle che -questa loro dimora divenisse legittima, e a denari nel -1342 comprò dal sultano il diritto che i Francescani -dimorassero in perpetuo nella chiesa del santo sepolcro, -e vi celebrassero gli uffizj divini: del che si fece carta, -ove ad esso re e a Sancia moglie sua son pure conceduti -il cenacolo e la cappella dove Cristo si mostrò a -san Tommaso; la qual Sancia sul monte Sion fe costruire -una casa, in cui mantenere a sue spese dodici -Francescani<a class="tag" id="tag419" href="#note419">[419]</a>. -</p> - -<p> -Nel 1386 il re di Cipro, d’accordo col granmaestro -di Rodi, volendo metter fine alle piraterie degli emiri -di Siria e del sultano, stanziò d’assalire Alessandria; e -i Veneziani lo secondarono, sì per le istanze del papa, -<span class="pagenum" id="Page_519">[519]</span> -che per la speranza di assicurarsi quel commercio -senza le umiliazioni cui erano ridotti. Di fatto Alessandria -fu presa, arsa la flotta egizia; ma il sultano ricomparve -ben tosto, sicchè i Cristiani furono costretti -ritirarsi, poche ricchezze trasportando seco, e lasciandovi -acerbissimo odio, che si sfogò sui nostri colà dimoranti -e sulle merci di Venezia, la quale così ebbe -guasti i proprj traffichi. -</p> - -<p> -Soli i pontefici mai non gettarono ogni speranza di -liberare Terrasanta, e questo fu il tema di declamazioni -poetiche e qualche volta di ragionate scritture. -Fra gli altri, Marin Sanuto, cronista veneto, vide il vero -quando annunziò che ruina degli stabilimenti cristiani -in Palestina erano i sultani d’Egitto, e che potenza di -questi era il commercio nell’India, lo perchè consigliava -ad esaurirne la fonte. A tal uopo viaggiò cinque volte -nell’India, e se altro non potè, trasse notizie sui paesi -del Mezzodì e del Levante. Il suo libro <i>Secreta fidelium -Crucis</i> (1321), cui aggiunse un planisfero, divise -in tre parti ad onore della Trinità, e perchè tre sono -le maniere efficaci di rimettersi in salute, il siroppo -preparatorio, la medicina opportuna, il regime. Alla -crociata vuole egli persuadere, non più per entusiasmi -devoti, ma da mercante ed economista; onde ai testi -soggiunge la lista delle spezie che traggonsi per via -di Terrasanta, quanto costino, quanto il trasporto: la -migliore opportunità gli sembra uno sbarco in Egitto, -che con dieci galee crede potersi bloccare; e chiuso -quello, l’islam è ferito nel cuore. Divisa appienissimo -uomini, viveri, denaro, sempre intento a ringrandire -Venezia, di cui dev’essere tutta la flotta, e i cui marinaj -crede soli capaci a guidar le navi tra i bassi canali del -Nilo: designa la forma e struttura delle galee imbattagliate -e delle navi da trasporto, alcune incamattate, o -come oggi diciamo, mantellate: descrive minutamente -<span class="pagenum" id="Page_520">[520]</span> -i mangani colle dimensioni e proporzioni, e le balestre -lontanarie; l’esercito di sbarco sommi a quindicimila -fanti, trecento cavalieri. I precetti circa gli accampamenti -desume da Vegezio e da Cesare: dimostra pratica -nell’arte delle fortezze, secondo l’età sua, e ne dà -saggio in una graziosa parabola. La spesa sarebbe tornata -a quattordici milioni<a class="tag" id="tag420" href="#note420">[420]</a>; e tale disegno offrì alla -sua patria e a tutte le corti, e n’ebbe lode e trascuranza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_521">[521]</span> -</p> - -<p> -Guido da Vigevano, medico di Enrico VII imperatore, -nel 1335 stese precetti igienici e militari per difendersi -dai Saracini e assalirli<a class="tag" id="tag421" href="#note421">[421]</a>. Frà Filippo Bruserio -da Savona, professore di teologia a Parigi, da -Benedetto XII spedito nel 1340 ambasciadore a Usbek -kan del Capciac, con Pietro dall’Orto e con Alberto -della colonia di Caffa, per impetrare la libera predicazione -del cristianesimo attorno al mar Nero, scrisse il -<i>Sepolcro di Terrasanta</i>, esponendo i mezzi di ricuperarlo. -È notevole che i primi trattatisti d’arte militare -ne davano per titolo il ricupero della Palestina, quasi -il solo che potesse scusare quel feroce sviluppo della -forza e dell’ingegno: Antonio da Archiburgo trentino -nel 1391 stese su ciò un trattato, or manoscritto nella -biblioteca nazionale di Parigi; Lampo Birago milanese, -protetto da Francesco Sforza, propose una crociata -tutta d’italiani, con milleducento cavalli, quindicimila -fanti e cinquemila cavalleggieri forestieri, che sbarcata -in Morea suscitasse i popoli, e in due o tre anni compirebbe -l’impresa<a class="tag" id="tag422" href="#note422">[422]</a>. -</p> - -<p> -Dante querelava i suoi contemporanei che il sepolcro -di Cristo lasciassero in man de’ cani, e che esso «poco -toccasse ai papi la memoria»<a class="tag" id="tag423" href="#note423">[423]</a>; e colloca in paradiso -Goffredo, Cacciaguida ed altri Crociati. Petrarca -esortò alla crociata nella canzone — O aspettata in ciel, -<span class="pagenum" id="Page_522">[522]</span> -beata e bella». Annio da Viterbo nel 1480 predicò a -Genova con immenso applauso le future vittorie de’ Cristiani -sui Turchi, dedotte da passi dell’Apocalisse. -L’Ariosto fra le inesauribili sue celie trovava un accento -elevato per mostrare quanto meglio varrebbe -il combattere i Turchi che non il nocersi a vicenda i -Cristiani. Il Tasso dirigeva a ciò tutto il nobile suo -poema, sperando pure che <i>il buon popolo di Cristo</i>, -tornato una volta in pace, tenterebbe <i>ritogliere l’ingiusta -preda</i> al Musulmano. Altri pure innalzavano -esortazioni generose e inascoltate. -</p> - -<p> -Chi realmente continuò la guerra contro i Musulmani -furono da una parte i Veneziani, fattisi antimurale dell’Europa, -che negligeva di sostenerne allora gli sforzi, -salvo poi a codardamente vilipenderli; dall’altra i cavalieri -del santo Sepolcro, che si ricovrarono prima a -Cipro, poi a Rodi, infine a Malta, sempre col voto di -non cessar guerra agl’Infedeli. Dappoi la generosità si -ridusse negativa e beffarda, fu moda il declamare contro -quelle spedizioni che fecero perire tanti uomini inutilmente. -Lasciam via che non perirono quanti per le epiche -guerre di Roma o per le ambiziose di Napoleone; ma -colà morivano volenti e persuasi, non divelti alle case -per ordine d’un re, ma lieti di dar la vita in servigio -di Dio ed espiazione delle colpe, e affrontare una morte -che apriva il paradiso. -</p> - -<p> -I Musulmani erano nemici d’ogni civiltà; conveniva -respingerli: sterminavano ferocemente i Cristiani; conveniva -punirli: minacciavano di nuova barbarie l’Europa; -conveniva prevenirli, assalendoli ne’ loro paesi: -e se l’intento fosse riuscito, chi non vede quanto diverse -sarebbero procedute le sorti della civiltà? -</p> - -<p> -Già era stato vantaggio il mandare in Asia a sfogare -l’umor battagliero que’ tanti che turbavano la patria; -predicatori e papi volendo concordare i Cristiani alla -<span class="pagenum" id="Page_523">[523]</span> -santa impresa, condussero qualche pace fra tante battaglie, -e la tregua di Dio copriva chiunque avesse preso -la croce. Mentre il castellano era ito in Palestina, il -villano rimasto a casa respirava dalle oppressioni; ricorreva -all’autorità del Comune o del re, invece di quella -del feudatario; benchè incatenato alla gleba, il signore -non potea vietargli di crociarsi; anzi tanti servi passavano -oltremare, che fu imposta la <i>decima saladina</i> a -quei che il facessero senza beneplacito del padrone. -Anche quelli che v’andavano per obbedire a questo, -svincolati dalla schiavitù locale, disabituavansi dalla ereditaria -servilità; aveano diviso i pericoli, gli stenti, la -gloria del padrone, forse aveanlo salvato dal pugnale -d’un Assassino tra le convalli del Libano, o dalla scimitarra -di un Turco, o diviso con esso una ciotola -d’acqua che gli valse la vita; erano dormiti al suo fianco -nell’accampamento, pericolati nella lotta; l’avoltojo del -castello erasi fatto vicino al lepre della valle non per -isbranarlo ma per congiungere le forze. -</p> - -<p> -Nell’assenza dei baroni, i Comuni s’invigorivano, e -strappavano a quelli la prepotenza di qualche antico -abuso; o il barone stesso dava in pegno o vendeva il -feudo o qualche privilegio per far denari, o morendo -li lasciava vacanti. La giustizia era resa con maggior -regolarità dal clero, la campagna avea pace, e l’abbassarsi -dei nobili spianava la strada ai cittadini: sicchè -quelle imprese, spinte dal clero, eseguite dalla nobiltà, -realmente fruttarono pel popolo. Esse poi indicavano -un miglioramento nella società, poichè non si trattava -di conquistare e far servi, ma di procacciarsi la vita -eterna e di salvare dall’inferno tanti Infedeli. Di mezzo -alle parziali agitazioni della feudalità nasceva un pensiero -di gloria, d’avvenire, di santità; lampeggiavano il -bello e l’ideale fra i popoli e gli eserciti, i quali correvano -a morte per dar trionfo alla verità: preludio dei -<span class="pagenum" id="Page_524">[524]</span> -tempi quando la guerra non si farà che per la pace. -</p> - -<p> -Ambizione, avarizia, altri vizj accompagnarono e -rovinarono quelle imprese, ma pure nessun esercito fu -più generalmente preoccupato dall’idea morale; il popolo -era spinto da sentimento religioso, bene o male -interpretato, ma superiore a calcoli personali; nei cavalieri -videsi un’umiltà, un’abnegazione, mirabili fra -la superbia e l’avidità d’imprese di quel tempo, non -gloriandone sè ma Dio; tutti i combattenti riconosceano -per fratelli, dacchè tutti la croce segnava. Quando il -villano e il signore, il re e il vassallo, il Milanese, il -Bretone, il Veneto si associavano nel nome di Cristiani, -costumavansi a idee d’uguaglianza. Accanto ai baroni -radicati al terreno sorgeva la nobiltà mobile de’ cavalieri -chiamati per professione a quanto v’ha di generoso -e disinteressato: come in imprese sante, molte paci si -facevano in occasione di esse, molte colpe si riparavano: -v’andavano anime straziate dai rimorsi a rigenerarsi, -o spossate dai disinganni a ripigliar coraggio. -</p> - -<p> -Amedeo VI, nell’atto di salpare da Venezia per Terrasanta, -esaminò la propria vita, e si risovvenne -d’un Ansermeto Barberi che lungo tempo avea tenuto -prigione per furto e che poi fu scoperto innocente, e -gli fece dare ducento fiorini d’oro<a class="tag" id="tag424" href="#note424">[424]</a>. Veleggiò poi -in una galea vagamente dipinta, colla poppa a foglie -d’oro e argento; sull’azzurra bandiera di Savoja sventolava -l’effigie della Madonna, e su altre la croce d’argento -in campo rosso, coi nodi d’amore, emblema d’esso -principe, e il teschio del leone, e il cimiero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_525">[525]</span> -</p> - -<p> -Lucia, monaca in Santa Caterina di Bologna, s’avvide -che un giovane veniva ogni giorno a mirarla alla -tribuna ove sentiva messa, onde non si presentò più -che dietro la gelosia. L’innamorato giurò consacrarsi -a Dio come la sua cara, e passato in Palestina, s’avventò -nelle battaglie. Fatto prigione, e messo ai tormenti -perchè rinnegasse la fede, esclamò: — Santa -vergine, casta Lucia, se vivi ancora, sorreggi colle tue -preghiere chi tanto ti amò; se in cielo ti bei, propiziami -il Signore». Appena detto, fu preso da sonno -profondo, e allo svegliarsi trovossi catenato, ma in patria -e vicino al monastero della sua donna, la quale gli -stava allato sfolgorante di bellezza. — Sei tu viva ancora, -Lucia?» domandò egli; e quella — Viva sì, ma -della vita vera; va e deponi i tuoi ferri sul mio sepolcro, -ringraziando Iddio». La casta era morta il giorno -ch’egli abbandonò l’Europa<a class="tag" id="tag425" href="#note425">[425]</a>. -</p> - -<p> -Federico Barbarossa, giovinetto ancora, innamorò -di Gela figlia d’un suo vassallo; ed ella rispose di verecondo -amore, e non si tenendo degna d’averlo sposo, -l’indusse a crociarsi. Sull’addio egli esclamò: — L’amor -nostro è eterno. — Eterno», rispose ella, lasciando -cascar la testa su quella dell’amante. Egli va, vince e -ritorna, e per la morte del padre trovatosi duca, vola -alla casa di Gela; ma non vi trova che un viglietto, -iscritto: — Tu sei duca, e devi scegliere una sposa da -par tuo. Della memoria di essere stata tua un anno, mi -godrà l’animo tutta la vita. L’amor nostro è eterno». -Erasi resa monaca; e Federico, nel boschetto ove si -era congedato da lei, pose la prima pietra della città -di Gelnhausen. -</p> - -<p> -A Torre San Donato in val d’Arno fu predicata la -croce, e consegnato lo stendardo del popolo a Pazzino -<span class="pagenum" id="Page_526">[526]</span> -de’ Pazzi, il quale raccontano montasse primo sulle -mura di Gerusalemme, e da Goffredo avesse in dono -tre scaglie del santo sepolcro, colle quali in patria accese -il fuoco benedetto, e si conservarono poi ne’ Santi -Apostoli, e ne derivò a Firenze la festa dello scoppio -del carro (vol. <span class="smcap lowercase">V</span>, pag. 554). Anche nel 1220, «quando -fu presa Damiata, l’insegna del Comune di Firenze, il -campo rosso e il giglio bianco, fu la prima che si vide -in sulle mura per virtù de’ pellegrini toscani, che furono -de’ primi combattendo a vincere la terra; e ancora -per ricordanza il detto gonfalone si mostra in Firenze -per le feste nella chiesa di San Giovanni al Duomo» -(<span class="smcap">Villani</span>). A Verona si vuole che i reduci Crociati applicassero -i nomi alla montuosa vicinanza verso nordovest, -che diconsi Calvaria (<i>Monte San Rocco</i>) e Valdomia -(<i>Val Domini</i>); e dentro Nazaret, Betlem, Monte -Oliveto<a class="tag" id="tag426" href="#note426">[426]</a>. Alberto vescovo di Brescia portava da -Terrasanta un grosso pezzo della santa croce, che chiuso -in teca ornata di lamine argentee istoriate, conservasi -nel duomo di quella città, dove anche la <i>croce del campo</i>, -che credesi fosse portata in cima a un vessillo dai crociati -in quella spedizione. A San Geminiano in Toscana -pretendono che i Baccinelli andassero con altri alla prima -crociata, e ritornando, colle spoglie de’ nemici, ergessero -una magione di Templari sotto l’invocazione di -San Jacobo. -</p> - -<p> -Della credulità si abusò per moltiplicare reliquie, e -<span class="pagenum" id="Page_527">[527]</span> -non fu paese che non volesse averne di Terrasanta; e -ciascuna fu autenticata da miracoli, certo non meno -credibili delle mille baje che la critica moderna raccoglie -ogni dì dalle gazzette, e dalle storie che sulle gazzette -si compilano. -</p> - -<p> -Alcuni monaci portarono da Gerusalemme a Montecassino -un pezzo del tovagliuolo con cui Cristo asciugò -i piedi agli apostoli; e vedendosi poco creduti, il posero -in un turibolo, e all’istante divenne color di fuoco, -e ne fu tolto intatto, e riposto fra oro, argento e gemme. -Altri pellegrini navigando con uno de’ santi chiodi, -giunti davanti a Torno sul lago di Como, non poterono -più progredire, e dovettero lasciarlo colà, dove si venera -ancora. Allorchè Saladino spediva in dono all’imperatore -di Costantinopoli la vera croce, un Pisano -trovò modo d’involarla, e traversando i mari a piede -asciutto, la recò alla sua patria: ma un Dondadio Bo -Fornaro genovese diceasi aver trovato in una nave di -Veneziani essa croce, e toltala per arricchirne la sua -città; e questi doppj sono vulgare soggetto d’epigrammi. -L’anno che Acri fu presa, parve che la santa -casa dove Cristo era cresciuto sdegnasse rimanere in -una terra contaminata da Infedeli, e da Nazaret fu dagli -Angeli trasportata a Tersacto di Dalmazia: statavi tre -anni, eccola trasferita di qua dall’Adriatico, e deposta -in una macchia sui poderi di una Lauretta di Recanati: -i pastori la mattina trovarono quest’edifizio dove mai -non n’aveano veduto, e tosto cominciò affluenza di forestieri -e di doni, tanto che là presso si fondò una città -detta Loreto. -</p> - -<p> -Roma fu piena di devoti cimelj, ed oggi ancora i -sacristani vi riportano continuamente coi loro racconti -ai tempi delle crociate e ai portenti compilati nel libro -de’ <i>Sette Viaggi</i>. Padova tiene le spoglie di tre degli -Innocenti, di Levante portate dal beato Giuliano in -<span class="pagenum" id="Page_528">[528]</span> -Santa Giustina. L’altare di santo Stefano a Cremona fu -consacrato il 1141 col porvi alcun che de’ vestiti di -Maria Vergine, della porpora onde fu beffeggiato Cristo, -del legno della croce, del santo sepolcro. A Bologna -fra Vitale Avanzi depose una delle idrie in cui Cristo -mutò in vino l’acqua, e ogn’anno esponevasi nella -chiesa de’ Servi la prima domenica dopo l’Epifania: un -altro di quei vasi era nella certosa di Firenze. Genova -nella crociata dalla Licia portò il corpo del Battista, e -da Cesarea il sacro catino in cui fu operata la consacrazione -nell’ultima cena; dal prode Montaldo, che -l’avea ottenuta dall’imperatore Giovanni Paleologo, ebbe -in dono l’effigie di Cristo, fatta fare da Abgaro re di -Edessa, veneratissima in San Bartolomeo, benchè anche -Roma si vanti tenerla. A un Lucchese ito a Gerusalemme -vien rivelato in estasi che il volto santo ed altre -reliquie del Salvatore giaciono ignorate nella cattedrale -di Lucca, dove rinvenute, furono poste in devota venerazione. -Non taciamo il santo latte a Montevarchi, donato -a Guido Guerra da Carlo d’Angiò; sul quale diceva -un valente scrittore che «la fede è buona, e salva ciascuno -che l’ha; e chi archimia sì fatte cose, ne porta -pena in questo e nell’altro mondo». -</p> - -<p> -I Pisani vollero dormire dopo morti entro terra della -Palestina, e ne trasportarono di che empire il loro -cimitero. I Veneziani recarono da Scio il corpo di -sant’Isidoro, collocandolo in San Marco, dove anche la -pietra dell’altare della cappella del battistero; da Cefalonia -san Donato, ch’è in Santa Maria di Murano; da -Costantinopoli santo Stefano, san Pantalèone, san Giacomo, -e l’altre reliquie onde sono ricchissimi San -Giorgio e San Marco. Il cardinale Ugolino, che poi fu -papa Gregorio IX, persuase il doge a fabbricare nelle -lagune Santa Maria Nuova di Gerusalemme, a memoria -d’altra del titolo stesso, allora occupata dai Musulmani. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_529">[529]</span> -</p> - -<p> -D’altro genere reliquie piacquero agl’italiani, i capi -d’arte della Grecia e dell’Asia. Già era costume a Veneziani, -Pisani e Genovesi trasportarne; e le loro cattedrali, -cominciando fin dalla vetustissima di Torcello, -furono, si può dire, fabbricate con avanzi antichi. Si -estese quest’usanza nelle crociate, e massime da Costantinopoli -i Veneziani trassero insigni lavori, fra i tanti -che andarono perduti in quel fatto; e i cavalli della -facciata di San Marco, e i leoni dell’arsenale, le colonne -di San Marco e Teodoro sono trofei di buon gusto e -di violenza. -</p> - -<p> -Alle crociate si riferiscono pure molte fondazioni di -spedali per lebbrosi e pellegrini; e buon numero ne -alloggiava in Genova la commenda di San Giovanni in -Pre, del pari che l’ospedale di San Lazzaro, cui arrivavasi -per l’unica via che allora sboccasse in Polcevera, -e un altro in Savona. -</p> - -<p> -Le genealogie vollero tutte innestarsi sopra le crociate, -e fu vanto l’ostentare nel proprio blasone la croce. -Anzi il blasone ci venne dalle crociate e dalla cavalleria, -con tutta la raffinatezza degli stemmi e delle divise. -Finchè il cavaliero combatteva attorno al suo castello, -qual mestieri avea di distintivo? uscendo lontano, ciascuno -assumeva una divisa, cioè esprimeva l’affetto o -l’intento particolare, mediante il colore della sopraveste -e del cimiero, o qualche disegno fatto sul pezzo più -insigne dell’armadura, qual era lo scudo. Quegli scudi -poi si sospendeano nelle sale avite, testimonianza ai -fasti e vanto ai figli che si piacquero di adottare l’insegna -paterna, e così gli stemmi diventarono ereditarj, -e distintivo non più dell’individuo ma delle famiglie. -Nella presente uguaglianza più non è di verun conto -l’araldica: ma lungamente fu arte di arguto studio il -disporre gli stemmi, combinarne gli elementi, cioè i -colori e le figure, e leggerli, e assicurarli come titoli -<span class="pagenum" id="Page_530">[530]</span> -domestici. Se ne moltiplicarono poi gli elementi e la -disposizione, ma sempre i più vantati furono quelli che -mostravano la croce, come indizio che un avo era stato -a combattere in Palestina. I Michieli di Venezia portavano -sopra una fascia d’argento i bisanti d’oro, perchè -il doge Domenico Michiel alla crociata, venutogli meno -il denaro, pagò con pezzi di cuojo, che poi al ritorno -cambiò in sonanti. I Visconti di Milano vantavano che -Ottone di loro famiglia avesse, alla prima crociata, ucciso -un gigante che portava per cimiero un serpe con -un fanciullo in gola; figura ch’essi adottarono. Il cardinale -Giovanni, legato in Terrasanta, ne riportò la -colonna della flagellazione, che la famiglia Colonna assunse -per stemma, d’argento in campo azzurro; aggiungendovi -la corona quando Stefano ebbe coronato -l’imperatore Lodovico il Bavaro, e le quattordici bandiere -turche che Marcantonio acquistò alla battaglia di -Lépanto. -</p> - -<p> -Ed altre famiglie dallo stemma dedussero il nome; -mentre d’alcune dietro al nome fu inventato lo stemma, -con quelle che si dissero armi parlanti, come un orso -per gli Orsini di Roma e gli Orseoli di Venezia, un -gelso pe’ Moroni, un majale pe’ Porcelletti, un gambaro -pei Gambara, un bove pei Vitelleschi, i Bossi, i Boselli, -i Cavalcabò, le coste pei Costanzo, la carretta pei Del -Carretto, pei Canossi un cane coll’osso in bocca, per -gli Scaligeri la scala portante un’aquila. Il vulgo pure -volle avere i suoi stemmi, e il tesserandolo e il merciajo -adottava un’insegna che di padre in figlio trasmetteasi -con sollecita cura di conservarla incontaminata. -</p> - -<p> -I nostri videro il lusso orientale, e si proposero imitarlo; -la seta si propagò, e i tessuti serici di Damasco -e quelli di pelo di camello ne eccitarono l’emulazione; -a Venezia s’imitarono i Vetri di Tiro, e ben presto si -fabbricarono specchi di cristallo e conterie; si conobbero -<span class="pagenum" id="Page_531">[531]</span> -i lavori a cesello e all’agiamina, l’applicazione -dello smalto; e l’oreficeria ebbe grande esercizio nello -incastonare le tante gemme e ornare le tante reliquie -tolte all’Oriente. -</p> - -<p> -Esteso il viaggiare non a soli negozianti ma a moltitudini -innumere, vennero sotto gli occhi altri costumi, -la qual cosa chi non sa quanto serva a digrossare i -proprj? I Settentrionali in Italia trovavano civiltà ben -più raffinata; a Bologna udivano leggere le Pandette, -in Salerno e a Montecassino scuole mediche, in Sicilia -e a Venezia regolati governi, e i cittadini congregati -dar l’assenso alle deliberazioni del doge; e Giacomo di -Vitry, storico di quelle imprese, ammirava questi Italiani, -segreti ne’ consigli, diligenti, studiosi nel procurare -le pubbliche cose, provvidi del futuro, repugnanti da ogni -giogo, di loro libertà acerrimi difensori. Anche i nostri -avevano di che imparare sia dalla civiltà greca ancora -in piedi, sia dall’araba allora fiorente, sia anche dal -regolare governo istituito dalle Assise di Gerusalemme. -</p> - -<p> -I metodi allora introdotti dalla Chiesa per raccorre la -decima e le limosine servirono di scuola per esigere -le tasse meno arbitrariamente. E poichè a queste aveano -dovuto sottoporsi anche gli ecclesiastici, s’imparò a -farli coadjuvare alle pubbliche gravezze. -</p> - -<p> -Romanzi e novelle a josa passarono dall’Asia in Europa, -eccitando e pascendo le giovani immaginazioni. -La filosofia si valse di quanto le aveano aggiunto le -scuole arabe; la medicina, se non metodi, adottò farmachi -orientali, droghe nuove, nuovi composti; razze -di cavalli arabi, cani da caccia vennero portati; e se -Federico II ebbe elefanti a sola pompa, i Pisani si -valsero dei camelli per coltivare la fattoria di San Rossore, -dove ancora non sono dismessi. La cannamele -avea ristorato la sete de’ Crociati, che la trapiantarono -in Sicilia, donde passò in Ispagna, e di quivi a Madera -<span class="pagenum" id="Page_532">[532]</span> -e all’America, per procacciarci uno de’ condimenti oggi -più usitati, lo zuccaro. Certe cipolle di Ascalona, certe -prugne di Damasco allora arricchirono i nostri giardini; -e se a torto si crede venuto di là il granoturco<a class="tag" id="tag427" href="#note427">[427]</a>, -v’imparammo l’uso dell’allume, dello zafferano, dell’indaco. -Vorrebbe credersi che la vista degli aerei edifizj -orientali e degli emisferici greci producesse l’ordine -gotico, certo esteso in quel tempo; e i furti fatti da -Pisa, Genova, Sicilia, Venezia ridestarono l’amore delle -arti belle, che, compostesi a quegli esemplari, s’accostarono -ai segni dell’eleganza. -</p> - -<p> -Tanto movimento di popolo aumentò la marineria, -del che principale vantaggio trassero gl’italiani, i quali -lautamente guadagnarono dal trasportare i Crociati, -poi stabilirono banchi su tutte le coste della Siria, del -mar Jonio e del Nero, e convennero di vantaggiosi -privilegi nelle terre sottomesse. Le navi si migliorarono<a class="tag" id="tag428" href="#note428">[428]</a>, -e a’ lenti tragitti per terra si surrogarono i -viaggi per acqua. A vantaggio de’ pellegrini si stesero -<span class="pagenum" id="Page_533">[533]</span> -itinerarj, che, se erano dettati dall’entusiasmo, valsero -però tanto quanto a migliorare la geografia<a class="tag" id="tag429" href="#note429">[429]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_534">[534]</span> -</p> - -<p> -Continue relazioni mantenne l’Italia coll’Oriente, e -ne sono piene le cronache piemontesi di Benvenuto da -San Giorgio; le famiglie più insigni legarono parentadi -coi principi levantini, e sei ne avvennero tra i marchesi -di Monferrato e gli imperiali di Costantinopoli; il titolo -di re di Gerusalemme e di Cipro ornava i duchi di -Savoja prima che altro regio acquistassero. Gli stabilimenti -italiani colà durarono più che quelli d’altra -qualsiasi gente, e in modo si diffusero, che l’italiano era -lingua comune de’ traffici sulle coste. -</p> - -<p> -Lasciam dunque ad altri deridere ciò che eccitò -l’entusiasmo di due secoli; e non crediamo inutili queste -imprese, che diedero tanto stimolo al sentimento, -alla curiosità, all’immaginazione. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE DEL TOMO SESTO E DEL LIBRO OTTAVO -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_535">[535]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td colspan="3" class="center">LIBRO OTTAVO</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">Capitolo</td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXI.</td> <td>Origine dei Comuni</td> <td class="pag"><a href="#cap81">pag. 1</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXII.</td> <td>Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. Emancipazione dei servi</td> <td class="pag"><a href="#cap82">60</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXIII.</td> <td>I Comuni lombardi. Lotario II e Corrado III imperatori. Ruggero re di Sicilia. Arnaldo da Brescia</td> <td class="pag"><a href="#cap83">88</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXIV.</td> <td>Federico Barbarossa</td> <td class="pag"><a href="#cap84">112</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXV.</td> <td>Ordinamento e governo delle Repubbliche</td> <td class="pag"><a href="#cap85">153</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXVI.</td> <td>Ultimi Normanni in Sicilia. Enrico VI</td> <td class="pag"><a href="#cap86">218</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXVII.</td> <td>Innocenzo III. Quarta crociata. L’impero latino in Oriente</td> <td class="pag"><a href="#cap87">242</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXVIII.</td> <td>Ottone IV. Sviluppo delle Repubbliche, e secondo loro stadio. Nobili e plebei in lotta. Guelfi e Ghibellini</td> <td class="pag"><a href="#cap88">268</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">LXXXIX.</td> <td>Frati. Eresie. Patarini. Inquisizione</td> <td class="pag"><a href="#cap89">313</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XC.</td> <td>La Scolastica. Efficacia civile del Diritto romano e del canonico. Le Università. Le Scienze occulte</td> <td class="pag"><a href="#cap90">356</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XCI.</td> <td>Federico II. Seconda guerra dell’investitura</td> <td class="pag"><a href="#cap91">415</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XCII.</td> <td>Fine degli Svevi e della seconda guerra dell’investitura</td> <td class="pag"><a href="#cap92">472</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XCIII.</td> <td>I Mongoli. — Fine delle crociate e loro effetti. Gli stemmi</td> <td class="pag"><a href="#cap93">507</a></td> - </tr> -</table> - -<hr /> -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span><span class="smcap">Savigny</span>, <i>Storia del Diritto romano</i>; — <span class="smcap">Pagnoncelli</span>, -<i>Dell’antica origine e continuazione dei governi municipali in -Italia</i>, 1823 — <span class="smcap">Raynouard</span>, <i>Histoire du droit municipal en -France</i>, 1838.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>. </span>È l’opinione del Leo, <i>Entwickelung der Verfassung der -lombardischen Städte bis zu Friedrich I</i>, 1824; del <span class="smcap">Raumer</span>, -<i>Ueber die staatsrehtlichen Verhältnisse der italienischen Städte</i>; -dell’<span class="smcap">Eichhorn</span>, di <span class="smcap">Ekstein</span>, di <span class="smcap">Behlmann-Holweg</span>, <i>Ursprung -der lombardischen Städte Freiheit</i>, 1846, in confutazione del -Savigny, dell’Hegel ecc. Fra i nostri la sostennero Cesare Balbo -e Carlo Troya. Secondo questo, i Romani spossessati da Autari -mai più non entrarono nel Comune; bensì i Romani giustinianei -e teodosiani, cioè quelli sopravissuti in paesi ove si mantennero -in vigore il diritto giustinianeo e il teodosiano; ma neppur questi -mai non si pareggiarono ai dominatori, fin al tempo di Ottone I, -quando tolsero la superiorità ai Franchi; talchè non ricuperarono -i diritti antichi, ma acquistarono quelli dei vincitori.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>. </span>Dissi <i>quasi</i>, acciocchè non ci si opponga qualche menzione -di comunità. Nel 764, un Crispino fonda e dota la chiesa di San -Martino d’Ussiano, lasciandone il patronato ai vescovi di Lucca; -e nel descrivere i confini dei beni dice: <i>Alia petiola de terra -mea, qui est similiter tenente capite uno in via publica et in ipso -rivo Caprio, et vocitatur ad Campora communalia</i>. Ma era il -Comune de’ vinti, o quel de’ vincitori? Più conchiuderebbe il -diploma dell’imperatore Lamberto (<i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 341) che -a Gamenulfo vescovo di Modena nell’898 concede e conferma -tutti i beni, e la giurisdizione sui medesimi anche nella città, -soggiungendo: <i>Sancimus etiam pretaxate ecclesie, juxta antecessorum -nostrorum decreta, loca in quibus predicta civitas constructa -est, stabilia maneant cum cancellariis, quos prisca consuetudo -prefate ecclesie de clericis sui ordinis ad scribendos sue -potestatis libellos et feothecarios habeat; vias quoque, portas, -pontes, et <span class="upright">quicquid antiquo jure eidem civitati ac -curatoribus reipublice solvebantur</span>, nostra vice liberam -capiendi debitum ex eis censum habeat potestatem...</i> Qui -respublica parmi abbia il senso che sotto gl’imperatori romani, -ed equivalga al fisco. Anche Lodovico II nell’852, confermando -alla chiesa di San Lorenzo di Giovenalta nel Cremonese il mercato, -l’acquedotto e altri diritti, comanda che <i>nulla quelibet -persona aut quislibet reipublice minister ullam contrarietatem -facere presumat</i> (Antiq. M. Æ., <span class="smcap lowercase">II</span>. 868). Merita pure riflesso la -costituzione di Carlo Magno del 787, dove conferma il dazio da -pagarsi ai porti, già istituito da re Liutprando, stabilendo quel -che dovranno pagare il vescovo di Comacchio, <i>et ceteri homines -fideles nostri Comaclo civitate commanentes</i>, sottraendoli dalle -eccessive esigenze dei Mantovani: ivi i Comacchiesi sono sempre -trattati in corpo, non come individui, nè come spettanti a un -signore.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note4"> -<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>. </span>Vedilo nel Canciani; e giudicato dal Savigny, V. 132. -Hennel ne scoperse una nuova copia nella biblioteca di Sangallo, -che è desiderabile venga pubblicata. Il signor Bunturini promise -una nuova lezione assai migliorata del testo udinese, che noi -potemmo esaminare. <span class="smcap">C. Hegel</span> (<i>Gesch. der italienischen Städtefreiheit</i>, -Lipsia 1847) attribuisce quel documento alla Curia -Retiense cioè al paese de’ Grigioni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note5"> -<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>. </span>Uno de’ più antichi esempj raccolgo dal <i>Codice diplomatico -bresciano</i>, ove nel 781 Carlo Magno a Radoara badessa di -San Salvadore in Brescia conferma i possessi <i>sub immunitatis -nomine; quatenus nullus judex publicus ibidem ad causas audiendas, -vel freda exigenda, seu mansiones vel paratas faciendum, -nec fidejussores tollendum, nec nullas redibitiones publicas requirendum, -judiciaria potestas quoquo tempore ingredere nec exactare -non presumat</i>. -</p> - -<p> -Poi nell’822 Lodovico imperatore alle monache stesse, conforme -alla carta d’immunità concessa da suo padre, ordina che -<i>nullus judex publicus, vel quislibet ex judiciaria potestate in -ecclesias aut agros et loca et reliquas possessiones, ad causas -audiendas, vel freda exigenda... ingredi audeat; sed liceat conjugi -nostrae</i> (Giuditta) <i>atque successores ejus cum omnes fredos concessos, -et cum rebus</i> <span class="smcap lowercase">VEL HOMINIBUS LIBERIS</span> <i>seu comendatis ad -idem monasterium pertinentes, sub immunitatis nostrae defensione -quieto ordine possidere</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note6"> -<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>. </span>Vedi qui sopra la nota 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note7"> -<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>. </span>Espone che il vescovo mandò a lui dicendo, <i>eandem urbem -hostili quadam impugnatione devictam, unde nunc maxime sævorum -Ungarorum incursione et ingenti comitum, suorumque -ministrorum oppressione tenebatur, postulantes ut turres et -muri ipsius civitatis rehedificentur studio et labore præfati episcopi, -suorumque <span class="upright">concivium</span>, et ibi confugentium sub defensione -ecclesiæ beati Alexandri in pristinum rehedificentur, et -deducantur in statum</i>. Alle quali suppliche annuendo, egli stabilisce -che sia ricostrutta <i>civitas ipsa pergamensis, ubicumque -prædictus episcopus et <span class="upright">concives</span> necessarium duxerint... Turres -quoque et muri, seu portæ urbis... sub potestate et defensione -supradictæ ecclesiæ et prænominati episcopi suorumque successorum -perpetuis consistant temporibus; domos quoque in turribus, -et supra muros ubi necesse fuerit, potestatem habeat aedificandi, -ut vigiliæ et propugnacula non minuantur, et sint sub potestate -ejusdem ecclesiæ beati Alexandri. Districta vero omnia ipsius -civitatis, quæ ad regis pertinent potestatem, sub ejusdem ecclesiæ -tuitione, defensione et potestate predestinamus permanere etc.</i> -Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span> Merita troppo poca fede l’Odorici perchè si -accolga il documento del 13 maggio 909 da lui pubblicato, ove -re Berengario riferisce che Troilo Volungo e Pamfilo de Lanternis(?) -<i>legati</i> <span class="smcap lowercase">COMUNITATIS NOSTRÆ</span> <i>de Lonato comitatus Brixiæ</i> -gli esposero i danni recati dagli Ungheri, e a nome dell’arciprete -Lupo, del clero, di tutta la plebe di quel luogo, imploravano -che, sovrastando ancora la rabbia de’ Barbari, possano -costruire fortezze e mura a difesa de’ fedeli e delle cose sante; -il che egli concede.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note8"> -<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>. </span>Vedi <span class="smcap">Moriondi</span>, <i>Monum. Aquensia</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 7. 9. 14. 21. 26; — <span class="smcap">Giulini</span>, -<span class="smcap lowercase">II.</span> 340. 353; — <span class="smcap">Leo</span>, <i>Vicende delle costituzioni delle -città lombarde</i>, part. <span class="smcap lowercase">III.</span> § 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note9"> -<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>. </span>Ottone I al vescovo Anpaldo di Novara nel 969 concedeva -la giurisdizione della città e d’un circuito di 24 stadj, vietando -<i>ne aliquis ejusdem civitatis quandocumque habitator, -murum ipsius civitatis ad portas vel pusterulas faciendas sine -episcopi jussu frangere præsumat</i>. -</p> - -<p> -Nel 1013 già Novara era in grado di resistere ad Arduino -marchese d’Ivrea, e nel 1110 ad Enrico V, e Ottone di Frisinga -al tempo di Barbarossa la qualificava <i>non magna, sed muro novo -et vallo non modico munita</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note10"> -<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>. </span><i>Monumenta Historiæ patriæ</i>, Chartarum <span class="smcap lowercase">II.</span> 49.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note11"> -<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI.</span> 47; <span class="smcap">Affò</span>, <span class="smcap lowercase">II.</span> 13. -</p> - -<p> -Del 1037 Corrado conferma al vescovo d’Ascoli la donazione -di Ottone: <i>Omnem terram sui episcopii, tam ad matricam ecclesiam -pertinentem infra et extra civitatem suam, quam ad ceteras -capellas sive monasteria... Monetam etiam in civitate construere... -et quidquid ad regiam censuram et potestatem nostram pertinet, -transfundimus in ejus et successorum illius jus et dominium.</i> Lo -conferma nel 1045 Enrico re ad altri. <i>Archivio capitolare d’Ascoli.</i> -Vedi <i>Giornale Arcadico</i>, vol. <span class="smcap lowercase">XLIII.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note12"> -<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>. </span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, Storia della badia di Nonantola, <span class="smcap lowercase">II.</span> 188: -<i>Confirmamus tam mutinensi ecclesiæ quam ejus civibus universos -bonos usus quos antiquitus habuerunt.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note13"> -<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>. </span><i>Prædictum districtum et aquam ac ripam Padicam omni -theloneo seu curatura atque ripatico a Dulpariolo usque ad -caput Adduæ, cunctasque piscationes cum molendinorum molitura -et navium debito censu, et omnes rectitudines et redibitiones -et forum seu ceteras consuetudines, et vias publicas, et cætera -quæ in præceptis et notitiis antecessorum nostrorum continentur.</i> -Ap. <span class="smcap">Campi</span>, <i>Hist. eccl.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note14"> -<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 708. E nel 1084 concedeva al monastero -di San Zenone a Verona <i>liberos homines, quos vulgo arimannos -vocant... cum omni debito, districtu, actione atque placito</i>. -</p> - -<p> -Al 2 luglio 1070 Enrico IV re dona alla chiesa di Vercelli il -Casale coll’arimannia, e con tutto il servizio del contado Odalingo -con tutti gli arimanni, e del contado Albalingo con tutti -gli arimanni, Ocesingo con tutti gli arimanni, e così Momelerio, -Selvolina, Redingo <i>cum omnibus arimannis</i>. <i>Monum. hist. -patr.</i>, Chartarum <span class="smcap lowercase">I.</span> p. 622.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note15"> -<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>. </span><i>Nullam deinceps vel eorum filii aut descendentes publicam -functionem vel angariam, seu ullum servitium aut ullam districtionem -cuique hominum faciant, vel usque in perpetuum persolvant; -sed sub potestate pretaxati monasterii perenniter permaneant, -præter nostrum regale fodrum quando in regnum istum -devenerimus, et sculdassiam quam comitibus suis singulis annis -debent.</i> Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note16"> -<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>. </span><span class="smcap">D’Arco</span>, <i>Nuovi studj intorno all’economia politica del -municipio di Mantova</i>, 1846.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note17"> -<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>. </span>Paragonisi la nota 12.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note18"> -<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>. </span>Di fatto Lotario II nel 1133 attribuiva a questa città -<i>arimanniam cum rebus communibus ad mantuanam civitatem -pertinentibus</i>. Del 1056 si ha l’investitura <i>Elisei episcopi -Mantuæ facta communi et universitati et hominibus Mutuæ -de tota aqua Padi</i>: al qual uopo due <i>sindaci et procuratores -communis</i> pagarono ad esso vescovo quaranta lire imperiali per -essere investiti di quel diritto. Altrove i nobili erano detti Lombardi; -per es. negli statuti di Pisa, lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> rubr. 109: <i>Non patiemur -aliquem vel filium militis vel nobilem vel lambardum etc.</i>; -nel registro dei censi della chiesa romana: <i>Quidam milites, qui -dicuntur Lambardi</i>; e ap. <span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 89, -ove <i>Cattani et Lambardi de la Quercinola, Lambardi de Aquaviva -etc.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note19"> -<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>. </span><i>Legge</i> <span class="smcap lowercase">XXXI</span> delle aggiunte alla Longobarda, e la <span class="smcap lowercase">IV</span> delle -<i>Leggi longobarde</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note20"> -<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>. </span><span class="smcap">Campi</span>, <i>Hist. eccl.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 480.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note21"> -<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 1020 e 493.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note22"> -<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II.</span> 191.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note23"> -<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>. </span><i>Ut omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere -et emere, juraverunt omnes cambiarii et speciarii, qui ad -cambium vel species stare voluerint, quod ab illa hora in antea -non furtum faciant nec treccamentum aut falsitatem, infra -curtem Sancti Martini, nec in domibus illis in quibus homines -hospitantur... Sunt etiam insuper qui curtem istam custodiunt, -et quicquid male factum fuerit, emendare faciunt.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note24"> -<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>. </span><span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. dipl. Berg.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span> 621 e 773.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note25"> -<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>. </span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">I.</span> 143.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note26"> -<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>. </span><i>Breve recordacionis de concordia hominum Clavennatum -et Pluriensium. Jurare debent quatuor homines de Clavenna et de -Pìuri de guidare comune de Clavenna et de Pluri et eorum bona -et personas bona fide, sine fraude in pace et in guerra; et de -illis rebus quæ venient eis inter manus <span class="upright">per istam consulariam</span> -non facient furtum, nec consentient facienti; et illud quod -remanebit in fine suæ consulariæ de quæstu quod ipsi fecerint, -partientur inter Clavennates et Plurienses, ita scilicet ut Clavennates -habeant tres partes, et Plurienses quartam sine fraude: -et si dispendium fuerit factum pro comuni de Clavenna, sine -fraude illi de Pluri solvere debeant quartam partem et Clavennates -tres partes etc.</i> -</p> - -<p> -È citato nella decisione che Anselmo Dell’Orto, console di -Milano nel 1155, diede sopra una quistione fra i consoli di quei -due luoghi; riportata dal padre Allegranza, <i>Dell’antico fonte -battesimale di Chiavenna</i>. Venezia 1765.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note27"> -<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>. </span>Il più antico statuto che si conosca fatto da una corporazione -in Lombardia sarebbe dell’835, con cui alla corte imperiale -di Castelvetere, donata a Santa Maria di Cremona, i canonici -di questa dettano statuti; che nessun uomo di quella venda -o tenga albergo o taverna senza licenza loro, pena trenta soldi: -non tener giuoco o bisca o meretrice; non rubare; non accoglier -pubblico bandito o ladro; e si stabilisce la pena per chi ferisca -in rissa, tiri pei capelli, faccia adulterio, guasti una fanciulla. I -quali statuti furon letti in presenza di molti uomini di Castelvetere, -e ricevuti e giurati da essi. — È pubblicato dall’Odorici -nell’<i>Archivio storico</i>, nuova serie, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span>, pag. 39, ma potrebbe -esser falso come altri di quella provenienza. -</p> - -<p> -Un de’ primi atti di Comune sarebbe quello che cita esso Odorici -al 969, in cui re Ottone al Comune ed università di Maderno, -nel Bresciano presso al Benáco, che aveangli mandato deputati -per chieder la conferma della loro immunità, rimette tutti gli -ossequj, usi, dazj che ai predecessori suoi soleano retribuire, -assolvendo i Madernesi da ogni nodo di servitù, dando facoltà -di pesca e caccia per tutto il lago e di farvi quel che credono, -e considerandoli liberi con tutte le loro adjacenze, vigne, oliveti, -campi colti e incolti, mobili ed immobili, telonei, ripatici, ostiatici; -volendo che tutte queste cose vengano in diritto e proprietà -d’esso Comune e università di Maderno in perpetuo. Peccato -che l’Odorici non garantisca abbastanza i documenti che produce: -affinchè, s’egli non è uomo da ingannare, assicurasse pure che -non venne ingannato.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note28"> -<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>. </span>Sotto l’896, Landolfo seniore indica che ad ognuna delle -sei porte di Milano i Romani avessero formato di quelle opere -di difesa, che essi chiamavano <i>procestre</i> o <i>clavicule</i>, e noi <i>rivellini</i>; -e li dice altissimi e di pianta triangolare. Senza credere -appartengano ai Romani, se ne induce, primo, l’antichità di tali -fortificazioni, che alcuni vorrebbero inventate solo nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo; -secondo, che la città non doveva essere stata rasa affatto da -Uraja, come ci vogliono dare a credere, se trecent’anni dipoi -v’aveva mura sì antiche da non ricordarsene la costruzione.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note29"> -<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>. </span><span class="smcap">Dandoli</span>, <i>Chron.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII.</span> c. 16.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note30"> -<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">II.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note31"> -<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note32"> -<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>. </span><i>Monum. Hist, patriæ</i>, 998.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note33"> -<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>. </span><i>Arch. diplom. sienese, Pergamene</i>, n. 14 e 21.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note34"> -<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>. </span><i>Constitutiones quas habent de mari sic iis observabimus, -sicut illorum est consuetudo. Nec marchionem aliquem in Tuscia -mittemus sine laudatione hominum duodecim, electorum in colloquio -facto sonantibus campants.</i> Antiq. M. Æ., diss. <span class="smcap lowercase">XLV.</span> -</p> - -<p> -<i>Incipit prologus constitutionum Pisanæ civitatis. Nobis Pisanorum -consulibus, constituta facientibus æquitashortando suasit, -omnibus ea scire atque intelligere volentibus, originem ipsorum -et causam atque nomen exponere, ne, ut ita dixerimus, quasi -illotis manibus, nulla præfatione facta, ex improvisu ad ipsa -perveniant.</i> -</p> - -<p> -<i>Pisana itaque civitas, a multis retro temporibus vivendo lege -romana, <span class="upright">retentis quibusdam de lege longobarda</span>, sub -judicio legis, propter conversationem diversarum gentium per -diversas mundi partes suas consuetudines non scriptas habere -meruit, super quas annuatim judices possint quos provisores -appellavit; ut ex equitate, pro salute justitiæ et honore et salvamento -civitatis, tam civibus quam advenis et peregrinis et omnibus -universaliter in consuetudinibus providerent. Qui ex diversitate -scientiæ atque intellectus, per diversa tempora eadem negotia -atque similia, aliter alteri, et omnino e contra quam illi judicaverint; -unde Pisani, qui fere præ omnibus aliis civibus justitiam -et æquitatem semper observare cupierunt, consuetudines suas, -quas propter conversationem quam cum diversis gentibus habuerunt, -et hucusque in memoria retinuerunt, in scriptis statuerunt -redigendas, pro cognitione eorum ea scire volentium. Qua -de causa et nos, et ante nos quamplurimos alios sapientes civitatis -elegerunt, qui hoc sub sacramento faceremus, et corrigenda -corrigeremus, atque causas et quæstiones consuetudinum a causis -et quæstionibus legum discernendo redigeremus in scriptis. -Quorum statuta in scriptis redacta, sunt appellata constituta, -quasi a pluribus statuta, et etiam a civitate recepta et confirmata. -Ex quibus hoc volumen compositum a nobis et confirmatum -consulibus justitiæ, scilicet, Rainerio de Parlascio et Lanfranco, -pro se et suis sociis, scilicet Lamberto Grasso de Sancto -Cassiano, Boccio Cocco, Henrico Friderici Bulso, olim Petri -Albithonis, et Sysmundo quondam Henriqui Nithonis, per publicationem -obtulimus et dedimus. Anno incarnationis Domini</i> -<span class="smcap lowercase">MCLXI</span>, <i>indictione</i> <span class="smcap lowercase">IX</span>, <i>pridie kalendas januarii, regnante domino -Friderico felicissimo atque invictissimo imperatore nostro et -semper augusto.</i> -</p> - -<p> -<i>Extra quod volumen si quod aliud constitutum de usibus -scriptum inveniatur, auctoritatem non habere constituimus, nisi -super factis secundum sua tempora; servata et in eis constitutione -hac</i> Sicut lege et constitutiones, etc.; <i>non tamen occasione -hujus constitutionis in factis futuris ab hinc in antea vel ex quo -illud constitutum emendatum vel sublatum fuerit protrahatur.</i> -</p> - -<p> -Su quegli statuti hanno fatto studj i Dal Borgo, il Valsecchi, -il Targioni-Tozzetti, il Savigny, ecc., e più profittevoli il Bonaini. -</p> - -<p> -* Lo statuto dei Consoli del 1162 da lui pubblicato, non è il -più antico. V’era un podestà nel 1190, e lo statuto di questo è -più ampio perchè comprende gli statuti particolari. -</p> - -<p> -Daiberto tra il 1088 e il 1092 <i>episcopus Pisanorum</i>, aggiuntisi -per socj i valorosi e sapienti Pietro Visconti, Rolando e -Stefano Guinizone, Mariniano, Alberto; considerando l’antica -peste della città pisana la superbia, per la quale faceansi quotidiani -omicidj innumerevoli, spergiuri, incesti, principalmente in -occasione di distrugger case e altri mali assai, col consenso e il -lodo de’ sopradetti uomini, e di tutti gli abitanti di Pisa, di -Borgo e Chinzica, ordina qual deva esser l’altezza delle torri, -sia su terreno proprio, sia su feudale o ecclesiastico. E chi lo -viola si abbia per scomunicato, e guardinsi da lui come da eretico -e dannato, nè abbiasi comunione con lui in chiesa o in nave. -</p> - -<p> -Del 1154 si ha il catalogo dei consoli, con autorità <i>a cuncto -Pisarum populo in publica contione concessa, clamante</i> <span class="smcap lowercase">FIAT FIAT</span>. -</p> - -<p> -Nel Pisano aveano statuti proprj Calci, Vico, Buti, Marti, -Palaja, Peccioli, Piombino, Campiglia, Scarlino, Castiglione della -Pescaja, l’isoletta di Pianosa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note35"> -<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>. </span>Ap. <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. Estensi</i>, part. <span class="smcap lowercase">I.</span> c. 17. -</p> - -<p> -Dell’immunità riportiamo solo le parti principali: <i>In nomine -sancte et individue Trinitatis. Otto gratia Dei imperator augustus -etc. Agnoscat universitas nostrorum fidelium... qualiter -nos, pro Dei omnipotentis amore, nostrarumque animarum -remedio inclinati precibus Huberti episcopi, dilecto fidelique -nostro, per hoc nostrum preceptum donamus, concedimus atque -largimur omnibus sacerdotibus, levitis, universis sacris ordinibus, -Luce civitati commorantibus, seu etiam suburbanis, ut deinceps -in antea a nullis magnis parvisque personis ad secularia judicia -pro qualicumque controversia examinentur vel distringantur nisi -ab eorum presule, et ut illis in domibus eorum aliqua invasione -audeat inferre, vel tributum, seu etiam superimpositum iisdem -sacerdotibus etc... a quaqua persona minime imponatur vel requiratur; -et ne aliquis audeat se intromittere sine legali judicio in -universis suppellectilibus eorum, sive in servis etc. Insuper concedimus -ob nostram imper ialem dictionem omnibus sacer dotibus... -ut eorum advocatus non aliter, nisi solus juret, sine ulla contradictione, -sicut in sancta romana ecclesia agitatur... Et ita -sane precipientes jubemus, ut nullus dux, sive marchio... audeat -se ultro ingerere in omnibus casis et rebus jam superius prenotatis, -vel etiam eis servitia, aut injurias inferre...</i> Segue la pena -<i>auri optimi libras centum</i> contro i violatori, da pagarsi per -metà <i>camere nostre, et medietatem predictis sacerdotibus... Quod -ut verius credatur, diligentiusque ab omnibus observetur, manibus -propriis roborantes annuli nostri impressione insigniri jussimus.</i> — <i>Signum -domini Ottonis serenissimi imperatoris.</i> -</p> - -<p> -Ecco pure il diploma di Ottone II: <i>Ob amorem Dei, tranquillitatemque -fratrum in Lucensi ecclesia famulantium, atque sub -ipsius diæcesos degentium libenter concedere placuit, et hoc nostre -auctoritatis preceptum immunitatis, atque tuitionis gratiam erga -eandem ecclesiam fieri decrevimus, nominative de custodibus, -castellis, monasteriis, plebibus, cellulis, aldionibus et aldiabus, -servis et ancillis, piscationibus, aquis, aquarumque ductibus, -pratis, vineis, campis etc... Precipientes quapropter jubemus, ut -nullus dux, marchio, comes, vicecomes, judex publicus, aut gastaldus, -vel quilibet ex judiciaria potestate, in cellulas, aut ecclesias, -vel domos clericorum, curtes, seu villas, aut loca, vel agros, -castella, seu reliquas possessiones memorate ecclesie.... ad causas -audiendas, vel freda exigenda, aut mansiones vel paratas faciendas, -aut fidejussores tollendos, aut homines ipsius ecclesie -tam ingenuos quam servos distringendos, aut ullas redibitiones... -illicitasve occasiones requirendas, nostris vel futuris temporibus -ingredi audeat, vel ea que supra memorata sunt, penitus exigere -presumat; sed liceat memorato presuli, suisque successoribus, -sibi subjectis, vel omnibus ad se aspicientibus, sub tuitionis atque -immunitatis nostre defensione, remota totius judiciarie potestatis -inquiet udine possedere. Tonsos vero, quos sua parochia... et omnes -homines in sua terra residentes, aut ad ejusdem terre castella -confugientes, ad jam dicti episcopi suorumque successorum veniant -judicium, et nulla imperii nostri magna parvaque persona -habeat potestatem ad distringendum, sed liceat ei ad vicem regie -potestatis eos distringere etc.</i> Memorie lucchesi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note36"> -<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>. </span><i>Bullam plumbeam pro sigillo comunitatis.</i> <span class="smcap">Ptol. Lucensis</span>, -<i>Ann. eccl.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note37"> -<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>. </span><i>Lucanis civibus pro bene conservata fidelitate eorum in -nos, et pro studioso servitio eorum, nostre regie potestatis auctoritate -concedimus, et concedendo statuimus, ut nulla potestas, -nullusque hominum murum lucensis civitatis antiquum seu novum -in circuitu dirumpere aut destruere presumat; et domos quæ -intra murum hunc edificate sunt vel adhuc edificabuntur, aut -circa in suburbio, nulli mortalium aliquo ingenio aut sine legali -judicio infringere liceat. Preterea concedimus predictis civibus -ut nostrum regale palatium intra civitatem vel in burgo eorum -non edificent, aut inibi vi vel potestate hospitia capiantur. Perdonamus -etiam illis ut nemo deinceps ab illis exigat aliquod fodrum -et curaturam a Papia usque Romam, ac ripaticum in -civitate Pisa vel in ejus civitate. Statuimus etiam ut si qui homines -veniant in flumine Serculo vel in Motrone cum navi causa -negotiandi cum Lucensibus, nullus hominum eos vel Lucenses -in mari vel in suprascriptis fluminibus eundo vel redeundo vel -stando molestare, aut aliquam injuriam eis inferre, vel depredationem -facere, aut aliquo modo hoc eis interdicere presumat. -Precipimus etiam ut si qui negotiatores veniant per stratam a -Luna usque Lucam, nullus homo eos venire interdicat, vel alio -conducat, sive ad sinistram eos retorqueat, sed secure usque -Lucam veniant, omnium contradictione remota. Volumus autem -ut a predicta urbe infra sex milliaria castella non edificentur, et -si quis aliquis munire presumserit, nostro imperio et auxilio -destruantur. Et homines ejusdem civitatis vel suburbii sine legiptima -judicatione non judicentur. Et si aliquis civium predictorum -predium vel aliquam tricennalem possessionem tenuerit, si -auctorem vel datorem habuerit, per pugnam vel per duellum non -fatigetur... Longobardus judex judicium in jam dicta civitate -vel in burgo aut placitum non exerceat nisi nostra aut filii -nostri presente persona, vel etiam cancellarii nostri. In hac vero -concessione sive largitione nostra sancimus ut nullus <span class="upright">episcopus</span>, -dux, marchio, comes, nullaque nostri regni persona predictos -cives in his concessis inquietare, molestare, disvestire presumat.</i> -Pubblicato dal Minutoli nell’<i>Archivio storico</i>, vol. <span class="smcap lowercase">X.</span> doc. 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note38"> -<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>. </span>Questo giudicato si vedrà nel cap. <span class="smcap lowercase">LXXXV.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note39"> -<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>. </span><i>Documenti per servire alla storia lucchese</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I.</span> p. 174: — <i>In -nomine sanctæ et individuæ Trinitatis. Velfo dux Spoleti, -marchio Tusciæ, princeps Sardiniæ, dominus domus comitissæ -Mathildis.</i> -</p> - -<p> -<i>Quia justum et rationi consentaneum videtur imperatorem, -sive magnos principes imperii, fidelium petitionibus condescendere -suorum; idcirco et ego, petitionibus fidelium et dilectissimorum -suorum Lucensium condescendere volens, Lucanæ civitati -totoque ejus populo do, concedo atque confirmo omnem ejus -actionem, jurisdictionem, et omnes res quæ quoquomodo mihi -pertinent, vel ad jus marchiæ pertinere videntur, vel ad jus -quondam comitissæ Mathildis, vel quondam comitis Ugolini -pertinuerunt, tam infra Bechariam civitatem ejusque burgos, -quam extra infra quinque proxima milliaria prædictæ civitati, -ab omni parte ejusdem civitatis, exceptis fodris meorum vassallorum -ex parte marchiæ, vel prædicti comitis Ugolini. Præterea -infra præfata quinque milliaria proxima Lucanæ civitati ab -omni parte non ædificabo aliquod castellum, nec ædificare faciam. -Pro qua mea datione et concessione consules vel rectores -qui pro tempore in dicta civitate fuerint, vel aliqua persona pro -subscripta civitate dare debeant mihi, vel meis successoribus aut -misso nostro, infra prædictam civitatem omni anno in quadragesima -infra proximos octo dies postquam a nobis vel a nostro -nuntio literas sigillatas ostendendo prædictis consulibus, vel -rectoribus aut populo denunciatum fuerit, solidos mille lucensium -denariorum expendibilium, et sic debeant facere et observare -prædicti consules, vel rectores aut aliqua persona pro civitate -dehinc ad nonaginta annos. Et licet ego sciam quod hæc mea -concessio annuatim majorem redditum quam sit dictum, et etiam -ultra duplum promittat, tamen illam plenissima auctoritate corroboratam -per me et meos successores firmiter et incorrupte, sicut -dictum est, permanere constituo. Siqua vero persona contra hujus -nostræ concessionis et dationis paginam venire præsumpscrit, -statuimus ut libras centum auri componat, medietatem cameræ -nostræ, et medietatem prædictæ civitati. Ut autem hæc scriptura -immutabili veritate et stabilitate permaneat, sigilli nostri impressione -insigniri jussimus, et propria manu confirmantes -subscripsimus.</i> -</p> - -<p> -<i>Acta sunt hæc in civitate Lucensi, anno incarnationis Domini</i> -<span class="smcap lowercase">MCLX</span>, <span class="smcap lowercase">VIII</span> <i>idus aprilis, præsentibus vero testibus his, etc.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note40"> -<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>. </span>Il diploma è del 5 maggio 1129: l’originale dovette perire -come il resto dopo la memorabile sollevazione del 1678, ma -tutti gli storici ne parlano, e mostrano tenerlo per vero, eccetto -in pochi casi di controversia. (Oggi alcuni l’impugnano).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note41"> -<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, v. 753.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note42"> -<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>. </span>«In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone per -voler di Dio imperatore augusto. Se assentiamo alle domande -degli altri nostri fedeli, molto più giustamente inclinar dobbiamo -le orecchie alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano -dunque tutti i fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio presenti -e futuri, che Adelaide imperatrice augusta moglie nostra invocò -la nostra clemenza, affinchè per amor suo gli abitanti dell’Isola -Comacina e del luogo che dicesi Menaggio ricevessimo sotto la -nostra difesa, e confermassimo coll’autorità nostra i privilegi -che ebbero dagli antecessori nostri e da noi stessi avanti l’unzione -imperiale, cioè di non far oste, non aver l’albergario, non -dare la curatura, il terratico, il ripatico o la decima nel nostro -regno, nè andare al placito, se non tre volte l’anno al placito -generale in Milano. Tanto concediamo, ecc. Dato all’<span class="smcap lowercase">VIII</span> avanti -le calende di settembre, anno dell’Incarnazione 962, <span class="smcap lowercase">I</span> dell’impero -del piissimo Ottone, indizione V, in Como». <i>Ap</i>. <span class="smcap">Rovelli</span>, -<i>Storia di Como</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. (Oggi vuolsi dubitarne).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note43"> -<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>. </span><span class="smcap">Ughelli</span>, <i>Italia sacra</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 596.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note44"> -<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>. </span><i>Ea quæ sue locutionis proprietate comunia vocant.</i> Antiq. -M. Æ., <span class="smcap lowercase">IV</span>. 24.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note45"> -<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>. </span><i>Breve recordationis de Ardicio de Aimonibus.</i> Sul qual -documento io ho troppo dubbj.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note46"> -<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>. </span><i>Antichità Estensi</i>, part. I. c. 29. — <i>In nomine sancte et -individue Trinitatis. Velfo Dei gracia dux et marchio, Mathilda -Dei gracia si quid est. Justis petitionibus adquiescere, et nostros -fideles honoribus et commodis ampliare per omnia nostram condecet -potestatem. Quapropter omnium sancte Dei ecclesie, nostrorumque -fidelium tam futurorum quam presentium noverit -industria, qualiter nostri fideles mantuani cives nostram adierunt -clementiam, quorundam suorum concivium oppressiones -relevari petentes, et erimannos omnes, et communes res sue civitatis -a nostris predecessoribus illis ablatas, sibi restitui postulantes. -Et nos, ob memorabilem eorum fidelitatem et servicium, -justis eorum precibus annuentes, omnes exactiones et violentias -non legales funditus deinceps abolendas, et radicitus extirpandas -modis omnibus decernimus et firmamus. Statuentes etiam, ut neque -nos, neque nostri heredes, neque ulla magna, parvaque nostre potestatis -persona, predictos cives in mantuana civitate, vel in suburbio -habitantes, vel deinceps habitaturos, de suis personis, sive -de illorum servis, vel ancillis, seu de liberis hominibus in eorum -residentibus terra, vel de ermanna, et communibus rebus ad predictam -civitatem pertinentibus ex utraque parte fluminis Mincii -sitis, sive de beneficiis, libellariis, precariis, investituris, seu etiam -de omnibus eorum rebus mobilibus et immobilibus adquisitis, vel -adquirendis, inquietare, molestare, disvestire sine legali judicio, -vel ad aliquam publicam exactionem vel functionem cogere presumat. -Sed et neque in predicta civitate in domo alicujus, vel in -suburbio, in domo militis vel in caneva alicujus, illis invitis, -hospitari audeat. Insuper et illis restituimus omnes res communes, -parentibus illorum concessas per preceptum imperatorum, -scilicet nominative Saccam, Sepringenti et Carpenetam, et quidquid -de Armanorio nobis hucusque retinebamus, sive per cetera -loca in comitatu mantuano rejacentia, piscationes per flumina -et paludes, scilicet utrasque ripas fluminis Tartari, deinde sursum usque ad flumen Olei. De alia parte usque in Fossam altam. -De tertia parte usque in ecclesiam sancti Faustini in caput -Variana, et deinde seorsum usque in Agricia majore. Ut liceat -illis pabulare, capulare, secare, venari, et quicquid juris ipsorum -parentes antiquitus in illis habuerant. Decernimus etiam, ut -liceat omnibus predictis civibus et suburbanis per omnen nostram -potestatem secure ire et redire, sive per aquam et per terram -quocumque voluerint, ita ut nec theloneum, nec ripaticum dent. -Et insuper illam bonam et justam consuetudinem eos habere firmamus,</i> -<span class="smcap">quam quelibet optima civitas Longobardie obtinet</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note47"> -<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, I. 730; e la nuova conferma fattane dal -Barbarossa, 732.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note48"> -<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>. </span><i>Pater ejus de ordine illorum, qui jura et leges civitatis -asservabant, fuit.</i> <span class="smcap">Bolland</span>., <i>ad</i> 28 <i>maj</i>. In una carta del 721 -dell’archivio di Sant’Ambrogio è nominato Vitale suddiacono, -<i>exceptor civitatis Placentinæ</i>, cioè notaro. A un diploma del -1100 di Anselmo arcivescovo di Milano, il clero vercellese soscrive: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Hoc Vercellarum clerus decus ecclesiarum</i></p> -<p class="i01"><i>Laudat <span class="upright">cum populo</span> laudibus egregio.</i></p> -<p class="i05"> <span class="smcap">Puricelli</span>, Monumenta ambrosiana, 289.</p> -</div></div> - -<p> -Così Aosta ebbe statuti nel 1118, pubblicati dal Cibrario; -Capua nel 1109, dati dal Bonaini; Verona, decreti di consoli -nel 1140.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note49"> -<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>. </span><i>Consulum epistolarum dictator.</i> Hist. Med., cap. 15.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note50"> -<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>. </span><i>Consulibus, capitaneis, omni militiæ universoque mediolanensi -populo. Civitas Dei inclyta conserva libertatem, ut pariter -retineas nominis tui dignitatem, qui, quamdiu potestatibus -Ecclesiæ inimicis resistere niteris, vere libertatis auctore Christo -domino adjutore perfrueris.</i> <span class="smcap">Martene</span>, <i>Collect. vet. scriptorum et -monumentorum</i>, tom. I. p. 640. Si avverta come non vi si faccia -motto dell’arcivescovo, nè del clero. La prima menzione di consoli -in Milano è nel 1100. Una carta del 1109 dell’archivio di -San Fedele di Como fu stesa <i>multis adstantibus cumanis consulibus</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note51"> -<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>. </span><span class="smcap">Landulphi Sancti Pauli</span>, cap. 31.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note52"> -<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>. </span>Nell’897 il vescovo Adalberto costituisce il vivere comune -de’ canonici dotandoli di molti beni, distratti dalla mensa vescovile; -del che delibera in concilio coi sacerdoti e tutto il clero -d’essa chiesa, <i>et reliquis nobilibus hominibus, qui eidem synodo -intererant, tractans cum eis de statu et soliditate ipsius ecclesiæ</i>. -Nel 1000 il vescovo Reginfredo fa molti doni ad essi canonici, -ancora presenti <i>presbyteris et diaconibus cum certa parte nobilium -laicorum</i>. <span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. dipl. Berg.</i>, tom. I. 1059. 1064. Sorte -poi controversie fra i canonici di Sant’Alessandro e quei di -San Vincenzo, nel 1081 il vescovo Arnulfo li rappacificava -<i>secundum consilium multorum clericorum, civium, extraque urbe -manentium sapientum et nobilium</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note53"> -<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>. </span><i>De civibus autem præfatæ civitatis, Alberto Tozoni, Arimbaldo -Cozo, Petro de Curte regia, Adam de Castello, Lanfranco -Nozo de Polterniano, Lanfranco Ottoni, et insuper compluribus.</i> -Cod. dipl., 759.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note54"> -<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>. </span><i>Laude duodecim habitatorum qui electi fuerunt ad hoc, -vel laude comunitatis... laude duodecim consulum</i>. Nel 1167 essi -conti, sgomenti dai progressi della Lega Lombarda, confermarono -ed ampliarono tali privilegi ai vassalli e agli abitanti, obbligandoli -al servizio militare e al fodro e alla fedeltà a Federico. -I Novaresi, appena partito Federico, assediano il castello di -Biandrate (1168) e si obbligano a tenerlo distrutto, e non ricevere -i conti <i>nec pro habitantibus nec pro vicinis</i>. Monum. Hist. -patriæ, I. 708. Sarebbe la prima menzione <i>contemporanea</i> di -consoli.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note55"> -<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>. </span>Del giuramento fatto prestare ai singoli membri d’un Comune -trovansi i processi qua e là; ed alla stampa, fra altri, indicheremo -quello con cui gli uomini del paese di Triora giurarono -fedeltà al Comune di Genova nel marzo 1261; i sottoscritti sono -circa trecentottanta. Nel <i>Liber jurium</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>, pag. 1334.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note56"> -<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>. </span><i>Astensis ecclesiæ episcopus nostram efflagitans adiit celsitudinem, -quatenus sibi suaque ecclesiæ... secundum avi et patris -nostri præcepta... totum episcopatum astensem, cum integro -districtu civitatis, cum quatuor miliariis in circuitu, nostræ confirmationis et donationis præcepto corroborare et largiri dignaremur... -videlicet quidquid ad publicum jus pertinet in thelonei -et mercati redibitione, seu aquatici atque ripatici... cum placitis -et omnibus vectigalibus... Volentes etiam jubemus, nullus habitator -in castellis aut villis sui episcopatus ad placitum alicujus -comitis vel hominis, nisi ad episcopi placitum aut sui nuncii -vadant aut legem faciant</i>. Monum. Hist. patriæ, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>., 289.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note57"> -<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>. </span>Sotto l’invasione, una parte de’ vincitori collocossi in -campagna, formandovi Comuni villerecci (<i>pagus, gaue</i>), governati -con leggi tedesche; mentre altra parte della campagna -spettava ai vinti e regolavasi giusta il colonato romano, cioè -rimanendo le persone libere da servigi personali, e le terre -in libero commercio, vendendosi e affittandosi senza tampoco -l’obbligo all’affittuario d’abitarle e coltivarle. In que’ dei vincitori -invece era stabilita la servitù della gleba. Tal condizione -diversa appare da molti documenti, e specialmente da quelli -che concernono la chiesa di Firenze e di Siena (Ap. <span class="smcap">Rumhor</span>, -pag. 7-24), e da altri presso lo stesso che riguardano la repubblica -sanese (pag. 25-41). -</p> - -<p> -Firenze, costituitasi a Comune, cercò fiaccare i feudatarj. -Essi pertanto s’indussero a sminuire la propria potenza, esimendo -i coloni dai servigi personali, del che molti documenti -adduce esso Rumhor dalla metà del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo a quella del <span class="smcap lowercase">XIII</span> -(pag. 42-82). O si precisavano i servigi imposti, o vi si surrogavano -prestazioni in generi, o i padroni ripigliavansi parte -delle terre lavorate dai coloni, a cui essi altra parte ne lasciavano -in compenso del diritto che il gius romano dava a questi -di non essere staccati dalla propria terra. Quindi nacquero in -Toscana molti piccoli possidenti campagnuoli. Le repubbliche -favorirono la redenzione dei coloni, e gli statuti ne sono pieni: -Firenze nel 1289 ordinò l’intero loro affrancamento: ricomprò, -l’anno seguente, i coloni del Mugello dalla mensa arcivescovile -e dal capitolo di Firenze. -</p> - -<p> -Riscattati i coloni, le terre divennero di libera circolazione, -e quindi oggetto alle speculazioni de’ denarosi, che -compraronle dai coloni cui erano rimaste, e che le aveano -suddivise per eredità: così entrando ne’ mercanti la voglia di -possedere, adoprandovi anche la frode e la violenza. I comunelli -di contadini, ch’eransi ordinati sui monti accanto alle -rocche feudali, ne scesero per vivere in mezzo al podere. I signori -che aveano riscattato i fondi, li diedero a coltivare agli -antichi coloni con diversi patti, fra’ quali è costante la cura -di mantener le piante di cui il fondo era vestito; cura che -anche oggi è capitale. Così vennero la colonia parziaria, la -mezzerìa. -</p> - -<p> -Questa nelle carte toscane appare stabilita verso il 1250. -Ma pure non mancano esempi di affitto semplice a prestazione -certa e in generi o in denaro. -</p> - -<p> -Vedansi <i>Cenni storici delle leggi sull’agricoltura, dai tempi -romani fino ai nostri</i>, dell’avv. <span class="smcap">Enrico Poggi</span>, Firenze 1845.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note58"> -<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>. </span><span class="smcap">Lami</span>, <i>Memor. Eccl. florentinæ</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note59"> -<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>. </span><i>Monum. hist. patriæ</i>, Scriptorum, <span class="smcap lowercase">III</span>. 1569. 1614.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note60"> -<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>. </span><i>Storia di Imola</i>, inserita in quella di Lugo, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 15.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note61"> -<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>. </span><i>Atti dell’Acc. di Lucca</i>, tom. <span class="smcap lowercase">X</span>. E nel 1195 vacando la -chiesa parrochiale a Montopoli, i consoli e il gastaldo supplicarono -il vescovo di Lucca, <i>loro signore</i>, ad eleggerlo, come fece, -<i>quia sum pro episcopatu patronus ejusdem ecclesiæ, et dominus -illius terræ</i>. Mem. lucchesi, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note62"> -<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 40.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note63"> -<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>. </span><span class="smcap">Ghilini</span>, <i>Annali</i>. Milano 1666.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note64"> -<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>. </span>Così il Villani e il Malaspina; ma gli eruditi arruffano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note65"> -<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>. </span>Flaminio Dal Borgo, nella <i>Raccolta di diplomi pisani</i>, -1765, pag. 186, reca una formola della conferita cittadinanza, -che tradotta suona così: -</p> - -<p> -«Parendo giusto e salutevole che, quando uomini di buona -fama desiderano associarsi al consorzio della città di Pisa, e -farsi cittadini pisani, siano ricevuti con equa benignità dopo -prestato il giuramento di cittadinanza, e godano degli onori e -privilegi dei Pisani, in ogni luogo, io Opizzino, figlio di Sano di -Bientina, giuro sui santi vangelj di Dio che non sarò in consiglio -od atto perchè la città pisana perda l’arcivescovado, nè i -suoi vescovi, nè il primato, nè la legazione di Sardegna, nè -l’onore e gli onori che ora ha o è per avere. E se abiterò nella -città o no, qualunque cosa mi sarà ingiunta dal potestà, dai -rettori, dal pretore, dai consoli, o da qualche delegato o capitano -per l’onore della città, o per le persone o per le cose, sia -direttamente o per nunzj o per lettere, senza frode lo farò e -osserverò. Quando sappia che alcuno voglia sminuir l’onore -della città, se lo potrò senza grave spesa, l’impedirò; se non -potrò, lo significherò ad alcuni dei predetti al più presto. Le -persone e cose de’ Pisani in terra, in acqua e dovunque possa -difenderò. Le credenze che da alcuno de’ suddetti per giuramento -mi siano imposte, non manifesterò. Queste cose per coscienza, -senza frode osserverò, secondo la consuetudine degli -altri cittadini di Pisa; e n’ho rogato Stefano giudice e notaro e -cancelliere di Pisa. -</p> - -<p> -«Fatto a Pisa fuor porta ecc. l’anno 1198 dell’incarnazione, -indiz. <span class="smcap lowercase">XV</span>, al <span class="smcap lowercase">V</span> dagli idi d’aprile». -</p> - -<p> -E incontinente, alla presenza de’ medesimi testimonj rogati, -il signor conte Tedicio podestà del Comune e della città di Pisa, -investì detto Opizzino di tutti gli onori e privilegi, di cui godono -i cittadini pisani nella città e fuori, ne’ fondaci, nelle botteghe, -nelle navi e in qualunque luogo di terra e d’acqua, talchè ne -goda come gli altri cittadini pisani; e lo costituì e confermò -cittadino pisano; e lui e gli eredi e i beni suoi liberò da tutti -i pesi rusticani, sicchè più non sia tenuto fare servizj rusticani, -nè dare la data, ecc. -</p> - -<p> -Altri di tali giuramenti sono nel Muratori, <i>Antiq. M. Æ.</i>, -diss. <span class="smcap lowercase">XLVII</span>; e per esempio Guicellone da Camino e Gabriele suo -figlio il 1183 facendosi cittadini di Treviso giuravano: -</p> - -<p> -«Abiteremo in essa città d’ogni anno due mesi in tempo di -pace, e tre in tempo di guerra; qualora non ne siamo dispensati: -ma in modo che, standovi l’uno, non sia obbligato l’altro; -faremo giustizia e ragione sotto ai consoli o al podestà; apriremo tutte le borgate in pace e in guerra ai Trevisani per far -guerra ai loro nemici; con buona fede e senza frode, custodiremo -e salveremo i Trevisani e le cose loro in tutt’i borghi e le -ville nostre, in piano e in monte; faremo oste e cavalcata, coi -nostri uomini che sono dalla Livenza sin qua, liberi e servi; se -si farà colletta o boateria (tassa sui bovi) fuor di città sopra i -campagnuoli, vogliamo che vi obbediscano anche i nostri; daremo -opera e consiglio affinchè quelli di Conegliano vengano a -pace col Comune di Treviso, e prestino giuramento che noi prestiamo; -faremo giurare dieci uomini di ciascuna nostra parrochia -(<i>curia</i>), ad elezione dei consoli o del podestà, di seguirli e render -ragione, e guardare e salvare gli uomini di Treviso e le cose -loro. -</p> - -<p> -Il podestà e i consoli e il Comune di Treviso di rincontro -giuravano, salvare e mantenere essi da Camino, come qualunque -cittadino di Treviso, e i loro paesi e gli abitanti liberi -o servi; se il comune di Treviso distruggerà alcun loro castello, -lo riedificheranno; non osteranno a che ottengano ragione -in qualunque lite o querela; non impediranno le guerre -private già in corso, quand’anche le parti volessero fare il duello -innanzi ad essi consoli o ai loro successori; non s’intrometteranno -delle liti di libertà, mosse dagli uomini del loro contado; -dan piena rimessione de’ danni e delle ingiurie passate, e delle -pene e multe e dei bandi; e non si brigheranno degli uomini -loro, abitanti di là della Livenza e in Cadubria; che se mancassero -in alcuna di queste promesse, pagheranno lire quattromila -venete, obbligando in sicurtà i beni comunali, di modo che -possano occuparli e prenderne i frutti; e tutto ciò sarà giurato -ogni dieci anni da cento militi e ducento pedoni. -</p> - -<p> -Nel 1199 Alberto e Magninardo de’ conti Guidi cedevano ai -Fiorentini il castello di Semifonte, giurando sui vangeli di salvare, -custodire, difendere ogni persona della città di Firenze e -dei borghi e sobborghi, far carta di vendita del poggio di Semifonte, -quale è contenuto coi muri e le fossa, e <i>lasciar copiare</i> -dal podestà e dai consiglieri le carte che vi sono; faran guerra -quando ne siano domandati con lettere portanti il sigillo del -Comune, nè faran pace o tregua o accordo co’ nemici senza -consenso del podestà o de’ consoli; abiterà ogn’anno un di loro -un mese in Firenze; faranno dazio al Comune di Firenze, sicchè -possa mettere accatto su tutti i beni e le persone loro; del -quale accatto metà andrà alla città di Firenze, metà al conte -Alberto e sua discendenza; di qualunque strada passi sulla loro -terra e giurisdizione non toglieranno pedaggio ad alcun cittadino o mercante di Firenze; non faranno alcun castello, nè -incastelleranno alcuna terra nel poggio fra Virginio e l’Elsa, se -non con permissione del magistrato di Firenze. <span class="smcap">Lami</span>, <i>Memor. -Eccl. florent.</i>, pag. 389. -</p> - -<p> -Di simili patti n’ha molti nel II volume delle Carte nei <i>Monum. -Hist. patriæ</i>. Così nel 1181 Ansaldo di Valenza giura la cittadinanza -di Vercelli, promettendo comprarvi una casa di cinquanta -lire pavesi ed abitarvi, difendere i Vercellesi, far guerra -e pace con essi, dare ai consoli il fodro di quattrocento lire -susine. Nel 1183 Obizzo marchese Malaspina e suo figlio Obizzino -ai consoli di Piacenza consegnano il castello, il dongione, -la torre e tutta la fortezza di Oramala. Nel 1185 Giacomo Zabolo -e Pietro Bello di Cavaglià giuravano la cittadinanza di -Vercelli, e comprerebbero una casa, la quale obbligavano ai -consoli; l’anno seguente Guglielmo di Quarenga e Ansaldo; poi -altri, sempre obbligandosi a comprare una casa e sottostare ai -pesi comuni. Nel 1198, 22 aprile, si rogano i patti che gli Astigiani -impongono ai signori di Manzano, Sarmatorio, Montefalcone, -obbligandoli specialmente a far guerra ai marchesi di -Monferrato e ai conti di Biandrate. Altri giuramenti al comune -d’Asti vi sono alle pagine 1320, 1321, 1354, 1357, 1358, 1360. -Ai 13 febbrajo 1190 Alba riceve per cittadini gli uomini di Magliano, -Monticelli, Mango. -</p> - -<p> -* Il Comune di Vercelli fu de’ primi e più operosi a fondare -borghi franchi, che furono sin 22 nel piccolo territorio. Sul che -vedi <span class="smcap">Mandelli</span>, <i>Il Comune di Vercelli nel medioevo</i>, 1858.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note66"> -<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>. </span><i>Ex quo fit ut tota illa terra</i> (Lombardia) <i>intra civitates ferme -divisa, singulæ ad commanendos secum diœcesanos compulerint; -vixque aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri -queat, qui civitatis suæ non sequatur imperium.</i> <span class="smcap">Otto Frisingensis</span>, -lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note67"> -<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>. </span><i>Omnium civitatum homines, maxime principalium, omnia -civiliter et honeste agere oportet et decet. Est enim civitas conversatio -populi assidua ad jure vivendum collecti.</i> Esordio d’un -documento lucchese del 1124.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note68"> -<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>. </span>Un documento del Dragoni, illustrato dall’Odorici nell’<i>Arch. -Storico</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 21, parla di moneta cremonese nell’807; un -altro dell’835 di soldi d’oro cremonesi, che farebbero presumere -una zecca cremonese fin da Carlo Magno, e quel ch’è rarissimo -allora, moneta d’oro e d’argento. È certo una soperchieria, come -altre di quel codice.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note69"> -<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 204.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note70"> -<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>. </span><span class="smcap">Bartoli</span>, <i>St. di Perugia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 216.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note71"> -<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>. </span><i>Cumque tres ordines, idest capitaneorum, valvassorum et -plebis esse noscantur, ad reprimendam superbiam, non de uno, sed de singulis consules eliguntur.</i> <span class="smcap">Otto Frising., ii.</span> 13. Il poeta -bergamasco Mosè dice: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Tradita cura viris sanctis est hæc duodenis,</i></p> -<p class="i01"><i>Qui populum justis urbis moderatur habenis;</i></p> -<p class="i01"><i>Hi sanctas leges scrutantes nocte dieque</i></p> -<p class="i01"><i>Dispensant æquo cunctis moderamine quæque.</i></p> -<p class="i01"><i>Annuus hic honor est, quia mens humana tumore</i></p> -<p class="i01"><i>Tollitur assiduo cum sublimatur honore.</i></p> -</div></div> - -<p> -Il Muratori, nella prefazione ad esso poema, crede che solo -del 1184 cominciassero i consoli a Bergamo: ma già nel 1109 -si trova nominato Ripaldo dei Capitani di Scalve console; poi -altri in una carta del 1117. Una lite nel 1114 fu decisa da quindici -consoli di Como: ma qui si tratta di consoli de’ placiti, -come sono forse i diciotto nominati in un documento del Giulini -al 1117. Più importante è un altro presso il Lupo, <span class="smcap lowercase">II</span>, 945, dove -sono annoverati tutti i consoli: <i>Nomina quorum consulum sunt, -Arialdus Vesconte, Arialdus Grasso, Lanfrancus Ferrarius, -Lanfrancus de Corte, Arnaldus de Rode, Arnaldus de Sexto, -Azofonte, Mainfredus de Setara, Albericus de la Turre, Anselmus -Avocatus; capitanei istius civitatis. Joannes Mainerii, Ardericus -de Palazzo, Guazzo Arrestaguida, Malastrena, Otto de Fenebiago, -Ugo Crivello, Guibertus Cotta, valvassores jam dictæ civitatis. -Ugo Zavetarius, Alexius Lavezarius, Paganus, Ingovartus, -Azo, Martinoni, Maxaso; cives ipsius civitatis.</i> Sono dunque -sette cittadini, sette valvassori, e nove capitanei, forse perchè a -questi vanno uniti il visconte, rappresentante dell’arcivescovo, e -l’avvocato. Per Firenze vedi <span class="smcap">G. Villani, v.</span> 32.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note72"> -<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>. </span>Pergamena nell’archivio diplomatico di Firenze.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note73"> -<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>. </span>Nei contratti, anche di chiese, trovasi tuttora menzione di -aldj, di mundio, d’altre forme di legge longobarda. Nei <i>Monum. -Hist patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 1170, trovo al 1195 la vendita d’un -fondo fatta al capitolo di Santo Stefano di Biella dalla marchesa -Guala, <i>viro et mundualdo suo consentiente</i>. Nell’istromento -di nozze del beffato pittore Domenico Calandrini, al 24 febbrajo -1320 in Firenze, si stipulò <i>consensu Benedicti mundualidi</i> della -sposa, <i>quem eidem ad hoc in mundualdum constitui</i>. <span class="smcap">Manni</span>, -<i>Veglie piacevoli</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. Lo statuto di Benevento del 1207, approvato -da Innocenzo III, vuole che <i>secundum consuetudines approbatas -et legem longobardam, et eis deficientibus, secundum -legem romanam judicetur</i>. <span class="smcap">Borgia</span>, Mem. di Benev., <span class="smcap lowercase">II</span>. 182. 413. -Nel <i>Liber consuetudinum Mediolani</i> del 1216 è una rubrica -<i>Quando de crimine agitur criminaliter. Punitur in rebus et persona -secundum legem municipalem nostræ civitatis, vel legem -Langobardorum, vel legem Romanorum... Si is cui maleficium -factum invenitur, jure Langobardorum vivebat, sicuti nonnulli nostræ jurisdictionis vivunt. Idemque erit si extraneus lege romana -vivit</i>. Nello statuto di Como del 1281: <i>Lombarda non -servetur nisi in pugnis et in illis casibus de quibus fit mentio in -statutis</i>. Lo statuto di Pisa del 1186 ha una rubrica <i>De legibus -seu titulis ex lege longobarda in nostro jure retentis et approbatis</i>; -e nel prologo di quello rifatto il 1281 si ha: <i>Pisana -civitas a multis retro temporibus vivendo lege romana, retentis -quibusdam de lege longobarda, sub judicio legis etc.</i> L’antichissimo -statuto pistojese, alle rubriche 8 e 9, determina le varie -multe per ferite fatte con ferro e legno, al modo longobardo. -</p> - -<p> -La contessa Matilde ora professa vivere a legge salica, ora a -longobarda; del che non seppero render ragione nè il Lupo, nè -il Muratori, nè il Savigny. Noi pensiamo che tali professioni riguardassero -non la persona, ma la natura de’ possessi pei quali -si stipulava, o del feudo di cui si trattava. Potrebbe darsi anche -oggi che un medesimo possedesse un feudo di ragione longobarda, -cioè divisibile fra tutti i figli, e uno di salica, cioè trasmesso -per primogenitura, e un benefizio ecclesiastico da conferirsi -per voti. -</p> - -<p> -Essa Matilde, nel documento del settembre 1079, professa <i>ex -natione mea legem vivere Langobardorum; pro parte suprascripti -Gottifredi qui fuit viro meo, legem vivere videor salicam</i>; -poi in un documento del 9 dicembre 1080 dice: <i>quæ professa -sum ex natione mea lege vivere salica</i>. Ap. <span class="smcap">Fiorentino</span>, <i>Documenti</i>, -pag. 128, e in un altro del <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. It.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, -pag. 277. -</p> - -<p> -Anche nelle <i>Antichità Estensi</i> trovansi Bugiardo, Scotto e -Buggeri che professano <i>ex natione nostra lege vivere Langobardorum</i>; -eppure Ottone loro padre professava <i>ex natione mea -lege vivere romana</i>. -</p> - -<p> -A conferma di quanto altri asserì, che non è vero i preti vivessero -a legge romana, qui mi vien in taglio di notare che -nella splendida donazione che il vescovo Rozio di Padova faceva -nell’871 all’ospedale di Santa Giustina da lui fabbricato, professa -<i>vivere secundum legem salicam</i>; e nel suddetto <span class="smcap lowercase">II</span> volume -di Carte dei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, pag. 161, al 1069 Alessandro -prete di Biella fa testamento professando <i>ex nacione mea legem -vivere Langobardorum</i>. -</p> - -<p> -E nel vol. <span class="smcap lowercase">I</span> <i>Chartarum</i>, col. 299, è nominato <i>Adalbertus presbiter -filius quondam Gorzano, qui professus sum ex nacione -mea legem vivere Langobardorum</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note74"> -<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>. </span>Nel 1151: <i>Nos Sirus archiepiscopus et consules Januæ -præcipimus tibi, Philippo Lamberti, ut ab hac die in ante non -sis consul Januæ, nec guida osti Januæ, nec conciliator Januæ, -nec legatus Januæ, et præcipimus tibi ut, per sacramenta quæ -homines Rassæ adversus te fecerunt, non reddas eis vel alicui -eorum illum malum meritum.</i> -</p> - -<p> -L’arcivescovo di Pisa ebbe il pedaggio della dogana del sale -e del ferro dell’isola d’Elba; un altro pedaggio a Castel del -Bosco; e nel 1286 aveva già da gran tempo lite cogli Anziani -per la giurisdizione temporale sopra i castelli di Meli, Riparbella, -Beliora, Pomaja, Santa Luce, Lorenzana, Collalberti, -Nugola, Filettole, Avane, Bientina, Usigliano, Collemontanino. -</p> - -<p> -I vescovi di Fiesole mandavano il loro visdomino alla Rufina; -ma gli uomini di questa doveano aver licenza dalla Signoria di -Firenze prima di giurargli fedeltà. -</p> - -<p> -Il vescovo di Torino, come quel di Luni, avea diritto a una -parte di tutti i pesci che si pescassero. Nel 1170 Pipino vescovo -di Luni consentiva ai Sarzanesi, i quali già si reggevano per consoli, -di trasferire il loro borgo in riva alla Macra, ove dicesi Asiano, -dando egli il terreno e i casamenti, e ricevendo tributo e giuramento -e le antiche consuetudini quanto ai giudizj, ai bandi, ai -macelli, ai cambisti, ai mercati, alle curatele, alle fosse, ai mulini, -ai forni. Nel 1183 esso vescovo emancipò affatto i Sarzanesi. -<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 1021. -</p> - -<p> -Il vescovo di Modena pretendeva dal Comune la giurisdizione -e giudicatura nella città e per tre miglia in giro, tanto del civile -come del criminale, e nelle emancipazioni, tutele, curatele, -duelli, e nelle cause mercantili; inoltre l’acquedotto della Secchia -e della Scultenna; la giurisdizione nel civile e nel criminale, -e nell’elezione de’ consoli o del podestà, nelle emancipazioni -e tutele e duelli in castel Razzano, Savignano, Vignola, -Porcile, ecc., oltre alcuni possessi. I Modenesi rispondevano, -tali diritti e giurisdizioni e possessi spettare a loro per concessione -imperiale e per la pace fatta a Roncaglia (<i>sic</i>) tra l’imperatore -e i Lombardi; inoltre posseduti da tempo immemorabile. -Per molti anni se ne litigò, finchè, stanchi delle noje e delle -spese, nel 1227 le parti vennero a transazione, concedendo al -vescovo alquanti possessi e canali ed altri comodi, e duemila -libbre imperiali, mediante le quali recedeva dalle restanti prestazioni. -Solo restavagli di pronunziar le sentenze contro gli -eretici, le quali poi il Comune obbligavasi di far eseguire. <i>Antiq. -M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 254. -</p> - -<p> -Del 1162 papa Alessandro III confermava i beni e le giurisdizioni -dell’arcivescovo di Milano, tante che ne mostrano la -potenza. Dipendevano da lui primieramente assai chiese, monasteri, -pievi in commenda: cioè nel vescovado di Torino la -badia di San Costanzo colle sue cappelle; in quello d’Asti la -chiesa di San Pietro di Mazano; in Albenga la chiesa di Santa -Maria; nel vescovado d’Alba la pieve di San Michele di Verduno; -in Burgulio il monastero di San Pietro, le chiese di San -Giovanni e di Santo Stefano; nel Vercellese la pieve di Sant’Ambrogio -di Frassineto, sempre colle loro cappelle; nel Tortonese -la badia di San Pietro di Mola; quella di San Salvadore nel -Piacentino; nel Milanese il monastero di San Calocero di Civate; -la Santissima Trinità di Buguzate (Codelago); il monastero dei -Santi Felino e Gratiniano in Arona; il monastero di Cremella, -quel di Bernaga, quel di San Salvadore in Monza. Nel vescovado -d’Acqui il monastero di San Quintino di Spigno, e quel di -Santa Cristina presso l’Olona nel Pavese. Seguono terre con -giurisdizione e giuspatronato; Sesto Calende con molte cappelle; -il marchesato di Genova, e un palazzo e cappelle in questa -città; Pontecurone nel Tortonese, Coirana nel Pavese, Casale -non so quale, Burgulio dove fu fabbricata Alessandria; Lecco e -suo contado, Monza e suo distretto, le rive dell’Adda da Brivio -a Cavanago, quelle del Ticino da Sesto a Fara, Palanzo sul -lago di Como; cui potrebbero aggiugnersi, benchè non nominati, -il castello d’Angera, quel di Brebia e sua Pieve, e Cassano -d’Adda; inoltre la zecca (Vedi <span class="smcap">Giulini</span>). Sotto il 1210, Galvano -Fiamma stima l’entrata degli arcivescovi di Milano ottantamila -fiorini d’oro, che il Giulini ragguaglia a dieci milioni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note75"> -<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>. </span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia pol. del medio evo</i>, pag. 135.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note76"> -<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>. </span>L’autore de’ <i>Saturnali</i> chiamavasi <i>Teodosio Ambrosio Macrobio -Sicetino</i>; il consigliere di Teodorico, <i>Flavio Anicio Manlio -Torquato Severino Boezio</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note77"> -<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>. </span>Nel catalogo d’una confraternita troviamo sei Pietro, altrettante -Marie, tre Andrea, due Cristine, due Ingelberghe, -quattro Martini, dieci Giovanni, e così altri, senza verun criterio -per discernere gli uni dagli altri. <i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note78"> -<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>. </span>Atela, Adela, Adeligia, Adeligida, Adalasia, Atelasia, -Aidia, son varie forme del nome di Adelaide imperatrice: Adelchi, -Aldechisio, Adelgiso, Algiso è il nome del figlio di re Desiderio: -Obizo, Oberto, Adalberto, Alberto; Cuniza e Cunegonda; -Adam e Amizone, ecc. sono identici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note79"> -<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>. </span>In una carta dell’archivio casauriense: <i>Ideo constat me -Artaberto, qui supranomen</i> fratello <i>vocatur</i>; in una presso l’Ughelli, -tom. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. p. 43: <i>Joannes qui supranomine</i> Walterii <i>vocatur</i>; -in un’altra del 954, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. 1359; <i>Petro viro magnifico, -qui et supranomen vocatur</i> Pazii, <i>seu</i> Gregorii. Così nelle <i>Ant. -ital.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 747, a un atto dell’882 sottoscrivonsi Joannes <i>qui -vocatur</i> Clario, <i>Leo qui vocatur</i> Pipino, <i>Joannes qui vocatur</i> -Peloso, <i>Joannes</i> Russo, <i>Urzulo qui</i> Mazuco <i>vocatur, Lupus -qui dicitur</i> Bonellus, <i>Bonellus qui dicitur</i> Magnano: e altrove -Giovan Rosso, Giovan Peloso, maestro Guglielmo, Martin Diacono, -Lupo da Via, Ugo da Porta Ravennate, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note80"> -<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>. </span>Bardellone, Taino, Bottesella, Butirone, Petracco, Passerino, -Scarpetta, Carnevario, Cane e Mastino: poi Garzapane, -Pandimiglio, Tornaquinci, Belbello, Menabò, Megliodeglialtri, -Bracacurta, Soffiainpugno, Rubacastello, Animanigra, Buccadecane, -Bellebono, Bragadelana, Nosaverta, Tantidanari, Basciacomari, -Tettalasini, Bencivenne, Mezzovillano, Assainavemo, -Seccamerenda, Segalorzo, Benintese, Ranacotta, Scannabecco, -Mangiatroja, Brusamonega, Cavazocco, Codeporco, Coalunga, -Ristoradanno, Datusdiabolo, Capodasino, Cagatossico, Cagainos, -Mattosavio, Malfilioccio, Moscaincervello, Passamontagne, Castracani, -Tosabue, Calzavegia, Cavalcasela, Guido Ajutamicristo, -ecc. Anche case principali conservarono i nomi di -Malaspina, Pelavicini, Maltraversi, Malatesta, Cavalcabò, Gambacurta...</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note81"> -<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>. </span>Anichino di Bongardo dissero i nostri il capitano di -Baumgarten; di Awcwood fecero Giovanni Acuto, e di Hohenstein -Ovestagno. Reciprocamente i nostri Arrighetti fiorentini -furono in Francia trasformati in Riquetti; i Giacomotti in Jaquemot, -ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note82"> -<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>. </span><span class="smcap">Muratori</span>, <i>Ant. Ital.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note83"> -<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>. </span><i>Subrogatum</i> (come prefetto d’Amalfi) <i>Ursum Marini -comitis de Pantaleone comite filium Canucci Marci post sex -menses quoque ejecerunt Successit Ursus Cabastensis, Joannes -Salvus, Romani Vitalis filius.</i> <span class="smcap">Pansa</span>, St. della Repubblica d’Amalfi, -<span class="smcap lowercase">I</span>, 33.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note84"> -<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>. </span>Orderico Vitale, cap. 3, dice che <i>Rodolphus, quintus -frater, clericus cognominatus est, quia peritia litterarum, aliarumque -rerum apprime imbutus est. Clericus</i> pure chiamavasi it -segretario, onde l’epitafio di Guglielmo Ambiense (ap. <span class="smcap">Moreri</span>) -<i>Clericus angelici fuit hic regis Ludovici</i>: dal che il <i>clerc</i> rimasto -ai Francesi per indicare lo scrivano. Una cronaca milanese, nei -<i>Rer. ital. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 60, dice che Stefano da Vimercato <i>fuit in -sæculo valde honorabilis clericus</i>. E Giovan Villani, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 3: <i>E’ fu -molto chierico in scrittura</i>. Per avverso, Matteo Villani, <span class="smcap lowercase">III</span>. 60, -scrive: <i>Il Comune fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciatori, -de’ quali niuno si potè incolpare, che erano <span class="upright">secolari</span> e uomini -che non sapeano quello che i titoli de’ giudici portassero</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note85"> -<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>. </span>La contessa Matilde aveva moltissimi servi, e ne donò a -varie chiese; nominatamente al canonico di Mantova regalò -quelli che possedeva alla Volta; e l’atto del 1079 (ap. <span class="smcap">Fiorentini</span>, -<i>Documenti concernenti Matilde</i>, pag. 122) porta i nomi di parecchi, -dove notiamo <i>jugales cum filiis et cum peculiis eorum</i>, e -concede ad essi canonici <i>quod faciant de jam dictis servis et -ancillis, seu de peculiis quicquid voluerint</i>. In testamento poi -ordinò fosser liberati innumerevoli servi, come attesta Donnizone: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Innumerosque suos famulos jubet hæc hera cunctos</i></p> -<p class="i01"><i>Ingenuos, vitæ post ipsius fore finem.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note86"> -<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>. </span>Cronaca Bolognese, 1283. <i>Comune Bononiæ fecit <span class="upright">fumantes</span> -comitatus, et emit omnes servos et ancillas ab omnibus -civitatis Bononiæ, pro pretio unius stari frumenti pro quolibet -qui habeat boves, et unius quartarolæ pro quolibet de zappa.</i> — <span class="smcap">C. -F. Rumhor</span>, <i>Ursprung Besitzlosigkeit der Colonen des innerern -Toskana</i>. Amburgo 1830.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note87"> -<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>. </span><i>Cum libertas, qua cujusque voluntas non ex alieno sed ex -proprio dependit arbitrio, jure naturali multipliciter decoretur, -qua etiam civitates et popoli ab oppressionibus defenduntur, et -ipsorum jura tuentur et augentur in melius, volentes ipsam et -ejus species non solum manutenere sed etiam augmentare, per -dominos priores artium civitatis Florentiæ etc. et alios sapientes -et bonos viros ad hoc habito... provisum ordinatum exstitit salubriter, -et firmatum, quod nullus, undecumque sit et cujusque -conditionis dignitatis vel status existat, possit, audeat vel præsumat -per se vel per alium tacite vel expresse emere, vel aliquo -alio titulo, jure, modo vel causa adquirere in perpetuum vel ad -tempus aliquos fideles, colonnos perpetuos vel conditionales, adscriptitios -vel censitos, vel aliquos alios cujuscumque conditionis -existant, vel aliqua alia jura, scilicet angharia vel proangharia, -vel quævis alia contra libertatem personæ et conditionem personæ -alicujus in civitate, vel comitatu, vel districtu Florentiæ etc.</i> -Osservatore fiorentino, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note88"> -<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>. </span><span class="smcap">Daru</span>, <i>St. di Venezia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX</span>. § 7.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note89"> -<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>. </span>«In nome de Dio amen: in mille e triscento e <span class="smcap lowercase">LXV</span> adi <span class="smcap lowercase">VXII</span> -de feurer, in la strouilea in caxa mia de mi Symon da Imola -e de Marco Bon de Viniexia e de Zorzi Fustagner da Coron, e -de mi Symon noder infrascripto, lo sauio et discreto homo ser -Andriolo Bragadin, fyolo de mis. Jacomo Bragadin de Viniexia -de la contrada de sento Zemignan, se eno qui convegnudi insembre -cum mis. Tantardido de Mezo da Viniexia in honorando -consylier de Coron, et ali uendudo uno so sclauo lo quale elo -aueua comprado in la Tana da uno Sarayni per cento e cinquanta -aspri de arzento cum lazo (<i>agio</i>), segondo la confession del dito -sclauo, et a dato infrascripto mis. Tantardido a lo sourascripto -ser Andriolo in pagamento per lo dito sclauo ducati de oro uinti -et uno in moneda cum lazo, lo quale sclauo a nome Piero Rosso -et in presencia de li sourascripti testimoni e de lo dito sclauo -fo fatto lo pagamento, e siando pagado e contento lo dito ser -Andriolo dal dito mis. Tantardido, lo dito ser Andriolo pygla -per la man lo dito Piero Rosso so sclauo e si lo de in man de lo -sourascripto mis. Tantardido e de tutto questo fe contento lo -dito sclauo Piero Rosso et inclinato per so signor lo dito mis. -Tantardido. Oblegandose lo dito sclauo de auerlo per so signor -cusi como elo aueua lo dito ser Andriolo, lo dito ser Andriolo -se oblega de defenderlilo in tute le parti del mondo e in ogni -zudixio, et lo dito mis. Tantardido per lo sclauo de ogno dano -et interesse che interuegnisse a mis. Tantardido infrascripto -per lo pagamento de lo dicto sclauo quando elo podesse prouar -che elo non fosse so sclauo, lo dito ser Andriolo se oblega de -refarli lo dito pagamento a ducati de oro <span class="smcap lowercase">XXI</span> de bon pexo. -</p> - -<p> -«Et io Symon figliolo mis. Jacomo de li Bruni da Imola per -la imperiale autoritate not. publico e zudexe ordenario fui presente -a tutto. Una cum li sourascripti testimonj mmss». -</p> - -<p> -Il notajo non segna il luogo dove rogò l’istromento; ma puossi -arguire si facesse appunto in Corone o nelle sue vicinanze. -<i>Serie degli scritti in dialetto veneziano, di</i> <span class="smcap">Bartol. Gamba</span>, -pag. 35.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note90"> -<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>. </span><span class="smcap">Fontanini</span>, <i>Diss. de masnadis</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note91"> -<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>. </span><i>Quod sclavi super navigiis non leventur; quod aliqua persona -januensis non possit deferre mamaluchos mares et fœminas -in Alexandriam ultra mare vel ad aliquem locum subditum soldano -Babiloniæ</i> (cioè del Cairo).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note92"> -<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>. </span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. 20. 55. 93. Nel succitato volume II dei <i>Monum. Hist. patriæ</i> occorrono moltissimi ricordi di vendite e d’emancipazione -di schiavi a Genova, fra cui ne scegliamo alcuni: -</p> - -<p> -Nel 1156 Guglielmo Zulenio vende per otto lire la sua serva -Agnese <i>non fugitivam, neque furem, sed boni moris</i>. — L’anno -stesso, Simone di Mongiardino emancipa Girardo figlio di Ubaldo -suo servo, pel prezzo di lire otto pavesi, senza ritener nulla del -peculio che abbia o possa avere. -</p> - -<p> -1158, 16 agosto. Mosso e sua moglie Marsibilia per lire cinquanta -danno a Frederzone loro servo <i>omnimodam facultatem -vivendi, standi, agendi et faciendi quod velit utpote liber homo</i>. -</p> - -<p> -1159, 12 maggio. Malovriere <i>tum amore Dei, tum pro solidis -vigintiquinque</i> libera Alvarda sua serva; pena dieci libbre d’oro -se egli o i suoi eredi vi attentino. -</p> - -<p> -1160, 25 novembre. Guglielmo da Castenollo vende un servo -Saracino per cinquantanove soldi. -</p> - -<p> -1161, 23 febbrajo. Amico di Mirto dona a Lanfranco la porzione -di proprietà che ha sopra Angelica sua serva e la figlia -di lei. — 10 giugno seg. Guglielmo Moraga di Narbona vende -per cinquantacinque soldi a prezzo finito un suo Saracino. — 28 -luglio. Filippo Aradello libera il suo servo Giovanni per amore -dell’anima sua: e gli dice: <i>Proficiscere liber in Deo</i>; e Giovanni -in ricambio promette stare al suo servigio per quattro anni. — 17 -settembre. Ribaldo de Curia libera il servo Pasquale col suo -peculio per venticinque lire e per salute dell’anima. -</p> - -<p> -1162, 9 ottobre. Senebaldo regala a suo figlio Alberto metà -de’ proprj beni feudali e allodiali, <i>excepta tantum Boneta ancilla -mea et filiam ejus</i>. — 19 novembre seg. Ogerio Vento nel testamento -dichiara liberi tutti i servi e le ancelle sue se il Signore -lo chiami a sè in quella malattia. Non morì, e un altro testamento -fece l’11 maggio seg., colla stessa clausola, eccettuando -però il peculio d’essi servi. -</p> - -<p> -1163, 4 agosto. Giulia Bulferico per mercede dell’anima sua -e del marito manomette l’ancella Adelusia e il suo peculio. -</p> - -<p> -1164, 1º maggio. Pier Cappellano e Stanfilla jugali manomettono -Guglielmo servo con venti libbre di suo peculio. — Nell’inventario -dell’eredità abbandonata da Guglielmo Scarsuria, del -17 giugno seg., è noverata <i>Saracenam unam cum libertatis -condicione testamento defuncti insercta</i>. -</p> - -<p> -1165, 21 giugno. Lanfranco Arzema per quattro lire e mezzo -libera e manomette Aidelina sua ancella. Luca, figlia emancipata -di lui, rinunzia pure ogni diritto che v’avesse. Giovanni -Tossico, a un cui servo la Aidelina erasi unita (<i>adhesisset</i>), dichiara -liberi i due primi figli che ne nascessero. -</p> - -<p> -1192. Pietro re d’Arborea promette ai Genovesi che, se si -ottenga di porre una chiesa in Oristano, darà al vescovo di -Genova una curia con tanti possessi e <i>servi</i> quanti ne ha in -Arborea il vescovo di Pisa. -</p> - -<p> -Luigi Cibrario produsse carte genovesi di più tarde vendite -di schiavi. Nel 1378 Benvegnuda vende <i>quandam servam suam -sclavam de progenie Tartarorum</i> per ventidue lire di Barcellona, -<i>sanam ab omnibus magagnis occultis</i>. Una pure <i>de progenie -Tartarorum</i> è venduta il 1389 da Antonio di San Pier d’Arena; -un’altra il 1391; un’altra di venticinque anni nel 1484, per sessanta -lire di genovini, che sarebbero oggi fr. 1033. -</p> - -<p> -Nel 1851 Giovanni Zucchetti pubblicava a Mantova una carta -dell’archivio Arconati di Milano, secondo la quale, nel 1434, il -nobile Giacomo de’ Bigli di Milano vendeva al nobile Giovanni -da Castelletto, pur di Milano, una Tartara di anni diciannove -per cinquantotto ducati d’oro; l’atto fu rogato a Recanati. -</p> - -<p> -Nel testamento del famoso Filippo Strozzi, 14 maggio 1491, -si legge: «Item a Giovanni Grande <i>nero</i>, mio schiavo, lascio e -lego la liberatione, e che lui sia libero e franco da ogni servitù -dopo la vita mia, et per detto effetto et per a quel tempo da -hora lo libero et absolvo da la mia potestà et da ogni servitù a -che lui mi fosse tenuto; et bisognandoli, per effecto di dicta sua -liberatione o per cautela alcuna sua intorno a ciò, voglio che gli -heredi mie gliene faccino quella cautela che lui vorrà, per -potere dicta sua liberatione sempre mostrare et farne fede». -Nella <i>Cronaca fiorentina</i> del Cambi trovo che nel 1529, quando -Genova fu presa, i Franzesi ebber l’arte di togliere tutti gli -schiavi, i quali rivelarono dove stessero riposte le ricchezze dei -padroni. -</p> - -<p> -Melchior Gioja (<i>Nuovo prospetto delle scienze economiche</i>, -par. <span class="smcap lowercase">III</span>) asserisce che «non è la religione che abbia fatto sparire -la schiavitù dalla maggior parte dell’Europa, ma il lento -progresso delle arti e del lusso». Guglielmo Libri (<i>Histoire des -sciences mathém. en Italie</i>) s’arrabatta a provare che la Chiesa -non fece nulla per la liberazione dei servi, anzi il contrario. -L’argomento suo contro la Chiesa equivale precisamente a -quest’altro: «Non è vero che il codice Albertino proibisca il -furto, giacchè ladri vi ha dov’esso è in vigore». Fra i libri che -costui dovette compulsare per la sua storia, sono quelli di Girolamo -Cardano, del quale noi parliamo più avanti. Nel vol. <span class="smcap lowercase">X</span> -dell’edizione di Lione sta il trattato <i>De arcanis æternitatis</i>, -che a pag. 31 vuol sostenere la legittimità degli schiavi naturali, -confutando la Chiesa che dichiara gli uomini eguali. «Questo -genere di servi, acciocchè nessuno potesse riguardarlo come -propagato dalla natura, e perciò legittimo, fu tolto affatto -da la religione nostra, ossia da quelli che pubblicarono costituzioni, -interpretando quel detto che <i>appo Dio non v’è nè -servo nè libero</i>. Sarebbe come se alcuno, interpretando quel -di Cristo <i>In quel giorno nè sposeranno, nè saranno sposati</i>, -dicesse inutile il matrimonio. Che una servitù moderata e -giusta sia utile allo Stato, è così certo, che anche la ingiusta -e smodata è più utile che il non esserne alcuna; giacchè i -paesi dei Gentili furono più felici, ed ora quei de’ Maomettani, -che non i Cristiani». Questo passo è decisivo a mostrare -le due influenze sempre in contrasto, del paganesimo con Aristotele, -e della religione col Vangelo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note93"> -<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>. </span><i>Anno Domini <span class="smcap lowercase">MXCVIII</span> cepit guerra de Cremona, magnum -frixorium Cremonensium.</i> <span class="smcap">Sicardus</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note94"> -<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>. </span><i>Quæque meis oculis vidi, potius reserabo.</i> Anon. Cumanus, -nei <i>Rer. it. Script.</i>, V.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note95"> -<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Mittunt ad cunctas legatos agmina partes</i></p> -<p class="i01"><i>Ducere; Cremonæ Papiæque mittere curant;</i></p> -<p class="i01"><i>Cum quibus et veniunt cum Brixia Pergama; totas</i></p> -<p class="i01"><i>Ducere jussa suas simul et Liguria gentes;</i></p> -<p class="i01"><i>Nec non adveniunt Vercellæ, cum quibus Astum,</i></p> -<p class="i01"><i>Et comitissa suum gestando brachia natum;</i></p> -<p class="i01"><i>Sponte sua tota cum gente Novaria venit;</i></p> -<p class="i01"><i>Aspera cum multis venit et Verona vocata;</i></p> -<p class="i01"><i>Docta suas secum duxit Bononia leges;</i></p> -<p class="i01"><i>Attulit inde suas Ferraria nempe sagittas;</i></p> -<p class="i01"><i>Mantua cum rigidis nimium studiosa sagittis;</i></p> -<p class="i01"><i>Venit et ipsa simul quæ Guardastalla vocatur;</i></p> -<p class="i01"><i>Parma suos equites conduxit Garfanienses.</i></p> -<p class="i14"> Anon. Cumanus.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note96"> -<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>. </span>Gli sono confermati in un diploma di Federico I, 29 settembre -1164.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note97"> -<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>. </span>Ap. <span class="smcap">Baluzio</span>, <i>Miscel.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. p. 64.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note98"> -<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>. </span>Ildeberto, vescovo di Reims nell’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo, cantava: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Par tibi, Roma, nihil, cum sis prope tota ruina;</i></p> -<p class="i02"> <i>Quam magni fueris integra, fracta doces.</i></p> -<p class="i01"><i>Urbs cecidit, de qua si quicquam dicere dignum</i></p> -<p class="i02"> <i>Moliar, hoc potero dicere, Roma fuit.</i></p> -<p class="i01"><i>Non tamen annorum series, non flamma, nec ensis</i></p> -<p class="i02"> <i>Ad plenum potuit hoc abolere decus.</i></p> -<p class="i01"><i>Tantum restat adhuc, tantum ruit, ut neque pars stans</i></p> -<p class="i02"> <i>Æquari possit, diruta nec refici</i>.....</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note99"> -<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>. </span>Che nei secoli dell’ignoranza e del fanatismo si facesse -colpa a costui di discendere da Ebrei, e san Bernardo stesso -il chiamasse <i>judaica soboles</i>, poca meraviglia. Ma Voltaire, -accoppiando al solito la leggerezza e l’intolleranza, non rifina -di ridere di un <i>papa ebreo</i>. La storia, se avesse voluto consultarla, -gli avrebbe detto ch’e’ non era <i>ebreo</i> e non fu <i>papa</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note100"> -<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>. </span>Questo fatto si rappresentò in un quadro del palazzo di -Laterano, ove Lotario riceve la corona di man del papa, colla -leggenda: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Rex venit ante fores, jurans prius urbis honores,</i></p> -<p class="i01"><i>Post homo fit papæ, recipit quo dante coronam.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note101"> -<p><span class="label"><a href="#tag101">101</a>. </span>Con queste insegne sono effigiati re Ruggero nel tempio -di Monreale e Guglielmo nella Martorana a Palermo: il cadavere -di Federico II si trovò rivestito di abiti pontificali. Sin a -Filippo II le suppliche per affari ecclesiastici dirigeansi al re -col titolo di <i>beatissimo padre</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note102"> -<p><span class="label"><a href="#tag102">102</a>. </span><i>Concedimus, donamus et auctorizamus tibi, filio tuo -Rogerio, et aliis filiis tuis secundum tuam ordinationem in regno -substituendis, et hæredibus suis, coronam regni Siciliæ et Calabriæ -et Apuliæ etc. Tu autem et hæredes tui censum, videlicet -sexcentos schifatos, annis singulis Romanæ Ecclesiæ persolvere -debes etc.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note103"> -<p><span class="label"><a href="#tag103">103</a>. </span><i>Ep.</i> 31. lib. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note104"> -<p><span class="label"><a href="#tag104">104</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">...... <i>Arnoldus, quem Brixia protulit ortu</i></p> -<p class="i01"><i>Pestifero, tenui nutrivit Gallia sumtu</i>....</p> -<p class="i01">..... <i>assumpta sapientis fronte, diserto</i></p> -<p class="i01"><i>Fallebat sermone rudes, clerumque procaci</i></p> -<p class="i01"><i>Insectans odio, monachorum acerrimus hostis,</i></p> -<p class="i01"><i>Plebis adulator, gaudens popularibus auris,</i></p> -<p class="i01"><i>Pontifices, ipsum que gravi corrodere lingua</i></p> -<p class="i01"><i>Audebat papam</i>.....</p> -<p class="i01"><i>Articulos etiam fidei, certumque tenorem</i></p> -<p class="i01"><i>Non satis exacta stolidus pietate fovebat,</i></p> -<p class="i01"><i>Impia mellifluis admiscens toxica verbis.</i></p> -<p class="i08"> <span class="smcap">Guntheri</span> <i>Ligur. Carmina</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>.</p> -</div></div> - -<p> -Vedi la nota 7 del capo seguente.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note105"> -<p><span class="label"><a href="#tag105">105</a>. </span>San Bernardo diresse a Eugenio III i suoi libri <i>De consideratione</i>, -nel <span class="smcap lowercase">IV</span> de’ quali gli dice: — Qual cosa è più nota ai -secoli, che la protervia e il fasto de’ Romani? gente disavvezza -dalla pace, avvezza al tumulto; gente immite e intrattabile -finora, che non sa star sottomessa se non quando non vale a -resistere. Quest’è la piaga, e a te spetta il curarla. Ridi forse -di me, credendola incurabile? non diffidare».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note106"> -<p><span class="label"><a href="#tag106">106</a>. </span><span class="smcap">Otto Frising.</span>, <i>De gestis Frid.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cc. 27. 28. — Le -proposizioni de’ Romani a Corrado furono compendiate in questi -versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Rex valeat: quidquid cupit obtineat; super hostes</i></p> -<p class="i01"><i>Imperium teneat; Romæ sedeat; regat orbem</i></p> -<p class="i01"><i>Princeps terrarum, ceu fecit Justinianus;</i></p> -<p class="i01"><i>Cæsaris accipiat Cæsar, quæ sunt sua præsul,</i></p> -<p class="i01"><i>Ut Christus jussit Petro solvente tributum.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note107"> -<p><span class="label"><a href="#tag107">107</a>. </span><span class="smcap">Amand</span>, <i>De primis actibus Friderici</i>. — <span class="smcap">Otto Frising.</span>, -<i>De gestis Friderici</i>. Ottone morì nel 1158, e lo continuò Radevico -canonico di Frisinga, molto inferiore pel dettato e più pei -concetti. Le loro storie furono ridotte in versi dal Guntero, -tedesco contemporaneo, in un poema intitolato <i>Ligurinus</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note108"> -<p><span class="label"><a href="#tag108">108</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Ductus ab antiquo priscorum tempore regum</i></p> -<p class="i01"><i>Mos habet, ut, quoties regnator teutonus Alpem</i></p> -<p class="i01"><i>Transit, et italicas invisere destinat oras,</i></p> -<p class="i01"><i>Qui repetant fisco fiscalia jura fideles</i></p> -<p class="i01"><i>Per quoscumque suos præmittere debeat urbes:</i></p> -<p class="i01"><i>At quæcumque ream se perfida fecerit ausu</i></p> -<p class="i01"><i>Sacrilego, regique suo sua jura negarit,</i></p> -<p class="i01"><i>Strata luat meritas fraudato principe pœnas:</i></p> -<p class="i01"><i>Inde fit ut fractis deformiter horrida muris</i></p> -<p class="i01"><i>Nunc quoque per totam videas loca plurima terram.</i></p> -<p class="i02"> <i>Hoc quoque per cunctas regnator teutonus urbes,</i></p> -<p class="i01"><i>Non modo teutonicas, sed et hic et ubique jacentes,</i></p> -<p class="i01"><i>Jus habet, ut præsens quasi maximus omnia judex</i></p> -<p class="i01"><i>Claudere jura manu, cunctasque recidere lites</i></p> -<p class="i01"><i>Debeat, atque omnis judex, omnisque potestas</i></p> -<p class="i01"><i>Atque magistratus, ipso præsente, quiescant.</i></p> -<p class="i02"> <i>Hunc etiam regi priscarum sanctio legum</i></p> -<p class="i01"><i>Longævique vigor moris profitetur honorem,</i></p> -<p class="i01"><i>Ut cunctos fœtus, quos educat itala tellus</i></p> -<p class="i01"><i>(His modo, quæ poscit terræ cultura, retentis)</i></p> -<p class="i01"><i>Principis ad nutum fisco præstare colonus</i></p> -<p class="i01"><i>Debeat, in regni sumptus et militis usum.</i></p> -<p class="i11"> <span class="smcap">Gunteri</span> <i>Ligurinus</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note109"> -<p><span class="label"><a href="#tag109">109</a>. </span><i>De gestis Frid.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 3. Guntero chiama i Lombardi -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Gens astuta, sagax, prudens, industria solers,</i></p> -<p class="i01"><i>Provida consilio, legum jurisque perita.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note110"> -<p><span class="label"><a href="#tag110">110</a>. </span><i>Guilhelmus marchio de Monteferrato, vir nobilis et magnus, -qui, pene solus ex Italiæ baronibus, civitatum effugere potuit -imperium.</i> <span class="smcap">Otto Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 13.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note111"> -<p><span class="label"><a href="#tag111">111</a>. </span><i>Ne, si Mediolanensium partem amplexus esset, altera parte -Longobardiæ subjugatæ, Mediolanenses, quia fortiores erant, -rebelles existerent.</i> <span class="smcap">Sire Raul</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note112"> -<p><span class="label"><a href="#tag112">112</a>. </span>La strada più consueta e più breve dalla Lombardia a -Roma era la così detta via Romea o Francesca, che dal territorio -di Parma e Piacenza varcava l’Appennino del monte Bardone -per scendere a Pontremoli, indi a Villafranca, Sarzana, -Luni, il Frigido, il Salto della Cervia, Lucca, Altopascio, il -Galleno; passato l’Arno sotto Fucecchio, mettevasi sulla via -traversa di Castel Fiorentino, donde a Certaldo, Poggibonsi, -Staggia, Siena, Buonconvento, Sanquirico, Spedaletto di Bricole, -Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, -Sutri, Portacastello di Roma. È divisata nell’itinerario di Filippo -Augusto re di Francia, quando nel 1191 tornava dalla -crociata.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note113"> -<p><span class="label"><a href="#tag113">113</a>. </span>«Fu impiccato e bruciato, e le sue ceneri sparse nel -Tevere, acciocchè la stolida plebe non venerasse il corpo di -questo infame», dice il buon Muratori. -</p> - -<p> -* Arnaldo è divenuto un mito, e in conseguenza la storia di -lui fu peggio che mai alterata. I Giansenisti nel secolo passato -magnificavano Arnaldo, poi nel nostro i demolitori dell’autorità -temporale dei papi. La tragedia del Niccolini è mera declamazione, -ove Arnaldo è fatto eretico, mentre nella prefazione -si vuole purgarlo di questa taccia. Cesare Balbo lo imputa di -avere sollevato il popolo romano contro il papa, quando il -papa e il popolo sarebbero dovuti unirsi ai Lombardi per difendere -l’indipendenza: e così ritardò la lega di Pontida e cagionò -la distruzione di Milano. -</p> - -<p> -Il mettere un Lutero o un Ciciruacchio nel secolo XII è un -anacronismo, quanto il mettere ai giorni nostri un Pietro Martire -o un Francesco d’Assisi. Ci fu sempre, fino ai giorni nostri, -chi sperò sbalzare il papa mediante l’ajuto degli stranieri, e così -meditava Arnaldo. Ma il prefetto di Roma, che, in occasione delle -prediche di Arnaldo, era stato insultato e peggio, lo fece prendere -e impiccare, valendosi della piena podestà che gli conferiva la -presenza dell’imperatore. Onde Goffredo da Viterbo canta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Arnoldus capitur, quem Brixia sensit alumnum,</i></p> -<p class="i01"><i>Dogmata cujus erant quasi pervertentia mundum:</i></p> -<p class="i01"><i>Strangulat hunc laqueus, ignis et unda vehunt.</i></p> -<p class="i14"> Pantheon, 464.</p> -</div></div> - -<p> -Anche il Guntero lo dice fatto reo d’ambe le maestà: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i07"> <i>Sic læsus stultus utraque</i></p> -<p class="i01"><i>Majestate reum geminæ se fecerat aulæ.</i></p> -</div></div> - -<p> -Gerhochus di Reichersperg contemporaneo ne porta questo -giudizio: <i>Quem ego vellem, pro tali doctrina sua, quamvis prava, -vel exilio, vel carcere aut alia pœna præter mortem punitum esse, -vel saltem taliter occisum ut romana Ecclesia, sive curia ejus -necis quæstione caveret! Nam, ut ajunt, absque ipsorum scientia -et consensu a præfecto urbis Romæ, de eorum custodia in qua -tenebatur ereptus, ac pro speciali causa occisus ab ejus servis -est. Maximam siquidem cladem ex occasione ejusdem doctrinæ -idem præfectus a romanis civibus perpessus fuerat: quare non -saltem ab occisi crematione et submersione ejus occisores metuerunt -quatenus a domo sacerdotali quæstio sanguinis remota -esset. Sed de his ipsi viderint. Sane de doctrina et nece Arnaldi -idcirco inserere præsenti loco volui, ne vel doctrinæ ejus pravæ, -quæ, etsi zelo forte bono, sed minori scientia prolata est, vel -ejus necis perperam actæ videar assensum præbere.</i> Nel libro <span class="smcap lowercase">I</span> -<i>De investigat. antichrist.</i>, apud <span class="smcap">Gretser</span>, <i>Prolegomena ad -scriptores adversus Waldenses</i>, cap. 4.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note114"> -<p><span class="label"><a href="#tag114">114</a>. </span><i>Hospes eras, civem feci: advena fuisti ex transalpinis -partibus, principem constitui.</i> <span class="smcap">Otto Frising.</span>, 721. E gli fa rispondere: -<i>Legitimus possessor sum.... Principem populo, non -populum principi leges præscribere oportet.</i> E narrate le stragi, -con atroce ironia soggiunge: <i>Hæc est pecunia, quam tibi -princeps tuus pro tua offert corona.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note115"> -<p><span class="label"><a href="#tag115">115</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Roma ferax febrium, necis et uberrima frugum:</i></p> -<p class="i01"><i>Romanæ febres stabili sunt jure fideles.</i></p> -<p class="i12"> <span class="smcap">Pier Damiani.</span></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note116"> -<p><span class="label"><a href="#tag116">116</a>. </span>Il Sismondi ed altri snaturano questo fatto, in modo che -paja con Federico stare la ragione, e Adriano aver fatto umili -scuse. Il torto del primo era in tanto maggiore, in quanto la -lettera diceva in plurale <i>majora beneficia</i>, nè feudo superiore -all’Impero avrebbe potuto immaginarsi. Il papa poi si ritrattò, -ma dichiarando che quella espressione <i>utique nedum tanti viri, -sed ne cujuslibet minoris animum merito commovisset</i>. È bizzarro -a vedere come il Sismondi dipinga Federico per un mostro di -crudeltà, e micidiale d’ogni franchigia quando lotta colle repubbliche; -poi ne faccia un portento di ragionevolezza quando contrasta -coi papi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note117"> -<p><span class="label"><a href="#tag117">117</a>. </span><span class="smcap">Radevicus Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 26.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note118"> -<p><span class="label"><a href="#tag118">118</a>. </span>Da Lodi vecchio i Lodigiani trasferirono allora al nuovo -il corpo del loro patrono san Bassiano, uno de’ primi vescovi, -e speciale protettore contro la lebbra.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note119"> -<p><span class="label"><a href="#tag119">119</a>. </span>È nominato Lodovico nella scomunica del papa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note120"> -<p><span class="label"><a href="#tag120">120</a>. </span><span class="smcap">Otto Frising.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cc. 27. 28.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note121"> -<p><span class="label"><a href="#tag121">121</a>. </span><span class="smcap">Sire Raul.</span> Radevico dice centomila armati.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note122"> -<p><span class="label"><a href="#tag122">122</a>. </span><span class="smcap">Sire Raul.</span> Delira il Giulini ragguagliandoli a venti -milioni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note123"> -<p><span class="label"><a href="#tag123">123</a>. </span>Il Guntero, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>, dice che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Tum demum victus Federicus ab urbe recessit,</i></p> -<p class="i01"><i>Modoicumgue petens, prisco dignatus honore</i></p> -<p class="i01"><i>Illustrare locum, sacro diademate crines</i></p> -<p class="i01"><i>Induit, et dextra gestavit sceptra potenti.</i></p> -<p class="i01"><i>Hanc fortuna diu, Ligurumque potentia dives</i></p> -<p class="i01"><i>Eximiam regni proavorum tempore sedem</i></p> -<p class="i01"><i>Presserat, et longa victam ditione tenebat:</i></p> -<p class="i01"><i>Sed placidus princeps primævo cuncta decori</i></p> -<p class="i01"><i>Restituenda putans, injustis legibus illam</i></p> -<p class="i01"><i>Exemit, priscumque loco reparavit honorem.</i></p> -</div></div> - -<p> -Non vuol dire che si facesse coronare a Monza, ma che vi -comparve solennemente colla corona. Federico stette a Monza -cinque giorni, nei quali si consumarono mille carri di legna per -la sua cucina, e cento lire imperiali. <span class="smcap">Giulini.</span> -</p> - -<p> -Bonincontro riferisce questi versi in lode di Monza: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Monzia terra bona, civili digna corona.</i></p> -<p class="i01"><i>Monzia cunctorum dives et plena bonorum.</i></p> -<p class="i01"><i>Monzia dat drappos cunctis mercantibus aptos.</i></p> -<p class="i01"><i>Monzia stat damnis precibus defensa Johannis.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note124"> -<p><span class="label"><a href="#tag124">124</a>. </span><i>Scias omne jus populi in condendis legibus tibi concessum: -tua voluntas jus est, sicuti dicitur. Quod principi placuit, -legis habet vigorem, cum populus ei et in eo omne suum imperium -et potestatem concesserit.</i> <span class="smcap">Radevic.</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 4. -</p> - -<p> -La cronaca soggiunge che, cavalcando il Barbarossa fra -Bulgaro e Martino, domandò loro chi fosse padrone del mondo. -Martino asserì l’imperatore; ma Bulgaro sostenne non essere -lui padrone quanto alla proprietà. L’imperatore regalò a -Martino il proprio cavallo; onde Bulgaro disse: <i>Amisi equum, -quia dixi æquum quod non fuit æquum</i>. <span class="smcap">Otto Morena.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note125"> -<p><span class="label"><a href="#tag125">125</a>. </span>Radevico trova orrenda iniquità, non quella del Tedesco -che esponeva gli ostaggi, ma quella de’ nostri che li colpivano: -<i>Seditiosi, quod etiam Barbaris incognitum et dictu quidem -horrendum, auditu vero incredibile, non minus crebris ictibus -turres impellebant, neque eos sanguinis et naturalis vinculi -communio, neque ætatis movebat miseratio. Sicque aliquot ex -pueris, lapidibus icti, miserabiliter interierunt; alii, miserabilius -adhuc vivi superstites, crudelissimam necem, et diræ calamitatis -horrorem penduli expectabant: oh facinus!</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note126"> -<p><span class="label"><a href="#tag126">126</a>. </span><i>Propter destructionem Mediolani, omnes dederunt imperatori -præsto copiosam et immensam pecuniam.</i> <span class="smcap">Sire Raul</span>, -pag. 1187.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note127"> -<p><span class="label"><a href="#tag127">127</a>. </span>Tra i fautori del Barbarossa era Algiso abate del monastero -di Clivate, fondato da Desiderio re. Nel 1162 <i>Papie -post destructionem Mediolani</i>, Federico gli dava un ampio privilegio, -che comincia: <i>Cum ad promovendum imperii honorem -et ad debellandos hostes Imperii, præcipue Mediolanenses, -Italiam cum exercitu intraverimus, inter multos quidem fideles, -qui nobis in laboribus nostris fideliter adstiterunt, invenimus -venerabilem Algisum, Clivatensis ecclesiæ abbatem, quem devotissimum -nobis ac fidelissimum certis argumentis experti sumus. -Multis enim retrorsum abeuntibus, prædictus abbas fuit vir -fidelis, et constans nobis firmiter adhesit, et immobilis nobiscum -perseveravit etc.</i> Credo che ivi sia per la prima volta nominata -la Brianza. -</p> - -<p> -Le vittorie di Federico furono celebrate da un poeta popolare -innominato, da cui scegliamo poche strofe: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Salve mundi domine, Cæsar noster ave,</i></p> -<p class="i02"> <i>Cujus bonis omnibus jugum est suave;</i></p> -<p class="i02"> <i>Quisquis contra calcitrat, putans illud grave,</i></p> -<p class="i02"> <i>Obstinati cordis est, cervicis prave.</i></p> -<p class="i01"><i>Princeps terre principum, Cesar Friderice,</i></p> -<p class="i02"> <i>Cujus tuba titubant arces inimice,</i></p> -<p class="i02"> <i>Tibi colla subdimus tigres et formice,</i></p> -<p class="i02"> <i>Et cum cedris Libani vepres et mirice....</i></p> -<p class="i01"><i>Scimus per desidiam regum Romanorum</i></p> -<p class="i02"> <i>Ortas in imperio, spinas impiorum,</i></p> -<p class="i02"> <i>Et sumpsisse cornua multos populorum,</i></p> -<p class="i02"> <i>De quibus commemoro gentem Lombardorum;</i></p> -<p class="i01"><i>Que dum turres erigit more giganteo,</i></p> -<p class="i02"> <i>Volens altis turribus obviare Deo,</i></p> -<p class="i02"> <i>Contumax et fulmine digna ciclopeo,</i></p> -<p class="i02"> <i>Instituta principum sprevit ausu reo.</i></p> -<p class="i01"><i>De tributo Cesaris nemo cogitabat,</i></p> -<p class="i02"> <i>Omnes erant Cesares, nemo censum dabat;</i></p> -<p class="i02"> <i><span class="upright">Civitas Ambrosii</span> velut Troja stabat;</i></p> -<p class="i02"> <i>Deos parum, homines minus formidabat....</i></p> -<p class="i01"><i>Prima sua domino paruit <span class="upright">Papia</span>,</i></p> -<p class="i02"> <i>Urbs bona, flos urbium, clara, potens, pia,</i></p> -<p class="i02"> <i>Digna foret laudibus et topographia,</i></p> -<p class="i02"> <i>Nisi quod nunc utimur brevitatis via.</i></p> -<p class="i01"><i>Post Papiam ponitur urbs <span class="upright">Novariensis</span>,</i></p> -<p class="i02"> <i>Cujus in principio dimicavit ensis;</i></p> -<p class="i02"> <i>Frangens et reverberans viribus immensis</i></p> -<p class="i02"> <i>Impetum superbi Mediolanensis.</i></p> -<p class="i01"><i>Carmine, Novaria, sepe meo vives.</i></p> -<p class="i02"> <i>Cujus sunt per omnia commendandi cives:</i></p> -<p class="i02"> <i>Inter urbes alias eris laude dives,</i></p> -<p class="i02"> <i>Donec desint Alpibus frigora vel nives...</i></p> -<p class="i01"><i>Mediolanensium dolor est immensus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Pro dolore nimium conturbatur sensus;</i></p> -<p class="i02"> <i>Civibus Ambrosii furor est accensus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Dum ab eis petitur, ut a servis, census.</i></p> -<p class="i01"><i>Interim precipio tibi, Constantine,</i></p> -<p class="i02"> <i>Jam depone dexteram, tue cessent mine;</i></p> -<p class="i02"> <i>Mediolanensium tante sunt ruine,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quot in urbe media modo regnant spine,</i></p> -<p class="i01"><i>Tantus erat populus atque locus ille,</i></p> -<p class="i02"> <i>Si venisset Grecia tota cum Achille,</i></p> -<p class="i02"> <i>In qua tot sunt menia, tot potentes ville,</i></p> -<p class="i02"> <i>Non eam subjicere possent armis mille.</i></p> -<p class="i01"><i>Jussu tamen Cesaris obsidetur locus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Donec ita venditur esca sicut crocus:</i></p> -<p class="i02"> <i>In tanta penuria non est ibi jocus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Ludum tandem Cesaris terminavit rocus...</i></p> -<p class="i01"><i>Erant in Italia greges vispillonum,</i></p> -<p class="i02"> <i>Semitas obsederat rabies predonum,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quorum cor ad scelera semper erat pronum,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quibus malum facere videbatur bonum.</i></p> -<p class="i01"><i>Cesaris est gloria, Cesaris est donum</i></p> -<p class="i02"> <i>Quod jam patent omnibus vie regionum,</i></p> -<p class="i02"> <i>Dum ventis exposita corpora latronum</i></p> -<p class="i02"> <i>Surda flautis, Boree captant aure sonum...</i></p> -<p class="i01"><i>Jam tiranno siculo Siculi detrectant,</i></p> -<p class="i02"> <i>Siculi Te sitiunt, Cesar, et expectant,</i></p> -<p class="i02"> <i>Jam libenter <span class="upright">Apuli</span> tibi genuflectant,</i></p> -<p class="i02"> <i>Mirantur quid detinet, oculos humectant...</i></p> -<p class="i01"><i>Imperator nobilis, age sicut agis,</i></p> -<p class="i02"> <i>Sicut exaltatus es, exaltare magis!</i></p> -<p class="i02"> <i>Fove tuos subditos, hostes cede plagis,</i></p> -<p class="i02"> <i>Super eos irruens ultione stragis.</i></p> -</div></div> - -<p> -Apud <span class="smcap">Grimm</span>, <i>Geschichte des Mittelalters aus König Friedrich -der Staufen und aus seiner wie der nächstfolgenden Zeit.</i> -Berlino 1845.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note128"> -<p><span class="label"><a href="#tag128">128</a>. </span><i>Sicque factum est, quod Lombardi, qui inter alias nationes -libertatis singularitate gaudebant, pro Mediolani invidia, -cum Mediolano pariter corruerent, et se Teutonicorum servituti -misere subdiderunt.</i> Cron. Salern.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note129"> -<p><span class="label"><a href="#tag129">129</a>. </span><i>Episcopi, marchiones, comites, capitanei, aliique etiam -proceres, ac quamplures alii etiam Longobardiæ homines, tam -magni quam parvi, alii cum crucibus, alii sine crucibus, ante -imperatorem venientes, de imperatoris procuratoribus nimis -valde conquerebantur..... Ipse, quærimonias Longobardorum -quasi vilipendens, et pro nihilo habens, nihil inde fecit.</i> <span class="smcap">Otto -Morena</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note130"> -<p><span class="label"><a href="#tag130">130</a>. </span>Il giuramento fu rinnovato nel 1170 in questi termini: -<i>In nomine Domini, amen. Ego juro ad sancta Dei evangelia -quod non faciam neque treguam, neque guerram recredutam, nec -aliquam concordiam cum Frederico imperatore, neque cum filiis -ejus, nec cum uxore ejus, neque cum alia quacumque persona -ejus nomine, nec per me, nec per aliam quamcumque personam, -et ab alio homine facta, non habebo ratam. Et bona fide pro meo -posse operam dabo viribus quibuscumque potero, ne aliquis exercitus -modicus vel magnus de Alemannia, vel de alia terra imperatoris -quæ sit ultra montes, intret Italiam. Et si prædictus -exercitus intraverit, ego vivam guerram faciam imperatori et -omnibus illis personis quæ modo sunt ex parte imperatoris, vel -pro tempore fuerint, per quas prædictus exercitus debeat exire -de Italia, donec prædictus exercitus de Italia exeat. Ego bona -fide, per me et per omnes personas, totius meæ virtutis salvabo et -guardabo personas et res omnium hominum societatis Lombardiæ, -Marchiæ et Romaniæ, et nominatim dominum marchionem -Malaspinam, et omnes personas quæ modo sunt in societate vel -extra. Et ego nullam concordiam feci vel faciam cum imperatore -constantinopolitano.... sine consilio credentiæ cujusque civitatis... -Et filios meos qui sunt in ætate quatuordecim annorum, infra -duos menses..... faciam jurare omnia prædicta et attendere.</i> -</p> - -<p> -Disputano di qual Enrico si tratti: e poco importa; ma tanto -basta per ismentire l’asserzione del Sigonio, e tanto più l’estensione -datavi dal Sismondi, che Ottone avesse, con una costituzione -generale, liberati i municipj. A quella si sarebbero appellati, -non a consuetudini incerte.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note131"> -<p><span class="label"><a href="#tag131">131</a>. </span>Giovanni di Sarisbery, <i>ep.</i> 210, ap. <span class="smcap">Labbe</span>, <i>Concil.</i>, -tom. <span class="smcap lowercase">X</span>. 1450.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note132"> -<p><span class="label"><a href="#tag132">132</a>. </span><i>Montes aureos et cum honore et gloria imperii gratiam -sempiternam.</i> <span class="smcap">Tommaso de Cantuaria</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note133"> -<p><span class="label"><a href="#tag133">133</a>. </span>Buoncompagno maestro fiorentino narrò quell’assedio -(<i>Rer. it. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>). Egli sclama: <i>Non credam Italiam posse -fieri tributariam alicui, nisi Italicorum malitia procederet ac -livore; in legibus enim habetur: Non est provincia, sed domina -provinciarum.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note134"> -<p><span class="label"><a href="#tag134">134</a>. </span>Il terreno su cui venne costruita Alessandria apparteneva -ai marchesi del Bosco, i quali lo cedettero nel 1180 in -feudo ai cittadini di quella, colle ville Marenzana e Ponzano, -assolvendo da ogni fedeltà i villani, arimanni, mercanti, artieri -di esse terre, <i>Monumenta Aquensia</i>. -</p> - -<p> -Al vescovado d’Alessandria il papa avea voluto aggregare -quello di Acqui; ma gli Acquensi resistettero accannitamente, e -ne venne guerra, finchè Innocenzo III disgiunse novamente le -due diocesi. Vedi <span class="smcap">Chenna</span>, <i>Del vescovato di Alessandria</i>, 1790.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note135"> -<p><span class="label"><a href="#tag135">135</a>. </span>Il primo aveva egli menato nel 1154; il secondo nell’estate -1158; il terzo gli fu condotto l’anno dopo dalla imperatrice; -il quarto fu de’ principi germanici che distrussero -Milano; col quinto Federico osteggiò Roma, e lo perdette di -febbri; il sesto fece mala impresa ad Alessandria; il settimo fu -sconfitto a Legnano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note136"> -<p><span class="label"><a href="#tag136">136</a>. </span><span class="smcap">Card. Arrag.</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 468.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note137"> -<p><span class="label"><a href="#tag137">137</a>. </span>Secondo gli atti prodotti dal Muratori, <i>Antiq. ital. medii -ævi</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLVIII</span>, i luoghi e le persone del partito imperiale erano -Cremona, Pavia, Genova, Tortona, Asti, Alba, Acqui, Torino, -Ivrea, Ventimiglia, Savona, Albenga, Casale di Sant’Evasio, -Montevelio, Castel Bolognese, Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, -Forlimpopoli, Cesena, Rimini, Castrocaro, il marchese di Monferrato, -i conti di Biandrate, i marchesi del Guasto e del Bosco, -e i conti di Lomello. All’incontro nella Lega di Lombardia erano -Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Ferrara, -Mantova, Bergamo, Lodi, Milano, Como (benchè da noi poco -fa veduto aderente a Federico), Novara, Vercelli, Alessandria, -Carsino e Belmonte, Piacenza, Bobbio, Obizo Malaspina marchese, -Parma, Reggio, Modena, Bologna, Doccia, San Cassano, -ed altri luoghi e persone dell’Esarcato e della Lombardia.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note138"> -<p><span class="label"><a href="#tag138">138</a>. </span><span class="smcap">Romoaldo Salern.</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 220.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note139"> -<p><span class="label"><a href="#tag139">139</a>. </span><span class="smcap">Gaufridi Vosiensis</span> <i>Chron.</i> Il fatto del piede posto sul -collo di Federico fu sostenuto in prima dal benedettino Fortunato -Olmo nel 1629, <i>Historia della venuta a Venetia occultamente -nel 1177 di papa Alessandro III, e della vittoria ottenuta -da Sebastiano Ziani doge</i>; e ultimamente da Carlo Lodovico -Ring, nel <i>Saggio storico per illustrare un fatto finora messo in -dubbio della vita di due contemporanei, aspiranti entrambi alla -signoria del mondo</i> (ted.); Stuttgard 1835. Nel Cicogna, <i>Iscriz. -venete</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 574-93, è una dissertazione di Angelo Zon -sulla venuta di Alessandro III a Venezia. A Venezia si trovavano -già rifuggiti moltissimi vescovi di Lombardia, cacciati da -altri scismatici; v’accorse poi grandissima folla di prelati e -signori; ed è curioso documento una cronaca che riferisce uno -per uno questi personaggi col loro seguito. Per dire solo d’alcuni -Italiani, Girardo arcivescovo di Ravenna giunse con settanta -uomini; Lodovico vescovo di Brescia con un abbate e trenta -uomini; e così Salomone di Trento; Tebaldo di Piacenza con -due preposti e venti uomini; Guala di Bergamo con dodici; -Alberico di Lodi coll’abate di San Pietro, e il prevosto di San -Geminiano e quattro consoli, con diciannove uomini; Offredo di -Cremona con quaranta; Anselmo di Como col suo arcidiacono e -quaranta uomini; Algiso arcivescovo di Milano con Milone -vescovo di Torino, coll’arcidiacono e arciprete suo e l’abate di -San Dionigi e uomini sessanta; e così gli altri vescovi. Seguono -Corrado marchese di Monferrato con venti uomini, il marchese -Moruello Malaspina con cenquindici, il podestà di Verona con -sessanta uomini, e due avvocati de’ Veronesi con undici; il -podestà di Bergamo con venti, di Vercelli con sedici; dieci consoli -di Cremona con novantacinque uomini, quattro di Piacenza -con trentacinque, quattro di Novara con sedici, quattro d’Alessandria -con trentacinque; il podestà di Bologna con quindici -uomini; quattro consoli di Milano con trenta; il conte di Biandrate -con ventisette; Ezelino da Treviso con trenta; nove cattanei -di Treviso con quarantacinque; i marchesi d’Este con -centottanta; il conte Guido Guerra con cento; e lasciamo indietro -altri; i Tedeschi aveano più numerosi accompagnamenti. -Il cronista soggiunge: «De zascheduna zittade de Lombardia -e de la Marca e de Toscana e de Romagna e de la Marca d’Ancona -ve fò catanii e possenti homeni, lo nome e lo numero deli -quali no savemo. Suma lo numero de le persone numerade e i -so prinzipali nominadi per nome, in tutto homeni 6390». <span class="smcap">Olmo</span>, -op. cit.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note140"> -<p><span class="label"><a href="#tag140">140</a>. </span>Vedi <span class="smcap">Carlini</span>, <i>De pace Constantiæ disquisitio</i>. Verona -1763; <span class="smcap">Giac. Durando</span>, <i>Saggio sulla Lega Lombarda e sulla pace -di Costanza</i>, nel vol. <span class="smcap lowercase">XL</span> delle <i>Memorie dell’Accademia di Torino</i>. -</p> - -<p> -Frà Jacopo d’Acqui aggiunge che i Veneziani voleano che il -loro doge al banchetto sedesse a fianco del Barbarossa: ma -questi pigliò il sedile preparatogli e lo pose sopra il suo, e si -sedè così in alto, mentre <i>quel villano</i>, com’esso il chiamava, -dovè sedere sulla panca.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note141"> -<p><span class="label"><a href="#tag141">141</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Centum mille noto pro Christi tempore toto</i></p> -<p class="i01"><i>Octaginta datis super his et quinque peractis,</i></p> -<p class="i01"><i>Sub mense maji Federico cæsare stante</i></p> -<p class="i01"><i>Septima lux mensis præerat factis gerendis,</i></p> -<p class="i01"><i>Cum relevata fuit Crema, statumque resumsit.</i></p> -<p class="i01"><i>Per Placentinos grates meruere divinas,</i></p> -<p class="i01"><i>Unde Cremonenses doleant et sine modo flentes</i></p> -<p class="i01"><i>Et fletu quorum lætetur quisque virorum.</i></p> -<p class="i06"> Iscriz. presso <span class="smcap">Alamanno Fino</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note142"> -<p><span class="label"><a href="#tag142">142</a>. </span><span class="smcap">Tutini</span>, <i>Disc. de’ sette uffizj</i>, pag. 34. Nell’archivio di -Napoli è copia autentica di questo catalogo. Registro di Carlo II -al 1322, da pag. 14 alla 63.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note143"> -<p><span class="label"><a href="#tag143">143</a>. </span>Quella del Barbarossa è l’età eroica delle repubbliche -italiane, che perciò v’attaccarono ciascuna tradizioni particolari, -singolarmente sulla tirannia de’ suoi podestà, e sul modo con -cui se ne redensero. A Bergamo ricordasi un’Antonia, nobile -verginella, rimasta viva nella strage del 1168, e che insidiata -dal Barbarossa, nè potendo altrimenti salvare l’onestà, si uccise. -<i>Vedi</i> <span class="smcap">Calvi</span>. I Comaschi nominano ancora con orrore il podestà -Pagano; e i Cremonesi vantano Zanino dalla Balla, o Baldesio, -che però altri portano ai tempi di Enrico III. Un altro Pagano -tiranneggiava Padova, che rapì Speronella moglie di Jacopino da -Carrara: ma i Padovani se ne vendicarono cacciandolo; donde -cominciò l’annua festa del san Giovanni, ecc. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Hans Prutz</span>, <i>Kaiser Friedrich I</i> (Danzica 1871-74, 3 volumi), -è una continua giustificazione di quell’imperatore, rimasto leggendario -fra i Tedeschi: aver mosso guerra ai Comuni Lombardi -sol come ostacolo che erano al suo concetto di sottoporre -tutta l’Italia e per essa il Mediterraneo, e in conseguenza tutto -il mondo civile, istituendo la vera grandezza dell’impero germanico. -«La distruzione di Milano era un avvenimento destinato -ad aprire una nuova splendida epoca del regno di Federico».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note144"> -<p><span class="label"><a href="#tag144">144</a>. </span><span class="smcap">Giulini</span>, part. <span class="smcap lowercase">VII</span>. l. 48. — <i>Dilectorum fidelium nostrorum</i> -<i>civium Mediolanensium strenuitatem, fidem ac devotionem, quo, -ferventiori ceteris affectu, nostræ in dies dignationi gratiores se -exhibent.</i> Ap. <span class="smcap">Puricelli</span>, <i>Monum. Eccl. Ambrosianæ</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note145"> -<p><span class="label"><a href="#tag145">145</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 622.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note146"> -<p><span class="label"><a href="#tag146">146</a>. </span>Federico, nell’investire Aicardo dei feudi di Robbio, Confienza, -Palestro, Rivautella nel Vercellese, stabilisce <i>Quod si ipse vel heredes sui justitiam de hominibus suis facere obmiserint, -legatus noster justitiam de eis faciat; et si aliquis adversus eum -vel heredes suos querimoniam coram nobis deposuerit, vel ad -curiam nostram <span class="upright">appellaverit</span>, coram legatis nostris indubitanter -veniant justitiam facturi et accepturi</i>. Monum. Hist. -patriæ, <i>Chart.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>. 894. -</p> - -<p> -Fra tanti altri esempj dell’importuna intervenzione regia -negli interessi anche privati citerò solo un privilegio dato il -1162 dal Barbarossa stesso ad Enrico vescovo di Como, per cui, -visti i gravi debiti della chiesa comasca, le rimette non solo -gl’interessi, ma anche i capitali, salvo quelli che si trovassero -prestati a servizio regio o per utilità della Chiesa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note147"> -<p><span class="label"><a href="#tag147">147</a>. </span>Nel 1189 Enrico concede al vescovo Lanfranco di Bergamo -di risolvere gli appelli ad esso re riservati, dandone notizia -<i>fidelibus suis comitibus, nobilibus, consulibus, et universo -populo in civitate et per totum pergamensem episcopatum constituto</i>. -Ap. <span class="smcap">Lupo</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 1599.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note148"> -<p><span class="label"><a href="#tag148">148</a>. </span>È nelle <i>Lettere</i> di Pier dalle Vigne, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. c. 1: <i>Te de -latere nostro sumptum generalem vicarium a Papia inferius in -Lombardia, ad eos velut conscientiæ nostræ conscium pro conservatione -pacis et justitiæ specialiter destinamus, ut vices -nostras universaliter geras ibidem. Nec tamen te sola vicarii -potestate volumus esse contentum, licet solo vicarii nomine censearis; -sed tibi usque ad aliud mandatum nostrum adjicimus -officium <span class="upright">præsidiatus</span>, concedentes tibi merum et purum imperium -et gladii potestatem, et ut facinorosos animadvertere valeas -vice nostra purgando provinciam, malefactores inquiras, et -punias inquisitos et specialiter eos qui stratas et itinera publica -ausu temerario violare præsumunt. Criminales etiam quæstiones -audias et civiles, quarum cognitio si præsentes essemus ad nostrum -auditum pertinet. Liberaliter quoque audias et determines -quæstiones; et imponendi banna et multas ubi expedierit, auctoritatem -tibi plenariam impertimur. Decreta utique interponas, -quæ super transactione alimentorum, alienatione ecclesiasticarum -rerum et tuitione minorum, secundum justitiam interponi -petuntur. Tutores etiam et curatores dandi quibuslibet tibi concedimus -potestatem. Et ut majoribus et minoribus, quibus universa -jura succurrunt, causa cognita, restitutionis in integrum -beneficium valeas impertiri, ad audientiam quoque tuam, tam -in criminalibus quam in civilibus causis, appellationes adferri -volumus, quas a sententiis ordinariorum judicum et eorum -omnium, qui jurisdictionem ab imperio sunt nacti, in provincia -ipsa, videlicet a Papia inferius in Lombardia (prout superius -dictum est) contigerit interponi. Ita tamen quod inde a sententia -tua ad audientiam nostri culminis possit libere provocari, nisi -vel causæ qualitas vel appellationum numerus appellationis -auxilium adimat appellanti. Quapropter fidelitati tuæ firmiter -et districte præcipiendo mandamus, quatenus ad statum pacificum -regionis ipsius et recuperationem nostrorum et imperii -virium, in eamdem fidem tuam et sollicitudinem, sicut gratiam -nostram charam diligis, sic efficaciter et diligenter impendas...</i> -È pubblicata anche con qualche diversità nei <i>Monum. hist. -patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 1400.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note149"> -<p><span class="label"><a href="#tag149">149</a>. </span><span class="smcap">Bonincontro Morigia</span>, <i>Chron. Modoetiæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 116: -<span class="smcap">Ptolomei Lucensis</span>, <i>Hist. eccl.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XXIV</span>. c. 21. — L’ultimo atto -che io conosca di volontaria giurisdizione esercitata da un messo -regio, è del 1223, e sta nell’archivio della semicattedrale di -Lugano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note150"> -<p><span class="label"><a href="#tag150">150</a>. </span><i>Rossus, Guadardus et Guillelmus, majores Lucanæ civitatis -consules, quisque pro se ad sancta Dei evangelia juravit ita:</i> -</p> - -<p> -<i>Ego ab hac hora in antea fidelis ero domini Frederici Romanorum -imperatoris, sicut de jure debeo domino imperatori meo; -et non ero in facto vel in consilio sive auxilio quod perdat vitam -vel membra sua, vel coronam, vel imperium seu honorem suum, -vel quod in captione aliqua contra voluntatem suam teneatur; et -bona fide juvabo eum retinere coronam et honorem suum, et -nominatim civitatem Lucanam et ejus comitatum, et quæcumque -regalia, quæ de jure in ea debet habere intus vel foris. Hæc -omnia contra omnes adjuvabo eum retinere bona fide, et si perdiderit -recuperare; et credentias suas, quas per se vel per suum -certum missum, vel per suas literas certas mihi significaverit, -bona fide celabo; et præcepta ejus quæ mihi fecerit de pace servanda, -vel guerra in Tuscia facenda, sive de regalibus suis adimplebo, -nisi per parabolam domini imperatoris, vel domini archicancellarii, -vel ejus certi missi remanserit; et fodrum ei per -episcopatum et comitatum Lucanum bona fide recolligi juvabo, -cum ab ejus certo misso ad hoc destinatus requisitus fuero. Et -homines civitatis Lucanæ idem sacramentum fidelitatis domini -imperatoris pro posse meo jurare faciam bona fide. Et stratam -non offendam, et ne ab aliquo offendatur bona fide pro posse -meo defendam et vindicabo. Et dabo domino imperatori Frederico, -in expeditione versus Romam, Apuliam et Calabriam, -milites viginti, et ad illos terminos, quos dominus imperator per -se vel per certum suum missum ad hoc destinatum imposuerit -mihi. Et conventionem factam de pecunia quadringentarum -librarum annuatim solvenda observabo; et nullum recipiam in -consulatu, qui hoc sacramentum de pecunia solvenda non -juret....</i> -</p> - -<p> -<i>Concordia vero inter nos et Lucanos consules quomodo sit et -esse debeat, per Rainaldum Coloniensem electum, et archicancellarium -Italiæ atque imperatoriæ majestatis legatum facta, talis -est; videlicet quod ipsi consules, a proximis kalendis augusti -usque ad sex annos, debeant omnia regalia quæ habent, tam in -civitate quam extra, salvo fodro domini imperatoris, extra civitatem -libere tenere dando in Purificatione beatæ Mariæ in unoquoque -anno domino Frederico imperatori, vel suo certo misso -nominatim ad hoc delegato, quadringentas libras lucanæ monetæ -publice probatæ; et ipsis sex annis transactis, ipsa prælibata -regalia prælibato domino imperatoris resignabunt, et per parabolam -prædicti Frederici imperatoris vel ejusdem Rainaldi Coloniensis -electi, et Italiæ archicancellarii, vel sui certi missi ad -hoc destinati.</i> -</p> - -<p> -<i>Præterea dominus imperator concedit civitati Lucanæ, ut -eligant omni anno ex se consules quos voluerint, qui debeant -jurare, ita videlicet, quod guidabunt et regent populum et civitatem -Lucanam ad honorem Dei, et ad servitium domini imperatoris -Frederici, et ad ipsius civitatis salvamentum. Et ex ipsis -consulibus qui electi fuerint, ibunt omni anno in præsentia -ipsius domini imperatoris Frederici si in Italia fuerit, aut unus -si in Alemania fuerit, recepturi investituram a domino imperatore -vice omnium. Et si domino imperatori placuerit quod -Lucæ solvant duci solidos mille quos convenerunt, tanto minus -domino imperatori de prædicta pecunia usque ad prædictum -terminum solvere debent; alias secundum prædictum ordinem -totum solvere debent. Item consules qui fuerunt electi omni anno, -si non habuerint juratam domino imperatori fidelitatem, eam -jurare debent.</i> -</p> - -<p> -<i>Et hanc totam conventionem nostram per nostrum mandatum -et auctoritatem ab eodem Coloniensi electo et Italiæ archicancellario -factam præsentis paginæ scripto corroboramus, ac -sigillo majestatis nostræ confirmamus.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note151"> -<p><span class="label"><a href="#tag151">151</a>. </span><i>Ad legem et justitiam facendam, gubernandum per te et -tuum nuntium, ita sicut nos et noster nuntius agere debuissemus.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note152"> -<p><span class="label"><a href="#tag152">152</a>. </span><span class="smcap">Tommaso</span>, <i>Sommario</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 5. — Atti d’autorità sovrana, -esercitati da Enrico VI ancor vivo il padre, già ne vedemmo al -Cap. <span class="smcap lowercase">LXXXI</span>. Un altro esempio ce n’offrono i <i>Monumenta Historiæ -patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 945, dove esso re nel 1187 conferma una -sentenza dei consoli d’Asti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note153"> -<p><span class="label"><a href="#tag153">153</a>. </span>Egli conferma il privilegio che riportammo alla nota 34 -del Cap. <span class="smcap lowercase">LXXXI</span>. Le spiegazioni che se ne danno nel vol. <span class="smcap lowercase">I</span> delle -<i>Memorie e docum. per servire alla storia lucchese</i> non reggono -coi nuovi lumi storici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note154"> -<p><span class="label"><a href="#tag154">154</a>. </span>...... <i>Civitatis Lucæ fideles nostri majestati nostræ -humiliter supplicarunt, ut castrum Motronis, Montifegatensi, et -castrum Luliani, quæ sunt de Carfagnana, cum omnibus eorum -et cujusque eorum rationibus, pertinentiis, jurisdictionibus et -districtu, eis concedere in perpetuum, et dare licentiam eidem -communi recipiendi et retinendi homines et personas quaslibet -Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum, qui vel quæ effici -voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives civitatis ejusdem -et eisdem hominibus et personis veniendi ad eamdem civitatem ad -habitandum, si voluerint, vel alias se concives faciendi, et quod -liceat communibus et aliis singularibus personis de Carfagnana -recipere potestates et rectores civitatis praedictæ de gratia nostri -culminis dignaremur. Nos vero ejusdem communis nostrorum -fidelium supplicationibus benignius inclinati, attendentes etiam -grata et accepta servitia quæ idem commune majestati nostræ -exhibuit, hactenus exhibet in præsenti, et quæ exhibere poterit -in futurum, eidem communi castra de Carfagnana superius -denotata cum omnibus eorum et cujusque eorum rationibus, pertinentiis, -jurisdictionibus et districtu concedimus, nec non ipsis -licentiam recipiendi et retinendi homines et quaslibet personas -Carfagnanæ fideles nostros in concives eorum, qui vel quæ effici -voluerint habitatores et incolæ, vel alias concives civitatis ejusdem, -et eisdem hominibus et personis veniendi ad ipsam civitatem ad -habitandum si voluerit, vel alias se concives faciendi, et hominibus -et aliis singularibus personis de Carfagnana recipiendi -potestates et rectores civitatis prædictæ de gratia majestatis -nostræ et plenitudine potestatis, salva in omnibus imperiali -justitia.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note155"> -<p><span class="label"><a href="#tag155">155</a>. </span>... <i>Licet nos olim provinciam Carfagnanæ cum juribus -et pertinentiis suis Henrico juniori illustri regi Sardiniæ, sacri -imperii in Italia generali legato, dilecto filio nostro, de mera -donatione nostra duximus conferendam; attendentes tamen fidei -puræ zelum quem communi Lucæ fideles erga majestatis nostræ -personam habere noscuntur... provinciam ipsam cum castris, -villis, hominibus, jurisdictionibus, possessionibus, terris cultis et -incultis, aquis et aquarum decursibus, justitiis, rationibus -omnibus et pertinentiis suis, videlicet quæ de dimanio in dimanium, -et quæ de servitio in servitium eidem communi fidelibus -nostris in fide et devotione nostra persistentibus, in <span class="upright">rectum -feudum</span> duximus concedendum. Ita tamen quod provincia ipsa -a nobis et successoribus nostris in perpetuum nomine recti feudi -de cætero teneant, sicut tenent alias terras eorum districtus, et a -nobis et imperio recognoscunt, eis olim a divis augustis progenitoribus -nostris concessas, et a nobis postmodum confirmatas, -debita quoque et consueta servitia proinde nobis et imperio facere -teneantur.</i> -</p> - -<p> -Le concessioni imperiali non di rado s’intralciano e si contraddicono. -Nel 1163 Federico Barbarossa da Lodi dava un diploma, -ricevendo sotto la sua protezione, cioè affrancando il borgo e -gli uomini di Sarzana, concedendo un mercato ogni sabbato, la -libera scelta de’ proprj consoli ecc.: diploma confermato da -Federico II il 1226. Ora nel 1185 lo stesso Barbarossa assegnava -al vescovo di Luni la giurisdizione, il bando, il mercato, la pesca, -il distretto, insomma la signoria sui popoli di Santo Stefano e -Sarzana. Nel 1355 Carlo IV, scialacquatore di privilegi, confermava -al vescovo lunese il diploma di Federico: eppure al tempo -stesso dava in feudo ai marchesi Malaspina e alla città di Pisa -molte terre comprese in quella concessione.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note156"> -<p><span class="label"><a href="#tag156">156</a>. </span><i>Breve recordacionis de Ardicio de Aimonibus.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note157"> -<p><span class="label"><a href="#tag157">157</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 813.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note158"> -<p><span class="label"><a href="#tag158">158</a>. </span>Da <i>credere</i> in senso d’affidare, usato dai Latini e dai -nostri. In un placito di Limonta dell’888: <i>Cum ibi essent nobiles</i> -<i>et credentes homines, liberi arimanni, habitantes Belasio loco.</i> -Antiq. M. Æ., diss. <span class="smcap lowercase">XLI</span>. — <i>Quisquis in hujuscemodi tribunalis -consilium admittebatur, jurabat in credentiam consulum, hoc est -se tacite retenturum quæcumque eo in consilio dicta vel acta fuissent, -nec enunciaturum uspiam in profanum vulgus.</i> Rer. It. -Scrip., <span class="smcap lowercase">VI</span>. 962. E nell’Ariosto: «Nelle cui man s’era creduta». — <i>Homines -credentes</i> valea quanto uomini di credito, fededegni: -«Vincenzo di Naldo, fiorentino, uomo molto creduto in quel -contado». <span class="smcap">Bembo</span>, <i>Storia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note159"> -<p><span class="label"><a href="#tag159">159</a>. </span>Il Serra, <i>Storia della Liguria</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>, 277, lo adduce come del -950: ma pare da mettere fra il 1121 e il 1130. Vedi <span class="smcap">Vincent</span>, -<i>Hist. de la rép. de Gênes</i>. Parigi 1842.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note160"> -<p><span class="label"><a href="#tag160">160</a>. </span>Alcuno immaginò che maggiori fossero quelli tolti dalla -nobiltà, minori quelli da plebei. Vedi <span class="smcap">Benvoglienti</span>, <i>Osservazioni -intorno agli statuti pistojesi</i>. Il contrario pensa Muratori, -<i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XLVI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note161"> -<p><span class="label"><a href="#tag161">161</a>. </span><i>Statuta Mantuæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. rub. 15.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note162"> -<p><span class="label"><a href="#tag162">162</a>. </span><span class="smcap">Mariotti</span>, <i>Saggio di mem. storiche civili ed ecclesiastiche -di Perugia</i>, 1806, pag. 248.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note163"> -<p><span class="label"><a href="#tag163">163</a>. </span><span class="smcap">Varchi</span>, <i>Ercolano</i>. Il Muratori (<i>Antiq. M. Æ.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>) -pubblicò l’<i>Oculus pastoralis pascens officia et continens radium -dulcibus pomis suis</i>, che è un’istruzione ad un futuro podestà -intorno a tutte le parti del suo uffizio: ma è forse opera di -qualche monaco, più attento alla parte morale che alla giuridica; -come fa pure ser Brunetto Latini, nel lib. <span class="smcap lowercase">IX</span> del suo <i>Tesoro</i>, -dove largamente divisa i doveri del podestà. Fra le altre cose -dice: — Sopra tutte cose debbe il podestà fare che la città che -ha suo governamento, sia in buono stato, senza briga e senza -forfatto. E questo non può fare, s’egli non fa che li malfattori, -ladroni e falsatori sieno fuori del paese: chè la legge comanda -bene che ’l signore possa purgare il paese della mala gente. -Però ha egli la signoria sopra i forestieri e sopra’ cittadini che -fanno li peccati nella sua jurisdizione, e non pertanto egli non -giudicherà a pena quello ch’è senza colpa: ch’egli è più santa -cosa a solvere un peccatore che dannare un giusto, e laida cosa -è che tu perda il nome d’innocenza per odio d’un nocente....... -Sopra li maleficj debbe il signore e i suoi uffiziali seguire il modo -del paese e l’ordine di ragione, in questa maniera. Prima debbe -quello che accusa giurare sopra il libro di dire il vero in accusando -e in difendendo, e che non vi mena nullo testimonio a suo -sciente; allora dee dare l’accusa in iscritto, ed il notajo la -scriva tutta a parola a parola, sì come egli la divisa: si dee -inchiedere da lui medesimo diligentemente ciò ch’egli o li giudici -od i signori crederanno apertamente che sia del fatto, o -della cosa: e poi si mandi a richiedere quelli che è accusato del -maleficio; e s’egli viene, sì lo faccia giurare e sicurare la corte -dei malfattori, e metta in iscritto sua confessione e sua negazione, -sì come egli dice: e se non dai malfattori, o che ’l maleficio -sia troppo grande, allora debbe il signore od il giudice -porre il dì da provare, e da ricevere li testimonj che vegnono, -e costringere quelli che non vegnono, ed esaminar ogni cosa -bene e saviamente, e mettere li detti in iscritto: e quando i -testimonj sono ben ricevuti, il giudice ed il notajo debbon far -richiedere le parti dinanzi da loro; e s’elli vegnono, si debbon -aprire li detti de’ testimonj, e darli a ciascuno perchè si possano -consigliare e mostrar loro ragione. Ora addiviene alcuna volta -ne’ grandi maleficj, che non possono essere provati interamente, -ma l’uomo trova ben contra quelli ch’è accusato alcuno segno e -forti argomenti di sospezione: a quel punto il può l’uomo mettere -alla colla per farli confessare la colpa, altrimenti no; e si -dico io, ch’alla colla il giudice non deve dimandare se Giovanni -fece maleficio, ma generalmente dee dimandare chi ’l fece».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note164"> -<p><span class="label"><a href="#tag164">164</a>. </span><span class="smcap">Serra</span>, <i>Storia della Liguria</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 8: <span class="smcap">Giulini</span>, <i>Continuaz.</i>, -part. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 64; <i>Chron. parmense</i>, Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">IX</span>. 819; -<span class="smcap">Corio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. — I patti del podestà di Genova sono divisati nei -<i>Monumenta Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 1334.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note165"> -<p><span class="label"><a href="#tag165">165</a>. </span>Ma se io non potrò avere lo delinquente, puniroe lo -figliuol suo, u vero li figliuoli del delinquente, se lui u se loro -potrò avere. Ma se lo figliuolo u vero li figliuoli del delinquente -aver non potrò, puniroe lo padre del delinquente, se io lo potrò -avere, così in avere come in persona ad mio arbitrio..... Et -non dimeno li loro beni, poichè in del bando saranno incorsi, -siano pubblicati al comune di Pisa, et siano guasti et distructi -così in de la città come in del contado in tutto, sicchè poi non -si rifacciano, nè rifare li permetterò nè abitare u lavorare u -vendere u alienare. Et ciascheduno che li abitasse, lavorasse, -vendesse, alienasse, comprasse et per qualunque altro titolo -ricevesse, puniroe... -</p> - -<p> -«Et intorno alle suprascripte tutte cose investigare et trovare -io capitano abbia pieno, libero et generale arbitrio così in -ponere ad questioni et tormenti et punire in avere et persona -come eziandio ad tutte altre cose..... Et ad catuna persona che -cotale malefactore prendesse et preso a me capitano l’apprezentasse -u vero uccidesse, darò u farò dare dei beni del comune di -Pisa 1. <span class="smcap lowercase">M</span>. di danari...» <i>Statuto di Pisa, ms.</i> § 12.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note166"> -<p><span class="label"><a href="#tag166">166</a>. </span>Nella <i>Cronaca di Padova</i> trovo Galvano Lanza podestà -nel 1243 e 44; Guzelo de Prata nel 1247, 48, 49; Ansedisio de’ -Guidotti da Treviso dal 1250 al 55. Vero è che erano i tempi -della tirannia di Federico II e di Ezelino. -</p> - -<p> -Parma aveva un podestà nel 1175 (<span class="smcap">Affò</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 259): Cremona nel -1180 (<i>R. I. S.</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 635); Faenza nel 1184 (<i>Rerum Favent. Script.</i>, -c. 82): Genova nel 1191 (<i>R. I. S.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>. 364); Firenze nel 1193 con -Gerardo Caponsacchi, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note167"> -<p><span class="label"><a href="#tag167">167</a>. </span>Nel <i>Cod. Just.</i>, tit. <span class="smcap lowercase">XLIX</span>. l. 1 e nella <i>Nov.</i> <span class="smcap lowercase">VIII</span>. c. 9 è -comandato che gli uffiziali di provincia rimangano cinquanta -giorni in luogo, dopo scaduti di carica, per soddisfare a tutte le -doglianze. E cinquanta giorni sono prefissi nello statuto antico -di Pistoja (<i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. 70, al § 76); poi variò secondo -i paesi. Lo statuto di Torino <i>De sacramento DD. vicarii et -judicis</i> porta: <i>Juramus quod stabimus decem diebus in Taurino -post nostrum regimen, ad faciendam rationem cuilibet..... conquerenti -de nobis.</i> Quello di Roma: <i>Senator, finito suo officio, -cum omnibus judicibus et familiaribus et officialibus suis teneatur -stare et sistere personaliter decem diebus coram judice, sindico -deputando ad ratiocinia ejus; et coram ipso, ipse et officiales -prædicti teneantur de gestis et administratis et factis durante -officio reddere rationem, et unicuique conquerenti respondere de -jure, et omnibus satisfacere quibus de jure tenetur. De quibus -omnibus dictus judex summarie cognoscat, et intra decem dictos -dies causam decidat de plano, sine strepito et figura judicii, non -obstantibus feriis et non obstantibus solemnitatibus juris, dummodo -veritas discutiatur, et ad illam saltem respectus et consideratio -per judicem habeatur.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note168"> -<p><span class="label"><a href="#tag168">168</a>. </span><i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 684.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note169"> -<p><span class="label"><a href="#tag169">169</a>. </span><span class="smcap">Franco Sacchetti</span>, <i>Nov.</i> 196.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note170"> -<p><span class="label"><a href="#tag170">170</a>. </span><i>Capitaneus populi, ad defensionem libertatis et popularis -status, et ad observandam unionem civium principaliter est institutus -etc.</i> Statuti lucchesi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note171"> -<p><span class="label"><a href="#tag171">171</a>. </span>Una savia e piena informazione del governo di Firenze -dal 1280 al 92 è riportata nelle <i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>. -256.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note172"> -<p><span class="label"><a href="#tag172">172</a>. </span>Tale complicazione era espressa con questi versi popolari: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Trenta elegge il consegio;</p> -<p class="i01">De quai, nove hanno il megio:</p> -<p class="i01">Questi elegon quaranta,</p> -<p class="i01">Ma chi più in lor se vanta</p> -<p class="i01">Son dodese che fano</p> -<p class="i01">Venticinque: ma stano</p> -<p class="i01">De questi soli nove,</p> -<p class="i01">Che fan con le lor prove</p> -<p class="i01">Quarantacinque a ponto;</p> -<p class="i01">De quali ondese in conto</p> -<p class="i01">Elegon quarantuno,</p> -<p class="i01">Che chiusi tuti in uno</p> -<p class="i01">Con venticinque almeno</p> -<p class="i01">Voti fano el sereno</p> -<p class="i01">Principe che coregge</p> -<p class="i01">Statuti, ordine e legge.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note173"> -<p><span class="label"><a href="#tag173">173</a>. </span><i>Et non possit ire ad brevia vel esse consiliarius</i> (nè elettore -nè eletto) <i>qui non sit habitator Lucanæ civitatis, vel qui -sit extimatus minus</i> <span class="smcap lowercase">XXV</span> <i>libris, ad ultimas et proximiores extimationes -factas in camera Lucani communis</i>. Statuto lucchese -del 1308.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note174"> -<p><span class="label"><a href="#tag174">174</a>. </span>La varietà delle condizioni personali ci appare in questo -passo: — Il 1233, essendo podestà di Firenze Torello da Strada, -fece intendere a tutti gli abitatori del contado fiorentino che -venissero a comparire nella città, con esporre ai notaj de’ sestieri -a ciò deputati di che condizione si fossero; o fosse cavaliere -nobile (<i>per nascita</i>), o fattizio, o aloderio (<i>che aveva allodj</i>), -o masnadiere, o uomo d’altri, o fittajuolo, o lavoratore, o d’altra -condizione». <span class="smcap">Scipione Ammirato</span>, <i>Storie fiorentine</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note175"> -<p><span class="label"><a href="#tag175">175</a>. </span>Alcuni vollero argomentare la quantità de’ Longobardi -o de’ Romani o de’ Salici nei varj paesi e nei diversi tempi dai -nomi loro. Giudizio affatto inconcludente, e ne deduco poche -prove dai soli <i>Monumenta Hist. patriæ</i>: -</p> - -<p> -<i>Ego <span class="upright">Benedictus</span> filius quondam <span class="upright">Constanci</span>, qui professus -sum ex nacione mea legem vivere Langobardorum</i>. Chart. -<span class="smcap lowercase">I</span>. 458. Due altri suoi fratelli si chiamavano Garino e Giovanni. -</p> - -<p> -E viceversa al 1039: <i>Ego Amicus clericus, filius quondam -<span class="upright">Aldeprandi</span>, qui professus sum ex nacione mea lege vivere -romana.</i> -</p> - -<p> -E al 1069: <i>Ego <span class="upright">Aldeprandus</span> presbiter, filius quondam -<span class="upright">Constancii</span>, qui professus sum ex nacione mea legem vivere -Langobardorum</i>. -</p> - -<p> -Al 1071: <i>Ego <span class="upright">Drodo</span> filius quondam <span class="upright">Manfredi</span>, qui -professus sum ex nacione mea lege vivere romana.</i> -</p> - -<p> -Al 1074: <i>Ego <span class="upright">Adam</span> presbiter, filius quondam <span class="upright">Petri</span>, qui -professus sum ex nacione mea lege vivere Langobardorum.</i> -</p> - -<p> -Al 1088: <i><span class="upright">Oddo</span> presbiter, qui profitebat se ex nacione sua</i> -<i>lege vivere romana; e Villelmus subdiaconus, filius Verada femina, -qui profitetur se ex nacione sua lege vivere romana.</i> -</p> - -<p> -Al 1089: <i>Constat nos <span class="upright">Laurencius</span> et <span class="upright">Johannes</span> germani, -filii quondam <span class="upright">Gisulfo</span>, qui professus sum ex nacione -nostra legem vivere romanam;</i> e son firmati testimonj <i>Alberto -et Ricardo ambi lege viventes romana.</i> -</p> - -<p> -Al 1092 è un curioso documento di tutti gli abitanti di -Saorgio, con nomi d’ogni colore, <i>qui professi sumus omnes ex -natione nostra lege vivere romana.</i> -</p> - -<p> -V’ha di più. Anselmo, abate di San Gennaro di Lucedio al -1092, professando vivere a legge romana, promette non inquietare -il marchese Tebaldo; <i>et ad hunc confirmandum promissionis -breve, ego qui supra Anselmus abbas a te Tebaldus, exinde -launechild capa una, ut hec mea promissio firma permaneat.</i> -Coma c’entra il launechildo colla legge romana? -</p> - -<p> -Egualmente al 1098 Raiverto e Martino figli di Aldebrando, -e Bolesinda moglie di Raiverto <i>professi omnes ex nacione nostra -lege vivere romana</i>, fanno una vendita, dove Raiverto stipula -come mundualdo di Bolesinda, <i>jugale et mundualdo meo consentiente</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note176"> -<p><span class="label"><a href="#tag176">176</a>. </span>Zanfredolo da Besozzo nel 1321 diede statuti per le -terre d’Invorio, Garazuolo, Montegiasca presso il lago Maggiore, -da lui dipendenti. Il borgo di San Colombano li fece compilare -da dodici giurisperiti. Pompeo Neri conta cinquecento statuti -diversi nella sola Toscana, vissuti sino agli ultimi tempi, e anche -in piccole terre, come Montorsojo, Montopoli, Firenzuola, Parlascio, -Palaja, la badia di Vallombrosa, ecc. Abbiamo gli statuti -di Cremella in Brianza, della Val Taleggio nel 1368, della Valsassina -nel 1388, di Bovegno in val Trompia nel 1341, e d’altre -terre minime. -</p> - -<p> -Lo statuto più antico che si conoscesse era quello di Treviso -del 1207, ma Vittorio Mandelli, negli <i>Studj sul Comune di Vercelli -nel medioevo</i> (1857), trova indizio di statuti a Vercelli sin -dal 1187: e nel 1202 è mentovato il volume di essi, <i>super quo -jurabant potestas vel consules comunis et consules justiciæ.</i> -Questo Comune avrebbe fatto un bando per l’abolizione generale -della servitù della gleba sin dal 1243, mentre quel di -Bologna è solo del 1251.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note177"> -<p><span class="label"><a href="#tag177">177</a>. </span>L’illustre giureconsulto Azo (<i>Summa in</i> <span class="smcap lowercase">VIII</span> <i>libros Codicis</i>) -definiva che «la consuetudine è formatrice, abrogatrice ed interprete -della legge». I Veneziani, ne’ casi che la legge taceva, -rimettevansi all’intimo convincimento dei giudici; per le ordinanze -marittime, ne’ dubbj risolveva la signoria. I più antichi -statuti di Milano sono intitolati <i>Consuetudines</i> in un manoscritto -della biblioteca Ambrosiana del 1216; nel proemio alla riforma -di essi, pubblicata il 1396, vien detto essere costume antico che -negli atti pubblici fossero registrati da un notajo determinato -tutti gli editti e statuti che di tempo in tempo venivano pubblicati; -quest’archivista chiamavasi governatore degli statuti. -Quelli di Como sono del 1219, riformati il 1296. Fra’ più antichi -si noverano quei di Mantova del 1116, e di Pistoja del 1117. -Amedeo III di Savoja dava gli Statuti a Susa, confermati poi da -Tommaso suo nipote nel 1197. Aosta nel 1188 gli aveva da -Tommaso conte di Morienna. Davanti all’edizione della <i>Posta</i>, -cioè dello statuto di Verona, cominciato verso il 1150, compito -nel 1228, l’arciprete Carmagnola pubblicò una sentenza del -1140, data dai consoli d’essa città «secondo la lunghissima ed -antichissima consuetudine dei re, duchi, marchesi ed altri laici -principi e cherici, secondo la legge longobarda». Vedi <span class="smcap">Federico -Sclopis</span>, <i>St. della legislazione in Italia</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note178"> -<p><span class="label"><a href="#tag178">178</a>. </span><span class="smcap">Corio</span>, f. 131; <span class="smcap">Caffaro</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 384. — Peggio era -nello statuto veneto. Secondo il Corio, nessuno doveva asportar -grano dalla città nè altra grascia, o perderebbe il carro, i bovi, -i cavalli: se non potesse pagar la multa, gli si taglierebbe il -piede destro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note179"> -<p><span class="label"><a href="#tag179">179</a>. </span>Vedi fra gli altri la rubrica 15 dell’antico statuto di -Pistoja.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note180"> -<p><span class="label"><a href="#tag180">180</a>. </span>Vedi il <i>Libro del Potere di Brescia</i>. Un altro esempio -adducemmo a pag. 20.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note181"> -<p><span class="label"><a href="#tag181">181</a>. </span>Lib. <span class="smcap lowercase">X</span>. rub. 18. 28.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note182"> -<p><span class="label"><a href="#tag182">182</a>. </span><i>Feudum, precaria aut libellum; nullus audeat nec debeat -jurare fidelitatem alicui, nec fieri vassallus alicujus aliqua occasione -vel ingenio quod excogitari possit.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note183"> -<p><span class="label"><a href="#tag183">183</a>. </span>Nel 1178 i rappresentanti della Lega Lombarda cassarono -una sentenza che i consoli comaschi aveano portata a favore -del comune di Bellagio contro gli abitanti di Civenna e Limonta, -a proposito di certe strade e pasture usurpate dai Bellagini. -<i>Ap.</i> <span class="smcap">Puricelli</span>, <i>Monum. eccl. Ambr.</i> Nº 573 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note184"> -<p><span class="label"><a href="#tag184">184</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">LXX</span>. A gran torto Meyer, nelle -<i>Origini e progressi delle istituzioni giudiziarie</i>, tralascia le italiane -come poco importanti, mentre, massimamente avuto riguardo -all’età, potevano sole offrire la spiegazione di varj -istituti, ora comuni in Europa. Vi supplì in parte Sclopis, <i>Dell’autorità -giudiziaria</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note185"> -<p><span class="label"><a href="#tag185">185</a>. </span><span class="smcap">G. Villani, xi</span>, 93; <span class="smcap">Dino Compagni</span>, <i>Cronaca</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>; -<i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>, 256. — In Pisa erano dieci -tribunali, <i>curia foretaneorum, curia appellationum, curia arbitrorum, -curia nova pupillorum, curia confitentium, curia assessoris, -curia judicum et advocatorum, curia grassæ, curia notariorum, -curia mercatorum</i>. <span class="smcap">Dal Borgo</span>, Diss. sopra i codici -pisani delle Pandette.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note186"> -<p><span class="label"><a href="#tag186">186</a>. </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XII</span>. Vedi pag. 309. Nel 1150 abbiamo -la curia cremonese; <i>Rer. it. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VII.</span> 643. Nel 1163, 27 agosto, -Ottone, giudice cioè avvocato di Milano, s’impegna con Corvetto -e con altri a patrocinarli a Genova in tutte le cause che possano -avere; e una volta all’anno se occorra andrà fin a Levanto -e a Passano, e vi resterà dieci o dodici dì, però a loro spesa. -<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">II</span>. 874.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note187"> -<p><span class="label"><a href="#tag187">187</a>. </span><span class="smcap">Giulini</span>, part. <span class="smcap lowercase">VII</span>. l. 50.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note188"> -<p><span class="label"><a href="#tag188">188</a>. </span><i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 250 e 233.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note189"> -<p><span class="label"><a href="#tag189">189</a>. </span><i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note190"> -<p><span class="label"><a href="#tag190">190</a>. </span>Di tali suddivisioni di possessi recammo esempj. Nei -<i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1318, abbiamo Bonifazio de -Briada, il quale da Giacomo vescovo d’Asti teneva in feudo la -sesta parte della metà del castello vecchio di Sanfrè, che cambiò -con altrettanta del nuovo nel 1224.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note191"> -<p><span class="label"><a href="#tag191">191</a>. </span>Toselli, nel <i>Dizionario gallo-italico</i>, pubblicò estratti di -varie sentenze di Bologna. Nel 1288 Uzzolo, accusato di aver -fatto violenza a Bonora Nascimbene, è condannato al taglio d’un -piede: ma poi ella è riconosciuta calunniatrice, e condannata al -taglio della lingua. Nel 1295 Enrichetto, condannato alle forche, -confessa avere indotto falsi testimonj contro Superchia, la quale -fu dannata alle fiamme. Nel 1291 un Ferrarese accusava certa -Imelda da Bologna d’avere affaturato Bittino figliuolo di lui, e -resolo incapace al matrimonio. Nel 1328 una Mina e una Francesca -sono processate come famose fatucchiere e maghe contro -la vita d’innocenti, turbatrici degli elementi, e che aveano fatto -una malìa per innamorare uno: confesse, furono bruciate.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note192"> -<p><span class="label"><a href="#tag192">192</a>. </span><i>Nos de Impoli et ejus curte, qui sumus de comitatu florentino, -et episcopatu seu de pleberio de Impoli, juramus ad -Evangelia sacramento corporaliter præstito, salvare et custodire -et defendere et adjuvare omnes personas civitatis Florentiæ, -ejusque burgorum et subburgorum, et generaliter et specialiter, -et eorum bona in tota nostra fortia, et ubicumque potuerimus -sine fraude et contra omnem personam.</i> -</p> - -<p> -<i>Item si quo in tempore aliqua persona, quæ habitet infra -prædictos nostros confines, deprædaverit aliquem praedictum -Florentinorum, seu aliquem dapnum ei fecerit, faciemus ei integrum -emendare et restituere infra dies quindecim proximos, -postquam consul vel rector Florentiæ nos inquisiverit vel inquirere -fecerit, sive nuntio vel literis, aut ille qui dapnum substinuerit, -si rector tunc non extaret in civitate Florentiæ.</i> -</p> - -<p> -<i>Item quocumque tempore et quotiescumque consul vel rector -qui pro tempore extiterit in civitate Florentiæ inquiret nos vel -faciet inquirere, seu per nuntium, vel quod mittat nobis literas -ut faciamus ei ostem vel cavalcatam, faciemus eis intra dies octo -proximos post inquisitionem, quomodocumque eis placuerit, et -ubicumque, excepto contra comitem Guidonem, nisi in quantum -nobis terminum prolongarent, quod ita teneamur ad terminum, -si quod bona voluntate eis placuerit prolongare, ut dictum est.</i> -</p> - -<p> -<i>Item guerram seu guerras et pacem faciemus ubi et quibus vel -quomodo consulibus vel rectori, qui pro tempore fuerit Florentiæ, -placuerit: exceptamus in hoc capitulo comitem Guidonem.</i> -</p> - -<p> -<i>Item infra octo dies proximos post inquisitionem, ex quo -consul Florentiæ vel rector non inquisierit vel inquirere fecerit, -habebimus factum jurare ad hoc Breve omnes homines habitantes -infra prædictos nostros confines, qui convenientes erunt ad jurandum, -nisi in quantum per ipsum consulem vel rectorem steterit; -et si terminum vel terminos nobis.... mutaverit seu prolungaverit, -ita teneamur sicut constituerit et dixerit.</i> -</p> - -<p> -<i>Item omni anno in festo sancti Johannis mensis junii, vel -antea, dabimus in civitate Florentiæ consulibus, vel rectoribus, -seu rectori, secundum qui pro tempore erit in eadem civitate, -libras quinquaginta bonorum denariorum de tali moneta qualiter -pro tempore comuniter expendetur per civitatem Florentiæ; -et si consules, vel rectores non essent in civitate, dabimus consulibus -mercatorum Florentiæ ut eam recipiant pro communi -Florentiæ, sed tamen in hoc anno dabimus consulibus Florentiæ -qui modo sunt intra kal. mart. proxime vel antea lib. centum et -solid. sex bonorum denariorum. Item omni anno portabimus -Florentiam in festo sancti Johannis unum meliorem cereum, -quam illud quod Ponturmenses ibi offerunt et soliti sunt -offerre.</i> -</p> - -<p> -<i>Hæc omnia, ut in hoc Breve scripta sunt, juramus tenere et observare et facere in perpetuum, et si consulibus, vel rectori, qui -pro tempore extiterit in civitate Florentiæ placuerit, teneamur -de</i> <span class="smcap lowercase">VII</span> <i>in</i> <span class="smcap lowercase">VII</span> <i>annis renovare hæc juramenta in totum. Item -cum consules vel rectores Florentiæ steterint pro recipiendis -prædictis juramentis, vel renovandis, dabimus eis, et personis -quibus secum duxerint, expensas omnes, donec steterint pro ea -complenda.</i> -</p> - -<p> -<i>Et omnia præscripta juramus et promittimus observare, sub -pœna centum marcorum de puro argento, et post pœnam solutam -communi Florentiæ omnia prædicta stent firma.</i> -</p> - -<p> -<i>Hæc omnia supradicta juramus observare et adimplere et firma -tenere perpetuo, ad sanum et planum intellectum consulum Florentiæ -remota omni fraude, et sub hoc intellectu, quod imperator -nec papa nec aliquis clericus vel laicus vel nulla alia persona -possit nos absolvere in aliquo vel de aliquo ab hoc juramento, nec -pro aliqua de causa possimus occasionare hoc juramentum.</i> -</p> - -<p> -<i>Scripta sunt hæc anno</i> <span class="smcap lowercase">MCLXXXI</span>, <i>tertio nonas februar., -ind.</i> <span class="smcap lowercase">XV</span>. -</p> - -<p> -Il più antico documento di sommessione d’una città ad un’altra -è quello di Fano, che, assalita da Ravenna, Pesaro, Sinigaglia -nel 1140, accettò la signoria di Venezia, stipulando che, qualunque -volta i Veneziani farebber oste da Ragusi fin a Ravenna, -i Fanesi gli aiuterebbero con una galea armata a proprie spese: -nelle guerre da Ancona fin a Ravenna, militerebbero con loro: -inoltre manderebbero i loro savj al parlamento comune in Venezia, -ogniqualvolta fossero chiamati, siccome usano tutti gli -altri <i>fedeli</i>: e di ciò fanno ampio giuramento salvo sempre il -servigio all’imperatore di Germania. <span class="smcap">Amiani</span>, <i>Memorie storiche -di Fano</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, parte 7ª. -</p> - -<p> -Pergine, grossa borgata sulla via fra Trento e Bassano, godeva -di antichissime libertà sotto la primazia del vescovo Tridentino, -ma molte gliene usurpò il castellano imperiale, che la -rese feudo ereditario di sua famiglia, colle prepotenze consuete. -Stanchi delle quali, e profittando delle guerre del Barbarossa, -i Perginesi nel 1166 s’accolsero nel monastero benedettino di -Santa Maria in Valdo, e stesero un atto con cui i rettori e -seniori di tutte le gastaldie di quel Comune si sottoponeano al -Comune di Vicenza, obbligandosi con giuramento ad essergli -fedeli servidori e amici, ajutarlo in guerra con ducento armati, -pagar la solita colletta sui fuochi; ne riceveranno un podestà, -che però li lasci viver <i>secondo le consuetudini che tengono da -cento, ducento e quattrocento anni, tanto a legge salica che a -longobarda:</i> essi li libereranno e preserveranno dalla tirannia -di Gundibaldo castellano di quel distretto, aboliranno tutte le -angherie e pesi da esso imposti, e il godimento delle prime -notti, e i servigi di corpo a cui esso li forzava, retribuendogli -invece qualvolta devano prestar opera al podestà in castello. -Possano, come in antico, eleggersi il giudice, soggetto però al -podestà; non siano mai per veruna ragione ceduti a Gundibaldo -o alla sua famiglia; nè costretti guerreggiar contro l’impero o -le chiese di Trento e di Feltre. Il documento è stampato nelle -<i>Notizie storiche intorno al b. m. Adelperto vescovo di Trento</i> -di frà <span class="smcap">Benedetto Bonelli</span>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. Trento 1761. -</p> - -<p> -Nel <i>Liber jurium</i> al 1199 leggonsi i patti con cui il Comune -di Vinguelia, quello di Albenga, quello di Diano si sottoposero -al Comune di Genova; e quelli di Oneglia, San Remo, Porto -Maurizio si allearono con esso: nel 1202 quel di Savona si -sottomise. -</p> - -<p> -In tal anno gli uomini delle valli d’Arocia, d’Andoria, d’Oneglia, -di Petralata, di Rezio, di Nasco fecero alleanza coi Genovesi; -e i primi, per mezzo de’ loro consoli, promettevano salvare -e custodire gli uomini di Genova e del distretto per mare e per -terra; «non proibiremo si porti a Genova grano o altra vivanda -o merce; se quel Comune faccia oste o cavalcata, daremo -all’esercito mercato di grano e vettovaglie; richiesti faremo -esercito a nostre spese, e campeggeremo per tutto il contado -di Ventimiglia, la marca d’Albenga, il vescovado di Savona, a -comando de’ consoli o podestà; se il Comune di Genova guerreggi -da Gavi o da Palodo fin a Portovenere, terremo nell’esercito -cento arcieri; se alcuna città, vescovo o persona della -riviera e del contado citerà in giudizio alcuna di esse valli, gli -faremo giustizia nella curia di Genova; per custodia di Porto -Bonifacio daremo ogni anno due uomini a spese nostre, come -ordineranno il podestà e i consoli di Genova; se il podestà o i -consoli ci richiedano di consiglio, gli daremo il migliore, e gli -terremo credenza de’ secreti affidatici; ogni anno a san Giambattista, -in segno di devozione e fedeltà, manderemo alla chiesa -di San Lorenzo un cero di venticinque libbre; non faremo patto -o giuro con verun luogo o terra o persona senza salvare ed -eccettuare questa convenzione, la quale farem giurare da tutti -gli uomini di esse valli e luoghi dai quindici ai settant’anni, e -rinnovare ogni cinque anni». Di rimpatto il podestà di Genova -prometteva protezione e salvezza agli uomini di que’ Comuni; -«darò un mercato ad Andoria il primo d’agosto, e l’altro ad -Oneglia l’Ognissanti, dove se nasca alcuna controversia, sarà -definita da quelli che Genova deputerà all’uopo; vi correranno -i pesi e le misure della città, come negli altri mercati del contado -e della riviera; se alcuno di Ventimiglia, d’Albenga, di -Savona voglia forzarvi contro giustizia, appellerete alla curia -di Genova, e noi li citeremo, e se non compajono, vi difenderemo -e manterremo nel diritto vostro; vi concediamo che possiate -comprare ed estrarre da Genova qualunque merce vi -occorra, salvi i diritti della città e dei cittadini». Il cintraco, -vogliam dire il gastaldo, a nome e sull’anima del popolo giurò -queste convenzioni in un parlamento, ove ad essi fu data l’insegna -del Comune di Genova, perchè appaja che meritarono la -piena grazia della città. — <i>Liber jurium</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 473. -</p> - -<p> -Segue una stipulazione molto più particolareggiata coi consoli -di Naulo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note193"> -<p><span class="label"><a href="#tag193">193</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart., <span class="smcap lowercase">I</span>. 861. Il 1183 i consoli di -Casale rimettono ogni pretensione per danni recati al loro Comune -da Vercellesi, confermandolo tutti i cittadini maggiori e -minori, radunati nella solita piazza al campanile di Sant’Evasio.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note194"> -<p><span class="label"><a href="#tag194">194</a>. </span>Ivi, 20 aprile 1212.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note195"> -<p><span class="label"><a href="#tag195">195</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 1040, 1231.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note196"> -<p><span class="label"><a href="#tag196">196</a>. </span><span class="smcap">Daniel</span>, <i>Chron. ms.</i> ap. <i>Antichità longobardiche milanesi</i>, -diss. <span class="smcap lowercase">XXI</span>; <i>Archivio storico</i>, tom. <span class="smcap lowercase">XV</span>. D’altre più recenti si trova -esempio in Romagna fin nel secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span>, come i Pacifici estesi per -tatto il paese, e la Santa Unione a Fano. V. <span class="smcap">Amiani</span>, <i>Mem. di -Fano</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 146.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note197"> -<p><span class="label"><a href="#tag197">197</a>. </span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>St. della monarchia di Savoja</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. doc. 2º.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note198"> -<p><span class="label"><a href="#tag198">198</a>. </span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia politica del medioevo</i>, 392.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note199"> -<p><span class="label"><a href="#tag199">199</a>. </span>I documenti sono pubblicati dal Minutoli nel vol. <span class="smcap lowercase">X</span> dell’<i>Archivio -storico</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note200"> -<p><span class="label"><a href="#tag200">200</a>. </span>Pubblicati nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>. Vedi pure <span class="smcap">Cibrario</span>, -<i>Storia di Chieri. — Si quis, qui non sit de societate Sancti Georgii, -percusserit aliquem dicte societatis, vel manum posuerit in persona -alicujus dicte societatis, podestas vel rector dicte societatis, vel consules -teneantur et debeant precise et sine tenore facere sonari stremitam, -et se armare et currere ad arma omnes illos predicte societatis, -et ad se venire armatos facere, et facere cum ipsis ultionem -de maleficio commisso secundum qualitatem maleficii et personæ; -et si incontinenti ultionem non fecerit, potestas vel rector vel consules -habeant plenam licentiam et bayliam ad suam voluntatem -faciendi ultionem in illo qui malificium commiserit, vel coadjutoribus -suis, ita quod ultio fiat, et non possit remanere ullo -modo q.... Item statutum est quod si contingeret (quod absit) -quod rumor sive rixa moveretur in aliquo loco inter aliquas -personas, quod quilibet supradicte societatis qui hoc audiverit -vel viderit illuc, currat omni obmisso negocio: et si viderit quod -dicta rixa esset inter aliquos qui essent de dicta societate, quod -ille et illi qui ibi erunt de dicta societate debeant fortiter et -robuste prestare illi vel illis qui essent de dicta societate qui -rixam haberent, auxilium, consilium et favorem totis viribus -atque posse cum armis vel sine armis etc.</i> Statuta Cherii, -pag. 774. 776.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note201"> -<p><span class="label"><a href="#tag201">201</a>. </span><i>Cronaca di Neri di Donato</i>. Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XV</span>. 224-294.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note202"> -<p><span class="label"><a href="#tag202">202</a>. </span>Vedi, per Genova, <span class="smcap">Cuneo</span>, <i>Mem. sopra l’antico debito -pubblico ecc.</i>, pag. 258; per Firenze <span class="smcap">G. Villani</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>; per -Napoli <span class="smcap">Andrea d’Isernia</span>, <i>Commento alle Costituz.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. — In Bologna -ogni forestiere che entrasse dovea farsi porre un suggello -di cera rossa sull’ugna del pollice. Michelangelo non conoscendo -quest’uso, fu multato in cinquanta lire di bolognini, come narra -A. Condivi nella Vita di esso.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note203"> -<p><span class="label"><a href="#tag203">203</a>. </span>In Milano la prima menzione di tale gabella è del 1271; -poi Filippo Maria Visconti sostituì il sale forzato alla tassa dei -focolari. In Genova la gabella del sale è accennata nel 1214 -(<span class="smcap">Caffaro, iv</span>. 406); in Reggio nel 1261 (<i>Mem. potest. reg.</i> Rer. -It. Scrip., <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 1172); in Parma il 1292 (<i>Chron. parm.</i>, ib. <span class="smcap lowercase">IX</span>. 823).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note204"> -<p><span class="label"><a href="#tag204">204</a>. </span>Stima il Giulini che l’imposta diretta sui fondi siasi primamente -stabilita sotto il duca Filippo Maria, circa il 1423; e -che nell’immunità accordata al convento di Pontida (ann. 1129 -ap. <span class="smcap">Tristano Calco</span>, <i>quibus pergravari interdum prædia solent</i>) -quell’<i>interdum</i> mostri appunto che non era costante. Il fatto -da noi riferito secondo il Fiamma e il Corio al 1240, lo contraddice. -Vedi <span class="smcap">Corio</span> e <span class="smcap">Giulini</span>, <i>passim.</i>; <span class="smcap">G. Villani, x</span>. 17; -<span class="smcap">Caffaro, iv</span>. 17; <span class="smcap">Pagnini</span>, <i>Della decima fiorentina</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 25.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note205"> -<p><span class="label"><a href="#tag205">205</a>. </span><span class="smcap">Giulini</span>, lib. <span class="smcap">liv — Innocentii</span> IV, <i>Ep.</i> 24 settembre 1250 — <span class="smcap">Caffaro, -viii.</span> 541 — <i>Ant. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XL</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note206"> -<p><span class="label"><a href="#tag206">206</a>. </span>Fra i Turchi d’oggi i pesi pubblici decretati sono più -leggeri che in qualunque dipendenza europea: ma noi, pagata -l’imposta, siam garantiti del resto, e possiamo goderlo o accumularlo -a volontà; colà invece può venire il bascià o un suo -satellite a spogliarvi. Manca dunque la sicurezza: perciò si fabbrica -il men possibile; non si restaura; se un muro minaccia -cadere, si puntella; se cade, è una camera di meno; se cade -tutta la casa, si ritirano il più presso che possono per valersi dei -materiali ed erigerne un’altra.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note207"> -<p><span class="label"><a href="#tag207">207</a>. </span><i>Nullus audiatur de jure suo, qui dare aliquid teneatur -communi</i>. Stat. Fior., lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. <i>Tract. de extimis</i>, rubr. 33. Altrettanto -portavano gli statuti di Chieri, di Casale, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note208"> -<p><span class="label"><a href="#tag208">208</a>. </span>Vedine gli statuti nei <i>Monum. hist. patriæ. — Anno etc. -presentia etc. Rainerius de Monbello obligavit consulibus Vercellarum -nomine communis casam quam emit a Manifredo Caroso, -ita quod sit aperta communi si ullo tempore habitaculum Vercellarum -relinquerent</i>. Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 995. E prima e dopo vi ha moltissimi -patti di cittadinanza assunta in Vercelli, sempre con -questa convenzione della casa. I Vercellesi, volendo avere il -cittadinatico in Milano, vi comprarono una casa nel 1221 al -prezzo di 210 lire di terzoli. Nei tante volte citati <i>Monum. Hist. -patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span> al 1199 e seguenti, stanno le divisioni degli -uomini di Biandrate, fatte tra i Comuni di Vercelli e Novara; -poi nel 1201 divisero i territorj di Biandrate, Vicolungo, Casalbertrando; -e gli uomini ammessi al Comune danno tutti la -garanzia d’una casa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note209"> -<p><span class="label"><a href="#tag209">209</a>. </span>Il diritto di zecca era talmente ritenuto regio, che Venezia -nel 1285, cioè quando era indipendente da otto secoli, -chiese al papa ed all’imperatore il diritto di battere gli zecchini -(<span class="smcap">Sanuto</span>, <i>Vite dei dogi</i>; <span class="smcap">Zanetti</span>, <i>Delle monete e zecche d’Italia</i>; -<span class="smcap">Carli</span> e <span class="smcap">Argelati</span>, <i>Delle monete d’Italia</i>). Vecchie sono le monete -di Napoli col solo tipo di san Gennaro. I Normanni ne -coniarono, s’ignora dove. Venezia neppur si sa quando n’ebbe -il diritto; la più vecchia sua moneta è del 972. Nè si sa quando -cominciasse Ancona col tipo di san Ciriaco. Dopo l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo -Aquila, Aquileja, Rimini, Arezzo, Ascoli, Asti, Bergamo, Messina -1139, Piacenza 1140, Bologna 1191, Brescia 1162, forse -Cortona, certo Cremona 1115, Tortona da Federico I, Ferrara -1164, Fermo dai papi all’entrare del secolo <span class="smcap lowercase">XIII</span>, Firenze, Genova -e Piacenza da Corrado II. Monete si citano di Mantova avanti -l’<span class="smcap lowercase">XI</span> secolo, di Modena, Parma, Padova, Perugia e Reggio nel -<span class="smcap lowercase">XIII</span>, di Pisa fin dal 1175: dubbie sono quelle dei conti di Savoja -salenti fin al 1048: Siena vantane il privilegio del 1086; forse -Spoleto sotto i Longobardi, e Torino a mezzo il secolo <span class="smcap lowercase">XIII</span>, -Verona nell’<span class="smcap lowercase">XI</span>, Volterra al 1231. Più recenti sono quelle di -Urbino, Vigevano, Vicenza, Sinigaglia, Saluzzo, Recanati, Pesaro, -Macerata, Forlì. Dopo il 1500 ebbero zecca Lecco e Musso, -durante il dominio di Gian Giacomo Medici. Il Carli, leggendo -<i>genenses</i> per <i>ticinenses</i> credette la zecca di Genova esistesse nel -769. Giovan Gandolfi (<i>Della moneta antica di Genova</i>) prova -che Genova battea monete prima del 1139, in cui n’ebbe diploma -da Corrado II; e certo fin dal 1102, però col tipo di -Pavia; inoltre, che un anno prima di Firenze coniò la moneta -d’oro, la quale, secondo lui, potè servir d’esempio al fiorino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note210"> -<p><span class="label"><a href="#tag210">210</a>. </span>Allora 72 grani d’oro equivalevano a 770 d’argento. -Sarebbe stato opportunissimo tener per legale un solo metallo, -e non alterare la proporzione fra i due col variare le parti -aliquote dell’argento come si fece. La moneta d’argento chiamata -<i>lira</i> non fu battuta che da Cosimo I nel 1531, della bontà -di 90 <span class="above">3</span>⁄<span class="below">4</span>, e del taglio di 72 la libbra. Tre sorta di ducati avevano -i Veneziani: quello d’oro di circa lire 17; d’argento, valuta -effettiva da lire 4 a 4,50; di conto da lire 3,25 a lire 4. Nell’amministrazione -contavasi per ducati effettivi; in commercio, per -ducati di conto: l’effettivo valeva 8 lire venete, l’altro lire 6 e -denari 4. Vedi <span class="smcap">Carli</span>, diss. <span class="smcap lowercase">VII</span>. -</p> - -<p> -In un istromento del 1265 nell’Archivio diplomatico di Firenze, -rogato in Passignano, un debitore di lire quattro cede a -un suo fratello creditore un pezzo di terra al Poggio a vento, -perchè si rimborsi coi frutti di questo, valutati ai prezzi seguenti: -</p> - -<table class="gener" summary=""> - <tr> - <td>Lo stajo del grano</td> <td class="center">soldi</td> <td class="num">2</td> - </tr> - <tr> - <td>Lo stajo dell’orzo e delle fave</td> <td class="center">»</td> <td class="num">2</td> <td class="center">denari</td> <td class="num">4</td> - </tr> - <tr> - <td>Il congio del vino</td> <td class="center">»</td> <td class="num">8</td> - </tr> - <tr> - <td>L’orcio dell’olio</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10</td> - </tr> - <tr> - <td>La mannella del lino a saggio</td> <td class="center">»</td> <td class="num">—</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10</td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="footnote" id="note211"> -<p><span class="label"><a href="#tag211">211</a>. </span>Il barbaro <i>budget</i> è di origine italiana, derivando dalla -<i>bolgetta</i> o tasca, in cui il massajo o ministro delle finanze portava -i conti al parlamento.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note212"> -<p><span class="label"><a href="#tag212">212</a>. </span>Leggi del 10 dicembre 1268, e 21 luglio 1296.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note213"> -<p><span class="label"><a href="#tag213">213</a>. </span>È stampato nella storia di Giugurta Tommaso.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note214"> -<p><span class="label"><a href="#tag214">214</a>. </span><i>Quosdam montes et nemora quæ sunt circa Panormum, -muro fecit lapideo circumcludi, et parcum deliciosum satis et -amœnum diversis arboribus insitum et plantatum construi jussit, -et in eo damas, capreolos, porcos sylvestres jussit includi: -fecit et in hoc parco palatium, ad quod aquam de fonte lucidissimo -per condiictus subterraneos jussit adduci.</i> Chron. Salern. -in <i>Rer. It. Scrip.</i>, vol. <span class="smcap lowercase">VII</span>. pag. 194. -</p> - -<p> -Ancora la campagna di Palermo è sparsa di guglie (ivi dicono -all’arabica <i>giarre</i>), che sono sfiatatoj degli acquedotti sotterranei -fabbricativi al tempo degli emiri, e che ricreano di fontane -la città, ed elevano l’acqua anche ai piani superiori delle -case.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note215"> -<p><span class="label"><a href="#tag215">215</a>. </span>Un quartiere di Palermo serba tuttora il nome di Papireto. -Non è della natura dell’egizio, bensì di quello di Siria, e -differisce da quello che germoglia a Siracusa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note216"> -<p><span class="label"><a href="#tag216">216</a>. </span><i>Nec vero illas palatio adhærentes silentio præterire convenit -officinas, ubi in fila, variis distincta coloribus, serum vella -tenuantur, et sibi invicem multiplici texendi genere coaptantur. -Hinc enim videas amita, damitaque et trimita minori peritia -perfici</i> (cioè di uno, due, tre licci): <i>hinc examita</i> (sciamito) <i>uberioris -materia condensari: heic diarhodon igneo fulgore visum -reverberat; heic diapisti color subviridis intuentium oculos -grato blanditur aspectu; hinc exantosmata</i> (a fiori) <i>circulorum -varietatibus insignita, majorem quidem artificum industriam -et materia ubertatem desiderant, majori nihilominus pretio -distrahenda. Multa quidem et alia videas ibi varii coloris ac -diversi generis ornamenta, in quibus ex sericis aurum intexitur, -et multiformis picturæ varietas, gemmis interlucentibus illustratur. -Margaritæ quoque aut integræ cistulis aureis includuntur, -aut perforatæ filo tenui connectuntur, et eleganti quadam dispositionis -industria, picturati jubentur formam operis exhibere.</i> -<span class="smcap">Ugo Falcando</span>, in <i>Rer. It. Scrip.</i>, vol. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note217"> -<p><span class="label"><a href="#tag217">217</a>. </span><span class="smcap">Rosario de Gregorio</span>, <i>Discorso intorno alla Sicilia</i>, Palermo -1826.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note218"> -<p><span class="label"><a href="#tag218">218</a>. </span><span class="smcap">Romualdi Salernitani</span> <i>Chron. ad</i> 1153.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note219"> -<p><span class="label"><a href="#tag219">219</a>. </span>Frammento pubblicato da M. Amari. Parigi 1846.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note220"> -<p><span class="label"><a href="#tag220">220</a>. </span><span class="smcap">Pellegrini</span>, <i>Ad Falcandum Benevent.</i> ad an. 1140.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note221"> -<p><span class="label"><a href="#tag221">221</a>. </span><i>Quoscumque viros aut consiliis utiles, aut bello claros compererat, -cumulatis eos ad virtutem beneficiis invitabat, transalpinos -maxime.</i> <span class="smcap">Ugo Falcando</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note222"> -<p><span class="label"><a href="#tag222">222</a>. </span><span class="smcap">Giannone</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>, c. 4.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note223"> -<p><span class="label"><a href="#tag223">223</a>. </span>Dicevasi che costei fosse monaca, e allora se ne sciogliessero -i voti: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Sorella fu, e così le fu tolta</p> -<p class="i02"> Di capo l’ombra delle sacre bende.</p> -<p class="i01">Ma poi che pur al mondo fu rivolta</p> -<p class="i02"> Contro suo grado e contro buona usanza,</p> -<p class="i02"> Non fu dal vel del cor giammai disciolta.</p> -<p class="i11"> <span class="smcap">Dante</span>, <i>Parad.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>.</p> -</div></div> - -<p> -Un cronista la fa zoppa e guercia, mentre Goffredo di Viterbo -canta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> <i>Sponsa fuit speciosa nimis, Constantia dicta.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note224"> -<p><span class="label"><a href="#tag224">224</a>. </span><i>Chr. Placent.</i> Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note225"> -<p><span class="label"><a href="#tag225">225</a>. </span><i>Omnes cœperunt inter se de majoritate contendere, et ad -regni solium aspirare</i>. <span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note226"> -<p><span class="label"><a href="#tag226">226</a>. </span><i>Hist. Sicula</i>, pag. 252 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note227"> -<p><span class="label"><a href="#tag227">227</a>. </span>Ruggero Hoveden cronista inglese racconta che il papa -pose in testa all’imperatore e all’imperatrice la corona coi piedi, -e subito pur coi piedi ne la sbalzò, per significare la sua autorità -di dare e togliere i regni. Ha poco del probabile. -</p> - -<p> -Il giuramento era: <i>Ego N. futurus imperator, juro me servaturum -Romanis bonas consuetudines, et firmo chartas totius -generis et libelli sine fraude et malo ingenio. Sic me Deus adjuvet -et hæc sancta Evangelia.</i> Le cerimonie della coronazione -sono descritte dal cardinale Cencio, che poi fu papa Onorio III, -e ch’era stato presente alla coronazione di Enrico; e furono -pubblicate da <span class="smcap">Pertz</span>, <i>Monum. germ. hist.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 187.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note228"> -<p><span class="label"><a href="#tag228">228</a>. </span><i>Imperium in hoc non mediocriter dehonestavit.</i> <span class="smcap">Otto de -S. Blasio</span>, pag. 889.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note229"> -<p><span class="label"><a href="#tag229">229</a>. </span><i>Imperator ipse regnum intrat, papa prohibente et contradicente</i>. -<span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, pag. 972.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note230"> -<p><span class="label"><a href="#tag230">230</a>. </span>Il marco di Colonia pesa gramme 233.87. Il franco contiene -gramme 4 <span class="above">1</span>⁄<span class="below">2</span> di fino; sicchè il marco di Colonia vale -fr. 51.97. Dunque centomila marchi fanno franchi 5,197,100. -In Sicilia correvano gli <i>schifati</i>, moneta greca, detta così perchè -formati a barca. Una col nome di Guglielmo II in arabo, pesa -16 grani d’oro fino, sicchè oggi varrebbe franchi 2.88. Altra -moneta siciliana erano i <i>tarì</i>, dei quali, sul fine del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo, -si tagliavano 24 da un’oncia d’oro, cioè pesavano gramme -0.8792, valenti oggi franchi 2.63. Poco dopo se ne tagliavano -29 <span class="above">1</span>⁄<span class="below">2</span>, e spesso il peso variò; giacchè l’impronta garantiva il -titolo, ma del resto si contrattavano a peso.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note231"> -<p><span class="label"><a href="#tag231">231</a>. </span><i>Omne aurum et argentum, quod de regno ad manus -habere potuit, congregavit, et in Alemanniam misit.</i> Chron. -Fossæ Novæ, pag. 880. Vedi <span class="smcap">Otto de S. Blasio</span>, pag. 897.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note232"> -<p><span class="label"><a href="#tag232">232</a>. </span>Le cronache raccontano le precauzioni con cui essa ne -dimostrò ai popoli la realità: il papa stesso dovette intervenirvi, -e le fece dar giuramento che quel figlio era procreato da -Enrico.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note233"> -<p><span class="label"><a href="#tag233">233</a>. </span><span class="smcap">Fazelli</span>, <i>Storia di Sicilia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. c. 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note234"> -<p><span class="label"><a href="#tag234">234</a>. </span>Nella rotta data in Sicilia a Markwaldo si trovò il testamento -di Enrico VI, ove imponeva a Federico suo figlio di riconoscere -dal papa il regno di Sicilia, il quale tornasse alla -Chiesa qualora mancassero eredi; se il papa confermasse al -figlio l’Impero, ne fosse ricompensato col restituirgli tutta l’eredità -della contessa Matilde; Markwaldo riconosca dal papa e -dalla Chiesa il ducato di Ravenna, la terra di Bertinoro, la -marca d’Ancona, Medicina e Argelata sul Bolognese, i quali -ricadano alla Chiesa s’egli muore senza eredi. Il testamento è -stampato dal Muratori. -</p> - -<p> -Giovanni da Ceccano esclama: — È pur morto quel leone -feroce, quel lupo sterminatore delle agnelle, quell’orrido serpente -che tanti immolò. Apuli, Calabri, Toscani, Liguri, tutti i -popoli partecipano alla gioja del sommo pontefice, ed esultano -di vedersi finalmente liberati dal tiranno che la mano di Dio -colpì». E Ottone di San Biagio: — I Tedeschi devono eternamente -deplorare il lamentabile fine dell’imperatore Enrico, -perchè egli arricchì la Germania e la rese terror delle nazioni. -Col coraggio e l’abilità avrebbe rimesso l’impero romano nel -primitivo splendore se morte nol preveniva».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note235"> -<p><span class="label"><a href="#tag235">235</a>. </span><span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, pag. 978.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note236"> -<p><span class="label"><a href="#tag236">236</a>. </span>A Verona v’ha questo epitafio lambiccato: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Luca dedit lucem tibi Luci, pontificatum</i></p> -<p class="i02"> <i>Ostia, papatum Roma, Verona mori;</i></p> -<p class="i01"><i>Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma</i></p> -<p class="i02"> <i>Exilium, curas Ostia, Luca mori.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note237"> -<p><span class="label"><a href="#tag237">237</a>. </span><i>In qua plus timebatur ipse quam papa</i>. Gesta Innocentii -III, § 8.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note238"> -<p><span class="label"><a href="#tag238">238</a>. </span>Scossa dal tremuoto del 1319, fu poi demolita sotto -Urbano III.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note239"> -<p><span class="label"><a href="#tag239">239</a>. </span>Vedi il 2º e l’8º can. del IV concilio Lateranese <i>de probatione</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note240"> -<p><span class="label"><a href="#tag240">240</a>. </span>Antonio Vitale scrisse la <i>Storia de’ senatori di Roma</i>: ma -è opera che meriterebbe essere rifatta. La storia di Roma fu -sempre confusa con quella dei papi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note241"> -<p><span class="label"><a href="#tag241">241</a>. </span>Il testo della lega Toscana fu pubblicato da Scipione Ammirato -juniore nella <i>Storia dei conti Guidi</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note242"> -<p><span class="label"><a href="#tag242">242</a>. </span><i>Suppositus partus, quod testibus adstruere promittebat</i>. -Gesta Innocentii III, § 23.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note243"> -<p><span class="label"><a href="#tag243">243</a>. </span>Ce lo racconta il francese Villehardouin, che v’assisteva -in persona. A Paolo Ramusio il giovane, figlio del cosmografo -Giovan Battista, il senato veneto diede incarico di tradurre in -latino la storia della conquista di Costantinopoli di esso Villehardouin. -Esso svolse altre memorie intorno a que’ fatti, e in -sedici anni formò l’opera <i>De bello Constantinopolitano</i>, finita il -1573, ma stampata solo nel 1609.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note244"> -<p><span class="label"><a href="#tag244">244</a>. </span>Fu allora che i Veneziani acquistarono i cavalli di Lisippo, -che ornano ora il pronao di San Marco. Narra il Sanuto che -nel trasportarli a Venezia si spezzò la gamba di un cavallo: -Domenico Morosini, che comandava il vascello di trasporto, impetrò -di conservarla come un ricordo; e il consiglio assentì, e -ne fece mettere una nuova, <i>ed io ho veduto il detto piede</i>. -Questo fatto sfuggì ai descrittori di quel trofeo di tante -vittorie.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note245"> -<p><span class="label"><a href="#tag245">245</a>. </span>Allora Cremona spedì mille persone per arricchirsi -delle spoglie di Costantinopoli, come mandò una gran nave -sotto Acri.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note246"> -<p><span class="label"><a href="#tag246">246</a>. </span><span class="smcap">Sandi</span>, <i>Storia civile</i>, pag. 620.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note247"> -<p><span class="label"><a href="#tag247">247</a>. </span>I patti per la imposta di Costantinopoli, stipulati nel -marzo 1204 fra la Signoria veneta da una parte, e dall’altra il -marchese Bonifazio di Monferrato e i conti di Fiandra, di Blois, -di San Paolo, sono stampati nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. -1109, dove pure la cessione che esso Bonifazio fa ai Veneziani -dell’isola di Creta e d’altre terre in Levante.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note248"> -<p><span class="label"><a href="#tag248">248</a>. </span><i>Decretum venetum</i> ap. <span class="smcap">Canciani</span>, v. 124.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note249"> -<p><span class="label"><a href="#tag249">249</a>. </span>La lettera d’Innocenzo III è importantissima per conoscere -le pretensioni e il modo di vedere della santa Sede. <i>Regesta -Imperii</i>, nota 20 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note250"> -<p><span class="label"><a href="#tag250">250</a>. </span>Nel 1160 Uguccione, vescovo di Vercelli, con un legno che -teneva in mano, investe gli uomini di Biella del monte Piazzo -come feudo, a patto che quei di loro che vogliano abitarvi -devano ciascuno far fedeltà a maniera di vassallo; poi maschi -e femmine possiedano essa terra finchè vivono, indi abbiano -podestà di venderla tra sè, ma non a chi non sia abitante di esso -luogo. Il vescovo permette che godano in esso monte i buoni -usi che godevano da antico in Biella (<i>omnibus bonis usis, quos -erant usi habere in loco Bugelle in veteri tempore</i>); onde rimette -i bandi che egli soleva avere in essa Biella, salvo i seguenti: -spergiuro, adulterio, furto, omicidio o ferita, pesche e caccie. -Essi uomini devano salire quel monte, edificarvi, non impedire -che il vescovo vi salga con suo seguito; ma egli non vi porrà -castellano se non con loro consenso. <span class="smcap">Mullatera</span>, <i>St. di Biella</i>, -pag. 36. -</p> - -<p> -Bongiovanni, nunzio del vescovo di Vercelli, imponeva che i -possessori di un tal manso portassero ogni anno i rami di olivo -per la domenica delle Palme, e metà del crisma, ed empissero -metà delle fonti; e quei dell’altro, portassero l’altra metà del -crisma, ed empissero il resto delle fonti, e facessero il fuoco a -Natale e a Santo Stefano, e scuotesserlo alla Candelara e al -sabbato santo. <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1294. -</p> - -<p> -Gualterio vescovo di Luni nel 1200 questi patti faceva agli -uomini di sua giurisdizione. Se molti siano consorti in un villaggio, -ed uno o più facciano tradimento, sieno privati d’esso -villaggio, ed aprasi ai loro eredi; o se non n’abbiano, vi sottentrino -i consorti. Se alcuno tardi due anni il fitto o livello, paghi -il doppio, oppure sia privato dell’ente per cui paga. Nessuno -acquisti casa o campo o vigna senza istromento. Se alcuno -depone querela contro un altro, anticipi quattro lire imperiali -al giudice o ai consoli; e questi non ricevano più di sedici denari -per lira, da pagarsi da chi perde la causa. Così determina -il prezzo degli atti notarili. Se alcuno mena moglie, non dia -come antefatto più d’un terzo della dote. Nessuna vedova si -mariti durante il lutto, ecc. <i>Ivi</i>, 1203.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note251"> -<p><span class="label"><a href="#tag251">251</a>. </span><span class="smcap">Lupo</span>, <i>Cod. diplom.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, passim; <span class="smcap">Ronchetti</span>, <i>Mem. stor. -della città e chiesa di Bergamo</i>, cap. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 27.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note252"> -<p><span class="label"><a href="#tag252">252</a>. </span><i>Et sic civitas Mediolani, quæ territorio trium milliariorum -extra civitatem contenta fuerat, longe lateque alas suas expandit. -Nam ducatus Burgariæ, marchionatus Marthexanæ, comitatus -Seprii, comitatus Parabiagi, et comitatus Leuci, qui omnes quasi -domestici inimici terram istam semper invaserant...., facti sunt -subjecti et servi perpetui civitatis Mediolani.</i> <span class="smcap">Galv. Fiamma</span>, -Manip. florum.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note253"> -<p><span class="label"><a href="#tag253">253</a>. </span><i>Breve istoria dell’origine e fondazione della città del Borgo -di Sansepolcro</i>, per <span class="smcap">Alessandro Goracci</span>, 1636. Gli storici del -secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span> e <span class="smcap lowercase">XVII</span> non intendono nulla degli ordinamenti municipali; -pure aveano sottocchio carte che poi si smarrirono, e -tradizioni non ancora spente. In tutti vedi una città che si -redime dai conti, compra privilegi dagli imperatori, abbatte i -castellani vicini, i quali poi venuti in città, vi portano resìe.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note254"> -<p><span class="label"><a href="#tag254">254</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Et nunc iste comes, consors et conscius ante,</i></p> -<p class="i01"><i>Ille potens princeps, sub quo romana securis</i></p> -<p class="i01"><i>Italice punire reos, de more vetusto,</i></p> -<p class="i01"><i>Debuit injustitiæ, victrici cogitur urbi</i></p> -<p class="i01"><i>Et modicus servire cliens, nulloque relicto</i></p> -<p class="i01"><i>Jure sibi, dominicæ metuit mandata superbæ.</i></p> -<p class="i13"> <span class="smcap">Guntero</span>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note255"> -<p><span class="label"><a href="#tag255">255</a>. </span>Nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 708. 807. 865. 910.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note256"> -<p><span class="label"><a href="#tag256">256</a>. </span><i>Bertoldus princeps Aquilejæ est amicatus cum Paduanis, -et factus est paduanus civis; et in cittadinantiæ firmitatem et -signum fecit de sua camera quædam in Padua ædificari palatia, -et se poni fecit cum aliis civibus Paduæ in coltam sive datiam. -Tunc quoque incepit mittere, et adhuc mittit hodie omni anno de -suis melioribus militibus duodecim, qui jurant, in principio potestariæ -cujuslibet, præcepta et sequentia potestatis pro domino -patriarca et suis. Quod videns feltrensis et belunensis episcopus, -fecit et ipse similiter, non tamen in quantitate eadem.</i> <span class="smcap">Rolandino</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note257"> -<p><span class="label"><a href="#tag257">257</a>. </span><span class="smcap">Savioli</span>, <i>Ann. bologn.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. dipl. <span class="smcap lowercase">CLVI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note258"> -<p><span class="label"><a href="#tag258">258</a>. </span>Dalle storie bolognesi ricaviamo che nel 1123 i consoli -col vescovo ricevono in protezione i castelli di Rudiliano, Sanguineta, -Cavriglia; nel 1131 quei di Nonantola come cittadini -d’una delle quattro porte, ed essi giurano fare due spedizioni -all’anno fin ai confini, una con cavalli, l’altra pedoni; nel 1144 -quei di Savignano e Cetola si fanno cittadini, cedendo la rôcca -e la curia; nel 1157 quei di Monteveglio, Moreto, Caneto giurano, -obbligandosi militare pei Bolognesi anche contro l’Impero; -nel 1164 i castelli di Bedolo, Battidizio, Gesso, Trifane giurano -obbedienza al popolo maggiore e minore di Bologna, e pagargli -il fitto e il feudo ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note259"> -<p><span class="label"><a href="#tag259">259</a>. </span>«Et che nullo nobile.... undunque sia, possa u debbia in -alcuna cauza criminale in alcuna Corte contro alcuno di popolo -rendere testimonia, e se la rendrà la testimonia non vaglia, -ne tegna ipso jure, et nondimeno sia condannato dal capitano -del populo da lire <span class="smcap lowercase">X</span>. in lire <span class="smcap lowercase">C</span> ad suo arbitrio, <i>Statuti di Pisa, -ms</i>. § 162. — Et che nullo nobile della cita di Pisa u daltronde, -ad tempo d’alcuno romore, durante lo romore ardisca u presuma -d’escire con arme u sensa arme della casa in de la quale elli -abita sotto pena del avere et della persona ad arbitrio del -capitano. <i>Ivi</i>, § 165». -</p> - -<p> -Con bel decreto, dato da Parma il luglio 1226, Federico II -manda suo podestà alla ghibellina Pavia Villano Aldighieri di -Ferrara, perchè severamente mantenga la concordia fra’ cittadini: -a tal uopo ordina si sciolga qualunque società di popolani -o di militi; nè gli uni nè gli altri abbiano podestà o consoli -speciali, ma vengano tutti governati dal rettore del Comune, -dal quale solo dipendano gli armati; statuarj, consiglieri, uffiziali -sieno eletti come faceasi da dieci anni in poi; annullata la -libertà dai militi data ad alcuni borghi od abitanti del distretto; -non si ponga ostacolo al portar vittovaglie in città; non si faccia -adunanza di nobili o di popolo a suon di campana; bando e infamia -a chi contraffà.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note260"> -<p><span class="label"><a href="#tag260">260</a>. </span><i>Statut.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 168. 169. Lo statuto 170, <i>de cerna potentium</i>, -fa il catalogo delle famiglie nobili, <i>ne sub velamine popularium -defendantur</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note261"> -<p><span class="label"><a href="#tag261">261</a>. </span><i>Croniche</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 78. — Ai Guelfi rende giustizia persino -Voltaire, dicendo che l’imperatore <i>voulait régner sur l’Italie -sans borne et sans partage</i> (Essai, cap. 66); e chiama i Guelfi -<i>partisans de la papauté, et encore plus de la liberté</i> (cap. 52). -Guelfi e Ghibellini erano come i Tories e Whigs dell’odierna Inghilterra; -bisogna essere di quel partito, e conservarlo quand’anche -cambia; i Tories del 1843 fecero tutto quello che voleano -i Whigs nel 1830. Così i Guelfi di Firenze divengono fautori -dell’Impero e nemici del papa; non cambiano nome, ma diconsi -<i>bianchi e neri</i>; Dante era guelfo, come testè fu tory Roberto Peel. -</p> - -<p> -Vedi il trattato di Bártolo sui Guelfi e Ghibellini. Una storia -de’ Guelfi e Ghibellini nostri sarebbe la più bella spiegazione -delle vicende italiane.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note262"> -<p><span class="label"><a href="#tag262">262</a>. </span>Nelle <i>Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca</i>, -vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 47, leggesi: <i>Orlandinus notarius, filius domini Lanfranchi, -et Chele filius Lamberti, sindici et procuratores hominum -partis guelfæ, eorum terræ.... volentes se et alios eorum -partis ab erroris tramite revocare, et Lucanam civitatem -recognoscere tamquam eorum matrem, et ad hoc ut tota provincia -vallis Neubulæ</i> (val di Nievole) <i>bonum statum sortiatur, -promiserunt et concenerunt... quod ipsi et alii eorum partis -guelfæ de dictis communitatibus perpetuo erunt in devotione -Lucani communis etc.</i> -</p> - -<p> -In Milano il colore de’ Guelfi era il bianco, de’ Ghibellini il -rosso. In Valtellina i Guelfi portavano piume bianche alla tempia -destra e un fiore all’orecchio destro; i Ghibellini piume rosse -o un fiore alla sinistra. Tutti i palazzi di Firenze hanno merli -quadrati, eccetto uno. Brescia nel 1212 avea tre podestà, eletti -da tre fazioni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note263"> -<p><span class="label"><a href="#tag263">263</a>. </span>Vedasi in capo ai vol. <span class="smcap lowercase">I</span> e <span class="smcap lowercase">II</span> dei <i>Monumenta historica ad -provincias Parmensem et Placentinam pertinentia</i> (Parma 1857) -un discorso del cav. Ronchini, che dà la storia civile del paese. -L’ultimo degli statuti di Parma, stampati nel 1858, è tale: -<i>Nullus de civitate vel episcopatu Parmæ de cetero contrahat -aliquam parentelam vel matrimonium cum aliquo vel cum aliqua, -qui vel quæ non sit de parte Ecclesiæ: nec aliquis sit mediator -nec proxeneta nec relator verborum aliquorum dictæ parentelæ -faciendæ, nec testis, nec instrumentum celebret seu scribat, nec -promissionem, nec securitatem, nec tractatum faciat, vel recipiat -ullo modo alicujus parentelæ faciendæ, in aliquo tempore. Et si -aliqua promissio vel securitas facta est de aliqua parentela -facienda, sit nullius momenti. Et si qui vel si qua de cetero -contra prædicta vel aliquod prædictorum fecerit vel facere præsumserit, -in tantum puniatur. Mediator vero, sive proxeneta -puniatur in trecentis libris parm.; et testis in trecentis libris -parm., et tabellio puniatur in tantumdem, et perpetuo ab officio -notariatus sit remotus: fratres nihilominus mulierum, si patrem -mulier non habet, in mille libris parm. quilibet puniantur.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note264"> -<p><span class="label"><a href="#tag264">264</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non s’attien fede nè a comun nè a parte,</p> -<p class="i02"> Chè Guelfo e Ghibellino</p> -<p class="i02"> Veggio andar pellegrino,</p> -<p class="i02"> E dal principe suo esser deserto.</p> -<p class="i02"> Misera Italia! tu l’hai bene esperto</p> -<p class="i02"> Che in te non è latino</p> -<p class="i02"> Che non strugga il vicino</p> -<p class="i02"> Quando per forza e quando per mal arte.</p> -<p class="i05"> <span class="smcap">Graziolo</span>, cancelliere bolognese nel 1220.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed ora in te non stanno senza guerra</p> -<p class="i02"> Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode</p> -<p class="i02"> Di quei che un muro ed una fossa serra.</p> -<p class="i01">Cerca, misera, intorno dalle prode</p> -<p class="i02"> Le tue marine, e poi ti guarda in seno</p> -<p class="i02"> Se alcuna parte in te di pace gode.</p> -<p class="i11"> <span class="smcap">Dante</span>, <i>Purg.</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div></div> - -<p> -Benchè non fossero costanti nel parteggiare, offriamo alquanti -dei nomi che assumeano le fazioni in varie città: -</p> - -<table class="gener" summary=""> - <tr> - <td> </td> <td><span class="smcap">Guelfi</span></td> <td><span class="smcap">Ghibellini</span></td> - </tr> -<tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Milano</td> <td>Torriani</td> <td>Visconti</td> - </tr> - <tr> - <td>Firenze</td> <td>Neri</td> <td>Bianchi</td> - </tr> - <tr> - <td>Arezzo</td> <td>Verdi</td> <td>Secchi</td> - </tr> - <tr> - <td>Genova</td> <td>Rampini</td> <td>Mascherati</td> - </tr> - <tr> - <td></td> <td>Grimaldi e Fieschi</td> <td>Doria e Spinola</td> - </tr> - <tr> - <td>Como</td> <td>Vitani</td> <td>Rusca</td> - </tr> - <tr> - <td>Pistoja</td> <td>Cancellieri</td> <td>Panciatichi</td> - </tr> - <tr> - <td>Modena</td> <td>Aigoni</td> <td>Grasolfi</td> - </tr> - <tr> - <td>Bologna</td> <td>Scacchesi (Geremei)</td> <td>Maltraversi (Lambertazzi)</td> - </tr> - <tr> - <td>Verona</td> <td>San Bonifazio</td> <td>Tegio</td> - </tr> - <tr> - <td>Piacenza</td> <td>Cattanei</td> <td>Landi</td> - </tr> - <tr> - <td>Pisa</td> <td>Pergolini (Visconti)</td> <td>Raspanti (Conti)</td> - </tr> - <tr> - <td>Roma</td> <td>Orsini</td> <td>Savelli</td> - </tr> - <tr> - <td>Siena</td> <td>Tolomei</td> <td>Salimbeni</td> - </tr> - <tr> - <td>Orvieto</td> <td>Malcorini</td> <td>Beffati</td> - </tr> - <tr> - <td>Asti</td> <td>Solari</td> <td>Rotari</td> - </tr> -</table> - -<p> -A Roma i due fratelli Stefano e Sciarra Colonna erano capi, -uno dei Guelfi, l’altro de’ Ghibellini. Inoltre erano emuli nelle -varie città, senza star saldi a una parte sola, Beccaria e Langosco -in Pavia; Tornielli e Cavalazzi o Brusati in Novara; in -Ferrara Salinguerra e Adelardi; in Vercelli Avvocati e Tizzoni; -in Lodi, Vignati e Vistarini; in Genova, Doria e Adorni; in Asti, -Isnardi e Gottuari; in Perugia, Oddi e Baglioni; in Bergamo, -Suardi e Colleoni, Bongi e Rivoli; in Brescia, Casalalta e Bruzella; -in Perugia, Bettona, Assisi la parte di sopra e quella di -sotto; in Padova, Carrara e Macaruffo; in Sicilia, Palizzi, Alagona, -Ventimiglia, Chiaramonti; in Ravenna, Polenta e Bagnacavallo; in Imola, Mendoli e Brizi; in Faenza, Manfredi e Acarisi; -in Rimini, Gambacari e Amadei; in Forlì, Ordelaffi e Galboli; -in Cesena, Righizzi e Popolo; in Sangeminiano, Ardinghelli e -Salvucci; in Sansepolcro, Graziani e Goracci contro Pichi e -Righi; in Acqui, i Blesi e i Bellingeri.... A Savigliano erano -ghibellini i Cambiano, i Soleri, i Galateri; in Alba, capi dei -Guelfi i Graffagnini; e così via.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note265"> -<p><span class="label"><a href="#tag265">265</a>. </span><span class="smcap">G. Villani, v</span>. 9. — <i>In diebus meis vidi plusquam quinquies -expulsos stare milites de Papia, quia populus fortior illis -erat</i>. <i>Ventura</i>, <i>Chron. Astense</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">XI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note266"> -<p><span class="label"><a href="#tag266">266</a>. </span><i>Chron. Astense</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XVII</span>. — <span class="smcap">Savioli</span>, <i>Ann. bologn. ad -ann.</i> — <span class="smcap">G. Villani, ix.</span> 213.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note267"> -<p><span class="label"><a href="#tag267">267</a>. </span>Dicevansi i Senesi il popolo più orgoglioso della Toscana -e vendicativo; di malafede i Romagnuoli; volubili e impazienti -i Genovesi: i Milanesi pacchioni ecc. San Bernardo nel 1152 -scriveva: <i>Quid tam notum sæculis quam protervia et fastus -Romanorum? gens insueta paci, tumultui assueta, gens immitis -et intractabilis usque adhuc, subdi nescia nisi quum non valet -resistere.</i> De consideratione, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 2. Basta legger Dante per raccorvi -ingiurie contro ciascuno de’ nostri popoli.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note268"> -<p><span class="label"><a href="#tag268">268</a>. </span>Avverti la distinzione tra i Ferraresi e il Comune di Ferrara. -<i>Ant. Estensi</i>, part. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 39.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note269"> -<p><span class="label"><a href="#tag269">269</a>. </span>Il carroccio di Cremona chiamavasi Gajardo; quel di -Padova, Berta; quel di Parma, Crepacuore o Regoglio ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note270"> -<p><span class="label"><a href="#tag270">270</a>. </span>Vedi spesso il Machiavelli, che dice come le guerre -prima de’ suoi dì «si cominciavano senza paura, trattavansi -senza pericolo, finivansi senza danno»; lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. Anche il Guicciardini -dice la battaglia del Taro «memorabile, perchè fu la -prima che da lunghissimo tempo in qua si combattesse con -occisione e col sangue in Italia». E più umanamente il buon -Muratori narra d’una battaglia del 1469, importante «ma con -uccisione di pochi perchè in questi tempi gli Italiani faceano -guerra non da barbari ma da cristiani, e davano quartiere a -chiunque non potendo resistere si arrendeva».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note271"> -<p><span class="label"><a href="#tag271">271</a>. </span><i>Chron. Ferrariæ</i>, Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note272"> -<p><span class="label"><a href="#tag272">272</a>. </span>Chi ricorda le colonie civilizzanti e lavoratrici che proponevano -i Sansimoniani nel 1833, e i Falansteri di Fourier predicati dopo il 1840, ne troverà già il modello nei Cistercensi. -Dove era il grosso dei loro possessi doveva porsi una colonia di -frati conversi, diretti da un professo, il quale era come il fattore -di tutta la grancia o cascina. Egli dava il segno quando dovessero -uscire al lavoro, egli distribuiva ad essi i ferri del mestiere, -egli ne fissava le funzioni di armentiero, carrettiere, zappatore, -boaro, e così via. Non doveva accettarsi frate se non chi potesse -guadagnarsi il vivere colle proprie mani. I conversi non doveano -tenere alcun libro, nè imparar altre preci che il <i>pater</i>, il <i>credo</i> -e il <i>miserere</i>. Chi avesse dei fondi male andati chiamava una -colonia di Cistercensi a rimetterli in essere: così Rainaldo arcivescovo -di Colonia, ch’era venuto a portarci guerra col Barbarossa, -avendo trovato la sua prebenda in disordine, chiamò di -tali frati, <i>qui et curtibus præessent, et annuos redditus reformarent</i>. -</p> - -<p> -Il monastero di Chiaravalle fu fondato nel 1135 con tenuissime -rendite, ma i monaci lavorando, comprando principalmente -i <i>zerbi</i> cioè incolti, e prendendo a livello, ebber in breve quattro -buone possessioni: indi acquistarono il fondo di Cerreto nel -Lodigiano, e Morimondo nel Pavese, e altri. A Chiaravalle, -sopra uno spazio di tre pertiche appena, si incrocicchiano ben -sette acquedotti artifiziali. Fin del 1138 ci resta un contratto, -ove quei monaci compravano alquanti zerbi da un Giovan Villano -col diritto di trarre acqua dalla Vetabia, e di potere all’uopo -fare fossati traverso ai poderi d’esso Villano e una chiusa: <i>ut -monasterium possit ex Vectabia trahere lectum, ubi ipsum -monasterium voluerit: et si fuerit opus, liceat facere eidem monasterio -fossata super terram ipsius Johannis ab una parte vie -et ab alia, et possit firmare et habere clusam in prato ipsius -Johannis, etc.</i> Di simil tenore molte carte sono addotte nelle -<i>Memorie Longobardiche Milanesi</i>, e massime per l’acquisto -delle acque d’un fosso che i Milanesi aveano fatto attorno alla -città, obbligandosi di tenerlo spurgato. Fin d’allora vi riscontriamo -tutti gli artifizj presenti di paratoje, stravacatori, salti di -gatto, bocchelli, incastri; insegnarono essi l’economica distribuzione -per ore, vendendo e affittandone il diritto. Coltivavano -anche la vigna, e tutti gli storici nostri menzionano una botte -di 500 brente di vino, ch’essi distribuivano in elemosina. <i>Prati -marcidi</i> son mentovati in carte del 1233 e 35 e 54. -</p> - -<p> -È un dovere il rammentare al secolo gaudente le opere di -quei poltroni di frati (nota tratta dalla <i>Storia di Milano</i> del -Cantù).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note273"> -<p><span class="label"><a href="#tag273">273</a>. </span><span class="smcap">Affò</span>, <i>Storia di Parma</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 249. Anche più tardi -Amedeo VIII di Savoja faceva doni a un eremita che s’occupava -di mantenere le strade presso Ginevra, ed altri a un canonico -che fondò la strada da Meillery a Bret. V. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia -polit.</i>, 363. Una supplica sporta il 5 aprile 1317 alla Signoria di -Firenze comincia: <i>Cum fratres Sancti Salvatoris de Septimo et -fratres Humiliatorum omnium Sanctorum de Florentia, olim et -hodie multipliciter servierint et quotidie serviant communi et -populo florentino in omnibus quæ ipsi communi expediunt etc.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note274"> -<p><span class="label"><a href="#tag274">274</a>. </span>«E tutte le creature appellava fratelli e sirocchie, dicendo -che tutti aveano uno cominciamento da un medesimo creatore -e padre». <i>Vite de’ Santi Padri.</i> — <i>Fratres mei aves, multum -debetis laudare Creatorem.... Sorores meæ hirundines... Segetes, -vineas, lapides et silvas, et omnia speciosa camporum, terramque -et ignem, aerem et ventum, ad divinum movebat amorem.... Omnes -creaturas fratris nomine nuncupabat, frater cinis, soror musca.</i> -<span class="smcap">Tom. Celano</span> suo discepolo. <i>Acta SS. octobris</i>. Vedi i <i>Fioretti</i> -di san Francesco, uno de’ più ingenui libri del nostro Trecento.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note275"> -<p><span class="label"><a href="#tag275">275</a>. </span>È particolarità notevole nei frati questa venerazione per -le opere di Dio, e la custodia delle piante storiche. Abbiamo già -accennato l’albero di san Benedetto a Napoli: a Roma si sta -volentieri al rezzo di quello ove san Filippo Neri col bello educava -alla virtù i giovani del suo Oratorio: ivi pure a Santa Sabina -additano un arancio piantato da san Domenico: uno da -san Tommaso d’Aquino a Fondi. Se Aristotele o Teofrasto scrivessero -ora la storia naturale, non dimenticherebbero queste -particolarità.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note276"> -<p><span class="label"><a href="#tag276">276</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Nullo donca oramai più mi riprenda,</p> -<p class="i01">Se tal amore mi fa pazzo gire.</p> -<p class="i01">Già non è core che più si difenda...</p> -<p class="i01">Pensi ciascun come cor non si fenda,</p> -<p class="i01">Fornace tal come possa patire....</p> -<p class="i02"> Data m’è la sentenza</p> -<p class="i02"> Che d’amore io sia morto;</p> -<p class="i02"> Già non voglio conforto</p> -<p class="i02"> Se non morir d’amore....</p> -<p class="i01">Amore, amore, grida tutto il mondo;</p> -<p class="i01">Amore, amore, ogni cosa clama...</p> -<p class="i01">Amore, amor, tanto pensar mi fai;</p> -<p class="i01">Amore, amore, nol posso patire;</p> -<p class="i01">Amore, amore, tanto mi ti dai;</p> -<p class="i01">Amore, amore, ben credo morire;</p> -<p class="i01">Amore, amore, tanto preso m’hai;</p> -<p class="i01">Amore, amore, fammi in te transire;</p> -<p class="i02"> Amor, dolce languire;</p> -<p class="i02"> Amor mio desioso,</p> -<p class="i02"> Amor mio dilettoso,</p> -<p class="i02"> Annegami d’amore.</p> -<p class="i01">Amor, amor, Jesù son zonto a porto;</p> -<p class="i01">Amor, amor, Jesù dammi conforto;</p> -<p class="i01">Amor, amor, Jesù sì m’ha infiammato;</p> -<p class="i01">Amor, amor, Jesù io sono morto...</p> -<p class="i01">Amor, amor, per te sono rapita;</p> -<p class="i01">Amor, amor, viva, non me dispregia;</p> -<p class="i01">Amor, amor, l’anima teco unita;</p> -<p class="i02"> Amor, tu sei sua vita,</p> -<p class="i02"> Jam non se po’ partire,</p> -<p class="i02"> Perchè la fai languire,</p> -<p class="i02"> Tanto struggendo amore.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note277"> -<p><span class="label"><a href="#tag277">277</a>. </span><i>Ap</i>. <span class="smcap">Joh. Lucium</span>, <i>De regno Dalmatiæ</i>, pag. 338; e <span class="smcap">Ghirardacci</span>, -<i>Storia di Bologna</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note278"> -<p><span class="label"><a href="#tag278">278</a>. </span><i>Impugnationis arma secum fratres non deferant nisi pro -defensione romanæ ecclesiæ, christianæ fidei, vel etiam terræ -ipsorum</i>. Cap. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note279"> -<p><span class="label"><a href="#tag279">279</a>. </span>Guitton d’Arezzo scriveva di san Francesco: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Cieco era il mondo, tu failo visare;</p> -<p class="i01">Lebbroso, hailo mondato;</p> -<p class="i01">Morto, l’hai suscitato;</p> -<p class="i01">Sceso ad inferno, failo al ciel montare.</p> -</div></div> - -<p> -Dante ne pone un magnifico elogio in bocca a san Tommaso -e san Bonaventura nel <span class="smcap lowercase">X</span> e <span class="smcap lowercase">XI</span> del <i>Paradiso</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note280"> -<p><span class="label"><a href="#tag280">280</a>. </span><span class="smcap">Landulfi Senioris</span> <i>Historia Mediolani</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 27.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note281"> -<p><span class="label"><a href="#tag281">281</a>. </span><i>Multa petebant instantia prædicationis auctoritatem sibi -confirmari.</i> Stefano di Borbon ap. <span class="smcap">Giesler</span>, pag. 510. -</p> - -<p> -Che il nome di Valdesi derivi da Pietro Valdo, lo smentirebbe -il trovarlo in un manoscritto della <i>Noble leçon</i> di Cambridge -che si suppone del 1100, cioè prima di esso Valdo, ove leggesi -in provenzale: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Que non vollìa maudire, ni jurar, ni mentire,</i></p> -<p class="i01"><i>Ni ahountar, ni ancire, ni prenre de l’autrui,</i></p> -<p class="i01"><i>Ni venjar se de li sio ennemie,</i></p> -<p class="i01"><i>Illi disent quel és Vaudés, e degne de murir.</i></p> -</div></div> - -<p> -Forse viene dal tedesco <i>wald</i> foresta. — Cataro in greco vuol -dire <i>puro</i>, e forse presero tal nome per la pretesa innocente -vita. Sant’Agostino già chiama <i>cataristi</i> i Manichei, <i>De hær. -Manich.</i> I Tedeschi chiamano ancora <i>ketzer</i> gli eretici. — <i>Patarini</i> -furon detti da <i>pati</i>, perchè ostentavano penitenza; o dal -<i>pater</i>, che era la loro preghiera. In una costituzione di Federico -II leggesi: <i>In exemplum martyrum, qui pro fide catholica -marthyria subierunt, Patarenos se nominant, veluti expositos -passioni.</i> Ed anche le <i>Assise</i> di Carlo I portano nel francese -d’allora: <i>Li vice de ceaus son coneu par leur anciens nons, et ne -veulent mie qu’il soient apelé par leur propres nons, mais s’apellent -Patalins par aucune excellence, et entendent que Patalins -vaut autant comme chose abandonnée à soufrir passion en l’essemble -des martyrs, qui souffrirent torment pour la sainte foy.</i> -</p> - -<p> -Con infiniti nomi se ne indicavano le varie sêtte, de’ <i>Gazari</i>, -<i>Arnaldisti</i>, <i>Giuseppini</i>, <i>Leonisti</i>, <i>Bulgari</i> (da cui il <i>bougre</i> dei -Francesi, e il <i>bolgiron</i> de’ Lombardi), <i>Circoncisi</i>, <i>Publicani</i>, -<i>Insabbatati</i>, <i>Comisti</i> (che alcuno volle chiamati così da Como), -<i>Credenti di Milano</i>, <i>di Bagnolo</i>, <i>di Concorezzo</i>, <i>Vanni</i>, <i>Fursci</i>, -<i>Romulari</i>, <i>Carantani</i>....</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note282"> -<p><span class="label"><a href="#tag282">282</a>. </span>Così il Vignerio, reputato dai Protestanti restauratore -della storia ecclesiastica. <i>Bibliotheca historica</i>, addiz. alla P. <span class="smcap lowercase">II</span>. -p. 313. Anche frà Ranerio Saccone dà per origine delle chiese -di Francia e d’Italia quelle di Bulgaria e Drungaria. -</p> - -<p> -«Quando i Valdesi si separarono da noi, ben pochi dogmi -avevano contrarj ai nostri, o forse nessuno». <span class="smcap">Bossuet</span>, <i>Hist. -des variations</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XI</span>. — E fra Ranerio Saccone: <i>Cum omnes -aliæ sectæ immanitate blasphemiarum in Deum audientibus horrorem -inducant, hæc magnam habet speciem pietatis, eo quod -coram hominibus juste vivant, et bene omnia de Deo credant, et -omnes articulos qui in symbolo continentur observent; solummodo -romanam ecclesiam blasphemant et clerum</i>. Corrado Uspergense -dice che papa Lucio li condannò per alcuni dogmi ed -osservazioni superstiziose. Claudio di Seyssel arcivescovo di -Torino dichiarò irriprovevole la loro vita: locchè a Bossuet -pare una nuova seduzione del demonio. -</p> - -<p> -Moltissimi autori ne scrissero: e dopo tornati i suoi re al -Piemonte nel 1814, qualche inquietudine fu data ai Valdesi -rifuggiti nelle valli subalpine; onde i re di Prussia ed Inghilterra -porsero ad essi soccorso. Allora varj Inglesi andarono a visitarli, -e ne uscirono diversi scritti, quali sono <i>Authentic details of the -Valdenses in Piedmont and other countries, with abridged translations -of</i> L’histoire des Vaudois par Bresse, <i>and</i> La rentrée -glorieuse d’Henri Armand; <i>with the ancient Valdesian catechism; -to which is subjoined original letters, written during a -residence among the Vaudois of Piedmont and Würtemberg in</i> -1825. Londra. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Gilly</span>, <i>Narrative of an excursion to the mountains of Piedmont -in the year 1823, and researches among the Vaudois or -Waldenses protestants inhabitants of the Cottien alpes. With -maps</i>. Londra 1820. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Jones</span>, <i>The history of the Christian Church, including the -very interesting account of the Waldenses and Albigenses</i>, 2 vol. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Lowthec’s</span> <i>Brief observations on the present state of the -Waldenses</i>. 1825. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Acland</span>, <i>A brief sketch of the history and present situation -of the Vaudois</i>. 1826. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Allix</span>, <i>Some remarks upon the ecclesiastical history of the -ancient churches of Piedmont</i>. -</p> - -<p> -<i>Recherches historiques sur la véritable origine des Vaudois</i>. -Parigi 1836. È cattolico. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Peyrun</span>, <i>Notice sur l’état actuel des églises vaudoises</i>. Ivi, -1822. Li sostiene coevi del cristianesimo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">A. Muston</span>, <i>Hist. des Vaudois des vallées du Piémont</i>. 1834. -</p> - -<p> -<i>L’Israel des Alpes, ou les Martyrs vaudois</i> li fa oriundi da -Leone, che nel <span class="smcap lowercase">IV</span> secolo si separò da papa Silvestro, quando -questi accettò beni temporali da Costantino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note283"> -<p><span class="label"><a href="#tag283">283</a>. </span>Abbiamo consultato in proposito moltissime opere e -diversi manoscritti e processi. Il cremonese Moneta, uom dissoluto, -sentendo predicare in Bologna Reginaldo d’Orléans, -si convertì, e fatto inquisitor della fede a Milano il 1220, -<i>tamquam leo rugiens</i> si scagliò contro le eresie, e scrisse una -<i>Summa theologica</i>, grosso volume in-foglio, edito a Roma il 1743 -dal padre Tommaso Agostino Richino col titolo <i>Venerabilis -patris Monetæ Cremonensis, ordinis Prædicatorum, sancto patri -Dominico æqualis, adversus Catharos et Valdenses libri quinque.</i> -Il Saccone, dopo stato cataro diciassett’anni, si convertì, e li -perseguitò come vedremo; e la sua <i>Summa de Catharis et Leonistis, -sive Pauperibus de Lugduno</i> fu inserita nel <i>Thesaurus -novus anecdotorum</i> dei PP. Martène e Durand, Parigi 1717, -tom. <span class="smcap lowercase">V</span>. In questa <i>Summa</i> trovo menzionato un volume di dieci -quaderni, in cui Giovanni di Lugio avea deposti i suoi errori. -Buonaccorso, già vescovo dei Catari in Milano, li confutò nella -<i>Manifestatio hæreseos Catharorum</i>: è nello <i>Spicilegio</i> del padre -d’Achery, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 208 del 1723. Nel suddetto <i>Thesaurus</i> -vedasi pure una <i>dissertatio inter Catholicum et Patarinum</i>; e -l’opera di frà Stefano di Bellavilla inquisitore. -</p> - -<p> -Questo punto si attacca a opinioni ridestatesi ai giorni nostri -sul comunismo, onde molto se ne parlò di recente, e noi di proposito -ne abbiamo trattato negli <i>Eretici d’Italia</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note284"> -<p><span class="label"><a href="#tag284">284</a>. </span>Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare -gli archivj del Sant’Uffizio in Toscana, scrive: — Per quanto io -abbia cercato ne’ processi eretti da’ nostri frati, non ho trovato -che gli eretici Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e -che si commettesse mai da loro, massime tra uomini e donne, -eccesso di senso; onde, se i frati non si tacquero per modestia, -il che non mi par credibile in uomini che abbadavano a tutto, i -loro errori erano, più che di sensualità, d’intelletto». Ap. <span class="smcap">Lanzi</span>, -<i>Lezioni di antichità toscane</i>, <span class="smcap lowercase">XVII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note285"> -<p><span class="label"><a href="#tag285">285</a>. </span><span class="smcap">Monetæ</span> <i>Summa</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note286"> -<p><span class="label"><a href="#tag286">286</a>. </span>Due ne pubblicò Costantino contro gli eretici, uno Valentiniano -I, due Graziano, quindici Teodosio I, tre Valentiniano II, -dodici Arcadio, diciotto Onorio, dieci Teodosio II, e tre Valentiniano -III, tutti inseriti nel codice Giustinianeo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note287"> -<p><span class="label"><a href="#tag287">287</a>. </span><i>Late patet Dei clementia, qui, pulso infidelitatis errore, -veritatem fidei suis fidelibus patefecit: justus enim ex fide vivit, -qui vero non credit, jam judicatus est. Nos igitur, qui gratiam -fidei in vanum non recipimus, omnes non recte credentes, qui -lumen fidei catholicæ hæretica pravitate in imperio nostro conantur -extinguere, imperiali volumus severitate puniri, et a -consortio fidelium per totum imperium separari; præsentium -tibi auctoritate mandantes, quatenus hæreticos Valdenses et -omnes qui in Taurinensi diœcesi zizaniam seminant falsitatis, -et fidem catholicam alicujus erroris seu pravitatis doctrina impugnant, -a toto Taurinensi episcopatu imperiali auctoritate -expellas; licentiam enim, auctoritatem omnimodam, et plenam -tibi conferimus potestatem, ut, per tuæ studium sollicitudinis, -Taurinensis episcopatus area ventiletur, et omnis pravitas, quæ -fidei catholicæ contradicit, penitus expurgetur</i>. Ap. <span class="smcap">Gioffredo</span>, -Storia delle Alpi Marittime al 1209.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note288"> -<p><span class="label"><a href="#tag288">288</a>. </span>Höffler pubblicò (<i>Kaiser Friedrich II, ein Beytrag etc.</i> -Monaco 1844) nuove lettere di Federico II, fra cui la seguente -a papa Gregorio IX, relativa all’inquisizione ereticale: -</p> - -<p> -<i>Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia -cuncta disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni -fastigium ad mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri -materialis conferens gladii potestatem, ut hominum ac dierum -excrescente malitia, et humanis mentibus diversarum superstitionum -erroribus inquinatis, uterque justitie gladius ad correctionem -errorum in medio surgeret, et dignam pro meritis in -auctores scelerum exerceret ultionem.... Quia igitur ex apostolice -provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam hereticam -pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium -precibus et monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre, -zelo fidei quo tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem -gratanter assurgimus, beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes, -illam diligentiam et sollicitudinem impensuri ad evellendum -et dissipandum de predictis civitatibus pestem heretice -pravitatis, ut auctore Deo, cui gratum inde obsequium prestare -confidimus ac vestris coadjuvantibus meritis, nullum in eis vestigium -supersit erroris, ac finitimas et remotas quascumque fama -partes attigerit, inflicta pena perterreat, et omnibus innotescat -nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus hostes fidei -ad gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio potenter -accingi. Dat. Tarenti</i> <span class="smcap lowercase">XXVIII</span> <i>febr. indict.</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>. -</p> - -<p> -In un’altra lettera esso Federico insiste con nuovo fervore -per la repressione degli eretici: <i>Ut regi regum, de cujus nutu -feliciter imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus, -tanto magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis -filii mater Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei -christiane, cujus sumus tamquam catholicus imperator precipui -defensores, novum opus assumpsimus ad extirpandam de regno -nostro hereticam pravitatem, que latenter irrepit et tacite contra -fidem. Cum enim ad nostram audientiam pervenisset, quod, sicut -multorum tenet manifesta suspicio, partes aliquas regni nostri -contagium heretice pestis invaserit, et in locis quibusdam occulte -latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum credidimus -per penas debitas extirpasse radices, incendio traditis, quos -evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas -regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de -talium statu diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus -suspicio sit hereticos latitare, omni sollicitudine discutiant veritatem. -Quidquid autem invenerint, fideliter redactum in scriptis, -sub amborum testimonio serenitati nostre significent, ut per eos -instructi, ne processu temporis illic hereticorum germina pullulent, -ubi fundare studemus fidei firmamentum, contra hereticos, -et fautores eorum, si qui fuerint, animadversione debita insurgamus. -Quia vero supradicta vellemus per Italiam et Imperium -exequi ut sub felicibus temporibus nostris exaltetur status fidei -christiane, et ut principes alii super his Cesar em imitentur; -rogamus beatitudinem vestram quatenus ad vos, quem spectat -relevare christiane religionis incommodum, ad tam pium opus -et officii vestri debitum exequendum diligentem operam assumatis, -nostrum si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut de -utriusque sententia gladii, quorum de celesti provisione vobis ac -nobis est collata potentia, subsidium non dedignatur alternum, -hereticorum insania feriatur, qui in contemtum divine potentie -extra matrem Ecclesiam de perverso dogmate sibi gloriam arroganter -assumunt. Messine</i> <span class="smcap lowercase">XV</span> <i>jul. indict.</i> <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note289"> -<p><span class="label"><a href="#tag289">289</a>. </span>Constitutio <i>Inconsutilem</i>; Const. <i>De receptoribus</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, — Una -lettera d’Onorio III papa alle città lombarde 1226 -(<span class="smcap">Raynaldi</span>, <i>ad an.</i> Nº 26) dice che «l’imperatore gli recò lamento -perchè esse città l’avessero impedito di procedere come -si era proposto contro l’eresia».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note290"> -<p><span class="label"><a href="#tag290">290</a>. </span><span class="smcap">Raynaldi</span>, <i>ad</i> 1231. — <span class="smcap">Corio</span>, part. <span class="smcap lowercase">II</span>. f. 72.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note291"> -<p><span class="label"><a href="#tag291">291</a>. </span>Per <i>ussit</i>: è in piazza de’ Mercanti. Ma Galvano Fiamma, -frate, cronista di retto senso, dice: <i>In marmore super equum -residens sculptus fuit, quod magnum vituperium fuit.</i> Il Frisi, -nelle <i>Mem. di Monza,</i> <span class="smcap lowercase">II.</span> 101, reca gli statuti dell’arcivescovo -Leon da Perego e dell’arciprete di Monza contro gli eretici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note292"> -<p><span class="label"><a href="#tag292">292</a>. </span>Cap. <span class="smcap lowercase">XXXI</span> <i>De simonia</i>; cap. <span class="smcap lowercase">XXIV</span> <i>De accusationibus</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note293"> -<p><span class="label"><a href="#tag293">293</a>. </span>Cap. fin. <i>De hæreticis</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note294"> -<p><span class="label"><a href="#tag294">294</a>. </span><span class="smcap">Bergier</span>, <i>Dictionnaire théol.</i>, voc. <i>Inquisition</i>. Gli enciclopedisti -rimproverano all’Inquisizione spagnuola d’avere abusato -«nell’esercizio d’una giurisdizione, in cui gl’italiani suoi -inventori usarono tanta dolcezza».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note295"> -<p><span class="label"><a href="#tag295">295</a>. </span>Per dire un caso fra cento, nel 1220 i Trevisani diedero -il guasto alle diocesi di Ceneda e di Feltre e Belluno; e dell’ultima -uccisero anche il vescovo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note296"> -<p><span class="label"><a href="#tag296">296</a>. </span><span class="smcap">Bolland.</span>, tom. <span class="smcap lowercase">X</span>, <i>Vita s. Petri Parens</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note297"> -<p><span class="label"><a href="#tag297">297</a>. </span><i>Regesta</i>, num. 123. 124, e pag. 130. lib. <span class="smcap lowercase">X</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note298"> -<p><span class="label"><a href="#tag298">298</a>. </span><span class="smcap">Giachi</span>, <i>App. alle Ricerche storiche di Volterra</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note299"> -<p><span class="label"><a href="#tag299">299</a>. </span><i>Archivio dipl. fiorentino</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note300"> -<p><span class="label"><a href="#tag300">300</a>. </span><span class="smcap">Ricardi S. Germani</span>, <i>Chron. ad ann</i>. 1232.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note301"> -<p><span class="label"><a href="#tag301">301</a>. </span>Ap. <span class="smcap">Mattia Paris</span> <i>ad</i> 1243.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note302"> -<p><span class="label"><a href="#tag302">302</a>. </span>Firenze serba molte memorie di que’ fatti. Sulla facciata -dell’uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due affreschi di -Taddeo Gaddi figurano san Pietro martire quando a dodici -nobili fiorentini dà lo stendardo bianco colla croce rossa per -tutela della fede. San Pietro fu deposto in altro magnifico arco -in Sant’Eustorgio a Milano coll’epitafio scritto da san Tommaso: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Præco, lucerna, pugil Christi, populi fideique.</i></p> -<p class="i01"><i>Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique</i></p> -<p class="i01"><i>Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,</i></p> -<p class="i01"><i>Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum etc.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note303"> -<p><span class="label"><a href="#tag303">303</a>. </span><i>Chron. parmense</i> nei Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note304"> -<p><span class="label"><a href="#tag304">304</a>. </span><span class="smcap">Fr. Christ. Schlosser</span>,<i> Abelardo e Dolcino; vita ed -opinioni d’un entusiasta e d’un filosofo.</i> Gota 1807. — <span class="smcap">C. Baggiolini</span>, -<i>Dolcino e i Patareni</i>. Novara 1838. — <span class="smcap">Julius Krone</span>, -<i>Frà Dolcino und die Patarener, historische Episode aus den -piemontesischen Religionskriegen</i>. Leipzig 1844.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note305"> -<p><span class="label"><a href="#tag305">305</a>. </span><span class="smcap">Martène</span> e <span class="smcap">Durand,</span> <i>Collect. ampl.</i>, <span class="smcap lowercase">III</span>. 304.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note306"> -<p><span class="label"><a href="#tag306">306</a>. </span>Furono espresse con questo barbaro distico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Gram. <i>loquitur</i>: dia. <i>vera docet</i>: rhet. <i>verba colorat</i>:</p> -<p class="i01">Mus. <i>canit</i>: ar. <i>numerat</i>: geo. <i>ponderat</i>: ast. <i>colit astra</i>.</p> -</div></div> - -<p> -Meno rozzamente le compendiò l’Ostiense, <i>Summ. lit. de -magistris</i>: -</p> - -<table class="gener" summary=""> - <tr> - <td>Grammatica.</td> <td><i>Quidquid agunt artes, ego semper prædico partes.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Dialectica.</td> <td><i>Me sine, doctores frustra coluere sorores.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Rhetorica.</td> <td><i>Est mihi dicendi ratio cum flore loquendi.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Musica.</td> <td><i>Invenere locum per me modulamina vocum.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Geometria.</td> <td><i>Rerum mensuras, et rerum signo figuras.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Arithmetica.</td> <td><i>Explico per numerum quid sit proportio rerum.</i></td> - </tr> - <tr> - <td>Astronomia.</td> <td><i>Astra viasque poli vindico mihi soli.</i></td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="footnote" id="note307"> -<p><span class="label"><a href="#tag307">307</a>. </span><i>Ab annis puerilibus eruditus est in scholis liberalium artium et legum secularium, ad suæ morem patriæ</i>. <span class="smcap">Milone Crispino</span>, -Vita Lanfr., cap. <span class="smcap lowercase">V</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note308"> -<p><span class="label"><a href="#tag308">308</a>. </span><i>Præfatio ad Monologium.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note309"> -<p><span class="label"><a href="#tag309">309</a>. </span><i>Veritas intellectus est adæquatio intellectus et rei, secundum -quod intellectus dicit esse quod est, vel non esse quod non est.</i> -Adv. gent., <span class="smcap lowercase">I</span>. 49. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note310"> -<p><span class="label"><a href="#tag310">310</a>. </span>«Errano molti credendosi nobili perchè di nobile casato; -il qual errore in molti modi può ribattersi. E primieramente, se -si consideri la causa creatrice, Iddio col farsi autore di nostra -schiatta, la nobilita tutta; se la causa seconda è creata, i primi -padri da cui discendiamo sono gli stessi per tutti, tutti ne ricevettero -egual nobiltà e natura. La medesima spica dà il fior di -farina e la crusca; questa gettasi ai porci, quella sale alla mensa -dei re; così dal medesimo tronco potran nascere due uomini, -uno vile, nobile l’altro. Se ciò che viene da un nobile ne ereditasse -la nobiltà, gl’insetti del suo capo e le naturali superfluità -in lui generate diverrebbero nobili del pari. Bello è il non deviare -dagli esempj de’ nobili avi, ma più bello l’avere illustrato un -umile nascimento con grandi azioni. Ripeto dunque con san Girolamo, -che in questa nobiltà pretesa ereditaria nulla merita -invidia, se non l’essere i nobili obbligati alla virtù per vergogna -di dirazzare. Nobiltà vera è quella sola dell’anima».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note311"> -<p><span class="label"><a href="#tag311">311</a>. </span><i>Infidelium quidam sunt qui nunquam susceperunt fidem, -sicut Gentiles et Judæi; et tales nullo modo sunt ad fidem compellendi ut ipsi credant, quia credere voluntatis est; sunt tamen -compellendi a fidelibus, si adsit facultas, ut fidem non impediant -vel blasphemiis, vel malis persuasionibus, vel etiam apertis persecutionibus. -Et propter hoc fideles Christi frequenter contra -infideles bellum movent etc.</i> Summa, 2a 2æ, quæst. <span class="smcap lowercase">X</span>, art. 8.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note312"> -<p><span class="label"><a href="#tag312">312</a>. </span>Ogni dono perfetto, secondo lui, viene dal padre dei lumi, -e per quattro vie: l’esteriore che rischiara le arti meccaniche, -l’inferiore che produce le nozioni sensitive, l’interna o cognizione -filosofica, e quella della santa scrittura. La prima si propone -di soddisfare i bisogni corporei, divisa nelle sette arti del -tessere, fabbricare armi, caccia, agricoltura, navigazione, drammatica, -medicina. La seconda illumina le forme esteriori; e lo -spirito, luminoso per sua natura, risiede nei nervi, la cui essenza -si moltiplica ne’ cinque sensi. La cognizione filosofica cerca le -cause segrete per via dei principj di verità, insiti nella natura -dell’uomo, le quali si riferiscono o alle parole o alle cose o ai -costumi, onde la filosofia è o razionale o naturale o morale: la -razionale è grammatica, o logica, o retorica; la naturale comprende -fisica, matematica e metafisica; la morale è personale, -economica o politica, secondo che concerne l’uomo, la famiglia -o lo Stato. Le cose eccedenti la ragione sono manifestate all’uomo -dalla luce superna della Grazia e della rivelazione; e -come le cognizioni tutte derivano dalla luce stessa, così sono -ordinate alla scienza delle verità sante, e da esse perfezionate.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note313"> -<p><span class="label"><a href="#tag313">313</a>. </span>Fu un vezzo della scuola l’attribuire un aggettivo caratteristico -ai varj dottori. Così san Tommaso fu detto <i>l’angelo -della scuola</i>; san Bonaventura <i>il serafico</i>; Duncano Scoto <i>il sottile</i>; -Ockam <i>il singolare</i>; Enrico di Gand <i>il solenne</i>; Egidio di -Roma <i>il fondatissimo</i>; Alano dell’Isola <i>l’universale</i>; Ruggero -Bacone <i>l’ammirabile</i>; Guglielmo Durand <i>il risolutissimo</i>; -Middleton <i>il solido</i>, o <i>l’autentico</i>; Pier Lombardo <i>il maestro -delle sentenze</i>, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note314"> -<p><span class="label"><a href="#tag314">314</a>. </span>Questa scuola può dirsi scoperta da Merkel nella <i>Geschichte -des Langobardenrechts</i>. Berlino 1850.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note315"> -<p><span class="label"><a href="#tag315">315</a>. </span>Del 752 si ha una causa del vescovo d’Arezzo contro -quello di Siena; dove spesso è citato il Digesto: <i>Si hoc vendicare -neglexerint, infamia laborare, ut in Codicis libro <span class="smcap lowercase">IX</span>, tit. de -sepulcro violato</i>, Si quis sepulcrum lesurus etc.... <i>Item in -<span class="smcap lowercase">VIII</span> libro Codicis legitur</i> Si quis in tanta furoris etc.... <i>Quod -autem hæc quæstio procedere debeat, <span class="smcap lowercase">IX</span> Codicis liber testatur, -titulo ad legem Juliam de vi publica et privata</i>, Si quis ad -se etc. -</p> - -<p> -Il Muratori, <i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">XLIV</span>, pubblica una carta del 767 -affatto guasta, in cui al monastero di Santa Maria in Cosmedin -a Ravenna si donano molti beni, promettendo l’evizione, rinunziando -per sè e suoi <i>legum beneficia, juris et facti ignorantia, -foris locisque, prescriptione alia, senatoconsulto</i> (probabilmente -il SC. Vellejano, l. <span class="smcap lowercase">XVI</span>, § 1) <i>quod de mulieribus prestitit</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note316"> -<p><span class="label"><a href="#tag316">316</a>. </span>Alcuno assegna a lui anche le <i>Autentiche</i>, cioè gli estratti -delle <i>Novelle</i>, deroganti le costituzioni imperiali, che trovansi -ne’ manoscritti del <i>Codice</i>, e che furono citate e seguite come -leggi; e pare in effetto che le più siano da attribuire a lui, e -fossero poi cresciute da’ suoi successori, fino ad Accursio che -ne chiuse la serie.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note317"> -<p><span class="label"><a href="#tag317">317</a>. </span>Si narra che alcuni muratori stando a lavorare, gridavano -ai passeggieri di guardarsi. Uno non badò all’avviso, e rimase -colpito da una pietra; di che portò querela. Pillio consigliò i -querelati di non rispondere; talchè i giudici li rimandavano per -muti, quando l’accusatore uscì ad esclamare: — Come muti, se -mi hanno gridato di guardarmi?» Tanto bastò a mandarli -assolti. Storiella da scolari, come se ne suole inventare tante -anche al nostro tempo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note318"> -<p><span class="label"><a href="#tag318">318</a>. </span>Secondo Cujacio (<i>De feud.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>), la consuetudine variava -fra le città: a Milano, Cremona, Pavia il vassallo poteva alienare -il feudo senza consenso del signore, mentre era indispensabile -a Mantova e Verona; in Piacenza chi investiva altri d’un -feudo trasmissibile al successore, non poteva toglierlo finchè -viveva; a Milano e Cremona sì. Le consuetudini della Puglia e -Sicilia in tal materia si conservavano in libri chiamati <i>Defetarj</i>, -che perirono sotto Guglielmo I, ma a memoria li supplì Matteo -Notaro. <span class="smcap">Giannone</span>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note319"> -<p><span class="label"><a href="#tag319">319</a>. </span>Dopo i varj tentativi, anche per ordine ed opera dei pontefici, -il torinese Sebastiano Berardi stampò a Venezia nel 1777 -<i>Gratiani canones genuini ab apocryphis discreti; corrupti ad -emendatiorum codicum fidem exacti; difficiliores commoda interpretatione -illustrati</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note320"> -<p><span class="label"><a href="#tag320">320</a>. </span>Lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, pr. D. de quæst.: <i>Cum capitalia et atrociora -maleficia non aliter explorari possunt quam per servorum quæstiones, -efficacissimas eas esse ad requirendam veritatem existimo, -et habendas censeo.</i> Papa Nicola I, in una lettera ai Bulgari di -recente convertiti, la riprova, come avrebbe potuto fare il Beccaria -nove secoli appresso: — So che, preso un ladro, con -tormenti lo cruciate finchè palesi: ma nessuna umana o divina -legge il concede, dovendo la confessione venire spontanea, non -istrapparsi a forza, ma proferirsi volontariamente. Se, inflitte -quelle pene, nulla non iscoprite di ciò ond’è imputato, non arrossite? -non v’appare l’iniquo vostro giudizio? E se alcuno, non -reggendo ai tormenti, si confessi colpevole senz’essere, di chi -è l’empietà se non di colui che lo forza a confessare mendacemente? -Lasciate dunque, ed esecrate tali usi».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note321"> -<p><span class="label"><a href="#tag321">321</a>. </span>Nello statuto che Giordano, abbate del monastero di -sant’Elena, dava al castello di Montecalvo nel 1190, erano -proibiti i giudizj di Dio, e assicurata la libertà personale, non -dovendo uno essere catturato se non in forza di giudizio, e potendo -esimersene col dare una garanzia: <i>Nemo Montiscalvi -judicium ferri fervidi et aquæ calidæ, vel pugnam facere debet. -Nemo habitator Montiscalvi capi debet antequam judicetur: ac -si judicatus fuerit, capi non debet si fidejussorem dare potuerit, -præter in gravioribus culpis, de quibus corporaliter judicatur. -Insuper nihil in eodem castro sine judicio capi debet.</i> È precisamente -la legge inglese dell’<i>Habeas corpus</i>. V. <span class="smcap">Tria</span>, <i>Mem. storiche -della città e diocesi di Larino</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note322"> -<p><span class="label"><a href="#tag322">322</a>. </span>Capit. <span class="smcap lowercase">II</span> <i>De probat.</i> nelle Decretali di Gregorio IX. E per -quel che segue vedi i titoli De indiciis et de libellis oblat.; <i>De -off. et pot. jud. deleg.; De foro comp.</i> Vedi pure <span class="smcap">Rocco</span>, <i>Jus canonicum -ad civilem jurisprudentiam perficiendam quid attulerit</i>. -Palermo 1839.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note323"> -<p><span class="label"><a href="#tag323">323</a>. </span>Se v’è alcuno che nel secolo nostro abbia conservato -tutti i rancori e le prevenzioni del secolo passato contro l’ordinamento -ecclesiastico, è Guglielmo Libri. Pure scrive: <i>A la -chûte de l’empire romain l’Eglise devint dépositaire de la civilisation -de l’Europe, et préchant l’évangile aux envahisseurs, elle -adoucit les mœurs des plus farouches, et leur enseigna la charité. -Par l’influence de la religion, ils apprirent les éléments des -lettres latines, et s’habituèrent à vénérer en Rome, même après -l’avoir asservie, la capitale de la chrétienté. Les pieux missionnaires -qui parcouraient alors l’Occident, représentaient un ordre -social bien moins imparfait que tout ce qui existait chez les barbares; -et leur parole désarmée descendant sur des hommes qui -semblaient destinés à faire de l’Europe un immense tombeau, -les arrêta, les subjugua, leur inspira l’amour du prochain, qui -était pour eux la plus nécessaire des vertus. Ce fut le plus beau -temps du christianisme.... qui fut plus vénérable, plus sublime -aux jours de lutte et d’adversité, que dans ses temps de puissance et de splendeur</i> (Hist. des sciences mathématiques en Italie; -vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 2). Di qui passa a sostenere la nimicizia della Chiesa -per qualunque scienza, eccetto il catechismo; e che ai Musulmani -è dovuto il risorgimento del sapere: <i>Les Arabes ont semé -partout les germes de la civilisation.... partout la civilisation -arabe communique aux esprits une nouvelle activité... ils ont -été les maîtres en tout des chrétiens</i>; essi fecero in pochi anni -quel che la Chiesa non aveva saputo in molti secoli.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note324"> -<p><span class="label"><a href="#tag324">324</a>. </span>Gli ultramontani erano Gallia, Portogallo, Provenza, -Inghilterra, Borgogna, Savoja, Guascogna, e Alvernia, Bituria, -Turena, Castiglia, Aragona, Catalogna, Navarra, Alemagna, -Ungheria, Polonia, Boemia, Fiandra. I citramontani Romagna, -Abruzzo e Terra di Lavoro, Puglia e Calabria, la Marca Anconitana -inferiore, la superiore, Sicilia, Firenze, Pisa e Lucca, -Siena, Spoleto, Ravenna, Venezia, Genova, Milano, Lombardi, -Tessalonici (?), Celestini (?). Nel 1848, quando credeasi inventata -allor allora l’idea di nazionalità, gli scolari delle università -di Germania si organizzarono secondo le nazioni; novità anche -questa di seicento anni in data. -</p> - -<p> -Le lezioni versavano sopra le cinque parti del <i>Corpus juris</i>, -e ancora ci restano quelle d’Odofredo sulle tre parti del Digesto -e sui nove primi libri del Codice. Uno potea fare molti corsi e -perciò bastare a moltissimi scolari, ogni corso durando un anno, -e ogni adunanza un’ora: poi nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span> ne fu variata la -distribuzione; le tre parti del Digesto e il Codice s’insegnarono -simultaneamente da due dottori, da un altro il <i>Volumen</i>, che -conteneva gl’Instituti, le Autentiche, il diritto feudale, le leggi -imperiali, e i tre ultimi libri del Codice. Più tardi s’introdussero -corsi speciali sopra una materia sola; e principalmente a Bologna -ne tenevano i notaj per la loro professione, col diritto -anche di dottorare. -</p> - -<p> -Ecco il metodo ordinario de’ corsi. Cominciato da un prospetto -generale (<i>summa</i>), leggevano il testo sopra cui esercitare -la critica; poi chiarivano le difficoltà, le contraddizioni, i casi -speciali (<i>casus</i>); riepilogavano le regole generali (<i>brocarda</i>); -discutevano i punti dubbj (<i>quæstiones</i>); il qual ordine non -toglieva che ciascun professore restasse libero nel metodo e -nell’insegnamento; gli scolari poi scrivevano sotto dettatura, -liberi d’interrompere e far domande, massime nelle lezioni -straordinarie che si davano dopo il pranzo. Dipoi s’introdussero -i Quinternetti o <i>glossæ</i>, che da principio eran note, fatte da -ciascuno in margine del proprio testo, e perfezionate via via col -tempo, e che dopo la morte del maestro venivano cerche con -avidità, poichè contenevano il sostanziale della scienza dell’autore; -più tardi s’ingrandirono, e da schiarimenti d’una parola -divennero un commento. Vi tennero dietro le Quistioni, libri -intorno all’ordine giudiziale, trattati sulle azioni, distinzioni, -raccolte di controversie, che a gara si ricopiavano. Nelle scuole -era determinato su quali libri esercitarsi; e generalmente non -si spiegavano in ciascun anno che alcuni testi, con iscapito della -profondità e dell’indipendenza. -</p> - -<p> -L’esame privato costava sessanta lire, ottanta il pubblico; -ventiquattro al dottore che presentava, e due od una a ciascun -dottore assistente, secondo era pubblico o privato; dodici e -mezzo all’arcidiacono per ciascun esame, e tre per ciascun discorso. -Più spendeasi negli apparati, talchè nel 1311 il papa -ordinò che in tal lusso nessuno consumasse di là dalle cinquecento -lire. -</p> - -<p> -Ho preso appunto dello stipendio di qualche professore. Guido -da Suzzara obbligossi d’interpretare il Digesto a Bologna per -lire trecento bolognesi promessegli dagli scolari. Dino da Mugello -insegnò a Pistoja per lire ducento pisane annue; poi a -Bologna per dieci bolognesi, forse aggiunte alla retribuzione -degli scolari: Napoli gli esibì cento oncie d’oro. I frati del -Sacco nel 1270 condussero Lapo fiorentino a leggere fisica e -logica nel loro convento, per lire trenta bolognesi oltre il vitto; -nel 1261 i Vicentini Arnoldo a leggere diritto canonico, per -cinquecento lire di stipendio, patto che avesse almeno venti -scolari; Aldovrando degli Ulciporzi bergamasco, a leggere l’<i>inforzato</i> -per lire cenventi, e per cencinquanta Raulo la medicina. -Il Pillio venne ad insegnare diritto civile a Modena per cento -marchi d’argento. Tommaso d’Aquino riceveva da Carlo I -un’oncia d’oro al mese; nel 1399 in Piacenza Baldo toccava lire -censessantaquattro mensili per leggere il Codice, e nel 1397 -milleducento annue: Marsilio di Santa Sofia, lire censettanta, -compresa la pigione della casa: gli altri, da quattro fin a sessantasei -lire al mese. Talvolta gli scolari servivano quasi di paggi -ai maestri, tagliando innanzi, versando alla coppa, ecc. Odofredo, -oltre le lezioni all’università, ne dava di straordinarie a chi -pagasse; ma poco cavandone, finì la spiegazione del Digesto -così: — E vi dico che l’anno vegnente intendo insegnare ordinariamente -bene e legalmente, come mai non feci; ma straordinariamente -non credo leggere, perchè gli scolari non sono -buoni pagatori, vogliono intendere e non ispendere, giusta quel -dettato <i>Imparar vuole ognun, nessun pagare.</i> Altro non ho a -dirvi; ite colla benedizione del Signore». Garzia spagnuolo fu -il primo, cui nel 1280 si assegnasse non uno stipendio annuo, ma -il capitale di lire cencinquanta: poi nel 1289 al professore di -diritto civile si fissarono annue lire cento, e cencinquanta a -quel di canonico.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note325"> -<p><span class="label"><a href="#tag325">325</a>. </span>E’ la chiama Crisopoli -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> <i>quia grammatica manet alta</i></p> -<p class="i01"><i>Artes et septem studiose sunt ibi lectæ.</i></p> -<p class="i08"> Rer. It. Scrip., <span class="smcap lowercase">V</span>. p. 454.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note326"> -<p><span class="label"><a href="#tag326">326</a>. </span>Nell’Archivio diplomatico di Firenze si trovano gli istromenti -fatti con Francesco Dataro di Piacenza medico per fiorini -cinquecento; con Giorgio d’Arrighetto Nati d’Asti canonista per -fiorini quattrocento; con Girolamo della Torre di Verona medico, -con Pier Leoni di Spoleto, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note327"> -<p><span class="label"><a href="#tag327">327</a>. </span>A Baldo nel 1397 milleducento fiorini; a Giason del -Maino nel 1492 duemila ducencinquanta; all’Alciato dal 1536 al -40 scudi mille, poi dal 1544 al 50 lire settemilacinquecento; a -Menochio nel 1589 lire seimila....</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note328"> -<p><span class="label"><a href="#tag328">328</a>. </span><i>Vita sancti Meinwerci.</i> Gli stupefacenti e il sonno magnetico -che oggi s’adoprano a tali operazioni, obbligano a riflettere -su quei racconti, anzichè riderne.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note329"> -<p><span class="label"><a href="#tag329">329</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Ova recentia, vina rubentia, pinguia jura,</i></p> -<p class="i01"><i>Cum simila pura naturæ sunt valitura.</i></p> -<p class="i01"><i>Cœna brevis, vel cœna levis fit raro molesta,</i></p> -<p class="i01"><i>Magna nocet, medicina docet, res est manifesta.</i></p> -<p class="i01"><i>Si fore vis sanus ablue sæpe manus:</i></p> -<p class="i01"><i>Lotio post mensam tibi conferet munera bina,</i></p> -<p class="i01"><i>Mundificat palmas, et lumina reddit acuta.</i></p> -<p class="i01"><i>Prima dies maji non carnibus auseris uti.</i></p> -<p class="i01"><i>Ruta viris minuit venerem, mulieribus addit</i></p> -<p class="i11"> <i>... Cruda comesta</i></p> -<p class="i01"><i>Ruta facit castum, dat lumen et ingerit astum:</i></p> -<p class="i01"><i>Cocta et ruta facit de pulcibus loca tuta.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note330"> -<p><span class="label"><a href="#tag330">330</a>. </span><span class="smcap">Sarti</span>, <i>Dei prof. bologn.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 144. — <span class="smcap">Renzi</span>, <i>St. della -Medicina</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note331"> -<p><span class="label"><a href="#tag331">331</a>. </span><span class="smcap">Fioretti</span>, cap. <span class="smcap lowercase">XXIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note332"> -<p><span class="label"><a href="#tag332">332</a>. </span><span class="smcap">Sarti</span>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 153. — Nelle Assise di Gerusalemme, -adottate nei possessi degl’Italiani in Levante, e che del resto -rappresentano le consuetudini de’ paesi europei, è stabilito che -se uno schiavo s’ammali, e un medico pattuisca col padrone di -esso di guarirlo, e gli dia cose calde e mollificanti mentre dovea -darne di fredde e restringenti, sicchè muoja, il medico sia obbligato -dare un servo simile, o il prezzo che costò fin al giorno -della morte: così se gli cavi sangue non a proposito o troppo; -o se, essendo idropico, gli tagli il ventre (praticavasi dunque la -paracentesi), poi non sappia trargli l’umore, e s’indebolisca e -muoja; o se, soffrendo di febbre quotidiana, lo purghi, e gli dia -troppa scamonea, e svuoti il ventre sin a morire. Se uno schiavo -abbia la lebbra o rogna o altra malattia, e il medico s’accordi -di guarirlo a patto che metà del valor di esso sia del medico, -metà del padrone, e faccia quanto sa ma nol guarisca, non è -obbligato a pagarlo, avendo perduto le proprie fatiche. Se così -avvenga a un libero o a una libera, il medico sarà impiccato, -dopo mandatolo per la terra frustandolo <i>con un urinal in man -per spaurir li altri de simel caso</i>, e i suoi beni confiscati dal -signore del luogo. Nessun medico venuto di fuori possa esercitare -l’arte sua se non riconosciuto abile dagli altri medici e dal -vescovo; altrimenti sia frustato per la terra.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note333"> -<p><span class="label"><a href="#tag333">333</a>. </span><span class="smcap">Saba Malaspina</span>, <i>Hist.</i>, cap. <span class="smcap lowercase">II</span>. -</p> - -<p> -Federico II, fra gli altri spauracchi alla Corte romana, credette -opporvi pure l’astrologia, e fe circolare tali versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Fata monent, stellæque docent, aviumque volatus</i></p> -<p class="i02"> <i>Quod Federicus ego malleus orbis ero.</i></p> -<p class="i01"><i>Roma diu titubans, variis erroribus acta,</i></p> -<p class="i02"> <i>Concidet et mundi desinet esse caput.</i></p> -</div></div> - -<p> -Colla calma della ragione gli fu risposto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Fata silent, stellæeque tacent, nil predicat ales;</i></p> -<p class="i02"> <i>Solius est proprium scire futura Dei.</i></p> -<p class="i01"><i>Niteris incassum navem submergere Petri;</i></p> -<p class="i02"> <i>Fluctuat et nunquam mergitur ista ratis.</i></p> -<p class="i01"><i>Quid divina manus possit, sensit Julianus;</i></p> -<p class="i02"> <i>Tu succedis ei: te tenet ira Dei.</i></p> -<p class="i10"> <span class="smcap">Jordani</span>, <i>Chron.</i>, cap. 221.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note334"> -<p><span class="label"><a href="#tag334">334</a>. </span>Negli <i>Atti dell’Accademia de’ nuovi Lincei</i>, 1851, trovo -notizie intorno a Gherardo Cremonese, per B. Boncompagni, -raccolta paziente di quanto di lui si ha o si disse, ma nè esame -nè giudizio. Importante è un brano inedito di traduzione d’un -trattato d’algebra che, se non il più antico, è de’ primi ove -fosse insegnata agli Europei questa scienza del raziocinio generale -per via della lingua simbolica. Ivi si trova anche il segno -negativo, mentre gli Arabi, e così il Fibonacci, non conosceano -che quantità positive; eppure si tardò trecento anni a dedurne -l’utilissima applicazione, cioè fino a Michele Stifel. La soluzione -delle equazioni di secondo grado vi è espressa con questi versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Cum rebus censum si quis dragmis dabis equum</i></p> -<p class="i01"><i>Res quadra medias quadratum adjice dragmas,</i></p> -<p class="i01"><i>Radici quorum medias res excipe demum,</i></p> -<p class="i01"><i>Residuum quæsti census radicem ostendet.</i></p> -</div></div> - -<p> -Non v’è chi non sappia che dagli algebristi per <i>cosa</i> s’intendeva -l’incognita, per <i>censo</i> il quadrato, per <i>numero</i> il noto; onde coi -simboli moderni si costruirebbe: -</p> - -<p class="center"> -<i>x<sup>2</sup></i> + <i>px</i> = <i>q</i> -</p> - -<p class="center"> -Donde <i>x</i> = -<span class="above">1</span>⁄<span class="below">2</span> <i>p</i> + √(<span class="above">1</span>⁄<span class="below">4</span> <i>p<sup>2</sup></i> + <i>q</i>). -</p> - -<p> -Seguono gli altri casi: e ognuno vede che con ciò trovasi prevenuto -frà Luca Paciolo. -</p> - -<p> -Ai dilettanti di tale scienza non isgarberà veder qui un problema -e la sua soluzione. -</p> - -<p> -<i>Quæritur quænam sint illæ partes denarii, quarum differentia, -juncta tetragonis earundem, collige 54.</i> -</p> - -<p> -<i>Sit una partium res, altera 10 minus re</i> (cioè x, e 10 - x). -<i>Differentia 10 minus duabus rebus, ex qua 2 partium tetragonis -conjunctis colligantur 100, et 2 census minus 20 rebus, quæ data -sunt æqualia 54</i> (cioè x<sup>2</sup> + (10 - x<sup>2</sup>) + 10 - 2 x = 54). <i>Per -restaurationem itaque rerum, 2 census cum 100 equivalent 54 et -22 rebus</i> (cioè 3 x<sup>2</sup> + 110 = 54 + 22 x). <i>Per ejectionem vero -abundantis numeri 56 et 2 census, 22 rebus adæquantur</i> (cioè -2 x<sup>2</sup> + 56 = 22 x). <i>Et per conversionem unus census cum 28 -æquentur 11 rebus</i> (cioè x<sup>2</sup> + 28 = 11 x). <i>Resolve per quintum -modum, et re erit 4.</i> -</p> - -<p class="center"> -Cioè x = <span class="above">1</span>⁄<span class="below">2</span> 11 ± √<span class="above">9</span>⁄<span class="below">4</span> -</p> - -<p class="center"> - = <span class="above">5</span>⁄<span class="below">2</span> ± <span class="above">3</span>⁄<span class="below">2</span> -</p> - -<p class="center"> -onde i due valori<br /> -x = <sup>2</sup><br /> - x = 4. -</p> - -<p> -L’autore indica solo quest’ultimo. -</p> - -<p> -Se non isbaglio, ivi è un tentativo di rappresentare le quantità -per lettere, come noi usiamo. Perocchè, dove cerca <i>qualiter -figurentur census radices et dragmæ</i>, insegna: <i>Numero censum -litera </i>c<i>, numero radicum litera </i>r<i>; deorsum virgulas habentes, -subterius apponantur. Dragmæ vero sine literis virgulas habeant, -quotiens hæc sine diminutione proponuntur. Verbi gratia, duo -census, tres radices, quatuor dragmæ sic figurentur</i> -</p> - -<table class="gener" summary=""> - <tr> - <td class="center">2</td> <td class="center">3</td> <td class="center">4</td> - </tr> - <tr> - <td class="center"><i>c</i></td> <td class="center"><i>r</i></td> <td class="center"><i>d</i></td> - </tr> -</table> - -<table class="gener" summary=""> - <tr> - <td rowspan="2" class="vcen">Qui</td> <td>2</td> <td rowspan="2" class="vcen">equivale</td> <td rowspan="2" class="vcen">al nostro</td> <td rowspan="2" class="vcen">2 x<sup>2</sup></td> - </tr> - <tr> - <td><i>c</i></td> - </tr> - <tr> - <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td>3</td> <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td rowspan="2" class="vcen">a</td> <td rowspan="2" class="vcen">3 x</td> - </tr> - <tr> - <td><i>r</i></td> - </tr> - <tr> - <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td>4</td> <td rowspan="2" class="vcen center">»</td> <td rowspan="2" class="vcen">al numero</td> <td rowspan="2" class="vcen">4</td> - </tr> - <tr> - <td><i>d</i></td> - </tr> -</table> - -<p> -Chasles aveva asserito che l’algebra numerica fu introdotta -in Europa dai traduttori del <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo. Guglielmo Libri lo impugnò -acerbamente. Ecco chi avesse ragione. (<i>Questa nota è tolta -dall’</i>Ezelino da Romano, storia d’un ghibellino -esumata da <span class="smcap">Cesare Cantù</span>, Milano 1854).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note335"> -<p><span class="label"><a href="#tag335">335</a>. </span><span class="smcap">Guido Bonatus</span> <i>de Forlivio, decem continens tractatus -astronomiæ</i>. Venezia 1506. -</p> - -<p> -Questi anni si litigò sulla patria sua; titolo d’onore, direbbero -i pedanti, senza ricordare che, vivi noi, si è disputato con tutto -il calore ammoniacale delle gazzette, se una cantatrice, viva e -nata nel paese ove se ne disputava, appartenesse a una provincia -o alla sua vicina. Filippo Villani, nella vita del Bonatto, -che sta inedita nella biblioteca Barberini di Roma, dice: <i>Guido -Bonatti iratus, cum esset florentinus origine, de Foro Livii se -maluit appellari... Fuit sane, quidquid ipse iratus loquatur, de -oppido Casciæ oriundus.</i> Cascia è terra del Valdarno superiore. -</p> - -<p> -Non è d’onor poco argomento l’essersi, ai cominciamenti della -tipografia, fatte tre edizioni del <i>Liber introductorius ad indicia -stellarum</i> del Bonatto: la prima ad Augusta il 1491; l’altra a -Basilea il 1550; l’altra a Venezia il 1506, che io ho sott’occhio, -col titolo <i>Guido Bonattus de Forlivio decem continens tractatus -Astronomiæ</i>. È in carattere quadro in foglio di 191 carte, con -incisionette. In fronte v’è Urania e l’astronomia coi dodici segni -dello zodiaco, e in mezzo seduto Guido, avvolto in un vestone -coll’ermellino arrovesciato sulle spalle, barbuto, in testa il berretto -aguzzo, in mano un globo ed un quadrante. Il Mazzuchelli -dice una copia manoscritta trovarsene nella biblioteca -Ambrosiana, ma in fatto non è che la copia di 169 considerazioni -de’ <i>Giudizj dell’astronomia</i>. Francesco Sirigatti (che nel -1500 fu astrologo della Signoria di Firenze) tradusse in italiano -quest’opera, per conforti di quel valentuomo che fu Gino Capponi, -e sta manoscritta nella Laurenziana. Il 1572 fu stampato in -tedesco a Basilea col titolo di <i>Auslegung des menschlichen Geburt-Stunden</i>. -Fu pur messo in francese, e certo anche in altre lingue, -chi avesse voglia di cercarlo. Giacchè ho nominato il Sirigatti, -aggiungerò che nel copia-lettere di monsignor Gore Gheri, -conservato nella biblioteca Capponi, n’è una del 1º marzo 1516 -al duca Lorenzo de’ Medici, siffatta: «El Sirigatto mi è venuto -a trovare, et decto ch’io ricordi alla Ex. V. che non faccia fatto -d’arme da <span class="smcap lowercase">V</span> a <span class="smcap lowercase">XII</span> di questo mese. Ma quando venisse uno bel -tracto che con ragione si vedesse da vincere e’ nemici, io attenderei -a quello che io vedessi in terra et non in cielo». (<i>Questa -nota è tolta anch’essa dall’</i>Ezelino da Romano).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note336"> -<p><span class="label"><a href="#tag336">336</a>. </span><span class="smcap">Savonarola</span>, <i>De laud. Patavii</i>, pag. 1155.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note337"> -<p><span class="label"><a href="#tag337">337</a>. </span>Vide una statua coll’indice teso, e scrittovi al capo <i>Qui -percuoti</i>. I cercatori avevano percosso delle volte assai quel -capo; ma l’accorto monaco fissò dove l’ombra dell’indice cadeva -al mezzodì, e nottetempo, con solo un compagno, sterrò e rinvenne -un’ampia reggia tutta d’oro: i soldati facevano ai dadi, -re e regina sedevano a mensa, da costa un damigello teneva -teso l’arco; e tutto ciò d’oro, e illuminato da un tizzone ardente -nel mezzo; e se si voleva toccare l’arciero, moveansi belle fanciulle -in danza. Gerberto, non ben fidandosi del compagno, -tolse soltanto dal desco un coltello di mirabile lavoro; ed ecco -sorgere frementi le danzatrici, l’arciere saettar il lume, tornando -bujo, ed obbligando così a lasciare ogni cosa intatta, senz’altro -raccogliere se non vaticinj che poi furono avverati. <span class="smcap">Jordani</span>, -<i>Chron.</i>, cap. 220 e 222.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note338"> -<p><span class="label"><a href="#tag338">338</a>. </span>Molte odierne ubbie, che si sogliono attribuire a ignoranza -del medioevo, ci vennero dagli antichi; verbigrazia, che -il tintinnire degli orecchi sia indizio che altri parli di noi; che -bevuto l’uovo, debba schiacciarsi il guscio (<span class="smcap">Ovidio</span>, <i>Fasti</i>). -Sant’Agostino (<i>Expositio epistolæ ad Galatas</i>, c. <span class="smcap lowercase">IV</span>) dice: <i>Vulgatissimus -est error Gentilium iste, ut vel in agendis rebus, vel in -expectandis eventibus vitæ ac negotiorum suorum, ab astrologis -notatos dies et menses et annos et tempora observent</i>. Così il -mangiar ceci alla Commemorazione dei morti faceasi dai Romani -nelle feste Lemurali in maggio, nel qual tempo si astenevano -dalle nozze (<i>Fasti</i>, <span class="smcap lowercase">V</span>); l’augurare al Capodanno; il dir <i>Dio -t’ajuti</i> quand’uno starnuta (<span class="smcap">Plinio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 2. § 11); l’affiggere -sulle porte gufi e barbagianni (<i>Quid quod istas nocturnas aves, -cum penetraverint larem quempiam; sollicite prehensas, foribus</i> -<i>videmus affigi?</i> <span class="smcap">Apulejo</span>, <i>Metam.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>). Nei <i>Cesti</i> di Giulio -Africano, vissuto sotto Alessandro Severo, tra tant’altre follie -si dà il <i>modo di disfarsi dei nemici</i>: — Preparate dei pani a -questo modo. Prendete sul fin del giorno una rana di campo o -rospo e una vipera, quali vedete designati nel pentagono perfetto -al sito della figura dove si trovano i segni della proslambanomene -del tropo lidio, cioè, un ζητα senza coda o un ταυ sdraiato<img src="images/ill-tau.jpg" class="letter" alt="" />(è la nota musicale <i>fa di sis</i>): chiudete questi animali -insieme in un vaso di terra, turandolo ermeticamente con argilla, -affinchè non ricevano nè aria nè luce. Ciò fatto, dopo un -tempo convenevole spezzate il vaso, e i resti che vi troverete -stemprate in acqua, nella quale impasterete il pane: di più, ungete -le tegghie in cui cocerete esso pane con tale composizione, -pericolosa fino a chi l’adopera. Preparata così questa pastura, -datela ai vostri nemici come potrete». -</p> - -<p> -Si sa che Caligola spese somme pel segreto di far l’oro; e -sotto Diocleziano v’ebbe una specie di persecuzione contro gli -alchimisti. Forse qualcuno avendo, così fra il tentare, ricotto -del borace e del cremor di tartaro con mercurio sublimato, e -fattolo svaporare sopra la superficie d’un vaso d’argento, trovò -questo indorato. Ebbe dunque a credere d’avere scoperto la -pietra filosofale, e andò ritentando quelle combinazioni, in cui, -sotto gli strani nomi d’allora, vediam sempre ritornare il borace, -il tartaro, il mercurio, il sal marino; i quali si sa che danno -all’argento una tinta gialla, ma che se ne va con una semplice -lavatura d’acido nitrico diluito.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note339"> -<p><span class="label"><a href="#tag339">339</a>. </span>Gl’Indiani adopravano, da quattromila anni fa, pei sette -suoni della loro scala, le lettere <i>s</i>, <i>r</i>, <i>g</i>, <i>m</i>, <i>p</i>, <i>d</i>, <i>n</i>; i Tibetani, le -cifre numeriche; i Greci, le lettere del loro alfabeto dall’Α alla -Ω, variando secondo i modi. Anche gl’Italiani ebbero una notazione -alfabetica, composta delle prime quindici lettere, che Gregorio -Magno ridusse alle sette prime per la scala diatonica, -distinguendo le ottave colle lettere majuscole per l’inferiore, e -colle minuscole per la superiore. Da poi si surrogarono i punti, -collocandoli sui righi: ma consisteva qui l’invenzione di Guido? -Egli trasse i nomi delle note dalle sillabe iniziali dell’inno del -Battista: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="smcap lowercase">UT</span> <i>queant laxis</i> <span class="smcap lowercase">RE</span><i>sonare fibris</i></p> -<p class="i01"><span class="smcap lowercase">MI</span><i>ra gestorum</i> <span class="smcap lowercase">FA</span><i>muli tuorum</i></p> -<p class="i01"><span class="smcap lowercase">SOL</span><i>ve polluti</i> <span class="smcap lowercase">LA</span><i>bii reatum</i>,</p> -<p class="i07"> <i>Sancte Joannes</i>.</p> -</div></div> - -<p> -Il <i>si</i> fu aggiunto nel secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span> da Van der Putten (<i>Erycius -Puteanus</i>). Kircher asserisce di aver veduto nella biblioteca dei -Gesuiti a Messina un ms. greco antico, con varj inni notati al -modo che si dice inventato da Guido. La corda grave ch’egli -aggiunse, fu segnata col gamma greco; e poichè questa lettera -si trovava così collocata in capo alla scala al modo usato allora, -la scala ne prese il nome di <i>gamma</i>. Le prime stampe di note -musicali si fecero a Milano, e ognun sa che le diverse espressioni -del linguaggio musicale sono italiane.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note340"> -<p><span class="label"><a href="#tag340">340</a>. </span>I canonisti soggiungevano che, come la terra è sette volte -maggiore della luna, e il sole otto volte maggiore della terra, il -papato era cinquantasei volte più grande dell’imperatore. Laurentius -il fa millesettecentoquattro volte più alto che l’imperatore -e i re. Non conosco gli elementi di questi calcoli.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note341"> -<p><span class="label"><a href="#tag341">341</a>. </span><i>Regesta</i>, 32. Egli definiva il papa <i>vicarius Jesus Christi, -successor Petri, Christus Domini, Deus Pharaonis, citra Deum, -ultra hominem, minor Deo, major homine</i>: Serm. de consecr. -pont. -</p> - -<p> -I diritti degl’imperatori sono distintamente formolati nello -<i>Specchio di Svevia</i>. Tacendo molte altre cose, ivi è prefisso che -il re eletto perde il diritto di sua nazione, e deve vivere secondo -la legge dei Franchi: nessuno può scomunicare l’imperatore, -fuorchè il papa, e questo per tre cause: se dubita della fede -ortodossa, se ripudia la moglie, se turba le chiese e le case di -Dio. Cristo principe della pace lasciò in terra due spade per -difesa della cristianità, entrambe affidate a san Pietro, una pel -giudizio secolare, una pel giudizio ecclesiastico: la prima è dal -papa prestata all’imperatore (<i>Des weltlichen Gerichtes schwert -darlihet der Papst dem Kaiser</i>); l’altra rimane al papa, per -giudicare montato su bianco palafreno, e l’imperatore dee -tenergli la staffa acciocchè la sella non si scomponga: ciò significa -che, se alcuno resiste ostinatamente al papa, l’imperatore e -gli altri principi devono costringerlo colla proscrizione. Se si -trovano eretici, bisogna procedere contro di essi ai tribunali -ecclesiastico e secolare; la pena è il fuoco. Ogni principe che -non punisce gli eretici, sarà scomunicato; e se fra un anno non -venga a resipiscenza, il papa lo priverà dell’uffizio principesco e -di tutte le sue dignità. Si giudicheranno alla pari i poveri ed i -signori. <span class="smcap">Schilter</span>, <i>Antiq. Teuton.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note342"> -<p><span class="label"><a href="#tag342">342</a>. </span><i>Ita quod ex tunc nec habebimus nec nominabimus nos -regem Siciliæ... ne forte aliquid unionis regnum ad imperium -quovis tempore putaretur habere.</i> <span class="smcap">Lunig</span>, <i>Cod. dipl. ital.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II.</span> -p. 866.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note343"> -<p><span class="label"><a href="#tag343">343</a>. </span>Guglielmo marchese di Monferrato, dolente che Teodoro -Làscari avesse tolto a Demetrio suo fratello il regno di Tessalonica, -allestì una spedizione, e non avendo denari, ne chiese a -Federico II, dandogli in pegno la più parte delle terre e de’ -vassalli suoi in Monferrato. Passato il mare, ricuperò Tessalonica, -ma poi morì avvelenato; l’esercito andò scomposto, e non -si sa come i beni del Monferrato fossero poi redenti. L’istromento -è addotto da Benvenuto di San Giorgio, <i>Cr. del Monferrato</i> -sotto il 24 marzo 1224.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note344"> -<p><span class="label"><a href="#tag344">344</a>. </span>Lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> tit. 30, rubr. <i>Quod nullus prælatus, comes, baro -officium justitiæ gerat.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note345"> -<p><span class="label"><a href="#tag345">345</a>. </span><span class="smcap">Gregorio</span>, <i>Consider. sopra la storia della Sicilia</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. — Huillard -Bréholles pubblica i registri di Federico II; ma -finora non uscirono che quelli concernenti la prima metà della -sua vita, cioè la meno rilevante. Fra i documenti inediti v’ha -molte lettere di Gregorio IX alla Lega Lombarda; altre relative -alla crociata, cui pure appella un itinerario di Federico, e una -relazione tolta dalla biblioteca imperiale di Parigi; inoltre una -cronaca sicula da Roberto Guiscardo al 1250, tratta dall’archivio -vaticano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note346"> -<p><span class="label"><a href="#tag346">346</a>. </span>Le città del dominio reale, convocate direttamente dalla -corona, erano: in Sicilia, Palermo, Messina, Catania, Siracusa, -Augusta, Lentini, Calata Gironi, Platia, Castrogiovanni, Trapani, -Nicosia; in terraferma, Gaeta, Napoli, Aversa, Montefuscolo, -Avellino, Eboli, Ariano, Policastro, Amalfi, Sorrento, -Salerno, Termoli, Troja, Civitella, Siponto, Monte Sant’Angelo, -Potenza, Melfi, Molfetta, Vigiliano, Giovenazzo, Bitonto, Monopoli, -Bari, Trani, Barletta, Gravina, Matera, Taranto, Brindisi, -Otranto, Cosenza, Cotrone, Nicastro, Reggio. La prima intervenzione -di buoni uomini fu nel 1241. Solo nel 1265 trovansi -chiamati i borghesi al parlamento d’Inghilterra.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note347"> -<p><span class="label"><a href="#tag347">347</a>. </span><i>Qua pœna universitates teneantur, quæ creant potestates et -alios officiales</i>. Tit. 47.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note348"> -<p><span class="label"><a href="#tag348">348</a>. </span><span class="smcap">Bianchini</span>, <i>St. delle finanze nel regno di Napoli</i>. Il <i>Regestum -Friderici II</i>, ann. 1239 e 40, edito dal Carcani nel 1786, -contiene mille e otto lettere di Federico, desunte dall’archivio -di Napoli, e che concernono principalmente le finanze, dove -l’imperatore mostra molta intelligenza, sebbene costretto dalle -continue guerre a smungere il paese ch’e’ volea rifiorire. -</p> - -<p> -Non è superfluo l’esaminare con quali fornimenti Federico e -i suoi nemici nutricavano la guerra in tempo che scarsissimo -era il contante: -</p> - -<p> -Federico guastò il bel sistema d’imposte della Sicilia con -espedienti rovinosi, che appajono dalle sue lettere: ordinò una -colletta generale; pose ingenti contribuzioni sui beni degli ecclesiastici, -e fece amministrare da economi regj i vacanti; chiedeva -ogni tratto tutto il denaro che fosse entrato nelle casse -regie, lasciando così a scoperto le spese cui era destinato, e persino -il vestire e nutrire Rinaldo d’Este e re Enrico suoi prigionieri -od ostaggi. Una volta il giustiziere di Terra di Bari avendogli -recate sole once d’oro cinquecento (lire 31,500), Federico -volea farlo precipitare dalle mura, poi s’accontentò di destituirlo, -surrogandogli il saracino Raasch; e ai sopportanti ordinò fra -quindici giorni soddisfacessero, pena la galera (<span class="smcap">Matteo Spinelli -di Giovenazzo</span>, <i>Diurnali</i>, § 44). Limitò gl’interessi al dieci per -cento, eppure tolse a prestanza fin al tre cadun mese; poi alla -scadenza, mancandogli fondi, pagava il quattro e il cinque d’aggiunta. -Avendo preso per tre mesi da diversi mercanti settemila -ottocensessantatre once al tre e fin al cinque per cento il mese, -alla scadenza capitalizzò l’interesse, crescendo così a undicimila -seicentotre once. Queste somme erano contate in moneta di -Venezia, sulle quali i mercanti guadagnavano ancora pel giro -del cambio. All’assedio di Faenza non solo fuse tutto il suo -vasellame e impegnò le gioje, ma battè una moneta di cuojo, -avente da una parte un chiodetto d’argento, dall’altra l’effigie -dell’imperatore, e dovea valere un agostaro d’oro, colla promessa -di cambiarla in moneta buona, come fece. Le truppe, per -regola, non avevano soldo, onde variavasi a norma delle circostanze: -Federico dava ai pedoni da tre a cinque tarì e il vivere; -a un cavaliere tre once d’oro al mese, coll’obbligo di provvedersi -uno scudiere, un valletto, cavalli ed armi. L’oncia d’oro, pesante -gramme 21.10, divideasi in trenta tarì: e quella valea lire 63.30, -questi lire 2.11: onde il medio di un pedone era lire 8.44, d’un -cavaliere 190; e il valore sta al quintuplo dell’odierno. -</p> - -<p> -Le rendite del papa consistevano nelle regalie, e in un tanto -per fuoco che pagavasi dai Comuni di dominio diretto, ch’era di -nove denari ogni fumante, eccettuati ecclesiastici, militi, giudici, -avvocati, notaj, e chi non avesse alcuna proprietà aggravezzata. -I comuni però solean ridurla a un tanto fisso, che era -per Fano, Pesaro, Camerino di cinquanta libbre d’argento ciascuna, -cioè lire cinquemila; di quaranta per Jesi. L’imperatore -poi occupava la maggior parte del territorio, sicchè ben poco -da questo poteasi ricavare. Suppliva la decima del cinque, del -dieci, fin dei venti per cento sulle rendite ecclesiastiche di tutto -l’orbe cattolico, oltre le collette che si esigevano a titolo di crociata. -Quando Gregorio IX noleggiò le navi di Genova per trasportare -i cardinali al concilio di Roma, tolse a prestito mille -marchi, ipotecati sui beni del clero, e pagò ducento libbre genovesi -per un mese d’interesse. Il totale armamento costò cinquemila -marchi, cioè lire ducencinquantamila, che alcuni mercanti -si obbligarono di far pagare a Genova, a trenta giorni, -mediante lo sconto di cinquantasette marchi (<i>Regesta</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>, -nº 3, 4). Esso Gregorio lasciò un debito di quarantamila marchi, -pel quale i mercanti molestarono assai il suo successore. -</p> - -<p> -I Milanesi emisero una carta monetata, con cui poteasi pagare -le pene pecuniarie; nessun creditore era obbligato riceverla in -pagamento, ma il debitore non andava soggetto a sequestro se -avesse in cedole di banco tanto di che soddisfarlo. Per ritirarla -poi di corso, si formò il catasto delle rendite, sulle quali si -stabilì una tassa che in otto anni rimborsò quel debito.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note349"> -<p><span class="label"><a href="#tag349">349</a>. </span><i>Ep. Petri de Vineis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. Preside all’università era -il celebre giureconsulto Pietro d’Isernia con dodici oncie d’oro -all’anno.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note350"> -<p><span class="label"><a href="#tag350">350</a>. </span>In testa al ponte v’avea un castello con due torri; era -ornato di marmi, bassorilievi, statue, fra cui quelle dell’imperatore, -di Pier delle Vigne, di Taddeo di Suessa. Il monumento -costò ventimila once d’oro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note351"> -<p><span class="label"><a href="#tag351">351</a>. </span><span class="smcap">Sigonio</span>, <i>De regno ital.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 80: <i>Nec enim ob aliud -credimus quod providentia Salvatoris sic magnifice, imo mirifice -dirigit gressus nostros, dum ab orientali zona regnum hierosolimitanum, -Conradi clarissimi nati nostri materna successio, ac -deinde regnum Siciliæ, præclara materna nostræ successionis -hereditas, et præpotens Germaniæ principatus sic nutu cælestis -arbitrii, pacatis undique populis, sub devotione nostri nominis -perseverat, nisi ut illud Italiæ medium, quod nostris undique -viribus circumdatur, ad nostræ serenitatis obsequia redeat et -imperii unitatem</i>. -</p> - -<p> -Il volere che la Sicilia non appartenesse a un principe il -quale dominasse altrove, è imputato ai papi come un sentimento -antitaliano, figlio della barbarie del medioevo e della stupida -ambizione pretina. Ma nell’anno del riscatto dell’italianità, -nel 1848, i Siciliani, insorti come tutto il resto della penisola, -davansi una costituzione, il cui § 2 diceva: — Il re de’ Siciliani -non potrà regnare o governare su verun altro paese. Ciò avvenendo, -sarà decaduto <i>ipso facto</i>».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note352"> -<p><span class="label"><a href="#tag352">352</a>. </span><span class="smcap">Ricardo da San Germano</span>, pag. 1039. — <span class="smcap">Godi</span>, <i>Chron</i>., -pag. 82.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note353"> -<p><span class="label"><a href="#tag353">353</a>. </span>È curioso una specie di atto verbale, per cui nel 1216, -dovendo passar d’Italia in Germania re Enrico figlio di Federico -II, il podestà di Modena con gran comitiva gli andò -incontro per riceverlo, e con sicurezza e libertà condurlo traverso -al dominio modenese; cioè all’ospedale di San Pellegrino -gli fu consegnato dall’arcivescovo di Palermo, che promise condurlo -e custodirlo per le Alpi e sin al ponte di Guiligua in -mezzo all’alveo del fiume, dove lo consegnò agli ambasciatori -di Parma e Reggio. <i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 224.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note354"> -<p><span class="label"><a href="#tag354">354</a>. </span>Quelle trattative sono esposte dagli autori arabi, raccolti -nel <span class="smcap lowercase">IV</span>. vol. della <i>Bibliothèque des Croisades</i> di Michaud, pag. 427; -e a pag. 249 le corrispondenze loro e i sentimenti degli scrittori -musulmani in proposito.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note355"> -<p><span class="label"><a href="#tag355">355</a>. </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 881.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note356"> -<p><span class="label"><a href="#tag356">356</a>. </span><span class="smcap">Caffaro</span>, <i>Ann. Gen.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. Al 1217 dice che <i>ob multas -discordias quæ vertebantur inter civitates Lombardiæ, quum -multæ religiosæ personæ se intromitterent de pace et concordia -componenda, tandem, auxilio Dei, inter Papiam, Mediolanum, -Placentiam, Tordonam et Alexandriam pax firma fuit et firmata -mense junii</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note357"> -<p><span class="label"><a href="#tag357">357</a>. </span><i>Acta SS</i>., 20 <i>martii</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note358"> -<p><span class="label"><a href="#tag358">358</a>. </span>È bellissimo il discorso di papa Gregorio X ai Fiorentini -perchè accogliessero gli scacciati Ghibellini: <i>Gibellinus est, at -christianus, at civis, at proximus. Ergo hæc tot et tam valida -conjunctionis nomina Gibellino succumbent? et id unum atque -inane nomen, quod quid significet nemo intelligit, plus valebit ad -odium, quam ista omnia tam clara et tam solide expressa ad -charitatem? Sed quoniam hæc vestra partium studia pro romanis -pontificibus contra eorum inimicos suscepisse asseveratis, -ego romanus pontifex hos vestros cives, etsi hactenus offenderint, -redeuntes tamen ad gremium recepi, ac remissis injuriis pro -filiis habeo.</i> -</p> - -<p> -La lapide posta a quella chiesa diceva: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Gregorio X papa sancti sub honore</i></p> -<p class="i01"><i>Gregorii primi pro Christi fundor amore.</i></p> -<p class="i01"><i>Hic ghibelline cum guelfis pace patrata</i></p> -<p class="i01"><i>Cessavere mine sub qua sum luce creata....</i></p> -<p class="i01"><i>Gregorio bella decima fuit ista cappella</i></p> -<p class="i01"><i>Pacis fundata Mozzis edificata.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note359"> -<p><span class="label"><a href="#tag359">359</a>. </span>Gli atti trovansi nelle <i>Delizie degli eruditi toscani</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. -pag. 96.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note360"> -<p><span class="label"><a href="#tag360">360</a>. </span><span class="smcap">Affò</span>, <i>St. di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. pag. 274-293.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note361"> -<p><span class="label"><a href="#tag361">361</a>. </span>Vero è che questi ultimi fatti ci sono raccontati solo da -Ghibellini. Vedi il nostro <i>Ezelino</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note362"> -<p><span class="label"><a href="#tag362">362</a>. </span>Lettera del 28 luglio 1233, ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>, nº 41. 42.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note363"> -<p><span class="label"><a href="#tag363">363</a>. </span><i>Promiserunt ei dare coronam ferream, quam patri suo -dare numquam voluerunt</i>. <span class="smcap">Galvano Fiamma</span>, cap. 264.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note364"> -<p><span class="label"><a href="#tag364">364</a>. </span><i>Divinæ legis immemor et affectionis humanæ contemptor</i>. -Regesta Gregorii IX, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>, nº 461-62 ... Lo fece anche -scomunicare dal vescovo di Salisburgo, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>, nº 172. Vedasi se -n’era istigatore! -</p> - -<p> -Tra le favolette, che a scorno una dell’altra inventavano le -popolazioni, fu questa: che i Cremonesi levarono a battesimo -Corrado figlio di Federico II, e profusero regali, e fecero fare -una quantità di mannaje per uccidere tutti i nemici di esso, -talchè ben trentamila se ne videro in una sola rassegna. In compenso -domandarono una grazia grande, che concedesse alla loro -città di crescere in infinito e più che Roma, che si facesse due -volte l’anno il ricolto, e due fruttificassero gli alberi, e ogni cosa -vi fosse doppia, e grossi i denari così, che cascando per terra -facessero <i>tun tun</i>. E l’imperatore ne fe decreto, e che anche -avessero l’anno di dodici mesi, ecc. <i>Monum. Hist. patriæ</i>, -Scrip., <span class="smcap lowercase">III</span>. 1577.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note365"> -<p><span class="label"><a href="#tag365">365</a>. </span><i>Imperator imperatricem quamplurimis mauris spadonibus -et vetulis larvis consimilibus custodiendam mancipavit</i>. <span class="smcap">Mattia -Paris</span>, Hist. Angl., pag. 402.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note366"> -<p><span class="label"><a href="#tag366">366</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Urbs decus orbis, ave. Victus tibi destinor, ave.</i></p> -<p class="i01"><i>Currus ab Augusto Friderico Cæsare justo.</i></p> -<p class="i01"><i>Fle Mediolanum, jam sentis spernere vanum</i></p> -<p class="i01"><i>Imperii vires proprias tibi tollere vires.</i></p> -<p class="i01"><i>Ergo triumphorum potes urbs memor esse priorum</i></p> -<p class="i01"><i>Quos tibi mittebant reges qui bella gerebant.</i></p> -</div></div> - -<p> -È dato da Ricobaldo, e m’ha odore di quel tempo più che -l’epigramma che oggi può leggere ciascuno in Campidoglio.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note367"> -<p><span class="label"><a href="#tag367">367</a>. </span><i>Vita Gregorii IX</i>, tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. pag. 583.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note368"> -<p><span class="label"><a href="#tag368">368</a>. </span><span class="smcap">Villani</span>. — <i>Nuntios soldani ad convivium vocat, et eis, -multis episcopis assidentibus, festivas epulas parat</i>. <span class="smcap">Godefridi</span> -monaci Annales, p. 398. — <i>In pluribus terris Apuliæ suarum -meretricularum loca construxit.... et non contentus juvenculis, -mulieribus et puellis, tamquam scelestus infami vitio laborabat; -nam ipsum peccatum quasi Sodoma aperte prædicabat, nec penitus -occultabat</i>. <span class="smcap">Nic. de Curbio</span>, Vita Innocentii IV, § 29.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note369"> -<p><span class="label"><a href="#tag369">369</a>. </span><i>Heu me! quandiu durabit truffa ista?</i> <span class="smcap">Alberici</span> Chron. -<i>Fatui sunt qui credunt nasci ex virgine Deum</i>. Ep. Gregorii, -<i>ap</i>. <span class="smcap">Mattia Paris</span>, pag. 494.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note370"> -<p><span class="label"><a href="#tag370">370</a>. </span><i>Iste rex pestilentiæ a tribus baratatoribus, ut ejus verbis -utamur, Christo Jesu, et Moise, et Mahometo, totum mundum -dixit fuisse deceptum</i>. <span class="smcap">M. Paris</span>, ad ann. 1238. L’epistola accennata -di Pier delle Vigne è nel lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. cap. 31. — Generale è, -negli scritti d’allora e di poco poi, l’opinione della sua miscredenza, -e correva pure fra’ Musulmani. Jafei dice: «L’emir -Fakr-eddin entrò ben innanzi nella confidenza dell’imperatore, -spesso disputavano di filosofia, e pareano in molti punti d’accordo....». -Ai Cristiani veniva scandalo di tale amicizia. Esso -diceva all’emir: «Io non avrei tanto insistito sulla consegna di -Gerusalemme, se non avessi temuto perdere ogni credito in Occidente; -mi premeva di conservare Gerusalemme o altra cosa -siffatta, ma la stima dei Franchi.... L’imperatore era rosso e -calvo, di vista debole; se fosse stato uno schiavo, non se ne sarebbero -pagate ducento dramme. Dai suoi parlari appariva che -non credeva alla religione cristiana; non ne parlava che per -voltarla in baja. Un muezin recitò innanzi a lui un versetto del -Corano che nega la divinità di Cristo, e il sultano volea punirlo; -ma Federico si oppose». <i>Bibl. des Croisades</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 417. Vedi -<span class="smcap">Reynaud</span>, <i>Extrait des historiens arabes relatifs aux Croisades</i>, -pag. 431.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note371"> -<p><span class="label"><a href="#tag371">371</a>. </span><i>Ecclesiasticæ censuræ vigorem debilitat et conculcat</i>. -Regesta Urbani III, nº 95. Nella biblioteca di Vienna è una -lettera di Federico a Vatace imperatore d’Oriente suo genero, -ove scrive: <i>O felix Asia, o felices Orientalium potestates, quæ -subditorum arma non metuunt, et adinventiones pontificum non -verentur</i>. Cod. philol., nº 305, p. 128.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note372"> -<p><span class="label"><a href="#tag372">372</a>. </span>Il fatto anzi vale a mostrare come questo diritto fosse -riconosciuto universalmente. Quando il papa nel 1239 offerse al -conte Roberto di Francia la corona dello scomunicato Federico, -i baroni francesi protestarono contro quest’atto, finchè non si -fosse ben certi che l’imperatore avea peccato contro la fede: -<i>Missuros ad imperatorem, qui quomodo de fide catholica sentiat -diligenter inquirant: tum ipsum, si male de Deo senserit, usque ad -internecionem persecuturos.</i> <span class="smcap">M. Paris.</span> Al concilio poi di Lione -assistevano gli ambasciadori di tutte le potenze, e nessuno contestò -la competenza di quel tribunale, solo limitandosi a mitigare -il papa ed a scolpar l’imperatore.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note373"> -<p><span class="label"><a href="#tag373">373</a>. </span>Da Lione, aprile 1246. <i>Ap.</i> <span class="smcap">Rainaldi</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note374"> -<p><span class="label"><a href="#tag374">374</a>. </span>Ep. 37. lib. <span class="smcap lowercase">I.</span> Pare che Federico cercasse guadagnare -l’opinione col far tradurre in italiano le lettere che dirigeva ai -papi e ai re, simili agli odierni manifesti; nè altra origine saprei -dare a quelle volgarizzate che si pubblicarono dal Lami nelle -<i>Delizie degli eruditi toscani</i>, e ultimamente dal Corazzini, Firenze -1853. Ivi n’è pure una di Gregorio papa, che riepiloga gli -aggravj contro Federico; e basta leggerla per vedere quanto -sovrasti per vigore e concisione alle sempre retoriche di Pier -delle Vigne.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note375"> -<p><span class="label"><a href="#tag375">375</a>. </span><i>Ap.</i> <span class="smcap">Bolland</span>, <i>Vitæ Patrum prædic.</i>, p. 54: <span class="smcap">Giulini</span>, -<i>Memorie di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 534.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note376"> -<p><span class="label"><a href="#tag376">376</a>. </span>La poesia popolare insultò alla sconfitta di Federico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Fridericus dentibus fremdit et tabescit,</i></p> -<p class="i02"> <i>In vindictam sublimans minas non compescit,</i></p> -<p class="i02"> <i>Antiquum proverbium sapientis nescit:</i></p> -<p class="i02"> <i>In vindictam sepius dedecus accrescit.....</i></p> -<p class="i01"><i>Ipsum hostem</i> Brixia, <i>que prior fugasti,</i></p> -<p class="i02"> <i>Gaude quia gaudium tuum duplicasti,</i></p> -<p class="i02"> <i>Dum in</i> Parme <i>gloria gaudens exultasti,</i></p> -<p class="i02"> <i>Cui talis per spacium patet orbis vasti.</i></p> -<p class="i01">Mediolanensi <i>sit applausus multus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Ejus ope quoniam Parmensis suffultus,</i></p> -<p class="i02"> <i>In hostem Ecclesie hac in suum ultus,</i></p> -<p class="i02"> <i>Potius a se repulit hostiles insultus.</i></p> -<p class="i01"><i>Gratuletur</i> Janua, <i>quia, res est certa,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quia hostis fracta sunt cornua et serta,</i></p> -<p class="i02"> <i>Fiat Janua per me Parme laus aperta,</i></p> -<p class="i02"> <i>Nam in Parma manus est Domini reperta.</i></p> -<p class="i01"><i>Gratuletur civitas placens</i> Placentina</p> -<p class="i02"> <i>In Parme victoria et hostis ruina,</i></p> -<p class="i02"> <i>Parma manu quoniam adjuta divina,</i></p> -<p class="i02"> <i>Hostem fugans hostium fecit morticina.</i></p> -<p class="i01"><i>Bonorum</i> Bononia <i>bona nacione</i></p> -<p class="i02"> <i>Letetur letantium leta concione</i>,</p> -<p class="i02"> <i>Nam quod secum Dominus in dilectione</i></p> -<p class="i02"> <i>Parma victrix premium meretur corone.</i></p> -<p class="i01"><i>Honorem Ecclesie que manu tuetur,</i></p> -<p class="i02"> <i>Gloria civitas</i> Mantua <i>letetur,</i></p> -<p class="i02"> <i>Nam Parma, que Mantuam amat et veretur,</i></p> -<p class="i02"> <i>Triumphat ne amplius hostis coronetur.</i></p> -<p class="i01"><i>Exultet</i> Venetia, <i>civitas electa,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quia Parma spoliis hostis est refecta,</i></p> -<p class="i02"> <i>Inimice copia gentis interfecta,</i></p> -<p class="i02"> <i>Reliqua carceribus aut fuge subjecta.</i></p> -<p class="i01"><i>Psallet cordis organo et in oris sono</i></p> -<p class="i02"> Anchona, <i>quam merito laudans post pono,</i></p> -<p class="i02"> <i>Restituta</i> Marchia <i>nobis ejus dono</i></p> -<p class="i02"> <i>Anchona proposito quia fuit bono.....</i></p> -<p class="i01"><i>Ve ve Christi Babilon! civitas</i> Papie,</p> -<p class="i02"> <i>Ad ruinam quoniam tibi patent vie,</i></p> -<p class="i02"> <i>Ab illa, qua victus est Fridericus, die,</i></p> -<p class="i02"> <i>Per Parmam auxilio Virginis Marie.</i></p> -<p class="i01"><i>O</i> Pisani <i>perfidi, socj Pilati,</i></p> -<p class="i02"> <i>Vos fecistis iterum crucifixum pati;</i></p> -<p class="i02"> <i>Sed surrexit Dominus nostre libertati,</i></p> -<p class="i02"> <i>Jam sue apparuit Parme civitati.</i></p> -<p class="i01"><i>Dum opem et operam hosti prebuistis,</i></p> -<p class="i02"> <i>Ut prelatos caperet, vos eos cepistis,</i></p> -<p class="i02"> <i>Quibus nec discipulis suis peperistis;</i></p> -<p class="i02"> <i>Quia fui minimus de captivi istis...</i></p> -</div></div> - -<p> -Vedi <i>Regesta Innocentii IV, herausgegeben von</i> <span class="smcap">D. C. Höfler.</span> -Stuttgard 1847. È singolare che la fama di Federico sia ora commendata -tanto da letterati, mentre in un tempo di letteratura -sì scarsa come il suo, egli si trova maledetto in tanti versi. Ursone -notaro di Genova, autore di un <i>Liber fabularum moralium</i>, -scrisse un poemetto <i>Della vittoria che i Genovesi riportarono contro -le genti mandate dall’imperatore per sottomettere Genova</i>. Fu -stampato nel vol. <span class="smcap lowercase">II</span> delle Carte nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>; e sebbene -corrottissimo il testo, vi si scorge verso non infelice, e conoscenza -di Omero, di Claudiano, specialmente di Virgilio. Minutissimamente -descrive que’ fatti, e così inveisce contro i Pisani: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Gens pisana tamen, majori turbine nutans,</i></p> -<p class="i01"><i>Partim tecta petit, tenuit pars altera pontum.</i></p> -<p class="i01"><i>Impia gens, scelerata cohors, conjunctio nequam,</i></p> -<p class="i01"><i>Perfidiæ populus, duri cœtus Pharaonis,</i></p> -<p class="i01"><i>Grex bonitate carens, infidus, perfida massa,</i></p> -<p class="i01"><i>Præsumens violare crucis fideique vigorem,</i></p> -<p class="i01"><i>Contemptor Domini, sacrorum nescius, exsul</i></p> -<p class="i01"><i>Justitiæ, veri calcator, schismatis auctor,</i></p> -<p class="i01"><i>A facie Domini nullo feriente fugatur,</i></p> -<p class="i01"><i>Et crucis athletas bello tollerare nequivit.</i></p> -<p class="i01"><i>Hanc immensa Dei virtutem dextera fecit,</i></p> -<p class="i01"><i>Quodque terens tumidum, confringens quodque superbum.</i></p> -<p class="i01"><i>Discat quisque malus, cognoscat criminis actor</i></p> -<p class="i01"><i>Quod malefacta nocent, quod dant peccata pudorem,</i></p> -<p class="i01"><i>Quod peccando miser dominum peccator acerbat,</i></p> -<p class="i01"><i>Quod perclementem sibi durum vertit in hostem,</i></p> -<p class="i01"><i>Quod sceleris primo se damnat conscius ipse.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note377"> -<p><span class="label"><a href="#tag377">377</a>. </span>Epitafio di re Enzo in San Domenico a Bologna: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Tempora currebant Christi nativa potentis</i></p> -<p class="i01"><i>Tunc duo cum decie septem cum mille ducentis,</i></p> -<p class="i01"><i>Dum pia Cæsarei proles cineratur in arca</i></p> -<p class="i01"><i>Ista Federici, maluit quem sternere Parca.</i></p> -<p class="i01"><i>Rex erat, et comptos pressit diademate crines</i></p> -<p class="i01"><i>Hentius, inque poli meruit mens tendere fines.</i></p> -</div></div> - -<p> -Sembra posteriore quest’altro: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Felsina Sardiniæ regem sibi vincla minantem</i></p> -<p class="i02"> <i>Victrix captivum, consule ovante, trahit.</i></p> -<p class="i01"><i>Nec patris imperio cedit, nec capitur auro;</i></p> -<p class="i02"> <i>Sic cane non magno sæpe tenetur aper.</i></p> -</div></div> - -<p> -Una biografia di Enzo fu stesa da Ernesto Munch con molti -documenti. Luisburg 1828.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note378"> -<p><span class="label"><a href="#tag378">378</a>. </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Io son colui che tenni ambo le chiavi</p> -<p class="i02"> Del cuor di Federico, e che le volsi</p> -<p class="i02"> Serrando e disserrando sì soavi,</p> -<p class="i01">Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi;</p> -<p class="i02"> Fede portai al glorioso uffizio,</p> -<p class="i02"> Tanto ch’i’ ne perdei le vene e i polsi.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i02"> Vi giuro che giammai non ruppi fede</p> -<p class="i02"> Al mio signor, che fu d’onor sì degno.</p> -<p class="i12"> <i>Inf.</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p> -</div></div> - -<p> -Le cronache raccontano che Pier delle Vigne avea bella -donna, ed era geloso dell’imperatore, che però mai non v’ebbe a -fare. Ma una mattina, andato a casa di Pietro, questi era già -uscito, e la sua donna dormiva colle braccia scoperte. L’imperatore -la coprì, e andò via; ma o a posta o in fallo vi lasciò un -guanto. Pietro tornato e vistolo, se ne coceva ma dissimulava; -finchè una volta, trovandosi solo coll’imperatore e colla moglie, -volle rinfacciare il fallo con questi versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Una vigna ho piantà; per travers è intrà</i></p> -<p class="i01"><i>Chi la vigna m’ha guastà; han fet gran peccà.</i></p> -</div></div> - -<p> -La donna rispose sulla stessa intonazione: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Vigna son, vigna sarai;</i></p> -<p class="i01"><i>La mia vigna non fallì mai.</i></p> -</div></div> - -<p> -Onde Pietro consolato ripigliò: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Se così è come è narrà,</i></p> -<p class="i01"><i>Più amo la vigna che fi mai.</i></p> -</div></div> - -<p> -Vedi <span class="smcap">Jacopo d’Acqui</span>, <i>Imago mundi</i>, pag. 1577.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note379"> -<p><span class="label"><a href="#tag379">379</a>. </span><span class="smcap">Innocentii</span> IV <i>Ep</i>., lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note380"> -<p><span class="label"><a href="#tag380">380</a>. </span><i>Habituri perpetuam tranquillitatem et pacem, ac illam -tutissimam et delectabilem libertatem, qua cæteri speciales Ecclesiæ -filii feliciter et firmiter sunt muniti</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note381"> -<p><span class="label"><a href="#tag381">381</a>. </span>«Dava uno colpo allo cerchio, e n’autro allo tompagno». -<span class="smcap">Matteo Spinelli di Giovenazzo</span>, <i>Diurnali</i>, § 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note382"> -<p><span class="label"><a href="#tag382">382</a>. </span><i>Regesta Innocentii IV</i>, lib. 12, N. 284, 337. Vedi pure -<span class="smcap">Nicola de Jamsilla</span>, pag. 500, 536; <span class="smcap">Saba Malaspina</span>, <i>Hist.</i>, -lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 22 nei <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note383"> -<p><span class="label"><a href="#tag383">383</a>. </span><span class="smcap">Mattia Paris</span>, pag. 868.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note384"> -<p><span class="label"><a href="#tag384">384</a>. </span>Dato da Wasserburg il 20 aprile 1255. Trovasi nell’archivio -de’ Frari, allegato da Manfredi in un trattato coi Veneziani.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note385"> -<p><span class="label"><a href="#tag385">385</a>. </span>«Spesso la notte usciva per Barletta cantando strambotti -e canzoni, ed ivi pigliando il fresco, e con esso ivano due musici -siciliani che erano grandi romanzatori». <span class="smcap">Spinelli.</span> -</p> - -<p> -Contemporanei sono pure l’Anonimo di Taranto, Ricordano -Malaspini, Inveges, e di poco posteriori Dante e Giovan Villani, -che raccontano o accennano questi fatti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note386"> -<p><span class="label"><a href="#tag386">386</a>. </span>«Lo papa e la gente de lo Reame non averieno comportato -di fare chiù signoriare la natione tudisca». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note387"> -<p><span class="label"><a href="#tag387">387</a>. </span>«Subito fece conoscere ch’era d’autro stomaco che papa -Alessandro». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note388"> -<p><span class="label"><a href="#tag388">388</a>. </span><span class="smcap">Malaspina</span>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. cap. 6.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note389"> -<p><span class="label"><a href="#tag389">389</a>. </span>«Si dice che a chisto maritaggio lo re ne avanza chiù -della mitate». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note390"> -<p><span class="label"><a href="#tag390">390</a>. </span><span class="smcap">Pipini</span> <i>Chron.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. cap. 7.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note391"> -<p><span class="label"><a href="#tag391">391</a>. </span>Ap. <span class="smcap">Rymer</span>, <i>Acta publica</i>, 1816, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. pag. 352.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note392"> -<p><span class="label"><a href="#tag392">392</a>. </span><span class="smcap">Gioffredo</span>, <i>St. delle Alpi marittime</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note393"> -<p><span class="label"><a href="#tag393">393</a>. </span><i>Regesta Clementis IV</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>, nº 548.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note394"> -<p><span class="label"><a href="#tag394">394</a>. </span><i>In recognitionem veri dominii eorumdem regni et terræ.</i> -Il giuramento che diede diceva: <i>Papæ, ejus successoribus, ac -romanæ ecclesiæ ligium homagium facimus pro regno Siciliæ, ac -tota terra quæ est citra Pharum, usque ad confinia terrarum, -excepta civitate Beneventana cum toto territorio et omnibus -districtibus et pertinentiis suis, nobis et heredibus nostris a prædicta -Ecclesia romana concessis etc.</i> Le ottomila once erano <i>ad -generale pondus</i>, il che indicava che se ne riteneva il dieci per -cento, cioè riducevansi a settemiladucento: valutandole lire -63.30, il censo sarebbe stato di lire 453,760, che oggi s’avvicinerebbero -a due milioni. Nel 1276 Carlo trovandosi a Roma, -e sollecitato a pagare questa somma, nè avendola, scrisse a’ -suoi tesorieri impegnassero la sua corona grande e le gioje per -ottenerla in prestito. <span class="smcap">Giannone</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XIX</span>. cap. 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note395"> -<p><span class="label"><a href="#tag395">395</a>. </span>«Con tutto questo stettemo con gran paura». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note396"> -<p><span class="label"><a href="#tag396">396</a>. </span><i>Misit in Siciliam et Lombardiam ut inde arcesseret duos -astrologos: is enim incredibile est quantam fidem haberet astrorum -posituris.</i> <span class="smcap">Malaspina</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note397"> -<p><span class="label"><a href="#tag397">397</a>. </span><i>Reddite vos attentos, ut potius equos quam homines offendatis.</i> -Lo stesso.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note398"> -<p><span class="label"><a href="#tag398">398</a>. </span><i>Potius hodie volo mori rex, quam vivere exul et miser</i>. -<span class="smcap">Ricobaldo Ferrarese</span>. — Ch’ei fosse portato attorno da un -ribaldo s’un asino, è smentito dalla lettera di Carlo che dice: -<i>Contigit quod die dominica corpus inventum est nudum penitus -inter cadavera peremptorum... Ego, naturali pietate inductus, -corpus ipsum cum quadam honorificentia sepulturæ, non tamen -ecclesiasticæ, tradi feci.</i> Ap. <span class="smcap">Tutini</span>. Manfredi erasi già preparata -la sepoltura nel famoso santuario di Monte Vergine, ove -tuttora, nella cappella a destra dell’altare maggiore, è il sarcofago -antico destinatogli e un gran crocifisso da lui regalato. -</p> - -<p> -Un ossesso in Puglia, interrogato se Manfredi fosse in luogo di -salvazione, rispose: — Cinque parole lo salvarono, le quali ti -dirà il conte Enrico». Ed erano <i>Deus propitius esto mihi peccatori</i>, -che proferì morendo. <i>Chronicum imaginis mundi</i>, 1595. -</p> - -<p> -Dante incontra Manfredi nel Purgatorio, supponendo siasi -pentito in morte, ma deve restare in aspettazione tanto tempo -quanto stette in contumacia della santa Chiesa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Biondo era e bello e di gentile aspetto,</p> -<p class="i02"> Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.</p> -<p class="i09"> .... Io son Manfredi</p> -<p class="i02"> Nipote di Costanza imperatrice....</p> -<p class="i01">Poscia ch’io ebbi rotta la persona</p> -<p class="i02"> Da due punte mortali, io mi rendei</p> -<p class="i02"> Pentito a quei che volentier perdona.</p> -<p class="i01">Orribil furon li peccati miei,</p> -<p class="i02"> Ma la bontà divina ha sì gran braccia,</p> -<p class="i02"> Che prende ciò che si rivolve a lei...</p> -<p class="i01">Per lor maledizion sì non si perde</p> -<p class="i02"> Che non possa tornar l’eterno amore</p> -<p class="i02"> Mentre che la speranza ha fior di verde....</p> -<p class="i08"> ... L’ossa del corpo mio</p> -<p class="i01">Or le bagna la pioggia e move ’l vento</p> -<p class="i02"> Di fuor del Regno quasi lungo ’l Verde</p> -<p class="i02"> Onde le trasmutò a lume spento.</p> -</div></div> - -<p> -Vedasi <span class="smcap">Davanzati</span>, <i>Della seconda moglie di Manfredi</i>. Tra i -più fedeli a costui era stato Matteo da Termini, leggista reputato, e da quello fatto consigliere e giudice della grancorte. -Rotto il signor suo, nel cui esercito combattè, fuggì in Sicilia, e -caduto in grave infermità, fece voto, se guariva, consacrarsi a -Dio. Di fatto entrò agostiniano, col nome di Agostino Novello -celando la primitiva grandezza fra studj e penitenze. Si ricoverò -agli eremi di Siena, ma quivi il generale dell’Ordine lo -volle compagno, poi in Roma fu ordinato sacerdote, e da -Nicola IV scelto confessore e sacrista. Assunto generale dell’Ordine, -dopo due anni riuscì a liberarsene e tornare alla -devota solitudine. Bonifazio VIII il voleva alla sua corte, ma -egli ritirato nell’eremo di San Leonardo presso Siena, venne in -grand’odore di santità, e quando morì nel 1309, fu ascritto fra -i beati. Vedi <span class="smcap">Capecelatro</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note399"> -<p><span class="label"><a href="#tag399">399</a>. </span>«A vita mia non vidi la chiù bella vista». <span class="smcap">Spinelli</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note400"> -<p><span class="label"><a href="#tag400">400</a>. </span><i>Cruorem eliciunt et medullas</i>. <span class="smcap">Malaspina</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note401"> -<p><span class="label"><a href="#tag401">401</a>. </span>Ap. <span class="smcap">Martène</span>, <i>Thes. Anecd.</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. pag. 524.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note402"> -<p><span class="label"><a href="#tag402">402</a>. </span><i>Quietem quæsivit, et ob hoc a vulgo ignominiam multam -suscepit; nam de eo carmina prava decantaverunt.</i> Joh. Vittodur. -ap. <span class="smcap">Eccard</span>, <i>Corpus Hist.</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 5.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note403"> -<p><span class="label"><a href="#tag403">403</a>. </span>Così un suo manifesto nella biblioteca dell’Accademia di -Torino, D. N. 38 f. 70. Pel resto vedi <span class="smcap">Lunig</span>, <i>Codex it. dipl.</i>, -<span class="smcap lowercase">II</span>. 41. <i>Protestatio Conradini</i>; e altri documenti dell’11 gennajo -1267, e 7 luglio 1268.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note404"> -<p><span class="label"><a href="#tag404">404</a>. </span>Cont. del Baronio, al 1268.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note405"> -<p><span class="label"><a href="#tag405">405</a>. </span>Ne fu testimonio il Malaspina, che particolareggia appienissimo -questi fatti, tutto compassione per i soccombenti: -egli pretende che i signori napoletani congiurassero con Enrico -per farlo re di Sicilia dopo vinto Carlo col nome di Corradino, -il quale co’ suoi fedeli sarebbe stato tolto di mezzo. Anche lo -Spinelli scrisse in dialetto pugliese il suo diario fino alla giornata -di Tagliacozzo, ove forse morì. Voglionsi aggiungere il -<i>Chronicon Cavense</i>, pubblicato dal <span class="smcap">Pertz</span>; la <i>Cronaca inedita</i> -del <span class="smcap">Salimbene</span>; e varj documenti nuovi, prodotti da <span class="smcap">Saint-Priest</span> -nella <i>Histoire de Charles d’Anjou</i>, da <span class="smcap">Raumer</span>, <i>Gesch. der -Hohenstaufen</i>, da <span class="smcap">Huillard Bréholles</span>, <i>Recherches sur les monuments -de la maison de Souabe</i> e <i>Nouvelles Recherches sur la -mort de Conradin</i>, da <span class="smcap">Jager</span>, <i>Conradins Geschichte</i>, da <span class="smcap">Di Cesare</span>, -<i>La colonna di Corradino</i>, ecc. -</p> - -<p> -* Il sig. <span class="smcap">Minieri Riccio</span> (<i>Alcuni fatti riguardanti Carlo I -d’Angiò dal</i> 6 <i>agosto</i> 1252 <i>al</i> 30 <i>dicembre</i> 1270, <i>tratti dall’Archivio -angioino di Napoli</i>, 1874) chiarì quei tempi, e come per -Corradino parteggiassero nel regno i Ghibellini e i Saraceni, e -massime Reggio, che fu sottomessa a forza.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note406"> -<p><span class="label"><a href="#tag406">406</a>. </span><i>Illa strage quæ in campo Beneventano facta fuit, hujus -respectu valde modica fuit</i>, scriveva Carlo al papa, <i>ap</i>. <span class="smcap">Martène</span>, -N. 690.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note407"> -<p><span class="label"><a href="#tag407">407</a>. </span><i>Sunt qui dicunt per pontificem et cardinales, ut Conradus -et cæteri in eorum potestatem et carcerem venirent, fuisse decretum. -Quod ne accideret, Carolus sategit.</i> <span class="smcap">Ricobaldo Ferr.</span> e -<span class="smcap">Pipino</span> nei <i>Rer. It. Scrip.</i>, <span class="smcap lowercase">VIII</span>. 137. <span class="smcap lowercase">IX</span>. 684. -</p> - -<p> -Dicono che il papa, interrogato dal re che dovesse farne del -prigioniero, rispondesse: — La vita di Corradino è morte di -Carlo; la vita di Carlo è morte di Corradino». Se il Giannone, -nella sua servilità ai re, che poi doveano ripagarlo di tal moneta, -bevette questa brutalità colla sua solita irriflessione, la trovò -improbabile perfino il Sismondi, così corrivo in tutto ciò che -denigri i pontefici. Anche il sardo cronista di Pisa e ghibellino -scrive che Carlo mandò al papa chiedendo «ciò che di loro -dovesse fare», e che il papa rispose che «non era consiglio di -prete che altri andasse alla justizia». Secondo il <i>Chron. imaginis -mundi</i>, la risposta di Clemente fu: <i>De Conradino filio -iniquitatis vindictam non querimus, nec justitiam denegamus</i>; -nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note408"> -<p><span class="label"><a href="#tag408">408</a>. </span>Presso i Bollandisti, <i>Acta SS. martii</i>, tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 190.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note409"> -<p><span class="label"><a href="#tag409">409</a>. </span><i>Ut faciat rex de vitulo superstite victimam, Conradinum -recognoscentem sæpius contra matrem Ecclesiam deliquisse, nec -minus contra regem ipsum vehementer errasse, procuravit per -quosdam Ecclesiæ cardinales illuc propterea per sedem apostolicam -destinatos absolvi.</i> <span class="smcap">Malaspina.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note410"> -<p><span class="label"><a href="#tag410">410</a>. </span>Nell’archivio di Stuttgard esiste il testamento di Corradino, -o piuttosto codicillo di testamento anteriore non pervenutoci, -dettato il 29 ottobre, presenti Giovanni Bricaudi sire di -Nangey, e quell’Erardo di Valery che avea dato a Carlo il suggerimento -per cui vinse la battaglia di Tagliacozzo. Provvede al -pagamento d’alcuni debiti; fa molti legati a monasteri germanici; -ai duchi di Baviera suoi zii lascia «tutti i beni patrimoniali e -feudali con tutte le persone d’ambo i sessi a lui appartenenti -ne’ paesi germanici o ne’ latini», e raccomanda loro Corrado e -Federico d’Antiochia suoi cugini. Della madre non fa cenno, -non della sua fidanzata, che si suppone fosse Brigida dei marchesi -di Misnia: che non parlasse d’un erede a’ suoi diritti sul -trono di Sicilia è facile comprenderlo, dettando egli sotto gli -occhi di amici del nemico suo. -</p> - -<p> -È tradizione destituita di fondamento che Elisabetta di Baviera -(la quale erasi rimaritata in Mainardo conte del Tirolo -della casa di Gorizia) venisse in persona, sovra una galea tutta -nera, a raccogliere il corpo del figlio, per farlo sepellire nella -chiesa del Carmine da lei fondata; e che in memoria di ciò que’ -frati ponessero una statua colla borsa in mano, statua che or -mutila è abbandonata in un magazzino del museo degli Studj. -L’iscrizione che or accenna quel fatto, fu posta il secolo passato -per cura di Michele Vecchione. -</p> - -<p> -Sotto Giovanni I, un cuojajo napoletano, di nome Domenico di -Persio, si ricordò di quell’infelice che i parenti principeschi -aveano dimenticato, e dalla regina si fe cedere il terreno dove -era stato ucciso, e vi fece erigere una cappella ed una colonna -sormontata da una croce colla Madonna e la Maddalena e il -simbolo affettuoso del pellicano. La confraternita de’ cuojaj la -prese in cura, e vi facea celebrare nelle solennità, finchè la cappella -non bruciò nel 1785. La colonna vedesi ancora al vestibolo -della sacristia nella moderna chiesa delle Anime del -Purgatorio, e la croce staccatane è nella sacristia stessa sovra -un altare. -</p> - -<p> -Ricordano Malaspini e dietro lui altri annalisti raccontano -come al supplizio assistesse Roberto conte di Fiandra, genero -di Carlo, e che, udita la sentenza, s’avventò al protonotaro -esclamando: — Malnato! tocca a te condannar un signore sì -nobile e gentile?» e lo trafisse. Colpo da francese: ma, per -disgrazia de’ romanzieri, in un <i>Memoriale del podestà di Reggio</i>, -inserito nel tom. <span class="smcap lowercase">VIII.</span> del <i>Rer. Ital. Scrip.</i>, si trova che il 18 ottobre -Margherita di Borgogna, nuova sposa di Carlo d’Angiò, pervenne -a Reggio e vi si fermò, ed ivi giunse a incontrarla Roberto -alla fin del mese, quando appunto accadeva il supplizio di -Corradino; poi nel lib. iii. p. 215 del <span class="smcap">Summonte</span>, <i>Istoria di Napoli</i>, -è riferito un diploma reale del 15 dicembre seguente, dato -per mano di maestro Goffredo di Belmonte cancelliere e Roberto -di Bari protonotaro del regno. -</p> - -<p> -Ogni scolaretto ha inteso raccontare che Corradino dal palco -gettò un guanto, come segno che invitava alla vendetta il suo -erede, che era Pietro d’Aragona, al quale fu portato da Giovanni -di Procida o da Enrico di Waldburg. Questo fatto non -appare in alcuno storico napoletano avanti il Collenuccio; ma -prima ne avea parlato Giovanni abate di Victring in Carintia, -che fece una cronaca sin al 1344; autorità lontana di tempo e -di luogo. Del resto, come c’entrava Pietro d’Aragona? Costui -avea sposato Costanza figlia di Manfredi, da Corradino ritenuto -per usurpatore e spergiuro; possibile ora volesse designarlo -come erede? Per giustificare l’assalto della Sicilia, Pietro non -cercò altri titoli che la chiamata del popolo, non allegò questo -guanto nè la successione di Corradino, bensì quella di Manfredi. -Da Federico II era nata legittimamente Margherita di Svevia -maritata in Alberto langravio di Turingia, alla quale avrebbe -potuto competere l’eredità degli Hohenstaufen, se altrimenti -non n’avesse già disposto la spada, e lei in fatti aveva il re -Corrado indicata erede ove si estinguesse la linea mascolina; e -suo figlio Federico non dimenticò i suoi diritti al regno di Sicilia, -e ne prese il titolo, sotto il quale diede concessioni e ricevette -ambasciate dalle città lombarde e dalle sicule.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note411"> -<p><span class="label"><a href="#tag411">411</a>. </span><i>Ep. Rodulphi</i>, ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note412"> -<p><span class="label"><a href="#tag412">412</a>. </span><i>Jactatis inanibus verborum lenociniis, oratorem, quam, -rapto contra Tartaros exercitu, Christianum imperatorem agere -malebat.</i> Ep. di Gregorio IX, ap. <span class="smcap">M. Paris</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note413"> -<p><span class="label"><a href="#tag413">413</a>. </span><span class="smcap">Villani</span>, lib. <span class="smcap lowercase">VI.</span> 36.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note414"> -<p><span class="label"><a href="#tag414">414</a>. </span>Giaciono negli archivj massimamente di Genova i contratti -dei signori francesi che davano in pegno le loro terre; e per -cura di re Luigi Filippo ne fu tratta la serie de’ signori che parteciparono -a quelle imprese, e i cui nomi e gli stemmi ornarono -poi la sala delle crociate nel palazzo di Versailles.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note415"> -<p><span class="label"><a href="#tag415">415</a>. </span>Lettera del 27 maggio 1267, ap. <span class="smcap">Martene</span>, nº 471.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note416"> -<p><span class="label"><a href="#tag416">416</a>. </span>Carlo d’Angiò e suo nipote Filippo re di Francia erano -andati a Viterbo per sollecitare i cardinali a nominare il nuovo -papa. Ivi stava pure Enrico figliuolo di Ricardo di Cornovaglia -imperatore eletto; e vi capitò anche Guido di Monforte, vicario -di Carlo in Toscana. Per vendicare il conte Simone suo padre, -ucciso in Inghilterra come ribelle, costui entrò in chiesa, mentre dicevasi messa, scannò Enrico ed uscì. Ma alcuno gli disse: — Non -ti ricordi che tuo padre fu anche strascinato per le vie?» -Ed egli rientrato prese pe’ capelli il cadavere, e lo trasse fuori; -e i due re stettero a vedere, senza impedire nè risentirsi. Più -tardi l’omicida fu côlto, e terminò la vita nelle carceri di -Sicilia.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note417"> -<p><span class="label"><a href="#tag417">417</a>. </span><span class="smcap">Da Canale</span>, <i>Cronaca veneta</i>, in francese, <span class="smcap lowercase">CLIX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note418"> -<p><span class="label"><a href="#tag418">418</a>. </span><i>Istorie pistolesi</i> ad ann.; <span class="smcap">Biliotti</span>, <i>Cron.</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XXXV.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note419"> -<p><span class="label"><a href="#tag419">419</a>. </span><span class="smcap">Quaresmius</span>, <i>Elucidatio Terræsanctæ</i>. — Gli atti di re -Roberto sono riferiti nella bolla <i>Gratias agimus</i> data da Clemente VI -il 2 dicembre 1342 da Avignone.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note420"> -<p><span class="label"><a href="#tag420">420</a>. </span>— Se la santità vostra (dic’egli al papa) volesse informarsi -quanto costerà ogni bisogno, e quali pratiche da imprendersi -coi Tartari, rispondo che in tre anni quella spesa ascenderebbe -a ventuna volte centomila fiorini, contando il fiorino a -due soldi di grossi di Venezia; cioè settecentomila fiorini di -rimbuono ogni anno per stipendj, munizioni, e mantener buono -accordo coi Tartari; e per vascelli, armamento, castrametazione, -rimonte, trecentomila fiorini in tre anni; in tutto settecentomila -fiorini all’anno». <i>Secreta</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II.</span> p. i. c. 4. -</p> - -<p> -Questo cenno ajuta a conoscere i valori d’allora. Poniamo -che l’uomo a cavallo costi tre volte il pedone: se un esercito -di quindicimila fanti e trecento cavalieri costa 600,000 fiorini -annui, uno di diecimila fanti con millequattrocento cavalli deve -costarne 535,849: aggiungi 300,000 fiorini per le prime spese -della spedizione, saranno 835,849 fiorini. Il Sanuto ragguaglia -il fiorino a due soldi di grossi di Venezia; onde questa spedizione -dovea costare 1,671,789 soldi di grossi. Il soldo era la -ventesima parte della lira, e la lira valeva dieci ducati, i -quali allora doveano conguagliare a diciassette franchi d’oggi. -Tale esercito dovea dunque costare 14,210,282, cioè ogni uomo -annui mille franchi. -</p> - -<p> -Si può avere la riprova di questa stima comparandola ai valori -fissi delle grasce. Il Sanuto ce ne porge il mezzo, dicendo: — La -libbra di biscotto costa quattro denari e un terzo. La -razione giornaliera di un uomo essendo una libbra e mezzo, -costerà denari sei e mezzo; quarantacinque libbre consumate -da un uomo in trenta giorni costeranno sedici soldi e tre denari, -moneta piccola: e in dodici mesi, cinquecentoquaranta -libbre di biscotto saranno costate sei soldi di grossi, un grosso -e quattro denaretti». Quest’ultima somma dunque rappresentava -a que’ tempi 540 libbre di pane; 1,671,790 soldi dovevano -rappresentarne 149,218,334. Tale quantità equivaleva a -17,177,145 libbre metriche. Ponendo quel pane a 20 centesimi, -darebbero 14,235,409. I due computi servono dunque di riprova -un all’altro. -</p> - -<p> -Potrebbe tentarsi lo stesso calcolo sul vino, le carni salate, i -legumi, e così via; ma la variabilità di valore di tali comestibili -e l’incertezza sulle misure antiche renderebbero troppo ipotetica -la stima. Al sommar dei conti però avremo che per nutrire -un uomo a pane, vino, carne salata, fave, cacio voleansi l’anno -dodici soldi di grossi, cioè lire 102.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note421"> -<p><span class="label"><a href="#tag421">421</a>. </span><i>Thesaurus regis Franciæ acquisitionis Terræsanctæ de -ultra mare, nec non sanitatis corporis ejus, et vitae ipsius prolungationis, -ac etiam cum custodia propter venenum.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note422"> -<p><span class="label"><a href="#tag422">422</a>. </span><i>Ad Nicolaum V pontificem strategicon adversus Turcas.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note423"> -<p><span class="label"><a href="#tag423">423</a>. </span><i>Par.</i>, <span class="smcap lowercase">IX.</span> 126; e nel <span class="smcap lowercase">XV</span>, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dietro gli andai incontro alla nequizia</p> -<p class="i02"> Di quella legge, il cui popolo usurpa,</p> -<p class="i02"> Per colpa de’ pastor, vostra giustizia.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note424"> -<p><span class="label"><a href="#tag424">424</a>. </span>Sta negli archivj di corte a Torino il conto del viaggio di -esso duca in Oriente. -</p> - -<p> -Amedeo III di Savoja nel 1147 volendo crociarsi, prese a -prestito dal monastero di San Maurizio d’Agaceno una tavola -doro del peso di sessantacinque marchi, guarnita di pietre -preziose.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note425"> -<p><span class="label"><a href="#tag425">425</a>. </span><span class="smcap">Ghirardacci</span>, <i>St. di Bologna</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note426"> -<p><span class="label"><a href="#tag426">426</a>. </span><span class="smcap">Maffei</span>, <i>Notizie generali sopra Verona</i>. -</p> - -<p> -È nota la storiella dell’asino che condusse Maria in Egitto, e -infine capitò a Verona, o chi dice a Genova. -</p> - -<p> -Lo statuto di Verona del 1228 porta che il podestà giura: -<i>Eum peregrinorum post crucem, qui ivit vel ibit ultra mare, -defendam in suis possessionibus rerum mobilium et immobilium -vel sese moventium, quas detinuit vel detinebit sine litis inquietudine -usque ad crucem susceptam; si tamen reliquerit procuratorem, -qui possit agere et conveniri de quasi re mobili... De -rebus vero immobilibus eis absentibus jus non dicatur.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note427"> -<p><span class="label"><a href="#tag427">427</a>. </span>Nella <i>Storia d’Incisa e del celebre suo marchesato</i> (Asti -1810) è riferita una carta del 1204 fatta colà, ove dicesi che -Bonifazio marchese di Monferrato regalò al Comune un pezzo -della santa croce e l’ottava parte d’uno stajo d’un grano color -d’oro e parte bianco, non prima usato e portato dalla Natolia, -e detto <i>melica</i>. Il documento dev’essere spurio, nè del grano turco -appare memoria prima della scoperta dell’America. Però nell’archivio -vescovile di Bergamo trovo un atto rogato da Montenario -de’ Papi <i>die <span class="smcap lowercase">IV</span> exeunte octobri</i> del 1249, ove Alberto di -Terza vescovo investe a titolo di perpetua enfiteusi i sindaci -del comune di Sorisole di tutta la decima appartenente al -vescovado ne’ territorj di Sorisole e Poscante, un sestario di -vino, una <i>corbam de loa panici quæ extimatur duo sextaria</i>, etc. -Anche oggi chiamasi <i>loa</i> lo spigone del turco, il quale pure è -detto <i>panico</i> in molti luoghi. Questo documento, da niuno osservato, -ch’io sappia, merita dunque qualche attenzione.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note428"> -<p><span class="label"><a href="#tag428">428</a>. </span>Delle navi spedite da Venezia in ajuto di san Luigi una -era lunga centotto piedi, larga settanta; una centodieci per -settanta; nessuna meno di ottanta. <span class="smcap">Marin Sanuto.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note429"> -<p><span class="label"><a href="#tag429">429</a>. </span>L’<i>Iter siriacum</i> del Petrarca è una descrizione del -viaggio a Gerusalemme, diretta a Giovanni da Milano, che probabilmente -era un Mandelli. -</p> - -<p> -Lionardo di Nicolò Frescobaldi fiorentino (il cui viaggio fu -edito dal Manzi il 1817) nel 1384 passava in Palestina, per -tutto venerando e cercando reliquie, e noverando quelle che -vide a Venezia, in Egitto, poi in Palestina; finchè «in capo -d’undici mesi e mezzo rientrammo in casa nostra, dando consolazione -alle nostre famiglie. Trovammo a Vinegia molti pellegrini -franceschi e alquanti viniziani, fra’ quali fu messer Remigi -Soranzi di Vinegia, il quale convitò una sera a cena tutti quelli -che doveano andare al Sepolcro, e fecesi grande onore, e la -sua casa parea una casa d’oro, ed avvi più camere che poco vi -si vede altro che oro e azzurro fino; e costògli da duemila ducati, -e bene tremila ve ne spese poi lui». Andò con lui Simone -Sigoli, del quale pure fu nel 1822 trovato il viaggio, di schiettissima -dettatura, e col lungo catalogo di tutti i perdoni che si -aveano in Terrasanta. Del 1431 vi tornò la terza volta fra -Mariano da Siena, del quale parimenti teniamo la descrizione: — In -sulla terza, col nome dello sviscerato ed innamorato -Gesù entrammo nella santa città, e nella prima entrata, chi -vi va in atto di peregrinazione confesso e pentito, si ha plenaria -indulgenza e remissione di tutti i peccati; e chi vuole -piaceri e consolazioni spirituali, faccia questo cammino. Io per -me lo dico, che mai non seppi che consolazione spirituale si -fosse se non qui, e passa tutti i cammini, sia qual si vuole». -Egli assicura che «il mezzo del mondo <i>ad literam</i> viene in -mezzo fra ’l luogo dove Cristo fu crocifisso e dove resuscitò... -Rimpetto alla natività, scendendo tre scaglioni, si è quello santo -presepio, nel quale la dolcissima Madre riposò il suo dolcissimo -Figliuolo Gesù piccolino; e qui il bue e l’asino l’adorarono, e -feciongli buona compagnia. Questo è il più devoto luogo che -io mai vedessi; ogni cosa è un sasso; la mangiatoja è tutta -foderata di bellissimi marmi; allato si ha un altare. Dissivi -messa... ed ebbine la maggior consolazione del mondo. Tuttavia -mi parea avere quell’amoroso Bambino dinanzi gli occhi nella -mangiatoja; e così tutti gli altri peregrini si comunicano. Tutta -la notte non possono stare i peregrini in chiesa nè nessun cristiano, -perchè vi stanno que’ Saracini che ci accompagnano, -ed hanno grandissima devozione al luogo della natività di -Cristo». -</p> - -<p> -Francesco Baldelli nel 1551 tradusse in italiano la <i>Prima -Crociata</i> di Roberto Monaco; ed è commovente l’entusiasmo -de’ pellegrini al primo vedere la città santa: — O quante -lagrime, pietosissimo Dio e giustissimo Signore, sparsero gli -occhi dell’esercito tuo fedelissimo, allorachè per loro si videro -le mura della terrena Gerusalemme! Quindi tosto chinandosi -verso la terra, con la bocca e col capo salutarono divotamente -il santissimo sepolcro del corpo suo sacratissimo, ed appresso -adoraron te, che morto in esso giacesti, come quello che siedi -alla destra del Padre, come quel giudice che venir dèi a giudicar -le cose tutte. Ora sì che si può veramente dire che per -te fosse addolcito il cuore di ciascuno, e che dove prima era -di pietra, da te levato, fu dato loro di carne; e nel mezzo di -loro mandasti lo Spirito Santo».</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. In particolare il testo in greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione; si è proceduto in modo analogo per l'equazione nella nota 334 pag. 403. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 6 (DI 15) ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin:0.83em 0; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE<br /> -<span style='font-size:smaller'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE<br /> -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</span> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. 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Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state -visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. 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