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-The Project Gutenberg eBook of Storia degli Italiani, vol. 8 (di 15),
-by Cesare Cantù
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Storia degli Italiani, vol. 8 (di 15)
-
-Author: Cesare Cantù
-
-Release Date: February 7, 2023 [eBook #69981]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by The Internet Archive)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8
-(DI 15) ***
-
-
- STORIA
- DEGLI ITALIANI
-
-
- PER
- CESARE CANTÙ
-
-
- EDIZIONE POPOLARE
- RIVEDUTA DALL’AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
-
- TOMO VIII.
-
-
-
- TORINO
- UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
- 1876
-
-
-
-
-CAPITOLO CXII.
-
-Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana. Il Milanese eretto
-in ducato.
-
-
- FAMIGLIA DEI CARRARESI
-
- Giacomo I, principe del popolo 1318-1324
- Nicolò suo fratello 1324-1326
- Marsiglio loro nipote 1324-1338
- Ubertino nipote di questo 1338-1345
- Marsiglietto Pappafava 1345
- Giacomo II figlio di Nicolò 1345-1350
- Giacomino suo fratello 1350-1372
- Francesco I loro nipote 1350-1388 m. 1393
- Francesco II Novello, strozzato a Venezia
- coi figli Francesco e Giacomo 1390-1406
-
- FAMIGLIA DEGLI SCALIGERI
-
- Mastino I, signore di Verona 1259-1277
- Alberto suo fratello 1277-1301
- Bartolomeo } { 1301-1304
- Alboino } figli di Alberto { 1304-1311
- Can Grande } { 1312-1329
- Alberto II } 1352
- } figli di Alboino 1329-
- Mastino II } 1351
- Cane II } 1359
- Cane III Signorio } figli di Mastino II 1351-1375
- Paolo Alboino } 1374
- Bartolomeo II } 1381
- } figli natur. di Can Signorio 1375-
- Antonio } 1387 m. 1388
- Guglielmo 1404
- Antonio e Brunoro suoi figli proscritti.
-
-Sei capi ambiziosi e capaci aveano, fra le traversie, condotta in
-grande stato la famiglia Visconti. Morto (1354) l’arcivescovo Giovanni,
-perfido e astuto ma valoroso e liberale quanto serve a palliare
-l’ingiustizia, il consiglio generale di Milano e delle altre città
-fecero omaggio ai nipoti di lui Bernabò e Galeazzo (tom. VII, p. 561),
-che spartironsi il dominio, serbando indivisa Milano, ove fabbricarono
-uno la rôcca di porta Zobia, l’altro quella a porta Romana e alla Casa
-dei Cani.
-
-Già vedemmo come Bernabò resistesse all’Albornoz e alla lega guelfa.
-Le bande soldate da questa e massime le inglesi, spintesi (1362)
-fino a Magenta, Corbetta, Nerviano, Vituone, dilapidarono ogni cosa,
-e rapirono seicento nobili che soleano abitarvi, nè li rilasciarono
-che a grossi riscatti; ma in fine a Casorate rimasero sanguinosamente
-sconfitte.
-
-Poco poi, Bernabò venne ancora in rotta con papa Urbano V, il quale
-bandì contro di lui la crociata, a cui concorsero l’imperatore Carlo
-IV, il re d’Ungheria, la regina di Napoli, il marchese di Monferrato,
-i principi d’Este, i Gonzaga, i Carrara, i Malatesti, e Perugini e
-Sanesi, confederati nella lega di Viterbo (1367). Ma Bernabò sapea che
-coteste crociate, unite solo dal sentimento, basta tirare in lungo, e
-si scomporranno da sè. In fatto a denari comprò l’inazione di Carlo IV
-(1368), allora calato nuovamente in Italia con cinquantamila uomini; a
-contanti fece passare dai nemici a sè la Compagnia Bianca, sommosse le
-città papaline (1369 febb.), e potè conchiudere buona pace, avendo però
-nella guerra consumato tre milioni di zecchini.
-
-L’accorta politica e gli estesi concetti di Bernabò erano deturpati
-dall’ignobilità del suo carattere, da quel brutale egoismo, su cui
-nè amicizia nè fedeltà nè riconoscenza valevano, e che nè tampoco
-degnavasi palliare le beffarde violenze. Cominciò, come devono i
-tiranni, dall’assicurarsi contro i proprj sudditi con fortalizj, e
-sempre generoso mostrossi ai soldati. Mal arrivato chi nella trascorsa
-guerra fosse apparso propenso ai nemici! i processi finivano con
-supplizj atrocissimi. Proibì d’uscir la notte, qual che ne fosse la
-cagione, sotto pena di perdere un piede; tagliata la lingua a chi
-proferisse le parole di guelfo o ghibellino; uno nega pagar due capponi
-comprati da una trecca, ed egli lo fa impiccare. Passionato della
-caccia, fin cinquemila cani manteneva, ed allogavali presso i cittadini
-da nutrire: ogni quindici giorni appositi uffiziali visitavanli, e se
-li trovassero dimagrati imponeano una multa, una multa se pingui, la
-confisca dei beni se morti. Chi poi ne tenesse uno, o uccidesse lepre
-o cinghiale, era mutilato, appiccato, talora costretto a mangiarsi il
-selvatico bell’e crudo. Bernabò si sognava che un tale gli facesse
-male? imbattevasi in alcuno ne’ solitarj suoi passeggi? bastava per
-torgli la vita o un occhio o la mano, od almeno confiscarne gli averi.
-Due suoi segretarj fece chiudere in gabbia con un cinghiale. Un giovane
-che avea tirato la barba a un sergente, fu condannato di lieve multa;
-ma Bernabò gli fece tagliar la destra: e perchè il podestà indugiò
-finchè i parenti venissero a implorar grazia, Bernabò volle fosser
-mozze ambe le mani al giovane ed una al podestà. Obbligò un altro
-podestà a strappar la lingua a un condannato, poi bere il veleno;
-talora costringeva il primo venuto a far da boja; e pretesto gli era
-sempre la lesa maestà, suggello d’ogni accusa nelle tirannie.
-
-Agli atti di prepotenza v’ha sempre una ciurma che applaudisce,
-giudicandoli segno di forza, e alla forza si suol fare di cappello.
-Alcuni ambasciadori di principi rimandò vestiti di bianco a guisa
-di mentecatti, coll’obbligo di presentarsi in quell’arnese ai loro
-padroni, tra le risate de’ paesi che attraversavano. Quando vennero
-a lui in Melegnano i nunzj pontifizj a recargli la scomunica, Bernabò
-li condusse sopra il ponte del Lambro, e quivi intimò mangiassero le
-bolle della scomunica, se non volessero bever quell’acqua; e vi si
-dovettero rassegnare. Inviperendo viepiù contro gli ecclesiastici, fa
-accecare, mutilare chi non l’ubbidisce: udito che un piovano esigeva di
-troppo per le esequie d’un morto, lo fa sotterrare col morto stesso:
-un altro bandisce la crociata del pontefice contro il capitano di
-Forlì, e Bernabò il fa mettere in un tamburo di ferro ed arrostire al
-fuoco. Due frati gli si presentano per rimproverarlo di tali inumanità,
-ed esso li fa bruciar vivi: anche monache fece ardere, e con esse il
-vicario generale che ricusò degradarle. Chiamato a sè l’arcivescovo che
-ricusava ordinare un monaco, se lo fece inginocchiare davanti, e gli
-abbajò: — Non sai, poltrone, che io sono papa, imperatore e signore in
-tutte le mie terre? e che Dio stesso non potrebbe farvi cosa ch’io non
-volessi?»
-
-Eppure mostravasi devoto, digiunava, istituì chiese, monasteri,
-benefizj. Rifabbricò il castello di Trezzo con ardito ponte sull’Adda
-a tre anditi a diversa altezza, una rôcca in Brescia, altre a Desio,
-a Pandino, a Cusago; una villa a Melegnano, a Milano il palazzo a San
-Giovanni in Conca, mentre Galeazzo rifaceva quello in piazza del duomo,
-con una spazzata per le giostre. Beatrice Regina della Scala, moglie di
-Bernabò, affettava una burbanza principesca; i decreti che essa mandava
-alle valli bresciane e camoniche fan credere che quei paesi fossero a
-lei assegnati per dote; in Brescia aveva un fondaco di ferrareccia;
-munì Salò di mura turrite; aprì un canale per irrigare la Calciana
-allora spopolata, e che erale stata data dal marito per sicurezza dei
-cencinquantamila fiorini d’oro portatigli in dote, come le diede poi
-Urago d’Oglio, Gazzólo, Roccafranca, Floriano e altri paesi[1]. A lei
-principi e signori dirigevano i reclami e le petizioni: ed essa, non
-che mitigare il marito, com’è uffizio di donna, lo esacerbava: ma
-non potè reprimerne la lubricità. Trentadue figliuoli ebb’egli tra
-legittimi e no; e il marchese d’Este, levandone uno al battesimo,
-gli regalò un vaso d’argento, entrovi una coppa d’oro piena di perle,
-anelli, pietre preziose, del valore di diecimila zecchini[2]. Le sue
-figliuole collocò nelle case regnanti di Norimberga, d’Ingolstadt,
-d’Austria, di Baviera, di Würtemberg, di Turingia, di Sassonia, di
-Kent, di Mantova, una al re di Cipro con centomila fiorini, un’altra
-a Giovanni Acuto ed una a Lucio Lando: a ciascuno de’ cinque maschi
-legittimi aveva già assegnato il governo del distretto di cui gli
-destinava la sovranità; ma l’uomo tesse, e Dio ordisce.
-
-Altrettanto e peggio operava Galeazzo II a Pavia. Più freddamente
-spietato, inventò la _quaresima_, per cui a’ suoi nemici faceva levare
-oggi un occhio, domani riposo; poi l’altr’occhio, indi riposo; poi
-una mano e l’altra, un e l’altro piede, e via per quaranta giorni
-alternando i tormenti col riposo, che preparasse a meglio sentirli.
-Fabbricava molto, talvolta insignemente, come furono il ponte sul
-Ticino e il castello di Pavia con una torre a ciascun angolo, e
-nell’interno un ampio cortile a portici, e un oriuolo che, oltre
-battere le ore, segnava il moto de’ pianeti. Nè meno suntuoso riuscì il
-castello di Milano. Poi disfaceva a capriccio: e i fondi, il legname,
-la calce prendeva dove fossero senza pagare; per ampliare un parco di
-venticinque miglia di giro usurpò fondi privati, tra cui quelli d’un
-Bertolino da Sisti, il quale affrontandolo gli chiese: — Di che darò a
-mangiare a’ miei figliuoli?» e il brutale rispose: — Che? non ti basta
-il gusto del farli?» Onde quello gli tirò una coltellata, e fallito il
-colpo, fu preso e fatto strappare da cavalli. Non pagava le cariche,
-poi guaj se erano male esercitate: sessanta impiegati a un tratto
-condannò alla forca, poi supplicato li graziò, ma chiuse in prigione il
-suo cancelliere ch’erasi mostrato sollecito nello spedir quella grazia.
-Insieme digiunava una terza parte dell’anno, distribuiva duemila
-cinquecentotrentun zecchini all’anno in limosine, ducentodieci moggia
-di grano, dodici carra di vino[3], e tenea dieci cappelle. Poi favorì i
-letterati, fondò l’Università di Pavia chiamandovi professori rinomati;
-blandì il Petrarca; e gli encomj di questo, ripetuti per classica
-ammirazione, impedivano ai lontani di udire i gemiti dei popoli[4].
-
-Tanto si osava mentre ancora sussistevano i nomi e le forme
-repubblicane; anzi direi per queste, giacchè il tiranno trovandosi
-violatore di esse, operava senza ritegno; l’appoggio che dalla
-costituzione eragli negato, chiedea dalla forza; forza non di
-cittadini, ma mercenaria, ed alleandosi con altri principi e
-coll’imperatore. I papi contrastavano sempre, tratto tratto qualche
-città si sollevava, un nuovo nemico sorgeva ogni dì: ma i Visconti dal
-pingue paese smungeano denaro, denaro traevano dagl’immensi possessi
-confiscati, col denaro compravano bande, e colle bande vincevano e
-tiranneggiavano.
-
-Gian Galeazzo figliuolo di Galeazzo, altrettanto ambizioso e
-più dissimulatore, comprò dall’imperatore Venceslao il titolo di
-vicario imperiale di Lombardia. Pagando a Giovanni II re di Francia
-trecentomila zecchini, di cui avea bisogno per riscattarsi dal re
-d’Inghilterra, n’ottenne la mano della figlia Isabella e la contea
-di Virtù in Sciampagna. In seconde nozze sposò Caterina figlia di
-Bernabò, il quale così credeva esserselo indissolubilmente legato,
-e lo canzonava di quel non curarsi di grandezze umane e della sua
-santocchieria. Fedele a questa, una volta Gian Galeazzo s’avviò in
-pellegrinaggio solenne al sacro monte di Varese, menando seco la
-Corte; e poichè passava rasente a Milano, pregò lo zio volesse venire
-a salutarlo fuor della porta. Lo zio v’andò (1385); ma appena l’ebbe
-abbracciato, il nipote diè il segno a’ suoi seguaci, che, tirate l’armi
-di sotto le pie tuniche, presero Bernabò col suo seguito, e buttatolo
-in castello, e fattogli un ridicolo processo, non per le atrocità
-sue, ma per stregherie e per avere con incantesimi reso sterile il
-matrimonio del nipote, lo sepellirono nel castello di Trezzo a morire
-di rabbia se non fu di veleno. Milano rise della volpe presa al laccio,
-ed acclamò Gian Galeazzo, che riunì tutto il dominio visconteo, e
-trovò nel tesoro settecentomila fiorini d’oro contanti e sette carri
-d’argento in verghe e vasellame.
-
-Gian Galeazzo non avventurava mai nè la persona propria nè l’esercito
-a battaglia decisiva, ma lo chiudeva entro fortezze, lasciando la
-campagna esposta; sapeva poi destreggiare di politica, annodare e
-scompor leghe, essere perfido e bugiardo opportunamente, e scegliere
-i migliori stromenti alle sue ambizioni. Le finanze, per buona
-amministrazione fiorenti, davangli mezzo di comperarsi partigiani nelle
-altre repubbliche, e bande mercenarie, e grosse parentele, e così far
-dei paesi come gli talentasse; nè dopo Federico II v’era stato principe
-più temuto dagl’Italiani, e più minaccevole all’altrui indipendenza.
-Stanco dell’obbrobrio delle bande di ventura, strinse lega coi Gonzaga,
-i Carraresi e gli Estensi per isbrattarne il paese, e Bartolomeo di
-Sanseverino fu spedito contro di loro con una bandiera inscritta Pax;
-lega di effimera durata, che presto fece luogo a rivalità ed ambizioni
-tra questi signorotti.
-
-Quei della Scala disonorarono la propria decadenza coi delitti.
-Cansignorio, e Paolo Alboino, figli di Mastino II, aveano assassinato
-il fratello maggiore, indi azzuffatisi tra sè, il più debole fu
-cacciato prigione in Peschiera, finchè Cansignorio, sentendosi morire,
-mandò ammazzarlo (1375) acciocchè non attraversasse la successione a’
-suoi figli naturali Bartolomeo e Antonio. Rinnovando simili misfatti,
-Antonio uccide Bartolomeo (1381), poi ne accagiona un’amica, e costei
-e tutta la famiglia manda alle forche. Quest’Antonio fu dai Veneziani
-aizzato contro Francesco Carrara signore di Padova, loro implacabile
-nemico, il quale si pose a schermo di Gian Galeazzo. Costui, adontato
-che lo Scaligero per gelosia avesse rinnegato la sua alleanza, s’intese
-col Carrara; vantandosi erede degli Scaligeri in grazia di Caterina sua
-moglie, nata da Regina della Scala, fece attaccar Verona (1387 8bre)
-dalle bande di Ugolotto Biancardo; ed essendo Antonio fuggito a Venezia
-dopo consegnata la fortezza al legato imperiale, Galeazzo la comprò a
-contanti.
-
-Ma, infido al proprio alleato, non che cedergli Vicenza come avevano
-pattuito, si offerse amico a Venezia contro di esso, ricevendone
-centomila ducati il primo anno, poi ottomila al mese se la guerra si
-prolungasse. Il Carrara trovavasi addosso nemici troppo poderosi,
-scontenti i popoli, non denaro per comprar bande o trarre qui
-stranieri; sicchè per disperato rinunziò la signoria al figlio
-Francesco II Novello, il quale sentendosi inetto a resistere,
-ricoverò a Pavia (1388 9bre) fra l’esultanza de’ Padovani. Malgrado il
-salvocondotto, furono chiusi il padre a Verona, il figlio a Milano:
-Galeazzo prese Padova, poi Treviso, e si trovò sul margine delle
-lagune, alla tardi e mal pentita Venezia minacciando, se Dio gli
-concedesse sol cinque anni di vita, ridurla umile quanto Padova.
-
-Tolte di mezzo quelle due antiche famiglie, assorbite le case dei
-Correggio, dei Cavalcabò, dei Benzoni, dei Beccaria, dei Langoschi,
-dei Rusca, dei Brusati, restava padrone di ventuna città, che
-gli fruttavano ducentomila fiorini, cioè metà quanto la Francia e
-l’Inghilterra, avendo in corte quasi prigioniero Teodoro II marchese di
-Monferrato, ricevendo docilissimi omaggi da Francesco Gonzaga signore
-di Mantova, proteggendo il marchese Alberto d’Este contro l’odio
-meritato con delitti; aveva una zia maritata in Lionello d’Inghilterra
-con ducentomila sterline; la figlia sua Valentina sposò a Luigi duca
-d’Orléans, assegnandole in dote la città e il territorio d’Asti,
-quattrocentomila fiorini, e un corredo e gemme quali nessun regnante.
-Fidava recuperar Genova coll’attizzarne le intestine malevolenze;
-chiedendo sposa Maria, erede presuntiva della Sicilia, aspirò ad
-acquistare quell’isola sbranata fra due fazioni: se non che il re
-d’Aragona, subodorato l’accordo, appostò la flotta lombarda e mandolla
-sgominata. Sempre più ampliando i suoi divisamenti, Gian Galeazzo
-ambiva la corona d’Italia; ma prima conveniva abbattere la tutrice
-della costei libertà, Firenze.
-
-Questa continuava ad essere il centro de’ Guelfi, sottometteva i
-castellani del contorno, e nelle interne riotte migliorava la sua
-costituzione. A misura del crescer di essa scapitava la ghibellina
-Pisa, la quale invischiatasi nelle vicende di terra, più non dava
-i migliori negozianti a Costantinopoli e all’Arcipelago, e vedeva
-spopolarsi i suoi banchi in Siria. La battaglia della Meloria, altro
-frutto del suo parteggiare cogl’imperatori, l’avea fatta soccombere a
-Genova; e per alcun tempo proibita di tenere armi, perdè l’abitudine
-della guerra, onde la gioventù si drizzò ad altre vie, ad altra
-ambizione i consigli; i pescatori delle maremme, di Lerici, della
-Spezia passarono a servizio de’ Genovesi. Alla Corsica avea rinunziato,
-sicchè fu data agli Aragonesi in cambio della Sicilia: ma poichè v’era
-sempre chi favoriva a’ Pisani o a’ Genovesi, tutta andava in partiti
-e scaramuccie, che impedivano agli Aragonesi di profondarvi radici.
-Molti tirannelli vi sorsero, finchè il popolo stanco (1359) trucidò i
-baroni o li fugò, e stabilì una costituzione repubblicana, mettendosi
-in tutela de’ Genovesi, patto di non essere aggravezzati che di venti
-soldi per fuoco l’anno. Nè per questo le fazioni quetarono; e non
-potendo la repubblica di Genova tenerla, cinque cittadini ne presero
-a proprio conto la protezione, e se la divisero. Poco durò, e alle
-indigene si aggiunsero le scissure di Adorni e Fregosi.
-
-Ai Pisani restava accora la Sardegna, opportuna al commercio
-coll’Africa che ormai sola le era dischiusa: ma nel 1323 quanti erano
-in quell’isola furono trucidati per trama di Ugone de’ Visconti giudice
-d’Arborea, il quale consegnolla a Giacomo II re di Aragona. L’infante
-don Alfonso, sbarcatovi con poderosa armata, consumò quindicimila
-uomini nel vincere l’intrepida resistenza di Cagliari e de’ Pisani
-condotti da Manfredi della Gherardesca (1326), i quali alfine dovettero
-abbandonargli l’isola, ultimo resto di loro marittima grandezza.
-Gli Aragonesi v’introdussero le cortes, con tre stamenti o bracci,
-ecclesiastico, militare, regio, cioè popolano, i quali aveano parte nel
-far le leggi e nel fissare l’imposta, e rendeano ragione alle querele
-d’individui e di corpi. Alcuni signori conservaronsi indipendenti,
-come i marchesi d’Arborea, tra cui fu famosa Eleonora che fece raccor
-le leggi dell’isola (_carta de logu_) (1403), fin testè conservate in
-vigore.
-
-Pisa si trovò intercetta la via dell’Africa, in Sicilia non
-potè sostenere la concorrenza de’ Catalani, onde si restrinse
-all’agricoltura, alle manifatture, alle imprese di terra. Sempre
-avversa alla guelfa bandiera, continuava a rivaleggiare con Firenze.
-Secondo il trattato del 1342, avea fatto esenti i Fiorentini da
-ogni gabella in Pisa; ma col pretesto di armare contro i corsari,
-impose ad essi pure due denari ogni lira di valore. Risoluti di non
-rassegnarsi ad un esempio che potrebbe condurre a peggio (1357), i
-Fiorentini chiusero le loro partite e trasportarono gli scanni al porto
-di Telamone nella maremma senese. I mercanti forestieri dovettero
-seguirli, sicchè fu colpo mortale a Pisa, la quale, vuote le case,
-i magazzini, gli alberghi, le strade di vetturali, il porto di navi,
-riducevasi una solitaria città castellana.
-
-Dentro la squarciavano le sêtte de’ Bergolini, popolani guidati dai
-Gambacorta, e de’ Raspanti, in mala fama per aver _raspato_ ne’ loro
-governi, e sempre avversi ai Fiorentini. Gli odj portarono ad alternate
-tirannie; e i Visconti di Milano, che mai non torceano gli avidi
-occhi dalla Toscana, per demolirla colle lotte interne favorivano ai
-Raspanti, i quali incessantemente aizzavano alla guerra contro Firenze,
-non foss’altro per rincalorire i rancori, che troppo s’erano calmati
-dacchè si vedeva a che avesse portato l’esclusione de’ Fiorentini, dai
-Raspanti cagionata.
-
-Volterra mal potea conservarsi indipendente fra le tre repubbliche
-vicine che v’aspiravano; e però avendola i Fiorentini sciolta dalla
-tirannide di Bocchino Belforti, si diede a loro protettorato (1360).
-N’andò al colmo il dispetto de’ Pisani, che ruppero all’armi con varia
-fortuna; ma l’antica regina dei mari si trovò sull’onde guerreggiata
-dalla mediterranea rivale. Pisa sentendosi non bastar sola, chiese
-ajuti a Bernabò Visconti, e questi vi spedì l’Acuto (1362) colla banda
-inglese di duemila cinquecento cavalli e duemila fanti. Vero è che
-costoro devastarono la campagna, poterono anche fare una punta sopra
-Firenze, correre il palio fin sotto le mura di essa, ed appiccarvi alla
-forca tre asini col nome di tre magistrati fiorentini; ma la voracità
-di questa masnada, la peste che ripullulò, e la rotta di San Savino
-(1364) (che ancora si festeggia a Firenze col palio di San Vittorio)
-ridussero i Pisani a strettissime condizioni[5]. Non potendo poi
-pagare l’ultima rata alle compagnie di ventura, Giovanni Agnello loro
-concittadino, la cui ambizione era sollecitata da Bernabò, promise
-soddisfarli de’ soldi dovuti, e col loro appoggio si fece proclamar
-doge: premiò, punì, relegò, com’è il solito di cotesti ambiziosi, e
-giustificava l’usurpazione col titolarsi luogotenente del Visconti. La
-pace giovava al dittatore; onde fu conchiusa (17 agosto) tra Pisani e
-Fiorentini, restituendo a questi ultimi le franchigie che godevano a
-Pisa, i castelli e i prigionieri, oltre centomila scudi d’oro per le
-spese della guerra.
-
-Firenze era sempre stata braccio destro della Chiesa: pure onesta
-franchezza mostrava nelle materie ecclesiastiche, sacerdoti e abati
-puniva dei delitti come gli altri cittadini, e li sottopose alle
-gravezze comuni. L’inquisitore frà Pietro dell’Aquila, superbo e
-avido di denaro, avea avuto procura dal cardinale di Barros spagnuolo,
-per riscuotere dodicimila fiorini dovutigli dalla fallita compagnia
-degli Acciajuoli; e benchè col consenso della Signoria n’avesse preso
-adequata cauzione, fece dai birri del Sant’Uffizio (1375) sostenere uno
-degl’interessati d’essa compagnia. Se ne leva rumore: il prigioniero è
-tolto ai birri, che con tronche le mani sono banditi dalla Signoria.
-L’inquisitore sbuffante si ritira a Siena, e lancia l’interdetto sui
-priori e sul capitano di Firenze: questi appellano al papa, accusando
-d’altri abusi l’inquisitore, e che settemila fiorini in due anni avesse
-smunto dai cittadini, coll’appuntare come eresia ogni paroluzza,
-ogni sentenza men castigata; e il papa, informato del vero, levò le
-censure. Allora il Comune ordinò, come già erasi fatto a Perugia, che
-nessun inquisitore prendesse brighe estranee al suo uffizio, nè potesse
-condannare in denaro, nè tenere carcere distinta; divieto ai magistrati
-di dargli sgherri, nè di lasciar arrestare chi che fosse senz’assenso
-dei priori: e poichè Pietro dell’Aquila a più di dugencinquanta
-cittadini avea dato la licenza delle armi, col titolo di famigli del
-Sant’Uffizio, ritraendone meglio di mille fiorini l’anno, si ordinò che
-l’inquisitore non avesse più di sei famigli con arme, nè più di sei
-altri licenziasse a portarle; quelli del vescovo di Firenze fossero
-ridotti a dodici, e a metà quelli del fiesolano; l’ecclesiastico che
-offendeva un laico in fatto criminale, cadesse sotto al magistrato
-ordinario, senza eccezione di dignità, nè riguardo a privilegi papali.
-
-Tutto ciò indispose il papa contro Firenze: e Guglielmo di Noellet,
-legato pontifizio a Bologna, parve ne insidiasse la libertà, la
-carestia peggiorando col proibirvi l’invio del grano, poi scagliando
-contro della Toscana la Compagnia Bianca dell’Acuto, dacchè la tregua
-con Bernabò la rendeva inutile: passo sconsigliato e disastrosissimo
-all’Italia ed alla causa pontifizia. Firenze, indignata di vedersi
-tolta di mira da quella Corte, cui con lealtà religiosa avea sempre
-favorito, comprò l’inazione di costui mediante centrentamila fiorini,
-e tosto gittò l’incendio nella Romagna, promettendo mano a chiunque si
-rivoltasse alle sante chiavi. Siena, Lucca, Pisa tennero con essa, e
-così il Visconti, cui Gregorio XI aveva rinnovato le ostilità: gli Otto
-della guerra, a’ quali erasi affidato il governo di Firenze, ed erano
-detti gli otto santi patroni, raccolsero l’esercito sotto una bandiera
-iscritta a oro _Libertà_, la quale spedirono a Roma e agli altri paesi
-con lettere mirabilmente dettate dal segretario Coluccio Salutati. Ed
-ecco in non dieci giorni ottanta città o borgate di Romagna e delle
-marche d’Ancona e Spoleto, e Bologna stessa si sottrassero ai vicarj
-pontifizj, e costituendosi libere, o richiamando le antiche famiglie
-spossessate dall’Albornoz. Giovanni Acuto, a servizio del legato
-papale, intitolò la sua _compagnia santa_, e malmenò la Romagna. Il
-vescovo d’Ostia conte di questa dimorava in Faenza, e scoperto che
-Astorre Manfredi praticava per farla ribellare, chiamò l’Acuto. Il
-quale volò, e subito chiese denari (1376); e non avendone il vescovo,
-cacciò prigione trecento primani, undicimila spinse fuor di città,
-solo ritenendo alquante donne a oltraggio; poi l’abbandonò al sacco,
-nè tampoco risparmiando le vite di fanciulli. La città così malmenata
-vendè per quarantamila fiorini al marchese d’Este, poi gliela ritolse
-per darla al Manfredi. Questo chiamava egli servire al pontefice:
-eppure in compenso pretese le terre di Bagnacavallo e Castrocaro.
-
-La sollevazione intanto estendevasi; ben ottanta città aveano tolto
-l’obbedienza al pontefice, che viepiù indignato contro i Fiorentini,
-li citò al suo tribunale. Essi, che non voleano esser religiosi a
-scapito della libertà[6], mandano tre ambasciadori ad Avignone, che
-sostengono la causa loro con insolita franchezza, e — In quattrocento
-anni dacchè godiamo della libertà, la ci si è per modo connaturata, che
-ognun di noi è disposto a sagrificare la vita per conservar quella».
-Il buon papa era troppo male ispirato, com’è più facile ai lontani;
-e senza dare ascolto proferì contro di loro la scomunica, eccitando
-ognuno ad occuparne gli averi e le persone; onde Donato Barbadori, uno
-dell’ambasciata, si volge a un Cristo, appellandosi a lui dell’ingiusta
-sentenza, e dicendo col salmista: — Ajutor mio, non mi lasciare; se
-anche mio padre e mia madre m’abbandonarono».
-
-Quanti erano per traffico in Avignone e altrove sono obbligati
-partirsene; il re d’Inghilterra coglie l’occasione per occupare gli
-averi e far serve le persone di quanti ne trovò nel suo regno; sicchè
-arrivò a Firenze tanta gente, da poter formare un’altra città. I
-Fiorentini decretano non si badi all’interdetto (1377), e si continuino
-gli uffizi divini: ma l’Acuto mette a macello le città sollevate;
-Roberto di Ginevra nuovo legato, cattiva scelta d’ottimo pontefice,
-trae una banda delle più ribalde che devastassero la Francia, guidata
-da Giovanni di Malestroit bretone, il quale, avendogli il papa
-domandato — Ti basta l’animo di penetrare in Firenze?» rispose — Sì
-perdio, se vi penetra il sole». A’ Bolognesi il legato minacciava
-voler lavarsi piedi e mani nel sangue loro; e di fatto Monteveglio,
-Crespellano ed altre terre furono spietatamente invase. Cesena,
-assalita per una rissa fra’ Bretoni e i cittadini, fu mandata a sacco,
-e Roberto gridava — Sangue, voglio sangue; scannate tutti, affatto
-affatto»; orribile grido, più orribile in bocca di legato papale,
-se pur non è una delle solite invenzioni con cui si vendicano gli
-oppressi. Tre giorni abbandonata a quel furore, cinquemila cadaveri
-furono rinvenuti quando si rifabbricò, oltre quelli periti nel fuoco e
-mangiati dai cani: gli altri errarono mendicando. I soldati cambiavano
-a some le spoglie dei morti con altrettanto fieno e paglia da stramare
-i cavalli; le donne, vedove, contaminate, nude, digiune, metteano
-pietà fin al disumano Acuto. I Fiorentini riuscirono a staccare
-costui dal papa col pagargli duecencinquantamila fiorini l’anno;
-vale a dire redimevano i ricolti del proprio territorio dando una
-metà della pubblica rendita. Solo allorchè lo scisma cominciato nella
-Chiesa facealo bisognoso di pace, il papa ricomunicò Firenze (1378),
-accettandone ducentrentamila fiorini.
-
-Firenze vedeva con gelosia gl’incrementi di Gian Galeazzo; e questo,
-soffiando ne’ rancori degli emuli di essa, riuscì ad allearsi con
-Siena, Perugia, Urbino, Faenza, Rimini, Forlì e molti principotti,
-oltrechè si provvedeva dei migliori capitani nostrali, Jacopo del
-Verme, Giovanni d’Azzo degli Ubaldini, Paolo Savelli, Ugolotto
-Biancardo, Galeazzo Porro, Facino Cane, ed accampava fin quindicimila
-cavalli e seimila fanti. Firenze sentendosi minacciata, doppiò di zelo
-e sagrifizj, e oltre l’Acuto, assoldò il tedesco duca di Baviera,
-il francese duca di Armagnac, che menava duemila lance e tremila
-_pilardi_ o saccomanni, diluvj d’ogni nazione, stipendiati per danno
-della nostra. Associavasi pure colla potenza di Bologna e coll’ira del
-tradito Francesco Novello de’ Carrara.
-
-Costretto, come narrammo, dal Visconti a far cessione del principato
-degli avi suoi, e relegato a Cortazzone nell’Astigiano, costui fugge
-per Francia, dando voce d’andar pellegrino a Sant’Antonio di Vienne,
-e seguito dall’intrepida moglie Taddea d’Este e dai figliuoli, varca
-i geli alpini, si prostra all’antipapa Clemente VII in Avignone, a
-Marsiglia abbraccia Raimondo già vescovo di Padova, poi temendo essere
-arrestato da quel governatore, s’imbarca per Genova. La procella lo
-butta su spiaggia nemica, ma ne campa mediante il denaro e le lettere
-del re di Francia; e giunto a una terra de’ Fieschi, si rimette al
-mare. Nuova tempesta lo spinge al lido, ove uno Spínola non crede
-sia mercante nè uom d’arme come diceva, e l’obbliga a manifestargli
-l’esser suo. Questo, caldo ghibellino, corre a Genova a riferirlo
-al doge Adorno, creatura dei Visconti; ma il Carrarese, avutone
-sentore, passa la notte in una chiesa, donde all’alba fugge lungo
-la riviera. Ivi l’imbatte un mercante, che al nobile portamento di
-Taddeo insospettito, corre a denunziarlo a Ventimiglia come rapitore
-di gentildonna. Le milizie il sopragiungono, ma egli, palesatosi,
-riceve onore; ed è trovato da un messaggiero di Paganino Doria, che gli
-presenta la metà d’un dado, segnale concertato, onde seco prosegue il
-viaggio s’un palischermo. Spinto da traversia a Savona, ove dominavano
-i Del Carretto amici al Visconti, se ne sottrae con pronta fuga, e
-in abito da pellegrino passa per Genova, si sottrae ai condottieri
-del duca spediti sulla sua traccia, ed eccolo a Firenze. Nojato dai
-gabellieri alle porte, ricevuto freddamente e consigliato a cercarsi
-altro asilo, egli mette banco per guadagnare il vitto alla famiglia,
-e si fa stimare dai Fiorentini, viepiù dacchè lo vedono temuto dal
-Visconti: i Veneziani stessi, cessato di averne paura, lo guardano
-amicamente; dalla prigione suo padre lo esorta a sostenere le fortune
-e l’onore della casa. Allora Francesco ripiglia personaggio politico,
-gira le corti di Germania e n’ottiene soccorsi ed incoraggiamenti, coi
-quali traversato il Friuli, e raccolti amici e partigiani, di sorpresa
-recupera Padova (1390 19 giugno). Subito l’incendio si diffonde; Verona
-acclama il fanciullo Can Francesco, figlio del defunto Antonio della
-Scala; e i Veneziani dan mano ai nemici di Gian Galeazzo.
-
-Però le bande oltramontane non aveano ancora imparato la strategia
-maestrevole delle italiane; e l’Armagnac, che, giovane di ventott’anni
-e usato a vincere, con baldanza francese sbraveggiava gl’Italiani,
-essendosi con pochi avanzato fin sotto Alessandria, da Jacopo del
-Verme fu battuto e ferito a morte (1391 25 luglio); i suoi, presi
-e spogliati, dovettero senz’armi tornare in Francia. Ne restava in
-gravissimo frangente l’altro esercito al soldo de’ Fiorentini, ma
-Giovanni Acuto con ferma maestria potè ritirarlo attraverso l’Oglio, il
-Mincio, l’Adige. Rotte le dighe di questo, allagata la valle veronese,
-l’Acuto si trovò una volta ristretto sopra un argine, e tutto intorno
-acqua, onde il Del Verme gli mandò per beffa una volpe in gabbia;
-ma l’inglese rispose: — La volpe troverà modo da sgattajolare»: e in
-fatto, traversando di sotto di Legnago per entro le acque e la melma
-un’intera giornata, ridusse l’esercito in salvo. All’Acuto Firenze
-dava fin duemila fiorini l’anno di paga, e lui e suo figlio faceva
-esenti da ogni gravezza; pingui doti alle tre figlie, assegno vedovile
-alla moglie Donnina Visconti; e quando morì (1394) gli rese esequie da
-principe, e mausoleo in Santa Maria del Fiore, e le sue ceneri furono
-ridomandate dal re d’Inghilterra: tant’è pertinace la frenesia degli
-uomini nell’onorare chi gli uccide.
-
-Stanchi di quelle interminabili evoluzioni senza mai una battaglia
-campale, i belligeranti trattarono d’accordo (1392 genn.), rimettendosi
-all’arbitrio di Antoniotto Adorno doge di Genova, e Riccardo Caracciolo
-gran maestro dell’ordine di Rodi. Il costoro arbitramento a Francesco
-Novello manteneva Padova, proibito a Gian Galeazzo d’intrigarsi nelle
-cose toscane, e ai Fiorentini nelle lombarde. Ma il Visconti, le cui
-ambizioni rimanevano insoddisfatte, non atteneva i patti; le bande
-mercenarie congedate, eppur tenute sempre a mezzo soldo, spingeva
-contro i Fiorentini (8bre); fermava alleanza con Jacopo d’Appiano, che
-svertando Pietro Gambacorta, s’era insignorito di Pisa.
-
-Francesco Gonzaga in un finto pellegrinaggio combinò una lega
-guelfa tra Bologna, i signori di Padova, Ferrara, Mantova, Ravenna,
-Faenza, Imola, e principalmente Firenze, la quale regolata allora
-dagli Albizzi, destri politici, coi maneggi non men che colle bande
-mercenarie tenne testa ad Alberico di Barbiano. Non potè però impedire
-che Gerardo figlio e successore dell’Appiano vendesse Pisa a Gian
-Galeazzo (1399 febb.), conservando per sè Piombino coll’isola d’Elba,
-la quale d’allora formò un principato distinto. Anche Siena, agitata
-dalle fazioni e dalle rivalità con Firenze, si diede al Visconti (1400
-genn.); e Perugia l’imitò. Pure l’opposizione di Firenze scompigliò
-(fu bene o male?) i disegni di Gian Galeazzo, il quale, caduto dalla
-speranza d’unire tutta Italia, pensò consolidarsi in Milano.
-
-Per quanto la lunghezza e successione delle signorie avesse abituato
-a considerarli per principi ereditarj, i Visconti, come gli altri
-tiranni, non dominavano se non perchè il potere politico era affidato
-loro dall’assemblea del popolo, nella quale risedeva ancora di diritto
-la sovranità. Vero è che i Visconti la dispensavano dallo incomodo di
-adunarsi, facendo far tutto dai dodici di provvisione, presieduti da
-un vicario nominato dal principe, o al più convocavanla per dire di
-sì. Dal principe emanavano gli statuti, diretti spesso a consolidare
-la sua autorità col proibire di portare armi, di fare società segrete,
-o mantenere corrispondenza col papa o coll’imperatore, od a volere
-severa e compendiosa giustizia dei ladri e dei ribelli, «e per ribelli
-s’intendono tutti quelli che fanno contro al pacifico stato del
-signore e del Comune di Milano». Il vicario, mentre era luogotenente
-del duca, era pur capo della cittadinanza, e intermedio fra questa e
-quello; doveva essere forestiero, o almeno non possedere beni fondi
-nel Milanese; veniva assistito da dodici consiglieri bimestrali,
-tolti in parte dal collegio dei dottori, in parte dai mercanti e dai
-cittadini. Di questo magistrato erano competenza la polizia interiore,
-il commercio, la sanità, l’abbondanza, le contestazioni fra i mestieri
-e per servitù locali e mercedi; amministrava le rendite del Comune, i
-dazj, le regalie d’acque e strade; nominava agl’impieghi municipali,
-sceglieva i podestà, i capitani ed altri capi della giustizia nel
-contado. Esso pure convocava il consiglio generale di cencinquanta
-cittadini per ciascuna delle sei porte principali, eletti in prima da
-deputati del popolo, poi dal tribunale stesso di provvisione assistito
-da alquanti savj, infine dal duca. Ogni porta aveva stemma e bandiera
-propria e capitani; ogni parrocchia i suoi sindaci, e assemblee
-elettorali e deliberative: ai cittadini spettava la difesa delle
-mura e delle porte. Il potere giudiziale civile spettava al podestà;
-il criminale a un capitano di giustizia: ma costretto com’era ad
-appoggiarsi ad uno dei partiti per valere sopra l’altro, restava servo
-del preponderante, cioè del principe.
-
-Queste consuetudini antiche de’ Comuni, e i privilegi feudali,
-le fazioni, il clero, le maestranze erano limiti alla potenza del
-principe, e sembra che principalmente ponessero ritegno al soverchiare
-delle imposte, giacchè questo adopera parole lusinghiere e fin vili
-allorchè domanda qualche nuova tassa. Al che per lo più davagli titolo
-il dover levare truppe, e con queste potea soprusare: se poi fosse
-creato vicario imperiale, esercitava i diritti regj: in caso di guerra
-non avea più limiti, come generale dell’esercito: se diveniva capo di
-molte città, non tenendosi queste l’una coll’altra, egli si trovava
-indipendente da tutte, e le une adoprava a frenare le altre; le quali
-conquistate non aveano alcun diritto da opporre agli arbitrj di esso.
-
-Per dare a conoscere il governo d’alcuna delle città dipendenti,
-togliamo ad esempio Como. Vi durava il consiglio generale di cento,
-fra i quali sortivasi un consiglio di dodici savj od uffizio di
-provvisione, per amministrare gli affari ordinarj: ne’ casi più
-rilevanti, come per fare statuti, dare la cittadinanza, vendere o
-impegnare i beni pubblici, raccoglievasi il consiglio generale. Ma
-Gian Galeazzo Visconti cercò sempre assottigliare la giurisdizione che
-questo aveva in materia d’ordinanze, pesi, misure, imposte, statuti, i
-quali vi erano stati rinnovati da Azzone.
-
-Innanzi a detto consiglio appaltavansi le gabelle, e un giudice dei
-dazj con sei ragionieri risolveva le quistioni ad essi relative. Un
-referendario, per l’interesse del principe, sovrintendeva ai dazj, alle
-gabelle, ai pedaggi, ed interveniva al consiglio generale; e il primo
-che si trovi, fu del 1387. Quattromila seicento fiorini al mese era
-la quota che Como pagava a Gian Galeazzo. Privilegio del fisco era il
-sale, e l’appaltatore nel 1380 dovea comprarne quindicimila cinquecento
-staja dalla gabella del principe, il quale poi era suddiviso per Comuni
-e per famiglie, restandone esenti quelli che possedessero meno d’una
-lira di estimo. Il sale allora valeva quattro lire di terzoli; ed ogni
-frode era severamente punita.
-
-Il podestà non era più eletto dalla città, ma spedito da Milano[7],
-con cento fiorini d’oro al mese, coi quali doveva stipendiare un
-collaterale per la polizia, e il vicario e il giudice de’ malefizj,
-che sosteneano le veci sue, questo nelle criminali, quello nelle cause
-civili, nelle quali aveano pari autorità quattro consoli di giustizia
-e due giudici di palazzo, scelti fra i dottori di collegio. Ogni sei
-mesi venivano da Milano censori, i quali pure sindacavano i magistrati
-quando al fine dell’anno scadeano. Il governatore era un mero
-rappresentante, nè scemava al Comune l’autorità sopra gli uffiziali
-inferiori e sopra le entrate proprie.
-
-Bisognava dare un numero di soldati proporzionato alla popolazione,
-e sotto connestabili e con paga; oltre carri e guastatori ed altri
-servigi da guerra. La cittadella era guardata da un comandante: da
-un capitano del lago, sedente a Bellagio, dipendevano i soldati e
-due navi da venti e più remi dette _scorrobiesse_, per inseguire i
-contrabbandieri e i pirati. Un capo del bollo rilasciava i passaporti
-agli stranieri, sui quali e sulle porte, sulle quarantene, sui confini
-aveva giurisdizione. Dal principe pure venivano il giudice delle
-vettovaglie che badava alla bontà dei viveri e delle medicine, e i
-giudici delle strade.
-
-Quel che parrà strano, nemmeno la perdita della indipendenza toglieva
-le nimistà interne e le divisioni per famiglie. A Como nel 1335 furono
-eletti cinquanta uomini della fazione Vitana, cinquanta della Ruscona,
-cinquanta della Lambertenga; e posti i nomi in tre urne separate,
-se ne estraeva uno per ciascuna, formando il tribunale dei _tre
-buoni uomini_, giudice inappellabile delle cause introdotte avanti a
-qualsifosse magistrato. E fin ai tempi di Francesco Sforza si continuò
-a cernire il consiglio metà dalla squadra Vitana, metà dalla Ruscona.
-
-Galeazzo e Bernabò Visconti aveano creduto abbreviare e semplificare
-le liti coll’ordinare che quelle introdotte presso qualunque giudice
-si dovessero, a petizione anche d’una sola parte, compromettere in
-tre persone di fiducia, che proferissero senza strepito di fôro e
-inappellabilmente. Ciò dovette cadere in disuso, giacchè Gian Galeazzo
-lo richiamò nel 1382: ma presto apparve che questo surrogare l’arbitrio
-e il buon senso della legge peggiorava la giustizia; onde dapprima
-si volle che fra i tre fosse un giurisperito, poi la sentenza fosse
-appellabile, infine si rimisero i giudizj ai magistrati ordinarj.
-
-A questi si andava estendendo la facoltà di procedere d’uffizio
-contro i delinquenti, e non solo per istanza dell’offeso, come
-già si praticava: il quale accentramento della giustizia fu un
-gran passo verso la centralità[8]. E Gian Galeazzo vi servì collo
-stabilire a Milano un consiglio di giustizia, tribunale supremo, cui
-portavasi l’appello dagli altri inferiori; e un consiglio segreto che
-sovrintendeva all’amministrazione, avendo dipendenti i magistrati delle
-entrate ordinarie e delle straordinarie, i referendarj della curia
-ducale, i _collaterali del banco degli stipendiarj_ per l’esercito,
-i _capitani del divieto dei grani_ sopra l’annona. Anche la nomina
-ai benefizj ecclesiastici fu tratta al principe, salvo al papa il
-ratificarla: infine esso si arrogò quella del gran consiglio e dei
-dodici di provvisione. L’estendersi dello studio del diritto romano
-cresceva al principe l’autorità giuridica, oltre che egli reprimea
-arbitrariamente i frequenti delitti.
-
-Questo potere dispotico, come nella Roma antica, derivava dalla potenza
-del capitano; e non distruggeva le forme repubblicane, ma le privava
-d’ogni efficacia. Al popolo rimaneva ancora il diritto di scegliere il
-principe; e disgustato dell’uno, protestava che, morto lui, mai più non
-ne vorrebbe altro; poi, appena morto questo, correva ad eleggerne un
-altro, anzi il figlio o il fratello di quello, per la ragione che suo
-padre o fratello era stato cattivo. Il ragionamento sa di strano, ma si
-fa tutti i dì.
-
-Per tal modo i Milanesi si erano in cent’anni avvezzati a credere
-necessario il principato, e supporvi quasi un titolo ereditario alla
-casa Visconti. Se non che poteano sempre dir di no; e questo pericolo,
-per quanto remoto, turbava i sonni a Gian Galeazzo, il quale, per non
-tenersi conoscente del titolo all’elezione popolare, preferì riceverlo
-dall’imperatore.
-
-Federico Barbarossa a Costanza riconosceva liberi i Lombardi: in
-conseguenza gl’imperatori non aveano potere diretto su di essi, nè mai
-pretesero considerarli come un feudo, di cui potessero disporre. Quando
-dunque Galeazzo offrì all’imperatore Venceslao centomila zecchini
-se lo eleggesse duca di Milano, questo (1395 maggio) non esitò un
-istante ad esaudirlo[9]. Galeazzo, scaltrito che più dei forni usati
-da’ suoi predecessori, incatenerebbero il popolo le feste, ne preparò
-di suntuosissime. Sulla piazza di Sant’Ambrogio ove si coronavano
-i re d’Italia, il nuovo duca fu messo in trono, poi a ginocchi dal
-messo imperiale ricevette il manto e una corona che valea ducentomila
-fiorini; e canti, e messe solenni, cavalcate, giostre, corte bandita,
-regali da non dire, e «allo spettacolo de tanta solennitate vi concorse
-quasi de tutte le nazioni de Cristiani ed anche gl’Infedeli, in modo
-che ciascuno diceva non più potere maggiore cosa vedere»[10].
-
-Questa Lombardia che vedemmo sminuzzata in tante repubblichette quanti
-erano i Comuni che si governavano e amministravano alla domestica,
-veniva dunque a fondersi in un ducato, che, oltre la capitale,
-comprendeva Lodi, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Como, col lago
-suo e quel di Lugano e con Bellinzona, Bormio e la Valtellina, Novara,
-Alessandria, Tortona, Vercelli, Pontremoli, Bobbio, Sarzana, Verona,
-Vicenza, Feliciano, Feltre, Belluno, Bassano colla riviera di Trento,
-Parma, Piacenza, Reggio, Arezzo; inoltre una contea in cui Pavia,
-Valenza, e Casale; e la contea d’Angera, titolare dell’erede. Gian
-Galeazzo possedeva altresì Perugia, Nocera, Spoleto, Assisi; oltre
-Asti ed Alba, che diede in dote alle due figlie. E tutto questo paese,
-divenuto retaggio d’una famiglia, passò dappoi a chi avesse più forza
-per occuparlo, o più astuzia e fierezza per tenerlo oppresso.
-
-Forte spiacque ai Tedeschi l’alienazione di questo ducato, che essi
-amavano considerare per feudo imperiale; e fu uno degli aggravj di
-cui più caricassero Venceslao quando lo scoronarono (1401). Roberto
-conte palatino sostituitogli dovè promettere di venire in Italia e
-annichilare la sovranità de’ Visconti; sicchè alleatosi col signore
-di Padova, e accomodato di ducentomila fiorini da Firenze, spedì
-ambasciatori a far l’intimata a Galeazzo. Questo per tutta risposta
-si cinse de’ migliori capitani di ventura; e Roberto entrato sul
-territorio di Brescia (8bre) che era sorto a rumore, ed assalito da
-Facino Cane e Jacopo Del Verme, provò come la cavalleria italiana
-fosse superiore alla tedesca, la quale sarebbe ita in piena rotta se
-Francesco Novello non la sosteneva con uno squadrone italiano. Roberto,
-perduti mille cavalli e molti prigionieri, e abbandonato dai vassalli,
-se ne partì con ignominia (1402).
-
-Così e l’assalto e la difesa dipendeano da capitani di ventura,
-de’ quali i migliori tenevasi intorno Galeazzo, e per opera loro
-ricuperò la sempre ribramata Bologna. Questa era tuttora divisa fra
-gli Scacchesi capitanati da Gozzadini e Zambeccari, e i Maltraversi
-che coi nobili aveano a capo Giovanni Bentivoglio, il quale (1401)
-riuscì a farsene dichiarar signore. Con ciò Firenze perdeva la sua più
-costante alleata: ma Galeazzo mandò contro al Bentivoglio il Del Verme
-e il Barbiano, e per quanto egli si difendesse valorosamente, fu fatto
-prigione ed ucciso (1402 giugno); e Galeazzo, gridato signore, fece al
-solito costruirvi una fortezza.
-
-Insomma costui finiva di sotterrare le repubbliche nostre. Pisa gli
-era stata venduta da Gerardo Appiano; Siena e Perugia lo chiamarono
-signore, mentre Genova si metteva sotto al re di Francia; Roma era
-peggiorata dallo scisma papale; a Napoli la servitù non restituiva la
-pace; Venezia non s’accorgeva della necessità di farsi propugnatrice
-della libertà italiana; sola conservava l’alito repubblicano Firenze,
-ma sentendosi ricingere dalle insidie del Visconti, tremava: quando la
-peste, più volte ridestatasi in quel secolo, troncò a Gian Galeazzo le
-ambizioni e la vita di soli quarantanove anni (3 7bre).
-
-Fu dei più splendidi signori d’Italia, ricco di politici accorgimenti
-quanto povero di valore personale e di lealtà, alla libidine del
-possedere sagrificando giustizia, fede, utile de’ popoli, e adoprando
-mirabilmente gli uomini di pace e di guerra. Abile a mascherare la
-servitù, migliorò l’amministrazione coll’arte de’ registri e de’
-protocolli serviti da interminabili scrivani, computisti, notaj:
-alleviò dai dazj più odiosi, molti scarcerò, fece riformare gli
-statuti, si tenne attorno dotti e letterati, quali Baldo giurista, il
-Fulgoso, Signorolo Amadio, Ugo da Siena e Biagio Pelacane matematici,
-i medici Marsiglio da Santa Sofia, Sillano Negro, Antonio Vacca,
-il filologo Emanuele Crisolara, il teologo Pietro Filargo; ridestò
-l’Università di Piacenza, a quella di Pavia unì una biblioteca, fondò
-un’accademia di belle arti, e raccomandò il suo nome a due dei più
-insigni monumenti dell’Alta Italia, il duomo di Milano e la Certosa di
-Pavia, dedicati a Maria nascente e a Maria delle Grazie. Nè avrebbe
-fallito d’insignorirsi di tutta Italia, se non avesse trovato sulla
-sua strada i Fiorentini e Francesco de’ Carrara, o quella fatalità che
-attraversò sempre chi vi si accinse.
-
-A’ suoi funerali, dal palazzo in castello s’avviò una processione
-verso il duomo così lunga, che appena si terminò in quattordici ore.
-Innanzi alla croce venivano connestabili, scudieri e cavalieri; e
-quaranta personaggi della famiglia Visconti, ognuno accompagnato da due
-ambasciatori di estere potenze; indi gran numero d’altri ambasciadori e
-nobili forestieri, e dieci deputati da ciascuna delle quarantasei città
-soggette[11], oltre una folla di primati e nobili di queste; poi tutti
-gli ordini religiosi (e non erano pochi), canonici regolari, clero
-secolare, gli abati dei monasteri ed i vescovi di tutte le diocesi
-suddite. Seguivano le insegne della città, portate da ducenquaranta
-uomini a cavallo, cui tenevano appresso otto altri pure a cavallo,
-colle insegne ducali, poi due mila persone in gramaglie, con sul petto
-e sulle spalle le armi della vipera, del ducato di Milano e del contado
-di Pavia, ciascuno con grosse torchie alla mano. Dietro al clero
-ed ai canonici della metropolitana appariva l’arcivescovo fra’ suoi
-suffraganei. La bara portavano principali signori forestieri, sotto a
-un baldacchino di broccato d’oro foderato d’ermellini, e tutt’intorno
-cortigiani a bruno, i quali, dodici alla volta, sostenevano gli
-scudi delle insegne e delle imprese adottate dal duca. Duemila altre
-persone in corrotto chiudevano la processione. Giunti al tempio e
-fatta l’oblazione di tutti i ceri, delle insegne ducali, delle armi e
-dei cavalli che le portavano, si celebrarono gli uffizj di suffragio
-attorno ad un mausoleo ornato di vessilli e bandiere, sovra il quale
-posava il feretro: nè mancava una pomposa iscrizione, attestante le
-virtù che il duca ebbe o doveva avere, e il pianto de’ sudditi orbati
-del padre; frasi per tutti. Finito ogni cosa, il corteo fece tragitto
-al palazzo ducale, ove fu recitata una non men pomposa e altrettanto
-veridica orazione, che faceva risalire la dinastia Visconti fino ad
-Ettore ed Enea.
-
-Avea disposto si recassero le sue viscere a San Jacopo di Galizia, le
-ossa alla Certosa di Pavia, alla quale lasciò estesissimi possessi per
-finirne la fabbrica, e poi farne le limosine, che seguitarono finchè
-l’istituto durò. In quel tempio, gli fu dunque eretto un mausoleo di
-marmo bianco, coll’effigie sedente, la storia delle sue imprese, e
-bassorilievi, e gli stemmi di tutte le città obbedienti al suo comando:
-uno de’ più insigni monumenti dell’arte italiana. Commines, arguto
-politico e storico francese, colà vide quelle ossa poste più alte che
-l’altare, e udì da un frate intitolarlo santo. «Ed io (racconta) gli
-chiesi all’orecchio perchè mo lo chiamasse santo, mentre potea vedere
-all’intorno le armi di molte città da lui usurpate senza diritto; ed
-egli mi rispose sotto voce: _Noi in questo paese chiamiamo santi tutti
-quelli che ci fanno del bene_»[12].
-
-Gian Galeazzo lasciava due figliuoli in piccola età: a Gian Maria
-legò il ducato dal Ticino al Mincio, oltre Bologna, Siena, Perugia;
-a Filippo Maria il contado pavese, col resto del territorio; Pisa e
-Crema staccò pel bastardo Gabriele Maria: ma potea dire come Pirro,
-— Lego il mio scettro a chi ha miglior fendente di spada». La tutela
-affidò a Caterina Visconti sua vedova e a diciassette personaggi, fra
-cui i celebri condottieri Del Verme, Barbiano, Pandolfo Malatesta,
-Antonio d’Urbino, Francesco Gonzaga, Paolo Savelli, sperando sarebbero
-puntelli alla debolezza de’ bambini, e quasi dovessero stare obbedienti
-a un fanciullo come erano stati a lui. Valorosi in opere di battaglia
-quanto inetti al governo e scarsi di fede, i condottieri non più
-s’accontentavano di paghe, e volevano qualche città o territorio dove
-svernare: Giovanni da Pietramala occupò Narni; Rinaldo Orsini, Aquila
-e Spoleto; Boldrino da Panicale, molte terre della Marca; Biordo
-dominò Perugia, Todi, Orvieto, Nocera; il Broglia Assisi; altri altre
-terre, che poi non potendo tenere, vendevano ai Comuni o ai principotti
-vicini. Questi talora se ne sbarazzavano coll’assassinio, come fece il
-marchese di Macerata uccidendo Boldrino. I suoi mossero a vendicarlo
-con ferocia, sinchè Firenze s’interpose, facendoli soddisfare con
-dodicimila fiorini, e col restituire il cadavere del loro condottiero,
-che in una cassa essi portarono lungamente a capo dello stuolo.
-
-I contutori di Gian Maria sdegnavano sottostare a una donna e a
-Francesco Barbavara di lei favorito, presidente della reggenza; e la
-discordia impacciava i consigli, mentre i nemici repressi rialzavano
-il capo; Guelfi e Ghibellini, di cui fin il nome erasi proscritto,
-rinvelenivano, e non più per le antiche cause della Chiesa e
-dell’Impero, ma per isfogo d’odj e di stillate vendette. Il Carrarese
-aguzza le armi non mai deposte; papa Bonifazio IX e i Fiorentini
-s’intendono per sottrarre ai Visconti Siena, Perugia, Pisa, Bologna; il
-Barbiano, accettato il comando dell’esercito fiorentino, ricupera al
-papa Assisi e Perugia; gli altri condottieri s’avacciano di spartire
-fra sè un dominio ch’essi medesimi aveano procacciato a quella casa.
-Era una riazione federale contro l’unità milanese.
-
-Arte e fermezza adoprò Caterina al riparo, e con sanguinose esecuzioni
-sgomentò i Milanesi, che istigati da altri Visconti, dai Porri, dagli
-Aliprandi, eransi mossi a tumulto per imporle nuovi consiglieri. Ma
-tutte ormai le città aveano scossa la dipendenza, e qualche tiranno
-vi prevaleva sulle famiglie e sulle fazioni. I Guelfi, secondati dai
-Valcamuni, mandano Brescia a tale strazio, da vendersi fin carne
-di Ghibellini; ma Pietro Gambara, di cui s’erano macellati due
-figlioletti, raccolse armi e consorti a Salò, ed entrato in città
-prese così sanguinose vendette, che la puzza dei cadaveri contaminò
-lungamente l’agro bresciano e il cremonese. I Guelfi pigliano il
-sopravvento a Lodi con Giovanni de’ Vignati, a Piacenza e a Bobbio
-cogli Scotti e coi Landi; i Ghibellini trionfano a Como con Franchino
-Rusca, a Bergamo coi Suardi, a Cremona con Giovan Ponzone, poi con
-Ugolino Cavalcabò; infine Gabrino Fondulo convita i Cavalcabò e i
-principali del paese e li fa scannare, e guadagna così un posto fra i
-principi. Intanto i baroni di Sax nella Mesolcina occupano Bellinzona;
-Vicenza si dà ai Veneziani.
-
-Caterina riesce a far pace col papa, che venne a recuperare Bologna e
-Perugia: i Fiorentini, querelandolo d’averli abbandonati, continuano
-la guerra e liberano Siena; ma Gabriele Maria Visconti conserva Pisa
-alleandosi al maresciallo Boucicault, allora vicario di Francia a
-Genova; poi la vende per ducentoseimila fiorini (1405 giugno), che gli
-sono frodati da quell’avaro francese, il quale accusatolo a Genova di
-tradimento, lo manda al patibolo.
-
-A Caterina fu grande appoggio Facino Cane. Costui, dell’antica stirpe
-dei Cani di Monferrato, avea servito gli Scaligeri di Verona, e
-rimasto prigione alla battaglia di Castagnaro, accettò stipendio dai
-Carraresi, pei quali menò inesorabile guerra nel Friuli; assistè al
-marchese di Monferrato contro i signori di Savoja con tal fortuna, che
-quello l’infeudò di Borgo San Martino. Devastando il Piemonte fino ad
-Ivrea, crebbe nella stima di Gian Galeazzo, che gli diede a governo
-Bologna appena l’ebbe riacquistata. Col feroce diritto di un comandante
-militare egli vi si mantenne; e quando, morto il duca, ebbe ordine di
-cederla all’esercito pontifizio, per togliere la voglia d’inseguirlo
-pose il fuoco a trecento case. Dritte allora le bande sue contro dei
-rivoltosi, devastò quant’è da Parma a Cremona; Alessandria abbandonò ad
-orribile saccheggio, poi se ne fece signore, tenendo anche il contado
-di Biandrate. Pandolfo Malatesta, cognato della reggente, reclamava
-i soldi maturati; ond’essa l’inviò a depredare Como, dov’egli si pose
-governatore, come si sottomise Bergamo e Brescia, fondandovi un’altra
-signoria guelfa.
-
-Ma questa fazione perdeva allora un gran capo. Francesco Novello de’
-Carrara sodatosi in Padova, e conciliatosi con Guglielmo bastardo di
-casa della Scala, gli avea dato mano nel recuperare Verona; poi come
-questo morì (1404 7 aprile) (dissero di veleno), Francesco Novello se
-la prese (maggio), a scapito de’ figli di esso, Antonio e Brunoro, e
-della Visconti. Ma già i Veneziani, istigati dalla duchessa, aveano
-rotta guerra al Carrarese assoldando il Malatesta, il Savelli ed
-altri condottieri; e per quanto egli raddoppiasse d’attività, il
-numero superiore de’ nemici e la peste lo costrinsero a cedere (1406).
-Recatosi a Venezia, ivi fu sostenuto, e dai Dieci condannato al
-patibolo coi suoi figliuoli, e bandita una taglia sul capo dei due che
-eransi salvati in Firenze, e Carlo Zeno, il più grande uomo di Venezia,
-accusato d’aver ricevuto quattrocento ducati dal Carrarese, benchè
-adducesse non esser quelli che la restituzione d’un prestito, nè stesse
-altra prova contro della sua illibatezza, fu escluso d’ogni impiego e
-condannato a due anni di prigionia. I figli di Guglielmo della Scala,
-sottrattisi dal carcere in cui gli avea chiusi il Carrarese, chiesero
-venir restituiti nel possesso di Verona; e la Signoria veneta rispose
-col mettere a prezzo la loro testa. San Marco trovossi possedere
-Treviso, Feltre, Belluno, Padova, Vicenza, Verona: funesti acquisti,
-che lo mescolarono alle vicende italiane; e subito fu costretto
-difenderli contro dell’imperatore Sigismondo, che avea mandato a
-invadere il Friuli Filippo Scolari fiorentino, da lui creato span e
-perciò detto Pippo Span.
-
-Fra tanti nemici esterni ed interni la duchessa di Milano non credea
-poter sostenersi che collo sgomento; e un giorno fece trovare davanti
-a Sant’Ambrogio (1404 8bre) cinque cadaveri, vestiti di nero e
-senza testa. Il popolo, invece d’atterrirsi, s’indigna, caccia lei
-col Barbavara suo favorito: Gian Maria dichiarato maggiore, la fa
-imprigionare, e forse uccidere; poi, per iscagionarsi del parricidio,
-ne imputa Giovanni Pusterla castellano di Monza, lo fa sbranare con
-tutta la famiglia da’ suoi cani, e perchè questi parvero intenerirsi
-all’aspetto d’un costui figlio dodicenne, ordinò di scannarlo.
-
-Imperocchè Gian Maria non pareva aspirare all’autorità che per ordinare
-supplizj; e resisi amici i soldati e i cortigiani col tollerarne le
-trascendenze, la diede per mezzo a tutte le sevizie e lubricità; teneva
-cani addestrati a saltare alla vita di chi esso accennava, e collo
-Squarciagiramo suo canattiere andava la notte per città aizzandoli
-or su questo or su quello. Feroce coi sottomessi, codardo coi forti,
-dalla tirannia de’ condottieri non sapeva schermirsi col congiurare.
-Per soldare le costoro bande voleansi denari, ed egli ne estorceva
-senza badare a qual modo, sino a proibire di rendere giustizia a chi
-non avesse pagato le taglie; appaltò non solo le regalie, ma i beni
-suoi allodiali alla città, patto che questa gli desse sedicimila
-fiorini il mese, di cui duemila per sè e la corte, il resto ai soldati:
-eppure que’ mercenarj derubavano le case signorili, i mercanti, le
-barche sul Po. Si volle darne colpa ai consiglieri, e per costringere
-il duca a mutarli, Facino Cane e Pandolfo Malatesta batterono le sue
-guardie e lui assediarono in città, dal castello scaricandogli bombe e
-cannoni, invenzione nuova e perciò meno micidiale, ma più spaventosa.
-Se n’indignò il Del Verme, capitano di morali sentimenti, e risoluto di
-risarcire l’autorità del duca, sconfisse Facino (1407); ma avea dovuto
-valersi delle bande del feroce Ottobon Terzo signore di Parma e Reggio,
-il quale in compenso della vittoria domandò di saccheggiare Milano; e
-perchè il Del Verme si oppose, uscì ad osteggiare Guelfi e Ghibellini.
-
-A Milano tutto era sgomento, disordine, sangue. Una affollata di poveri
-gridando _Pace pace_ si strinse attorno al duca che cavalcava, ed
-esso li fece assalire da’ suoi seguaci, talchè duecento ne perirono;
-e proibì di proferir la parola pace, nemmanco nella messa. Eppure
-fu costretto cercarla, rimovere i suoi istigatori, perdonare a’
-Ghibellini, e ricevere un governatore di questi e uno de’ Guelfi.
-
-Il Del Verme, disperando del paese natìo, passò al soldo de’ Veneziani,
-e perì combattendo i Turchi. Facino Cane, conte di Biandrate, signore
-di Tortona, Novara, Vercelli, Alessandria e delle rive del lago
-Maggiore, rapì a Filippo Maria la reggenza di Pavia dopo che l’ebbe
-mandata a sacco, costrinse Gian Maria a cedergli anche quella di
-Milano, e teneva entrambi non solo in soggezione ma in istrettezza fin
-del necessario. Accingevasi a togliere Bergamo e Brescia al Malatesta,
-quando si malò a morte. A quest’avviso i Milanesi ghibellini, come
-Mantegazza, del Majno, Pusterla, Trivulzj, Baggio, Concorezzo,
-Aliprandi, si sbigottirono di dover trovarsi nuovamente in arbitrio
-del tiranno, che a tutti aveva ucciso o il padre o i fratelli, sicchè
-strettisi insieme a congiura, nella chiesa di San Gotardo (1412 16
-maggio), trucidarono Gian Maria. Avea ventiquattr’anni; e solo una
-meretrice gittò qualche fiore sul colui cadavere; lo Squarciagiramo fu
-trascinato a strapazzo, poi alla forca.
-
-Quel giorno stesso Facino spirava[13]; e tosto i costui soldati
-occupano Pavia per sicurtà delle loro paghe; Astorre Visconti, bastardo
-di Bernabò, detto il soldato senza paura, si rende padrone di Milano;
-signori d’ogni parte si riaffacciano per recuperare gli antichi
-dominj; ma Filippo, che sin allora era parso neghittoso e dappoco,
-allora con meravigliosa operosità s’accinge a recuperare le avite
-appartenenze. Dove consisteva il punto capitale? nell’assicurarsi
-i venturieri. Beatrice Tenda, vedova di Facino, aveva ereditati dal
-marito estesissimi possessi, il dominio di Tortona, Novara, Vercelli,
-Alessandria; toccava i quarant’anni, Filippo venti: che importa? e’
-la chiede sposa, e con essa acquista quattrocentomila zecchini e gli
-antichi partigiani del marito. Con questi ritoglie di viva forza Pavia
-e Milano agli usurpatori, manda al supplizio gli uccisori del fratello,
-combatte Astorre Visconti che rimane ucciso in Monza, e riceve il
-giuramento di fedeltà.
-
-Francesco Bussone, illustre sotto il patrio nome di Carmagnola, con
-null’altro che colla spada salito, da contadino che era, fino ai primi
-onori, fu principale stromento di vittorie a Gian Maria prima, poi
-a Filippo, al quale sottopose in breve Lodi (1416), i cui signori
-Vignati, chiamati a Milano a titolo di conferenza, furono messi
-al supplizio; Pavia, dove uccise in carcere Castellino Beccaria e
-fece appiccare suo fratello Lancillotto; Como, che il Rusca cedeva
-riservandosi la contea di Lugano; indusse il Malatesta a vendere
-al duca Brescia e Bergamo; così Cremona il Fondulo per quarantamila
-ducati, e il fondo di Castelleone; Crema, Giorgio Benzone; Rinaldo
-Pallavicini, San Donnino. Ottobon Terzo, che brutalmente tiranneggiando
-Parma e Reggio, erasi fatto terribile dovunque menasse le assassine sue
-bande, fu chiesto a parlamento dal marchese d’Este, e quivi trucidato
-dallo Sforza; e il suo cadavere andò a brani, e v’ebbe persino chi
-ne mangiò. Nicolò d’Este, per tener Reggio, cedette Parma al duca
-(1418). Piacenza fu sostenuta da Filippo Arcelli, gentiluomo di
-valor eccellente, che raccolti quanti Filippo avea spossessati acciò
-facessero causa comune, recò accannita guerra al Carmagnola. Questi,
-col supplizio della moglie e del figlio dell’Arcelli prigionieri, prese
-Piacenza; ma vedendo non poterla conservare, obbligò gli abitanti a
-uscir tutti colle robe, sicchè il nemico non trovò che deserto, e per
-un anno tre soli abitanti s’annidarono in quella solitudine, finchè
-il duca di Milano l’ebbe e la ripopolò. Per tal modo Filippo, non
-provveduto di valore, ma di destrezza molta e di eccellenti capitani,
-reintegra non solo ma amplia il ducato, e domina dai confini del
-Piemonte a quelli del papa, dal San Gotardo al mar Ligure, dove presto
-allargò la sua signoria.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXIII.
-
-Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. Venezia ricresce, Genova si perde.
-
-
-In Venezia il tempo aveva consolidato il potere della nobiltà, che
-affatto dedita alla politica, v’acquistò tanta attitudine, quanta i
-feudatarj nell’esercizio delle armi, e seppe cattivarsi l’opinione in
-modo, che questa più non si mise a contrapposto del potere, ma vi andò
-in coda. Alla classe media rimasero per ristoro i traffici, che guidava
-dall’India ai Paesi Bassi, dalla Barberia al Baltico. La metropoli
-conteneva cennovantamila persone: le case furono estimate sette milioni
-di ducati, che oggi rispondono a trenta milioni di lire; e le pigioni
-ducati cinquecentomila. La zecca coniava l’anno un milione di zecchini,
-dugentomila monete d’argento e ottocentomila soldi, gettando in corso
-ogni anno diciotto milioni effettivi di lire nostre. In meno d’un
-decennio fu spento un debito di quaranta milioni di zecchini, oltre
-prestarne settantamila al marchese di Ferrara. Passavano il migliajo i
-nobili che possedevano di rendita da quattro a settantamila zecchini;
-eppure con tremila aveasi un bel palazzo[14]. Mastin della Scala,
-perduta Padova, chiese d’essere ascritto al libro della nobiltà veneta;
-poco poi vi furono i Carraresi; e sempre un tale onore venne ambito dai
-principi.
-
-Alle vicende d’Italia ormai prendea briga Venezia non più come
-straniera, ma come potentato italiano; e poichè i principati
-costituitisi nell’alta Italia poteano divenirle minacciosi, dovette
-anch’essa acquistarvi stato per equilibrarli, e per mantenersi
-libera la navigazione del Po. Se la assicurò di fatto nella guerra
-che narrammo contro gli Scaligeri; e dopo impossessata di Treviso in
-terraferma, via via prosperò di dominj e di traffici. Ne’ possessi
-marittimi invece andava in calo, sì per l’avanzarsi de’ Turchi, sì
-per le guerre con Genova, la quale, vinti i Tartari, aveva ottenuto
-che nessuna nave d’Occidente potesse far porto in altro luogo del mar
-Nero che a Caffa sua; imprese che noi riserviamo a narrare nel libro
-seguente.
-
-Se n’adontarono i Veneziani, e allestirono nuove battaglie, in procinto
-delle quali Francesco Petrarca scriveva (1351) al doge Andrea Dandolo:
-— L’antica amistà nostra e l’amore della patria comune mi confortano
-a ragionare apertamente con voi. Corre voce che due libere città
-s’accingano a farsi guerra a morte. E quali città! i due lumi d’Italia,
-collocati dalla natura agli opposti estremi dell’Alpi per signoreggiare
-i mari che la circondano, e perchè dopo l’abbassamento del romano
-imperio la miglior parte del mondo ne sia ancor la regina. Nazioni
-altere osano disputarle in terra il primo luogo; ma chi oserebbe in
-mare? Se Venezia e Genova ritorcono in se stesse l’armi, fremo in
-pensarlo, tutto è perduto, e imperio marittimo e gloria nazionale;
-chiunque sia il vinto, è forza che l’uno de’ nostri lumi si estingua
-e l’altro s’indebolisca. Non serve illudersi; non sarà mai facile
-vincere un nemico d’indole bollente e, ciò che più vale, italiano.
-Uomini valorosi, popoli potenti entrambi, quale è lo scopo, quale
-sarà il frutto delle vostre discordie? Il sangue onde siete assetati,
-non è di Arabi o d’Africani; ma sangue di un popolo a voi congiunto,
-di un popolo che farebbe scudo alla patria comune ove nuovi Barbari
-l’assalissero, di un popolo nato a vivere, a combattere, a trionfare, o
-morire con voi. Il piacer di vendicare un’offesa leggera potrebb’egli
-più che il pubblico bene, più che la salute di voi stessi? E pure, se
-mi si dice il vero, per meglio saziare il vostro furore, voi vi siete
-collegati col re di Aragona, i Genovesi col greco usurpatore; cioè
-Italiani implorano l’ajuto de’ Barbari per offendere altri Italiani.
-Madre infelice! che fia di te, se i tuoi proprj figliuoli stipendiano
-mani straniere per lacerarti il seno? Noi insensati, che aspettiamo
-da anime venali ciò che potremmo ricevere da’ nostri fratelli.
-Ben provvide natura al nostro schermo steccandoci coll’Alpi e col
-mare: ma avarizia, invidia, superbia hanno rotto quelle barriere;
-e Cimbri, Unni, Tedeschi, Francesi, Spagnuoli inondarono i nostri
-dolci campi. Che fia di noi, che dell’Italia, se Venezia e Genova
-non fanno argine al nemico torrente? Prosternato, pieno gli occhi di
-lagrime e d’amarezza il cuore, io vo gridando, Deponete l’armi civili,
-ricambiatevi il bacio della pace, unite gli animi vostri e le bandiere.
-Così l’Oceano e l’Egeo vi siano favorevoli, e le vostre navi giungano
-prosperamente a Taprobana, alle isole Fortunate, a Tule incognita, e
-fino a’ due poli! I re e i popoli più lontani vi verranno incontro, i
-Barbari dell’Europa e dell’Asia vi paventeranno, e la nostra Italia si
-chiamerà a voi debitrice dell’antica sua gloria».
-
-Per tutta risposta ebbe lodi della sua eloquenza; nè miglior esito
-conseguì l’anno seguente scrivendo ai Genovesi, con altrettanto di
-gonfiezza ma insieme d’amore per l’Italia: — Illustre doge, magnifici
-anziani, permettete che esorti voi, come dianzi esortavo i Veneziani,
-alla concordia e alla pace: uffizj naturali e quasi necessarj al mio
-cuore. Non esiste popolo più formidabile in guerra, più mansueto in
-pace di voi; tutte le terre ove combatteste, tutti i mari da voi
-veleggiati testimoniano i vostri trionfi. Il Mediterraneo venera
-le vostre bandiere, l’Oceano le paventa, e il Bosforo è ancor tinto
-del sangue dei vostri nimici. Chi può senza raccapriccio leggere od
-ascoltare i successi di quell’ultima battaglia, nella quale a un sol
-tempo vinceste tre potenti nazioni?... Quantunque discreduto da loro
-quando era ancor tempo di consigliarli, io sento al vivo i disastri
-de’ Veneziani. Sentiteli pur voi, o Genovesi, e riflettete che gli
-uni e gli altri siete italiani, nè gravezza d’ingiuria vi disunì.
-Riconciliatevi dunque con essi, e se vi piace combattere, rivolgetevi
-contro i perfidi consiglieri delle vostre discordie; quindi passate
-a liberar Terrasanta, benemeritando del mondo e della posterità.
-Sebbene io dalle cose passate pronosticando le future, son d’avviso
-che a voi convenga, dopo vinti i nimici esteriori, provvedere al
-pericolo degl’interni. Roma non potè esser vinta se non da Roma: e
-ciò avverrà pure a voi, se non vi applicate a conciliare gli animi
-de’ vostri cittadini, massimamente quando sollevati dall’aura della
-fortuna. Mille sono gli esempj di città per odj civili distrutte;
-nessuno più sensibile del vostro. Ricordivi quando eravate il popolo
-più felice della terra; il vostro paese somigliava a un paradiso.
-Dal mare vedeansi torri che parevano minacciare il firmamento, poggi
-vestiti di ulivi e di melaranci, magioni marmoree sulle pendici,
-deliziosi recessi fra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, e alla
-cui vista i naviganti sospendevano i remi per riguardare. Chi venisse
-per terra, meravigliando vedeva uomini e donne regalmente vestiti, e
-fino tra boschi e monti delizie incognite nelle reggie. Entrando nella
-vostra città pareva di mettere piede nel tempio della Felicità, e si
-proferiva come già di Roma: _Questa è una città di re_. Testè vinte
-avevate Venezia e Pisa: e i vostri vecchi vi diranno qual impressione
-ne venisse, qual timore ne’ porti, qual venerazione ne’ popoli, quali
-acclamazioni nelle riviere al comparire delle vostre armate. Signori
-del mare, appena che alcuno veleggiasse senza vostra licenza. Scendete
-poi colla memoria a quei tempi infausti, che l’orgoglio, l’ozio,
-la discordia, l’invidia, compagni inseparabili della prosperità,
-allignarono fra voi, e, ciò ch’era stato impossibile a umana forza,
-vi resero schiavi. Qual mutamento subitaneo! i palazzi divennero
-ricoveri d’assassini; le belle riviere e la città superba si fecero
-incolte, deserte, sformate, rovinose; la patria vostra fu assediata da’
-suoi stessi fuorusciti; si combattè intorno alle sue mura per terra
-e per mare non solo, ma fin sotto terra; nè la guerra più crudele ha
-flagelli, che non piovessero tutti su lei. Finalmente vi piacque di
-riordinare lo Stato, dando alla repubblica un capo; e allora fu che le
-discordie si estinsero, la guerra cessò, e sicurezza e abbondanza e
-giuste leggi tornarono fra voi. Valga la trista esperienza a tenervi
-uniti, e per assicurarvi da nuove calamità siate equi, moderati,
-clementi».
-
-Queste generose parole purtroppo in nessun tempo è superfluo ripetere
-in Italia, sebbene troppo spesso infruttuose[15]. Nè allora giovarono,
-e i mari nostri e d’Oriente si tinsero di sangue, e fino al 1355
-la guerra vegghiò, molto più deplorevole che non quella fra paesi
-di terra, sì perchè di natura sua micidiale, sì perchè menata con
-cittadini, non con bande mercenarie. Nè durar pace lasciavano le
-rivalità delle due repubbliche in Oriente; donde vennero nuovi e più
-funesti conflitti.
-
-Dopo la rivoluzione (1328), che sul trono di Costantinopoli ad
-Andronico Paleologo II surrogò il ribelle nipote Andronico III, i
-Genovesi eransi fatto cedere da quest’imperatore l’isola di Ténedo; ma
-i Veneti diedero appoggio agli abitanti che ricusavano sottomettersi
-al baratto. Di qui mali umori, sfogati (come vedremo) in battaglie
-oltremarine, e che rinvelenivano ad ogni pretesto. Essendo stato ucciso
-Pietro di Lusignano (1372) re di Cipro, nella coronazione di Pierino
-suo successore pretesero la precedenza Veneziani e Genovesi; e venuti
-alle armi, molti Genovesi rimasero scannati. Genova spedì a vendetta
-Damiano Catani, che trucidati i Veneziani, e preso il re e il paese,
-l’obbligò d’un tributo di quarantamila fiorini annui. Il Lusignano
-buttossi allora coi Veneziani (1379), e ne cominciò la guerra di Cipro,
-secondata da leghe delle potenze terrestri. Bernabò Visconti, suocero
-del re di Cipro, soldava contro Genova la compagnia della Stella, che
-danneggiò fin i giardini e i palazzi di Albáro e di San Pier d’Arena,
-finchè i Bisagnini la presero in mezzo, e costrinsero a rendersi a
-discrezione.
-
-Instancabile nemico ai Veneziani era Francesco Carrara signor di
-Padova: una volta egli arrivò a far rapire dalle loro case i senatori
-a sè avversi, e condurli a Padova, dove rimbrottatili aspramente, e
-fatto intendere che, se gli avea rapiti, più facilmente potea farli
-ammazzare, li dimise incolumi, ma giurati di tacere. Contro Venezia non
-aveva esitato a chiamare il re d’Ungheria e i duchi d’Austria, ai quali
-cedette Feltre e Cividal di Belluno; e adoprare a vicenda le masnade
-e i tradimenti: però essendo caduto prigione dei Veneziani il vaivoda
-di Transilvania, gli uomini di questo ricusarono di combatter più
-sinchè non fosse redento, onde il Carrara dovette colla corda al collo
-implorare la pace. Ora, profittando delle strette di Venezia, rinnovò
-le ostilità, appoggiato agli Austriaci, agli Ungheresi e al patriarca
-d’Aquileja, che flagellarono il paese colle masnade. L’ammiraglio
-veneto Vittor Pisani menò lungamente sui mari alla vittoria il leone;
-al promontorio d’Anzio, a Trau di Dalmazia vinse; e non giungendo
-(1378) le paghe ai soldati, impedì se ne rifacessero col rubare, ma
-distribuì giorno per giorno ogni suo denaro, poi gli argenti da tavola,
-infine una fibbia che gli restava alla cintura.
-
-Ma una volta il Carrara potè sorridere (1379 9 maggio) nel ricevere
-questo spaccio: — Magnifico e potente signore. Addì 3 del corrente
-maggio uscimmo di Zara con ventidue galee, veleggiammo verso il
-golfo secondo un avviso che i nimici venivano di Puglia con grano; e
-trovandoci sopra il porto di Pola il dì 5, due galee dell’antiguardia
-li scopersero quivi in agguato, numerosi di ventidue galee e tre grosse
-navi da dugencinquanta uomini ciascuna, oltre le solite ciurme, e
-molti uomini d’arme e venturieri assoldati per guardia della città.
-Avendo fra noi disegnato di non venir tosto a battaglia, acciò che in
-tanta vicinanza di terra non si salvassero a nuoto, fingemmo timore, e
-vogammo al largo; ond’eglino si misero a seguitarci. Scostati appena
-tre miglia dal lido, ci voltammo contro loro sì virilmente, che in
-un’ora e mezzo la vittoria era già nostra; in nostro potere quindici
-galee con tre navi cariche di seimila mine di grano; prigioni duemila
-quattrocento, morti da sette in ottocento; ma il signor Vettore Pisani
-ci sguizzò dalle mani con sette galee assai malarrivate. Dopo il
-combattimento spiccammo sei galee contro i legni da carico ancorati nel
-porto di Pola; ma avendoli trovati in secco sotto le torri della città,
-non presero che una fusta di munizioni. Siam giunti a Zara il dì 8
-vittoriosi e senza perdita notabile, salvo la morte dell’egregio nostro
-capitano Lucian Doria (1379), trafitto in bocca da una lancia nel caldo
-della battaglia. Per gratitudine al suo parentado gli surrogammo il
-signor Ambrogio Doria, secondo il parere di tutti i capi dell’armata.
-Ai venturieri pagati da’ Veneziani mozzammo il capo; i cadaveri si
-gittarono a mare»[16].
-
-Il consiglio di guerra tacciava Vittor Pisani di vile perchè non
-accettasse la battaglia; quando combattè e fu vinto, lo dissero
-traditore; e quantunque avesse intrepidamente disputato la vittoria,
-fu richiamato in patria e messo prigione, nel mentre i Genovesi al
-nuovo ammiraglio Pietro Doria nello scioglier delle vele gridavano — A
-Venezia, a Venezia». Di fatto Genova, ricuperate le piazze di Dalmazia
-tolte dai Veneziani, e attaccatone le colonie di Rovigno, Umago,
-Grado, Caorle, mentre avea destra la fortuna pensò con un colpo estremo
-ridurre l’emula alle paludi natìe.
-
-Le isole su cui torreggia Venezia sorgono dalla laguna che si stende
-dalle bocche del Piave a quelle dell’Adige, separata dal mare per un
-banco di arena, che appena in pochi luoghi dà a navi grosse il passo,
-intrattenuto dall’arte e dall’arte munito. Il più settentrionale è
-quel de’ Treporti a tramontana dell’isola di Sant’Erasmo, atto solo
-a piccole imbarcazioni. Fra Sant’Erasmo e Lido apresi quello di San
-Nicolò, ed era il principale, munito di torri, fra le quali talvolta
-tendeasi una catena. Il passo di Malamocco fra quest’isola e Palestrina
-è il più profondo: poi tra Palestrina e Bróndolo è quello di Chioggia,
-denominato dalla città ivi posta al vertice di un’isola che s’attacca
-alla terraferma sol per un ponte: gl’interri dell’Adige e del Brenta
-rendono difficile l’altro passaggio fra Brondolo e il continente. Un
-canale a gran fatica mantenuto attraversava la laguna fra Venezia e
-Chioggia.
-
-E appunto a Chioggia gettò l’àncora (1379 agosto) una flotta genovese
-numerosissima e co’ migliori marinaj; espugnatala coll’uccidere
-seimila Veneziani e catturarne quattromila, pose il quartier generale
-s’un’estremità dell’isola di Malamocco; e comunicando per terra
-coll’alleato padovano, circondava la città nemica. Questa, senza
-alleati, penuriava di vettovaglie; il tesoro era esausto; benchè
-fossero munite le poche aperture fra il mare e le lagune, galee
-genovesi si erano vedute giungere fino a Lido, sicchè il doge Andrea
-Contarini avea sin proibito di convocare il consiglio col tocco del
-campanone di San Marco, acciocchè il nemico non udisse quel segno, e fu
-posto in discussione se convenisse abbandonare Venezia, e trasportare
-a Creta la sede della repubblica. Il Carrara esultava dell’umiliazione
-dei nobiluomini. L’ammiraglio Doria ai veneti ambasciadori mandati per
-pace rispondeva: — Perdio che non ascolterò patti finchè non abbia
-messo il freno ai cavalli di San Marco»; e quando gli si propose di
-riscattare alcuni prigionieri: — Fra pochi giorni li redimerò senza
-denaro».
-
-Non si trattava dunque d’ambizioni di nobili, ma di interesse del
-popolo: e il popolo non si scoraggia, solo ha bisogno d’uno che lo
-diriga, e in cui abbia confidenza; laonde ridomanda l’antico Pisani,
-sotto cui era stato avvezzo a vincere, e a cui la sventura avea
-cresciuto popolarità. Ed egli dai sotterranei del palazzo udendo
-migliaja di voci gridare, — Se volete che combattiamo, rendeteci il
-nostro ammiraglio, Viva Vittor Pisani»; si sporge alla ferrata, e —
-Zitti là; non dovete gridar altro se non Viva San Marco».
-
-L’invidia tace quando l’ambizione è pericolosa: e il Pisani, tratto
-di carcere a braccia di popolo, respingendo i consigli di chi lo
-stimolava a insignorirsi dell’ingrata patria, ricevendo l’eucaristia
-giura che non terrà conto a’ suoi emuli della fattagli persecuzione;
-munisce l’argine di Malamocco ed ogni varco; invita tutti a concorrere
-alla salvezza della patria; i frati prendono le armi; e se un Morosini
-speculò sulle angustie cittadine per comprare case a vil prezzo, altri
-nobili attrezzarono trentaquattro galee a proprie spese; un Paruta
-cuojajo pagò mille soldati; uno speziale Cicogna diede una nave;
-semplici artigiani metteano insieme cento, ducento uomini; il doge
-settagenario monta sulla flotta coi principali pregadi: si promette
-ascrivere al libro d’oro i trenta plebei che più denaro offriranno,
-e molti infatti porgono il più e il meglio delle loro sostanze[17],
-talchè Venezia trova modo a’ suoi bisogni. Oh, Venezia conosce come
-si resiste al nemico. Il Pisani seppe frenare il primo impeto finchè
-avesse esercitato la ciurma inesperta, e non fosse tornata di Grecia la
-flotta di Carlo Zeno; unitosi colla quale, non solo allarga Venezia,
-ma sbaraglia e blocca nel porto di Chioggia (1380 gennaio) l’armata
-genovese, con barche affondate chiudendo le tre uscite: le bombe,
-allora forse adoprate la prima volta in mare, e che spingeano palle
-di pietra di cencinquanta in ducento libbre, giocavano radamente ma
-terribilmente contro ripari fabbricati per tutt’altri projetti; lo
-stesso Doria rimase sfracellato sotto il crollo d’un muro; e la flotta
-dopo sei mesi d’assedio è obbligata rendersi a discrezione (21 giugno).
-
-La guerra per altro si prolungò, e Carlo Zeno, sostituito al
-morto Pisani, menava le navi più a guasto che a vittoria; mentre
-l’implacabile Francesco Carrara dirizzava gli Ungheresi sopra Treviso,
-che i Veneziani non salvarono se non cedendolo al duca d’Austria.
-
-Alfine a Torino (1381 8 agosto), sotto gli auspizj di Amedeo VI di
-Savoja, fu conchiusa la pace, per cui la repubblica si obbligava a
-pagare annualmente al re d’Ungheria settemila ducati; ma Ungheresi
-non farebbero sale sulle coste, nè navigherebbero più nessuno de’
-fiumi che sboccano nell’Adriatico fra capo Palmenterio e Rimini; e i
-mercanti di Dalmazia non asporterebbero mercanzie da Venezia per più
-di trentacinquemila ducati; con Padova si restituivano reciprocamente
-le conquiste e le prese; col patriarca d’Aquileja stipulavasi la piena
-emancipazione di Trieste, obbligata solo a contribuire al doge le
-regalie convenute ne’ trattati precedenti, e lasciare ogni sicurezza e
-libertà di commercio ai Veneziani. Tenedo, cagione prima della rottura,
-doveva essere consegnata al conte di Savoja, che ne trasporterebbe gli
-abitanti a Negroponte e a Candia, abbandonandola deserta; ma Giannacci
-Mulazzo balio di quell’isola procurò distorne i Genovesi, sicchè fu
-duopo coll’arme domarlo. Venezia perdea dunque ogni possedimento in
-terraferma, e Tenedo e la Dalmazia, oltre immense ricchezze logorate.
-Di settemila ducento prigioni che avea fatti, non sopraviveano che
-tremila trecensessantaquattro, che restituì in cambio de’ suoi, quasi
-tutti vivi. I Garzoni, i Condulmer, i Zusto, i Nani poterono gloriarsi
-della nobiltà acquistata col soccorrere alla patria; e così i Trevisan,
-i Cicogna, i Vendramin, che giunsero poi fino al berretto ducale.
-
-Il duca d’Austria, cui restava Treviso, continuò nimicizie al Carrara;
-in fine gli vendette tutti i possedimenti che tenea di qua dell’Alpi.
-Pertanto il signore di Padova occupava il lembo della laguna, e
-recideva le comunicazioni col continente. Il senato veneto eccitò
-contro di lui Antonio della Scala e Giovanni Acuto, che portò la
-desolazione fin sulle porte di Verona e Vicenza. Poi Venezia ricevette
-in dedizione spontanea Corfù, che era stata riunita alla corona di
-Napoli, e ribellata durante la guerra civile: s’impadronì di Durazzo
-sulle coste d’Albania, che da Carlo d’Angiò era stata tolta ai Greci;
-ebbe la cessione di Argo e Napoli di Romania, anch’esse possedute dagli
-Angioini; ricuperò Treviso; poi sotto Michele Steno acquistò Vicenza,
-Verona, per ultimo anche Padova, mandando i Carraresi al fine che
-dicemmo.
-
-Genova nella guerra di Chioggia avea spiegato portentosa attività non
-solo nel combattere, ma nel dirigere il re d’Ungheria, il Carrara,
-il patriarca d’Aquileja, il signor di Milano a’ danni della nemica
-Venezia: colla pace di Torino, oltre che esausta di moneta e navi,
-si trovò nell’interno tutta divisa e nemica; i nobili in urta coi
-popolani, i mercanti ed operaj grossi in urta coi piccoli e colla
-plebe, e quelli e questi suddivisi in Bianchi e Neri, che noi diremmo
-moderati ed eccessivi. Non erano più i vassalli che stessero a fianco
-de’ signori feudali, ma clienti e dipendenti, marinari, operaj, che
-talvolta a centinaja servivano una casa sola. I capi poi erano versati
-negli affari, destri come mercanti, coraggiosi come marinaj, generosi
-come ricchi, istruiti da tanti avvicendamenti di trionfi e d’esigli.
-
-Dopo il Boccanegra, la preminenza era sempre toccata a uomini del
-popolo, nuova aristocrazia sottentrata a quella de’ gentiluomini, e che
-escluse questi dal dogato e fin da ogni impiego. Le antiche famiglie,
-come i marchesi del Carretto, vedendosi mozza l’autorità e invidiata
-la condizione, si riducevano ne’ loro castelli, professandosi ligi
-all’Impero; se rimaneano in città, tramavano contro un ordine di cose
-che gli escludeva: ma neppur essi riuscivano a nulla perchè non uniti.
-
-Fra que’ trambusti erano venute su alcune famiglie di cappelluzzi,
-cioè popolani, i Montaldo, i Guarco, principalmente i Fregosi, notaj
-e fautori del popolo, e gli Adorni, conciapelli e sostenitori della
-plebe (1378); nessuna bastava a sommettere le altre, ma l’una l’altra
-contrariava, e tutte insieme ogni efficace provvedimento. Se il doge
-Nicolò Guarco vuol reprimere le fazioni e rinforzare il governo,
-dicono che aspira a tirannide, ricusangli il denaro e le collette,
-si sollevano e mutano stato. Dieci dogi si successero rapidamente
-con dieci rivoluzioni, e ciascuna lasciava una nuova partita di
-malcontenti. Gian Galeazzo Visconti versava olio su que’ tizzoni,
-sperando che per istanchezza Genova se gli butterebbe in braccio. Di
-tutto ciò le finanze andavano a sobbisso: il territorio, se crebbe
-col comprare Novi e Serravalle dai Milanesi, trovavasi occupato da
-varj signorotti, Monaco dai Grimaldi, Gavi dai Montaldo, Levanto dai
-Bertolotti: i partiti incessantemente in lotta, cacciandosi e nocendosi
-a vicenda, insidiati dai nobili delle due Riviere, per trionfare
-ricorrevano pur essi alle bande mercenarie, funeste del pari a tutti,
-o alla protezione di stranieri. Queste lotte, che in venti anni la
-ridussero a potenza secondaria, sarebbe nojoso il divisarle.
-
-Antoniotto Adorno, che, dopo lungo aspirarvi, aveva ottenuto il dogato
-nella peste del 1384 mediante una insurrezione di macellaj, presto
-ne fu espulso, vi tornò, lo riperdette, ripigliollo, e vedendo non
-potere conservarsi in posto, propose di mettere la repubblica sotto
-la protezione di Carlo VI di Francia (1396): quarta volta che in quel
-secolo Genova sottoponeva volontaria il collo a giogo forestiero[18],
-sì era soffocato l’alito repubblicano. Il re accettò, e promise
-mettervi per doge un vicario francese, non alterare le leggi, non
-rincarire le imposte. La libertà non ne pativa di troppo: ma que’
-vicarj nè contentavano nè atterrivano, nè la quiete si ripristinava;
-oltre quello versato per sottomettere le Riviere, molto sangue corse
-in Genova stessa; coi nomi di Guelfi e Ghibellini mascherando fiere
-animosità, ogni tratto si era a baruffe, invasioni, cacciate, incendj;
-cinque volte si combattè per le vie l’agosto del 1398, trenta palazzi
-in fiamme, molti edifizj diroccati.
-
-L’anno seguente vi furono sistemati i corpi di mestieri, che scelsero
-quattro priori, ai quali aggiunsero dodici senatori, da rinnovarsi ogni
-mese, per vegliare che il governatore e il suo consiglio procacciassero
-il bene pubblico; e se alcun magistrato violasse la giustizia in parole
-o in fatti, poteano, armati gli artigiani, corrergli addosso.
-
-Anzichè sedare le turbolenze, ciò vi porse nuovi incentivi, sinchè
-venne vicario di Francia Giovanni Lemeingre, maresciallo di Boucicaut,
-uomo di coraggio alla prova, che entrato con mille cavalieri e fanti,
-volle le fortezze, fece imprigionare i capi faziosi e uccidere, tolse
-le armi a tutti, abolì i nomi delle fazioni e le magistrature popolari,
-snidò dai loro feudi i Fiesco e i Del Carretto, esigliò popolani,
-e tale spavento incusse, che i consoli delle arti non osavano più
-congregarsi, nè tampoco le confraternite de’ Battuti, per tema si
-procedesse contro di loro[19].
-
-Tristo il popolo che è costretto a lodare tali freni eccezionali, e
-il rintegramento della legalità per mezzo della violenza! Rinvigorita
-la marina, Boucicaut veleggiò contro il re di Cipro ch’era in rotta
-co’ Genovesi, e poichè questo comprò la pace, egli bottinò sulle coste
-di Siria e d’Egitto, ed ottenne al re di Francia la signoria di Pisa,
-uccidendo Gabriele Maria Visconti (pag. 30). Nella minorità di Gian
-Maria volle essere messo nella reggenza, e venne a Milano con molto
-denaro e grossa truppa: ma Facino Cane, d’intesa con Teodoro marchese
-di Monferrato e coi malcontenti, si spinse a Genova (1409) chiamandola
-a libertà; sicchè cacciati e uccisi i Francesi, malgrado de’ Guelfi
-fu ripristinato il governo a popolo, abolendo gli statuti anteriori, e
-assumendone uno nuovo, di cui tale è la somma:
-
-Lo Stato è ghibellino e popolare, ma i Guelfi potranno farsi
-Ghibellini, e i nobili parteciperanno di tutti gli uffizj, salvo il
-supremo. Questi uffizj sono il podestà, dodici anziani, il consiglio
-de’ quaranta savj, il consiglio generale di trecentoventi, i
-sindicatori, i provvisori, i magistrati della moneta, della Romania,
-della mercanzia, della guerra e pace, e i consoli della ragione. Il
-doge a vita reggerà e governerà la repubblica, presiederà ai consigli
-con due voti, e potrà intervenire alle adunanze di tutti gli uffizj
-o magistrati non giudiziarj; ma il proporre partiti compete solo
-ai rispettivi priori: non moltiplicherà gli uffizj, o ne scemerà
-la giurisdizione, nè s’intrometterà per qualsia pretesto nella
-cognizione e raccomandazione delle liti: avrà annue ottomila genovine,
-da spendere nel mantenimento e decoro della sua corte, compresivi
-due vicedogi e due vicarj. Il podestà, pagato lire cinquemila,
-dovrà essere forestiero, dottor di leggi, di casa almeno patrizia;
-presenterà all’approvazione del doge e suo consiglio tre giurisperiti
-in qualità di vicarj, che lo assisteranno due nelle civili, il terzo
-nelle cause criminali, per delitti commessi a cinquanta miglia dalla
-residenza; de’ commessi in minor distanza conoscerà egli solo. Il doge
-dovrà consultare gli anziani in ogni occorrenza, salvo per arrestare
-banditi, cospiratori o sediziosi. I quaranta interverranno in tutte le
-trattazioni gravi, e così per atterrare fortezze, concedere immunità,
-conferire l’ammiragliato. I sindicatori invigileranno sui portamenti
-di tutti i magistrati, multandoli se falliscono, impedendoli d’abusare
-dell’autorità. I provvisori frequenteranno piazza de’ Banchi e altre
-accolte di popolo per raccorre l’opinione pubblica su quel che giovi
-o nuocia, stabiliranno il bilancio delle spese, che per quell’anno
-fu di 72,524 genovine. L’uffizio della moneta amministra anche le
-entrate, paga le spese, e custodisce la cassa pubblica. All’uffizio di
-Romania, unito a quello di Gazaria, spetta il provvedere per le colonie
-orientali. Quello di mercanzia risolve le liti sopra il commercio
-e la navigazione, che non procedano da pubblici istromenti; e i
-consoli della ragione quelle non eccedenti il valore di lire cento: da
-entrambe escludendo i giurisperiti. Nessuno potrà desinare nè contrarre
-famigliarità col podestà e sua corte; nessuno accettare nello Stato
-ambasceria o altro servizio di principe forestiero. Il deliberare della
-guerra, della pace, delle pubbliche convenzioni spetta al consiglio
-maggiore: il doge e il magistrato della guerra vi danno esecuzione. Si
-rinnoveranno gli esercizj de’ balestrieri sotto due capi di guerra.
-I cittadini popolari saranno descritti secondo le strade di loro
-abitazione, sotto capistrada, gonfalonieri e contestabili, bandiere e
-armi distinte; e con questi ordini difenderanno lo Stato dai nemici
-esterni ed interni. Qualunque volta al doge o agli anziani paresse
-conveniente una riforma, i nuovi capitoli e le ragioni faranno leggere
-ai quaranta, e ove siano approvati, nomineranno otto riformatori con
-balìa limitata ad essi capitoli.
-
-A Facino fu data una grossa somma, al marchese Teodoro il titolo
-di capitano per cinque anni; ma i costui comporti meritarono fosse
-cacciato (1413), rimettendo il doge, che fu Giorgio Adorno. Con questo
-rinfervorarono i parteggiamenti; e intanto andavano perdute la colonia
-di Pera a Costantinopoli e ogni influenza sull’Italia. Unico bel fatto
-di questi tempi è la spedizione contro i Barbareschi per frenarne le
-piraterie, capitanata dal duca di Borbone zio di Carlo VI, e assistita
-da molti signori francesi. Trecento galeoni e più di cento navi da
-carico afferrarono all’Africa; ma i Barbareschi li stancheggiarono
-senza mai venire a giornata, tanto che i nostri partirono senza
-effetto.
-
-Nell’interno, niente bastava a calmare gli animi; e l’angustia delle
-vie e l’altezza de’ fabbricati dava modo di resistere e combattere
-mortalmente nelle ricorrenti avvisaglie. Ne rimanevano desolate le
-campagne, esinanito il commercio, sino a dover vendere a’ Fiorentini il
-porto di Livorno, che il Boucicaut avea comprato: intanto i marchesi di
-Monferrato e Del Carretto aprivano il Genovesato alle truppe di Filippo
-Maria Visconti; sicchè, per amor di pace e per desiderio di vendicarsi
-degli Aragonesi che aveano cercato torle la Corsica, il podestà Tommaso
-Campofregoso (1421) rese Genova a Filippo, riservando per sè trentamila
-fiorini d’oro e il dominio di Sarzana. Filippo mandò il conte di
-Carmagnola a governar Genova, talchè al ducato di Milano aggiungevasi
-anche il mare; nè Venezia, nè Firenze pareano accorgersi del pericolo
-di lasciar tanto ingrandire questo vicino.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXIV.
-
-Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II. Gli
-Aragonesi in Sicilia.
-
-
- CASE D’ANGIÒ E DI DURAZZO.
-
- CARLO di Francia 1266-85
- |
- | CARLO II _lo Zoppo_ 1285-1309
- |
- | Carlo Martello re d’Ungheria
- | |
- | | Caroberto re d’Ungheria
- | |
- | | Luigi re d’Ungheria
- | |
- | | Andrea 1º marito di Giovanna I
- |
- | ROBERTO il Savio 1309-43
- | |
- | | Carlo duca di Calabria
- | |
- | | GIOVANNA I 1343-81
- | | |
- | | | nel 1380 adotta Luigi d’Angiò
- | | | figlio di Giovanni II re di Francia
- | | |
- | | | Luigi II
- | | |
- | | | Luigi III nel 1423 adottato
- | | | da Giovanna II
- | | |
- | | | RENATO 1435-42
- | |
- | | Maria
- |
- | Filippo principe di Taranto
- | |
- | | Luigi 2º marito di Giovanna I
- | |
- | | Roberto conte di Acerra 2º marito di Maria
- | |
- | | Margherita moglie di Carlo III
- |
- | Giovanni duca di Durazzo
- |
- | Carlo duca di Durazzo 1º marito di Maria
- | |
- | | tre figlie
- |
- | Luigi conte di Gravina
- |
- | CARLO III _della Pace_ 1381-86
- |
- | LADISLAO 1386-1414
- |
- | GIOVANNA II 1414-35
- |
- | Nel 1420 adotta ALFONSO re di
- | Aragona e di Sicilia 1442-58
-
-Allo spettacolo di tante irrequietudini, è facile esclamare contro
-il governo repubblicano; e il Denina, «per far comprendere quanto sia
-meglio del popolare il governo monarchico ereditario ed assoluto per
-la quiete e felicità pubblica», oppone a que’ trambusti «il regno di
-Napoli, ove, da che i principi angioini si furono stabiliti, si godè
-internamente pace tranquilla»[20]. Vediamo se il fatto sia così.
-
-Roberto, che tutta la lunga vita stette a capo della parte guelfa in
-Italia, ampiamente estendendo l’autorità e nulla i dominj, fu poco
-lodato in tempo che l’ammirazione si dirigeva al valor militare, e si
-appropriò a lui il motto di Dante, essersi fatto re chi era piuttosto
-da sermone[21]. Amò cordialmente la pace; eppure vedemmo quante guerre
-cagionasse o sostenesse. Tentò anche ricuperar la Sicilia, e soccorso
-da suoi alleati e da truppe di Provenza e di Piemonte, la assalì con
-quarantaduemila uomini, settantacinque galee, tre galeoni, trenta
-vascelli da trasporto, trenta sagittarj e censessanta barche coperte;
-ma prima la tempesta, poi il clima mandarono in dileguo tanto apparato;
-i ripetuti suoi assalti non fecero che sperperare il paese, e re
-Federico tenne testa.
-
-Per lasciare in quiete i suoi, Roberto si valse delle truppe
-mercenarie, cercando denari in ogni guisa, fin col permettere ai
-giudici di commutare varie pene in multe: così disavvezzava i sudditi
-dalle armi. Pio al modello di san Luigi di Francia suo zio, assegnò
-ogni mese tremila ducati a eriger chiese e conventi, e comprare
-beni per frati e monache; ottenne dal sultano d’Egitto che dodici
-Francescani fossero addetti al santo sepolcro, come sempre si è
-continuato; fabbricò superbamente Santa Chiara, sua cappella regia,
-dove poi fu sepolto con immenso mausoleo e compendioso epitafio[22].
-Dotto, e dei dotti protettore, «o fosse (dice il Petrarca) occupato
-negli affari di guerra o di pace, o si ristorasse dalle sofferte
-fatiche, giorno e notte, passeggiando e sedendo, volle sempre aver
-libri. Prendeva argomenti sublimi al suo ragionare; e benchè scarsa
-e quasi niuna occasione ne avesse, protesse con regia munificenza
-gl’ingegni del suo secolo. Non solo udiva con singolare pazienza coloro
-che gli recitavano lor composizioni, ma gli applaudiva ed onorava del
-suo favore. Così continuò fino all’estremo: già vecchio, filosofo e
-re, qual egli era, non vergognossi mai d’imparare, nè mai gl’increbbe
-di far parte agli altri di ciò che avesse imparato, ripetendo che
-coll’apprendere e coll’insegnare l’uomo si fa saggio. Que’ medesimi
-che, o per odio o per prurito di maldicenza, cercano sminuirne le lodi,
-non gli contrastano quella della dottrina. Egli peritissimo nelle sacre
-scritture, egli spertissimo ne’ filosofici studj, egli oratore egregio,
-egli dottissimo nella medicina, solo la poesia coltivò poco; di che,
-come gli ho udito dire, si pentì in vecchiezza»[23].
-
-Collocò nell’Università i migliori maestri, fece voltar in latino
-Aristotele e Galeno; insigni giureconsulti illustrarono il suo regno,
-quali Bartolomeo da Capua suo protonotaro e consigliere, Nicola d’Alife
-segretario della regia cancelleria, Andrea d’Isernia detto il principe,
-l’auriga, l’evangelista de’ feudisti, Luca da Penna ed altri, noti tra
-la folla de’ commentatori. Di regolari magistrati e di opportune leggi
-confortò il Reame. Il clero, depresso dagli Svevi, poi rialzato sotto
-gli Angioini fino a sottrarsi d’ogni giurisdizione regia, fu da lui
-sottomesso ai magistrati in casi d’ingiurie e violenze.
-
-Ma o perchè Roberto si trovasse occupato altrove, o perchè rifuggisse
-dal disgustarli, atteso la vicinanza dell’emula Sicilia, i baroni
-crescevano di potere e d’arroganza; circondatisi di clienti e vassalli,
-nei loro castelli ricoveravano malfattori; non essendovi chi osasse più
-chiamarli in giudizio, trascorrevano ad ogni eccesso; tornavano sulle
-guerre private, eludendo e le commissioni cioè lettere arbitrarie del
-re, e le minaccie della Corte di Roma, e il rigore de’ giustizieri.
-Anche i banditi crebbero tanto, che bisognò contro di essi inviare
-regolari eserciti, ma con poco profitto, essendo protetti dai baroni.
-
-A ben peggio si cascò allorchè Roberto, dopo trentaquattro anni di
-regno, morì (1343). Del perduto figliuolo eragli rimasta Giovanna,
-alla quale volendo togliere un competitore e procurare un appoggio
-domestico, destinò sposo Andrea, nato da Caroberto re d’Ungheria,
-figlia del suo fratello maggiore Carlo Martello (t. VII, p. 384);
-e lo fece educare a Napoli perchè acquistasse i modi e l’amore de’
-futuri sudditi. Cure al vento. Quando successero nel regno e ne’
-tesori, Giovanna era sul toccare de’ sedici anni, e di qualche mese
-minore il marito; e la splendidezza di loro reggia non avea pari in
-Europa, eccetto quella d’Avignone. Ivi Sancia da Majorca vedova di
-Roberto, Caterina imperatrice titolare di Costantinopoli, Margherita
-di Táranto regina vedova di Scozia, teneano altrettante corti; Maria,
-sorella di Giovanna, segretamente maritata a Carlo duca di Durazzo,
-sfavillava di bellezza e ingegno; Agnese di Périgord, madre di questo,
-compiva il regio circolo; e tutti lusso a gara, e feste, comparse,
-raffinatezza, amori rinterzati, intrighi inverecondi; inciampi alla
-fragile Giovanna. Andrea, candido uomo e dolce, non avea dismesse
-le grossolane usanze magiàre, tratto inelegante, strani gusti, umore
-indolente; e pretendendo gli competesse il regno non per la moglie,
-ma per diritto ereditario, non rassegnavasi alla superiorità pretesa
-da questa. Adunque due fazioni divisero la Corte e tutto il regno; e
-la ungherese crebbe pel favore del papa e più per la sventataggine di
-Giovanna, che non soffriva gli affari la distraessero dagli spassi, ne’
-quali accoppiava la ricercatezza della letterata pulizia italiana colle
-pompe di Germania e Provenza; e la recita dei sonetti del Petrarca
-e delle novelle del Boccaccio alternavansi coi giuochi floreali, co’
-tornei, colle corti d’amore. Frà Roberto, zoccolante ungherese, maestro
-d’Andrea e potente sopra la regina, a cavalcione dei due partiti,
-diveniva arbitro del regno. Petrarca, che allora vide quella Corte,
-prega il Cielo che campi l’Italia da simili disastri; esser Napoli una
-Mecca, una Babele ove Cristo s’insulta, fede non v’è, nè giustizia o
-pietà; i dominatori sono Falaridi, Dionigi, Agatocli; ma singolarmente
-inveisce contro il frate, sporco, stracciato, brigante, superbo. —
-Retorica.
-
-Andrea, impacciato fra le cortigianerie, indispettito degli amori di
-Giovanna col cugino Luigi duca di Táranto, volle essere consacrato
-prima dei ventidue anni prefissigli da Roberto, e alla coronazione
-fece drappellare ceppo e mannaja, come ad esprimere ne userebbe contro
-gli offensori. Chi vuol fare non minacci. Quei che avevano motivo a
-temerne, congiurarono, capo il conte d’Artusio figlio secreto di re
-Roberto, e Filippina la Catanese, lavandaja, venuta balia di Luigi, e
-diventata confidente della regina; Giovanna, se non consentì, almeno
-non ostò che Andrea fosse strangolato e gittato da un terrazzo (1345 20
-agosto).
-
-Nessuno tolse da senno a farne processo e giustizia; solo il papa,
-come alto signore del Regno, commise a Bertrando Del Balzo, gran
-giustiziere, di cercare i colpevoli: e costui, sciorinando uno
-stendardo ov’era effigiato l’assassinio, si trasse dietro il vulgo fin
-al palazzo; nè la regina valse a impedire che la Catanese e i complici,
-dopo orribili torture, fossero appiccati ed arsi. Giovanna intanto
-sfacciatamente sposava (1347) il duca di Táranto; poi presentendo la
-guerra civile, facea levata di vassalli e partigiani; e a Luigi il
-Grande re d’Ungheria, maggior fratello di Andrea, scriveva scusandosi
-innocente. Il quale le rispose: — Il disonesto tuo vivere, il ritenere
-la podestà regia, la negligenza in punire il misfatto, le non chieste
-scuse, ti palesano partecipe e rea dell’assassinio; nessuno sfuggirà
-alla vendetta divina e all’umana».
-
-Esso Luigi tiene posto segnalato fra i re dell’Ungheria, la quale, di
-fresco sbarbarita nè ancora spossata dalla viziosa costituzione, al
-tempo di lui si collocò fra le primarie potenze d’Europa. Egli era
-al tempo stesso re di Polonia, sovrano della Bosnia, della Servia,
-della Bulgaria, della Moldavia, della Valachia, onde estendeva i
-dominj sulle genti slave dall’Adriatico al mar Nero e alla foce della
-Vistola; rispettato dai Tedeschi, temuto dagli Italiani. Chiese al
-papa dichiarasse Giovanna immeritevole del regno, e ne investisse
-lui stesso, che s’accingeva con un esercito a far giustizia. E benchè
-il papa, che avea levato al sacro fonte un figlio postumo d’Andrea,
-tentasse indurlo a rimettere la cosa al suo tribunale, egli pose in
-pegno fin le gioje di sua moglie[24], e mosse a questa volta.
-
-I Napoletani si erano divezzi dalla guerra: la gente di villa
-non conosceva arme, nè portava in mano che una mazza di legno per
-difendersi dai cani; invece di giacere alla serena, piacevansi di letti
-soffici e di piumacci, e sempre erano a pettinarsi e lavare il viso a
-mo’ di donne[25]. Non si potea dunque far conto che sui venturieri; ed
-era a temere che i Siciliani, per isfavorire Napoli, dessero mano agli
-Ungheresi. Pertanto Giovanna pattuì con quelli pace intera e assoluta
-indipendenza; poi diffidando de’ pochi partigiani, all’avvicinarsi del
-vindice fuggì in Provenza (1348).
-
-Luigi, vincitore senza aver combattuto, volle vedere il terrazzo donde
-era stato precipitato Andrea, e quivi, rinfacciando il misfatto a Carlo
-di Durazzo che invano se ne giura incolpevole, lo fa stender morto e
-trabalzare anch’esso nel giardino; molti creduti complici manda al
-supplizio; gli altri reali spedisce in Ungheria. Entrato in Napoli
-da conquistatore, attende a far processi, colloca a governo Ungheresi
-e a reggente Stefano Laszk, principe transilvano; ma poichè la peste
-cominciava, congeda le truppe e torna in Ungheria.
-
-Paese facile a conquistare, difficile a conservare. Il papa negò a
-Luigi l’investitura nè di Napoli nè della Sicilia finchè Giovanna non
-fosse regolarmente convinta rea. I Napoletani, ben presto disgustati
-dei forestieri e rimpiangendo le allegrie dell’antica Corte, invitavano
-la regina, la quale dalle indagini fatte risultava innocente del
-sangue d’Andrea. Assolta dunque dal papa che ne convalidò il nuovo
-matrimonio, ella s’accinse a ricuperare il regno; vendette al papa
-la città d’Avignone per ottantamila fiorini, e impegnò le gioje onde
-far denaro; e assoldate truppe, coll’assistenza di Nicolò Acciajuoli
-illustre fiorentino ricuperò il paese (1350), salvo alcuni castelli.
-Intrepidamente frivola fra tanti pericoli, colle allegrie stordiva sè e
-i sudditi; intanto che re Luigi sopragiungeva con trenta o quarantamila
-Ungheresi.
-
-Costoro, naturati coi loro cavalli, su cui fin da fanciulli viveano,
-usavano unica difesa un giubbone di cordovano rinterzato, unica offesa
-l’arco e lunga spada; selle e gualdrappe la notte scusavano di letto
-e di copertura al cavaliero, il quale portava allato carne secca
-polverizzata, che con poca acqua calda riduceva a bibita sostanziosa.
-In tal modo aveano guerreggiato con Bulgari, Russi, Tartari, Serbi, in
-pianure patenti ove il pascolo abbonda; ma gl’Italiani distruggevano le
-proviande, e chiudevansi in terre castellate, di modo che gli Ungheresi
-consumavansi per difetto di foraggi; e sebbene i nostri potessero
-a pena sellare tre o quattromila cavalli, le ordinanze massiccie e
-le solide armadure nostrali presentavano intoppo inaspettato. Gli
-stranieri malmenarono il Reame, e lo presero tutto, eccetto Gaeta
-ove s’erano ridotti Giovanna e il suo sposo: ma poichè fame e peste
-li decimavano e il tempo del servizio militare scadeva, Luigi (1351)
-dovette accettare una tregua, patto che il papa facesse riassumere a
-processo la regina; e se fosse chiarita colpevole, il regno cadesse
-al re d’Ungheria; se innocente, questi cederebbe a lei le piazze per
-trecentomila fiorini. Giovanna a prova di testimonj giurati dimostrò
-che un filtro l’aveva distolta dall’amare Andrea, e fu dichiarata
-inconscia dell’assassinio di questo; laonde Luigi cedette le piazze, e
-neppur volle il pattuito compenso, dicendo: — Guerreggio per giustizia,
-non per guadagno». Giovanna tornò regina (1352), e Luigi di Táranto fu
-coronato.
-
-Fra ciò la Sicilia compiva le sue sorti separatamente dalle italiche.
-I baroni, che erano stati repressi dagli Svevi, nella guerra succeduta
-ai Vespri sentirono d’esser necessarj; e straordinariamente compensati
-degli straordinarj servigi, talmente inorgoglirono, che appena
-soffrivano d’essere inferiori al re; e sotto al debole Pietro II
-(1337), figlio e successore di Federico I d’Aragona, pretendevano
-rendere ereditarie le cariche più alte. Colle estese parentele e
-colla clientela de’ popolani, ogni casa faceasi centro di partiti,
-che ruppero a guerre sotto il nome e la capitananza degli Alagona e
-dei Chiaramonti di Modica, dei Palici e dei Ventimiglia di Geràci;
-tanto che tutta quella costruttura di Federico I 1342 andò a fascio,
-nè quasi ombra rimaneva di governo centrale. Sotto Lodovico, succeduto
-quinquenne (1355) al padre in tutela del giustiziere Blasco d’Alagona,
-e sotto Federico II suo fratello sottentratogli di tredici, e indicato
-col titolo di Semplice, raffittirono le guerre da casa a casa; e
-«tanto mortalmente crebbe il furore delle loro parti, che senza alcuna
-misericordia, come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano s’uccidevano
-per agguati, per tradimenti; e per furti di loro tenute continovo
-adoperavano il fuoco e il ferro,..... e tanto si disusarono i campi
-della coltura, tanto si consumarono i frutti raccolti, che l’isola,
-per addietro fontana d’ogni vittuaglia, per inopia e per fame faceva
-le famiglie de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli altri
-paesi»[26].
-
-Ai re di Napoli il momento parve buono per far valere le ragioni che
-avevano dissimulate, non deposte; e Giovanna occupò Messina (1353),
-promettendo alzarla capo della Sicilia; ma Chiaramonti e Ventimiglia
-s’accordarono per ricuperarla. A Giovanna, padrona della Provenza e di
-Napoli, sarebbe stata necessaria una bella marina; ma le guerre non le
-permisero mai d’allestirla, anzi lasciò disfarsi ogni resto dell’antica
-potenza marittima di que’ paesi. Bisognosa di navi, ne chiese quindici
-in dono da Lodovico d’Aragona, a tal prezzo rinunziando i diritti
-sull’isola, nè riservandosi che l’annuo tributo di tremila once. Ai
-Siciliani parve baratto codardo questo riconoscere il regno come dono
-della signora nemica; eppure ciò poneva fine alla lunghissima guerra
-di Sicilia, costata tanto denaro e sangue: la soggezione non fu che
-nominale, nè mai pagato il tributo.
-
-Giovanna e Luigi di Taranto sedevano sul trono napoletano; ma che
-poteano essi in regno sbranato dalle parzialità, e dove i baroni
-non voleano deporre le armi, impugnate ne’ passati trambusti? Alcuni
-scontenti v’invitarono la banda del conte Lando, che si rese terribile
-ad amici e nemici: e per rimandarla si dovettero imporre straordinarj
-accatti, e sospendere il consueto tributo al papa, che perciò ebbe a
-mettere il regno all’interdetto. Luigi di Táranto, vagheggino da nulla,
-morì di quarantadue anni (1362); e Giovanna, ad istanza de’ baroni,
-sposò Giacomo III d’Aragona, re titolare di Majorca; ma il tenne
-appartato da ogni autorità, e per lo più in Ispagna, finchè morì (1374)
-senza farla madre. Essa contava quarantasei anni; tutti i suoi figli
-erano morti; la sorella Maria non avea che tre figliuole, una delle
-quali, Margherita, fu da Giovanna designata a succederle, sposandola
-al cugino Carlo, figlio dell’ucciso duca di Durazzo, e che fu poi
-conosciuto col nome di Carlo della Pace; uom bello, attraente, ma
-profondamente simulato, e pronto sempre a rinegare la propria parola.
-Ma l’intrinsichezza di questo con Luigi il Grande, sotto del quale
-campeggiava in Ungheria e nel Friuli, ingelosì Giovanna, che repente
-concesse la mano (1376), non il titolo regio ad Ottone di Brunswick,
-che allora dimorava in Piemonte qual tutore del marchese di Monferrato.
-
-Era il momento che contendeasi pel successore di papa Gregorio XI; e
-Giovanna, favorendo Clemente VII, antipapa, diede impulso al grande
-scisma d’Occidente; lo perchè Urbano VI la proferì scomunicata
-e decaduta dal regno e da tutti i feudi, ed eccitò contro di lei
-Carlo della Pace, di cui essa aveva deluso le aspettative. Il popolo
-napoletano bolliva contro la regina perchè fomentasse lo scisma,
-e acclamava il papa vero, e saccheggiava i palazzi; i baroni si
-combattevano fra sè con grandi eccidj, e la regina non potea che
-perdonarli e farli giurar paci che al domani erano violate. A
-tanti pericoli sentendo non bastar sola, essa cercò un appoggio
-coll’adottarsi erede Luigi d’Angiò (1380), secondogenito di Giovanni
-II re di Francia; seme che dovea fruttare due secoli di guaj al Reame.
-Esso Luigi per far denari s’appropria il tesoro regio di Francia,
-smunge province, sacrifica gli Ebrei, sottrae le paghe ai soldati,
-impone a Parigi una tassa su tutti i comestibili; e perchè il popolo ne
-tumultuava, fa buttar nel fiume i capi delle arti.
-
-Come Urbano VI a Carlo, così Clemente VII favorì all’Angioino,
-assentendogli le decime sulle entrate ecclesiastiche in Lingua d’oc e
-in Lingua di sì, e persino a favore di lui ergendo in regno d’Adria lo
-Stato ecclesiastico, salvi il Patrimonio di San Pietro e la campagna
-di Roma: così sagrificando l’indipendenza dello Stato ecclesiastico.
-La morte del genitore trattenne Luigi d’Angiò in Francia; e intanto
-Carlo, sollecitato dalle solite speranze dei profughi, colle bande
-venturiere del Barbiano e dell’Acuto mosse ver Roma, dove, incoronato
-da Urbano VI, e fornito di ottantamila fiorini col togliere gli ori e
-fin i vasi sacri dalle chiese, dopo ronzato due anni coll’esercito a
-ruina degl’italiani, penetrava nel Reame (1381). Dal popolo, inusato
-alle armi, non soffrì resistenza; i baroni volevano male a Giovanna
-dell’essersi eletto successore uno straniero; la Città dividevasi tra
-Angioini e Carlisti, tra Urbanisti e Clementini; talchè impossibile
-era la difesa, e Carlo, fra i mirallegro entrò in Napoli. La regina,
-chiusasi nel Castel Nuovo, non ricevendo i soccorsi aspettati, si
-arrese. Carlo le fece onore: ma spargendo ch’ella il guardasse come
-un ladrone, e contro di lui sollecitasse continuamente Luigi d’Angiò,
-la fece strozzare (1382). Comunque d’indole generosa, ingenua,
-amorevole[27], colla inescusabile giovinezza e più col variare dei
-mariti e degli eredi ella sovvertì allora e poi il Reame. Sua sorella
-Maria di Durazzo non tardò a seguirla, e nel costei sepolcro spegnevasi
-la discendenza di re Roberto.
-
-Luigi avrebbe voluto rimanere in Provenza a raccorre la porzione
-più solida dell’eredità di Giovanna; ma l’antipapa Clemente, per
-contrariare al favorito di Urbano VI, lo spingeva a vendicare la sua
-benefattrice, e conquistarsi così ricca corona. Egli dunque coronato
-in Avignone re di Sicilia, di Napoli, di Gerusalemme, con bello e
-forte esercito, con Amedeo VI conte di Savoja, e col favore di Bernabò
-Visconti che sposò una figlia a un figlio di lui, e assistito dai
-malcontenti, calò per Italia, e due anni continuò guerra a Carlo
-della Pace. Questi, non sostenuto dai baroni, sì bruciato di denaro
-che derubò alla dogana i panni de’ Fiorentini, Pisani e Genovesi
-onde distribuirli a’ suoi fedeli, conobbe l’opportunità d’evitare gli
-scontri, e secondo i consigli di Alberico da Barbiano, da lui fatto
-connestabile del regno, aspettò che le malattie logorassero gli uomini,
-i cavalli, il tesoro del nemico. Di fatto quel floridissimo esercito
-fu ben presto a tal miseria, che i migliori cavalieri montavano asini;
-il duca avea venduto vasi, gioje, fin la corona, nè copriva la corazza
-se non d’un cencio dipinto; alfine morì di febbre a Bari; gli altri o
-perirono (fra questi Amedeo di Savoja, a Santo Stefano in Puglia, 1384
-12 marzo), o tornarono accattando e rubando.
-
-Più colla politica che col valore avea trionfato Carlo, nè però ebbe
-calma; e la fazione angioina, fedele al fanciullo Luigi II, erede
-della Provenza e delle pretensioni dei defunto duca, lungamente
-sconvolse il Regno. Inoltre egli si guastò affatto con papa Urbano,
-che essendosi piantato a Napoli, pretendeva esercitarvi padronanza,
-e voleva investisse a un tristo suo nipote il principato di Capua
-e d’Amalfi, e altri possedimenti promessi quando fu coronato: onde
-tempestò fra guerre e scomuniche scandalose, peggiorate dalla peste che
-in quegli anni rinnovò i guasti per tutta Italia. Carlo, inorgoglito
-dalla vittoria, era meno che mai disposto ad ascoltare le rimostranze
-del pontefice che pretendeva moderasse le molteplici imposte sul Regno:
-onde Urbano si chiuse in Nocera, pose alla tortura alcuni cardinali
-imputati di congiura, e scomunicò Carlo, il quale a vicenda tormentava
-i prelati napoletani che obbedissero all’interdetto, e mandò l’esercito
-ad assediare l’ostinato pontefice. Questi s’affacciava ogni tratto al
-balcone col campanello e colla torcia accesa scomunicando l’esercito
-del re, finchè dopo sei mesi vennero in soccorso truppe mercenarie, che
-lo trafugarono verso Salerno, d’onde s’imbarcò anelando vendetta (Cap.
-CXVII).
-
-Alla sorte del Reame venne a recare nuovi viluppi la morte di Luigi il
-Grande d’Ungheria. Aveva egli menato frequenti guerre con Venezia, la
-quale conservava sempre il titolo di signora di Dalmazia, di Croazia
-e d’un quarto e mezzo dell’impero d’Oriente; mentre esso re, dacchè
-pretese al Napoletano, avrebbe trovato opportunissimo possedere
-Zara, anello fra i suoi paesi e la Puglia. Tentò dunque essa città,
-ma i Veneziani gliela disputarono, e dopo diciotto mesi d’assedio la
-presero. Ne serbò rancore Luigi, e favorì lo scontento degli Schiavoni,
-i quali dalla signoria veneta aborrivano perchè sagrificati al
-vantaggio della capitale, mentre sarebbero potuti fiorire di commercio
-diventando lo sbocco dell’Ungheria. Quando si sentì bastante vigore,
-Luigi intimò al veneto senato restituisse le città di Dalmazia,
-antiche pertinenze della corona ungherese. Il senato ricusò e fece
-navi; ed avendo l’emula Genova prestato a quel re sessanta galee
-comandate da Antonio Grimaldi, i Veneti uniti ai Catalani, e capitanati
-da Nicolò Pisani, a Lojera diedero una terribile rotta ai nemici
-(1353), prendendone trenta galee con tremilacinquecento prigionieri,
-che lasciarono consumar nelle carceri, oltre duemila che perirono
-combattendo.
-
-Non per questo re Luigi desistette dal molestare i Veneziani in
-Dalmazia; e risolse attaccare Zara, Spalatro, Trau, Nona e al tempo
-stesso Treviso, unica città che Venezia tenesse in terraferma. Occupate
-Conegliano, Asolo, Céneda, que’ temuti cavalleggeri arrivarono sotto
-Treviso, ma prenderla non poteasi con scorridori; i quali, impazienti
-di lunghe fazioni, costrinsero il re a battere in ritirata, benchè
-forte di trentamila uomini. Meglio ordinatosi, ricomparve egli, e
-per tradimento ebbe la città (1354); e chiesto di pace, generosamente
-dichiarò bastargli il ricupero delle città spettanti alla sua corona,
-e che il doge rinunziasse al titolo che si arrogava su quelle, e gli
-provvedesse ventiquattro galee, di cui egli pagherebbe le spese.
-
-Morto Luigi (1382), la nobiltà consentì che Maria sua figlia, da
-essi gridata regina, ne portasse i diritti a Sigismondo di Luxemburg,
-figlio dell’impotente Carlo IV. Altri nobili però gridarono Carlo III
-di Durazzo, che adottato da re Luigi, era cresciuto in quel reame e
-formatosi a quelle armi; e di fatto egli, per ambizione del nuovo non
-curando i disordini cui abbandonava il regno suo prisco, v’andò, ed
-ottenne la corona angelica; ma la regina lo fece assassinare. Giovanna
-era vendicata (1386). Allora va in estremo scompiglio l’Ungheria,
-dove i Croati accorreano a punire il delitto con altri delitti e
-brutalità. Côlta Maria, la mandavano a Margherita vedova di Carlo, se
-non si fossero opposti i Veneziani: intanto le ribellioni fiaccarono
-affatto l’Ungheria, e un nuovo re della Servia orientale ebbe Zara,
-Trau, Sebenico, Spalatro e le altre città per lo innanzi possedute dai
-Veneziani. Maria fu liberata da Sigismondo di Luxemburg suo marito, il
-quale alla morte di lei (1395) restò re del paese, che trasmise poi a
-Casa d’Austria.
-
-Tra questo fare, il regno di Napoli, salito a tanta grandezza sotto
-i Normanni, gli Svevi e Roberto il Buono, sfasciavasi sotto i costui
-discendenti, e poco pesava sulla bilancia politica, mentre internamente
-era campo di sciagurate battaglie fra bande di ventura e stranieri
-semibarbari: le contribuzioni erano riscosse e consumate da costoro;
-non esercito nè flotta v’avea che obbedisse al re, non fortezze ben
-munite; esausto l’erario, effeminata suntuosità alla corte, la nazione
-disabituata dalla guerra, sicchè nè i padroni confidavano in essa, nè
-i nemici la temevano; e in conseguenza nè essa aveva a se medesima quel
-rispetto che salva da vergogna, nè dagli altri l’otteneva.
-
-L’intempestiva morte di Carlo III aggiunse mali a mali; e mentre
-Ladislao, figliuolo di lui decenne, era proclamato re sotto la tutela
-di Margherita, la fazione francese dei Sanseverino salutava l’altro
-fanciullo Luigi, figlio di quel d’Angiò, due fanciulli in tutela di
-due donne meno abili che intriganti. Maria di Blois tolse a Ladislao
-quasi tutta la Provenza; i Napoletani, scontentati dall’avarizia di
-Margherita e dall’avidità de’ suoi favoriti, si sollevarono anch’essi a
-favore d’Ottone di Brunswick, vedovo di Giovanna e creato di Clemente
-VII, che a nome dell’Angioino prese Napoli. Così due papi, due re,
-due reggenti, fra le cui dispute i più negano obbedienza ad entrambi,
-entrambi li scomunica papa Urbano VI, e tutto va sossopra. Luigi II
-coronato in Avignone (1391), è in Napoli accolto fra gli applausi,
-ma presto ridotto a rassegnare ogni potere a Ladislao (1399), che
-riconosce il regno come benefizio della Sede apostolica[28].
-
-Fra pericoli e congiure e guerre intestine costui s’addestrò
-agl’intrighi, coll’età crescendo di coraggio; perfido politico quanto
-Gian Galeazzo, e più valoroso, formò buone truppe, ebbe di molti
-partigiani, tolse tutte le fortezze ai Francesi, punì i baroni che gli
-avevano favoriti. La nobiltà ungherese, disgustata di re Sigismondo,
-offrì la corona angelica a Ladislao, che v’accorse; ma poi trovandosela
-contesa, vendette ai Veneziani Zara e le altre piazze di Dalmazia,
-nè più dandosi un pensiero dell’Ungheria, pensò ingrandire in Italia,
-prefiggendosi rinnovare la gloria di Federico II imperatore, e solendo
-dire: — O Cesare o nulla». Per assodare la monarchia deprimeva i
-baroni, che odiava tutti o parteggiassero pei Durazzo o per gli
-Angioini; impedì tenessero più di venticinque lancie ciascuno, come
-faceano col pretesto di pubblico servizio, ed anche queste fossero
-stipendiate e alloggiate dallo Stato: intanto ammise chi che fosse ad
-ottenere feudi, uffizj, sin la cavalleria.
-
-Era allora la cristianità straziata dal grande scisma, e l’Italia
-n’andava tutta in parti e in armi, sicchè non parea far guerra al papa
-chi assalisse lo Stato papale. Ladislao colse il buon punto; e quando
-(1404), dopo morto Bonifazio IX e ne’ primi tempi d’Innocenzo VII, Roma
-sbranavasi fra il popolo e i grandi, egli cercò entrarvi, favorito
-dai Colonna e dai Savelli. Il popolo s’impadronisce di Ponte Molle
-e respinge il re; ma dodici cittadini ch’erano andati per trattare
-un accordo con papa Innocenzo, vengono côlti dal nipote di questo e
-trucidati. Il popolo si leva allo stormo della campana di Campidoglio,
-caccia il papa, saccheggia. Ladislao teneva occhio a quella preda, e
-mentre mena a ciancie il pontefice e i Fiorentini, occupa trionfalmente
-Roma: Gregorio XII, bisognoso d’appoggio contro il papa emulo, dà a
-Ladislao l’investitura di Roma, del Patrimonio, della marca d’Ancona,
-di Bologna, Faenza, Forlì, Perugia e del ducato di Spoleto per
-venticinquemila fiorini l’anno (1408 25 aprile); e fu il primo che se
-ne intitolasse re, diventando padrone dello Stato di cui erano vassalli
-i suoi predecessori.
-
-Allora parvegli toccare il cielo col dito, sprezzò ogni ostacolo, e
-in verità perchè non potea sperare di divenir re di tutta Italia?
-Morto Gian Galeazzo, i Visconti erano ristretti nella Lombardia:
-Venezia sentivasi ancora fiaccata dal duello con Genova: questa dalle
-fazioni era costretta ad appoggiarsi alla protezione di Francia. Solo
-i Fiorentini ostavano, e poichè nol vollero riconoscere, attenti che
-nessun potentato preponderasse in Italia, Ladislao staggì le robe di
-tutti i loro mercadanti in Roma (1409), e accumulato denaro, ne corse
-guastando il territorio, onde il popolo lo chiamava il re guastagrano,
-e i Fiorentini si videro nuovamente in procinto di perdere lo Stato.
-Contro di lui essi presero al soldo Braccio di Montone, e favorirono
-Luigi II, che venne cogli ajuti di papa Alessandro V e del suo
-successore Giovanni XXIII, e colle scomuniche da questo avventate a
-Ladislao. I gigli sventolavano a capo dell’esercito, e i Fiorentini
-uniti a’ Senesi dissipano una spedizione mossa a conquistare tutta
-Italia (1410); anzi prendono Roma, dove si stabilisce papa Giovanni.
-Luigi, ben fornito di Provenzali e di fuorusciti, e de’ capitani
-Paolo Orsini, Attendolo Sforza, Braccio di Montone, vince a Roccasecca
-Ladislao (1411 19 maggio), facendo prigionieri quasi tutti i baroni
-e lo stendardo reale; ma i soldati sperdonsi a saccheggiare, poi
-rivendono le armi e i prigionieri per otto o dieci ducati l’uno, e
-Ladislao li compra, compra i soldati stessi del suo nemico, il quale
-deve colla vergogna ricoverare di là dai monti, ove presto finisce la
-vita.
-
-Ladislao invade Roma e lo Stato, rapinando malgrado de’ Fiorentini:
-costringe Giovanni a disdire Luigi d’Angiò, e riconoscere Ladislao ne’
-regni di Napoli e Sicilia; obbligarsi a ricondurre alla obbedienza di
-lui quest’isola, allora in mano degli Aragonesi; nominarlo gonfaloniere
-della Chiesa con quattrocentomila ducati, e perdonargli un arretrato di
-ducati quarantamila dell’annuo tributo, tuttociò a patto che Ladislao
-riconoscesse lui papa. E papa e re violarono ben presto gli accordi:
-il primo raccoglieva bande, flagello de’ popoli, che non impedirono
-a Ladislao di assalir Roma (1413) ed entrarvi saccheggiando, mentre
-il papa fuggiva tra pericoli e patimenti infiniti, e chiunque del suo
-seguito fosse preso, veniva spogliato nudo, spesso ucciso. Giustamente
-si dolse Giovanni a tutto il mondo di tanta perfidia, e — Chi avrebbe
-potuto credere alcuno audace e perverso a segno, di venirci a giurar
-fedeltà, domandarci l’investitura in solenne adunanza, e all’ombra
-di tali dimostrazioni ottener quello che non avrebbe pur eseguito
-in guerra aperta? Ci rifugge l’animo dal dipingere il furore con cui
-trattò Roma, i sacri tempj, le venerabili reliquie de’ santi»[29].
-
-Ladislao non vi badò, e si spingea contro Bologna, sola rimasta al
-pontefice, ma una terribile malattia, attribuita a veleni o a filtri,
-e più credibilmente a lussuria, lo gettava tratto tratto in accessi
-di rabbia, durante i quali trascorreva alle peggiori crudeltà; sinchè
-frenetico morì a trentasei anni (1414 6 agosto). Maltrattò le proprie
-mogli, e la repudiata Costanza obbligò a sposare un altro; provvedeasi
-di concubine d’ogni stato; matto di superbia, non curante che de’
-soldati, prodigò i beni della corona a guerrieri, vendendo uffizj e
-cavalierati, assodò l’aristocrazia che prima voleva deprimere; e lasciò
-la solita eredità di questi re soldateschi, confusione e indisciplina.
-
-In mancanza di figliuoli, Giovanna II sua sorella gli successe,
-rinnovando gli scandali e i disordini della prima Giovanna; deforme e
-voluttuosa, perduta in licenziose feste a voglia d’indegni favoriti.
-Vedova di Guglielmo d’Austria, e sperando ne’ reali di Francia appoggio
-contro le pretensioni degli Angioini, sposò Giacomo di Borbone conte
-della Marcia. Ben ella s’era riservato tutto il potere; ma Giacomo
-volendo esser re anche di fatto, mise in prigione lei, al tormento
-poi a morte ignominiosa Pandolfello Alopo, che essa avea fatto gran
-siniscalco, conte, camerlingo, tutto. Indignò baroni e popolo quel
-vedere Francesi collocati in tutti gl’impieghi, e trattata da schiava
-la loro regina. Giulio di Capua dei conti d’Altavilla, condottiero
-napoletano che aveva infellonito re Giacomo contro i favoriti, allora
-congiurò d’ucciderlo, e ne informò Giovanna, che credette acquistar
-grazia col darne spia al re. I congiurati furon messi a morte;
-essa ebbe qualche larghezza, della quale profittando, i sudditi la
-liberarono e rimisero al potere; e Giacomo ridotto ad umile condizione,
-e fin prigioniero, poi sottrattosi, andò a morir frate.
-
-Qui, cacciati i Francesi, vennero attribuite le dignità ad Italiani;
-Giovanna riconobbe Martino V, gli fece omaggio, e gli restituì Roma
-e tutte le conquiste di Ladislao; così suggerendole i suoi amanti,
-e principalmente quel che era sotterrato all’Alopo nella confidenza
-e nell’amore di lei, ser Gianni Caracciolo. Uomo d’intelletto e di
-preveggenza rara, ed amato dal popolo, al cui sostentamento aveva
-provveduto, avrebbe costui dominato dispoticamente se non l’avesse
-contrariato Attendolo Sforza.
-
-I caporali, che andavano in volta per la Romagna col piffero e il
-tamburino ad ingaggiare venturieri, esibirono il soldo a un terriero da
-Cotignola, di nome Muzio Attendolo, che stava zappando un suo podere.
-Egli tentenna fra il sì e il no, e non sapendosi risolvere, lancia
-sopra una pianta la zappa, risoluto di restarsene al suo mestiero
-se ricaschi a terra. Rimase implicata fra i rami, ed egli accettò
-le armi, tolse un cavallo dalla paterna stalla, e colla bravura e
-l’arrischiatezza acquistò nome; e Alberico da Barbiano vedendoselo in
-un diverbio saltar contro con violenza, gli disse: — Che? vorrai tu
-far forza anche a me come agli altri? Ti chiameremo lo Sforza. Questo
-soprannome gli restò, ed egli come capo di bande eccitò ammirazione,
-invidie, nimicizie. Nel campo voleva severa disciplina; un uom d’arme
-toglie il vestone pavonazzo d’un medico, e Attendolo, messoglielo
-in dosso, lo manda in giro pel campo, sicchè quegli dalla vergogna
-s’ammazza: uno scozzone di cavalli che sottraeva biada per venderla,
-fa legare alla coda di cavalli e strascinare a furia: un ferrarese che
-teneva seco una donna in figura di ragazzo, fece vestire da femmina
-e girar così negli accampamenti. Corpo abituato ad ogni fatica e
-stento, piacevasi solo a giuochi di forza; tutt’armato, poteva montare
-a cavallo senza ajuto che delle staffe, e per molte miglia viaggiare
-sotto quello scoglio ferrato; pronto a deliberare, prontissimo ad
-eseguire, ardito ne’ pericoli, franco in gioventù, simulatore dopo
-provati i tradimenti, spregiator delle ricchezze, valoroso ma senza
-veruno de’ nobili concetti che fregiano il valore, soldato sempre di
-causa altrui.
-
-Col famoso condottiero Tartaglia avendo contribuito alla presa di
-Pisa, fu da Firenze provvisto di cinquecento fiorini annui. Riuscito
-ad uccidere per tradimento il traditore Ottobon Terzo, dal marchese
-d’Este, cui rendeva Parma e Reggio, ottenne la terra di Montecchio.
-Roberto imperatore gli concesse per arma un leon d’oro rampante
-che tiene nella zampa destra un pomo cotogno. Luigi II d’Angiò e il
-papa lo assoldarono nell’impresa contro Napoli; ma Ladislao riuscì
-a tirarlo a sè, donandogli quattro castelli nell’Abruzzo; onde il
-papa, che pur l’aveva investito della natìa terra di Cotignola, e
-creato gonfaloniere della Chiesa, lo fece dipingere in più luoghi
-appiccato pel piede destro con un cartello che cominciava _Io son
-Sforza villan di Cotignola_, e ne enumerava dodici tradimenti. Che
-contavano i tradimenti ove unica lode era il valore? Ladislao, avutone
-utile servizio, lo eleva gran connestabile del Regno, e gli assegna
-sette castelli del Patrimonio di san Pietro; altri ne acquista egli
-come vassallo della repubblica di Siena; e chiamasi attorno i parenti
-suoi, affidando loro i comandi nell’esercito, gente tutta allevata in
-faticosa sobrietà, avvezza al ferire in paesane contese, e interessata
-a sostener lui, unico appoggio di tutti.
-
-Alla morte di Ladislao, l’Alopo, ingelosito del favore mostratogli da
-Giovanna, lo sorprende e lo caccia in un fondo di torre; ma ben tosto
-riconosciutolo necessario, gli offre in moglie una sorella e nuovi
-dominj se metta a favor suo e della minacciata regina la sua banda. Re
-Giacomo, riuscito superiore, insusurrato da Giulio di Capua suddetto,
-alla sua volta lo chiude prigione, e così il gran venturiero alterna
-fra le catene e il comando, fra gli amori della regina e l’odio dei
-rivali.
-
-Amico, poi emulo suo fu Braccio dei conti di Montone, perugino. Da una
-fazione espulso di patria ferito e nudo, si pose sotto al Barbiano,
-e ne meritò la stima, poi l’invidia, tanto che si cercò torgli la
-vita. Scampato, e sofferti tutti i disagi della povertà non ladra,
-accettò soldo di qua di là, e alfine dai Fiorentini contro Ladislao.
-Rôcca Contratta fu la prima terra che a lui si sottomise, donde altre
-soggiogò nel Piceno. Giovanni XXIII andando al concilio di Costanza, lo
-lasciò incaricato di tenergli in fede Bologna e la Romagna, ed esso in
-fatti costrinse all’obbedienza i signori e le città che se ne voleano
-sottrarre. Ma quando Giovanni fu deposto di papa, Bologna diede su, e
-Braccio patteggiò, vendendole per ottantaduemila fiorini i castelli
-regalatigli dal pontefice. Trovandosi un buon esercito, impinguato
-dalle prede di Romagna, Braccio voltò sopra Perugia sua che l’aveva
-esigliato, e che era difesa dal Tartaglia; trasse a sè costui con
-promettere d’investirlo di tutti i feudi che si torrebbero allo Sforza,
-comune avversario; ma i cittadini lo respingeano intrepidamente, e
-quantunque i magistrati avessero fin murato le porte acciocchè nessuno
-uscisse a scaramucciare, saltavano o calavansi dalle mura per provarsi
-con que’ nemici. Venivano intanto altri capitani, chi per soccorrere,
-chi per combattere Braccio; e sulla via d’Assisi fu mischiata una
-battaglia (1416), rinomata ne’ fasti di quelle bande, ove comandavano
-da una parte Braccio con Tartaglia, con Niccolò Piccinino e con altri;
-dall’opposta Carlo Malatesta con Agnolo della Pergola, Ceccolino de’
-Michelotti, Paolo Orsini. Sette ore durò la mischia sotto il sole di
-luglio, finchè Braccio vinse; onde Perugia schiuse le porte e diede
-la sovranità al suo esule, cui si sottomisero Rieti, Narni e tutta
-l’Umbria.
-
-Egli stabilì un governo robusto, abbellì la città, dedusse acque dal
-lago ad irrigare la campagna. Soleva a Perugia farsi ogni domenica di
-primavera un’abbaruffata tra gli abitanti della città alta e quei della
-piana, lanciando sassi e parandoli con un largo mantello avvolto al
-braccio sinistro; poi succedeano persone armate in tutto punto, ma con
-cuscinetti che ammortissero i colpi; infine anche i fanciulli venivano
-alle mani: giuoco che non passava mai senza la morte e il guasto di più
-d’uno. Braccio vi diede grande splendidezza, e volle che ciascuna delle
-città a lui sottoposte vi mandasse una bandiera. Il duca di Camerino
-gli sposò una sorella; i Fiorentini lo tennero sempre amico ed alleato,
-ed egli prometteva ad ogni loro appello andare a comandarne l’esercito;
-e qualora capitasse a Firenze, eravi accolto con tutto l’entusiasmo
-che il corrotto giudizio umano tributa alla forza soldatesca, e più
-quand’essa è rara.
-
-Mentre lo Sforza stava in ceppi, Braccio procurò torgli i feudi,
-secondo avea pattuito col Tartaglia; di che nacque odio implacabile
-fra i due campioni. L’uno più arrischiato, l’altro di valore più
-educato ed accorto, furono capi di due scuole, emule non solo allora,
-ma sotto que’ grandi guerrieri che ne uscirono (dicevasi allora) come
-dal cavallo di Troja. Gli Sforzeschi valeano di più nella milizia,
-i Bracceschi nelle subitanee fazioni; questi nella disciplina e
-nelle particolarità, quelli nel concetto, negli appresti generali e
-nell’artifizio di tenersi delle riserve: nè gli uni nè gli altri utili
-alla patria e all’umanità, la quale non del valore ha bisogno, ma d’un
-valore adoprato a buona causa.
-
-Braccio era entrato in Roma (1417), egli capitano di ventura nella
-capitale del mondo cattolico, intitolandosene difensore finchè un nuovo
-papa giungesse. Lo Sforza mosse, per ordine di Giovanna, a snidarnelo;
-e quegli, molestato dalle febbri, si ritirò, covando vendetta, mentre
-lo Sforza rodevasi di non avere sfogato la sua. Questo fu incaricato
-da Martino V di togliere a Braccio il principato che s’era costituito,
-ma nulla profittò contro quel valore esercitatissimo. Invano egli e il
-papa sollecitavano da Giovanna altri ajuti per fortunare l’impresa; a
-ser Gianni Caracciolo piaceva che fallisse, acciocchè se n’eclissasse
-la gloria dello Sforza: il quale vedendosi soccombere alla costui
-rivalità, non esitò a risuscitare le antiche parzialità dei Durazzo
-e degli Angioini, le quali doveano portare al paese tanti strazj e
-lunghissima servitù forestiera.
-
-Respinto il bastone di gran connestabile e disdetto il giuramento,
-quasi con ciò disobbligasse la propria fede, lo Sforza mandò a Luigi
-III, succeduto al II d’Angiò, invitandolo a rivendicare i suoi diritti,
-fondati sull’adozione di Giovanna I; e nominato vicerè, raccolse
-un esercito ed investì Napoli (1420). Luigi medesimo comparve colla
-flotta: ma gli si opposero per mare Alfonso re d’Aragona e Sicilia, che
-era stato chiesto da Giovanna II e adottato; e per terra Braccio, che
-riconciliato col papa, n’avea avuto in feudo Perugia e le vicinanze,
-e l’aveva soccorso a sottomettere Bologna, e che creato conte di
-Foggia, principe di Capua, gran connestabile, adoprò il valore e più
-gl’intrighi e la seduzione contro l’esercito oppostogli. Luigi, a cui
-il destro nemico avea sottratto l’amicizia del pontefice e il venale
-coraggio dello Sforza, se ne andò in rotta; ma questa non era che la
-prima scena del lungo conflitto tra Francesi e Spagnuoli.
-
-Intanto in Sicilia Federico II moriva (1377) di trentacinque anni,
-sempre inetto, lasciando una sola figlia Maria: e sebbene Federico
-di Svevia avesse determinata la successione per agnati, escludendo
-le femmine, il papa autorizzò Maria a succedere. S’oppose Pietro
-d’Aragona, finchè s’accordò di maritarla con don Martino suo nipote
-(1392). Ai baroni ne rincresceva, temendo non il signore forestiero
-li mettesse al freno: ma egli comparve con buone forze, e accolto
-volonterissimo dalle città, domò gli Alagona e i Chiaramonti che gli si
-opponevano. Ma morì improle, onde gli succedette il padre suo (1409),
-Martino il Vecchio, già re d’Aragona; lo perchè la Sicilia cadde nella
-deplorabile condizione di provincia, e vi durò tre secoli. Per giunta,
-il papa e i re napoletani fomentavano le discordie, già inevitabili in
-quella costruttura di regno, e che continuavano l’agitazione anche dopo
-perita la libertà.
-
-Primeggiavano fra i baroni le famiglie de’ Chiaramonti e degli
-Alagona; la prima, tanto sublimata che diede una figlia in isposa a re
-Ladislao, propendeva agli Italiani ed era meglio popolare; l’altra agli
-Spagnuoli: ma e la _parzialità latina_ e la _catalana_ tiranneggiavano,
-strappando a sè le rendite, l’amministrazione, la guerra, la
-giustizia: le città, invece di maturare l’ordinamento municipale, erano
-predominate dai nobili, i quali eleggevano i magistrati, e cacciandone
-il capitano regio, vi mettevano qualche barone di loro parte, e infine
-le convertirono in rettorie di loro proprietà. Quando Martino II tentò
-dar polso alla podestà monarchica, essi baroni, sopendo le nimicizie,
-si collegarono a Castronovo per sorreggersi a vicenda, sorretti
-anch’essi dal papa; e Martino, obbligato a calare a patti, s’ingegnò di
-rimettere l’assetto antico, revocare alla camera le rendite alienate,
-munire il paese con un esercito stabile di trecento bacinetti o
-barbute, che cento erano di Siciliani, gli altri di forestieri.
-
-Egli armò per ricuperare la Sardegna ribellatasi, e le vittorie sue
-ridestarono il valor siciliano; ma non appena avviati i miglioramenti,
-nuove turbolenze suscitò la morte di lui. Non si vuole più re
-straniero: Palermo propone al trono un Peralta (1410); Catania e
-Siracusa negano dipendere da quella città; Messina, ancor memore degli
-antichi sforzi, e sempre aspirando ad essere la prima città del regno,
-scuote il giogo straniero, e promette fede a papa Giovanni XXIII, che
-dichiara scaduti gli Aragonesi perchè più non aveano pagato il tributo
-feudale. Ma ai baroni conveniva quel che al popolo rincresceva, onde
-ajutarono la guerra, che durò finchè Ferdinando di Castiglia, nipote
-di Martino II, fu da tutti riconosciuto re legittimo (1412). Non badò
-alle domande ripetutegli di fare della Sicilia un regno distinto,
-anzi costituì non dovesse mai separarsi dall’Aragona, ch’egli aveva
-acquistato.
-
-Egli non approdò mai nell’isola; bensì Alfonso d’Aragona (1416)
-succedutogli vi pose dimora, fosse per desiderio di sottrarsi
-agl’impacci che nel suo regno gli davano le cortes e la gelosia de’
-signori, fosse per colorire i suoi disegni sopra la Corsica. Cupido
-d’imprese, dal suo regno di Sardegna aveva invaso quest’isola;
-ma trovato gagliarda resistenza per parte de’ Genovesi, era stato
-costretto a recedere (1420). Fu allora che gli venne dalla regina
-Giovanna l’invito d’assisterla e la promessa d’adottarlo; intanto
-nominandolo duca di Calabria, e dandogli per sicurtà Castel Nuovo e
-Castel dell’Uovo. Quest’adozione avviava a ricongiungere le due parti
-separate dell’antico regno: ma Alfonso alla Corte di Napoli si accorge
-d’essere circuito da intrighi e tradimenti; e non sapendo tollerare
-la burbanza del Caracciolo e le costui trame per soppiantarlo, il fa
-arrestare. Giovanna spaventata appena ha tempo di chiudersi in Castel
-Capuano, disereda Alfonso per Luigi III d’Angiò (1425), invita a
-soccorso lo Sforza, il quale a rincalzo di combattimenti la salva. Lo
-Sforza, dopo avere avuto molti figli d’amore, sposò due mogli di sempre
-più elevata fortuna, e ultimamente una duchessa di Sessa, vedova di
-Luigi II d’Angiò: fu dichiarato ancora gran connestabile, e allorchè
-Giovanna gliene conferiva il bastone, e disputavasi sulla formola
-migliore per impegnare la fede di lui, ella proferì: — Chiedetela a lui
-stesso, il quale tanti ne diede a me ed ai nemici, che nessuno meglio
-sa in che modo si obblighi e disobblighi». Menò egli robustamente
-la guerra contro del papa buttatosi cogli Aragonesi, e professava
-volergli far dire cento messe per un quattrino; fu soddisfatto del
-lungo odio col cogliere a forza, e far processare e mandare al patibolo
-il Tartaglia; ma poco dopo (1424 4 genn.) egli pure, nel guadare il
-Pescara, annegavasi al cospetto del figlio Francesco e dell’emulo
-Braccio.
-
-Mentre Alfonso era dovuto recarsi a chetare il suo regno d’Aragona,
-Giovanna co’ sussidj di Genova recupera Napoli; e Braccio, combattendo
-le bande sforzesche e Giacomo Caldòra sotto Aquila, rimane sconfitto (2
-giugno), e ferito si lascia morir di fame e di rabbia, perendo quasi
-contemporanei i due caporioni delle bande italiane. Il pontefice, di
-cui Braccio circuiva quasi d’ogni parte gli Stati, ne festeggiò per tre
-giorni la morte, e lasciò il cadavere di lui insepolto: il suo dominio
-fu reso allo Stato pontifizio e al napoletano. Giovanna, per capricci
-amorosi che l’età rendeva ridicoli, venne in broncio col Caracciolo;
-e i nemici di lui, strappatole l’ordine d’arrestarlo, affrettaronsi
-ad ucciderlo (1432) prima che ella pentisse. La regina non potè
-che tributargli splendide esequie, e lasciare che il popolaccio
-saccheggiasse le case degli uccisori di lui; poi si abbandonò alla
-duchessa di Sessa, incapace com’era di volere o di risolvere da se
-medesima.
-
-Perito anche Luigi III senza figli (1434), Giovanna privilegiò erede
-in testamento Renato fratello di questo; poi a sessantaquattro anni,
-logora di corpo e di spirito moriva (1435), e con essa la prima casa
-d’Angiò, da censessantott’anni regnante. Le volubili adozioni di lei
-costarono infinite guerre a Francia e Aragona, che per disputarsi
-quella bella corona toglievano appiglio da donnesche velleità. Per
-allora la Calabria fu congiunta alla Sicilia: ma Renato si fece innanzi
-allegando il testamento di Giovanna; il papa pretendeva che il regno
-vacante ricadesse come feudo alla Chiesa, ma essendo così debole da non
-potere sostenersi, prese la parte di Renato; e i regnicoli si divisero
-tra i due, che s’accinsero a meritare il Reame col farne quel peggiore
-strazio che sapessero. Alfonso che stava parato agli eventi, volle
-prevenire l’arrivo de’ Francesi, e assediò Gaeta difesa dai Genovesi,
-che l’avevano fatta emporio delle loro merci nelle passate turbolenze,
-e l’aveano per volontà de’ cittadini ricevuta in deposito. Egli la
-ridusse all’estremità; ma essendone mandati fuori fanciulli, donne,
-vecchi, a chi lo consigliava respingerli per affamare la città rispose:
-— Piuttosto non prendere Gaeta che rinnegare l’umanità», e gli accolse
-e nutrì.
-
-L’avere Alfonso cercato di conquistare la Corsica e farsene investire
-dal papa, aveagli nimicato Genova, la quale, giuratasi a guerra, non
-esitò a spendere ducentomila genovine per armare contro di lui. Biagio
-Assareto ammiraglio, affrontata la flotta del re all’isola di Ponza,
-la sconfisse (1435), e agli anziani di Genova ne dava ragguaglio nel
-patrio dialetto in questi sensi: — Magnifici e reverendi signori;
-innanzi tutto vi supplichiamo a riconoscere questa singolare vittoria
-dal nostro Signore Iddio, dal beato san Giorgio e da san Domenico,
-nella cui festa in venerdì fu data la sanguinosissima battaglia, della
-quale siamo rimasti vincitori non per le nostre forze, ma per la virtù
-di Dio, avendo la giustizia dalla nostra parte. Il quarto dì di questo
-mese, di mattino per tempo, trovammo sul mare di Terracina l’armata
-del re d’Aragona di navi quattordici scelte fra venti, sei delle
-quali erano grosse e le altre comuni, e con uomini seimila, talchè la
-nave più piccola ne aveva da tre in quattrocento, le mezzane cinque
-in secento, e la reale ottocento, sulla quale erano il re d’Aragona,
-l’infante don Pietro, il duca di Sessa, il principe di Taranto con
-altri cenventi cavalieri. Avevano inoltre undici galee e sei barbotte.
-Il vento spirava dal Garigliano, sicchè era in loro potere quel giorno
-d’assalirci. Noi avendo a mente gli ordini vostri di non prender
-battaglia s’era possibile, ma soccorrere Gaeta, ci sforzammo tirare
-al vento, e navigammo verso l’isola di Ponza sempre seguitati dagli
-Aragonesi, che in poco d’ora ci ebbero raggiunti. La nave del re
-c’investì la prima nello scarmo di prua, e si concatenò amorosamente
-con noi. Avevamo dal lato opposto un’altra nave, una da poppa, una a
-prua. Non pensate già che i nostri marinari e patroni fuggissero, che
-anzi si spinsero addosso, e così rimanemmo essi e noi tutti legati
-insieme. Le galee aragonesi davano gente fresca alle navi loro; e
-le navi ci traevano bombarde e balestre ove più loro piaceva, perchè
-la calma era grandissima. Non pertanto, dopo combattuto dalle dodici
-sino alle ventidue senza riposo, in grazia della giustizia della causa
-nostra l’Altissimo ne diè vittoria. Primamente pigliammo la nave del
-re, e le altre nostre ne presero undici; una galea loro fu abbruciata,
-una sommersa e abbandonata, due si sono levate dalla battaglia e
-fuggitesi per portarne le nuove. Sono rimasti prigioni il re d’Aragona,
-il re di Navarra, il gran maestro di San Jacopo, il duca di Sessa,
-il principe di Taranto, il vicerè di Sicilia, e molti altri baroni,
-cavalieri e gentiluomini, oltre a Meneguccio dell’Aquila, capitano di
-cinquecento lance; gli altri prigioni sono a migliaja. Non so donde
-cominciare per degnamente riferire le lodi e le prodezze di tutti i
-miei compagni e marinari, insieme con l’ubbidienza e riverenza grande
-che mi hanno sempre usata, e massimamente il dì della battaglia; che se
-avessero combattuto alla presenza delle signorie vostre, non avrebbero
-potuto fare di più. Cristo ne presti grazia che possiamo andare di bene
-in meglio»[30].
-
-Il re prigioniero, con due fratelli e un centinajo di baroni spagnuoli
-e siciliani, fu spedito a Milano a Filippo Maria Visconti allora
-signore di Genova; al quale il re colle cortesi e colte sue maniere
-seppe ispirare fiducia, e gli persuase come la grandezza dei duchi
-di Milano fosse derivata dalla debolezza dei reali di Napoli, sicchè
-ne sarebbe guasta, e con essa l’indipendenza italiana, se una casa
-francese si stabilisse laggiù, la quale certo intaccherebbe anche la
-Lombardia. Il freddo Filippo restò capace di quelle ragioni, e non solo
-il rese in libertà senza riscatto, ma il fornì di mezzi per ricuperare
-quel regno.
-
-Anche l’altro re di Napoli Renato, valorosamente combattendo nelle
-guerre di Francia, era caduto prigione del duca di Borgogna; ma avendo
-con grossi sacrifizj ricuperato la libertà, si cominciò una guerra,
-dove i competitori fecero gara di valore e di generosità. Renato,
-signore di piccolo paese, esausto dalle taglie pagate per riscattarlo,
-nè sostenuto che da un papa esule, non avrebbe potuto pettoreggiare
-Alfonso, se non fossero state le bande di Giacomo Caldóra duca di
-Bari, che avea raggomitolato le truppe lasciate da re Ladislao, e dopo
-la morte di Braccio e di Sforza restava in nome di primo capitano
-d’Italia; ma come, lui morto, Antonio suo figlio degenere si guastò
-cogli Angioini, questi precipitarono; e Alfonso, scoperto un condotto
-sotterraneo, penetrò in Napoli; Renato, che colla bontà e col dividere
-pericoli e patimenti erasi fatto amare dai Napoletani, ritirossi
-in Francia (1442); il papa, che non gli aveva dato sin allora che
-promesse, lo riconobbe, e coronò re d’un paese che aveva perduto.
-
-Alfonso, entrato trionfalmente con una corona in capo e sei al piede
-per dinotare gli altri suoi regni di Aragona, Sicilia, Valenza,
-Corsica, Sardegna, Majorca, dotò i nobili spagnuoli e napoletani suoi
-fautori a spese degli avversarj; al Regno aggiunse lo Stato di Piombino
-e l’isola del Giglio, ch’erangli come porte verso la Toscana; brigò in
-tutte le vicende italiane, intanto che in una corte voluttuosissima
-abbandonavasi alle delizie ed agli studj; manieroso e scaltrito,
-generosissimo nel donare, suntuoso negli spettacoli, nelle caccie,
-nei concerti, negli edifizj, faceasi leggere continuamente qualche
-classico, frapponendo erudite interrogazioni, e neppure fra l’armi
-lasciava Giulio Cesare e Quinto Curzio: ma Tito Livio era il suo
-manuale, sino a far tacere la musica per udirlo; gli parve un gran che
-l’ottenere dai Veneziani un osso del braccio di lui, che con solennità
-fece trasportare a Napoli; e Cosmo de’ Medici lo calmò, dopo un torto
-fattogli, col donargli un bell’esemplare delle _Deche_. Pedestre si
-recava a udire i professori dell’Università; e quando morì Giulian da
-Majano, ne fece accompagnare il mortorio da cinquanta suoi vassalli in
-corrotto. La più frequente sua conversazione era cogl’illustri eruditi
-d’allora, Giorgio da Trebisonda, il Valla, il Filelfo, il Panormita, il
-Manetti, il Decembrio, il Bruno, l’Aretino, Giovanni Aurispa, Giovian
-Pontano, Teodoro Gaza, il Crisolara. Aveva anche letto quattordici
-volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da Lira, e l’allegava ogni
-tratto; recitava tutti i giorni il rosario, sentiva due messe piane
-e una cantata, nè per qualsiasi caso se ne sarebbe dispensato; alle
-solennità assisteva ginocchioni, scoperto, cogli occhi immoti sul
-libriccino; il giovedì santo lavava e baciava i piedi ai poveri, ogni
-notte sorgeva a dir l’uffizio, digiunava tutte le vigilie e i venerdì
-in solo pane, accompagnava il viatico agl’infermi[31]. Passeggiava in
-mezzo al popolo, e a chi gli insinuava qualche sospetto, — Di che può
-temere un padre tra’ suoi figliuoli?»
-
-Sedeva egli più spesso a Napoli, dove istituì la Sacra Corte reale
-di santa Chiara, ossia Capuana, giustizia suprema, estesa su tutti
-i suoi Stati. Ai baroni napoletani concedeva nelle investiture la
-giurisdizione col mero e misto imperio che mai non aveano avuta, di
-sì preziosa prerogativa della corona facendo prodigalità perchè non
-s’opponessero alla successione di Ferdinando suo figlio legittimato.
-
-Questo credeasi nato da Margherita di Hijar; e la moglie d’Alfonso fece
-strangolare questa damigella, che dicono coll’onor suo salvasse quello
-di dama più alta. Alfonso mandò la moglie in Ispagna giurando non più
-andarvi esso; poi, d’intesa col pontefice, in testamento nominò esso
-Ferdinando re di Napoli, cioè del paese da lui conquistato, mentre
-a suo fratello Giovanni re di Navarra lasciava gli aviti di Sicilia,
-Sardegna ed Aragona. In morte raccomandò al figlio: — Se volete vivere
-quieto, non imitate me in tre cose: primo, sbrattatevi di tutti gli
-Aragonesi e Catalani da me esaltati; e Italiani, massime regnicoli,
-elevate agli impieghi, mentr’io gli ho guardati d’occhio sinistro:
-secondo, i nuovi aggravj da me posti ritornate alla misura antica:
-terzo, conservate la pace fatta colla Chiesa, e tenetevela amica se
-sapete»[32].
-
-
-
-
-CAPITOLO CXV.
-
-L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza.
-
-
-Filippo Maria Visconti duca di Milano, non sanguinario come il
-fratello, ma cupo e diffidente, abile a celare i sentimenti proprj
-e succhiellare gli altrui, fatta pace oggi, la rompeva domani per
-rannodare bentosto nuovi accordi; abbatteva chi dianzi aveva sollevato;
-diffidava di tutti, di tutti ingelosiva, nè mai sapea perdonare i
-ricevuti benefizj. Non solo pospose a una druda la moglie Beatrice,
-ma volle svergognare lei e sbarazzar sè coll’imputarla d’adulterio
-con un paggio Orombello, e affrontando il proprio disonore mandolla
-al patibolo: la posterità esita sulla colpa di lei, non perdona al
-rigore e alla procedura di lui. Verso i migliori condottieri alternò
-lusinghe e minaccie, carezze e insidie; in trentacinque anni di regno,
-tre sole volte convocò il consiglio generale, intanto che fidavasi
-a malvagi consiglieri, ad aguzzetti di sue ingenerose passioni, ad
-Agnese del Maino sua amica, a Zannino Riccio suo astrologo; perocchè
-all’astrologia sottoponeva egli spesso le sue risoluzioni. Negletto
-del vestire, pigro, corpulento, sul fin della vita anche cieco, e
-della pinguedine e della cecità vergognando, chiudevasi con pochissimi
-a ravviluppare una tortuosa e meschina politica, e passionato per
-l’intrigo, non credea ben riuscire ove a questo non ricorresse. Vero è
-che molti ebbe a disgustare nel ricuperare i possessi aviti; ed essi lo
-avversarono a segno, che molto bisogna dedurre dal male che ne dissero,
-e che gli storici hanno ripetuto.
-
-Filippo Maria, estendendo il dominio, diè di cozzo in tre repubbliche,
-la svizzera, la fiorentina, la veneta. Talmente la storia italiana fu
-intrecciata colla svizzera, che ci corre obbligo d’arrestarci alquanto
-su questa.
-
-Gli Elvezj, collocati nel gruppo centrale delle Alpi donde scendono
-i fiumi alla Germania e all’Italia, aveano opposto alla conquista
-romana il coraggio di montanari; poi sottomessi, parte restarono
-coll’Italia, parte colla Gallia e la Germania. I Barbari diretti
-all’Italia attraversarono quel paese, alcuni vi presero stanza, e di
-mezzo alla conquista e alla feudalità vi si compirono le vicende stesse
-della Germania e dell’Italia. San Gallo, Appenzell (_Abbatis Cella_),
-San Maurizio, Zurigo, Glaris, Lucerna erette intorno a conventi, le
-insigni badie di Einsiedlen e Dissentis, attesteranno in perpetuo
-che l’incivilimento vi fu recato da que’ monaci, ai quali testè parve
-liberalismo il negare fin un ricovero.
-
-Molti signori si erano, al modo feudale, spartito il paese in dominj
-militari ed ecclesiastici, che riconoscevano la supremazia dell’Impero:
-vi si contavano cinquanta contee, cencinquanta baronie, mille famiglie
-nobili; varie città possedeano franchigie e privilegi comunali alla
-germanica; e attorno al lago de’ Quattro Cantoni, Schwitz (che poi
-diede nome a tutto il paese) godeva una tranquilla libertà all’ombra
-del monastero di Einsiedlen, e davasi mano con Uri e Unterwald per
-respingere chi a quella attentasse.
-
-E v’attentavano di fatto i signorotti vicini, e massime i conti
-d’Habsburg castello dell’Argovia, e viepiù da che Rodolfo salì
-imperatore di Germania. Egli rispettò quelle comunali franchigie:
-ma Alberto d’Austria suo figlio e successore cercò ridurre que’
-cantoni patriarcali in sua immediata dipendenza; e lasciava che i
-balii suoi soprusassero. Quei poveri ma robusti mandriani pertanto si
-confederarono (1307) onde resistere alla tirannia austriaca, e «in nome
-di Dio che ha fatto l’imperatore e il villano, e dal quale derivano i
-diritti degli uomini», giurarono non far torto ai signori Absburghesi,
-ma non soffrire veruna diminuzione de’ proprj diritti.
-
-Alberto considerò siffatto accordo di difesa come una cospirazione ad
-offesa, e veniva coll’armi per punirla, allorchè tra via fu assassinato
-da un nipote, di cui aveva usurpato l’eredità. Leopoldo suo figlio
-mosse l’esercito feudale contro i confederati (1315), ma a Morgarten la
-sua esercitata cavalleria fu messa in piena rotta dalle subitarie bande
-paesane. Le vittorie assodano quella libertà, cioè l’esercizio dei
-diritti naturali e civili di ciascun paese: ai tre cantoni s’aggiungono
-Lucerna, Zurigo, Glaris, Zug, Berna, poi Aarau, Friburgo, Soletta,
-Basilea, Sciaffusa e Appenzell. Sempre invocando la Madonna, san
-Fridolino, sant’Ilario, alla battaglia di Sempach (1386) distruggono
-un nuovo esercito degli Austriaci, i quali, dopo altre sconfitte, sono
-costretti a lasciare i cantoni in pace, benchè trecento anni ancora
-tardassero a riconoscerne formalmente l’indipendenza. Poco mancò che
-gli Svizzeri traessero nella lega anche il Tirolo, lo che avrebbe anche
-da quel lato riparata l’Italia dalle ambizioni dell’Austria.
-
-Nella Rezia s’erano forse ridotti in antichissimo gli avanzi degli
-Etruschi; poi, allo sfasciarsi dell’Impero, buon numero di Romani,
-come lo attesta la lingua ladina e romancia che vi si parla finora, di
-fondo latino mescolato al tedesco. Ivi pure acquistarono preponderanza
-varj tirannelli e i vescovi di Coira, per gran tempo suffraganti al
-metropolita di Milano: ma i popolani, alleandosi fra loro e istituendo
-i Comuni, ne frenarono le prepotenze. Come i nostri nel convento di
-Pontida, così alcuni Reti presso a quello di Dissentis radunaronsi per
-giurare di difendersi a vicenda; e così costituirono la lega Caddea
-(_ca de Dio_) (1401). Altri ne presero coraggio a domandare ai loro
-signori giustizia e sicurezza; e i signori adunatisi a Truns (1424),
-giurarono d’essere buoni e fedeli confederati nella lega Grigia,
-che diede agli altri il nome di Grigioni. Morto poi l’ultimo conte
-di Tockenburg (1436), i suoi vassalli strinsero la lega delle Dieci
-Dritture; e le tre a Vazerol combinarono la repubblica de’ Grigioni
-(1471), la quale alleatasi poco stante colla Confederazione svizzera
-(1497), represse gli Austriaci, ed assicurò l’intera libertà.
-
-Libertà di fatti positivi, semplici, intesi da tutti, non stillati da
-accademici e da avvocati; benedetta dalla religione, assicurata col
-proprio sangue, e che poterono conservare fin ad oggi, mentre l’ha
-perduta il paese nostro che ad essi serviva d’esempio. Sventuratamente
-però anch’essi l’abusarono in interne riotte; poi li prese il mal vezzo
-di vendere il proprio valore a chi li richiedesse, e l’ambizione di
-voler fare conquiste. Buon’ora essi volsero gli occhi di qua dell’Alpi
-Lepontine e delle Retiche per agognare il bel paese, dal quale
-ricevevano il bestiame loro, le pelli e i formaggi.
-
-Dalla cresta del San Gotardo piove a settentrione la Reuss nel lago dei
-Quattro Cantoni, per una valle inaccessibile se l’arte non v’avesse
-praticato il ponte del Diavolo e la buca di Uri. Salendo dalla quale
-verso meriggio, traversata la pascolosa valle Orsera a millecinquecento
-metri sovra il mare, alla vetta del Gotardo il pellegrino trovava
-ricovero nell’Ospizio, mantenuto con cento scudi l’anno dagli
-arcivescovi di Milano e dalla carità de’ fedeli. Colà incominciava il
-Milanese; e scendendo pel pendìo meridionale a seconda del Ticino, dopo
-la scoscesa val Trémola, si veniva alla Leventina, già munita di torri
-longobarde, indi a Giorníco e Poleggio, poi a Bellinzona, cittadina
-che con buon castello ed estesa mura chiudeva quel passo, non guari
-distante dal lago Maggiore. Qui pure confluisce la Mesolcina, valle
-della Moesa, donde s’ha un altro passaggio all’alta Rezia pel San
-Bernardino. Varcando poi il monte Cenere, si cala al lago di Lugano,
-che fa già parte della pianura milanese, e che, coi laghi di Como
-a levante, di Varese a mezzogiorno, e Maggiore a ponente, forma la
-contrada più pittoresca della Lombardia.
-
-Tra le alture alpine rimanevano ancora alquante piccole signorie, come
-i Sax nella Mesolcina e a Bellinzona, i Rusca a Lugano, gli Orelli
-a Locarno; delle valli Leventina, di Blenio e Riviera il capitolo
-della metropolitana di Milano fin dal X secolo tenea la dominazione
-spirituale e temporale. Gli abitanti della Leventina aveano avuto
-qualche rissa coi valligiani della valle Orsera, a vendicare i quali
-gli Svizzeri valicarono il San Gotardo e scesero fin a Giorníco (1331);
-ma il signor Franchino Rusca colle buone gli arrestò. Essi Rusca
-poi e i signori di Milano aveano invitato ora ad ora gli Svizzeri a
-sostenerli colle armi; modo di invogliarli d’un paese che potea porgere
-e vitto ed agi alla soverchiante popolazione delle montagne. Avendo poi
-i gabellieri di Gian Galeazzo Visconti (1405) tolto ai coloro paesani
-bovi e cavalli che conducevano al mercato di Varese, i tre Cantoni
-montani s’appellano agli altri, e non soddisfatti dal duca, varcano
-le Alpi; favoriti dalle dissensioni di Guelfi e Ghibellini, occupano
-la Leventina, e costrettala a giurar loro fedeltà, tornano in patria.
-Ma essendo dai Sax assalita quella valle, gli Svizzeri di fitto verno
-ricompajono, e a Faído dettano la pace (1406), per duemila quattrocento
-fiorini acquistando quant’è fra la Leventina e il monte Cenere,
-compresa Bellinzona medesima, il che assicurava loro il valico alla
-Mesolcina e al Milanese.
-
-Gravava a Filippo Maria il lasciare in man loro quella chiave d’Italia;
-onde, côlto un bel destro, sorprese Bellinzona, e tornò la Leventina
-a sua obbedienza (1422). Tosto le vallate del Ticino e della Moesa
-echeggiano del corno di Unterwald e del toro di Uri, che guidano gli
-alpigiani alla riscossa; ma Angelo della Pergola e il Carmagnola
-con seimila cavalli e quindicimila fanti gli affrontano nel piano
-d’Arbedo (30 giugno). Erano ben altre pugne che quelle consuete in
-Italia. Gli Svizzeri, maneggiando a due mani i lunghi spadoni, senza
-rispetti cavallereschi cacciavanli nelle pancie dei destrieri, e non
-davano quartiere; onde fu necessario l’estremo del valore contro gente
-usata a morire sul posto assegnato, e in fitta ordinanza sostenere
-l’urto de’ nemici, come le roccie dei loro monti rompono la piena
-dei torrenti. L’intera giornata si pugnò, finchè il Pergola impose
-a’ suoi di scavalcare: allora l’arte prevalendo, duemila Svizzeri
-perirono, altri infissero a terra le punte delle labarde in segno
-d’arrendersi, e pochi e disordinati ripassarono le valli, che aveano
-dianzi fatto risonare coi canti di loro avida speranza. Era quella la
-prima grave sconfitta che gli Svizzeri toccassero, onde per allora si
-tennero quieti: ma non tardarono occasioni di capiglie: e quelli di
-Uri ripresero la Leventina, per più non lasciarla fin alle rivoluzioni
-dei nostri giorni. Trovandosi aperto quel varco all’Italia, vennero a
-scialacquarvi tante vite, che meglio avrebbero serbate a prosperare la
-loro libertà.
-
-Firenze, sempre rôcca dell’italica indipendenza, spiava gelosa i
-progressi di Filippo Maria, e con lui stipulò (1419) che il fiume
-Magra tra il Genovesato e la Lunigiana, e il Panàro tra il Bolognese
-e il Modenese fossero i limiti, di qua e di là dei quali nessun di
-loro acquisterebbe nè mesterebbe. Ma Filippo, ottenuto Genova (1421),
-al doge Tommaso Campofregoso diede in compenso Sarzana, posta di là
-della Magra; poi trasse a sè la tutela del principe di Forlì, e mandò
-truppe sul Bolognese contro gli eredi della casa Bentivoglio; sicchè
-esclamando ai patti violati, i Fiorentini gli scoprirono guerra.
-
-Allora la solita gara di procacciarsi ciascuno alleanze e fautori,
-e massimamente di trarre a sè Venezia. Questa avea tocco l’apogeo
-di sua grandezza, e non mancava chi la consigliasse ad estendere le
-sue conquiste sopra tutta Italia, al modo dell’antica Roma: ma altri
-mostravano quanto pericoli la libertà dove preponderano le armi, e
-come dai possessi in terraferma resterebbe danneggiata una repubblica
-che, sorta in mezzo alle acque, dalle acque doveva aspettarsi salute e
-gloria. La politica conservatrice era rappresentata dal doge Tommaso
-Mocenigo; e quando nel 1421 si dibatteva nel maggior consiglio se
-mettersi in lega co’ Fiorentini contro il duca di Milano, egli stette
-sempre al no; e perchè Francesco Fóscari procurator giovane infervorava
-alla guerra, ne ribatteva con lunga parabola le insinuazioni.
-
-— Il nostro procurator giovane ha detto ch’egli è buono soccorrere
-i Fiorentini, perchè il loro bene è il nostro, e per conseguenza il
-nostro è il loro male. Noi vi confortiamo siate in pace. Se mai il
-duca vi facesse guerra ingiusta, Iddio, il quale vede tutto, ci darà
-vittoria. Viviamo in pace, perchè Iddio è la pace; e chi vuol guerra,
-vada all’inferno».
-
-Qui il Mocenigo scorre la storia sacra, mostrando come Dio premiasse
-i pacifici, e i superbi e guerreschi disajutasse, e prosegue: — Così
-intraverrà de’ Fiorentini per voler fare i loro desiderj; Dio disferà
-la lor terra e il loro avere, e verranno ad abitar qui pel modo che
-sono venute altre loro famiglie colle donne e putti. Altramente, se
-verremo a far il volere del nostro procurator giovane, i nostri si
-partiranno e anderanno ad abitare in terre aliene. Discese Attila per
-tutto rovinando, e cacciando gli uomini occidentali, e saccomannandoli;
-e Iddio ispirò alcuni potenti, i quali vennero per sicurezza ad abitare
-in queste lagune, per modo che si trovarono salvi, come da Dio eletti.
-Se noi facessimo a modo che propone il nostro procurator giovane,
-Dio non ci avrebbe più per eletti, e aspetteremmo quello che hanno
-aspettato tutte le altre terre, rovinate e poste a sacco, e uccise le
-genti, e avuti mali assai. Se i Fiorentini vanno cercando il male,
-lasciateli: ma noi che siamo della città eletta su tutte l’altre,
-restiamo in pace.
-
-«Procurator giovane; Cristo pe’ suoi vangeli disse _Io vi do la pace_.
-Se noi facessimo a modo vostro, e preterissimo i comandamenti di
-Cristo, cosa potrebbesi aspettare se non male e distruzione? Procurator
-giovane: andiamo commemorando il Testamento vecchio e il nuovo.
-Quante città grandi sono diventate vili per le guerre? e per la pace
-si sono fatte grandi con moltiplicare la generazione, palagi, oro,
-argento, gioje, mestieri, signori, baroni e cavalieri. Come entrarono
-a guerreggiare, ch’è il mestiere del diavolo, Iddio le abbandonò e
-restarono divise; distruggevansi nelle battaglie gli uomini; l’oro e
-l’argento mancava; infine furono distrutte così com’eglino distrussero
-l’altre terre, e andarono schiave d’altri. Dove questa terra ha regnato
-mille e otto anni, Iddio la distruggerà».
-
-Qui ripiglia la storia profana insino a Roma. — Per le lunghe guerre,
-imposte alle terre angarie grandi, i cittadini desiderando nuovo
-stato, Cesare se ne fece signore, e di male in male si stettero. Questo
-medesimo occorre a’ Fiorentini; gli uomini d’arme tolgono loro denari
-e sono i signori; ed essi obbediscono a que’ che sono loro servi,
-villani, genti maledette, uomini d’arme. Così intraverrà a noi se
-faremo a modo del procurator giovane. Pisa si fece grande, ricca ed
-abitabile per la pace e pel buon governo; come desiderò quel d’altri,
-in far guerra s’impoverì de’ cittadini, uno cacciava l’altro, tanto
-che la più vile comunità d’Italia li sottomise, che fu Firenze. Così
-interverrà a’ Fiorentini; e già si vede che sono impoveriti e stanno
-divisi. Così intraverrà di noi se faremo a modo del nostro procurator
-giovane. Come ho detto di questa, si dica di tutte l’altre città.
-
-«Adunque voi, ser Francesco Foscari nostro procurator giovane, non
-parlate mai più nel modo che avete fatto, se prima non avete buona
-intelligenza e buona pratica; perocchè Firenze non è il porto di
-Venezia nè da mare nè da terra, il suo mare essendo lontano dai nostri
-confini cinque giornate. I nostri passi sono il Veronese; il duca di
-Milano è quello che confina con noi, ed egli dev’essere tenuto in
-amicizia, perchè in manco d’un giorno si va a una sua città grossa
-ch’è Brescia, la quale confina con Verona e Cremona. Genova potrebbe
-nuocere, ch’è potente per mare sotto il duca, e con essa si vuole
-star bene: ma quando i Genovesi volessero novità, abbiamo la giustizia
-con noi; noi ci difenderemo valentemente e contro i Genovesi e contro
-il duca, colla ragione. La montagna del Veronese è la nostra difesa
-contro al duca, la quale per se medesima s’è già difesa: oltre a ciò,
-difendono tutto il nostro paese il paludo e l’Adige e tremila cavalli
-con tremila fanti e con duemila balestrieri; e se abbisognasse più
-gente fare, faremmo resistenza a tutta la potenza del duca con altre
-tremila persone. Però godete la pace. Se il duca avrà Firenze, i
-Fiorentini, che sono usi a vivere a comune, si partiranno da Firenze,
-e verranno ad abitare a Venezia, e condurranno il mestiere de’ panni
-di seta e di lana, per modo che quella terra rimarrà senz’industria, e
-Venezia moltiplicherà, come intravenne di Lucca quando un cittadino se
-ne fece signore, che la ricchezza sua venne a Venezia, e Lucca diventò
-povera. Però state in pace.
-
-«Ser Francesco Foscari, se voi vi trovaste un giardino in Venezia, che
-vi desse ogni anno tanto frumento da viverne cinquecento persone, e
-oltre a questo ne aveste molte staja da vendere; che il detto giardino
-vi desse tanto vino per cinquecento persone, e oltre ne aveste da
-vendere molte carra; che vi desse ogni sorta biade e legumi per
-assai denari, e ancora ogni sorta di frutta da viverne cinquecento
-persone ogni anno, e che ve ne fosse da vendere; e il detto giardino
-vi desse ogni anno tra buoi, agnelli, capretti e uccelli di ogni
-sorta per bastare a cinquecento persone, e ne avanzassero da vendere;
-e similmente tanto formaggio ed uva e pesce, e non avesse spesa
-alcuna d’essere guardato, converrebbe dire che questo giardino fosse
-nobilissimo, dando tante cose. Se poi una mattina vi fosse detto: _Ser
-Francesco, i vostri nemici sono andati in piazza a togliere trecento
-marinaj, e hannoli pagati per entrare in questo vostro giardino, e
-questi portano cinquecento ronconi per guastare gli alberi e le vigne;
-e cento villani con cento buoi e con cento erpici per guastare tutte
-le piante, e far danno a tutti animali grossi e minuti;_ e se voi foste
-savio nol soffrireste, ma sodereste alla casa, e terreste tanto denaro
-per assoldare mille uomini incontro a quei che vogliono menar guasto.
-Ma se voi pagaste, ser Francesco, quei cinquecento uomini co’ ronconi e
-que’ cento villani a guastare il giardino cogli erpici? verrebbe detto
-che siete diventato pazzo.
-
-«Per provare se siamo in proposito, abbiamo deliberato di esporre il
-commercio che fa Venezia al presente e con chi. Ogni settimana vengono
-da Milano ducati diciassette in diciottomila, che farebbono in un anno
-la somma di ducati novecentomila, che entrano in questa città:
-
- alla settimana all’anno
- da Monza 1000 52,000
- — Como 2000 104,000
- — Alessandria della Paglia 1000 52,000
- — Tortona e Novara 2000 104,000
- — Cremona 2000 104,000
- — Bergamo 1500 78,000
- — Parma 2000 104,000
- — Piacenza 1000 52,000
-
-«S’introducono nel paese del duca di Milano merci per un milione
-seicentododicimila ducati d’oro all’anno. Vi pare che questo a Venezia
-sia un bel giardino e nobilissimo senza spesa?
-
-«Alessandria, Tortona e Novara vi mettono
-
- per pezze di panno che valgono
- all’anno 6,000 ducati 90,000
- Pavia » 3,000 » 45,000
- Milano » 4,000 » 120,000
- Como » 12,000 » 180,000
- Monza » 6,000 » 90,000
- Brescia » 5,000 » 75,000
- Bergamo » 10,000 » 70,000
- Cremona » 40,000 fustagni » 170,000
- Parma » 4,000 panni » 60,000
- —————— ———————
- in tutto pezze 90,000 ducati 900,000
-
-«Oltre a questo abbiamo per l’entrata, magazzino ed uscita de’
-Lombardi, a ducati uno per pezza, ducati ducentomila, che monta con le
-merci a ventotto milioni ottocentomila ducati. Vi pare che questo sia
-un bellissimo giardino a Venezia?
-
-«Ancora vengono canepacci per la somma di ducati centomila all’anno.
-Delle seguenti cose i Lombardi traggono da voi ogni anno:
-
- Cotoni, migliaja 5,000 per ducati 250,000
- Filati » 20,000 da 15 fino a 20
- ducati il centinajo 30,000
- Lane catalane a ducati 60, il migliajo 4,000 240,000
- Lane francesche » 30 4,000 120,000
- Panni d’oro e di seta all’anno 250,000
- Pepe, carichi 3,000 a ducati 100 300,000
- Canelle, fardi 400 » 160 64,000
- Zenzero, migliaja 200 » 400 80,000
- Zuccari d’una, due, o tre cotte, sossopra
- ducati 15 il cento 95,000
- Zenzeri verdi, per assai migliaja di ducati. — Cose
- d’ogni sorta per ricamare o per cucire 30,000
- Verzino, migliaja 4,000 a ducati 30 120,000
- Endaghi e grane 50,000
- Saponi per ducati 250,000
- Uomini schiavi 30,000
-
-«Per modo che, fatta la stima del tutto, verrebbe ad essere due milioni
-ottocentomila ducati. È questo un bel giardino a Venezia senza spesa?
-
-«Ancora assai si vantaggia co’ sali che si vendono ogni anno. Il quale
-trarre che fa la Lombardia da questa terra, è cagione di fare navigare
-tante navi in Sorìa, tante galere in Romanìa, tante in Catalogna,
-tante in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del mondo;
-per modo che riceve Venezia, tra provvigioni e noli, due e mezzo e
-tre per cento; sensali, tintori, noli di navi e di galere, pesatori,
-imballatori, barche, marinaj, galeotti e messetterie coll’utile dei
-mercatanti tra il mettere, eccovi un’altra somma di seicentomila
-ducati ai nostri di Venezia senz’alcuna spesa. Dal qual utile vivono
-molte migliaja di persone grassamente. È questo un giardino da doversi
-disfare? mai no; bensì da essere difeso da chi lo volesse disfare. Ci
-converrebbe togliere uomini d’arme che andassero sopra il detto paese
-guastando alberi e ville, abbruciando case e villaggi, depredando
-animali, e buttando giù mura di città e castelli, uccidendo uomini con
-desolazione, mettendo angarie alle nostre terre, sì ai cittadini come
-ai villani, e in questa città mettendo angarie alle case, prestiti alle
-mercatanzie, alle navi e alle galere? Dio sa quello che volessimo fare
-sul paese del duca: ma potrebbe occorrere che il duca salvasse il suo,
-e rimediasse ad ogni modo al male, e noi intanto saremmo stati cagione
-di disfare i luoghi nostri. Che varrebbero allora tante spezierie, e
-panni d’oro e di seta? niuno li torrebbe più, perchè non avrebbene il
-potere. E affinchè voi, signori, n’abbiate qualche notizia, sappiate
-che Verona toglie ogni anno broccato d’oro, d’argento e di seta, pezze
-ducento, Vicenza centoventi, Padova ducento, Treviso centoventi, il
-Friuli cinquanta, Feltre e Cividal di Belluno dodici; pepe, carichi
-quattrocento; cannelle, fardi centoventi; zenzeri di tutte sorta,
-migliaja e altre spezierie assai; zuccari, migliaja cento; pani di
-cera, ducento.
-
-«Come noi devastassimo il loro ricolto, eglino non avrebbono di che
-spendere, e se ne danneggerebbero tutte le mercatanzie di Venezia. Però
-non si vuol credere al nostro procuratore giovane. Al duca di Milano
-converrebbe, per difendersi, assoldare gente d’arme, mettere angarie ai
-villani, cittadini e gentiluomini, per modo ch’e’ non avrebbe danaro da
-comperare le sopradette cose, in discapito e rovina della nostra città
-e cittadini.
-
-«Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli ambasciatori dei
-Fiorentini, ch’essi chiedano alla comunità loro licenza di praticare
-di pace. Se starete in pace, raunerete tant’oro che tutto il mondo vi
-temerà, e avrete Iddio sopratutto che sarà per voi. Iddio, signore di
-tutto, colla Nostra Donna e con messere san Marco vi lasci prendere la
-pace ch’è ben nostro»[33].
-
-L’anno seguente rinnovando i Fiorentini le istanze, e dicendo, se
-Venezia non li soccorresse, dovrebbero fare come Sansone, che uccise
-se stesso con tutti i nemici suoi; e se restassero vinti, il loro
-servaggio produrrebbe quello di tutta Italia, esso doge in consiglio
-parlò: — Signori; voi vedete che per le novità d’Italia ogni anno
-vengono nella città di Venezia assai famiglie colle donne e’ figliuoli
-e coll’avere, e vanno empiendo la terra nostra; e pel simile da
-Vicenza, Verona, Padova, Treviso, con utilità grande della nostra
-città; e da ogni parte contadini e famiglie buone vengono ad abitare
-nelle nostre terre per vivere pacificamente coi loro mestieri, essi e
-i figliuoli. Vorrete guerra? questi si partiranno, struggendo la vostra
-città, e tutte l’altre; e de’ nostri partiranno. Però amate la pace. Se
-i Fiorentini si daranno al duca, loro danno; che ne darà impaccio? la
-giustizia è con noi. Essi hanno speso, consumato, e si sono indebitati:
-noi siamo freschi, e abbiamo in giro un capitale di dieci milioni
-di ducati. Vogliate vivere in pace, e non temere alcuna cosa, e non
-fidarvi ne’ Fiorentini, i quali pel passato ci hanno messo in guerra
-coi signori della Scala, e ci domandarono in prestito mezzo milione di
-ducati; quando volemmo darli loro, si accordarono con que’ della Scala
-contra di noi: questo fu del 1333. Del 1412 fecero scendere contro di
-noi Pippo fiorentino, capitano degli Ungheri, il quale ci fece grandi
-danni....
-
-«Signori, non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo per dire la verità
-e il bene della pace. I nostri capitani d’Acquamorta, di Fiandra, per
-le nostre ambasciate che vanno attorno, pe’ nostri consoli e pe’ nostri
-mercatanti, sapete che si dice ad una voce: _Signori Veneziani, voi
-avete un principe di virtù e di bontà, che vi ha tenuto in pace, e vi
-tiene per modo vivendo in pace, che siete i soli signori che navigate
-il mare e andate per terra, per modo che siete la fonte di tutte le
-mercatanzie, e fornite tutto il mondo, e tutto il mondo vi ama e sì vi
-vede volentieri. Tutto l’oro del mondo viene nella vostra terra. Beati
-voi finchè vivrà questo principe, e ch’egli sarà con simile proposito.
-Tutta l’Italia è in guerra, in fuoco e in tribolazione, e pel simile
-tutta la Francia e tutta la Spagna, tutta la Catalogna, Inghilterra,
-Borgogna, Persia, Russia ed Ungheria. Voi avete solo guerra
-cogl’infedeli che sono i Turchi, con vostra grande laude e onore._
-Però, signori, finchè vivremo, seguiremo simil modo; e vi confortiamo
-che dobbiate vivere in pace, e dar risposta a’ Fiorentini, come facemmo
-già un anno, presa da tutto il consiglio».
-
-L’autorità del doge ottagenario elise gli sforzi dei partigiani della
-guerra; però sentendosi approssimarsi al suo fine, egli chiamò alquanti
-senatori, e così prese a dire: — Signori, abbiam mandato per voi
-dacchè Iddio ci ha voluto dare questa infermità come fine del nostro
-peregrinare. A Dio Padre, Figliuolo e Spirito Santo, trino ed uno,
-siamo obbligati per molte ragioni. Esso insegna ai Quarantun elettori
-di difendere la religione cristiana, d’amare i prossimi, di fare
-giustizia, di pigliar pace e conservarla. Nel tempo nostro abbiamo
-diffalcato di quattro milioni d’imprestiti, fatti per la guerra di
-Padova, di Vicenza e di Verona; il nostro monte si trova in sei milioni
-di ducati; e ci siamo sforzati che ogni sei mesi si abbiano pagate
-due paghe degl’imprestiti, e tutti gli offizj e reggimenti, e tutte le
-spese dell’arsenale, e ogni altro modo.
-
-«Per la pace nostra la nostra città manda dieci milioni di capitale
-ogni anno per tutto il mondo con navi e galere, per modo che
-guadagnano, tra mettere e trarre, quattro milioni. Al navigare
-sono navigli tremila, d’anfore dieci fino a ducento, con marinaj
-diciannovemila; navi trecento, che portano uomini ottomila; fra
-galere grosse e sottili ogni anno quarantacinque, con marinai
-undicimila; abbiamo sedicimila marangoni. La stima delle case
-somma a sette milioni, gli affitti delle case cinquecentomila; sono
-mille gentiluomini, che hanno di rendita annua ducati settantamila
-fino a quattromila. Voi conoscete il modo con cui vivono i nostri
-gentiluomini, cittadini e contadini. Ben però vi confortiamo che
-dobbiate pregare l’onnipotenza di Dio, la quale ci ha inspirato di fare
-nel modo che abbiasi fatto, e di proseguire così. Se questo voi farete,
-vedrete che sarete signori dell’oro de’ Cristiani, e tutto il mondo vi
-temerà. Guardatevi, quanto dal fuoco, dal togliere le cose d’altri e
-dal fare guerra ingiusta, che Dio vi distruggerà. Perchè possiam sapere
-chi toglierete per doge dopo la nostra morte, segretamente lo direte
-a me nell’orecchio, per potervi confortare a quello sia meglio alla
-nostra città».
-
-Udito i nomi, li collaudò, ma — Quei che dicono di volere ser Francesco
-Foscari, dicono bugie e cose senza fondamento. Se voi lo farete doge,
-in breve sarete in guerra; chi avea diecimila ducati non ne avrà
-che mille, chi avea dieci case non si troverà che su di una, e così
-d’ogni altra cosa; per modo che vi disfarete del vostr’oro e argento,
-dell’onore e della riputazione dove voi siete, e di signori che siete,
-sarete servi e vassalli d’uomini d’arme, di fanti, di saccomanni e
-di ragazzi. Però ho voluto mandare per voi, e Dio vi lasci reggere e
-conservar bene. Per la guerra de’ Turchi, di valentissimi uomini in
-mare porrete ad ogni intromessione sì nel governo che nell’utilità.
-Voi avete otto capitani da governare sessanta galere e più, e così di
-navi: avete tra’ balestrieri, gentiluomini che sarebbono sufficienti
-padroni di galere e di navi, e saprebbonle guidare: avete cento uomini
-usi a governare armate, pratichi per togliere un’impresa; e compagni
-assai per cento galere, periti e savj galeotti assai per galere cento;
-per modo che ognun dice che i Veneziani sono signori dei capitani, dei
-padroni e dei compagni. Similmente avete dieci uomini, provati a grandi
-faccende in più volte a consigliare la terra, mostrando le ragioni
-sugli arringhi a tutti; molti dottori savj in scienza, e assai savj al
-governo del palazzo. Seguite secondo che vi trovate, e beati voi e i
-vostri figliuoli.
-
-«La nostra zecca batte ogni anno ducati d’oro un milione, e d’argento
-ducentomila tra grossetti e mezzanini, e soldi ottocentomila all’anno.
-Ducati cinquecentomila di grossetti vanno all’anno tra la Soria e
-l’Egitto; e ne’ vostri luoghi e ne’ luoghi di terraferma vanno, tra
-mezzanini e soldi, ducati centomila; altrettanti ne’ nostri luoghi
-da mare, altrettanti in Inghilterra, il resto rimane in Venezia. I
-Fiorentini mettono ogni anno panni sedicimila finissimi, fini e mezzani
-in questa terra; e noi li mettiamo nell’Apulia, pel reame di Sicilia,
-per la Barberia, in Soria, in Cipro, in Rodi, per l’Egitto, per la
-Romania, in Candia, per la Morea, per l’Istria. E ogni settimana i
-detti Fiorentini conducono qui ducati di tutte le sorta settemila, cioè
-trecennovantaduemila all’anno, comperando lane francesi, catalane,
-cremisi e grane, sete, ori, argenti, filati, cere, zuccheri e gioje,
-con benefizio della nostra terra: così tutte le nazioni fanno. Però
-vogliate conservarvi nel modo in cui vi trovate, che sarete superiori
-di tutti. Il Signor Iddio vi lasci conservare, reggere e governare in
-bene».
-
-Francesco Foscari era conosciuto come abilissimo in intrighi, animoso
-all’intraprendere, e felice nel riuscire. In Venezia tenendo tante
-fila, cercava scostarsene il men possibile, non accettando che
-ambascerie di prima importanza; erasi amicati i Barnabotti col fare
-stabilir dotazioni pei figli di nobili poveri; e quattro figliuoli e
-molti amici gli erano d’appoggio a molto sperare. Vacando il dogato,
-scaltreggiò per modo, da prevalere a quei che il temevano perchè
-giovane e perchè attivo; e di fatto egli esercitò sui consigli della
-Signoria maggiore efficacia che non solessero i predecessori suoi.
-Favoriva quelli che lusingavano la vanità patriotica coll’idea di
-prepotere in Italia, e mettersi a capo d’una lega che equilibrasse i
-Visconti: sicchè la guerra, così temuta dal Mocenigo, allora proruppe.
-
-Già i Fiorentini seguitavano le ostilità con poca fortuna. Oddo figlio
-di Braccio di Montone, Carlo Malatesta e Nicolò Piccinino, stipendiati
-dai Fiorentini, furono in due anni (dal 6 7bre 1423 al 17 8bre 1425)
-sei volte sconfitti, ne’ romani e ne’ liguri campi, da Angelo della
-Pergola. Oddo perì: e Malatesta, caduto prigioniero del Visconti, fu da
-questo guadagnato colla cortesia: altrettanto avvenne del Piccinino.
-Un settimo esercito allestirono i Fiorentini, e cercavano amicizie;
-aveano (come ebbe a dire Lorenzo Ridolfi nel senato veneto) sparsi per
-tutt’Italia i giojelli delle spose e delle figlie loro, venduto quanto
-possedeano di prezioso, speso più di due milioni di fiorini, che tanti
-non se n’avrebbero vendendo tutta Firenze[34].
-
-E di peggio potea temersi se Filippo Maria, per quel suo andazzo di
-odiare cui dovea gratitudine, non avesse scontentato il Carmagnola.
-Avea questi ottenuto il titolo di conte e il cognome della famiglia
-regnante colla mano di Antonia, figlia naturale di Gian Galeazzo, e
-tra feudi e stipendj un’entrata di quarantamila fiorini; e si fabbricò
-a Milano il vasto palazzo che poi si disse Broletto. Il duca forse
-agognava ritorgli tanti doni, largiti non per cuore ma per bisogno;
-forse il Carmagnola credevasi inadeguatamente compensato con denari,
-quando vedea Sforza e Braccio essersi acquistato signorie indipendenti:
-fatto sta che ne cominciò malumore. Il Carmagnola vedendosi maltrattato
-e fin cerco a morte, si parte dal duca; e benchè questi ne trattenesse
-la moglie e le figlie, reca a servizio di Firenze un grosso esercito e
-la conoscenza dei divisamenti dell’ingrato padrone; e a danno di questo
-(1426 3 8bre) pratica un’alleanza con Venezia, col marchese di Ferrara,
-col signore di Mantova, i Sanesi, i duchi di Savoja e di Monferrato,
-gli Svizzeri e il re d’Aragona.
-
-Dichiarata guerra a Filippo (1426), il Carmagnola, fatto capitano
-generale, con buona sentita di guerra e colle intelligenze occupa
-Brescia: ma il duca seppe cavarsi dalle male peste, sia comprando il
-valore di Francesco Sforza, Guido Torello, Nicolò Piccinino e Angelo
-della Pergola che formavano quindicimila corazzieri, sia spargendo
-zizzania fra i collegati, sposando Maria figlia del duca Amedeo
-VIII di Savoja, al quale cedette Vercelli; e con altri sagrifizj
-e coll’interposizione di papa Martino V, in Ferrara conchiuse pace
-(1426 30 xbre), a Venezia cedendo Brescia ed otto castelli sull’Oglio.
-Venezia, che così estendeva i dominj fino all’Adda, onorò e retribuì
-splendidamente il Carmagnola, e lo investì delle contee di Chiari e
-Roccafranca e d’altre terre fino a dodicimila ducati di rendita, con
-piena giurisdizione civile e criminale.
-
-Queste abjette condizioni lasciavano a sbaraglio Milano; onde i
-suoi nobili, che, secondo i vulgari raziocinj, consideravano proprio
-scorno il recedere il loro padrone da un’ingiusta guerra, mandarono
-supplicarlo a rescinder la pace, offerendo somministrargli diecimila
-cavalieri ed altrettanti pedoni, purchè lasciasse loro le gabelle e
-i tributi della città. Filippo non gradì che i cittadini rimetterser
-mano nelle pubbliche cose come ai tempi repubblicani; pur a rinnovare
-le ostilità si preparò col soldare le bande congedate dai Veneziani;
-e da settantamila uomini fra le due parti si trovarono a fronte nella
-valle padana[35]. Ben dovevano essere ancora di piccola importanza
-le artiglierie, se le navi venete osarono penetrare nel Po fino a
-Casalmaggiore, dove sconfissero la flotta milanese (1427 11 8bre); poi
-fra gli acquitrini di Macledio nelle vicinanze di Brescia l’esercito
-di Filippo fu sbaragliato dal Carmagnola. Allora si rannoda la pace; ma
-ecco tosto nuove rotture e nuovi accordi e nuove violazioni, secondo la
-versatilità di Filippo e la natura degli eserciti d’allora.
-
-A tali termini era l’Italia, che nè per la guerra acquistavasi
-gloria, nè per la pace quiete. Città prese e riprese, terre sfasciate,
-assassinj e tradigioni alternate colle battaglie, patimenti di plebe
-innominata, che importano alla storia? essa parla dei capi, e de’
-felici colpi di quel prezzolato combattere. Non erano più guerre per
-la difesa della patria, non per utile o gloria o grandi intenti, ma
-effetto d’intrighi, di perfidiosa politica, del bisogno di battaglie
-che aveano i capitani come del proprio mestiere e guadagno. Sole truppe
-mercenarie campeggiavano, non ispirate da amor di patria, di gloria,
-di libertà; le battaglie finivano con poco sangue, atteso che, al
-primo piegar della fortuna, i soccombenti rendevano le armi, persuasi
-di trovare ben tosto un nuovo impresario, ed essendo convenuto fra
-condottieri di danneggiarsi il meno possibile.
-
-I vinti erano rilasciati in farsetto; i vincitori si sbandavano a
-godere le prede; i capitani se trionfanti dettavano legge a chi li
-pagava, se sconfitti esigevano compensi e ristori. Alla battaglia di
-Sagonara, ove Angelo della Pergola sconfisse ed ebbe prigioniero il
-Malatesta, se credessimo al Machiavelli, sole tre persone perirono,
-affogandosi nella mota. Così alla Molinella si combattè «mezzo un
-giorno... nondimeno non vi morì alcuno; solo vi furono alcuni cavalli
-feriti, e certi prigioni da ogni parte presi». Nella battaglia
-di Caravaggio, ove lo Sforza sbarattò affatto i Veneziani facendo
-diecimila cinquecento prigioni, diconsi morti soli sette soldati[36],
-due dei quali dalla stretta e dallo scalpitare de’ cavalli. Per tal
-modo un capitano, vinto oggi, al domani ricompariva in campagna con
-esercito non men numeroso; le guerre s’eternavano esaurendo l’erario,
-impoverendo lo Stato, e non assicurandolo dai nemici; paci fatte per
-necessità, rompevansi per capriccio; e tra i guerreggiati e i traditi,
-gl’Italiani doveano sentire quanto soffrano i paesi dove non sono
-tutt’uno la milizia e la nazione.
-
-A Maclodio sul Bresciano ottomila corazzieri di Filippo con Carlo
-Malatesta suo generale, e gli equipaggi e le ricchezze erano caduti
-prigionieri de’ soldati del Carmagnola, i quali trattandoli da
-commilitoni, subito li prosciolsero, onde tornarono al duca senz’altro
-avere perduto che le armadure. Due soli artefici di Milano offersero al
-duca quante armi bastassero per quattromila cavalieri e duemila pedoni;
-tanto vi fioriva questa manifattura: e Venezia vincitrice si trovò a
-fronte quegli stessi che dianzi avea vinti.
-
-Che il Carmagnola avesse disposto dei prigionieri a suo talento,
-spiacque all’ombroso Governo, e sospettollo d’intelligenze coll’antico
-suo signore; e tanto più dacchè sul Po la flotta milanese, guidata
-da Pacino Eustachio e da Giovanni Grimaldi genovesi, sconquassò la
-veneziana (1431 22 maggio), ch’era costata seicentomila fiorini.
-Imputando il Carmagnola di quel disastro, stabilirono torlo di mezzo:
-e perchè arrestare un capitano fra un esercito a lui devoto non era
-agevol cosa, l’invitano a Venezia (1432) sotto finta d’interrogarne
-l’esperienza, l’onorano in ogni modo, poi i Dieci l’arrestano, il
-processano; «non volendo confessare, fu posto alla corda; e non
-potendo trarlo su per un braccio ch’egli aveva guasto, gli fu dato
-fuoco a’ piedi, per modo che subito confessò ogni cosa». Fu mandato
-al supplizio (5 maggio) col bavaglio in bocca; trattane al fisco la
-sostanza, che valutavasi a trecentomila ducati; provvisto alla moglie
-ed alle figliuole. Il popolo tremò ed applaudi: la posterità, anche
-dopo conosciuti gli atti di quel processo, rimane dubbia sulla reità di
-lui, e lo colloca fra quelle vittime delle procedure segrete, che dalla
-pubblica coscienza attirano compassione per sè, esecramento su chi le
-fa[37].
-
-Genova sappiamo che erasi sottoposta a Filippo Visconti, sicchè quando
-essa nella battaglia di Ponza (pag. 84) fece prigioniero Alfonso re
-d’Aragona e di Sicilia, a lui lo mandò. Il re seppe cattivarsi Filippo
-in modo che ne fu lasciato andar libero. Tante iniquità, tanto egoismo
-non nocquero mai al Visconti, come questa insolita generosità; perocchè
-i Genovesi, indispettiti che egli disponesse a sua voglia del frutto
-di così insigne vittoria, si sottrassero all’obbedienza del duca (1453
-27 xbre), scannarono a furor di popolo il suo governatore, rivollero la
-repubblica, e con essa lo strazio delle fazioni.
-
-Nel calcolato favore di Filippo, al Carmagnola era sottentrato un
-altro prode. Quando Sforza Attendolo perì, l’esercito suo, unica
-assicurazione de’ privilegi e dei possessi che i principi gli aveano
-accordati per paura, sarebbesi sfasciato, se Francesco, uno de’
-tanti figliuoli che esso aveva d’amore o di nozze, non avesse tenuto
-congiunte quelle masnade, obbedienti quegli uffiziali, dando già
-indizio di quella destra politica, che dovea poi alzarlo al più bel
-dominio italiano. Reso famoso in tutti i fatti d’arme d’Italia, e
-sentendo quanto valesse una buona spada, non s’accontentava ai dominj
-paterni; e battendo più alto la mira, e sempre crescendo d’importanza,
-giunse a ottenere che Filippo gli promettesse la mano di Bianca, unica
-sua figlia naturale. Appena uscito per lui di pericolo, il duca se ne
-pentì e ricusò; onde lo Sforza andossene, e nell’Anconitano si formò
-colla spada un marchesato sotto la supremazia del pontefice; poi
-non bastando a mantenere le proprie masnade, si acconciò a servizio
-de’ Fiorentini. Questi aveano condotto con varia fortuna e mirabile
-costanza la guerra; ma poi Nicolò Piccinino, il quale aveva assunto
-l’esercito di Braccio di Montone, si pose col Visconti e in riva al
-Cerchio sconfisse i Fiorentini, togliendone l’artiglieria, le munizioni
-e quattromila cavalli. Essi vidersi allora costretti a cedere Lucca ed
-accettar la pace; nella quale però anche Filippo rinunziava ai fatti
-acquisti e alle alleanze in Romagna e in Toscana, per non avere più
-titolo di brigarsi nelle vicende di questa.
-
-L’astuto finse allora congedare il Piccinino, ma gli diede segreta
-istruzione di devastare la Toscana, la quale, vistasi ingannata, e
-costretta a far nuove armi, si chiamò felice di trarre sotto ai gigli
-suoi Francesco Sforza.
-
-Ecco a fronte i due maggiori capitani del tempo, rappresentanti le
-due antiche scuole di Braccio e d’Attendolo. Il Piccinino, sebbene
-disavvenente di corpo e infelice parlatore, spingeva al sommo il
-merito di Braccio, vale a dire la celerità de’ movimenti, audace fin
-alla temerità, indomito dall’avversa fortuna. Francesco dalle diverse
-scuole sceglieva il meglio, e sapeva col genio avvivarlo; maschio di
-corpo e d’animo, il male non proponevasi, ma non ne rifuggiva se utile;
-entrambi caldi di odj, ma ricchi di quella bontà che non di rado si
-palesa pe’ soldati, ed è riparo o compenso alla facilità che hanno di
-far male.
-
-Lo Sforza erasi mostrato propenso alle repubbliche, massime a Firenze,
-non perchè sentisse in quel senso, ma per tenere in ombra Filippo,
-o per far contrario al Piccinino che a questo conservava fede. Non
-volendo però scontentare in tutto il duca, nè sfasciare uno Stato sul
-quale spingeva i desiderj, lasciò alquanto in tentenno la guerra: ma
-quando si vide zimbello alla peritanza e finteria di Filippo, calò
-la buffa, e parve decidere delle sorti d’Italia coll’accettare dai
-federati il bastone, con novemila zecchini al mese dai Veneti, ottomila
-quattrocento da’ Fiorentini.
-
-I due emuli capitani fecero gara di valore e d’abilità, sul Veneto,
-in Toscana, nella marca d’Ancona portando a vicenda la devastazione.
-Novamente famoso venne per durata e fierezza l’assedio di Brescia,
-invano sostenuto dal Gattamelata, e dove Brigida Avogadro menò le
-donne a respingere il Piccinino. «Tutto il popolo notte e giorno
-lavorava a far riparo di dentro a’ muri; vi lavoravano femmine, putti,
-donne, preti, frati, giudici, tali e quali. Il Piccinino solariò il
-fondo della fossa di graticci, e fece la via per venire in cima del
-terraglio. Dirai, _Che facevi voi che nol vietavate?_ dico che come noi
-ci facevamo sul terraglio, egli tirava con quelle bombarde. Oh quanti
-ve ne furono morti di noi cittadini!» E quando salirono all’attacco «si
-cominciò una riotta con noi di dentro, per modo che, colla grazia di
-Dio, furono urtati giù. Avreste veduto quelli uomini d’armi traboccar
-giù per quel terraglio con que’ suoi pennacci a volta voltone che
-era una consolazione. Di bombarde, di schioppetti, di verrettoni, di
-sassi che si tiravano, parea che l’aria si oscurasse: parea che tutto
-il mondo si aprisse di tamburi, di trombette, di gridori, di campane
-a martello..... Avreste veduto il popolo, femmine, zerlotti, piccoli
-e grandi, che correvano giù ai luoghi dove si davano le battaglie,
-chi con pane, chi con formaggio, chi con vino, chi con confetto per
-reficiare que’ cittadini combattenti, e que’ soldati ch’erano con noi.
-Voi avreste veduto la gente d’arme de’ nemici in belle battaglie che
-tenevano dal brolo del vescovo fino a San Pietro Oliviero, tutti quanti
-a cavallo: e quando si davano le battaglie, si scambiavano sotto di
-squadra in squadra, smontavano da cavallo, e venivano alla battaglia:
-ma tosto loro veniva talento di ritornare a dietro»[38].
-
-Brescia sempre eguale a se stessa! I Veneziani, per la nimicizia del
-marchese di Mantova non potendo mandar navi pel Po nel Mincio, e da
-questo nel lago di Garda, divisarono un fatto arditissimo, suggerito da
-un Sorbolo candioto. Avviarono su per l’Adige due galere grandi, tre
-mezzane e venticinque barche, poi strascinandole a forza di cavalli
-e di bovi traverso al frapposto Monte Baldo spianando e sgombrando,
-le gettarono in esso lago a Tórbole: meraviglia e terrore, che il
-Piccinino dissipò bruciandole.
-
-Ma alfine Brescia fu salvata, sebbene da fame e peste ridotta a metà
-abitanti. Francesco Barbaro provveditore e famoso grecista, fu chiamato
-a Venezia coi cento gentiluomini che più aveano contribuito a quella
-difesa, accolti dalla Signoria, abbracciati dal doge che li proponeva
-quali modelli ai sudditi della Repubblica, ed essi e la loro posterità
-esimeva da ogni imposta; al Comune poi rilasciaronsi ventimila ducati,
-che il fisco ritraeva annualmente dai mulini[39].
-
-Il Piccinino, smaniato d’acquistare il dominio che era stato di
-Braccio, si fa mandare dal Visconti nell’Umbria, guasta la Toscana,
-e ad Anghiari (1440 29 giugno) a’ piè de’ monti che separano la val
-del Tevere da quella di Chiana assale le truppe pontificie di tremila
-corazzieri e cinquecento pedoni, e le fiorentine di otto in nove
-mila cavalli, comandate da Gian Paolo Orsini, e rimane sconfitto e
-prigioniero: se non che i vincitori sbandatisi non proseguirono la
-vittoria e la resero inutile, perchè il Piccinino ebbe raggomitolati
-ben tosto tutti quelli che avea perduti, e tornò in Lombardia a
-rifarsi col saccheggiare terre di amici. Tuttochè guelfo, disprezza
-le scomuniche paragonandole al solletico, che lo sente chi lo teme;
-s’insignorisce di Pontremoli e di Bologna; ed è adottato nelle case dei
-Visconti di Milano e d’Aragona di Napoli. Anche gli altri capitani a
-stipendio di Filippo Maria chiedevano sovranità: Alberico da Barbiano
-voleva Belgiojoso; Lodovico Sanseverino, Novara; Lodovico del Verme,
-Tortona; Talian Friulano, Bosco e Frugarolo; altri altro. Il duca,
-che aveva rimosso lo Sforza onde non farlo sovrano, credette allora
-minor male il richiamarlo, e gli concesse la mano di Bianca (1441),
-e in pegno della dote il contado di Pontremoli e Cremona. La pace di
-Cavriana, fatta sotto la mediazione dello Sforza e a malgrado del
-Piccinino cui essa strappava un’immancabile vittoria, rintegrò nei
-primieri confini il duca, le repubbliche di Venezia, Genova e Firenze,
-il papa e il marchese di Mantova.
-
-Che valevano le paci generali, quando duravano le particolari
-animadversioni de’ capitani? Francesco mosse per vendicarsi d’Alfonso
-il Magnanimo, che gli aveva occupati i feudi paterni nel Reame: ma
-Filippo Maria tornatone geloso, s’accordò con Eugenio IV per torgli
-la marca d’Ancona, ridiede il suo favore al Piccinino, che dichiarato
-gonfaloniere della Chiesa, noceva il più possibile all’irreconciliabile
-suo emulo, e d’ordine di Filippo assediò Pontremoli e Cremona.
-
-Il gran capitano, a cui la generosità non impediva di levarsi d’attorno
-coi supplizj e col ferro gli emuli, vedeasi tolta pezzi a pezzi la
-sovranità militare ch’egli erasi formata nel cuore dell’Italia, e
-soccombeva alle tergiversazioni del suocero e alle infedeltà di papa
-Eugenio; quando i Veneziani, guardando come lesa la pace di Cavriana,
-si allearono coi Fiorentini, presero al soldo varj condottieri, e
-sotto Michele Attendolo mandarono l’esercito a’ danni del duca, e
-dopo la vittoria di Mezzano sopra Casalmaggiore si spinsero fino a
-Monza e Milano. Il Visconti, sbigottito dal vedere Venezia ostinarsi
-al conquisto della Lombardia, si rappattumò col genero, il quale
-comprendeva che se la Lombardia toccasse ai Veneziani, più nulla
-avrebb’egli a sperarne, mentre invece la disputabile successione di
-Filippo aprivagli ambiziose eventualità. Accettò dunque il comando
-supremo sulle armi e le fortezze; dugentomila fiorini d’oro l’anno per
-mantenere l’esercito suo e quello lasciato dal Piccinino, il quale,
-dopo essere stato uno degli arbitri di questa sbranata Italia, era
-morto (1444 15 8bre) col dispiacere di non avere nè ingrandito se
-stesso, nè ottenuto gratitudine da quelli cui aveva servito.
-
-Poco poi Filippo Maria, sempre passionato per l’intrigo, si lasciò di
-nuovo menare dai Bracceschi e dagli altri che invidiavano l’incremento
-dello Sforza; e rompea seco di nuovo, allorchè morte lo colse (1447 15
-agosto), e con lui terminava la stirpe de’ Visconti.
-
-La quale fu con lode ripagata della protezione che concesse ai
-dotti d’allora, e il Filelfo, il Barziza, il Panormita, l’Offredi,
-il Decembrio ne tesserono la storia e la falsarono. Del resto già
-vedemmo come la Lombardia fosse una monarchia militare, non temperata
-se non dalle arti che ad un governo intelligente sono insegnate dal
-desiderio di conservarsi; i Milanesi la sopportavano anzi rassegnati
-che contenti; e il desiderio della libertà erasi illanguidito a segno,
-che al più si aspirava a cambiare tiranni: la pace e la guerra, la
-ricchezza e la felicità del paese, la tolleranza o punizione dei
-delitti dipendevano dal principe.
-
-Sovratutto mancava quel che ai popoli più è necessario, pace, e pronta
-ed eguale giustizia; anzi le prepotenze pareano favorite dai dominanti.
-Giovanni Gámbara, signorotto del Bresciano, faceva cogliere da due
-bravi una tal Bartolomea che avea detto male di sua moglie Subrana,
-e mozzarle la lingua; il podestà condannò al taglione il Gámbara e
-la moglie, ma essi interposero un fratello della mutilata, che li
-riconciliò con questa; e Gian Galeazzo Visconti concedette perdono.
-È scritto che Giovanni Palazzo ottenesse da Gian Maria che Guelfi e
-Ghibellini del Bresciano potessero combattersi sei mesi, salva la
-fedeltà al principe, e commettere qualsivoglia misfatto tra loro.
-Esso Gian Maria nel 1401 mandava podestà ad Asola Giovanni Visconti e
-capitano Giorgio Carcano, i quali spinsero tant’oltre l’audacia, che
-niuna fanciulla poteva andare a marito senza avere passato tre giorni
-nel loro palazzo: gli Asolani stancati li trucidarono, e i Bresciani in
-punizione distrussero Asola[40]. Quando manchi la giustizia, più non
-rimane garanzia di sorta, nè altro si può che abbattere il dominante
-per mettersi al posto di lui e divenire oppressori.
-
-Pure costoro erano principi nostrali, e i Lombardi compiacevansi
-della loro grandezza, giacchè nol poteano della propria felicità;
-compiacevansi alla splendidezza della Corte, alle regie parentele, alle
-frequenti comparse, ai clamorosi pranzi, ai clamorosissimi funerali, a
-quel lusso di sfarzo e spesa più che di gusto, alle feste che frequenti
-si rinnovavano per nozze, per paci, per venuta di principi. Fu volta in
-cui Filippo Maria ebbe ospiti papa Martino V e l’imperatore Sigismondo,
-e prigionieri il re di Napoli e quel di Navarra; in un mazzo di
-carte (giuoco allora nuovo) dipinto da Marzian di Tortona spese
-millecinquecento monete d’oro.
-
-Le sevizie di que’ principi possono paragonarsi al morso di un cane
-rabbioso, che nuoce solo a chi lo avvicina; mentre una pacata signoria
-può indurre gli effetti della malaria, generale spossamento e tabe
-irremediabile. Perocchè del resto essi cercavano il prosperamento del
-paese, sia per trarne di più, sia per non iscapitare al confronto de’
-vicini. L’agricoltura procedea di meglio in meglio, sull’esempio de’
-monaci, principalmente de’ Cistercensi, che verso il Lodigiano e il
-Pavese aveano introdotto i prati stabili e le cascine; si miglioravano
-le razze de’ bovi; de’ cavalli, celebri per grossezza e forza, molto
-spaccio faceasi in Francia. I lavori di seta crebbero principalmente
-dacchè nel 1314 molti fabbricanti di Lucca, fuggendo la tirannia di
-Castruccio, ricoverarono a Milano. I Lombardi andavano in Francia,
-in Fiandra, in Inghilterra a raccattar lana, che poi tinta e tessuta
-mandavano colà donde ora ci vengono i panni fini; e per tutta Europa
-correvano le monete d’oro colla biscia. I nobili non prendeano vergogna
-del mercatare, e sulle matricole figurano i Litta, i Dadda, i Bossi, i
-Crivelli, i Gusani, i Dugnani, i Medici, i Melzi, i Porro, i Bescapè, i
-Castiglioni, i Pozzobonelli. I Borromei da San Miniato si trasferirono
-qui vendendo panni grossolani, e stabilendone una fabbrica; e subito
-Filippo Maria prese un Borromeo per direttore della finanza, e poco
-dopo Luigi XII di Francia levava al battesimo un figliuolo di quella
-casa[41].
-
-Le arti, divise in venticinque _paratici_ o consorzj, con bandiera,
-statuti, assemblee distinte, esercitavano ogni sorta mestieri, e
-all’uopo prendeano le armi. Singolarmente i Lombardi guadagnavano in
-operazioni di banco, avendone stabiliti in tutte le città d’Europa.
-Milano era sì ricca, che diceasi in proverbio bisognerebbe distrugger
-lei chi volesse rifare l’Italia; e udimmo i nobili esibire a Filippo
-di mantenergli stabilmente diecimila cavalieri ed altrettanti pedoni
-se lasciasse loro le entrate della città. L’estimo del 1406 dà ai beni
-mobili e stabili della città e dei corpi santi il capitale valore di
-tredici milioni dugencinquantamila zecchini. La popolazione cresceva,
-benchè guasta da pesti ricorrenti; e i primi provvedimenti di polizia
-sanitaria menzionati sono i milanesi.
-
-Il servaggio principesco alterava la semplicità de’ costumi, e senza
-credere alle declamazioni, è a supporre s’imparasse a chinar la fronte
-a quello in cui mano erano il denaro, la forza, la legge, ed a quella
-serie di bassi che comandano agli altri; catena di soggezione, che
-cominciata non finisce più. Nondimeno durava un vivere patriarcale, nè
-la Corte era distinta dalla città quanto nei tempi posteriori; e benchè
-i nobili godessero molti privilegi, pure le condizioni si trovavano
-spesso mescolate nei pubblici convegni ed alle feste ecclesiastiche o
-civili.
-
-Se si pensi che non v’avea truppe stanziali, primario rinfianco della
-tirannia; che il duca vivea tra gente nostra, con nostri consiglieri,
-fra tante corporazioni organizzate e armate, fra privilegi di arti,
-di corpo, di stato, si vedrà che il despotismo non poteva sbizzarrire
-senza contrasto; le memorie della prisca libertà non erano perite,
-non poteasi a voglia gravar le imposte, gli statuti frenavano anche
-il principe, le fazioni di Guelfi e Ghibellini opponeano potente
-contrasto, sicchè la tirannia non era sistematica ma di eccezione. Que’
-principi pesavano più volentieri sui nobili per torsene l’ostacolo e
-rapirne le ricchezze; non per questo si rendeano popolari, comunque
-talora grossolani: e la plebe anch’essa sapeva resistere, e piegando
-non dimenticava d’avere dei diritti.
-
-Tutti questi avvenimenti potemmo divisare senza tampoco far motto d’un
-altro imperatore calato in Italia. La Casa di Luxemburg, così meschina
-sotto il cavalleresco Enrico VII, era giunta a possedere tanti dominj,
-quanti mai quella di Hohenstaufen; in un secolo avea dato quattro
-imperatori, Enrico VII, Carlo IV, il vituperevole Venceslao che fu
-deposto, e suo fratello Sigismondo, che al tempo stesso era elettore
-di Brandeburgo, re di Boemia e d’Ungheria. Bello d’aspetto (tal ce
-lo descrive Leonardo Aretino che lo conobbe), alto della persona,
-nobile, vigoroso, magnanimo in pace e in guerra, eloquente, amante le
-lettere, liberale oltre le sue scarsissime entrate, trovavasi sempre
-bisognoso di denaro, e perciò costretto a vendere la propria alleanza
-e protezione, interrompere le imprese, mancare ai propositi; e più che
-all’impero badava a crescere i suoi Stati ereditarj, dai quali derivò
-poi la grandezza di Casa d’Austria.
-
-Talmente Venezia spingeva la gelosia per l’eguaglianza delle sue
-famiglie patrizie, che, avendo il re di Ungheria chiesto per moglie
-una Morosini, la Signoria obbligò il padre a rinunziare ogni diritto
-paterno, e l’adottò come figlia della Repubblica. Quando, durante
-lo scisma, fu eletto papa Angelo Corrér (1406) col nome di Gregorio
-XII, benchè egli cercasse cattivarsi i Barbarigo, i Morosini, i
-Condulmer con cappelli cardinalizj, fu sempre guardato di mal occhio,
-giudicandosi pericoloso un pontefice legato coi senatori; e appena
-il concilio di Pisa lo dichiarò scaduto (1409), la Signoria non solo
-s’affrettò a riconoscere il surrogatogli Alessandro V, ma a lui profugo
-negò stanza ne’ suoi dominj[42]. Ito nel Friuli, papa Gregorio venne
-a rissa con quel patriarca che era tedesco, e lo cassò surrogandogli
-Anton da Ponte nobile veneto. L’imperatore Sigismondo, dichiaratosi
-protettore dell’espulso, menò le cose di modo, che venne a rottura
-con Venezia. Questa repubblica da Ladislao, competitore di Sigismondo
-al trono d’Ungheria, aveva comprato per centomila fiorini la città di
-Zara; ridomandando la quale e le antiche città imperiali, Sigismondo
-entrò sul Veneziano (1413) guastandolo e ribellando: ma Venezia strinse
-lega difensiva con Nicolò III d’Este, i conti Porcia e Collalto, i
-Malatesti, i Polenta, i signori d’Arco e Castelnuovo, Castelbarco,
-Caldonazzo, Savorgnano; e questi, e la rigidezza dei vicarj di
-Sigismondo, la poca costanza degli Ungheri ch’egli versava di qua
-dell’Alpi, il valore del condottiere Filippo d’Arcoli, fecero trionfare
-il leone veneto per tutto il Friuli.
-
-Dalla Marca Trevisana Sigismondo pensò fare una corsa in Lombardia
-senz’armi. Liete accoglienze gli profusero i tirannelli: a Cremona col
-papa vagheggiò dal torrazzo la pianura lombarda; a Cantù ricevette
-omaggio da Filippo, il quale però nol volle accogliere in Milano;
-istituì de’ vicarj imperiali, cui faceano capo i Ghibellini per
-onestare la loro tirannide: ma nessuna efficienza ebbe sulle vicende
-italiane.
-
-Dopo vent’anni di regno, nojato dalle lunghe brighe in Germania e in
-Boemia, e dal dirigere una macchina pesante e rugginosa, com’egli
-chiamava l’impero, pensò tornare di qua dall’Alpi (1431) a farvi
-una comparsa quale solevano i suoi predecessori. I tempi erano ben
-cambiati; quanto erasi perduto in parziale libertà, tanto erasi
-acquistato in generale indipendenza; nè la nominale superiorità
-sarebbe bastata perchè convocasse a Roncaglia tutti gli Stati d’Italia
-a rendere l’omaggio e ricevere giustizia. Con duemila Ungheri e
-Tedeschi a cavallo, più per corteggio che per difesa, capitò a Milano;
-e Filippo, che pur gli avea sempre mostrato piena soggezione, e
-l’avea sollecitato a discendere sperando danneggiarne i Veneziani,
-insospettito si chiuse nel castello di Abbiategrasso, senza tampoco
-lasciarsi vedere all’imperatore, che in Sant’Ambrogio fecesi coronare
-(1431 25 9bre).
-
-Qui dunque temuto e timoroso, eppure in Toscana malvisto come amico
-del duca, sempre povero di denaro e di forze, obbligato ad ogni passo
-a patteggiare o difendersi, a un punto di rimanere preso in Lucca dal
-capitano dei Fiorentini, trattenuto in Siena per debiti, Sigismondo
-traversò l’Italia meschinamente (1432), dirigendosi a Roma onde
-persuadere il papa ad accettare il concilio di Basilea: nè tampoco
-a questo riuscito, cintasi la corona d’oro (1433), ricoverò a’ suoi
-paesi, lasciando l’Italia alle ambizioni e agli agitamenti di prima.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXVI.
-
-Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice. Francesco Sforza. I
-Foscari.
-
-
-I VISCONTI E GLI SFORZA
-
- Uberto Visconti
- |
- | Obizzo
- | |
- | | Teobaldo
- | |
- | | MATTEO Magno 1295-1322
- | | |
- | | | Galeazzo I 1322-28
- | | | |
- | | | | AZZONE 1328-39
- | | |
- | | | LUCHINO 1339-49
- | | |
- | | | Marco
- | | |
- | | | GIOVANNI arcivesc. 1339-54
- | | |
- | | | Stefano
- | | |
- | | | MATTEO II 1354-55
- | | |
- | | | BERNABÒ 1354-85
- | | |
- | | | GALEAZZO II 1354-78
- | | |
- | | | GIAN GALEAZZO 1378-1402
- | | | primo duca nel 1395
- | | |
- | | | Valentina in Luigi d’Orléans,
- | | | ava di Luigi XII
- | | |
- | | | GIAN MARIA 1402-12
- | | |
- | | | FILIPPO MARIA 1412-47
- | | | |
- | | | | Bianca Maria in
- | | | | FRANCESCO SFORZA
- | | | | 1447-66
- | | | |
- | | | | Ascanio cardinale
- | | | |
- | | | | GALEAZZO MARIA
- | | | | 1466-76
- | | | | |
- | | | | | GIAN GALEAZZO MARIA
- | | | | | 1476-94
- | | | | | |
- | | | | | | Bona regina di Polonia
- | | | | |
- | | | | | Caterina in Giovanni
- | | | | | de’ Medici avo di
- | | | | | Cosimo granduca
- | | | |
- | | | | LODOVICO il Moro
- | | | | 1494-1500
- | | | |
- | | | | MASSIMILIANO
- | | | | 1512-15
- | | | |
- | | | | FRANCESCO MARIA
- | | | | 1522-26 e 1529-35
- | | |
- | | | Gabriele Maria
- | | | figlio naturale
- | |
- | | Uberto stipite di case ancora sussistenti
- |
- | Gaspare
- | |
- | | Lodrisio
- |
- | OTTONE arcivesc. 1277-95
-
-Filippo Maria Visconti non lasciava figliuoli, onde molti si sporsero
-al fiuto di sì pingue eredità. Fin allora nel Milanese non era stato
-regolato il modo di succedere al dominio; e come negli altri principati
-italiani, ora lo teneano i fratelli in comune, ora se lo spartivano, o
-l’uno succedeva all’altro senza riguardo alla discendenza dell’estinto:
-persino i figli naturali ne toccavano qualche porzione. Ora la casa
-francese d’Orléans vi pretendeva a cagione di Valentina Visconti, cui
-Gian Galeazzo, maritandola a Luigi d’Orléans, n’avea dato l’aspettativa
-pel caso che i suoi figli morissero improli. Ma il titolo non valeva,
-giacchè questo non era un feudo femminino; tanto minor diritto v’avea
-lo Sforza, marito della figlia naturale, quantunque legittimata, di
-Filippo Maria. Questo aveva un tempo pensato a nuocere ai Veneziani col
-lasciare il suo paese ad Alfonso re di Napoli; il che avrebbe di tanto
-avanzata l’unità italiana: e Alfonso in fatti produsse un testamento
-a favor suo; ma foss’anche autentico, si trattava egli d’una proprietà
-che si potesse lasciare a talento?
-
-Il Milanese era uno Stato libero, riconosciuto nella pace di Costanza;
-il che importava, secondo il diritto d’allora, che non potesse venir
-ristretto a sudditanza di verun particolare. Venceslao l’avea ridotto
-tale investendone Gian Galeazzo; ma sovrano dell’Impero non era già
-il re di Germania, bensì gli elettori, rappresentanti l’antico senato
-e popolo romano: e in fatto essi ne fecero rimprovero a Venceslao,
-e fu uno degli aggravj per cui lo spodestarono[43]. Sigismondo
-ne diede regolare investitura a Filippo Maria, riservandosi gli
-antichi diritti imperiali[44]; ma realmente il Milanese, operando
-come Stato libero, aveva affidato il governo politico ai Visconti, e
-allo spegnersi di questi tornava di propria balìa. Sentirono questo
-diritto i Milanesi, e mentre i Bracceschi inalberavano sul castello lo
-stendardo di Alfonso di Napoli, ed altri suggerivano di darsi al duca
-di Savoja fratello della duchessa vedova, Antonio Trivulzio, Teodoro
-Bossi, Giorgio Lampugnani e Innocenzo Cotta eccitano alla libertà i
-Milanesi, che a furia smantellano il castello, nido della tirannia
-contro il popolo; e disingannati del dominio d’un solo come _pessima
-pestilenzia_, proclamano l’_aurea repubblica ambrosiana_ (1447 14
-agosto), tornando in istato di popolo al modo antico. Il vicario coi
-dodici di provvisione eleggono ventiquattro capitani e difensori della
-libertà del Comune, che furono confermati dal consiglio generale, e che
-affollarono ordini buoni o meschini, come sempre avviene nei primordj;
-rimettono i banditi; proibiscono il bestemmiare, i giuochi zarosi, il
-portar armi; allestiscono ricoveri per poveri, e massime per contadini
-che la guerra avea sturbati dai campi; si ravviano le scuole, invitando
-i maestri _con condizioni che meritamente potranno accontentarsi_; e
-da spontanee largizioni raccolgono ottocentomila zecchini _ad tuendam
-patriæ libertatem_[45].
-
-È uno dei temi più soliti e più facili agli epigrammi da caffè la
-debolezza de’ governi usciti da una rivoluzione, come il vacillamento
-delle rivoluzioni che non riuscirono: nè per verità da una reggenza che
-durò meno di due mesi potevano pretendersi stabili intenti, concordi
-progetti, efficace azione. Pure sarebbersi allora potute costituire in
-Italia tre robuste repubbliche, di Firenze, Venezia e Milano, mettendo
-in comune il senno educato dell’una, la potenza marittima dell’altra,
-le colte lautezze dell’ultima; e associandosi alla forza degli
-Svizzeri, opporre una federazione di liberi all’aumento delle monarchie
-confinanti. Chi pensi che in quel tempo, essendo morto Carlo il
-Temerario duca di Borgogna nel combattere gli Svizzeri[46], restavano
-libere le Fiandre e i Paesi Bassi, comunità fiorentissime di commercio
-e costituite al modo delle nostre, non può a meno di riflettere qual
-diverso andamento avrebbe preso l’Europa se, invece di consolidarsi
-le monarchie collo spartire la Borgogna tra Francia e Austria, fosse
-prevalso il sistema repubblicano. Se i Milanesi vedessero allora
-questa preziosa eventualità, è difficile il dirlo; ma trovo codardo
-l’insultarli dell’aver preferito una forma di governo che allora
-presentava tanto avvenire. Sgraziatamente però Firenze cominciava con
-Cosmo de’ Medici a piegare a principato: Venezia dal doge Francesco
-Foscari era intalentata a conquiste, a segno di posporvi la giustizia e
-la pubblica libertà; e sperando quell’unione che più tardi effettuarono
-gli Austriaci, spasimava di tutto il Milanese, e profittò del momento
-per ciuffare Brescia e Bergamo.
-
-Allora Venezia trovavasi all’apogeo della sua grandezza. Trieste, i cui
-pirati avevano rapito le spose della ancor novella repubblica, indi
-era stata sottoposta da Enrico Dandolo a capo de’ Crociati, non si
-rassegnò mai al giogo, più volte rinnovò guerra, e nel 1367 si diede
-al duca d’Austria; ma i Veneziani l’assalirono e presero per fame,
-poi nella pace, chetato l’Austriaco a denaro, le imposero di giurar
-fedeltà a San Marco; alla nomina di ciascun doge, lo stendardo del
-leone sventolerebbe un giorno sul mercato di Trieste, e tutti gli anni
-a Pasqua sul palazzo; i Triestini osserverebbero i trattati conchiusi
-da Enrico Dandolo in appresso, e la Serenissima vi eserciterebbe la
-giurisdizione penale. Nella guerra di Chioggia i Genovesi presero
-Trieste, e la consegnarono al patriarca d’Aquileja: avendola Venezia
-ripigliata (1382), i Triestini inalberarono di nuovo la bandiera dei
-duchi d’Austria, i quali poi la tennero sempre: ma doveano correre più
-di quattro secoli prima che acquistasse tale importanza sul mare, da
-prevalere all’antica dominatrice.
-
-Vedemmo come si fosse ampliata la signoria de’ patriarchi d’Aquileja
-sopra tutto il Friuli, l’Istria, gran parte della Carintia e Carniola,
-e la Stiria, con tanti poderi da estrarne ducentomila zecchini. Però
-i papi aveano tratto a sè il diritto di nominare il patriarca, sicchè
-ne cessò l’indipendenza; e avendo essi dato quella sede in commenda
-a Filippo d’Alençon, i signori paesani ricusarono obbedienza a
-questo, eleggendo un altro, donde baruffa civile, nè più fu possibile
-sottometterli interamente. Il patriarca fu dunque costretto ricorrere
-al popolò, agli stranieri, a bande mercenarie; e intanto i signori
-si rendevano viemeno dipendenti, per quanto il patriarca cercasse
-avvincerseli col moltiplicare i feudi e suddividerli e concedere
-franchigie.
-
-E si alleò a Francesco Carrara (1388), che colle armi occupò tutti i
-paesi: ma i Veneziani, temendo che questo operosissimo loro nemico
-tenesse il Friuli per sè e intercettasse i loro commerci colla
-Germania, presero parte con Udine «con altre città, riottose al
-patriarca, e annichilarono nel modo che dicemmo la potenza dei Carrara.
-Venuto poi il patriarcato al tedesco Lodovico Theck (1414), e questo
-avendo favorito l’imperator Sigismondo, Venezia ne colse occasione di
-tor via que’ vicini, ostinatamente avversi. Pertanto occupò il loro
-paese finchè non fosse compensata delle spese di guerra; ma queste
-ammontavano a tanto, che il patriarca non potè più pagarle; onde a quel
-prelato, fin allora il più ricco d’Italia dopo il pontefice, altro non
-rimasero che i castelli di San Vito e San Daniele, e lo stipendio di
-cinquemila ducati che ricevea dalla Repubblica.
-
-Adunque il dominio veneto si estendeva in Italia dall’Isonzo al
-Mincio; oltre il litorale dell’Adriatico sin alle foci del Po, aveva ad
-obbedienza fra terra le province di Bergamo, Brescia, Verona, Crema,
-Vicenza, Padova, la Marca Trevisana con Feltre, Belluno, il Cadore,
-il Polesine di Rovigo, Ravenna, il Friuli, l’Istria eccetto Trieste
-città imperiale; supremazia sulla contea di Gorizia, che prima faceva
-omaggio al patriarca d’Aquileja; sulla costa orientale dell’Adriatico
-teneva Zara, Spalatro e le isole che fronteggiano la Dalmazia e
-l’Albania; avea tolto Veglia ai Frangipani, Zante a un Catalano; in
-Grecia occupava Corfù, Lepanto e Patrasso; nella Morea Modone, Corone,
-Napoli di Romania, Argo, Corinto, avute a prezzo dai possessori che
-non poteano difenderle dai Turchi; altre isolette dell’Arcipelago, e
-qualche parte del litorale; finalmente Candia e Cipro.
-
-Mentre in Italia si era limitata ad opporsi a chi vi predominasse,
-tenendo per lo più coi pontefici, allora aspirò a dominarvi, donde
-vennero le guerre che abbiam veduto con Filippo Maria, nelle quali, se
-cresceva di credito nella penisola, sviavasi dal commercio, e rimaneva
-esposta agli arbitrj de’ venturieri, coi quali usava or rigore, ora
-carezze; or mandava al supplizio il Carmagnola, or se ne redimeva
-coll’ascrivere fra i nobili il Gattamelata e Michele Attendolo. E
-d’acquistare il Milanese le dava lusinga lo sfasciarsi di questo alla
-morte di Filippo.
-
-Per quell’assurdo concetto che repubblica significhi obbedire a
-nessuno, le singole città ridestando le municipali gelosie, colsero
-pretesto dalla rivoluzione di Milano per sottrarsi a questa,
-riformandosi a reggimento municipale indipendente, ed elessero signori
-e governi distinti, preferendo l’indipendenza dei singoli alla libertà
-di tutti. Como, Alessandria, Novara seppero accordarsi colla Repubblica
-ambrosiana, ma a patti che tendeano principalmente a ricuperare la
-giurisdizione ed aggravare i popoli soggetti: tal era il senso dei
-sessantasette capitoli stipulati dai Comaschi, diretti a ristabilire
-il dominio della città sopra il contado e sopra la Valtellina e il
-Chiavennasco. Pavia, Parma, Tortona vollero reggersi da sè; Lodi e
-Piacenza introdussero guarnigione veneta; Asti si chiarì pel duca
-d’Orléans; gli esuli signorotti tornavano, e riprendevano gli aviti
-possessi e la baldanza di tiranneggiare perchè aveano sofferto; se non
-altro, saccheggiavano; dappertutto rinasceano le antiche cupidigie; ma
-s’erano talmente abituati all’obbedienza, che, appena uno primeggiasse,
-lo chiedevano signore.
-
-L’attività scompigliata produceva debolezza universale; mentre erasi
-perduto l’uso delle armi, d’ogni parte sonavano minaccie; la Repubblica
-era in grande setta e divisione nell’interno, fra le pretensioni
-dei capitani di ventura, che nè poteansi licenziare nè tenere in
-obbedienza; lo schiamazzo popolare diventava potenza, sempre micidiale,
-ed or faceva ardere i libri del censo, ora demolire il castello,
-soliti carnevali dei neoliberati; i cittadini medesimi si divideano in
-partiti, quale pendendo all’Impero, quale ai reali di Francia, al duca
-di Ferrara, a Venezia. Luigi di Savoja credette opportuna l’occasione
-di fermar piede in Lombardia, e si collegò col re francese, a patto
-che Genova e Lucca si conquistassero per questo, Alessandria si desse
-al Monferrato, le terre fra il Ticino, l’Adda e il Po, coi castelli di
-Trezzo e Pizzighettone, ad esso, duca di Savoja[47]. Venezia aveva già
-rotta guerra a Filippo, e adesso la continuava contro la Repubblica, ed
-accostavasi minacciosa all’Adda.
-
-In que’ frangenti che tolgono il senno anche ai più savj, i capitani
-della Repubblica parvero dimenticare le pretensioni di Francesco
-Sforza; ed aggirati o spinti dai Ghibellini, affidarono ad esso le
-armi, perchè li difendesse da’ nemici. Egli mostrò obbedire a coloro
-cui sperava comandare; dal carcere, ove l’avea cacciato Filippo
-Maria, trasse Bartolomeo Coleone, condottiero bergamasco, e se lo
-fece compagno alle imprese; colle artiglierie abbatteva mura che
-prima arrestavano gli eserciti, e prosperò nella guerra _marchesca_.
-Assediata Piacenza, la piazza più forte dopo Milano, riuscì a prenderla
-ed entrar per la breccia (1447 16 9bre): fatto portentoso e quasi
-nuovo nell’arte guerresca d’allora, ove la difesa era ancor superiore
-all’offesa. La città venne abbandonata al peggiore saccheggio e a
-tutti gli obbrobrj de’ soldati, che violentavano a scoprire i tesori;
-diecimila cittadini furono venduti; i ferramenti, i legnami portati a
-vendere nelle vicine città; nè Piacenza più risorse.
-
-Ma lo Sforza non operava a pro di Milano; anzi, dopo ch’ebbe con
-insigni vittorie, e massime con quella di Caravaggio (1448), fiaccato
-i Veneziani che erano stati a un punto d’acquistare il Milanese, e
-fattone prigioniero l’esercito, arsa la flotta, patteggiò di lasciar
-loro non soltanto Bergamo e Brescia, ma e il Cremasco e la Geradadda,
-cioè fino all’Adda, purchè l’ajutassero a succedere a Filippo Maria.
-L’accordo fu accettato (18 8bre).
-
-Francesco aveva un buon esercito, i Milanesi nessuno; prima Pavia,
-poi Piacenza, poi altre città lo chiedeano signore; perfidie non
-lo sgomentavano, e Cosmo de’ Medici amico suo gli aveva insegnato a
-badare alle convenienze proprie, non alle altrui, e che il mondo non
-si governa coi paternostri. In Milano rincalorivano le parti di Guelfi
-e Ghibellini; e i primi, guidati dal Trivulzio, avrebbero voluto
-una pace che assicurasse la Repubblica e dai nemici e dal difensore:
-il Lampugnani, il Bossi ed altri Ghibellini ricusavano la pace con
-Venezia, che sottraeva tanto territorio, e che preparerebbe forse la
-dominazione di quella città: il vulgo tumultuava ora per questi, ora
-per quelli, secondo l’opinione o le ciancie o il denaro. Carlo Gonzaga
-di Mantova, fatto comandante della città, batteva la mira a rendersene
-signore appoggiandosi ai Guelfi, sicchè i Ghibellini entrarono in
-trattati collo Sforza per garantire o qualche franchigia alla patria
-o qualche vantaggio a sè; ma scoperti, furono mandati al supplizio
-Lampugnani ed altri, molti in fuga, confiscati i loro beni. Allora
-prevale quella seconda schiera che sottentra sempre ai moderati; e
-nuova gente senza credito, traforatasi nel governo e impinguatasi
-delle confische, impresse l’impeto rivoluzionario, eccitò i Milanesi
-a resistere al traditore, al disertore, giurando piuttosto darsi al
-granturco e al demonio; spedirono per tutto bandi che il diffamavano;
-promisero diecimila zecchini di mancia e altrettanti in fondi a chi
-l’uccidesse; chiesero soccorsi dal duca di Savoja, i cui soldati non
-dando quartiere, facevano quel peggio che sapessero. I Milanesi stessi
-aveano scritto milizie paesane con fucili, arma nuova che, per quanto
-imperfetta, incuteva terrore ai dapprima invulnerabili corazzieri; e
-le battaglie divennero sanguinose, e costarono la vita a molti prodi
-condottieri.
-
-Ma lo Sforza era di lunga mano superiore per sentita di guerra,
-e sostenuto dai Veneziani, che tradivano cittadini liberi per
-procacciarsi un pericoloso vicino. Tardi s’accorsero dell’ambizione
-dello Sforza, e fecero pace colla Repubblica Ambrosiana; e avendo lo
-Sforza ricusato riconoscerla, spedirono truppe a soccorso di Milano
-(1449 27 7bre): ma l’incerta fede de’ capitani di ventura, disertati
-dalla Repubblica per mettersi dove la fortuna piegava, e il valore
-d’esso Sforza ne elisero l’effetto. Milano, disperata di miglior
-consiglio, proponeva di sottomettersi alla Serenissima; ma lo Sforza,
-domate Monza, Melegnano, Vigevano e le altre città provinciali, cinse
-la capitale. Il popolo, visti uscir vani tutti i suoi partiti, si levò
-a rumore, mosso dall’oro nemico, secondo la frase antica e moderna;
-cassò i magistrati popolari, ostinantisi alle armi, per surrogarvene di
-ghibellini: i quali però neppur essi aveano un disegno premeditato, nè
-sapeano finire la guerra, a terminar la quale erano stati eletti. Carlo
-Gonzaga, che avea mostrato l’ambizione del comando, non l’abilità, come
-vide i nuovi capitani della libertà non favorire alle aspirazioni sue,
-ma voler lui stesso obbediente, patteggiò collo Sforza, facendosi dare
-Tortona in compenso del tradimento. Gaspare Vimercato in parlamento
-dipinse la trista situazione: — I soccorsi piemontesi sono fiacchi,
-lontani quei di Napoli, pericolosi quelli dei Veneti; ecco crescere
-ogni giorno orrida e irreparabile la fame; più che un disperato
-resistere, non val meglio cercare pane e riposo allo Sforza? alla
-fine egli vanta de’ diritti, sicchè avrà minor bisogno d’infierire,
-e piuttosto desiderio di conservare». La proposizione fu accolta
-al solito da fischi ed urli, tra i quali però il senso comune si fe
-strada; la fame operò il resto, e il popolo assalì a tumulto il palazzo
-del governo; onde s’inviò a fare la sommessione, e lo Sforza spedì
-tosto gran ristoro di viveri, che il fece benedire.
-
-Ondate di Milanesi andavano a visitarlo ognidì al suo quartier
-generale, e gli sciorinavano elogi in versi, elogi in prosa, sonori
-quanto le imprecazioni che in suo vitupero eransi fatte testè, da
-ciascuno a chi peggio. Poi, il giorno della sua entrata (1450 26
-genn.), «avevano preparato un carro trionfale con un baldacchino di
-panno d’oro, e così con gran moltitudine aspettavano il principe avanti
-alla porta Ticinese. Ma Francesco per la sua modestia ricusò il carro
-e il baldacchino, dicendo tali cose essere superstizioni da re; il
-perchè, entrando, andò al sagro e massimo tempio di Maria Vergine, e
-fermo innanzi alla porta, si vestì di drappo bianco sino a’ piedi,
-la qual veste era di consuetudine che si vestivano i duchi quando
-pigliavano la signoria» (CORIO); ebbe la corona ducale, e il Milanese
-si racconciò nella monarchia militare. Francesco addormentò il popolo
-colle feste; coi belligeranti strinse buoni accordi; l’una dietro
-l’altra tornò in obbedienza le città, che preponevano ad una libertà
-procellosa una tranquilla servitù, ed ultime anche Como e Bellinzona;
-e incominciava una nuova politica e una nuova dinastia, preconizzata ai
-destini più insigni, e che pure dovea, fra micidj e tragedie, giungere
-a stento alla sesta generazione.
-
-Egli seppe mettere nel fodero la spada, colla quale aveva acquistato
-un sì bel dominio, e attese a far dimenticare la violenta origine
-e riconciliarsi i popoli col modo migliore, il beneficarli; non
-diè carico a’ suoi avversi; non lasciò campo a quelle riazioni, che
-irritano ed inimicano; resse con saviezza, restituendo al governo il
-vigore senza la crudeltà de’ Visconti; e riuscì uno dei principi più
-grandi e, secondo il tempo, de’ più buoni. Nella capitolazione erasi
-stipulato non si darebbe impiego a verun forestiero, i tribunali
-starebbero sempre in Milano, non rincarite le gabelle, garantiti i
-creditori dello Stato, messi fuor di città i soldati. Vedendo che «la
-plebe, riavvezzata alle armi, si ricordava della libertà», lo Sforza
-pensò ricostruire l’abbattuta fortezza; ma non volendo con ciò mostrare
-diffidenza, sparse tra il popolo suoi creati, che persuadessero ciò
-come ornamento e sicurezza della città; e per quanto i meglio avvisati
-si opponessero, gli altri prevalsero, e le parrocchie pregarono il
-duca di fabbricare il castello, che riuscì il meglio forte d’Italia in
-piano. Monumento più insigne della Sua munifica pietà rimane l’Ospedal
-grande, sontuosa fabbrica nella quale raccolse i varj ospedali della
-città; compì il naviglio che mena l’Adda a Milano. Sul trono serbò
-i modi franchi acquistati negli accampamenti; liberale dell’oro,
-asserendo non esser nato per fare il mercante; onorò le arti, favorì
-i letterati; davasi premura di smentire le dicerie sul conto suo, e di
-spiegare i motivi delle sue azioni.
-
-Tutto che militare, associò la sua politica a quella del negoziante
-Cosmo de’ Medici, che gli continuò sempre una grossa pensione; dissipò
-una lega che Venezia aveva giurata a danno di lui col re di Napoli, il
-duca di Savoja, il marchese di Monferrato, i Senesi, i Correggeschi:
-e seppe mostrarsi necessario ai varj potentati. Doppio matrimonio il
-collegò coi reali di Napoli, altri col marchese di Mantova, colla
-Savoja e con Francesco Piccinino, capitano non degenere dal padre,
-pel qual modo si furono riconciliati Sforzeschi e Bracceschi: e se
-ai Veneziani fu costretto lasciare Bergamo, Brescia, Crema, col loro
-circondario, di rimpatto acquistò Savona e Genova.
-
-Questa città non parve sottrarsi al duca di Milano che per
-avventarsi più dissennata nelle discordie tra Fregosi e Adorni,
-i quali strappavansi a vicenda l’effimero dogato. Ne conseguì tal
-debolezza, che la Repubblica, atterrita anche dall’avanzarsi de’
-Turchi i quali avevano occupato Costantinopoli, non credette poter
-difendere la Corsica e la Gazarìa altrimenti che col cederle al
-Banco di San Giorgio. In questo soltanto si conservava la virtù
-repubblicana; non fazioni, non corruttela, non turbolenze, ma quieta
-e savia amministrazione, attenta previdenza da mercanti; esempio
-che sciaguratamente non sapessi imitare dai cittadini. I quali di
-nuovo ricorsero allo sciagurato partito di darsi a’ forestieri; e
-Carlo VII di Francia, avutane la signoria, spedì Giovanni d’Angiò a
-governar Genova (1458), e la fece sua piazza d’armi per guerreggiare
-il Napoletano. Ma d’una tal guerra stanchi i Genovesi, si sollevarono
-contro Francia (1461), e Carlo tentò invano coll’armi ridomarli.
-
-In quei fatti cominciò a segnalarsi il cardinale arcivescovo Paolo
-Fregoso, che poi, valendosi della costernazione in cui era Genova per
-le crescenti conquiste de’ Turchi e per le interminabili nimicizie co’
-reali di Napoli, ottenne per intrighi di far salire al dogato un suo
-cugino Spinetta. Costui in breve fu cacciato di posto, non però di
-speranza; e in tre Fregosi fu mutata quell’anno la dignità di doge,
-che per costituzione era in vita (1463). Alfine riuscì ad aversela
-l’arcivescovo, e ne informò il papa, che rispose: Non dissimuleremo la
-meraviglia al sentirti accettare il governo temporale d’una città che
-a lungo non tollera governanti. Tu ’l sai per prova, ed a noi stessi
-giunsero a un tempo le nuove della tua prima elezione e dell’infelice
-cacciata. Non è certo impossibile esser principe e vescovo insieme; ma
-corre obbligo tanto maggiore di operare virtuosamente. Molte cose si
-condonano in un secolare, che sono intollerabili in un ecclesiastico.
-Ad una norma non procedono l’Impero e la Chiesa. Il sacerdote vuol
-essere tutto clemenza, tutto carità e amor paterno, astenersi dal male
-vero, schifare pur l’apparente. Se tali sono le tue intenzioni, se vuoi
-giusto e piamente imperare, non solamente sopra il tuo popolo, ma su
-te stesso; se non l’ingiuria del prossimo ma ti proponi la difesa del
-nome cristiano contro gl’Infedeli, confidando che cotesto principato
-sia stato a te conferito secondo le leggi della tua patria, e che
-ne userai a benefizio del popolo, in nome della santa Trinità noi lo
-benediciamo».
-
-Già prevedete che neppure l’arcivescovo doge vi si assodava; e si
-tornò ad esibirsi a Luigi XI di Francia, re positivo, che non amava
-gl’incrementi non fruttiferi, e sopra ogni merito stimava l’obbedire
-e star quieti, si fosse popolo o baroni. Quando dunque i Genovesi
-offersero di darsi a lui, rispose: — Ed io li do al diavolo».
-
-Quell’astutissimo facea gran conto de’ consigli e’ dell’amicizia di
-Francesco Sforza, il quale nella guerra di Borgogna lo sussidiò anche
-di quattromila cavalli e duemila fanti, capitanati dal proprio figlio
-Galeazzo Maria, che mostrarono anehe oltremonti non esser bugiarda la
-reputazione del valore sforzesco: in compenso Francesco si fe cedere
-Savona, aspirando a Genova. Frattanto Monaco, Finale, Ventimiglia
-erano sollevate, Cipro si staccava, e l’arcivescovo doge non curava o
-non sapeva rimediarvi; vilipesi i magistrati, rispettato chi avesse
-baldanza; i luoghi di San Giorgio caduti a ventitre lire; i Fregosi
-stessi a guerra fra loro. Molti malcontenti fuggivano a Milano, e
-Francesco gli accoglieva; alfine mandò bande sopra Genova (1464), e
-bastò perchè l’arcivescovo se ne andasse; il Castelletto non tardò
-a cedere, e ambasciadori vennero (13 aprile) ad offrire la superba
-capitale della Liguria, e seco la Corsica, al signor di Milano.
-
-Questi poteva aspettarsi qualche ostacolo alla sua potenza per parte
-dell’Imperatore. Sigismondo avea sposato la figlia Elisabetta ad
-Alberto d’Austria, e sudato perchè a questo passassero le corone
-d’Ungheria e Boemia: in fatto l’ottenne (1439), come anche quella di
-Germania. Morendo prestissimo, Alberto lasciò la moglie gravida d’un
-figliuolo, che fu detto Ladislao Postumo; e suo cugino Federico III
-d’Austria assunto all’Impero, ebbe regno più lungo che qualunque altro
-suo predecessore, e concentrò in sè le eredità de’ tre rami austriaci.
-Pigro e pusillanime, le lodi dategli da Enea Silvio Piccolomini, che
-prima fu suo segretario, poi papa Pio II, non l’assolvono dell’avere
-per negligenza e avarizia lasciato che l’Impero andasse sossopra fra
-guerre ripullulanti, mentre portava al colmo la propria famiglia, a’
-cui membri attribuì il titolo d’arciduchi, e adottò per divisa AEIOU,
-volendo esprimere _Austriæ Est Imperare Orbi Universo._
-
-Anch’esso volle scendere in Italia (1452), non per rinnovare la maestà
-dell’Impero, ma per farsi incontro ad Eleonora di Portogallo sua
-fidanzata; il giornale di questa comparsa attesta quanto i nostri,
-malgrado tante sciagure, precedessero in civiltà i forestieri. Nicolò
-Lanckman suo cappellano, per giungere in Portogallo, dovette col suo
-seguito travestirsi da pellegrino: eppure o bande di masnadieri, o
-prepotenti comandanti delle città li spogliavano tratto tratto[48];
-felici allorchè trovassero qualche banchiere fiorentino che li
-rifornisse di denaro. Federico a Siena ebbe incontro ben quattrocento
-dame di quella terra: dovette cercare un salvocondotto dal Coleone,
-che allora guerreggiava in Romagna[49]: entrando in Firenze, Carlo
-Marsuppini segretario della Repubblica gli recitò un’orazione latina
-gonfia di stile e vuota di cose, quale usavano gli eruditi; il
-Piccolomini rispose frasi positive e dirigendo alcune domande, alle
-quali il Marsuppini non seppe rispondere perchè non preparato.
-
-Federico traeva seco il nipote Ladislao Postumo, si può dir
-prigioniero; e avendo gli Ungheresi tramato di rapirglielo, i
-Fiorentini l’impedirono, ma invano s’interposero presso l’imperatore
-a favor di quello. A Roma fu sposato e coronato (18 marzo); a Napoli
-visitò lo splendido Alfonso: del resto faceva mercato e cortesia delle
-antiche pretensioni imperiali; per denari conferì a Borso d’Este il
-titolo di duca di Modena e Reggio, e conte di Rovigo e Comacchio;
-per denari creò nobili e notaj e conti palatini quanti vollero.
-Allorchè visitò Venezia, gli fu, tra altri donativi, presentato dalla
-Signoria un magnifico servizio de’ cristalli di Murano; e sua maestà
-fe cenno al buffone, il quale dando una spinta al tavolino su cui era
-deposto, mandò ogni cosa a pezzi; e i nostri mostrandone dispiacere,
-l’imperatore sclamò: — Fossero stati d’oro, non si sarebbero infranti».
-Francesco Sforza sapea dunque da qual lato pigliare costui, che esitava
-a riconoscerlo duca; e bastò si mostrasse risoluto a pagar con denari o
-a difendere colle armi il titolo concessogli dal suo predecessore.
-
-Sedici anni dopo, Federico tornò in Italia, e tutti almanaccavano
-reconditi fini al suo viaggio; ma scopo unico n’era lo sciogliere un
-voto alla madonna di Loreto: a Roma baciò le mani e i piedi del papa,
-gli tenne la staffa, assistette da diacono alla sua messa. Non volle
-riconoscere il successore di Francesco Sforza, dicendo che duca di
-Milano era lui stesso; ma nulla fece per sostenere tale pretensione.
-
-Meglio fortunato degli altri condottieri, lo Sforza potè dirsi anche
-l’ultimo. E noi non vogliamo staccarci da costoro prima di salutare
-Bartolomeo Coleone bergamasco. Nel suo castello di Malpaga erasi
-dato alla quiete, al bere, al novellare e sentir notizie de’ suoi
-commilitoni, fossero le prosperità dello Sforza o i supplizj del
-Piccinino, del Caldora, del Brandolini, d’altri, contro cui ritorceasi
-il ferro de’ principotti dacchè più non ne bisognavano. Dichiarato
-capitano generale dei Veneziani, vi fu onorato come principe dalla
-Signorìa e dal popolo: ma egli struggeasi di qualche impresa; finchè
-Venezia finse congedarlo (1467) acciocchè passasse ai fuorusciti
-fiorentini, cospiranti a ricuperare la patria. A molti condottieri che
-gli si unirono, si opposero altri pagati dal papa, dal re di Napoli,
-dal duca di Milano, da Firenze, capitanati da Federico d’Urbino; ed
-esso gli affrontò alla Molinella, giornata famosa ne’ fasti delle
-guerre d’avventurieri. Le lunghe manovre finirono con una pace, ove
-promettevasi mandar tutte le forze contro i Turchi, sotto al Coleone;
-ma l’impresa non ebbe effetto. Egli tornò al suo ritiro, dove gli
-giungevano ripetuti inviti dal re di Francia, dal duca di Borgogna,
-spesse ambasciate, e domande di consigli, e visite di principi (1475).
-Ricchissimo e senza figli, pensò tramandare il proprio nome con
-opere di beneficenza: lasciò alla Basella una chiesa, due monasteri
-a Martinengo; a Bergamo donò i bagni di Trescore, il canale de’
-mulini, tremila ducati d’entrata per costituire doti, e vi eresse la
-ricchissima cappella di San Giovanni. Dell’ingente sostanza, dotò
-per due terzi tre sue figlie maritate nei Martjnenghi, quattromila
-ducati a due altre, cenquarantunmila a luoghi pii, altra liberalità
-ai poveri, ai servi, ai coloni, ai buffoni di sua casa. De’ rimanenti
-ducentosedicimila ducati costituì erede la repubblica di Venezia, oltre
-un credito di settantamila; o diecimila in contanti perchè gli elevasse
-una statua, e dotasse povere zitelle.
-
-Ma da questo tempo i capitani di ventura pérdono importanza, e i
-principi hanno dominj estesi quanto basti per levar truppe su quelli
-e finanze per mantenerle[50]. Fra le battaglie interminate che da due
-secoli si combattevano, i politici aveano immaginato che unico modo
-di conservare Italia fosse il mantenervi la bilancia fra gli Stati. A
-ciò contribuivano le alternate alleanze; a ciò viepiù i condottieri
-col passare dall’uno all’altro, in guisa che lo Stato più poderoso
-poteva al domani trovarsi sguarnito, e il debole essere rinforzato
-con sussidio di denari. Specialmente Firenze, posta di mezzo fra
-Venezia e Milano a settentrione, Napoli e il Patrimonio della Chiesa a
-mezzodì, accostavasi agli uni o agli altri secondo vedeva necessario di
-correggere la prevalenza di questi o di quelli. È quel famoso sistema
-d’equilibrio, che l’ammodernata Europa si vanta d’avere inventato, dopo
-che la sua politica cessò d’essere costituita sopra idee morali.
-
-Le città dell’antica Lega Lombarda stavano tutte a dominio d’un solo,
-eccetto Bologna che alternava fra tirannia e franco stato. La Sesia
-segnava i confini del Milanese col Piemonte, ove i duchi di Savoja
-per molto tempo nessun altro acquisto fecero che della contea d’Asti.
-La Toscana obbediva ai Fiorentini, tranne Siena e Lucca indipendenti;
-Ferrara e Modena agli Estensi, pacifici e colti come educati dal
-Guarino veronese; Mantova ai Gonzaga, prodi guerrieri, e insieme
-istrutti nelle lettere da Vittorino da Feltre; Urbino passava dai
-Montefeltro a casa della Rovere; Romagna era sminuzzata in cento
-signorie, divise fra l’alto dominio papale e l’imperiale.
-
-A Venezia, più che rimestare le cose d’Italia, sarebbe stato opportuno
-curar quelle d’oltremare, dar fiore alle colonie di Levante, e farle
-partecipi della cittadinanza: eppure, mentre diciottomila cavalli ed
-altrettanta fanteria pose in campo contro il duca di Milano, in Morea
-non mantenne mai meglio di duemila uomini di truppe regolari. A voler
-prolungare la’ sua grandezza, minacciata dalle conquiste ottomane e
-dalla nuova direzione presa dal commercio, le sarebbe giovato farsi
-potenza illirica, o almeno trasferire in qualche isola di Dalmazia
-il porto troppo infelice in città, e dove a questa avrebbe servito
-d’antemurale; e raccogliendoci i Greci che fuggivano dalle spade
-turche, e soccorrendo agli Albanesi che vi resistevano, alzare una
-potenza a contrasto dell’ottomana[51]. Ma i nobili stavano attaccati
-alla città, da cui traevano il titolo di loro preminenza; il popolo
-credeva patriotismo il concentrare nelle isole tutta la vita; i
-mercanti voleano aver terre da spogliare; e intanto chi ne profittava
-era il nemico comune.
-
-Che che però ne fosse della convenienza d’aver surrogato una politica
-guerresca alla pacifica che Tommaso Mocenigo raccomandava, Francesco
-Foscari avea per trentaquattr’anni coperto Venezia di gloria militare,
-e campatala dalla minaccia dei Turchi. Ma come si tornò in pace con
-questi e coll’Italia, rivisse dentro la parzialità dei Loredano,
-implacabilmente ostile al doge. Non paga di contrariarlo in ogni
-proposta, in ogni interesse, volle essa trafiggerlo nella parte più
-sensitiva, cioè in Jacopo, unico figlio sopravissutogli. Poco innanzi,
-le costui nozze eransi celebrate con pompa principesca: trentamila
-persone per dieci giorni s’affollarono sulla piazza San Marco a vedere
-le giostre che vi avea bandite Francesco Sforza, e dove il marchese
-d’Este e il Gattamelata fecero prova di sè (1445), tra gli applausi
-delle patrizie vestite di broccato d’oro. Ora a questo figlio fu data
-accusa d’aver ricevuto regali da principi forastieri, e nominatamente
-da Filippo Visconti; e interrogatone avanti al padre e al consiglio de’
-Dieci, fra gli spasimi della tortura confessò. Relegato in Romania,
-per fievole salute ottiene di restare a Treviso. Ma dopo cinque anni
-essendo ucciso Ermolao Donati uno de’ suoi giudici, n’è imputato Jacopo
-(1450), e messo di nuovo alla tortura, benchè negasse[52], fu bandito
-alla Cánea, nè gli si consenti il ritorno, sebbene un Erizzo morendo
-si confessasse reo di quel sangue. Jacopo allora, struggendosi pel
-desiderio della nativa laguna, dei cadenti genitori, della moglie e
-de’ figli; nè trovando chi in Venezia parlasse a suo pro, si volge al
-duca di Milano perchè gl’impetri di recare in patria le ossa infrante.
-Era severamente vietato interporre stranieri in cose di Stato: perciò,
-essendo la lettera intercetta (1454), ed egli chiamato, «dopo trenta
-squassi di corda» confessa averla scritta apposta ond’essere ricondotto
-in patria almeno pel processo. Un nuovo giudizio lo confina a Candia,
-concedendogli d’abbracciare i parenti, ma senza poter confondere le
-lacrime che sotto l’occhio dell’autorità. «Il doge era vecchio in
-decrepita età, e camminava con una mazzetta. E quando egli andò,
-parlogli molto costantemente, che parea non fosse suo figliuolo,
-_licet_ fosse figliuolo unico. E Jacopo disse: _Messer padre, vi prego
-che procuriate per me acciocchè io torni a casa mia_. Il doge disse:
-_Jacopo, va e obbedisci a quello che vuole la terra, e non cercar più
-oltre_. Ma si disse che il doge, tornato a palazzo, tramortì» (SANUTO).
-
-Il figlio morì di crepacuore; il padre continuò a subire la nimicizia
-de’ Loredani; ed essendo morti due di essi quasi subitaneamente; ne fu
-imputato egli stesso; Jacopo Loredano finse di crederlo, e s’impegnò
-a vendicarsene (1457). Fatto dei tre inquisitori, imputò il Foscari
-d’avere per la perdita del figlio mostrato un dolore che sapea di
-rimprovero, e come vecchio e acciaccoso propose di deporlo. Due volte
-il Foscari aveva esibito di abdicare, e, non che consentirglielo, era
-stato indotto a giurare di non ripetere la domanda finchè la guerra
-il rendeva necessario: ma allora, benchè fosse caso senz’esempio,
-fu obbligato a rassegnar la sua carica fra ventiquattr’ore, e uscì
-dal palazzo, dov’era abitato per trentacinque anni, senza figliuolo
-nè amici nè forze, tra un popolo che l’amava, ma che più temeva
-l’inquisizione allora appunto istituita (1457), tra i varj corpi dello
-Stato, nessun de’ quali osava protestare contro questa violazione della
-popolare sovranità. Quando la squilla di San Marco annunziò sortito il
-suo successore (23 8bre), il vecchio Foscari spirò; e sulla sfarzosa
-tomba erettagli ne’ Frari fu scritto: «Eccovi, o cittadini, l’effigie
-del vostro doge Francesco Foscari, per ingegno, memoria, eloquenza,
-inoltre giustizia, forza d’animo, consiglio, per lo meno degno di
-pareggiar la gloria de’ più gran principi: non mai troppo mi parve
-l’amore verso la mia patria; gravissime guerre in terra e in mare per
-la salute e dignità vostra per più di trent’anni con somma fortuna
-sostenni; sorressi la pericolante libertà d’Italia; i perturbatori
-della quiete repressi colle armi; Brescia, Bergamo, Ravenna, Crema
-aggiunsi allo Stato vostro; d’ogni ornamento crebbi la patria; data a
-voi la pace, stretta Italia in tranquilla lega, esauste tante fatiche,
-dopo ottantaquattr’anni di vita e ventiquattro di dogato all’eterna
-pace passai. Voi la giustizia e la concordia conservate, acciocchè
-sempiterno sia questo impero».
-
-Il Loredano, alla partita di debito che aveva aperta ne’ suoi registri
-a carico de’ Foscari per la morte dei suoi parenti, contrapponeva
-_Pagata._ Bel tema di romanzi e tragedie, e opportuno contrapposto
-all’ambizione fortunata dello Sforza: nè noi siamo disposti a
-scagionare ingiustizie e tirannie, vengano da repubbliche o da despoti,
-da forestieri o da nostrali.
-
-Ma l’amor delle arti, della quiete, delle lettere invadeva principi
-e popoli, non più la sola guerra; l’interesse, che un tempo si
-fermava unicamente sul capitano, dirizzavasi anche al letterato e
-al pittore; e d’altra materia empiremo noi il libro che succede a
-questo di perpetue battaglie. Repente l’attenzione e i ragionamenti
-si volsero sulle conquiste de’ Turchi; e la presa di Costantinopoli
-(1453) fu guardata da tutti come domestica sciagura, come un pericolo
-universale, del quale si doleano d’essersi accorti troppo tardi. Allora
-Francesco Sforza concepì il divisamento di stringere tutta Italia
-in federazione, all’intento d’escluderne gli stranieri qualunque si
-fossero, e conservare la pace interna; e mediante frà Simonetto da
-Camerino (1454), fu stipulata in Lodi tra esso Sforza e i Veneziani,
-come padroni disponendo anche degli altri Stati d’Italia: Cosmo de’
-Medici, i signori di Savoja, di Monferrato, di Modena, di Mantova,
-le repubbliche di Siena, Lucca, Bologna e il papa vi aderirono; e da
-ultimo anche Alfonso di Napoli: onde per un momento Italia respirò
-dalle battaglie, e potè sperare che una confederazione le salvasse
-l’indipendenza e la libertà. Fu un sogno anche questa volta.
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-LIBRO UNDECIMO
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-CAPITOLO CXVII.
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-I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj.
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-PAPI DURANTE LO SCISMA
-
- URBANO VI
- (Bartolomeo Prignano)
- eletto il 9 aprile 1378
- da sedici cardinali, quindici de’ quali poco poi eleggono
- | CLEMENTE VII
- | (Roberto di Ginevra)
- | 21 settembre 1378
- | |
- BONIFAZIO IX BENEDETTO XIII
- (Pietro Tomacelli) (Pietro di Luna)
- 2 novembre 1389 28 settembre 1394,
- | deposto dal concilio
- | di Pisa, 5 giugno
- INNOCENZO VII 1409, poi da quello
- (Cosma Meliorati) di Costanza, 26
- 17 ottobre 1404 lugl. 1417
- | |
- GREGORIO XII ALESSANDRO V |
- (Angelo Correr) (Pietro Filargo) |
- 30 novembre 1406, 26 giugno 1409 |
- deposto dal | |
- concilio di Pisa, | |
- 5 giugno 1409; GIOVANNI XXIII |
- abdica, 4 luglio (Baldassarre Cossa) CLEMENTE VIII
- 1415 17 maggio 1410 (Gilles Muñoz)
- | deposto dal concilio in giugno 1424
- MARTINO V di Costanza, 29 mag. eletto da due
- (Ottone Colonna) 1415; abdica, 13 mag. cardinali;
- 11 nov. 1417 resta 1419 abdica, 26 luglio
- papa, finendo lo scisma 1429
-
-La prolungata dimora dei papi in Avignone d’estremo disgusto era motivo
-agl’Italiani, avvezzi a bersagliarli finchè li possedono, ribramarli
-appena gli abbiano perduti. E tanto più che, cessando i vantaggi,
-non cessavano le noje; e di là arruffavano essi la patria nostra vie
-peggio, perchè dei mali che le procacciavano non erano partecipi. Dal
-1317 sino al chiudersi del secolo li vedemmo in guerra guerreggiata
-contro i Visconti di Milano, e per sottomettere popoli rivoltosi, o
-signorotti ripullulanti nelle terre papali; e non ostante le vittorie
-di Bertrando del Poggetto e dell’Albornoz, altro effetto non ne
-trassero che di rovinarle di popolo e di frutti.
-
-Innocenzo VI (Stefano d’Aubert) (1352), che si diè tanto moto per
-rintegrare il potere pontifizio in Italia, moderò il lusso di sua
-Corte e de’ prelati, cacciò i parasiti e le male donne che in Avignone
-trafficavano famosamente, e impinguò i nipoti, obbrobrio omai comune.
-Al suo tempo il re di Francia, fiaccato dalle lotte coll’Inghilterra,
-trovavasi impotente a salvaguardare il papa, ricovratosi sotto la sua
-ala; il popolo stesso francese, tumultuante per quelle idee che oggi
-si chiamano comunismo, facea macello di possidenti e di ricchi (_la
-Jacquerie_); e le bande di ventura rimaste senza soldo fiutavano ove
-fosse a saccheggiare. Mossero elle (1361) sopra Avignone, sicchè i
-papi dovettero provvedere a difendersi e gridare al soccorso: ma non
-n’ebbero se non dai nobili del contorno, i quali vi vedeano l’interesse
-proprio, ed erano pagati dai cardinali; poi il marchese di Monferrato,
-avuti centomila fiorini del tesoro papale, soldò quelle bande e le menò
-in Italia per adoprarle nelle proprie nimicizie.
-
-Se non che la peste era stata recata in Avignone da quelle ciurme, e
-nove cardinali, settanta prelati e gran moltitudine perirono. Le quali
-sventure faceano ribramare l’Italia, e Urbano V (Guglielmo di Grimoard)
-(1362), buon principe e buon cristiano, divisava restituirvi la sede,
-anche per tôrre agli altri vescovi il pretesto di lasciar vedove le
-chiese, a sè la necessità di annuire alle crescenti domande del re
-di Francia, e sottrarsi alle masnade che tratto tratto ritornavano a
-taglieggiarlo, tra cui quella del famoso Bertrando Di Guesclin pretese
-centomila lire e l’assoluzione plenaria. Ma i cardinali preferivano
-Avignone, dove non si trovavano a fronte nè la petulanza d’una
-plebe riottosa come la romana, nè la prepotenza de’ baroni; sicchè
-vi si erano adagiati come in domicilio stabile, aveano fabbricato
-suntuosamente, e quindi persuadevano il papa dover egli preferire la
-Francia: questa, sua patria; questa, centro dell’Europa; questa, meglio
-governata e quieta che l’Italia; questa, più santa di Roma perchè
-religiosissima già la chiamava Cesare, e i Druidi vi esistevano prima
-del cristianesimo; questa infine, più cara a Gesù Cristo perchè vi si
-conservavano le reliquie più insigni[53].
-
-I Turchi sempre più guadagnavano verso l’Europa; e Pietro Lusignano re
-di Cipro girava le corti esortando a sostenere gli ultimi possessi de’
-Crociati, se non voleano vedere la mezza luna drappellarsi rimpetto
-all’Italia. Urbano sembrò compunto di questo pericolo; Carlo IV
-imperatore fece grandi preparativi per una crociata, la quale però non
-riuscì se non ad uno sbarco scarso ed infruttuoso sopra Alessandria
-d’Egitto.
-
-Però e il papa e l’imperatore presero accordo di ripristinare la santa
-Sede a Roma. Questa città avea sempre altalenato fra insania demagogica
-e oligarchica arroganza, or ribelle al pontefice per bizzarria, or
-sottomessagli per paura. Si pensò ottenere maggior quiete col nominare
-un podestà forestiero: ma i Romani sel recarono ad oltraggio, e
-abolito il senatore, istituirono sette riformatori della Repubblica;
-poi fra poco diedero poteri dittatorj a Lello Pocadote calzolajo, poi
-ripristinarono i riformatori. Quale allettamento aveva dunque un papa a
-ritornarvi? Pure sentiva esser fuori di posto in una terra dove vestiva
-aspetto d’un esule ricoverato, piuttosto che d’un sovrano dei re; e
-dove prelati quasi tutti francesi davano alla Corte un’aria nazionale,
-ben diversa da quella cosmopolita che soleva in Roma; l’assenza
-sua porgeva pretesto ai Romani di rivoltarsi, agli altri vescovi di
-abbandonare le proprie sedi. Adunque, da che le conquiste dell’Albornoz
-assicurarono il principato civile (1367), Urbano deliberò restituirsi
-di qua dall’Alpi.
-
-Appena se ne motivò, Roma e Italia tutta fecero gran sembianti
-d’allegrezza; Napoli offrì cinque galee, Pisa tre, Genova quattro,
-Venezia dieci, due Lucca. Ricevuto dappertutto con vive feste, e fra un
-cantare al popolo d’Israele che usciva d’Egitto, alla casa di Giacobbe
-dal popolo barbaro, non avea però troppi motivi a fidarsi de’ Romani.
-In Viterbo, ove a lungo s’indugiò, una sommossa popolare tenne tre
-giorni in pericolo il sacro collegio; e repressa dai cittadini, furono
-arrestati cinquecento colpevoli, di cui cinquanta ebbero il bando,
-sette la forca. L’arrivo di Nicolò II d’Este con settecento uomini
-d’arme rassicurò il papa ad entrare a Roma, e celebrò sull’altare
-papale, ove nessuno più da Bonifazio VIII in poi; e in Laterano
-benedisse il popolo colle teste dei santi Pietro e Paolo, per le
-quali fece fare due reliquiarj, che valsero trenta e più mila fiorini
-d’oro. Abolì i riformatori, rimettendo un senatore semestrale con
-tre conservatori; e tolse i tredici banderesi, capi de’ rioni fin con
-diritto di sangue, e che traendo a sè tutti gli affari, rimanevano i
-veri padroni della città.
-
-Vi giunse poi, come avea promesso, Carlo IV con gran seguito di duchi
-e marchesi, volendo procacciare alla quarta sua moglie lo spettacolo
-della coronazione colla maggior maestà che fosse possibile. Anche
-Giovanni Paleologo imperatore di Costantinopoli venne a fare omaggio
-a Urbano, e riconoscere la Chiesa latina; spettacolo non più visto da
-Teodosio in poi, gl’imperatori d’Oriente e d’Occidente inginocchiati
-davanti al papa. Ma Carlo partì fretta fretta, e Urbano, che proponeasi
-di rassettare la dignità della Chiesa coll’assistenza di cinquantamila
-uomini da lui promessigli, si trovò in asso: che se finchè stette in
-Avignone facea qualche mostra di vigoria adoprando l’oro racimolato da
-tutta cristianità a domare questi signorotti lontani, allora si trovò
-in loro balia e colla borsa vuota; mentre Bernabò Visconti, ridendosi
-delle scomuniche, gli ammutinava tutte le città di Romagna. Vedendo
-dunque non approdare a verun bene, malgrado le esortazioni de’ più e
-del Petrarca, tornossi ad Avignone (1370), anzi vi consolidò l’esiglio
-coll’eleggere altri cardinali francesi; e l’Italia continuò le minute
-baruffe, ispirate da gelosie, esercitate dalle bande.
-
-Caterina, nata in Siena (1347) da Benincasa ricco tintore, datasi alla
-solitudine, alle austerità, all’orazione, fatto voto di verginità e
-difesala contro la insistenza domestica, cominciò ad avere torrenti di
-grazie dal Signore, il quale «le avea insegnato a fabbricarsi un ritiro
-dentro dell’anima sua per richiudervisi di continuo, e le aveva anche
-promesso di farvi trovare tal pace e riposo, che niuna tribolazione
-potrebbe turbare»[54]. Si vestì terziaria di san Domenico, e superando
-gli spasimi d’incurabili malattie e le impure tentazioni, ristorando
-l’anima colle dolcezze della preghiera e colla carità verso gl’infermi
-e i peccatori, ebbe rivelazioni e comunicazioni celestiali; Cristo in
-visione le esibì a scegliere fra una corona d’oro e una di spine, e
-poichè ella prese questa e la si calcò sul capo per somigliare a lui,
-egli le diede a succhiare il proprio costato; un altro giorno cambiò il
-cuore di lei col suo; la sposò anche solennemente, porgendole un anello
-che sempre le rimase in dito, e ch’ella sola vedeva, come le stigmate
-della passione. Tali e ben altre meraviglie ci sono narrate dal suo
-confessore Raimondo di Capua, il quale dubitò lungamente fossero
-allucinazioni di devota fantasia, fin quando non vide la giovane faccia
-di Caterina trasformarsi in quella proprio del Redentore.
-
-Fu privilegiata del dono di convertir peccatori, come fece di tutta
-la famiglia Tolomei, e di due assassini dannati al patibolo; tantochè
-il papa deputò tre Domenicani che in Siena ricevessero le confessioni
-di quelli ch’essa avea tratti a penitenza. Del potere che la virtù
-davale sugli animi, avea fatto uso a minorare i patimenti della sua
-patria; cercò distogliere il feroce avventuriero Giovanni Acuto dal
-più guerreggiare i Cristiani. Alla santa ebber ricorso i Fiorentini
-quando il pontefice stava irato con essi; ed ella, schermitasi invano,
-fu ricevuta a Firenze come in trionfo, ottenne pieni arbitrj, e al papa
-scriveva: — Pregovi che vi mandiate proferendo come padre, in quel modo
-che Dio vi ammaestrerà, a Lucca ed a Pisa, sovvenendoli in ciò che si
-può, ed invitandoli a star fermi, perseveranti. Essi stanno in gran
-pensiero, perocchè da voi non hanno conforto, e dalla contraria parte
-sono stimolati e minacciati che facciano la pace; ma per infino a qui
-al tutto non hanno acconsentito. Seguitate la mansuetudine e pazienza
-dell’agnello immacolato Gesù Cristo, la cui vece tenete. Confidomi in
-lui, che di questo e d’altre cose adoprerà tanto in voi, che n’adempirò
-il desiderio vostro e mio; chè altro desiderio in questa vita io non
-ho, se non di vedere l’onore di Dio, la pace vostra, e la riformazione
-della santa Chiesa, e di vedere la vita della grazia in ogni creatura
-che ha in sè ragione. Confortatevi, che la disposizione di qua, secondo
-che mi è dato a sentire, è pure di volervi per padre, e specialmente
-questa città tapinella, la quale è sempre stata figliuola della santità
-vostra, e che costretta dalla necessità fece di quelle cose che le
-sono spiaciute: voi medesimo gli scusate alla vostra santità, sicchè
-coll’amo dell’amore voi gli pigliate. Potreste dire, _Per coscienza
-io sono tenuto di conservare e racquistar quello della santa Chiesa_.
-Ohimè! io confesso bene che egli è la verità, ma parmi che quella cosa
-che è più cara si debba meglio guardare. Il tesoro della Chiesa è il
-sangue di Cristo, dato in prezzo per l’anima, perocchè il tesoro del
-sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma per salute dell’umana
-generazione. Sicchè poniamo che siate tenuto di racquistare e conservar
-il tesoro e la signoria della città, che la Chiesa ha perduto; molto
-maggiormente siete tenuto di racquistare tante pecorelle che sono
-un tesoro nella Chiesa, e troppo ne impoverisce quand’ella le perde.
-Pace, pace, santissimo padre; piaccia alla santità vostra di ricevere
-i vostri figliuoli, che hanno offeso voi padre; la benignità vostra
-vinca la loro malizia e superbia; non vi sarà vergogna d’inchinarvi per
-placare il cattivo figliuolo, ma saravvi grandissimo onore ed utilità
-nel cospetto di Dio e degli uomini del mondo. Ohimè, babbo, non più
-guerra per qualunque modo; conservando la vostra coscienza si può aver
-la pace; la guerra si mandi sopra gl’infedeli, dove ella debba andare».
-
-Fu poi in persona ad Avignone, e Urbano anch’egli rimise in lei ogni
-differenza; ma altri ambasciadori fiorentini sturbarono la conclusione.
-Caterina non cessò di esortare il papa ad armarsi alla crociata, ed
-a restituirsi a Roma[55], come seppe indovinargli n’avea fatto voto
-segreto. Al quale uopo avea con lei contribuito santa Brigida, nobile
-svedese, che, perduto il marito mentre andavano pellegrini a San Jacopo
-di Galizia, prese un vivere sempre più austero, e istituito l’ordine di
-San Salvatore, venne in Montefiascone a cercarne la conferma ad Urbano,
-cui annunziò averle la beata Vergine rivelato come pessimamente gli
-avverrebbe se uscisse d’Italia. Non le diede egli ascolto, ma tornato
-in Avignone, presto (1370) fu colpito dalla morte[56]. Pio a segno,
-che si credettero operati miracoli al suo sepolcro, generoso colle
-chiese e cogli studiosi, di cui manteneva un migliajo sulle Università,
-avea regnato pei popoli non per sè: ma è un’insipida lode quella
-attribuitagli dal Petrarca, di non aver fatto nessun malcontento.
-
-Dopo una sola notte di conclave gli fu dato successore Pietro Roger,
-modesto, virtuoso e insieme dottissimo, che già cardinale frequentava
-a Perugia le lezioni di Baldo, e ne fu il più sapiente scolaro.
-Volle il nome di Gregorio XI, e badando ai gravi mali d’Italia e alle
-esortazioni di quelle sante[57], meglio che alle opposizioni del re
-di Francia, piantossi in Vaticano (1377), e vide il gonfalone della
-Repubblica e dei dodici rioni deposti ai suoi piedi: ma i magistrati
-li ripigliarono ben presto, continuando a governare da sè; di che il
-papa soffrì e si scontentò, e forse solo morte gl’inpedì di restituirsi
-di là dall’Alpi. Pure egli fu l’ultimo papa francese; e dopo settantun
-anno e tre mesi la santa Sede era stata riportata di Francia in
-Italia. Le miserie di questa che fautori e avversari deplorano come
-schiavitù di Babilonia, invigorirono la scossa che allora d’ogni parte
-veniva alla maestosa unità cattolica, preponderante nel medioevo. Le
-nazioni eransi formate attorno ai vescovi, donde l’assoluto potere
-ecclesiastico, come d’un padre sopra i figli che generò e crebbe.
-Costituitesi, riuniti molti territorj, nato il potere pubblico,
-vollero svilupparsi dalle fasce della Chiesa per vivere di vita
-propria, e compresero che il temporale potea sussistere disgiunto dallo
-spirituale: onde alla società senza limite di spazio sottentravano
-società particolari e distinte, all’andamento generale le parziali
-destinazioni.
-
-I tentativi di Bonifazio VIII per rintegrare la supremazia pontifizia
-destarono ne’ principi quella gelosia, che proviene mentosto da reali
-violenze che da paura. Alle immunità attribuite ai beni ed alle persone
-degli ecclesiastici, i Comuni non esitavano por la mano, dovessero
-anche affrontare gli anatemi del pontefice. Pistoja statuì che, chi
-entrava chierico, perdesse diritto al patrimonio, nè dai parenti
-potesse ripetere alcuna cosa, se non a titolo di largizione o per
-infermità o per andare a studio. I Fiorentini sottoposero alle gravezze
-e ai tribunali comuni gli ecclesiastici, perciò vietato di far voltura
-in loro testa sul libro dell’estimo de’ beni a loro pervenuti, talchè
-la ditta fosse sempre obbligata alle gravezze, e i beni medesimi
-ipotecati a favore del Comune. Venezia, nella guerra del 1379 coi
-Genovesi, decretò tutti i monasteri si armassero, e cacciò i monaci
-che lo ricusarono come contrario al loro istituto. A Genova bastava
-esser chierico per rimanere escluso da qualfosse pubblico impiego, per
-la ragione che l’immunità gli avrebbe sottratti al castigo in caso di
-trasgressione. Il comune di Perugia nel 1319 destinava un uffiziale
-a sopravvegliare gli ecclesiastici; e propose che nessuna lettera si
-mandasse al papa, foss’anche dal vescovo, se non suggellata dal Comune
-(GRAZIANI). Torino faceva uno statuto _super iniquitate, superbia et
-immoderata avaritia cleri et presbyterorum_, e li obbligava, oltre il
-resto, a concorrere a mantenere il ponte sul Po.
-
-Padova voleva aggravezzare i beni degli ecclesiastici, questi
-ricusavano, e tant’oltre si andò che il Comune nel 1282 stabilì, chi
-ammazzava un chierico pagasse un grosso e fosse assolto (GENNARI),
-e vi ebbe chi ne profittò a sfogo di vendette. Meglio i Reggiani,
-scomunicati dal vescovo nel 1280, si può dire scomunicarono lui,
-vietando ogni relazione coi cherici, non pagar loro le decime, non dar
-consiglio nè ajuto nè prestito, non pasti, non contratti con essi, non
-entrare in casa loro, non macinarne il grano o fare il pane o radere
-la barba; il che lo portò a pronta composizione. D’altra parte il papa
-volendo rimeritare i Fiorentini d’avergli spediti ajuti in Lombardia,
-nel 1323 concedette che il clero contribuisse alla spesa di fortificare
-la città. Di rimpatto il legato pontifizio voleva essere investito
-della pingue abazia dell’Impruneta; e perchè i Buondelmonti si opposero
-considerandola come loro patrimonio, egli mise l’interdetto sulla
-città.
-
-Quando l’edifizio sociale era impiantato sulla fede, ogni opposizione
-si risolveva in eresia: le scomuniche, contro cui eransi fiaccati
-l’orgoglio e la potenza degl’imperatori sassoni e svevi, perdeano
-efficacia dacchè prodigate in effetti mondani; i Siciliani durarono
-ottant’anni in rotta colla Chiesa; i Visconti degli interdetti si
-vendicavano col pesare viepeggio sugli ecclesiastici; e gli avvocati
-ergeano la fronte contro i papi, ai quali erasi incurvata quella dei
-re.
-
-Ormai dalla fede assoluta passavasi alle religioni comparate. Maestro
-Urbano da Bologna nel 1334 scrisse un commento di Averroe, che invogliò
-a conoscere il testo; e quelle opere entrarono di moda, e con esse i
-dubbj sulla vita futura e la pendenza al panteismo; e il Petrarca si
-piange che la filosofia aristotelica inducesse al materialismo, tanto
-che non otteneva nome di dotto e filosofo chi non aguzzasse la lingua
-e la penna contro la religione. Un di costoro «i quali pensano non
-aver fatto nulla se non abbajano contro di Cristo e della sovrumana
-sua dottrina», andò a trovare il poeta a Venezia, e lo cuculiava
-perchè avesse citato un detto dell’apostolo delle genti, e — Tienti la
-tua religione, io non ne credo acca; il tuo Paolo, il tuo Agostino e
-cotest’altri furono chiaccheroni; e deh potessi tu soffrire la lettura
-di Averroe, che ben vedresti quanto e’ sorvola a cotesti tuoi buffoni».
-Petrarca se ne stomacò, e tutto dolce ch’egli era, prese pel mantello e
-mise fuor di casa il temerario.
-
-Nè per tanto si rinnegava la Chiesa. Quei Patarini che l’aveano
-conturbata due secoli prima, erano scomparsi d’Italia o nascosti;
-il popolo amava le splendidezze del culto, se anche non ne venerava
-l’austerità, e compiaceasi del papa e della corte pontifizia: gli
-studiosi ostentavano questa incredulità accademica, ma non le si
-conformavano nelle pratiche; e d’altra parte, non poteano essi
-declamare contro la Corte romana colla libertà che avea usata Dante,
-senza incorrere negli anatemi? Ma dacchè erasi trasportata in Avignone,
-e Guelfi e Ghibellini del pari la bersagliavano, quasi cessasse
-d’essere cattolica cessando d’essere romana. Il Sacchetti mercante, il
-Petrarca canonico, il Pecorone frate, e persone di grande scienza e di
-celebrata santità avventavansi contro quella Babilonia, che tal nome
-meritava non meno pel lusso che per la corruzione, dove parea costume
-ciò che altrove vizio, dove la disonestà accoppiavasi colla perfidia e
-colle bassezze.
-
-Ciò che altre volte sarebbe valso poco più che per esercizio di
-retorica o sfogo di bile, diventava pericoloso allorchè, perdendosi
-il senso de’ simboli, la società riducevasi affatto pratica; laonde
-i politici guatavano con disgusto questa Corte che, vivendo nel
-mondo, n’avea presa la licenza, le passioni, gl’intrighi, e reso la
-Chiesa un mezzo di governo e di speculazione. Di tal passo venivasi
-a vilipendere quel che prima erasi venerato, e declinava nei popoli
-lo spirito d’obbedienza quando appunto i pontefici lasciavano
-quello di dominazione. Allora parve insopportabile la giurisdizione
-ecclesiastica, che colla pubblicazione del VI e VII libro delle
-_Decretali_, poi delle _Estravaganti_ erasi estesa per modo, che
-qualsivoglia lite poteva anche in prima istanza recarsi al pontefice.
-
-Agostino Trionfe d’Ancona, agostiniano, che dettò a Parigi poi a
-Napoli, carissimo ai re Carlo e Roberto, dedicò a Giovanni XXII una
-_Somma della podestà ecclesiastica_, apologia dell’onnipotenza dei
-papi: da Dio immediatamente derivare la loro giurisdizione, superiore
-ad ogni altra perchè tutte giudica, da nessuna è giudicata; come
-spirituale, così è temporale, perchè chi può il più può anche il meno:
-non può il papa essere deposto dal concilio generale, nè giudicato
-dopo morte: è assurdo appellarsi al concilio, giacchè questo non trae
-autorità che dal pontefice, il quale unico può proferire sui punti di
-fede, nè altri informare dell’eresia senz’ordine di esso. Come sposo
-della Chiesa universale, tiene immediata giurisdizione sopra ogni
-diocesi, e per sè o per mandati suoi vi può fare quel che vescovi e
-parrochi. Al papa devono obbedienza Cristiani, Ebrei e Gentili; egli
-può punire i tiranni e gli eretici anche con pene temporali; egli,
-non i vescovi, scomunicare; fin di là della tomba estende il potere
-per via delle indulgenze: potrebbe scegliere di qualsiasi paese
-l’imperatore senza ministero degli elettori, o renderlo ereditario:
-l’eletto dev’essere da lui confermato e giurarsegli ligio, e può da
-lui essere deposto: tutti i re sono tenuti obbedire al pontefice, dal
-quale traggono la potenza temporale: a lui può appellarsi chiunque si
-sente gravato dal principe: e i principi e’ può correggere per peccati
-pubblici, deporli anche, e istituire un re di qualsiasi regno.
-
-L’esagerazione è sintomo di autorità minacciata; e sempre maggiore
-ardimento pigliava l’opposizione. Guglielmo Occam, scolastico
-nominatissimo, per favorire Lodovico Bavaro contendeva l’infallibilità
-non solo al papa, ma anche al concilio universale e al clero; i
-laici in corpo poter decidere risolutamente; contro il papa potersi
-all’uopo adoprare anche la forza, o stabilirne diversi un dall’altro
-indipendenti. Marsiglio di Mainardino da Padova, eloquente professore
-all’Università di Parigi, poi rifuggito ad esso Lodovico, gli insinuò
-che a lui competesse riformare gli abusi della Chiesa, perchè questa è
-sottomessa all’Impero; e con Ubertino da Casale pubblicò il _Defensor
-pacis_, ove già s’incontrano le negazioni di Calvino rispetto
-all’autorità e costituzione della Chiesa; la potestà legislativa ed
-esecutiva di questa fondarsi sul popolo che la trasmise al clero;
-i gradi della gerarchia essere invenzione posteriore; il primato,
-consistente solo nel convocare concilj ecumenici e dirigerli, non fu
-dato al vescovo di Roma se non con autorizzazione d’uno di tali concilj
-e del legislatore supremo, cioè di tutti i fedeli o dell’imperatore
-che li rappresenta; Gesù non lasciò a capo della sua Chiesa verun
-capo visibile, nè Pietro avea preminenza che per l’età; al sovrano,
-purchè fedele, spetta l’istituire prelati, eleggere il papa, giudicare
-i vescovi come Pilato giudicò Cristo, e deporli, convocare concilj e
-regolarne le deliberazioni; eguali essendo i vescovi, l’imperatore solo
-può elevarne uno sopra gli altri, e a grado suo abbassarlo[58]. Sì poco
-sono moderne le dottrine che subordinano la Chiesa ai governi!
-
-Le teoriche negative si traducevano in fatti: la bolla d’oro di Carlo
-IV sottraeva il sacro romano impero dai papi; il re di Francia, non
-che emanciparsi dalla supremazia di questi, li minacciava come sudditi
-proprj; i lontani seguitavano a venerarli solo in quanto ne traessero
-vantaggio.
-
-Di mescolarsi nelle cose ecclesiastiche prendea pretesto l’autorità
-secolare dagli scandali del tempio, quando la santa Sede, fatta
-ligia dei re, non valeva a frenare la irruente corruzione, fosse la
-grossolana del clero inferiore o la fastosa de’ prelati. Grave torto
-faceva alla Chiesa il patriziato delle maggiori dignità: poichè essa,
-che ripudiò sempre ogni distinzione di natali, attenendosi unicamente
-ai meriti, vedeva il cardinalato e le nunziature affidarsi a taluni,
-il cui unico titolo era l’essere degli Orsini o dei Colonna o dei
-Savelli; e le costoro case, potenti in città per armi e per clientele,
-trescavano a voglia anche nel santuario, prepotevano nelle elezioni dei
-pontefici e ne’ loro consigli, con tirannide peggiore di quella degli
-imperatori del secolo precedente, perchè più immediata. Le emulazioni
-di queste famiglie, prorompenti spesso in guerra civile e in criminosi
-attentati, s’insinuavano nel concistoro e nel conclave, e toglieano
-al pontificato e al sacerdozio quella dignità che traggono dall’essere
-superiori alle mondane rivolture.
-
-I prelati sotto la stola mantenevano le abitudini dell’educazione
-secolaresca e lusso sfrenato; ned altro testimonio ne voglio che il
-concilio Lateranese III, il quale, avvisando i prelati quanto disdica
-il camminare con treno sì numeroso e il consumare in un pranzo l’intera
-annata della chiesa che visitano, vuole i cardinali s’accontentino di
-quaranta o cinquanta vetture, gli arcivescovi di trenta o quaranta,
-i vescovi di venticinque, gli arcidiaconi di cinque o sette, di due
-cavalli i decani; tutti poi vadano senza cani da caccia nè uccelli.
-Accumulavansi fin quaranta o cinquanta benefizj in una sola mano; e
-vuolsi che Benedetto XII proponesse ai cardinali, se rinunziassero ad
-averne più d’uno, assegnar loro centomila fiorini d’oro di rendita
-e metà delle entrate dello Stato pontifizio; e ad essi non parvero
-abbastanza. Pastori negligenti, sicchè nè tampoco veduta aveano la
-loro greggia, esercitavano insolente giurisdizione tirannica; nel
-clero minore ignoranza, venalità de’ sacramenti, comune l’ubriachezza,
-sfacciata la libidine; nelle chiese e ne’ conventi si stabilivano
-bettole e giuochi; le monache uscivano dai monasteri; trafficavasi di
-grazie, dispense, perdoni.
-
-Degli antichi Ordini religiosi rilassata la disciplina: perfino
-in quel Montecassino, che fin allora avea dato ventiquattro papi,
-ducento cardinali, milleseicento arcivescovi, ottomila vescovi,
-molti canonizzati santi, i monaci vestivano bene, abitavano comodi,
-riservavansi peculj particolari, anzi riceveano dal convento
-una prebenda colla quale vivere in case secolari. Presa vergogna
-dall’operosità e astinenza de’ Mendicanti, anch’essi dovettero
-riformarsi, applicando agli studj; ma perchè a questi non pareva
-potersi attendere degnamente che nelle Università, i monaci che v’erano
-mandati vi trovavano incentivi e dissipamenti e peggio.
-
-Però anche gli Ordini nuovi presto diminuirono l’esemplare fervore
-primitivo, gli uni facendo divorzio dalla povertà, sposata dal loro
-patriarca, gli altri per zelo dimenticando la carità. A tacere le
-diatribe dei loro nemici, quali Mattia Paris e Pier delle Vigne, san
-Bonaventura, generale de’ Francescani, nel 1257 dirigeva una querela
-ai provinciali e guardiani; perchè a titolo di carità i fratelli
-s’impacciassero d’affari pubblici e privati, di testamenti, di secreti
-domestici. Sprezzando il lavoro, caddero nell’infingardaggine, e
-mentre pregano ginocchione o meditano in cella, possono darsi a studj
-vani o sbadigliare o dormire, e forse dai libri composti trarre una
-vanità che non prenderebbero certo dal tessere fiscelle o stuoje, come
-i primi romiti. Andando girelloni, riescono d’aggravio agli ospiti
-e di scandalo; per rimettersi dalla stanchezza mangiano e dormono
-di là del prefisso; scompigliano la regola del vivere; domandano con
-tale importunità, da farli schifare quanto i ladri. La vastità delle
-fabbriche turba la pace de’ conventi, incomoda gli amici, espone a
-giudizj sinistri. Ai parrochi poi dispiaciono per la premura che si
-danno intorno a funerali e a testamenti. Inoltre le città chiamavano i
-frati a compor paci, gli abati ad eseguire commissioni, come gente non
-pericolosa e di niuna spesa ne’ viaggi; l’Inquisizione li riduceva a
-specie di magistrati criminali, con bidelli, famigli armati, carceri,
-braccio secolare a loro disposizione, essi istituiti a profonda umiltà
-e povertà esatta.
-
-La regola di san Francesco imponeva tali austerità, che alcuni la
-sentenziarono d’impossibile o di micidiale; sicchè papa Nicola III
-credette doverla spiegare[59] nel senso che i frati Minori erano tenuti
-osservare il vangelo, vivendo in obbedienza, in castità, in povertà
-tale da non possedere cosa veruna; lo spossessamento totale per Dio
-essere meritorio; averlo Cristo insegnato colla parola, confermato
-coll’esempio, e gli apostoli ridotto in pratica; i Francescani vivendo
-così, non faceansi suicidi nè tentavano Dio, giacchè confidandosi
-nella Provvidenza, non però repudiavano gli espedienti suggeriti dalla
-prudenza umana. Vi si chetarono gli avversarj, ma tra i Minoriti alcuni
-ne trassero motivi d’un fanatico misticismo, da una parte asserendo
-che la regola di san Francesco fosse il vero vangelo, dall’altra che la
-spropriazione dovea portarli ad avere nulla più che il mero uso delle
-cose necessarie alla vita.
-
-Pier Giovanni d’Oliva di Linguadoca predicò siffatta dottrina, e
-bersagliando la Chiesa ricca e mondana, annunziava i Minori, come
-destinati a rigenerarla. Fece molti proseliti, e sotto papa Celestino
-V, incline al vivere cenobita, ottennero di costituirsi in nuova
-congregazione (1234), detta degli Eremiti Celestini. Perseguitati,
-presero abito e capi particolari, e massime per la diocesi di Pisa
-e tra i monti di Vecchiano e di Calci seguivano tenor di vita
-più rigoroso, alla Chiesa visibile ricca, carnale, peccaminosa
-affacciandone una frugale, povera, virtuosa. Tennero a quelle dottrine
-Corrado da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso, Corrado
-da Spoleto, Jacopone da Todi, e col nome di Fraticelli o Frati
-spirituali, ebbero capi frà Pietro da Macerata e Pietro da Fossombrone.
-Bonifazio VIII li combattè vigorosamente, e proferitili eretici, li
-fece processare e perseguire da frà Matteo di Chieti, sicchè essi
-ricoverarono in un’isola dell’Arcipelago e in Sicilia, aggregando a sè
-chiunque disertava dai Francescani per seguire una vita più austera;
-cari al vulgo per l’aspetto di maggior perfezione, e avendo per
-generale il mistico Ubertino da Casale. Angelo, plebeo senza lettere,
-della vallata di Spoleto, n’avea radunati molti; e così l’ordine del
-padre serafico restava scisso, nè Clemente V riuscì a riconciliarli nel
-concilio di Vienne.
-
-Il resistere, e la superbia che facilmente nasce dal rigore esagerato,
-li portarono a farsi accanniti detrattori della santa Sede, negando
-ch’ella potesse permettere ai Francescani di tener granajo e cantina, e
-asserendo una vicina riforma. Ne seguirono perfino sommosse a Narbona,
-in Sicilia, in Toscana; onde Giovanni XXII provvide a comandare la
-soggezione, dicendo che «gran cosa è la povertà, più grande la castità,
-ma superiore l’obbedienza»[60]. Eppure essi durarono contumaci,
-appellando al futuro concilio, onde ebbero condanna; e quei che non vi
-si sottomisero, fuggirono in Sicilia, ove Federico re di Trinacria,
-sempre malvolto alla santa Sede, li protesse, e dove presero capo
-Enrico di Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta una
-sinagoga, lupo il suo pastore.
-
-Chi bestemmia Giovanni del rigore usato con essi, chi di essi fa beffa
-come apostoli d’una ineffettibile povertà, non venga poi a declamare o
-a sbigottirsi al cospetto del comunismo, forma moderna della medesima
-dottrina.
-
-Ma tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù Cristo nè i
-suoi apostoli non aveano nulla posseduto, la proposizione, rejetta
-dai Domenicani e da altri, venne sostenuta dai Francescani; e poichè
-la regola di san Francesco diceasi esprimere il vangelo, tornava
-sott’altra apparenza il medesimo concetto dell’assoluta spropriazione.
-Giovanni condannò anche questa dottrina; Michele di Cesena generale
-dell’Ordine, Guglielmo Occam e Buonagrazia da Bergamo protestarono, e
-rifuggiti a Pisa presso Lodovico Bavaro, lo sostennero e accannirono
-nella lotta contro quel papa. Tale quistione insinuò ne’ Minoriti uno
-spirito di sottigliezza, troppo contrario all’intento tutto pratico del
-loro fondatore; e ne pullulavano altre quistioni, a dir poco, oziose:
-se la regola astringesse sotto pena di peccato mortale o soltanto
-veniale; se obbligasse ai consigli del vangelo quanto ai precetti; se
-alle ammonizioni quanto ai comandi: dal che, facile tragitto, si passò
-a sofisticare sul decalogo e sul vangelo; ed oltre la disputa sempre
-accesa sull’immacolata concezione di Maria, un’altra ne ebbero coi
-Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito nella passione, restasse non
-pertanto ipostaticamente unito al Verbo.
-
-È difficile sincerare quanto abbiano di vero le oscene imputazioni che
-accompagnano i processi di costoro, massime de’ Fraticelli, avvegnachè
-l’opinione era straniata alla peggio, e la manìa de’ processi recò a
-prestar fede ad assurdità, ribadite nel vulgo dai supplizj inflitti
-e dalle declamazioni di chi avrebbe dovuto dissiparle. Anzi mi si fa
-credibile che le procedure allora ordinate dagli statuti civili ed
-ecclesiastici moltiplicassero le stregherie, dapprima quasi ignote.
-Giovanni XXII nel 1322 notificava che «alcuni figli di perdizione,
-allievi d’iniquità, dandosi alle ree operazioni di loro detestabili
-malefizj, fabbricarono immagini di piombo o di pietra, sotto la
-figura del re, per esercitare sovr’essa arti magiche, orribili e
-vietate». E avendo gl’imputati declinato la giurisdizione ordinaria,
-il papa incaricò tre cardinali d’esaminarli, e rimetterli ai giudici
-secolari. Poi l’anno stesso meravigliasi de’ progressi delle scienze
-occulte, commosso nelle viscere che molti, cristiani soltanto di
-nome, lascino la luce della verità, e talmente siano involti nelle
-nebbie dell’orrore, da fare alleanza colla morte e patto coll’inferno,
-immolando ai demonj, adorandoli, fabbricando immagini, anelli, specchi,
-fiale ed altri oggetti in cui legare i diavoli; e a questi domandano
-risposte e ne ricevono, gl’implorano a soccorso dei depravati loro
-desiderj, e in ricambio della vergognosa assistenza offrono vergognosa
-servitù. O dolore! questa peste si diffonde oltremodo nel mondo,
-infettando tutto il gregge di Cristo».
-
-Con tali persuasioni, si estesero i supplizj per malìe. Il 1292
-Pasqueta di Villafranca in Piemonte fu multata in quaranta soldi perchè
-_faciebat sortilegia in visione stellarum_: nel 1363 Antonio Cariavano,
-accusato di aver fatto grandinare in Pinerolo con libri necromantici,
-fu multato in quaranta fiorini: nell’86 due della valle di San
-Saturnino pagarono cenventi franchi d’oro per avere prestato fede a
-un incanto gittato onde smorbare le loro mandre: nell’81 la nuora di
-Francesca Troterj avendo smarrito una collana di perle, per trovarla
-ricorse a maestro Antonio di Tresto da Moncalieri, il quale, pigliato
-il secchiello dell’acquasanta, lo coprì con un altro, vi accese attorno
-dodici candele, descrisse varie figure colla verga, e fece segni di
-croce: poi mise per terra due candele in croce, e su quelle fece posare
-il piede dritto della donna che avea smarrito il collare. Non so se si
-trovasse: ma il maestro fu accusato al vicario del vescovo; e quegli
-confessò nulla intendersi di magìe, ma far quelle frasche per ciuffare
-qualche soldo ai credenzoni[61].
-
-A questi mali è fortuna quando si trova da opporre caldo zelo,
-soda pietà, scienza matura. Anime fervorose e gran santi neppur
-allora mancarono: verso il 1319 nacquero gli Olivetani alla badia
-di Montoliveto nella val dell’Ombrone senese, per opera del beato
-Bernardo Tolomei; e lo sterile paese fu coltivato, adorna di pitture
-la chiesa. Il beato Giovanni Dominici fiorentino, oratore famosissimo,
-studiando al miglioramento de’ secolari e più de’ claustrali, fu
-vero restauratore della vita regolare in Italia e in Sicilia, e
-infine arcivescovo di Ragusi e cardinale: senza maestro s’approfondì
-nelle scienze, mentre colle prediche traeva a monacarsi donzelle e
-giovani. Nel riformare i Domenicani, cominciando a Firenze e Pisa, fu
-accompagnato dal beato Lorenzo da Ripafratta, che fu maestro ed amico
-a sant’Antonino, dal venerabile Tommaso Ajutamicristo, e da altri di
-quell’Ordine, infervorati a pietà dalla beata Chiara de’ Gambacurti,
-la quale avea riformato le Domenicane in Firenze, donde si diffusero a
-Genova, a Parma, a Venezia. Anche il beato Raimondo da Capua operò a
-ristabilire la regolarità ne’ conventi domenicani, insieme col beato
-Marconino di Forlì, entrambi d’affettuosa pietà. Ai conforti del pio
-Marco, parroco di San Michele in Padova, che gemea di veder depravato
-l’ordine Benedettino, e Santa Giustina abbandonata ai disordini,
-Luigi Barbo tolse a riformarlo con regole più severe, e che presto
-si estesero a Genova, a Pavia, Milano e più lungi. I Camaldolesi
-ridussero florido il Casentino, ed esemplarmente conservavasi il bel
-bosco di abeti e di faggi. Il beato Giovanni Colombino, di nobile gente
-senese ed elevato alle prime dignità, dalla pazienza della moglie
-e dal leggendario dei santi fu chiamato a vita pia ed austera, e ad
-assistere malati e pellegrini: poi ridottosi povero, andava predicando
-penitenza, e raccolti alquanti seguaci, istituì l’ordine dei poveri
-Gesuati, approvato da Urbano V il 1367; «e i forti cavalieri di Cristo,
-fatti novelli sposi dell’altissima povertà, incominciarono allegramente
-a mendicare,... e posti in un’altezza di mente, calcando il mondo
-sotto i loro piedi, tutte le cose terrene stimavano come fango, e
-tuttodì crescevano in desiderio di patire e sostenere pene per amore
-di Cristo»[62]. Suor Agata stette murata gran tempo in s’una pila del
-ponte Rubaconte a Firenze, poi nel 1434 fondò il monastero famoso delle
-Murate.
-
-Al tempo stesso diedero odore di gran santità in Siena Gioachino
-Pelacani, che la sua devozione per Maria espandeva in carità pei
-poveri (-1305), e Antonio Patrizj; Andrea de’ Dotti di San Sepolcro,
-scolaro di Filippo Benizzi; Bonaventura Bonacorsi di Pistoja, caldo
-ghibellino, che dal Benizzi stesso convertito, riparò i danni recati,
-e edificò colle virtù più austere (-1315). Simone Ballachi, figlio del
-conte di Sant’Arcangelo presso Rimini, dalla dissipazione raccoltosi
-a Dio, esercitavasi ne’ più umili uffizj e nell’istruire bambini
-e convertir peccatori (-1319). Agnese di Montepulciano domenicana,
-Emilia Bicchieri di Vercelli (-1314), Benvenuta Fojano del Friuli
-vennero illustrate per doni celesti; e così Margherita di Metela presso
-Urbino, cieca nata; Chiara di Montefalco presso Spoleto, eremitana
-(-1308); e quell’Oringa di Santa Croce presso Firenze, che divenne il
-modello delle fantesche, dal santo Spirito illustrata alla conoscenza
-di sublimi veri, sebben nè leggere sapesse, onde empì Lucca e Roma
-della fama di sua virtù e carità, e presto de’ suoi miracoli. Gli
-Orsini ci portano il loro sant’Andrea carmelitano, che, malgrado
-l’illustre nascita, accattava pe’ poveri, e, malgrado la sua umiltà,
-fu messo vescovo di Fiesole, ove continuò le austerità, e riconciliò
-più volte la sua colle città vicine. Dai Falconieri uscivano Alessio,
-Carissima e Giuliana, tutti venerati sugli altari; dai Soderini la
-beata Giovanna (-1367) e un altro Giovanni (-1343); dai Vespignano di
-Firenze il beato Giovanni; dagli Adimari il beato Ubaldo; dai Della
-Rena di Certaldo la beata Giulia. Pellegrino de’ Latiozi di Forlì fu
-stupendo per pazienza nel soffrire sia le percosse di quelli di cui
-voleva acquietare i litigi, sia gli spasimi d’una cancrena (-1345).
-Pietro Geremi di Palermo, già professore di diritto, diedesi a Bologna
-a tali austerità, che si circondò il corpo di sette cerchi di ferro,
-scena che molti convertì. Giovanni da Capistrano, dopo adoperato in
-magistrature e negoziati, resosi francescano, si diè tutto all’amor di
-Dio e del prossimo, e continuò a riconciliar nimicizie e risse nel nome
-di Dio, e possedendo lo spirito di compunzione e il dono delle lacrime,
-moltissimi convertiva, e spesso le donne dopo le sue prediche davano
-in limosina tutti i loro ornamenti. Fra l’alto clero sono a mentovare
-il beato Bertrando patriarca d’Aquileja che tanto operò alla riforma
-di questa chiesa, e fu assassinato da masnadieri del conte di Gorizia
-nel 1350; il beato Lorenzo Giustiniani, patriarca di Venezia; Matteo
-da Cimarra vescovo di Girgenti; Nicola Alberga vescovo di Bologna,
-adoperato, spesso a metter pace fra le città d’Italia e fra Inglesi e
-Francesi[63].
-
-Bernardino (1380-1444), dell’illustre famiglia degli Albizeschi di
-Massa marittima, fu educato nella pietà e nella carità; nella peste del
-Quattrocento si profuse a cura de’ malati di Siena, ove poi professossi
-francescano della stretta osservanza. «Fu in concetto d’uomo grande
-e meraviglioso nel predicare: ovunque andasse traeva con sè tutto il
-popolo, eloquente e forte nel ragionare, d’incredibile memoria; di tal
-grazia nella pronunzia, che non mai recava sazietà agli uditori; di
-voce sì robusta e durevole, che mai non venivagli meno, e ciò ch’è più
-mirabile, in grandissima folla era udito colla stessa facilità dal più
-lontano come dal più vicino»[64]. Vincenzo Ferreri, che allora empiva
-Italia delle virtù e de’ miracoli suoi, predicando ad Alessandria
-esclamò: — Fra voi si trova un vaso d’elezione, un figlio di san
-Francesco, che ben presto diffonderà immensa luce in tutta Italia, e
-di sue virtù e dottrina usciranno i più insigni esempj». Pure oggi non
-troviamo ne’ suoi sermoni che un fare stringato e scolastico.
-
-E per verità sul pulpito, trionfo degli Ordini nuovi, non recavano
-studj profondi e dogmatica precisione, ma zelo e modi popoleschi e
-importuna applicazione alle circostanze giornaliere. Chi affronti la
-noja di leggere le prediche rimasteci, non trova che aridi tessuti di
-scolastica e di morale, rinzeppati di brani e brandelli d’autori sacri
-e profani alla rinfusa, con dipinture ridicole o misticismo trasmodato,
-talchè i grandi effetti non se ne saprebbero attribuire che al gesto,
-alla voce, allo spettacolo, e in alcuni alla persuasione della santità.
-
-Tali dobbiamo credere il beato Michele da Carcano, frate Alberto
-da Sarzana, frate Ambrogio Spiera trevisano, ed altri, famosi per
-conversioni ed efficacia morale. Alcuni non mancavano di merito
-letterario, e noi lodammo altrove il Cavalca, il Passavanti, frà
-Giordano di Rivalta. Quest’ultimo distingueva le devozioni dagli abusi,
-in un modo da far meraviglia a chi in que’ tempi e in que’ frati non
-sa vedere che superstizione. — Viene (diceva egli) viene l’uomo, e
-andrà a Santo Jacopo in pellegrinaggio: ed anzi ch’egli sia là, cadrà
-in uno peccato mortale talotta, e forse in due, e talotta in tre
-peccati mortali, e talotta forse più. Or che pellegrinaggio è questo, o
-stolti? che rileva questa andata? Dovete questo sapere, che, chi vuole
-ricevere le indulgenze, conviene che ci vada puro, come s’egli andasse
-a ricevere il corpo di Cristo. Or chi le riceve così puramente? e però
-le genti ne sono ingannate. Di queste andate e di questi pellegrinaggi
-io non ne consiglio persona, perch’io ci trovo più danno che pro.
-Vanno le genti qua e là, e credonsi pigliare Iddio per li piedi:
-siete ingannati, non è questa la via; meglio è raccoglierti un poco
-in te medesimo, e pensare del Creatore, o piagnere i peccati tuoi o la
-miseria del prossimo, che tutte le andate che tu fai».
-
-Parole altrettanto libere avea proferite l’anno innanzi in Santa
-Maria Novella: — E’ sono molti che si credono fare grandi opere a Dio;
-intra noi, noi ce ne facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà
-sull’altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle avere fatto
-un grande fatto: or ecco opera! Simigliantemente de’ pellegrinaggi;
-che pare così grande fatto di quelli che vanno in Galizia a Santo
-Jacopo. Oh come pare grande opera questa, e di gran fatica cotal
-viaggio grande! E vanterassi, e dirà, _Tre volte sono ito a Roma, due
-volte ita a Santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatti_. E se vedesse in
-Roma le femmine a girar cinque volte e sei all’altare, e’ par loro
-avesse fatto un grande deposito, e rimproveranlo a Dio, come quello
-Fariseo che dicea, _Io digiuno due dì della settimana_: or ecco grande
-fatto! e manuchi, il dì che tu digiuni, una volta, e quella manduchi
-bene e bello. Questo andare ne’ viaggi io l’ho per niente, e poche
-persone ne consiglierei, e radissime volte; chè l’uomo cade molte
-volte in peccato, ed hacci molti pericoli. Trovano molti scandoli
-nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte si tenzonano
-e adirano, e con l’oste e co’ compagni; e talotta fanno micidio ed
-inganni e fornicazioni; e di questo si fa assai, e caggiono in peccato
-mortale»[65].
-
-I così fatti saranno stati non pochi, vogliamo crederlo: ma altri
-cercava cattivar l’attenzione col mescere ai discorsi allusioni alla
-politica; e chi predicava pei Guelfi, chi pei Ghibellini, pei Medici,
-per lo Sforza; talora sorgeano in aperto attacco contro ai principi o
-ai papi.
-
-È bizzarro in taluni l’associare una pietà sincera, un’ingenuità
-profonda, col ridicolo e col teatrale, in modo d’uscirne composizioni
-grottesche e senza gusto, che non hanno di serio se non l’intenzione.
-Di Roberto Caracciolo da Lecce, dai contemporanei supremato
-nell’eloquenza, sciaguratamente ci restano alcuni sermoni, più
-materia di riso che di compunzione[66]: sale in pergamo a predicar
-la crociata, e, cavata la tonaca, rivelasi in abito da generale, come
-pronto a guidar egli stesso l’impresa. Paolo Attavanti ad ogni tratto
-cita Dante e Petrarca, e se ne gloria nella prefazione. Mariano da
-Genazzano, levato a cielo dal Poliziano e da Pico della Mirandola,
-«predicava attraendo con l’eloquenza sua molto popolo, perciocchè a
-sua posta aveva le lagrime, le quali cadendogli dagli occhi per il
-viso, le raccoglieva talvolta et gittavale al popolo»[67]. I discorsi
-di Gabriele Barletta, sì reputato che dicevasi _Nescit prædicare qui
-nescit barlettare_, darebbero sollazzo a qualche festevole brigata.
-Per Pasqua racconta che molte persone offrironsi a Cristo onde
-annunziare la sua risurrezione alla madre: egli non volle Adamo,
-perchè, piacendogli i fichi, non si badasse per istrada; non Abele,
-perchè andando non fosse ucciso da Caino; non Noè, perchè correvole
-al vino; non il Battista, pel suo vestire troppo conosciuto; non il
-buon ladrone, perchè aveva rotte le gambe; ma donne, per la popolosa
-loquacità. Blandiva un sentimento troppo comune quando predicava: —
-O voi donne di questi signori e usuraj, se si mettessero le vostre
-vestimenta sotto il pressojo, ne scolerebbe il sangue de’ poveri».
-L’erudito Bracciolini fa dire da Cincio in un suo dialogo: — Parmi
-che tanto frà Bernardino da Siena, come altri troppi vadano errati per
-istudio di brillare più che di giovare; non volti a curar le infermità
-dell’animo delle quali si annunziano medici, quanto a ottenere gli
-applausi del vulgo, trattano qualche volta recondite e ardue materie,
-riprendono i vizj in modo che pare gl’insegnino, e per desiderio di
-piacere trascurano il vero scopo di loro missione, quello di render
-migliori gli uomini».
-
-Contro i siffatti avea tonato l’Alighieri, dicendo:
-
- Ora si va con motti e con iscede
- A predicare; e pur che ben si rida,
- Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.
-
-I quali versi commentando, Benvenuto da Imola adduce alquante
-scempiaggini di un Andrea vescovo di Firenze che mostrava in pulpito
-un granello di seme di rapa, poi se ne traeva di sotto la tunica una
-grossissima, e diceva: — Ecco quanto è mirabile la potenza di Dio, che
-da sì piccol seme trae sì gran frutto». Poi: _O domini et dominæ, sit
-vobis raccomandata monna Tessa cognata mea, quæ vadit Romam; nam in
-veritate, si fuit per tempus ullum satis vaga et placibilis, nunc est
-bene emendata: ideo vadit ad indulgentiam_[68].
-
-Que’ modi erano certo men dignitosi, però più efficaci che non le
-esanimi generalità, le perifrasi schizzinose, e i consigli senza
-coraggio dei tempi d’oro. Ma se a persone semplici e credenti servivano
-d’edificazione, tornavano a scandalo dacchè vi si applicassero la
-critica e la negazione; e i predicatori usandone esageratamente,
-davano appiglio ad accuse, alla lor volta esagerate. Il fervore, non
-sempre disinteressato per certe devozioni nuove, come il rosario de’
-Domenicani e lo scapolare de’ Carmeliti, faceva proclamarle quale
-rimedio sufficiente a tutti i peccati, i quali perdevano l’orrore
-quando annunziavasi così facile il redimerli, e ne veniva presunzione a
-chi le osservasse, e confidenza d’una buona morte dopo vita ribalda.
-
-Giacomo, arcivescovo di Téramo poi di Firenze, scrisse varie opere,
-tra cui è rinomata una specie di romanzo col titolo _Consolatio
-peccatorum_ o _Belial_: suppone che i demonj, indispettiti del trionfo
-di Cristo sopra Lucifero, eleggano procuratore Belial per chiedere
-giustizia a Dio contro le usurpazioni di Cristo; Dio commette la
-decisione a Salomone; e Cristo citato, manda per rappresentante
-Mosè, il quale adduce a testimonj giurati Abramo, Isacco, Giacobbe,
-Davide, Virgilio, Ippocrate, Aristotele, il Battista. Belial li scarta
-tutti, eccetto l’ultimo, sostiene la sua causa con finezza diabolica;
-pure ha decisione contraria. Si appella, e Dio demanda la causa a
-Giuseppe, se non che Belial preferisce scegliere degli arbitri; e sono
-Aristotele ed Isaia per Mosè, per Belial Augusto e Geremia. I passi
-più venerabili sono stiracchiati beffardamente; e dopo tutti i garbugli
-della giurisprudenza, ove Belial imbarazza sovente Mosè men versato ne’
-cavilli, gli arbitri danno di quelle vaghe decisioni, che lasciano ad
-ambe le parti captare trionfo.
-
-Così la credulità univasi alla miscredenza per dare fomite alla
-corruttela, tanto più pericolosa, in quanto che «il maggior padre ad
-altra opera intendeva» (PETRARCA). Gregorio XI aveva autorizzati i
-cardinali ad eleggergli il successore a semplice pluralità di voci,
-senza aspettare i fratelli assenti, per abbreviare al possibile la
-vacanza: e poichè di sedici radunati quattro soli erano italiani,
-il popolo di Roma, timoroso che l’eletto non tornasse ad Avignone,
-circondò il conclave d’armi schiamazzando — Lo volemo romano»,
-toccando le campane a martello, e minacciando entrarvi di forza. Dopo
-tempestosissima discussione, questi, per ripiego e con riserve tacite
-o espresse d’una più libera elezione, diedero i voti (1378 9 aprile)
-a Bartolomeo Prignano di Napoli, arcivescovo di Bari; ma temendo che
-il popolo lo disgradisse perchè non romano, fu gridato dal terrazzo
-andassero a San Pietro e saprebbero chi era l’eletto. Il popolo intese
-che l’eletto fosse il cardinale di San Pietro, vecchione di casa
-Tebaldeschi; onde si cominciò a gridargli Viva e saccheggiarne il
-palazzo secondo l’usanza, e adorar lui, che invano ingegnavasi a far
-comprendere il vero. Di questo scompiglio s’avvantaggiarono gli altri
-cardinali per fuggire nelle varie fortezze e ne’ feudi; l’arcivescovo
-di Firenze presentò il Prignano ai pochi rimasti, con un sermone sul
-testo _Talis debebat esse, ut esset nobis pontifex impollutus;_ e
-questi sul testo _Timor et tremor venerunt super me, et contexerunt me
-tenebræ_, cominciò a dissertare sulla dignità del posto e l’indegnità
-propria, finchè l’arcivescovo gli fece intendere si trattava ora solo
-di dichiarare se accettasse o no; ed egli disse di sì, e prese il nome
-di Urbano VI.
-
-Uomo di dottrina e coscienza, ma severo, melanconico, colleroso,
-immoderato, avventatosi a riformare di colpo, vietò ai prelati d’usare
-a tavola più d’una pietanza, com’egli stesso ne dava l’esempio;
-minacciò non solo ai simoniaci, ma a chiunque di essi accettasse doni;
-proponeasi, con creare cardinali nuovi, togliere la prevalenza che da
-un secolo avevano i francesi; e ne’ concistori secreti li rabbuffava
-indiscretamente, ad uno dava sin dello sciocco, a un altro ch’era
-bugiardo come un calabrese. Queste sconvenienze, e il vedere ch’ei
-voleva fermamente tenerli a Roma, indisposero i cardinali; e la più
-parte separatisi da lui, protestarono l’elezione non essersi fatta
-liberamente, ma sotto la costrizione di un popolo tumultuante; e
-raccomandando la loro vita alla tutela di Bernardo di Sala, capo degli
-avventurieri guaschi e bretoni che aveano fatto sì rovinoso governo
-di Cesena, dichiarano non avere operato che per paura della morte;
-Urbano essere intruso, apostato e anticristo; e a Fondi eleggono papa
-(21 7bre) quel Roberto di Ginevra che come legato pontifizio avea data
-a ruba e strazio la Romagna, e che si chiamò Clemente VII. Urbano fu
-accettato in Italia, Germania, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Polonia
-e nel settentrione de’ Paesi Bassi; Clemente dalla regina di Napoli, da
-Francia, Scozia, Savoja, Portogallo, Lorena, Castiglia; gli altri paesi
-esitavano.
-
-Urbano bandì contro del competitore una crociata colle indulgenze
-concesse a quelle contro gl’infedeli: ma la compagnia de’ Bretoni,
-soldata da Clemente, si difilò sopra Roma, e fece macello de’ cittadini
-che sortirono per respingerla, ma non osò penetrare in città. Allora
-i Romani diedero addosso a quanti Francesi cherici o laici colsero
-in città; mentre gli Orsini e Francesco di Vico devoti a Clemente
-devastavano i contorni, e Pietro Rostaing dal Castel Sant’Angelo
-bombardava gli edifizj: una volta (1379) Silvestro di Buda, capitano
-de’ Bretoni, sorprende i nobili adunati in Campidoglio e trucida sette
-banderesi, ducento ricchi, innumerevole popolo, poi di nuovo lascia la
-città.
-
-Urbano solda Giovanni Acuto e Alberico da Barbiano, che secondato dai
-cittadini, sorte addosso ai nemici, e sconfittili e fatti prigioni i
-due capi, mena trionfo[69]; Castel Sant’Angelo si rende, e il papa
-a piè scalzi, seguito da tutta la popolazione, torna in Vaticano.
-Clemente allora ricovera a Napoli, ben accolto dai re; ma il popolo a
-tumulto lo respinge, sicchè fugge in Provenza, e postosi ad Avignone,
-moltiplica i cardinali, largheggia di aspettative, e sì poco contava
-sullo Stato pontifizio, che volle almeno punire i Romani e deprimere
-i feudatarj col costituirlo in _regno d’Adria_ a favore di Luigi
-I d’Angiò, al quale, per averlo partigiano, prodiga esorbitanti
-concessioni: tutta la decima in Francia, nel regno di Napoli, in
-Austria, in Portogallo, in Iscozia; metà delle entrate di Castiglia
-e d’Aragona, le spoglie de’ prelati che muojono, ogni censo biennale,
-ogni emolumento della camera apostolica; il papa obbligherà a prestiti
-gli ecclesiastici, darà in ipoteca Avignone, il contado Venesino
-ed altre terre della Chiesa; inoltre gli assegna per feudi Ancona e
-Benevento, e tutto giura sulla croce. Tale spreco facea dei beni di San
-Pietro nella fiducia d’esser liberato dall’antagonista; mentre Urbano,
-pien di sospetti, reggevasi con rigiri e sangue e torture, senza
-riguardo a dignità o danni de’ prelati e cardinali.
-
-Accannito alla regina Giovanna I, contro di lei come signore sovrano
-del Reame e come scismatica sollecitò Luigi d’Ungheria, che affidò a
-Carlo di Durazzo l’incarico di punirla. Urbano spogliò chiese e altari
-per raccogliere ottantamila fiorini, che diede a Carlo, il quale in
-ricambio promise riconoscere il regno dal papa, e appena coronatone
-cedere il ducato di Durazzo a Francesco Batillo nipote di esso, e i
-principati di Capua e d’Amalfi. Vedemmo come la spedizione riuscisse:
-ma Carlo non pensava mantenere la parola, onde venne in piena rotta col
-papa, il quale assediato in Nocera, sparnazzava scomuniche scandalose e
-scandalosi decreti. I prelati sue creature s’erano concertati sul modo
-di terminare le stravaganze d’un pontefice che prolungava una guerra
-senza ragione, e farlo il mal arrivato; ma scopertili, Urbano non
-gliela soffrì impunita (1386), e messi in ceppi l’arcivescovo d’Aquila
-e sei cardinali, li trasse seco quando potè fuggire da Nocera; perchè
-il primo non potea cavalcare a paro cogli altri, il fece uccidere e
-abbandonare insepolto; giunto a Genova, e dicendosi circonvenuto da
-cospirazioni, malgrado le istanze del doge, fece buttar nel mare i
-cardinali, salvo un inglese reclamato dal suo re.
-
-Qui comincia doppia serie di papi paralleli; ma qual era il vero?
-Personaggi di senno e santità grande parteggiarono per l’uno e per
-l’altro; prove in favore addussero questi e quelli, per modo che può
-mettersi fuor di quistione la buona fede d’entrambi i partiti. La
-Chiesa finora non ha proferito, benchè i nostri abbiano generalmente
-considerato per antipapi quei che sedettero oltremonte, e il nome
-d’alcuno di questi sia stato assunto da qualche papa successivo[70].
-
-Per mezzo secolo fu partita la cristianità in due campi ostili,
-e tra pontefici che rimbalzavansi calunnie e taccia d’intruso e
-d’eretico. Come le nazioni, così erano divisi i cittadini, gli
-scolari d’un’Università, i monaci d’un convento; ogni giorno dispute,
-collisioni fin al sangue; due vescovi eletti dall’uno o dall’altro
-pontefice si contendevano la medesima sede, aborrivansi le messe degli
-uni o degli altri. I papi, per conservarsi partigiani, erano costretti
-a rassegnarsi a minaccia, a importunità, a dissimulare e simulare,
-intrigare, congiurare, promettere, concedere, guadagnar tempo, fingendo
-di desiderare una riconciliazione, di cui aveano in mano il mezzo. Le
-piaghe del papato, come il cadavere di Cesare, furono esposte agli
-occhi di tutti, invelenite dalla collera de’ nemici non meno che
-dai ripicchi dei pontefici rivali. La santa Sede, scapitando nella
-venerazione, lasciava baldanza a’ principi di sminuirne l’autorità,
-ai dotti di chiamarla a severo e passionato esame: le satire contro
-di essa, che prima erano esercizio letterario, inteso, applaudito
-e dimenticato, acquistavano peso quando uscivano dalla bocca de’
-pontefici stessi, e portavano ad immediata applicazione; indubbio
-entrava ne’ cuori più sinceri, l’indifferenza ne’ più generosi, la
-disperazione ne’ più robusti: la beffa trovava di che esercitarsi sulle
-cose sacre.
-
-Urbano VI non depose mai il desiderio di restare arbitro del regno
-di Napoli, escludendo e Ladislao e Luigi d’Angiò per mettere in
-istato quel suo nipote che passava dal carcere alla reggia; intanto
-scomunicava di qua di là, e mandava bande a devastare. Fra sì
-deplorabili imprese, minacciato fin della vita dai Romani, miseramente
-morì (1389 18 8bre), e i quattordici cardinali della sua obbedienza
-elessero Pietro Tomacelli col nome di Bonifazio IX (5 9bre). Buon
-parlatore, buon grammatico, non sapea scrivere, nè cantare, nè i
-costumi della corte romana: onde non capiva di che si trattasse,
-sentenziava senza conoscenza, e palesava avidità. Sospendendo la
-folle guerra del suo predecessore, ricevette in grazia Ladislao, e
-avventò scomuniche ai fautori di Luigi d’Angiò, che scendeva favorito
-dall’altro papa.
-
-A viva forza dovette occupar Roma e gli altri possedimenti
-ecclesiastici, straziati dalle fazioni e dalle bande, e colla violenza
-e i supplizj vi si sostenne. Urbano, accorciando l’intervallo del
-giubileo, lo bandì pel 1390, ma non v’accorsero che i popoli ubbidienti
-a Bonifazio, il quale mandò ne’ varj paesi a concedere l’indulgenza a
-chi pagasse tanto, quanto gli sarebbe costato il viaggio a Roma[71].
-I collettori trassero insieme ingenti somme, ma Bonifazio sospettò
-alcuni d’averne distratte e li punì, altri furono trucidati dal popolo,
-altri s’uccisero da sè. Sotto quel manto vi fu chi andò trafficando
-di assoluzioni e dispense, non badando a pentimento o a riparazione o
-ad abjura; gli abusi fecero fremere i pii, e la prodigalità del papa
-stesso in fatto d’indulgenze recò non lieve scredito a quel tesoro di
-grazie, di cui faceasi mercimonio; mentre la concessione di giubilei
-a chiese parziali scemava l’aurifero concorso de’ pellegrini a Roma,
-svogliati anche dalle bande di Bernardo di Sala, che professavasi
-fedele a papa Clemente per ispogliare i dissenzienti.
-
-I Colonna tramarono per togliere al papa la signoria temporale di
-Roma, invasero la città, ma non furono secondati: trentuno de’ loro
-masnadieri finirono sul patibolo; Bonifazio avventò contro i Colonna
-una lunga bolla, dove ne enumera i delitti fin dal tempo di Bonifazio
-VIII. Anche i Gaetani di Fondi circondavano con bande la città,
-spogliando i pellegrini che andavano al nuovo giubileo del 1400. E
-il papa facea denaro con concedere grazie, aspettative, cumuli di
-benefizj; poi ad un tratto le abolì tutte, ma per aver pretesto a nuove
-concessioni con guadagno nuovo.
-
-A vicenda i cardinali di Clemente VII a questo diedero successore
-Pier di Luna aragonese (1394 28 7bre), detto Benedetto XIII, uomo
-d’astuta ambizione, ed egli, come l’altro, per procacciarsi partigiani
-scialacquava privilegi, conniveva a traviamenti e usurpazioni,
-spogliava il basso clero, sicchè i curati erano fin ridotti a
-mendicare, mentre l’alto riservavasi le migliori grazie e le commende e
-i benefizj, dandoli in appalto a persone dappoco.
-
-La Chiesa talmente scaduta, sentivasi impotente a ricomporsi da se
-stessa; e principi, università, giureconsulti, teologi disputavano
-sui mezzi di ripristinarne l’unità. Il più ovvio sarebbe stato un
-concilio generale: ma poichè il convocarlo riguardavasi da secoli come
-attribuzione del papa, a qual dei due spettava? Si dovette ripiegare
-con sinodi particolari; il re di Francia ne raccolse due, per cui
-decisione egli mandò a tenere assediato più di quattro anni nel palazzo
-d’Avignone Benedetto XII, sinchè non fosse ripristinata l’unione:
-ma questi trovò modo a fuggire (1403), e per la persecuzione crebbe
-di partigiani, ed ebbe dalla sua non solo il pio Vincenzo Ferreri,
-ma i due lumi dell’Università parigina, l’eloquente Clemengis ed il
-cancelliere Pietro d’Ailly.
-
-Morto Bonifazio IX (1404 1 8bre), il popolo di Roma, diretto dai
-Colonna e dai Savelli, gridò _Viva la libertà;_ e il conclave di non
-più che nove cardinali elesse Innocenzo VII, già Cosma Meliorati,
-valente canonista, abile agli affari, intemerato di costumi. Dovette
-conquistare la propria residenza ajutato da re Ladislao, ma con
-una capitolazione per cui lasciava a custodia del popolo tutti i
-ponti e le porte; il senatore sarebbe eletto dal papa ma sovra una
-tripla offerta dal popolo; i dieci della Camera amministrerebbero le
-rendite, eccettuato il quartiere del Vaticano. Però ogni giorno nuove
-pretensioni metteva innanzi il popolo, subillato dai Colonna e dai
-reggenti Ghibellini, tanto che Innocenzo proruppe: — V’ho concesso
-tutto; volete che vi dia anche la mia cappa?» E in fatto i tumulti
-raffittirono, i cardinali dovettero mettersi sotto la protezione
-d’un capitano di ventura Muscardo, fu trucidato un messo del papa, si
-combatteva accannito; ed essendo il papa fuggito a Viterbo, Ladislao ne
-profitta per impadronirsi di Roma.
-
-Il papa fra breve morì (1406 6 9bre), e il veneziano Angelo Correr,
-detto Gregorio XII, anch’esso giurò prima (30 9bre), professò poi
-essere disposto ad abdicare tosto che il facesse anche Benedetto XIII:
-ma com’ebbe assaggiato il comando, se ne inebbriò; alla conferenza
-stabilita in Savona non comparve; e Benedetto, che era venuto fin a
-Genova, parve star dal canto della ragione.
-
-Tredici cardinali si raccolsero a Livorno per industriarsi all’unione,
-protestando non riconoscere nessuno dei due competitori; e assumendo a
-dirigere gl’interessi temporali e spirituali della Chiesa, convocarono
-un concilio a Pisa (1409 25 marzo), intimando a ciascun papa venisse
-ad abdicare, se no procederebbero contro di esso. Ma se consentivasi
-al concilio l’autorità di deporre il pontefice, non era mutata in
-repubblicana la costituzione della Chiesa, da secoli monarchica? e a
-tale cambiamento erano acconci tempi di tanto scompiglio?
-
-Ladislao di Napoli temeva un papa che potesse abolire l’indegna
-cessione dello Stato, a lui fatta da Gregorio XII, onde s’oppose al
-concilio di Pisa; i due papi non vi ascoltarono; Gregorio dichiarò
-apostati e blasfemi que’ cardinali, e intimò il sinodo a Udine;
-Benedetto l’aprì in Perpignano sua stanza; e così, oltre i due papi,
-v’ebbe tre concilj. Pensate quanto ne restasse dal fondo sovvertita la
-società! Morendo un vescovo, ciascun papa vuol dargli un successore,
-onde scismi diocesani; pretendono potere stronizzare i re, onde un
-nuovo fomite alla guerra intestina; e Napoli resta disputata fra
-Luigi d’Angiò e Carlo d’Ungheria, la Castiglia fra il duca di Leon
-e quello di Lancaster, l’Ungheria fra Carlo della Pace e Maria; il
-debole imperatore Venceslao lasciava cascarsi di mano le redini della
-Germania; l’Inghilterra straziava le proprie viscere fra le inimicizie
-delle case di Lancaster e di York; la Francia durava nella guerra
-centenne contro l’Inghilterra; nè voce risonava valevole ad imporre
-la pace. Intanto che nel mondo cristiano cessava l’unità che n’è
-l’essenza, Bajazet II granturco non solo stringeva Costantinopoli, ma
-aveva invaso l’Ungheria e la Polonia; e nuovi barbari, i Tartari sotto
-il terribile Tamerlano minacciavano all’Europa le devastazioni che
-aveano recate all’Asia.
-
-Gli animi, sgomentati fin alla disperazione, si volgeano a Dio, da
-lui solo aspettando il termine a tanti guaj. Già nel 1260 vedemmo i
-Flagellanti diffondersi per Italia. Nel 1334 frà Venturino da Bergamo,
-«uomo di trentacinque anni, di piccola nazione e di non profonda
-scienza, ma tanto efficace e ardente ne’ suoi ragionamenti, che
-traendosi dietro più di diecimila Lombardi, la miglior parte nobili,
-non era luogo ove arrivasse che non fosse ricevuto a guisa d’uomo
-divino, e con tanto concorso di limosine, che per quindici dì che si
-fermò a Firenze, non fu quasi momento di tempo che in sulla piazza di
-Santa Maria Novella non si vedessono grandissime tavole apparecchiate
-ove mangiavano quattrocento o cinquecento uomini per volta» (AMMIRATO),
-andò ai perdoni di Roma co’ suoi, che portavano gonnella bianca
-fin a mezza gamba, di sopra un tabarrello perso fin al ginocchio,
-calze bianche, e stivali di corame fin a mezza gamba, in petto una
-palomba bianca coll’ulivo in bocca, nella man ritta il bordone, nella
-manca il rosario[72], e con non mai stanchevoli voci gridando pace
-e misericordia. Cresciuto forse a trentamila seguaci, e come profeta
-parlando de’ mali futuri, passò anche alla corte d’Avignone sperando
-grandi indulgenze; ma al papa sembrò scorgervi ambizione o leggerezza,
-e frà Venturino fu messo al tormento e in carcere: donde poi mosse
-colla crociata, e morì a Smirne.
-
-Quella devozione andarina rinfervorò nel 1399, avendola la Madonna
-indicata in Irlanda ad un villano, come il miglior preservativo da
-pesti e guerre: onde in veste bianca, coperti di cappucci in modo
-che non distinguevansi donne da uomini se non per una croce rossa,
-si posero in via tre a tre, ognuno confessato, chiesto perdono agli
-offesi, perdonato agli offensori, restituito il maltolto. Così giravano
-per nove giorni almen tre chiese al giorno, e venendo in un paese,
-intonavano orazioni e lo _Stabat mater_, poi tre _Miserere_ entrando
-in chiesa. Per quella novena faceano vita quaresimale, non dormendo in
-letto, non isvestendosi, molti andavano scalzi; finivano col mandare
-alle prossime città, invitandole per parte di Maria Vergine ad assumere
-la stessa devozione.
-
-D’Irlanda varcarono in Inghilterra, in Francia, poi in Piemonte,
-e da una parte piegarono alla Lombardia, dall’altra in numero di
-cinquemila a Genova. I cittadini di questa s’avvolsero in lenzuoli,
-e il vecchio loro arcivescovo Del Fiesco a cavallo li condusse
-processionalmente, con dietro a coppia tutti gli abitanti, a visitar
-le chiese, i cimiteri, le reliquie della città e del contorno, e per
-nove giorni stettero chiuse le botteghe, sospesi gli affari, tutto
-émpito di timor di Dio. I più robusti o devoti scesero per la riviera
-di Levante, eccitando a fare altrettanto: da Lucca tremila cittadini,
-malgrado i divieti, uscirono ver Pescia, indi a Pistoja, donde
-quattromila li seguirono, e così i Pratesi e i Pisani, finchè giunsero
-a Firenze. Quivi quarantamila cittadini visitavano le chiese, preceduti
-dall’arcivescovo; toglievano di quello ch’era lor dato, e il soverchio
-distribuivano ai poveri; non cercavano essere adagiati in case o
-spedali, ma giacevano alla nuda aria; molti imprigionati per debiti
-furono prosciolti. Il vescovo di Fiesole sin ventimila se ne trasse
-dietro, per tutto facendo paci e concordie, restituzioni, prediche,
-miracoli[73]. A Milano «venne grandissimo numero d’uomini, donne,
-donzelle, garzoni, piccoli e grandi e d’ogni qualità, tutti scalzi, da
-capo a piedi coperti di lenzuoli bianchi, che a fatica mostravano la
-fronte; poi dietro a questi vi si adunarono tutti i popoli delle città
-e ville, dalle quali uscendo, per otto giorni continui visitavano tre
-chiese di villa, e spesse volte ad una di quelle faceano celebrare una
-messa in canto; per tutte le vie in croce che trovavano, si gettavano a
-terra gridando misericordia tre volte, e poi cantavano _Pater_ e _Ave_,
-e altri cantici composti da san Bernardo, o litanie o altre orazioni.
-Il popolo di ciascuna città o altro luogo, come veniva a quelle si
-separava, ed entrando dentro denunziava agli altri rimanenti che
-volessero pigliare il medesimo abito; di sorta che alcuna volta erano
-mille, alcuna millecinquecento. Si celebrarono infinite concordie e
-limosine, e molti si condussero a vera penitenza» (CORIO).
-
-In Padova per quei giorni non fu commessa disonestà nè rissa; e le
-processioni duravano dall’aurora fino alle due dopo nona, e se ne
-contarono tremilaseicento; poi radunati nel prato della Valle, diedero
-di sè meraviglioso spettacolo[74]. Da Bobbio altri si difilarono
-su Piacenza, e con loro tutti i valligiani della Trebbia, sicchè vi
-giunsero in più di settemila; poi a Firenzuola, a Borgo Sandonnino, a
-Parma, dove arrivarono con quaranta carri di donne, bambini, malati;
-di qui settemila partirono dietro al vescovo e ai gonfaloni delle
-confraternite. I Veneziani li respinsero, ma il duca d’Este gli ebbe
-accetti, e da Ferrara li menò a Belfiore. Il pontefice vi conobbe
-scandali e sozzure, dubitò fino che il loro capo pensasse farsi papa,
-onde li mandò a processo e al rogo.
-
-Allora si moltiplicarono pertutto le confraternite, che con le
-foggie visitavano le chiese e accompagnavano il viatico; e furono
-principalmente diffuse dai santi Bernardino da Siena e Vincenzo
-Ferreri, il quale anche andava predicando il finimondo. Molti, presso
-al morire, faceansi porre le divise d’esse società, donde la devozione
-venne estesa fra i secolari. Tale incondita pietà diffuse anche la
-peste, che strage menò per Italia, e che funestò il giubileo.
-
-Tutti inadeguati ripari agli scandali che sbranavano la Chiesa;
-poichè le riforme non venivano di là donde solo avrebbero potuto
-efficacemente. Null’ostante l’opposizione di re Ladislao, al concilio
-di Pisa comparvero ventiquattro cardinali, quattro patriarchi, ventisei
-arcivescovi, ottanta vescovi in persona, centodue per rappresentanti,
-ottantasei abati in persona, ducentodue per procuratori, quarantun
-priori, gli ambasciatori dei re, i deputati di oltre cento metropoli
-e cattedrali, delle Università di Parigi, Tolosa, Orléans, Angers,
-Montpellier, Bologna, Firenze, Vienna, Praga, Colonia, Oxford,
-Cambridge, Cracovia, trecento dottori di teologia e diritto canonico.
-
-Non essendosi presentati i due papi Gregorio e Benedetto, il concilio
-si dichiarò ecumenico, e perciò giudice supremo di essi, e dopo
-parecchi tentativi di conciliazione, levata loro l’obbedienza come
-contumaci, li proferì scaduti e vacante il papato (1409 5 giugno); e
-radunato il conclave sotto la guardia del granmaestro de’ Giovanniti,
-sostituì Pietro Filargo (1409 26 giugno). Nato non si sa dove nè da
-chi, mendicava a Candia quando fu raccolto da un frate Minore, e per
-sapere ed abilità salì nel favore di Gian Galeazzo, che l’ebbe tra’
-suoi consiglieri, poi vescovo di Vicenza, di Novara, indi arcivescovo
-di Milano e cardinale, infine papa (7 agosto) col nome d’Alessandro
-V, e chiuse il concilio. Teologo e predicatore, ma non leggista e
-canonista, male intendeva gli affari e cercava scaricarsene; per bontà
-cieca largheggiava benefizj e grazie abusive e stemperanti, non sapendo
-misurare la liberalità ai mezzi; e quando più nulla gli rimaneva, dava
-promesse: onde diceva: — Come vescovo fui ricco, povero come cardinale,
-pitocco come papa».
-
-Lasciavasi raggirare a senno da Baldassarre Cossa napoletano, che in
-gioventù corse il mare come armatore; anche nel chericato conservò
-abitudini secolaresche, abilissimo negli affari, vigoroso di carattere,
-risoluto di sentenze. Ornato della porpora, fu spedito legato a
-Bologna, la quale ricuperò alla santa Sede, e anche Faenza e Forlì,
-che egli si tenne come signoria indipendente; e morto Alessandro dopo
-soli dieci mesi di regno (1410 17 maggio), gli succedette col nome di
-Giovanni XXIII. Costui, come avviene in tempi di partiti, fu accusato
-delle colpe non solo più gravi, ma più brutali; a cui basterebbe
-opporre il favore datogli dai Fiorentini, da Luigi d’Angiò, dal
-conclave stesso, che troppo aveva interesse a fare una scelta prudente;
-comunque siasi detto che egli ne acquistò i voti coll’artifizio e colla
-forza militare che spiegò in Bologna.
-
-Essendo allora stata ritolta Roma a Ladislao, il papa vi fece l’entrata
-solennemente sotto la protezione dell’Angioino: ma bentosto Ladislao
-torna vincitore; Bologna caccia i rappresentanti del pontefice, e
-si dà al marchese di Ferrara. Ladislao però riconobbe il nuovo papa
-ordinando a Gregorio di uscire da’ suoi Stati, e finse rassegnarsi
-ai patti ch’egli stesso aveva imposti a Giovanni. Il concilio che
-erasi promesso, fu raccolto (1415) a Roma; ma se vi s’introduceano
-le questioni più urgenti, il cardinale Zabarella levavasi, con
-eloquenti ambagi sviando dal proposito: poi fu prorogato col pretesto
-della rinnovata nimistà di Ladislao, a cui il papa a fatica sfuggì,
-ricoverando in Firenze, che di malavoglia lo accolse.
-
-L’impero vacillava tra l’inetto Venceslao deposto e il mal eletto
-Roberto palatino, morto il quale, gli furono dati due successori;
-tanto pareva che ogni cosa dovesse scompigliarsi collo scompiglio del
-papato. Alfine prevalse Sigismondo (1411), che, come re d’Ungheria,
-s’era mostrato crudele e perfido, ma insieme valoroso, oprante,
-indomito. Glorioso di allori côlti sopra i Turchi, si fisse in animo di
-ricondurre ad unità la Chiesa; corse Francia, Polonia, Spagna, Italia;
-e mentre il papa gli chiedeva soccorsi, esso lo stimolò a designare
-il luogo d’un nuovo concilio. Per quanto Giovanni lo disgradisse,
-dovette spedire legati a ciò, i quali indicarono Costanza, città
-imperiale sulla riva occidentale del bel lago che divide la Svevia
-dalla Svizzera, poco lungi dal luogo donde n’esce il Reno, e dove già
-i Lombardi aveano patteggiato la loro libertà. Giovanni non sapea
-darsi pace che l’adunanza di tutta cristianità si tenesse in luogo
-dove gli oltramontani sarebbero più numerosi e indipendenti, ed ostili
-alla sua autorità: si mosse in persona onde dissuadere Sigismondo; a
-Lodi durarono lungamente in congresso, circondati da prelati l’uno,
-da consiglieri l’altro; ma Sigismondo stette fermo, e il concilio fu
-aperto (1414 5 9bre).
-
-Le ingiurie ricambiatesi dai papi e dai cardinali aveano scossa
-un’autorità che si fonda sulla virtù e sull’opinione. Se gl’Italiani
-favorivano alla santa Sede pel vantaggio che ne traeva il loro paese,
-eransene raffreddati dacchè quella vagava in esiglio; e gli stranieri
-cominciavano a trovare oneroso questo migrare di tanto loro denaro
-ad un’altra gente. La contesa coi frati Minori aveva mal volta alla
-santa Sede la milizia sua più devota; e al vedere condannate persone
-pie, cui sola colpa dicevasi la povertà, si richiamavano le dottrine
-d’Arnaldo da Brescia contro i possessi ecclesiastici e la corruttela
-derivatane. Nell’intento di riuscir superiore, ciascun partito era
-ricorso a spedienti troppo dissonanti da quelli dell’apostolato:
-Bonifazio IX aveva lasciato trafficare delle indulgenze e del suffragio
-ai morti, pretendeva le annate dei vescovi eletti, a denaro dispensava
-la pluralità di benefizj; Giovanni XXIII ebbe accusa di aver cavato oro
-dalle medesime miniere, e moltiplicatolo colle usure. Dal disordine
-esterno passatasi a criticare l’intima verità della Chiesa: si
-spargeano libri e sermoni critici, anche in lingua vulgare[75]; i roghi
-non bastavano a reprimere gli eretici in Francia. I Valdesi faceansi
-più arditi, e Gregorio XI movea lamento perchè dalle valli subalpine si
-propagassero, e discesi in Piemonte avessero trucidato un inquisitore a
-Bricherasio, uno a Susa[76].
-
-Bartolino da Piacenza verso il 1385 pubblicò alquante tesi legali
-sul modo di trattare il papa qualora apparisse negligente, inetto a
-governare, o capriccioso a ricusare il consiglio dei cardinali (com’era
-il caso di Urbano VI); e conchiudeva potere questi mettergli de’
-curatori, al cui parere fosse obbligato attenersi negli affari della
-Chiesa. I Francesi colla prammatica sanzione di Bourges restrinsero
-i diritti papali. In Inghilterra Giovanni Wiclef aveva impugnato
-le indulgenze, la transustanziazione, la confessione auricolare,
-domandato la secolarizzazione degli Ordini regolari e la povertà del
-clero. Girolamo di Praga dall’Università di Oxford ne portò i libri in
-Boemia, dove ebbero effetti più gravi, perocchè Giovanni Huss, che qui
-già aveva alzato la voce contro la depravazione del clero, vi attinse
-argomenti teologici e ardire a palesarsi. Essendo venuti alcuni monaci
-a spacciare indulgenze, e avendo l’imperatore proibito il sacrilego
-traffico, pigliò baldanza a declamare, in prima contro l’abuso, poi
-contro le indulgenze medesime. Il popolo ascoltava volentieri; gli
-studenti boemi se ne infervoravano; le quistioni religiose prendevano
-colore politico d’aborrimento ai Tedeschi e d’aspirazioni repubblicane.
-Dappertutto lo sparlare dei papi era considerato segno d’educazione
-non vulgare, di ragione più elevata, di dispetto contro i governi,
-di scontento generico; declamazioni di piazza, frizzi di scuola
-fra la gioventù inesperta seminavano un vago desiderio di sottrarsi
-all’autorità; sebbene, per quanto e le accuse si esagerassero e gli
-errori si estendessero, non si pensasse ancora che la Chiesa si dovesse
-distruggere anzichè riformare.
-
-Quanto erano più ulcerate le piaghe, tanto più speravasi nel concilio,
-che inoltre rannoderebbe in pace i principi cristiani per respingere la
-sempre crescente minaccia degli Ottomani.
-
-L’imperatore, assai principi, signori e conti assistettero
-all’assemblea, ed è scritto vi si numerassero fin cencinquantamila
-forestieri con trentamila cavalli; fra quelli, diciottomila
-ecclesiastici e ducento dottori dell’Università di Parigi. Coi
-fastosissimi cardinali faceano gara di lusso i tanti avveniticci,
-giunti dagli estremi d’Europa, distinguendosi per abiti varj, armadure,
-corteo pomposo. Vi accorrevano a spettacolo, a sollazzo, trovandovisi
-trecenquarantasei commedianti e giullari, settecento cortigiane, e
-tornei e sfide[77]; sicchè i gaudenti andavano in delizie, mentre
-i pii pregavano, i dotti accingeansi a duelli dialettici, dai quali
-apparirebbe l’odierno loro elevarsi allato ai grandi.
-
-Ma un’assemblea di tanto momento, sin dal principio reluttò ai modi
-sagaci, con cui gl’Italiani e il papa tentavano dominarla. La Chiesa
-nella sua universalità non distingue popoli, e valuta ciascun uomo pel
-proprio valore; sicchè all’indole sua ripugnava il votare per nazioni,
-come si pretese, dividendo il concilio in camera tedesca, italiana,
-francese, inglese, spagnuola, le quali deliberassero distintamente
-affine di elidere la superiorità degl’Italiani. Giovanni XXIII, come
-presente, provveduto di gran denaro, e assistito dalle compre armi
-di Federico d’Austria, sperava far considerare il concilio come una
-continuazione di quello di Pisa, che avendo riconosciuto Alessandro
-V, considerava lui come solo papa legittimo: inoltre voleva si
-cominciasse dagli articoli di fede, poichè richiederebbero lunghe
-dispute, e i prelati nella piccola città s’annojerebbero. Ma questi
-pretesero che abdicassero e lui e Benedetto XIII che sostenevasi in
-Ispagna, e Gregorio XII che aveva favore in Germania. Giovanni nella
-seconda tornata protestò di farlo volontariamente se lo imitassero gli
-altri due, anzi rinunziare ad ogni modo se con ciò potesse terminarsi
-lo scisma; sicchè il giubilo e gli applausi andarono al colmo, e
-l’imperatore gli si buttò ai piedi baciandoli. Ma poi pentito e
-sbigottito fuggì; e allora i mirallegro si risolvono in costernazione,
-Gregorio viene sospeso, e proclamato (1415) che il concilio trae
-immediatamente da Cristo i suoi poteri, e ognuno, compreso il papa,
-è tenuto obbedirgli in quanto concerne la fede, lo scisma, e la
-riformazione generale della Chiesa nel capo e nelle membra. Gl’Italiani
-protestarono invano. Giovanni, citato a giustificarsi delle più enormi
-e scandalose imputazioni[78], dichiarossene colpevole, sottomettersi
-a discrezione al concilio, pur beato se con ciò potesse render pace
-alla Chiesa: e quello il destituì (29 maggio) come avesse disonorato
-il popolo cristiano, ne spezzò il suggello e gli stemmi, gli tolse le
-insegne pontifizie e la croce, e lo tenne in cortese prigionia[79].
-
-Anche Gregorio, per mezzo di Carlo Malatesta signore di Rimini, a cui
-protezione si era posto, mandò la rinunzia (4 luglio), riducendosi
-cardinale di Porto. Solo Benedetto ostinavasi, scomunicando chi non
-era con lui, e dichiarava «nel diluvio universale la sola arca della
-Chiesa essere Paniscola dov’egli sedeva»: alfine, abbandonato anche
-dalla Chiesa spagnuola per opera principalmente di Vincenzo Ferreri,
-fu destituito (1417 26 luglio), terminando uno scisma che fu la
-maggior prova a cui la Chiesa si trovasse esposta. Tante passioni,
-tanti errori, eppure fu ancora alla Chiesa una che la cristianità
-si ricoverò, e sotto il manto del ponteficato, di cui non erasi mai
-impugnata l’autorità e l’unità, comunque restasse incerto chi ne era il
-depositario, disputandosi del possesso e dell’esercizio dell’autorità,
-non dell’autorità stessa.
-
-Sbalzatine gl’indegni occupatori, bisognava surrogare un degno sul
-trono di san Pietro. Sigismondo voleva che prima si riformasse la
-Chiesa; gl’italiani incalzarono per la pronta nomina del papa Ottone
-Colonna (11 9bre), il quale si volle chiamato Martino V. Sigismondo
-aveva preveduto giusto; poichè Martino trovò modo di rinviare d’oggi
-in domani le chieste riforme, logorando il tempo in divisamenti o
-in concessioni secondarie, protestando contro gli appelli del papa
-al concilio, riconfermando molti abusi; finchè dichiarò sciolto il
-concilio (1418 22 aprile), e andossene a Roma.
-
-I padri, vedendosi dal popolo sprezzati per le contese e i baccani
-a cui prorompeano[80], e presi in sospetto come staccatisi dal
-papa, vollero ostentare zelo della fede col perseguitare l’eresia, e
-condannarono Giovanni Huss e Girolamo da Praga, i quali, malgrado il
-salvacondotto imperiale[81], furono dati al braccio secolare e mandati
-al rogo. Tristo rimedio la violenza; e ne pagò le pene Sigismondo, o
-piuttosto i popoli espianti le colpe dei re: giacchè la Boemia divampò
-d’un incendio, a spegnere il quale vi vollero torrenti di sangue.
-
-Per compiere le riforme. Martino V indicò un nuovo concilio prima
-a Pavia, poi a Siena, infine a Basilea; ma apertolo appena, morì
-(1431). Nell’elezione di Eugenio IV (Gabriele Condulmier veneziano) i
-conclavisti prefissero una specie di costituzione, che in alcuni punti
-concerneva anche il governo civile. L’omaggio che il papa ricevea dai
-feudatarj e dagl’impiegati, non riflettesse su lui solo, ma anche
-sul collegio de’ cardinali, talchè a questo rimanessero obbligati
-in sede vacante; metà dei proventi della Chiesa fosse riservata ai
-cardinali; di conseguenza nessun atto politico importante poteva il
-papa permettersi se non consenziente il sacro collegio, non pace o
-guerra, non tasse nuove, non mutar la sede; inoltre il papa doveva
-riformare la Corte, e tenere concilj periodici. Eugenio vi si obbligò;
-e se quel costituto reggeva, il principato romano trovavasi ridotto ad
-aristocrazia, ma forse era tolto il pretesto alla Riforma del secolo
-seguente.
-
-Eugenio, per giudizio d’un suo successore[82], fu pontefice d’animo
-elevato, ma senza misura in nessuna cosa, intraprese sempre ciò che
-voleva, non ciò che poteva. Fece egli aprire il concilio di Basilea
-onde estirpare l’eresia, metter pace perpetua fra le nazioni cristiane,
-togliere il lungo scisma de’ Greci, e riformare la Chiesa. Ma i padri
-vi s’accinsero senza precise idee di quel che volevano operare, nè de’
-limiti dell’autorità propria e di quella che pensavano restringere;
-attaccavano un dopo l’altro gli abusi parziali, non proponevano un
-rimedio radicale: onde vedendoli condursi con quella precipitazione
-che sgomenta le autorità desiderose di dirigere, Eugenio sospese il
-concilio. I padri non gli badando, citano lui pontefice, accusandolo
-disobbediente; poi, spiegate le vele, dichiaransi ad esso superiori; nè
-poter lui scioglierli o traslocarli.
-
-Fittisi alla riforma della Chiesa, mozzano assai diritti curiali;
-determinano la forma dell’elezione del papa, e il giuramento che
-deva prestare; limitano le concessioni ch’e’ può fare ai parenti;
-restringono i cardinali a ventiquattro, e ne escludono i nipoti.
-L’imperatore di Costantinopoli, cercando appoggiare il cadente trono
-sull’unione della sua Chiesa colla latina, domandò di venire in persona
-col patriarca onde effettuare la riconciliazione. Perchè non poteva
-sostener le spese del viaggio, si promise di mandar navi a prenderlo;
-e la città d’Avignone anticipò settantamila fiorini, da rimborsarle
-mediante i proventi delle indulgenze. Papa Eugenio indusse Giovanni
-III Paleologo a chiedere che l’abboccamento si facesse in Italia; e in
-fatto nella sezione 21ª del concilio di Basilea si proposero Ferrara e
-Udine, e il papa confermò la proposta, e indusse i Veneziani a spedir
-galere per trasportare l’imperatore.
-
-Allora Eugenio, rimproverando al concilio i decreti incompetenti e
-smoderati, lo trasferiva a Ferrara (1438). Ma i padri non si mossero,
-eccetto due ed il legato; e mentre i prelati italiani maledicevano
-al conciliabolo di Basilea, ed invitavano a spogliare i mercanti che
-vi portassero roba, quello (nel quale primeggiava Nicola arcivescovo
-di Palermo, ambasciadore d’Aragona e Sicilia, e tenuto pel maggior
-canonista del suo tempo) continuava a cincischiare la giurisdizione
-pontificia; anzi dichiarò sospeso il papa, e scismatico il consesso di
-Ferrara; e per quanto i potentati s’intromettessero onde prevenire un
-nuovo scisma, condannarono Eugenio (1439) come eretico, e surrogarongli
-Amedeo VIII duca di Savoja, il quale dagli affari s’era ritirato
-a Ripaglia a vita piuttosto voluttuosa che penitente[83], e che
-sciaguratamente accettò l’uffizio d’antipapa col nome di Felice V.
-
-Il concilio di Ferrara erasi aperto il 13 gennajo 1438 dal cardinale
-Albergati, e gran pena si durò per regolarne il cerimoniale: ma la
-peste scoppiata lo fece trasferire a Firenze[84] (1439). Ivi furono
-messi in disputa i quattro punti dello scisma greco, cioè il procedere
-dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, l’uso degli azimi nella
-comunione, la natura del purgatorio, la supremazia universale del papa.
-Quell’unione fu famosa per insigni personaggi: il cardinale Giuliano
-Cesarini, che di sua franchezza avea dato prova nell’appoggiare i
-rimproveri che al papa faceva il concilio, ed allora sosteneva il
-vero con incalzante ragionamento; Giovanni di Montenero provinciale
-de’ Domenicani di Lombardia, versatissimo in divinità; Ambrogio
-Traversari generale de’ Camaldolesi, che per ordine di Eugenio IV
-era andato riformando molti conventi, e questi suoi giri descrisse
-nell’_Odœporicon_; fra i Greci, Gemistio Platone insigne accademico,
-Giorgio da Trebisonda, Giorgio Scolario ancora laico, e fra breve
-patriarca di Costantinopoli, Marco Eugenio vescovo d’Efeso saldissimo
-alle dottrine scismatiche, Dionigi vescovo di Sardi, e, a tacer altri,
-il Bessarione arcivescovo di Nicea, sottile platonico, che sparse
-anche il gusto d’una filosofia men cavillosa e arida, e che vinto dalla
-verità venne alla Chiesa nostra, molti traendovi col proprio esempio.
-
-Cosmo de’ Medici ricevette splendidamente il papa, i cardinali,
-l’imperatore; il trasporto dei corpi de’ santi Zenobio, Eugenio,
-Crescenzio, i funerali del patriarca di Costantinopoli, diedero
-occasione a solennità; e la Signoria di Firenze regalò al papa
-quattordici inquisiti di pena capitale (Cambi). Eugenio scomunicò
-i prelati di Basilea; ma le lunghe dispute col patriarca di
-Costantinopoli e co’ suoi dottori, agitate nella sala accanto a Santa
-Maria Novella, non poteano condursi a conchiusione; laonde si venne
-a una specie di transazione (6 luglio) per istabilire l’unione della
-Chiesa orientale colla occidentale, stendendola s’una pergamena in
-greco e in latino, e dopo che l’ebbero letta in latino il cardinale
-Cesarini, in greco l’arcivescovo Bessarione, la soscrissero molti
-prelati delle due Chiese per ordine di dignità; oltre il papa stesso e
-l’imperatore Paleologo che vi fecero apporre le proprie bolle[85].
-
-Federico III, nuovo imperatore, che avea procurato versar acqua su
-questi incendj, spedì ad Eugenio il proprio segretario Enea Silvio
-Piccolómini senese, per indurlo ad un concordato colla Germania, e
-il papa sul letto di morte vi assentì, purchè non menomasse i diritti
-della santa Sede. Nicola V succedutogli (1447), mostrossi tutto davvero
-disposto ad accordi, talchè il sinodo di Basilea più non si resse;
-Felice V abdicò, riservandosi tanti benefizj, che lo rendeano più ricco
-del papa, ma presto morì. La pace fu dunque restituita alla Chiesa; e
-il giubileo celebrato l’anno appresso, parve solennizzare il trionfo di
-Roma.
-
-Se il concilio di Basilea avesse con prudenza e carità provveduto
-alla riforma della Chiesa, poteva prevenire i guaj che scoppiarono nel
-secolo seguente. Sulle prime, non che intaccare la sovranità papale,
-sanzionò il Decreto di Graziano, i cinque libri delle Decretali di
-Gregorio IX, pare anche il sesto di Bonifazio; solo tolse ai papi le
-riserve, il diritto di provvisione, e quello di mettere imposte sulle
-chiese. Ma poi guidato a passione, pensò non solamente limitare la
-potenza papale come quel di Costanza, ma sostituirvi la propria, e
-preparò la rivolta protestante, al tempo stesso che l’apparenza di
-ottenuta vittoria svogliava la Chiesa romana dalle riforme necessarie,
-e assopiva in una sicurezza che dovea riuscire funestissima.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXVIII.
-
-L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi a
-Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia guerreggia i
-Turchi.
-
-
-Da mille anni era disfatto l’impero romano in Occidente, e ancora
-sussisteva in Oriente, soprattutto mercè della incomparabile postura
-di Costantinopoli. Sussisteva, ma agonizzante fra le deboli mani
-d’imperatori, i quali, vanitosi d’una scienza ciarliera, superbi d’un
-passato troppo diverso, assorti in un lusso corruttore, deliri dietro
-a futili importanze, ignoravano o vilipendevano i costumi stranieri
-e quelle idee che s’insignorivano del mondo. Un altro morbo erasi
-ostinato addosso a quella pomposa società, le eresie; quasi le fosse
-fatale il dover perire novamente pei sofismi, come già ai tempi della
-miglior grandezza d’Atene. Lo Spirito Santo procede egli anche dal
-Figlio come dal Padre? tale quistione, inestricabile ad argomenti, pose
-a subuglio le scuole, le chiese, le piazze, le famiglie; avversò Roma a
-Costantinopoli, i patriarchi ai papi, sinchè Fozio (862) separò affatto
-la Chiesa greca dalla latina, e quell’impero si trovò nimicati coloro
-a cui lo legava il comune interesse di resistere alle avvicinantisi
-orde musulmane. Le crociate avevano pôrto ai Greci l’occasione di
-rigenerarsi, innestando sul vecchio loro ceppo la civiltà moderna,
-e vantaggiandosi reciprocamente coll’accomunare le qualità migliori:
-ma essi non vi adoprarono che dispregio e mala fede; tergiversarono
-imprese, di cui aveano il maggior bisogno e i primi vantaggi; e si
-attirarono l’abbominazione de’ Latini. La conquista di Costantinopoli
-per opera di questi avrebbe potuto risarcire l’Impero, se accettata
-e sostenuta: odiosa invece e contrastata, non fece che crescerne la
-debolezza, e ben tosto le dinastie antiche ebbero espulsi i Baldovini,
-che andarono sparnazzando per Europa la loro miseria e titoli senza
-valore.
-
-Però coll’impero latino non erano caduti gli stabilimenti degli
-Italiani in Levante. Pisa era oggimai ridotta a troppo piccolo conto;
-ma Genova e Venezia avrebbero potuto assicurarsi il Mediterraneo,
-l’Jonio e il mar Nero se si fossero tenute d’accordo; invece,
-perseguendosi d’implacabili nimicizie, dagli insulti e dagli assalti
-reciproci furono entrambe rovinate. I Genovesi, badando al proprio
-interesse più che alla causa europea, aveano ajutato l’imperatore
-Michele Paleologo a togliere ai Latini Costantinopoli (1261), dove
-conservarono il sobborgo di Gàlata; e stipularono di rimanervi sotto
-un podestà proprio, il quale presterebbe giuramento all’imperatore
-prima di assumere la giurisdizione, e andrebbe ogni domenica a fargli
-omaggio; l’imperatore non punirebbe alcuno di quella colonia se non
-quando esso podestà ricusasse farlo; stretto divieto di asportare oro
-o argento dalle terre imperiali, bensì vettovaglie, ma che dovessero
-recarsi al Comune di Genova, non mai ai nemici dell’Impero; qualvolta
-l’imperatore allestisse un’armata, potrebbe trattenere per servizio di
-quella i navigli genovesi quand’anche fossero noleggiati da altri e già
-in carico, e spedirli dovunque gli talentasse. I Genovesi di rimpatto
-non si staccherebbero dall’Impero per qual si fosse comando di persona
-coronata o no, nè per ecclesiastica scomunica[86]; cautela opportuna
-quando era opinione non doversi fede agl’Infedeli, e per tali si
-consideravano pure i Greci.
-
-Dalla debolezza de’ quali i Genovesi traevano baldanza: un marinajo
-vantò che fra breve i suoi sarebbero signori della capitale, e uccise
-il Greco che nel ripigliava; un altro ricusò il saluto delle armi nel
-passare davanti alla reggia. Il trovarsi però in sobborgo smurato
-esponeva i Genovesi ed alla legale repressione degl’imperiali ed
-alla violenza de’ Veneziani, che di fatto una volta gli assalsero,
-e costrettili a rifuggire in Costantinopoli, ne incendiarono le
-abitazioni. Pertanto i Genovesi chiesero di poter circonvallare Gàlata,
-e con triplice muro che girava per quattromila quattrocento passi
-chiusero i vasti magazzini e i nobili abituri prospettanti il mare; e
-quel sobborgo avrebbe presto emulato Costantinopoli se questa non fosse
-caduta. Di là scorrendo il mar Nero, dove possedeano Caffa, i Genovesi
-portavano ai Greci il frumento dell’Ucrania, il caviale e pesce salato
-della Meotide; spingeansi a ricevere nei porti della Crimea le droghe
-e le gemme che dall’India vi affluivano colle carovane; e le fortezze,
-sorte in tutte le fattorie, diventavano formidabili non meno agli
-Europei che ai Tartari.
-
-Già ne fu accennata la banda di venturieri catalani, che Ruggero di
-Brindisi condusse a Costantinopoli, e che per un pezzo salvò l’impero
-greco dai Turchi; ma insieme lo malmenavano a talento, come e peggio
-che le compagnie di ventura in Italia. Andronico imperatore in palese
-lo accarezzò, fino a sposarne una sorella; in secreto affilando
-l’arma de’ vili, a tradimento lo uccise. Non per questo si dispersero
-i suoi, e molte fiate posero il partito di conquistare l’Impero per
-conto proprio o del re di Sicilia, il quale mandò anche l’infante
-don Ferdinando a capitanarli. Se non che i Genovesi, da antico gelosi
-dei Catalani, i loro più potenti competitori nel commercio del mare
-occidentale, s’inasprirono pei favori che que’ venturieri guadagnavano
-o rapivano in Oriente. Ne vennero risse aperte; e come i Catalani
-offrivano all’imperatore di sfasciare gli stabilimenti genovesi e
-liberarlo dalla costoro insolenza, così i Genovesi lo ajutarono a
-mandare a sbaratto quella banda.
-
-Nel mezzo di ciò, i Latini non cessavano d’osteggiare il greco impero,
-considerandola quasi come un’impresa santa e un seguito delle crociate.
-Carlo di Valois, figlio di Filippo il Bello, la cui moglie Caterina di
-Courtenai avea portato in dote nominali diritti sopra quel trono, volea
-questi ridurre in atto recuperandolo ai Latini; il che a molti pareva
-l’unico modo di ritardarne la caduta. E tentò l’impresa: ma non avendo
-meglio di cinquecento cavalieri, la fatica gli rispose scarsamente.
-
-Quando Caterina di Valois sposò Filippo duca di Taranto, ne’ patti
-nuziali si stipularono gli ajuti che il marito le darebbe per
-ricuperare l’impero latino, e le provincie di Grecia di cui essa
-a lui farebbe cessione. Il re di Francia suo parente, Venezia e il
-papa ne secondavano le aspirazioni; e l’imperatore Andronico, non
-potendo far conto su Genova straziata da discordie intestine, prese
-la disperata risoluzione di ricorrere ai Turchi per difendersi dai
-Cristiani. Al tempo stesso favoriva i Ghibellini contro Roberto re
-di Napoli, affinchè questo rimanesse impedito dall’ajutare Filippo, e
-mandò a Federico di Sicilia seicencinquantamila pesi d’oro coniato[87].
-L’impresa infatto non ebbe seguito, e sopraggiunte nuove burrasche
-nel regno di Napoli, ai principi di Taranto rimaneva appena forza di
-galleggiare tra queste, non che potessero far valere sull’impero la
-presunta eredità.
-
-Ma crescendo sempre più le conquiste de’ Musulmani, quegli imperatori
-sentivano che loro salvezza sarebbe stato il riconciliarsi colla Chiesa
-latina. Già sotto Andronico il giovane avea molto adoperato a tal fine
-il monaco basiliano Bernardo Barlaam di Seminara in Calabria, ingegno
-vivo e Colto, che si fece ammirare dal Boccaccio a Napoli, dal Petrarca
-ad Avignone; ma non ne venne a capo, pretendendo gli Orientali si
-convocasse un concilio, che i nostri trovavano superfluo in quistioni
-già decise.
-
-Barlaam ritornato a Costantinopoli, ebbe a disputare con Palamas
-arcivescovo di Tessalonica sulla luce increata. Palamas sosteneva
-che fosse non la sostanza divina, ma emanazione di questa; e che gli
-angeli e santi potessero questa contemplare, non l’essenza divina.
-L’altro, al contrario, voleva non fosse nè l’essenza divina nè effetto
-di questa, e che nessuna potenza valesse a rendere gli occhi umani
-capaci di contemplare la divinità. È la quistione, su cui si fanno
-tanti epigrammi: ma per la concatenazione degli errori e delle verità
-portava, nell’opinione di Palamas; niente meno che la dualità della
-sostanza eterna; in quella di Barlaam toglieva la visione beatifica
-ai santi. Barlaam fu riprovato da un sinodo di Costantinopoli, onde
-abbandonò la Grecia, scrisse contro lo scisma, e fatto vescovo di
-Geraci, contribuì assai a restaurare gli studj in Italia.
-
-Morto quel debole imperatore (1341), ogni cosa andò capopiede, finchè
-a Giovanni Paleologo usurpò la corona il grandomestico Giovanni
-Cantacuzeno (1347): ed egli pure per sostenersi non esitò a chiamare
-in Europa i Turchi, che già all’Impero aveano tolto le provincie
-d’Asia. Ma più che l’imperatore, signori di Costantinopoli in quel
-tempo erano i Genovesi; e se sorreggeano con prestiti la miseria di
-lui, impedivangli di crescere in potenza marittima per non trovarselo
-concorrente: ed insultandone la maestà, ad onta sua occuparono e
-bastionarono anche l’alto della collina, sul cui pendio aveano ottenuto
-di piantare la loro colonia, comandando così allo stretto per cui si
-passa al mar Nero; batterono la flotta dello imperatore, bloccarono
-fin Constantinopoli (1351), nè egli potè chetarli che con forzate
-concessioni.
-
-In quel tempo, per respingere i Tartari che minacciavano gli
-stabilimenti del mar Nero, erasi allestita una specie di crociata,
-principalmente di navi venete, condotta da Umberto delfino di Vienne.
-I Genovesi, appena le interne discordie il permisero, vi mandarono
-la propria flotta, guidata da Simone Vignoso: ma questi, invece di
-drizzare contro i Tartari, assalì e prese Scio, isola opportunissima,
-a otto miglia dal continente, che signoreggia le vicine di Samo,
-Metelino, Ténedo e lo stretto di Gallipoli, e che già altre volle era
-stata posseduta da Genovesi. Cantacuzeno recosselo ad onta, ed arrestò
-alquanti legni genovesi; ma i coloni di Galata si levano a stormo,
-e minacciano di nuovo la capitale; l’imperatore reclama a Genova, ma
-inutilmente, giacchè il Comune non esercitava alcuna autorità sopra i
-lontani coloni; ond’egli non conobbe altro scampo che di ricorrere alla
-gelosia di Venezia.
-
-Questa era stata rattizzata dalla concorrenza nelle colonie della
-Tana. Un Genovese, percosso da un Tartaro, lo uccise; e i Tartari
-per vendetta malmenarono le persone e i beni di quanti Cristiani
-mercatavano da quelle parti: i Genovesi tennero testa in Caffa,
-abbastanza munita contro scorridori indisciplinati; e di là chiudeano
-il passo del bosforo Cimmerio e perciò i traffici coi Tartari, i
-quali vedeano andare a male le merci raccolte, e fallire le sperate
-ricchezze. Non vollero rispettare quel blocco i Veneziani, di che
-originarono nuovi conflitti. Venezia spedì trentatre galee fra di merci
-e di soldati, che sotto Marco Ruzzini passassero alla Tana; ed egli,
-incontrate nell’altura di Negroponte undici galee genovesi (1349 29
-agosto), le circondò e prese allo arrembaggio. I Genovesi per riscossa
-sorpresero Candia, donde liberarono le merci e le navi catturate. Alla
-sua volta il Ruzzini sorprese Galata, gettò il fuoco in molti vascelli,
-e propose all’imperatore di sottrarlo dalla prepotenza genovese;
-ma quegli, temendo forse i liberatori quanto gli avversarj, renuì.
-Lungamente le flotte delle due repubbliche insanguinarono i mari;
-l’espertissimo ammiraglio Nicolò Pisani avea unito alle galee venete
-l’armata de’ Greci, de’ Pisani e degli Aragonesi, sempre in discordia
-con Genova ma all’isola dei Porti (1352 febbr.) fra Costantinopoli e
-Calcedonia, nel fitto della notte e nello infuriar delle tempeste non
-bastanti a spegnere l’ira degli uomini, fu sconfitto da Paganino Doria;
-il mare e i lidi rimasero orridi de’ frantumi di sì trista vittoria;
-e se i Veneti perdettero quattordici navi, dieci gli Aragonesi, due
-i Greci, anche i Genovesi ne lasciarono tredici al nemico o alla
-procella, e vuolsi che settecento nobili vi perissero, onde quasi ogni
-famiglia dovette vestire il bruno, nè si permisero le solite feste del
-trionfo.
-
-Il Doria insuperbito, invitò il kan de’ Tartari a seco giurarsi contro
-i Bisantini; e con Orcano, figlio, di quell’Osman che aveva fondato
-l’impero turco, assalì l’imperatore Cantacuzeno, lo insultò nella
-sua reggia, ed obbligollo a staccarsi dai Veneziani, e segnare un
-trattato ove ai Genovesi concedeva tutti i privilegi tolti ai Veneti.
-Questi dovettero promettere non approdare più per tre anni alla Tana,
-contentandosi d’un banco a Caffa; i Greci, di non mescolarsi a litigi
-che potessero nascere tra Genovesi, Veneti e Catalani; non mandare navi
-di traffico alla Tana; restituire quanto avessero tolto ai Genovesi,
-cui fosse libero comprare terre senza licenza dell’imperatore. Neppure
-a tanto sarebbesi arrestata Genova, se una battaglia nelle alture di
-Cagliari non avesse vendicato i Veneziani, i quali all’arrembaggio
-tolsero ai Genovesi ben trentuna galee e quattromila prigionieri,
-che buttarono al mare. Grave lutto alla città, che straziata
-sempre nell’interno, bramò il riposo della servitù sottoponendosi
-all’arcivescovo di Milano.
-
-Francesco Gattilussio genovese, armate due navi per far sorte, secondò
-Giovanni Paleologo a spodestare (1355) lo usurpatore Cantacuzeno;
-e in premio chiese la sorella per moglie e l’isola di Metelino, che
-restò di fatto nella sua discendenza. Già prima i Zaccaria, avendo
-ajutato potentemente l’impero a recuperare l’isola di Negroponte,
-n’aveano ottenuto le ricche cave d’allume in Focea. Per sostenersi nel
-riacquistato dominio e contro gli Ottomani che già eransi impadroniti
-di Gallipoli e d’Adrianopoli, il Paleologo era ricorso ad Innocenzo
-VI, promettendo sottomettere la sua Chiesa alla romana; e il papa
-esibì per sei mesi venti vascelli da guerra con cinquecento cavalieri e
-mille fanti: ma Genovesi, Pisani, cavalieri di Rodi, il re di Cipro non
-diedero retta alle sue esortazioni; Amedeo VI di Savoja, coadjuvato dai
-Genovesi di Galata, mosse una spedizione (1366), ove ritolse ai Turchi
-Gallipoli.
-
-In quel bujo l’imperatore, non pago di sollecitare Urbano V per
-ambasciadori, venne in persona a Roma quando si coronava Carlo IV,
-e riconobbe la doppia processione dello Spirito Santo e la primazia
-della Chiesa latina: ma la viziosa inettitudine di lui non ispirò
-nè interesse nè pietà; poi la morte del papa (1369) interruppe ogni
-effetto; e il Paleologo, passato a sollecitare i Veneziani, vi si
-trovò in tali strettezze, che i creditori lo tennero agli arresti,
-e la Signoria dichiarò non partirebbe finchè non si fosse sdebitato.
-Andronico suo figlio, lasciato reggente, non s’affrettò a mandargli
-il denaro; Manuele fratei minore lo riscattò, vendendo se nulla
-ancor gli restava: di che il Paleologo concepi avversione per quello,
-predilezione per questo, e per isfogarla si fece persin vassallo di
-Amurat I granturco. E quando Andronico cercò stronizzare il padre,
-Amurat ne prese occasione di tragittarsi in Europa con grosso esercito
-per domare questi litigiosi che s’abbaruffavano sull’orlo del sepolcro.
-Andronico, che dal padre era stato imperfettamente accecato, col favore
-dei Genovesi potè uscire dalla prigione e cacciarvi il padre: ma questi
-fu ajutato alla fuga per lunga arte di Carlo Zeno veneziano, il quale
-per mercede volle che dell’isola di Ténedo fosse investita la propria
-nazione. Di qui vedemmo nascere terribile guerra fra Venezia e Genova,
-e la vittoria de’ Veneziani a capo d’Anzio, vendicata poi a Pola sopra
-Vittor Pisani da Pietro Doria, che menò la flotta genovese fino a
-Chioggia.
-
-Venezia s’accorse che si rovinava in paese minacciato dà si gagliardi
-avversarj, e neglesse il mar Nero; laonde i Genovesi restarono arbitri
-dell’Impero, e a loro posta metteano pace e attizzavano guerra fra que’
-principi fratricidi, e neppur esitarono a patteggiare coi Turchi di mai
-non guerreggiarli.
-
-Quasi soli esercitavano essi il commercio della costa di Trebisonda,
-ove col titolo d’imperatore dominava un principotto Comneno. Alla
-costui corte Megallo Lercári mercante genovese, nel fare agli scacchi,
-rissossi con un mal paggetto dell’imperatore, e avutone uno schiaffo,
-e invano chiesta soddisfazione, armò due galee, depredò la costa,
-e a quanti Greci cogliesse mozzava le orecchie e il naso. Un padre
-il supplicò si caldamente a risparmiare questo supplizio ai figli
-suoi, che il Lercari li perdonò, patto che recassero a Trebisonda
-all’imperatore un barile di nasi e d’orecchie, e annunziassero non
-desisterebbe finchè non avesse in mano il suo oltraggiatore. Tal era
-la forza de’ Genovesi o la debolezza di que’ Greci, che l’imperatore in
-persona venne a consegnare il paggio al Lercari, il quale s’accontentò
-di porgli un piede sulla faccia dicendo: — Via costà, sciagurato; e
-ringrazia la civiltà de’ Genovesi, che non bistrattano donne»[88].
-
-I Turchi si avvicinavano alla capitale, non più da scorridori e con
-subitarie devastazioni, ma passo passo conquistando; già Bajazet
-la stringea d’appresso. Unica tavola nel naufragio, gl’imperatori
-ricorsero all’Occidente; e Manuele Paleologo venne supplichevole a
-Roma (1399). Se non che i Mongoli, condotti da Tamerlano imperatore
-di Samarcanda, dopo rapide quanto estese vittorie nel cuor dell’Asia,
-piombarono sopra i Turchi, vinsero Bajazet e lo fecero prigioniero.
-Obbligati i Turchi a provvedere alla proprio difesa, venne ritardala la
-caduta di Costantinopoli; poi i figli di Bajazet si osteggiarono fra
-loro: eppure delle discordie e delle sconfitte di costoro non seppero
-giovarsi i Greci per rivalere, e il successore d’Amurat II potea dire
-al greco imperatore: — Chiudi le porte della tua città, e regna nel
-recinto di essa; quant’è di fuori appartiene a me».
-
-Di fatto l’Impero trovavasi ristretto ormai alla capitale e ad un lembo
-della Tracia lungo cinquanta e largo trenta miglia, con poche centinaja
-di soldati, stranieri i più. I Musulmani potevano chiamarsi barbari
-soltanto al paragone di gente più colta: che se il sensuale orgoglio,
-su cui è fondata la loro religione, gli arrestò sulla via della
-civiltà, aveano però mietuto i frutti dell’araba e della persiana:
-potenti per commercio, potentissimi per armi di mare e di terra, nelle
-quali aveano introdotta una perfezione ignota ai Cristiani; presto
-impararono l’uso della polvere; dicesi ottenessero dai Genovesi i
-primi cannoni, e perfezionatone il maneggio, li volsero contro le
-mura, forti soltanto per resistere alle catapulte. Primi introdussero
-un esercito stanziale colla formidabile milizia de’ gianizzeri,
-reclutata di fanciulli rapiti do ogni paese, e perciò staccati da
-ogni affetto, ed usi fin da bambini alle ormi; milizia di gran lunga
-superiore alle truppe vendereccie dei Cristiani. Senza i riguardi della
-gente civile, coll’entusiasmo dello apostolato guerriero, credendo
-fatalmente segnata l’ora della morte, e premio il paradiso a chi cada
-in battaglia, piombavano su popoli che vagheggiavano le dolcezze della
-pace; la Russia mal potea fronteggiarli, serva com’era dei Tartari;
-alla generosa Ungheria erano tagliati i nervi dagli Austriaci,
-che ambivano farla patrimonio della loro casa; l’Italia rimanea
-sbocconcellata. Pertanto i Turchi, possedendo le coste del Mediterraneo
-e dell’Arcipelago, poteano ridurre a pascialati la Polonia, l’Ungheria,
-la Germania, l’Italia, sbiadare i loro cavalli sull’altare del
-Vaticano, e restringere in angustissimi confini la civiltà cristiana.
-
-Più incalzante si sentì il pericolo quando (1421) la bifida spada
-fu posta nelle mani di Amurat II, uno de’ maggiori eroi dell’islam.
-Manuele Paleologo pensò mettere una barriera all’avanzare de’ Turchi
-col vendere ai Veneziani Salonicchio, forte di quaranta torri e
-quarantamila abitanti, in eccellente golfo, e opportunissima al
-commercio e a tutelare Negroponte. La Serenissima, allora invogliata
-dal Foscari alle conquiste, se la prese, e mandò a giustificarsene
-con Amurat, il quale per tutta risposta arrestò il messo, ed assediò
-Salonicchio. La flotta veneta lo respinse, ed Amurat assalì la Morea, e
-qualunque volta la Signoria mandava per fare accordi, egli rispondeva:
-— Rendetemi Salonicchio»; infine la sorprese e pigliò (1429), dopo che
-la Repubblica avea sciupato settecentomila ducati a difenderla.
-
-Allora Amurat mette assedio a Costantinopoli (1431) con ducentomila
-Turchi. Eugenio IV levò il grido d’allarme per annunziare il pericolo
-che all’Europa e a tutta la cristianità sovrastava se Bisanzio perisse;
-ma non era più entusiasmo di popoli che determinasse alle imprese,
-bensì calcolo di principi, e questi erano occupati ciascuno in casa
-propria a consolidare la prerogativa regia, ad estendere i dominj, a
-fiancheggiarsi di parentele. Genova e Venezia dal pericolo ravvicinate,
-si unirono bensì (1440) sotto lo stendardo delle sante chiavi; il
-cardinale Giuliano Cesarini riuscì ad eccitare Polonia e Ungheria, più
-da vicino minacciate; e l’esercito, composto d’avventurieri d’ogni
-paese, condotto dal grande Giovanni Uniade, transilvano addestrato
-nelle guerre d’Italia, assalì Amurat. Ma la battaglia di Varna (1444)
-sparpagliò l’esercito crociato, e l’imperatore Giovanni III Paleologo
-dovette comprare la pace.
-
-Pace effimera; e già prima quell’imperatore non vedea modo al suo
-bisogno che nei soccorsi d’Occidente; ma come riprometterseli se
-non riconciliando la sua Chiesa alla latina? Stava allora adunato
-il concilio di Ferrara (pag. 196), e il Paleologo sopra navi
-veneziane fu trasportato in Italia, menando seco Giuseppe patriarca
-di Costantinopoli, e i rappresentanti degli altri patriarchi, molti
-prelati, cantori, monaci, filosofi, spiegando un fasto che cozzava
-colla miseria, giacchè il papa avea dovuto anticipargli le spese.
-Fu ricevuto orrevolmente, estreme riverenze rendute al moribondo
-rappresentante dell’antica maestà cesarea; Venezia gli prestò
-venerazioni, di cui la libertà non era gelosa perchè non esprimevano
-un omaggio, e perchè le spoglie di Costantinopoli che la abbellivano
-diceano qual fosse più potente fra l’augusto troneggiante sulla poppa
-della nave capitana, e il doge e i senatori che gli baciavano il
-piede; a Ferrara ottenne le cerimonie di posto e di grado consuete
-agl’imperatori antichi: ma i contrasti fra il concilio di Basilea ed
-Eugenio IV impedirono ogni conchiusione. Convocatosi poi il concilio
-a Firenze (1438), e ridottisi d’accordo sulle incomprensibili e
-sulle pratiche quistioni, Eugenio si obbligò a pagare ai Greci il
-ritorno, mantenere sempre due galee e trecento soldati per difesa
-di Costantinopoli, e dieci galee per un anno ogniqualvolta venisse
-richiesto; eccitare i principi europei a sovvenire quell’impero, e far
-approdare a Costantinopoli tutte le navi che trasportavano pellegrini
-in Terrasanta.
-
-Ma gli amplessi e la riconciliazione, forse subdoli, certo interessati
-per parte dei grandi che ne trattavano, doveano riuscire inapplicabili
-al popolo e al basso clero greco, ignoranti e fanatici a segno, che
-avrebbero preferito Maometto al papa. I monaci venerati dai loro eremi
-maledivano a chi si fosse comunicato coi Latini; i popi chiudevano
-le basiliche in faccia a chi s’era messo in relazione col legato in
-Santa Sofia; il popolaccio nelle bettole cuculiava il pontefice e
-gli azimati; i prelati medesimi, sentendo rinascere la coscienza o
-l’orgoglio, si ritrattarono, e quel misero avanzo dell’impero romano
-andò sovvertito fra nuovi e antichi credenti che a vicenda intitolavano
-sè cattolici, eterodossi gli avversarj. Al vederli odiarsi perchè
-gli uni nutrono la barba, gli altri la radono, questi consacrano pane
-fermentato e quelli no, non si direbbero persone fradicie nella pace?
-e invece roteava sul capo di tutti la scimitarra ottomana. Amurat
-perdonò al Paleologo d’avere sollecitato la crociata, ma assalse i
-fratelli di lui, tra’ quali era diviso il restante impero; ridusse a
-sommissione Neri Acciajuoli signore dell’Acaja, di Atene, della Focide,
-della Beozia; per l’istmo, invano fortificato, entrò nel Peloponneso
-che devastò, incendiata Corinto, presa Patrasso, e menati sessantamila
-schiavi.
-
-Maometto II, succedutogli (1451) con maggior impeto guerresco,
-s’accingeva ad annichilare quel fantasma dell’impero romano, e assediò
-Costantinopoli con dugencinquantottomila armati e trecento navi.
-Costantino Paleologo su quel trono tarlato sosteneasi con virtù degne
-di miglior fortuna. Vedovo di una de’ Gattilussi di Genova, principi
-di Metelino, cercò una Foscari di Venezia; ma avendo i consiglieri
-suoi trovato non abbastanza decorose tali nozze, e preferitovi una
-principessa di Georgia, si rese avversi i Veneziani di modo che
-non abbastanza cooperarono alla difesa. I Genovesi di Galata ebber
-ricorso alla madrepatria, e n’ottennero una grossa nave e macchine
-e cinquecento uomini d’arme; ma sentendosi insufficienti, ebbero per
-più savio consiglio il prendere accordo col Turco, promettendo essi di
-restar neutrali, egli di rispettarli; doppia slealtà, perocchè Maometto
-diceva che lasciava dormire il serpente finchè non avesse soffocato
-il drago, e i Genovesi non lasciavano di soccorrere sottomano gli
-assediati. La colonia genovese di Caffa inviò tre legni, che traverso
-gravissimi pericoli, e menando strage nella flotta turca, provvide di
-viveri la città. Nella quale trovavansi chiusi quasi cinquecentomila
-Greci, e duemila Genovesi e Veneziani: ma non passavano i settemila gli
-armati, con ventotto navi; oltrechè i Greci aborrivano i Latini sebbene
-esponessero per loro la vita; fremettero quando il legato pontifizio,
-venuto a parte del pericolo, cantò messa col pane azimo e l’acqua
-diaccia; e gridavano: «Il cadere sotto Roma val quanto il cadere sotto
-i Turchi».
-
-All’indifferenza degli estrani e dei cittadini mal supplivano il
-senno e il valore di Costantino. Affidò egli il comando della piazza
-a Giustiniano Longo genovese, già podestà di Caffa e or principe
-di Lemno, il quale lo secondava mirabilmente; meglio di chicchessia
-sapeva squadronare, assalire, trovar ripieghi, reggere a fatiche, oppor
-mine alle mine, coll’ajuto d’altri Genovesi, fidi a quella seconda
-patria[89].
-
-Però le munizioni venivano meno (1453); le artiglierie turche
-fulminavano le decrepite mura con una furia mai più veduta di projetti,
-e aveano fra altri un pezzo che tirava palle di milleducento libbre,
-sicchè un colpo bastava a colar a fondo una nave. Maometto, non
-potendo forzare la grossa catena del porto, fece trascinar le sue navi
-attraverso alla lingua di terra che ne lo separava, forse secondato
-dai Veneziani; talchè un mattino gli assediati svegliandosi le videro
-entro il porto. Questo prodigio gittò lo scoraggiamento ne’ cittadini:
-il Giustiniani tentò avventare il fuoco nella mirabile flotta, ma il
-cannone del granturco mandò a fondo il brulotto con cencinquanta nostri
-prodi. Il Giustiniani ferito si ritirò dal combattere, per quanto
-Costantino il supplicasse fin chiamandolo fratello; e di fatto al suo
-partire, che gli altri gli ascrivono a infamia colla facilità onde gli
-inoperosi sputacchiano gli eroi, la costanza degli Italiani vacillò. Al
-24 maggio erano aperte breccia per tutto, e Maometto annunziò l’assalto
-generale pel venerdì 29, al che rispose d’ogni parte il grido d’Allah,
-mentre gli assediati raffittivano in penitenze e comunioni, e supplicar
-Madonne, e intuonare lugubri Kyrie eleison. Alfine dopo quarantotto
-giorni d’assedio Costantinopoli, che avea resistito a sette assedj di
-Arabi e cinque di Turchi, fu presa; dappertutto si gridò: — Dio solo è
-Dio, e Maometto è il suo profeta»; e il gran-signore entrato in Santa
-Sofia, ordinò al muezzin d’intimare la preghiera, salì all’altare e
-pregò.
-
-Costantino perì da eroe, e le poche navi italiane poterono salvare
-alcuni degl’infelici che a calca vi ricoverarono, e massime i Genovesi
-di Galata colle loro ricchezze. Eppure Maometto, che gridava a’ suoi
-soldati — A voi i prigionieri, le ricchezze, le donne, ma riservate a
-me la città e i fabbricati», confortava i Genovesi a rimanere sicuri;
-ai pochi che gli diedero ascolto concedette di praticare il proprio
-culto, sottoponendosi al testatico. I negozianti di Pera capitolarono,
-e Maometto fece decapitare il balio di Venezia, ed arrestare quanti
-Veneziani vi colse.
-
-Venezia non potea pensare alla vendetta, e Bartolomeo Marcello dopo
-un anno di trattative conchiuse la pace (1454). Nessuna parte recherà
-danno all’altra, o ricetterà i rei di Stato o di furto, anzi li
-consegnerà: libero commercio, pagandosi reciprocamene il due per cento
-delle merci esitate nello Stato amico, e reciproca restituzione delle
-robe de’ naufraghi e de’ morti: i Veneziani tributeranno ducentrentasei
-ducati per le terre che tengono nell’impero turco: gli schiavi
-veneziani saranno restituiti; ma se si fossero professati musulmani
-si pagheranno mille aspri, cioè cinquanta ducati per ciascuno. Le
-navi andando e tornando dal mar Nero rinfrescheranno nel porto di
-Costantinopoli; possano portare qualunque merce di Cristiani, ma non
-di Turchi; mantenute al patriarca costantinopolitano le entrate che
-avesse in terra di Veneti; la Signoria possa mandare a quella città
-un balio, che regga nel civile e renda giustizia fra’ Veneziani d’ogni
-condizione. Il gransignore si obbliga a risarcire i danni ben provati,
-che nella persona o nella roba avessero patito i Veneziani nella presa
-di Costantinopoli. Essi possano introdurre nell’impero ogni sorta
-moneta coniata o in verga; ma le verghe dovranno farsi bollare dalla
-zecca.
-
-Caduta la metropoli, sussistevano ancora l’impero d’Iberia e quello
-di Trebisonda sul mar Nero, dove i Genovesi conservavano Caffa in
-Crimea; fra il Nero e l’Adriatico, i regni di Dalmazia, Bosnia,
-Servia, Rascia, Bulgaria, Croazia, Transilvania, posti sotto l’alto
-dominio dell’Ungheria; e là intorno i Valachi, razza romana; l’Epiro;
-in Grecia il ducato di Atene; nel Peloponneso i despoti, fratelli
-dell’ultimo Costantino. Creta, Negroponte, altre isole e parte della
-Morea e dell’Albania appartenevano a’ Veneziani; Cipro a’ re Latini,
-Metelino e Lesbo ai Gattilussi, Cefalonia e Zante a casa Tocco, Rodi ai
-cavalieri di San Giovanni. Tutti questi, che aveano fin allora fissato
-gli occhi a Costantinopoli, adesso volgeanli all’Italia, e massime al
-papa e a Venezia; riboccava la patria nostra di Greci ed Orientali,
-che esageravano le crudeltà de’ Turchi, e, stile de’ fuorusciti, la
-facilità del ritoglier loro «la grande ingiusta preda».
-
-D’altra parte i Turchi, occupata Costantinopoli e fattala lor sede,
-pretendevansi succeduti agl’imperatori romani, e come tali divenire
-padroni di quanto essi aveano posseduto, considerando usurpatori
-quelli che ne tenevano alcun ritaglio. In tale pretensione avvolgeano
-segnatamente l’Italia; e per lungo tempo, quando al granturco si
-cingeva la sciabola, bevuto ch’egli avesse nella coppa de’ gianizzeri,
-la rendea loro piena d’oro, proferendo: — A rivederci a Roma».
-
-Maometto in fatti s’accinse a sterpare le piccole signorie fondatesi
-nell’impero, e improvvisamente tolse a Genova Amastri, colonia si
-opportuna ai commerci colla sponda meridionale del mar Nero, gli
-abitanti trasferendo a Costantinopoli. Genova, vedendo non poter
-mantenere la colonia di Galata sotto il cannone turco, con tutte le
-altre di Levante le cedette ai protettori del banco di San Giorgio,
-che col denaro le salvassero; e San Giorgio fece prova di suprema
-abilità nel conservare tredici anni le colonie di Crimea; non potendo
-farvi giungere soccorsi pel Bosforo chiuso dal granturco, soldò de’
-Polacchi; poi bande italiane che per lunghissimo viaggio arrivarono
-fin alla Tana; sollecitava la cristianità ad ajutarla, ma non era
-nulla; sicchè anche Caffa fu presa, quarantamila suoi abitanti spediti
-a Costantinopoli, millecinquecento fanciulli genovesi arrolati fra
-i gianizzeri; Tana, Azoff e le altre città caddero senza ostacolo,
-e fino alla pace di Adrianopoli del 1829 il mar Nero restò chiuso
-a’ Cristiani, che appena schiuso doveano farlo teatro di terribili
-martirj.
-
-Gli Acciajuoli di Firenze erano succeduti ai Catalani di Sicilia
-nel dominio d’Atene: e alla morte di Neri, la moglie di lui pose il
-suo fanciullo sotto la protezione di Maometto II; poi innamoratasi
-di Pietro Priuli veneziano, gli offrì farlo signore d’Atene se,
-disfacendosi della prima moglie, lei sposasse. Come detto così fatto;
-ma gli Ateniesi indignati ricorsero a Maometto, che fece scannare la
-rea, e sterminò gli Acciajuoli.
-
-Le discordie fra i despoti del Peloponneso offrirongli pretesto
-d’intervenirvi, e Tommaso Paleologo fuggendone portò i suoi lamenti
-e la testa di sant’Andrea al papa, al duca di Milano, ad altri, per
-eccitarli a redimere la Grecia; ma morì di crepacuore, malattia degli
-esuli. Davide Comneno, ultimo imperatore di Trebisonda, andò a finire
-in esigilo.
-
-Nell’Epiro rimpetto all’Italia si era con gloriosa imprudenza
-ribellato Giorgio Castrioto, detto Scanderbeg; e incorati i marziali
-Albanesi a resistere alla luna ottomana, vide fuggire innanzi a sè il
-vittorioso Amurat. Maometto II propose soggiogarlo, e Scanderbeg nel
-nuovo pericolo scrisse ad Alfonso re di Napoli chiedendogli soccorsi;
-e n’ebbe viveri ed ausiliarj, condotti da Raimondo d’Orlaffa. Per
-rimeritarlo de’ quali Scanderbeg venne poi in Italia a soccorrere re
-Ferdinando figlio di lui, e n’ebbe in compenso San Pietro a Galatina,
-piccola città della provincia d’Otranto, ove si fondò la prima colonia
-albanese, cui ne tennero dietro altre a Siponto, a Trani, e là intorno
-del promontorio Gargáno, e ne’ monti che separano la Daunia dall’antico
-Sannio. Perocchè, al morire di Scanderbeg (1467), l’Epiro ricadde in
-servitù; ma i suoi nella lunga guerra aveano acquistato molta perizia,
-e su cavalli leggerissimi, con sopravvesta corta senza maniche e
-imbottita per rintuzzare i colpi, bacinetto di ferro in testa, in
-mano una zagaglia ferrata talvolta fin di dodici piedi, lunga spada,
-piccolo scudo, mazza agli arcioni, si esercitavano al corso e al rapido
-volteggiare, opportunissimi ad inseguire, ardere, spiare il nemico,
-predare.
-
-Dal doge Pietro Mocenigo furono assoldati quando volle tentare
-l’impresa di Delo e Mitilene; poi presero servizio in Italia, ove
-divennero terribili col nome di Stradiotti (στρατιώται). e fin agli
-ultimi tempi v’ebbe sempre negli eserciti napoletani uno squadrone
-reale macedone. Altri Cristiani, che non vollero piegarsi al giogo
-turco, passarono a noi, chiedendo pane e sicurezza di culto, ottennero
-terre nel Regno, le domesticarono, e ancora conservano la lingua
-nativa e il rito greco e il vestire e i costumi, ancora gemono il loro
-sangue disperso (_giaca in sprirus!_), ancora _danzano_ le miserie
-dell’antica lor patria, ed essi, _sangue purissimo di Scanderbeg_,
-dispregiano il sangue nero, sangue di volpi o di nottole degl’Italiani,
-dai quali insegnano in proverbio dover guardarsi come il _falegname
-dall’ascia_[90].
-
-Alquanti Mainotti o Spartani giunsero a Genova, che li collocò
-nell’isola di Corsica, ed obbligandoli alla decima de’ frutti e cinque
-lire per fuoco, gl’investì delle terre incolte di Paoncia, Recida e
-Piassologna, che a breve andare si videro colte e popolate. Costoro
-si mantennero fedeli a Genova quando i Corsi le si rivoltarono, e
-dalla forza superiore degl’insorgenti costretti ad imbarcarsi per
-Ajaccio, lasciarono chiusi nella fortezza d’Uncivia ventisette dei
-loro, i quali per cinque giorni respinsero duemila cinquecento Corsi, e
-alfine si ritirarono in Ajaccio anch’essi. Le reliquie di tale colonia
-incontransi oggi a Cargese ed Ajaccio, coi costumi, le usanze, i canti
-patrj[91].
-
-Ragusi si rassegnò a tributare mille ducati l’anno alla Porta per
-conservare il proprio governo; diede ricovero a molti fuggiaschi da
-Costantinopoli, poi alla stampa la prima tragedia regolare, e il primo
-libro di commercio[92]; e fu come l’Atene del paese serbo, arricchendo
-le lingue latina, italiana e slava.
-
-Maometto, risoluto di far riconoscere un solo Dio in cielo, un solo
-signore in terra, proseguiva le vittorie, e conquistata la Bosnia e la
-Servia, minacciava di correre a Vienna e a Roma. In que’ frangenti non
-tacque la voce dei papi contro i Turchi. Già Clemente VI avea bandita
-la crociata che conquistò Smirne; un’altra Urbano V per guerreggiare
-fra i Serviani; una terza Bonifazio IX, che fu scompigliata a Nicopoli;
-una quarta sotto Eugenio IV, andata a ruina nella giornata di Varna.
-L’infelice successo non iscoraggiava Nicola V, che di nuovo bandì la
-croce, ma senza effetto. Calisto III ordinò per tutta cristianità si
-sonasse a mezzogiorno la campana dei Turchi; e sollecitava la Germania,
-che nelle diete decretava denari ed uomini, ma non si vedevano mai.
-
-Giovanni da Capistrano, nativo della provincia d’Aquila, dedicatosi
-al fôro, da re Ladislao fu assunto giudice della grancorte della
-Vicaria. Essendo condannato nel capo un poderoso barone, il re non solo
-approvò la sentenza, ma la estese al primogenito di esso. I giudici
-si piegavano alla reale volontà, ma Giovanni gli animò ad opporsi;
-e avendo il re, non ostante, comandato l’esecuzione, Giovanni chiese
-congedo da un impiego che non poteva esercitarsi senza ingiustizia e
-andò francescano. Accompagnatosi a san Bernardino da Siena, missionava,
-finchè, visto il pericolo sovrastante alla cristianità, corse esortando
-alla guerra santa. A Vienna mostrasi ancora sul sagrato di Santo
-Stefano il pulpito da cui egli predicò: il popolo veneravalo qual
-taumaturgo, portava a lui carte e dadi da bruciare e riducevasi a
-penitenza. Gli venne fatto di mettere insieme una quinta crociata
-contro gli Ottomani, composta non di nobili e cavalieri, ma di vulgo,
-studenti, frati, contadini armati di mazze e fronde. Frà Giovanni, solo
-confidente quando tutta Europa dispera, procede adottando per grido di
-guerra Gesù, e ridesta Giovanni Uniade, il quale, memore delle vittorie
-e delle sconfitte antiche, assume il comando di quell’esercito, che
-incomposto avanzasi contro i Turchi (1456), ed obbliga Maometto ad
-allargare Belgrado, che assediava con trecento cannoni, lasciando
-ventiquattromila uomini sul campo. In memoria, il papa istituì la
-festa della Trasfigurazione al 6 agosto. Quasi fosse compiuta la
-loro missione, l’Uniade muore dopo due settimane, e dopo tre mesi il
-Capistrano[93]. Maometto occupa il resto della Serbia, menandone via
-ducentomila prigionieri; nè più altri che la flotta pontifizia soccorre
-le isole assalite.
-
-Pio II volle assumersi la parte di Pietro Eremita (1458), esortando
-tutta cristianità ad armarsi di conserva contro il Turco; e
-logica e dialettica e retorica usava, troppo meno potenti che non
-quell’eloquenza impreparata, la quale sgorgando dal cuore, strascina
-irresistibilmente. Istituì l’ordine della madonna di Betlem, che presto
-cadde colla presa di Lemno ove tenea sede. Raccolta poi in Mantova la
-cristianità a concilio, proclamò la crociata (1458); v’assisteano quasi
-tutti i principi d’Europa, e gli ambasciadori degli altri, e di Rodi,
-Cipro, Lesbo, dell’Epiro, dell’Illiria, minacciati così da vicino. Il
-papa vi sfoggiò eloquenza; altrettanto Francesco Filelfo, portando la
-parola a nome del duca di Milano: i deputati della Morea dipinsero gli
-orrori commessi dai Turchi e a schiavitù dei Greci. Chi non ricorda
-con quanto fervore ai dì nostri le donne favorissero la causa dei
-Greci insorti? non altrimenti fu allora, e a quell’assemblea perorarono
-Ippolita Sforza e Isotta Nogarola. La prima, figlia di Francesco Sforza
-e moglie di re Alfonso II, avea trascritto di suo pugno quasi tutti i
-classici latini: l’altra, filosofessa, teologante, letterata, lasciò
-moltissimi discorsi e lettere, e un singolare dialogo per difendere Eva
-contro Adamo.
-
-Le parole furon molte, e in conseguenza pochi i fatti. L’imperatore
-Federico III era troppo inetto sicchè volesse affidarsegli il comando;
-il re di Francia doveva badare alle cose domestiche: onde l’onore di
-comandare la cristianità fu attribuito al duca di Borgogna; l’esercito
-si leverebbe in Germania, verrebbe stipendiato da Francia, Spagna,
-Italia a proporzione della ricchezza; Borso d’Este esibiva ben
-trecentomila fiorini, forse sì generoso perchè prevedeva non verrebbe
-l’occasione di sborsarli. Di fatto la pace tanto necessaria fu guasta,
-e le armi raccolte si ritorsero dall’un contro l’altro. Il papa se
-ne lagnava, e scriveva; — Dove ci possiamo voltare? a chi ricorrere?
-Gridiamo soccorso ai principi cristiani, e non ci s’ascolta: imponiamo
-decime al clero, e non le paga: pubblichiamo indulgenze, e ci accusano
-di farne traffico».
-
-Ogni dissiparsi di tali imprese aggiungeva orgoglio a Maometto, che le
-conquiste sue accompagnava colla ferocia e l’oscenità. A’ Veneziani
-vedemmo garantiti per patto alcuni privilegi in Costantinopoli e i
-possessi: ma questi coll’estendersi dei Musulmani restavano quasi
-isole in vasta inondazione, vicine ad essere assorte. Lievissima
-cagione destò in fatto le ostilità. Uno schiavo ruba al bascià d’Atene
-centomila aspri (1463), e fugge a Corone, terra veneta; i Turchi
-lo ridomandano, e i Veneziani ricusano consegnarlo perchè fattosi
-cristiano, nè tampoco restituiscono il denaro. Ostinatisi gli uni e
-gli altri, ne venne guerra, ove il procuratore Loredano assicurava che
-ventimila Greci non vedevano l’ora d’impugnar l’armi per San Marco,
-sicchè facilmente si conquisterebbe tutta Morea: solite e facili
-confidenze di chi crede che, per un popolo oppresso, l’esecrare il
-giogo equivalga a saperselo scuotere dal collo. Ivi in fatto si portò
-un esercito sotto Bertoldo d’Este, che vi morì gloriosamente: lo
-capitanò poi Sigismondo Malatesta, ma le fazioni non riuscirono mai
-decisive, e si sfoggiava più atrocità che strategia.
-
-I Veneziani chiesero ajuti al papa; il quale, all’annunzio delle prime
-loro vittorie, in concistoro esclamò: — Vedete come Dio suscitò il
-fedele suo popolo, i figli nostri diletti, il senato e la nazione
-veneta. Vedete come quelli che tutti tacciavano d’indifferenza e
-pigrizia, prima degli altri abbiano prese le armi in onore di Dio. Si
-sparlava de’ Veneziani; additavansi i soli che, in tanta pressura de’
-Cristiani, negassero ajuto: ma ecco che soli essi vigilano, soli si
-affaticano, soccorrono i Cristiani, si accingono a far vendetta sul
-nemico di Cristo». Vedendo che la parola _Andate_ facea poco effetto,
-il papa volle dire _Venite_, e risolse crociarsi egli stesso, non
-già per combattere, ma per orare come Mosè sull’Oreb, coll’Eucaristia
-sugli occhi, affinchè Dio concedesse vittoria: — Forse quando vedranno
-il padre loro, il romano pontefice, il vicario di Cristo, vecchio
-e infermo partire per la guerra sacra, arrossiranno di rimanersi
-a casa, e abbracceranno con coraggio la difesa della santa nostra
-religione»[94].
-
-Generale parve l’impeto degl’Italiani alla santa impresa; due navi
-esibiva il duca di Modena, una Bologna, una Lucca, cinque i cardinali,
-oltre quelle del papa; Venezia darebbe la ciurma e i sopracomiti;
-poi per le spese il pontefice si tassò in centomila fiorini,
-ripromettendoseli dalle limosine di tutta cristianità; in altrettanti
-Venezia, il re di Napoli ottantamila, settanta Milano, cinquanta
-Firenze, venti il duca di Modena, metà tanti il marchese di Mantova,
-quindicimila Siena, un terzo il marchese di Monferrato, ottomila Lucca.
-Queste cifre possono designare l’importanza relativa de’ potentati
-italiani; ma ad Ancona, dove il papa avea dato la posta ai Crociati,
-poc’altri comparvero (1463) che Ungheresi e Veneziani, oltre una turba
-senza viveri nè denaro nè robustezza. Quando gli astrologi assicurarono
-benefica la guardatura de’ pianeti, si salparono le ancore; ma la
-morte del papa[95] e le sconcordie degli Italiani mandarono in fumo la
-spedizione, del resto troppo sproporzionata all’intento.
-
-Al nuovo pontefice Paolo II (1464) fu imposto dal conclave proseguisse
-l’impresa, consacrandovi il prodotto delle cave dell’allume. Paolo
-adunò a tal uopo un congresso di ambasciadori, e fu assegnata la quota
-di ciascuno; ma non venne pagata, e la lega svanì. Ben egli aveva
-accolto onorevolmente Scanderbeg, e regalatolo del cappello e dello
-stocco benedetti e di qualche denaro; ma non potè che raccomandarlo ai
-principi d’Europa.
-
-Del resto Venezia, considerando le colonie per nulla meglio che un
-campo da mietere, non aveva provveduto a incivilire e nazionalizzare
-la costa d’Istria e Dalmazia; non vedeva come salute pubblica la
-conservazione di esse, mostrando maggior ressa nell’acquisto d’una
-provincia sul continente italiano; e mentre accampava diciottomila
-cavalli pesanti contro il duca di Milano, non n’avea duemila nella
-Morea, a vicenda presa e devastata dai nostri e dai Turchi. Coriolano
-Cippico, che militava come sopracomito d’una galera veneta, e ci lasciò
-il racconto di que’ fatti con curiose particolarità, ci mostra come
-i Veneziani per antica consuetudine spartissero il bottino in modo,
-che al generale toccava il decimo, al provveditore e agli uffiziali
-una quota proporzionale al grado, il resto ai soldati, lo che doveva
-incoraggiare al saccheggio: ai soldati retribuivansi tre ducati per
-ogni prigioniero che menassero al campo, e ogni tratto si vedeva
-vendere uomini e donne turchi all’incanto.
-
-Maometto, stanco di veder guastate terre che riguardava come sue, giurò
-di «mandar Venezia a consumare il suo sposalizio in fondo al mare» e
-bandita la guerra sacra, diceva: — Giuro a Dio, unico, creatore d’ogni
-cosa, non accorderò sonno ai miei occhi, non mangerò leccornie, non
-cercherò cosa gradevole, non toccherò cosa bella, non volgerò la fronte
-da occidente a oriente, se non rovescio e non fo calpestare da’ miei
-cavalli gli Dei di legno, di rame, d’argento, d’oro o di pittura, che i
-discepoli di Cristo sonosi fatti colle loro mani; giuro che sterminerò
-la loro iniquità dalla faccia della terra, da levante a ponente, per la
-gloria del Dio Sabaoth e del gran profeta Maometto. Fo dunque sapere a
-tutti i circoncisi miei sudditi, credenti in Maometto, ai loro capi ed
-ausiliari, s’essi hanno timor di Dio creatore del cielo e della terra,
-e timore dell’invincibile mia potenza, che tutti devano recarsi presso
-di me».
-
-Con quattrocento navi e trecentomila guerrieri, se il terrore non
-esagerò il numero, si difilò sovra Negroponte: sbarcatovi, cinque volte
-assalì la città (1470 giugno), e Nicolò Canale ammiraglio veneto non
-seppe abbastanza coraggiosamente adoperare le sue artiglierie, che
-furono guardate come un prodigio perchè tiravano cinquantacinque colpi
-il giorno; e fu presa sotto i suoi occhi la città, benchè ostinatissima
-si difendesse via per via. Maometto aveva intimato la morte a chi
-risparmiasse un solo prigioniero maggiore di vent’anni; e Paolo Erizzo,
-che tenea la cittadella, essendosi reso a patto d’aver _salva la
-testa_, Maometto gliela salvò, ma lo fece segare in due per espiazione
-dei settantasettemila Turchi che si dissero periti sotto l’eroica
-città. La flotta veneta, la migliore del mondo, aveva a fare colla
-turca, inesperta, e composta di legni mercantili e di trasporto; onde
-fu attribuito all’indecisione del Canale se non si trionfò, ed egli fu
-mandato in catene a Venezia, surrogandogli Piero Mocenigo.
-
-Quale spavento per l’Europa al conoscere che i Turchi erano formidabili
-anche per mare, e che potevano portar le loro minaccie a tutti i porti!
-Paolo II, secondato dal cardinale Bessarione e da altri greci profughi,
-eccitava gl’italiani a sospendere le guerricciuole e rinnovare la lega
-italiana del 1454, che di fatto si combinò (1470) tra Ferdinando di
-Napoli più da vicino minacciato, re Giovanni di Aragona e di Sicilia,
-le repubbliche di Venezia e Firenze, i duchi di Milano, di Modena,
-di Ferrara, i marchesi di Mantova e Monferrato, il duca di Savoja,
-e le repubbliche di Siena e Lucca: si spedì ad eccitare la Germania,
-e Paolo Morosini ambasciator veneto a quella dieta diceva: — Van più
-di due secoli che la nostra repubblica cominciò guerra coi Turchi; e
-sola, massimamente in questi ultimi anni, ne sostenne gli attacchi
-continui, nella Tracia e nell’Illiria. Comune è il pericolo della
-cristianità, eppure i Veneziani sono lasciati soli a difenderla: il
-sonno dell’Europa aggiunge baldanza ai nemici, che già si avanzano
-per l’Illiria, per la Pannonia e per l’Adriatico, togliendo sicurezza
-per terra e per mare. La speranza non è ancora perduta se i Tedeschi
-spieghino quel valore, con cui si vuol difendere la casa e la libertà.
-Venezia ha numerosa flotta, guarnigioni sulle coste, e venticinquemila
-combattenti; re Ferdinando aggiungerà ventitre galee alle sessanta
-nostre; colle altre d’Italia si sommerà alle cento; sicchè, dove i
-Tedeschi ci assecondino per terra, non tarderà ad essere assicurata
-tutta la cristianità»[96]. Altrettanto insistevano gli Ungheresi,
-sentinella morta sull’altro adito de’ Turchi; ma l’imperatore era
-inerte, la Germania pigra, l’Ungheria stessa e la Boemia straziavansi
-nella guerra eccitata per le eresie degli Ussiti.
-
-Piero Mocenigo manda a ferro e fuoco le isole e le coste, quantunque
-abitate le più da Cristiani, promettendo un ducato ogni testa di
-Musulmano portatagli; barbaro contro barbari. Con lui presero poi
-conserva navi napoletane e papaline, e seguitarono i guasti senza
-alcun onore di vittoria; mentre in ricambio i Turchi desolavano i
-possedimenti veneziani. Hassan Bey rinnegato, bascià della Bosnia,
-chiamato in Croazia (1469) con ventimila cavalli, dopo menato stragi,
-passò per la Carniola, scese le Alpi che ivi si dibassano, e spinse
-i suoi cavalli fino a tre miglia da Udine. Fortunatamente vi si
-arrestò dopo uccisi diciottomila Cristiani, menatine quindicimila in
-ischiavitù, distrutte le messi e gli armenti.
-
-Un giovane siciliano, di nome Antonio, rimasto prigione a
-Costantinopoli, riuscì a fuggire, e presentatosi al Mocenigo, gli
-chiese una barca, promettendo incendiare la flotta turca. L’ebbe con
-coraggiosi compagni, e fingendo vender frutte, si pose fra i Turchi,
-e riuscì a mettere il fuoco ai bastimenti; ma s’apprese anche alla
-sua barca, e nel fuggire fu côlto. Il gransignore volle vederlo, e
-lo interrogò se avesse ricevuto qualche ingiuria di cui vendicarsi.
-— Nessuna; ma voi siete nemici implacabili della cristianità, e me
-fortunato se avessi potuto bruciar te come bruciai la tua flotta».
-Il granturco lo fece segare co’ suoi compagni, e Venezia beneficò la
-famiglia di esso[97].
-
-Sisto IV riuscì ancora a raccozzare alcune forze (1471), e cercando
-l’amicizia de’ nemici de’ Turchi, ad Ussum Cassan scià di Persia
-inviò frà Luigi di Bologna e Catarino Zeno, poi Giosafat Barbaro
-con vasi d’oro e stoffe di Verona, il quale però non giunse alla sua
-destinazione, per quanto pressato dal senato veneto. Cassan, stretta
-alleanza coi nostri, aveva di fatto (1473) invasa l’Asia Minore; ma
-sfornito d’artiglierie e di coraggio, presto si ritirò, lasciando quasi
-soli al tremendo ballo i Veneziani, che non mancarono alla riputazione
-di valore. All’assedio di Scutari, Antonio Loredano si ostina alla
-difesa, e perchè popolo e soldati chiedeano di rendersi per mancanza di
-cibo, si presenta collo stendardo di san Marco, e snudando il petto,
-— Ecco le mie carni; saziatevene, ma continuate a resistere». Emulava
-così Paolo Erizzo e sua figlia Anna, Alvise, Calbo, Giovanni Bondumier,
-caduti martiri della religione e della patria a Negroponte. Pure i
-Turchi prevalgono, e recano fra l’Isonzo e il Tagliamento la schiavitù
-e la peste, diffusasi anche in Venezia, ove mieteva da cencinquanta
-persone al giorno, e il maggior consiglio si trovò ridotto a non più di
-ottanta persone.
-
-Consunta da quindici anni di fierissima guerra, Venezia chiede pace
-(1479), cedendo Scutari, Stalimene e quanto aveva in quella campagna
-acquistato, conservando giurisdizione propria in Costantinopoli, ed
-esenzione dalle dogane pel compenso di annui diecimila ducati. La
-cristianità, accidiosa a soccorrere i Veneziani, sentendo crescere la
-minaccia, gli accusa di viltà; il papa protesta che non aveano diritto
-di terminar la guerra senza assenso di lui, e li pronunzia disertori;
-i principotti italiani s’ingelosiscono che la Signoria, la quale fin là
-gli aveva carezzati, potesse voltare contro di loro le armi.
-
-Posto avanzato contro i Turchi stavano ancora i cavalieri di San
-Giovanni, che, dopo perduta Acri, s’erano assisi a Cipro, dominata
-dai Lusignano, continuando da Limisco ad osteggiare gl’infedeli:
-poi turbati da continue risse coi Lusignano, si prefissero (1310)
-conquistare l’isola di Rodi. Sorpresala colle isole adjacenti, vi si
-fortificarono, di là bersagliando i Turchi, e dando mano a chiunque
-gli osteggiasse. Indarno Orcano l’aveva assediata nel 1315; anzi i
-cavalieri presero Smirne, e la tennero dal 1343 al 1401, quando gliela
-strappò Tamerlano.
-
-Sentì Maometto l’importanza di Rodi, e appena ebbe disimpacciata la
-flotta, la drizzò contro quell’isola. Giambattista Orsini, che n’era
-il trentesimottavo granmaestro, appellò i cavalieri d’ogni lingua, e
-si fece conferire assoluto arbitrio sopra i beni e le forze quanto la
-guerra durasse. Mescid bascià approdò (1480) con censessanta vascelli,
-e sbarcati centomila uomini, assediò la capitale; ma i cavalieri si
-valsero dell’opportunità e della forza dei posti con sì prodigioso
-valore, che i Turchi dovettero levarsene d’attorno dopo ottantanove
-giorni, lasciando novemila morti, e recando tredicimila feriti.
-
-Diremo altrove come l’infame politica de’ tempi nuovi inducesse lo
-Sforza, il re di Napoli, Firenze e il papa a istigare il granturco
-contro Venezia. Nella guerra derivatane, Anton Grimani che comandava
-restò vinto, e Venezia lo punì col mandarlo a confine: suo figlio
-volle ostentare amor di patria collo stringergli egli stesso i ceppi ai
-piedi. Allora fu che tutte le città a mare della Morea furono sottratte
-a Venezia, la quale aveva cessato di ricuperar nella pace quel che
-avesse perduto nelle battaglie.
-
-Essa a vicenda, insidiata dal re di Napoli (agosto), istigò contro
-di lui Maometto: sicchè dalla Vallona i Turchi sbarcati in Italia,
-assalsero Otranto, che magnanimamente si difese; e prevalsi mercè
-dell’artiglieria, vi uccisero l’arcivescovo Stefano Pendinello, i
-canonici, i frati, violarono le monache, scannarono diecimila abitanti,
-altrettanti ne mandarono schiavi, e vi posero forte guarnigione.
-
-La nequizia de’ principi può sin diminuire l’orrore pel nome turco,
-e Maometto faceva proclamare terrebbe esenti per dieci anni da
-ogni imposta i paesi italiani che gli si dessero, dappoi non li
-taglierebbe che d’una piastra per testa, e libertà di seguir le
-leggi e la religione propria come facevasi a Costantinopoli. In fatto
-millecinquecento soldati di re Ferdinando disertarono al granturco,
-e si temè che Terra d’Otranto si desse tutta a lui; onde l’Italia fu
-invasa da sgomento, e il papa si preparava a fuggire oltremonte. Se non
-che il nembo parve dissipato allorchè Maometto a cinquantun anno morì
-(1481), ripetendo: — Io voleva conquistar Rodi e l’Italia». Quanto egli
-fosse temuto l’attestò il tripudio de’ Cristiani; papa Sisto IV ordinò
-di far festa come in domenica, e solennizzare tre giorni fra continui
-spari d’artiglieria, e processioni generali.
-
-Buono per l’Italia che l’impeto de’ Turchi non tardò a rallentarsi,
-e il despotismo non meno che il clima svigorì una potenza, che nuova
-barbarie minacciava, e che mescolatasi all’Europa con trattati e
-ambascerie, intepidiva quel suo fiero e micidiale fanatismo.
-
-Venezia di tante perdite si rifece coll’acquisto di Cipro. Questa
-grande isola era stata, in compenso del regno di Gerusalemme,
-attribuita da Riccardo Cuor di Leone a Guido di Lusignano, nella cui
-stirpe rimase fino alla morte dell’effeminato Giano III (1458). Jacopo
-Lusignano, suo figlio naturale, pretendeva ereditarla a scapito della
-sorella Carlotta, maritata in Luigi di Savoja. Occupatala, n’ebbe
-investitura (1464) dal soldano d’Egitto, di cui l’isola riconosceasi
-vassalla; e prese anche Famagosta, da novant’anni possesso de’
-Genovesi. Carlotta fu costretta fuggire, ed intraprendente quant’era
-dappoco il marito, impegnò a favor suo il papa, i cavalieri di Rodi, i
-Genovesi: ma i Veneziani si chiarirono pel bastardo, e poichè questo
-mancava di denari onde mantenervisi, Marco Cornaro veneziano suo
-banchiere gli esibì centomila zecchini se volesse sposare la bella
-sua nipote Caterina. Acciocchè non fosse disuguale al regio parentado,
-questa fu adottata dalla repubblica di San Marco; e il titolo di vana
-onorificenza divenne occasione d’importantissimo acquisto. Perocchè,
-ucciso Jacopo (1475) e tempestando l’isola fra i pretendenti, la
-Repubblica si dichiarò erede eventuale di Caterina, come la madre della
-figlia; e col pretesto delle minaccie dei Turchi la indusse o costrinse
-a rinunziare Cipro (1489). Caterina ricevette in cambio il castello
-di Asolo nel Trevisano, dove conservando il titolo, e circondandosi di
-lusso, di piaceri e di lettere, poco ebbe a ribramare il regno perduto.
-Venezia ottenne così quell’isola, ubertosissima di vini, di biade,
-d’olj, di rame; e a chi parlasse male di questo fatto, intimò sarebbe
-annegato. I duchi di Savoja, a cui Carlotta avea rinunziato i suoi
-diritti, protestarono, ma non poterono che aggiungere ai loro titoli
-quello di re di Cipro, che poi divisero innocentemente cogli eredi di
-Venezia.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXIX.
-
-Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano.
-
-
-Torniamo ora gli sguardi verso l’Italia, dove la prisca infinità di
-Stati è ormai riunita attorno a quattro principali, Lombardia, Toscana,
-Stato Pontifizio, Napoli; e diciamo di ciascuno in particolare, dopo
-esaminatene le vicende comuni.
-
-Di Firenze l’età poetica può ritenersi chiusa colla morìa del 1348,
-che vi uccise centomila uomini, alterò i costumi per le fortune
-accumulate, e rincarì i salarj degli operaj. Nel 1352 una banda di
-ladri, fingendo dar serenate a questa o a quella signora, pregava i
-viandanti non passassero da quella via per non disturbare i suoni e gli
-amori, e intanto svaligiava le case. Scoperto l’artifizio, ed esserne
-capo Bordone Bordoni di famiglia primaria, il Filicaja confaloniere di
-giustizia volea prenderne severa punizione; ma i parenti interposero
-uffizj e denaro, tanto che i priori cassarono i collegi del
-gonfaloniere. Questo, risoluto a voler eseguita la legge, abdicossi
-della dignità e partì per Siena; ma il popolo cominciò ad esclamare che
-non rendeasi più giustizia, e tumultuò a segno che fu forza richiamare
-il Filicaja, il quale fece troncar la testa al Bordoni, esigliò i
-complici, e al fine del magistero n’ebbe un premio di duemila fiorini.
-
-Firenze procurò riparare a que’ danni istituendo l’Università, e poco
-poi, ad istanza del Boccaccio, una cattedra di greco, la prima in
-Occidente; potè assodare il suo dominio su Prato; occupò Volterra,
-sottraendola alla tirannia di Bocchino Belforti. La sua sommissione a
-Carlo IV non ha altro valore, se non dei centomila fiorini con cui ne
-comprò la conferma de’ suoi privilegi; e nelle altre città non valse
-che a rinfocare le dissensioni interne, le quali al partire di Carlo
-proruppero, peggiorate dalle bande mercenarie, delle quali vedemmo come
-trionfasse.
-
-Tardi era sorta a libertà, e solo al chinare degli Svevi e col favore
-dei papi; onde non soffrì i primi trambusti di quella gran rivoluzione
-nè la lotta col Barbarossa, e potè far senno dell’altrui esperienza;
-per forza o per trattati ridusse alle leggi comuni i signori vicini, e
-si spiegò francamente papale; e con tanti magistrati, tutti elettivi e
-di brevissima durata, otteneva che molti s’interessassero alle fortune
-patrie, e negli uffizj acquistassero pratica, franchezza, largo e
-generoso vedere.
-
-Le proposizioni erano dalla Signoria presentate al consiglio del
-_popolo grasso_ di cento persone; indi passavano all’assemblea,
-composta del consiglio delle capitudini delle arti maggiori, e di
-quello di credenza d’ottanta cittadini; in terza istanza venivasi
-al consiglio del podestà, di ottanta membri, fra nobili e plebei:
-dopo di che l’assemblea generale di tutti questi consigli votava,
-e attribuiva forza di legge all’ordinanza. Tale forma variò nelle
-particolarità, ma durò nel proposito di togliere la decisione suprema
-al potere esecutivo, per affidarla a consigli popolari, ne’ quali
-erano rappresentate tutte le forze vive della nazione, impedendo la
-preponderanza d’un consiglio col riservare la definitiva risoluzione
-all’assemblea generale.
-
-Dappertutto le prime risoluzioni comunali furono piuttosto dovute
-ai nobili, vale a dire della stirpe degli antichi conquistatori
-e possidenti, che formatisi in comune, si volevano assicurare e
-governare. Ma ben presto le società degli artigiani e i piccoli
-possidenti fecero dare alla rivoluzione un secondo passo, eguagliandosi
-alle antiche famiglie nella giustizia, negli uffizi, nei pesi. In
-qualche luogo anzi vi si sovrapposero, e questo fu il caso di Firenze,
-dove i nobili rimanevano esclusi da ogni impiego, le sole arti
-partecipandovi; sicchè le famiglie che vi aspirassero, dovevano farsi
-scrivere sulla matricola di qualche maestranza. Dante apparteneva a
-quella degli speziali, e non rifina di declamare contro i villani
-d’Aguglione, di Campi, di Certaldo, che erano venuti a Firenze a
-imbastardire la semenza santa degli originarj, discendenti dai Romani.
-Però nelle genti nuove non tardò a formarsi un’aristocrazia, le arti
-maggiori e le minori erano gerarchicamente disposte, e tutt’occhi ad
-escludere chi non fosse del loro numero.
-
-Giano Della Bella represse viepiù i nobili col sancire non fosse
-eleggibile se non chi realmente esercitava un arte: poi la potenza
-collettiva de’ priori fu personificata nel gonfaloniere di giustizia,
-che doveva presedere alla esecuzione di questa, eletto a due gradi dal
-popolo, e con una guardia di mille, poi fin quattromila uomini, talchè
-ben presto divenne il primo magistrato, e dirigeva a suo senno gli
-affari pubblici.
-
-A tutti i cittadini non nobili erano aperte le cariche; ma era
-_divieto_ che due dello stesso casato sedessero contemporaneamente
-nelle primarie. Le antiche famiglie essendo allargate in più rami, e
-gelose di conservare i nomi tradizionali, cadevano spesso in questa
-esclusione; quasi mai le nuove, le quali non conosceano tampoco due
-generazioni di loro parenti: sicchè il governo veniva a persone sempre
-meno esperte degli affari, e ai Guelfi di vecchio ceppo surrogavansi
-Ghibellini.
-
-Come contro gli antichi il _divieto_, così contro i nuovi militava
-un altro statuto. Fin dal 1266 erasi cominciata l’amministrazione
-della massa guelfa, con capitani di parte, due plebei e due
-cavalieri, rinnovati ogni bimestre, e in continuo aumento di potenza
-e d’arroganza. Nel 1358 Uguccione de’ Ricci, di famiglia emula degli
-Albizzi, fece stanziare che, se un Ghibellino o non vero Guelfo
-occupasse un impiego pubblico, incorresse una pena, che poteva essere
-dalle cinquecento lire fin alla vita, in arbitrio del podestà, e sovra
-deposizione di sei testimonj, approvati dai capitani di parte e dai
-consoli delle arti. Questa legge, nuovo testimonio dell’esorbitare
-delle fazioni, tendeva ad escludere chi possedesse meno di cinquecento
-lire, e chiunque sgradisse ai capitani della massa guelfa. I priori
-se ne avvidero e la tagliarono, pure modificata passò; ai capitani ne
-furono aggiunti due artigiani, e portati a ventiquattro i testimonj
-richiesti; ai due posti de’ cavalieri potevano aspirare anche i nobili;
-e qualora uno, eletto ad un seggio della Signoria, fosse sospetto di
-pensare ghibellino, verrebbe ammonito acciocchè non si esponesse al
-pericolo della multa.
-
-Era un sindacato terribile pei magistrati, e riduceva le elezioni in
-mano de’ capitani di parte. Questa specie di terroristi esercitavano
-con prepotenza l’infausto diritto di molestare i concittadini;
-cercavano si votasse a palla scoperta per influire più efficacemente;
-e una volta non riuscendo bastanti i voti, Bettino Ricasoli fece
-serrare il palagio, e nessuno n’uscirebbe sinchè, al dispetto di
-Dio e degli uomini, due non fossero dichiarati ghibellini; e da
-ventidue volte uscito vano il partito, finalmente per istracchezza
-fu votata l’ammonizione. Non era più l’antico fervore per la Chiesa
-e per l’Impero, ma libidine di occupare gl’impieghi, di escluderne i
-concorrenti, di far vendette[98]; e di tal passo viepiù restringevasi
-l’oligarchia. Questa, comunque ella fosse salita al potere, vi mostrava
-abilità e vigore; reprimeva i tentativi fatti per abbatterla, snidava
-gl’incomodi castellani, e cercava il prosperamento della patria.
-
-Ma potea sperarsi di dar consistenza a un governo, dove ogni impiego
-era attribuito dalla sorte, e rinnovato a brevi termini? Fuor di
-esso formavasi un partito che realmente dirigeva la repubblica, e
-che divenuto robusto, ricorreva al suffragio universale onde farsi
-attribuire la _balìa_, cioè potere dittatorio, affidato a parecchi
-membri, i quali rinnovavano le borse ponendovi nomi della loro
-parzialità, esigliavano quei della contraria, estorcevano denari con
-mezzi arbitrarj, e cessando lasciavano la repubblica nella stessa
-altalena fra l’anarchia e l’arbitrio.
-
-Pertanto nella città, o a dir meglio ne’ varj Comuni che la
-componeano, distinti per fazione, per quartiere, per arte[99], forma
-stabile di reggimento non aveasi; e, al contrario di Venezia, tutto
-parea costituito per fare che gl’individui campeggiassero, mentre
-illanguidivano i corpi dello Stato. Quindi il cadere dell’uno e
-succedere dell’altro cangiava i partiti e partoriva violazioni di
-diritti, ma non ne derivava mutamento alla costituzione, non alla
-politica esterna.
-
-Le case antiche mettevano ogni opera a mantenere la purezza guelfa
-coll’applicare severamente l’_ammonizione_, e così eliminare
-gli uomini nuovi, inclinando perciò all’aristocratico. Le nuove
-pretendeano si levasse la nominale distinzione di Guelfi e Ghibellini,
-spalleggiando l’opinione democratica. Gli antichi plebei guelfi, che
-allora cominciavano a chiamarsi la nobiltà popolana, si schieravano
-cogli Albizzi; coi Ricci, intitolati ghibellini, parteggiavano gli
-Strozzi, gli Alberti e i Medici, famiglia salita in molta ricchezza
-col commercio, e disertata dai nobili popolani. Gli otto della guerra
-contro il papa addicevansi tutti a questa fazione come amici di
-Bernabò, e parvero farla sormontare col resistere a forza spiegata
-contro ai pontifizj. Gli Albizzi, forti dell’appoggio de’ vecchi nobili
-e di chiunque era geloso degli otto della guerra, si schermivano
-ammonendo, e rivalsero quando il popolo disse risolutamente: — Sono
-stanco dei sacrifizj e della scomunica».
-
-Gran colpo l’interdetto a città così fedele alla Chiesa: ma non che si
-esacerbassero, gli animi si compunsero; «in ogni chiesa si cantavano
-alla sera le laude, assistendovi uomini e femmine innumerevoli, e
-spendendovi senza misura in cera e libri e simili occorrenze; ogni
-giorno processione con reliquie e canti musici, e sin fanciulli di
-dieci anni entravano nelle compagnie di Battuti; e più di cinquemila
-n’andavano talora alle processioni, e fin ventimila nelle processioni
-generali; e quei che assistevano alle prediche, orazioni, digiuni,
-erano il cento per uno di quando si dicea la messa; molti giovani
-nobili si ritirarono in gran penitenze a Fiesole, e convertivano
-peccatrici, e benchè ricchi andavano ad accattare pei convertiti»
-(MARCHIONNE). Poi insultavano ai fautori della guerra, e quando
-scendevane alcuno dal palazzo «e’ gli dicevano: _Or va, fa guerra
-colla Chiesa_, picchiavangli le panche dietro, facevangli le corregge
-colla bocca, e così infino a casa lo rimetteano». A questo universale
-desiderio e alle parole di santa Caterina bisognò piegarsi, presentare
-le scuse al papa, e conchiudere pace. Allora i Ricci si trovano a
-terra, ed esclusi dalla Signoria per la legge appunto che essi aveano
-provocata; onde diguazzarono fazioni, sinchè una balìa dei dieci della
-libertà per cinque anni vietò da ogni magistratura tre membri d’ambedue
-le famiglie.
-
-Così la tirannide degli oligarchi montava sempre più, blanditi da
-tutti quelli che li temeano; finchè si trovarono alcuni buoni, che
-opposero coraggiosa resistenza (1378). Silvestro di Alamanno de’
-Medici, rettissimo cittadino, intraprendente, e caldo avversario de’
-Ricci, essendo tratto gonfaloniere, fece istituire una balìa, la quale
-ammaccò l’autorità dei capitani di parte, e lenì la severità contro
-gli ammoniti e sospetti ed esuli ghibellini, lasciando loro speranza
-della patria e degl’impieghi. Il popolo, che affollato sulla piazza
-de’ Signori, avea fatto passare queste leggi contro la stabilita
-oligarchia, e saccomannato le case degli Albizzi, degli Strozzi,
-dei Buondelmonti e d’altri guelfi[100], temette che allo sbollire
-cominciassero i castighi; onde, sollecitato dagli ammoniti, combinò
-leghe di tanta forza, che la Signoria non osò punire i capi faziosi,
-sebbene li conoscesse.
-
-Ma nella democrazia la classe inferiore tramesta sempre per collocarsi
-a fianco alla sovrastante, per vedersi poi ella stessa invidiata e
-battuta da una più bassa. Quando la città si divise in arti, giudicata
-ciascuna da proprj capi nelle controversie civili, alcuni esercizj
-inferiori non formarono corpo, ma vennero considerati subalterni
-ad altri (1378); e per esempio, tintori, tessitori, cardatori di
-lana furono aggiunti ai drappieri. Ne nasceva che costoro, o quei
-che andavano a giornata, se si querelavano in giudizio, trovassero
-talvolta per giudici i proprj padroni od i consorti de’ loro avversarj.
-Perciò pieni di corruccio, e temendo d’essere puniti de’ passati
-subugli, i plebei o Ciompi cominciarono a brulicare, poi levandosi
-in armi (20 luglio), tolsero al bargello quelli che la Signoria
-avea fatti arrestare, incendiarono le case del gonfaloniere e de’
-sospetti, piantarono forche sulle piazze per chi rubasse, conferirono
-la cavalleria a Silvestro de’ Medici e sessantaquattro altri loro
-prediletti, i quali per non essere uccisi accettarono l’onore
-pericoloso, sebbene d’alcuni fosse stata il giorno stesso bruciata la
-casa.
-
-Preso il gonfalone (luglio), e assediata la Signoria in palazzo, i
-Ciompi domandarono che i mestieri dipendenti dai fabbricanti di panno
-formassero corporazione distinta, con consoli proprj, e così i tintori,
-barbieri, farsettaj, cimatori, cappellaj, fabbricatori di pettini; si
-sprigionassero tutti i rei, salvo i traditori e i ribelli; nessuno del
-popolo minuto potesse per due anni chiamarsi in giudizio per debito al
-dissotto di cinquanta fiorini. Queste ed altre minori domande furono
-accettate, ma crescevano a misura che soddisfatte, tanto più che i
-priori non seppero altro partito che abdicare. I ciompi occupano le
-porte della città; Michele di Lando cardatore, che trovasi fra quella
-folla scalzo ed in farsetto[101], vien tolto per capo, e affidatogli il
-gonfalone di giustizia, col quale esso li precede al palazzo pubblico,
-ed ivi dice alla ciurma: — Questo palazzo è vostro, vostra questa
-città; esprimete la vostra volontà sovrana»; e la ciurma a piena gorgia
-— Sii tu gonfaloniere, riforma tu il governo».
-
-Onest’uomo, animoso al primo avventarsi e, ch’è più raro, temperante
-ed, assennato al regolare, il Lando pose termine alle prepotenze
-degli otto della guerra, e insieme colla fermezza attutì le sêtte,
-prevenne i saccheggi, rintegrò gli ammoniti, e bruciate le borse
-da cui doveano sortirsi le magistrature, nominò una nuova Signoria
-di tre dell’arti maggiori, tre delle minori, tre del popolo minuto,
-rinforzati con milleducento balestrieri. La plebe, come succede, si
-gridò tradita, corse al palazzo tumultuando, e stava tutto il dì
-in piazza armata e schiamazzante, chiedendo ora proscrizioni, ora
-divieti, ora concessioni, sollecitata da’ suoi piaggiatori che la
-chiamavano popolo di Dio: e il Lando spiegò una risolutezza che mancò
-spesso ad altri demagoghi, quella di negar soddisfazione a domande
-fatte a quel modo; e allorchè s’accinsero a far violenza, spiegò il
-gonfalone della giustizia, trasse la spada, ferì o disperse i ciompi,
-cacciò un migliajo de’ più pertinaci, di modo che la moltitudine
-trovossi imbrigliata dal proprio creato. Finito il suo tempo, egli
-depose la dignità, e fu per onoranza ricondotto a casa dai donzelli
-della Signoria con l’arme del popolo, targa, lancia e palafreno
-magnificamente bardato.
-
-La taglia guelfa si trovò allora soccombente (1379); e i Ghibellini
-fattisi capipopolo, continuavano i sospetti e le provvigioni contro
-i ricchi e potenti, e moltissimi giudicarono ad esiglio o a morte.
-Giovanni Aouto mandò esibire rivelerebbe una trama ordita con Carlo
-di Durazzo contro la Repubblica, se questa gli desse cinquantamila
-fiorini e di poter salvare sei persone da morte, o ventimila fiorini
-se le bastasse saper il trattato, non gli uomini. Di fatto si venne
-in chiaro della cosa, e il popolo a furia voleva giustizia, o se la
-farebbe col ferro e col fuoco; e per quanto gli uffiziali ripetessero
-non trovare titoli bastanti contro gli accusati, fu forza uccidere
-Piero degli Albizzi, lungamente capo della repubblica, e i primarj
-suoi fautori; molti popolani furono degradati fra i nobili; e preso al
-soldo l’Acuto, gli esagerati dominarono, facendo insulse e impertinenti
-provvigioni, non solo contro i magnati, ma fin contro gli artieri meno
-infimi; profondeansi adulazioni al popolo di Dio, e v’avea cavalieri
-che faceansi tagliare gli sproni per ricevere di nuovo il cavalierato
-dal basso popolo. Intanto altri ciompi fuorusciti rinterzavano
-congiure, crescevano assassinj; e la plebe insospettita attribuiva
-poteri smisurati agli uffiziali, chiedea nuovi rigori fin contro tutti
-i parenti e consorti degli sbanditi, sempre dubitando perdere ciò che
-male aveva acquistato.
-
-Alle maestranze venne lezzo di tale disonesta tirannia (1382) e degli
-_scorridori_ o spioni di cui si circondavano i triumviri de’ ciompi; e
-in occasione che voleano di nuovo violentar la giustizia, i moderati
-presero il sopravvento, il vulgo applaudì alla morte di quelli, dei
-quali aveva applaudito le uccisioni, e con bestialità li straziò,
-gridando _Vivano i Guelfi e le arti_; e non senza sanguinose baruffe si
-formò la Signoria (1382 21 genn.), componendola di quattro delle arti
-maggiori, cinque delle minori, esclusi nuovamente i ciompi, e abolite
-le tribù del popolo[102]. Maso degli Albizzi, tirata a sè la podestà,
-ruppe le leggi originate da quel tumulto, confinò i capipopolo, e, ciò
-che parve indegnissimo, fin il savio Lando, di cui era merito se tutti
-non erano stati uccisi; e fermò in istato i grandi, che vi durarono
-per trentacinque anni. I migliori uomini di Stato erano morti od esuli;
-gli altri, come avviene dopo le paure d’una rivoluzione, si stringeano
-attorno a Maso, vegliando gli umori opposti che contrariavano senza
-tregua e non senza tempesta. Il tumulto de’ ciompi aveva disgustato
-della demagogia, e fatto luogo alla riazione secondo il solito, ove la
-nobiltà tornava a soperchiare, giovandosi pure del sentito bisogno di
-riposo.
-
-Firenze, posta nel centro d’Italia e perciò tirata in tutte le vicende
-di essa, si prefiggeva di tenere la bilancia fra i varj Stati, sempre
-nell’intento di consolidarne la libertà, e d’impedire una monarchia
-universale, che temeasi allora per l’Italia quanto di poi per tutta
-l’Europa. Sopratutto stava in occhi contro l’ingrandire di Gian
-Galeazzo a settentrione, e di Ladislao di Napoli, a mezzodì, perfido
-quanto i Visconti, e valoroso come essi non erano: e in realtà la
-padronanza dell’Italia non rimaneva in mano de’ forti, com’essi
-presumeano, ma de’ Fiorentini, che coll’accorgimento sopravvegliavano
-gli andamenti generali, e alla prepotenza d’un robusto opponeano la
-lega dei deboli.
-
-Ebbe essa modo d’insignorirsi d’Arezzo (1398) per compra; ma a cagione
-di Montepulciano venuta in dissidio con Siena, questa cercò l’amicizia
-di Gian Galeazzo, che subillato dai fuorusciti onde la Lombardia
-formicolava, si obbligò a mantenere in Toscana settecento lancie per
-servigio de’ Senesi. Firenze ebbe dunque lungamente a temere che Gian
-Galeazzo s’impadronisse di Pisa e Siena e la togliesse in mezzo, nè
-dall’insidie or aperte or celate di lui la liberò che la costui morte.
-Firenze ne mena tripudio cantando col salmista, _Il laccio è rotto,
-e noi siam fatti liberi_; e più non temendo per la propria libertà,
-e gloriosa di essere sfuggita alle insidie del cardinale Albornoz,
-punisce i feudatarj dell’Appennino che a questo aveano dato favore.
-
-Costoro, da capitani dei marchesi antichi, s’erano mutati in signori
-indipendenti, avanzo delle istituzioni germaniche; e fin allora si
-erano sostenuti col dare ricovero ed ajuto a’ fuorusciti: ma più
-nol poteano dacchè gl’imperatori trascuravano l’Italia, e l’elemento
-popolare e cittadino prevaleva. Principale tra essi era Pier Saccone
-de’ Tarlati, signore della rôcca di Pietramala, poggiata nell’Appennino
-che separa la Toscana dalla Romagna nel val d’Arno aretino, a cavaliere
-dell’antica strada mulattiera fra Arezzo ed Anghiari. Caldo ghibellino,
-sottopose i vicini signori, gli Ubertini, i conti di Montedoglio e
-Montefeltro, e i figli di Uguccione della Faggiuola spossessati di
-Massa Trabaria (t. VII, p. 428). Suo fratello Guido era stato fatto
-signore d’Arezzo, di cui era vescovo[103], e nel dominio gli successe
-Piero, che teneva pure Bibbiena, Castello, Borgo Sansepolcro e tutta
-la val Tiberina. Dappoi fu costretto cedere per dieci anni Arezzo ai
-Fiorentini con tutto il contado: ma quando le città si rivoltarono
-a Firenze dopo la cacciata del duca d’Atene, i Tarlati ne presero
-occasione di ripigliare i loro castelli. Piero nella guerra de’
-Visconti sempre parteggiò contro Firenze, sinchè la pace di Sarzana
-(1353) lo ridusse in quiete.
-
-Stando Carlo IV a Pisa, egli di novantacinque anni andò a riverirlo col
-vescovo d’Arezzo, Neri della Faggiuola, i Pazzi di Valdarno, e chiedeva
-esser ripristinato nell’antica signoria; ma non l’ottenne. Sino ai
-novantasei però stette capo de’ Ghibellini e formidabile a Firenze;
-poi venuto all’agonia, e persuaso che i suoi nemici non prenderebbero
-guardia contro di un moribondo, mandò per sorprendere il castello
-degli Ubertini; ma i suoi furono respinti, e con tal dispiacere egli
-morì (1356), e colla certezza che nessuno sosterrebbe la grandigia del
-suo casato. In fatti suo figlio fu ben presto assediato nella paterna
-rôcca, e costretto rassegnarla ai Fiorentini, che la demolirono. Anche
-i conti della Gherardesca si sommisero a Firenze, che li costituì
-vicarj di Bibbona e di quattordici castelli della Maremma: i Gambacorti
-le soggettarono Bièntina, Cerbaja i conti Alberti di Mangona, gli
-Spinetta Fivizzano: i Ricàsoli raccomandarono il castello di Brolio;
-i conti di Battifolle vendettero quei di Belforte e di Gattaja;
-altrettanto fecero i conti di Dovadola; il conte Jano degli Alberti
-dovè cedere i suoi in Mugello.
-
-Gli Ubaldini erano poderosi di terre e rôcche nella val del Senio e
-nel vicariato di Firenzuola, talchè questo chiamavasi l’alpe degli
-Ubaldini, donde più volte erano discesi a danno di Firenze. Nel 1362
-Giovachino, signore di castel Pagano in val del Senio, morendo per
-ferita avuta dal fratello Ottaviano, a costui danno chiamava erede il
-comune di Firenze, il quale di quei dominj, contenenti dodici castelli,
-costituì il _podere_ fiorentino (1372), estendendolo nelle vicinanze,
-sinchè la schiatta degli Ubaldini, tante volte rivoltatasi contro il
-comune di Firenze, restò annichilita. Sopra undici di loro fu messa la
-taglia di mille fiorini d’oro, chi li desse vivi o morti; e nominati
-alcuni _uffiziali delle alpi_ di Firenze, che munissero da quel lato
-i luoghi della Repubblica: sicchè gli Ubaldini rinunziarono per mille
-fiorini quattordici castelli che tuttora occupavano; Tommaso da Treviso
-capitano del popolo ne menò trionfo, e gli Ubaldini furono sciolti
-dal bando, restituiti in possesso de’ beni allodiali nel Mugello, e
-dichiarati cittadini popolani[104]. I Santafiora furono sottomessi da
-Siena, il castel della Sambuca dai Pistojesi, concentrandosi così più
-sempre i poteri nelle città, mentre sopra queste vigoreggiava Firenze,
-che ebbe sottoposto (1390) anche Montepulciano. Vero è che la tributò
-la peste rinnovatasi nel 1400[105]; ma rifattasene, comprò Cortona per
-sessantamila fiorini, e tolse i possessi ai conti Guido di Dovadola e
-al conte di Poppi.
-
-I Genovesi, dolenti che Venezia acquistando Padova si fosse tanto
-rinforzata in terraferma, pensavano ad elevarle qualche avversario,
-e non videro miglior modo che ingrandire Firenze col farle acquistar
-Pisa, a patto che guerreggiasse i Veneziani. Indussero dunque
-Gabriele Maria Visconti a vendere loro quella città e Ripafratta per
-ducentoseimila fiorini: ma i Pisani, indignati di vedersi mercatare
-come armento, si ricordano dell’antica nobiltà, afferrano le armi
-(1405) e resistono, diretti da Giovanni Gambacorti. I Fiorentini
-«scandolezzati dell’alterigia pisana» non vogliono sentire nè messi nè
-patti; e risoluti ad ogni estremo per domarli, destinano dieci sopra
-quella guerra fratricida. I Pisani li respinsero intrepidi; ricomposero
-le inestinguibili nimicizie de’ Raspanti e Bergolini, prendendo insieme
-l’eucaristia e stringendo parentadi; e benchè, dispersa da una burrasca
-la flotta che recava grani di Sicilia, fossero ridotti i priori a
-mangiare pan di linseme, e il popolo fin la gramigna delle strade,
-pur resistono allo Sforza, a Tartaglia, a’ soldati, cui i Fiorentini
-prometteano, se scalassero le mura, paga doppia, mese compito, il
-saccheggio della città, centomila fiorini di mancia, ed armi e vesti
-a piacere. E quando, dopo lungo assedio e consumate innumere vite,
-il Gambacorti capitolò ricevendo denari, essi dovettero accettare la
-servitù, ma molti abbandonarono la patria per sempre.
-
-Gino Capponi, integerrimo petto, che in quella guerra si era segnalato
-come commissario de’ Fiorentini, e a gran fatica salvò Pisa dal
-saccheggio promesso ai venturieri, nominatone governatore, cercò
-mitigare gli ordini del Comune vincitore e i fremiti del vinto; ma non
-potè risparmiare il rigore. Quanto dovettero indispettirsi i Pisani
-vedendo togliersi fin la testa di san Rossore, «come quella città,
-priva della libertà e degli antichi onori, fosse ancora da’ suoi santi
-abbandonata, e all’incontro Firenze di pompa, di gloria, di ricchezze
-e di benedizione si riempisse»[106]. Alla prima occasione, tentarono
-darsi ai nemici di Firenze, la quale allora meditò repressioni atroci,
-chiamare a sè i nobili e megliostanti, cacciare tutti i cittadini dai
-quindici ai sessant’anni, e altri spietati ordini, i quali abbiamo
-ragione a credere non fossero messi ad effetto. Anzi troviamo che
-la vincitrice mandò viveri in copia, poi si industriò, per ravvivar
-quella che tanto avea faticato a spegnere; scrisse lettere, istruì
-ambasciadori, trattò con principi, affinchè i tanti fuorusciti
-ripatriassero; per venti anni francò d’ogni gravezza i forestieri che
-andassero abitarvi famigliarmente; privilegiò di esenzioni e consoli
-proprj i negozianti tedeschi di quattordici città perchè con quella
-mercanteggiassero[107]; vi stabilì l’Università con lauta provvisione
-e risedio magnifico. V’è però un bene che nessuna concessione pareggia
-nè supplisce; ed è pena d’ogni conquistatore il vedersi obbligato a
-spendere nel ribadire le catene e nel fare cittadelle e fortini, il
-denaro che sarebbe richiesto al pubblico vantaggio.
-
-Il Capponi fu lieto di vedere assicurato quell’acquisto col comprare
-per centomila fiorini dai Genovesi il porto di Livorno, destinato
-all’importanza che Pisa perdeva, e ad aprire ai Fiorentini traffici
-lontani senza dipendere da Genova o da Venezia, e così colle private
-crescere la fortuna pubblica. Subito fu provvisto alla sicurezza
-di quel porto; vi si creò il magistrato de’ consoli di mare, che
-erano sei cittadini fiorentini, di cui quattro estraevansi dalle
-cinque arti maggiori, esclusa quella de’ giudici e notari, e due
-dalle minori, principalmente occupati a prosperare la mercatura e la
-marina, risolvere le cause marittime, e fabbricare una galea ogni sei
-mesi, col legname delle foreste delle Cerbaje, facendo franche d’ogni
-rappresaglia, anche in caso di guerra, le merci trasportate su quelle
-galee. Ad esempio di Venezia, si stabilì edificare due galee grosse e
-cinque sottili, da spedire ad Alessandria per spezierie ed altre merci,
-e per esercitare la gioventù in cotali esercizj: vi s’imbarcarono
-dodici giovani di buone famiglie, e dal soldano d’Egitto s’ottenne
-d’avervi console, chiesa, fondaco, bagno, statera, bastagi, scrivano
-proprio, per sicurezza dei mercanti e onorevolezza della nazione.
-Furono posti consoli in tutte le parti di fedeli ed infedeli; e ben
-tosto Firenze possedette navi per affrontar Genova e sconfiggerla.
-
-Internamente essa prosperava con ordinamenti buoni, cooperando ciascuno
-per l’accrescimento della città. Chiunque era ammesso cittadino, dovea
-fabbricare in Firenze una casa di almeno cento fiorini; le scritture
-pubbliche si ridussero ne’ libri delle Riformagioni; si convertì in
-legge la compilazione degli statuti; si migliorò la moneta; si creò un
-nuovo Monte o vogliam dire debito pubblico; si formò il catasto col
-nome di ciascun cittadino, l’età, la professione, l’importare della
-sua fortuna in beni immobili e mobili d’ogni specie, tassando di mezzo
-fiorino ogni cento di capitale. Valutavasi che nelle vie attorno al
-Mercato nuovo fossero settantadue banchi, e girassero in contante
-due milioni di fiorini d’oro. Allora si cominciò l’artifizio dell’oro
-filato, si moltiplicò quello de’ drappi di seta, fu permesso a ciascuno
-d’introdurre foglia di gelsi e allevare filugelli senza gabella.
-
-Copiosissime ricchezze aveano accumulalo que’ magistrati mercanti,
-e l’eguaglianza repubblicana non lasciava sfoggiarle in inutile
-suntuosità, non grandi comitive di servi, non insultante sfarzo di
-carrozze; a piedi andavano anche le mogli de’ primaj; leggi suntuarie
-reprimevano il lusso, permettendo la magnificenza, sicchè spendeasi
-in palazzi, chiese, quadri e statue, o in trarre rarità e libri dal
-Levante. Si abbellì la città coll’opera dei primi artisti: fu provvisto
-che ciascun’arte collocasse lo stemma proprio e la statua del santo
-patrono in una delle nicchie esterne di Or San Michele, ove lavoravano
-di marmo e di bronzo Donatello, Andrea del Verrocchio, Baccio da
-Montelupo, Nanni del Bianco, Simone da Fiesole, Lorenzo Ghiberti: a
-questo l’arte di Calimala allogò le porte di bronzo di San Giovanni,
-dove riuscì sì famosamente, che fu dichiarato gonfaloniere, e infisso
-il gonfalone alla sua porta in Borgallegri; mentre chiamavasi Filippo
-Brunelleschi a voltare la cupola di Santa Reparata.
-
-Per rimovere il pericolo di correre strabocchevolmente a guerre, si
-prese che ad un consiglio di ducento, da rinnovarsi ogni sei mesi,
-fossero fatte le proposte della Signoria, poi passate al consiglio dei
-centrentuno, nel quale entravano la Signoria, i collegi, i capitani
-guelfi, i dieci della libertà, i sei consiglieri della mercatanzia, i
-21 consoli delle arti, e quarantotto altri cittadini; e se passassero,
-doveano ancora sottoporsi al consiglio del popolo, indi a quello del
-Comune; nè senza l’approvazione di questi quattro consigli veruna
-provvisione avea forza. Speravasi che il dover consultare tanti
-consigli indurrebbe alcuno a opporre il suo no; ma è sintomo di
-debolezza il non saper rimediare che col moltiplicare i conflitti.
-
-Insomma il governo rimaneva democratico, ingerendosi il popolo
-direttamente dell’amministrazione; gran numero di cittadini v’erano
-a vicenda chiamati, e i numerosi consigli pubblici erano scuola di
-scienza civile: che se talvolta le passioni popolari e le fazioni
-spingevano ad eccessi, in fondo la politica n’era generosa e insieme
-arguta a scorgere i sottofini de’ papi e degl’imperatori, savio
-ed abile il governo, civile la nazione, fida alla libertà anche a
-gravissimo costo, devota alla santa Sede, non però ciecamente. Poco
-valeva nelle armi, pure seppe opporre meglio che denaro alle bande di
-ventura, e le avrebbe distrutte se i principotti non avessero avuto
-troppo interesse a conservarle. Ella medesima se ne valse per fiaccare
-i Visconti, e qualvolta cadde sotto la tirannia d’un soldato o della
-plebaglia, non tardò a riscattarsene. Molti signori s’accomandavano
-a Firenze, come i nobili di Guggio pe’ loro castelli nell’Imolese, i
-marchesi di Lusuolo in Lunigiana, i Grimaldi di Monaco obbligandosi
-a servire in persona con una galea, Gian Luigi dal Fiesco conte di
-Lavagna promettendo condurre trenta lancie e ducento fanti, e ricevendo
-stipendj.
-
-Invece dei bassi o atroci delitti che insozzano le storie de’
-principotti, Firenze ci tramandò i capolavori dell’arte e della
-parola, i quali ne eternano la lode; le abbondarono cronisti e storici,
-quali, dopo Dino e i Villani, furono Matteo Palmieri, Paolo e Giovanni
-Morelli, Jacopo Salviati, Giannozzo Manetti, Amaretto Manelli, Domenico
-Buoninsegna, Buonaccorso Pitti, Gino e Neri Capponi, Simone della Tosa,
-Bernardo Rucellaj, Giovanni Cavalcanti, Lorenzo Buondelmonte, Filippo
-Rinuccini; e la superiorità di costoro, che non soltanto raccontano più
-colti e limpidi, ma giudicano ancora con grave assennatezza e spesso
-con elevazione, è argomento del quanto la nazione fosse superiore alle
-altre italiane nell’esaminare la politica, regolarla, sceverarla da
-passioni; e come allo spirito di parte sovrastasse sempre l’amore della
-patria.
-
-Nei trentacinque anni ch’e’ presedette allo Stato, Maso degli
-Albizzi mostrò abilità e coraggio; istrutto dall’avversa fortuna,
-non imbaldanzito dalla benigna, strettamente alleato coi Veneziani,
-tenne testa a Gian Galeazzo e a Ladislao, eppure non uscì mai dalla
-condizione di privato: ma poichè la parte trionfante non seppe
-astenersi nè dall’insolenza verso altrui, nè dalla sconcordia tra sè,
-al morir suo le case degli Alberti, Medici, Ricci, Strozzi, Cavicciuli,
-spesse volte d’uomini e di roba spogliate dai nobili popolani, e
-rimosse dai pubblici uffizj, rifecero testa, e colle ricchezze e
-coll’educazione mostravansi degne di amministrare lo Stato.
-
-Giovanni di Bicci de’ Medici avea guadagnato largamente in traffici
-di banco, massime durante il concilio di Costanza servendone al papa,
-talchè avea credito illimitato e affari per tutto il mondo; pure
-sembrò tanto benigno e scarco d’ambizioni, che si cessò d’escluderlo
-dagl’impieghi. Coll’accomodare di denaro chi n’avesse bisogno, col
-blandire al popolo, col mostrarsi moderato fra le esuberanze de’
-parteggianti, si procacciò stima nell’universale, e più quando,
-tumultuando il popolo per soverchie gravezze imposte a cagione
-della guerra con Filippo Visconti, e volendo i nobili popolani
-fiaccarlo collo sminuire il numero delle arti minori, egli si oppose
-alla proposta, e sostenne l’alleggiamento e che si istituisse il
-catasto, benchè su lui più che su altri, come maggior possidente,
-dovesse gravare. Ricchi dunque e popolani studiavano trarlo dalla
-loro; e malgrado l’opposizione di Nicolò da Uzzano, amico di Maso e
-suo successore nel primato civile, il portarono (1421) al posto di
-gonfaloniere, che con gran decoro sostenne fino a morte.
-
-Cosmo suo primogenito ne ereditò (1429) il credito e l’importanza,
-e a capo della fazione recò l’abilità e le virtù paterne, e maggior
-animo nelle cose pubbliche; grave e cortese ne’ modi, liberale a
-proporzione delle ingenti ricchezze; entrante, conoscitore profondo
-degli uomini, longanime nello aspettar l’esito de’ disegni fermamente
-concetti; franco nel manifestare i suoi pareri, eppur tenuto come
-prudentissimo: inclinato alle vie dolci, ma sapendo all’uopo dar passi
-robusti; francheggiato da molti amici e clienti, ai quali era sempre
-disposto a fare servigio dell’aver suo. Di squisito gusto nelle arti,
-di molta erudizione, di retto giudizio, favorendo le lettere e le
-arti apriva nuove strade alla crescente operosità: il giro de’ banchi,
-per cui non trovavansi più ridotti a miseria, legava gli sbanditi per
-interesse e per gratitudine alla famiglia che più lavorava di cambio; i
-condottieri deponevano presso di quella i loro avanzi, o le domandavano
-anticipazioni. Più dovizioso riusciva Cosmo perchè non abbandonò mai
-il vivere privato; senza sfarzo di casa che abbagliasse i cittadini,
-senza comprare stranieri ministri, o scialacquare in pranzi e comparse,
-o assoldar truppe, mai non dispose per sè più di quarantasei in
-cinquantamila fiorini l’anno, mentre lo Sforza ne spendea trecentomila
-prima di salire duca. E appunto le virtù private, i temperati consigli,
-il sentimento popolare, la calma fra le burrasche fazioniere, la lauta
-beneficenza furono stromenti alla potenza de’ Medici.
-
-Lucca era stata lungamente alleata di Firenze, poi al 1314 disertò
-da’ Guelfi; e dopo lo sfavillante dominio di Castruccio e d’Uguccione,
-andò soggetta a vicenda a Gherardino Spinola, a Giovanni di Luxemburg,
-a Mastino della Scala, a’ Fiorentini, a’ Pisani, a Carlo IV[108], dal
-quale poi nel 1369 riebbe la libertà, cioè di non esser sottomessa a
-verun’altra città, ma soltanto all’impero. E quel fatto di cui fecero
-tanta festa i contemporanei, e tanto scalpore gli storici posteriori;
-concordi nel proclamare come liberatore quel Carlo, che realmente
-sottoponeva, almeno in carta, quella repubblica al dominio imperiale.
-
-Immune da dipendenza di vicini, Lucca esercitò alla cheta le
-interne emulazioni fra i discendenti di Castruccio, i Fortiguerra,
-gli Spinetta e i Guinigi. Quest’ultima famiglia vi primeggiava;
-ma essendo perita quasi tutta nella peste del 1400, il giovinetto
-Paolo sopravissuto fu da ser Giovanni Cambi (il cronista) indotto
-a farsi _signore a bacchetta_, e perciò, scostandosi da Firenze,
-unirsi a Galeazzo Visconti, col cui appoggio si assicurò il dominio.
-Senza tampoco rispettare le forme, come faceano i precedenti, e
-togliendo ogni autorità al Comune, trent’anni egli serbò quieta la
-repubblica, ma dappoco e sempre in paura di cadere, nè seppe introdur
-buone istituzioni, nè farsi amici, benchè circondato di favoriti,
-di parentele, d’alleanze co’ principi, e fidente nella _cittadella_
-che fabbricò; mancava di quel valore che le plebi stimano più che
-le qualità utili, e alle bande mercenarie, massime di Braccio, non
-oppugnava che con grossissimi donativi. Firenze, da cui improvvidamente
-egli avea alienato la repubblica (1429), trovò pretesto a romper seco,
-e vi spedì i venturieri Nicolò Fortebraccio e Bernardino della Carda,
-che squarciarono il paese. Il celebre architetto Brunelleschi suggerì
-di sommerger Lucca, chiudendo l’alveo del Serchio, sicchè l’acqua
-scalzasse le mura e le abbattesse. A grande spesa si alzò di fatto
-l’acqua attorno alle mura, che per tre giorni furono inondate, ma poi i
-contadini riuscirono a sdrucire l’argine, sicchè la piena si rovesciò
-addosso al campo fiorentino (1430) con immensa jattura. Poi Francesco
-Sforza, spedito dal duca di Milano, mise in isbaratto i Fiorentini, e
-ne invase il territorio.
-
-Il Guinigi col senno, e i suoi figli col braccio, aveano difeso Lucca;
-eppure caddero in sospetto di volerla tradire ai Fiorentini, e furono
-mandati prigioni a Milano, ripristinando il governo all’antica con un
-gonfaloniere e col consiglio degli anziani. I Fiorentini, che aveano
-mostrato assumer la guerra soltanto per assicurarsi dal Guinigi,
-la proseguirono per sottoporre Lucca come le altre città toscane;
-ma Nicolò Piccinino, stipendiato da Genova, ligio al Visconti, li
-sconfisse del tutto sul Serchio, invase lo Stato, avvicinossi a Pisa,
-che facea sonare le sue catene, bramosa di romperle.
-
-Tale impresa era stata da Cosmo francamente disapprovata, sicchè
-l’infelice riuscita crebbe ad esso tanta reputazione quanta ne
-toglieva agli Albizzi e a Nicolò da Uzzano. Questo però repugnava dai
-partiti violenti, conoscendo che una rottura aperta darebbe trionfo ai
-Medici. Ma morto lui e conchiusa pace con Lucca[109], inciprignirono i
-malvagi umori, e Rinaldo, figlio di Maso degli Albizzi, capoparte più
-avventato, entrò in grandi pratiche di abbassare e anche cacciar Cosmo,
-e ripigliarsi lo Stato. Disposte sue fila, sonò a balìa, e convocò
-una di quelle assemblee in piazza, dove tutti accorrevano a onde e
-deliberavano a schiamazzo, per l’urgenza del caso trascendendo le
-barriere costituzionali, e pochi arruffapopolo trascinavano a decidere
-secondo la fazione. Quivi si diede la balìa a ducento cittadini
-indicati da Rinaldo; e Cosmo, per accusa di denaro disperso nella
-guerra di Lucca, fu condannato a morte: se non che egli, comprando alla
-sua volta Bernardo Guadagni gonfaloniere e gli altri che a Rinaldo
-già s’erano venduti, ottenne d’essere soltanto sbandito (1433), e la
-famiglia sua relegata tra le nobili.
-
-Andossene a Padova; e allora comparve quanto egli fosse grande, caro
-dov’era, desiderato ove non era. La Signoria veneta mandò onorandolo,
-e il richiedeva di pareri; chiunque avesse alcun bisogno, ricorreva
-ad esso, e una sua raccomandazione bastava: a lui facevano capo i
-negozianti, sicchè l’avresti detto un piccolo sovrano; mentre a Firenze
-artisti, poveri, trafficanti lamentavano mancato il loro sostegno.
-Rinaldo, incapace a lottare coll’avversario lontano che vicino aveva
-oppresso, cercava inutilmente afforzarsi col riabilitare i nobili
-alle cariche, da cui già da gran tempo erano esclusi, e fin colle
-armi tentò far prevalere la sua parte: non girò intero un anno, che
-interponendosi papa Eugenio IV, allora quivi dimorante pel concilio,
-fu senza scandali tratta una Signoria (1434 7bre) propensa a Cosmo,
-questi rintegrato in patria con accoglienze meravigliose, e sbanditi
-o confinati da settanta de’ suoi avversarj. Rinaldo, non essendosi
-lasciato persuadere dal papa, e ignaro della virtù dell’aspettare e far
-a queto, andò a sollecitare Filippo Visconti contro Firenze; e mandò
-dire a Cosmo — La gallina cova»; al che questo rispose: — Mal cova
-la gallina fuori del nido». Rinaldo colle bande del Piccinino (1440)
-penetrò fin alla montagna di Fiesole e nel Casentino: i Fiorentini gli
-opposero Francesco Sforza, rotto dal quale intieramente ad Anghiari, e
-invano travagliatosi da capo per ricuperare la patria, andò a finire in
-Terrasanta.
-
-Cosmo, tornato in trionfo, salutato benefattore del popolo e _padre
-della patria_, pigliò vendetta proscrivendo molti avversarj, molti
-condannando al supplizio e fin senza confessione, altri assassinati,
-come Balduccio, condottiere valente di fanteria toscana, che il
-gonfaloniere di giustizia fece pugnalare e buttar giù dal palazzo
-senza processi. Con tali colpi otteneasi docilità e svogliava
-dall’opposizione, e a chi l’avvertiva come la città per tanti banditi
-venisse in calo, rispondeva: — Meglio città guasta che perduta; del
-resto, non vi affannate, che con due canne di panno rasato posso fare
-un uom dabbene», cioè riparare con gente nuova.
-
-Non si alterò il modo del governo e de’ magistrati di Firenze, ma tutto
-dipendeva da Cosmo. Vedendo omai in ciascuna città italica dominare
-una famiglia, pensò innalzar la sua in Firenze, non per armi, sibbene
-coll’offrire agli ingegni attrattive e distrazioni nuove nelle arti
-e nel sapere, avvivare il commercio, estendere la tela politica,
-aumentare la propria importanza col darne alla patria su tutt’Italia,
-e quiete a questa coll’equilibrarne gli Stati; a tal fine associò al
-suo denaro la spada di Francesco Sforza, le due potenze di quell’età,
-il banchiere e il condottiere. Potendo avere a disposizione tutti i
-capitani di ventura, mantenne in bilancia le potenze d’Italia: alla sua
-repubblica aggiunse Borgo Sansepolcro, Montedoglio, il Casentino e val
-di Bagno.
-
-Senza dunque sovvertire la costituzione e le leggi, fondava a cheto la
-signoria delle ricchezze, le quali, mercè del commercio, aveano indotto
-immensa disparità fra i cittadini, e procacciando ammiratori e clienti,
-in pochi restringevano l’autorità, benchè durasse stato di popolo;
-anzi in cinque soli fece Cosmo (1452) ridurre il diritto d’eleggere la
-Signoria.
-
-A fianco di lui figurava Neri Capponi, in consigli più sottile di Cosmo
-e, ciò che questi non era, valente in armi e creduto dai soldati; il
-quale, non cessando d’essergli amico, si tenne indipendente, e menò
-gli affari più scabrosi. Loro mercè fu riordinata la tranquillità in
-Firenze, ma insieme tolta la libertà, giacchè dal popolo, quante volte
-volessero, faceano decretare una balìa dispotica, e riformare le borse,
-e confinare chi li contrariava; mentre teneansi buoni gli amici col
-secondarne le passioni, collocarli negli uffizj e ai governi, chiuder
-gli occhi sulle arti onde s’ajutano i bassi, ligi ai potenti.
-
-Alla morte di Neri (1455) parea dovesse ingrandire Cosmo, sciolto
-da quest’ultimo contrappeso; ma il contrario gli accadde per averne
-perduto l’appoggio. Gli avversarj pensano umiliarlo coll’abolire
-le balìe, e tornare alla sorte l’elezione del gonfaloniere e della
-Signoria; e il popolo va in gavazze, come di ricuperata libertà. Cosmo
-però non discende pur d’un grado dalla ottenuta grandezza, perchè
-temperatamente usata, e perchè gli uomini nuovi imborsati erano avvinti
-a lui per interesse e mercatura, o ligi per gratitudine e speranze;
-laddove non essendo più gl’impieghi concentrati in mano di pochi,
-gl’inimici suoi si sottigliavano; i quali, avvedutisi dello sbaglio,
-cercavano si ripristinasse la balìa. Cosmo, prima d’assentirvi, lasciò
-che gustassero i frutti della loro inesperienza; ma quando (1458)
-sortì gonfaloniere Luca Pitti, e’ lasciò tastassero la riforma. Il
-Pitti, animoso e temerario, teneva col terrore un governo pigliato
-colla forza: chiunque avesse bisogni o reclami, a lui ricorreva, alla
-sua casa tutti i malviventi; e coi regali ricevuti, che vorrebbonsi
-far ammontare a ventimila fiorini, e col dare sicurezza ai malfattori
-che vi lavorassero, fabbricò il palazzo a Rusciano, e un altro in
-città che maestoso grandeggiava sul _poggio_, mentre al piano i Medici
-conservavano la ricca e pur semplice magione in via Larga.
-
-Ritirato in questa, Cosmo appariva più grande dacchè non ritraeva
-lustro che dal merito personale. Gliela abbellivano con dipinti frate
-Angelico, Pippo, Masaccio; Donatello il consigliò a radunarvi capi
-d’arte antichi; nelle corrispondenze sue non chiedeva solo merci e
-denaro, ma codici, e mandava a trascriverne; accoglieva letterati,
-massime quelli fuggiti di Costantinopoli; la biblioteca Laurenziana
-ebbe origine dai libri di esso; un’altra ne collocò nella badia da lui
-finita a piè del monte di Fiesole; una ne lasciò al convento di San
-Giorgio in Venezia, dov’era stato ricoverato; comprò quella ove Nicolò
-Niccoli avea radunato ottocento manoscritti, e la fece pubblica in
-San Marco de’ Domenicani, fondazione sua non meno che San Girolamo a
-Fiesole, San Francesco del Bosco in Mugello, e San Lorenzo in città,
-ove pure cappelle a Santa Croce, all’Annunziata, a San Miniato,
-negli Angeli, architettate dal Brunelleschi, da Michelozzo e da altri
-eccellenti. Pie istituzioni avea lasciato a Venezia, un ospedale a
-Gerusalemme, un acquedotto ad Assisi; onde non è meraviglia se fuori
-veniva considerato come un gran principe, in patria vivendo tuttavia da
-privato. Di sue ricchezze chi potrebbe levare il conto? I suoi poderi
-di Careggi e Caffagiuolo poteano servire di modelli; aveva in proprio
-o a fitto tutte le cave d’allume d’Italia, e per una sola in Romagna
-pagava centomila fiorini annui; per Alessandria mercatava coll’India,
-nè era città ove non tenesse banchi; prestò somme al re d’Inghilterra,
-ne anticipò al duca di Borgogna. In questo riposo le gelosie della
-libertà cadevano; i Fiorentini, come gli altri Italiani, si abituavano
-a vedere grandezza altrove che nella politica; e l’artista, il
-letterato, il grosso negoziante onoravansi d’andar esenti dalle
-cariche, quanto un tempo d’esservi assunti.
-
-Ma di due figliuoli rimastigli, il prediletto Giovanni morì a
-quarantadue anni (1403); Pietro era rattratto di corpo e debole di
-spirito; fanciulli i due costui figli, onde Cosmo cadente faceasi
-portare pel vasto palazzo esclamando: — Troppo grande per sì piccola
-famiglia». Di settantacinque anni morì (1464 1 agosto) nella sua
-villa di Careggi, dopo stato trent’anni capo della repubblica e non
-tiranno. E diceva a’ figliuoli: — Vi lascio infinite ricchezze che la
-mia fortuna mi ha concedute, e vostra madre mi ajutò a conservare;
-mantenetevi la grazia di ogni buon cittadino e della moltitudine;
-e se non isviate dai costumi de’ maggiori, sempre il popolo vi
-sarà larghissimo donatore di dignità. Perchè ciò avvenga, siate
-misericordiosi ai poveri, graziosi e benigni agli abbienti, e solleciti
-ad ajutarli nelle avversità: non consigliate mai contro la volontà del
-popolo: non parlate a modo di dar parere, ma di amorevole ragionamento:
-del palazzo non fate bottega, anzi aspettate d’esservi chiamati:
-procurate di tener in pace il popolo e doviziosa la piazza: schivate
-d’andare ai tribunali, per non impacciar la giustizia. Vi lascio netti
-di macchie, eredi di gloria, e me ne parto lieto, e più lieto partirei
-se vi vedessi in sajo anzichè in seta. Fatevi segno al popolo il men
-che potete. Siavi raccomandata la Nanina madre vostra, e fate, dopo la
-mia morte, di non mutarle stanza e trattamento. Pregate Dio per me, e
-abbiatevi la mia benedizione»[110]. Fu compianto dagli amici pel bene
-ricevuto, dai nemici pei mali che prevedevano quand’egli cessasse di
-tenere in rispetto i potenti.
-
-Di fatto Luca Pitti, d’ambizione e di talenti superiore, che già nella
-vecchiezza di Cosmo avea fatta rivalere l’oligarchia, tiranneggiò
-allora a baldanza, disponendo dell’erario e degli uffizj, mal
-contrastato da Pietro Medici. Le famiglie di Firenze erano state
-interessate a sostenere Cosmo, in grazia dei prestiti coi quali egli
-soccorreva ai loro bisogni, persin talora prevedendone la domanda: ma
-Pietro, volendo rimediare alle scosse date a’ suoi negozj dalle ingenti
-spese e da fallimenti, e accorgendosi che andavano sempre in peggio da
-che non v’attendeva in persona, ridomandò improvvisamente i capitali
-per investirli in terreni: Pensate quanti dissesti! i fallimenti
-susseguiti furono imputati a sua colpa, e tristo paragone faceasi colla
-liberalità paterna. Si tramò dunque di togliergli la riputazione e
-lo stato, e rintegrare la libertà; e pei maneggi del Pitti cassata la
-balìa, si rimisero alla sorte le elezioni, e fu salutato gonfaloniere
-Nicolò Soderini, a gran gioja del popolo. Lealissimo repubblicano ma
-debole, domandava d’essere condotto, invece di saper condurre; quando
-mise mano a riformare lo Stato per vie legali, si trovò attraversato
-dalla fazione dei Pitti, speranti nello scompiglio; ond’egli uscì di
-carica senz’essere a nulla approdato.
-
-Moriva in quello stante (1466 8 marzo) il migliore amico de’ Medici,
-Francesco Sforza; e Galeazzo Maria, figlio di quello, mandò chiedendo
-fosse a lui continuato il soldo che retribuivasi a suo padre come
-a condottiero della Repubblica. Quelli del Poggio, cioè i Pitti,
-fissaronsi al no, e ordinarono cogli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini,
-facendo sottoscrivere tutti coloro che volessero salvar lo Stato
-e ricuperare la libertà, e chiedendo ajuti a Buoso duca di Modena;
-e pensavano forse assassinare Pietro e i suoi figliuoli Lorenzo e
-Giuliano. Pietro, informatone a tempo, li prevenne colle armi e coi
-trattati, e rimasto superiore, mandò in bando gli avversarj, di che si
-rincalorirono le nimicizie. Luca Pitti, lasciatosi lusingare da Pietro
-colla speranza d’un parentado, gli diede la lista de’ congiurati, onde
-ne fu obbrobriato, e i suoi palazzi rimasti incompiuti attestarono
-l’altezza della sua ambizione e i danni della sua imprudenza.
-
-Gli espulsi, sotto Angelo Acciajuoli attestatisi cogli esuli del 1434,
-e preso a capo Gian Francesco Strozzi, preparavano guerra aperta; e
-Venezia, non volendo favorirli alla scoperta, lasciò entrasse al loro
-soldo Bartolomeo Coleone suo capitano (1467), al quale s’accollarono
-molti signorotti di Romagna, i Pio, i Pico, gli Ordelaffi, Ercole
-d’Este, Astorre Manfredi di Faenza, Alessandro Sforza di Pesaro.
-I Fiorentini si opposero, collegati con Galeazzo Maria e col re di
-Napoli; e comandati dal prode Federico di Montefeltro signore d’Urbino,
-alunno di Francesco Sforza, affrontaronsi (25 luglio) alla Molinella
-nel territorio d’Imola, dove primamente il Coleone adoperò artiglierie
-volanti, e dove, mancato il giorno, a lume di fiaccole si continuò la
-mischia. La giornata fu sanguinosa oltre l’usato, ma non risolutiva;
-la Repubblica fiorentina ebbe a logorare fin un milione trecentomila
-fiorini d’oro; i fuorusciti, per diffalta di denaro, dovettero
-desistere e compromettersi in Paolo II, il quale non riuscendo ad
-accordarli, pubblicò articoli di pace, intimando scomunicato chi non
-gli accettasse; e dove la conclusione era di restituire ciascuno ne’
-pristini possessi; il Coleone con centomila ducati d’oro l’anno sarebbe
-capo dell’esercito che dai signori tutti d’Italia volevasi mandare
-contro i Turchi. Nulla stipulò a favore degli sbanditi, dei quali anzi
-furono staggiti i beni; poi colla ragione o col pretesto di congiure
-e attentati furono respinte le famiglie de’ Capponi, Strozzi, Pitti,
-Alessandri, Soderini, ed alcuni mandati al supplizio[111]. Restarono
-dunque peggiorati dell’avere e della persona, mentre Pietro, gottoso
-e impotente di tutti i suoi membri, ignorava le sevizie de’ suoi, e
-predicava moderazione e civiltà; e veramente trattava di ripatriare i
-fuorusciti, quando morì (1469 2 xbre), soli cinque anni dopo il padre.
-
-Tommaso Soderini seppe persuadere a conservar _principi dello
-Stato_ i giovani figli di lui Lorenzo e Giuliano: i quali a cinque
-_accoppiatori_ diedero diritto di nominare il consiglio de’ duecento;
-balìa non più a tempo per casi urgenti, ma permanente e che poteva
-ogni cosa, punire, esigliare, levar denaro. I Medici trovavansi dunque
-in mano lo Stato, e potevano convertire a comodo proprio le somme
-pubbliche, oltre quelle che per avventura riceveano da chi volesse
-conservarsi in grado o soprusare impunemente; e la tirannia palliavano
-con feste, colle largizioni, col proteggere artisti e letterati.
-
-Lorenzo particolarmente è una delle fisonomie più simpatiche della
-nostra storia, e ci restano alcuni suoi ricordi giovanili, di cara
-semplicità: — Il secondo dì dopo la morte del padre mio, quantunque
-io Lorenzo fossi molto giovane, cioè di anni ventuno, vennono a noi
-a casa i principali della città e dello Stato a dolersi del caso,
-e confortarne che pigliassi la cura della città e dello Stato, come
-avevano fatto l’avolo e il padre mio; le quali cose, per essere contro
-alla mia età e di gran carico e pericolo, malvolentieri accettai, e
-solo per conservazione degli amici e sostanze nostre, perchè a Firenze
-si può mal vivere senza lo Stato, delle quali insino a qui siamo
-riusciti con onore e grazia, reputando tutto non da prudenza, ma per
-grazia di Dio e per i buoni portamenti de’ miei passati. Di settembre
-1471 fui eletto ambasciatore a Roma per l’incoronazione di papa Sisto
-IV, dove fui molto onorato; e di quindi portai le due teste di marmo
-antiche dell’immagine d’Augusto e di Agrippa, le quali mi donò detto
-papa; e più portai la scodella nostra di calcidonio intagliata, con
-molti altri cammei e medaglie, che si comprarono allora fra le altre in
-calcidonio».
-
-Morta una Simonetta gentildonna, fior di bellezza e di virtù, era
-universalmente compianta; e quando col viso scoperto era portata a
-sepellire, tutta Firenze fu in cordoglio. Lorenzo giovinetto deplorò
-in versi quella morte, e per ispirarli di maggior verità, cercò
-persuadersi d’essere invaghito dell’estinta; dal che passò a voler
-ricercare se altra donna raggiungesse quel modello. E parvegli tale
-una che egli celò, ma i biografi rivelarono essere Lucrezia Donati,
-ch’e’ vide in una solennità, così bella che esclamò: — Deh fosse pari
-alla Simonetta anche in virtù!» E chiestone, poi conosciutala, la
-trovò migliore ancora della speranza, e d’ingegno meraviglioso senza
-la presunzione che fa ridicole le saccenti. Questo amore lo fece schivo
-dei diletti vulgari e delle affollate radunanze, dilettandosi piuttosto
-nella solitudine, dove tutto rammemoravagli colei, da cui invece lo
-distraevano i pensieri del mondo[112].
-
-Quest’è il mostro della tragedia d’Alfieri, in cui è verseggiato un
-nuovo tentativo che i nemici dei Medici fecero per abbattere i due
-giovinetti.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXX.
-
-Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. Ferdinando di Napoli. Lorenzo
-Medici.
-
-
-Al concilio di Costanza erasi messo in disputa se più casta non
-tornerebbe la Chiesa quando si spelagasse dal dominio temporale; ma un
-oratore ragionò: — Tempo fu che io pensava convenientissimo il separare
-la potenza terrena dalla spirituale; ma ora son chiaro che la virtù
-senza forza è ridicola, e che il pontefice romano senza il patrimonio
-della Chiesa non sarebbe che un servitore dei re e dei principi»[113].
-
-E davvero la schiavitù d’Avignone avea persuaso e papi e signori
-che importava assicurare alla santa Sede un’esistenza indipendente,
-acciocchè non divenisse stromento ai regj arbitrj; e si diede opera a
-consolidarne la potenza politica quando debilitavasi la spirituale.
-Martino V, tornando a Roma, avea trovato il patrimonio della Chiesa
-in isconquasso, ma fermo eppur pacifico con dignità lo ristabilì;
-indusse Giovanna II di Napoli a restituirgli Roma occupata da Ladislao;
-tolse Perugia a Braccio di Montone[114] e le altre terre ai tiranni
-che n’avevano preso il dominio. I Malatesta, segnalati capitani,
-eransi costituiti un bel principato a Rimini, sottomettendo Fano,
-Pesaro, Camerino, Macerata, San Severino, Montesanto, Cingoli, Jesi,
-Fermo, Gubbio; ma, morto Carlo, condottiero de’ più prodi e generosi,
-perdettero ogni cosa, salvo Rimini, Fano e Cesena, lasciate a tre
-nipoti di quello. Anche Borgo Sandonnino, la Pergola, Brettinoro,
-Osimo, Cervia, Sinigaglia, furono riuniti al dominio papale. Bologna
-non sapeva dimenticare la sua libertà; ma quando tentò ripristinarla
-nel 1428, fu subito oppressa dalle bande venturiere. Le tante città
-avvezze ad avere un principe e corte e lusso ed arti, piangeano il
-sottentrato spopolamento. Il cardinale Albergati, santo di costumi
-quanto accorto negli affari, seppe alla Sede pontificia ricuperare
-importanza politica in Italia, coi maneggi ottenendo meglio che colle
-guerre, e molte paci conciliando.
-
-Roma era sottoposta al pontefice, ma conservava una rappresentanza
-civica: e il senatore nell’entrare in Campidoglio giurava nelle mani
-del conservatore di esercitare l’officio lealmente e in buona fede;
-dare appoggio agli inquisitori dell’eresia e vantaggiar la fede; tener
-Roma e il contado in pace e tranquillità, e purgati da malandrini;
-conservare e difendere le ragioni, i beni, le giurisdizioni e dignità
-della città e della camera, e ricuperare ciò che se ne fosse perduto;
-mantenere e difendere gli spedali, i luoghi pii e religiosi; procedere
-sommariamente nelle cause di questi, delle vedove, de’ pupilli e de’
-poveri; far osservare da’ suoi uffiziali e giudici gli statuti fatti e
-da fare, e il diritto civile, ed in mancanza loro il diritto canonico;
-non far estorsione o sopruso, non chiedere grazie nei consigli, nè
-cercare d’essere raffermo in carica, o assolto dal sindacato; far
-sì che i marescialli, cioè esecutori degli ordini della curia di
-Campidoglio, e loro famigli girassero giorno e notte armati; nulla
-operare di contrario agli ordini de’ conservatori, anzi prestar
-soccorso ad essi e alla loro camera.
-
-Sia per le imposte, che a risarcire il paese (1431) doveva
-moltiplicare, o sia pei soliti postumi d’ogni restaurazione, Martino
-ottenne scarsa benevolenza, ed era appuntato di prodigare onori e
-tesori a’ suoi nipoti. Lui morto, i cardinali trovavansi dissenzienti
-sul chi nominargli successore; onde, per guadagnar tempo, diedero i
-voti a quel che meno temeano, il veneziano Condulmier, che per questo
-giuoco si trovò papa col nome di Eugenio IV. Severissimo ne’ digiuni
-e in tutte le austerità, gran persecutore degli Ussiti di Boemia,
-repugnante da’ consigli altrui per ostinarsi ne’ proprj, scarso di
-lealtà e di politica, vedemmo quanta parte avesse nei maneggi civili e
-religiosi del suo tempo, per effetto delle circostanze più che per sua
-abilità.
-
-Dal bel principio si trovò in urta coi sudditi, coi signori, coi
-prelati. S’inimicò i Colonna col ridomandare i tesori che ad essi
-aveva confidato il predecessore, e le città del Patrimonio, dove
-rigalleggiavano i partiti e le antiche famiglie. E perchè i Colonna
-con que’ denari raccolsero truppe e guerreggiarono gli Orsini, Eugenio
-mise in prigione e ai tormenti i loro amici, e da ducento ne mandò al
-patibolo, distrusse la casa e i monumenti di papa Martino, finchè i
-Colonna restituirono settantacinquemila fiorini. Destinò a governare la
-marca d’Ancona Giovanni Vitelleschi vescovo di Recanati, suo indegno
-favorito, e uno de’ più disumani condottieri, che nella guerra di
-Napoli giunse a promettere indulgenze a qualunque soldato tagliasse
-un ulivo de’ nemici, poi tramò col Piccinino per assalire la Toscana
-alleata, e fors’anche toglier di mezzo il papa e surrogarsegli. Questo
-n’ebbe sentore, e a tradimento lo colse in castel Sant’Angelo, ove
-presto s’intese ch’era morto.
-
-Intanto la Chiesa era pericolata dal concilio di Basilea; tutta Romagna
-sossopra; Francesco Sforza e Nicolò Fortebraccio vi entrarono dicendosi
-autorizzati dal concilio a togliere que’ paesi al papa, cui restrinsero
-quasi alla sola capitale. Egli guadagnossi lo Sforza, creandolo
-marchese d’Ancona; ma gli altri capitani pretendeano altrettanto;
-il popolo s’avventò alle armi proclamando la repubblica, e il papa a
-stento si salvò a Firenze. Alfine il Piccinino, vincendo Fortebraccio,
-rese a san Pietro le antiche appartenenze.
-
-Tommaso, figlio del medico pisano Bartolomeo Parentucelli, per povertà
-lasciò gli studj onde mettersi in Firenze educatore de’ figliuoli
-di Rinaldo degli Albizzi, poi s’attaccò al cardinale Albergati come
-segretario, medico, intendente, e in quei venti anni ebbe molto a
-conoscere molti paesi e gli eruditi d’allora; copiò manoscritti e
-v’aggiungeva note assennate, lo perchè Cosmo de’ Medici l’incaricò
-di disporre i codici della biblioteca di San Marco, il che servì di
-norma ad altre: da Eugenio papa adoprato in affari, e posto vescovo
-di Bologna e cardinale, gli fu dato successore col nome di Nicola V
-(1447). Egli ricompose la Chiesa ad unità coll’ottenere l’abdicazione
-dell’antipapa Felice. Al Vespasiano, valente librajo ed erudito, autore
-di molte biografie, diceva: — I nostri Fiorentini avrebber mai creduto
-che un preticciuolo, fatto per sonar le campane, diverrebbe pontefice?»
-e avendo quello risposto che ne esultavano e perchè il conosceano e ne
-speravano pace, — Se Dio m’ajuta (soggiunse) altr’arma non adoprerò mai
-a difesa mia che la croce di Gesù Cristo»[115].
-
-Veramente fu de’ papi più degni, e guardata la differenza dei tempi,
-meritò meglio che Leone X per avvenuta protezione alla crescente
-coltura. Fondò la biblioteca Vaticana con cinquemila volumi, ed accolse
-quanti erano dotti; scriveano le sue lettere il Poggio, Giorgio da
-Trebisonda, Cristoforo Garatone, Flavio Biondo, Leonardo Bruno, famosi
-eruditi; teneva alla corte Antonio Loschi, Bartolomeo da Montepulciano,
-Cincio romano, Lorenzo Valla, Pier Candido Decembrio, Teodoro Gaza,
-Giovanni Aurispa, allora nominatissimi quanto oggi ignorati. A gara
-gli erano dedicate opere, e di parecchie favorì la traduzione dal
-greco: al Poggio per la versione del Diodoro donò liberamente; al
-Valla cinquecento scudi d’oro pel Tucidide; millecinquecento al Guarini
-per lo Strabone; cinquecento al Perotti pel Polibio; annui seicento a
-Giannozzo Manetti, oltre il soldo di secretario, perchè s’occupasse
-attorno ad opere sacre, e gli fece cominciare una versione della
-Bibbia sopra il testo ebraico; al Filelfo, se traducesse Omero, gli
-prometteva una bella casa in Roma, un podere e diecimila scudi; Giorgio
-da Trebisonda ricusava come eccessiva una somma da esso regalatagli, ma
-egli — Tieni, tieni; non avrai sempre un Nicola». Udendo lodare come
-valenti poeti alcuni dimoranti in Roma, negò il merito loro, dicendo
-per celia: — Se fossero buoni, perchè non verrebbero a me che accolgo
-anche i mediocri?»
-
-Fabbriche raddrizzò o intraprese da tutte parti, a Spoleto ed Orvieto
-insigni palazzi, a Viterbo bagni per infermi, a Roma la mura, oltre
-riparare le chiese rovinate nella lunga vedovanza, e principalmente
-il Panteon d’Agrippa; fece eseguire «il più bel tappeto che sia tra’
-Cristiani colle opere di Dio padre quando creò il mondo» (Corio); e
-accingevasi a riedificare San Pietro, come simbolo della riedificata
-Chiesa spirituale, al che gli diede i mezzi il giubileo, traendo folla
-indicibile alle soglie degli apostoli.
-
-Non altrettanto prendeva a cuore il bene de’ sudditi, o piuttosto
-volea governarli con quel dispotismo, cui facilmente propendono
-coloro che sentonsi superiori agli altri, e volenterosi del bene.
-Non pochi erano disgustati pei rigori che accompagnano le improvvide
-restaurazioni, le quali all’anarchia non credono poter riparare che col
-despotismo; i vizj del clero e gli abusi della curia più risaltavano
-dacchè eransi censurati alla libera nelle burrasche precedenti. La
-festa dunque, con che era stata ricevuta la corte pontifizia al suo
-ritorno, fece prestamente luogo a scontenti e alle solite gozzaje.
-Perchè ha da stare il governo in man di preti, la più parte forestieri,
-tutti per educazione inetti agli affari? Così diceva Stefano Porcari
-nobile romano, e tentò instaurare la repubblica. Infervorandosi
-alla canzone del Petrarca _Spirto gentil_, e parendogli esser egli
-stesso quel cavaliero a cui «Roma, con gli occhi molli di pietà,
-chiedea mercè da tutti i sette colli», macchinò per impadronirsene
-a forza; arrolò masnade, e insinuatosi di soppiatto (1453) nella
-città dond’era stato bandito, concertò di occupare il Campidoglio,
-e nella festa dell’Epifania prendere il papa, i prelati e castel
-Sant’Angelo. Ma avutone spia, il senatore ad una cena fece arrestare
-i congiurati (gennajo), e il Porcari con nove altri impiccare ai
-merli del castello[116]. Al pontefice l’aveano dipinta come una trama
-d’assassinio, onde, da confidentissimo e ingenuo che era, cadde in
-preda al sospetto, perseguitò i fuggiaschi, quanti colse fece mal
-arrivati, e il breve resto di sua vita passò fra terrori e supplizj.
-Presso al finire, ebbe a sè due pii monaci, e diceva loro: — Mai
-persona non entra qua, che mi parli il vero. Sono talmente confuso
-delle finzioni di quanti mi circondano, che, se non temessi lo
-scandalo, rinunzierei al papato per tornare Tommaso da Sarzana.
-
-Alfonso Borgia spagnuolo, ch’erasi mostrato tutto zelo contro i Turchi,
-gli fu dato successore col nome di Calisto III (1455), e alla elezione
-sua rincrudirono le fazioni dei Colonna e degli Orsini, e più quando
-egli, gettati a spalle i rispetti umani, ingrandì i suoi nipoti con
-feudi della Chiesa, creando Pietro duca di Spoleto, e fin meditando
-porlo sul vacante trono di Napoli. La vita non gli bastò; e il
-successivo conclave pensò antivenire tali abusi decretando che il papa
-non potesse senza l’assenso dei cardinali tramutare da Roma la sede,
-conferire cappelli o vescovadi, fare pace o guerra, alienare terre
-ecclesiastiche.
-
-Enea Silvio Piccolòmini, dottissimo in lettere e in ragion canonica,
-scrittore di poesie e storie, ebbe primaria figura ne’ maneggi
-d’allora. La sua gioventù avea tribolato fra le turbolenze della
-patria; al concilio di Basilea assistette in servizio del cardinale
-Domenico di Capranica; più volte mutò padrone, spesso fu ambasciadore,
-indi segretario di Felice V, poi di Federico III imperatore. Descrisse
-la storia di Boemia, lo stato di Europa sotto esso Federico, un
-ragguaglio della Germania e del concilio di Basilea, dove votò
-coll’opposizione; opere di gran conto perchè di testimonio oculare ed
-oculato, oltre una raccolta di lettere d’amicizia e di affari[117].
-
-Fatto papa col nome di Pio II (1458), sostenne con vigore
-quell’autorità che come diplomatico avea bersagliata; e perchè gli si
-rinfacciavano le prische opinioni, emanò una _bulla retractationum_,
-ridicendosi di molte proposizioni lanciate contro la potestà
-pontifizia, e massime contro Eugenio IV, dicendo essere cosa umana
-il fallare, non averle sostenute per ostinazione ma per isbaglio,
-importargli il ritrattarle affinchè non si attribuisse a Pio quelle
-che erano opinioni di Enea[118]: nella qual occasione si fa ad esporre
-parte della sua vita. Nel sinodo di Mantova proibì (_Execrabilis_),
-pena la scomunica, di appellarsi dal papa al futuro concilio, tribunale
-che non esiste: ma le sanzioni introdottesi fra le passate tempeste,
-e il proposito de’ principi di voler eleggere i proprj vescovi, gli
-cagionarono gravi disgusti. All’imperatore fece veduta la necessità
-di stringersi alla sede pontifizia per resistere ai principi sovrani
-di Germania, e che le domande di riforme ecclesiastiche andavano
-indivisibili da quelle di politiche: lo perchè nelle diete germaniche
-il legato aveva autorità quanto l’imperatore, e molto maggiori rendite.
-Mentre poi, lottando di tutta la sua persuasione contro l’indifferenza
-del secolo egoisto, disponeva la crociata contro i Turchi, spirò ad
-Ancona. Il Pinturicchio storiò la vita di lui nella libreria vecchia di
-Siena, secondo i cartoni di Rafaello.
-
-Pietro Barbo veneziano, bell’uomo, destro ad ingrazianirsi gli animi
-con piccoli servigi e col compatire agli altrui patimenti, sicchè il
-chiamavano la Madonna della pietà, fu eletto (1464) col nome di Paolo
-II con tal consenso, che prometteva uno de’ pontefici più grandi. A
-tre cose mirò continuo: l’ingrandimento dei nipoti, pel quale fece
-dichiarar nulla la capitolazione impostagli dal conclave; la crociata
-contro gl’Infedeli; e la revoca della prammatica sanzione di Bourges,
-ove dal clero gallicano pareangli intaccate le prerogative papali: e in
-tutte fallì. Piovevano d’ogni parte lamenti che i sessanta abbreviatori
-(collegio istituito da Pio II per estendere i brevi pontifizj in istile
-purgato) facessero guadagno delle spedizioni, sia ricevendo regali,
-sia colle simonie. Risoluto di svellere l’abuso, e parendogli degno di
-Roma il dare ogni cosa gratuitamente, il papa gli abolì. Que’ sessanta
-letterati, messi sulla via, furono altrettante voci accordatesi a
-denigrarlo; e chi non sa quanto facilmente un branco di scriventi
-raggiri l’opinione? Bartolomeo Sacchi di Piadena (il Platina), un
-d’essi, tanto gli mancò di rispetto, che fu condannato alle carceri;
-poi involto o sospettato d’una cospirazione, fu messo alla corda; del
-che tolse vendetta col virulento sparlarne nelle sue _Vite dei papi_.
-
-Non pensiamo a scusare i modi; ma la persecuzione tanto rinfacciata
-a Paolo contro i restauratori della classica letteratura veniva da
-ragionevole sgomento del vedere il paganesimo ripullulare nelle arti
-belle non solo, ma nelle dottrine e nella vita; e cotesti eruditi,
-vergognandosi del nome de’ santi ricevuto al battesimo, mutare
-Pietro in Pierio o Petrejo, Giovanni in Giano o Gioviano, Vittore in
-Vittorio o Nicio, Luca in Lucio o Lucillo, Marino in Glauco, Marco in
-Callimaco[119]; celebrare feste all’antica, sacrificando un becco; e
-col pretesto di rimettere in onore Platone, gittarsi a dottrine empie
-od a pratiche teurgiche: cose lievi per avventura, ma che menano a
-serie.
-
-È moda il lodare uno perchè disapprovato dai papi, e al tempo stesso
-mostrar che questi non aveano ragione di perseguitarli. Dalla stessa
-lettera ove il Platina dal carcere racconta al cardinale Bessarione
-il suo processo, appare come l’accademia di Pomponio Leto tendesse a
-trasformare il paganizzamento letterario in religioso. Foss’anche stato
-soltanto letterario, non v’è retto pensatore che non veda quanto danno
-ne derivasse alla logica, alla morale, all’estetica, dacchè Cristo e
-la redenzione doveano far luogo novamente alla voluttà pagana e alla
-lepida guerra contro la famiglia e la società.
-
-Dalla storia dei Papi che il Platina scrisse coll’avversione solita
-ai perseguitati, i Protestanti raccolsero assai cose contro la corte
-romana. Noi qui non abbiamo che a riflettere alla pochissima critica di
-questo abborracciatore passionato.
-
-Paolo spese profusamente in dissotterrare e raccogliere statue e
-altre anticaglie, amò le arti belle, libri comprava e imprestava
-liberalmente[120], e fece fare una tiara di cinquantamila marchi
-d’argento (L. 275,000). Amava gli spassi, e frequenti feste dava al
-popolo di Roma, e per goderne egli stesso volle che le corse non si
-facessero per la strada Florida o Giulia, ma dall’arco di Domiziano
-al palazzo di Venezia, dov’egli abitava. Negli statuti di Roma allora
-pubblicati, si divisano i divertimenti, e specialmente quelli di Agone
-e Testaccio coi pallj e gli anelli e i carri, e l’altre solennità,
-che poi continuarono in occasione del carnevale. Per la pace del 1468,
-festeggiata in tutta Italia, il papa ordinò giuochi e baldorie al modo
-antico, dove principal parte aveano i banchetti: ed egli godeva veder
-quando i giovani, quando i vecchi, o gli ebrei o i fanciulli, pinzi di
-cibo, fare alla corsa, per guadagnare qualche carlino. Spesso gittava
-denaro al popolo; una volta gli regalò 400 scudi, e di mascherate
-splendidissime molto il rallegrava.
-
-Ammassò ricchezze, ma non pei nipoti; dissero per mera avarizia, e
-poteva essere per provvedere ai tanti bisogni di cui si gravava la
-Chiesa. Concedette il titolo di duca di Ferrara a Borso d’Este, l’armò
-cavaliere di san Pietro, e lo fece sedere non più tra gli arcivescovi
-come quando era soltanto vicario pontifizio, ma tra’ cardinali, e gli
-donò la rosa d’oro che per pasqua suol darsi a qualche gran principe;
-con tali atti confermando l’alto dominio della santa Sede sopra
-Ferrara. Menò lunga e turpe guerra con Roberto Malatesta, disputandogli
-la signoria di Rimini, al qual uopo s’alleò coi Veneziani e con varj
-signori; e perchè Napoli e Firenze stavano col Malatesta, fu per
-divamparne tutta Italia, ma alfine Paolo gli riconobbe i feudi paterni.
-Meglio meritò collo stringere tutti i potentati d’Italia in una lega,
-onde mantenere l’indipendenza di ciascuno. Delle riforme divisate nella
-curia però più non si parlava; rimoveasi sempre più l’idea di adunare
-un concilio; e intanto profondeansi in commende e aspettative, e negli
-altri lucrosi abusi.
-
-In peggior fama rimase Sisto IV (1471), già Francesco Albescola
-della Rovere. I ragazzi di cui circondavasi, fecero sparlare de’
-suoi costumi; del suo rigore le guerre rinnovatesi tra i Colonna e
-gli Orsini, per cui a sangue e fuoco egli mandò la città. Vescovadi,
-principati, dignità, uffizj prodigò a due figli di suo fratello e due
-di sua sorella Riario, i quali la maldicenza bucinava figli di lui,
-e peggio. Leonardo della Rovere pose governator di Roma e sposò a una
-bastarda di re Ferdinando, per ciò cedendo a questo il ducato di Sora
-ed altri acquisti fatti penosamente da Pio II, i censi arretrati del
-regno, ed esenzione dai futuri sinchè vivesse. Giuliano fece cardinale,
-che poi divenne papa, e che intanto menava guerre contro Todi e
-Spoleto. L’inetto Pietro Riario, di ventisei anni creato cardinale,
-patriarca di Costantinopoli, arcivescovo di Firenze, legato di tutta
-Italia, aveva una corte d’oltre cinquecento persone, e un fasto
-senz’esempio, col quale e colle lascivie si logorò la vita. Allora
-Sisto innalzò Giovanni della Rovere, facendolo principe di Sinigaglia
-e Mondavio, staccate dalla Chiesa. Pel nipote Girolamo Riario, cui
-ottenne la mano di Caterina di Galeazzo Sforza colla contea di Bosco,
-comprò con quarantamila ducati la signoria d’Imola, ed una maggiore
-gliene destinava nella Romagna colle spoglie de’ signorotti: ma perchè
-trovò ostacolo nei Medici di Firenze, si unì ai tanti nemici di quella
-casa, alla malevolenza de’ quali parea cader molto in acconcio la
-giovinezza di Lorenzo e Giuliano figli di Pietro.
-
-Delle famiglie storiche di Firenze le più erano state esigliate, i
-Ricci, gli Albizzi, i Barbadori, i Peruzzi, gli Strozzi, i Machiavelli,
-gli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini; spogli d’ogni credito i Pitti
-e i Capponi; e i due fratelli Medici teneano occhio perchè non si
-rialzassero. Fra le antiche feudali, era di tutte splendidissima quella
-dei Pazzi di val d’Arno, consorte già degli Ubaldini, degli Uberti, dei
-Tarlati e d’altri Ghibellini; dopo lunghe lotte colla Repubblica, era
-scesa in città e aveva giurato il comune; come le altre illustri era
-stata esclusa dal governo: ma a Cosmo era bastato l’accorgimento di
-non cozzarla, anzi la privilegiò di passare dai magnati fra’ plebei e
-quindi venir abile alle cariche, e sua nipote Nanina Bianca sorella di
-Lorenzo sposò a Guglielmo de’ Pazzi. Le dovizie acquistate col banco
-ch’era de’ più accreditati del mondo, e le clientele di quella casa,
-massime da che si fu imparentata co’ Borromei di San Miniato, davano
-sempre maggior ombra ai Medici; onde Lorenzo fece dalla balìa stanziare
-un regolamento che alterava l’ordine di successione in modo, che i
-Pazzi non potessero ereditare da essi Borromei. Se ne corrucciarono
-i Pazzi, e Francesco, uscito di patria, si pose a travagliare il
-suo banco a Roma, dove Sisto IV lo ricevette in grazia, lo costituì
-banchiere della santa Sede, e ne fomentò i rancori a danno dei Medici.
-
-Pertanto i Pazzi tramarono (1478) con Girolamo Riario e con Francesco
-Salviati, che dai Medici non erasi voluto ricevere arcivescovo di Pisa;
-e in Santa Maria del Fiore durante la messa di pasqua (26 aprile),
-al momento dell’elevazione assalsero i due principi. Giuliano resta
-ucciso, Lorenzo ferito si difende; Jacopo de’ Pazzi corre la città per
-ammutinare il popolo, ma questo, gridando _Palle, Palle_, dà addosso
-agli assassini e li trucida a furore, e i laceri brani porta infissi
-sulle picche per la città. Francesco de’ Pazzi, che nell’abbattere
-Giuliano erasi ferito da sè, fu tratto di letto, e in mezzo agl’insulti
-plebei appiccato: più di settanta cittadini furono o con egual violenza
-trucidati e sbranati, o coi successivi processi: l’arcivescovo di Pisa
-fu impeso alla finestra del palazzo, ove erasi condotto come sicuro
-d’insignorirsene: le istanze di Lorenzo camparono il Riario che cantava
-messa. Dubitandosi che il pugnale onde fu percosso Lorenzo fosse
-avvelenato, un Ridolfi si offrì a succhiarne la ferita. Poi corse voce
-tra la plebe che le pioggie, le quali non sapeano cessare, fossero un
-segno del cielo perchè Jacopo era stato sepolto in terra sacra, benchè
-sul morire si fosse dato al diavolo: onde per ordine della Signoria
-fu tratto la notte da Santa Croce, e sotterrato lungo la mura. Ma i
-fanciulli saputolo, andarono a dissepellirlo, e col capestro che aveva
-alla gola lo trascinarono per le vie, e bussavano alla porta di lui,
-dicendo aprissero al padrone; e continuarono lo strapazzo finchè la
-Signoria non mandò i famigli che lo buttarono in Arno, ove pure lungo
-tempo galleggiò. Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, era fuggito
-a Costantinopoli; eppure ivi stesso fu côlto e tradotto a Firenze, ove
-l’aspettava la forca.
-
-Per quanto i Fiorentini implorassero perdono dello avere messo le
-mani su persone sacre, e si sottomettessero alle comminate censure, il
-papa li colpì di una terribile bolla; e volendo per guerra aperta ciò
-ch’eragli fallito per tradimento, s’accordò a’ danni de’ Medici col re
-di Napoli.
-
-Il magnanimo Alfonso erasi destinato successore al trono di Napoli
-Ferdinando suo figlio naturale, e i Napoletani lo preferivano agli
-Aragonesi, eredi della Sicilia, perchè, non avendo altri dominj, non li
-renderebbe provincia di stranieri; d’altra parte, tenendo Alfonso quel
-trono per elezione, chi altro potea vantarvi diritti? Dal parlamento fu
-dunque riconosciuto (1458), e così dal papa; confidava negli Orsini,
-baroni potentissimi, di cui aveva sposato una figlia; pure il dominio
-gli fu controverso da molti competitori; la fazione degli Angioini
-rivisse, ed appoggiata dai Caldora, dai Sanseverino, dai principi
-di Rossano e di Taranto, chiamò di Francia (1461) Giovanni figlio di
-Renato, che al Sarno riportò insigne vittoria sopra Ferdinando.
-
-Grand’ajuto avea prestato agli Angioini il braccio di Jacopo Piccinino,
-figlio di Nicolò, che veduto Francesco Sforza divenire signore di
-Milano, erasi ostinato a volere anch’esso un dominio; e quando la
-pace di frà Simonetto pose quiete dappertutto, egli rizzò bandiera di
-ventura, e accolse quanti voleano ancora esercitare il valore senza
-badare al motivo. Tentò impadronirsi di Perugia e Bologna; respintone,
-si gettò sul Senese menando guasto, finchè il duca di Milano e il papa
-inviarono Roberto Sanseverino a reprimerlo; ma l’ottennero meglio col
-pagargli ventimila fiorini. Quando poi Sigismondo Malatesta, figlio
-di quel Pandolfo che dominò Bergamo e Brescia, voleva insignorirsi
-di Pesaro, e insidiava Federico di Montefeltro duca d’Urbino, contro
-di lui fu voltato il Piccinino, il quale sperperò la Romagna, fin
-centoquindici castella predando in pochi giorni, e in una sola
-cavalcata bottinando mille paja di buoi e cento uomini di taglia[121].
-
-Le costui imprese sarebbero da eroe se non fossero state da masnadiero.
-Come si ruppe guerra nel Napoletano, esitò con chi buttarsi, finchè
-accettò il soldo di Giovanni d’Angiò, e spinse i guasti fin sotto Roma.
-Ferdinando gli oppose Giorgio Castrioto, che con ottocento cavalli
-venne dall’Epiro a ripagare Ferdinando de’ soccorsi prestatigli da
-Alfonso (pag. 218), ma che comparve minore dell’aspettazione: — forse
-qui combatteva per la patria e per la fede? Meglio profittò Ferdinando
-col trarre di nuovo a sè i Sanseverino e gli Orsini, già ingelositi
-degli incrementi di Giovanni, e speranzosi di nuove ricompense; poi a
-liberarsi dal Piccinino, riverito come il miglior capitano superstite,
-lo soldò assegnandogli novantamila ducati l’anno e la condotta di
-tremila cavalli e cinquecento fanti e molti possessi. Avendolo
-Francesco Sforza, antico emulo suo, invitato a Milano a sposare
-sua figlia Drusiana, Ferdinando ne sollecitò il ritorno, l’accolse
-con grandi manifestazioni d’onore, ma pochi giorni dopo coltolo a
-tradimento, lo fece strangolare (1465 21 giugno). Con lui finiva la
-scuola braccesca[122].
-
-Giovanni d’Angiò più non potè che fuggire da un regno sempre infausto
-a casa sua; molti regnicoli passarono seco a guerreggiare in Francia
-e in Borgogna; e riprese le briglie, il re adoprò supplizj, confische,
-tradimenti, per umiliare i baroni[123]. Giannantonio Orsini principe di
-Taranto fra poco si trovò strangolato, dissero per opera di Ferdinando,
-il quale addusse un testamento che lo faceva erede di Bari, Otranto,
-Taranto, Altamura, d’un milione di fiorini in merci, cavalli, greggie,
-altri mobili, e quattromila uomini di buone truppe: colpo mortale alla
-fazione angioina. All’altro potentissimo Maria Marzano principe di
-Rossano, duca di Sessa e d’altre terre, Ferdinando promise sposa una
-figlia: poi quando, sotto l’ombra della pace conceduta, andò a caccia
-da quelle parti, chiese abbracciarlo, e avutolo a sè, l’inviò prigione
-a Napoli, e ne prese i figliuoli e gli Stati.
-
-Superbo, doppio, avaro, Ferdinando malignò a guastare la pace che
-in Italia durava dopo il 1454; col papa venne in urto per isminuire
-il censo dovuto dal Regno; poi con esso e colla repubblica di Siena
-cospirò per isvellere il dominio mediceo.
-
-Siena, antica emula di Firenze come ghibellina, si era poi mutata alla
-bandiera guelfa: ma se patria non sia, vien tedio a seguire le capiglie
-interne e le replicate minaccie ch’ebbe a soffrire da poderosi vicini
-o dai condottieri; fuori non esercitò mai grande efficacia, attesochè
-dentro era trassinata fra una plebe invida e inetta, ed un’oligarchia
-gelosa d’escludere le altre classi. I Monti, o vogliam dire gli
-ordini de’ gentiluomini, dei nove, dei dodici, dei riformatori, del
-popolo, la sbranavano, e l’uno prevalendo o l’altro, con alterne
-persecuzioni logoravano le forze, e scapitavano di potenza e d’onore.
-I gentiluomini, antichi proprietarj di tutto il terreno, prevalsi dal
-1240 al 77, furono esclusi dalle magistrature, restando fin al 1355
-superiore il Monte dei nove, in cui entrava una nobiltà popolana,
-d’antiche ricchezze: poi fino al 68 primeggiò il Monte dei dodici,
-cioè i ricchi mercanti; e fino all’84, quello dei riformatori: poi ora
-questo, ora il popolo, eleggendo tre priori ciascuno, ed escludendo i
-due primi, che restavano naturali nemici e sommovitori.
-
-Si appoggiò a loro il duca di Calabria figlio di re Ferdinando, cupido
-d’acquistarvi signoria; e indusse a cernire dai varj Monti un nuovo,
-detto degli aggregati, che solo ottenesse gli uffizj, gli altri tutti
-eliminando. Costoro non poteano cautelarsi che colla forza, e perciò
-stavano ligi al duca, e col padre suo presero parte a ruina di Lorenzo
-Medici. Dico di Lorenzo, perchè il papa, esclamando al sacrilegio
-d’avere appiccato un unto del Signore, mosse le truppe che già aveva
-allestite per secondare la congiura de’ Pazzi, e dichiarò guerra
-non alla repubblica, bensì a Lorenzo, _figlio di iniquità, alunno di
-perdizione_. Però i Fiorentini fecero comune la causa di lui; mandarono
-pel mondo un ragguaglio della congiura e le prove della complicità del
-papa, il quale non se ne scolpò; e protestarono contro la scomunica,
-appellando al futuro concilio. Trovarono ascolto, e molti principi
-minacciarono Sisto IV di disdirgli obbedienza se turbasse la Chiesa
-con una guerra senza giustizia: il re di Francia non solo sospese di
-inviare le annate, dacchè le vedeva destinate contro Cristiani non
-contro gl’Infedeli, ma minacciò aprire un concilio.
-
-Ecco dunque il papa al funesto bivio di revocare una sentenza appena
-proferita, spezzando da sè il bastone apostolico datogli per rompere
-i vasi inutili, e piegandosi alle minaccie secolari; ovvero ostinarsi
-in una guerra ingiusta. A questa si gittò Sisto, avendo accaparrati
-i migliori condottieri, intrigato a suscitare contro di Venezia e di
-Milano guerre, sollevazioni, perfino i Turchi, acciocchè quelle non
-potessero soccorrere Firenze.
-
-La quale, côlta dall’armi fra’ suoi studj pacifici, non vide miglior
-partito che soldare un capitano, e fu Ercole duca di Ferrara: ma poichè
-costui era genero di Ferdinando, se non la tradiva, menava fiaccamente
-le fazioni. Lorenzo, vedendo la città disanimarsi e ai timorati fare
-offesa l’interdetto, mentre i collegati avanzavano a gran passi, parve
-colla sua generosità voler dare risalto alla vigliaccheria di questi,
-e propose di avventurare sè solo, giacchè contra lui solo dicevansi
-armati. Parte dunque di Firenze (1479 7 xbre), lasciando una siffatta
-lettera alla Signoria: — Eccelsi signori, se io non v’ho altrimenti
-fatto noto la cagione di mia partita, non è stato per presunzione, ma
-perchè mi pare, negli affanni ne’ quali si trova la città nostra, si
-richiegga più il fare che ’l dire. Parendomi che cotesta città abbia
-desiderio e bisogno grandissimo di pace, e vedendo tutti gli altri
-partiti scarsi, m’è paruto meglio mettere me in qualche pericolo, che
-tenervi tutta la città. E però ho deliberato trasferirmi liberamente
-a Napoli; perchè, essendo io principalmente perseguitato da’ nemici
-nostri, potrei forse ancora essere cagione, andando nelle loro mani,
-di far rendere pace alla vostra città. Una delle due: o veramente la
-maestà del re ama cotesta città, come ha predicato, e non c’è miglior
-via a farne sperienza, che andar liberamente nelle sue mani. Se ha
-animo di occupare la nostra libertà, a me pare che sia bene intenderlo
-presto; e più tosto con danno d’uno, che di tutto il resto. Ed io
-son molto contento essere quello per due cagioni: la prima, perchè
-potrebb’essere che i nemici nostri non cerchino altro che ’l male
-solamente mio; l’altra che, avendo io nella città avuto più onore e
-condizione che alcun altro cittadino a’ dì nostri, giudico essere più
-obbligato che tutti gli altri ad operare per la patria mia, fino a
-mettere la vita. Forse Iddio vuole che, come questa guerra cominciò col
-sangue di mio fratello e mio, così ancora finisca per le mie mani; ed
-io desidero solo che la vita e la morte, e ’l male e ’l bene mio sia
-benefizio della città. Che se gli avversarj non vogliono altro che me,
-mi avranno liberamente nelle mani: se vogliono altro, s’intenderà, ed a
-me pare essere certo che tutti i nostri cittadini si disporranno alla
-difesa della libertà come sempre hanno fatto i padri nostri. Vommene
-con questa buona disposizione, e senza alcun altro rispetto che del
-bene della città; e prego Iddio mi dia grazia di fare quello ch’è
-obbligato ciascun cittadino per la sua patria».
-
-Si presentò di fatto a Ferdinando (1480), il quale lo ricevette con
-solenni dimostrazioni; e tocco da tale fiducia, o forse persuaso
-da quanto esso gli espose intorno alle vendette che i Fiorentini
-potrebbero fare chiamando in Italia il re di Francia, erede delle
-ragioni di casa d’Angiò sul trono di Napoli, patteggiò la pace,
-restituendo a Firenze tutti i luoghi presi. I Veneziani che s’erano
-chiariti per Lorenzo, si trovarono allora soli esposti alle armi
-nemiche; sicchè esclamandosi traditi, non aborrirono dall’eccitare i
-Turchi a ricuperare le terre italiane, dipendenti in antico dall’Impero
-orientale. Il gran visir Acmet Breche-Dente dalla Vallona sbarcò
-(agosto) presso Otranto (pag. 231), e mandatala a sacco e sangue, e
-lasciatavi forte guarnigione, andò a raccogliere altre forze. Tutta
-Italia ne sbigottì: il papa accingevasi a fuggir oltremonte, mentre
-consentiva alla pace coi Fiorentini ed eccitava gl’italiani all’arme,
-abbandonando l’ambìta Siena. In fatto Alfonso di Calabria assalì
-vigorosamente Otranto, la cui guarnigione, perduta la fiducia di nuovi
-soccorsi alla morte di Maometto II, capitolò (1481).
-
-La qual morte restituì baldanza ai principi cristiani, quasi con lui
-cessasse ogni pericolo; e invece di unirsi cogli altri potentati
-d’Italia per assicurarla dai Turchi, ed assalirli intanto che li
-snervava la discordia tra’ figliuoli di Maometto, e che tutti i nostri
-soldati, incaloriti dalla vittoria, gridavano A _Costantinopoli_, re
-Ferdinando prende per sè tutte le armi e l’artiglieria, e si vendica
-de’ Veneziani eccitando Ercole d’Este duca di Ferrara suo genero ad
-impacciare il commercio di quelli sul Po. Così passioni malevole e
-basse conciliano alleanze o infocano nimicizie.
-
-I dominj del duca di Ferrara faceano gola al papa non meno che a
-Venezia, attesa la loro situazione. Venezia si doleva che Ercole
-tirasse il sale da Comacchio, e impedisse il Po a quello de’ Veneziani,
-i quali ne tolsero motivo di dichiarargli guerra, prendendo capitani
-(1484) Roberto Sanseverino, Roberto Malatesta, il marchese Gonzaga, i
-conti Rossi di Parma e Torelli di Guastalla, altri de’ Fieschi e de’
-Frangipani. Il papa fa causa con loro; e perchè Ferdinando non spedisca
-soccorsi a suo genero, arma nelle Marche.
-
-Tutta Italia fu arruffata da questo miserabile piato. Col duca
-stavano Federico di Montefeltro e i Milanesi, e sedici savj di guerra
-dirigevano le mosse; fazioni si mescolarono ad assedj e saccheggi;
-le truppe di Ferdinando disputaronsi i Polesini del Po, ed ebbero a
-soccombere al clima: ma in quel bollimento generale neppure una giusta
-battaglia fu combattuta. Il papa aveva blandito Venezia soltanto per
-farla stromento alle nepotesche ambizioni; e quando vide poter meglio
-soddisfare coll’abbandonarla, fermò il piede col re di Napoli e col
-duca di Ferrara, e pose Venezia all’interdetto, come turbatrice della
-quiete d’Italia, e insidiatrice di Ferrara, dovuta alla santa Sede.
-Venezia, non badando alla condanna, ordina si continuino i riti,
-ed appella al futuro concilio; e la guerra è proseguita con ingenti
-sacrifizj e reciproci disastri[124].
-
-Finalmente si arrivò alla pace di Bagnólo (1484 7 agosto), nella quale
-Venezia cedeva il conquistato e ricuperava il perduto e i diritti di
-navigazione sul Po, il Polesine di Rovigo, la privativa del sale: il
-duca di Ferrara dovea rinunziare ai primitivi possessi della famiglia
-d’Este: i Rossi, conti di San Secondo, perdeano tutti i dominj: nulla
-aveva potuto il papa guadagnare pe’ nipoti suoi. Il trattato stesso
-costituiva una lega italiana a comune difesa, de’ cui eserciti sarebbe
-capitano Roberto Sanseverino, con diecimila ducati annui dal papa,
-altrettanti dal re di Napoli, cinquantamila da Venezia e così dal
-duca di Milano, diecimila da Firenze, e dai duchi di Ferrara, Modena e
-Reggio.
-
-Questo trattato segna un’êra nuova nella storia patria. Quando nel 1453
-Nicolò V pacificava la penisola onde opporla ai Musulmani, si fece il
-primo atto di concordia fra i potentati italiani. Poi nel 1470 Milano,
-Napoli, Firenze, Roma s’alleavano contro il soverchiare di Venezia,
-la quale unendosi poi a loro, costituiva una lega generale. Ora ecco
-di nuovo l’Italia alleata contro Venezia, e finirsi con una generale
-federazione. L’atto mostrasi come opera di pacificazione e di progresso
-nazionale, come il termine d’infinite rivoluzioni. È necessità
-di natura (vi è detto) cominciar dal male, dai disordini, dallo
-scandalo; ma è legge di ragione arrivare alla concordia che nutrisce
-la tranquillità, genera il ben essere, moltiplica i popoli, crea
-l’abbondanza, propaga l’umanità. A tal uopo le potenze si perdonano i
-danni e le guerre, _in qual sia modo fatte_, le rapine, gl’incendj, le
-uccisioni, e senza frode o reticenza o cavillo giurano perpetua pace,
-confederazione, unione e lega. Ogni memoria di Guelfi o Ghibellini
-è abolita, dacchè si uniscono senza badare a origine o a storia;
-promettendo al papa non dar mano ai baroni del suo paese, riconoscono
-l’indipendenza degli Stati; assoldando un capitano comune vengono a
-stabilire la base di tutte le federazioni, cioè che tutti i confederati
-formano uno Stato solo contro il nemico, pur rimanendo distinti e
-sovrani ciascuno; ma senza aspirare ad una matematica eguaglianza fra
-loro, giacchè la somma da contribuire proporzionavano all’estensione
-geografica. Il fatto irregolare ma storico della loro vicinanza vien
-dunque dagli Stati italiani sottomesso a idee chiare; e se non tutta
-Italia v’era compresa, se riservavasi _protocollo aperto_ al re di
-Castiglia, è notevole però che dell’imperatore non si far pur cenno, e
-il papa v’è considerato come un semplice signore; sepellendo così sotto
-la concordia federale i due eterni fomiti delle disunioni. Fosse stato
-per sempre!
-
-La pacificazione d’Italia forse accelerò la morte (13 agosto) di quel
-che sempre l’avea turbata, Sisto IV; «e fu (dice Machiavelli) il primo
-che cominciasse a mostrare quanto un pontefice poteva, e come molte
-cose chiamate per l’addietro errori, si potevano sotto la pontificale
-autorità nascondere. Questo modo di procedere ambizioso lo fece più dai
-principi d’Italia _stimare_, e ciascuno cercò di farselo amico». Mai
-non si era così indegnamente trafficato nella curia: ne dichiarò venali
-le cariche pubblicandone la tariffa; cercò guadagno dal distribuire i
-benefizj e la porpora; mercatò di perdonanze; da’ sudditi smunse quanto
-potè, e massime col fare incetta, poi procurare carestie artefatte
-fissando egli stesso il prezzo, o mandandone fuori quando il potesse
-a vantaggio, e traendone del cattivo pe’ suoi. Qualche volta piacevasi
-vedere i soldati duellar fino a morte, e le scalee di San Pietro ebbero
-a contaminarsi di sangue.
-
-Appena Sisto spira, amareggiato dai falliti disegni, il palazzo de’
-suoi nepoti è demolito, saccheggiati i pieni granaj; i Colonna, da
-lui perseguitati, rientrano, e si mantengono coll’armi alla mano. I
-cardinali si sforzarono di ovviare nuovi disordini collo stabilire
-per capitolazione, il papa non potesse nominare più che un cardinale
-della propria famiglia, governasse di concerto col sacro collegio,
-e massime per alienare feudi della Chiesa dovesse ottenere due terzi
-dei voti: ma meglio di questi sempre elusi ripieghi avrebbe giovato il
-determinarsi ad una buona scelta. Fu detto che promettendo a ciascun
-cardinale pingui posti e l’entrata di quattromila fiorini, ne ottenesse
-i voti Giambattista Cybo genovese, che assunse il nome d’Innocenzo
-VIII, e che le pasquinate dissero, a ragione chiamarsi padre,
-poichè aveva sette figli naturali. Per questi legami e per debolezza
-lasciavasi menare da indegni favoriti, che s’abbandonavano a sfrontata
-venalità: Franceschetto Cybo s’impinguava col concedere impunità fino
-ai masnadieri, di cui Roma era divenuta tana; di che il suo cameriere
-con indegna celia lo scagionava dicendo che Dio non vuol la morte del
-peccatore, ma che paghi e viva. Costui, che fu lo stipite dei duchi di
-Massa e Carrara, consigliò il papa a creare una quantità d’impieghi,
-per venderli caro a persone, le quali poi si rintegravano col far
-mercato delle grazie apostoliche. Alcuni scrivani falsarono anche bolle
-ed assoluzioni preventive per ogni sorta disordini: scoperti, furono
-condannati a morte: si esibì pel loro riscatto cinquemila ducati, ma
-pretendendosene sei, e non potendo trovarli, salirono al patibolo[125].
-
-Non si dimentichi che questi aneddoti ci vengono da impurissima
-fonte, come sono le ciancie d’anticamera, e le impudenze d’una cronaca
-scandalosa; dalla quale si raccorrebbe perfino che colla trasfusione
-del sangue di tre fanciulli tentasse Innocenzo prolungare la vita,
-che i predecessori suoi versavano con santa generosità. Questo
-deterioramento de’ pontefici doveva giustificare il flagello che già
-fischiava in aria.
-
-Le _prammatiche_ di re Ferdinando aveano principale scopo il
-reprimere i baroni, proibendo esigessero dai vassalli oltre quello
-che permettevano le costituzioni, nè gl’impedissero di vendere i
-possessi a piacere; sottoposti tutti i beni all’estimo; ai magistrati
-regj concesso di procedere d’uffizio in ogni misfatto, anche senza
-querela della parte offesa; perseguitare i masnadieri e gli usurai in
-qualsifosse luogo. Tale robustezza s’addiceva a tempi, in cui per tutta
-Europa i re accentravano l’autorità pubblica, sparpagliata da prima;
-ma rendeva Ferdinando esoso ai baroni, mentre a tutti spiacevano le
-sue crudeltà nel punire, e l’avarizia esercitata con sozzi monopolj,
-coll’accaparrare l’olio e il grano per rivenderli cari, col dare ai
-villani de’ majali da ingrassare.
-
-Peggio esacerbavano i fieri portamenti di suo figlio Alfonso di
-Calabria. Costui (1485) fa proditoriamente arrestare Pietro Lallo
-conte di Montorio, la cui famiglia da un secolo tenea il primato in
-Aquila, ed occupa questa città. Essa lo caccia a furia, e si esibisce
-ad Innocenzo VIII, col quale si collegano i principali baroni come a
-signore sovrano del regno, ed a Ferdinando espongono i loro richiami,
-e chiedono di non dover comparire in persona ai parlamenti, temendo
-esservi presi e morti come i loro compagni; potere armar gente a difesa
-dei proprj distretti, e mettersi al soldo di qualunque potenza non
-fosse in guerra col re; questo non gravasse di straordinarie imposte
-i loro vassalli, nè vi ponesse a quartiere le sue truppe. Ferdinando
-finse darvi ascolto per guadagnar tempo e sconnetterli; ma essi,
-accortisi del tranello, e risoluti di non cadere sotto all’aborrito
-Alfonso, alzan bandiera papale in aperta rivolta: i Sanseverino, i
-Del Balzo, gli Acquaviva, molti conti e principi e cavalieri, tra
-cui il grand’ammiraglio, il gran siniscalco, il gran connestabile,
-li secondano; il conte di Sarno, nobile antichissimo eppur dato ai
-traffici con tanto utile che il re medesimo volle entrar seco in
-società; Antonello Petrucci, che pe’ suoi talenti divenuto secretario
-regio, accumulò onori e ricchezze e collocò altamente tutti i
-figliuoli.
-
-Ma i potentati vicini in cui fidavano, rimangono indifferenti od
-ostili; il duca di Lorena, erede delle pretensioni angioine, che avea
-promesso venire a soccorrerli, non giunge; Roberto Sanseverino valoroso
-condottiero, messosi con loro, è sconfitto; Innocenzo VIII, che forse
-gli aveva sobillati, si riconcilia con Ferdinando. Costretti a impetrar
-pace, ottengono piena perdonanza dal re, il quale (1487) lascia al papa
-Aquila ed i baroni che gli avevano fatto omaggio. Il trattato ebbe la
-garanzia del papa, del re di Spagna, del re di Sicilia; eppure era un
-lacciuolo. Appena i baroni ebbero deposte le armi, Ferdinando sollecitò
-le nozze del figliuolo del conte di Sarno con una sua nipote, e tra le
-feste e i balli fece arrestare lo sposo, il padre, il Petrucci e molti
-baroni; poi, volendo quelle apparenze di giustizia che colà si sanno
-troppo simulare, nominò una giunta e quattro pari, che li condannarono
-a morte. E fu eseguita inesorabilmente; al fisco i loro beni,
-perseguitati gli aderenti e uccisi chi in segreto, chi in pubblico,
-nemmanco perdonando i fanciulli; appena la Bandella Gaetana potè fra
-romanzeschi pericoli salvare i suoi figli, principi di Bisignano.
-
-In secolo di tante perfidie questa rimase più famosamente esecrata;
-e benchè Ferdinando mandasse a stampa il processo de’ baroni, non
-risonava che un concerto di maledizioni. Innocenzo, cui egli ritolse
-Aquila e ricusò il tributo promesso, lo proferì decaduto, e invitò
-a quel trono Carlo VIII di Francia; principio di nuovi disastri
-all’Italia.
-
-A Firenze la congiura de’ Pazzi, come avviene dei tentativi falliti,
-crebbe potere a Lorenzo, e più quando riuscì ad una pace, indarno a
-lungo, maneggiata da consiglieri e ambasciatori. Cosmo avea provato
-tutti i guaj e pochi frutti della dominazione, perchè nuova, e perchè
-capo d’una fazione irrequieta, il diriger la quale gli costò più
-che non il vincere l’avversa. Anche a suo figlio riuscivano impaccio
-quei che pareano sostegni. Ma il pericolo di Lorenzo eccitò quella
-devozione, ch’è singolare avviamento alle signorie smisurate; e gli
-fu conferita autorità principesca, ch’egli adoprò a consolidare la sua
-famiglia, non più col violare la costituzione, ma col fortificarla.
-
-Diciassette riformatori ridussero a metà il tre per cento che pagavasi
-pel debito pubblico, espediente che campò lo Stato dal fallire. Lorenzo
-stesso, imputato di riparare col pubblico denaro le perdite al suo
-privato cagionate dal lusso e dalla dissipazione de’ suoi agenti, non
-trovò più decoroso il continuare i traffici, e ritirati i capitali,
-gli investì in terreni: col quale espediente separò i proprj negozj
-da quelli dei cittadini, che quasi interesse proprio aveano sostenuto
-i suoi padri. Creò l’ultima balìa per istituire una magistratura
-legislativa, di cui sin allora aveasi mancanza, e che dovea formarsi
-di settanta membri e de’ gonfalonieri che man mano uscivano di carica,
-ed essere consultata sopra tutti gli affari pubblici prima che gli
-altri collegi deliberassero, nominare agli impieghi, amministrare il
-tesoro. Così lasciava sussistere le forme repubblicane, ma se le facea
-stromento al dominare. I settanta condussero il governo con quiete
-e gloria, ma dipendente all’intuito dal principe, il quale avendo a
-spendere ben poco ne’ magistrati, volgeva il denaro ai vantaggi suoi
-domestici, e a sedurre, comprare o ammollire gli antichi repubblicani,
-predisponendoli alla servitù de’ suoi successori. Sebbene però il
-governo allora introdotto fosse tutto materiale e di speculazione,
-Firenze n’ebbe la pace di cui tanto avea mestieri, e considerò quello
-come il tempo suo più lieto: solita ventura de’ governi che succedono
-a lunghi turbamenti, e a cui i popoli fanno merito del male che non
-commettono.
-
-Ormai tutta Toscana obbediva a Firenze, a patti o a forza essendosi,
-da Siena in fuori, assoggettate le città e le signorie (pag. 244).
-Pietrasanta, posseduta dal banco genovese di San Giorgio, fu ripigliata
-dai Fiorentini nel 1484. Antonio Pucci, commissario di quella guerra,
-insisteva presso il capitano perchè desse la battaglia; e questo
-«dimostrava molte difficoltà’, e che vi si farebbe una beccheria
-d’uomini. Il Pucci, veduta la sua pusillanimità o malizia, fece un
-colpo da savio, e disse: _Orsù, capitano, datemi la vostra corazza, ed
-io andrò a dare battaglia, e voi rimarrete con questi altri commissarj
-a provvedere il bisogno_. Tali parole furono dette con tanta efficacia,
-che il governatore si vergognò e, _Io v’ho detto il parer mio; niente
-di meno farò il vostro_; e così dettono una grandissima battaglia,
-in modo vi morì di molta brigata, e feriti da ogni banda. Di che il
-Pucci usò un altro colpo di savio, accompagnato colla carità: che
-andò, e fece rassettare tutti i feriti, e andogli a visitare e seco
-il medico, e raccomandarli loro, e baciavali e commendavali, e seco
-anche il cancelliere con denari, e diceva: _Orsù, fratelli, chi ha
-bisogno di denari lo dica_; e davane loro e confortavali che non
-temessino di niente. Quelle parole e fatti furono di tal efficacia
-appresso a’ feriti come a’ sani, che si sariano buttati per marzocco
-nel fuoco; e parea loro mill’anni si desse l’altra battaglia. E come si
-dette, aveano dimenticato i pericoli, e mai si spiccarono che presero
-Pietrasanta: e se passava quindici giorni, bisognava levarsi da campo
-con vergogna e danno» (CAMBI).
-
-Nell’87 si ricuperò Sarzana, stata tolta dai Fregosi. Volterra,
-sollevatasi nel 49, fu punita; poi essendosi nel 72 scoperta una ricca
-allumiera a Castelnuovo, i cittadini ne pretendeano la proprietà, e
-negata, si ribellarono. I Fiorentini mandarono Federico d’Urbino, che,
-assediata la città, la ridusse a capitolare: ma mentre se ne trattava,
-un Veneziano nascostamente introdusse i soldati, che si buttarono al
-sacco, invano trattenuti dal conte d’Urbino, che fece anche impiccare
-il Veneziano. Così Volterra tornò ai Fiorentini, non più come alleata
-ma suddita, senza privilegi, e tenuta in senno dalla torre del Maschio,
-una delle peggiori prigioni di Stato.
-
-Lorenzo frametteasi alle quistioni politiche d’Italia, e spesso
-opportunamente; per esso gli Estensi ottennero la pace di Bagnolo che
-li salvò; per esso gli Aragonesi la quiete dopo la congiura de’ baroni;
-per esso Innocenzo VIII la sommessione di Bocolino de’ Gozoni, che,
-sollevata Osimo, invitava i Turchi a sostenerlo; per esso fu all’Italia
-ritardata l’invasione dei Francesi, inuzzoliti dalla chiamata di Sisto
-IV. Era egli stato educato squisitamente da Cristoforo Landino, dal
-greco Giovanni Argiropulo, da Marsilio Ficino, e dalla propria madre
-Lucrezia Tornabuoni, protettrice e intelligente delle lettere. Vi unì
-abilità in tutti gli esercizj del corpo; e il torneo, dove giovinetti
-armeggiarono esso e il fratello, eccitò il Poliziano a comporre le
-più belle ottave che ancor si fossero udite. Educava egli stesso
-domesticamente i suoi figliuoli[126], e come d’erudizione, così era
-pieno d’arguzie; e motti e burle di lui abbondano nelle raccolte di
-quel tempo.
-
-Venuto poi a capo dello Stato, meritò il titolo di Magnifico per lo
-splendore onde tenne corte; chè corte veramente potea dirsi dacchè era
-trattato alla pari dai principi, sebbene non portasse titolo. Faceasi
-talora incaricare dai Fiorentini della esecuzione di qualche opera
-utile, che egli stesso avea suggerita, e dove metteva del proprio. Le
-case antiche, un tempo pari alla medicea, per quanto ricche e numerose,
-più non comparivano che da suddite. Ridotti uniformi i voleri, segreti
-i consigli, arbitraria la erogazione del pubblico denaro, accomodata
-la città di nuove vie, e fortificatala contro i nemici, potè volgersi
-alla politica esteriore, e tener le bilancie d’Italia in modo, che gli
-stranieri non vi prevalessero.
-
-So che, quanto fu stile l’esaltarlo durante la dominazione de’ Medici,
-così il denigrarlo sotto gli Austriaci, e più dai moderni come autore
-della susseguita servitù. Chi negherà ch’e’ vi trovasse preparato
-il paese? e che libertà era quella, dove i cittadini migliori erano
-stati proscritti? La nuova generazione avea perduto quel sentimento
-del vivere franco e del concorrere al governo e al ben della patria,
-ch’era parso felicità ai loro maggiori. Tra siffatti è agevole a
-pochi sommovitori il turbare la quiete col pretesto della libertà; e
-il reprimerli è dovere d’un capo restauratore. Un Frescobaldi tramò
-d’uccidere Lorenzo, e fu mandato alla forca; Baldinotto Baldinotti
-il tentò pure, e fu col figlio trascinato per le vie di Pistoja; e il
-popolo, non che irritarsene, applaudì.
-
-Siccome Augusto, adoperò a restituire i Fiorentini dalla vita pubblica
-alla domestica, ma non trascese le condizioni di primo cittadino di
-paese libero. L’ambizione di lui dovea pur restare lusingata allorchè,
-dall’alto della sua villa, osservava questa città, bellissima di
-antiche e nuove grandezze, dove Arnolfo, l’Orcagna, Masaccio aveano
-insignemente attestato il risorgere delle arti, e Brunelleschi
-fabbricato Santo Spirito, la più bella delle chiese, preparato nel
-palazzo Pitti una futura reggia, e lanciata la meravigliosa cupola
-della cattedrale, a cui la cedeva appena Santa Croce; Santa Maria
-Novella appariva ornata e vaga come una sposa; San Lorenzo era stato
-finito da Cosmo con quarantamila fiorini; con trentaseimila quel
-convento di San Marco, nel quale già predicava una voce potente, che
-fra poco dovea diventare formidabile. Contemplarla, e poter dire, —
-Questa città è mia!» Vero è bene che Lorenzo udiva ancora fremiti
-e minaccie repubblicane; ma li soffogava sotto i canti delle muse
-ammansate e lo splendore delle arti belle e delle utili.
-
-Allora «i giovani, più sciolti dell’usitato, in vestiri, in conviti,
-in altre simili lascivie oltremodo spendeano; ed essendo oziosi,
-in giuochi ed in femmine il tempo e le sostanze consumavano; e
-gli studj loro erano apparire col vestire splendidi e col parlare
-sagaci e astuti, e quello che più destramente mordeva gli altri,
-era più savio e da più stimato» (MACHIAVELLI). Esso Lorenzo con
-pompose mascherate offriva esercizio a pittori, a poeti, a musici,
-ad artieri, e distrazione al vulgo; imitava il parlare contadinesco
-nelle graziosissime stanze della _Nencia da Barberino_; nei _Beoni_,
-contraffacendo Dante, mordeva i compagnoni del suo tempo, e dava il
-modello delle satire in terza rima; nel teatro rinnovato chiamava
-ad applaudire all’_Orfeo_ del Poliziano, reminiscenza classica, ed a
-_misteri_ da lui stesso composti, prolungazione del medioevo. L’Ombrone
-porta via l’isola Ambra, ch’egli aveva ornata d’ogni piacevolezza?
-Lorenzo ne canta l’innamoramento d’un Dio e la metamorfosi, colla
-facilità di Ovidio. Dai suoi scritti trapelano l’amore dell’indagine
-filosofica, la vaghezza della vita casalinga e campestre, lontana
-dalle brighe e dalle noje del comando. Nuovi fiori avea trapiantati
-dall’Oriente alla sua villa di Careggi, bufali d’India vi ruminavano
-erbe insolite[127]; e benchè l’esservi già per tutto mecenati, scuole,
-biblioteche, non rendesse più così necessario ed insigne il favorire le
-lettere come sotto Cosmo, pure Lorenzo cercava libri dappertutto[128],
-fin a dire — Vorrei me n’offrissero tanti, che dovessi impegnare
-i miei mobili per comprarli»; e avrebbe bramato che a Pico, che al
-Poliziano, che agli altri amici nulla mancasse nella sua biblioteca
-di quanto occorreva all’erudizione loro o alla curiosità. Ebbe un
-orologio astronomico ingegnosissimo: fece porre in Santa Maria del
-Fiore un busto di Giotto, e un mausoleo a Filippo Lippi, giacchè gli
-Spoletini non gliene vollero cedere le ossa. La raccolta di sculture
-antiche, cominciata dal Donatello, e che alla morte di Cosmo fu
-stimata ventottomila fiorini, egli crebbe e dispose ne’ giardini
-perchè servisse di scuola a giovani, che stipendiava o donava acciocchè
-coltivassero le arti, uno de’ quali fu Michelangelo Buonarroti, di cui
-indovinò e coltivò il genio volendoselo compagno e commensale. Quella
-corona di dotti fiorì lo studio di Pisa da lui aperto il 1472, e a gara
-esaltò Lorenzo ai contemporanei ed agli avvenire, sin a farlo credere
-un grand’uomo[129].
-
-Addolorato del corpo, lasciava gli affari ai figli Giuliano e
-Pietro; mentre vedeva straccarico di benefizj ecclesiastici, e a soli
-quattordici anni vestito cardinale l’altro, che poi doveva essere Leone
-X. Alla campagna o ai bagni di Siena e della Porretta alleviava la noja
-e gli spasimi colle erudite adunanze, dove il Ficino gli parlava di
-Platone; il Landino, il Merula, il Leoniceno, il Calderino, d’Orazio,
-di Virgilio, d’Ovidio; il Pulci lo spassava col recitargli le lepide
-avventure degli eroi. Subì la comune sorte a soli quarantaquattro anni
-(1492); «nè morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia
-con tanta fama di prudenza, nè che tanto alla sua patria dolesse»
-(MACHIAVELLI). Il gonfaloniere della repubblica si vestì di bruno; il
-papa e i principi mandarono ambasciadori a condolersene colla patria,
-come di pubblico lutto.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXI.
-
-Gli eruditi.
-
-
-Non potremmo meglio che dal nome dei Medici principiar a discorrere dei
-dotti di quel tempo. I quali da taluni sono vantati come dirozzatori
-dell’Italia e dell’Europa, da altri accusati d’aver traviato la coltura
-originale, e precorso a que’ pedanti, che sempre dappoi imbrattarono il
-nostro paese, surrogando allo studio delle cose lo studio delle parole.
-Chi non conosce progresso se non nel tornare indietro, nè bellezza se
-non nell’imitazione dell’antico, dovette professare che, come i Greci
-l’aveano anticamente dirozzata, così l’Italia dovesse a loro anche il
-risorgimento moderno. I nostri lettori si rassegneranno essi a credere
-che la patria di Dante deve la sua coltura ai lotolenti grammatici
-fuggiti da Costantinopoli?
-
-Per quanto il sangue e la civiltà slava si fossero trasfusi
-nell’ellenica, i cittadini di Costantinopoli parlavano ancora la lingua
-in cui Pindaro e Anacreonte aveano cantato, arringato Demostene e san
-Giovanni Crisostomo. Con quanto profitto non avrebbero dunque potuto
-applicarla alla intelligenza de’ classici, che tutti possedevano?
-tanto più che il clero, non cacciato ai governi e alle guerre come il
-feudale d’Europa, poteva requiare nelle lettere e nell’istruzione; e
-che la sottigliezza della discussione filosofica e teologica portava a
-scrupoleggiare sulla parola.
-
-Ma la parola e null’altro essi curarono; dagli autori profani li
-sviavano le dispute di scuola; e in generale custodivano la letteratura
-classica come scienza morta; unico merito valutavano l’erudizione,
-unica sapienza il ricordare. La fredda analisi loro, la critica
-ciarliera, impertinente, sterile, non produssero verun’opera che
-meritasse la posterità; sempre terra terra, limitandosi a raccogliere,
-commentare, postillare, compilare, strepitare, prendendo la pazienza
-per talento, la memoria per giudizio. Nella nuova efflorescenza che
-ebbero in Italia, qual fu mai che trovasse, anzi neppur cercasse i
-mezzi per cui tante bellezze erano state prodotte? o i capolavori
-presentasse col confronto di fatti e d’uomini, coll’influenza dei
-tempi, col mutuo coadjuvarsi dell’azione e del pensiero?
-
-In modo ben più franco aveva esordito la letteratura italiana; e
-la vedemmo lanciarsi gigante, bisognosa di originalità, s’una via
-propria, non segregata, pure distinta dall’antica. Ma poco vi durò; e
-invaghitasi degli antichi autori, non solo credette migliore ciò che
-a quelli maggiormente s’accostasse, ma barbaro ciò che ne differisse;
-la spontaneità bizzarra e scorretta rinnegò per un gusto severo e
-canonico; l’entusiasmo dell’erudizione soffogò quell’originalità,
-che non può rinvenirsi se non in verità nuove vivamente sentite e
-naturalmente espresse nella lingua di tutti.
-
-Il vago sentimento di ammirazione pei grandi nomi dell’antichità
-classica mai non era venuto meno in Italia, e Dante l’avea consacrato
-col farsi guidare da Virgilio a vedere il regno delle ombre, e col
-professare di aver dedotto da lui lo bello stile. Esso Dante però quasi
-solo di nome conobbe i classici; ma Petrarca e Boccaccio aveano sudato
-a resuscitare la letteratura antica; e se il loro gusto certamente ne
-restò raffinato, è a deplorare il Petrarca s’aspettasse immortalità dai
-versi latini, e il Boccaccio introducesse un periodare esotico; donde
-si ebbe un’altra fonte del linguaggio, l’imitazione de’ classici. Il
-latino del Petrarca, comunque scorrevole, tien troppo del medioevo;
-più disavvenente è quello del Boccaccio, che nelle etimologie greche
-vagella, sino a formare un nuovo dio Demogorgone.
-
-Albertino Mussato, Giovan da Cermenate notajo milanese, il Ferreto
-storico degli Scaligeri, diedero opera a sfangare la lingua latina.
-Felice Osio postillò passo passo la storia del Mussato, rivelando quel
-che imitò da Simmaco, da Macrobio, da Sidonio, da Lattanzio, tanto che
-a sedici linee d’originale sottopose ottantasei di note, singolare
-documento della cura che cominciavasi a mettere allo stile: ma chi
-sostenne l’improba fatica del leggerle, ne arguì che gli autori della
-bassa latinità erano studiati più che non Livio e Cicerone.
-
-Qui non era mancato mai chi conoscesse il greco, se non altro come
-lingua liturgica ne’ pontificali di Roma e nell’ordinaria uffiziatura
-de’ monaci di San Basilio; e a tacer l’uso che dovettero farne le città
-commerciali, il vescovo Liutprando da Cremona affetta di lardellarne la
-sua legazione; Gunzo cherico da Novara, in una disputa grammaticale coi
-monaci di San Gallo nel X secolo, cita perfino il testo dell’Iliade;
-poi di proposito fu tolto a studiare il greco quando si trattò del
-riconciliare la Chiesa orientale colla nostra. Dal monaco calabrese
-Barlaam, venuto da Costantinopoli ambasciatore, ricevette lezioni il
-Petrarca senza grande profitto. Leonzio Filato, patrioto e scolaro di
-quello, ebbe in Firenze tavola e quartiere dal Boccaccio, che l’impegnò
-a tradurre Omero, tirandone di Levante un esemplare a grande spesa;
-poi fece per lui dai Fiorentini istituire la prima cattedra di quella
-lingua. Con maggior fortuna dettò colà e altrove Manuele Crisolara,
-venuto nunzio dell’imperatore Manuele. Ambrogio camaldolese, al
-principio del 1400, trovava in Mantova fanciulli e fanciulle istruiti
-nel greco, tra cui la figliuola del marchese, di otto anni. Giovanni
-Aurispa siciliano portò di Grecia ducentrentotto manoscritti, e ne
-insegnò la lingua in molte città, servì di secretario ad Eugenio IV,
-e finì la vita a Ferrara sotto la protezione degli Estensi. Gregorio
-da Tiferno napoletano nel 1458 domandò e ottenne la prima cattedra di
-greco all’Università di Parigi, con cento scudi d’assegno.
-
-Una folata di Greci qui trasse, man mano che le loro patrie cadevano a’
-Musulmani, quali Teodoro Gaza di Tessalónica, Giorgio da Trebisonda,
-Giovanni Argiropulo, Demetrio Calcóndila, Giovanni Láscari prosapia
-reale. Altro viatico non portando che la cognizione dei classici,
-ne esageravano l’importanza, dichiarando barbaro ciò che a quelli
-non somigliasse; onde il secolo delle creazioni fece luogo a quello
-de’ retori e grammatici, e, come al fine dell’Impero romano, non
-s’immaginava possibile il fare alcuna cosa bella diversamente dai
-classici.
-
-Gente di maggior conto era venuta al concilio di Firenze; e il
-Bessarione, abbandonato lo scisma e nominato cardinale, qui accolse
-Greci avveniticci, e ravvivò l’amore per Platone. Questo filosofo fu
-letto in Firenze da Giorgio Gemistio Pletone (1400) peloponnesiaco,
-che dedito affatto alla scuola alessandrina, eclettica tra il vangelo
-e i filosofi antichi, proclama la morale dell’Accademia, la politica
-di Sparta, fin la personificazione simbolica degli attributi di Dio
-nelle divinità dell’Olimpo. Nel libro _De platonicæ atque aristotelicæ
-philosophiæ differentia_ versando beffe sopra Aristotele, accannì gli
-ammiratori di questo, e principalmente Teodoro Gaza e Genadio, il quale
-considerava i Platonici d’allora come anticristiani. Il Bessarione
-assunto arbitro, mostrò che Pletone eccedeva: ma Giorgio da Trebisonda,
-abborracciatore di traduzioni, gli avventò uno sconcio libercolo,
-flagellando Platone fin a posporlo a Maometto come legislatore, ed
-imputare ad esso tutti i vizj, alla sua scuola tutte le sciagure. E di
-qua e di là s’infervoravano, liti strepitose fra tant’altro strepito:
-ma gl’Italiani, l’avesser letto o no, propendevano per Platone.
-
-Marsiglio Ficino, figlio d’un medico di Firenze, l’avea tradotto in
-latino chiaro, con fedeltà mirabile pel tempo, e tanta da ajutare
-a supplir qualche lacuna dove l’originale andò perduto. Più oscuro
-riesce nel tradur Plotino perchè tale è il testo, e perchè il Ficino
-aveva acquistato con quel misticismo una famigliarità ch’è di ben
-pochi. Sopra quei modelli dettò poi una teologia dell’immortalità,
-asserendo l’affinità della scienza colla religione. Perocchè la
-gara di scuola erasi portata sui punti cardinali della filosofia e
-teologia, quale l’immortalità dell’anima e la destinazione umana; e
-i Peripatetici s’erano divisi tra Alessandro d’Afrodisia che credeva
-l’anima inseparabile dal corpo e perire con esso, ed Averroe che
-la faceva tornare a Dio ed esserne assorta. Il Ficino confutandoli
-sostiene l’anima essere emanata dalla Divinità, e a questa poter ella
-ricongiungersi mediante la vita ascetica; immortale, perchè altrimenti
-l’uomo sarebbe l’essere più infelice; ripudia l’opinione dell’anima
-universale: ma immaginoso più che ragionatore, eclettico senza
-originalità nè vero spirito filosofico, nel suo entusiasmo confondeva
-il sapere coll’arte e colla virtù. Una sua lettera, scoperta testè, ad
-una cugina che avea perduto la sorella, e tutta consolazioni platoniche
-d’ordine universale, di prigione del corpo, e simili idee; nessuna
-di Cristo o di fede; anzi dal pulpito raccomandava la lettura del
-divino Platone, e tentò perfino introdurne dei brani nell’uffiziatura
-ecclesiastica. Per ordine di Cosmo de’ Medici, cui dovea l’educazione,
-aprì un’accademia platonica, composta di mecenati, ascoltatori ed
-allievi, che festeggiavano i natalizj di Platone e Cicerone. Io non
-so che dire di Paolo II se si sgomentava di questo tornar pagana la
-scienza, e staccarla dalla tradizione cristiana[130]. All’accusa
-rispondeano che, quanto al seguir Platone, non faceano che imitar
-sant’Agostino; che teologi e filosofi tutti allora disputavano di tali
-quistioni, e le metteano in dubbio per giungere alla verità; che eresia
-è l’ostinarsi nell’errore; mentre essi non disobbedivano la Chiesa, e
-seguitavano le pratiche volute.
-
-Col platonismo alessandrino ne rinacquero gli errori, le fantastiche
-opinioni, la cabala. Giovanni Pico (1494) dei signori della Mirandola,
-persuasosi che Aristotele e Platone in fondo concordino, tentò
-ravvicinarne le dottrine, e pensando che il secondo avesse dedotto la
-sapienza dagli Orientali, si volse a questi, massime ai cabalistici,
-e di là trasse le più delle novecento tesi che in Roma propose sulla
-logica, etica, fisica, metafisica, teologia, magia, offrendosi a
-sostenerle. Egli avea fatto riserva dell’autorità della Chiesa; pure
-alcune repugnavano all’ortodossia in modo, che ne sorse rumore, e
-dalla persecuzione a fatica lo salvarono il grado suo e la protesta
-di adottarle nel senso che il papa decreterebbe. Qui un dilagar di
-scritture pro e contro, finchè Alessandro VI lo dichiarò irreprovevole,
-e in fatto a quell’ora avea modificato le opinioni sue, come lasciati
-gli amori e le facili voluttà.
-
-Scrisse il libro più gagliardo contro l’astrologia; eppure pretendeva
-colla cabala dar ragione della cosmogonia di Mosè e dell’incarnazione
-del Verbo, e spiegava la Genesi in modo simbolico, secondo i quattro
-mondi fisico, celeste, intellettuale e dell’uomo. Ideava un’esposizione
-allegorica del Nuovo Testamento, una difesa della Vulgata e dei
-Settanta contro gli Ebrei, un’apologia del cristianesimo contro tutti
-gl’infedeli ed eretici, un’armonia della filosofia: ma a trentun anno
-morì.
-
-Da giovinetto avea fatto stupire l’Italia con una memoria sfasciata.
-Tale l’ebbe pure Pietro Tommaj di Ravenna, il quale, udita una lezione,
-la ripeteva cominciando dall’ultima parola; sapeva il Codice e le
-infinite glosse; replicò centottanta testi, coi quali un frate milanese
-avea provato l’immortalità dell’anima; e giocando a scacchi mentre
-un altro faceva a’ dadi, ed egli stesso dettava due lettere, alla
-fine seppe ridire tutte le mosse degli scacchi, tutte le combinazioni
-dei dadi, tutte le parole delle due lettere cominciando dal fine.
-Qual meraviglia se pareagli facilissimo un suo trattato di memoria
-artifiziale, che gli altri trovano oscuro e scabroso?[131]. Della
-memoria locale trattò eziandio Tommaso Golferani cremonese attorno al
-1340, primo che di filosofia scrivesse in vulgare.
-
-Dietro ai forestieri germogliò una fungaja d’umanisti e grammatici
-nostri, di alcuno dei quali non parrà superfluo divisare a minuto i
-casi. Giovanni Malpaghino di Ravenna, allievo prediletto del Petrarca,
-aperse scuola di latino a Firenze, sceverando i modi degli autori bassi
-dai classici, con tal frutto che il gusto della correttezza divenne
-passione e moda. Da costui imparò il latino il Poggio[132], figlio
-d’un povero Guccio Bracciolini aretino; ma al greco non si pose che di
-quarant’anni. A Roma fu applicato a scrivere le lettere pontifizie,
-e seguitò cinquant’anni, senz’obbligo di residenza, ma con sottile
-assegno che nol sottraeva alla necessità. Con mostrargli le lettere
-direttegli da Leonardo Bruno, suo condiscepolo a Firenze, indusse
-Innocenzo VII a procacciarsi anche questa buona penna, e il Poggio
-gustò le consolazioni d’un’amicizia che può beneficare. Succeduto
-Gregorio XII, Bruno rimase in uffizio, Poggio andò a riposarsi a
-Firenze, poi seguì Giovanni XXIII al concilio di Costanza.
-
-Il gusto raffinato volsero di buon’ora i nostri a rintracciare autori
-perduti, e in Italia o da Italiani si può dire fossero scoperti tutti
-i classici. Petrarca ad Arezzo trovò alcun che delle _Istituzioni_
-di Quintiliano, e delle orazioni di Cicerone, le tre prime _Deche_
-di Livio, e cercava le altre, temendo non andassero smarrite con
-Virgilio per ignavia degli uomini; fanciullo ricordavasi aver veduto i
-libri _Delle cose umane e divine_ di Varrone, e lettere ed epigrammi
-di Augusto, ora a noi sconosciuti. Ne’ suoi viaggi, appena vedesse
-qualche monastero antico, — Chi sa non vi si celi qualche preziosità?»
-e v’accorreva con desiderio[133]. Agli amici nulla chiedeva più
-istantemente che qualche opera di Cicerone, e mandava perciò preghiere
-e denari in Italia, in Francia, in Germania, in Grecia e fin nella
-Spagna e nella Bretagna. Qual tripudio allorchè, a Liegi, città tutta
-traffici, rinvenne due arringhe di quello, e in Verona le epistole
-famigliari! Poi il Crotto gli spedì da Bergamo le _Tusculane_, Raimondo
-Soranzo il trattato _De gloria_, ch’egli prestò al Convenevole, e nol
-riebbe nè egli nè la posterità.
-
-Il Boccaccio arrampicavasi pe’ solaj de’ conventi a stanar libri, e
-gli esemplava di proprio pugno; e narrava a Benvenuto da Imola, che
-andato a Montecassino, «e avido di veder la libreria, che aveva inteso
-essere nobilissima, domandò ad un monaco graziosamente gli aprisse la
-biblioteca. Quegli rispose secco, mostrandogli un’alta scala, _Salite
-che è aperto._ Lieto v’ascese e trovò il ripostiglio di tanto tesoro
-senza porta nè chiave: entrato, vide l’erba nata per le finestre, e
-libri e scaffali coperti di polvere. Meravigliato, cominciò ad aprire
-ora questo libro ora quello, e vi trovò molti volumi d’antichi e
-rari, dei quali ad alcuno erano strappati quaderni, ad altri recisi i
-margini, e in molte guise sformati. Compassionando che le fatiche e gli
-studj d’incliti ingegni fossero venuti a mano di gente ignorantissima,
-se ne partì colle lacrime agli occhi. E imbattutosi in un monaco
-nel chiostro, gli domandò perchè volumi così preziosi fossero tanto
-indegnamente mutilati. Il quale rispose, che alcuni monaci, per
-guadagnare due o cinque soldi, radevano un quaterno, e ne formavano
-uffiziuoli da vendere ai bambini; e coi ritagli de’ margini facevano
-brevi da vendere alle donne. Or va, uomo studioso, e ti rompi il capo
-per far libri»[134].
-
-Il Poggio della sua dimora al concilio di Costanza profittò per cercare
-manoscritti nei conventi d’oltralpe, affrontando asprezza di cielo,
-scomodo di strade, scortesia di rifiuti. Principalmente ne rinvenne
-nella badia di Sangallo «entro una specie di carbonaja oscura ed umida,
-ove non si sarebbe pur voluto gettare un condannato a morte»; e tra
-quelli, otto orazioni di Cicerone, le _Istituzioni_ di Quintiliano, tre
-libri dell’_Argonautica_ di Valerio Fiacco, qualche cosa di Lattanzio,
-l’Architettura di Vitruvio, i commenti d’Asconio Pediano a Cicerone,
-la _Grammatica_ di Prisciano, ed altri non più veduti. Esortato dal
-Bruno, dal Niccoli, dal Barbaro, dal Traversari, proseguì ricerche
-in Germania e in Francia, e trovò altre arringhe di Cicerone, i poemi
-di Silio Italico, di Manilio, di Lucrezio, parte di Petronio, Ammiano
-Marcellino, Vegezio, Giulio Frontino, le matematiche di Giulio Firmico,
-Nonio Marcello, dodici commedie di Plauto Columella, il quale era
-talmente dimenticato, che non lo conobbero nè Vincenzo di Beauvais,
-autore di un’enciclopedia, nè il nostro Pier Crescenzi, attento
-raccoglitore di cose rustiche.
-
-Col nuovo papa Martino V il Poggio passò a Mantova, poi lusingato
-con larghe promesse dal ricco vescovo di Winchester, tragittossi in
-Inghilterra; ma deluso e disgustato dell’ignoranza che vi trovava e
-della poca stima in cui v’era la bella letteratura, rivenne in Italia.
-Quivi apprese come Gasparino Barziza avesse rinvenuto l’_Oratore_ di
-Cicerone; non si sa chi le epistole ad Attico; Gherardo Landriano a
-Lodi i libri dell’_Invenzione_ e _Ad Erennio_; Tommaso Inghirami di
-Volterra a Bobbio trovava il _Viaggio_ di Rutilio Numaziano; Alessandro
-d’Alessandro in un celliere a Napoli il Properzio: da Parigi si ebbero
-le epistole di Plinio minore, da Germania le egloge di Calpurnio e di
-Nemesiano.
-
-Qual piacere doveva recare il leggere questi autori man mano che
-si scoprivano, senza il disgusto che ora ce ne lasciano le scuole,
-senza l’ottusione prodotta dall’abitudine! «La repubblica letteraria
-(scriveva Lorenzo Medici al Poggio) ha di che rallegrarsi non solo
-per le opere che trovaste, ma per quelle che avete a trovare ancora.
-Qual gloria per voi che sieno resi alla luce gli scritti di sommi
-autori! I secoli venturi rammenteranno che codici, di cui irreparabile
-piangeasi la perdita, vostra mercè vennero ricuperati; e come Camillo
-fu intitolato secondo fondatore di Roma, così voi potrete esser detto
-secondo autore delle opere per voi ricomparse. Vostra mercè possediamo
-intero Quintiliano, che dianzi avevamo solo per metà, e questa pure
-mutila e difettosa. O acquisto prezioso! o inaspettato contento! ed
-è pur vero ch’io potrò leggere tutto quel Quintiliano, che tanto
-dilettami comechè mutolo e sformato? Vi scongiuro, mandatemelo al
-più presto, ch’io possa almeno vederlo prima di morire ». E subito i
-dotti buttavansi a commentarli, ridurli a buone lezioni, agevolarne
-l’intelligenza, trarne ajuti allo scrivere corretto; e moltissimi greci
-tradussero.
-
-Gl’impiegati della cancelleria romana soleano raccorsi in una sala,
-dove a gara ne sballavano delle grosse, tanto che, da bugia, era
-chiamata il bugiale; e leggeano sulla cronaca di ciascuno, prete o
-secolare, mozzo o cardinale, privato o governo. Da questo mondezzajo
-il Poggio razzolò i suoi motti e racconti (_Facetiæ_), putidi
-d’oscenità, le cose e le persone sacre trattando con tale audacia, che
-i Protestanti vollero poi contarlo tra i loro precursori. Conversazioni
-più sensate ritrae nella _Historia disceptativa convivialis_,
-principalmente su punti filologici. Scrisse pure sulla nobiltà, sulla
-sfortuna de’ principi, sulla varietà della fortuna.
-
-Al suo trattato delle _Eleganze latine_ proemiò professando non
-conterrebbe nulla che fosse già scritto da chichessia: invece è
-suo merito l’avere utilizzato tutti i vecchi grammatici, per dare
-riflessioni sullo scrivere, e buone regole intorno alla sintassi, alle
-inflessioni, principalmente ai sinonimi; e fu ristampato, tradotto,
-ristretto, compendiato, fin messo in versi. Ma se egli conoscevasi
-di parole meglio di qualunque contemporaneo, non sapeva collocarle in
-buono stile, e per iscrupolo di purezza rigettò anche frasi di conio
-irreprovevole.
-
-Ripristinato Cosmo, e spirando destra l’aura ai Medici, il Poggio
-ne gustò i favori, e bramava terminare sua vita a Firenze; ebbe una
-villetta nel Valdarno, modesta, ma abbellita di libri, di statue, di
-pietre incise, di medaglie e di amici che lo visitavano; man mano che
-la morte gli portasse via un amico, un protettore, esso gli tributava
-lodi e lacrime. La Signoria volle gratificarlo dichiarando esente da
-ogni tassa lui e sua casa; lo invitò poi secretario, ed egli tessè la
-storia di quella città in otto libri latini dal 1350 al 1455, che non
-finì e che rimase inedita fino al 1715, sol conoscendosi la traduzione
-italiana fatta da un suo figliuolo.
-
-E ben quattordici figli aveva egli da un’amica: pure a cinquantacinque
-anni scrisse un dialogo se convenga o no il matrimonio, sposò una de’
-Buondelmonti che avea diciott’anni e seicento fiorini di dote, e visse
-con lei felice padre. Ebbe sepoltura (1459) in Santa Croce; ritratto di
-mano del Pollajuolo nel palazzo pubblico, e una statua sulla facciata
-di Santa Maria del Fiore.
-
-Lorenzo Valla romano, con minor talento del Poggio suo emulo,
-maggior erudizione filologica e storica qual dimostrò nelle _Eleganze
-latine_, aveva elevato dubbj rarissimi a quel tempo; dichiarò spurie
-la donazione di Costantino e la lettera di Cristo ad Abgaro re, nè
-avere gli Apostoli composto ciascuno un articolo del simbolo; al
-Nuovo Testamento appose annotazioni abbastanza severe colla vulgata,
-egli primo fondando le spiegazioni sulla lingua originale. Distici e
-sarcasmi scaraventava costui a moscacieca contro cardinali e grandi
-che gli tardassero un favore; e contro l’ambizione della corte romana
-invettive tali[135], che reputò prudenza ricovrarsi a Napoli, ove aprì
-scuola d’eloquenza. Ma Nicola V, non che richiamarlo, gli regalò di
-sua mano cinquecento scudi d’oro per avere tradotto Tucidide, e il
-titolò canonico e scrittore apostolico. Eppure egli conservò libertà di
-pensare e di scrivere; nel dialogo sull’avarizia e la lussuria flagella
-i cattivi predicatori, ma specialmente i frati dell’Osservanza,
-rimessiticcio de’ Francescani; poi in quello sull’ipocrisia tempesta
-tutti i frati e il clero in generale.
-
-Quattro libri d’invettive scagliò contro Bartolomeo Fazio, che
-altrettanti gliene rimbalzò con pettoruta gonfiezza. Già contro
-Giorgio da Trebisonda, grand’ammiratore di Cicerone, avea sostenuto la
-prevalenza di Quintiliano con tanto furore, con quanto battagliò col
-Guarino per anteporre Scipione a Giulio Cesare, e con un giureconsulto
-bolognese sul punto se Lucio e Arunzio fossero figli o nipoti di
-Tarquinio Prisco. Era dunque ben addestrato alle lotte quando si
-accapigliò col Poggio, alle cui _Invettive_ oppose _Antidoti_ e
-_Dialoghi_, con un diavolo per pelo. Accusato da costui d’aver rubato
-denaro e falsato una ricevuta a Pavia, e in conseguenza essere stato
-messo alla gogna, gli butta in faccia imputazioni che l’onestà neppur
-consente d’accennare: e Nicola V, non che sopir la lite fra i due suoi
-dipendenti, accettò la dedica degli _Antidoti_.
-
-Francesco Filelfo, se volessimo credere al Poggio, fu generato da un
-prete in una lavandaja; ma gli storici il fanno da buona famiglia
-di Tolentino: studiò a Padova con tal frutto, che a diciotto anni
-professava eloquenza colà, poi a Venezia, ove fu dichiarato cittadino,
-e spedito secretario del balio a Costantinopoli per assecondare il
-suo desiderio di famigliarizzarsi col greco. Questa lingua v’apprese
-da Giovanni Crisolara, fratello del famoso Manuele, e l’imperatore
-Giovanni Paleologo lo volle secretario e consigliere, e lo mandò
-ministro all’imperatore Sigismondo: in tal qualità assistette in
-Cracovia alle nozze di Ladislao re di Polonia, e vi recitò un’orazione
-al cospetto de’ più grandi signori d’Europa. Reduce a Costantinopoli,
-sposò la figlia del suo maestro, e con lei tornava in Italia; ma
-trovò Venezia desolata dalla peste, gli amici fuggiti, i suoi libri
-in contumacia. S’avviò dunque a Bologna dolente e bisognoso: ma quivi
-trovossi accolto magnificamente, e offerti quattrocento cinquanta
-zecchini l’anno per una cattedra di filosofia morale e d’eloquenza.
-Essendosi Bologna ribellata al papa, il Filelfo ricoverò a Firenze,
-dove instancabilmente propagava l’amore de’ classici. Di gran mattino
-spiegava le Tusculane o l’Arte oratoria di Cicerone, Tito Livio od
-Omero; riposatosi alcune ore, ricompariva a leggere Terenzio, le
-epistole o qualche orazione di Cicerone, Tucidide o Senofonte; poi
-le feste in Santa Maria del Fiore, _senza alcun pubblico o privato
-premio_, commentava Dante. Quattrocento uditori seguivano le sue
-lezioni, ed era applaudito, careggiato da uomini e donne e da quanto di
-meglio aveva la città[136].
-
-Il racconto di queste sue compiacenze ci rivela il maggior suo
-difetto, una stima di sè, non commensurabile se non al disprezzo di
-ciò che non fosse lui. Doveva in conseguenza moltiplicarsi nemici,
-che pubblicamente lo insultavano, sin a ridurlo a far le lezioni in
-casa[137]. Avendogli un bravaccio tirato un colpo al viso, il Filelfo
-mostrò crederlo mandato dai Medici, contro i quali parteggiava; e
-forse con ciò volle scusarsi delle codarde invettive con cui aggravò
-l’esiglio di Cosmo. Perciò allorchè questi tornò trionfante, egli
-rifuggì a Siena, donde continuò a bersagliarlo, tanto che la Signoria
-il proferì esigliato. Ed ecco quel tal bravaccio gli si avventa di
-nuovo a Siena, ed egli il fa mettere alla tortura sinchè confessi
-l’attentato. Fu multato in cinquecento lire, ma al Filelfo parvero
-poche, e ne ottenne la condanna a morte, ch’egli stesso intercedette
-fosse commutata nel taglio della mano, «preferendo (dic’egli) vivesse
-mutilo ed infame, anzichè una pronta morte lo liberasse dai rimorsi e
-dalla vergogna».
-
-Intanto egli medesimo con altri fuorusciti macchinava contro i Medici,
-e soldò un Greco per assassinare Cosmo. Il sicario fu scoperto, ed
-ebbe tronche le mani; e sopra la costui confessione il Filelfo fu
-condannato in contumacia al taglio della lingua e al bando perpetuo.
-Se al Filelfo non restava che l’ira dell’impotente, Cosmo, sicuro
-dell’autorità, aveva i mezzi e perciò il dovere d’essere generoso. E
-il volle, e gli fece proporre la riconciliazione: ma il pedante ostentò
-generosità col rifiutare e insultare; finse anzi di credersi mal sicuro
-a Siena, e poichè era cerco dal papa, dal senato veneto, dal duca di
-Milano, dalla repubblica di Bologna, dall’imperatore di Costantinopoli,
-accettò di passare sei mesi a Bologna, ottenendovi l’inusato stipendio
-di quattrocencinquanta ducati, poi si trasferì a Milano. Quivi
-passò i sette anni meno tempestosi di sua vita, caro alla Corte,
-dichiarato cittadino, e sempre più incocciandosi di que’ suoi meriti
-incomparabili.
-
-Nelle commozioni succedute alla morte di Filippo Maria, scrisse
-proclami e lettere ai principi perchè sostenessero l’aurea repubblica;
-poi orazioni ed encomj all’oppressore di questa Francesco Sforza, da
-cui accettò nuovi favori, finchè il magnanimo Alfonso di Napoli mostrò
-desiderio di vederlo. Mosse a quella volta, e «giunto a Roma (scrive
-Vespasiano) nel tempo di papa Nicola, fece pensiere alla sua tornata
-di visitare la sua santità. Inteso papa Nicola che era in Roma, subito
-mandò a dire che l’andasse a visitare. Intesolo messer Francesco, andò
-alla sua santità, e le prime parole che gli disse, furono: _Messer
-Francesco, noi ci maravigliamo di voi, che passando di qui non ci
-abbiate visitato_. Messer Francesco rispose come egli faceva pensiero
-visitare il re Alfonso, e poi venire alla santità sua. Papa Nicola,
-che sempre era stato amatore degli uomini letterati, volle che messer
-Francesco conoscesse la sua gratitudine, e pigliò un legato di ducati
-cinquecento, e sì gli disse: _Messer Francesco, questi denari vi
-voglio io dare, perchè vi possiate fare le spese per la strada_. Messer
-Francesco, veduta tanta liberalità usatagli, ringraziò la sua santità
-infinite volte di tanta gratitudine usatagli». Il re di Napoli gli uscì
-incontro fino a Capua, lo ornò cavaliere, e gli concesse di portare
-l’arma d’Aragona; infine il coronò poeta.
-
-Queste e ben altre particolarità raccolgonsi da trentasette libri di
-sue lettere che sono alle stampe, e dalle altre opere dove spessissimo
-parla di sè; e spessissimo ne parlano i pochi amici e molti nemici suoi
-contemporanei. Egli componeva, traduceva, compilava; or traboccava la
-bile contro gli avversarj; or filosofava nelle _Meditazioni fiorentine_
-o nei _Banchetti milanesi_ o nella _Morale disciplina_; or commentava
-il canzoniere del Petrarca, con indecenti allusioni agli amori del
-poeta, ai papi, ai Medici; or in ventiquattro canti latini celebrava
-gli Sforza, o in quarantotto italiani san Giovanni Battista; or tesseva
-arringhe, da recitarsi dai podestà fiorentini quando uscivano di
-carica, ovvero in proprio nome, e orazioni funebri, e consolatorie, e
-liriche latine. Forza e calore non gli mancano, ma per purezza latina
-è lontano troppo, non che dal Poliziano, dal Poggio, e move lo stomaco
-colle sguajate scurrilità.
-
-Circondato da tanti scolari, tra cui potea contare Pio II, Pietro
-de’ Medici, Agostino Dati e Bernardo Giustiniani storici di Siena e
-di Venezia, Alessandro di Alessandro autore dei _Genialium dierum,_
-avrebbe potuto godere le compiacenze d’una vecchiaja onorata se
-il portamento suo bisbetico non l’avesse tratto a sempre nuove
-contese. Poi alle lusinghe della gloria voleva aggiungere la realtà
-di ricca casa, codazzo di famigli, cavalli, tavola: col che non solo
-corrompeva il proprio avvenire, ma si obbligava a chiedere vilmente
-e vilmente accettare, sin col fingere le nozze di una sua figlia
-onde avere pretesto a domandare regali; profondeva elogi, e poi
-querelava d’ingrato chi i doni non proporzionasse all’avidità sua, e
-svillaneggiava chi tardasse. Eppure quando Anton Marcello, patrizio
-veneto, d’una consolatoria per la morte d’un figlio il gratificò con
-un bacino d’argento del valore di cento zecchini, esso lo portò alla
-Corte, e davanti al consiglio ne fece dono al duca di Milano. Forse che
-ne sperasse un maggiore ricambio?
-
-S’accapigliò esso pure col Poggio, il quale asserisce che il Filelfo da
-giovane visse in ribalda amicizia con un prete cui era stato affidato;
-che a Fano preso a calci e pugni, a stento rifuggì in una bettola, e
-s’appiattò sotto un letto; che a Padova fu bastonato pubblicamente ed
-espulso di città per opera d’uno cui avea corrotto il figlio, nè potè
-sottrarsegli che fuggendo in Grecia; colà avere contaminato la figlia
-del suo ospite, che poi dovette sposare; e altrettali lepidezze. Nuovi
-appicci ebbe con Giorgio Mérula già suo discepolo, che avea scritto
-_turcos_ invece di _turcas_, voce sulla quale non poteasi appellare
-all’infallibilità de’ classici; altri per l’interpretazione d’un verso
-greco, pel quale e il Traversari e il Marsuppini disputarono quanto i
-teologi sopra un senso scritturale[138].
-
-Galeazzo Maria Sforza non continuò i favori al Filelfo, che, da
-diciassette anni addetto a quella famiglia, allora si trovò abbandonato
-e povero, costretto a lottare colle necessità mediante una salute
-di ferro e un’inconcussa pertinacia al lavoro. Que’ bei tempi ove
-a gara vedeasi cercato, erano tramontati, ed egli non potea che
-sfoggiare eloquenza sopra un nuovo tono, lamentandosi dell’abbandono
-e dell’ingratitudine degli uomini. Da Pio II nulla ottenne, nulla
-da Paolo II che pur l’aveva altre volte lodato e donato; sicchè
-egli bestemmia papa e papato, lasciando fin trapelare l’intenzione
-d’andarsene a Maometto II. Ma Sisto IV il chiamò a Roma ad una cattedra
-di filosofia con buoni assegni e migliori promesse. V’ebbe accoglienze,
-da soddisfare qualunque amor proprio; ma tornato a Milano a prendere la
-sua famiglia, perdette la moglie di trentott’anni mentr’esso toccava
-gli ottanta; di ventiquattro figli non gli restavano che quattro
-fanciulle e un maschio, filologo come lui, e come lui presuntuoso,
-difficile, accattabrighe; ed ebbe l’amarezza di veder morire anche
-questo, sicchè si trovava isolato alla sera di sua vita. Milano era
-allora sossopra per l’assassinio di Galeazzo Maria e la minorità di suo
-figlio; la peste facea pericoloso il ritornare a Roma: onde il Filelfo,
-che si era rappattumato coi Medici, e tenea da tempo corrispondenza
-col magnifico Lorenzo, ottenne che la Signoria cancellasse le sentenze
-contro di lui, e il ponesse su una cattedra di lingua e letteratura
-greca; ma le fatiche del viaggio lo logorarono, e quindici giorni dopo
-rimesso nella cara Firenze, morì (1481) di ottantatre anni. Una tale
-longevità basterebbe a spiegare la sua morte, eppure si volle dire
-gliel’accelerassero le virulente satire del Merula. Così gli erano
-ricambiate le contumelie; ma non le aveva aspettate per confessare
-d’essere trasceso negli sfoghi di sua bile[139].
-
-In cotesti, ve n’accorgete, la letteratura non era una distrazione, ma
-vita; non istromento, ma fine. Il bisogno e l’abitudine dell’autorità
-erano dalla teologia e dalla filosofia passati nella letteratura,
-e tutti miravano alla conoscenza degli antichi, sicchè diventava
-merito primo l’erudizione, principale opera il compilare e commentare
-gli antichi o i loro commentatori, alcuni con lucida intelligenza,
-alcuni senza gusto nè critica, tutti al medesimo intento; ciascuno
-scegliendo un autore, cui idolatrava, e predicavalo col calore d’un
-apostolato. L’entusiasmo invadeva persino la critica, e beato chi
-avesse raddrizzato un passo scorretto, o indovinato un errore in un
-testo o nell’emulo! poi litigi sull’interpretare qualche passo; la lesa
-eleganza facea più vergogna che la lesa verità e convenienza; e codeste
-stizze dei pedanti passionavano e dividevano città e provincie.
-
-Marco Barbo veneziano, nipote di Paolo II, vescovo di Treviso poi di
-Vicenza, infine cardinale e patriarca d’Aquileja, fu dottissimo in
-greco, latino, astronomia, geometria, teologia, assai destro negli
-affari, e perciò adoprato in molte legazioni, e principalmente nel
-conciliare concordie. E una concordia egli fu chiamato a comporre fra
-due potentati d’altro genere, Bartolomeo Platina e Rodrigo vescovo di
-Calagóra, de’ quali il primo avea scritto in favor della pace, l’altro
-della guerra.
-
-Ma se queste miserabili capiglie sono spesso imitate dalla petulanza
-odierna, non taciamo almeno di Leonardo Bruno d’Arezzo, che già vecchio
-famosissimo e cancelliere della Repubblica fiorentina, in non so qual
-disputa filosofica si trovò contraddetto dal giovane Giannozzo Manetti.
-Gli applausi prodigati a questo irritarono il Bruno a segno che uscì
-in parole ingiuriose: ma la calma con cui il Manetti rispose, lo fece
-ravvedere. La mattina buon’ora fu alla casa del Manetti, domandò che
-il seguisse, avendo a dirgli qualcosa; e mentre questi aspettava una
-scena, ad alta voce e in mezzo alla gente gli narrò non aver potuto
-dormire la notte pel torto fattogli, e volergliene chiedere scusa[140].
-
-Francesco Barbaro senatore veneziano, erudito, eloquente, gran fautore
-de’ letterati, sostenne molte magistrature e ambasciate, celebre per
-l’abilità di mettere pace. Singolarmente come capitano di Brescia
-rappattumò i cittadini dissenzienti, e li sostenne nel duro assedio
-postovi dal Piccinino: del quale assedio egli scrisse la storia,
-pubblicata sotto il nome del suo confidente Evangelista Manelino.
-Brescia riconoscente gli regalò in duomo una bandiera e uno scudo
-messi a oro, con un panegirico; e lo fece accompagnare splendidamente
-a Venezia, e quivi di nuovo lodare davanti al doge. L’opera sua _De re
-uxoria_ è forse il solo trattato morale di quel secolo che non calchi
-servilmente le orme antiche.
-
-Ermolao Barbaro procurò un’edizione di Plinio, correggendovi cinquemila
-errori: ma quante migliaja ve ne lasciò! Gasparino Barziza bergamasco
-col buttarsi tutto a Cicerone ne trasse un quasi istintivo sentimento
-della proprietà ed eleganza, e fa sentire il buon modello nel giro
-della frase, nella rotondità de’ periodi, nell’acconcio collocamento
-delle parole. Trapassiamo Pier Paolo Vergerio di Capodistria, storico
-dei Carraresi e maestro di Lionello d’Este; Carlo Marsuppini di
-Arezzo, segretario della Repubblica fiorentina; Antonio Panormita, che
-fu laureato poeta da Sigismondo imperatore, e dedicò a Cosmo Medici
-l’_Hermaphroditus_, osceni epigrammi, vituperati dai monaci e appetiti
-dai curiosi. Il Perotti vescovo di Siponto (_Cornucopia, sive linguæ
-latinæ commentarii_) spiegò molte voci latine, lavorando su Marziale.
-Cristoforo Landino, segretario della Signoria di Firenze, scrisse
-poesie e trattati filosofici, volgarizzò Plinio e la _Sforziade_ di
-Giovan Simonetta, e a Virgilio, Orazio, Dante appose lunghi commenti,
-dedotti forse dalle lezioni che pubblicamente ne faceva, dove,
-ampliando a tutto il poema l’intenzione che l’Alighieri professò in
-qualche parte, sotto al letterale cercava un senso recondito e morale.
-Ad imitazione di Platone e di Tullio, nelle _Disquisizioni camaldolesi_
-dialoga con illustri personaggi, facendo amare la virtù senza troppo
-sottilizzare sulle teoriche, pure non evitando le fantasticherie
-platoniche. E il dialogo era adottato dal Valla per difendere
-l’epicureismo, dal Platina, dal Palmieri, dall’Alberti, dal Pontano, da
-Matteo Bosso; e Paolo Cortese, imitando quello _De claris oratoribus_,
-ben caratterizzò i dotti del suo tempo.
-
-Non v’avendo dizionarj nè grammatiche, uno dovea da se stesso nel
-barbaro latino usuale riscontrare quello che si trovasse o no nei
-classici; insomma indovinare le lingue, interpretare un autore mediante
-l’altro, mettersi in traccia dell’oro a costo di perire nella miniera.
-Noi, ricchi delle faticose lor veglie, li trattiamo con ingrato
-disprezzo; noi tronfj di possedere quel che non vogliamo fare ad essi
-gloria d’avere acquistato. E l’erudizione è come il bagaglio ad un
-esercito, imbarazzante alla marcia, eppure indispensabile.
-
-Storia, mitologia, antichità ridestaronsi per facilitare l’intelligenza
-dei testi; ma que’ commenti riboccano di frivolezze e insulsaggini;
-spesso s’appongono al falso, non bene conoscendo il senso, e tanto
-meno la forza delle parole. La rarità dei testi e la riverenza per
-l’autorità facea rispettare anche le lezioni più infelici; e non osando
-correggerle, gli eruditi si limitavano a mostrare d’averle capite col
-raffrontarle ad altri testi. I nostri non compresero abbastanza quanto
-potessero trar profitto dal greco, modello e sorgente della letteratura
-latina, lasciando tal lode principalmente alla scuola olandese.
-Vennero più tardi e non nostri gli eruditi, che allo studio della
-forma anteposero quel delle idee, ammirandole nella persuasione che
-ciò che era pensato dagli antichi dev’essere il più perfetto, ma ancora
-osservando l’autore come un essere sporadico, separato dai tempi e dai
-casi. Solo adesso si cerca collocare l’autore nella storia, co’ suoi
-contemporanei: la bellezza letteraria non è più il fine della critica,
-ma uno de’ moventi e dei risultati della storia.
-
-Quelle accannite controversie valsero ad accertare la filologia,
-obbligando gli scrittori a rendere conto d’ogni frase e parola. A
-grand’ajuto poi vennero i dizionarj, che sono i veri libri iniziatori
-della filologia. Uno, ad imitazione di Papia, fu compilato da Uguccione
-vescovo di Ferrara; Buoncompagno diede la disposizione artifiziosa e
-naturale d’un dizionario; Giovanni da Genova, autore del _Catholicon_,
-grosso volume stampato dal Guttenberg nel 1460, che comprende
-grammatica e dizionario, è poco citato, eppure sa più di quanto
-potrebbe aspettarsi: avea letto quantità di libri, cita moltissimi
-classici latini, non ignora il greco[141], e come Papia e gli altri
-lessicografi, non esclude i santi Padri, la cui intelligenza entrava
-per sì gran parte negli studj d’allora. Il primo dizionario greco
-sembra quello del monaco piacentino Giovanni Crestone; seguì il Grande
-Etimologico (’Ετυμολογικὸν μέγα) di Marco Musuro, anteriori a quelli
-di Roberto Costantino, di Scapula, di Enrico Stefano. Andrea Guarna
-palermitano (_Grammaticæ opus novum, mira quadam arie et compendiosa,
-seu bellum grammaticum_) pretendeva insegnar la grammatica colle regole
-della guerra, esponendo le nimicizie fra il nome e il verbo, re del
-regno di grammatica, le battaglie che si movono, cercando rinforzarsi
-mediante l’ajuto del participio; infine si rappacificano. L’opera ebbe
-da cento edizioni, fu ridotta in ottave, fu tradotta in francese.
-
-Lo studio delle antiche lingue affinò il gusto, ma coll’imitazione
-spense l’originalità; si pensò a conoscere la civiltà vetusta, più che
-a perfezionare la moderna; e fra quegli studiosi, immagini, pensieri,
-leggi poetiche erano d’altri tempi; non un lampo di genio, non un
-impeto d’eloquenza per compiangere le sventure d’allora, o magnificare
-la nuova civiltà. Sconcio peggior che letterario, s’insegnò a separare
-il sentimento dalla parola, la letteratura dall’azione, la forma
-dal pensiero, e giudicare degli uomini come degli autori non dalla
-sostanza ma dallo stile. Anche servilità di modi introducevano onde
-valersi delle frasi di Orazio e di Plinio; e adulazioni, che avrebbero
-arrossito ad esprimere nella lingua con cui parlavano ai loro amici.
-Chiamati alle magistrature, e massime in uffizio di segretarj, non
-valevano (salvo alcuni, come il Salutati e il Piccolomini) se non a
-recitare orazioni di parata; nelle quali non stringevano sulle positive
-importanze, ma badavano a ciò che meglio potesse esprimersi in latino.
-Il Petrarca, incaricato di rispondere ai Genovesi quando vennero
-offrirsi al signor di Milano, nol seppe perchè non preparato. A un
-discorso che il Marsuppini a nome della Signoria fiorentina recitò a
-Federico III, Enea Silvio fe risposta senza retorica ma con domande
-positive, e quegli non seppe replicare. Insomma erano buoni solo per
-l’apparato, e perciò amavano le corti, e non poco contribuirono a
-soffocare le antiche abitudini popolane: perocchè alle repubbliche
-di magistrati attenti alla domestica sul pubblico bene preferivano le
-corti ove ottenner protezione e sfoggiare eloquenza; e con belle frasi
-palliavano la tirannide e scagionavano l’iniquità.
-
-Studj di tal natura non potevano alimentarsi che dalla protezione, e
-l’ebbero.
-
-L’Università di Bologna conservò la sua altezza, ed Innocenzo VI le
-concesse la facoltà teologica (t. VI, p. 385): Gregorio XI vi fondò il
-lauto collegio detto dal suo nome, con ricchissimi doni, fra i quali
-son notevoli cennovantatre libri. I Trevisani apersero un’Università
-(1314) procacciandosi nove famosi dottori, fra cui Pietro d’Abano.
-Pisa nel 1339 ne pose una, mantenendola colla decima sui beni degli
-ecclesiastici; tutti i libri occorrenti fece immuni da gabelle; ebbe
-privilegi da papi e imperatori, ma poi ne’ disastri successivi la vide
-eclissata. I Fiorentini fondarono uno studio (1348), e per illustrarlo
-invitavano il Petrarca a leggere qual libro gli piacesse. Il senese,
-aperto nel 1320, poi sciolto, fu riordinato sotto gli auspizj di Carlo
-IV (1357) (t. VI, p. 392), che ne autorò uno anche a Lucca (1369).
-L’Università di Piacenza, sorta per opera di Innocenzo IV (1246),
-poi scaduta, fu ridesta da Gian Galeazzo (1397). In Milano tenevansi
-pubbliche lezioni di giurisprudenza, venticinque maestri di grammatica
-e logica, quaranta scrivani, più di sessanta maestri elementari, più di
-centottanta professori di medicina, e filosofi, e chimici, molti de’
-quali salariati per assistere i poveri. L’Università di Pavia, aperta
-(1362) e prosperata dai Visconti (al dire dell’Azario) perchè v’avea
-sovrabbondanza di case, e a buon patto il vino, il frumento, la legna,
-non annichilò le scuole di Milano, giacchè gli statuti concedeano che
-natii o avveniticci vi potessero studiare leggi, decretali, fisica,
-chirurgia, tabellionato, arti liberali[142]. Clemente fondò quella
-di Perugia nel 1307: Bonifazio VIII quella di Fermo nel 1303 ed una
-a Roma, dove ormai non restavano che scuole d’elementi; ma l’esiglio
-avignonese la lasciò ricadere: Giovanni XXII ne istituì una in Corsica
-il 1331; Benedetto XII in Verona il 1339. Il concilio ecumenico di
-Vienne ordinò che nelle università di Roma, Parigi, Oxford, Bologna,
-Salamanca v’avesse due maestri di lingua ebraica, araba e caldea. Anche
-Torino, come che dedita di preferenza alle armi, nel 1353 tenea per
-otto anni esentati dal militare gli artisti che andassero ad abitarvi;
-nel 66 chiamò e fece cittadino un maestro di umane lettere; a un
-altro assegnò dieci fiorini perchè insegnasse medicina; e nel 75 fondò
-scuole[143]; e la sua Università ebbe ampio privilegio da Lodovico di
-Savoja nel 1436.
-
-Ai letterati aumentavansi stipendj a gara, concedevansi onori,
-s’affidavano ambasciate; il loro passaggio per le città era un
-trionfo, alle esequie loro assistevano i principi: Carlo IV concesse a
-Bartolo d’inquartare al suo stemma l’arme di Boemia; e questo insigne
-giureconsulto sostenne che un dottore, dopo insegnato dieci anni
-diritto civile, è cavaliere _ipso facto_. Tutti i principi faceano il
-mecenate, da Roberto di Napoli che diceva — Rimarrei più volentieri
-senza diadema che senza lettere», fin a Luchino Visconti che scrivea
-versi lodati dal facile Petrarca, a Giovanni che facea leggere in
-cattedra Dante, al cupo Filippo Maria, al quale Lucca attestò la
-riconoscenza col regalargli due codici[144], e al cui segretario Cicco
-Simonetta moltissime opere si trovano dedicate con elogi pomposissimi.
-Francesco Sforza accolse l’architetto Francesco Filarete, Bonino
-Mombrizio professore d’eloquenza, il Filelfo, il Simonetta e il
-Decembrio storici, Lodrisio Crivelli poeta, Franchino Gaffurio primo
-che aprisse scuola di musica, Costantino Lascaris che a Milano stampò
-la prima grammatica greca; e mandava in Toscana chi comprasse per
-lui tutti i libri degni, e raccogliesse quanti scrittori si potessero
-avere. Gian Galeazzo cercò trarre a Milano la Cristina di Pizzano che
-vivea poveramente in Francia, e molti versi compose. A non ripetere
-d’Alfonso d’Aragona, di Nicola V e d’Eugenio IV, Jacopo di Carrara
-spedì dodici giovani alle scuole di Parigi, e Francesco il vecchio
-visitava spesso ad Arquà il Petrarca. L’imperatore Sigismondo coronò
-poeta a Parma un Tommaso Cambiatore e Antonio Beccatelli panormita; il
-quale dal Visconti ottenne lo stipendio di ottocento scudi d’oro, da
-re Alfonso la nobiltà e missioni importanti e doni fin di mille scudi
-in una volta. Più prodigo Federico III laureò poeti Nicolò Perotti, il
-Piccolomini, il Cimbriaco, il Bologni, due Amasei, un Rolandello, un
-Lazarelli. Firenze coronò Ciriaco d’Ancona e Leonardo Bruno; Verona
-Giovanni Panteo; Roma l’Aurelini e il Pinzonio; Milano Bernardo
-Bellincioni: glorie d’un giorno.
-
-E ognuno prendea parte a quelle glorie, a quelle dispute; la scoperta
-d’un codice era un avvenimento clamoroso; le più delle epistole
-versano sopra la ricerca di manoscritti; il duca di Glocester ringrazia
-fervorosamente Pier Candido Decembrio d’avergli mandato una traduzione
-della _Repubblica_ di Platone; Mattia Corvino re d’Ungheria, dalla
-moglie Beatrice di Napoli invogliato al lusso e ai raffinamenti
-di corte, si circondò di letterati, procurando dell’Ungheria fare
-un’altra Italia[145]. Col cercar libri e farne trar copie raccolse una
-biblioteca di cinquantacinquemila volumi, quanti niun’altra al mondo
-ne possedeva; e principalmente caro tenne Antonio Bonfini d’Ascoli,
-che dettò la storia di quel paese. Le miscellanee del Poliziano erano
-aspettate come il messia, e divorate appena uscissero. L’invidia o le
-fazioni snidano un letterato? egli è sicuro di trovare onorificenze
-e stipendj dovunque appaja, col solo patrimonio del proprio merito;
-quando muore il giureconsulto Giovanni da Legnano, chiudonsi le
-botteghe; quando l’unico Accolti recita versi, si feria per tutta la
-città, si fa luminara, e dotti e prelati interrompono cogli applausi la
-sua declamazione.
-
-Signori illustri faceano versi, e ne conserviamo di Luchino Visconti e
-di Bruzio suo figlio, di Guido Novello da Polenta, di Bosone da Gubbio,
-di Francesco Novello Carrarese, di Cangrande, di Castruccio, d’Astorre
-Manfredi di Faenza, di Lodovico degli Alidosi di Imola, tutti gran
-signori. Aggiungete Lionello d’Este, le cui lettere sono delle migliori
-del suo tempo; il Malatesta di Rimini, Gian Galeazzo e Lodovico
-Sforza duchi, e il cardinale Ascanio costui fratello, e molte dame,
-quali Isabella d’Aragona duchessa di Milano, Bianca d’Este, Domitilla
-Trivulzi. All’imperatore Sigismondo, a Martino V pontefice recita
-orazioni latine la Batista di Montefeltro, moglie di Galeazzo Malatesta
-da Pesaro, la quale legge filosofia, e disputandone vince alcuni
-professori. Costanza di Varano, nipote di lei, di quattordici anni
-pronunzia un discorso latino a Bianca Maria Sforza, e per tutt’Italia
-è ammirata ed encomiata tanto, che ottiene a’ suoi d’essere rintegrati
-nella signoria di Camerino, ed è sposata da Alessandro Sforza signore
-di Pesaro, poeta anch’esso. Un’altra Batista sua figlia e duchessa
-di Camerino facea stupire principi e prelati coi discorsi latini che
-improvvisava. Ippolita figlia di Francesco Sforza in Mantova davanti
-al congresso raccolto perorò onde eccitare alla crociata, e ci rimane
-esemplato di sua mano il trattato _De senectute_ di Cicerone.
-
-Cosmo padre della patria stipendiò quarantacinque scrivani onde
-provvedere la sua biblioteca. Lorenzo magnifico scriveva: — Quando
-l’anima mia è stanca d’affari, e gli orecchi assordati dal cittadin
-clamore, non mi vi saprei rassegnare se non cercassi refrigerio
-nelle lettere, pace nella filosofia». Federico duca d’Urbino teneva
-a Firenze e altrove da trenta a quaranta amanuensi, e spese in copie
-meglio di trentamila ducati; e oltre la Bibbia che ancor si ammira
-nella Vaticana, «ebbe altri libri assai (dice il Vespasiano), belli
-in superlativo grado, coperti di chermisi, forniti d’ariento, miniati
-elegantissimamente, e tutti iscritti in carta di cavretto; nè tra
-quelli n’era niuno a stampa, che se ne sarebbe vergognato».
-
-Tutti i signori raccolgono i profughi di Grecia, gli incorano a cercare
-e tradur libri, assistono alle lezioni loro. Nicolò Acciajuoli, ito
-da Firenze a Napoli mercatando, trovò grazia presso la principessa di
-Taranto, che gli diede stato e cavalleria e ad educare il suo figlio
-Luigi; presso il quale conservossi in grazia, fu fatto siniscalco, e al
-mutar degli eventi tornato ricchissimo in patria, vi sfoggiò in modo
-che i Fiorentini se ne adombrarono quasi volesse farsene dominatore,
-e stanziarono ch’e’ non potesse ottenervi alcuna magistratura. Egli
-allora sfogò la sua ambizione col mettersi protettore di dotti,
-quali Zanobio Strada, Francesco Nelli, il Boccaccio. Il qual ultimo
-volle poi seco a Napoli quando tornò, ma lo teneva a miseria,
-sebbene l’esortasse continuo a scrivere le sue gesta. Alla magnifica
-Certosa da lui eretta presso Firenze aggiunse un palazzo a foggia di
-castello, ove cinquanta giovani doveano esser educati, con biblioteca
-d’opere rare; disposizione rimasta priva d’effetto. Palla Strozzi,
-cittadino ricchissimo e potentissimo in Firenze, dove ristabilì
-l’Università, ebbe in casa Tommaso da Sarzana dappoi papa, chiamò
-Manuele Crisolara, «mandò in Grecia per infiniti volumi, tutti alle sue
-spese; la Cosmografia di Tolomeo colla pittura fece venire infino da
-Costantinopoli; le Vite di Plutarco, le opere di Platone, e infiniti
-libri degli altri. La _Politica_ di Aristotele non era in Italia, se
-messer Palla non l’avesse fatta venir lui da Costantinopoli; e quando
-messer Lionardo la tradusse, ebbe la copia di messer Palla»[146].
-Esigliato il 1434, ebbe a sè «con bonissimo salario Giovanni
-Argiropulo, a fine che gli leggesse più libri greci, di che lui aveva
-desiderio di udire. Da un altro greco prendea lezioni straordinarie, e
-traduceva san Giovanni Crisostomo».
-
-Nicolò Niccoli vendette alcune possessioni per aver libri, che poi
-mise a comodo del pubblico, e fece fabbricare la libreria di Santo
-Spirito con banche per tenervi quei che erano appartenuti al Boccaccio;
-ottocento codici lasciò, stimati seimila fiorini. Bartolomeo Valori gli
-studj d’umanità «non tralasciò mai del tutto, ancorchè occupato nelle
-cure domestiche e mercantili, ed implicato negli affari pubblici; se
-non quando in età matura pervenuto, quel tempo che potè tutto nella
-sacra Scrittura andò consumando, con partecipare i suoi studj con
-i teologi di quell’età suoi domestici»[147]. Bernardo Rucellaj, che
-nelle nozze colla figlia di Pietro de’ Medici spese trentasettemila
-fiorini, sorresse l’accademia Platonica dopo mancato il magnifico
-Lorenzo; e fattasi una splendida abitazione con giardini ornati di
-monumenti antichi, vi tenea adunanze di dotti, che resero rinominati
-gli _Orti oricellarj_. Branda Castiglione milanese, gran canonista,
-e uno de’ migliori ornamenti de’ concilij di Firenze e di Costanza,
-fatto cardinale, patrocinò munificamente le lettere, pose un collegio
-a Castiglione con ricca biblioteca aperta a chiunque amasse le lettere,
-ai quali facea far opere e distribuiva benefizj.
-
-Nè più solo da lizze e da armeggiamenti si prendeva diletto e festa.
-Quando il dottissimo patrizio veneto Lodovico Foscarini nel 1451 andò
-podestà a Venezia, Isotta Nogarola sostenne una disputa se dovesse
-attribuirsi la prima colpa a Adamo o ad Eva. Durante il concilio di
-Ferrara, Ugo de’ Benzi senese, «tenuto ne’ suoi tempi principe de’
-medici, invitò seco a desinare tutti que’ filosofi greci che erano
-venuti a Ferrara; e dopo il splendido apparato venuto al fine a poco a
-poco, pian piano cominciò a tirargli piacevolmente in disputa, sendo
-già presente il marchese Nicolò, e tutti i filosofi che si trovavano
-in quel concilio. Addusse in mezzo tutti i luoghi de la filosofia,
-sopra quali par che fieramente contendino e sieno tra loro discordanti
-Platone ed Aristotele, e disse ch’egli voleva difendere quella parte
-che oppugnerebbero i Greci, seguissero Platone o vero Aristotele.
-Non ricusando la contesa i Greci, durò molte ore la disputa; al fine
-avendo Ugo padrone del convito fatto tacere i Greci ad un ad uno con
-l’argomentazione e con la copia del dire, fu manifesto a tutti che i
-Latini, come già avevano superato i Greci con la gloria de l’armi, così
-nell’età nostra e di lettere e d’ogni specie di dottrina andavano a
-tutti innanzi»[148].
-
-A Firenze il 1441 fu annunziata, per cura di Lorenzo De’ Medici e di
-Leon Battista Alberti, una gara pubblica di letterati, dove ciascuno
-leggerebbe qualche suo componimento intorno alla vera amicizia, e il
-migliore otterrebbe una corona d’argento in forma d’alloro. In Santa
-Maria del Fiore, magnificamente parata e coll’intervento delle autorità
-e di gran popolo, lessero lor composizioni Francesco Alberti, Antonio
-Alli, Mariotto Davanzati, Francesco Malecarni, Benedetto Aretino,
-Michele da Gigante, Leonardo Dati, applauditi come si suol essere
-in tali circostanze: ma i segretarj di papa Eugenio, ai quali per
-onoranza erasi rimesso il decidere, dichiararono che erano tutte belle
-quasi del pari, e si trassero d’impaccio col decretare la corona alla
-Chiesa[149]. Poi esso Lorenzo volle rinnovare dopo dodici secoli la
-festa di Platone, che si celebrava ai tempi di Plotino e Porfirio; e
-Firenze e Careggi seguitarono per più anni a festeggiare lo scolaro di
-Socrate.
-
-Anche fuori venivano cercati i nostri; e Gregorio di Tiferno, allievo
-del Crisolara, nel 1458 ridestava gli studj classici nell’Università di
-Parigi; nella quale professarono Tranquillo Andronico, Fausto Andreini,
-Beroaldo, Balbi, Cornelio Vitelli, forse altri.
-
-Conseguenza della stima allora profusa ai letterati fu l’affidare
-ad essi l’educazione de’ principi, lasciata in prima a guerrieri e a
-dame. Il Guarino allevò Lionello d’Este; tre figliuoli e una figlia
-di Francesco Gonzaga di Mantova Vittorino da Feltre, collocato perciò
-in un’abitazione da principe, con giardini, appartamenti sontuosi,
-pitture, giuochi, sicchè a ragione chiamavasi la Giojosa. Vittorino
-però non la pensava come certi odierni pedagoghi, che deva esser gaja
-ed agevole l’educazione, mentre avvia ad una vita di triboli; sicchè
-poco a poco fece sparire le delizie, e l’effeminata magnificenza
-ridusse a parca severità. Eppure mostravasi padre affettuoso ancor
-più che abile maestro; a lui accorreasi di Francia, di Germania, di
-Grecia, e vi si trovava ogni mezzo di istruirsi nelle scienze e nelle
-arti belle, avendo intorno a sè raccolto maestri d’ogni bel sapere. Da’
-suoi scolari pretendeva esatta esposizione; col che avviò alla lettura
-corretta. Nulla pubblicò, e, mirabil cosa tra que’ dotti iracondi, non
-si trova chi di lui sparlasse. Francesco Prendilacqua suo discepolo ne
-scrisse un’elegante vita, conseguendo il più bell’effetto, quello di
-far amare il suo eroe.
-
-Maffeo Vegio, che ebbe la baldanza di fare seicento versi di
-supplemento all’Eneide, nel trattato dell’educazione[150] diede
-buoni consigli ai maestri, deducendoli non solo dagli etnici, ma
-anche dai santi Padri; bene espose le virtù e i vizj de’ giovani; e
-all’educazione delle fanciulle applicò molti esempj, tratti da santa
-Monica madre di sant’Agostino.
-
-È strano che principi, futuri reggitori di popoli, s’affidassero a
-gente ignara di governo, e sol capace per avventura di formare il prete
-o l’avvocato. Ma il vezzo si perpetuò: e mentre gli antichi insegnavano
-nelle scuole la storia e le idee della propria nazione, e lo studiar
-le straniere fu curiosità o erudizione di pochi; nelle moderne, al
-contrario, i figli si addestrarono in lingua diversa dalla materna, e
-leggi e società estranee alla loro propria, onde i sentimenti attinti
-dalla scuola discordarono da quelli che doveano avere nel mondo.
-
-Molti poetarono latino, fra cui Zanobio Strada fiorentino, che n’ebbe
-corona dall’imperatore, e del quale non ci rimangono che cinque
-poveri versi. Il Petrarca loda moltissimi come degni d’alloro; anzi
-del lor soverchio numero si lagna, «contagio che penetrò fin entro
-la corte romana, ove giureconsulti e medici non badano ad Esculapio
-e a Giustiniano, non a litiganti e infermi, ma a Virgilio ed Omero;
-agricoltori, falegnami, muratori gettano gli stromenti delle arti
-loro per trattenersi con Apollo e colle Muse. Temo d’avere col mio
-esempio contribuito a tale farnetico». Battista Mantovano, onorato di
-statua accanto a Virgilio, al quale Erasmo nol credeva inferiore, oggi
-chi lo ricorda? Migliore è Giovian Pontano, preside dell’accademia
-di Napoli, rimasta la più illustre al cadere della romana e della
-fiorentina: e di fama più estesa Angelo da Montepulciano, col nome
-di Poliziano. Raccolto giovinetto (1491) da Lorenzo Medici che ne
-indovinò l’ingegno, a ventinove anni professò greca e latina eloquenza,
-sapeva d’ebraico, ed ebbe ogni sorta di onori e d’insulti dagli emuli.
-Le sue _Miscellanee_, raccolta di cento osservazioni di grammatica,
-d’allusioni, di costumi sopra autori latini, erano reputate capolavoro,
-e gloria l’esservi menzionato, come ingiuria il restarne dimentico.
-Tratta egli que’ soggetti con solida e variata amenità, ben rara agli
-eruditi, e con purezza superiore ai precedenti, sentendo al vivo
-le bellezze romane, ben descrivendo, a gran proposito adoperando i
-classici, comunque ridondi nelle descrizioni, abusi dei diminutivi
-e degli arcaismi, e inciampi in improprietà[151]. Meglio meritò col
-trasfondere i modi de’ classici nella poesia italiana, siccome il
-Boccaccio avea fatto nella prosa, richiamandola all’eleganza.
-
-Anche gl’ingegni migliori, a forza di pensar latino, si erano domati
-alla servitù dell’imitazione; e come in quello si ricalcavano Virgilio
-e Cicerone, così nell’italiano il Petrarca e il Boccaccio (Dante fu
-dimenticato), e si cominciarono dispute eterne intorno alla lingua,
-derivandone l’autorità da questo autore, anzichè ricorrere alla
-parlata. Ma tristo effetto di quella idolatria per gli antichi era
-stato il disprezzo per la lingua italiana, abbandonata col titolo di
-vulgare. «Mi ricordo io (dice Benedetto Varchi) quando ero giovinetto,
-che il primo e più severo comandamento che facevano generalmente i
-padri a’ figliuoli, e i maestri a’ discepoli, era che eglino, nè per
-bene nè per male, non leggesseno cose vulgare (per dirlo barbaramente
-come loro): e maestro Guasparri Mariscotti da Marradi, che fu nella
-grammatica mio precettore, uomo di duri e rozzi ma santissimi e buoni
-costumi, avendo una volta inteso, in non so che modo, che Schiatta di
-Bernardo Bagnesi ed io leggevamo il Petrarca di nascoso, ce ne diede
-una buona grida, e poco mancò che non ci cacciasse dalla scuola».
-
-Ne venne di conseguenza un gergo affettato insieme e rozzo, di
-barbarismi vulgari mescolati a latinismi eruditi, senza sapore di
-legamenti, senza scelta di frasi, senza nerbo di sintassi, ma contorto
-e rabberciato, tutto toppe e rappezzi, simile a quello che poi s’imitò
-per ischerzo, e si chiamò maccheronico e fidenziano. Chiunque abbia
-letto qualche libro d’allora, potette averne un saggio; e se non
-basti qualche passo da noi citato, e singolarmente la lettera del
-Poliziano (pag. 300), soggiungeremo che il vescovo di Vercelli, il
-presidente del consiglio, il capitano di Sant’Agata, ambasciadori del
-duca di Savoja, scrivevano al duca di Milano nel 1484: — La Excellenza
-del nostro signor duca a recevuto una lettera vostra, della quale
-el tenore et contenu est che Lojis et Passin de Vimercà hano tractà
-et conspirà de privare el signor Lodovico vostro degnissimo barba
-dello governo ecc.»[152]. Frà Jacopo Filippo da Bergamo, autore d’una
-storia generale col titolo di _Supplementum Chronicorum_, stampato
-quattro volte in quel secolo e più altre dappoi, e lodato per rare
-notizie, scriveva al cardinale Ippolito d’Este nel 1498: — Questi
-itaque anni passati, havendo me tua Excellenzia mandato a donare
-una bella mulla per mio usare, la acceptay cum gratiarum actione, et
-poy statim cognosce me ancora gagliardo di posser caminare a’ piedi,
-gela remanday. Ma di presente siendo molto invecchiato, et appresso
-a li settanta anni di etade, non possendo quasi più caminare, cum una
-indubitata fede me voglio ricorrere a la plentissima vostra signoria,
-come quella a suo devotissimo oratore gli piaqua donarli una qualche
-honesta chavalchatura; et questo prima per amore di Dio, et per
-riconoscimento di tante mie fatiche, che hoe pigliato in ornare tutta
-la illustrissima casa vostra etc....». E frà Francesco Colonna, autore
-d’un eruditissimo e lascivo romanzo, _Hipnerotomachia Poliphili, ubi
-humana omnia nonnisi somnium esse docet_, finge d’essersi in sogno
-ritrovato «in una quieta e silente piaggia, di culto diserta, d’indi
-poscia disaveduto con grande timore intrò in una invia et opaca silva»;
-e così descrive l’aurora: «Phoebo in quel hora manando, che la fronte
-di Matula Leucothea candidava, fora già dell’oceane onde, le volubili
-rote sospese non dimostrava, ma sedulo cum gli sui volucri caballi
-Pyroo primo et Eoo alquanto apparendo, ad dipingere le lycophe quadrige
-morava». E di questo tenore prosegue tutto il dottissimo volume.
-
-Se però decadeva l’italiano letterario, il popolare acquistava dovizia
-e destrezza, e felicemente l’adoprarono alcuni Fiorentini, come Matteo
-Palmieri nel dignitoso e sobrio trattato della _Vita civile_; Feo
-Belcari, che con cara semplicità stese la _Vita di Giovanni Colombini_
-e varie poesie divote[153] e rappresentazioni sceniche; e Agnolo
-Pandolfini, nel _Governo della famiglia_[154], dialogo di persone
-reali intorno a reali soggetti e ai bisogni quotidiani, con precetti
-d’economia e di morale alla mano di tutti, ed esposti con purissima
-proprietà, vero modello di simil genere di comporre. Alla stessa fonte
-attinsero Luigi Pulci, il Poliziano, Lorenzo Medici, che saluteremo
-quali precursori dell’aureo Cinquecento. Esso Lorenzo a diciassette
-anni s’incontrò con Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, e
-domandato da questo sui migliori poeti italiani, di propria mano gliene
-trascrisse molti, insieme con alcune proprie composizioni. Di poi si
-facea capo delle mascherate che uscivano il carnevale, con sempre nuove
-invenzioni e addobbi; induceva i poeti a compor canzoni per quelle, e
-ne componeva egli stesso; e scendeva sulla piazza a menar la danza, a
-intonar l’aria, ad accordare gli strumenti, facendo arte di governo la
-letizia d’un popolo ch’era alla vigilia di troppe sventure.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXII.
-
-Scienziati. I libri. La stampa.
-
-
-Carlo IV mandò al Petrarca un diploma, ove Giulio Cesare e Nerone
-assolvevano l’Austria dalla dipendenza imperiale; ed esso il dichiarò
-impostura. Scoperta di minimo merito, se allora non fosse stato
-straordinario il dubitare di cosa scritta; e al Petrarca va lode
-d’avere usato la critica, quantunque spesso in fallo, sovra di opere
-attribuite ad autori falsi, o di cui scambiavansi il tempo e il nome.
-Egli avea fatto una raccolta di medaglie, e si lagna che i Romani
-ignorino le cose proprie, e per vile guadagno distruggano i preziosi
-avanzi campati dai Barbari; e dell’averli restaurati encomia Cola
-Rienzi, il quale dallo studio di questi aveva attinto l’ammirazione
-pel buono stato antico[155]. Anche Guglielmo Pastrengo, grand’amico
-del Petrarca, ustolava ad anticaglie ed iscrizioni; e il suo _Lessico
-storico_, biblioteca generale degli scrittori sacri e profani, per
-quanto imperfettissimo, attesta molta lettura. Nicolò Niccoli possedeva
-una serie di medaglie, di cui si valse per accertare l’ortografia di
-alcune voci.
-
-Che le iscrizioni potessero venire in appoggio alla storia, l’aveano
-già scorto gli antichi. Il Pizzicolli, detto Ciriaco Anconitano,
-per incarico di papa Nicola V andò a farne una raccolta per Italia,
-Grecia, Ungheria, e pei paesi di Levante ancora intatti dai Turchi; nè
-noi col Poggio e col Decembrio teniamo ch’e’ fosse impostore, bensì
-che spessissimo s’ingannasse nel giudicare il tempo, l’origine, la
-destinazione de’ monumenti. Anche l’architetto frà Giocondo da Verona
-ne raccolse di molte; a Reggio serbasi manoscritta la raccolta di
-Michele Ferravino con disegni; una ne fece Nicolò Perotto, vescovo di
-Manfredonia; altri altre di particolari provincie. Girolamo Bologni pel
-primo v’aggiunse spiegazioni e commenti, talchè la storia presentavasi
-appoggiata all’erudizione. Con testimonj di questa Bernardo Rucellaj,
-splendido amico dei letterati, trattò della città di Roma; e Biondo
-Flavio (-1463), segretario di Eugenio IV, ne illustrò gli edifizj,
-il governo, le leggi, le cerimonie, la disciplina militare (_Romæ
-instauratæ libri III — Romæ triumphantis libri IX_); poi nell’Italia
-illustrata descrisse le quattordici regioni della penisola: ma era
-possibile non incappasse in molti errori? Nega che esistesse un vulgare
-parlato, contemporaneo allo scritto dei classici. Preparava anche una
-storia d’Italia dalla caduta dell’Impero fino a’ suoi giorni.
-
-De’ magistrati romani discorse Domenico Fiocchi (1497) fiorentino
-Pomponio Leto calabrese, bastardo dei Sanseverino, cercò monumenti
-_fin in riva al Tanai_, e pensava vedere le Indie; ma nel distolse la
-compagnia de’ valentuomini, dei quali era capo nell’accademia romana.
-Dilapidata la sua casa in una sollevazione ai tempi di Sisto IV,
-«lui in giuppetto coi borzacchini e con la canna in mano se n’andò a
-lamentare co’ superiori» (Infessura), e gli amici a gara il rifornirono
-d’ogni occorrente. Sino alle lacrime il commoveano i monumenti, e per
-ammirazione all’antichità pareangli selvaggi i costumi e le credenze
-presenti, a tal segno che fu creduto empio. Di rimpatto Bonino
-Mombrizio milanese in due eleganti volumi raccolse vite di santi, tolte
-da biblioteche e archivj, copiando fin gli errori, e non discernendo le
-apocrife.
-
-Annio da Viterbo domenicano, per gran virtù e franchezza (1502) fu
-elevato maestro del sacro palazzo, e odiato da Cesare Borgia che
-forse il fece avvelenare. Nei trattati _Dell’impero de’ Turchi_ e
-_De’ futuri trionfi de’ Cristiani_ deduceva dall’Apocalissi speranze
-per la prossima caduta del nemico della cristianità. Era il tempo che
-comparivano ad ogni ora nuovi documenti dell’antichità, onde furono
-accolti con entusiasmo i suoi _Antiquitatum variarum volumina XVII_.
-Erano autori antichissimi, atti a chiarire l’origine de’ popoli,
-quali Beroso caldeo, Fabio Pittore, Mirsilo da Lesbo, Sempronio,
-Archiloco, Catone, Metastene, Marceto, altri ed altri. Ne tripudiarono
-gli eruditi, levando a cielo il fortunato Annio; a gara ingemmarono
-le loro scritture coi bei trovati di esso; e tutte le storie uscite
-in quel torno ne furono infette. Perocchè que’ frammenti non erano
-che una finzione, e poco tardarono ad olezzare di falso. Ma era egli
-ingannatore o ingannato? ancora se ne disputa, nè manca chi li crede
-di fondo vero, comunque alterato; e il moderato quanto erudito Zeno,
-esaminando la questione riprodottasi fra il domenicano Mazza che
-pubblicò l’_Apologia_ di Annio, e il Macedo che la sostenne contro
-il veronese Sparavieri, trova eccesso da un canto e dall’altro,
-giudicandolo illuso da quelli che allora speculavano sopra la smania
-delle scoperte antiche.
-
-Intanto non è a dire quanta confusione ne venisse a tutti gli storici
-nostri, massimamente municipali, che con intrepidezza risalivano a Noè
-o almeno alla guerra di Troja, e cercavano tra Fenici e Caldei quel che
-avevano in casa: i Milanesi seppero che Anglo figlio di Ettore fondò
-Angleria, e fu stipite de’ Visconti, i quali perciò s’intitolavano
-conti d’Angéra; i Comaschi ebbero in pronto un Comer figlio di Giafet
-fondatore della loro città; Cremona un Cremone trojano (vedi Cap. II);
-Gian Grisostomo Zanchi deduceva il nome così tedesco di Bergamo dalle
-voci ebraiche _Beradin gom mon_, cioè _inundatorum clypeata civitas_,
-che interpreta _Dei Galli regia città_. Nè va di miglior passo il
-Platina nella storia di Mantova; ma in quella dei papi ripudia,
-congettura, e se non sempre imbrocca, già era assai questo dubitare di
-asserzioni d’antichi. Abbiamo detto a quali ardimenti si spingesse la
-critica col Valla (pag. 314).
-
-Conosciuti i modelli classici, migliorato il gusto, si volle che la
-storia fosse anche bella; e tale fu scritta spesso in latino, talvolta
-in vulgare. Dei vulgari già parlammo (tom. VII, pag. 332): fra i latini
-è dei migliori Andrea Silvio Piccolomini, che in quella d’Austria
-raccontò i fatti della Boemia e di Federico III, nella _Cosmografia_
-descrisse l’Europa e l’Asia Minore, ed espose gli avvenimenti
-dell’Italia dall’anno di sua nascita fino all’ultimo del suo
-pontificato con vigorosa dicitura e studio dei caratteri e dei costumi.
-Stamparonsi centoventi anni dopo, sotto il nome di Giovanni Gobellino
-suo segretario, continuati fino al 1469 da Jacopo degli Ammanati
-fiorentino, cui esso papa diede il cognome della propria famiglia e il
-vescovado di Pavia e il cappel rosso.
-
-Antonio Bonfini d’Ascoli, vissuto in Ungheria alla corte di Mattia
-Corvino e di Vladislao II fino al 1502, lasciò tre decadi della
-storia di quel paese al modo di Tito Livio, cioè elegante e falsa,
-pure preziosa dove ogn’altra ne manca. Filippo Bonaccorsi o Callimaco
-Esperiente toscano, fuggito da Roma al disperdersi dell’accademia, dopo
-lungo errare fu in Polonia accolto da re Casimiro, che collo storico
-Giovanni Dlugos l’adoprò per educatore di suo figlio, segretario
-proprio, e spesso ambasciadore. Scrisse i fasti di re Ladislao V e la
-battaglia di Varna ove questi era perito; e un opuscolo sulle mosse de’
-Veneziani per eccitare Tartari e Persi contro i Turchi.
-
-Aurelio Brandolini, detto Lippo perchè cieco, poeta latino di Firenze,
-in Ungheria caro a Mattia Corvino, morì a Parma il 1497, lasciando
-moltissime opere.
-
-Da Tommaso da Pizzano, astrologo bolognese a’ servigi di Carlo V di
-Francia, nacque Cristina, che bella ed educata alla corte e alle
-lettere, vide applaudite le prime sue poesie; poi per provvedere
-alla sua povera vedovanza scrisse d’arte militare, la _Mutazione di
-fortuna_, e la vita o piuttosto panegirico di quel re. A fatica oggi
-può leggersi quel che allora tanto ammirossi: pure associa vivacità
-poetica con fina ragionevolezza, delicato sentimento con forza.
-
-Le scienze dunque erano uscite affatto dal santuario, e secolarizzate;
-se la teologia rimaneva sempre la prima, non era più l’unica; e
-sebbene in essa, fra tanti dissensi ecclesiastici, si moltiplicassero
-dissertazioni e commenti, nessuno s’accostò alla potenza di Tommaso
-d’Aquino e di Bonaventura. Quanti ragionamenti e sofisterie nella
-quistione de’ Minoriti! In più serie e vitali quistioni ai concilj di
-Basilea, di Costanza, di Firenze figurarono e nostrali e stranieri, e
-principali Enea Silvio e il cancelliere Gerson.
-
-A quest’ultimo i Francesi, a Tommaso da Kempis i Tedeschi, i nostri a
-Giovanni Gersen abate di Vercelli[156], attribuiscono l’_Imitazione
-di Cristo_, il libro più famoso del medioevo, e il più letto dopo
-la Bibbia, e che si disse sarebbe il primo del mondo se questa non
-esistesse: riprodotto in almeno mille ottocento edizioni, tradotto
-in ogni lingua, senza che alcuna raggiunga la concisa energia di quel
-latino, comunque scorretto, e simile alle figure di santi che allora
-posavansi sui sepolcri, non mosse, eppur belle, e sopratutto soavi.
-Non prende esso per intermediarj i profeti, i dottori, la Chiesa, ma
-è un colloquio dell’anima col suo Creatore. Quest’intimità ne forma
-l’attrattiva; e poichè non v’ha dispute, non sistemi e speculazione,
-non decisioni particolari, ma impeti dell’anima, nulla d’intrinseco
-ajuta a riconoscerne l’autore. Tale incertezza non mal gli si addice,
-scomparendo affatto la personalità perchè rimangano soli il cuore e il
-sentimento. In tempo di tanto litigare, ivi nessun alito di polemica;
-al più qualche gemito sull’infelicità de’ tempi, e il consiglio di
-ripararsene col formarsi una solitudine profonda, dove ascoltare Iddio
-che parla. E sull’anime invelenite dall’amor della contesa come dovea
-piovere ristorante quella parola: — Nella croce è salute, è vita, è
-schermo dai nemici, è infondimento di superna dolcezza; nella croce è
-vigore alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce sta tutto, tutto
-è riposto nel morire; nè alla vita e all’interna pace v’è altra via
-che della croce e della cotidiana mortificazione. Cammina per dove
-vuoi, cerca checchè tu vuoi; non troverai più alta strada di sopra,
-nè più sicura di sotto, che quella della croce. Disponi le cose come
-ti pare e piace, non però troverai altro che da patir qualche cosa.
-La croce è sempre apparecchiata, e in ogni luogo ti aspetta: non
-la puoi cansare dovunque tu corra. Se la porti di buon grado, ella
-porterà te, e ti scorgerà al termine desiderato, dove sia fine al
-patire: se forzatamente la porti, ti fai un peso, e viepiù gravi te
-stesso, e nondimeno ti sarà forza portarla. Se una croce tu getti via,
-un’altra ne troverai, forse più grave. Non è secondo l’uomo portar
-la croce ed amarla, castigare il suo corpo e costringerlo in servitù,
-fuggire gli onori, sostenere di buon grado gli scherni, disprezzare se
-medesimo e bramare d’essere disprezzato, patire qualsivoglia danno, e
-nessuna prosperità desiderare. Ma se ti fidi nel Signore, dal cielo
-ti verrà fortezza, e alla tua signoria saranno soggettati il mondo
-e la carne»[157]. E l’imitar Cristo è una iniziazione progressiva,
-per mezzo dell’astinenza, poi dell’ascetismo, della comunicazione,
-infine dell’unione. Questi successivi passaggi espose l’innominato al
-popolo, colla lingua del chiostro; e divenne libro popolare quel ch’era
-ascetico lavoro di monaco.
-
-Nelle scuole aveano per tutto il medioevo contrastato i Realisti, che
-propendendo all’unità di sostanza, giudicavano mere astrazioni i nomi
-di genere, specie, individui; contro i Nominalisti, che proclamavano
-la pluralità della sostanza, ripristinando l’individuazione, il
-genere, la specie, all’universale non attribuendo altro valore che
-d’un segno. Dappoi la battaglia erasi ingaggiata e continuava sotto
-le antiche bandiere d’Aristotele e Platone, del ragionamento e
-dell’entusiasmo, del sillogismo e dell’ispirazione. Dal 1313 al 16 un
-frà Paolino minorita diresse a Marin Badoaro duca di Candia un trattato
-italiano col titolo _De recto regimine_, dove analizza con semplicità
-e chiarezza i doveri d’un magistrato; tiene pel governo d’un solo,
-ma che si circondi di una consulta di savj. Parteggia invece per la
-repubblica, almeno nei piccoli Stati, Egidio da Roma, educatore di
-Filippo il Bello e arcivescovo di Bourges; di cui i due primi libri _De
-regimine principum_ sono una direzione di coscienza pei re, il terzo
-un trattato di diritto politico, esaminando le varie forme di governo
-e le leggi civili che vi si riferiscono: nemicissimo della servitù
-personale, non riconosce regno se non si conformi agli eterni canoni
-della giustizia.
-
-Accursio rimase tipo de’ glossatori, talchè sopra di lui si
-concentrarono i biasimi e le lodi. Ma la sua grande compilazione
-avea posto termine alle spiegazioni orali de’ professori, fin allora
-usitate; le interpretazioni furono ristrette; i glossatori divennero
-autorità unica, fino a dirsi che una glossa val più di cento testi. In
-conseguenza la scienza decadde, e sottentrarono i giuristi scolastici,
-che alla giurisprudenza applicarono i metodi dialettici; nel che
-vedemmo illustri Baldo e Bártolo, il quale colla gran pratica del fôro
-suppliva alla mancanza di storia e di filologia. Tutti i loro seguaci
-sono prolissi e barbari; onde dagli umanisti erano tenuti per dappoco,
-perchè conservavano ancora lo stile ispido, l’argomentare scolastico,
-le affollate citazioni al par de’ teologi: pure alcuni cominciarono
-a disselvatichire quegli studj, meditar Giustiniano con filologia e
-storia, e Andrea Alciato fu de’ primi, poi i francesi Budeo e Mulineo,
-e superiore a tutti il Cujaccio.
-
-Molti ottennero celebrità per consulti legali e per opere o per
-magistrature sostenute; ma col rinnovarsi della scienza i loro libri
-non serbarono alcuna importanza, neppur d’erudizione. Chi non lodava
-allora Paris de Puteo, alessandrino o napoletano, Giovan Antonio
-Carafa, principe de’ giureconsulti, Matteo degli Afflitti, il più dotto
-leggista di quanti furono prima o poi, i cui _Commenti sopra i feudi_
-non hanno pari, e che raccogliendo le decisioni della curia napoletana,
-diede origine alla nuova genìa dei _Decisionanti?_ Giovanni d’Andrea
-bolognese o fiorentino fu in voce del maggior canonista; e le sue
-figlie Novella e Bettina dettarono anch’esse. Paolo da Liazari, costui
-scolaro, allevò Giovanni da Legnano, così celebre che alla sua morte
-si chiusero le botteghe. Andrea d’Isernia fu nominato l’evangelista
-del diritto feudale, e re Roberto il menò seco onde perorare alla
-corte d’Avignone i diritti che vantava al trono di Napoli[158].
-Gran lume al diritto civile recò pure Francesco Accolti d’Arezzo.
-Guadagnò moltissimo di sua professione, e sperava anche il cappello
-cardinalizio, ma Sisto IV gliel ricusò dicendo temeva di sottrarre alle
-scienze un troppo illustre cultore. Volendo dimostrare ai suoi scolari
-in Ferrara quanto importi conservare il buon nome, rubò della carne da
-un macello: subito ne vennero imputati gli studenti, e due in cattiva
-reputazione furono arrestati e correvano pericolo, quando l’Accolti
-andò ad accusare se stesso: non si volle credergli, finchè non addusse
-i testimonj e il motivo.
-
-I canali, le macchine da guerra, i molini ad acqua e a vento, una
-filatura in Bologna nel 1341 mossa per forza d’acqua ed equivalente
-all’opera di quattromila filatrici, e i grandi lavori architettonici
-e idraulici attestano coltivate la geometria e la meccanica. Nel 1455
-Gaspare Nadi e Aristotele di Feravante trasportarono la torre della
-Magione di Bologna colle sue fondamenta, alte ottanta piedi, colla
-spesa di sole cencinquanta lire; e raddrizzarono il campanile di Cento,
-che strapiombava più di cinque piedi[159].
-
-Per servizio ora della magia, ora del commercio, le matematiche
-venivano coltivate dai nostri. Paolo Dagomari, detto Dall’Abaco, pel
-primo usò la virgola a distinguere in gruppi di tre cifre i numeri
-troppo lunghi, e introdusse i taccuini. Molti trattati d’algebra
-o, come dicevano, almacabala, si trovano nelle biblioteche; e
-il primo messo a stampa fu l’italiano di Luca Pacioli da Borgo
-Sansepolcro francescano, professore a Milano, che servì di base a
-tutti i matematici del secolo seguente. «In quest’arte maggiore,
-detta dal vulgo regola della cosa», arriva all’equazione di secondo
-grado, non più in là del Fibonacci; se non che la sua osservazione
-che le regole relative alle radici sorde possono riferirsi alle
-grandezze incommensurabili pressente l’applicazione dell’algebra alla
-geometria. Aveva visitato le città commerciali d’Italia, e porge
-le diverse pratiche dei negozianti, esempj numerosissimi di conti,
-cambj, arbitramenti, società, e principalmente la tenuta de’ libri in
-scrittura doppia all’italiana, che tanto tardò ad essere adottata[160].
-
-Giorgio Valla piacentino (-1500) scrisse una specie di enciclopedia
-_de expetendis et fugiendis rebus_, desumendola da Greci e Latini, a
-preferenza degli Arabi, e nel III cap. dà un trattato delle sezioni
-coniche, forse primo dopo il risorgimento. Non abbiamo però matematici
-nostri che equivalgano ai tedeschi Purbach e Regiomontano. Questo pel
-primo costruì un almanacco colla posizione degli astri, gli eclissi, e
-calcoli della situazione del sole e della luna per trent’anni; chiamato
-a Roma per l’emendazione del calendario, vi morì in fresca età.
-
-Gli astronomi erano tutti ubbie astrologiche, e ne formicola il
-famoso _Libro del perchè_ del Manfredi: pure la scienza avanzò. Nelle
-tavole di Giovanni Bianchini bolognese sono combinati tutti i moti dei
-pianeti. Domenico Maria Novaro ferrarese determinò la posizione delle
-stelle indicate nell’_Almagesto_, sospettò si fosse cambiato l’asse
-di rotazione della terra, ed ebbe scolaro Copernico, cui suggerì il
-concetto del sistema pitagorico. Paolo Toscanelli da Firenze confortò
-le speranze di Cristoforo Colombo sulla possibilità di giungere alle
-Indie dalla parte d’Occidente.
-
-Le scienze naturali proseguivano in caccia di testi più che di
-fatti, e solo nel secolo seguente appoggiaronsi alla sperienza e alle
-matematiche, surrogando la realtà alle chimere, l’evidenza alle ipotesi
-e all’autorità. Nè in medicina si paragonava lo stato sano col morboso;
-e il libro del Ficino _Della vita umana_ è tutto formole per conservare
-la salute e prolungare la vita con astrologiche osservanze; dalle
-stelle deduce le malattie e l’efficacia dei rimedj; insegna ai vecchi
-a ringiovanire bevendo sangue di giovani: delirj, comuni ad Arnaldo
-Bacone, ad Arnaldo di Villanova ed ai migliori, ma combattuti da Pico
-e dal Guainero pavese. Dino del Garbo, gloria dell’età sua, aggiunse
-altre sottigliezze alle arabiche. Marsilio da Santa Sofia, Gentile
-da Fuligno, Pietro da Tossignana, Guglielmo da Varignana, Cristoforo
-Barziza, Giovanni da Concorezzo ed altri esercitarono con lode e
-scrissero di medicina. Michele Savonarola padovano, buon osservatore,
-francamente si emancipa da Averroe; eppure crede che Niccolò Piccinino
-generasse di cento anni, che dopo la peste del 1348 invece di trentadue
-denti se n’avessero ventidue o ventiquattro, e che col feto possa
-uscire talvolta un animale.
-
-I medici non rifuggivano dalla chirurgia, mentre questa fuor d’Italia
-era abbandonata a barbieri ignoranti. Il salasso tenevasi operazione
-d’importanza; contendevasi seriamente sul dove e quando praticarlo;
-allorchè ne facesse bisogno, nelle case principesche adunavansi parenti
-e amici, e se riescisse bene, ringraziavasi il Signore festeggiando.
-Vincenzo Vianeo di Maida, Branca e Bojani di Tropea introdussero
-l’innesto animale, rifacendo nasi. Il Governo veneto, come in molti
-provvedimenti, così prevenne gli altri coll’ordinare, ai 7 maggio
-1308, che ogni anno si sezionasse qualche cadavere. Nel 1315 Mondini
-de’ Luzzi, professore a Bologna, ne dissecò pubblicamente, e diede
-una descrizione del corpo umano fatta sul vero, e tavole anatomiche:
-e sebbene non sappia francarsi dalla venerazione agli antichi, e
-alle asserzioni di Galeno sagrifichi perfino l’evidenza, pure rimosse
-molte asserzioni fantastiche, disse ciò che propriamente avea veduto,
-e spiegò semplice e preciso; onde il suo libro per tre secoli rimase
-testo; aggiungendovi le scoperte che man mano si facevano. Dopo lui
-s’introdusse d’aprire ogni anno uno o due cadaveri nelle università:
-Bartolomeo da Montagnana, professore a Padova, si vanta d’aver fatto
-quattordici autopsie[161].
-
-I farmacisti per lo più erano anche droghieri, laonde speziale
-significò farmacista e confetturiere; e le città, nell’accordare le
-licenze, v’aggiungevano l’obbligo di mandare alcuni dolci alla camera
-del Comune. Saladino d’Ascoli diede un _Compendium aromatariorum_ per
-norma dei farmacisti, dai quali pretende tante qualità, che pur beato
-se la metà ne possedessero. Santo-Arduino fece altrettanto per Venezia,
-Ciriaco degli Agosti di Tortona per l’Italia occidentale, Paolo Suardo
-pel Milanese. Ermolao Barbaro e Nicolò Leoniceno, commentando Plinio,
-giovarono assai alla botanica officinale. Nel 1415 Benedetto Rinio
-medico e filosofo veneto, con lunga diligenza e peregrinazioni faceva
-il _Liber de simplicibus_ in quattrocentrentadue faccie benissimo
-dipinte da Andrea Amadio, e coi nomi latini, greci, arabi, slavi,
-tedeschi. È la maggior raccolta che ancor si fosse fatta di piante e
-fiori, col tempo opportuno a raccoglierli e l’applicazione medicinale;
-e sta nella Marciana, coll’_Erbario o storia generale delle piante_,
-lavorato nel secolo seguente da Pier Antonio Michiel.
-
-Papa Benedetto XIII riprovò la magia come ereticale; e poichè
-moltiplicavansi le guarigioni presunte miracolose alle tombe di san
-Rocco, di santa Caterina da Siena, di sant’Andrea Corsini ed altri,
-la Chiesa provvide non avesse a gridarsi al miracolo se non quando il
-morbo fosse incurabile, e istantaneo il risanamento. La ricorrenza
-delle pesti[162] crebbe la devozione per san Sebastiano, pel santo
-Giobbe, per san Rocco principalmente, che di quell’età appunto dal
-patrio Montpellier era pellegrinato in Italia onde assistere a’
-contagiosi. Spesso ancora sulle facciate delle chiese e su tabernacoli
-lungo le vie si dipingevano gigantesche figure di san Cristoforo,
-la cui vista diceasi preservare dai cattivi incontri e dalle morti
-improvvise, le quali sembra divenissero allora più frequenti; onde
-spesseggiarono pure le invocazioni a sant’Andrea Avellino ed altre
-devozioni preservative.
-
-A richiamare dalla erudizione all’osservazione, dai testi ai fatti,
-valsero alcune malattie nuove, come la morte nera; la tosse ferina,
-comparsa nel 1414 sotto forma epidemica; la tarantola, epidemia
-psichica che s’attribuiva al morso d’un ragno, e portava a ballare e
-far attucci stravaganti. La lebbra vuolsi venuta in Italia co’ soldati
-di Pompeo reduci dall’Egitto, ma presto si spense. Ricomparve al tempo
-de’ Longobardi, poi di nuovo alle crociate: e forse non era cessata
-mai del tutto, poichè ne cade menzione in miracolose guarigioni, e
-negli ospedali istituiti; certamente Costantino, medico della scuola
-salernitana, la decriveva precisa nel 1087, cioè avanti le crociate
-che la diffusero. Al tempo che discorriamo pare scomparsa, giacchè il
-Cardano non la conosceva, il Fracastoro la dice morbo raro[163], e gli
-spedali de’ Lazzari diminuivano, per far luogo a quelli destinati a un
-altro morbo, conseguenza e castigo della dissolutezza, che diffuso poi
-al tempo della calata di Carlo VIII, fra noi ebbe il nome di francese,
-di campano tra i Francesi. Dopo molto ragionarne resta dubbio se
-venisse dall’America o fosse già conosciuto.
-
-In complesso questa è un’età di reminiscenza, più che di fantasia e di
-ragione; si fa tesoro delle cognizioni prische, anzichè conquistarne di
-nuove; nè si mettono al vaglio dell’esperienza. Mancando la stampa, i
-giornali, la posta, noi ci figuriamo che le opere di letteratura o di
-scienza dovessero rimanere in angusto circolo, nè conoscersi lontano
-le scoperte d’un paese. Però nelle università concorreva gente da
-regioni remotissime, vi si comunicavano le cognizioni, i professori
-vi portavano le opere proprie, i giovani voleano tornare in patria
-arricchiti di qualche manoscritto, sicchè diffondeansi più prontamente
-che non si possa credere. Gli autori stessi più volte, dopo pubblicato
-un lavoro, lo correggevano, e ne facevano una seconda edizione, come
-si pratica dopo la stampa: così Leonardo Fibonacci nel 1202 pubblicò
-il suo _Abacus_, primo trattato d’algebra fra’ Cristiani; poi nel 28 ne
-diede una nuova edizione con aggiunte.
-
-Però i libri erano più venerati perchè rari; la quale venerazione
-faceva che una notizia si tenesse per vera sol perchè scritta, si
-ripetesse dai successivi perchè detta dai precedenti; che se la
-sperienza la contraddicesse, non si smentiva l’autore, ma cercavasi
-conciliarla, come si fa colla Bibbia, a costo di storpiare la verità.
-Spesso s’ignoravano le scoperte e le lucubrazioni anteriori; e mentre
-oggi non si perdona d’accingersi a un lavoro senza conoscere tutti i
-precedenti, allora si trovano o accettati errori o ignorate verità, su
-cui già da un pezzo altri aveva esercitato il giudizio.
-
-Ad accelerare ed assicurare i progressi dello spirito umano valse
-un’invenzione suprema di questo tempo, la stampa.
-
-Gli antichi scrivevano sopra cuojo o foglie di palma, o sul libro,
-cioè sulla seconda corteccia delle piante: dipoi si preparò carta o
-colle fibre del papiro, canna propria dell’Egitto, ovvero con pelle
-di pecora, la quale chiamossi _pergamena_ perchè a Pergamo inventata o
-perfezionata. Tracciavano i caratteri con bocciuoli di canna, aguzzati
-e intinti nell’inchiostro: le scritture di maggior conto incidevansi su
-pietra, legno, metalli: per gli usi giornalieri sovra tavolette cerate
-notavasi con uno stilo acuto, e si cancellava colla sua estremità
-ottusa. Que’ papiri e quelle pergamene coprivansi da un lato solo,
-appiccicando un foglio a piè dell’altro sinchè fosse compiuto un libro,
-poi rololavansi (_volume_), e si fissavano con un bottone. Giulio
-Cesare fu il primo che scrivesse sulle due faccie della pergamena
-le lettere al senato, e divulgò l’uso di piegarla al modo de’ nostri
-libri. Lisciare i fogli coll’avorio, profumarli coll’olio di cedro,
-miniare e dorare le iniziali, le costole, il taglio, gli attaccagnoli,
-era servigio degli schiavi libraj e grammatici, de’ quali ogni ricco
-teneva uno o più: altri il facevano liberamente per venderli.
-
-Tutto ciò operavasi a mano; e poichè alle mende inevitabili s’univano
-quelle varietà capricciose e quasi istintive che ognuno insinua
-trascrivendo, differenti e scorrettissimi riuscivano i codici: chi
-volesse qualche testo emendato, l’esemplava di proprio pugno, come
-fecero pochi diligentissimi grammatici, o qualche dottore della Chiesa,
-rendendo famose certe edizioni d’Omero e della Bibbia.
-
-Col cristianesimo l’arte dello scrivere passò dagli schiavi ai monaci,
-per la necessità di diffondere dottrine, polemiche, orazioni; san
-Benedetto pose obbligo a’ suoi il copiarne; monache vi si esercitavano
-pure. Quanto dell’antichità possediamo, ci arrivò quasi solo per man
-di essi; onde è ingratitudine e illiberalità il querelarli se, meglio
-degli autori classici, si piacquero trascrivere i santi Padri ed opere
-di teologia. Intanto è vero che degli autori lodatici dagli antichi per
-sommi, nessuno forse ci manca, e di questi possediamo il meglio; com’è
-vero che, già prima della caduta dell’Impero occidentale, rarissimi
-erano fatti alcuni, a cagion d’esempio Aristotele, di cui a’ migliori
-giorni di Roma non era avanzato che un solo esemplare; talchè gran
-merito reputavasi il farne estratti o compendj, come usarono Floro,
-Giustino, Plinio, Costantino ed altri. L’agevolezza procacciata da
-questi compilatori recava a prendere minor cura delle opere originali
-dopo che se n’era stillato il buono e il meglio, laonde lasciaronsi
-andar perdute.
-
-Il guasto degli autori classici cominciò dunque assai prima de’
-Barbari; le guerre e gl’incendj di questi ne mandarono a male altri
-assai; zelo de’ buoni costumi, che lascio ad altri il condannare,
-fece da ecclesiastici distruggere alcuni scandalosi ed immorali.
-Era difficile il trarre d’Egitto il papiro; poi divenne impossibile
-dacchè gli Arabi l’ebbero occupato. La pergamena, già costosa, crebbe
-allora smodatamente di prezzo; onde si ricorse ad uno spediente già
-noto agli antichi: ciò fu di raschiare le scritture antecedenti,
-onde sovrapporvene di nuove[164]. Buon frate, per te aveano suprema
-importanza un antifonario, una raccolta di preghiere, un trattato della
-confessione; e quando per essi coprivi o la _Repubblica_ di Cicerone o
-il codice Teodosiano, vi avevi tanto diritto quanto oggi n’abbiamo noi
-d’usare l’opposto.
-
-Gli antichi valeansi di lettere majuscole e senza interpunzione;
-più tardi per espeditezza si raccorciarono, in modo da venirne il
-carattere minuscolo. Per la ragione medesima s’introdussero certe
-abbreviature o note, le quali furono portate fino a cinquemila, e
-col loro mezzo poteano i _notari_ tener dietro a qualunque discorso
-per accelerato[165]. Raccoglievano questi dapprima le decisioni del
-senato e delle pubbliche adunanze, o le ultime volontà; onde passò
-il titolo di notaro a indicare chi è rogato a mettere in iscritto un
-atto spettante a fede pubblica. I veri caratteri tachigrafi caddero
-in dimenticanza tale nei secoli venturi, che un salterio trovato a
-Strasburgo dal Tritemio era registrato nel catalogo come di lingua
-armena.
-
-Le iscrizioni già al tempo dell’Impero aveano preso caratteri
-d’inelegante magrezza, com’è a vedere su pei muri di Pompei e
-d’altrove, e peggio nelle catacombe cristiane e ne’ tempi oscuri; pure
-continuarono le lettere tonde. Ma nel XII secolo, mentre s’introduceva
-il gusto gotico nell’architettura, anche i caratteri si fecero
-angolosi, poi s’ingombrarono di ghirigori; usanza durata fin nel
-secolo XV, quando ripigliò la buona calligrafia con gran varietà di
-caratteri[166]. Jacopo fiorentino, frate camaldolese, dopo il 1300 è
-ricordato come il migliore scrittore di lettere romane che fosse prima
-o poi, sicchè la sua mano fu conservata in un tabernacolo. Angelo
-Pezzana negli _Scrittori parmensi_ noverò sedici calligrafi valenti,
-ai quali poi ne aggiunse altri otto nella _Storia di Parma_, tutti del
-secolo XV o circa.
-
-Vi si associò il lusso delle pitture, quasi ogni pagina portando
-profili, cornici, figure, stemmi, lettere bizzarre (Cap. XCIX), talchè
-un libro divenne il complesso di tutte le arti belle; poesia e retorica
-nel comporlo, calligrafia nel trascriverlo, miniatura nell’ornarlo
-in oro, carmino, oltremare, pellicceria nel prepararne la coperta,
-cesellatura nell’abbellirlo di borchie, oreficeria ad incastonarvi
-gemme, doratura a lisciarne i margini.
-
-Qual meraviglia se i libri salirono a prezzi ingenti? Da’ cataloghi che
-i libraj esponevano, e dalle tasse determinate dalle università siamo
-informati d’alcuni di questi; ma non vuolsi dimenticare che spesso
-li rincarivano le miniature. Nel 1279 a Bologna si diedero ottanta
-lire (L. 435) per copiare una Bibbia; ventidue per l’Inforziato[167].
-Melchiorre, librajo di Milano, chiedeva dieci ducati d’oro per
-una copia delle epistole famigliari di Cicerone. Alfonso d’Aragona
-scrisse da Firenze al Panormita, che il Poggio aveva a vendere un
-Tito Livio per cenventi scudi d’oro; il Panormita alienò una masseria
-per acquistarlo; e il Poggio ne comperò una col prezzo ritrattone.
-Borso d’Este nel 1464 pagava otto ducati d’oro a Gherardo Ghislieri di
-Bologna per avere alluminato un libro intitolato _Lancellotto_; nel 69,
-quaranta ducati per un Giuseppe Ebreo e un Quinto Curzio; la famosa
-sua Bibbia, due grandi volumi in pergamena, dove ogni pagina porta
-miniature diverse, per opera di Franco de’ Rossi e Taddeo Crivelli, gli
-costò milletrecento settantacinque zecchini[168]. Piccola cosa doveano
-dunque essere le biblioteche d’allora, e re e papi erano scarsi di
-libri quant’oggi un cherichetto[169].
-
-Nondimeno certuni aveano potuto raccorne di molti, in Italia
-specialmente, e di qui li cercavano gli studiosi, massime da Roma e
-da’ conventi rinomati della Novalesa, della Cava, di Montecassino.
-La biblioteca del cardinale Giordano Orsini nel 1438, composta di
-ducencinquantaquattro codici, stimavasi duemila cinquecento ducati
-d’oro[170]. Tommaso da Sarzana ne comperava a credenza, ed accattava
-per pagare copisti e miniatori. Il Petrarca lagnavasi che in tutto
-Avignone non si trovasse un Plinio; ma una scelta biblioteca erasi
-egli formata, che poi cedette per tenue compenso alla Repubblica
-veneta: fra quei libri sono un Omero, donatogli da Sigeros ambasciatore
-dell’Impero d’Oriente; un Sofocle, avuto da Leonzio Pilato, colla
-traduzione dell’Iliade e dell’Odissea fatta da questo, ed esemplata
-dal Boccaccio; un Quintiliano; tutte le opere di Cicerone, ricopiate
-dal Petrarca stesso: forse è di suo pugno il Virgilio che si conserva
-alla biblioteca Ambrosiana. Alla Marciana di Venezia servirono di
-fondo i libri che il cardinale Bessarione avea compri per trentamila
-zecchini, e che lasciò a quella «città retta dalla giustizia, dove le
-leggi regnano, la saviezza e la probità governano, abitano la virtù,
-la gravità, la buona fede». Cosmo de’ Medici, esulando colà, donò la
-sua al convento di San Giorgio; poi in Firenze colla libreria privata
-diede origine alla Laurenziana. Nicolò Niccoli gareggiava, secondo
-sua fortuna, con esso nell’adunar libri, e ottocento volumi possedeva
-fra greci, latini e orientali, esemplandoli egli stesso, riordinando e
-correggendo testi malmenati dagli amanuensi, onde il chiamarono padre
-dell’arte critica: lasciò quei libri ad uso pubblico, e furono messi
-ne’ Domenicani di San Marco con una disposizione che servì di modello
-alle future. Coluccio Salutato, lagnandosi del guasto de’ codici,
-proponeva biblioteche pubbliche, dirette da dotti che discernessero
-le lezioni migliori; e fece acquistarne una a Roberto di Napoli. Altri
-signori l’imitarono; e rammentano un Andreolo de Ochis bresciano, che
-venduto avrebbe beni, casa, donna, se stesso per aggiungere libri ai
-molti che possedeva.
-
-I lamenti per le scorrezioni delle copie cresceano quanto più
-cresceva il desiderio di leggere; e Petrarca esclamava: — Chi recherà
-efficace rimedio all’ignoranza e viltà dei copisti, che tutto guasta
-e sconvolge?.... Nè fo querela dell’ortografia, già da lungo tempo
-smarrita.... Costoro confondendo insieme originali e copie, dopo
-aver promesso una, scrivono un’altra cosa affatto diversa, sì che
-tu stesso più non riconosci quanto hai dettato. Se Cicerone, Livio,
-altri egregi antichi, singolarmente Plinio Secondo, risuscitassero,
-credi tu che intenderebbero i proprj libri? o che non piuttosto ad
-ogni piè sospinto esitando, or opera altrui, or dettatura dei Barbari
-li crederebbero?.... Non v’ha freno nè legge alcuna per tali copisti,
-senza esame, senza prova alcuna trascelti: pari libertà non si dà
-pei fabbri, per gli agricoltori, pei tesserandoli, per gli altri
-artigiani».
-
-Se la scorrezione sgarbava ne’ libri di letteratura, diveniva
-importantissima in quelli che concernono la coscienza e la fede.
-Pertanto fra gli Ebrei ogni esemplare della Bibbia doveva esser
-riveduto dai rabbini; i quali dalla _Massora_ sapevano quanti versetti,
-quante parole, quante lettere contenesse il sacro libro, e quante volte
-ciascuna fosse ripetuta; e se trovassero qualche lettera di meno, o
-scritta con inchiostro impuro, o su membrana preparata da incirconcisi,
-bastava per dichiarar guasto quel testo e distruggerlo.
-
-Rinfervorato l’amore degli studj, più vivo fu sentito il bisogno
-di qualche succedaneo alla carta di membrana e di papiro, e dai
-Cinesi i Tartari e gli Arabi, da questi gli Spagnuoli impararono a
-farla di cotone, cui dopo il Mille si surrogarono i cenci di lino.
-Se fosse vero che quella non si discerna da questa, come pretende
-il Tiraboschi, n’avremmo una prova della sua perfezione, e poco
-monterebbe il disputarne. Ad ogni modo erra il Cortusio differendo
-al 1340 l’invenzione della carta di lino, la quale chiamossi papiro,
-a differenza della bambagina[171]; e Pace da Fabriano, cui egli
-ne ascrive il merito, forse non fece che trapiantare nel Trevisano
-questa manifattura, già fiorente a Fabriano nella marca d’Ancona. Nè
-ha fondamento l’asserire che la Repubblica fiorentina invitasse con
-larghissimi privilegi quei di Fabriano a stabilire cartiere a Colle di
-val d’Elsa, poichè in una carta del 6 marzo 1377 trovasi allogata per
-venti anni una caduta d’acqua a favore di Michele di Colo da Colle, con
-gora, casalino _et gualcheriam ad faciendas cartas,_ la quale già prima
-era affidata a Bartolomeo di Angelo della Villa[172].
-
-Dapprima adoperata solo per lettere ed istromenti, alla diffusione
-delle dottrine non contribuì che nel secolo XIV, quando vi si
-trascrissero libri. Dovettero questi allora rendersi men rari, e
-qualche mercante ne troviamo alle Università di Germania e di Parigi; a
-Firenze il Vespasiano nel 1446, un Melchior a Milano, Giovanni Aurispa
-a Venezia poco dopo negoziavano di libri.
-
-Pare condizione vitale della società che le scoperte vengano appunto
-quand’essa ne ha bisogno per ispingersi con nuovo slancio. Allora
-dunque che l’amore per la letteratura classica volgeva a cercar con
-passione e riprodurre gli esemplari, e che le grandi controversie dei
-re e della Chiesa faceano moltiplicare scritture, comparve l’arte più
-mirabile fra le moderne, la stampa.
-
-Dello scopritore si disputa. Pare i Cinesi la conoscessero da
-antichissimo; stampe stereotipe faceansi in Europa, non per uso
-letterario, bensì per figure di santi e carte da giuoco[173]; e Venezia
-nel 1441 dava un privilegio, atteso che _l’arte di far le carte da
-zugar e figure dipinte stampade era venuda a total defection_, in
-grazia della gran quantità che n’entrava di forestiere. A quel modo
-Lorenzo Coster di Harlem impresse facciate intere. Le prime stampe
-furono dunque xilografiche, e la maggior parte veniva occupata da
-figure; del che l’esempio più conosciuto è la _Bibbia de’ poveri_,
-di quaranta fogli stampati da un lato solo: tutti poi son poco
-voluminosi, eccetto i _Mirabilia Romæ_, specie d’itinerario a comodo
-degli oltramontani che pellegrinavano alla gran città, e che consta
-di centottanta facciate. Presto si avvisò potersi alle tavolette
-sostituire caratteri mobili: e così se ne intagliarono di legno, poi di
-piombo per arte di Giovanni Guttenberg da Magonza[174], cui l’orefice
-Giovanni Faust somministrò capitali. Pietro Schöffer di Gernsheim al
-piombo sostituì un metallo duro, e trovò l’inchiostro untuoso da ciò:
-ancor più fece inventando i punzoni, sicchè, invece d’intagliarli uno
-ad uno, si fusero i caratteri per mezzo di matrici. Il primo libro
-stampato con caratteri mobili pare la Bibbia detta Mazarina, dalla
-biblioteca in cui fu trovata, ed è del 1450 o 52 o più veramente 55:
-alcuni esemplari sono sovra pergamena; bell’inchiostro, bei caratteri,
-sebbene non sempre uniformi. Del 1454 si ha un opuscoletto di quattro
-carte per esortare i Turchi con indulti di Nicola V; poi un almanacco
-del 57.
-
-Presto quell’arte giunse in Italia[175], e del 1465 abbiamo l’edizione
-di Lattanzio e del _Cicero de oratore_ a Subiaco per Corrado
-Schweinheim e Arnoldo Pannartz, coll’assistenza di Giovanni Andrea
-Bussi di Vigevano, poi vescovo di Aleria; ma dicesi preceduta da un
-_Donatus pro puerulis_. In Roma al 70 erano uscite almeno ventitre
-edizioni di antichi. Giovanni da Spira, collocatosi a Venezia nel
-69, vi lavora quanto a Roma; e così Vindelino suo fratello, poi
-il francese Nicolò Jenson. Fino al 1500 s’erano stampate a Parigi
-settecencinquantun’opere; in Italia quattromila novecentottantasette,
-di cui a Firenze trecento, a Bologna ducennovantotto, a Milano
-seicenventinove, a Roma novecenventicinque, a Venezia duemila
-ottocentrentacinque; altre cinquanta città aveano stamperie. Anche
-borgate vollero averne, come Sant’Orso presso Schio, Polliano nel
-Veronese, Pieve di Sacco nel Padovano, Nonantola e Scandiano nel
-Modenese, Ripoli presso Firenze. Le opere di Cicerone furono delle
-prime; edite dallo Schweinheim a Roma e dal Jenson a Venezia; ma in
-un corpo non comparvero che nel 98 a Milano pel Minuciano. Un Livio
-imperfetto era appartenuto al Petrarca, poi l’ebbe Cristoforo Landino,
-e su quella forma andò la prima stampa fattane a Roma forse fin dal 69,
-poi nel 72; indi a Milano nel 78 dal Lavagna, e nell’80 dallo Zarotto;
-e già a Venezia da Vindelino nel 70, a Roma ancora nel 71 e 72 da
-Udalrico Gallo, a Treviso nell’80 e 83 da Michele Mazolino co’ tipi di
-Giovan Vercelli, a Milano di nuovo nel 95: ma completo, almeno quale
-ci resta, si vide solo a Magonza nel 1518. Di Vitruvio un esemplare si
-aveva a Montecassino, e fu stampato a Roma nell’86, e commentato nel 95
-da Silvano Morosini veneziano.
-
-I copisti a mano erano di molta valentia e credito in Genova; e
-temendo lo scapito che all’arte loro verrebbe dai torchi, ottennero
-che quella Signoria li proibisse. Pertanto Mattia il Moravo, che vi
-si era stabilito, passò a Napoli; e Giovan Bono tedesco, che a Savona
-avea stampato Boezio, si trasferì a Milano. In conseguenza maestro
-Filippo da Lavagna, ricco mercante innamorato di quest’arte, non potè
-fondarla in patria, e la pose a Milano, primo stampatore nostrale che
-si ricordi[176]. Gli disputa tale primato Antonio Zarotto di Parma,
-che a Milano nel 1471 pubblicava Festo _De verborum significatione_,
-e la _Cosmografia_ di Mela; l’anno dopo formava società con prete
-Gabriele degli Orsoni, Pier Antonio da Borgo di Castiglione, Cola
-Montano e Gabriele Paveri Fontana professori d’eloquenza, obbligandosi
-egli a fondere caratteri, tenere in ordine i torchj, far l’inchiostro,
-dirigere la tipografia. Fu il primo che stampasse libri liturgici
-col celebre messale del 1475, e intagliasse punzoni di greco per la
-grammatica del Lascari[177], mentre prima s’inscrivevano a mano. Vi
-tennero dietro la _Batracomiomachia_ nell’85, l’Omero di Firenze
-nell’88 a spese di Lorenzo Medici, l’Esiodo e Teocrito nel 93,
-l’_Antologia_ nell’84, Luciano, Apollonio, il _Lessico_ di Suida: ma al
-1495 non passavano la dozzina i libri greci stampati in Italia.
-
-Il primo stampato italiano fu l’opera del Cennino orafo. A Reggio di
-Calabria stamparonsi in ebraico i commenti di Jarchi sul Pentateuco nel
-75; a Soncino nel Cremonese, per cura di Nathan Ismaele, il Pentateuco
-nell’82; nell’86 i commenti del famoso Kimcki sui Profeti; nell’88
-l’intera Bibbia con bellissimi caratteri, della quale non più che
-cinque o sei esemplari si conoscono. A Cremona poi nel 1556 Vincenzo
-Conti stampava i _Toledot_ e il salterio ebraico commentato dal Kimcki;
-e in quella città, d’ordine dell’Inquisizione romana, si dice siano
-stati abbruciati dodicimila esemplari di libri talmudici. Tipografie
-ebraiche v’ebbe pure a Casalmaggiore e Sabbioneta. I primi caratteri
-arabici si adoperarono a Fano da Gregorio Giorgi nel 1514 nelle sette
-ore canoniche, poi da Pier Paolo Porro milanese.
-
-A ristorare la deteriorata calligrafia sorse Aldo Manuzio di Sermoneta.
-Dopo il _Museo_, prima opera da lui edita in Venezia nel 1495, il dotto
-tipografo continuò venti anni attorno a classici latini e greci[178];
-e si stupisce pensando che stampò per la prima volta Aristotele,
-Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto, Senofonte, Erodiano, Demostene,
-i Retori, gli Oratori, Platone, Ateneo, Dioscoride..... Adoprò il
-carattere corsivo, detto _italico_ dai Francesi, ed inciso da Francesco
-di Bologna, che tolse a modello la scrittura del Petrarca. Aldo stesso
-le più comode e men dispendiose forme del dodicesimo, ossia piccolo
-ottavo, sostituì alle solite in-folio: forse soltanto in Italia usavasi
-l’in-quarto. Via via s’introdussero i registri dei fogli, prima che si
-numerassero le pagine o le facciate; s’imparò a compartire gli spazj in
-modo che le linee riuscissero eguali, senza code alla lettera finale;
-poi vennero le virgole, poi le chiamate, e passo a passo la perfezione
-presente.
-
-La carta doveva emulare la pecora e il vitello (_vélin_), onde si facea
-con cenci scelti di lino e di canapa, non imbianchita col liscivio che
-oggi snerva la fibra vegetale: la pasta trituravasi lentamente colle
-pile: ed il foglio, fatto a mano colla trecciuola, veniva incollato
-fortemente colla gelatina, la quale lo induriva in modo che fin ad oggi
-ne troviamo inalterate le qualità.
-
-La carezza della carta e dell’inchiostro (il migliore traevasi da
-Parigi), la tiratura diligentissima, i lavoranti ancora scarsi, e il
-piccolo spaccio rendeano rischiose le imprese. Schweinheim e Pannartz
-nel 1472 esposero a papa Sisto IV di trovarsi ridotti a povertà per
-avere impresse tante opere senza esitarle; e dalla loro querela appare
-che di consueto si tiravano copie ducensessantacinque, il doppio per
-Virgilio, pe’ filosofici di Cicerone, e pei libri di teologia; in tutto
-essi aveano prodotto dodicimila quattrocensettantacinque esemplari.
-Anzichè arrischiare copiose edizioni, rinnovavansi; e quasi ogni anno
-furono da Paolo Manuzio riprodotte le epistole famigliari di Marco
-Tullio.
-
-Presto ai libri si aggiunsero figure[179]; e già nel 1467 a Roma
-uscivano le _Meditazioni_ del cardinale de Turrecremata con intagli in
-legno, dipoi coloriti; nel 72 il _Roberti Valturii opus de re militari_
-con macchine, fortificazioni, assalti. Il _Monte santo di Dio_ e
-la _Divina Commedia_ di Firenze nel 1481 portano disegni di Sandro
-Botticelli, incisi in rame da Baccio Baldini: un Tolomeo a Roma per
-lo Schweinheim, ha le carte in acciajo di Arnoldo Buchink, così uno a
-Bologna, e uno pel Berlinghieri a Firenze.
-
-Gli stampatori in principio furono tenuti da molto, e Sisto IV conferì
-a Jenson il titolo di conte palatino. Facevano anche da libraj, e
-primamente in un libro stampato a Ferrara il 1474 si trova il nome
-di _bibliopola_. I Giunti, che stamparono a Firenze e Venezia, fin
-dal 1514 aveano estese relazioni colla Germania[180]. Proteggeasi
-l’interesse degli stampatori con privilegi; e il senato veneto ne
-concedeva uno di cinque anni a Giovan da Spira nel 1469 per le epistole
-di Cicerone, uno ad Ermanno di Lichtenstein nel 94 per lo _Speculum
-historiale_ di Vincenzo di Beauvais: l’anno seguente Lodovico Sforza
-lo conferiva per le opere del Campano a Michele Ferner ed Eustachio
-Silber: Aldo il vecchio l’ottenne pel carattere corsivo[181]. Avendo
-Angelo Arcimboldo trovato a Corbia cinque libri degli _Annali_ di
-Tacito, Leone X ne privilegiò il Beroaldo, che gl’impresse a Roma nel
-1515; nè per dieci anni nessuno potea riprodurli, pena la confisca
-dell’edizione, ducento ducati e la scomunica.
-
-Decreto di deporre alla pubblica biblioteca una copia d’ogni stampato
-non conosco prima di quello del senato veneto nel 1603. In quello Stato
-soprantendevano alla stampa i riformatori dello studio di Padova; e
-gli editori, facendo registrare le opere che metteano ai torchi, ne
-ottenevano privilegio per un decennio, purchè l’edizione uscisse al
-tempo prefisso, e commendevole. I libraj di Bologna e così quelli di
-Parigi e d’altri luoghi ove fosse università, dipendevano da questa,
-che li nominava, e che ne esigeva giuramento e cauzione, e determinava
-i prezzi.
-
-I molti scrivani, rimasti scioperi, strillarono contro un’arte che li
-riduceva alla mendicità, e che surrogava operaj meccanici agli eruditi
-che dapprima collazionavano i codici onde sminuire gli errori de’
-sonnacchiosi copisti; i miniatori si trovarono tolte le occasioni[182];
-i possessori di biblioteche comprate a tesori, ne vedeano di colpo
-decimato il valore; i dotti gelosi prevedevano reso comune il sapere,
-che prima, costando denari e fatiche, assicurava onori e privilegi:
-erano altrettanti nemici della nuova invenzione, e spargeano sinistre
-voci, sino a tacciarla di magia, pericolosa essere cotesta divulgazione
-del sapere, agevolare la corruzione degl’ingegni. Anche persone di
-rette intenzioni se ne sgomentavano; ed Ermolao Barbaro suggeriva che,
-attesa la frivolezza di molti, non si lasciasse pubblicare veruno
-scritto se non approvato da giudici competenti. I Governi videro
-altri pericoli che della frivolezza, e massime in Germania, ove si
-parlava alto contro la Chiesa: onde ad alcuni libri troviamo apposta
-l’approvazione superiore, forse per istanza dell’autore o dell’editore;
-poi una bolla di Leone X, del 4 maggio 1515, portò che nessun libro si
-stampasse senza previa autorizzazione.
-
-Frattanto i manoscritti cessarono d’aver pregio altro che di curiosità,
-e le opere divennero ricchezza comune. Ma per quanto si mettesse cura
-a cercarne, molte dovettero sfuggire all’attenzione, per colpa de’
-manoscritti stessi. In questi talvolta si trovavano cucite insieme
-opere disparatissime, sicchè l’erudito, ingannato dal titolo del primo,
-i minori lasciava inosservati. Altri erano copiati colle abbreviature
-e note che dicemmo, talchè riusciva difficile il dicifrarle: e davvero
-al vederle si direbbero caratteri cinesi, a tratti verticali più o
-meno inclinati, connessi, traversati con altri di forma e posizione
-varia. Benchè Giulio II, a insinuazione del Bembo, avesse proposto un
-premio a chi vi riuscisse, i Benedettini nella _Scienza diplomatica_
-lamentavano che sì poco si adoperasse a ottenere la chiave delle note
-tironiane. Quando Tritemio scoprì un Lexicon di queste e un salterio
-stenografato, si sperava rivelato l’arcano; ma l’effetto non rispose
-all’aspettazione; finchè nel 1817 Knopp pubblicò la storia della
-stenografia antica, l’analisi e la sintesi delle note, e un dizionario
-di circa dodicimila segni, disposti per alfabeto[183].
-
-Son dunque appena cominciati i lavori sui manoscritti di tal natura,
-e può sperarsene frutto: ma qui non consistono tutte le difficoltà
-presentate dagli originali. Apprendiamo da Dioscoride che l’inchiostro
-degli antichi faceasi con gomma e nerofumo stemprati nell’acqua,
-sicchè bagnando la pergamena, facilmente si cancellava. Al tempo di
-Plinio, per mordente vi si aggiungeva aceto, indi vitriolo; ma nessuno
-di questi neri resiste al tempo, sicchè le scritture ci arrivarono
-sbiadite e illeggibili. Un’infusione di noce di galla ripristina
-il colore, e meglio nella scrittura di tempi più remoti, quando
-l’inchiostro teneasi denso di gomma, e grossi erano i tratti, scritti
-con una canna.
-
-Difficoltà maggiori presentano i palimsesti, dove, per tornare ad altro
-uso il foglio, venne raschiata la scrittura anteriore. Molteplici
-sperimenti si fecero per ristaurare i caratteri di prima, e alfine
-la chimica ne trionfò. Ma qui nuovo incidente. Scomponendo i fogli
-del manoscritto antico onde prepararli a un nuovo, talvolta si erano
-allontanati due brani contigui, talaltra un foglio si adoprò ad un
-lavoro, e il seguente ad un tutt’altro; poi si tagliarono in due o
-più pezzi, o si tosarono per adattarli al sesto del nuovo libro. Dopo
-dunque che l’esercitato occhio con buona lente rilevò l’antico sotto
-al nuovo carattere, comincia la fatica del riordinare il lavoro,
-ravvicinare le parti scostate, supplire alle lacune, far che le sparse
-ossa rivivano. Son queste le pazienze intelligenti, alle quali andiamo
-obbligati delle recenti scoperte di molti classici[184].
-
-Un altro meraviglioso congegno fu quello di svolgere e leggere i rotoli
-di papiro sepolti in Ercolano. Quando quella città venne scoperta,
-trovaronsi in una stanza molti cilindri, che si gettarono come carbone,
-finchè si avvertì essere papiri avvoltolati. Arrise dunque la speranza
-di recuperare altre parti della eredità intellettuale degli antichi;
-ma la lava gli avea carbonizzati, e solo i perseveranti studj del
-padre scolopio Antonio Piaggio insegnarono a svolgerli e copiarli,
-e con lunghissima attenzione cavarne nuove ricchezze letterarie e
-archeologiche. E quante ne rimangono ancora sepolte, cura e compiacenza
-de’ nostri nepoti!
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXIII.
-
-Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente. Cultura
-estesa. Origini del teatro.
-
-
-Tutto ci fa sentire che tocca al fine l’età sinora descritta: onde
-vogliamo fermarci a salutare ancora un tratto questa generazione che
-passa; generazione di istinto più che d’intelletto, che non avea
-la conoscenza compiuta della morale verità, nè seppe le passioni
-trasformare in principj morali.
-
-Le città erano impresse d’un carattere monumentale, che manca
-alle moderne. Tutte cinte di mura, difesa pubblica; e benchè così
-frequenti fossero e sieno nel nostro paese, fra l’una e l’altra
-incontravansi spesso borgate e villaggi, la più parte fortificati,
-talchè intercettavano o difendevano le comunicazioni. Davanti alle
-città o nel cuore v’avea quasi dappertutto almeno un ponte, che offriva
-altri ostacoli al nemico. In ognuna vedeansi i resti delle torri, da
-cui aveano dominato le prische famiglie signorili, e che la libertà
-aveva svettate o ridotte a mero ornamento. Dove poi erasi elevato un
-principe, a difesa propria e offesa altrui aveva elevato una rôcca, la
-quale doveva incutere tanto sgomento, quanta confidenza ispiravano le
-chiese.
-
-Queste non pareano mai troppe quando la religione era anima della
-società; e grandeggiava la cattedrale, che dall’esterno o dai luoghi
-di primitiva devozione era stata trasferita nel centro degli abitari.
-Isolarla non sarebbesi pensato, benchè davanti solesse avere una
-piazza, e in giro un sagrato erboso, talvolta cinto di muro e acconcio
-alle adunanze. Finchè durò la dominazione de’ vescovi, il palazzo
-di questi era distinto dalla città, munito, e spesso comprendeva
-vastissimi tratti; ma dappertutto dovette cedere ai Comuni, salvo Udine
-e poc’altri: però que’ recinti e gli amplissimi chiostri rimasero
-sempre luogo d’asilo. Ed ecclesiastici e monasteri possedevano la
-maggiore e miglior parte della campagna; e aspetto e intenzione
-religiosa conservavano tutti gl’istituti di pietà e di educazione,
-fondati e diretti dalla Chiesa o sotto i suoi auspizj.
-
-Le case eransi congegnate malamente di legno, fango, paglia, quali ne
-mostra ancora tante la pulitissima Francia: non frenato da regolamenti,
-ognuno invadeva quel più che potesse dello spazzo pubblico, sporgeva
-i piani superiori e le scale e gli agiamenti sopra le vie, che ne
-rimanevano anguste e soffogate (Capitolo XCVIII princ.) Di buon’ora
-però si volle abitare meglio; e la pietra, i mattoni, i tegoli
-provvidero alla solidità e alla sicurezza. La regolare disposizione
-delle strade di Torino ne palesa l’origine principesca.
-
-I nomi alle vie applicavansi popolarmente secondo i luoghi cui
-mettevano e principalmente le chiese vicine: spesso secondo l’industria
-che vi si esercitava, o la famiglia che v’avea casa: il che pure ci
-rivela una stabilità di famiglie e di botteghe, oggi svanita. Degli
-odierni numeri teneano vece o un motto, o uno stemma, o una insegna
-fabbrile, una pittura, una terra cotta, uno smalto.
-
-Illuminazione notturna non si conosceva; solo in parte supplivano
-le lampade accese ai frequenti tabernacoli. Fortunate le città che
-avessero acque correnti per lavarsi, o spesse pioggie! altrimenti la
-poca cura nel gettare le immondizie, massime nelle intercapedini, i
-branchi di majali che razzolavano liberamente tra queste, l’abbondanza
-di stalle donde ogni mattina menavansi fuori le giovenche a pascere,
-come tuttora accade di vedere in parecchie città di Romagna, impedivano
-la pulitezza.
-
-Fra le case plebee discernevansi i palazzi signorili, che talvolta
-abbracciavano vasti quartieri; come in Milano quel de’ Visconti, che
-giungeva da San Giovanni in Conca fino all’arcivescovado, e quel dei
-Pusterla da Sant’Alessandro fin alla Vedra. Spesso v’erano annessi
-portici, o prolungati tutt’al lungo delle strade, come in Bologna,
-in Mantova e altrove, od isolati, come il coperto de’ Figini e la
-loggia degli Osj a Milano, la loggia de’ Bardi e le altre di Firenze,
-ove convenivano i dipendenti d’una famiglia, od un’intera fazione a
-confabulare, spassarsi, trattare di affari. Una più grande faceva
-l’uffizio delle borse odierne, e spesso erano sotto alla sala del
-parlamento, come vedesi ancora nella piazza de’ Mercanti a Milano, nel
-broletto a Monza, e così a Padova, a Vicenza, altrove.
-
-Il palazzo del Comune, oltre servire alle adunanze, era e una
-testimonianza della ricchezza del paese, e un deposito de’ suoi
-ricordi, ornandosi con cimelj antichi e con lapide e monumenti nuovi,
-massime cogli stemmi o cogli encomj de’ magistrati. Come la chiesa
-aveva campana, così volle averla il Comune succedutole; ed era vanto
-il farne elevata o ricca la torre. Sulla piazza stava spesso eretta
-la forca, feroce simbolo della podestà di sangue. Oltre l’armeria, non
-dovevano mancare vasti magazzini, ove un’esagerata precauzione riponea
-gran quantità di grano, di fieno, di vino, spesso imponendo a tutti i
-possessori della campagna di portarvi la metà o un terzo del ricolto.
-
-Non che le città, ogni borgo aveva istituzioni caritatevoli, massime
-per infermi e pellegrini, fondate da qualche pio o da una confraternita
-o da un’arte. Nel secolo che descriviamo si cominciò a concentrare
-anche la beneficenza, che lo spirito domestico del medioevo aveva
-sparpagliata, e ne vennero i grandiosi ospedali nelle città, meglio
-amministrati per certo; se più conducenti al servizio de’ poveri, lo
-dica altri. Nel 1431, per opera del vescovo, gli ospedali di Palermo
-furono riuniti in quello di Santo Spirito; a Milano Francesco Sforza
-dei varj formò l’ospedal Grande, reggia dei poveri; a Como persuase
-altrettanto il beato Michele da Carcano nel 64; ad Asti nel 55 il
-vescovo Filippo Roero per quello di Santa Maria; così a Cremona nel
-50, e alquanto più tardi a Messina per l’ospedale di Santa Maria della
-Pietà.
-
-Nella lor cerchia ogni città conservava vita propria, propria politica;
-mercanti dotati del senso pratico della vita; legulej sottili fino
-alla malizia; nobili ancora spadaccini, ma già togati; clero basso
-e mestierante colla sollecitudine del guadagno, ma colla drittura
-ingenua e l’amor della giustizia; corporazioni laiche, oculatissime a
-conservare i privilegi; tutti attenti a bilanciarsi fra la brutalità
-de’ tiranni e la brutalità della canaglia. Spesso ancora, quantunque
-crescessero gli eserciti, erano chiamati a difendersi dai soldati.
-Avvicinavasi una banda? Contadini e pastori ravviano alla città i bovi,
-le pecore, i bufali, vi conducono le scorte, i grani, gl’istromenti
-rurali. Si chiudono le porte, si ritirano i ponti, si calano le
-saracinesche, si tendono le catene; gli uni corrono di casa in casa a
-cercare graticci, materasse, botti da serragliare le vie ed ammortire
-i colpi; altri vanno ad allogare i poveri e gli avveniticci per le
-taverne, i conventi, i portici; altri si stringono a consiglio col
-comandante della piazza sopra i mezzi di difesa; mentre in palazzo si
-divisano i modi di tenere d’occhio il comandante stesso, e impedire
-che tradisca, egli mercenario. Quel misto d’eroismo e di paura,
-d’esaltamento e di codardia, di gonfie minaccie e di accasciata
-aspettazione, di litanie ed esposizioni in chiesa e di esercizj sul
-campo che accompagnano l’avvicinarsi del pericolo, suscitano cento
-aspetti e discorsi differenti, che si mescolano al rintocco della
-campana, allo squillo delle trombe, ai falsi allarme che poi risolvonsi
-in risate. Fra ciò arrivano feriti, infermi, spogliati, paurosi; e i
-loro racconti, avidamente ascoltati, ripetuti, ingranditi, crescono
-l’ansietà: qualche spavaldo giura vendicarli; qualche sofferente
-crede e compatisce il coloro soffrire; altri è spedito a patteggiare
-col nemico, a riscattarsi a denaro dal saccheggio; e ottenutolo,
-versansi dalla città, abbracciandosi con quei che dianzi erano nemici,
-bevendo, cantando con loro. Così protraevasi quell’attività febbrile e
-quell’ansietà giornaliera che costituivano la educazione dell’uomo, e
-produceano a vicenda esaltamento e prostrazione, slancio irriflessivo
-o concentrazione devota, ma sempre la coscienza d’essere qualche cosa,
-di qualche cosa potere; lontano dalla vulgarità in cui cade (noi lo
-vediamo) una società governata da scettici, o da un despotismo che dà
-le apparenze di ordine all’anarchia morale.
-
-E noi da queste trasportiamoci in quelle città per adocchiarne a minuto
-le costumanze ed i caratteri.
-
-Ai Francesi, nelle diverse loro calate in Italia, appongono i cronisti
-l’avere insegnato ai nostri a surrogare alle avite usanze novità sempre
-varie, cercar di parere belli anzichè buoni, e ambire non tanto la
-lode delle opere e dell’ingegno, quanto la vana e folle gloriola delle
-frastaglie e del vestire acconcio, e variare portature, e quel lusso
-che preferisce gli oggetti dilettevoli ai necessarj. Le carrozze furono
-sostituite ai giumenti ed alle cavalcature, fin dagli uomini: sciali
-nel vitto, nel vestire, nelle spese nuziali, nelle donazioni; perfino
-artefici plebei, dice l’aulico pavese, usavano alle mense maggior
-varietà e raffinata delicatura che non i nobili d’una volta; nè le
-donne vulgari la cedevano alle ricche e gentili. E l’autore della vita
-di Cola Rienzi, in suo favellar romanesco: — Di questo tempo cominciò
-la gente ismisuratamente a mutare abiti, sì de vestimenta, sì de la
-persona. Cominciò a far li pizzi de li cappucci lunghi; cominciò a
-portare panni stretti alla catalana e collari, portare scarselle a
-le correggie, e in capo portare cappelletti sopra lo cappuccio. Po’
-portavano barbe grandi e folte, come bene gianetti spagnuoli vogliano
-seguitare. Dinanzi a questo tempo queste cose non erano anco; se
-radeano le persone la barba, e portavano vestimenta larghe e oneste; e
-se ciascuna persona avessi portata barba, fora stato avuto in sospetto
-d’esser uomo de pessima ragione, salvo non fosse spagnuolo ovvero
-uomo de penitenzia. Ora è mutata condizione, idea, deletto: portano
-cappelletto in capo per grande autoritate, folta barba a modo di
-eremitano, scarsella a modo di pellegrino. Vedi nuova divisanza! e che
-più è, chi non portassi cappelletto in capo, barba folta, scarsella
-in cinta, non è tenuto covelle, ovvero poco, ovvero cosa nulla. Grande
-capitana è la barba: chi porta barba è tenuto».
-
-Del 1388 Giovanni Musso dipingeva i Piacentini sontuosissimi in tutto,
-specialmente negli abiti. Le donne portano vesti lunghe e larghe di
-velluto di seta di grana, o di panno di seta dorato, o di panno d’oro
-o di lana scarlatto o pavonazzo, con ampie maniche fin a mezza la
-mano, ed altre che pendono fin in terra, aguzze a maniera di scudi. E
-sopra vi si pone talvolta da tre in cinque once di perle, che costano
-dieci fiorini l’oncia; o nastri o cerchi d’oro al collo, a guisa dei
-colletti dei cani; e in vita belle cinture d’argento dorato e di perle,
-da valere venticinque fiorini ciascuna; e con tanta varietà di anelli
-e pietre preziose pel costo di trenta in cinquanta fiorini: a tacer
-quelle che portano le cipriane, vesti larghissime al piede e strette
-indecentemente dal mezzo in su, e tutte impomellate dalla gola fin ai
-piedi con bottoni dorati o perle. Ricchissimi poi sono i vezzi del
-capo. Alcune usano mantellette che coprono appena le mani, foderate
-di vajo e di zendado, e belle filze di coralli o d’ambra: le matrone
-e le vecchie un mantello ampio, rotondo e crespo, sparato davanti,
-se non che una spanna verso la gola ha bottoni d’argento dorato: e
-ognuna ha tre mantelli, un cilestro, un pavonazzo, uno di camelloto
-ondato. Le vedove istesso, ma tutto bruno senz’oro o perle. I giovani
-hanno gabbani lunghi e larghi fin a terra con belle fodere di pelli
-domestiche e selvatiche, di panno i più, altri di seta e velluto: e
-sotto han vestiti corti e assettati, e dappertutto galloni di seta o
-d’oro, e talvolta con cinture. Gli uomini maturi usano cappucci doppj
-di panno e sovr’essi berrette di grana fatte a ferri; i giovani non
-portano cappuccio che d’inverno, con becco lungo fin a terra; bianche
-le scarpe, e talvolta con punta lunga fin tre once, imbottita di borra;
-rasa la barba da mezzo l’orecchio in giù, e gran zazzera di capelli
-rotonda. E tengono cavalli fin a cinque, e servi, a ciascun de’ quali
-si dà fiorini dodici l’anno e il vitto.
-
-Giovan Villani non volle «lasciare di far memoria di una sfoggiata
-mutazione d’abito, che recarono di nuovo i Francesi che vennero in
-Firenze il 1342. Chè colà dove anticamente il vestire ed abito era
-il più bello, nobile ed onesto che niun’altra nazione, al modo dei
-togati Romani, sì si vestivano i giovani una cotta, ovvero gonnella
-corta e stretta, che non si potea vestire senza ajuto d’altri, e una
-coreggia come cinghia di cavallo, con isfoggiata fibbia e puntale,
-e con isfoggiata scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il
-cappuccio a modo di sconcobrini (_giocolieri_) col battolo infino alla
-cintola e più, ch’era cappuccio e mantello con molti fregi e intagli.
-Il becchetto del cappuccio lungo sino a terra per avvolgere al capo
-per lo freddo, e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri in arme.
-I cavalieri vestivano con sorcotto ovvero guarnacca stretta, ivi suso
-cinti, e le punte de’ manicottoli lunghe infino in terra, foderate di
-vajo ed ermellini. Questa istranianza d’abito, non bello nè onesto,
-fu di presente preso per li giovani di Firenze; e per le donne giovani
-disordinati manicottoli».
-
-Anche Galvano Fiamma, sotto il 1340, deplora che i giovani milanesi
-sviarono dalle orme dei padri, e si trasformarono in straniere figure;
-presero ad usare strette vesti alla spagnuola, e chiome tonde alla
-francese, lunga barba alla barbarica, cavalcare con furiosi sproni alla
-tedesca, parlare con varie lingue alla tartara. Le donne pure vagano
-scollacciate, con vesti di seta e talvolta d’oro; acconcio il capo con
-ricci alla forestiera; succinte in zone d’oro come amazzoni; camminano
-coi calzari ritorti in su; giocano a tavole e dadi: cavalli da guerra,
-splendenti armadure, e ch’è peggio, virili cuori, libertà degli animi,
-sono ornamento delle donne e cure di tutta la gioventù, sprecando le
-sostanze sudate dai genitori frugali.
-
-Troviamo da altri deriso il farnetico delle donne, ora di ringrandire
-la persona rizzando sul cucuzzolo i capelli, ora imberrettate, ora
-colla chioma disciolta sulle spalle, con diverse maniere di bestie
-appiccate al petto: l’alchimia faceva sua arte coprendone le magagne,
-e con varj avvisi medicando la pelle. Ora, aperto il collaretto,
-sfacciatamente mostravano; poi di tratto l’alzavano su fino agli
-occhi: talora, stretta la cintura, gonfiavano di sotto come pregnanti;
-tal altra con piombini tenevano intirizzite le guarnacche, a coprire
-il calcagnino che le rialzava dal suolo; qualche altra poneano
-mantello a somiglianza degli uomini Veneti, Genovesi, Catalani,
-che prima serbavano mode proprie, si meschiavano poi talmente, da
-non distinguerli. I milordini non chiamavansi contenti se l’uno
-non superava l’altro in novità; sicchè ora s’adattavano la berretta
-notturna, ora strozzati alla gola e allacciati di corde come fossero
-balle, tantochè non potevano sedere che non ne schiantassero alcuna:
-sempre anelanti dietro foggie straniere l’uno di Sorìa, quello di
-Arabia, un terzo pareva d’Armenia, un altro portava il farsettino
-all’ungherese; e chi larghi manicottoli, e gabbani di più versi, con
-maniche giù dal dosso pendenti come fossero monchi, e larghe punte di
-scarpe[185].
-
-Queste lagnanze, oltre il solito andazzo di imbellire il passato
-a rimprovero del presente, a noi sono indizio del crescere della
-democrazia, per cui non rimanevano le condizioni separate fin
-nell’abito e nelle guise. Che che poi ne dicano i declamatori,
-il cangiare foggie non era consueto; e oltre che ciascun paese ne
-conservava di proprie, per le quali si diceva «Questo è napoletano,
-questo lombardo, questo genovese», anzi discerneasi il fiorentino
-dal pisano e dal lucchese, gli abiti bastavano l’intera vita e
-tramandavansi da una all’altra generazione.
-
-L’addobbo dei Fiorentini ci è bello ed elegantemente descritto da
-Benedetto Varchi: — Passato il diciottesimo anno, vestivano in città
-una veste o di saja o di rascia nera, lunga quasi fino a’ talloni, e a
-dottori ed altre persone più gravi soppannata di taffetà e alcuna volta
-d’ermesino o di tabì, quasi sempre nero, sparata dinanzi e dai lati,
-ove si cavano fuori le braccia, ed increspata da capo, dove s’affibbia
-alla forcella della gola con uno o due gangheri di dentro, e talvolta
-con nastri e passamani di fuora, la qual veste si chiama lucco. I
-nobili e i ricchi lo portano anche il verno, ma o foderato di pelli, o
-soppannato di velluto, e talvolta di damasco. Di sotto poi chi porta un
-sajo, chi una gabbanella, od altra vesticciuola di panno soppannata,
-che chiamano casacche, e dove la state si porta sopra il farsetto o
-giubbone solamente, e qualche volta sopra un sajo o altra vesticciuola
-scempia di seta, con una berretta in capo di panno nero scempia, o
-di rascia leggerissimamente soppannata con una piega dietro, che si
-lascia cader giù in guisa che cuopre la collottola, e si chiama una
-berretta alla civile. Nè ora si portano più sajoni con pettini e colle
-maniche larghe che davano giù a mezza gamba, nè berrette che erano
-per tre delle presenti, colle pieghe rimboccate all’insù, nè scarpette
-goffamente fatte con calcagni di dietro.
-
-«Il mantello è una veste lunga per lo più insino al collo del piede,
-ordinariamente nero, ancorchè i ricchi, massimamente i medici, lo
-portino pagonazzo o rosato, e aperto solo dinanzi e increspato da capo,
-e s’affibbia con gangheri come i lucchi, nè si porta da chi ha il modo
-a farsi il lucco, se non di verno sopra un sajo di velluto o di panno
-e foderato. Il cappuccio ha tre parti; il mazzocchio, che è un cerchio
-di borra coperto di panno, che gira e fascia dattorno alla testa e di
-sopra, e soppannato dentro di rovescio, copre tutto il capo; la foggia,
-o quella che pendendo in sulle spalle, difende la guancia sinistra;
-il becchetto è una striscia doppia del medesimo panno, che va fino a
-terra: si piega in sulla spalla, e bene spesso s’avvolge al collo, e
-da coloro che vogliono essere più destri e più spediti, intorno alla
-testa. Il pappafico era un altro modo di cappuccio che copriva le gote.
-
-«La notte, nella quale si costuma in Firenze andar fuori assai, s’usano
-in capo tôcchi, e in dosso cappe chiamate alla spagnuola, cioè colla
-capperuccia dietro. In casa usa mettersi indosso un palandrano o
-un catalano, con un berrettone in capo. La state alcune zimarre di
-guarnello, o gavardine di sajo con un berrettino. Chi cavalca, porta
-o cappa o gabbano, o di panno o di rasia; e chi va in vaggio, feltri.
-Le calze tagliate al ginocchio, e con cosciali soppannati di taffetà,
-e da molti frappate di velluto e bigherate. Mutan ogni domenica la
-camicia, increspata da capo e alle mani, e tutti gli altri panni
-fino al cintolo, ai guanti ed alla scarsella. Il cappuccio nel far
-riverenza non si cava mai, se non al supremo magistrato, a un vescovo
-o cardinale: e solo a cavalieri o magistrati, o dottori o canonici,
-chinandosi il capo in segno d’umiltà, s’alza alquanto con due dita
-dinanzi»[186].
-
-Agli eccessi del lusso continuavano ad opporsi leggi suntuarie (t.
-VII, p. 125), ma la ripetizione ne rivela l’inutilità: predicatori e
-moralisti declamavano, e intanto le pompe crescevano di più in più.
-S’aprivano talvolta corti bandite, ove i signori accorreano come a
-rare occasioni di riunirsi e sfoggiare; i cavalieri a romper lancie,
-ed a meritare in premio del valore l’applauso e i sospiri delle belle;
-i popolani alle mense apprestate a tutti, ai vini che talora perfino
-zampillavano da artifiziose fontane: abiti si regalavano a profusione,
-e mille persone furono vestite dalla moglie di Matteo Visconti nelle
-nozze di Galeazzo suo figlio, con Beatrice d’Este. La quale usanza di
-regalar cose utili, anzichè un anello o una tabacchiera, a lungo fu
-conservata.
-
-Buonamente Aliprando, il quale stese la cronaca di Mantova nelle più
-rozze terzine che uom possa leggere, descrive la corte bandita dai
-Gonzaga menando tre spose in una volta. Assai baronia venne da tutte
-parti, ognuno portando un dono di vesti di velluto, o di mischio di
-lana, o di vajo e scarlatto, foderate quale d’agnello, quale di volpe
-o coniglio, quale di vajo, con bottoni d’argento: ed erano non meno di
-trecentrentotto, le quali furono compartite a buffoni e a magistrati.
-D’argenteria chi donava coppe, chi cucchiaj, chi bacini, in tutto pel
-peso di ducencinquanta marchi. Altri presentò taglieri e ciotole di
-legno, quante bastassero a tutta la corte; la comunità de’ mercanti
-regalò mille ducati; chi recò carne e pollame, chi superbi destrieri.
-Essi Gonzaga poi regalarono ventotto cavalli, del valore di duemila
-ducento ducati: le altre spese del fieno, dell’avena, del mangiare,
-sommarono a cinquantaduemila lire. Venticinque cavalieri di nobiltà
-furono vestiti: ed otto giorni si durò fra tornei, giostre e bagordi, e
-sonare, ballare, cantare numerandosi fino a quattrocento sonatori, con
-buffoni che se ne tornarono contenti di robe e di denaro.
-
-Fu spettacolo nuovo, alla pace celebrata in Vicenza nel 1379 fra
-Bernabò Visconti e gli Scaligeri, il vedere fuochi d’artifizio, pei
-quali tutti stavano cogli occhi verso il cielo[187]. Nel 1397 Biordo
-de’ Michelotti, signore di Perugia e delle circostanti città, ordinò
-feste per menar moglie Giovanna Orsini. — E primieramente (leggesi
-ne’ _Diarj_ del Graziani) fu ordinato che ogni famiglia del contado
-facesse un presente, e poi che ogni comunità, villa e castello facesse
-il suo presente, che furono paglia, biada, legne, grano, vino, polli,
-vitelli, castrati, ova, cacio. Biordo fece bandire per tutte le terre,
-che ciascuna persona che non fosse ribelle o condannata del Comune di
-Perugia, potesse venire alle dette feste sicuramente; ed invitò tutti
-i signori circonvicini, ordinando corte bandita per otto giorni; e
-inoltre fece venir per guardia della sua vita moltissime genti delle
-sue terre. Tutte le terre d’intorno gli mandarono ambasciatori con
-onorevolissimi doni, e anche Venezia e Fiorenza; e quel di Fiorenza
-menò dodici uomini d’arme per giostrare. Madonna contessa entrò con un
-vestimento d’oro tirato, con molte gioje in testa; davanti andavano
-tre paja di cofani, e sei donzelle con loro vestimenti di drappo.
-Ella portava in capo una ghirlanda di sparagi; venivano con essa lei a
-cavallo messer Chiavello signor di Fabriano, gl’imbasciatori di Venezia
-e di Fiorenza. Tutte le gentildonne onorate le si fecero incontro
-ballando, vestite a porta per porta secondo la sua divisa; e quelle che
-non erano atte a ballare, andavano lor dietro.
-
-«La comunità di Perugia donò ad ogni compagnia dieci fiorini d’oro.
-Innanti ci era una gran moltitudine di trombe, le quali sonavano di
-maniera che invitavano ciascuno a festa: fu fatto un bando che, durante
-detta festa, non si aprisse bottega alcuna; che fu per lo spazio di
-otto giorni. Fu fatta la mensa nella sala papale, e intorno ci erano
-collocate assaissime tavole, ed eravi il luogo apposta per le torcie.
-La tavola di Biordo era in capo, più eminente; alle altre furono per
-ciascheduna fiata posti trecento taglieri; e fu allora raccontato che
-in Toscana non si trovò mai la più bella corte. Le donne tutte s’erano
-radunate in casa di Biordo, ed erano una compagnia reale.
-
-«Il giorno seguente tutte le città, terre e luoghi le ferono presenti
-e doni singolarissimi: e prima l’imbasciator di Venezia l’appresentò
-un dono che valeva ducento fiorini d’oro; quel di Fiorenza le dette
-un palio di scarlatto ed un cavallo covertato; quel di Città di
-Castello un altro palio ed un cavallo; Castel della Pieve un altro
-cavallo; Orvieto un finimento intero da tavola tutto d’argento; Todi
-il medesimo, e di più due pezze intere di velluto; gli altri tre
-imbasciatori fecero il simile. Oltre questo, ci furono moltissime
-donne che si vestirono alla divisa di Biordo, e tutte quasi fecero tre
-vesti per ciascuna, e andavano ballando per la piazza. Il mercoledì si
-giostrò una barbuta con l’armi del Comune dietro; e si continuò fino a
-notte, onde fu d’uopo adoperarvi le torcie».
-
-Nelle feste delle città commercianti la principale toccava alle arti,
-distribuite in maestranze; e la cronaca del Canale ci divisa quelle
-del 1268 per l’assunzione del Tiepolo in doge di Venezia. La prima
-festa (dic’egli molto più prolissamente in francese) fu fatta in mare
-davanti il palazzo del doge, e Piero Michele capitano fece apparecchiar
-le galee, e navigare tutto davanti il palazzo anzi ch’egli se ne
-andasse, e alzare l’applauso al doge in tale maniera: — Cristo vince,
-Cristo regna, Cristo impera: a nostro signore Lorenzo Tiepolo, la Dio
-grazia inclito doge di Vinegia, Dalmazia e Croazia, e dominatore della
-quarta parte e mezzo dell’imperio di Romania, salvamento, onore, vita
-e vittoria: san Marco, tu lo ajuta». Simil lode levarono e cantarono
-quei delle altre galee; e poi le fece il capitano navigare per mezzo
-Venezia; e se ne andarono a vedere la dogaressa, che li ricevette a
-lieta ciera.
-
-Di poi tutti i mestieri un dopo l’altro, riccamente apparecchiati,
-andarono a vedere il lor signore e la donna di lui. Primieramente
-quei di Torcello e delle altre contrade armarono il naviglio proprio e
-vennero al doge e alla dogaressa. Quei di Murano aveano in nave galli
-vivi[188], perchè si conoscesse donde fossero, e le loro bandiere erano
-issate per mezzo il naviglio. I maestri fabbri e tutti i loro serventi
-andarono insieme sotto un gonfalone, ciascuno una ghirlanda in capo,
-e trombe ed altri strumenti con loro: montarono di sopra il palazzo,
-e salutarono il doge augurandogli ciascuno vita e vittoria; ed egli
-rendette loro salute e buone avventure. Discesi come erano andati, se
-ne vennero fino a Sant’Agostino, ove la dogaressa era, e la salutarono,
-ed ella rese loro salute siccome donna. I maestri pellicciaj d’opera
-selvaggia addobbaronsi di ricchi mantelli di ermino e vajo ed altre
-ricche pelli selvatiche, e i loro garzoni e fattorini guernirono molto
-riccamente; misersi innanzi una bella bandiera, e dietro quella vennero
-due a due. I maestri pellicciaj d’opera vecchia misero lor gonfalone
-avanti, e le trombe, gli stromenti, le coppe d’argento e le fiale piene
-di vino: e guernirono loro corpi molto riccamente di drappi di sciamito
-e di zendado, di scarlatto e di molte altre ricche robbe soppannate di
-vajo e di grigio e d’altre ricche pelli; ed i loro serventi piccoli
-e grandi guernirono anche molto bellamente. Poi i pellaj di pelli
-agnelline si misero il lor gonfalone avanti, le trombe e gli stromenti
-e le coppe d’argento e le fiale caricate di vino, ed i maestri e tutti
-i loro fattorini. I tesserandoli di nappe e tovaglie misero davanti
-il gonfalone, e addobbarono i corpi loro e quelli de’ calcolajuoli e
-serventi molto bellamente, e fecersi precedere da cembali e trombe e
-coppe d’argento e fiale di vino, e sotto di buoni conducitori se ne
-andarono cantando canzonette e cobbole pel doge; e venuti che furono
-al palazzo, montarono i gradini, e lo salutarono cortesemente, ed egli
-rese loro la salute molto bellamente; poi andarono a far lo stesso
-colla dogaressa.
-
-Allora comincia ad inforzare la gioja e la festa; chè primieramente
-si vestirono di novello dieci de’ maestri sartori tutto di bianco a
-stelle vermiglie, cotta e mantello foderati di pelliccerie: i maestri
-lanajuoli col solito gonfalone e le trombe e le coppe d’argento e
-le fiale di vino, e ciascuno un ramo d’ulivo nella mano, ed in capo
-ghirlande pur d’ulivo: i maestri cotonieri che fanno i frustagni
-di cotone, addobbaronsi tutto di nuovo, di cotte e di mantelli de’
-frustagni che fanno, pellicciati riccamente: e così i maestri che fanno
-le coltri e le giubbe: e fece ciascuno una nuova cappa di color bianco
-sparsa di fiordalisi, e le cappe aveano ciascuna un capperone, ed essi
-aveano ghirlande di perle operate ad oro sulle teste.
-
-I maestri di drappi a oro se ne posero di ricchi, e i loro fattorini
-pur di drappo a oro o di porpora e zendado, e in testa i capperoni
-indorati e ghirlande di perle e di fregetti d’oro: misero il lor
-gonfalone e bandiere avanti, e trombe e cembali. I calzolaj e loro
-serventi ebber sulle teste delle ghirlande di perle e di fregetti a
-oro. I merciaj andarono a vedere il lor signore con ricchi drappi, e
-le teste e le robbe di fregetti a oro e di sete e di tutte beltà che
-l’uomo potrebbe divisare. Quei che vendono i camangiari di carni salate
-e formaggi, fecero lor gonfalone, avendo molto ricchi drappi tinti in
-scarlatto ad oricello o in risanguine od altri colori, pellicciati di
-vajo e di grigio, e sulla testa ricche ghirlande di perle e di fregetti
-a oro. Succedono quelli che vendono uccelli di riviera e pesci del mare
-e dei fiumi.
-
-Poi i maestri barbieri ebbero con loro due uomini a cavallo, armati
-di tutto punto, come i cavalieri erranti, e seco traevano quattro
-damigelle, addobbate molto stranamente. Venuti al palazzo, ascesero,
-salutarono il doge, ed egli rendette loro la salute; e immantinente
-discese uno di quelli che a cavallo erano armati di tutte armi, e
-disse al doge: — Messere, noi siamo due cavalieri erranti, che abbiam
-cavalcato per trovare avventure; e tanto ci siamo penati e travagliati,
-che abbiamo conquiso queste quattro damigelle: or siamo a vostra
-corte venuti, e se ci ha nessun cavaliere che di quinc’entro venisse
-avanti per provare suo corpo e per conquistare le strane damigelle da
-noi, noi siamo apparecchiati per difenderle». Immantinente rispose il
-doge, fossero i ben venuti, e che Domeneddio li lasci gioire di loro
-conquiste; e — Ben voglio che voi siate onorati a mia corte, ma punto
-non voglio che nullo di qui entro vi contraddica, e sì ve ne quieto del
-tutto». Montò allora il cavaliere errante, e gridaron tutti: — Viva
-nostro signore Lorenzo Tiepolo, nobile doge di Venezia»; poi se ne
-ritornarono a dietro, grande gioja dimostrando, e se ne andaron tutti
-in tale maniera a vedere la dogaressa, che molto bene li ricevè.
-
-I maestri vetraj ornaronsi di ricchi scarlatti, foderati di vajo
-e d’altri ricchi drappi, gli uomini carichi di loro lavorii, cioè
-guastade ed oricanni ed altrettali vetrami gentili, e le coppe
-d’argento e le fiale piene di vino. Si misero alla via cantando novelle
-canzoni, nelle quali si diceva di Lorenzo Tiepolo e di suo padre, di
-cui abbia l’anima Dio, che doge era stato. A tale gioja ed a tale festa
-se ne andarono due a due molto bene arringati sotto il lor gonfalone
-cantando e diportando sino al palagio. I maestri orafi addobbaronsi
-di perle e d’oro e d’argento e di ricche e preziose pietre, cioè
-di zaffiri, smeraldi, diamanti, topazj, giacinti, ametiste, rubini,
-diaspri, carbonchj e d’altre pietre di gran valuta; e loro sergenti
-anch’essi molto riccamente, e di cosa in cosa fecero come gli altri.
-
-I maestri pettinajuoli v’andarono pure, menando gran gioja: quando
-furono al doge, Ughetto, savio maestro, si mise avanti e disse: — Sire,
-io prego Gesù Cristo e sua dolce madre e san Marco vi donino la sanità,
-vita e vittoria, ed a governare lo onorato popolo veneziano in vittoria
-e ad onore per tutta la vostra età». E il doge risposegli molto
-saviamente, e quelli gridarono tutti insieme: — Viva nostro signore,
-il valente messere Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia». Que’
-maestri pettinajuoli aveano con loro una lanterna piena d’uccelli
-di diverse maniere; e per allietare il doge, ne aprirono la portina
-per dove gli uccelli uscirono fuora tutti, volando qua e là a loro
-talento[189].
-
-Mi apporrete che questi particolari nulla ingeriscono alla storia
-d’Italia? Ma scopo nostro è conoscere gl’Italiani, nè credo che una
-persona si mostri qual è ove s’ignorino i suoi abiti e i costumi suoi:
-altri poi ha detto non conoscere un popolo chi non lo osservò nelle sue
-feste. In quella che or descrivemmo, dovette parere vi passasse davanti
-il medioevo, con quella libertà non individuale ma collettiva, dove,
-piuttosto che uno Stato, erano a vedersi molti gruppi di famiglie, di
-corporazioni, di Comuni, di chiesa, di nobiltà, ciascuno con leggi e
-norme e divise sue proprie. E delle feste di Venezia potrebbe farsi un
-libro, anzi fu fatto, ogni avvenimento pubblico essendovi commemorato
-con solennità di devozione e di patriotismo (Cap. XCVIII).
-
-Poichè il santo patrono usavasi sovente pel nome del Comune stesso,
-dicendo San Marco, Sant’Ambrogio, San Pietro, per Venezia, Milano,
-Roma, la festa di quello era altrettanto civile quanto religiosa. Lo
-Statuto di Modena prescriveva che il giorno di san Geminiano d’ogni
-famiglia dello Stato venisse uno alla città con un cero in mano, e
-vi restasse fino a terza del domani; e così da ogni Comune forense
-vi si portasse il vessillo, seguìto dagli uomini della villa o del
-castello. A Ferrara, chiunque possedesse da cento lire in su doveva,
-la vigilia di san Giorgio, portare un cero a mattutino. A Milano per
-la natività di Maria doveano convenire tutti i Comuni dipendenti,
-col proprio gonfalone: alla festa poi di sant’Ambrogio, secondo il
-Decembrio, presentavasi all’altare di lui una gran mole di fiori ed
-erbe, di uva matura con pampani verdi, tutto fatto di cera. Di tali
-convegni non manca nessuna città dominatrice, e principalmente solenne
-era il san Giovanni a Firenze. A Montecatino, quando per le litanie di
-san Marco il clero scende alla pieve di Niévole, le donne continuano
-il giorno intero, come in recuperata libertà, a sonar quelle campane,
-sensibili per tutta la valle: la mattina di Risurrezione il celebrante
-benedice molti corbelli di pane e di carne d’agnello, che poi sono
-generosamente distribuiti a ciascheduno quasi in ristoro del digiuno
-quaresimale[190].
-
-Le feste religiose spesso avevano del beffardo, come le sculture
-delle chiese. Tal era la cornomania che si celebrò a Roma fin verso
-il Mille, avanzo di qualche solennità pagana. Il sabato dopo pasqua,
-quando si aveano a cantare le litanie al papa, gli arcipreti delle
-diciotto chiese diaconali colle campane convocavano il popolo; il
-sacristano metteasi la cotta e una ghirlanda di fiori con corna, e in
-mano un finobolo, canna di bronzo grossa quanto un braccio, e per metà
-ornata di campanelli. Così andavasi processionalmente a San Giovanni
-Laterano, e ciascun arciprete formando circolo colla sua plebe, si
-cantava al pontefice: — Su, preghiere; Iddio per la tua prosperità;
-Maria madre di Dio; su, preghiere. Buon giorno, o padrone; apriteci le
-porte; noi veniamo a vedere il papa, vogliam salutarlo e fargli onore,
-e cantargli le litanie, come si usava ai Cesari. Bravo, uom benigno,
-papa che governi tutte cose al posto di Pietro; il cielo risplendette,
-le nubi si dissiparono». Frattanto il sacristano pirovettava in mezzo
-a ciascun circolo, scotendo le corna e il finobolo. Finite le litanie,
-un arciprete s’avanzava traendosi dietro un asino, allestito dai
-famigli della corte; un cameriere reggeva sopra la testa della bestia
-un bacino con venti denari d’argento; e quell’arciprete, rovesciandosi
-tre volte indietro, colla mano abbrancava più soldi che potesse da
-quel piatto, e quanti ne pigliava erano suoi. Gli altri arcipreti
-seguivano col clero deponendo ghirlande a’ piedi del papa; quello di
-Via Lata deponeva insieme una volpe, che non essendo legata fuggiva; e
-il papa davagli un bisante e mezzo: quel di Santa Maria in Aquiro, un
-gallo colla corona, e riceveva un bisante e un quarto: l’arciprete di
-Sant’Eustachio un cerbiatto, e toccava egual compenso: un solo bisante
-gli altri, e la benedizione del pontefice. Reduci alla propria chiesa,
-il sacristano nell’arnese stesso, con un prete e due compagni, portando
-l’acquasantino e rami d’alloro e chicche, iva di porta in porta col
-finobolo, benedicendo le case, mettendo foglie d’alloro sul fuoco, e
-distribuendo le chicche ai fanciulli, cantando una cantilena in lingua
-barbara, che cominciava: _Jaritan, jaritan, jajariasti. Raphayn,
-jercoyn, jajariasti_; e il padrone della casa dava qualche mancia[191].
-
-I banchetti erano solennità popolari e aristocratiche. Uno magnifico fu
-imbandito, quando Gian Galeazzo Visconti fu investito duca di Milano,
-nel cortile dell’Arengo, dove ora sta il palazzo reale; e, secondo il
-Corio, da prima si presentò a ciascuno de’ convitati acqua alle mani,
-stillata con preziosi odori; poi seguitarono le imbandigioni, tutte
-accompagnate con trombe ed altri diversi suoni. La prima delle quali
-fu marzapani e pignocate dorate con l’arme del serenissimo imperatore
-e del nuovo duca, in tazze d’oro con vino bianco; indi pollastrelli
-con sapore pavonazzo, uno per scodella e pane dorato; poi porci
-due grandi dorati, e due vitelli parimenti dorati. Indi vi furono
-portati grandissimi piattelli d’argento; e per cadauno pezzi due di
-vitelli, pezzi quattro di castrato, pezzi due di cignali, capretti
-due interi, pollastri quattro, capponi quattro, prosciutto uno, somata
-uno, salsiccie due, e savore bianco per minestra, e vino greco. Dopo
-furono portati altri piattelli di simile grandezza con pezzi quattro
-di vitello arrosto, capretti due interi, lepri due intere, piccioni
-grossi sei, uccelli quattro; poi pavoni quattro, cotti e vestiti;
-orsi due dorati, con sapore citrino e vino leggiero. Vennero quindi
-altri grandissimi piattelli d’argento con quattro fagiani per cadauno,
-vestiti; a quelli seguitavano conche grandi d’argento, con un cervo
-indorato, un daino similmente indorato, e capriuoli due con gelatine.
-Poi piattelli come di sopra, con non poco numero di quaglie e pernici
-con sapore verde; poi torte di carne indorate con pere cotte. Data
-alle mani acqua, fatta con delicati odori, seguitavano pignocate in
-forma di pesci inargentate; poi pane inargentato e malvasia, limoni
-siroppati inargentati in tazze, pesce vestito con sapore rosso in
-scodelle d’argento, pastelli d’anguille inargentati; poi piattelli
-grandi di argento con lamprede e gelatina inargentata, trote grandi
-con savore nero, e storioni due inargentati; indi torte grandi, verdi,
-inargentate, mandorle fresche, persiche, e diversi confetti a varie
-foggie. Compiuto il desinare, furono portati in su la mensa vasi
-d’oro e d’argento, con fermagli, collane, anelli, e molte pezze di
-panno d’oro, di seta, di porpora; il che tutto, secondo il grado, fu
-presentato ai signori.
-
-Dal Corio stesso ci sono divisati i regali che, vent’anni di poi,
-corsero a quella Corte per le nozze della figliuola di Galeazzo
-Visconti in Lionello d’Inghilterra. Cento taglieri furono disposti
-nella sala maggiore pei primati, nelle altre i restanti; e tanto era
-il sonare, che altro non s’udiva. Le imbandigioni venivano recate a
-cavallo; e la prima messa furono porcellini dorati, con due leopardi
-riccamente forniti e dodici coppie di segugi. Alla seconda lepri e
-lucci dorati, cui seguivano sei coppie di levrieri, ornati di argento,
-e sei astori. Alla terza vitello e trote, col presente di sei stivieri
-con collari di velluto e fibbie dorate e cordoni di seta nera. Alla
-quarta venivano pernici, quaglie, temoli dorati e dodici sparvieri
-con sonagli d’argento, e dodici paja di bracchi. Per quinta diedero
-anitre, cisoni e carpani, e dodici falchi, col cappelletto messo a
-perle. Venne alla sesta carne di bove e capponi, con savore d’agliata
-e storioni. Era la settima di vitelli e capponi con limonea e tinche,
-e dodici arnesi da giostra, dodici lancie, altrettante selle dorate.
-All’ottava portarono carne di bue, pesta e impastata con formaggio e
-zucchero, ed anguille; poi dodici ricchi fornimenti da guerra, compiti
-in tutto punto. Comparvero poscia carni e polli, e pesci in gelatina; e
-dodici pezze di tôcca d’oro, altrettante di seta colorata. Indi corni
-di gelatina saporita e grosse lamprede, col dono di due doglie di
-vino, sei bacili ed altrettanti mortaj d’argento dorato. Consistette
-l’undecima portata in capretti e paperi e agoni, col donativo di
-sei corsieri bardati, ed altrettante lancie, targhe, cappelline
-d’acciajo, una delle quali guarnita di bellissime perle. La duodecima
-fu lepri e capriuoli in savore, con pesce zuccherato, accompagnati
-da sei destrieri, altrettante lancie, e cappelli. Seguitarono carni
-di bue e cervo con savore di zucchero e limone, tinche ed altri
-pesci, e sei palafreni riccamente bardati: poi tinche, polli e sei
-destrieri da giostra: indi piccioni, cavoli, fagiuoli, lingue salate,
-carpione, ed un cappuccio e giubbone lavorati a compasso e soppannati
-d’ermellino. La sedicesima fu di conigli, pavoni, cisoni, anguille
-con savor di cedro, e un vasto bacile d’argento, un chiavacuore di
-rubino e diamante, con una perla d’ingente prezzo, e quattro cinti
-d’argento dorati. La decimasettima furono giuncate e formaggi, e il
-dono di dodici bovi. La frutta venne allo sparecchio coi vini, e poi
-cencinquanta cavalli per donare a baroni e signori, ed altre varie robe
-e gioje. Ai buffoni toccarono cencinquanta vesti; e dopo molto torneare
-e bagordare, lieto ognuno si partì.
-
-Lungo sarebbe dire le stravaganze, di cui volevasi far pompa in tali
-pasti. Qualche volta, al primo pungere del coltello dello scalco,
-il tacchino creduto arrostito saltava bell’e vivo, scompigliando i
-trionfi: qualch’altra di sotto un pasticcio sbucava un nano, facendo
-le meraviglie della bella adunata. Questi tripudj rinnovavansi non
-infrequenti; ed i cronisti si compiaciono talmente a descriverli, che
-a noi non sarebbe parso di bene interpretarli se non gli avessimo in
-ciò secondati; e tu rimani stupito quando nella pagina medesima essi
-ti fanno il racconto d’un incendio, d’una sconfitta, d’una morìa, e
-insieme di una solennità sfarzosa, alla quale mezzo mondo prese parte.
-
-Dante si lagnava che il tempo e la dote fossero all’età sua usciti
-di misura[192]; al qual passo Benvenuto da Imola spiega come per lo
-innanzi un ricchissimo padre dava in dote alla figlia due o trecento
-fiorini, mentre allora duemila o millecinquecento; le pulzelle
-maritavansi ai venti o venticinque, ora a dodici o quindici. A Milano,
-dove Landolfo il vecchio asseriva che sull’entrare del secolo X non si
-contraevano matrimonj prima dei trent’anni, le Consuetudini più tardi
-abolivano quelli conchiusi prima dei sette[193]. Pel 1348 abbiamo «le
-spese di Bartolomeo di Caroccio degli Alberti: per lo costo delle nozze
-e un desinare che si fece innanzi alle nozze a’ servitori, e denari
-che ebbero i trombadori e altri buffoni, e denari dati a’ portatori,
-e confetti, e tramutare masserizie, e per altre spese che a nozze
-si richiede, lire cennovantasei; per la lettiera, cassa, cassone e
-tettuccio, lire diciotto; per due para pianelle e due para scarpette,
-lire una e soldi sedici». Ma le doti e i corredi delle signore e
-principesse sorpassavano ogni credenza, e ne toccammo poco sopra.
-Si hanno in sei volumi i _Monumenti della casa Del Verme_, ove, tra
-molte altre curiosità, trovansi due corredi di spose, che vogliamo
-qui riprodurre per esempio: — Nel 1474 Francesco degli Stampa di porta
-Ticinese, della parrocchia di Santa Maria Valle a Milano, come corredo
-della Bartolomea de’ Guaschi, riceve ducento sessantaquattro perle,
-stimate ottanta ducati d’oro in oro; quattr’oncie di perle formate
-a rete, per ventiquattro ducati; otto pezze di tela di lino fino per
-far camicie, una di tela di stoppa (_revi_) per far tovagliuoli pel
-capo; quattro pezze di fazzoletti (_panetorum_) che sono cinquantotto;
-diciotto camicie da donna; trenta monete de tenere in testa; libbre
-nove e mezzo di refe di lino bianco; uno specchio grande e uno più
-piccolo; tre pettini d’avorio; un uffizietto della beata Vergine co’
-suoi guarnimenti; un cofanetto, dorato di sopra; un _corriginus_ di
-broccato d’oro cremisino co’ suoi fornimenti, e uno di broccato d’oro
-cilestro col suo fornimento e con perle; un chiavacuore d’argento
-dorato col suo agorajo d’argento dorato; due fodere lavorate in oro;
-sei cuscini verdi di tappezzeria; dodici fodere di tela di lino fina
-co’ suoi lavori intorno; una veste di damasco bianco coi fornimenti
-dorati e col collare a perle; un’altra di drappo morello di grana
-colle maniche strette, e con fornimenti dorati e con perle; un’altra
-di drappo scarlatto di Londra colle sue balzane di velluto nero al
-collare, alle maniche e ai piedi; una gamurra o socca di velluto
-cilestro, e un’altra di drappo di lana rosso; un par di maniche di
-broccato d’argento cilestro; un vestito di zetonino cilestro colle
-maniche strette, e ricamato al bavaro e alle maniche; un vestito di
-scarlatto colle maniche strette e ricamate, e col bavaro fatto di
-punticelli; un vestito turchino colle maniche strette, ricamato alle
-maniche e al bavaro; un vestito di velluto morello con maniche serrate
-e guarnizioni fatte a telajo alle maniche; un vestito rosa secca
-con maniche al modo stesso; uno di drappo verde scuro; una giubba di
-velluto cremisino; una socca scarlatta, e una di drappo turchino; un
-par di maniche di drappo d’oro riccio, un cremisino, e uno d’argento
-cremisino, e uno di cilestro; un par di maniche di zetonino cremisino,
-e uno di morello; uno di velluto cremisino, e uno di verde; un
-corrigino d’argento dorato fatto a raggi (_a raziis_); un chiavacuore
-d’argento dorato coi coltellini; una coreggia con tessuto d’oro e
-guarnizioni d’argento dorato, ecc. Di tali doni rogò Francesco di
-Besozzo, notajo di porta Comasina.
-
-Molto più ricco è il corredo di Chiara Sforza, rimaritatasi il 1488 a
-un Campofregoso. Nel solo ricamo sopra una manica vi sono da trentasei
-in quarant’oncie di perle, stimate ducati quattrocento; sessantasette
-perle da un ducato l’una; diciannove da tre carati il pezzo, a ducati
-otto l’una; quattro da carati dodici in quattordici, a ducati cento
-il pezzo; una di carati venticinque a ducati trecento; due rosette di
-rubino, da sessanta ducati il pezzo; un rubino da tavola con quattro
-perle, ducati settanta; quattro smeraldi in tavola, a ducati quindici
-il pezzo; uno smeraldo quadro a faccette, ducati venti; oltre un
-filo di trecento diciassette perle, da un ducato al pezzo. C’è una
-perla a pero, di carati ventuno, stimata mille ducati; un mazzo di
-cinquantaquattro giri di catena d’oro, pesante quarant’oncie; un
-pendente con un balascio in tavola in mezzo, una punta di diamante e
-una perla a pera, valutati ducati duemila; un altro fermaglio con un
-balascio in tavola, ducati mille e seicento[194].[195]
-
-Anche a Genova, per testimonio di Franco Sacchetti, «le nozze durano
-quattro dì, e sempre si balla e canta, e mai non vi si proffera nè
-vino, nè confetti, perocchè dicono che profferendo il vino e’ confetti
-è uno accomiatare altrui; e l’ultimo dì la sposa giace col marito e non
-prima».
-
-E poichè dalle donne ben s’argomenta ai costumi d’un tempo, già
-ricordammo (t. VII, p. 563) la Cia degli Ubaldini, che lasciata dal
-marito Francesco Ordelaffi a difendere Cesena, perseverò governatrice
-e capitana, finchè, ormai tutta ruine, la rese a patti onorevoli pe’
-suoi soldati; per sè le bastò la protezione che la generosità ritrova
-anche presso i nemici. È pure nota per le tradizioni Bianca de Rossi
-moglie di Giovan della Porta governatore di Bassano, la quale, morto
-il consorte, difese la città contro Ezelino tiranno: presa colle
-armi in pugno, Ezelino cercò farle onta, ed essa precipitatasi da una
-finestra si ruppe una spalla: guaritane e per forza vituperata, appena
-libera di sè corse all’avello del marito, e messo il capo sotto il
-coperchio, se lo schiacciò. Margherita da Ravenna, divenuta cieca a tre
-anni, acquistò tanto estese cognizioni, che era consultata su punti di
-teologia e di morale, e morì il 1505. Morata, figlia di Danese Orsini e
-di una Beccaria, a Stradella levata al battesimo da Filippo Visconti,
-sposata in Jacopo de’ Saracini di Siena, invece di danzare, la festa
-divertivasi a leggere, e venne un portento di sapere come di virtù. A
-Siena, nel pomposo incontro fatto a Federico III e sua moglie, ella
-parve vestita troppo modestamente; ma a chi glie ne faceva appunto
-rispose: — Le matrone senesi non devono far pompa che di modestia». E
-interrogata quale fra tanti cavalieri che faceano corteo agli sposi,
-le paresse il più leggiadro, — Io non guardo che mio marito». I Senesi
-l’ebbero in concetto di santità, e quando il conte Jacopo Piccinino li
-minacciava di sterminio, essa li rassicurò del pronto soccorso di Maria
-Vergine, e che il conte non tarderebbe a scontar la pena, come avvenne.
-Di virtuose potremmo gran numero schierare ricorrendo al leggendario.
-
-Voltiamo il quadro. La padovana Speronella, figliuola di Delesmanno,
-a quattordici anni era già maritata in Jacopino da Carrara, quando
-il conte Pagano, lasciato dal Barbarossa a governare Padova, se ne
-invaghì, e presto l’ebbe rapita e sposata. I suoi, irritati, levarono
-popolo contro lo straniero, che dovette cedere le fortezze e la
-libertà. Allora la Speronella fu maritata ad uno de’ Traversari, col
-quale rimasta alquanto, passò a Pietro Zausanno: e dopo tre anni ne
-fuggì per isposare Ezelino da Romano. Questi, accolto a Monselice con
-ogni guisa di miglior cortesia da Olderico di Fontana, come tornò a
-casa, non sapeva finire di lodare alla moglie le gentilezze dell’ospite
-e le maschie bellezze di esso: di che tanto desiderio si accese nella
-malonesta donna, che per messaggi fu presto d’accordo col Fontana,
-e da Ezelino se ne fuggì ad esso. Così passava di marito in marito,
-mentre il precedente vivea ancora; poi lasciò un lungo testamento, il
-quale non è che un catalogo di chiese e spedali, fra cui distribuiva
-ogni aver suo; venti soldi a questa, quaranta a quella, stramazzi,
-coltri, lenzuoli, coperte di pelle; a un ospizio i piumacci su cui
-ella dormiva, e tovaglie e salviette ai pellegrini d’oltremare;
-campi e denari a vescovi per riparare se mai avesse ad alcuno recato
-nocumento[196].
-
-Donnina amica di Bernabò, e Nisotta di Gian Galeazzo Visconti, aveano
-al loro servizio cortigiani, musici, minestrelli; ai principi vicini
-e nominatamente ai duchi di Savoja mandavano a regalare cani, cavalli,
-cappelline, e ne riceveano il ricambio[197]. Agnese, figlia di Bernabò
-e maritata in Francesco Gonzaga signore di Mantova, al marito non
-voleva bene, e vie meno dacchè il vedeva amico ed alleato di Gian
-Galeazzo uccisore del padre di lei. Presto s’intese con Antonio
-di Scandiano, cameriere fidatissimo del Gonzaga; ma questo, saputa
-la tresca, dissimulò lungamente il torto, poi ne volle un regolare
-processo, da cui essendo apparsa la costoro reità, lui fe impiccare;
-lei decapitare il 1391, benchè moglie d’un principe, cognata di due re.
-
-Per delitto d’infedeltà poteano il duca Filippo Visconti e il Gonzaga
-di Mantova mandare al patibolo la moglie, Nicola marchese di Ferrara la
-sua Parisina Malatesti col figlio Ugo, Ercole Bentivoglio processare
-Barbara Torelli: forse tutte innocenti, ma è un gran caso il vedere i
-mariti dimostrarle ree pubblicamente, essi, cui non erano vergogna le
-concubine e gli sterponi. Galeotto Manfredi principe di Faenza sposò
-Francesca di Giovanni Bentivoglio, la quale ben presto sospettò il
-marito d’altri amori, e per accertarsene origliò quand’esso conferiva
-secretamente con un astrologo. Intese invece come si macchinasse contro
-di suo padre; e non sapendo frenarsi, entrò nel gabinetto inveendo.
-Galeotto rispose, e la battè; ed essa ne informò il padre, che
-nottetempo avvicinatosi in armi a Faenza, la tolse seco: preparavasi
-anche a far guerra al genero, quando Lorenzo de’ Medici, mediatore di
-tutte le paci, li riconciliò, e ricondusse la donna al marito. Essa
-però, stimolata a vendetta da nuove gelosie, ordì d’ammazzarlo: si
-finse malata, e com’egli entrò a visitarla, il fece scannare da sicarj
-appostati.
-
-Un atto singolare ci resta, dove Galeazzo Maria Sforza, attesi
-«gl’ingenui costumi, la vita pudica, la somma bellezza» di Lucia de
-Mariano, e l’immenso ardore con che esso duca la ama, in parte fa, in
-parte conferma amplissime donazioni a lei ad a’ figliuoli che essa gli
-generò o genererà; e saldato il dono coi più sacri giuramenti, le pone
-patto che «viva in divozione nostra, e non abbia mai da che fare, non
-che con altro uomo, neppure col marito se non abbia da noi speciale
-licenza in iscritto»[198]; gravi minaccie aggiunge a sua moglie Bona,
-se mai rechi a costei il minimo disturbo. E quest’atto è rogato da
-notari, sottoscritto dal consorte e da una schiera di gran nobili e
-cavalieri milanesi.
-
-Siffatta puzza non viene dalle case plebee, ma dai palazzi
-principeschi. E ben diverso dal borghese era il vivere de’ signori,
-molti de’ quali tenevansi ancora ne’ castelletti, rubando e scialando
-come nel cuore della feudalità. Sino dal 1272 i Bolognesi aveano
-battuto i conti di Mangona che svaligiavano i viandanti nelle
-foreste di Ripaverde: ma ancora al 1391, nelle vicinanze della loro
-città, molti castellani viveano del rubare ai contadini e ai buoni
-campagnuoli. Il conte Garreto da Panìco con altri suoi compagni faceva
-tal vita, or a spalle dell’uno, or dell’altro gavazzando: côlto poi
-un Mengoccio del Borgo, ricco agricoltore, costoro lo trassero in
-prigione per tormentarlo finchè ne smungessero un grosso riscatto:
-fortunatamente una vecchia se n’accorse e ne avvertì i parenti, che,
-prese l’armi, corsero a liberarlo. Il senato bolognese ordinò che
-tutti i conti, capitani e altri nobili abitanti in villa, e che non
-attendevano di propria mano alle faccende agresti, dovessero fra
-quindici giorni venir abitare in città con tutti i parenti, pena la
-confisca dei beni: ordine esagerato che attesta la gravezza del male, e
-che fu poi ristretto alle famiglie pericolose.
-
-Altro famoso malfattore, Alberto Gallucci, tutto il Bolognese empiva
-di scelleraggini, nè per pubblici bandi o per ammonizioni del padre,
-di amici, di religiosi volle mettersi al dovere. Si promisero dunque
-mille fiorini d’oro a chi lo facesse prigioniero; chi l’uccidesse,
-se era bandito avesse remissione; se alcuna comunità il pigliava,
-restasse immune da collette per venti anni: si destinarono quattro
-persone apposta con ducento cavalli per catturarlo, e ordine ai Comuni
-che, qualora egli apparisse, toccassero a stormo. Alberto si pose a
-cavalcione dei confini, donde ogni giorno peggio faceva ai Bolognesi.
-Azzo, padre di lui, fu obbligato dar duemila lire per sicurtà che il
-figlio non farebbe alcun danno; poi assoltone per la sua gran bontà,
-egli medesimo risolse liberarne il paese, e coltolo il diede al
-magistrato perchè eseguisse la legge. Il consiglio, mosso dall’insolito
-caso, prendea pietà della canizie del padre e della sventataggine
-del giovane, e volea commutar la pena in carcere perpetuo; ma Azzo
-insistette caldamente perchè la giustizia avesse corso, e lui presente
-fu decapitato[199].
-
-Nicolò III d’Este signor di Ferrara nel 1414 volendo passare in
-Francia, fu arrestato dal marchese Del Carretto, finchè pagasse
-grosso riscatto. Galeazzo Maria Sforza, ch’era in Francia quando morì
-suo padre, seppe che il duca di Savoja l’appostava per prenderlo ed
-obbligarlo a cedergli qualche pezzo di Lombardia; e parte travestito,
-parte difendendosi in una chiesa, parte ajutato da qualche fedele,
-a grave rischio riuscì a traforarsi nel suo dominio. Gli Ubaldini
-contano tra i loro fasti molti spogliamenti fatti tra val di Sieve
-e val del Santerno. Uberto di Campagnatico assaliva tutti gli amici
-della repubblica di Siena, finchè alcuni Senesi in veste di frate
-s’introdussero nel cassero di lui e l’uccisero. Ghino di Tacco da
-Torrita dal castello di Radicofani molestava i passeggeri, celebre
-per la novella del Boccaccio. Il Piccinino porta rancore ad Eusebio
-Caimo milanese, ch’era stato mezzano del matrimonio di Bianca con
-Francesco Sforza, e lo fa pugnalare nel duomo di Milano. L’ingordigia
-de’ principi apriva poi modo ai signori di scontare i delitti a denaro;
-e Lazzarone della Rovere, signore di Vinovo, nel 1377 avendo ucciso
-Florio suo cugino, ne pagò al conte di Savoja tremila fiorini, oltre
-perdonargliene mille che gli doveva.
-
-Milano nel 1288 contava quarantamila nobili, cioè uno ogni venticinque
-abitanti; Firenze, nel 1336, settemila cinquecento, cioè uno ogni
-venti; Venezia, dopo il 1500, seimila cencinquantadue, cioè uno ogni
-ventidue: ma il nome di nobile significava cosa ben diversa in ciascuno
-di questi paesi. Generalmente la democrazia aveva abraso le distinzioni
-originarie e i privilegi legali: in tanto rimescolamento di fazioni, di
-conquiste, d’esigli, di tirannidi, molte famiglie antiche o perirono
-o si confusero colle borghesi, dalle quali poi sorsero alcune più
-ricche, e costituirono una nobiltà nuova. Ogni famiglia era ormai
-contraddistinta da un cognome; ma se non fosse divenuto celebre per
-qualche titolo o per credito commerciale, facilmente lo cambiava per
-capriccio, per un’eredità, per far grado a un protettore, a un padrino.
-La nobiltà nuova non poteva opporre alla tirannia quegli argini, che
-solo dal tempo acquistano solidità: quella poi creata dai tiranni non
-valea nulla più che i diplomi, eccitava gelosia, mancava di efficacia.
-
-I signori di Romagna, maggiormente dediti alle armi, e scarsi di
-possessi, esercitavano i loro vassalli sia per sostenersi, sia per
-farne mercato a servigio altrui. A Napoli re Luigi di Taranto istituì
-la compagnia del Nodo, altri cavalieri, per desiderio di gloria,
-ne formarono altre, e con insegne diverse andavano come cavalieri
-erranti mostrando il lor valore dove guerra fosse, legati tra sè di
-fratellanza; e dal segno che portavano, diceansi della Stella, della
-Argata (per la nave d’Argo), della Leonza[200].
-
-Però fra noi predominarono sempre le città, e in conseguenza non
-troviamo quegli alti fatti cavallereschi, di cui si tesse la storia
-delle famiglie insigni forestiere; que’ nostri signorotti tengono
-del plebeo, o almeno del soldatesco, nè si gloriano di finezze
-cavalleresche, nè si peritano a mancar di fede. Sulla politica
-delle Corti non fa mestieri ripeterci; ma quelle frequenti taccie
-d’avvelenamenti, veri sieno o supposti, ci rammentano gl’imperatori di
-Roma, e palesano un ritorno verso la corruzione gentilesca. Le continue
-rivoluzioni, per cui mezzo gli ambiziosi volevano surrogare il privato
-dominio alla comune libertà, lasciavano interessi lesi; calde memorie
-d’un franco stato, del quale non si ricordavano più i guaj; molti i
-pretendenti, ove unica sanzione era la riuscita; molti gl’intolleranti
-e dell’ingiustizia e della giustizia, e pochi gl’interessati a
-difendere l’ordine pubblico. Il grosso del popolo non penò a chetarsi
-a dominj che gli lasciavano quiete onde applicarsi alle sue arti e
-gli crescevano sicurezza; ma le famiglie aristocratiche ribramavano la
-fraudata autorità, e mal soffrivano un altro esercitasse la tirannia
-ch’essi avrebbero per sè voluta. Le armi portate a servizio di qualche
-signore, davano la soldatesca fiducia nella spada: del sangue come aver
-ribrezzo quando la legge e i tiranni stessi ne versavano tanto?
-
-Quindi gli attentati, frequenti quanto mal secondati, e usciti con
-danno e con vergogna. La sollevazione di Cola Rienzi fra breve fu
-imitata dal Porcari in Roma. Due congiure a Milano uccisero i principi,
-senza produrre effetto durevole; altrettanto quella de’ Pazzi; peggio
-quella de’ baroni nel Reame. In Bologna i Caledoli, beneficati ed
-emuli di Annibale Bentivoglio, non meno poderoso in Romagna che
-Lorenzo Medici in Toscana, tramano, e scoperti sono appiccati o
-banditi. Bernardo Nardi fiorentino occupa Prato per farne piazza
-de’ repubblicani; ma non sostenuto, è preso e giustiziato con molti.
-Nicolò d’Este invade Ferrara per ricuperare il dominio paterno; ma
-il popolo nol favorisce, ed Ercole d’Este lo appicca con venticinque
-complici. Girolamo Gentile vuol ribellare Genova e Milano, e ne perde
-la testa. Girolamo Riario, signore di Forlì ed Imola, è pugnalato nel
-proprio palazzo. Biordo de’ Michelotti è ucciso a Perugia, e i Perugini
-assalgono gli uccisori e bruciano la badia di San Pietro ove erasi
-fatto il tradimento, e i traditori fanno dipingere alle porte e al
-postribolo. Questi frequenti attentati tenevano in sospetto i tiranni,
-e rendeanli peggiori; e i feroci supplizj che infliggevano a personali
-nemici, sembravano giustificati dalla necessità dell’assicurarsi.
-
-La costoro vita è un tessuto di fatti ancor più vergognosi che
-orribili, sfacciata la mancanza di fede, applaudito il tradimento se
-riusciva. Vedemmo quello a cui restò preso Bernabò Visconti. Paolo
-Fregoso, cardinale arcivescovo di Genova, invita il doge suo nipote
-colla moglie e i figliuoli a pranzo, e quivi li fa cogliere, mettere
-ai tormenti, sinchè il doge non ordina che le fortezze si rendano
-all’ambizioso zio. L’Oldrado, amicissimo di Gabrino Fondulo, passando
-fuor di Castiglione, finge si sieno sferrati i cavalli, e manda per
-un maniscalco. Gabrino, informatone, spedisce a invitarlo che entri e
-si riposi; ed egli no, aver troppa fretta, rincrescergli di non poter
-dare un bacio al suo Gabrino. Questo non vuol lasciarsi vincere in
-cortesia; esce a salutarlo, ed è subitamente circondato dagli uomini
-dell’Oldrado, il quale entra nel castello, prende la famiglia di
-Gabrino e i molti tesori, e lui consegna a Filippo Visconti che lo
-manda al supplizio. Nelle ore estreme confessò, l’unica cosa di cui si
-pentisse era che, quando l’imperatore Sigismondo e il papa salirono
-seco sul torrazzo di Cremona, non gli avesse trabalzati entrambi da
-quell’altezza[201].
-
-Il marchese Alberto d’Este, morendo nel 1393, avea dichiarato
-successore Nicolò suo figlio naturale; ma Azzo pretendea avervi
-migliori diritti, e li sostenne collo stipendiare Giovanni da Barbiano.
-I tutori del fanciullo Nicolò tentarono costui perchè assassinasse
-Azzo, ed egli il promise, purchè gli si dessero due castelli vicini
-a Barbiano. Vennero i messi, davanti ai quali fu trucidato Azzo, ed
-in conseguenza resi i castelli. Ma l’ucciso non era che un servo, e
-Azzo piombò addosso alle squadre ferraresi e ne fe macello. Poco poi
-Giovanni macchina d’impadronirsi di Bologna, e scoperto è mandato al
-supplizio. Mille altri casi simili ci offrirebbe la storia de’ capitani
-di ventura.
-
-I popoli ne soffrono, e conoscono i vantaggi della libertà, tanto da
-creder lieve ogni sacrifizio per ottenere che alfine alla egualità
-innanzi ad un padrone si sostituisse l’egualità innanzi alla legge.
-Vero è che le sventure d’allora sembrano maggiori perchè tutte si
-registrano, nè erasi per anco ingenerata quella cascaggine che
-fa credere ineluttabile necessità il patimento, e virtù il non
-lamentarsene, e pace una tirannia che degrada senza tormentare. Massime
-nelle repubbliche riscontriamo elevatezza di caratteri, potenza di
-sacrifizj fatti al bene generale, maggior fedeltà alla parola: benchè
-le passioni vi apparissero maggiormente, perchè in numerose masse e
-meno frenate. E la stessa corruzione e la ribalda politica dei principi
-non avviliva ancora i popoli, se anche li straziava.
-
-Fra quel movimento frequentavano occasioni di esercitare le forze della
-volontà e dell’intelletto, il che è sì gran parte della felicità;
-riceveasi l’educazione dagli avvenimenti, e maestro era il subuglio
-della città; anche nelle baruffe civili logoravansi alcune vite, ma
-conosciamo tempi più puliti ove si uccide colla parola, s’induce negli
-animi il dispetto, vi si formano quelle ulceri, la cui tabe e il puzzo
-appestano la società.
-
-Furono i nostri che crearono la scienza delle ricchezze e della loro
-distribuzione, misurarono la potenza del proprio paese e i mezzi con
-cui farlo agli emuli prevalere, e tolsero a considerare tutt’Europa
-come un sistema unico, ponderando perciò le forze delle singole parti;
-e alcuni conti dei loro dogi o podestà potrebbero andar di paro coi
-messaggi meglio compiuti dei presidenti americani[202]. I Fiorentini
-volevano dai loro commessi un ragguaglio de’ paesi ove andavano; i
-Veneziani ricevevano dai loro diplomatici informazioni continue, e da
-queste possiamo ancora librare la civiltà e la potenza de’ varj Stati.
-
-Quanta ricchezza non indicano nel paese le medesime guerre! Taciamo
-Venezia, taciamo Genova, di cui non di rado qualche privato diveniva
-principe, e i Lercari o i Giustiniani tenevano testa alla potenza
-ottomana; ma Federico I di Sicilia ebbe cinquantotto galee in punto
-d’arme, con centotredici l’affrontò Roberto di Napoli, e distrutte
-si rinnovarono quasi per incanto. I nobili milanesi proposero a
-Filippo Maria di mantenergli diecimila cavalli e altrettanti pedoni,
-purchè lasciasse loro amministrare le pubbliche entrate, escludendone
-cortigiani e favoriti. Dal 1377 al 1406 Firenze spese in sole guerre
-undici milioni e mezzo di fiorini d’oro, da cento ogni libbra[203],
-tributo di cittadini privati: settantasette case, dal 1430 al 53,
-pagarono di straordinarj quattro milioni ottocentosettantacinquemila
-fiorini; e lo stato popolare, dal 1527 al 30, cavò di straordinarj un
-milione quattrocentodiciannovemila cinquecento fiorini. I tiranni pure
-e gli oligarchi facevano gara di prosperare il proprio paese, sì pel
-vantaggio che a loro medesimi ne ridondava, sì per emulare i vicini,
-sì per palliare la servitù. Francesco Sforza scavava il canale della
-Martesana ed ergeva l’ospedal grande a Milano; Gian Galeazzo ardiva
-cominciarvi il duomo e la certosa di Pavia; i Medici, i Pitti, gli
-Strozzi si eternarono per elegante magnificenza.
-
-Ma in fatto di costumi e d’opinioni men che in niun’altra cosa si
-può considerare l’Italia come una sola nazione; e se anche oggi, con
-sì poche caratteristiche e con tante comunicazioni, immenso divario
-corre dal Torinese, per esempio, al Siciliano, quanto più allora?
-In Romagna poca attenzione si dà all’agricoltura e all’industria, le
-ricchezze traendosi d’altronde che dalla terra; i suoi fiumi non sono
-navigabili, ed essiccando lasciano esalazioni pestilenziali; talchè
-l’uomo si scosta da quei paesi, che così peggiorano col cessare della
-vegetazione artifiziale, e disordine e abbandono invadono le valli
-inselvatichite e i piani deserti, per la cui ampiezza pochi casali
-s’incontrano, perciò opportuna alle masnade; e il popolano, sentendosi
-necessario al padrone che ne trae guadagno di stipendj militari,
-acquista orgoglio e fierezza, quasi con ciò attesti discendere
-dai conquistatori del mondo. Il Veneziano invece è indocilito dal
-sentimento della dipendenza, che mal si confonderebbe con quella
-pulizia che cerca sedurre ma senza bassezze; egli venera il denaro,
-ambisce i godimenti, e gli aspetta da chi può procacciarli a lui, il
-quale nulla può ripromettersi dagli onorevoli sudori versati sulla
-terra. All’incontro il Genovese le falde delle Alpi e dell’Appennino
-a forza d’arte vestì d’ulivi, aranci, vigneti, e non bastandogli lo
-scarso territorio, s’avventura al mare, e dice, _Io vengo da Caffa_,
-così come se fosse tornato dal porto. A Napoli il Governo svigorito
-lascia crescere la colà prepotente inclinazione di isolarsi; e da un
-lato si trincerano i baroni, dall’altra i popolani, non partecipandosi
-i frutti del convivere sociale; la scarsa industria, l’indolenza,
-il non curare del domani sono conseguenza del clima, de’ pochi
-bisogni e de’ facili soddisfacimenti; come i vulcani del paese, dalle
-esaltazioni si passa rapidamente all’inerzia, con poca costanza e
-vacillante condotta; l’immaginazione fa ricorrere alle superstizioni,
-l’inosservanza delle leggi lusinga a vendette private. La Toscana,
-divisa in piccoli territorj, sembra fatta per la vita individuale delle
-città, che in fatto ebbero ciascuna una storia particolare: nella parte
-montagnosa si ricoverarono i signorotti, e trovarono buoni soldati; il
-resto è coltivato con indefessa cura: e perchè a gran fatica basta alla
-popolazione, questa si dedica anche all’industria, e così si sviluppa
-quel vigore intellettuale, quella coscienza di se stessi, per cui i
-Toscani si presentano come in una virilità matura, ma tutta robusta.
-
-Dappertutto poi restavano distinti i costumi de’ principati da
-quei delle repubbliche, in quelli i signori, in queste apparendo i
-cittadini. Udiamo accagionare quei borghesi, che idolo si facessero
-del denaro. È vera l’accusa? è ragionevole? Nell’età barbara e nella
-feudale la ricchezza era mal distribuita in Italia, ma il clero colla
-limosina, la feudalità col suo sminuzzamento prevennero quella piaga,
-che oggi infistolisce col nome di pauperismo. Crebbe poi e si diffuse
-la ricchezza; ma se questa è cattiva allorchè (come avvenne nell’età
-romana) provenuta da mezzi immorali, e, sparsa con disuguaglianza, apre
-un abisso fra le varie classi, e perciò aguzza le passioni sovversive,
-essa torna giovevole all’individuo e alla società quando sia frutto di
-lavoro onesto e di liberi contratti, e si spanda in tutte le classi.
-
-Sta bene ai nostri tempi battaglieri e rivoluzionarj lo sbertare
-i mercanti, e ripetere le ingiurie che Buonaparte scaraventava
-all’Inghilterra: sta bene il rammentare che, quando Marsiglio Carrara
-esulava a Firenze, la Signoria lo dichiarò esente da ogni molestia
-per debito, salvo che fosse verso Fiorentini. Ma il mercante acquista
-prudenza, attività, energia per mettersi in grado di accumulare il
-capitale; col creare questo si ottiene l’agiatezza, la quale lascia
-campo alla coltura dell’intelletto e dei costumi, ed elevando i salarj
-fa progredire verso l’uguaglianza. Ricordiamoci che erano mercanti
-Marco Polo, che primo ci descrisse l’Asia centrale e il Giappone;
-il Fibonacci, che introduceva le cifre arabiche; Giovan Villani, il
-migliore cronista del nostro e forse d’ogni altro paese, il quale, se
-non il fare ingenuo e pittoresco di Joinville e Froissart, mostra però
-la scienza positiva e il fermo tocco di chi maneggiò gli affari prima
-di raccontarli. Non sono i mercanti fiorentini che vollero combattere i
-venturieri quando i principi non sapeano che mercatarli?
-
-Quegli operosi commerci rivelano abbastanza un vivere ben differente
-dalla convulsiva inazione de’ giorni nostri, quando si cerca tutto
-fuorchè il modo di essere contento del proprio stato; non si oziava
-tanto sui caffè; non si camuffava d’amor di patria la poltroneria del
-non mutar cielo; non si logoravano la salute e la ragione a fare e a
-leggere giornali e romanzi. Lungi dal tenere disonorante il commercio,
-vi accudivano in persona cittadini primarj. Archinti, D’Adda,
-Castiglioni, Crivelli, Lampugnani, Melzi, Visconti, Vimercato erano
-matricolati fra i mercanti di Milano; «il padre di Antonio Giacomini
-(dice Machiavelli) fu mandato a Pisa, a faccende di mercatare,
-nella quale tutta la nobiltà di Firenze si esercita, come nella cosa
-più utile e più reputata nella patria loro»; Cosmo, già capo della
-Repubblica fiorentina, non interruppe gli affari di banco, ne’ quali si
-esercitavano e Strozzi e Pazzi e Guicciardini e Borromei e Rinuccini e
-Salviati. Ne contraevano quelle abitudini casalinghe insieme e forbite,
-che contrastavano colle fastose e rozze dell’aristocrazia forestiera; e
-quest’agevolezza personale, questa energica risoluzione, quest’operare
-sicuro, questa grazia nativa davano all’Italiano grande superiorità
-sugli stranieri, e in conseguenza lo facevano più ammirato che amato,
-anzi temuto, la finezza parendo astuzia, la galanteria corruzione, la
-franchezza dispregio.
-
-Lo spirito d’economia, lo sforzo delle classi industri per migliorare
-la propria condizione, la frugalità nei godimenti, bastavano a
-bilanciare le nobili profusioni nelle arti e le folli nella guerra; e
-Smith le paragonava a quella che i medici chiamano forza medicatrice
-della natura, che spesso restaura l’infermo a malgrado del male e delle
-medicine. Avrebbe Firenze potuto repulsare tante nimicizie, e tanto
-abbellirsi, quando non l’avessero soccorsa i cittadini che teneano
-fondi nei magazzini di Venezia, di Parigi, d’Anversa, di Londra, e
-sulle navi del Mediterraneo, dell’Eusino, dell’Oceano? Nè mai ne erano
-avari per la libertà e pel decoro della patria. Reciprocamente il
-tesoro pubblico era una specie di serbatojo per vantaggio di tutti:
-nel 1466 gli argenti della Signoria di Firenze erano dati a prestanza a
-Luigi di Piero Guicciardini e a Piero Capponi perchè con maggior pompa
-potessero celebrare nozze[204].
-
-E in Firenze, fors’anche perchè maggiormente e meglio ci è descritta,
-appajono consuetudini affatto borghesi. La ristrettezza del territorio
-obbliga ad usufruttarlo con ogni attenzione, e al lavoro de’ campi
-unire l’industria; obbliga il proprietario a risparmiare e a speculare.
-Quando altrove i nobili firmavano le carte colla croce _non sapendo
-scrivere perchè baroni_, i Fiorentini stendeano i processi verbali
-anche delle adunanze delle arti e mestieri; mercanti e manufattori
-rendeano i proprj pareri per iscritto. Dino Compagni racconta che
-sulla venuta di Carlo di Valois fu richiesto il parere dei settantadue
-mestieri, imponendo loro «che ciascuno consigliasse per iscrittura se
-alla sua arte piaceva che si lasciasse entrare a Firenze». Lo statuto
-dei tesserandoli di seta a Lucca ordina che ogni tessitore o tessitrice
-abbia un libro dove notare le tele che avrà dai mercanti, per poterlo
-scontrare col libro di questi. Lo statuto dell’arte di Calimala del
-1332 parla ogni tratto di scrivani, di registri, di rendiconto,
-di bullettini. Chi può contenersi dalla maraviglia nel vedere i
-Fiorentini, occupati in bottega a pesar lana e misurar drappi, fare poi
-nel consiglio esperimento di tutte le possibili forme di costituzione,
-porgere magistrati insigni dentro, accortissimi ambasciadori fuori;
-insieme colle balle di mercanzie richiedere manoscritti, spacciare
-lettere al merciajuolo e ai maggiori dotti; sul libro mastro, insieme
-coi crediti registrare la storia della patria o del mondo, introdurre
-la scrittura doppia, le cifre arabiche, l’algebra, fondare la prima
-cattedra di greco, la prima di latino, la prima di leggere Dante?
-Segretarj della repubblica erano un Bartolomeo Scala, un Carlo
-Marsuppini, un Coluccio Salutati, un Bonaventura Munaci, ben presto un
-Nicolò Machiavelli.
-
-Qual prova maggiore di civiltà che i tanti scrittori? Leggete
-il _Governo della famiglia_, e sentirete continuo quell’alito
-dell’economia casalinga, che si briga delle particolarità senza
-negligere le cose importanti, e risparmia un soldo, ma non si
-arretra dallo spendere le migliaja di fiorini. L’autore diceva a’
-suoi figliuoli: — Tutto l’anno accadono spese, cresce la gioventù,
-apparecchiansi le doti; e volendo colla possessione soddisfare, non
-basterebbe. E però è da intraprendere qualche esercizio civile, utile,
-comodo a voi, atto ai vostri, col quale guadagnando possiate supplire
-al bisogno. Potrebb’essere la mercatura; ma per mio riposo eleggerei
-cosa più certa, e mi darei più volentieri a quegli esercizj, ne’ quali
-si adoprano molte mani, e nei quali il denaro in molte persone si
-sparge, e a molti bisognosi ne viene utilità. È officio del mercante
-avere sempre la penna in mano; imperocchè indugiando lo scrivere,
-le cose si dimenticano e invecchiano, e il fattore ne prende ardire
-e licenza d’essere cattivo, vedendo il superiore negligente. Niuna
-cosa tanto giova, niuna fa tanto buoni fattori, quanto la provvidenza
-e sollecitudine del principale: stolto è veramente colui il quale
-non saprà favellare de’ fatti suoi se non per bocca d’altri, e cieco
-colui il quale non vedrà se non pegli occhi altrui... Le spese io le
-considero necessarie o no. Chiamo volontarie quelle senza le quali
-si può onestamente vivere, com’è avere bei libri, nobili corsieri,
-argenterie, arazzi. Ora quel ch’è necessario, mi piace subito averlo
-fatto, non fosse altro che per avermi scarico quel pensiere: epperò fo
-le spese necessarie presto, e le volontarie con modo buono ed utile,
-ch’è d’indugiare quando posso, per vedere se quella voglia cessasse
-in quel mezzo, e non cessando, ho spazio di meglio pensare in che
-modo spenda meno, e meglio mi soddisfaccia». E con che senno virile,
-con che bontà senza sdulcinature, con che superiorità senz’arroganza
-non tratta egli la donna! — Il marito e la moglie devono fare come
-quelli che fanno la guardia sulle mura per la patria loro; se alcuno si
-addormenta, colui non ha a male se il compagno lo desta. Così l’uomo
-deve avere molto per bene se la donna, vedendo in lui mancamento, ne
-lo avvisa. Quando io menai moglie, le dissi: _Donna mia, sopratutto
-a me sarà a grado che tu faccia tre cose: la prima, che qui in questo
-letto tu non desideri altr’uomo che me solo;_ ella arrossì ed abbassò
-gli occhi: _la seconda, che abbi buona cura della famiglia, e la tenga
-con onestà e pace; la terza, che provveda che le cose famigliari non si
-trasferiscano male_. E fui avvertente nel persuaderla di mostrarsi ne’
-suoi portamenti onesta, nè d’altra qualità o colore che naturalmente
-ella si fosse: _La onestà della madre, le dissi, sempre fa parte di
-dote alle figliuole; piace una bella persona, ma un disonesto cenno
-subito la rende vile e brutta. Donna mia, tu non hai da piacere se
-non a me: pensa non poter piacermi volendomi ingannare, mostrandomiti
-quella che tu non fossi_. Tutte le mogli sono a’ mariti obbedienti
-quando eglino sanno essere mariti. A me non piacque mai sottomettermi
-alla donna mia; nè mi sarebbe paruto potermi far da lei obbedire
-avendole dimostrato d’esserle servo».
-
-V’era persone di buona casa che scriveano d’agricoltura come il
-Vettori, o d’arti come il Neri, o del vivere civile come il Palmieri; e
-chi sfogliasse i _Ricordi di cose famigliari, i Quaderni de’ conti_, i
-_Prioristi_, come chiamavano una specie di mastro sul quale annotavano
-i priori di quell’anno e insieme i principali accadimenti, stupirebbe
-d’incontrare tanto estesa la maturità del buon senso e l’acume del
-vedere. L’educazione pubblica era compita dalla domestica, poichè
-il babbo o la nonna insegnavano al figliuolo a leggere, e il latino
-allora necessario, e gli affari e la storia del paese; la servente vi
-aggiungeva i racconti di fate e di ladri; tutto mescolato di proverbj,
-non senza grossolanità e offese al costume. Faceasi musica a orecchia,
-col flauto, il clarinetto, la mandòla accompagnando le canzoni per
-istrada, o i rispetti e le ballate; spesso novellavasi, e si ridiceano
-i proprj viaggi e quelli di Marco Polo.
-
-Fin gente digiuna di lettere poetava, e nella barberia di un tal
-Burchiello in Calimala convenivano fior di cittadini a discorrere,
-celiare, improvvisare: ed egli fra loro sempre in buon tempo e sulle
-burle, facea versi, tutti riboboli popoleschi e idee or da trivio or da
-bordello, ma che si rileggono per quella naturalezza, che tanto scarsa
-incontrasi fra i nostri. Gli accoppieremo Dino di Tura, anch’egli poeta
-alla carlona; e Antonio Pucci campanaro, contemporaneo del Sacchetti,
-che nel _Centiloquio_ ridusse in terzine la storia del Villani, ogni
-canto facendo di cento terzine, e acrostica la prima lettera di ciascun
-canto. Alquanto più tardi il Lazzero barbiere, bel capo e bizzarro,
-stendea componimenti di scelto e pulito parlare.
-
-E questo è particolare ai Toscani, che, mentre tutt’altrove non accade
-quasi menzione se non della vita signorile, fra essi il notajo, il
-mercante hanno storia in siffatti libri, a tacere anche qualche vita,
-estesa per famigliare onoranza. Moltissime di quelle carte giacquero
-dimentiche, molte furono edite, e ci porgono la più schietta dipintura
-del vivere domestico d’allora. Ed erano talvolta opera di gente minuta,
-che si gloriava del proprio mestiere, come altri farebbe del blasone.
-Uno scrive: — Io ebbi un avolo, e fu maniscalco, e fu tenuto il sommo
-della città sua; ebbe tre figliuoli. Cristofano appresso il padre tenne
-il pregio della mascalcìa, e avanzollo; mio padre avanzò Cristofano
-dell’arte in sua vita; onde, volendo il padre che appresso sè uno de’
-figliuoli rimanesse all’arte, convenne a me lasciare lo studio della
-grammatica, come piacque a lui, e venire all’arte. Onde dinanzi a me
-furono di mia gente sei l’un presso all’altro, ciascuno maniscalco; ed
-io fui il settimo»[205].
-
-Guido dell’Antella, cominciando dal 1298, scriveva i casalinghi
-suoi ricordi, e come principiò a lavorare sotto negozianti, e per
-essi stette in Provenza, in Francia, a Napoli, in Acri, poi divenne
-loro socio, e tiene nota delle varie scritte relative a’ negozj e ai
-possessi suoi, o a’ matrimonj. I figliuoli continuano quelle note: or
-che si mena moglie con fiorini settecentotrenta d’oro, fra dote e doni;
-or che si compra una casa per fiorini ducentodieci; or che si prende
-una fante per fiorini sei l’anno, ovvero _una schiava_ per lire trenta;
-or una balia per fiorini sedici d’oro che stia in casa; ovvero, se va
-fuori, le si dà cinquanta soldi il mese, e per corredo una zana, un
-mantellino con sedici bottoni a scodelline d’argento, un mantellino
-cilestro, una cioppolina mischia, cinque pezze lane, cinque fascie,
-quattordici pezze line, una coltricina, un guanciale con due foderuzze.
-Se s’appigiona una bottega, s’aggiunge al fitto un’oca grassa per
-l’ognissanti o per pasqua di Natale. Nei poderi si trova già introdotta
-quella società fra padroni e contadini che dicesi mezzeria, e che
-assicura al colono una protezione, e lo mette col padrone in comunanza
-d’interessi, d’affetti, quasi di famiglia: il padrone, oltre dare il
-fondo, si obbliga anticipare al villano il denaro per comprare buoi.
-
-Galgano Guidini a ventotto mesi restò privo del padre, il quale non
-gli lasciò che debiti; ma sua madre per allevarlo non si rimaritò più.
-Il nonno lo tolse in casa, e gl’insegnò a leggere e fin al Donato,
-poi lo mandò imparar grammatica a Siena: egli ben presto potè mettersi
-ripetitore, e infine passò notaro. Morto il nonno che aveva fatto un
-poco d’usura, sua madre fece restituzione. Galgano andò in qualità
-di notaro coi varj uffizj, e cominciò a guadagnare, far masserizia
-e comprare. Introdotto presso la beata Caterina, s’infervorò di lei
-e di Dio, sicchè voleva abbandonare il mondo, se sua madre non si
-fosse adoperata per fargli invece menar moglie. A Caterina viva e
-morta conservò sempre devozione, la richiedeva di consigli, tradusse
-in latino le opere che ella scriveva in italiano, perchè «chi sa
-grammatica o ha scienza, non legge tanto volentieri le cose che sono
-per vulgare». Ebbe molti figli, e «al primo (dice) posi nome Francesco,
-a riverenza di san Francesco mio devoto; e posimi in cuore che, a onore
-di san Francesco, io il farei frate dell’Ordine suo. E così voglio che
-sia». De’ figliuoli, i più dette a balia, alcuni la moglie _tenne a suo
-petto_[206].
-
-Di bizzarre avventure ci è narratore Bonaccorso Pitti, destro quanto
-un cavaliere di ventura del secolo passato. Ito in Prussia il 1376 a
-vendere zafferano, passò a Buda, ove s’infermò in un’osteria. Ed ecco
-una brigata di beoni che straviziavano e ballonzavano in un salotto
-vicino, ne odono il piagnucolìo, e lo tolgono dalla coltrice, e
-l’obbligano a ballare con loro; di che egli suda in modo che guarisce.
-Due giorni dopo giocando guadagna mille fiorini a un Fiorentino
-direttore della regia zecca, e procacciatisi sei cavalli, quattro
-servi, un paggetto, rivolgesi alla patria coll’avanzo di cento fiorini.
-Ivi prende capriccio per madonna Gemma, che stava a porta Pinti, e
-tanto fa che può entrarle in casa, e dirle l’amor suo; al che ella
-risponde, — Or bene, va difilato a Roma». Credendo darle prova d’amore
-coll’obbedienza, e’ va di fatto, traverso ai soldati papalini allora
-in guerra con Firenze, e dopo un mese ritorna sperando guiderdone. Ma
-la donna ridendo, — Non sai (gli dice) che a porta Pinti, quando vuolsi
-mandare uno colla malora, gli diciamo, _Va difilato a Roma?_»
-
-Militò col re di Francia alle battaglie d’Ypres e di Mons: arricchitosi
-in Inghilterra, riede a Parigi, e v’impiega diecimila fiorini in
-lana; ne guadagna al giuoco cinquemila al conte di Savoja, che non
-glieli pagò mai; e sposata una Albizzi nel 91, spedisce le sue lane
-da Parigi in due bastimenti, un per Genova pagando il nove per cento
-d’assicurazione, l’altro per Pisa pagandone il quattordici. Tornò a
-Parigi come mastro delle stalle del duca d’Orléans, e seppe ripicchiare
-le valenterie de’ baroni francesi. Fu de’ priori in Firenze nel 99,
-quando vagavano le processioni de’ Flagellanti. L’anno seguente fu
-spedito ambasciadore del Comune fiorentino all’imperatore Roberto, cui
-mise in guardia contro Galeazzo Visconti, e contro i pugnali e veleni
-che questo sapeva adoperare; di che Galeazzo gli volle tanto male, che
-bandì una taglia sul capo di esso. Era de’ consoli sopra la fabbrica di
-Santa Maria del Fiore, quando fu affidato a Brunelleschi il voltarne la
-cupola. Nel 1422 fece pubblica perdonanza d’ogni ingiuria ai nemici, e
-specialmente ai Ruscoli, promettendo essi e lor discendenti trattarsi
-da amici. Nel 23, stando capitano a Castellaro in Romagna, scopre una
-congiura, e fa decapitare sette complici. Così prosegue il racconto,
-intarsiando i fatti pubblici co’ suoi personali, avvenimenti europei
-coi computi mercantili.
-
-Girolamo da Empoli scriveva la vita di Giovanni suo zio, mercante
-come lui e figlio di mercanti. A sette anni già leggeva il salterio,
-a tredici sapeva il latino e un po’ di greco, e suo padre gli facea
-ripetere le lezioni, e gli avea formato un libriccino dov’erano
-ritratte molte cose della sacra scrittura, e «su quello lo faceva
-studiare acciò ch’egli avesse notizia e che s’innamorasse delle cose di
-Dio». Il dì delle feste andava sempre ad una delle compagnie devote che
-aveva istituite frà Savonarola. Tirato al banco di suo padre, cambiò
-monete, delle quali assai forestiere conobbe in occasione che mezzo
-mondo andava al giubileo del 1500: uscì poi per mettersi ne’ negozj di
-Fiorentini a Lione, a Bruges a Lisbona, e fu inviato da essi a Calicut
-pel passaggio di mare frescamente scoperto. Quel viaggio ripetè egli
-tre volte, e ne mandava ragguagli a suo padre; e quando rivedea la
-patria, si divertiva con quei che sapevano di mappamondo ad indicarne i
-luoghi, e applicare i nomi de’ paesi veduti. Più volte tornò a Malacca
-e fin nella Cina, e morì a Canton il 1518.
-
-Sebbene finto per commedia, pure vedo il tipo dei massaj fiorentini
-nel Nicomaco atteggiato nella _Clizia_ dal Machiavelli. — Soleva
-essere un uomo grave, risoluto, rispettivo; dispensava il tempo suo
-onorevolmente. E’ si levava la mattina di buon’ora, udiva la sua
-messa, provvedeva al vitto del giorno. Dipoi, se egli aveva faccenda in
-piazza, in mercato, a’ magistrati, e’ la faceva; quando che no, o e’
-si riduceva con qualche cittadino tra ragionamenti onorevoli, o e’ si
-ritirava in casa nello scrittojo, dove egli ragguagliava sue scritture,
-riordinava suoi conti. Dipoi piacevolmente colla sua brigata desinava,
-e desinato, ragionava con il figliuolo, ammonivalo, davagli a conoscere
-gli uomini, e con qualche esempio antico e moderno gl’insegnava a
-vivere. Andava dipoi fuora, consumava tutto il giorno o in faccende
-o in diporti gravi ed onesti. Venuta la sera, sempre l’avemaria lo
-trovava in casa; stavasi un poco con esso noi al fuoco, s’egli era
-d’inverno; di poi se n’entrava nello scrittojo a rivedere le faccende
-sue: alle tre ore si cenava allegramente. Questo ordine della sua vita
-era un esempio a tutti gli altri di casa, e ciascuno si vergognava non
-lo imitare».
-
-Nella portata dei beni che presentava il 1378, messer Francesco
-Rinuccini fa una lunghissima enumerazione di possessi e case:
-inoltre doveva avere dal Comune fiorini d’oro quattordicimila
-cinquecensettantaquattro, che sarebbero oggi più di trentottomila
-scudi; da varj privati duemila cinquecento; e morendo egli testò per
-cencinquantamila fiorini d’oro in contanti. Una famiglia così doviziosa
-componeasi del padre, sei figli maschi, una femmina, tre nuore, quattro
-figli de’ figli, quattro famigli, due fanti per conciare i cavalli,
-due fantesche, una balia, una cameriera, un ortolano colla moglie e un
-figliuolo, e otto cavalli.
-
-Nel 1460 Cino di Filippo Rinuccini sposava Ginevra d’Ugolino di Nicolò
-Martelli, d’anni sedici, ricevendo in dote mille quattrocento fiorini
-d’oro, mille dei quali stavano sul Monte delle fanciulle, con altri
-ducento d’interesse, oltre le donora di fiorini ducento. Esso le regalò
-un vezzo di centotto perle, sei nel pendente, un rubino in tavola, un
-frenello di dugensessantuna perla, che si chiamava vespajo, da mettere
-in capo, il tutto in un astuccio di cuojo di Fiandra. Un’altra volta
-le portò venti perle da fare fruscoli per il capo, che eran once tre,
-e costarono fiorini dieci l’oncia; e in più volte gliene portò altre
-assai. Prese egli poi ad uso per sei mesi una collana d’oro con perle
-e rubini, per cui diede sicurtà di fiorini duecento. Regalò pure alla
-sposa un fermaglio da testa, un pajo di coltellini col manico d’argento
-dorato e smaltato alla parigina, un dirizzatojo d’argento colla guaina
-pur fornita d’argento. Al desinare di nozze furono trenta convitati, e
-la sposa ebbe in dono otto anelli con gioje che in tutto poteano valere
-cinquanta fiorini d’oro. Non manca neppur la nota delle donora recate
-dalla Ginevra[207].
-
-Con tali reggimenti, e col tenersi unite, le famiglie aumentavano di
-ricchezze, e di queste faceano comodità alla patria, o fabbricavano
-palazzi che poi divennero residenze di principi. Largheggiavasi
-pure assai nelle beneficenze, e alla distribuzione d’una limosina
-a Firenze nel 1330 si presentarono diciottomila mendichi «senza i
-poveri vergognosi e quelli degli spedali e religiosi mendicanti,
-che in disparte ebbero la loro parte di limosina, che furono più di
-quattromila»[208]. Sarà incredibile tanta quantità a chi non rammenti
-certe distribuzioni che oggi ancora si fanno tra noi per antico
-istituto, dove non il pitocco soltanto si presenta, ma tutti.
-
-D’altra parte in Firenze stessa troviamo una gioventù scapestrata,
-sciupona, disonesta, che logora la vita a bere e stripare, e mena a
-burle e strapazzo chi più ama la quiete. Alcuni s’erano messi insieme
-per molestare le persone tranquille; andarono da un medico fingendo
-che Cosmo de’ Medici lo chiedesse, e come fu a un ponte, lo snudarono
-e gli fecero sconcezze. A un prete collo stesso titolo fecero portare
-il viatico, accompagnandolo colle torce, poi spentele, il lasciarono al
-bujo. Il cavaliere del podestà fu preso da costoro, e tuffato in Arno,
-e legato nudo a una colonna, ove la mattina fu trovato[209]. Chi troppe
-più volesse sudicerie e frodi, non ha che a scorrere la seconda storia
-di Giovan Cavalcanti, che prologa dall’inveire contro «la perversa
-condizione, la insaziabile avarizia e la fastidiosa audacia de’ malvagi
-cittadini».
-
-Vero è che ciò avveniva quando la repubblica soffogava sotto l’incubo
-principesco; ma conviene conchiudere che in ogni tempo fu nugolo e
-sereno. Nè sobrj e pudichi erano i costumi di altre repubbliche; e
-Venezia, se non osiamo dire che fomentasse, tollerava la corruttela,
-tanto appiccaticcia in paese di estesi traffici e di accorrenti
-forestieri: per allettare questi si moltiplicavano le feste, e la
-maschera porgeva incentivo agli intrighi. Gli storici di Genova
-deplorano il lusso delle case, tutte a vasi d’argento e d’oro, e
-delle suntuose villeggiature nelle valli di Polcévera e di Bisagno. Un
-poeta astigiano, capitatovi verso il 1415, entrando di domenica rimase
-stupito del pubblico passeggio, le persone di qualità gli somigliarono
-tanti senatori romani in porpora, le donne tante Veneri col cinto
-dei vezzi: si scandolezzò d’alcune zitelle che stavano galantemente
-ai balconi delle case, motteggiando chi passava, presenti le madri.
-D’inverno e di primavera balli continui, e sin le fornaje vi portavano
-scarpe di seta guarnite a perle. L’estate uscivano tutti alla campagna,
-non ritenuti nè da impieghi nè da negozj; ma al fresco orezzo, alla
-serenità marina davansi all’ozio e alla gola. Anche i poveri volevano
-scialare i dì festivi; accattavan dal rigattiere un abito vecchio di
-seta, e per le colline dell’intorno sbevazzavano le limosine raccolte
-e le mercedi[210]. Il Comune di Torino nel 1436 appigionava una casa
-a un Ginevrino per tenervi postribolo, esente da alloggi e servizio
-militare e dalla tassa pel vino che vendeva: le donne non uscissero
-senza licenza di lui, e non fosse aperto che a sportello: esse doveano
-portare per distintivo un’aguglietta sulla spalla sinistra, e tutti i
-giorni andare a messa in San Dalmazzo[211].
-
-Di rozzi sentimenti, vale a dire senza rispetto alla dignità dell’uomo,
-ci sono prova i feroci supplizj, consueti siccome sa chi appena scorse
-una storia o cronaca qualunque. Nei registri della Camera dei conti di
-Torino è notato che Giovanni Gujoto falsomonetiere fu tenuto in cattura
-per ventun giorno, poi bollito e morto: e pel nolo della caldaja, il
-ferro posto attraverso di essa per legarlo, le corde, l’olio, la legna,
-il carbone, gli si dà debito. Filippo di Vigneulles, che dimorò a
-Napoli nel 1487, vi vide bruciare uno per delitto contro natura; mozzar
-le mani a un altro che avea battuto un sergente; impiccato uno per
-aver tagliato monete; tre impiccati e arsi per moneta falsa, i quali
-sarebbero stati cotti nell’olio se non fossero intervenute preghiere
-istantissime[212]. Se pigliamo una delle cronache più modernamente
-pubblicate, quella del Graziani, in solo poche carte troviamo che
-nel 1441 a Perugia ad un tal Luca per istromento falso venne ficcato
-nella lingua un uncinetto di ferro, legato a uno spago in modo che
-dovesse tenerla sporgente; e così sopra una carretta colla mitera in
-capo fu condotto al luogo dell’esecuzione: la lingua che già gli si
-era stracciata, ivi gli fu mozza, e così le mani, e i moncherini gli
-vennero stretti fra due carrucole; una mano fu affissa sulla porta
-del palazzo, l’altra e la lingua sotto una gran pietra del chiostro
-di San Lorenzo. L’anno seguente, uno che aveva morto un suo compagno
-con un’accetta, poi gettatolo nel Tevere con una pietra al collo, fu
-menato al supplizio con al collo la pietra stessa; poi tre manigoldi
-col cappuccio in capo, uno gli diè tre colpi in fronte coll’accetta,
-l’altro gli segò le vene della gola, il terzo lo sparò e cavogli le
-interiora; poi squartato fu sospeso in quattro luoghi.
-
-E poichè siamo con Perugia, aggiungeremo come il suo statuto del
-1342 punisce il fatucchiere col fuoco, se non paga quattrocento
-lire fra dieci giorni: di fatto nel 1445 una Santuccia, _indovina e
-faturaja_, vi fu arsa, menandola al supplizio sopra un asino colla
-faccia volta alla groppa, e con due demonj a lato che le tenevano una
-mitera in capo[213]. A Firenze nel 1436 Angiola da Runci fu mandata
-a morte perchè maliarda, con cappelli di morti in capo, e borsa e
-moneta e molti brevi (CAMBI). Credevasi che gli eretici usassero arti
-diaboliche: essi allevare e creare serpenti, essi eccitar procelle,
-essi a cavalcione della scopa recarsi ai sabati, ove godeano banchetti
-e abbracciamenti col diavolo chiamato Martino. Eugenio IV, in una
-bolla data da Firenze il 10 aprile 1439 contro i padri del concilio di
-Basilea, scagliasi pure contro i Valdesi e gli stregoni che infestavano
-le provincie di Amedeo VIII di Savoja: e sappiamo che molti processi
-furono seguiti da sanguinose condanne ne’ paesi montani, della Svizzera
-principalmente, e in Francia. Avea dunque riacquistato fede, e non solo
-vulgare, ma legale questa pagana follia del gettare incanti, la quale
-giganteggiò poi miserabilmente nel secolo xvi.
-
-Gli alchimisti continuavano i loro sperimenti di tramutazione, e nel
-1330 Pietro il Buono ferrarese compose a Pola la _Margarita pretiosa_,
-combattendo l’alchimia non con fatti ma con argomentazioni, siccome
-allora si usava. «Nessuna sostanza (dic’egli) può essere tramutata in
-altra specie se non sia prima ridotta ne’ suoi elementi: ma l’alchimia
-è scienza positiva. Berigardo da Pisa racconta che la tramutazione non
-credeva possibile, fintantochè un valentuomo non gli diede un grosso
-di polvere simile a quella del papavero selvatico, e dell’odore di
-sal marino calcinato. «Comprai io stesso il crogiuolo, il carbone,
-il mercurio in botteghe diverse, per impedire che in alcuno si fosse
-messo dell’oro, come si pratica da’ ciarlatani. Sopra dieci grossi di
-mercurio aggiunsi una presa di polvere; esposi tutto a fuoco assai
-vivo; e in breve la massa si trovò convertita in quasi dieci grossi
-d’oro, riconosciuto purissimo da diversi orefici. Se ciò non mi fosse
-accaduto fuor della presenza di qualunque estrano, dubiterei di frode:
-ma posso attestare con asseveranza che la cosa è così»[214].
-
-Più estesa credenza otteneva l’astrologia, poichè la smania di
-conoscere l’occulto è più vigorosa quanto è men suscettivo di
-precisione l’oggetto cui si dirige, e il campo del meraviglioso è più
-largo quanto più angusto quel della scienza. Troppi esempj ne vedemmo,
-e da essa faceano dipendere i loro consigli Filippo Maria non meno
-che la colta Firenze o la savia Venezia; le Università ne teneano
-cattedre. Cecco Stabili d’Ascoli ancora giovane professò astrologia
-in Bologna, e in un commento sopra la sfera di Giovanni di Sacrobosco
-pose che nelle sfere superiori v’ha generazioni di spiriti maligni,
-i quali per incantesimi si possono costringere a opere meravigliose:
-queste ed altre follie lo fecero sospetto all’Inquisizione, che lo
-mandò al rogo[215]. Il Petrarca recitava nel duomo di Milano l’orazione
-inaugurale dei nipoti di Giovanni Visconti, quando l’astrologo gliela
-interruppe, perchè avea scoperto essere quello il punto della più
-benigna congiunzione dei pianeti. Per osservazione di astri fondaronsi
-nel 1470 il castello di Pesaro, nel 92 i bastioni di Ferrara, nel 99
-la rôcca della Mirandola: nel 94 i Fiorentini conferirono il bastone
-di capitano generale a Paolo Vitelli nell’ora designata propizia dalle
-stelle.
-
-Giovan Villani, mercadante positivo e di buon senso, a cui il
-maneggiare il braccio e le bilance non toglieva d’adoprarsi ne’ primarj
-uffizj della patria, vedendo la grandezza di Castruccio signor di Lucca
-minacciare di servitù l’intera Toscana, ne scrisse a frà Dionisio da
-San Sepolcro, maestro a Parigi _in divinitade e filosofia_, per sapere
-cosa gliene preconizzassero gli astri. E quello gli rispose: — Io vedo
-Castruccio morto». Arrivò la risposta quando Castruccio era nel più
-vivo della vittoria, onde il Villani la tenne celata, e ne rescrisse al
-frate; il quale rispose: — Io raffermerò ciò che io scrissi per l’altra
-lettera. Se Dio non ha mutato il suo giudizio e il corso del cielo,
-io veggo Castruccio morto e sotterrato». E quando la seconda lettera
-capitò a Firenze, Castruccio appunto era cadavere; e il Villani la
-mostrò a’ priori suoi compagni, i quali «convennero che di tutte le sue
-parti il giudicio di maestro Dionisio fu profezia». Questo frate fu in
-molta grazia a Roberto re di Napoli, che lo pose vescovo di Monopoli;
-e in molta stima al Petrarca, che morto lo pianse in versi, lodandogli
-sovratutto la sapienza del leggere negli astri[216]: il Petrarca, che
-pur berteggiava i medici e la medecina.
-
-Del suo tempo, un incessante piovale ingrossò le acque dell’Arno per
-modo, che coprì tutto il Casentino, il pian d’Arezzo, il Valdarno
-superiore e le campagne attorno a Firenze, e la città stessa credette
-arrivato l’ultimo suo giorno. Cessato il flagello, i savj posero in
-disputa se fosse venuto per giudizio di Dio o colpa degli uomini; e il
-Villani prendendo l’opinione media, che è sempre la più cauta e non
-di rado la vera, crede «che il corso del sole s’accordasse in ciò a
-punire i peccati dei Fiorentini». E soggiunge: — La notte che cominciò
-il detto diluvio, uno santo romito nel suo solitario romitorio di sopra
-alla badia di Vallombrosa istando in orazione, sentì e visibilmente
-udì uno fracasso di demonj e di sembianza di schiere di cavalieri
-armati, che cavalcassero a furore. E ciò sentendo il detto romito, si
-fece il segno della santa croce, e fecesi al suo sportello, e vide la
-moltitudine de’ detti cavalieri terribili e neri; e scongiurando alcuno
-dalla parte di Dio che gli dicesse che ciò significava, e’ gli disse:
-_Noi andiamo a sommergere la città di Firenze per li loro peccati, se
-Iddio il concederà_. E questo io autore ebbi dall’abate di Vallombrosa,
-uomo religioso e degno di fede, che disaminando l’ebbe dal detto
-romito»[217]. I Fiorentini riconoscendo il giudizio di Dio, pensarono
-a migliorarsi, lasciando i mali guadagni, l’avarizia, la vanità, i
-soprusi fatti ai vicini: e conseguenza buona veniva da una cattiva
-premessa.
-
-Forse per ciò gli ecclesiastici parvero talora consentire a simili
-ubbìe, ma le più volte li troviamo rappresentare il buon senso; e il
-famoso frà Giovanni da Schio disapprovava gli strologamenti, e frà
-Giordano da Rivalta sulla piazza di Santa Maria Novella a Firenze
-predicò contro chi prestava fede agli influssi delle stelle[218].
-Famoso in questi errori fu Pietro d’Abano, il quale dalla congiunzione
-de’ pianeti deduceva il cambiar di regni, di leggi, di religioni,
-e le venute di Nabucco, Mosè, Alessandro Magno, del Nazareno, di
-Maometto[219]. Il Landino commentando Dante scriveva: — È certo che
-nel 1483 a’ 25 novembre avrà luogo la congiunzione di saturno con
-giove in scorpione, lo che annunzia cambiamento di religione; e poichè
-giove prevale a saturno, il cambiamento sarà in meglio». Per istrana
-coincidenza, Lutero nacque il 22 di quel novembre. Quando Pico della
-Mirandola combattè l’astrologia, ne venne scandalo, e Luca Bellanti
-famoso astronomo tolse a confutarlo, deplorando che un nome sì illustre
-fosse deturpato col pubblicare quell’opera; e allorchè questi morì
-giovane come gli aveano predetto, si volle vedervi un castigo alla sua
-incredulità.
-
-Nuovo malanno fu nel 1322 l’arrivo degli Zingari, gente indiana,
-che diceva provenir dall’Egitto, e sotto un duca passava di terra in
-terra mendicando, rubando, dicendo la ventura, e professando volersi
-recare ai piedi del papa, al quale del resto non credeva meglio che
-a chicchessia altro, intendendo solo a guadagni, comunque turpi ne
-fossero i modi. «A dì 18 di luglio venne in Bologna un duca d’Egitto,
-il quale avea nome il duca Andrea; e venne con donne e putti e uomini
-del suo paese; e poteano essere ben cento persone... Aveano un decreto
-del re d’Ungheria ch’era imperadore, per vigor di cui essi poteano
-rubare per tutti quei sette anni per tutto dove andassero, e che non
-potesse esser fatta loro giustizia. Sicchè quando arrivarono a Bologna,
-alloggiarono alla porta di Galliera dentro e di fuori; e dormivano
-sotto i portici, salvo che il duca alloggiava nell’albergo del re.
-Stettero in Bologna quindici giorni. In quel tempo molta gente andava
-a vederli per rispetto della moglie del duca, che sapeva indovinare
-e dir quello che una persona dovea avere in sua vita, ed anche quello
-che avea al presente, e quanti figliuoli, e se una femina era cattiva o
-buona, o altre cose. Di cose assai diceva il vero... Pochi vi andavano
-che loro non rubassero la borsa, o non tagliassero il tessuto alle
-femine. Anche andavano le femine loro per la città a sei e a otto
-insieme; entravano nelle case de’ cittadini, e davano loro ciancie;
-alcune di quelle si ficcava sotto quello che poteva avere. Anche
-andavano nelle botteghe, mostrando di voler comperare alcuna cosa, e
-una di loro rubava...»[220].
-
-Più si ampliavano i principati e più il lusso; e la calata di Federico
-III, non accompagnato da armi, diede occasione a grandiose feste,
-volendo i signorotti far dimenticare le recenti usurpazioni collo
-sfoggiare suntuosità e regali. Re Alfonso di Sicilia spese in onorarlo
-cencinquantamila fiorini, diede una caccia numerosissima, un desinare
-che mai il simile, dove vivande più costose che delicate mangiavansi
-in piatti d’argento, confetti d’ogni specie si gettavano, le fontane
-zampillavano di greco e moscatello, e ognuno potea berne in tazze
-d’argento[221]. Federico ricambiava col profondere titoli, de’ quali
-d’allora in poi si fece bottega; e più dacchè egli concesse ad altri il
-diritto di conferirne. Altrettanto fece Renato a Napoli; e questi nuovi
-titolati amarono lo sfarzo, e credettero dignità il sottrarsi agli
-uffizj, vivere nell’ozio decorato, far frasche, e stare sul punto del
-convenevole.
-
-Galeazzo Maria Sforza, appena succeduto duca, di sue ricchezze
-volle dare spettacolo recandosi a Firenze con Bona di Savoja sua
-moglie. «Seco avea i principali suoi feudatarj e consiglieri, tutti
-dal liberalissimo duca presentati di panno d’oro e d’argento; i
-famigli loro oltramodo a nuove foggie erano in ordine. I cortigiani,
-provvigionati dal principe, erano vestiti di velluto ed altri finissimi
-drappi di seta, e similmente i suoi camerieri con risplendenti
-ricami; e tra questi glie n’era quaranta, ai quali avea donato una
-collana d’oro, e quella di manco prezzo era di valore di cento ducati.
-Cinquanta staffieri avea, tutti vestiti con due foggie, l’una di panno
-d’argento, e l’altra di seta; e infino ai servitori di cucina erano
-vestiti a diversi velluti e rasi. Cinquanta corsieri faceva condurre
-seco con le selle di panno d’oro, staffili tessuti di seta e le staffe
-dorate; e sopra i possenti cavalli erano puliti ragazzi; tutti vestiti
-con giuppon di panno d’argento, ed una giornea di seta alla sforzesca.
-Per la guardia di sua eccellenza avea cento uomini d’arme scelti, tutti
-a modo di capitani in ordine, e cinquecento fanti eletti; ed ognuno dal
-principe era stato presentato. Per la duchessa avea deputato cinquanta
-chinee, e tutte con le sue selle e fornimenti d’oro e d’argento, sopra
-i suoi paggi riccamente vestiti; dodici carrette avea, e tutte con
-le coperte di panno d’oro e d’argento recamate alle ducali insegne. I
-materassi dentro e piumacci erano di panno d’oro liccio sopra liccio,
-alcuni d’argento, ed altri di raso cremisino, e fino a’ fornimenti di
-cavalli erano coperti di seta. Fu questa comitiva di duemila cavalli e
-ducento muli da carriaggio, tutti ad una foggia, di coperta ch’era di
-damasco bianco e morello, ed il ducale in mezzo recamato di fino oro
-ed argento, ed i mulattieri vestiti di nuovo alla sforzesca. Dietro
-ancora si faceva condurre il duca cinquecento coppie di cani di diverse
-maniere, e grandissimo numero di falconi e sparvieri. I trombetti e
-i pifferi furono quaranta, molti buffoni avea, ed altri con diversi
-strumenti a sonare. Si trova questo apparato solo essere costato
-ducentomila ducati» (Corio).
-
-Giunti a Pontremoli, presero alloggio nella fortezza per onorare
-l’immagine di Maria Annunziata, che poco avanti era stata posta in
-venerazione[222]. A Firenze i Medici non vollero restare di sotto,
-e poterono aggiungervi finezza di belle arti; la città mantenne
-del pubblico quel corteggio, e offrì tre rappresentazioni sacre,
-l’Annunziazione in San Felice, l’Ascensione ne’ Carmelitani, la discesa
-del Paracleto in Santo Spirito, che infelicemente prese fuoco. Ai buoni
-dolse che quella comparsa introducesse un lusso fra loro inusato; e
-certo la splendidezza dovette trascendere ogni misura quando vi mettean
-gara lo Sforza, il magnifico Lorenzo, Sisto IV e i suoi nipoti Pietro
-e Gerolamo Riario. Borso d’Este pregiavasi di possedere i migliori
-falconi, i più bravi cani, i più pregiati destrieri; da settecento
-cavalli avea nelle scuderie, da cento falconieri; e andando a caccia,
-tutta la presa lasciava a chi l’accompagnasse. Tenea molti buffoni,
-tra cui uno Scopola ebreo ricreduto, e fors’anche il Gonnella glorioso
-matto, rimasto in popolare nominanza come il Meliolo, e più tardi frà
-Mariano e frà Serafino alla corte d’Urbino.
-
-Gran lusso sfoggiavasi pure nelle ambascerie; e quando Luigi XI
-succedette re di Francia, e tutta Italia mandò a congratularlo, per
-Firenze v’andò Pietro dei Pazzi, con una suntuosità che mai la maggiore
-di vesti, gioje, famigli, ragazzi, cavalli, tanto che si volle girasse
-per la città affinchè il popolo godesse di quella pompa senza eguale.
-Alla corte «mutava ogni dì una vesta o due, e tutte ricchissime, e
-il simile la famiglia sua ed i giovani ch’eran con lui... Donò sì
-per la comunità, come di sua proprietà, a tutti quelli della corte
-del re in modo, che non vi fu niuno ambasciadore che facesse quello
-che fece Piero». Nel ritorno «gli vennero incontro tutti gli uomini
-di condizione; tutte le strade e finestre erano piene. Entrò colla
-famiglia sua, tutta vestita di nuovo ornatissimamente, in cioppe
-di seta, e con perle alle maniche ed al cappello di grandissima
-valuta»[223]. Costui andava da Firenze alla sua villa a piedi, tra via
-mettendosi a mente la Eneide, i Trionfi del Petrarca, e molte orazioni
-di Livio.
-
-Allorchè Gian Galeazzo menò moglie Isabella d’Aragona, un Bergonzo
-Botta ricevette gli sposi a Tortona in magnifici appartamenti, e li
-servì d’un pasto in luogo ameno, fra dolce armonia, durante il quale
-comparvero atteggiando e figurando Giasone col vello d’oro, Apollo
-pastore, Diana cacciatrice, Orfeo cantante, Atalanta col cinghiale
-caledonio, Iride, Teseo, Vertunno, quante ha insomma divinità la
-mitologia, ognuno offrendo doni da par suo. Ebe versava nettare e
-ambrosia; Apicio distribuiva salse sulle vivande; il Po, l’Adda, il
-Ticino acque mellificate; il Verbano e il Lario abbondanza di cibi.
-Levate poi le tavole, rappresentossi uno spettacolo di personaggi
-storici ed allegorici: Semiramide, Elena, Medea, Cleopatra cantavano
-i loro vanti vergognosi; ed erano messe in isbaratto dalla Fede
-conjugale, che introduceva Lucrezia, Penelope, Giuditta, Porzia,
-Sulpicia a celebrare la modestia e il pudore. Infine Sileno ubriaco
-divertì col suo barcollare e cogli stramazzi[224]. In Milano poi
-Leonardo da Vinci diresse le feste e formò una macchina figurante
-il cielo con tutti i pianeti, rappresentati da numi che aggiravansi
-secondo le leggi loro; e in ciascuno risedeva un musico, il quale
-cantava le lodi degli sposi.
-
-Nel 1473, passando Eleonora d’Aragona per Roma col concorso di più di
-quarantamila cavalli, il cardinale Riario diede feste solennissime,
-coperta d’arazzi la piazza de’ Santi Apostoli, con tre sale
-d’indicibile splendidezza, e quattordici camere tappezzate una più
-riccamente dell’altra, con letti di raso, di damasco, di panno d’oro, e
-lenzuoli di tela rensa d’un solo pezzo, e pelliccie. «A volere scrivere
-della magnificenza di questo inclito monsignor San Sisto (esclama il
-Corio) troppo sarebbe lungo, e non frate, ma parea figliuolo di Cesare
-primo imperatore: qui tutto mi perdo, nè sapria, non che dire, ma,
-pur anche memorare una minima parte». Le tavole erano servite tutte in
-argento, nè verun piatto mai si portò via dalla credenza; le vivande
-figuravano bestie e storie. Vi fece da’ Fiorentini rappresentare la
-Susanna «coi più veri atti e più attentamente che si potesse stimare»;
-poi ne’ giorni seguenti san Giovanbattista, san Giacomo, Cristo che
-vuota il limbo; e più spettacoloso il tributo che tutto il mondo
-portava a Roma, ove difilaronsi settanta muli carichi, copertati di
-panno con l’arma[225].
-
-Di molti di siffatti spettacoli (Cap. XCVIII) abbiamo lo scritto, o
-vogliam dire una tessera, come quella a un bel circa che si costumava
-testè nelle commedie a soggetto. Nell’adorazione de’ Magi avevano
-personaggio il bambino Gesù, un angelo, i tre re, Erode, suo figlio,
-uno scudiere, un coro d’angeli, e pastori, oratori o interpreti,
-scribi, donne, levatrici, popolo e un cantore col suo coro. Nel
-mistero della Risurrezione figuravano Cristo, or sotto apparenza di
-giardiniere, or nella sua propria, due angeli, tre Marie, Pietro,
-Giovanni, apostoli e popoli: e prima atteggiavano tre monache vestite
-da Marie, dicendo piano e mestamente certe strofe alternative, che
-sono imprecazioni contro gli Ebrei[226]; entrate nel coro, dirigevansi
-alla tomba; un angelo sustante innanzi al sepolcro, in veste dorata,
-con mitra in capo, nella mano sinistra una palma, nella destra un
-candeliere col clero, dicea versi rimati.
-
-Facilmente riconoscete in ciò le origini del teatro. Benchè questo
-fosse ito a fondo colla coltura romana, pure non si cessò affatto di
-scrivere a modo di rappresentazioni; e l’erudita pazienza trasse fuori
-alcune composizioni di forma e talora anche di soggetto antico[227],
-e massime dialoghi a modo delle Bucoliche di Virgilio, da leggersi
-e forse atteggiarsi alle mense singolarmente de’ vescovi, e drammi
-per eccitare la devozione o alleviare la noja de’ chiostri. Ma se la
-musa tragica latina ne’ suoi splendidi giorni nulla avea prodotto
-di duraturo, poteva sperarsene allora? In effetto sono rozze vesti
-all’antica, raffazzonate a concetti nuovi, e che basta l’avere
-accennato. Comparvero poi i trovadori, che nelle sale dei grandi
-rappresentavano anche commediole. Gli statuti di Bologna vietano ai
-cantatori francesi di trattenersi su per le piazze a recitare. Una
-cronaca milanese rammenta il teatro, ove «gli istrioni cantavano, come
-or si canta di Rolando e Oliviero, e finito il canto, buffoni e mimi
-toccavano la ghitarra, e con decente moto del corpo aggiravansi»[228];
-ed Albertino Mussato cita come vetusto costume di cantare in palco e
-in teatro imprese di re e di capitani. Anselmo de Faydit provenzale
-vendeva commedie e tragedie, e per Bonifazio marchese di Monferrato
-scrisse l’_Heresia dels Preyres_, che fu rappresentata[229]. Spesso
-i concilj ne mandarono divieti, come incentivo di profanità; Tommaso
-d’Aquino disputava se uno, privo d’altro mezzo, potesse esercitare
-l’istrionato: tant’era lungi che quest’arte fosse perita.
-
-Se rozzi esser dovessero di forme quei teatri e nulla l’arte dello
-sceneggiare, non domandate; strani anacronismi vi si mescolavano a
-sconvenienze, ma ogni cosa era sostenuta da un apparato di macchine
-e di spettacolo che lusingava il vulgo. Scelto un fatto, metteasi
-in azione un accidente dopo l’altro, senza darsi briga di unità o
-d’interesse: non bastava un giorno? seguitavasi per due o più. Non
-erano dunque tragedie o commedie, drammi o farse o di qualsiasi altra
-classificazione da precettore, ma spettacoli, ed ogni cosa vi serviva,
-la natura e l’arte, la musica e la pittura, il cantastorie e il
-banderajo.
-
-Drizzatisi gl’ingegni allo studio degli antichi, si tentò calzare
-il socco e il coturno di essi. Il monumento più antico che resti in
-Italia è l’_Eccerinis_ di Albertino Mussato, sul gusto di Seneca, ma
-misto di racconto e dialogo. Nel primo atto, la madre narra ad Ezelino
-ed Alberico da Romano averli essa concepiti dal demonio: nel secondo,
-un messaggere espone i mali della patria e le fortune del tiranno:
-nel terzo, Ezelino in Verona divisa col fratello altre malvagità da
-aggiungere alle antiche, poi udita la presa di Padova, accorrono alla
-riscossa, e il coro espone la spedizione e la vittoria d’Ezelino,
-il suo ritorno a Verona e il macello de’ prigionieri: nel quarto, un
-messaggero riferisce la guerra di Lombardia, la crociata e la morte del
-tiranno: il quinto presenta la morte d’Alberico. Le passioni vi sono
-espresse non senza forza, ben divisate la storia e il costume, continua
-l’ispirazione nazionale, e non infelice la latinità. La prevalenza del
-racconto sopra il dialogo eragli comune colle altre rappresentazioni
-d’allora, e ci ajuta a comprendere il titolo di commedia applicato
-da Dante al suo poema: lo scegliere poi argomenti contemporanei e
-trattarli senza catene d’unità drammatiche, era un altro passo degli
-originali cominciamenti della nostra letteratura.
-
-Esso Mussato dettò sei altri drammi; di cui ci resta la _Morte
-d’Achille_. Citansi di quel torno una commedia sull’espugnazione
-di Cesena ed una sopra Medea, che a torto vollero attribuirsi al
-Petrarca. Pier Paolo Vergerio ancora giovane scrisse una commedia _ad
-juvenum mores corrigendos_; Leon Battista Alberti la _Philodoxeos_, la
-_Philogenia_; Ugolino Pisani da Parma; e Gregorio Cornaro veneto una
-tragedia, la _Progne_.
-
-Sempre più gl’istinti della letteratura del medioevo soccombeano
-all’arte erudita; e col solito vezzo di credere barbarie qualunque
-passo arrischiato fuori del sentiero classico, si volle dire che
-Pomponio Leto fosse il primo a instaurare il teatro, perchè ne’
-cortili dei prelati facea rappresentare commedie di Terenzio e di
-Plauto. Altre Corti vollero quel lusso, massime i principi di Ferrara,
-il cui teatro vinse gli altri in magnificenza, e primamente vi si
-rappresentarono commedie in rima. A Mantova si vide poi una produzione
-che tolse il grido a tutte le precedenti, l’_Orfeo_ del Poliziano,
-azione regolare e poesia elettissima, che conserva ancora tutta la
-ricchezza de’ primitivi componimenti scenici, complesso delle arti
-tutte. Dopo il prologo, nel quale è esposto il soggetto in ottave,
-viene un atto pastorale, tutto idillio; ne segue uno ninfale, ove le
-Driadi lamentano la morte d’Euridice; poi un eroico coi pianti d’Orfeo,
-e sempre varietà di metri, e fin versi latini, acciocchè niun lacchezzo
-mancasse allo spirito: il quarto atto necromantico presenta la calata
-d’Orfeo all’inferno, ove da Plutone e Proserpina ottiene di ricondurre
-Euridice, ma poi la riperde per aver violato la legge dell’abisso:
-si chiude con un atto baccanale, pieno dell’esultanza brindante delle
-Menadi ucciditrici d’Orfeo.
-
-Pure le rappresentazioni teatrali s’atteneano di preferenza ai soggetti
-sacri, chiamale storie, esempj, spettacoli, misteri, vita, martirio,
-secondo il contenuto. Le più stendeansi in ottave, non divise in atti
-e scene ma in giornate, e si recitavano con una specie di cantilena,
-oltre gl’intermezzi propriamente in canto, e con ricchissimo corredo di
-macchine, prospettive, comparse, balli, giostre, a studio de’ migliori
-artisti. Atteggiavano giovinetti ascritti alle confraternite, nelle
-quali s’affratellavano i gran signori coi più poveri. A Roma si diede
-la _Passione di Cristo_, opera di Giuliano Dati, Bernardo di mastro
-Antonio Romano, e Mariano Particappa; a Firenze la _Rappresentazione
-e festa d’Abramo e Isacco suo figliuolo,_ di Feo Belcari; a Modena
-i _Miracoli di san Geminiano_; Bernardo Pulci fece _Barlaam e
-Giosafat_, Antonio Alamanni la _Conversione della Maddalena_, Roselli
-il _Sansone_, Lorenzo Medici la _Rappresentazione di San Giovanni
-e Paolo_, dove sono ritratte le lotte del cristianesimo contro
-l’ipocrisia di Giuliano. Ben sessantasette di siffatti drammi a stampa
-enumera il Cionelli nelle note alle poesie di esso Lorenzo, e la
-collezione più copiosa sta nella libreria palatina di Firenze.
-
-Il popolo andava matto di burlette e scede, e man mano che svolgevansi
-i dialetti nuovi, s’introduceva una caricatura che parlasse in quelli,
-e personificasse il carattere delle varie genti italiche. Bologna la
-dotta contribuiva il suo Dottor Ballanzoni, Venezia il Pantalone Onesto
-negoziante, Bergamo il lepido Arlecchino, Napoli l’arguto Pulcinella
-e il Coviello e il Pulcariello ed altri[230], che tinta la faccia
-di fuligine e villescamente calzati, davano sollazzo al popolo, e
-faceano ridere le une città a spalle delle altre nemiche o rivali. E
-le maschere piacquero a lungo perchè usavano il parlare spigliato e
-spontaneo de’ vulgari, anzichè l’artifiziato de’ letterati, al primo
-de’ quali sono affisse cento care memorie, nessuna all’altro.
-
-Nè ai nostri avi erano insoliti i giuochi di sorte, passione violenta
-de’ Germani fin prima che uscissero dalle selve natìe. Indarno la
-Chiesa vi pose argine, indarno le repubbliche; ma alcune di queste
-vollero specularvi sopra, dando in appalto il diritto di tener case
-di giuoco o biscazze; e Venezia ne concedette il privilegio a quel
-Barattiere che si dice alzasse le colonne sulla Piazzetta.
-
-Del lotto è menzione in un editto del 9 gennajo 1448, quando
-(invenzione di Cristoforo Taverna banchiere di Milano) si proposero
-alla fortuna sette borse, la prima con cento ducati, con settantacinque
-la seconda, e via digradando. Ogni posta costava un ducato; e
-nell’invito si moveva calda esortazione a profittare di quell’insigne
-benefizio di Dio, nè lasciarsi scappare il destro d’arricchire con sì
-poco; — tant’è vecchia l’arte di ciurmare il povero popolo. Siffatta
-maniera corse per Italia col nome di borse della ventura: poi al
-1550 si stabilì regolarmente in Genova, con tanto profitto agli
-imprenditori, che la repubblica ne volle una tassa di sessantamila lire
-delle sue, cresciuta poi passo passo, tanto che nel 1730 ne traeva
-trecensessantamila. Gli altri governi affrettaronsi ad imitarla,
-acciocchè il denaro non uscisse di paese[231]. Clemente XI escluse
-con bolla severissima il lotto da’ suoi Stati, dannando alle galere i
-contravventori, e dicendo voler liberare i popoli da quella maligna
-sanguisuga; ma sotto Innocenzo XIII s’aggiunse nel lotto di Roma
-l’aumento del venti per cento sugli ambi, e dell’ottanta per cento sui
-terni. E l’immorale gabella si propagò, senza che si pensi abolirla, ad
-un sordido lucro posponendo la depravazione popolana.
-
-Gli scacchi, invenzione orientale, sono spesso mentovati, e forse ce ne
-fu portato l’uso dalle crociate[232]. Delle carte, non mai mentovate
-dall’antichità classica, l’uso e le sottilissime combinazioni, che
-faceano dire a Leibniz in nulla aver gli uomini adoprato tanto ingegno
-quanto ne’ giuochi, ci arrivarono dall’Oriente per la Spagna. Di
-buon’ora entrò il lusso in quella vanità, sicchè Filippo Maria Visconti
-nel 1430 pagava millecinquecento monete d’oro un mazzo di carte dipinto
-da Marziano da Tortona. Per combinare poi la crescente richiesta col
-tenue prezzo, si inventò di stamparle con tavolette, le quali furono
-avviamento alla più importante delle scoperte moderne, la stampa.
-
-Questo nome ci fa dire d’un nuovo genere di occupazioni o passatempi,
-a cui si volsero gl’Italiani d’allora. Il leggere avea potuto esser
-diletto di ben pochi, in quella grande scarsità di libri; pure molto
-desiderati erano i romanzi, i più de’ quali venivano di Francia,
-e talvolta erano tradotti in nostro vulgare, più spesso imitati.
-Le persone oneste rifuggivano da quella lettura; Guglielmo Venturi
-d’Asti in testamento raccomandava a’ suoi figli d’odiarli, come sempre
-avea fatto lui[233]; Boccaccio appone ad ipocrisia della vedova del
-Corbaccio l’astenersi da tali racconti; dei quali Dante accennava i
-pericoli in Francesca e Paolo, tratti a peccare dal leggere per diletto
-gli amori di Isotta e Lancilotto. Al contrario, se ne dilettava il bel
-mondo; e Michelangelo Trombetti, in un poema sulle gesta di Ugo conte
-d’Alvernia nel 1488, manoscritto nella Laurenziana, annovera i romanzi
-di cavalleria, cui consiglia a leggere, perchè _chi non se ne diletta,
-è uomo senza ragione e bestiale_. Crebbe la lettura colla stampa, la
-quale non si occupò soltanto di libri sacri e di classici: nè è inutile
-sapere che dal 1473 al 98 uscirono dieci edizioni del Guerin Meschino;
-e il _Milione_ di Marco Polo si stampò nel 1496, e già prima e più in
-appresso corsero racconti di viaggi.
-
-Come la letteratura, invaghita de’ capolavori antichi che si trovavano,
-o dalla maggior facilità di possederli, si era gettata interamente
-sull’imitare, tanto che ogni originalità minacciava scomparire fra
-gli addobbi del convenzionale classicismo; così non sapevasi ammirare
-che la società anteriore al cristianesimo, rilassavansi i costumi per
-imitazione classica, e Gianantonio Campano vescovo di Téramo empie
-le sue poesie di Silvie e Diane e Suriane, di cui spesso si lagna,
-talvolta si loda; Ambrogio degli Angeli Traversari, generale dei
-Camaldolesi, amico di Eugenio IV e suo legato a Basilea, in fama di
-grand’erudizione non meno che d’onestissimi costumi, non iscrive mai a
-Nicolò Niccoli senza salutare la sua Benvenuta, _donna fedelissima_,
-eppur era una mantenuta, di avventure chiassose[234]; Cosmo de’
-Medici accettò la dedica dell’_Hermaphroditus_ del Panormita, che
-parea soverchiamente cinico persino al Poggio, sguajato narratore
-egli stesso, benchè segretario apostolico; Enea Silvio Piccolomini,
-gravissimo uomo e futuro papa, emulava in una novella la licenza del
-Boccaccio.
-
-Il senso morale veniva perturbato dal cominciare a vilipendere il
-passato innanzi d’essersi premuniti per l’avvenire; laonde le coscienze
-più elevate tentennavano e variavano, l’orgoglio insorgeva contro Dio,
-la voluttà contro il dovere. Il sentimento religioso permaneva nelle
-moltitudini, sebbene divenisse meno chiesastico; e istillato col latte,
-potea sugli animi anche fra le passioni: ma i letterati lo vilipendeano
-e conturbavano, non già per liberi ragionamenti, ma per l’autorità
-di altri testi, fossero gli antichi classici od i loro commentatori,
-nel cui nome mettevano bocca perfino nel dogma, professando di farlo
-per esercizio di logica o d’erudizione. Ser Cambi al 1453 scrive che
-il medico Giovanni Decani, il quale non credeva la resurrezione de’
-morti, fu condannato alla forca a Firenze; e in quell’anno morì Carlo
-d’Arezzo cancelliere della Signoria, ed ebbe grandissimi doni: «Dio
-l’abbia onorato in cielo, se l’ha meritato, il che non si stima,
-perchè morì senza confessione e comunione, e non come cristiano».
-Dove ci risovviene di Lodovico Cortusio giureconsulto, che a Padova
-morendo il 17 luglio 1418, lasciò per testamento che amici nè parenti
-nol piangessero, se no rimanessero diseredati, mentre suo legatario
-universale sarebbe quel che ridesse di miglior cuore: non si parino
-a bruno la casa e la chiesa, ma fiori e fronde; musica invece delle
-campane funebri; e cinquanta sonatori e cantanti procedano insieme
-col clero, cantando _alleluja_ fra viole, trombe, liuti, tamburi,
-ricevendo ciascuno un mezzo scudo. Il suo cadavere, entro una bara a
-panni di varj colori gai e sfoggiati, sia portato da dodici donzelle
-vestite di verde, che cantino arie allegre, e ricevano una dote. Non
-rechino candele, ma ulivi e palme, e ghirlande di fiori; non lo seguano
-monaci che han la tonaca nera. Così piuttosto in guisa di nozze che di
-funerale fu sepolto in Santa Sofia.
-
-Questo parlare di libri e letterati è già uno stacco dalle precorse
-età; e l’amor della dottrina crebbe fin a passione. Ne vantaggiavano
-il ben pensare e il retto operare? dubitiamo. Quei dotti (troppo il
-notammo) non erano nulla meno che tipo di civili costumi: nelle loro
-lettere o si abjettiscono per domandare, o strisciano ringraziamenti
-per avere avuto, talora con una sguajata insistenza, quale vediam
-nel Filelfo, una delle più famose penne; e piuttosto bravazzoni che
-franchi, aggiogati all’autorità de’ loro classici, eppure intolleranti
-d’ogni dissenso, anfanavano in tresche, volevansi alle mani un
-coll’altro, e in sozze baruffe, non ultimo divertimento di quel secolo,
-s’intaccavano non solo sulla dottrina, ma rinfacciandosi ogni mal
-mendo[235].
-
-Noi siamo a gran pezza da coloro che ammirano quello stuolo chiassoso
-e intrigante di pedanti, quasi fossero stati i restauratori del buon
-gusto in Italia. Già ne’ secoli precedenti i nostri ci si mostrarono
-insigni in que’ punti ove l’intelligenza loro naturale non era
-subordinata agli eventi o a tirannie, cioè nelle arti della parola
-e del disegno. Anzi queste non erano soltanto un ornamento, ma fuse
-nella vita, e non concepivasi il governo senza eloquenza, non le
-solennità senza canti, non la religione senza immagini e tempj. Chè
-a far prosperare le arti non basta nascano genj capaci di creare, ma
-vuolsi tutto un popolo capace di gustarle; l’artista ha bisogno di
-chi lo comprenda, delle simpatie del popolo; e il popolo fra noi vi
-era portato dai meno urgenti bisogni, dall’attitudine al godere, dalla
-naturale inclinazione al bello. O Firenze, non i Medici ti han fatta
-così vaga, ma la repubblica; e la libertà dell’arte è anch’essa libertà
-del pensiero.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXIV.
-
-Industria e commercio.
-
-
-Tante ricchezze, quella coltura borghese, l’ampliamento della nazionale
-civiltà, il lettore dovette accorgersi come fossero in gran parte
-dovute al commercio, del quale è tempo che raccogliamo e svolgiamo
-ciò che sparsamente abbiamo indicato; poichè, dopo la religione, nulla
-accresce e diffonde la civiltà più che il commercio.
-
-Che esso non fosse perito tampoco nel peggior fondo della barbarie,
-ce ne caddero prove qua e là: migliorò poi coll’agricoltura, giacchè
-questa e l’industria vanno di pari passo dovunque sono possibili; tutto
-ciò che promove e deprime le arti e le fatiche d’una classe, opera
-sull’altra; e i terreni inselvatichiscono ove langue il commercio,
-come questo risente dell’abbandono di quelli. Noi indicammo come
-l’agricoltura rinascesse, lenta sì ma ognor progressiva, col piantarsi
-di nuova gente sopra gl’immensurabili latifondi degli antichi Romani,
-suddivisi allora, e dal dominio del fisco tornati all’industria
-particolare. Questa gente erano i Barbari da un lato, dall’altro i
-monaci, che mescolandosi fra un popolo di servi e di coloni, resero
-l’onore a quella prima fonte delle ricchezze. Ben presto le crociate
-equivalsero a quel che oggi le grandi esposizioni; poichè nelle
-città e nei bazar orientali i nostri videro gli scialli di Cascemir,
-i diamanti di Golconda, le perle di Ormus, le seterie di Persia, le
-mussoline dell’India, le arme di Damasco; e ne rapirono, ne comprarono,
-concepirono desiderio di averne, di imitarle.
-
-Però la mancanza di sicurezza, di regolari aspettative, di libertà
-nel disporre de’ frutti della propria industria, immiserivano il
-commercio, siccome oggi avviene in Turchia. Il diritto di lavorare
-consideravasi prerogativa sovrana, e potere i principi venderla, dovere
-i sudditi comprarla. Il popolo era impedito di associarsi per dati
-intenti, e di trasferire la sua proprietà da un’applicazione ad altra
-che credesse più vantaggiosa; intanto che certe persone ottenevano
-di esercitare come privilegio quel che ai più restava inibito. Tali
-angustie cessarono in Italia assai prima che altrove: ma oltre rimanere
-i capitali in mano di soli nobili e del clero, causava impacci lo
-sminuzzamento del paese, quando ad ogni varco di fiume, ad ogni gola di
-monti vegliavano gli armigeri d’un castellano ad esigere un pedaggio,
-che equivaleva ad una transazione per non essere svaligiati. A modo
-d’esempio, chi si partisse da Torino aveva a pagarne uno quivi stesso,
-poi a Rivoli, ad Avigliana, a Bussolino, a Susa: cinque volte in trenta
-miglia. Lombardi e Veneziani andavano pel Sempione, donde a Sion, a
-Losanna, a Ginevra, a Lione, ovvero per Clees nella Franca Contea.
-I Genovesi per Asti e Poirino giungevano a Testona, e qui varcato il
-Po sul ponte de’ Templari a Sant’Egidio, difilavano per Rivoli a Susa
-e al Moncenisio: disvantaggiandone Torino, che perciò insisteva alla
-gagliarda affinchè i Testonesi non lasciassero ai mercanti traversare
-il ponte, ma li dirigessero sopra la loro città.
-
-Le dogane si misuravano all’avidità del signore, non all’utile
-del paese, e le tasse moltiplicavansi sotto variissimi nomi[236].
-Passando per certe città, le merci si doveano sballare e scassare,
-e gli abitanti aveano prelazione per la compera; altrove ai soli
-natìi concedevasi di vendere, talchè sottentravano allo speculatore
-forestiere. Il pericolo delle anime induceva i papi a interdire il
-commercio coi Musulmani, e a gran fatica i Veneziani ne ottennero
-dispensa, come l’ebbero poi anche i Francesi, escluso sempre il
-portarvi armi e munizioni[237]. Per tema dei masnadieri in terra,
-dei pirati in mare, doveasi procedere in carovane o con flottiglie,
-anzichè isolati: alcuni, per ammansare i castellani, menavansi dietro
-ciarlatani, sonatori, bestie rare: tutti i quali impacci costringevano
-il traffico ad assumere aspetto di frode, e i pericoli e le vicende
-sue faceanlo spesso abbandonare a quelli cui era negato ogni altro modo
-d’arricchire, come gli Ebrei.
-
-Il commercio dell’antichità e del medioevo conducevasi tult’altrimenti
-dal moderno. Mancando la postalettere, poteansi tenere corrispondenze
-concatenate? Quando pochissimi sapeano scrivere, e la carta era un
-lusso, e le cifre arabiche appena si introducevano, e inestricabile la
-varietà di monete e misure, quanto incomodi doveano tornare i conteggi
-e la corrispondenza! Oggi la forma più consueta è la commissione,
-cioè il fabbricatore affida a negozianti le merci da vendere per
-conto; opportuna suddivisione di uffizj: allora invece egli medesimo
-o suoi commessi andavano con navi o carovane a vendere e caricare, e
-riconducevano gli avanzi e i baratti.
-
-Le antiche strade romane erano state guaste per impedire le correrie
-dei Barbari, ovvero da questi nelle guerre, o dal tempo; e agli
-sminuzzati dominj che successero, qual interesse suggeriva di agevolare
-le comunicazioni? I torrenti si sfrenavano, cadevano i ponti; onde
-difficilissimi i trasporti: ed anche assai più tardi non viaggiavasi
-che a cavallo. Caterina di Amedeo V di Savoja, andando sposa a Leopoldo
-d’Austria nel 1315, cavalcò fino a Basilea, dove il palafreno fu
-regalato ai minestrelli che cantavano le sue lodi. Maria di Brabante
-seguì fino a Genova in lettiga il marito Amedeo V, quando nel 1310
-accompagnava a Roma l’imperatore Enrico VII. Giovan Villani dà come un
-gran fatto che uno spaccio del conclave di Perugia arrivasse in undici
-giorni a Parigi per corrieri di mercanti[238]. Erano perciò in gran
-conto i corrieri veloci, come Jaquet messaggere del conte di Savoja,
-che in quattro giorni andò e tornò da Ginevra a Pavia nel 1399: nel
-1380 Amedeo VI di Savoja donava due fiorini d’oro a Guglielmo frate
-cluniacese, che faceva cinquantacinque e più leghe il giorno[239].
-
-Altri importuni aggravj s’erano introdotti, quali l’albinaggio, per
-cui cadeva al signore l’eredità dello straniero che morisse sulle sue
-terre[240]; e il diritto di naufragio, per cui la nave che frangesse
-diveniva preda dell’occupante, o del signore della costa, come tutti i
-ributti del mare. Fin il goto Teodorico avea riprovato quest’inumanità;
-il concilio Lateranese del 1079 pronunziò anatema chi spogliasse i
-naufraghi; e Federico I, poi Federico II di Svevia avvalorarono questa
-_libertà_ _della Chiesa_[241]: ma gl’interessati sapeano eluderla.
-
-Sodare il debito sopra i possessi non usava durante il feudalismo,
-nè era possibile allorchè quasi nessuno era padrone assoluto del
-proprio podere: ma nelle repubbliche conoscevasi l’ipoteca coi modi
-e le cautele che sembrano de’ moderni[242]. Più consueto era il dare
-in pegno oggetti preziosi, e spesso i tesori delle chiese: o porgeano
-malleveria altre persone disposte a subir fino il carcere se al dato
-giorno non venisse soddisfatto il creditore[243].
-
-Il forestiere (ed era forestiere chi abitava a poche miglia) non
-restava protetto da leggi comuni o dalla generale giustizia, onde si
-ricorse a strani compensi, come sono le rappresaglie. Se uno restasse
-leso nella roba o nella persona, e non ottenesse soddisfazione, egli
-stesso o i suoi accomunati potevano far danno a qualunque compaesano
-dell’offensore. La rappresaglia derivava dall’antico sistema
-dell’associazione, per cui tutti stavano garanti dell’accomunato.
-Oberto Pelavicino signor di Cremona, pretendendosi creditore di Filippo
-Torriano, allora capo del popolo milanese, sostenne nella sua città
-tutti i negozianti di Milano colle loro mercanzie. La compagnia de’
-Buonsignori di Siena dovendo ottantamila fiorini alla Chiesa romana, il
-papa pronunziò interdetta tutta la città sinchè fossero pagati. Qualche
-volta la rappresaglia si applicò a casi criminali; ed essendo ucciso un
-Inglese da un Italiano della compagnia degli Spini, gli uffiziali della
-giustizia appresero tutti i compatrioti di esso.
-
-Le leggi posero regola a questo costume, e via via si cercò
-prevenire il danno degl’innocenti. Lo statuto romano non concedeva la
-rappresaglia se non quando fosse giuridicamente provato il danno[244].
-Quello di Padova del 1258 permetteva di rifarsi sopra i beni di chi
-avesse nociuto o de’ suoi concittadini; ma nel 69 si eccettuarono
-gli ambasciadori o le persone venute a Padova per affari del proprio
-Comune, e così i romei e pellegrini; nel 71 si prescriveva, quando un
-cittadino si presentasse a domandar la rappresaglia contro un individuo
-o un Comune, questo dovess’esserne avvertito dal podestà, affinchè
-potesse giustificarsi o accordarsi; che se il consiglio de’ savj
-decretasse aver luogo la rappresaglia, il podestà presenterà l’istanza
-e il voto al gran consiglio, che deciderà a due terzi di voti. Nel
-1266 a maestro Giovanni Manzio padovano, medico condotto a Ravenna,
-erano stati per via rubati i danari, le robe e i libri, che erano
-un Avicenna, un Serapione, un Almansor e qualcheduno d’astrologia: e
-avendo il podestà scritto ripetutamente al Comune di Ravenna, mandatovi
-ambasciadori, interposto anche il podestà di Bologna, nè ricevendo
-soddisfazione, si autorizzò il medico alla rappresaglia. Anche nel 1302
-quel Comune la concedette ai signori Carraresi contro i Torriani di
-Milano per la dote di Elena della Torre. Una singolare rappresaglia è
-portata dal cap. LVII dello statuto dell’arte di Calimala a Firenze del
-1332: — Qualunque de’ mercatanti nostri si richiamerà per iscrittura
-d’alcuno albergatore d’altra cittade o luogo, manderemo lettere a
-quello albergatore a spese di quello mercante, che a certo termine
-le debba aver pagate: la qual cosa se non farà, comanderemo a tutti i
-nostri tenuti che non alberghino più con lui; e chi farà contra, sia
-punito in lire venticinque per ciascuna volta».
-
-La Chiesa provvide alla sicurezza coll’aprire mercati settimanali
-o fiere annue alle solennità principali sopra terreno immune, quali
-erano il sagrato delle chiese o i chiostri. La fiera di Bergamo vuolsi
-concessa dall’imperatore Berengario ai canonici di San Vincenzo,
-poi da Ottone alla chiesa di Sant’Alessandro[245]. Quella di Verona
-fu istituita nell’807 dal vescovo Ratoldo sulla piazza di San Zeno
-maggiore; nel 1049 le botteghe bruciarono; fu poi ristabilita nel
-1187. Un marmo fuori della porta maggiore dell’atrio di Sant’Ambrogio a
-Milano legge che Anselmo arcivescovo stabilì, per tre giorni avanti e
-tre dopo la festa dei santi Gervaso e Protaso, nessuno molestasse per
-debiti chi veniva a quella solennità. Anche a Bologna per la festa di
-san Petronio i mercanti erano immuni di dazio e gabella otto giorni,
-e nessuno poteva essere citato a pagare il dovuto (GHIRARDACCI). Negli
-ordini del 1353 per la fiera di Sant’Andrea di Nizza a mare è assegnato
-luogo distinto ai venditori di carni salate e formaggi, di spezierie,
-di pelliccie, di ferro, rame, chiodi, d’argento, d’oro, di spade
-e armi, di vetri, vasi di terra, corde, pentole, basti, e così pei
-sartori, pei cambisti, per gli spacciatori di polli e altri volatili,
-d’erbe e frutti e legumi, di tela, di ronzini ed altri animali di
-piede rotondo, di porci e bovi, di merci varie; con prescrizioni per
-ciascuno[246].
-
-Molte strade erano affidate alla custodia dei monaci, come quella del
-monte San Bernardo, ove il pio Bernardo da Mentone istituì l’ospizio;
-come quella dell’Alpe fra Lucca e Modena, concessa ai frati di San
-Pellegrino del Serchio; come il passo di Percussina in val di Greve,
-con uno spedale assistito dalla compagnia del Bigallo di Firenze. La
-strada mulattiera traverso al Sangotardo, forando la buca di Uri e
-gettando il ponte detto del Diavolo, tanto parve meraviglioso, è dovuta
-agli arcivescovi di Milano, che signoreggiavano la val Leventina. Fin
-ai tempi di Carlo Magno le gole più elevate delle Alpi erano provvedute
-di ospizj[247]; le varie nazioni che pellegrinavano in Italia se
-ne procuravano di proprj ciascuna, sicchè, a tacer Roma, a Vercelli
-trovammo ospedali di Franchi e d’Inglesi (tom. VII, pag. 107).
-
-Man mano che città e borgate si redimevano in libertà, curavano
-agevolezze al commercio. Nelle prime carte comunali è sempre pattuita
-la sicurezza delle vie, l’esenzione da certi pedaggi, la moderazione
-di tutti: e non v’ha statuto che non provveda al mantenimento delle
-strade, anche con magistrati appositi. Dai castellani del contorno si
-otteneva a denaro non molestassero le spedizioni, e dessero scorte;
-alcuni perfino si costituivano garanti dei danni che altri soffrisse
-sulle loro terre: tanto temevano che i mercadanti si mettessero
-per altra traccia, togliendo il lucro portato dal passaggio e dagli
-alloggi. Dimenticavansi le animosità pel comune interesse dei traffici;
-s’istituivano tregue mercantili, luoghi di franchigia e neutralità.
-Nel 1182 i consoli di Modena promettono sicurezza nel loro territorio
-e pronta giustizia ai mercanti e alle persone di Lucca[248]. Nel 1183
-Cremonesi e Bresciani giuravano una concordia, convenendo che le due
-città si concedano a vicenda il transito; le persone fossero rispettate
-sulle strade, eccetto i mercanti di paesi nimici all’una o all’altra
-città; la moneta delle due collegate avesse corso nelle contrattazioni
-reciproche, promettendo non se ne deteriorerà il valore intrinseco,
-se non col voto del podestà e del consiglio[249]. Nel 1215 Milanesi
-e Vercellesi faceano accordo che mai dai Milanesi per le persone o le
-robe loro fosse esatto alcun pedaggio sul ponte che faceasi a Casale
-sul Po. Nel 1217 il Comune d’Alessandria francava i Vercellesi da quel
-che pagavano a Beale[250]. Il marchese Pelavicino, Buoso di Dovara,
-il Comune di Cremona da una parte, e dall’altra Azzo d’Este, Lodovico
-conte di Verona e le città di Mantova, Ferrara, Padova, alleandosi
-per fiaccare Ezelino, convennero che, malgrado la guerra, _mercatores
-de Tuscia semper secure possint ire, redire, stare, conversari cum
-personis et mercibus per civitates et territoria Mantuæ, Ferrariæ,
-Paduæ_. Nel 1262, Vicenza, Padova, Treviso, Verona giuraronsi reciproca
-quiete, e di assicurar le strade a viaggiatori e trafficanti. Giovanni
-Liprando ed Enrico da Arcore, sindaci dei mercanti di Milano, il
-1276 portavano lamento a Filippo conte di Savoja per una sovrimposta
-(_surrepsio_) da lui messa sulle merci che transitavano pe’ suoi
-Stati, e stipularono quanto dovesse prendere per ogni balla di lana
-di Milanesi che passasse di là, e pel pedaggio d’uomini e cavalli a
-Villanova, al Ciablese e altrove, nulla pagando la bestia che ciascun
-mercante cavalcava: i mercanti a vicenda giuravano non far le balle
-più grosse del consueto, e ciascuna di otto panni di Chalons, di dieci
-panni vergati di Provins, o del peso equivalente; e procurare che i
-mercanti d’Italia diretti alle fiere di Champagne e di Francia passino
-e tornino per le terre d’esso conte, il quale li riceve, pel suo
-distretto, sotto il proprio salvocondotto[251].
-
-I Comuni limitrofi mettevansi d’accordo per migliorare le strade, come
-fecero Torino, Chieri, Testona nel 1204; Pistoja e Bologna nel 1298 per
-aprire quella della Porretta. Nel 1219 Bergamo e Brescia pattuivano di
-restaurare la strada di Palazzuolo, e reciprocamente compensare quelli
-che dai masnadieri vi fossero danneggiati. Nel 1232 Bonifazio marchese
-di Monferrato si obbligò verso il Comune di Genova di tenere in buon
-ordine quella da Asti a Torino, nè esigere altro pedaggio che di soldi
-sei e mezzo per carico, e nulla per le bestie scariche; i castellani
-e nobili fra cui attraversa, obbligherà a mantenerla e custodirla, nè
-introdurre veruna mala usanza[252]. Nella pace del 1279 Verona, Mantova
-e Brescia convenivano che una strada correrebbe fra esse città per
-Peschiera, Godio, Guidizzolo, Montechiaro, mantenuta da essi Comuni, e
-sotto la vigilanza di dieci cavalcatori ogni Comune con tre capitani,
-scelti fra mercanti e uomini di buona fama. Nel 1333 Franchino Rusca,
-signore del Comune e del popolo di Como, conchiuse cogli uomini di
-Blegno che tenessero in essere e in buona guardia le strade per la val
-Leventina, e ajutassero i Comaschi contro chi le infestasse.
-
-Frequentissime convenzioni appellano a tal uopo; e prendendo solo
-Firenze e in breve periodo, nel 1201 con Fortebraccio di Greccio ed
-altri conti Ubaldini del Mugello convenne difenderebbero i Fiorentini
-e le robe loro con guide e scorte in tutto il distretto e dominio; se
-riportassero danno, li compenserebbero del proprio[253]; nel 1203 coi
-Bolognesi di cessar reciprocamente le rappresaglie; nel 1250 franchigia
-con Pisa, cui rinnovava ogni tratto; nell’81 co’ Genovesi libero
-transito anche per terra, immunità da gabelle al paese di Fabriano,
-e che garantissero tutte le merci caricate su loro navi; nell’82
-con Lucca, Siena, Pistoja, Prato, Volterra, reciproca francazione
-da gabelle o dazj, a somiglianza dell’odierna lega doganale; nel 90
-libero transito con Ravenna e Faenza; nel 95 con Lucca, Prato, San
-Geminiano, Colle, sicurezza per dieci anni, essi e loro alleati, da
-ogni rappresaglia, malatolta, telone, pedaggio. Dacchè Mentone con
-Roccabruna si separò da Monaco nel 1748, questa cara cittadina non
-può comunicare con altre se non pel mare o per una via che passa sul
-territorio di Roccabruna, e quel principe non può uscire dal suo
-Stato in carrozza senz’attraversare paese nemico; i Mentonesi non
-vogliono più mantenere quella strada; e i litigi che ne nascono, e
-le conseguenze che ne verrebbero, possono spiegare l’importanza dei
-trattati de’ Comuni del medioevo per le comunicazioni.
-
-Pure il viaggiare fu sempre disagiato non solo, ma pericoloso. Dante
-funesta celebrità diede a Rinieri da Corneto, che faceva guerra alle
-strade. L’abate Pietro di Cluny venendo a visitare Eugenio III, fu
-svaligiato dal marchese Obizzo Malaspina, se non che i Piacentini
-costrinsero questo alla restituzione. Giovanni d’Andrea, celebre
-canonista, mandato ambasciadore dal cardinale Bertrando del Poggetto
-al Papa nel 1328, presso Pavia fu assalito e spogliato de’ libri
-e della roba; e grossa somma ebbe a dare pel proprio riscatto. Il
-Petrarca, la prima volta che fu a Roma, dovette rifuggire nel castello
-dei Caprànica, sinchè il vescovo di Lombez nel venne a convogliare
-con cento cavalieri; partendone dopo coronato, diede nei malandrini,
-sicchè tornò indietro, e il popolo pensò a farlo scortare; ma altri lo
-assalsero all’uscire di Parma. Giovanni Barile, mandato da re Roberto
-di Napoli ad assistere a quella coronazione, fu svaligiato per viaggio,
-e dovette dar volta.
-
-Le maggiori apprensioni popolari, e in conseguenza i più estesi
-provvedimenti sogliono dirigersi sull’annona; e se la scienza non
-arrivò neppur adesso a persuadere che l’unico preservativo o il
-palliativo migliore alle carestie è il lasciarla libera, si perdoni
-a un tempo dove governava direttamente il popolo, soggetto a tutte le
-paure, e che cogli infiniti impacci sovente produceva il male cui volea
-farsi incontro. L’obbligo d’introdurre il ricolto nella città era una
-cautela contro i signori castellani, che avrebbero potuto affamarla. Ma
-spesso il proprietario dovea sagrificare le proprie convenienze alle
-paure dei nulla aventi; l’autorità tassava i prezzi de’ comestibili e
-degli altri oggetti di prima necessità, stabiliva magazzini, fissava
-le ore e i modi del mercatarli. Così era delle vivande azotate; niuno
-comprasse di là d’una data quantità di pesce, chè non ne rimanessero
-privi gli altri; comparendo sul mercato qualche selvaggina grossa,
-fosse fatta a pezzi, acciocchè potessero fruirne anche i men denarosi.
-I rigori cresceano all’apprensione di carestia: mettevasi fin pena
-la vita all’asportar grani; chi ne possedesse dovea notificarli, e
-venderli al prezzo decretato. In Toscana tutto il grano era compro dal
-Comune, che facea canova e lo dava per bullettini.
-
-D’altri inciampi era causa la nimicizia fra i Comuni; e Lodi vietò
-di portar biade a Milano, nè di tirarne vino, pena la testa. Altri
-venivano da’ signori che voleano aggravezzare il transito delle merci
-fin da una all’altra delle terre di loro dominio. E poichè alcuni
-principi, come il re di Sicilia, riceveano gran parte del tributo in
-derrate, restavano principali negozianti del loro paese, e ne facevano
-monopolio. Federico II esigeva un conto esatto de’ cereali, de’ foraggi
-e del vino che entrassero ne’ suoi magazzini; e dopo provvigionatone
-i suoi palazzi e le fortezze, il resto si vendeva, principalmente
-a mercadanti romani, o anche asportavasi direttamente per conto del
-re, il quale, ove l’opportunità arridesse, ne spediva in Ispagna, in
-Barberia su navi proprie o di Veneziani o Genovesi. Nel 1239 incaricava
-il grand’ammiraglio di condurre a Tunisi, dove forse il ricolto era
-fallito, cinquantamila salme di frumento, parte avuto dagli intendenti
-regj, parte procurato al miglior costo; al qual fine se ne proibiva
-ogni altra asportazione; e in Africa fu venduta la salma ventiquattro
-tarì, locchè produsse quarantamila oncie d’oro, o due milioni e mezzo
-di lire[254].
-
-Questo andar e venire dei grani e delle altre derrate produceva
-gran movimento mercantile; e i Veneziani specialmente cavavano dalla
-Barberia, dalla Sicilia, dall’Egitto granaglie da provvigionare anche
-altri paesi; dalla Barberia stessa e dal mar Nero, il sale, del cui
-monopolio erano gelosissimi. Per quante volte i Padovani tentassero
-mettere saline sul loro territorio, sempre i Veneziani gl’impedirono;
-e sotto alla statua del doge Gradenigo, fra altri vanti, è scritto: _A
-faciendo sale Paduanos marte coegi._
-
-Fra le spezie, il pepe era indispensabile, quanto da due secoli in
-qua lo zuccaro; cittaduole ne tenevano magazzini; in alcune il dazio
-impostovi suppliva ad ogni altro; i signori di Basilea nel 1299 al
-diritto di vender pane condizionavano la retribuzione di una libbra di
-pepe l’anno. La cannella, il garofano, la curcuma o zafferano d’India,
-pianta tintoria che prosperava anche nelle valli cretacee dell’Ombrone;
-il zenzevero, il cubebe, l’anesi, le foglie di lauro, il cardamomo,
-la noce moscada erano grato solletico ai sensi, oltre gli spighi di
-lavanda côlti in Italia. Aggiungete la paglia della Mecca (_andropogon
-schœnanthus_), la scamonea, il gàlbano, il laserpizio, la sarmentaria,
-l’aloe, la mirra, la canfora del Giappone, lo zafferano[255], il
-rabarbaro della Siberia meridionale, la sena, la cassia, il badeguar,
-la galla del biancospino, il cisto di Creta da cui cavasi il làdano,
-l’olio di sesamo, la gomma d’astragalo, la gomma gutta, la gomma
-arabica, la sandracca d’Africa, il sangue di drago delle Canarie.
-I frutti d’Italia, di Spagna, di Grecia, l’olio, il riso[256] erano
-spacciati dagli speziali, come chiamavansi i venditori delle merci
-suddette: il caffè non era conosciuto; poco lo zuccaro. Ai riti della
-Chiesa occorrevano pure cera ed ambra; e a Venezia lavoravasi quella,
-di questa si faceano crocifissi e paternostri, traendola dal Baltico.
-
-Le ricerche sul prezzo dei generi di prima necessità e della mano
-d’opera provano che non differiva molto dall’odierno, giacchè un
-operajo ordinario fu e sarà sempre pagato quel tanto che si richiede
-al suo vivere. Il prezzo delle altre materie troppo è difficile a
-determinarsi in tanta varietà delle monete e incertezza dei patti
-secondarj. Troverete della legna, ma non sapete se fu tagliata dai
-boschi stessi del compratore; del vino, ma intendevasi condotto e
-daziato? e in anno d’abbondanza, o di scarsezza? un mobile, ma forse
-era un capo d’arte o di preziosa materia; un libro, ma forse traea
-valore dalla legatura e dalle miniature[257].
-
-Le ricchezze minerali non si neglessero. Le vene del Bergamasco e delle
-valli Camonica e Trompia fin da antichissimo diedero molto ferro, al
-quale eccellente tempra sapea darsi nel Comasco. Armi si fabbricavano
-a Gardone, Lumezzane, Brescia; e Giovanni da Uzzano ricorda i pregiati
-acciaj bresciani, e i badili, le lamiere, i fondi di padelle che si
-tiravano di là. Il ricco minerale dell’Elba, di Pietrasanta, d’altre
-parti della Toscana trasportavasi greggio o lavorato anche in Levante.
-Venezia trasse partito dal ferro e dal rame del Friuli, della Carintia,
-del Cadore; e pare lungo tempo le fabbriche sue conservassero il
-secreto d’agevolare col borace la fusione. Rame s’avea pure da Massa
-marittima, e in val Tiberina e in val di Cécina, dove anche solfato di
-ferro.
-
-Argento si cavava a Perosa e nella valle di Lanzo in Piemonte, nelle
-valli Seriana, Brembilla, di Scalve e in altre del Bergamasco. Le
-argentiere di Montieri, mestissimo villaggio in Val di Merse, sono
-donate nell’896 da Adalberto marchese di Toscana ad Alboino vescovo di
-Volterra, confermate più volte, e segnatamente da Enrico IV, nel 1186,
-purchè _episcopus et sui successores nobis nostrisque successoribus,
-pro ipsis argenti fodinis, triginta marcas argenti examinati ad
-pondus cameræ nostræ persolvant_. Federico II, in rotta col vescovo
-di Volterra, affittava _argentariam nostram Monterii_ a Bentivegna
-Davanzati fiorentino. Il diploma di Carlo IV del 1355 dice che _jamdiu
-defuerint, et quasi steriles sint effectæ_; e la cava d’oro e d’argento
-attivata nel Pistojese nel secolo xiii pare un sogno dei cronisti.
-Bensì attorno al Mille già si hanno memorie d’argentiere presso Massa
-marittima e nell’alpe Apuana di Pietrasanta, con profondi cunicoli,
-scavati probabilmente da una consorteria di Lombardi che signoreggiava
-la Versilia. Oro traevasi dalle arene del Ticino, dell’Adda, d’altri
-fiumi; e al 1º novembre del 1000 Ottone III concede al vescovo di
-Vercelli _totum aurum, quod invenitur et elaboratur infra vercellensem
-episcopatum et comitatum Sanctæ Agatæ_[258].
-
-Dalle moje di Volterra si avea sale, ma era ignota la produzione
-dell’acido borico, oggi ricchezza di quei lagoni: ben se ne cavava
-solfo; e un Genovese vi trovò l’allume, emancipandosi così dal trarne
-da Tunisi, dalla Germania, da Focea, paesi occupati dai Turchi, assai
-prima che si adoperassero le allumiere del Napoletano e della Tolfa
-nella maremma romana. Lipari, donde in antico s’avea tutto l’allume,
-per testimonio di Diodoro Siculo, talchè il prezzo rimaneva ad arbitrio
-degli abitanti, da gran tempo cessò di somministrarne.
-
-Anche sotto al feudalismo le arti si erano conservate al modo
-antico, disposte in corpi o scuole o maestranze sotto proprj capi;
-organizzazione dell’industria conforme a tempi, dove, non ancora
-riconosciuta l’eguaglianza degli individui, venivano emancipati in
-masse, e non intendendosi il lavoro libero, si facea che l’operajo
-travagliasse pel maestro, come il villano pel signore[259]. Tutto vi
-era regolato con una minuzia puerile: il filatore non poteva accoppiare
-fil di canapa a quello di lino; il coltellinajo non fare manichi a
-cucchiaj; non i ciotolaj e orciolari tornire un cucchiajo di legno; non
-fondere sego di bue con quel di montone, non cera nuova con vecchia;
-determinati gl’ingredienti delle tinture e de’ varj composti. Dovettero
-nascerne impacci, conflitto, tirannie; i principi se ne fecero una
-fiscalità; il monopolio si saldò a favore di pochi; ammende e multe
-per ogni minima violazione, e giudici erano gli emuli, interessati a
-cogliere in colpa.
-
-Pure in que’ primordj i sindachi, i consigli, i probiviri, le frequenti
-adunanze, le camere di disciplina, ove «mercantilmente si procede,
-e i piati si scrivono vulgarmente senza giudici o procuratori o
-notari, più di buona equità che di stretta ragione procedendo»[260],
-riuscivano d’ammaestramento al vulgo, come le falde sorreggono
-i bambini: compagni, fattori, discepoli, maestri formavano una
-gerarchia di opportuna dipendenza: gli artigiani riuniti nei medesimi
-quartieri, si vigilavano a vicenda ed emulavansi, così togliendo
-o rimovendo le frodi, facili in popolo inavvezzo all’industria; si
-soccorreano ne’ bisogni; il garzonato dava una garanzia di futura
-abilità; nella suddivisione dei lavori dovea ciascuno raffinare il suo
-speciale; lo spirito di corpo dava aria di gravità, e fece conoscere
-e ponderare diritti; gli stendardi de’ santi patroni furono stendardi
-d’indipendenza, e protessero l’individuo dalle vessazioni, talchè
-divennero potenze sociali le classi laboriose, e formaronsi, vorrei
-dire, dei feudatarj borghesi e nulla possidenti[261].
-
-Nè però si creda non ne fossero conosciuti gl’inconvenienti; e al
-1287 il Comune di Ferrara aboliva tutti i collegi d’arte, di qual
-si fossero maniera e nome, talchè nessuno potesse fare adunanze o
-collette. Eccettua il collegio de’ giudici, le confraternite devote, le
-università delle contrade e ville, i fabbri, a cui si concede di avere
-un commesso che compri il carbone e lo distribuisca ai singoli; quelli
-poi che avessero beni comuni, possano deputare chi gli amministri. Ai
-banditori pure sia lecito unirsi una o due volte l’anno per eleggere
-due che li presiedano onde disporli e mandarli per utile del Comune. I
-beccaj esercitino lor arte ne’ luoghi e modi stabiliti. Ogni artefice
-od operajo richiesto per l’arte sua, deve subito andare, sebbene
-l’opera cui è chiamato fosse da altro incominciata, e non cessare
-neppur se altro fosse chiamato a lavorare in sua compagnia. Ma non
-osino fare intelligenze e congiure tacite od espresse sui prezzi o sul
-lavoro; e viepiù si tengano d’occhio i navalestri, pessima razza, che
-molte frodi macchina contro l’utile de’ viandanti.
-
-L’arte della lana, allora principalissima, dovette l’incremento
-agli Umiliati, ordine istituito a Milano, al quale si fa pur merito
-dell’invenzione de’ drappi d’oro e d’argento per chiese. A Firenze,
-dove fondò Santa Caterina d’Ognissanti, era tenuto esente da ogni
-dazio, e proibizione d’insudiciar le acque che andavano alle sue
-gualchiere[262]. E là principalmente prosperò quell’arte, e nel 1338
-vi si finivano ogn’anno ottantamila pezze di panno, del valore di
-un milione e ducentomila zecchini[263], tirando le migliori lane
-d’Inghilterra, Spagna, Francia, Portogallo, Barberia. L’arte di
-Calimala traeva a buon conto panni grossolani di Fiandra, Picardia,
-Linguadoca, e vi dava assetto e finimento tale da doppiarne il prezzo.
-In venti magazzini entravano diecimila pezze l’anno, del costo di più
-che trecentomila fiorini: ciascuna si _taccava_ con un bollettino, ove
-notare la spesa di primo costo, del denajo di Dio, del recarlo a casa,
-del tingerlo e ritingerlo, del cardarlo, cimarlo, spianarlo, piegarlo,
-della bandinella, della maletolta, del teloneo, dell’uscita alle porte,
-del legaggio, caricaggio, ostellaggio, e d’ogni altra spesa. Le due
-fiere di san Simone e san Martino traevano a Firenze i più denarosi
-mercanti di tutta Italia, sicchè vi correano quindici a sedici milioni
-di fiorini.
-
-In Siena, la gabella di quattro lire ogni pezza del panno asportato, la
-più parte verso Levante, fu appaltata seicento zecchini. Gareggiavano
-colle francesi e colle fiamminghe le fabbriche di Venezia e sua
-terraferma, di Pisa, del Bolognese, del Ferrarese, animate dalla
-proibizione dei drappi forestieri. In Verona al 1300 s’impannavano
-l’anno ventimila pezze, oltre calze e berrette; e la Signoria veneta ne
-comprava colà di sopraffini, da presentarne al gransignore (ZAGATA). A
-Mantova le folle della lana erano privilegio del Comune, distruggendosi
-quelle che alcun privato mettesse; e lo statuto prescrivea la qualità,
-e il numero de’ fili, la dimensione del panno, il modo e la forma de’
-telaj: non poteano lavorarne se non gli ascritti all’arte, i quali
-prestavano giuramento avanti al podestà: ogni pezza finita presentavasi
-al magistrato, che collaudata la bollava, o trovandola disforme dalle
-prescrizioni, la buttava al fuoco, multando il lanajuolo. Ricchi e
-monaci vi si dedicavano; nel 1500 vi si contavano quarantaquattro
-fabbriche; e quando il re di Danimarca visitò i Gonzaga, se ne posero
-in mostra cinquemila pezze: bellissimo parato per una città!
-
-Milano e il suo territorio spediva alla sola Venezia per trecentomila
-ducati l’anno in panni, e per centomila in canovaccio, cambiandoli con
-cotone in fiocco e filato, lane francesi e catalane, tessuti d’oro e
-di seta, pepe, cannella, zenzero, zuccaro, verzino e altre materie
-coloranti, saponi e _schiavi_ per due milioni. Giovanni da Uzzano,
-che nel 1440 compilò quanto era necessario sapersi da un mercante
-intorno ai paesi, alle mercanzie, al cambio, al denaro, alle dogane, e
-descrisse di porto in porto il viaggio che si faceva lungo le coste del
-Mediterraneo, poi all’Jonio e al mar Maggiore, scriveva che «a Milano
-càpitano quasi tutte le robe di Lombardia per mettere in Genova: si
-trae da Milano mercerie infinite d’ogni ragione, armadure di maglia e
-di piastre e d’ogni ragione, acciaj, ferri lavorati, fustani, tele e
-panni assai fini; di Como panni assai e fini; di Monza panni grossi e
-fini; e mettonsi a Venezia per navigare in Levante; di Verona e Mantova
-panni; di Padova zafferano e lino; d’Alessandria lino, tele di guado
-assai, e molto guado; di Monferrato zafferano, canovaccio, canape; di
-Brescia acciaj, ferro, lino, zafferano, carte»[264].
-
-Più tardo sorse l’artifizio della seta. Questa nel Codice rodio era
-agguagliata in prezzo all’oro, e al tempo di Procopio quella di colori
-ordinarj valea sei monete d’oro l’oncia, e il quadruplo la purpurea:
-traevasi dai Seri, popolo dolce ma rozzo nel Tibet, o piuttosto
-dall’Indo-Cina, come oggi par dimostrato. Due missionarj, colà portati
-da zelo religioso, vi conobbero l’industrioso insetto, e come produca
-quel filo prezioso; e recatene alcune uova in Europa, riuscirono a
-educarli. Il Peloponneso, tosto piantato a gelsi, da questi dedusse
-l’appellazione di Morea; e fabbriche istituite per l’impero orientale
-scemarono se non tolsero il bisogno di ricorrere agli stranieri. I
-Veneziani, assoggettata l’isola d’Arbo sulle coste di Dalmazia nel
-1018, le imposero di contribuire ogni anno alquante libbre di seta; se
-no, altrettanto peso d’oro puro. Alla presa di Costantinopoli estesero
-le seterie, assicurandosene il monopolio mediante trattati coi principi
-dell’Acaja.
-
-In principio non conosceasi che il gelso nero, e il Crescenzio (cap.
-14) si lamentava che le donne ne cogliessero le somme foglie per
-nutrire certi bachi, il che impedisce ai frutti di maturare: forse
-solo nel XIII secolo si portò il gelso bianco. I privati tardavano
-a intenderne il vantaggio, talchè si dovea per legge ordinarne la
-coltura: lo statuto di Modena del 1327 impone, chiunque abbia orto
-chiuso vi pianti per pubblico vantaggio tre gelsi, tre fichi, tre
-melogranati, tre mandorli; quel di Pescia del 1340 obbligava a
-coltivarne; e un secolo dopo, per Toscana era imposto ad ogni contadino
-di piantarne cinque ogni anno[265]; poi si proibì d’asportarne la
-foglia, e nel 1423 si concedea franchigia a chi ne importasse.
-Pretendono che Lodovico Sforza gl’introducesse nel suo parco di
-Vigevano, donde si diffusero per Lombardia, di che a lui venne il
-cognome di Moro. Una grida di Milano del 1470 impone si piantino almeno
-cinque gelsi ogni cento pertiche; un’altra, di notificare quanti ne
-esistevano, e la foglia loro si cedesse al maestro da seta a prezzo
-equo, chi non volesse da sè nutrirne i bachi[266]. Ma già nel 1507
-il Murlato, in una cronaca comasca manoscritta, nota che le campagne
-attorno a Milano e a Como davano immagine d’una foresta di gelsi.
-
-Vorrebbero che Ruggero di Sicilia dalla sua spedizione in Grecia
-portasse telaj ed operaj di seta; ma noi vedemmo come anteriormente ne
-tessessero i Saracini. Soggiungono che quell’arte fiorisse in Lucca,
-e che quando Castruccio la prese, novecento famiglie di tessitori
-si diffondessero per la restante Italia, trentuna delle quali nella
-sola Venezia: pure fin dal 1225 l’arte della seta a Firenze formava
-corporazione distinta, noverata fra le maggiori, e coll’insegna d’una
-porta rossa in campo bianco; e nel 1248 i Veneziani proibirono il
-commerciar di seta agli esattori delle tasse imposte ai fabbricatori di
-essa. Frà Buonvicino da Riva in quel giro di tempo scrive che a Milano
-si facevano panni _de lana nobili et de sirico, bombace, lino_: vero
-è che traevasi da di fuori. Borghesano da Bologna inventò i torcitoj
-nel 1272, tenuti in gelosissimo segreto, finchè, entrando il secolo
-xiv, gl’insegnò ai Modenesi un tal Ugolino, che per questo fu in patria
-appiccato in effigie[267].
-
-Il setificio si estese a Pisa, Genova, Padova, Como, Verona, Vicenza,
-Bassano, Bergamo, Ferrara, Bologna e nella Lombardia, a segno che la
-seta indigena non bastando alle fabbriche, era d’uopo cercarne nella
-Marca, nella Calabria, nelle isole greche. Non si tardò a lavorare
-stoffe e broccati, intessendovi l’oro e l’argento, e ad applicarvi
-fregi metallici col ricamo e coll’impressione; e nell’industria de’
-broccati gareggiarono Venezia, Genova, Lucca, superate da Firenze.
-
-Marino da Cataponte veneziano nel 1456 riceveva dal re di Napoli mille
-scudi a prestito perchè in quel regno attivasse fabbriche di drappi
-di seta e oro; immune d’ogni gabella la seta, l’oro filato, la grana
-e tutto che servisse a tale lavorìo; gli operaj venissero trattati
-come napoletani; nelle loro cause civili e criminali non fossero
-riconosciuti da altro tribunale che dai loro consoli, i quali in
-numero di tre venivano eletti ogni anno da tutti quelli iscritti sulla
-matricola dell’arte, e ogni sabato doveano tener ragione. Altri diritti
-furono concessi e sussidj a Francesco di Nerone e Girolamo di Goriante
-fiorentini, a Pietro de’ Conversi genovese: anzi in appresso fu eretto
-in Napoli un distinto tribunale _della nobil arte della seta_, da’ cui
-decreti non davasi appello che al supremo consiglio, dove il giudice
-facea la relazione stando in piedi a capo scoperto[268]. Diritti quasi
-eguali v’ebbe l’arte della lana. Altri tessitori genovesi e fiorentini,
-invitati da Carlo VIII, poneano a Tours le prime manifatture di seta in
-Francia.
-
-Quest’arte essendo molto scaduta in Lucca, ove prima tanto fioriva, si
-cercò ravvivarla con regolamenti, che la dovettero anzi intristire. Lo
-statuto del 1482 prescrive che nessuno possa tesser drappi di seta se
-non sia arrolato nella scuola: per esservi scritto come capo maestro
-vuolsi abbia lavorato quattro anni chi è nato in l’arte, e cinque chi
-fuori. Chi lavora di tesser seta, non possa esercitare altr’arte ove
-di quella si maneggi. Chi comincia a tessere una pezza, deva farla
-marchiare, notandone il colore e la lunghezza. Non si tengano in casa
-più telaj dei descritti. Per farsi immatricolare si paga un ducato
-d’oro. La donna che si mariti fuor dell’arte, non possa insegnarla ad
-altri. Non si piglino garzoni forestieri. I mercanti giurino di non
-tingere zendadi con robbia nè sangue di becco, e i panni scarlatti
-colorire con grana[269]. Potremmo in ciascun paese riscontrare questi
-medesimi errori economici.
-
-La tintoria era un accessorio quasi indispensabile per tutte queste
-fabbricazioni. Da gran tempo l’allume era il mordente più consueto:
-avevamo appreso dalla Francia e perfezionato l’uso del chermes e
-della robbia: fu consacrato dalla pubblica riconoscenza il nome del
-Fiorentino che nel secolo xiv introdusse dal Levante in patria il
-tingere a oricello, cioè in violetto coll’uliva[270], derivandone
-il cognome degli Oricellaj, alterato poi in Rucellaj. A Bologna
-prosperavano le tintorie di seta e di panno in grana e scarlatto;
-ed essendo nel 1220 per servizio di esse tirata in città l’acqua del
-Savena, fu conosciuta tanto opportuna, che i tintori fecero solenne
-festa con processione e fuochi per tre giorni (Ghirardacci).
-
-Venezia, Genova e la Lombardia fabbricavano eziandio tele di cotone,
-ma non da reggere il confronto di quelle di Mussul, mentre quelle
-di lino e di canape, tessute principalmente in Lombardia, Padova,
-Bologna e nel Piemonte, oltre soddisfare al consumo ogni dì crescente,
-servivano anche a baratti coll’Asia. A pari colla seta erano prezzate
-le pelliccie, distintivo de’ cavalieri e di alcune dignità civili
-ed ecclesiastiche: di grossolane arrivavano da Svezia e Norvegia; da
-Russia le preziose, massime dopo scoperta la Livonia; preparavansi a
-Venezia, Bologna, Firenze, e in quantità erano spedite al Levante.
-
-Il nome di Firenze richiama i cappelli di paglia intrecciata, arte
-ben antica se in casa Ricci ancor si conserva quello che fu di santa
-Caterina de’ Ricci. A Brozzi dapprima, poi si estese alla Lastra, a San
-Piero, a Ponte, a San Donnino, e se ne mandava per tutto il mondo[271].
-
-Le armi davano lavoro a molti opifizj, dovendo ogni feudatario fornirne
-i suoi uomini, ogni libero se stesso, ogni armatore il proprio legno.
-Corazzaj e spadaj formavano una delle arti in Firenze; in Milano dura
-il nome alle contrade degli Spadaj e Speronaj: e le armi della lupa
-quivi fabbricate erano cerche persino fuori di cristianità.
-
-L’arte del vetro, della quale fino dal xiii secolo aveva esposto i
-metodi il patrizio Manni, e che era concentrata in Murano, andò sempre
-in meglio; e Venezia lavorava come semplici ornamenti conosciuti
-col nome di _conterie_, così imitazioni di gemme, vasi comuni e
-costosi cristalli, vetri di finestre e specchi suntuosi. Una fontana
-di cristallo in argento fabbricata a Murano, fu comprata tremila
-e cinquecento zecchini da un duca di Milano. Una legge del 1255
-provvide per gelosamente conservare quest’industria al paese; e chi la
-esercitasse, godeva privilegi tali, che il matrimonio d’un patrizio
-colla figlia d’un vetrajo non derogava la nobiltà, e la moglie del
-nobile muranese sedeva pari a quelle della dominante; l’operajo che ne
-migrasse, era reo di morte.
-
-Vi si lavorava pure attivamente di conciar pelli, e dorare cuoj per
-le tappezzerie e marocchini. Moltissimi orefici con eleganza pari
-all’abilità legavano gemme e facevano d’ogni maniera ornamenti fin dal
-secolo XII, gareggiando con Genova, Bologna, Parma, Cremona, Mantova,
-Perugia, Milano che n’era mercato ed emporio per l’Italia media.
-Fin dal 1123 appare indizio della catenella, che ogni Veneziana poi
-volle avere a più giri attorno al collo e ai polsi. I camini in forma
-di campana, i terrazzi di pietruzze e calcistruzzo battuti v’erano
-comodità antiche, e da Venezia si propagarono al resto d’Italia.
-
-Disputarono agli Orientali la fabbrica de’ camelotti e delle rascie; la
-canapa convertivano in cordami, il filo in trine, migliaja di povere
-addestrandosi al rinomato punto in aria. Il borace, che traevano
-dall’Egitto e dalla Cina, soli i Veneziani sapeano preparare, come
-il cremor di tartaro, la biacca, la lacca, il cinabro, il sublimato,
-probabilmente imparati dagli Arabi. Molto si lavorava di cera, la cui
-imbiancatura non v’era pregiudicata dalla polvere; di zuccari prima
-della scoperta d’America, di liquori, di sapone. A Perasco faceansi le
-corde armoniche, nel Vicentino i panni, a Salò il refe. La zecca, oltre
-la moneta nazionale, ne lavorava pei paesi con cui trafficavano, ed
-anche coll’impronta dei re barbari. Le cartiere del Friuli e di Brescia
-diedero un altro capo di asportazione ai Veneziani, che presto la nuova
-arte de’ libri stampati aggiunsero alle antiche: una nave catalana
-nel 1380 aveva caricato a Genova per la Fiandra ventidue balle _paperi
-scrivabilis_[272].
-
-Le varie arti v’erano unite in fraglie, regolate da matricole scritte
-(_mariegole_), dove pure si deponevano i secreti dell’arte, e la
-poteva esercitare solo chi vi fosse registrato o chi avesse educato
-un trovatello. Aveano particolare magistratura di conciliazione: con
-tenui contribuzioni si preparavano mutui soccorsi, ed ergevano chiese
-e scuole, la cui magnificenza desta ancora la meraviglia. Il magistrato
-dei sensali giudicava in prima istanza la propria corporazione, potendo
-condannare fino a tre anni di galera; i giudici della seta e la camera
-del purgo giudicavano de’ setajuoli e lanajuoli.
-
-Di gran mistero avvolgevansi le manifatture, gli olj e sali medicinali;
-la teriaca, famoso polifarmaco, tenuto qual panacea universale, e di
-cui fin seicentomila libbre l’anno si asportavano; le tinture, massime
-lo scarlatto e il chermisi, non doveansi fare che al tempo determinato
-dalla legge, e con apparato d’incantesimo, e con baje di giganti col
-cappellone, di uccellacci o d’altro che portassero gl’ingredienti:
-meschini spedienti ma comuni, che, invece di cercare la superiorità nel
-migliorare, assonnavano nella fiducia della proibita concorrenza.
-
-Il fiorentino Dei, che vergò violenti diatribe contro i Veneziani, e si
-vantava d’aver fatto gran male ad essi in tutti i paesi, e massimamente
-aizzando i Turchi a loro danno, li rimprovera perchè sui mercati,
-dove i Fiorentini comparivano con broccati e drappi di gran valuta,
-essi non portassero che aghi, seta da cucire e far frange, sonagli,
-arme, vetrame e bazzecole. Prova che i Veneziani eransi accorti come i
-piccoli guadagni moltiplicati equivalgono ai grossi, e quanto giovi lo
-speculare sovra oggetti minuti ma di gran consumo.
-
-Con tutti quei regolamenti e con infinite minuzie e precauzioni,
-consonanti all’economia politica d’allora, il Governo voleva
-attirare ai Veneziani tutti i vantaggi del commercio europeo, nutrire
-l’industria per mezzo dell’industria, assicurare alle fabbriche del
-paese un’occupazione costante, non lasciando mai venir meno le materie
-prime. Siffatto sistema a lungo andare poteva cessar di produrre i
-vantaggi che si speravano nello stabilirlo; ma l’incertezza del futuro
-e la poca probabilità di cambiamenti possono giustificare la condotta
-del senato, mentre il paese vi va debitore di grandi lucri e ricchezze.
-Del resto noi, tuttora impigliati fra tante pastoje, potremmo apporre
-a que’ vecchi se non aveano ancora imparato che in ogni materia,
-ma più nel commercio, il meglio che possa farsi è il non governar
-troppo? Essi invece per favorire il commercio moltiplicarono leggi,
-alcune delle quali non poteano che pregiudicargli, come avviene delle
-vincolanti. Conviene però confessare che conoscevano il principale
-scopo del commercio, qual è di conguagliare la ricerca coll’offerta, la
-produzione col consumo, nè mai c’incontra di vedere quegl’ingombri di
-manifatture non ismaltite, che sono il disastro dell’odierna industria,
-comunque giganteggiata pel sussidio delle scienze, delle belle arti,
-dello spirito d’associazione, della suddivisione de’ lavori.
-
-Procuravasi la buona fede coll’infamare chi fallisse al debito: e a
-Milano, a Firenze, altrove doveva acculacciare una pietra: la _pietra
-del vitupero_ stava nella sala della Ragione a Padova; a Monza,
-chi rassegnava i beni dovea presentarsi alla pubblica assemblea, e
-scalzo, nudo, in sole brache ascendere sopra la pietra, e starvi dal
-principio al fine dell’adunanza; a Lucca, siccome nell’antica Roma,
-l’oberato portava un berretto giallo, e se un creditore l’incontrasse
-senza questo, avea diritto di farlo arrestare. Con un rigore, di cui
-l’Inghilterra pur offre esempio, nel 1398 i Fiorentini stanziarono
-che i falliti potessero forzarsi a far da boja, quando altro non ce ne
-fosse[273].
-
-Nel 1253 i Cremonesi stipularono coi Genovesi che, se qualche Genovese
-abbia fatto credito a un Cremonese nel distretto di Genova, il
-creditore deva richiedere per mezzo del Comune di Genova il Comune di
-Cremona, il quale sarà obbligato ottenergliene la soddisfazione. Se
-il debitore confessi il debito e nol paghi subito, venga arrestato
-e consegnato al creditore esso e i figli, per essere sostenuto nel
-carcere de’ malfattori, o condotto fuori del distretto di Cremona
-cinque miglia, dove il creditore vorrà. Se il debitore fuggisse di
-carcere, il Comune di Cremona pagherà. Se pagasse il debito, non si
-rilascerà finchè non dia una sicurezza di stare al giudizio. Del
-debitore confesso poi si avrà soddisfazione prima col mobile poi
-coll’immobile, a stima di arbitri giurati, in modo che il Comune
-lo riceva e paghi secondo tale stima. Se poi non abbia nè mobile nè
-immobile, sarà consegnato co’ suoi figli maschi al creditore e condotto
-come sopra. Se fuggissero, siano dichiarati forestieri (_forestetur_)
-al Comune di Cremona; e se mai vi tornino, tengansi obbligati a
-soddisfare al creditore[274].
-
-Di buon’ora si cominciò a mettere in iscritto le convenzioni
-commerciali, e pur testè fu pubblicato il repertorio di Giovanni
-Scriba notajo di Genova, il quale pel solo anno 1161 contiene
-cenquarantacinque atti privati, di società, di proteste, di
-divisioni[275]. Pel più antico istrumento mercantile vi è dato
-un atto del 1155, ove un Aucello giura portare a trafficar in
-Sicilia e a Salerno lire sessantadue, ricevute da Oberto Usodimare.
-Una carta dell’anno stesso dice: «Io Ugero Lugaro confesso aver
-quattrocentosessantasette lire di roba tua, o Guglielmo Filardo, che
-devo portare ad Alessandria per trafficare a tuo conto: al ritorno
-deve esser tuo il capitale e il profitto, eccetto sette bisanti che
-mi vengono per la condotta. Di quelle lire devo far le spese del
-mio vitto e per quanto occorre. Del mio, porto lire venti». Ai 19
-settembre Ribaldo da Sarafia e Ferro di Campo mettono in società
-quello lire cinquanta, questo trentacinque e il suo personale, e gli
-utili si divideranno a metà. Al 6 luglio 1156 Lanfranco Pepe commette
-il capitale di lire cinquanta a Bernardo Porcello che lo traffichi in
-Genova, e dei profitti si farà a metà. In quel curioso repertorio molte
-altre si hanno di queste associazioni del capitale coll’industria.
-
-Opportunissima al commercio venne l’istituzione dei consolati, cioè
-d’una speciale e compendiosa giurisdizione per le cause mercantili
-sia nell’interno, sia fuori[276]. Ne’ paesi lontani più frequentati si
-tenevano consoli, che e vigilassero sugli atti del commercio nazionale,
-e giudicassero i negozianti loro compatrioti secondo leggi scritte
-o le usanze o il buon senso. Tali sentenze costituirono un diritto
-consuetudinario; poi un Catalano o più probabilmente un Italiano,
-entrante il secolo xiii, pensò raccogliere le costumanze de’ porti
-del Mediterraneo, e ne nacque il _Consolato de’ fatti marittimi_,
-base anch’oggi di tale legislazione, e diritto comune ove manchino
-disposizioni particolari. Doveano essere avanzi delle leggi antiche,
-durate in pratica anche dopo periti i documenti; e vi si tratta, in
-ducento capitoli, dei doveri e diritti dei patroni di nave e socj, de’
-marinaj, mercanti, passeggeri; delle merci occultate, bagnate, guaste,
-prese, gittate; degli attrezzi, delle armi, delle condizioni di nolo,
-de’ cambj, delle assicurazioni[277]. A questo esempio furono compilati
-il _Giudicato di Oleron_ per l’Oceano, e le _Ordinanze di Wisby_ pel
-Settentrione.
-
-Se pure le assicurazioni erano conosciute ai Romani, sì poco
-erano consuete, che legislatori e giureconsulti non le credettero
-meritevoli di speciale attenzione. Nei nuovi tempi si estesero,
-e i primi esperimenti si restrinsero ad accomunare i rischi fra i
-padroni del vascello e quelli che caricavano. Tanto ne parve bene,
-che la compilazione Rodia, certo anteriore all’xi secolo, la legge
-di Trani che vorrebbesi del 1060, quella di Venezia del 1253, le
-imposero come obbligo. Però, non legando che persone cointeressate
-nella spedizione, stavano a troppo gran pezza da quelle zarose e
-insieme precise speculazioni, dove, calcolando i venti, le avarie, le
-stagioni, e insieme le politiche eventualità, la guerra, la pirateria,
-si offre l’intero rifacimento delle lor perdite, mediante una tenue
-anticipazione.
-
-Non ha appoggio chi le asserisce conosciute a Bruges nel 1310; e poichè
-niuna legge marittima settentrionale ne parla, nè tampoco la grande
-_Ordinanza anseatica_ del 1364, ci si fa credibile cominciassero fra
-noi, dove gli statuti di Pisa del 1161 le ricordano[278]: nel 1300
-il Pegolotti espone come ordinaria questa assicurazione di denari e
-mercanzie «a salvi in terra, a rischio di genti e di mare, a tutto
-periglio di mare, di gente, di fuoco, di corsali», con premio dal sei
-al quindici per cento: il breve poi del porto di Cagliari prevede i
-casi del _naulegar_ e del _sigurare_.
-
-Ma grand’ala non poteva aprire il commercio quando sì scarso il
-contante; non avendosi oro che dalle miniere di Spagna e Ungheria,
-poca polvere dall’Africa, qualche paglia dai nostri fiumi; dell’argento
-non ancora lavorandosi le cave dell’Harz; e il commercio coll’India e
-la Cina dovendo saldarsi in moneta effettiva, perchè non avevano esse
-bisogno delle derrate o manifatture europee; finchè l’Inghilterra ai
-nostri giorni non riuscì a surrogarvi l’oppio e le cotonerie.
-
-I Romani sentirono, ma non ripararono tale deficienza; la quale,
-cresciuta collo sperpero della migrazione, poi per le crociate,
-impacciava le transazioni. Gli è ben vero che queste nell’interno
-erano assai rade, quando la proprietà restava legata da feudi, livelli,
-diritti comunali, manimorte, e dall’attenzione di conservare l’avito
-possesso: pel consumo usuale poi molto adoperavasi il baratto. Però
-l’Italia ebbe sempre maggior correntezza di contante, sì perchè la sua
-industria ve ne chiamava, in tempo che le altre nazioni limitavansi a
-comprare e consumare, e tutto doveano procacciarsi a denaro, non avendo
-di che far baratti; sì per lo speso dai tanti che qui erano condotti
-dalla devozione o dall’ambizione o dagli affari; sì perchè la curia
-romana da tutto il mondo riceveva o tributi, o tasse per dispense,
-indulgenze, aspettative, brevetti, investiture e simili, o frutti di
-benefizj lontani, investiti a prelati qui dimoranti.
-
-Se ne valsero i nostri per applicarsi alla banca o al prestito, e
-svilupparono le varie forme del credito. Quando ogni paese, ogni
-feudo aveva zecca propria, e spediente di finanza consideravasi il
-falsare o alterar le monete, nasceva un’inestricabile diversità di
-titolo, d’impronte, di valore. Per sottrarsi alla quale non di rado
-si stipulavano i pagamenti a peso, cioè a marco, diviso in otto once
-di ventiquattro carati[279]; onde i negozianti, prima di rimpatriare,
-col denaro avuto compravano oro e argento non coniato. Tanto più che
-molti paesi, considerando il denaro come vera ricchezza, non come
-solo stromento di cambio e misura del valore, impedivano gelosamente
-l’asportarlo. A questo disagio e alle frodi, troppo facili sopra monete
-non conosciute, ripararono Lombardi, Fiorentini, Senesi, nelle primarie
-città aprendo scanni, col nome di banchieri o _campsores_; e ricevute
-in deposito le somme, sborsavanle man mano che il depositante traesse
-su loro, o facevanle a questo pagare dai proprj corrispondenti ove egli
-si recasse. Tutte le operazioni che oggi si lodano come arte bancaria
-o si vituperano come aggiotaggio, le troviamo già in uso; e Firenze
-nel 1371 moderava i giuochi di borsa coll’imporre una tassa sopra la
-vendita de’ fondi pubblici[280].
-
-Una scolastica distinzione fra le ricchezze fruttifere e le
-infruttifere, che poneva cioè il valore nelle cose medesime, non
-nel servizio che rendono all’uomo, fece a molti, fino a’ dì nostri,
-dichiarare illecito il guadagnar sul denaro; e fatto un precetto
-del consiglio evangelico _Date a mutuo senza nulla sperarne_, si
-giudicò peccato il lucrare un interesse. Ma poichè è troppo naturale
-e vantaggioso che il capitalista accomodi al lavoratore, bisognava
-illudere la coscienza co’ varj sotterfugi di cui gli usurieri sono
-maestri. I governi poi pensarono a porre un limite agl’interessi
-affinchè non se ne abusasse; quasi non dovessero, come in tutte
-le altre mercanzie, proporzionarsi al rischio, alla ricerca, al
-lucro del mutuante. Come avviene dei provvedimenti arbitrarj, anche
-questo dovette altalenare; e poichè probabilmente le variazioni si
-saranno legalizzate sol dopo che l’abuso era comune, non possiamo dal
-variare degli interessi argomentare la maggior o minore ricchezza
-pubblica, cioè il migliore impiego del denaro. Perocchè a volere
-che in paese industre gl’interessi si proporzionino al vantaggio che
-ne trae l’accattante, bisognerebbe che i divieti non perturbassero
-l’equivalenza de’ servigi; e molte volte gl’interessi sono alti in
-grazia non della prosperità, ma del rischio a cui il capitale si
-espone. Così oggi in Levante, perchè il Corano vieta il ricevere
-frutto, il prestatore non protetto dalla legge deve premunirsi dai
-rischi della contravvenzione.
-
-Il codice romano stabiliva il merito del quattro per le persone
-illustri, dell’otto pei mercanti, del dodici per quelli di grado
-inferiore che prestassero grano o derrate, del sei per gli altri; tanto
-era mal compreso l’uffizio del denaro. Nel medio evo, il commercio
-trasse il denaro nelle città, sicchè i signori castellani e principi
-ne pativano disagio, e bisognava ne cercassero a usure trasmodate.
-Guido conte di Biandrate nel 1161 pattuiva quattro denari al mese, cioè
-il venti per cento. Nel 1201 Arduino vescovo torinese conveniva con
-Giacomo e Bartolomeo Sylo, se non restituisse fra due anni le dovute
-152 lire susine, v’aggiungerebbe lire 13; se fra tre, lire 25; se fra
-quattro, lire 58; se fra cinque, lire 90; se fra sei, lire 113: il
-che era un modo di mascherare l’usura, maggiore del dodici per cento
-(Cibrario). Nei conti di Giuliano di Nannino de’ Bardi con Pietro
-di Francesco Piccioli nel 1427 al prestito di lire 2928 in un anno è
-computato l’interesse di lire 878: lo che scontra il trenta per cento
-(Pagnini). Il doge Mocenigo assegna il quaranta all’anno pei capitali
-messi nel commercio. Federico II in Sicilia lasciò solo agli Ebrei il
-prestare, e proibì di passare il dieci[281]; errore massiccio, emendato
-dalle violazioni. Uno statuto veronese nel 1228 prefiggeva il dodici e
-mezzo; uno di Modena del 70, il venti; uno di Cremona del 78 interdisse
-agli Ebrei di esigere sui pegni più di sei denari per lira al mese.
-Nel XIV secolo v’ha esempj del trentacinque. A Firenze erano ottanta
-banchi, e il monte pagava il merito del dodici o quindici e non mai
-più del venti: per moderare le usure, nel 1430 vi si chiamarono Ebrei,
-i quali obbligavansi a non riscuotere di là dal venti; e quando nel 95
-furono espulsi, si trovò, o almeno si disse che in cinquant’anni aveano
-guadagnato 49,792,556 fiorini.
-
-In Piemonte, morendo uno in fama d’avere guadagnato di usura, ogni
-aver suo ricadeva nel fisco: al qual uopo con rigore si suggellava la
-casa, s’imprigionavano la vedova e i figli acciocchè dichiarassero se
-nulla tenessero nascosto: istituivasi l’indagine, dalla quale raramente
-l’accusato usciva netto quando importava al fisco di trovarlo in colpa;
-anche purgandosi, non veniva reintegrato della roba e dell’onore:
-lo perchè tutti procuravano accordarsi col fisco, colpevoli o no
-(Cibrario).
-
-Il pregiudizio contro gli Ebrei impedì acquistassero proprietà
-sode; onde si gettarono sulle arti e sul commercio, e non legati da
-restrizioni clericali, e nell’obbrobrio loro poco adombrandosi di
-nuova infamia, davano a prestito. Quei che doveano accattar denari da
-loro, gli accusavano di esorbitanti usure; i rovinati, gl’infingardi
-riversavano sopra di loro ogni colpa, pretesto a fraudarli del dovuto:
-e così odiati e necessarj, menavano quella esistenza eccezionale, che
-è una singolarità in mezzo alle singolarità del medioevo. Ma quel
-continuo cacciarli per continuo restituirli attesta la cresciuta
-importanza delle ricchezze commerciali, per cui l’opifizio ormai
-equivaleva al castello. Che se in Francia e in Inghilterra gli
-Ebrei erano esposti alle brutalità della plebe, alle persecuzioni
-de’ preti, all’insaziabiltà dei re, che li chiamavano per ottenerne
-denari a prestito, poi li sbandivano per farsi pagare la tolleranza,
-da noi poteano trafficare, se non senza odio, almeno senza pericolo;
-e se per l’opinione dello scannar figliuoli alla pasqua, la quale
-vedemmo ridesta perfino ai giorni nostri, erano avversati non meno
-dalla fanatica Napoli che dalla colta Firenze, spesso gli statuti li
-riconoscevano, se non altro, per moderarli. Venezia nel 1400 a due
-Ebrei concesse di fondare una banca di prestito; e quando s’impadronì
-di Ravenna, prese obbligo di spedirvi banchieri ebrei; i quali aveano
-case a Roma, a Firenze, a Pavia, a Parma, a Mantova, anzi in tutte le
-principali città.
-
-A Roma l’università degli Ebrei doveva pagare 1130 fiorini d’oro (come
-da istromento inserito nella bolla di Bonifazio IX del 1399) che
-servissero alle feste carnovalesche di piazza Navona e a Testacio.
-Inoltre, al principio del carnovale, alcuni loro deputati doveano
-presentarsi ai conservatori di Roma, implorando continuasse a loro la
-protezione del popolo romano, e offrendo un mazzo di fiori e una cedola
-di 20 scudi, da spendere in addobbare i palchi della magistratura
-romana. Il primo conservatore rispondeva, che, se rimanessero quieti
-e fedeli, non verrebbe lor meno la protezione del popolo e del papa.
-Eguale omaggio faceano al senatore, che rispondeva in simili sensi.
-
-A Martino V gli Ebrei d’Italia portarono lagnanze pei mali trattamenti
-che soffrivano; ed egli, inerendo all’operato da’ suoi predecessori,
-promulgò privilegi, e proibì agl’inquisitori e ad ogni altra persona
-laica od ecclesiastica di predicar contro di loro e inviperire
-la plebe, nè recare ad essi molestie, salvo se fossero fautori
-dell’eresia, non obbligarli ai divini uffizj, non battezzarne alcuno
-prima dei dodici anni. Nondimeno alcuni predicatori, massime de’
-Mendicanti, persuadevano i Cristiani ad evitare ogni contatto cogli
-Ebrei, non cuocer loro il pane, non prestar fuoco o servizj, non
-riceverne prestanze, minacciandoli di ecclesiastiche censure; a tacer
-quelli che, eccitati da ciò, ne sturbavano i possessi, li battevano,
-ingiuriavano, uccidevano; col che «li rendeano più ostinati nella loro
-perfidia, mentre colla carità potrebbero cattivarli». Laonde Pio II,
-nella bolla 27 luglio 1459, toglie in protezione gli Ebrei; abbiano
-sinagoghe e sepolture senza impaccio; nè vogliasi costringerli a vivere
-a modo nostro, o lavorare il sabato; nè siano esclusi dal conversare
-coi nostri, nè dal comprare o appigionar case e beni da Cristiani, e
-far contratti, mercatare, tenere scuole delle scienze giudaiche[282].
-
-Cogli Ebrei presto vennero a concorrenza Lombardi, Astigiani, Toscani,
-Caorsini, aprendo banche in ogni canto d’Europa, e accomodando
-di denaro non solo i privati, ma anche il pubblico, e massime in
-Inghilterra, cautelandosi sopra i dazj. Gli statuti di Susa fin dal
-xii secolo parlano di _casane_ stabilite in varie città d’Italia, cioè
-banchi di prestanza e di cambio. Nel 1277 Filippo III re di Francia
-catturò tutti i prestatori italiani sotto imputazione d’usuraj, ma
-in fatto per ismungerli; e si lasciò calmare solo da sessantamila
-libbre di parisj, che varrebbero oggi ventiquattro milioni[283]; poi
-nel 94 stipulava col capitano e col corpo de’ cambisti italiani, che
-gli dovessero un tanto per gli affari di cambio. Metz ne avea fin dal
-1260, e nel 1370 restaurò le sue mura colla taglia percetta su questi
-Lombardi; nel 1404 appaltava per dodici anni la sua banca a Giovanni
-Frassinale di Vercelli per duemila e quattrocentotto fiorini di
-Firenze.
-
-Al pari degli Ebrei erano favoriti e odiati i Lombardi; tassate al
-doppio delle altre le _lettere lombarde_, con cui la cancelleria
-francese gli autorizzava al commercio; relegati in quartieri distinti
-e chiusi, simili ai ghetti; e a volta a volta spogliati violentemente
-od espulsi. Un’ordinanza del 6 gennajo 1477 invitava gli abitanti
-di Amsterdam a ritirare i loro pegni dai Lombardi avanti il martedì
-grasso, assolvendoli dagli interessi.
-
-I Fiorentini principalmente applicarono a quest’industria; e
-Frescobaldi, Bardi e Peruzzi, Capponi, Acciajuoli, Corsini, Ammannati
-erano le più famose banche cantanti in Inghilterra e ne’ Paesi Bassi.
-La casa dei figli di Caroccio degli Alberti dal 1348 al 57 aveva
-filiali ad Avignone, Bruges, Napoli, Barletta, Venezia e altrove, le
-quali pagavano o riscotevano le somme da rimettersi in Avignone alla
-corte pontifizia o ad altre piazze di Francia, Fiandra, Germania,
-Italia: contemporaneamente negoziava in grosso di panni, che da
-Brusselles, Gand e altre terre di Fiandra, Francia, Inghilterra, per la
-lor casa di Bruges erano spediti al fondaco di panni in Firenze, per la
-via di Parigi, Marsiglia, Nizza, Pisa[284].
-
-Destri com’erano, qual meraviglia se i nostri venivano adoprati per
-consiglieri e ministri di finanza da principi? tanto più che non
-poteano questi assumere veruna impresa se dal banchiere non ne avessero
-assicurati i mezzi. Molti _siniscalcati_ della Francia meridionale
-erano appaltati a compagnie di Lombardi, che si assumevano queste
-imprese finanziarie[285]: a Lione case fiorentine, lucchesi, genovesi
-faceano in grande il commercio d’asportazione e importazione de’
-tessuti di lana e seta[286], e vi serba nome la via de’ Guadagni ove
-questi teneano banca: ne’ libri mastri di Genova, di Pisa, di Messina,
-in mancanza di altri documenti, vengono a cercar prove di nobiltà le
-famiglie francesi che ambiscono di poter inserire la croce nel loro
-stemma.
-
-Quelle banche riceveano in deposito capitali di signori e principi.
-I figli d’Obizzo d’Este nel 1293 fecero intimare alle compagnie de’
-Baccherelli, della Cella, dei Cerchi Bianchi e Neri, de’ Frescobaldi,
-de’ Nerli, de’ Bardi, degli Acciajuoli, ed altre di Firenze, nulla
-rendessero al marchese Aldobrandino di quel che il loro padre aveva ad
-essi affidato[287]. Giovanni Bodino disapprovava una banca a Lione,
-su cui metteano fondi non solo principi cristiani ma fino i bascià,
-e che a Francesco I fece patti onerosissimi, e ad Enrico II prestò a
-nome de’ Capponi e degli Albizzi, al dieci e dodici e fin sedici per
-cento. Borromeo de’ Borromei, di quel Samminiato donde uscirono fra
-poco i Buonaparte e gli Sforza, nel 1379 accomodava di ottantamila
-fiorini d’oro Gian Galeazzo Visconti. Nel 1321 i Peruzzi doveano avere
-cennovantunmila fiorini d’oro, e centrentatremila i Bardi dai cavalieri
-di San Giovanni. Fu considerato come pubblico disastro quando gli Scali
-nel 1339 fallirono di quattrocentomila fiorini; e i Peruzzi e Bardi di
-mille trecento settantatremila, che equivarrebbero a quaranta milioni
-di lira d’oggi.
-
-Agli Ebrei attribuisce Giovan Villani le lettere di cambio, i quali,
-sbanditi di Francia sotto Dagoberto I nel 630, Filippo Augusto nel
-1181, e Filippo il Lungo nel 1316, si ritirarono in Lombardia, e
-per trarre il denaro lasciato colà, a mercanti e viaggiatori davano
-lettere concise. Qual conto fare di un’indicazione di tempo così
-indeterminato? e quanto poco è probabile, allorchè il bando vietava
-ogni comunicazione ed assistenza agli Ebrei espulsi. Sa più ragionevole
-il lodarne i Guelfi di Firenze, che sbanditi dai Ghibellini, trassero
-somme, principalmente in Lione. I Ghibellini, cacciati alla lor volta,
-ricoverarono ad Amsterdam, ed usarono altrettanto[288].
-
-Alcune cambiali non aveano particolare direzione, il che si praticava
-specialmente in Levante, e sembra indicarle il Fibonacci sin dal 1202:
-altre ordinavano di pagare a persona nominata; e il primo esempio
-sicuro è di papa Innocenzo IV, che nel 1246 trasmetteva venticinquemila
-marchi d’argento ad Enrico Raspon anticesare, facendoli pagare a
-Francoforte da una casa di Venezia. Nel 1253 Enrico III d’Inghilterra
-autorizzò alcuni italiani suoi creditori a rimborsarsi mediante
-tratte sopra vescovi del suo regno, il valor delle quali ammontava
-a 150,540 marchi; e il legato pontifizio ebbe cura di farle pagare
-puntualmente. I negozianti trovarono comodo il pareggiar le partite
-senza intervenzione dei banchieri per via di tratte; e la più antica
-che ci resti è d’una casa di Milano, che nel 1326 tirava sopra una di
-Lucca a cinque mesi dalla data[289]. Baldo giureconsulto adduce due
-cambiali, una del 1381 sotto nomi supposti, l’altra del 95 di Borromeo
-de’ Borromei da Milano sopra Alessandro Borromeo.
-
-Un regolamento del 1394 ingiunge ai negozianti di Barcellona di pagar
-le cambiali entro ventiquattr’ore dalla presentazione, e di attergarne
-l’accettazione; e pare si conoscessero anche i protesti. Più tardi
-s’introdussero le girate, che ne formarono la vera comodità. Se dunque
-gli Ebrei inventarono le cambiali, la vera teorica loro è dovuta
-agl’Italiani, che le estesero per incassare i fondi, da ogni parte del
-mondo affluenti alla corte di Roma.
-
-Alle fiere di Champagne, molto frequentate perchè medie fra l’Italia,
-la Francia meridionale e i Paesi Bassi, breve tempo s’indugiavano i
-negozianti; laonde i re di Francia statuirono che, contro chi lasciasse
-scadere una cambiale firmata nella fiera precedente, si procedesse
-in via sommaria. Di qui il diritto cambiario; e spesso obbligavansi i
-debitori ad enunziare ne’ recapiti che il debito era stato contratto in
-tempo di fiera per goderne il privilegio.
-
-Spedientissime trovate furono le banche pubbliche, le quali nelle
-transazioni di commercio surrogano al denaro sonante i viglietti, cioè
-raddoppiano i titoli legali del concambio. Fin dal 1171 pare Venezia
-possedesse un banco di credito; altre città ne istituirono, ma nessuna
-con tanta ampiezza e fortuna quanto Genova, del cui banco di San
-Giorgio abbiamo già parlato a disteso (tom. VII, pag. 111).
-
-Affine poi che anche i privati trovassero comodità di prestiti senza
-cascare negli usurieri, si stabilirono i Monti di pietà. Il primo si
-vide a Perugia nel 1467[290], per opera di Bernabò medico di Terni,
-frate francescano, che non esigeva se non quanto bastasse alle spese
-d’amministrazione. San Bernardino da Feltre e frà Michele da Carcano
-diffusero quest’istituzione a Mantova[291], a Como e nella restante
-Lombardia; Sisto IV approvò quello eretto a Viterbo il 1479, e ne pose
-uno in Savona sua patria; tosto Cesena, Firenze, Bologna, Napoli,
-Milano, Roma seguirono l’esempio, imitato dalle città industri di
-Fiandra, e più tardi dai Francesi. A qualche rigoroso moralista
-odoravano di usura, e accanita disputa si allungò fra teologi e
-giureconsulti; ma l’utilità che ne derivava indusse a mettervi
-piuttosto ordine e misura.
-
-Da quanto esponemmo siete chiari come le forze e i capitali si
-sapessero aumentare col formar compagnie di commercio. Fin dal 1188 è
-ricordata la società pisana degli Umilj, stabilita a Tiro, e che fra
-il negoziare non lasciava di soccorrere i Crociati[292]. I Bardi di
-Firenze aveano quasi il monopolio di tutto il regno di Napoli. Parrebbe
-anzi che le varie compagnie si abbracciassero in una generale, che
-costituiva una potenza mercantile, e che per ambasciadori trattava coi
-re e coi baroni, al modo dell’Ansa tedesca. Certamente un _capitano
-dell’università de’ mercadanti lombardi e toscani_ risedeva a
-Montpellier, donde il 1276 re Filippo l’Ardito consentì si trasportasse
-a Nîmes[293], nella carta stessa concedendo che nessun membro d’essa
-università potesse citarsi ad altro tribunale che al regio; morendo, i
-loro beni passino agli eredi; non soffrano del diritto di naufragio;
-vadano esenti dalle guardie, dalle taglie, dai servizj militari. Nel
-1293 al Bourget in Savoja stipulavasi una salvaguardia tra Lodovico
-di Savoja signore di Vaud, e l’università dei mercanti di Lombardia,
-Toscana, Provenza, rappresentata da procuratori de’ mercanti di Milano,
-Firenze, Roma, Lucca, Siena, Pistoja, Bologna, Orvieto, Venezia,
-Genova, Alba, Asti, Provenza (Cibrario). Nè ignota era la società
-d’accomandita, per cui uno dà a trafficare una somma, partecipando
-agli utili interi, ma alle perdite soltanto fin all’ammontare del
-prestato[294]; e con decreto del 1315 Luigi X di Francia dichiarava non
-trovare usura in società siffatte, da Italiani istituite.
-
-Le società stipulavano comunemente che le gabelle non fossero
-d’improvviso aumentate ne’ luoghi di passaggio; se qualche nazionale
-o i conduttori facessero ingiuria ai natìi, si punirebbe l’offensore
-senza concedere rappresaglie sopra i mercanti; si terrebbero netti i
-cammini da masnadieri; che se essi od altri danneggiassero, i mercanti
-ne verrebbero rifatti; non si sballerebbero le merci; le quistioni che
-insorgessero, sarebbero definite il giorno medesimo. Inoltre aveano
-chiesa, bagno, piazza, forno, macello, casa, giurisdizione propria,
-talvolta anche criminale. Nel 1189 Pietro re d’Arborea agli uomini di
-Genova assegna in Oristano _tantam terram, qua fabricari possunt centum
-botegas_; poi nel 92 privilegi amplissimi, fra cui promette, se alcun
-legno rompe, farà restituire quanto venisse tolto; se alcun uomo muoja,
-non ne terrà cosa alcuna benchè intestato.
-
-Nel 1169 Boemondo III principe d’Antiochia dona ai Genovesi tutto
-ciò ch’essi tengono in Antiochia e Laodicea e nel porto di Seleucia:
-cioè in Antiochia una ruga colla chiesa di San Giovanni; in Laodicea
-il fondaco e la strada che lo cinge, e terza parte delle rendite del
-porto; come anche in Seleucia. E se farà altri acquisti, concederà
-quello stesso che hanno in Laodicea; se qualche ingiuria ricevano,
-e’ ne vorrà accomodamento e giustizia fra quaranta giorni; sieno
-licenziati a negoziare in qualunque terra egli acquisti col loro
-soccorso: il che tutto fa per consiglio de’ baroni suoi, perchè
-molto ama i Genovesi, e desidera frequentino al possibile la terra
-di lui e vi dimorino. Pel qual privilegio Lanfranco Alberico, uomo
-nobilissimo, e legato del senato e de’ consoli, per sè e pel Comune
-della famosissima città di Genova gli promettono ajutarlo, crescere le
-sue possessioni e difenderle[295].
-
-In qualche luogo, come a Tiro, i Genovesi partecipavano del diritto
-di catena che pagavasi da ogni nave entrando o uscendo. Secondo lo
-spirito d’esclusione d’allora, ciascuna compagnia affaticavasi non
-meno a vantaggiare se stessa che a deprimere le altre, e col monopolio
-assicurarsi ingenti guadagni[296]. Di simili trattati una gran
-quantità troviamo sia delle città fra loro, sia de’ principi, che vi
-s’affrettavano perchè assicuravano ai loro paesi un lucroso passaggio:
-ma spesso più che le grida e i tribunali valeva l’opera del papa, che
-con interdetti e scomuniche puniva i violatori.
-
-La quantità de’ pirati, massimamente barbareschi, cagionava che il
-commercio non procedesse senz’armi, anzi ogni nave era obbligata uscire
-ben munita. A Genova per legge del 1291 era multato in dieci lire il
-mercante che navigasse oltre Portovenere senza buone armi per sè e pei
-servi, e cinquanta verrettoni nel turcasso. A Venezia ogni marinajo
-dovea recarsi elmo di cuojo e di ferro, scudo, giaco, coltello, spada
-e tre lancie; se ricevesse più di quaranta lire di stipendio, vi
-doveva aggiungere la panciera; ed anche balestra e cento saette il
-nocchiero[297]. Pertanto vedemmo i nostri negozianti prendere tanta
-parte alle crociate e far conquiste, od esercitare in mari lontani le
-ire fratricide della patria.
-
-Anche le compagnie di commercio terrestre provvedeano colle armi alla
-propria sicurezza, e talora le adopravano in guerra. Alberto Scotto,
-famoso tiranno di Piacenza, era alla testa di una grossa _compagnia
-degli Scotti_, che nel 1299 ottenne di negoziare cogli agenti del re di
-Francia sulle fiere della Brie e della Sciampagna; la qual compagnia,
-composta di quattrocento cavalli e millecinquecento pedoni, poco poi
-guerreggiava a’ servizj d’esso re[298].
-
-La maggiore importanza consistette sempre nel commercio di mare. Lo
-scadimento di Roma crebbe vita a Costantinopoli, la quale stendendo
-la destra verso l’Arcipelago, la sinistra al Ponto Eusino e alla
-palude Meotide, coll’Asia Minore in faccia e l’Europa alle spalle,
-pare destinata centro ai negozj di tutto il nostro emisfero. Le
-merci d’Oriente vi erano condotte dall’Egitto, o i Bisantini medesimi
-andavano cercarle nell’India, nella Persia, fors’anche nella Cina. Il
-primo irrompere degli Arabi divenuti maomettani non potea che rovinare
-il commercio: ma poi essi medesimi vi si applicarono dovunque estesero
-la conquista; fondarono Bàssora, che tolse il vanto ad Alessandria;
-coll’occupare l’Egitto, interclusero ai Bisantini il mar Rosso,
-obbligandoli a provvedere da loro le ormai indispensabili derrate
-dell’India, o a questa rivolgersi per una traccia lunghissima, salendo
-fino a Kiof in Russia.
-
-Le crociate, cominciando a far guardare l’Europa come una sola nazione,
-unirono gli uomini a concordi imprese, gli avvicinarono ai paesi
-delle derrate preziose, guadagni e privilegi e occasioni accrebbero
-alle città marittime, che collo stendardo della croce protessero le
-speculazioni. Poi le frazioni feudali agglomeravansi in nazioni;
-e i Comuni sorgevano a quella libertà, che dà coraggio a cercare
-i miglioramenti; e Amalfitani e Pisani in prima, poi Genovesi e
-Veneziani si resero i principali, se non gli unici fattori del traffico
-europeo[299]. Dal settentrione per la Piccola Tartaria vettureggiavano
-canapa, legname, gòmene, pece, sego, cera, pelli, molti trattati
-conchiudendo coi Mongoli successori di Gengis-kan e di Oktai, che
-aveano conquistato la Russia, la Polonia, l’Ungheria e la Moldavia, e
-da cui compravano il bottino e schiavi. Impediti d’andare nell’India
-per l’Egitto, vi si spingeano pel mar Maggiore, come chiamavano il
-Nero, nel quale il Tanai, il Boristene, il Dniester, il Danubio portano
-le variatissime produzioni di estesissime contrade, mal accessibili per
-terra. Ivi principale posatojo era la Tana, cioè Azof, all’imboccatura
-del Don, ove da un lato si aveva la Moscovia, dall’altro l’Armenia,
-l’Arabia, la Persia, per cui poteasi arrivare al Mogol e alla
-Cina; e vi teneano cànove Genova, Venezia, Firenze e altre città. I
-Veneziani per giungere dalla Tana a Catai doveano lasciarsi crescere
-le barbe, e avere un buon interprete e servigiali che sapessero di
-tartaro; ordinariamente un mercante portava seco in denari e merci per
-venticinquemila ducati d’oro; e trecento a trecencinquanta bastavano al
-viaggio fino a Peking, compresi i salarj degl’inservienti (Pegolotti).
-
-Costantinopoli, oziosa e corrotta capitale d’uno Stato senza
-industria, considerava il commercio men tosto come elemento di
-pubblica prosperità, che come rendita fiscale; onde le speculazioni
-di quell’immenso mercato rimanevano a stranieri. Perciò Veneziani e
-Genovesi, dapprima tollerati, presto furono trovati utili, infine
-necessarj; e i deboli imperatori, per mantenersene la vacillante
-amicizia, non conoscevano altro spediente che rinnovare e spesso
-estendere i loro privilegi. Ne rampollarono calde rivalità fra Genova
-e Venezia, che vedemmo combattute nei mari nostri e negli orientali.
-La conquista di Costantinopoli pei Crociati dava la prevalenza ai
-Veneziani? i Genovesi favorivano Michele Paleologo a distruggere
-l’impero latino; ed esso in compenso privilegiò la loro colonia di
-Galata, che spesso giovò, spesso incusse timore all’impero greco.
-
-Genova, posta quasi nel mezzo della costa che archeggia dalla Sicilia
-allo stretto Gaditano, avendosi dinanzi il Mediterraneo, da un lato la
-Provenza e la Francia, dall’altro l’Italia meridionale, a spalle la
-pingue Lombardia, a fronte Corsica e Sardegna, Spagna ed Africa, con
-poco ed ingrato terreno, con mare scarso di pesci, mostrasi predisposta
-al commercio, che di fatto vi è antico quanto lei. Le emulazioni
-con Pisa, con Venezia, coi Catalani ne svilupparono la marittima
-abilità ed il caratteristico coraggio: marinaj più intraprendenti
-de’ suoi dove trovare? molti per proprio conto assumevano spedizioni
-e conquiste, talora approvati dal Governo, talaltra abbandonati alle
-forze particolari, secondo portava il pubblico interesse o la fazione
-dominante. I dossi erano ancora vestiti di pini e d’abeti, e nel 1822
-dal solo bosco di Bajardo presso Triora bastò legname per trentotto
-galee; da quello di mont’Ursale a Pareto per dieci ogni anno (Serra).
-E preti e nobili negoziavano; molteplici le società, ove i ricchi
-mettevano denari, i poveri l’opera: se non che l’infellonire delle
-fazioni tolse a quella repubblica di cogliere tutti i vantaggi che le
-avrebbero procurato tanta abilità degli ammiragli, tanta intrepidezza
-delle ciurme, tanto spirito intraprendente, tanti capitali.
-
-L’acquisto più famoso di Genova in Levante fu la Gazarìa. Sulla
-penisola della Tauride, bagnata dal Ponto Eusino e dalla palude Meotide
-o mare delle Zabacche, nel giro di ben settecencinquanta miglia, e
-per l’istmo di Perekop, largo un miglio, unita ai paesi del Boristene
-e del Bog e alle steppe della Tartaria Nogaja, già per l’opportunità
-gli antichi Greci aveano piantato colonie, vinte da Mitradate, poi
-dai Romani. Fu occupata da successive genti barbare, e massime dagli
-Slavi Cazari, dai quali il nome di Gazarìa. Soggiogata dai Tartari nel
-1237, un loro principe la vendette ai Genovesi nel 61, che vi assisero
-colonie per tutto, e principalmente a Caffa. Questa, situata sul
-lembo orientale della penisola, a piè de’ monti che fanno cintura alla
-medesima, già era colonia greca, poi illustre col nome di Teodosia,
-finchè non cadde in ruine, fu ristorata e munita dai nuovi padroni, i
-quali con titolo di magazzini fecero case basse, poi le fortificarono
-senza far mostra, siccome gl’Inglesi a Bengala. Ivi preso buon avvio,
-le alture vicine roncarono a viti, insegnarono a depurare la soda
-dalle ceneri dell’atrepice laciniato, ivi abbondantissimo, ed estesero
-i vantaggi del commercio. Il vecchio Crim, che sedeva sull’opposto
-pendìo, e dove i Tartari recavano le loro prede, salì per questi vicini
-in tale aumento, che a tutta la penisola venne il nome di Crimea, e da
-trecentomila abitanti arrivò ad un milione.
-
-A Caffa i Genovesi trovavansi in casa propria, esenti dai capricciosi
-dazj de’ Barbari cui erano esposti alla Tana, e a milletrecencinquanta
-miglia dalla patria aveano un porto nazionale ove deporre le merci
-e raddobbarsi, mentre desse luogo la stagione malvagia. Coi soliti
-vantaggi de’ popoli colti fra i Barbari, annodarono relazioni di
-commercio e di politica, ai cittadini diedero magistrati proprj e
-statuti e moneta, e piantarono una missione. Il console Donadeo Giusti
-la fe cingere di mura; nel 1383 Leonardo Montaldo doge vi faceva
-una seconda cinta; e tanto ingrandì, che i Turchi la denominavano
-Costantinopoli di Crimea (_Krim Stamboul_); vent’anni appena dopo
-fondata, spediva tre galee a soccorrere Tripoli di Soria; nel 1318 vi
-era insediato un vescovo, con giurisdizione dalla Bulgaria al Volga,
-dalla Russia al mar Nero.
-
-A mezzodì e a settentrione del seno di Caffa due altri se n’addentrano.
-Nel primo è Sodagh o Soldaja, con poggi a viti preziose, e terebinto,
-e pietre da macine. I Genovesi vi fabbricarono una torre di
-difficilissimo accesso, e attorno a quella le proprie case e mura.
-Avanzando ancora a meriggio si volta il capo d’Ariete (_Kriu-metopon_),
-oggi Ajù; poi piegando a ponente è il Portus Symbolorum, detto
-Cimbalo dai nostri, ed oggi Balaklava, dove i Genovesi posero colonia,
-opportuno ricovero alle navi del ponente. Dietro a Cimbalo, tra Lusen
-e la Lombarda, la Gozia ricordava col nome i Goti, e quivi, dove le
-strade vengono a incrociarsi, i Genovesi eressero l’inespugnabile
-Mankup. A settentrione si scende in un piano irrigato dall’Alma, ove i
-kan della Crimea fabbricarono Bakciserai; e tutt’intorno vi rimangono
-vestigia di case e villaggi genovesi.
-
-Da Caffa volgendo a settentrione, si trova Cerco alle falde del monte
-ove stava Panticapea, camera dei re del Bosforo, sporgendosi fra
-l’Europa e l’Asia; e i Genovesi non trascurarono di fortificarlo,
-chiudendo quel varco tra il mar Nero e quello delle Zabacche. Di colà
-si spinsero entro le foci del Danubio, presso Chiliavecchia posero un
-castello, e profittavano della pesca dello storione; alle foci del
-Dniester aveano in Ackerman stabilimenti pel sale e la pesca, e per
-ricevere grani dalla Polonia; sul lido opposto, a Sinope pescavano
-il palamide, che seccato fa vece di baccalare. Giunsero poi anche a
-farsi padroni della Tana, in fondo alla palude Meotide[300]; ma nessuno
-storico accenna il quando e il come di sì importante acquisto. Forse
-quella città posseduta dai Tartari fu, nelle sconfitte di questi,
-distrutta da Tamerlano, e i coloni genovesi da Caffa vi accorsero e la
-rialzarono verso il 1400.
-
-Chi vide testè (1855) tutta Europa combattersi pel possesso di
-quel mare e per voler aperto il passo dei Dardanelli, comprenderà
-l’importanza che allora v’annetteano i Genovesi; tanto più che allora
-ignoravasi la via più diretta alle Indie.
-
-La repubblica genovese, fiaccata dal continuo traspeggio, cedette la
-Gazarìa al banco di San Giorgio, del cui senno restano bel monumento
-gli _statuti_ che le diede. Ordinata a sembianza della metropoli,
-presedeva all’amministrazione un console annuo con un cancelliere,
-nominati a Genova, e che prestavano cauzione. Rappresentava la colonia
-un consiglio di ventiquattro, rinnovato ogni anno dai membri uscenti,
-e che sceglieva un piccolo consiglio di sei, fuori del suo grembo; non
-più di quattro borghesi di Caffa potevano aver parte nel primo, due
-nel secondo; alcuni posti pei nobili, altri per i plebei. Il console
-arrivando dava ai ventiquattro il giuramento, e tosto facea procedere
-alla loro rinnovazione; governava col piccolo consiglio, senza cui non
-poteva imporre taglie nè fare spese straordinarie; non avere traffici
-per proprio conto, nè ricever doni. Il cancelliere, scelto dal Governo
-fra i notari di Genova, rogava gli atti e apponeva il suggello.
-L’uffizio della campagna rendeva giustizia ne’ contratti de’ coloni coi
-liberi confinanti.
-
-Così da Costantinopoli, da Caffa, dalla Tana, Genova esercitava il
-commercio col Levante mediante una sequela di scali, che giungevano
-fino alla Cina da una parte, dall’altra all’India lungo il golfo
-Arabico, sul quale sembra le fosse interdetto veleggiare. Altri n’aveva
-in tutta la Romania, la Macedonia e l’Arcipelago; e nominatamente a
-Scio, una delle isole Sporadi, che perduta, fu recuperata da Simon
-Vignoso con galee fornite da nove famiglie, unitesi poi nella _maona_
-o ditta de’ Giustiniani, dal nome della famiglia ch’era creditrice
-di trecentomila scudi d’oro; la repubblica ne lasciò loro il dominio,
-che conservarono fino al 1556. Scio avea ben centomila abitanti; e il
-mastice che geme dai lentischi, e che si masticava per tener belli
-i denti e grato l’alito, dava esercizio a ventidue villaggi, se ne
-vendeva un milione e mezzo di libbre l’anno, e il decimo che toccava
-all’erario era valutato dall’imperatore Cantacuzeno ventimila bisanti,
-o vogliam dire zecchini. Da esso e dalle gabelle provenivano annui
-cenventimila scudi d’oro (sei milioni d’oggi), che si ripartivano
-fra le famiglie compadrone a misura del capitale impiegato; al quale
-si proporzionavano pure i voti nel governo. In un trattato del 1431
-i Genovesi assentirono al soldano di trarre da Caffa schiavi; e La
-Brouquière ne’ suoi viaggi in Asia incontrò un Genovese che trafficava
-di quest’esecrabile merce.
-
-Nell’Anatolia possedevano Smirne, produttrice di sete, cotoni,
-ciambellotti, olj, scamonea; e Focea nuova e la vecchia, donde veniva
-l’allume. Da Cipro traevano legname, canape, ferro, grano, zuccaro,
-cotone, olj, oltre le derivazioni dall’Oriente. In Italia due magazzini
-a Mutrone erano stati donati a Genova dai Lucchesi, per deporvi il
-sale e le lane; cave d’allume attivò presso a Portercole; dall’alta
-Italia richiedeva produzioni e manifatture da barattare; dominava anche
-in Corsica, Sardegna, Malta, Sicilia; e la prima le dava eccellente
-legname, cacio, vini, pescagione, soldati; l’altra grani, sardoniche,
-tonni, sardine, oro e argento; Malta frumento, agrumi, cotoni; la
-Sicilia sale, seta, cotone, oro, e ogni ben di Dio[301]: dalle Baleari
-toglieva sale; e di due borse che avea Majorca, l’una era comune a
-tutte le nazioni, l’altra speciale de’ Genovesi.
-
-Savona, Oneglia, Albenga, Monaco, Ventimiglia, altre città della
-Riviera formavano Stati indipendenti: pure Genova esercitava fino
-a Nizza un protettorato, che le procurava relazioni abituali con
-Marsiglia per mare e per terra, e coi porti della Linguadoca,
-principalmente con Aiguesmortes, che posta fra la Provenza e la
-Linguadoca, col Rodano, colle saline, colle vicinanze di Ales e di
-Sant’Egidio, rinomati per la coltivazione del chermisi, prosperava
-più che Marsiglia finchè le alluvioni non la separarono dal mare.
-Raimondo di Tolosa che n’era signore, donò ai Genovesi casa e fondaco
-in Sant’Egidio, una strada di Arles, il castello di Torbìa, la metà di
-Nizza, parte di Marsiglia, metà delle dogane, e il commercio esclusivo
-ne’ suoi porti. Sulle popolose fiere di Sciampagna, Genova spacciava le
-droghe e raccoglieva lane[302]. Case avea pure sulle coste dell’Oceano,
-del Belgio, dell’Inghilterra; e documenti del 1316 e 35 attestano
-che portava mercanzie, e specialmente allume, in quell’isola: così
-colla Spagna, a malgrado de’ Catalani, i soli che in mare reggessero
-a concorrenza co’ nostri; e dall’Andalusia traeva frutti, da Siviglia
-biade, olio, liquori, dalla Castiglia piombo, lane, allume, dalla
-Catalogna vino, frumento, sparto da tessere stuoje. Fin dal 1236 facea
-trattati coi Barbareschi della costa africana per garantire i naufraghi
-e proteggere il proprio commercio; teneva una cancelleria di lingua
-arabica per agevolare le corrispondenze con quel litorale, e nel 1274
-fu assoldato Asmeto di Tunisi perchè insegnasse il parlar arabo[303].
-Tunisi era il suo scalo primario, come per l’Europa occidentale Nîmes,
-Aiguesmortes, Majorca.
-
-Ne’ porti di Marocco e dell’Andalusìa rinfrescavano le navi prima di
-uscire nell’Oceano per calarsi fino al capo Non, o salire alle rade
-belgiche o britanne[304]. Dal Baltico le nostre bandiere erano escluse
-dalla lega Anseatica, gelosa di conservare il monopolio delle derrate
-di Russia: le tele, i merletti, l’acciajo, il salnitro, i fornimenti
-di cavalli, le mercerie di Germania andavano a caricare sul Reno, per
-deporle ne’ magazzini di Bruges e d’Anversa. Al tempo della guerra
-di Chioggia un ammiraglio veneto nelle acque di Rodi diede la caccia
-ad un naviglio genovese carico di mussoline, drappi di seta, d’oro e
-d’argento, del valsente di quindicimila ducati; un altro prese due navi
-catalane, cariche per conto di Genovesi, delle quali l’una portava per
-ventimila ducati veneti, l’altra per quarantamila.
-
-Genova dunque teneva le tre grandi vie del commercio dell’Asia centrale
-e dell’India; di cui la prima sboccava al mar Nero pel Caspio e il
-Volga; la seconda a Lajazzo, l’antica Isso, pel golfo Persico, Aleppo
-e l’Armenia; la terza ad Alessandria pel mar Rosso e l’Egitto; e per
-quelle cambiava le seterie della Cina, le spezie, i legni tintorj,
-il cotone, le gemme dell’India, i profumi dell’Arabia, i tessuti
-di Damasco, i panni di Tarso, lo zuccaro, il rame, le tinture di
-Levante, l’oro e le piume dell’Africa interna, le pelli, il canape,
-il catrame, il caviale, il pelo di castoro, le antenne, i legni di
-costruzione dell’Europa settentrionale, i grani di Tunisi, della
-Sicilia, della Lombardia, cogli olj, i vini, i frutti secchi delle
-Riviere, con armi di lusso, coi coralli lavorati a Genova, colle
-tele di Sciampagna, con lacca, piombo, stagno d’Inghilterra, coi
-prodotti insomma di tutta Europa. Aveano (dice press’a poco il Serra)
-traffico e dominio in tutta la Liguria marittima da Corvo a Monaco,
-e nell’isola di Corsica: provvedevano di sale i Lucchesi; la parte
-occidentale della Sardegna riceveva le loro leggi o quelle de’ principi
-loro amici; visitavano Civitavecchia e Corneto, emporj di vettovaglie
-nello Stato ecclesiastico; nel Regno, lor principale abitazione dopo
-Napoli era Gaeta; e se non vennero a capo de’ loro disegni sopra la
-Sicilia, furono sempre in gran numero a Messina, Palermo, Alciata. Nel
-mare orientale d’Italia frequentarono Manfredonia, Ancona, e negli
-intervalli di pace anco Venezia. In Ispagna, i conti Berengarj di
-Catalogna divisero seco la città di Tortosa; i re di Castiglia, quella
-d’Almeria, e poichè ebbero perdute od alienate ambedue, onorevoli
-convenzioni tanto co’ regni cristiani della Spagna, quanto co’
-Mori aprirono loro tutti i porti marittimi e i mercati mediterranei
-della ricca penisola. Ne’ Paesi Bassi, Bruges poi Anversa accolsero
-onorevolmente le loro compagnie, le quali non solo v’accumulavano
-roba, ma l’avviavano ancora in Danimarca, Svezia, Inghilterra, Russia,
-Germania: i loro navigli entravano nel Reno carichi di merci orientali.
-
-L’Egitto era più frequentato dai Veneziani; tuttavolta i Genovesi non
-lasciavano di far mercato in Alessandria, in Rosetta, in Damiata, di
-stabilirsi anche al Gran Cairo, e di stringere paci favorevoli con
-que’ soldani. Nel Levante la colonia di Pera soprantendeva mediante
-i suoi magistrati alle parti meno distanti, quella di Caffa alle più
-lontane. Sotto la prima erano la marca de’ Zaccaria, la Focide de’
-Gattilussi, l’Acaja de’ Centeri, un tempo la Canea in Candia, poi molte
-isole e porti nell’Arcipelago, Famagosta e Limisso con altri luoghi in
-Cipro, Cassandria, Ainos, Salonichi, la Cavalla nella Macedonia, Sofia,
-Nicopoli e altre in Bulgaria, Suczava in Moldavia, Smirne e Fochia
-vecchia e nuova nell’Asia Minore, Altoluogo e Setalia ne’ Turchi, Kars,
-Sisi, Tarso, Lajazzo nelle due Armenie, e finalmente Eraclea, Sinope,
-Castrice ed Ackerman nel mar Nero. Dipendeano dal governo di Caffa
-i possessi di Gazarìa, Taman colla sua penisola, Copa in Circassia,
-Totatis in Mingrelia, Kubatscka nel Daghestan, il castello vicino a
-Trebisonda, il fondaco in Sebastopoli, il gran mercato della Tana,
-e tutte le carovane indirizzate verso il settentrione ed il centro
-dell’Asia. Il consolato di Tauris in Persia, forse indipendente dagli
-altri, dovea promovere e reggere il traffico dell’Asia meridionale;
-ove il provvedimento più notabile era, che i mercatanti genovesi non
-facessero società con forestieri.
-
-Principalmente l’Inghilterra tenevasi legata co’ Genovesi, e i più
-bellicosi suoi re Edoardo III ed Enrico V ne mostrarono speciale
-benevolenza, adoprandoli in luminosi impieghi, rifacendoli delle offese
-dei corsari. Enrico VI avea proibito d’asportare le lane d’Inghilterra
-e Irlanda se non per Calais, città francese allora acquistata
-all’Inghilterra, e ch’egli voleva ingrazianire con tal privilegio; ma
-ne tenne eccettuati i mercanti genovesi, veneti e fiorentini. Quando
-si sottopose ai re di Francia, Genova si trovò chiusa quell’isola,
-nemica a questi; pure vi mandò ambasciadore Giovanni Serra, il quale
-vide le contese fra gli York e i Lancaster, e ammesso all’udienza, sì
-bene esaltò la pace e i vantaggi del commercio fra le nazioni colte, e
-la benevolenza dell’Inghilterra verso Genova, che i grandi proruppero
-in applausi, e il re volle fosse scritto quel discorso, e messo come
-proemio della nuova pace, dove ai Genovesi concedeva d’approdare con
-fattori e servigiali, purchè francesi non fossero, e d’introdurre
-ed estrarre mercanzie colle antiche norme, purchè nè di forze nè di
-consigli sovvenissero ai nemici d’Inghilterra, come questa farebbe
-coi nemici di Genova. Presto quel regno, secondo i meschini concetti
-d’allora, credendo prosperare il proprio col restringere il commercio
-altrui, vietò di asportar lane o d’importare seterie; eppure le cinture
-di Genova rimasero eccettuate, e pei panni fu mestieri cercare il guado
-dai Genovesi.
-
-Accuratissima politica si voleva per reggere in pace con nazioni di
-così varia civiltà eppur farsi rispettare; e vedemmo come i Genovesi
-destreggiassero in faccia ai Musulmani. Sulle coste di Barberia le
-frequenti mutazioni di dinastie o di tribù dominanti sospendeano le
-buone relazioni, ma tutti s’affrettavano a rannodarle. Si parve sul
-punto d’aprir guerra con essi allorchè Filippo Doria ammiraglio prese
-e saccheggiò Tripoli, portandone via settemila schiavi e un milione
-ottocentomila fiorini d’oro, poi la vendette a un Saracino; ma il
-Governo genovese dichiarossi estraneo a quel fatto, e lo disapprovò.
-
-Fortunata Genova se di tanta prosperità avesse saputo vantaggiare! Ma
-incessanti accozzaglie interne toglievano di provvedere con saviezza
-al commercio; non per pubblica utilità, ma per emulazione di parti
-si cresceva il debito pubblico, e l’uffizio di San Giorgio, che dovea
-porvi rimedio, diveniva anzi una comodità a crescerlo: siccome incontra
-nelle gravi malattie che i medicamenti riescano pregiudicevoli.
-Pure quel banco attestava che la parte più sana dell’irrequietissima
-repubblica furono sempre i negozianti, rimanendo esso una delle più
-notevoli istituzioni finanziarie del medioevo; oltre rendere servigi
-eminenti allo Stato, potè accomodare nazionali e stranieri, privati
-e principi; da papi e imperatori ne erano confermati i privilegi, che
-ogni senatore entrando in carica giurava mantenere; gli otto protettori
-delle compere erano sempre dei cittadini migliori, troppo importando
-godessero ottima reputazione coloro a cui e nazionali e stranieri
-affidavano le proprie fortune; davano parere in tutte le disposizioni
-di governo e di utilità comune, allestivano navi per conto del banco,
-conquistavano e governavano, quanto fino ai dì nostri la compagnia
-delle Indie, e ad essi furono cedute le colonie di Levante e la
-Corsica.
-
-Il sinistrare degli stabilimenti di Levante nocque tanto più a Genova,
-perchè le sue riviere non bastavano a provvederla di marinaj. Altre
-nazioni entrarono seco in gara di mercati, e fu tutto a scapito di
-essa l’incremento di Firenze. Pure molti profitti facevano ancora i
-Genovesi: Bartolomeo Pellegrini coll’allume e col mastice divenne il
-mercante più poderoso in Levante, e Bajazet I l’accettò mallevadore per
-riscatto del conte di Nevers e di ventiquattro altri signori francesi,
-rimasti prigioni nella battaglia di Nicopoli[305]; Antonio Sauli
-sull’appalto del sale in Genova e in Lucca talmente lucrò, che potè a
-Carlo VIII prestare novantacinquemila scudi d’oro; i suoi discendenti
-fabbricarono la magnifica chiesa e il ponte di Carignano.
-
-Venezia, dopo l’infausta guerra coi Genovesi, avea dovuto umiliarsi
-a un trattato, che per tredici anni le proibiva di penetrare con
-navi armate nello stretto dei Dardanelli, per modo che vedevasi quasi
-intercise le vie del commercio per l’Alta Asia e i paesi del Caucaso:
-ma presto si tolse di sotto il rasojo, e l’ammiraglio Giustiniani,
-assalita Costantinopoli, ottenne nuovi privilegi. Ai Genovesi fu
-apposto di essere rimasti indifferenti spettatori di quella lotta,
-sebbene l’imperatore avessero lusingato di soccorsi: in realtà essi
-pensarono trar partito dal terrore di questo, e gli fecero veduto che,
-per metterli in grado d’ajutarlo efficacemente in nuovi frangenti,
-era d’uopo conceder loro maggiore estensione di territorio. Un atto
-di delimitazione del 1303 ed un trattato del 1304 ampliarono di fatto
-i privilegi della colonia di Gàlata, situata così da comandare il
-passaggio al mar Nero; e la dogana de’ Dardanelli fruttava all’impero
-greco trentamila pezzi d’oro, ducento settantamila ai Genovesi.
-
-Questi diedero mano all’imperatore contro gli avventurieri Catalani,
-i quali osarono fin assalire la capitale e piantarsi a Gallipoli,
-dond’essi riuscirono a snidarli: lo sorressero pure contro i Turchi,
-che si faceano sempre più vicini. L’incessante squarciarsi di Genova
-pregiudicava anche allo stabilimento di Gàlata, le guerre impedivano
-d’approvvigionarla, e fu volta che i Ghibellini fecero intesa coi
-Turchi per sinistrare quei loro compatrioti.
-
-Sempre aveano Veneziani e Genovesi gareggiato a chi ottenesse maggiori
-privilegi dall’imperatore di Costantinopoli, perciò palpeggiando
-e favorendo ora un competitore or l’altro. Venezia non faceva che
-rinnovare i trattati precedenti, che col nome di tregue duravano
-cinque o dieci anni[306]: ma i Genovesi, padroni di Gàlata a fianco
-di Costantinopoli, aveano mezzo di farsi rispettare; onde ogni nuovo
-trattato fruttava una concessione nuova. In quello del 1382 stipularono
-non essere tenuti a servire in armi l’impero greco, nè tampoco per
-recuperare fortezze prese o assediate dai Turchi; volendo con questa
-neutralità sfuggire l’inimicizia di que’ nuovi potenti.
-
-Ad Enrico Dandolo doge e storico di Venezia fanno gloria di aver
-riaperto l’Egitto con un’ambasciata spedita a quel soldano, offrendosi
-mediatore di una discordia suscitatasi coi Tartari. I Veneziani
-s’impancarono principalmente ad Alessandria, ove le merci dell’India
-giungeano sui camelli traversando il dosso che divide il golfo Arabico
-dal Nilo, un cui canale agevolava le comunicazioni col mar Rosso e col
-Cairo. A questo annue carovane dall’Africa interna portavano gomme,
-denti d’elefante, tamarindi, papagalli, penne di struzzo, polvere
-d’oro, Negri: di là partiva quella per le città sante d’Arabia, e
-l’altra pel monte Sinai, occasioni di utili permute: colle carovane
-molti Europei attraversavano l’Egitto; ma i negozianti che afferrassero
-ad Alessandria, erano tenuti ben d’occhio, levate le vele e il timone
-delle navi, registrati i nomi. I Mamelucchi, unica entrata avendo le
-gabelle, favorivano i Veneti; e di rimpatto ne riceveano ogni riguardo:
-ma venivano urti? ecco i nostri apparir sulle coste in minaccioso
-apparato, come oggi costuma l’Inghilterra.
-
-Dispensati dalla scomunica contro chi portasse ai nemici della fede
-legname da costruzione, grani ed armi, i Veneziani continuarono sempre
-regolari comunicazioni coi Musulmani, tenendo console ad Alessandria,
-banchi nella Siria, trattati coi Barbareschi[307]. Dai quali anche
-altri de’ nostri ottennero privilegi e franchigie; i Pisani dal bey
-di Tunisi ebbero l’isola di Tabarca, dove pescare il corallo, e altri
-mandritti dall’imperatore di Marocco.
-
-Anche in Armenia soli i Veneziani introducevano i camelotti ed
-estraevano il pelo delle capre d’Angora, con esenzione da gabelle,
-magistrati proprj, assoluta franchigia per le merci che, tratte da
-Tauris e dalla Persia, traversavano il paese. Di questo tragitto
-profittava Trebisonda per popolarsi di numerose colonie, trafficanti di
-spezierie. I Veneziani v’ebbero un quartiere con propria giurisdizione,
-donde spingeansi alla Persia e alla Mesopotamia, privilegiati di libero
-passo, e di banchi per giro di cambj e traffico di vino.
-
-Crebbero poi di stabilimenti sulle coste della Grecia, nella
-Propontide, a Adrianopoli, in buona parte del Peloponneso, e in
-molte isole e porti della Morea sin in fondo all’Adriatico; a loro
-cittadini investivano come feudo le isole di Lenno, Scopelo, quasi
-tutte le Cicladi; acquistarono Negroponte; s’interposero con vantaggio
-nelle discordie domestiche degl’imperatori bisantini, e di questi
-coi Genovesi di Gàlata. Ma l’antica preponderanza nel mar Nero più
-non recuperarono, e per avervi accesso patteggiavano cogli Stati in
-riva al Danubio il dritto di traversarli, talchè il commercio colla
-Germania, coll’Ungheria, colla Polonia, colla Russia, le alleanze coi
-Bulgari e coi Danubiani fino alla Tauride, gli scali in tutta Italia,
-in Francia, in Spagna, in Fiandra, in Inghilterra, insomma da Astrakan
-fino all’Africa interiore, offrivano rilevantissimi guadagni, a ristoro
-del popolo, al quale, dopo la metà del secolo XIV, restava privilegio
-il commercio, escludendone i nobili, di cui invece era privilegio il
-governo.
-
-Dappertutto mantenevansi consoli o balii che assicurassero rispetto
-alla patria, e protezione e pronta giustizia ai concittadini. Quel di
-Costantinopoli, che era insieme internunzio della repubblica, giudice
-de’ Veneziani e ispettore del commercio, portava i calzari scarlatti
-come l’imperatore, usciva colle guardie, esercitava piena giurisdizione
-sulla colonia, e dopo presa quella città dai Turchi tenne in protezione
-altre genti, massime Armeni ed Ebrei.
-
-Il doge Renieri Zen fece da Nicolò Quirini, Piero Badoer e Marco
-Dandolo compilare un codice di navigazione e commercio (_Statuta et
-ordinamenta super navibus et lignis aliis_) con egregi provvedimenti,
-semplicità, esattezza e brevità imitabili; prescrivendo il modo degli
-armamenti, il giuramento de’ marinaj, i doveri de’ patroni o de’
-consoli, il carico, le provvigioni, il prezzo del tragitto, e le armi
-e bandiere; tipo di tutta la legislazione marittima. Era prefinito
-il numero delle navi e delle persone, quando prendere il mare, dove
-sbarcare, quali e quante merci trasportare nell’andata e nel ritorno.
-Gli oggetti da cambiare con merci asiatiche, non doveano tasse, o
-moderatissime.
-
-Della prosperità di Venezia buon testimonio ci furono i discorsi
-del doge Mocenigo (Cap. CXV); donde ci apparve come, uscente il
-XIII secolo, su trecento vascelli mercantili da ducento tonnellate,
-e su trecento navi grosse salissero venticinquemila marinaj, altri
-undicimila sopra quarantacinque galee, sempre in acconcio d’arme: allo
-scorcio del seguente erano cresciuti a trentottomila sovra tremila
-trecenquarantacinque legni. L’arsenale, cominciato intorno al 1104
-sulle antiche isole Gémole, si dilatò nel 1304, dogando Pier Gradenigo,
-poi nel 1325 e nel 1473 sino a formare quel gran complesso, che comanda
-l’ammirazione ancora cadavere. Veniva governato da due magistrature
-di senatori: cioè tre sopravveditori per l’alta ispezione, tre patroni
-che ordinavano i lavori e vi sorvegliavano, e dormivano in tre palazzi
-contigui all’arsenale, detti Paradiso, Purgatorio, Inferno. Gli
-arsenalotti formavano la guardia del corpo del sovrano; popolazione
-numerosa[308], devotissima alla Signoria, da cui riconosceva il suo
-bene stare.
-
-Le isole e le coste di Levante provvedeano abbondanza di legname:
-ristretti poi que’ possedimenti, e sovratutto dopochè i Turchi
-occuparono l’Albania e la Schiavonia, fu mestieri rifornirsene ne’
-proprj possedimenti: e certo già prima del 1479 servivano i boschi di
-Montello nel Trevisano e di Montone nell’Istria, tanto rinomati finchè
-la barbarie diplomatica de’ giorni nostri non gli annichilò.
-
-Di cinque sorta galee usava Venezia: le grandi pel viaggio di Fiandra
-e Inghilterra, altre diverse per la Tana e Costantinopoli, le sottili,
-le navi quadre, le latine[309]. Famose ne erano le caracche. Abbiamo da
-Giovan Villani che Genovesi e Veneti avendo veduto verso il 1344 alcune
-navi bajonesi passar lo stretto di Siviglia, più sottili ed agili, e
-meglio acconce a fatti d’armi, essi ne fabbricarono di somiglianti;
-lo che fu notevole rivoluzione nella marina. Il Petrarca, dimorando in
-Venezia, vedeva sarpare navigli «simili a monti che nuotino nel mare,
-per trasportare in mezzo a mille pericoli i nostri vini agl’Inglesi,
-il nostro mele agli Sciti, il nostro zafferano, i nostri olj, il nostro
-lino ai Siri, ai Persi, agli Arabi, agli Armeni, e, ciò che appena uom
-crederebbe, la nostra legna agli Achei ed agli Egizj, e ritornare con
-altre merci: veleggiano fin al Tanai, e si lasciano indietro Gade e
-Calpe, creduti confini del mondo occidentale; tanto può sugli uomini la
-sete dell’oro»[310].
-
-Le imprese mercantili erano secondate dalla marina pubblica, spedendosi
-in giro ogni anno venti o trenta galee _del traffico_, capaci di
-mille a duemila tonnellate, e del valore di centomila zecchini
-ciascuna, capitanate da nobili, eletti dal maggior consiglio e dai
-pregadi. Il Governo non ne ritraeva che modico nolo; ma a quel modo le
-teneva esercitate per un’evenienza di guerra, e faceva anche in pace
-rispettare il leone, nel mentre rendevano servizio ai particolari. Di
-esse squadre quella del mar Nero dividevasi in tre: una costeggiava il
-Peloponneso, per ispacciare a Costantinopoli le merci levate da Venezia
-o da Grecia; la seconda dirigeasi a Sinope e Trebisonda nel Ponto
-Eusino, facendo levata delle produzioni asiatiche recatevi dal Fasi e
-dalla Cina[310a]; la terza sorgendo verso settentrione, entrava nel mare
-d’Azof, e nei porti di Caffa procacciava pesci, ferri, antenne, grani,
-pelli, cui dal Caspio, dal Volga, dal Tanai recavano Russi e Tartari.
-L’altra squadra costeggiava la Siria, facendo scala ad Alessandretta,
-a Bairut, a Famagosta, a Candia ricca di zuccaro, e alla Morea. La
-terza metteva dapprima in Armenia e a Lajazzo, che Marco Polo intitola
-«porta de’ paesi orientali», dappoi in Egitto le merci del mar Nero,
-destinate al gran mercato di Tauris, massime schiavi di Georgia e
-Circassia, barattandoli colle derrate del mar Rosso e dell’Etiopia.
-La quarta volgeva alla Fiandra vascelli di dugento remiganti almeno,
-e rinfrescato a Manfredonia, Brindisi, Otranto, in Sicilia caricato
-zuccaro ed altre produzioni dell’isola, ne’ porti africani di Tripoli,
-Tunisi, Algeri, Oran, Tanger facea cogli africani baratto di frumento,
-frutti secchi, sale, avorio, schiavi, polvere d’oro; sboccata quindi
-dallo stretto di Gibilterra, forniva i Maroccani di ferro, armi,
-panni, utensili domestici, costeggiava Portogallo, Spagna, Francia,
-toccava Bruges, Anversa, Londra, e faceva cambj co’ vascelli delle
-città Anseatiche; poi aspettata stagione e mare acconcio, tornava
-libando Francia, Lisbona, Cadice; in Alicante e Barcellona comprava
-sete gregge; e costa costa rivedea la patria, un anno dopo lasciata.
-
-Ogni viaggio di lungo corso dovea prender le mosse e finire a Venezia,
-ove per ciò, nell’intervallo, si depositavano le merci, e venivano
-a cercarle i mercanti mediterranei, in modo che vi durava una fiera
-continuata. Quella dell’Ascensione fin dal 1180 si trova istituita per
-otto giorni; poi divenne delle più famose, avvivata dalle indulgenze
-che s’acquistavano a San Marco per concessione di papa Alessandro III,
-dallo sposalizio del mare, e dall’opportunità della stagione che allora
-chiamava le vele a lunghi viaggi. In quell’occasione si esponevano
-anche capi d’arte, e una popatola, il cui vestire serviva di canone per
-la foggia dell’anno.
-
-I dieci milioni di mercanzia che annualmente asportavano que’
-legni davano due quinti di guadagno; altro ne veniva dal traffico
-mediterraneo. Vedemmo fin dal 1270 Venezia proclamarsi sovrana
-dell’Adriatico, obbligando a contributo tutte le navi che lo
-corressero. Fu generale lo scontento, ma il papa, chiesto arbitro,
-diede ragione ai Veneziani, come che, difendendolo dai corsari
-musulmani, avevano diritto a un compenso: il lodo non chetò gli emuli,
-contro cui essi dovettero munirsi di buone armi. Si assicurarono anche
-il commercio dell’alta Italia coll’acquisto del Friuli, della marca
-Trevisana, del Padovano e di altre piccole signorie, e stipulavano
-vantaggiosi accordi coi vicini, dove non potessero insieme col
-commercio estendere l’impero[311]. Udimmo il doge Mocenigo asserire
-che alla sola Lombardia spediva Venezia per due milioni e settecento
-ottantanovemila ducati, cinquantamila dei quali per gli schiavi,
-oltre il sale; e guadagnava seicentomila ducati annui sui Lombardi,
-quattrocentomila sui Fiorentini. Eppure essa usciva allor allora di
-guerre che l’avevano privata di tanti possedimenti, e minacciata fin
-nelle sue lagune. Poi, malgrado le due guerre contro i Turchi e col
-duca di Ferrara, aveva sì floride finanze, che nel 1490 entravano
-al tesoro per un milione e ducentomila ducati, quasi il doppio dello
-Stato di Milano, e un quarto di quel che fruttava il regno di Francia
-dopo ingrandito da Luigi XI. E a tal punto i Veneziani s’erano resi
-necessarj agl’Italiani, che, qualora essi rompessero le relazioni con
-un popolo, il riducevano a povertà; come avvenne de’ Napoletani, che
-il re Roberto costrinsero a pace col negargli le imposte, asserendo non
-aver più denaro dacchè quelli non comparivano ne’ suoi porti.
-
-L’inglese colonnello Cooper assicurava che fin oggi gli Asiatici dal
-Mediterraneo alla Cina non conoscono altra moneta che lo zecchino
-veneto, nel Yemen è tenuto in gran conto, e gli sceichi ne fondono per
-formarne piccole monete, o ne conservano entro vasi di vetro, laonde
-a Bruce domandarono se soli i Veneziani possedessero miniere d’oro in
-Europa, e supponeano conoscessero la pietra filosofale. Il qual Bruce,
-che al fine del secolo passato spingevasi alla estremità dell’Asia
-e dell’Africa, nel Thama arabico sovra Moka sentiva i nomi di _peso,
-rotolo, cantara, dramma, oncia,_ e ripetuti sull’opposto lido africano
-a Massuah; prova delle relazioni cogl’Italiani, del cui linguaggio è
-principalmente composto quel parlare _franco_, che fin oggi ha corso
-sul litorale di tutto il Mediterraneo.
-
-Or ci si spiega bene la sontuosità del più magnifico corso del mondo,
-il Canal Grande. Andrea Vendramin, che nel 1476 fu il primo doge
-di Venezia non nobile dopo la serrata, era ricco di censessantamila
-ducati; liberale, di gran parentela, ebbe tre maschi e sei figlie, che
-maritò con cinque in settemila ducati, mentre la dote legale era di
-duemila, ma diceva non badare a spesa onde aver generi a suo modo; fu
-gran mercante in gioventù, e di compagnia col fratello facea carico
-d’una galea e mezzo in due per Alessandria, e vantaggiò. Quando nel
-1499 fallirono i Garzoni, molti ripeteano i loro fondi dal banco
-Lipomano per più di trecentomila ducati; onde, sebbene la Signoria
-l’ajutasse di qualche somma, dovette fallire. «È peggior nuova el
-falimento de questi due banchi, che se fosse perso Brescia». Lo
-sgomento fu per far gittare a terra i banchi Pisan e Augustini; se non
-che la Signoria mandò de’ savj che assicurassero sarebber tutti pagati.
-I Lipomani dovettero rassegnare i loro libri, dai quali appare che una
-casa dominicale valutavasi da tremila ducati; duemila una a Murano;
-milleduecento un mulino; e avevano in argenti e gioje per seimila
-ducati, e ottomila in un cappello di perle e gioje[312].
-
-Tutt’occhi dovevano dunque essere i Veneziani onde mantenersi questi
-vantaggi, e vi adoperavano buoni mezzi e cattivi. La gelosia li faceva
-duri coi mercanti forestieri, imponendo doppie gabelle, ritardando
-la giustizia, escludendoli dalle comandite; pretesero che i sudditi
-comprassero lane, cotoni, seta, zuccari, saponi soltanto dalla
-dominante, non rizzassero manifatture fuor della dogana, nè usassero
-o spedissero merci se non passate per Venezia; talchè, per esempio,
-Verona dovea mandarvi i panni, che poi la traversavano di nuovo onde
-dirigersi alla Germania.
-
-Convien dire che i lucri fossero grassi, se i forestieri non badavano
-agl’impacci; avvegnachè in Venezia troviamo corporazioni d’ogni
-paese; nella chiesa de’ Frari avevano altare i Milanesi, un altro
-i Fiorentini, lavoro del Donatello; i Lucchesi una chiesa vicino ai
-Servi, i Tedeschi e i Turchi fondachi che ancor ne serbano il nome,
-come la piazza dei Mori, la ruga di Julfa degli Armeni; oltre i Greci
-che v’ebbero sempre congregazione religiosa. Ciascuna nazione potea
-regolarsi a leggi proprie; alcuni paesi vi godeano privilegio di
-qualche arte, Bergamaschi i fornaj, Friulani anch’essi fornaj del pane
-altrui e sartori e facchini, muratori i Bellunesi, Valtellini gli osti
-e i facchini pel commercio.
-
-Caduta Costantinopoli ai Turchi, Venezia e Genova dall’eccidio dei loro
-cittadini, dal saccheggio dei fondachi, dalla successiva distruzione
-de’ loro stabilimenti, dalle umiliazioni, a prezzo delle quali soltanto
-ottennero una tolleranza precaria e quasi vergognosa, conobbero
-la gravezza d’una perdita che con provvidenza e lealtà maggiore
-avrebbero potuto impedire o ritardare. Non restarono però snidati
-dall’Oriente, attesochè gli emiri musulmani, stabilitisi lungo la costa
-settentrionale e orientale dell’Africa e sui golfi Arabico e Persico,
-non avevano fatto causa comune coi loro fratelli di Siria, nè perciò
-nimicavano i Cristiani, che poterono continuarvi i traffici.
-
-Anche il soldano d’Egitto divenne più inchinevole agli Europei, e col
-doge de’ Veneziani Pasquale Malipiero, «possente, e il più apprezzato
-e onorato fra quei che adorano la Croce, colonna di tutti i Cristiani,
-amico de’ soldani ed emiri dell’islam», conchiuse un trattato di
-commercio, consentendo ai Veneziani il monopolio di molte merci, non
-però del pepe; e donò all’ambasciatore una veste lavorata alla moresca
-e foderata di pelliccie, e alla Signoria i regali consistenti in trenta
-rotoli di benzoino, venti di aloe, due paja di tappeti, un ampollino di
-balsamo, quindici bossoletti di teriaca, quattordici pani di zuccaro di
-Moka, cinque scatole di zuccari canditi, un cornetto di zibetto, venti
-pezzi di porcellana.
-
-Le contingenze duravano ancora favorevoli ai traffici dei Veneziani:
-perocchè i Ragusei correvano molto l’Adriatico, ma poco uscivano da
-quello, nè d’altro che di derrate trafficavano[313]; la Grecia era
-caduta sotto la scimitarra turca; a Napoli e Sicilia sarebbe tornata
-necessaria una flotta per mantenere comunicazioni coll’Aragona e colla
-Provenza, eppur l’aveano appena bastante alle reciproche guerre, e le
-vediamo valersi sempre delle genovesi, come faceano spesso Francia
-e Inghilterra, le quali nè l’Olanda non accennavano ancora alla
-futura grandezza; era un portento se qualche bandiera settentrionale
-comparisse nelle acque nostre; soli i Catalani veleggiavano il
-Mediterraneo come l’Oceano.
-
-Però Venezia e Genova erano le principali, non le sole commercianti
-d’Italia. Amalfi più non rigalleggiò: ma Napoli trafficava nelle
-variatissime sue produzioni con Costantinopoli, col mar Nero, con
-Marsiglia; Trani era un vasto emporio di merci asiatiche; Gaeta
-estendeva relazioni colla Barberia, dove sin dal 1125 teneva un
-console; la Sicilia colla Catalogna e colla Spagna orientale. In
-Messina e Palermo affluivano mercanzie di tutti i paesi; ed oltre
-le relazioni col regno di Napoli e col resto d’Italia, consolidate
-per mezzo di trattati, con Genova nel 1292, con Pisa nel 1316, con
-Venezia nel 1365, uno del 1331 con Narbona prova il suo commercio colla
-Francia, oltre Spagna, Fiandra, Inghilterra, le coste di Barberia,
-l’Egitto, la Siria, la Morea, Cipro, Rodi, Costantinopoli. Ancona,
-fiorente per industria, scala al commercio di Firenze coll’Oriente,
-mandava navi proprie a Costantinopoli, a Cipro, in Barberia, e
-corrispose con molte città d’Europa; con Genova aveva un trattato fin
-dal 1276; ma la postura sua la teneva dipendente da Venezia, che poi
-la sopraffece. Corsica e Sardegna, sì a lungo disputate fra i Pisani,
-i Genovesi e i re d’Aragona, asportavano i proprj prodotti; e quando la
-Sardegna passò all’Aragona, strinse maggiori relazioni colla Catalogna.
-
-Anche città mediterranee spedivano per varj paesi d’Occidente,
-acquistandovi privilegi non per forza ed astuzia, ma per superiorità
-d’intelligenza. Asti, che di settantamila abitanti popolava il piccolo
-territorio, aveva negozianti in Francia e ne’ Paesi Bassi, una colonia
-ad Alessandria d’Egitto; e postasi a prestar denaro in Francia, vi
-applicò tanti capitali, che avendovi quel re fatto arrestare tutti i
-banchieri astigiani, cinquanta trovaronsi possedere oltre ottocentomila
-lire di capitale, che si ragguaglierebbe a ventisette milioni[314].
-
-Il Po serviva agl’interni ricambj e per esso fioriva Ferrara, che
-copiosa di ogni bene, dalle città vicine e dal mare traeva abbondanza
-di vettovaglie. Per le bocche del Po (narra un cronista) vi arrivavano
-navi di carico, piene fin al sommo dell’albero di mercanzie d’ogni
-lido; senza che andasse a Ravenna od a Venezia a cercare quel che le
-fosse mestieri, ogni anno nel prato comune presso a Po si tenevano due
-fiere, cui dall’Italia e dalla Gallia moltissimi concorrevano, e tutti
-guadagnavano mercatando. Sì lauto poi era il fisco, che, soddisfatto
-ad ogni spesa del Comune, rimaneva che spartire fra i cittadini in
-ragione del censo. Questa larghezza andò guasta allorchè i Veneziani,
-aggiudicandosi la padronanza assoluta del Mediterraneo, chiusero le
-foci di quel fiume, cagione di tanti dissidj. Comacchio avea cominciate
-le _fabbriche del pesce_, per cui ora ottantamila pesi d’anguilla
-escono marinati da quelle valli.
-
-I Pisani, elevatisi a paro de’ Veneziani e Genovesi per industria
-manifatturiera, per navigazione e commercio, dopo la funesta battaglia
-della Meloria nel 1284 più non fecero che declinare; la perdita
-di Terrasanta diradò le loro corrispondenze nella Siria, nè aveano
-possibilità di sostenere nel mar Maggiore una concorrenza, a cui furono
-costretti rinunziare col trattato del 1299; il porto che possedevano
-alla foce del Tanai, cadde probabilmente a’ loro nemici, e infine fu
-sfasciato dai Tartari. Andate a male le colonie donde traevano legname
-da costruzione e materie di baratti pel commercio esterno, costretti
-cedere a Genova la Corsica e la Sardegna, non restarono padroni
-che delle maremme tuttora abbastanza ubertose, e dell’isola d’Elba
-importante per ferro. Questa nel 1290 era stata occupata dai Genovesi;
-poi mercanti pisani la ricuperarono nel 1309 per cinquantaseimila
-fiorini, e ne traevano vena dalla miniera di Rio.
-
-Nella guerra contro Genova era stato distrutto il Porto Pisano alla
-foce dell’Arno; onde ridotta quasi alla sola rada di Livorno, esposta
-a’ nemici, Pisa fece costruire una torre per difenderla, e proteggere
-la navigazione. Di là continuava relazioni colla Sicilia, con Cipro,
-colla Barberia; ma non le bastava marina militare per proteggere
-stabilimenti lontani, nè assicurare gli armatori contro de’ nemici
-e de’ pirati. Firenze poscia la soggiogò, e per nulla rispettando le
-memorie d’uno splendore, di un’industria e di una perizia marittima,
-che formavano uno de’ migliori vanti della Toscana, ne sviò le
-manifatture e il commercio in grosso.
-
-Già ci è apparsa la commerciale operosità dei Fiorentini. Buon’ora
-essi erano penetrati nell’Ungheria, le cui miniere d’oro e d’argento
-s’aveano per le prime del mondo, e vi teneano case i Medici, i
-Portinari, i Boscoli, i Tosinghi, i Del Nero, i Del Bene, i Da Uzzano.
-Da Francesco Balducci Pegolotti, che prima del 1350 scriveva sugli
-usi e le regole da seguirsi dai mercanti nei viaggi[315], raccogliesi
-che essi Fiorentini stendevano le corrispondenze all’Inghilterra, al
-Marocco, a tutto il Levante; prendeano spesso in appalto le zecche,
-e alle inglesi da Edoardo I fu preposto un de’ Frescobaldi: un Bardi
-nel 1329 godeva le gabelle di tutto quel regno per due sterline il
-giorno, mentre nel 1282 ne avevano reso ottomila quattrocentoundici
-(HALLAM). A Bruges, dove non era permesso che un banco per ciascuna
-nazione forestiera, collegi distinti formavano i Genovesi, i Lucchesi,
-i Fiorentini, i Lombardi. Nel 1422 calcolavasi che in Firenze
-circolassero quattro milioni di fiorini: e delle lettere esterne di
-quella repubblica le più concernono commercio e mercadanti.
-
-Le lungagne delle asportazioni per terra non le erano più sufficienti;
-e conoscendo che la navigazione offrirebbe un mezzo più economico
-per commerciare coll’Italia e coll’Europa meridionale, ed il solo
-praticabile co’ paesi più remoti, fin dal secolo xiii trattò con Pisa
-onde farla emporio delle mercanzie: e vedendosi contrariata, prese
-accordo colla repubblica di Siena, onde spedirle pel porto di Telamone;
-e a questo ricorreva ogniqualvolta si guastasse con Pisa (pag. 248).
-Della quale poscia insignoritasi, cercò chiamarvi con privilegi ed
-incoraggiamenti le navi straniere, prese a stipendio gli armatori
-lasciati liberi dalla decadenza del commercio genovese, legò nuove
-relazioni e avvantaggiò le antiche[316], istituì la magistratura dei
-consoli di mare, però da gran tempo conosciuti in Pisa.
-
-In una carta del 1190 che contiene i privilegi del sintraco di
-Genova[317], Livorno appare già frequentato dai naviganti; e durante la
-guerra di Chioggia, Carlo Zeno vi ricoverò due volte la flotta veneta.
-Posto com’è fra porto Pisano e porto Telamone, poteva tener entrambi
-in soggezione; ma non acquistò importanza che al cadere di Pisa, e i
-Fiorentini, compratolo dai Genovesi nel 1421, lo privilegiarono in ogni
-modo. In quell’occasione rinnovarono il patto antico di caricare sopra
-navi genovesi le merci che traevano di ponente, ma poi cercarono sempre
-eluderlo, e infine lo abrasero nella pace fatta con Filippo Maria
-Visconti.
-
-Per siffatta guisa, quantunque mediterranei, i Fiorentini ottennero
-i vantaggi del mare, e non vi avea città dell’Italia, Francia,
-Inghilterra, Fiandra, in cui essi non tenessero banchi e non
-mandassero fattori. Un console inglese risedette a Pisa, e con Enrico
-VII nel 1490 si pattuì che Fiorentini soli estraessero le lane da
-quell’isola, eccettuandone soltanto per seicento sacca i Veneziani;
-premio dell’avervi Lorenzo Medici rizzate molte manifatture di lana
-con artefici toscani. Un governo mediterraneo non doveva pensare a
-stabilire banchi e consolati sulle coste dell’Asia e dell’Africa;
-ma il privato interesse lo fece. Quando si cominciasse a trafficare
-direttamente col Levante, non consta: ma la casa Bardi nel secolo
-XIV otteneva pe’ suoi agenti privilegi significanti in Cipro e
-nell’Armenia; poi si estese il commercio colle coste della Barberia,
-coll’Egitto, la Siria, Costantinopoli, l’Asia meridionale, e fino colla
-Cina traverso all’Alta Asia.
-
-Firenze volle anche armar flotte e spedire periodici convogli pel mar
-Nero, l’Egitto, la Barberìa, la Spagna, la Fiandra, l’Inghilterra; ma
-non trovò che scapito, sicchè dopo il 1430 le abbandonò alla privata
-speculazione. Venezia, che era sempre stata l’amica di Firenze, ne
-ingelosì quando la vide crescer tanto, e istigò Pisa a scuoterne il
-giogo: di che Firenze si vendicò col secondare i disegni ostili di
-Maometto II contro i Veneziani. Ne venne _una velenosa ed attossicata
-lettera di Venezia,_ a cui un Fiorentino oppose uno scritto che,
-in mezzo a una colluvie d’ingiurie, contiene un quadro, esagerato
-forse, ma vivo del commercio della sua patria[318]. Vi figurano come
-principali negozianti i Medici, i Pazzi, i Capponi, i Buondelmonti, i
-Corsini, i Falconieri, i Portinari, che avevano stabilimenti in tutte
-le tre parti del mondo aperte alla navigazione europea, cinquanta case
-in Levante, ventiquattro in Francia, trentasette nel Napoletano, nove a
-Roma, altre in Venezia, in Ispagna e Portogallo. Accertasi che Firenze
-fosse la prima a interdire in modo efficace il traffico degli schiavi e
-il somministrare munizioni di guerra a’ Musulmani.
-
-Essendo si può dire concentrato in mano degl’Italiani tutto il
-commercio che poi fu suddiviso fra Turchi, Inglesi, Olandesi, Francesi,
-Russi, quanto lauti doveano essere i guadagni! Giovan Villani stima di
-cenventimila fiorini la rendita che col prestare erasi formata Taddeo
-Pepoli di Bologna. Nel 1338 un negoziante di Siria, essendo arrivato
-a Portercole con molte stoffe ad oro e senza, cinture, borse da sposa,
-frontelle, Coluccio Balardi le comprò per centoquindicimila fiorini, e
-in capo a un anno le ebbe quasi spacciate. Egli teneva banco a Parigi,
-e Giovanni Vanno pure toscano a Douvres e a Cantorberì[319]; e già
-vedemmo i Bardi e i Peruzzi fiorentini essere creditori sopra il re
-d’Inghilterra d’un milione e mezzo di zecchini, e di centomila zecchini
-ciascuno sopra il re di Sicilia. Dino Rapondi di Lucca (1350-1414),
-mercante in Francia, avea case a Mompellieri, a Bruges ed a Parigi; la
-prima era l’emporio del vasto suo traffico col mezzogiorno d’Europa e
-gli scali di Levante. Avea palazzo a Parigi meraviglioso; commerciava
-di banca, cambio, metalli preziosi; servì molto a Carlo VI e Giovanni
-Senza-paura, secondandoli nelle imprese e nei delitti.
-
-A Siena (popolata di centomila abitanti prima che la peste la
-restringesse appena a tredicimila, e dove i diarj testimoniano che
-in un anno si fecero ottanta par di nozze nobili e cento di buone
-case) i Salimbeni adottarono per stemma la fortuna e il motto _Per non
-dormire_; cavavano anche miniere d’argento e di rame nella maremma; nel
-1337 fra sedici casate manteneano un camerlingo comune per amministrare
-le loro entrate, e per più anni a ciascun casato spartirono centomila
-zecchini. Un’imposta su quella città del due per mille onde pagare il
-conte Lando nel 1357, fruttò quarantamila zecchini: lo che manifesta un
-valore di venti milioni d’allora, rispondenti a ducento d’adesso.
-
-Vuolsi che da commercio di carbone derivassero le smisurate ricchezze
-di Giovanni Medici, per le quali Cosmo suo figlio divenne il miglior
-negoziante di Europa. Di quale natura speculazioni fossero le sue
-s’ignora, ma ci si fa presumere lucrasse col commercio asiatico,
-coi prestiti e coi giri di banco[320]: e dicesi che quella casa
-occupasse trentamila persone in traffici e manifatture. Cosmo spese
-da quattrocentomila zecchini in chiese ed opere pubbliche. Lorenzo fu
-in procinto di capolevare, a malgrado del lauto suo commercio, per le
-insensate prodigalità de’ suoi fattori, i quali affettavano di fare il
-largo e il magno come il loro padrone; laonde sodò grossi capitali in
-possessi stabili, rompendo molti fili del commercio fiorentino.
-
-Ma era sullo scocco l’ora che gl’Italiani cesserebbero d’essere
-unici fattori del commercio. Le manifatture che ne’ paesi esteri noi
-stabilivamo, per quanta gelosia vi si mettesse, servivano di scuola
-agli emuli. I Medici, invece di continuare a trarre la lana greggia
-dall’Inghilterra, la fecero filare e tessere colà; allorchè essi
-usurparono il dominio, i tanti fuoruscititi propagarono i lavorieri di
-fuori; quando poi Pietro ritirò gl’ingenti capitali d’in sul commercio,
-i Fiorentini non poterono più reggere la concorrenza de’ forestieri,
-che aveano anch’essi accumulato capitali, e imparato la magìa del
-credito. All’estendersi dell’industria cessavano i privilegi, fondati
-sull’inoperosità degli altri popoli, la gelosia dei quali ritorse
-contro noi le arti medesime che noi avevamo inventate contro di loro; e
-Ferdinando il Cattolico di Spagna impose un dieci per cento su quanto
-asporterebbero i Veneziani, i quali rimasero vittime del sistema
-esclusivo che essi avevano introdotto.
-
-Danni più durevoli doveano venire dagl’incrementi della navigazione,
-dovuti ad Italiani.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXV.
-
-Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte.
-
-
-Delineare la terra su globi e mappe già sapeano i Greci, e dopo
-Marino da Tiro vi tracciavano le longitudini e le latitudini, per
-quanto grossolanamente, cioè collocavano i paesi al posto determinato
-dalla loro elevazione sopra l’equatore, e dalla loro distanza da
-un meridiano, preso pel principale. Quelle medesime denominazioni
-indicano come la terra non si credesse rotonda, ma molto più _lunga_
-da levante a ponente che non _larga_ da mezzodì a settentrione.
-Smisurata superficie piana circondata dal mare e divisa in cinque zone;
-le due gelate agli estremi e la torrida nel mezzo erano inabitate e
-inaccessibili, di modo che a noi abitanti d’una zona temperata niuna
-comunicazione era possibile con quelli dell’altra. Nè questa nostra
-tampoco aveasi tutta esplorata, e imperfettamente si conoscevano le
-regioni d’Europa a levante della Germania, la Prussia, la Polonia, la
-Russia: dell’Africa sol quanto è lambito dal mare Mediterraneo e dal
-golfo Arabico: dell’Asia restava ignota la regione di là dal Gange,
-quella dove erravano Sarmati e Sciti, e la Cina, dove pur fioriva da
-antichissimo un impero ancor più meraviglioso del romano. Negli spazj
-inaccessi ognuno collocava paesi e uomini favolosi, e massime quelle
-contrade felici, che supportano essere o il primo soggiorno degli
-uomini nell’età dell’oro, o il postumo delle anime virtuose.
-
-I Barbari che invasero l’impero romano, sprovvisti di marina e occupati
-a conquistare e stanziarsi, non aggiunsero alla geografia se non
-la cognizione dei paesi dov’essi aveano da prima avuto stanza. Il
-feudalismo legava gli uomini alla propria terra: e se la fede spinse
-alcuni missionarj in terre inesplorate, principalmente della Germania,
-e i pellegrini a visitare, poi a conquistar Terrasanta, le loro
-descrizioni erano più dirette ad alimentare la pietà che a chiarire la
-scienza. Gli Arabi dopo Maometto largamente viaggiarono a propagare la
-loro religione o stabilire commerci, e visitarono la Cina pel Cabul
-e il Tibet, mentre di colonie occupavano tutto il lembo orientale
-dell’Africa, e s’addentravano anche in quel continente.
-
-Di varj viaggiatori italiani ci accadde menzione, quali i frati spediti
-dai papi ai Mongoli, Alessandro e Alberto Ascellino, Giovanni da Piano
-Carpino e Oderico da Pordenone, che penetrò fino a Peking (Cap. XCIII,
-in princ.). Il 1309 moriva in Santa Maria Novella a Firenze frà Nicoldo
-da Montecroce, fiorentino, che avea girato l’Asia convertendo Saracini
-e descrivendone i costumi e le sêtte. Molti altri intrepidi missionarj
-visitarono certamente paesi ignoti, ma badando solo al frutto delle
-anime, non si brigarono di darcene contezza; e basti citare Alberto
-da Sarzana, celebratissimo predicatore e teologo, che da Eugenio IV fu
-spedito due volte in Egitto, in Etiopia, in Armenia per trarre i fedeli
-di colà al concilio di Firenze.
-
-Da altri impulsi fu mossa la famiglia veneziana del Polo. Nicolò e
-Maffeo mercadanti verso il 1250 passarono da Costantinopoli a Soldania,
-indi alla corte mongola di Capciak, poi con un persiano ambasciadore
-raggiunsero a Kan-fu l’orda di Cubilai-kan, successore di quel
-Gengis-kan che aveva esteso il suo dominio dal cuore dell’Asia fino
-alla Cina. Cubilai accolse con maniere di cortesia i due italiani,
-volle essere informato de’ costumi e della religione de’ loro paesi,
-e «come l’imperadore mantenea sua signoria, e come mantenea l’impero
-in giustizia, e de’ modi delle guerre e delle osti e delle battaglie
-di qua, e di messer lo papa e della condizione della Chiesa romana, e
-dei re e de’ principi del paese... E quando il gran kan ebbe inteso le
-condizioni de’ Latini, mostrò che molto gli piacessono», e gl’incaricò
-che, tornando al papa, il richiedessero di mandargli persone dotte
-nelle arti liberali affinchè dirozzassero le sue genti. Diè loro
-pertanto lettere e una lastra d’oro o dorata, portante ordine a tutti
-i sudditi di rispettarli, e fornirli di vetture e di scorte, franchi di
-spesa per tutte le sue terre.
-
-Traverso all’Asia giunsero ad Acri, d’indi a Venezia, ove Nicolò
-trovava di quindici anni il figlio Marco, che avea lasciato nell’utero
-materno. Vacando allora la sede romana, nè potendo prolungare
-gl’indugi, furono di ricapo in Palestina, ove presentarono l’ambasciata
-a Tibaldo Visconti cardinale legato; e poichè in quell’istante appunto
-arrivò l’avviso che questo era assunto alla tiara, esso li munì di
-lettere e della compagnia di Nicolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli
-carmelitani, letterati e teologi.
-
-Per mezzo ai pericoli cagionati dall’invasione di Bibars nell’Armenia,
-passarono i cinque Cristiani sino a Kan-fu, dove ragguagliarono il kan
-dell’ambasciata. Marco, giovane svegliato, restò attonito d’un mondo
-così differente dal nostro, e cominciò a notare quanto pareagli degno
-di ricordo, e «ch’egli seppe più che nessuno uomo che nascesse al
-mondo». Da Cubilai tenuto in gran capitale, fu posto fin assessore del
-consiglio privato, e spedito a raccorre notizie statistiche nell’impero
-e ad importantissime legazioni e governi. Stavano ambasciadori in
-Persia i Poli quando intesero la morte di Cubilai, onde risolsero
-tornare in cristianità; e rividero la patria, per la quale combattendo
-a Cùrzola, Marco restò preso da un legno genovese; e tenuto prigione,
-consolò la cattività raccontando «diverse cose secondo ch’elli vide
-cogli occhi suoi; molte altre che non vide, ma intese da savj uomini
-e degni di fede; e però estende le vedute per vedute e le udite per
-udite, acciocchè il suo libro sia diritto e leale e senza riprensione.
-E certo credi, da poi che il nostro signor Gesù creò Adamo primo nostro
-padre, non fu uomo al mondo che tanto vedesse o cercasse, quanto il
-detto messer Marco Polo». Reso alla libertà e alla patria, morì carico
-d’anni; e la sua _Relazione_[321], volata tosto per Europa, valse a
-invogliare a nuove scoperte, le quali poi confermarono la veridicità
-d’un libro, che mai non mente anche quando s’inganna, e che prima
-erasi creduto esagerazione, a segno che glie n’era venuto il titolo di
-_Milione_.
-
-Certamente nessuno ebbe miglior agio di esaminare la Cina e il
-Giappone; e fin oggi esso rimane fonte d’importanti notizie intorno
-ai Mongoli e al loro governo, ed ai paesi centrali ed orientali
-dell’Asia: ai contemporanei poi qual doveva eccitar interesse il
-ragguaglio della civiltà bizzarra de’ popoli al cui nome tremavano,
-e delle strane contrade da cui traevano le gemme, le porcellane, le
-spezie, le seterie! Le sue descrizioni apersero il campo a fantasie
-nuove, innestandosi le asiatiche alle nostre tradizioni; e potentissimo
-eccitamento diedero ai viaggi di scoperta del secolo XV.
-
-Anche Nicolò Conti viaggiò venticinque anni in Oriente; e avendo
-rinnegato la fede per salvare la vita, ne chiese perdonanza ai piedi
-di Eugenio IV, il quale in isconto gl’impose raccontasse i suoi viaggi
-colla massima fedeltà al Poggio fiorentino, da cui abbiamo una succinta
-relazione, che lascia appena accertare la traccia di lui fino a Giava
-e al Seilan, eppure è fedele ritratto dei costumi indiani. Caterino
-Zeno stese commentarj del viaggio che fece in Persia, come dicemmo,
-per sollecitare quel re a romper guerra ai Turchi. Al qual uopo fu
-pure, nel 1471, spedito con vasi d’oro e stoffe di Verona Giosafat
-Barbaro sopra due galee perchè attraverso l’Armenia e il paese dei
-Curdi arrivasse a Tebris e a Cassan, ma egli non vi giunse, per quanto
-incalzato: però reduce, da uom d’ingegno e di retto intendimento ci
-diede un ragguaglio, ove primo alla moderna Europa fece conoscere que’
-paesi. V’andava pure ambasciatore Leopoldo Battoni per Trebisonda, e
-nel 1474 Ambrogio Contarini per la Polonia, la Russia, la Colchide,
-il Fasi, la Georgia, la Mingrelia, l’Armenia: tornando pel Caspio e
-trovato presa Caffa dai Turchi, salì da Derben a Mosca fra un paese
-selvaggio, e riscosso denaro dal gran principe per conto della patria,
-per la Germania rimpatriò due anni dopo: viaggio arditissimo per le
-scarse cognizioni d’allora, e fra le minaccie di gente barbara e i
-sospetti de’ Turchi; e ne lasciava un’informazione curiosa[322].
-
-Pietro Quirini veneto negoziante a Candia, veleggiando alle Fiandre
-nel 1431, fu da spaventevole bufera gettato di là delle Sorlinghe,
-naufrago prese terra sulle estreme coste scandinave, donde ritornando
-per la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra, la Germania, raccontò in
-modo commovente le sue disgrazie, come pur fecero i suoi compagni
-Cristoforo Fioravante e Nicolò Micheli. Gironimo San Stefano nel 1496
-per speculazioni s’incamminò da Genova verso le Indie, passando pel
-Cairo, il mar Rosso, e fino al Pegù, al cui re vendette con iscapito
-le proprie mercanzie; reduce a Camboja, si acconciò con un mercante
-di Damasco; ad Ormus si unì ad Armeni diretti a Tebris; per mare si
-condusse nel Laristan, provincia persiana, ove soleano approdare le
-navi spedite dall’imboccatura dell’Eufrate per l’India; nel paese degli
-Azameni aspettò le carovane, e per Ispahan, Kasbin, Soldania pervenne
-a Tebig, donde ad Aleppo. Luigi Rominotto perlustrava l’Asia e le coste
-d’Africa, ma non ci ragguaglia di nuove regioni: e maggior conto merita
-il periplo del mar Rosso e dell’Indiano, steso da un anonimo che nei
-1538 assisteva con Solimano granturco all’assedio del castello di Diu,
-difeso dai Portoghesi.
-
-Nel 1374 Luchino Tarigo ed altri poveri avventurieri genovesi, da Caffa
-con una fusta armata risalito il Tanai fin dove nol disgiungono dal
-Volga che sessanta werste, trascinarono per quella lingua di terra la
-fusta, e messala sul gran fiume scesero al Caspio, e si arricchirono
-corseggiando[323]. Giorgio Interiano loro concittadino vide e descrisse
-i costumi de’ Circassi, fu il primo che portasse alcuni platani a
-Venezia, e fantasticava la probabilità dell’arrivare dall’Oceano nel
-mar Rosso[324]. Il Boccaccio dà vanto ad Andalon del Negro pur genovese
-d’avere percorso quasi tutto il mondo[325]: e il Petrarca loda Giovanni
-Colonna, spatriato per le risse de’ suoi con Bonifazio VIII, d’avere
-viaggiato lontanissimo, e «avresti anche trascesi i limiti della nostra
-zona abitabile, e varcato l’Oceano, saresti giunto agli antipodi»[326];
-frasi, donde non può trarsi veruna contezza precisa.
-
-Oggimai si tiene per provato che i Normanni, arditissimi corsari,
-avendo popolate le isole Feroe, l’Islanda, la Groenlandia nell’estremo
-settentrione dell’Europa, di là si spingessero di proposito, o fossero
-cacciati dal caso sull’altro continente, e appunto nelle terre che
-più tardi furono chiamate la Carolina e il San Lorenzo. Nicolò e
-Antonio Zeno, fratelli di quel prode Carlo che salvò la patria, verso
-il 1380 si elevarono fin alle coste della Groenlandia e a coteste
-altre scoperte de’ Normanni, e ne stesero un’informazione, che
-Nicolò Zeno lor discendente dice avere stracciata per fanciullesca
-inconsideratezza, e pretese valersi della memoria e d’altri amminicoli
-per darne nel 1558 un ragguaglio. Voi vedete come poco sia degno di
-fede; pure ci resta la mappa delle terre da loro vedute: è corredata
-di gradi geografici, e fa supporre il maneggio dell’astrolabio; ed
-ha questa singolarità, che, più di mille miglia ad occidente delle
-Feroe, mostra due coste, nominate l’Estotilandia e Droceo, le quali non
-potrebbero essere se non Terranuova e la Nuova Inghilterra, e diceansi
-indicate da naufraghi.
-
-Tali viaggi non assumeansi, lo vedete, per intento scientifico o per
-iscoprire; ma delle costoro informazioni vi era chi traea profitto
-per formar delle mappe. L’unica che i Romani ci abbiano lasciata, è
-la Tavola Peutingeriana, rozzissimo disegno fuor d’ogni proporzione,
-ritraendo la terra sulla lunghezza di ventidue piedi e la larghezza
-appena d’uno, ma che dovea bastare come carta itineraria. In Italia
-quest’arte progredì, e nove mappe geoidrografiche di Pier Visconti
-genovese del 1318 conserva la biblioteca di Vienna con altre di
-Grazioso Benincasa anconitano del 1480[327]. Vuolsi che già dal 1300
-i Veneziani segnassero i gradi sulle carte marittime; e di Veneziani
-sono lode le cinque carte di Marin Sanuto che accompagnano i _Secreta
-fidelium Crucis_ (Cap. XCIII), dove l’Africa si disegna triangolare e
-breve, ma con evidente comunicazione dal Grand’Oceano al mar Rosso;
-il planisfero del Pizzigano del 1367, fatto a penna con diligenti
-miniature, e colla rosa dei venti[328]; le dieci carte di Andrea
-Bianco del 1436, che danno delineato il Giappone, l’Estotiland, le
-Antille, il Brasile, parte del Canadà. Nel 1440 frà Mauro camaldolese
-in San Michele di Murano delineava in un planisfero tutto il mondo
-allora conosciuto, sparso di figure e descrizioni, e dove la terra
-empie un gran circolo, attorniata dal mare; centro n’è Gerusalemme; il
-settentrione abbasso, in alto il sud; vi è tracciato tutto il viaggio
-di Marco Polo, e ciò che importa agli eruditi, il capo Verde, il capo
-Rosso, il golfo di Guinea, e il girabile vertice dell’Africa[329].
-Il re di Portogallo incaricò esso frà Mauro d’un planisfero, di cui
-potessero giovarsi quelli che mandava a tentare scoperte.
-
-Nella _Rason del martologio_, codice del 1428 o poco poi, che
-conservasi a Venezia, è spiegata la _regola de navegar a mente_,
-applicando la trigonometria alla nautica; il raggio è ridotto in
-decimali, anzichè in sessagesimi; si adoprano le tangenti nelle
-operazioni trigonometriche, ben prima del Regiomontano che se ne fa
-scopritore. La reale libreria di Parma ha un mappamondo coll’iscrizione
-_Becharias civis januensis composuit hanc tabulam anno Domini
-millesimo_ CCCCXXXVI, dove sono indicate la prima volta con qualche
-precisione le Canarie e Madera. Un’altra carta marina su pergamena fu
-compita il 1455 da prete Bartolomeo Pareto genovese, ponendo Genova
-come la città più grande, e il suo San Giorgio effigiando sopra tutte
-le colonie del mar Nero.
-
-Erasi intanto migliorata l’arte del navigare, del costruire le navi e
-dirigerle, e spingerle anche con vento sinistro. La proprietà dell’ago
-calamitato di volgere a settentrione forse non era sconosciuta agli
-antichi, ma furono primi gli Amalfitani, e dicono un Flavio Gioja
-nell’xi secolo, a valersene come di strumento costante onde precisare
-la direzione de’ viaggi. Con questo si potè osare d’avventurarsi
-nell’alto, dove più non si scorgono terre; ed alcuni si spinsero fuori
-dello stretto di Gibilterra, al quale gli antichi, chiamandolo colonne
-d’Ercole, aveano posto il _non plus ultra_; e abbandonando le coste
-spiegarono le vele in alto mare. Fin dal 1281 Vadino e Guido Vivaldi
-salpavano da Genova con due galee col proposito di girare l’Africa, e
-giungere per di là nelle Indie. Una diede nelle secche alla Guinea,
-l’altra giunse nell’Etiopia, ma fu catturata, e un solo marinajo
-campò, i cui discendenti, censettanta anni dopo, ritrovò in Abissinia
-il genovese Antoniotto Usodimare. Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli
-famosi astrologi soggiungono che tale notizia invogliò Teodosio Doria e
-Ugolino Vivaldi a mettersi, nel 1292, con due Francescani per lo stesso
-cammino, donde non furono più di ritorno[330]. Altri Genovesi di quel
-tempo scopersero le isole Canarie nell’oceano Atlantico[331]. Nicoloso
-da Recco, capo d’una spedizione diretta a quella volta, nel 1341 ne
-diè contezza in Siviglia a mercadanti fiorentini, dai quali l’ebbe e
-la registrò il Boccaccio[332]. Forse da Genovesi furono trovate anche
-le isole Azzore, e si era dato il gran passo collo staccarsi dalla
-costa, avventurarsi al largo, dissipare la paura del mare _tenebroso,
-inguadabile_.
-
-Da questi tentativi presero voglia e coraggio Spagnuoli, Portoghesi,
-Baschi a scoprire regioni nuove, fosse a dilungo della costa
-occidentale dell’Africa, fosse in mezzo all’Oceano. Principalmente
-l’infante Giovanni di Portogallo, erudito in tutte le scienze del
-suo tempo, si piantò presso al capo San Vincenzo, e di quell’estrema
-punta occidentale d’Europa volle far quasi una vedetta donde
-esplorare mari intentati, e vi stabilì un’accademia marittima. Uno
-de’ primi suggerimenti di questa fu l’astrolabio di mare, grande
-anello metallico, sospeso ad un altro fisso alla parte superiore
-dello stromento, e con traguardi disposti in modo, da determinare i
-gradi d’altezza del sole e riconoscere la propria situazione, anche
-quando siasi perduta di vista la terra. Stava fitto in mente a quel
-principe che, seguitando a dilungo la costa africana, s’arriverebbe a
-un punto ov’essa dà volta verso levante e settentrione, e per di là si
-giungerebbe alle Indie; e ostinandosi contro le beffe e l’incredulità
-di coloro che al primo tentativo fallito si scoraggiano, seguiva a
-mandar navi, le quali sempre più avanzavano giù per la costa africana.
-
-Alvise Ca de Mosto patrizio veneto, corso già molte volte il
-Mediterraneo, mentre tornava dalle Fiandre il 1454, si trovò cacciato
-da un rifolo di vento al capo San Vincenzo; e il principe Enrico,
-saputo l’arrivo di quelle galee, mandò a chiedere con istanza se alcuno
-volesse pericolarsi ad una spedizione oceanica. Arrise la proferta
-al Cadamosto, il quale, avuta una caravella, sciolse ai 22 marzo
-1455, toccò Madera, le Canarie, capo Bianco, e al voltare del capo
-Verde s’imbattè in due altre caravelle, una delle quali capitanata da
-Antoniotto Usodimare, egli pure in traccia di paesi e più di ricchezze.
-Messisi di conserva, procedettero fino allo sbocco del Gambia; ma
-l’insubordinazione della ciurma, sgomentata dagli attacchi de’ Negri
-o dal pregiudizio che i cibi di questi fossero letali ai Bianchi, gli
-obbligò a dar volta. L’anno che venne, il Cadamosto, ripreso passaggio
-con Antoniotto, si trovò spinto alle inesplorate isole di capo Verde e
-fin al Rio Grande. Da uomo esperto e sincero ce ne diede un ragguaglio,
-che è il più antico di navigazioni moderne: forse già prima avea steso
-il portolano dell’Atlantico, del Mediterraneo e dell’Adriatico. Antonio
-da Noli genovese riconoscea poi meglio le isole di capo Verde nel 1462.
-
-Intraprendentissimi erano dunque i nostri navigatori, ma forse in
-questa, come in tutte le altre imprese, mancarono della perseveranza:
-mediante la quale invece i Portoghesi si videro premiati, quando
-alfine, nel 1486, con Bartolomeo Diaz diedero volta al capo di Buona
-Speranza, cioè all’estremo vertice dell’Africa, e con Vasco de Gama nel
-98 giunsero per mare nell’India, dove i nostri si spingeano per così
-lungo e tortuoso pellegrinaggio.
-
-Emanuele re di Portogallo pensò che le primizie delle sue conquiste
-fossero dovute a Dio, sicchè mandò al papa un elefante dell’India
-mirabilmente grosso, un pardo, e una pianeta tempestata di gemme, di
-tal bellezza qual mai non erasi veduta[333]. Perocchè ancora valeano
-le idee del medioevo; e l’intento professato di tali spedizioni
-era il guadagnare anime alla fede, e trovare quel Prete Janni, che
-i viaggiatori aveano dato come pontefice d’un popolo cristiano,
-isolato tra gli infedeli (Cap. XCIII, in princ.): al papa chiedeasi
-l’investitura delle nuove isole, delle quali, secondo il diritto
-d’allora, a lui spettava la sovranità: e Martino V privilegio di
-plenaria indulgenza chi perisse in que’ tragitti, che doveano tante
-anime redimere col battesimo, incivilire col vangelo.
-
-Tali tentativi fissavano l’attenzione d’un Genovese che tutti dovea
-superarli, perchè più perseverante. Nato di nobile casa piacentina,
-che impoverita nelle guerre di Lombardia, erasi applicata al
-commercio delle lane[334], Cristoforo Colombo, fatti i suoi studj e
-messosi presto nella marina, vi si segnalò per coraggio e abilità,
-aggiungendovi cognizioni geometriche, astronomiche, cosmografiche.
-Dopo comandato navi napoletane e genovesi, stette in Portogallo, dove
-i Lombardi (come chiamavansi tutti gli Italiani) erano bene accolti;
-cupidamente raccogliendo quanto si diceva e progettava, s’allargò a
-ben maggiore concetto; e mentre i precedenti non faceano che conquiste
-d’esperienza, seguitando la costa occidentale d’un continente a
-piramide, di cui la orientale era frequentatissima dagli Arabi, Colombo
-ideò una conquista di riflessione, cioè di giungere in Asia per via
-opposta: gli altri andavano tentone dietro a un fatto; egli spingeasi
-dietro un’idea, una fede. Forse viaggiò sino alla Guinea, forse fu
-nell’Islanda, ove potè aver contezza di terre giacenti oltre l’Oceano,
-e dai racconti, dalle fantasie, dai calcoli, dai testi traeva pascolo a
-congetture, che presto mutò in persuasioni.
-
-Che la terra fosse sferica e abitata anche nella parte opposta alla
-nostra, l’aveano già insegnato nella bassa Italia i Pitagorici, poi
-ripetuto altri savj anche di recente, comunque la scarsezza di libri
-lasciasse altri nei classici pregiudizj; e l’induzione veniva di suo
-piede dacchè sapevasi non essere il peso che la tendenza al centro
-della terra[335]. Uno potrà dunque passare da un meridiano all’altro
-sia che si diriga a levante, sia che a ponente, e le due strade
-saranno complemento una dell’altra. Il circuito della terra è diviso,
-secondo Tolomeo, in ventiquattro ore da quindici gradi ciascuna: i
-quindici da Gibilterra fino a Tina in Asia erano già conosciuti agli
-antichi; d’un altro s’inoltrarono i Portoghesi: non rimangono perciò
-che otto ore, cioè un terzo della circonferenza del globo. I filosofi
-asseriscono che la superficie de’ mari è un settimo appena dell’arida:
-adunque non resterà che piccola parte dell’Atlantico a traversare per
-raggiungere il continente dell’India, le invidiate terre delle spezie e
-dell’oro, il Catai, Cipango, le altre regioni, del cui nome e delle cui
-meraviglie era stata empita l’Europa dal Milione di Polo. Più dunque
-che pel levante, è facile giungervi per ponente[336]. Le cinquecento
-miglia di mare che credeasi dover traversare, erano ancora eccessive
-alla scarsa arte d’allora; ma probabilmente tra via s’incontrerebbero
-isole, delle quali una vaga fama trasmetteasi fra i naviganti.
-
-Altre induzioni, d’origine ecclesiastica, davano al mondo non più che
-cencinquant’anni ancora di durata; e poichè è scritto che _il suono
-del vangelo uscirà per tutta la terra_, Iddio dev’essere sul punto di
-aprire l’India da quest’altra banda, acciocchè vi si predichi Cristo,
-e se ne traggano tesori, coi quali riscattare Terrasanta dai Turchi e
-tante anime dal purgatorio.
-
-Ognuno appoggia i proprj concetti cogli argomenti del tempo; e Colombo
-ne raccoglieva per la fede dei teologi, per l’avidità dei re, pei
-pregiudizj dei naviganti, per la pedanteria degli eruditi, per la
-scienza de’ matematici. Fra gli astronomi di quel tempo godea nome
-Paolo del Pozzo Toscanelli, che in Firenze sua patria fece il più
-elevato gnomone del mondo in Santa Maria Novella. A lui, già consultato
-dai principi di Portogallo, si diresse Colombo per lume e consigli, e
-questi gli rispose una lettera appoggiandolo di autorità e di calcoli;
-gli abbozzò una carta navigatoria, ove da Lisbona a Quinsay (città
-rivelata da Marco Polo) segnava sedici gradi da ducencinquanta miglia
-ciascuno; e — Il tuo disegno parmi nobile e grande, e ti prego quanto
-so a navigare da oriente ad occidente».
-
-Colombo dovette rimbaldirsi di tanta approvazione: ma donde ottenerne
-i mezzi? La Francia si buttava allora a guerre avventurose sotto
-il romanzesco Carlo VIII: l’Inghilterra faticava a ricomporre gli
-sconquassi delle lunghe discordie intestine: il Portogallo erasi messo
-alle scoperte s’una traccia diversa, e codesta novità non poteva che
-tornargli sgradita: di fatto quegli accademici, cui il disegno di
-Colombo fu presentato, lo dichiararono d’un fatuo vanaglorioso; pure
-i politici suggerirono, — Teniamolo a bada finchè si mandino navi a
-verificare cosa ne sia». Colombo indispettito si sottrasse, e venne
-in Italia: ma di que’ piccoli Stati e ringhiosi qual mai era capace di
-tanto ardimento? Venezia e Genova desideravano conservarsi il monopolio
-delle antiche vie, anzi che perigliarsi a nuove; tenere a tutto loro
-profitto il commercio nel Mediterraneo, anzi che vantaggiare le nazioni
-situate sull’Oceano.
-
-Febbricitante dunque d’un gran pensiero, cui non vedea modo di ridurre
-ad effetto, cogli spasimi del genio incompreso, Colombo vedea passare
-gli anni, logorarsi il suo vigore, e nessuno che volesse accettare il
-dono d’un nuovo mondo. Finalmente in Ispagna trovò un frate, che il
-raccomandò al confessore della regina Isabella; e la gran donna, capace
-di comprendere l’entusiasmo di un grand’uomo, gli diede ascolto, fece
-esaminare la proposta da teologi e da sapienti; ma poichè allora fervea
-l’impresa che dev’essere la prima per ogni nazione, quella di sbrattare
-la patria dalla dominazione straniera, il tentativo fu rimesso a
-migliori tempi: intanto Colombo militò contro i Mori, vivendo d’un
-sussidio assegnotogli, egli che teneasi distributore d’incalcolabili
-tesori[337].
-
-Finalmente la presa di Granata decise la lotta di sette secoli; e
-gli Spagnuoli si assisero indipendenti sopra il suolo che palmo a
-palmo aveano ricompro dalla servitù moresca. Allora Colombo rincalorì
-le istanze, e ottenne due navi e trecentomila corone, col patto
-di concorrere egli stesso a un ottavo della spesa, purchè gli si
-assicurassero un ottavo de’ vantaggi e un dodicesimo delle gioje
-e de’ metalli preziosi, il titolo di ammiraglio e vicerè de’ paesi
-nuovi. Un terzo legno ebbe da un armadore di Palos, dal qual porto
-salpò il 3 agosto 1492, fidando in Dio, e ostinandosi a filar dritto a
-ponente, per quanto il disconsigliassero i compagni, per quanto altri
-fenomeni l’allettassero a cercar terre a dritta o a sinistra, per
-quanto lo scoraggiasse il dissiparsi delle apparenze di vicina terra.
-Perseveranza siffatta è l’impronta del genio.
-
-Non è di questo luogo il descrivere gli incidenti del suo viaggio, e
-come toccasse le Antille e più tardi il continente, ch’egli credette
-sempre fossero le settemila quattrocentottantotto isole orientali,
-indicate da Marco Polo. Il suo giornale lo mostra attentissimo
-osservatore d’ogni fenomeno della natura, quantunque non addottrinato
-abbastanza per trovarne la spiegazione; nè alla sagacia sua sfugge
-veruna delle apparenze d’un mondo e d’un ciel nuovo: ravvicina i
-fatti per indovinarne le mutue relazioni; primo avvertì la deviazione
-dell’ago magnetico; primo conobbe che si poteva trovar le longitudini
-mediante la differenza dell’ascensione diritta degli astri; notò la
-direzione delle correnti pelagiche, l’aggruppamento delle piante marine
-che determinano una gran divisione de’ climi dell’Oceano, il cangiarsi
-delle temperature non solo a norma delle distanze dall’equatore, ma
-colla differenza de’ meridiani; nè trascurò appunti geologici sulla
-forma delle terre e sulle cause che la producono.
-
-Quel che più ancora, lo caratterizza è il sentimento religioso, pel
-quale crede a visioni, a rivelazioni; per iscopo supremo dell’impresa
-si propone di annichilare l’islam, convertire i sudditi del gran
-kan, e coll’oro ritratto riedificare Gerusalemme, e suffragare tante
-anime aspettanti nel purgatorio. Ne traeva la perseveranza contro
-gli ostacoli, la pazienza de’ mali, e nei semplici suoi ricordi
-scriveva: — Benedetto Iddio che dà vittoria e buon successo a chi
-segue le sue strade, e l’ha miracolosamente provato in me. Io tentai
-un viaggio contro l’avviso di tanti assennati; tutti trattavano il mio
-disegno di chimera: confido nel Signore che il successo farà grande
-onore alla cristianità». E se i disastri l’opprimevano, pareagli una
-voce gridargli in sogno: — Di poca fede! cosa fece Iddio di più per
-Mosè e per David suo servo? A te aperte le barriere dell’Oceano;
-a te sottomesso infinito paese; il nome tuo reso celebre in tutta
-la cristianità. Volgiti a lui, e riconosci che infinita è la sua
-misericordia. Tu giaci di cuore, e gridi _È troppo_. Or di’, chi
-ha cagionato le tue afflizioni, Dio o il mondo? Dio non fallisce le
-promesse: ma delle fatiche sostenute per altri padroni questa è la
-ricompensa».
-
-Perocchè è nota l’ingratitudine con cui gli uomini compensarono quel
-sommo che, mentre al tornare del primo viaggio non era onoranza che
-non gli fosse profusa quasi a creatore, di poi dal nuovo mondo fu
-ricondotto in catene, le quali (dice suo figlio) io vidi sempre sospese
-nel suo gabinetto, e con quelle volle esser sepolto». Ai re si lagnava
-egli, ma invano; e a suo figlio scriveva: — Dopo vent’anni di servizj
-e fatiche e pericoli tanti, non possiedo in Ispagna ove ricoverare
-il capo: per mangiare e dormire mi bisogna andare all’osteria, e più
-volte non ho di che pagare lo scotto». Sazio poi di quella che tanto
-annoja, la censura degli oziosi, proponeva: — Coloro che si piaciono
-di far rimproveri e appunti, stiano a cianciare laggiù a loro agio,
-e dire _Perchè non fare così e così?_ Avrei voluto fossero stati a
-quell’impresa». Passata mezza la vita nella miseria sospirando di
-attuare la grande idea, e l’altra mezza nella invidia per averla
-compiuta, straziato da lunga ambage d’iniquità e scaduto dalle più
-fervorose speranze, moriva desolato a Valladolid di sessantott’anni nel
-1506.
-
-Istituì un maggiorasco, e ne trasmetteva i documenti a Genova, «della
-qual città io sono uscito, e nella quale son nato»: pel banco di San
-Giorgio destinò un decimo della rendita di sua eredità, onde sgravare
-la gabella delle vittovaglie: e sedici giorni prima di morire,
-sopra un uffizietto della beata Vergine regalatogli da Alessandro VI
-papa, e «che gli era stato di gran sollievo nella cattività, nelle
-battaglie, nelle traversie»[338], vergava un codicillo militare da
-darsi «all’amatissima sua patria la repubblica genovese» pei benefizj
-che n’avea ricevuti; volea che de’ suoi beni stabili in Italia vi
-si ergesse uno spedale nuovo; mancando poi la sua linea, sostituiva
-il banco di San Giorgio nell’ammiragliato dell’India e negli altri
-privilegi, che dai re gli erano stati sconsideratamente promessi, e
-che poi gli furono codardamente fraudati; sicchè i figli suoi dovettero
-stentare tutta la vita a patrocinare i titoli e il nome di quel grande,
-cui negavasi la gloria d’aver egli primo scoperto un mondo, che testè
-gli s’imputava a monomania il credere potesse scoprirsi. Finalmente i
-suoi nipoti rinunziarono alle pretese ricevendo mille dobloni l’anno
-e il titolo di duchi della Veragua, che vive tuttora in una linea
-femminile, dalle ultime vicende spagnuole ridotta a strettezze.
-
-Più che i re, furono ingrati a Colombo gli scrittori, che del nome di
-lui non battezzarono la terra da lui scoperta. Al fine dell’ultimo
-secolo, gli Spagnuoli, costretti abbandonare ai Francesi l’isola
-d’Haiti ove era stato sepolto, lo trasportarono all’Avana in una
-solennità affettuosa, cui non si mesceano maledizioni, come alla
-traslazione d’altri eroi: e Bolivar volle col titolo di Colombia
-abbellire la repubblica, che le sue vittorie creavano e la sua
-temperanza conservava. Tarda giustizia! a Colombo non restò che
-la felicità dell’operare; felicità che voi, anime torpide, mai non
-comprenderete.
-
-Subito avidità d’oro, di gloria, di conquiste, di conversioni, di
-martirio, spinse gran gente verso quel nuovo mondo, del quale, in
-poco giro d’anni, tutto il contorno fu determinato: ma a noi non
-s’appartiene qui l’esporre se non la parte che vi presero gl’Italiani.
-
-Sebastiano Cabotto, mercadante veneziano, che fin dal 1494 avea
-veduto una terra che poi fu detta Terranuova, all’udire le imprese del
-Colombo, sentì suscitarsi «un desiderio grande, anzi un ardor nel cuore
-di voler fare ancor egli qualche cosa di segnalato»; ed esibì ad Enrico
-VII d’Inghilterra d’arrivare al favoloso Catai per altra via che non
-quella di Cristoforo, cioè pel nord-ovest; e avutone lettere patenti
-nel 1496, con Sebastiano suo figlio, e con quattro navi provvedutegli
-dai negozianti di Bristol, toccò il continente americano al Labrador il
-24 giugno 1497, cioè un anno e sei giorni prima che Colombo mettesse
-l’orma in quel continente, del quale riconobbe 300 leghe di costa.
-Morto il padre, Sebastiano spinse un altro viaggio in quell’altezza, e
-pare scorresse a dilungo la costa dalla baja d’Hudson alla estremità
-della Florida; ma sgomentato dai geli e dalle lunghe notti, voltò
-indietro.
-
-Il papa, molte volte lo ripetemmo, era considerato signor supremo dei
-mari e delle isole: in forza di che, Martino V aveva conceduto al re di
-Portogallo quanti paesi si scoprirebbero dai capi Bogiador e Non fino
-alle Indie. Nessuno allora prevedeva che fra questi s’incontrerebbe
-nulla meno che un mezzo mondo; sicchè Spagna e Portogallo vennero a
-diverbio sul possesso di questo. Invece di strapparselo colle armi,
-compromisero la quistione in papa Alessandro VI, il quale segnò un
-meridiano, distante cento leghe dalle isole Azzore e dal capo Verde, e
-i paesi di là da quello attribuiva alla Spagna.
-
-Prima che tale controversia fosse composta, erasi adunata una giunta
-per discuterla, e in essa aveva parte il nostro Cabotto, il quale
-dagli Spagnuoli ebbe l’incarico d’un nuovo viaggio, in cui rimontò
-il gigantesco Rio della Plata. Fatto poi gran piloto d’Inghilterra,
-e presidente della compagnia istituita onde tentare il passaggio
-pel nord-ovest, in quell’isola morì onorato. Il gran problema che
-girava per la mente dell’illustre Veneziano, non fu risolto che jeri.
-Sant’uomo (_good aldman_), come lo intitola Ricardo Eden suo amico,
-morendo diceva sapere per rivelazione divina un metodo infallibile
-di trovare le longitudini; e forse intendeva mediante la deviazione
-dell’ago magnetico, la quale si vorrebbe da lui scoperta[339]. Anche
-Giovan Verazzani navigatore fiorentino fu adoprato da Francesco I onde
-tentare pel nord un passo alle Indie, costeggiò la Terranuova, conobbe
-la Nuova Francia, e più di settecento miglia di costa esplorò.
-
-Americo Vespucci, nato di buona casa a Firenze, poi fattore nella
-banca di Gioannotto Berardi a Siviglia, divenne spertissimo marinajo
-e buon cosmografo, eseguì diversi viaggi per commissione del Governo
-spagnuolo, dal quale fu assunto primo piloto alla morte di Colombo;
-e colmo d’onori morì a Siviglia il 1512. Niuna impresa capitale egli
-compì, ma in lettere dirette a Renato duca di Lorena e a Lorenzo di
-Pier Francesco Medici, diede delle sue navigazioni un ragguaglio gonfio
-e confuso, con ostentazione di scienza e con apparenza d’uomo che
-compila scritti altrui. Firenze lo lesse con avidità, e gli decretò il
-fanale, cioè che davanti alla casa di lui si accendesse un falò per
-tre giorni e tre notti, come in antico solevasi ai benemeriti della
-patria, e tutte le case si dovessero illuminare e più i palazzi[340].
-Quella informazione fu subito messa a stampe, e perchè fu la prima che
-si pubblicasse, venne cercatissima, tradotta in varie lingue, talmente
-che i paesi nuovi si chiamarono la terra d’Americo, e il costui nome
-prevalse a quello del vero scopritore. Nol chiameremo per ciò falsatore
-e plagiario della gloria altrui, ma vi riconosceremo uno degli
-accidenti della gloria, tanto capricciosa nelle sue distribuzioni.
-
-Antonio Pigafetta vicentino, trovandosi in Ispagna al seguito di
-Francesco Chiericato ambasciatore della corte di Roma, partì collo
-spagnuolo Ferdinando Magellano per un viaggio all’estremità meridionale
-dell’America, e, datovi la volta il 21 ottobre 1520, compiva il primo
-giro del globo. Il viaggio era stato finito in millecentoventiquattro
-giorni; e la nave tratta in secco, fu conservata qual monumento della
-spedizione più arrisicata. Pigafetta fu accolto a Monterosi da papa
-Clemente VII, per cui istanza egli stese un racconto di quel giro, con
-poca esattezza e molta credulità, ma prezioso in mancanza d’ogni altro,
-e anche piacevole per la contezza di tanti paesi nuovi, e pel primo
-vocabolario di lingue parlate da Indiani. Con Magellano erano a quel
-passaggio anche Leone Pancaldo, Battista da Polcévera e un Baldassarre
-genovesi. Un altro genovese, Paolo Centurioni, proponeva a Basilio
-czar delle Russie un nuovo cammino alle Indie, venendo per acqua fin al
-Caspio, e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi al Baltico, onde recare
-più presto e direttamente ai Settentrionali le droghe, senza ricorrere
-ai Portoghesi[341]. Così, intanto che la patria tempestava fra gravi
-sciagure, molti nostri, e principalmente genovesi, andavano ad ardite
-scoperte, delle quali l’Italia non doveva giovarsi: piloti genovesi
-fecero la prima circumnavigazione, designata dal nome di Magellano;
-altri tentarono il passaggio polare.
-
-Col solito carico erano partite le galee di traffico veneziane per
-distribuire le droghe ne’ porti dell’Oceano, quando Piero Pasqualigo,
-ambasciatore a Lisbona, diede avviso alla Signoria che i Portoghesi
-aveano schiuso un altro varco alle Indie, ed offrivano le spezie ed il
-legname di costruzione a più fiorito mercato. Fu tenuto come pubblico
-disastro dalla repubblica, e si pensò al riparo non colla generosità
-che si eleva a vantaggiare se stessi col vantaggio altrui, bensì
-coll’egoismo che impaccia e pregiudica. Spedirono a insusurrare al
-soldano d’Egitto che gravi pericoli deriverebbero al suo paese e alla
-religione maomettana dalla prossimità di que’ nuovi e intraprendenti
-mercadanti, e gli offrivano braccia, consigli, armi per esterminarneli.
-Egli di fatto il tentò, unito ai principotti di Cambaja e di Calicut;
-ma il valore di Vasco de Gama, poi dell’Albuquerque dissipò le
-resistenze.
-
-Consiglio più generoso e insieme più profittevole alla repubblica
-sarebbe stato il mettere in comunicazione il Mediterraneo col mar Rosso
-traverso all’istmo di Suez, o all’Egitto pei canali del Nilo; e non
-mancò chi lo suggerisse: ma forse lo impedì quell’empia lega, in cui
-tutt’Europa si strinse allora appunto per distruggere Venezia.
-
-Il commercio, che i Portoghesi allora cominciarono coll’Asia,
-differiva da quel di Venezia in quanto questa lo permetteva a qualunque
-cittadino, escludendo gli stranieri, mentre i Portoghesi lo teneano
-come proprietà della corona; quella non negligeva l’industria interna,
-mentre i Portoghesi lasciarono deserte le manifatture e le campagne per
-usufruttare le colonie orientali. Gl’Inglesi perseverarono a comprar
-le droghe dai nostri; ma un equipaggio veneto di millecinquecento
-tonnellate, che nel 1587 naufragò sopra l’isola di Wight, fu l’ultimo
-che approdasse in Inghilterra, avendo la regina Elisabetta ottenuti pe’
-suoi dal granturco tutti i privilegi di cui fruivano i Veneziani.
-
-Presto dalla Sicilia passò la coltura dello zuccaro in America, che
-ne divenne la principale produttrice; di là vennero a noi molte nuove
-piante e derrate, molti usi ed abusi, e vizj e comodità e morbi. È
-generalmente accettato che l’inglese Raleigh portasse pel primo in
-Europa il pomo di terra nel 1586; ma il celebre botanico l’Ecluse
-(_Clusius_), che primo descrisse quel tubero nel 91, asserisce averne
-fin dall’88 coltivato nel suo giardino alcuni ricevuti dall’Italia,
-ove da qualche tempo servivano di cibo agli uomini e agli animali
-domestici.
-
-Ma noi avevamo cessato d’essere i fattori dell’Europa; non un palmo di
-terra acquistammo in quel mondo, che un nostro avea scoperto e un altro
-denominato; non ajutammo le successive indagini: vero è che restammo
-mondi del sangue e delle atrocità che le accompagnarono.
-
-Le scoperte schiudeano un nuovo campo alla santa operosità de’
-missionarj, che da Roma correano a piantar la croce dovunque gli
-avventurieri avessero cominciato la strage. Famosi principalmente
-riuscirono i Gesuiti nella Cina, e primi Gabriele Rogerio di Napoli,
-il Ricci da Macerata, il Pasio da Bologna, che educatisi nei costumi e
-nella lingua del paese strano, furono tollerati e donati, ed ottennero
-grandi successi di conversioni; anzi il Ricci scrisse un’opera in
-cinese, che lo fece porre fra i classici di quella difficile nazione.
-Prodigiosi effetti conseguì pure nel Malabar il padre Roberto de’
-Nobili romano, che però col troppo mostrarsi tollerante dei riti
-nativi meritò la disapprovazione di Roma, e (strano accordo) quella de’
-filosofanti. Da questi ed altri missionanti si ebbero le prime e le più
-esatte contezze di que’ paesi.
-
-Gli ambasciadori nostri alle Corti straniere informavano i loro Governi
-delle scoperte, via via ch’erano risapute; i mercadanti ne faceano
-appunto sui loro mastri per l’alterazione che derivava al prezzo delle
-derrate. Gli eruditi, di mezzo ai loro studj sull’antico, sentivano
-agitarsi il mondo moderno; e mentre sulla fede dell’erudizione Colombo
-ostinavasi nel glorioso suo errore, Pietro Martire d’Anghiera milanese
-scriveva a Pomponio Leto: — Non passa giorno che non ci arrivino
-prodigi nuovi da questo nuovo mondo, da questi antipodi dell’Occidente,
-che un tal Cristoforo genovese ha scoperti. Credo bene che tu abbia
-trasalito d’allegrezza, e a stento ti sia frenato dalle lagrime
-quand’io per lettere t’informai dell’orbe dianzi nascosto. Qual cibo
-più soave di questo a sublimi ingegni? Da me lo misuro, che sento
-bearmi lo spirito quando ragiono con alcuni tornati di colà. Tuffino
-l’animo in accumular dovizie i miseri avari; noi allietiamo le menti
-nostre nella contemplazione di siffatte meraviglie. E che fecero di
-più i Fenicj quando in regioni remote riunirono popoli erranti, e
-fondarono altre città? Ai tempi nostri era serbato vedere allargarsi di
-tanto le nostre concezioni, e tante cose insolite apparir d’improvviso
-sull’orizzonte»[342].
-
-Esso Pietro Martire pubblicò tre decadi _De rebus oceanicis_, che volle
-far credere scritte man mano che le informazioni giungevano[343], e il
-cui vanto riponeasi nell’aver saputo designare con parole classiche
-paesi e cose nuove. Dalle lettere del Colombo _De insulis Indiæ
-nuper inventis_ trasse un rozzissimo poema in ottave il canonico
-Giuliano Dati fiorentino[344], autore d’altri scrittarelli destinati
-a popolarizzare le scoperte. Di que’ viaggi poi una raccolta stampò il
-Fracanzano di Montalboddo a Vicenza nel 1507 col titolo di _Mondo nuovo
-e paesi nuovamente trovati da Alberico Vesputio fiorentino_; Antonio
-Manuzio un’altra de’ viaggi di Veneziani. Giovan Battista Ramusio,
-nato da Paolo letterato celebre, usato in molte legazioni, sperto di
-varie lingue, concepì principale amore per la cosmografia, e ne teneva
-accademia in sua casa a Venezia; e dei ragguagli che correano fece
-la miglior raccolta col titolo _Delle navigazioni e viaggi... nelle
-quali con relazione fedelissima si descrivono tutti quei paesi che da
-già trecent’anni finora sono stati scoperti, così di verso levante e
-ponente come di verso mezzodì e tramontana_, più più volte ristampate,
-dopo la prima di Venezia del 1550. Anche Livio Sanuto raccolse le
-migliori notizie delle scoperte, e s’un globo rappresentò tutto il
-mondo conosciuto, sicchè può considerarsi il primo che correggesse le
-antiche carte. Sventuratamente delle sue non si salvarono che dodici,
-pubblicate postume nel 1586, incise dal fratello Giulio; e l’Africa vi
-è ritratta con esattezza tale, che appena dalle recentissime scoperte
-potè essere migliorata.
-
-Alessandro Geraldini da Amelia nell’Umbria militò in Spagna, fu
-coppiere della regina Isabella, poi entrato ecclesiastico, educò
-quattro principesse che divennero regine; favorì i divisamenti del
-Colombo confutando i sofismi teologici che lo contrariavano; adoperato
-molto in diplomazia presso quasi tutte le corti d’Europa, finì vescovo
-di San Domingo in America. Scrisse molte opere di teologia, esortazioni
-ai Cristiani contro i Musulmani, e l’itinerario alle Antilie, con
-ragguagli sulle antichità, i riti, i costumi, le religioni de’ popoli
-di Etiopia, d’Africa, dell’oceano Atlantico, dell’India. Asserisce
-però aver veduto e trattato popoli e re, che nessun altro menziona;
-dà perfino iscrizioni latine, che asserisce aver copiate in Africa,
-evidentemente false: sì poco allora aveasi cura dell’esattezza.
-
-Altri continuarono viaggi. Giovanni da Empoli nel 1503 arrivava al
-Malabar. Filippo Sassetti fiorentino, buon matematico e discreto
-scrittore, visitò le Indie, e vorrebbesi il primo che avvertisse
-la declinazione dell’ago calamitato, che noi trovammo già prima
-indicata. Luigi da Vartema, gentiluomo bolognese, scrisse il suo
-viaggio in Levante, ristampato e tradotto in tutte le lingue. Mosso da
-Venezia dopo il 1500, visitò l’Egitto, la Siria, e nel 1503 imparato
-l’arabo, da Damasco colla carovana andò alla Mecca, soffrendo i
-disagi di quel tragitto, ammirando il gran mercato che vi si teneva,
-benchè declinasse dopo scoperto il passaggio marittimo all’India.
-Un Moro ch’era stato a Genova e Venezia, lo conobbe per italiano;
-nè al castigo serbato all’infedele che entra nella santa casa, potè
-sottrarsi se non fingendosi rinnegato, e bestemmiando i Portoghesi.
-Il Moro gli esibì di mettersi col re del Decan per fondere le sue
-artiglierie: ed egli, desideroso di avventure, accettò. Sbarcò a Aden,
-ma riconosciuto, fu messo in carcere; e solo col fingersi scimunito,
-e ricrear la regina colle sue buffonerie, potè campare. Allora visitò
-molte città dell’Arabia Felice, fendè la Persia, e giunse ad Ormus,
-a Herat, a Schiraz, centri di vivissimo traffico. Fece società
-con un mercante persiano, e dalle guerre impedito di giungere a
-Samarcanda, tornò a vedere altri paesi sino a Calcutta, dove stavano
-sin quindicimila mercanti forestieri. Il Vartema si estende a narrare
-i costumi dell’India, come uom che li vide in fatto, sebbene e spesso
-li frantendesse, e più spesso non osservasse quelle particolarità
-che ne formano il carattere. Seguitò a trafficar per que’ mari, e
-via fin al capo Comorin, all’isola di Seilan e al Bengala, indi al
-Pegù, a Sumatra, all’isola delle Spezierie, a Borneo, a Giava. Reduce
-a Calcutta, trova due Milanesi venuti nell’India co’ Portoghesi e
-disertati, coi quali s’accorda per fuggire dai paesi musulmani, e
-riesce a tornare fra i Cristiani. I Portoghesi l’ebber caro per le
-informazioni che offerse di regioni ignote, e gli agevolarono il
-ritorno a Lisbona, ove il re l’intitolò cavaliere; e di là tornò in
-patria il 1508.
-
-Gaspare Balbi veneziano, negoziante di gioje, trovandosi ad Aleppo
-il 1579, risolse visitare l’Oriente; e condottosi a Bir sull’Eufrate,
-navigò questo fiume pieno di pericoli fin presso a Bagdad; da questa
-_Babilonia_ nuova scese pel Tigri a Bàssora, donde a Ormus, osservando
-la pesca delle perle a Baharein, poi a Diu e a Goa, dove allora
-ingrandiva la potenza portoghese. La sua descrizione rispetto a storia
-e geografia non dilatò le nostre cognizioni, ma da mercante ch’egli
-era, informa a minuto del commercio, dei prezzi, delle direzioni.
-Da Goa traversò a Cochin, poi pel capo Comorin a San Tomé, notando
-i gran frutti delle missioni gesuitiche. Con mercadanti Portoghesi
-navigò nel Pegù, regno poderoso, che dominava quelli d’Ava e di Siam,
-e la cui capitale trovò grandiosa, qual rimase finchè i Birmani non
-la distrussero nel secolo passato. Quel principe, interrogatolo sul
-suo paese, e udito che governavasi senza re, volle sbilicarsi dalle
-risa, il regalò d’una coppa d’oro e tappeti cinesi, e ne comprò molti
-smeraldi, ricambiandoli con altre pietre e con pezzi di piombo che
-ivi scusavano la moneta. Passare ad Ava per farvi accatto di rubini
-non potè, in grazia d’una ribellione scoppiata, per la quale il re
-del Pegù chiamò a sè gli uffiziali e governatori, e sospettandoli
-d’intelligenze, li fece colle loro famiglie bruciare in numero
-di quattromila. Il Balbi potè vedere le trionfali solennità della
-vittoria, e marcie e pasti, dove i bianchi elefanti del re faceano
-segnalata comparsa. Ci dipinge quel popolo come mansueto, tollerante,
-educato dai buoni esempj de’ Talapoini, monaci austeri e caritatevoli,
-i quali non impedivano di farsi cristiani, dicendo che uno può esser
-buono in qualunque religione. Di là mandavasi argento al Bengala, riso
-a Malacca: sopratutto lavoravasi di cotone. Nol seguiremo nel ritorno
-e nella descrizione che fa delle usanze della costa del Malabar, donde
-per Ormus ripassò nel 1588 ad Aleppo, che avea lasciata nel 1579; e due
-anni dappoi pubblicava in patria il suo _Viaggio alle Indie orientali_,
-prezioso sì per la semplicità con cui acquista fede a’ suoi detti, sì
-perchè primo recò notizie dell’India transgangetica e particolarmente
-del Pegù.
-
-Pier della Valle può dar la misura della corrività, se non della
-sfacciataggine de’ viaggiatori. Staccatosi da Roma col proposito di
-percorrere le principali parti del teatro dell’universo, provvisto
-d’entusiasmo e di fede ma non di critica, sopra un legno veneziano
-approda prima a Corfù, dove riverisce le reliquie di santo Spiridione,
-e dove gli è mostrato un discendente di Giuda Iscariote. A Zante vede
-una fontana, la cui acqua proviene dalla terraferma, sottopassando alle
-salse, per tal segno che una volta ne sgorgò una tazza d’argento. Da
-Troja, che ricostruisce con tanta facilità, mentre con tanto stento
-i moderni non v’arrivarono, giunge a Costantinopoli, e vede gran
-meraviglie, e n’ode di maggiori, quali le due immense cisterne, sopra
-cui stanno sospese Santa Sofia e l’ippodromo, sostenute solo da alcune
-file di pilastri. Harlais ambasciadore di Francia gli agevola l’entrata
-nel serraglio, ove bacia la mano all’imperatore, ma preoccupato dalle
-idee de’ costumi e delle Corti europee, nulla intende di quella.
-Nelle case vede usare pertutto una bevanda nera, che chiamano caffè,
-e i cui effetti gliela fanno somigliare alla nepente, con cui Elena
-calmava i tedj degli assediati Trojani. Nell’Egitto scorre colla Bibbia
-e col leggendario alla mano, pertutto vendemmia pie tradizioni, e
-viepiù accostatosi a Terrasanta: e que’ racconti anche sì grossolani
-attraggono per la buona fede e la semplicità onde sono dettati. Dopo
-che potè prostrarsi sul sepolcro di Cristo, e ricever la comunione su
-quello di santa Caterina, crebbe di pietà, e sbandì quanto di mondano
-conservava. Avviatosi colla carovana verso Babilonia, sente parlare
-della bellezza stupenda, del raro ingegno, dell’incomparabile virtù
-della figlia del maggior ricco di Bagdad: onde invaghitosene per fama,
-non d’altro studia che d’arrivarvi presto, e la ottiene in matrimonio,
-e riconduce a Roma la bella Maani Gioreida.
-
-Jacopo Morelli, lodato bigliografo, stampò in pochi esemplari una
-dissertazione intorno ad _Alcuni viaggiatori eruditi veneziani poco
-noti_ (Venezia 1803), i quali sono Paolo Trevisano, Giovanni Bembo,
-Pellegrino Brocardi, Ambrogio Bembo, Giovan Antonio Soderino; e
-minori Bartolomeo Dandolo, Bonajuto Albani, Teodoro Gradenigo, Nicola
-Brancaleone, Antonio Priuli, Carlo Maggi, Cechino Martinello. Altri
-avremo a mentovarne, ma scarsissima messe ci danno i nostri campi. Ben
-fa meraviglia come di tanti portenti, che doveano concitare le fantasie
-e l’estro, poche o niuna scintilla traessero le muse nostre, severe od
-amene: alcuni poemi su que’ gloriosi fatti ricalcano i modelli antichi;
-e le allusioni fattevi non attingono l’originalità, neppure in mano del
-Tasso e dell’Ariosto.
-
-
-
-
-CAPITOLO CXXVI.
-
-La fine del medioevo.
-
-
-Così accompagnammo il passaggio dall’età media alla moderna. La società
-stabilita sulla libera autorità, sulla devozione dell’uomo all’uomo,
-sulla infallibilità cattolica, sulla ecclesiastica gerarchia, cede
-dinanzi all’indipendente indagine de’ pensatori, al cavillo erudito
-de’ leggisti, alla risoluzione de’ popoli di stracciar le fascie entro
-cui crebbero, e dei re di non tollerare superiori. Cessata quella
-robustezza di Roma imperiale, che assorbiva l’uomo nello Stato, la
-Chiesa avea proclamato la propria indipendenza: gli uomini franchi,
-i signori feudali, i Comuni, le maestranze ne voleano altrettanta,
-arrogandosi l’autonomia della propria sfera, per modo che non si trova
-più la nazione, lo Stato, ma l’individuo col suo senno e colla sua
-coscienza. Al contrario, gli Stati moderni sin dal nascere inclinano
-in un senso opposto alla società cristiana e ai dominj barbari,
-accentrando i poteri maestatici, estendendo la sfera della regia
-attività a scapito de’ signori e dei Comuni.
-
-A ciò erano ajutati dal desiderio d’ordine, di sicurezza, di
-protezione, ingrandito colle ricchezze e colla civiltà: ma ne derivava
-l’illimitata dominazione d’un uomo, giacchè tanti poteri concentrati
-non potendo più esercitarsi dal popolo, vengono affidati a un solo, e
-ne nasce la moderna assolutezza, ove l’individualità sparisce sotto i
-regolamenti, i diritti rimangono in arbitrio dei governi, e lo Stato
-dovendo regolare tutto ciò che interessa la maggioranza, più non
-conosce limiti nell’attività che si attribuisce, intacca perfino la
-proprietà coll’arbitraria imposta[345], surroga al concetto morale il
-calcolo del tornaconto, l’artifiziale autorità della magistratura alla
-naturale libertà di ciascuno, a un capo servito da poteri indipendenti
-l’idea dello Stato rappresentato da un uomo; insomma all’età cattolica
-sottentra l’età politica.
-
-È però compiuta la missione provvidenziale del medioevo, qual era
-di sfasciare l’onnipotenza dello Stato sopra i corpi e le anime,
-restituire all’uomo l’importanza che prima non attribuivasi se non
-al cittadino, rintegrare le nazionalità particolari, e in queste le
-famiglie.
-
-Da principio le famiglie de’ vincitori stavano raccolte in una
-imperfetta federazione, quale bastasse a tenere subordinate quelle de’
-vinti; e al possedimento delle terre si annetteva la sovranità, che in
-conseguenza suddivideasi fra tanti signorotti, volgentisi nell’orbita
-propria, non trascinati in quella di un unico preponderante. Finite le
-invasioni, sui rottami dell’impero di Carlomagno erasi fondato un nuovo
-ordine di cose, medio fra la schiavitù antica e le libertà moderne,
-cominciarono a parlarsi lingue distinte, nelle quali prorompeano versi
-per esprimere le credenze, le passioni, i sentimenti. Allora i Comuni
-ampliarono esse famiglie, introducendovi i vinti come artigiani o anche
-solo come inquilini della città; poi via via abbracciarono la campagna
-e i servi, e formarono vorrei dire tanti nuclei, attorno a cui si
-cristallizzarono i decomposti elementi.
-
-Fu questa la rivoluzione per cui l’Italia, prima che ogn’altra,
-cancellò le impronte della barbarie: rivoluzione casalinga, dove il
-governo passò dai re ai conti, dai conti ai vescovi, indi ai Comuni
-aristocratici, poi agli industriali, poi alle plebi, non cercando tanto
-la libertà civile quanto l’eguaglianza, e questa non nelle persone,
-ma nei corpi che eransi emancipati coll’oro e col sangue, senza però
-mai che si aggregassero ad un potere centrale. Fissando quel bulicame
-di persone e di Stati che, non ancora stretti a fasci, ed operanti
-più per sentimento che per la riflessione, esercitavano un’esuberanza
-di vita, in rapida e perpetua mobilità spingendosi, attraversandosi,
-sormontandosi, combattendosi per motivi ignoti, s’inaspa lo sguardo. Le
-cronache danno un motivo a ciascuno di quei fatti, un nome a ciascuno
-di quegli individui, e caratteri e passioni proprie; e soventi vi
-scorgiamo generosi fini, nobili interessi, pericoli vigorosamente
-affrontati, tanto da meritare più che gli eroi de’ grandi imperj
-l’attenzione di chi, qualunque ne sia il nome e le proporzioni, prende
-interesse all’uomo che lotta per la coscienza, per la libertà, per la
-patria. Ecco perchè il medioevo è così diversamente valutato: tanto più
-che le forme n’erano grossiere, e che all’induzione e alla deduzione
-prevaleva l’intuizione, fecondissima fonte di conoscenze e di verità
-più dirette ed essenziali, perchè produce l’entusiasmo, trattato di
-pazzia dal freddo raziocinio, incapace a spiegarlo; e che sempre vi si
-trovano a contrasto l’infinita aspirazione del pensiero e la trista
-realità, carità e barbarie, ironia ed amore, dubbio e misticismo,
-e nell’autore stesso improperj contro i papi e venerazione per san
-Francesco.
-
-Gente che vuol tutto restringere alla misura della nostra piccineria,
-che a forza d’abusare della parola libertà, d’erigere in regola il
-sofisma, di non riconoscere verità contraddicenti al proprio partito,
-nè importanza a principj che non siano i suoi, senza volerlo si riduce
-cortigiana della violenza e dell’arbitrio, e quando non ode schiamazzo
-per le vie chiama organizzata la società, ben è dritto se non sa che
-deplorare que’ tempi, e preferendo alla tutela municipale l’imperiosità
-governativa, alla libertà dei più la sovranità politica, anatemizza i
-governi popolari a fronte de’ regj che, nell’evo seguente, portarono
-all’Italia il silenzio della prigione, il riposo del sepolcro.
-Acquistar la libertà senza lotte, traforarsi da un governo all’altro
-a chetichella, sono utopie di gazzettieri che idoleggiano la propria
-ragione, e immolano i fatti alla teoria. Anche Venezia ne’ primi suoi
-secoli avea fortuneggiato tra rivolture e ambizioni, finchè trovò il
-suo assetto. Le altre repubbliche faticavano ancora nel travaglio, dove
-più dove meno spasmodico; e tutte frastornate dall’irrequietudine de’
-fuorusciti, dall’ingerenza ghibellina, e ben presto dalla conquista
-forestiera, per modo che non poterono trasformare gl’istinti in
-raziocinj, le passioni in principj morali.
-
-L’idolatria, sia al passato o al presente, non è degna se non di
-quella storia che fu adulterata dalla scettica manipolazione del
-secolo passato, e dal dilettantismo giornalistico di questi nostri,
-che conservano l’irriverenza e la leggerezza di Voltaire, quando
-Voltaire stesso penserebbe più seriamente. No: ai grandiosi spettacoli
-dell’umanità non vuolsi l’occhialetto indifferente o beffardo
-del teatro; e solo vi s’addentra chi, spogliato di presunzione
-filosofistica e di teologiche sottigliezze, cerca la figliazione
-degli elementi sociali, e come le civiltà procedano le une dalle
-altre per la forza d’evoluzione, che è propria della specie umana:
-che se la filosofia della storia errò ne’ singoli sistemi, convinse
-che l’oggi è figlio dell’jeri; che certe forme della società si
-attuano solo in alcuni periodi; che uno stadio dell’umanità procede
-dall’altro, la spiegazione di uno si trova nell’esistenza dell’altro.
-Scienza non si dà se non quella che riposa sopra le qualità insite e
-durevoli delle cose; che all’induzione aggiunge il lento corredo di
-prove, di fatti convergenti; che senza entusiasmo nè rancore aspira
-a discoprire la verità, la sola verità. E se il lungo studio e la
-violenta contraddizione ci valse, e la fatica nel determinare correnti
-del pensiero opposte a quelle che irriflessivamente lo trascinavano,
-a noi parve fatuità il credere che jeri solo nascessero i concetti di
-giustizia, d’indipendenza, di libertà; e che in un secolo, il quale
-non mette in prospettiva de’ suoi fatti che la prigione e la forca,
-giovasse ricordarne altri che vi mettevano il paradiso; che in un’età
-di vita fortuita e turbolenta e presto invecchiante, la quale proclama
-non esservi scampo dalla democrazia che nei soldati, giovasse non
-esaltare ma conoscere il medioevo, il quale avea creduto contro i
-soldati non trovare scampo che nella democrazia. Gridino a tutta gola
-che c’inganniamo; noi, scarchi delle intolleranze giovanili e attaccati
-pacificamente alle credenze nostre senza perseguitare le altrui,
-prostrandoci sulla recente tomba d’un amico, con lui proclamiamo: — Il
-vincitore è Abele».
-
-Tal è il senso della prima rivoluzione, segnata col nome de’ Comuni:
-ma agli eterogenei elementi bisognava metter ordine; e qui soccorrevano
-il diritto romano e l’ecclesiastico. Il romano, se anche aveva perduto
-l’efficienza legale, sopravviveva nelle tradizioni e negli scritti, e
-contribuì utilissimamente a dar norme di giustizia e di procedura. La
-Chiesa, che per la sua universalità era sfuggita dal frastagliamento
-del potere civile, al feudalismo, sistemato unicamente per la
-conservazione de’ vincitori, opponeva un ordine razionale, con poteri
-gerarchicamente coordinati, scritte le leggi, discusse in pubblico le
-prove testimoniali[346], la pena misurata dal dolo e dal fatto, non già
-dalla qualità del delinquente o dell’offeso, e sempre più identificata
-la legge colla morale. Dal diritto romano e dal canonico s’apprende
-ad accentrare i poteri sovrani; i diritti, le azioni, la pulizia
-si regolano con statuti, poi con codici, non dedotti da un concetto
-filosofico, ma dalle relazioni sociali e dallo storico andamento.
-
-Di tal passo l’Italia, che fino al Mille scomponeva le individualità,
-da poi le venne rannodando. Già erasi introdotta e avanzata l’opera
-dell’unificazione ragionevole dello Stato; comunanza ne’ tribunali;
-comunanza del diritto e dovere di difendere la patria negli eserciti;
-comunanza d’imposta per le strade, i fiumi, i canali, la pulizia delle
-città; comunanza dell’insegnamento; comunanza delle dignità sacre dal
-campanaro al sommo pontefice[347]: e ciò senza alienar tutto l’uomo
-allo Stato, in modo che nulla si sottragga, nè proprietà nè famiglia nè
-educazione nè culto.
-
-Al di sopra di tutti si bilicavano due podestà: una ecclesiastica,
-direttamente emanante da Dio, e confidata alla popolare elezione;
-temporale l’altra, ma che ancora riconosceva il diritto e dall’elezione
-e dal coronamento. Le due autorità supreme vennero a un conflitto, la
-cui essenza non consisteva nell’investire coll’anello o colla spada,
-bensì nella libertà di ciò che l’uomo ha di più prezioso, il credere e
-il pregare.
-
-Come avviene in tutte le gare, i campioni dell’una e dell’altra
-esuberarono: pure da un lato ci s’affacciano imperatori egoisti, che
-lavorano per sè, per le proprie famiglie, per denaro; violenti ora,
-ora subdoli; creano fantocci di papi, e li sostengono con male arti e
-coll’appoggiarsi agli uomini peggiori: dall’altro lato vecchi inermi,
-che non pretendono per se stessi ma per la Chiesa, irremovibili nel
-proposito, morali nei mezzi, veneratori della santità quand’anche non
-ne sono modelli. Quella contesa, oltre chiarire alquanto l’idea dello
-Stato, e l’indipendenza reciproca di due ordini in fatto distinti,
-preservò gli spiriti dal languore, che, nel morale come nel fisico, è
-la malattia più ribelle.
-
-La preponderanza del clero non era altro che quel jus sapientioris, per
-cui i Romani a coloro che hanno libera e adulta la ragione attribuivano
-la facoltà di governare gl’imbecilli ed inferiori. Senza la potente
-coesione della gerarchia cattolica, in tempi d’anarchia e d’ignoranza,
-che sarebbero divenute la religione e la civiltà? Essa dava al popolo
-cristiano l’unità necessaria per combattere l’unito islam; e cessato
-tal bisogno, lasciò rivalere le nazionalità. Ma non perdiamo di vista
-che quei papi furono della loro, non della nostra età; e il compararli
-a Giulio II o a Pio IX son retoriche piacevolezze o palingenesi
-fantastiche, giacchè essi non videro levante o ponente, conquistatori
-o conquistati, Latini o Slavi, bensì peccatori da redimere, spirito da
-sostenere nella lotta colla carne, ed altri aspetti inattendibili ai
-ciclopi del razionalismo, cui carattere è la paura e la detestazione
-d’ogni spiritualità. Scelti essi medesimi fra tutte le razze, poteano
-restringer la vista alla nazionalità? se non che, per l’arcana
-connessione delle verità superne colle temporali, fu sotto il manto
-pontifizio che le nazionalità si costituirono[348].
-
-La supremazia dell’imperatore sovra i principi e potentati tutti, che
-il Barbarossa avea fatta acclamare dai leggisti a Roncaglia, terminò
-con quel Federico II che pareva riunire i mezzi migliori per attuarla;
-e l’epopea delle grandi lotte si immiserì in controversie di dominio
-sulle Due Sicilie. Poniamo che queste, come la restante Italia, si
-fossero governate a popolo, la santa Sede v’avrebbe conservato senza
-contrasti la primazia; ma reggendosi a re, ne seguirono guerre, in cui
-entrambi i poteri scapitarono. Alessandro III come avea resistito al
-Barbarossa? coll’unire popolarmente la Lega Lombarda; Urbano IV non
-potè abbattere i discendenti di quello che col chiamare Carlo d’Angiò,
-aggravare cioè colla tirannia francese la tirannia tedesca.
-
-Ne segui però un effetto rilevantissimo; perocchè l’abolizione
-del dominio svevo pose termine alla sopreminenza della stirpe
-conquistatrice, che qui erasi piantata coi castellani e coi vassalli,
-e lasciò rinascere la coscienza della nazionalità nei nostri, che si
-consideravano come discendenti dai Romani. In questo senso si diressero
-i tentativi di restaurazione; a ciò la letteratura, a ciò le arti,
-a ciò la giurisperizia. Che trionfassero i Ghibellini era difficile,
-giacchè veramente contro di essi erasi fatta la rivoluzione popolare
-anche quando pareva invocarli; e la primazia imperiale dagli Svevi
-in poi non è più che di nome: eppure ne’ fatti che succedono abbiamo
-una prova che si dà libertà senza indipendenza, ma l’indipendenza non
-basta alla libertà. La Chiesa stessa sente in dechino l’autorità sua
-universale, ed è costretta assicurarsi un dominio temporale, che se
-in prima era un accidente, allora divenne il punto d’appoggio della
-politica sua efficienza.
-
-Anche mentre la vita sociale rimaneva sparpagliata fra i castelli,
-mai non perdettero importanza le città, che sono l’antichissima
-e vivace forma de’ governi italiani; e risorsero, e ristabilirono
-la democrazia, e di essa i frutti buoni e i peggiori. Nella vita
-democratica l’uomo, nobilitato il carattere nell’obbedienza alle
-leggi quanto rimane depresso nell’obbedienza a un uomo, lavorando per
-sè non per un padrone, concepisce elevata idea di sè e del proprio
-paese, si fa agevole nella conversazione perchè non s’immagina che
-altri vilipenda lui, come egli non vilipende altri, fortifica il buon
-senso nel conversare co’ suoi simili, nei quali più valuta il senno
-e i sentimenti che non le maniere, il fondo che non le forme; e in
-quel vivere pieno ed attuoso, cercasi meno la libertà de’ singoli che
-l’indipendenza di tutti.
-
-Noi, che per libertà intendiamo la tutela del riposo civile e della
-franchezza domestica e personale, l’assicurazione contro gli abusi
-del potere in qualunque mano sia posto, non la riscontrammo in quei
-tempi, quando libero si considerava chi partecipasse alla sovranità, al
-potere attivo; lo perchè prediligendosi il governo dei più, trovavasi
-libertà politica anzichè civile. Oggi, qualunque siasi il Governo,
-noi pretendiamo la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici,
-la inviolabilità della persona, il sottrarre a castighi il pensiero,
-la discussione filosofica, la bestemmia, lo scherzo, il costume, il
-lusso: allora invece tentonavasi fra sempre nuove forme politiche, non
-perchè garantissero contro gli abusi dell’autorità, sibbene perchè
-rappresentassero il popolo. Agli sconci parea rimedio o compenso
-la sovranità di tutti; la quale, emanata dal popolo, affidavasi
-a magistrati temporarj e responsali. Perfino nelle aristocrazie,
-il numero degli elettori e degli eleggibili era ristretto, ma non
-irrevocabile il potere: sola Venezia tenne doge a vita, ma il fasciò
-di gelosissime precauzioni: anche stabiliti i principati, questi
-non trasmetteansi con regolare eredità, sopravvivendo il concetto
-dell’elezione, sol cancellato poi dalla dominazione straniera.
-
-Quell’assiduo avvicendarsi di magistrati a troppo brevi periodi rinnova
-la febbre elettorale: pure l’abitudine delle assemblee rinvigorisce il
-senso comune, dà espertezza negli affari, e sentimento del diritto e
-del dovere; ove il merciajo e lo scardassiere può salir gonfaloniere
-e doge, ciascuno sente il bisogno di educarsi; ove due o seimila
-cittadini sono chiamati ogni anno a magistrati o rappresentanze, quanta
-cura di meritarsi stima! ove ogni uffiziale è sindacabile all’uscire
-di carica, quanta attenzione di contentare la pluralità! Non essendo
-lo Stato privilegio d’una classe, si cerca quel che compie al popolo:
-spedali e scuole si moltiplicano, e sontuosi edifizj, e, ciò ch’è
-distintivo, pulitezza universale negli abiti: che se oltr’alpe il
-palagio e la cattedrale, giganteggiando di mezzo ad informi casipole,
-indicano le largizioni e il decreto d’un re fra la nullità del popolo,
-da noi le vie allineate, i passeggi, le magioni erette a disegno,
-esprimono il genio generale e il concorso della intera nazione,
-operante non solo nelle capitali, ma in cittaducole, alla campagna e
-fin per entro a valli recondite.
-
-Chi rimaneva escluso dai godimenti, a cui convitano la natura, l’arte,
-il pensiero, l’attività? Quanto non riesce dolce all’uomo il cooperare
-alle sorti del proprio paese, il non obbedire che alle leggi cui egli
-medesimo discusse e sanzionò, non sopportar pesi se non accettati,
-non riconoscere autorità se non le elette da sè, insomma uscire
-dall’angusto circolo della vita individuale e domestica, per vivere
-e sentire in comune, dare e ricevere impulsi a nobili atti! Nelle
-passioni politiche l’anima si può depravare, ma non avvilire quanto
-fra i calcoli ignobili del cortigiano, del satellite, del finanziere.
-Coloro che credono l’immoralità essere nata soltanto colla stampa e
-coll’emancipazione del pensiero, han potuto vedere dal nostro racconto
-quanto gl’individui peccassero del vizio che accompagna l’ignoranza e
-la barbarie: eppure sullo spettacolo miserevole si stendono la fede
-e la carità, e nella prospettiva presa dall’alto scompajono molte
-deformità, e di mezzo alle colpe e ai difetti di una giovinezza tutta
-di esperienze rilevansi le qualità che distinguono l’Italiano. Non
-incalzato da bisogni urgenti, non lottante con un suolo e con un cielo
-ingrati, ha tempo di oziare, e in que’ riposi godere se non altro
-le vaghezze della natura, e riflettere sopra se stesso e sopra gli
-altri, persuadendosi così della propria dignità; alternando poi tra
-gli affari pubblici e privati, acquista pratica ed elevatezza, raffina
-l’intelligenza, nei modi e nel pensiero introduce quella pulitezza, che
-è l’espressione del rispetto che devonsi tutti i membri della grande
-famiglia.
-
-Nelle repubbliche ognuno sente la propria importanza, e registra i
-suoi dolori, che sommati pajono maggiori; mentre nelle monarchie si
-contano soltanto quelli de’ grandi, più strepitosi ma rari e meno
-compassionati. In quelle, private passioni s’intralciano alle rivolture
-pubbliche: ne’ principati ognuno soffre in silenzio i proprj malori,
-siccome effetto de’ cattivi ordinamenti, contro i quali è inutile
-reluttare; arresti, vessazioni, arbitrj sono dolori quotidiani, ma
-codardi e infruttiferi, nè raccolti dalla storia. Così viene quello
-stato, che i prudenti intitolano ordine, i servili prosperità, i
-generosi marasmo.
-
-Questo vivace sentimento dell’individualità, se affinava
-l’incivilimento di ciascuno, disserviva lo Stato, perchè gli uni agli
-altri si accostavano soltanto per costrizione. Il reciproco bisogno,
-nella mancanza d’ogni potere dirigente e tutorio, aveva ravvicinato
-spontaneamente gli uomini; e parentele e corporazioni procacciavano
-quella sicurezza, della quale non brigavasi lo Stato. Diminuito quel
-bisogno, si lentano perfino i legami domestici; i cittadini amano la
-patria ma per se medesimi; il governo di quella amano solo qualvolta
-vi partecipino; in conseguenza non si tollera nulla di prefisso,
-di durevole, d’obbligatorio. L’uomo, conscio de’ proprj diritti,
-facilmente s’impenna contro le necessità; anzichè incurvarsi ad esse,
-carpisce con violenza ciò che gli è ricusato, e vuol partecipare al
-governo, sia costituzionalmente, sia per forza. Da questo punto rimane
-solo un passo all’anarchia; e l’anarchia inevitabilmente ripiomba nella
-tirannide.
-
-Ponete una gente inesperta, di passioni ineducate, con tanti elementi
-deleterici, con tanti impacci al civile sviluppo, e poi incolpatela di
-non aver saputo costituire buone repubbliche e conservarle. Tenendo
-dall’origine loro una politica feudale che zelava il diritto della
-guerra privata, e la speculazione dei pochi sovra le moltitudini,
-sapevano più ingrandire per via di conquiste al modo germanico, che non
-aumentare in quantità di cittadini al modo romano; anzi, scemandosi
-questi pel logorarsi delle famiglie privilegiate o per l’espulsione
-delle vinte, fra sempre minor numero si restringevano l’autorità
-e l’interesse di conservare lo Stato. Pisa, Pistoja, Treviso, la
-Lunigiana... erano oppressate da una repubblica, quanto avrebbero
-potuto essere da un principotto; e poichè la metropoli, acciocchè non
-ricalcitrassero, le voleva fiacche e vigilate, per la conservazione
-interna negligevasi la forza necessaria alla difesa esteriore, la
-debolezza impediva di procedere risolutamente, e i partiti pigliavansi
-piuttosto per necessità che per riflessione.
-
-A molte anche internamente non restava di repubblica che il nome; e
-preterendo la salda oligarchia dei patrizj veneti, Bologna obbediva
-ai Bentivoglio, Lucca ai Petrucci, Perugia agli Oddi e Baglioni, Siena
-or all’uno or all’altro de’ suoi Monti, Firenze ai Pitti o ai Medici,
-Genova a sempre diversi. Anzi la società cittadina frazionavasi in
-piccole consorterie e maestranze, ognuna con privilegi e con qualche
-specie di sovranità; talchè se da Firenze era soggiogata Pisa, o da
-Venezia Padova, le maestranze della lana e della seta delle vinte
-si trovavano sagrificate agli utili e alla gelosia di quelle della
-vincitrice. Così disgregate e aliene d’interessi, come avrebbero potuto
-educare la coscienza pubblica? assodare il vincolo più forte d’uno
-Stato, la fiducia di ciascuno nella costituzione patria?
-
-Nell’eguaglianza si acquista de’ privilegi della società un’opinione
-più alta che non di quelli degli uomini; onde al poter dirigente si
-largheggiano diritti, anche micidiali alla libertà de’ singoli. Di
-fatto i Comuni non esitavano a concedere imperj assoluti a qualche
-magistrato; nelle ricorrenti insurrezioni i vulghi pigliavansi a
-capo qualche plebeo: ma questo ben tosto soccombeva alla propria
-inesperienza, e lasciava luogo a qualche signore che, conoscendo gli
-uomini e i tempi, avendo clientele ed uso delle armi e mezzi ed arte,
-si sosteneva almen fino ad una nuova rivoluzione.
-
-Cresciuti i commerci, il denaro rappresentò una nuova superiorità,
-come da prima erano i feudi. Dacchè il valor militare si ridusse
-vendereccio, molti generosi se ne distolsero, più volentieri
-maneggiandosi nella politica; e fattivisi destrissimi, guardarono
-come bestiale il rimettere all’avventura delle battaglie ciò che
-poteasi conseguire cogli accorgimenti. Fu necessità delle cose se le
-repubbliche gareggiarono coi principi in una politica senza probità,
-in subdoli maneggi, assassinj, avvelenamenti. Prevalsero dunque gli
-eserciti e il denaro, i più bei dominj carpì qualche condottiero
-fortunato o una città negoziante, e vennero a formarsi principati che
-abbracciavano i popoli non più come d’una razza o dell’altra, ma perchè
-abitanti sopra una data circoscrizione. Que’ principi dominavano a nome
-del popolo, o per commissione imperiale, due forme di despotismo; tanto
-più che avendo la tumultuosa libertà de’ Comuni svertato i privilegi
-feudali, più non trovavano barriere.
-
-I nobili, progenie de’ conquistatori, scapitavano d’importanza a
-misura che ne acquistavano i Comuni; interrotte le crociate, col
-fucile pareggiato l’eroe al villano, fatte venali le armi, si dissipò
-ogni prestigio della cavalleria, in cui quelli avevano ricoverato
-il valore e le pretensioni; ed ancora arroganti per non confessarsi
-vinti, ma insufficienti a surrogarsi ai vincitori, rifuggono alle
-congiure o alle perfidie, che colla mala riuscita offrono pretesto al
-signore d’impoverirli, e che manifestandone le debolezze li fanno anche
-spregevoli.
-
-Sono disastri della libertà, eppure con essi si va a quel che è
-vero progresso, l’eguaglianza; la risorta letteratura, a canto al
-diritto del sangue erige quello dell’ingegno; la classe lavoratrice
-pretende a tutti i vantaggi della possidente, e nel nome di sudditi
-sono tutti allivellati; la scoperta della stampa assicura che non si
-può bruciare il pensiero con un libro; quella del Nuovo Mondo, che
-il pensiero non si restringe fra i confini dell’antico, e che ci fa
-superiori ai selvaggi: e da questo movimento usciva attestato quel
-dogma del progresso, poter divenire inutili ed anche nocevoli ad
-un’età istituzioni a cui la precedente dovè salute e grandezza. Sel
-ricordassero i panegiristi come i detrattori del medioevo!
-
-Pertanto al quintodecimo secolo ogni cosa è cambiata in Italia. In
-tutte le contrade dominavano i forestieri, ora appena in Sicilia;
-apparivano nobili soli, ora anche il popolo; il castello prevaleva,
-ora la città; l’eguaglianza non è più concessione e favore: l’alito
-d’indipendenza, talmente vivace da non volere alcun uomo essere
-soggetto a uomo, non città a città, or lascia sormontare pochi
-dominanti: e mentre l’aspirazione liberale rendeva insofferente sin dei
-freni tutorj, or le tirannidi procedono sbrigliate.
-
-Era parso che i principi potessero meglio difendere le persone, le
-città, l’industria; oggetti a cui il popolo aspira, ben più che alla
-legislatura indipendente, alla eleggibilità, al suffragio universale.
-Ma que’ principi di piccoli Stati e di grande ambizione, sentendo
-precario il loro potere, trovando nemici fuori e dentro, avviluppavansi
-in turpi maneggi, in guerre sordamente menate, pubblicamente smentite,
-ispirate da gelosie, da puntigli, da egoismo, condotte a insidie
-più che a forza aperta; in quella politica, di cui Italia restò e
-diffamata e vittima. La storia del secolo xv è un avvicendamento
-di giornaliere sovversioni, congiure, omicidj, veleni, supplizj; la
-fede pubblica sconosciuta in pace e in guerra; e per qualche principe
-buono, una sequela di ribaldi, oppressori de’ popoli che gli aveano
-presi come tutela; e guerre indotte da personali ambizioni, nutricate
-coll’oro e col sangue della nazione che non le avea decretate e su cui
-ripiombavano. Non una forza o una persona prevalente appajono, come
-fra le altre nazioni; nè tampoco un’idea, quali erano per l’addietro
-la Chiesa e l’Impero, quali furono pei paesi vicini l’unità nazionale
-o il re. Il cadere e il sorgere d’un principe costituisce la storia
-apparente di questo periodo; agl’interessi generali e grandiosi
-sottentrano fatti parziali, vicende di famiglia, emulazioni intestine,
-ma non un papa, non un imperatore, non un signorotto, degni su cui
-si fermino ragionevolmente l’attenzione e i voti. Bensì, a vicenda da
-una fazione o dall’altra, era sorta una catena d’uomini a dominare o
-atterrire, quali furono Ezelino, Uguccione, Castruccio, re Roberto,
-Cane e Mastino della Scala, Bertrando del Poggetto, Azzone e Gian
-Galeazzo Visconti, re Ladislao, Francesco Sforza; ma nè la libertà, nè
-la Chiesa, nè la forza militare valsero a quel riordinamento, che è il
-compito più insigne dopo una rivoluzione.
-
-Non guelfi, non ghibellini, non imperialisti o papalini, i
-signori, aspiranti all’unità e al principato, vanno introducendo
-quell’imparzialità, che rimuove le occasioni di guerre, mentre,
-ridotta la politica a guerrieri, cioè a denari, danno alle finanze
-quell’importanza, che prima spettava alle idee e ai sentimenti.
-Finisce dunque il medioevo con un’età di posa fra le personali
-irrequietudini di quello, e le regie sovversioni del Cinquecento.
-Gli Italiani d’allora, non agitati da aspirazioni verso un avvenire
-di cui nessun principio era peranco affermato categoricamente, nè
-argutamente scontenti d’un passato di cui nessun principio rinnegavano
-perentoriamente, requiavano dagli interminabili guaj, dai quali
-erano spinti verso una società nuova, intelligente, artistica,
-governativa; in considerazione della quale stimavano i meriti anche
-più contraddittorj, ma sovra tutti la fortuna e il saper riuscire,
-e disfarsi de’ nemici senza sfoderar la spada; non disprezzavano
-l’indipendenza, supremo bisogno politico, ma meglio valutavano
-l’eguaglianza, supremo bisogno democratico, dando mano anche allo
-straniero per abbattere l’oppressore indigeno; veneravasi la religione,
-ma quasi altrettanto le idee classiche, nelle quali traducevasi il
-medioevo: e per le quali, coltivando le muse, volentieri le si metteano
-a mercato; e dell’erudizione come dell’ispirazione voleasi far dei
-motori per batter moneta, introducendo anche nel campo letterario come
-nel politico la supremazia della finanza.
-
-Ciò null’ostante noi trovammo personaggi illustri in ogni partita;
-soldati prodi e capitani ammirati anche di lontano; battaglie assai
-meno micidiali che nel secolo seguente; nessuna città veramente
-disfatta dalla guerra, se ne togliamo Piacenza; singolar favore alle
-lettere; commercio operoso tanto che il capitale produttivo italiano
-equiparava quello di tutto il mondo. Le età più suntuose faticheranno
-a superare i tre monumenti di Pisa, le cattedrali di Siena, d’Orvieto,
-d’Assisi, di Padova, di Milano, la Certosa di Pavia, la cappella
-Coleoni a Bergamo, le porte del battistero di Firenze, i bassorilievi
-del Donatello, i dipinti di frate Angelico. Grandiosi lavori intraprese
-la Lombardia per prosperare l’agricoltura: la Toscana pareva un
-giardino nella sminuzzata sua proprietà: che la campagna romana
-popolassero migliaja di villaggi, lo attestano le guerre fra Orsini e
-Colonna: Ostia era in decadenza, ma ancor popolosa: la maremma senese
-formicolava d’abitanti; grani raccoglievamo a soprabbondanza; e questi
-e i frutti, anzichè con galanterie e oggetti di lusso, barattavamo
-con materie prime, che porgevano alimento alle nostre manifatture.
-Il contadino, cessato d’esser servo, partecipava ai frutti con una
-specie di comproprietà, di cui non so se una migliore sappia ideare il
-socialista positivo; esente da servigi di corpo al padrone; del fitto
-era sicuro, perchè retribuivalo in natura; le condizioni restavano
-tradizionali da molte generazioni; de’ tributi il carico cadeva
-sul proprietario. L’essere i villani obbligati ad abitare in terre
-murate per salvarsi dal saccheggio militare, attribuiva loro qualche
-importanza civile, li chiamava a parte della difesa, ben altrimenti
-de’ paesi forestieri, dove ancora duravano a servire materialmente e
-personalmente un padrone, da cui non poteano staccarsi.
-
-Se non che in tutto sentesi mancare qualche cosa di ciò che fa
-sorgere e vivere le nazioni; la virtù. Quanti impeti generosi! quanti
-uomini insigni! quanto eroismo! ma tutto a momenti, a scosse, alla
-maniera d’un guizzo galvanico: quel perseverante proposito che per
-secoli si trasmette da una generazione all’altra, quell’elevazione
-di concetto che fa sagrificare costantemente il parziale al comune
-interesse, quella franchezza delle opinioni ponderate e fisse che
-chiamasi coraggio civile, quella nobiltà e giustizia dell’età matura
-che sottentra allo slancio buono ma improvvido della gioventù, e che
-offre il nobile spettacolo dell’ordine nella libertà, mancarono troppo
-spesso, direi sempre, alla storia nostra; e tale verità, o Italiani,
-non l’avrete mai ripetuta abbastanza alle generazioni nuove, che
-aspirano a quello cui non pervennero le precedenti.
-
-Il decadere de’ costumi della libertà assodava il potere dispotico,
-ma sgranato anch’esso, e quindi fiacco ed esposto prima alle brighe
-interne e all’emulazione de’ vicini, poi ai funesti appetiti degli
-stranieri. Il principe non avea fondamento se non, come diciam ora, nei
-fatti compiuti; non regolata la successione, non legalmente temperata
-l’autorità; la maestria delle finanze si riduceva ad almanaccare tasse
-nuove onde smungere il più che si potesse; del restante erano governi
-militari, che unici limiti conoscevano la potenza e il carattere di
-chi n’era investito. I magistrati comunali sopravviveano, ma ristretti
-alla minuta amministrazione e alla giustizia sotto di un podestà
-scelto dal principe, ed applicandola più con severità che con frutto.
-In nessun luogo i Comuni si congiunsero col potere centrale: in
-Sicilia prevalsero i baroni; a Genova e Venezia i cittadini divennero
-aristocratici onde escludere la turba che accorreva a tanta prosperità;
-la Romagna fu suddivisa tra infiniti signorotti, che però non
-costituivano un’aristocrazia politica, attesochè il governo rimaneva
-ai preti; in Lombardia si faticò sempre a piantare la vigoria del
-potere sopra l’eguaglianza; solo in Piemonte parvero associarsi popolo
-e principe mediante gli Stati, ma poco tardarono a soccombere anche
-questi al tributo arbitrario e all’esercito permanente.
-
-Le poche signorie, in cui erasi ristretto il primitivo frastagliamento,
-non adopravano le proprie forze che a contrappesarsi, affinchè nessuna
-prevalesse in modo da ridurre l’Italia in monarchia. Più d’uno vedemmo
-aspirarvi, e sempre fallire per opposizione degli altri, e massime
-de’ pontefici; potente sì, pure non unico obice all’unità del nostro
-paese, la quale non si potè effettuare nè prima che essi dominassero,
-nè quando si trovarono spossessati, come da Ladislao e da Napoleone.
-Stanno dunque più fondo che altri nol creda le radici di questa nostra
-divisione.
-
-Le forze de’ varj paesi trovavansi bilanciate in guisa, che uno mal
-poteva soggiogare gli altri. Inoltre per Lombardia, per Romagna, pel
-Reame avanzavano molti gentiluomini, che «oltre il vivere oziosi
-abbondantemente de’ proventi delle loro possessioni, comandavano
-a castella, ed avevano sudditi che gli obbedissero» (MACHIAVELLI),
-formando altrettante microscopiche sovranità, disposte ad allearsi
-contro chi le volesse sottomettere, e a costringerlo a tante guerre
-quante esse erano. Per raggiungere dunque cotesta unità ideale,
-bisognava il despotismo, che, abolendo le varietà di costumi, d’usi,
-di privilegi, e spianando le sommità, tutti comprime al ferreo livello
-dell’obbedienza. Ma quello non potea stabilirsi se non mediante la
-conquista, la quale avrebbe reso infelice la generazione che la subiva,
-e forse spento la vita che sì rigogliosa manifestossi finchè disuniti.
-
-Lo sminuzzamento degli Stati cresceva l’indipendenza politica, ed
-impediva il trascendere della potenza, la quale ingrossa a misura che
-esinanisce la libertà delle parti, e acquista i mezzi di rimovere gli
-ostacoli che gl’interessi particolari frappongono al generale.
-
-L’idea dell’unità nazionale, che sotto l’oppressione forestiera
-balza agli occhi con evidenza, è tra le sociali la più difficile, e
-l’ultima che i popoli acquistino, richiedendo e sforzo d’intelligenza
-e il sacrifizio di molte prevenzioni e l’abolizione d’ingiustizie
-radicate. Che poi l’identità di stirpe non basti perchè un popolo si
-trovi bene unito a un altro, effetti recenti lo dimostrano. Gli Stati
-italiani formavano altrettante unità indipendenti; e distruggere una
-sarebbe stato un omicidio, quanto l’abolire una vasta monarchia. Chi
-oggi tentasse sottoporre, fate caso, Toscana ai reali di Napoli, come
-sarebbe sentito dai pubblicisti? Pur jeri noi vedemmo un principato,
-lungo appena tre chilometri e largo uno, abitato da millecinquecento
-persone, e indipendente quanto quelli del medioevo, negare di abolir la
-propria autocrazia coll’annettersi al Piemonte; e se abbia provveduto
-al suo meglio, non potrà dirlo che l’avvenire[349]: certo l’Europa
-applaudì quando la repubblichetta di San Marino rifiutò d’essere
-aggregata agli Stati papali, ed essa ottenne rispetto fin dal guerriero
-che non riveriva se non gli Stati forti, non computava che il numero
-de’ cannoni.
-
-E qual mai popolo si rassegnò a perdere la locale indipendenza in vista
-d’una maggior solidità avvenire? Nè ragione d’immolare le parziali
-franchigie avevano, quando la divisione non recava i pericoli, che
-solo con Carlo VIII apparvero, di vedere strozzata la patria da
-soghe forestiere. O forse i paesi sottomessi a principato lo faceano
-invidiabile? Una Corte si surrogava alle loggie e all’arengo; una
-capitale alle dieci o venti città che prima imbaldanzivano di vita
-propria; un esercito assoldato alle milizie paesane; un erario alle
-borse de’ singoli cittadini, pingui di sudati guadagni, e sempre
-schiuse al pubblico bisogno. Qual vantaggio allettava dunque Firenze
-o Bologna o Genova a darsi ai Visconti o agli Angioini? Pareva anzi
-generosità l’ostare alle ambizioni di questi, e come propugnacoli
-dell’antica libertà furono vantati anche dagli statisti del secolo
-seguente. Iddio ti guardi, o popolo italiano, dal dimenticare le tue
-tradizioni e deporre le lunghe speranze! ma se puoi desiderare che
-allora l’Italia fosse stata soggiogata da alcuno, e per forza ridotta
-a quell’unità che Inghilterra e Spagna e principalmente Francia
-conseguirono, saresti ingiusto nell’accusare i padri di ciò che forse
-non era fattibile, certo non ad essi desiderabile.
-
-Ben deploreremo che i nostri menassero troppo strascico di memorie
-antiche, quando abbisognava senno pratico per surrogare l’ordine alla
-tumultuosa vigoria dei due secoli precedenti; ed aspettassero il colpo
-micidiale disuniti di leggi, di civiltà, di costituzioni, di dialetti,
-di tutto. Pure non pretendiamo dai nostri avi que’ sacrifizj, a cui
-non ci acconceremmo noi medesimi se non per forza; non trasportiamo
-al tempo loro la coscienza e le aspirazioni del nostro; non esigiamo
-prevedessero i mali che, venendo di fuori, scompigliarono i calcoli
-degli statisti e le forze de’ prodi. Tutta la letteratura di quel
-secolo è là per attestare come gli Italiani sentissero d’avere una
-patria quando nè il nome tampoco ne conosceano i Francesi[350]. E
-quanto lunga opera non fu necessaria agli stranieri per corrompere
-l’Italia innanzi di assoggettarla! e come dovettero cancellar tutti
-questi Comuni che ne aveano formato l’agitazione e il vanto, prima di
-piegarli alla neghittosa agevolezza del servire!
-
-Qual cosa più bella della vita? ma perchè è difficile regolarla,
-i cattivi Governi trovano più comodo lo spegnerla. Così si fece.
-Cessarono le agitazioni, e con esse la libertà: venne la pace, recata
-da quelli che avevano fomentato le ire: venne la pace, e con essa
-quell’accentramento d’amministrazione, che annichila l’individuale
-potenza e volontà, ed isola il governo dal popolo: venne la pace, e
-con essa lo spopolamento, la povertà, il disdoro, la morte politica,
-cui tennero dietro la intellettuale e la civile, finchè la giustizia,
-soddisfatta da torrenti di sangue e di lagrime in espiazione, dica
-_Basta_, e susciti i tempi di rinnovata alleanza, e le speranze
-fomentate da quelli che le possono adempire, e indarno guaste da
-coloro che nulla vogliono apprendere dal passato, non confidare che
-nelle rivoluzioni, e ad ogni rivoluzione ricominciare a proprio costo
-l’esperienza, e sperperare un altro bricciolo di libertà.
-
-Se dunque alcuni ripongono la colpa de’ nostri padri nel non essersi
-uniti tutti, perchè altri, additando l’abbassarsi del paese allorquando
-alla rigogliosa e molteplice vita se ne surrogò una artifiziale e
-scolorita, non potrebbe ricordar come, al mancare di quella forza
-vitale che tende a escludere dal corpo il nocevole, e dal morboso
-separare il vivificante, non resti che febbre frenetica o marasmo? Lo
-stesso Machiavelli, panegirista dei governi forti, confessa che il
-numero de’ grandi uomini sta in ragguaglio col numero degli Stati;
-annichilando questi, quelli decrescono insieme coll’occasione di
-esercitare la propria capacità.
-
-Che se alcuno di que’ principi fosse prevalso per astuzia o per forza,
-quest’Italia, tanto superiore alle altre genti in civiltà e ricchezza,
-facilmente sarebbesi gettata alle conquiste che allora ricominciavano,
-rinnovando i tempi romani, sostituendo la guerra al commercio e alle
-arti belle, e preparandosi nuove maledizioni per l’avvenire. Se valga
-meglio esser esecrati come i conquistatori, o come i conquistati
-rigenerare la fraternità nel dolore, il giudicherete, o Italiani,
-secondo che ciascuno crede virtù gli atti provenienti dalla forza o
-quelli dalla bontà.
-
-Allora poi che l’Italia perdeva la politica preminenza, ne acquistava
-un’altra coll’incremento della cultura e colle insigni produzioni
-dell’ingegno, al resto del mondo divenendo maestra d’arti e di
-lettere, come di politica. Quelle nel medioevo si erano conservate
-clericali; nei Comuni cominciò qualche laico a scrivere; indi i
-leggisti a levarsi, a paro de’ teologi; poi le Università soverchiare
-le scuole episcopali; infine quella volata di dotti greci e tanti
-poeti e tanti eruditi tolsero la mano al clero e primeggiarono fin ne’
-concilj di Basilea, di Costanza, di Firenze: alla lingua universale
-ch’era quella dell’antica Italia, si sostituirono le nazionali; le
-lettere rannodarono gli Europei, come prima la religione; e mentre già
-repubblica cristiana, allora si disse repubblica letteraria; la quale,
-comunque sembrasse surrogare oziosi trastulli alle fatiche attuose,
-dovea col tempo giganteggiare, sentire la propria dignità, e collocarsi
-fra le potenze motrici del mondo, creando l’opinione. Quale scossa
-non dovette produrre negli intelletti il subitaneo diffondersi d’un
-quindici migliaja di libri stampati, più corretti che i manoscritti
-e a miglior patto! Alle letture scarse, attente, ripetute, succedono
-le rapide e molteplici; alle convinzioni irremovibili perchè non
-dibattute, il dilatamento delle cognizioni e la vaghezza d’aumentarle.
-
-Ben è dunque perdonabile se il culto dell’antichità degenerò in
-idolatria, se il farnetico di rinnovarla turbò il nobile intento
-d’emularla. In conseguenza, dagli originali passò l’impero dell’ingegno
-agli eruditi, gente di schiena e non di genio, che fabbricava non
-creava, che in metafisica e in morale non oltrepassava il punto
-ov’erano giunti gli Scolastici, nella storia e nelle antichità non
-sapeva schermirsi dall’impostura, nell’esposizione credea rusticità la
-naturalezza, e mutilava i pensieri onde esprimerli in una lingua con
-cui non erano nati, e nella quale non raggiungevasi l’ambita purezza.
-
-L’erudizione fu la forma generale d’ogni studio e progresso di quel
-tempo; i testi valeano quanto un argomento, e per convincere bastava
-citare; la medicina s’attaccava a spiegare o combattere Ippocrate e
-Galeno; la filosofia cercava in Platone o in Aristotele la maggiore
-de’ suoi sillogismi, la tessitura delle sue argomentazioni, perfino
-la scusa agli ardimenti suoi; l’alchimia si fiancheggiava di nomi
-antichi; la strategia, benchè innovata dalle armi a fuoco, studiava
-sopra Onesandro e Vegezio, e a ricostruire il ponte di Cesare sul Reno;
-l’architettura cercava a Vitruvio, non solo i canoni dell’imitazione,
-ma e la giustificazione delle novità; e Cesare Cicerano nella _summa
-æde baricefala_, cioè nel duomo di Milano, pretendeva applicate tutte
-le regole di quell’autore.
-
-Pure dentro questo circolo infrangibile i liberi spiriti non
-limitano il ristauramento de’ classici a industria letteraria, ma lo
-estendono alla vita; imperatori e repubbliche vi rintracciano leggi
-e ordinamenti; i giureconsulti ne allargano e talvolta impacciano il
-diritto nuovo; per classiche rimembranze Cola Montano, Cola Rienzi
-e Stefano Porcari meditano riformare la patria; per erudizione si
-ammirano le virtù e prediligonsi le idee del paganesimo, tanto che
-molti sentirono la necessità di assumere la difesa della tradizione
-religiosa, come Marsiglio Ficino, Alfonso di Spina, Enea Silvio,
-Pico Mirandolano; sulla fede degli eruditi Colombo italiano mosse
-a uno scoprimento, che all’Italia doveva tornare funestissimo.
-Trovata l’America, si trattava di dividerla fra i popoli scopritori,
-e per evitare un conflitto si ricorse al papa; e questo tracciò una
-meridiana, che delimitasse le conquiste di Spagnuoli e Portoghesi.
-Sublime spettacolo, il papa che, come ne’ tempi organici del medioevo,
-arbitro si asside fra due grandi popoli onde prevenire una guerra, e
-fra loro spartisce un nuovo mondo! Eppure l’antico era in procinto
-di sfuggirgli; era già nato Lutero; la Riforma, covata in Italia,
-sbocciava di fuori; e la Germania, che n’era stata l’emula per tutto il
-medioevo, sbalzava l’Italia anche da questo primato.
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- FINE DEL LIBRO UNDECIMO E DEL TOMO OTTAVO
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-INDICE
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- Capitolo CXII. Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe
- colla Toscana. Il Milanese eretto in
- ducato _Pag._ 1
- » CXIII. Venezia e Genova. Guerra di Chioggia.
- Venezia ricresce, Genova si perde » 37
- » CXIV. Giovanna I di Napoli e Luigi
- d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II.
- Gli Aragonesi in Sicilia » 55
- » CXV. L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il
- Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza. » 88
- » CXVI. Repubblica Ambrosiana. Venezia
- conquistatrice. Francesco Sforza.
- I Foscari » 122
-
- LIBRO UNDECIMO
-
- » CXVII. I papi in Avignone. Il grande scisma.
- La Chiesa e i Concilj » 145
- » CXVIII. L’impero d’Oriente, e sue relazioni
- coll’Italia. I Turchi a Costantinopoli.
- Perdita delle colonie italiane. Venezia
- guerreggia i Turchi » 200
- » CXIX. Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici
- sormontano » 233
- » CXX. Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi.
- Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici » 267
- » CXXI. Gli eruditi » 303
- » CXXII. Gli scienziati. I libri. La stampa. » 339
- » CXXIII. Costumi cittadini, signorili e mercantili.
- Lusso crescente. Cultura estesa.
- Origini del teatro » 373
- » CXXIV. Industria e commercio » 446
- » CXXV. Viaggiatori italiani. Colombo. Le
- scoperte » 530
- » CXXVI. La fine del medioevo » 562
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-NOTE:
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-[1] ODORICI, _Storie bresciane_, pag. 184.
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-[2] _Antichità estensi_, II. 133.
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-[3] Secondo Gianrinaldo Carli, il prezzo medio del frumento allora era
-L. 5.1 al moggio, del vino L. 12.16 alla brenta. Da ciò si ragguagli il
-valor del denaro.
-
-[4] L’_Art de vérifier les dates_ dice: _Pétrarque, si avare de
-louanges même pour les grands hommes de son siècle, ne peut contenir
-son admiration etc._ Noi vedemmo se ne fu avaro.
-
-[5] Qui finiscono i tre Villani, carissimi storici, la cui mancanza è
-irreparabile.
-
-Giovanni Cavalcanti racconta che, quando all’Acuto si pagò grandissima
-quantità di fiorini, esso ne cavò seimila, e li regalò a Spinello (di
-Luca Alberti) tesoriere, per le fatiche che ebbe. Spinello ringraziò,
-e «tornando a Firenze, scavalcò alla porta del palagio, e a’ signori
-raccontò tutto il convenente, e a loro diè la ricca borsa dicendo:
-_Mandateli alla camera con uno bullettino di commissione ch’io li
-metto ad entrata del Comune_. E così seguì. Questo Spinello invecchiò
-nell’uffizio di tesoriere, ed alla sua morte non gli si trovò tanto
-lenzuolo che vi si fasciasse il suo corpo». _Storie fior_., tom. II.
-app. p. 491-93.
-
-[6] _Religionis timorem ponendum esse censebant, ubi is officeret
-libertatem_. POGGIO BRACCIOLINI, lib. III. p. 223.
-
-[7] Il primo podestà mandatovi da Gian Galeazzo, fu nel 1396: in
-Valtellina già si mandava nel 1378.
-
-[8] Qualche esempio anteriore ne troviamo. Così, nel 1241, Guglielmo
-Visconte, nominato vicario di San Romolo dall’arcivescovo di Genova,
-promette, oltre il resto: _Si forcia vel forfacta ab aliquo ejus loci
-et districtus facta fuerit, et notorium et manifestum seu publicum aut
-mihi denunciatum fuerit, quamvis non sit inde querimonia facta mihi,
-tamen ego ad vindictam faciendam, et veritatem ejusdem forciæ vel
-forfactæ inquiram, et vindictam faciam ac si querimonia propterea mihi
-facta esset_. Liber jurium, tom. I, p. 994.
-
-[9] Il concetto di successione ereditaria è nell’investitura del
-conte di Virtù. _Statuimus quod præfatus Jo. Galeaz Vicecomes et
-post ejus decessum eo modo quilibet alius tunc descendens legitimus
-masculus de corpore suo, prout ipse ordinaverit et disposuerit, sit et
-sint perpetuo verus legitimus et naturalis dominus et veri legitimi
-et naturales domini dictæ civitatis et totius districti._ (SITONI,
-_Vicecomitum genealogica monumenta._ Milano, p. 21). Già al 1385, 15
-ottobre, i Milanesi fecero _Decretum de pœna dicentis contra statum
-Domini_: ove dichiarano _quod nulla persona audeat nec præsumat populum
-nominare_. (_Antiqua Ducum Med. decreta_. Milano 1654, pag. 88).
-
-[10] Corio. — Quella solennità è spiegata estesamente in una lettera,
-scritta li 10 settembre dell’anno stesso, da Giorgio Azzanello ad
-Andreolo Aresi cancelliere ducale. Furono invitati da quasi tutte
-le parti del mondo principi, signori e comunità per condecorare la
-coronazione del nuovo duca, onore dell’Italia. Appena spuntato il
-giorno di domenica, dal castello di porta Giovia accompagnarono il
-futuro duca fino a Sant’Ambrogio, preceduti da istrioni e musici. Sopra
-quella piazza verso la cittadella era alzato un palco quadro, difeso
-da steccato, coperto ne’ ripari e nei gradini di panno scarlatto,
-e sopra di broccato d’oro su rosso. Quivi il magnifico cavaliere
-Benesio Cumsinich, luogotenente cesareo, aspettava il futuro duca per
-intronizzarlo. Gli altri prelati, signori ed ambasciatori sedettero
-sopra lo stesso palco. Stavano vicino a questo a sinistra Paolo de’
-Savelli principe romano ed il cavaliere Ugolotto de’ Biancardi, con
-schiera di cinquecento cavalli per custodire la piazza affollatissima.
-Arrivato il futuro duca e gli altri con lui, Benesio benignamente lo
-accolse, e collocosselo alla mano sinistra al più eminente luogo del
-soglio. La bandiera imperiale era tenuta a destra da un cavaliere
-boemo, compagno di Benesio: alla sinistra un’altra bandiera inquartata
-coll’arme del duca, era tenuta dal cavaliere Ottone da Mandello.
-Lettosi il privilegio, che costituiva Gian Galeazzo duca di Milano,
-concesso dall’imperatore Venceslao in Praga al 1º maggio 1395, il duca
-inginocchiatosi giurò fedeltà a Cesare nelle mani del luogotenente,
-il quale gli pose su le spalle il manto ducale foderato di vajo da
-cima a fondo; quindi presolo pel braccio lo intronizzò, ponendogli in
-capo una corona gemmata, stimata ducentomila fiorini. Stando seduti
-il duca e il luogotenente, i prelati cantarono inni di ringraziamento
-a Dio fra ’l concerto degl’istromenti musicali; poi Pietro Filargo
-recitò una orazione panegirica in lode del duca. Finita questa, si
-celebrarono gli uffizj divini; poi il luogotenente e il duca montarono
-a cavallo, e serviti da magnifico baldacchino portato da otto cavalieri
-e otto scudieri, andarono col seguito di tutti i prelati, signori ed
-ambasciatori sino all’antico palazzo, alle cui porte furono affisse
-le due bandiere imperiale e ducale. Erano in corte apparecchiate le
-tavole, servite con ricchissima argenteria, e di sopra padiglionate
-da arazzi tessuti a oro. Al capo della mensa sedè il duca avendo ai
-due lati i cesarei luogotenenti, e dietro per ordine di dignità gli
-altri signori. Al lunedì passarono mostra nel palazzo ducale i disposti
-giostratori. Al martedì, trecento di questi, divisi in due schiere,
-l’una rossa e l’altra bianca, colle loro bandiere entrarono nello
-steccato, essendo proposto premio della vittoria mille fiorini. Al
-mercoledì si giostrò di nuovo, e premio era un fermaglio del valore
-di mille fiorini, e lo vinse il marchese di Monferrato. Al giovedì
-terminarono le giostre, nelle quali Bartolomeo fratello di Domenico
-da Bologna acquistò un cavallo del prezzo di cento fiorini; e Giovanni
-Rubello scudiere del detto marchese, un altro di ducento».
-
-[11] Valtellina, Valcamonica, Varese, Legnago, Castello, Arquà, Salò,
-Bassano, Castelnuovo di Tortona, Riviera di Trento, Soresina, Lecco,
-Vigevano, Pontremoli, Voghera, Borgo Sandonnino, Casal Sant’Evasio,
-Valenza, Crema, Monza, Grosseto, Massa Lunigiana, Assisi, Bobbio,
-Feltre, Belluno, Reggio, Tortona, Alessandria, Lodi, Vercelli,
-Novara, Vicenza, Bergamo, Como, Cremona, Piacenza, Parma, Brescia che
-nell’epitafio di lui è detta _civili nondum enervata duello_, Verona,
-Perugia, Siena, Pisa, Bologna, Pavia, Milano.
-
-[12] _Mémoires_, cap. VII.
-
-[13] Andrea Biglia, allora vivente, racconta che Antonio Bosso,
-intrinseco di Facino, l’avvertì restargli poche ore di vita, e però
-provvedesse all’anima sua. Facino rabbujato gli intima: — Va tu a
-cercarti un confessore, che fra un’ora ti manderò al supplizio». Il
-Bosso, che lo sapea uomo da mantener la parola, sbigottì tutto, e
-quasi venne meno; ma Facino rasserenatosi gli soggiunse: — Da quel
-che provasti tu, argomenta quel che hai fatto soffrire a me col tuo
-pronostico». Davvero non era momento da burle.
-
-[14] Una casa comprata dalla Signoria per regalare a Luigi Gonzaga
-signore di Mantova, costò seimila cinquecento ducati; tremila un’altra
-donata al vaivoda dell’Albania. Le prove sono in DARU, _Storia di
-Venezia_, lib. XIII.
-
-[15] Alle tante prediche di pace si potrebbe opporre una di guerra,
-riferita da Franco Sacchetti, come udita da lui allora appunto da un
-romitano in San Lorenzo di Genova. E’ diceva: — Io sono genovese; e
-se io non vi dicessi l’animo mio, e’ mi parrebbe forte errare; e non
-abbiate a male che io vi dirò il vero. Voi siete appropiati agli asini:
-la natura dell’asino è questa, che quando molti ne sono insieme, dando
-d’uno bastone a uno, tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual
-fugge là, tanta è la lor viltà; e questa è proprio la natura vostra.
-E i Viniziani sono appropiati a’ porci, e sono chiamati Viniziani
-porci, e veramente eglino hanno la natura del porco; perocchè essendo
-una moltitudine di porci stretta insieme, ed uno ne sia o percosso o
-bastonato, tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi li percuote;
-e questa è veramente la natura loro; e se mai queste figure mi parvono
-proprie, mi pajono al presente. Voi percoteste l’altro dì li Viniziani,
-e’ si sono serrati verso voi a lor difesa ed a vostra offesa; ed hanno
-cotante galee in mare, con le quali v’hanno fatto e sì e sì; e voi
-fuggite chi qua e chi là, e non intendete l’uno l’altro, e non avete se
-non cotante galee armate; egli n’hanno presso a due tanti. Non dormite,
-destatevi, armatene voi tante, che possiate, se bisogna, non che
-correre il mare, ma entrare in Vinegia. — Poi fe fine a queste parole,
-dicendo — Non l’abbiate a male, che io sarei crepato, s’io non mi
-fusse sfogato. — Ora questa cotanta predica udii io, e tornàmi a casa;
-l’avanzo lasciai udire agli altri».
-
-[16] ANDREA GATTARO, pag. 280.
-
-[17] Ecco l’esempio d’una dichiarazione offerta per parte del Caresini,
-che continuò la cronaca del Dandolo: — Raffaello Caresini, cancellier
-grande, offerisce lui con due buoni compagni al suo salario e spese
-e un famiglio d’andare sull’armata, e di pagare la spesa di tutti gli
-uomini da remo al mese ducati quattro e a’ balestrieri ducati otto al
-mese per uno. Item dona tutti i prò de’ suoi imprestiti e imposizioni,
-ch’egli ha e che farà nella presente guerra; e di prestare ducati
-cinquecento d’oro a renderseli due mesi dopo finita la guerra». Ap.
-SANUTO, pag. 736.
-
-... _Concernentes anxio mentis intuitu magnificus dux, consilium
-atque cives januensem patriam, quæ, inter alias catholicas nationes,
-oris præsertim maritimis, triumphales sui roboris vires expandit
-comerciorum, negociacionibus etiam quam maxime frequentata, et portus
-et janua navigationibus et lucrorum agendis, quibus humanum alitur
-genus abundans magistra, nunc aliquot jam exactis annis, aut justa
-Dei ira ex ingentibus mortalium noxis, aut acerbæ sortis sinistris
-auspiciis ferali civilium parcialitatum contagiatam morbo, sic solitis
-debilitatam viribus, quod januensis reipublicæ corpus suis artubus
-plurimis peste lesis, nisi salubri succurrerentur remedio, flebilis
-excidii pernicie damnaretur ipsius equidem remedii medelam ab intimis
-anhelantes, diurnis cogitationum curis hinc inde versarunt, tandem
-prudentissimis consiliis advertentes serenissimi ac invictissimi
-principis domini Francorum regis laudabilem justitiam, qua sua regio
-felix floret, incomparabilem potentiam qua quicumque terentur iniqui,
-scelesti domitantur raptores, et barbarica reprimitur feritas, ad suam
-amplissimam clemenciam suarum deliberationum aciem direxerunt. Ita
-demum quod miseranda januensis nationis cimba, quæ jamdiu horrendis
-fluctuationum turbinibus agitata, nimia confusione ambitus et odiorum
-lacerata dissidiis, seu cautibus non parum allidens formidabile
-submersionis periculum vix evasit. Ecce tetris observata nubibus
-longe titubans pelago, clarum pietate cœlesti clementiæ regiæ jubar
-perspectans etc._
-
-Dopo queste frasi retoriche, vengono i lunghi e chiari patti, che
-meritano esser letti nel _Liber juris_: vol. II. p. 1237, per più di 13
-colonne.
-
-[18] Ad Enrico VII, a Roberto di Napoli, all’arcivescovo di Milano, e
-ora a Carlo.
-
-[19] STELLA, pag. 1176, 1193. _Rer. It. Script_., XVII.
-
-[20] _Rivoluzioni d’Italia_, lib. XIV. c. 8. Egli stesso si contraddice
-al cap. 4 del lib. XV.
-
-[21] Spesso egli recitò, o almeno compose sermoni per lauree,
-per capitoli di frati, per funzioni ecclesiastiche; e si trovano
-manoscritti.
-
-[22] _Suscipe Robertum regem virtute refertum_.
-
-[23] _Rerum memorabilium_, lib. I. c. 1.
-
-[24] Un anello con cinque perle; una trecciuola con ottantasei perle
-minute; una ghirlanda d’argento, su cui perle novantasei; una cintola
-con perle minute; una coppa di cristallo con coperchio fornito
-d’argento, che valse lire cinquantuna; un orcioletto di cristallo
-fornito d’argento e perle; una coppa di nacchera (madreperla) fornita
-d’argento e perle, furono dati in pegno per fiorini censettantasei a un
-mercante fiorentino.
-
-[25] _Fragm. Hist. romanæ_, lib. I. c. 10. — DOM. DE GRAVINA, _Rer. It.
-Script_., XII. 572.
-
-[26] Parole di Matteo Villani, lib. II. c. 61, e soggiunge questo
-fatto: — Un Catalano, il quale teneva una rôcca, fece a’ suoi compagni
-tenere trattato col conte di Ventimiglia, il quale, avendo voglia
-d’aver quella rôcca, con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato
-entrò nel castello con centoquattro compagni, benchè più ve ne credesse
-mettere; ma come con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori
-furono chiuse le porte, il conte e i compagni presi; e avendovi
-uomini, i quali si volevano ricomperare a grande moneta, ed erano da
-riserbare per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo
-feroce de’ Catalani, che senza arresto spogliati ignudi i miseri
-prigioni, e legati colle mani di dietro, l’un dopo l’altro posto a’
-merli della maggior torre della rôcca, sopra un dirupinato grandissimo
-furono dirupinati senza niuna misericordia, lacerando i miseri corpi
-con l’impeto della loro caduta ai crudeli sassi. Il conte solo fu
-riserbato, non per movimento d’alcuna umanità, ma per cupidigia di
-avere per la sua testa alcuno suo castello vicino ai crudi nemici».
-
-[27] Il Giannone, colle sue frasi grossolane insieme e gonfie, chiama
-«Giovanna la più savia reina che sedesse mai in sede reale», lib.
-XXIII. c. 3; e lo ripete nel cap. 5; poco poi scrive che la regina,
-«ancora che ella fosse in età di anni quarantasei, era sì fresca che
-dimostrava molta attitudine di far figli».
-
-[28] Ap. LÜNIG, tom. I. p. 210. 1215. Alla coronazione di Luigi II
-d’Angiò si presentarono in Napoli molti baroni, conducendo più di
-millecento cavalli; poi i Sanseverino ne condussero milleottocento
-tutti ben in arnese. Al che Angelo di Costanzo, che scriveva ai tempi
-di Filippo II, riflette: — Io, vedendo in questi tempi nostri, d’ogni
-altra cosa felicissimi, nella patria nostra, tanto abbondante di
-cavalieri illustri ed atti all’armi, la difficoltà che saria il porre
-in ordine una giostra, per la qual difficoltà si vede che ha più di
-trent’anni che non n’è fatta una, e l’impossibilità di poter fare in
-tutto il Regno mille uomini d’armi di corsieri grossi, simile a quelli
-di quei tempi, sto quasi per non creder a me stesso questo ch’io scrivo
-di tanto numero di cavalli, ancorchè sappia che è verissimo; ed oltre
-che l’abbia trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche,
-l’ho anco visto nei registri di quelli re che gli pagavano. Ma questo è
-da attribuirsi al variar de’ tempi, che fanno ancor variare i costumi.
-Allora per le guerre ogni piccolo barone stava in ordine di cavalli
-e di genti armigere per timore di non esser affatto cacciato di casa
-d’alcun vicino più potente; ed in Napoli i nobili, vivendo con gran
-parsimonia, non attendendo ad altro che a star bene a cavallo e bene
-in arme, si astenevano da ogni altra comodità; non si edificava, non
-si spendeva in paramenti, nelle tavole dei principi non erano cibi di
-prezzo, non si vestiva, tutte le entrate andavano a pagar valent’uomini
-ed a nutrir cavalli. Or per la lunga pace s’è voltato ognuno alla
-magnificenza nell’edificare ed alla splendidezza e comodità del
-vivere, e si vede ai tempi nostri la casa che fu del gran siniscalco
-Caracciolo, che fu assoluto del Regno, a’ tempi di Giovanna II regina,
-ch’è venuta in mano di persone senza comparazione di stato e di
-condizione inferiore; vi hanno aggiunte nuove fabbriche, non bastando
-a loro quell’ospizio, ove con tanta invidia abitava colui che a sua
-volontà dava e toglieva le signorie e gli stati. Delle tappezzerie e
-paramenti non parlo, poichè già è noto che molti signori a paramenti
-di un par di camere hanno speso quel che avria bastato per lo soldo
-di dugento cavalli per un anno; ed avendo parlato della magnificenza
-de’ principi, con questo esempio non lascerò di dire dei privati che
-si vede di cinque case di cavalieri nobilissimi fatta una casa di un
-cittadino artista. Tal che credo certo, che, se fosse noto agli antichi
-nostri questo modo di vivere, si maraviglierebbono, non meno di quel
-che facciamo noi di loro».
-
-[29] RYMER, _Acta_, tom. IV. part. II. pag. 45. A tutti questi fatti
-era presente Teodorico da Niem, che scrisse la vita di Giovanni XXIII.
-
-[30] Questa vittoria, che il Sismondi chiama _la plus importante,
-la plus glorieuse, qui de tout le siècle eût été remportée sur la
-Méditerranée_, secondo i _Giornali napolitani_ fu dovuta ad uno
-stratagemma, che sembra pueril cosa quando già si conoscevano le
-artiglierie. «Fu combattuto con sapone, olio, pignatelli artificiali,
-pietre di calce, le quali buttando sopra le navi nemiche dalle gabbie
-loro, le redussero che l’uno non vedeva l’altro, et alcuna volta
-offendevano li loro medesimi credendoli nemici». E più distesamente
-Giovanni Cavalcanti: «L’arte dei Genovesi che usarono, fu di
-maraviglioso scaltrimento: conciossiacosachè portarono infinito numero
-di vasi di terra, come pignatte e orciuoli, e quelli di calcina viva
-e di cenere di vagello empierono; e nel cominciare della battaglia,
-i Genovesi si cercarono che a loro nelle reni ferisse il vento, e a’
-nemici nella faccia soffiasse. I Genovesi non meno alle vasa correvano
-che all’armi, e i nemici erano nella faccia percossi dalle cocenti e
-ardenti ceneri dal vento soffiate; per il sudore e per l’affaticare
-della battaglia, i pori erano aperti: la qual calcina dava tanta
-passione, che l’arme abbandonavano, e a stropicciarsi gli occhi
-ciascuno attendeva». _Rer. It. Script._, XXI. 1101.
-
-[31] VESPASIANO BISTICCI.
-
-[32] S. ANTONINI _Chron_., part. III. tit. 22. not. _b_.
-
-[33] L’arringa del doge è riferita dal Sanuto, che dice averla tratta
-dal manoscritto proprio d’esso principe: noi la compendiammo; alcune
-partite, imbarazzate nell’edizione del Muratori, si sono racconcie
-alla meglio. Si sarà avvertito che il doge mette un eccesso di attivo
-veneto, giacchè bisogna dedurne un milione per l’importo dei panni e
-frustagni.
-
-[34] ANDREA BILLII, _Historia Mediol_., pag. 78.
-
-[35] Secondo un conto prodotto da ser Cambi, i Veneziani teneano
-in campo ottomila ottocentrenta cavalli, e ottomila fanti, quelli a
-fiorini quattro il mese ciascuno, questi a fiorini tre; e i Fiorentini
-seimila cavalli e seimila fanti; sicchè fra essi e i Veneziani
-spendeano al mese centoduemila fiorini. Il duca di Milano area ottomila
-cinquecentocinquanta cavalli del costo di venticinquemila fiorini il
-mese, e ottomila fanti e balestrieri di fiorini ventiquattromila. Nel
-conto sono divisati tutti i condottieri e gli uomini di ciascuno. Vedi
-_Delizie degli eruditi_, XX. 170.
-
-[36] Da un dialogo manoscritto di Paolo Giovio; dove pure leggo che,
-pel terrore causato dalle prime armi a fuoco, si troncava la destra
-a quanti fucilieri si coglievano; e che Bartolomeo Coleone generale
-dei Veneziani, e Federico d’Urbino, nella zuffa della Riccardina
-sul Bolognese, essendo tra il combattere discesa la notte, fecero ai
-donzelli apparecchiar fiaccole, al cui chiarore continuarono la pugna.
-
-[37] SANUTO, pag. 1029. Frà Paolo Sarpi, lodatore di tutto ciò che è
-tirannico, scrive «esser antico vanto della circospezione veneziana
-l’aver tenuta celata scrupolosamente per otto mesi la risoluzione della
-morte del conte Carmagnola».
-
-[38] CRISTOFORO DA SOLDO.
-
-[39] SABELLICO, _Deca_ III, lib. 5.
-
-[40] ROSSI, _Elogi storici_, pag. 150; CAPRIOLO, _Storie bresciane_;
-RIZZARDI, _Storia Asolana_ manoscritta.
-
-[41] Filippo Borromeo di Lazzaro, coll’ajuto de’ Milanesi cacciò da
-San Miniato sua patria i Fiorentini; ma poi da un capitano tradito
-a questi, fu ucciso il 1350. La Talda, sorella di Beatrice Tenda,
-ebbe quattro maschi. Andrea, dottorato in Padova e cavaliere aurato;
-Borromeo tesoriere di Padova al tempo de’ Carraresi, i quali temendolo
-ed invidiandolo gli cercarono cagione addosso e lo arrestarono, nè
-potè uscire di carcere che pagando ventiduemila scudi d’oro: egli
-per vendicarsene istigò Visconti e Veneziani finchè abbatterono il
-Carrarese. Borromeo coi fratelli Alessandro e Giovanni si piantò a
-Milano, e v’ebbero la cittadinanza il 1394, e tennero casa a Santa
-Maria Podone. Borromeo nel 1400 stette mallevadore per dodicimila
-scudi del marchese di Monferrato, in un accordo di questi coi Visconti.
-Giovanni fu consigliere e capitano di Gian Galeazzo; da Gian Maria nel
-1403 ebbe in feudo Castell’Arquato e tutta la val di Taro col titolo
-di conte; e fu principale autore del matrimonio di Filippo Maria
-con Beatrice Tenda. Esso Filippo diè pure la cittadinanza milanese
-a Vitaliano Vitelliani, nipote per sorella di Giovanni, e diritto
-di conseguirne l’eredità e il cognome; lo fe tesoriere generale e
-consigliere nel 1439; nel 42 l’investì della rôcca d’Arona, come
-conte di Canobbio e sua valle; nel 46 di Ugogna e Margozzo: ed è lo
-stipite de’ Borromei di Milano, Galeazzo, Antonio, Giovanni, figlio del
-Giovanni suddetto, si mutarono a Venezia, dove sono ricordati nella
-chiesa di Santa Elena, da essi eretta ed arricchita. V. CORONELLI,
-_Bibl. universale_, tom. VI. p. 790.
-
-[42] Anche nel 1689 Pietro Ottobon dal prozio Alessandro VIII fu fatto
-cardinale, e prestò molti servizj alla Serenissima; e ottenne da questa
-fosse rimesso in grazia il proprio padre Antonio, disgradato perchè era
-divenuto generale di Santa Chiesa. Ma essendo stato eletto protettore
-della corona di Francia alla Corte pontifizia, il senato si oppose; e
-avendo egli non ostante spiegato le insegne di Francia, fu abraso dal
-libro d’oro, confiscatogli il patrimonio, sospesa ogni rendita de’ suoi
-beni ecclesiastici nel dominio veneto.
-
-[43] _Mutilasti Imperium Mediolano et provincia Longobardiæ, quæ
-juris S. B. Imperii fuerant, redeuntibus inde ad imperium amplissimis
-emolumentis; in qua ditione mediolanensi veluti minister S. B. Imperii
-partibus fungebatur, cum tu contra, accepta pecunia, Mediolani ducem et
-comitem papiensem creasti._ Così gli elettori nel deporre Venceslao.
-
-[44] _Jus, quod ex dictis concessionibus et citationibus in feudo
-dictorum ducatuum et comitatum habemus, nobis et nostris successoribus
-in Imperio salvum maneat et illesum._ LÜNIG, Italia dipl., I. 480.
-
-[45] Quella Repubblica fu censurata dal Corio per blandire i duchi,
-e dal Verri per stizzosa allusione alla Cisalpina; ma più che alle
-ironiche declamazioni di questo, credo ai documenti del Rosmini. Il
-Leo, tra gli errori onde ribocca la sua _Storia d’Italia_, dice che il
-Rosmini, «per biasimare la repubblica, produce molte ordinanze sulla
-religione, le scienze, la politica». Lo fa pel preciso contrario.
-Nell’archivio del duomo è un’ordinanza de’ capitani del 14 agosto,
-nella quale, poichè _Altissimi clementia ineffabili.... antiquissimam
-auream et sanctam libertatem urbs hæc feliciter reassumpsit_,
-stabiliscono un’oblazione annua; e sotto l’11 agosto, in riconoscenza a
-Dio _quod ad dulcissimum reipublicæ et libertatis statum nos reduxit_,
-ordinano una processione a Sant’Ambrogio.
-
-[46] Nella battaglia di Morat servivano al duca di Borgogna
-quindicimila Lombardi, il cui capitano Antonio Corradi di Lignana
-vercellese vi perì.
-
-[47] _Arch. storico_, XIII. 311.
-
-[48] _Historia desponsationis et coronationis Friderici III et conjugis
-ipsius, auctore_ NICOLAO LANKMANO DE FALKENSTEIN. Ap. PEZ, II. 569-602.
-
-[49] SPINO, _Vita di Bartolomeo Coleone_, pag. 255. La costui biografia
-fu scritta in latino da Antonio da Cornazzano, che con altri letterati
-e artisti vivea nel castello di lui; onde il ritrasse con colori
-lusinghieri che la storia smentisce.
-
-Del Cornazzano abbiamo pure manoscritta la vita di Francesco Sforza in
-terzine, e un trattato _De la integrità de la militare arte_, oltre
-un poema più volte stampato sul soggetto stesso: _Opera nuova de Mr.
-Ant. Cornazzano, la quale tratta de modo regendi, de motu fortunæ,
-de integritate, rei militaris, et qui in re militari imperatores
-excelluerint_. D’altri due condottieri, Attendolo Sforza e Braccio di
-Montone, scrissero le gesta Lodrisio Crivelli e Gianantonio Campano,
-rozzi ma interessanti.
-
-[50] Del 1467 fu pubblicata a Milano la seguente grida di guerra: —
-Si fa poto e manifesto a caduna persona de quale grado e conditione
-se sia, per parte del nostro M. signor duca di Milano ecc. in tutte
-le terre del dominio suo, che qualunche soldato, o che sia pratico al
-soldo, così de cavallo come de pede, tanto terriero quanto forastero,
-che al presente se trovasse habitare nel dominio ducale, che voglia
-venire in campo dove el prelibato ill. signor duca nostro se ritrovarà;
-venga in ordine ed armato, che averà buona e grossa guerra in lo
-parti de Piemonte, presentandose, subito che sia in campo, ad Petro,
-Francesco Visconte, conductero et marescallo del campo, et ulterius che
-porteno la banda bianca, come fanno gli altri».
-
-[51] Paolo Santini, che, sulla metà del secolo XV, scrisse un trattato
-di cose militari rimasto manoscritto, e pare fosse al servizio dei
-Veneziani, dice: _Qui in Italiam vincere desiderat, ista instruet:
-primo, cum summo pontifice semper sit; secundo, dominetur Mediolanum;
-tertio, quod habeat astronomos bonos; quarto, habeat ingegnerios qui
-sciant plurima; quinto, quod tot navigia conducantur plena lapidibus
-in canalibus.... impleantur canalia multitudine navium, navigiorum,
-barcarumque suffundatarum, etc._
-
-[52] La sentenza si esprime: _Videtur, propter obstinatam mentem suam,
-non esse possibile extraere ab ipso illam veritatem, quæ clara est per
-scripturas et per testificationes, quoniam in fune aliquam nec vocem
-nec gemitum, sed solum intra dentes voces ipse videtur et auditur infra
-se loqui.... tandem non est standum in istis terminis, propter honorem
-status nostri..._
-
-[53] Del discorso recitato da Nicola Oremme in concistoro porge
-l’estratto De Sade, _Vie du Pétrarque_, tom. II. I. 692. È nota la
-risposta che il Petrarca vi fece.
-
-[54] Ella stessa nel _Tratt. della Provvidenza._ E vedi BOLLAND, ad 30
-apr.; HAGEN, _Die Wunder der h. Catharina von Siena_. Lipsia 1840.
-
-[55] «Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che
-potete, voi n’andiate al luogo vostro dei gloriosi Pietro e Paolo; e
-sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente, e Dio dalla
-parte sua vi provvederà di tutte quelle cose che saranno necessarie a
-voi.
-
-«Poniamo che abbiate ricevute grandissime ingiurie, avendovi fatto
-vituperio e toltovi il vostro; nondimeno, padre, io vi prego che
-non ragguardiate alle loro malizie, ma alla vostra benignità, e non
-lasciate però d’oprare la nostra salute. La salute loro sarà questa,
-che voi torniate a pace con loro, perocchè il figliuolo che è in
-guerra col padre, mentre che vi sta, egli il priva dell’eredità sua.
-Oimè, padre, pace per l’amore di Dio, acciocchè tanti figliuoli non
-perdano l’eredità di vita eterna; che voi sapete che Dio ha posto
-nelle vostre mani il dare, il togliere questa eredità, secondo che
-piace alla benignità vostra. Voi tenete le chiavi, ed a cui voi aprite
-si è aperto, ed a cui voi serrate è serrato; così disse il dolce e
-buono Gesù a Pietro, il cui loco voi tenete. Adunque imparate dal vero
-padre e pastore; perocchè vedete che ora è il tempo da dare la vita
-per le pecorelle che sono escite fuora del gregge. Convienvele dunque
-cercare e racquistare con la pazienza, e con la guerra andare sopra
-gl’infedeli, rizzando il gonfalone dell’ardentissima e dolcissima
-croce: al qual rizzare non si convien più dormire, ma destarsi e
-rizzarlo virilmente.
-
-«Rizzate, babbo, tosto il gonfalone della santissima croce, e vedrete i
-lupi diventare agnelli. Pace, pace, pace, acciocchè non abbia la guerra
-a prolungare questo dolce tempo: ma se volete far vendetta e giustizia,
-pigliatela sopra di me miserabile, e datemi ogni pena e tormento
-che piace a voi insino alla morte. Credo che per la puzza delle mie
-iniquità sieno venuti molti difetti e molti inconvenienti e discordie:
-dunque sopra me, misera vostra figliuola, prendete ogni vendetta che
-volete. Ohimè, padre, io muojo di dolore e non posso morire. Venite,
-venite, e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi chiama;
-e l’affamate pecorelle v’aspettano, che veniate a tenere e possedere
-il luogo del vostro antecessore e campione apostolo Pietro; perocchè
-voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio.
-Venite dunque, venite, e non più indugiate, e confortatevi e non temete
-di alcuna cosa che avvenire potesse, perocchè Dio sarà con voi».
-
-[56] Brigida andò poi pellegrina in Terrasanta, e reduce morì a Roma
-il 1373. Le rivelazioni ch’essa ebbe e scrisse, furono riprovate
-dall’insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada, tradotte in
-tutte le lingue, e le valsero d’essere canonizzata da Bonifazio IX,
-benchè siasi avventata gagliardissimamente contro la corte pontifizia
-fino a dire: — Il papa è l’assassino delle anime; disperde e strazia il
-gregge di Cristo; più crudele che Giuda, più ingiusto che Pilato, più
-abbominevole che gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì
-i dieci comandamenti in un solo, _Portate denaro_. Roma è un baratro
-d’inferno, e il diavolo presiede, e vende il bene che Cristo acquistò
-colla sua passione, onde passa il proverbio
-
- _Curia romana non petit ovem sine lana;_
- _Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;_
-
-invece di convocar tutti, dicendo, _Venite e troverete il riposo delle
-anime_, il papa esclama: _Venite alla mia corte, vedetemi nella mia
-magnificenza maggior di Salomone; venite, vuotate le vostre borse, o
-troverete la perdita delle vostre anime_».
-
-[57] — Pregovi da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla santità
-vostra di spacciarvi tosto. Usate un santo inganno, cioè parendo di
-prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto; che quanto più presto,
-meno starete in queste angustie e travagli. Anco mi pare che essi
-v’insegnino, dandovi l’esempio delle fiere, che quando campano dal
-lacciuolo, non vi ritornano più. Per infino a qui siete campato dal
-lacciuolo de’ consigli loro, nel quale una volta vi fecero cadere
-quando tardaste la venuta vostra; il quale lacciuolo fece tendere il
-demonio perchè ne seguitasse il danno e il male che ne seguitò: voi
-come savio, spirato dallo Spirito Santo, non vi cadrete più. Andianci
-tosto, babbo mio dolce, senza verun timore; se Dio è con voi, veruno
-sarà contra voi. Dio è quello che vi move, sicchè egli è con voi;
-andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita,
-perchè li poniate il colore.
-
-«Sia in voi un ardore di carità per sì fatto modo, che non vi lasci
-udir le voci dei demonj incarnati e non vi faccia temere il consiglio
-de’ perversi consiglieri fondati in amore proprio, che intendo vi
-vogliono metter paura per impedire l’avvenimento vostro dicendo, _Voi
-sarete morto_. E io vi dico da parte di Cristo crocifisso, dolcissimo
-e santissimo padre, che voi non temiate per veruna cosa che sia. Venite
-sicuramente, confidatevi in Cristo dolce Gesù; chè, facendo quello che
-voi dovete, Dio sarà sopra di voi, e non sarà veruno che sia contra
-voi. Su virilmente, padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere:
-se non faceste quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi
-dovete venire; venite dunque, venite dolcemente senza verun timore.
-
-«Su dunque, padre, e non più negligenza; drizzate il gonfalone della
-santissima eroce, perocchè coll’odore della croce acquisterete la
-pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi gl’invitiate ad
-una santa pace, sicchè tutta la guerra caggia sopra gl’infedeli.
-Spero per l’infinita bontà di Dio, che tosto manderà l’ajutorio suo.
-Confortatevi, confortatevi, e venite, venite a consolare i poveri e
-servi di Dio e figliuoli vostri; aspettiamovi con affettuoso e amoroso
-desiderio...»
-
-Di santa Caterina abbiamo tre lettere a Gregorio XI, nove a Urbano VI,
-otto a varj cardinali, due a Carlo V di Francia, quattro alla regina
-Giovanna, le altre a prelati, a religiosi, a laici.
-
-[58] Vedi principalmente la parte II. cc. 16, 17, 21, 25 del _Defensor
-pacis_, stampato poi nel 1523. Al c. 28 è chiamata esecrabile la
-pienezza del potere invocato dai papi.
-
-[59] Colla costituzione _Exiit qui seminat_, nel VI delle Decretali,
-tit. _De verb. signif._ — Vedi tom. VI, pag. 353.
-
-[60] Quorum exigit, nelle _Estravaganti_, tit. _De verb. signif._
-
-[61] Ap. CIBRARIO, _Economia_, 163.
-
-[62] FEO BELCARI, _Vita del b. Colombino_.
-
-[63] Possono aggiungersi Corrado d’Offida e Francesco Veninbene di
-Fabriano francescani; Gentile da Matelica che, dopo tante conversioni
-in patria, cercò più largo campo in Oriente, ove cadde assassinato;
-il beato Rigo di Treviso secolare; il beato Ugolino Zefirini di
-Cortona (-1370); il beato Giovanni da Rieti (-1347); Gregorio Celli da
-Verruchio; il beato Oddino Barotto curato di Fossano in Piemonte, tutto
-carità nella peste del 400. Angela da Foligno i disordini di gioventù
-pianse in severa penitenza e indefessa meditazione. Chiara da Rimini le
-dissipazioni di sua vedovanza espiò nell’austerità, nell’umiliazione, e
-nel soccorrere gli altrui bisogni spirituali e temporali per trent’anni
-(-1306). Chiara Gambacorti di Pisa volle mangiar il pane dell’assassino
-di sua famiglia. Angelina, figlia del conte di Corbara, malgrado il
-voto di castità, sposato per obbedienza il conte di Civitella, seppe
-indurre anche lui ad egual voto; poi vedova, si professò francescana
-e molt’altre indusse, e stabilì il terz’ordine di san Francesco a
-Foligno. Rita di Cascia ebbe ad esercitar la pazienza in diciott’anni
-d’infelice matrimonio, poi mortificando la carne e lo spirito.
-Nomineremo ancora la beata Michelina da Pesaro, vedova d’un Malatesta;
-e la beata Imelda de’ Lambertini di Bologna.
-
-[64] BARTOLOMEO FAZIO. Il quaresimale di san Bernardino da Siena fu
-raccolto da Benedetto di mastro Bartolomeo, cimatore di panni senese,
-che sarebbe uno de’ più antichi stenografi ricordati. Vedi _Sopra un
-codice cartaceo del secolo XV... osservazioni critiche dell’abate_
-LUIGI DEANGELIS. Colle 1820.
-
-[65] _Ed. Moreni,_ 1831, I. 187, 252. Declamò novamente contro l’andare
-al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando sotto la loggia
-d’Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè parecchi anni appresso
-(II. 50). Forse questi luoghi delle prediche di frà Giordano furono
-presenti al beato Giovanni Delle Celle quando dissuase Domitilla dal
-pellegrinaggio di Terrasanta, nella IXª delle sue lettere.
-
-[66] «Dicetemi, dicetemi un poco o signori; donde nascono tante e
-diverse infermitade in gli corpi umani, gotte, doglie di fianchi,
-febre, catarri? non d’altro se non da troppo cibo et esser molto
-delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te basta; ma cerchi
-a’ toi conviti vino bianco, vino negro, malvagie, vino de tiro, rosto,
-lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, fichi, uva passa,
-confetione, et empi questo tuo sacco di fecce. Émpite, sgònfiate,
-allàrgate la bottinatura, et dopo el mangiare va et bottati a dormire
-come un porco». _Predica_ I. Venezia 1530.
-
-[67] BURLAMACHI, _Vita di frà Savonarola._
-
-[68] È a vedere anche il BARBERINO, _Documenti d’amore_, part. VIII. d.
-2.
-
-[69] Nel 1379 Urbano VI sollecitava Rainero de’ Grimaldi, consignore di
-Mentone, per mezzo di Giovanni Serra giureconsulto genovese, a tenersi
-fedele a lui, e correr sopra i seguaci del suo competitore, facendogli
-dono di quanto avesse sorpreso, eccetto reliquie, libri, vasi, gioje o
-altro appartenenti alla camera apostolica. Dicesi ch’ei v’ascoltasse, e
-molta preda facesse sovra prelati aderenti a Clemente VII; e che fra il
-resto trovasse la verga di Mosè e altre sacre reliquie, ch’ei restituì
-a Urbano. GIOFFREDO, _St. delle Alpi Marittime_, II. 869.
-
-[70] Sant’Antonino di Firenze dice: — Benchè siam tenuti a credere che,
-come una sola Chiesa, così v’ha un solo pastore, però, qualora accada
-scisma, non pare necessario il credere che l’eletto canonicamente sia
-piuttosto l’uno che l’altro: basta sapere che un solo potè esserlo,
-senza arrogarsene la decisione».
-
-[71] Gian Galeazzo domandò che il giubileo potesse acquistarsi da’
-suoi sudditi senza andare a Roma, ma visitando quattro basiliche di
-Milano. Con ciò voleva ed evitare i pericoli causati dalla guerra coi
-Fiorentini, e tener in paese il denaro, e fare che le obbligazioni
-fruttassero per la fabbrica del duomo. Bonifazio IX gli assentì la
-supplica, e il Corio dice che «se anche non fosse contrito nè confesso,
-fosse assoluto da ogni peccato in questa città dimorando dieci giorni
-continui». Menzogna, poichè la bolla data il 12 febbrajo 1391 vuole che
-sieno _vere pœnitentes et confessi_.
-
-[72] Così il dipinge l’anonimo romano. Antonio Flaminio forocorneliense
-dice che aveano veste bianca, sopra cui una cerulea tirante al
-nero, una croce bianca, e una rossa di panno; a sinistra la colomba
-coll’ulivo, in fronte il tau, in mano bastone senza puntale a modo dei
-pellegrini; e funi con sette nodi.
-
-[73] Su quelli di Firenze abbiamo un capitolo di Franco Sacchetti.
-Nei _Ricordi storici_ del Rinuccini, al luglio e agosto 1399 leggo:
-«Di verso Piemonte venendo, per tutta Lombardia e per Toscana e quasi
-per tutta Italia uomini e donne in grandissima quantità, grandi e
-piccoli e fanciulli, si vestirono di pannilini bianchi sopra gli altri
-vestimenti, con croce rossa in capo e nel petto, e andavano scalzi con
-grande divozione e grandissime discipline e digiuni senza mangiare
-carne, col crocifisso innanzi della loro parrocchia a grandissime
-brigate. Tutti i popoli andavano gridando in voci di laudi in versi,
-così in grammatica come in vulgare, _Misericordia e pace al nostro
-Signore e a nostra Donna_, per lo spazio di nove giorni continovi,
-senza mai dormire in letto, andando quegli da Firenze a Arezzo e
-a Cortona e per molte altre terre; e così le altre terre veniano a
-Firenze, e così intervenne per tutta Italia. È mirabil cosa che per
-detto viaggio non facevano danno a nessuno di frutti nè di niuna altra
-cosa, che tutti comperavano, e molte paci e accordi tra molte signorie,
-ed eziandio paci di morte d’uomini tra private persone si feciono: cosa
-mirabile fu per certo e degna di perpetua memoria, e fu annunziazione
-della moria che venne, e fu detto quell’anno l’anno dei Bianchi».
-
-[74] _Chron. patav._ ad an. 1399; ap. MURATORI, _Antiq. M. Æ._ IV.
-
-[75] Gregorio XI nel 1372 ordina _inquisitoribus, ut faciant comburi
-quosdam libros sermonum haereticorum, pro majori parte in vulgari
-scriptos_.
-
-[76] RAYNALDI al 1375, II. 26.
-
-[77] Enea Silvio descrive a lungo quella di Giovanni de Merlo spagnuolo
-con Erminio di Ramstein tedesco, per un colpo di lancia, tre di scure,
-quaranta di spada.
-
-[78] _Articulos omnia peccata mortalia, nec non infinita, abominabilia
-continentes_. TEODORICO DA NIEM.
-
-[79] Alquanti anni di poi si riscattò, e fu posto cardinale di
-Frascati. Il suo sepolcro nel battistero di Firenze è opera di
-Donatello.
-
-[80] Nel concilio di Costanza seguì un rumore fra l’arcivescovo di
-Milano e quello di Pisa, e dalle parole ne vennero alle mani, volendosi
-strangolare l’un l’altro perchè non avevano armi. Onde molti si
-gittarono giù per le finestre del concilio. SANUTO in _T. Mocenigo_.
-A quel concilio figurò grandemente il b. Enrico Scarampo de’ signori
-di Cortemiglia, vescovo di Acqui, poi di Feltre e Belluno 1404-1440,
-deputato anche al processo di Huss.
-
-[81] Così è generalmente asserito; pure si ha una lettera di Huss che
-dice: _Exeo_ (da Praga) _sine salvoconductu_; Ap. ROHRBACHER, Hist.
-eccles., tom. XXI. p. 191.
-
-[82] ENEA SILVIO, _Oratio de morte Eugenii papæ_.
-
-[83] Sono parole di Enea Silvio, _Comment._, lib. I princ. — Il Poggio
-ne sparla sbrigliatamente.
-
-[84] K. WALCHNER, _Politische Geschichte der grossen Kirchensynode zu
-Florenz_. 1825.
-
-I. LENFANT, _Histoire du concile de Constance_. 1727.
-
-[85] «Vennero il pontefice con tutta la corte di Roma, e collo
-imperatore de’ Greci e tutti i vescovi e prelati latini, in Santa
-Maria del Fiore, dove era fatto un degno apparato, ed ordinato il modo
-ch’avevano a istare a sedere i prelati dell’una chiesa e dell’altra.
-Istava il papa dal luogo dove si diceva il Vangelo, e’ cardinali e
-prelati della chiesa romana; dall’altro lato istava lo ’mperatore di
-Costantinopoli con tutti i vescovi e arcivescovi greci: il papa era
-parato in pontificale, e tutti i cardinali co’ piviali, e i vescovi
-cardinali colle mitere di damaschino bianco, e tutti i vescovi così
-greci come latini co’ piviali, i greci con abiti di seta al modo greco
-molto ricchi; e la maniera degli abiti greci pareva assai più grave e
-più degna che quella de’ prelati latini... Il luogo dello ’mperadore
-era in questa solennità dove si canta la Epistola all’altare maggiore;
-ed in quello medesimo luogo, com’è detto, erano tutti i prelati greci.
-Era concorso tutto il mondo in Firenze per vedere quell’atto sì degno.
-Era una sedia al dirimpetto a quella del papa dall’altro lato, ornata
-di drappo di seta, e lo ’mperadore con una veste alla greca di broccato
-damaschino molto ricca con uno cappelletto alla greca, che v’era in
-sulla punta una bellissima gioja: era uno bellissimo uomo, colla barba
-al modo greco. E d’intorno alla sedia sua erano molti gentili uomini
-che aveva in sua compagnia, vestiti pure alla greca molto riccamente,
-sendo gli abiti loro pieni di gravità, così quegli de’ prelati, come
-de’ seculari. Mirabile cosa era a vedere ben molte degne cerimonie,
-e i vangeli che si dicevano in tutte e due le lingue greca e latina,
-come si usa la notte di Pasqua di Natale in corte di Roma. Non passerò
-che io non dica qui una singulare loda de’ Greci. I Greci, in anni
-millecinquecento o più, non hanno mai mutato abito: quello medesimo
-abito avevano in quello tempo, ch’eglino avevano avuto nel tempo detto;
-come si vede ancora in Grecia nel luogo che si chiama i campi Filippi,
-dove sono molte storie di marmo, dentrovi uomini vestiti alla greca nel
-modo che erano allora». VESPASIANO FIORENTINO, _Vita di Eugenio IV._
-
-Il decreto d’unione incomincia: Eugenio ecc. _Consentiente carissimo
-filio nostro Johanne Paleologo Romanorum imperatore illustri et...
-orientalem ecclesiam representantibus. Letentur celi et exultet terra:
-sublatus est enim de medio paries qui occidentalem orientalemque
-dividebat Ecclesiam, et pax atque concordia rediit; illo angulari
-lapide Christo, qui fuit utraque unum vinculo fortissimo caritatis
-et pacis utrumque jungente parietem; et perpetue unitatis federe
-copulante ac continente; postque longam meroris nebulam, et dissidii
-diuturni atram ingratamque caliginem, serenum omnibus unionis optate
-jubar illuxit. Gaudeat et mater Ecclesia, qui filios suos hactenus
-invicem dissidentes jam videt in unitatem pacemque rediisse: et que
-antea in eorum separatione amarissime flebat, ex ipsorum modo mira
-concordia cum ineffabili gaudio omnipotenti Deo gratias referat. Cuncti
-gratulentur fideles ubique per orbem, et qui christiano censentur
-nomine, matri catholice Ecclesie colletentur. Ecce enim occidentales
-orientalesque Patres, post longissimum dissensionis atque discordie
-tempus, se maris ac terre periculis exponentes, omnibusque superatis
-laboribus, ad hoc sacrum ycumenicum concilium desiderio sacratissime
-unionis, et antique caritatis reintegrande gratia, leti alacresque
-convenerunt, et intentione sua nequaquam frustrati sunt. Post longam
-enim laboriosamque indaginem, tandem Spiritus Sancti clementia ipsam
-optatissimam sanctissimamque unionem consecuti sunt. Quis igitur
-dignas omnipotentis Dei benificiis gratias referre sufficiat? quis
-tante divine miserationis divitias non obstupescat? cujus vel ferreum
-pectus tanta superne pietatis magnitudo non molliat? sunt ista prorsus
-divina opera, non humane fragilitatis inventa; atque ideo eximia cum
-veneratione suscipienda, et divinis laudibus prosequenda. Tibi laus,
-tibi gloria, tibi gratiarum actio, Christe, fons misericordiarum,
-qui tantum boni sponse tue catholice Ecclesie contulisti, atque in
-generatione nostra tue pietatis miracula demonstrasti, ut enarrent
-omnes mirabilia tua. Magnum siquidem divinumque munus nobis Deus
-largitus est: oculisque vidimus quod ante nos multi, cum valde
-cupierint, adspicere nequiverunt. Convenientes enim Latini ac Greci
-in hac sacrosancta Synodo ycumenica, magno studio invicem usi sunt, ut
-inter alia etiam articulus ille de divina Spiritus Sancti processione
-summa cum diligentia et assidua inquisitione discuteretur...
-
-Item diffinimus sanctam apostolicam sedem, et romanum pontificem
-in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem romanum
-successorem esse beati Petri principis Apostolorum et verum Christi
-vicarium totiusque Ecclesie caput, et omnium christianorum patrem
-et doctorem existere; et ipsi in beato Petro pascendi, regendi, ac
-gubernandi universalem Ecclesiam a Domino nostro Jesu Christo plenam
-potestatem traditam esse; quemadmodum etiam in gestis ycumenicorum
-conciliorum, et in sacris canonibus continetur. Renovantes insuper
-ordinem traditum in canonibus ceterorum venerabilium Patriarcharum: ut
-Patriarcha constantinopotitanus secundus sit post sanctissimum romanum
-pontificem, tertius vero alexandrinus, quartus autem antiochenus,
-et quintus hierosolymitanus, salvis videlicet privilegiis omnibus et
-juribus eorum_.
-
-Vedasi CECCONI EUGENIO, _Studj storici sul concilio di Firenze con
-documenti inediti_. Firenze 1869.
-
-[86] _Neque unquam Januenses dimittent hanc conventionem, vel facient
-contra eam, neque pro ecclesiastica excommunicatione, neque pro
-præcepto alicujus hominis coronati vel non coronati._ Vedi _Codinus_,
-_De officiis_, cap. XIV; CANTACUZENO, _Hist_., lib. I. c. 12.
-
-[87] Dice il Sauli (_Della colonia di Galata_, I. 229) dietro Francesco
-Testa.
-
-[88] FOGLIETTA, _Hist. januensis_, lib. VIII.
-
-[89] Dei capitani latini sette erano genovesi, Maurizio Cattaneo,
-Giovanni del Carretto, Paolo Bocchiardi, Giovanni de Fornari, Francesco
-de Salvatichi, Leonardo da Langosco, Lodisio Gattilussi. LEON.
-CHIENSIS, pag. 95. Però il giornale dell’assedio di Costantinopoli di
-Nicolò Barbaro accagiona di tutti i tradimenti i Genovesi.
-
-[90] La primitiva colonia di Greci Albanesi in Puglia si divise in
-tre. Una si stabilì presso il Gargàno, e v’ebbe i villaggi di Cannone,
-Greci, Ururi ed altri. Una si stanziò nella provincia d’Otranto,
-fondandovi Faggiano, Colonia imperiale; San Crispiero, Monteparano, San
-Marzano. Una in Melfi, formando il comune di Ciuciari. Mal visti dagli
-indigeni, si sparsero alle falde del Vulture, fondandovi Maschito e
-Barile, che contenevano cinquemila abitanti prima de’ tremuoti del 1851
-e nella Basilicata, fondandovi popolazioni a Brindisi e San Ciriaco
-nuovo.
-
-In Sicilia ebbero quattro tribù, di cui le principali sono la Piana de’
-Greci e Adriano Palazzo, simili a città.
-
-Nella Calabria meridionale posero i villaggi di Zangarona, Vena,
-Carafa, Andali, Marcedusa, San Nicolò dell’Alto, Carfito. Nella
-Calabria occidentale ebbero fin venticinque villaggi, tra cui Longro
-con cinquemila abitanti, Spezzano con tremila, San Donato, San
-Benedetto con duemila. Quivi allettavagli Irene Castriota pronipote
-dello Scanderbeg, che portò que’ vasti dominj a Pietrantonio
-Sanseverino principe di Bisignano. Alcuni piantaronsi nelle sterile
-falde dell’Appennino verso la Basilicata; e una sola colonia negli
-Abruzzi, fondando Abbadessa. Pagavano un canone ai feudatarj o al
-Governo, col che restavano immuni d’ogni altra gravezza, fin alla
-conquista napoleonica. Cessato dall’armi e datisi all’agricoltura,
-preferivano i luoghi alti e vistosi e abbondanti d’acque: e poichè
-impedivasi di ingrossare in città, teneano i villaggi vicini, per
-soccorrersi facilmente fra popolazioni che li disamavano. Le varie
-famiglie conservansi in casali distinti; come i Bafa a Santa Sofia, gli
-Scura e Toci in Vacarizzo, i Busa in San Giorgio, i Toci e gli Strigarò
-in San Cosma, gli Stratigò, i Demarco, i Samangò in Lungro. E Lungro,
-paese sì grosso, conserva puro il dialetto antico, mentre occorrono
-interpreti per farsi intendere dalle terre confinanti: locchè avviene
-dappertutto. Molti si educano, e acquistarono nome principalmente come
-legali, professori e vescovi: e il collegio italo-greco è dovuto a
-Samuele Rodotà di San Benedetto, primo vescovo della Chiesa greca in
-Calabria.
-
-Oggi si hanno 89,000 Albanesi e 1800 Greci nel regno, con una colonia
-nella Corsica; oltre i molti che servono nei porti di Venezia, Trieste
-e Livorno.
-
-[91] Anna Paleologo, vedova dell’ultimo imperatore di Costantinopoli,
-sfuggita allo sterminio della patria, approdò con molti signori
-greci nella maremma toscana, e chiese a Siena il diroccato castello
-di Montacuto col suo distretto, promettendo rifabbricarlo fra cinque
-anni e starvi con almeno cento famiglie. Si pattuì dunque che il nuovo
-castello e ’l distretto s’intendessero del comune di Siena, il quale
-custodisce la rôcca, eccetto una porta, per la quale l’imperatrice
-potesse ad un bisogno rifuggirvi; questa e i suoi giurerebbero fedeltà
-alla Repubblica senese, e alla cattedrale offrirebbero ogn’anno un cero
-di otto libbre, e per dieci anni un tributo di cinque lire alla camera
-di Bicherna; il seguito di lei potesse levare in Orbitello il sale per
-proprio uso, a soldi dieci lo stajo: le si concedevano due bandite,
-una da ridurre a vigneti, l’altra per pascoli, bastante almeno a cento
-paja di bovi. Ella nominerebbe due uffiziali greci che per trent’anni
-renderebbero ragione a quella colonia nel civile e nel criminale
-secondo le leggi degli imperatori greci, solo nelle pene uniformandosi
-agli statuti di Siena, come pure nei pesi e nelle misure. Avrebbero
-per tutto il contado esenzione di gabelle; e se alcuno abbandonasse
-il suo domicilio dì Montacuto, la Repubblica li rifarebbe delle spese
-di fabbrica e degli utensili che vi lasciasse. La cosa fu approvata il
-28 aprile 1474; ma la carta che riferisce questo fatto, taciuto dagli
-storici e inquinato da altri dubbj, non dice per quali cagioni non ebbe
-seguito una combinazione che avrebbe risanato que’ deserti paludigni.
-
-[92] La prima, di Menze, stampata a Venezia il 1500; il secondo, dal
-ragioniere Gottugli, pure pubblicato in Venezia.
-
-[93] Nelle missioni in Germania, in Baviera, in Ungheria gli era stato
-compagno, per destinazione dei papi, san Giacomo di Montebrandone
-nella Marca, acclamatissimo per miracoli, austera vita e conversioni.
-All’impresa di Belgrado andò pure Luigi Scarampa, patriarca di Aquileja
-e commendatario di Montecassino.
-
-[94] All’invito del papa, il doge parlò nel gran consiglio: — Signori.
-No se move foglia d’albero senza ’l voler de Dio. Considerè che, se
-questo Stato è vegnudo a tanta grandezza, questo è processo per volontà
-de Dio, più che per nostro senno e per le nostre forze. Chi crede che
-le cose contra ’l Turco fosse passade sì ben, se non fosse concorso la
-volontà de Dio? Voltemo la mente a Dio e alla so Madre, e ringraziamola
-dei benefizj che la ne fa ogni zorno; e sforzemose de far quello che
-la ne comanda, e posponemo li odj e la invidia. Se faremo così, Dio
-prospererà questo Stato da ben in meglio. Sora ’l tutto, no se partimo
-dalle elemosine, dalle orazion e dal far giustizia. El Cardinal Niceno
-ne ha presentà ona bolla del papa, che è stà letta a l’eccellenze
-vostre; la Signoria e i savj de colegio ne ha domandà l’anemo nostro su
-quello che ’l papa ne scrive. Avemo resposto, che dependemo dal voler
-della signoria vostra. Ve preghemo che considerè qual è ’l meglio della
-terra. Fè orazion, elemosine, lassè da banda le passion, e deliberè
-’l vostro ben. Priego la bontà de Die umelment, perchè _humilitas
-vincit omnia_, che ne inspira a deliberar quel che è onor so e servizio
-vostro».
-
-[95] Enea Silvio era stato per alcun tempo vescovo di Trieste; onde
-il dottor Rossetti di questa città raccolse quanto potè di scritti e
-memorie di quel pontefice, e ne fece dono alla pubblica biblioteca.
-
-[96] Ap. RAYNALDI, al 1471, § 9.
-
-[97] Sabellico, _Dec_. III. l. IX.
-
-[98] «Tutto ciò che di male è stato nella benedetta Firenze, da nulla
-cosa è proceduto se non dal volere gli ufficj, e poi avuti, ciascuno
-volerli per sè tutti e cacciarne il compagno..... Sotto colori di
-guelfi e ghibellini, si sono ammoniti gli uomini non ad altro fine
-che per avere per sè gli ufficj: e per questo fu trovato l’ammonire
-ed il confinare e il porre a sedere e il divieto degli ufficj: e
-per ogni uomo che ha guadagnato d’ufficj, mille n’hanno perduto,
-senza l’anima e le inimicizie che per l’ufficio e nell’ufficio sono
-acquistate... E quand’uno s’è trovato ne’ luoghi, non ha pensato se non
-come disfare chi a diritto o a torto sentenza contro lui ha renduta...
-Tutti i discendenti s’accozzavano di voler essere capitano di parte
-per ammonire; e quando erano in ufficio, i capitani si ristringeano
-insieme, e diceano uno all’altro: _Non ha’ tu alcuno nemico, a cui tu
-vogli far noja?_ e così raccozzati, ciascuno mettea il suo o i suoi,
-e poi a una fava faceano il partito, e il guelfo come il ghibellino
-era ammonito». Questi lamenti del buon Coppo Stefani (_Rubrica_ 923)
-s’attagliano ad altri tirannelli del tempo nostro.
-
-[99] Simbolo di questa varietà è il Palazzo vecchio, sotto i cui sporti
-merlati sono gli stemmi della repubblica e de’ sestieri; cioè, pe’
-Ghibellini il giglio bianco in campo rosso, o piuttosto il giaggiòlo
-o _ireos_, il quale co’ suoi fiori incorona le mura di Firenze;
-pe’ Guelfi il giglio rosso in campo bianco; la croce rossa in campo
-bianco, adottata per la riforma di Giano della Bella; le chiavi d’oro
-incrociate su campo turchino, con cui la parte guelfa attestò la
-sua devozione a santa Chiesa. I sestieri ebbero per insegna, quello
-d’Oltrarno il ponte, San Pier Scheraggio il carroccio, Borgo Santi
-Apostoli l’ariete, San Pancrazio una branca di leone, porta del Duomo
-il duomo, San Piero le chiavi. Nei vani degli sporti della torre del
-Palazzo vecchio sono dipinti gli stemmi de’ quartieri; cioè, Oltrarno,
-colomba bianca con raggi d’oro; Santa Croce, croce d’oro; Santo Maria
-Novella, sole a raggi d’oro; San Giovanni, tempio ottagono; tutti in
-campo azzurro.
-
-[100] Il famoso canonista ed erudito Lapo da Castiglionchio ebbe
-saccheggiata la casa in Firenze, donde riuscì a fuggire travestito da
-frate. Allora «fu mandato a confine a Barzellona; e chi l’uccidesse
-fuori di Barzellona, avesse dal Comune di Firenze fiorini mille d’oro;
-e chi ’l menasse preso, possa trarre di bando uno sbandito cui e’
-vorrà, o rubello ch’egli vorrà nominare». (ap. MEHUS). Egli si fermò a
-Padova, dov’ebbe una cattedra di diritto ecclesiastico. Di lui si hanno
-a stampa le _Allegazioni_ (Firenze 1568), e un’epistola sulla nobiltà,
-e se sia più utile nascer nobile o plebeo (Bologna 1753). Continuò a
-mestare nelle cose della patria, ed anche i suoi figli; mal per loro,
-che n’ebbero punizioni severissime. Vedi AMMIRATO, _Storie fiorentine_,
-al 1391.
-
-[101] Sono parole degli storici; pure consta dai registri che nel
-1366 egli era podestà a Mantigno nel podere degli Ubaldini, e nel 77 a
-Firenzuola.
-
-[102] «Quest’operazione (dell’escludere le due arti nuove) fu
-giustissima, giacchè in quell’ordine di persone non si poteano trovare,
-se non per un caso singolare, persone atte al governo: mancanti di
-educazione e di lumi, non si conciliavano con alcun mezzo la stima del
-pubblico, ond’era stato un grand’errore creare due nuove arti della più
-vile canaglia, e parificarle alle altre negli onori». AMMIRATO, lib.
-XIV. Eccede, poichè le due arti erano state create appunto per cernire
-dalla _canaglia_ quelli che per virtù e senno meritavano di non restar
-esclusi dalle magistrature.
-
-[103] È narrato che il vescovo Tarlati d’Arezzo incaricò Buonamico
-Buffalmacco di dipingere un’aquila viva addosso a un leon morto,
-volendo inferire la superiorità de’ Ghibellini sopra Firenze.
-Buffalmacco fecesi fare un chiuso d’assi e tende, e dipinse tutto
-il contrario, il leone soprastante all’aquila; poi fingendo andare
-per colori, non tornò più. Apertosi e trovata la burla, il vescovo a
-smaniarne e bandirlo.
-
-[104] Quando i Fiorentini tolsero i castelli degli Ubaldini, Franco
-Sacchetti applaudì con una canzone rimasta inedita fin al 1853:
-
- Fiorenza mia, poi che disfatti hai
- Le cerbïatte corna (_loro stemma_)
- Della superba e crudele famiglia,
- Festa dèi far più che facessi mai...
- Però che molti fur, tardi o per tempo,
- Rubati a questi passi,
- Ed ancor morti antichi di ciascuno,
- Chè non si taglia bosco, selva o pruno
- Che non v’abbia cataste
- Di teste e membra guaste...
- Ed Alemagna sola
- Più ch’altri dee goder di lor ruina,
- Perchè gli suo’ romei sentian rapina...
- Così Inghilesi, Fiamminghi e Franceschi...
- Meglio è che vinto aver la Santa Terra
- Aver vinto costoro
- Tra cui viandanti convenian passare...
-
-Dello stesso è pure una canzone contra il duca di Milano, ove
-dettogliene a gola, conchiude:
-
- A tutti quei che voglion giusta fama
- E tengon libertà, ch’è tanto cara
- Come sa chi per lei vita rifiuta,
- Canzon, non istar muta,
- Che se tal biscia ora non si disface,
- Non pensi Italia mai posar in pace.
-
-[105] Alla qual peste si riferisce il caso di Ginevra degli Almieri.
-Sposa da pochi mesi, ella morì e fu sepolta, ma rinvenne e uscì dalla
-tomba: andò dal marito, andò dai parenti, e nessuno la volle ricevere,
-credendola l’ombra di lei che domandasse suffragi; ond’ella ricoverò da
-Antonio Rondinelli che l’aveva amata, e che la ricevè e risanata sposò.
-Scopertosi il caso, la curia vescovile dichiarò che, essendo ella
-stata abbandonata per morta, il primo matrimonio era sciolto, teneva il
-secondo.
-
-[106] L’Ammirato, il quale condanna i Pisani, deplora che «Pisa
-s’andava tuttodì vuotando dei proprj cittadini, non soffrendo il
-loro altiero animo, non ostanti tanti benefizj, di star sudditi a’
-Fiorentini». Ci sono descritti dallo stesso Gino Capponi il tumulto
-de’ Ciompi, e l’acquisto di Lucca, che pajonmi delle più belle e
-nobili storie di nostra favella. Nell’archivio secreto Mediceo sta una
-lettera 14 gennajo 1431 dei dieci di balìa al commissario di Pisa, ove
-conchiusero: «Qui si tiene per tutti, che ’l principale e più vivo modo
-che dare si possa alla sicurtà di cotesta città, sia di vuotarla di
-cittadini pisani; e noi n’abbiamo tante volte scritto costì al capitano
-del popolo, che ne siamo stanchi; e rispondeci ora l’ultimo, essere
-impedito dalla gente dell’arme, e non avere il favore del capitano
-(Cotignola). Vogliamo che tu ne sia con lui, ed intenda bene ogni cosa,
-e diate modo _con usare ogni crudeltà ed asprezza_. Abbiamo fede in
-te, e confortiamti a darvi esecuzione prestissima, che cosa più grata a
-tutto questo popolo non si potrebbe fare»
-
-Negli scrittori pisani recenti sono a vedere le incolpazioni atroci
-date al governo di Firenze, sin d’avere per decreto peggiorato l’aria
-di Pisa onde disabitarla.
-
-[107] TARGIONI, _Viaggi_, II. 221.
-
-[108] Non è superfluo mostrare i patti con cui il Comune di Lucca si
-diede a Carlo di Boemia nel 1333. Esso manderebbe un buon vicario,
-assegnandogli un salario fisso, di là del quale non possa nulla
-pretendere per sè o sua famiglia, cavalli ed uffiziali suoi; de’ quali
-pure sia prefisso il numero. Il salario è fissato in quattromila
-fiorini d’oro, dei quali deve stipendiare due giudici rinomati,
-tre buoni compagni, dodici donzelli, sedici ragazzi, un cuoco e due
-guatteri, venti cavalli. Esso vicario osservi le leggi e gli statuti di
-Lucca, e solo per furto, omicidio, falso incendio, tradimento possa far
-mettere alla tortura; non introduca prestiti o imposte o mutui o dazj,
-nè gli accresca; non possa fare spesa alcuna se non col consenso degli
-anziani, nè cominciar guerra; le cause civili e criminali si giudichino
-dalle solite curie, senza ch’egli vi s’intrometta. Gl’impieghi si
-diano al modo antico e a soli cittadini. Egli prepari pedoni e cavalli
-stipendiarj, ma che contrattino col Comune: le rendite di questo vadano
-nella cassa civica. Possa il vicario assistere al consiglio degli
-anziani; ma ciò che ottiene sette voti, si ritenga stabilito. Il re
-non voglia dare la città a chi altri si sia. _Docum. per servire afta
-storia di Lucca_, I. 278.
-
-[109] Morto Lionello duca di Modena nel 1440, Lucca occupò alcune terre
-della Garfagnana: Borso la respinse, anzi le tolse alcuni paesi: poi
-per interposizione di Firenze e ad arbitramento di Nicola V nel 1451
-quelle rimasero al ducato, che ne formò la vicarìa di Frassalico,
-levando l’intralciatissima spartizione della Garfagnana bassa.
-
-[110] Il discorso è riferito da Giovan Cavalcanti, di poco posteriore.
-Rousseau ebbe l’idea di scrivere la storia di Cosmo de’ Medici. «Era
-(diceva a Bernardino Saint-Pierre) un semplice privato, che divenne
-sovrano de’ suoi concittadini col renderli più felici; non si elevò e
-non si mantenne che per mezzo dei benefizj».
-
-Esiste il catalogo delle preziosità appartenenti a Pietro de’
-Medici nel 1464, che in medaglie, anelli, cammei, suggelli, tavole
-antiche di pietra o di metalli, sono stimati fiorini d’oro duemila
-seicentoventiquattro; i vasi preziosi e altre cose di valuta, ottomila
-centodieci; varie gioje, diciassettemila seicentottantanove; oltre
-gli argenti. _Appendice alla vita di Lorenzo il Magnifico_ del ROSCOE.
-Esso Lorenzo nei _Ricordi_ scrive: — Gran somma di denari trovo abbiamo
-speso dall’anno 1434 in qua, come appare per un quadernuccio in-quarto
-da detto anno fin a tutto il 1471: si vede somma incredibile, perchè
-ascende a fiorini seicentosessantatremila settecencinquantacinque, tra
-muraglie, limosine e gravezze, senza l’altre spese; di che non voglio
-dolermi, perchè, quantunque molti giudicassero averne una parte in
-borsa, io giudico essere gran lume allo Stato nostro, e pajonmi ben
-collocati, e ne sono molto ben contento».
-
-[111] Giovanni di ser Cambi reca la lista delle case grandi fiorentine
-al 1494 e assegna agli Altoviti sessantasei uomini, sessanta ai
-Rucellaj, cinquantatrè agli Strozzi, sessantacinque agli Albizzi,
-trentacinque ai Ridolfi, e così ai Capponi, ventisei ai Cavalcanti,
-e via là. Tra le antiche famiglie vanno ricordati i Bardi, che
-spesso ebbero nimistà coi Frescobaldi, massime nel 1340, allorchè li
-calmò il venerabile vecchione Matteo dei Marradi podestà. Cacciato
-il duca d’Atene, anche i Bardi furono espulsi a furor di popolo e
-bruciate ventidue loro case. Dianora de’ Bardi fu amata da Ippolito
-de’ Buondelmonti; ma, attesa l’inimicizia delle due famiglie, non
-potè che sposarla in segreto. Andava da lei la notte per una scala a
-corda; nel qual atto sorpreso dal bargello, fu arrestato per ladro, ed
-egli, anzichè mettere a repentaglio l’onore della fanciulla, lasciasi
-condannare a morte. Sol chiese che, nel condurlo al supplizio, si
-passasse davanti la casa de’ Bardi, volendo, diceva, in quell’estremo
-punto riconciliarsi colla famiglia sempre odiata. Ma ecco Dianora
-sbucarne scarmigliata, confessando: — Egli è mio sposo, e unica
-colpa di lui l’esser venuto a trovarmi». Si sospende il supplizio, si
-ripiglia la causa davanti al podestà, ove perorando Dianora stessa,
-facilmente si convinsero giudici e popolo, e si finì colle nozze
-pubbliche de’ due amanti e la pace fra le loro famiglie.
-
-[112]
-
- Cerchi chi vuol le pompe e gli alti onori,
- Le piazze, i templi e gli edifizj magni,
- Le delizie, i tesor, _qual accompagni_
- Mille duri pensier, mille dolori.
- Un verde praticel pien di bei fiori,
- Un rivolo che l’erba intorno bagni,
- Un augelletto che d’amor si lagni,
- Acqueta molto meglio i nostri ardori;
- L’ombrose selve, i sassi e gli alti monti,
- Gli antri oscuri e le belve fuggitive,
- Qualche leggiadra ninfa paurosa.
- Quivi vegg’io con pensier vaghi e pronti
- Le belle luci come fosser vive;
- Là me le toglie or questa or quella cosa.
-
-[113] SCHROECK, _Allgem. Geschichte_, vol. XXXII, p. 90.
-
-[114] «Nel 1424 fu ucciso Braccio de Montone;... e per questa cagione
-ne fu fatto gran festa e letitia in Roma de fuochi e de ballare; et
-ogni Romano giva con la torcia a cavallo ad accompagnare M. Jordano
-Colonna fratello di papa Martino, perchè era morto l’inimico del
-papa; e morti che furono questi, rimase papa Martino senz’alcun altro
-impaccio, e mantenea nel suo tempo pace e divitia, e venne lo grano a
-soldi quaranta lo rubbio». INFESSURA, _Diario_.
-
-[115] VESPASIANO, _Comment_., p. 279.
-
-[116] Et a dì 19 de jennaro de martedì, fu impiccato uno Stefano
-Porcaro in castello, in quello torrione che sta quando vai in là a
-mano destra; e viddelo io vestito di nero, in gipetto e calze nere. Se
-perdette quell’huomo da bene et amatore dello bene e libertà di Roma,
-lo quale, perchè si vide senza cascione esser stato sbannito da Roma,
-volse, per liberar la patria soa da servitute, metter la vita sua, come
-fece lo corpo suo... Et in quel dì furono impiccati nelle forche di
-Campitolio senza confessione e comunione gl’infrascritti... Item con
-essi fu impiccato Sao e molti altri... Et in quel tempo furono ancora
-pigliati Mr Joanni... Adì 28 gennajo fu impiccato Francesco Gabadio et
-uno dottore, perchè accompagnarono Mr Stefano Porcari, e dissesi che
-avevano notitia dello detto trattato. E dopo andò uno bando, che chi
-sapesse dove sta... lo dovessino rivelare, e guadagnavano mille ducati,
-e chi li dava morti cinquecento. E lo papa fece cercare per tutta
-Italia per questi delinquenti... furon pigliati chi a Padua, chi in
-Venetia... et a molti fu tagliata la testa alla città di Castello. A dì
-30 di jennaro fu impiccato Battista de Persona ». INFESSURA.
-
-[117] Delle lettere tengo l’edizione preziosa, fatta in Milano per
-maestro Ulderico Scinzenzeler il 1496. In queste è la troppo famosa
-storia degli amori della Lucrezia senese con Eurialo tedesco al
-seguito dell’imperatore Sigismondo, dipinti coi colori del Boccaccio.
-Delle altre lettere, molte illustrano assai i tempi. _Æneæ Silvii
-Piccolominei senensis, qui post adeptum pontificatum Pius, ejus nominis
-secundus, appellatus est, opera quæ extant omnia_. Basilea 1551. Opere
-capitali sono: _De gestis concilii Basiliensis commentarium; De ortu
-et historia Bohemorum; Europa, in qua sui temporis varias historias
-cumplectitur_. Scrive bene, quantunque con troppa frequenza di frasi
-o d’emistichi. Nella prefazione al Concilio di Basilea dice: — Non
-so quale sciagura o qual destino mi spinga così, che non valgo a
-distrarmi dalla storia, nè il tempo più utilmente consumare. Soventi
-mi proposi togliermi a questi allettamenti de’ poeti ed oratori, ed
-altro esercizio seguire, donde cavar alcuna cosa che mi renda men grave
-la vecchiezza, per non dover vivere alla giornata come gli uccelli e
-le fiere. Nè studj mancavano, nei quali se avessi voluto concentrar
-le forze, avrei potuto e danari e amici procacciare. Nè a ciò mi
-persuadeva da me solo, ma m’erano intorno gli amici, dicendomi di
-continuo: _Orsù, che fai Enea? Ti occuperà la letteratura finchè campi?
-A quest’età non ti vergogni di non aver poderi, non danaro? Non sai che
-a vent’anni bisogna esser grande, a trenta prudente, a quaranta ricco,
-e chi passa questi confini indarno poi s’affatica?_ Mi consigliavano
-dunque che, instando già il quarantesimo anno, cercassi posseder
-qualche cosa, prima che quello entrasse. Spesso vi posi mano, e promisi
-fare secondo il consiglio; buttai via i libri oratorj, buttai le
-storie e tutte siffatte letture, nemiche alla mia salute. Ma come certi
-volanti non sanno fuggire il fuoco della candela finchè non v’abbrucino
-l’ali, così io torno al mio male, dov’è forza ch’io pera; nè, a quanto
-vedo, altri che la morte non mi torrà questo studio. Ma giacchè il
-destino mi trascina, nè quel che voglio posso, bisogna congiungere la
-volontà al potere. Mi si rinfaccia la povertà; ma e povero e ricco
-devono vivere fin alla morte. Se è misera la povertà ai vecchi, è
-miserrima agli illetterati. Aver corpo sano e integra mente è dato
-al povero non men che al ricco; se questo ottengo, null’altro chiedo.
-Goder quello che ho in buona salute mi conceda Dio, e prego di poter
-condurre una vecchiaja con mente sana e non indecorosa nè senza cetra.
-E giacchè così sta fitto nell’animo, torniamo ai commentarj nostri».
-
-[118] La distinzione stessa faceva in quel suo motto famoso: _Quand’ero
-Enea, nessun mi conoscea; or che son Pio, ciascun mi chiama zio_.
-
-[119]
-
- Il nome che d’apostolo ti denno
- O d’alcun minor santo i padri, quando
- Cristiano d’acqua, non d’altro ti fenno,
- In Cosmico, in Pomponio vai mutando;
- Altri Pietro in Pierio, altri Giovanni
- In Jano e in Giovian van racconciando
- ARIOSTO, _Satira_ VI.
-
-[120] È caratteristico l’elogio che gli fa Gaspare Veronese: _Novi
-ego quod suorum codicum largissimus semper fuit, alienorum vero
-verecundissimus postulator, nec non suorum aliis commodatorum
-lentissimus repetitor_. Ap. MARINI, _Degli archiatri pontifizj_, tom.
-II. p. 179.
-
-[121] _Cronaca di Gubbio_, Rer. It. Script., XXI. f. 994.
-
-[122] Che ciò fosse con intelligenza di Francesco Sforza suo suocero
-è asserito da Machiavelli e da quasi tutti i contemporanei, i quali
-diceano averlo lo Sforza menato alla beccheria, e Ferdinando esserne
-stato il boja: ma vittoriosamente li confutano i documenti che pubblicò
-il Rosmini nella _Storia di Milano_.
-
-[123] Racconta Gioviano Pontano, _Belli neapolitani, lib_. V, che,
-mentre Ferdinando di Napoli assediava una rôcca sotto Mondragone
-aderente agli Angioini, e per difetto d’acqua l’avea ridotta
-all’estremo, alcuni empj sacerdoti procurarono le pioggie con arti
-magiche. Trovarono alquanti giovani arditissimi, che di notte per
-difficilissime vie uscirono fin al lido, e quivi bestemmiarono un
-crocifisso con ogni peggior maledizione, quivi gettaronlo in mare,
-imprecando tempesta al cielo, al mare, alle terre. Al tempo stesso
-i sacerdoti presero un asino, e come a moribondo gli dissero le
-preghiere degli agonizzanti, lo comunicarono, e fattegli le esequie,
-il sepellirono vivo davanti alla porta della chiesa. Ed ecco subito
-annuvolarsi, tempestar il mare, farsi bujo il cielo, e tuoni e folgori
-e nembi e diluvio di pioggie, sicchè abbondantemente provvista la
-rôcca, Ferdinando se ne dovette levare.
-
-In tali estremi, la sapiente Roma antica sepelliva un uomo e una donna.
-
-[124] Di quelli della sua patria fa l’enumerazione il Malipiero negli
-_Annali veneti_ sotto il 1483: — È stà tolto cenventottomila ducati
-all’una per cento, deputati a pagar el pro del Monte Nuovo: è stà
-cresciuto un terzo tutti i dazj; è stà impegnato tutte le volte de
-Rialto a rason de ventotto per cento all’anno; e stà pagato in zeca i
-argenti de particulari, sie ducati la marca; è stà tolto le cadenelle
-d’oro che le donne portava al collo, e messe in comun. Se fa li officj
-e regimenti con la metà e un terzo manco de salario. Oltre tante
-decime, è stà messo tanse a la terra; le entrate de la terra e quelle
-de la terraferma è calade; se ha perso molte nave e galìe; se ha tolti
-homeni de la guerra nudi e rotti, perchè no se ha possuto far altro; se
-ha evacuato l’arsenal che altre volte ha fatto tremar el mondo; avemo
-fame e peste; mendicheremo la pace e ghe restituiremo el tolto; se ha
-speso un milion e dusentomila ducati; ed è morti tanti homeni da ben».
-
-[125] INFESSURA, _Diario_, pag. 1226.
-
-[126] Pietro Aretino scriveva al Franciotto nell’aprile 1548, cioè
-mezzo secolo prima di quell’Enrico IV di Francia, a cui il fatto viene
-attribuito: — Se bene jeri l’altro, per esserci il numero delle persone
-che si stavano a casa mia, meco ragionando, non feci motto alcuno circa
-il vostro ridere nel vedermi in mezzo di Adria e di Austria le figlie
-mie; nel vedermi, dico, dalle braccia dell’una d’anni undici stretto
-nel collo, e dalle mani dell’altra di otto mesi preso nella barba;
-non è che io non me ne accorgessi, e me lo tacqui allora per dirvi
-adesso una bella cosa in comparazione di quella mia tenera sofferenza.
-Lorenzo e Giuliano, quello padre di Leone, questo di Clemente, standosi
-trapassando il tempo del caldo al Poggio, accadde un giorno, poco
-dopo il desinare, ch’eglino per fuggire il sonno essendosi ritirati in
-camera, venutegli alle mani due canne, se ne fecero cavalli, e salendo
-l’uno sopra l’una, e l’altro sopra l’altra, volse Giuliano che gli
-montasse in groppa Giulio, e Lorenzo che il simile facesse Giovanni;
-e così spronando ciascuno senza i sproni pareano proprio ispronargli
-daddovero; talchè i bambini tutti ridenti, quel piacere nella loro
-innocenzia provavano, che prova in la sua tenerezza ogni genitore che
-la di lui prole trastulla. Videgli in cotal atto quel Mariando, che poi
-ebbe il titolo di Frate dal piombo; e ridendosene da senno, fu chiamato
-dentro dai personaggi sì grandi; i quai pregarono il faceto e leale
-uomo, che non prima facesse motto dello avere i due fratelli (i quali
-poi furon padre di cotale coppia di pontefici) trovati in tal materia
-di scherzo, non prima, dico, ch’egli avesse figliuoli; inferendo in sì
-prudente voce di parole, che la minore dimostrazione di semplicità che
-si faccin coloro che ne hanno, è lo impazzirgli drieto».
-
-Il fatto però non è esatto, poichè Giulio nacque postumo.
-
-[127]
-
- _Atque aliud nigris missum, quis credat? ab Indis,_
- _Ruminat insuetas armentum discolor herbas._
- POLIZIANO, _Rusticus_.
-
-[128] Angelo Poliziano a Lorenzo de’ Medici: — Magnifice Patrone. Da
-Ferrara vi scripsi l’ultima. A Padova poi trovai alcuni buoni libri,
-cioè Simplicio sopra al Cielo. Alexandro sopra la Topica, Giovan
-Grammatico sopra le Posteriora et li Elenchi, uno David sopra alcune
-cose de Aristotele, li quali non habbiamo in Firenze. Ho trovato
-anchora uno scriptore greco in Padova, et facto el patto a tre
-quinterni di foglio per ducato. Maestro Pier Leone mi mostrò i libri
-suoi, tra i quali trovai un M. Manilio astronomo et poeta antiquo, el
-quale ho recato meco a Vinegia, et riscontrolo con uno in forma che
-io ho comprato. È libro, che io per me non ne viddi mai più antiqui.
-Similiter ha certi quinterni di Galieno _De dogmate Aristotelis et
-Hippocratis_ in greco, del quale ci darà la copia a Padova, che si è
-facto pur frutto. In Vinegia ho trovato alcuni libri di Archimede et
-di Herone mathematici che ad noi mancano, et uno Phornuto _De deis_, e
-altre cose buone. Tanto che papa Yanni ha che scrivere per un pezzo.
-
-«La libreria del Niceno non abbiamo potuto vedere. Andò al principe
-messer Aldobrandino oratore del duca di Ferrara, in cujus domo
-habitamus. Fugli negato a lettere di scatole; chiese però questa cosa
-per il conte Giovanni et non per me, che mi parve bene di non tentare
-questo guado col nome vostro. Pure messer Antonio Vinciguerra, et
-messer Antonio Pizammano, uno di quelli due gentilhuomini philosophi
-che vennono sconosciuti a Firenze a vedere el conte, et un fratello di
-messere Zaccheria Barbero sono drieto alla traccia di spuntare questa
-obstinatione. Farassi el possibile; questo è quanto a’ libri.
-
-«M. Piero Lioni è stato in Padova molto perseguitato, et non è chiamato
-nè quivi nè in Vinegia a cura nissuna. Pure ha buona scuola, et ha sua
-parte favorevole; hollo fatto tentare dal conte di ridursi in Toscana.
-Credo sarà in ogni modo difficil cosa. In Padova sta mal volentieri,
-et la conversatione non li può dispiacere, ut ipse ait. Negat tamen
-se velle in Thusciam agere. Nicoletto verrebbe a starsi a Pisa, non
-vorrebbe un beneficio, hoc est, un di quelli canonicati; ha buon nome
-in Padova, et buona scuola. Pure, nisi fallor, è di questi strani
-fantastichi; lui mi ha mosso questa cosa di beneficj: siavi adviso.
-
-«Visitai stamattina messer Zaccheria Barbero, et mostrandoli io
-l’affectione vostra, mi rispose sempre lagrimando, et ut visum est,
-d’amore; risolvendosi in questo, in te uno spem esse; ostendit se
-nosse quantum tibi debeat. Sicchè fate quello ragionaste, ut favens
-ad majora. Quello legato che torna da Roma, et qui tecum locutus est
-Florentiæ, non è punto a loro proposito, ut ajunt. Un bellissimo vaso
-di terra antiquissimo mi mostrò stamattina detto messer Zaccheria,
-el quale nuovamente di Grecia gli è stato mandato; e mi disse, che
-sel credessi vi piacessi, volentieri ve lo manderebbe con due altri
-vasetti pur di terra. Io dissi che mi pareva proprio cosa da V. M., et
-tandem sarà vostro. Domattina farò fare la cassetta, et manderollo con
-diligentia. Credo non ne abbiate uno sì bello in eo genere. È presso
-che tre spanne, et quattro largo. El conte ha male negli occhi, et non
-esce di casa, nè è uscito poichè venne a Vinegia.
-
-«Item visitai hiersera quella Cassandra Fidele letterata, et salutai
-per vostra parte. È cosa mirabile, discretissima, et meis oculis etiam
-bella. Partimmi stupito. Molto è vostra partigiana, et di voi parla con
-tutta practica, _quasi te intus et in cute norit_. Verrà un dì in ogni
-modo a Firenze a vedervi, sicchè apparecchiatevi a farle honore.
-
-«A me non occorre altro per hora, se non solo dirvi che questa impresa
-di scrivere libri greci, et questo favorire i docti vi dà tanto
-honore et gratia universale, quanto mai molti e molti anni non ebbe
-uomo alcuno. I particolari vi riserbo a bocca. A. V. M. mi raccomando
-sempre. Non ho ancora adoperata la lettera del cambio per non essere
-bisognato. Venetiis 20 junii 1491».
-
-[129] Lettera di Pietro da Bibiena a Clarice de’ Medici, ap. ROSCOE,
-_Vita di Lorenzo_, app. 7ª del vol. III.
-
-Ad esso Lorenzo scriveva Ferdinando re di Sicilia, il 23 agosto 1488: —
-Magnifice vir, compater et amice noster carissime. Non era necessario
-che da voi fossemo rengratiati per lettera de vostra mano di quello
-che ho offerto in beneficio di mess. Joanni vostro figlio, perchè sape
-Dio lo animo et la voluntà nostra, quanto desidereressimo fare tutte le
-cose del mondo per usarvi gratitudine per quello havete continuamente
-operato in beneficio nostro et de questo Stato, del quale sempre potete
-fare quella stima che fareste delle cose vostre medesime, perchè li
-obblighi che ne havimo così recercano, et mai ve porìamo offerire
-tanto in beneficio vostro et della casa vostra, che ne para havere
-satisfacta una millesima parte de quello è lo animo et desiderio nostro
-di fare: secundo speramo per experientia, omni dì porite conoscere più
-manifestamente».
-
-[130] Watson (_Massonic essayist_. Londra 1797, pag. 238) sostiene che
-l’accademia platonica era una loggia muratoria, e che vi sono ancora
-scolpiti dei simboli massonici.
-
-[131] _Phœnix, sive ad artificialem memoriam comparandam brevis quidem
-et facilis, sed re ipsa et studio comprobata introductio._ Venezia
-1491.
-
-[132] E non dal Crisolara, come fa ragionevolmente avvertire il Tonelli
-nella traduzione della vita di esso scritta da Shepherd; Firenze 1835.
-Erasmo giudica molto severamente il Poggio, definendolo _rabula adeo
-indoctus, ut, etiamsi vacaret obscænitate, tamen indignus esset qui
-legeretur: adeo autem obscænus, ut, etiamsi doctissimus esset, tamen
-esset a viris bonis rejiciendus._ Ep. CIII.
-
-[133] _Si quando visendi desiderio in longinquum proficiscerer, visis
-forte eminus monasteriis veteribus, divertebam illico, et — Quid
-scimus_ (_inquam_) _an hic aliquid eorum sit quæ cupio?_ Senil., VI. 2.
-
-[134] Commento al canto XXII del _Paradiso_. Il fatto è dimostrato
-falso dal Tosti nella storia di Montecassino, dove la libreria fu
-sempre uno de’ più cercati ornamenti.
-
-[135] _O romani pontifices, exemplum facinorum omnium cæteris
-pontificibus, et improbissimi scribæ et pharisæi, qui sedetis super
-cathedram Moysis et opera Datan et Abyron facitis, itane vestimenta,
-apparatus, pompa, equitatus, omnis denique vita Cæsaris vicarium
-Christi docebit?... Nec amplius horrenda vox audiatur, partes contra
-Ecclesiam, Ecclesia contra Perusinos pugnat, contra Bononienses. Non
-contra Christianos pugnat Ecclesia, sed papa_.
-
-[136] _Universa in me civitas conversa est, omnes me diligunt, honorant
-omnes, ac summis laudibus in cœlum efferunt. Meum nomen in ore est
-omnibus. Nec primarii cives modo, cum per urbem incedo, sed nobilissimæ
-fœminæ honorandi mei gratia locum cedunt; tantumque mihi deferunt, ut
-me pudeat tanti cultus. Auditores sunt quotidie ad quadringentos, vel
-fortassis et amplius; et hi quidem magna in parte viri grandiores, et
-ex ordine senatorio_. Epist. del 1428. Vedi la costui vita scritta da
-Carlo Rosmini, Milano 1808, con moltissimi documenti inediti.
-
-[137] Nella Laurenziana v’è una sua _Oratio habita in principio publicæ
-lectionis, quam domi legere aggressus est, quum per invidos publice
-nequiret_.
-
-[138] Se quel verso
-
- Βούλομ’ ἐγὼ σάον λαὸν ἔμμεναι, ἢ ἀπολέσθαι
-
-significhi _Voglio che il popolo sia salvo o perisca, oppure Voglio che
-il popolo sia salvo o perire._ Il Filelfo s’accorse che aveano torto
-entrambi.
-
-[139] Vedasi l’_epistola_ 52 del lib. X. Di Gio. Maria Filelfo suo
-figlio, retore anch’esso inquietissimo e premorto al padre, scrisse la
-vita Guglielmo Favre. Ginevra 1856.
-
-[140] NALDO NALDI, _Vita di G. Manetti_, Rer. It. Script., XX.
-
-[141] _Operis quippe ac studii mei est et fuit multos libros legere, et
-ex plurimis diversos carpere flores._ Al fine:_ Mihi non bene scienti
-linguam græcam_ non vuol dire che la ignorasse, come pretende Eichhorn.
-
-[142] GIULINI, _Continuazione delle Memorie di Milano_, II, 594.
-
-[143] _Liber consiliorum_, vol. III. IV. XIII, nell’archivio civico di
-Torino.
-
-[144] TOMMASI al 1430.
-
-[145] È l’espressione del Bonfinio, _Rerum Hungaric._, dec. IV:
-Pannoniam Italiam alteram reddere conabatur.... _Varias quibus olim
-carebat artes, eximiosque artifices ex Italia magno sumptu evocavit...
-olitores, cultores hortorum, agriculturæque magistros, qui caseos etiam
-latino, siculo, græco more conficerent_.
-
-[146] Vespasiano, Ap. MEHUS, _Præf. ad vitam Ambrosii camaldolensis_.
-
-[147] Vita di B. Valori, nell’_Archivio storico_, tom. IV. p. 241.
-
-[148] PIO II, _Descrizione dell’Europa_, cap. 52.
-
-[149] LAMI, _Catalogo della biblioteca Riccardiana_, pag. 11.
-
-[150] _De educatione liberorum_. Milano 1491.
-
-[151] Sprezzando di tutto cuore i Barbari, il Poliziano gl’invita ad
-ammirare le bellezze e i pregi degl’Italiani, ove mostra di conoscere
-in che consiste il merito, anzichè qual fosse il merito vero degli
-Italiani: _Admirentur nos, sagaces in inquirendo, circumspectos in
-explorando, subtiles in contemplando, in judicando graves, implicitos
-in vinciendo, faciles in enodando. Admirentur in nobis brevitatem
-styli fœtam rerum multarum atque magnarum, sub expositis verbis
-remontissimas sententias, plenas questionum, plenas solutionum;
-quam apti sumus, quam bene instructi ambiguitates tollere, scrupulos
-diluere, involuta evolvere flexanimis syllogismis, et infirmare falsa,
-et vera confirmare. Viximus celebres, et posthac vivemus, non in
-scholis grammaticorum et pædagogiis, sed in philosophorum coronis, in
-conventibus sapientum, ubi non de matre Andromaches, non de Niobes
-filiis, atque id genus levibus nugis, sed de humanarum divinarumque
-rerum rationibus agitur et disputatur. In quibus meditandis,
-inquirendis et enodandis ita subtiles, acuti acresque fuimus, ut anxii
-quandoque nimium et morosi fuisse forte videamur, si modo esse morosus
-quispiam aut curiosus nimio plus in indaganda veritate potest_. Epist.
-lib. IX.
-
-[152] Ap. ROSMINI, _Storia di Milano_, IV. 224.
-
-[153] Leonardo Giustinian veneto, amico del Filelfo e degli altri
-celebri, oltre i lavori filologici fece molti canti d’occasione
-e di gioja, che poi furono pubblicati col titolo di _Fiori delle
-elegantissime cancionete_ (Venezia 1482); e le accompagnava anche di
-graziose note. Voltosi poi alla pietà, pubblicò le _Devotissime et
-sanctissime laude_ (Cremona 1474), più volte ristampate. Per la prima
-volta nel 1851 si pubblicarono a Lucca le _Laude spirituali_ di Bianco
-da Siena povero gesuato.
-
-[154] Si volle supporre non sia che un capitolo dell’opera di Leon
-Battista Alberti: ma altri crede che questi possa nella sua avere
-inserito il trattato del Pandolfini.
-
-[155] _Senilium_, XV. 5; _Familiarium_, II. 4. IV. 9. VI. 6; _Hort. ad
-Nicolam Laurentii_.
-
-[156] Il manoscritto d’Arona, che sta nella biblioteca di Torino, e
-che da un’assemblea di dotti erasi giudicato antico di cinque secoli,
-Daunou e Hase, valentissimi paleografi, nol fanno anteriore al secolo
-XV. Galeani Napione, poi De Gregory (_Mém. sur le véritable auteur de
-l’Imitation de Jésus-Christ_, 1827; e _Histoire du livre de l’Imitation
-de Jésus-Christ et de son véritable auteur_, Parigi 1843) sostennero
-i diritti del Gersenio di Vercelli. A provarlo d’un Tedesco si addusse
-testè quel passo del lib. IV. c. 5, ove dice che il sacerdote, vestito
-dei sacri arredi, ha davanti e di dietro la croce del Signore. Ora la
-pianeta degli Italiani e de’ Francesi non ha la croce che di dietro.
-
-Celebrandosi il suo centenario nel 1874 ed ergendosegli un monumento,
-si pubblicarono molti opuscoli in favore dell’abate Gersenio.
-
-[157] Lib. II. c. 12.
-
-[158] Narrando che Federico II aveva imposto alcun dazj nuovi senza
-attribuirne un terzo alla Chiesa, soggiunge che l’anima di lui
-_requiescit in pice et non in pace_.
-
-[159] ALIDOSI, _Instructione_ ecc. Forse questi tentativi avevano dato
-coraggio a Leonardo da Vinci di fare un modello col quale «mostrava
-voler alzare il tempio di San Giovanni di Firenze e sottomettervi le
-scalee senza rovinarlo». VASARI, _Vita_.
-
-[160] La sua opera è stampata «sulle rive del Benáco, nel quale
-si pescano i migliori carpioni, e le cui rive sono sparse di belle
-antichità». Uno de’ trattatelli suoi è intitolato: _Modus solvendi
-varios casus figurarum quadrilaterarum rectangularum per viam algebræ.
-Nº_ cioè _numero_, indica il noto; _Co_ cioè cosa, l’incognito; il
-quadrato _Ce_ (censo); il cubo, _Cu_; _p_ ed _m_ vagliono + e -. Dove
-oggi scriviamo 3x + 4x² - 5x³ + 2x⁴ - 6, allora facevasi 3 co. p. 4 ce.
-m. 5 cu. p. 2 ce. m. 6 Nº.
-
-Guglielmo Libri farebbe il + e il - inventati da Leonardo da Vinci;
-mentre Chasles (_Aperçu historique sur l’origine et le développement
-des méthodes en géométrie_, Bruxelles 1837), gli attribuisce a
-Stiffels.
-
-«E perchè noi seguitiamo per la maggior parte Lionardo Pisano
-(Fibonacci), io intendo di chiarire che quando si porrà alcuna proposta
-senza autore, quella sia di detto Lionardo». Queste parole della _Summa
-de arithmetica geometria_ purghino il Pacioli dalla taccia datagli di
-plagiario.
-
-[161] In Francia si cominciò nel 1376; solo nel 1556 Carlo V otteneva
-dai dottori di Salamanca la decisione che ai Cattolici non fosse
-illecito aprire umani cadaveri.
-
-[162] Nel XV secolo v’è menzione di pesti, in Dalmazia il 1416, 20,
-22, 30, 37, 54, 64, 66, 80; nella Lombardia e Genovesato, il 1405 e
-6; in Napoli, Milano ed altre parti d’Italia, il 1421 e 22; nel 21
-a Bologna e Brescia; nel 28 a Roma; nel 29 e 30 a Perugia e altrove;
-nel 38 a Venezia e altrove; nel 48 nell’alta Italia; poi nel 50, 56,
-60, 65, 68, 73, 75, 76, 78, 85: dal 92 al 95 la peste marrana, tifo
-navale, sviluppatosi fra gli Ebrei cacciati di Spagna contaminò tutta
-Europa. Scaligero contro Cardano dice che a Parigi, Colonia, Famagosta,
-Venezia, Ancona la peste ripullula così frequente, che può dirsi
-perpetua.
-
-[163] _Quamquam per civitates, domus qua hospitalia vocantur,
-et supellectiles sumptibus publicis paratæ structæque videantur
-elephantiacis suscipiendis. — De elephantia_. Ne’ secoli seguenti se
-ne parla pochissimo, ma non dovette scomparire del tutto: poi questi
-ultimi anni rivoltavi l’attenzione, fu riscontrata in molte parti, e
-più miserabilmente nella popolazione pescatrice di Comacchio, col nome
-di mal di fegato. Vedi _Sulla lebbra_, Commentario del D. A. VERGA.
-Milano 1846.
-
-Fallopio nel 1550 trovava che in Francia ancora molti erano affetti
-di lebbra; ma in Italia rimanevano rarissimi, e gli ospedali di
-San Lazzaro erano vuoti, mentre crescevano quelli di San Giobbe per
-gl’infraciosati. _De morbo gallico_, c. I. III.
-
-[164] Diconsi palimsesti (πάλιν φηστὸς, _di nuovo raschiato_). Ciò si
-costumava già dagli antichi, e Cicerone (_Famil_., VII, 18) scrive:
-_Quod in palimsesto, laudo equidem parsimoniam; sed miror quod in illa
-chartula fuerit quod delere malueris, quam exscribere, nisi forte
-tuas formulas. Non enim puto te meas epistolas delere ut deponas
-tuas. An hoc significas nil fieri? frigere te? ne chartam quidem
-tibi suppeditare?_ Il primo palimsesto cui si facesse mente, fu alla
-biblioteca del re di Francia nel 1692, ed era un manoscritto delle
-opere di sant’Efrem.
-
-Finchè s’ebbe carta papiracea, su quella si stesero gli atti pubblici.
-I più antichi d’Italia su carta pecora sono una concessione di re
-Liutprando del 712 nell’archivio di Milano, e uno del 784, ove Felice
-vescovo di Lucca conferma la donazione di Faulone al monastero di
-san Fridiano. Il più antico atto sopra carta bambagina è del 1145 in
-Sicilia, ove re Ruggero II fa concessioni all’abate di San Filippo di
-Fragola. Nell’archivio delle Riformagioni di Firenze trovasi un diploma
-in greco del 1192, in cui Isacco Langelo imperatore ammette i Pisani
-alla pace colle terre di Romania.
-
-[165] Plutarco (in _Catil_.) le fa inventare da Cicerone all’occasione
-della congiura di Catilina. Cicerone scrivendo ad Attico (lib. XIII)
-gli dice: — Tu non avrai forse intesa quella cosa perchè scritta διὰ
-σεμνῶν, per segni». Altri ne dicono autore Tirone suo liberto, da
-cui si chiamarono tironiane; e Dione Cassio (lib. LV) asserisce che
-Mecenate fece pubblicare queste note per Aquila suo liberto. Celebri
-tachigrafi antichi furono Perunnio, Pilargio, Pannio, e infine Seneca.
-San Cipriano aggiunse altre note alle già inventate, e tutte le adattò
-all’uso della religione. Prudenzio nell’inno di san Cassiano canta:
-
- _Verta notis brevibus comprendere cuncta peritus_
- _Raptimque punctis dicta præpetibus sequi._
-
-Origene, sant’Agostino, san Girolamo parlano dei tachigrafi.
-
-[166] Nel catalogo dei libri lasciati dal cardinale Guala al monastero
-di Sant’Andrea a Vercelli troviamo una biblioteca (cioè l’intera
-Bibbia) di lettera _parigina_, coperta di porpora e ornata di fiori
-d’oro ed iniziali simili; un’altra di lettera _bolognese_, con cuojo
-rosso; una di lettera inglese; una piccola preziosa di lettera
-parigina, con majuscole d’oro e ornamenti purpurei; l’Esodo e il
-Levitico di lettera _antica_; i dodici Profeti in un volume di lettera
-_lombarda_; i _Morali_ del beato Gregorio, di _buona lettera antica
-aretina_ ecc. FAVA, _Gualæ Bichierii card. vita_, pag. 175.
-
-[167] Il padre Sarti (_De prof. bonon_., part. II, p. 214) pubblicò
-un catalogo di libri in vendita a Bologna; per esempio, _Lectura
-domini Ostiensis_ CLVI _quinterni, taxati lib._ II. _sol_. X. _etc_.
-Un messale ornato a lettere d’oro e pitture, nel 1240, valse più di
-duecento fiorini (_Ann. Camald_., vol. IV. p. 349). Un _Digestum vetus_
-a Pisa si vendette lire sedici (L. 127). Forse dunque non costavano
-cari se non quando miniati.
-
-[168] TIRABOSCHI, tom. VI. l. 1. c. IV. § 19.
-
-[169] Nell’inventario de’ possessi del vescovado di San Martino di
-Lucca dell’VIII o IX secolo la biblioteca è così composta: Eptaticum,
-vol. 1. Salomon, vol. 1. Machabeorum, vol. 1. Actus apostolorum, vol.
-1. Prophetarum, vol. 1. Librum officiorum, vol. 1. Dialogorum, vol.
-1, Vita... Ezechiel, vol. 1. Omeliarum, vol. 1. Commentarium super
-Mattheum, vol. 1. Commentarium aliud... vol. 2. Ordo ecclesiasticus,
-vol. 1. Rationes Pauli, vol. 1. Antiphonarium, vol. 2. Psalterium,
-vol. 1. Vita sancti Martini, vol. 1. Vita sancti Laurentii cum memoria
-sancti Fridiani, vol. 1.
-
-Nel 1212 Ugo, tesoriere della cattedrale di Novara, divenendo
-arciprete, facea la riconsegna degli oggetti che trovavansi nel
-tesoro del capitolo: fra cui notiamo un collettario gemmato con figura
-d’avorio, un cristallo rotondo donde si trae il fuoco, e venticinque
-volumi di libri da altare, cioè due messali, quattro antifonarj, tre
-testi del vangelo, quattro omeliarj, un sermonale, due epistolarj,
-un passionario estivo ed uno iemale, due collettarj, l’ordine, due
-salterj, la Bibbia, il Vecchio Testamento; e nell’armadio quarantotto
-libri, fra cui i morali di Giob, Agostino sopra Giovanni, le Etimologie
-di Isidoro, la storia ecclesiastica, un volume della prescienza e
-predestinazione, le Decretali, il Codice e le Novelle di Giustiniano, i
-pronostici del futuro giudizio, Prisciano, Cresconio _Della concordia
-de’ canoni_, un martirologio, Boezio _Della consolazione_, Marciano
-Capella, le vite dei Padri.
-
-[170] MARINI, _Degli archiatri pontifizj_, tom. II. p. 130.
-
-[171] «Milatrecenquaranta fur fatti la folla di tutti i Santi, e il
-lavorerio di panno, lane e carta di papiro. Del qual lavoro di carta
-di papiro primo inventor presso Padova e Treviso fu Pace da Fabriano,
-che per l’amenità dell’acque stette la più vita in Treviso». Nel 1318
-un notajo promette non fare istromento in carta di bambage, nè da
-cui siasi abrasa altra scrittura; un altro, nel 31, di non iscrivere
-in carta bambagina; poi nel 67 di non iscrivere su carta siffatta nè
-papiro. Il senato veneto del 1366 stabilì che «pel bene dell’arte della
-carta che si fa a Treviso, e reca grand’utile al nostro Comune, in
-nessun modo possano levarsi stracci di carta (_stratie a cartis_) dalla
-Venezia per portarli altrove che a Treviso».
-
-[172] Nell’Archivio diplomatico fiorentino, carte del Comune di Colle;
-ap. REPETTI.
-
-[173] Reputavasi la più antica incisione in legno il san Cristoforo,
-sotto cui è scritto:
-
- _Xtofori faciem die quacumque tueris_
- _Illa nempe die morte mala non morieris_
- _millesimo_ CCCXX _tertio_.
-
-Ma il signor di Reiffenberg, direttore della biblioteca reale di
-Bruxelles, acquistò una Madonna con varj santi, intaglio colla data
-1318. Vedi pure W. A. CHATTO, _Treatise on vood engraving historical
-and practical_. Londra 1839, con ducento belle vignette.
-
-[174] I Feltrini pretendono che Pamfilo Castaldi, loro concittadino
-e buon umanista, conosciuti gli studj del Guttenberg per istampare,
-a Faust suo discepolo additasse che si potrebbe far meglio che con
-tavolette stereotipe, cioè formar le lettere distinte, come quelle
-che già si usavano dai mercanti per far le iniziali e intestazioni
-sui loro libri. Si parlò molto questi ultimi anni di tale gloria; ma
-l’asserzione del cronista frate Cambiuzzi non è appoggiata a nessun
-documento. I meriti del Guttenberg sono chiariti da Ambrogio Firmin
-Didot nella _Nouvelle Biographie générale_.
-
-[175] _Annali della stampa in Italia._
-
- 1465. Subiaco.
- 1467. Roma.
- 1469. Venezia, Parigi, Milano, il poema sacro di Aratore e le
- epistole latine di uomini illustri: ma non sono ben sicuri;
- bensì _Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene
- Maria_ per Filippo Lavagna, che portò la stampa a
- Milano, con Antonio Zarotto e Cristoforo Valdarser.
- 1470. Verona, Foligno, Pinerolo, Brescia.
- 1471. Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze, Napoli, Savigliano.
- 1472. Mantova, Parma, Padova, Mondovì, Jesi, Fivizzano,
- Cremona.
- 1473. Messina.
- 1474. Torino, Genova, Como, Savona.
- 1475. Modena, Piacenza, Barcellona, Cagli, Casole, Perugia,
- Pieve di Sacco, Reggio di Calabria.
- 1476. Pogliano, Udine. Primo libro greco a Milano.
- 1477. Ascoli, Palermo.
- 1478. Cosenza, Colle.
- 1479. Tuscolano, Saluzzo, Novi.
- 1480. Cividale, Nonantola, Reggio.
- 1481. Urbino.
- 1482. Aquila, Pisa.
- 1484. Soncino, Chambéry, Bologna, Siena, Rimini.
- 1485. Pescia.
- 1486. Chivasso, Voghera, Casalmaggiore.
- 1487. Gaeta.
- 1488. Viterbo.
- 1490. Portese.
- 1495. Scandiano.
- 1496. Barco.
- 1497. Carmagnola, Alba.
-
-[176] SERRA, _Discorso_ IV, pag. 215.
-
-[177] Impressa per _magistrum Dionysium Paravisinum_ con caratteri,
-dicesi, fusi da Demetrio Cretese. A Milano si stampò nell’80 Esopo e
-Teocrito; nell’81 il Psalterio greco. Vedasi HUMPHREYS, _A history of
-the art of printing_.
-
-[178] Renouard scrisse, negli _Annales des Aldes_, che _Manuce occupa
-et occupera longtemps et sans aucune exception le premier rang parmi
-les imprimeurs anciens et modernes._ La lode parve esagerata a Firmin
-Didot, che dice doverglisi eterna riconoscenza per l’attività adoprata
-a pubblicare tanti classici, e per la bella esecuzione tipografica;
-ma lo appunta di scarsa correzione, e allega un passo di lettera,
-ove Aldo dice d’essere così occupato, che appena ha tempo, non che
-di correggere, di scorrere i libri che stampa: _Vix credas quam sim
-occupatus. Non habeo certe tempus, non modo corrigendi, ut cuperem,
-diligentius qui excusi emittuntur libri cura nostra, sed ne perlegendi
-quidem cursim_. Di lui discorse pienamente esso Ambrogio Firmin Didot
-nell’_Alde Manuce et l’Hellenisme à Venise_. Parigi 1875.
-
-[179] Il primo libro in Italia ove il disegno figurasse bene negli
-intagli stampati insieme coi caratteri, o, come diciamo oggi,
-illustrato, è l’_Ypnerotomachia_, per Aldo, nel 1499, con belle figure
-che sono del Mantegna o almeno della sua maniera. Sono a tratti, e
-l’ombra è indicata da linee più o men lunghe. Ma già le favole d’Esopo,
-stampate a Verona il 1481 e a Venezia il 1490 con intagli, e quelle di
-Napoli del 1485 in 4º grande, ne hanno 87, però grossolani. Nel 1497
-maestro Lorenzo de’ Rossi di Ferrara stampò molti libri, con figure a
-tratti, quali la _Vita et epistole di sancto Jeronimo_; il Boccaccio
-_De claris mulieribus_, ecc.
-
-[180] Esiste il contratto tra il celebre frà Jacopo Filippo Foresti
-e lo stampatore Bernardino Benaglio di Bergamo per l’edizione del
-supplemento alle _Cronache_ d’esso frate, il 7 gennajo 1483. Dovevano
-stamparsi in Venezia a non più di seicentocinquanta copie; l’autore
-promette rilevarne ducento a novanta marchetti per copia. Egli
-intendeva dedicar l’opera al magnifico Marcantonio Morosini nobile
-veneto «se lui vole exborsare sedici ducati per lo correctore; et
-casu quo non pagasse ditti sedici ducati, non ge la debba intitulare,
-sed a chi parerà a ditto frate Jacopo Filippo». Realmente la intitolò
-alla città di Bergamo, che gli regalò cinquanta ducati d’oro, da lui
-adoperati a vantaggio del proprio convento. TIRABOSCHI, tom. VI. l. c.
-IV. §32.
-
-[181] I privilegi concessi ad Aldo furono pubblicati da Armand Baschet.
-Venezia 1867.
-
-[182] Nell’archivio di Siena, _Denunzie_ del 1491, Bernardino di
-Michelangelo Cignoni scrive: — Pell’arte mia non si fa niente;
-pell’arte mia è finita, per l’amore dei libri, che li fanno in forma
-che non si miniano più».
-
-[183] _Tachygraphia veterum exposita et illustrata ab_ ULRICO FRED.
-KNOPP. Manheim 1817, vol. II. Sì poco sperava nella riconoscenza de’
-contemporanei, che vi antepose questa scoraggiata dedica_: Posteris
-hoc opusculum, æqualium meorum studiis forte alienum, do, dico atque
-dedico._
-
-[184] Tripudiamo anche noi col bibliotecario Maj, allorchè, di sotto
-ai versi di Sedulio, gli apparve Cicerone: _O Deus immortalis! repente
-clamorem sustuli. Quid demum video? En Ciceronem, en lumen romanæ
-facundiæ, indignissimis tenebris circumscriptum! Agnosco deperditas
-Tullii orationes; sentio ejus eloquentiam ex his latebris divina quadam
-vi fluere, abundantem sonantibus verbis, uberibusque sententiis._
-
-[185] Vedi SACCHETTI, _Nov_. 178; e le canzoni di esso pubblicate nel
-_Giornale arcadico_, febbrajo 1819. Della mania d’imitar le foggie
-e i parlari stranieri move lamenti anche il Petrarca. Vedi MURATORI,
-_Antiq. M. Æ._, diss. XXV.
-
-[186] _Storia fiorentina_, IX.
-
-[187] Historia di Conforto Pulice. _Rer. It. Script_., tom. XIII.
-
-[188] Il gallo era lo stemma di Murano.
-
-[189] _Cronaca veneziana_, § 266. A Venezia era un magistrato
-suntuario, i provveditori sopra le pompe.
-
-[190] _Delizie degli eruditi_, XI. 162.
-
-[191] V. DU CANGE _ad vocem_. Egli cavò questo cerimoniale da un
-manoscritto di Cambrai.
-
-[192] _Paradiso_, canto XIV. 104.
-
-[193] Lib. II. c. 36.
-
-[194] Vedi PEZZANA, _Storia di Parma_, vol. III. doc. X. XV.
-
-[195] Nelle _Antichità estensi_, vol. II, p, 376, può leggersi la
-distinta del ricchissimo corredo che Giulia della Rovere figlia del
-duca d’Urbino portò con ventimila scadi d’oro di dote sposando Alfonso
-II d’Este nel 1549.
-
-[196] Del 1192, nel _Codice Eceliniano_ del Verci.
-
-[197] _Conto de’ tesorieri generali di Savoja_.
-
-[198] _Dummodo prædicta Lucia marito suo per carnalem copulam se non
-commisceat, sine speciali licentia in scriptis; nec cum alio viro rem
-habeat, nobis exceptis, si forte cum ea coire libuerit aliquando_.
-Manoscritto dell’archivio Trivulzio.
-
-[199] GHIRARDACCI, _St. di Bologna_ al 1313.
-
-[200] DI COSTANZO, _St. di Napoli_, lib. IX.
-
-[201] Anche quando Carlo V volle nel 1536 salire all’apertura della
-cupola del Panteon a Roma, un tal Crescenzi, che ve l’accompagnò, disse
-a suo padre essergli venuto il pensiero di buttarlo giù, per vendetta
-del sacco di Roma. E il padre: — Figliuol mio, queste cose si fanno
-e non si dicono». _Relazione del sacco di Roma_, manoscritto nella
-Vaticana.
-
-[202] BLANQUI, _Hist. de l’économie politique_, introd. — Vedi
-l’_Appendice_ IX.
-
-[203] LANDINO, _Apologia de’ Fiorentini_; VARCHI, _Storia_, lib. IX.
-Secondo il Dati, _Cronaca_, p. 128, i Fiorentini nella guerra
-
- col papa dal 1395 al 68 spesero fiorini d’oro 2,500,000
- nella seconda contro il conte
- di Virtù dal 1375 al 98 » 1,800,000
- nella terza dal 1401 al 4 » 2,500,000
- nella guerra di Pisa del 1405 » 1,500,000
-
-laonde in dieci anni di guerra avrebbero speso centrentotto milioni de’
-nostri.
-
-[204] _Elogio storico_, nella _Serie di uomini illustri toscani_.
-
-[205] Presso MANNI, _Illustrazione del Decamerone_, pag. 431.
-
-[206] _Archivio storico_, IV.
-
-[207] Vedi i _Ricordi storici_ di F. RINUCCINI. Firenze 1841. — Perchè
-queste cifre avessero significato positivo, bisognerebbe paragonarle
-con quelle d’altri paesi: ora nulla è più incerto nelle storie che
-le cifre, nè più difficile che il depurarle. In un’altra opera noi
-offrimmo de’ paragoni; qui diremo come un atto del parlamento inglese
-del 1496 regolasse il salario del contadino in scellini sedici, soldi
-otto all’anno, oltre quattro pel vestito. In quell’anno a lady Anna,
-sorella del re Edoardo IV, sposata al figlio del conte di Surrey, fu
-assegnato per suo «mantenimento, decoro e tavola conveniente; e per un
-gentiluomo, una dama, una donzella, una gentildonna, una guardia, tre
-mozzi, ottanta lire sterline l’anno, e ventisei pel mantenimento di
-sei cavalli»; sicchè a una famiglia così ben montata bastavano circa
-duemilaseicento franchi d’oggi.
-
-Secondo Fortescue, a metà del 1400 i Francesi «non bevono che acqua;
-mangiano pomi e pane di riso, non carne, o al più un po’ di lardo o le
-interiora e la testa degli animali macellati pei nobili e pei mercanti;
-non vestono lana, o al più una ruvida giubba, e così i calzoni che
-arrivano appena alle ginocchia, lasciando nude le gambe. Donne e
-fanciulli vanno scalzi». Vedi F. M. EDEN, _Storia dei poveri_, vol. I.
-p. 70 e seg.
-
-[208] GIOVANNI VILLANI, cap. X. p. 164.
-
-[209] _Cronaca_ del GRAZIANI al 1448.
-
-[210] _Antonii Astesani carmen_, cap. VIII. IX.
-
-[211] _Archivio storico_, XIII. 316.
-
-[212] _Archivio storico_, XIII. 53, Appendice IX. 234.
-
-[213] _Cronaca_ del GRAZIANI.
-
-[214] _Circulus Pisanus_, 25.
-
-[215] La sentenza motivata, del 1327, porta ch’egli confessò che
-un uomo poteva nascere sotto una costellazione che necessariamente
-lo costringeva a peccare, ed altre eresie che toglievano a Dio la
-potenza e all’uomo il libero arbitrio. «E ciò reiterando ed affermando
-e credendo, disse di più che Firenze era fondata sotto il regno
-dell’ariete, e Lucca sotto quello del granchio; e che per ciò, se i
-Fiorentini andassero contro, sarebbe avverata la sua profezia ecc.».
-
-[216]
-
- _Quis tecum consulet astra_
- _Fatorum secreta movens, aut ante notabit_
- _Successus belli dubios, mundique tumultus,_
- _Fortunasque ducum varias?_
-
-[217] _Storie fiorentine_, X. 83.
-
-[218] Vedi le sue prediche, edite dal Manni, pag. 99-105, e
-specialmente quella del 7 gennajo 1303. Sta nella biblioteca Estense un
-breviario manoscritto del 1480, d’elegantissima lettera e miniatura,
-cui precede un calendario dove sono notati i giorni infausti
-(_ægyptiaci_) e le ore, con versi a ciascun mese. Per esempio, al
-gennajo:
-
- _Prima dies Jani timor est, et septima vanis,_
- _Nona parit bellum, sed quinta dat hora flagellum._
-
-[219] _Ex conjunctione saturni et jovis in principio arietis, quod
-quidem circa finem novemcentum et sexaginta contingit annorum,...
-totus mundus inferior commutatur, ita quod non solum regna, sed et
-leges et prophetæ consurgunt in mundo... sicut apparuit in adventu
-Nabuchodonosor, Moysis, Alexandri Magni, Nazarei, Machometi_.
-Conciliator controv., fasc. XV.
-
-[220] Nell’_Istoria miscella di Bologna_. Rer. It. Script., XVIII, al
-1422.
-
-[221] FACIO, lib. IX; PANORMITA, lib. IV.
-
-[222] TARGIONI TOZZETTI, _Relazione di viaggi_, XI. 266.
-
-[223] VESPASIANO, _Vita di Pietro Pazzi_.
-
-[224] TRISTANI CALCHI, _Nuptiæ Mediol. Ducum_, VI.
-
-[225] _Diario dell_’INFESSURA. _Rer. It. Script_., part. II. p. 1143.
-
-[226]
-
- _Heu nequam gens judaica,_
- _Quam dira præsens vesania._
- _Plebs execranda!_
-
-[227] Per esempio, un _Giudizio di Vulcano, Clitennestra_, ecc. Vedi
-principalmente MAGNIN, _Origini del teatro_, 1839.
-
-[228] _Antiq. M. Æ._, diss. XXIX.
-
-[229] NOSTRADAMUS, _Vite de’ poeti provenzali_; CRESCIMBENI, _Storia
-della vulgare poesia_, tom. II. part. I. p. 44.
-
-[230] Quali il don Pasquale e il Cassandrino de’ Romani, la Bonissima
-e il Sandrone di Modena, la Mariola di Ravenna, lo Stenterello e le
-Pasquelle de’ Fiorentini, i Travaglini de’ Siciliani, i Giovannelli
-de’ Messinesi, il Gianguigiolo de’ Calabresi, il Beltrame de’ Milanesi,
-cambiato poi nel Meneghino, il Girolamo e il Gianduja dei Piemontesi,
-ecc.
-
-[231] Dai _Diarj_ mss. di Marin Sanuto, vol. XXXII, fol. 341, si vede
-il lotto usato a Venezia, e disapprovato. Sotto il 22 febbrajo 1522
-egli scrive: — La mattina non fu nulla da conto nè lettera alcuna,
-solum si attende a serar un altro lotto di ducati seimila, posti per
-Zuane Manenti sanser con ducati dieci per uno, e a lui tre per cento di
-utile. Li mazor precj sono ducati cinquecento l’uno, et sono precj...
-et fo serato; posto uno di cinquemila, et do di quattromila l’uno: et
-domenica poi disnar si caverà nel monastero di san Zuan e Polo... Et
-nota, il predicator di san Zuan e Polo, ozi a la predica, qual è di
-grandissimo onor e nome, fece assai parole su questi lotti, parlando
-non è lecito, et si dovria proveder che non vadi drio. Ed io Marin
-Sanuto _palam locutus sum omnibus_, che se fossi in loco che potesse,
-provederia a questi lotti, e fin al serenissimo principe mandai dir
-ecc. ecc.».
-
-Tonti, banchiere italiano stabilitosi in Francia il 1650, immaginò
-una lotteria, alimentata dal ricavo del pedaggio che pagavasi sul
-ponte reale di Parigi, costruito da azionisti, e il cui ricavo
-distribuivasi fra i sopravviventi di essi, fino alla morte dell’ultimo.
-Erano cinquantamila viglietti da quarantotto lire ciascuno, e da ciò
-cominciarono quelle assicurazioni fortuite sulla vita, che si dissero
-_tontine_. Con combinazioni del modo stesso si fabbricarono San Luigi,
-San Rocco, San Nicola, la cupola del Panteon ed altre chiese.
-
-[232] San Pier Damiani, lib. I. ep. 10, rimprovera agli ecclesiastici
-la caccia, la furia di fare a dadi e a scacchi, che mutano un sacerdote
-in mimo. Il Cortusio (_Rer. It. Script_., XII. 73) dice che il nobil
-uomo signor Rizardo di Camino, _alla foggia de’ nobili_, giocava
-per sollazzo agli scacchi. Galvano Fiamma scrive che i nobili si
-tratteneano giocando a dadi e scacchi. Nello _Statuto dell’arte di
-Calimala_, al lib. II. § 6: — Niuno tintore, affettatore o riveditore
-lasci giucare di dì nè di notte ad alcuno giuoco di dado o d’altro,
-dove alcuna cosa si possa perdere, in sua bottega; salvo che di dì
-si possa giucare a tavole o a scacchi palesemente; o a pena di lire
-dieci per ogni volta». Anche lo statuto di Pisa del 1284 proibisce ogni
-giuoco, eccetto che in pubblico le tavole, gli scacchi e il trucciare
-(_ad pistellandum ova_) in quaresima. Pascasio Giudico, medico
-viaggiatore del XVI secolo, passando da Pavia vi scrisse un trattato
-_De’ giuochi di rischio e della malattia di giocar danaro_; opera ove
-tentava guarir se stesso, ma invano. Riferisce molti aneddoti, fra cui
-d’un Veneziano che giocò la propria moglie; d’un altro che, giocato
-tutta la sua vita, volle continuare anche dopo morto, ordinando che
-della sua pelle si rivestisse un tavolino da giuoco, e delle sue ossa
-si facessero dadi.
-
-[233] _Fabulas scriptas in libris, qui Romanzi vocantur, vitare
-debeant, quos semper odio habui_. Rer. It. Script., XI.
-
-[234] Lib. VIII. ep. 2, 3, 5 ecc.
-
-[235] Leonardo Bruno scrive che Nicolò Niccoli _nunquam verba duo
-latina, ob inscitiam linguæ stuporemque cordis ac enervatam adulteriis
-mentem, conjungere potuit_. La prima e più solita ingiuria che usavano
-tra loro, era il chiamarsi bastardi e figli di preti.
-
-[236] Vedasi DU CANGE alle voci _Avaria, Anchoragium, Carratura,
-Exclusaticum, Foraticum, Gabella, Teranium, Hansa, Haulla,
-Mensuraticum, Modiaticum, Nautaticum, Passagium, Pedagium, Plateaticum,
-Palifictura, Ponderagium, Pontaticum, Portaticum, Portulaticum,
-Pulveraticum, Ripaticum, Rotaticum, Teloneum, Transitura, Viaticum_. —
-MURATORI, _Antiq. M.Æ.,_ tom. II. col. 4. e seg. e 866. — WERDENHAGEN,
-_De rebus publicis Hanseaticis_, part. III. c. 20. — MARQUARD, _De
-jure mercatorum_, lib. II. c. 6. — FISCHER, _Geschichte des deutschen
-Handels_, tom. I. p. 526 e seg. — PEGOLOTTI ap. Pagnini, _Della
-decima_, tom. III. p. 301.
-
-[237] Nel 1233 i frati Minori di Spagna aveano scomunicato i mercanti
-genovesi perchè portavano merci agli infedeli. Gregorio IX ne li
-rimprovera, _cum non sit precipitanda excommunicationis sententia, sed
-preambula discretione ferenda_; e vuole non s’abbiano a considerare
-scomunicati se non quelli che portano ai Saracini ferro, legnami ed
-altre munizioni contro i Cristiani; solo in tempo di guerra s’ha a
-negar ad essi ogni cosa. _Liber jurium_, I. 930.
-
-[238] _Storia fiorentina_, lib. III. c. 80.
-
-[239] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, pag. 82. — Fin ai
-tempi di Giovanni da Uzzano, cioè del 1440, un corriere di commercio
-impiegava
-
- da Genova ad Avignone 7 in 8 giornate
- » a Parigi 18 in 22 »
- da Firenze a Milano 10 in 12 »
- » a Roma 5 in 6 »
- » a Napoli 11 in 12 »
- » a Parigi 20 in 23 »
- » a Genova 5 in 6 »
- » a Londra 25 in 30 »
-
-[240] L’albinaggio durò fin a jeri, e in qualche paese non è tolto
-interamente. Al 2 agosto 1817 l’abolirono fra loro la Toscana e Parma;
-al 5 gennajo 1818 e 12 gennajo 1836 essa Toscana colla Sardegna; al 3
-maggio 1816 colle Due Sicilie, colla Svezia e Norvegia; poi nel luglio
-1821 con Lucca, nell’aprile 1829 colla Prussia, nell’aprile 1848 col
-Belgio; ecc.; al 10 luglio e 5 agosto 1854 la Sardegna col granducato
-di Baden.
-
-[241] _Nova consuetudo de statutis et consuetudinibus contra Ecclesiæ
-libertatem editis, tollendis._
-
-Le costituzioni di Sicilia del 1231 comminavano pene contro chi
-togliesse le robe dei naufraghi, e condannavano a restituire: pure
-Carlo d’Angiò confiscò le navi de’ Crociati naufragate nel 1270.
-Corradino suo competitore, in un trattato del 1268 con Siena,
-rinunziava al diritto di naufragio. Uno statuto a Venezia del 1232
-proibiva di porre le mani sui naufraghi di qualunque nazione fossero,
-e puniva chi non restituisse entro tre giorni: ciò non pertanto questa
-medesima repubblica fece un trattato con san Luigi nel 1268 per abolire
-il diritto di naufragio nei due Stati; e nel 1454 i magistrati di
-Barcellona erano ancora costretti a negoziare con quei di Venezia per
-ottenere lo stesso favore.
-
-D’ugual passo andavano le cose in Oriente: la stessa inutile protezione
-delle leggi, la stessa usanza degli abitanti delle rive, la stessa
-necessità di esenzioni imperiali. Il capo 46 dell’Assisa dei cittadini
-del regno di Gerusalemme, attribuita al re Amalrico II montato in trono
-nel 1197, non apportò che incompiuto rimedio all’abuso, circoscrivendo
-la confisca ad una parte della nave naufragata. Se i Musulmani
-lo praticavano contro i Cristiani, e questi contro loro, era una
-conseguenza delle reciproche ostilità. Trattati del 1265, 82, 83, 85,
-90... contengono scambievoli rinunzie.
-
-[242] Rodoano Papanticola di Genova riceve da Otton Bono fiorini
-quindici, pei quali dà in ipoteca una casa in Garignano: _Locum de
-Galignano pignori; intrare, estimare facias, et nomine vendicionis
-possidere sine decreto et cetera; et si ibi defuerit, in aliis bonis
-meis adimpleatur._ 16 giugno 1158, cartulario del notajo Giovanni
-Scriba, dov’è accennato un altro modo sommario, qual è l’andare in
-possesso senza formole giuridiche e sentenza: che trovasi pure altre
-volte. Ciò è più chiaro in un atto del 1º agosto anno stesso, ove
-Baldo Pulpo e sua moglie danno a Guglielmo Vento _locum Vulturis_
-(Voltri) _pignori; et si ibi defuerit, alia bona nostra; et nisi sic
-observaverimus, tua auctoritate et sine decreto consulum et nostra
-contradictione in eis pro duplo intrare posse..._; e la moglie rinunzia
-al senato-consulto Vellejano, al diritto d’ipoteca, alla legge Giulia
-dei poderi inestimati. Altrettanto si stipula il 7 novembre 1158. Vedi
-esso cartulario nei _Monum. Hist. patriæ_.
-
-[243] Buonaccorso Pitti fiorentino, dovendo avere mille fiorini dal
-conte di Savoja nel 1409, fece arrestare in Firenze Giovanni Marchiandi
-figlio del cancelliere di Savoja, nè lo rilasciò se non dopo ch’ebbe
-dato mallevadori. Nel 1393 Amedeo VIII di Savoja pagava milleottocento
-fiorini di un debito, pel quale si erano offerti di star prigionieri i
-tre più grandi baroni di Savoja; nel 1409 pagava un’indennità a Pietro
-Colombet, ch’era stato prigione per lui. Ap. CIBRARIO, pag. 403. Perciò
-gli uomini di Racconigi stipulavano con Manfredo marchese di Saluzzo
-al 12 dicembre 1198: _Si ipse marchio aliquem hominem Racunisii in
-fidejussione ponere voluerit, et ipse intrare noluerit, non inde eum
-causare debeat_. Monum. Hist. patriæ. _Chart_. II.
-
-[244] _Et si civitas, communitas, castrum vel villa, post dictam
-requisitionem non fecerint satisfieri... dummodo de valore rerum
-habitatorum faciat plenam fidem, vel saltem per unum testem de visu et
-scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices debeant
-dare et concedere eis represaliam et licentiam et potestatem liberam
-capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum illius terræ. Et
-teneatur senator ad petitionem illius qui privilegium represaliarum
-habere meruit, facere stagiri et sequestrari personas et bona illorum
-qui sunt de terris et locis._ Senatus populique romani statuta, lib. I.
-c. 143.
-
-[245] CALVI, _Efemer_., tom. II. p. 613.
-
-[246] _Monum. Hist. patriæ_, Leges municipales, pag. 206.
-
-[247] _Una cum hospitibus, qui per colles Alpium siti sunt pro
-peregrinorum susceptione_. Ep. 39ª di papa Adriano a Carlo Magno ap.
-BOUQUET.
-
-[248] _Antiq. M. Æ._, dias XXX. — Qui i mercanti sono considerati
-come un corpo, e di fatto a Lucca fondavano nel 1262 l’ospedale della
-Misericordia.
-
-[249] _Apud_ CARLI, _Zecche d’Italia_, tom. II, p. 173. — Nel
-1308, i Fiorentini al Comune di Lucca scriveano: _Quia desideramus
-quod comune nostrum desiderium, quod inest nobis et vobis, felicem
-sortiatur effectum, tractatum est sæpe sæpius de concordia cum nostris
-mercatoribus per vos faciendo, circa spectantia ad passagia et gabellas
-etc_. Archivio storico, tom. VI, p. 16. Di là (p. 20) appare che in
-quell’anno gli Ugolotti e i Nerli fiorentini aveano fatto una società a
-Ala di Svevia per batter la moneta di quel paese.
-
-L’anno stesso, venendo da Venezia a Reggio cinque balle di panni
-dorati, e una di perle, anelli, panni, _libri_ ed altre preziosità,
-spettanti a mercanti fiorentini, furono prese da Ilo di Cannela e
-Nicolò da Luni e complici. Laonde il Comune di Firenze interessava il
-Comune di Reggio a procurarne la restituzione, riflettendo quanto onore
-e vantaggio traesse dal passaggio delle merci fiorentine (p. 24) Altre
-querele simili sono a leggervi.
-
-[250] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I.
-
-[251] Ivi, 1501.
-
-[252] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. 1378. Vi sono pure le promesse
-che altri feudatarj fanno al marchese, di tener essa strada in buon
-essere.
-
-I Tortonesi e Genovesi nel 1233 stipulano di conservar la strada da
-Gavi a Serravalle, _ita quod non rumpetur, nec in ea offendetur per
-homines jurisdictionis Terdone... et si contrafieret, comune Terdone
-faciet damnum emendari, vel illud emendabit, et hoc donec contraria
-voluntas comunis Terdone appareret per denuntiationem factam comuni
-Janue per dies xv antea. Quod si strata rumpetur infra dicta loca Gavii
-et Serravallis per extraneos homines, qui non essent in jurisdictione
-Terdone, nec de habitantibus vel reductum habentibus in terra Janue,
-comune Terdone damnum illud pro dimidia emendabit. Et comune Terdone
-salvabit et assecurabit dictam stractam a Serravalle usque Terdonam, et
-a Terdona usque in districtum Papiæ etc_. Liber juris, tom. I. 955.
-
-Manfredo, marchese di Saluzzo, aveva preso le merci dei mercanti di
-Alba, col pretesto di salvarla dalle insidie degli Astigiani: onde
-quelli il supplicarono a restituirle, ed esauditi pagarono trecento
-lire e trecento soldi d’Asti, promettendo far che l’arcivescovo
-ritirasse la scomunica lanciata per questo eccesso, e ajutarlo nelle
-guerre contro gli Astigiani. 1181.
-
-[253] SCIPIONE AMMIRATO, _St. fiorentina._ I.
-
-[254] Valuto il tarì a franchi 2.20; la salma, a ettolitri 2.76.
-Vedasi il _Regestum Friderici_ nell’archivio di Napoli, pag. 309-356;
-CIBRARIO, _Economia_; BIANCHINI, _Storia delle finanze del regno di
-Napoli_.
-
-[255] L’importanza di questo vegetale è attestata dai regolamenti
-di tutti i paesi mercantili. Lo _Statuto di Lucca_, rub. CXXI (ap.
-TOMMASI, _Sommario_), proibisce di venderne, se non sia stato
-riconosciuto dai deputati sopra ciò. In Genova al falsatore di
-zafferano la prima volta si taglia la sinistra, la seconda è bruciato
-vivo con esso zafferano.
-
-[256] Il riso proviene dall’India e dalla Cina, ma è incertissimo il
-quando fu introdotto in Italia. Da un documento del _Codice diplomatico
-arabo-siculo_ di monsignor Airoldi, tom. II. part. II. p. 94, risulta
-che nell’880 in Sicilia si fece tal raccolto di riso, che bisognò
-stabilire un magazzino apposito. Il trattato di agricoltura di Pier
-Crescenzi non ne fa cenno; bensì ve lo introdusse il traduttore, che
-però fu di poco posteriore, cioè del 1300 cominciante. Le tariffe di
-Giovanni e Luchino Visconti mettono ancora il riso fra le spezierie; e
-lo importavano dall’Egitto e dalla Spagna i Veneziani nel secolo XV.
-Nel reame di Napoli pare introdotto dagli Aragonesi; e singolarmente
-abbiamo notizia che i duchi d’Atri ne fecero coltivare nel piano tra
-gli sbocchi del Tronto e del Pescara. Vogliono che Lodovico II di
-Saluzzo recasse da Napoli il riso nel Saluzzese, dove molto produceva
-nel 1525. Nel Novarese vuolsi introdotto nel 1521 dai soldati di Carlo
-V. Nel Vercellese accennano la sua coltivazione al 1552: quando anche
-nel basso Veronese Teodoro Trivulzio l’introdusse nelle terre di Zevio
-e Palu. Nella seconda metà del xvi secolo Lobelio vedeva vegetare il
-riso nella campagna milanese mediante le acque del lago Maggiore; ma
-già prima il Mattioli lo diceva «famigliarissimo nelle mense di tutta
-Italia». Vedi CAPSONI, _Della influenza delle risaje sulla salute
-umana,_ Milano 1851.
-
-[257] Pazientissimi computi fece il Pagnini, poi dietro ad esso il
-Cibrario nell’opera citata; pure vacilla anch’esso, nè sempre si
-appone, massime ne’ ragguagli; basti vedere la pag. 528. E tutti gli
-economisti versano in somma incertezza sul valore delle merci, perchè
-non si conosce bene la moneta di conto su cui valutavano i prezzi.
-
-Nel _Liber jurium_ di Genova, vol. I. p. 1170, è un inventario
-delle rendite di Andora, venduta dai marchesi di Clavesana al
-comune di Genova nel 1252; e vi sono specificati i frutti che i
-differenti villani devono in natura; i servizj di corpo, col valore
-approssimativo. Meriterebbe un commento, donde sarebbe illustrata
-la condizione de’ campagnuoli, al tempo stesso che il valore delle
-derrate.
-
-[258] Cioè Santhià. _Monum. Hist. patriæ_. Chart. I. 341.
-
-Amedeo V di Savoja, cadente il secolo xiii, affidava a cavatori
-fiorentini o lucchesi la ricerca de’ minerali del suo Stato; ed oro
-traevasi, nel 1279, da Champorcher in val d’Aosta; nel secolo seguente
-lavavansi le sabbie aurifere dell’Orco e dell’Amalone; argento si
-cavava a Groscavallo e ad Ala in val di Lanzo; argento e rame a
-Usseglio e Lemie. Nel 1496 Giovanni Swerstab di Norimberga pagava al
-duca Filippo III trecento fiorini d’oro l’anno per usar le miniere di
-val di Lanzo, e quelle di Montjouet in val d’Aosta, e di Macot e Aime
-in Tarantasia per un quinto dell’oro, un decimo degli altri metalli.
-Nel 1508 Carlo III consentiva ai signori d’Aviso le miniere di Beaufort
-e Montjoye nel Fossignì per un quinto dell’oro e dell’azzurro, cioè
-il cobalto; un decimo dell’argento, un quindicesimo dell’acciajo e
-dello stagno, un ventesimo del piombo, ferro, rame. Nel 1530 deputava
-gran mastro delle miniere il tedesco Lodovico Jung, perchè le facesse
-lavorare a conto dello Stato. Dappoi si trovarono altre miniere a
-Vinadio, Pesey, Alagna, Olomont, Usseglio e altrove, ma il ricavo ne fu
-sempre scarso. CIBRARIO, _Monumenti di Savoja_, pag. 283.
-
-[259] La più antica menzione delle Arti fiorentine è in un trattato del
-1204 tra i Fiorentini e quelli della Capraja. _Hæc sunt sacramenta, quæ
-potestas et consules communis, consules militum, priores artium etc.
-fecerunt_. Ap. TARGIONI, tom. I. p. 66. _Viaggi_.
-
-[260] _Statuto dell’arte di Calimala_. Merita d’esser visto pei molti
-savj regolamenti, frapposti ad altri superflui, e attestanti una
-civiltà molto sviluppata. Vi sono sempre determinate le elemosine da
-dare alle famiglie e alle vedove degli associati.
-
-[261] Nel 1280 il conte Bertoldo, per indur pace fra’ Lambertazzi e
-Geremei, convocava i signori e il popolo, tra il quale i consoli delle
-compagnie del Leone, de’ Beccaj, de’ Lombardi, de’ Toscani, delle
-Stelle, della Branca, del Griffone, dell’Aquila, delle Spade, delle
-Sbarre, de’ Leopardi, delle Schife, delle Traverse, delle Ballerie, de’
-Castelli, de’ Quartieri, delle Chiavi, dei Balzani, della Branchetta,
-de’ Vari, degli Stracciajuoli, comminando a ciascuna compagnia duemila
-marche se non comparissero. Quest’erano compagnie d’armi. Di arti erano
-quelle dei Cordovanieri, delle Stelle, de’ Cambiatori, de’ Mercanti,
-de’ Notari, de’ Caligari, de’ Calzolaj, de’ Pescatori, de’ Pellicciaj,
-vecchi e nuovi, de’ Linaruoli, de’ Conciatori e Cuojaj, de’ Drappieri,
-de’ Falegnami, de’ Muratori, de’ Fabbri, de’ Sarti, dei Bacilieri.
-
-Le arti in Genova verso il 1250 erano albergatori e osti, arcadori,
-balestraj, bambagiaj, barbieri, barilaj, sellaj, calzajuoli,
-calzolaj, cappellieri, cambiatori, correggiaj, coltellinaj, drappieri,
-funajuoli e fabbricatori di vele, fornaj, giojellieri, minutieri,
-orefici, macellaj, maestri di ascia, calafati, muratori, legnajuoli,
-conciapelli, pescatori, remolaj, sartori, canovaj, incettatori di
-grasce, scudaj, spadaj, speziali, tavernaj, tintori, tornitorj,
-facitori di travi e puntelli, ciotolaj; in tutto trentatre maestranze,
-e non v’appare distinzione di maggiori e minori. V. SERRA, Annot. al
-lib. IV; ma discordiamo da lui sul senso di _callegarii_ e _zotolarii_.
-
-Delle arti di Firenze si vedono gli stemmi scolpiti sul Magistrato
-della Mercatanzia, ora uffizio del Bollo; e sono per l’arte di Calimala
-aquila d’oro su balla bianca in campo rosso; pei cambiatori, fiori
-d’oro in campo vermiglio: pe’ giudici o notaj, stella d’oro in azzurro;
-pe’ medici e speziali, la Madonna col bambino in fondo rosso; pe’
-lanajuoli, agnello bianco con bandiera vermiglia; setajuoli, porta
-rossa in campo bianco; per i pellicciaj e vajaj, vaj bianchi e celesti,
-e agnello con bandiera e croce. Delle arti minori portarono, i beccaj,
-montone nero in campo bianco; i calzolaj, tre traverse nere in campo
-bianco; cuojaj, scudo metà bianco e vermiglio; muratori e scarpellini,
-scure in campo rosso; oliandoli, leone rosso rampante con olivo;
-linajuoli, bandiera a metà bianca e nera; magnani, due chiavi legate
-in campo rosso; spadaj e corazzaj, corazza e stocco in fondo bianco;
-coreggiaj, un legno dimezzato per traverso; legnajuoli, palma verde con
-cassetta rossa al tronco; albergatori, stella rossa in bianco.
-
-Mantova nel 1208 aveva le corporazioni de’ giudici, notaj, fabbricatori
-di pannilani, calzolaj e conciatori, beccaj, ferraj, _rioberj_,
-pellicciaj, speziali, tessitori di lana, sartori, pescatori, merciaj,
-barbieri, venditori di panni a ritaglio, tintori di lana, fabbricatori
-di pignolati, tintori e cimatori di pignolati, _corregatores_,
-linajuoli; e caduna aveva quattro capi e altrettanti consiglieri; tutti
-i membri erano notati; restava escluso chi non avesse dieci anni, e
-i garzoni; ogni socio doveva una tassa annuale, col che e con altri
-proventi formavasi una cassa per soccorrere gl’infermi e per altre
-beneficenze; ciascun corpo decideva sulle cose risguardanti il proprio
-traffico, sino a certe somme. _Statuti_, lib. IV, rub. 1.
-
-[262] Non qui solo i monaci adopravano il loro ozio alle manifatture,
-ma stavano in mano loro, a tacere altrove, quasi tutte quelle
-d’Inghilterra e di Scozia. Balducci Pegolotti ricorda tutte le magioni
-de’ Premontresi, dell’ordine di Promuxione ecc., che faceano traffico.
-
-[263] G. VILLANI, _Storie_, XI, 93; _Della mercatura de’ Fiorentini_,
-II. 102. I prezzi del Villani sono da ragguagliare oggi al quintuplo.
-
-[264] Pag. 295. Nella _Tariffa milanese_ del 1216 son notati come capi
-d’importanza i panni comaschi; e il loro transito è pure indicato in
-una di Modena del 1306.
-
-[265] TARGIONI TOZZETTI. _Viaggi_. Nello statuto di Pescia 1340 è
-ordinato di piantar mori gelsi e otto pedali di fico ogni coltra di
-terra. Un bando del 3 aprile 1435 ordina in ciascun podere per lo meno
-cinque pedali di mori gelsi _bianchi_; e sotto l’effigie del pesciatino
-Francesco Buonvicini nel palazzo del Comune in quell’anno gli è dato
-lode d’aver portato
-
- alla sua patria questa pianta,
- Dalla qual nacque poi ricchezza tanta
- Che in ogni luogo si noma il Delfino.
-
-Negli statuti dell’arte di Por Santa Maria a Firenze è registrato
-che «nel 1423 per l’arte si cominciò a fare i filugelli in Firenze,
-e furono eletti sei cittadini a farci fare l’esercizio dei filugelli
-bigatti, e trarne la seta». Vincenzo Chiarugi nel _Saggio delle
-malattie cutanee sordide_, 1798, all’art. _Lebbra_, pag. 174, dice
-che fin dal 1186 in Toscana era istituito uno spedale per la cura de’
-lebbrosi lavoranti di lana e seta.
-
-[266] MORBIO, _Codice Visconteo Sforzesco._
-
-[267] _Antiq. M. Æ._, II. 332.
-
-[268] GIANNONE, _Storia civile_, XXVII. 3.
-
-[269] _Documenti al_ TOMMASI, _Sommario della storia di Lucca_, pag. 63.
-
-[270] MANNI, _De Florentinis inventis commentarius_; e PAGNINI, tom.
-II. p. 100. I tintori da antico ebbero uno spedale proprio, fondato
-con spontanee elargizioni. Le tintorie fiorentine conservano ancora
-l’antico credito, co’ perfezionamenti che vi recò il raffinarsi de’
-preparati minerali. Il gallato di ferro dà il famoso nero; l’azzurro di
-Raymond, introdotto da questo nel 1811, fu perfezionato dal professore
-Andrea Cozzi, avvivando la seta tinta dell’azzurro di Prussia con un
-bagno di campeggio sostenuto da idroclorato di deutossido di stagno.
-L’arsenico solforato e il cromato di piombo furono applicati dal
-dottore Calamandrei alla tintura; oltre che vi si adoprarono vegetali
-comuni, come le bacche di ginepro ancora acerbe per far giallastra la
-lana, la pula di castagne pel color ceciato delle tele cotone, ecc.
-
-[271] Dal 1812 al 25 fu il maggior fiore di questa manifattura, che
-introduceva fin dodici in quattordici milioni all’anno; e v’ebbe
-qualche cappello che fu pagato sin mille lire.
-
-[272] ANDERSON, _Hist. commerc_., pag. 371.
-
-[273] MANNI, _Veglie piacevoli in Dino di Tura_. In Francia i falliti
-portavano berretto verde, messo loro dal boja dopo espostili alla
-gogna. Gli statuti di Casale Sant’Evasio pongono: _Quicumque captus et
-detentus, volens cedere bonis suis, admittatur ad bonorum cessionem...
-probet coram judice Casalis se stetisse in carcere comunis per dies
-sexaginta die noctuque, et ista probacione facta, voce preconis
-premissa, per servitores comunis in publica concione publice et alta
-voce super lapidem comunis cridet et protestetur, quod ipse talis
-captus cedit bonis, et omnia bona sua et presentia et futura, exceptis
-vestibus de dosso ipsius cedentis, libere dimittit, et relaxat
-creditoribus suis liberam licentiam accipiendi et auferendi ejus bona
-quocumque et ubicumque ea invenerint, eorum propria auctoritate, usque
-ad solutionem integram ejus quod habere debent... Et ille qui amodo
-cedet bonis, non possit habere aliquem honorem vel aliquod officium,
-qui vel quod descendat a comune Casalis. — Monum. Hist. patriæ,_ Leges
-987.
-
-Nello statuto antico di Civitavecchia, tradotto nel 1451 e stampato nel
-1853. il c. XXXVI del lib. I. porta: _Come se renunzia a li beni suoi
-dando le natiche al pietrone_.
-
-«Statuimo che qualunque renunzierà o vorrà renunziare li suoi beni,
-questi non usi quello beneficio nè lo possa usare salvo non renunziasse
-con le solennità et modo infrascritto. Cioè, tale volente renunziare
-a li beni deve uscire de la sala del palazzo del Comune et ire sino
-a la piaza del peso, e debanli andare nante li tubatori sonando colle
-trombe, intanto che, con nude le natiche, dica tre fiate _Cedo bonis_,
-che vuol dire renunzio et do luogo a li miei beni, percotendo le decte
-natiche così nude fortemente ne la pietra. Et poi questo deve stare un
-mese fora de Civitavecchia et suo distretto. Et questo non abbia luogo
-nelle femine, le quali possano renuntiare a li beni secundo la ragione
-comune, senza le predecte solennità».
-
-[274] _Liber jurium_, vol. I. p. 1180.
-
-[275] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II.
-
-[276] Lo statuto di Pisa del 1161, rubr. V. _De modo cognoscendi et
-judicandi_, già stabilisce la procedura mercantile sommaria: _Statuimus
-ut quæstio de marinaratici, et nauli, et mercibus amissis seu
-deterioratis in navi vel ligno, a consulibus maris summatim et extra
-ordinem dirimatur._
-
-[277] Possediamo siffatti statuti di molte città italiane, e
-nominatamente di Trani e Amalfi, la cui _Tavola_ fu edita a Napoli nel
-1844 dal principe d’Ardore, copiandola dai manoscritti del Foscarini:
-_Capitula et ordinationes curiæ maritimæ nobilis civitatis Amalphæ, quæ
-in vulgari sermone dicuntur la Tabula de Amalphu, nec non consuetudines
-civitatis Amalphæ._
-
-Al testo del _Consolato de’ fatti marittimi_ suol precedere una nota,
-che indica i paesi dove quello fu accettato; per esempio, Roma nel
-1075, Genova nel 1186; ma non ha aspetto d’autenticità. Carlo Targa
-e Giuseppe Maria Casaregi, giureconsulti genovesi, illustrarono
-il _Consolato_ in modo che i loro commenti divennero regola della
-navigazione del Mediterraneo.
-
-Il _Consolato_ sanciva che, in tempo di guerra, le merci neutre
-caricate dal nemico sono libere, e non possono sequestrarsi, mentre
-invece la bandiera neutra non protegge merce nemica. Al contrario,
-le città del Baltico sosteneano il mare libero, non per generosità e
-giustizia, ma perchè soli navigando quel mare, vi trovavano il proprio
-conto, senza concedere reciprocanza alle potenze belligeranti. Sono
-divergenze che furono dibattute nei libri, nei congressi e colle armi.
-
-[278] _Excipimus præstantias de mari, quas marinarii inter se facere
-consueverunt, et credentias quas socii tractores facere consueverunt:
-verbigratia quas faciunt in Sicilia ad moccobellum vocatus, vel alias
-similes._ Rubr. XLII.
-
-[279] Il marco d’oro che oggi vale lire 848, nel 1300 valeva lire
-55.10; e quello d’argento lire 2.10: sicchè la proporzione fra i due
-metalli era: 22 : 1.
-
-[280] _De usurariis puniendis_, lib. I. tit. 6. «Questo iniquo e
-scandaloso traffico (del prestare) era il più favorito mestiere dei
-Lombardi... Di così pestilente costume ho io trattato altrove». Sono
-parole del buon Muratori, _Annali_ al 1226.
-
-[281] _Delizie degli eruditi toscani_, XIX. 97. L’aggiotaggio all’alto
-e basso è perfettamente descritto da Marchione di Coppo: «Molti
-incantavano del Monte (del debito), e diceano: _Lo Monte vale trenta
-per centinajo; io voglio poterti dare da oggi a un anno, ovvero tu dare
-a me a trentuno per cento; che vuoi ti doni a far questo?_ e cadeano in
-patto, poi stava in sè. Se rinvigliavano, li comprava; se rincaravano,
-li vendeva, e ne permutava qua e là il patto, venti volte l’anno. Si
-pose su gabella fiorini due per cento a ogni permutatore». _Rubr_. 727.
-
-[282] Quella bolla, riferita dal Pezzana, _St. di Parma_, vol. III.
-dec. VII. 9, merita esser vista nella sua integrità pel patronato ivi
-estesissimamente professato.
-
-Quando Napoleone nel 1807 raccolse l’assemblea israelitica a Parigi,
-fu proposta e votata a grandi applausi questa deliberazione: — I
-deputati israeliti dell’impero francese e del regno d’Italia, penetrati
-di riconoscenza pe’ continui benefizj resi dal clero cristiano agli
-Israeliti ne’ passati secoli, e per l’accoglienza che i pontefici
-e molti altri ecclesiastici hanno usata agli Israeliti quando la
-barbarie, i pregiudizj e l’ignoranza li perseguitavano ed espellevano
-dalla società, stabiliscono che l’espressione di questi sentimenti sarà
-consegnata nel processo verbale affinchè rimanga eterna testimonianza
-autentica della gratitudine degli Israeliti di quest’assemblea
-pei benefizj che le generazioni precedenti hanno ricevuto dagli
-ecclesiastici».
-
-Nel 1436 il duca di Milano permetteva a una famiglia d’Ebrei di Mantova
-di stabilirsi in Como per dieci anni, co’ suoi fattori, socj ecc.
-L’uffizio di provvisione, cioè la municipalità di Como vi si oppose;
-ma il duca sostenne la concessione, dando la facoltà di tener banco,
-prestare a sei denari per lira al mese, aver esenzione da tutti i
-carichi reali e personali, coll’obbligo di pagare fiorini venticinque
-ogni anno al Comune. I Comaschi non potendo impedire, stanziarono però
-che gli Ebrei portassero un distintivo.
-
-[283] G. VILLANI, VII. 53.
-
-[284] PAGNINI, II. 54.
-
-[285] _Mémoires des Antiquaires de France; nouvelle série_, XVIII. 467.
-
-[286] MONTFALCON, _Hist. de Lyon_, pag. 735.
-
-[287] _Antichità estensi_, II. 48.
-
-[288] L’esempio di Cicerone, che incarica Attico di pagare in Grecia
-una somma, di cui esso gli farà i fondi a Roma, è l’unico di cambio
-fra gli antichi: ma trattavasi di un migrato da Roma, che quivi avea
-lasciato e beni e congiunti; sicchè era piuttosto un cambio d’amicizia
-che bancario.
-
-[289] Il Targioni (_Viaggi_, vol. II. p. 62) tolse da un copialettere
-del 1372 di un mercante di lana fiorentino questo: — Mandovi una
-lettera com quele di cambio di fiorini ducencinquanta avete a
-ricevere costà... Con questa vi mando una lettera di cambio di fiorini
-cencinquanta, avete a ricevere costà da Vieri di cambio per fiorini
-cencinquanta, n’avei qua a capo da me; quando gli avete, ponete a
-nostra ragione ecc.».
-
-Emiliani Giudici pubblicò due lettere di negozio del 1290 e 91, della
-ditta Consiglio de’ Cerchi e Compagni in Firenze, ove, tra altre
-belle cose, si legge: — Avemmo una lettera che ne mandaste per lo
-procuratore dell’abbate di Nostra Dama de’ Verucchi; ove ne scriveste
-che gli facessimo pagare a la corte del papa f. cento di sterlini
-per altrettanti che ne riceveste costà; onde avemgliele fatti ben
-pagare, e ancora avemo mandato che gli siano prestate altre f. cento
-se n’abbisognasse, sì come ne mandaste a dire; onde le procuragioni
-ch’avete, guardate; e noi per altra lettera vi scriveremo quello che
-gli prestassimo, e lettere che n’avremo vi manderemo».
-
-[290] Lodovico Luzi con documenti provò (Orvieto 1868) che in Orvieto
-fu eretto un Monte di pietà nel 1463; e Ariodante Fabretti che in
-Perugia nel 1462.
-
-[291] Nel 1483, 29 dicembre, Lodovico Gonzaga scriveva a frate Angelo
-Clavasio: — Questo devotissimo populo mantuano, mosso ed inducto de
-la predicatione, persuasione et efficacissime ragioni del venerabile
-padre frate Bernardino de Feltro, ha divisato lo laudabilissimo Monte
-de pietà; e a tanto bene è concorso lo signor marchese principalmente,
-e successive cittadini, plebei ed io». D’Arco, Nuovi studj sul Comune
-di Mantova. In Russia devono essere stati introdotti dai nostri quei
-monti che chiamavano i _Lombardi_, e sono una delle istituzioni più
-importanti dell’impero, prestando al sei per cento, mentre l’ordinario
-canone è dell’otto, dieci e fin dodici.
-
-[292] Un diploma di Corrado di Monferrato, dato da Tiro nel 1188, dice:
-_Donavi et concessi pisanis viris de societate Umiliorum quia mecum
-in Tyri defensionem pro honore nominis unigeniti filii Dei, totiusque
-christianitatis fideliter atque constanter permansere, furnum unum_
-etc.
-
-[293] DU CANGE, _Glossarium_, tom. II. p. 43. _A Fulcone Cacio,
-cive placentino, capitaneo universitatis mercatorum lombardorum et
-tuscanorum, habente etiam potestatem et speciale mandatum a consulibus
-mercatorum romanorum, Januæ, Venetiarum, Placentiæ, Lucæ, Bononiæ,
-Pistorii, Astensium, Albæ, Florentiæ, Senarum et Mediolanensium_.
-
-[294] Se ne trovano stipulate alcune nel repertorio di Giovanni Scriba,
-ove anche il nome incontriamo in un documento del 24 aprile 1156: _Ego
-Bonusvassallus accepi in_ comendacionem _a te Wilielmo Filardo libras
-quinquaginta in panis etc._; e in un altro del 3 maggio seguente.
-
-[295] UGHELLI, _Italia sacra_, tom. IV. col. 871, che erra
-attribuendolo a Boemondo II.
-
-[296] Chi amasse minutissime particolarità di trattati di commercio,
-fondati sempre sulla gelosia e l’esclusiva, cerchi nel _Liber jurium,_
-tom. I. p. 851, quello del 1229 de’ Genovesi coi Marsiglioti; e l’altro
-degli stessi del 9 novembre 1251, che riempie sedici colonne dei
-_Monumenta Historiæ patriæ_.
-
-[297] _Impositio officii Gazariæ_, pag. 326; _Capitulare nauticum_,
-cap. XXXV.
-
-[298] POGGIALI, _St. di Piacenza_, tom. VI. 31; TIGRIMI, _Vita
-di Castruccio_. Buonaccorso Pitti trafficava in Picardia, quando,
-essendovi sbarcati gl’Inglesi nel 1388, «feci compagnia con un Lucchese
-e con un Senese, e a nostre spese, con trentasei cavalli e bene armati
-andammo nel detto esercito, sotto il segno e condotta del duca di
-Borgogna». _Cronaca_, pag. 34.
-
-[299] MARSIGLI, _Ricerche sul commercio veneto_; FANUCCI, _Storia de’
-tre celebri popoli marittimi dell’Italia_, vol. IV; PAGNINI, _Della
-decima della moneta e della mercatura de’ Fiorentini fino al secolo_
-XVI. Lucca 1765; SERRA. _Discorso sopra il commercio, la navigazione e
-le arti dei Genovesi_; CARLO PAGANO, _Delle imprese e del dominio de’
-Genovesi nella Grecia._ Genova 1852.
-
-[300] Sulla destra del ramo settentrionale del Don, a quattro miglia
-dal suo sbocco, fra i due villaggi che oggi si dicono Simarka e
-Nedvigovka.
-
-[301] Federico I nel 1162 concedeva un amplissimo privilegio a’
-Genovesi, dove fra altre cose gli abilita a cacciare i Provenzali e i
-Francesi che vanno o tornano per mare da negoziare colla Sicilia, la
-Calabria, la Puglia e il Veneto; nelle terre dove vanno a mercatare,
-abbiano due o più Genovesi che rendano la giustizia fra loro; i loro
-mercanti possano valersi de’ pesi e delle misure proprie. _Liber
-jurium_.
-
-[302] E non vino, e così nella Borgogna; mentre a Parigi si spacciava
-vino di Napoli. _Pratica della mercatura_, cap. XLII. LIV.
-
-[303] Il vulgo genovese conserva ancora molte voci arabe: _Ramadan,
-camallo, tara, lalla, mandillo, marabotto, roboien, corba_...
-
-[304] Abbiamo l’inventario d’una nave, che andando all’Ecluse, fu
-spinta alla cala di Dunster. Portava due grosse botti di gengiovo
-verde, un barile di gengiovo in acqua di limone, una balla di
-arquinetta, tredici barili d’uve passe, nove di solfo, censettantadue
-balle di guado, ventidue di carta da scrivere, una cassa di zuccaro
-candito, sei balle di scatole vuote, un barile di prugne secche,
-trentotto balle di riso, cinque botti di cannella, un barile di polvere
-salmistra, e cinque balle di legno di bosso».
-
-[305] GIUSTINIANI, _Annali_, VI.
-
-[306] Se ne conoscono del 1302, 10, 19, 24, 32, 35, 42, 50, 62, 82.
-
-[307] Negli anni 1306, 17 e 20 Venezia fece trattati con Tunisi, nel
-56 con Tripoli. Quattro trattati conchiusi fra la repubblica e i re di
-Tunisi della stirpe degli Afidi, ignoti agli storici di Venezia, sono
-dati dal barone de Hammer, _St. degli Osmanli_, tom. IV. p. 691.
-
-[308] Mille sono detti nei _Rer. It. Script_., XXII. 959. Il libro
-_Venezia e sue lagune_, al tom. I. p. 176, li farebbe diciannovemila;
-al tom. II. p. 151 dice che talvolta arrivarono sino a quattromila; a
-p. 253 accenna come il sommo tremila cinquecento. Tali discrepanze sono
-meno scusabili nelle monografie.
-
-[309] La galea grande, lunga di alto passi ventitre, piedi tre e mezzo,
-di piano piedi dieci, di bocca diciassette e mezzo, alta in coperta
-piedi otto, non ha opere morte; il timone a poggio movesi con una zanca
-per fianco. La galea di Levante era lunga di alto passi ventitre, piedi
-tre, di piano passi dieci con quattro vele. La sottile, passi sette e
-mezzo con tre vele, cioè come le nostre. La latina era lunga in colomba
-passi dodici, di piano piedi nove, piedi sedici in trepiè, ventiquattro
-in bocca, nove e mezzo in coverta, sedici in coverta lunga, il timone
-passi quattro, due battelli da piedi trentaquattro, una gondola da
-ventiquattro. La nave quadra era tredici passi in colomba, di piano
-piedi nove e un quarto, diciassette e mezzo in trepiè, ventisei e mezzo
-in bocca, e caricava trecento botti. Le descrive uno che vi serviva
-nel secolo XV; manoscritto della Magliabechiana, classe XIX. cod. 7. Le
-carrache erano i legni più grossi dopo i vascelli propriamente detti,
-e portavano fin millequattrocento barili, aveano tre ponti, e più tardi
-n’ebbero fin sette. Le galeazze aveano anch’esse un castello di prua e
-uno di poppa, tre alberi, vele latine e trentadue banchi di rematori.
-
-È quasi inesplicabile la rapidità delle costruzioni navali. Jacopo da
-Varagine (_Rer. It. Script._, IX. 17) attesta che dal 15 luglio al 15
-agosto 1297 la Repubblica genovese allestì ducento galee da ducenventi
-uomini almeno ciascuna: nel 1284 ne allestirono settanta in tre giorni.
-Venezia in men di cento giorni preparò una flotta: presente Enrico
-III, in due ore fu posta insieme una galea e varata: nel 1569 distrutto
-l’arsenale dall’incendio, nel seguente uscivane la flotta che disfece
-la turca a Lépanto.
-
-[310] _Ep. seniles_, lib. II. ep. 3.
-
-[310a] Nell’Appendice XXIX dell’_Archivio storico italiano_ si pubblicarono
-documenti che rischiarano il commercio de’ Veneziani coll’Armenia e
-con Trebisonda. In questa città i Veneziani ebbero privilegi amplissimi
-fin dal 1201, più volte confermati, e quartiere fortificato, al par de’
-Genovesi; colle conquiste russe perì la prosperità di Trebisonda, ma in
-questi ultimi anni tornò importantissimo scalo per l’estremo Oriente.
-
-[311] Tali sono, fra gli altri, due trattati del 1327 con Como e
-Brescia.
-
-[312] MALIPIERO, _Annali_, 666, 715, 717.
-
-[313] Ragusa anticamente area trattati di commercio con Fermo,
-Recanati, Rimini, Ravenna, Ferrara (APPENDINI, _Notizie storiche della
-città di Ragusa_); e prima ancora con Napoli, Siracusa, Messina,
-Barletta ecc.; dappoi si ridusse in dipendenza di Venezia, che vi
-teneva un conte a governarla con patti stabiliti.
-
-[314] _Rer. It. Script_., XI. 142.
-
-[315] _Libri di divisamenti di paesi, di misure di mercatanzie, ed
-altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti del
-mondo_; edito dal Pagnini.
-
-[316] Fin dal 1422 entrò in trattative col soldano d’Egitto pel
-commercio d’Alessandria e della Siria, e col signore di Corinto in
-Romania, e conchiuse con loro vantaggiosi trattati; uno del pari nel
-1425 coll’Inghilterra, che rinnovò nel 1490; coll’imperatore greco nel
-1438; col re d’Aragona nel 1450. Nel 1487 e 88 rinnovò le trattative
-coll’Egitto per favorire la propria navigazione ad esclusione degli
-stranieri.
-
-Fra i canti per mascherate n’è uno di mercanti fiorentini, che tornati
-arricchiti, esaltano il girare il mondo e guadagnare, poi rimpatriati
-ajutare chi n’ha bisognò; ed esortano ad avviare a ciò i figli, anzichè
-lasciarli perdersi nell’ozio e ne’ vizj.
-
-[317] «Il sintraco (come a dire sindaco) deve aver tre mine di sale
-da ogni legno che vien di Sardegna con sale; se venisse di Corsica
-e avesse fatto cambio, n’avrà tre mine di grano; una mina da ogni
-legno che venga dalla Marittima e da Romania. Da ogni legno che va in
-Corsica, abbia una mina di grano; da ogni legno di sale di Provenza,
-tre quartini di sale; da ogni galea che va in corso oltre Sardegna o
-in Ispagna, un marabotico; da ogni legno che vien di Sicilia, due mine.
-Nelle principali feste pranzerà coll’arcivescovo. Tocca a lui ordinare
-le guardie delle città, e riconoscere se furono fatte; convocare il
-popolo, battere i ladri e malfattori secondo l’ordine de’ consoli, e
-fare i bandi per la città e per tutto il vescovado; entrar nelle case a
-ricevere i pegni, e quando spira vento d’aquilone andare per la città,
-pel castello e pel borgo ad avvertire che badino bene al fuoco. Il
-sabato santo custodirà le porte di San Giovanni finchè l’arcivescovo e
-i canonici vengano a benedir le fonti». Liber jurium, pag. 79.
-
-[318] _Lettera di_ Benedetto Dei _per difesa della mercatura dei
-Fiorentini contro le ingiurie sparse da alcuni mercadanti veneziani_.
-Vedi nel vol. II del Pagnini.
-
-[319] Nel 1505 per la prima volta Firenze tirò grano dall’Inghilterra
-per cinquantamila scudi d’oro, e duemila moggia da Linguadoca. NARDI,
-_Storie fiorentine_, lib. IV.
-
-[320] Nel 1499 i Salviati riceveano da Filippo d’Austria, duca di
-Borgogna, in pegno per quattromila fiorini grossi, trecentoventi
-centinaja di lana d’Inghilterra, e un famoso fiordaliso, vale a dire
-un reliquiario di oncie diciannove fiorentine, con crocifisso nero,
-quarantuno balasci, trentasei zaffiri, nove smeraldi, cinquantacinque
-rosette d’oro con quattro perle in ciascuna e un diamante acuto, e la
-corona con quattro perle a pera, un diamante grosso e trentotto perle.
-
-[321] Klaproth preparava l’edizione del _Milione_ di Marco Polo con
-commenti e colla carta analizzata dei paesi da lui visitati; e doveasi
-stampare a spese della Società geografica di Parigi: ma non potè
-compirla. Parrebbe a credere fosse scritto originalmente in veneziano,
-dialetto dello scrittore. Il padre Spotorno sostiene che, nella lunga
-lontananza, esso doveva aver dimentico l’idioma patrio, e che Andalon
-del Negro genovese lo scrisse in latino, sopra relazione del Polo
-stesso. I migliori ora tengono che Rusticiano da Pisa lo stendesse
-in francese, man mano che lo raccoglieva dalla bocca di Marco suo
-compagno di carcere. Il testo più genuino pare quello che pubblicò
-la Società geografica di Parigi nel 1824. Di buon’ora il Milione fu
-mutato in toscano e in altre lingue, ma interpolandovi novità; nel
-che maggior licenza si prese il Ramusio nella sua _Collezione di
-navigazioni_. Nel 1844 fu stampato a Edimburgo da Murray con copiose
-note illustrative; in tedesco da A. Bürck (_Die Reisen des Venezianers
-M. Polo_. Lipsia 1845) sopra le migliori edizioni, e con aggiunte di
-C. F. Neumann, che viaggiò i luoghi stessi, e che trova esattissimo il
-nostro Veneziano. Un’edizione italiana fu procacciata a Venezia il 1847
-da Vincenzo Lazari, traducendo l’edizione del 1824, liberando il testo
-dalle aggiunte Ramusiane, e arricchendola di note. Il tenente Wood
-della marina britannica dell’India, il quale scoperse le vere sorgenti
-dell’Oxo nel 1829, dice esattissima la descrizione che di que’ paesi fa
-Marco Polo.
-
-* Il colonnello Enrico Yule, del corpo degl’ingegneri nel Bengala,
-stampò a Londra nel 1871 _The book of sir_ Marco Polo _the venetian,
-newly translated and edited with notes_, 2 volumi con mappe e figure e
-dissertazioni sulla vita, la famiglia, il carattere di M. Polo, e con
-abbondanti notizie geografiche, etnografiche e filologiche.
-
-[322] Vedi BIZZARRO, _Hist. rerum persicarum._
-
-[323] GRABERG DE HEMSÖ, _Annali di geografia_; gennajo 1803.
-
-[324] _Idem videtur sentire noster Georgius, vir in peragrando orbe
-atque indagando terrarum situ diligentissimus,_ dice Antonio Galateo,
-che tratta la stessa quistione nel libretto _De situ elementorum_.
-
-[325] _Genealogia degli Dei_, lib. XV.
-
-[326] _Ep. famil_., lib. VI. 3.
-
-[327] TIRABOSCHI, tom. VI. l. 1, c. V. § 2.
-
-[328] ZANETTI, _Origine di alcune arti presso i Veneziani_, p. 46.
-
-[329] ZURLA, _Il mappamondo di frà Mauro descritto ed illustrato_.
-Venezia 1806; opera debole. Nel trasportare questo prezioso monumento
-da San Michele di Murano al palazzo ducale, si potè meglio esaminarlo;
-e a spalla vi si trovò scritto: MCCCLX adi XVI _avosto fo chomplido
-questo lavor_. È singolare vedervi in Africa accennato il _Dafur_, che
-è il Darfur, ignoto fin quando Bruce lo visitò ai giorni nostri: prova
-che frà Mauro si valeva di relazioni o perdute o mai non scritte.
-
-Nel congresso geografico del 1875 si trattò di tutte queste e di altre
-mappe.
-
-[330] FOLIETTA, _Hist. gen._, lib. V.
-
-[331] Il Petrarca (_De vita solit_., XII. sect. 6. c. 3) dice che
-all’età de’ suoi padri colà penetrò un’armata di Genovesi.
-
-[332] _Relazione della scoperta delle Canarie e d’altre isole
-dell’Oceano nuovamente ritrovate nel_ 1341; stampata da Sebastiano
-Ciampi a Firenze nel 1827.
-
-[333] Il Sadoleto, nel 1514, ne lo ringraziava a nome di Leon X
-per _elephantum unum indicum, incredibili corporis magnitudine, et
-pardum unum, et vestem destinatam rebus divinis. Erat ea species, ea
-pulchritudo nobilissimi operis, qualem nec vidissemus ante unquam,
-nec videre expectavissemus; is splendor, qui ex candore et copia tot
-gemmarum esse debebat; artem autem in eo et varietatem operum omnes
-plane confitebantur etiam pretiosiorem esse materia, cum diuturnus
-labor nobilitatem summi artificii, ordine et contextu mirabili
-margaritarum, antecellere omnibus indicis atque arabicis opibus
-coëgisset... Lectæ sunt literæ tuæ, scripta incertum elegantius an
-religiosius; te, quod primitiæ omnium rerum Deo dicandæ sunt, primitias
-Lybiæ, Mauritaniæ, Æthiopiæ, Arabiæ, Persidis atque Indiæ... nobis...
-dare ac dedicare_.
-
-[334] Quando naque Colombo? Nel 1430, o 36, o 41, o 45, 46, 47, 49,
-55. — Dove? A Genova, a Cogoleto, a Bugiasco, a Finale, a Quinto, a
-Nervi sulla Riviera; a Savona o a Palestrella, o ad Arbizoli là vicino;
-o a Cosseria fra Millesimo e Carcare; in val di Oneglia, a Castel di
-Cuccaro fra Alessandria e Casale, a Piacenza, o a Pradello in val di
-Nura. Ciascuna di queste opinioni fu sostenuta con gran corredo di
-ragioni e di petulanze. Vedasi l’ultimo lavoro del marchese D’AVEZAC,
-_L’année véritable de la naissance de Colomb_ (Parigi 1873), che lo
-pone al fine del 1446, e le contraddizioni dell’americano Harris.
-
-[335] Dante indica le costellazioni del piede del centauro e della
-crociera del sud, invisibili al nostro emisfero.
-
- Io mi volsi a man destra, e posi mente
- All’altro polo, e vidi quattro stelle
- Non viste mai fuorchè alla prima gente...
- O settentrïonal vedovo sito
- Poichè privato se’ di veder quelle.
- _Purg._ I.
-
-I planisferi arabi e i nostri viaggiatori che arrivavano fino a Bab
-el-Mandeb, ne lo poterono istruire. La sua cosmogonia è siffatta:
-che l’emisfero boreale stava sott’acqua, e un gran continente era
-nell’australe opposto al nostro; Lucifero, _piovendo_ dal cielo per
-essere incarcerato nel centro della terra, spinse in su un cono di
-sollevamento, che forma la montagna del Purgatorio, sulla cui vetta
-ride il Paradiso: la massa arida agli antipodi si fece _del mal
-velo per paura_ di Lucifero, e nel nostro emisfero restò una _gran
-secca_, cioè un continente di cui è centro Gerusalemme. Questi sono
-concetti sistematici e poetici; e più importa il vedere precisamente
-designato da Dante il centro di gravità della terra, _il punto a cui
-son tratti d’ogni parte i pesi_. Vero è che Aristotele lo accenna e
-che il cronista Rolandino mezzo secolo prima di Dante scriveva, _Non
-aliter quam ad punctum terræ medium, quod philosophi centrum dicunt,
-ponderosa cuncta tendere naturaliter elaborant_ (Hist. Patavina, lib.
-XII. c. 9). Ammesso questo centro di gravità, non è più meraviglia che
-abitino uomini tutto in giro al globo. Il Petrarca nomina gli antipodi
-in un passo da noi citato nel volume vii a pag. 500; e nella canzone v
-scrive:
-
- Nella stagion che il Sol rapido inchina
- Verso occidente e che il dì nostro vola
- A gente che di là forse l’aspetta;
-
-e nella sestina I:
-
- Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
- E le tenebre nostre altrui fan alba.
-
-I quali passi intarsiando il Pulci nel XXV del _Morgante_, fa dire dal
-demonio Astarotte che dappertutto «navigar si puote, Però che l’acqua
-in ogni parte è piana» benchè la terra sia rotonda;
-
- E puossi andar giù nell’altro emisperio
- Però che al centro ogni cosa reprime,
- Sì che la terra, per via di misterio,
- Sospesa sta tra le stelle, sublime;
- E laggiù son città, castella, imperio,
- Ma nol cognobbon quelle genti prime;
- Vedi che il Sol di camminar s’affretta
- Dov’io ti dico che laggiù s’aspetta.
-
-[336] Già Strabone comprendea la possibilità della circumnavigazione,
-«e se l’estensione del mare Atlantico non ci facesse ostacolo, noi
-potremmo, persistendo sotto il medesimo parallelo, navigare dalla
-Spagna fino all’India». _Geografia_, lib. II. E Seneca (_Quæstiones
-nat._), interrogandosi quanto vi sia dagli ultimi confini della Spagna
-fin all’India, risponde: — Lo spazio di pochissimi giorni, se il vento
-spiri in favore».
-
-[337] Nel 1488 Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, disegnatore
-di carte nautiche a Lisbona poi a Londra, donava a Enrico VII
-d’Inghilterra un mappamondo, che non ci è descritto particolarmente, ma
-dov’è questa rozza epigrafe:
-
- _Janua cui patria est, nomen cui Bartholomæus_
- _Columbus de terra rubra, opus edidit istud_
- _Londiniis A. D._ MCCCCLXXX _atque insuper anno_
- _Octavo, decimaque die cum tertia mensis_
- _Februarii, Laudes Christo canentur abunde._
-
-[338] Quell’uffizietto sta nella libreria Corsini di Roma. — Di Colombo
-parlammo estesissimamente nella _Storia universale_ e negli _Italiani
-illustri_, e forse non senza novità. È notevole che egli non accenna
-mai Marco Polo, sebbene si fondi continuamente sulle tradizioni di
-quello.
-
-Nel 1670 Filippo re di Spagna donava alla repubblica genovese un
-codice in pergamena, foglio piccolo, legato in cordovano con mazzetto
-d’argento, e chiuso in una busta di cordovano con serratura d’argento.
-Era una raccolta fatta da Colombo stesso de’ proprj titoli a quella
-scoperta, e de’ privilegi venutigli; di cui fece fare due copie,
-spedendole a Nicolò Oderigo confidente suo, acciocchè le ponesse in
-luogo sicuro. Nelle ultime vicende di Genova andarono disperse. Una,
-portata a Parigi, fu ricuperata; l’altra si ritrovò nella biblioteca
-del conte Michelangelo Cambiaso, e il corpo dei Decurioni la comprò,
-e ne fece eseguire la traduzione dal padre Spotorno e la stampa, col
-titolo di _Codice diplomatico Colombo-Americano, ossia raccolta di
-documenti originali e inediti, spettanti a Cristoforo Colombo, alla
-scoperta e al governo dell’America_. 1822.
-
-[339] Ma Colombo dice precisamente che, al passare di un certo punto,
-cioè del meridiano magnetico, «come al passar d’una collina», l’ago,
-vôlto fin là a nord-est, piegava a nord-ovest.
-
-[340] ANGELO M. BANDINI, _Vita di Amerigo Vespucci_. Solo nel 1830, pei
-documenti pubblicati da Nugnes e Navarrete, si ebbe qualche certezza
-de’ costui fatti.
-
-[341] — Non erano passati molti anni che venne in Moscovia alla corte
-del suo principe un ambasciatore di papa Leone, nominato messer Paulo
-Centurioni genovese, sotto diversi pretesti; ma la principal ragione...
-era perchè il detto messer Paulo, avendo conceputo sdegno e odio grande
-contro Portoghesi, voleva vedere se poteva far aprire un viaggio per
-terra, che le spezierie venissero d’India per via dei Tartari e dal
-mar Caspio nella Moscovia». RAMUSIO, _Disc. sopra li viaggi delle
-spezierie_, vol. I. p. 374.
-
-[342] Epist. 152.
-
-[343] Il Roberston le adopera come tali, ma evidenti anacronismi
-le convincono scritte assai dopo il caso. Disopra della porta della
-chiesa di Siviglia dell’Oro alla Giamaica si leggeva: _Petrus Martyr ab
-Angleria italicus, civis mediolanensis, protonotarius apostolicus hujus
-insulæ, abbas, senatus indici consiliarius, ligneam prius ædem hanc
-bis igne consumptam latericio et quadrato lapide primus a fundamentis
-extruxit_.
-
-[344] _Isole trovate novamente per el re di Spagna_. L’ultima ottava
-dice:
-
- Questa ha composto de Dati Giuliano
- A preghiera del magno cavaliere
- Messer Giovan Filippo ciciliano,
- Che fu di Sixto quarto suo scudiere.
- Et capitano suo et capitano
- A quelle cose che fur di mestiere
- A laude del Signor si canta e dice
- Che ci conduca al suo regno felice.
-
-E il libro chiudesi con queste parole: — Finita la storia de la
-inventione delle nuove isole di Canaria indiane, tracta da una pistola
-di Christofano Colombo, et per messer Giuliano Dati tradocta di latino
-in versi vulgari a laude della celestiale Corte et a consolatione della
-christiana religione, et a preghiera del magnifico cavaliere messer
-Giovan Filippo di Lignamine, familiare dello illustrissimo re di Spagna
-christianissimo. A dì XXVI d’ottobre 1495, Florentiæ». Quali sono
-peggiori, i versi o la prosa? Certo nè gli uni nè l’altra invogliano a
-dissotterrare quel libro.
-
-Vedansi gli _Studj bibliografici e biografici sulla Storia della
-geografia in Italia_, pubblicati in occasione del Congresso Geografico
-di Parigi. Roma 1875.
-
-[345] Melchiorre Gioja vede nelle imposte «una forza di crescente
-proporzione, la quale non trova limite se non nella resistenza de’
-popoli, e nel cuor de’ principi saggi». _Nuovo prospetto delle scienze
-economiche_, pag. 230.
-
-[346] Nel concilio Lateranese iv, sotto Innocenzo III, è sancito che
-l’indagine si faccia per trovar la verità, _coram ecclesiæ senioribus_;
-e si soggiunge: _Debet esse præsens is, contra quem facienda est
-inquisitio, nisi se per contumaciam absentaverit; et exponenda sunt
-ei illa capitula, de quibus fuerit inquirendum, ut facultatem habeat
-defendendi seipsum; et non solum dicta, sed etiam nomina ipsa testium
-sunt ei publicanda, ut quid et a quo sit dictum appareat; nec non
-exceptiones et replicationes legitime admittendæ, ne per suppressionem
-nominum infamandi, per exceptionum vero exclusionem deponendi falsum
-audacia præbeatur_.
-
-[347] Credesi che Pier Lombardo, per sollecitazione dei vescovi,
-sostenesse in Francia le ragioni de’ villani a segno da ottenere che
-anch’essi potessero portare lunghi i capelli, distintivo sin allora dei
-nobili, cioè della razza conquistatrice. Perciò la memoria di lui era
-celebrata annualmente dall’Università di Parigi.
-
-[348] Giovanni XXII avea pubblicato una bolla, ove diceva: — Per
-l’autorità conferitaci dall’eterno Padre e dai santi apostoli Pietro
-e Paolo, dopo matura riflessione, e udito il consiglio dei nostri
-venerabili fratelli, di piena nostra podestà separiamo l’Italia
-dall’Impero: riserbando a noi stessi di provvedere pel governo di essa;
-e facciamo ampio divieto d’entrarvi». _Provinciam Italiæ ab eodem
-imperio et regno Alemanniæ totaliter eximentes; ipsam a subjectione
-communitatum et jurisdictionum eorumdem regni et imperii separamus_. Il
-BALUZIO, _Vitæ Pap. Avenion_., i col. 704, la dà come falsa, ma come
-genuina la considera OLENSCHLAEGER, _Staatsgeschichte des römischen
-Kaiserthumes_, p. 249.
-
-[349] Allude al principato di Monaco. Tutto ciò fu scritto avanti le
-annessioni del 1860.
-
-[350] Touqueville (_De la démocratie_, II. 117) dice che la parola
-_patrie_ non si trova in nessun Francese prima del secolo XVI.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. In particolare il testo in
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@@ -1,27068 +0,0 @@
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- <title>Storia degli Italiani (vol. 8 di 15) | Project Gutenberg</title>
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Storia degli Italiani, vol. 8 (di 15)</span>, by Cesare Cantù</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
-at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you
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-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Storia degli Italiani, vol. 8 (di 15)</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Cesare Cantù</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: February 7, 2023 [eBook #69981]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8 (DI 15)</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-C. CANTÙ<br>
-STORIA DEGLI ITALIANI
-<span class="smaller">TOMO VIII.</span>
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-<span class="small">STORIA</span><br>
-DEGLI ITALIANI
-</p>
-
-<p class="pad2">
-PER
-</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-CESARE CANTÙ
-</p>
-
-<p class="pad2 small">
-EDIZIONE POPOLARE<br>
-RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO VIII.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-<span class="large">TORINO</span><br>
-<span class="small">UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE</span><br>
-1876
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr>
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap112-10">CAPITOLO CXII.
-<span class="smaller">Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana.
-Il Milanese eretto in ducato.</span></h2>
-</div>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td colspan="3" class="center"><span class="smcap">Famiglia dei Carraresi</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Giacomo I, principe del popolo</td> <td class="bcen">1318-1324</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Nicolò suo fratello</td> <td class="bcen">1324-1326</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Marsiglio loro nipote</td> <td class="bcen">1324-1338</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Ubertino nipote di questo</td> <td class="bcen">1338-1345</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Marsiglietto Pappafava</td> <td class="bcen">1345</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Giacomo II figlio di Nicolò</td> <td class="bcen">1345-1350</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Giacomino suo fratello</td> <td class="bcen">1350-1372</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Francesco I loro nipote</td> <td class="bcen">1350-1388</td> <td class="bcen">m. 1393</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Francesco II Novello, strozzato a Venezia coi figli Francesco e Giacomo</td> <td class="bcen">1390-1406</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
-</table>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td colspan="4" class="center"><span class="smcap">Famiglia degli Scaligeri</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">Mastino I, signore di Verona</td> <td class="num">1259-1277</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">Alberto suo fratello</td> <td class="num">1277-1301</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Bartolomeo</td> <td rowspan="3" class="vcen">figli di Alberto</td> <td class="num">1301-1304</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Alboino</td> <td class="num">1304-1311</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Can Grande</td> <td class="num">1312-1329</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Alberto II</td> <td rowspan="2" class="vcen">figli di Alboino</td> <td class="num">1329-1352</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Mastino II</td> <td class="num">1329-1351</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Cane II</td> <td rowspan="3" class="vcen">figli di Mastino II</td> <td class="num">1359</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Cane III Signorio</td> <td class="num">1351-1375</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Paolo Alboino</td> <td class="num">1374</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Bartolomeo II</td> <td rowspan="2" class="vcen">figli natur. di Can Signorio</td> <td class="num">1375-1381</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Antonio</td> <td class="num">1375-1387</td> <td class="num">m. 1388</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">Guglielmo</td> <td class="num">1404</td> <td>&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">Antonio e Brunoro suoi figli proscritti.</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p class="pad2">
-Sei capi ambiziosi e capaci aveano, fra le traversie,
-condotta in grande stato la famiglia Visconti. Morto (1354)
-l’arcivescovo Giovanni, perfido e astuto ma valoroso e
-liberale quanto serve a palliare l’ingiustizia, il consiglio
-generale di Milano e delle altre città fecero omaggio ai
-nipoti di lui Bernabò e Galeazzo (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 561), che
-spartironsi il dominio, serbando indivisa Milano, ove
-fabbricarono uno la rôcca di porta Zobia, l’altro quella
-a porta Romana e alla Casa dei Cani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-</p>
-
-<p>
-Già vedemmo come Bernabò resistesse all’Albornoz
-e alla lega guelfa. Le bande soldate da questa e massime
-le inglesi, spintesi (1362) fino a Magenta, Corbetta, Nerviano,
-Vituone, dilapidarono ogni cosa, e rapirono
-seicento nobili che soleano abitarvi, nè li rilasciarono
-che a grossi riscatti; ma in fine a Casorate rimasero
-sanguinosamente sconfitte.
-</p>
-
-<p>
-Poco poi, Bernabò venne ancora in rotta con papa
-Urbano V, il quale bandì contro di lui la crociata, a
-cui concorsero l’imperatore Carlo IV, il re d’Ungheria,
-la regina di Napoli, il marchese di Monferrato, i principi
-d’Este, i Gonzaga, i Carrara, i Malatesti, e Perugini
-e Sanesi, confederati nella lega di Viterbo (1367). Ma Bernabò
-sapea che coteste crociate, unite solo dal sentimento,
-basta tirare in lungo, e si scomporranno da sè. In fatto
-a denari comprò l’inazione di Carlo IV (1368), allora calato
-nuovamente in Italia con cinquantamila uomini; a contanti
-fece passare dai nemici a sè la Compagnia Bianca,
-sommosse le città papaline (1369 febb.), e potè conchiudere buona
-pace, avendo però nella guerra consumato tre milioni
-di zecchini.
-</p>
-
-<p>
-L’accorta politica e gli estesi concetti di Bernabò
-erano deturpati dall’ignobilità del suo carattere, da quel
-brutale egoismo, su cui nè amicizia nè fedeltà nè riconoscenza
-valevano, e che nè tampoco degnavasi palliare
-le beffarde violenze. Cominciò, come devono i tiranni,
-dall’assicurarsi contro i proprj sudditi con fortalizj, e
-sempre generoso mostrossi ai soldati. Mal arrivato chi
-nella trascorsa guerra fosse apparso propenso ai nemici!
-i processi finivano con supplizj atrocissimi. Proibì
-d’uscir la notte, qual che ne fosse la cagione, sotto pena di
-perdere un piede; tagliata la lingua a chi proferisse le
-parole di guelfo o ghibellino; uno nega pagar due capponi
-comprati da una trecca, ed egli lo fa impiccare.
-Passionato della caccia, fin cinquemila cani manteneva,
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-ed allogavali presso i cittadini da nutrire: ogni quindici
-giorni appositi uffiziali visitavanli, e se li trovassero dimagrati
-imponeano una multa, una multa se pingui, la
-confisca dei beni se morti. Chi poi ne tenesse uno, o uccidesse
-lepre o cinghiale, era mutilato, appiccato, talora costretto
-a mangiarsi il selvatico bell’e crudo. Bernabò si
-sognava che un tale gli facesse male? imbattevasi in
-alcuno ne’ solitarj suoi passeggi? bastava per torgli la
-vita o un occhio o la mano, od almeno confiscarne gli
-averi. Due suoi segretarj fece chiudere in gabbia con un
-cinghiale. Un giovane che avea tirato la barba a un
-sergente, fu condannato di lieve multa; ma Bernabò gli
-fece tagliar la destra: e perchè il podestà indugiò finchè
-i parenti venissero a implorar grazia, Bernabò volle
-fosser mozze ambe le mani al giovane ed una al podestà.
-Obbligò un altro podestà a strappar la lingua a
-un condannato, poi bere il veleno; talora costringeva
-il primo venuto a far da boja; e pretesto gli era sempre
-la lesa maestà, suggello d’ogni accusa nelle tirannie.
-</p>
-
-<p>
-Agli atti di prepotenza v’ha sempre una ciurma che
-applaudisce, giudicandoli segno di forza, e alla forza
-si suol fare di cappello. Alcuni ambasciadori di principi
-rimandò vestiti di bianco a guisa di mentecatti,
-coll’obbligo di presentarsi in quell’arnese ai loro padroni,
-tra le risate de’ paesi che attraversavano. Quando
-vennero a lui in Melegnano i nunzj pontifizj a recargli
-la scomunica, Bernabò li condusse sopra il ponte del
-Lambro, e quivi intimò mangiassero le bolle della scomunica,
-se non volessero bever quell’acqua; e vi si
-dovettero rassegnare. Inviperendo viepiù contro gli
-ecclesiastici, fa accecare, mutilare chi non l’ubbidisce:
-udito che un piovano esigeva di troppo per le esequie
-d’un morto, lo fa sotterrare col morto stesso: un altro
-bandisce la crociata del pontefice contro il capitano di
-Forlì, e Bernabò il fa mettere in un tamburo di ferro
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-ed arrostire al fuoco. Due frati gli si presentano per
-rimproverarlo di tali inumanità, ed esso li fa bruciar
-vivi: anche monache fece ardere, e con esse il vicario
-generale che ricusò degradarle. Chiamato a sè l’arcivescovo
-che ricusava ordinare un monaco, se lo fece
-inginocchiare davanti, e gli abbajò: — Non sai, poltrone,
-che io sono papa, imperatore e signore in tutte
-le mie terre? e che Dio stesso non potrebbe farvi cosa
-ch’io non volessi?»
-</p>
-
-<p>
-Eppure mostravasi devoto, digiunava, istituì chiese,
-monasteri, benefizj. Rifabbricò il castello di Trezzo con
-ardito ponte sull’Adda a tre anditi a diversa altezza,
-una rôcca in Brescia, altre a Desio, a Pandino, a
-Cusago; una villa a Melegnano, a Milano il palazzo
-a San Giovanni in Conca, mentre Galeazzo rifaceva
-quello in piazza del duomo, con una spazzata per le
-giostre. Beatrice Regina della Scala, moglie di Bernabò,
-affettava una burbanza principesca; i decreti che essa
-mandava alle valli bresciane e camoniche fan credere
-che quei paesi fossero a lei assegnati per dote; in Brescia
-aveva un fondaco di ferrareccia; munì Salò di
-mura turrite; aprì un canale per irrigare la Calciana
-allora spopolata, e che erale stata data dal marito per
-sicurezza dei cencinquantamila fiorini d’oro portatigli
-in dote, come le diede poi Urago d’Oglio, Gazzólo,
-Roccafranca, Floriano e altri paesi<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>. A lei
-principi e signori dirigevano i reclami e le petizioni:
-ed essa, non che mitigare il marito, com’è uffizio di
-donna, lo esacerbava: ma non potè reprimerne la lubricità.
-Trentadue figliuoli ebb’egli tra legittimi e no;
-e il marchese d’Este, levandone uno al battesimo, gli
-regalò un vaso d’argento, entrovi una coppa d’oro
-piena di perle, anelli, pietre preziose, del valore di
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-diecimila zecchini<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>. Le sue figliuole collocò nelle
-case regnanti di Norimberga, d’Ingolstadt, d’Austria,
-di Baviera, di Würtemberg, di Turingia, di Sassonia,
-di Kent, di Mantova, una al re di Cipro con centomila
-fiorini, un’altra a Giovanni Acuto ed una a Lucio Lando:
-a ciascuno de’ cinque maschi legittimi aveva già assegnato
-il governo del distretto di cui gli destinava la
-sovranità; ma l’uomo tesse, e Dio ordisce.
-</p>
-
-<p>
-Altrettanto e peggio operava Galeazzo II a Pavia.
-Più freddamente spietato, inventò la <i>quaresima</i>, per
-cui a’ suoi nemici faceva levare oggi un occhio, domani
-riposo; poi l’altr’occhio, indi riposo; poi una mano e
-l’altra, un e l’altro piede, e via per quaranta giorni
-alternando i tormenti col riposo, che preparasse a
-meglio sentirli. Fabbricava molto, talvolta insignemente,
-come furono il ponte sul Ticino e il castello di
-Pavia con una torre a ciascun angolo, e nell’interno
-un ampio cortile a portici, e un oriuolo che, oltre battere
-le ore, segnava il moto de’ pianeti. Nè meno suntuoso
-riuscì il castello di Milano. Poi disfaceva a capriccio:
-e i fondi, il legname, la calce prendeva dove
-fossero senza pagare; per ampliare un parco di venticinque
-miglia di giro usurpò fondi privati, tra cui
-quelli d’un Bertolino da Sisti, il quale affrontandolo gli
-chiese: — Di che darò a mangiare a’ miei figliuoli?»
-e il brutale rispose: — Che? non ti basta il gusto del
-farli?» Onde quello gli tirò una coltellata, e fallito il
-colpo, fu preso e fatto strappare da cavalli. Non pagava
-le cariche, poi guaj se erano male esercitate: sessanta
-impiegati a un tratto condannò alla forca, poi supplicato
-li graziò, ma chiuse in prigione il suo cancelliere
-ch’erasi mostrato sollecito nello spedir quella grazia.
-Insieme digiunava una terza parte dell’anno, distribuiva
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-duemila cinquecentotrentun zecchini all’anno in
-limosine, ducentodieci moggia di grano, dodici carra
-di vino<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>, e tenea dieci cappelle. Poi favorì i letterati,
-fondò l’Università di Pavia chiamandovi professori
-rinomati; blandì il Petrarca; e gli encomj di questo,
-ripetuti per classica ammirazione, impedivano ai lontani
-di udire i gemiti dei popoli<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tanto si osava mentre ancora sussistevano i nomi e
-le forme repubblicane; anzi direi per queste, giacchè
-il tiranno trovandosi violatore di esse, operava senza
-ritegno; l’appoggio che dalla costituzione eragli negato,
-chiedea dalla forza; forza non di cittadini, ma mercenaria,
-ed alleandosi con altri principi e coll’imperatore.
-I papi contrastavano sempre, tratto tratto qualche città
-si sollevava, un nuovo nemico sorgeva ogni dì: ma i
-Visconti dal pingue paese smungeano denaro, denaro
-traevano dagl’immensi possessi confiscati, col denaro
-compravano bande, e colle bande vincevano e tiranneggiavano.
-</p>
-
-<p>
-Gian Galeazzo figliuolo di Galeazzo, altrettanto ambizioso
-e più dissimulatore, comprò dall’imperatore Venceslao
-il titolo di vicario imperiale di Lombardia.
-Pagando a Giovanni II re di Francia trecentomila zecchini,
-di cui avea bisogno per riscattarsi dal re d’Inghilterra,
-n’ottenne la mano della figlia Isabella e la
-contea di Virtù in Sciampagna. In seconde nozze sposò
-Caterina figlia di Bernabò, il quale così credeva esserselo
-indissolubilmente legato, e lo canzonava di quel
-non curarsi di grandezze umane e della sua santocchieria.
-Fedele a questa, una volta Gian Galeazzo s’avviò
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-in pellegrinaggio solenne al sacro monte di Varese,
-menando seco la Corte; e poichè passava rasente a
-Milano, pregò lo zio volesse venire a salutarlo fuor
-della porta. Lo zio v’andò (1385); ma appena l’ebbe abbracciato,
-il nipote diè il segno a’ suoi seguaci, che, tirate
-l’armi di sotto le pie tuniche, presero Bernabò col suo
-seguito, e buttatolo in castello, e fattogli un ridicolo
-processo, non per le atrocità sue, ma per stregherie e
-per avere con incantesimi reso sterile il matrimonio
-del nipote, lo sepellirono nel castello di Trezzo a morire
-di rabbia se non fu di veleno. Milano rise della
-volpe presa al laccio, ed acclamò Gian Galeazzo, che
-riunì tutto il dominio visconteo, e trovò nel tesoro settecentomila
-fiorini d’oro contanti e sette carri d’argento
-in verghe e vasellame.
-</p>
-
-<p>
-Gian Galeazzo non avventurava mai nè la persona
-propria nè l’esercito a battaglia decisiva, ma lo chiudeva
-entro fortezze, lasciando la campagna esposta; sapeva
-poi destreggiare di politica, annodare e scompor
-leghe, essere perfido e bugiardo opportunamente, e
-scegliere i migliori stromenti alle sue ambizioni. Le finanze,
-per buona amministrazione fiorenti, davangli
-mezzo di comperarsi partigiani nelle altre repubbliche,
-e bande mercenarie, e grosse parentele, e così far dei
-paesi come gli talentasse; nè dopo Federico II v’era
-stato principe più temuto dagl’Italiani, e più minaccevole
-all’altrui indipendenza. Stanco dell’obbrobrio delle
-bande di ventura, strinse lega coi Gonzaga, i Carraresi
-e gli Estensi per isbrattarne il paese, e Bartolomeo di
-Sanseverino fu spedito contro di loro con una bandiera
-inscritta Pax; lega di effimera durata, che presto fece
-luogo a rivalità ed ambizioni tra questi signorotti.
-</p>
-
-<p>
-Quei della Scala disonorarono la propria decadenza
-coi delitti. Cansignorio, e Paolo Alboino, figli di Mastino
-II, aveano assassinato il fratello maggiore, indi
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-azzuffatisi tra sè, il più debole fu cacciato prigione in
-Peschiera, finchè Cansignorio, sentendosi morire, mandò
-ammazzarlo (1375) acciocchè non attraversasse la successione
-a’ suoi figli naturali Bartolomeo e Antonio. Rinnovando
-simili misfatti, Antonio uccide Bartolomeo (1381), poi ne accagiona
-un’amica, e costei e tutta la famiglia manda alle
-forche. Quest’Antonio fu dai Veneziani aizzato contro
-Francesco Carrara signore di Padova, loro implacabile
-nemico, il quale si pose a schermo di Gian Galeazzo.
-Costui, adontato che lo Scaligero per gelosia avesse
-rinnegato la sua alleanza, s’intese col Carrara; vantandosi
-erede degli Scaligeri in grazia di Caterina sua
-moglie, nata da Regina della Scala, fece attaccar Verona (1387 8bre)
-dalle bande di Ugolotto Biancardo; ed essendo
-Antonio fuggito a Venezia dopo consegnata la fortezza
-al legato imperiale, Galeazzo la comprò a contanti.
-</p>
-
-<p>
-Ma, infido al proprio alleato, non che cedergli Vicenza
-come avevano pattuito, si offerse amico a Venezia
-contro di esso, ricevendone centomila ducati il primo
-anno, poi ottomila al mese se la guerra si prolungasse.
-Il Carrara trovavasi addosso nemici troppo poderosi,
-scontenti i popoli, non denaro per comprar bande o
-trarre qui stranieri; sicchè per disperato rinunziò la
-signoria al figlio Francesco II Novello, il quale sentendosi
-inetto a resistere, ricoverò a Pavia (1388 9bre) fra l’esultanza
-de’ Padovani. Malgrado il salvocondotto, furono chiusi
-il padre a Verona, il figlio a Milano: Galeazzo prese
-Padova, poi Treviso, e si trovò sul margine delle lagune,
-alla tardi e mal pentita Venezia minacciando, se
-Dio gli concedesse sol cinque anni di vita, ridurla umile
-quanto Padova.
-</p>
-
-<p>
-Tolte di mezzo quelle due antiche famiglie, assorbite
-le case dei Correggio, dei Cavalcabò, dei Benzoni, dei
-Beccaria, dei Langoschi, dei Rusca, dei Brusati, restava
-padrone di ventuna città, che gli fruttavano ducentomila
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-fiorini, cioè metà quanto la Francia e l’Inghilterra,
-avendo in corte quasi prigioniero Teodoro II
-marchese di Monferrato, ricevendo docilissimi omaggi
-da Francesco Gonzaga signore di Mantova, proteggendo
-il marchese Alberto d’Este contro l’odio meritato con
-delitti; aveva una zia maritata in Lionello d’Inghilterra
-con ducentomila sterline; la figlia sua Valentina sposò
-a Luigi duca d’Orléans, assegnandole in dote la città e
-il territorio d’Asti, quattrocentomila fiorini, e un corredo
-e gemme quali nessun regnante. Fidava recuperar
-Genova coll’attizzarne le intestine malevolenze; chiedendo
-sposa Maria, erede presuntiva della Sicilia, aspirò
-ad acquistare quell’isola sbranata fra due fazioni: se non
-che il re d’Aragona, subodorato l’accordo, appostò la
-flotta lombarda e mandolla sgominata. Sempre più
-ampliando i suoi divisamenti, Gian Galeazzo ambiva la
-corona d’Italia; ma prima conveniva abbattere la tutrice
-della costei libertà, Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Questa continuava ad essere il centro de’ Guelfi, sottometteva
-i castellani del contorno, e nelle interne
-riotte migliorava la sua costituzione. A misura del
-crescer di essa scapitava la ghibellina Pisa, la quale
-invischiatasi nelle vicende di terra, più non dava i migliori
-negozianti a Costantinopoli e all’Arcipelago, e
-vedeva spopolarsi i suoi banchi in Siria. La battaglia
-della Meloria, altro frutto del suo parteggiare cogl’imperatori,
-l’avea fatta soccombere a Genova; e per
-alcun tempo proibita di tenere armi, perdè l’abitudine
-della guerra, onde la gioventù si drizzò ad altre vie,
-ad altra ambizione i consigli; i pescatori delle maremme,
-di Lerici, della Spezia passarono a servizio
-de’ Genovesi. Alla Corsica avea rinunziato, sicchè fu
-data agli Aragonesi in cambio della Sicilia: ma poichè
-v’era sempre chi favoriva a’ Pisani o a’ Genovesi, tutta
-andava in partiti e scaramuccie, che impedivano agli
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-Aragonesi di profondarvi radici. Molti tirannelli vi sorsero,
-finchè il popolo stanco (1359) trucidò i baroni o li fugò,
-e stabilì una costituzione repubblicana, mettendosi in
-tutela de’ Genovesi, patto di non essere aggravezzati
-che di venti soldi per fuoco l’anno. Nè per questo le
-fazioni quetarono; e non potendo la repubblica di Genova
-tenerla, cinque cittadini ne presero a proprio
-conto la protezione, e se la divisero. Poco durò, e
-alle indigene si aggiunsero le scissure di Adorni e
-Fregosi.
-</p>
-
-<p>
-Ai Pisani restava accora la Sardegna, opportuna al
-commercio coll’Africa che ormai sola le era dischiusa:
-ma nel 1323 quanti erano in quell’isola furono trucidati
-per trama di Ugone de’ Visconti giudice d’Arborea,
-il quale consegnolla a Giacomo II re di Aragona.
-L’infante don Alfonso, sbarcatovi con poderosa armata,
-consumò quindicimila uomini nel vincere l’intrepida
-resistenza di Cagliari e de’ Pisani condotti da Manfredi
-della Gherardesca (1326), i quali alfine dovettero abbandonargli
-l’isola, ultimo resto di loro marittima grandezza.
-Gli Aragonesi v’introdussero le cortes, con tre stamenti
-o bracci, ecclesiastico, militare, regio, cioè popolano,
-i quali aveano parte nel far le leggi e nel fissare
-l’imposta, e rendeano ragione alle querele d’individui
-e di corpi. Alcuni signori conservaronsi indipendenti,
-come i marchesi d’Arborea, tra cui fu famosa Eleonora
-che fece raccor le leggi dell’isola (<i>carta de logu</i>) (1403), fin
-testè conservate in vigore.
-</p>
-
-<p>
-Pisa si trovò intercetta la via dell’Africa, in Sicilia
-non potè sostenere la concorrenza de’ Catalani, onde si
-restrinse all’agricoltura, alle manifatture, alle imprese
-di terra. Sempre avversa alla guelfa bandiera, continuava
-a rivaleggiare con Firenze. Secondo il trattato
-del 1342, avea fatto esenti i Fiorentini da ogni gabella
-in Pisa; ma col pretesto di armare contro i corsari,
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-impose ad essi pure due denari ogni lira di valore.
-Risoluti di non rassegnarsi ad un esempio che potrebbe
-condurre a peggio (1357), i Fiorentini chiusero le loro partite
-e trasportarono gli scanni al porto di Telamone nella
-maremma senese. I mercanti forestieri dovettero seguirli,
-sicchè fu colpo mortale a Pisa, la quale, vuote
-le case, i magazzini, gli alberghi, le strade di vetturali,
-il porto di navi, riducevasi una solitaria città
-castellana.
-</p>
-
-<p>
-Dentro la squarciavano le sêtte de’ Bergolini, popolani
-guidati dai Gambacorta, e de’ Raspanti, in mala
-fama per aver <i>raspato</i> ne’ loro governi, e sempre avversi
-ai Fiorentini. Gli odj portarono ad alternate tirannie;
-e i Visconti di Milano, che mai non torceano gli
-avidi occhi dalla Toscana, per demolirla colle lotte
-interne favorivano ai Raspanti, i quali incessantemente
-aizzavano alla guerra contro Firenze, non foss’altro per
-rincalorire i rancori, che troppo s’erano calmati dacchè
-si vedeva a che avesse portato l’esclusione de’ Fiorentini,
-dai Raspanti cagionata.
-</p>
-
-<p>
-Volterra mal potea conservarsi indipendente fra le
-tre repubbliche vicine che v’aspiravano; e però avendola
-i Fiorentini sciolta dalla tirannide di Bocchino Belforti,
-si diede a loro protettorato (1360). N’andò al colmo il dispetto
-de’ Pisani, che ruppero all’armi con varia fortuna; ma
-l’antica regina dei mari si trovò sull’onde guerreggiata
-dalla mediterranea rivale. Pisa sentendosi non bastar
-sola, chiese ajuti a Bernabò Visconti, e questi vi spedì
-l’Acuto (1362) colla banda inglese di duemila cinquecento cavalli
-e duemila fanti. Vero è che costoro devastarono
-la campagna, poterono anche fare una punta sopra Firenze,
-correre il palio fin sotto le mura di essa, ed
-appiccarvi alla forca tre asini col nome di tre magistrati
-fiorentini; ma la voracità di questa masnada, la peste
-che ripullulò, e la rotta di San Savino (1364) (che ancora si
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-festeggia a Firenze col palio di San Vittorio) ridussero
-i Pisani a strettissime condizioni<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>. Non potendo poi
-pagare l’ultima rata alle compagnie di ventura, Giovanni
-Agnello loro concittadino, la cui ambizione era sollecitata
-da Bernabò, promise soddisfarli de’ soldi dovuti, e
-col loro appoggio si fece proclamar doge: premiò, punì,
-relegò, com’è il solito di cotesti ambiziosi, e giustificava
-l’usurpazione col titolarsi luogotenente del Visconti. La
-pace giovava al dittatore; onde fu conchiusa (17 agosto) tra Pisani
-e Fiorentini, restituendo a questi ultimi le franchigie che
-godevano a Pisa, i castelli e i prigionieri, oltre centomila
-scudi d’oro per le spese della guerra.
-</p>
-
-<p>
-Firenze era sempre stata braccio destro della Chiesa:
-pure onesta franchezza mostrava nelle materie ecclesiastiche,
-sacerdoti e abati puniva dei delitti come
-gli altri cittadini, e li sottopose alle gravezze comuni.
-L’inquisitore frà Pietro dell’Aquila, superbo e avido
-di denaro, avea avuto procura dal cardinale di Barros
-spagnuolo, per riscuotere dodicimila fiorini dovutigli
-dalla fallita compagnia degli Acciajuoli; e benchè col
-consenso della Signoria n’avesse preso adequata cauzione,
-fece dai birri del Sant’Uffizio (1375) sostenere uno
-degl’interessati d’essa compagnia. Se ne leva rumore:
-il prigioniero è tolto ai birri, che con tronche le mani
-sono banditi dalla Signoria. L’inquisitore sbuffante si
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-ritira a Siena, e lancia l’interdetto sui priori e sul capitano
-di Firenze: questi appellano al papa, accusando
-d’altri abusi l’inquisitore, e che settemila fiorini in due
-anni avesse smunto dai cittadini, coll’appuntare come
-eresia ogni paroluzza, ogni sentenza men castigata; e
-il papa, informato del vero, levò le censure. Allora il
-Comune ordinò, come già erasi fatto a Perugia, che
-nessun inquisitore prendesse brighe estranee al suo uffizio,
-nè potesse condannare in denaro, nè tenere carcere
-distinta; divieto ai magistrati di dargli sgherri,
-nè di lasciar arrestare chi che fosse senz’assenso dei
-priori: e poichè Pietro dell’Aquila a più di dugencinquanta
-cittadini avea dato la licenza delle armi, col
-titolo di famigli del Sant’Uffizio, ritraendone meglio di
-mille fiorini l’anno, si ordinò che l’inquisitore non
-avesse più di sei famigli con arme, nè più di sei altri
-licenziasse a portarle; quelli del vescovo di Firenze
-fossero ridotti a dodici, e a metà quelli del fiesolano;
-l’ecclesiastico che offendeva un laico in fatto criminale,
-cadesse sotto al magistrato ordinario, senza eccezione
-di dignità, nè riguardo a privilegi papali.
-</p>
-
-<p>
-Tutto ciò indispose il papa contro Firenze: e Guglielmo
-di Noellet, legato pontifizio a Bologna, parve
-ne insidiasse la libertà, la carestia peggiorando col
-proibirvi l’invio del grano, poi scagliando contro della
-Toscana la Compagnia Bianca dell’Acuto, dacchè la
-tregua con Bernabò la rendeva inutile: passo sconsigliato
-e disastrosissimo all’Italia ed alla causa pontifizia.
-Firenze, indignata di vedersi tolta di mira da
-quella Corte, cui con lealtà religiosa avea sempre favorito,
-comprò l’inazione di costui mediante centrentamila
-fiorini, e tosto gittò l’incendio nella Romagna,
-promettendo mano a chiunque si rivoltasse alle sante
-chiavi. Siena, Lucca, Pisa tennero con essa, e così il
-Visconti, cui Gregorio XI aveva rinnovato le ostilità:
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-gli Otto della guerra, a’ quali erasi affidato il governo
-di Firenze, ed erano detti gli otto santi patroni, raccolsero
-l’esercito sotto una bandiera iscritta a oro <i>Libertà</i>,
-la quale spedirono a Roma e agli altri paesi con lettere
-mirabilmente dettate dal segretario Coluccio Salutati.
-Ed ecco in non dieci giorni ottanta città o borgate di
-Romagna e delle marche d’Ancona e Spoleto, e Bologna
-stessa si sottrassero ai vicarj pontifizj, e costituendosi
-libere, o richiamando le antiche famiglie spossessate
-dall’Albornoz. Giovanni Acuto, a servizio del legato
-papale, intitolò la sua <i>compagnia santa</i>, e malmenò la
-Romagna. Il vescovo d’Ostia conte di questa dimorava
-in Faenza, e scoperto che Astorre Manfredi praticava
-per farla ribellare, chiamò l’Acuto. Il quale volò,
-e subito chiese denari (1376); e non avendone il vescovo, cacciò
-prigione trecento primani, undicimila spinse fuor di
-città, solo ritenendo alquante donne a oltraggio; poi
-l’abbandonò al sacco, nè tampoco risparmiando le vite
-di fanciulli. La città così malmenata vendè per quarantamila
-fiorini al marchese d’Este, poi gliela ritolse
-per darla al Manfredi. Questo chiamava egli servire al
-pontefice: eppure in compenso pretese le terre di Bagnacavallo
-e Castrocaro.
-</p>
-
-<p>
-La sollevazione intanto estendevasi; ben ottanta città
-aveano tolto l’obbedienza al pontefice, che viepiù indignato
-contro i Fiorentini, li citò al suo tribunale. Essi,
-che non voleano esser religiosi a scapito della libertà<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>,
-mandano tre ambasciadori ad Avignone, che sostengono
-la causa loro con insolita franchezza, e — In quattrocento
-anni dacchè godiamo della libertà, la ci si è per
-modo connaturata, che ognun di noi è disposto a sagrificare
-la vita per conservar quella». Il buon papa
-era troppo male ispirato, com’è più facile ai lontani; e
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-senza dare ascolto proferì contro di loro la scomunica,
-eccitando ognuno ad occuparne gli averi e le persone;
-onde Donato Barbadori, uno dell’ambasciata, si volge
-a un Cristo, appellandosi a lui dell’ingiusta sentenza,
-e dicendo col salmista: — Ajutor mio, non mi lasciare;
-se anche mio padre e mia madre m’abbandonarono».
-</p>
-
-<p>
-Quanti erano per traffico in Avignone e altrove sono
-obbligati partirsene; il re d’Inghilterra coglie l’occasione
-per occupare gli averi e far serve le persone di
-quanti ne trovò nel suo regno; sicchè arrivò a Firenze
-tanta gente, da poter formare un’altra città. I Fiorentini
-decretano non si badi all’interdetto (1377), e si continuino
-gli uffizi divini: ma l’Acuto mette a macello le città sollevate;
-Roberto di Ginevra nuovo legato, cattiva scelta
-d’ottimo pontefice, trae una banda delle più ribalde che
-devastassero la Francia, guidata da Giovanni di Malestroit
-bretone, il quale, avendogli il papa domandato — Ti
-basta l’animo di penetrare in Firenze?» rispose — Sì
-perdio, se vi penetra il sole». A’ Bolognesi il legato
-minacciava voler lavarsi piedi e mani nel sangue loro;
-e di fatto Monteveglio, Crespellano ed altre terre furono
-spietatamente invase. Cesena, assalita per una rissa fra’ Bretoni
-e i cittadini, fu mandata a sacco, e Roberto
-gridava — Sangue, voglio sangue; scannate tutti, affatto
-affatto»; orribile grido, più orribile in bocca di legato
-papale, se pur non è una delle solite invenzioni con
-cui si vendicano gli oppressi. Tre giorni abbandonata a
-quel furore, cinquemila cadaveri furono rinvenuti
-quando si rifabbricò, oltre quelli periti nel fuoco e
-mangiati dai cani: gli altri errarono mendicando. I soldati
-cambiavano a some le spoglie dei morti con altrettanto
-fieno e paglia da stramare i cavalli; le donne, vedove,
-contaminate, nude, digiune, metteano pietà fin al
-disumano Acuto. I Fiorentini riuscirono a staccare
-costui dal papa col pagargli duecencinquantamila fiorini
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-l’anno; vale a dire redimevano i ricolti del proprio
-territorio dando una metà della pubblica rendita. Solo
-allorchè lo scisma cominciato nella Chiesa facealo bisognoso
-di pace, il papa ricomunicò Firenze (1378), accettandone
-ducentrentamila fiorini.
-</p>
-
-<p>
-Firenze vedeva con gelosia gl’incrementi di Gian
-Galeazzo; e questo, soffiando ne’ rancori degli emuli
-di essa, riuscì ad allearsi con Siena, Perugia, Urbino,
-Faenza, Rimini, Forlì e molti principotti, oltrechè si
-provvedeva dei migliori capitani nostrali, Jacopo del
-Verme, Giovanni d’Azzo degli Ubaldini, Paolo Savelli,
-Ugolotto Biancardo, Galeazzo Porro, Facino Cane, ed
-accampava fin quindicimila cavalli e seimila fanti.
-Firenze sentendosi minacciata, doppiò di zelo e sagrifizj,
-e oltre l’Acuto, assoldò il tedesco duca di Baviera,
-il francese duca di Armagnac, che menava duemila
-lance e tremila <i>pilardi</i> o saccomanni, diluvj d’ogni nazione,
-stipendiati per danno della nostra. Associavasi
-pure colla potenza di Bologna e coll’ira del tradito
-Francesco Novello de’ Carrara.
-</p>
-
-<p>
-Costretto, come narrammo, dal Visconti a far cessione
-del principato degli avi suoi, e relegato a Cortazzone
-nell’Astigiano, costui fugge per Francia, dando
-voce d’andar pellegrino a Sant’Antonio di Vienne, e
-seguito dall’intrepida moglie Taddea d’Este e dai figliuoli,
-varca i geli alpini, si prostra all’antipapa Clemente
-VII in Avignone, a Marsiglia abbraccia Raimondo
-già vescovo di Padova, poi temendo essere arrestato da
-quel governatore, s’imbarca per Genova. La procella
-lo butta su spiaggia nemica, ma ne campa mediante il
-denaro e le lettere del re di Francia; e giunto a una
-terra de’ Fieschi, si rimette al mare. Nuova tempesta
-lo spinge al lido, ove uno Spínola non crede sia mercante
-nè uom d’arme come diceva, e l’obbliga a manifestargli
-l’esser suo. Questo, caldo ghibellino, corre
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-a Genova a riferirlo al doge Adorno, creatura dei Visconti;
-ma il Carrarese, avutone sentore, passa la notte
-in una chiesa, donde all’alba fugge lungo la riviera. Ivi
-l’imbatte un mercante, che al nobile portamento di
-Taddeo insospettito, corre a denunziarlo a Ventimiglia
-come rapitore di gentildonna. Le milizie il sopragiungono,
-ma egli, palesatosi, riceve onore; ed è trovato da
-un messaggiero di Paganino Doria, che gli presenta la
-metà d’un dado, segnale concertato, onde seco prosegue
-il viaggio s’un palischermo. Spinto da traversia a
-Savona, ove dominavano i Del Carretto amici al Visconti,
-se ne sottrae con pronta fuga, e in abito da
-pellegrino passa per Genova, si sottrae ai condottieri
-del duca spediti sulla sua traccia, ed eccolo a Firenze.
-Nojato dai gabellieri alle porte, ricevuto freddamente
-e consigliato a cercarsi altro asilo, egli mette banco
-per guadagnare il vitto alla famiglia, e si fa stimare
-dai Fiorentini, viepiù dacchè lo vedono temuto dal
-Visconti: i Veneziani stessi, cessato di averne paura, lo
-guardano amicamente; dalla prigione suo padre lo
-esorta a sostenere le fortune e l’onore della casa. Allora
-Francesco ripiglia personaggio politico, gira le
-corti di Germania e n’ottiene soccorsi ed incoraggiamenti,
-coi quali traversato il Friuli, e raccolti amici e
-partigiani, di sorpresa recupera Padova (1390 19 giugno). Subito l’incendio
-si diffonde; Verona acclama il fanciullo Can
-Francesco, figlio del defunto Antonio della Scala; e i
-Veneziani dan mano ai nemici di Gian Galeazzo.
-</p>
-
-<p>
-Però le bande oltramontane non aveano ancora imparato
-la strategia maestrevole delle italiane; e l’Armagnac,
-che, giovane di ventott’anni e usato a vincere, con
-baldanza francese sbraveggiava gl’Italiani, essendosi
-con pochi avanzato fin sotto Alessandria, da Jacopo
-del Verme fu battuto e ferito a morte (1391 25 luglio); i suoi, presi e
-spogliati, dovettero senz’armi tornare in Francia. Ne
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-restava in gravissimo frangente l’altro esercito al soldo
-de’ Fiorentini, ma Giovanni Acuto con ferma maestria
-potè ritirarlo attraverso l’Oglio, il Mincio, l’Adige. Rotte
-le dighe di questo, allagata la valle veronese, l’Acuto
-si trovò una volta ristretto sopra un argine, e tutto intorno
-acqua, onde il Del Verme gli mandò per beffa
-una volpe in gabbia; ma l’inglese rispose: — La volpe
-troverà modo da sgattajolare»: e in fatto, traversando
-di sotto di Legnago per entro le acque e la melma
-un’intera giornata, ridusse l’esercito in salvo. All’Acuto
-Firenze dava fin duemila fiorini l’anno di paga, e lui
-e suo figlio faceva esenti da ogni gravezza; pingui doti
-alle tre figlie, assegno vedovile alla moglie Donnina
-Visconti; e quando morì (1394) gli rese esequie da principe,
-e mausoleo in Santa Maria del Fiore, e le sue ceneri
-furono ridomandate dal re d’Inghilterra: tant’è pertinace
-la frenesia degli uomini nell’onorare chi gli uccide.
-</p>
-
-<p>
-Stanchi di quelle interminabili evoluzioni senza mai
-una battaglia campale, i belligeranti trattarono d’accordo (1392 genn.),
-rimettendosi all’arbitrio di Antoniotto Adorno
-doge di Genova, e Riccardo Caracciolo gran maestro
-dell’ordine di Rodi. Il costoro arbitramento a Francesco
-Novello manteneva Padova, proibito a Gian Galeazzo
-d’intrigarsi nelle cose toscane, e ai Fiorentini
-nelle lombarde. Ma il Visconti, le cui ambizioni rimanevano
-insoddisfatte, non atteneva i patti; le bande
-mercenarie congedate, eppur tenute sempre a mezzo
-soldo, spingeva contro i Fiorentini (8bre); fermava alleanza
-con Jacopo d’Appiano, che svertando Pietro Gambacorta,
-s’era insignorito di Pisa.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Gonzaga in un finto pellegrinaggio combinò
-una lega guelfa tra Bologna, i signori di Padova,
-Ferrara, Mantova, Ravenna, Faenza, Imola, e principalmente
-Firenze, la quale regolata allora dagli Albizzi,
-destri politici, coi maneggi non men che colle bande
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-mercenarie tenne testa ad Alberico di Barbiano. Non
-potè però impedire che Gerardo figlio e successore
-dell’Appiano vendesse Pisa a Gian Galeazzo (1399 febb.), conservando
-per sè Piombino coll’isola d’Elba, la quale d’allora
-formò un principato distinto. Anche Siena, agitata dalle
-fazioni e dalle rivalità con Firenze, si diede al Visconti (1400 genn.);
-e Perugia l’imitò. Pure l’opposizione di Firenze scompigliò
-(fu bene o male?) i disegni di Gian Galeazzo,
-il quale, caduto dalla speranza d’unire tutta Italia,
-pensò consolidarsi in Milano.
-</p>
-
-<p>
-Per quanto la lunghezza e successione delle signorie
-avesse abituato a considerarli per principi ereditarj, i
-Visconti, come gli altri tiranni, non dominavano se non
-perchè il potere politico era affidato loro dall’assemblea
-del popolo, nella quale risedeva ancora di diritto la
-sovranità. Vero è che i Visconti la dispensavano dallo
-incomodo di adunarsi, facendo far tutto dai dodici di
-provvisione, presieduti da un vicario nominato dal principe,
-o al più convocavanla per dire di sì. Dal principe
-emanavano gli statuti, diretti spesso a consolidare la
-sua autorità col proibire di portare armi, di fare società
-segrete, o mantenere corrispondenza col papa o
-coll’imperatore, od a volere severa e compendiosa
-giustizia dei ladri e dei ribelli, «e per ribelli s’intendono
-tutti quelli che fanno contro al pacifico stato del
-signore e del Comune di Milano». Il vicario, mentre
-era luogotenente del duca, era pur capo della cittadinanza,
-e intermedio fra questa e quello; doveva essere
-forestiero, o almeno non possedere beni fondi nel
-Milanese; veniva assistito da dodici consiglieri bimestrali,
-tolti in parte dal collegio dei dottori, in parte
-dai mercanti e dai cittadini. Di questo magistrato erano
-competenza la polizia interiore, il commercio, la sanità,
-l’abbondanza, le contestazioni fra i mestieri e per servitù
-locali e mercedi; amministrava le rendite del
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-Comune, i dazj, le regalie d’acque e strade; nominava
-agl’impieghi municipali, sceglieva i podestà, i capitani
-ed altri capi della giustizia nel contado. Esso pure convocava
-il consiglio generale di cencinquanta cittadini
-per ciascuna delle sei porte principali, eletti in prima
-da deputati del popolo, poi dal tribunale stesso di provvisione
-assistito da alquanti savj, infine dal duca. Ogni
-porta aveva stemma e bandiera propria e capitani;
-ogni parrocchia i suoi sindaci, e assemblee elettorali
-e deliberative: ai cittadini spettava la difesa delle mura
-e delle porte. Il potere giudiziale civile spettava al podestà;
-il criminale a un capitano di giustizia: ma costretto
-com’era ad appoggiarsi ad uno dei partiti per
-valere sopra l’altro, restava servo del preponderante,
-cioè del principe.
-</p>
-
-<p>
-Queste consuetudini antiche de’ Comuni, e i privilegi
-feudali, le fazioni, il clero, le maestranze erano limiti
-alla potenza del principe, e sembra che principalmente
-ponessero ritegno al soverchiare delle imposte, giacchè
-questo adopera parole lusinghiere e fin vili allorchè
-domanda qualche nuova tassa. Al che per lo più davagli
-titolo il dover levare truppe, e con queste potea
-soprusare: se poi fosse creato vicario imperiale, esercitava
-i diritti regj: in caso di guerra non avea più
-limiti, come generale dell’esercito: se diveniva capo di
-molte città, non tenendosi queste l’una coll’altra, egli
-si trovava indipendente da tutte, e le une adoprava a
-frenare le altre; le quali conquistate non aveano alcun
-diritto da opporre agli arbitrj di esso.
-</p>
-
-<p>
-Per dare a conoscere il governo d’alcuna delle città
-dipendenti, togliamo ad esempio Como. Vi durava il
-consiglio generale di cento, fra i quali sortivasi un
-consiglio di dodici savj od uffizio di provvisione, per
-amministrare gli affari ordinarj: ne’ casi più rilevanti,
-come per fare statuti, dare la cittadinanza, vendere o
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-impegnare i beni pubblici, raccoglievasi il consiglio
-generale. Ma Gian Galeazzo Visconti cercò sempre assottigliare
-la giurisdizione che questo aveva in materia
-d’ordinanze, pesi, misure, imposte, statuti, i quali vi
-erano stati rinnovati da Azzone.
-</p>
-
-<p>
-Innanzi a detto consiglio appaltavansi le gabelle, e
-un giudice dei dazj con sei ragionieri risolveva le quistioni
-ad essi relative. Un referendario, per l’interesse
-del principe, sovrintendeva ai dazj, alle gabelle, ai
-pedaggi, ed interveniva al consiglio generale; e il primo
-che si trovi, fu del 1387. Quattromila seicento fiorini
-al mese era la quota che Como pagava a Gian Galeazzo.
-Privilegio del fisco era il sale, e l’appaltatore nel 1380
-dovea comprarne quindicimila cinquecento staja dalla
-gabella del principe, il quale poi era suddiviso per
-Comuni e per famiglie, restandone esenti quelli che
-possedessero meno d’una lira di estimo. Il sale allora
-valeva quattro lire di terzoli; ed ogni frode era severamente
-punita.
-</p>
-
-<p>
-Il podestà non era più eletto dalla città, ma spedito
-da Milano<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>, con cento fiorini d’oro al mese, coi
-quali doveva stipendiare un collaterale per la polizia, e
-il vicario e il giudice de’ malefizj, che sosteneano le
-veci sue, questo nelle criminali, quello nelle cause
-civili, nelle quali aveano pari autorità quattro consoli
-di giustizia e due giudici di palazzo, scelti fra i dottori
-di collegio. Ogni sei mesi venivano da Milano censori,
-i quali pure sindacavano i magistrati quando al fine
-dell’anno scadeano. Il governatore era un mero rappresentante,
-nè scemava al Comune l’autorità sopra gli
-uffiziali inferiori e sopra le entrate proprie.
-</p>
-
-<p>
-Bisognava dare un numero di soldati proporzionato
-alla popolazione, e sotto connestabili e con paga; oltre
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-carri e guastatori ed altri servigi da guerra. La cittadella
-era guardata da un comandante: da un capitano
-del lago, sedente a Bellagio, dipendevano i soldati e
-due navi da venti e più remi dette <i>scorrobiesse</i>, per
-inseguire i contrabbandieri e i pirati. Un capo del
-bollo rilasciava i passaporti agli stranieri, sui quali e
-sulle porte, sulle quarantene, sui confini aveva giurisdizione.
-Dal principe pure venivano il giudice delle vettovaglie
-che badava alla bontà dei viveri e delle medicine,
-e i giudici delle strade.
-</p>
-
-<p>
-Quel che parrà strano, nemmeno la perdita della
-indipendenza toglieva le nimistà interne e le divisioni
-per famiglie. A Como nel 1335 furono eletti cinquanta
-uomini della fazione Vitana, cinquanta della Ruscona,
-cinquanta della Lambertenga; e posti i nomi in tre urne
-separate, se ne estraeva uno per ciascuna, formando il
-tribunale dei <i>tre buoni uomini</i>, giudice inappellabile
-delle cause introdotte avanti a qualsifosse magistrato.
-E fin ai tempi di Francesco Sforza si continuò a cernire
-il consiglio metà dalla squadra Vitana, metà dalla
-Ruscona.
-</p>
-
-<p>
-Galeazzo e Bernabò Visconti aveano creduto abbreviare
-e semplificare le liti coll’ordinare che quelle introdotte
-presso qualunque giudice si dovessero, a petizione
-anche d’una sola parte, compromettere in tre
-persone di fiducia, che proferissero senza strepito di
-fôro e inappellabilmente. Ciò dovette cadere in disuso,
-giacchè Gian Galeazzo lo richiamò nel 1382: ma presto
-apparve che questo surrogare l’arbitrio e il buon senso
-della legge peggiorava la giustizia; onde dapprima si
-volle che fra i tre fosse un giurisperito, poi la sentenza
-fosse appellabile, infine si rimisero i giudizj ai magistrati
-ordinarj.
-</p>
-
-<p>
-A questi si andava estendendo la facoltà di procedere
-d’uffizio contro i delinquenti, e non solo per
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-istanza dell’offeso, come già si praticava: il quale accentramento
-della giustizia fu un gran passo verso la
-centralità<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>. E Gian Galeazzo vi servì collo stabilire
-a Milano un consiglio di giustizia, tribunale supremo,
-cui portavasi l’appello dagli altri inferiori; e un consiglio
-segreto che sovrintendeva all’amministrazione,
-avendo dipendenti i magistrati delle entrate ordinarie
-e delle straordinarie, i referendarj della curia ducale,
-i <i>collaterali del banco degli stipendiarj</i> per l’esercito,
-i <i>capitani del divieto dei grani</i> sopra l’annona. Anche
-la nomina ai benefizj ecclesiastici fu tratta al principe,
-salvo al papa il ratificarla: infine esso si arrogò quella
-del gran consiglio e dei dodici di provvisione. L’estendersi
-dello studio del diritto romano cresceva al principe
-l’autorità giuridica, oltre che egli reprimea arbitrariamente
-i frequenti delitti.
-</p>
-
-<p>
-Questo potere dispotico, come nella Roma antica,
-derivava dalla potenza del capitano; e non distruggeva
-le forme repubblicane, ma le privava d’ogni efficacia.
-Al popolo rimaneva ancora il diritto di scegliere il
-principe; e disgustato dell’uno, protestava che, morto
-lui, mai più non ne vorrebbe altro; poi, appena morto
-questo, correva ad eleggerne un altro, anzi il figlio o
-il fratello di quello, per la ragione che suo padre o
-fratello era stato cattivo. Il ragionamento sa di strano,
-ma si fa tutti i dì.
-</p>
-
-<p>
-Per tal modo i Milanesi si erano in cent’anni avvezzati
-a credere necessario il principato, e supporvi quasi
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-un titolo ereditario alla casa Visconti. Se non che poteano
-sempre dir di no; e questo pericolo, per quanto
-remoto, turbava i sonni a Gian Galeazzo, il quale, per
-non tenersi conoscente del titolo all’elezione popolare,
-preferì riceverlo dall’imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Federico Barbarossa a Costanza riconosceva liberi
-i Lombardi: in conseguenza gl’imperatori non aveano
-potere diretto su di essi, nè mai pretesero considerarli
-come un feudo, di cui potessero disporre.
-Quando dunque Galeazzo offrì all’imperatore Venceslao
-centomila zecchini se lo eleggesse duca di Milano, questo
-(1395 maggio) non esitò un istante ad esaudirlo<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>. Galeazzo,
-scaltrito che più dei forni usati da’ suoi predecessori,
-incatenerebbero il popolo le feste, ne preparò di suntuosissime.
-Sulla piazza di Sant’Ambrogio ove si coronavano
-i re d’Italia, il nuovo duca fu messo in trono,
-poi a ginocchi dal messo imperiale ricevette il manto
-e una corona che valea ducentomila fiorini; e canti, e
-messe solenni, cavalcate, giostre, corte bandita, regali
-da non dire, e «allo spettacolo de tanta solennitate vi
-concorse quasi de tutte le nazioni de Cristiani ed anche
-gl’Infedeli, in modo che ciascuno diceva non più potere
-maggiore cosa vedere»<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-</p>
-
-<p>
-Questa Lombardia che vedemmo sminuzzata in tante
-repubblichette quanti erano i Comuni che si governavano
-e amministravano alla domestica, veniva dunque
-a fondersi in un ducato, che, oltre la capitale, comprendeva
-Lodi, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Como,
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-col lago suo e quel di Lugano e con Bellinzona, Bormio
-e la Valtellina, Novara, Alessandria, Tortona, Vercelli,
-Pontremoli, Bobbio, Sarzana, Verona, Vicenza, Feliciano,
-Feltre, Belluno, Bassano colla riviera di Trento,
-Parma, Piacenza, Reggio, Arezzo; inoltre una contea
-in cui Pavia, Valenza, e Casale; e la contea d’Angera,
-titolare dell’erede. Gian Galeazzo possedeva altresì Perugia,
-Nocera, Spoleto, Assisi; oltre Asti ed Alba, che
-diede in dote alle due figlie. E tutto questo paese, divenuto
-retaggio d’una famiglia, passò dappoi a chi avesse
-più forza per occuparlo, o più astuzia e fierezza per
-tenerlo oppresso.
-</p>
-
-<p>
-Forte spiacque ai Tedeschi l’alienazione di questo
-ducato, che essi amavano considerare per feudo imperiale;
-e fu uno degli aggravj di cui più caricassero
-Venceslao quando lo scoronarono (1401). Roberto conte palatino
-sostituitogli dovè promettere di venire in Italia
-e annichilare la sovranità de’ Visconti; sicchè alleatosi
-col signore di Padova, e accomodato di ducentomila
-fiorini da Firenze, spedì ambasciatori a far l’intimata
-a Galeazzo. Questo per tutta risposta si cinse de’ migliori
-capitani di ventura; e Roberto entrato sul territorio
-di Brescia (8bre) che era sorto a rumore, ed assalito
-da Facino Cane e Jacopo Del Verme, provò come la
-cavalleria italiana fosse superiore alla tedesca, la quale
-sarebbe ita in piena rotta se Francesco Novello non la
-sosteneva con uno squadrone italiano. Roberto, perduti
-mille cavalli e molti prigionieri, e abbandonato dai
-vassalli, se ne partì con ignominia (1402).
-</p>
-
-<p>
-Così e l’assalto e la difesa dipendeano da capitani di
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-ventura, de’ quali i migliori tenevasi intorno Galeazzo,
-e per opera loro ricuperò la sempre ribramata Bologna.
-Questa era tuttora divisa fra gli Scacchesi capitanati
-da Gozzadini e Zambeccari, e i Maltraversi che coi
-nobili aveano a capo Giovanni Bentivoglio, il quale (1401) riuscì
-a farsene dichiarar signore. Con ciò Firenze perdeva
-la sua più costante alleata: ma Galeazzo mandò contro
-al Bentivoglio il Del Verme e il Barbiano, e per quanto
-egli si difendesse valorosamente, fu fatto prigione ed
-ucciso (1402 giugno); e Galeazzo, gridato signore, fece al solito
-costruirvi una fortezza.
-</p>
-
-<p>
-Insomma costui finiva di sotterrare le repubbliche
-nostre. Pisa gli era stata venduta da Gerardo Appiano;
-Siena e Perugia lo chiamarono signore, mentre Genova
-si metteva sotto al re di Francia; Roma era peggiorata
-dallo scisma papale; a Napoli la servitù non restituiva
-la pace; Venezia non s’accorgeva della necessità di farsi
-propugnatrice della libertà italiana; sola conservava
-l’alito repubblicano Firenze, ma sentendosi ricingere
-dalle insidie del Visconti, tremava: quando la peste,
-più volte ridestatasi in quel secolo, troncò a Gian Galeazzo
-le ambizioni e la vita di soli quarantanove anni (3 7bre).
-</p>
-
-<p>
-Fu dei più splendidi signori d’Italia, ricco di politici
-accorgimenti quanto povero di valore personale e di
-lealtà, alla libidine del possedere sagrificando giustizia,
-fede, utile de’ popoli, e adoprando mirabilmente gli
-uomini di pace e di guerra. Abile a mascherare la
-servitù, migliorò l’amministrazione coll’arte de’ registri
-e de’ protocolli serviti da interminabili scrivani, computisti,
-notaj: alleviò dai dazj più odiosi, molti scarcerò,
-fece riformare gli statuti, si tenne attorno dotti e letterati,
-quali Baldo giurista, il Fulgoso, Signorolo Amadio,
-Ugo da Siena e Biagio Pelacane matematici, i medici
-Marsiglio da Santa Sofia, Sillano Negro, Antonio Vacca,
-il filologo Emanuele Crisolara, il teologo Pietro Filargo;
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-ridestò l’Università di Piacenza, a quella di Pavia unì
-una biblioteca, fondò un’accademia di belle arti, e raccomandò
-il suo nome a due dei più insigni monumenti
-dell’Alta Italia, il duomo di Milano e la Certosa di Pavia,
-dedicati a Maria nascente e a Maria delle Grazie. Nè
-avrebbe fallito d’insignorirsi di tutta Italia, se non
-avesse trovato sulla sua strada i Fiorentini e Francesco
-de’ Carrara, o quella fatalità che attraversò sempre chi
-vi si accinse.
-</p>
-
-<p>
-A’ suoi funerali, dal palazzo in castello s’avviò una
-processione verso il duomo così lunga, che appena
-si terminò in quattordici ore. Innanzi alla croce venivano
-connestabili, scudieri e cavalieri; e quaranta
-personaggi della famiglia Visconti, ognuno accompagnato
-da due ambasciatori di estere potenze; indi gran
-numero d’altri ambasciadori e nobili forestieri, e dieci
-deputati da ciascuna delle quarantasei città soggette<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>,
-oltre una folla di primati e nobili di queste; poi tutti
-gli ordini religiosi (e non erano pochi), canonici regolari,
-clero secolare, gli abati dei monasteri ed i vescovi
-di tutte le diocesi suddite. Seguivano le insegne della
-città, portate da ducenquaranta uomini a cavallo, cui
-tenevano appresso otto altri pure a cavallo, colle insegne
-ducali, poi due mila persone in gramaglie, con sul petto
-e sulle spalle le armi della vipera, del ducato di Milano
-e del contado di Pavia, ciascuno con grosse torchie alla
-mano. Dietro al clero ed ai canonici della metropolitana
-appariva l’arcivescovo fra’ suoi suffraganei. La
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-bara portavano principali signori forestieri, sotto a un
-baldacchino di broccato d’oro foderato d’ermellini,
-e tutt’intorno cortigiani a bruno, i quali, dodici alla
-volta, sostenevano gli scudi delle insegne e delle imprese
-adottate dal duca. Duemila altre persone in
-corrotto chiudevano la processione. Giunti al tempio e
-fatta l’oblazione di tutti i ceri, delle insegne ducali, delle
-armi e dei cavalli che le portavano, si celebrarono gli
-uffizj di suffragio attorno ad un mausoleo ornato di
-vessilli e bandiere, sovra il quale posava il feretro: nè
-mancava una pomposa iscrizione, attestante le virtù
-che il duca ebbe o doveva avere, e il pianto de’ sudditi
-orbati del padre; frasi per tutti. Finito ogni cosa, il
-corteo fece tragitto al palazzo ducale, ove fu recitata
-una non men pomposa e altrettanto veridica orazione,
-che faceva risalire la dinastia Visconti fino ad Ettore
-ed Enea.
-</p>
-
-<p>
-Avea disposto si recassero le sue viscere a San
-Jacopo di Galizia, le ossa alla Certosa di Pavia, alla
-quale lasciò estesissimi possessi per finirne la fabbrica,
-e poi farne le limosine, che seguitarono finchè l’istituto
-durò. In quel tempio, gli fu dunque eretto un mausoleo
-di marmo bianco, coll’effigie sedente, la storia
-delle sue imprese, e bassorilievi, e gli stemmi di tutte
-le città obbedienti al suo comando: uno de’ più insigni
-monumenti dell’arte italiana. Commines, arguto politico
-e storico francese, colà vide quelle ossa poste più
-alte che l’altare, e udì da un frate intitolarlo santo. «Ed
-io (racconta) gli chiesi all’orecchio perchè mo lo chiamasse
-santo, mentre potea vedere all’intorno le armi
-di molte città da lui usurpate senza diritto; ed egli mi
-rispose sotto voce: <i>Noi in questo paese chiamiamo
-santi tutti quelli che ci fanno del bene</i>»<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gian Galeazzo lasciava due figliuoli in piccola età: a
-Gian Maria legò il ducato dal Ticino al Mincio, oltre
-Bologna, Siena, Perugia; a Filippo Maria il contado
-pavese, col resto del territorio; Pisa e Crema staccò
-pel bastardo Gabriele Maria: ma potea dire come
-Pirro, — Lego il mio scettro a chi ha miglior fendente
-di spada». La tutela affidò a Caterina Visconti sua vedova
-e a diciassette personaggi, fra cui i celebri condottieri
-Del Verme, Barbiano, Pandolfo Malatesta,
-Antonio d’Urbino, Francesco Gonzaga, Paolo Savelli,
-sperando sarebbero puntelli alla debolezza de’ bambini,
-e quasi dovessero stare obbedienti a un fanciullo come
-erano stati a lui. Valorosi in opere di battaglia quanto
-inetti al governo e scarsi di fede, i condottieri non più
-s’accontentavano di paghe, e volevano qualche città o
-territorio dove svernare: Giovanni da Pietramala occupò
-Narni; Rinaldo Orsini, Aquila e Spoleto; Boldrino
-da Panicale, molte terre della Marca; Biordo dominò
-Perugia, Todi, Orvieto, Nocera; il Broglia Assisi; altri
-altre terre, che poi non potendo tenere, vendevano ai
-Comuni o ai principotti vicini. Questi talora se ne sbarazzavano
-coll’assassinio, come fece il marchese di
-Macerata uccidendo Boldrino. I suoi mossero a vendicarlo
-con ferocia, sinchè Firenze s’interpose, facendoli
-soddisfare con dodicimila fiorini, e col restituire il
-cadavere del loro condottiero, che in una cassa essi
-portarono lungamente a capo dello stuolo.
-</p>
-
-<p>
-I contutori di Gian Maria sdegnavano sottostare a
-una donna e a Francesco Barbavara di lei favorito,
-presidente della reggenza; e la discordia impacciava i
-consigli, mentre i nemici repressi rialzavano il capo;
-Guelfi e Ghibellini, di cui fin il nome erasi proscritto,
-rinvelenivano, e non più per le antiche cause della
-Chiesa e dell’Impero, ma per isfogo d’odj e di stillate
-vendette. Il Carrarese aguzza le armi non mai deposte;
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-papa Bonifazio IX e i Fiorentini s’intendono per sottrarre
-ai Visconti Siena, Perugia, Pisa, Bologna; il
-Barbiano, accettato il comando dell’esercito fiorentino,
-ricupera al papa Assisi e Perugia; gli altri condottieri
-s’avacciano di spartire fra sè un dominio ch’essi medesimi
-aveano procacciato a quella casa. Era una riazione
-federale contro l’unità milanese.
-</p>
-
-<p>
-Arte e fermezza adoprò Caterina al riparo, e con
-sanguinose esecuzioni sgomentò i Milanesi, che istigati
-da altri Visconti, dai Porri, dagli Aliprandi, eransi
-mossi a tumulto per imporle nuovi consiglieri. Ma
-tutte ormai le città aveano scossa la dipendenza, e
-qualche tiranno vi prevaleva sulle famiglie e sulle fazioni.
-I Guelfi, secondati dai Valcamuni, mandano Brescia
-a tale strazio, da vendersi fin carne di Ghibellini;
-ma Pietro Gambara, di cui s’erano macellati due figlioletti,
-raccolse armi e consorti a Salò, ed entrato in
-città prese così sanguinose vendette, che la puzza dei
-cadaveri contaminò lungamente l’agro bresciano e il
-cremonese. I Guelfi pigliano il sopravvento a Lodi con
-Giovanni de’ Vignati, a Piacenza e a Bobbio cogli Scotti
-e coi Landi; i Ghibellini trionfano a Como con Franchino
-Rusca, a Bergamo coi Suardi, a Cremona con
-Giovan Ponzone, poi con Ugolino Cavalcabò; infine
-Gabrino Fondulo convita i Cavalcabò e i principali del
-paese e li fa scannare, e guadagna così un posto fra i
-principi. Intanto i baroni di Sax nella Mesolcina occupano
-Bellinzona; Vicenza si dà ai Veneziani.
-</p>
-
-<p>
-Caterina riesce a far pace col papa, che venne a recuperare
-Bologna e Perugia: i Fiorentini, querelandolo
-d’averli abbandonati, continuano la guerra e liberano
-Siena; ma Gabriele Maria Visconti conserva Pisa alleandosi
-al maresciallo Boucicault, allora vicario di Francia
-a Genova; poi la vende per ducentoseimila fiorini (1405 giugno), che
-gli sono frodati da quell’avaro francese, il quale accusatolo
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-a Genova di tradimento, lo manda al patibolo.
-</p>
-
-<p>
-A Caterina fu grande appoggio Facino Cane. Costui,
-dell’antica stirpe dei Cani di Monferrato, avea servito
-gli Scaligeri di Verona, e rimasto prigione alla battaglia
-di Castagnaro, accettò stipendio dai Carraresi, pei
-quali menò inesorabile guerra nel Friuli; assistè al
-marchese di Monferrato contro i signori di Savoja con
-tal fortuna, che quello l’infeudò di Borgo San Martino.
-Devastando il Piemonte fino ad Ivrea, crebbe nella stima
-di Gian Galeazzo, che gli diede a governo Bologna appena
-l’ebbe riacquistata. Col feroce diritto di un comandante
-militare egli vi si mantenne; e quando, morto il
-duca, ebbe ordine di cederla all’esercito pontifizio, per
-togliere la voglia d’inseguirlo pose il fuoco a trecento
-case. Dritte allora le bande sue contro dei rivoltosi,
-devastò quant’è da Parma a Cremona; Alessandria abbandonò
-ad orribile saccheggio, poi se ne fece signore,
-tenendo anche il contado di Biandrate. Pandolfo Malatesta,
-cognato della reggente, reclamava i soldi maturati;
-ond’essa l’inviò a depredare Como, dov’egli si
-pose governatore, come si sottomise Bergamo e Brescia,
-fondandovi un’altra signoria guelfa.
-</p>
-
-<p>
-Ma questa fazione perdeva allora un gran capo. Francesco
-Novello de’ Carrara sodatosi in Padova, e conciliatosi
-con Guglielmo bastardo di casa della Scala, gli
-avea dato mano nel recuperare Verona; poi come questo
-morì (1404 7 aprile) (dissero di veleno), Francesco Novello se la prese (maggio),
-a scapito de’ figli di esso, Antonio e Brunoro, e della
-Visconti. Ma già i Veneziani, istigati dalla duchessa,
-aveano rotta guerra al Carrarese assoldando il Malatesta,
-il Savelli ed altri condottieri; e per quanto egli
-raddoppiasse d’attività, il numero superiore de’ nemici
-e la peste lo costrinsero a cedere (1406). Recatosi a Venezia,
-ivi fu sostenuto, e dai Dieci condannato al patibolo coi
-suoi figliuoli, e bandita una taglia sul capo dei due che
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-eransi salvati in Firenze, e Carlo Zeno, il più grande
-uomo di Venezia, accusato d’aver ricevuto quattrocento
-ducati dal Carrarese, benchè adducesse non esser quelli
-che la restituzione d’un prestito, nè stesse altra prova
-contro della sua illibatezza, fu escluso d’ogni impiego
-e condannato a due anni di prigionia. I figli di Guglielmo
-della Scala, sottrattisi dal carcere in cui gli avea
-chiusi il Carrarese, chiesero venir restituiti nel possesso
-di Verona; e la Signoria veneta rispose col mettere
-a prezzo la loro testa. San Marco trovossi possedere
-Treviso, Feltre, Belluno, Padova, Vicenza, Verona: funesti
-acquisti, che lo mescolarono alle vicende italiane;
-e subito fu costretto difenderli contro dell’imperatore
-Sigismondo, che avea mandato a invadere il Friuli
-Filippo Scolari fiorentino, da lui creato span e perciò
-detto Pippo Span.
-</p>
-
-<p>
-Fra tanti nemici esterni ed interni la duchessa di
-Milano non credea poter sostenersi che collo sgomento;
-e un giorno fece trovare davanti a Sant’Ambrogio (1404 8bre) cinque
-cadaveri, vestiti di nero e senza testa. Il popolo,
-invece d’atterrirsi, s’indigna, caccia lei col Barbavara
-suo favorito: Gian Maria dichiarato maggiore, la fa
-imprigionare, e forse uccidere; poi, per iscagionarsi
-del parricidio, ne imputa Giovanni Pusterla castellano
-di Monza, lo fa sbranare con tutta la famiglia da’ suoi
-cani, e perchè questi parvero intenerirsi all’aspetto d’un
-costui figlio dodicenne, ordinò di scannarlo.
-</p>
-
-<p>
-Imperocchè Gian Maria non pareva aspirare all’autorità
-che per ordinare supplizj; e resisi amici i soldati
-e i cortigiani col tollerarne le trascendenze, la diede
-per mezzo a tutte le sevizie e lubricità; teneva cani
-addestrati a saltare alla vita di chi esso accennava, e
-collo Squarciagiramo suo canattiere andava la notte per
-città aizzandoli or su questo or su quello. Feroce coi
-sottomessi, codardo coi forti, dalla tirannia de’ condottieri
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-non sapeva schermirsi col congiurare. Per soldare
-le costoro bande voleansi denari, ed egli ne estorceva
-senza badare a qual modo, sino a proibire di rendere
-giustizia a chi non avesse pagato le taglie; appaltò non
-solo le regalie, ma i beni suoi allodiali alla città, patto
-che questa gli desse sedicimila fiorini il mese, di cui
-duemila per sè e la corte, il resto ai soldati: eppure
-que’ mercenarj derubavano le case signorili, i mercanti,
-le barche sul Po. Si volle darne colpa ai consiglieri,
-e per costringere il duca a mutarli, Facino Cane
-e Pandolfo Malatesta batterono le sue guardie e lui assediarono
-in città, dal castello scaricandogli bombe e
-cannoni, invenzione nuova e perciò meno micidiale, ma
-più spaventosa. Se n’indignò il Del Verme, capitano di
-morali sentimenti, e risoluto di risarcire l’autorità del
-duca, sconfisse Facino (1407); ma avea dovuto valersi delle
-bande del feroce Ottobon Terzo signore di Parma e
-Reggio, il quale in compenso della vittoria domandò
-di saccheggiare Milano; e perchè il Del Verme si oppose,
-uscì ad osteggiare Guelfi e Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-A Milano tutto era sgomento, disordine, sangue. Una
-affollata di poveri gridando <i>Pace pace</i> si strinse attorno
-al duca che cavalcava, ed esso li fece assalire da’ suoi
-seguaci, talchè duecento ne perirono; e proibì di proferir
-la parola pace, nemmanco nella messa. Eppure fu
-costretto cercarla, rimovere i suoi istigatori, perdonare
-a’ Ghibellini, e ricevere un governatore di questi e uno
-de’ Guelfi.
-</p>
-
-<p>
-Il Del Verme, disperando del paese natìo, passò al
-soldo de’ Veneziani, e perì combattendo i Turchi. Facino
-Cane, conte di Biandrate, signore di Tortona, Novara,
-Vercelli, Alessandria e delle rive del lago Maggiore,
-rapì a Filippo Maria la reggenza di Pavia dopo che
-l’ebbe mandata a sacco, costrinse Gian Maria a cedergli
-anche quella di Milano, e teneva entrambi non
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-solo in soggezione ma in istrettezza fin del necessario.
-Accingevasi a togliere Bergamo e Brescia al Malatesta,
-quando si malò a morte. A quest’avviso i Milanesi ghibellini,
-come Mantegazza, del Majno, Pusterla, Trivulzj,
-Baggio, Concorezzo, Aliprandi, si sbigottirono di dover
-trovarsi nuovamente in arbitrio del tiranno, che a tutti
-aveva ucciso o il padre o i fratelli, sicchè strettisi insieme
-a congiura, nella chiesa di San Gotardo (1412 16 maggio), trucidarono
-Gian Maria. Avea ventiquattr’anni; e solo una
-meretrice gittò qualche fiore sul colui cadavere; lo
-Squarciagiramo fu trascinato a strapazzo, poi alla forca.
-</p>
-
-<p>
-Quel giorno stesso Facino spirava<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>; e tosto i
-costui soldati occupano Pavia per sicurtà delle loro paghe;
-Astorre Visconti, bastardo di Bernabò, detto il
-soldato senza paura, si rende padrone di Milano; signori
-d’ogni parte si riaffacciano per recuperare gli antichi
-dominj; ma Filippo, che sin allora era parso
-neghittoso e dappoco, allora con meravigliosa operosità
-s’accinge a recuperare le avite appartenenze. Dove consisteva
-il punto capitale? nell’assicurarsi i venturieri.
-Beatrice Tenda, vedova di Facino, aveva ereditati dal
-marito estesissimi possessi, il dominio di Tortona, Novara,
-Vercelli, Alessandria; toccava i quarant’anni,
-Filippo venti: che importa? e’ la chiede sposa, e con
-essa acquista quattrocentomila zecchini e gli antichi
-partigiani del marito. Con questi ritoglie di viva forza
-Pavia e Milano agli usurpatori, manda al supplizio gli
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-uccisori del fratello, combatte Astorre Visconti che rimane
-ucciso in Monza, e riceve il giuramento di fedeltà.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Bussone, illustre sotto il patrio nome di
-Carmagnola, con null’altro che colla spada salito, da
-contadino che era, fino ai primi onori, fu principale
-stromento di vittorie a Gian Maria prima, poi a Filippo,
-al quale sottopose in breve Lodi (1416), i cui signori Vignati,
-chiamati a Milano a titolo di conferenza, furono messi
-al supplizio; Pavia, dove uccise in carcere Castellino
-Beccaria e fece appiccare suo fratello Lancillotto; Como,
-che il Rusca cedeva riservandosi la contea di Lugano;
-indusse il Malatesta a vendere al duca Brescia e Bergamo;
-così Cremona il Fondulo per quarantamila ducati,
-e il fondo di Castelleone; Crema, Giorgio Benzone;
-Rinaldo Pallavicini, San Donnino. Ottobon Terzo, che
-brutalmente tiranneggiando Parma e Reggio, erasi fatto
-terribile dovunque menasse le assassine sue bande, fu
-chiesto a parlamento dal marchese d’Este, e quivi trucidato
-dallo Sforza; e il suo cadavere andò a brani, e
-v’ebbe persino chi ne mangiò. Nicolò d’Este, per tener
-Reggio, cedette Parma al duca (1418). Piacenza fu sostenuta
-da Filippo Arcelli, gentiluomo di valor eccellente, che
-raccolti quanti Filippo avea spossessati acciò facessero
-causa comune, recò accannita guerra al Carmagnola.
-Questi, col supplizio della moglie e del figlio dell’Arcelli
-prigionieri, prese Piacenza; ma vedendo non poterla
-conservare, obbligò gli abitanti a uscir tutti colle
-robe, sicchè il nemico non trovò che deserto, e per un
-anno tre soli abitanti s’annidarono in quella solitudine,
-finchè il duca di Milano l’ebbe e la ripopolò. Per tal
-modo Filippo, non provveduto di valore, ma di destrezza
-molta e di eccellenti capitani, reintegra non solo
-ma amplia il ducato, e domina dai confini del Piemonte
-a quelli del papa, dal San Gotardo al mar Ligure, dove
-presto allargò la sua signoria.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap113-10">CAPITOLO CXIII.
-<span class="smaller">Venezia e Genova. Guerra di Chioggia.
-Venezia ricresce, Genova si perde.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-In Venezia il tempo aveva consolidato il potere della
-nobiltà, che affatto dedita alla politica, v’acquistò tanta
-attitudine, quanta i feudatarj nell’esercizio delle armi, e
-seppe cattivarsi l’opinione in modo, che questa più non
-si mise a contrapposto del potere, ma vi andò in coda.
-Alla classe media rimasero per ristoro i traffici, che
-guidava dall’India ai Paesi Bassi, dalla Barberia al Baltico.
-La metropoli conteneva cennovantamila persone:
-le case furono estimate sette milioni di ducati, che oggi
-rispondono a trenta milioni di lire; e le pigioni ducati
-cinquecentomila. La zecca coniava l’anno un milione di
-zecchini, dugentomila monete d’argento e ottocentomila
-soldi, gettando in corso ogni anno diciotto milioni
-effettivi di lire nostre. In meno d’un decennio fu spento
-un debito di quaranta milioni di zecchini, oltre prestarne
-settantamila al marchese di Ferrara. Passavano
-il migliajo i nobili che possedevano di rendita da quattro
-a settantamila zecchini; eppure con tremila aveasi
-un bel palazzo<a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>. Mastin della Scala, perduta Padova,
-chiese d’essere ascritto al libro della nobiltà veneta;
-poco poi vi furono i Carraresi; e sempre un tale onore
-venne ambito dai principi.
-</p>
-
-<p>
-Alle vicende d’Italia ormai prendea briga Venezia
-non più come straniera, ma come potentato italiano; e
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-poichè i principati costituitisi nell’alta Italia poteano
-divenirle minacciosi, dovette anch’essa acquistarvi stato
-per equilibrarli, e per mantenersi libera la navigazione
-del Po. Se la assicurò di fatto nella guerra che narrammo
-contro gli Scaligeri; e dopo impossessata di
-Treviso in terraferma, via via prosperò di dominj e di
-traffici. Ne’ possessi marittimi invece andava in calo, sì
-per l’avanzarsi de’ Turchi, sì per le guerre con Genova,
-la quale, vinti i Tartari, aveva ottenuto che nessuna nave
-d’Occidente potesse far porto in altro luogo del mar
-Nero che a Caffa sua; imprese che noi riserviamo a
-narrare nel libro seguente.
-</p>
-
-<p>
-Se n’adontarono i Veneziani, e allestirono nuove battaglie,
-in procinto delle quali Francesco Petrarca scriveva (1351)
-al doge Andrea Dandolo: — L’antica amistà nostra
-e l’amore della patria comune mi confortano a ragionare
-apertamente con voi. Corre voce che due libere
-città s’accingano a farsi guerra a morte. E quali città!
-i due lumi d’Italia, collocati dalla natura agli opposti
-estremi dell’Alpi per signoreggiare i mari che la circondano,
-e perchè dopo l’abbassamento del romano
-imperio la miglior parte del mondo ne sia ancor la
-regina. Nazioni altere osano disputarle in terra il primo
-luogo; ma chi oserebbe in mare? Se Venezia e Genova
-ritorcono in se stesse l’armi, fremo in pensarlo, tutto è
-perduto, e imperio marittimo e gloria nazionale; chiunque
-sia il vinto, è forza che l’uno de’ nostri lumi si
-estingua e l’altro s’indebolisca. Non serve illudersi; non
-sarà mai facile vincere un nemico d’indole bollente e,
-ciò che più vale, italiano. Uomini valorosi, popoli potenti
-entrambi, quale è lo scopo, quale sarà il frutto
-delle vostre discordie? Il sangue onde siete assetati,
-non è di Arabi o d’Africani; ma sangue di un popolo
-a voi congiunto, di un popolo che farebbe scudo alla
-patria comune ove nuovi Barbari l’assalissero, di un
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-popolo nato a vivere, a combattere, a trionfare, o morire
-con voi. Il piacer di vendicare un’offesa leggera
-potrebb’egli più che il pubblico bene, più che la salute
-di voi stessi? E pure, se mi si dice il vero, per meglio
-saziare il vostro furore, voi vi siete collegati col re di
-Aragona, i Genovesi col greco usurpatore; cioè Italiani
-implorano l’ajuto de’ Barbari per offendere altri Italiani.
-Madre infelice! che fia di te, se i tuoi proprj
-figliuoli stipendiano mani straniere per lacerarti il seno?
-Noi insensati, che aspettiamo da anime venali ciò che
-potremmo ricevere da’ nostri fratelli. Ben provvide natura
-al nostro schermo steccandoci coll’Alpi e col mare:
-ma avarizia, invidia, superbia hanno rotto quelle barriere;
-e Cimbri, Unni, Tedeschi, Francesi, Spagnuoli
-inondarono i nostri dolci campi. Che fia di noi, che
-dell’Italia, se Venezia e Genova non fanno argine al
-nemico torrente? Prosternato, pieno gli occhi di lagrime
-e d’amarezza il cuore, io vo gridando, Deponete
-l’armi civili, ricambiatevi il bacio della pace, unite gli
-animi vostri e le bandiere. Così l’Oceano e l’Egeo vi
-siano favorevoli, e le vostre navi giungano prosperamente
-a Taprobana, alle isole Fortunate, a Tule incognita,
-e fino a’ due poli! I re e i popoli più lontani vi
-verranno incontro, i Barbari dell’Europa e dell’Asia vi
-paventeranno, e la nostra Italia si chiamerà a voi debitrice
-dell’antica sua gloria».
-</p>
-
-<p>
-Per tutta risposta ebbe lodi della sua eloquenza; nè
-miglior esito conseguì l’anno seguente scrivendo ai Genovesi,
-con altrettanto di gonfiezza ma insieme d’amore
-per l’Italia: — Illustre doge, magnifici anziani, permettete
-che esorti voi, come dianzi esortavo i Veneziani,
-alla concordia e alla pace: uffizj naturali e quasi necessarj
-al mio cuore. Non esiste popolo più formidabile in
-guerra, più mansueto in pace di voi; tutte le terre ove
-combatteste, tutti i mari da voi veleggiati testimoniano
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-i vostri trionfi. Il Mediterraneo venera le vostre bandiere,
-l’Oceano le paventa, e il Bosforo è ancor tinto
-del sangue dei vostri nimici. Chi può senza raccapriccio
-leggere od ascoltare i successi di quell’ultima battaglia,
-nella quale a un sol tempo vinceste tre potenti nazioni?...
-Quantunque discreduto da loro quando era ancor tempo
-di consigliarli, io sento al vivo i disastri de’ Veneziani.
-Sentiteli pur voi, o Genovesi, e riflettete che gli uni e
-gli altri siete italiani, nè gravezza d’ingiuria vi disunì.
-Riconciliatevi dunque con essi, e se vi piace combattere,
-rivolgetevi contro i perfidi consiglieri delle vostre discordie;
-quindi passate a liberar Terrasanta, benemeritando
-del mondo e della posterità. Sebbene io dalle
-cose passate pronosticando le future, son d’avviso che
-a voi convenga, dopo vinti i nimici esteriori, provvedere
-al pericolo degl’interni. Roma non potè esser vinta
-se non da Roma: e ciò avverrà pure a voi, se non vi
-applicate a conciliare gli animi de’ vostri cittadini, massimamente
-quando sollevati dall’aura della fortuna.
-Mille sono gli esempj di città per odj civili distrutte;
-nessuno più sensibile del vostro. Ricordivi quando eravate
-il popolo più felice della terra; il vostro paese
-somigliava a un paradiso. Dal mare vedeansi torri che
-parevano minacciare il firmamento, poggi vestiti di
-ulivi e di melaranci, magioni marmoree sulle pendici,
-deliziosi recessi fra gli scogli, ove l’arte vincea la natura,
-e alla cui vista i naviganti sospendevano i remi per
-riguardare. Chi venisse per terra, meravigliando vedeva
-uomini e donne regalmente vestiti, e fino tra boschi e
-monti delizie incognite nelle reggie. Entrando nella
-vostra città pareva di mettere piede nel tempio della
-Felicità, e si proferiva come già di Roma: <i>Questa è
-una città di re</i>. Testè vinte avevate Venezia e Pisa: e
-i vostri vecchi vi diranno qual impressione ne venisse,
-qual timore ne’ porti, qual venerazione ne’ popoli, quali
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-acclamazioni nelle riviere al comparire delle vostre armate.
-Signori del mare, appena che alcuno veleggiasse
-senza vostra licenza. Scendete poi colla memoria a quei
-tempi infausti, che l’orgoglio, l’ozio, la discordia, l’invidia,
-compagni inseparabili della prosperità, allignarono
-fra voi, e, ciò ch’era stato impossibile a umana forza,
-vi resero schiavi. Qual mutamento subitaneo! i palazzi
-divennero ricoveri d’assassini; le belle riviere e la
-città superba si fecero incolte, deserte, sformate, rovinose;
-la patria vostra fu assediata da’ suoi stessi fuorusciti;
-si combattè intorno alle sue mura per terra e per
-mare non solo, ma fin sotto terra; nè la guerra più
-crudele ha flagelli, che non piovessero tutti su lei. Finalmente
-vi piacque di riordinare lo Stato, dando alla
-repubblica un capo; e allora fu che le discordie si
-estinsero, la guerra cessò, e sicurezza e abbondanza e
-giuste leggi tornarono fra voi. Valga la trista esperienza
-a tenervi uniti, e per assicurarvi da nuove calamità
-siate equi, moderati, clementi».
-</p>
-
-<p>
-Queste generose parole purtroppo in nessun tempo
-è superfluo ripetere in Italia, sebbene troppo spesso infruttuose<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>.
-Nè allora giovarono, e i mari nostri e
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-d’Oriente si tinsero di sangue, e fino al 1355 la guerra
-vegghiò, molto più deplorevole che non quella fra paesi
-di terra, sì perchè di natura sua micidiale, sì perchè
-menata con cittadini, non con bande mercenarie. Nè
-durar pace lasciavano le rivalità delle due repubbliche
-in Oriente; donde vennero nuovi e più funesti conflitti.
-</p>
-
-<p>
-Dopo la rivoluzione (1328), che sul trono di Costantinopoli
-ad Andronico Paleologo II surrogò il ribelle nipote Andronico
-III, i Genovesi eransi fatto cedere da quest’imperatore
-l’isola di Ténedo; ma i Veneti diedero
-appoggio agli abitanti che ricusavano sottomettersi al
-baratto. Di qui mali umori, sfogati (come vedremo) in
-battaglie oltremarine, e che rinvelenivano ad ogni pretesto.
-Essendo stato ucciso Pietro di Lusignano (1372) re di
-Cipro, nella coronazione di Pierino suo successore
-pretesero la precedenza Veneziani e Genovesi; e venuti
-alle armi, molti Genovesi rimasero scannati. Genova
-spedì a vendetta Damiano Catani, che trucidati i Veneziani,
-e preso il re e il paese, l’obbligò d’un tributo di
-quarantamila fiorini annui. Il Lusignano buttossi allora
-coi Veneziani (1379), e ne cominciò la guerra di Cipro, secondata
-da leghe delle potenze terrestri. Bernabò Visconti,
-suocero del re di Cipro, soldava contro Genova la
-compagnia della Stella, che danneggiò fin i giardini e i
-palazzi di Albáro e di San Pier d’Arena, finchè i Bisagnini
-la presero in mezzo, e costrinsero a rendersi a
-discrezione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-</p>
-
-<p>
-Instancabile nemico ai Veneziani era Francesco Carrara
-signor di Padova: una volta egli arrivò a far rapire
-dalle loro case i senatori a sè avversi, e condurli a Padova,
-dove rimbrottatili aspramente, e fatto intendere
-che, se gli avea rapiti, più facilmente potea farli ammazzare,
-li dimise incolumi, ma giurati di tacere. Contro
-Venezia non aveva esitato a chiamare il re d’Ungheria
-e i duchi d’Austria, ai quali cedette Feltre e
-Cividal di Belluno; e adoprare a vicenda le masnade e
-i tradimenti: però essendo caduto prigione dei Veneziani
-il vaivoda di Transilvania, gli uomini di questo
-ricusarono di combatter più sinchè non fosse redento,
-onde il Carrara dovette colla corda al collo implorare
-la pace. Ora, profittando delle strette di Venezia, rinnovò
-le ostilità, appoggiato agli Austriaci, agli Ungheresi
-e al patriarca d’Aquileja, che flagellarono il paese
-colle masnade. L’ammiraglio veneto Vittor Pisani menò
-lungamente sui mari alla vittoria il leone; al promontorio
-d’Anzio, a Trau di Dalmazia vinse; e non giungendo (1378)
-le paghe ai soldati, impedì se ne rifacessero col
-rubare, ma distribuì giorno per giorno ogni suo denaro,
-poi gli argenti da tavola, infine una fibbia che gli
-restava alla cintura.
-</p>
-
-<p>
-Ma una volta il Carrara potè sorridere (1379 9 maggio) nel ricevere
-questo spaccio: — Magnifico e potente signore. Addì
-3 del corrente maggio uscimmo di Zara con ventidue
-galee, veleggiammo verso il golfo secondo un avviso
-che i nimici venivano di Puglia con grano; e trovandoci
-sopra il porto di Pola il dì 5, due galee dell’antiguardia
-li scopersero quivi in agguato, numerosi di
-ventidue galee e tre grosse navi da dugencinquanta
-uomini ciascuna, oltre le solite ciurme, e molti uomini
-d’arme e venturieri assoldati per guardia della città.
-Avendo fra noi disegnato di non venir tosto a battaglia,
-acciò che in tanta vicinanza di terra non si salvassero
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-a nuoto, fingemmo timore, e vogammo al largo; ond’eglino
-si misero a seguitarci. Scostati appena tre miglia
-dal lido, ci voltammo contro loro sì virilmente, che in
-un’ora e mezzo la vittoria era già nostra; in nostro
-potere quindici galee con tre navi cariche di seimila
-mine di grano; prigioni duemila quattrocento, morti
-da sette in ottocento; ma il signor Vettore Pisani ci
-sguizzò dalle mani con sette galee assai malarrivate.
-Dopo il combattimento spiccammo sei galee contro i
-legni da carico ancorati nel porto di Pola; ma avendoli
-trovati in secco sotto le torri della città, non presero
-che una fusta di munizioni. Siam giunti a Zara il dì 8
-vittoriosi e senza perdita notabile, salvo la morte dell’egregio
-nostro capitano Lucian Doria (1379), trafitto in bocca
-da una lancia nel caldo della battaglia. Per gratitudine
-al suo parentado gli surrogammo il signor Ambrogio
-Doria, secondo il parere di tutti i capi dell’armata. Ai
-venturieri pagati da’ Veneziani mozzammo il capo; i
-cadaveri si gittarono a mare»<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il consiglio di guerra tacciava Vittor Pisani di vile
-perchè non accettasse la battaglia; quando combattè e
-fu vinto, lo dissero traditore; e quantunque avesse intrepidamente
-disputato la vittoria, fu richiamato in patria
-e messo prigione, nel mentre i Genovesi al nuovo
-ammiraglio Pietro Doria nello scioglier delle vele gridavano — A
-Venezia, a Venezia». Di fatto Genova,
-ricuperate le piazze di Dalmazia tolte dai Veneziani, e
-attaccatone le colonie di Rovigno, Umago, Grado,
-Caorle, mentre avea destra la fortuna pensò con un
-colpo estremo ridurre l’emula alle paludi natìe.
-</p>
-
-<p>
-Le isole su cui torreggia Venezia sorgono dalla laguna
-che si stende dalle bocche del Piave a quelle
-dell’Adige, separata dal mare per un banco di arena,
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-che appena in pochi luoghi dà a navi grosse il passo,
-intrattenuto dall’arte e dall’arte munito. Il più settentrionale
-è quel de’ Treporti a tramontana dell’isola di
-Sant’Erasmo, atto solo a piccole imbarcazioni. Fra
-Sant’Erasmo e Lido apresi quello di San Nicolò, ed
-era il principale, munito di torri, fra le quali talvolta
-tendeasi una catena. Il passo di Malamocco fra quest’isola
-e Palestrina è il più profondo: poi tra Palestrina
-e Bróndolo è quello di Chioggia, denominato dalla città
-ivi posta al vertice di un’isola che s’attacca alla terraferma
-sol per un ponte: gl’interri dell’Adige e del
-Brenta rendono difficile l’altro passaggio fra Brondolo
-e il continente. Un canale a gran fatica mantenuto attraversava
-la laguna fra Venezia e Chioggia.
-</p>
-
-<p>
-E appunto a Chioggia gettò l’àncora (1379 agosto) una flotta genovese
-numerosissima e co’ migliori marinaj; espugnatala
-coll’uccidere seimila Veneziani e catturarne quattromila,
-pose il quartier generale s’un’estremità dell’isola di
-Malamocco; e comunicando per terra coll’alleato padovano,
-circondava la città nemica. Questa, senza alleati,
-penuriava di vettovaglie; il tesoro era esausto; benchè
-fossero munite le poche aperture fra il mare e le lagune,
-galee genovesi si erano vedute giungere fino a
-Lido, sicchè il doge Andrea Contarini avea sin proibito
-di convocare il consiglio col tocco del campanone di
-San Marco, acciocchè il nemico non udisse quel segno,
-e fu posto in discussione se convenisse abbandonare
-Venezia, e trasportare a Creta la sede della repubblica.
-Il Carrara esultava dell’umiliazione dei nobiluomini.
-L’ammiraglio Doria ai veneti ambasciadori mandati per
-pace rispondeva: — Perdio che non ascolterò patti
-finchè non abbia messo il freno ai cavalli di San Marco»;
-e quando gli si propose di riscattare alcuni prigionieri: — Fra
-pochi giorni li redimerò senza denaro».
-</p>
-
-<p>
-Non si trattava dunque d’ambizioni di nobili, ma di
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-interesse del popolo: e il popolo non si scoraggia, solo
-ha bisogno d’uno che lo diriga, e in cui abbia confidenza;
-laonde ridomanda l’antico Pisani, sotto cui era
-stato avvezzo a vincere, e a cui la sventura avea cresciuto
-popolarità. Ed egli dai sotterranei del palazzo
-udendo migliaja di voci gridare, — Se volete che combattiamo,
-rendeteci il nostro ammiraglio, Viva Vittor
-Pisani»; si sporge alla ferrata, e — Zitti là; non dovete
-gridar altro se non Viva San Marco».
-</p>
-
-<p>
-L’invidia tace quando l’ambizione è pericolosa: e il
-Pisani, tratto di carcere a braccia di popolo, respingendo
-i consigli di chi lo stimolava a insignorirsi dell’ingrata
-patria, ricevendo l’eucaristia giura che non
-terrà conto a’ suoi emuli della fattagli persecuzione;
-munisce l’argine di Malamocco ed ogni varco; invita
-tutti a concorrere alla salvezza della patria; i frati
-prendono le armi; e se un Morosini speculò sulle angustie
-cittadine per comprare case a vil prezzo, altri
-nobili attrezzarono trentaquattro galee a proprie spese;
-un Paruta cuojajo pagò mille soldati; uno speziale Cicogna
-diede una nave; semplici artigiani metteano insieme
-cento, ducento uomini; il doge settagenario monta sulla
-flotta coi principali pregadi: si promette ascrivere al
-libro d’oro i trenta plebei che più denaro offriranno, e
-molti infatti porgono il più e il meglio delle loro sostanze<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>,
-talchè Venezia trova modo a’ suoi bisogni.
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-Oh, Venezia conosce come si resiste al nemico. Il Pisani
-seppe frenare il primo impeto finchè avesse esercitato
-la ciurma inesperta, e non fosse tornata di Grecia la
-flotta di Carlo Zeno; unitosi colla quale, non solo allarga
-Venezia, ma sbaraglia e blocca nel porto di Chioggia (1380 gennaio)
-l’armata genovese, con barche affondate chiudendo
-le tre uscite: le bombe, allora forse adoprate la prima
-volta in mare, e che spingeano palle di pietra di cencinquanta
-in ducento libbre, giocavano radamente ma
-terribilmente contro ripari fabbricati per tutt’altri projetti;
-lo stesso Doria rimase sfracellato sotto il crollo
-d’un muro; e la flotta dopo sei mesi d’assedio è obbligata
-rendersi a discrezione (21 giugno).
-</p>
-
-<p>
-La guerra per altro si prolungò, e Carlo Zeno, sostituito
-al morto Pisani, menava le navi più a guasto che
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-a vittoria; mentre l’implacabile Francesco Carrara dirizzava
-gli Ungheresi sopra Treviso, che i Veneziani
-non salvarono se non cedendolo al duca d’Austria.
-</p>
-
-<p>
-Alfine a Torino (1381 8 agosto), sotto gli auspizj di Amedeo VI di Savoja,
-fu conchiusa la pace, per cui la repubblica si obbligava
-a pagare annualmente al re d’Ungheria settemila
-ducati; ma Ungheresi non farebbero sale sulle coste, nè
-navigherebbero più nessuno de’ fiumi che sboccano
-nell’Adriatico fra capo Palmenterio e Rimini; e i mercanti
-di Dalmazia non asporterebbero mercanzie da
-Venezia per più di trentacinquemila ducati; con Padova
-si restituivano reciprocamente le conquiste e le prese;
-col patriarca d’Aquileja stipulavasi la piena emancipazione
-di Trieste, obbligata solo a contribuire al doge le
-regalie convenute ne’ trattati precedenti, e lasciare ogni
-sicurezza e libertà di commercio ai Veneziani. Tenedo,
-cagione prima della rottura, doveva essere consegnata
-al conte di Savoja, che ne trasporterebbe gli abitanti
-a Negroponte e a Candia, abbandonandola deserta; ma
-Giannacci Mulazzo balio di quell’isola procurò distorne
-i Genovesi, sicchè fu duopo coll’arme domarlo. Venezia
-perdea dunque ogni possedimento in terraferma, e Tenedo
-e la Dalmazia, oltre immense ricchezze logorate.
-Di settemila ducento prigioni che avea fatti, non sopraviveano
-che tremila trecensessantaquattro, che restituì
-in cambio de’ suoi, quasi tutti vivi. I Garzoni, i
-Condulmer, i Zusto, i Nani poterono gloriarsi della nobiltà
-acquistata col soccorrere alla patria; e così i
-Trevisan, i Cicogna, i Vendramin, che giunsero poi fino
-al berretto ducale.
-</p>
-
-<p>
-Il duca d’Austria, cui restava Treviso, continuò nimicizie
-al Carrara; in fine gli vendette tutti i possedimenti
-che tenea di qua dell’Alpi. Pertanto il signore di
-Padova occupava il lembo della laguna, e recideva le
-comunicazioni col continente. Il senato veneto eccitò
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-contro di lui Antonio della Scala e Giovanni Acuto, che
-portò la desolazione fin sulle porte di Verona e Vicenza.
-Poi Venezia ricevette in dedizione spontanea Corfù, che
-era stata riunita alla corona di Napoli, e ribellata durante
-la guerra civile: s’impadronì di Durazzo sulle
-coste d’Albania, che da Carlo d’Angiò era stata tolta
-ai Greci; ebbe la cessione di Argo e Napoli di Romania,
-anch’esse possedute dagli Angioini; ricuperò Treviso;
-poi sotto Michele Steno acquistò Vicenza, Verona,
-per ultimo anche Padova, mandando i Carraresi al fine
-che dicemmo.
-</p>
-
-<p>
-Genova nella guerra di Chioggia avea spiegato portentosa
-attività non solo nel combattere, ma nel dirigere
-il re d’Ungheria, il Carrara, il patriarca d’Aquileja,
-il signor di Milano a’ danni della nemica Venezia: colla
-pace di Torino, oltre che esausta di moneta e navi, si
-trovò nell’interno tutta divisa e nemica; i nobili in urta
-coi popolani, i mercanti ed operaj grossi in urta coi
-piccoli e colla plebe, e quelli e questi suddivisi in Bianchi
-e Neri, che noi diremmo moderati ed eccessivi. Non
-erano più i vassalli che stessero a fianco de’ signori
-feudali, ma clienti e dipendenti, marinari, operaj, che
-talvolta a centinaja servivano una casa sola. I capi poi
-erano versati negli affari, destri come mercanti, coraggiosi
-come marinaj, generosi come ricchi, istruiti da
-tanti avvicendamenti di trionfi e d’esigli.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il Boccanegra, la preminenza era sempre toccata
-a uomini del popolo, nuova aristocrazia sottentrata
-a quella de’ gentiluomini, e che escluse questi dal
-dogato e fin da ogni impiego. Le antiche famiglie,
-come i marchesi del Carretto, vedendosi mozza l’autorità
-e invidiata la condizione, si riducevano ne’ loro
-castelli, professandosi ligi all’Impero; se rimaneano in
-città, tramavano contro un ordine di cose che gli escludeva:
-ma neppur essi riuscivano a nulla perchè non uniti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fra que’ trambusti erano venute su alcune famiglie
-di cappelluzzi, cioè popolani, i Montaldo, i Guarco,
-principalmente i Fregosi, notaj e fautori del popolo, e
-gli Adorni, conciapelli e sostenitori della plebe (1378); nessuna
-bastava a sommettere le altre, ma l’una l’altra
-contrariava, e tutte insieme ogni efficace provvedimento.
-Se il doge Nicolò Guarco vuol reprimere le fazioni
-e rinforzare il governo, dicono che aspira a
-tirannide, ricusangli il denaro e le collette, si sollevano
-e mutano stato. Dieci dogi si successero rapidamente
-con dieci rivoluzioni, e ciascuna lasciava una nuova partita
-di malcontenti. Gian Galeazzo Visconti versava olio
-su que’ tizzoni, sperando che per istanchezza Genova
-se gli butterebbe in braccio. Di tutto ciò le finanze andavano
-a sobbisso: il territorio, se crebbe col comprare
-Novi e Serravalle dai Milanesi, trovavasi occupato da
-varj signorotti, Monaco dai Grimaldi, Gavi dai Montaldo,
-Levanto dai Bertolotti: i partiti incessantemente
-in lotta, cacciandosi e nocendosi a vicenda, insidiati dai
-nobili delle due Riviere, per trionfare ricorrevano pur
-essi alle bande mercenarie, funeste del pari a tutti, o
-alla protezione di stranieri. Queste lotte, che in venti
-anni la ridussero a potenza secondaria, sarebbe nojoso
-il divisarle.
-</p>
-
-<p>
-Antoniotto Adorno, che, dopo lungo aspirarvi, aveva
-ottenuto il dogato nella peste del 1384 mediante una
-insurrezione di macellaj, presto ne fu espulso, vi tornò,
-lo riperdette, ripigliollo, e vedendo non potere conservarsi
-in posto, propose di mettere la repubblica
-sotto la protezione di Carlo VI di Francia (1396): quarta volta
-che in quel secolo Genova sottoponeva volontaria il
-collo a giogo forestiero<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>, sì era soffocato l’alito repubblicano.
-Il re accettò, e promise mettervi per doge
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-un vicario francese, non alterare le leggi, non rincarire
-le imposte. La libertà non ne pativa di troppo: ma
-que’ vicarj nè contentavano nè atterrivano, nè la quiete
-si ripristinava; oltre quello versato per sottomettere le
-Riviere, molto sangue corse in Genova stessa; coi nomi
-di Guelfi e Ghibellini mascherando fiere animosità, ogni
-tratto si era a baruffe, invasioni, cacciate, incendj; cinque
-volte si combattè per le vie l’agosto del 1398,
-trenta palazzi in fiamme, molti edifizj diroccati.
-</p>
-
-<p>
-L’anno seguente vi furono sistemati i corpi di mestieri,
-che scelsero quattro priori, ai quali aggiunsero
-dodici senatori, da rinnovarsi ogni mese, per vegliare
-che il governatore e il suo consiglio procacciassero il
-bene pubblico; e se alcun magistrato violasse la giustizia
-in parole o in fatti, poteano, armati gli artigiani,
-corrergli addosso.
-</p>
-
-<p>
-Anzichè sedare le turbolenze, ciò vi porse nuovi incentivi,
-sinchè venne vicario di Francia Giovanni Lemeingre,
-maresciallo di Boucicaut, uomo di coraggio
-alla prova, che entrato con mille cavalieri e fanti, volle
-le fortezze, fece imprigionare i capi faziosi e uccidere,
-tolse le armi a tutti, abolì i nomi delle fazioni e le
-magistrature popolari, snidò dai loro feudi i Fiesco e i
-Del Carretto, esigliò popolani, e tale spavento incusse,
-che i consoli delle arti non osavano più congregarsi,
-nè tampoco le confraternite de’ Battuti, per tema si procedesse
-contro di loro<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tristo il popolo che è costretto a lodare tali freni
-eccezionali, e il rintegramento della legalità per mezzo
-della violenza! Rinvigorita la marina, Boucicaut veleggiò
-contro il re di Cipro ch’era in rotta co’ Genovesi,
-e poichè questo comprò la pace, egli bottinò sulle
-coste di Siria e d’Egitto, ed ottenne al re di Francia
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-la signoria di Pisa, uccidendo Gabriele Maria Visconti
-(pag. 30). Nella minorità di Gian Maria volle essere
-messo nella reggenza, e venne a Milano con molto denaro
-e grossa truppa: ma Facino Cane, d’intesa con
-Teodoro marchese di Monferrato e coi malcontenti, si
-spinse a Genova (1409) chiamandola a libertà; sicchè cacciati
-e uccisi i Francesi, malgrado de’ Guelfi fu ripristinato
-il governo a popolo, abolendo gli statuti anteriori, e
-assumendone uno nuovo, di cui tale è la somma:
-</p>
-
-<p>
-Lo Stato è ghibellino e popolare, ma i Guelfi potranno
-farsi Ghibellini, e i nobili parteciperanno di tutti
-gli uffizj, salvo il supremo. Questi uffizj sono il podestà,
-dodici anziani, il consiglio de’ quaranta savj, il
-consiglio generale di trecentoventi, i sindicatori, i provvisori,
-i magistrati della moneta, della Romania, della
-mercanzia, della guerra e pace, e i consoli della ragione.
-Il doge a vita reggerà e governerà la repubblica,
-presiederà ai consigli con due voti, e potrà intervenire
-alle adunanze di tutti gli uffizj o magistrati non giudiziarj;
-ma il proporre partiti compete solo ai rispettivi
-priori: non moltiplicherà gli uffizj, o ne scemerà la
-giurisdizione, nè s’intrometterà per qualsia pretesto
-nella cognizione e raccomandazione delle liti: avrà annue
-ottomila genovine, da spendere nel mantenimento
-e decoro della sua corte, compresivi due vicedogi e due
-vicarj. Il podestà, pagato lire cinquemila, dovrà essere
-forestiero, dottor di leggi, di casa almeno patrizia; presenterà
-all’approvazione del doge e suo consiglio tre
-giurisperiti in qualità di vicarj, che lo assisteranno due
-nelle civili, il terzo nelle cause criminali, per delitti
-commessi a cinquanta miglia dalla residenza; de’ commessi
-in minor distanza conoscerà egli solo. Il doge
-dovrà consultare gli anziani in ogni occorrenza, salvo
-per arrestare banditi, cospiratori o sediziosi. I quaranta
-interverranno in tutte le trattazioni gravi, e così per
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-atterrare fortezze, concedere immunità, conferire l’ammiragliato.
-I sindicatori invigileranno sui portamenti
-di tutti i magistrati, multandoli se falliscono, impedendoli
-d’abusare dell’autorità. I provvisori frequenteranno
-piazza de’ Banchi e altre accolte di popolo per raccorre
-l’opinione pubblica su quel che giovi o nuocia, stabiliranno
-il bilancio delle spese, che per quell’anno fu di
-72,524 genovine. L’uffizio della moneta amministra
-anche le entrate, paga le spese, e custodisce la cassa
-pubblica. All’uffizio di Romania, unito a quello di Gazaria,
-spetta il provvedere per le colonie orientali.
-Quello di mercanzia risolve le liti sopra il commercio
-e la navigazione, che non procedano da pubblici istromenti;
-e i consoli della ragione quelle non eccedenti
-il valore di lire cento: da entrambe escludendo i giurisperiti.
-Nessuno potrà desinare nè contrarre famigliarità
-col podestà e sua corte; nessuno accettare nello
-Stato ambasceria o altro servizio di principe forestiero.
-Il deliberare della guerra, della pace, delle pubbliche
-convenzioni spetta al consiglio maggiore: il doge e il
-magistrato della guerra vi danno esecuzione. Si rinnoveranno
-gli esercizj de’ balestrieri sotto due capi di
-guerra. I cittadini popolari saranno descritti secondo
-le strade di loro abitazione, sotto capistrada, gonfalonieri
-e contestabili, bandiere e armi distinte; e con
-questi ordini difenderanno lo Stato dai nemici esterni
-ed interni. Qualunque volta al doge o agli anziani paresse
-conveniente una riforma, i nuovi capitoli e le ragioni
-faranno leggere ai quaranta, e ove siano approvati,
-nomineranno otto riformatori con balìa limitata
-ad essi capitoli.
-</p>
-
-<p>
-A Facino fu data una grossa somma, al marchese Teodoro
-il titolo di capitano per cinque anni; ma i costui
-comporti meritarono fosse cacciato (1413), rimettendo il doge,
-che fu Giorgio Adorno. Con questo rinfervorarono i
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-parteggiamenti; e intanto andavano perdute la colonia
-di Pera a Costantinopoli e ogni influenza sull’Italia.
-Unico bel fatto di questi tempi è la spedizione contro
-i Barbareschi per frenarne le piraterie, capitanata dal
-duca di Borbone zio di Carlo VI, e assistita da molti
-signori francesi. Trecento galeoni e più di cento navi
-da carico afferrarono all’Africa; ma i Barbareschi li
-stancheggiarono senza mai venire a giornata, tanto che
-i nostri partirono senza effetto.
-</p>
-
-<p>
-Nell’interno, niente bastava a calmare gli animi; e
-l’angustia delle vie e l’altezza de’ fabbricati dava modo
-di resistere e combattere mortalmente nelle ricorrenti
-avvisaglie. Ne rimanevano desolate le campagne, esinanito
-il commercio, sino a dover vendere a’ Fiorentini
-il porto di Livorno, che il Boucicaut avea comprato:
-intanto i marchesi di Monferrato e Del Carretto aprivano
-il Genovesato alle truppe di Filippo Maria Visconti;
-sicchè, per amor di pace e per desiderio di
-vendicarsi degli Aragonesi che aveano cercato torle la
-Corsica, il podestà Tommaso Campofregoso (1421) rese Genova
-a Filippo, riservando per sè trentamila fiorini d’oro e
-il dominio di Sarzana. Filippo mandò il conte di Carmagnola
-a governar Genova, talchè al ducato di Milano
-aggiungevasi anche il mare; nè Venezia, nè Firenze
-pareano accorgersi del pericolo di lasciar tanto ingrandire
-questo vicino.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap114-10">CAPITOLO CXIV.
-<span class="smaller">Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao.
-Giovanna II. Gli Aragonesi in Sicilia.</span></h2>
-</div>
-
-<table class="ag">
- <tr>
- <td colspan="8" class="center"><span class="smcap">Case d’Angiò e di Durazzo.</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="8">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="8"><span class="smcap">Carlo</span> di Francia 1266-85</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="w5">&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="7" class="bl"> <span class="smcap">Carlo</span> II <i>lo Zoppo</i> 1285-1309</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="5">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">Carlo Martello re d’Ungheria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Caroberto re d’Ungheria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">Luigi re d’Ungheria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">Andrea 1º marito di Giovanna I</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl"><span class="smcap">Roberto</span> il Savio 1309-43</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Carlo duca di Calabria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl"><span class="smcap">Giovanna</span> I 1343-81</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">nel 1380 adotta Luigi d’Angiò figlio di Giovanni II re di Francia</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">Luigi II</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">Luigi III nel 1423 adottato da Giovanna II</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl"><span class="smcap">Renato</span> 1435-42</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">Maria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">Filippo principe di Taranto</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Luigi 2º marito di Giovanna I</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Roberto conte di Acerra 2º marito di Maria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">Margherita moglie di Carlo III</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">Giovanni duca di Durazzo</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Carlo duca di Durazzo 1º marito di Maria</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">tre figlie</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Luigi conte di Gravina</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="4">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl"><span class="smcap">Carlo</span> III <i>della Pace</i> 1381-86</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Ladislao</span> 1386-1414</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Giovanna</span> II 1414-35</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="5">&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">Nel 1420 adotta <span class="smcap">Alfonso</span> re di Aragona e di Sicilia 1442-58</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p class="pad2">
-Allo spettacolo di tante irrequietudini, è facile esclamare
-contro il governo repubblicano; e il Denina, «per
-far comprendere quanto sia meglio del popolare il governo
-monarchico ereditario ed assoluto per la quiete
-e felicità pubblica», oppone a que’ trambusti «il regno
-di Napoli, ove, da che i principi angioini si furono
-stabiliti, si godè internamente pace tranquilla»<a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>.
-Vediamo se il fatto sia così.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-</p>
-
-<p>
-Roberto, che tutta la lunga vita stette a capo della
-parte guelfa in Italia, ampiamente estendendo l’autorità
-e nulla i dominj, fu poco lodato in tempo che l’ammirazione
-si dirigeva al valor militare, e si appropriò a
-lui il motto di Dante, essersi fatto re chi era piuttosto
-da sermone<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>. Amò cordialmente la pace; eppure
-vedemmo quante guerre cagionasse o sostenesse. Tentò
-anche ricuperar la Sicilia, e soccorso da suoi alleati e
-da truppe di Provenza e di Piemonte, la assalì con quarantaduemila
-uomini, settantacinque galee, tre galeoni,
-trenta vascelli da trasporto, trenta sagittarj e censessanta
-barche coperte; ma prima la tempesta, poi il
-clima mandarono in dileguo tanto apparato; i ripetuti
-suoi assalti non fecero che sperperare il paese, e re
-Federico tenne testa.
-</p>
-
-<p>
-Per lasciare in quiete i suoi, Roberto si valse delle
-truppe mercenarie, cercando denari in ogni guisa, fin
-col permettere ai giudici di commutare varie pene in
-multe: così disavvezzava i sudditi dalle armi. Pio al modello
-di san Luigi di Francia suo zio, assegnò ogni mese
-tremila ducati a eriger chiese e conventi, e comprare
-beni per frati e monache; ottenne dal sultano d’Egitto
-che dodici Francescani fossero addetti al santo sepolcro,
-come sempre si è continuato; fabbricò superbamente
-Santa Chiara, sua cappella regia, dove poi fu
-sepolto con immenso mausoleo e compendioso epitafio<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>.
-Dotto, e dei dotti protettore, «o fosse (dice il
-Petrarca) occupato negli affari di guerra o di pace, o
-si ristorasse dalle sofferte fatiche, giorno e notte, passeggiando
-e sedendo, volle sempre aver libri. Prendeva
-argomenti sublimi al suo ragionare; e benchè scarsa e
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-quasi niuna occasione ne avesse, protesse con regia
-munificenza gl’ingegni del suo secolo. Non solo udiva
-con singolare pazienza coloro che gli recitavano lor
-composizioni, ma gli applaudiva ed onorava del suo
-favore. Così continuò fino all’estremo: già vecchio, filosofo
-e re, qual egli era, non vergognossi mai d’imparare,
-nè mai gl’increbbe di far parte agli altri di ciò
-che avesse imparato, ripetendo che coll’apprendere e
-coll’insegnare l’uomo si fa saggio. Que’ medesimi che,
-o per odio o per prurito di maldicenza, cercano sminuirne
-le lodi, non gli contrastano quella della dottrina.
-Egli peritissimo nelle sacre scritture, egli spertissimo
-ne’ filosofici studj, egli oratore egregio, egli dottissimo
-nella medicina, solo la poesia coltivò poco; di che, come
-gli ho udito dire, si pentì in vecchiezza»<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Collocò nell’Università i migliori maestri, fece voltar
-in latino Aristotele e Galeno; insigni giureconsulti illustrarono
-il suo regno, quali Bartolomeo da Capua suo
-protonotaro e consigliere, Nicola d’Alife segretario della
-regia cancelleria, Andrea d’Isernia detto il principe,
-l’auriga, l’evangelista de’ feudisti, Luca da Penna ed
-altri, noti tra la folla de’ commentatori. Di regolari
-magistrati e di opportune leggi confortò il Reame. Il
-clero, depresso dagli Svevi, poi rialzato sotto gli Angioini
-fino a sottrarsi d’ogni giurisdizione regia, fu da lui
-sottomesso ai magistrati in casi d’ingiurie e violenze.
-</p>
-
-<p>
-Ma o perchè Roberto si trovasse occupato altrove, o
-perchè rifuggisse dal disgustarli, atteso la vicinanza
-dell’emula Sicilia, i baroni crescevano di potere e d’arroganza;
-circondatisi di clienti e vassalli, nei loro castelli
-ricoveravano malfattori; non essendovi chi osasse
-più chiamarli in giudizio, trascorrevano ad ogni eccesso;
-tornavano sulle guerre private, eludendo e le
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-commissioni cioè lettere arbitrarie del re, e le minaccie
-della Corte di Roma, e il rigore de’ giustizieri. Anche
-i banditi crebbero tanto, che bisognò contro di essi
-inviare regolari eserciti, ma con poco profitto, essendo
-protetti dai baroni.
-</p>
-
-<p>
-A ben peggio si cascò allorchè Roberto, dopo trentaquattro
-anni di regno, morì (1343). Del perduto figliuolo eragli
-rimasta Giovanna, alla quale volendo togliere un competitore
-e procurare un appoggio domestico, destinò
-sposo Andrea, nato da Caroberto re d’Ungheria, figlia
-del suo fratello maggiore Carlo Martello (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 384);
-e lo fece educare a Napoli perchè acquistasse i modi e
-l’amore de’ futuri sudditi. Cure al vento. Quando successero
-nel regno e ne’ tesori, Giovanna era sul toccare
-de’ sedici anni, e di qualche mese minore il marito; e
-la splendidezza di loro reggia non avea pari in Europa,
-eccetto quella d’Avignone. Ivi Sancia da Majorca vedova
-di Roberto, Caterina imperatrice titolare di Costantinopoli,
-Margherita di Táranto regina vedova di Scozia,
-teneano altrettante corti; Maria, sorella di Giovanna,
-segretamente maritata a Carlo duca di Durazzo, sfavillava
-di bellezza e ingegno; Agnese di Périgord, madre
-di questo, compiva il regio circolo; e tutti lusso a gara,
-e feste, comparse, raffinatezza, amori rinterzati, intrighi
-inverecondi; inciampi alla fragile Giovanna. Andrea,
-candido uomo e dolce, non avea dismesse le
-grossolane usanze magiàre, tratto inelegante, strani
-gusti, umore indolente; e pretendendo gli competesse
-il regno non per la moglie, ma per diritto ereditario,
-non rassegnavasi alla superiorità pretesa da questa. Adunque
-due fazioni divisero la Corte e tutto il regno; e la
-ungherese crebbe pel favore del papa e più per la
-sventataggine di Giovanna, che non soffriva gli affari
-la distraessero dagli spassi, ne’ quali accoppiava la ricercatezza
-della letterata pulizia italiana colle pompe
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-di Germania e Provenza; e la recita dei sonetti del
-Petrarca e delle novelle del Boccaccio alternavansi coi
-giuochi floreali, co’ tornei, colle corti d’amore. Frà
-Roberto, zoccolante ungherese, maestro d’Andrea e
-potente sopra la regina, a cavalcione dei due partiti,
-diveniva arbitro del regno. Petrarca, che allora vide
-quella Corte, prega il Cielo che campi l’Italia da simili
-disastri; esser Napoli una Mecca, una Babele ove Cristo
-s’insulta, fede non v’è, nè giustizia o pietà; i dominatori
-sono Falaridi, Dionigi, Agatocli; ma singolarmente
-inveisce contro il frate, sporco, stracciato, brigante,
-superbo. — Retorica.
-</p>
-
-<p>
-Andrea, impacciato fra le cortigianerie, indispettito
-degli amori di Giovanna col cugino Luigi duca di Táranto,
-volle essere consacrato prima dei ventidue anni
-prefissigli da Roberto, e alla coronazione fece drappellare
-ceppo e mannaja, come ad esprimere ne userebbe
-contro gli offensori. Chi vuol fare non minacci. Quei
-che avevano motivo a temerne, congiurarono, capo il
-conte d’Artusio figlio secreto di re Roberto, e Filippina
-la Catanese, lavandaja, venuta balia di Luigi, e diventata
-confidente della regina; Giovanna, se non consentì,
-almeno non ostò che Andrea fosse strangolato e gittato
-da un terrazzo (1345 20 agosto).
-</p>
-
-<p>
-Nessuno tolse da senno a farne processo e giustizia;
-solo il papa, come alto signore del Regno, commise a
-Bertrando Del Balzo, gran giustiziere, di cercare i colpevoli:
-e costui, sciorinando uno stendardo ov’era
-effigiato l’assassinio, si trasse dietro il vulgo fin al palazzo;
-nè la regina valse a impedire che la Catanese
-e i complici, dopo orribili torture, fossero appiccati ed
-arsi. Giovanna intanto sfacciatamente sposava (1347) il duca
-di Táranto; poi presentendo la guerra civile, facea
-levata di vassalli e partigiani; e a Luigi il Grande re
-d’Ungheria, maggior fratello di Andrea, scriveva scusandosi
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-innocente. Il quale le rispose: — Il disonesto
-tuo vivere, il ritenere la podestà regia, la negligenza
-in punire il misfatto, le non chieste scuse, ti palesano
-partecipe e rea dell’assassinio; nessuno sfuggirà alla
-vendetta divina e all’umana».
-</p>
-
-<p>
-Esso Luigi tiene posto segnalato fra i re dell’Ungheria,
-la quale, di fresco sbarbarita nè ancora spossata dalla
-viziosa costituzione, al tempo di lui si collocò fra le
-primarie potenze d’Europa. Egli era al tempo stesso
-re di Polonia, sovrano della Bosnia, della Servia,
-della Bulgaria, della Moldavia, della Valachia, onde
-estendeva i dominj sulle genti slave dall’Adriatico al
-mar Nero e alla foce della Vistola; rispettato dai Tedeschi,
-temuto dagli Italiani. Chiese al papa dichiarasse
-Giovanna immeritevole del regno, e ne investisse lui
-stesso, che s’accingeva con un esercito a far giustizia. E
-benchè il papa, che avea levato al sacro fonte un figlio
-postumo d’Andrea, tentasse indurlo a rimettere la cosa
-al suo tribunale, egli pose in pegno fin le gioje di sua
-moglie<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>, e mosse a questa volta.
-</p>
-
-<p>
-I Napoletani si erano divezzi dalla guerra: la gente
-di villa non conosceva arme, nè portava in mano che
-una mazza di legno per difendersi dai cani; invece di
-giacere alla serena, piacevansi di letti soffici e di piumacci,
-e sempre erano a pettinarsi e lavare il viso a
-mo’ di donne<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>. Non si potea dunque far conto che
-sui venturieri; ed era a temere che i Siciliani, per isfavorire
-Napoli, dessero mano agli Ungheresi. Pertanto
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-Giovanna pattuì con quelli pace intera e assoluta indipendenza;
-poi diffidando de’ pochi partigiani, all’avvicinarsi
-del vindice fuggì in Provenza (1348).
-</p>
-
-<p>
-Luigi, vincitore senza aver combattuto, volle vedere
-il terrazzo donde era stato precipitato Andrea, e quivi,
-rinfacciando il misfatto a Carlo di Durazzo che invano
-se ne giura incolpevole, lo fa stender morto e trabalzare
-anch’esso nel giardino; molti creduti complici
-manda al supplizio; gli altri reali spedisce in Ungheria.
-Entrato in Napoli da conquistatore, attende a far processi,
-colloca a governo Ungheresi e a reggente Stefano
-Laszk, principe transilvano; ma poichè la peste cominciava,
-congeda le truppe e torna in Ungheria.
-</p>
-
-<p>
-Paese facile a conquistare, difficile a conservare. Il
-papa negò a Luigi l’investitura nè di Napoli nè della
-Sicilia finchè Giovanna non fosse regolarmente convinta
-rea. I Napoletani, ben presto disgustati dei forestieri e
-rimpiangendo le allegrie dell’antica Corte, invitavano
-la regina, la quale dalle indagini fatte risultava innocente
-del sangue d’Andrea. Assolta dunque dal papa
-che ne convalidò il nuovo matrimonio, ella s’accinse a
-ricuperare il regno; vendette al papa la città d’Avignone
-per ottantamila fiorini, e impegnò le gioje onde
-far denaro; e assoldate truppe, coll’assistenza di Nicolò
-Acciajuoli illustre fiorentino ricuperò il paese (1350), salvo
-alcuni castelli. Intrepidamente frivola fra tanti pericoli,
-colle allegrie stordiva sè e i sudditi; intanto che re
-Luigi sopragiungeva con trenta o quarantamila Ungheresi.
-</p>
-
-<p>
-Costoro, naturati coi loro cavalli, su cui fin da fanciulli
-viveano, usavano unica difesa un giubbone di
-cordovano rinterzato, unica offesa l’arco e lunga spada;
-selle e gualdrappe la notte scusavano di letto e di copertura
-al cavaliero, il quale portava allato carne secca
-polverizzata, che con poca acqua calda riduceva a bibita
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-sostanziosa. In tal modo aveano guerreggiato con
-Bulgari, Russi, Tartari, Serbi, in pianure patenti ove il
-pascolo abbonda; ma gl’Italiani distruggevano le proviande,
-e chiudevansi in terre castellate, di modo che
-gli Ungheresi consumavansi per difetto di foraggi; e
-sebbene i nostri potessero a pena sellare tre o quattromila
-cavalli, le ordinanze massiccie e le solide armadure
-nostrali presentavano intoppo inaspettato. Gli
-stranieri malmenarono il Reame, e lo presero tutto,
-eccetto Gaeta ove s’erano ridotti Giovanna e il suo sposo:
-ma poichè fame e peste li decimavano e il tempo del
-servizio militare scadeva, Luigi (1351) dovette accettare una
-tregua, patto che il papa facesse riassumere a processo
-la regina; e se fosse chiarita colpevole, il regno cadesse
-al re d’Ungheria; se innocente, questi cederebbe
-a lei le piazze per trecentomila fiorini. Giovanna a
-prova di testimonj giurati dimostrò che un filtro l’aveva
-distolta dall’amare Andrea, e fu dichiarata inconscia
-dell’assassinio di questo; laonde Luigi cedette le piazze,
-e neppur volle il pattuito compenso, dicendo: — Guerreggio
-per giustizia, non per guadagno». Giovanna
-tornò regina (1352), e Luigi di Táranto fu coronato.
-</p>
-
-<p>
-Fra ciò la Sicilia compiva le sue sorti separatamente
-dalle italiche. I baroni, che erano stati repressi dagli
-Svevi, nella guerra succeduta ai Vespri sentirono d’esser
-necessarj; e straordinariamente compensati degli straordinarj
-servigi, talmente inorgoglirono, che appena
-soffrivano d’essere inferiori al re; e sotto al debole
-Pietro II (1337), figlio e successore di Federico I d’Aragona,
-pretendevano rendere ereditarie le cariche più alte.
-Colle estese parentele e colla clientela de’ popolani,
-ogni casa faceasi centro di partiti, che ruppero a guerre
-sotto il nome e la capitananza degli Alagona e dei
-Chiaramonti di Modica, dei Palici e dei Ventimiglia di
-Geràci; tanto che tutta quella costruttura di Federico I
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-1342
-andò a fascio, nè quasi ombra rimaneva di governo
-centrale. Sotto Lodovico, succeduto quinquenne (1355) al padre
-in tutela del giustiziere Blasco d’Alagona, e sotto Federico
-II suo fratello sottentratogli di tredici, e indicato
-col titolo di Semplice, raffittirono le guerre da casa a
-casa; e «tanto mortalmente crebbe il furore delle loro
-parti, che senza alcuna misericordia, come salvatiche
-fiere, ovunque s’abboccavano s’uccidevano per agguati,
-per tradimenti; e per furti di loro tenute continovo
-adoperavano il fuoco e il ferro,..... e tanto si
-disusarono i campi della coltura, tanto si consumarono
-i frutti raccolti, che l’isola, per addietro fontana d’ogni
-vittuaglia, per inopia e per fame faceva le famiglie
-de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli
-altri paesi»<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ai re di Napoli il momento parve buono per far
-valere le ragioni che avevano dissimulate, non deposte;
-e Giovanna occupò Messina (1353), promettendo alzarla capo
-della Sicilia; ma Chiaramonti e Ventimiglia s’accordarono
-per ricuperarla. A Giovanna, padrona della Provenza
-e di Napoli, sarebbe stata necessaria una bella
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-marina; ma le guerre non le permisero mai d’allestirla,
-anzi lasciò disfarsi ogni resto dell’antica potenza marittima
-di que’ paesi. Bisognosa di navi, ne chiese quindici
-in dono da Lodovico d’Aragona, a tal prezzo
-rinunziando i diritti sull’isola, nè riservandosi che l’annuo
-tributo di tremila once. Ai Siciliani parve baratto
-codardo questo riconoscere il regno come dono della
-signora nemica; eppure ciò poneva fine alla lunghissima
-guerra di Sicilia, costata tanto denaro e sangue:
-la soggezione non fu che nominale, nè mai pagato il
-tributo.
-</p>
-
-<p>
-Giovanna e Luigi di Taranto sedevano sul trono napoletano;
-ma che poteano essi in regno sbranato dalle
-parzialità, e dove i baroni non voleano deporre le
-armi, impugnate ne’ passati trambusti? Alcuni scontenti
-v’invitarono la banda del conte Lando, che si rese
-terribile ad amici e nemici: e per rimandarla si dovettero
-imporre straordinarj accatti, e sospendere il consueto
-tributo al papa, che perciò ebbe a mettere il
-regno all’interdetto. Luigi di Táranto, vagheggino da
-nulla, morì di quarantadue anni (1362); e Giovanna, ad istanza
-de’ baroni, sposò Giacomo III d’Aragona, re titolare
-di Majorca; ma il tenne appartato da ogni autorità, e
-per lo più in Ispagna, finchè morì (1374) senza farla madre.
-Essa contava quarantasei anni; tutti i suoi figli erano
-morti; la sorella Maria non avea che tre figliuole, una
-delle quali, Margherita, fu da Giovanna designata a succederle,
-sposandola al cugino Carlo, figlio dell’ucciso
-duca di Durazzo, e che fu poi conosciuto col nome di
-Carlo della Pace; uom bello, attraente, ma profondamente
-simulato, e pronto sempre a rinegare la propria
-parola. Ma l’intrinsichezza di questo con Luigi il Grande,
-sotto del quale campeggiava in Ungheria e nel Friuli,
-ingelosì Giovanna, che repente concesse la mano (1376), non
-il titolo regio ad Ottone di Brunswick, che allora dimorava
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-in Piemonte qual tutore del marchese di Monferrato.
-</p>
-
-<p>
-Era il momento che contendeasi pel successore di
-papa Gregorio XI; e Giovanna, favorendo Clemente VII,
-antipapa, diede impulso al grande scisma d’Occidente;
-lo perchè Urbano VI la proferì scomunicata e decaduta
-dal regno e da tutti i feudi, ed eccitò contro di lei Carlo
-della Pace, di cui essa aveva deluso le aspettative. Il
-popolo napoletano bolliva contro la regina perchè fomentasse
-lo scisma, e acclamava il papa vero, e saccheggiava
-i palazzi; i baroni si combattevano fra sè con
-grandi eccidj, e la regina non potea che perdonarli e
-farli giurar paci che al domani erano violate. A tanti
-pericoli sentendo non bastar sola, essa cercò un appoggio
-coll’adottarsi erede Luigi d’Angiò (1380), secondogenito di
-Giovanni II re di Francia; seme che dovea fruttare due
-secoli di guaj al Reame. Esso Luigi per far denari
-s’appropria il tesoro regio di Francia, smunge province,
-sacrifica gli Ebrei, sottrae le paghe ai soldati, impone
-a Parigi una tassa su tutti i comestibili; e perchè
-il popolo ne tumultuava, fa buttar nel fiume i capi
-delle arti.
-</p>
-
-<p>
-Come Urbano VI a Carlo, così Clemente VII favorì
-all’Angioino, assentendogli le decime sulle entrate ecclesiastiche
-in Lingua d’oc e in Lingua di sì, e persino
-a favore di lui ergendo in regno d’Adria lo Stato ecclesiastico,
-salvi il Patrimonio di San Pietro e la campagna
-di Roma: così sagrificando l’indipendenza dello Stato
-ecclesiastico. La morte del genitore trattenne Luigi
-d’Angiò in Francia; e intanto Carlo, sollecitato dalle
-solite speranze dei profughi, colle bande venturiere del
-Barbiano e dell’Acuto mosse ver Roma, dove, incoronato
-da Urbano VI, e fornito di ottantamila fiorini col
-togliere gli ori e fin i vasi sacri dalle chiese, dopo ronzato
-due anni coll’esercito a ruina degl’italiani, penetrava
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-nel Reame (1381). Dal popolo, inusato alle armi, non
-soffrì resistenza; i baroni volevano male a Giovanna
-dell’essersi eletto successore uno straniero; la Città dividevasi
-tra Angioini e Carlisti, tra Urbanisti e Clementini;
-talchè impossibile era la difesa, e Carlo, fra i
-mirallegro entrò in Napoli. La regina, chiusasi nel Castel
-Nuovo, non ricevendo i soccorsi aspettati, si arrese.
-Carlo le fece onore: ma spargendo ch’ella il guardasse
-come un ladrone, e contro di lui sollecitasse continuamente
-Luigi d’Angiò, la fece strozzare (1382). Comunque d’indole
-generosa, ingenua, amorevole<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, colla inescusabile
-giovinezza e più col variare dei mariti e degli
-eredi ella sovvertì allora e poi il Reame. Sua sorella
-Maria di Durazzo non tardò a seguirla, e nel costei
-sepolcro spegnevasi la discendenza di re Roberto.
-</p>
-
-<p>
-Luigi avrebbe voluto rimanere in Provenza a raccorre
-la porzione più solida dell’eredità di Giovanna;
-ma l’antipapa Clemente, per contrariare al favorito di
-Urbano VI, lo spingeva a vendicare la sua benefattrice,
-e conquistarsi così ricca corona. Egli dunque coronato
-in Avignone re di Sicilia, di Napoli, di Gerusalemme,
-con bello e forte esercito, con Amedeo VI conte di
-Savoja, e col favore di Bernabò Visconti che sposò una
-figlia a un figlio di lui, e assistito dai malcontenti, calò
-per Italia, e due anni continuò guerra a Carlo della
-Pace. Questi, non sostenuto dai baroni, sì bruciato di
-denaro che derubò alla dogana i panni de’ Fiorentini,
-Pisani e Genovesi onde distribuirli a’ suoi fedeli, conobbe
-l’opportunità d’evitare gli scontri, e secondo i
-consigli di Alberico da Barbiano, da lui fatto connestabile
-del regno, aspettò che le malattie logorassero gli
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-uomini, i cavalli, il tesoro del nemico. Di fatto quel
-floridissimo esercito fu ben presto a tal miseria, che i
-migliori cavalieri montavano asini; il duca avea venduto
-vasi, gioje, fin la corona, nè copriva la corazza
-se non d’un cencio dipinto; alfine morì di febbre a
-Bari; gli altri o perirono (fra questi Amedeo di Savoja,
-a Santo Stefano in Puglia, 1384 12 marzo), o tornarono accattando
-e rubando.
-</p>
-
-<p>
-Più colla politica che col valore avea trionfato Carlo,
-nè però ebbe calma; e la fazione angioina, fedele al
-fanciullo Luigi II, erede della Provenza e delle pretensioni
-dei defunto duca, lungamente sconvolse il Regno.
-Inoltre egli si guastò affatto con papa Urbano, che essendosi
-piantato a Napoli, pretendeva esercitarvi padronanza,
-e voleva investisse a un tristo suo nipote il
-principato di Capua e d’Amalfi, e altri possedimenti
-promessi quando fu coronato: onde tempestò fra guerre
-e scomuniche scandalose, peggiorate dalla peste che in
-quegli anni rinnovò i guasti per tutta Italia. Carlo, inorgoglito
-dalla vittoria, era meno che mai disposto ad
-ascoltare le rimostranze del pontefice che pretendeva
-moderasse le molteplici imposte sul Regno: onde Urbano
-si chiuse in Nocera, pose alla tortura alcuni cardinali
-imputati di congiura, e scomunicò Carlo, il quale
-a vicenda tormentava i prelati napoletani che obbedissero
-all’interdetto, e mandò l’esercito ad assediare
-l’ostinato pontefice. Questi s’affacciava ogni tratto al
-balcone col campanello e colla torcia accesa scomunicando
-l’esercito del re, finchè dopo sei mesi vennero
-in soccorso truppe mercenarie, che lo trafugarono
-verso Salerno, d’onde s’imbarcò anelando vendetta
-(Cap. <span class="smcap lowercase">CXVII</span>).
-</p>
-
-<p>
-Alla sorte del Reame venne a recare nuovi viluppi
-la morte di Luigi il Grande d’Ungheria. Aveva egli
-menato frequenti guerre con Venezia, la quale conservava
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-sempre il titolo di signora di Dalmazia, di Croazia
-e d’un quarto e mezzo dell’impero d’Oriente; mentre
-esso re, dacchè pretese al Napoletano, avrebbe trovato
-opportunissimo possedere Zara, anello fra i suoi paesi
-e la Puglia. Tentò dunque essa città, ma i Veneziani
-gliela disputarono, e dopo diciotto mesi d’assedio la
-presero. Ne serbò rancore Luigi, e favorì lo scontento
-degli Schiavoni, i quali dalla signoria veneta aborrivano
-perchè sagrificati al vantaggio della capitale, mentre
-sarebbero potuti fiorire di commercio diventando lo
-sbocco dell’Ungheria. Quando si sentì bastante vigore,
-Luigi intimò al veneto senato restituisse le città di Dalmazia,
-antiche pertinenze della corona ungherese. Il
-senato ricusò e fece navi; ed avendo l’emula Genova
-prestato a quel re sessanta galee comandate da Antonio
-Grimaldi, i Veneti uniti ai Catalani, e capitanati da Nicolò
-Pisani, a Lojera diedero una terribile rotta ai nemici (1353),
-prendendone trenta galee con tremilacinquecento
-prigionieri, che lasciarono consumar nelle carceri, oltre
-duemila che perirono combattendo.
-</p>
-
-<p>
-Non per questo re Luigi desistette dal molestare i
-Veneziani in Dalmazia; e risolse attaccare Zara, Spalatro,
-Trau, Nona e al tempo stesso Treviso, unica
-città che Venezia tenesse in terraferma. Occupate Conegliano,
-Asolo, Céneda, que’ temuti cavalleggeri arrivarono
-sotto Treviso, ma prenderla non poteasi con scorridori;
-i quali, impazienti di lunghe fazioni, costrinsero
-il re a battere in ritirata, benchè forte di trentamila
-uomini. Meglio ordinatosi, ricomparve egli, e per tradimento
-ebbe la città (1354); e chiesto di pace, generosamente
-dichiarò bastargli il ricupero delle città spettanti alla
-sua corona, e che il doge rinunziasse al titolo che si
-arrogava su quelle, e gli provvedesse ventiquattro galee,
-di cui egli pagherebbe le spese.
-</p>
-
-<p>
-Morto Luigi (1382), la nobiltà consentì che Maria sua figlia,
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-da essi gridata regina, ne portasse i diritti a Sigismondo
-di Luxemburg, figlio dell’impotente Carlo IV.
-Altri nobili però gridarono Carlo III di Durazzo, che
-adottato da re Luigi, era cresciuto in quel reame e
-formatosi a quelle armi; e di fatto egli, per ambizione
-del nuovo non curando i disordini cui abbandonava il
-regno suo prisco, v’andò, ed ottenne la corona angelica;
-ma la regina lo fece assassinare. Giovanna era
-vendicata (1386). Allora va in estremo scompiglio l’Ungheria,
-dove i Croati accorreano a punire il delitto con altri delitti
-e brutalità. Côlta Maria, la mandavano a Margherita
-vedova di Carlo, se non si fossero opposti i Veneziani:
-intanto le ribellioni fiaccarono affatto l’Ungheria,
-e un nuovo re della Servia orientale ebbe Zara, Trau,
-Sebenico, Spalatro e le altre città per lo innanzi possedute
-dai Veneziani. Maria fu liberata da Sigismondo di
-Luxemburg suo marito, il quale alla morte di lei (1395) restò
-re del paese, che trasmise poi a Casa d’Austria.
-</p>
-
-<p>
-Tra questo fare, il regno di Napoli, salito a tanta grandezza
-sotto i Normanni, gli Svevi e Roberto il Buono,
-sfasciavasi sotto i costui discendenti, e poco pesava sulla
-bilancia politica, mentre internamente era campo di
-sciagurate battaglie fra bande di ventura e stranieri
-semibarbari: le contribuzioni erano riscosse e consumate
-da costoro; non esercito nè flotta v’avea che
-obbedisse al re, non fortezze ben munite; esausto l’erario,
-effeminata suntuosità alla corte, la nazione disabituata
-dalla guerra, sicchè nè i padroni confidavano in
-essa, nè i nemici la temevano; e in conseguenza nè essa
-aveva a se medesima quel rispetto che salva da vergogna,
-nè dagli altri l’otteneva.
-</p>
-
-<p>
-L’intempestiva morte di Carlo III aggiunse mali a
-mali; e mentre Ladislao, figliuolo di lui decenne, era
-proclamato re sotto la tutela di Margherita, la fazione
-francese dei Sanseverino salutava l’altro fanciullo Luigi,
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-figlio di quel d’Angiò, due fanciulli in tutela di due donne
-meno abili che intriganti. Maria di Blois tolse a Ladislao
-quasi tutta la Provenza; i Napoletani, scontentati
-dall’avarizia di Margherita e dall’avidità de’ suoi
-favoriti, si sollevarono anch’essi a favore d’Ottone di
-Brunswick, vedovo di Giovanna e creato di Clemente VII,
-che a nome dell’Angioino prese Napoli. Così due papi,
-due re, due reggenti, fra le cui dispute i più negano
-obbedienza ad entrambi, entrambi li scomunica papa
-Urbano VI, e tutto va sossopra. Luigi II coronato in
-Avignone (1391), è in Napoli accolto fra gli applausi, ma
-presto ridotto a rassegnare ogni potere a Ladislao (1399), che
-riconosce il regno come benefizio della Sede apostolica<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fra pericoli e congiure e guerre intestine costui s’addestrò
-agl’intrighi, coll’età crescendo di coraggio; perfido
-politico quanto Gian Galeazzo, e più valoroso,
-formò buone truppe, ebbe di molti partigiani, tolse
-tutte le fortezze ai Francesi, punì i baroni che gli avevano
-favoriti. La nobiltà ungherese, disgustata di re
-Sigismondo, offrì la corona angelica a Ladislao, che
-v’accorse; ma poi trovandosela contesa, vendette ai
-Veneziani Zara e le altre piazze di Dalmazia, nè più
-dandosi un pensiero dell’Ungheria, pensò ingrandire in
-Italia, prefiggendosi rinnovare la gloria di Federico II
-imperatore, e solendo dire: — O Cesare o nulla». Per
-assodare la monarchia deprimeva i baroni, che odiava
-tutti o parteggiassero pei Durazzo o per gli Angioini;
-impedì tenessero più di venticinque lancie ciascuno,
-come faceano col pretesto di pubblico servizio, ed anche
-queste fossero stipendiate e alloggiate dallo Stato: intanto
-ammise chi che fosse ad ottenere feudi, uffizj, sin
-la cavalleria.
-</p>
-
-<p>
-Era allora la cristianità straziata dal grande scisma,
-e l’Italia n’andava tutta in parti e in armi, sicchè non
-parea far guerra al papa chi assalisse lo Stato papale.
-Ladislao colse il buon punto; e quando (1404), dopo morto Bonifazio
-IX e ne’ primi tempi d’Innocenzo VII, Roma
-sbranavasi fra il popolo e i grandi, egli cercò entrarvi,
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-favorito dai Colonna e dai Savelli. Il popolo s’impadronisce
-di Ponte Molle e respinge il re; ma dodici cittadini
-ch’erano andati per trattare un accordo con papa
-Innocenzo, vengono côlti dal nipote di questo e trucidati.
-Il popolo si leva allo stormo della campana di
-Campidoglio, caccia il papa, saccheggia. Ladislao teneva
-occhio a quella preda, e mentre mena a ciancie il pontefice
-e i Fiorentini, occupa trionfalmente Roma: Gregorio
-XII, bisognoso d’appoggio contro il papa emulo,
-dà a Ladislao l’investitura di Roma, del Patrimonio,
-della marca d’Ancona, di Bologna, Faenza, Forlì, Perugia
-e del ducato di Spoleto per venticinquemila fiorini
-l’anno (1408 25 aprile); e fu il primo che se ne intitolasse re, diventando
-padrone dello Stato di cui erano vassalli i suoi
-predecessori.
-</p>
-
-<p>
-Allora parvegli toccare il cielo col dito, sprezzò ogni
-ostacolo, e in verità perchè non potea sperare di divenir
-re di tutta Italia? Morto Gian Galeazzo, i Visconti
-erano ristretti nella Lombardia: Venezia sentivasi ancora
-fiaccata dal duello con Genova: questa dalle fazioni
-era costretta ad appoggiarsi alla protezione di Francia.
-Solo i Fiorentini ostavano, e poichè nol vollero riconoscere,
-attenti che nessun potentato preponderasse in
-Italia, Ladislao staggì le robe di tutti i loro mercadanti
-in Roma (1409), e accumulato denaro, ne corse guastando il
-territorio, onde il popolo lo chiamava il re guastagrano,
-e i Fiorentini si videro nuovamente in procinto di perdere
-lo Stato. Contro di lui essi presero al soldo Braccio
-di Montone, e favorirono Luigi II, che venne cogli
-ajuti di papa Alessandro V e del suo successore Giovanni
-XXIII, e colle scomuniche da questo avventate a
-Ladislao. I gigli sventolavano a capo dell’esercito, e i
-Fiorentini uniti a’ Senesi dissipano una spedizione mossa
-a conquistare tutta Italia (1410); anzi prendono Roma, dove
-si stabilisce papa Giovanni. Luigi, ben fornito di Provenzali
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-e di fuorusciti, e de’ capitani Paolo Orsini,
-Attendolo Sforza, Braccio di Montone, vince a Roccasecca
-Ladislao (1411 19 maggio), facendo prigionieri quasi tutti i baroni
-e lo stendardo reale; ma i soldati sperdonsi a saccheggiare,
-poi rivendono le armi e i prigionieri per otto o
-dieci ducati l’uno, e Ladislao li compra, compra i soldati
-stessi del suo nemico, il quale deve colla vergogna
-ricoverare di là dai monti, ove presto finisce la vita.
-</p>
-
-<p>
-Ladislao invade Roma e lo Stato, rapinando malgrado
-de’ Fiorentini: costringe Giovanni a disdire Luigi d’Angiò,
-e riconoscere Ladislao ne’ regni di Napoli e Sicilia;
-obbligarsi a ricondurre alla obbedienza di lui quest’isola,
-allora in mano degli Aragonesi; nominarlo
-gonfaloniere della Chiesa con quattrocentomila ducati,
-e perdonargli un arretrato di ducati quarantamila dell’annuo
-tributo, tuttociò a patto che Ladislao riconoscesse
-lui papa. E papa e re violarono ben presto gli
-accordi: il primo raccoglieva bande, flagello de’ popoli,
-che non impedirono a Ladislao di assalir Roma (1413) ed entrarvi
-saccheggiando, mentre il papa fuggiva tra pericoli
-e patimenti infiniti, e chiunque del suo seguito fosse
-preso, veniva spogliato nudo, spesso ucciso. Giustamente
-si dolse Giovanni a tutto il mondo di tanta perfidia, e — Chi
-avrebbe potuto credere alcuno audace e perverso
-a segno, di venirci a giurar fedeltà, domandarci
-l’investitura in solenne adunanza, e all’ombra di tali
-dimostrazioni ottener quello che non avrebbe pur eseguito
-in guerra aperta? Ci rifugge l’animo dal dipingere
-il furore con cui trattò Roma, i sacri tempj, le venerabili
-reliquie de’ santi»<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ladislao non vi badò, e si spingea contro Bologna,
-sola rimasta al pontefice, ma una terribile malattia,
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-attribuita a veleni o a filtri, e più credibilmente a lussuria,
-lo gettava tratto tratto in accessi di rabbia, durante
-i quali trascorreva alle peggiori crudeltà; sinchè
-frenetico morì a trentasei anni (1414 6 agosto). Maltrattò le proprie
-mogli, e la repudiata Costanza obbligò a sposare un altro;
-provvedeasi di concubine d’ogni stato; matto di
-superbia, non curante che de’ soldati, prodigò i beni
-della corona a guerrieri, vendendo uffizj e cavalierati,
-assodò l’aristocrazia che prima voleva deprimere; e
-lasciò la solita eredità di questi re soldateschi, confusione
-e indisciplina.
-</p>
-
-<p>
-In mancanza di figliuoli, Giovanna II sua sorella gli
-successe, rinnovando gli scandali e i disordini della
-prima Giovanna; deforme e voluttuosa, perduta in licenziose
-feste a voglia d’indegni favoriti. Vedova di Guglielmo
-d’Austria, e sperando ne’ reali di Francia appoggio
-contro le pretensioni degli Angioini, sposò
-Giacomo di Borbone conte della Marcia. Ben ella s’era
-riservato tutto il potere; ma Giacomo volendo esser re
-anche di fatto, mise in prigione lei, al tormento poi a
-morte ignominiosa Pandolfello Alopo, che essa avea
-fatto gran siniscalco, conte, camerlingo, tutto. Indignò
-baroni e popolo quel vedere Francesi collocati in tutti
-gl’impieghi, e trattata da schiava la loro regina. Giulio
-di Capua dei conti d’Altavilla, condottiero napoletano
-che aveva infellonito re Giacomo contro i favoriti, allora
-congiurò d’ucciderlo, e ne informò Giovanna, che credette
-acquistar grazia col darne spia al re. I congiurati
-furon messi a morte; essa ebbe qualche larghezza, della
-quale profittando, i sudditi la liberarono e rimisero al
-potere; e Giacomo ridotto ad umile condizione, e fin
-prigioniero, poi sottrattosi, andò a morir frate.
-</p>
-
-<p>
-Qui, cacciati i Francesi, vennero attribuite le dignità
-ad Italiani; Giovanna riconobbe Martino V, gli fece
-omaggio, e gli restituì Roma e tutte le conquiste di
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-Ladislao; così suggerendole i suoi amanti, e principalmente
-quel che era sotterrato all’Alopo nella confidenza
-e nell’amore di lei, ser Gianni Caracciolo. Uomo
-d’intelletto e di preveggenza rara, ed amato dal popolo,
-al cui sostentamento aveva provveduto, avrebbe costui
-dominato dispoticamente se non l’avesse contrariato
-Attendolo Sforza.
-</p>
-
-<p>
-I caporali, che andavano in volta per la Romagna
-col piffero e il tamburino ad ingaggiare venturieri, esibirono
-il soldo a un terriero da Cotignola, di nome
-Muzio Attendolo, che stava zappando un suo podere.
-Egli tentenna fra il sì e il no, e non sapendosi risolvere,
-lancia sopra una pianta la zappa, risoluto di restarsene
-al suo mestiero se ricaschi a terra. Rimase
-implicata fra i rami, ed egli accettò le armi, tolse un
-cavallo dalla paterna stalla, e colla bravura e l’arrischiatezza
-acquistò nome; e Alberico da Barbiano vedendoselo
-in un diverbio saltar contro con violenza, gli
-disse: — Che? vorrai tu far forza anche a me come
-agli altri? Ti chiameremo lo Sforza. Questo soprannome
-gli restò, ed egli come capo di bande eccitò ammirazione,
-invidie, nimicizie. Nel campo voleva severa
-disciplina; un uom d’arme toglie il vestone pavonazzo
-d’un medico, e Attendolo, messoglielo in dosso, lo manda
-in giro pel campo, sicchè quegli dalla vergogna s’ammazza:
-uno scozzone di cavalli che sottraeva biada per
-venderla, fa legare alla coda di cavalli e strascinare a
-furia: un ferrarese che teneva seco una donna in figura
-di ragazzo, fece vestire da femmina e girar così negli
-accampamenti. Corpo abituato ad ogni fatica e stento,
-piacevasi solo a giuochi di forza; tutt’armato, poteva
-montare a cavallo senza ajuto che delle staffe, e per
-molte miglia viaggiare sotto quello scoglio ferrato;
-pronto a deliberare, prontissimo ad eseguire, ardito
-ne’ pericoli, franco in gioventù, simulatore dopo provati
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-i tradimenti, spregiator delle ricchezze, valoroso
-ma senza veruno de’ nobili concetti che fregiano il valore,
-soldato sempre di causa altrui.
-</p>
-
-<p>
-Col famoso condottiero Tartaglia avendo contribuito
-alla presa di Pisa, fu da Firenze provvisto di cinquecento
-fiorini annui. Riuscito ad uccidere per tradimento il
-traditore Ottobon Terzo, dal marchese d’Este, cui rendeva
-Parma e Reggio, ottenne la terra di Montecchio.
-Roberto imperatore gli concesse per arma un leon d’oro
-rampante che tiene nella zampa destra un pomo cotogno.
-Luigi II d’Angiò e il papa lo assoldarono nell’impresa
-contro Napoli; ma Ladislao riuscì a tirarlo a sè,
-donandogli quattro castelli nell’Abruzzo; onde il papa,
-che pur l’aveva investito della natìa terra di Cotignola,
-e creato gonfaloniere della Chiesa, lo fece dipingere in
-più luoghi appiccato pel piede destro con un cartello
-che cominciava <i>Io son Sforza villan di Cotignola</i>, e
-ne enumerava dodici tradimenti. Che contavano i tradimenti
-ove unica lode era il valore? Ladislao, avutone
-utile servizio, lo eleva gran connestabile del Regno, e
-gli assegna sette castelli del Patrimonio di san Pietro;
-altri ne acquista egli come vassallo della repubblica di
-Siena; e chiamasi attorno i parenti suoi, affidando loro
-i comandi nell’esercito, gente tutta allevata in faticosa
-sobrietà, avvezza al ferire in paesane contese, e interessata
-a sostener lui, unico appoggio di tutti.
-</p>
-
-<p>
-Alla morte di Ladislao, l’Alopo, ingelosito del favore
-mostratogli da Giovanna, lo sorprende e lo caccia in
-un fondo di torre; ma ben tosto riconosciutolo necessario,
-gli offre in moglie una sorella e nuovi dominj
-se metta a favor suo e della minacciata regina la sua
-banda. Re Giacomo, riuscito superiore, insusurrato da
-Giulio di Capua suddetto, alla sua volta lo chiude prigione,
-e così il gran venturiero alterna fra le catene e
-il comando, fra gli amori della regina e l’odio dei rivali.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-</p>
-
-<p>
-Amico, poi emulo suo fu Braccio dei conti di Montone,
-perugino. Da una fazione espulso di patria ferito
-e nudo, si pose sotto al Barbiano, e ne meritò la stima,
-poi l’invidia, tanto che si cercò torgli la vita. Scampato,
-e sofferti tutti i disagi della povertà non ladra, accettò
-soldo di qua di là, e alfine dai Fiorentini contro Ladislao.
-Rôcca Contratta fu la prima terra che a lui
-si sottomise, donde altre soggiogò nel Piceno. Giovanni
-XXIII andando al concilio di Costanza, lo lasciò
-incaricato di tenergli in fede Bologna e la Romagna,
-ed esso in fatti costrinse all’obbedienza i signori e le
-città che se ne voleano sottrarre. Ma quando Giovanni
-fu deposto di papa, Bologna diede su, e Braccio patteggiò,
-vendendole per ottantaduemila fiorini i castelli
-regalatigli dal pontefice. Trovandosi un buon esercito,
-impinguato dalle prede di Romagna, Braccio voltò sopra
-Perugia sua che l’aveva esigliato, e che era difesa dal
-Tartaglia; trasse a sè costui con promettere d’investirlo
-di tutti i feudi che si torrebbero allo Sforza, comune
-avversario; ma i cittadini lo respingeano intrepidamente,
-e quantunque i magistrati avessero fin murato le porte
-acciocchè nessuno uscisse a scaramucciare, saltavano o
-calavansi dalle mura per provarsi con que’ nemici. Venivano
-intanto altri capitani, chi per soccorrere, chi
-per combattere Braccio; e sulla via d’Assisi fu mischiata
-una battaglia (1416), rinomata ne’ fasti di quelle bande, ove
-comandavano da una parte Braccio con Tartaglia, con
-Niccolò Piccinino e con altri; dall’opposta Carlo Malatesta
-con Agnolo della Pergola, Ceccolino de’ Michelotti,
-Paolo Orsini. Sette ore durò la mischia sotto il sole di
-luglio, finchè Braccio vinse; onde Perugia schiuse le
-porte e diede la sovranità al suo esule, cui si sottomisero
-Rieti, Narni e tutta l’Umbria.
-</p>
-
-<p>
-Egli stabilì un governo robusto, abbellì la città, dedusse
-acque dal lago ad irrigare la campagna. Soleva
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-a Perugia farsi ogni domenica di primavera un’abbaruffata
-tra gli abitanti della città alta e quei della
-piana, lanciando sassi e parandoli con un largo mantello
-avvolto al braccio sinistro; poi succedeano persone
-armate in tutto punto, ma con cuscinetti che
-ammortissero i colpi; infine anche i fanciulli venivano
-alle mani: giuoco che non passava mai senza la morte
-e il guasto di più d’uno. Braccio vi diede grande splendidezza,
-e volle che ciascuna delle città a lui sottoposte
-vi mandasse una bandiera. Il duca di Camerino gli
-sposò una sorella; i Fiorentini lo tennero sempre amico
-ed alleato, ed egli prometteva ad ogni loro appello andare
-a comandarne l’esercito; e qualora capitasse a
-Firenze, eravi accolto con tutto l’entusiasmo che il corrotto
-giudizio umano tributa alla forza soldatesca, e
-più quand’essa è rara.
-</p>
-
-<p>
-Mentre lo Sforza stava in ceppi, Braccio procurò torgli
-i feudi, secondo avea pattuito col Tartaglia; di che
-nacque odio implacabile fra i due campioni. L’uno più
-arrischiato, l’altro di valore più educato ed accorto,
-furono capi di due scuole, emule non solo allora, ma
-sotto que’ grandi guerrieri che ne uscirono (dicevasi
-allora) come dal cavallo di Troja. Gli Sforzeschi valeano
-di più nella milizia, i Bracceschi nelle subitanee fazioni;
-questi nella disciplina e nelle particolarità, quelli nel
-concetto, negli appresti generali e nell’artifizio di tenersi
-delle riserve: nè gli uni nè gli altri utili alla patria
-e all’umanità, la quale non del valore ha bisogno, ma
-d’un valore adoprato a buona causa.
-</p>
-
-<p>
-Braccio era entrato in Roma (1417), egli capitano di ventura
-nella capitale del mondo cattolico, intitolandosene
-difensore finchè un nuovo papa giungesse. Lo Sforza
-mosse, per ordine di Giovanna, a snidarnelo; e quegli,
-molestato dalle febbri, si ritirò, covando vendetta, mentre
-lo Sforza rodevasi di non avere sfogato la sua.
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-Questo fu incaricato da Martino V di togliere a Braccio
-il principato che s’era costituito, ma nulla profittò contro
-quel valore esercitatissimo. Invano egli e il papa sollecitavano
-da Giovanna altri ajuti per fortunare l’impresa;
-a ser Gianni Caracciolo piaceva che fallisse, acciocchè
-se n’eclissasse la gloria dello Sforza: il quale vedendosi
-soccombere alla costui rivalità, non esitò a risuscitare
-le antiche parzialità dei Durazzo e degli Angioini,
-le quali doveano portare al paese tanti strazj e lunghissima
-servitù forestiera.
-</p>
-
-<p>
-Respinto il bastone di gran connestabile e disdetto il
-giuramento, quasi con ciò disobbligasse la propria fede,
-lo Sforza mandò a Luigi III, succeduto al II d’Angiò,
-invitandolo a rivendicare i suoi diritti, fondati sull’adozione
-di Giovanna I; e nominato vicerè, raccolse un
-esercito ed investì Napoli (1420). Luigi medesimo comparve
-colla flotta: ma gli si opposero per mare Alfonso re
-d’Aragona e Sicilia, che era stato chiesto da Giovanna II
-e adottato; e per terra Braccio, che riconciliato col
-papa, n’avea avuto in feudo Perugia e le vicinanze, e
-l’aveva soccorso a sottomettere Bologna, e che creato
-conte di Foggia, principe di Capua, gran connestabile,
-adoprò il valore e più gl’intrighi e la seduzione contro
-l’esercito oppostogli. Luigi, a cui il destro nemico avea
-sottratto l’amicizia del pontefice e il venale coraggio
-dello Sforza, se ne andò in rotta; ma questa non era
-che la prima scena del lungo conflitto tra Francesi e
-Spagnuoli.
-</p>
-
-<p>
-Intanto in Sicilia Federico II moriva (1377) di trentacinque
-anni, sempre inetto, lasciando una sola figlia Maria: e
-sebbene Federico di Svevia avesse determinata la successione
-per agnati, escludendo le femmine, il papa autorizzò
-Maria a succedere. S’oppose Pietro d’Aragona, finchè
-s’accordò di maritarla con don Martino suo nipote (1392). Ai
-baroni ne rincresceva, temendo non il signore forestiero
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-li mettesse al freno: ma egli comparve con buone forze,
-e accolto volonterissimo dalle città, domò gli Alagona e
-i Chiaramonti che gli si opponevano. Ma morì improle,
-onde gli succedette il padre suo (1409), Martino il Vecchio,
-già re d’Aragona; lo perchè la Sicilia cadde nella deplorabile
-condizione di provincia, e vi durò tre secoli.
-Per giunta, il papa e i re napoletani fomentavano le
-discordie, già inevitabili in quella costruttura di regno,
-e che continuavano l’agitazione anche dopo perita la
-libertà.
-</p>
-
-<p>
-Primeggiavano fra i baroni le famiglie de’ Chiaramonti
-e degli Alagona; la prima, tanto sublimata che
-diede una figlia in isposa a re Ladislao, propendeva
-agli Italiani ed era meglio popolare; l’altra agli Spagnuoli:
-ma e la <i>parzialità latina</i> e la <i>catalana</i> tiranneggiavano,
-strappando a sè le rendite, l’amministrazione,
-la guerra, la giustizia: le città, invece di maturare
-l’ordinamento municipale, erano predominate dai nobili,
-i quali eleggevano i magistrati, e cacciandone il capitano
-regio, vi mettevano qualche barone di loro parte, e
-infine le convertirono in rettorie di loro proprietà.
-Quando Martino II tentò dar polso alla podestà monarchica,
-essi baroni, sopendo le nimicizie, si collegarono
-a Castronovo per sorreggersi a vicenda, sorretti anch’essi
-dal papa; e Martino, obbligato a calare a patti,
-s’ingegnò di rimettere l’assetto antico, revocare alla
-camera le rendite alienate, munire il paese con un
-esercito stabile di trecento bacinetti o barbute, che
-cento erano di Siciliani, gli altri di forestieri.
-</p>
-
-<p>
-Egli armò per ricuperare la Sardegna ribellatasi, e
-le vittorie sue ridestarono il valor siciliano; ma non
-appena avviati i miglioramenti, nuove turbolenze suscitò
-la morte di lui. Non si vuole più re straniero:
-Palermo propone al trono un Peralta (1410); Catania e Siracusa
-negano dipendere da quella città; Messina, ancor
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-memore degli antichi sforzi, e sempre aspirando ad
-essere la prima città del regno, scuote il giogo straniero,
-e promette fede a papa Giovanni XXIII, che dichiara
-scaduti gli Aragonesi perchè più non aveano
-pagato il tributo feudale. Ma ai baroni conveniva quel
-che al popolo rincresceva, onde ajutarono la guerra,
-che durò finchè Ferdinando di Castiglia, nipote di Martino
-II, fu da tutti riconosciuto re legittimo (1412). Non badò
-alle domande ripetutegli di fare della Sicilia un regno
-distinto, anzi costituì non dovesse mai separarsi dall’Aragona,
-ch’egli aveva acquistato.
-</p>
-
-<p>
-Egli non approdò mai nell’isola; bensì Alfonso d’Aragona (1416)
-succedutogli vi pose dimora, fosse per desiderio
-di sottrarsi agl’impacci che nel suo regno gli davano
-le cortes e la gelosia de’ signori, fosse per colorire i
-suoi disegni sopra la Corsica. Cupido d’imprese, dal
-suo regno di Sardegna aveva invaso quest’isola; ma
-trovato gagliarda resistenza per parte de’ Genovesi, era
-stato costretto a recedere (1420). Fu allora che gli venne dalla
-regina Giovanna l’invito d’assisterla e la promessa d’adottarlo;
-intanto nominandolo duca di Calabria, e dandogli
-per sicurtà Castel Nuovo e Castel dell’Uovo. Quest’adozione
-avviava a ricongiungere le due parti separate
-dell’antico regno: ma Alfonso alla Corte di Napoli
-si accorge d’essere circuito da intrighi e tradimenti; e
-non sapendo tollerare la burbanza del Caracciolo e le
-costui trame per soppiantarlo, il fa arrestare. Giovanna
-spaventata appena ha tempo di chiudersi in Castel Capuano,
-disereda Alfonso per Luigi III d’Angiò (1425), invita a
-soccorso lo Sforza, il quale a rincalzo di combattimenti
-la salva. Lo Sforza, dopo avere avuto molti figli d’amore,
-sposò due mogli di sempre più elevata fortuna,
-e ultimamente una duchessa di Sessa, vedova di Luigi II
-d’Angiò: fu dichiarato ancora gran connestabile, e
-allorchè Giovanna gliene conferiva il bastone, e disputavasi
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-sulla formola migliore per impegnare la fede di
-lui, ella proferì: — Chiedetela a lui stesso, il quale
-tanti ne diede a me ed ai nemici, che nessuno meglio
-sa in che modo si obblighi e disobblighi». Menò egli
-robustamente la guerra contro del papa buttatosi cogli
-Aragonesi, e professava volergli far dire cento messe
-per un quattrino; fu soddisfatto del lungo odio col cogliere
-a forza, e far processare e mandare al patibolo
-il Tartaglia; ma poco dopo (1424 4 genn.) egli pure, nel guadare il
-Pescara, annegavasi al cospetto del figlio Francesco e
-dell’emulo Braccio.
-</p>
-
-<p>
-Mentre Alfonso era dovuto recarsi a chetare il suo
-regno d’Aragona, Giovanna co’ sussidj di Genova recupera
-Napoli; e Braccio, combattendo le bande sforzesche
-e Giacomo Caldòra sotto Aquila, rimane sconfitto (2 giugno), e ferito
-si lascia morir di fame e di rabbia, perendo quasi contemporanei
-i due caporioni delle bande italiane. Il
-pontefice, di cui Braccio circuiva quasi d’ogni parte gli
-Stati, ne festeggiò per tre giorni la morte, e lasciò il
-cadavere di lui insepolto: il suo dominio fu reso allo
-Stato pontifizio e al napoletano. Giovanna, per capricci
-amorosi che l’età rendeva ridicoli, venne in broncio
-col Caracciolo; e i nemici di lui, strappatole l’ordine
-d’arrestarlo, affrettaronsi ad ucciderlo (1432) prima che ella
-pentisse. La regina non potè che tributargli splendide
-esequie, e lasciare che il popolaccio saccheggiasse le
-case degli uccisori di lui; poi si abbandonò alla duchessa
-di Sessa, incapace com’era di volere o di risolvere
-da se medesima.
-</p>
-
-<p>
-Perito anche Luigi III senza figli (1434), Giovanna privilegiò
-erede in testamento Renato fratello di questo;
-poi a sessantaquattro anni, logora di corpo e di spirito
-moriva (1435), e con essa la prima casa d’Angiò, da
-censessantott’anni regnante. Le volubili adozioni di lei
-costarono infinite guerre a Francia e Aragona, che per
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-disputarsi quella bella corona toglievano appiglio da
-donnesche velleità. Per allora la Calabria fu congiunta
-alla Sicilia: ma Renato si fece innanzi allegando il testamento
-di Giovanna; il papa pretendeva che il regno
-vacante ricadesse come feudo alla Chiesa, ma essendo
-così debole da non potere sostenersi, prese la parte di
-Renato; e i regnicoli si divisero tra i due, che s’accinsero
-a meritare il Reame col farne quel peggiore strazio
-che sapessero. Alfonso che stava parato agli eventi,
-volle prevenire l’arrivo de’ Francesi, e assediò Gaeta
-difesa dai Genovesi, che l’avevano fatta emporio delle
-loro merci nelle passate turbolenze, e l’aveano per volontà
-de’ cittadini ricevuta in deposito. Egli la ridusse
-all’estremità; ma essendone mandati fuori fanciulli,
-donne, vecchi, a chi lo consigliava respingerli per affamare
-la città rispose: — Piuttosto non prendere Gaeta
-che rinnegare l’umanità», e gli accolse e nutrì.
-</p>
-
-<p>
-L’avere Alfonso cercato di conquistare la Corsica e
-farsene investire dal papa, aveagli nimicato Genova, la
-quale, giuratasi a guerra, non esitò a spendere ducentomila
-genovine per armare contro di lui. Biagio Assareto
-ammiraglio, affrontata la flotta del re all’isola di
-Ponza, la sconfisse (1435), e agli anziani di Genova ne dava
-ragguaglio nel patrio dialetto in questi sensi: — Magnifici
-e reverendi signori; innanzi tutto vi supplichiamo
-a riconoscere questa singolare vittoria dal nostro Signore
-Iddio, dal beato san Giorgio e da san Domenico,
-nella cui festa in venerdì fu data la sanguinosissima
-battaglia, della quale siamo rimasti vincitori non per
-le nostre forze, ma per la virtù di Dio, avendo la giustizia
-dalla nostra parte. Il quarto dì di questo mese,
-di mattino per tempo, trovammo sul mare di Terracina
-l’armata del re d’Aragona di navi quattordici scelte
-fra venti, sei delle quali erano grosse e le altre comuni,
-e con uomini seimila, talchè la nave più piccola ne
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-aveva da tre in quattrocento, le mezzane cinque in secento,
-e la reale ottocento, sulla quale erano il re d’Aragona,
-l’infante don Pietro, il duca di Sessa, il principe
-di Taranto con altri cenventi cavalieri. Avevano inoltre
-undici galee e sei barbotte. Il vento spirava dal Garigliano,
-sicchè era in loro potere quel giorno d’assalirci.
-Noi avendo a mente gli ordini vostri di non prender
-battaglia s’era possibile, ma soccorrere Gaeta, ci sforzammo
-tirare al vento, e navigammo verso l’isola di
-Ponza sempre seguitati dagli Aragonesi, che in poco
-d’ora ci ebbero raggiunti. La nave del re c’investì la
-prima nello scarmo di prua, e si concatenò amorosamente
-con noi. Avevamo dal lato opposto un’altra nave,
-una da poppa, una a prua. Non pensate già che i nostri
-marinari e patroni fuggissero, che anzi si spinsero addosso,
-e così rimanemmo essi e noi tutti legati insieme.
-Le galee aragonesi davano gente fresca alle navi loro;
-e le navi ci traevano bombarde e balestre ove più loro
-piaceva, perchè la calma era grandissima. Non pertanto,
-dopo combattuto dalle dodici sino alle ventidue senza
-riposo, in grazia della giustizia della causa nostra l’Altissimo
-ne diè vittoria. Primamente pigliammo la nave
-del re, e le altre nostre ne presero undici; una galea
-loro fu abbruciata, una sommersa e abbandonata, due
-si sono levate dalla battaglia e fuggitesi per portarne
-le nuove. Sono rimasti prigioni il re d’Aragona, il re
-di Navarra, il gran maestro di San Jacopo, il duca di
-Sessa, il principe di Taranto, il vicerè di Sicilia, e molti
-altri baroni, cavalieri e gentiluomini, oltre a Meneguccio
-dell’Aquila, capitano di cinquecento lance; gli altri prigioni
-sono a migliaja. Non so donde cominciare per
-degnamente riferire le lodi e le prodezze di tutti i miei
-compagni e marinari, insieme con l’ubbidienza e riverenza
-grande che mi hanno sempre usata, e massimamente
-il dì della battaglia; che se avessero combattuto
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-alla presenza delle signorie vostre, non avrebbero potuto
-fare di più. Cristo ne presti grazia che possiamo
-andare di bene in meglio»<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il re prigioniero, con due fratelli e un centinajo di
-baroni spagnuoli e siciliani, fu spedito a Milano a Filippo
-Maria Visconti allora signore di Genova; al quale
-il re colle cortesi e colte sue maniere seppe ispirare
-fiducia, e gli persuase come la grandezza dei duchi di
-Milano fosse derivata dalla debolezza dei reali di Napoli,
-sicchè ne sarebbe guasta, e con essa l’indipendenza
-italiana, se una casa francese si stabilisse laggiù, la quale
-certo intaccherebbe anche la Lombardia. Il freddo Filippo
-restò capace di quelle ragioni, e non solo il rese
-in libertà senza riscatto, ma il fornì di mezzi per ricuperare
-quel regno.
-</p>
-
-<p>
-Anche l’altro re di Napoli Renato, valorosamente
-combattendo nelle guerre di Francia, era caduto prigione
-del duca di Borgogna; ma avendo con grossi
-sacrifizj ricuperato la libertà, si cominciò una guerra,
-dove i competitori fecero gara di valore e di generosità.
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-Renato, signore di piccolo paese, esausto dalle
-taglie pagate per riscattarlo, nè sostenuto che da un
-papa esule, non avrebbe potuto pettoreggiare Alfonso,
-se non fossero state le bande di Giacomo Caldóra duca
-di Bari, che avea raggomitolato le truppe lasciate da
-re Ladislao, e dopo la morte di Braccio e di Sforza restava
-in nome di primo capitano d’Italia; ma come,
-lui morto, Antonio suo figlio degenere si guastò cogli
-Angioini, questi precipitarono; e Alfonso, scoperto un
-condotto sotterraneo, penetrò in Napoli; Renato, che
-colla bontà e col dividere pericoli e patimenti erasi
-fatto amare dai Napoletani, ritirossi in Francia (1442); il papa,
-che non gli aveva dato sin allora che promesse, lo riconobbe,
-e coronò re d’un paese che aveva perduto.
-</p>
-
-<p>
-Alfonso, entrato trionfalmente con una corona in
-capo e sei al piede per dinotare gli altri suoi regni di
-Aragona, Sicilia, Valenza, Corsica, Sardegna, Majorca,
-dotò i nobili spagnuoli e napoletani suoi fautori a spese
-degli avversarj; al Regno aggiunse lo Stato di Piombino
-e l’isola del Giglio, ch’erangli come porte verso
-la Toscana; brigò in tutte le vicende italiane, intanto
-che in una corte voluttuosissima abbandonavasi alle delizie
-ed agli studj; manieroso e scaltrito, generosissimo
-nel donare, suntuoso negli spettacoli, nelle caccie, nei
-concerti, negli edifizj, faceasi leggere continuamente
-qualche classico, frapponendo erudite interrogazioni, e
-neppure fra l’armi lasciava Giulio Cesare e Quinto Curzio:
-ma Tito Livio era il suo manuale, sino a far tacere
-la musica per udirlo; gli parve un gran che l’ottenere
-dai Veneziani un osso del braccio di lui, che con solennità
-fece trasportare a Napoli; e Cosmo de’ Medici lo
-calmò, dopo un torto fattogli, col donargli un bell’esemplare
-delle <i>Deche</i>. Pedestre si recava a udire i professori
-dell’Università; e quando morì Giulian da Majano,
-ne fece accompagnare il mortorio da cinquanta suoi
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-vassalli in corrotto. La più frequente sua conversazione
-era cogl’illustri eruditi d’allora, Giorgio da Trebisonda,
-il Valla, il Filelfo, il Panormita, il Manetti, il Decembrio,
-il Bruno, l’Aretino, Giovanni Aurispa, Giovian
-Pontano, Teodoro Gaza, il Crisolara. Aveva anche letto
-quattordici volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da
-Lira, e l’allegava ogni tratto; recitava tutti i giorni il
-rosario, sentiva due messe piane e una cantata, nè per
-qualsiasi caso se ne sarebbe dispensato; alle solennità
-assisteva ginocchioni, scoperto, cogli occhi immoti sul
-libriccino; il giovedì santo lavava e baciava i piedi ai
-poveri, ogni notte sorgeva a dir l’uffizio, digiunava
-tutte le vigilie e i venerdì in solo pane, accompagnava
-il viatico agl’infermi<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. Passeggiava in mezzo al
-popolo, e a chi gli insinuava qualche sospetto, — Di che
-può temere un padre tra’ suoi figliuoli?»
-</p>
-
-<p>
-Sedeva egli più spesso a Napoli, dove istituì la Sacra
-Corte reale di santa Chiara, ossia Capuana, giustizia
-suprema, estesa su tutti i suoi Stati. Ai baroni napoletani
-concedeva nelle investiture la giurisdizione col
-mero e misto imperio che mai non aveano avuta, di sì
-preziosa prerogativa della corona facendo prodigalità
-perchè non s’opponessero alla successione di Ferdinando
-suo figlio legittimato.
-</p>
-
-<p>
-Questo credeasi nato da Margherita di Hijar; e la
-moglie d’Alfonso fece strangolare questa damigella,
-che dicono coll’onor suo salvasse quello di dama più
-alta. Alfonso mandò la moglie in Ispagna giurando
-non più andarvi esso; poi, d’intesa col pontefice, in testamento
-nominò esso Ferdinando re di Napoli, cioè
-del paese da lui conquistato, mentre a suo fratello Giovanni
-re di Navarra lasciava gli aviti di Sicilia, Sardegna
-ed Aragona. In morte raccomandò al figlio: — Se
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-volete vivere quieto, non imitate me in tre cose:
-primo, sbrattatevi di tutti gli Aragonesi e Catalani da
-me esaltati; e Italiani, massime regnicoli, elevate agli
-impieghi, mentr’io gli ho guardati d’occhio sinistro:
-secondo, i nuovi aggravj da me posti ritornate alla
-misura antica: terzo, conservate la pace fatta colla
-Chiesa, e tenetevela amica se sapete»<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap115-10">CAPITOLO CXV.
-<span class="smaller">L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola.
-Il Piccinino. Lo Sforza.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Filippo Maria Visconti duca di Milano, non sanguinario
-come il fratello, ma cupo e diffidente, abile a
-celare i sentimenti proprj e succhiellare gli altrui, fatta
-pace oggi, la rompeva domani per rannodare bentosto
-nuovi accordi; abbatteva chi dianzi aveva sollevato;
-diffidava di tutti, di tutti ingelosiva, nè mai sapea perdonare
-i ricevuti benefizj. Non solo pospose a una
-druda la moglie Beatrice, ma volle svergognare lei e
-sbarazzar sè coll’imputarla d’adulterio con un paggio
-Orombello, e affrontando il proprio disonore mandolla
-al patibolo: la posterità esita sulla colpa di lei, non
-perdona al rigore e alla procedura di lui. Verso i migliori
-condottieri alternò lusinghe e minaccie, carezze
-e insidie; in trentacinque anni di regno, tre sole volte
-convocò il consiglio generale, intanto che fidavasi a
-malvagi consiglieri, ad aguzzetti di sue ingenerose
-passioni, ad Agnese del Maino sua amica, a Zannino
-Riccio suo astrologo; perocchè all’astrologia sottoponeva
-egli spesso le sue risoluzioni. Negletto del vestire, pigro,
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-corpulento, sul fin della vita anche cieco, e della pinguedine
-e della cecità vergognando, chiudevasi con pochissimi
-a ravviluppare una tortuosa e meschina politica, e
-passionato per l’intrigo, non credea ben riuscire ove a
-questo non ricorresse. Vero è che molti ebbe a disgustare
-nel ricuperare i possessi aviti; ed essi lo avversarono
-a segno, che molto bisogna dedurre dal male
-che ne dissero, e che gli storici hanno ripetuto.
-</p>
-
-<p>
-Filippo Maria, estendendo il dominio, diè di cozzo
-in tre repubbliche, la svizzera, la fiorentina, la veneta.
-Talmente la storia italiana fu intrecciata colla svizzera,
-che ci corre obbligo d’arrestarci alquanto su questa.
-</p>
-
-<p>
-Gli Elvezj, collocati nel gruppo centrale delle Alpi
-donde scendono i fiumi alla Germania e all’Italia, aveano
-opposto alla conquista romana il coraggio di montanari;
-poi sottomessi, parte restarono coll’Italia, parte
-colla Gallia e la Germania. I Barbari diretti all’Italia
-attraversarono quel paese, alcuni vi presero stanza, e
-di mezzo alla conquista e alla feudalità vi si compirono
-le vicende stesse della Germania e dell’Italia. San Gallo,
-Appenzell (<i>Abbatis Cella</i>), San Maurizio, Zurigo, Glaris,
-Lucerna erette intorno a conventi, le insigni badie di
-Einsiedlen e Dissentis, attesteranno in perpetuo che l’incivilimento
-vi fu recato da que’ monaci, ai quali testè
-parve liberalismo il negare fin un ricovero.
-</p>
-
-<p>
-Molti signori si erano, al modo feudale, spartito il
-paese in dominj militari ed ecclesiastici, che riconoscevano
-la supremazia dell’Impero: vi si contavano
-cinquanta contee, cencinquanta baronie, mille famiglie
-nobili; varie città possedeano franchigie e privilegi comunali
-alla germanica; e attorno al lago de’ Quattro
-Cantoni, Schwitz (che poi diede nome a tutto il paese)
-godeva una tranquilla libertà all’ombra del monastero
-di Einsiedlen, e davasi mano con Uri e Unterwald per
-respingere chi a quella attentasse.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<p>
-E v’attentavano di fatto i signorotti vicini, e massime
-i conti d’Habsburg castello dell’Argovia, e viepiù da
-che Rodolfo salì imperatore di Germania. Egli rispettò
-quelle comunali franchigie: ma Alberto d’Austria suo
-figlio e successore cercò ridurre que’ cantoni patriarcali
-in sua immediata dipendenza; e lasciava che i balii
-suoi soprusassero. Quei poveri ma robusti mandriani
-pertanto si confederarono (1307) onde resistere alla tirannia
-austriaca, e «in nome di Dio che ha fatto l’imperatore
-e il villano, e dal quale derivano i diritti degli uomini»,
-giurarono non far torto ai signori Absburghesi, ma
-non soffrire veruna diminuzione de’ proprj diritti.
-</p>
-
-<p>
-Alberto considerò siffatto accordo di difesa come una
-cospirazione ad offesa, e veniva coll’armi per punirla,
-allorchè tra via fu assassinato da un nipote, di cui aveva
-usurpato l’eredità. Leopoldo suo figlio mosse l’esercito
-feudale contro i confederati (1315), ma a Morgarten la sua
-esercitata cavalleria fu messa in piena rotta dalle subitarie
-bande paesane. Le vittorie assodano quella libertà,
-cioè l’esercizio dei diritti naturali e civili di ciascun
-paese: ai tre cantoni s’aggiungono Lucerna, Zurigo,
-Glaris, Zug, Berna, poi Aarau, Friburgo, Soletta, Basilea,
-Sciaffusa e Appenzell. Sempre invocando la Madonna,
-san Fridolino, sant’Ilario, alla battaglia di
-Sempach (1386) distruggono un nuovo esercito degli Austriaci,
-i quali, dopo altre sconfitte, sono costretti a lasciare i
-cantoni in pace, benchè trecento anni ancora tardassero
-a riconoscerne formalmente l’indipendenza. Poco mancò
-che gli Svizzeri traessero nella lega anche il Tirolo, lo
-che avrebbe anche da quel lato riparata l’Italia dalle
-ambizioni dell’Austria.
-</p>
-
-<p>
-Nella Rezia s’erano forse ridotti in antichissimo gli
-avanzi degli Etruschi; poi, allo sfasciarsi dell’Impero,
-buon numero di Romani, come lo attesta la lingua
-ladina e romancia che vi si parla finora, di fondo latino
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-mescolato al tedesco. Ivi pure acquistarono preponderanza
-varj tirannelli e i vescovi di Coira, per gran
-tempo suffraganti al metropolita di Milano: ma i popolani,
-alleandosi fra loro e istituendo i Comuni, ne
-frenarono le prepotenze. Come i nostri nel convento di
-Pontida, così alcuni Reti presso a quello di Dissentis
-radunaronsi per giurare di difendersi a vicenda; e così
-costituirono la lega Caddea (<i>ca de Dio</i>) (1401). Altri ne presero
-coraggio a domandare ai loro signori giustizia e sicurezza;
-e i signori adunatisi a Truns (1424), giurarono
-d’essere buoni e fedeli confederati nella lega Grigia,
-che diede agli altri il nome di Grigioni. Morto poi l’ultimo
-conte di Tockenburg (1436), i suoi vassalli strinsero
-la lega delle Dieci Dritture; e le tre a Vazerol
-combinarono la repubblica de’ Grigioni (1471), la quale
-alleatasi poco stante colla Confederazione svizzera (1497),
-represse gli Austriaci, ed assicurò l’intera libertà.
-</p>
-
-<p>
-Libertà di fatti positivi, semplici, intesi da tutti, non
-stillati da accademici e da avvocati; benedetta dalla religione,
-assicurata col proprio sangue, e che poterono
-conservare fin ad oggi, mentre l’ha perduta il paese
-nostro che ad essi serviva d’esempio. Sventuratamente
-però anch’essi l’abusarono in interne riotte; poi li
-prese il mal vezzo di vendere il proprio valore a chi li
-richiedesse, e l’ambizione di voler fare conquiste.
-Buon’ora essi volsero gli occhi di qua dell’Alpi Lepontine
-e delle Retiche per agognare il bel paese, dal quale
-ricevevano il bestiame loro, le pelli e i formaggi.
-</p>
-
-<p>
-Dalla cresta del San Gotardo piove a settentrione la
-Reuss nel lago dei Quattro Cantoni, per una valle inaccessibile
-se l’arte non v’avesse praticato il ponte del Diavolo
-e la buca di Uri. Salendo dalla quale verso meriggio,
-traversata la pascolosa valle Orsera a millecinquecento
-metri sovra il mare, alla vetta del Gotardo il pellegrino
-trovava ricovero nell’Ospizio, mantenuto con
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-cento scudi l’anno dagli arcivescovi di Milano e dalla
-carità de’ fedeli. Colà incominciava il Milanese; e scendendo
-pel pendìo meridionale a seconda del Ticino,
-dopo la scoscesa val Trémola, si veniva alla Leventina,
-già munita di torri longobarde, indi a Giorníco e Poleggio,
-poi a Bellinzona, cittadina che con buon castello
-ed estesa mura chiudeva quel passo, non guari distante
-dal lago Maggiore. Qui pure confluisce la Mesolcina,
-valle della Moesa, donde s’ha un altro passaggio all’alta
-Rezia pel San Bernardino. Varcando poi il monte Cenere,
-si cala al lago di Lugano, che fa già parte della
-pianura milanese, e che, coi laghi di Como a levante,
-di Varese a mezzogiorno, e Maggiore a ponente, forma
-la contrada più pittoresca della Lombardia.
-</p>
-
-<p>
-Tra le alture alpine rimanevano ancora alquante
-piccole signorie, come i Sax nella Mesolcina e a Bellinzona,
-i Rusca a Lugano, gli Orelli a Locarno; delle
-valli Leventina, di Blenio e Riviera il capitolo della
-metropolitana di Milano fin dal <span class="smcap lowercase">X</span> secolo tenea la dominazione
-spirituale e temporale. Gli abitanti della Leventina
-aveano avuto qualche rissa coi valligiani della
-valle Orsera, a vendicare i quali gli Svizzeri valicarono
-il San Gotardo e scesero fin a Giorníco (1331); ma il signor
-Franchino Rusca colle buone gli arrestò. Essi Rusca
-poi e i signori di Milano aveano invitato ora ad ora
-gli Svizzeri a sostenerli colle armi; modo di invogliarli
-d’un paese che potea porgere e vitto ed agi alla soverchiante
-popolazione delle montagne. Avendo poi i
-gabellieri di Gian Galeazzo Visconti (1405) tolto ai coloro paesani
-bovi e cavalli che conducevano al mercato di Varese,
-i tre Cantoni montani s’appellano agli altri, e
-non soddisfatti dal duca, varcano le Alpi; favoriti dalle
-dissensioni di Guelfi e Ghibellini, occupano la Leventina,
-e costrettala a giurar loro fedeltà, tornano in patria.
-Ma essendo dai Sax assalita quella valle, gli Svizzeri
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-di fitto verno ricompajono, e a Faído dettano la pace (1406),
-per duemila quattrocento fiorini acquistando quant’è
-fra la Leventina e il monte Cenere, compresa Bellinzona
-medesima, il che assicurava loro il valico alla
-Mesolcina e al Milanese.
-</p>
-
-<p>
-Gravava a Filippo Maria il lasciare in man loro quella
-chiave d’Italia; onde, côlto un bel destro, sorprese Bellinzona,
-e tornò la Leventina a sua obbedienza (1422). Tosto
-le vallate del Ticino e della Moesa echeggiano del corno
-di Unterwald e del toro di Uri, che guidano gli alpigiani
-alla riscossa; ma Angelo della Pergola e il Carmagnola
-con seimila cavalli e quindicimila fanti gli
-affrontano nel piano d’Arbedo (30 giugno). Erano ben altre pugne
-che quelle consuete in Italia. Gli Svizzeri, maneggiando
-a due mani i lunghi spadoni, senza rispetti cavallereschi
-cacciavanli nelle pancie dei destrieri, e non davano
-quartiere; onde fu necessario l’estremo del valore
-contro gente usata a morire sul posto assegnato, e in
-fitta ordinanza sostenere l’urto de’ nemici, come le
-roccie dei loro monti rompono la piena dei torrenti.
-L’intera giornata si pugnò, finchè il Pergola impose
-a’ suoi di scavalcare: allora l’arte prevalendo, duemila
-Svizzeri perirono, altri infissero a terra le punte delle
-labarde in segno d’arrendersi, e pochi e disordinati
-ripassarono le valli, che aveano dianzi fatto risonare
-coi canti di loro avida speranza. Era quella la prima
-grave sconfitta che gli Svizzeri toccassero, onde per
-allora si tennero quieti: ma non tardarono occasioni
-di capiglie: e quelli di Uri ripresero la Leventina, per
-più non lasciarla fin alle rivoluzioni dei nostri giorni.
-Trovandosi aperto quel varco all’Italia, vennero a scialacquarvi
-tante vite, che meglio avrebbero serbate a
-prosperare la loro libertà.
-</p>
-
-<p>
-Firenze, sempre rôcca dell’italica indipendenza,
-spiava gelosa i progressi di Filippo Maria, e con lui
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-stipulò (1419) che il fiume Magra tra il Genovesato e la Lunigiana,
-e il Panàro tra il Bolognese e il Modenese fossero
-i limiti, di qua e di là dei quali nessun di loro
-acquisterebbe nè mesterebbe. Ma Filippo, ottenuto Genova (1421),
-al doge Tommaso Campofregoso diede in compenso
-Sarzana, posta di là della Magra; poi trasse a sè
-la tutela del principe di Forlì, e mandò truppe sul
-Bolognese contro gli eredi della casa Bentivoglio; sicchè
-esclamando ai patti violati, i Fiorentini gli scoprirono
-guerra.
-</p>
-
-<p>
-Allora la solita gara di procacciarsi ciascuno alleanze
-e fautori, e massimamente di trarre a sè Venezia.
-Questa avea tocco l’apogeo di sua grandezza, e non
-mancava chi la consigliasse ad estendere le sue conquiste
-sopra tutta Italia, al modo dell’antica Roma: ma
-altri mostravano quanto pericoli la libertà dove preponderano
-le armi, e come dai possessi in terraferma
-resterebbe danneggiata una repubblica che, sorta in
-mezzo alle acque, dalle acque doveva aspettarsi salute
-e gloria. La politica conservatrice era rappresentata dal
-doge Tommaso Mocenigo; e quando nel 1421 si dibatteva
-nel maggior consiglio se mettersi in lega co’ Fiorentini
-contro il duca di Milano, egli stette sempre al
-no; e perchè Francesco Fóscari procurator giovane
-infervorava alla guerra, ne ribatteva con lunga parabola
-le insinuazioni.
-</p>
-
-<p>
-— Il nostro procurator giovane ha detto ch’egli è
-buono soccorrere i Fiorentini, perchè il loro bene è il
-nostro, e per conseguenza il nostro è il loro male. Noi
-vi confortiamo siate in pace. Se mai il duca vi facesse
-guerra ingiusta, Iddio, il quale vede tutto, ci darà vittoria.
-Viviamo in pace, perchè Iddio è la pace; e chi
-vuol guerra, vada all’inferno».
-</p>
-
-<p>
-Qui il Mocenigo scorre la storia sacra, mostrando
-come Dio premiasse i pacifici, e i superbi e guerreschi
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-disajutasse, e prosegue: — Così intraverrà de’ Fiorentini
-per voler fare i loro desiderj; Dio disferà la lor
-terra e il loro avere, e verranno ad abitar qui pel
-modo che sono venute altre loro famiglie colle donne
-e putti. Altramente, se verremo a far il volere del nostro
-procurator giovane, i nostri si partiranno e anderanno
-ad abitare in terre aliene. Discese Attila per tutto
-rovinando, e cacciando gli uomini occidentali, e saccomannandoli;
-e Iddio ispirò alcuni potenti, i quali
-vennero per sicurezza ad abitare in queste lagune, per
-modo che si trovarono salvi, come da Dio eletti. Se
-noi facessimo a modo che propone il nostro procurator
-giovane, Dio non ci avrebbe più per eletti, e aspetteremmo
-quello che hanno aspettato tutte le altre terre,
-rovinate e poste a sacco, e uccise le genti, e avuti mali
-assai. Se i Fiorentini vanno cercando il male, lasciateli:
-ma noi che siamo della città eletta su tutte l’altre, restiamo
-in pace.
-</p>
-
-<p>
-«Procurator giovane; Cristo pe’ suoi vangeli disse
-<i>Io vi do la pace</i>. Se noi facessimo a modo vostro, e
-preterissimo i comandamenti di Cristo, cosa potrebbesi
-aspettare se non male e distruzione? Procurator giovane:
-andiamo commemorando il Testamento vecchio
-e il nuovo. Quante città grandi sono diventate vili per
-le guerre? e per la pace si sono fatte grandi con moltiplicare
-la generazione, palagi, oro, argento, gioje,
-mestieri, signori, baroni e cavalieri. Come entrarono
-a guerreggiare, ch’è il mestiere del diavolo, Iddio le
-abbandonò e restarono divise; distruggevansi nelle battaglie
-gli uomini; l’oro e l’argento mancava; infine
-furono distrutte così com’eglino distrussero l’altre terre,
-e andarono schiave d’altri. Dove questa terra ha regnato
-mille e otto anni, Iddio la distruggerà».
-</p>
-
-<p>
-Qui ripiglia la storia profana insino a Roma. — Per
-le lunghe guerre, imposte alle terre angarie grandi, i
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-cittadini desiderando nuovo stato, Cesare se ne fece
-signore, e di male in male si stettero. Questo medesimo
-occorre a’ Fiorentini; gli uomini d’arme tolgono loro
-denari e sono i signori; ed essi obbediscono a que’ che
-sono loro servi, villani, genti maledette, uomini d’arme.
-Così intraverrà a noi se faremo a modo del procurator
-giovane. Pisa si fece grande, ricca ed abitabile per la
-pace e pel buon governo; come desiderò quel d’altri,
-in far guerra s’impoverì de’ cittadini, uno cacciava
-l’altro, tanto che la più vile comunità d’Italia li sottomise,
-che fu Firenze. Così interverrà a’ Fiorentini; e
-già si vede che sono impoveriti e stanno divisi. Così
-intraverrà di noi se faremo a modo del nostro procurator
-giovane. Come ho detto di questa, si dica di tutte
-l’altre città.
-</p>
-
-<p>
-«Adunque voi, ser Francesco Foscari nostro procurator
-giovane, non parlate mai più nel modo che
-avete fatto, se prima non avete buona intelligenza e
-buona pratica; perocchè Firenze non è il porto di Venezia
-nè da mare nè da terra, il suo mare essendo lontano
-dai nostri confini cinque giornate. I nostri passi
-sono il Veronese; il duca di Milano è quello che confina
-con noi, ed egli dev’essere tenuto in amicizia,
-perchè in manco d’un giorno si va a una sua città
-grossa ch’è Brescia, la quale confina con Verona e
-Cremona. Genova potrebbe nuocere, ch’è potente per
-mare sotto il duca, e con essa si vuole star bene:
-ma quando i Genovesi volessero novità, abbiamo la
-giustizia con noi; noi ci difenderemo valentemente
-e contro i Genovesi e contro il duca, colla ragione.
-La montagna del Veronese è la nostra difesa contro
-al duca, la quale per se medesima s’è già difesa: oltre
-a ciò, difendono tutto il nostro paese il paludo e
-l’Adige e tremila cavalli con tremila fanti e con duemila
-balestrieri; e se abbisognasse più gente fare, faremmo
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-resistenza a tutta la potenza del duca con altre
-tremila persone. Però godete la pace. Se il duca avrà
-Firenze, i Fiorentini, che sono usi a vivere a comune, si
-partiranno da Firenze, e verranno ad abitare a Venezia,
-e condurranno il mestiere de’ panni di seta e di lana,
-per modo che quella terra rimarrà senz’industria, e
-Venezia moltiplicherà, come intravenne di Lucca quando
-un cittadino se ne fece signore, che la ricchezza sua
-venne a Venezia, e Lucca diventò povera. Però state
-in pace.
-</p>
-
-<p>
-«Ser Francesco Foscari, se voi vi trovaste un giardino
-in Venezia, che vi desse ogni anno tanto frumento
-da viverne cinquecento persone, e oltre a questo ne
-aveste molte staja da vendere; che il detto giardino vi
-desse tanto vino per cinquecento persone, e oltre ne
-aveste da vendere molte carra; che vi desse ogni sorta
-biade e legumi per assai denari, e ancora ogni sorta
-di frutta da viverne cinquecento persone ogni anno, e
-che ve ne fosse da vendere; e il detto giardino vi desse
-ogni anno tra buoi, agnelli, capretti e uccelli di ogni
-sorta per bastare a cinquecento persone, e ne avanzassero
-da vendere; e similmente tanto formaggio ed uva
-e pesce, e non avesse spesa alcuna d’essere guardato,
-converrebbe dire che questo giardino fosse nobilissimo,
-dando tante cose. Se poi una mattina vi fosse detto:
-<i>Ser Francesco, i vostri nemici sono andati in piazza
-a togliere trecento marinaj, e hannoli pagati per entrare
-in questo vostro giardino, e questi portano cinquecento
-ronconi per guastare gli alberi e le vigne;
-e cento villani con cento buoi e con cento erpici per
-guastare tutte le piante, e far danno a tutti animali
-grossi e minuti;</i> e se voi foste savio nol soffrireste,
-ma sodereste alla casa, e terreste tanto denaro per
-assoldare mille uomini incontro a quei che vogliono
-menar guasto. Ma se voi pagaste, ser Francesco, quei
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-cinquecento uomini co’ ronconi e que’ cento villani a
-guastare il giardino cogli erpici? verrebbe detto che
-siete diventato pazzo.
-</p>
-
-<p>
-«Per provare se siamo in proposito, abbiamo deliberato
-di esporre il commercio che fa Venezia al presente
-e con chi. Ogni settimana vengono da Milano ducati
-diciassette in diciottomila, che farebbono in un
-anno la somma di ducati novecentomila, che entrano
-in questa città:
-</p>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td>alla settimana</td> <td>all’anno</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Monza</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Como</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Alessandria della Paglia</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Tortona e Novara</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Cremona</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Bergamo</td> <td class="num">1500</td> <td class="num">78,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Parma</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Piacenza</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-«S’introducono nel paese del duca di Milano merci
-per un milione seicentododicimila ducati d’oro all’anno.
-Vi pare che questo a Venezia sia un bel giardino e nobilissimo
-senza spesa?
-</p>
-
-<p>
-«Alessandria, Tortona e Novara vi mettono
-</p>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="5">per pezze di panno</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="center">all’anno</td> <td class="num">6,000</td> <td class="center">che valgono</td> <td class="center">ducati</td> <td class="num">90,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Pavia</td> <td class="center">»</td> <td class="num">3,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">45,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Milano</td> <td class="center">»</td> <td class="num">4,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">120,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Como</td> <td class="center">»</td> <td class="num">12,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">180,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Monza</td> <td class="center">»</td> <td class="num">6,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">90,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Brescia</td> <td class="center">»</td> <td class="num">5,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">75,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Bergamo</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">»</td> <td class="num">70,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Cremona</td> <td class="center">»</td> <td class="num">40,000</td> <td>fustagni</td> <td class="center">»</td> <td class="num">170,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Parma</td> <td class="center">»</td> <td class="num">4,000</td> <td>panni</td> <td class="center">»</td> <td class="num">60,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>in tutto</td> <td class="center">pezze</td> <td class="num">90,000</td> <td class="center">&#160;</td> <td class="center">ducati</td> <td class="num">900,000</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Oltre a questo abbiamo per l’entrata, magazzino
-ed uscita de’ Lombardi, a ducati uno per pezza, ducati
-ducentomila, che monta con le merci a ventotto milioni
-ottocentomila ducati. Vi pare che questo sia un bellissimo
-giardino a Venezia?
-</p>
-
-<p>
-«Ancora vengono canepacci per la somma di ducati
-centomila all’anno. Delle seguenti cose i Lombardi
-traggono da voi ogni anno:
-</p>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td>Cotoni, migliaja 5,000 per ducati</td> <td class="num">250,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Filati, migliaja 20,000 da 15 fino a 20 ducati il centinajo</td> <td class="num">30,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Lane catalane a ducati 60, il migliajo 4,000</td> <td class="num">240,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Lane francesche a ducati 30, il migliajo 4,000</td> <td class="num">120,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Panni d’oro e di seta all’anno</td> <td class="num">250,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Pepe, carichi 3,000 a ducati 100</td> <td class="num">300,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Canelle, fardi 400 a ducati 160</td> <td class="num">64,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Zenzero, migliaja 200 a ducati 400</td> <td class="num">80,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Zuccari d’una, due, o tre cotte, sossopra ducati 15 il cento</td> <td class="num">95,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Zenzeri verdi, per assai migliaja di ducati. — Cose d’ogni sorta per ricamare o per cucire</td> <td class="num">30,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Verzino, migliaja 4,000 a ducati 30</td> <td class="num">120,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Endaghi e grane</td> <td class="num">50,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Saponi per ducati</td> <td class="num">250,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Uomini schiavi</td> <td class="num">30,000</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-«Per modo che, fatta la stima del tutto, verrebbe
-ad essere due milioni ottocentomila ducati. È questo
-un bel giardino a Venezia senza spesa?
-</p>
-
-<p>
-«Ancora assai si vantaggia co’ sali che si vendono
-ogni anno. Il quale trarre che fa la Lombardia da
-questa terra, è cagione di fare navigare tante navi in
-Sorìa, tante galere in Romanìa, tante in Catalogna, tante
-in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del
-mondo; per modo che riceve Venezia, tra provvigioni
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-e noli, due e mezzo e tre per cento; sensali, tintori,
-noli di navi e di galere, pesatori, imballatori, barche,
-marinaj, galeotti e messetterie coll’utile dei mercatanti
-tra il mettere, eccovi un’altra somma di seicentomila
-ducati ai nostri di Venezia senz’alcuna spesa. Dal qual
-utile vivono molte migliaja di persone grassamente. È
-questo un giardino da doversi disfare? mai no; bensì
-da essere difeso da chi lo volesse disfare. Ci converrebbe
-togliere uomini d’arme che andassero sopra il
-detto paese guastando alberi e ville, abbruciando case
-e villaggi, depredando animali, e buttando giù mura di
-città e castelli, uccidendo uomini con desolazione, mettendo
-angarie alle nostre terre, sì ai cittadini come ai
-villani, e in questa città mettendo angarie alle case,
-prestiti alle mercatanzie, alle navi e alle galere? Dio sa
-quello che volessimo fare sul paese del duca: ma potrebbe
-occorrere che il duca salvasse il suo, e rimediasse
-ad ogni modo al male, e noi intanto saremmo
-stati cagione di disfare i luoghi nostri. Che varrebbero
-allora tante spezierie, e panni d’oro e di seta? niuno li
-torrebbe più, perchè non avrebbene il potere. E affinchè
-voi, signori, n’abbiate qualche notizia, sappiate che
-Verona toglie ogni anno broccato d’oro, d’argento e di
-seta, pezze ducento, Vicenza centoventi, Padova ducento,
-Treviso centoventi, il Friuli cinquanta, Feltre e Cividal
-di Belluno dodici; pepe, carichi quattrocento; cannelle,
-fardi centoventi; zenzeri di tutte sorta, migliaja e altre
-spezierie assai; zuccari, migliaja cento; pani di cera,
-ducento.
-</p>
-
-<p>
-«Come noi devastassimo il loro ricolto, eglino non
-avrebbono di che spendere, e se ne danneggerebbero
-tutte le mercatanzie di Venezia. Però non si vuol credere
-al nostro procuratore giovane. Al duca di Milano
-converrebbe, per difendersi, assoldare gente d’arme,
-mettere angarie ai villani, cittadini e gentiluomini, per
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-modo ch’e’ non avrebbe danaro da comperare le sopradette
-cose, in discapito e rovina della nostra città
-e cittadini.
-</p>
-
-<p>
-«Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli
-ambasciatori dei Fiorentini, ch’essi chiedano alla comunità
-loro licenza di praticare di pace. Se starete in pace,
-raunerete tant’oro che tutto il mondo vi temerà, e
-avrete Iddio sopratutto che sarà per voi. Iddio, signore
-di tutto, colla Nostra Donna e con messere san Marco
-vi lasci prendere la pace ch’è ben nostro»<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>.
-</p>
-
-<p>
-L’anno seguente rinnovando i Fiorentini le istanze,
-e dicendo, se Venezia non li soccorresse, dovrebbero
-fare come Sansone, che uccise se stesso con tutti i nemici
-suoi; e se restassero vinti, il loro servaggio produrrebbe
-quello di tutta Italia, esso doge in consiglio
-parlò: — Signori; voi vedete che per le novità d’Italia
-ogni anno vengono nella città di Venezia assai famiglie
-colle donne e’ figliuoli e coll’avere, e vanno empiendo
-la terra nostra; e pel simile da Vicenza, Verona, Padova,
-Treviso, con utilità grande della nostra città; e
-da ogni parte contadini e famiglie buone vengono ad
-abitare nelle nostre terre per vivere pacificamente coi
-loro mestieri, essi e i figliuoli. Vorrete guerra? questi
-si partiranno, struggendo la vostra città, e tutte l’altre;
-e de’ nostri partiranno. Però amate la pace. Se i Fiorentini
-si daranno al duca, loro danno; che ne darà
-impaccio? la giustizia è con noi. Essi hanno speso, consumato,
-e si sono indebitati: noi siamo freschi, e abbiamo
-in giro un capitale di dieci milioni di ducati.
-Vogliate vivere in pace, e non temere alcuna cosa, e
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-non fidarvi ne’ Fiorentini, i quali pel passato ci hanno
-messo in guerra coi signori della Scala, e ci domandarono
-in prestito mezzo milione di ducati; quando
-volemmo darli loro, si accordarono con que’ della Scala
-contra di noi: questo fu del 1333. Del 1412 fecero
-scendere contro di noi Pippo fiorentino, capitano degli
-Ungheri, il quale ci fece grandi danni....
-</p>
-
-<p>
-«Signori, non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo
-per dire la verità e il bene della pace. I nostri capitani
-d’Acquamorta, di Fiandra, per le nostre ambasciate
-che vanno attorno, pe’ nostri consoli e pe’ nostri mercatanti,
-sapete che si dice ad una voce: <i>Signori Veneziani,
-voi avete un principe di virtù e di bontà, che
-vi ha tenuto in pace, e vi tiene per modo vivendo in
-pace, che siete i soli signori che navigate il mare e
-andate per terra, per modo che siete la fonte di tutte
-le mercatanzie, e fornite tutto il mondo, e tutto il
-mondo vi ama e sì vi vede volentieri. Tutto l’oro del
-mondo viene nella vostra terra. Beati voi finchè vivrà
-questo principe, e ch’egli sarà con simile proposito.
-Tutta l’Italia è in guerra, in fuoco e in tribolazione,
-e pel simile tutta la Francia e tutta la Spagna,
-tutta la Catalogna, Inghilterra, Borgogna, Persia,
-Russia ed Ungheria. Voi avete solo guerra cogl’infedeli
-che sono i Turchi, con vostra grande laude e
-onore.</i> Però, signori, finchè vivremo, seguiremo simil
-modo; e vi confortiamo che dobbiate vivere in pace,
-e dar risposta a’ Fiorentini, come facemmo già un anno,
-presa da tutto il consiglio».
-</p>
-
-<p>
-L’autorità del doge ottagenario elise gli sforzi dei
-partigiani della guerra; però sentendosi approssimarsi
-al suo fine, egli chiamò alquanti senatori, e così prese
-a dire: — Signori, abbiam mandato per voi dacchè
-Iddio ci ha voluto dare questa infermità come fine del
-nostro peregrinare. A Dio Padre, Figliuolo e Spirito
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-Santo, trino ed uno, siamo obbligati per molte ragioni.
-Esso insegna ai Quarantun elettori di difendere la religione
-cristiana, d’amare i prossimi, di fare giustizia, di
-pigliar pace e conservarla. Nel tempo nostro abbiamo
-diffalcato di quattro milioni d’imprestiti, fatti per la
-guerra di Padova, di Vicenza e di Verona; il nostro
-monte si trova in sei milioni di ducati; e ci siamo sforzati
-che ogni sei mesi si abbiano pagate due paghe
-degl’imprestiti, e tutti gli offizj e reggimenti, e tutte le
-spese dell’arsenale, e ogni altro modo.
-</p>
-
-<p>
-«Per la pace nostra la nostra città manda dieci milioni
-di capitale ogni anno per tutto il mondo con navi
-e galere, per modo che guadagnano, tra mettere e
-trarre, quattro milioni. Al navigare sono navigli tremila,
-d’anfore dieci fino a ducento, con marinaj diciannovemila;
-navi trecento, che portano uomini ottomila;
-fra galere grosse e sottili ogni anno quarantacinque, con
-marinai undicimila; abbiamo sedicimila marangoni.
-La stima delle case somma a sette milioni, gli affitti
-delle case cinquecentomila; sono mille gentiluomini,
-che hanno di rendita annua ducati settantamila fino a
-quattromila. Voi conoscete il modo con cui vivono i
-nostri gentiluomini, cittadini e contadini. Ben però vi
-confortiamo che dobbiate pregare l’onnipotenza di Dio,
-la quale ci ha inspirato di fare nel modo che abbiasi
-fatto, e di proseguire così. Se questo voi farete, vedrete
-che sarete signori dell’oro de’ Cristiani, e tutto il
-mondo vi temerà. Guardatevi, quanto dal fuoco, dal
-togliere le cose d’altri e dal fare guerra ingiusta,
-che Dio vi distruggerà. Perchè possiam sapere chi toglierete
-per doge dopo la nostra morte, segretamente
-lo direte a me nell’orecchio, per potervi confortare a
-quello sia meglio alla nostra città».
-</p>
-
-<p>
-Udito i nomi, li collaudò, ma — Quei che dicono di
-volere ser Francesco Foscari, dicono bugie e cose senza
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-fondamento. Se voi lo farete doge, in breve sarete in
-guerra; chi avea diecimila ducati non ne avrà che mille,
-chi avea dieci case non si troverà che su di una, e così
-d’ogni altra cosa; per modo che vi disfarete del vostr’oro
-e argento, dell’onore e della riputazione dove voi siete,
-e di signori che siete, sarete servi e vassalli d’uomini
-d’arme, di fanti, di saccomanni e di ragazzi. Però ho
-voluto mandare per voi, e Dio vi lasci reggere e conservar
-bene. Per la guerra de’ Turchi, di valentissimi
-uomini in mare porrete ad ogni intromessione sì nel
-governo che nell’utilità. Voi avete otto capitani da governare
-sessanta galere e più, e così di navi: avete
-tra’ balestrieri, gentiluomini che sarebbono sufficienti
-padroni di galere e di navi, e saprebbonle guidare:
-avete cento uomini usi a governare armate, pratichi
-per togliere un’impresa; e compagni assai per cento
-galere, periti e savj galeotti assai per galere cento; per
-modo che ognun dice che i Veneziani sono signori dei
-capitani, dei padroni e dei compagni. Similmente avete
-dieci uomini, provati a grandi faccende in più volte a
-consigliare la terra, mostrando le ragioni sugli arringhi
-a tutti; molti dottori savj in scienza, e assai savj al
-governo del palazzo. Seguite secondo che vi trovate,
-e beati voi e i vostri figliuoli.
-</p>
-
-<p>
-«La nostra zecca batte ogni anno ducati d’oro un
-milione, e d’argento ducentomila tra grossetti e mezzanini,
-e soldi ottocentomila all’anno. Ducati cinquecentomila
-di grossetti vanno all’anno tra la Soria e
-l’Egitto; e ne’ vostri luoghi e ne’ luoghi di terraferma
-vanno, tra mezzanini e soldi, ducati centomila; altrettanti
-ne’ nostri luoghi da mare, altrettanti in Inghilterra,
-il resto rimane in Venezia. I Fiorentini mettono ogni
-anno panni sedicimila finissimi, fini e mezzani in questa
-terra; e noi li mettiamo nell’Apulia, pel reame di
-Sicilia, per la Barberia, in Soria, in Cipro, in Rodi, per
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-l’Egitto, per la Romania, in Candia, per la Morea, per
-l’Istria. E ogni settimana i detti Fiorentini conducono
-qui ducati di tutte le sorta settemila, cioè trecennovantaduemila
-all’anno, comperando lane francesi, catalane,
-cremisi e grane, sete, ori, argenti, filati, cere,
-zuccheri e gioje, con benefizio della nostra terra: così
-tutte le nazioni fanno. Però vogliate conservarvi nel
-modo in cui vi trovate, che sarete superiori di tutti. Il
-Signor Iddio vi lasci conservare, reggere e governare
-in bene».
-</p>
-
-<p>
-Francesco Foscari era conosciuto come abilissimo in
-intrighi, animoso all’intraprendere, e felice nel riuscire.
-In Venezia tenendo tante fila, cercava scostarsene il men
-possibile, non accettando che ambascerie di prima importanza;
-erasi amicati i Barnabotti col fare stabilir
-dotazioni pei figli di nobili poveri; e quattro figliuoli e
-molti amici gli erano d’appoggio a molto sperare. Vacando
-il dogato, scaltreggiò per modo, da prevalere a
-quei che il temevano perchè giovane e perchè attivo;
-e di fatto egli esercitò sui consigli della Signoria maggiore
-efficacia che non solessero i predecessori suoi.
-Favoriva quelli che lusingavano la vanità patriotica
-coll’idea di prepotere in Italia, e mettersi a capo d’una
-lega che equilibrasse i Visconti: sicchè la guerra, così
-temuta dal Mocenigo, allora proruppe.
-</p>
-
-<p>
-Già i Fiorentini seguitavano le ostilità con poca fortuna.
-Oddo figlio di Braccio di Montone, Carlo Malatesta
-e Nicolò Piccinino, stipendiati dai Fiorentini, furono in
-due anni (dal 6 7bre 1423 al 17 8bre 1425) sei volte
-sconfitti, ne’ romani e ne’ liguri campi, da Angelo della
-Pergola. Oddo perì: e Malatesta, caduto prigioniero del
-Visconti, fu da questo guadagnato colla cortesia: altrettanto
-avvenne del Piccinino. Un settimo esercito allestirono
-i Fiorentini, e cercavano amicizie; aveano (come
-ebbe a dire Lorenzo Ridolfi nel senato veneto) sparsi
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-per tutt’Italia i giojelli delle spose e delle figlie loro,
-venduto quanto possedeano di prezioso, speso più di
-due milioni di fiorini, che tanti non se n’avrebbero
-vendendo tutta Firenze<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E di peggio potea temersi se Filippo Maria, per quel
-suo andazzo di odiare cui dovea gratitudine, non avesse
-scontentato il Carmagnola. Avea questi ottenuto il titolo
-di conte e il cognome della famiglia regnante colla mano
-di Antonia, figlia naturale di Gian Galeazzo, e tra feudi
-e stipendj un’entrata di quarantamila fiorini; e si fabbricò
-a Milano il vasto palazzo che poi si disse Broletto.
-Il duca forse agognava ritorgli tanti doni, largiti non per
-cuore ma per bisogno; forse il Carmagnola credevasi
-inadeguatamente compensato con denari, quando vedea
-Sforza e Braccio essersi acquistato signorie indipendenti:
-fatto sta che ne cominciò malumore. Il Carmagnola
-vedendosi maltrattato e fin cerco a morte, si
-parte dal duca; e benchè questi ne trattenesse la moglie
-e le figlie, reca a servizio di Firenze un grosso
-esercito e la conoscenza dei divisamenti dell’ingrato
-padrone; e a danno di questo (1426 3 8bre) pratica un’alleanza con
-Venezia, col marchese di Ferrara, col signore di Mantova,
-i Sanesi, i duchi di Savoja e di Monferrato, gli
-Svizzeri e il re d’Aragona.
-</p>
-
-<p>
-Dichiarata guerra a Filippo (1426), il Carmagnola, fatto
-capitano generale, con buona sentita di guerra e colle
-intelligenze occupa Brescia: ma il duca seppe cavarsi
-dalle male peste, sia comprando il valore di Francesco
-Sforza, Guido Torello, Nicolò Piccinino e Angelo della
-Pergola che formavano quindicimila corazzieri, sia
-spargendo zizzania fra i collegati, sposando Maria figlia
-del duca Amedeo VIII di Savoja, al quale cedette Vercelli;
-e con altri sagrifizj e coll’interposizione di papa
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-Martino V, in Ferrara conchiuse pace (1426 30 xbre), a Venezia cedendo
-Brescia ed otto castelli sull’Oglio. Venezia, che
-così estendeva i dominj fino all’Adda, onorò e retribuì
-splendidamente il Carmagnola, e lo investì delle contee
-di Chiari e Roccafranca e d’altre terre fino a dodicimila
-ducati di rendita, con piena giurisdizione civile e
-criminale.
-</p>
-
-<p>
-Queste abjette condizioni lasciavano a sbaraglio Milano;
-onde i suoi nobili, che, secondo i vulgari raziocinj,
-consideravano proprio scorno il recedere il loro padrone
-da un’ingiusta guerra, mandarono supplicarlo a
-rescinder la pace, offerendo somministrargli diecimila
-cavalieri ed altrettanti pedoni, purchè lasciasse loro le
-gabelle e i tributi della città. Filippo non gradì che i cittadini
-rimetterser mano nelle pubbliche cose come ai
-tempi repubblicani; pur a rinnovare le ostilità si preparò
-col soldare le bande congedate dai Veneziani; e da settantamila
-uomini fra le due parti si trovarono a fronte
-nella valle padana<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>. Ben dovevano essere ancora di
-piccola importanza le artiglierie, se le navi venete osarono
-penetrare nel Po fino a Casalmaggiore, dove sconfissero
-la flotta milanese (1427 11 8bre); poi fra gli acquitrini di Macledio
-nelle vicinanze di Brescia l’esercito di Filippo fu sbaragliato
-dal Carmagnola. Allora si rannoda la pace; ma
-ecco tosto nuove rotture e nuovi accordi e nuove violazioni,
-secondo la versatilità di Filippo e la natura degli
-eserciti d’allora.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<p>
-A tali termini era l’Italia, che nè per la guerra acquistavasi
-gloria, nè per la pace quiete. Città prese e riprese,
-terre sfasciate, assassinj e tradigioni alternate
-colle battaglie, patimenti di plebe innominata, che importano
-alla storia? essa parla dei capi, e de’ felici
-colpi di quel prezzolato combattere. Non erano più
-guerre per la difesa della patria, non per utile o gloria
-o grandi intenti, ma effetto d’intrighi, di perfidiosa
-politica, del bisogno di battaglie che aveano i capitani
-come del proprio mestiere e guadagno. Sole truppe mercenarie
-campeggiavano, non ispirate da amor di patria,
-di gloria, di libertà; le battaglie finivano con poco sangue,
-atteso che, al primo piegar della fortuna, i soccombenti
-rendevano le armi, persuasi di trovare ben
-tosto un nuovo impresario, ed essendo convenuto fra
-condottieri di danneggiarsi il meno possibile.
-</p>
-
-<p>
-I vinti erano rilasciati in farsetto; i vincitori si sbandavano
-a godere le prede; i capitani se trionfanti dettavano
-legge a chi li pagava, se sconfitti esigevano
-compensi e ristori. Alla battaglia di Sagonara, ove
-Angelo della Pergola sconfisse ed ebbe prigioniero il
-Malatesta, se credessimo al Machiavelli, sole tre persone
-perirono, affogandosi nella mota. Così alla Molinella si
-combattè «mezzo un giorno... nondimeno non vi morì
-alcuno; solo vi furono alcuni cavalli feriti, e certi prigioni
-da ogni parte presi». Nella battaglia di Caravaggio,
-ove lo Sforza sbarattò affatto i Veneziani facendo
-diecimila cinquecento prigioni, diconsi morti soli sette
-soldati<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>, due dei quali dalla stretta e dallo scalpitare
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-de’ cavalli. Per tal modo un capitano, vinto oggi, al
-domani ricompariva in campagna con esercito non men
-numeroso; le guerre s’eternavano esaurendo l’erario,
-impoverendo lo Stato, e non assicurandolo dai nemici;
-paci fatte per necessità, rompevansi per capriccio; e
-tra i guerreggiati e i traditi, gl’Italiani doveano sentire
-quanto soffrano i paesi dove non sono tutt’uno la milizia
-e la nazione.
-</p>
-
-<p>
-A Maclodio sul Bresciano ottomila corazzieri di Filippo
-con Carlo Malatesta suo generale, e gli equipaggi
-e le ricchezze erano caduti prigionieri de’ soldati del
-Carmagnola, i quali trattandoli da commilitoni, subito
-li prosciolsero, onde tornarono al duca senz’altro
-avere perduto che le armadure. Due soli artefici di
-Milano offersero al duca quante armi bastassero per
-quattromila cavalieri e duemila pedoni; tanto vi fioriva
-questa manifattura: e Venezia vincitrice si trovò a
-fronte quegli stessi che dianzi avea vinti.
-</p>
-
-<p>
-Che il Carmagnola avesse disposto dei prigionieri a
-suo talento, spiacque all’ombroso Governo, e sospettollo
-d’intelligenze coll’antico suo signore; e tanto più dacchè
-sul Po la flotta milanese, guidata da Pacino Eustachio
-e da Giovanni Grimaldi genovesi, sconquassò la
-veneziana (1431 22 maggio), ch’era costata seicentomila fiorini. Imputando
-il Carmagnola di quel disastro, stabilirono torlo
-di mezzo: e perchè arrestare un capitano fra un esercito
-a lui devoto non era agevol cosa, l’invitano a Venezia (1432)
-sotto finta d’interrogarne l’esperienza, l’onorano in ogni
-modo, poi i Dieci l’arrestano, il processano; «non volendo
-confessare, fu posto alla corda; e non potendo
-trarlo su per un braccio ch’egli aveva guasto, gli fu
-dato fuoco a’ piedi, per modo che subito confessò
-ogni cosa». Fu mandato al supplizio (5 maggio) col bavaglio in
-bocca; trattane al fisco la sostanza, che valutavasi a
-trecentomila ducati; provvisto alla moglie ed alle
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-figliuole. Il popolo tremò ed applaudi: la posterità, anche
-dopo conosciuti gli atti di quel processo, rimane dubbia
-sulla reità di lui, e lo colloca fra quelle vittime delle
-procedure segrete, che dalla pubblica coscienza attirano
-compassione per sè, esecramento su chi le fa<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Genova sappiamo che erasi sottoposta a Filippo Visconti,
-sicchè quando essa nella battaglia di Ponza
-(pag. 84) fece prigioniero Alfonso re d’Aragona e di
-Sicilia, a lui lo mandò. Il re seppe cattivarsi Filippo
-in modo che ne fu lasciato andar libero. Tante iniquità,
-tanto egoismo non nocquero mai al Visconti, come
-questa insolita generosità; perocchè i Genovesi, indispettiti
-che egli disponesse a sua voglia del frutto di
-così insigne vittoria, si sottrassero all’obbedienza del
-duca (1453 27 xbre), scannarono a furor di popolo il suo governatore,
-rivollero la repubblica, e con essa lo strazio
-delle fazioni.
-</p>
-
-<p>
-Nel calcolato favore di Filippo, al Carmagnola era
-sottentrato un altro prode. Quando Sforza Attendolo
-perì, l’esercito suo, unica assicurazione de’ privilegi e dei
-possessi che i principi gli aveano accordati per paura,
-sarebbesi sfasciato, se Francesco, uno de’ tanti figliuoli
-che esso aveva d’amore o di nozze, non avesse tenuto
-congiunte quelle masnade, obbedienti quegli uffiziali,
-dando già indizio di quella destra politica, che dovea
-poi alzarlo al più bel dominio italiano. Reso famoso in
-tutti i fatti d’arme d’Italia, e sentendo quanto valesse
-una buona spada, non s’accontentava ai dominj paterni;
-e battendo più alto la mira, e sempre crescendo d’importanza,
-giunse a ottenere che Filippo gli promettesse
-la mano di Bianca, unica sua figlia naturale. Appena
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-uscito per lui di pericolo, il duca se ne pentì e ricusò;
-onde lo Sforza andossene, e nell’Anconitano si formò
-colla spada un marchesato sotto la supremazia del pontefice;
-poi non bastando a mantenere le proprie masnade,
-si acconciò a servizio de’ Fiorentini. Questi aveano condotto
-con varia fortuna e mirabile costanza la guerra;
-ma poi Nicolò Piccinino, il quale aveva assunto l’esercito
-di Braccio di Montone, si pose col Visconti e in
-riva al Cerchio sconfisse i Fiorentini, togliendone l’artiglieria,
-le munizioni e quattromila cavalli. Essi vidersi
-allora costretti a cedere Lucca ed accettar la pace; nella
-quale però anche Filippo rinunziava ai fatti acquisti e
-alle alleanze in Romagna e in Toscana, per non avere
-più titolo di brigarsi nelle vicende di questa.
-</p>
-
-<p>
-L’astuto finse allora congedare il Piccinino, ma gli
-diede segreta istruzione di devastare la Toscana, la
-quale, vistasi ingannata, e costretta a far nuove armi,
-si chiamò felice di trarre sotto ai gigli suoi Francesco
-Sforza.
-</p>
-
-<p>
-Ecco a fronte i due maggiori capitani del tempo,
-rappresentanti le due antiche scuole di Braccio e d’Attendolo.
-Il Piccinino, sebbene disavvenente di corpo e
-infelice parlatore, spingeva al sommo il merito di
-Braccio, vale a dire la celerità de’ movimenti, audace
-fin alla temerità, indomito dall’avversa fortuna. Francesco
-dalle diverse scuole sceglieva il meglio, e sapeva
-col genio avvivarlo; maschio di corpo e d’animo, il
-male non proponevasi, ma non ne rifuggiva se utile;
-entrambi caldi di odj, ma ricchi di quella bontà che
-non di rado si palesa pe’ soldati, ed è riparo o compenso
-alla facilità che hanno di far male.
-</p>
-
-<p>
-Lo Sforza erasi mostrato propenso alle repubbliche,
-massime a Firenze, non perchè sentisse in quel senso,
-ma per tenere in ombra Filippo, o per far contrario al
-Piccinino che a questo conservava fede. Non volendo
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-però scontentare in tutto il duca, nè sfasciare uno Stato
-sul quale spingeva i desiderj, lasciò alquanto in tentenno
-la guerra: ma quando si vide zimbello alla peritanza
-e finteria di Filippo, calò la buffa, e parve decidere
-delle sorti d’Italia coll’accettare dai federati il
-bastone, con novemila zecchini al mese dai Veneti,
-ottomila quattrocento da’ Fiorentini.
-</p>
-
-<p>
-I due emuli capitani fecero gara di valore e d’abilità,
-sul Veneto, in Toscana, nella marca d’Ancona portando
-a vicenda la devastazione. Novamente famoso venne per
-durata e fierezza l’assedio di Brescia, invano sostenuto
-dal Gattamelata, e dove Brigida Avogadro menò le
-donne a respingere il Piccinino. «Tutto il popolo notte
-e giorno lavorava a far riparo di dentro a’ muri; vi
-lavoravano femmine, putti, donne, preti, frati, giudici,
-tali e quali. Il Piccinino solariò il fondo della fossa di
-graticci, e fece la via per venire in cima del terraglio.
-Dirai, <i>Che facevi voi che nol vietavate?</i> dico che come
-noi ci facevamo sul terraglio, egli tirava con quelle
-bombarde. Oh quanti ve ne furono morti di noi cittadini!»
-E quando salirono all’attacco «si cominciò una
-riotta con noi di dentro, per modo che, colla grazia di
-Dio, furono urtati giù. Avreste veduto quelli uomini
-d’armi traboccar giù per quel terraglio con que’ suoi
-pennacci a volta voltone che era una consolazione. Di
-bombarde, di schioppetti, di verrettoni, di sassi che si
-tiravano, parea che l’aria si oscurasse: parea che tutto
-il mondo si aprisse di tamburi, di trombette, di gridori,
-di campane a martello..... Avreste veduto il popolo,
-femmine, zerlotti, piccoli e grandi, che correvano
-giù ai luoghi dove si davano le battaglie, chi con pane,
-chi con formaggio, chi con vino, chi con confetto per
-reficiare que’ cittadini combattenti, e que’ soldati ch’erano
-con noi. Voi avreste veduto la gente d’arme de’
-nemici in belle battaglie che tenevano dal brolo del
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-vescovo fino a San Pietro Oliviero, tutti quanti a cavallo:
-e quando si davano le battaglie, si scambiavano
-sotto di squadra in squadra, smontavano da cavallo, e
-venivano alla battaglia: ma tosto loro veniva talento
-di ritornare a dietro»<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Brescia sempre eguale a se stessa! I Veneziani, per
-la nimicizia del marchese di Mantova non potendo mandar
-navi pel Po nel Mincio, e da questo nel lago di
-Garda, divisarono un fatto arditissimo, suggerito da un
-Sorbolo candioto. Avviarono su per l’Adige due galere
-grandi, tre mezzane e venticinque barche, poi strascinandole
-a forza di cavalli e di bovi traverso al frapposto
-Monte Baldo spianando e sgombrando, le gettarono in
-esso lago a Tórbole: meraviglia e terrore, che il Piccinino
-dissipò bruciandole.
-</p>
-
-<p>
-Ma alfine Brescia fu salvata, sebbene da fame e peste
-ridotta a metà abitanti. Francesco Barbaro provveditore
-e famoso grecista, fu chiamato a Venezia coi cento
-gentiluomini che più aveano contribuito a quella difesa,
-accolti dalla Signoria, abbracciati dal doge che li proponeva
-quali modelli ai sudditi della Repubblica, ed
-essi e la loro posterità esimeva da ogni imposta; al
-Comune poi rilasciaronsi ventimila ducati, che il fisco
-ritraeva annualmente dai mulini<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il Piccinino, smaniato d’acquistare il dominio che
-era stato di Braccio, si fa mandare dal Visconti nell’Umbria,
-guasta la Toscana, e ad Anghiari (1440 29 giugno) a’ piè de’
-monti che separano la val del Tevere da quella di
-Chiana assale le truppe pontificie di tremila corazzieri
-e cinquecento pedoni, e le fiorentine di otto in nove
-mila cavalli, comandate da Gian Paolo Orsini, e rimane
-sconfitto e prigioniero: se non che i vincitori sbandatisi
-non proseguirono la vittoria e la resero inutile,
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-perchè il Piccinino ebbe raggomitolati ben tosto tutti
-quelli che avea perduti, e tornò in Lombardia a rifarsi
-col saccheggiare terre di amici. Tuttochè guelfo, disprezza
-le scomuniche paragonandole al solletico, che lo
-sente chi lo teme; s’insignorisce di Pontremoli e di
-Bologna; ed è adottato nelle case dei Visconti di Milano
-e d’Aragona di Napoli. Anche gli altri capitani a stipendio
-di Filippo Maria chiedevano sovranità: Alberico
-da Barbiano voleva Belgiojoso; Lodovico Sanseverino,
-Novara; Lodovico del Verme, Tortona; Talian Friulano,
-Bosco e Frugarolo; altri altro. Il duca, che aveva rimosso
-lo Sforza onde non farlo sovrano, credette allora
-minor male il richiamarlo, e gli concesse la mano di
-Bianca (1441), e in pegno della dote il contado di Pontremoli
-e Cremona. La pace di Cavriana, fatta sotto la mediazione
-dello Sforza e a malgrado del Piccinino cui essa
-strappava un’immancabile vittoria, rintegrò nei primieri
-confini il duca, le repubbliche di Venezia, Genova
-e Firenze, il papa e il marchese di Mantova.
-</p>
-
-<p>
-Che valevano le paci generali, quando duravano le
-particolari animadversioni de’ capitani? Francesco mosse
-per vendicarsi d’Alfonso il Magnanimo, che gli aveva
-occupati i feudi paterni nel Reame: ma Filippo Maria
-tornatone geloso, s’accordò con Eugenio IV per torgli
-la marca d’Ancona, ridiede il suo favore al Piccinino,
-che dichiarato gonfaloniere della Chiesa, noceva il più
-possibile all’irreconciliabile suo emulo, e d’ordine di
-Filippo assediò Pontremoli e Cremona.
-</p>
-
-<p>
-Il gran capitano, a cui la generosità non impediva
-di levarsi d’attorno coi supplizj e col ferro gli emuli,
-vedeasi tolta pezzi a pezzi la sovranità militare ch’egli
-erasi formata nel cuore dell’Italia, e soccombeva alle
-tergiversazioni del suocero e alle infedeltà di papa Eugenio;
-quando i Veneziani, guardando come lesa la pace
-di Cavriana, si allearono coi Fiorentini, presero al soldo
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-varj condottieri, e sotto Michele Attendolo mandarono
-l’esercito a’ danni del duca, e dopo la vittoria di Mezzano
-sopra Casalmaggiore si spinsero fino a Monza e
-Milano. Il Visconti, sbigottito dal vedere Venezia ostinarsi
-al conquisto della Lombardia, si rappattumò col
-genero, il quale comprendeva che se la Lombardia toccasse
-ai Veneziani, più nulla avrebb’egli a sperarne,
-mentre invece la disputabile successione di Filippo aprivagli
-ambiziose eventualità. Accettò dunque il comando
-supremo sulle armi e le fortezze; dugentomila fiorini
-d’oro l’anno per mantenere l’esercito suo e quello lasciato
-dal Piccinino, il quale, dopo essere stato uno
-degli arbitri di questa sbranata Italia, era morto (1444 15 8bre) col
-dispiacere di non avere nè ingrandito se stesso, nè
-ottenuto gratitudine da quelli cui aveva servito.
-</p>
-
-<p>
-Poco poi Filippo Maria, sempre passionato per l’intrigo,
-si lasciò di nuovo menare dai Bracceschi e dagli
-altri che invidiavano l’incremento dello Sforza; e rompea
-seco di nuovo, allorchè morte lo colse (1447 15 agosto), e con lui
-terminava la stirpe de’ Visconti.
-</p>
-
-<p>
-La quale fu con lode ripagata della protezione che
-concesse ai dotti d’allora, e il Filelfo, il Barziza, il Panormita,
-l’Offredi, il Decembrio ne tesserono la storia
-e la falsarono. Del resto già vedemmo come la Lombardia
-fosse una monarchia militare, non temperata se
-non dalle arti che ad un governo intelligente sono insegnate
-dal desiderio di conservarsi; i Milanesi la sopportavano
-anzi rassegnati che contenti; e il desiderio
-della libertà erasi illanguidito a segno, che al più si
-aspirava a cambiare tiranni: la pace e la guerra, la
-ricchezza e la felicità del paese, la tolleranza o punizione
-dei delitti dipendevano dal principe.
-</p>
-
-<p>
-Sovratutto mancava quel che ai popoli più è necessario,
-pace, e pronta ed eguale giustizia; anzi le prepotenze
-pareano favorite dai dominanti. Giovanni Gámbara,
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-signorotto del Bresciano, faceva cogliere da due
-bravi una tal Bartolomea che avea detto male di sua
-moglie Subrana, e mozzarle la lingua; il podestà condannò
-al taglione il Gámbara e la moglie, ma essi
-interposero un fratello della mutilata, che li riconciliò
-con questa; e Gian Galeazzo Visconti concedette perdono.
-È scritto che Giovanni Palazzo ottenesse da Gian
-Maria che Guelfi e Ghibellini del Bresciano potessero
-combattersi sei mesi, salva la fedeltà al principe, e
-commettere qualsivoglia misfatto tra loro. Esso Gian
-Maria nel 1401 mandava podestà ad Asola Giovanni
-Visconti e capitano Giorgio Carcano, i quali spinsero
-tant’oltre l’audacia, che niuna fanciulla poteva andare
-a marito senza avere passato tre giorni nel loro palazzo:
-gli Asolani stancati li trucidarono, e i Bresciani
-in punizione distrussero Asola<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>. Quando manchi la
-giustizia, più non rimane garanzia di sorta, nè altro si
-può che abbattere il dominante per mettersi al posto
-di lui e divenire oppressori.
-</p>
-
-<p>
-Pure costoro erano principi nostrali, e i Lombardi
-compiacevansi della loro grandezza, giacchè nol poteano
-della propria felicità; compiacevansi alla splendidezza
-della Corte, alle regie parentele, alle frequenti comparse,
-ai clamorosi pranzi, ai clamorosissimi funerali,
-a quel lusso di sfarzo e spesa più che di gusto, alle
-feste che frequenti si rinnovavano per nozze, per paci,
-per venuta di principi. Fu volta in cui Filippo Maria
-ebbe ospiti papa Martino V e l’imperatore Sigismondo,
-e prigionieri il re di Napoli e quel di Navarra; in un
-mazzo di carte (giuoco allora nuovo) dipinto da Marzian
-di Tortona spese millecinquecento monete d’oro.
-</p>
-
-<p>
-Le sevizie di que’ principi possono paragonarsi al
-morso di un cane rabbioso, che nuoce solo a chi lo
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-avvicina; mentre una pacata signoria può indurre gli
-effetti della malaria, generale spossamento e tabe irremediabile.
-Perocchè del resto essi cercavano il prosperamento
-del paese, sia per trarne di più, sia per non iscapitare
-al confronto de’ vicini. L’agricoltura procedea di
-meglio in meglio, sull’esempio de’ monaci, principalmente
-de’ Cistercensi, che verso il Lodigiano e il Pavese
-aveano introdotto i prati stabili e le cascine; si miglioravano
-le razze de’ bovi; de’ cavalli, celebri per grossezza
-e forza, molto spaccio faceasi in Francia. I lavori
-di seta crebbero principalmente dacchè nel 1314 molti
-fabbricanti di Lucca, fuggendo la tirannia di Castruccio,
-ricoverarono a Milano. I Lombardi andavano in Francia,
-in Fiandra, in Inghilterra a raccattar lana, che poi
-tinta e tessuta mandavano colà donde ora ci vengono
-i panni fini; e per tutta Europa correvano le monete
-d’oro colla biscia. I nobili non prendeano vergogna del
-mercatare, e sulle matricole figurano i Litta, i Dadda,
-i Bossi, i Crivelli, i Gusani, i Dugnani, i Medici, i Melzi,
-i Porro, i Bescapè, i Castiglioni, i Pozzobonelli. I Borromei
-da San Miniato si trasferirono qui vendendo
-panni grossolani, e stabilendone una fabbrica; e subito
-Filippo Maria prese un Borromeo per direttore della
-finanza, e poco dopo Luigi XII di Francia levava al
-battesimo un figliuolo di quella casa<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le arti, divise in venticinque <i>paratici</i> o consorzj,
-con bandiera, statuti, assemblee distinte, esercitavano
-ogni sorta mestieri, e all’uopo prendeano le armi. Singolarmente
-i Lombardi guadagnavano in operazioni di
-banco, avendone stabiliti in tutte le città d’Europa.
-Milano era sì ricca, che diceasi in proverbio bisognerebbe
-distrugger lei chi volesse rifare l’Italia; e udimmo
-i nobili esibire a Filippo di mantenergli stabilmente
-diecimila cavalieri ed altrettanti pedoni se lasciasse loro
-le entrate della città. L’estimo del 1406 dà ai beni mobili
-e stabili della città e dei corpi santi il capitale valore
-di tredici milioni dugencinquantamila zecchini. La popolazione
-cresceva, benchè guasta da pesti ricorrenti;
-e i primi provvedimenti di polizia sanitaria menzionati
-sono i milanesi.
-</p>
-
-<p>
-Il servaggio principesco alterava la semplicità de’ costumi,
-e senza credere alle declamazioni, è a supporre
-s’imparasse a chinar la fronte a quello in cui mano
-erano il denaro, la forza, la legge, ed a quella serie di
-bassi che comandano agli altri; catena di soggezione,
-che cominciata non finisce più. Nondimeno durava un
-vivere patriarcale, nè la Corte era distinta dalla città
-quanto nei tempi posteriori; e benchè i nobili godessero
-molti privilegi, pure le condizioni si trovavano
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-spesso mescolate nei pubblici convegni ed alle feste
-ecclesiastiche o civili.
-</p>
-
-<p>
-Se si pensi che non v’avea truppe stanziali, primario
-rinfianco della tirannia; che il duca vivea tra gente
-nostra, con nostri consiglieri, fra tante corporazioni
-organizzate e armate, fra privilegi di arti, di corpo,
-di stato, si vedrà che il despotismo non poteva sbizzarrire
-senza contrasto; le memorie della prisca libertà
-non erano perite, non poteasi a voglia gravar le imposte,
-gli statuti frenavano anche il principe, le fazioni di
-Guelfi e Ghibellini opponeano potente contrasto, sicchè
-la tirannia non era sistematica ma di eccezione. Que’
-principi pesavano più volentieri sui nobili per torsene
-l’ostacolo e rapirne le ricchezze; non per questo si
-rendeano popolari, comunque talora grossolani: e la
-plebe anch’essa sapeva resistere, e piegando non dimenticava
-d’avere dei diritti.
-</p>
-
-<p>
-Tutti questi avvenimenti potemmo divisare senza
-tampoco far motto d’un altro imperatore calato in Italia.
-La Casa di Luxemburg, così meschina sotto il cavalleresco
-Enrico VII, era giunta a possedere tanti dominj,
-quanti mai quella di Hohenstaufen; in un secolo avea
-dato quattro imperatori, Enrico VII, Carlo IV, il vituperevole
-Venceslao che fu deposto, e suo fratello Sigismondo,
-che al tempo stesso era elettore di Brandeburgo,
-re di Boemia e d’Ungheria. Bello d’aspetto (tal
-ce lo descrive Leonardo Aretino che lo conobbe), alto
-della persona, nobile, vigoroso, magnanimo in pace e
-in guerra, eloquente, amante le lettere, liberale oltre le
-sue scarsissime entrate, trovavasi sempre bisognoso di
-denaro, e perciò costretto a vendere la propria alleanza
-e protezione, interrompere le imprese, mancare ai propositi;
-e più che all’impero badava a crescere i suoi
-Stati ereditarj, dai quali derivò poi la grandezza di Casa
-d’Austria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-</p>
-
-<p>
-Talmente Venezia spingeva la gelosia per l’eguaglianza
-delle sue famiglie patrizie, che, avendo il re di
-Ungheria chiesto per moglie una Morosini, la Signoria
-obbligò il padre a rinunziare ogni diritto paterno, e
-l’adottò come figlia della Repubblica. Quando, durante
-lo scisma, fu eletto papa Angelo Corrér (1406) col nome di
-Gregorio XII, benchè egli cercasse cattivarsi i Barbarigo,
-i Morosini, i Condulmer con cappelli cardinalizj,
-fu sempre guardato di mal occhio, giudicandosi pericoloso
-un pontefice legato coi senatori; e appena il
-concilio di Pisa lo dichiarò scaduto (1409), la Signoria non solo
-s’affrettò a riconoscere il surrogatogli Alessandro V,
-ma a lui profugo negò stanza ne’ suoi dominj<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. Ito
-nel Friuli, papa Gregorio venne a rissa con quel patriarca
-che era tedesco, e lo cassò surrogandogli Anton
-da Ponte nobile veneto. L’imperatore Sigismondo, dichiaratosi
-protettore dell’espulso, menò le cose di modo,
-che venne a rottura con Venezia. Questa repubblica da
-Ladislao, competitore di Sigismondo al trono d’Ungheria,
-aveva comprato per centomila fiorini la città di Zara;
-ridomandando la quale e le antiche città imperiali, Sigismondo
-entrò sul Veneziano (1413) guastandolo e ribellando:
-ma Venezia strinse lega difensiva con Nicolò III d’Este,
-i conti Porcia e Collalto, i Malatesti, i Polenta, i signori
-d’Arco e Castelnuovo, Castelbarco, Caldonazzo,
-Savorgnano; e questi, e la rigidezza dei vicarj di Sigismondo,
-la poca costanza degli Ungheri ch’egli versava
-di qua dell’Alpi, il valore del condottiere Filippo d’Arcoli,
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-fecero trionfare il leone veneto per tutto il Friuli.
-</p>
-
-<p>
-Dalla Marca Trevisana Sigismondo pensò fare una
-corsa in Lombardia senz’armi. Liete accoglienze gli
-profusero i tirannelli: a Cremona col papa vagheggiò
-dal torrazzo la pianura lombarda; a Cantù ricevette
-omaggio da Filippo, il quale però nol volle accogliere
-in Milano; istituì de’ vicarj imperiali, cui faceano capo
-i Ghibellini per onestare la loro tirannide: ma nessuna
-efficienza ebbe sulle vicende italiane.
-</p>
-
-<p>
-Dopo vent’anni di regno, nojato dalle lunghe brighe
-in Germania e in Boemia, e dal dirigere una macchina
-pesante e rugginosa, com’egli chiamava l’impero, pensò
-tornare di qua dall’Alpi (1431) a farvi una comparsa quale
-solevano i suoi predecessori. I tempi erano ben cambiati;
-quanto erasi perduto in parziale libertà, tanto
-erasi acquistato in generale indipendenza; nè la nominale
-superiorità sarebbe bastata perchè convocasse a
-Roncaglia tutti gli Stati d’Italia a rendere l’omaggio e
-ricevere giustizia. Con duemila Ungheri e Tedeschi a
-cavallo, più per corteggio che per difesa, capitò a Milano;
-e Filippo, che pur gli avea sempre mostrato piena
-soggezione, e l’avea sollecitato a discendere sperando
-danneggiarne i Veneziani, insospettito si chiuse nel castello
-di Abbiategrasso, senza tampoco lasciarsi vedere
-all’imperatore, che in Sant’Ambrogio fecesi coronare (1431 25 9bre).
-</p>
-
-<p>
-Qui dunque temuto e timoroso, eppure in Toscana
-malvisto come amico del duca, sempre povero di denaro
-e di forze, obbligato ad ogni passo a patteggiare o difendersi,
-a un punto di rimanere preso in Lucca dal
-capitano dei Fiorentini, trattenuto in Siena per debiti,
-Sigismondo traversò l’Italia meschinamente (1432), dirigendosi
-a Roma onde persuadere il papa ad accettare il concilio
-di Basilea: nè tampoco a questo riuscito, cintasi la corona
-d’oro (1433), ricoverò a’ suoi paesi, lasciando l’Italia alle
-ambizioni e agli agitamenti di prima.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap116-10">CAPITOLO CXVI.
-<span class="smaller">Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice.
-Francesco Sforza. I Foscari.</span></h2>
-</div>
-
-<table class="ag">
- <tr>
- <td colspan="12" class="center"><span class="smcap">I Visconti e gli Sforza</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="12">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="12">Uberto Visconti</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="11" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="11" class="bl">Obizzo</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="10" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="10" class="bl">Teobaldo</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="9" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="9" class="bl"><span class="smcap">Matteo</span> Magno 1295-1322</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">Galeazzo I 1322-28</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="7" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Azzone</span> 1328-39</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl"><span class="smcap">Luchino</span> 1339-49</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">Marco</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl"><span class="smcap">Giovanni</span> arcivesc. 1339-54</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="8" class="bl">Stefano</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Matteo II</span> 1354-55</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Bernabò</span> 1354-85</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Galeazzo II</span> 1354-78</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5">&#160;</td> <td colspan="6" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="6" class="bl"><span class="smcap">Gian Galeazzo</span> 1378-1402 primo duca nel 1395</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Valentina in Luigi d’Orléans, ava di Luigi XII</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl"><span class="smcap">Gian Maria</span> 1402-12</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl"><span class="smcap">Filippo Maria</span> 1412-47</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="4" class="bl">Bianca Maria in <span class="smcap">Francesco Sforza</span> 1447-66</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">Ascanio cardinale</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Galeazzo Maria</span> 1466-76</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Gian Galeazzo Maria</span> 1476-94</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="w5 bl">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td class="bl">Bona regina di Polonia</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">Caterina in Giovanni de’ Medici avo di Cosimo granduca</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Lodovico</span> il Moro 1494-1500</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Massimiliano</span> 1512-15</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Francesco Maria</span> 1522-26 e 1529-35</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="5" class="bl">Gabriele Maria figlio naturale</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="9" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="9" class="bl">Uberto stipite di case ancora sussistenti</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="11" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="11" class="bl">Gaspare</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="10" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td colspan="10" class="bl">Lodrisio</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="11" class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td colspan="11" class="bl"><span class="smcap">Ottone</span> arcivesc. 1277-95</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p class="pad2">
-Filippo Maria Visconti non lasciava figliuoli, onde
-molti si sporsero al fiuto di sì pingue eredità. Fin
-allora nel Milanese non era stato regolato il modo di
-succedere al dominio; e come negli altri principati italiani,
-ora lo teneano i fratelli in comune, ora se lo spartivano,
-o l’uno succedeva all’altro senza riguardo alla
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-discendenza dell’estinto: persino i figli naturali ne toccavano
-qualche porzione. Ora la casa francese d’Orléans
-vi pretendeva a cagione di Valentina Visconti, cui Gian
-Galeazzo, maritandola a Luigi d’Orléans, n’avea dato
-l’aspettativa pel caso che i suoi figli morissero improli.
-Ma il titolo non valeva, giacchè questo non era un
-feudo femminino; tanto minor diritto v’avea lo Sforza,
-marito della figlia naturale, quantunque legittimata, di
-Filippo Maria. Questo aveva un tempo pensato a nuocere
-ai Veneziani col lasciare il suo paese ad Alfonso
-re di Napoli; il che avrebbe di tanto avanzata l’unità
-italiana: e Alfonso in fatti produsse un testamento a
-favor suo; ma foss’anche autentico, si trattava egli d’una
-proprietà che si potesse lasciare a talento?
-</p>
-
-<p>
-Il Milanese era uno Stato libero, riconosciuto nella
-pace di Costanza; il che importava, secondo il diritto
-d’allora, che non potesse venir ristretto a sudditanza
-di verun particolare. Venceslao l’avea ridotto tale investendone
-Gian Galeazzo; ma sovrano dell’Impero non
-era già il re di Germania, bensì gli elettori, rappresentanti
-l’antico senato e popolo romano: e in fatto
-essi ne fecero rimprovero a Venceslao, e fu uno degli
-aggravj per cui lo spodestarono<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>. Sigismondo ne
-diede regolare investitura a Filippo Maria, riservandosi
-gli antichi diritti imperiali<a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>; ma realmente il Milanese,
-operando come Stato libero, aveva affidato il governo
-politico ai Visconti, e allo spegnersi di questi
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-tornava di propria balìa. Sentirono questo diritto i
-Milanesi, e mentre i Bracceschi inalberavano sul castello
-lo stendardo di Alfonso di Napoli, ed altri suggerivano
-di darsi al duca di Savoja fratello della duchessa vedova,
-Antonio Trivulzio, Teodoro Bossi, Giorgio Lampugnani
-e Innocenzo Cotta eccitano alla libertà i Milanesi,
-che a furia smantellano il castello, nido della
-tirannia contro il popolo; e disingannati del dominio
-d’un solo come <i>pessima pestilenzia</i>, proclamano l’<i>aurea
-repubblica ambrosiana</i> (1447 14 agosto), tornando in istato di popolo
-al modo antico. Il vicario coi dodici di provvisione eleggono
-ventiquattro capitani e difensori della libertà del
-Comune, che furono confermati dal consiglio generale,
-e che affollarono ordini buoni o meschini, come sempre
-avviene nei primordj; rimettono i banditi; proibiscono
-il bestemmiare, i giuochi zarosi, il portar armi; allestiscono
-ricoveri per poveri, e massime per contadini
-che la guerra avea sturbati dai campi; si ravviano le
-scuole, invitando i maestri <i>con condizioni che meritamente
-potranno accontentarsi</i>; e da spontanee largizioni
-raccolgono ottocentomila zecchini <i>ad tuendam
-patriæ libertatem</i><a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>.
-</p>
-
-<p>
-È uno dei temi più soliti e più facili agli epigrammi
-da caffè la debolezza de’ governi usciti da una rivoluzione,
-come il vacillamento delle rivoluzioni che non
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-riuscirono: nè per verità da una reggenza che durò
-meno di due mesi potevano pretendersi stabili intenti,
-concordi progetti, efficace azione. Pure sarebbersi allora
-potute costituire in Italia tre robuste repubbliche,
-di Firenze, Venezia e Milano, mettendo in comune il
-senno educato dell’una, la potenza marittima dell’altra,
-le colte lautezze dell’ultima; e associandosi alla forza
-degli Svizzeri, opporre una federazione di liberi all’aumento
-delle monarchie confinanti. Chi pensi che in
-quel tempo, essendo morto Carlo il Temerario duca di
-Borgogna nel combattere gli Svizzeri<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a>, restavano
-libere le Fiandre e i Paesi Bassi, comunità fiorentissime
-di commercio e costituite al modo delle nostre, non
-può a meno di riflettere qual diverso andamento
-avrebbe preso l’Europa se, invece di consolidarsi le
-monarchie collo spartire la Borgogna tra Francia e
-Austria, fosse prevalso il sistema repubblicano. Se i Milanesi
-vedessero allora questa preziosa eventualità, è
-difficile il dirlo; ma trovo codardo l’insultarli dell’aver
-preferito una forma di governo che allora presentava
-tanto avvenire. Sgraziatamente però Firenze cominciava
-con Cosmo de’ Medici a piegare a principato: Venezia
-dal doge Francesco Foscari era intalentata a conquiste,
-a segno di posporvi la giustizia e la pubblica libertà;
-e sperando quell’unione che più tardi effettuarono gli
-Austriaci, spasimava di tutto il Milanese, e profittò del
-momento per ciuffare Brescia e Bergamo.
-</p>
-
-<p>
-Allora Venezia trovavasi all’apogeo della sua grandezza.
-Trieste, i cui pirati avevano rapito le spose della
-ancor novella repubblica, indi era stata sottoposta da
-Enrico Dandolo a capo de’ Crociati, non si rassegnò mai
-al giogo, più volte rinnovò guerra, e nel 1367 si diede
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-al duca d’Austria; ma i Veneziani l’assalirono e presero
-per fame, poi nella pace, chetato l’Austriaco a denaro,
-le imposero di giurar fedeltà a San Marco; alla nomina
-di ciascun doge, lo stendardo del leone sventolerebbe
-un giorno sul mercato di Trieste, e tutti gli anni a
-Pasqua sul palazzo; i Triestini osserverebbero i trattati
-conchiusi da Enrico Dandolo in appresso, e la Serenissima
-vi eserciterebbe la giurisdizione penale. Nella
-guerra di Chioggia i Genovesi presero Trieste, e la
-consegnarono al patriarca d’Aquileja: avendola Venezia
-ripigliata (1382), i Triestini inalberarono di nuovo la bandiera
-dei duchi d’Austria, i quali poi la tennero sempre: ma
-doveano correre più di quattro secoli prima che acquistasse
-tale importanza sul mare, da prevalere all’antica
-dominatrice.
-</p>
-
-<p>
-Vedemmo come si fosse ampliata la signoria de’ patriarchi
-d’Aquileja sopra tutto il Friuli, l’Istria, gran
-parte della Carintia e Carniola, e la Stiria, con tanti
-poderi da estrarne ducentomila zecchini. Però i papi
-aveano tratto a sè il diritto di nominare il patriarca,
-sicchè ne cessò l’indipendenza; e avendo essi dato
-quella sede in commenda a Filippo d’Alençon, i signori
-paesani ricusarono obbedienza a questo, eleggendo un
-altro, donde baruffa civile, nè più fu possibile sottometterli
-interamente. Il patriarca fu dunque costretto
-ricorrere al popolò, agli stranieri, a bande mercenarie;
-e intanto i signori si rendevano viemeno dipendenti,
-per quanto il patriarca cercasse avvincerseli col moltiplicare
-i feudi e suddividerli e concedere franchigie.
-</p>
-
-<p>
-E si alleò a Francesco Carrara (1388), che colle armi occupò
-tutti i paesi: ma i Veneziani, temendo che questo
-operosissimo loro nemico tenesse il Friuli per sè e
-intercettasse i loro commerci colla Germania, presero
-parte con Udine «con altre città, riottose al patriarca,
-e annichilarono nel modo che dicemmo la potenza dei
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-Carrara. Venuto poi il patriarcato al tedesco Lodovico
-Theck (1414), e questo avendo favorito l’imperator Sigismondo,
-Venezia ne colse occasione di tor via que’ vicini, ostinatamente
-avversi. Pertanto occupò il loro paese finchè
-non fosse compensata delle spese di guerra; ma queste
-ammontavano a tanto, che il patriarca non potè più
-pagarle; onde a quel prelato, fin allora il più ricco
-d’Italia dopo il pontefice, altro non rimasero che i castelli
-di San Vito e San Daniele, e lo stipendio di cinquemila
-ducati che ricevea dalla Repubblica.
-</p>
-
-<p>
-Adunque il dominio veneto si estendeva in Italia
-dall’Isonzo al Mincio; oltre il litorale dell’Adriatico sin
-alle foci del Po, aveva ad obbedienza fra terra le province
-di Bergamo, Brescia, Verona, Crema, Vicenza,
-Padova, la Marca Trevisana con Feltre, Belluno, il Cadore,
-il Polesine di Rovigo, Ravenna, il Friuli, l’Istria
-eccetto Trieste città imperiale; supremazia sulla contea
-di Gorizia, che prima faceva omaggio al patriarca
-d’Aquileja; sulla costa orientale dell’Adriatico teneva
-Zara, Spalatro e le isole che fronteggiano la Dalmazia
-e l’Albania; avea tolto Veglia ai Frangipani, Zante a
-un Catalano; in Grecia occupava Corfù, Lepanto e Patrasso;
-nella Morea Modone, Corone, Napoli di Romania,
-Argo, Corinto, avute a prezzo dai possessori che
-non poteano difenderle dai Turchi; altre isolette dell’Arcipelago,
-e qualche parte del litorale; finalmente
-Candia e Cipro.
-</p>
-
-<p>
-Mentre in Italia si era limitata ad opporsi a chi vi
-predominasse, tenendo per lo più coi pontefici, allora
-aspirò a dominarvi, donde vennero le guerre che abbiam
-veduto con Filippo Maria, nelle quali, se cresceva
-di credito nella penisola, sviavasi dal commercio, e rimaneva
-esposta agli arbitrj de’ venturieri, coi quali
-usava or rigore, ora carezze; or mandava al supplizio
-il Carmagnola, or se ne redimeva coll’ascrivere fra i
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-nobili il Gattamelata e Michele Attendolo. E d’acquistare
-il Milanese le dava lusinga lo sfasciarsi di questo alla
-morte di Filippo.
-</p>
-
-<p>
-Per quell’assurdo concetto che repubblica significhi
-obbedire a nessuno, le singole città ridestando le municipali
-gelosie, colsero pretesto dalla rivoluzione di Milano
-per sottrarsi a questa, riformandosi a reggimento
-municipale indipendente, ed elessero signori e governi
-distinti, preferendo l’indipendenza dei singoli alla libertà
-di tutti. Como, Alessandria, Novara seppero accordarsi
-colla Repubblica ambrosiana, ma a patti che
-tendeano principalmente a ricuperare la giurisdizione
-ed aggravare i popoli soggetti: tal era il senso dei
-sessantasette capitoli stipulati dai Comaschi, diretti a
-ristabilire il dominio della città sopra il contado e
-sopra la Valtellina e il Chiavennasco. Pavia, Parma,
-Tortona vollero reggersi da sè; Lodi e Piacenza introdussero
-guarnigione veneta; Asti si chiarì pel duca
-d’Orléans; gli esuli signorotti tornavano, e riprendevano
-gli aviti possessi e la baldanza di tiranneggiare perchè
-aveano sofferto; se non altro, saccheggiavano; dappertutto
-rinasceano le antiche cupidigie; ma s’erano talmente
-abituati all’obbedienza, che, appena uno primeggiasse,
-lo chiedevano signore.
-</p>
-
-<p>
-L’attività scompigliata produceva debolezza universale;
-mentre erasi perduto l’uso delle armi, d’ogni parte
-sonavano minaccie; la Repubblica era in grande setta
-e divisione nell’interno, fra le pretensioni dei capitani
-di ventura, che nè poteansi licenziare nè tenere in obbedienza;
-lo schiamazzo popolare diventava potenza,
-sempre micidiale, ed or faceva ardere i libri del censo,
-ora demolire il castello, soliti carnevali dei neoliberati;
-i cittadini medesimi si divideano in partiti, quale pendendo
-all’Impero, quale ai reali di Francia, al duca di
-Ferrara, a Venezia. Luigi di Savoja credette opportuna
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-l’occasione di fermar piede in Lombardia, e si collegò
-col re francese, a patto che Genova e Lucca si conquistassero
-per questo, Alessandria si desse al Monferrato,
-le terre fra il Ticino, l’Adda e il Po, coi castelli di
-Trezzo e Pizzighettone, ad esso, duca di Savoja<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a>.
-Venezia aveva già rotta guerra a Filippo, e adesso
-la continuava contro la Repubblica, ed accostavasi
-minacciosa all’Adda.
-</p>
-
-<p>
-In que’ frangenti che tolgono il senno anche ai più
-savj, i capitani della Repubblica parvero dimenticare
-le pretensioni di Francesco Sforza; ed aggirati o spinti
-dai Ghibellini, affidarono ad esso le armi, perchè
-li difendesse da’ nemici. Egli mostrò obbedire a coloro
-cui sperava comandare; dal carcere, ove l’avea
-cacciato Filippo Maria, trasse Bartolomeo Coleone,
-condottiero bergamasco, e se lo fece compagno alle
-imprese; colle artiglierie abbatteva mura che prima
-arrestavano gli eserciti, e prosperò nella guerra <i>marchesca</i>.
-Assediata Piacenza, la piazza più forte dopo
-Milano, riuscì a prenderla ed entrar per la breccia (1447 16 9bre): fatto
-portentoso e quasi nuovo nell’arte guerresca d’allora, ove
-la difesa era ancor superiore all’offesa. La città venne
-abbandonata al peggiore saccheggio e a tutti gli obbrobrj
-de’ soldati, che violentavano a scoprire i tesori;
-diecimila cittadini furono venduti; i ferramenti, i legnami
-portati a vendere nelle vicine città; nè Piacenza
-più risorse.
-</p>
-
-<p>
-Ma lo Sforza non operava a pro di Milano; anzi,
-dopo ch’ebbe con insigni vittorie, e massime con quella
-di Caravaggio (1448), fiaccato i Veneziani che erano stati a un
-punto d’acquistare il Milanese, e fattone prigioniero l’esercito,
-arsa la flotta, patteggiò di lasciar loro non soltanto
-Bergamo e Brescia, ma e il Cremasco e la Geradadda,
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-cioè fino all’Adda, purchè l’ajutassero a succedere
-a Filippo Maria. L’accordo fu accettato (18 8bre).
-</p>
-
-<p>
-Francesco aveva un buon esercito, i Milanesi nessuno;
-prima Pavia, poi Piacenza, poi altre città lo chiedeano
-signore; perfidie non lo sgomentavano, e Cosmo de’ Medici
-amico suo gli aveva insegnato a badare alle convenienze
-proprie, non alle altrui, e che il mondo non
-si governa coi paternostri. In Milano rincalorivano le
-parti di Guelfi e Ghibellini; e i primi, guidati dal Trivulzio,
-avrebbero voluto una pace che assicurasse la
-Repubblica e dai nemici e dal difensore: il Lampugnani,
-il Bossi ed altri Ghibellini ricusavano la pace con
-Venezia, che sottraeva tanto territorio, e che preparerebbe
-forse la dominazione di quella città: il vulgo
-tumultuava ora per questi, ora per quelli, secondo l’opinione
-o le ciancie o il denaro. Carlo Gonzaga di Mantova,
-fatto comandante della città, batteva la mira a
-rendersene signore appoggiandosi ai Guelfi, sicchè i
-Ghibellini entrarono in trattati collo Sforza per garantire
-o qualche franchigia alla patria o qualche vantaggio
-a sè; ma scoperti, furono mandati al supplizio
-Lampugnani ed altri, molti in fuga, confiscati i loro
-beni. Allora prevale quella seconda schiera che sottentra
-sempre ai moderati; e nuova gente senza credito,
-traforatasi nel governo e impinguatasi delle confische,
-impresse l’impeto rivoluzionario, eccitò i Milanesi a
-resistere al traditore, al disertore, giurando piuttosto
-darsi al granturco e al demonio; spedirono per tutto
-bandi che il diffamavano; promisero diecimila zecchini
-di mancia e altrettanti in fondi a chi l’uccidesse; chiesero
-soccorsi dal duca di Savoja, i cui soldati non
-dando quartiere, facevano quel peggio che sapessero.
-I Milanesi stessi aveano scritto milizie paesane con fucili,
-arma nuova che, per quanto imperfetta, incuteva
-terrore ai dapprima invulnerabili corazzieri; e le battaglie
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-divennero sanguinose, e costarono la vita a molti
-prodi condottieri.
-</p>
-
-<p>
-Ma lo Sforza era di lunga mano superiore per sentita
-di guerra, e sostenuto dai Veneziani, che tradivano
-cittadini liberi per procacciarsi un pericoloso vicino.
-Tardi s’accorsero dell’ambizione dello Sforza, e fecero
-pace colla Repubblica Ambrosiana; e avendo lo Sforza
-ricusato riconoscerla, spedirono truppe a soccorso di
-Milano (1449 27 7bre): ma l’incerta fede de’ capitani di ventura, disertati
-dalla Repubblica per mettersi dove la fortuna piegava,
-e il valore d’esso Sforza ne elisero l’effetto. Milano,
-disperata di miglior consiglio, proponeva di sottomettersi
-alla Serenissima; ma lo Sforza, domate Monza,
-Melegnano, Vigevano e le altre città provinciali, cinse
-la capitale. Il popolo, visti uscir vani tutti i suoi partiti,
-si levò a rumore, mosso dall’oro nemico, secondo la
-frase antica e moderna; cassò i magistrati popolari,
-ostinantisi alle armi, per surrogarvene di ghibellini: i
-quali però neppur essi aveano un disegno premeditato,
-nè sapeano finire la guerra, a terminar la quale erano
-stati eletti. Carlo Gonzaga, che avea mostrato l’ambizione
-del comando, non l’abilità, come vide i nuovi
-capitani della libertà non favorire alle aspirazioni sue,
-ma voler lui stesso obbediente, patteggiò collo Sforza,
-facendosi dare Tortona in compenso del tradimento.
-Gaspare Vimercato in parlamento dipinse la trista situazione: — I
-soccorsi piemontesi sono fiacchi, lontani
-quei di Napoli, pericolosi quelli dei Veneti; ecco crescere
-ogni giorno orrida e irreparabile la fame; più
-che un disperato resistere, non val meglio cercare pane
-e riposo allo Sforza? alla fine egli vanta de’ diritti,
-sicchè avrà minor bisogno d’infierire, e piuttosto desiderio
-di conservare». La proposizione fu accolta al
-solito da fischi ed urli, tra i quali però il senso comune
-si fe strada; la fame operò il resto, e il popolo assalì
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-a tumulto il palazzo del governo; onde s’inviò a fare la
-sommessione, e lo Sforza spedì tosto gran ristoro di
-viveri, che il fece benedire.
-</p>
-
-<p>
-Ondate di Milanesi andavano a visitarlo ognidì al suo
-quartier generale, e gli sciorinavano elogi in versi,
-elogi in prosa, sonori quanto le imprecazioni che in
-suo vitupero eransi fatte testè, da ciascuno a chi peggio.
-Poi, il giorno della sua entrata (1450 26 genn.), «avevano preparato
-un carro trionfale con un baldacchino di panno
-d’oro, e così con gran moltitudine aspettavano il principe
-avanti alla porta Ticinese. Ma Francesco per la
-sua modestia ricusò il carro e il baldacchino, dicendo
-tali cose essere superstizioni da re; il perchè, entrando,
-andò al sagro e massimo tempio di Maria Vergine, e
-fermo innanzi alla porta, si vestì di drappo bianco sino
-a’ piedi, la qual veste era di consuetudine che si vestivano
-i duchi quando pigliavano la signoria» (<span class="smcap">Corio</span>);
-ebbe la corona ducale, e il Milanese si racconciò nella
-monarchia militare. Francesco addormentò il popolo
-colle feste; coi belligeranti strinse buoni accordi; l’una
-dietro l’altra tornò in obbedienza le città, che preponevano
-ad una libertà procellosa una tranquilla servitù,
-ed ultime anche Como e Bellinzona; e incominciava
-una nuova politica e una nuova dinastia, preconizzata
-ai destini più insigni, e che pure dovea, fra micidj e
-tragedie, giungere a stento alla sesta generazione.
-</p>
-
-<p>
-Egli seppe mettere nel fodero la spada, colla quale
-aveva acquistato un sì bel dominio, e attese a far dimenticare
-la violenta origine e riconciliarsi i popoli col
-modo migliore, il beneficarli; non diè carico a’ suoi
-avversi; non lasciò campo a quelle riazioni, che irritano
-ed inimicano; resse con saviezza, restituendo al
-governo il vigore senza la crudeltà de’ Visconti; e riuscì
-uno dei principi più grandi e, secondo il tempo, de’ più
-buoni. Nella capitolazione erasi stipulato non si darebbe
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-impiego a verun forestiero, i tribunali starebbero sempre
-in Milano, non rincarite le gabelle, garantiti i creditori
-dello Stato, messi fuor di città i soldati. Vedendo
-che «la plebe, riavvezzata alle armi, si ricordava della
-libertà», lo Sforza pensò ricostruire l’abbattuta fortezza;
-ma non volendo con ciò mostrare diffidenza, sparse
-tra il popolo suoi creati, che persuadessero ciò come
-ornamento e sicurezza della città; e per quanto i meglio
-avvisati si opponessero, gli altri prevalsero, e le parrocchie
-pregarono il duca di fabbricare il castello, che
-riuscì il meglio forte d’Italia in piano. Monumento più
-insigne della Sua munifica pietà rimane l’Ospedal
-grande, sontuosa fabbrica nella quale raccolse i varj
-ospedali della città; compì il naviglio che mena l’Adda
-a Milano. Sul trono serbò i modi franchi acquistati
-negli accampamenti; liberale dell’oro, asserendo non
-esser nato per fare il mercante; onorò le arti, favorì i
-letterati; davasi premura di smentire le dicerie sul
-conto suo, e di spiegare i motivi delle sue azioni.
-</p>
-
-<p>
-Tutto che militare, associò la sua politica a quella
-del negoziante Cosmo de’ Medici, che gli continuò sempre
-una grossa pensione; dissipò una lega che Venezia
-aveva giurata a danno di lui col re di Napoli, il duca
-di Savoja, il marchese di Monferrato, i Senesi, i Correggeschi:
-e seppe mostrarsi necessario ai varj potentati.
-Doppio matrimonio il collegò coi reali di Napoli,
-altri col marchese di Mantova, colla Savoja e con Francesco
-Piccinino, capitano non degenere dal padre, pel
-qual modo si furono riconciliati Sforzeschi e Bracceschi:
-e se ai Veneziani fu costretto lasciare Bergamo, Brescia,
-Crema, col loro circondario, di rimpatto acquistò Savona
-e Genova.
-</p>
-
-<p>
-Questa città non parve sottrarsi al duca di Milano
-che per avventarsi più dissennata nelle discordie tra
-Fregosi e Adorni, i quali strappavansi a vicenda l’effimero
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-dogato. Ne conseguì tal debolezza, che la Repubblica,
-atterrita anche dall’avanzarsi de’ Turchi i quali
-avevano occupato Costantinopoli, non credette poter
-difendere la Corsica e la Gazarìa altrimenti che col
-cederle al Banco di San Giorgio. In questo soltanto si
-conservava la virtù repubblicana; non fazioni, non
-corruttela, non turbolenze, ma quieta e savia amministrazione,
-attenta previdenza da mercanti; esempio che
-sciaguratamente non sapessi imitare dai cittadini. I
-quali di nuovo ricorsero allo sciagurato partito di darsi
-a’ forestieri; e Carlo VII di Francia, avutane la signoria,
-spedì Giovanni d’Angiò a governar Genova (1458), e la fece
-sua piazza d’armi per guerreggiare il Napoletano. Ma
-d’una tal guerra stanchi i Genovesi, si sollevarono contro
-Francia (1461), e Carlo tentò invano coll’armi ridomarli.
-</p>
-
-<p>
-In quei fatti cominciò a segnalarsi il cardinale arcivescovo
-Paolo Fregoso, che poi, valendosi della costernazione
-in cui era Genova per le crescenti conquiste
-de’ Turchi e per le interminabili nimicizie co’ reali di
-Napoli, ottenne per intrighi di far salire al dogato un
-suo cugino Spinetta. Costui in breve fu cacciato di posto,
-non però di speranza; e in tre Fregosi fu mutata
-quell’anno la dignità di doge, che per costituzione era
-in vita (1463). Alfine riuscì ad aversela l’arcivescovo, e ne
-informò il papa, che rispose: Non dissimuleremo la
-meraviglia al sentirti accettare il governo temporale
-d’una città che a lungo non tollera governanti. Tu ’l sai
-per prova, ed a noi stessi giunsero a un tempo le nuove
-della tua prima elezione e dell’infelice cacciata. Non è
-certo impossibile esser principe e vescovo insieme; ma
-corre obbligo tanto maggiore di operare virtuosamente.
-Molte cose si condonano in un secolare, che sono intollerabili
-in un ecclesiastico. Ad una norma non procedono
-l’Impero e la Chiesa. Il sacerdote vuol essere
-tutto clemenza, tutto carità e amor paterno, astenersi
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-dal male vero, schifare pur l’apparente. Se tali sono le
-tue intenzioni, se vuoi giusto e piamente imperare, non
-solamente sopra il tuo popolo, ma su te stesso; se non
-l’ingiuria del prossimo ma ti proponi la difesa del nome
-cristiano contro gl’Infedeli, confidando che cotesto principato
-sia stato a te conferito secondo le leggi della tua
-patria, e che ne userai a benefizio del popolo, in nome
-della santa Trinità noi lo benediciamo».
-</p>
-
-<p>
-Già prevedete che neppure l’arcivescovo doge vi si
-assodava; e si tornò ad esibirsi a Luigi XI di Francia,
-re positivo, che non amava gl’incrementi non fruttiferi,
-e sopra ogni merito stimava l’obbedire e star quieti, si
-fosse popolo o baroni. Quando dunque i Genovesi offersero
-di darsi a lui, rispose: — Ed io li do al diavolo».
-</p>
-
-<p>
-Quell’astutissimo facea gran conto de’ consigli e’ dell’amicizia
-di Francesco Sforza, il quale nella guerra di
-Borgogna lo sussidiò anche di quattromila cavalli e
-duemila fanti, capitanati dal proprio figlio Galeazzo
-Maria, che mostrarono anehe oltremonti non esser bugiarda
-la reputazione del valore sforzesco: in compenso
-Francesco si fe cedere Savona, aspirando a Genova.
-Frattanto Monaco, Finale, Ventimiglia erano sollevate,
-Cipro si staccava, e l’arcivescovo doge non curava o
-non sapeva rimediarvi; vilipesi i magistrati, rispettato
-chi avesse baldanza; i luoghi di San Giorgio caduti a
-ventitre lire; i Fregosi stessi a guerra fra loro. Molti
-malcontenti fuggivano a Milano, e Francesco gli accoglieva;
-alfine mandò bande sopra Genova (1464), e bastò
-perchè l’arcivescovo se ne andasse; il Castelletto non
-tardò a cedere, e ambasciadori vennero (13 aprile) ad offrire la
-superba capitale della Liguria, e seco la Corsica, al signor
-di Milano.
-</p>
-
-<p>
-Questi poteva aspettarsi qualche ostacolo alla sua potenza
-per parte dell’Imperatore. Sigismondo avea sposato
-la figlia Elisabetta ad Alberto d’Austria, e sudato
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-perchè a questo passassero le corone d’Ungheria e
-Boemia: in fatto l’ottenne (1439), come anche quella di Germania.
-Morendo prestissimo, Alberto lasciò la moglie
-gravida d’un figliuolo, che fu detto Ladislao Postumo;
-e suo cugino Federico III d’Austria assunto all’Impero,
-ebbe regno più lungo che qualunque altro suo predecessore,
-e concentrò in sè le eredità de’ tre rami austriaci.
-Pigro e pusillanime, le lodi dategli da Enea
-Silvio Piccolomini, che prima fu suo segretario, poi papa
-Pio II, non l’assolvono dell’avere per negligenza e avarizia
-lasciato che l’Impero andasse sossopra fra guerre
-ripullulanti, mentre portava al colmo la propria famiglia,
-a’ cui membri attribuì il titolo d’arciduchi, e adottò
-per divisa <span class="smcap lowercase">AEIOU</span>, volendo esprimere <i>Austriæ Est
-Imperare Orbi Universo.</i>
-</p>
-
-<p>
-Anch’esso volle scendere in Italia (1452), non per rinnovare
-la maestà dell’Impero, ma per farsi incontro ad Eleonora
-di Portogallo sua fidanzata; il giornale di questa
-comparsa attesta quanto i nostri, malgrado tante sciagure,
-precedessero in civiltà i forestieri. Nicolò Lanckman
-suo cappellano, per giungere in Portogallo, dovette
-col suo seguito travestirsi da pellegrino: eppure o bande
-di masnadieri, o prepotenti comandanti delle città li
-spogliavano tratto tratto<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>; felici allorchè trovassero
-qualche banchiere fiorentino che li rifornisse di denaro.
-Federico a Siena ebbe incontro ben quattrocento dame
-di quella terra: dovette cercare un salvocondotto dal
-Coleone, che allora guerreggiava in Romagna<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>: entrando
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-in Firenze, Carlo Marsuppini segretario della
-Repubblica gli recitò un’orazione latina gonfia di stile
-e vuota di cose, quale usavano gli eruditi; il Piccolomini
-rispose frasi positive e dirigendo alcune domande, alle
-quali il Marsuppini non seppe rispondere perchè non
-preparato.
-</p>
-
-<p>
-Federico traeva seco il nipote Ladislao Postumo, si
-può dir prigioniero; e avendo gli Ungheresi tramato
-di rapirglielo, i Fiorentini l’impedirono, ma invano
-s’interposero presso l’imperatore a favor di quello. A
-Roma fu sposato e coronato (18 marzo); a Napoli visitò lo splendido
-Alfonso: del resto faceva mercato e cortesia delle
-antiche pretensioni imperiali; per denari conferì a Borso
-d’Este il titolo di duca di Modena e Reggio, e conte di
-Rovigo e Comacchio; per denari creò nobili e notaj e
-conti palatini quanti vollero. Allorchè visitò Venezia,
-gli fu, tra altri donativi, presentato dalla Signoria un
-magnifico servizio de’ cristalli di Murano; e sua maestà
-fe cenno al buffone, il quale dando una spinta al tavolino
-su cui era deposto, mandò ogni cosa a pezzi; e
-i nostri mostrandone dispiacere, l’imperatore sclamò: — Fossero
-stati d’oro, non si sarebbero infranti».
-Francesco Sforza sapea dunque da qual lato pigliare
-costui, che esitava a riconoscerlo duca; e bastò si mostrasse
-risoluto a pagar con denari o a difendere colle
-armi il titolo concessogli dal suo predecessore.
-</p>
-
-<p>
-Sedici anni dopo, Federico tornò in Italia, e tutti
-almanaccavano reconditi fini al suo viaggio; ma scopo
-unico n’era lo sciogliere un voto alla madonna di Loreto:
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-a Roma baciò le mani e i piedi del papa, gli
-tenne la staffa, assistette da diacono alla sua messa. Non
-volle riconoscere il successore di Francesco Sforza,
-dicendo che duca di Milano era lui stesso; ma nulla
-fece per sostenere tale pretensione.
-</p>
-
-<p>
-Meglio fortunato degli altri condottieri, lo Sforza potè
-dirsi anche l’ultimo. E noi non vogliamo staccarci da
-costoro prima di salutare Bartolomeo Coleone bergamasco.
-Nel suo castello di Malpaga erasi dato alla
-quiete, al bere, al novellare e sentir notizie de’ suoi
-commilitoni, fossero le prosperità dello Sforza o i supplizj
-del Piccinino, del Caldora, del Brandolini, d’altri,
-contro cui ritorceasi il ferro de’ principotti dacchè più
-non ne bisognavano. Dichiarato capitano generale dei
-Veneziani, vi fu onorato come principe dalla Signorìa
-e dal popolo: ma egli struggeasi di qualche impresa;
-finchè Venezia finse congedarlo (1467) acciocchè passasse ai
-fuorusciti fiorentini, cospiranti a ricuperare la patria.
-A molti condottieri che gli si unirono, si opposero altri
-pagati dal papa, dal re di Napoli, dal duca di Milano,
-da Firenze, capitanati da Federico d’Urbino; ed esso
-gli affrontò alla Molinella, giornata famosa ne’ fasti delle
-guerre d’avventurieri. Le lunghe manovre finirono con
-una pace, ove promettevasi mandar tutte le forze contro
-i Turchi, sotto al Coleone; ma l’impresa non ebbe
-effetto. Egli tornò al suo ritiro, dove gli giungevano
-ripetuti inviti dal re di Francia, dal duca di Borgogna,
-spesse ambasciate, e domande di consigli, e visite di
-principi (1475). Ricchissimo e senza figli, pensò tramandare il
-proprio nome con opere di beneficenza: lasciò alla Basella
-una chiesa, due monasteri a Martinengo; a Bergamo
-donò i bagni di Trescore, il canale de’ mulini,
-tremila ducati d’entrata per costituire doti, e vi eresse
-la ricchissima cappella di San Giovanni. Dell’ingente
-sostanza, dotò per due terzi tre sue figlie maritate nei
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-Martjnenghi, quattromila ducati a due altre, cenquarantunmila
-a luoghi pii, altra liberalità ai poveri, ai
-servi, ai coloni, ai buffoni di sua casa. De’ rimanenti
-ducentosedicimila ducati costituì erede la repubblica di
-Venezia, oltre un credito di settantamila; o diecimila
-in contanti perchè gli elevasse una statua, e dotasse
-povere zitelle.
-</p>
-
-<p>
-Ma da questo tempo i capitani di ventura pérdono
-importanza, e i principi hanno dominj estesi quanto
-basti per levar truppe su quelli e finanze per mantenerle<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>.
-Fra le battaglie interminate che da due secoli
-si combattevano, i politici aveano immaginato che unico
-modo di conservare Italia fosse il mantenervi la bilancia
-fra gli Stati. A ciò contribuivano le alternate alleanze;
-a ciò viepiù i condottieri col passare dall’uno all’altro,
-in guisa che lo Stato più poderoso poteva al domani
-trovarsi sguarnito, e il debole essere rinforzato con sussidio
-di denari. Specialmente Firenze, posta di mezzo
-fra Venezia e Milano a settentrione, Napoli e il Patrimonio
-della Chiesa a mezzodì, accostavasi agli uni o
-agli altri secondo vedeva necessario di correggere la
-prevalenza di questi o di quelli. È quel famoso sistema
-d’equilibrio, che l’ammodernata Europa si vanta d’avere
-inventato, dopo che la sua politica cessò d’essere costituita
-sopra idee morali.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le città dell’antica Lega Lombarda stavano tutte a
-dominio d’un solo, eccetto Bologna che alternava fra
-tirannia e franco stato. La Sesia segnava i confini del
-Milanese col Piemonte, ove i duchi di Savoja per
-molto tempo nessun altro acquisto fecero che della
-contea d’Asti. La Toscana obbediva ai Fiorentini, tranne
-Siena e Lucca indipendenti; Ferrara e Modena agli
-Estensi, pacifici e colti come educati dal Guarino veronese;
-Mantova ai Gonzaga, prodi guerrieri, e insieme
-istrutti nelle lettere da Vittorino da Feltre; Urbino passava
-dai Montefeltro a casa della Rovere; Romagna era
-sminuzzata in cento signorie, divise fra l’alto dominio
-papale e l’imperiale.
-</p>
-
-<p>
-A Venezia, più che rimestare le cose d’Italia, sarebbe
-stato opportuno curar quelle d’oltremare, dar fiore alle
-colonie di Levante, e farle partecipi della cittadinanza:
-eppure, mentre diciottomila cavalli ed altrettanta fanteria
-pose in campo contro il duca di Milano, in Morea
-non mantenne mai meglio di duemila uomini di truppe
-regolari. A voler prolungare la’ sua grandezza, minacciata
-dalle conquiste ottomane e dalla nuova direzione
-presa dal commercio, le sarebbe giovato farsi potenza
-illirica, o almeno trasferire in qualche isola di Dalmazia
-il porto troppo infelice in città, e dove a questa
-avrebbe servito d’antemurale; e raccogliendoci i Greci
-che fuggivano dalle spade turche, e soccorrendo agli
-Albanesi che vi resistevano, alzare una potenza a contrasto
-dell’ottomana<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>. Ma i nobili stavano attaccati
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-alla città, da cui traevano il titolo di loro preminenza;
-il popolo credeva patriotismo il concentrare nelle isole
-tutta la vita; i mercanti voleano aver terre da spogliare;
-e intanto chi ne profittava era il nemico comune.
-</p>
-
-<p>
-Che che però ne fosse della convenienza d’aver surrogato
-una politica guerresca alla pacifica che Tommaso
-Mocenigo raccomandava, Francesco Foscari avea per
-trentaquattr’anni coperto Venezia di gloria militare, e
-campatala dalla minaccia dei Turchi. Ma come si tornò
-in pace con questi e coll’Italia, rivisse dentro la parzialità
-dei Loredano, implacabilmente ostile al doge. Non
-paga di contrariarlo in ogni proposta, in ogni interesse,
-volle essa trafiggerlo nella parte più sensitiva, cioè in
-Jacopo, unico figlio sopravissutogli. Poco innanzi, le
-costui nozze eransi celebrate con pompa principesca:
-trentamila persone per dieci giorni s’affollarono sulla
-piazza San Marco a vedere le giostre che vi avea bandite
-Francesco Sforza, e dove il marchese d’Este e il
-Gattamelata fecero prova di sè (1445), tra gli applausi delle
-patrizie vestite di broccato d’oro. Ora a questo figlio fu
-data accusa d’aver ricevuto regali da principi forastieri,
-e nominatamente da Filippo Visconti; e interrogatone
-avanti al padre e al consiglio de’ Dieci, fra gli spasimi
-della tortura confessò. Relegato in Romania, per
-fievole salute ottiene di restare a Treviso. Ma dopo
-cinque anni essendo ucciso Ermolao Donati uno de’ suoi
-giudici, n’è imputato Jacopo (1450), e messo di nuovo alla
-tortura, benchè negasse<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>, fu bandito alla Cánea, nè
-gli si consenti il ritorno, sebbene un Erizzo morendo si
-confessasse reo di quel sangue. Jacopo allora, struggendosi
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-pel desiderio della nativa laguna, dei cadenti
-genitori, della moglie e de’ figli; nè trovando chi in
-Venezia parlasse a suo pro, si volge al duca di Milano
-perchè gl’impetri di recare in patria le ossa infrante.
-Era severamente vietato interporre stranieri in cose
-di Stato: perciò, essendo la lettera intercetta (1454), ed egli
-chiamato, «dopo trenta squassi di corda» confessa
-averla scritta apposta ond’essere ricondotto in patria
-almeno pel processo. Un nuovo giudizio lo confina a
-Candia, concedendogli d’abbracciare i parenti, ma senza
-poter confondere le lacrime che sotto l’occhio dell’autorità.
-«Il doge era vecchio in decrepita età, e camminava
-con una mazzetta. E quando egli andò, parlogli
-molto costantemente, che parea non fosse suo figliuolo,
-<i>licet</i> fosse figliuolo unico. E Jacopo disse: <i>Messer padre,
-vi prego che procuriate per me acciocchè io torni
-a casa mia</i>. Il doge disse: <i>Jacopo, va e obbedisci a
-quello che vuole la terra, e non cercar più oltre</i>. Ma
-si disse che il doge, tornato a palazzo, tramortì»
-(<span class="smcap">Sanuto</span>).
-</p>
-
-<p>
-Il figlio morì di crepacuore; il padre continuò a subire
-la nimicizia de’ Loredani; ed essendo morti due di
-essi quasi subitaneamente; ne fu imputato egli stesso;
-Jacopo Loredano finse di crederlo, e s’impegnò a vendicarsene (1457).
-Fatto dei tre inquisitori, imputò il Foscari
-d’avere per la perdita del figlio mostrato un dolore che
-sapea di rimprovero, e come vecchio e acciaccoso propose
-di deporlo. Due volte il Foscari aveva esibito di
-abdicare, e, non che consentirglielo, era stato indotto
-a giurare di non ripetere la domanda finchè la guerra
-il rendeva necessario: ma allora, benchè fosse caso
-senz’esempio, fu obbligato a rassegnar la sua carica fra
-ventiquattr’ore, e uscì dal palazzo, dov’era abitato per
-trentacinque anni, senza figliuolo nè amici nè forze, tra
-un popolo che l’amava, ma che più temeva l’inquisizione
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-allora appunto istituita (1457), tra i varj corpi dello
-Stato, nessun de’ quali osava protestare contro questa
-violazione della popolare sovranità. Quando la squilla
-di San Marco annunziò sortito il suo successore (23 8bre), il vecchio
-Foscari spirò; e sulla sfarzosa tomba erettagli
-ne’ Frari fu scritto: «Eccovi, o cittadini, l’effigie del
-vostro doge Francesco Foscari, per ingegno, memoria,
-eloquenza, inoltre giustizia, forza d’animo, consiglio,
-per lo meno degno di pareggiar la gloria de’ più gran
-principi: non mai troppo mi parve l’amore verso la
-mia patria; gravissime guerre in terra e in mare per
-la salute e dignità vostra per più di trent’anni con
-somma fortuna sostenni; sorressi la pericolante libertà
-d’Italia; i perturbatori della quiete repressi colle armi;
-Brescia, Bergamo, Ravenna, Crema aggiunsi allo Stato
-vostro; d’ogni ornamento crebbi la patria; data a voi
-la pace, stretta Italia in tranquilla lega, esauste tante
-fatiche, dopo ottantaquattr’anni di vita e ventiquattro
-di dogato all’eterna pace passai. Voi la giustizia e la
-concordia conservate, acciocchè sempiterno sia questo
-impero».
-</p>
-
-<p>
-Il Loredano, alla partita di debito che aveva aperta
-ne’ suoi registri a carico de’ Foscari per la morte dei
-suoi parenti, contrapponeva <i>Pagata.</i> Bel tema di romanzi
-e tragedie, e opportuno contrapposto all’ambizione
-fortunata dello Sforza: nè noi siamo disposti a
-scagionare ingiustizie e tirannie, vengano da repubbliche
-o da despoti, da forestieri o da nostrali.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’amor delle arti, della quiete, delle lettere invadeva
-principi e popoli, non più la sola guerra; l’interesse,
-che un tempo si fermava unicamente sul capitano,
-dirizzavasi anche al letterato e al pittore; e d’altra
-materia empiremo noi il libro che succede a questo di
-perpetue battaglie. Repente l’attenzione e i ragionamenti
-si volsero sulle conquiste de’ Turchi; e la presa
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-di Costantinopoli (1453) fu guardata da tutti come domestica
-sciagura, come un pericolo universale, del quale si doleano
-d’essersi accorti troppo tardi. Allora Francesco
-Sforza concepì il divisamento di stringere tutta Italia
-in federazione, all’intento d’escluderne gli stranieri qualunque
-si fossero, e conservare la pace interna; e mediante
-frà Simonetto da Camerino (1454), fu stipulata in Lodi
-tra esso Sforza e i Veneziani, come padroni disponendo
-anche degli altri Stati d’Italia: Cosmo de’ Medici, i signori
-di Savoja, di Monferrato, di Modena, di Mantova,
-le repubbliche di Siena, Lucca, Bologna e il papa vi
-aderirono; e da ultimo anche Alfonso di Napoli: onde
-per un momento Italia respirò dalle battaglie, e potè
-sperare che una confederazione le salvasse l’indipendenza
-e la libertà. Fu un sogno anche questa volta.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro11">LIBRO UNDECIMO</h2>
-
-<h2 id="cap117-11">CAPITOLO CXVII.
-<span class="smaller">I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj.</span></h2>
-</div>
-
-<table class="papi">
- <tr>
- <td colspan="6" class="center"><span class="smcap">Papi durante lo scisma</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6"><span class="smcap">Urbano VI</span> (Bartolomeo Prignano) eletto<br> il 9 aprile 1378 da sedici cardinali, quindici de’ quali poco poi eleggono</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Clemente VII</span> (Roberto di Ginevra) 21 settembre 1378</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Bonifazio IX</span> (Pietro Tomacelli) 2 novembre 1389</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Benedetto XIII</span> (Pietro di Luna) 28 settembre 1394, deposto dal concilio di Pisa, 5 giugno 1409, poi da quello di Costanza, 26 lugl. 1417</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Innocenzo VII</span> (Cosma Meliorati) 17 ottobre 1404</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Gregorio XII</span> (Angelo Correr) 30 novembre 1406, deposto dal concilio di Pisa, 5 giugno 1409; abdica, 4 luglio 1415</td> <td colspan="2" class="vbot center"><span class="smcap">Alessandro V</span> (Pietro Filargo) 26 giugno 1409</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td> <td>&#160;</td> <td class="bl">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="vtop center"><span class="smcap">Martino V</span> (Ottone Colonna) 11 nov. 1417 resta papa, finendo lo scisma</td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Giovanni XXIII</span> (Baldassarre Cossa) 17 maggio 1410 deposto dal concilio di Costanza, 29 mag. 1415; abdica, 13 mag. 1419</td> <td colspan="2" class="vtop center"><span class="smcap">Clemente VIII</span> (Gilles Muñoz) in giugno 1424 eletto da due cardinali; abdica, 26 luglio 1429</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p class="pad2">
-La prolungata dimora dei papi in Avignone d’estremo
-disgusto era motivo agl’Italiani, avvezzi a bersagliarli
-finchè li possedono, ribramarli appena gli abbiano perduti.
-E tanto più che, cessando i vantaggi, non cessavano
-le noje; e di là arruffavano essi la patria nostra vie
-peggio, perchè dei mali che le procacciavano non erano
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-partecipi. Dal 1317 sino al chiudersi del secolo li vedemmo
-in guerra guerreggiata contro i Visconti di Milano,
-e per sottomettere popoli rivoltosi, o signorotti
-ripullulanti nelle terre papali; e non ostante le vittorie
-di Bertrando del Poggetto e dell’Albornoz, altro effetto
-non ne trassero che di rovinarle di popolo e di frutti.
-</p>
-
-<p>
-Innocenzo VI (Stefano d’Aubert) (1352), che si diè tanto
-moto per rintegrare il potere pontifizio in Italia, moderò
-il lusso di sua Corte e de’ prelati, cacciò i parasiti e le
-male donne che in Avignone trafficavano famosamente,
-e impinguò i nipoti, obbrobrio omai comune. Al suo
-tempo il re di Francia, fiaccato dalle lotte coll’Inghilterra,
-trovavasi impotente a salvaguardare il papa,
-ricovratosi sotto la sua ala; il popolo stesso francese,
-tumultuante per quelle idee che oggi si chiamano comunismo,
-facea macello di possidenti e di ricchi (<i>la Jacquerie</i>);
-e le bande di ventura rimaste senza soldo fiutavano
-ove fosse a saccheggiare. Mossero elle (1361) sopra
-Avignone, sicchè i papi dovettero provvedere a difendersi
-e gridare al soccorso: ma non n’ebbero se non
-dai nobili del contorno, i quali vi vedeano l’interesse
-proprio, ed erano pagati dai cardinali; poi il marchese
-di Monferrato, avuti centomila fiorini del tesoro papale,
-soldò quelle bande e le menò in Italia per adoprarle
-nelle proprie nimicizie.
-</p>
-
-<p>
-Se non che la peste era stata recata in Avignone da
-quelle ciurme, e nove cardinali, settanta prelati e gran moltitudine
-perirono. Le quali sventure faceano ribramare
-l’Italia, e Urbano V (Guglielmo di Grimoard) (1362), buon principe
-e buon cristiano, divisava restituirvi la sede, anche
-per tôrre agli altri vescovi il pretesto di lasciar vedove
-le chiese, a sè la necessità di annuire alle crescenti domande
-del re di Francia, e sottrarsi alle masnade che
-tratto tratto ritornavano a taglieggiarlo, tra cui quella
-del famoso Bertrando Di Guesclin pretese centomila lire
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-e l’assoluzione plenaria. Ma i cardinali preferivano Avignone,
-dove non si trovavano a fronte nè la petulanza
-d’una plebe riottosa come la romana, nè la prepotenza
-de’ baroni; sicchè vi si erano adagiati come in domicilio
-stabile, aveano fabbricato suntuosamente, e quindi
-persuadevano il papa dover egli preferire la Francia:
-questa, sua patria; questa, centro dell’Europa; questa,
-meglio governata e quieta che l’Italia; questa, più santa
-di Roma perchè religiosissima già la chiamava Cesare,
-e i Druidi vi esistevano prima del cristianesimo; questa
-infine, più cara a Gesù Cristo perchè vi si conservavano
-le reliquie più insigni<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Turchi sempre più guadagnavano verso l’Europa;
-e Pietro Lusignano re di Cipro girava le corti esortando
-a sostenere gli ultimi possessi de’ Crociati, se
-non voleano vedere la mezza luna drappellarsi rimpetto
-all’Italia. Urbano sembrò compunto di questo
-pericolo; Carlo IV imperatore fece grandi preparativi
-per una crociata, la quale però non riuscì se non ad
-uno sbarco scarso ed infruttuoso sopra Alessandria
-d’Egitto.
-</p>
-
-<p>
-Però e il papa e l’imperatore presero accordo di
-ripristinare la santa Sede a Roma. Questa città avea
-sempre altalenato fra insania demagogica e oligarchica
-arroganza, or ribelle al pontefice per bizzarria, or sottomessagli
-per paura. Si pensò ottenere maggior quiete
-col nominare un podestà forestiero: ma i Romani sel
-recarono ad oltraggio, e abolito il senatore, istituirono
-sette riformatori della Repubblica; poi fra poco diedero
-poteri dittatorj a Lello Pocadote calzolajo, poi ripristinarono
-i riformatori. Quale allettamento aveva dunque
-un papa a ritornarvi? Pure sentiva esser fuori di posto
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-in una terra dove vestiva aspetto d’un esule ricoverato,
-piuttosto che d’un sovrano dei re; e dove prelati quasi
-tutti francesi davano alla Corte un’aria nazionale, ben
-diversa da quella cosmopolita che soleva in Roma; l’assenza
-sua porgeva pretesto ai Romani di rivoltarsi, agli
-altri vescovi di abbandonare le proprie sedi. Adunque,
-da che le conquiste dell’Albornoz assicurarono il principato
-civile (1367), Urbano deliberò restituirsi di qua dall’Alpi.
-</p>
-
-<p>
-Appena se ne motivò, Roma e Italia tutta fecero
-gran sembianti d’allegrezza; Napoli offrì cinque galee,
-Pisa tre, Genova quattro, Venezia dieci, due Lucca.
-Ricevuto dappertutto con vive feste, e fra un cantare
-al popolo d’Israele che usciva d’Egitto, alla casa di
-Giacobbe dal popolo barbaro, non avea però troppi
-motivi a fidarsi de’ Romani. In Viterbo, ove a lungo
-s’indugiò, una sommossa popolare tenne tre giorni in
-pericolo il sacro collegio; e repressa dai cittadini, furono
-arrestati cinquecento colpevoli, di cui cinquanta
-ebbero il bando, sette la forca. L’arrivo di Nicolò II
-d’Este con settecento uomini d’arme rassicurò il papa
-ad entrare a Roma, e celebrò sull’altare papale, ove
-nessuno più da Bonifazio VIII in poi; e in Laterano benedisse
-il popolo colle teste dei santi Pietro e Paolo,
-per le quali fece fare due reliquiarj, che valsero trenta
-e più mila fiorini d’oro. Abolì i riformatori, rimettendo
-un senatore semestrale con tre conservatori; e tolse i
-tredici banderesi, capi de’ rioni fin con diritto di sangue,
-e che traendo a sè tutti gli affari, rimanevano i veri
-padroni della città.
-</p>
-
-<p>
-Vi giunse poi, come avea promesso, Carlo IV con
-gran seguito di duchi e marchesi, volendo procacciare
-alla quarta sua moglie lo spettacolo della coronazione
-colla maggior maestà che fosse possibile. Anche Giovanni
-Paleologo imperatore di Costantinopoli venne a
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-fare omaggio a Urbano, e riconoscere la Chiesa latina;
-spettacolo non più visto da Teodosio in poi, gl’imperatori
-d’Oriente e d’Occidente inginocchiati davanti al papa.
-Ma Carlo partì fretta fretta, e Urbano, che proponeasi
-di rassettare la dignità della Chiesa coll’assistenza di
-cinquantamila uomini da lui promessigli, si trovò in
-asso: che se finchè stette in Avignone facea qualche
-mostra di vigoria adoprando l’oro racimolato da tutta
-cristianità a domare questi signorotti lontani, allora si
-trovò in loro balia e colla borsa vuota; mentre Bernabò
-Visconti, ridendosi delle scomuniche, gli ammutinava
-tutte le città di Romagna. Vedendo dunque non approdare
-a verun bene, malgrado le esortazioni de’ più e del
-Petrarca, tornossi ad Avignone (1370), anzi vi consolidò l’esiglio
-coll’eleggere altri cardinali francesi; e l’Italia continuò
-le minute baruffe, ispirate da gelosie, esercitate
-dalle bande.
-</p>
-
-<p>
-Caterina, nata in Siena (1347) da Benincasa ricco tintore,
-datasi alla solitudine, alle austerità, all’orazione, fatto
-voto di verginità e difesala contro la insistenza domestica,
-cominciò ad avere torrenti di grazie dal Signore,
-il quale «le avea insegnato a fabbricarsi un ritiro dentro
-dell’anima sua per richiudervisi di continuo, e le aveva
-anche promesso di farvi trovare tal pace e riposo, che
-niuna tribolazione potrebbe turbare»<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>. Si vestì terziaria
-di san Domenico, e superando gli spasimi d’incurabili
-malattie e le impure tentazioni, ristorando l’anima
-colle dolcezze della preghiera e colla carità verso
-gl’infermi e i peccatori, ebbe rivelazioni e comunicazioni
-celestiali; Cristo in visione le esibì a scegliere fra
-una corona d’oro e una di spine, e poichè ella prese
-questa e la si calcò sul capo per somigliare a lui, egli
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-le diede a succhiare il proprio costato; un altro giorno
-cambiò il cuore di lei col suo; la sposò anche solennemente,
-porgendole un anello che sempre le rimase in
-dito, e ch’ella sola vedeva, come le stigmate della passione.
-Tali e ben altre meraviglie ci sono narrate dal
-suo confessore Raimondo di Capua, il quale dubitò lungamente
-fossero allucinazioni di devota fantasia, fin
-quando non vide la giovane faccia di Caterina trasformarsi
-in quella proprio del Redentore.
-</p>
-
-<p>
-Fu privilegiata del dono di convertir peccatori, come
-fece di tutta la famiglia Tolomei, e di due assassini dannati
-al patibolo; tantochè il papa deputò tre Domenicani
-che in Siena ricevessero le confessioni di quelli
-ch’essa avea tratti a penitenza. Del potere che la virtù
-davale sugli animi, avea fatto uso a minorare i patimenti
-della sua patria; cercò distogliere il feroce avventuriero
-Giovanni Acuto dal più guerreggiare i Cristiani.
-Alla santa ebber ricorso i Fiorentini quando il pontefice
-stava irato con essi; ed ella, schermitasi invano, fu
-ricevuta a Firenze come in trionfo, ottenne pieni arbitrj,
-e al papa scriveva: — Pregovi che vi mandiate proferendo
-come padre, in quel modo che Dio vi ammaestrerà,
-a Lucca ed a Pisa, sovvenendoli in ciò che si
-può, ed invitandoli a star fermi, perseveranti. Essi
-stanno in gran pensiero, perocchè da voi non hanno
-conforto, e dalla contraria parte sono stimolati e minacciati
-che facciano la pace; ma per infino a qui al
-tutto non hanno acconsentito. Seguitate la mansuetudine
-e pazienza dell’agnello immacolato Gesù Cristo, la cui
-vece tenete. Confidomi in lui, che di questo e d’altre
-cose adoprerà tanto in voi, che n’adempirò il desiderio
-vostro e mio; chè altro desiderio in questa vita io non
-ho, se non di vedere l’onore di Dio, la pace vostra, e
-la riformazione della santa Chiesa, e di vedere la vita
-della grazia in ogni creatura che ha in sè ragione. Confortatevi,
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-che la disposizione di qua, secondo che mi è
-dato a sentire, è pure di volervi per padre, e specialmente
-questa città tapinella, la quale è sempre stata
-figliuola della santità vostra, e che costretta dalla necessità
-fece di quelle cose che le sono spiaciute: voi
-medesimo gli scusate alla vostra santità, sicchè coll’amo
-dell’amore voi gli pigliate. Potreste dire, <i>Per coscienza
-io sono tenuto di conservare e racquistar quello della
-santa Chiesa</i>. Ohimè! io confesso bene che egli è la
-verità, ma parmi che quella cosa che è più cara si debba
-meglio guardare. Il tesoro della Chiesa è il sangue di
-Cristo, dato in prezzo per l’anima, perocchè il tesoro
-del sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma
-per salute dell’umana generazione. Sicchè poniamo che
-siate tenuto di racquistare e conservar il tesoro e la
-signoria della città, che la Chiesa ha perduto; molto
-maggiormente siete tenuto di racquistare tante pecorelle
-che sono un tesoro nella Chiesa, e troppo ne impoverisce
-quand’ella le perde. Pace, pace, santissimo padre;
-piaccia alla santità vostra di ricevere i vostri figliuoli,
-che hanno offeso voi padre; la benignità vostra vinca
-la loro malizia e superbia; non vi sarà vergogna d’inchinarvi
-per placare il cattivo figliuolo, ma saravvi
-grandissimo onore ed utilità nel cospetto di Dio e degli
-uomini del mondo. Ohimè, babbo, non più guerra per
-qualunque modo; conservando la vostra coscienza si
-può aver la pace; la guerra si mandi sopra gl’infedeli,
-dove ella debba andare».
-</p>
-
-<p>
-Fu poi in persona ad Avignone, e Urbano anch’egli
-rimise in lei ogni differenza; ma altri ambasciadori fiorentini
-sturbarono la conclusione. Caterina non cessò
-di esortare il papa ad armarsi alla crociata, ed a restituirsi
-a Roma<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>, come seppe indovinargli n’avea fatto
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-voto segreto. Al quale uopo avea con lei contribuito
-santa Brigida, nobile svedese, che, perduto il marito
-mentre andavano pellegrini a San Jacopo di Galizia,
-prese un vivere sempre più austero, e istituito l’ordine
-di San Salvatore, venne in Montefiascone a cercarne la
-conferma ad Urbano, cui annunziò averle la beata Vergine
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-rivelato come pessimamente gli avverrebbe se
-uscisse d’Italia. Non le diede egli ascolto, ma tornato
-in Avignone, presto (1370) fu colpito dalla morte<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a>. Pio a
-segno, che si credettero operati miracoli al suo sepolcro,
-generoso colle chiese e cogli studiosi, di cui manteneva
-un migliajo sulle Università, avea regnato pei popoli non
-per sè: ma è un’insipida lode quella attribuitagli dal
-Petrarca, di non aver fatto nessun malcontento.
-</p>
-
-<p>
-Dopo una sola notte di conclave gli fu dato successore
-Pietro Roger, modesto, virtuoso e insieme dottissimo,
-che già cardinale frequentava a Perugia le lezioni
-di Baldo, e ne fu il più sapiente scolaro. Volle il nome
-di Gregorio XI, e badando ai gravi mali d’Italia e alle
-esortazioni di quelle sante<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>, meglio che alle opposizioni
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-del re di Francia, piantossi in Vaticano (1377), e vide il
-gonfalone della Repubblica e dei dodici rioni deposti
-ai suoi piedi: ma i magistrati li ripigliarono ben presto,
-continuando a governare da sè; di che il papa
-soffrì e si scontentò, e forse solo morte gl’inpedì di
-restituirsi di là dall’Alpi. Pure egli fu l’ultimo papa
-francese; e dopo settantun anno e tre mesi la santa
-Sede era stata riportata di Francia in Italia. Le miserie
-di questa che fautori e avversari deplorano come schiavitù
-di Babilonia, invigorirono la scossa che allora d’ogni
-parte veniva alla maestosa unità cattolica, preponderante
-nel medioevo. Le nazioni eransi formate attorno
-ai vescovi, donde l’assoluto potere ecclesiastico, come
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-d’un padre sopra i figli che generò e crebbe. Costituitesi,
-riuniti molti territorj, nato il potere pubblico, vollero
-svilupparsi dalle fasce della Chiesa per vivere di
-vita propria, e compresero che il temporale potea sussistere
-disgiunto dallo spirituale: onde alla società senza
-limite di spazio sottentravano società particolari e distinte,
-all’andamento generale le parziali destinazioni.
-</p>
-
-<p>
-I tentativi di Bonifazio VIII per rintegrare la supremazia
-pontifizia destarono ne’ principi quella gelosia,
-che proviene mentosto da reali violenze che da paura.
-Alle immunità attribuite ai beni ed alle persone degli
-ecclesiastici, i Comuni non esitavano por la mano, dovessero
-anche affrontare gli anatemi del pontefice. Pistoja
-statuì che, chi entrava chierico, perdesse diritto
-al patrimonio, nè dai parenti potesse ripetere alcuna
-cosa, se non a titolo di largizione o per infermità o per
-andare a studio. I Fiorentini sottoposero alle gravezze
-e ai tribunali comuni gli ecclesiastici, perciò vietato di
-far voltura in loro testa sul libro dell’estimo de’ beni a
-loro pervenuti, talchè la ditta fosse sempre obbligata
-alle gravezze, e i beni medesimi ipotecati a favore del
-Comune. Venezia, nella guerra del 1379 coi Genovesi,
-decretò tutti i monasteri si armassero, e cacciò i monaci
-che lo ricusarono come contrario al loro istituto. A Genova
-bastava esser chierico per rimanere escluso da
-qualfosse pubblico impiego, per la ragione che l’immunità
-gli avrebbe sottratti al castigo in caso di trasgressione.
-Il comune di Perugia nel 1319 destinava un
-uffiziale a sopravvegliare gli ecclesiastici; e propose
-che nessuna lettera si mandasse al papa, foss’anche dal
-vescovo, se non suggellata dal Comune (<span class="smcap">Graziani</span>).
-Torino faceva uno statuto <i>super iniquitate, superbia
-et immoderata avaritia cleri et presbyterorum</i>, e li
-obbligava, oltre il resto, a concorrere a mantenere il
-ponte sul Po.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<p>
-Padova voleva aggravezzare i beni degli ecclesiastici,
-questi ricusavano, e tant’oltre si andò che il Comune
-nel 1282 stabilì, chi ammazzava un chierico pagasse
-un grosso e fosse assolto (<span class="smcap">Gennari</span>), e vi ebbe chi ne
-profittò a sfogo di vendette. Meglio i Reggiani, scomunicati
-dal vescovo nel 1280, si può dire scomunicarono
-lui, vietando ogni relazione coi cherici, non pagar loro
-le decime, non dar consiglio nè ajuto nè prestito, non
-pasti, non contratti con essi, non entrare in casa loro,
-non macinarne il grano o fare il pane o radere la barba;
-il che lo portò a pronta composizione. D’altra parte il
-papa volendo rimeritare i Fiorentini d’avergli spediti
-ajuti in Lombardia, nel 1323 concedette che il clero
-contribuisse alla spesa di fortificare la città. Di rimpatto
-il legato pontifizio voleva essere investito della
-pingue abazia dell’Impruneta; e perchè i Buondelmonti
-si opposero considerandola come loro patrimonio, egli
-mise l’interdetto sulla città.
-</p>
-
-<p>
-Quando l’edifizio sociale era impiantato sulla fede,
-ogni opposizione si risolveva in eresia: le scomuniche,
-contro cui eransi fiaccati l’orgoglio e la potenza degl’imperatori
-sassoni e svevi, perdeano efficacia dacchè prodigate
-in effetti mondani; i Siciliani durarono ottant’anni
-in rotta colla Chiesa; i Visconti degli interdetti si vendicavano
-col pesare viepeggio sugli ecclesiastici; e gli
-avvocati ergeano la fronte contro i papi, ai quali erasi
-incurvata quella dei re.
-</p>
-
-<p>
-Ormai dalla fede assoluta passavasi alle religioni
-comparate. Maestro Urbano da Bologna nel 1334 scrisse
-un commento di Averroe, che invogliò a conoscere il
-testo; e quelle opere entrarono di moda, e con esse i
-dubbj sulla vita futura e la pendenza al panteismo; e
-il Petrarca si piange che la filosofia aristotelica inducesse
-al materialismo, tanto che non otteneva nome di
-dotto e filosofo chi non aguzzasse la lingua e la penna
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-contro la religione. Un di costoro «i quali pensano non
-aver fatto nulla se non abbajano contro di Cristo e della
-sovrumana sua dottrina», andò a trovare il poeta a
-Venezia, e lo cuculiava perchè avesse citato un detto
-dell’apostolo delle genti, e — Tienti la tua religione, io
-non ne credo acca; il tuo Paolo, il tuo Agostino e cotest’altri
-furono chiaccheroni; e deh potessi tu soffrire
-la lettura di Averroe, che ben vedresti quanto e’ sorvola
-a cotesti tuoi buffoni». Petrarca se ne stomacò, e
-tutto dolce ch’egli era, prese pel mantello e mise fuor
-di casa il temerario.
-</p>
-
-<p>
-Nè per tanto si rinnegava la Chiesa. Quei Patarini
-che l’aveano conturbata due secoli prima, erano scomparsi
-d’Italia o nascosti; il popolo amava le splendidezze
-del culto, se anche non ne venerava l’austerità, e compiaceasi
-del papa e della corte pontifizia: gli studiosi
-ostentavano questa incredulità accademica, ma non le si
-conformavano nelle pratiche; e d’altra parte, non poteano
-essi declamare contro la Corte romana colla libertà che
-avea usata Dante, senza incorrere negli anatemi? Ma
-dacchè erasi trasportata in Avignone, e Guelfi e Ghibellini
-del pari la bersagliavano, quasi cessasse d’essere
-cattolica cessando d’essere romana. Il Sacchetti mercante,
-il Petrarca canonico, il Pecorone frate, e persone
-di grande scienza e di celebrata santità avventavansi
-contro quella Babilonia, che tal nome meritava non
-meno pel lusso che per la corruzione, dove parea costume
-ciò che altrove vizio, dove la disonestà accoppiavasi
-colla perfidia e colle bassezze.
-</p>
-
-<p>
-Ciò che altre volte sarebbe valso poco più che per
-esercizio di retorica o sfogo di bile, diventava pericoloso
-allorchè, perdendosi il senso de’ simboli, la società riducevasi
-affatto pratica; laonde i politici guatavano con
-disgusto questa Corte che, vivendo nel mondo, n’avea
-presa la licenza, le passioni, gl’intrighi, e reso la Chiesa
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-un mezzo di governo e di speculazione. Di tal passo
-venivasi a vilipendere quel che prima erasi venerato,
-e declinava nei popoli lo spirito d’obbedienza quando
-appunto i pontefici lasciavano quello di dominazione.
-Allora parve insopportabile la giurisdizione ecclesiastica,
-che colla pubblicazione del <span class="smcap lowercase">VI</span> e <span class="smcap lowercase">VII</span> libro delle
-<i>Decretali</i>, poi delle <i>Estravaganti</i> erasi estesa per
-modo, che qualsivoglia lite poteva anche in prima
-istanza recarsi al pontefice.
-</p>
-
-<p>
-Agostino Trionfe d’Ancona, agostiniano, che dettò a
-Parigi poi a Napoli, carissimo ai re Carlo e Roberto,
-dedicò a Giovanni XXII una <i>Somma della podestà ecclesiastica</i>,
-apologia dell’onnipotenza dei papi: da Dio
-immediatamente derivare la loro giurisdizione, superiore
-ad ogni altra perchè tutte giudica, da nessuna è
-giudicata; come spirituale, così è temporale, perchè
-chi può il più può anche il meno: non può il papa
-essere deposto dal concilio generale, nè giudicato dopo
-morte: è assurdo appellarsi al concilio, giacchè questo
-non trae autorità che dal pontefice, il quale unico può
-proferire sui punti di fede, nè altri informare dell’eresia
-senz’ordine di esso. Come sposo della Chiesa universale,
-tiene immediata giurisdizione sopra ogni diocesi,
-e per sè o per mandati suoi vi può fare quel che vescovi
-e parrochi. Al papa devono obbedienza Cristiani,
-Ebrei e Gentili; egli può punire i tiranni e gli eretici
-anche con pene temporali; egli, non i vescovi, scomunicare;
-fin di là della tomba estende il potere per via
-delle indulgenze: potrebbe scegliere di qualsiasi paese
-l’imperatore senza ministero degli elettori, o renderlo
-ereditario: l’eletto dev’essere da lui confermato e giurarsegli
-ligio, e può da lui essere deposto: tutti i re
-sono tenuti obbedire al pontefice, dal quale traggono
-la potenza temporale: a lui può appellarsi chiunque si
-sente gravato dal principe: e i principi e’ può correggere
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-per peccati pubblici, deporli anche, e istituire un
-re di qualsiasi regno.
-</p>
-
-<p>
-L’esagerazione è sintomo di autorità minacciata; e
-sempre maggiore ardimento pigliava l’opposizione. Guglielmo
-Occam, scolastico nominatissimo, per favorire
-Lodovico Bavaro contendeva l’infallibilità non solo al
-papa, ma anche al concilio universale e al clero; i laici
-in corpo poter decidere risolutamente; contro il papa potersi
-all’uopo adoprare anche la forza, o stabilirne diversi
-un dall’altro indipendenti. Marsiglio di Mainardino da
-Padova, eloquente professore all’Università di Parigi, poi
-rifuggito ad esso Lodovico, gli insinuò che a lui competesse
-riformare gli abusi della Chiesa, perchè questa
-è sottomessa all’Impero; e con Ubertino da Casale pubblicò
-il <i>Defensor pacis</i>, ove già s’incontrano le negazioni
-di Calvino rispetto all’autorità e costituzione della
-Chiesa; la potestà legislativa ed esecutiva di questa fondarsi
-sul popolo che la trasmise al clero; i gradi della
-gerarchia essere invenzione posteriore; il primato, consistente
-solo nel convocare concilj ecumenici e dirigerli,
-non fu dato al vescovo di Roma se non con autorizzazione
-d’uno di tali concilj e del legislatore supremo,
-cioè di tutti i fedeli o dell’imperatore che li rappresenta;
-Gesù non lasciò a capo della sua Chiesa verun
-capo visibile, nè Pietro avea preminenza che per l’età;
-al sovrano, purchè fedele, spetta l’istituire prelati, eleggere
-il papa, giudicare i vescovi come Pilato giudicò
-Cristo, e deporli, convocare concilj e regolarne le deliberazioni;
-eguali essendo i vescovi, l’imperatore solo
-può elevarne uno sopra gli altri, e a grado suo abbassarlo<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>.
-Sì poco sono moderne le dottrine che subordinano
-la Chiesa ai governi!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le teoriche negative si traducevano in fatti: la bolla
-d’oro di Carlo IV sottraeva il sacro romano impero dai
-papi; il re di Francia, non che emanciparsi dalla supremazia
-di questi, li minacciava come sudditi proprj;
-i lontani seguitavano a venerarli solo in quanto ne traessero
-vantaggio.
-</p>
-
-<p>
-Di mescolarsi nelle cose ecclesiastiche prendea pretesto
-l’autorità secolare dagli scandali del tempio,
-quando la santa Sede, fatta ligia dei re, non valeva a frenare
-la irruente corruzione, fosse la grossolana del clero
-inferiore o la fastosa de’ prelati. Grave torto faceva alla
-Chiesa il patriziato delle maggiori dignità: poichè essa,
-che ripudiò sempre ogni distinzione di natali, attenendosi
-unicamente ai meriti, vedeva il cardinalato e le
-nunziature affidarsi a taluni, il cui unico titolo era l’essere
-degli Orsini o dei Colonna o dei Savelli; e le costoro
-case, potenti in città per armi e per clientele,
-trescavano a voglia anche nel santuario, prepotevano
-nelle elezioni dei pontefici e ne’ loro consigli, con tirannide
-peggiore di quella degli imperatori del secolo
-precedente, perchè più immediata. Le emulazioni di
-queste famiglie, prorompenti spesso in guerra civile e
-in criminosi attentati, s’insinuavano nel concistoro e nel
-conclave, e toglieano al pontificato e al sacerdozio quella
-dignità che traggono dall’essere superiori alle mondane
-rivolture.
-</p>
-
-<p>
-I prelati sotto la stola mantenevano le abitudini dell’educazione
-secolaresca e lusso sfrenato; ned altro
-testimonio ne voglio che il concilio Lateranese III, il
-quale, avvisando i prelati quanto disdica il camminare
-con treno sì numeroso e il consumare in un pranzo
-l’intera annata della chiesa che visitano, vuole i cardinali
-s’accontentino di quaranta o cinquanta vetture, gli
-arcivescovi di trenta o quaranta, i vescovi di venticinque,
-gli arcidiaconi di cinque o sette, di due cavalli i
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-decani; tutti poi vadano senza cani da caccia nè uccelli.
-Accumulavansi fin quaranta o cinquanta benefizj in una
-sola mano; e vuolsi che Benedetto XII proponesse ai
-cardinali, se rinunziassero ad averne più d’uno, assegnar
-loro centomila fiorini d’oro di rendita e metà
-delle entrate dello Stato pontifizio; e ad essi non parvero
-abbastanza. Pastori negligenti, sicchè nè tampoco
-veduta aveano la loro greggia, esercitavano insolente
-giurisdizione tirannica; nel clero minore ignoranza, venalità
-de’ sacramenti, comune l’ubriachezza, sfacciata
-la libidine; nelle chiese e ne’ conventi si stabilivano
-bettole e giuochi; le monache uscivano dai monasteri;
-trafficavasi di grazie, dispense, perdoni.
-</p>
-
-<p>
-Degli antichi Ordini religiosi rilassata la disciplina:
-perfino in quel Montecassino, che fin allora avea dato
-ventiquattro papi, ducento cardinali, milleseicento arcivescovi,
-ottomila vescovi, molti canonizzati santi, i monaci
-vestivano bene, abitavano comodi, riservavansi
-peculj particolari, anzi riceveano dal convento una prebenda
-colla quale vivere in case secolari. Presa vergogna
-dall’operosità e astinenza de’ Mendicanti, anch’essi
-dovettero riformarsi, applicando agli studj; ma perchè
-a questi non pareva potersi attendere degnamente che
-nelle Università, i monaci che v’erano mandati vi trovavano
-incentivi e dissipamenti e peggio.
-</p>
-
-<p>
-Però anche gli Ordini nuovi presto diminuirono l’esemplare
-fervore primitivo, gli uni facendo divorzio
-dalla povertà, sposata dal loro patriarca, gli altri per
-zelo dimenticando la carità. A tacere le diatribe dei loro
-nemici, quali Mattia Paris e Pier delle Vigne, san Bonaventura,
-generale de’ Francescani, nel 1257 dirigeva
-una querela ai provinciali e guardiani; perchè a titolo
-di carità i fratelli s’impacciassero d’affari pubblici e
-privati, di testamenti, di secreti domestici. Sprezzando
-il lavoro, caddero nell’infingardaggine, e mentre pregano
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-ginocchione o meditano in cella, possono darsi a
-studj vani o sbadigliare o dormire, e forse dai libri
-composti trarre una vanità che non prenderebbero
-certo dal tessere fiscelle o stuoje, come i primi romiti.
-Andando girelloni, riescono d’aggravio agli ospiti e di
-scandalo; per rimettersi dalla stanchezza mangiano e
-dormono di là del prefisso; scompigliano la regola del
-vivere; domandano con tale importunità, da farli schifare
-quanto i ladri. La vastità delle fabbriche turba la
-pace de’ conventi, incomoda gli amici, espone a giudizj
-sinistri. Ai parrochi poi dispiaciono per la premura
-che si danno intorno a funerali e a testamenti. Inoltre
-le città chiamavano i frati a compor paci, gli abati ad
-eseguire commissioni, come gente non pericolosa e
-di niuna spesa ne’ viaggi; l’Inquisizione li riduceva a
-specie di magistrati criminali, con bidelli, famigli armati,
-carceri, braccio secolare a loro disposizione, essi
-istituiti a profonda umiltà e povertà esatta.
-</p>
-
-<p>
-La regola di san Francesco imponeva tali austerità,
-che alcuni la sentenziarono d’impossibile o di micidiale;
-sicchè papa Nicola III credette doverla spiegare<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a>
-nel senso che i frati Minori erano tenuti osservare il
-vangelo, vivendo in obbedienza, in castità, in povertà
-tale da non possedere cosa veruna; lo spossessamento
-totale per Dio essere meritorio; averlo Cristo insegnato
-colla parola, confermato coll’esempio, e gli apostoli
-ridotto in pratica; i Francescani vivendo così, non faceansi
-suicidi nè tentavano Dio, giacchè confidandosi
-nella Provvidenza, non però repudiavano gli espedienti
-suggeriti dalla prudenza umana. Vi si chetarono gli
-avversarj, ma tra i Minoriti alcuni ne trassero motivi
-d’un fanatico misticismo, da una parte asserendo che la
-regola di san Francesco fosse il vero vangelo, dall’altra
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-che la spropriazione dovea portarli ad avere nulla più
-che il mero uso delle cose necessarie alla vita.
-</p>
-
-<p>
-Pier Giovanni d’Oliva di Linguadoca predicò siffatta
-dottrina, e bersagliando la Chiesa ricca e mondana,
-annunziava i Minori, come destinati a rigenerarla. Fece
-molti proseliti, e sotto papa Celestino V, incline al vivere
-cenobita, ottennero di costituirsi in nuova congregazione (1234),
-detta degli Eremiti Celestini. Perseguitati,
-presero abito e capi particolari, e massime per la diocesi
-di Pisa e tra i monti di Vecchiano e di Calci seguivano
-tenor di vita più rigoroso, alla Chiesa visibile
-ricca, carnale, peccaminosa affacciandone una frugale,
-povera, virtuosa. Tennero a quelle dottrine Corrado
-da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso,
-Corrado da Spoleto, Jacopone da Todi, e col nome di
-Fraticelli o Frati spirituali, ebbero capi frà Pietro da
-Macerata e Pietro da Fossombrone. Bonifazio VIII li
-combattè vigorosamente, e proferitili eretici, li fece
-processare e perseguire da frà Matteo di Chieti, sicchè
-essi ricoverarono in un’isola dell’Arcipelago e in
-Sicilia, aggregando a sè chiunque disertava dai Francescani
-per seguire una vita più austera; cari al vulgo
-per l’aspetto di maggior perfezione, e avendo per generale
-il mistico Ubertino da Casale. Angelo, plebeo senza
-lettere, della vallata di Spoleto, n’avea radunati molti;
-e così l’ordine del padre serafico restava scisso, nè Clemente
-V riuscì a riconciliarli nel concilio di Vienne.
-</p>
-
-<p>
-Il resistere, e la superbia che facilmente nasce dal
-rigore esagerato, li portarono a farsi accanniti detrattori
-della santa Sede, negando ch’ella potesse permettere
-ai Francescani di tener granajo e cantina, e asserendo
-una vicina riforma. Ne seguirono perfino sommosse
-a Narbona, in Sicilia, in Toscana; onde Giovanni XXII
-provvide a comandare la soggezione, dicendo che «gran
-cosa è la povertà, più grande la castità, ma superiore
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-l’obbedienza»<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>. Eppure essi durarono contumaci,
-appellando al futuro concilio, onde ebbero condanna; e
-quei che non vi si sottomisero, fuggirono in Sicilia,
-ove Federico re di Trinacria, sempre malvolto alla
-santa Sede, li protesse, e dove presero capo Enrico di
-Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta
-una sinagoga, lupo il suo pastore.
-</p>
-
-<p>
-Chi bestemmia Giovanni del rigore usato con essi,
-chi di essi fa beffa come apostoli d’una ineffettibile
-povertà, non venga poi a declamare o a sbigottirsi al
-cospetto del comunismo, forma moderna della medesima
-dottrina.
-</p>
-
-<p>
-Ma tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù
-Cristo nè i suoi apostoli non aveano nulla posseduto, la
-proposizione, rejetta dai Domenicani e da altri, venne
-sostenuta dai Francescani; e poichè la regola di san
-Francesco diceasi esprimere il vangelo, tornava sott’altra
-apparenza il medesimo concetto dell’assoluta spropriazione.
-Giovanni condannò anche questa dottrina;
-Michele di Cesena generale dell’Ordine, Guglielmo Occam
-e Buonagrazia da Bergamo protestarono, e rifuggiti
-a Pisa presso Lodovico Bavaro, lo sostennero e
-accannirono nella lotta contro quel papa. Tale quistione
-insinuò ne’ Minoriti uno spirito di sottigliezza, troppo
-contrario all’intento tutto pratico del loro fondatore;
-e ne pullulavano altre quistioni, a dir poco, oziose: se
-la regola astringesse sotto pena di peccato mortale o
-soltanto veniale; se obbligasse ai consigli del vangelo
-quanto ai precetti; se alle ammonizioni quanto ai comandi:
-dal che, facile tragitto, si passò a sofisticare sul
-decalogo e sul vangelo; ed oltre la disputa sempre
-accesa sull’immacolata concezione di Maria, un’altra ne
-ebbero coi Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-nella passione, restasse non pertanto ipostaticamente
-unito al Verbo.
-</p>
-
-<p>
-È difficile sincerare quanto abbiano di vero le oscene
-imputazioni che accompagnano i processi di costoro,
-massime de’ Fraticelli, avvegnachè l’opinione era straniata
-alla peggio, e la manìa de’ processi recò a prestar
-fede ad assurdità, ribadite nel vulgo dai supplizj inflitti
-e dalle declamazioni di chi avrebbe dovuto dissiparle.
-Anzi mi si fa credibile che le procedure allora ordinate
-dagli statuti civili ed ecclesiastici moltiplicassero le
-stregherie, dapprima quasi ignote. Giovanni XXII nel
-1322 notificava che «alcuni figli di perdizione, allievi
-d’iniquità, dandosi alle ree operazioni di loro detestabili
-malefizj, fabbricarono immagini di piombo o di
-pietra, sotto la figura del re, per esercitare sovr’essa
-arti magiche, orribili e vietate». E avendo gl’imputati
-declinato la giurisdizione ordinaria, il papa incaricò tre
-cardinali d’esaminarli, e rimetterli ai giudici secolari.
-Poi l’anno stesso meravigliasi de’ progressi delle scienze
-occulte, commosso nelle viscere che molti, cristiani
-soltanto di nome, lascino la luce della verità, e talmente
-siano involti nelle nebbie dell’orrore, da fare
-alleanza colla morte e patto coll’inferno, immolando ai
-demonj, adorandoli, fabbricando immagini, anelli, specchi,
-fiale ed altri oggetti in cui legare i diavoli; e a
-questi domandano risposte e ne ricevono, gl’implorano
-a soccorso dei depravati loro desiderj, e in ricambio
-della vergognosa assistenza offrono vergognosa servitù.
-O dolore! questa peste si diffonde oltremodo nel mondo,
-infettando tutto il gregge di Cristo».
-</p>
-
-<p>
-Con tali persuasioni, si estesero i supplizj per malìe.
-Il 1292 Pasqueta di Villafranca in Piemonte fu multata
-in quaranta soldi perchè <i>faciebat sortilegia in visione
-stellarum</i>: nel 1363 Antonio Cariavano, accusato di
-aver fatto grandinare in Pinerolo con libri necromantici,
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-fu multato in quaranta fiorini: nell’86 due della valle
-di San Saturnino pagarono cenventi franchi d’oro per
-avere prestato fede a un incanto gittato onde smorbare
-le loro mandre: nell’81 la nuora di Francesca
-Troterj avendo smarrito una collana di perle, per trovarla
-ricorse a maestro Antonio di Tresto da Moncalieri,
-il quale, pigliato il secchiello dell’acquasanta, lo
-coprì con un altro, vi accese attorno dodici candele,
-descrisse varie figure colla verga, e fece segni di croce:
-poi mise per terra due candele in croce, e su quelle
-fece posare il piede dritto della donna che avea smarrito
-il collare. Non so se si trovasse: ma il maestro fu
-accusato al vicario del vescovo; e quegli confessò nulla
-intendersi di magìe, ma far quelle frasche per ciuffare
-qualche soldo ai credenzoni<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A questi mali è fortuna quando si trova da opporre
-caldo zelo, soda pietà, scienza matura. Anime fervorose
-e gran santi neppur allora mancarono: verso il 1319
-nacquero gli Olivetani alla badia di Montoliveto nella
-val dell’Ombrone senese, per opera del beato Bernardo
-Tolomei; e lo sterile paese fu coltivato, adorna di pitture
-la chiesa. Il beato Giovanni Dominici fiorentino,
-oratore famosissimo, studiando al miglioramento de’ secolari
-e più de’ claustrali, fu vero restauratore della
-vita regolare in Italia e in Sicilia, e infine arcivescovo
-di Ragusi e cardinale: senza maestro s’approfondì nelle
-scienze, mentre colle prediche traeva a monacarsi donzelle
-e giovani. Nel riformare i Domenicani, cominciando
-a Firenze e Pisa, fu accompagnato dal beato Lorenzo
-da Ripafratta, che fu maestro ed amico a sant’Antonino,
-dal venerabile Tommaso Ajutamicristo, e da altri
-di quell’Ordine, infervorati a pietà dalla beata Chiara
-de’ Gambacurti, la quale avea riformato le Domenicane
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-in Firenze, donde si diffusero a Genova, a Parma, a
-Venezia. Anche il beato Raimondo da Capua operò a
-ristabilire la regolarità ne’ conventi domenicani, insieme
-col beato Marconino di Forlì, entrambi d’affettuosa
-pietà. Ai conforti del pio Marco, parroco di San
-Michele in Padova, che gemea di veder depravato l’ordine
-Benedettino, e Santa Giustina abbandonata ai disordini,
-Luigi Barbo tolse a riformarlo con regole più
-severe, e che presto si estesero a Genova, a Pavia, Milano
-e più lungi. I Camaldolesi ridussero florido il Casentino,
-ed esemplarmente conservavasi il bel bosco di
-abeti e di faggi. Il beato Giovanni Colombino, di nobile
-gente senese ed elevato alle prime dignità, dalla pazienza
-della moglie e dal leggendario dei santi fu chiamato
-a vita pia ed austera, e ad assistere malati e pellegrini:
-poi ridottosi povero, andava predicando penitenza,
-e raccolti alquanti seguaci, istituì l’ordine dei poveri
-Gesuati, approvato da Urbano V il 1367; «e i forti cavalieri
-di Cristo, fatti novelli sposi dell’altissima povertà,
-incominciarono allegramente a mendicare,... e
-posti in un’altezza di mente, calcando il mondo sotto i
-loro piedi, tutte le cose terrene stimavano come fango,
-e tuttodì crescevano in desiderio di patire e sostenere
-pene per amore di Cristo»<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>. Suor Agata stette murata
-gran tempo in s’una pila del ponte Rubaconte a
-Firenze, poi nel 1434 fondò il monastero famoso delle
-Murate.
-</p>
-
-<p>
-Al tempo stesso diedero odore di gran santità in
-Siena Gioachino Pelacani, che la sua devozione per
-Maria espandeva in carità pei poveri (-1305), e Antonio
-Patrizj; Andrea de’ Dotti di San Sepolcro, scolaro di
-Filippo Benizzi; Bonaventura Bonacorsi di Pistoja, caldo
-ghibellino, che dal Benizzi stesso convertito, riparò i
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-danni recati, e edificò colle virtù più austere (-1315).
-Simone Ballachi, figlio del conte di Sant’Arcangelo
-presso Rimini, dalla dissipazione raccoltosi a Dio, esercitavasi
-ne’ più umili uffizj e nell’istruire bambini e convertir
-peccatori (-1319). Agnese di Montepulciano domenicana,
-Emilia Bicchieri di Vercelli (-1314), Benvenuta
-Fojano del Friuli vennero illustrate per doni celesti; e
-così Margherita di Metela presso Urbino, cieca nata;
-Chiara di Montefalco presso Spoleto, eremitana (-1308);
-e quell’Oringa di Santa Croce presso Firenze, che divenne
-il modello delle fantesche, dal santo Spirito
-illustrata alla conoscenza di sublimi veri, sebben nè
-leggere sapesse, onde empì Lucca e Roma della fama
-di sua virtù e carità, e presto de’ suoi miracoli. Gli
-Orsini ci portano il loro sant’Andrea carmelitano, che,
-malgrado l’illustre nascita, accattava pe’ poveri, e, malgrado
-la sua umiltà, fu messo vescovo di Fiesole, ove
-continuò le austerità, e riconciliò più volte la sua colle
-città vicine. Dai Falconieri uscivano Alessio, Carissima
-e Giuliana, tutti venerati sugli altari; dai Soderini la
-beata Giovanna (-1367) e un altro Giovanni (-1343);
-dai Vespignano di Firenze il beato Giovanni; dagli
-Adimari il beato Ubaldo; dai Della Rena di Certaldo
-la beata Giulia. Pellegrino de’ Latiozi di Forlì fu stupendo
-per pazienza nel soffrire sia le percosse di quelli
-di cui voleva acquietare i litigi, sia gli spasimi d’una
-cancrena (-1345). Pietro Geremi di Palermo, già professore
-di diritto, diedesi a Bologna a tali austerità, che
-si circondò il corpo di sette cerchi di ferro, scena che
-molti convertì. Giovanni da Capistrano, dopo adoperato
-in magistrature e negoziati, resosi francescano, si
-diè tutto all’amor di Dio e del prossimo, e continuò a
-riconciliar nimicizie e risse nel nome di Dio, e possedendo
-lo spirito di compunzione e il dono delle lacrime,
-moltissimi convertiva, e spesso le donne dopo le sue
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-prediche davano in limosina tutti i loro ornamenti. Fra
-l’alto clero sono a mentovare il beato Bertrando patriarca
-d’Aquileja che tanto operò alla riforma di questa
-chiesa, e fu assassinato da masnadieri del conte di Gorizia
-nel 1350; il beato Lorenzo Giustiniani, patriarca
-di Venezia; Matteo da Cimarra vescovo di Girgenti;
-Nicola Alberga vescovo di Bologna, adoperato, spesso
-a metter pace fra le città d’Italia e fra Inglesi e
-Francesi<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Bernardino (1380-1444), dell’illustre famiglia degli Albizeschi di
-Massa marittima, fu educato nella pietà e nella carità;
-nella peste del Quattrocento si profuse a cura de’ malati
-di Siena, ove poi professossi francescano della stretta
-osservanza. «Fu in concetto d’uomo grande e meraviglioso
-nel predicare: ovunque andasse traeva con sè
-tutto il popolo, eloquente e forte nel ragionare, d’incredibile
-memoria; di tal grazia nella pronunzia, che non
-mai recava sazietà agli uditori; di voce sì robusta e
-durevole, che mai non venivagli meno, e ciò ch’è più
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-mirabile, in grandissima folla era udito colla stessa
-facilità dal più lontano come dal più vicino»<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>.
-Vincenzo Ferreri, che allora empiva Italia delle virtù
-e de’ miracoli suoi, predicando ad Alessandria esclamò: — Fra
-voi si trova un vaso d’elezione, un figlio di san
-Francesco, che ben presto diffonderà immensa luce in
-tutta Italia, e di sue virtù e dottrina usciranno i più
-insigni esempj». Pure oggi non troviamo ne’ suoi sermoni
-che un fare stringato e scolastico.
-</p>
-
-<p>
-E per verità sul pulpito, trionfo degli Ordini nuovi,
-non recavano studj profondi e dogmatica precisione,
-ma zelo e modi popoleschi e importuna applicazione
-alle circostanze giornaliere. Chi affronti la noja di leggere
-le prediche rimasteci, non trova che aridi tessuti
-di scolastica e di morale, rinzeppati di brani e brandelli
-d’autori sacri e profani alla rinfusa, con dipinture
-ridicole o misticismo trasmodato, talchè i grandi
-effetti non se ne saprebbero attribuire che al gesto,
-alla voce, allo spettacolo, e in alcuni alla persuasione
-della santità.
-</p>
-
-<p>
-Tali dobbiamo credere il beato Michele da Carcano,
-frate Alberto da Sarzana, frate Ambrogio Spiera trevisano,
-ed altri, famosi per conversioni ed efficacia morale.
-Alcuni non mancavano di merito letterario, e noi
-lodammo altrove il Cavalca, il Passavanti, frà Giordano
-di Rivalta. Quest’ultimo distingueva le devozioni dagli
-abusi, in un modo da far meraviglia a chi in que’
-tempi e in que’ frati non sa vedere che superstizione. — Viene
-(diceva egli) viene l’uomo, e andrà a Santo
-Jacopo in pellegrinaggio: ed anzi ch’egli sia là, cadrà
-in uno peccato mortale talotta, e forse in due, e talotta
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-in tre peccati mortali, e talotta forse più. Or che pellegrinaggio
-è questo, o stolti? che rileva questa andata?
-Dovete questo sapere, che, chi vuole ricevere le indulgenze,
-conviene che ci vada puro, come s’egli andasse a
-ricevere il corpo di Cristo. Or chi le riceve così puramente?
-e però le genti ne sono ingannate. Di queste
-andate e di questi pellegrinaggi io non ne consiglio persona,
-perch’io ci trovo più danno che pro. Vanno le
-genti qua e là, e credonsi pigliare Iddio per li piedi:
-siete ingannati, non è questa la via; meglio è raccoglierti
-un poco in te medesimo, e pensare del Creatore,
-o piagnere i peccati tuoi o la miseria del prossimo, che
-tutte le andate che tu fai».
-</p>
-
-<p>
-Parole altrettanto libere avea proferite l’anno innanzi
-in Santa Maria Novella: — E’ sono molti che si credono
-fare grandi opere a Dio; intra noi, noi ce ne
-facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà
-sull’altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle
-avere fatto un grande fatto: or ecco opera! Simigliantemente
-de’ pellegrinaggi; che pare così grande fatto
-di quelli che vanno in Galizia a Santo Jacopo. Oh come
-pare grande opera questa, e di gran fatica cotal viaggio
-grande! E vanterassi, e dirà, <i>Tre volte sono ito a Roma,
-due volte ita a Santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatti</i>.
-E se vedesse in Roma le femmine a girar cinque volte
-e sei all’altare, e’ par loro avesse fatto un grande deposito,
-e rimproveranlo a Dio, come quello Fariseo che
-dicea, <i>Io digiuno due dì della settimana</i>: or ecco
-grande fatto! e manuchi, il dì che tu digiuni, una volta,
-e quella manduchi bene e bello. Questo andare ne’ viaggi
-io l’ho per niente, e poche persone ne consiglierei, e
-radissime volte; chè l’uomo cade molte volte in peccato,
-ed hacci molti pericoli. Trovano molti scandoli
-nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte
-si tenzonano e adirano, e con l’oste e co’ compagni; e
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-talotta fanno micidio ed inganni e fornicazioni; e di questo
-si fa assai, e caggiono in peccato mortale»<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I così fatti saranno stati non pochi, vogliamo crederlo:
-ma altri cercava cattivar l’attenzione col mescere
-ai discorsi allusioni alla politica; e chi predicava pei
-Guelfi, chi pei Ghibellini, pei Medici, per lo Sforza;
-talora sorgeano in aperto attacco contro ai principi o
-ai papi.
-</p>
-
-<p>
-È bizzarro in taluni l’associare una pietà sincera,
-un’ingenuità profonda, col ridicolo e col teatrale, in
-modo d’uscirne composizioni grottesche e senza gusto,
-che non hanno di serio se non l’intenzione. Di Roberto
-Caracciolo da Lecce, dai contemporanei supremato nell’eloquenza,
-sciaguratamente ci restano alcuni sermoni,
-più materia di riso che di compunzione<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>: sale in
-pergamo a predicar la crociata, e, cavata la tonaca,
-rivelasi in abito da generale, come pronto a guidar egli
-stesso l’impresa. Paolo Attavanti ad ogni tratto cita
-Dante e Petrarca, e se ne gloria nella prefazione. Mariano
-da Genazzano, levato a cielo dal Poliziano e da
-Pico della Mirandola, «predicava attraendo con l’eloquenza
-sua molto popolo, perciocchè a sua posta aveva
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-le lagrime, le quali cadendogli dagli occhi per il viso,
-le raccoglieva talvolta et gittavale al popolo»<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>.
-I discorsi di Gabriele Barletta, sì reputato che dicevasi
-<i>Nescit prædicare qui nescit barlettare</i>, darebbero sollazzo
-a qualche festevole brigata. Per Pasqua racconta
-che molte persone offrironsi a Cristo onde annunziare
-la sua risurrezione alla madre: egli non volle Adamo,
-perchè, piacendogli i fichi, non si badasse per istrada;
-non Abele, perchè andando non fosse ucciso da Caino;
-non Noè, perchè correvole al vino; non il Battista, pel
-suo vestire troppo conosciuto; non il buon ladrone, perchè
-aveva rotte le gambe; ma donne, per la popolosa
-loquacità. Blandiva un sentimento troppo comune
-quando predicava: — O voi donne di questi signori e
-usuraj, se si mettessero le vostre vestimenta sotto il
-pressojo, ne scolerebbe il sangue de’ poveri». L’erudito
-Bracciolini fa dire da Cincio in un suo dialogo: — Parmi
-che tanto frà Bernardino da Siena, come
-altri troppi vadano errati per istudio di brillare più
-che di giovare; non volti a curar le infermità dell’animo
-delle quali si annunziano medici, quanto a ottenere
-gli applausi del vulgo, trattano qualche volta recondite
-e ardue materie, riprendono i vizj in modo che
-pare gl’insegnino, e per desiderio di piacere trascurano
-il vero scopo di loro missione, quello di render migliori
-gli uomini».
-</p>
-
-<p>
-Contro i siffatti avea tonato l’Alighieri, dicendo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ora si va con motti e con iscede</p>
-<p class="i02"> A predicare; e pur che ben si rida,</p>
-<p class="i02"> Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-I quali versi commentando, Benvenuto da Imola adduce
-alquante scempiaggini di un Andrea vescovo di Firenze
-che mostrava in pulpito un granello di seme di rapa,
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-poi se ne traeva di sotto la tunica una grossissima, e
-diceva: — Ecco quanto è mirabile la potenza di Dio,
-che da sì piccol seme trae sì gran frutto». Poi: <i>O
-domini et dominæ, sit vobis raccomandata monna
-Tessa cognata mea, quæ vadit Romam; nam in veritate,
-si fuit per tempus ullum satis vaga et placibilis,
-nunc est bene emendata: ideo vadit ad indulgentiam</i><a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Que’ modi erano certo men dignitosi, però più efficaci
-che non le esanimi generalità, le perifrasi schizzinose,
-e i consigli senza coraggio dei tempi d’oro. Ma
-se a persone semplici e credenti servivano d’edificazione,
-tornavano a scandalo dacchè vi si applicassero la critica
-e la negazione; e i predicatori usandone esageratamente,
-davano appiglio ad accuse, alla lor volta esagerate.
-Il fervore, non sempre disinteressato per certe
-devozioni nuove, come il rosario de’ Domenicani e lo
-scapolare de’ Carmeliti, faceva proclamarle quale rimedio
-sufficiente a tutti i peccati, i quali perdevano l’orrore
-quando annunziavasi così facile il redimerli, e ne
-veniva presunzione a chi le osservasse, e confidenza
-d’una buona morte dopo vita ribalda.
-</p>
-
-<p>
-Giacomo, arcivescovo di Téramo poi di Firenze,
-scrisse varie opere, tra cui è rinomata una specie di
-romanzo col titolo <i>Consolatio peccatorum</i> o <i>Belial</i>:
-suppone che i demonj, indispettiti del trionfo di Cristo
-sopra Lucifero, eleggano procuratore Belial per chiedere
-giustizia a Dio contro le usurpazioni di Cristo;
-Dio commette la decisione a Salomone; e Cristo citato,
-manda per rappresentante Mosè, il quale adduce a testimonj
-giurati Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide,
-Virgilio, Ippocrate, Aristotele, il Battista. Belial li scarta
-tutti, eccetto l’ultimo, sostiene la sua causa con finezza
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-diabolica; pure ha decisione contraria. Si appella, e
-Dio demanda la causa a Giuseppe, se non che Belial
-preferisce scegliere degli arbitri; e sono Aristotele ed
-Isaia per Mosè, per Belial Augusto e Geremia. I passi
-più venerabili sono stiracchiati beffardamente; e dopo
-tutti i garbugli della giurisprudenza, ove Belial imbarazza
-sovente Mosè men versato ne’ cavilli, gli arbitri
-danno di quelle vaghe decisioni, che lasciano ad ambe
-le parti captare trionfo.
-</p>
-
-<p>
-Così la credulità univasi alla miscredenza per dare
-fomite alla corruttela, tanto più pericolosa, in quanto
-che «il maggior padre ad altra opera intendeva»
-(<span class="smcap">Petrarca</span>). Gregorio XI aveva autorizzati i cardinali
-ad eleggergli il successore a semplice pluralità di voci,
-senza aspettare i fratelli assenti, per abbreviare al possibile
-la vacanza: e poichè di sedici radunati quattro
-soli erano italiani, il popolo di Roma, timoroso che
-l’eletto non tornasse ad Avignone, circondò il conclave
-d’armi schiamazzando — Lo volemo romano», toccando
-le campane a martello, e minacciando entrarvi
-di forza. Dopo tempestosissima discussione, questi, per
-ripiego e con riserve tacite o espresse d’una più libera
-elezione, diedero i voti (1378 9 aprile) a Bartolomeo Prignano di Napoli,
-arcivescovo di Bari; ma temendo che il popolo lo
-disgradisse perchè non romano, fu gridato dal terrazzo
-andassero a San Pietro e saprebbero chi era l’eletto.
-Il popolo intese che l’eletto fosse il cardinale di San
-Pietro, vecchione di casa Tebaldeschi; onde si cominciò
-a gridargli Viva e saccheggiarne il palazzo secondo
-l’usanza, e adorar lui, che invano ingegnavasi a far
-comprendere il vero. Di questo scompiglio s’avvantaggiarono
-gli altri cardinali per fuggire nelle varie
-fortezze e ne’ feudi; l’arcivescovo di Firenze presentò
-il Prignano ai pochi rimasti, con un sermone sul testo
-<i>Talis debebat esse, ut esset nobis pontifex impollutus;</i>
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-e questi sul testo <i>Timor et tremor venerunt super me,
-et contexerunt me tenebræ</i>, cominciò a dissertare sulla
-dignità del posto e l’indegnità propria, finchè l’arcivescovo
-gli fece intendere si trattava ora solo di dichiarare
-se accettasse o no; ed egli disse di sì, e prese il
-nome di Urbano VI.
-</p>
-
-<p>
-Uomo di dottrina e coscienza, ma severo, melanconico,
-colleroso, immoderato, avventatosi a riformare
-di colpo, vietò ai prelati d’usare a tavola più d’una
-pietanza, com’egli stesso ne dava l’esempio; minacciò
-non solo ai simoniaci, ma a chiunque di essi accettasse
-doni; proponeasi, con creare cardinali nuovi,
-togliere la prevalenza che da un secolo avevano i francesi;
-e ne’ concistori secreti li rabbuffava indiscretamente,
-ad uno dava sin dello sciocco, a un altro ch’era
-bugiardo come un calabrese. Queste sconvenienze, e il
-vedere ch’ei voleva fermamente tenerli a Roma, indisposero
-i cardinali; e la più parte separatisi da lui,
-protestarono l’elezione non essersi fatta liberamente,
-ma sotto la costrizione di un popolo tumultuante; e
-raccomandando la loro vita alla tutela di Bernardo di
-Sala, capo degli avventurieri guaschi e bretoni che
-aveano fatto sì rovinoso governo di Cesena, dichiarano
-non avere operato che per paura della morte; Urbano
-essere intruso, apostato e anticristo; e a Fondi eleggono
-papa (21 7bre) quel Roberto di Ginevra che come legato pontifizio
-avea data a ruba e strazio la Romagna, e che si
-chiamò Clemente VII. Urbano fu accettato in Italia,
-Germania, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Polonia e
-nel settentrione de’ Paesi Bassi; Clemente dalla regina
-di Napoli, da Francia, Scozia, Savoja, Portogallo, Lorena,
-Castiglia; gli altri paesi esitavano.
-</p>
-
-<p>
-Urbano bandì contro del competitore una crociata
-colle indulgenze concesse a quelle contro gl’infedeli:
-ma la compagnia de’ Bretoni, soldata da Clemente, si
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-difilò sopra Roma, e fece macello de’ cittadini che sortirono
-per respingerla, ma non osò penetrare in città.
-Allora i Romani diedero addosso a quanti Francesi cherici
-o laici colsero in città; mentre gli Orsini e Francesco
-di Vico devoti a Clemente devastavano i contorni,
-e Pietro Rostaing dal Castel Sant’Angelo bombardava
-gli edifizj: una volta (1379) Silvestro di Buda, capitano de’ Bretoni,
-sorprende i nobili adunati in Campidoglio e trucida
-sette banderesi, ducento ricchi, innumerevole
-popolo, poi di nuovo lascia la città.
-</p>
-
-<p>
-Urbano solda Giovanni Acuto e Alberico da Barbiano,
-che secondato dai cittadini, sorte addosso ai nemici, e
-sconfittili e fatti prigioni i due capi, mena trionfo<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>;
-Castel Sant’Angelo si rende, e il papa a piè scalzi, seguito
-da tutta la popolazione, torna in Vaticano. Clemente
-allora ricovera a Napoli, ben accolto dai re; ma
-il popolo a tumulto lo respinge, sicchè fugge in Provenza,
-e postosi ad Avignone, moltiplica i cardinali,
-largheggia di aspettative, e sì poco contava sullo Stato
-pontifizio, che volle almeno punire i Romani e deprimere
-i feudatarj col costituirlo in <i>regno d’Adria</i> a favore
-di Luigi I d’Angiò, al quale, per averlo partigiano,
-prodiga esorbitanti concessioni: tutta la decima in
-Francia, nel regno di Napoli, in Austria, in Portogallo,
-in Iscozia; metà delle entrate di Castiglia e d’Aragona,
-le spoglie de’ prelati che muojono, ogni censo biennale,
-ogni emolumento della camera apostolica; il papa
-obbligherà a prestiti gli ecclesiastici, darà in ipoteca
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-Avignone, il contado Venesino ed altre terre della
-Chiesa; inoltre gli assegna per feudi Ancona e Benevento,
-e tutto giura sulla croce. Tale spreco facea dei
-beni di San Pietro nella fiducia d’esser liberato dall’antagonista;
-mentre Urbano, pien di sospetti, reggevasi
-con rigiri e sangue e torture, senza riguardo a dignità
-o danni de’ prelati e cardinali.
-</p>
-
-<p>
-Accannito alla regina Giovanna I, contro di lei come
-signore sovrano del Reame e come scismatica sollecitò
-Luigi d’Ungheria, che affidò a Carlo di Durazzo l’incarico
-di punirla. Urbano spogliò chiese e altari per raccogliere
-ottantamila fiorini, che diede a Carlo, il quale
-in ricambio promise riconoscere il regno dal papa, e
-appena coronatone cedere il ducato di Durazzo a Francesco
-Batillo nipote di esso, e i principati di Capua e
-d’Amalfi. Vedemmo come la spedizione riuscisse: ma
-Carlo non pensava mantenere la parola, onde venne in
-piena rotta col papa, il quale assediato in Nocera, sparnazzava
-scomuniche scandalose e scandalosi decreti. I
-prelati sue creature s’erano concertati sul modo di terminare
-le stravaganze d’un pontefice che prolungava una
-guerra senza ragione, e farlo il mal arrivato; ma scopertili,
-Urbano non gliela soffrì impunita (1386), e messi in ceppi
-l’arcivescovo d’Aquila e sei cardinali, li trasse seco
-quando potè fuggire da Nocera; perchè il primo non
-potea cavalcare a paro cogli altri, il fece uccidere e
-abbandonare insepolto; giunto a Genova, e dicendosi
-circonvenuto da cospirazioni, malgrado le istanze del
-doge, fece buttar nel mare i cardinali, salvo un inglese
-reclamato dal suo re.
-</p>
-
-<p>
-Qui comincia doppia serie di papi paralleli; ma qual
-era il vero? Personaggi di senno e santità grande
-parteggiarono per l’uno e per l’altro; prove in favore
-addussero questi e quelli, per modo che può mettersi
-fuor di quistione la buona fede d’entrambi i partiti.
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-La Chiesa finora non ha proferito, benchè i nostri abbiano
-generalmente considerato per antipapi quei che
-sedettero oltremonte, e il nome d’alcuno di questi sia
-stato assunto da qualche papa successivo<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Per mezzo secolo fu partita la cristianità in due
-campi ostili, e tra pontefici che rimbalzavansi calunnie
-e taccia d’intruso e d’eretico. Come le nazioni, così
-erano divisi i cittadini, gli scolari d’un’Università, i
-monaci d’un convento; ogni giorno dispute, collisioni
-fin al sangue; due vescovi eletti dall’uno o dall’altro
-pontefice si contendevano la medesima sede, aborrivansi
-le messe degli uni o degli altri. I papi, per conservarsi
-partigiani, erano costretti a rassegnarsi a minaccia,
-a importunità, a dissimulare e simulare, intrigare,
-congiurare, promettere, concedere, guadagnar tempo,
-fingendo di desiderare una riconciliazione, di cui aveano
-in mano il mezzo. Le piaghe del papato, come il cadavere
-di Cesare, furono esposte agli occhi di tutti, invelenite
-dalla collera de’ nemici non meno che dai ripicchi
-dei pontefici rivali. La santa Sede, scapitando nella venerazione,
-lasciava baldanza a’ principi di sminuirne
-l’autorità, ai dotti di chiamarla a severo e passionato
-esame: le satire contro di essa, che prima erano esercizio
-letterario, inteso, applaudito e dimenticato, acquistavano
-peso quando uscivano dalla bocca de’ pontefici
-stessi, e portavano ad immediata applicazione; indubbio
-entrava ne’ cuori più sinceri, l’indifferenza ne’ più
-generosi, la disperazione ne’ più robusti: la beffa trovava
-di che esercitarsi sulle cose sacre.
-</p>
-
-<p>
-Urbano VI non depose mai il desiderio di restare
-arbitro del regno di Napoli, escludendo e Ladislao e
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-Luigi d’Angiò per mettere in istato quel suo nipote che
-passava dal carcere alla reggia; intanto scomunicava
-di qua di là, e mandava bande a devastare. Fra sì deplorabili
-imprese, minacciato fin della vita dai Romani,
-miseramente morì (1389 18 8bre), e i quattordici cardinali della sua
-obbedienza elessero Pietro Tomacelli col nome di Bonifazio
-IX (5 9bre). Buon parlatore, buon grammatico, non sapea
-scrivere, nè cantare, nè i costumi della corte romana:
-onde non capiva di che si trattasse, sentenziava senza
-conoscenza, e palesava avidità. Sospendendo la folle
-guerra del suo predecessore, ricevette in grazia Ladislao,
-e avventò scomuniche ai fautori di Luigi d’Angiò,
-che scendeva favorito dall’altro papa.
-</p>
-
-<p>
-A viva forza dovette occupar Roma e gli altri possedimenti
-ecclesiastici, straziati dalle fazioni e dalle
-bande, e colla violenza e i supplizj vi si sostenne.
-Urbano, accorciando l’intervallo del giubileo, lo bandì
-pel 1390, ma non v’accorsero che i popoli ubbidienti
-a Bonifazio, il quale mandò ne’ varj paesi a concedere
-l’indulgenza a chi pagasse tanto, quanto gli
-sarebbe costato il viaggio a Roma<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>. I collettori
-trassero insieme ingenti somme, ma Bonifazio sospettò
-alcuni d’averne distratte e li punì, altri furono trucidati
-dal popolo, altri s’uccisero da sè. Sotto quel manto vi
-fu chi andò trafficando di assoluzioni e dispense, non
-badando a pentimento o a riparazione o ad abjura; gli
-abusi fecero fremere i pii, e la prodigalità del papa
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-stesso in fatto d’indulgenze recò non lieve scredito a
-quel tesoro di grazie, di cui faceasi mercimonio; mentre
-la concessione di giubilei a chiese parziali scemava
-l’aurifero concorso de’ pellegrini a Roma, svogliati
-anche dalle bande di Bernardo di Sala, che professavasi
-fedele a papa Clemente per ispogliare i dissenzienti.
-</p>
-
-<p>
-I Colonna tramarono per togliere al papa la signoria
-temporale di Roma, invasero la città, ma non furono
-secondati: trentuno de’ loro masnadieri finirono sul
-patibolo; Bonifazio avventò contro i Colonna una lunga
-bolla, dove ne enumera i delitti fin dal tempo di Bonifazio
-VIII. Anche i Gaetani di Fondi circondavano
-con bande la città, spogliando i pellegrini che andavano
-al nuovo giubileo del 1400. E il papa facea denaro
-con concedere grazie, aspettative, cumuli di benefizj;
-poi ad un tratto le abolì tutte, ma per aver pretesto a
-nuove concessioni con guadagno nuovo.
-</p>
-
-<p>
-A vicenda i cardinali di Clemente VII a questo diedero
-successore Pier di Luna aragonese (1394 28 7bre), detto Benedetto
-XIII, uomo d’astuta ambizione, ed egli, come
-l’altro, per procacciarsi partigiani scialacquava privilegi,
-conniveva a traviamenti e usurpazioni, spogliava il
-basso clero, sicchè i curati erano fin ridotti a mendicare,
-mentre l’alto riservavasi le migliori grazie e le
-commende e i benefizj, dandoli in appalto a persone
-dappoco.
-</p>
-
-<p>
-La Chiesa talmente scaduta, sentivasi impotente a
-ricomporsi da se stessa; e principi, università, giureconsulti,
-teologi disputavano sui mezzi di ripristinarne
-l’unità. Il più ovvio sarebbe stato un concilio generale:
-ma poichè il convocarlo riguardavasi da secoli come
-attribuzione del papa, a qual dei due spettava? Si dovette
-ripiegare con sinodi particolari; il re di Francia
-ne raccolse due, per cui decisione egli mandò a tenere
-assediato più di quattro anni nel palazzo d’Avignone
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-Benedetto XII, sinchè non fosse ripristinata l’unione:
-ma questi trovò modo a fuggire (1403), e per la persecuzione
-crebbe di partigiani, ed ebbe dalla sua non solo il pio
-Vincenzo Ferreri, ma i due lumi dell’Università parigina,
-l’eloquente Clemengis ed il cancelliere Pietro
-d’Ailly.
-</p>
-
-<p>
-Morto Bonifazio IX (1404 1 8bre), il popolo di Roma, diretto dai
-Colonna e dai Savelli, gridò <i>Viva la libertà;</i> e il conclave
-di non più che nove cardinali elesse Innocenzo VII,
-già Cosma Meliorati, valente canonista, abile agli affari,
-intemerato di costumi. Dovette conquistare la propria
-residenza ajutato da re Ladislao, ma con una capitolazione
-per cui lasciava a custodia del popolo tutti i
-ponti e le porte; il senatore sarebbe eletto dal papa ma
-sovra una tripla offerta dal popolo; i dieci della Camera
-amministrerebbero le rendite, eccettuato il quartiere
-del Vaticano. Però ogni giorno nuove pretensioni metteva
-innanzi il popolo, subillato dai Colonna e dai reggenti
-Ghibellini, tanto che Innocenzo proruppe: — V’ho
-concesso tutto; volete che vi dia anche la mia
-cappa?» E in fatto i tumulti raffittirono, i cardinali
-dovettero mettersi sotto la protezione d’un capitano di
-ventura Muscardo, fu trucidato un messo del papa, si
-combatteva accannito; ed essendo il papa fuggito a Viterbo,
-Ladislao ne profitta per impadronirsi di Roma.
-</p>
-
-<p>
-Il papa fra breve morì (1406 6 9bre), e il veneziano Angelo Correr,
-detto Gregorio XII, anch’esso giurò prima (30 9bre), professò
-poi essere disposto ad abdicare tosto che il facesse
-anche Benedetto XIII: ma com’ebbe assaggiato il comando,
-se ne inebbriò; alla conferenza stabilita in
-Savona non comparve; e Benedetto, che era venuto fin
-a Genova, parve star dal canto della ragione.
-</p>
-
-<p>
-Tredici cardinali si raccolsero a Livorno per industriarsi
-all’unione, protestando non riconoscere nessuno
-dei due competitori; e assumendo a dirigere gl’interessi
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-temporali e spirituali della Chiesa, convocarono
-un concilio a Pisa (1409 25 marzo), intimando a ciascun papa venisse
-ad abdicare, se no procederebbero contro di esso. Ma
-se consentivasi al concilio l’autorità di deporre il pontefice,
-non era mutata in repubblicana la costituzione
-della Chiesa, da secoli monarchica? e a tale cambiamento
-erano acconci tempi di tanto scompiglio?
-</p>
-
-<p>
-Ladislao di Napoli temeva un papa che potesse abolire
-l’indegna cessione dello Stato, a lui fatta da Gregorio
-XII, onde s’oppose al concilio di Pisa; i due papi
-non vi ascoltarono; Gregorio dichiarò apostati e blasfemi
-que’ cardinali, e intimò il sinodo a Udine; Benedetto
-l’aprì in Perpignano sua stanza; e così, oltre i due papi,
-v’ebbe tre concilj. Pensate quanto ne restasse dal fondo
-sovvertita la società! Morendo un vescovo, ciascun papa
-vuol dargli un successore, onde scismi diocesani; pretendono
-potere stronizzare i re, onde un nuovo fomite
-alla guerra intestina; e Napoli resta disputata fra Luigi
-d’Angiò e Carlo d’Ungheria, la Castiglia fra il duca di
-Leon e quello di Lancaster, l’Ungheria fra Carlo della
-Pace e Maria; il debole imperatore Venceslao lasciava
-cascarsi di mano le redini della Germania; l’Inghilterra
-straziava le proprie viscere fra le inimicizie delle case
-di Lancaster e di York; la Francia durava nella guerra
-centenne contro l’Inghilterra; nè voce risonava valevole
-ad imporre la pace. Intanto che nel mondo cristiano
-cessava l’unità che n’è l’essenza, Bajazet II granturco
-non solo stringeva Costantinopoli, ma aveva invaso
-l’Ungheria e la Polonia; e nuovi barbari, i Tartari sotto
-il terribile Tamerlano minacciavano all’Europa le devastazioni
-che aveano recate all’Asia.
-</p>
-
-<p>
-Gli animi, sgomentati fin alla disperazione, si volgeano
-a Dio, da lui solo aspettando il termine a tanti
-guaj. Già nel 1260 vedemmo i Flagellanti diffondersi
-per Italia. Nel 1334 frà Venturino da Bergamo, «uomo
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-di trentacinque anni, di piccola nazione e di non profonda
-scienza, ma tanto efficace e ardente ne’ suoi ragionamenti,
-che traendosi dietro più di diecimila Lombardi,
-la miglior parte nobili, non era luogo ove arrivasse
-che non fosse ricevuto a guisa d’uomo divino, e con
-tanto concorso di limosine, che per quindici dì che si
-fermò a Firenze, non fu quasi momento di tempo che
-in sulla piazza di Santa Maria Novella non si vedessono
-grandissime tavole apparecchiate ove mangiavano quattrocento
-o cinquecento uomini per volta» (<span class="smcap">Ammirato</span>),
-andò ai perdoni di Roma co’ suoi, che portavano gonnella
-bianca fin a mezza gamba, di sopra un tabarrello
-perso fin al ginocchio, calze bianche, e stivali di corame
-fin a mezza gamba, in petto una palomba bianca coll’ulivo
-in bocca, nella man ritta il bordone, nella manca
-il rosario<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>, e con non mai stanchevoli voci gridando
-pace e misericordia. Cresciuto forse a trentamila seguaci,
-e come profeta parlando de’ mali futuri, passò
-anche alla corte d’Avignone sperando grandi indulgenze;
-ma al papa sembrò scorgervi ambizione o leggerezza,
-e frà Venturino fu messo al tormento e in carcere:
-donde poi mosse colla crociata, e morì a Smirne.
-</p>
-
-<p>
-Quella devozione andarina rinfervorò nel 1399, avendola
-la Madonna indicata in Irlanda ad un villano, come
-il miglior preservativo da pesti e guerre: onde in veste
-bianca, coperti di cappucci in modo che non distinguevansi
-donne da uomini se non per una croce rossa, si
-posero in via tre a tre, ognuno confessato, chiesto perdono
-agli offesi, perdonato agli offensori, restituito il
-maltolto. Così giravano per nove giorni almen tre chiese
-al giorno, e venendo in un paese, intonavano orazioni
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-e lo <i>Stabat mater</i>, poi tre <i>Miserere</i> entrando in chiesa.
-Per quella novena faceano vita quaresimale, non dormendo
-in letto, non isvestendosi, molti andavano scalzi;
-finivano col mandare alle prossime città, invitandole
-per parte di Maria Vergine ad assumere la stessa devozione.
-</p>
-
-<p>
-D’Irlanda varcarono in Inghilterra, in Francia, poi in
-Piemonte, e da una parte piegarono alla Lombardia,
-dall’altra in numero di cinquemila a Genova. I cittadini
-di questa s’avvolsero in lenzuoli, e il vecchio loro arcivescovo
-Del Fiesco a cavallo li condusse processionalmente,
-con dietro a coppia tutti gli abitanti, a visitar le
-chiese, i cimiteri, le reliquie della città e del contorno,
-e per nove giorni stettero chiuse le botteghe, sospesi
-gli affari, tutto émpito di timor di Dio. I più robusti o
-devoti scesero per la riviera di Levante, eccitando a
-fare altrettanto: da Lucca tremila cittadini, malgrado i
-divieti, uscirono ver Pescia, indi a Pistoja, donde quattromila
-li seguirono, e così i Pratesi e i Pisani, finchè
-giunsero a Firenze. Quivi quarantamila cittadini visitavano
-le chiese, preceduti dall’arcivescovo; toglievano di
-quello ch’era lor dato, e il soverchio distribuivano ai
-poveri; non cercavano essere adagiati in case o spedali,
-ma giacevano alla nuda aria; molti imprigionati per
-debiti furono prosciolti. Il vescovo di Fiesole sin ventimila
-se ne trasse dietro, per tutto facendo paci e concordie,
-restituzioni, prediche, miracoli<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. A Milano
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-«venne grandissimo numero d’uomini, donne, donzelle,
-garzoni, piccoli e grandi e d’ogni qualità, tutti scalzi,
-da capo a piedi coperti di lenzuoli bianchi, che a fatica
-mostravano la fronte; poi dietro a questi vi si adunarono
-tutti i popoli delle città e ville, dalle quali uscendo,
-per otto giorni continui visitavano tre chiese di villa,
-e spesse volte ad una di quelle faceano celebrare una
-messa in canto; per tutte le vie in croce che trovavano,
-si gettavano a terra gridando misericordia tre volte, e
-poi cantavano <i>Pater</i> e <i>Ave</i>, e altri cantici composti da
-san Bernardo, o litanie o altre orazioni. Il popolo di
-ciascuna città o altro luogo, come veniva a quelle si
-separava, ed entrando dentro denunziava agli altri
-rimanenti che volessero pigliare il medesimo abito; di
-sorta che alcuna volta erano mille, alcuna millecinquecento.
-Si celebrarono infinite concordie e limosine, e
-molti si condussero a vera penitenza» (<span class="smcap">Corio</span>).
-</p>
-
-<p>
-In Padova per quei giorni non fu commessa disonestà
-nè rissa; e le processioni duravano dall’aurora fino alle
-due dopo nona, e se ne contarono tremilaseicento; poi
-radunati nel prato della Valle, diedero di sè meraviglioso
-spettacolo<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a>. Da Bobbio altri si difilarono
-su Piacenza, e con loro tutti i valligiani della Trebbia,
-sicchè vi giunsero in più di settemila; poi a Firenzuola,
-a Borgo Sandonnino, a Parma, dove arrivarono con
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-quaranta carri di donne, bambini, malati; di qui settemila
-partirono dietro al vescovo e ai gonfaloni delle
-confraternite. I Veneziani li respinsero, ma il duca d’Este
-gli ebbe accetti, e da Ferrara li menò a Belfiore. Il
-pontefice vi conobbe scandali e sozzure, dubitò fino
-che il loro capo pensasse farsi papa, onde li mandò a
-processo e al rogo.
-</p>
-
-<p>
-Allora si moltiplicarono pertutto le confraternite, che
-con le foggie visitavano le chiese e accompagnavano il
-viatico; e furono principalmente diffuse dai santi Bernardino
-da Siena e Vincenzo Ferreri, il quale anche
-andava predicando il finimondo. Molti, presso al morire,
-faceansi porre le divise d’esse società, donde la
-devozione venne estesa fra i secolari. Tale incondita
-pietà diffuse anche la peste, che strage menò per Italia,
-e che funestò il giubileo.
-</p>
-
-<p>
-Tutti inadeguati ripari agli scandali che sbranavano
-la Chiesa; poichè le riforme non venivano di là donde
-solo avrebbero potuto efficacemente. Null’ostante l’opposizione
-di re Ladislao, al concilio di Pisa comparvero
-ventiquattro cardinali, quattro patriarchi, ventisei arcivescovi,
-ottanta vescovi in persona, centodue per rappresentanti,
-ottantasei abati in persona, ducentodue per
-procuratori, quarantun priori, gli ambasciatori dei re,
-i deputati di oltre cento metropoli e cattedrali, delle
-Università di Parigi, Tolosa, Orléans, Angers, Montpellier,
-Bologna, Firenze, Vienna, Praga, Colonia, Oxford,
-Cambridge, Cracovia, trecento dottori di teologia e diritto
-canonico.
-</p>
-
-<p>
-Non essendosi presentati i due papi Gregorio e Benedetto,
-il concilio si dichiarò ecumenico, e perciò giudice
-supremo di essi, e dopo parecchi tentativi di conciliazione,
-levata loro l’obbedienza come contumaci,
-li proferì scaduti e vacante il papato (1409 5 giugno); e radunato il
-conclave sotto la guardia del granmaestro de’ Giovanniti,
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-sostituì Pietro Filargo (1409 26 giugno). Nato non si sa dove nè da
-chi, mendicava a Candia quando fu raccolto da un
-frate Minore, e per sapere ed abilità salì nel favore di
-Gian Galeazzo, che l’ebbe tra’ suoi consiglieri, poi vescovo
-di Vicenza, di Novara, indi arcivescovo di Milano
-e cardinale, infine papa (7 agosto) col nome d’Alessandro V, e
-chiuse il concilio. Teologo e predicatore, ma non leggista
-e canonista, male intendeva gli affari e cercava
-scaricarsene; per bontà cieca largheggiava benefizj e
-grazie abusive e stemperanti, non sapendo misurare la
-liberalità ai mezzi; e quando più nulla gli rimaneva,
-dava promesse: onde diceva: — Come vescovo fui ricco,
-povero come cardinale, pitocco come papa».
-</p>
-
-<p>
-Lasciavasi raggirare a senno da Baldassarre Cossa
-napoletano, che in gioventù corse il mare come armatore;
-anche nel chericato conservò abitudini secolaresche,
-abilissimo negli affari, vigoroso di carattere, risoluto
-di sentenze. Ornato della porpora, fu spedito legato
-a Bologna, la quale ricuperò alla santa Sede, e anche
-Faenza e Forlì, che egli si tenne come signoria indipendente;
-e morto Alessandro dopo soli dieci mesi di
-regno (1410 17 maggio), gli succedette col nome di Giovanni XXIII. Costui,
-come avviene in tempi di partiti, fu accusato delle colpe
-non solo più gravi, ma più brutali; a cui basterebbe
-opporre il favore datogli dai Fiorentini, da Luigi d’Angiò,
-dal conclave stesso, che troppo aveva interesse a fare
-una scelta prudente; comunque siasi detto che egli ne
-acquistò i voti coll’artifizio e colla forza militare che
-spiegò in Bologna.
-</p>
-
-<p>
-Essendo allora stata ritolta Roma a Ladislao, il papa
-vi fece l’entrata solennemente sotto la protezione dell’Angioino:
-ma bentosto Ladislao torna vincitore; Bologna
-caccia i rappresentanti del pontefice, e si dà al
-marchese di Ferrara. Ladislao però riconobbe il nuovo
-papa ordinando a Gregorio di uscire da’ suoi Stati, e
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-finse rassegnarsi ai patti ch’egli stesso aveva imposti
-a Giovanni. Il concilio che erasi promesso, fu raccolto (1415)
-a Roma; ma se vi s’introduceano le questioni più urgenti,
-il cardinale Zabarella levavasi, con eloquenti
-ambagi sviando dal proposito: poi fu prorogato col
-pretesto della rinnovata nimistà di Ladislao, a cui il
-papa a fatica sfuggì, ricoverando in Firenze, che di malavoglia
-lo accolse.
-</p>
-
-<p>
-L’impero vacillava tra l’inetto Venceslao deposto e
-il mal eletto Roberto palatino, morto il quale, gli furono
-dati due successori; tanto pareva che ogni cosa dovesse
-scompigliarsi collo scompiglio del papato. Alfine prevalse
-Sigismondo (1411), che, come re d’Ungheria, s’era mostrato
-crudele e perfido, ma insieme valoroso, oprante,
-indomito. Glorioso di allori côlti sopra i Turchi, si fisse
-in animo di ricondurre ad unità la Chiesa; corse Francia,
-Polonia, Spagna, Italia; e mentre il papa gli chiedeva
-soccorsi, esso lo stimolò a designare il luogo d’un nuovo
-concilio. Per quanto Giovanni lo disgradisse, dovette
-spedire legati a ciò, i quali indicarono Costanza, città
-imperiale sulla riva occidentale del bel lago che divide
-la Svevia dalla Svizzera, poco lungi dal luogo donde
-n’esce il Reno, e dove già i Lombardi aveano patteggiato
-la loro libertà. Giovanni non sapea darsi pace
-che l’adunanza di tutta cristianità si tenesse in luogo
-dove gli oltramontani sarebbero più numerosi e indipendenti,
-ed ostili alla sua autorità: si mosse in persona
-onde dissuadere Sigismondo; a Lodi durarono lungamente
-in congresso, circondati da prelati l’uno, da
-consiglieri l’altro; ma Sigismondo stette fermo, e il
-concilio fu aperto (1414 5 9bre).
-</p>
-
-<p>
-Le ingiurie ricambiatesi dai papi e dai cardinali
-aveano scossa un’autorità che si fonda sulla virtù e sull’opinione.
-Se gl’Italiani favorivano alla santa Sede pel
-vantaggio che ne traeva il loro paese, eransene raffreddati
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-dacchè quella vagava in esiglio; e gli stranieri cominciavano
-a trovare oneroso questo migrare di tanto
-loro denaro ad un’altra gente. La contesa coi frati
-Minori aveva mal volta alla santa Sede la milizia sua
-più devota; e al vedere condannate persone pie, cui
-sola colpa dicevasi la povertà, si richiamavano le dottrine
-d’Arnaldo da Brescia contro i possessi ecclesiastici
-e la corruttela derivatane. Nell’intento di riuscir
-superiore, ciascun partito era ricorso a spedienti troppo
-dissonanti da quelli dell’apostolato: Bonifazio IX aveva
-lasciato trafficare delle indulgenze e del suffragio ai
-morti, pretendeva le annate dei vescovi eletti, a denaro
-dispensava la pluralità di benefizj; Giovanni XXIII ebbe
-accusa di aver cavato oro dalle medesime miniere, e
-moltiplicatolo colle usure. Dal disordine esterno passatasi
-a criticare l’intima verità della Chiesa: si spargeano
-libri e sermoni critici, anche in lingua vulgare<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>;
-i roghi non bastavano a reprimere gli eretici in Francia.
-I Valdesi faceansi più arditi, e Gregorio XI movea lamento
-perchè dalle valli subalpine si propagassero, e
-discesi in Piemonte avessero trucidato un inquisitore a
-Bricherasio, uno a Susa<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Bartolino da Piacenza verso il 1385 pubblicò alquante
-tesi legali sul modo di trattare il papa qualora apparisse
-negligente, inetto a governare, o capriccioso a ricusare
-il consiglio dei cardinali (com’era il caso di Urbano VI);
-e conchiudeva potere questi mettergli de’ curatori, al
-cui parere fosse obbligato attenersi negli affari della
-Chiesa. I Francesi colla prammatica sanzione di Bourges
-restrinsero i diritti papali. In Inghilterra Giovanni Wiclef
-aveva impugnato le indulgenze, la transustanziazione,
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-la confessione auricolare, domandato la secolarizzazione
-degli Ordini regolari e la povertà del clero.
-Girolamo di Praga dall’Università di Oxford ne portò i
-libri in Boemia, dove ebbero effetti più gravi, perocchè
-Giovanni Huss, che qui già aveva alzato la voce contro
-la depravazione del clero, vi attinse argomenti teologici
-e ardire a palesarsi. Essendo venuti alcuni monaci a
-spacciare indulgenze, e avendo l’imperatore proibito il
-sacrilego traffico, pigliò baldanza a declamare, in prima
-contro l’abuso, poi contro le indulgenze medesime. Il
-popolo ascoltava volentieri; gli studenti boemi se ne
-infervoravano; le quistioni religiose prendevano colore
-politico d’aborrimento ai Tedeschi e d’aspirazioni repubblicane.
-Dappertutto lo sparlare dei papi era considerato
-segno d’educazione non vulgare, di ragione più
-elevata, di dispetto contro i governi, di scontento generico;
-declamazioni di piazza, frizzi di scuola fra la
-gioventù inesperta seminavano un vago desiderio di sottrarsi
-all’autorità; sebbene, per quanto e le accuse si
-esagerassero e gli errori si estendessero, non si pensasse
-ancora che la Chiesa si dovesse distruggere anzichè
-riformare.
-</p>
-
-<p>
-Quanto erano più ulcerate le piaghe, tanto più speravasi
-nel concilio, che inoltre rannoderebbe in pace i
-principi cristiani per respingere la sempre crescente
-minaccia degli Ottomani.
-</p>
-
-<p>
-L’imperatore, assai principi, signori e conti assistettero
-all’assemblea, ed è scritto vi si numerassero fin
-cencinquantamila forestieri con trentamila cavalli; fra
-quelli, diciottomila ecclesiastici e ducento dottori dell’Università
-di Parigi. Coi fastosissimi cardinali faceano
-gara di lusso i tanti avveniticci, giunti dagli estremi
-d’Europa, distinguendosi per abiti varj, armadure,
-corteo pomposo. Vi accorrevano a spettacolo, a sollazzo,
-trovandovisi trecenquarantasei commedianti e
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-giullari, settecento cortigiane, e tornei e sfide<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>;
-sicchè i gaudenti andavano in delizie, mentre i pii pregavano,
-i dotti accingeansi a duelli dialettici, dai quali
-apparirebbe l’odierno loro elevarsi allato ai grandi.
-</p>
-
-<p>
-Ma un’assemblea di tanto momento, sin dal principio
-reluttò ai modi sagaci, con cui gl’Italiani e il papa tentavano
-dominarla. La Chiesa nella sua universalità non
-distingue popoli, e valuta ciascun uomo pel proprio
-valore; sicchè all’indole sua ripugnava il votare per
-nazioni, come si pretese, dividendo il concilio in camera
-tedesca, italiana, francese, inglese, spagnuola, le quali
-deliberassero distintamente affine di elidere la superiorità
-degl’Italiani. Giovanni XXIII, come presente, provveduto
-di gran denaro, e assistito dalle compre armi
-di Federico d’Austria, sperava far considerare il concilio
-come una continuazione di quello di Pisa, che
-avendo riconosciuto Alessandro V, considerava lui come
-solo papa legittimo: inoltre voleva si cominciasse dagli
-articoli di fede, poichè richiederebbero lunghe dispute,
-e i prelati nella piccola città s’annojerebbero. Ma questi
-pretesero che abdicassero e lui e Benedetto XIII che
-sostenevasi in Ispagna, e Gregorio XII che aveva favore
-in Germania. Giovanni nella seconda tornata protestò
-di farlo volontariamente se lo imitassero gli altri due,
-anzi rinunziare ad ogni modo se con ciò potesse terminarsi
-lo scisma; sicchè il giubilo e gli applausi andarono
-al colmo, e l’imperatore gli si buttò ai piedi
-baciandoli. Ma poi pentito e sbigottito fuggì; e allora
-i mirallegro si risolvono in costernazione, Gregorio
-viene sospeso, e proclamato (1415) che il concilio trae immediatamente
-da Cristo i suoi poteri, e ognuno, compreso
-il papa, è tenuto obbedirgli in quanto concerne la fede,
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-lo scisma, e la riformazione generale della Chiesa nel
-capo e nelle membra. Gl’Italiani protestarono invano.
-Giovanni, citato a giustificarsi delle più enormi e scandalose
-imputazioni<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>, dichiarossene colpevole, sottomettersi
-a discrezione al concilio, pur beato se con ciò
-potesse render pace alla Chiesa: e quello il destituì (29 maggio)
-come avesse disonorato il popolo cristiano, ne spezzò
-il suggello e gli stemmi, gli tolse le insegne pontifizie
-e la croce, e lo tenne in cortese prigionia<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Anche Gregorio, per mezzo di Carlo Malatesta signore
-di Rimini, a cui protezione si era posto, mandò la rinunzia (4 luglio),
-riducendosi cardinale di Porto. Solo Benedetto
-ostinavasi, scomunicando chi non era con lui, e dichiarava
-«nel diluvio universale la sola arca della Chiesa
-essere Paniscola dov’egli sedeva»: alfine, abbandonato
-anche dalla Chiesa spagnuola per opera principalmente
-di Vincenzo Ferreri, fu destituito (1417 26 luglio), terminando uno scisma
-che fu la maggior prova a cui la Chiesa si trovasse
-esposta. Tante passioni, tanti errori, eppure fu ancora
-alla Chiesa una che la cristianità si ricoverò, e sotto il
-manto del ponteficato, di cui non erasi mai impugnata
-l’autorità e l’unità, comunque restasse incerto chi ne
-era il depositario, disputandosi del possesso e dell’esercizio
-dell’autorità, non dell’autorità stessa.
-</p>
-
-<p>
-Sbalzatine gl’indegni occupatori, bisognava surrogare
-un degno sul trono di san Pietro. Sigismondo voleva
-che prima si riformasse la Chiesa; gl’italiani incalzarono
-per la pronta nomina del papa Ottone Colonna (11 9bre),
-il quale si volle chiamato Martino V. Sigismondo aveva
-preveduto giusto; poichè Martino trovò modo di rinviare
-d’oggi in domani le chieste riforme, logorando il
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-tempo in divisamenti o in concessioni secondarie, protestando
-contro gli appelli del papa al concilio, riconfermando
-molti abusi; finchè dichiarò sciolto il concilio (1418 22 aprile),
-e andossene a Roma.
-</p>
-
-<p>
-I padri, vedendosi dal popolo sprezzati per le contese
-e i baccani a cui prorompeano<a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a>, e presi in sospetto
-come staccatisi dal papa, vollero ostentare zelo della
-fede col perseguitare l’eresia, e condannarono Giovanni
-Huss e Girolamo da Praga, i quali, malgrado il salvacondotto
-imperiale<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>, furono dati al braccio secolare
-e mandati al rogo. Tristo rimedio la violenza; e ne pagò
-le pene Sigismondo, o piuttosto i popoli espianti le
-colpe dei re: giacchè la Boemia divampò d’un incendio,
-a spegnere il quale vi vollero torrenti di sangue.
-</p>
-
-<p>
-Per compiere le riforme. Martino V indicò un nuovo
-concilio prima a Pavia, poi a Siena, infine a Basilea;
-ma apertolo appena, morì (1431). Nell’elezione di Eugenio IV
-(Gabriele Condulmier veneziano) i conclavisti prefissero
-una specie di costituzione, che in alcuni punti
-concerneva anche il governo civile. L’omaggio che il
-papa ricevea dai feudatarj e dagl’impiegati, non riflettesse
-su lui solo, ma anche sul collegio de’ cardinali,
-talchè a questo rimanessero obbligati in sede vacante;
-metà dei proventi della Chiesa fosse riservata ai cardinali;
-di conseguenza nessun atto politico importante
-poteva il papa permettersi se non consenziente il sacro
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-collegio, non pace o guerra, non tasse nuove, non mutar
-la sede; inoltre il papa doveva riformare la Corte, e
-tenere concilj periodici. Eugenio vi si obbligò; e se
-quel costituto reggeva, il principato romano trovavasi
-ridotto ad aristocrazia, ma forse era tolto il pretesto
-alla Riforma del secolo seguente.
-</p>
-
-<p>
-Eugenio, per giudizio d’un suo successore<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>, fu
-pontefice d’animo elevato, ma senza misura in nessuna
-cosa, intraprese sempre ciò che voleva, non ciò che
-poteva. Fece egli aprire il concilio di Basilea onde
-estirpare l’eresia, metter pace perpetua fra le nazioni
-cristiane, togliere il lungo scisma de’ Greci, e riformare
-la Chiesa. Ma i padri vi s’accinsero senza precise idee
-di quel che volevano operare, nè de’ limiti dell’autorità
-propria e di quella che pensavano restringere; attaccavano
-un dopo l’altro gli abusi parziali, non proponevano
-un rimedio radicale: onde vedendoli condursi con quella
-precipitazione che sgomenta le autorità desiderose di
-dirigere, Eugenio sospese il concilio. I padri non gli
-badando, citano lui pontefice, accusandolo disobbediente;
-poi, spiegate le vele, dichiaransi ad esso superiori;
-nè poter lui scioglierli o traslocarli.
-</p>
-
-<p>
-Fittisi alla riforma della Chiesa, mozzano assai diritti
-curiali; determinano la forma dell’elezione del papa, e
-il giuramento che deva prestare; limitano le concessioni
-ch’e’ può fare ai parenti; restringono i cardinali a ventiquattro,
-e ne escludono i nipoti. L’imperatore di Costantinopoli,
-cercando appoggiare il cadente trono sull’unione
-della sua Chiesa colla latina, domandò di venire
-in persona col patriarca onde effettuare la riconciliazione.
-Perchè non poteva sostener le spese del viaggio,
-si promise di mandar navi a prenderlo; e la città d’Avignone
-anticipò settantamila fiorini, da rimborsarle mediante
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-i proventi delle indulgenze. Papa Eugenio indusse
-Giovanni III Paleologo a chiedere che l’abboccamento
-si facesse in Italia; e in fatto nella sezione 21ª del concilio
-di Basilea si proposero Ferrara e Udine, e il papa
-confermò la proposta, e indusse i Veneziani a spedir
-galere per trasportare l’imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Allora Eugenio, rimproverando al concilio i decreti
-incompetenti e smoderati, lo trasferiva a Ferrara (1438). Ma i
-padri non si mossero, eccetto due ed il legato; e
-mentre i prelati italiani maledicevano al conciliabolo
-di Basilea, ed invitavano a spogliare i mercanti che vi
-portassero roba, quello (nel quale primeggiava Nicola
-arcivescovo di Palermo, ambasciadore d’Aragona e
-Sicilia, e tenuto pel maggior canonista del suo tempo)
-continuava a cincischiare la giurisdizione pontificia;
-anzi dichiarò sospeso il papa, e scismatico il consesso
-di Ferrara; e per quanto i potentati s’intromettessero
-onde prevenire un nuovo scisma, condannarono Eugenio (1439)
-come eretico, e surrogarongli Amedeo VIII duca
-di Savoja, il quale dagli affari s’era ritirato a Ripaglia
-a vita piuttosto voluttuosa che penitente<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>, e che
-sciaguratamente accettò l’uffizio d’antipapa col nome
-di Felice V.
-</p>
-
-<p>
-Il concilio di Ferrara erasi aperto il 13 gennajo 1438
-dal cardinale Albergati, e gran pena si durò per regolarne
-il cerimoniale: ma la peste scoppiata lo fece trasferire
-a Firenze<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a> (1439). Ivi furono messi in disputa i
-quattro punti dello scisma greco, cioè il procedere dello
-Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, l’uso degli
-azimi nella comunione, la natura del purgatorio, la
-supremazia universale del papa. Quell’unione fu famosa
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-per insigni personaggi: il cardinale Giuliano Cesarini,
-che di sua franchezza avea dato prova nell’appoggiare
-i rimproveri che al papa faceva il concilio, ed allora
-sosteneva il vero con incalzante ragionamento; Giovanni
-di Montenero provinciale de’ Domenicani di Lombardia,
-versatissimo in divinità; Ambrogio Traversari
-generale de’ Camaldolesi, che per ordine di Eugenio IV
-era andato riformando molti conventi, e questi suoi
-giri descrisse nell’<i>Odœporicon</i>; fra i Greci, Gemistio
-Platone insigne accademico, Giorgio da Trebisonda,
-Giorgio Scolario ancora laico, e fra breve patriarca di
-Costantinopoli, Marco Eugenio vescovo d’Efeso saldissimo
-alle dottrine scismatiche, Dionigi vescovo di Sardi,
-e, a tacer altri, il Bessarione arcivescovo di Nicea, sottile
-platonico, che sparse anche il gusto d’una filosofia
-men cavillosa e arida, e che vinto dalla verità venne
-alla Chiesa nostra, molti traendovi col proprio esempio.
-</p>
-
-<p>
-Cosmo de’ Medici ricevette splendidamente il papa,
-i cardinali, l’imperatore; il trasporto dei corpi de’ santi
-Zenobio, Eugenio, Crescenzio, i funerali del patriarca
-di Costantinopoli, diedero occasione a solennità; e la
-Signoria di Firenze regalò al papa quattordici inquisiti
-di pena capitale (Cambi). Eugenio scomunicò i prelati
-di Basilea; ma le lunghe dispute col patriarca di Costantinopoli
-e co’ suoi dottori, agitate nella sala accanto
-a Santa Maria Novella, non poteano condursi a conchiusione;
-laonde si venne a una specie di transazione (6 luglio) per
-istabilire l’unione della Chiesa orientale colla occidentale,
-stendendola s’una pergamena in greco e in latino,
-e dopo che l’ebbero letta in latino il cardinale Cesarini,
-in greco l’arcivescovo Bessarione, la soscrissero molti
-prelati delle due Chiese per ordine di dignità; oltre il
-papa stesso e l’imperatore Paleologo che vi fecero apporre
-le proprie bolle<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<p>
-Federico III, nuovo imperatore, che avea procurato
-versar acqua su questi incendj, spedì ad Eugenio il proprio
-segretario Enea Silvio Piccolómini senese, per
-indurlo ad un concordato colla Germania, e il papa sul
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-letto di morte vi assentì, purchè non menomasse i diritti
-della santa Sede. Nicola V succedutogli (1447), mostrossi
-tutto davvero disposto ad accordi, talchè il sinodo di
-Basilea più non si resse; Felice V abdicò, riservandosi
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-tanti benefizj, che lo rendeano più ricco del papa, ma
-presto morì. La pace fu dunque restituita alla Chiesa;
-e il giubileo celebrato l’anno appresso, parve solennizzare
-il trionfo di Roma.
-</p>
-
-<p>
-Se il concilio di Basilea avesse con prudenza e carità
-provveduto alla riforma della Chiesa, poteva prevenire
-i guaj che scoppiarono nel secolo seguente. Sulle prime,
-non che intaccare la sovranità papale, sanzionò il Decreto
-di Graziano, i cinque libri delle Decretali di Gregorio
-IX, pare anche il sesto di Bonifazio; solo tolse ai
-papi le riserve, il diritto di provvisione, e quello di mettere
-imposte sulle chiese. Ma poi guidato a passione,
-pensò non solamente limitare la potenza papale come
-quel di Costanza, ma sostituirvi la propria, e preparò
-la rivolta protestante, al tempo stesso che l’apparenza
-di ottenuta vittoria svogliava la Chiesa romana dalle
-riforme necessarie, e assopiva in una sicurezza che
-dovea riuscire funestissima.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap118-11">CAPITOLO CXVIII.
-<span class="smaller">L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi
-a Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia
-guerreggia i Turchi.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Da mille anni era disfatto l’impero romano in Occidente,
-e ancora sussisteva in Oriente, soprattutto mercè
-della incomparabile postura di Costantinopoli. Sussisteva,
-ma agonizzante fra le deboli mani d’imperatori,
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-i quali, vanitosi d’una scienza ciarliera, superbi d’un
-passato troppo diverso, assorti in un lusso corruttore,
-deliri dietro a futili importanze, ignoravano o vilipendevano
-i costumi stranieri e quelle idee che s’insignorivano
-del mondo. Un altro morbo erasi ostinato addosso
-a quella pomposa società, le eresie; quasi le fosse fatale
-il dover perire novamente pei sofismi, come già ai
-tempi della miglior grandezza d’Atene. Lo Spirito Santo
-procede egli anche dal Figlio come dal Padre? tale
-quistione, inestricabile ad argomenti, pose a subuglio
-le scuole, le chiese, le piazze, le famiglie; avversò Roma
-a Costantinopoli, i patriarchi ai papi, sinchè Fozio (862) separò
-affatto la Chiesa greca dalla latina, e quell’impero
-si trovò nimicati coloro a cui lo legava il comune interesse
-di resistere alle avvicinantisi orde musulmane.
-Le crociate avevano pôrto ai Greci l’occasione di rigenerarsi,
-innestando sul vecchio loro ceppo la civiltà
-moderna, e vantaggiandosi reciprocamente coll’accomunare
-le qualità migliori: ma essi non vi adoprarono
-che dispregio e mala fede; tergiversarono imprese, di
-cui aveano il maggior bisogno e i primi vantaggi; e si
-attirarono l’abbominazione de’ Latini. La conquista di
-Costantinopoli per opera di questi avrebbe potuto risarcire
-l’Impero, se accettata e sostenuta: odiosa invece
-e contrastata, non fece che crescerne la debolezza, e
-ben tosto le dinastie antiche ebbero espulsi i Baldovini,
-che andarono sparnazzando per Europa la loro miseria
-e titoli senza valore.
-</p>
-
-<p>
-Però coll’impero latino non erano caduti gli stabilimenti
-degli Italiani in Levante. Pisa era oggimai ridotta
-a troppo piccolo conto; ma Genova e Venezia avrebbero
-potuto assicurarsi il Mediterraneo, l’Jonio e il mar
-Nero se si fossero tenute d’accordo; invece, perseguendosi
-d’implacabili nimicizie, dagli insulti e dagli assalti
-reciproci furono entrambe rovinate. I Genovesi, badando
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-al proprio interesse più che alla causa europea,
-aveano ajutato l’imperatore Michele Paleologo a togliere
-ai Latini Costantinopoli (1261), dove conservarono il sobborgo
-di Gàlata; e stipularono di rimanervi sotto un podestà
-proprio, il quale presterebbe giuramento all’imperatore
-prima di assumere la giurisdizione, e andrebbe ogni
-domenica a fargli omaggio; l’imperatore non punirebbe
-alcuno di quella colonia se non quando esso podestà
-ricusasse farlo; stretto divieto di asportare oro o argento
-dalle terre imperiali, bensì vettovaglie, ma che
-dovessero recarsi al Comune di Genova, non mai ai
-nemici dell’Impero; qualvolta l’imperatore allestisse
-un’armata, potrebbe trattenere per servizio di quella
-i navigli genovesi quand’anche fossero noleggiati da
-altri e già in carico, e spedirli dovunque gli talentasse.
-I Genovesi di rimpatto non si staccherebbero dall’Impero
-per qual si fosse comando di persona coronata o
-no, nè per ecclesiastica scomunica<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>; cautela opportuna
-quando era opinione non doversi fede agl’Infedeli,
-e per tali si consideravano pure i Greci.
-</p>
-
-<p>
-Dalla debolezza de’ quali i Genovesi traevano baldanza:
-un marinajo vantò che fra breve i suoi sarebbero
-signori della capitale, e uccise il Greco che nel
-ripigliava; un altro ricusò il saluto delle armi nel passare
-davanti alla reggia. Il trovarsi però in sobborgo
-smurato esponeva i Genovesi ed alla legale repressione
-degl’imperiali ed alla violenza de’ Veneziani, che di
-fatto una volta gli assalsero, e costrettili a rifuggire in
-Costantinopoli, ne incendiarono le abitazioni. Pertanto
-i Genovesi chiesero di poter circonvallare Gàlata, e con
-triplice muro che girava per quattromila quattrocento
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-passi chiusero i vasti magazzini e i nobili abituri prospettanti
-il mare; e quel sobborgo avrebbe presto emulato
-Costantinopoli se questa non fosse caduta. Di là scorrendo
-il mar Nero, dove possedeano Caffa, i Genovesi
-portavano ai Greci il frumento dell’Ucrania, il caviale
-e pesce salato della Meotide; spingeansi a ricevere nei
-porti della Crimea le droghe e le gemme che dall’India
-vi affluivano colle carovane; e le fortezze, sorte in tutte
-le fattorie, diventavano formidabili non meno agli Europei
-che ai Tartari.
-</p>
-
-<p>
-Già ne fu accennata la banda di venturieri catalani,
-che Ruggero di Brindisi condusse a Costantinopoli, e
-che per un pezzo salvò l’impero greco dai Turchi; ma
-insieme lo malmenavano a talento, come e peggio che
-le compagnie di ventura in Italia. Andronico imperatore
-in palese lo accarezzò, fino a sposarne una sorella; in
-secreto affilando l’arma de’ vili, a tradimento lo uccise.
-Non per questo si dispersero i suoi, e molte fiate posero
-il partito di conquistare l’Impero per conto proprio
-o del re di Sicilia, il quale mandò anche l’infante
-don Ferdinando a capitanarli. Se non che i Genovesi,
-da antico gelosi dei Catalani, i loro più potenti competitori
-nel commercio del mare occidentale, s’inasprirono
-pei favori che que’ venturieri guadagnavano o rapivano
-in Oriente. Ne vennero risse aperte; e come i Catalani
-offrivano all’imperatore di sfasciare gli stabilimenti genovesi
-e liberarlo dalla costoro insolenza, così i Genovesi
-lo ajutarono a mandare a sbaratto quella banda.
-</p>
-
-<p>
-Nel mezzo di ciò, i Latini non cessavano d’osteggiare
-il greco impero, considerandola quasi come un’impresa
-santa e un seguito delle crociate. Carlo di Valois, figlio
-di Filippo il Bello, la cui moglie Caterina di Courtenai
-avea portato in dote nominali diritti sopra quel trono,
-volea questi ridurre in atto recuperandolo ai Latini; il
-che a molti pareva l’unico modo di ritardarne la caduta.
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-E tentò l’impresa: ma non avendo meglio di cinquecento
-cavalieri, la fatica gli rispose scarsamente.
-</p>
-
-<p>
-Quando Caterina di Valois sposò Filippo duca di
-Taranto, ne’ patti nuziali si stipularono gli ajuti che il
-marito le darebbe per ricuperare l’impero latino, e le
-provincie di Grecia di cui essa a lui farebbe cessione.
-Il re di Francia suo parente, Venezia e il papa ne secondavano
-le aspirazioni; e l’imperatore Andronico,
-non potendo far conto su Genova straziata da discordie
-intestine, prese la disperata risoluzione di ricorrere ai
-Turchi per difendersi dai Cristiani. Al tempo stesso
-favoriva i Ghibellini contro Roberto re di Napoli, affinchè
-questo rimanesse impedito dall’ajutare Filippo, e
-mandò a Federico di Sicilia seicencinquantamila pesi
-d’oro coniato<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. L’impresa infatto non ebbe seguito,
-e sopraggiunte nuove burrasche nel regno di Napoli,
-ai principi di Taranto rimaneva appena forza di galleggiare
-tra queste, non che potessero far valere sull’impero
-la presunta eredità.
-</p>
-
-<p>
-Ma crescendo sempre più le conquiste de’ Musulmani,
-quegli imperatori sentivano che loro salvezza sarebbe
-stato il riconciliarsi colla Chiesa latina. Già sotto Andronico
-il giovane avea molto adoperato a tal fine il
-monaco basiliano Bernardo Barlaam di Seminara in
-Calabria, ingegno vivo e Colto, che si fece ammirare
-dal Boccaccio a Napoli, dal Petrarca ad Avignone; ma
-non ne venne a capo, pretendendo gli Orientali si convocasse
-un concilio, che i nostri trovavano superfluo
-in quistioni già decise.
-</p>
-
-<p>
-Barlaam ritornato a Costantinopoli, ebbe a disputare
-con Palamas arcivescovo di Tessalonica sulla luce increata.
-Palamas sosteneva che fosse non la sostanza
-divina, ma emanazione di questa; e che gli angeli e
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-santi potessero questa contemplare, non l’essenza divina.
-L’altro, al contrario, voleva non fosse nè l’essenza divina
-nè effetto di questa, e che nessuna potenza valesse
-a rendere gli occhi umani capaci di contemplare la
-divinità. È la quistione, su cui si fanno tanti epigrammi:
-ma per la concatenazione degli errori e delle verità
-portava, nell’opinione di Palamas; niente meno che la
-dualità della sostanza eterna; in quella di Barlaam
-toglieva la visione beatifica ai santi. Barlaam fu riprovato
-da un sinodo di Costantinopoli, onde abbandonò
-la Grecia, scrisse contro lo scisma, e fatto vescovo di
-Geraci, contribuì assai a restaurare gli studj in Italia.
-</p>
-
-<p>
-Morto quel debole imperatore (1341), ogni cosa andò capopiede,
-finchè a Giovanni Paleologo usurpò la corona il
-grandomestico Giovanni Cantacuzeno (1347): ed egli pure per
-sostenersi non esitò a chiamare in Europa i Turchi, che
-già all’Impero aveano tolto le provincie d’Asia. Ma più
-che l’imperatore, signori di Costantinopoli in quel tempo
-erano i Genovesi; e se sorreggeano con prestiti la miseria
-di lui, impedivangli di crescere in potenza marittima
-per non trovarselo concorrente: ed insultandone la
-maestà, ad onta sua occuparono e bastionarono anche
-l’alto della collina, sul cui pendio aveano ottenuto di
-piantare la loro colonia, comandando così allo stretto
-per cui si passa al mar Nero; batterono la flotta dello
-imperatore, bloccarono fin Constantinopoli (1351), nè egli potè
-chetarli che con forzate concessioni.
-</p>
-
-<p>
-In quel tempo, per respingere i Tartari che minacciavano
-gli stabilimenti del mar Nero, erasi allestita una
-specie di crociata, principalmente di navi venete, condotta
-da Umberto delfino di Vienne. I Genovesi, appena
-le interne discordie il permisero, vi mandarono la
-propria flotta, guidata da Simone Vignoso: ma questi,
-invece di drizzare contro i Tartari, assalì e prese Scio,
-isola opportunissima, a otto miglia dal continente, che
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-signoreggia le vicine di Samo, Metelino, Ténedo e lo
-stretto di Gallipoli, e che già altre volle era stata posseduta
-da Genovesi. Cantacuzeno recosselo ad onta, ed
-arrestò alquanti legni genovesi; ma i coloni di Galata
-si levano a stormo, e minacciano di nuovo la capitale;
-l’imperatore reclama a Genova, ma inutilmente, giacchè
-il Comune non esercitava alcuna autorità sopra i lontani
-coloni; ond’egli non conobbe altro scampo che di
-ricorrere alla gelosia di Venezia.
-</p>
-
-<p>
-Questa era stata rattizzata dalla concorrenza nelle
-colonie della Tana. Un Genovese, percosso da un Tartaro,
-lo uccise; e i Tartari per vendetta malmenarono
-le persone e i beni di quanti Cristiani mercatavano da
-quelle parti: i Genovesi tennero testa in Caffa, abbastanza
-munita contro scorridori indisciplinati; e di là
-chiudeano il passo del bosforo Cimmerio e perciò i
-traffici coi Tartari, i quali vedeano andare a male le
-merci raccolte, e fallire le sperate ricchezze. Non vollero
-rispettare quel blocco i Veneziani, di che originarono
-nuovi conflitti. Venezia spedì trentatre galee fra
-di merci e di soldati, che sotto Marco Ruzzini passassero
-alla Tana; ed egli, incontrate nell’altura di Negroponte
-undici galee genovesi (1349 29 agosto), le circondò e prese allo
-arrembaggio. I Genovesi per riscossa sorpresero Candia,
-donde liberarono le merci e le navi catturate. Alla sua
-volta il Ruzzini sorprese Galata, gettò il fuoco in molti
-vascelli, e propose all’imperatore di sottrarlo dalla prepotenza
-genovese; ma quegli, temendo forse i liberatori
-quanto gli avversarj, renuì. Lungamente le flotte delle
-due repubbliche insanguinarono i mari; l’espertissimo
-ammiraglio Nicolò Pisani avea unito alle galee venete
-l’armata de’ Greci, de’ Pisani e degli Aragonesi, sempre
-in discordia con Genova ma all’isola dei Porti (1352 febbr.) fra
-Costantinopoli e Calcedonia, nel fitto della notte e nello
-infuriar delle tempeste non bastanti a spegnere l’ira
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-degli uomini, fu sconfitto da Paganino Doria; il mare
-e i lidi rimasero orridi de’ frantumi di sì trista vittoria;
-e se i Veneti perdettero quattordici navi, dieci gli Aragonesi,
-due i Greci, anche i Genovesi ne lasciarono
-tredici al nemico o alla procella, e vuolsi che settecento
-nobili vi perissero, onde quasi ogni famiglia dovette
-vestire il bruno, nè si permisero le solite feste del trionfo.
-</p>
-
-<p>
-Il Doria insuperbito, invitò il kan de’ Tartari a seco
-giurarsi contro i Bisantini; e con Orcano, figlio, di quell’Osman
-che aveva fondato l’impero turco, assalì l’imperatore
-Cantacuzeno, lo insultò nella sua reggia, ed
-obbligollo a staccarsi dai Veneziani, e segnare un
-trattato ove ai Genovesi concedeva tutti i privilegi tolti
-ai Veneti. Questi dovettero promettere non approdare
-più per tre anni alla Tana, contentandosi d’un banco
-a Caffa; i Greci, di non mescolarsi a litigi che potessero
-nascere tra Genovesi, Veneti e Catalani; non mandare
-navi di traffico alla Tana; restituire quanto avessero
-tolto ai Genovesi, cui fosse libero comprare terre senza
-licenza dell’imperatore. Neppure a tanto sarebbesi arrestata
-Genova, se una battaglia nelle alture di Cagliari
-non avesse vendicato i Veneziani, i quali all’arrembaggio
-tolsero ai Genovesi ben trentuna galee e quattromila
-prigionieri, che buttarono al mare. Grave lutto
-alla città, che straziata sempre nell’interno, bramò il
-riposo della servitù sottoponendosi all’arcivescovo di
-Milano.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Gattilussio genovese, armate due navi per
-far sorte, secondò Giovanni Paleologo a spodestare (1355) lo
-usurpatore Cantacuzeno; e in premio chiese la sorella
-per moglie e l’isola di Metelino, che restò di fatto nella
-sua discendenza. Già prima i Zaccaria, avendo ajutato
-potentemente l’impero a recuperare l’isola di Negroponte,
-n’aveano ottenuto le ricche cave d’allume in
-Focea. Per sostenersi nel riacquistato dominio e contro
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-gli Ottomani che già eransi impadroniti di Gallipoli e
-d’Adrianopoli, il Paleologo era ricorso ad Innocenzo VI,
-promettendo sottomettere la sua Chiesa alla romana;
-e il papa esibì per sei mesi venti vascelli da guerra
-con cinquecento cavalieri e mille fanti: ma Genovesi,
-Pisani, cavalieri di Rodi, il re di Cipro non diedero
-retta alle sue esortazioni; Amedeo VI di Savoja, coadjuvato
-dai Genovesi di Galata, mosse una spedizione (1366),
-ove ritolse ai Turchi Gallipoli.
-</p>
-
-<p>
-In quel bujo l’imperatore, non pago di sollecitare
-Urbano V per ambasciadori, venne in persona a Roma
-quando si coronava Carlo IV, e riconobbe la doppia
-processione dello Spirito Santo e la primazia della
-Chiesa latina: ma la viziosa inettitudine di lui non ispirò
-nè interesse nè pietà; poi la morte del papa (1369) interruppe
-ogni effetto; e il Paleologo, passato a sollecitare i Veneziani,
-vi si trovò in tali strettezze, che i creditori lo
-tennero agli arresti, e la Signoria dichiarò non partirebbe
-finchè non si fosse sdebitato. Andronico suo
-figlio, lasciato reggente, non s’affrettò a mandargli il
-denaro; Manuele fratei minore lo riscattò, vendendo
-se nulla ancor gli restava: di che il Paleologo concepi
-avversione per quello, predilezione per questo, e per
-isfogarla si fece persin vassallo di Amurat I granturco.
-E quando Andronico cercò stronizzare il padre, Amurat
-ne prese occasione di tragittarsi in Europa con grosso
-esercito per domare questi litigiosi che s’abbaruffavano
-sull’orlo del sepolcro. Andronico, che dal padre era
-stato imperfettamente accecato, col favore dei Genovesi
-potè uscire dalla prigione e cacciarvi il padre: ma
-questi fu ajutato alla fuga per lunga arte di Carlo Zeno
-veneziano, il quale per mercede volle che dell’isola
-di Ténedo fosse investita la propria nazione. Di qui
-vedemmo nascere terribile guerra fra Venezia e Genova,
-e la vittoria de’ Veneziani a capo d’Anzio, vendicata
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-poi a Pola sopra Vittor Pisani da Pietro Doria, che
-menò la flotta genovese fino a Chioggia.
-</p>
-
-<p>
-Venezia s’accorse che si rovinava in paese minacciato
-dà si gagliardi avversarj, e neglesse il mar Nero; laonde
-i Genovesi restarono arbitri dell’Impero, e a loro posta
-metteano pace e attizzavano guerra fra que’ principi
-fratricidi, e neppur esitarono a patteggiare coi Turchi
-di mai non guerreggiarli.
-</p>
-
-<p>
-Quasi soli esercitavano essi il commercio della costa
-di Trebisonda, ove col titolo d’imperatore dominava un
-principotto Comneno. Alla costui corte Megallo Lercári
-mercante genovese, nel fare agli scacchi, rissossi con un
-mal paggetto dell’imperatore, e avutone uno schiaffo, e
-invano chiesta soddisfazione, armò due galee, depredò
-la costa, e a quanti Greci cogliesse mozzava le orecchie
-e il naso. Un padre il supplicò si caldamente a risparmiare
-questo supplizio ai figli suoi, che il Lercari li
-perdonò, patto che recassero a Trebisonda all’imperatore
-un barile di nasi e d’orecchie, e annunziassero
-non desisterebbe finchè non avesse in mano il suo
-oltraggiatore. Tal era la forza de’ Genovesi o la debolezza
-di que’ Greci, che l’imperatore in persona venne
-a consegnare il paggio al Lercari, il quale s’accontentò
-di porgli un piede sulla faccia dicendo: — Via costà,
-sciagurato; e ringrazia la civiltà de’ Genovesi, che non
-bistrattano donne»<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Turchi si avvicinavano alla capitale, non più da
-scorridori e con subitarie devastazioni, ma passo passo
-conquistando; già Bajazet la stringea d’appresso. Unica
-tavola nel naufragio, gl’imperatori ricorsero all’Occidente;
-e Manuele Paleologo venne supplichevole a Roma (1399).
-Se non che i Mongoli, condotti da Tamerlano imperatore
-di Samarcanda, dopo rapide quanto estese vittorie
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-nel cuor dell’Asia, piombarono sopra i Turchi, vinsero
-Bajazet e lo fecero prigioniero. Obbligati i Turchi a
-provvedere alla proprio difesa, venne ritardala la caduta
-di Costantinopoli; poi i figli di Bajazet si osteggiarono
-fra loro: eppure delle discordie e delle sconfitte
-di costoro non seppero giovarsi i Greci per rivalere, e
-il successore d’Amurat II potea dire al greco imperatore: — Chiudi
-le porte della tua città, e regna nel
-recinto di essa; quant’è di fuori appartiene a me».
-</p>
-
-<p>
-Di fatto l’Impero trovavasi ristretto ormai alla capitale
-e ad un lembo della Tracia lungo cinquanta e largo
-trenta miglia, con poche centinaja di soldati, stranieri
-i più. I Musulmani potevano chiamarsi barbari soltanto
-al paragone di gente più colta: che se il sensuale orgoglio,
-su cui è fondata la loro religione, gli arrestò
-sulla via della civiltà, aveano però mietuto i frutti dell’araba
-e della persiana: potenti per commercio, potentissimi
-per armi di mare e di terra, nelle quali aveano
-introdotta una perfezione ignota ai Cristiani; presto
-impararono l’uso della polvere; dicesi ottenessero dai
-Genovesi i primi cannoni, e perfezionatone il maneggio,
-li volsero contro le mura, forti soltanto per resistere
-alle catapulte. Primi introdussero un esercito stanziale
-colla formidabile milizia de’ gianizzeri, reclutata di
-fanciulli rapiti do ogni paese, e perciò staccati da ogni
-affetto, ed usi fin da bambini alle ormi; milizia di gran
-lunga superiore alle truppe vendereccie dei Cristiani.
-Senza i riguardi della gente civile, coll’entusiasmo dello
-apostolato guerriero, credendo fatalmente segnata l’ora
-della morte, e premio il paradiso a chi cada in battaglia,
-piombavano su popoli che vagheggiavano le dolcezze
-della pace; la Russia mal potea fronteggiarli, serva
-com’era dei Tartari; alla generosa Ungheria erano
-tagliati i nervi dagli Austriaci, che ambivano farla patrimonio
-della loro casa; l’Italia rimanea sbocconcellata.
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-Pertanto i Turchi, possedendo le coste del Mediterraneo
-e dell’Arcipelago, poteano ridurre a pascialati la
-Polonia, l’Ungheria, la Germania, l’Italia, sbiadare i
-loro cavalli sull’altare del Vaticano, e restringere in
-angustissimi confini la civiltà cristiana.
-</p>
-
-<p>
-Più incalzante si sentì il pericolo quando (1421) la bifida
-spada fu posta nelle mani di Amurat II, uno de’ maggiori
-eroi dell’islam. Manuele Paleologo pensò mettere
-una barriera all’avanzare de’ Turchi col vendere ai
-Veneziani Salonicchio, forte di quaranta torri e quarantamila
-abitanti, in eccellente golfo, e opportunissima
-al commercio e a tutelare Negroponte. La Serenissima,
-allora invogliata dal Foscari alle conquiste, se la prese,
-e mandò a giustificarsene con Amurat, il quale per
-tutta risposta arrestò il messo, ed assediò Salonicchio.
-La flotta veneta lo respinse, ed Amurat assalì la Morea,
-e qualunque volta la Signoria mandava per fare accordi,
-egli rispondeva: — Rendetemi Salonicchio»; infine la
-sorprese e pigliò (1429), dopo che la Repubblica avea sciupato
-settecentomila ducati a difenderla.
-</p>
-
-<p>
-Allora Amurat mette assedio a Costantinopoli (1431) con
-ducentomila Turchi. Eugenio IV levò il grido d’allarme
-per annunziare il pericolo che all’Europa e a tutta la
-cristianità sovrastava se Bisanzio perisse; ma non era
-più entusiasmo di popoli che determinasse alle imprese,
-bensì calcolo di principi, e questi erano occupati ciascuno
-in casa propria a consolidare la prerogativa
-regia, ad estendere i dominj, a fiancheggiarsi di parentele.
-Genova e Venezia dal pericolo ravvicinate, si unirono
-bensì (1440) sotto lo stendardo delle sante chiavi; il
-cardinale Giuliano Cesarini riuscì ad eccitare Polonia
-e Ungheria, più da vicino minacciate; e l’esercito,
-composto d’avventurieri d’ogni paese, condotto dal
-grande Giovanni Uniade, transilvano addestrato nelle
-guerre d’Italia, assalì Amurat. Ma la battaglia di Varna (1444)
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-sparpagliò l’esercito crociato, e l’imperatore Giovanni III
-Paleologo dovette comprare la pace.
-</p>
-
-<p>
-Pace effimera; e già prima quell’imperatore non
-vedea modo al suo bisogno che nei soccorsi d’Occidente;
-ma come riprometterseli se non riconciliando
-la sua Chiesa alla latina? Stava allora adunato il concilio
-di Ferrara (pag. 196), e il Paleologo sopra navi veneziane
-fu trasportato in Italia, menando seco Giuseppe
-patriarca di Costantinopoli, e i rappresentanti degli altri
-patriarchi, molti prelati, cantori, monaci, filosofi, spiegando
-un fasto che cozzava colla miseria, giacchè il
-papa avea dovuto anticipargli le spese. Fu ricevuto
-orrevolmente, estreme riverenze rendute al moribondo
-rappresentante dell’antica maestà cesarea; Venezia gli
-prestò venerazioni, di cui la libertà non era gelosa
-perchè non esprimevano un omaggio, e perchè le spoglie
-di Costantinopoli che la abbellivano diceano qual
-fosse più potente fra l’augusto troneggiante sulla poppa
-della nave capitana, e il doge e i senatori che gli
-baciavano il piede; a Ferrara ottenne le cerimonie di
-posto e di grado consuete agl’imperatori antichi: ma i
-contrasti fra il concilio di Basilea ed Eugenio IV impedirono
-ogni conchiusione. Convocatosi poi il concilio
-a Firenze (1438), e ridottisi d’accordo sulle incomprensibili e
-sulle pratiche quistioni, Eugenio si obbligò a pagare
-ai Greci il ritorno, mantenere sempre due galee e trecento
-soldati per difesa di Costantinopoli, e dieci galee
-per un anno ogniqualvolta venisse richiesto; eccitare
-i principi europei a sovvenire quell’impero, e far approdare
-a Costantinopoli tutte le navi che trasportavano
-pellegrini in Terrasanta.
-</p>
-
-<p>
-Ma gli amplessi e la riconciliazione, forse subdoli,
-certo interessati per parte dei grandi che ne trattavano,
-doveano riuscire inapplicabili al popolo e al basso clero
-greco, ignoranti e fanatici a segno, che avrebbero preferito
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-Maometto al papa. I monaci venerati dai loro
-eremi maledivano a chi si fosse comunicato coi Latini;
-i popi chiudevano le basiliche in faccia a chi s’era messo
-in relazione col legato in Santa Sofia; il popolaccio nelle
-bettole cuculiava il pontefice e gli azimati; i prelati
-medesimi, sentendo rinascere la coscienza o l’orgoglio,
-si ritrattarono, e quel misero avanzo dell’impero romano
-andò sovvertito fra nuovi e antichi credenti che a vicenda
-intitolavano sè cattolici, eterodossi gli avversarj.
-Al vederli odiarsi perchè gli uni nutrono la barba, gli
-altri la radono, questi consacrano pane fermentato e
-quelli no, non si direbbero persone fradicie nella pace?
-e invece roteava sul capo di tutti la scimitarra ottomana.
-Amurat perdonò al Paleologo d’avere sollecitato
-la crociata, ma assalse i fratelli di lui, tra’ quali era
-diviso il restante impero; ridusse a sommissione Neri
-Acciajuoli signore dell’Acaja, di Atene, della Focide,
-della Beozia; per l’istmo, invano fortificato, entrò nel
-Peloponneso che devastò, incendiata Corinto, presa Patrasso,
-e menati sessantamila schiavi.
-</p>
-
-<p>
-Maometto II, succedutogli (1451) con maggior impeto guerresco,
-s’accingeva ad annichilare quel fantasma dell’impero
-romano, e assediò Costantinopoli con dugencinquantottomila
-armati e trecento navi. Costantino
-Paleologo su quel trono tarlato sosteneasi con virtù
-degne di miglior fortuna. Vedovo di una de’ Gattilussi
-di Genova, principi di Metelino, cercò una Foscari di
-Venezia; ma avendo i consiglieri suoi trovato non abbastanza
-decorose tali nozze, e preferitovi una principessa
-di Georgia, si rese avversi i Veneziani di modo
-che non abbastanza cooperarono alla difesa. I Genovesi
-di Galata ebber ricorso alla madrepatria, e n’ottennero
-una grossa nave e macchine e cinquecento uomini
-d’arme; ma sentendosi insufficienti, ebbero per più
-savio consiglio il prendere accordo col Turco, promettendo
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-essi di restar neutrali, egli di rispettarli; doppia
-slealtà, perocchè Maometto diceva che lasciava dormire
-il serpente finchè non avesse soffocato il drago, e i
-Genovesi non lasciavano di soccorrere sottomano gli
-assediati. La colonia genovese di Caffa inviò tre legni,
-che traverso gravissimi pericoli, e menando strage nella
-flotta turca, provvide di viveri la città. Nella quale trovavansi
-chiusi quasi cinquecentomila Greci, e duemila
-Genovesi e Veneziani: ma non passavano i settemila
-gli armati, con ventotto navi; oltrechè i Greci aborrivano
-i Latini sebbene esponessero per loro la vita;
-fremettero quando il legato pontifizio, venuto a parte
-del pericolo, cantò messa col pane azimo e l’acqua diaccia;
-e gridavano: «Il cadere sotto Roma val quanto
-il cadere sotto i Turchi».
-</p>
-
-<p>
-All’indifferenza degli estrani e dei cittadini mal supplivano
-il senno e il valore di Costantino. Affidò egli
-il comando della piazza a Giustiniano Longo genovese,
-già podestà di Caffa e or principe di Lemno, il quale lo
-secondava mirabilmente; meglio di chicchessia sapeva
-squadronare, assalire, trovar ripieghi, reggere a fatiche,
-oppor mine alle mine, coll’ajuto d’altri Genovesi, fidi a
-quella seconda patria<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Però le munizioni venivano meno (1453); le artiglierie
-turche fulminavano le decrepite mura con una furia
-mai più veduta di projetti, e aveano fra altri un pezzo
-che tirava palle di milleducento libbre, sicchè un colpo
-bastava a colar a fondo una nave. Maometto, non potendo
-forzare la grossa catena del porto, fece trascinar le sue
-navi attraverso alla lingua di terra che ne lo separava,
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-forse secondato dai Veneziani; talchè un mattino gli
-assediati svegliandosi le videro entro il porto. Questo
-prodigio gittò lo scoraggiamento ne’ cittadini: il Giustiniani
-tentò avventare il fuoco nella mirabile flotta,
-ma il cannone del granturco mandò a fondo il brulotto
-con cencinquanta nostri prodi. Il Giustiniani ferito si
-ritirò dal combattere, per quanto Costantino il supplicasse
-fin chiamandolo fratello; e di fatto al suo partire,
-che gli altri gli ascrivono a infamia colla facilità onde
-gli inoperosi sputacchiano gli eroi, la costanza degli
-Italiani vacillò. Al 24 maggio erano aperte breccia per
-tutto, e Maometto annunziò l’assalto generale pel venerdì
-29, al che rispose d’ogni parte il grido d’Allah,
-mentre gli assediati raffittivano in penitenze e comunioni,
-e supplicar Madonne, e intuonare lugubri Kyrie
-eleison. Alfine dopo quarantotto giorni d’assedio Costantinopoli,
-che avea resistito a sette assedj di Arabi e
-cinque di Turchi, fu presa; dappertutto si gridò: — Dio
-solo è Dio, e Maometto è il suo profeta»; e il gran-signore
-entrato in Santa Sofia, ordinò al muezzin d’intimare
-la preghiera, salì all’altare e pregò.
-</p>
-
-<p>
-Costantino perì da eroe, e le poche navi italiane
-poterono salvare alcuni degl’infelici che a calca vi ricoverarono,
-e massime i Genovesi di Galata colle loro
-ricchezze. Eppure Maometto, che gridava a’ suoi soldati — A
-voi i prigionieri, le ricchezze, le donne, ma riservate
-a me la città e i fabbricati», confortava i Genovesi
-a rimanere sicuri; ai pochi che gli diedero ascolto
-concedette di praticare il proprio culto, sottoponendosi
-al testatico. I negozianti di Pera capitolarono, e Maometto
-fece decapitare il balio di Venezia, ed arrestare
-quanti Veneziani vi colse.
-</p>
-
-<p>
-Venezia non potea pensare alla vendetta, e Bartolomeo
-Marcello dopo un anno di trattative conchiuse la pace (1454).
-Nessuna parte recherà danno all’altra, o ricetterà i rei
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-di Stato o di furto, anzi li consegnerà: libero commercio,
-pagandosi reciprocamene il due per cento delle
-merci esitate nello Stato amico, e reciproca restituzione
-delle robe de’ naufraghi e de’ morti: i Veneziani tributeranno
-ducentrentasei ducati per le terre che tengono
-nell’impero turco: gli schiavi veneziani saranno restituiti;
-ma se si fossero professati musulmani si pagheranno
-mille aspri, cioè cinquanta ducati per ciascuno.
-Le navi andando e tornando dal mar Nero rinfrescheranno
-nel porto di Costantinopoli; possano portare
-qualunque merce di Cristiani, ma non di Turchi; mantenute
-al patriarca costantinopolitano le entrate che
-avesse in terra di Veneti; la Signoria possa mandare a
-quella città un balio, che regga nel civile e renda giustizia
-fra’ Veneziani d’ogni condizione. Il gransignore si
-obbliga a risarcire i danni ben provati, che nella persona
-o nella roba avessero patito i Veneziani nella presa di
-Costantinopoli. Essi possano introdurre nell’impero ogni
-sorta moneta coniata o in verga; ma le verghe dovranno
-farsi bollare dalla zecca.
-</p>
-
-<p>
-Caduta la metropoli, sussistevano ancora l’impero
-d’Iberia e quello di Trebisonda sul mar Nero, dove i
-Genovesi conservavano Caffa in Crimea; fra il Nero e
-l’Adriatico, i regni di Dalmazia, Bosnia, Servia, Rascia,
-Bulgaria, Croazia, Transilvania, posti sotto l’alto dominio
-dell’Ungheria; e là intorno i Valachi, razza romana;
-l’Epiro; in Grecia il ducato di Atene; nel Peloponneso
-i despoti, fratelli dell’ultimo Costantino. Creta, Negroponte,
-altre isole e parte della Morea e dell’Albania
-appartenevano a’ Veneziani; Cipro a’ re Latini, Metelino
-e Lesbo ai Gattilussi, Cefalonia e Zante a casa Tocco,
-Rodi ai cavalieri di San Giovanni. Tutti questi, che
-aveano fin allora fissato gli occhi a Costantinopoli,
-adesso volgeanli all’Italia, e massime al papa e a Venezia;
-riboccava la patria nostra di Greci ed Orientali,
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-che esageravano le crudeltà de’ Turchi, e, stile de’ fuorusciti,
-la facilità del ritoglier loro «la grande ingiusta
-preda».
-</p>
-
-<p>
-D’altra parte i Turchi, occupata Costantinopoli e fattala
-lor sede, pretendevansi succeduti agl’imperatori
-romani, e come tali divenire padroni di quanto essi
-aveano posseduto, considerando usurpatori quelli che
-ne tenevano alcun ritaglio. In tale pretensione avvolgeano
-segnatamente l’Italia; e per lungo tempo, quando
-al granturco si cingeva la sciabola, bevuto ch’egli avesse
-nella coppa de’ gianizzeri, la rendea loro piena d’oro,
-proferendo: — A rivederci a Roma».
-</p>
-
-<p>
-Maometto in fatti s’accinse a sterpare le piccole signorie
-fondatesi nell’impero, e improvvisamente tolse a
-Genova Amastri, colonia si opportuna ai commerci colla
-sponda meridionale del mar Nero, gli abitanti trasferendo
-a Costantinopoli. Genova, vedendo non poter
-mantenere la colonia di Galata sotto il cannone turco,
-con tutte le altre di Levante le cedette ai protettori del
-banco di San Giorgio, che col denaro le salvassero; e
-San Giorgio fece prova di suprema abilità nel conservare
-tredici anni le colonie di Crimea; non potendo
-farvi giungere soccorsi pel Bosforo chiuso dal granturco,
-soldò de’ Polacchi; poi bande italiane che per lunghissimo
-viaggio arrivarono fin alla Tana; sollecitava la
-cristianità ad ajutarla, ma non era nulla; sicchè anche
-Caffa fu presa, quarantamila suoi abitanti spediti a Costantinopoli,
-millecinquecento fanciulli genovesi arrolati
-fra i gianizzeri; Tana, Azoff e le altre città caddero senza
-ostacolo, e fino alla pace di Adrianopoli del 1829 il mar
-Nero restò chiuso a’ Cristiani, che appena schiuso doveano
-farlo teatro di terribili martirj.
-</p>
-
-<p>
-Gli Acciajuoli di Firenze erano succeduti ai Catalani
-di Sicilia nel dominio d’Atene: e alla morte di Neri, la
-moglie di lui pose il suo fanciullo sotto la protezione di
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-Maometto II; poi innamoratasi di Pietro Priuli veneziano,
-gli offrì farlo signore d’Atene se, disfacendosi
-della prima moglie, lei sposasse. Come detto così fatto;
-ma gli Ateniesi indignati ricorsero a Maometto, che
-fece scannare la rea, e sterminò gli Acciajuoli.
-</p>
-
-<p>
-Le discordie fra i despoti del Peloponneso offrirongli
-pretesto d’intervenirvi, e Tommaso Paleologo fuggendone
-portò i suoi lamenti e la testa di sant’Andrea al
-papa, al duca di Milano, ad altri, per eccitarli a redimere
-la Grecia; ma morì di crepacuore, malattia degli
-esuli. Davide Comneno, ultimo imperatore di Trebisonda,
-andò a finire in esigilo.
-</p>
-
-<p>
-Nell’Epiro rimpetto all’Italia si era con gloriosa imprudenza
-ribellato Giorgio Castrioto, detto Scanderbeg;
-e incorati i marziali Albanesi a resistere alla luna ottomana,
-vide fuggire innanzi a sè il vittorioso Amurat.
-Maometto II propose soggiogarlo, e Scanderbeg nel
-nuovo pericolo scrisse ad Alfonso re di Napoli chiedendogli
-soccorsi; e n’ebbe viveri ed ausiliarj, condotti
-da Raimondo d’Orlaffa. Per rimeritarlo de’ quali Scanderbeg
-venne poi in Italia a soccorrere re Ferdinando
-figlio di lui, e n’ebbe in compenso San Pietro a Galatina,
-piccola città della provincia d’Otranto, ove si fondò la
-prima colonia albanese, cui ne tennero dietro altre a
-Siponto, a Trani, e là intorno del promontorio Gargáno,
-e ne’ monti che separano la Daunia dall’antico Sannio.
-Perocchè, al morire di Scanderbeg (1467), l’Epiro ricadde in
-servitù; ma i suoi nella lunga guerra aveano acquistato
-molta perizia, e su cavalli leggerissimi, con sopravvesta
-corta senza maniche e imbottita per rintuzzare i colpi,
-bacinetto di ferro in testa, in mano una zagaglia ferrata
-talvolta fin di dodici piedi, lunga spada, piccolo
-scudo, mazza agli arcioni, si esercitavano al corso e al
-rapido volteggiare, opportunissimi ad inseguire, ardere,
-spiare il nemico, predare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dal doge Pietro Mocenigo furono assoldati quando
-volle tentare l’impresa di Delo e Mitilene; poi presero
-servizio in Italia, ove divennero terribili col nome di
-Stradiotti (στρατιώται). e fin agli ultimi tempi v’ebbe
-sempre negli eserciti napoletani uno squadrone reale
-macedone. Altri Cristiani, che non vollero piegarsi al
-giogo turco, passarono a noi, chiedendo pane e sicurezza
-di culto, ottennero terre nel Regno, le domesticarono,
-e ancora conservano la lingua nativa e il rito greco e il
-vestire e i costumi, ancora gemono il loro sangue disperso
-(<i>giaca in sprirus!</i>), ancora <i>danzano</i> le miserie
-dell’antica lor patria, ed essi, <i>sangue purissimo di Scanderbeg</i>,
-dispregiano il sangue nero, sangue di volpi o di
-nottole degl’Italiani, dai quali insegnano in proverbio
-dover guardarsi come il <i>falegname dall’ascia</i><a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-</p>
-
-<p>
-Alquanti Mainotti o Spartani giunsero a Genova, che
-li collocò nell’isola di Corsica, ed obbligandoli alla decima
-de’ frutti e cinque lire per fuoco, gl’investì delle
-terre incolte di Paoncia, Recida e Piassologna, che a
-breve andare si videro colte e popolate. Costoro si mantennero
-fedeli a Genova quando i Corsi le si rivoltarono,
-e dalla forza superiore degl’insorgenti costretti
-ad imbarcarsi per Ajaccio, lasciarono chiusi nella fortezza
-d’Uncivia ventisette dei loro, i quali per cinque
-giorni respinsero duemila cinquecento Corsi, e alfine
-si ritirarono in Ajaccio anch’essi. Le reliquie di tale
-colonia incontransi oggi a Cargese ed Ajaccio, coi costumi,
-le usanze, i canti patrj<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ragusi si rassegnò a tributare mille ducati l’anno
-alla Porta per conservare il proprio governo; diede
-ricovero a molti fuggiaschi da Costantinopoli, poi alla
-stampa la prima tragedia regolare, e il primo libro di
-commercio<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>; e fu come l’Atene del paese serbo, arricchendo
-le lingue latina, italiana e slava.
-</p>
-
-<p>
-Maometto, risoluto di far riconoscere un solo Dio in
-cielo, un solo signore in terra, proseguiva le vittorie,
-e conquistata la Bosnia e la Servia, minacciava di correre
-a Vienna e a Roma. In que’ frangenti non tacque
-la voce dei papi contro i Turchi. Già Clemente VI avea
-bandita la crociata che conquistò Smirne; un’altra Urbano
-V per guerreggiare fra i Serviani; una terza
-Bonifazio IX, che fu scompigliata a Nicopoli; una quarta
-sotto Eugenio IV, andata a ruina nella giornata di Varna.
-L’infelice successo non iscoraggiava Nicola V, che di
-nuovo bandì la croce, ma senza effetto. Calisto III ordinò
-per tutta cristianità si sonasse a mezzogiorno la
-campana dei Turchi; e sollecitava la Germania, che
-nelle diete decretava denari ed uomini, ma non si
-vedevano mai.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni da Capistrano, nativo della provincia d’Aquila,
-dedicatosi al fôro, da re Ladislao fu assunto giudice
-della grancorte della Vicaria. Essendo condannato
-nel capo un poderoso barone, il re non solo approvò
-la sentenza, ma la estese al primogenito di esso. I giudici
-si piegavano alla reale volontà, ma Giovanni gli
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-animò ad opporsi; e avendo il re, non ostante, comandato
-l’esecuzione, Giovanni chiese congedo da un impiego
-che non poteva esercitarsi senza ingiustizia e andò francescano.
-Accompagnatosi a san Bernardino da Siena,
-missionava, finchè, visto il pericolo sovrastante alla cristianità,
-corse esortando alla guerra santa. A Vienna
-mostrasi ancora sul sagrato di Santo Stefano il pulpito
-da cui egli predicò: il popolo veneravalo qual taumaturgo,
-portava a lui carte e dadi da bruciare e riducevasi
-a penitenza. Gli venne fatto di mettere insieme una
-quinta crociata contro gli Ottomani, composta non di
-nobili e cavalieri, ma di vulgo, studenti, frati, contadini
-armati di mazze e fronde. Frà Giovanni, solo confidente
-quando tutta Europa dispera, procede adottando per
-grido di guerra Gesù, e ridesta Giovanni Uniade, il
-quale, memore delle vittorie e delle sconfitte antiche,
-assume il comando di quell’esercito, che incomposto
-avanzasi contro i Turchi (1456), ed obbliga Maometto ad allargare
-Belgrado, che assediava con trecento cannoni, lasciando
-ventiquattromila uomini sul campo. In memoria,
-il papa istituì la festa della Trasfigurazione al 6 agosto.
-Quasi fosse compiuta la loro missione, l’Uniade muore
-dopo due settimane, e dopo tre mesi il Capistrano<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>.
-Maometto occupa il resto della Serbia, menandone via
-ducentomila prigionieri; nè più altri che la flotta pontifizia
-soccorre le isole assalite.
-</p>
-
-<p>
-Pio II volle assumersi la parte di Pietro Eremita (1458),
-esortando tutta cristianità ad armarsi di conserva contro
-il Turco; e logica e dialettica e retorica usava, troppo
-meno potenti che non quell’eloquenza impreparata, la
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-quale sgorgando dal cuore, strascina irresistibilmente.
-Istituì l’ordine della madonna di Betlem, che presto
-cadde colla presa di Lemno ove tenea sede. Raccolta
-poi in Mantova la cristianità a concilio, proclamò la
-crociata (1458); v’assisteano quasi tutti i principi d’Europa, e
-gli ambasciadori degli altri, e di Rodi, Cipro, Lesbo,
-dell’Epiro, dell’Illiria, minacciati così da vicino. Il papa
-vi sfoggiò eloquenza; altrettanto Francesco Filelfo, portando
-la parola a nome del duca di Milano: i deputati
-della Morea dipinsero gli orrori commessi dai Turchi
-e a schiavitù dei Greci. Chi non ricorda con quanto
-fervore ai dì nostri le donne favorissero la causa dei
-Greci insorti? non altrimenti fu allora, e a quell’assemblea
-perorarono Ippolita Sforza e Isotta Nogarola. La
-prima, figlia di Francesco Sforza e moglie di re Alfonso
-II, avea trascritto di suo pugno quasi tutti i classici
-latini: l’altra, filosofessa, teologante, letterata, lasciò
-moltissimi discorsi e lettere, e un singolare dialogo per
-difendere Eva contro Adamo.
-</p>
-
-<p>
-Le parole furon molte, e in conseguenza pochi i fatti.
-L’imperatore Federico III era troppo inetto sicchè volesse
-affidarsegli il comando; il re di Francia doveva
-badare alle cose domestiche: onde l’onore di comandare
-la cristianità fu attribuito al duca di Borgogna;
-l’esercito si leverebbe in Germania, verrebbe stipendiato
-da Francia, Spagna, Italia a proporzione della
-ricchezza; Borso d’Este esibiva ben trecentomila fiorini,
-forse sì generoso perchè prevedeva non verrebbe l’occasione
-di sborsarli. Di fatto la pace tanto necessaria
-fu guasta, e le armi raccolte si ritorsero dall’un contro
-l’altro. Il papa se ne lagnava, e scriveva; — Dove ci
-possiamo voltare? a chi ricorrere? Gridiamo soccorso
-ai principi cristiani, e non ci s’ascolta: imponiamo decime
-al clero, e non le paga: pubblichiamo indulgenze,
-e ci accusano di farne traffico».
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ogni dissiparsi di tali imprese aggiungeva orgoglio
-a Maometto, che le conquiste sue accompagnava colla
-ferocia e l’oscenità. A’ Veneziani vedemmo garantiti per
-patto alcuni privilegi in Costantinopoli e i possessi: ma
-questi coll’estendersi dei Musulmani restavano quasi
-isole in vasta inondazione, vicine ad essere assorte.
-Lievissima cagione destò in fatto le ostilità. Uno schiavo
-ruba al bascià d’Atene centomila aspri (1463), e fugge a Corone,
-terra veneta; i Turchi lo ridomandano, e i Veneziani
-ricusano consegnarlo perchè fattosi cristiano, nè
-tampoco restituiscono il denaro. Ostinatisi gli uni e gli
-altri, ne venne guerra, ove il procuratore Loredano assicurava
-che ventimila Greci non vedevano l’ora d’impugnar
-l’armi per San Marco, sicchè facilmente si conquisterebbe
-tutta Morea: solite e facili confidenze di chi
-crede che, per un popolo oppresso, l’esecrare il giogo
-equivalga a saperselo scuotere dal collo. Ivi in fatto si
-portò un esercito sotto Bertoldo d’Este, che vi morì
-gloriosamente: lo capitanò poi Sigismondo Malatesta,
-ma le fazioni non riuscirono mai decisive, e si sfoggiava
-più atrocità che strategia.
-</p>
-
-<p>
-I Veneziani chiesero ajuti al papa; il quale, all’annunzio
-delle prime loro vittorie, in concistoro esclamò: — Vedete
-come Dio suscitò il fedele suo popolo, i figli
-nostri diletti, il senato e la nazione veneta. Vedete come
-quelli che tutti tacciavano d’indifferenza e pigrizia,
-prima degli altri abbiano prese le armi in onore di Dio.
-Si sparlava de’ Veneziani; additavansi i soli che, in tanta
-pressura de’ Cristiani, negassero ajuto: ma ecco che
-soli essi vigilano, soli si affaticano, soccorrono i Cristiani,
-si accingono a far vendetta sul nemico di Cristo».
-Vedendo che la parola <i>Andate</i> facea poco effetto, il papa
-volle dire <i>Venite</i>, e risolse crociarsi egli stesso, non già
-per combattere, ma per orare come Mosè sull’Oreb,
-coll’Eucaristia sugli occhi, affinchè Dio concedesse vittoria: — Forse
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-quando vedranno il padre loro, il romano
-pontefice, il vicario di Cristo, vecchio e infermo
-partire per la guerra sacra, arrossiranno di rimanersi a
-casa, e abbracceranno con coraggio la difesa della santa
-nostra religione»<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Generale parve l’impeto degl’Italiani alla santa impresa;
-due navi esibiva il duca di Modena, una Bologna,
-una Lucca, cinque i cardinali, oltre quelle del
-papa; Venezia darebbe la ciurma e i sopracomiti; poi
-per le spese il pontefice si tassò in centomila fiorini,
-ripromettendoseli dalle limosine di tutta cristianità; in
-altrettanti Venezia, il re di Napoli ottantamila, settanta
-Milano, cinquanta Firenze, venti il duca di Modena,
-metà tanti il marchese di Mantova, quindicimila Siena,
-un terzo il marchese di Monferrato, ottomila Lucca.
-Queste cifre possono designare l’importanza relativa
-de’ potentati italiani; ma ad Ancona, dove il papa avea
-dato la posta ai Crociati, poc’altri comparvero (1463) che
-Ungheresi e Veneziani, oltre una turba senza viveri nè
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-denaro nè robustezza. Quando gli astrologi assicurarono
-benefica la guardatura de’ pianeti, si salparono le
-ancore; ma la morte del papa<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a> e le sconcordie degli
-Italiani mandarono in fumo la spedizione, del resto
-troppo sproporzionata all’intento.
-</p>
-
-<p>
-Al nuovo pontefice Paolo II (1464) fu imposto dal conclave
-proseguisse l’impresa, consacrandovi il prodotto delle
-cave dell’allume. Paolo adunò a tal uopo un congresso
-di ambasciadori, e fu assegnata la quota di ciascuno;
-ma non venne pagata, e la lega svanì. Ben egli aveva
-accolto onorevolmente Scanderbeg, e regalatolo del
-cappello e dello stocco benedetti e di qualche denaro;
-ma non potè che raccomandarlo ai principi d’Europa.
-</p>
-
-<p>
-Del resto Venezia, considerando le colonie per nulla
-meglio che un campo da mietere, non aveva provveduto
-a incivilire e nazionalizzare la costa d’Istria e Dalmazia;
-non vedeva come salute pubblica la conservazione di
-esse, mostrando maggior ressa nell’acquisto d’una provincia
-sul continente italiano; e mentre accampava diciottomila
-cavalli pesanti contro il duca di Milano, non
-n’avea duemila nella Morea, a vicenda presa e devastata
-dai nostri e dai Turchi. Coriolano Cippico, che militava
-come sopracomito d’una galera veneta, e ci lasciò il
-racconto di que’ fatti con curiose particolarità, ci mostra
-come i Veneziani per antica consuetudine spartissero
-il bottino in modo, che al generale toccava il decimo,
-al provveditore e agli uffiziali una quota proporzionale
-al grado, il resto ai soldati, lo che doveva incoraggiare
-al saccheggio: ai soldati retribuivansi tre ducati per
-ogni prigioniero che menassero al campo, e ogni tratto
-si vedeva vendere uomini e donne turchi all’incanto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-</p>
-
-<p>
-Maometto, stanco di veder guastate terre che riguardava
-come sue, giurò di «mandar Venezia a consumare
-il suo sposalizio in fondo al mare» e bandita la
-guerra sacra, diceva: — Giuro a Dio, unico, creatore
-d’ogni cosa, non accorderò sonno ai miei occhi, non
-mangerò leccornie, non cercherò cosa gradevole, non
-toccherò cosa bella, non volgerò la fronte da occidente
-a oriente, se non rovescio e non fo calpestare da’ miei
-cavalli gli Dei di legno, di rame, d’argento, d’oro o di
-pittura, che i discepoli di Cristo sonosi fatti colle loro
-mani; giuro che sterminerò la loro iniquità dalla faccia
-della terra, da levante a ponente, per la gloria del Dio
-Sabaoth e del gran profeta Maometto. Fo dunque sapere
-a tutti i circoncisi miei sudditi, credenti in Maometto,
-ai loro capi ed ausiliari, s’essi hanno timor di
-Dio creatore del cielo e della terra, e timore dell’invincibile
-mia potenza, che tutti devano recarsi presso
-di me».
-</p>
-
-<p>
-Con quattrocento navi e trecentomila guerrieri, se il
-terrore non esagerò il numero, si difilò sovra Negroponte:
-sbarcatovi, cinque volte assalì la città (1470 giugno), e Nicolò
-Canale ammiraglio veneto non seppe abbastanza coraggiosamente
-adoperare le sue artiglierie, che furono
-guardate come un prodigio perchè tiravano cinquantacinque
-colpi il giorno; e fu presa sotto i suoi occhi la
-città, benchè ostinatissima si difendesse via per via.
-Maometto aveva intimato la morte a chi risparmiasse
-un solo prigioniero maggiore di vent’anni; e Paolo
-Erizzo, che tenea la cittadella, essendosi reso a patto
-d’aver <i>salva la testa</i>, Maometto gliela salvò, ma lo
-fece segare in due per espiazione dei settantasettemila
-Turchi che si dissero periti sotto l’eroica città. La flotta
-veneta, la migliore del mondo, aveva a fare colla turca,
-inesperta, e composta di legni mercantili e di trasporto;
-onde fu attribuito all’indecisione del Canale se non
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-si trionfò, ed egli fu mandato in catene a Venezia,
-surrogandogli Piero Mocenigo.
-</p>
-
-<p>
-Quale spavento per l’Europa al conoscere che i Turchi
-erano formidabili anche per mare, e che potevano
-portar le loro minaccie a tutti i porti! Paolo II, secondato
-dal cardinale Bessarione e da altri greci profughi,
-eccitava gl’italiani a sospendere le guerricciuole e rinnovare
-la lega italiana del 1454, che di fatto si combinò (1470)
-tra Ferdinando di Napoli più da vicino minacciato,
-re Giovanni di Aragona e di Sicilia, le repubbliche di
-Venezia e Firenze, i duchi di Milano, di Modena, di
-Ferrara, i marchesi di Mantova e Monferrato, il duca
-di Savoja, e le repubbliche di Siena e Lucca: si spedì
-ad eccitare la Germania, e Paolo Morosini ambasciator
-veneto a quella dieta diceva: — Van più di due secoli
-che la nostra repubblica cominciò guerra coi Turchi; e
-sola, massimamente in questi ultimi anni, ne sostenne
-gli attacchi continui, nella Tracia e nell’Illiria. Comune
-è il pericolo della cristianità, eppure i Veneziani sono
-lasciati soli a difenderla: il sonno dell’Europa aggiunge
-baldanza ai nemici, che già si avanzano per l’Illiria,
-per la Pannonia e per l’Adriatico, togliendo sicurezza
-per terra e per mare. La speranza non è ancora perduta
-se i Tedeschi spieghino quel valore, con cui si
-vuol difendere la casa e la libertà. Venezia ha numerosa
-flotta, guarnigioni sulle coste, e venticinquemila combattenti;
-re Ferdinando aggiungerà ventitre galee alle
-sessanta nostre; colle altre d’Italia si sommerà alle
-cento; sicchè, dove i Tedeschi ci assecondino per terra,
-non tarderà ad essere assicurata tutta la cristianità»<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a>.
-Altrettanto insistevano gli Ungheresi, sentinella morta
-sull’altro adito de’ Turchi; ma l’imperatore era inerte,
-la Germania pigra, l’Ungheria stessa e la Boemia straziavansi
-nella guerra eccitata per le eresie degli Ussiti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-</p>
-
-<p>
-Piero Mocenigo manda a ferro e fuoco le isole e le
-coste, quantunque abitate le più da Cristiani, promettendo
-un ducato ogni testa di Musulmano portatagli;
-barbaro contro barbari. Con lui presero poi conserva
-navi napoletane e papaline, e seguitarono i guasti senza
-alcun onore di vittoria; mentre in ricambio i Turchi
-desolavano i possedimenti veneziani. Hassan Bey rinnegato,
-bascià della Bosnia, chiamato in Croazia (1469) con
-ventimila cavalli, dopo menato stragi, passò per la Carniola,
-scese le Alpi che ivi si dibassano, e spinse i suoi
-cavalli fino a tre miglia da Udine. Fortunatamente vi si
-arrestò dopo uccisi diciottomila Cristiani, menatine quindicimila
-in ischiavitù, distrutte le messi e gli armenti.
-</p>
-
-<p>
-Un giovane siciliano, di nome Antonio, rimasto prigione
-a Costantinopoli, riuscì a fuggire, e presentatosi al
-Mocenigo, gli chiese una barca, promettendo incendiare
-la flotta turca. L’ebbe con coraggiosi compagni, e fingendo
-vender frutte, si pose fra i Turchi, e riuscì a
-mettere il fuoco ai bastimenti; ma s’apprese anche alla
-sua barca, e nel fuggire fu côlto. Il gransignore volle
-vederlo, e lo interrogò se avesse ricevuto qualche ingiuria
-di cui vendicarsi. — Nessuna; ma voi siete nemici
-implacabili della cristianità, e me fortunato se
-avessi potuto bruciar te come bruciai la tua flotta».
-Il granturco lo fece segare co’ suoi compagni, e Venezia
-beneficò la famiglia di esso<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Sisto IV riuscì ancora a raccozzare alcune forze (1471), e
-cercando l’amicizia de’ nemici de’ Turchi, ad Ussum
-Cassan scià di Persia inviò frà Luigi di Bologna e Catarino
-Zeno, poi Giosafat Barbaro con vasi d’oro e stoffe
-di Verona, il quale però non giunse alla sua destinazione,
-per quanto pressato dal senato veneto. Cassan,
-stretta alleanza coi nostri, aveva di fatto (1473) invasa l’Asia
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-Minore; ma sfornito d’artiglierie e di coraggio, presto
-si ritirò, lasciando quasi soli al tremendo ballo i Veneziani,
-che non mancarono alla riputazione di valore.
-All’assedio di Scutari, Antonio Loredano si ostina alla
-difesa, e perchè popolo e soldati chiedeano di rendersi
-per mancanza di cibo, si presenta collo stendardo di
-san Marco, e snudando il petto, — Ecco le mie carni;
-saziatevene, ma continuate a resistere». Emulava così
-Paolo Erizzo e sua figlia Anna, Alvise, Calbo, Giovanni
-Bondumier, caduti martiri della religione e della patria
-a Negroponte. Pure i Turchi prevalgono, e recano fra
-l’Isonzo e il Tagliamento la schiavitù e la peste, diffusasi
-anche in Venezia, ove mieteva da cencinquanta
-persone al giorno, e il maggior consiglio si trovò ridotto
-a non più di ottanta persone.
-</p>
-
-<p>
-Consunta da quindici anni di fierissima guerra, Venezia
-chiede pace (1479), cedendo Scutari, Stalimene e quanto
-aveva in quella campagna acquistato, conservando giurisdizione
-propria in Costantinopoli, ed esenzione dalle
-dogane pel compenso di annui diecimila ducati. La
-cristianità, accidiosa a soccorrere i Veneziani, sentendo
-crescere la minaccia, gli accusa di viltà; il papa protesta
-che non aveano diritto di terminar la guerra senza
-assenso di lui, e li pronunzia disertori; i principotti
-italiani s’ingelosiscono che la Signoria, la quale fin là
-gli aveva carezzati, potesse voltare contro di loro le
-armi.
-</p>
-
-<p>
-Posto avanzato contro i Turchi stavano ancora i cavalieri
-di San Giovanni, che, dopo perduta Acri, s’erano
-assisi a Cipro, dominata dai Lusignano, continuando da
-Limisco ad osteggiare gl’infedeli: poi turbati da continue
-risse coi Lusignano, si prefissero (1310) conquistare l’isola di
-Rodi. Sorpresala colle isole adjacenti, vi si fortificarono,
-di là bersagliando i Turchi, e dando mano a chiunque
-gli osteggiasse. Indarno Orcano l’aveva assediata nel
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-1315; anzi i cavalieri presero Smirne, e la tennero dal
-1343 al 1401, quando gliela strappò Tamerlano.
-</p>
-
-<p>
-Sentì Maometto l’importanza di Rodi, e appena ebbe
-disimpacciata la flotta, la drizzò contro quell’isola.
-Giambattista Orsini, che n’era il trentesimottavo granmaestro,
-appellò i cavalieri d’ogni lingua, e si fece conferire
-assoluto arbitrio sopra i beni e le forze quanto
-la guerra durasse. Mescid bascià approdò (1480) con censessanta
-vascelli, e sbarcati centomila uomini, assediò la
-capitale; ma i cavalieri si valsero dell’opportunità e
-della forza dei posti con sì prodigioso valore, che i
-Turchi dovettero levarsene d’attorno dopo ottantanove
-giorni, lasciando novemila morti, e recando tredicimila
-feriti.
-</p>
-
-<p>
-Diremo altrove come l’infame politica de’ tempi nuovi
-inducesse lo Sforza, il re di Napoli, Firenze e il papa
-a istigare il granturco contro Venezia. Nella guerra
-derivatane, Anton Grimani che comandava restò vinto,
-e Venezia lo punì col mandarlo a confine: suo figlio
-volle ostentare amor di patria collo stringergli egli
-stesso i ceppi ai piedi. Allora fu che tutte le città a
-mare della Morea furono sottratte a Venezia, la quale
-aveva cessato di ricuperar nella pace quel che avesse
-perduto nelle battaglie.
-</p>
-
-<p>
-Essa a vicenda, insidiata dal re di Napoli (agosto), istigò
-contro di lui Maometto: sicchè dalla Vallona i Turchi
-sbarcati in Italia, assalsero Otranto, che magnanimamente
-si difese; e prevalsi mercè dell’artiglieria, vi
-uccisero l’arcivescovo Stefano Pendinello, i canonici, i
-frati, violarono le monache, scannarono diecimila abitanti,
-altrettanti ne mandarono schiavi, e vi posero forte
-guarnigione.
-</p>
-
-<p>
-La nequizia de’ principi può sin diminuire l’orrore
-pel nome turco, e Maometto faceva proclamare terrebbe
-esenti per dieci anni da ogni imposta i paesi italiani
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-che gli si dessero, dappoi non li taglierebbe che d’una
-piastra per testa, e libertà di seguir le leggi e la religione
-propria come facevasi a Costantinopoli. In fatto
-millecinquecento soldati di re Ferdinando disertarono
-al granturco, e si temè che Terra d’Otranto si desse tutta
-a lui; onde l’Italia fu invasa da sgomento, e il papa si
-preparava a fuggire oltremonte. Se non che il nembo
-parve dissipato allorchè Maometto a cinquantun anno
-morì (1481), ripetendo: — Io voleva conquistar Rodi e l’Italia».
-Quanto egli fosse temuto l’attestò il tripudio de’
-Cristiani; papa Sisto IV ordinò di far festa come in domenica,
-e solennizzare tre giorni fra continui spari
-d’artiglieria, e processioni generali.
-</p>
-
-<p>
-Buono per l’Italia che l’impeto de’ Turchi non tardò
-a rallentarsi, e il despotismo non meno che il clima svigorì
-una potenza, che nuova barbarie minacciava, e
-che mescolatasi all’Europa con trattati e ambascerie,
-intepidiva quel suo fiero e micidiale fanatismo.
-</p>
-
-<p>
-Venezia di tante perdite si rifece coll’acquisto di
-Cipro. Questa grande isola era stata, in compenso del
-regno di Gerusalemme, attribuita da Riccardo Cuor di
-Leone a Guido di Lusignano, nella cui stirpe rimase
-fino alla morte dell’effeminato Giano III (1458). Jacopo Lusignano,
-suo figlio naturale, pretendeva ereditarla a scapito
-della sorella Carlotta, maritata in Luigi di Savoja.
-Occupatala, n’ebbe investitura (1464) dal soldano d’Egitto, di
-cui l’isola riconosceasi vassalla; e prese anche Famagosta,
-da novant’anni possesso de’ Genovesi. Carlotta
-fu costretta fuggire, ed intraprendente quant’era dappoco
-il marito, impegnò a favor suo il papa, i cavalieri
-di Rodi, i Genovesi: ma i Veneziani si chiarirono pel
-bastardo, e poichè questo mancava di denari onde mantenervisi,
-Marco Cornaro veneziano suo banchiere gli
-esibì centomila zecchini se volesse sposare la bella sua
-nipote Caterina. Acciocchè non fosse disuguale al regio
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-parentado, questa fu adottata dalla repubblica di San
-Marco; e il titolo di vana onorificenza divenne occasione
-d’importantissimo acquisto. Perocchè, ucciso Jacopo (1475) e
-tempestando l’isola fra i pretendenti, la Repubblica si
-dichiarò erede eventuale di Caterina, come la madre
-della figlia; e col pretesto delle minaccie dei Turchi la
-indusse o costrinse a rinunziare Cipro (1489). Caterina ricevette
-in cambio il castello di Asolo nel Trevisano, dove
-conservando il titolo, e circondandosi di lusso, di piaceri
-e di lettere, poco ebbe a ribramare il regno perduto.
-Venezia ottenne così quell’isola, ubertosissima di
-vini, di biade, d’olj, di rame; e a chi parlasse male di
-questo fatto, intimò sarebbe annegato. I duchi di Savoja,
-a cui Carlotta avea rinunziato i suoi diritti, protestarono,
-ma non poterono che aggiungere ai loro
-titoli quello di re di Cipro, che poi divisero innocentemente
-cogli eredi di Venezia.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap119-11">CAPITOLO CXIX.
-<span class="smaller">Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Torniamo ora gli sguardi verso l’Italia, dove la
-prisca infinità di Stati è ormai riunita attorno a quattro
-principali, Lombardia, Toscana, Stato Pontifizio, Napoli;
-e diciamo di ciascuno in particolare, dopo esaminatene
-le vicende comuni.
-</p>
-
-<p>
-Di Firenze l’età poetica può ritenersi chiusa colla
-morìa del 1348, che vi uccise centomila uomini, alterò
-i costumi per le fortune accumulate, e rincarì i
-salarj degli operaj. Nel 1352 una banda di ladri, fingendo
-dar serenate a questa o a quella signora, pregava
-i viandanti non passassero da quella via per non
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-disturbare i suoni e gli amori, e intanto svaligiava le
-case. Scoperto l’artifizio, ed esserne capo Bordone Bordoni
-di famiglia primaria, il Filicaja confaloniere di
-giustizia volea prenderne severa punizione; ma i parenti
-interposero uffizj e denaro, tanto che i priori cassarono
-i collegi del gonfaloniere. Questo, risoluto a
-voler eseguita la legge, abdicossi della dignità e partì
-per Siena; ma il popolo cominciò ad esclamare che
-non rendeasi più giustizia, e tumultuò a segno che fu
-forza richiamare il Filicaja, il quale fece troncar la
-testa al Bordoni, esigliò i complici, e al fine del magistero
-n’ebbe un premio di duemila fiorini.
-</p>
-
-<p>
-Firenze procurò riparare a que’ danni istituendo
-l’Università, e poco poi, ad istanza del Boccaccio, una
-cattedra di greco, la prima in Occidente; potè assodare
-il suo dominio su Prato; occupò Volterra, sottraendola
-alla tirannia di Bocchino Belforti. La sua sommissione
-a Carlo IV non ha altro valore, se non dei
-centomila fiorini con cui ne comprò la conferma de’
-suoi privilegi; e nelle altre città non valse che a rinfocare
-le dissensioni interne, le quali al partire di Carlo
-proruppero, peggiorate dalle bande mercenarie, delle
-quali vedemmo come trionfasse.
-</p>
-
-<p>
-Tardi era sorta a libertà, e solo al chinare degli
-Svevi e col favore dei papi; onde non soffrì i primi
-trambusti di quella gran rivoluzione nè la lotta col Barbarossa,
-e potè far senno dell’altrui esperienza; per
-forza o per trattati ridusse alle leggi comuni i signori
-vicini, e si spiegò francamente papale; e con tanti magistrati,
-tutti elettivi e di brevissima durata, otteneva
-che molti s’interessassero alle fortune patrie, e negli
-uffizj acquistassero pratica, franchezza, largo e generoso
-vedere.
-</p>
-
-<p>
-Le proposizioni erano dalla Signoria presentate al
-consiglio del <i>popolo grasso</i> di cento persone; indi passavano
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-all’assemblea, composta del consiglio delle capitudini
-delle arti maggiori, e di quello di credenza
-d’ottanta cittadini; in terza istanza venivasi al consiglio
-del podestà, di ottanta membri, fra nobili e plebei:
-dopo di che l’assemblea generale di tutti questi consigli
-votava, e attribuiva forza di legge all’ordinanza. Tale
-forma variò nelle particolarità, ma durò nel proposito
-di togliere la decisione suprema al potere esecutivo,
-per affidarla a consigli popolari, ne’ quali erano rappresentate
-tutte le forze vive della nazione, impedendo
-la preponderanza d’un consiglio col riservare la definitiva
-risoluzione all’assemblea generale.
-</p>
-
-<p>
-Dappertutto le prime risoluzioni comunali furono piuttosto
-dovute ai nobili, vale a dire della stirpe degli
-antichi conquistatori e possidenti, che formatisi in comune,
-si volevano assicurare e governare. Ma ben presto
-le società degli artigiani e i piccoli possidenti fecero
-dare alla rivoluzione un secondo passo, eguagliandosi
-alle antiche famiglie nella giustizia, negli uffizi, nei pesi.
-In qualche luogo anzi vi si sovrapposero, e questo fu
-il caso di Firenze, dove i nobili rimanevano esclusi da
-ogni impiego, le sole arti partecipandovi; sicchè le famiglie
-che vi aspirassero, dovevano farsi scrivere sulla
-matricola di qualche maestranza. Dante apparteneva
-a quella degli speziali, e non rifina di declamare contro
-i villani d’Aguglione, di Campi, di Certaldo, che erano
-venuti a Firenze a imbastardire la semenza santa degli
-originarj, discendenti dai Romani. Però nelle genti
-nuove non tardò a formarsi un’aristocrazia, le arti maggiori
-e le minori erano gerarchicamente disposte, e
-tutt’occhi ad escludere chi non fosse del loro numero.
-</p>
-
-<p>
-Giano Della Bella represse viepiù i nobili col sancire
-non fosse eleggibile se non chi realmente esercitava un
-arte: poi la potenza collettiva de’ priori fu personificata
-nel gonfaloniere di giustizia, che doveva presedere alla
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-esecuzione di questa, eletto a due gradi dal popolo, e
-con una guardia di mille, poi fin quattromila uomini,
-talchè ben presto divenne il primo magistrato, e dirigeva
-a suo senno gli affari pubblici.
-</p>
-
-<p>
-A tutti i cittadini non nobili erano aperte le cariche;
-ma era <i>divieto</i> che due dello stesso casato sedessero
-contemporaneamente nelle primarie. Le antiche famiglie
-essendo allargate in più rami, e gelose di conservare i
-nomi tradizionali, cadevano spesso in questa esclusione;
-quasi mai le nuove, le quali non conosceano tampoco
-due generazioni di loro parenti: sicchè il governo veniva
-a persone sempre meno esperte degli affari, e ai
-Guelfi di vecchio ceppo surrogavansi Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Come contro gli antichi il <i>divieto</i>, così contro i nuovi
-militava un altro statuto. Fin dal 1266 erasi cominciata
-l’amministrazione della massa guelfa, con capitani di
-parte, due plebei e due cavalieri, rinnovati ogni bimestre,
-e in continuo aumento di potenza e d’arroganza.
-Nel 1358 Uguccione de’ Ricci, di famiglia emula degli
-Albizzi, fece stanziare che, se un Ghibellino o non vero
-Guelfo occupasse un impiego pubblico, incorresse una
-pena, che poteva essere dalle cinquecento lire fin alla
-vita, in arbitrio del podestà, e sovra deposizione di sei
-testimonj, approvati dai capitani di parte e dai consoli
-delle arti. Questa legge, nuovo testimonio dell’esorbitare
-delle fazioni, tendeva ad escludere chi possedesse meno
-di cinquecento lire, e chiunque sgradisse ai capitani
-della massa guelfa. I priori se ne avvidero e la tagliarono,
-pure modificata passò; ai capitani ne furono aggiunti
-due artigiani, e portati a ventiquattro i testimonj
-richiesti; ai due posti de’ cavalieri potevano aspirare
-anche i nobili; e qualora uno, eletto ad un seggio della
-Signoria, fosse sospetto di pensare ghibellino, verrebbe
-ammonito acciocchè non si esponesse al pericolo della
-multa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-</p>
-
-<p>
-Era un sindacato terribile pei magistrati, e riduceva
-le elezioni in mano de’ capitani di parte. Questa specie
-di terroristi esercitavano con prepotenza l’infausto diritto
-di molestare i concittadini; cercavano si votasse
-a palla scoperta per influire più efficacemente; e una
-volta non riuscendo bastanti i voti, Bettino Ricasoli fece
-serrare il palagio, e nessuno n’uscirebbe sinchè, al dispetto
-di Dio e degli uomini, due non fossero dichiarati
-ghibellini; e da ventidue volte uscito vano il partito,
-finalmente per istracchezza fu votata l’ammonizione.
-Non era più l’antico fervore per la Chiesa e per l’Impero,
-ma libidine di occupare gl’impieghi, di escluderne
-i concorrenti, di far vendette<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>; e di tal passo
-viepiù restringevasi l’oligarchia. Questa, comunque ella
-fosse salita al potere, vi mostrava abilità e vigore; reprimeva
-i tentativi fatti per abbatterla, snidava gl’incomodi
-castellani, e cercava il prosperamento della
-patria.
-</p>
-
-<p>
-Ma potea sperarsi di dar consistenza a un governo,
-dove ogni impiego era attribuito dalla sorte, e rinnovato
-a brevi termini? Fuor di esso formavasi un partito
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-che realmente dirigeva la repubblica, e che divenuto
-robusto, ricorreva al suffragio universale onde farsi
-attribuire la <i>balìa</i>, cioè potere dittatorio, affidato a
-parecchi membri, i quali rinnovavano le borse ponendovi
-nomi della loro parzialità, esigliavano quei della
-contraria, estorcevano denari con mezzi arbitrarj, e
-cessando lasciavano la repubblica nella stessa altalena
-fra l’anarchia e l’arbitrio.
-</p>
-
-<p>
-Pertanto nella città, o a dir meglio ne’ varj Comuni
-che la componeano, distinti per fazione, per quartiere,
-per arte<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>, forma stabile di reggimento non aveasi;
-e, al contrario di Venezia, tutto parea costituito per
-fare che gl’individui campeggiassero, mentre illanguidivano
-i corpi dello Stato. Quindi il cadere dell’uno
-e succedere dell’altro cangiava i partiti e partoriva
-violazioni di diritti, ma non ne derivava mutamento
-alla costituzione, non alla politica esterna.
-</p>
-
-<p>
-Le case antiche mettevano ogni opera a mantenere
-la purezza guelfa coll’applicare severamente l’<i>ammonizione</i>,
-e così eliminare gli uomini nuovi, inclinando
-perciò all’aristocratico. Le nuove pretendeano si levasse
-la nominale distinzione di Guelfi e Ghibellini, spalleggiando
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-l’opinione democratica. Gli antichi plebei guelfi,
-che allora cominciavano a chiamarsi la nobiltà popolana,
-si schieravano cogli Albizzi; coi Ricci, intitolati
-ghibellini, parteggiavano gli Strozzi, gli Alberti e i Medici,
-famiglia salita in molta ricchezza col commercio,
-e disertata dai nobili popolani. Gli otto della guerra
-contro il papa addicevansi tutti a questa fazione come
-amici di Bernabò, e parvero farla sormontare col resistere
-a forza spiegata contro ai pontifizj. Gli Albizzi,
-forti dell’appoggio de’ vecchi nobili e di chiunque era
-geloso degli otto della guerra, si schermivano ammonendo,
-e rivalsero quando il popolo disse risolutamente: — Sono
-stanco dei sacrifizj e della scomunica».
-</p>
-
-<p>
-Gran colpo l’interdetto a città così fedele alla Chiesa:
-ma non che si esacerbassero, gli animi si compunsero;
-«in ogni chiesa si cantavano alla sera le laude, assistendovi
-uomini e femmine innumerevoli, e spendendovi
-senza misura in cera e libri e simili occorrenze; ogni
-giorno processione con reliquie e canti musici, e sin
-fanciulli di dieci anni entravano nelle compagnie di
-Battuti; e più di cinquemila n’andavano talora alle processioni,
-e fin ventimila nelle processioni generali; e
-quei che assistevano alle prediche, orazioni, digiuni,
-erano il cento per uno di quando si dicea la messa;
-molti giovani nobili si ritirarono in gran penitenze a
-Fiesole, e convertivano peccatrici, e benchè ricchi andavano
-ad accattare pei convertiti» (<span class="smcap">Marchionne</span>).
-Poi insultavano ai fautori della guerra, e quando scendevane
-alcuno dal palazzo «e’ gli dicevano: <i>Or va, fa
-guerra colla Chiesa</i>, picchiavangli le panche dietro,
-facevangli le corregge colla bocca, e così infino a casa
-lo rimetteano». A questo universale desiderio e alle
-parole di santa Caterina bisognò piegarsi, presentare
-le scuse al papa, e conchiudere pace. Allora i Ricci si
-trovano a terra, ed esclusi dalla Signoria per la legge
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-appunto che essi aveano provocata; onde diguazzarono
-fazioni, sinchè una balìa dei dieci della libertà per cinque
-anni vietò da ogni magistratura tre membri d’ambedue
-le famiglie.
-</p>
-
-<p>
-Così la tirannide degli oligarchi montava sempre
-più, blanditi da tutti quelli che li temeano; finchè si
-trovarono alcuni buoni, che opposero coraggiosa resistenza (1378).
-Silvestro di Alamanno de’ Medici, rettissimo
-cittadino, intraprendente, e caldo avversario de’ Ricci,
-essendo tratto gonfaloniere, fece istituire una balìa, la
-quale ammaccò l’autorità dei capitani di parte, e lenì la
-severità contro gli ammoniti e sospetti ed esuli ghibellini,
-lasciando loro speranza della patria e degl’impieghi.
-Il popolo, che affollato sulla piazza de’ Signori, avea
-fatto passare queste leggi contro la stabilita oligarchia,
-e saccomannato le case degli Albizzi, degli Strozzi, dei
-Buondelmonti e d’altri guelfi<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>, temette che allo sbollire
-cominciassero i castighi; onde, sollecitato dagli
-ammoniti, combinò leghe di tanta forza, che la Signoria
-non osò punire i capi faziosi, sebbene li conoscesse.
-</p>
-
-<p>
-Ma nella democrazia la classe inferiore tramesta
-sempre per collocarsi a fianco alla sovrastante, per
-vedersi poi ella stessa invidiata e battuta da una più
-bassa. Quando la città si divise in arti, giudicata ciascuna
-da proprj capi nelle controversie civili, alcuni
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-esercizj inferiori non formarono corpo, ma vennero
-considerati subalterni ad altri (1378); e per esempio, tintori,
-tessitori, cardatori di lana furono aggiunti ai drappieri.
-Ne nasceva che costoro, o quei che andavano a giornata,
-se si querelavano in giudizio, trovassero talvolta per
-giudici i proprj padroni od i consorti de’ loro avversarj.
-Perciò pieni di corruccio, e temendo d’essere
-puniti de’ passati subugli, i plebei o Ciompi cominciarono
-a brulicare, poi levandosi in armi (20 luglio), tolsero al
-bargello quelli che la Signoria avea fatti arrestare, incendiarono
-le case del gonfaloniere e de’ sospetti,
-piantarono forche sulle piazze per chi rubasse, conferirono
-la cavalleria a Silvestro de’ Medici e sessantaquattro
-altri loro prediletti, i quali per non essere
-uccisi accettarono l’onore pericoloso, sebbene d’alcuni
-fosse stata il giorno stesso bruciata la casa.
-</p>
-
-<p>
-Preso il gonfalone (luglio), e assediata la Signoria in palazzo,
-i Ciompi domandarono che i mestieri dipendenti dai
-fabbricanti di panno formassero corporazione distinta,
-con consoli proprj, e così i tintori, barbieri, farsettaj,
-cimatori, cappellaj, fabbricatori di pettini; si sprigionassero
-tutti i rei, salvo i traditori e i ribelli; nessuno
-del popolo minuto potesse per due anni chiamarsi in
-giudizio per debito al dissotto di cinquanta fiorini. Queste
-ed altre minori domande furono accettate, ma crescevano
-a misura che soddisfatte, tanto più che i priori
-non seppero altro partito che abdicare. I ciompi occupano
-le porte della città; Michele di Lando cardatore,
-che trovasi fra quella folla scalzo ed in farsetto<a class="tag" id="tag101" href="#note101">[101]</a>,
-vien tolto per capo, e affidatogli il gonfalone di giustizia,
-col quale esso li precede al palazzo pubblico, ed
-ivi dice alla ciurma: — Questo palazzo è vostro, vostra
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-questa città; esprimete la vostra volontà sovrana»; e
-la ciurma a piena gorgia — Sii tu gonfaloniere, riforma
-tu il governo».
-</p>
-
-<p>
-Onest’uomo, animoso al primo avventarsi e, ch’è più
-raro, temperante ed, assennato al regolare, il Lando
-pose termine alle prepotenze degli otto della guerra, e
-insieme colla fermezza attutì le sêtte, prevenne i saccheggi,
-rintegrò gli ammoniti, e bruciate le borse da
-cui doveano sortirsi le magistrature, nominò una nuova
-Signoria di tre dell’arti maggiori, tre delle minori, tre
-del popolo minuto, rinforzati con milleducento balestrieri.
-La plebe, come succede, si gridò tradita, corse
-al palazzo tumultuando, e stava tutto il dì in piazza
-armata e schiamazzante, chiedendo ora proscrizioni,
-ora divieti, ora concessioni, sollecitata da’ suoi piaggiatori
-che la chiamavano popolo di Dio: e il Lando
-spiegò una risolutezza che mancò spesso ad altri demagoghi,
-quella di negar soddisfazione a domande fatte a
-quel modo; e allorchè s’accinsero a far violenza, spiegò
-il gonfalone della giustizia, trasse la spada, ferì o
-disperse i ciompi, cacciò un migliajo de’ più pertinaci,
-di modo che la moltitudine trovossi imbrigliata dal
-proprio creato. Finito il suo tempo, egli depose la dignità,
-e fu per onoranza ricondotto a casa dai donzelli
-della Signoria con l’arme del popolo, targa, lancia e
-palafreno magnificamente bardato.
-</p>
-
-<p>
-La taglia guelfa si trovò allora soccombente (1379); e i
-Ghibellini fattisi capipopolo, continuavano i sospetti e
-le provvigioni contro i ricchi e potenti, e moltissimi giudicarono
-ad esiglio o a morte. Giovanni Aouto mandò
-esibire rivelerebbe una trama ordita con Carlo di
-Durazzo contro la Repubblica, se questa gli desse cinquantamila
-fiorini e di poter salvare sei persone da
-morte, o ventimila fiorini se le bastasse saper il trattato,
-non gli uomini. Di fatto si venne in chiaro della cosa,
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-e il popolo a furia voleva giustizia, o se la farebbe col
-ferro e col fuoco; e per quanto gli uffiziali ripetessero
-non trovare titoli bastanti contro gli accusati, fu forza
-uccidere Piero degli Albizzi, lungamente capo della
-repubblica, e i primarj suoi fautori; molti popolani
-furono degradati fra i nobili; e preso al soldo l’Acuto,
-gli esagerati dominarono, facendo insulse e impertinenti
-provvigioni, non solo contro i magnati, ma fin
-contro gli artieri meno infimi; profondeansi adulazioni
-al popolo di Dio, e v’avea cavalieri che faceansi tagliare
-gli sproni per ricevere di nuovo il cavalierato dal basso
-popolo. Intanto altri ciompi fuorusciti rinterzavano
-congiure, crescevano assassinj; e la plebe insospettita
-attribuiva poteri smisurati agli uffiziali, chiedea nuovi
-rigori fin contro tutti i parenti e consorti degli sbanditi,
-sempre dubitando perdere ciò che male aveva acquistato.
-</p>
-
-<p>
-Alle maestranze venne lezzo di tale disonesta tirannia (1382)
-e degli <i>scorridori</i> o spioni di cui si circondavano i
-triumviri de’ ciompi; e in occasione che voleano di
-nuovo violentar la giustizia, i moderati presero il sopravvento,
-il vulgo applaudì alla morte di quelli, dei
-quali aveva applaudito le uccisioni, e con bestialità li
-straziò, gridando <i>Vivano i Guelfi e le arti</i>; e non
-senza sanguinose baruffe si formò la Signoria (1382 21 genn.), componendola
-di quattro delle arti maggiori, cinque delle
-minori, esclusi nuovamente i ciompi, e abolite le tribù
-del popolo<a class="tag" id="tag102" href="#note102">[102]</a>. Maso degli Albizzi, tirata a sè la podestà,
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-ruppe le leggi originate da quel tumulto, confinò
-i capipopolo, e, ciò che parve indegnissimo, fin il savio
-Lando, di cui era merito se tutti non erano stati uccisi;
-e fermò in istato i grandi, che vi durarono per trentacinque
-anni. I migliori uomini di Stato erano morti
-od esuli; gli altri, come avviene dopo le paure d’una
-rivoluzione, si stringeano attorno a Maso, vegliando gli
-umori opposti che contrariavano senza tregua e non
-senza tempesta. Il tumulto de’ ciompi aveva disgustato
-della demagogia, e fatto luogo alla riazione secondo il
-solito, ove la nobiltà tornava a soperchiare, giovandosi
-pure del sentito bisogno di riposo.
-</p>
-
-<p>
-Firenze, posta nel centro d’Italia e perciò tirata in
-tutte le vicende di essa, si prefiggeva di tenere la bilancia
-fra i varj Stati, sempre nell’intento di consolidarne
-la libertà, e d’impedire una monarchia universale,
-che temeasi allora per l’Italia quanto di poi per tutta
-l’Europa. Sopratutto stava in occhi contro l’ingrandire
-di Gian Galeazzo a settentrione, e di Ladislao di Napoli,
-a mezzodì, perfido quanto i Visconti, e valoroso come
-essi non erano: e in realtà la padronanza dell’Italia non
-rimaneva in mano de’ forti, com’essi presumeano, ma
-de’ Fiorentini, che coll’accorgimento sopravvegliavano
-gli andamenti generali, e alla prepotenza d’un robusto
-opponeano la lega dei deboli.
-</p>
-
-<p>
-Ebbe essa modo d’insignorirsi d’Arezzo (1398) per compra;
-ma a cagione di Montepulciano venuta in dissidio con
-Siena, questa cercò l’amicizia di Gian Galeazzo, che
-subillato dai fuorusciti onde la Lombardia formicolava,
-si obbligò a mantenere in Toscana settecento lancie per
-servigio de’ Senesi. Firenze ebbe dunque lungamente a
-temere che Gian Galeazzo s’impadronisse di Pisa e Siena
-e la togliesse in mezzo, nè dall’insidie or aperte or celate
-di lui la liberò che la costui morte. Firenze ne
-mena tripudio cantando col salmista, <i>Il laccio è rotto,
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-e noi siam fatti liberi</i>; e più non temendo per la
-propria libertà, e gloriosa di essere sfuggita alle insidie
-del cardinale Albornoz, punisce i feudatarj dell’Appennino
-che a questo aveano dato favore.
-</p>
-
-<p>
-Costoro, da capitani dei marchesi antichi, s’erano
-mutati in signori indipendenti, avanzo delle istituzioni
-germaniche; e fin allora si erano sostenuti col dare
-ricovero ed ajuto a’ fuorusciti: ma più nol poteano
-dacchè gl’imperatori trascuravano l’Italia, e l’elemento
-popolare e cittadino prevaleva. Principale tra essi era
-Pier Saccone de’ Tarlati, signore della rôcca di Pietramala,
-poggiata nell’Appennino che separa la Toscana
-dalla Romagna nel val d’Arno aretino, a cavaliere
-dell’antica strada mulattiera fra Arezzo ed Anghiari.
-Caldo ghibellino, sottopose i vicini signori, gli Ubertini,
-i conti di Montedoglio e Montefeltro, e i figli di Uguccione
-della Faggiuola spossessati di Massa Trabaria
-(t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 428). Suo fratello Guido era stato fatto signore
-d’Arezzo, di cui era vescovo<a class="tag" id="tag103" href="#note103">[103]</a>, e nel dominio gli successe
-Piero, che teneva pure Bibbiena, Castello, Borgo
-Sansepolcro e tutta la val Tiberina. Dappoi fu costretto
-cedere per dieci anni Arezzo ai Fiorentini con tutto il
-contado: ma quando le città si rivoltarono a Firenze
-dopo la cacciata del duca d’Atene, i Tarlati ne presero
-occasione di ripigliare i loro castelli. Piero nella guerra
-de’ Visconti sempre parteggiò contro Firenze, sinchè la
-pace di Sarzana (1353) lo ridusse in quiete.
-</p>
-
-<p>
-Stando Carlo IV a Pisa, egli di novantacinque anni
-andò a riverirlo col vescovo d’Arezzo, Neri della Faggiuola,
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-i Pazzi di Valdarno, e chiedeva esser ripristinato
-nell’antica signoria; ma non l’ottenne. Sino ai novantasei
-però stette capo de’ Ghibellini e formidabile a
-Firenze; poi venuto all’agonia, e persuaso che i suoi
-nemici non prenderebbero guardia contro di un moribondo,
-mandò per sorprendere il castello degli Ubertini;
-ma i suoi furono respinti, e con tal dispiacere egli
-morì (1356), e colla certezza che nessuno sosterrebbe la grandigia
-del suo casato. In fatti suo figlio fu ben presto
-assediato nella paterna rôcca, e costretto rassegnarla
-ai Fiorentini, che la demolirono. Anche i conti della
-Gherardesca si sommisero a Firenze, che li costituì
-vicarj di Bibbona e di quattordici castelli della Maremma:
-i Gambacorti le soggettarono Bièntina, Cerbaja
-i conti Alberti di Mangona, gli Spinetta Fivizzano:
-i Ricàsoli raccomandarono il castello di Brolio; i conti
-di Battifolle vendettero quei di Belforte e di Gattaja;
-altrettanto fecero i conti di Dovadola; il conte Jano
-degli Alberti dovè cedere i suoi in Mugello.
-</p>
-
-<p>
-Gli Ubaldini erano poderosi di terre e rôcche nella
-val del Senio e nel vicariato di Firenzuola, talchè questo
-chiamavasi l’alpe degli Ubaldini, donde più volte erano
-discesi a danno di Firenze. Nel 1362 Giovachino, signore
-di castel Pagano in val del Senio, morendo per ferita
-avuta dal fratello Ottaviano, a costui danno chiamava
-erede il comune di Firenze, il quale di quei dominj,
-contenenti dodici castelli, costituì il <i>podere</i> fiorentino (1372),
-estendendolo nelle vicinanze, sinchè la schiatta degli
-Ubaldini, tante volte rivoltatasi contro il comune di
-Firenze, restò annichilita. Sopra undici di loro fu messa
-la taglia di mille fiorini d’oro, chi li desse vivi o morti;
-e nominati alcuni <i>uffiziali delle alpi</i> di Firenze, che
-munissero da quel lato i luoghi della Repubblica: sicchè
-gli Ubaldini rinunziarono per mille fiorini quattordici
-castelli che tuttora occupavano; Tommaso da
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-Treviso capitano del popolo ne menò trionfo, e gli
-Ubaldini furono sciolti dal bando, restituiti in possesso
-de’ beni allodiali nel Mugello, e dichiarati cittadini
-popolani<a class="tag" id="tag104" href="#note104">[104]</a>. I Santafiora furono sottomessi da Siena,
-il castel della Sambuca dai Pistojesi, concentrandosi
-così più sempre i poteri nelle città, mentre sopra
-queste vigoreggiava Firenze, che ebbe sottoposto (1390) anche
-Montepulciano. Vero è che la tributò la peste rinnovatasi
-nel 1400<a class="tag" id="tag105" href="#note105">[105]</a>; ma rifattasene, comprò Cortona per
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-sessantamila fiorini, e tolse i possessi ai conti Guido di
-Dovadola e al conte di Poppi.
-</p>
-
-<p>
-I Genovesi, dolenti che Venezia acquistando Padova
-si fosse tanto rinforzata in terraferma, pensavano ad
-elevarle qualche avversario, e non videro miglior modo
-che ingrandire Firenze col farle acquistar Pisa, a patto
-che guerreggiasse i Veneziani. Indussero dunque Gabriele
-Maria Visconti a vendere loro quella città e Ripafratta
-per ducentoseimila fiorini: ma i Pisani, indignati
-di vedersi mercatare come armento, si ricordano dell’antica
-nobiltà, afferrano le armi (1405) e resistono, diretti da
-Giovanni Gambacorti. I Fiorentini «scandolezzati dell’alterigia
-pisana» non vogliono sentire nè messi nè
-patti; e risoluti ad ogni estremo per domarli, destinano
-dieci sopra quella guerra fratricida. I Pisani li respinsero
-intrepidi; ricomposero le inestinguibili nimicizie
-de’ Raspanti e Bergolini, prendendo insieme l’eucaristia
-e stringendo parentadi; e benchè, dispersa da una burrasca
-la flotta che recava grani di Sicilia, fossero ridotti
-i priori a mangiare pan di linseme, e il popolo fin la
-gramigna delle strade, pur resistono allo Sforza, a
-Tartaglia, a’ soldati, cui i Fiorentini prometteano, se
-scalassero le mura, paga doppia, mese compito, il saccheggio
-della città, centomila fiorini di mancia, ed armi
-e vesti a piacere. E quando, dopo lungo assedio e consumate
-innumere vite, il Gambacorti capitolò ricevendo
-denari, essi dovettero accettare la servitù, ma molti
-abbandonarono la patria per sempre.
-</p>
-
-<p>
-Gino Capponi, integerrimo petto, che in quella guerra
-si era segnalato come commissario de’ Fiorentini, e a
-gran fatica salvò Pisa dal saccheggio promesso ai venturieri,
-nominatone governatore, cercò mitigare gli
-ordini del Comune vincitore e i fremiti del vinto; ma
-non potè risparmiare il rigore. Quanto dovettero indispettirsi
-i Pisani vedendo togliersi fin la testa di san
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-Rossore, «come quella città, priva della libertà e degli
-antichi onori, fosse ancora da’ suoi santi abbandonata,
-e all’incontro Firenze di pompa, di gloria, di ricchezze
-e di benedizione si riempisse»<a class="tag" id="tag106" href="#note106">[106]</a>. Alla prima occasione,
-tentarono darsi ai nemici di Firenze, la quale
-allora meditò repressioni atroci, chiamare a sè i nobili
-e megliostanti, cacciare tutti i cittadini dai quindici ai
-sessant’anni, e altri spietati ordini, i quali abbiamo ragione
-a credere non fossero messi ad effetto. Anzi troviamo
-che la vincitrice mandò viveri in copia, poi si
-industriò, per ravvivar quella che tanto avea faticato a
-spegnere; scrisse lettere, istruì ambasciadori, trattò
-con principi, affinchè i tanti fuorusciti ripatriassero;
-per venti anni francò d’ogni gravezza i forestieri che
-andassero abitarvi famigliarmente; privilegiò di esenzioni
-e consoli proprj i negozianti tedeschi di quattordici
-città perchè con quella mercanteggiassero<a class="tag" id="tag107" href="#note107">[107]</a>; vi
-stabilì l’Università con lauta provvisione e risedio magnifico.
-V’è però un bene che nessuna concessione
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-pareggia nè supplisce; ed è pena d’ogni conquistatore
-il vedersi obbligato a spendere nel ribadire le catene
-e nel fare cittadelle e fortini, il denaro che sarebbe
-richiesto al pubblico vantaggio.
-</p>
-
-<p>
-Il Capponi fu lieto di vedere assicurato quell’acquisto
-col comprare per centomila fiorini dai Genovesi il porto
-di Livorno, destinato all’importanza che Pisa perdeva,
-e ad aprire ai Fiorentini traffici lontani senza dipendere
-da Genova o da Venezia, e così colle private crescere
-la fortuna pubblica. Subito fu provvisto alla sicurezza di
-quel porto; vi si creò il magistrato de’ consoli di mare,
-che erano sei cittadini fiorentini, di cui quattro estraevansi
-dalle cinque arti maggiori, esclusa quella de’ giudici
-e notari, e due dalle minori, principalmente occupati
-a prosperare la mercatura e la marina, risolvere
-le cause marittime, e fabbricare una galea ogni sei
-mesi, col legname delle foreste delle Cerbaje, facendo
-franche d’ogni rappresaglia, anche in caso di guerra,
-le merci trasportate su quelle galee. Ad esempio di
-Venezia, si stabilì edificare due galee grosse e cinque
-sottili, da spedire ad Alessandria per spezierie ed altre
-merci, e per esercitare la gioventù in cotali esercizj:
-vi s’imbarcarono dodici giovani di buone famiglie, e
-dal soldano d’Egitto s’ottenne d’avervi console, chiesa,
-fondaco, bagno, statera, bastagi, scrivano proprio, per
-sicurezza dei mercanti e onorevolezza della nazione.
-Furono posti consoli in tutte le parti di fedeli ed infedeli;
-e ben tosto Firenze possedette navi per affrontar
-Genova e sconfiggerla.
-</p>
-
-<p>
-Internamente essa prosperava con ordinamenti buoni,
-cooperando ciascuno per l’accrescimento della città.
-Chiunque era ammesso cittadino, dovea fabbricare in
-Firenze una casa di almeno cento fiorini; le scritture
-pubbliche si ridussero ne’ libri delle Riformagioni; si
-convertì in legge la compilazione degli statuti; si migliorò la
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-moneta; si creò un nuovo Monte o vogliam
-dire debito pubblico; si formò il catasto col nome di
-ciascun cittadino, l’età, la professione, l’importare della
-sua fortuna in beni immobili e mobili d’ogni specie,
-tassando di mezzo fiorino ogni cento di capitale. Valutavasi
-che nelle vie attorno al Mercato nuovo fossero
-settantadue banchi, e girassero in contante due milioni
-di fiorini d’oro. Allora si cominciò l’artifizio dell’oro
-filato, si moltiplicò quello de’ drappi di seta, fu permesso
-a ciascuno d’introdurre foglia di gelsi e allevare filugelli
-senza gabella.
-</p>
-
-<p>
-Copiosissime ricchezze aveano accumulalo que’ magistrati
-mercanti, e l’eguaglianza repubblicana non lasciava
-sfoggiarle in inutile suntuosità, non grandi comitive di
-servi, non insultante sfarzo di carrozze; a piedi andavano
-anche le mogli de’ primaj; leggi suntuarie reprimevano
-il lusso, permettendo la magnificenza, sicchè
-spendeasi in palazzi, chiese, quadri e statue, o in trarre
-rarità e libri dal Levante. Si abbellì la città coll’opera
-dei primi artisti: fu provvisto che ciascun’arte collocasse
-lo stemma proprio e la statua del santo patrono in una
-delle nicchie esterne di Or San Michele, ove lavoravano
-di marmo e di bronzo Donatello, Andrea del Verrocchio,
-Baccio da Montelupo, Nanni del Bianco, Simone da Fiesole,
-Lorenzo Ghiberti: a questo l’arte di Calimala
-allogò le porte di bronzo di San Giovanni, dove riuscì sì
-famosamente, che fu dichiarato gonfaloniere, e infisso
-il gonfalone alla sua porta in Borgallegri; mentre chiamavasi
-Filippo Brunelleschi a voltare la cupola di Santa
-Reparata.
-</p>
-
-<p>
-Per rimovere il pericolo di correre strabocchevolmente
-a guerre, si prese che ad un consiglio di ducento,
-da rinnovarsi ogni sei mesi, fossero fatte le proposte
-della Signoria, poi passate al consiglio dei centrentuno,
-nel quale entravano la Signoria, i collegi, i capitani
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-guelfi, i dieci della libertà, i sei consiglieri della mercatanzia,
-i 21 consoli delle arti, e quarantotto altri cittadini;
-e se passassero, doveano ancora sottoporsi al
-consiglio del popolo, indi a quello del Comune; nè senza
-l’approvazione di questi quattro consigli veruna provvisione
-avea forza. Speravasi che il dover consultare tanti
-consigli indurrebbe alcuno a opporre il suo no; ma è
-sintomo di debolezza il non saper rimediare che col
-moltiplicare i conflitti.
-</p>
-
-<p>
-Insomma il governo rimaneva democratico, ingerendosi
-il popolo direttamente dell’amministrazione; gran
-numero di cittadini v’erano a vicenda chiamati, e i numerosi
-consigli pubblici erano scuola di scienza civile:
-che se talvolta le passioni popolari e le fazioni spingevano
-ad eccessi, in fondo la politica n’era generosa e
-insieme arguta a scorgere i sottofini de’ papi e degl’imperatori,
-savio ed abile il governo, civile la nazione, fida
-alla libertà anche a gravissimo costo, devota alla santa
-Sede, non però ciecamente. Poco valeva nelle armi,
-pure seppe opporre meglio che denaro alle bande di
-ventura, e le avrebbe distrutte se i principotti non avessero
-avuto troppo interesse a conservarle. Ella medesima
-se ne valse per fiaccare i Visconti, e qualvolta
-cadde sotto la tirannia d’un soldato o della plebaglia,
-non tardò a riscattarsene. Molti signori s’accomandavano
-a Firenze, come i nobili di Guggio pe’ loro castelli nell’Imolese,
-i marchesi di Lusuolo in Lunigiana, i Grimaldi
-di Monaco obbligandosi a servire in persona con
-una galea, Gian Luigi dal Fiesco conte di Lavagna promettendo
-condurre trenta lancie e ducento fanti, e ricevendo
-stipendj.
-</p>
-
-<p>
-Invece dei bassi o atroci delitti che insozzano le storie
-de’ principotti, Firenze ci tramandò i capolavori dell’arte
-e della parola, i quali ne eternano la lode; le
-abbondarono cronisti e storici, quali, dopo Dino e i
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-Villani, furono Matteo Palmieri, Paolo e Giovanni Morelli,
-Jacopo Salviati, Giannozzo Manetti, Amaretto Manelli,
-Domenico Buoninsegna, Buonaccorso Pitti, Gino e
-Neri Capponi, Simone della Tosa, Bernardo Rucellaj,
-Giovanni Cavalcanti, Lorenzo Buondelmonte, Filippo
-Rinuccini; e la superiorità di costoro, che non soltanto
-raccontano più colti e limpidi, ma giudicano ancora con
-grave assennatezza e spesso con elevazione, è argomento
-del quanto la nazione fosse superiore alle altre
-italiane nell’esaminare la politica, regolarla, sceverarla
-da passioni; e come allo spirito di parte sovrastasse
-sempre l’amore della patria.
-</p>
-
-<p>
-Nei trentacinque anni ch’e’ presedette allo Stato, Maso
-degli Albizzi mostrò abilità e coraggio; istrutto dall’avversa
-fortuna, non imbaldanzito dalla benigna, strettamente
-alleato coi Veneziani, tenne testa a Gian Galeazzo
-e a Ladislao, eppure non uscì mai dalla condizione di
-privato: ma poichè la parte trionfante non seppe astenersi
-nè dall’insolenza verso altrui, nè dalla sconcordia
-tra sè, al morir suo le case degli Alberti, Medici, Ricci,
-Strozzi, Cavicciuli, spesse volte d’uomini e di roba spogliate
-dai nobili popolani, e rimosse dai pubblici uffizj,
-rifecero testa, e colle ricchezze e coll’educazione mostravansi
-degne di amministrare lo Stato.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni di Bicci de’ Medici avea guadagnato largamente
-in traffici di banco, massime durante il concilio
-di Costanza servendone al papa, talchè avea credito
-illimitato e affari per tutto il mondo; pure sembrò tanto
-benigno e scarco d’ambizioni, che si cessò d’escluderlo
-dagl’impieghi. Coll’accomodare di denaro chi n’avesse
-bisogno, col blandire al popolo, col mostrarsi moderato
-fra le esuberanze de’ parteggianti, si procacciò stima
-nell’universale, e più quando, tumultuando il popolo
-per soverchie gravezze imposte a cagione della guerra
-con Filippo Visconti, e volendo i nobili popolani fiaccarlo
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-collo sminuire il numero delle arti minori, egli
-si oppose alla proposta, e sostenne l’alleggiamento e che
-si istituisse il catasto, benchè su lui più che su altri,
-come maggior possidente, dovesse gravare. Ricchi dunque
-e popolani studiavano trarlo dalla loro; e malgrado
-l’opposizione di Nicolò da Uzzano, amico di Maso e
-suo successore nel primato civile, il portarono (1421) al posto
-di gonfaloniere, che con gran decoro sostenne fino a
-morte.
-</p>
-
-<p>
-Cosmo suo primogenito ne ereditò (1429) il credito e l’importanza,
-e a capo della fazione recò l’abilità e le virtù
-paterne, e maggior animo nelle cose pubbliche; grave
-e cortese ne’ modi, liberale a proporzione delle ingenti
-ricchezze; entrante, conoscitore profondo degli uomini,
-longanime nello aspettar l’esito de’ disegni fermamente
-concetti; franco nel manifestare i suoi pareri, eppur
-tenuto come prudentissimo: inclinato alle vie dolci, ma
-sapendo all’uopo dar passi robusti; francheggiato da
-molti amici e clienti, ai quali era sempre disposto a fare
-servigio dell’aver suo. Di squisito gusto nelle arti, di
-molta erudizione, di retto giudizio, favorendo le lettere
-e le arti apriva nuove strade alla crescente operosità:
-il giro de’ banchi, per cui non trovavansi più ridotti a
-miseria, legava gli sbanditi per interesse e per gratitudine
-alla famiglia che più lavorava di cambio; i condottieri
-deponevano presso di quella i loro avanzi, o
-le domandavano anticipazioni. Più dovizioso riusciva
-Cosmo perchè non abbandonò mai il vivere privato;
-senza sfarzo di casa che abbagliasse i cittadini, senza
-comprare stranieri ministri, o scialacquare in pranzi e
-comparse, o assoldar truppe, mai non dispose per sè
-più di quarantasei in cinquantamila fiorini l’anno, mentre
-lo Sforza ne spendea trecentomila prima di salire duca.
-E appunto le virtù private, i temperati consigli, il sentimento
-popolare, la calma fra le burrasche fazioniere,
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-la lauta beneficenza furono stromenti alla potenza
-de’ Medici.
-</p>
-
-<p>
-Lucca era stata lungamente alleata di Firenze, poi al
-1314 disertò da’ Guelfi; e dopo lo sfavillante dominio
-di Castruccio e d’Uguccione, andò soggetta a vicenda a
-Gherardino Spinola, a Giovanni di Luxemburg, a Mastino
-della Scala, a’ Fiorentini, a’ Pisani, a Carlo IV<a class="tag" id="tag108" href="#note108">[108]</a>, dal
-quale poi nel 1369 riebbe la libertà, cioè di non esser
-sottomessa a verun’altra città, ma soltanto all’impero.
-E quel fatto di cui fecero tanta festa i contemporanei, e
-tanto scalpore gli storici posteriori; concordi nel proclamare
-come liberatore quel Carlo, che realmente sottoponeva,
-almeno in carta, quella repubblica al dominio
-imperiale.
-</p>
-
-<p>
-Immune da dipendenza di vicini, Lucca esercitò alla
-cheta le interne emulazioni fra i discendenti di Castruccio,
-i Fortiguerra, gli Spinetta e i Guinigi. Quest’ultima
-famiglia vi primeggiava; ma essendo perita quasi tutta
-nella peste del 1400, il giovinetto Paolo sopravissuto fu
-da ser Giovanni Cambi (il cronista) indotto a farsi <i>signore
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-a bacchetta</i>, e perciò, scostandosi da Firenze,
-unirsi a Galeazzo Visconti, col cui appoggio si assicurò
-il dominio. Senza tampoco rispettare le forme, come
-faceano i precedenti, e togliendo ogni autorità al Comune,
-trent’anni egli serbò quieta la repubblica, ma
-dappoco e sempre in paura di cadere, nè seppe introdur
-buone istituzioni, nè farsi amici, benchè circondato di
-favoriti, di parentele, d’alleanze co’ principi, e fidente
-nella <i>cittadella</i> che fabbricò; mancava di quel valore
-che le plebi stimano più che le qualità utili, e alle bande
-mercenarie, massime di Braccio, non oppugnava che
-con grossissimi donativi. Firenze, da cui improvvidamente
-egli avea alienato la repubblica (1429), trovò pretesto
-a romper seco, e vi spedì i venturieri Nicolò Fortebraccio
-e Bernardino della Carda, che squarciarono il
-paese. Il celebre architetto Brunelleschi suggerì di sommerger
-Lucca, chiudendo l’alveo del Serchio, sicchè
-l’acqua scalzasse le mura e le abbattesse. A grande
-spesa si alzò di fatto l’acqua attorno alle mura, che per
-tre giorni furono inondate, ma poi i contadini riuscirono
-a sdrucire l’argine, sicchè la piena si rovesciò addosso
-al campo fiorentino (1430) con immensa jattura. Poi Francesco
-Sforza, spedito dal duca di Milano, mise in isbaratto i
-Fiorentini, e ne invase il territorio.
-</p>
-
-<p>
-Il Guinigi col senno, e i suoi figli col braccio, aveano
-difeso Lucca; eppure caddero in sospetto di volerla
-tradire ai Fiorentini, e furono mandati prigioni a Milano,
-ripristinando il governo all’antica con un gonfaloniere
-e col consiglio degli anziani. I Fiorentini, che
-aveano mostrato assumer la guerra soltanto per assicurarsi
-dal Guinigi, la proseguirono per sottoporre
-Lucca come le altre città toscane; ma Nicolò Piccinino,
-stipendiato da Genova, ligio al Visconti, li sconfisse del
-tutto sul Serchio, invase lo Stato, avvicinossi a Pisa, che
-facea sonare le sue catene, bramosa di romperle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tale impresa era stata da Cosmo francamente disapprovata,
-sicchè l’infelice riuscita crebbe ad esso tanta
-reputazione quanta ne toglieva agli Albizzi e a Nicolò
-da Uzzano. Questo però repugnava dai partiti violenti,
-conoscendo che una rottura aperta darebbe trionfo ai
-Medici. Ma morto lui e conchiusa pace con Lucca<a class="tag" id="tag109" href="#note109">[109]</a>,
-inciprignirono i malvagi umori, e Rinaldo, figlio di Maso
-degli Albizzi, capoparte più avventato, entrò in grandi
-pratiche di abbassare e anche cacciar Cosmo, e ripigliarsi
-lo Stato. Disposte sue fila, sonò a balìa, e convocò
-una di quelle assemblee in piazza, dove tutti accorrevano
-a onde e deliberavano a schiamazzo, per l’urgenza
-del caso trascendendo le barriere costituzionali, e pochi
-arruffapopolo trascinavano a decidere secondo la fazione.
-Quivi si diede la balìa a ducento cittadini indicati
-da Rinaldo; e Cosmo, per accusa di denaro disperso
-nella guerra di Lucca, fu condannato a morte: se non
-che egli, comprando alla sua volta Bernardo Guadagni
-gonfaloniere e gli altri che a Rinaldo già s’erano venduti,
-ottenne d’essere soltanto sbandito (1433), e la famiglia
-sua relegata tra le nobili.
-</p>
-
-<p>
-Andossene a Padova; e allora comparve quanto egli
-fosse grande, caro dov’era, desiderato ove non era. La
-Signoria veneta mandò onorandolo, e il richiedeva di
-pareri; chiunque avesse alcun bisogno, ricorreva ad esso,
-e una sua raccomandazione bastava: a lui facevano capo
-i negozianti, sicchè l’avresti detto un piccolo sovrano;
-mentre a Firenze artisti, poveri, trafficanti lamentavano
-mancato il loro sostegno. Rinaldo, incapace a lottare
-coll’avversario lontano che vicino aveva oppresso,
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-cercava inutilmente afforzarsi col riabilitare i nobili
-alle cariche, da cui già da gran tempo erano esclusi, e
-fin colle armi tentò far prevalere la sua parte: non girò
-intero un anno, che interponendosi papa Eugenio IV,
-allora quivi dimorante pel concilio, fu senza scandali
-tratta una Signoria (1434 7bre) propensa a Cosmo, questi rintegrato
-in patria con accoglienze meravigliose, e sbanditi
-o confinati da settanta de’ suoi avversarj. Rinaldo, non
-essendosi lasciato persuadere dal papa, e ignaro della
-virtù dell’aspettare e far a queto, andò a sollecitare
-Filippo Visconti contro Firenze; e mandò dire a Cosmo — La
-gallina cova»; al che questo rispose: — Mal
-cova la gallina fuori del nido». Rinaldo colle bande
-del Piccinino (1440) penetrò fin alla montagna di Fiesole e
-nel Casentino: i Fiorentini gli opposero Francesco
-Sforza, rotto dal quale intieramente ad Anghiari, e invano
-travagliatosi da capo per ricuperare la patria,
-andò a finire in Terrasanta.
-</p>
-
-<p>
-Cosmo, tornato in trionfo, salutato benefattore del
-popolo e <i>padre della patria</i>, pigliò vendetta proscrivendo
-molti avversarj, molti condannando al supplizio
-e fin senza confessione, altri assassinati, come Balduccio,
-condottiere valente di fanteria toscana, che il gonfaloniere
-di giustizia fece pugnalare e buttar giù dal
-palazzo senza processi. Con tali colpi otteneasi docilità
-e svogliava dall’opposizione, e a chi l’avvertiva come la
-città per tanti banditi venisse in calo, rispondeva: — Meglio
-città guasta che perduta; del resto, non vi
-affannate, che con due canne di panno rasato posso
-fare un uom dabbene», cioè riparare con gente nuova.
-</p>
-
-<p>
-Non si alterò il modo del governo e de’ magistrati
-di Firenze, ma tutto dipendeva da Cosmo. Vedendo
-omai in ciascuna città italica dominare una famiglia,
-pensò innalzar la sua in Firenze, non per armi, sibbene
-coll’offrire agli ingegni attrattive e distrazioni nuove
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-nelle arti e nel sapere, avvivare il commercio, estendere
-la tela politica, aumentare la propria importanza col
-darne alla patria su tutt’Italia, e quiete a questa coll’equilibrarne
-gli Stati; a tal fine associò al suo denaro
-la spada di Francesco Sforza, le due potenze di quell’età,
-il banchiere e il condottiere. Potendo avere a disposizione
-tutti i capitani di ventura, mantenne in bilancia
-le potenze d’Italia: alla sua repubblica aggiunse
-Borgo Sansepolcro, Montedoglio, il Casentino e val
-di Bagno.
-</p>
-
-<p>
-Senza dunque sovvertire la costituzione e le leggi,
-fondava a cheto la signoria delle ricchezze, le quali,
-mercè del commercio, aveano indotto immensa disparità
-fra i cittadini, e procacciando ammiratori e clienti,
-in pochi restringevano l’autorità, benchè durasse stato
-di popolo; anzi in cinque soli fece Cosmo (1452) ridurre il
-diritto d’eleggere la Signoria.
-</p>
-
-<p>
-A fianco di lui figurava Neri Capponi, in consigli più
-sottile di Cosmo e, ciò che questi non era, valente in
-armi e creduto dai soldati; il quale, non cessando d’essergli
-amico, si tenne indipendente, e menò gli affari
-più scabrosi. Loro mercè fu riordinata la tranquillità in
-Firenze, ma insieme tolta la libertà, giacchè dal popolo,
-quante volte volessero, faceano decretare una balìa
-dispotica, e riformare le borse, e confinare chi li contrariava;
-mentre teneansi buoni gli amici col secondarne
-le passioni, collocarli negli uffizj e ai governi, chiuder
-gli occhi sulle arti onde s’ajutano i bassi, ligi ai potenti.
-</p>
-
-<p>
-Alla morte di Neri (1455) parea dovesse ingrandire Cosmo,
-sciolto da quest’ultimo contrappeso; ma il contrario
-gli accadde per averne perduto l’appoggio. Gli avversarj
-pensano umiliarlo coll’abolire le balìe, e tornare
-alla sorte l’elezione del gonfaloniere e della Signoria; e
-il popolo va in gavazze, come di ricuperata libertà.
-Cosmo però non discende pur d’un grado dalla ottenuta
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-grandezza, perchè temperatamente usata, e perchè gli
-uomini nuovi imborsati erano avvinti a lui per interesse
-e mercatura, o ligi per gratitudine e speranze;
-laddove non essendo più gl’impieghi concentrati in mano
-di pochi, gl’inimici suoi si sottigliavano; i quali, avvedutisi
-dello sbaglio, cercavano si ripristinasse la balìa.
-Cosmo, prima d’assentirvi, lasciò che gustassero i frutti
-della loro inesperienza; ma quando (1458) sortì gonfaloniere
-Luca Pitti, e’ lasciò tastassero la riforma. Il Pitti, animoso
-e temerario, teneva col terrore un governo pigliato
-colla forza: chiunque avesse bisogni o reclami, a lui
-ricorreva, alla sua casa tutti i malviventi; e coi regali
-ricevuti, che vorrebbonsi far ammontare a ventimila
-fiorini, e col dare sicurezza ai malfattori che vi lavorassero,
-fabbricò il palazzo a Rusciano, e un altro in
-città che maestoso grandeggiava sul <i>poggio</i>, mentre al
-piano i Medici conservavano la ricca e pur semplice
-magione in via Larga.
-</p>
-
-<p>
-Ritirato in questa, Cosmo appariva più grande dacchè
-non ritraeva lustro che dal merito personale. Gliela abbellivano
-con dipinti frate Angelico, Pippo, Masaccio;
-Donatello il consigliò a radunarvi capi d’arte antichi;
-nelle corrispondenze sue non chiedeva solo merci e
-denaro, ma codici, e mandava a trascriverne; accoglieva
-letterati, massime quelli fuggiti di Costantinopoli; la
-biblioteca Laurenziana ebbe origine dai libri di esso;
-un’altra ne collocò nella badia da lui finita a piè del
-monte di Fiesole; una ne lasciò al convento di San
-Giorgio in Venezia, dov’era stato ricoverato; comprò
-quella ove Nicolò Niccoli avea radunato ottocento manoscritti,
-e la fece pubblica in San Marco de’ Domenicani,
-fondazione sua non meno che San Girolamo a Fiesole,
-San Francesco del Bosco in Mugello, e San Lorenzo in
-città, ove pure cappelle a Santa Croce, all’Annunziata,
-a San Miniato, negli Angeli, architettate dal Brunelleschi,
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-da Michelozzo e da altri eccellenti. Pie istituzioni
-avea lasciato a Venezia, un ospedale a Gerusalemme,
-un acquedotto ad Assisi; onde non è meraviglia se fuori
-veniva considerato come un gran principe, in patria
-vivendo tuttavia da privato. Di sue ricchezze chi potrebbe
-levare il conto? I suoi poderi di Careggi e Caffagiuolo
-poteano servire di modelli; aveva in proprio o a fitto
-tutte le cave d’allume d’Italia, e per una sola in Romagna
-pagava centomila fiorini annui; per Alessandria
-mercatava coll’India, nè era città ove non tenesse banchi;
-prestò somme al re d’Inghilterra, ne anticipò al duca
-di Borgogna. In questo riposo le gelosie della libertà
-cadevano; i Fiorentini, come gli altri Italiani, si abituavano
-a vedere grandezza altrove che nella politica; e
-l’artista, il letterato, il grosso negoziante onoravansi
-d’andar esenti dalle cariche, quanto un tempo d’esservi
-assunti.
-</p>
-
-<p>
-Ma di due figliuoli rimastigli, il prediletto Giovanni
-morì a quarantadue anni (1403); Pietro era rattratto di corpo
-e debole di spirito; fanciulli i due costui figli, onde
-Cosmo cadente faceasi portare pel vasto palazzo esclamando: — Troppo
-grande per sì piccola famiglia».
-Di settantacinque anni morì (1464 1 agosto) nella sua villa di Careggi,
-dopo stato trent’anni capo della repubblica e non tiranno.
-E diceva a’ figliuoli: — Vi lascio infinite ricchezze
-che la mia fortuna mi ha concedute, e vostra madre mi
-ajutò a conservare; mantenetevi la grazia di ogni buon
-cittadino e della moltitudine; e se non isviate dai costumi
-de’ maggiori, sempre il popolo vi sarà larghissimo
-donatore di dignità. Perchè ciò avvenga, siate
-misericordiosi ai poveri, graziosi e benigni agli abbienti,
-e solleciti ad ajutarli nelle avversità: non consigliate
-mai contro la volontà del popolo: non parlate a modo di
-dar parere, ma di amorevole ragionamento: del palazzo
-non fate bottega, anzi aspettate d’esservi chiamati:
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-procurate di tener in pace il popolo e doviziosa la piazza:
-schivate d’andare ai tribunali, per non impacciar la giustizia.
-Vi lascio netti di macchie, eredi di gloria, e me
-ne parto lieto, e più lieto partirei se vi vedessi in sajo
-anzichè in seta. Fatevi segno al popolo il men che potete.
-Siavi raccomandata la Nanina madre vostra, e
-fate, dopo la mia morte, di non mutarle stanza e trattamento.
-Pregate Dio per me, e abbiatevi la mia benedizione»<a class="tag" id="tag110" href="#note110">[110]</a>.
-Fu compianto dagli amici pel bene
-ricevuto, dai nemici pei mali che prevedevano quand’egli
-cessasse di tenere in rispetto i potenti.
-</p>
-
-<p>
-Di fatto Luca Pitti, d’ambizione e di talenti superiore,
-che già nella vecchiezza di Cosmo avea fatta rivalere
-l’oligarchia, tiranneggiò allora a baldanza, disponendo
-dell’erario e degli uffizj, mal contrastato da Pietro
-Medici. Le famiglie di Firenze erano state interessate a
-sostenere Cosmo, in grazia dei prestiti coi quali egli
-soccorreva ai loro bisogni, persin talora prevedendone
-la domanda: ma Pietro, volendo rimediare alle scosse
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-date a’ suoi negozj dalle ingenti spese e da fallimenti,
-e accorgendosi che andavano sempre in peggio da che
-non v’attendeva in persona, ridomandò improvvisamente
-i capitali per investirli in terreni: Pensate quanti
-dissesti! i fallimenti susseguiti furono imputati a sua
-colpa, e tristo paragone faceasi colla liberalità paterna.
-Si tramò dunque di togliergli la riputazione e lo stato,
-e rintegrare la libertà; e pei maneggi del Pitti cassata
-la balìa, si rimisero alla sorte le elezioni, e fu salutato
-gonfaloniere Nicolò Soderini, a gran gioja del popolo.
-Lealissimo repubblicano ma debole, domandava d’essere
-condotto, invece di saper condurre; quando mise
-mano a riformare lo Stato per vie legali, si trovò attraversato
-dalla fazione dei Pitti, speranti nello scompiglio;
-ond’egli uscì di carica senz’essere a nulla approdato.
-</p>
-
-<p>
-Moriva in quello stante (1466 8 marzo) il migliore amico de’ Medici,
-Francesco Sforza; e Galeazzo Maria, figlio di quello,
-mandò chiedendo fosse a lui continuato il soldo che retribuivasi
-a suo padre come a condottiero della Repubblica.
-Quelli del Poggio, cioè i Pitti, fissaronsi al no, e
-ordinarono cogli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini, facendo
-sottoscrivere tutti coloro che volessero salvar lo Stato
-e ricuperare la libertà, e chiedendo ajuti a Buoso duca
-di Modena; e pensavano forse assassinare Pietro e i
-suoi figliuoli Lorenzo e Giuliano. Pietro, informatone a
-tempo, li prevenne colle armi e coi trattati, e rimasto
-superiore, mandò in bando gli avversarj, di che si rincalorirono
-le nimicizie. Luca Pitti, lasciatosi lusingare
-da Pietro colla speranza d’un parentado, gli diede la
-lista de’ congiurati, onde ne fu obbrobriato, e i suoi
-palazzi rimasti incompiuti attestarono l’altezza della sua
-ambizione e i danni della sua imprudenza.
-</p>
-
-<p>
-Gli espulsi, sotto Angelo Acciajuoli attestatisi cogli
-esuli del 1434, e preso a capo Gian Francesco Strozzi,
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-preparavano guerra aperta; e Venezia, non volendo
-favorirli alla scoperta, lasciò entrasse al loro soldo
-Bartolomeo Coleone suo capitano (1467), al quale s’accollarono
-molti signorotti di Romagna, i Pio, i Pico, gli Ordelaffi,
-Ercole d’Este, Astorre Manfredi di Faenza, Alessandro
-Sforza di Pesaro. I Fiorentini si opposero, collegati con
-Galeazzo Maria e col re di Napoli; e comandati dal
-prode Federico di Montefeltro signore d’Urbino, alunno
-di Francesco Sforza, affrontaronsi (25 luglio) alla Molinella nel
-territorio d’Imola, dove primamente il Coleone adoperò
-artiglierie volanti, e dove, mancato il giorno, a lume
-di fiaccole si continuò la mischia. La giornata fu sanguinosa
-oltre l’usato, ma non risolutiva; la Repubblica
-fiorentina ebbe a logorare fin un milione trecentomila
-fiorini d’oro; i fuorusciti, per diffalta di denaro, dovettero
-desistere e compromettersi in Paolo II, il quale
-non riuscendo ad accordarli, pubblicò articoli di pace,
-intimando scomunicato chi non gli accettasse; e dove
-la conclusione era di restituire ciascuno ne’ pristini possessi;
-il Coleone con centomila ducati d’oro l’anno sarebbe
-capo dell’esercito che dai signori tutti d’Italia
-volevasi mandare contro i Turchi. Nulla stipulò a favore
-degli sbanditi, dei quali anzi furono staggiti i beni;
-poi colla ragione o col pretesto di congiure e attentati
-furono respinte le famiglie de’ Capponi, Strozzi, Pitti,
-Alessandri, Soderini, ed alcuni mandati al supplizio<a class="tag" id="tag111" href="#note111">[111]</a>.
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-Restarono dunque peggiorati dell’avere e della persona,
-mentre Pietro, gottoso e impotente di tutti i suoi membri,
-ignorava le sevizie de’ suoi, e predicava moderazione
-e civiltà; e veramente trattava di ripatriare i
-fuorusciti, quando morì (1469 2 xbre), soli cinque anni dopo il padre.
-</p>
-
-<p>
-Tommaso Soderini seppe persuadere a conservar
-<i>principi dello Stato</i> i giovani figli di lui Lorenzo e
-Giuliano: i quali a cinque <i>accoppiatori</i> diedero diritto
-di nominare il consiglio de’ duecento; balìa non più a
-tempo per casi urgenti, ma permanente e che poteva
-ogni cosa, punire, esigliare, levar denaro. I Medici trovavansi
-dunque in mano lo Stato, e potevano convertire
-a comodo proprio le somme pubbliche, oltre quelle
-che per avventura riceveano da chi volesse conservarsi
-in grado o soprusare impunemente; e la tirannia palliavano
-con feste, colle largizioni, col proteggere artisti
-e letterati.
-</p>
-
-<p>
-Lorenzo particolarmente è una delle fisonomie più
-simpatiche della nostra storia, e ci restano alcuni suoi
-ricordi giovanili, di cara semplicità: — Il secondo dì
-dopo la morte del padre mio, quantunque io Lorenzo
-fossi molto giovane, cioè di anni ventuno, vennono a
-noi a casa i principali della città e dello Stato a dolersi
-del caso, e confortarne che pigliassi la cura della città
-e dello Stato, come avevano fatto l’avolo e il padre mio;
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-le quali cose, per essere contro alla mia età e di gran
-carico e pericolo, malvolentieri accettai, e solo per conservazione
-degli amici e sostanze nostre, perchè a Firenze
-si può mal vivere senza lo Stato, delle quali insino
-a qui siamo riusciti con onore e grazia, reputando
-tutto non da prudenza, ma per grazia di Dio e per i
-buoni portamenti de’ miei passati. Di settembre 1471
-fui eletto ambasciatore a Roma per l’incoronazione di
-papa Sisto IV, dove fui molto onorato; e di quindi portai
-le due teste di marmo antiche dell’immagine d’Augusto
-e di Agrippa, le quali mi donò detto papa; e più
-portai la scodella nostra di calcidonio intagliata, con
-molti altri cammei e medaglie, che si comprarono allora
-fra le altre in calcidonio».
-</p>
-
-<p>
-Morta una Simonetta gentildonna, fior di bellezza e
-di virtù, era universalmente compianta; e quando col
-viso scoperto era portata a sepellire, tutta Firenze fu in
-cordoglio. Lorenzo giovinetto deplorò in versi quella
-morte, e per ispirarli di maggior verità, cercò persuadersi
-d’essere invaghito dell’estinta; dal che passò a
-voler ricercare se altra donna raggiungesse quel modello.
-E parvegli tale una che egli celò, ma i biografi
-rivelarono essere Lucrezia Donati, ch’e’ vide in una
-solennità, così bella che esclamò: — Deh fosse pari
-alla Simonetta anche in virtù!» E chiestone, poi conosciutala,
-la trovò migliore ancora della speranza, e
-d’ingegno meraviglioso senza la presunzione che fa ridicole
-le saccenti. Questo amore lo fece schivo dei diletti
-vulgari e delle affollate radunanze, dilettandosi piuttosto
-nella solitudine, dove tutto rammemoravagli colei,
-da cui invece lo distraevano i pensieri del mondo<a class="tag" id="tag112" href="#note112">[112]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quest’è il mostro della tragedia d’Alfieri, in cui è
-verseggiato un nuovo tentativo che i nemici dei Medici
-fecero per abbattere i due giovinetti.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap120-11">CAPITOLO CXX.
-<span class="smaller">Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi.
-Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Al concilio di Costanza erasi messo in disputa se più
-casta non tornerebbe la Chiesa quando si spelagasse dal
-dominio temporale; ma un oratore ragionò: — Tempo
-fu che io pensava convenientissimo il separare la potenza
-terrena dalla spirituale; ma ora son chiaro che
-la virtù senza forza è ridicola, e che il pontefice romano
-senza il patrimonio della Chiesa non sarebbe che un
-servitore dei re e dei principi»<a class="tag" id="tag113" href="#note113">[113]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E davvero la schiavitù d’Avignone avea persuaso e
-papi e signori che importava assicurare alla santa Sede
-un’esistenza indipendente, acciocchè non divenisse stromento
-ai regj arbitrj; e si diede opera a consolidarne
-la potenza politica quando debilitavasi la spirituale.
-Martino V, tornando a Roma, avea trovato il patrimonio
-della Chiesa in isconquasso, ma fermo eppur pacifico
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-con dignità lo ristabilì; indusse Giovanna II di Napoli
-a restituirgli Roma occupata da Ladislao; tolse Perugia
-a Braccio di Montone<a class="tag" id="tag114" href="#note114">[114]</a> e le altre terre ai tiranni che
-n’avevano preso il dominio. I Malatesta, segnalati capitani,
-eransi costituiti un bel principato a Rimini, sottomettendo
-Fano, Pesaro, Camerino, Macerata, San Severino,
-Montesanto, Cingoli, Jesi, Fermo, Gubbio; ma,
-morto Carlo, condottiero de’ più prodi e generosi,
-perdettero ogni cosa, salvo Rimini, Fano e Cesena, lasciate
-a tre nipoti di quello. Anche Borgo Sandonnino,
-la Pergola, Brettinoro, Osimo, Cervia, Sinigaglia, furono
-riuniti al dominio papale. Bologna non sapeva dimenticare
-la sua libertà; ma quando tentò ripristinarla nel
-1428, fu subito oppressa dalle bande venturiere. Le
-tante città avvezze ad avere un principe e corte e lusso
-ed arti, piangeano il sottentrato spopolamento. Il cardinale
-Albergati, santo di costumi quanto accorto negli
-affari, seppe alla Sede pontificia ricuperare importanza
-politica in Italia, coi maneggi ottenendo meglio che
-colle guerre, e molte paci conciliando.
-</p>
-
-<p>
-Roma era sottoposta al pontefice, ma conservava
-una rappresentanza civica: e il senatore nell’entrare in
-Campidoglio giurava nelle mani del conservatore di
-esercitare l’officio lealmente e in buona fede; dare appoggio
-agli inquisitori dell’eresia e vantaggiar la fede;
-tener Roma e il contado in pace e tranquillità, e purgati
-da malandrini; conservare e difendere le ragioni,
-i beni, le giurisdizioni e dignità della città e della camera,
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-e ricuperare ciò che se ne fosse perduto; mantenere
-e difendere gli spedali, i luoghi pii e religiosi;
-procedere sommariamente nelle cause di questi, delle
-vedove, de’ pupilli e de’ poveri; far osservare da’ suoi
-uffiziali e giudici gli statuti fatti e da fare, e il diritto
-civile, ed in mancanza loro il diritto canonico; non far
-estorsione o sopruso, non chiedere grazie nei consigli,
-nè cercare d’essere raffermo in carica, o assolto dal
-sindacato; far sì che i marescialli, cioè esecutori degli
-ordini della curia di Campidoglio, e loro famigli girassero
-giorno e notte armati; nulla operare di contrario
-agli ordini de’ conservatori, anzi prestar soccorso ad
-essi e alla loro camera.
-</p>
-
-<p>
-Sia per le imposte, che a risarcire il paese (1431) doveva
-moltiplicare, o sia pei soliti postumi d’ogni restaurazione,
-Martino ottenne scarsa benevolenza, ed era appuntato
-di prodigare onori e tesori a’ suoi nipoti. Lui
-morto, i cardinali trovavansi dissenzienti sul chi nominargli
-successore; onde, per guadagnar tempo, diedero
-i voti a quel che meno temeano, il veneziano Condulmier,
-che per questo giuoco si trovò papa col nome di
-Eugenio IV. Severissimo ne’ digiuni e in tutte le austerità,
-gran persecutore degli Ussiti di Boemia, repugnante
-da’ consigli altrui per ostinarsi ne’ proprj, scarso di
-lealtà e di politica, vedemmo quanta parte avesse nei
-maneggi civili e religiosi del suo tempo, per effetto
-delle circostanze più che per sua abilità.
-</p>
-
-<p>
-Dal bel principio si trovò in urta coi sudditi, coi signori,
-coi prelati. S’inimicò i Colonna col ridomandare
-i tesori che ad essi aveva confidato il predecessore, e
-le città del Patrimonio, dove rigalleggiavano i partiti e
-le antiche famiglie. E perchè i Colonna con que’ denari
-raccolsero truppe e guerreggiarono gli Orsini,
-Eugenio mise in prigione e ai tormenti i loro amici,
-e da ducento ne mandò al patibolo, distrusse la casa
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-e i monumenti di papa Martino, finchè i Colonna restituirono
-settantacinquemila fiorini. Destinò a governare
-la marca d’Ancona Giovanni Vitelleschi vescovo
-di Recanati, suo indegno favorito, e uno de’ più disumani
-condottieri, che nella guerra di Napoli giunse
-a promettere indulgenze a qualunque soldato tagliasse
-un ulivo de’ nemici, poi tramò col Piccinino per assalire
-la Toscana alleata, e fors’anche toglier di mezzo
-il papa e surrogarsegli. Questo n’ebbe sentore, e a
-tradimento lo colse in castel Sant’Angelo, ove presto
-s’intese ch’era morto.
-</p>
-
-<p>
-Intanto la Chiesa era pericolata dal concilio di Basilea;
-tutta Romagna sossopra; Francesco Sforza e Nicolò
-Fortebraccio vi entrarono dicendosi autorizzati dal
-concilio a togliere que’ paesi al papa, cui restrinsero quasi
-alla sola capitale. Egli guadagnossi lo Sforza, creandolo
-marchese d’Ancona; ma gli altri capitani pretendeano
-altrettanto; il popolo s’avventò alle armi proclamando
-la repubblica, e il papa a stento si salvò a Firenze. Alfine
-il Piccinino, vincendo Fortebraccio, rese a san
-Pietro le antiche appartenenze.
-</p>
-
-<p>
-Tommaso, figlio del medico pisano Bartolomeo Parentucelli,
-per povertà lasciò gli studj onde mettersi in
-Firenze educatore de’ figliuoli di Rinaldo degli Albizzi,
-poi s’attaccò al cardinale Albergati come segretario,
-medico, intendente, e in quei venti anni ebbe molto a
-conoscere molti paesi e gli eruditi d’allora; copiò manoscritti
-e v’aggiungeva note assennate, lo perchè
-Cosmo de’ Medici l’incaricò di disporre i codici della
-biblioteca di San Marco, il che servì di norma ad altre:
-da Eugenio papa adoprato in affari, e posto vescovo
-di Bologna e cardinale, gli fu dato successore col nome
-di Nicola V (1447). Egli ricompose la Chiesa ad unità coll’ottenere
-l’abdicazione dell’antipapa Felice. Al Vespasiano,
-valente librajo ed erudito, autore di molte biografie,
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-diceva: — I nostri Fiorentini avrebber mai creduto
-che un preticciuolo, fatto per sonar le campane, diverrebbe
-pontefice?» e avendo quello risposto che ne
-esultavano e perchè il conosceano e ne speravano
-pace, — Se Dio m’ajuta (soggiunse) altr’arma non adoprerò
-mai a difesa mia che la croce di Gesù Cristo»<a class="tag" id="tag115" href="#note115">[115]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Veramente fu de’ papi più degni, e guardata la differenza
-dei tempi, meritò meglio che Leone X per avvenuta
-protezione alla crescente coltura. Fondò la biblioteca
-Vaticana con cinquemila volumi, ed accolse quanti
-erano dotti; scriveano le sue lettere il Poggio, Giorgio
-da Trebisonda, Cristoforo Garatone, Flavio Biondo,
-Leonardo Bruno, famosi eruditi; teneva alla corte Antonio
-Loschi, Bartolomeo da Montepulciano, Cincio romano,
-Lorenzo Valla, Pier Candido Decembrio, Teodoro
-Gaza, Giovanni Aurispa, allora nominatissimi quanto
-oggi ignorati. A gara gli erano dedicate opere, e di
-parecchie favorì la traduzione dal greco: al Poggio per
-la versione del Diodoro donò liberamente; al Valla
-cinquecento scudi d’oro pel Tucidide; millecinquecento
-al Guarini per lo Strabone; cinquecento al Perotti pel
-Polibio; annui seicento a Giannozzo Manetti, oltre il
-soldo di secretario, perchè s’occupasse attorno ad opere
-sacre, e gli fece cominciare una versione della Bibbia
-sopra il testo ebraico; al Filelfo, se traducesse Omero,
-gli prometteva una bella casa in Roma, un podere e
-diecimila scudi; Giorgio da Trebisonda ricusava come
-eccessiva una somma da esso regalatagli, ma egli — Tieni,
-tieni; non avrai sempre un Nicola». Udendo
-lodare come valenti poeti alcuni dimoranti in Roma,
-negò il merito loro, dicendo per celia: — Se fossero
-buoni, perchè non verrebbero a me che accolgo anche
-i mediocri?»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fabbriche raddrizzò o intraprese da tutte parti, a
-Spoleto ed Orvieto insigni palazzi, a Viterbo bagni
-per infermi, a Roma la mura, oltre riparare le
-chiese rovinate nella lunga vedovanza, e principalmente
-il Panteon d’Agrippa; fece eseguire «il più
-bel tappeto che sia tra’ Cristiani colle opere di Dio
-padre quando creò il mondo» (Corio); e accingevasi
-a riedificare San Pietro, come simbolo della
-riedificata Chiesa spirituale, al che gli diede i mezzi
-il giubileo, traendo folla indicibile alle soglie degli
-apostoli.
-</p>
-
-<p>
-Non altrettanto prendeva a cuore il bene de’ sudditi,
-o piuttosto volea governarli con quel dispotismo, cui
-facilmente propendono coloro che sentonsi superiori
-agli altri, e volenterosi del bene. Non pochi erano disgustati
-pei rigori che accompagnano le improvvide
-restaurazioni, le quali all’anarchia non credono poter
-riparare che col despotismo; i vizj del clero e gli abusi
-della curia più risaltavano dacchè eransi censurati alla
-libera nelle burrasche precedenti. La festa dunque,
-con che era stata ricevuta la corte pontifizia al suo
-ritorno, fece prestamente luogo a scontenti e alle solite
-gozzaje. Perchè ha da stare il governo in man di
-preti, la più parte forestieri, tutti per educazione inetti
-agli affari? Così diceva Stefano Porcari nobile romano,
-e tentò instaurare la repubblica. Infervorandosi alla
-canzone del Petrarca <i>Spirto gentil</i>, e parendogli esser
-egli stesso quel cavaliero a cui «Roma, con gli occhi
-molli di pietà, chiedea mercè da tutti i sette colli»,
-macchinò per impadronirsene a forza; arrolò masnade,
-e insinuatosi di soppiatto (1453) nella città dond’era stato
-bandito, concertò di occupare il Campidoglio, e nella
-festa dell’Epifania prendere il papa, i prelati e castel
-Sant’Angelo. Ma avutone spia, il senatore ad una cena
-fece arrestare i congiurati (gennajo), e il Porcari con nove altri
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-impiccare ai merli del castello<a class="tag" id="tag116" href="#note116">[116]</a>. Al pontefice l’aveano
-dipinta come una trama d’assassinio, onde, da confidentissimo
-e ingenuo che era, cadde in preda al sospetto,
-perseguitò i fuggiaschi, quanti colse fece mal
-arrivati, e il breve resto di sua vita passò fra terrori
-e supplizj. Presso al finire, ebbe a sè due pii monaci,
-e diceva loro: — Mai persona non entra qua, che mi
-parli il vero. Sono talmente confuso delle finzioni di
-quanti mi circondano, che, se non temessi lo scandalo,
-rinunzierei al papato per tornare Tommaso da Sarzana.
-</p>
-
-<p>
-Alfonso Borgia spagnuolo, ch’erasi mostrato tutto
-zelo contro i Turchi, gli fu dato successore col nome di
-Calisto III (1455), e alla elezione sua rincrudirono le fazioni
-dei Colonna e degli Orsini, e più quando egli, gettati a
-spalle i rispetti umani, ingrandì i suoi nipoti con feudi
-della Chiesa, creando Pietro duca di Spoleto, e fin
-meditando porlo sul vacante trono di Napoli. La vita
-non gli bastò; e il successivo conclave pensò antivenire
-tali abusi decretando che il papa non potesse senza
-l’assenso dei cardinali tramutare da Roma la sede, conferire
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-cappelli o vescovadi, fare pace o guerra, alienare
-terre ecclesiastiche.
-</p>
-
-<p>
-Enea Silvio Piccolòmini, dottissimo in lettere e in
-ragion canonica, scrittore di poesie e storie, ebbe primaria
-figura ne’ maneggi d’allora. La sua gioventù
-avea tribolato fra le turbolenze della patria; al concilio
-di Basilea assistette in servizio del cardinale Domenico
-di Capranica; più volte mutò padrone, spesso fu ambasciadore,
-indi segretario di Felice V, poi di Federico III
-imperatore. Descrisse la storia di Boemia, lo stato di
-Europa sotto esso Federico, un ragguaglio della Germania
-e del concilio di Basilea, dove votò coll’opposizione;
-opere di gran conto perchè di testimonio oculare
-ed oculato, oltre una raccolta di lettere d’amicizia e di
-affari<a class="tag" id="tag117" href="#note117">[117]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fatto papa col nome di Pio II (1458), sostenne con vigore
-quell’autorità che come diplomatico avea bersagliata;
-e perchè gli si rinfacciavano le prische opinioni, emanò
-una <i>bulla retractationum</i>, ridicendosi di molte proposizioni
-lanciate contro la potestà pontifizia, e massime
-contro Eugenio IV, dicendo essere cosa umana il fallare,
-non averle sostenute per ostinazione ma per isbaglio,
-importargli il ritrattarle affinchè non si attribuisse
-a Pio quelle che erano opinioni di Enea<a class="tag" id="tag118" href="#note118">[118]</a>: nella
-qual occasione si fa ad esporre parte della sua vita.
-Nel sinodo di Mantova proibì (<i>Execrabilis</i>), pena la
-scomunica, di appellarsi dal papa al futuro concilio,
-tribunale che non esiste: ma le sanzioni introdottesi
-fra le passate tempeste, e il proposito de’ principi di
-voler eleggere i proprj vescovi, gli cagionarono gravi
-disgusti. All’imperatore fece veduta la necessità di
-stringersi alla sede pontifizia per resistere ai principi
-sovrani di Germania, e che le domande di riforme
-ecclesiastiche andavano indivisibili da quelle di politiche:
-lo perchè nelle diete germaniche il legato aveva
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-autorità quanto l’imperatore, e molto maggiori rendite.
-Mentre poi, lottando di tutta la sua persuasione
-contro l’indifferenza del secolo egoisto, disponeva la
-crociata contro i Turchi, spirò ad Ancona. Il Pinturicchio
-storiò la vita di lui nella libreria vecchia di Siena,
-secondo i cartoni di Rafaello.
-</p>
-
-<p>
-Pietro Barbo veneziano, bell’uomo, destro ad ingrazianirsi
-gli animi con piccoli servigi e col compatire
-agli altrui patimenti, sicchè il chiamavano la Madonna
-della pietà, fu eletto (1464) col nome di Paolo II con tal consenso,
-che prometteva uno de’ pontefici più grandi. A
-tre cose mirò continuo: l’ingrandimento dei nipoti, pel
-quale fece dichiarar nulla la capitolazione impostagli dal
-conclave; la crociata contro gl’Infedeli; e la revoca della
-prammatica sanzione di Bourges, ove dal clero gallicano
-pareangli intaccate le prerogative papali: e in
-tutte fallì. Piovevano d’ogni parte lamenti che i sessanta
-abbreviatori (collegio istituito da Pio II per estendere
-i brevi pontifizj in istile purgato) facessero guadagno
-delle spedizioni, sia ricevendo regali, sia colle simonie.
-Risoluto di svellere l’abuso, e parendogli degno di
-Roma il dare ogni cosa gratuitamente, il papa gli abolì.
-Que’ sessanta letterati, messi sulla via, furono altrettante
-voci accordatesi a denigrarlo; e chi non sa quanto
-facilmente un branco di scriventi raggiri l’opinione?
-Bartolomeo Sacchi di Piadena (il Platina), un d’essi,
-tanto gli mancò di rispetto, che fu condannato alle carceri;
-poi involto o sospettato d’una cospirazione, fu
-messo alla corda; del che tolse vendetta col virulento
-sparlarne nelle sue <i>Vite dei papi</i>.
-</p>
-
-<p>
-Non pensiamo a scusare i modi; ma la persecuzione
-tanto rinfacciata a Paolo contro i restauratori della classica
-letteratura veniva da ragionevole sgomento del vedere
-il paganesimo ripullulare nelle arti belle non solo,
-ma nelle dottrine e nella vita; e cotesti eruditi, vergognandosi
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-del nome de’ santi ricevuto al battesimo, mutare
-Pietro in Pierio o Petrejo, Giovanni in Giano o
-Gioviano, Vittore in Vittorio o Nicio, Luca in Lucio o
-Lucillo, Marino in Glauco, Marco in Callimaco<a class="tag" id="tag119" href="#note119">[119]</a>;
-celebrare feste all’antica, sacrificando un becco; e col
-pretesto di rimettere in onore Platone, gittarsi a dottrine
-empie od a pratiche teurgiche: cose lievi per
-avventura, ma che menano a serie.
-</p>
-
-<p>
-È moda il lodare uno perchè disapprovato dai papi,
-e al tempo stesso mostrar che questi non aveano ragione
-di perseguitarli. Dalla stessa lettera ove il Platina
-dal carcere racconta al cardinale Bessarione il suo processo,
-appare come l’accademia di Pomponio Leto
-tendesse a trasformare il paganizzamento letterario in
-religioso. Foss’anche stato soltanto letterario, non v’è
-retto pensatore che non veda quanto danno ne derivasse
-alla logica, alla morale, all’estetica, dacchè Cristo e la
-redenzione doveano far luogo novamente alla voluttà
-pagana e alla lepida guerra contro la famiglia e la
-società.
-</p>
-
-<p>
-Dalla storia dei Papi che il Platina scrisse coll’avversione
-solita ai perseguitati, i Protestanti raccolsero assai
-cose contro la corte romana. Noi qui non abbiamo che
-a riflettere alla pochissima critica di questo abborracciatore
-passionato.
-</p>
-
-<p>
-Paolo spese profusamente in dissotterrare e raccogliere
-statue e altre anticaglie, amò le arti belle, libri
-comprava e imprestava liberalmente<a class="tag" id="tag120" href="#note120">[120]</a>, e fece fare una
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-tiara di cinquantamila marchi d’argento (L. 275,000).
-Amava gli spassi, e frequenti feste dava al popolo di
-Roma, e per goderne egli stesso volle che le corse non
-si facessero per la strada Florida o Giulia, ma dall’arco
-di Domiziano al palazzo di Venezia, dov’egli abitava.
-Negli statuti di Roma allora pubblicati, si divisano i
-divertimenti, e specialmente quelli di Agone e Testaccio
-coi pallj e gli anelli e i carri, e l’altre solennità, che poi
-continuarono in occasione del carnevale. Per la pace
-del 1468, festeggiata in tutta Italia, il papa ordinò
-giuochi e baldorie al modo antico, dove principal parte
-aveano i banchetti: ed egli godeva veder quando i giovani,
-quando i vecchi, o gli ebrei o i fanciulli, pinzi di
-cibo, fare alla corsa, per guadagnare qualche carlino.
-Spesso gittava denaro al popolo; una volta gli regalò
-400 scudi, e di mascherate splendidissime molto il
-rallegrava.
-</p>
-
-<p>
-Ammassò ricchezze, ma non pei nipoti; dissero per
-mera avarizia, e poteva essere per provvedere ai tanti
-bisogni di cui si gravava la Chiesa. Concedette il titolo di
-duca di Ferrara a Borso d’Este, l’armò cavaliere di san
-Pietro, e lo fece sedere non più tra gli arcivescovi come
-quando era soltanto vicario pontifizio, ma tra’ cardinali,
-e gli donò la rosa d’oro che per pasqua suol darsi a qualche
-gran principe; con tali atti confermando l’alto dominio
-della santa Sede sopra Ferrara. Menò lunga e turpe
-guerra con Roberto Malatesta, disputandogli la signoria
-di Rimini, al qual uopo s’alleò coi Veneziani e con varj
-signori; e perchè Napoli e Firenze stavano col Malatesta,
-fu per divamparne tutta Italia, ma alfine Paolo gli riconobbe
-i feudi paterni. Meglio meritò collo stringere tutti i
-potentati d’Italia in una lega, onde mantenere l’indipendenza
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-di ciascuno. Delle riforme divisate nella curia
-però più non si parlava; rimoveasi sempre più l’idea
-di adunare un concilio; e intanto profondeansi in commende
-e aspettative, e negli altri lucrosi abusi.
-</p>
-
-<p>
-In peggior fama rimase Sisto IV (1471), già Francesco
-Albescola della Rovere. I ragazzi di cui circondavasi,
-fecero sparlare de’ suoi costumi; del suo rigore le
-guerre rinnovatesi tra i Colonna e gli Orsini, per cui a
-sangue e fuoco egli mandò la città. Vescovadi, principati,
-dignità, uffizj prodigò a due figli di suo fratello
-e due di sua sorella Riario, i quali la maldicenza bucinava
-figli di lui, e peggio. Leonardo della Rovere pose
-governator di Roma e sposò a una bastarda di re Ferdinando,
-per ciò cedendo a questo il ducato di Sora ed
-altri acquisti fatti penosamente da Pio II, i censi arretrati
-del regno, ed esenzione dai futuri sinchè vivesse.
-Giuliano fece cardinale, che poi divenne papa, e che
-intanto menava guerre contro Todi e Spoleto. L’inetto
-Pietro Riario, di ventisei anni creato cardinale, patriarca
-di Costantinopoli, arcivescovo di Firenze, legato
-di tutta Italia, aveva una corte d’oltre cinquecento
-persone, e un fasto senz’esempio, col quale e colle
-lascivie si logorò la vita. Allora Sisto innalzò Giovanni
-della Rovere, facendolo principe di Sinigaglia e Mondavio,
-staccate dalla Chiesa. Pel nipote Girolamo Riario,
-cui ottenne la mano di Caterina di Galeazzo Sforza colla
-contea di Bosco, comprò con quarantamila ducati la
-signoria d’Imola, ed una maggiore gliene destinava
-nella Romagna colle spoglie de’ signorotti: ma perchè
-trovò ostacolo nei Medici di Firenze, si unì ai tanti nemici
-di quella casa, alla malevolenza de’ quali parea
-cader molto in acconcio la giovinezza di Lorenzo e
-Giuliano figli di Pietro.
-</p>
-
-<p>
-Delle famiglie storiche di Firenze le più erano state
-esigliate, i Ricci, gli Albizzi, i Barbadori, i Peruzzi, gli
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-Strozzi, i Machiavelli, gli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini;
-spogli d’ogni credito i Pitti e i Capponi; e i due
-fratelli Medici teneano occhio perchè non si rialzassero.
-Fra le antiche feudali, era di tutte splendidissima quella
-dei Pazzi di val d’Arno, consorte già degli Ubaldini,
-degli Uberti, dei Tarlati e d’altri Ghibellini; dopo lunghe
-lotte colla Repubblica, era scesa in città e aveva
-giurato il comune; come le altre illustri era stata
-esclusa dal governo: ma a Cosmo era bastato l’accorgimento
-di non cozzarla, anzi la privilegiò di passare
-dai magnati fra’ plebei e quindi venir abile alle cariche,
-e sua nipote Nanina Bianca sorella di Lorenzo sposò a
-Guglielmo de’ Pazzi. Le dovizie acquistate col banco
-ch’era de’ più accreditati del mondo, e le clientele di
-quella casa, massime da che si fu imparentata co’ Borromei
-di San Miniato, davano sempre maggior ombra
-ai Medici; onde Lorenzo fece dalla balìa stanziare un
-regolamento che alterava l’ordine di successione in
-modo, che i Pazzi non potessero ereditare da essi Borromei.
-Se ne corrucciarono i Pazzi, e Francesco, uscito
-di patria, si pose a travagliare il suo banco a Roma,
-dove Sisto IV lo ricevette in grazia, lo costituì banchiere
-della santa Sede, e ne fomentò i rancori a danno dei
-Medici.
-</p>
-
-<p>
-Pertanto i Pazzi tramarono (1478) con Girolamo Riario e
-con Francesco Salviati, che dai Medici non erasi voluto
-ricevere arcivescovo di Pisa; e in Santa Maria del Fiore
-durante la messa di pasqua (26 aprile), al momento dell’elevazione
-assalsero i due principi. Giuliano resta ucciso, Lorenzo
-ferito si difende; Jacopo de’ Pazzi corre la città per
-ammutinare il popolo, ma questo, gridando <i>Palle,
-Palle</i>, dà addosso agli assassini e li trucida a furore,
-e i laceri brani porta infissi sulle picche per la città.
-Francesco de’ Pazzi, che nell’abbattere Giuliano erasi
-ferito da sè, fu tratto di letto, e in mezzo agl’insulti
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-plebei appiccato: più di settanta cittadini furono o con
-egual violenza trucidati e sbranati, o coi successivi
-processi: l’arcivescovo di Pisa fu impeso alla finestra
-del palazzo, ove erasi condotto come sicuro d’insignorirsene:
-le istanze di Lorenzo camparono il Riario che
-cantava messa. Dubitandosi che il pugnale onde fu
-percosso Lorenzo fosse avvelenato, un Ridolfi si offrì a
-succhiarne la ferita. Poi corse voce tra la plebe che le
-pioggie, le quali non sapeano cessare, fossero un segno
-del cielo perchè Jacopo era stato sepolto in terra sacra,
-benchè sul morire si fosse dato al diavolo: onde per
-ordine della Signoria fu tratto la notte da Santa Croce,
-e sotterrato lungo la mura. Ma i fanciulli saputolo, andarono
-a dissepellirlo, e col capestro che aveva alla
-gola lo trascinarono per le vie, e bussavano alla porta
-di lui, dicendo aprissero al padrone; e continuarono
-lo strapazzo finchè la Signoria non mandò i famigli che
-lo buttarono in Arno, ove pure lungo tempo galleggiò.
-Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, era fuggito
-a Costantinopoli; eppure ivi stesso fu côlto e tradotto a
-Firenze, ove l’aspettava la forca.
-</p>
-
-<p>
-Per quanto i Fiorentini implorassero perdono dello
-avere messo le mani su persone sacre, e si sottomettessero
-alle comminate censure, il papa li colpì di una
-terribile bolla; e volendo per guerra aperta ciò ch’eragli
-fallito per tradimento, s’accordò a’ danni de’ Medici col
-re di Napoli.
-</p>
-
-<p>
-Il magnanimo Alfonso erasi destinato successore al
-trono di Napoli Ferdinando suo figlio naturale, e i Napoletani
-lo preferivano agli Aragonesi, eredi della
-Sicilia, perchè, non avendo altri dominj, non li renderebbe
-provincia di stranieri; d’altra parte, tenendo
-Alfonso quel trono per elezione, chi altro potea vantarvi
-diritti? Dal parlamento fu dunque riconosciuto (1458),
-e così dal papa; confidava negli Orsini, baroni potentissimi,
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-di cui aveva sposato una figlia; pure il dominio
-gli fu controverso da molti competitori; la fazione
-degli Angioini rivisse, ed appoggiata dai Caldora, dai
-Sanseverino, dai principi di Rossano e di Taranto,
-chiamò di Francia (1461) Giovanni figlio di Renato, che al
-Sarno riportò insigne vittoria sopra Ferdinando.
-</p>
-
-<p>
-Grand’ajuto avea prestato agli Angioini il braccio di
-Jacopo Piccinino, figlio di Nicolò, che veduto Francesco
-Sforza divenire signore di Milano, erasi ostinato a volere
-anch’esso un dominio; e quando la pace di frà Simonetto
-pose quiete dappertutto, egli rizzò bandiera di
-ventura, e accolse quanti voleano ancora esercitare il
-valore senza badare al motivo. Tentò impadronirsi di
-Perugia e Bologna; respintone, si gettò sul Senese menando
-guasto, finchè il duca di Milano e il papa inviarono
-Roberto Sanseverino a reprimerlo; ma l’ottennero
-meglio col pagargli ventimila fiorini. Quando poi Sigismondo
-Malatesta, figlio di quel Pandolfo che dominò
-Bergamo e Brescia, voleva insignorirsi di Pesaro, e
-insidiava Federico di Montefeltro duca d’Urbino, contro
-di lui fu voltato il Piccinino, il quale sperperò la Romagna,
-fin centoquindici castella predando in pochi
-giorni, e in una sola cavalcata bottinando mille paja di
-buoi e cento uomini di taglia<a class="tag" id="tag121" href="#note121">[121]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le costui imprese sarebbero da eroe se non fossero
-state da masnadiero. Come si ruppe guerra nel Napoletano,
-esitò con chi buttarsi, finchè accettò il soldo di
-Giovanni d’Angiò, e spinse i guasti fin sotto Roma.
-Ferdinando gli oppose Giorgio Castrioto, che con ottocento
-cavalli venne dall’Epiro a ripagare Ferdinando
-de’ soccorsi prestatigli da Alfonso (pag. 218), ma che
-comparve minore dell’aspettazione: — forse qui combatteva
-per la patria e per la fede? Meglio profittò
-Ferdinando col trarre di nuovo a sè i Sanseverino e
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-gli Orsini, già ingelositi degli incrementi di Giovanni,
-e speranzosi di nuove ricompense; poi a liberarsi dal
-Piccinino, riverito come il miglior capitano superstite,
-lo soldò assegnandogli novantamila ducati l’anno e la
-condotta di tremila cavalli e cinquecento fanti e molti
-possessi. Avendolo Francesco Sforza, antico emulo suo,
-invitato a Milano a sposare sua figlia Drusiana, Ferdinando
-ne sollecitò il ritorno, l’accolse con grandi manifestazioni
-d’onore, ma pochi giorni dopo coltolo a
-tradimento, lo fece strangolare (1465 21 giugno). Con lui finiva la scuola
-braccesca<a class="tag" id="tag122" href="#note122">[122]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni d’Angiò più non potè che fuggire da un
-regno sempre infausto a casa sua; molti regnicoli passarono
-seco a guerreggiare in Francia e in Borgogna;
-e riprese le briglie, il re adoprò supplizj, confische,
-tradimenti, per umiliare i baroni<a class="tag" id="tag123" href="#note123">[123]</a>. Giannantonio
-Orsini principe di Taranto fra poco si trovò strangolato,
-dissero per opera di Ferdinando, il quale addusse un
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-testamento che lo faceva erede di Bari, Otranto, Taranto,
-Altamura, d’un milione di fiorini in merci, cavalli,
-greggie, altri mobili, e quattromila uomini di
-buone truppe: colpo mortale alla fazione angioina.
-All’altro potentissimo Maria Marzano principe di Rossano,
-duca di Sessa e d’altre terre, Ferdinando promise
-sposa una figlia: poi quando, sotto l’ombra della pace
-conceduta, andò a caccia da quelle parti, chiese abbracciarlo,
-e avutolo a sè, l’inviò prigione a Napoli, e ne
-prese i figliuoli e gli Stati.
-</p>
-
-<p>
-Superbo, doppio, avaro, Ferdinando malignò a guastare
-la pace che in Italia durava dopo il 1454; col
-papa venne in urto per isminuire il censo dovuto dal
-Regno; poi con esso e colla repubblica di Siena cospirò
-per isvellere il dominio mediceo.
-</p>
-
-<p>
-Siena, antica emula di Firenze come ghibellina, si
-era poi mutata alla bandiera guelfa: ma se patria non
-sia, vien tedio a seguire le capiglie interne e le replicate
-minaccie ch’ebbe a soffrire da poderosi vicini o dai
-condottieri; fuori non esercitò mai grande efficacia,
-attesochè dentro era trassinata fra una plebe invida e
-inetta, ed un’oligarchia gelosa d’escludere le altre classi.
-I Monti, o vogliam dire gli ordini de’ gentiluomini, dei
-nove, dei dodici, dei riformatori, del popolo, la sbranavano,
-e l’uno prevalendo o l’altro, con alterne persecuzioni
-logoravano le forze, e scapitavano di potenza
-e d’onore. I gentiluomini, antichi proprietarj di tutto il
-terreno, prevalsi dal 1240 al 77, furono esclusi dalle
-magistrature, restando fin al 1355 superiore il Monte
-dei nove, in cui entrava una nobiltà popolana, d’antiche
-ricchezze: poi fino al 68 primeggiò il Monte dei dodici,
-cioè i ricchi mercanti; e fino all’84, quello dei riformatori:
-poi ora questo, ora il popolo, eleggendo tre priori
-ciascuno, ed escludendo i due primi, che restavano naturali
-nemici e sommovitori.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-</p>
-
-<p>
-Si appoggiò a loro il duca di Calabria figlio di re
-Ferdinando, cupido d’acquistarvi signoria; e indusse a
-cernire dai varj Monti un nuovo, detto degli aggregati,
-che solo ottenesse gli uffizj, gli altri tutti eliminando.
-Costoro non poteano cautelarsi che colla forza, e perciò
-stavano ligi al duca, e col padre suo presero parte a
-ruina di Lorenzo Medici. Dico di Lorenzo, perchè il
-papa, esclamando al sacrilegio d’avere appiccato un
-unto del Signore, mosse le truppe che già aveva allestite
-per secondare la congiura de’ Pazzi, e dichiarò
-guerra non alla repubblica, bensì a Lorenzo, <i>figlio di
-iniquità, alunno di perdizione</i>. Però i Fiorentini fecero
-comune la causa di lui; mandarono pel mondo un ragguaglio
-della congiura e le prove della complicità del
-papa, il quale non se ne scolpò; e protestarono contro
-la scomunica, appellando al futuro concilio. Trovarono
-ascolto, e molti principi minacciarono Sisto IV di disdirgli
-obbedienza se turbasse la Chiesa con una guerra
-senza giustizia: il re di Francia non solo sospese di
-inviare le annate, dacchè le vedeva destinate contro
-Cristiani non contro gl’Infedeli, ma minacciò aprire un
-concilio.
-</p>
-
-<p>
-Ecco dunque il papa al funesto bivio di revocare una
-sentenza appena proferita, spezzando da sè il bastone
-apostolico datogli per rompere i vasi inutili, e piegandosi
-alle minaccie secolari; ovvero ostinarsi in una
-guerra ingiusta. A questa si gittò Sisto, avendo accaparrati
-i migliori condottieri, intrigato a suscitare contro
-di Venezia e di Milano guerre, sollevazioni, perfino i
-Turchi, acciocchè quelle non potessero soccorrere
-Firenze.
-</p>
-
-<p>
-La quale, côlta dall’armi fra’ suoi studj pacifici, non
-vide miglior partito che soldare un capitano, e fu
-Ercole duca di Ferrara: ma poichè costui era genero
-di Ferdinando, se non la tradiva, menava fiaccamente
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-le fazioni. Lorenzo, vedendo la città disanimarsi e ai
-timorati fare offesa l’interdetto, mentre i collegati
-avanzavano a gran passi, parve colla sua generosità
-voler dare risalto alla vigliaccheria di questi, e propose
-di avventurare sè solo, giacchè contra lui solo dicevansi
-armati. Parte dunque di Firenze (1479 7 xbre), lasciando una
-siffatta lettera alla Signoria: — Eccelsi signori, se io
-non v’ho altrimenti fatto noto la cagione di mia partita,
-non è stato per presunzione, ma perchè mi pare, negli
-affanni ne’ quali si trova la città nostra, si richiegga
-più il fare che ’l dire. Parendomi che cotesta città
-abbia desiderio e bisogno grandissimo di pace, e vedendo
-tutti gli altri partiti scarsi, m’è paruto meglio
-mettere me in qualche pericolo, che tenervi tutta la
-città. E però ho deliberato trasferirmi liberamente a
-Napoli; perchè, essendo io principalmente perseguitato
-da’ nemici nostri, potrei forse ancora essere cagione,
-andando nelle loro mani, di far rendere pace alla vostra
-città. Una delle due: o veramente la maestà del re ama
-cotesta città, come ha predicato, e non c’è miglior via
-a farne sperienza, che andar liberamente nelle sue
-mani. Se ha animo di occupare la nostra libertà, a me
-pare che sia bene intenderlo presto; e più tosto con
-danno d’uno, che di tutto il resto. Ed io son molto
-contento essere quello per due cagioni: la prima, perchè
-potrebb’essere che i nemici nostri non cerchino
-altro che ’l male solamente mio; l’altra che, avendo io
-nella città avuto più onore e condizione che alcun altro
-cittadino a’ dì nostri, giudico essere più obbligato che
-tutti gli altri ad operare per la patria mia, fino a mettere
-la vita. Forse Iddio vuole che, come questa guerra
-cominciò col sangue di mio fratello e mio, così ancora
-finisca per le mie mani; ed io desidero solo che la vita
-e la morte, e ’l male e ’l bene mio sia benefizio della
-città. Che se gli avversarj non vogliono altro che
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-me, mi avranno liberamente nelle mani: se vogliono
-altro, s’intenderà, ed a me pare essere certo che tutti i
-nostri cittadini si disporranno alla difesa della libertà
-come sempre hanno fatto i padri nostri. Vommene con
-questa buona disposizione, e senza alcun altro rispetto
-che del bene della città; e prego Iddio mi dia grazia di
-fare quello ch’è obbligato ciascun cittadino per la sua
-patria».
-</p>
-
-<p>
-Si presentò di fatto a Ferdinando (1480), il quale lo ricevette
-con solenni dimostrazioni; e tocco da tale fiducia,
-o forse persuaso da quanto esso gli espose intorno alle
-vendette che i Fiorentini potrebbero fare chiamando
-in Italia il re di Francia, erede delle ragioni di casa
-d’Angiò sul trono di Napoli, patteggiò la pace, restituendo
-a Firenze tutti i luoghi presi. I Veneziani che
-s’erano chiariti per Lorenzo, si trovarono allora soli
-esposti alle armi nemiche; sicchè esclamandosi traditi,
-non aborrirono dall’eccitare i Turchi a ricuperare le
-terre italiane, dipendenti in antico dall’Impero orientale.
-Il gran visir Acmet Breche-Dente dalla Vallona sbarcò (agosto)
-presso Otranto (pag. 231), e mandatala a sacco e sangue,
-e lasciatavi forte guarnigione, andò a raccogliere altre
-forze. Tutta Italia ne sbigottì: il papa accingevasi a
-fuggir oltremonte, mentre consentiva alla pace coi Fiorentini
-ed eccitava gl’italiani all’arme, abbandonando
-l’ambìta Siena. In fatto Alfonso di Calabria assalì vigorosamente
-Otranto, la cui guarnigione, perduta la fiducia
-di nuovi soccorsi alla morte di Maometto II,
-capitolò (1481).
-</p>
-
-<p>
-La qual morte restituì baldanza ai principi cristiani,
-quasi con lui cessasse ogni pericolo; e invece di unirsi
-cogli altri potentati d’Italia per assicurarla dai Turchi,
-ed assalirli intanto che li snervava la discordia tra’
-figliuoli di Maometto, e che tutti i nostri soldati, incaloriti
-dalla vittoria, gridavano A <i>Costantinopoli</i>, re
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-Ferdinando prende per sè tutte le armi e l’artiglieria, e
-si vendica de’ Veneziani eccitando Ercole d’Este duca
-di Ferrara suo genero ad impacciare il commercio di
-quelli sul Po. Così passioni malevole e basse conciliano
-alleanze o infocano nimicizie.
-</p>
-
-<p>
-I dominj del duca di Ferrara faceano gola al papa
-non meno che a Venezia, attesa la loro situazione.
-Venezia si doleva che Ercole tirasse il sale da Comacchio,
-e impedisse il Po a quello de’ Veneziani, i quali
-ne tolsero motivo di dichiarargli guerra, prendendo
-capitani (1484) Roberto Sanseverino, Roberto Malatesta, il
-marchese Gonzaga, i conti Rossi di Parma e Torelli di
-Guastalla, altri de’ Fieschi e de’ Frangipani. Il papa fa
-causa con loro; e perchè Ferdinando non spedisca
-soccorsi a suo genero, arma nelle Marche.
-</p>
-
-<p>
-Tutta Italia fu arruffata da questo miserabile piato.
-Col duca stavano Federico di Montefeltro e i Milanesi,
-e sedici savj di guerra dirigevano le mosse; fazioni
-si mescolarono ad assedj e saccheggi; le truppe di
-Ferdinando disputaronsi i Polesini del Po, ed ebbero
-a soccombere al clima: ma in quel bollimento generale
-neppure una giusta battaglia fu combattuta. Il
-papa aveva blandito Venezia soltanto per farla stromento
-alle nepotesche ambizioni; e quando vide poter
-meglio soddisfare coll’abbandonarla, fermò il piede col
-re di Napoli e col duca di Ferrara, e pose Venezia all’interdetto,
-come turbatrice della quiete d’Italia, e insidiatrice
-di Ferrara, dovuta alla santa Sede. Venezia,
-non badando alla condanna, ordina si continuino i
-riti, ed appella al futuro concilio; e la guerra è proseguita
-con ingenti sacrifizj e reciproci disastri<a class="tag" id="tag124" href="#note124">[124]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-</p>
-
-<p>
-Finalmente si arrivò alla pace di Bagnólo (1484 7 agosto), nella quale
-Venezia cedeva il conquistato e ricuperava il perduto e i
-diritti di navigazione sul Po, il Polesine di Rovigo, la
-privativa del sale: il duca di Ferrara dovea rinunziare
-ai primitivi possessi della famiglia d’Este: i Rossi,
-conti di San Secondo, perdeano tutti i dominj: nulla
-aveva potuto il papa guadagnare pe’ nipoti suoi. Il trattato
-stesso costituiva una lega italiana a comune difesa,
-de’ cui eserciti sarebbe capitano Roberto Sanseverino,
-con diecimila ducati annui dal papa, altrettanti
-dal re di Napoli, cinquantamila da Venezia e così dal
-duca di Milano, diecimila da Firenze, e dai duchi di
-Ferrara, Modena e Reggio.
-</p>
-
-<p>
-Questo trattato segna un’êra nuova nella storia patria.
-Quando nel 1453 Nicolò V pacificava la penisola
-onde opporla ai Musulmani, si fece il primo atto di
-concordia fra i potentati italiani. Poi nel 1470 Milano,
-Napoli, Firenze, Roma s’alleavano contro il soverchiare
-di Venezia, la quale unendosi poi a loro, costituiva
-una lega generale. Ora ecco di nuovo l’Italia
-alleata contro Venezia, e finirsi con una generale federazione.
-L’atto mostrasi come opera di pacificazione
-e di progresso nazionale, come il termine d’infinite rivoluzioni.
-È necessità di natura (vi è detto) cominciar
-dal male, dai disordini, dallo scandalo; ma è legge di
-ragione arrivare alla concordia che nutrisce la tranquillità,
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-genera il ben essere, moltiplica i popoli, crea l’abbondanza,
-propaga l’umanità. A tal uopo le potenze si
-perdonano i danni e le guerre, <i>in qual sia modo fatte</i>,
-le rapine, gl’incendj, le uccisioni, e senza frode o reticenza
-o cavillo giurano perpetua pace, confederazione,
-unione e lega. Ogni memoria di Guelfi o Ghibellini è
-abolita, dacchè si uniscono senza badare a origine o a
-storia; promettendo al papa non dar mano ai baroni
-del suo paese, riconoscono l’indipendenza degli Stati;
-assoldando un capitano comune vengono a stabilire la
-base di tutte le federazioni, cioè che tutti i confederati
-formano uno Stato solo contro il nemico, pur rimanendo
-distinti e sovrani ciascuno; ma senza aspirare ad
-una matematica eguaglianza fra loro, giacchè la somma
-da contribuire proporzionavano all’estensione geografica.
-Il fatto irregolare ma storico della loro vicinanza
-vien dunque dagli Stati italiani sottomesso a idee chiare;
-e se non tutta Italia v’era compresa, se riservavasi
-<i>protocollo aperto</i> al re di Castiglia, è notevole però
-che dell’imperatore non si far pur cenno, e il papa v’è
-considerato come un semplice signore; sepellendo così
-sotto la concordia federale i due eterni fomiti delle
-disunioni. Fosse stato per sempre!
-</p>
-
-<p>
-La pacificazione d’Italia forse accelerò la morte (13 agosto) di
-quel che sempre l’avea turbata, Sisto IV; «e fu (dice
-Machiavelli) il primo che cominciasse a mostrare
-quanto un pontefice poteva, e come molte cose chiamate
-per l’addietro errori, si potevano sotto la pontificale
-autorità nascondere. Questo modo di procedere
-ambizioso lo fece più dai principi d’Italia <i>stimare</i>, e
-ciascuno cercò di farselo amico». Mai non si era così
-indegnamente trafficato nella curia: ne dichiarò venali
-le cariche pubblicandone la tariffa; cercò guadagno dal
-distribuire i benefizj e la porpora; mercatò di perdonanze;
-da’ sudditi smunse quanto potè, e massime col
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-fare incetta, poi procurare carestie artefatte fissando
-egli stesso il prezzo, o mandandone fuori quando il
-potesse a vantaggio, e traendone del cattivo pe’ suoi.
-Qualche volta piacevasi vedere i soldati duellar fino a
-morte, e le scalee di San Pietro ebbero a contaminarsi
-di sangue.
-</p>
-
-<p>
-Appena Sisto spira, amareggiato dai falliti disegni,
-il palazzo de’ suoi nepoti è demolito, saccheggiati i
-pieni granaj; i Colonna, da lui perseguitati, rientrano,
-e si mantengono coll’armi alla mano. I cardinali si sforzarono
-di ovviare nuovi disordini collo stabilire per capitolazione,
-il papa non potesse nominare più che un
-cardinale della propria famiglia, governasse di concerto
-col sacro collegio, e massime per alienare feudi della
-Chiesa dovesse ottenere due terzi dei voti: ma meglio
-di questi sempre elusi ripieghi avrebbe giovato il determinarsi
-ad una buona scelta. Fu detto che promettendo
-a ciascun cardinale pingui posti e l’entrata di
-quattromila fiorini, ne ottenesse i voti Giambattista
-Cybo genovese, che assunse il nome d’Innocenzo VIII,
-e che le pasquinate dissero, a ragione chiamarsi padre,
-poichè aveva sette figli naturali. Per questi legami e
-per debolezza lasciavasi menare da indegni favoriti,
-che s’abbandonavano a sfrontata venalità: Franceschetto
-Cybo s’impinguava col concedere impunità fino ai masnadieri,
-di cui Roma era divenuta tana; di che il suo
-cameriere con indegna celia lo scagionava dicendo
-che Dio non vuol la morte del peccatore, ma che paghi
-e viva. Costui, che fu lo stipite dei duchi di Massa e
-Carrara, consigliò il papa a creare una quantità d’impieghi,
-per venderli caro a persone, le quali poi si
-rintegravano col far mercato delle grazie apostoliche.
-Alcuni scrivani falsarono anche bolle ed assoluzioni
-preventive per ogni sorta disordini: scoperti, furono
-condannati a morte: si esibì pel loro riscatto cinquemila
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-ducati, ma pretendendosene sei, e non potendo
-trovarli, salirono al patibolo<a class="tag" id="tag125" href="#note125">[125]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Non si dimentichi che questi aneddoti ci vengono
-da impurissima fonte, come sono le ciancie d’anticamera,
-e le impudenze d’una cronaca scandalosa; dalla
-quale si raccorrebbe perfino che colla trasfusione del
-sangue di tre fanciulli tentasse Innocenzo prolungare
-la vita, che i predecessori suoi versavano con santa
-generosità. Questo deterioramento de’ pontefici doveva
-giustificare il flagello che già fischiava in aria.
-</p>
-
-<p>
-Le <i>prammatiche</i> di re Ferdinando aveano principale
-scopo il reprimere i baroni, proibendo esigessero
-dai vassalli oltre quello che permettevano le costituzioni,
-nè gl’impedissero di vendere i possessi a piacere;
-sottoposti tutti i beni all’estimo; ai magistrati regj
-concesso di procedere d’uffizio in ogni misfatto, anche
-senza querela della parte offesa; perseguitare i masnadieri
-e gli usurai in qualsifosse luogo. Tale robustezza
-s’addiceva a tempi, in cui per tutta Europa i re
-accentravano l’autorità pubblica, sparpagliata da prima;
-ma rendeva Ferdinando esoso ai baroni, mentre a tutti
-spiacevano le sue crudeltà nel punire, e l’avarizia esercitata
-con sozzi monopolj, coll’accaparrare l’olio e il
-grano per rivenderli cari, col dare ai villani de’ majali
-da ingrassare.
-</p>
-
-<p>
-Peggio esacerbavano i fieri portamenti di suo figlio
-Alfonso di Calabria. Costui (1485) fa proditoriamente arrestare
-Pietro Lallo conte di Montorio, la cui famiglia da
-un secolo tenea il primato in Aquila, ed occupa questa
-città. Essa lo caccia a furia, e si esibisce ad Innocenzo
-VIII, col quale si collegano i principali baroni
-come a signore sovrano del regno, ed a Ferdinando
-espongono i loro richiami, e chiedono di non dover
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-comparire in persona ai parlamenti, temendo esservi
-presi e morti come i loro compagni; potere armar
-gente a difesa dei proprj distretti, e mettersi al soldo
-di qualunque potenza non fosse in guerra col re; questo
-non gravasse di straordinarie imposte i loro vassalli,
-nè vi ponesse a quartiere le sue truppe. Ferdinando
-finse darvi ascolto per guadagnar tempo e sconnetterli;
-ma essi, accortisi del tranello, e risoluti di non
-cadere sotto all’aborrito Alfonso, alzan bandiera papale
-in aperta rivolta: i Sanseverino, i Del Balzo, gli Acquaviva,
-molti conti e principi e cavalieri, tra cui il grand’ammiraglio,
-il gran siniscalco, il gran connestabile,
-li secondano; il conte di Sarno, nobile antichissimo
-eppur dato ai traffici con tanto utile che il re medesimo
-volle entrar seco in società; Antonello Petrucci,
-che pe’ suoi talenti divenuto secretario regio, accumulò
-onori e ricchezze e collocò altamente tutti i figliuoli.
-</p>
-
-<p>
-Ma i potentati vicini in cui fidavano, rimangono indifferenti
-od ostili; il duca di Lorena, erede delle pretensioni
-angioine, che avea promesso venire a soccorrerli,
-non giunge; Roberto Sanseverino valoroso condottiero,
-messosi con loro, è sconfitto; Innocenzo VIII,
-che forse gli aveva sobillati, si riconcilia con Ferdinando.
-Costretti a impetrar pace, ottengono piena perdonanza
-dal re, il quale (1487) lascia al papa Aquila ed i
-baroni che gli avevano fatto omaggio. Il trattato ebbe
-la garanzia del papa, del re di Spagna, del re di Sicilia;
-eppure era un lacciuolo. Appena i baroni ebbero
-deposte le armi, Ferdinando sollecitò le nozze del
-figliuolo del conte di Sarno con una sua nipote, e tra le
-feste e i balli fece arrestare lo sposo, il padre, il Petrucci
-e molti baroni; poi, volendo quelle apparenze di
-giustizia che colà si sanno troppo simulare, nominò una
-giunta e quattro pari, che li condannarono a morte. E
-fu eseguita inesorabilmente; al fisco i loro beni, perseguitati
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-gli aderenti e uccisi chi in segreto, chi in pubblico,
-nemmanco perdonando i fanciulli; appena la Bandella
-Gaetana potè fra romanzeschi pericoli salvare i
-suoi figli, principi di Bisignano.
-</p>
-
-<p>
-In secolo di tante perfidie questa rimase più famosamente
-esecrata; e benchè Ferdinando mandasse a
-stampa il processo de’ baroni, non risonava che un
-concerto di maledizioni. Innocenzo, cui egli ritolse
-Aquila e ricusò il tributo promesso, lo proferì decaduto,
-e invitò a quel trono Carlo VIII di Francia; principio
-di nuovi disastri all’Italia.
-</p>
-
-<p>
-A Firenze la congiura de’ Pazzi, come avviene dei
-tentativi falliti, crebbe potere a Lorenzo, e più quando
-riuscì ad una pace, indarno a lungo, maneggiata da
-consiglieri e ambasciatori. Cosmo avea provato tutti i
-guaj e pochi frutti della dominazione, perchè nuova, e
-perchè capo d’una fazione irrequieta, il diriger la quale
-gli costò più che non il vincere l’avversa. Anche a suo
-figlio riuscivano impaccio quei che pareano sostegni.
-Ma il pericolo di Lorenzo eccitò quella devozione, ch’è
-singolare avviamento alle signorie smisurate; e gli fu
-conferita autorità principesca, ch’egli adoprò a consolidare
-la sua famiglia, non più col violare la costituzione,
-ma col fortificarla.
-</p>
-
-<p>
-Diciassette riformatori ridussero a metà il tre per
-cento che pagavasi pel debito pubblico, espediente che
-campò lo Stato dal fallire. Lorenzo stesso, imputato di
-riparare col pubblico denaro le perdite al suo privato
-cagionate dal lusso e dalla dissipazione de’ suoi agenti,
-non trovò più decoroso il continuare i traffici, e ritirati
-i capitali, gli investì in terreni: col quale espediente
-separò i proprj negozj da quelli dei cittadini,
-che quasi interesse proprio aveano sostenuto i suoi
-padri. Creò l’ultima balìa per istituire una magistratura
-legislativa, di cui sin allora aveasi mancanza, e che
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-dovea formarsi di settanta membri e de’ gonfalonieri
-che man mano uscivano di carica, ed essere consultata
-sopra tutti gli affari pubblici prima che gli altri collegi
-deliberassero, nominare agli impieghi, amministrare
-il tesoro. Così lasciava sussistere le forme repubblicane,
-ma se le facea stromento al dominare. I
-settanta condussero il governo con quiete e gloria, ma
-dipendente all’intuito dal principe, il quale avendo a
-spendere ben poco ne’ magistrati, volgeva il denaro ai
-vantaggi suoi domestici, e a sedurre, comprare o ammollire
-gli antichi repubblicani, predisponendoli alla
-servitù de’ suoi successori. Sebbene però il governo
-allora introdotto fosse tutto materiale e di speculazione,
-Firenze n’ebbe la pace di cui tanto avea mestieri, e
-considerò quello come il tempo suo più lieto: solita
-ventura de’ governi che succedono a lunghi turbamenti,
-e a cui i popoli fanno merito del male che non
-commettono.
-</p>
-
-<p>
-Ormai tutta Toscana obbediva a Firenze, a patti o a
-forza essendosi, da Siena in fuori, assoggettate le città
-e le signorie (pag. 244). Pietrasanta, posseduta dal
-banco genovese di San Giorgio, fu ripigliata dai Fiorentini
-nel 1484. Antonio Pucci, commissario di quella
-guerra, insisteva presso il capitano perchè desse la
-battaglia; e questo «dimostrava molte difficoltà’, e
-che vi si farebbe una beccheria d’uomini. Il Pucci, veduta
-la sua pusillanimità o malizia, fece un colpo da
-savio, e disse: <i>Orsù, capitano, datemi la vostra corazza,
-ed io andrò a dare battaglia, e voi rimarrete
-con questi altri commissarj a provvedere il bisogno</i>.
-Tali parole furono dette con tanta efficacia, che il governatore
-si vergognò e, <i>Io v’ho detto il parer mio;
-niente di meno farò il vostro</i>; e così dettono una
-grandissima battaglia, in modo vi morì di molta brigata,
-e feriti da ogni banda. Di che il Pucci usò un altro
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-colpo di savio, accompagnato colla carità: che andò,
-e fece rassettare tutti i feriti, e andogli a visitare e
-seco il medico, e raccomandarli loro, e baciavali e
-commendavali, e seco anche il cancelliere con denari,
-e diceva: <i>Orsù, fratelli, chi ha bisogno di denari lo
-dica</i>; e davane loro e confortavali che non temessino
-di niente. Quelle parole e fatti furono di tal efficacia
-appresso a’ feriti come a’ sani, che si sariano buttati
-per marzocco nel fuoco; e parea loro mill’anni si desse
-l’altra battaglia. E come si dette, aveano dimenticato i
-pericoli, e mai si spiccarono che presero Pietrasanta:
-e se passava quindici giorni, bisognava levarsi da campo
-con vergogna e danno» (<span class="smcap">Cambi</span>).
-</p>
-
-<p>
-Nell’87 si ricuperò Sarzana, stata tolta dai Fregosi.
-Volterra, sollevatasi nel 49, fu punita; poi essendosi
-nel 72 scoperta una ricca allumiera a Castelnuovo, i
-cittadini ne pretendeano la proprietà, e negata, si ribellarono.
-I Fiorentini mandarono Federico d’Urbino,
-che, assediata la città, la ridusse a capitolare: ma mentre
-se ne trattava, un Veneziano nascostamente introdusse
-i soldati, che si buttarono al sacco, invano trattenuti
-dal conte d’Urbino, che fece anche impiccare il Veneziano.
-Così Volterra tornò ai Fiorentini, non più come
-alleata ma suddita, senza privilegi, e tenuta in senno
-dalla torre del Maschio, una delle peggiori prigioni di
-Stato.
-</p>
-
-<p>
-Lorenzo frametteasi alle quistioni politiche d’Italia,
-e spesso opportunamente; per esso gli Estensi ottennero
-la pace di Bagnolo che li salvò; per esso gli Aragonesi
-la quiete dopo la congiura de’ baroni; per esso Innocenzo
-VIII la sommessione di Bocolino de’ Gozoni, che,
-sollevata Osimo, invitava i Turchi a sostenerlo; per
-esso fu all’Italia ritardata l’invasione dei Francesi,
-inuzzoliti dalla chiamata di Sisto IV. Era egli stato
-educato squisitamente da Cristoforo Landino, dal greco
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-Giovanni Argiropulo, da Marsilio Ficino, e dalla propria
-madre Lucrezia Tornabuoni, protettrice e intelligente
-delle lettere. Vi unì abilità in tutti gli esercizj
-del corpo; e il torneo, dove giovinetti armeggiarono
-esso e il fratello, eccitò il Poliziano a comporre
-le più belle ottave che ancor si fossero udite. Educava
-egli stesso domesticamente i suoi figliuoli<a class="tag" id="tag126" href="#note126">[126]</a>,
-e come d’erudizione, così era pieno d’arguzie; e
-motti e burle di lui abbondano nelle raccolte di quel
-tempo.
-</p>
-
-<p>
-Venuto poi a capo dello Stato, meritò il titolo di Magnifico
-per lo splendore onde tenne corte; chè corte
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-veramente potea dirsi dacchè era trattato alla pari dai
-principi, sebbene non portasse titolo. Faceasi talora
-incaricare dai Fiorentini della esecuzione di qualche
-opera utile, che egli stesso avea suggerita, e dove metteva
-del proprio. Le case antiche, un tempo pari alla
-medicea, per quanto ricche e numerose, più non comparivano
-che da suddite. Ridotti uniformi i voleri, segreti
-i consigli, arbitraria la erogazione del pubblico
-denaro, accomodata la città di nuove vie, e fortificatala
-contro i nemici, potè volgersi alla politica esteriore,
-e tener le bilancie d’Italia in modo, che gli stranieri
-non vi prevalessero.
-</p>
-
-<p>
-So che, quanto fu stile l’esaltarlo durante la dominazione
-de’ Medici, così il denigrarlo sotto gli Austriaci,
-e più dai moderni come autore della susseguita servitù.
-Chi negherà ch’e’ vi trovasse preparato il paese?
-e che libertà era quella, dove i cittadini migliori erano
-stati proscritti? La nuova generazione avea perduto
-quel sentimento del vivere franco e del concorrere al
-governo e al ben della patria, ch’era parso felicità ai
-loro maggiori. Tra siffatti è agevole a pochi sommovitori
-il turbare la quiete col pretesto della libertà; e il
-reprimerli è dovere d’un capo restauratore. Un Frescobaldi
-tramò d’uccidere Lorenzo, e fu mandato alla
-forca; Baldinotto Baldinotti il tentò pure, e fu col figlio
-trascinato per le vie di Pistoja; e il popolo, non che irritarsene,
-applaudì.
-</p>
-
-<p>
-Siccome Augusto, adoperò a restituire i Fiorentini
-dalla vita pubblica alla domestica, ma non trascese le
-condizioni di primo cittadino di paese libero. L’ambizione
-di lui dovea pur restare lusingata allorchè, dall’alto
-della sua villa, osservava questa città, bellissima
-di antiche e nuove grandezze, dove Arnolfo, l’Orcagna,
-Masaccio aveano insignemente attestato il risorgere
-delle arti, e Brunelleschi fabbricato Santo Spirito, la più
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-bella delle chiese, preparato nel palazzo Pitti una futura
-reggia, e lanciata la meravigliosa cupola della cattedrale,
-a cui la cedeva appena Santa Croce; Santa
-Maria Novella appariva ornata e vaga come una sposa;
-San Lorenzo era stato finito da Cosmo con quarantamila
-fiorini; con trentaseimila quel convento di San
-Marco, nel quale già predicava una voce potente, che
-fra poco dovea diventare formidabile. Contemplarla, e
-poter dire, — Questa città è mia!» Vero è bene che
-Lorenzo udiva ancora fremiti e minaccie repubblicane;
-ma li soffogava sotto i canti delle muse ammansate e
-lo splendore delle arti belle e delle utili.
-</p>
-
-<p>
-Allora «i giovani, più sciolti dell’usitato, in vestiri,
-in conviti, in altre simili lascivie oltremodo spendeano;
-ed essendo oziosi, in giuochi ed in femmine il tempo e
-le sostanze consumavano; e gli studj loro erano apparire
-col vestire splendidi e col parlare sagaci e astuti,
-e quello che più destramente mordeva gli altri, era più
-savio e da più stimato» (<span class="smcap">Machiavelli</span>). Esso Lorenzo
-con pompose mascherate offriva esercizio a pittori, a
-poeti, a musici, ad artieri, e distrazione al vulgo; imitava
-il parlare contadinesco nelle graziosissime stanze
-della <i>Nencia da Barberino</i>; nei <i>Beoni</i>, contraffacendo
-Dante, mordeva i compagnoni del suo tempo, e dava
-il modello delle satire in terza rima; nel teatro rinnovato
-chiamava ad applaudire all’<i>Orfeo</i> del Poliziano,
-reminiscenza classica, ed a <i>misteri</i> da lui stesso composti,
-prolungazione del medioevo. L’Ombrone porta
-via l’isola Ambra, ch’egli aveva ornata d’ogni piacevolezza?
-Lorenzo ne canta l’innamoramento d’un Dio
-e la metamorfosi, colla facilità di Ovidio. Dai suoi
-scritti trapelano l’amore dell’indagine filosofica, la vaghezza
-della vita casalinga e campestre, lontana dalle
-brighe e dalle noje del comando. Nuovi fiori avea trapiantati
-dall’Oriente alla sua villa di Careggi, bufali
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-d’India vi ruminavano erbe insolite<a class="tag" id="tag127" href="#note127">[127]</a>; e benchè
-l’esservi già per tutto mecenati, scuole, biblioteche, non
-rendesse più così necessario ed insigne il favorire le
-lettere come sotto Cosmo, pure Lorenzo cercava libri
-dappertutto<a class="tag" id="tag128" href="#note128">[128]</a>, fin a dire — Vorrei me n’offrissero
-tanti, che dovessi impegnare i miei mobili per comprarli»;
-e avrebbe bramato che a Pico, che al Poliziano,
-che agli altri amici nulla mancasse nella sua biblioteca
-di quanto occorreva all’erudizione loro o alla
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-curiosità. Ebbe un orologio astronomico ingegnosissimo:
-fece porre in Santa Maria del Fiore un busto di Giotto,
-e un mausoleo a Filippo Lippi, giacchè gli Spoletini
-non gliene vollero cedere le ossa. La raccolta di sculture
-antiche, cominciata dal Donatello, e che alla morte
-di Cosmo fu stimata ventottomila fiorini, egli crebbe e
-dispose ne’ giardini perchè servisse di scuola a giovani,
-che stipendiava o donava acciocchè coltivassero le arti,
-uno de’ quali fu Michelangelo Buonarroti, di cui indovinò
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-e coltivò il genio volendoselo compagno e commensale.
-Quella corona di dotti fiorì lo studio di Pisa
-da lui aperto il 1472, e a gara esaltò Lorenzo ai contemporanei
-ed agli avvenire, sin a farlo credere un
-grand’uomo<a class="tag" id="tag129" href="#note129">[129]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Addolorato del corpo, lasciava gli affari ai figli Giuliano
-e Pietro; mentre vedeva straccarico di benefizj
-ecclesiastici, e a soli quattordici anni vestito cardinale
-l’altro, che poi doveva essere Leone X. Alla campagna
-o ai bagni di Siena e della Porretta alleviava la noja e
-gli spasimi colle erudite adunanze, dove il Ficino gli
-parlava di Platone; il Landino, il Merula, il Leoniceno,
-il Calderino, d’Orazio, di Virgilio, d’Ovidio; il Pulci
-lo spassava col recitargli le lepide avventure degli eroi.
-Subì la comune sorte a soli quarantaquattro anni (1492); «nè
-morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia
-con tanta fama di prudenza, nè che tanto alla sua patria
-dolesse» (<span class="smcap">Machiavelli</span>). Il gonfaloniere della repubblica
-si vestì di bruno; il papa e i principi mandarono
-ambasciadori a condolersene colla patria, come
-di pubblico lutto.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap121-11">CAPITOLO CXXI.
-<span class="smaller">Gli eruditi.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Non potremmo meglio che dal nome dei Medici
-principiar a discorrere dei dotti di quel tempo. I quali
-da taluni sono vantati come dirozzatori dell’Italia e dell’Europa,
-da altri accusati d’aver traviato la coltura
-originale, e precorso a que’ pedanti, che sempre dappoi
-imbrattarono il nostro paese, surrogando allo studio
-delle cose lo studio delle parole. Chi non conosce progresso
-se non nel tornare indietro, nè bellezza se non
-nell’imitazione dell’antico, dovette professare che, come
-i Greci l’aveano anticamente dirozzata, così l’Italia dovesse
-a loro anche il risorgimento moderno. I nostri
-lettori si rassegneranno essi a credere che la patria di
-Dante deve la sua coltura ai lotolenti grammatici fuggiti
-da Costantinopoli?
-</p>
-
-<p>
-Per quanto il sangue e la civiltà slava si fossero trasfusi
-nell’ellenica, i cittadini di Costantinopoli parlavano
-ancora la lingua in cui Pindaro e Anacreonte aveano
-cantato, arringato Demostene e san Giovanni Crisostomo.
-Con quanto profitto non avrebbero dunque potuto
-applicarla alla intelligenza de’ classici, che tutti
-possedevano? tanto più che il clero, non cacciato ai
-governi e alle guerre come il feudale d’Europa, poteva
-requiare nelle lettere e nell’istruzione; e che la sottigliezza
-della discussione filosofica e teologica portava
-a scrupoleggiare sulla parola.
-</p>
-
-<p>
-Ma la parola e null’altro essi curarono; dagli autori
-profani li sviavano le dispute di scuola; e in generale
-custodivano la letteratura classica come scienza morta;
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-unico merito valutavano l’erudizione, unica sapienza il
-ricordare. La fredda analisi loro, la critica ciarliera,
-impertinente, sterile, non produssero verun’opera che
-meritasse la posterità; sempre terra terra, limitandosi
-a raccogliere, commentare, postillare, compilare, strepitare,
-prendendo la pazienza per talento, la memoria
-per giudizio. Nella nuova efflorescenza che ebbero in
-Italia, qual fu mai che trovasse, anzi neppur cercasse i
-mezzi per cui tante bellezze erano state prodotte? o i
-capolavori presentasse col confronto di fatti e d’uomini,
-coll’influenza dei tempi, col mutuo coadjuvarsi dell’azione
-e del pensiero?
-</p>
-
-<p>
-In modo ben più franco aveva esordito la letteratura
-italiana; e la vedemmo lanciarsi gigante, bisognosa di
-originalità, s’una via propria, non segregata, pure distinta
-dall’antica. Ma poco vi durò; e invaghitasi degli
-antichi autori, non solo credette migliore ciò che a
-quelli maggiormente s’accostasse, ma barbaro ciò che
-ne differisse; la spontaneità bizzarra e scorretta rinnegò
-per un gusto severo e canonico; l’entusiasmo dell’erudizione
-soffogò quell’originalità, che non può rinvenirsi
-se non in verità nuove vivamente sentite e naturalmente
-espresse nella lingua di tutti.
-</p>
-
-<p>
-Il vago sentimento di ammirazione pei grandi nomi
-dell’antichità classica mai non era venuto meno in Italia,
-e Dante l’avea consacrato col farsi guidare da Virgilio
-a vedere il regno delle ombre, e col professare di aver
-dedotto da lui lo bello stile. Esso Dante però quasi
-solo di nome conobbe i classici; ma Petrarca e Boccaccio
-aveano sudato a resuscitare la letteratura antica;
-e se il loro gusto certamente ne restò raffinato, è a
-deplorare il Petrarca s’aspettasse immortalità dai versi
-latini, e il Boccaccio introducesse un periodare esotico;
-donde si ebbe un’altra fonte del linguaggio, l’imitazione
-de’ classici. Il latino del Petrarca, comunque scorrevole,
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-tien troppo del medioevo; più disavvenente è quello del
-Boccaccio, che nelle etimologie greche vagella, sino a
-formare un nuovo dio Demogorgone.
-</p>
-
-<p>
-Albertino Mussato, Giovan da Cermenate notajo milanese,
-il Ferreto storico degli Scaligeri, diedero opera
-a sfangare la lingua latina. Felice Osio postillò passo
-passo la storia del Mussato, rivelando quel che imitò
-da Simmaco, da Macrobio, da Sidonio, da Lattanzio,
-tanto che a sedici linee d’originale sottopose ottantasei
-di note, singolare documento della cura che cominciavasi
-a mettere allo stile: ma chi sostenne l’improba fatica
-del leggerle, ne arguì che gli autori della bassa
-latinità erano studiati più che non Livio e Cicerone.
-</p>
-
-<p>
-Qui non era mancato mai chi conoscesse il greco, se
-non altro come lingua liturgica ne’ pontificali di Roma
-e nell’ordinaria uffiziatura de’ monaci di San Basilio; e
-a tacer l’uso che dovettero farne le città commerciali,
-il vescovo Liutprando da Cremona affetta di lardellarne
-la sua legazione; Gunzo cherico da Novara, in una disputa
-grammaticale coi monaci di San Gallo nel <span class="smcap lowercase">X</span> secolo,
-cita perfino il testo dell’Iliade; poi di proposito
-fu tolto a studiare il greco quando si trattò del riconciliare
-la Chiesa orientale colla nostra. Dal monaco calabrese
-Barlaam, venuto da Costantinopoli ambasciatore,
-ricevette lezioni il Petrarca senza grande profitto.
-Leonzio Filato, patrioto e scolaro di quello, ebbe in
-Firenze tavola e quartiere dal Boccaccio, che l’impegnò
-a tradurre Omero, tirandone di Levante un esemplare
-a grande spesa; poi fece per lui dai Fiorentini istituire
-la prima cattedra di quella lingua. Con maggior fortuna
-dettò colà e altrove Manuele Crisolara, venuto nunzio
-dell’imperatore Manuele. Ambrogio camaldolese, al
-principio del 1400, trovava in Mantova fanciulli e fanciulle
-istruiti nel greco, tra cui la figliuola del marchese,
-di otto anni. Giovanni Aurispa siciliano portò di Grecia
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-ducentrentotto manoscritti, e ne insegnò la lingua in
-molte città, servì di secretario ad Eugenio IV, e finì
-la vita a Ferrara sotto la protezione degli Estensi. Gregorio
-da Tiferno napoletano nel 1458 domandò e ottenne
-la prima cattedra di greco all’Università di Parigi,
-con cento scudi d’assegno.
-</p>
-
-<p>
-Una folata di Greci qui trasse, man mano che le loro
-patrie cadevano a’ Musulmani, quali Teodoro Gaza di
-Tessalónica, Giorgio da Trebisonda, Giovanni Argiropulo,
-Demetrio Calcóndila, Giovanni Láscari prosapia
-reale. Altro viatico non portando che la cognizione dei
-classici, ne esageravano l’importanza, dichiarando barbaro
-ciò che a quelli non somigliasse; onde il secolo
-delle creazioni fece luogo a quello de’ retori e grammatici,
-e, come al fine dell’Impero romano, non s’immaginava
-possibile il fare alcuna cosa bella diversamente
-dai classici.
-</p>
-
-<p>
-Gente di maggior conto era venuta al concilio di
-Firenze; e il Bessarione, abbandonato lo scisma e nominato
-cardinale, qui accolse Greci avveniticci, e ravvivò
-l’amore per Platone. Questo filosofo fu letto in Firenze
-da Giorgio Gemistio Pletone (1400) peloponnesiaco, che
-dedito affatto alla scuola alessandrina, eclettica tra il
-vangelo e i filosofi antichi, proclama la morale dell’Accademia,
-la politica di Sparta, fin la personificazione
-simbolica degli attributi di Dio nelle divinità dell’Olimpo.
-Nel libro <i>De platonicæ atque aristotelicæ philosophiæ
-differentia</i> versando beffe sopra Aristotele, accannì gli
-ammiratori di questo, e principalmente Teodoro Gaza
-e Genadio, il quale considerava i Platonici d’allora come
-anticristiani. Il Bessarione assunto arbitro, mostrò che
-Pletone eccedeva: ma Giorgio da Trebisonda, abborracciatore
-di traduzioni, gli avventò uno sconcio libercolo,
-flagellando Platone fin a posporlo a Maometto
-come legislatore, ed imputare ad esso tutti i vizj, alla
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-sua scuola tutte le sciagure. E di qua e di là s’infervoravano,
-liti strepitose fra tant’altro strepito: ma gl’Italiani,
-l’avesser letto o no, propendevano per Platone.
-</p>
-
-<p>
-Marsiglio Ficino, figlio d’un medico di Firenze, l’avea
-tradotto in latino chiaro, con fedeltà mirabile pel tempo,
-e tanta da ajutare a supplir qualche lacuna dove l’originale
-andò perduto. Più oscuro riesce nel tradur Plotino
-perchè tale è il testo, e perchè il Ficino aveva acquistato
-con quel misticismo una famigliarità ch’è di ben
-pochi. Sopra quei modelli dettò poi una teologia dell’immortalità,
-asserendo l’affinità della scienza colla
-religione. Perocchè la gara di scuola erasi portata sui
-punti cardinali della filosofia e teologia, quale l’immortalità
-dell’anima e la destinazione umana; e i Peripatetici
-s’erano divisi tra Alessandro d’Afrodisia che credeva
-l’anima inseparabile dal corpo e perire con esso,
-ed Averroe che la faceva tornare a Dio ed esserne assorta.
-Il Ficino confutandoli sostiene l’anima essere
-emanata dalla Divinità, e a questa poter ella ricongiungersi
-mediante la vita ascetica; immortale, perchè altrimenti
-l’uomo sarebbe l’essere più infelice; ripudia
-l’opinione dell’anima universale: ma immaginoso più
-che ragionatore, eclettico senza originalità nè vero spirito
-filosofico, nel suo entusiasmo confondeva il sapere
-coll’arte e colla virtù. Una sua lettera, scoperta testè,
-ad una cugina che avea perduto la sorella, e tutta consolazioni
-platoniche d’ordine universale, di prigione del
-corpo, e simili idee; nessuna di Cristo o di fede; anzi
-dal pulpito raccomandava la lettura del divino Platone,
-e tentò perfino introdurne dei brani nell’uffiziatura ecclesiastica.
-Per ordine di Cosmo de’ Medici, cui dovea
-l’educazione, aprì un’accademia platonica, composta di
-mecenati, ascoltatori ed allievi, che festeggiavano i natalizj
-di Platone e Cicerone. Io non so che dire di
-Paolo II se si sgomentava di questo tornar pagana la
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-scienza, e staccarla dalla tradizione cristiana<a class="tag" id="tag130" href="#note130">[130]</a>. All’accusa
-rispondeano che, quanto al seguir Platone, non
-faceano che imitar sant’Agostino; che teologi e filosofi
-tutti allora disputavano di tali quistioni, e le metteano
-in dubbio per giungere alla verità; che eresia è l’ostinarsi
-nell’errore; mentre essi non disobbedivano la
-Chiesa, e seguitavano le pratiche volute.
-</p>
-
-<p>
-Col platonismo alessandrino ne rinacquero gli errori,
-le fantastiche opinioni, la cabala. Giovanni Pico (1494) dei signori
-della Mirandola, persuasosi che Aristotele e Platone in
-fondo concordino, tentò ravvicinarne le dottrine, e pensando
-che il secondo avesse dedotto la sapienza dagli
-Orientali, si volse a questi, massime ai cabalistici, e di
-là trasse le più delle novecento tesi che in Roma propose
-sulla logica, etica, fisica, metafisica, teologia,
-magia, offrendosi a sostenerle. Egli avea fatto riserva
-dell’autorità della Chiesa; pure alcune repugnavano all’ortodossia
-in modo, che ne sorse rumore, e dalla persecuzione
-a fatica lo salvarono il grado suo e la protesta
-di adottarle nel senso che il papa decreterebbe. Qui un
-dilagar di scritture pro e contro, finchè Alessandro VI
-lo dichiarò irreprovevole, e in fatto a quell’ora avea
-modificato le opinioni sue, come lasciati gli amori e le
-facili voluttà.
-</p>
-
-<p>
-Scrisse il libro più gagliardo contro l’astrologia; eppure
-pretendeva colla cabala dar ragione della cosmogonia
-di Mosè e dell’incarnazione del Verbo, e spiegava
-la Genesi in modo simbolico, secondo i quattro mondi
-fisico, celeste, intellettuale e dell’uomo. Ideava un’esposizione
-allegorica del Nuovo Testamento, una difesa della
-Vulgata e dei Settanta contro gli Ebrei, un’apologia
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-del cristianesimo contro tutti gl’infedeli ed eretici, un’armonia
-della filosofia: ma a trentun anno morì.
-</p>
-
-<p>
-Da giovinetto avea fatto stupire l’Italia con una memoria
-sfasciata. Tale l’ebbe pure Pietro Tommaj di
-Ravenna, il quale, udita una lezione, la ripeteva cominciando
-dall’ultima parola; sapeva il Codice e le infinite
-glosse; replicò centottanta testi, coi quali un frate milanese
-avea provato l’immortalità dell’anima; e giocando
-a scacchi mentre un altro faceva a’ dadi, ed egli
-stesso dettava due lettere, alla fine seppe ridire tutte
-le mosse degli scacchi, tutte le combinazioni dei dadi,
-tutte le parole delle due lettere cominciando dal fine.
-Qual meraviglia se pareagli facilissimo un suo trattato
-di memoria artifiziale, che gli altri trovano oscuro e
-scabroso?<a class="tag" id="tag131" href="#note131">[131]</a>. Della memoria locale trattò eziandio Tommaso
-Golferani cremonese attorno al 1340, primo che
-di filosofia scrivesse in vulgare.
-</p>
-
-<p>
-Dietro ai forestieri germogliò una fungaja d’umanisti
-e grammatici nostri, di alcuno dei quali non parrà
-superfluo divisare a minuto i casi. Giovanni Malpaghino
-di Ravenna, allievo prediletto del Petrarca, aperse scuola
-di latino a Firenze, sceverando i modi degli autori
-bassi dai classici, con tal frutto che il gusto della correttezza
-divenne passione e moda. Da costui imparò il
-latino il Poggio<a class="tag" id="tag132" href="#note132">[132]</a>, figlio d’un povero Guccio Bracciolini
-aretino; ma al greco non si pose che di quarant’anni.
-A Roma fu applicato a scrivere le lettere pontifizie, e
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-seguitò cinquant’anni, senz’obbligo di residenza, ma
-con sottile assegno che nol sottraeva alla necessità. Con
-mostrargli le lettere direttegli da Leonardo Bruno, suo
-condiscepolo a Firenze, indusse Innocenzo VII a procacciarsi
-anche questa buona penna, e il Poggio gustò
-le consolazioni d’un’amicizia che può beneficare. Succeduto
-Gregorio XII, Bruno rimase in uffizio, Poggio
-andò a riposarsi a Firenze, poi seguì Giovanni XXIII
-al concilio di Costanza.
-</p>
-
-<p>
-Il gusto raffinato volsero di buon’ora i nostri a rintracciare
-autori perduti, e in Italia o da Italiani si può
-dire fossero scoperti tutti i classici. Petrarca ad Arezzo
-trovò alcun che delle <i>Istituzioni</i> di Quintiliano, e delle
-orazioni di Cicerone, le tre prime <i>Deche</i> di Livio, e
-cercava le altre, temendo non andassero smarrite con
-Virgilio per ignavia degli uomini; fanciullo ricordavasi
-aver veduto i libri <i>Delle cose umane e divine</i> di Varrone,
-e lettere ed epigrammi di Augusto, ora a noi sconosciuti.
-Ne’ suoi viaggi, appena vedesse qualche monastero
-antico, — Chi sa non vi si celi qualche preziosità?»
-e v’accorreva con desiderio<a class="tag" id="tag133" href="#note133">[133]</a>. Agli amici nulla chiedeva
-più istantemente che qualche opera di Cicerone,
-e mandava perciò preghiere e denari in Italia, in Francia,
-in Germania, in Grecia e fin nella Spagna e nella
-Bretagna. Qual tripudio allorchè, a Liegi, città tutta
-traffici, rinvenne due arringhe di quello, e in Verona le
-epistole famigliari! Poi il Crotto gli spedì da Bergamo
-le <i>Tusculane</i>, Raimondo Soranzo il trattato <i>De gloria</i>,
-ch’egli prestò al Convenevole, e nol riebbe nè egli nè
-la posterità.
-</p>
-
-<p>
-Il Boccaccio arrampicavasi pe’ solaj de’ conventi a
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-stanar libri, e gli esemplava di proprio pugno; e narrava
-a Benvenuto da Imola, che andato a Montecassino,
-«e avido di veder la libreria, che aveva inteso essere
-nobilissima, domandò ad un monaco graziosamente gli
-aprisse la biblioteca. Quegli rispose secco, mostrandogli
-un’alta scala, <i>Salite che è aperto.</i> Lieto v’ascese e
-trovò il ripostiglio di tanto tesoro senza porta nè chiave:
-entrato, vide l’erba nata per le finestre, e libri e scaffali
-coperti di polvere. Meravigliato, cominciò ad aprire
-ora questo libro ora quello, e vi trovò molti volumi d’antichi
-e rari, dei quali ad alcuno erano strappati quaderni,
-ad altri recisi i margini, e in molte guise sformati.
-Compassionando che le fatiche e gli studj d’incliti
-ingegni fossero venuti a mano di gente ignorantissima,
-se ne partì colle lacrime agli occhi. E imbattutosi in un
-monaco nel chiostro, gli domandò perchè volumi così
-preziosi fossero tanto indegnamente mutilati. Il quale
-rispose, che alcuni monaci, per guadagnare due o cinque
-soldi, radevano un quaterno, e ne formavano uffiziuoli
-da vendere ai bambini; e coi ritagli de’ margini
-facevano brevi da vendere alle donne. Or va, uomo studioso,
-e ti rompi il capo per far libri»<a class="tag" id="tag134" href="#note134">[134]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il Poggio della sua dimora al concilio di Costanza
-profittò per cercare manoscritti nei conventi d’oltralpe,
-affrontando asprezza di cielo, scomodo di strade, scortesia
-di rifiuti. Principalmente ne rinvenne nella badia
-di Sangallo «entro una specie di carbonaja oscura ed
-umida, ove non si sarebbe pur voluto gettare un condannato
-a morte»; e tra quelli, otto orazioni di Cicerone,
-le <i>Istituzioni</i> di Quintiliano, tre libri dell’<i>Argonautica</i>
-di Valerio Fiacco, qualche cosa di Lattanzio, l’Architettura
-di Vitruvio, i commenti d’Asconio Pediano a Cicerone,
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-la <i>Grammatica</i> di Prisciano, ed altri non più
-veduti. Esortato dal Bruno, dal Niccoli, dal Barbaro, dal
-Traversari, proseguì ricerche in Germania e in Francia,
-e trovò altre arringhe di Cicerone, i poemi di Silio Italico,
-di Manilio, di Lucrezio, parte di Petronio, Ammiano
-Marcellino, Vegezio, Giulio Frontino, le matematiche di
-Giulio Firmico, Nonio Marcello, dodici commedie di
-Plauto Columella, il quale era talmente dimenticato, che
-non lo conobbero nè Vincenzo di Beauvais, autore di
-un’enciclopedia, nè il nostro Pier Crescenzi, attento
-raccoglitore di cose rustiche.
-</p>
-
-<p>
-Col nuovo papa Martino V il Poggio passò a Mantova,
-poi lusingato con larghe promesse dal ricco vescovo di
-Winchester, tragittossi in Inghilterra; ma deluso e
-disgustato dell’ignoranza che vi trovava e della poca
-stima in cui v’era la bella letteratura, rivenne in Italia.
-Quivi apprese come Gasparino Barziza avesse rinvenuto
-l’<i>Oratore</i> di Cicerone; non si sa chi le epistole ad Attico;
-Gherardo Landriano a Lodi i libri dell’<i>Invenzione</i>
-e <i>Ad Erennio</i>; Tommaso Inghirami di Volterra a
-Bobbio trovava il <i>Viaggio</i> di Rutilio Numaziano; Alessandro
-d’Alessandro in un celliere a Napoli il Properzio:
-da Parigi si ebbero le epistole di Plinio minore, da Germania
-le egloge di Calpurnio e di Nemesiano.
-</p>
-
-<p>
-Qual piacere doveva recare il leggere questi autori
-man mano che si scoprivano, senza il disgusto che ora ce
-ne lasciano le scuole, senza l’ottusione prodotta dall’abitudine!
-«La repubblica letteraria (scriveva Lorenzo
-Medici al Poggio) ha di che rallegrarsi non solo per le
-opere che trovaste, ma per quelle che avete a trovare
-ancora. Qual gloria per voi che sieno resi alla luce gli
-scritti di sommi autori! I secoli venturi rammenteranno
-che codici, di cui irreparabile piangeasi la perdita,
-vostra mercè vennero ricuperati; e come Camillo fu
-intitolato secondo fondatore di Roma, così voi potrete
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-esser detto secondo autore delle opere per voi ricomparse.
-Vostra mercè possediamo intero Quintiliano,
-che dianzi avevamo solo per metà, e questa pure mutila
-e difettosa. O acquisto prezioso! o inaspettato contento!
-ed è pur vero ch’io potrò leggere tutto quel
-Quintiliano, che tanto dilettami comechè mutolo e sformato?
-Vi scongiuro, mandatemelo al più presto, ch’io
-possa almeno vederlo prima di morire ». E subito i
-dotti buttavansi a commentarli, ridurli a buone lezioni,
-agevolarne l’intelligenza, trarne ajuti allo scrivere corretto;
-e moltissimi greci tradussero.
-</p>
-
-<p>
-Gl’impiegati della cancelleria romana soleano raccorsi
-in una sala, dove a gara ne sballavano delle grosse,
-tanto che, da bugia, era chiamata il bugiale; e leggeano
-sulla cronaca di ciascuno, prete o secolare, mozzo o
-cardinale, privato o governo. Da questo mondezzajo il
-Poggio razzolò i suoi motti e racconti (<i>Facetiæ</i>), putidi
-d’oscenità, le cose e le persone sacre trattando con
-tale audacia, che i Protestanti vollero poi contarlo tra
-i loro precursori. Conversazioni più sensate ritrae nella
-<i>Historia disceptativa convivialis</i>, principalmente su
-punti filologici. Scrisse pure sulla nobiltà, sulla sfortuna
-de’ principi, sulla varietà della fortuna.
-</p>
-
-<p>
-Al suo trattato delle <i>Eleganze latine</i> proemiò professando
-non conterrebbe nulla che fosse già scritto da
-chichessia: invece è suo merito l’avere utilizzato tutti
-i vecchi grammatici, per dare riflessioni sullo scrivere,
-e buone regole intorno alla sintassi, alle inflessioni, principalmente
-ai sinonimi; e fu ristampato, tradotto, ristretto,
-compendiato, fin messo in versi. Ma se egli
-conoscevasi di parole meglio di qualunque contemporaneo,
-non sapeva collocarle in buono stile, e per iscrupolo
-di purezza rigettò anche frasi di conio irreprovevole.
-</p>
-
-<p>
-Ripristinato Cosmo, e spirando destra l’aura ai Medici,
-il Poggio ne gustò i favori, e bramava terminare
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-sua vita a Firenze; ebbe una villetta nel Valdarno, modesta,
-ma abbellita di libri, di statue, di pietre incise,
-di medaglie e di amici che lo visitavano; man mano
-che la morte gli portasse via un amico, un protettore,
-esso gli tributava lodi e lacrime. La Signoria volle gratificarlo
-dichiarando esente da ogni tassa lui e sua casa;
-lo invitò poi secretario, ed egli tessè la storia di quella
-città in otto libri latini dal 1350 al 1455, che non finì
-e che rimase inedita fino al 1715, sol conoscendosi la
-traduzione italiana fatta da un suo figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-E ben quattordici figli aveva egli da un’amica: pure
-a cinquantacinque anni scrisse un dialogo se convenga
-o no il matrimonio, sposò una de’ Buondelmonti che
-avea diciott’anni e seicento fiorini di dote, e visse con
-lei felice padre. Ebbe sepoltura (1459) in Santa Croce; ritratto
-di mano del Pollajuolo nel palazzo pubblico, e una statua
-sulla facciata di Santa Maria del Fiore.
-</p>
-
-<p>
-Lorenzo Valla romano, con minor talento del Poggio
-suo emulo, maggior erudizione filologica e storica qual
-dimostrò nelle <i>Eleganze latine</i>, aveva elevato dubbj
-rarissimi a quel tempo; dichiarò spurie la donazione
-di Costantino e la lettera di Cristo ad Abgaro re, nè
-avere gli Apostoli composto ciascuno un articolo del
-simbolo; al Nuovo Testamento appose annotazioni abbastanza
-severe colla vulgata, egli primo fondando le
-spiegazioni sulla lingua originale. Distici e sarcasmi
-scaraventava costui a moscacieca contro cardinali e
-grandi che gli tardassero un favore; e contro l’ambizione
-della corte romana invettive tali<a class="tag" id="tag135" href="#note135">[135]</a>, che reputò
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-prudenza ricovrarsi a Napoli, ove aprì scuola d’eloquenza.
-Ma Nicola V, non che richiamarlo, gli regalò
-di sua mano cinquecento scudi d’oro per avere tradotto
-Tucidide, e il titolò canonico e scrittore apostolico.
-Eppure egli conservò libertà di pensare e di scrivere;
-nel dialogo sull’avarizia e la lussuria flagella i
-cattivi predicatori, ma specialmente i frati dell’Osservanza,
-rimessiticcio de’ Francescani; poi in quello sull’ipocrisia
-tempesta tutti i frati e il clero in generale.
-</p>
-
-<p>
-Quattro libri d’invettive scagliò contro Bartolomeo
-Fazio, che altrettanti gliene rimbalzò con pettoruta gonfiezza.
-Già contro Giorgio da Trebisonda, grand’ammiratore
-di Cicerone, avea sostenuto la prevalenza di
-Quintiliano con tanto furore, con quanto battagliò col
-Guarino per anteporre Scipione a Giulio Cesare, e con
-un giureconsulto bolognese sul punto se Lucio e Arunzio
-fossero figli o nipoti di Tarquinio Prisco. Era dunque
-ben addestrato alle lotte quando si accapigliò col Poggio,
-alle cui <i>Invettive</i> oppose <i>Antidoti</i> e <i>Dialoghi</i>, con un
-diavolo per pelo. Accusato da costui d’aver rubato denaro
-e falsato una ricevuta a Pavia, e in conseguenza
-essere stato messo alla gogna, gli butta in faccia imputazioni
-che l’onestà neppur consente d’accennare: e
-Nicola V, non che sopir la lite fra i due suoi dipendenti,
-accettò la dedica degli <i>Antidoti</i>.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Filelfo, se volessimo credere al Poggio, fu
-generato da un prete in una lavandaja; ma gli storici
-il fanno da buona famiglia di Tolentino: studiò a Padova
-con tal frutto, che a diciotto anni professava eloquenza
-colà, poi a Venezia, ove fu dichiarato cittadino,
-e spedito secretario del balio a Costantinopoli per assecondare
-il suo desiderio di famigliarizzarsi col greco.
-Questa lingua v’apprese da Giovanni Crisolara, fratello
-del famoso Manuele, e l’imperatore Giovanni Paleologo
-lo volle secretario e consigliere, e lo mandò ministro
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-all’imperatore Sigismondo: in tal qualità assistette in
-Cracovia alle nozze di Ladislao re di Polonia, e vi recitò
-un’orazione al cospetto de’ più grandi signori
-d’Europa. Reduce a Costantinopoli, sposò la figlia del
-suo maestro, e con lei tornava in Italia; ma trovò Venezia
-desolata dalla peste, gli amici fuggiti, i suoi libri
-in contumacia. S’avviò dunque a Bologna dolente e bisognoso:
-ma quivi trovossi accolto magnificamente, e
-offerti quattrocento cinquanta zecchini l’anno per una
-cattedra di filosofia morale e d’eloquenza. Essendosi
-Bologna ribellata al papa, il Filelfo ricoverò a Firenze,
-dove instancabilmente propagava l’amore de’ classici.
-Di gran mattino spiegava le Tusculane o l’Arte oratoria
-di Cicerone, Tito Livio od Omero; riposatosi alcune ore,
-ricompariva a leggere Terenzio, le epistole o qualche
-orazione di Cicerone, Tucidide o Senofonte; poi le feste
-in Santa Maria del Fiore, <i>senza alcun pubblico o privato
-premio</i>, commentava Dante. Quattrocento uditori
-seguivano le sue lezioni, ed era applaudito, careggiato da
-uomini e donne e da quanto di meglio aveva la città<a class="tag" id="tag136" href="#note136">[136]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il racconto di queste sue compiacenze ci rivela il
-maggior suo difetto, una stima di sè, non commensurabile
-se non al disprezzo di ciò che non fosse lui.
-Doveva in conseguenza moltiplicarsi nemici, che pubblicamente
-lo insultavano, sin a ridurlo a far le lezioni in
-casa<a class="tag" id="tag137" href="#note137">[137]</a>. Avendogli un bravaccio tirato un colpo al
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-viso, il Filelfo mostrò crederlo mandato dai Medici,
-contro i quali parteggiava; e forse con ciò volle scusarsi
-delle codarde invettive con cui aggravò l’esiglio
-di Cosmo. Perciò allorchè questi tornò trionfante, egli
-rifuggì a Siena, donde continuò a bersagliarlo, tanto
-che la Signoria il proferì esigliato. Ed ecco quel tal
-bravaccio gli si avventa di nuovo a Siena, ed egli il fa
-mettere alla tortura sinchè confessi l’attentato. Fu
-multato in cinquecento lire, ma al Filelfo parvero poche,
-e ne ottenne la condanna a morte, ch’egli stesso
-intercedette fosse commutata nel taglio della mano,
-«preferendo (dic’egli) vivesse mutilo ed infame, anzichè
-una pronta morte lo liberasse dai rimorsi e dalla
-vergogna».
-</p>
-
-<p>
-Intanto egli medesimo con altri fuorusciti macchinava
-contro i Medici, e soldò un Greco per assassinare
-Cosmo. Il sicario fu scoperto, ed ebbe tronche le
-mani; e sopra la costui confessione il Filelfo fu condannato
-in contumacia al taglio della lingua e al bando
-perpetuo. Se al Filelfo non restava che l’ira dell’impotente,
-Cosmo, sicuro dell’autorità, aveva i mezzi e
-perciò il dovere d’essere generoso. E il volle, e gli fece
-proporre la riconciliazione: ma il pedante ostentò generosità
-col rifiutare e insultare; finse anzi di credersi
-mal sicuro a Siena, e poichè era cerco dal papa, dal
-senato veneto, dal duca di Milano, dalla repubblica di
-Bologna, dall’imperatore di Costantinopoli, accettò di
-passare sei mesi a Bologna, ottenendovi l’inusato stipendio
-di quattrocencinquanta ducati, poi si trasferì a
-Milano. Quivi passò i sette anni meno tempestosi di
-sua vita, caro alla Corte, dichiarato cittadino, e sempre
-più incocciandosi di que’ suoi meriti incomparabili.
-</p>
-
-<p>
-Nelle commozioni succedute alla morte di Filippo
-Maria, scrisse proclami e lettere ai principi perchè
-sostenessero l’aurea repubblica; poi orazioni ed encomj
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-all’oppressore di questa Francesco Sforza, da cui accettò
-nuovi favori, finchè il magnanimo Alfonso di
-Napoli mostrò desiderio di vederlo. Mosse a quella
-volta, e «giunto a Roma (scrive Vespasiano) nel tempo
-di papa Nicola, fece pensiere alla sua tornata di visitare
-la sua santità. Inteso papa Nicola che era in Roma,
-subito mandò a dire che l’andasse a visitare. Intesolo
-messer Francesco, andò alla sua santità, e le prime
-parole che gli disse, furono: <i>Messer Francesco, noi ci
-maravigliamo di voi, che passando di qui non ci abbiate
-visitato</i>. Messer Francesco rispose come egli
-faceva pensiero visitare il re Alfonso, e poi venire alla
-santità sua. Papa Nicola, che sempre era stato amatore
-degli uomini letterati, volle che messer Francesco conoscesse
-la sua gratitudine, e pigliò un legato di ducati
-cinquecento, e sì gli disse: <i>Messer Francesco, questi
-denari vi voglio io dare, perchè vi possiate fare le
-spese per la strada</i>. Messer Francesco, veduta tanta
-liberalità usatagli, ringraziò la sua santità infinite volte
-di tanta gratitudine usatagli». Il re di Napoli gli uscì
-incontro fino a Capua, lo ornò cavaliere, e gli concesse
-di portare l’arma d’Aragona; infine il coronò poeta.
-</p>
-
-<p>
-Queste e ben altre particolarità raccolgonsi da trentasette
-libri di sue lettere che sono alle stampe, e dalle
-altre opere dove spessissimo parla di sè; e spessissimo
-ne parlano i pochi amici e molti nemici suoi contemporanei.
-Egli componeva, traduceva, compilava; or
-traboccava la bile contro gli avversarj; or filosofava
-nelle <i>Meditazioni fiorentine</i> o nei <i>Banchetti milanesi</i>
-o nella <i>Morale disciplina</i>; or commentava il canzoniere
-del Petrarca, con indecenti allusioni agli amori
-del poeta, ai papi, ai Medici; or in ventiquattro canti
-latini celebrava gli Sforza, o in quarantotto italiani san
-Giovanni Battista; or tesseva arringhe, da recitarsi dai
-podestà fiorentini quando uscivano di carica, ovvero in
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-proprio nome, e orazioni funebri, e consolatorie, e
-liriche latine. Forza e calore non gli mancano, ma per
-purezza latina è lontano troppo, non che dal Poliziano,
-dal Poggio, e move lo stomaco colle sguajate scurrilità.
-</p>
-
-<p>
-Circondato da tanti scolari, tra cui potea contare
-Pio II, Pietro de’ Medici, Agostino Dati e Bernardo Giustiniani
-storici di Siena e di Venezia, Alessandro di
-Alessandro autore dei <i>Genialium dierum,</i> avrebbe
-potuto godere le compiacenze d’una vecchiaja onorata
-se il portamento suo bisbetico non l’avesse tratto a
-sempre nuove contese. Poi alle lusinghe della gloria
-voleva aggiungere la realtà di ricca casa, codazzo di
-famigli, cavalli, tavola: col che non solo corrompeva
-il proprio avvenire, ma si obbligava a chiedere vilmente
-e vilmente accettare, sin col fingere le nozze di
-una sua figlia onde avere pretesto a domandare regali;
-profondeva elogi, e poi querelava d’ingrato chi i doni
-non proporzionasse all’avidità sua, e svillaneggiava chi
-tardasse. Eppure quando Anton Marcello, patrizio veneto,
-d’una consolatoria per la morte d’un figlio il
-gratificò con un bacino d’argento del valore di cento
-zecchini, esso lo portò alla Corte, e davanti al consiglio
-ne fece dono al duca di Milano. Forse che ne sperasse
-un maggiore ricambio?
-</p>
-
-<p>
-S’accapigliò esso pure col Poggio, il quale asserisce
-che il Filelfo da giovane visse in ribalda amicizia con
-un prete cui era stato affidato; che a Fano preso a calci
-e pugni, a stento rifuggì in una bettola, e s’appiattò
-sotto un letto; che a Padova fu bastonato pubblicamente
-ed espulso di città per opera d’uno cui avea
-corrotto il figlio, nè potè sottrarsegli che fuggendo in
-Grecia; colà avere contaminato la figlia del suo ospite,
-che poi dovette sposare; e altrettali lepidezze. Nuovi
-appicci ebbe con Giorgio Mérula già suo discepolo, che
-avea scritto <i>turcos</i> invece di <i>turcas</i>, voce sulla quale
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-non poteasi appellare all’infallibilità de’ classici; altri
-per l’interpretazione d’un verso greco, pel quale e il
-Traversari e il Marsuppini disputarono quanto i teologi
-sopra un senso scritturale<a class="tag" id="tag138" href="#note138">[138]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Galeazzo Maria Sforza non continuò i favori al Filelfo,
-che, da diciassette anni addetto a quella famiglia, allora
-si trovò abbandonato e povero, costretto a lottare colle
-necessità mediante una salute di ferro e un’inconcussa
-pertinacia al lavoro. Que’ bei tempi ove a gara vedeasi
-cercato, erano tramontati, ed egli non potea che sfoggiare
-eloquenza sopra un nuovo tono, lamentandosi
-dell’abbandono e dell’ingratitudine degli uomini. Da
-Pio II nulla ottenne, nulla da Paolo II che pur l’aveva
-altre volte lodato e donato; sicchè egli bestemmia papa
-e papato, lasciando fin trapelare l’intenzione d’andarsene
-a Maometto II. Ma Sisto IV il chiamò a Roma ad
-una cattedra di filosofia con buoni assegni e migliori
-promesse. V’ebbe accoglienze, da soddisfare qualunque
-amor proprio; ma tornato a Milano a prendere la sua
-famiglia, perdette la moglie di trentott’anni mentr’esso
-toccava gli ottanta; di ventiquattro figli non gli restavano
-che quattro fanciulle e un maschio, filologo come
-lui, e come lui presuntuoso, difficile, accattabrighe; ed
-ebbe l’amarezza di veder morire anche questo, sicchè
-si trovava isolato alla sera di sua vita. Milano era allora
-sossopra per l’assassinio di Galeazzo Maria e la minorità
-di suo figlio; la peste facea pericoloso il ritornare
-a Roma: onde il Filelfo, che si era rappattumato coi
-Medici, e tenea da tempo corrispondenza col magnifico
-Lorenzo, ottenne che la Signoria cancellasse le sentenze
-contro di lui, e il ponesse su una cattedra di lingua e
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-letteratura greca; ma le fatiche del viaggio lo logorarono,
-e quindici giorni dopo rimesso nella cara Firenze,
-morì (1481) di ottantatre anni. Una tale longevità basterebbe
-a spiegare la sua morte, eppure si volle dire gliel’accelerassero
-le virulente satire del Merula. Così gli erano
-ricambiate le contumelie; ma non le aveva aspettate per
-confessare d’essere trasceso negli sfoghi di sua bile<a class="tag" id="tag139" href="#note139">[139]</a>.
-</p>
-
-<p>
-In cotesti, ve n’accorgete, la letteratura non era una
-distrazione, ma vita; non istromento, ma fine. Il bisogno
-e l’abitudine dell’autorità erano dalla teologia e dalla
-filosofia passati nella letteratura, e tutti miravano alla
-conoscenza degli antichi, sicchè diventava merito primo
-l’erudizione, principale opera il compilare e commentare
-gli antichi o i loro commentatori, alcuni con
-lucida intelligenza, alcuni senza gusto nè critica, tutti
-al medesimo intento; ciascuno scegliendo un autore,
-cui idolatrava, e predicavalo col calore d’un apostolato.
-L’entusiasmo invadeva persino la critica, e beato chi
-avesse raddrizzato un passo scorretto, o indovinato un
-errore in un testo o nell’emulo! poi litigi sull’interpretare
-qualche passo; la lesa eleganza facea più vergogna
-che la lesa verità e convenienza; e codeste stizze dei
-pedanti passionavano e dividevano città e provincie.
-</p>
-
-<p>
-Marco Barbo veneziano, nipote di Paolo II, vescovo
-di Treviso poi di Vicenza, infine cardinale e patriarca
-d’Aquileja, fu dottissimo in greco, latino, astronomia,
-geometria, teologia, assai destro negli affari, e perciò
-adoprato in molte legazioni, e principalmente nel conciliare
-concordie. E una concordia egli fu chiamato a
-comporre fra due potentati d’altro genere, Bartolomeo
-Platina e Rodrigo vescovo di Calagóra, de’ quali il primo
-avea scritto in favor della pace, l’altro della guerra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma se queste miserabili capiglie sono spesso imitate
-dalla petulanza odierna, non taciamo almeno di Leonardo
-Bruno d’Arezzo, che già vecchio famosissimo e
-cancelliere della Repubblica fiorentina, in non so qual
-disputa filosofica si trovò contraddetto dal giovane
-Giannozzo Manetti. Gli applausi prodigati a questo irritarono
-il Bruno a segno che uscì in parole ingiuriose:
-ma la calma con cui il Manetti rispose, lo fece ravvedere.
-La mattina buon’ora fu alla casa del Manetti, domandò
-che il seguisse, avendo a dirgli qualcosa; e mentre
-questi aspettava una scena, ad alta voce e in mezzo alla
-gente gli narrò non aver potuto dormire la notte pel
-torto fattogli, e volergliene chiedere scusa<a class="tag" id="tag140" href="#note140">[140]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Barbaro senatore veneziano, erudito, eloquente,
-gran fautore de’ letterati, sostenne molte magistrature
-e ambasciate, celebre per l’abilità di mettere
-pace. Singolarmente come capitano di Brescia rappattumò
-i cittadini dissenzienti, e li sostenne nel duro
-assedio postovi dal Piccinino: del quale assedio egli
-scrisse la storia, pubblicata sotto il nome del suo confidente
-Evangelista Manelino. Brescia riconoscente gli
-regalò in duomo una bandiera e uno scudo messi a oro,
-con un panegirico; e lo fece accompagnare splendidamente
-a Venezia, e quivi di nuovo lodare davanti al
-doge. L’opera sua <i>De re uxoria</i> è forse il solo trattato
-morale di quel secolo che non calchi servilmente le
-orme antiche.
-</p>
-
-<p>
-Ermolao Barbaro procurò un’edizione di Plinio, correggendovi
-cinquemila errori: ma quante migliaja ve
-ne lasciò! Gasparino Barziza bergamasco col buttarsi
-tutto a Cicerone ne trasse un quasi istintivo sentimento
-della proprietà ed eleganza, e fa sentire il buon modello
-nel giro della frase, nella rotondità de’ periodi,
-nell’acconcio collocamento delle parole. Trapassiamo
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-Pier Paolo Vergerio di Capodistria, storico dei Carraresi
-e maestro di Lionello d’Este; Carlo Marsuppini di
-Arezzo, segretario della Repubblica fiorentina; Antonio
-Panormita, che fu laureato poeta da Sigismondo imperatore,
-e dedicò a Cosmo Medici l’<i>Hermaphroditus</i>,
-osceni epigrammi, vituperati dai monaci e appetiti dai
-curiosi. Il Perotti vescovo di Siponto (<i>Cornucopia, sive
-linguæ latinæ commentarii</i>) spiegò molte voci latine,
-lavorando su Marziale. Cristoforo Landino, segretario
-della Signoria di Firenze, scrisse poesie e trattati filosofici,
-volgarizzò Plinio e la <i>Sforziade</i> di Giovan Simonetta,
-e a Virgilio, Orazio, Dante appose lunghi commenti,
-dedotti forse dalle lezioni che pubblicamente ne
-faceva, dove, ampliando a tutto il poema l’intenzione
-che l’Alighieri professò in qualche parte, sotto al letterale
-cercava un senso recondito e morale. Ad imitazione
-di Platone e di Tullio, nelle <i>Disquisizioni camaldolesi</i>
-dialoga con illustri personaggi, facendo amare
-la virtù senza troppo sottilizzare sulle teoriche, pure
-non evitando le fantasticherie platoniche. E il dialogo
-era adottato dal Valla per difendere l’epicureismo, dal
-Platina, dal Palmieri, dall’Alberti, dal Pontano, da Matteo
-Bosso; e Paolo Cortese, imitando quello <i>De claris
-oratoribus</i>, ben caratterizzò i dotti del suo tempo.
-</p>
-
-<p>
-Non v’avendo dizionarj nè grammatiche, uno dovea
-da se stesso nel barbaro latino usuale riscontrare quello
-che si trovasse o no nei classici; insomma indovinare
-le lingue, interpretare un autore mediante l’altro, mettersi
-in traccia dell’oro a costo di perire nella miniera.
-Noi, ricchi delle faticose lor veglie, li trattiamo con
-ingrato disprezzo; noi tronfj di possedere quel che non
-vogliamo fare ad essi gloria d’avere acquistato. E l’erudizione
-è come il bagaglio ad un esercito, imbarazzante
-alla marcia, eppure indispensabile.
-</p>
-
-<p>
-Storia, mitologia, antichità ridestaronsi per facilitare
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-l’intelligenza dei testi; ma que’ commenti riboccano di
-frivolezze e insulsaggini; spesso s’appongono al falso,
-non bene conoscendo il senso, e tanto meno la forza
-delle parole. La rarità dei testi e la riverenza per l’autorità
-facea rispettare anche le lezioni più infelici; e
-non osando correggerle, gli eruditi si limitavano a
-mostrare d’averle capite col raffrontarle ad altri testi.
-I nostri non compresero abbastanza quanto potessero
-trar profitto dal greco, modello e sorgente della letteratura
-latina, lasciando tal lode principalmente alla
-scuola olandese. Vennero più tardi e non nostri gli
-eruditi, che allo studio della forma anteposero quel
-delle idee, ammirandole nella persuasione che ciò che
-era pensato dagli antichi dev’essere il più perfetto, ma
-ancora osservando l’autore come un essere sporadico,
-separato dai tempi e dai casi. Solo adesso si cerca collocare
-l’autore nella storia, co’ suoi contemporanei: la
-bellezza letteraria non è più il fine della critica, ma
-uno de’ moventi e dei risultati della storia.
-</p>
-
-<p>
-Quelle accannite controversie valsero ad accertare
-la filologia, obbligando gli scrittori a rendere conto
-d’ogni frase e parola. A grand’ajuto poi vennero i dizionarj,
-che sono i veri libri iniziatori della filologia.
-Uno, ad imitazione di Papia, fu compilato da Uguccione
-vescovo di Ferrara; Buoncompagno diede la
-disposizione artifiziosa e naturale d’un dizionario; Giovanni
-da Genova, autore del <i>Catholicon</i>, grosso volume
-stampato dal Guttenberg nel 1460, che comprende
-grammatica e dizionario, è poco citato, eppure sa più di
-quanto potrebbe aspettarsi: avea letto quantità di libri,
-cita moltissimi classici latini, non ignora il greco<a class="tag" id="tag141" href="#note141">[141]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-e come Papia e gli altri lessicografi, non esclude i santi
-Padri, la cui intelligenza entrava per sì gran parte
-negli studj d’allora. Il primo dizionario greco sembra
-quello del monaco piacentino Giovanni Crestone; seguì
-il Grande Etimologico (’Ετυμολογικὸν μέγα) di Marco Musuro,
-anteriori a quelli di Roberto Costantino, di Scapula,
-di Enrico Stefano. Andrea Guarna palermitano
-(<i>Grammaticæ opus novum, mira quadam arie et compendiosa,
-seu bellum grammaticum</i>) pretendeva insegnar
-la grammatica colle regole della guerra, esponendo
-le nimicizie fra il nome e il verbo, re del regno
-di grammatica, le battaglie che si movono, cercando
-rinforzarsi mediante l’ajuto del participio; infine si
-rappacificano. L’opera ebbe da cento edizioni, fu ridotta
-in ottave, fu tradotta in francese.
-</p>
-
-<p>
-Lo studio delle antiche lingue affinò il gusto, ma
-coll’imitazione spense l’originalità; si pensò a conoscere
-la civiltà vetusta, più che a perfezionare la moderna;
-e fra quegli studiosi, immagini, pensieri, leggi poetiche
-erano d’altri tempi; non un lampo di genio, non un
-impeto d’eloquenza per compiangere le sventure d’allora,
-o magnificare la nuova civiltà. Sconcio peggior
-che letterario, s’insegnò a separare il sentimento dalla
-parola, la letteratura dall’azione, la forma dal pensiero,
-e giudicare degli uomini come degli autori non dalla
-sostanza ma dallo stile. Anche servilità di modi introducevano
-onde valersi delle frasi di Orazio e di Plinio;
-e adulazioni, che avrebbero arrossito ad esprimere
-nella lingua con cui parlavano ai loro amici. Chiamati
-alle magistrature, e massime in uffizio di segretarj,
-non valevano (salvo alcuni, come il Salutati e il Piccolomini)
-se non a recitare orazioni di parata; nelle quali
-non stringevano sulle positive importanze, ma badavano
-a ciò che meglio potesse esprimersi in latino.
-Il Petrarca, incaricato di rispondere ai Genovesi quando
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-vennero offrirsi al signor di Milano, nol seppe perchè
-non preparato. A un discorso che il Marsuppini a nome
-della Signoria fiorentina recitò a Federico III, Enea
-Silvio fe risposta senza retorica ma con domande positive,
-e quegli non seppe replicare. Insomma erano
-buoni solo per l’apparato, e perciò amavano le corti,
-e non poco contribuirono a soffocare le antiche abitudini
-popolane: perocchè alle repubbliche di magistrati
-attenti alla domestica sul pubblico bene preferivano le
-corti ove ottenner protezione e sfoggiare eloquenza; e
-con belle frasi palliavano la tirannide e scagionavano
-l’iniquità.
-</p>
-
-<p>
-Studj di tal natura non potevano alimentarsi che dalla
-protezione, e l’ebbero.
-</p>
-
-<p>
-L’Università di Bologna conservò la sua altezza, ed Innocenzo
-VI le concesse la facoltà teologica (t. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 385):
-Gregorio XI vi fondò il lauto collegio detto dal suo
-nome, con ricchissimi doni, fra i quali son notevoli
-cennovantatre libri. I Trevisani apersero un’Università
-(1314) procacciandosi nove famosi dottori, fra cui
-Pietro d’Abano. Pisa nel 1339 ne pose una, mantenendola
-colla decima sui beni degli ecclesiastici; tutti i
-libri occorrenti fece immuni da gabelle; ebbe privilegi
-da papi e imperatori, ma poi ne’ disastri successivi la
-vide eclissata. I Fiorentini fondarono uno studio (1348),
-e per illustrarlo invitavano il Petrarca a leggere qual
-libro gli piacesse. Il senese, aperto nel 1320, poi
-sciolto, fu riordinato sotto gli auspizj di Carlo IV (1357)
-(t. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 392), che ne autorò uno anche a Lucca (1369).
-L’Università di Piacenza, sorta per opera di Innocenzo
-IV (1246), poi scaduta, fu ridesta da Gian Galeazzo
-(1397). In Milano tenevansi pubbliche lezioni di
-giurisprudenza, venticinque maestri di grammatica e
-logica, quaranta scrivani, più di sessanta maestri elementari,
-più di centottanta professori di medicina, e
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-filosofi, e chimici, molti de’ quali salariati per assistere
-i poveri. L’Università di Pavia, aperta (1362) e prosperata
-dai Visconti (al dire dell’Azario) perchè v’avea
-sovrabbondanza di case, e a buon patto il vino, il frumento,
-la legna, non annichilò le scuole di Milano,
-giacchè gli statuti concedeano che natii o avveniticci vi
-potessero studiare leggi, decretali, fisica, chirurgia, tabellionato,
-arti liberali<a class="tag" id="tag142" href="#note142">[142]</a>. Clemente fondò quella di
-Perugia nel 1307: Bonifazio VIII quella di Fermo nel
-1303 ed una a Roma, dove ormai non restavano che
-scuole d’elementi; ma l’esiglio avignonese la lasciò ricadere:
-Giovanni XXII ne istituì una in Corsica il 1331;
-Benedetto XII in Verona il 1339. Il concilio ecumenico
-di Vienne ordinò che nelle università di Roma, Parigi,
-Oxford, Bologna, Salamanca v’avesse due maestri di
-lingua ebraica, araba e caldea. Anche Torino, come
-che dedita di preferenza alle armi, nel 1353 tenea per
-otto anni esentati dal militare gli artisti che andassero
-ad abitarvi; nel 66 chiamò e fece cittadino un maestro
-di umane lettere; a un altro assegnò dieci fiorini
-perchè insegnasse medicina; e nel 75 fondò scuole<a class="tag" id="tag143" href="#note143">[143]</a>;
-e la sua Università ebbe ampio privilegio da Lodovico
-di Savoja nel 1436.
-</p>
-
-<p>
-Ai letterati aumentavansi stipendj a gara, concedevansi
-onori, s’affidavano ambasciate; il loro passaggio
-per le città era un trionfo, alle esequie loro assistevano
-i principi: Carlo IV concesse a Bartolo d’inquartare al
-suo stemma l’arme di Boemia; e questo insigne giureconsulto
-sostenne che un dottore, dopo insegnato
-dieci anni diritto civile, è cavaliere <i>ipso facto</i>. Tutti i
-principi faceano il mecenate, da Roberto di Napoli che
-diceva — Rimarrei più volentieri senza diadema che
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-senza lettere», fin a Luchino Visconti che scrivea versi
-lodati dal facile Petrarca, a Giovanni che facea leggere
-in cattedra Dante, al cupo Filippo Maria, al quale Lucca
-attestò la riconoscenza col regalargli due codici<a class="tag" id="tag144" href="#note144">[144]</a>,
-e al cui segretario Cicco Simonetta moltissime opere
-si trovano dedicate con elogi pomposissimi. Francesco
-Sforza accolse l’architetto Francesco Filarete, Bonino
-Mombrizio professore d’eloquenza, il Filelfo, il Simonetta
-e il Decembrio storici, Lodrisio Crivelli poeta,
-Franchino Gaffurio primo che aprisse scuola di musica,
-Costantino Lascaris che a Milano stampò la prima
-grammatica greca; e mandava in Toscana chi comprasse
-per lui tutti i libri degni, e raccogliesse quanti
-scrittori si potessero avere. Gian Galeazzo cercò trarre a
-Milano la Cristina di Pizzano che vivea poveramente in
-Francia, e molti versi compose. A non ripetere d’Alfonso
-d’Aragona, di Nicola V e d’Eugenio IV, Jacopo
-di Carrara spedì dodici giovani alle scuole di Parigi, e
-Francesco il vecchio visitava spesso ad Arquà il Petrarca.
-L’imperatore Sigismondo coronò poeta a Parma
-un Tommaso Cambiatore e Antonio Beccatelli panormita;
-il quale dal Visconti ottenne lo stipendio di ottocento
-scudi d’oro, da re Alfonso la nobiltà e missioni
-importanti e doni fin di mille scudi in una volta. Più
-prodigo Federico III laureò poeti Nicolò Perotti, il
-Piccolomini, il Cimbriaco, il Bologni, due Amasei, un
-Rolandello, un Lazarelli. Firenze coronò Ciriaco d’Ancona
-e Leonardo Bruno; Verona Giovanni Panteo;
-Roma l’Aurelini e il Pinzonio; Milano Bernardo Bellincioni:
-glorie d’un giorno.
-</p>
-
-<p>
-E ognuno prendea parte a quelle glorie, a quelle
-dispute; la scoperta d’un codice era un avvenimento
-clamoroso; le più delle epistole versano sopra la ricerca
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-di manoscritti; il duca di Glocester ringrazia fervorosamente
-Pier Candido Decembrio d’avergli mandato
-una traduzione della <i>Repubblica</i> di Platone; Mattia
-Corvino re d’Ungheria, dalla moglie Beatrice di Napoli
-invogliato al lusso e ai raffinamenti di corte, si circondò
-di letterati, procurando dell’Ungheria fare un’altra
-Italia<a class="tag" id="tag145" href="#note145">[145]</a>. Col cercar libri e farne trar copie raccolse
-una biblioteca di cinquantacinquemila volumi, quanti
-niun’altra al mondo ne possedeva; e principalmente
-caro tenne Antonio Bonfini d’Ascoli, che dettò la storia
-di quel paese. Le miscellanee del Poliziano erano aspettate
-come il messia, e divorate appena uscissero. L’invidia
-o le fazioni snidano un letterato? egli è sicuro di
-trovare onorificenze e stipendj dovunque appaja, col
-solo patrimonio del proprio merito; quando muore il
-giureconsulto Giovanni da Legnano, chiudonsi le botteghe;
-quando l’unico Accolti recita versi, si feria per
-tutta la città, si fa luminara, e dotti e prelati interrompono
-cogli applausi la sua declamazione.
-</p>
-
-<p>
-Signori illustri faceano versi, e ne conserviamo di
-Luchino Visconti e di Bruzio suo figlio, di Guido Novello
-da Polenta, di Bosone da Gubbio, di Francesco Novello
-Carrarese, di Cangrande, di Castruccio, d’Astorre Manfredi
-di Faenza, di Lodovico degli Alidosi di Imola,
-tutti gran signori. Aggiungete Lionello d’Este, le cui
-lettere sono delle migliori del suo tempo; il Malatesta
-di Rimini, Gian Galeazzo e Lodovico Sforza duchi, e il
-cardinale Ascanio costui fratello, e molte dame, quali
-Isabella d’Aragona duchessa di Milano, Bianca d’Este,
-Domitilla Trivulzi. All’imperatore Sigismondo, a Martino
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-V pontefice recita orazioni latine la Batista di Montefeltro,
-moglie di Galeazzo Malatesta da Pesaro, la
-quale legge filosofia, e disputandone vince alcuni professori.
-Costanza di Varano, nipote di lei, di quattordici
-anni pronunzia un discorso latino a Bianca Maria
-Sforza, e per tutt’Italia è ammirata ed encomiata tanto,
-che ottiene a’ suoi d’essere rintegrati nella signoria
-di Camerino, ed è sposata da Alessandro Sforza signore
-di Pesaro, poeta anch’esso. Un’altra Batista
-sua figlia e duchessa di Camerino facea stupire principi
-e prelati coi discorsi latini che improvvisava. Ippolita
-figlia di Francesco Sforza in Mantova davanti al
-congresso raccolto perorò onde eccitare alla crociata,
-e ci rimane esemplato di sua mano il trattato <i>De senectute</i>
-di Cicerone.
-</p>
-
-<p>
-Cosmo padre della patria stipendiò quarantacinque
-scrivani onde provvedere la sua biblioteca. Lorenzo magnifico
-scriveva: — Quando l’anima mia è stanca d’affari,
-e gli orecchi assordati dal cittadin clamore, non
-mi vi saprei rassegnare se non cercassi refrigerio nelle
-lettere, pace nella filosofia». Federico duca d’Urbino
-teneva a Firenze e altrove da trenta a quaranta amanuensi,
-e spese in copie meglio di trentamila ducati;
-e oltre la Bibbia che ancor si ammira nella Vaticana,
-«ebbe altri libri assai (dice il Vespasiano), belli in
-superlativo grado, coperti di chermisi, forniti d’ariento,
-miniati elegantissimamente, e tutti iscritti in carta di
-cavretto; nè tra quelli n’era niuno a stampa, che se ne
-sarebbe vergognato».
-</p>
-
-<p>
-Tutti i signori raccolgono i profughi di Grecia, gli
-incorano a cercare e tradur libri, assistono alle lezioni
-loro. Nicolò Acciajuoli, ito da Firenze a Napoli mercatando,
-trovò grazia presso la principessa di Taranto,
-che gli diede stato e cavalleria e ad educare il suo
-figlio Luigi; presso il quale conservossi in grazia, fu
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-fatto siniscalco, e al mutar degli eventi tornato ricchissimo
-in patria, vi sfoggiò in modo che i Fiorentini se
-ne adombrarono quasi volesse farsene dominatore, e
-stanziarono ch’e’ non potesse ottenervi alcuna magistratura.
-Egli allora sfogò la sua ambizione col mettersi
-protettore di dotti, quali Zanobio Strada, Francesco
-Nelli, il Boccaccio. Il qual ultimo volle poi seco a Napoli
-quando tornò, ma lo teneva a miseria, sebbene
-l’esortasse continuo a scrivere le sue gesta. Alla magnifica
-Certosa da lui eretta presso Firenze aggiunse
-un palazzo a foggia di castello, ove cinquanta giovani
-doveano esser educati, con biblioteca d’opere rare;
-disposizione rimasta priva d’effetto. Palla Strozzi, cittadino
-ricchissimo e potentissimo in Firenze, dove ristabilì
-l’Università, ebbe in casa Tommaso da Sarzana
-dappoi papa, chiamò Manuele Crisolara, «mandò in
-Grecia per infiniti volumi, tutti alle sue spese; la Cosmografia
-di Tolomeo colla pittura fece venire infino
-da Costantinopoli; le Vite di Plutarco, le opere di Platone,
-e infiniti libri degli altri. La <i>Politica</i> di Aristotele
-non era in Italia, se messer Palla non l’avesse fatta
-venir lui da Costantinopoli; e quando messer Lionardo
-la tradusse, ebbe la copia di messer Palla»<a class="tag" id="tag146" href="#note146">[146]</a>. Esigliato
-il 1434, ebbe a sè «con bonissimo salario
-Giovanni Argiropulo, a fine che gli leggesse più libri
-greci, di che lui aveva desiderio di udire. Da un altro
-greco prendea lezioni straordinarie, e traduceva san
-Giovanni Crisostomo».
-</p>
-
-<p>
-Nicolò Niccoli vendette alcune possessioni per aver
-libri, che poi mise a comodo del pubblico, e fece fabbricare
-la libreria di Santo Spirito con banche per
-tenervi quei che erano appartenuti al Boccaccio; ottocento
-codici lasciò, stimati seimila fiorini. Bartolomeo
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-Valori gli studj d’umanità «non tralasciò mai
-del tutto, ancorchè occupato nelle cure domestiche e
-mercantili, ed implicato negli affari pubblici; se non
-quando in età matura pervenuto, quel tempo che potè
-tutto nella sacra Scrittura andò consumando, con partecipare
-i suoi studj con i teologi di quell’età suoi domestici»<a class="tag" id="tag147" href="#note147">[147]</a>.
-Bernardo Rucellaj, che nelle nozze colla
-figlia di Pietro de’ Medici spese trentasettemila fiorini,
-sorresse l’accademia Platonica dopo mancato il magnifico
-Lorenzo; e fattasi una splendida abitazione con
-giardini ornati di monumenti antichi, vi tenea adunanze
-di dotti, che resero rinominati gli <i>Orti oricellarj</i>.
-Branda Castiglione milanese, gran canonista, e uno
-de’ migliori ornamenti de’ concilij di Firenze e di Costanza,
-fatto cardinale, patrocinò munificamente le
-lettere, pose un collegio a Castiglione con ricca biblioteca
-aperta a chiunque amasse le lettere, ai quali facea
-far opere e distribuiva benefizj.
-</p>
-
-<p>
-Nè più solo da lizze e da armeggiamenti si prendeva
-diletto e festa. Quando il dottissimo patrizio veneto
-Lodovico Foscarini nel 1451 andò podestà a Venezia,
-Isotta Nogarola sostenne una disputa se dovesse attribuirsi
-la prima colpa a Adamo o ad Eva. Durante
-il concilio di Ferrara, Ugo de’ Benzi senese, «tenuto
-ne’ suoi tempi principe de’ medici, invitò seco a desinare
-tutti que’ filosofi greci che erano venuti a Ferrara;
-e dopo il splendido apparato venuto al fine a
-poco a poco, pian piano cominciò a tirargli piacevolmente
-in disputa, sendo già presente il marchese Nicolò,
-e tutti i filosofi che si trovavano in quel concilio.
-Addusse in mezzo tutti i luoghi de la filosofia, sopra
-quali par che fieramente contendino e sieno tra loro
-discordanti Platone ed Aristotele, e disse ch’egli voleva
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-difendere quella parte che oppugnerebbero i Greci,
-seguissero Platone o vero Aristotele. Non ricusando la
-contesa i Greci, durò molte ore la disputa; al fine
-avendo Ugo padrone del convito fatto tacere i Greci
-ad un ad uno con l’argomentazione e con la copia
-del dire, fu manifesto a tutti che i Latini, come già
-avevano superato i Greci con la gloria de l’armi, così
-nell’età nostra e di lettere e d’ogni specie di dottrina
-andavano a tutti innanzi»<a class="tag" id="tag148" href="#note148">[148]</a>.
-</p>
-
-<p>
-A Firenze il 1441 fu annunziata, per cura di Lorenzo
-De’ Medici e di Leon Battista Alberti, una gara pubblica
-di letterati, dove ciascuno leggerebbe qualche
-suo componimento intorno alla vera amicizia, e il migliore
-otterrebbe una corona d’argento in forma d’alloro.
-In Santa Maria del Fiore, magnificamente parata
-e coll’intervento delle autorità e di gran popolo, lessero
-lor composizioni Francesco Alberti, Antonio Alli,
-Mariotto Davanzati, Francesco Malecarni, Benedetto
-Aretino, Michele da Gigante, Leonardo Dati, applauditi
-come si suol essere in tali circostanze: ma i segretarj
-di papa Eugenio, ai quali per onoranza erasi rimesso il
-decidere, dichiararono che erano tutte belle quasi del
-pari, e si trassero d’impaccio col decretare la corona
-alla Chiesa<a class="tag" id="tag149" href="#note149">[149]</a>. Poi esso Lorenzo volle rinnovare dopo
-dodici secoli la festa di Platone, che si celebrava ai
-tempi di Plotino e Porfirio; e Firenze e Careggi seguitarono
-per più anni a festeggiare lo scolaro di
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Anche fuori venivano cercati i nostri; e Gregorio
-di Tiferno, allievo del Crisolara, nel 1458 ridestava
-gli studj classici nell’Università di Parigi; nella quale
-professarono Tranquillo Andronico, Fausto Andreini,
-Beroaldo, Balbi, Cornelio Vitelli, forse altri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-</p>
-
-<p>
-Conseguenza della stima allora profusa ai letterati
-fu l’affidare ad essi l’educazione de’ principi, lasciata
-in prima a guerrieri e a dame. Il Guarino allevò Lionello
-d’Este; tre figliuoli e una figlia di Francesco Gonzaga
-di Mantova Vittorino da Feltre, collocato perciò
-in un’abitazione da principe, con giardini, appartamenti
-sontuosi, pitture, giuochi, sicchè a ragione chiamavasi
-la Giojosa. Vittorino però non la pensava come
-certi odierni pedagoghi, che deva esser gaja ed agevole
-l’educazione, mentre avvia ad una vita di triboli;
-sicchè poco a poco fece sparire le delizie, e l’effeminata
-magnificenza ridusse a parca severità. Eppure mostravasi
-padre affettuoso ancor più che abile maestro; a
-lui accorreasi di Francia, di Germania, di Grecia, e vi
-si trovava ogni mezzo di istruirsi nelle scienze e nelle
-arti belle, avendo intorno a sè raccolto maestri d’ogni
-bel sapere. Da’ suoi scolari pretendeva esatta esposizione;
-col che avviò alla lettura corretta. Nulla pubblicò,
-e, mirabil cosa tra que’ dotti iracondi, non si
-trova chi di lui sparlasse. Francesco Prendilacqua suo
-discepolo ne scrisse un’elegante vita, conseguendo il
-più bell’effetto, quello di far amare il suo eroe.
-</p>
-
-<p>
-Maffeo Vegio, che ebbe la baldanza di fare seicento
-versi di supplemento all’Eneide, nel trattato dell’educazione<a class="tag" id="tag150" href="#note150">[150]</a>
-diede buoni consigli ai maestri, deducendoli
-non solo dagli etnici, ma anche dai santi Padri;
-bene espose le virtù e i vizj de’ giovani; e all’educazione
-delle fanciulle applicò molti esempj, tratti da santa
-Monica madre di sant’Agostino.
-</p>
-
-<p>
-È strano che principi, futuri reggitori di popoli,
-s’affidassero a gente ignara di governo, e sol capace per
-avventura di formare il prete o l’avvocato. Ma il vezzo
-si perpetuò: e mentre gli antichi insegnavano nelle scuole
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-la storia e le idee della propria nazione, e lo studiar le
-straniere fu curiosità o erudizione di pochi; nelle moderne,
-al contrario, i figli si addestrarono in lingua diversa
-dalla materna, e leggi e società estranee alla
-loro propria, onde i sentimenti attinti dalla scuola discordarono
-da quelli che doveano avere nel mondo.
-</p>
-
-<p>
-Molti poetarono latino, fra cui Zanobio Strada fiorentino,
-che n’ebbe corona dall’imperatore, e del quale
-non ci rimangono che cinque poveri versi. Il Petrarca
-loda moltissimi come degni d’alloro; anzi del lor soverchio
-numero si lagna, «contagio che penetrò fin
-entro la corte romana, ove giureconsulti e medici non
-badano ad Esculapio e a Giustiniano, non a litiganti e
-infermi, ma a Virgilio ed Omero; agricoltori, falegnami,
-muratori gettano gli stromenti delle arti loro
-per trattenersi con Apollo e colle Muse. Temo d’avere
-col mio esempio contribuito a tale farnetico». Battista
-Mantovano, onorato di statua accanto a Virgilio,
-al quale Erasmo nol credeva inferiore, oggi chi lo ricorda?
-Migliore è Giovian Pontano, preside dell’accademia
-di Napoli, rimasta la più illustre al cadere della
-romana e della fiorentina: e di fama più estesa Angelo
-da Montepulciano, col nome di Poliziano. Raccolto giovinetto (1491)
-da Lorenzo Medici che ne indovinò l’ingegno,
-a ventinove anni professò greca e latina eloquenza,
-sapeva d’ebraico, ed ebbe ogni sorta di onori e d’insulti
-dagli emuli. Le sue <i>Miscellanee</i>, raccolta di cento
-osservazioni di grammatica, d’allusioni, di costumi
-sopra autori latini, erano reputate capolavoro, e gloria
-l’esservi menzionato, come ingiuria il restarne dimentico.
-Tratta egli que’ soggetti con solida e variata amenità,
-ben rara agli eruditi, e con purezza superiore ai
-precedenti, sentendo al vivo le bellezze romane, ben
-descrivendo, a gran proposito adoperando i classici,
-comunque ridondi nelle descrizioni, abusi dei diminutivi
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-e degli arcaismi, e inciampi in improprietà<a class="tag" id="tag151" href="#note151">[151]</a>.
-Meglio meritò col trasfondere i modi de’ classici nella
-poesia italiana, siccome il Boccaccio avea fatto nella
-prosa, richiamandola all’eleganza.
-</p>
-
-<p>
-Anche gl’ingegni migliori, a forza di pensar latino,
-si erano domati alla servitù dell’imitazione; e come in
-quello si ricalcavano Virgilio e Cicerone, così nell’italiano
-il Petrarca e il Boccaccio (Dante fu dimenticato),
-e si cominciarono dispute eterne intorno alla lingua,
-derivandone l’autorità da questo autore, anzichè ricorrere
-alla parlata. Ma tristo effetto di quella idolatria
-per gli antichi era stato il disprezzo per la lingua italiana,
-abbandonata col titolo di vulgare. «Mi ricordo
-io (dice Benedetto Varchi) quando ero giovinetto, che
-il primo e più severo comandamento che facevano generalmente
-i padri a’ figliuoli, e i maestri a’ discepoli,
-era che eglino, nè per bene nè per male, non leggesseno
-cose vulgare (per dirlo barbaramente come loro): e
-maestro Guasparri Mariscotti da Marradi, che fu nella
-grammatica mio precettore, uomo di duri e rozzi ma
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-santissimi e buoni costumi, avendo una volta inteso,
-in non so che modo, che Schiatta di Bernardo Bagnesi
-ed io leggevamo il Petrarca di nascoso, ce ne diede
-una buona grida, e poco mancò che non ci cacciasse
-dalla scuola».
-</p>
-
-<p>
-Ne venne di conseguenza un gergo affettato insieme e
-rozzo, di barbarismi vulgari mescolati a latinismi eruditi,
-senza sapore di legamenti, senza scelta di frasi, senza
-nerbo di sintassi, ma contorto e rabberciato, tutto toppe
-e rappezzi, simile a quello che poi s’imitò per ischerzo,
-e si chiamò maccheronico e fidenziano. Chiunque abbia
-letto qualche libro d’allora, potette averne un saggio;
-e se non basti qualche passo da noi citato, e singolarmente
-la lettera del Poliziano (pag. 300), soggiungeremo
-che il vescovo di Vercelli, il presidente del consiglio,
-il capitano di Sant’Agata, ambasciadori del duca
-di Savoja, scrivevano al duca di Milano nel 1484: — La
-Excellenza del nostro signor duca a recevuto una lettera
-vostra, della quale el tenore et contenu est che Lojis et
-Passin de Vimercà hano tractà et conspirà de privare
-el signor Lodovico vostro degnissimo barba dello governo
-ecc.»<a class="tag" id="tag152" href="#note152">[152]</a>. Frà Jacopo Filippo da Bergamo, autore
-d’una storia generale col titolo di <i>Supplementum
-Chronicorum</i>, stampato quattro volte in quel secolo e
-più altre dappoi, e lodato per rare notizie, scriveva al
-cardinale Ippolito d’Este nel 1498: — Questi itaque
-anni passati, havendo me tua Excellenzia mandato a donare
-una bella mulla per mio usare, la acceptay cum
-gratiarum actione, et poy statim cognosce me ancora
-gagliardo di posser caminare a’ piedi, gela remanday.
-Ma di presente siendo molto invecchiato, et appresso a li
-settanta anni di etade, non possendo quasi più caminare,
-cum una indubitata fede me voglio ricorrere a la plentissima
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-vostra signoria, come quella a suo devotissimo
-oratore gli piaqua donarli una qualche honesta chavalchatura;
-et questo prima per amore di Dio, et per riconoscimento
-di tante mie fatiche, che hoe pigliato in
-ornare tutta la illustrissima casa vostra etc....». E frà
-Francesco Colonna, autore d’un eruditissimo e lascivo
-romanzo, <i>Hipnerotomachia Poliphili, ubi humana
-omnia nonnisi somnium esse docet</i>, finge d’essersi in
-sogno ritrovato «in una quieta e silente piaggia, di
-culto diserta, d’indi poscia disaveduto con grande timore
-intrò in una invia et opaca silva»; e così descrive
-l’aurora: «Phoebo in quel hora manando, che la fronte
-di Matula Leucothea candidava, fora già dell’oceane
-onde, le volubili rote sospese non dimostrava, ma sedulo
-cum gli sui volucri caballi Pyroo primo et Eoo
-alquanto apparendo, ad dipingere le lycophe quadrige
-morava». E di questo tenore prosegue tutto il dottissimo
-volume.
-</p>
-
-<p>
-Se però decadeva l’italiano letterario, il popolare
-acquistava dovizia e destrezza, e felicemente l’adoprarono
-alcuni Fiorentini, come Matteo Palmieri nel dignitoso
-e sobrio trattato della <i>Vita civile</i>; Feo Belcari,
-che con cara semplicità stese la <i>Vita di Giovanni Colombini</i>
-e varie poesie divote<a class="tag" id="tag153" href="#note153">[153]</a> e rappresentazioni
-sceniche; e Agnolo Pandolfini, nel <i>Governo della famiglia</i><a class="tag" id="tag154" href="#note154">[154]</a>,
-dialogo di persone reali intorno a reali soggetti
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-e ai bisogni quotidiani, con precetti d’economia e
-di morale alla mano di tutti, ed esposti con purissima
-proprietà, vero modello di simil genere di comporre.
-Alla stessa fonte attinsero Luigi Pulci, il Poliziano, Lorenzo
-Medici, che saluteremo quali precursori dell’aureo
-Cinquecento. Esso Lorenzo a diciassette anni s’incontrò
-con Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, e domandato
-da questo sui migliori poeti italiani, di propria
-mano gliene trascrisse molti, insieme con alcune proprie
-composizioni. Di poi si facea capo delle mascherate
-che uscivano il carnevale, con sempre nuove invenzioni
-e addobbi; induceva i poeti a compor canzoni
-per quelle, e ne componeva egli stesso; e scendeva
-sulla piazza a menar la danza, a intonar l’aria, ad accordare
-gli strumenti, facendo arte di governo la letizia
-d’un popolo ch’era alla vigilia di troppe sventure.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap122-11">CAPITOLO CXXII.
-<span class="smaller">Scienziati. I libri. La stampa.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Carlo IV mandò al Petrarca un diploma, ove Giulio
-Cesare e Nerone assolvevano l’Austria dalla dipendenza
-imperiale; ed esso il dichiarò impostura. Scoperta di
-minimo merito, se allora non fosse stato straordinario
-il dubitare di cosa scritta; e al Petrarca va lode d’avere
-usato la critica, quantunque spesso in fallo, sovra di
-opere attribuite ad autori falsi, o di cui scambiavansi il
-tempo e il nome. Egli avea fatto una raccolta di medaglie,
-e si lagna che i Romani ignorino le cose proprie,
-e per vile guadagno distruggano i preziosi avanzi
-campati dai Barbari; e dell’averli restaurati encomia
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-Cola Rienzi, il quale dallo studio di questi aveva attinto
-l’ammirazione pel buono stato antico<a class="tag" id="tag155" href="#note155">[155]</a>. Anche Guglielmo
-Pastrengo, grand’amico del Petrarca, ustolava
-ad anticaglie ed iscrizioni; e il suo <i>Lessico storico</i>, biblioteca
-generale degli scrittori sacri e profani, per
-quanto imperfettissimo, attesta molta lettura. Nicolò
-Niccoli possedeva una serie di medaglie, di cui si valse
-per accertare l’ortografia di alcune voci.
-</p>
-
-<p>
-Che le iscrizioni potessero venire in appoggio alla
-storia, l’aveano già scorto gli antichi. Il Pizzicolli, detto
-Ciriaco Anconitano, per incarico di papa Nicola V andò
-a farne una raccolta per Italia, Grecia, Ungheria, e
-pei paesi di Levante ancora intatti dai Turchi; nè noi
-col Poggio e col Decembrio teniamo ch’e’ fosse impostore,
-bensì che spessissimo s’ingannasse nel giudicare
-il tempo, l’origine, la destinazione de’ monumenti. Anche
-l’architetto frà Giocondo da Verona ne raccolse di
-molte; a Reggio serbasi manoscritta la raccolta di Michele
-Ferravino con disegni; una ne fece Nicolò Perotto,
-vescovo di Manfredonia; altri altre di particolari provincie.
-Girolamo Bologni pel primo v’aggiunse spiegazioni
-e commenti, talchè la storia presentavasi appoggiata
-all’erudizione. Con testimonj di questa Bernardo
-Rucellaj, splendido amico dei letterati, trattò della città
-di Roma; e Biondo Flavio (-1463), segretario di Eugenio IV,
-ne illustrò gli edifizj, il governo, le leggi, le cerimonie,
-la disciplina militare (<i>Romæ instauratæ libri III — Romæ
-triumphantis libri IX</i>); poi nell’Italia illustrata
-descrisse le quattordici regioni della penisola:
-ma era possibile non incappasse in molti errori? Nega
-che esistesse un vulgare parlato, contemporaneo allo
-scritto dei classici. Preparava anche una storia d’Italia
-dalla caduta dell’Impero fino a’ suoi giorni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-</p>
-
-<p>
-De’ magistrati romani discorse Domenico Fiocchi (1497) fiorentino
-Pomponio Leto calabrese, bastardo dei Sanseverino,
-cercò monumenti <i>fin in riva al Tanai</i>, e pensava
-vedere le Indie; ma nel distolse la compagnia de’ valentuomini,
-dei quali era capo nell’accademia romana.
-Dilapidata la sua casa in una sollevazione ai tempi di
-Sisto IV, «lui in giuppetto coi borzacchini e con la
-canna in mano se n’andò a lamentare co’ superiori»
-(Infessura), e gli amici a gara il rifornirono d’ogni
-occorrente. Sino alle lacrime il commoveano i monumenti,
-e per ammirazione all’antichità pareangli selvaggi
-i costumi e le credenze presenti, a tal segno che fu creduto
-empio. Di rimpatto Bonino Mombrizio milanese in
-due eleganti volumi raccolse vite di santi, tolte da biblioteche
-e archivj, copiando fin gli errori, e non discernendo
-le apocrife.
-</p>
-
-<p>
-Annio da Viterbo domenicano, per gran virtù e franchezza (1502)
-fu elevato maestro del sacro palazzo, e odiato
-da Cesare Borgia che forse il fece avvelenare. Nei trattati
-<i>Dell’impero de’ Turchi</i> e <i>De’ futuri trionfi de’ Cristiani</i>
-deduceva dall’Apocalissi speranze per la prossima
-caduta del nemico della cristianità. Era il tempo che
-comparivano ad ogni ora nuovi documenti dell’antichità,
-onde furono accolti con entusiasmo i suoi <i>Antiquitatum
-variarum volumina XVII</i>. Erano autori
-antichissimi, atti a chiarire l’origine de’ popoli, quali
-Beroso caldeo, Fabio Pittore, Mirsilo da Lesbo, Sempronio,
-Archiloco, Catone, Metastene, Marceto, altri ed
-altri. Ne tripudiarono gli eruditi, levando a cielo il fortunato
-Annio; a gara ingemmarono le loro scritture
-coi bei trovati di esso; e tutte le storie uscite in quel
-torno ne furono infette. Perocchè que’ frammenti non
-erano che una finzione, e poco tardarono ad olezzare
-di falso. Ma era egli ingannatore o ingannato? ancora se
-ne disputa, nè manca chi li crede di fondo vero, comunque
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-alterato; e il moderato quanto erudito Zeno, esaminando
-la questione riprodottasi fra il domenicano
-Mazza che pubblicò l’<i>Apologia</i> di Annio, e il Macedo
-che la sostenne contro il veronese Sparavieri, trova eccesso
-da un canto e dall’altro, giudicandolo illuso da
-quelli che allora speculavano sopra la smania delle scoperte
-antiche.
-</p>
-
-<p>
-Intanto non è a dire quanta confusione ne venisse a
-tutti gli storici nostri, massimamente municipali, che
-con intrepidezza risalivano a Noè o almeno alla guerra
-di Troja, e cercavano tra Fenici e Caldei quel che avevano
-in casa: i Milanesi seppero che Anglo figlio di
-Ettore fondò Angleria, e fu stipite de’ Visconti, i quali
-perciò s’intitolavano conti d’Angéra; i Comaschi ebbero
-in pronto un Comer figlio di Giafet fondatore della loro
-città; Cremona un Cremone trojano (vedi Cap. II); Gian
-Grisostomo Zanchi deduceva il nome così tedesco di Bergamo
-dalle voci ebraiche <i>Beradin gom mon</i>, cioè <i>inundatorum
-clypeata civitas</i>, che interpreta <i>Dei Galli regia
-città</i>. Nè va di miglior passo il Platina nella storia di
-Mantova; ma in quella dei papi ripudia, congettura, e
-se non sempre imbrocca, già era assai questo dubitare
-di asserzioni d’antichi. Abbiamo detto a quali ardimenti
-si spingesse la critica col Valla (pag. 314).
-</p>
-
-<p>
-Conosciuti i modelli classici, migliorato il gusto, si volle
-che la storia fosse anche bella; e tale fu scritta spesso
-in latino, talvolta in vulgare. Dei vulgari già parlammo
-(tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 332): fra i latini è dei migliori Andrea
-Silvio Piccolomini, che in quella d’Austria raccontò i
-fatti della Boemia e di Federico III, nella <i>Cosmografia</i>
-descrisse l’Europa e l’Asia Minore, ed espose gli avvenimenti
-dell’Italia dall’anno di sua nascita fino all’ultimo
-del suo pontificato con vigorosa dicitura e studio dei
-caratteri e dei costumi. Stamparonsi centoventi anni
-dopo, sotto il nome di Giovanni Gobellino suo segretario,
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-continuati fino al 1469 da Jacopo degli Ammanati
-fiorentino, cui esso papa diede il cognome della
-propria famiglia e il vescovado di Pavia e il cappel rosso.
-</p>
-
-<p>
-Antonio Bonfini d’Ascoli, vissuto in Ungheria alla
-corte di Mattia Corvino e di Vladislao II fino al 1502,
-lasciò tre decadi della storia di quel paese al modo di
-Tito Livio, cioè elegante e falsa, pure preziosa dove
-ogn’altra ne manca. Filippo Bonaccorsi o Callimaco
-Esperiente toscano, fuggito da Roma al disperdersi dell’accademia,
-dopo lungo errare fu in Polonia accolto da
-re Casimiro, che collo storico Giovanni Dlugos l’adoprò
-per educatore di suo figlio, segretario proprio, e spesso
-ambasciadore. Scrisse i fasti di re Ladislao V e la battaglia
-di Varna ove questi era perito; e un opuscolo
-sulle mosse de’ Veneziani per eccitare Tartari e Persi
-contro i Turchi.
-</p>
-
-<p>
-Aurelio Brandolini, detto Lippo perchè cieco, poeta
-latino di Firenze, in Ungheria caro a Mattia Corvino,
-morì a Parma il 1497, lasciando moltissime opere.
-</p>
-
-<p>
-Da Tommaso da Pizzano, astrologo bolognese a’ servigi
-di Carlo V di Francia, nacque Cristina, che bella
-ed educata alla corte e alle lettere, vide applaudite le
-prime sue poesie; poi per provvedere alla sua povera
-vedovanza scrisse d’arte militare, la <i>Mutazione di fortuna</i>,
-e la vita o piuttosto panegirico di quel re. A fatica
-oggi può leggersi quel che allora tanto ammirossi: pure
-associa vivacità poetica con fina ragionevolezza, delicato
-sentimento con forza.
-</p>
-
-<p>
-Le scienze dunque erano uscite affatto dal santuario, e
-secolarizzate; se la teologia rimaneva sempre la prima,
-non era più l’unica; e sebbene in essa, fra tanti dissensi
-ecclesiastici, si moltiplicassero dissertazioni e commenti,
-nessuno s’accostò alla potenza di Tommaso d’Aquino e
-di Bonaventura. Quanti ragionamenti e sofisterie nella
-quistione de’ Minoriti! In più serie e vitali quistioni ai
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-concilj di Basilea, di Costanza, di Firenze figurarono e
-nostrali e stranieri, e principali Enea Silvio e il cancelliere
-Gerson.
-</p>
-
-<p>
-A quest’ultimo i Francesi, a Tommaso da Kempis
-i Tedeschi, i nostri a Giovanni Gersen abate di Vercelli<a class="tag" id="tag156" href="#note156">[156]</a>,
-attribuiscono l’<i>Imitazione di Cristo</i>, il libro
-più famoso del medioevo, e il più letto dopo la Bibbia,
-e che si disse sarebbe il primo del mondo se questa non
-esistesse: riprodotto in almeno mille ottocento edizioni,
-tradotto in ogni lingua, senza che alcuna raggiunga la
-concisa energia di quel latino, comunque scorretto, e
-simile alle figure di santi che allora posavansi sui sepolcri,
-non mosse, eppur belle, e sopratutto soavi. Non
-prende esso per intermediarj i profeti, i dottori, la
-Chiesa, ma è un colloquio dell’anima col suo Creatore.
-Quest’intimità ne forma l’attrattiva; e poichè non v’ha
-dispute, non sistemi e speculazione, non decisioni particolari,
-ma impeti dell’anima, nulla d’intrinseco ajuta
-a riconoscerne l’autore. Tale incertezza non mal gli si
-addice, scomparendo affatto la personalità perchè rimangano
-soli il cuore e il sentimento. In tempo di tanto
-litigare, ivi nessun alito di polemica; al più qualche
-gemito sull’infelicità de’ tempi, e il consiglio di ripararsene
-col formarsi una solitudine profonda, dove ascoltare
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-Iddio che parla. E sull’anime invelenite dall’amor
-della contesa come dovea piovere ristorante quella parola: — Nella
-croce è salute, è vita, è schermo dai nemici,
-è infondimento di superna dolcezza; nella croce è
-vigore alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce sta
-tutto, tutto è riposto nel morire; nè alla vita e all’interna
-pace v’è altra via che della croce e della cotidiana
-mortificazione. Cammina per dove vuoi, cerca
-checchè tu vuoi; non troverai più alta strada di sopra,
-nè più sicura di sotto, che quella della croce. Disponi
-le cose come ti pare e piace, non però troverai altro
-che da patir qualche cosa. La croce è sempre apparecchiata,
-e in ogni luogo ti aspetta: non la puoi cansare
-dovunque tu corra. Se la porti di buon grado, ella porterà
-te, e ti scorgerà al termine desiderato, dove sia
-fine al patire: se forzatamente la porti, ti fai un peso,
-e viepiù gravi te stesso, e nondimeno ti sarà forza portarla.
-Se una croce tu getti via, un’altra ne troverai,
-forse più grave. Non è secondo l’uomo portar la croce
-ed amarla, castigare il suo corpo e costringerlo in servitù,
-fuggire gli onori, sostenere di buon grado gli
-scherni, disprezzare se medesimo e bramare d’essere
-disprezzato, patire qualsivoglia danno, e nessuna prosperità
-desiderare. Ma se ti fidi nel Signore, dal cielo
-ti verrà fortezza, e alla tua signoria saranno soggettati
-il mondo e la carne»<a class="tag" id="tag157" href="#note157">[157]</a>. E l’imitar Cristo è una
-iniziazione progressiva, per mezzo dell’astinenza, poi
-dell’ascetismo, della comunicazione, infine dell’unione.
-Questi successivi passaggi espose l’innominato al popolo,
-colla lingua del chiostro; e divenne libro popolare quel
-ch’era ascetico lavoro di monaco.
-</p>
-
-<p>
-Nelle scuole aveano per tutto il medioevo contrastato
-i Realisti, che propendendo all’unità di sostanza, giudicavano
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-mere astrazioni i nomi di genere, specie, individui;
-contro i Nominalisti, che proclamavano la pluralità
-della sostanza, ripristinando l’individuazione, il
-genere, la specie, all’universale non attribuendo altro
-valore che d’un segno. Dappoi la battaglia erasi ingaggiata
-e continuava sotto le antiche bandiere d’Aristotele
-e Platone, del ragionamento e dell’entusiasmo, del sillogismo
-e dell’ispirazione. Dal 1313 al 16 un frà Paolino
-minorita diresse a Marin Badoaro duca di Candia un trattato
-italiano col titolo <i>De recto regimine</i>, dove analizza
-con semplicità e chiarezza i doveri d’un magistrato; tiene
-pel governo d’un solo, ma che si circondi di una consulta
-di savj. Parteggia invece per la repubblica, almeno nei
-piccoli Stati, Egidio da Roma, educatore di Filippo il
-Bello e arcivescovo di Bourges; di cui i due primi libri
-<i>De regimine principum</i> sono una direzione di coscienza
-pei re, il terzo un trattato di diritto politico, esaminando
-le varie forme di governo e le leggi civili che vi
-si riferiscono: nemicissimo della servitù personale, non
-riconosce regno se non si conformi agli eterni canoni
-della giustizia.
-</p>
-
-<p>
-Accursio rimase tipo de’ glossatori, talchè sopra di lui
-si concentrarono i biasimi e le lodi. Ma la sua grande
-compilazione avea posto termine alle spiegazioni orali
-de’ professori, fin allora usitate; le interpretazioni furono
-ristrette; i glossatori divennero autorità unica,
-fino a dirsi che una glossa val più di cento testi. In
-conseguenza la scienza decadde, e sottentrarono i giuristi
-scolastici, che alla giurisprudenza applicarono i
-metodi dialettici; nel che vedemmo illustri Baldo e Bártolo,
-il quale colla gran pratica del fôro suppliva alla
-mancanza di storia e di filologia. Tutti i loro seguaci
-sono prolissi e barbari; onde dagli umanisti erano tenuti
-per dappoco, perchè conservavano ancora lo stile
-ispido, l’argomentare scolastico, le affollate citazioni al
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-par de’ teologi: pure alcuni cominciarono a disselvatichire
-quegli studj, meditar Giustiniano con filologia e
-storia, e Andrea Alciato fu de’ primi, poi i francesi Budeo
-e Mulineo, e superiore a tutti il Cujaccio.
-</p>
-
-<p>
-Molti ottennero celebrità per consulti legali e per
-opere o per magistrature sostenute; ma col rinnovarsi
-della scienza i loro libri non serbarono alcuna importanza,
-neppur d’erudizione. Chi non lodava allora Paris
-de Puteo, alessandrino o napoletano, Giovan Antonio
-Carafa, principe de’ giureconsulti, Matteo degli Afflitti,
-il più dotto leggista di quanti furono prima o poi, i cui
-<i>Commenti sopra i feudi</i> non hanno pari, e che raccogliendo
-le decisioni della curia napoletana, diede origine
-alla nuova genìa dei <i>Decisionanti?</i> Giovanni d’Andrea
-bolognese o fiorentino fu in voce del maggior canonista;
-e le sue figlie Novella e Bettina dettarono anch’esse.
-Paolo da Liazari, costui scolaro, allevò Giovanni da Legnano,
-così celebre che alla sua morte si chiusero le
-botteghe. Andrea d’Isernia fu nominato l’evangelista
-del diritto feudale, e re Roberto il menò seco onde
-perorare alla corte d’Avignone i diritti che vantava al
-trono di Napoli<a class="tag" id="tag158" href="#note158">[158]</a>. Gran lume al diritto civile recò
-pure Francesco Accolti d’Arezzo. Guadagnò moltissimo
-di sua professione, e sperava anche il cappello cardinalizio,
-ma Sisto IV gliel ricusò dicendo temeva di sottrarre
-alle scienze un troppo illustre cultore. Volendo
-dimostrare ai suoi scolari in Ferrara quanto importi
-conservare il buon nome, rubò della carne da un macello:
-subito ne vennero imputati gli studenti, e due in
-cattiva reputazione furono arrestati e correvano pericolo,
-quando l’Accolti andò ad accusare se stesso: non
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-si volle credergli, finchè non addusse i testimonj e il
-motivo.
-</p>
-
-<p>
-I canali, le macchine da guerra, i molini ad acqua e
-a vento, una filatura in Bologna nel 1341 mossa per
-forza d’acqua ed equivalente all’opera di quattromila
-filatrici, e i grandi lavori architettonici e idraulici attestano
-coltivate la geometria e la meccanica. Nel 1455
-Gaspare Nadi e Aristotele di Feravante trasportarono
-la torre della Magione di Bologna colle sue fondamenta,
-alte ottanta piedi, colla spesa di sole cencinquanta lire;
-e raddrizzarono il campanile di Cento, che strapiombava
-più di cinque piedi<a class="tag" id="tag159" href="#note159">[159]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Per servizio ora della magia, ora del commercio, le
-matematiche venivano coltivate dai nostri. Paolo Dagomari,
-detto Dall’Abaco, pel primo usò la virgola a distinguere
-in gruppi di tre cifre i numeri troppo lunghi,
-e introdusse i taccuini. Molti trattati d’algebra o, come
-dicevano, almacabala, si trovano nelle biblioteche; e il
-primo messo a stampa fu l’italiano di Luca Pacioli da
-Borgo Sansepolcro francescano, professore a Milano,
-che servì di base a tutti i matematici del secolo seguente.
-«In quest’arte maggiore, detta dal vulgo regola
-della cosa», arriva all’equazione di secondo grado, non
-più in là del Fibonacci; se non che la sua osservazione
-che le regole relative alle radici sorde possono riferirsi
-alle grandezze incommensurabili pressente l’applicazione
-dell’algebra alla geometria. Aveva visitato le città
-commerciali d’Italia, e porge le diverse pratiche dei
-negozianti, esempj numerosissimi di conti, cambj, arbitramenti,
-società, e principalmente la tenuta de’ libri
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-in scrittura doppia all’italiana, che tanto tardò ad essere
-adottata<a class="tag" id="tag160" href="#note160">[160]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Giorgio Valla piacentino (-1500) scrisse una specie
-di enciclopedia <i>de expetendis et fugiendis rebus</i>, desumendola
-da Greci e Latini, a preferenza degli Arabi, e
-nel III cap. dà un trattato delle sezioni coniche, forse
-primo dopo il risorgimento. Non abbiamo però matematici
-nostri che equivalgano ai tedeschi Purbach e
-Regiomontano. Questo pel primo costruì un almanacco
-colla posizione degli astri, gli eclissi, e calcoli della situazione
-del sole e della luna per trent’anni; chiamato
-a Roma per l’emendazione del calendario, vi morì in
-fresca età.
-</p>
-
-<p>
-Gli astronomi erano tutti ubbie astrologiche, e ne
-formicola il famoso <i>Libro del perchè</i> del Manfredi:
-pure la scienza avanzò. Nelle tavole di Giovanni Bianchini
-bolognese sono combinati tutti i moti dei pianeti.
-Domenico Maria Novaro ferrarese determinò la posizione
-delle stelle indicate nell’<i>Almagesto</i>, sospettò si
-fosse cambiato l’asse di rotazione della terra, ed ebbe
-scolaro Copernico, cui suggerì il concetto del sistema
-pitagorico. Paolo Toscanelli da Firenze confortò le speranze
-<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
-di Cristoforo Colombo sulla possibilità di giungere
-alle Indie dalla parte d’Occidente.
-</p>
-
-<p>
-Le scienze naturali proseguivano in caccia di testi
-più che di fatti, e solo nel secolo seguente appoggiaronsi
-alla sperienza e alle matematiche, surrogando la
-realtà alle chimere, l’evidenza alle ipotesi e all’autorità.
-Nè in medicina si paragonava lo stato sano col morboso;
-e il libro del Ficino <i>Della vita umana</i> è tutto
-formole per conservare la salute e prolungare la vita
-con astrologiche osservanze; dalle stelle deduce le malattie
-e l’efficacia dei rimedj; insegna ai vecchi a ringiovanire
-bevendo sangue di giovani: delirj, comuni ad
-Arnaldo Bacone, ad Arnaldo di Villanova ed ai migliori,
-ma combattuti da Pico e dal Guainero pavese. Dino del
-Garbo, gloria dell’età sua, aggiunse altre sottigliezze
-alle arabiche. Marsilio da Santa Sofia, Gentile da Fuligno,
-Pietro da Tossignana, Guglielmo da Varignana,
-Cristoforo Barziza, Giovanni da Concorezzo ed altri
-esercitarono con lode e scrissero di medicina. Michele
-Savonarola padovano, buon osservatore, francamente si
-emancipa da Averroe; eppure crede che Niccolò Piccinino
-generasse di cento anni, che dopo la peste del
-1348 invece di trentadue denti se n’avessero ventidue
-o ventiquattro, e che col feto possa uscire talvolta un
-animale.
-</p>
-
-<p>
-I medici non rifuggivano dalla chirurgia, mentre questa
-fuor d’Italia era abbandonata a barbieri ignoranti. Il
-salasso tenevasi operazione d’importanza; contendevasi
-seriamente sul dove e quando praticarlo; allorchè ne facesse
-bisogno, nelle case principesche adunavansi parenti
-e amici, e se riescisse bene, ringraziavasi il Signore festeggiando.
-Vincenzo Vianeo di Maida, Branca e Bojani
-di Tropea introdussero l’innesto animale, rifacendo nasi.
-Il Governo veneto, come in molti provvedimenti, così
-prevenne gli altri coll’ordinare, ai 7 maggio 1308, che
-<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
-ogni anno si sezionasse qualche cadavere. Nel 1315
-Mondini de’ Luzzi, professore a Bologna, ne dissecò pubblicamente,
-e diede una descrizione del corpo umano
-fatta sul vero, e tavole anatomiche: e sebbene non sappia
-francarsi dalla venerazione agli antichi, e alle asserzioni
-di Galeno sagrifichi perfino l’evidenza, pure
-rimosse molte asserzioni fantastiche, disse ciò che propriamente
-avea veduto, e spiegò semplice e preciso; onde
-il suo libro per tre secoli rimase testo; aggiungendovi
-le scoperte che man mano si facevano. Dopo lui s’introdusse
-d’aprire ogni anno uno o due cadaveri nelle
-università: Bartolomeo da Montagnana, professore a
-Padova, si vanta d’aver fatto quattordici autopsie<a class="tag" id="tag161" href="#note161">[161]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I farmacisti per lo più erano anche droghieri, laonde
-speziale significò farmacista e confetturiere; e le città,
-nell’accordare le licenze, v’aggiungevano l’obbligo di
-mandare alcuni dolci alla camera del Comune. Saladino
-d’Ascoli diede un <i>Compendium aromatariorum</i> per
-norma dei farmacisti, dai quali pretende tante qualità,
-che pur beato se la metà ne possedessero. Santo-Arduino
-fece altrettanto per Venezia, Ciriaco degli Agosti
-di Tortona per l’Italia occidentale, Paolo Suardo pel
-Milanese. Ermolao Barbaro e Nicolò Leoniceno, commentando
-Plinio, giovarono assai alla botanica officinale.
-Nel 1415 Benedetto Rinio medico e filosofo veneto, con
-lunga diligenza e peregrinazioni faceva il <i>Liber de simplicibus</i>
-in quattrocentrentadue faccie benissimo dipinte
-da Andrea Amadio, e coi nomi latini, greci, arabi,
-slavi, tedeschi. È la maggior raccolta che ancor si fosse
-fatta di piante e fiori, col tempo opportuno a raccoglierli
-e l’applicazione medicinale; e sta nella Marciana,
-<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
-coll’<i>Erbario o storia generale delle piante</i>, lavorato
-nel secolo seguente da Pier Antonio Michiel.
-</p>
-
-<p>
-Papa Benedetto XIII riprovò la magia come ereticale;
-e poichè moltiplicavansi le guarigioni presunte miracolose
-alle tombe di san Rocco, di santa Caterina da
-Siena, di sant’Andrea Corsini ed altri, la Chiesa provvide
-non avesse a gridarsi al miracolo se non quando il
-morbo fosse incurabile, e istantaneo il risanamento. La
-ricorrenza delle pesti<a class="tag" id="tag162" href="#note162">[162]</a> crebbe la devozione per san
-Sebastiano, pel santo Giobbe, per san Rocco principalmente,
-che di quell’età appunto dal patrio Montpellier
-era pellegrinato in Italia onde assistere a’ contagiosi.
-Spesso ancora sulle facciate delle chiese e su tabernacoli
-lungo le vie si dipingevano gigantesche figure di
-san Cristoforo, la cui vista diceasi preservare dai cattivi
-incontri e dalle morti improvvise, le quali sembra divenissero
-allora più frequenti; onde spesseggiarono
-pure le invocazioni a sant’Andrea Avellino ed altre devozioni
-preservative.
-</p>
-
-<p>
-A richiamare dalla erudizione all’osservazione, dai
-testi ai fatti, valsero alcune malattie nuove, come la
-morte nera; la tosse ferina, comparsa nel 1414 sotto
-forma epidemica; la tarantola, epidemia psichica che
-s’attribuiva al morso d’un ragno, e portava a ballare e
-far attucci stravaganti. La lebbra vuolsi venuta in Italia
-co’ soldati di Pompeo reduci dall’Egitto, ma presto si
-spense. Ricomparve al tempo de’ Longobardi, poi di
-<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
-nuovo alle crociate: e forse non era cessata mai del
-tutto, poichè ne cade menzione in miracolose guarigioni,
-e negli ospedali istituiti; certamente Costantino,
-medico della scuola salernitana, la decriveva precisa
-nel 1087, cioè avanti le crociate che la diffusero. Al
-tempo che discorriamo pare scomparsa, giacchè il Cardano
-non la conosceva, il Fracastoro la dice morbo
-raro<a class="tag" id="tag163" href="#note163">[163]</a>, e gli spedali de’ Lazzari diminuivano, per far
-luogo a quelli destinati a un altro morbo, conseguenza
-e castigo della dissolutezza, che diffuso poi al tempo
-della calata di Carlo VIII, fra noi ebbe il nome di francese,
-di campano tra i Francesi. Dopo molto ragionarne
-resta dubbio se venisse dall’America o fosse già
-conosciuto.
-</p>
-
-<p>
-In complesso questa è un’età di reminiscenza, più che
-di fantasia e di ragione; si fa tesoro delle cognizioni
-prische, anzichè conquistarne di nuove; nè si mettono
-al vaglio dell’esperienza. Mancando la stampa, i giornali,
-la posta, noi ci figuriamo che le opere di letteratura
-o di scienza dovessero rimanere in angusto circolo,
-nè conoscersi lontano le scoperte d’un paese. Però
-nelle università concorreva gente da regioni remotissime,
-vi si comunicavano le cognizioni, i professori vi
-portavano le opere proprie, i giovani voleano tornare
-in patria arricchiti di qualche manoscritto, sicchè
-<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
-diffondeansi più prontamente che non si possa credere.
-Gli autori stessi più volte, dopo pubblicato un lavoro,
-lo correggevano, e ne facevano una seconda edizione,
-come si pratica dopo la stampa: così Leonardo Fibonacci
-nel 1202 pubblicò il suo <i>Abacus</i>, primo trattato
-d’algebra fra’ Cristiani; poi nel 28 ne diede una nuova
-edizione con aggiunte.
-</p>
-
-<p>
-Però i libri erano più venerati perchè rari; la quale
-venerazione faceva che una notizia si tenesse per vera
-sol perchè scritta, si ripetesse dai successivi perchè
-detta dai precedenti; che se la sperienza la contraddicesse,
-non si smentiva l’autore, ma cercavasi conciliarla,
-come si fa colla Bibbia, a costo di storpiare la verità.
-Spesso s’ignoravano le scoperte e le lucubrazioni anteriori;
-e mentre oggi non si perdona d’accingersi a un
-lavoro senza conoscere tutti i precedenti, allora si trovano
-o accettati errori o ignorate verità, su cui già da
-un pezzo altri aveva esercitato il giudizio.
-</p>
-
-<p>
-Ad accelerare ed assicurare i progressi dello spirito
-umano valse un’invenzione suprema di questo tempo,
-la stampa.
-</p>
-
-<p>
-Gli antichi scrivevano sopra cuojo o foglie di palma,
-o sul libro, cioè sulla seconda corteccia delle piante:
-dipoi si preparò carta o colle fibre del papiro, canna
-propria dell’Egitto, ovvero con pelle di pecora, la quale
-chiamossi <i>pergamena</i> perchè a Pergamo inventata o
-perfezionata. Tracciavano i caratteri con bocciuoli di
-canna, aguzzati e intinti nell’inchiostro: le scritture di
-maggior conto incidevansi su pietra, legno, metalli: per
-gli usi giornalieri sovra tavolette cerate notavasi con
-uno stilo acuto, e si cancellava colla sua estremità ottusa.
-Que’ papiri e quelle pergamene coprivansi da un
-lato solo, appiccicando un foglio a piè dell’altro sinchè
-fosse compiuto un libro, poi rololavansi (<i>volume</i>), e si
-fissavano con un bottone. Giulio Cesare fu il primo che
-<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
-scrivesse sulle due faccie della pergamena le lettere al
-senato, e divulgò l’uso di piegarla al modo de’ nostri
-libri. Lisciare i fogli coll’avorio, profumarli coll’olio di
-cedro, miniare e dorare le iniziali, le costole, il taglio,
-gli attaccagnoli, era servigio degli schiavi libraj e grammatici,
-de’ quali ogni ricco teneva uno o più: altri il
-facevano liberamente per venderli.
-</p>
-
-<p>
-Tutto ciò operavasi a mano; e poichè alle mende
-inevitabili s’univano quelle varietà capricciose e quasi
-istintive che ognuno insinua trascrivendo, differenti e
-scorrettissimi riuscivano i codici: chi volesse qualche
-testo emendato, l’esemplava di proprio pugno, come
-fecero pochi diligentissimi grammatici, o qualche dottore
-della Chiesa, rendendo famose certe edizioni d’Omero
-e della Bibbia.
-</p>
-
-<p>
-Col cristianesimo l’arte dello scrivere passò dagli
-schiavi ai monaci, per la necessità di diffondere dottrine,
-polemiche, orazioni; san Benedetto pose obbligo
-a’ suoi il copiarne; monache vi si esercitavano pure.
-Quanto dell’antichità possediamo, ci arrivò quasi solo
-per man di essi; onde è ingratitudine e illiberalità il
-querelarli se, meglio degli autori classici, si piacquero
-trascrivere i santi Padri ed opere di teologia. Intanto
-è vero che degli autori lodatici dagli antichi per sommi,
-nessuno forse ci manca, e di questi possediamo il meglio;
-com’è vero che, già prima della caduta dell’Impero
-occidentale, rarissimi erano fatti alcuni, a cagion
-d’esempio Aristotele, di cui a’ migliori giorni di Roma
-non era avanzato che un solo esemplare; talchè gran
-merito reputavasi il farne estratti o compendj, come
-usarono Floro, Giustino, Plinio, Costantino ed altri. L’agevolezza
-procacciata da questi compilatori recava a
-prendere minor cura delle opere originali dopo che se
-n’era stillato il buono e il meglio, laonde lasciaronsi
-andar perdute.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il guasto degli autori classici cominciò dunque assai
-prima de’ Barbari; le guerre e gl’incendj di questi ne
-mandarono a male altri assai; zelo de’ buoni costumi,
-che lascio ad altri il condannare, fece da ecclesiastici
-distruggere alcuni scandalosi ed immorali. Era difficile
-il trarre d’Egitto il papiro; poi divenne impossibile
-dacchè gli Arabi l’ebbero occupato. La pergamena, già
-costosa, crebbe allora smodatamente di prezzo; onde
-si ricorse ad uno spediente già noto agli antichi: ciò fu
-di raschiare le scritture antecedenti, onde sovrapporvene
-di nuove<a class="tag" id="tag164" href="#note164">[164]</a>. Buon frate, per te aveano suprema
-importanza un antifonario, una raccolta di preghiere,
-un trattato della confessione; e quando per essi coprivi
-o la <i>Repubblica</i> di Cicerone o il codice Teodosiano, vi
-avevi tanto diritto quanto oggi n’abbiamo noi d’usare
-l’opposto.
-</p>
-
-<p>
-Gli antichi valeansi di lettere majuscole e senza interpunzione;
-più tardi per espeditezza si raccorciarono,
-in modo da venirne il carattere minuscolo. Per la ragione
-medesima s’introdussero certe abbreviature o
-note, le quali furono portate fino a cinquemila, e col
-<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
-loro mezzo poteano i <i>notari</i> tener dietro a qualunque
-discorso per accelerato<a class="tag" id="tag165" href="#note165">[165]</a>. Raccoglievano questi dapprima
-le decisioni del senato e delle pubbliche adunanze,
-o le ultime volontà; onde passò il titolo di notaro a indicare
-chi è rogato a mettere in iscritto un atto spettante
-a fede pubblica. I veri caratteri tachigrafi caddero
-in dimenticanza tale nei secoli venturi, che un salterio
-trovato a Strasburgo dal Tritemio era registrato nel
-catalogo come di lingua armena.
-</p>
-
-<p>
-Le iscrizioni già al tempo dell’Impero aveano preso
-caratteri d’inelegante magrezza, com’è a vedere su pei
-muri di Pompei e d’altrove, e peggio nelle catacombe
-cristiane e ne’ tempi oscuri; pure continuarono le lettere
-tonde. Ma nel <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo, mentre s’introduceva il gusto
-gotico nell’architettura, anche i caratteri si fecero angolosi,
-poi s’ingombrarono di ghirigori; usanza durata
-fin nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>, quando ripigliò la buona calligrafia
-con gran varietà di caratteri<a class="tag" id="tag166" href="#note166">[166]</a>. Jacopo fiorentino,
-<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
-frate camaldolese, dopo il 1300 è ricordato come il
-migliore scrittore di lettere romane che fosse prima o
-poi, sicchè la sua mano fu conservata in un tabernacolo.
-Angelo Pezzana negli <i>Scrittori parmensi</i> noverò sedici
-calligrafi valenti, ai quali poi ne aggiunse altri otto nella
-<i>Storia di Parma</i>, tutti del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span> o circa.
-</p>
-
-<p>
-Vi si associò il lusso delle pitture, quasi ogni pagina
-portando profili, cornici, figure, stemmi, lettere bizzarre
-(Cap. <span class="smcap lowercase">XCIX</span>), talchè un libro divenne il complesso di
-tutte le arti belle; poesia e retorica nel comporlo, calligrafia
-nel trascriverlo, miniatura nell’ornarlo in oro,
-carmino, oltremare, pellicceria nel prepararne la coperta,
-cesellatura nell’abbellirlo di borchie, oreficeria
-ad incastonarvi gemme, doratura a lisciarne i margini.
-</p>
-
-<p>
-Qual meraviglia se i libri salirono a prezzi ingenti?
-Da’ cataloghi che i libraj esponevano, e dalle tasse determinate
-dalle università siamo informati d’alcuni di
-questi; ma non vuolsi dimenticare che spesso li rincarivano
-le miniature. Nel 1279 a Bologna si diedero
-ottanta lire (L. 435) per copiare una Bibbia; ventidue
-per l’Inforziato<a class="tag" id="tag167" href="#note167">[167]</a>. Melchiorre, librajo di Milano,
-chiedeva dieci ducati d’oro per una copia delle epistole
-famigliari di Cicerone. Alfonso d’Aragona scrisse da
-Firenze al Panormita, che il Poggio aveva a vendere un
-Tito Livio per cenventi scudi d’oro; il Panormita alienò
-una masseria per acquistarlo; e il Poggio ne comperò
-una col prezzo ritrattone. Borso d’Este nel 1464 pagava
-otto ducati d’oro a Gherardo Ghislieri di Bologna per
-avere alluminato un libro intitolato <i>Lancellotto</i>; nel 69,
-<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
-quaranta ducati per un Giuseppe Ebreo e un Quinto Curzio;
-la famosa sua Bibbia, due grandi volumi in pergamena,
-dove ogni pagina porta miniature diverse, per
-opera di Franco de’ Rossi e Taddeo Crivelli, gli costò
-milletrecento settantacinque zecchini<a class="tag" id="tag168" href="#note168">[168]</a>. Piccola cosa
-doveano dunque essere le biblioteche d’allora, e re e
-papi erano scarsi di libri quant’oggi un cherichetto<a class="tag" id="tag169" href="#note169">[169]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nondimeno certuni aveano potuto raccorne di molti,
-in Italia specialmente, e di qui li cercavano gli studiosi,
-massime da Roma e da’ conventi rinomati della Novalesa,
-della Cava, di Montecassino. La biblioteca del
-cardinale Giordano Orsini nel 1438, composta di ducencinquantaquattro
-codici, stimavasi duemila cinquecento
-ducati d’oro<a class="tag" id="tag170" href="#note170">[170]</a>. Tommaso da Sarzana ne
-<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
-comperava a credenza, ed accattava per pagare copisti
-e miniatori. Il Petrarca lagnavasi che in tutto Avignone
-non si trovasse un Plinio; ma una scelta biblioteca
-erasi egli formata, che poi cedette per tenue compenso
-alla Repubblica veneta: fra quei libri sono un Omero,
-donatogli da Sigeros ambasciatore dell’Impero d’Oriente;
-un Sofocle, avuto da Leonzio Pilato, colla traduzione
-dell’Iliade e dell’Odissea fatta da questo, ed esemplata
-dal Boccaccio; un Quintiliano; tutte le opere di Cicerone,
-ricopiate dal Petrarca stesso: forse è di suo pugno
-il Virgilio che si conserva alla biblioteca Ambrosiana.
-Alla Marciana di Venezia servirono di fondo i libri che
-il cardinale Bessarione avea compri per trentamila
-zecchini, e che lasciò a quella «città retta dalla giustizia,
-dove le leggi regnano, la saviezza e la probità governano,
-abitano la virtù, la gravità, la buona fede».
-Cosmo de’ Medici, esulando colà, donò la sua al convento
-di San Giorgio; poi in Firenze colla libreria
-privata diede origine alla Laurenziana. Nicolò Niccoli
-gareggiava, secondo sua fortuna, con esso nell’adunar
-libri, e ottocento volumi possedeva fra greci, latini e
-orientali, esemplandoli egli stesso, riordinando e correggendo
-testi malmenati dagli amanuensi, onde il
-chiamarono padre dell’arte critica: lasciò quei libri ad
-uso pubblico, e furono messi ne’ Domenicani di San
-Marco con una disposizione che servì di modello alle
-future. Coluccio Salutato, lagnandosi del guasto de’ codici,
-proponeva biblioteche pubbliche, dirette da dotti
-che discernessero le lezioni migliori; e fece acquistarne
-una a Roberto di Napoli. Altri signori l’imitarono; e
-rammentano un Andreolo de Ochis bresciano, che venduto
-avrebbe beni, casa, donna, se stesso per aggiungere
-libri ai molti che possedeva.
-</p>
-
-<p>
-I lamenti per le scorrezioni delle copie cresceano
-quanto più cresceva il desiderio di leggere; e Petrarca
-<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
-esclamava: — Chi recherà efficace rimedio all’ignoranza
-e viltà dei copisti, che tutto guasta e sconvolge?.... Nè
-fo querela dell’ortografia, già da lungo tempo smarrita....
-Costoro confondendo insieme originali e copie, dopo
-aver promesso una, scrivono un’altra cosa affatto diversa,
-sì che tu stesso più non riconosci quanto hai
-dettato. Se Cicerone, Livio, altri egregi antichi, singolarmente
-Plinio Secondo, risuscitassero, credi tu che
-intenderebbero i proprj libri? o che non piuttosto ad
-ogni piè sospinto esitando, or opera altrui, or dettatura
-dei Barbari li crederebbero?.... Non v’ha freno
-nè legge alcuna per tali copisti, senza esame, senza
-prova alcuna trascelti: pari libertà non si dà pei fabbri,
-per gli agricoltori, pei tesserandoli, per gli altri
-artigiani».
-</p>
-
-<p>
-Se la scorrezione sgarbava ne’ libri di letteratura,
-diveniva importantissima in quelli che concernono la
-coscienza e la fede. Pertanto fra gli Ebrei ogni esemplare
-della Bibbia doveva esser riveduto dai rabbini;
-i quali dalla <i>Massora</i> sapevano quanti versetti, quante
-parole, quante lettere contenesse il sacro libro, e quante
-volte ciascuna fosse ripetuta; e se trovassero qualche
-lettera di meno, o scritta con inchiostro impuro, o su
-membrana preparata da incirconcisi, bastava per dichiarar
-guasto quel testo e distruggerlo.
-</p>
-
-<p>
-Rinfervorato l’amore degli studj, più vivo fu sentito
-il bisogno di qualche succedaneo alla carta di membrana
-e di papiro, e dai Cinesi i Tartari e gli Arabi, da questi
-gli Spagnuoli impararono a farla di cotone, cui dopo il
-Mille si surrogarono i cenci di lino. Se fosse vero che
-quella non si discerna da questa, come pretende il Tiraboschi,
-n’avremmo una prova della sua perfezione, e
-poco monterebbe il disputarne. Ad ogni modo erra il
-Cortusio differendo al 1340 l’invenzione della carta di
-lino, la quale chiamossi papiro, a differenza della
-<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span>
-bambagina<a class="tag" id="tag171" href="#note171">[171]</a>; e Pace da Fabriano, cui egli ne ascrive
-il merito, forse non fece che trapiantare nel Trevisano
-questa manifattura, già fiorente a Fabriano nella marca
-d’Ancona. Nè ha fondamento l’asserire che la Repubblica
-fiorentina invitasse con larghissimi privilegi quei
-di Fabriano a stabilire cartiere a Colle di val d’Elsa,
-poichè in una carta del 6 marzo 1377 trovasi allogata
-per venti anni una caduta d’acqua a favore di Michele
-di Colo da Colle, con gora, casalino <i>et gualcheriam ad
-faciendas cartas,</i> la quale già prima era affidata a
-Bartolomeo di Angelo della Villa<a class="tag" id="tag172" href="#note172">[172]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Dapprima adoperata solo per lettere ed istromenti,
-alla diffusione delle dottrine non contribuì che nel secolo
-<span class="smcap lowercase">XIV</span>, quando vi si trascrissero libri. Dovettero questi
-allora rendersi men rari, e qualche mercante ne troviamo
-alle Università di Germania e di Parigi; a Firenze il
-Vespasiano nel 1446, un Melchior a Milano, Giovanni
-Aurispa a Venezia poco dopo negoziavano di libri.
-</p>
-
-<p>
-Pare condizione vitale della società che le scoperte
-vengano appunto quand’essa ne ha bisogno per ispingersi
-con nuovo slancio. Allora dunque che l’amore
-per la letteratura classica volgeva a cercar con passione
-e riprodurre gli esemplari, e che le grandi controversie
-dei re e della Chiesa faceano moltiplicare scritture,
-<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span>
-comparve l’arte più mirabile fra le moderne, la stampa.
-</p>
-
-<p>
-Dello scopritore si disputa. Pare i Cinesi la conoscessero
-da antichissimo; stampe stereotipe faceansi in
-Europa, non per uso letterario, bensì per figure di
-santi e carte da giuoco<a class="tag" id="tag173" href="#note173">[173]</a>; e Venezia nel 1441 dava
-un privilegio, atteso che <i>l’arte di far le carte da zugar
-e figure dipinte stampade era venuda a total defection</i>,
-in grazia della gran quantità che n’entrava di forestiere.
-A quel modo Lorenzo Coster di Harlem impresse facciate
-intere. Le prime stampe furono dunque xilografiche,
-e la maggior parte veniva occupata da figure; del che
-l’esempio più conosciuto è la <i>Bibbia de’ poveri</i>, di
-quaranta fogli stampati da un lato solo: tutti poi son
-poco voluminosi, eccetto i <i>Mirabilia Romæ</i>, specie
-d’itinerario a comodo degli oltramontani che pellegrinavano
-alla gran città, e che consta di centottanta facciate.
-Presto si avvisò potersi alle tavolette sostituire
-caratteri mobili: e così se ne intagliarono di legno, poi
-di piombo per arte di Giovanni Guttenberg da Magonza<a class="tag" id="tag174" href="#note174">[174]</a>,
-cui l’orefice Giovanni Faust somministrò
-capitali. Pietro Schöffer di Gernsheim al piombo sostituì
-<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span>
-un metallo duro, e trovò l’inchiostro untuoso da ciò:
-ancor più fece inventando i punzoni, sicchè, invece
-d’intagliarli uno ad uno, si fusero i caratteri per mezzo
-di matrici. Il primo libro stampato con caratteri mobili
-pare la Bibbia detta Mazarina, dalla biblioteca in cui
-fu trovata, ed è del 1450 o 52 o più veramente 55:
-alcuni esemplari sono sovra pergamena; bell’inchiostro,
-bei caratteri, sebbene non sempre uniformi. Del 1454
-si ha un opuscoletto di quattro carte per esortare i
-Turchi con indulti di Nicola V; poi un almanacco del 57.
-</p>
-
-<p>
-Presto quell’arte giunse in Italia<a class="tag" id="tag175" href="#note175">[175]</a>, e del 1465
-<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span>
-abbiamo l’edizione di Lattanzio e del <i>Cicero de oratore</i>
-a Subiaco per Corrado Schweinheim e Arnoldo Pannartz,
-coll’assistenza di Giovanni Andrea Bussi di Vigevano,
-poi vescovo di Aleria; ma dicesi preceduta da un <i>Donatus
-pro puerulis</i>. In Roma al 70 erano uscite almeno
-ventitre edizioni di antichi. Giovanni da Spira, collocatosi
-a Venezia nel 69, vi lavora quanto a Roma; e così
-Vindelino suo fratello, poi il francese Nicolò Jenson.
-Fino al 1500 s’erano stampate a Parigi settecencinquantun’opere;
-in Italia quattromila novecentottantasette,
-di cui a Firenze trecento, a Bologna ducennovantotto,
-a Milano seicenventinove, a Roma novecenventicinque,
-a Venezia duemila ottocentrentacinque; altre cinquanta
-città aveano stamperie. Anche borgate vollero
-averne, come Sant’Orso presso Schio, Polliano nel Veronese,
-Pieve di Sacco nel Padovano, Nonantola e
-Scandiano nel Modenese, Ripoli presso Firenze. Le opere
-di Cicerone furono delle prime; edite dallo Schweinheim
-a Roma e dal Jenson a Venezia; ma in un corpo
-non comparvero che nel 98 a Milano pel Minuciano.
-Un Livio imperfetto era appartenuto al Petrarca, poi
-l’ebbe Cristoforo Landino, e su quella forma andò la
-prima stampa fattane a Roma forse fin dal 69, poi nel
-72; indi a Milano nel 78 dal Lavagna, e nell’80 dallo
-Zarotto; e già a Venezia da Vindelino nel 70, a Roma
-ancora nel 71 e 72 da Udalrico Gallo, a Treviso nell’80
-e 83 da Michele Mazolino co’ tipi di Giovan Vercelli,
-a Milano di nuovo nel 95: ma completo, almeno quale
-ci resta, si vide solo a Magonza nel 1518. Di Vitruvio
-un esemplare si aveva a Montecassino, e fu stampato a
-Roma nell’86, e commentato nel 95 da Silvano Morosini
-veneziano.
-</p>
-
-<p>
-I copisti a mano erano di molta valentia e credito
-in Genova; e temendo lo scapito che all’arte loro verrebbe
-dai torchi, ottennero che quella Signoria li proibisse.
-<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span>
-Pertanto Mattia il Moravo, che vi si era stabilito,
-passò a Napoli; e Giovan Bono tedesco, che a Savona
-avea stampato Boezio, si trasferì a Milano. In conseguenza
-maestro Filippo da Lavagna, ricco mercante
-innamorato di quest’arte, non potè fondarla in patria,
-e la pose a Milano, primo stampatore nostrale che si
-ricordi<a class="tag" id="tag176" href="#note176">[176]</a>. Gli disputa tale primato Antonio Zarotto
-di Parma, che a Milano nel 1471 pubblicava Festo <i>De
-verborum significatione</i>, e la <i>Cosmografia</i> di Mela;
-l’anno dopo formava società con prete Gabriele degli
-Orsoni, Pier Antonio da Borgo di Castiglione, Cola
-Montano e Gabriele Paveri Fontana professori d’eloquenza,
-obbligandosi egli a fondere caratteri, tenere in
-ordine i torchj, far l’inchiostro, dirigere la tipografia.
-Fu il primo che stampasse libri liturgici col celebre
-messale del 1475, e intagliasse punzoni di greco per la
-grammatica del Lascari<a class="tag" id="tag177" href="#note177">[177]</a>, mentre prima s’inscrivevano
-a mano. Vi tennero dietro la <i>Batracomiomachia</i>
-nell’85, l’Omero di Firenze nell’88 a spese di Lorenzo
-Medici, l’Esiodo e Teocrito nel 93, l’<i>Antologia</i> nell’84,
-Luciano, Apollonio, il <i>Lessico</i> di Suida: ma al 1495
-non passavano la dozzina i libri greci stampati in Italia.
-</p>
-
-<p>
-Il primo stampato italiano fu l’opera del Cennino
-orafo. A Reggio di Calabria stamparonsi in ebraico i
-commenti di Jarchi sul Pentateuco nel 75; a Soncino
-nel Cremonese, per cura di Nathan Ismaele, il Pentateuco
-nell’82; nell’86 i commenti del famoso Kimcki
-sui Profeti; nell’88 l’intera Bibbia con bellissimi caratteri,
-della quale non più che cinque o sei esemplari si
-conoscono. A Cremona poi nel 1556 Vincenzo Conti
-stampava i <i>Toledot</i> e il salterio ebraico commentato
-<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span>
-dal Kimcki; e in quella città, d’ordine dell’Inquisizione
-romana, si dice siano stati abbruciati dodicimila esemplari
-di libri talmudici. Tipografie ebraiche v’ebbe pure
-a Casalmaggiore e Sabbioneta. I primi caratteri arabici si
-adoperarono a Fano da Gregorio Giorgi nel 1514 nelle
-sette ore canoniche, poi da Pier Paolo Porro milanese.
-</p>
-
-<p>
-A ristorare la deteriorata calligrafia sorse Aldo Manuzio
-di Sermoneta. Dopo il <i>Museo</i>, prima opera da
-lui edita in Venezia nel 1495, il dotto tipografo continuò
-venti anni attorno a classici latini e greci<a class="tag" id="tag178" href="#note178">[178]</a>;
-e si stupisce pensando che stampò per la prima volta
-Aristotele, Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto,
-Senofonte, Erodiano, Demostene, i Retori, gli Oratori,
-Platone, Ateneo, Dioscoride..... Adoprò il carattere
-corsivo, detto <i>italico</i> dai Francesi, ed inciso da Francesco
-di Bologna, che tolse a modello la scrittura
-del Petrarca. Aldo stesso le più comode e men dispendiose
-forme del dodicesimo, ossia piccolo ottavo,
-sostituì alle solite in-folio: forse soltanto in Italia usavasi
-l’in-quarto. Via via s’introdussero i registri dei
-fogli, prima che si numerassero le pagine o le facciate;
-s’imparò a compartire gli spazj in modo che le linee
-riuscissero eguali, senza code alla lettera finale; poi
-vennero le virgole, poi le chiamate, e passo a passo la
-perfezione presente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span>
-</p>
-
-<p>
-La carta doveva emulare la pecora e il vitello (<i>vélin</i>),
-onde si facea con cenci scelti di lino e di canapa, non
-imbianchita col liscivio che oggi snerva la fibra vegetale:
-la pasta trituravasi lentamente colle pile: ed il
-foglio, fatto a mano colla trecciuola, veniva incollato
-fortemente colla gelatina, la quale lo induriva in modo
-che fin ad oggi ne troviamo inalterate le qualità.
-</p>
-
-<p>
-La carezza della carta e dell’inchiostro (il migliore
-traevasi da Parigi), la tiratura diligentissima, i lavoranti
-ancora scarsi, e il piccolo spaccio rendeano rischiose
-le imprese. Schweinheim e Pannartz nel 1472 esposero
-a papa Sisto IV di trovarsi ridotti a povertà per avere
-impresse tante opere senza esitarle; e dalla loro querela
-appare che di consueto si tiravano copie ducensessantacinque,
-il doppio per Virgilio, pe’ filosofici di Cicerone,
-e pei libri di teologia; in tutto essi aveano prodotto
-dodicimila quattrocensettantacinque esemplari. Anzichè
-arrischiare copiose edizioni, rinnovavansi; e quasi ogni
-anno furono da Paolo Manuzio riprodotte le epistole
-famigliari di Marco Tullio.
-</p>
-
-<p>
-Presto ai libri si aggiunsero figure<a class="tag" id="tag179" href="#note179">[179]</a>; e già nel
-1467 a Roma uscivano le <i>Meditazioni</i> del cardinale de
-Turrecremata con intagli in legno, dipoi coloriti; nel
-72 il <i>Roberti Valturii opus de re militari</i> con macchine,
-fortificazioni, assalti. Il <i>Monte santo di Dio</i> e
-la <i>Divina Commedia</i> di Firenze nel 1481 portano
-<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span>
-disegni di Sandro Botticelli, incisi in rame da Baccio
-Baldini: un Tolomeo a Roma per lo Schweinheim, ha
-le carte in acciajo di Arnoldo Buchink, così uno a Bologna,
-e uno pel Berlinghieri a Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Gli stampatori in principio furono tenuti da molto,
-e Sisto IV conferì a Jenson il titolo di conte palatino.
-Facevano anche da libraj, e primamente in un libro
-stampato a Ferrara il 1474 si trova il nome di <i>bibliopola</i>.
-I Giunti, che stamparono a Firenze e Venezia,
-fin dal 1514 aveano estese relazioni colla Germania<a class="tag" id="tag180" href="#note180">[180]</a>.
-Proteggeasi l’interesse degli stampatori con privilegi; e
-il senato veneto ne concedeva uno di cinque anni a Giovan
-da Spira nel 1469 per le epistole di Cicerone, uno ad
-Ermanno di Lichtenstein nel 94 per lo <i>Speculum historiale</i>
-di Vincenzo di Beauvais: l’anno seguente Lodovico
-Sforza lo conferiva per le opere del Campano a Michele
-Ferner ed Eustachio Silber: Aldo il vecchio l’ottenne
-pel carattere corsivo<a class="tag" id="tag181" href="#note181">[181]</a>. Avendo Angelo Arcimboldo
-trovato a Corbia cinque libri degli <i>Annali</i> di Tacito,
-Leone X ne privilegiò il Beroaldo, che gl’impresse a
-Roma nel 1515; nè per dieci anni nessuno potea riprodurli,
-pena la confisca dell’edizione, ducento ducati e la
-scomunica.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span>
-</p>
-
-<p>
-Decreto di deporre alla pubblica biblioteca una copia
-d’ogni stampato non conosco prima di quello del senato
-veneto nel 1603. In quello Stato soprantendevano alla
-stampa i riformatori dello studio di Padova; e gli editori,
-facendo registrare le opere che metteano ai torchi,
-ne ottenevano privilegio per un decennio, purchè l’edizione
-uscisse al tempo prefisso, e commendevole. I
-libraj di Bologna e così quelli di Parigi e d’altri luoghi
-ove fosse università, dipendevano da questa, che li
-nominava, e che ne esigeva giuramento e cauzione, e
-determinava i prezzi.
-</p>
-
-<p>
-I molti scrivani, rimasti scioperi, strillarono contro
-un’arte che li riduceva alla mendicità, e che surrogava
-operaj meccanici agli eruditi che dapprima collazionavano
-i codici onde sminuire gli errori de’ sonnacchiosi
-copisti; i miniatori si trovarono tolte le occasioni<a class="tag" id="tag182" href="#note182">[182]</a>;
-i possessori di biblioteche comprate a tesori, ne vedeano
-di colpo decimato il valore; i dotti gelosi prevedevano
-reso comune il sapere, che prima, costando
-denari e fatiche, assicurava onori e privilegi: erano
-altrettanti nemici della nuova invenzione, e spargeano
-sinistre voci, sino a tacciarla di magia, pericolosa essere
-cotesta divulgazione del sapere, agevolare la corruzione
-degl’ingegni. Anche persone di rette intenzioni se ne
-sgomentavano; ed Ermolao Barbaro suggeriva che,
-attesa la frivolezza di molti, non si lasciasse pubblicare
-veruno scritto se non approvato da giudici competenti.
-I Governi videro altri pericoli che della frivolezza, e
-massime in Germania, ove si parlava alto contro la
-Chiesa: onde ad alcuni libri troviamo apposta l’approvazione
-superiore, forse per istanza dell’autore o dell’editore;
-<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span>
-poi una bolla di Leone X, del 4 maggio 1515,
-portò che nessun libro si stampasse senza previa autorizzazione.
-</p>
-
-<p>
-Frattanto i manoscritti cessarono d’aver pregio altro
-che di curiosità, e le opere divennero ricchezza comune.
-Ma per quanto si mettesse cura a cercarne, molte dovettero
-sfuggire all’attenzione, per colpa de’ manoscritti
-stessi. In questi talvolta si trovavano cucite insieme
-opere disparatissime, sicchè l’erudito, ingannato dal
-titolo del primo, i minori lasciava inosservati. Altri
-erano copiati colle abbreviature e note che dicemmo,
-talchè riusciva difficile il dicifrarle: e davvero al vederle
-si direbbero caratteri cinesi, a tratti verticali
-più o meno inclinati, connessi, traversati con altri di
-forma e posizione varia. Benchè Giulio II, a insinuazione
-del Bembo, avesse proposto un premio a chi vi
-riuscisse, i Benedettini nella <i>Scienza diplomatica</i> lamentavano
-che sì poco si adoperasse a ottenere la
-chiave delle note tironiane. Quando Tritemio scoprì un
-Lexicon di queste e un salterio stenografato, si sperava
-rivelato l’arcano; ma l’effetto non rispose all’aspettazione;
-finchè nel 1817 Knopp pubblicò la storia della
-stenografia antica, l’analisi e la sintesi delle note, e un
-dizionario di circa dodicimila segni, disposti per alfabeto<a class="tag" id="tag183" href="#note183">[183]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Son dunque appena cominciati i lavori sui manoscritti
-di tal natura, e può sperarsene frutto: ma qui
-non consistono tutte le difficoltà presentate dagli originali.
-Apprendiamo da Dioscoride che l’inchiostro degli
-antichi faceasi con gomma e nerofumo stemprati nell’acqua,
-sicchè bagnando la pergamena, facilmente si
-<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span>
-cancellava. Al tempo di Plinio, per mordente vi si aggiungeva
-aceto, indi vitriolo; ma nessuno di questi neri
-resiste al tempo, sicchè le scritture ci arrivarono sbiadite
-e illeggibili. Un’infusione di noce di galla ripristina
-il colore, e meglio nella scrittura di tempi più remoti,
-quando l’inchiostro teneasi denso di gomma, e grossi
-erano i tratti, scritti con una canna.
-</p>
-
-<p>
-Difficoltà maggiori presentano i palimsesti, dove, per
-tornare ad altro uso il foglio, venne raschiata la scrittura
-anteriore. Molteplici sperimenti si fecero per ristaurare
-i caratteri di prima, e alfine la chimica ne
-trionfò. Ma qui nuovo incidente. Scomponendo i fogli
-del manoscritto antico onde prepararli a un nuovo,
-talvolta si erano allontanati due brani contigui, talaltra
-un foglio si adoprò ad un lavoro, e il seguente ad un
-tutt’altro; poi si tagliarono in due o più pezzi, o si
-tosarono per adattarli al sesto del nuovo libro. Dopo
-dunque che l’esercitato occhio con buona lente rilevò
-l’antico sotto al nuovo carattere, comincia la fatica del
-riordinare il lavoro, ravvicinare le parti scostate, supplire
-alle lacune, far che le sparse ossa rivivano. Son
-queste le pazienze intelligenti, alle quali andiamo obbligati
-delle recenti scoperte di molti classici<a class="tag" id="tag184" href="#note184">[184]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Un altro meraviglioso congegno fu quello di svolgere
-e leggere i rotoli di papiro sepolti in Ercolano. Quando
-quella città venne scoperta, trovaronsi in una stanza
-molti cilindri, che si gettarono come carbone, finchè
-si avvertì essere papiri avvoltolati. Arrise dunque la
-speranza di recuperare altre parti della eredità intellettuale
-<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span>
-degli antichi; ma la lava gli avea carbonizzati, e
-solo i perseveranti studj del padre scolopio Antonio
-Piaggio insegnarono a svolgerli e copiarli, e con lunghissima
-attenzione cavarne nuove ricchezze letterarie
-e archeologiche. E quante ne rimangono ancora sepolte,
-cura e compiacenza de’ nostri nepoti!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap123-11">CAPITOLO CXXIII.
-<span class="smaller">Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente.
-Cultura estesa. Origini del teatro.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Tutto ci fa sentire che tocca al fine l’età sinora descritta:
-onde vogliamo fermarci a salutare ancora un
-tratto questa generazione che passa; generazione di
-istinto più che d’intelletto, che non avea la conoscenza
-compiuta della morale verità, nè seppe le passioni trasformare
-in principj morali.
-</p>
-
-<p>
-Le città erano impresse d’un carattere monumentale,
-che manca alle moderne. Tutte cinte di mura, difesa
-pubblica; e benchè così frequenti fossero e sieno nel
-nostro paese, fra l’una e l’altra incontravansi spesso
-borgate e villaggi, la più parte fortificati, talchè intercettavano
-o difendevano le comunicazioni. Davanti alle
-città o nel cuore v’avea quasi dappertutto almeno un
-ponte, che offriva altri ostacoli al nemico. In ognuna
-vedeansi i resti delle torri, da cui aveano dominato le
-prische famiglie signorili, e che la libertà aveva svettate
-o ridotte a mero ornamento. Dove poi erasi elevato
-un principe, a difesa propria e offesa altrui aveva elevato
-una rôcca, la quale doveva incutere tanto sgomento,
-quanta confidenza ispiravano le chiese.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span>
-</p>
-
-<p>
-Queste non pareano mai troppe quando la religione
-era anima della società; e grandeggiava la cattedrale,
-che dall’esterno o dai luoghi di primitiva devozione
-era stata trasferita nel centro degli abitari. Isolarla non
-sarebbesi pensato, benchè davanti solesse avere una
-piazza, e in giro un sagrato erboso, talvolta cinto di
-muro e acconcio alle adunanze. Finchè durò la dominazione
-de’ vescovi, il palazzo di questi era distinto
-dalla città, munito, e spesso comprendeva vastissimi
-tratti; ma dappertutto dovette cedere ai Comuni, salvo
-Udine e poc’altri: però que’ recinti e gli amplissimi
-chiostri rimasero sempre luogo d’asilo. Ed ecclesiastici
-e monasteri possedevano la maggiore e miglior parte
-della campagna; e aspetto e intenzione religiosa conservavano
-tutti gl’istituti di pietà e di educazione, fondati
-e diretti dalla Chiesa o sotto i suoi auspizj.
-</p>
-
-<p>
-Le case eransi congegnate malamente di legno, fango,
-paglia, quali ne mostra ancora tante la pulitissima
-Francia: non frenato da regolamenti, ognuno invadeva
-quel più che potesse dello spazzo pubblico, sporgeva
-i piani superiori e le scale e gli agiamenti sopra
-le vie, che ne rimanevano anguste e soffogate (Capitolo
-<span class="smcap lowercase">XCVIII</span> princ.) Di buon’ora però si volle abitare
-meglio; e la pietra, i mattoni, i tegoli provvidero alla
-solidità e alla sicurezza. La regolare disposizione delle
-strade di Torino ne palesa l’origine principesca.
-</p>
-
-<p>
-I nomi alle vie applicavansi popolarmente secondo
-i luoghi cui mettevano e principalmente le chiese
-vicine: spesso secondo l’industria che vi si esercitava,
-o la famiglia che v’avea casa: il che pure ci rivela
-una stabilità di famiglie e di botteghe, oggi svanita.
-Degli odierni numeri teneano vece o un motto, o uno
-stemma, o una insegna fabbrile, una pittura, una terra
-cotta, uno smalto.
-</p>
-
-<p>
-Illuminazione notturna non si conosceva; solo in
-<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span>
-parte supplivano le lampade accese ai frequenti tabernacoli.
-Fortunate le città che avessero acque correnti
-per lavarsi, o spesse pioggie! altrimenti la poca cura
-nel gettare le immondizie, massime nelle intercapedini,
-i branchi di majali che razzolavano liberamente tra
-queste, l’abbondanza di stalle donde ogni mattina menavansi
-fuori le giovenche a pascere, come tuttora
-accade di vedere in parecchie città di Romagna, impedivano
-la pulitezza.
-</p>
-
-<p>
-Fra le case plebee discernevansi i palazzi signorili,
-che talvolta abbracciavano vasti quartieri; come in
-Milano quel de’ Visconti, che giungeva da San Giovanni
-in Conca fino all’arcivescovado, e quel dei Pusterla da
-Sant’Alessandro fin alla Vedra. Spesso v’erano annessi
-portici, o prolungati tutt’al lungo delle strade, come
-in Bologna, in Mantova e altrove, od isolati, come il
-coperto de’ Figini e la loggia degli Osj a Milano, la
-loggia de’ Bardi e le altre di Firenze, ove convenivano i
-dipendenti d’una famiglia, od un’intera fazione a confabulare,
-spassarsi, trattare di affari. Una più grande
-faceva l’uffizio delle borse odierne, e spesso erano sotto
-alla sala del parlamento, come vedesi ancora nella
-piazza de’ Mercanti a Milano, nel broletto a Monza, e
-così a Padova, a Vicenza, altrove.
-</p>
-
-<p>
-Il palazzo del Comune, oltre servire alle adunanze,
-era e una testimonianza della ricchezza del paese, e un
-deposito de’ suoi ricordi, ornandosi con cimelj antichi
-e con lapide e monumenti nuovi, massime cogli stemmi
-o cogli encomj de’ magistrati. Come la chiesa aveva
-campana, così volle averla il Comune succedutole; ed
-era vanto il farne elevata o ricca la torre. Sulla piazza
-stava spesso eretta la forca, feroce simbolo della podestà
-di sangue. Oltre l’armeria, non dovevano mancare
-vasti magazzini, ove un’esagerata precauzione
-riponea gran quantità di grano, di fieno, di vino, spesso
-<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span>
-imponendo a tutti i possessori della campagna di portarvi
-la metà o un terzo del ricolto.
-</p>
-
-<p>
-Non che le città, ogni borgo aveva istituzioni caritatevoli,
-massime per infermi e pellegrini, fondate da
-qualche pio o da una confraternita o da un’arte. Nel
-secolo che descriviamo si cominciò a concentrare anche
-la beneficenza, che lo spirito domestico del medioevo
-aveva sparpagliata, e ne vennero i grandiosi ospedali
-nelle città, meglio amministrati per certo; se più
-conducenti al servizio de’ poveri, lo dica altri. Nel 1431,
-per opera del vescovo, gli ospedali di Palermo furono
-riuniti in quello di Santo Spirito; a Milano Francesco
-Sforza dei varj formò l’ospedal Grande, reggia dei poveri;
-a Como persuase altrettanto il beato Michele da
-Carcano nel 64; ad Asti nel 55 il vescovo Filippo Roero
-per quello di Santa Maria; così a Cremona nel 50, e
-alquanto più tardi a Messina per l’ospedale di Santa
-Maria della Pietà.
-</p>
-
-<p>
-Nella lor cerchia ogni città conservava vita propria,
-propria politica; mercanti dotati del senso pratico della
-vita; legulej sottili fino alla malizia; nobili ancora spadaccini,
-ma già togati; clero basso e mestierante colla
-sollecitudine del guadagno, ma colla drittura ingenua
-e l’amor della giustizia; corporazioni laiche, oculatissime
-a conservare i privilegi; tutti attenti a bilanciarsi fra la
-brutalità de’ tiranni e la brutalità della canaglia. Spesso
-ancora, quantunque crescessero gli eserciti, erano chiamati
-a difendersi dai soldati. Avvicinavasi una banda?
-Contadini e pastori ravviano alla città i bovi, le pecore,
-i bufali, vi conducono le scorte, i grani, gl’istromenti
-rurali. Si chiudono le porte, si ritirano i ponti, si calano
-le saracinesche, si tendono le catene; gli uni corrono
-di casa in casa a cercare graticci, materasse, botti da
-serragliare le vie ed ammortire i colpi; altri vanno ad
-allogare i poveri e gli avveniticci per le taverne, i conventi,
-<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span>
-i portici; altri si stringono a consiglio col comandante
-della piazza sopra i mezzi di difesa; mentre in
-palazzo si divisano i modi di tenere d’occhio il comandante
-stesso, e impedire che tradisca, egli mercenario.
-Quel misto d’eroismo e di paura, d’esaltamento e di
-codardia, di gonfie minaccie e di accasciata aspettazione,
-di litanie ed esposizioni in chiesa e di esercizj
-sul campo che accompagnano l’avvicinarsi del pericolo,
-suscitano cento aspetti e discorsi differenti, che si mescolano
-al rintocco della campana, allo squillo delle
-trombe, ai falsi allarme che poi risolvonsi in risate.
-Fra ciò arrivano feriti, infermi, spogliati, paurosi; e i
-loro racconti, avidamente ascoltati, ripetuti, ingranditi,
-crescono l’ansietà: qualche spavaldo giura vendicarli;
-qualche sofferente crede e compatisce il coloro soffrire;
-altri è spedito a patteggiare col nemico, a riscattarsi a
-denaro dal saccheggio; e ottenutolo, versansi dalla città,
-abbracciandosi con quei che dianzi erano nemici, bevendo,
-cantando con loro. Così protraevasi quell’attività
-febbrile e quell’ansietà giornaliera che costituivano la
-educazione dell’uomo, e produceano a vicenda esaltamento
-e prostrazione, slancio irriflessivo o concentrazione
-devota, ma sempre la coscienza d’essere qualche
-cosa, di qualche cosa potere; lontano dalla vulgarità in
-cui cade (noi lo vediamo) una società governata da
-scettici, o da un despotismo che dà le apparenze di
-ordine all’anarchia morale.
-</p>
-
-<p>
-E noi da queste trasportiamoci in quelle città per
-adocchiarne a minuto le costumanze ed i caratteri.
-</p>
-
-<p>
-Ai Francesi, nelle diverse loro calate in Italia, appongono
-i cronisti l’avere insegnato ai nostri a surrogare
-alle avite usanze novità sempre varie, cercar di
-parere belli anzichè buoni, e ambire non tanto la lode
-delle opere e dell’ingegno, quanto la vana e folle gloriola
-delle frastaglie e del vestire acconcio, e variare
-<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span>
-portature, e quel lusso che preferisce gli oggetti dilettevoli
-ai necessarj. Le carrozze furono sostituite ai giumenti
-ed alle cavalcature, fin dagli uomini: sciali nel
-vitto, nel vestire, nelle spese nuziali, nelle donazioni;
-perfino artefici plebei, dice l’aulico pavese, usavano alle
-mense maggior varietà e raffinata delicatura che non
-i nobili d’una volta; nè le donne vulgari la cedevano
-alle ricche e gentili. E l’autore della vita di Cola Rienzi,
-in suo favellar romanesco: — Di questo tempo cominciò
-la gente ismisuratamente a mutare abiti, sì de vestimenta,
-sì de la persona. Cominciò a far li pizzi de li
-cappucci lunghi; cominciò a portare panni stretti alla
-catalana e collari, portare scarselle a le correggie, e
-in capo portare cappelletti sopra lo cappuccio. Po’
-portavano barbe grandi e folte, come bene gianetti spagnuoli
-vogliano seguitare. Dinanzi a questo tempo
-queste cose non erano anco; se radeano le persone
-la barba, e portavano vestimenta larghe e oneste; e se
-ciascuna persona avessi portata barba, fora stato avuto
-in sospetto d’esser uomo de pessima ragione, salvo
-non fosse spagnuolo ovvero uomo de penitenzia. Ora è
-mutata condizione, idea, deletto: portano cappelletto
-in capo per grande autoritate, folta barba a modo di
-eremitano, scarsella a modo di pellegrino. Vedi nuova
-divisanza! e che più è, chi non portassi cappelletto in
-capo, barba folta, scarsella in cinta, non è tenuto covelle,
-ovvero poco, ovvero cosa nulla. Grande capitana
-è la barba: chi porta barba è tenuto».
-</p>
-
-<p>
-Del 1388 Giovanni Musso dipingeva i Piacentini sontuosissimi
-in tutto, specialmente negli abiti. Le donne
-portano vesti lunghe e larghe di velluto di seta di
-grana, o di panno di seta dorato, o di panno d’oro o
-di lana scarlatto o pavonazzo, con ampie maniche fin
-a mezza la mano, ed altre che pendono fin in terra,
-aguzze a maniera di scudi. E sopra vi si pone talvolta
-<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span>
-da tre in cinque once di perle, che costano dieci fiorini
-l’oncia; o nastri o cerchi d’oro al collo, a guisa dei
-colletti dei cani; e in vita belle cinture d’argento dorato
-e di perle, da valere venticinque fiorini ciascuna; e
-con tanta varietà di anelli e pietre preziose pel costo
-di trenta in cinquanta fiorini: a tacer quelle che portano
-le cipriane, vesti larghissime al piede e strette
-indecentemente dal mezzo in su, e tutte impomellate
-dalla gola fin ai piedi con bottoni dorati o perle. Ricchissimi
-poi sono i vezzi del capo. Alcune usano mantellette
-che coprono appena le mani, foderate di vajo
-e di zendado, e belle filze di coralli o d’ambra: le matrone
-e le vecchie un mantello ampio, rotondo e crespo,
-sparato davanti, se non che una spanna verso la gola
-ha bottoni d’argento dorato: e ognuna ha tre mantelli,
-un cilestro, un pavonazzo, uno di camelloto ondato. Le
-vedove istesso, ma tutto bruno senz’oro o perle. I giovani
-hanno gabbani lunghi e larghi fin a terra con belle
-fodere di pelli domestiche e selvatiche, di panno i più,
-altri di seta e velluto: e sotto han vestiti corti e assettati,
-e dappertutto galloni di seta o d’oro, e talvolta con
-cinture. Gli uomini maturi usano cappucci doppj di
-panno e sovr’essi berrette di grana fatte a ferri; i giovani
-non portano cappuccio che d’inverno, con becco
-lungo fin a terra; bianche le scarpe, e talvolta con
-punta lunga fin tre once, imbottita di borra; rasa la
-barba da mezzo l’orecchio in giù, e gran zazzera di
-capelli rotonda. E tengono cavalli fin a cinque, e servi,
-a ciascun de’ quali si dà fiorini dodici l’anno e il vitto.
-</p>
-
-<p>
-Giovan Villani non volle «lasciare di far memoria di
-una sfoggiata mutazione d’abito, che recarono di nuovo
-i Francesi che vennero in Firenze il 1342. Chè colà
-dove anticamente il vestire ed abito era il più bello,
-nobile ed onesto che niun’altra nazione, al modo dei
-togati Romani, sì si vestivano i giovani una cotta, ovvero
-<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span>
-gonnella corta e stretta, che non si potea vestire
-senza ajuto d’altri, e una coreggia come cinghia di
-cavallo, con isfoggiata fibbia e puntale, e con isfoggiata
-scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il cappuccio
-a modo di sconcobrini (<i>giocolieri</i>) col battolo infino
-alla cintola e più, ch’era cappuccio e mantello con
-molti fregi e intagli. Il becchetto del cappuccio lungo
-sino a terra per avvolgere al capo per lo freddo, e colle
-barbe lunghe per mostrarsi più fieri in arme. I cavalieri
-vestivano con sorcotto ovvero guarnacca stretta,
-ivi suso cinti, e le punte de’ manicottoli lunghe infino
-in terra, foderate di vajo ed ermellini. Questa istranianza
-d’abito, non bello nè onesto, fu di presente
-preso per li giovani di Firenze; e per le donne giovani
-disordinati manicottoli».
-</p>
-
-<p>
-Anche Galvano Fiamma, sotto il 1340, deplora che
-i giovani milanesi sviarono dalle orme dei padri, e si
-trasformarono in straniere figure; presero ad usare
-strette vesti alla spagnuola, e chiome tonde alla francese,
-lunga barba alla barbarica, cavalcare con furiosi
-sproni alla tedesca, parlare con varie lingue alla tartara.
-Le donne pure vagano scollacciate, con vesti di seta e
-talvolta d’oro; acconcio il capo con ricci alla forestiera;
-succinte in zone d’oro come amazzoni; camminano coi
-calzari ritorti in su; giocano a tavole e dadi: cavalli da
-guerra, splendenti armadure, e ch’è peggio, virili cuori,
-libertà degli animi, sono ornamento delle donne e cure
-di tutta la gioventù, sprecando le sostanze sudate dai
-genitori frugali.
-</p>
-
-<p>
-Troviamo da altri deriso il farnetico delle donne, ora
-di ringrandire la persona rizzando sul cucuzzolo i capelli,
-ora imberrettate, ora colla chioma disciolta sulle
-spalle, con diverse maniere di bestie appiccate al petto:
-l’alchimia faceva sua arte coprendone le magagne, e
-con varj avvisi medicando la pelle. Ora, aperto il collaretto,
-<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span>
-sfacciatamente mostravano; poi di tratto l’alzavano
-su fino agli occhi: talora, stretta la cintura, gonfiavano
-di sotto come pregnanti; tal altra con piombini
-tenevano intirizzite le guarnacche, a coprire il calcagnino
-che le rialzava dal suolo; qualche altra poneano
-mantello a somiglianza degli uomini Veneti, Genovesi,
-Catalani, che prima serbavano mode proprie, si meschiavano
-poi talmente, da non distinguerli. I milordini
-non chiamavansi contenti se l’uno non superava l’altro
-in novità; sicchè ora s’adattavano la berretta notturna,
-ora strozzati alla gola e allacciati di corde come fossero
-balle, tantochè non potevano sedere che non ne schiantassero
-alcuna: sempre anelanti dietro foggie straniere
-l’uno di Sorìa, quello di Arabia, un terzo pareva d’Armenia,
-un altro portava il farsettino all’ungherese; e
-chi larghi manicottoli, e gabbani di più versi, con maniche
-giù dal dosso pendenti come fossero monchi, e
-larghe punte di scarpe<a class="tag" id="tag185" href="#note185">[185]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Queste lagnanze, oltre il solito andazzo di imbellire
-il passato a rimprovero del presente, a noi sono indizio
-del crescere della democrazia, per cui non rimanevano
-le condizioni separate fin nell’abito e nelle guise.
-Che che poi ne dicano i declamatori, il cangiare foggie
-non era consueto; e oltre che ciascun paese ne conservava
-di proprie, per le quali si diceva «Questo è napoletano,
-questo lombardo, questo genovese», anzi discerneasi
-il fiorentino dal pisano e dal lucchese, gli abiti
-bastavano l’intera vita e tramandavansi da una all’altra
-generazione.
-</p>
-
-<p>
-L’addobbo dei Fiorentini ci è bello ed elegantemente
-descritto da Benedetto Varchi: — Passato il diciottesimo
-<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span>
-anno, vestivano in città una veste o di saja o di
-rascia nera, lunga quasi fino a’ talloni, e a dottori ed
-altre persone più gravi soppannata di taffetà e alcuna
-volta d’ermesino o di tabì, quasi sempre nero, sparata
-dinanzi e dai lati, ove si cavano fuori le braccia, ed increspata
-da capo, dove s’affibbia alla forcella della gola
-con uno o due gangheri di dentro, e talvolta con nastri
-e passamani di fuora, la qual veste si chiama lucco.
-I nobili e i ricchi lo portano anche il verno, ma o
-foderato di pelli, o soppannato di velluto, e talvolta
-di damasco. Di sotto poi chi porta un sajo, chi una
-gabbanella, od altra vesticciuola di panno soppannata,
-che chiamano casacche, e dove la state si porta sopra
-il farsetto o giubbone solamente, e qualche volta sopra
-un sajo o altra vesticciuola scempia di seta, con una
-berretta in capo di panno nero scempia, o di rascia
-leggerissimamente soppannata con una piega dietro,
-che si lascia cader giù in guisa che cuopre la collottola,
-e si chiama una berretta alla civile. Nè ora si
-portano più sajoni con pettini e colle maniche larghe
-che davano giù a mezza gamba, nè berrette che erano
-per tre delle presenti, colle pieghe rimboccate all’insù,
-nè scarpette goffamente fatte con calcagni di dietro.
-</p>
-
-<p>
-«Il mantello è una veste lunga per lo più insino al
-collo del piede, ordinariamente nero, ancorchè i ricchi,
-massimamente i medici, lo portino pagonazzo o rosato,
-e aperto solo dinanzi e increspato da capo, e s’affibbia
-con gangheri come i lucchi, nè si porta da chi ha il
-modo a farsi il lucco, se non di verno sopra un sajo
-di velluto o di panno e foderato. Il cappuccio ha tre
-parti; il mazzocchio, che è un cerchio di borra coperto
-di panno, che gira e fascia dattorno alla testa e di
-sopra, e soppannato dentro di rovescio, copre tutto il
-capo; la foggia, o quella che pendendo in sulle spalle,
-difende la guancia sinistra; il becchetto è una striscia
-<span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span>
-doppia del medesimo panno, che va fino a terra: si
-piega in sulla spalla, e bene spesso s’avvolge al collo, e
-da coloro che vogliono essere più destri e più spediti,
-intorno alla testa. Il pappafico era un altro modo di
-cappuccio che copriva le gote.
-</p>
-
-<p>
-«La notte, nella quale si costuma in Firenze andar
-fuori assai, s’usano in capo tôcchi, e in dosso cappe
-chiamate alla spagnuola, cioè colla capperuccia dietro.
-In casa usa mettersi indosso un palandrano o un catalano,
-con un berrettone in capo. La state alcune zimarre
-di guarnello, o gavardine di sajo con un berrettino.
-Chi cavalca, porta o cappa o gabbano, o di panno o di
-rasia; e chi va in vaggio, feltri. Le calze tagliate al
-ginocchio, e con cosciali soppannati di taffetà, e da
-molti frappate di velluto e bigherate. Mutan ogni domenica
-la camicia, increspata da capo e alle mani, e
-tutti gli altri panni fino al cintolo, ai guanti ed alla scarsella.
-Il cappuccio nel far riverenza non si cava mai, se
-non al supremo magistrato, a un vescovo o cardinale:
-e solo a cavalieri o magistrati, o dottori o canonici,
-chinandosi il capo in segno d’umiltà, s’alza alquanto
-con due dita dinanzi»<a class="tag" id="tag186" href="#note186">[186]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Agli eccessi del lusso continuavano ad opporsi leggi
-suntuarie (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 125), ma la ripetizione ne rivela
-l’inutilità: predicatori e moralisti declamavano, e intanto
-le pompe crescevano di più in più. S’aprivano talvolta
-corti bandite, ove i signori accorreano come a rare
-occasioni di riunirsi e sfoggiare; i cavalieri a romper
-lancie, ed a meritare in premio del valore l’applauso
-e i sospiri delle belle; i popolani alle mense apprestate
-a tutti, ai vini che talora perfino zampillavano da artifiziose
-fontane: abiti si regalavano a profusione, e
-mille persone furono vestite dalla moglie di Matteo
-<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span>
-Visconti nelle nozze di Galeazzo suo figlio, con Beatrice
-d’Este. La quale usanza di regalar cose utili,
-anzichè un anello o una tabacchiera, a lungo fu conservata.
-</p>
-
-<p>
-Buonamente Aliprando, il quale stese la cronaca di
-Mantova nelle più rozze terzine che uom possa leggere,
-descrive la corte bandita dai Gonzaga menando tre
-spose in una volta. Assai baronia venne da tutte parti,
-ognuno portando un dono di vesti di velluto, o di
-mischio di lana, o di vajo e scarlatto, foderate quale
-d’agnello, quale di volpe o coniglio, quale di vajo, con
-bottoni d’argento: ed erano non meno di trecentrentotto,
-le quali furono compartite a buffoni e a magistrati.
-D’argenteria chi donava coppe, chi cucchiaj,
-chi bacini, in tutto pel peso di ducencinquanta marchi.
-Altri presentò taglieri e ciotole di legno, quante bastassero
-a tutta la corte; la comunità de’ mercanti regalò
-mille ducati; chi recò carne e pollame, chi superbi
-destrieri. Essi Gonzaga poi regalarono ventotto cavalli,
-del valore di duemila ducento ducati: le altre spese
-del fieno, dell’avena, del mangiare, sommarono a cinquantaduemila
-lire. Venticinque cavalieri di nobiltà
-furono vestiti: ed otto giorni si durò fra tornei, giostre
-e bagordi, e sonare, ballare, cantare numerandosi fino
-a quattrocento sonatori, con buffoni che se ne tornarono
-contenti di robe e di denaro.
-</p>
-
-<p>
-Fu spettacolo nuovo, alla pace celebrata in Vicenza
-nel 1379 fra Bernabò Visconti e gli Scaligeri, il vedere
-fuochi d’artifizio, pei quali tutti stavano cogli occhi
-verso il cielo<a class="tag" id="tag187" href="#note187">[187]</a>. Nel 1397 Biordo de’ Michelotti, signore
-di Perugia e delle circostanti città, ordinò feste
-per menar moglie Giovanna Orsini. — E primieramente
-(leggesi ne’ <i>Diarj</i> del Graziani) fu ordinato che
-<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span>
-ogni famiglia del contado facesse un presente, e poi
-che ogni comunità, villa e castello facesse il suo presente,
-che furono paglia, biada, legne, grano, vino, polli, vitelli,
-castrati, ova, cacio. Biordo fece bandire per tutte
-le terre, che ciascuna persona che non fosse ribelle o
-condannata del Comune di Perugia, potesse venire alle
-dette feste sicuramente; ed invitò tutti i signori circonvicini,
-ordinando corte bandita per otto giorni; e inoltre
-fece venir per guardia della sua vita moltissime genti
-delle sue terre. Tutte le terre d’intorno gli mandarono
-ambasciatori con onorevolissimi doni, e anche Venezia
-e Fiorenza; e quel di Fiorenza menò dodici uomini
-d’arme per giostrare. Madonna contessa entrò con un
-vestimento d’oro tirato, con molte gioje in testa; davanti
-andavano tre paja di cofani, e sei donzelle con
-loro vestimenti di drappo. Ella portava in capo una
-ghirlanda di sparagi; venivano con essa lei a cavallo
-messer Chiavello signor di Fabriano, gl’imbasciatori
-di Venezia e di Fiorenza. Tutte le gentildonne onorate
-le si fecero incontro ballando, vestite a porta per porta
-secondo la sua divisa; e quelle che non erano atte a
-ballare, andavano lor dietro.
-</p>
-
-<p>
-«La comunità di Perugia donò ad ogni compagnia
-dieci fiorini d’oro. Innanti ci era una gran moltitudine
-di trombe, le quali sonavano di maniera che invitavano
-ciascuno a festa: fu fatto un bando che, durante detta
-festa, non si aprisse bottega alcuna; che fu per lo
-spazio di otto giorni. Fu fatta la mensa nella sala papale,
-e intorno ci erano collocate assaissime tavole, ed
-eravi il luogo apposta per le torcie. La tavola di Biordo
-era in capo, più eminente; alle altre furono per ciascheduna
-fiata posti trecento taglieri; e fu allora raccontato
-che in Toscana non si trovò mai la più bella
-corte. Le donne tutte s’erano radunate in casa di Biordo,
-ed erano una compagnia reale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Il giorno seguente tutte le città, terre e luoghi le
-ferono presenti e doni singolarissimi: e prima l’imbasciator
-di Venezia l’appresentò un dono che valeva ducento
-fiorini d’oro; quel di Fiorenza le dette un palio
-di scarlatto ed un cavallo covertato; quel di Città di
-Castello un altro palio ed un cavallo; Castel della
-Pieve un altro cavallo; Orvieto un finimento intero
-da tavola tutto d’argento; Todi il medesimo, e di più
-due pezze intere di velluto; gli altri tre imbasciatori
-fecero il simile. Oltre questo, ci furono moltissime
-donne che si vestirono alla divisa di Biordo, e tutte
-quasi fecero tre vesti per ciascuna, e andavano ballando
-per la piazza. Il mercoledì si giostrò una barbuta
-con l’armi del Comune dietro; e si continuò fino
-a notte, onde fu d’uopo adoperarvi le torcie».
-</p>
-
-<p>
-Nelle feste delle città commercianti la principale
-toccava alle arti, distribuite in maestranze; e la cronaca
-del Canale ci divisa quelle del 1268 per l’assunzione
-del Tiepolo in doge di Venezia. La prima festa
-(dic’egli molto più prolissamente in francese) fu fatta
-in mare davanti il palazzo del doge, e Piero Michele
-capitano fece apparecchiar le galee, e navigare tutto
-davanti il palazzo anzi ch’egli se ne andasse, e alzare
-l’applauso al doge in tale maniera: — Cristo vince, Cristo
-regna, Cristo impera: a nostro signore Lorenzo Tiepolo,
-la Dio grazia inclito doge di Vinegia, Dalmazia e Croazia,
-e dominatore della quarta parte e mezzo dell’imperio
-di Romania, salvamento, onore, vita e vittoria:
-san Marco, tu lo ajuta». Simil lode levarono e cantarono
-quei delle altre galee; e poi le fece il capitano
-navigare per mezzo Venezia; e se ne andarono a vedere
-la dogaressa, che li ricevette a lieta ciera.
-</p>
-
-<p>
-Di poi tutti i mestieri un dopo l’altro, riccamente
-apparecchiati, andarono a vedere il lor signore e la
-donna di lui. Primieramente quei di Torcello e delle
-<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span>
-altre contrade armarono il naviglio proprio e vennero
-al doge e alla dogaressa. Quei di Murano aveano in
-nave galli vivi<a class="tag" id="tag188" href="#note188">[188]</a>, perchè si conoscesse donde fossero,
-e le loro bandiere erano issate per mezzo il naviglio.
-I maestri fabbri e tutti i loro serventi andarono insieme
-sotto un gonfalone, ciascuno una ghirlanda in capo, e
-trombe ed altri strumenti con loro: montarono di sopra
-il palazzo, e salutarono il doge augurandogli ciascuno
-vita e vittoria; ed egli rendette loro salute e buone avventure.
-Discesi come erano andati, se ne vennero fino
-a Sant’Agostino, ove la dogaressa era, e la salutarono,
-ed ella rese loro salute siccome donna. I maestri pellicciaj
-d’opera selvaggia addobbaronsi di ricchi mantelli
-di ermino e vajo ed altre ricche pelli selvatiche, e i
-loro garzoni e fattorini guernirono molto riccamente;
-misersi innanzi una bella bandiera, e dietro quella
-vennero due a due. I maestri pellicciaj d’opera vecchia
-misero lor gonfalone avanti, e le trombe, gli stromenti,
-le coppe d’argento e le fiale piene di vino: e guernirono
-loro corpi molto riccamente di drappi di sciamito
-e di zendado, di scarlatto e di molte altre ricche robbe
-soppannate di vajo e di grigio e d’altre ricche pelli; ed
-i loro serventi piccoli e grandi guernirono anche molto
-bellamente. Poi i pellaj di pelli agnelline si misero il
-lor gonfalone avanti, le trombe e gli stromenti e le
-coppe d’argento e le fiale caricate di vino, ed i maestri
-e tutti i loro fattorini. I tesserandoli di nappe e tovaglie
-misero davanti il gonfalone, e addobbarono i corpi
-loro e quelli de’ calcolajuoli e serventi molto bellamente,
-e fecersi precedere da cembali e trombe e coppe
-d’argento e fiale di vino, e sotto di buoni conducitori
-se ne andarono cantando canzonette e cobbole pel doge;
-e venuti che furono al palazzo, montarono i gradini, e
-<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span>
-lo salutarono cortesemente, ed egli rese loro la salute
-molto bellamente; poi andarono a far lo stesso colla
-dogaressa.
-</p>
-
-<p>
-Allora comincia ad inforzare la gioja e la festa; chè
-primieramente si vestirono di novello dieci de’ maestri
-sartori tutto di bianco a stelle vermiglie, cotta e mantello
-foderati di pelliccerie: i maestri lanajuoli col solito
-gonfalone e le trombe e le coppe d’argento e le fiale
-di vino, e ciascuno un ramo d’ulivo nella mano, ed in
-capo ghirlande pur d’ulivo: i maestri cotonieri che fanno
-i frustagni di cotone, addobbaronsi tutto di nuovo, di
-cotte e di mantelli de’ frustagni che fanno, pellicciati
-riccamente: e così i maestri che fanno le coltri e le
-giubbe: e fece ciascuno una nuova cappa di color
-bianco sparsa di fiordalisi, e le cappe aveano ciascuna
-un capperone, ed essi aveano ghirlande di perle operate
-ad oro sulle teste.
-</p>
-
-<p>
-I maestri di drappi a oro se ne posero di ricchi, e i
-loro fattorini pur di drappo a oro o di porpora e zendado,
-e in testa i capperoni indorati e ghirlande di perle
-e di fregetti d’oro: misero il lor gonfalone e bandiere
-avanti, e trombe e cembali. I calzolaj e loro serventi
-ebber sulle teste delle ghirlande di perle e di fregetti
-a oro. I merciaj andarono a vedere il lor signore con
-ricchi drappi, e le teste e le robbe di fregetti a oro
-e di sete e di tutte beltà che l’uomo potrebbe divisare.
-Quei che vendono i camangiari di carni salate e formaggi,
-fecero lor gonfalone, avendo molto ricchi drappi
-tinti in scarlatto ad oricello o in risanguine od altri
-colori, pellicciati di vajo e di grigio, e sulla testa ricche
-ghirlande di perle e di fregetti a oro. Succedono
-quelli che vendono uccelli di riviera e pesci del mare
-e dei fiumi.
-</p>
-
-<p>
-Poi i maestri barbieri ebbero con loro due uomini
-a cavallo, armati di tutto punto, come i cavalieri erranti,
-<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span>
-e seco traevano quattro damigelle, addobbate
-molto stranamente. Venuti al palazzo, ascesero, salutarono
-il doge, ed egli rendette loro la salute; e immantinente
-discese uno di quelli che a cavallo erano
-armati di tutte armi, e disse al doge: — Messere, noi
-siamo due cavalieri erranti, che abbiam cavalcato per
-trovare avventure; e tanto ci siamo penati e travagliati,
-che abbiamo conquiso queste quattro damigelle: or
-siamo a vostra corte venuti, e se ci ha nessun cavaliere
-che di quinc’entro venisse avanti per provare suo corpo
-e per conquistare le strane damigelle da noi, noi siamo
-apparecchiati per difenderle». Immantinente rispose
-il doge, fossero i ben venuti, e che Domeneddio li lasci
-gioire di loro conquiste; e — Ben voglio che voi siate
-onorati a mia corte, ma punto non voglio che nullo
-di qui entro vi contraddica, e sì ve ne quieto del
-tutto». Montò allora il cavaliere errante, e gridaron
-tutti: — Viva nostro signore Lorenzo Tiepolo, nobile
-doge di Venezia»; poi se ne ritornarono a dietro,
-grande gioja dimostrando, e se ne andaron tutti in
-tale maniera a vedere la dogaressa, che molto bene
-li ricevè.
-</p>
-
-<p>
-I maestri vetraj ornaronsi di ricchi scarlatti, foderati
-di vajo e d’altri ricchi drappi, gli uomini carichi di
-loro lavorii, cioè guastade ed oricanni ed altrettali vetrami
-gentili, e le coppe d’argento e le fiale piene di
-vino. Si misero alla via cantando novelle canzoni, nelle
-quali si diceva di Lorenzo Tiepolo e di suo padre, di
-cui abbia l’anima Dio, che doge era stato. A tale gioja
-ed a tale festa se ne andarono due a due molto bene
-arringati sotto il lor gonfalone cantando e diportando
-sino al palagio. I maestri orafi addobbaronsi di perle
-e d’oro e d’argento e di ricche e preziose pietre, cioè
-di zaffiri, smeraldi, diamanti, topazj, giacinti, ametiste,
-rubini, diaspri, carbonchj e d’altre pietre di gran valuta;
-<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span>
-e loro sergenti anch’essi molto riccamente, e di
-cosa in cosa fecero come gli altri.
-</p>
-
-<p>
-I maestri pettinajuoli v’andarono pure, menando
-gran gioja: quando furono al doge, Ughetto, savio
-maestro, si mise avanti e disse: — Sire, io prego Gesù
-Cristo e sua dolce madre e san Marco vi donino la sanità,
-vita e vittoria, ed a governare lo onorato popolo
-veneziano in vittoria e ad onore per tutta la vostra
-età». E il doge risposegli molto saviamente, e quelli
-gridarono tutti insieme: — Viva nostro signore, il valente
-messere Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia».
-Que’ maestri pettinajuoli aveano con loro una
-lanterna piena d’uccelli di diverse maniere; e per allietare
-il doge, ne aprirono la portina per dove gli
-uccelli uscirono fuora tutti, volando qua e là a loro
-talento<a class="tag" id="tag189" href="#note189">[189]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Mi apporrete che questi particolari nulla ingeriscono
-alla storia d’Italia? Ma scopo nostro è conoscere gl’Italiani,
-nè credo che una persona si mostri qual è ove
-s’ignorino i suoi abiti e i costumi suoi: altri poi ha
-detto non conoscere un popolo chi non lo osservò nelle
-sue feste. In quella che or descrivemmo, dovette parere
-vi passasse davanti il medioevo, con quella libertà
-non individuale ma collettiva, dove, piuttosto che uno
-Stato, erano a vedersi molti gruppi di famiglie, di corporazioni,
-di Comuni, di chiesa, di nobiltà, ciascuno
-con leggi e norme e divise sue proprie. E delle feste
-di Venezia potrebbe farsi un libro, anzi fu fatto, ogni
-avvenimento pubblico essendovi commemorato con solennità
-di devozione e di patriotismo (Cap. <span class="smcap lowercase">XCVIII</span>).
-</p>
-
-<p>
-Poichè il santo patrono usavasi sovente pel nome del
-Comune stesso, dicendo San Marco, Sant’Ambrogio,
-San Pietro, per Venezia, Milano, Roma, la festa di
-<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span>
-quello era altrettanto civile quanto religiosa. Lo Statuto
-di Modena prescriveva che il giorno di san Geminiano
-d’ogni famiglia dello Stato venisse uno alla città con
-un cero in mano, e vi restasse fino a terza del domani;
-e così da ogni Comune forense vi si portasse il vessillo,
-seguìto dagli uomini della villa o del castello. A Ferrara,
-chiunque possedesse da cento lire in su doveva,
-la vigilia di san Giorgio, portare un cero a mattutino.
-A Milano per la natività di Maria doveano convenire
-tutti i Comuni dipendenti, col proprio gonfalone: alla
-festa poi di sant’Ambrogio, secondo il Decembrio, presentavasi
-all’altare di lui una gran mole di fiori ed erbe,
-di uva matura con pampani verdi, tutto fatto di cera.
-Di tali convegni non manca nessuna città dominatrice,
-e principalmente solenne era il san Giovanni a Firenze.
-A Montecatino, quando per le litanie di san Marco il
-clero scende alla pieve di Niévole, le donne continuano
-il giorno intero, come in recuperata libertà, a sonar
-quelle campane, sensibili per tutta la valle: la mattina
-di Risurrezione il celebrante benedice molti corbelli di
-pane e di carne d’agnello, che poi sono generosamente
-distribuiti a ciascheduno quasi in ristoro del digiuno
-quaresimale<a class="tag" id="tag190" href="#note190">[190]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le feste religiose spesso avevano del beffardo, come
-le sculture delle chiese. Tal era la cornomania che si
-celebrò a Roma fin verso il Mille, avanzo di qualche
-solennità pagana. Il sabato dopo pasqua, quando si
-aveano a cantare le litanie al papa, gli arcipreti delle
-diciotto chiese diaconali colle campane convocavano
-il popolo; il sacristano metteasi la cotta e una ghirlanda
-di fiori con corna, e in mano un finobolo, canna
-di bronzo grossa quanto un braccio, e per metà ornata
-di campanelli. Così andavasi processionalmente a
-<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span>
-San Giovanni Laterano, e ciascun arciprete formando
-circolo colla sua plebe, si cantava al pontefice: — Su,
-preghiere; Iddio per la tua prosperità; Maria madre di
-Dio; su, preghiere. Buon giorno, o padrone; apriteci
-le porte; noi veniamo a vedere il papa, vogliam salutarlo
-e fargli onore, e cantargli le litanie, come si usava
-ai Cesari. Bravo, uom benigno, papa che governi tutte
-cose al posto di Pietro; il cielo risplendette, le nubi si
-dissiparono». Frattanto il sacristano pirovettava in
-mezzo a ciascun circolo, scotendo le corna e il finobolo.
-Finite le litanie, un arciprete s’avanzava traendosi dietro
-un asino, allestito dai famigli della corte; un cameriere
-reggeva sopra la testa della bestia un bacino con venti
-denari d’argento; e quell’arciprete, rovesciandosi tre
-volte indietro, colla mano abbrancava più soldi che potesse
-da quel piatto, e quanti ne pigliava erano suoi.
-Gli altri arcipreti seguivano col clero deponendo ghirlande
-a’ piedi del papa; quello di Via Lata deponeva insieme
-una volpe, che non essendo legata fuggiva; e il
-papa davagli un bisante e mezzo: quel di Santa Maria
-in Aquiro, un gallo colla corona, e riceveva un bisante
-e un quarto: l’arciprete di Sant’Eustachio un cerbiatto,
-e toccava egual compenso: un solo bisante gli altri, e
-la benedizione del pontefice. Reduci alla propria chiesa,
-il sacristano nell’arnese stesso, con un prete e due
-compagni, portando l’acquasantino e rami d’alloro e
-chicche, iva di porta in porta col finobolo, benedicendo
-le case, mettendo foglie d’alloro sul fuoco, e distribuendo
-le chicche ai fanciulli, cantando una cantilena
-in lingua barbara, che cominciava: <i>Jaritan, jaritan,
-jajariasti. Raphayn, jercoyn, jajariasti</i>; e il padrone
-della casa dava qualche mancia<a class="tag" id="tag191" href="#note191">[191]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span>
-</p>
-
-<p>
-I banchetti erano solennità popolari e aristocratiche.
-Uno magnifico fu imbandito, quando Gian Galeazzo
-Visconti fu investito duca di Milano, nel cortile dell’Arengo,
-dove ora sta il palazzo reale; e, secondo il
-Corio, da prima si presentò a ciascuno de’ convitati
-acqua alle mani, stillata con preziosi odori; poi seguitarono
-le imbandigioni, tutte accompagnate con trombe
-ed altri diversi suoni. La prima delle quali fu marzapani
-e pignocate dorate con l’arme del serenissimo
-imperatore e del nuovo duca, in tazze d’oro con vino
-bianco; indi pollastrelli con sapore pavonazzo, uno per
-scodella e pane dorato; poi porci due grandi dorati, e
-due vitelli parimenti dorati. Indi vi furono portati grandissimi
-piattelli d’argento; e per cadauno pezzi due di
-vitelli, pezzi quattro di castrato, pezzi due di cignali,
-capretti due interi, pollastri quattro, capponi quattro,
-prosciutto uno, somata uno, salsiccie due, e savore
-bianco per minestra, e vino greco. Dopo furono portati
-altri piattelli di simile grandezza con pezzi quattro di
-vitello arrosto, capretti due interi, lepri due intere,
-piccioni grossi sei, uccelli quattro; poi pavoni quattro,
-cotti e vestiti; orsi due dorati, con sapore citrino e
-vino leggiero. Vennero quindi altri grandissimi piattelli
-d’argento con quattro fagiani per cadauno, vestiti; a
-quelli seguitavano conche grandi d’argento, con un cervo
-indorato, un daino similmente indorato, e capriuoli due
-con gelatine. Poi piattelli come di sopra, con non poco
-numero di quaglie e pernici con sapore verde; poi
-torte di carne indorate con pere cotte. Data alle mani
-acqua, fatta con delicati odori, seguitavano pignocate in
-forma di pesci inargentate; poi pane inargentato e malvasia,
-limoni siroppati inargentati in tazze, pesce vestito
-con sapore rosso in scodelle d’argento, pastelli
-d’anguille inargentati; poi piattelli grandi di argento
-con lamprede e gelatina inargentata, trote grandi con
-<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span>
-savore nero, e storioni due inargentati; indi torte
-grandi, verdi, inargentate, mandorle fresche, persiche,
-e diversi confetti a varie foggie. Compiuto il desinare,
-furono portati in su la mensa vasi d’oro e d’argento, con
-fermagli, collane, anelli, e molte pezze di panno d’oro,
-di seta, di porpora; il che tutto, secondo il grado, fu
-presentato ai signori.
-</p>
-
-<p>
-Dal Corio stesso ci sono divisati i regali che, vent’anni
-di poi, corsero a quella Corte per le nozze della figliuola
-di Galeazzo Visconti in Lionello d’Inghilterra.
-Cento taglieri furono disposti nella sala maggiore pei
-primati, nelle altre i restanti; e tanto era il sonare, che
-altro non s’udiva. Le imbandigioni venivano recate a
-cavallo; e la prima messa furono porcellini dorati, con
-due leopardi riccamente forniti e dodici coppie di segugi.
-Alla seconda lepri e lucci dorati, cui seguivano
-sei coppie di levrieri, ornati di argento, e sei astori.
-Alla terza vitello e trote, col presente di sei stivieri
-con collari di velluto e fibbie dorate e cordoni di seta
-nera. Alla quarta venivano pernici, quaglie, temoli dorati
-e dodici sparvieri con sonagli d’argento, e dodici
-paja di bracchi. Per quinta diedero anitre, cisoni e
-carpani, e dodici falchi, col cappelletto messo a perle.
-Venne alla sesta carne di bove e capponi, con savore
-d’agliata e storioni. Era la settima di vitelli e capponi
-con limonea e tinche, e dodici arnesi da giostra, dodici
-lancie, altrettante selle dorate. All’ottava portarono
-carne di bue, pesta e impastata con formaggio e zucchero,
-ed anguille; poi dodici ricchi fornimenti da
-guerra, compiti in tutto punto. Comparvero poscia carni
-e polli, e pesci in gelatina; e dodici pezze di tôcca d’oro,
-altrettante di seta colorata. Indi corni di gelatina saporita
-e grosse lamprede, col dono di due doglie di vino,
-sei bacili ed altrettanti mortaj d’argento dorato. Consistette
-l’undecima portata in capretti e paperi e agoni,
-<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span>
-col donativo di sei corsieri bardati, ed altrettante lancie,
-targhe, cappelline d’acciajo, una delle quali guarnita
-di bellissime perle. La duodecima fu lepri e capriuoli
-in savore, con pesce zuccherato, accompagnati da sei
-destrieri, altrettante lancie, e cappelli. Seguitarono carni
-di bue e cervo con savore di zucchero e limone, tinche
-ed altri pesci, e sei palafreni riccamente bardati: poi
-tinche, polli e sei destrieri da giostra: indi piccioni,
-cavoli, fagiuoli, lingue salate, carpione, ed un cappuccio
-e giubbone lavorati a compasso e soppannati d’ermellino.
-La sedicesima fu di conigli, pavoni, cisoni, anguille
-con savor di cedro, e un vasto bacile d’argento,
-un chiavacuore di rubino e diamante, con una perla
-d’ingente prezzo, e quattro cinti d’argento dorati. La
-decimasettima furono giuncate e formaggi, e il dono
-di dodici bovi. La frutta venne allo sparecchio coi vini,
-e poi cencinquanta cavalli per donare a baroni e signori,
-ed altre varie robe e gioje. Ai buffoni toccarono cencinquanta
-vesti; e dopo molto torneare e bagordare,
-lieto ognuno si partì.
-</p>
-
-<p>
-Lungo sarebbe dire le stravaganze, di cui volevasi
-far pompa in tali pasti. Qualche volta, al primo
-pungere del coltello dello scalco, il tacchino creduto
-arrostito saltava bell’e vivo, scompigliando i trionfi:
-qualch’altra di sotto un pasticcio sbucava un nano,
-facendo le meraviglie della bella adunata. Questi tripudj
-rinnovavansi non infrequenti; ed i cronisti si
-compiaciono talmente a descriverli, che a noi non
-sarebbe parso di bene interpretarli se non gli avessimo
-in ciò secondati; e tu rimani stupito quando
-nella pagina medesima essi ti fanno il racconto d’un
-incendio, d’una sconfitta, d’una morìa, e insieme di
-una solennità sfarzosa, alla quale mezzo mondo prese
-parte.
-</p>
-
-<p>
-Dante si lagnava che il tempo e la dote fossero all’età
-<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span>
-sua usciti di misura<a class="tag" id="tag192" href="#note192">[192]</a>; al qual passo Benvenuto da
-Imola spiega come per lo innanzi un ricchissimo padre
-dava in dote alla figlia due o trecento fiorini, mentre
-allora duemila o millecinquecento; le pulzelle maritavansi
-ai venti o venticinque, ora a dodici o quindici. A
-Milano, dove Landolfo il vecchio asseriva che sull’entrare
-del secolo <span class="smcap lowercase">X</span> non si contraevano matrimonj prima
-dei trent’anni, le Consuetudini più tardi abolivano quelli
-conchiusi prima dei sette<a class="tag" id="tag193" href="#note193">[193]</a>. Pel 1348 abbiamo «le
-spese di Bartolomeo di Caroccio degli Alberti: per lo
-costo delle nozze e un desinare che si fece innanzi alle
-nozze a’ servitori, e denari che ebbero i trombadori e
-altri buffoni, e denari dati a’ portatori, e confetti, e
-tramutare masserizie, e per altre spese che a nozze si
-richiede, lire cennovantasei; per la lettiera, cassa, cassone
-e tettuccio, lire diciotto; per due para pianelle e
-due para scarpette, lire una e soldi sedici». Ma le doti
-e i corredi delle signore e principesse sorpassavano
-ogni credenza, e ne toccammo poco sopra. Si hanno in
-sei volumi i <i>Monumenti della casa Del Verme</i>, ove,
-tra molte altre curiosità, trovansi due corredi di spose,
-che vogliamo qui riprodurre per esempio: — Nel 1474
-Francesco degli Stampa di porta Ticinese, della parrocchia
-di Santa Maria Valle a Milano, come corredo
-della Bartolomea de’ Guaschi, riceve ducento sessantaquattro
-perle, stimate ottanta ducati d’oro in oro; quattr’oncie
-di perle formate a rete, per ventiquattro ducati;
-otto pezze di tela di lino fino per far camicie, una di
-tela di stoppa (<i>revi</i>) per far tovagliuoli pel capo; quattro
-pezze di fazzoletti (<i>panetorum</i>) che sono cinquantotto;
-diciotto camicie da donna; trenta monete de tenere in
-testa; libbre nove e mezzo di refe di lino bianco; uno
-specchio grande e uno più piccolo; tre pettini d’avorio;
-<span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span>
-un uffizietto della beata Vergine co’ suoi guarnimenti;
-un cofanetto, dorato di sopra; un <i>corriginus</i> di broccato
-d’oro cremisino co’ suoi fornimenti, e uno di broccato
-d’oro cilestro col suo fornimento e con perle; un chiavacuore
-d’argento dorato col suo agorajo d’argento
-dorato; due fodere lavorate in oro; sei cuscini verdi
-di tappezzeria; dodici fodere di tela di lino fina co’ suoi
-lavori intorno; una veste di damasco bianco coi fornimenti
-dorati e col collare a perle; un’altra di drappo
-morello di grana colle maniche strette, e con fornimenti
-dorati e con perle; un’altra di drappo scarlatto di
-Londra colle sue balzane di velluto nero al collare, alle
-maniche e ai piedi; una gamurra o socca di velluto
-cilestro, e un’altra di drappo di lana rosso; un par di
-maniche di broccato d’argento cilestro; un vestito di
-zetonino cilestro colle maniche strette, e ricamato al
-bavaro e alle maniche; un vestito di scarlatto colle maniche
-strette e ricamate, e col bavaro fatto di punticelli;
-un vestito turchino colle maniche strette, ricamato alle
-maniche e al bavaro; un vestito di velluto morello con
-maniche serrate e guarnizioni fatte a telajo alle maniche;
-un vestito rosa secca con maniche al modo stesso;
-uno di drappo verde scuro; una giubba di velluto cremisino;
-una socca scarlatta, e una di drappo turchino;
-un par di maniche di drappo d’oro riccio, un cremisino,
-e uno d’argento cremisino, e uno di cilestro; un
-par di maniche di zetonino cremisino, e uno di morello;
-uno di velluto cremisino, e uno di verde; un corrigino
-d’argento dorato fatto a raggi (<i>a raziis</i>); un
-chiavacuore d’argento dorato coi coltellini; una coreggia
-con tessuto d’oro e guarnizioni d’argento dorato,
-ecc. Di tali doni rogò Francesco di Besozzo, notajo
-di porta Comasina.
-</p>
-
-<p>
-Molto più ricco è il corredo di Chiara Sforza, rimaritatasi
-il 1488 a un Campofregoso. Nel solo ricamo
-<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span>
-sopra una manica vi sono da trentasei in quarant’oncie
-di perle, stimate ducati quattrocento; sessantasette
-perle da un ducato l’una; diciannove da tre carati il
-pezzo, a ducati otto l’una; quattro da carati dodici
-in quattordici, a ducati cento il pezzo; una di carati
-venticinque a ducati trecento; due rosette di rubino, da
-sessanta ducati il pezzo; un rubino da tavola con quattro
-perle, ducati settanta; quattro smeraldi in tavola, a
-ducati quindici il pezzo; uno smeraldo quadro a faccette,
-ducati venti; oltre un filo di trecento diciassette
-perle, da un ducato al pezzo. C’è una perla a pero, di
-carati ventuno, stimata mille ducati; un mazzo di cinquantaquattro
-giri di catena d’oro, pesante quarant’oncie;
-un pendente con un balascio in tavola in mezzo, una
-punta di diamante e una perla a pera, valutati ducati
-duemila; un altro fermaglio con un balascio in tavola,
-ducati mille e seicento<a class="tag" id="tag194" href="#note194">[194]</a>.<a class="tag" id="tag195" href="#note195">[195]</a>
-</p>
-
-<p>
-Anche a Genova, per testimonio di Franco Sacchetti,
-«le nozze durano quattro dì, e sempre si balla e canta,
-e mai non vi si proffera nè vino, nè confetti, perocchè
-dicono che profferendo il vino e’ confetti è uno accomiatare
-altrui; e l’ultimo dì la sposa giace col marito
-e non prima».
-</p>
-
-<p>
-E poichè dalle donne ben s’argomenta ai costumi
-d’un tempo, già ricordammo (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 563) la Cia degli
-Ubaldini, che lasciata dal marito Francesco Ordelaffi a
-difendere Cesena, perseverò governatrice e capitana,
-finchè, ormai tutta ruine, la rese a patti onorevoli pe’
-suoi soldati; per sè le bastò la protezione che la generosità
-ritrova anche presso i nemici. È pure nota per
-le tradizioni Bianca de Rossi moglie di Giovan della
-<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span>
-Porta governatore di Bassano, la quale, morto il consorte,
-difese la città contro Ezelino tiranno: presa
-colle armi in pugno, Ezelino cercò farle onta, ed essa
-precipitatasi da una finestra si ruppe una spalla: guaritane
-e per forza vituperata, appena libera di sè corse
-all’avello del marito, e messo il capo sotto il coperchio,
-se lo schiacciò. Margherita da Ravenna, divenuta cieca
-a tre anni, acquistò tanto estese cognizioni, che era
-consultata su punti di teologia e di morale, e morì
-il 1505. Morata, figlia di Danese Orsini e di una
-Beccaria, a Stradella levata al battesimo da Filippo
-Visconti, sposata in Jacopo de’ Saracini di Siena, invece
-di danzare, la festa divertivasi a leggere, e venne un
-portento di sapere come di virtù. A Siena, nel pomposo
-incontro fatto a Federico III e sua moglie, ella parve
-vestita troppo modestamente; ma a chi glie ne faceva
-appunto rispose: — Le matrone senesi non devono
-far pompa che di modestia». E interrogata quale fra
-tanti cavalieri che faceano corteo agli sposi, le paresse
-il più leggiadro, — Io non guardo che mio marito».
-I Senesi l’ebbero in concetto di santità, e quando il
-conte Jacopo Piccinino li minacciava di sterminio, essa
-li rassicurò del pronto soccorso di Maria Vergine, e
-che il conte non tarderebbe a scontar la pena, come
-avvenne. Di virtuose potremmo gran numero schierare
-ricorrendo al leggendario.
-</p>
-
-<p>
-Voltiamo il quadro. La padovana Speronella, figliuola
-di Delesmanno, a quattordici anni era già maritata
-in Jacopino da Carrara, quando il conte Pagano,
-lasciato dal Barbarossa a governare Padova, se ne invaghì,
-e presto l’ebbe rapita e sposata. I suoi, irritati,
-levarono popolo contro lo straniero, che dovette cedere
-le fortezze e la libertà. Allora la Speronella fu
-maritata ad uno de’ Traversari, col quale rimasta alquanto,
-passò a Pietro Zausanno: e dopo tre anni ne
-<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span>
-fuggì per isposare Ezelino da Romano. Questi, accolto
-a Monselice con ogni guisa di miglior cortesia da Olderico
-di Fontana, come tornò a casa, non sapeva finire
-di lodare alla moglie le gentilezze dell’ospite e
-le maschie bellezze di esso: di che tanto desiderio si
-accese nella malonesta donna, che per messaggi fu
-presto d’accordo col Fontana, e da Ezelino se ne fuggì
-ad esso. Così passava di marito in marito, mentre il
-precedente vivea ancora; poi lasciò un lungo testamento,
-il quale non è che un catalogo di chiese e spedali,
-fra cui distribuiva ogni aver suo; venti soldi a
-questa, quaranta a quella, stramazzi, coltri, lenzuoli,
-coperte di pelle; a un ospizio i piumacci su cui ella
-dormiva, e tovaglie e salviette ai pellegrini d’oltremare;
-campi e denari a vescovi per riparare se mai avesse
-ad alcuno recato nocumento<a class="tag" id="tag196" href="#note196">[196]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Donnina amica di Bernabò, e Nisotta di Gian Galeazzo
-Visconti, aveano al loro servizio cortigiani, musici,
-minestrelli; ai principi vicini e nominatamente ai duchi
-di Savoja mandavano a regalare cani, cavalli, cappelline,
-e ne riceveano il ricambio<a class="tag" id="tag197" href="#note197">[197]</a>. Agnese, figlia di
-Bernabò e maritata in Francesco Gonzaga signore di
-Mantova, al marito non voleva bene, e vie meno
-dacchè il vedeva amico ed alleato di Gian Galeazzo
-uccisore del padre di lei. Presto s’intese con Antonio
-di Scandiano, cameriere fidatissimo del Gonzaga; ma
-questo, saputa la tresca, dissimulò lungamente il torto,
-poi ne volle un regolare processo, da cui essendo
-apparsa la costoro reità, lui fe impiccare; lei decapitare
-il 1391, benchè moglie d’un principe, cognata
-di due re.
-</p>
-
-<p>
-Per delitto d’infedeltà poteano il duca Filippo Visconti
-e il Gonzaga di Mantova mandare al patibolo la moglie,
-<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span>
-Nicola marchese di Ferrara la sua Parisina Malatesti col
-figlio Ugo, Ercole Bentivoglio processare Barbara Torelli:
-forse tutte innocenti, ma è un gran caso il vedere
-i mariti dimostrarle ree pubblicamente, essi, cui non
-erano vergogna le concubine e gli sterponi. Galeotto
-Manfredi principe di Faenza sposò Francesca di Giovanni
-Bentivoglio, la quale ben presto sospettò il marito
-d’altri amori, e per accertarsene origliò quand’esso
-conferiva secretamente con un astrologo. Intese invece
-come si macchinasse contro di suo padre; e non sapendo
-frenarsi, entrò nel gabinetto inveendo. Galeotto
-rispose, e la battè; ed essa ne informò il padre,
-che nottetempo avvicinatosi in armi a Faenza, la tolse
-seco: preparavasi anche a far guerra al genero, quando
-Lorenzo de’ Medici, mediatore di tutte le paci, li riconciliò,
-e ricondusse la donna al marito. Essa però, stimolata
-a vendetta da nuove gelosie, ordì d’ammazzarlo: si
-finse malata, e com’egli entrò a visitarla, il fece scannare
-da sicarj appostati.
-</p>
-
-<p>
-Un atto singolare ci resta, dove Galeazzo Maria
-Sforza, attesi «gl’ingenui costumi, la vita pudica, la
-somma bellezza» di Lucia de Mariano, e l’immenso
-ardore con che esso duca la ama, in parte fa, in
-parte conferma amplissime donazioni a lei ad a’ figliuoli
-che essa gli generò o genererà; e saldato il
-dono coi più sacri giuramenti, le pone patto che
-«viva in divozione nostra, e non abbia mai da che
-fare, non che con altro uomo, neppure col marito se
-non abbia da noi speciale licenza in iscritto»<a class="tag" id="tag198" href="#note198">[198]</a>;
-gravi minaccie aggiunge a sua moglie Bona, se mai
-rechi a costei il minimo disturbo. E quest’atto è rogato
-<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span>
-da notari, sottoscritto dal consorte e da una schiera
-di gran nobili e cavalieri milanesi.
-</p>
-
-<p>
-Siffatta puzza non viene dalle case plebee, ma dai
-palazzi principeschi. E ben diverso dal borghese era
-il vivere de’ signori, molti de’ quali tenevansi ancora
-ne’ castelletti, rubando e scialando come nel cuore della
-feudalità. Sino dal 1272 i Bolognesi aveano battuto i
-conti di Mangona che svaligiavano i viandanti nelle
-foreste di Ripaverde: ma ancora al 1391, nelle vicinanze
-della loro città, molti castellani viveano del rubare
-ai contadini e ai buoni campagnuoli. Il conte
-Garreto da Panìco con altri suoi compagni faceva tal
-vita, or a spalle dell’uno, or dell’altro gavazzando: côlto
-poi un Mengoccio del Borgo, ricco agricoltore, costoro
-lo trassero in prigione per tormentarlo finchè ne smungessero
-un grosso riscatto: fortunatamente una vecchia
-se n’accorse e ne avvertì i parenti, che, prese l’armi,
-corsero a liberarlo. Il senato bolognese ordinò che tutti
-i conti, capitani e altri nobili abitanti in villa, e che
-non attendevano di propria mano alle faccende agresti,
-dovessero fra quindici giorni venir abitare in città con
-tutti i parenti, pena la confisca dei beni: ordine esagerato
-che attesta la gravezza del male, e che fu poi
-ristretto alle famiglie pericolose.
-</p>
-
-<p>
-Altro famoso malfattore, Alberto Gallucci, tutto il
-Bolognese empiva di scelleraggini, nè per pubblici
-bandi o per ammonizioni del padre, di amici, di religiosi
-volle mettersi al dovere. Si promisero dunque
-mille fiorini d’oro a chi lo facesse prigioniero; chi
-l’uccidesse, se era bandito avesse remissione; se alcuna
-comunità il pigliava, restasse immune da collette
-per venti anni: si destinarono quattro persone apposta
-con ducento cavalli per catturarlo, e ordine ai Comuni
-che, qualora egli apparisse, toccassero a stormo. Alberto
-si pose a cavalcione dei confini, donde ogni
-<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span>
-giorno peggio faceva ai Bolognesi. Azzo, padre di lui,
-fu obbligato dar duemila lire per sicurtà che il figlio
-non farebbe alcun danno; poi assoltone per la sua
-gran bontà, egli medesimo risolse liberarne il paese,
-e coltolo il diede al magistrato perchè eseguisse la
-legge. Il consiglio, mosso dall’insolito caso, prendea
-pietà della canizie del padre e della sventataggine del
-giovane, e volea commutar la pena in carcere perpetuo;
-ma Azzo insistette caldamente perchè la giustizia avesse
-corso, e lui presente fu decapitato<a class="tag" id="tag199" href="#note199">[199]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nicolò III d’Este signor di Ferrara nel 1414 volendo
-passare in Francia, fu arrestato dal marchese
-Del Carretto, finchè pagasse grosso riscatto. Galeazzo
-Maria Sforza, ch’era in Francia quando morì suo padre,
-seppe che il duca di Savoja l’appostava per prenderlo
-ed obbligarlo a cedergli qualche pezzo di Lombardia;
-e parte travestito, parte difendendosi in una
-chiesa, parte ajutato da qualche fedele, a grave rischio
-riuscì a traforarsi nel suo dominio. Gli Ubaldini contano
-tra i loro fasti molti spogliamenti fatti tra val di
-Sieve e val del Santerno. Uberto di Campagnatico assaliva
-tutti gli amici della repubblica di Siena, finchè alcuni
-Senesi in veste di frate s’introdussero nel cassero
-di lui e l’uccisero. Ghino di Tacco da Torrita dal castello
-di Radicofani molestava i passeggeri, celebre
-per la novella del Boccaccio. Il Piccinino porta rancore
-ad Eusebio Caimo milanese, ch’era stato mezzano del
-matrimonio di Bianca con Francesco Sforza, e lo fa
-pugnalare nel duomo di Milano. L’ingordigia de’ principi
-apriva poi modo ai signori di scontare i delitti a
-denaro; e Lazzarone della Rovere, signore di Vinovo,
-nel 1377 avendo ucciso Florio suo cugino, ne pagò al
-conte di Savoja tremila fiorini, oltre perdonargliene
-mille che gli doveva.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span>
-</p>
-
-<p>
-Milano nel 1288 contava quarantamila nobili, cioè
-uno ogni venticinque abitanti; Firenze, nel 1336, settemila
-cinquecento, cioè uno ogni venti; Venezia, dopo
-il 1500, seimila cencinquantadue, cioè uno ogni ventidue:
-ma il nome di nobile significava cosa ben diversa
-in ciascuno di questi paesi. Generalmente la democrazia
-aveva abraso le distinzioni originarie e i
-privilegi legali: in tanto rimescolamento di fazioni, di
-conquiste, d’esigli, di tirannidi, molte famiglie antiche
-o perirono o si confusero colle borghesi, dalle quali
-poi sorsero alcune più ricche, e costituirono una nobiltà
-nuova. Ogni famiglia era ormai contraddistinta da
-un cognome; ma se non fosse divenuto celebre per
-qualche titolo o per credito commerciale, facilmente lo
-cambiava per capriccio, per un’eredità, per far grado
-a un protettore, a un padrino. La nobiltà nuova non
-poteva opporre alla tirannia quegli argini, che solo dal
-tempo acquistano solidità: quella poi creata dai tiranni
-non valea nulla più che i diplomi, eccitava gelosia, mancava
-di efficacia.
-</p>
-
-<p>
-I signori di Romagna, maggiormente dediti alle
-armi, e scarsi di possessi, esercitavano i loro vassalli
-sia per sostenersi, sia per farne mercato a servigio
-altrui. A Napoli re Luigi di Taranto istituì la compagnia
-del Nodo, altri cavalieri, per desiderio di gloria,
-ne formarono altre, e con insegne diverse andavano
-come cavalieri erranti mostrando il lor valore dove
-guerra fosse, legati tra sè di fratellanza; e dal segno
-che portavano, diceansi della Stella, della Argata (per
-la nave d’Argo), della Leonza<a class="tag" id="tag200" href="#note200">[200]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Però fra noi predominarono sempre le città, e in
-conseguenza non troviamo quegli alti fatti cavallereschi,
-di cui si tesse la storia delle famiglie insigni forestiere;
-<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span>
-que’ nostri signorotti tengono del plebeo, o almeno del
-soldatesco, nè si gloriano di finezze cavalleresche, nè
-si peritano a mancar di fede. Sulla politica delle Corti
-non fa mestieri ripeterci; ma quelle frequenti taccie
-d’avvelenamenti, veri sieno o supposti, ci rammentano
-gl’imperatori di Roma, e palesano un ritorno verso la
-corruzione gentilesca. Le continue rivoluzioni, per cui
-mezzo gli ambiziosi volevano surrogare il privato
-dominio alla comune libertà, lasciavano interessi lesi;
-calde memorie d’un franco stato, del quale non si ricordavano
-più i guaj; molti i pretendenti, ove unica
-sanzione era la riuscita; molti gl’intolleranti e dell’ingiustizia
-e della giustizia, e pochi gl’interessati a difendere
-l’ordine pubblico. Il grosso del popolo non penò
-a chetarsi a dominj che gli lasciavano quiete onde applicarsi
-alle sue arti e gli crescevano sicurezza; ma le
-famiglie aristocratiche ribramavano la fraudata autorità,
-e mal soffrivano un altro esercitasse la tirannia
-ch’essi avrebbero per sè voluta. Le armi portate a
-servizio di qualche signore, davano la soldatesca fiducia
-nella spada: del sangue come aver ribrezzo
-quando la legge e i tiranni stessi ne versavano tanto?
-</p>
-
-<p>
-Quindi gli attentati, frequenti quanto mal secondati,
-e usciti con danno e con vergogna. La sollevazione di
-Cola Rienzi fra breve fu imitata dal Porcari in Roma.
-Due congiure a Milano uccisero i principi, senza produrre
-effetto durevole; altrettanto quella de’ Pazzi;
-peggio quella de’ baroni nel Reame. In Bologna i Caledoli,
-beneficati ed emuli di Annibale Bentivoglio, non
-meno poderoso in Romagna che Lorenzo Medici in
-Toscana, tramano, e scoperti sono appiccati o banditi.
-Bernardo Nardi fiorentino occupa Prato per farne
-piazza de’ repubblicani; ma non sostenuto, è preso e
-giustiziato con molti. Nicolò d’Este invade Ferrara per
-ricuperare il dominio paterno; ma il popolo nol favorisce,
-<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span>
-ed Ercole d’Este lo appicca con venticinque
-complici. Girolamo Gentile vuol ribellare Genova e
-Milano, e ne perde la testa. Girolamo Riario, signore
-di Forlì ed Imola, è pugnalato nel proprio palazzo.
-Biordo de’ Michelotti è ucciso a Perugia, e i Perugini
-assalgono gli uccisori e bruciano la badia di San Pietro
-ove erasi fatto il tradimento, e i traditori fanno dipingere
-alle porte e al postribolo. Questi frequenti attentati
-tenevano in sospetto i tiranni, e rendeanli peggiori;
-e i feroci supplizj che infliggevano a personali nemici,
-sembravano giustificati dalla necessità dell’assicurarsi.
-</p>
-
-<p>
-La costoro vita è un tessuto di fatti ancor più vergognosi
-che orribili, sfacciata la mancanza di fede,
-applaudito il tradimento se riusciva. Vedemmo quello
-a cui restò preso Bernabò Visconti. Paolo Fregoso,
-cardinale arcivescovo di Genova, invita il doge suo
-nipote colla moglie e i figliuoli a pranzo, e quivi
-li fa cogliere, mettere ai tormenti, sinchè il doge non
-ordina che le fortezze si rendano all’ambizioso zio.
-L’Oldrado, amicissimo di Gabrino Fondulo, passando
-fuor di Castiglione, finge si sieno sferrati i cavalli,
-e manda per un maniscalco. Gabrino, informatone,
-spedisce a invitarlo che entri e si riposi; ed egli no,
-aver troppa fretta, rincrescergli di non poter dare
-un bacio al suo Gabrino. Questo non vuol lasciarsi
-vincere in cortesia; esce a salutarlo, ed è subitamente
-circondato dagli uomini dell’Oldrado, il quale entra
-nel castello, prende la famiglia di Gabrino e i molti
-tesori, e lui consegna a Filippo Visconti che lo manda
-al supplizio. Nelle ore estreme confessò, l’unica cosa
-di cui si pentisse era che, quando l’imperatore Sigismondo
-e il papa salirono seco sul torrazzo di Cremona,
-non gli avesse trabalzati entrambi da quell’altezza<a class="tag" id="tag201" href="#note201">[201]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il marchese Alberto d’Este, morendo nel 1393,
-avea dichiarato successore Nicolò suo figlio naturale;
-ma Azzo pretendea avervi migliori diritti, e li
-sostenne collo stipendiare Giovanni da Barbiano. I
-tutori del fanciullo Nicolò tentarono costui perchè assassinasse
-Azzo, ed egli il promise, purchè gli si
-dessero due castelli vicini a Barbiano. Vennero i messi,
-davanti ai quali fu trucidato Azzo, ed in conseguenza
-resi i castelli. Ma l’ucciso non era che un servo, e
-Azzo piombò addosso alle squadre ferraresi e ne fe
-macello. Poco poi Giovanni macchina d’impadronirsi
-di Bologna, e scoperto è mandato al supplizio. Mille
-altri casi simili ci offrirebbe la storia de’ capitani di
-ventura.
-</p>
-
-<p>
-I popoli ne soffrono, e conoscono i vantaggi della
-libertà, tanto da creder lieve ogni sacrifizio per ottenere
-che alfine alla egualità innanzi ad un padrone
-si sostituisse l’egualità innanzi alla legge. Vero è che
-le sventure d’allora sembrano maggiori perchè tutte
-si registrano, nè erasi per anco ingenerata quella
-cascaggine che fa credere ineluttabile necessità il patimento,
-e virtù il non lamentarsene, e pace una
-tirannia che degrada senza tormentare. Massime nelle
-repubbliche riscontriamo elevatezza di caratteri, potenza
-di sacrifizj fatti al bene generale, maggior fedeltà
-alla parola: benchè le passioni vi apparissero
-maggiormente, perchè in numerose masse e meno frenate.
-E la stessa corruzione e la ribalda politica dei
-principi non avviliva ancora i popoli, se anche li
-straziava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fra quel movimento frequentavano occasioni di esercitare
-le forze della volontà e dell’intelletto, il che è
-sì gran parte della felicità; riceveasi l’educazione dagli
-avvenimenti, e maestro era il subuglio della città;
-anche nelle baruffe civili logoravansi alcune vite, ma
-conosciamo tempi più puliti ove si uccide colla parola,
-s’induce negli animi il dispetto, vi si formano quelle
-ulceri, la cui tabe e il puzzo appestano la società.
-</p>
-
-<p>
-Furono i nostri che crearono la scienza delle ricchezze
-e della loro distribuzione, misurarono la potenza
-del proprio paese e i mezzi con cui farlo agli emuli
-prevalere, e tolsero a considerare tutt’Europa come un
-sistema unico, ponderando perciò le forze delle singole
-parti; e alcuni conti dei loro dogi o podestà potrebbero
-andar di paro coi messaggi meglio compiuti
-dei presidenti americani<a class="tag" id="tag202" href="#note202">[202]</a>. I Fiorentini volevano
-dai loro commessi un ragguaglio de’ paesi ove andavano;
-i Veneziani ricevevano dai loro diplomatici informazioni
-continue, e da queste possiamo ancora librare
-la civiltà e la potenza de’ varj Stati.
-</p>
-
-<p>
-Quanta ricchezza non indicano nel paese le medesime
-guerre! Taciamo Venezia, taciamo Genova, di cui non
-di rado qualche privato diveniva principe, e i Lercari
-o i Giustiniani tenevano testa alla potenza ottomana;
-ma Federico I di Sicilia ebbe cinquantotto galee in
-punto d’arme, con centotredici l’affrontò Roberto di
-Napoli, e distrutte si rinnovarono quasi per incanto. I
-nobili milanesi proposero a Filippo Maria di mantenergli
-diecimila cavalli e altrettanti pedoni, purchè
-lasciasse loro amministrare le pubbliche entrate, escludendone
-cortigiani e favoriti. Dal 1377 al 1406 Firenze
-spese in sole guerre undici milioni e mezzo di fiorini
-<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span>
-d’oro, da cento ogni libbra<a class="tag" id="tag203" href="#note203">[203]</a>, tributo di cittadini
-privati: settantasette case, dal 1430 al 53, pagarono
-di straordinarj quattro milioni ottocentosettantacinquemila
-fiorini; e lo stato popolare, dal 1527 al 30, cavò
-di straordinarj un milione quattrocentodiciannovemila
-cinquecento fiorini. I tiranni pure e gli oligarchi facevano
-gara di prosperare il proprio paese, sì pel vantaggio
-che a loro medesimi ne ridondava, sì per
-emulare i vicini, sì per palliare la servitù. Francesco
-Sforza scavava il canale della Martesana ed ergeva
-l’ospedal grande a Milano; Gian Galeazzo ardiva cominciarvi
-il duomo e la certosa di Pavia; i Medici, i Pitti,
-gli Strozzi si eternarono per elegante magnificenza.
-</p>
-
-<p>
-Ma in fatto di costumi e d’opinioni men che in
-niun’altra cosa si può considerare l’Italia come una
-sola nazione; e se anche oggi, con sì poche caratteristiche
-e con tante comunicazioni, immenso divario
-corre dal Torinese, per esempio, al Siciliano, quanto
-più allora? In Romagna poca attenzione si dà all’agricoltura
-e all’industria, le ricchezze traendosi d’altronde
-che dalla terra; i suoi fiumi non sono navigabili,
-ed essiccando lasciano esalazioni pestilenziali; talchè
-l’uomo si scosta da quei paesi, che così peggiorano col
-cessare della vegetazione artifiziale, e disordine e abbandono
-invadono le valli inselvatichite e i piani deserti,
-per la cui ampiezza pochi casali s’incontrano, perciò
-opportuna alle masnade; e il popolano, sentendosi necessario
-al padrone che ne trae guadagno di stipendj
-<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span>
-militari, acquista orgoglio e fierezza, quasi con ciò
-attesti discendere dai conquistatori del mondo. Il Veneziano
-invece è indocilito dal sentimento della dipendenza,
-che mal si confonderebbe con quella pulizia che
-cerca sedurre ma senza bassezze; egli venera il denaro,
-ambisce i godimenti, e gli aspetta da chi può procacciarli
-a lui, il quale nulla può ripromettersi dagli onorevoli
-sudori versati sulla terra. All’incontro il Genovese
-le falde delle Alpi e dell’Appennino a forza d’arte
-vestì d’ulivi, aranci, vigneti, e non bastandogli lo scarso
-territorio, s’avventura al mare, e dice, <i>Io vengo da
-Caffa</i>, così come se fosse tornato dal porto. A Napoli
-il Governo svigorito lascia crescere la colà prepotente
-inclinazione di isolarsi; e da un lato si trincerano i
-baroni, dall’altra i popolani, non partecipandosi i frutti
-del convivere sociale; la scarsa industria, l’indolenza,
-il non curare del domani sono conseguenza del clima,
-de’ pochi bisogni e de’ facili soddisfacimenti; come i
-vulcani del paese, dalle esaltazioni si passa rapidamente
-all’inerzia, con poca costanza e vacillante condotta;
-l’immaginazione fa ricorrere alle superstizioni, l’inosservanza
-delle leggi lusinga a vendette private. La Toscana,
-divisa in piccoli territorj, sembra fatta per la
-vita individuale delle città, che in fatto ebbero ciascuna
-una storia particolare: nella parte montagnosa si ricoverarono
-i signorotti, e trovarono buoni soldati; il resto
-è coltivato con indefessa cura: e perchè a gran fatica
-basta alla popolazione, questa si dedica anche all’industria,
-e così si sviluppa quel vigore intellettuale,
-quella coscienza di se stessi, per cui i Toscani si presentano
-come in una virilità matura, ma tutta robusta.
-</p>
-
-<p>
-Dappertutto poi restavano distinti i costumi de’ principati
-da quei delle repubbliche, in quelli i signori, in
-queste apparendo i cittadini. Udiamo accagionare quei
-borghesi, che idolo si facessero del denaro. È vera
-<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span>
-l’accusa? è ragionevole? Nell’età barbara e nella feudale
-la ricchezza era mal distribuita in Italia, ma il clero
-colla limosina, la feudalità col suo sminuzzamento prevennero
-quella piaga, che oggi infistolisce col nome di
-pauperismo. Crebbe poi e si diffuse la ricchezza; ma
-se questa è cattiva allorchè (come avvenne nell’età romana)
-provenuta da mezzi immorali, e, sparsa con disuguaglianza,
-apre un abisso fra le varie classi, e perciò
-aguzza le passioni sovversive, essa torna giovevole all’individuo
-e alla società quando sia frutto di lavoro
-onesto e di liberi contratti, e si spanda in tutte le
-classi.
-</p>
-
-<p>
-Sta bene ai nostri tempi battaglieri e rivoluzionarj
-lo sbertare i mercanti, e ripetere le ingiurie che Buonaparte
-scaraventava all’Inghilterra: sta bene il rammentare
-che, quando Marsiglio Carrara esulava a Firenze,
-la Signoria lo dichiarò esente da ogni molestia
-per debito, salvo che fosse verso Fiorentini. Ma il
-mercante acquista prudenza, attività, energia per mettersi
-in grado di accumulare il capitale; col creare
-questo si ottiene l’agiatezza, la quale lascia campo alla
-coltura dell’intelletto e dei costumi, ed elevando i salarj
-fa progredire verso l’uguaglianza. Ricordiamoci che
-erano mercanti Marco Polo, che primo ci descrisse
-l’Asia centrale e il Giappone; il Fibonacci, che introduceva
-le cifre arabiche; Giovan Villani, il migliore
-cronista del nostro e forse d’ogni altro paese, il quale,
-se non il fare ingenuo e pittoresco di Joinville e Froissart,
-mostra però la scienza positiva e il fermo tocco di
-chi maneggiò gli affari prima di raccontarli. Non sono
-i mercanti fiorentini che vollero combattere i venturieri
-quando i principi non sapeano che mercatarli?
-</p>
-
-<p>
-Quegli operosi commerci rivelano abbastanza un vivere
-ben differente dalla convulsiva inazione de’ giorni
-nostri, quando si cerca tutto fuorchè il modo di essere
-<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span>
-contento del proprio stato; non si oziava tanto sui
-caffè; non si camuffava d’amor di patria la poltroneria
-del non mutar cielo; non si logoravano la salute
-e la ragione a fare e a leggere giornali e romanzi.
-Lungi dal tenere disonorante il commercio, vi accudivano
-in persona cittadini primarj. Archinti, D’Adda,
-Castiglioni, Crivelli, Lampugnani, Melzi, Visconti, Vimercato
-erano matricolati fra i mercanti di Milano;
-«il padre di Antonio Giacomini (dice Machiavelli) fu
-mandato a Pisa, a faccende di mercatare, nella quale
-tutta la nobiltà di Firenze si esercita, come nella cosa
-più utile e più reputata nella patria loro»; Cosmo, già
-capo della Repubblica fiorentina, non interruppe gli
-affari di banco, ne’ quali si esercitavano e Strozzi e
-Pazzi e Guicciardini e Borromei e Rinuccini e Salviati.
-Ne contraevano quelle abitudini casalinghe insieme e
-forbite, che contrastavano colle fastose e rozze dell’aristocrazia
-forestiera; e quest’agevolezza personale, questa
-energica risoluzione, quest’operare sicuro, questa grazia
-nativa davano all’Italiano grande superiorità sugli stranieri,
-e in conseguenza lo facevano più ammirato che
-amato, anzi temuto, la finezza parendo astuzia, la galanteria
-corruzione, la franchezza dispregio.
-</p>
-
-<p>
-Lo spirito d’economia, lo sforzo delle classi industri
-per migliorare la propria condizione, la frugalità nei
-godimenti, bastavano a bilanciare le nobili profusioni
-nelle arti e le folli nella guerra; e Smith le paragonava
-a quella che i medici chiamano forza medicatrice della
-natura, che spesso restaura l’infermo a malgrado del
-male e delle medicine. Avrebbe Firenze potuto repulsare
-tante nimicizie, e tanto abbellirsi, quando non
-l’avessero soccorsa i cittadini che teneano fondi nei
-magazzini di Venezia, di Parigi, d’Anversa, di Londra,
-e sulle navi del Mediterraneo, dell’Eusino, dell’Oceano?
-Nè mai ne erano avari per la libertà e pel decoro
-<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span>
-della patria. Reciprocamente il tesoro pubblico era
-una specie di serbatojo per vantaggio di tutti: nel 1466
-gli argenti della Signoria di Firenze erano dati a prestanza
-a Luigi di Piero Guicciardini e a Piero Capponi
-perchè con maggior pompa potessero celebrare
-nozze<a class="tag" id="tag204" href="#note204">[204]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E in Firenze, fors’anche perchè maggiormente e
-meglio ci è descritta, appajono consuetudini affatto borghesi.
-La ristrettezza del territorio obbliga ad usufruttarlo
-con ogni attenzione, e al lavoro de’ campi unire
-l’industria; obbliga il proprietario a risparmiare e a
-speculare. Quando altrove i nobili firmavano le carte
-colla croce <i>non sapendo scrivere perchè baroni</i>, i Fiorentini
-stendeano i processi verbali anche delle adunanze
-delle arti e mestieri; mercanti e manufattori
-rendeano i proprj pareri per iscritto. Dino Compagni
-racconta che sulla venuta di Carlo di Valois fu richiesto
-il parere dei settantadue mestieri, imponendo loro
-«che ciascuno consigliasse per iscrittura se alla sua
-arte piaceva che si lasciasse entrare a Firenze». Lo
-statuto dei tesserandoli di seta a Lucca ordina che ogni
-tessitore o tessitrice abbia un libro dove notare le tele
-che avrà dai mercanti, per poterlo scontrare col libro
-di questi. Lo statuto dell’arte di Calimala del 1332
-parla ogni tratto di scrivani, di registri, di rendiconto,
-di bullettini. Chi può contenersi dalla maraviglia nel
-vedere i Fiorentini, occupati in bottega a pesar lana e
-misurar drappi, fare poi nel consiglio esperimento di
-tutte le possibili forme di costituzione, porgere magistrati
-insigni dentro, accortissimi ambasciadori fuori;
-insieme colle balle di mercanzie richiedere manoscritti,
-spacciare lettere al merciajuolo e ai maggiori dotti; sul
-libro mastro, insieme coi crediti registrare la storia
-<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span>
-della patria o del mondo, introdurre la scrittura doppia,
-le cifre arabiche, l’algebra, fondare la prima cattedra
-di greco, la prima di latino, la prima di leggere Dante?
-Segretarj della repubblica erano un Bartolomeo Scala,
-un Carlo Marsuppini, un Coluccio Salutati, un Bonaventura
-Munaci, ben presto un Nicolò Machiavelli.
-</p>
-
-<p>
-Qual prova maggiore di civiltà che i tanti scrittori?
-Leggete il <i>Governo della famiglia</i>, e sentirete continuo
-quell’alito dell’economia casalinga, che si briga delle
-particolarità senza negligere le cose importanti, e risparmia
-un soldo, ma non si arretra dallo spendere
-le migliaja di fiorini. L’autore diceva a’ suoi figliuoli: — Tutto
-l’anno accadono spese, cresce la gioventù,
-apparecchiansi le doti; e volendo colla possessione soddisfare,
-non basterebbe. E però è da intraprendere
-qualche esercizio civile, utile, comodo a voi, atto ai
-vostri, col quale guadagnando possiate supplire al bisogno.
-Potrebb’essere la mercatura; ma per mio riposo
-eleggerei cosa più certa, e mi darei più volentieri a
-quegli esercizj, ne’ quali si adoprano molte mani, e nei
-quali il denaro in molte persone si sparge, e a molti
-bisognosi ne viene utilità. È officio del mercante avere
-sempre la penna in mano; imperocchè indugiando lo
-scrivere, le cose si dimenticano e invecchiano, e il fattore
-ne prende ardire e licenza d’essere cattivo, vedendo
-il superiore negligente. Niuna cosa tanto giova, niuna
-fa tanto buoni fattori, quanto la provvidenza e sollecitudine
-del principale: stolto è veramente colui il quale
-non saprà favellare de’ fatti suoi se non per bocca
-d’altri, e cieco colui il quale non vedrà se non pegli
-occhi altrui... Le spese io le considero necessarie o no.
-Chiamo volontarie quelle senza le quali si può onestamente
-vivere, com’è avere bei libri, nobili corsieri,
-argenterie, arazzi. Ora quel ch’è necessario, mi piace
-subito averlo fatto, non fosse altro che per avermi
-<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span>
-scarico quel pensiere: epperò fo le spese necessarie
-presto, e le volontarie con modo buono ed utile, ch’è
-d’indugiare quando posso, per vedere se quella voglia
-cessasse in quel mezzo, e non cessando, ho spazio di
-meglio pensare in che modo spenda meno, e meglio
-mi soddisfaccia». E con che senno virile, con che
-bontà senza sdulcinature, con che superiorità senz’arroganza
-non tratta egli la donna! — Il marito e la moglie
-devono fare come quelli che fanno la guardia sulle mura
-per la patria loro; se alcuno si addormenta, colui non
-ha a male se il compagno lo desta. Così l’uomo deve
-avere molto per bene se la donna, vedendo in lui mancamento,
-ne lo avvisa. Quando io menai moglie, le dissi:
-<i>Donna mia, sopratutto a me sarà a grado che tu
-faccia tre cose: la prima, che qui in questo letto tu
-non desideri altr’uomo che me solo;</i> ella arrossì ed
-abbassò gli occhi: <i>la seconda, che abbi buona cura
-della famiglia, e la tenga con onestà e pace; la terza,
-che provveda che le cose famigliari non si trasferiscano
-male</i>. E fui avvertente nel persuaderla di mostrarsi
-ne’ suoi portamenti onesta, nè d’altra qualità o
-colore che naturalmente ella si fosse: <i>La onestà della
-madre, le dissi, sempre fa parte di dote alle figliuole;
-piace una bella persona, ma un disonesto cenno subito
-la rende vile e brutta. Donna mia, tu non hai
-da piacere se non a me: pensa non poter piacermi
-volendomi ingannare, mostrandomiti quella che tu
-non fossi</i>. Tutte le mogli sono a’ mariti obbedienti
-quando eglino sanno essere mariti. A me non piacque
-mai sottomettermi alla donna mia; nè mi sarebbe paruto
-potermi far da lei obbedire avendole dimostrato
-d’esserle servo».
-</p>
-
-<p>
-V’era persone di buona casa che scriveano d’agricoltura
-come il Vettori, o d’arti come il Neri, o del
-vivere civile come il Palmieri; e chi sfogliasse i <i>Ricordi
-<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span>
-di cose famigliari, i Quaderni de’ conti</i>, i <i>Prioristi</i>,
-come chiamavano una specie di mastro sul quale annotavano
-i priori di quell’anno e insieme i principali
-accadimenti, stupirebbe d’incontrare tanto estesa la
-maturità del buon senso e l’acume del vedere. L’educazione
-pubblica era compita dalla domestica, poichè
-il babbo o la nonna insegnavano al figliuolo a leggere,
-e il latino allora necessario, e gli affari e la storia del
-paese; la servente vi aggiungeva i racconti di fate e di
-ladri; tutto mescolato di proverbj, non senza grossolanità
-e offese al costume. Faceasi musica a orecchia, col
-flauto, il clarinetto, la mandòla accompagnando le canzoni
-per istrada, o i rispetti e le ballate; spesso novellavasi,
-e si ridiceano i proprj viaggi e quelli di Marco
-Polo.
-</p>
-
-<p>
-Fin gente digiuna di lettere poetava, e nella barberia
-di un tal Burchiello in Calimala convenivano fior di
-cittadini a discorrere, celiare, improvvisare: ed egli fra
-loro sempre in buon tempo e sulle burle, facea versi,
-tutti riboboli popoleschi e idee or da trivio or da bordello,
-ma che si rileggono per quella naturalezza, che
-tanto scarsa incontrasi fra i nostri. Gli accoppieremo
-Dino di Tura, anch’egli poeta alla carlona; e Antonio
-Pucci campanaro, contemporaneo del Sacchetti, che
-nel <i>Centiloquio</i> ridusse in terzine la storia del Villani,
-ogni canto facendo di cento terzine, e acrostica la prima
-lettera di ciascun canto. Alquanto più tardi il Lazzero
-barbiere, bel capo e bizzarro, stendea componimenti di
-scelto e pulito parlare.
-</p>
-
-<p>
-E questo è particolare ai Toscani, che, mentre tutt’altrove
-non accade quasi menzione se non della vita signorile,
-fra essi il notajo, il mercante hanno storia in
-siffatti libri, a tacere anche qualche vita, estesa per
-famigliare onoranza. Moltissime di quelle carte giacquero
-dimentiche, molte furono edite, e ci porgono la
-<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span>
-più schietta dipintura del vivere domestico d’allora. Ed
-erano talvolta opera di gente minuta, che si gloriava
-del proprio mestiere, come altri farebbe del blasone.
-Uno scrive: — Io ebbi un avolo, e fu maniscalco, e fu
-tenuto il sommo della città sua; ebbe tre figliuoli. Cristofano
-appresso il padre tenne il pregio della mascalcìa,
-e avanzollo; mio padre avanzò Cristofano dell’arte in
-sua vita; onde, volendo il padre che appresso sè uno
-de’ figliuoli rimanesse all’arte, convenne a me lasciare
-lo studio della grammatica, come piacque a lui, e venire
-all’arte. Onde dinanzi a me furono di mia gente sei
-l’un presso all’altro, ciascuno maniscalco; ed io fui il
-settimo»<a class="tag" id="tag205" href="#note205">[205]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Guido dell’Antella, cominciando dal 1298, scriveva
-i casalinghi suoi ricordi, e come principiò a lavorare
-sotto negozianti, e per essi stette in Provenza, in Francia,
-a Napoli, in Acri, poi divenne loro socio, e tiene
-nota delle varie scritte relative a’ negozj e ai possessi
-suoi, o a’ matrimonj. I figliuoli continuano quelle note:
-or che si mena moglie con fiorini settecentotrenta
-d’oro, fra dote e doni; or che si compra una casa per
-fiorini ducentodieci; or che si prende una fante per
-fiorini sei l’anno, ovvero <i>una schiava</i> per lire trenta;
-or una balia per fiorini sedici d’oro che stia in casa;
-ovvero, se va fuori, le si dà cinquanta soldi il mese, e
-per corredo una zana, un mantellino con sedici bottoni
-a scodelline d’argento, un mantellino cilestro, una cioppolina
-mischia, cinque pezze lane, cinque fascie, quattordici
-pezze line, una coltricina, un guanciale con due
-foderuzze. Se s’appigiona una bottega, s’aggiunge al
-fitto un’oca grassa per l’ognissanti o per pasqua di Natale.
-Nei poderi si trova già introdotta quella società
-fra padroni e contadini che dicesi mezzeria, e che assicura
-<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span>
-al colono una protezione, e lo mette col padrone
-in comunanza d’interessi, d’affetti, quasi di famiglia:
-il padrone, oltre dare il fondo, si obbliga anticipare al
-villano il denaro per comprare buoi.
-</p>
-
-<p>
-Galgano Guidini a ventotto mesi restò privo del padre,
-il quale non gli lasciò che debiti; ma sua madre
-per allevarlo non si rimaritò più. Il nonno lo tolse in
-casa, e gl’insegnò a leggere e fin al Donato, poi lo
-mandò imparar grammatica a Siena: egli ben presto
-potè mettersi ripetitore, e infine passò notaro. Morto
-il nonno che aveva fatto un poco d’usura, sua madre
-fece restituzione. Galgano andò in qualità di notaro coi
-varj uffizj, e cominciò a guadagnare, far masserizia e
-comprare. Introdotto presso la beata Caterina, s’infervorò
-di lei e di Dio, sicchè voleva abbandonare il
-mondo, se sua madre non si fosse adoperata per fargli
-invece menar moglie. A Caterina viva e morta conservò
-sempre devozione, la richiedeva di consigli, tradusse
-in latino le opere che ella scriveva in italiano, perchè
-«chi sa grammatica o ha scienza, non legge tanto volentieri
-le cose che sono per vulgare». Ebbe molti figli,
-e «al primo (dice) posi nome Francesco, a riverenza
-di san Francesco mio devoto; e posimi in cuore che,
-a onore di san Francesco, io il farei frate dell’Ordine
-suo. E così voglio che sia». De’ figliuoli, i più dette a
-balia, alcuni la moglie <i>tenne a suo petto</i><a class="tag" id="tag206" href="#note206">[206]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di bizzarre avventure ci è narratore Bonaccorso Pitti,
-destro quanto un cavaliere di ventura del secolo passato.
-Ito in Prussia il 1376 a vendere zafferano, passò
-a Buda, ove s’infermò in un’osteria. Ed ecco una brigata
-di beoni che straviziavano e ballonzavano in un salotto
-vicino, ne odono il piagnucolìo, e lo tolgono dalla coltrice,
-e l’obbligano a ballare con loro; di che egli suda
-<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span>
-in modo che guarisce. Due giorni dopo giocando guadagna
-mille fiorini a un Fiorentino direttore della regia
-zecca, e procacciatisi sei cavalli, quattro servi, un paggetto,
-rivolgesi alla patria coll’avanzo di cento fiorini.
-Ivi prende capriccio per madonna Gemma, che stava a
-porta Pinti, e tanto fa che può entrarle in casa, e dirle
-l’amor suo; al che ella risponde, — Or bene, va difilato
-a Roma». Credendo darle prova d’amore coll’obbedienza,
-e’ va di fatto, traverso ai soldati papalini allora
-in guerra con Firenze, e dopo un mese ritorna sperando
-guiderdone. Ma la donna ridendo, — Non sai
-(gli dice) che a porta Pinti, quando vuolsi mandare uno
-colla malora, gli diciamo, <i>Va difilato a Roma?</i>»
-</p>
-
-<p>
-Militò col re di Francia alle battaglie d’Ypres e di
-Mons: arricchitosi in Inghilterra, riede a Parigi, e v’impiega
-diecimila fiorini in lana; ne guadagna al giuoco
-cinquemila al conte di Savoja, che non glieli pagò mai;
-e sposata una Albizzi nel 91, spedisce le sue lane da
-Parigi in due bastimenti, un per Genova pagando il
-nove per cento d’assicurazione, l’altro per Pisa pagandone
-il quattordici. Tornò a Parigi come mastro delle
-stalle del duca d’Orléans, e seppe ripicchiare le valenterie
-de’ baroni francesi. Fu de’ priori in Firenze nel 99,
-quando vagavano le processioni de’ Flagellanti. L’anno
-seguente fu spedito ambasciadore del Comune fiorentino
-all’imperatore Roberto, cui mise in guardia contro Galeazzo
-Visconti, e contro i pugnali e veleni che questo
-sapeva adoperare; di che Galeazzo gli volle tanto male,
-che bandì una taglia sul capo di esso. Era de’ consoli
-sopra la fabbrica di Santa Maria del Fiore, quando fu
-affidato a Brunelleschi il voltarne la cupola. Nel 1422
-fece pubblica perdonanza d’ogni ingiuria ai nemici,
-e specialmente ai Ruscoli, promettendo essi e lor discendenti
-trattarsi da amici. Nel 23, stando capitano a
-Castellaro in Romagna, scopre una congiura, e fa decapitare
-<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span>
-sette complici. Così prosegue il racconto, intarsiando
-i fatti pubblici co’ suoi personali, avvenimenti
-europei coi computi mercantili.
-</p>
-
-<p>
-Girolamo da Empoli scriveva la vita di Giovanni suo
-zio, mercante come lui e figlio di mercanti. A sette
-anni già leggeva il salterio, a tredici sapeva il latino e
-un po’ di greco, e suo padre gli facea ripetere le lezioni,
-e gli avea formato un libriccino dov’erano ritratte
-molte cose della sacra scrittura, e «su quello lo faceva
-studiare acciò ch’egli avesse notizia e che s’innamorasse
-delle cose di Dio». Il dì delle feste andava sempre ad
-una delle compagnie devote che aveva istituite frà Savonarola.
-Tirato al banco di suo padre, cambiò monete,
-delle quali assai forestiere conobbe in occasione che
-mezzo mondo andava al giubileo del 1500: uscì poi
-per mettersi ne’ negozj di Fiorentini a Lione, a Bruges
-a Lisbona, e fu inviato da essi a Calicut pel passaggio
-di mare frescamente scoperto. Quel viaggio ripetè egli
-tre volte, e ne mandava ragguagli a suo padre; e
-quando rivedea la patria, si divertiva con quei che
-sapevano di mappamondo ad indicarne i luoghi, e applicare
-i nomi de’ paesi veduti. Più volte tornò a Malacca
-e fin nella Cina, e morì a Canton il 1518.
-</p>
-
-<p>
-Sebbene finto per commedia, pure vedo il tipo dei
-massaj fiorentini nel Nicomaco atteggiato nella <i>Clizia</i>
-dal Machiavelli. — Soleva essere un uomo grave, risoluto,
-rispettivo; dispensava il tempo suo onorevolmente.
-E’ si levava la mattina di buon’ora, udiva la sua messa,
-provvedeva al vitto del giorno. Dipoi, se egli aveva faccenda
-in piazza, in mercato, a’ magistrati, e’ la faceva;
-quando che no, o e’ si riduceva con qualche cittadino
-tra ragionamenti onorevoli, o e’ si ritirava in casa nello
-scrittojo, dove egli ragguagliava sue scritture, riordinava
-suoi conti. Dipoi piacevolmente colla sua brigata
-desinava, e desinato, ragionava con il figliuolo, ammonivalo,
-<span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span>
-davagli a conoscere gli uomini, e con qualche
-esempio antico e moderno gl’insegnava a vivere. Andava
-dipoi fuora, consumava tutto il giorno o in faccende
-o in diporti gravi ed onesti. Venuta la sera,
-sempre l’avemaria lo trovava in casa; stavasi un poco
-con esso noi al fuoco, s’egli era d’inverno; di poi se
-n’entrava nello scrittojo a rivedere le faccende sue:
-alle tre ore si cenava allegramente. Questo ordine della
-sua vita era un esempio a tutti gli altri di casa, e
-ciascuno si vergognava non lo imitare».
-</p>
-
-<p>
-Nella portata dei beni che presentava il 1378, messer
-Francesco Rinuccini fa una lunghissima enumerazione
-di possessi e case: inoltre doveva avere dal Comune
-fiorini d’oro quattordicimila cinquecensettantaquattro,
-che sarebbero oggi più di trentottomila scudi; da varj
-privati duemila cinquecento; e morendo egli testò per
-cencinquantamila fiorini d’oro in contanti. Una famiglia
-così doviziosa componeasi del padre, sei figli maschi,
-una femmina, tre nuore, quattro figli de’ figli, quattro
-famigli, due fanti per conciare i cavalli, due fantesche,
-una balia, una cameriera, un ortolano colla moglie e
-un figliuolo, e otto cavalli.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1460 Cino di Filippo Rinuccini sposava Ginevra
-d’Ugolino di Nicolò Martelli, d’anni sedici, ricevendo
-in dote mille quattrocento fiorini d’oro, mille dei quali
-stavano sul Monte delle fanciulle, con altri ducento
-d’interesse, oltre le donora di fiorini ducento. Esso
-le regalò un vezzo di centotto perle, sei nel pendente, un
-rubino in tavola, un frenello di dugensessantuna perla,
-che si chiamava vespajo, da mettere in capo, il tutto
-in un astuccio di cuojo di Fiandra. Un’altra volta le
-portò venti perle da fare fruscoli per il capo, che
-eran once tre, e costarono fiorini dieci l’oncia; e in
-più volte gliene portò altre assai. Prese egli poi ad uso
-per sei mesi una collana d’oro con perle e rubini,
-<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span>
-per cui diede sicurtà di fiorini duecento. Regalò pure
-alla sposa un fermaglio da testa, un pajo di coltellini
-col manico d’argento dorato e smaltato alla parigina,
-un dirizzatojo d’argento colla guaina pur fornita d’argento.
-Al desinare di nozze furono trenta convitati, e
-la sposa ebbe in dono otto anelli con gioje che in
-tutto poteano valere cinquanta fiorini d’oro. Non manca
-neppur la nota delle donora recate dalla Ginevra<a class="tag" id="tag207" href="#note207">[207]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Con tali reggimenti, e col tenersi unite, le famiglie
-aumentavano di ricchezze, e di queste faceano comodità
-alla patria, o fabbricavano palazzi che poi divennero
-residenze di principi. Largheggiavasi pure assai
-nelle beneficenze, e alla distribuzione d’una limosina a
-Firenze nel 1330 si presentarono diciottomila mendichi
-«senza i poveri vergognosi e quelli degli spedali e religiosi
-mendicanti, che in disparte ebbero la loro parte
-di limosina, che furono più di quattromila»<a class="tag" id="tag208" href="#note208">[208]</a>. Sarà
-incredibile tanta quantità a chi non rammenti certe
-<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span>
-distribuzioni che oggi ancora si fanno tra noi per antico
-istituto, dove non il pitocco soltanto si presenta,
-ma tutti.
-</p>
-
-<p>
-D’altra parte in Firenze stessa troviamo una gioventù
-scapestrata, sciupona, disonesta, che logora la vita a
-bere e stripare, e mena a burle e strapazzo chi più ama
-la quiete. Alcuni s’erano messi insieme per molestare
-le persone tranquille; andarono da un medico fingendo
-che Cosmo de’ Medici lo chiedesse, e come fu a un
-ponte, lo snudarono e gli fecero sconcezze. A un prete
-collo stesso titolo fecero portare il viatico, accompagnandolo
-colle torce, poi spentele, il lasciarono al bujo.
-Il cavaliere del podestà fu preso da costoro, e tuffato
-in Arno, e legato nudo a una colonna, ove la mattina
-fu trovato<a class="tag" id="tag209" href="#note209">[209]</a>. Chi troppe più volesse sudicerie e
-frodi, non ha che a scorrere la seconda storia di Giovan
-Cavalcanti, che prologa dall’inveire contro «la
-perversa condizione, la insaziabile avarizia e la fastidiosa
-audacia de’ malvagi cittadini».
-</p>
-
-<p>
-Vero è che ciò avveniva quando la repubblica soffogava
-sotto l’incubo principesco; ma conviene conchiudere
-che in ogni tempo fu nugolo e sereno. Nè sobrj
-e pudichi erano i costumi di altre repubbliche; e Venezia,
-se non osiamo dire che fomentasse, tollerava la
-corruttela, tanto appiccaticcia in paese di estesi traffici
-e di accorrenti forestieri: per allettare questi si moltiplicavano
-le feste, e la maschera porgeva incentivo agli
-intrighi. Gli storici di Genova deplorano il lusso delle
-case, tutte a vasi d’argento e d’oro, e delle suntuose
-villeggiature nelle valli di Polcévera e di Bisagno. Un
-poeta astigiano, capitatovi verso il 1415, entrando di
-domenica rimase stupito del pubblico passeggio, le
-persone di qualità gli somigliarono tanti senatori
-<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span>
-romani in porpora, le donne tante Veneri col cinto dei
-vezzi: si scandolezzò d’alcune zitelle che stavano galantemente
-ai balconi delle case, motteggiando chi
-passava, presenti le madri. D’inverno e di primavera
-balli continui, e sin le fornaje vi portavano scarpe di
-seta guarnite a perle. L’estate uscivano tutti alla campagna,
-non ritenuti nè da impieghi nè da negozj; ma
-al fresco orezzo, alla serenità marina davansi all’ozio
-e alla gola. Anche i poveri volevano scialare i dì festivi;
-accattavan dal rigattiere un abito vecchio di seta, e per
-le colline dell’intorno sbevazzavano le limosine raccolte
-e le mercedi<a class="tag" id="tag210" href="#note210">[210]</a>. Il Comune di Torino nel 1436 appigionava
-una casa a un Ginevrino per tenervi postribolo,
-esente da alloggi e servizio militare e dalla tassa pel
-vino che vendeva: le donne non uscissero senza licenza
-di lui, e non fosse aperto che a sportello: esse doveano
-portare per distintivo un’aguglietta sulla spalla sinistra,
-e tutti i giorni andare a messa in San Dalmazzo<a class="tag" id="tag211" href="#note211">[211]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di rozzi sentimenti, vale a dire senza rispetto alla
-dignità dell’uomo, ci sono prova i feroci supplizj, consueti
-siccome sa chi appena scorse una storia o cronaca
-qualunque. Nei registri della Camera dei conti di Torino
-è notato che Giovanni Gujoto falsomonetiere fu
-tenuto in cattura per ventun giorno, poi bollito e
-morto: e pel nolo della caldaja, il ferro posto attraverso
-di essa per legarlo, le corde, l’olio, la legna, il
-carbone, gli si dà debito. Filippo di Vigneulles, che
-dimorò a Napoli nel 1487, vi vide bruciare uno per
-delitto contro natura; mozzar le mani a un altro che
-avea battuto un sergente; impiccato uno per aver tagliato
-monete; tre impiccati e arsi per moneta falsa, i
-quali sarebbero stati cotti nell’olio se non fossero intervenute
-<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span>
-preghiere istantissime<a class="tag" id="tag212" href="#note212">[212]</a>. Se pigliamo una delle
-cronache più modernamente pubblicate, quella del Graziani,
-in solo poche carte troviamo che nel 1441 a Perugia
-ad un tal Luca per istromento falso venne ficcato
-nella lingua un uncinetto di ferro, legato a uno spago
-in modo che dovesse tenerla sporgente; e così sopra
-una carretta colla mitera in capo fu condotto al luogo
-dell’esecuzione: la lingua che già gli si era stracciata,
-ivi gli fu mozza, e così le mani, e i moncherini gli
-vennero stretti fra due carrucole; una mano fu affissa
-sulla porta del palazzo, l’altra e la lingua sotto una gran
-pietra del chiostro di San Lorenzo. L’anno seguente,
-uno che aveva morto un suo compagno con un’accetta,
-poi gettatolo nel Tevere con una pietra al collo, fu menato
-al supplizio con al collo la pietra stessa; poi tre
-manigoldi col cappuccio in capo, uno gli diè tre colpi
-in fronte coll’accetta, l’altro gli segò le vene della gola,
-il terzo lo sparò e cavogli le interiora; poi squartato fu
-sospeso in quattro luoghi.
-</p>
-
-<p>
-E poichè siamo con Perugia, aggiungeremo come il
-suo statuto del 1342 punisce il fatucchiere col fuoco, se
-non paga quattrocento lire fra dieci giorni: di fatto nel
-1445 una Santuccia, <i>indovina e faturaja</i>, vi fu arsa,
-menandola al supplizio sopra un asino colla faccia volta
-alla groppa, e con due demonj a lato che le tenevano
-una mitera in capo<a class="tag" id="tag213" href="#note213">[213]</a>. A Firenze nel 1436
-Angiola da Runci fu mandata a morte perchè maliarda,
-con cappelli di morti in capo, e borsa e moneta e
-molti brevi (<span class="smcap">Cambi</span>). Credevasi che gli eretici usassero
-arti diaboliche: essi allevare e creare serpenti, essi
-eccitar procelle, essi a cavalcione della scopa recarsi ai
-sabati, ove godeano banchetti e abbracciamenti col
-<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span>
-diavolo chiamato Martino. Eugenio IV, in una bolla data
-da Firenze il 10 aprile 1439 contro i padri del concilio
-di Basilea, scagliasi pure contro i Valdesi e gli stregoni
-che infestavano le provincie di Amedeo VIII di Savoja:
-e sappiamo che molti processi furono seguiti da sanguinose
-condanne ne’ paesi montani, della Svizzera
-principalmente, e in Francia. Avea dunque riacquistato
-fede, e non solo vulgare, ma legale questa pagana follia
-del gettare incanti, la quale giganteggiò poi miserabilmente
-nel secolo xvi.
-</p>
-
-<p>
-Gli alchimisti continuavano i loro sperimenti di tramutazione,
-e nel 1330 Pietro il Buono ferrarese compose
-a Pola la <i>Margarita pretiosa</i>, combattendo l’alchimia
-non con fatti ma con argomentazioni, siccome allora
-si usava. «Nessuna sostanza (dic’egli) può essere tramutata
-in altra specie se non sia prima ridotta ne’ suoi
-elementi: ma l’alchimia è scienza positiva. Berigardo
-da Pisa racconta che la tramutazione non credeva possibile,
-fintantochè un valentuomo non gli diede un grosso
-di polvere simile a quella del papavero selvatico, e dell’odore
-di sal marino calcinato. «Comprai io stesso il
-crogiuolo, il carbone, il mercurio in botteghe diverse,
-per impedire che in alcuno si fosse messo dell’oro,
-come si pratica da’ ciarlatani. Sopra dieci grossi di
-mercurio aggiunsi una presa di polvere; esposi tutto a
-fuoco assai vivo; e in breve la massa si trovò convertita
-in quasi dieci grossi d’oro, riconosciuto purissimo da
-diversi orefici. Se ciò non mi fosse accaduto fuor della
-presenza di qualunque estrano, dubiterei di frode: ma
-posso attestare con asseveranza che la cosa è così»<a class="tag" id="tag214" href="#note214">[214]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Più estesa credenza otteneva l’astrologia, poichè la
-smania di conoscere l’occulto è più vigorosa quanto è
-men suscettivo di precisione l’oggetto cui si dirige, e il
-<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span>
-campo del meraviglioso è più largo quanto più angusto
-quel della scienza. Troppi esempj ne vedemmo, e da
-essa faceano dipendere i loro consigli Filippo Maria
-non meno che la colta Firenze o la savia Venezia; le
-Università ne teneano cattedre. Cecco Stabili d’Ascoli
-ancora giovane professò astrologia in Bologna, e in un
-commento sopra la sfera di Giovanni di Sacrobosco
-pose che nelle sfere superiori v’ha generazioni di spiriti
-maligni, i quali per incantesimi si possono costringere
-a opere meravigliose: queste ed altre follie lo fecero
-sospetto all’Inquisizione, che lo mandò al rogo<a class="tag" id="tag215" href="#note215">[215]</a>.
-Il Petrarca recitava nel duomo di Milano l’orazione
-inaugurale dei nipoti di Giovanni Visconti, quando l’astrologo
-gliela interruppe, perchè avea scoperto essere
-quello il punto della più benigna congiunzione dei pianeti.
-Per osservazione di astri fondaronsi nel 1470 il
-castello di Pesaro, nel 92 i bastioni di Ferrara, nel 99
-la rôcca della Mirandola: nel 94 i Fiorentini conferirono
-il bastone di capitano generale a Paolo Vitelli nell’ora
-designata propizia dalle stelle.
-</p>
-
-<p>
-Giovan Villani, mercadante positivo e di buon senso,
-a cui il maneggiare il braccio e le bilance non toglieva
-d’adoprarsi ne’ primarj uffizj della patria, vedendo la
-grandezza di Castruccio signor di Lucca minacciare di
-servitù l’intera Toscana, ne scrisse a frà Dionisio da
-San Sepolcro, maestro a Parigi <i>in divinitade e filosofia</i>,
-per sapere cosa gliene preconizzassero gli astri. E quello
-gli rispose: — Io vedo Castruccio morto». Arrivò la
-<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span>
-risposta quando Castruccio era nel più vivo della vittoria,
-onde il Villani la tenne celata, e ne rescrisse al frate;
-il quale rispose: — Io raffermerò ciò che io scrissi per
-l’altra lettera. Se Dio non ha mutato il suo giudizio e il
-corso del cielo, io veggo Castruccio morto e sotterrato».
-E quando la seconda lettera capitò a Firenze, Castruccio
-appunto era cadavere; e il Villani la mostrò a’ priori
-suoi compagni, i quali «convennero che di tutte le sue
-parti il giudicio di maestro Dionisio fu profezia». Questo
-frate fu in molta grazia a Roberto re di Napoli, che lo
-pose vescovo di Monopoli; e in molta stima al Petrarca,
-che morto lo pianse in versi, lodandogli sovratutto la
-sapienza del leggere negli astri<a class="tag" id="tag216" href="#note216">[216]</a>: il Petrarca, che
-pur berteggiava i medici e la medecina.
-</p>
-
-<p>
-Del suo tempo, un incessante piovale ingrossò le acque
-dell’Arno per modo, che coprì tutto il Casentino, il pian
-d’Arezzo, il Valdarno superiore e le campagne attorno
-a Firenze, e la città stessa credette arrivato l’ultimo suo
-giorno. Cessato il flagello, i savj posero in disputa se
-fosse venuto per giudizio di Dio o colpa degli uomini;
-e il Villani prendendo l’opinione media, che è sempre
-la più cauta e non di rado la vera, crede «che il
-corso del sole s’accordasse in ciò a punire i peccati dei
-Fiorentini». E soggiunge: — La notte che cominciò il
-detto diluvio, uno santo romito nel suo solitario romitorio
-di sopra alla badia di Vallombrosa istando in orazione,
-sentì e visibilmente udì uno fracasso di demonj
-e di sembianza di schiere di cavalieri armati, che cavalcassero
-a furore. E ciò sentendo il detto romito, si fece
-il segno della santa croce, e fecesi al suo sportello, e
-vide la moltitudine de’ detti cavalieri terribili e neri; e
-<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span>
-scongiurando alcuno dalla parte di Dio che gli dicesse
-che ciò significava, e’ gli disse: <i>Noi andiamo a sommergere
-la città di Firenze per li loro peccati, se Iddio
-il concederà</i>. E questo io autore ebbi dall’abate di
-Vallombrosa, uomo religioso e degno di fede, che disaminando
-l’ebbe dal detto romito»<a class="tag" id="tag217" href="#note217">[217]</a>. I Fiorentini
-riconoscendo il giudizio di Dio, pensarono a migliorarsi,
-lasciando i mali guadagni, l’avarizia, la vanità,
-i soprusi fatti ai vicini: e conseguenza buona veniva da
-una cattiva premessa.
-</p>
-
-<p>
-Forse per ciò gli ecclesiastici parvero talora consentire
-a simili ubbìe, ma le più volte li troviamo rappresentare
-il buon senso; e il famoso frà Giovanni da Schio
-disapprovava gli strologamenti, e frà Giordano da Rivalta
-sulla piazza di Santa Maria Novella a Firenze
-predicò contro chi prestava fede agli influssi delle
-stelle<a class="tag" id="tag218" href="#note218">[218]</a>. Famoso in questi errori fu Pietro d’Abano,
-il quale dalla congiunzione de’ pianeti deduceva il cambiar
-di regni, di leggi, di religioni, e le venute di
-Nabucco, Mosè, Alessandro Magno, del Nazareno, di
-Maometto<a class="tag" id="tag219" href="#note219">[219]</a>. Il Landino commentando Dante scriveva: — È
-certo che nel 1483 a’ 25 novembre avrà
-luogo la congiunzione di saturno con giove in scorpione,
-<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span>
-lo che annunzia cambiamento di religione; e poichè
-giove prevale a saturno, il cambiamento sarà in meglio».
-Per istrana coincidenza, Lutero nacque il 22 di quel
-novembre. Quando Pico della Mirandola combattè
-l’astrologia, ne venne scandalo, e Luca Bellanti famoso
-astronomo tolse a confutarlo, deplorando che un nome
-sì illustre fosse deturpato col pubblicare quell’opera;
-e allorchè questi morì giovane come gli aveano predetto,
-si volle vedervi un castigo alla sua incredulità.
-</p>
-
-<p>
-Nuovo malanno fu nel 1322 l’arrivo degli Zingari,
-gente indiana, che diceva provenir dall’Egitto, e sotto
-un duca passava di terra in terra mendicando, rubando,
-dicendo la ventura, e professando volersi recare ai piedi
-del papa, al quale del resto non credeva meglio che a
-chicchessia altro, intendendo solo a guadagni, comunque
-turpi ne fossero i modi. «A dì 18 di luglio venne
-in Bologna un duca d’Egitto, il quale avea nome il duca
-Andrea; e venne con donne e putti e uomini del suo
-paese; e poteano essere ben cento persone... Aveano
-un decreto del re d’Ungheria ch’era imperadore, per
-vigor di cui essi poteano rubare per tutti quei sette anni
-per tutto dove andassero, e che non potesse esser fatta
-loro giustizia. Sicchè quando arrivarono a Bologna,
-alloggiarono alla porta di Galliera dentro e di fuori; e
-dormivano sotto i portici, salvo che il duca alloggiava
-nell’albergo del re. Stettero in Bologna quindici giorni.
-In quel tempo molta gente andava a vederli per rispetto
-della moglie del duca, che sapeva indovinare e dir quello
-che una persona dovea avere in sua vita, ed anche quello
-che avea al presente, e quanti figliuoli, e se una femina
-era cattiva o buona, o altre cose. Di cose assai diceva
-il vero... Pochi vi andavano che loro non rubassero la
-borsa, o non tagliassero il tessuto alle femine. Anche
-andavano le femine loro per la città a sei e a otto insieme;
-entravano nelle case de’ cittadini, e davano loro
-<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span>
-ciancie; alcune di quelle si ficcava sotto quello che
-poteva avere. Anche andavano nelle botteghe, mostrando
-di voler comperare alcuna cosa, e una di loro
-rubava...»<a class="tag" id="tag220" href="#note220">[220]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Più si ampliavano i principati e più il lusso; e la
-calata di Federico III, non accompagnato da armi, diede
-occasione a grandiose feste, volendo i signorotti far
-dimenticare le recenti usurpazioni collo sfoggiare suntuosità
-e regali. Re Alfonso di Sicilia spese in onorarlo
-cencinquantamila fiorini, diede una caccia numerosissima,
-un desinare che mai il simile, dove vivande più
-costose che delicate mangiavansi in piatti d’argento,
-confetti d’ogni specie si gettavano, le fontane zampillavano
-di greco e moscatello, e ognuno potea berne in
-tazze d’argento<a class="tag" id="tag221" href="#note221">[221]</a>. Federico ricambiava col profondere
-titoli, de’ quali d’allora in poi si fece bottega; e
-più dacchè egli concesse ad altri il diritto di conferirne.
-Altrettanto fece Renato a Napoli; e questi nuovi
-titolati amarono lo sfarzo, e credettero dignità il sottrarsi
-agli uffizj, vivere nell’ozio decorato, far frasche,
-e stare sul punto del convenevole.
-</p>
-
-<p>
-Galeazzo Maria Sforza, appena succeduto duca, di sue
-ricchezze volle dare spettacolo recandosi a Firenze con
-Bona di Savoja sua moglie. «Seco avea i principali
-suoi feudatarj e consiglieri, tutti dal liberalissimo duca
-presentati di panno d’oro e d’argento; i famigli loro
-oltramodo a nuove foggie erano in ordine. I cortigiani,
-provvigionati dal principe, erano vestiti di velluto ed
-altri finissimi drappi di seta, e similmente i suoi camerieri
-con risplendenti ricami; e tra questi glie n’era
-quaranta, ai quali avea donato una collana d’oro, e
-quella di manco prezzo era di valore di cento ducati.
-<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span>
-Cinquanta staffieri avea, tutti vestiti con due foggie,
-l’una di panno d’argento, e l’altra di seta; e infino ai
-servitori di cucina erano vestiti a diversi velluti e rasi.
-Cinquanta corsieri faceva condurre seco con le selle di
-panno d’oro, staffili tessuti di seta e le staffe dorate; e
-sopra i possenti cavalli erano puliti ragazzi; tutti vestiti
-con giuppon di panno d’argento, ed una giornea di seta
-alla sforzesca. Per la guardia di sua eccellenza avea
-cento uomini d’arme scelti, tutti a modo di capitani in
-ordine, e cinquecento fanti eletti; ed ognuno dal principe
-era stato presentato. Per la duchessa avea deputato
-cinquanta chinee, e tutte con le sue selle e fornimenti
-d’oro e d’argento, sopra i suoi paggi riccamente vestiti;
-dodici carrette avea, e tutte con le coperte di panno
-d’oro e d’argento recamate alle ducali insegne. I materassi
-dentro e piumacci erano di panno d’oro liccio
-sopra liccio, alcuni d’argento, ed altri di raso cremisino,
-e fino a’ fornimenti di cavalli erano coperti di seta. Fu
-questa comitiva di duemila cavalli e ducento muli da
-carriaggio, tutti ad una foggia, di coperta ch’era di
-damasco bianco e morello, ed il ducale in mezzo recamato
-di fino oro ed argento, ed i mulattieri vestiti di
-nuovo alla sforzesca. Dietro ancora si faceva condurre
-il duca cinquecento coppie di cani di diverse maniere,
-e grandissimo numero di falconi e sparvieri. I trombetti
-e i pifferi furono quaranta, molti buffoni avea, ed
-altri con diversi strumenti a sonare. Si trova questo apparato
-solo essere costato ducentomila ducati» (Corio).
-</p>
-
-<p>
-Giunti a Pontremoli, presero alloggio nella fortezza
-per onorare l’immagine di Maria Annunziata, che poco
-avanti era stata posta in venerazione<a class="tag" id="tag222" href="#note222">[222]</a>. A Firenze
-i Medici non vollero restare di sotto, e poterono aggiungervi
-finezza di belle arti; la città mantenne del
-<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span>
-pubblico quel corteggio, e offrì tre rappresentazioni
-sacre, l’Annunziazione in San Felice, l’Ascensione ne’ Carmelitani,
-la discesa del Paracleto in Santo Spirito, che
-infelicemente prese fuoco. Ai buoni dolse che quella
-comparsa introducesse un lusso fra loro inusato; e
-certo la splendidezza dovette trascendere ogni misura
-quando vi mettean gara lo Sforza, il magnifico Lorenzo,
-Sisto IV e i suoi nipoti Pietro e Gerolamo Riario. Borso
-d’Este pregiavasi di possedere i migliori falconi, i più
-bravi cani, i più pregiati destrieri; da settecento cavalli
-avea nelle scuderie, da cento falconieri; e andando
-a caccia, tutta la presa lasciava a chi l’accompagnasse.
-Tenea molti buffoni, tra cui uno Scopola ebreo ricreduto,
-e fors’anche il Gonnella glorioso matto, rimasto
-in popolare nominanza come il Meliolo, e più tardi frà
-Mariano e frà Serafino alla corte d’Urbino.
-</p>
-
-<p>
-Gran lusso sfoggiavasi pure nelle ambascerie; e
-quando Luigi XI succedette re di Francia, e tutta Italia
-mandò a congratularlo, per Firenze v’andò Pietro dei
-Pazzi, con una suntuosità che mai la maggiore di vesti,
-gioje, famigli, ragazzi, cavalli, tanto che si volle girasse
-per la città affinchè il popolo godesse di quella pompa
-senza eguale. Alla corte «mutava ogni dì una vesta o
-due, e tutte ricchissime, e il simile la famiglia sua ed
-i giovani ch’eran con lui... Donò sì per la comunità,
-come di sua proprietà, a tutti quelli della corte del re
-in modo, che non vi fu niuno ambasciadore che facesse
-quello che fece Piero». Nel ritorno «gli vennero incontro
-tutti gli uomini di condizione; tutte le strade e
-finestre erano piene. Entrò colla famiglia sua, tutta
-vestita di nuovo ornatissimamente, in cioppe di seta,
-e con perle alle maniche ed al cappello di grandissima
-valuta»<a class="tag" id="tag223" href="#note223">[223]</a>. Costui andava da Firenze alla sua villa a
-<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span>
-piedi, tra via mettendosi a mente la Eneide, i Trionfi
-del Petrarca, e molte orazioni di Livio.
-</p>
-
-<p>
-Allorchè Gian Galeazzo menò moglie Isabella d’Aragona,
-un Bergonzo Botta ricevette gli sposi a Tortona
-in magnifici appartamenti, e li servì d’un pasto in luogo
-ameno, fra dolce armonia, durante il quale comparvero
-atteggiando e figurando Giasone col vello d’oro, Apollo
-pastore, Diana cacciatrice, Orfeo cantante, Atalanta col
-cinghiale caledonio, Iride, Teseo, Vertunno, quante ha
-insomma divinità la mitologia, ognuno offrendo doni
-da par suo. Ebe versava nettare e ambrosia; Apicio
-distribuiva salse sulle vivande; il Po, l’Adda, il Ticino
-acque mellificate; il Verbano e il Lario abbondanza di
-cibi. Levate poi le tavole, rappresentossi uno spettacolo
-di personaggi storici ed allegorici: Semiramide, Elena,
-Medea, Cleopatra cantavano i loro vanti vergognosi;
-ed erano messe in isbaratto dalla Fede conjugale, che
-introduceva Lucrezia, Penelope, Giuditta, Porzia, Sulpicia
-a celebrare la modestia e il pudore. Infine Sileno
-ubriaco divertì col suo barcollare e cogli stramazzi<a class="tag" id="tag224" href="#note224">[224]</a>.
-In Milano poi Leonardo da Vinci diresse le feste e formò
-una macchina figurante il cielo con tutti i pianeti, rappresentati
-da numi che aggiravansi secondo le leggi
-loro; e in ciascuno risedeva un musico, il quale cantava
-le lodi degli sposi.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1473, passando Eleonora d’Aragona per Roma
-col concorso di più di quarantamila cavalli, il cardinale
-Riario diede feste solennissime, coperta d’arazzi la
-piazza de’ Santi Apostoli, con tre sale d’indicibile splendidezza,
-e quattordici camere tappezzate una più riccamente
-dell’altra, con letti di raso, di damasco, di panno
-d’oro, e lenzuoli di tela rensa d’un solo pezzo, e pelliccie.
-«A volere scrivere della magnificenza di questo
-<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span>
-inclito monsignor San Sisto (esclama il Corio) troppo
-sarebbe lungo, e non frate, ma parea figliuolo di Cesare
-primo imperatore: qui tutto mi perdo, nè sapria,
-non che dire, ma, pur anche memorare una minima
-parte». Le tavole erano servite tutte in argento, nè
-verun piatto mai si portò via dalla credenza; le vivande
-figuravano bestie e storie. Vi fece da’ Fiorentini rappresentare
-la Susanna «coi più veri atti e più attentamente
-che si potesse stimare»; poi ne’ giorni seguenti
-san Giovanbattista, san Giacomo, Cristo che vuota il
-limbo; e più spettacoloso il tributo che tutto il mondo
-portava a Roma, ove difilaronsi settanta muli carichi,
-copertati di panno con l’arma<a class="tag" id="tag225" href="#note225">[225]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di molti di siffatti spettacoli (Cap. <span class="smcap lowercase">XCVIII</span>) abbiamo
-lo scritto, o vogliam dire una tessera, come quella a
-un bel circa che si costumava testè nelle commedie a
-soggetto. Nell’adorazione de’ Magi avevano personaggio
-il bambino Gesù, un angelo, i tre re, Erode, suo figlio,
-uno scudiere, un coro d’angeli, e pastori, oratori o
-interpreti, scribi, donne, levatrici, popolo e un cantore
-col suo coro. Nel mistero della Risurrezione figuravano
-Cristo, or sotto apparenza di giardiniere, or nella sua
-propria, due angeli, tre Marie, Pietro, Giovanni, apostoli
-e popoli: e prima atteggiavano tre monache vestite da
-Marie, dicendo piano e mestamente certe strofe alternative,
-che sono imprecazioni contro gli Ebrei<a class="tag" id="tag226" href="#note226">[226]</a>;
-entrate nel coro, dirigevansi alla tomba; un angelo sustante
-innanzi al sepolcro, in veste dorata, con mitra
-in capo, nella mano sinistra una palma, nella destra
-un candeliere col clero, dicea versi rimati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span>
-</p>
-
-<p>
-Facilmente riconoscete in ciò le origini del teatro.
-Benchè questo fosse ito a fondo colla coltura romana,
-pure non si cessò affatto di scrivere a modo di rappresentazioni;
-e l’erudita pazienza trasse fuori alcune
-composizioni di forma e talora anche di soggetto antico<a class="tag" id="tag227" href="#note227">[227]</a>,
-e massime dialoghi a modo delle Bucoliche
-di Virgilio, da leggersi e forse atteggiarsi alle mense
-singolarmente de’ vescovi, e drammi per eccitare la
-devozione o alleviare la noja de’ chiostri. Ma se la
-musa tragica latina ne’ suoi splendidi giorni nulla avea
-prodotto di duraturo, poteva sperarsene allora? In
-effetto sono rozze vesti all’antica, raffazzonate a concetti
-nuovi, e che basta l’avere accennato. Comparvero
-poi i trovadori, che nelle sale dei grandi rappresentavano
-anche commediole. Gli statuti di Bologna vietano
-ai cantatori francesi di trattenersi su per le piazze
-a recitare. Una cronaca milanese rammenta il teatro,
-ove «gli istrioni cantavano, come or si canta di Rolando
-e Oliviero, e finito il canto, buffoni e mimi toccavano
-la ghitarra, e con decente moto del corpo
-aggiravansi»<a class="tag" id="tag228" href="#note228">[228]</a>; ed Albertino Mussato cita come
-vetusto costume di cantare in palco e in teatro imprese
-di re e di capitani. Anselmo de Faydit provenzale
-vendeva commedie e tragedie, e per Bonifazio marchese
-di Monferrato scrisse l’<i>Heresia dels Preyres</i>,
-che fu rappresentata<a class="tag" id="tag229" href="#note229">[229]</a>. Spesso i concilj ne mandarono
-divieti, come incentivo di profanità; Tommaso
-d’Aquino disputava se uno, privo d’altro mezzo, potesse
-esercitare l’istrionato: tant’era lungi che quest’arte
-fosse perita.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span>
-</p>
-
-<p>
-Se rozzi esser dovessero di forme quei teatri e nulla
-l’arte dello sceneggiare, non domandate; strani anacronismi
-vi si mescolavano a sconvenienze, ma ogni
-cosa era sostenuta da un apparato di macchine e di
-spettacolo che lusingava il vulgo. Scelto un fatto, metteasi
-in azione un accidente dopo l’altro, senza darsi
-briga di unità o d’interesse: non bastava un giorno?
-seguitavasi per due o più. Non erano dunque tragedie
-o commedie, drammi o farse o di qualsiasi altra classificazione
-da precettore, ma spettacoli, ed ogni cosa
-vi serviva, la natura e l’arte, la musica e la pittura, il
-cantastorie e il banderajo.
-</p>
-
-<p>
-Drizzatisi gl’ingegni allo studio degli antichi, si tentò
-calzare il socco e il coturno di essi. Il monumento più
-antico che resti in Italia è l’<i>Eccerinis</i> di Albertino
-Mussato, sul gusto di Seneca, ma misto di racconto
-e dialogo. Nel primo atto, la madre narra ad Ezelino
-ed Alberico da Romano averli essa concepiti dal demonio:
-nel secondo, un messaggere espone i mali
-della patria e le fortune del tiranno: nel terzo, Ezelino
-in Verona divisa col fratello altre malvagità da aggiungere
-alle antiche, poi udita la presa di Padova, accorrono
-alla riscossa, e il coro espone la spedizione e
-la vittoria d’Ezelino, il suo ritorno a Verona e il macello
-de’ prigionieri: nel quarto, un messaggero riferisce
-la guerra di Lombardia, la crociata e la morte
-del tiranno: il quinto presenta la morte d’Alberico.
-Le passioni vi sono espresse non senza forza, ben divisate
-la storia e il costume, continua l’ispirazione nazionale,
-e non infelice la latinità. La prevalenza del
-racconto sopra il dialogo eragli comune colle altre
-rappresentazioni d’allora, e ci ajuta a comprendere il
-titolo di commedia applicato da Dante al suo poema:
-lo scegliere poi argomenti contemporanei e trattarli
-senza catene d’unità drammatiche, era un altro passo
-<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span>
-degli originali cominciamenti della nostra letteratura.
-</p>
-
-<p>
-Esso Mussato dettò sei altri drammi; di cui ci resta
-la <i>Morte d’Achille</i>. Citansi di quel torno una commedia
-sull’espugnazione di Cesena ed una sopra Medea,
-che a torto vollero attribuirsi al Petrarca. Pier Paolo
-Vergerio ancora giovane scrisse una commedia <i>ad
-juvenum mores corrigendos</i>; Leon Battista Alberti la
-<i>Philodoxeos</i>, la <i>Philogenia</i>; Ugolino Pisani da Parma;
-e Gregorio Cornaro veneto una tragedia, la <i>Progne</i>.
-</p>
-
-<p>
-Sempre più gl’istinti della letteratura del medioevo
-soccombeano all’arte erudita; e col solito vezzo di
-credere barbarie qualunque passo arrischiato fuori del
-sentiero classico, si volle dire che Pomponio Leto fosse
-il primo a instaurare il teatro, perchè ne’ cortili dei
-prelati facea rappresentare commedie di Terenzio e
-di Plauto. Altre Corti vollero quel lusso, massime i
-principi di Ferrara, il cui teatro vinse gli altri in magnificenza,
-e primamente vi si rappresentarono commedie
-in rima. A Mantova si vide poi una produzione
-che tolse il grido a tutte le precedenti, l’<i>Orfeo</i> del
-Poliziano, azione regolare e poesia elettissima, che conserva
-ancora tutta la ricchezza de’ primitivi componimenti
-scenici, complesso delle arti tutte. Dopo il prologo,
-nel quale è esposto il soggetto in ottave, viene
-un atto pastorale, tutto idillio; ne segue uno ninfale,
-ove le Driadi lamentano la morte d’Euridice; poi un
-eroico coi pianti d’Orfeo, e sempre varietà di metri, e
-fin versi latini, acciocchè niun lacchezzo mancasse allo
-spirito: il quarto atto necromantico presenta la calata
-d’Orfeo all’inferno, ove da Plutone e Proserpina ottiene
-di ricondurre Euridice, ma poi la riperde per
-aver violato la legge dell’abisso: si chiude con un atto
-baccanale, pieno dell’esultanza brindante delle Menadi
-ucciditrici d’Orfeo.
-</p>
-
-<p>
-Pure le rappresentazioni teatrali s’atteneano di preferenza
-<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span>
-ai soggetti sacri, chiamale storie, esempj,
-spettacoli, misteri, vita, martirio, secondo il contenuto.
-Le più stendeansi in ottave, non divise in atti e scene
-ma in giornate, e si recitavano con una specie di cantilena,
-oltre gl’intermezzi propriamente in canto, e con
-ricchissimo corredo di macchine, prospettive, comparse,
-balli, giostre, a studio de’ migliori artisti. Atteggiavano
-giovinetti ascritti alle confraternite, nelle quali s’affratellavano
-i gran signori coi più poveri. A Roma si
-diede la <i>Passione di Cristo</i>, opera di Giuliano Dati,
-Bernardo di mastro Antonio Romano, e Mariano Particappa;
-a Firenze la <i>Rappresentazione e festa d’Abramo
-e Isacco suo figliuolo,</i> di Feo Belcari; a Modena
-i <i>Miracoli di san Geminiano</i>; Bernardo Pulci
-fece <i>Barlaam e Giosafat</i>, Antonio Alamanni la <i>Conversione
-della Maddalena</i>, Roselli il <i>Sansone</i>, Lorenzo
-Medici la <i>Rappresentazione di San Giovanni e Paolo</i>,
-dove sono ritratte le lotte del cristianesimo contro l’ipocrisia
-di Giuliano. Ben sessantasette di siffatti drammi
-a stampa enumera il Cionelli nelle note alle poesie di
-esso Lorenzo, e la collezione più copiosa sta nella
-libreria palatina di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo andava matto di burlette e scede, e man
-mano che svolgevansi i dialetti nuovi, s’introduceva
-una caricatura che parlasse in quelli, e personificasse
-il carattere delle varie genti italiche. Bologna la dotta
-contribuiva il suo Dottor Ballanzoni, Venezia il Pantalone
-Onesto negoziante, Bergamo il lepido Arlecchino,
-Napoli l’arguto Pulcinella e il Coviello e il Pulcariello ed
-altri<a class="tag" id="tag230" href="#note230">[230]</a>, che tinta la faccia di fuligine e villescamente
-<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span>
-calzati, davano sollazzo al popolo, e faceano ridere le
-une città a spalle delle altre nemiche o rivali. E le
-maschere piacquero a lungo perchè usavano il parlare
-spigliato e spontaneo de’ vulgari, anzichè l’artifiziato
-de’ letterati, al primo de’ quali sono affisse cento care
-memorie, nessuna all’altro.
-</p>
-
-<p>
-Nè ai nostri avi erano insoliti i giuochi di sorte,
-passione violenta de’ Germani fin prima che uscissero
-dalle selve natìe. Indarno la Chiesa vi pose argine, indarno
-le repubbliche; ma alcune di queste vollero
-specularvi sopra, dando in appalto il diritto di tener
-case di giuoco o biscazze; e Venezia ne concedette il
-privilegio a quel Barattiere che si dice alzasse le colonne
-sulla Piazzetta.
-</p>
-
-<p>
-Del lotto è menzione in un editto del 9 gennajo 1448,
-quando (invenzione di Cristoforo Taverna banchiere di
-Milano) si proposero alla fortuna sette borse, la prima
-con cento ducati, con settantacinque la seconda, e via
-digradando. Ogni posta costava un ducato; e nell’invito
-si moveva calda esortazione a profittare di quell’insigne
-benefizio di Dio, nè lasciarsi scappare il destro
-d’arricchire con sì poco; — tant’è vecchia l’arte di
-ciurmare il povero popolo. Siffatta maniera corse per
-Italia col nome di borse della ventura: poi al 1550 si
-stabilì regolarmente in Genova, con tanto profitto agli
-imprenditori, che la repubblica ne volle una tassa di
-sessantamila lire delle sue, cresciuta poi passo passo,
-tanto che nel 1730 ne traeva trecensessantamila. Gli altri
-governi affrettaronsi ad imitarla, acciocchè il denaro
-non uscisse di paese<a class="tag" id="tag231" href="#note231">[231]</a>. Clemente XI escluse con
-<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span>
-bolla severissima il lotto da’ suoi Stati, dannando alle
-galere i contravventori, e dicendo voler liberare i
-popoli da quella maligna sanguisuga; ma sotto Innocenzo
-XIII s’aggiunse nel lotto di Roma l’aumento del
-venti per cento sugli ambi, e dell’ottanta per cento sui
-terni. E l’immorale gabella si propagò, senza che si
-pensi abolirla, ad un sordido lucro posponendo la depravazione
-popolana.
-</p>
-
-<p>
-Gli scacchi, invenzione orientale, sono spesso mentovati,
-e forse ce ne fu portato l’uso dalle crociate<a class="tag" id="tag232" href="#note232">[232]</a>.
-<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span>
-Delle carte, non mai mentovate dall’antichità classica,
-l’uso e le sottilissime combinazioni, che faceano dire
-a Leibniz in nulla aver gli uomini adoprato tanto ingegno
-quanto ne’ giuochi, ci arrivarono dall’Oriente
-per la Spagna. Di buon’ora entrò il lusso in quella
-vanità, sicchè Filippo Maria Visconti nel 1430 pagava
-millecinquecento monete d’oro un mazzo di carte dipinto
-da Marziano da Tortona. Per combinare poi la
-crescente richiesta col tenue prezzo, si inventò di stamparle
-con tavolette, le quali furono avviamento alla
-più importante delle scoperte moderne, la stampa.
-</p>
-
-<p>
-Questo nome ci fa dire d’un nuovo genere di occupazioni
-o passatempi, a cui si volsero gl’Italiani d’allora.
-Il leggere avea potuto esser diletto di ben pochi,
-in quella grande scarsità di libri; pure molto desiderati
-erano i romanzi, i più de’ quali venivano di Francia, e
-talvolta erano tradotti in nostro vulgare, più spesso
-imitati. Le persone oneste rifuggivano da quella lettura;
-Guglielmo Venturi d’Asti in testamento raccomandava
-a’ suoi figli d’odiarli, come sempre avea fatto lui<a class="tag" id="tag233" href="#note233">[233]</a>;
-Boccaccio appone ad ipocrisia della vedova del Corbaccio
-l’astenersi da tali racconti; dei quali Dante
-accennava i pericoli in Francesca e Paolo, tratti a peccare
-dal leggere per diletto gli amori di Isotta e Lancilotto.
-Al contrario, se ne dilettava il bel mondo; e
-Michelangelo Trombetti, in un poema sulle gesta di
-Ugo conte d’Alvernia nel 1488, manoscritto nella Laurenziana,
-annovera i romanzi di cavalleria, cui consiglia
-<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span>
-a leggere, perchè <i>chi non se ne diletta, è uomo senza
-ragione e bestiale</i>. Crebbe la lettura colla stampa, la
-quale non si occupò soltanto di libri sacri e di classici:
-nè è inutile sapere che dal 1473 al 98 uscirono dieci
-edizioni del Guerin Meschino; e il <i>Milione</i> di Marco
-Polo si stampò nel 1496, e già prima e più in appresso
-corsero racconti di viaggi.
-</p>
-
-<p>
-Come la letteratura, invaghita de’ capolavori antichi
-che si trovavano, o dalla maggior facilità di possederli,
-si era gettata interamente sull’imitare, tanto che ogni
-originalità minacciava scomparire fra gli addobbi del
-convenzionale classicismo; così non sapevasi ammirare
-che la società anteriore al cristianesimo, rilassavansi i
-costumi per imitazione classica, e Gianantonio Campano
-vescovo di Téramo empie le sue poesie di Silvie
-e Diane e Suriane, di cui spesso si lagna, talvolta si
-loda; Ambrogio degli Angeli Traversari, generale dei
-Camaldolesi, amico di Eugenio IV e suo legato a Basilea,
-in fama di grand’erudizione non meno che d’onestissimi
-costumi, non iscrive mai a Nicolò Niccoli senza
-salutare la sua Benvenuta, <i>donna fedelissima</i>, eppur
-era una mantenuta, di avventure chiassose<a class="tag" id="tag234" href="#note234">[234]</a>; Cosmo
-de’ Medici accettò la dedica dell’<i>Hermaphroditus</i> del
-Panormita, che parea soverchiamente cinico persino al
-Poggio, sguajato narratore egli stesso, benchè segretario
-apostolico; Enea Silvio Piccolomini, gravissimo
-uomo e futuro papa, emulava in una novella la licenza
-del Boccaccio.
-</p>
-
-<p>
-Il senso morale veniva perturbato dal cominciare a
-vilipendere il passato innanzi d’essersi premuniti per
-l’avvenire; laonde le coscienze più elevate tentennavano
-e variavano, l’orgoglio insorgeva contro Dio, la voluttà
-contro il dovere. Il sentimento religioso permaneva
-<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span>
-nelle moltitudini, sebbene divenisse meno chiesastico;
-e istillato col latte, potea sugli animi anche fra le passioni:
-ma i letterati lo vilipendeano e conturbavano,
-non già per liberi ragionamenti, ma per l’autorità di
-altri testi, fossero gli antichi classici od i loro commentatori,
-nel cui nome mettevano bocca perfino nel
-dogma, professando di farlo per esercizio di logica o
-d’erudizione. Ser Cambi al 1453 scrive che il medico
-Giovanni Decani, il quale non credeva la resurrezione
-de’ morti, fu condannato alla forca a Firenze; e in
-quell’anno morì Carlo d’Arezzo cancelliere della Signoria,
-ed ebbe grandissimi doni: «Dio l’abbia onorato
-in cielo, se l’ha meritato, il che non si stima, perchè
-morì senza confessione e comunione, e non come cristiano».
-Dove ci risovviene di Lodovico Cortusio giureconsulto,
-che a Padova morendo il 17 luglio 1418,
-lasciò per testamento che amici nè parenti nol piangessero,
-se no rimanessero diseredati, mentre suo legatario
-universale sarebbe quel che ridesse di miglior
-cuore: non si parino a bruno la casa e la chiesa, ma
-fiori e fronde; musica invece delle campane funebri;
-e cinquanta sonatori e cantanti procedano insieme
-col clero, cantando <i>alleluja</i> fra viole, trombe, liuti,
-tamburi, ricevendo ciascuno un mezzo scudo. Il suo
-cadavere, entro una bara a panni di varj colori gai e
-sfoggiati, sia portato da dodici donzelle vestite di verde,
-che cantino arie allegre, e ricevano una dote. Non rechino
-candele, ma ulivi e palme, e ghirlande di fiori;
-non lo seguano monaci che han la tonaca nera. Così
-piuttosto in guisa di nozze che di funerale fu sepolto
-in Santa Sofia.
-</p>
-
-<p>
-Questo parlare di libri e letterati è già uno stacco
-dalle precorse età; e l’amor della dottrina crebbe fin
-a passione. Ne vantaggiavano il ben pensare e il retto
-operare? dubitiamo. Quei dotti (troppo il notammo)
-<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span>
-non erano nulla meno che tipo di civili costumi: nelle
-loro lettere o si abjettiscono per domandare, o strisciano
-ringraziamenti per avere avuto, talora con una
-sguajata insistenza, quale vediam nel Filelfo, una delle
-più famose penne; e piuttosto bravazzoni che franchi,
-aggiogati all’autorità de’ loro classici, eppure intolleranti
-d’ogni dissenso, anfanavano in tresche, volevansi
-alle mani un coll’altro, e in sozze baruffe, non ultimo divertimento
-di quel secolo, s’intaccavano non solo sulla
-dottrina, ma rinfacciandosi ogni mal mendo<a class="tag" id="tag235" href="#note235">[235]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Noi siamo a gran pezza da coloro che ammirano
-quello stuolo chiassoso e intrigante di pedanti, quasi
-fossero stati i restauratori del buon gusto in Italia. Già
-ne’ secoli precedenti i nostri ci si mostrarono insigni
-in que’ punti ove l’intelligenza loro naturale non era
-subordinata agli eventi o a tirannie, cioè nelle arti della
-parola e del disegno. Anzi queste non erano soltanto
-un ornamento, ma fuse nella vita, e non concepivasi
-il governo senza eloquenza, non le solennità senza canti,
-non la religione senza immagini e tempj. Chè a far prosperare
-le arti non basta nascano genj capaci di creare,
-ma vuolsi tutto un popolo capace di gustarle; l’artista
-ha bisogno di chi lo comprenda, delle simpatie del popolo;
-e il popolo fra noi vi era portato dai meno urgenti
-bisogni, dall’attitudine al godere, dalla naturale
-inclinazione al bello. O Firenze, non i Medici ti han
-fatta così vaga, ma la repubblica; e la libertà dell’arte
-è anch’essa libertà del pensiero.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap124-11">CAPITOLO CXXIV.
-<span class="smaller">Industria e commercio.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Tante ricchezze, quella coltura borghese, l’ampliamento
-della nazionale civiltà, il lettore dovette accorgersi
-come fossero in gran parte dovute al commercio,
-del quale è tempo che raccogliamo e svolgiamo ciò
-che sparsamente abbiamo indicato; poichè, dopo la
-religione, nulla accresce e diffonde la civiltà più che il
-commercio.
-</p>
-
-<p>
-Che esso non fosse perito tampoco nel peggior fondo
-della barbarie, ce ne caddero prove qua e là: migliorò
-poi coll’agricoltura, giacchè questa e l’industria vanno
-di pari passo dovunque sono possibili; tutto ciò che
-promove e deprime le arti e le fatiche d’una classe,
-opera sull’altra; e i terreni inselvatichiscono ove langue
-il commercio, come questo risente dell’abbandono di
-quelli. Noi indicammo come l’agricoltura rinascesse,
-lenta sì ma ognor progressiva, col piantarsi di nuova
-gente sopra gl’immensurabili latifondi degli antichi Romani,
-suddivisi allora, e dal dominio del fisco tornati
-all’industria particolare. Questa gente erano i Barbari
-da un lato, dall’altro i monaci, che mescolandosi fra un
-popolo di servi e di coloni, resero l’onore a quella
-prima fonte delle ricchezze. Ben presto le crociate
-equivalsero a quel che oggi le grandi esposizioni; poichè
-nelle città e nei bazar orientali i nostri videro gli
-scialli di Cascemir, i diamanti di Golconda, le perle di
-Ormus, le seterie di Persia, le mussoline dell’India, le
-arme di Damasco; e ne rapirono, ne comprarono, concepirono
-desiderio di averne, di imitarle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span>
-</p>
-
-<p>
-Però la mancanza di sicurezza, di regolari aspettative,
-di libertà nel disporre de’ frutti della propria industria,
-immiserivano il commercio, siccome oggi avviene
-in Turchia. Il diritto di lavorare consideravasi
-prerogativa sovrana, e potere i principi venderla, dovere
-i sudditi comprarla. Il popolo era impedito di
-associarsi per dati intenti, e di trasferire la sua proprietà
-da un’applicazione ad altra che credesse più
-vantaggiosa; intanto che certe persone ottenevano di
-esercitare come privilegio quel che ai più restava inibito.
-Tali angustie cessarono in Italia assai prima che
-altrove: ma oltre rimanere i capitali in mano di soli
-nobili e del clero, causava impacci lo sminuzzamento
-del paese, quando ad ogni varco di fiume, ad ogni gola
-di monti vegliavano gli armigeri d’un castellano ad
-esigere un pedaggio, che equivaleva ad una transazione
-per non essere svaligiati. A modo d’esempio, chi
-si partisse da Torino aveva a pagarne uno quivi stesso,
-poi a Rivoli, ad Avigliana, a Bussolino, a Susa: cinque
-volte in trenta miglia. Lombardi e Veneziani andavano
-pel Sempione, donde a Sion, a Losanna, a Ginevra, a
-Lione, ovvero per Clees nella Franca Contea. I Genovesi
-per Asti e Poirino giungevano a Testona, e qui
-varcato il Po sul ponte de’ Templari a Sant’Egidio,
-difilavano per Rivoli a Susa e al Moncenisio: disvantaggiandone
-Torino, che perciò insisteva alla gagliarda
-affinchè i Testonesi non lasciassero ai mercanti traversare
-il ponte, ma li dirigessero sopra la loro città.
-</p>
-
-<p>
-Le dogane si misuravano all’avidità del signore, non
-all’utile del paese, e le tasse moltiplicavansi sotto variissimi
-nomi<a class="tag" id="tag236" href="#note236">[236]</a>. Passando per certe città, le merci
-<span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span>
-si doveano sballare e scassare, e gli abitanti aveano
-prelazione per la compera; altrove ai soli natìi concedevasi
-di vendere, talchè sottentravano allo speculatore
-forestiere. Il pericolo delle anime induceva i papi a
-interdire il commercio coi Musulmani, e a gran fatica
-i Veneziani ne ottennero dispensa, come l’ebbero poi
-anche i Francesi, escluso sempre il portarvi armi e
-munizioni<a class="tag" id="tag237" href="#note237">[237]</a>. Per tema dei masnadieri in terra, dei
-pirati in mare, doveasi procedere in carovane o con
-flottiglie, anzichè isolati: alcuni, per ammansare i castellani,
-menavansi dietro ciarlatani, sonatori, bestie
-rare: tutti i quali impacci costringevano il traffico ad
-assumere aspetto di frode, e i pericoli e le vicende sue
-faceanlo spesso abbandonare a quelli cui era negato
-ogni altro modo d’arricchire, come gli Ebrei.
-</p>
-
-<p>
-Il commercio dell’antichità e del medioevo conducevasi
-tult’altrimenti dal moderno. Mancando la postalettere,
-poteansi tenere corrispondenze concatenate?
-Quando pochissimi sapeano scrivere, e la carta era un
-lusso, e le cifre arabiche appena si introducevano, e
-inestricabile la varietà di monete e misure, quanto incomodi
-doveano tornare i conteggi e la corrispondenza!
-Oggi la forma più consueta è la commissione, cioè il
-<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span>
-fabbricatore affida a negozianti le merci da vendere
-per conto; opportuna suddivisione di uffizj: allora invece
-egli medesimo o suoi commessi andavano con navi
-o carovane a vendere e caricare, e riconducevano gli
-avanzi e i baratti.
-</p>
-
-<p>
-Le antiche strade romane erano state guaste per impedire
-le correrie dei Barbari, ovvero da questi nelle
-guerre, o dal tempo; e agli sminuzzati dominj che successero,
-qual interesse suggeriva di agevolare le comunicazioni?
-I torrenti si sfrenavano, cadevano i ponti;
-onde difficilissimi i trasporti: ed anche assai più tardi
-non viaggiavasi che a cavallo. Caterina di Amedeo V
-di Savoja, andando sposa a Leopoldo d’Austria nel 1315,
-cavalcò fino a Basilea, dove il palafreno fu regalato ai
-minestrelli che cantavano le sue lodi. Maria di Brabante
-seguì fino a Genova in lettiga il marito Amedeo V,
-quando nel 1310 accompagnava a Roma l’imperatore
-Enrico VII. Giovan Villani dà come un gran fatto che
-uno spaccio del conclave di Perugia arrivasse in undici
-giorni a Parigi per corrieri di mercanti<a class="tag" id="tag238" href="#note238">[238]</a>. Erano
-perciò in gran conto i corrieri veloci, come Jaquet messaggere
-del conte di Savoja, che in quattro giorni andò
-e tornò da Ginevra a Pavia nel 1399: nel 1380 Amedeo
-VI di Savoja donava due fiorini d’oro a Guglielmo
-frate cluniacese, che faceva cinquantacinque e più leghe
-il giorno<a class="tag" id="tag239" href="#note239">[239]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span>
-</p>
-
-<p>
-Altri importuni aggravj s’erano introdotti, quali
-l’albinaggio, per cui cadeva al signore l’eredità dello
-straniero che morisse sulle sue terre<a class="tag" id="tag240" href="#note240">[240]</a>; e il diritto di
-naufragio, per cui la nave che frangesse diveniva preda
-dell’occupante, o del signore della costa, come tutti i
-ributti del mare. Fin il goto Teodorico avea riprovato
-quest’inumanità; il concilio Lateranese del 1079 pronunziò
-anatema chi spogliasse i naufraghi; e Federico I,
-poi Federico II di Svevia avvalorarono questa <i>libertà</i>
-<i>della Chiesa</i><a class="tag" id="tag241" href="#note241">[241]</a>: ma gl’interessati sapeano eluderla.
-</p>
-
-<p>
-Sodare il debito sopra i possessi non usava durante
-il feudalismo, nè era possibile allorchè quasi nessuno
-<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span>
-era padrone assoluto del proprio podere: ma nelle
-repubbliche conoscevasi l’ipoteca coi modi e le cautele
-che sembrano de’ moderni<a class="tag" id="tag242" href="#note242">[242]</a>. Più consueto era il dare
-in pegno oggetti preziosi, e spesso i tesori delle chiese:
-o porgeano malleveria altre persone disposte a subir
-fino il carcere se al dato giorno non venisse soddisfatto
-il creditore<a class="tag" id="tag243" href="#note243">[243]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il forestiere (ed era forestiere chi abitava a poche
-miglia) non restava protetto da leggi comuni o dalla
-generale giustizia, onde si ricorse a strani compensi,
-come sono le rappresaglie. Se uno restasse leso nella
-roba o nella persona, e non ottenesse soddisfazione,
-egli stesso o i suoi accomunati potevano far danno a
-qualunque compaesano dell’offensore. La rappresaglia
-<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span>
-derivava dall’antico sistema dell’associazione, per cui
-tutti stavano garanti dell’accomunato. Oberto Pelavicino
-signor di Cremona, pretendendosi creditore di Filippo
-Torriano, allora capo del popolo milanese, sostenne
-nella sua città tutti i negozianti di Milano colle loro
-mercanzie. La compagnia de’ Buonsignori di Siena dovendo
-ottantamila fiorini alla Chiesa romana, il papa
-pronunziò interdetta tutta la città sinchè fossero pagati.
-Qualche volta la rappresaglia si applicò a casi criminali;
-ed essendo ucciso un Inglese da un Italiano della compagnia
-degli Spini, gli uffiziali della giustizia appresero
-tutti i compatrioti di esso.
-</p>
-
-<p>
-Le leggi posero regola a questo costume, e via via
-si cercò prevenire il danno degl’innocenti. Lo statuto
-romano non concedeva la rappresaglia se non quando
-fosse giuridicamente provato il danno<a class="tag" id="tag244" href="#note244">[244]</a>. Quello di
-Padova del 1258 permetteva di rifarsi sopra i beni di
-chi avesse nociuto o de’ suoi concittadini; ma nel 69 si
-eccettuarono gli ambasciadori o le persone venute a
-Padova per affari del proprio Comune, e così i romei
-e pellegrini; nel 71 si prescriveva, quando un cittadino
-si presentasse a domandar la rappresaglia contro
-un individuo o un Comune, questo dovess’esserne avvertito
-dal podestà, affinchè potesse giustificarsi o accordarsi;
-che se il consiglio de’ savj decretasse aver
-luogo la rappresaglia, il podestà presenterà l’istanza e
-il voto al gran consiglio, che deciderà a due terzi di
-<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span>
-voti. Nel 1266 a maestro Giovanni Manzio padovano,
-medico condotto a Ravenna, erano stati per via rubati
-i danari, le robe e i libri, che erano un Avicenna, un
-Serapione, un Almansor e qualcheduno d’astrologia: e
-avendo il podestà scritto ripetutamente al Comune di
-Ravenna, mandatovi ambasciadori, interposto anche il
-podestà di Bologna, nè ricevendo soddisfazione, si autorizzò
-il medico alla rappresaglia. Anche nel 1302 quel
-Comune la concedette ai signori Carraresi contro i Torriani
-di Milano per la dote di Elena della Torre. Una
-singolare rappresaglia è portata dal cap. <span class="smcap lowercase">LVII</span> dello statuto
-dell’arte di Calimala a Firenze del 1332: — Qualunque
-de’ mercatanti nostri si richiamerà per iscrittura
-d’alcuno albergatore d’altra cittade o luogo, manderemo
-lettere a quello albergatore a spese di quello mercante,
-che a certo termine le debba aver pagate: la qual cosa
-se non farà, comanderemo a tutti i nostri tenuti che
-non alberghino più con lui; e chi farà contra, sia punito
-in lire venticinque per ciascuna volta».
-</p>
-
-<p>
-La Chiesa provvide alla sicurezza coll’aprire mercati
-settimanali o fiere annue alle solennità principali sopra
-terreno immune, quali erano il sagrato delle chiese o
-i chiostri. La fiera di Bergamo vuolsi concessa dall’imperatore
-Berengario ai canonici di San Vincenzo, poi
-da Ottone alla chiesa di Sant’Alessandro<a class="tag" id="tag245" href="#note245">[245]</a>. Quella
-di Verona fu istituita nell’807 dal vescovo Ratoldo sulla
-piazza di San Zeno maggiore; nel 1049 le botteghe
-bruciarono; fu poi ristabilita nel 1187. Un marmo fuori
-della porta maggiore dell’atrio di Sant’Ambrogio a
-Milano legge che Anselmo arcivescovo stabilì, per tre
-giorni avanti e tre dopo la festa dei santi Gervaso e
-Protaso, nessuno molestasse per debiti chi veniva a
-quella solennità. Anche a Bologna per la festa di san
-<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span>
-Petronio i mercanti erano immuni di dazio e gabella
-otto giorni, e nessuno poteva essere citato a pagare il
-dovuto (<span class="smcap">Ghirardacci</span>). Negli ordini del 1353 per la
-fiera di Sant’Andrea di Nizza a mare è assegnato luogo
-distinto ai venditori di carni salate e formaggi, di spezierie,
-di pelliccie, di ferro, rame, chiodi, d’argento,
-d’oro, di spade e armi, di vetri, vasi di terra, corde,
-pentole, basti, e così pei sartori, pei cambisti, per gli
-spacciatori di polli e altri volatili, d’erbe e frutti e
-legumi, di tela, di ronzini ed altri animali di piede rotondo,
-di porci e bovi, di merci varie; con prescrizioni
-per ciascuno<a class="tag" id="tag246" href="#note246">[246]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Molte strade erano affidate alla custodia dei monaci,
-come quella del monte San Bernardo, ove il pio Bernardo
-da Mentone istituì l’ospizio; come quella dell’Alpe
-fra Lucca e Modena, concessa ai frati di San Pellegrino
-del Serchio; come il passo di Percussina in val di Greve,
-con uno spedale assistito dalla compagnia del Bigallo di
-Firenze. La strada mulattiera traverso al Sangotardo,
-forando la buca di Uri e gettando il ponte detto del
-Diavolo, tanto parve meraviglioso, è dovuta agli arcivescovi
-di Milano, che signoreggiavano la val Leventina.
-Fin ai tempi di Carlo Magno le gole più elevate delle
-Alpi erano provvedute di ospizj<a class="tag" id="tag247" href="#note247">[247]</a>; le varie nazioni
-che pellegrinavano in Italia se ne procuravano di proprj
-ciascuna, sicchè, a tacer Roma, a Vercelli trovammo
-ospedali di Franchi e d’Inglesi (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 107).
-</p>
-
-<p>
-Man mano che città e borgate si redimevano in
-libertà, curavano agevolezze al commercio. Nelle prime
-carte comunali è sempre pattuita la sicurezza delle vie,
-l’esenzione da certi pedaggi, la moderazione di tutti:
-<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span>
-e non v’ha statuto che non provveda al mantenimento
-delle strade, anche con magistrati appositi. Dai castellani
-del contorno si otteneva a denaro non molestassero
-le spedizioni, e dessero scorte; alcuni perfino si costituivano
-garanti dei danni che altri soffrisse sulle loro
-terre: tanto temevano che i mercadanti si mettessero
-per altra traccia, togliendo il lucro portato dal passaggio
-e dagli alloggi. Dimenticavansi le animosità pel comune
-interesse dei traffici; s’istituivano tregue mercantili,
-luoghi di franchigia e neutralità. Nel 1182 i consoli di
-Modena promettono sicurezza nel loro territorio e pronta
-giustizia ai mercanti e alle persone di Lucca<a class="tag" id="tag248" href="#note248">[248]</a>. Nel
-1183 Cremonesi e Bresciani giuravano una concordia,
-convenendo che le due città si concedano a vicenda il
-transito; le persone fossero rispettate sulle strade, eccetto
-i mercanti di paesi nimici all’una o all’altra città;
-la moneta delle due collegate avesse corso nelle contrattazioni
-reciproche, promettendo non se ne deteriorerà
-il valore intrinseco, se non col voto del podestà
-e del consiglio<a class="tag" id="tag249" href="#note249">[249]</a>. Nel 1215 Milanesi e Vercellesi
-<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span>
-faceano accordo che mai dai Milanesi per le persone o
-le robe loro fosse esatto alcun pedaggio sul ponte che
-faceasi a Casale sul Po. Nel 1217 il Comune d’Alessandria
-francava i Vercellesi da quel che pagavano a
-Beale<a class="tag" id="tag250" href="#note250">[250]</a>. Il marchese Pelavicino, Buoso di Dovara,
-il Comune di Cremona da una parte, e dall’altra Azzo
-d’Este, Lodovico conte di Verona e le città di Mantova,
-Ferrara, Padova, alleandosi per fiaccare Ezelino, convennero
-che, malgrado la guerra, <i>mercatores de Tuscia
-semper secure possint ire, redire, stare, conversari
-cum personis et mercibus per civitates et territoria
-Mantuæ, Ferrariæ, Paduæ</i>. Nel 1262, Vicenza, Padova,
-Treviso, Verona giuraronsi reciproca quiete, e di assicurar
-le strade a viaggiatori e trafficanti. Giovanni
-Liprando ed Enrico da Arcore, sindaci dei mercanti di
-Milano, il 1276 portavano lamento a Filippo conte di
-Savoja per una sovrimposta (<i>surrepsio</i>) da lui messa
-sulle merci che transitavano pe’ suoi Stati, e stipularono
-quanto dovesse prendere per ogni balla di lana di Milanesi
-che passasse di là, e pel pedaggio d’uomini e cavalli
-a Villanova, al Ciablese e altrove, nulla pagando la bestia
-che ciascun mercante cavalcava: i mercanti a vicenda
-giuravano non far le balle più grosse del consueto, e
-ciascuna di otto panni di Chalons, di dieci panni vergati
-di Provins, o del peso equivalente; e procurare
-che i mercanti d’Italia diretti alle fiere di Champagne
-e di Francia passino e tornino per le terre d’esso conte,
-il quale li riceve, pel suo distretto, sotto il proprio
-salvocondotto<a class="tag" id="tag251" href="#note251">[251]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I Comuni limitrofi mettevansi d’accordo per migliorare
-le strade, come fecero Torino, Chieri, Testona nel
-1204; Pistoja e Bologna nel 1298 per aprire quella
-della Porretta. Nel 1219 Bergamo e Brescia pattuivano
-<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span>
-di restaurare la strada di Palazzuolo, e reciprocamente
-compensare quelli che dai masnadieri vi fossero danneggiati.
-Nel 1232 Bonifazio marchese di Monferrato si
-obbligò verso il Comune di Genova di tenere in buon
-ordine quella da Asti a Torino, nè esigere altro pedaggio
-che di soldi sei e mezzo per carico, e nulla per le bestie
-scariche; i castellani e nobili fra cui attraversa, obbligherà
-a mantenerla e custodirla, nè introdurre veruna
-mala usanza<a class="tag" id="tag252" href="#note252">[252]</a>. Nella pace del 1279 Verona, Mantova
-e Brescia convenivano che una strada correrebbe fra
-esse città per Peschiera, Godio, Guidizzolo, Montechiaro,
-mantenuta da essi Comuni, e sotto la vigilanza di dieci
-cavalcatori ogni Comune con tre capitani, scelti fra
-mercanti e uomini di buona fama. Nel 1333 Franchino
-Rusca, signore del Comune e del popolo di Como, conchiuse
-cogli uomini di Blegno che tenessero in essere
-e in buona guardia le strade per la val Leventina, e
-ajutassero i Comaschi contro chi le infestasse.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span>
-</p>
-
-<p>
-Frequentissime convenzioni appellano a tal uopo; e
-prendendo solo Firenze e in breve periodo, nel 1201 con
-Fortebraccio di Greccio ed altri conti Ubaldini del Mugello
-convenne difenderebbero i Fiorentini e le robe loro
-con guide e scorte in tutto il distretto e dominio; se riportassero
-danno, li compenserebbero del proprio<a class="tag" id="tag253" href="#note253">[253]</a>;
-nel 1203 coi Bolognesi di cessar reciprocamente le rappresaglie;
-nel 1250 franchigia con Pisa, cui rinnovava
-ogni tratto; nell’81 co’ Genovesi libero transito anche
-per terra, immunità da gabelle al paese di Fabriano, e
-che garantissero tutte le merci caricate su loro navi;
-nell’82 con Lucca, Siena, Pistoja, Prato, Volterra, reciproca
-francazione da gabelle o dazj, a somiglianza
-dell’odierna lega doganale; nel 90 libero transito con
-Ravenna e Faenza; nel 95 con Lucca, Prato, San Geminiano,
-Colle, sicurezza per dieci anni, essi e loro
-alleati, da ogni rappresaglia, malatolta, telone, pedaggio.
-Dacchè Mentone con Roccabruna si separò da
-Monaco nel 1748, questa cara cittadina non può comunicare
-con altre se non pel mare o per una via che
-passa sul territorio di Roccabruna, e quel principe non
-può uscire dal suo Stato in carrozza senz’attraversare
-paese nemico; i Mentonesi non vogliono più mantenere
-quella strada; e i litigi che ne nascono, e le conseguenze
-che ne verrebbero, possono spiegare l’importanza dei
-trattati de’ Comuni del medioevo per le comunicazioni.
-</p>
-
-<p>
-Pure il viaggiare fu sempre disagiato non solo, ma
-pericoloso. Dante funesta celebrità diede a Rinieri da
-Corneto, che faceva guerra alle strade. L’abate Pietro
-di Cluny venendo a visitare Eugenio III, fu svaligiato
-dal marchese Obizzo Malaspina, se non che i Piacentini
-costrinsero questo alla restituzione. Giovanni d’Andrea,
-celebre canonista, mandato ambasciadore dal cardinale
-<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span>
-Bertrando del Poggetto al Papa nel 1328, presso Pavia
-fu assalito e spogliato de’ libri e della roba; e grossa
-somma ebbe a dare pel proprio riscatto. Il Petrarca,
-la prima volta che fu a Roma, dovette rifuggire nel
-castello dei Caprànica, sinchè il vescovo di Lombez nel
-venne a convogliare con cento cavalieri; partendone
-dopo coronato, diede nei malandrini, sicchè tornò indietro,
-e il popolo pensò a farlo scortare; ma altri lo
-assalsero all’uscire di Parma. Giovanni Barile, mandato
-da re Roberto di Napoli ad assistere a quella coronazione,
-fu svaligiato per viaggio, e dovette dar volta.
-</p>
-
-<p>
-Le maggiori apprensioni popolari, e in conseguenza
-i più estesi provvedimenti sogliono dirigersi sull’annona;
-e se la scienza non arrivò neppur adesso a persuadere
-che l’unico preservativo o il palliativo migliore alle
-carestie è il lasciarla libera, si perdoni a un tempo dove
-governava direttamente il popolo, soggetto a tutte le
-paure, e che cogli infiniti impacci sovente produceva
-il male cui volea farsi incontro. L’obbligo d’introdurre
-il ricolto nella città era una cautela contro i signori castellani,
-che avrebbero potuto affamarla. Ma spesso il
-proprietario dovea sagrificare le proprie convenienze
-alle paure dei nulla aventi; l’autorità tassava i prezzi
-de’ comestibili e degli altri oggetti di prima necessità,
-stabiliva magazzini, fissava le ore e i modi del mercatarli.
-Così era delle vivande azotate; niuno comprasse
-di là d’una data quantità di pesce, chè non ne rimanessero
-privi gli altri; comparendo sul mercato qualche
-selvaggina grossa, fosse fatta a pezzi, acciocchè potessero
-fruirne anche i men denarosi. I rigori cresceano all’apprensione
-di carestia: mettevasi fin pena la vita
-all’asportar grani; chi ne possedesse dovea notificarli,
-e venderli al prezzo decretato. In Toscana tutto il grano
-era compro dal Comune, che facea canova e lo dava
-per bullettini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span>
-</p>
-
-<p>
-D’altri inciampi era causa la nimicizia fra i Comuni;
-e Lodi vietò di portar biade a Milano, nè di tirarne vino,
-pena la testa. Altri venivano da’ signori che voleano
-aggravezzare il transito delle merci fin da una all’altra
-delle terre di loro dominio. E poichè alcuni principi,
-come il re di Sicilia, riceveano gran parte del tributo
-in derrate, restavano principali negozianti del loro
-paese, e ne facevano monopolio. Federico II esigeva un
-conto esatto de’ cereali, de’ foraggi e del vino che entrassero
-ne’ suoi magazzini; e dopo provvigionatone i
-suoi palazzi e le fortezze, il resto si vendeva, principalmente
-a mercadanti romani, o anche asportavasi direttamente
-per conto del re, il quale, ove l’opportunità
-arridesse, ne spediva in Ispagna, in Barberia su navi
-proprie o di Veneziani o Genovesi. Nel 1239 incaricava
-il grand’ammiraglio di condurre a Tunisi, dove forse
-il ricolto era fallito, cinquantamila salme di frumento,
-parte avuto dagli intendenti regj, parte procurato al
-miglior costo; al qual fine se ne proibiva ogni altra
-asportazione; e in Africa fu venduta la salma ventiquattro
-tarì, locchè produsse quarantamila oncie d’oro,
-o due milioni e mezzo di lire<a class="tag" id="tag254" href="#note254">[254]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Questo andar e venire dei grani e delle altre derrate
-produceva gran movimento mercantile; e i Veneziani
-specialmente cavavano dalla Barberia, dalla Sicilia, dall’Egitto
-granaglie da provvigionare anche altri paesi;
-dalla Barberia stessa e dal mar Nero, il sale, del cui
-monopolio erano gelosissimi. Per quante volte i Padovani
-tentassero mettere saline sul loro territorio,
-sempre i Veneziani gl’impedirono; e sotto alla statua
-<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span>
-del doge Gradenigo, fra altri vanti, è scritto: <i>A faciendo
-sale Paduanos marte coegi.</i>
-</p>
-
-<p>
-Fra le spezie, il pepe era indispensabile, quanto da
-due secoli in qua lo zuccaro; cittaduole ne tenevano
-magazzini; in alcune il dazio impostovi suppliva ad
-ogni altro; i signori di Basilea nel 1299 al diritto di
-vender pane condizionavano la retribuzione di una libbra
-di pepe l’anno. La cannella, il garofano, la curcuma
-o zafferano d’India, pianta tintoria che prosperava anche
-nelle valli cretacee dell’Ombrone; il zenzevero, il cubebe,
-l’anesi, le foglie di lauro, il cardamomo, la noce
-moscada erano grato solletico ai sensi, oltre gli spighi
-di lavanda côlti in Italia. Aggiungete la paglia della
-Mecca (<i>andropogon schœnanthus</i>), la scamonea, il gàlbano,
-il laserpizio, la sarmentaria, l’aloe, la mirra, la
-canfora del Giappone, lo zafferano<a class="tag" id="tag255" href="#note255">[255]</a>, il rabarbaro
-della Siberia meridionale, la sena, la cassia, il badeguar,
-la galla del biancospino, il cisto di Creta da cui cavasi
-il làdano, l’olio di sesamo, la gomma d’astragalo, la
-gomma gutta, la gomma arabica, la sandracca d’Africa,
-il sangue di drago delle Canarie. I frutti d’Italia, di
-Spagna, di Grecia, l’olio, il riso<a class="tag" id="tag256" href="#note256">[256]</a> erano spacciati
-<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span>
-dagli speziali, come chiamavansi i venditori delle merci
-suddette: il caffè non era conosciuto; poco lo zuccaro.
-Ai riti della Chiesa occorrevano pure cera ed ambra; e
-a Venezia lavoravasi quella, di questa si faceano crocifissi
-e paternostri, traendola dal Baltico.
-</p>
-
-<p>
-Le ricerche sul prezzo dei generi di prima necessità
-e della mano d’opera provano che non differiva molto
-dall’odierno, giacchè un operajo ordinario fu e sarà
-sempre pagato quel tanto che si richiede al suo vivere.
-Il prezzo delle altre materie troppo è difficile a determinarsi
-in tanta varietà delle monete e incertezza dei
-patti secondarj. Troverete della legna, ma non sapete
-se fu tagliata dai boschi stessi del compratore; del vino,
-ma intendevasi condotto e daziato? e in anno d’abbondanza,
-o di scarsezza? un mobile, ma forse era un capo
-d’arte o di preziosa materia; un libro, ma forse traea
-valore dalla legatura e dalle miniature<a class="tag" id="tag257" href="#note257">[257]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le ricchezze minerali non si neglessero. Le vene del
-Bergamasco e delle valli Camonica e Trompia fin da
-antichissimo diedero molto ferro, al quale eccellente
-tempra sapea darsi nel Comasco. Armi si fabbricavano
-a Gardone, Lumezzane, Brescia; e Giovanni da Uzzano
-ricorda i pregiati acciaj bresciani, e i badili, le lamiere,
-i fondi di padelle che si tiravano di là. Il ricco minerale
-dell’Elba, di Pietrasanta, d’altre parti della Toscana
-trasportavasi greggio o lavorato anche in Levante. Venezia
-trasse partito dal ferro e dal rame del Friuli, della
-Carintia, del Cadore; e pare lungo tempo le fabbriche
-sue conservassero il secreto d’agevolare col borace la
-fusione. Rame s’avea pure da Massa marittima, e in val
-Tiberina e in val di Cécina, dove anche solfato di ferro.
-</p>
-
-<p>
-Argento si cavava a Perosa e nella valle di Lanzo in
-Piemonte, nelle valli Seriana, Brembilla, di Scalve e in
-altre del Bergamasco. Le argentiere di Montieri, mestissimo
-villaggio in Val di Merse, sono donate nell’896 da
-Adalberto marchese di Toscana ad Alboino vescovo di
-Volterra, confermate più volte, e segnatamente da Enrico
-IV, nel 1186, purchè <i>episcopus et sui successores
-nobis nostrisque successoribus, pro ipsis argenti fodinis,
-triginta marcas argenti examinati ad pondus
-cameræ nostræ persolvant</i>. Federico II, in rotta col
-vescovo di Volterra, affittava <i>argentariam nostram
-Monterii</i> a Bentivegna Davanzati fiorentino. Il diploma
-di Carlo IV del 1355 dice che <i>jamdiu defuerint, et
-quasi steriles sint effectæ</i>; e la cava d’oro e d’argento
-attivata nel Pistojese nel secolo xiii pare un sogno dei
-cronisti. Bensì attorno al Mille già si hanno memorie
-d’argentiere presso Massa marittima e nell’alpe Apuana
-di Pietrasanta, con profondi cunicoli, scavati probabilmente
-<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span>
-da una consorteria di Lombardi che signoreggiava
-la Versilia. Oro traevasi dalle arene del Ticino,
-dell’Adda, d’altri fiumi; e al 1º novembre del 1000
-Ottone III concede al vescovo di Vercelli <i>totum aurum,
-quod invenitur et elaboratur infra vercellensem episcopatum
-et comitatum Sanctæ Agatæ</i><a class="tag" id="tag258" href="#note258">[258]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Dalle moje di Volterra si avea sale, ma era ignota
-la produzione dell’acido borico, oggi ricchezza di quei
-lagoni: ben se ne cavava solfo; e un Genovese vi trovò
-l’allume, emancipandosi così dal trarne da Tunisi, dalla
-Germania, da Focea, paesi occupati dai Turchi, assai
-prima che si adoperassero le allumiere del Napoletano
-e della Tolfa nella maremma romana. Lipari, donde in
-antico s’avea tutto l’allume, per testimonio di Diodoro
-Siculo, talchè il prezzo rimaneva ad arbitrio degli abitanti,
-da gran tempo cessò di somministrarne.
-</p>
-
-<p>
-Anche sotto al feudalismo le arti si erano conservate
-al modo antico, disposte in corpi o scuole o maestranze
-sotto proprj capi; organizzazione dell’industria conforme
-a tempi, dove, non ancora riconosciuta l’eguaglianza
-<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span>
-degli individui, venivano emancipati in masse,
-e non intendendosi il lavoro libero, si facea che l’operajo
-travagliasse pel maestro, come il villano pel signore<a class="tag" id="tag259" href="#note259">[259]</a>.
-Tutto vi era regolato con una minuzia
-puerile: il filatore non poteva accoppiare fil di canapa
-a quello di lino; il coltellinajo non fare manichi a cucchiaj;
-non i ciotolaj e orciolari tornire un cucchiajo di
-legno; non fondere sego di bue con quel di montone,
-non cera nuova con vecchia; determinati gl’ingredienti
-delle tinture e de’ varj composti. Dovettero nascerne
-impacci, conflitto, tirannie; i principi se ne fecero una
-fiscalità; il monopolio si saldò a favore di pochi; ammende
-e multe per ogni minima violazione, e giudici
-erano gli emuli, interessati a cogliere in colpa.
-</p>
-
-<p>
-Pure in que’ primordj i sindachi, i consigli, i probiviri,
-le frequenti adunanze, le camere di disciplina, ove
-«mercantilmente si procede, e i piati si scrivono vulgarmente
-senza giudici o procuratori o notari, più di
-buona equità che di stretta ragione procedendo»<a class="tag" id="tag260" href="#note260">[260]</a>,
-riuscivano d’ammaestramento al vulgo, come le falde
-sorreggono i bambini: compagni, fattori, discepoli,
-maestri formavano una gerarchia di opportuna dipendenza:
-gli artigiani riuniti nei medesimi quartieri, si
-vigilavano a vicenda ed emulavansi, così togliendo o
-rimovendo le frodi, facili in popolo inavvezzo all’industria;
-si soccorreano ne’ bisogni; il garzonato dava
-una garanzia di futura abilità; nella suddivisione dei
-lavori dovea ciascuno raffinare il suo speciale; lo spirito
-<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span>
-di corpo dava aria di gravità, e fece conoscere e
-ponderare diritti; gli stendardi de’ santi patroni furono
-stendardi d’indipendenza, e protessero l’individuo dalle
-vessazioni, talchè divennero potenze sociali le classi
-laboriose, e formaronsi, vorrei dire, dei feudatarj borghesi
-e nulla possidenti<a class="tag" id="tag261" href="#note261">[261]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nè però si creda non ne fossero conosciuti gl’inconvenienti;
-e al 1287 il Comune di Ferrara aboliva
-tutti i collegi d’arte, di qual si fossero maniera e nome,
-talchè nessuno potesse fare adunanze o collette. Eccettua
-il collegio de’ giudici, le confraternite devote, le
-università delle contrade e ville, i fabbri, a cui si concede
-di avere un commesso che compri il carbone e lo
-distribuisca ai singoli; quelli poi che avessero beni
-<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span>
-comuni, possano deputare chi gli amministri. Ai banditori
-pure sia lecito unirsi una o due volte l’anno
-per eleggere due che li presiedano onde disporli e
-mandarli per utile del Comune. I beccaj esercitino lor
-arte ne’ luoghi e modi stabiliti. Ogni artefice od operajo
-richiesto per l’arte sua, deve subito andare, sebbene
-l’opera cui è chiamato fosse da altro incominciata,
-e non cessare neppur se altro fosse chiamato a lavorare
-in sua compagnia. Ma non osino fare intelligenze e
-congiure tacite od espresse sui prezzi o sul lavoro; e
-viepiù si tengano d’occhio i navalestri, pessima razza,
-che molte frodi macchina contro l’utile de’ viandanti.
-</p>
-
-<p>
-L’arte della lana, allora principalissima, dovette l’incremento
-agli Umiliati, ordine istituito a Milano, al
-<span class="pagenum" id="Page_468">[468]</span>
-quale si fa pur merito dell’invenzione de’ drappi d’oro
-e d’argento per chiese. A Firenze, dove fondò Santa
-Caterina d’Ognissanti, era tenuto esente da ogni dazio,
-e proibizione d’insudiciar le acque che andavano alle
-sue gualchiere<a class="tag" id="tag262" href="#note262">[262]</a>. E là principalmente prosperò
-quell’arte, e nel 1338 vi si finivano ogn’anno ottantamila
-pezze di panno, del valore di un milione e
-ducentomila zecchini<a class="tag" id="tag263" href="#note263">[263]</a>, tirando le migliori lane d’Inghilterra,
-Spagna, Francia, Portogallo, Barberia. L’arte
-di Calimala traeva a buon conto panni grossolani di
-Fiandra, Picardia, Linguadoca, e vi dava assetto e finimento
-tale da doppiarne il prezzo. In venti magazzini
-entravano diecimila pezze l’anno, del costo di più che
-trecentomila fiorini: ciascuna si <i>taccava</i> con un bollettino,
-ove notare la spesa di primo costo, del denajo di
-Dio, del recarlo a casa, del tingerlo e ritingerlo, del
-cardarlo, cimarlo, spianarlo, piegarlo, della bandinella,
-della maletolta, del teloneo, dell’uscita alle porte, del
-legaggio, caricaggio, ostellaggio, e d’ogni altra spesa.
-Le due fiere di san Simone e san Martino traevano a
-Firenze i più denarosi mercanti di tutta Italia, sicchè
-vi correano quindici a sedici milioni di fiorini.
-</p>
-
-<p>
-In Siena, la gabella di quattro lire ogni pezza del
-panno asportato, la più parte verso Levante, fu appaltata
-seicento zecchini. Gareggiavano colle francesi e
-colle fiamminghe le fabbriche di Venezia e sua terraferma,
-di Pisa, del Bolognese, del Ferrarese, animate
-dalla proibizione dei drappi forestieri. In Verona al
-<span class="pagenum" id="Page_469">[469]</span>
-1300 s’impannavano l’anno ventimila pezze, oltre calze
-e berrette; e la Signoria veneta ne comprava colà di
-sopraffini, da presentarne al gransignore (<span class="smcap">Zagata</span>). A
-Mantova le folle della lana erano privilegio del Comune,
-distruggendosi quelle che alcun privato mettesse; e lo
-statuto prescrivea la qualità, e il numero de’ fili, la
-dimensione del panno, il modo e la forma de’ telaj:
-non poteano lavorarne se non gli ascritti all’arte, i
-quali prestavano giuramento avanti al podestà: ogni
-pezza finita presentavasi al magistrato, che collaudata
-la bollava, o trovandola disforme dalle prescrizioni, la
-buttava al fuoco, multando il lanajuolo. Ricchi e monaci
-vi si dedicavano; nel 1500 vi si contavano quarantaquattro
-fabbriche; e quando il re di Danimarca visitò
-i Gonzaga, se ne posero in mostra cinquemila pezze:
-bellissimo parato per una città!
-</p>
-
-<p>
-Milano e il suo territorio spediva alla sola Venezia
-per trecentomila ducati l’anno in panni, e per centomila
-in canovaccio, cambiandoli con cotone in fiocco e filato,
-lane francesi e catalane, tessuti d’oro e di seta, pepe,
-cannella, zenzero, zuccaro, verzino e altre materie coloranti,
-saponi e <i>schiavi</i> per due milioni. Giovanni da
-Uzzano, che nel 1440 compilò quanto era necessario
-sapersi da un mercante intorno ai paesi, alle mercanzie,
-al cambio, al denaro, alle dogane, e descrisse di
-porto in porto il viaggio che si faceva lungo le coste
-del Mediterraneo, poi all’Jonio e al mar Maggiore, scriveva
-che «a Milano càpitano quasi tutte le robe di
-Lombardia per mettere in Genova: si trae da Milano
-mercerie infinite d’ogni ragione, armadure di maglia
-e di piastre e d’ogni ragione, acciaj, ferri lavorati,
-fustani, tele e panni assai fini; di Como panni assai e
-fini; di Monza panni grossi e fini; e mettonsi a Venezia
-per navigare in Levante; di Verona e Mantova
-panni; di Padova zafferano e lino; d’Alessandria lino,
-<span class="pagenum" id="Page_470">[470]</span>
-tele di guado assai, e molto guado; di Monferrato
-zafferano, canovaccio, canape; di Brescia acciaj, ferro,
-lino, zafferano, carte»<a class="tag" id="tag264" href="#note264">[264]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Più tardo sorse l’artifizio della seta. Questa nel
-Codice rodio era agguagliata in prezzo all’oro, e al
-tempo di Procopio quella di colori ordinarj valea sei
-monete d’oro l’oncia, e il quadruplo la purpurea: traevasi
-dai Seri, popolo dolce ma rozzo nel Tibet, o piuttosto
-dall’Indo-Cina, come oggi par dimostrato. Due
-missionarj, colà portati da zelo religioso, vi conobbero
-l’industrioso insetto, e come produca quel filo prezioso;
-e recatene alcune uova in Europa, riuscirono a educarli.
-Il Peloponneso, tosto piantato a gelsi, da questi
-dedusse l’appellazione di Morea; e fabbriche istituite
-per l’impero orientale scemarono se non tolsero il
-bisogno di ricorrere agli stranieri. I Veneziani, assoggettata
-l’isola d’Arbo sulle coste di Dalmazia nel
-1018, le imposero di contribuire ogni anno alquante
-libbre di seta; se no, altrettanto peso d’oro puro. Alla
-presa di Costantinopoli estesero le seterie, assicurandosene
-il monopolio mediante trattati coi principi
-dell’Acaja.
-</p>
-
-<p>
-In principio non conosceasi che il gelso nero, e il
-Crescenzio (cap. 14) si lamentava che le donne ne cogliessero
-le somme foglie per nutrire certi bachi, il
-che impedisce ai frutti di maturare: forse solo nel <span class="smcap lowercase">XIII</span>
-secolo si portò il gelso bianco. I privati tardavano a
-intenderne il vantaggio, talchè si dovea per legge ordinarne
-la coltura: lo statuto di Modena del 1327 impone,
-chiunque abbia orto chiuso vi pianti per pubblico vantaggio
-tre gelsi, tre fichi, tre melogranati, tre mandorli;
-quel di Pescia del 1340 obbligava a coltivarne; e un
-<span class="pagenum" id="Page_471">[471]</span>
-secolo dopo, per Toscana era imposto ad ogni contadino
-di piantarne cinque ogni anno<a class="tag" id="tag265" href="#note265">[265]</a>; poi si proibì
-d’asportarne la foglia, e nel 1423 si concedea franchigia
-a chi ne importasse. Pretendono che Lodovico Sforza
-gl’introducesse nel suo parco di Vigevano, donde si
-diffusero per Lombardia, di che a lui venne il cognome
-di Moro. Una grida di Milano del 1470 impone si
-piantino almeno cinque gelsi ogni cento pertiche; un’altra,
-di notificare quanti ne esistevano, e la foglia loro
-si cedesse al maestro da seta a prezzo equo, chi non
-volesse da sè nutrirne i bachi<a class="tag" id="tag266" href="#note266">[266]</a>. Ma già nel 1507 il
-Murlato, in una cronaca comasca manoscritta, nota che
-le campagne attorno a Milano e a Como davano immagine
-d’una foresta di gelsi.
-</p>
-
-<p>
-Vorrebbero che Ruggero di Sicilia dalla sua spedizione
-in Grecia portasse telaj ed operaj di seta; ma
-noi vedemmo come anteriormente ne tessessero i Saracini.
-Soggiungono che quell’arte fiorisse in Lucca, e
-che quando Castruccio la prese, novecento famiglie di
-tessitori si diffondessero per la restante Italia, trentuna
-delle quali nella sola Venezia: pure fin dal 1225 l’arte
-della seta a Firenze formava corporazione distinta, noverata
-<span class="pagenum" id="Page_472">[472]</span>
-fra le maggiori, e coll’insegna d’una porta rossa
-in campo bianco; e nel 1248 i Veneziani proibirono il
-commerciar di seta agli esattori delle tasse imposte ai
-fabbricatori di essa. Frà Buonvicino da Riva in quel
-giro di tempo scrive che a Milano si facevano panni
-<i>de lana nobili et de sirico, bombace, lino</i>: vero è che
-traevasi da di fuori. Borghesano da Bologna inventò i
-torcitoj nel 1272, tenuti in gelosissimo segreto, finchè,
-entrando il secolo xiv, gl’insegnò ai Modenesi un tal
-Ugolino, che per questo fu in patria appiccato in
-effigie<a class="tag" id="tag267" href="#note267">[267]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il setificio si estese a Pisa, Genova, Padova, Como,
-Verona, Vicenza, Bassano, Bergamo, Ferrara, Bologna
-e nella Lombardia, a segno che la seta indigena non
-bastando alle fabbriche, era d’uopo cercarne nella
-Marca, nella Calabria, nelle isole greche. Non si tardò
-a lavorare stoffe e broccati, intessendovi l’oro e l’argento,
-e ad applicarvi fregi metallici col ricamo e
-coll’impressione; e nell’industria de’ broccati gareggiarono
-Venezia, Genova, Lucca, superate da Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Marino da Cataponte veneziano nel 1456 riceveva
-dal re di Napoli mille scudi a prestito perchè in quel
-regno attivasse fabbriche di drappi di seta e oro; immune
-d’ogni gabella la seta, l’oro filato, la grana e
-tutto che servisse a tale lavorìo; gli operaj venissero
-trattati come napoletani; nelle loro cause civili e criminali
-non fossero riconosciuti da altro tribunale che
-dai loro consoli, i quali in numero di tre venivano
-eletti ogni anno da tutti quelli iscritti sulla matricola
-dell’arte, e ogni sabato doveano tener ragione. Altri
-diritti furono concessi e sussidj a Francesco di Nerone
-e Girolamo di Goriante fiorentini, a Pietro de’ Conversi
-genovese: anzi in appresso fu eretto in Napoli un
-distinto tribunale <i>della nobil arte della seta</i>, da’ cui
-<span class="pagenum" id="Page_473">[473]</span>
-decreti non davasi appello che al supremo consiglio,
-dove il giudice facea la relazione stando in piedi a
-capo scoperto<a class="tag" id="tag268" href="#note268">[268]</a>. Diritti quasi eguali v’ebbe l’arte
-della lana. Altri tessitori genovesi e fiorentini, invitati
-da Carlo VIII, poneano a Tours le prime manifatture
-di seta in Francia.
-</p>
-
-<p>
-Quest’arte essendo molto scaduta in Lucca, ove prima
-tanto fioriva, si cercò ravvivarla con regolamenti, che
-la dovettero anzi intristire. Lo statuto del 1482 prescrive
-che nessuno possa tesser drappi di seta se non
-sia arrolato nella scuola: per esservi scritto come capo
-maestro vuolsi abbia lavorato quattro anni chi è nato
-in l’arte, e cinque chi fuori. Chi lavora di tesser seta,
-non possa esercitare altr’arte ove di quella si maneggi.
-Chi comincia a tessere una pezza, deva farla marchiare,
-notandone il colore e la lunghezza. Non si tengano in
-casa più telaj dei descritti. Per farsi immatricolare si
-paga un ducato d’oro. La donna che si mariti fuor
-dell’arte, non possa insegnarla ad altri. Non si piglino
-garzoni forestieri. I mercanti giurino di non tingere
-zendadi con robbia nè sangue di becco, e i panni scarlatti
-colorire con grana<a class="tag" id="tag269" href="#note269">[269]</a>. Potremmo in ciascun
-paese riscontrare questi medesimi errori economici.
-</p>
-
-<p>
-La tintoria era un accessorio quasi indispensabile
-per tutte queste fabbricazioni. Da gran tempo l’allume
-era il mordente più consueto: avevamo appreso dalla
-Francia e perfezionato l’uso del chermes e della robbia:
-fu consacrato dalla pubblica riconoscenza il nome del
-Fiorentino che nel secolo xiv introdusse dal Levante in
-patria il tingere a oricello, cioè in violetto coll’uliva<a class="tag" id="tag270" href="#note270">[270]</a>,
-<span class="pagenum" id="Page_474">[474]</span>
-derivandone il cognome degli Oricellaj, alterato poi in
-Rucellaj. A Bologna prosperavano le tintorie di seta e
-di panno in grana e scarlatto; ed essendo nel 1220 per
-servizio di esse tirata in città l’acqua del Savena, fu
-conosciuta tanto opportuna, che i tintori fecero solenne
-festa con processione e fuochi per tre giorni
-(Ghirardacci).
-</p>
-
-<p>
-Venezia, Genova e la Lombardia fabbricavano eziandio
-tele di cotone, ma non da reggere il confronto di
-quelle di Mussul, mentre quelle di lino e di canape,
-tessute principalmente in Lombardia, Padova, Bologna
-e nel Piemonte, oltre soddisfare al consumo ogni dì
-crescente, servivano anche a baratti coll’Asia. A pari
-colla seta erano prezzate le pelliccie, distintivo de’ cavalieri
-e di alcune dignità civili ed ecclesiastiche: di
-grossolane arrivavano da Svezia e Norvegia; da Russia
-le preziose, massime dopo scoperta la Livonia; preparavansi
-a Venezia, Bologna, Firenze, e in quantità
-erano spedite al Levante.
-</p>
-
-<p>
-Il nome di Firenze richiama i cappelli di paglia intrecciata,
-arte ben antica se in casa Ricci ancor si conserva
-quello che fu di santa Caterina de’ Ricci. A Brozzi
-dapprima, poi si estese alla Lastra, a San Piero, a
-Ponte, a San Donnino, e se ne mandava per tutto il
-mondo<a class="tag" id="tag271" href="#note271">[271]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_475">[475]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le armi davano lavoro a molti opifizj, dovendo ogni
-feudatario fornirne i suoi uomini, ogni libero se stesso,
-ogni armatore il proprio legno. Corazzaj e spadaj formavano
-una delle arti in Firenze; in Milano dura il
-nome alle contrade degli Spadaj e Speronaj: e le armi
-della lupa quivi fabbricate erano cerche persino fuori
-di cristianità.
-</p>
-
-<p>
-L’arte del vetro, della quale fino dal xiii secolo
-aveva esposto i metodi il patrizio Manni, e che era
-concentrata in Murano, andò sempre in meglio; e Venezia
-lavorava come semplici ornamenti conosciuti col
-nome di <i>conterie</i>, così imitazioni di gemme, vasi comuni
-e costosi cristalli, vetri di finestre e specchi suntuosi.
-Una fontana di cristallo in argento fabbricata a
-Murano, fu comprata tremila e cinquecento zecchini da
-un duca di Milano. Una legge del 1255 provvide per
-gelosamente conservare quest’industria al paese; e chi
-la esercitasse, godeva privilegi tali, che il matrimonio
-d’un patrizio colla figlia d’un vetrajo non derogava la
-nobiltà, e la moglie del nobile muranese sedeva pari a
-quelle della dominante; l’operajo che ne migrasse, era
-reo di morte.
-</p>
-
-<p>
-Vi si lavorava pure attivamente di conciar pelli, e
-dorare cuoj per le tappezzerie e marocchini. Moltissimi
-orefici con eleganza pari all’abilità legavano gemme e
-facevano d’ogni maniera ornamenti fin dal secolo <span class="smcap lowercase">XII</span>,
-gareggiando con Genova, Bologna, Parma, Cremona,
-Mantova, Perugia, Milano che n’era mercato ed emporio
-per l’Italia media. Fin dal 1123 appare indizio
-della catenella, che ogni Veneziana poi volle avere a
-più giri attorno al collo e ai polsi. I camini in forma
-di campana, i terrazzi di pietruzze e calcistruzzo battuti
-v’erano comodità antiche, e da Venezia si propagarono
-al resto d’Italia.
-</p>
-
-<p>
-Disputarono agli Orientali la fabbrica de’ camelotti
-<span class="pagenum" id="Page_476">[476]</span>
-e delle rascie; la canapa convertivano in cordami, il
-filo in trine, migliaja di povere addestrandosi al rinomato
-punto in aria. Il borace, che traevano dall’Egitto
-e dalla Cina, soli i Veneziani sapeano preparare, come
-il cremor di tartaro, la biacca, la lacca, il cinabro, il
-sublimato, probabilmente imparati dagli Arabi. Molto
-si lavorava di cera, la cui imbiancatura non v’era pregiudicata
-dalla polvere; di zuccari prima della scoperta
-d’America, di liquori, di sapone. A Perasco faceansi le
-corde armoniche, nel Vicentino i panni, a Salò il refe.
-La zecca, oltre la moneta nazionale, ne lavorava pei
-paesi con cui trafficavano, ed anche coll’impronta dei
-re barbari. Le cartiere del Friuli e di Brescia diedero
-un altro capo di asportazione ai Veneziani, che presto
-la nuova arte de’ libri stampati aggiunsero alle antiche:
-una nave catalana nel 1380 aveva caricato a Genova
-per la Fiandra ventidue balle <i>paperi scrivabilis</i><a class="tag" id="tag272" href="#note272">[272]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le varie arti v’erano unite in fraglie, regolate da
-matricole scritte (<i>mariegole</i>), dove pure si deponevano
-i secreti dell’arte, e la poteva esercitare solo chi vi
-fosse registrato o chi avesse educato un trovatello.
-Aveano particolare magistratura di conciliazione: con
-tenui contribuzioni si preparavano mutui soccorsi, ed
-ergevano chiese e scuole, la cui magnificenza desta
-ancora la meraviglia. Il magistrato dei sensali giudicava
-in prima istanza la propria corporazione, potendo
-condannare fino a tre anni di galera; i giudici della
-seta e la camera del purgo giudicavano de’ setajuoli e
-lanajuoli.
-</p>
-
-<p>
-Di gran mistero avvolgevansi le manifatture, gli olj
-e sali medicinali; la teriaca, famoso polifarmaco, tenuto
-qual panacea universale, e di cui fin seicentomila
-libbre l’anno si asportavano; le tinture, massime lo
-<span class="pagenum" id="Page_477">[477]</span>
-scarlatto e il chermisi, non doveansi fare che al tempo
-determinato dalla legge, e con apparato d’incantesimo,
-e con baje di giganti col cappellone, di uccellacci o
-d’altro che portassero gl’ingredienti: meschini spedienti
-ma comuni, che, invece di cercare la superiorità
-nel migliorare, assonnavano nella fiducia della proibita
-concorrenza.
-</p>
-
-<p>
-Il fiorentino Dei, che vergò violenti diatribe contro
-i Veneziani, e si vantava d’aver fatto gran male ad essi
-in tutti i paesi, e massimamente aizzando i Turchi a
-loro danno, li rimprovera perchè sui mercati, dove i
-Fiorentini comparivano con broccati e drappi di gran
-valuta, essi non portassero che aghi, seta da cucire e
-far frange, sonagli, arme, vetrame e bazzecole. Prova
-che i Veneziani eransi accorti come i piccoli guadagni
-moltiplicati equivalgono ai grossi, e quanto giovi lo
-speculare sovra oggetti minuti ma di gran consumo.
-</p>
-
-<p>
-Con tutti quei regolamenti e con infinite minuzie e
-precauzioni, consonanti all’economia politica d’allora,
-il Governo voleva attirare ai Veneziani tutti i vantaggi
-del commercio europeo, nutrire l’industria per mezzo
-dell’industria, assicurare alle fabbriche del paese un’occupazione
-costante, non lasciando mai venir meno le
-materie prime. Siffatto sistema a lungo andare poteva
-cessar di produrre i vantaggi che si speravano nello
-stabilirlo; ma l’incertezza del futuro e la poca probabilità
-di cambiamenti possono giustificare la condotta
-del senato, mentre il paese vi va debitore di grandi
-lucri e ricchezze. Del resto noi, tuttora impigliati fra
-tante pastoje, potremmo apporre a que’ vecchi se non
-aveano ancora imparato che in ogni materia, ma più
-nel commercio, il meglio che possa farsi è il non governar
-troppo? Essi invece per favorire il commercio
-moltiplicarono leggi, alcune delle quali non poteano
-che pregiudicargli, come avviene delle vincolanti. Conviene
-<span class="pagenum" id="Page_478">[478]</span>
-però confessare che conoscevano il principale
-scopo del commercio, qual è di conguagliare la ricerca
-coll’offerta, la produzione col consumo, nè mai c’incontra
-di vedere quegl’ingombri di manifatture non
-ismaltite, che sono il disastro dell’odierna industria,
-comunque giganteggiata pel sussidio delle scienze, delle
-belle arti, dello spirito d’associazione, della suddivisione
-de’ lavori.
-</p>
-
-<p>
-Procuravasi la buona fede coll’infamare chi fallisse
-al debito: e a Milano, a Firenze, altrove doveva acculacciare
-una pietra: la <i>pietra del vitupero</i> stava nella
-sala della Ragione a Padova; a Monza, chi rassegnava
-i beni dovea presentarsi alla pubblica assemblea, e
-scalzo, nudo, in sole brache ascendere sopra la pietra,
-e starvi dal principio al fine dell’adunanza; a Lucca,
-siccome nell’antica Roma, l’oberato portava un berretto
-giallo, e se un creditore l’incontrasse senza questo,
-avea diritto di farlo arrestare. Con un rigore, di cui
-l’Inghilterra pur offre esempio, nel 1398 i Fiorentini
-stanziarono che i falliti potessero forzarsi a far da boja,
-quando altro non ce ne fosse<a class="tag" id="tag273" href="#note273">[273]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_479">[479]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nel 1253 i Cremonesi stipularono coi Genovesi che,
-se qualche Genovese abbia fatto credito a un Cremonese
-nel distretto di Genova, il creditore deva richiedere
-per mezzo del Comune di Genova il Comune di
-Cremona, il quale sarà obbligato ottenergliene la soddisfazione.
-Se il debitore confessi il debito e nol paghi
-subito, venga arrestato e consegnato al creditore esso
-e i figli, per essere sostenuto nel carcere de’ malfattori,
-o condotto fuori del distretto di Cremona cinque miglia,
-dove il creditore vorrà. Se il debitore fuggisse di carcere,
-il Comune di Cremona pagherà. Se pagasse il
-debito, non si rilascerà finchè non dia una sicurezza
-di stare al giudizio. Del debitore confesso poi si avrà
-soddisfazione prima col mobile poi coll’immobile, a
-stima di arbitri giurati, in modo che il Comune lo riceva
-e paghi secondo tale stima. Se poi non abbia nè
-mobile nè immobile, sarà consegnato co’ suoi figli maschi
-al creditore e condotto come sopra. Se fuggissero,
-siano dichiarati forestieri (<i>forestetur</i>) al Comune di
-Cremona; e se mai vi tornino, tengansi obbligati a
-soddisfare al creditore<a class="tag" id="tag274" href="#note274">[274]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Di buon’ora si cominciò a mettere in iscritto le
-convenzioni commerciali, e pur testè fu pubblicato il
-<span class="pagenum" id="Page_480">[480]</span>
-repertorio di Giovanni Scriba notajo di Genova, il quale
-pel solo anno 1161 contiene cenquarantacinque atti
-privati, di società, di proteste, di divisioni<a class="tag" id="tag275" href="#note275">[275]</a>. Pel
-più antico istrumento mercantile vi è dato un atto del
-1155, ove un Aucello giura portare a trafficar in Sicilia
-e a Salerno lire sessantadue, ricevute da Oberto
-Usodimare. Una carta dell’anno stesso dice: «Io Ugero
-Lugaro confesso aver quattrocentosessantasette lire di
-roba tua, o Guglielmo Filardo, che devo portare ad
-Alessandria per trafficare a tuo conto: al ritorno deve
-esser tuo il capitale e il profitto, eccetto sette bisanti
-che mi vengono per la condotta. Di quelle lire devo
-far le spese del mio vitto e per quanto occorre. Del
-mio, porto lire venti». Ai 19 settembre Ribaldo da
-Sarafia e Ferro di Campo mettono in società quello
-lire cinquanta, questo trentacinque e il suo personale,
-e gli utili si divideranno a metà. Al 6 luglio 1156
-Lanfranco Pepe commette il capitale di lire cinquanta
-a Bernardo Porcello che lo traffichi in Genova, e dei
-profitti si farà a metà. In quel curioso repertorio molte
-altre si hanno di queste associazioni del capitale coll’industria.
-</p>
-
-<p>
-Opportunissima al commercio venne l’istituzione dei
-consolati, cioè d’una speciale e compendiosa giurisdizione
-per le cause mercantili sia nell’interno, sia fuori<a class="tag" id="tag276" href="#note276">[276]</a>.
-Ne’ paesi lontani più frequentati si tenevano consoli,
-che e vigilassero sugli atti del commercio nazionale,
-e giudicassero i negozianti loro compatrioti secondo
-leggi scritte o le usanze o il buon senso. Tali sentenze
-costituirono un diritto consuetudinario; poi un
-<span class="pagenum" id="Page_481">[481]</span>
-Catalano o più probabilmente un Italiano, entrante il
-secolo xiii, pensò raccogliere le costumanze de’ porti
-del Mediterraneo, e ne nacque il <i>Consolato de’ fatti
-marittimi</i>, base anch’oggi di tale legislazione, e diritto
-comune ove manchino disposizioni particolari. Doveano
-essere avanzi delle leggi antiche, durate in pratica
-anche dopo periti i documenti; e vi si tratta, in ducento
-capitoli, dei doveri e diritti dei patroni di nave
-e socj, de’ marinaj, mercanti, passeggeri; delle merci
-occultate, bagnate, guaste, prese, gittate; degli attrezzi,
-delle armi, delle condizioni di nolo, de’ cambj, delle
-assicurazioni<a class="tag" id="tag277" href="#note277">[277]</a>. A questo esempio furono compilati
-il <i>Giudicato di Oleron</i> per l’Oceano, e le <i>Ordinanze di
-Wisby</i> pel Settentrione.
-</p>
-
-<p>
-Se pure le assicurazioni erano conosciute ai Romani,
-sì poco erano consuete, che legislatori e giureconsulti
-non le credettero meritevoli di speciale attenzione. Nei
-nuovi tempi si estesero, e i primi esperimenti si restrinsero
-ad accomunare i rischi fra i padroni del vascello
-e quelli che caricavano. Tanto ne parve bene,
-<span class="pagenum" id="Page_482">[482]</span>
-che la compilazione Rodia, certo anteriore all’xi secolo,
-la legge di Trani che vorrebbesi del 1060, quella
-di Venezia del 1253, le imposero come obbligo. Però,
-non legando che persone cointeressate nella spedizione,
-stavano a troppo gran pezza da quelle zarose e insieme
-precise speculazioni, dove, calcolando i venti,
-le avarie, le stagioni, e insieme le politiche eventualità,
-la guerra, la pirateria, si offre l’intero rifacimento
-delle lor perdite, mediante una tenue anticipazione.
-</p>
-
-<p>
-Non ha appoggio chi le asserisce conosciute a Bruges
-nel 1310; e poichè niuna legge marittima settentrionale
-ne parla, nè tampoco la grande <i>Ordinanza
-anseatica</i> del 1364, ci si fa credibile cominciassero fra
-noi, dove gli statuti di Pisa del 1161 le ricordano<a class="tag" id="tag278" href="#note278">[278]</a>:
-nel 1300 il Pegolotti espone come ordinaria questa
-assicurazione di denari e mercanzie «a salvi in terra,
-a rischio di genti e di mare, a tutto periglio di mare,
-di gente, di fuoco, di corsali», con premio dal sei al
-quindici per cento: il breve poi del porto di Cagliari
-prevede i casi del <i>naulegar</i> e del <i>sigurare</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ma grand’ala non poteva aprire il commercio quando
-sì scarso il contante; non avendosi oro che dalle miniere
-di Spagna e Ungheria, poca polvere dall’Africa,
-qualche paglia dai nostri fiumi; dell’argento non ancora
-lavorandosi le cave dell’Harz; e il commercio
-coll’India e la Cina dovendo saldarsi in moneta effettiva,
-perchè non avevano esse bisogno delle derrate
-o manifatture europee; finchè l’Inghilterra ai nostri
-giorni non riuscì a surrogarvi l’oppio e le cotonerie.
-</p>
-
-<p>
-I Romani sentirono, ma non ripararono tale deficienza;
-la quale, cresciuta collo sperpero della migrazione,
-<span class="pagenum" id="Page_483">[483]</span>
-poi per le crociate, impacciava le transazioni. Gli
-è ben vero che queste nell’interno erano assai rade,
-quando la proprietà restava legata da feudi, livelli, diritti
-comunali, manimorte, e dall’attenzione di conservare
-l’avito possesso: pel consumo usuale poi molto
-adoperavasi il baratto. Però l’Italia ebbe sempre maggior
-correntezza di contante, sì perchè la sua industria
-ve ne chiamava, in tempo che le altre nazioni limitavansi
-a comprare e consumare, e tutto doveano procacciarsi
-a denaro, non avendo di che far baratti; sì
-per lo speso dai tanti che qui erano condotti dalla devozione
-o dall’ambizione o dagli affari; sì perchè la
-curia romana da tutto il mondo riceveva o tributi, o
-tasse per dispense, indulgenze, aspettative, brevetti, investiture
-e simili, o frutti di benefizj lontani, investiti a
-prelati qui dimoranti.
-</p>
-
-<p>
-Se ne valsero i nostri per applicarsi alla banca o al
-prestito, e svilupparono le varie forme del credito.
-Quando ogni paese, ogni feudo aveva zecca propria, e
-spediente di finanza consideravasi il falsare o alterar
-le monete, nasceva un’inestricabile diversità di titolo,
-d’impronte, di valore. Per sottrarsi alla quale non di
-rado si stipulavano i pagamenti a peso, cioè a marco,
-diviso in otto once di ventiquattro carati<a class="tag" id="tag279" href="#note279">[279]</a>; onde i
-negozianti, prima di rimpatriare, col denaro avuto compravano
-oro e argento non coniato. Tanto più che molti
-paesi, considerando il denaro come vera ricchezza, non
-come solo stromento di cambio e misura del valore,
-impedivano gelosamente l’asportarlo. A questo disagio
-e alle frodi, troppo facili sopra monete non conosciute,
-ripararono Lombardi, Fiorentini, Senesi, nelle primarie
-città aprendo scanni, col nome di banchieri o <i>campsores</i>;
-<span class="pagenum" id="Page_484">[484]</span>
-e ricevute in deposito le somme, sborsavanle man
-mano che il depositante traesse su loro, o facevanle a
-questo pagare dai proprj corrispondenti ove egli si
-recasse. Tutte le operazioni che oggi si lodano come
-arte bancaria o si vituperano come aggiotaggio, le
-troviamo già in uso; e Firenze nel 1371 moderava i
-giuochi di borsa coll’imporre una tassa sopra la vendita
-de’ fondi pubblici<a class="tag" id="tag280" href="#note280">[280]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Una scolastica distinzione fra le ricchezze fruttifere
-e le infruttifere, che poneva cioè il valore nelle cose
-medesime, non nel servizio che rendono all’uomo, fece
-a molti, fino a’ dì nostri, dichiarare illecito il guadagnar
-sul denaro; e fatto un precetto del consiglio evangelico
-<i>Date a mutuo senza nulla sperarne</i>, si giudicò
-peccato il lucrare un interesse. Ma poichè è troppo
-naturale e vantaggioso che il capitalista accomodi al
-lavoratore, bisognava illudere la coscienza co’ varj sotterfugi
-di cui gli usurieri sono maestri. I governi poi
-pensarono a porre un limite agl’interessi affinchè non
-se ne abusasse; quasi non dovessero, come in tutte le
-altre mercanzie, proporzionarsi al rischio, alla ricerca,
-al lucro del mutuante. Come avviene dei provvedimenti
-arbitrarj, anche questo dovette altalenare; e poichè
-probabilmente le variazioni si saranno legalizzate sol
-dopo che l’abuso era comune, non possiamo dal variare
-degli interessi argomentare la maggior o minore
-ricchezza pubblica, cioè il migliore impiego del denaro.
-Perocchè a volere che in paese industre gl’interessi
-si proporzionino al vantaggio che ne trae l’accattante,
-bisognerebbe che i divieti non perturbassero l’equivalenza
-de’ servigi; e molte volte gl’interessi sono alti in
-<span class="pagenum" id="Page_485">[485]</span>
-grazia non della prosperità, ma del rischio a cui il capitale
-si espone. Così oggi in Levante, perchè il Corano
-vieta il ricevere frutto, il prestatore non protetto dalla
-legge deve premunirsi dai rischi della contravvenzione.
-</p>
-
-<p>
-Il codice romano stabiliva il merito del quattro per
-le persone illustri, dell’otto pei mercanti, del dodici
-per quelli di grado inferiore che prestassero grano o
-derrate, del sei per gli altri; tanto era mal compreso
-l’uffizio del denaro. Nel medio evo, il commercio trasse
-il denaro nelle città, sicchè i signori castellani e principi
-ne pativano disagio, e bisognava ne cercassero a
-usure trasmodate. Guido conte di Biandrate nel 1161
-pattuiva quattro denari al mese, cioè il venti per cento.
-Nel 1201 Arduino vescovo torinese conveniva con Giacomo
-e Bartolomeo Sylo, se non restituisse fra due
-anni le dovute 152 lire susine, v’aggiungerebbe lire 13;
-se fra tre, lire 25; se fra quattro, lire 58; se fra cinque,
-lire 90; se fra sei, lire 113: il che era un modo di
-mascherare l’usura, maggiore del dodici per cento
-(Cibrario). Nei conti di Giuliano di Nannino de’ Bardi
-con Pietro di Francesco Piccioli nel 1427 al prestito
-di lire 2928 in un anno è computato l’interesse di lire
-878: lo che scontra il trenta per cento (Pagnini). Il
-doge Mocenigo assegna il quaranta all’anno pei capitali
-messi nel commercio. Federico II in Sicilia lasciò solo
-agli Ebrei il prestare, e proibì di passare il dieci<a class="tag" id="tag281" href="#note281">[281]</a>;
-errore massiccio, emendato dalle violazioni. Uno statuto
-veronese nel 1228 prefiggeva il dodici e mezzo;
-<span class="pagenum" id="Page_486">[486]</span>
-uno di Modena del 70, il venti; uno di Cremona del 78
-interdisse agli Ebrei di esigere sui pegni più di sei denari
-per lira al mese. Nel <span class="smcap lowercase">XIV</span> secolo v’ha esempj del
-trentacinque. A Firenze erano ottanta banchi, e il monte
-pagava il merito del dodici o quindici e non mai più
-del venti: per moderare le usure, nel 1430 vi si chiamarono
-Ebrei, i quali obbligavansi a non riscuotere di
-là dal venti; e quando nel 95 furono espulsi, si trovò,
-o almeno si disse che in cinquant’anni aveano guadagnato
-49,792,556 fiorini.
-</p>
-
-<p>
-In Piemonte, morendo uno in fama d’avere guadagnato
-di usura, ogni aver suo ricadeva nel fisco: al
-qual uopo con rigore si suggellava la casa, s’imprigionavano
-la vedova e i figli acciocchè dichiarassero se
-nulla tenessero nascosto: istituivasi l’indagine, dalla
-quale raramente l’accusato usciva netto quando importava
-al fisco di trovarlo in colpa; anche purgandosi,
-non veniva reintegrato della roba e dell’onore: lo perchè
-tutti procuravano accordarsi col fisco, colpevoli o
-no (Cibrario).
-</p>
-
-<p>
-Il pregiudizio contro gli Ebrei impedì acquistassero
-proprietà sode; onde si gettarono sulle arti e sul commercio,
-e non legati da restrizioni clericali, e nell’obbrobrio
-loro poco adombrandosi di nuova infamia, davano
-a prestito. Quei che doveano accattar denari da
-loro, gli accusavano di esorbitanti usure; i rovinati,
-gl’infingardi riversavano sopra di loro ogni colpa, pretesto
-a fraudarli del dovuto: e così odiati e necessarj,
-menavano quella esistenza eccezionale, che è una singolarità
-in mezzo alle singolarità del medioevo. Ma
-quel continuo cacciarli per continuo restituirli attesta
-la cresciuta importanza delle ricchezze commerciali,
-per cui l’opifizio ormai equivaleva al castello. Che se
-in Francia e in Inghilterra gli Ebrei erano esposti alle
-brutalità della plebe, alle persecuzioni de’ preti, all’insaziabiltà
-<span class="pagenum" id="Page_487">[487]</span>
-dei re, che li chiamavano per ottenerne denari
-a prestito, poi li sbandivano per farsi pagare
-la tolleranza, da noi poteano trafficare, se non senza
-odio, almeno senza pericolo; e se per l’opinione dello
-scannar figliuoli alla pasqua, la quale vedemmo ridesta
-perfino ai giorni nostri, erano avversati non
-meno dalla fanatica Napoli che dalla colta Firenze,
-spesso gli statuti li riconoscevano, se non altro, per moderarli.
-Venezia nel 1400 a due Ebrei concesse di fondare
-una banca di prestito; e quando s’impadronì di
-Ravenna, prese obbligo di spedirvi banchieri ebrei; i
-quali aveano case a Roma, a Firenze, a Pavia, a Parma,
-a Mantova, anzi in tutte le principali città.
-</p>
-
-<p>
-A Roma l’università degli Ebrei doveva pagare 1130
-fiorini d’oro (come da istromento inserito nella bolla
-di Bonifazio IX del 1399) che servissero alle feste
-carnovalesche di piazza Navona e a Testacio. Inoltre,
-al principio del carnovale, alcuni loro deputati doveano
-presentarsi ai conservatori di Roma, implorando continuasse
-a loro la protezione del popolo romano, e offrendo
-un mazzo di fiori e una cedola di 20 scudi, da
-spendere in addobbare i palchi della magistratura romana.
-Il primo conservatore rispondeva, che, se rimanessero
-quieti e fedeli, non verrebbe lor meno la protezione
-del popolo e del papa. Eguale omaggio faceano
-al senatore, che rispondeva in simili sensi.
-</p>
-
-<p>
-A Martino V gli Ebrei d’Italia portarono lagnanze pei
-mali trattamenti che soffrivano; ed egli, inerendo all’operato
-da’ suoi predecessori, promulgò privilegi, e
-proibì agl’inquisitori e ad ogni altra persona laica od
-ecclesiastica di predicar contro di loro e inviperire la
-plebe, nè recare ad essi molestie, salvo se fossero fautori
-dell’eresia, non obbligarli ai divini uffizj, non battezzarne
-alcuno prima dei dodici anni. Nondimeno alcuni
-predicatori, massime de’ Mendicanti, persuadevano
-<span class="pagenum" id="Page_488">[488]</span>
-i Cristiani ad evitare ogni contatto cogli Ebrei, non
-cuocer loro il pane, non prestar fuoco o servizj, non
-riceverne prestanze, minacciandoli di ecclesiastiche censure;
-a tacer quelli che, eccitati da ciò, ne sturbavano
-i possessi, li battevano, ingiuriavano, uccidevano; col
-che «li rendeano più ostinati nella loro perfidia, mentre
-colla carità potrebbero cattivarli». Laonde Pio II, nella
-bolla 27 luglio 1459, toglie in protezione gli Ebrei;
-abbiano sinagoghe e sepolture senza impaccio; nè vogliasi
-costringerli a vivere a modo nostro, o lavorare il
-sabato; nè siano esclusi dal conversare coi nostri, nè
-dal comprare o appigionar case e beni da Cristiani, e
-far contratti, mercatare, tenere scuole delle scienze giudaiche<a class="tag" id="tag282" href="#note282">[282]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Cogli Ebrei presto vennero a concorrenza Lombardi,
-Astigiani, Toscani, Caorsini, aprendo banche in ogni
-canto d’Europa, e accomodando di denaro non solo i
-<span class="pagenum" id="Page_489">[489]</span>
-privati, ma anche il pubblico, e massime in Inghilterra,
-cautelandosi sopra i dazj. Gli statuti di Susa fin dal xii
-secolo parlano di <i>casane</i> stabilite in varie città d’Italia,
-cioè banchi di prestanza e di cambio. Nel 1277 Filippo
-III re di Francia catturò tutti i prestatori italiani
-sotto imputazione d’usuraj, ma in fatto per ismungerli;
-e si lasciò calmare solo da sessantamila libbre di parisj,
-che varrebbero oggi ventiquattro milioni<a class="tag" id="tag283" href="#note283">[283]</a>; poi nel
-94 stipulava col capitano e col corpo de’ cambisti italiani,
-che gli dovessero un tanto per gli affari di cambio.
-Metz ne avea fin dal 1260, e nel 1370 restaurò le sue
-mura colla taglia percetta su questi Lombardi; nel 1404
-appaltava per dodici anni la sua banca a Giovanni Frassinale
-di Vercelli per duemila e quattrocentotto fiorini
-di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Al pari degli Ebrei erano favoriti e odiati i Lombardi;
-tassate al doppio delle altre le <i>lettere lombarde</i>,
-con cui la cancelleria francese gli autorizzava al commercio;
-relegati in quartieri distinti e chiusi, simili ai
-ghetti; e a volta a volta spogliati violentemente od
-espulsi. Un’ordinanza del 6 gennajo 1477 invitava gli
-abitanti di Amsterdam a ritirare i loro pegni dai
-Lombardi avanti il martedì grasso, assolvendoli dagli
-interessi.
-</p>
-
-<p>
-I Fiorentini principalmente applicarono a quest’industria;
-e Frescobaldi, Bardi e Peruzzi, Capponi, Acciajuoli,
-Corsini, Ammannati erano le più famose banche
-cantanti in Inghilterra e ne’ Paesi Bassi. La casa dei figli
-di Caroccio degli Alberti dal 1348 al 57 aveva filiali
-ad Avignone, Bruges, Napoli, Barletta, Venezia e altrove,
-le quali pagavano o riscotevano le somme da rimettersi
-in Avignone alla corte pontifizia o ad altre piazze
-di Francia, Fiandra, Germania, Italia: contemporaneamente
-<span class="pagenum" id="Page_490">[490]</span>
-negoziava in grosso di panni, che da Brusselles,
-Gand e altre terre di Fiandra, Francia, Inghilterra, per
-la lor casa di Bruges erano spediti al fondaco di panni
-in Firenze, per la via di Parigi, Marsiglia, Nizza, Pisa<a class="tag" id="tag284" href="#note284">[284]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Destri com’erano, qual meraviglia se i nostri venivano
-adoprati per consiglieri e ministri di finanza da
-principi? tanto più che non poteano questi assumere
-veruna impresa se dal banchiere non ne avessero assicurati
-i mezzi. Molti <i>siniscalcati</i> della Francia meridionale
-erano appaltati a compagnie di Lombardi, che
-si assumevano queste imprese finanziarie<a class="tag" id="tag285" href="#note285">[285]</a>: a Lione
-case fiorentine, lucchesi, genovesi faceano in grande il
-commercio d’asportazione e importazione de’ tessuti di
-lana e seta<a class="tag" id="tag286" href="#note286">[286]</a>, e vi serba nome la via de’ Guadagni
-ove questi teneano banca: ne’ libri mastri di Genova,
-di Pisa, di Messina, in mancanza di altri documenti,
-vengono a cercar prove di nobiltà le famiglie francesi
-che ambiscono di poter inserire la croce nel loro
-stemma.
-</p>
-
-<p>
-Quelle banche riceveano in deposito capitali di signori
-e principi. I figli d’Obizzo d’Este nel 1293 fecero
-intimare alle compagnie de’ Baccherelli, della Cella,
-dei Cerchi Bianchi e Neri, de’ Frescobaldi, de’ Nerli,
-de’ Bardi, degli Acciajuoli, ed altre di Firenze, nulla
-rendessero al marchese Aldobrandino di quel che il
-loro padre aveva ad essi affidato<a class="tag" id="tag287" href="#note287">[287]</a>. Giovanni Bodino
-disapprovava una banca a Lione, su cui metteano fondi
-non solo principi cristiani ma fino i bascià, e che a
-Francesco I fece patti onerosissimi, e ad Enrico II
-prestò a nome de’ Capponi e degli Albizzi, al dieci e
-<span class="pagenum" id="Page_491">[491]</span>
-dodici e fin sedici per cento. Borromeo de’ Borromei,
-di quel Samminiato donde uscirono fra poco i Buonaparte
-e gli Sforza, nel 1379 accomodava di ottantamila
-fiorini d’oro Gian Galeazzo Visconti. Nel 1321 i Peruzzi
-doveano avere cennovantunmila fiorini d’oro,
-e centrentatremila i Bardi dai cavalieri di San Giovanni.
-Fu considerato come pubblico disastro quando gli Scali
-nel 1339 fallirono di quattrocentomila fiorini; e i Peruzzi
-e Bardi di mille trecento settantatremila, che equivarrebbero
-a quaranta milioni di lira d’oggi.
-</p>
-
-<p>
-Agli Ebrei attribuisce Giovan Villani le lettere di
-cambio, i quali, sbanditi di Francia sotto Dagoberto I
-nel 630, Filippo Augusto nel 1181, e Filippo il Lungo
-nel 1316, si ritirarono in Lombardia, e per trarre il
-denaro lasciato colà, a mercanti e viaggiatori davano
-lettere concise. Qual conto fare di un’indicazione di
-tempo così indeterminato? e quanto poco è probabile,
-allorchè il bando vietava ogni comunicazione ed assistenza
-agli Ebrei espulsi. Sa più ragionevole il lodarne
-i Guelfi di Firenze, che sbanditi dai Ghibellini, trassero
-somme, principalmente in Lione. I Ghibellini, cacciati
-alla lor volta, ricoverarono ad Amsterdam, ed usarono
-altrettanto<a class="tag" id="tag288" href="#note288">[288]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Alcune cambiali non aveano particolare direzione, il
-che si praticava specialmente in Levante, e sembra indicarle
-il Fibonacci sin dal 1202: altre ordinavano di
-pagare a persona nominata; e il primo esempio sicuro
-è di papa Innocenzo IV, che nel 1246 trasmetteva venticinquemila
-marchi d’argento ad Enrico Raspon anticesare,
-facendoli pagare a Francoforte da una casa di
-<span class="pagenum" id="Page_492">[492]</span>
-Venezia. Nel 1253 Enrico III d’Inghilterra autorizzò
-alcuni italiani suoi creditori a rimborsarsi mediante
-tratte sopra vescovi del suo regno, il valor delle quali
-ammontava a 150,540 marchi; e il legato pontifizio
-ebbe cura di farle pagare puntualmente. I negozianti
-trovarono comodo il pareggiar le partite senza intervenzione
-dei banchieri per via di tratte; e la più antica
-che ci resti è d’una casa di Milano, che nel 1326 tirava
-sopra una di Lucca a cinque mesi dalla data<a class="tag" id="tag289" href="#note289">[289]</a>.
-Baldo giureconsulto adduce due cambiali, una del 1381
-sotto nomi supposti, l’altra del 95 di Borromeo de’
-Borromei da Milano sopra Alessandro Borromeo.
-</p>
-
-<p>
-Un regolamento del 1394 ingiunge ai negozianti di
-Barcellona di pagar le cambiali entro ventiquattr’ore
-dalla presentazione, e di attergarne l’accettazione; e
-pare si conoscessero anche i protesti. Più tardi s’introdussero
-le girate, che ne formarono la vera comodità.
-Se dunque gli Ebrei inventarono le cambiali, la vera
-teorica loro è dovuta agl’Italiani, che le estesero per
-incassare i fondi, da ogni parte del mondo affluenti alla
-corte di Roma.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_493">[493]</span>
-</p>
-
-<p>
-Alle fiere di Champagne, molto frequentate perchè
-medie fra l’Italia, la Francia meridionale e i Paesi Bassi,
-breve tempo s’indugiavano i negozianti; laonde i re di
-Francia statuirono che, contro chi lasciasse scadere
-una cambiale firmata nella fiera precedente, si procedesse
-in via sommaria. Di qui il diritto cambiario; e
-spesso obbligavansi i debitori ad enunziare ne’ recapiti
-che il debito era stato contratto in tempo di fiera per
-goderne il privilegio.
-</p>
-
-<p>
-Spedientissime trovate furono le banche pubbliche,
-le quali nelle transazioni di commercio surrogano al
-denaro sonante i viglietti, cioè raddoppiano i titoli legali
-del concambio. Fin dal 1171 pare Venezia possedesse
-un banco di credito; altre città ne istituirono,
-ma nessuna con tanta ampiezza e fortuna quanto Genova,
-del cui banco di San Giorgio abbiamo già parlato
-a disteso (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 111).
-</p>
-
-<p>
-Affine poi che anche i privati trovassero comodità di
-prestiti senza cascare negli usurieri, si stabilirono i Monti
-di pietà. Il primo si vide a Perugia nel 1467<a class="tag" id="tag290" href="#note290">[290]</a>,
-per opera di Bernabò medico di Terni, frate francescano,
-che non esigeva se non quanto bastasse alle
-spese d’amministrazione. San Bernardino da Feltre
-e frà Michele da Carcano diffusero quest’istituzione a
-Mantova<a class="tag" id="tag291" href="#note291">[291]</a>, a Como e nella restante Lombardia;
-Sisto IV approvò quello eretto a Viterbo il 1479, e ne
-pose uno in Savona sua patria; tosto Cesena, Firenze,
-<span class="pagenum" id="Page_494">[494]</span>
-Bologna, Napoli, Milano, Roma seguirono l’esempio,
-imitato dalle città industri di Fiandra, e più tardi dai
-Francesi. A qualche rigoroso moralista odoravano di
-usura, e accanita disputa si allungò fra teologi e giureconsulti;
-ma l’utilità che ne derivava indusse a mettervi
-piuttosto ordine e misura.
-</p>
-
-<p>
-Da quanto esponemmo siete chiari come le forze e i
-capitali si sapessero aumentare col formar compagnie
-di commercio. Fin dal 1188 è ricordata la società pisana
-degli Umilj, stabilita a Tiro, e che fra il negoziare
-non lasciava di soccorrere i Crociati<a class="tag" id="tag292" href="#note292">[292]</a>. I Bardi di
-Firenze aveano quasi il monopolio di tutto il regno di
-Napoli. Parrebbe anzi che le varie compagnie si abbracciassero
-in una generale, che costituiva una potenza
-mercantile, e che per ambasciadori trattava coi
-re e coi baroni, al modo dell’Ansa tedesca. Certamente
-un <i>capitano dell’università de’ mercadanti lombardi e
-toscani</i> risedeva a Montpellier, donde il 1276 re Filippo
-l’Ardito consentì si trasportasse a Nîmes<a class="tag" id="tag293" href="#note293">[293]</a>,
-nella carta stessa concedendo che nessun membro d’essa
-università potesse citarsi ad altro tribunale che al regio;
-morendo, i loro beni passino agli eredi; non soffrano
-del diritto di naufragio; vadano esenti dalle guardie,
-<span class="pagenum" id="Page_495">[495]</span>
-dalle taglie, dai servizj militari. Nel 1293 al Bourget
-in Savoja stipulavasi una salvaguardia tra Lodovico di
-Savoja signore di Vaud, e l’università dei mercanti di
-Lombardia, Toscana, Provenza, rappresentata da procuratori
-de’ mercanti di Milano, Firenze, Roma, Lucca,
-Siena, Pistoja, Bologna, Orvieto, Venezia, Genova, Alba,
-Asti, Provenza (Cibrario). Nè ignota era la società
-d’accomandita, per cui uno dà a trafficare una somma,
-partecipando agli utili interi, ma alle perdite soltanto
-fin all’ammontare del prestato<a class="tag" id="tag294" href="#note294">[294]</a>; e con decreto del
-1315 Luigi X di Francia dichiarava non trovare usura
-in società siffatte, da Italiani istituite.
-</p>
-
-<p>
-Le società stipulavano comunemente che le gabelle
-non fossero d’improvviso aumentate ne’ luoghi di passaggio;
-se qualche nazionale o i conduttori facessero
-ingiuria ai natìi, si punirebbe l’offensore senza concedere
-rappresaglie sopra i mercanti; si terrebbero netti
-i cammini da masnadieri; che se essi od altri danneggiassero,
-i mercanti ne verrebbero rifatti; non si sballerebbero
-le merci; le quistioni che insorgessero, sarebbero
-definite il giorno medesimo. Inoltre aveano chiesa,
-bagno, piazza, forno, macello, casa, giurisdizione propria,
-talvolta anche criminale. Nel 1189 Pietro re d’Arborea
-agli uomini di Genova assegna in Oristano <i>tantam
-terram, qua fabricari possunt centum botegas</i>;
-poi nel 92 privilegi amplissimi, fra cui promette, se
-alcun legno rompe, farà restituire quanto venisse tolto;
-se alcun uomo muoja, non ne terrà cosa alcuna benchè
-intestato.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1169 Boemondo III principe d’Antiochia dona ai
-Genovesi tutto ciò ch’essi tengono in Antiochia e Laodicea
-<span class="pagenum" id="Page_496">[496]</span>
-e nel porto di Seleucia: cioè in Antiochia una
-ruga colla chiesa di San Giovanni; in Laodicea il fondaco
-e la strada che lo cinge, e terza parte delle rendite
-del porto; come anche in Seleucia. E se farà altri
-acquisti, concederà quello stesso che hanno in Laodicea;
-se qualche ingiuria ricevano, e’ ne vorrà accomodamento
-e giustizia fra quaranta giorni; sieno
-licenziati a negoziare in qualunque terra egli acquisti
-col loro soccorso: il che tutto fa per consiglio de’ baroni
-suoi, perchè molto ama i Genovesi, e desidera
-frequentino al possibile la terra di lui e vi dimorino.
-Pel qual privilegio Lanfranco Alberico, uomo nobilissimo,
-e legato del senato e de’ consoli, per sè e pel
-Comune della famosissima città di Genova gli promettono
-ajutarlo, crescere le sue possessioni e difenderle<a class="tag" id="tag295" href="#note295">[295]</a>.
-</p>
-
-<p>
-In qualche luogo, come a Tiro, i Genovesi partecipavano
-del diritto di catena che pagavasi da ogni nave
-entrando o uscendo. Secondo lo spirito d’esclusione
-d’allora, ciascuna compagnia affaticavasi non meno a
-vantaggiare se stessa che a deprimere le altre, e col
-monopolio assicurarsi ingenti guadagni<a class="tag" id="tag296" href="#note296">[296]</a>. Di simili
-trattati una gran quantità troviamo sia delle città fra
-loro, sia de’ principi, che vi s’affrettavano perchè assicuravano
-ai loro paesi un lucroso passaggio: ma spesso
-più che le grida e i tribunali valeva l’opera del papa,
-che con interdetti e scomuniche puniva i violatori.
-</p>
-
-<p>
-La quantità de’ pirati, massimamente barbareschi,
-cagionava che il commercio non procedesse senz’armi,
-<span class="pagenum" id="Page_497">[497]</span>
-anzi ogni nave era obbligata uscire ben munita. A Genova
-per legge del 1291 era multato in dieci lire il
-mercante che navigasse oltre Portovenere senza buone
-armi per sè e pei servi, e cinquanta verrettoni nel turcasso.
-A Venezia ogni marinajo dovea recarsi elmo di
-cuojo e di ferro, scudo, giaco, coltello, spada e tre
-lancie; se ricevesse più di quaranta lire di stipendio,
-vi doveva aggiungere la panciera; ed anche balestra e
-cento saette il nocchiero<a class="tag" id="tag297" href="#note297">[297]</a>. Pertanto vedemmo i
-nostri negozianti prendere tanta parte alle crociate e
-far conquiste, od esercitare in mari lontani le ire fratricide
-della patria.
-</p>
-
-<p>
-Anche le compagnie di commercio terrestre provvedeano
-colle armi alla propria sicurezza, e talora le adopravano
-in guerra. Alberto Scotto, famoso tiranno di
-Piacenza, era alla testa di una grossa <i>compagnia degli
-Scotti</i>, che nel 1299 ottenne di negoziare cogli agenti
-del re di Francia sulle fiere della Brie e della Sciampagna;
-la qual compagnia, composta di quattrocento
-cavalli e millecinquecento pedoni, poco poi guerreggiava
-a’ servizj d’esso re<a class="tag" id="tag298" href="#note298">[298]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La maggiore importanza consistette sempre nel commercio
-di mare. Lo scadimento di Roma crebbe vita a
-Costantinopoli, la quale stendendo la destra verso l’Arcipelago,
-la sinistra al Ponto Eusino e alla palude Meotide,
-coll’Asia Minore in faccia e l’Europa alle spalle, pare
-destinata centro ai negozj di tutto il nostro emisfero.
-Le merci d’Oriente vi erano condotte dall’Egitto, o i
-<span class="pagenum" id="Page_498">[498]</span>
-Bisantini medesimi andavano cercarle nell’India, nella
-Persia, fors’anche nella Cina. Il primo irrompere degli
-Arabi divenuti maomettani non potea che rovinare il
-commercio: ma poi essi medesimi vi si applicarono
-dovunque estesero la conquista; fondarono Bàssora,
-che tolse il vanto ad Alessandria; coll’occupare l’Egitto,
-interclusero ai Bisantini il mar Rosso, obbligandoli a
-provvedere da loro le ormai indispensabili derrate dell’India,
-o a questa rivolgersi per una traccia lunghissima,
-salendo fino a Kiof in Russia.
-</p>
-
-<p>
-Le crociate, cominciando a far guardare l’Europa
-come una sola nazione, unirono gli uomini a concordi
-imprese, gli avvicinarono ai paesi delle derrate preziose,
-guadagni e privilegi e occasioni accrebbero alle città
-marittime, che collo stendardo della croce protessero
-le speculazioni. Poi le frazioni feudali agglomeravansi
-in nazioni; e i Comuni sorgevano a quella libertà, che
-dà coraggio a cercare i miglioramenti; e Amalfitani e
-Pisani in prima, poi Genovesi e Veneziani si resero i
-principali, se non gli unici fattori del traffico europeo<a class="tag" id="tag299" href="#note299">[299]</a>.
-Dal settentrione per la Piccola Tartaria vettureggiavano
-canapa, legname, gòmene, pece, sego, cera,
-pelli, molti trattati conchiudendo coi Mongoli successori
-di Gengis-kan e di Oktai, che aveano conquistato la
-Russia, la Polonia, l’Ungheria e la Moldavia, e da cui
-compravano il bottino e schiavi. Impediti d’andare nell’India
-per l’Egitto, vi si spingeano pel mar Maggiore,
-come chiamavano il Nero, nel quale il Tanai, il Boristene,
-il Dniester, il Danubio portano le variatissime
-produzioni di estesissime contrade, mal accessibili per
-<span class="pagenum" id="Page_499">[499]</span>
-terra. Ivi principale posatojo era la Tana, cioè Azof,
-all’imboccatura del Don, ove da un lato si aveva la
-Moscovia, dall’altro l’Armenia, l’Arabia, la Persia, per
-cui poteasi arrivare al Mogol e alla Cina; e vi teneano
-cànove Genova, Venezia, Firenze e altre città. I Veneziani
-per giungere dalla Tana a Catai doveano lasciarsi
-crescere le barbe, e avere un buon interprete e servigiali
-che sapessero di tartaro; ordinariamente un mercante
-portava seco in denari e merci per venticinquemila
-ducati d’oro; e trecento a trecencinquanta bastavano
-al viaggio fino a Peking, compresi i salarj degl’inservienti
-(Pegolotti).
-</p>
-
-<p>
-Costantinopoli, oziosa e corrotta capitale d’uno Stato
-senza industria, considerava il commercio men tosto
-come elemento di pubblica prosperità, che come rendita
-fiscale; onde le speculazioni di quell’immenso
-mercato rimanevano a stranieri. Perciò Veneziani e
-Genovesi, dapprima tollerati, presto furono trovati utili,
-infine necessarj; e i deboli imperatori, per mantenersene
-la vacillante amicizia, non conoscevano altro spediente
-che rinnovare e spesso estendere i loro privilegi. Ne
-rampollarono calde rivalità fra Genova e Venezia, che
-vedemmo combattute nei mari nostri e negli orientali.
-La conquista di Costantinopoli pei Crociati dava la prevalenza
-ai Veneziani? i Genovesi favorivano Michele
-Paleologo a distruggere l’impero latino; ed esso in compenso
-privilegiò la loro colonia di Galata, che spesso
-giovò, spesso incusse timore all’impero greco.
-</p>
-
-<p>
-Genova, posta quasi nel mezzo della costa che archeggia
-dalla Sicilia allo stretto Gaditano, avendosi
-dinanzi il Mediterraneo, da un lato la Provenza e la
-Francia, dall’altro l’Italia meridionale, a spalle la pingue
-Lombardia, a fronte Corsica e Sardegna, Spagna ed
-Africa, con poco ed ingrato terreno, con mare scarso
-di pesci, mostrasi predisposta al commercio, che di
-<span class="pagenum" id="Page_500">[500]</span>
-fatto vi è antico quanto lei. Le emulazioni con Pisa, con
-Venezia, coi Catalani ne svilupparono la marittima abilità
-ed il caratteristico coraggio: marinaj più intraprendenti
-de’ suoi dove trovare? molti per proprio conto
-assumevano spedizioni e conquiste, talora approvati
-dal Governo, talaltra abbandonati alle forze particolari,
-secondo portava il pubblico interesse o la fazione dominante.
-I dossi erano ancora vestiti di pini e d’abeti, e
-nel 1822 dal solo bosco di Bajardo presso Triora bastò
-legname per trentotto galee; da quello di mont’Ursale
-a Pareto per dieci ogni anno (Serra). E preti e nobili
-negoziavano; molteplici le società, ove i ricchi mettevano
-denari, i poveri l’opera: se non che l’infellonire
-delle fazioni tolse a quella repubblica di cogliere tutti i
-vantaggi che le avrebbero procurato tanta abilità degli
-ammiragli, tanta intrepidezza delle ciurme, tanto spirito
-intraprendente, tanti capitali.
-</p>
-
-<p>
-L’acquisto più famoso di Genova in Levante fu la
-Gazarìa. Sulla penisola della Tauride, bagnata dal Ponto
-Eusino e dalla palude Meotide o mare delle Zabacche,
-nel giro di ben settecencinquanta miglia, e per l’istmo
-di Perekop, largo un miglio, unita ai paesi del Boristene
-e del Bog e alle steppe della Tartaria Nogaja, già
-per l’opportunità gli antichi Greci aveano piantato colonie,
-vinte da Mitradate, poi dai Romani. Fu occupata
-da successive genti barbare, e massime dagli Slavi Cazari,
-dai quali il nome di Gazarìa. Soggiogata dai Tartari
-nel 1237, un loro principe la vendette ai Genovesi
-nel 61, che vi assisero colonie per tutto, e principalmente
-a Caffa. Questa, situata sul lembo orientale della
-penisola, a piè de’ monti che fanno cintura alla medesima,
-già era colonia greca, poi illustre col nome di
-Teodosia, finchè non cadde in ruine, fu ristorata e
-munita dai nuovi padroni, i quali con titolo di magazzini
-fecero case basse, poi le fortificarono senza far
-<span class="pagenum" id="Page_501">[501]</span>
-mostra, siccome gl’Inglesi a Bengala. Ivi preso buon
-avvio, le alture vicine roncarono a viti, insegnarono a
-depurare la soda dalle ceneri dell’atrepice laciniato,
-ivi abbondantissimo, ed estesero i vantaggi del commercio.
-Il vecchio Crim, che sedeva sull’opposto pendìo,
-e dove i Tartari recavano le loro prede, salì per questi
-vicini in tale aumento, che a tutta la penisola venne il
-nome di Crimea, e da trecentomila abitanti arrivò ad
-un milione.
-</p>
-
-<p>
-A Caffa i Genovesi trovavansi in casa propria, esenti
-dai capricciosi dazj de’ Barbari cui erano esposti alla
-Tana, e a milletrecencinquanta miglia dalla patria aveano
-un porto nazionale ove deporre le merci e raddobbarsi,
-mentre desse luogo la stagione malvagia. Coi soliti
-vantaggi de’ popoli colti fra i Barbari, annodarono relazioni
-di commercio e di politica, ai cittadini diedero
-magistrati proprj e statuti e moneta, e piantarono una
-missione. Il console Donadeo Giusti la fe cingere di
-mura; nel 1383 Leonardo Montaldo doge vi faceva una
-seconda cinta; e tanto ingrandì, che i Turchi la denominavano
-Costantinopoli di Crimea (<i>Krim Stamboul</i>);
-vent’anni appena dopo fondata, spediva tre galee a soccorrere
-Tripoli di Soria; nel 1318 vi era insediato un
-vescovo, con giurisdizione dalla Bulgaria al Volga, dalla
-Russia al mar Nero.
-</p>
-
-<p>
-A mezzodì e a settentrione del seno di Caffa due altri
-se n’addentrano. Nel primo è Sodagh o Soldaja, con
-poggi a viti preziose, e terebinto, e pietre da macine.
-I Genovesi vi fabbricarono una torre di difficilissimo
-accesso, e attorno a quella le proprie case e mura.
-Avanzando ancora a meriggio si volta il capo d’Ariete
-(<i>Kriu-metopon</i>), oggi Ajù; poi piegando a ponente è
-il Portus Symbolorum, detto Cimbalo dai nostri, ed oggi
-Balaklava, dove i Genovesi posero colonia, opportuno
-ricovero alle navi del ponente. Dietro a Cimbalo, tra
-<span class="pagenum" id="Page_502">[502]</span>
-Lusen e la Lombarda, la Gozia ricordava col nome i
-Goti, e quivi, dove le strade vengono a incrociarsi, i
-Genovesi eressero l’inespugnabile Mankup. A settentrione
-si scende in un piano irrigato dall’Alma, ove i
-kan della Crimea fabbricarono Bakciserai; e tutt’intorno
-vi rimangono vestigia di case e villaggi genovesi.
-</p>
-
-<p>
-Da Caffa volgendo a settentrione, si trova Cerco alle
-falde del monte ove stava Panticapea, camera dei re del
-Bosforo, sporgendosi fra l’Europa e l’Asia; e i Genovesi
-non trascurarono di fortificarlo, chiudendo quel varco
-tra il mar Nero e quello delle Zabacche. Di colà si
-spinsero entro le foci del Danubio, presso Chiliavecchia
-posero un castello, e profittavano della pesca dello storione;
-alle foci del Dniester aveano in Ackerman stabilimenti
-pel sale e la pesca, e per ricevere grani dalla
-Polonia; sul lido opposto, a Sinope pescavano il palamide,
-che seccato fa vece di baccalare. Giunsero poi
-anche a farsi padroni della Tana, in fondo alla palude
-Meotide<a class="tag" id="tag300" href="#note300">[300]</a>; ma nessuno storico accenna il quando e
-il come di sì importante acquisto. Forse quella città
-posseduta dai Tartari fu, nelle sconfitte di questi, distrutta
-da Tamerlano, e i coloni genovesi da Caffa vi
-accorsero e la rialzarono verso il 1400.
-</p>
-
-<p>
-Chi vide testè (1855) tutta Europa combattersi pel
-possesso di quel mare e per voler aperto il passo dei
-Dardanelli, comprenderà l’importanza che allora v’annetteano
-i Genovesi; tanto più che allora ignoravasi la
-via più diretta alle Indie.
-</p>
-
-<p>
-La repubblica genovese, fiaccata dal continuo traspeggio,
-cedette la Gazarìa al banco di San Giorgio, del
-cui senno restano bel monumento gli <i>statuti</i> che le
-diede. Ordinata a sembianza della metropoli, presedeva
-<span class="pagenum" id="Page_503">[503]</span>
-all’amministrazione un console annuo con un cancelliere,
-nominati a Genova, e che prestavano cauzione. Rappresentava
-la colonia un consiglio di ventiquattro, rinnovato
-ogni anno dai membri uscenti, e che sceglieva un
-piccolo consiglio di sei, fuori del suo grembo; non più
-di quattro borghesi di Caffa potevano aver parte nel
-primo, due nel secondo; alcuni posti pei nobili, altri
-per i plebei. Il console arrivando dava ai ventiquattro
-il giuramento, e tosto facea procedere alla loro rinnovazione;
-governava col piccolo consiglio, senza cui non
-poteva imporre taglie nè fare spese straordinarie; non
-avere traffici per proprio conto, nè ricever doni. Il
-cancelliere, scelto dal Governo fra i notari di Genova,
-rogava gli atti e apponeva il suggello. L’uffizio della
-campagna rendeva giustizia ne’ contratti de’ coloni coi
-liberi confinanti.
-</p>
-
-<p>
-Così da Costantinopoli, da Caffa, dalla Tana, Genova
-esercitava il commercio col Levante mediante una sequela
-di scali, che giungevano fino alla Cina da una
-parte, dall’altra all’India lungo il golfo Arabico, sul quale
-sembra le fosse interdetto veleggiare. Altri n’aveva in
-tutta la Romania, la Macedonia e l’Arcipelago; e nominatamente
-a Scio, una delle isole Sporadi, che perduta,
-fu recuperata da Simon Vignoso con galee fornite da
-nove famiglie, unitesi poi nella <i>maona</i> o ditta de’ Giustiniani,
-dal nome della famiglia ch’era creditrice di
-trecentomila scudi d’oro; la repubblica ne lasciò loro
-il dominio, che conservarono fino al 1556. Scio avea
-ben centomila abitanti; e il mastice che geme dai lentischi,
-e che si masticava per tener belli i denti e grato
-l’alito, dava esercizio a ventidue villaggi, se ne vendeva
-un milione e mezzo di libbre l’anno, e il decimo che
-toccava all’erario era valutato dall’imperatore Cantacuzeno
-ventimila bisanti, o vogliam dire zecchini. Da
-esso e dalle gabelle provenivano annui cenventimila
-<span class="pagenum" id="Page_504">[504]</span>
-scudi d’oro (sei milioni d’oggi), che si ripartivano fra
-le famiglie compadrone a misura del capitale impiegato;
-al quale si proporzionavano pure i voti nel governo. In
-un trattato del 1431 i Genovesi assentirono al soldano
-di trarre da Caffa schiavi; e La Brouquière ne’ suoi
-viaggi in Asia incontrò un Genovese che trafficava di
-quest’esecrabile merce.
-</p>
-
-<p>
-Nell’Anatolia possedevano Smirne, produttrice di sete,
-cotoni, ciambellotti, olj, scamonea; e Focea nuova e la
-vecchia, donde veniva l’allume. Da Cipro traevano legname,
-canape, ferro, grano, zuccaro, cotone, olj, oltre
-le derivazioni dall’Oriente. In Italia due magazzini a
-Mutrone erano stati donati a Genova dai Lucchesi, per
-deporvi il sale e le lane; cave d’allume attivò presso a
-Portercole; dall’alta Italia richiedeva produzioni e manifatture
-da barattare; dominava anche in Corsica,
-Sardegna, Malta, Sicilia; e la prima le dava eccellente
-legname, cacio, vini, pescagione, soldati; l’altra grani,
-sardoniche, tonni, sardine, oro e argento; Malta frumento,
-agrumi, cotoni; la Sicilia sale, seta, cotone, oro,
-e ogni ben di Dio<a class="tag" id="tag301" href="#note301">[301]</a>: dalle Baleari toglieva sale; e di
-due borse che avea Majorca, l’una era comune a tutte
-le nazioni, l’altra speciale de’ Genovesi.
-</p>
-
-<p>
-Savona, Oneglia, Albenga, Monaco, Ventimiglia, altre
-città della Riviera formavano Stati indipendenti: pure
-Genova esercitava fino a Nizza un protettorato, che le
-procurava relazioni abituali con Marsiglia per mare e
-per terra, e coi porti della Linguadoca, principalmente
-con Aiguesmortes, che posta fra la Provenza e la Linguadoca,
-<span class="pagenum" id="Page_505">[505]</span>
-col Rodano, colle saline, colle vicinanze di
-Ales e di Sant’Egidio, rinomati per la coltivazione del
-chermisi, prosperava più che Marsiglia finchè le alluvioni
-non la separarono dal mare. Raimondo di Tolosa
-che n’era signore, donò ai Genovesi casa e fondaco in
-Sant’Egidio, una strada di Arles, il castello di Torbìa,
-la metà di Nizza, parte di Marsiglia, metà delle dogane,
-e il commercio esclusivo ne’ suoi porti. Sulle popolose
-fiere di Sciampagna, Genova spacciava le droghe e raccoglieva
-lane<a class="tag" id="tag302" href="#note302">[302]</a>. Case avea pure sulle coste dell’Oceano,
-del Belgio, dell’Inghilterra; e documenti del 1316 e 35
-attestano che portava mercanzie, e specialmente allume,
-in quell’isola: così colla Spagna, a malgrado de’ Catalani,
-i soli che in mare reggessero a concorrenza co’ nostri;
-e dall’Andalusia traeva frutti, da Siviglia biade,
-olio, liquori, dalla Castiglia piombo, lane, allume, dalla
-Catalogna vino, frumento, sparto da tessere stuoje. Fin
-dal 1236 facea trattati coi Barbareschi della costa africana
-per garantire i naufraghi e proteggere il proprio
-commercio; teneva una cancelleria di lingua arabica
-per agevolare le corrispondenze con quel litorale, e nel
-1274 fu assoldato Asmeto di Tunisi perchè insegnasse
-il parlar arabo<a class="tag" id="tag303" href="#note303">[303]</a>. Tunisi era il suo scalo primario,
-come per l’Europa occidentale Nîmes, Aiguesmortes,
-Majorca.
-</p>
-
-<p>
-Ne’ porti di Marocco e dell’Andalusìa rinfrescavano
-le navi prima di uscire nell’Oceano per calarsi fino al
-capo Non, o salire alle rade belgiche o britanne<a class="tag" id="tag304" href="#note304">[304]</a>.
-<span class="pagenum" id="Page_506">[506]</span>
-Dal Baltico le nostre bandiere erano escluse dalla lega
-Anseatica, gelosa di conservare il monopolio delle derrate
-di Russia: le tele, i merletti, l’acciajo, il salnitro,
-i fornimenti di cavalli, le mercerie di Germania andavano
-a caricare sul Reno, per deporle ne’ magazzini di
-Bruges e d’Anversa. Al tempo della guerra di Chioggia
-un ammiraglio veneto nelle acque di Rodi diede la caccia
-ad un naviglio genovese carico di mussoline, drappi di
-seta, d’oro e d’argento, del valsente di quindicimila
-ducati; un altro prese due navi catalane, cariche per
-conto di Genovesi, delle quali l’una portava per ventimila
-ducati veneti, l’altra per quarantamila.
-</p>
-
-<p>
-Genova dunque teneva le tre grandi vie del commercio
-dell’Asia centrale e dell’India; di cui la prima
-sboccava al mar Nero pel Caspio e il Volga; la seconda
-a Lajazzo, l’antica Isso, pel golfo Persico, Aleppo e
-l’Armenia; la terza ad Alessandria pel mar Rosso e
-l’Egitto; e per quelle cambiava le seterie della Cina,
-le spezie, i legni tintorj, il cotone, le gemme dell’India,
-i profumi dell’Arabia, i tessuti di Damasco, i panni di
-Tarso, lo zuccaro, il rame, le tinture di Levante, l’oro
-e le piume dell’Africa interna, le pelli, il canape, il catrame,
-il caviale, il pelo di castoro, le antenne, i legni
-di costruzione dell’Europa settentrionale, i grani di
-Tunisi, della Sicilia, della Lombardia, cogli olj, i vini,
-i frutti secchi delle Riviere, con armi di lusso, coi
-coralli lavorati a Genova, colle tele di Sciampagna, con
-lacca, piombo, stagno d’Inghilterra, coi prodotti insomma
-di tutta Europa. Aveano (dice press’a poco il
-Serra) traffico e dominio in tutta la Liguria marittima
-<span class="pagenum" id="Page_507">[507]</span>
-da Corvo a Monaco, e nell’isola di Corsica: provvedevano
-di sale i Lucchesi; la parte occidentale della
-Sardegna riceveva le loro leggi o quelle de’ principi
-loro amici; visitavano Civitavecchia e Corneto, emporj
-di vettovaglie nello Stato ecclesiastico; nel Regno, lor
-principale abitazione dopo Napoli era Gaeta; e se non
-vennero a capo de’ loro disegni sopra la Sicilia, furono
-sempre in gran numero a Messina, Palermo, Alciata.
-Nel mare orientale d’Italia frequentarono Manfredonia,
-Ancona, e negli intervalli di pace anco Venezia. In
-Ispagna, i conti Berengarj di Catalogna divisero seco
-la città di Tortosa; i re di Castiglia, quella d’Almeria,
-e poichè ebbero perdute od alienate ambedue, onorevoli
-convenzioni tanto co’ regni cristiani della Spagna,
-quanto co’ Mori aprirono loro tutti i porti marittimi e
-i mercati mediterranei della ricca penisola. Ne’ Paesi
-Bassi, Bruges poi Anversa accolsero onorevolmente le
-loro compagnie, le quali non solo v’accumulavano roba,
-ma l’avviavano ancora in Danimarca, Svezia, Inghilterra,
-Russia, Germania: i loro navigli entravano nel
-Reno carichi di merci orientali.
-</p>
-
-<p>
-L’Egitto era più frequentato dai Veneziani; tuttavolta
-i Genovesi non lasciavano di far mercato in Alessandria,
-in Rosetta, in Damiata, di stabilirsi anche al Gran Cairo,
-e di stringere paci favorevoli con que’ soldani. Nel
-Levante la colonia di Pera soprantendeva mediante i
-suoi magistrati alle parti meno distanti, quella di Caffa
-alle più lontane. Sotto la prima erano la marca de’ Zaccaria,
-la Focide de’ Gattilussi, l’Acaja de’ Centeri, un
-tempo la Canea in Candia, poi molte isole e porti nell’Arcipelago,
-Famagosta e Limisso con altri luoghi in
-Cipro, Cassandria, Ainos, Salonichi, la Cavalla nella
-Macedonia, Sofia, Nicopoli e altre in Bulgaria, Suczava
-in Moldavia, Smirne e Fochia vecchia e nuova nell’Asia
-Minore, Altoluogo e Setalia ne’ Turchi, Kars, Sisi, Tarso,
-<span class="pagenum" id="Page_508">[508]</span>
-Lajazzo nelle due Armenie, e finalmente Eraclea, Sinope,
-Castrice ed Ackerman nel mar Nero. Dipendeano dal
-governo di Caffa i possessi di Gazarìa, Taman colla sua
-penisola, Copa in Circassia, Totatis in Mingrelia, Kubatscka
-nel Daghestan, il castello vicino a Trebisonda,
-il fondaco in Sebastopoli, il gran mercato della Tana,
-e tutte le carovane indirizzate verso il settentrione ed
-il centro dell’Asia. Il consolato di Tauris in Persia,
-forse indipendente dagli altri, dovea promovere e reggere
-il traffico dell’Asia meridionale; ove il provvedimento
-più notabile era, che i mercatanti genovesi non
-facessero società con forestieri.
-</p>
-
-<p>
-Principalmente l’Inghilterra tenevasi legata co’ Genovesi,
-e i più bellicosi suoi re Edoardo III ed Enrico V
-ne mostrarono speciale benevolenza, adoprandoli in
-luminosi impieghi, rifacendoli delle offese dei corsari.
-Enrico VI avea proibito d’asportare le lane d’Inghilterra
-e Irlanda se non per Calais, città francese allora
-acquistata all’Inghilterra, e ch’egli voleva ingrazianire
-con tal privilegio; ma ne tenne eccettuati i mercanti
-genovesi, veneti e fiorentini. Quando si sottopose ai re
-di Francia, Genova si trovò chiusa quell’isola, nemica
-a questi; pure vi mandò ambasciadore Giovanni Serra,
-il quale vide le contese fra gli York e i Lancaster, e
-ammesso all’udienza, sì bene esaltò la pace e i vantaggi
-del commercio fra le nazioni colte, e la benevolenza
-dell’Inghilterra verso Genova, che i grandi proruppero
-in applausi, e il re volle fosse scritto quel discorso, e
-messo come proemio della nuova pace, dove ai Genovesi
-concedeva d’approdare con fattori e servigiali,
-purchè francesi non fossero, e d’introdurre ed estrarre
-mercanzie colle antiche norme, purchè nè di forze nè
-di consigli sovvenissero ai nemici d’Inghilterra, come
-questa farebbe coi nemici di Genova. Presto quel regno,
-secondo i meschini concetti d’allora, credendo prosperare
-<span class="pagenum" id="Page_509">[509]</span>
-il proprio col restringere il commercio altrui,
-vietò di asportar lane o d’importare seterie; eppure le
-cinture di Genova rimasero eccettuate, e pei panni fu
-mestieri cercare il guado dai Genovesi.
-</p>
-
-<p>
-Accuratissima politica si voleva per reggere in pace
-con nazioni di così varia civiltà eppur farsi rispettare;
-e vedemmo come i Genovesi destreggiassero in faccia
-ai Musulmani. Sulle coste di Barberia le frequenti mutazioni
-di dinastie o di tribù dominanti sospendeano
-le buone relazioni, ma tutti s’affrettavano a rannodarle.
-Si parve sul punto d’aprir guerra con essi allorchè
-Filippo Doria ammiraglio prese e saccheggiò Tripoli,
-portandone via settemila schiavi e un milione ottocentomila
-fiorini d’oro, poi la vendette a un Saracino; ma
-il Governo genovese dichiarossi estraneo a quel fatto,
-e lo disapprovò.
-</p>
-
-<p>
-Fortunata Genova se di tanta prosperità avesse saputo
-vantaggiare! Ma incessanti accozzaglie interne
-toglievano di provvedere con saviezza al commercio;
-non per pubblica utilità, ma per emulazione di parti
-si cresceva il debito pubblico, e l’uffizio di San Giorgio,
-che dovea porvi rimedio, diveniva anzi una comodità
-a crescerlo: siccome incontra nelle gravi malattie che
-i medicamenti riescano pregiudicevoli. Pure quel banco
-attestava che la parte più sana dell’irrequietissima repubblica
-furono sempre i negozianti, rimanendo esso
-una delle più notevoli istituzioni finanziarie del medioevo;
-oltre rendere servigi eminenti allo Stato, potè
-accomodare nazionali e stranieri, privati e principi; da
-papi e imperatori ne erano confermati i privilegi, che
-ogni senatore entrando in carica giurava mantenere;
-gli otto protettori delle compere erano sempre dei cittadini
-migliori, troppo importando godessero ottima
-reputazione coloro a cui e nazionali e stranieri affidavano
-le proprie fortune; davano parere in tutte le
-<span class="pagenum" id="Page_510">[510]</span>
-disposizioni di governo e di utilità comune, allestivano
-navi per conto del banco, conquistavano e governavano,
-quanto fino ai dì nostri la compagnia delle Indie, e ad
-essi furono cedute le colonie di Levante e la Corsica.
-</p>
-
-<p>
-Il sinistrare degli stabilimenti di Levante nocque tanto
-più a Genova, perchè le sue riviere non bastavano a
-provvederla di marinaj. Altre nazioni entrarono seco
-in gara di mercati, e fu tutto a scapito di essa l’incremento
-di Firenze. Pure molti profitti facevano ancora
-i Genovesi: Bartolomeo Pellegrini coll’allume e col
-mastice divenne il mercante più poderoso in Levante,
-e Bajazet I l’accettò mallevadore per riscatto del conte
-di Nevers e di ventiquattro altri signori francesi, rimasti
-prigioni nella battaglia di Nicopoli<a class="tag" id="tag305" href="#note305">[305]</a>; Antonio Sauli
-sull’appalto del sale in Genova e in Lucca talmente
-lucrò, che potè a Carlo VIII prestare novantacinquemila
-scudi d’oro; i suoi discendenti fabbricarono la
-magnifica chiesa e il ponte di Carignano.
-</p>
-
-<p>
-Venezia, dopo l’infausta guerra coi Genovesi, avea
-dovuto umiliarsi a un trattato, che per tredici anni le
-proibiva di penetrare con navi armate nello stretto dei
-Dardanelli, per modo che vedevasi quasi intercise le
-vie del commercio per l’Alta Asia e i paesi del Caucaso:
-ma presto si tolse di sotto il rasojo, e l’ammiraglio
-Giustiniani, assalita Costantinopoli, ottenne nuovi privilegi.
-Ai Genovesi fu apposto di essere rimasti indifferenti
-spettatori di quella lotta, sebbene l’imperatore
-avessero lusingato di soccorsi: in realtà essi pensarono
-trar partito dal terrore di questo, e gli fecero veduto
-che, per metterli in grado d’ajutarlo efficacemente in
-nuovi frangenti, era d’uopo conceder loro maggiore
-estensione di territorio. Un atto di delimitazione del
-1303 ed un trattato del 1304 ampliarono di fatto i privilegi
-<span class="pagenum" id="Page_511">[511]</span>
-della colonia di Gàlata, situata così da comandare
-il passaggio al mar Nero; e la dogana de’ Dardanelli fruttava
-all’impero greco trentamila pezzi d’oro, ducento
-settantamila ai Genovesi.
-</p>
-
-<p>
-Questi diedero mano all’imperatore contro gli avventurieri
-Catalani, i quali osarono fin assalire la capitale
-e piantarsi a Gallipoli, dond’essi riuscirono a snidarli:
-lo sorressero pure contro i Turchi, che si faceano
-sempre più vicini. L’incessante squarciarsi di Genova
-pregiudicava anche allo stabilimento di Gàlata, le guerre
-impedivano d’approvvigionarla, e fu volta che i Ghibellini
-fecero intesa coi Turchi per sinistrare quei loro
-compatrioti.
-</p>
-
-<p>
-Sempre aveano Veneziani e Genovesi gareggiato a
-chi ottenesse maggiori privilegi dall’imperatore di Costantinopoli,
-perciò palpeggiando e favorendo ora un
-competitore or l’altro. Venezia non faceva che rinnovare
-i trattati precedenti, che col nome di tregue duravano
-cinque o dieci anni<a class="tag" id="tag306" href="#note306">[306]</a>: ma i Genovesi, padroni
-di Gàlata a fianco di Costantinopoli, aveano mezzo di
-farsi rispettare; onde ogni nuovo trattato fruttava una
-concessione nuova. In quello del 1382 stipularono non
-essere tenuti a servire in armi l’impero greco, nè tampoco
-per recuperare fortezze prese o assediate dai
-Turchi; volendo con questa neutralità sfuggire l’inimicizia
-di que’ nuovi potenti.
-</p>
-
-<p>
-Ad Enrico Dandolo doge e storico di Venezia fanno
-gloria di aver riaperto l’Egitto con un’ambasciata
-spedita a quel soldano, offrendosi mediatore di una
-discordia suscitatasi coi Tartari. I Veneziani s’impancarono
-principalmente ad Alessandria, ove le merci dell’India
-giungeano sui camelli traversando il dosso che
-divide il golfo Arabico dal Nilo, un cui canale agevolava
-<span class="pagenum" id="Page_512">[512]</span>
-le comunicazioni col mar Rosso e col Cairo. A
-questo annue carovane dall’Africa interna portavano
-gomme, denti d’elefante, tamarindi, papagalli, penne di
-struzzo, polvere d’oro, Negri: di là partiva quella per
-le città sante d’Arabia, e l’altra pel monte Sinai, occasioni
-di utili permute: colle carovane molti Europei
-attraversavano l’Egitto; ma i negozianti che afferrassero
-ad Alessandria, erano tenuti ben d’occhio, levate le vele
-e il timone delle navi, registrati i nomi. I Mamelucchi,
-unica entrata avendo le gabelle, favorivano i Veneti; e
-di rimpatto ne riceveano ogni riguardo: ma venivano
-urti? ecco i nostri apparir sulle coste in minaccioso
-apparato, come oggi costuma l’Inghilterra.
-</p>
-
-<p>
-Dispensati dalla scomunica contro chi portasse ai
-nemici della fede legname da costruzione, grani ed armi,
-i Veneziani continuarono sempre regolari comunicazioni
-coi Musulmani, tenendo console ad Alessandria,
-banchi nella Siria, trattati coi Barbareschi<a class="tag" id="tag307" href="#note307">[307]</a>. Dai
-quali anche altri de’ nostri ottennero privilegi e franchigie;
-i Pisani dal bey di Tunisi ebbero l’isola di
-Tabarca, dove pescare il corallo, e altri mandritti dall’imperatore
-di Marocco.
-</p>
-
-<p>
-Anche in Armenia soli i Veneziani introducevano i
-camelotti ed estraevano il pelo delle capre d’Angora,
-con esenzione da gabelle, magistrati proprj, assoluta
-franchigia per le merci che, tratte da Tauris e dalla
-Persia, traversavano il paese. Di questo tragitto profittava
-Trebisonda per popolarsi di numerose colonie,
-trafficanti di spezierie. I Veneziani v’ebbero un quartiere
-con propria giurisdizione, donde spingeansi alla Persia
-<span class="pagenum" id="Page_513">[513]</span>
-e alla Mesopotamia, privilegiati di libero passo, e di
-banchi per giro di cambj e traffico di vino.
-</p>
-
-<p>
-Crebbero poi di stabilimenti sulle coste della Grecia,
-nella Propontide, a Adrianopoli, in buona parte del
-Peloponneso, e in molte isole e porti della Morea sin
-in fondo all’Adriatico; a loro cittadini investivano come
-feudo le isole di Lenno, Scopelo, quasi tutte le Cicladi;
-acquistarono Negroponte; s’interposero con vantaggio
-nelle discordie domestiche degl’imperatori bisantini, e
-di questi coi Genovesi di Gàlata. Ma l’antica preponderanza
-nel mar Nero più non recuperarono, e per
-avervi accesso patteggiavano cogli Stati in riva al Danubio
-il dritto di traversarli, talchè il commercio colla
-Germania, coll’Ungheria, colla Polonia, colla Russia, le
-alleanze coi Bulgari e coi Danubiani fino alla Tauride,
-gli scali in tutta Italia, in Francia, in Spagna, in Fiandra,
-in Inghilterra, insomma da Astrakan fino all’Africa interiore,
-offrivano rilevantissimi guadagni, a ristoro del
-popolo, al quale, dopo la metà del secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>, restava
-privilegio il commercio, escludendone i nobili, di cui
-invece era privilegio il governo.
-</p>
-
-<p>
-Dappertutto mantenevansi consoli o balii che assicurassero
-rispetto alla patria, e protezione e pronta giustizia
-ai concittadini. Quel di Costantinopoli, che era
-insieme internunzio della repubblica, giudice de’ Veneziani
-e ispettore del commercio, portava i calzari scarlatti
-come l’imperatore, usciva colle guardie, esercitava
-piena giurisdizione sulla colonia, e dopo presa quella
-città dai Turchi tenne in protezione altre genti, massime
-Armeni ed Ebrei.
-</p>
-
-<p>
-Il doge Renieri Zen fece da Nicolò Quirini, Piero
-Badoer e Marco Dandolo compilare un codice di navigazione
-e commercio (<i>Statuta et ordinamenta super
-navibus et lignis aliis</i>) con egregi provvedimenti,
-semplicità, esattezza e brevità imitabili; prescrivendo
-<span class="pagenum" id="Page_514">[514]</span>
-il modo degli armamenti, il giuramento de’ marinaj, i
-doveri de’ patroni o de’ consoli, il carico, le provvigioni,
-il prezzo del tragitto, e le armi e bandiere; tipo di
-tutta la legislazione marittima. Era prefinito il numero
-delle navi e delle persone, quando prendere il mare,
-dove sbarcare, quali e quante merci trasportare nell’andata
-e nel ritorno. Gli oggetti da cambiare con
-merci asiatiche, non doveano tasse, o moderatissime.
-</p>
-
-<p>
-Della prosperità di Venezia buon testimonio ci furono
-i discorsi del doge Mocenigo (Cap. <span class="smcap lowercase">CXV</span>); donde
-ci apparve come, uscente il <span class="smcap lowercase">XIII</span> secolo, su trecento
-vascelli mercantili da ducento tonnellate, e su trecento
-navi grosse salissero venticinquemila marinaj, altri undicimila
-sopra quarantacinque galee, sempre in acconcio
-d’arme: allo scorcio del seguente erano cresciuti
-a trentottomila sovra tremila trecenquarantacinque
-legni. L’arsenale, cominciato intorno al 1104 sulle
-antiche isole Gémole, si dilatò nel 1304, dogando Pier
-Gradenigo, poi nel 1325 e nel 1473 sino a formare
-quel gran complesso, che comanda l’ammirazione ancora
-cadavere. Veniva governato da due magistrature
-di senatori: cioè tre sopravveditori per l’alta ispezione,
-tre patroni che ordinavano i lavori e vi sorvegliavano,
-e dormivano in tre palazzi contigui all’arsenale, detti
-Paradiso, Purgatorio, Inferno. Gli arsenalotti formavano
-la guardia del corpo del sovrano; popolazione
-numerosa<a class="tag" id="tag308" href="#note308">[308]</a>, devotissima alla Signoria, da cui riconosceva
-il suo bene stare.
-</p>
-
-<p>
-Le isole e le coste di Levante provvedeano abbondanza
-di legname: ristretti poi que’ possedimenti, e
-<span class="pagenum" id="Page_515">[515]</span>
-sovratutto dopochè i Turchi occuparono l’Albania e la
-Schiavonia, fu mestieri rifornirsene ne’ proprj possedimenti:
-e certo già prima del 1479 servivano i boschi
-di Montello nel Trevisano e di Montone nell’Istria, tanto
-rinomati finchè la barbarie diplomatica de’ giorni nostri
-non gli annichilò.
-</p>
-
-<p>
-Di cinque sorta galee usava Venezia: le grandi pel
-viaggio di Fiandra e Inghilterra, altre diverse per la
-Tana e Costantinopoli, le sottili, le navi quadre, le latine<a class="tag" id="tag309" href="#note309">[309]</a>.
-Famose ne erano le caracche. Abbiamo da
-Giovan Villani che Genovesi e Veneti avendo veduto
-verso il 1344 alcune navi bajonesi passar lo stretto di
-Siviglia, più sottili ed agili, e meglio acconce a fatti
-d’armi, essi ne fabbricarono di somiglianti; lo che fu
-<span class="pagenum" id="Page_516">[516]</span>
-notevole rivoluzione nella marina. Il Petrarca, dimorando
-in Venezia, vedeva sarpare navigli «simili a
-monti che nuotino nel mare, per trasportare in mezzo
-a mille pericoli i nostri vini agl’Inglesi, il nostro mele
-agli Sciti, il nostro zafferano, i nostri olj, il nostro lino
-ai Siri, ai Persi, agli Arabi, agli Armeni, e, ciò che
-appena uom crederebbe, la nostra legna agli Achei
-ed agli Egizj, e ritornare con altre merci: veleggiano
-fin al Tanai, e si lasciano indietro Gade e Calpe, creduti
-confini del mondo occidentale; tanto può sugli
-uomini la sete dell’oro»<a class="tag" id="tag310" href="#note310">[310]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le imprese mercantili erano secondate dalla marina
-pubblica, spedendosi in giro ogni anno venti o trenta
-galee <i>del traffico</i>, capaci di mille a duemila tonnellate,
-e del valore di centomila zecchini ciascuna, capitanate
-da nobili, eletti dal maggior consiglio e dai pregadi.
-Il Governo non ne ritraeva che modico nolo; ma a quel
-modo le teneva esercitate per un’evenienza di guerra,
-e faceva anche in pace rispettare il leone, nel mentre
-rendevano servizio ai particolari. Di esse squadre quella
-del mar Nero dividevasi in tre: una costeggiava il Peloponneso,
-per ispacciare a Costantinopoli le merci levate
-da Venezia o da Grecia; la seconda dirigeasi a
-Sinope e Trebisonda nel Ponto Eusino, facendo levata
-delle produzioni asiatiche recatevi dal Fasi e dalla
-Cina<a class="tag" id="tag310a" href="#note310a">[310a]</a>; la terza sorgendo verso settentrione, entrava
-nel mare d’Azof, e nei porti di Caffa procacciava pesci,
-ferri, antenne, grani, pelli, cui dal Caspio, dal Volga,
-<span class="pagenum" id="Page_517">[517]</span>
-dal Tanai recavano Russi e Tartari. L’altra squadra
-costeggiava la Siria, facendo scala ad Alessandretta, a
-Bairut, a Famagosta, a Candia ricca di zuccaro, e alla
-Morea. La terza metteva dapprima in Armenia e a
-Lajazzo, che Marco Polo intitola «porta de’ paesi orientali»,
-dappoi in Egitto le merci del mar Nero, destinate
-al gran mercato di Tauris, massime schiavi di
-Georgia e Circassia, barattandoli colle derrate del mar
-Rosso e dell’Etiopia. La quarta volgeva alla Fiandra
-vascelli di dugento remiganti almeno, e rinfrescato a
-Manfredonia, Brindisi, Otranto, in Sicilia caricato zuccaro
-ed altre produzioni dell’isola, ne’ porti africani
-di Tripoli, Tunisi, Algeri, Oran, Tanger facea cogli africani
-baratto di frumento, frutti secchi, sale, avorio,
-schiavi, polvere d’oro; sboccata quindi dallo stretto di
-Gibilterra, forniva i Maroccani di ferro, armi, panni,
-utensili domestici, costeggiava Portogallo, Spagna,
-Francia, toccava Bruges, Anversa, Londra, e faceva
-cambj co’ vascelli delle città Anseatiche; poi aspettata
-stagione e mare acconcio, tornava libando Francia, Lisbona,
-Cadice; in Alicante e Barcellona comprava sete
-gregge; e costa costa rivedea la patria, un anno dopo
-lasciata.
-</p>
-
-<p>
-Ogni viaggio di lungo corso dovea prender le mosse
-e finire a Venezia, ove per ciò, nell’intervallo, si depositavano
-le merci, e venivano a cercarle i mercanti
-mediterranei, in modo che vi durava una fiera continuata.
-Quella dell’Ascensione fin dal 1180 si trova istituita
-per otto giorni; poi divenne delle più famose, avvivata
-dalle indulgenze che s’acquistavano a San Marco
-per concessione di papa Alessandro III, dallo sposalizio
-del mare, e dall’opportunità della stagione che allora
-chiamava le vele a lunghi viaggi. In quell’occasione si
-esponevano anche capi d’arte, e una popatola, il cui
-vestire serviva di canone per la foggia dell’anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_518">[518]</span>
-</p>
-
-<p>
-I dieci milioni di mercanzia che annualmente asportavano
-que’ legni davano due quinti di guadagno; altro
-ne veniva dal traffico mediterraneo. Vedemmo fin dal
-1270 Venezia proclamarsi sovrana dell’Adriatico, obbligando
-a contributo tutte le navi che lo corressero.
-Fu generale lo scontento, ma il papa, chiesto arbitro,
-diede ragione ai Veneziani, come che, difendendolo dai
-corsari musulmani, avevano diritto a un compenso: il
-lodo non chetò gli emuli, contro cui essi dovettero
-munirsi di buone armi. Si assicurarono anche il commercio
-dell’alta Italia coll’acquisto del Friuli, della
-marca Trevisana, del Padovano e di altre piccole signorie,
-e stipulavano vantaggiosi accordi coi vicini,
-dove non potessero insieme col commercio estendere
-l’impero<a class="tag" id="tag311" href="#note311">[311]</a>. Udimmo il doge Mocenigo asserire che
-alla sola Lombardia spediva Venezia per due milioni
-e settecento ottantanovemila ducati, cinquantamila dei
-quali per gli schiavi, oltre il sale; e guadagnava seicentomila
-ducati annui sui Lombardi, quattrocentomila
-sui Fiorentini. Eppure essa usciva allor allora di guerre
-che l’avevano privata di tanti possedimenti, e minacciata
-fin nelle sue lagune. Poi, malgrado le due guerre
-contro i Turchi e col duca di Ferrara, aveva sì floride
-finanze, che nel 1490 entravano al tesoro per un milione
-e ducentomila ducati, quasi il doppio dello Stato
-di Milano, e un quarto di quel che fruttava il regno di
-Francia dopo ingrandito da Luigi XI. E a tal punto i
-Veneziani s’erano resi necessarj agl’Italiani, che, qualora
-essi rompessero le relazioni con un popolo, il riducevano
-a povertà; come avvenne de’ Napoletani, che
-il re Roberto costrinsero a pace col negargli le imposte,
-asserendo non aver più denaro dacchè quelli non comparivano
-ne’ suoi porti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_519">[519]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’inglese colonnello Cooper assicurava che fin oggi
-gli Asiatici dal Mediterraneo alla Cina non conoscono
-altra moneta che lo zecchino veneto, nel Yemen è tenuto
-in gran conto, e gli sceichi ne fondono per formarne
-piccole monete, o ne conservano entro vasi di
-vetro, laonde a Bruce domandarono se soli i Veneziani
-possedessero miniere d’oro in Europa, e supponeano
-conoscessero la pietra filosofale. Il qual Bruce, che al
-fine del secolo passato spingevasi alla estremità dell’Asia
-e dell’Africa, nel Thama arabico sovra Moka
-sentiva i nomi di <i>peso, rotolo, cantara, dramma, oncia,</i>
-e ripetuti sull’opposto lido africano a Massuah;
-prova delle relazioni cogl’Italiani, del cui linguaggio
-è principalmente composto quel parlare <i>franco</i>, che
-fin oggi ha corso sul litorale di tutto il Mediterraneo.
-</p>
-
-<p>
-Or ci si spiega bene la sontuosità del più magnifico
-corso del mondo, il Canal Grande. Andrea Vendramin,
-che nel 1476 fu il primo doge di Venezia non nobile
-dopo la serrata, era ricco di censessantamila ducati;
-liberale, di gran parentela, ebbe tre maschi e sei figlie,
-che maritò con cinque in settemila ducati, mentre la
-dote legale era di duemila, ma diceva non badare a
-spesa onde aver generi a suo modo; fu gran mercante
-in gioventù, e di compagnia col fratello facea carico
-d’una galea e mezzo in due per Alessandria, e vantaggiò.
-Quando nel 1499 fallirono i Garzoni, molti ripeteano
-i loro fondi dal banco Lipomano per più di
-trecentomila ducati; onde, sebbene la Signoria l’ajutasse
-di qualche somma, dovette fallire. «È peggior
-nuova el falimento de questi due banchi, che se fosse
-perso Brescia». Lo sgomento fu per far gittare a terra
-i banchi Pisan e Augustini; se non che la Signoria
-mandò de’ savj che assicurassero sarebber tutti pagati.
-I Lipomani dovettero rassegnare i loro libri, dai quali
-appare che una casa dominicale valutavasi da tremila
-<span class="pagenum" id="Page_520">[520]</span>
-ducati; duemila una a Murano; milleduecento un mulino;
-e avevano in argenti e gioje per seimila ducati,
-e ottomila in un cappello di perle e gioje<a class="tag" id="tag312" href="#note312">[312]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tutt’occhi dovevano dunque essere i Veneziani onde
-mantenersi questi vantaggi, e vi adoperavano buoni
-mezzi e cattivi. La gelosia li faceva duri coi mercanti
-forestieri, imponendo doppie gabelle, ritardando la
-giustizia, escludendoli dalle comandite; pretesero che
-i sudditi comprassero lane, cotoni, seta, zuccari, saponi
-soltanto dalla dominante, non rizzassero manifatture
-fuor della dogana, nè usassero o spedissero merci se
-non passate per Venezia; talchè, per esempio, Verona
-dovea mandarvi i panni, che poi la traversavano di
-nuovo onde dirigersi alla Germania.
-</p>
-
-<p>
-Convien dire che i lucri fossero grassi, se i forestieri
-non badavano agl’impacci; avvegnachè in Venezia troviamo
-corporazioni d’ogni paese; nella chiesa de’ Frari
-avevano altare i Milanesi, un altro i Fiorentini, lavoro
-del Donatello; i Lucchesi una chiesa vicino ai Servi, i
-Tedeschi e i Turchi fondachi che ancor ne serbano il
-nome, come la piazza dei Mori, la ruga di Julfa degli
-Armeni; oltre i Greci che v’ebbero sempre congregazione
-religiosa. Ciascuna nazione potea regolarsi a leggi
-proprie; alcuni paesi vi godeano privilegio di qualche
-arte, Bergamaschi i fornaj, Friulani anch’essi fornaj
-del pane altrui e sartori e facchini, muratori i Bellunesi,
-Valtellini gli osti e i facchini pel commercio.
-</p>
-
-<p>
-Caduta Costantinopoli ai Turchi, Venezia e Genova
-dall’eccidio dei loro cittadini, dal saccheggio dei fondachi,
-dalla successiva distruzione de’ loro stabilimenti,
-dalle umiliazioni, a prezzo delle quali soltanto ottennero
-una tolleranza precaria e quasi vergognosa, conobbero
-la gravezza d’una perdita che con provvidenza
-<span class="pagenum" id="Page_521">[521]</span>
-e lealtà maggiore avrebbero potuto impedire o ritardare.
-Non restarono però snidati dall’Oriente, attesochè
-gli emiri musulmani, stabilitisi lungo la costa
-settentrionale e orientale dell’Africa e sui golfi Arabico
-e Persico, non avevano fatto causa comune coi loro
-fratelli di Siria, nè perciò nimicavano i Cristiani, che
-poterono continuarvi i traffici.
-</p>
-
-<p>
-Anche il soldano d’Egitto divenne più inchinevole agli
-Europei, e col doge de’ Veneziani Pasquale Malipiero,
-«possente, e il più apprezzato e onorato fra quei che
-adorano la Croce, colonna di tutti i Cristiani, amico
-de’ soldani ed emiri dell’islam», conchiuse un trattato
-di commercio, consentendo ai Veneziani il monopolio
-di molte merci, non però del pepe; e donò all’ambasciatore
-una veste lavorata alla moresca e foderata di
-pelliccie, e alla Signoria i regali consistenti in trenta
-rotoli di benzoino, venti di aloe, due paja di tappeti,
-un ampollino di balsamo, quindici bossoletti di teriaca,
-quattordici pani di zuccaro di Moka, cinque scatole di
-zuccari canditi, un cornetto di zibetto, venti pezzi di
-porcellana.
-</p>
-
-<p>
-Le contingenze duravano ancora favorevoli ai traffici
-dei Veneziani: perocchè i Ragusei correvano molto
-l’Adriatico, ma poco uscivano da quello, nè d’altro che
-di derrate trafficavano<a class="tag" id="tag313" href="#note313">[313]</a>; la Grecia era caduta sotto
-la scimitarra turca; a Napoli e Sicilia sarebbe tornata
-necessaria una flotta per mantenere comunicazioni coll’Aragona
-e colla Provenza, eppur l’aveano appena bastante
-alle reciproche guerre, e le vediamo valersi
-sempre delle genovesi, come faceano spesso Francia e
-<span class="pagenum" id="Page_522">[522]</span>
-Inghilterra, le quali nè l’Olanda non accennavano ancora
-alla futura grandezza; era un portento se qualche bandiera
-settentrionale comparisse nelle acque nostre; soli
-i Catalani veleggiavano il Mediterraneo come l’Oceano.
-</p>
-
-<p>
-Però Venezia e Genova erano le principali, non le
-sole commercianti d’Italia. Amalfi più non rigalleggiò:
-ma Napoli trafficava nelle variatissime sue produzioni
-con Costantinopoli, col mar Nero, con Marsiglia; Trani
-era un vasto emporio di merci asiatiche; Gaeta estendeva
-relazioni colla Barberia, dove sin dal 1125 teneva
-un console; la Sicilia colla Catalogna e colla Spagna
-orientale. In Messina e Palermo affluivano mercanzie
-di tutti i paesi; ed oltre le relazioni col regno di Napoli
-e col resto d’Italia, consolidate per mezzo di trattati,
-con Genova nel 1292, con Pisa nel 1316, con Venezia
-nel 1365, uno del 1331 con Narbona prova il suo
-commercio colla Francia, oltre Spagna, Fiandra, Inghilterra,
-le coste di Barberia, l’Egitto, la Siria, la Morea,
-Cipro, Rodi, Costantinopoli. Ancona, fiorente per industria,
-scala al commercio di Firenze coll’Oriente,
-mandava navi proprie a Costantinopoli, a Cipro, in
-Barberia, e corrispose con molte città d’Europa; con
-Genova aveva un trattato fin dal 1276; ma la postura
-sua la teneva dipendente da Venezia, che poi la sopraffece.
-Corsica e Sardegna, sì a lungo disputate fra i Pisani,
-i Genovesi e i re d’Aragona, asportavano i proprj
-prodotti; e quando la Sardegna passò all’Aragona,
-strinse maggiori relazioni colla Catalogna.
-</p>
-
-<p>
-Anche città mediterranee spedivano per varj paesi
-d’Occidente, acquistandovi privilegi non per forza ed
-astuzia, ma per superiorità d’intelligenza. Asti, che di
-settantamila abitanti popolava il piccolo territorio, aveva
-negozianti in Francia e ne’ Paesi Bassi, una colonia ad
-Alessandria d’Egitto; e postasi a prestar denaro in
-Francia, vi applicò tanti capitali, che avendovi quel re
-<span class="pagenum" id="Page_523">[523]</span>
-fatto arrestare tutti i banchieri astigiani, cinquanta trovaronsi
-possedere oltre ottocentomila lire di capitale,
-che si ragguaglierebbe a ventisette milioni<a class="tag" id="tag314" href="#note314">[314]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Il Po serviva agl’interni ricambj e per esso fioriva
-Ferrara, che copiosa di ogni bene, dalle città vicine e
-dal mare traeva abbondanza di vettovaglie. Per le
-bocche del Po (narra un cronista) vi arrivavano navi di
-carico, piene fin al sommo dell’albero di mercanzie
-d’ogni lido; senza che andasse a Ravenna od a Venezia
-a cercare quel che le fosse mestieri, ogni anno nel
-prato comune presso a Po si tenevano due fiere, cui
-dall’Italia e dalla Gallia moltissimi concorrevano, e tutti
-guadagnavano mercatando. Sì lauto poi era il fisco,
-che, soddisfatto ad ogni spesa del Comune, rimaneva
-che spartire fra i cittadini in ragione del censo. Questa
-larghezza andò guasta allorchè i Veneziani, aggiudicandosi
-la padronanza assoluta del Mediterraneo, chiusero
-le foci di quel fiume, cagione di tanti dissidj. Comacchio
-avea cominciate le <i>fabbriche del pesce</i>, per
-cui ora ottantamila pesi d’anguilla escono marinati da
-quelle valli.
-</p>
-
-<p>
-I Pisani, elevatisi a paro de’ Veneziani e Genovesi
-per industria manifatturiera, per navigazione e commercio,
-dopo la funesta battaglia della Meloria nel 1284
-più non fecero che declinare; la perdita di Terrasanta
-diradò le loro corrispondenze nella Siria, nè aveano
-possibilità di sostenere nel mar Maggiore una concorrenza,
-a cui furono costretti rinunziare col trattato
-del 1299; il porto che possedevano alla foce del Tanai,
-cadde probabilmente a’ loro nemici, e infine fu sfasciato
-dai Tartari. Andate a male le colonie donde
-traevano legname da costruzione e materie di baratti
-pel commercio esterno, costretti cedere a Genova la
-<span class="pagenum" id="Page_524">[524]</span>
-Corsica e la Sardegna, non restarono padroni che delle
-maremme tuttora abbastanza ubertose, e dell’isola
-d’Elba importante per ferro. Questa nel 1290 era stata
-occupata dai Genovesi; poi mercanti pisani la ricuperarono
-nel 1309 per cinquantaseimila fiorini, e ne traevano
-vena dalla miniera di Rio.
-</p>
-
-<p>
-Nella guerra contro Genova era stato distrutto il
-Porto Pisano alla foce dell’Arno; onde ridotta quasi
-alla sola rada di Livorno, esposta a’ nemici, Pisa fece
-costruire una torre per difenderla, e proteggere la
-navigazione. Di là continuava relazioni colla Sicilia, con
-Cipro, colla Barberia; ma non le bastava marina militare
-per proteggere stabilimenti lontani, nè assicurare
-gli armatori contro de’ nemici e de’ pirati. Firenze
-poscia la soggiogò, e per nulla rispettando le memorie
-d’uno splendore, di un’industria e di una perizia marittima,
-che formavano uno de’ migliori vanti della
-Toscana, ne sviò le manifatture e il commercio in
-grosso.
-</p>
-
-<p>
-Già ci è apparsa la commerciale operosità dei Fiorentini.
-Buon’ora essi erano penetrati nell’Ungheria, le
-cui miniere d’oro e d’argento s’aveano per le prime
-del mondo, e vi teneano case i Medici, i Portinari, i
-Boscoli, i Tosinghi, i Del Nero, i Del Bene, i Da Uzzano.
-Da Francesco Balducci Pegolotti, che prima del 1350
-scriveva sugli usi e le regole da seguirsi dai mercanti
-nei viaggi<a class="tag" id="tag315" href="#note315">[315]</a>, raccogliesi che essi Fiorentini stendevano
-le corrispondenze all’Inghilterra, al Marocco, a
-tutto il Levante; prendeano spesso in appalto le zecche,
-e alle inglesi da Edoardo I fu preposto un de’ Frescobaldi:
-un Bardi nel 1329 godeva le gabelle di tutto
-quel regno per due sterline il giorno, mentre nel 1282
-<span class="pagenum" id="Page_525">[525]</span>
-ne avevano reso ottomila quattrocentoundici (<span class="smcap">Hallam</span>).
-A Bruges, dove non era permesso che un banco per
-ciascuna nazione forestiera, collegi distinti formavano
-i Genovesi, i Lucchesi, i Fiorentini, i Lombardi. Nel
-1422 calcolavasi che in Firenze circolassero quattro
-milioni di fiorini: e delle lettere esterne di quella repubblica
-le più concernono commercio e mercadanti.
-</p>
-
-<p>
-Le lungagne delle asportazioni per terra non le erano
-più sufficienti; e conoscendo che la navigazione offrirebbe
-un mezzo più economico per commerciare coll’Italia
-e coll’Europa meridionale, ed il solo praticabile
-co’ paesi più remoti, fin dal secolo xiii trattò con
-Pisa onde farla emporio delle mercanzie: e vedendosi
-contrariata, prese accordo colla repubblica di Siena,
-onde spedirle pel porto di Telamone; e a questo ricorreva
-ogniqualvolta si guastasse con Pisa (pag. 248).
-Della quale poscia insignoritasi, cercò chiamarvi con
-privilegi ed incoraggiamenti le navi straniere, prese
-a stipendio gli armatori lasciati liberi dalla decadenza
-del commercio genovese, legò nuove relazioni
-e avvantaggiò le antiche<a class="tag" id="tag316" href="#note316">[316]</a>, istituì la magistratura
-dei consoli di mare, però da gran tempo conosciuti in
-Pisa.
-</p>
-
-<p>
-In una carta del 1190 che contiene i privilegi del
-sintraco di Genova<a class="tag" id="tag317" href="#note317">[317]</a>, Livorno appare già frequentato
-<span class="pagenum" id="Page_526">[526]</span>
-dai naviganti; e durante la guerra di Chioggia,
-Carlo Zeno vi ricoverò due volte la flotta veneta. Posto
-com’è fra porto Pisano e porto Telamone, poteva tener
-entrambi in soggezione; ma non acquistò importanza
-che al cadere di Pisa, e i Fiorentini, compratolo dai
-Genovesi nel 1421, lo privilegiarono in ogni modo.
-In quell’occasione rinnovarono il patto antico di caricare
-sopra navi genovesi le merci che traevano di
-ponente, ma poi cercarono sempre eluderlo, e infine
-lo abrasero nella pace fatta con Filippo Maria Visconti.
-</p>
-
-<p>
-Per siffatta guisa, quantunque mediterranei, i Fiorentini
-ottennero i vantaggi del mare, e non vi avea
-città dell’Italia, Francia, Inghilterra, Fiandra, in cui
-essi non tenessero banchi e non mandassero fattori. Un
-console inglese risedette a Pisa, e con Enrico VII nel
-1490 si pattuì che Fiorentini soli estraessero le lane
-da quell’isola, eccettuandone soltanto per seicento sacca
-i Veneziani; premio dell’avervi Lorenzo Medici rizzate
-molte manifatture di lana con artefici toscani. Un governo
-mediterraneo non doveva pensare a stabilire
-banchi e consolati sulle coste dell’Asia e dell’Africa; ma
-il privato interesse lo fece. Quando si cominciasse a
-trafficare direttamente col Levante, non consta: ma la
-<span class="pagenum" id="Page_527">[527]</span>
-casa Bardi nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span> otteneva pe’ suoi agenti privilegi
-significanti in Cipro e nell’Armenia; poi si estese
-il commercio colle coste della Barberia, coll’Egitto, la
-Siria, Costantinopoli, l’Asia meridionale, e fino colla Cina
-traverso all’Alta Asia.
-</p>
-
-<p>
-Firenze volle anche armar flotte e spedire periodici
-convogli pel mar Nero, l’Egitto, la Barberìa, la Spagna,
-la Fiandra, l’Inghilterra; ma non trovò che scapito,
-sicchè dopo il 1430 le abbandonò alla privata speculazione.
-Venezia, che era sempre stata l’amica di Firenze,
-ne ingelosì quando la vide crescer tanto, e istigò Pisa a
-scuoterne il giogo: di che Firenze si vendicò col secondare
-i disegni ostili di Maometto II contro i Veneziani.
-Ne venne <i>una velenosa ed attossicata lettera di Venezia,</i>
-a cui un Fiorentino oppose uno scritto che, in mezzo a
-una colluvie d’ingiurie, contiene un quadro, esagerato
-forse, ma vivo del commercio della sua patria<a class="tag" id="tag318" href="#note318">[318]</a>.
-Vi figurano come principali negozianti i Medici, i Pazzi,
-i Capponi, i Buondelmonti, i Corsini, i Falconieri, i
-Portinari, che avevano stabilimenti in tutte le tre parti
-del mondo aperte alla navigazione europea, cinquanta
-case in Levante, ventiquattro in Francia, trentasette nel
-Napoletano, nove a Roma, altre in Venezia, in Ispagna
-e Portogallo. Accertasi che Firenze fosse la prima a
-interdire in modo efficace il traffico degli schiavi e il
-somministrare munizioni di guerra a’ Musulmani.
-</p>
-
-<p>
-Essendo si può dire concentrato in mano degl’Italiani
-tutto il commercio che poi fu suddiviso fra Turchi, Inglesi,
-Olandesi, Francesi, Russi, quanto lauti doveano
-essere i guadagni! Giovan Villani stima di cenventimila
-fiorini la rendita che col prestare erasi formata Taddeo
-Pepoli di Bologna. Nel 1338 un negoziante di Siria,
-<span class="pagenum" id="Page_528">[528]</span>
-essendo arrivato a Portercole con molte stoffe ad oro
-e senza, cinture, borse da sposa, frontelle, Coluccio
-Balardi le comprò per centoquindicimila fiorini, e in
-capo a un anno le ebbe quasi spacciate. Egli teneva
-banco a Parigi, e Giovanni Vanno pure toscano a Douvres
-e a Cantorberì<a class="tag" id="tag319" href="#note319">[319]</a>; e già vedemmo i Bardi e i Peruzzi
-fiorentini essere creditori sopra il re d’Inghilterra
-d’un milione e mezzo di zecchini, e di centomila zecchini
-ciascuno sopra il re di Sicilia. Dino Rapondi di
-Lucca (1350-1414), mercante in Francia, avea case a
-Mompellieri, a Bruges ed a Parigi; la prima era l’emporio
-del vasto suo traffico col mezzogiorno d’Europa e
-gli scali di Levante. Avea palazzo a Parigi meraviglioso;
-commerciava di banca, cambio, metalli preziosi; servì
-molto a Carlo VI e Giovanni Senza-paura, secondandoli
-nelle imprese e nei delitti.
-</p>
-
-<p>
-A Siena (popolata di centomila abitanti prima che la
-peste la restringesse appena a tredicimila, e dove i
-diarj testimoniano che in un anno si fecero ottanta par
-di nozze nobili e cento di buone case) i Salimbeni adottarono
-per stemma la fortuna e il motto <i>Per non dormire</i>;
-cavavano anche miniere d’argento e di rame
-nella maremma; nel 1337 fra sedici casate manteneano
-un camerlingo comune per amministrare le loro entrate,
-e per più anni a ciascun casato spartirono centomila
-zecchini. Un’imposta su quella città del due per mille
-onde pagare il conte Lando nel 1357, fruttò quarantamila
-zecchini: lo che manifesta un valore di venti milioni
-d’allora, rispondenti a ducento d’adesso.
-</p>
-
-<p>
-Vuolsi che da commercio di carbone derivassero le
-smisurate ricchezze di Giovanni Medici, per le quali
-Cosmo suo figlio divenne il miglior negoziante di Europa.
-<span class="pagenum" id="Page_529">[529]</span>
-Di quale natura speculazioni fossero le sue s’ignora, ma
-ci si fa presumere lucrasse col commercio asiatico, coi
-prestiti e coi giri di banco<a class="tag" id="tag320" href="#note320">[320]</a>: e dicesi che quella casa
-occupasse trentamila persone in traffici e manifatture.
-Cosmo spese da quattrocentomila zecchini in chiese ed
-opere pubbliche. Lorenzo fu in procinto di capolevare,
-a malgrado del lauto suo commercio, per le insensate
-prodigalità de’ suoi fattori, i quali affettavano di fare il
-largo e il magno come il loro padrone; laonde sodò
-grossi capitali in possessi stabili, rompendo molti fili
-del commercio fiorentino.
-</p>
-
-<p>
-Ma era sullo scocco l’ora che gl’Italiani cesserebbero
-d’essere unici fattori del commercio. Le manifatture
-che ne’ paesi esteri noi stabilivamo, per quanta gelosia
-vi si mettesse, servivano di scuola agli emuli. I Medici,
-invece di continuare a trarre la lana greggia dall’Inghilterra,
-la fecero filare e tessere colà; allorchè essi
-usurparono il dominio, i tanti fuoruscititi propagarono
-i lavorieri di fuori; quando poi Pietro ritirò gl’ingenti
-capitali d’in sul commercio, i Fiorentini non poterono
-più reggere la concorrenza de’ forestieri, che aveano
-anch’essi accumulato capitali, e imparato la magìa del
-credito. All’estendersi dell’industria cessavano i privilegi,
-fondati sull’inoperosità degli altri popoli, la gelosia dei
-quali ritorse contro noi le arti medesime che noi avevamo
-inventate contro di loro; e Ferdinando il Cattolico
-di Spagna impose un dieci per cento su quanto
-<span class="pagenum" id="Page_530">[530]</span>
-asporterebbero i Veneziani, i quali rimasero vittime del
-sistema esclusivo che essi avevano introdotto.
-</p>
-
-<p>
-Danni più durevoli doveano venire dagl’incrementi
-della navigazione, dovuti ad Italiani.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<h2 id="cap125-11">CAPITOLO CXXV.
-<span class="smaller">Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Delineare la terra su globi e mappe già sapeano i
-Greci, e dopo Marino da Tiro vi tracciavano le longitudini
-e le latitudini, per quanto grossolanamente, cioè
-collocavano i paesi al posto determinato dalla loro elevazione
-sopra l’equatore, e dalla loro distanza da un
-meridiano, preso pel principale. Quelle medesime denominazioni
-indicano come la terra non si credesse
-rotonda, ma molto più <i>lunga</i> da levante a ponente che
-non <i>larga</i> da mezzodì a settentrione. Smisurata
-superficie piana circondata dal mare e divisa in cinque
-zone; le due gelate agli estremi e la torrida nel mezzo
-erano inabitate e inaccessibili, di modo che a noi abitanti
-d’una zona temperata niuna comunicazione era
-possibile con quelli dell’altra. Nè questa nostra tampoco
-aveasi tutta esplorata, e imperfettamente si conoscevano
-le regioni d’Europa a levante della Germania, la Prussia,
-la Polonia, la Russia: dell’Africa sol quanto è lambito
-dal mare Mediterraneo e dal golfo Arabico: dell’Asia
-restava ignota la regione di là dal Gange, quella dove
-erravano Sarmati e Sciti, e la Cina, dove pur fioriva da
-antichissimo un impero ancor più meraviglioso del romano.
-Negli spazj inaccessi ognuno collocava paesi e
-uomini favolosi, e massime quelle contrade felici, che
-<span class="pagenum" id="Page_531">[531]</span>
-supportano essere o il primo soggiorno degli uomini
-nell’età dell’oro, o il postumo delle anime virtuose.
-</p>
-
-<p>
-I Barbari che invasero l’impero romano, sprovvisti di
-marina e occupati a conquistare e stanziarsi, non aggiunsero
-alla geografia se non la cognizione dei paesi
-dov’essi aveano da prima avuto stanza. Il feudalismo
-legava gli uomini alla propria terra: e se la fede spinse
-alcuni missionarj in terre inesplorate, principalmente
-della Germania, e i pellegrini a visitare, poi a conquistar
-Terrasanta, le loro descrizioni erano più dirette ad alimentare
-la pietà che a chiarire la scienza. Gli Arabi
-dopo Maometto largamente viaggiarono a propagare la
-loro religione o stabilire commerci, e visitarono la Cina
-pel Cabul e il Tibet, mentre di colonie occupavano tutto
-il lembo orientale dell’Africa, e s’addentravano anche
-in quel continente.
-</p>
-
-<p>
-Di varj viaggiatori italiani ci accadde menzione, quali
-i frati spediti dai papi ai Mongoli, Alessandro e Alberto
-Ascellino, Giovanni da Piano Carpino e Oderico da
-Pordenone, che penetrò fino a Peking (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>, in
-princ.). Il 1309 moriva in Santa Maria Novella a Firenze
-frà Nicoldo da Montecroce, fiorentino, che avea
-girato l’Asia convertendo Saracini e descrivendone i
-costumi e le sêtte. Molti altri intrepidi missionarj visitarono
-certamente paesi ignoti, ma badando solo al frutto
-delle anime, non si brigarono di darcene contezza; e
-basti citare Alberto da Sarzana, celebratissimo predicatore
-e teologo, che da Eugenio IV fu spedito due volte
-in Egitto, in Etiopia, in Armenia per trarre i fedeli di
-colà al concilio di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Da altri impulsi fu mossa la famiglia veneziana del
-Polo. Nicolò e Maffeo mercadanti verso il 1250 passarono
-da Costantinopoli a Soldania, indi alla corte mongola
-di Capciak, poi con un persiano ambasciadore
-raggiunsero a Kan-fu l’orda di Cubilai-kan, successore
-<span class="pagenum" id="Page_532">[532]</span>
-di quel Gengis-kan che aveva esteso il suo dominio dal
-cuore dell’Asia fino alla Cina. Cubilai accolse con maniere
-di cortesia i due italiani, volle essere informato
-de’ costumi e della religione de’ loro paesi, e «come
-l’imperadore mantenea sua signoria, e come mantenea
-l’impero in giustizia, e de’ modi delle guerre e delle osti
-e delle battaglie di qua, e di messer lo papa e della condizione
-della Chiesa romana, e dei re e de’ principi del
-paese... E quando il gran kan ebbe inteso le condizioni
-de’ Latini, mostrò che molto gli piacessono», e gl’incaricò
-che, tornando al papa, il richiedessero di mandargli
-persone dotte nelle arti liberali affinchè dirozzassero le
-sue genti. Diè loro pertanto lettere e una lastra d’oro
-o dorata, portante ordine a tutti i sudditi di rispettarli,
-e fornirli di vetture e di scorte, franchi di spesa per
-tutte le sue terre.
-</p>
-
-<p>
-Traverso all’Asia giunsero ad Acri, d’indi a Venezia,
-ove Nicolò trovava di quindici anni il figlio Marco, che
-avea lasciato nell’utero materno. Vacando allora la sede
-romana, nè potendo prolungare gl’indugi, furono di
-ricapo in Palestina, ove presentarono l’ambasciata a
-Tibaldo Visconti cardinale legato; e poichè in quell’istante
-appunto arrivò l’avviso che questo era assunto
-alla tiara, esso li munì di lettere e della compagnia di
-Nicolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli carmelitani,
-letterati e teologi.
-</p>
-
-<p>
-Per mezzo ai pericoli cagionati dall’invasione di Bibars
-nell’Armenia, passarono i cinque Cristiani sino a
-Kan-fu, dove ragguagliarono il kan dell’ambasciata.
-Marco, giovane svegliato, restò attonito d’un mondo così
-differente dal nostro, e cominciò a notare quanto pareagli
-degno di ricordo, e «ch’egli seppe più che nessuno
-uomo che nascesse al mondo». Da Cubilai tenuto
-in gran capitale, fu posto fin assessore del consiglio privato,
-e spedito a raccorre notizie statistiche nell’impero
-<span class="pagenum" id="Page_533">[533]</span>
-e ad importantissime legazioni e governi. Stavano ambasciadori
-in Persia i Poli quando intesero la morte di
-Cubilai, onde risolsero tornare in cristianità; e rividero
-la patria, per la quale combattendo a Cùrzola, Marco
-restò preso da un legno genovese; e tenuto prigione,
-consolò la cattività raccontando «diverse cose secondo
-ch’elli vide cogli occhi suoi; molte altre che non vide,
-ma intese da savj uomini e degni di fede; e però estende
-le vedute per vedute e le udite per udite, acciocchè il
-suo libro sia diritto e leale e senza riprensione. E certo
-credi, da poi che il nostro signor Gesù creò Adamo
-primo nostro padre, non fu uomo al mondo che tanto
-vedesse o cercasse, quanto il detto messer Marco Polo».
-Reso alla libertà e alla patria, morì carico d’anni; e
-la sua <i>Relazione</i><a class="tag" id="tag321" href="#note321">[321]</a>, volata tosto per Europa, valse a
-<span class="pagenum" id="Page_534">[534]</span>
-invogliare a nuove scoperte, le quali poi confermarono
-la veridicità d’un libro, che mai non mente anche quando
-s’inganna, e che prima erasi creduto esagerazione, a
-segno che glie n’era venuto il titolo di <i>Milione</i>.
-</p>
-
-<p>
-Certamente nessuno ebbe miglior agio di esaminare
-la Cina e il Giappone; e fin oggi esso rimane fonte
-d’importanti notizie intorno ai Mongoli e al loro governo,
-ed ai paesi centrali ed orientali dell’Asia: ai contemporanei
-poi qual doveva eccitar interesse il ragguaglio
-della civiltà bizzarra de’ popoli al cui nome tremavano,
-e delle strane contrade da cui traevano le gemme, le
-porcellane, le spezie, le seterie! Le sue descrizioni apersero
-il campo a fantasie nuove, innestandosi le asiatiche
-alle nostre tradizioni; e potentissimo eccitamento diedero
-ai viaggi di scoperta del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>.
-</p>
-
-<p>
-Anche Nicolò Conti viaggiò venticinque anni in
-Oriente; e avendo rinnegato la fede per salvare la vita,
-ne chiese perdonanza ai piedi di Eugenio IV, il quale in
-isconto gl’impose raccontasse i suoi viaggi colla massima
-fedeltà al Poggio fiorentino, da cui abbiamo una succinta
-relazione, che lascia appena accertare la traccia di lui
-fino a Giava e al Seilan, eppure è fedele ritratto dei
-costumi indiani. Caterino Zeno stese commentarj del
-viaggio che fece in Persia, come dicemmo, per sollecitare
-quel re a romper guerra ai Turchi. Al qual
-uopo fu pure, nel 1471, spedito con vasi d’oro e stoffe
-di Verona Giosafat Barbaro sopra due galee perchè
-attraverso l’Armenia e il paese dei Curdi arrivasse a
-Tebris e a Cassan, ma egli non vi giunse, per quanto
-incalzato: però reduce, da uom d’ingegno e di retto
-intendimento ci diede un ragguaglio, ove primo alla
-moderna Europa fece conoscere que’ paesi. V’andava
-<span class="pagenum" id="Page_535">[535]</span>
-pure ambasciatore Leopoldo Battoni per Trebisonda, e
-nel 1474 Ambrogio Contarini per la Polonia, la Russia,
-la Colchide, il Fasi, la Georgia, la Mingrelia, l’Armenia:
-tornando pel Caspio e trovato presa Caffa dai
-Turchi, salì da Derben a Mosca fra un paese selvaggio,
-e riscosso denaro dal gran principe per conto della patria,
-per la Germania rimpatriò due anni dopo: viaggio
-arditissimo per le scarse cognizioni d’allora, e fra le
-minaccie di gente barbara e i sospetti de’ Turchi; e ne
-lasciava un’informazione curiosa<a class="tag" id="tag322" href="#note322">[322]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Pietro Quirini veneto negoziante a Candia, veleggiando
-alle Fiandre nel 1431, fu da spaventevole bufera gettato
-di là delle Sorlinghe, naufrago prese terra sulle estreme
-coste scandinave, donde ritornando per la Svezia, la
-Norvegia, l’Inghilterra, la Germania, raccontò in modo
-commovente le sue disgrazie, come pur fecero i suoi
-compagni Cristoforo Fioravante e Nicolò Micheli. Gironimo
-San Stefano nel 1496 per speculazioni s’incamminò
-da Genova verso le Indie, passando pel Cairo,
-il mar Rosso, e fino al Pegù, al cui re vendette con
-iscapito le proprie mercanzie; reduce a Camboja, si
-acconciò con un mercante di Damasco; ad Ormus si unì
-ad Armeni diretti a Tebris; per mare si condusse nel
-Laristan, provincia persiana, ove soleano approdare le
-navi spedite dall’imboccatura dell’Eufrate per l’India;
-nel paese degli Azameni aspettò le carovane, e per
-Ispahan, Kasbin, Soldania pervenne a Tebig, donde ad
-Aleppo. Luigi Rominotto perlustrava l’Asia e le coste
-d’Africa, ma non ci ragguaglia di nuove regioni: e
-maggior conto merita il periplo del mar Rosso e dell’Indiano,
-steso da un anonimo che nei 1538 assisteva
-con Solimano granturco all’assedio del castello di Diu,
-difeso dai Portoghesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_536">[536]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nel 1374 Luchino Tarigo ed altri poveri avventurieri
-genovesi, da Caffa con una fusta armata risalito il
-Tanai fin dove nol disgiungono dal Volga che sessanta
-werste, trascinarono per quella lingua di terra la fusta,
-e messala sul gran fiume scesero al Caspio, e si arricchirono
-corseggiando<a class="tag" id="tag323" href="#note323">[323]</a>. Giorgio Interiano loro concittadino
-vide e descrisse i costumi de’ Circassi, fu il
-primo che portasse alcuni platani a Venezia, e fantasticava
-la probabilità dell’arrivare dall’Oceano nel mar
-Rosso<a class="tag" id="tag324" href="#note324">[324]</a>. Il Boccaccio dà vanto ad Andalon del Negro
-pur genovese d’avere percorso quasi tutto il mondo<a class="tag" id="tag325" href="#note325">[325]</a>:
-e il Petrarca loda Giovanni Colonna, spatriato per le
-risse de’ suoi con Bonifazio VIII, d’avere viaggiato lontanissimo,
-e «avresti anche trascesi i limiti della nostra
-zona abitabile, e varcato l’Oceano, saresti giunto agli
-antipodi»<a class="tag" id="tag326" href="#note326">[326]</a>; frasi, donde non può trarsi veruna contezza
-precisa.
-</p>
-
-<p>
-Oggimai si tiene per provato che i Normanni, arditissimi
-corsari, avendo popolate le isole Feroe, l’Islanda,
-la Groenlandia nell’estremo settentrione dell’Europa,
-di là si spingessero di proposito, o fossero cacciati dal
-caso sull’altro continente, e appunto nelle terre che più
-tardi furono chiamate la Carolina e il San Lorenzo.
-Nicolò e Antonio Zeno, fratelli di quel prode Carlo che
-salvò la patria, verso il 1380 si elevarono fin alle coste
-della Groenlandia e a coteste altre scoperte de’ Normanni,
-e ne stesero un’informazione, che Nicolò Zeno
-lor discendente dice avere stracciata per fanciullesca
-inconsideratezza, e pretese valersi della memoria e
-<span class="pagenum" id="Page_537">[537]</span>
-d’altri amminicoli per darne nel 1558 un ragguaglio.
-Voi vedete come poco sia degno di fede; pure ci resta
-la mappa delle terre da loro vedute: è corredata di
-gradi geografici, e fa supporre il maneggio dell’astrolabio;
-ed ha questa singolarità, che, più di mille miglia
-ad occidente delle Feroe, mostra due coste, nominate
-l’Estotilandia e Droceo, le quali non potrebbero essere
-se non Terranuova e la Nuova Inghilterra, e diceansi
-indicate da naufraghi.
-</p>
-
-<p>
-Tali viaggi non assumeansi, lo vedete, per intento
-scientifico o per iscoprire; ma delle costoro informazioni
-vi era chi traea profitto per formar delle mappe.
-L’unica che i Romani ci abbiano lasciata, è la Tavola
-Peutingeriana, rozzissimo disegno fuor d’ogni proporzione,
-ritraendo la terra sulla lunghezza di ventidue
-piedi e la larghezza appena d’uno, ma che dovea bastare
-come carta itineraria. In Italia quest’arte progredì,
-e nove mappe geoidrografiche di Pier Visconti genovese
-del 1318 conserva la biblioteca di Vienna con
-altre di Grazioso Benincasa anconitano del 1480<a class="tag" id="tag327" href="#note327">[327]</a>.
-Vuolsi che già dal 1300 i Veneziani segnassero i gradi
-sulle carte marittime; e di Veneziani sono lode le cinque
-carte di Marin Sanuto che accompagnano i <i>Secreta
-fidelium Crucis</i> (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>), dove l’Africa si disegna
-triangolare e breve, ma con evidente comunicazione
-dal Grand’Oceano al mar Rosso; il planisfero del Pizzigano
-del 1367, fatto a penna con diligenti miniature,
-e colla rosa dei venti<a class="tag" id="tag328" href="#note328">[328]</a>; le dieci carte di Andrea
-Bianco del 1436, che danno delineato il Giappone,
-l’Estotiland, le Antille, il Brasile, parte del Canadà. Nel
-1440 frà Mauro camaldolese in San Michele di Murano
-delineava in un planisfero tutto il mondo allora conosciuto,
-sparso di figure e descrizioni, e dove la terra
-<span class="pagenum" id="Page_538">[538]</span>
-empie un gran circolo, attorniata dal mare; centro n’è
-Gerusalemme; il settentrione abbasso, in alto il sud; vi è
-tracciato tutto il viaggio di Marco Polo, e ciò che importa
-agli eruditi, il capo Verde, il capo Rosso, il golfo di
-Guinea, e il girabile vertice dell’Africa<a class="tag" id="tag329" href="#note329">[329]</a>. Il re di Portogallo
-incaricò esso frà Mauro d’un planisfero, di cui
-potessero giovarsi quelli che mandava a tentare scoperte.
-</p>
-
-<p>
-Nella <i>Rason del martologio</i>, codice del 1428 o poco
-poi, che conservasi a Venezia, è spiegata la <i>regola de
-navegar a mente</i>, applicando la trigonometria alla nautica;
-il raggio è ridotto in decimali, anzichè in sessagesimi;
-si adoprano le tangenti nelle operazioni
-trigonometriche, ben prima del Regiomontano che se
-ne fa scopritore. La reale libreria di Parma ha un
-mappamondo coll’iscrizione <i>Becharias civis januensis
-composuit hanc tabulam anno Domini millesimo</i>
-<span class="smcap lowercase">CCCCXXXVI</span>, dove sono indicate la prima volta con qualche
-precisione le Canarie e Madera. Un’altra carta
-marina su pergamena fu compita il 1455 da prete
-Bartolomeo Pareto genovese, ponendo Genova come la
-città più grande, e il suo San Giorgio effigiando sopra
-tutte le colonie del mar Nero.
-</p>
-
-<p>
-Erasi intanto migliorata l’arte del navigare, del costruire
-le navi e dirigerle, e spingerle anche con vento
-sinistro. La proprietà dell’ago calamitato di volgere a
-settentrione forse non era sconosciuta agli antichi, ma
-furono primi gli Amalfitani, e dicono un Flavio Gioja
-<span class="pagenum" id="Page_539">[539]</span>
-nell’xi secolo, a valersene come di strumento costante
-onde precisare la direzione de’ viaggi. Con questo si
-potè osare d’avventurarsi nell’alto, dove più non si
-scorgono terre; ed alcuni si spinsero fuori dello stretto
-di Gibilterra, al quale gli antichi, chiamandolo colonne
-d’Ercole, aveano posto il <i>non plus ultra</i>; e abbandonando
-le coste spiegarono le vele in alto mare. Fin
-dal 1281 Vadino e Guido Vivaldi salpavano da Genova
-con due galee col proposito di girare l’Africa, e giungere
-per di là nelle Indie. Una diede nelle secche alla
-Guinea, l’altra giunse nell’Etiopia, ma fu catturata, e un
-solo marinajo campò, i cui discendenti, censettanta
-anni dopo, ritrovò in Abissinia il genovese Antoniotto
-Usodimare. Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli famosi
-astrologi soggiungono che tale notizia invogliò Teodosio
-Doria e Ugolino Vivaldi a mettersi, nel 1292, con due
-Francescani per lo stesso cammino, donde non furono
-più di ritorno<a class="tag" id="tag330" href="#note330">[330]</a>. Altri Genovesi di quel tempo scopersero
-le isole Canarie nell’oceano Atlantico<a class="tag" id="tag331" href="#note331">[331]</a>.
-Nicoloso da Recco, capo d’una spedizione diretta a
-quella volta, nel 1341 ne diè contezza in Siviglia a
-mercadanti fiorentini, dai quali l’ebbe e la registrò il
-Boccaccio<a class="tag" id="tag332" href="#note332">[332]</a>. Forse da Genovesi furono trovate anche
-le isole Azzore, e si era dato il gran passo collo staccarsi
-dalla costa, avventurarsi al largo, dissipare la paura
-del mare <i>tenebroso, inguadabile</i>.
-</p>
-
-<p>
-Da questi tentativi presero voglia e coraggio Spagnuoli,
-Portoghesi, Baschi a scoprire regioni nuove,
-fosse a dilungo della costa occidentale dell’Africa, fosse
-in mezzo all’Oceano. Principalmente l’infante Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_540">[540]</span>
-di Portogallo, erudito in tutte le scienze del suo tempo,
-si piantò presso al capo San Vincenzo, e di quell’estrema
-punta occidentale d’Europa volle far quasi una vedetta
-donde esplorare mari intentati, e vi stabilì un’accademia
-marittima. Uno de’ primi suggerimenti di questa
-fu l’astrolabio di mare, grande anello metallico, sospeso
-ad un altro fisso alla parte superiore dello stromento,
-e con traguardi disposti in modo, da determinare i
-gradi d’altezza del sole e riconoscere la propria situazione,
-anche quando siasi perduta di vista la terra. Stava
-fitto in mente a quel principe che, seguitando a dilungo
-la costa africana, s’arriverebbe a un punto ov’essa dà
-volta verso levante e settentrione, e per di là si giungerebbe
-alle Indie; e ostinandosi contro le beffe e l’incredulità
-di coloro che al primo tentativo fallito si
-scoraggiano, seguiva a mandar navi, le quali sempre
-più avanzavano giù per la costa africana.
-</p>
-
-<p>
-Alvise Ca de Mosto patrizio veneto, corso già molte
-volte il Mediterraneo, mentre tornava dalle Fiandre il
-1454, si trovò cacciato da un rifolo di vento al capo San
-Vincenzo; e il principe Enrico, saputo l’arrivo di quelle
-galee, mandò a chiedere con istanza se alcuno volesse
-pericolarsi ad una spedizione oceanica. Arrise la proferta
-al Cadamosto, il quale, avuta una caravella, sciolse
-ai 22 marzo 1455, toccò Madera, le Canarie, capo
-Bianco, e al voltare del capo Verde s’imbattè in due
-altre caravelle, una delle quali capitanata da Antoniotto
-Usodimare, egli pure in traccia di paesi e più di ricchezze.
-Messisi di conserva, procedettero fino allo
-sbocco del Gambia; ma l’insubordinazione della ciurma,
-sgomentata dagli attacchi de’ Negri o dal pregiudizio
-che i cibi di questi fossero letali ai Bianchi, gli obbligò
-a dar volta. L’anno che venne, il Cadamosto, ripreso
-passaggio con Antoniotto, si trovò spinto alle inesplorate
-isole di capo Verde e fin al Rio Grande. Da uomo
-<span class="pagenum" id="Page_541">[541]</span>
-esperto e sincero ce ne diede un ragguaglio, che è il
-più antico di navigazioni moderne: forse già prima
-avea steso il portolano dell’Atlantico, del Mediterraneo
-e dell’Adriatico. Antonio da Noli genovese riconoscea
-poi meglio le isole di capo Verde nel 1462.
-</p>
-
-<p>
-Intraprendentissimi erano dunque i nostri navigatori,
-ma forse in questa, come in tutte le altre imprese,
-mancarono della perseveranza: mediante la quale invece
-i Portoghesi si videro premiati, quando alfine,
-nel 1486, con Bartolomeo Diaz diedero volta al capo di
-Buona Speranza, cioè all’estremo vertice dell’Africa,
-e con Vasco de Gama nel 98 giunsero per mare nell’India,
-dove i nostri si spingeano per così lungo e tortuoso
-pellegrinaggio.
-</p>
-
-<p>
-Emanuele re di Portogallo pensò che le primizie
-delle sue conquiste fossero dovute a Dio, sicchè mandò
-al papa un elefante dell’India mirabilmente grosso, un
-pardo, e una pianeta tempestata di gemme, di tal bellezza
-qual mai non erasi veduta<a class="tag" id="tag333" href="#note333">[333]</a>. Perocchè ancora
-valeano le idee del medioevo; e l’intento professato di
-tali spedizioni era il guadagnare anime alla fede, e trovare
-quel Prete Janni, che i viaggiatori aveano dato
-come pontefice d’un popolo cristiano, isolato tra gli
-infedeli (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>, in princ.): al papa chiedeasi l’investitura
-<span class="pagenum" id="Page_542">[542]</span>
-delle nuove isole, delle quali, secondo il diritto
-d’allora, a lui spettava la sovranità: e Martino V privilegio
-di plenaria indulgenza chi perisse in que’ tragitti,
-che doveano tante anime redimere col battesimo, incivilire
-col vangelo.
-</p>
-
-<p>
-Tali tentativi fissavano l’attenzione d’un Genovese
-che tutti dovea superarli, perchè più perseverante. Nato
-di nobile casa piacentina, che impoverita nelle guerre
-di Lombardia, erasi applicata al commercio delle
-lane<a class="tag" id="tag334" href="#note334">[334]</a>, Cristoforo Colombo, fatti i suoi studj e messosi
-presto nella marina, vi si segnalò per coraggio e
-abilità, aggiungendovi cognizioni geometriche, astronomiche,
-cosmografiche. Dopo comandato navi napoletane
-e genovesi, stette in Portogallo, dove i Lombardi
-(come chiamavansi tutti gli Italiani) erano bene accolti;
-cupidamente raccogliendo quanto si diceva e progettava,
-s’allargò a ben maggiore concetto; e mentre i precedenti
-non faceano che conquiste d’esperienza, seguitando
-la costa occidentale d’un continente a piramide,
-di cui la orientale era frequentatissima dagli Arabi,
-Colombo ideò una conquista di riflessione, cioè di
-giungere in Asia per via opposta: gli altri andavano
-tentone dietro a un fatto; egli spingeasi dietro un’idea,
-una fede. Forse viaggiò sino alla Guinea, forse fu
-nell’Islanda, ove potè aver contezza di terre giacenti
-oltre l’Oceano, e dai racconti, dalle fantasie, dai calcoli,
-<span class="pagenum" id="Page_543">[543]</span>
-dai testi traeva pascolo a congetture, che presto mutò
-in persuasioni.
-</p>
-
-<p>
-Che la terra fosse sferica e abitata anche nella parte
-opposta alla nostra, l’aveano già insegnato nella bassa
-Italia i Pitagorici, poi ripetuto altri savj anche di recente,
-comunque la scarsezza di libri lasciasse altri nei
-classici pregiudizj; e l’induzione veniva di suo piede
-dacchè sapevasi non essere il peso che la tendenza al
-centro della terra<a class="tag" id="tag335" href="#note335">[335]</a>. Uno potrà dunque passare da
-<span class="pagenum" id="Page_544">[544]</span>
-un meridiano all’altro sia che si diriga a levante, sia
-che a ponente, e le due strade saranno complemento
-una dell’altra. Il circuito della terra è diviso, secondo
-Tolomeo, in ventiquattro ore da quindici gradi ciascuna:
-i quindici da Gibilterra fino a Tina in Asia erano
-già conosciuti agli antichi; d’un altro s’inoltrarono i
-Portoghesi: non rimangono perciò che otto ore, cioè
-un terzo della circonferenza del globo. I filosofi asseriscono
-che la superficie de’ mari è un settimo appena
-dell’arida: adunque non resterà che piccola parte dell’Atlantico
-a traversare per raggiungere il continente
-dell’India, le invidiate terre delle spezie e dell’oro, il
-Catai, Cipango, le altre regioni, del cui nome e delle
-cui meraviglie era stata empita l’Europa dal Milione di
-Polo. Più dunque che pel levante, è facile giungervi
-per ponente<a class="tag" id="tag336" href="#note336">[336]</a>. Le cinquecento miglia di mare che
-credeasi dover traversare, erano ancora eccessive alla
-scarsa arte d’allora; ma probabilmente tra via s’incontrerebbero
-isole, delle quali una vaga fama trasmetteasi
-fra i naviganti.
-</p>
-
-<p>
-Altre induzioni, d’origine ecclesiastica, davano al
-mondo non più che cencinquant’anni ancora di durata;
-<span class="pagenum" id="Page_545">[545]</span>
-e poichè è scritto che <i>il suono del vangelo uscirà per
-tutta la terra</i>, Iddio dev’essere sul punto di aprire
-l’India da quest’altra banda, acciocchè vi si predichi
-Cristo, e se ne traggano tesori, coi quali riscattare
-Terrasanta dai Turchi e tante anime dal purgatorio.
-</p>
-
-<p>
-Ognuno appoggia i proprj concetti cogli argomenti
-del tempo; e Colombo ne raccoglieva per la fede dei
-teologi, per l’avidità dei re, pei pregiudizj dei naviganti,
-per la pedanteria degli eruditi, per la scienza
-de’ matematici. Fra gli astronomi di quel tempo godea
-nome Paolo del Pozzo Toscanelli, che in Firenze sua
-patria fece il più elevato gnomone del mondo in Santa
-Maria Novella. A lui, già consultato dai principi di
-Portogallo, si diresse Colombo per lume e consigli, e
-questi gli rispose una lettera appoggiandolo di autorità
-e di calcoli; gli abbozzò una carta navigatoria, ove da
-Lisbona a Quinsay (città rivelata da Marco Polo) segnava
-sedici gradi da ducencinquanta miglia ciascuno;
-e — Il tuo disegno parmi nobile e grande, e ti prego
-quanto so a navigare da oriente ad occidente».
-</p>
-
-<p>
-Colombo dovette rimbaldirsi di tanta approvazione:
-ma donde ottenerne i mezzi? La Francia si buttava allora
-a guerre avventurose sotto il romanzesco Carlo VIII:
-l’Inghilterra faticava a ricomporre gli sconquassi delle
-lunghe discordie intestine: il Portogallo erasi messo
-alle scoperte s’una traccia diversa, e codesta novità
-non poteva che tornargli sgradita: di fatto quegli accademici,
-cui il disegno di Colombo fu presentato, lo
-dichiararono d’un fatuo vanaglorioso; pure i politici
-suggerirono, — Teniamolo a bada finchè si mandino
-navi a verificare cosa ne sia». Colombo indispettito si
-sottrasse, e venne in Italia: ma di que’ piccoli Stati e
-ringhiosi qual mai era capace di tanto ardimento? Venezia
-e Genova desideravano conservarsi il monopolio
-delle antiche vie, anzi che perigliarsi a nuove; tenere a
-<span class="pagenum" id="Page_546">[546]</span>
-tutto loro profitto il commercio nel Mediterraneo, anzi
-che vantaggiare le nazioni situate sull’Oceano.
-</p>
-
-<p>
-Febbricitante dunque d’un gran pensiero, cui non
-vedea modo di ridurre ad effetto, cogli spasimi del
-genio incompreso, Colombo vedea passare gli anni, logorarsi
-il suo vigore, e nessuno che volesse accettare
-il dono d’un nuovo mondo. Finalmente in Ispagna
-trovò un frate, che il raccomandò al confessore della
-regina Isabella; e la gran donna, capace di comprendere
-l’entusiasmo di un grand’uomo, gli diede ascolto,
-fece esaminare la proposta da teologi e da sapienti;
-ma poichè allora fervea l’impresa che dev’essere la
-prima per ogni nazione, quella di sbrattare la patria
-dalla dominazione straniera, il tentativo fu rimesso a
-migliori tempi: intanto Colombo militò contro i Mori,
-vivendo d’un sussidio assegnotogli, egli che teneasi
-distributore d’incalcolabili tesori<a class="tag" id="tag337" href="#note337">[337]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente la presa di Granata decise la lotta di sette
-secoli; e gli Spagnuoli si assisero indipendenti sopra il
-suolo che palmo a palmo aveano ricompro dalla servitù
-moresca. Allora Colombo rincalorì le istanze, e ottenne
-due navi e trecentomila corone, col patto di concorrere
-egli stesso a un ottavo della spesa, purchè gli si
-assicurassero un ottavo de’ vantaggi e un dodicesimo
-delle gioje e de’ metalli preziosi, il titolo di ammiraglio
-e vicerè de’ paesi nuovi. Un terzo legno ebbe da un armadore
-di Palos, dal qual porto salpò il 3 agosto 1492,
-fidando in Dio, e ostinandosi a filar dritto a ponente,
-<span class="pagenum" id="Page_547">[547]</span>
-per quanto il disconsigliassero i compagni, per quanto
-altri fenomeni l’allettassero a cercar terre a dritta o
-a sinistra, per quanto lo scoraggiasse il dissiparsi delle
-apparenze di vicina terra. Perseveranza siffatta è l’impronta
-del genio.
-</p>
-
-<p>
-Non è di questo luogo il descrivere gli incidenti del
-suo viaggio, e come toccasse le Antille e più tardi il
-continente, ch’egli credette sempre fossero le settemila
-quattrocentottantotto isole orientali, indicate da Marco
-Polo. Il suo giornale lo mostra attentissimo osservatore
-d’ogni fenomeno della natura, quantunque non addottrinato
-abbastanza per trovarne la spiegazione; nè alla
-sagacia sua sfugge veruna delle apparenze d’un mondo
-e d’un ciel nuovo: ravvicina i fatti per indovinarne le
-mutue relazioni; primo avvertì la deviazione dell’ago
-magnetico; primo conobbe che si poteva trovar le longitudini
-mediante la differenza dell’ascensione diritta
-degli astri; notò la direzione delle correnti pelagiche,
-l’aggruppamento delle piante marine che determinano
-una gran divisione de’ climi dell’Oceano, il cangiarsi
-delle temperature non solo a norma delle distanze dall’equatore,
-ma colla differenza de’ meridiani; nè trascurò
-appunti geologici sulla forma delle terre e sulle cause
-che la producono.
-</p>
-
-<p>
-Quel che più ancora, lo caratterizza è il sentimento
-religioso, pel quale crede a visioni, a rivelazioni; per
-iscopo supremo dell’impresa si propone di annichilare
-l’islam, convertire i sudditi del gran kan, e coll’oro
-ritratto riedificare Gerusalemme, e suffragare tante
-anime aspettanti nel purgatorio. Ne traeva la perseveranza
-contro gli ostacoli, la pazienza de’ mali, e nei
-semplici suoi ricordi scriveva: — Benedetto Iddio che
-dà vittoria e buon successo a chi segue le sue strade,
-e l’ha miracolosamente provato in me. Io tentai un
-viaggio contro l’avviso di tanti assennati; tutti trattavano
-<span class="pagenum" id="Page_548">[548]</span>
-il mio disegno di chimera: confido nel Signore
-che il successo farà grande onore alla cristianità».
-E se i disastri l’opprimevano, pareagli una voce gridargli
-in sogno: — Di poca fede! cosa fece Iddio di
-più per Mosè e per David suo servo? A te aperte le
-barriere dell’Oceano; a te sottomesso infinito paese;
-il nome tuo reso celebre in tutta la cristianità. Volgiti a
-lui, e riconosci che infinita è la sua misericordia. Tu
-giaci di cuore, e gridi <i>È troppo</i>. Or di’, chi ha cagionato
-le tue afflizioni, Dio o il mondo? Dio non fallisce
-le promesse: ma delle fatiche sostenute per altri padroni
-questa è la ricompensa».
-</p>
-
-<p>
-Perocchè è nota l’ingratitudine con cui gli uomini
-compensarono quel sommo che, mentre al tornare del
-primo viaggio non era onoranza che non gli fosse profusa
-quasi a creatore, di poi dal nuovo mondo fu
-ricondotto in catene, le quali (dice suo figlio) io vidi
-sempre sospese nel suo gabinetto, e con quelle volle
-esser sepolto». Ai re si lagnava egli, ma invano; e a
-suo figlio scriveva: — Dopo vent’anni di servizj e fatiche
-e pericoli tanti, non possiedo in Ispagna ove
-ricoverare il capo: per mangiare e dormire mi bisogna
-andare all’osteria, e più volte non ho di che pagare lo
-scotto». Sazio poi di quella che tanto annoja, la censura
-degli oziosi, proponeva: — Coloro che si piaciono
-di far rimproveri e appunti, stiano a cianciare
-laggiù a loro agio, e dire <i>Perchè non fare così e così?</i>
-Avrei voluto fossero stati a quell’impresa». Passata
-mezza la vita nella miseria sospirando di attuare la
-grande idea, e l’altra mezza nella invidia per averla
-compiuta, straziato da lunga ambage d’iniquità e scaduto
-dalle più fervorose speranze, moriva desolato a
-Valladolid di sessantott’anni nel 1506.
-</p>
-
-<p>
-Istituì un maggiorasco, e ne trasmetteva i documenti
-a Genova, «della qual città io sono uscito, e nella quale
-<span class="pagenum" id="Page_549">[549]</span>
-son nato»: pel banco di San Giorgio destinò un decimo
-della rendita di sua eredità, onde sgravare la gabella
-delle vittovaglie: e sedici giorni prima di morire, sopra
-un uffizietto della beata Vergine regalatogli da Alessandro
-VI papa, e «che gli era stato di gran sollievo
-nella cattività, nelle battaglie, nelle traversie»<a class="tag" id="tag338" href="#note338">[338]</a>,
-vergava un codicillo militare da darsi «all’amatissima
-sua patria la repubblica genovese» pei benefizj che
-n’avea ricevuti; volea che de’ suoi beni stabili in Italia
-vi si ergesse uno spedale nuovo; mancando poi la sua
-linea, sostituiva il banco di San Giorgio nell’ammiragliato
-dell’India e negli altri privilegi, che dai re gli
-erano stati sconsideratamente promessi, e che poi gli
-furono codardamente fraudati; sicchè i figli suoi dovettero
-stentare tutta la vita a patrocinare i titoli e il
-nome di quel grande, cui negavasi la gloria d’aver
-egli primo scoperto un mondo, che testè gli s’imputava
-a monomania il credere potesse scoprirsi. Finalmente
-i suoi nipoti rinunziarono alle pretese ricevendo
-mille dobloni l’anno e il titolo di duchi della Veragua,
-<span class="pagenum" id="Page_550">[550]</span>
-che vive tuttora in una linea femminile, dalle ultime
-vicende spagnuole ridotta a strettezze.
-</p>
-
-<p>
-Più che i re, furono ingrati a Colombo gli scrittori,
-che del nome di lui non battezzarono la terra da lui
-scoperta. Al fine dell’ultimo secolo, gli Spagnuoli, costretti
-abbandonare ai Francesi l’isola d’Haiti ove era
-stato sepolto, lo trasportarono all’Avana in una solennità
-affettuosa, cui non si mesceano maledizioni, come
-alla traslazione d’altri eroi: e Bolivar volle col titolo
-di Colombia abbellire la repubblica, che le sue vittorie
-creavano e la sua temperanza conservava. Tarda giustizia!
-a Colombo non restò che la felicità dell’operare;
-felicità che voi, anime torpide, mai non comprenderete.
-</p>
-
-<p>
-Subito avidità d’oro, di gloria, di conquiste, di conversioni,
-di martirio, spinse gran gente verso quel nuovo
-mondo, del quale, in poco giro d’anni, tutto il contorno
-fu determinato: ma a noi non s’appartiene qui l’esporre
-se non la parte che vi presero gl’Italiani.
-</p>
-
-<p>
-Sebastiano Cabotto, mercadante veneziano, che fin
-dal 1494 avea veduto una terra che poi fu detta Terranuova,
-all’udire le imprese del Colombo, sentì suscitarsi
-«un desiderio grande, anzi un ardor nel cuore di
-voler fare ancor egli qualche cosa di segnalato»; ed
-esibì ad Enrico VII d’Inghilterra d’arrivare al favoloso
-Catai per altra via che non quella di Cristoforo, cioè pel
-nord-ovest; e avutone lettere patenti nel 1496, con Sebastiano
-suo figlio, e con quattro navi provvedutegli dai
-negozianti di Bristol, toccò il continente americano al
-Labrador il 24 giugno 1497, cioè un anno e sei giorni
-prima che Colombo mettesse l’orma in quel continente,
-del quale riconobbe 300 leghe di costa. Morto il padre,
-Sebastiano spinse un altro viaggio in quell’altezza, e
-pare scorresse a dilungo la costa dalla baja d’Hudson
-alla estremità della Florida; ma sgomentato dai geli e
-dalle lunghe notti, voltò indietro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_551">[551]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il papa, molte volte lo ripetemmo, era considerato
-signor supremo dei mari e delle isole: in forza di che,
-Martino V aveva conceduto al re di Portogallo quanti
-paesi si scoprirebbero dai capi Bogiador e Non fino alle
-Indie. Nessuno allora prevedeva che fra questi s’incontrerebbe
-nulla meno che un mezzo mondo; sicchè Spagna
-e Portogallo vennero a diverbio sul possesso di questo.
-Invece di strapparselo colle armi, compromisero la quistione
-in papa Alessandro VI, il quale segnò un meridiano,
-distante cento leghe dalle isole Azzore e dal capo
-Verde, e i paesi di là da quello attribuiva alla Spagna.
-</p>
-
-<p>
-Prima che tale controversia fosse composta, erasi
-adunata una giunta per discuterla, e in essa aveva parte
-il nostro Cabotto, il quale dagli Spagnuoli ebbe l’incarico
-d’un nuovo viaggio, in cui rimontò il gigantesco Rio
-della Plata. Fatto poi gran piloto d’Inghilterra, e presidente
-della compagnia istituita onde tentare il passaggio
-pel nord-ovest, in quell’isola morì onorato. Il gran problema
-che girava per la mente dell’illustre Veneziano,
-non fu risolto che jeri. Sant’uomo (<i>good aldman</i>), come
-lo intitola Ricardo Eden suo amico, morendo diceva
-sapere per rivelazione divina un metodo infallibile di
-trovare le longitudini; e forse intendeva mediante la
-deviazione dell’ago magnetico, la quale si vorrebbe da
-lui scoperta<a class="tag" id="tag339" href="#note339">[339]</a>. Anche Giovan Verazzani navigatore
-fiorentino fu adoprato da Francesco I onde tentare pel
-nord un passo alle Indie, costeggiò la Terranuova, conobbe
-la Nuova Francia, e più di settecento miglia di
-costa esplorò.
-</p>
-
-<p>
-Americo Vespucci, nato di buona casa a Firenze, poi
-fattore nella banca di Gioannotto Berardi a Siviglia,
-divenne spertissimo marinajo e buon cosmografo, eseguì
-<span class="pagenum" id="Page_552">[552]</span>
-diversi viaggi per commissione del Governo spagnuolo,
-dal quale fu assunto primo piloto alla morte di Colombo;
-e colmo d’onori morì a Siviglia il 1512. Niuna impresa
-capitale egli compì, ma in lettere dirette a Renato duca
-di Lorena e a Lorenzo di Pier Francesco Medici, diede
-delle sue navigazioni un ragguaglio gonfio e confuso,
-con ostentazione di scienza e con apparenza d’uomo che
-compila scritti altrui. Firenze lo lesse con avidità, e gli
-decretò il fanale, cioè che davanti alla casa di lui si
-accendesse un falò per tre giorni e tre notti, come in
-antico solevasi ai benemeriti della patria, e tutte le case
-si dovessero illuminare e più i palazzi<a class="tag" id="tag340" href="#note340">[340]</a>. Quella informazione
-fu subito messa a stampe, e perchè fu la
-prima che si pubblicasse, venne cercatissima, tradotta
-in varie lingue, talmente che i paesi nuovi si chiamarono
-la terra d’Americo, e il costui nome prevalse a quello
-del vero scopritore. Nol chiameremo per ciò falsatore
-e plagiario della gloria altrui, ma vi riconosceremo uno
-degli accidenti della gloria, tanto capricciosa nelle sue
-distribuzioni.
-</p>
-
-<p>
-Antonio Pigafetta vicentino, trovandosi in Ispagna al
-seguito di Francesco Chiericato ambasciatore della corte
-di Roma, partì collo spagnuolo Ferdinando Magellano
-per un viaggio all’estremità meridionale dell’America,
-e, datovi la volta il 21 ottobre 1520, compiva il primo
-giro del globo. Il viaggio era stato finito in millecentoventiquattro
-giorni; e la nave tratta in secco, fu conservata
-qual monumento della spedizione più arrisicata.
-Pigafetta fu accolto a Monterosi da papa Clemente VII,
-per cui istanza egli stese un racconto di quel giro, con
-poca esattezza e molta credulità, ma prezioso in mancanza
-d’ogni altro, e anche piacevole per la contezza
-<span class="pagenum" id="Page_553">[553]</span>
-di tanti paesi nuovi, e pel primo vocabolario di lingue
-parlate da Indiani. Con Magellano erano a quel passaggio
-anche Leone Pancaldo, Battista da Polcévera e
-un Baldassarre genovesi. Un altro genovese, Paolo Centurioni,
-proponeva a Basilio czar delle Russie un nuovo
-cammino alle Indie, venendo per acqua fin al Caspio,
-e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi al Baltico, onde
-recare più presto e direttamente ai Settentrionali le
-droghe, senza ricorrere ai Portoghesi<a class="tag" id="tag341" href="#note341">[341]</a>. Così, intanto
-che la patria tempestava fra gravi sciagure, molti nostri,
-e principalmente genovesi, andavano ad ardite scoperte,
-delle quali l’Italia non doveva giovarsi: piloti genovesi
-fecero la prima circumnavigazione, designata dal nome
-di Magellano; altri tentarono il passaggio polare.
-</p>
-
-<p>
-Col solito carico erano partite le galee di traffico veneziane
-per distribuire le droghe ne’ porti dell’Oceano,
-quando Piero Pasqualigo, ambasciatore a Lisbona, diede
-avviso alla Signoria che i Portoghesi aveano schiuso un
-altro varco alle Indie, ed offrivano le spezie ed il legname
-di costruzione a più fiorito mercato. Fu tenuto
-come pubblico disastro dalla repubblica, e si pensò al
-riparo non colla generosità che si eleva a vantaggiare
-se stessi col vantaggio altrui, bensì coll’egoismo che
-impaccia e pregiudica. Spedirono a insusurrare al soldano
-d’Egitto che gravi pericoli deriverebbero al suo
-paese e alla religione maomettana dalla prossimità di
-que’ nuovi e intraprendenti mercadanti, e gli offrivano
-<span class="pagenum" id="Page_554">[554]</span>
-braccia, consigli, armi per esterminarneli. Egli di fatto
-il tentò, unito ai principotti di Cambaja e di Calicut;
-ma il valore di Vasco de Gama, poi dell’Albuquerque
-dissipò le resistenze.
-</p>
-
-<p>
-Consiglio più generoso e insieme più profittevole alla
-repubblica sarebbe stato il mettere in comunicazione
-il Mediterraneo col mar Rosso traverso all’istmo di
-Suez, o all’Egitto pei canali del Nilo; e non mancò chi
-lo suggerisse: ma forse lo impedì quell’empia lega, in
-cui tutt’Europa si strinse allora appunto per distruggere
-Venezia.
-</p>
-
-<p>
-Il commercio, che i Portoghesi allora cominciarono
-coll’Asia, differiva da quel di Venezia in quanto questa
-lo permetteva a qualunque cittadino, escludendo gli
-stranieri, mentre i Portoghesi lo teneano come proprietà
-della corona; quella non negligeva l’industria
-interna, mentre i Portoghesi lasciarono deserte le manifatture
-e le campagne per usufruttare le colonie orientali.
-Gl’Inglesi perseverarono a comprar le droghe dai
-nostri; ma un equipaggio veneto di millecinquecento
-tonnellate, che nel 1587 naufragò sopra l’isola di Wight,
-fu l’ultimo che approdasse in Inghilterra, avendo la
-regina Elisabetta ottenuti pe’ suoi dal granturco tutti i
-privilegi di cui fruivano i Veneziani.
-</p>
-
-<p>
-Presto dalla Sicilia passò la coltura dello zuccaro in
-America, che ne divenne la principale produttrice; di
-là vennero a noi molte nuove piante e derrate, molti
-usi ed abusi, e vizj e comodità e morbi. È generalmente
-accettato che l’inglese Raleigh portasse pel primo in
-Europa il pomo di terra nel 1586; ma il celebre botanico
-l’Ecluse (<i>Clusius</i>), che primo descrisse quel
-tubero nel 91, asserisce averne fin dall’88 coltivato nel
-suo giardino alcuni ricevuti dall’Italia, ove da qualche
-tempo servivano di cibo agli uomini e agli animali
-domestici.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_555">[555]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma noi avevamo cessato d’essere i fattori dell’Europa;
-non un palmo di terra acquistammo in quel mondo, che
-un nostro avea scoperto e un altro denominato; non
-ajutammo le successive indagini: vero è che restammo
-mondi del sangue e delle atrocità che le accompagnarono.
-</p>
-
-<p>
-Le scoperte schiudeano un nuovo campo alla santa
-operosità de’ missionarj, che da Roma correano a piantar
-la croce dovunque gli avventurieri avessero cominciato
-la strage. Famosi principalmente riuscirono i Gesuiti
-nella Cina, e primi Gabriele Rogerio di Napoli, il Ricci
-da Macerata, il Pasio da Bologna, che educatisi nei
-costumi e nella lingua del paese strano, furono tollerati
-e donati, ed ottennero grandi successi di conversioni;
-anzi il Ricci scrisse un’opera in cinese, che lo fece porre
-fra i classici di quella difficile nazione. Prodigiosi effetti
-conseguì pure nel Malabar il padre Roberto de’ Nobili
-romano, che però col troppo mostrarsi tollerante dei
-riti nativi meritò la disapprovazione di Roma, e (strano
-accordo) quella de’ filosofanti. Da questi ed altri missionanti
-si ebbero le prime e le più esatte contezze di
-que’ paesi.
-</p>
-
-<p>
-Gli ambasciadori nostri alle Corti straniere informavano
-i loro Governi delle scoperte, via via ch’erano risapute;
-i mercadanti ne faceano appunto sui loro mastri
-per l’alterazione che derivava al prezzo delle derrate.
-Gli eruditi, di mezzo ai loro studj sull’antico, sentivano
-agitarsi il mondo moderno; e mentre sulla fede dell’erudizione
-Colombo ostinavasi nel glorioso suo errore,
-Pietro Martire d’Anghiera milanese scriveva a Pomponio
-Leto: — Non passa giorno che non ci arrivino prodigi
-nuovi da questo nuovo mondo, da questi antipodi dell’Occidente,
-che un tal Cristoforo genovese ha scoperti.
-Credo bene che tu abbia trasalito d’allegrezza, e a stento
-ti sia frenato dalle lagrime quand’io per lettere t’informai
-dell’orbe dianzi nascosto. Qual cibo più soave di questo
-<span class="pagenum" id="Page_556">[556]</span>
-a sublimi ingegni? Da me lo misuro, che sento bearmi
-lo spirito quando ragiono con alcuni tornati di colà.
-Tuffino l’animo in accumular dovizie i miseri avari; noi
-allietiamo le menti nostre nella contemplazione di siffatte
-meraviglie. E che fecero di più i Fenicj quando in regioni
-remote riunirono popoli erranti, e fondarono altre città?
-Ai tempi nostri era serbato vedere allargarsi di tanto
-le nostre concezioni, e tante cose insolite apparir d’improvviso
-sull’orizzonte»<a class="tag" id="tag342" href="#note342">[342]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Esso Pietro Martire pubblicò tre decadi <i>De rebus
-oceanicis</i>, che volle far credere scritte man mano che
-le informazioni giungevano<a class="tag" id="tag343" href="#note343">[343]</a>, e il cui vanto riponeasi
-nell’aver saputo designare con parole classiche
-paesi e cose nuove. Dalle lettere del Colombo <i>De insulis
-Indiæ nuper inventis</i> trasse un rozzissimo poema in
-ottave il canonico Giuliano Dati fiorentino<a class="tag" id="tag344" href="#note344">[344]</a>, autore
-<span class="pagenum" id="Page_557">[557]</span>
-d’altri scrittarelli destinati a popolarizzare le scoperte.
-Di que’ viaggi poi una raccolta stampò il Fracanzano
-di Montalboddo a Vicenza nel 1507 col titolo di <i>Mondo
-nuovo e paesi nuovamente trovati da Alberico Vesputio
-fiorentino</i>; Antonio Manuzio un’altra de’ viaggi di Veneziani.
-Giovan Battista Ramusio, nato da Paolo letterato
-celebre, usato in molte legazioni, sperto di varie lingue,
-concepì principale amore per la cosmografia, e ne teneva
-accademia in sua casa a Venezia; e dei ragguagli
-che correano fece la miglior raccolta col titolo <i>Delle
-navigazioni e viaggi... nelle quali con relazione fedelissima
-si descrivono tutti quei paesi che da già trecent’anni
-finora sono stati scoperti, così di verso levante
-e ponente come di verso mezzodì e tramontana</i>, più
-più volte ristampate, dopo la prima di Venezia del
-1550. Anche Livio Sanuto raccolse le migliori notizie
-delle scoperte, e s’un globo rappresentò tutto il mondo
-conosciuto, sicchè può considerarsi il primo che correggesse
-le antiche carte. Sventuratamente delle sue
-non si salvarono che dodici, pubblicate postume nel 1586,
-incise dal fratello Giulio; e l’Africa vi è ritratta con
-esattezza tale, che appena dalle recentissime scoperte
-potè essere migliorata.
-</p>
-
-<p>
-Alessandro Geraldini da Amelia nell’Umbria militò in
-Spagna, fu coppiere della regina Isabella, poi entrato
-ecclesiastico, educò quattro principesse che divennero
-regine; favorì i divisamenti del Colombo confutando i
-sofismi teologici che lo contrariavano; adoperato molto
-in diplomazia presso quasi tutte le corti d’Europa, finì
-vescovo di San Domingo in America. Scrisse molte opere
-<span class="pagenum" id="Page_558">[558]</span>
-di teologia, esortazioni ai Cristiani contro i Musulmani,
-e l’itinerario alle Antilie, con ragguagli sulle antichità,
-i riti, i costumi, le religioni de’ popoli di Etiopia, d’Africa,
-dell’oceano Atlantico, dell’India. Asserisce però aver
-veduto e trattato popoli e re, che nessun altro menziona;
-dà perfino iscrizioni latine, che asserisce aver copiate
-in Africa, evidentemente false: sì poco allora aveasi
-cura dell’esattezza.
-</p>
-
-<p>
-Altri continuarono viaggi. Giovanni da Empoli nel
-1503 arrivava al Malabar. Filippo Sassetti fiorentino,
-buon matematico e discreto scrittore, visitò le Indie,
-e vorrebbesi il primo che avvertisse la declinazione
-dell’ago calamitato, che noi trovammo già prima indicata.
-Luigi da Vartema, gentiluomo bolognese, scrisse
-il suo viaggio in Levante, ristampato e tradotto in tutte
-le lingue. Mosso da Venezia dopo il 1500, visitò l’Egitto,
-la Siria, e nel 1503 imparato l’arabo, da Damasco colla
-carovana andò alla Mecca, soffrendo i disagi di quel
-tragitto, ammirando il gran mercato che vi si teneva,
-benchè declinasse dopo scoperto il passaggio marittimo
-all’India. Un Moro ch’era stato a Genova e Venezia, lo
-conobbe per italiano; nè al castigo serbato all’infedele
-che entra nella santa casa, potè sottrarsi se non fingendosi
-rinnegato, e bestemmiando i Portoghesi. Il Moro
-gli esibì di mettersi col re del Decan per fondere le sue
-artiglierie: ed egli, desideroso di avventure, accettò.
-Sbarcò a Aden, ma riconosciuto, fu messo in carcere;
-e solo col fingersi scimunito, e ricrear la regina colle
-sue buffonerie, potè campare. Allora visitò molte città
-dell’Arabia Felice, fendè la Persia, e giunse ad Ormus,
-a Herat, a Schiraz, centri di vivissimo traffico. Fece
-società con un mercante persiano, e dalle guerre impedito
-di giungere a Samarcanda, tornò a vedere altri
-paesi sino a Calcutta, dove stavano sin quindicimila
-mercanti forestieri. Il Vartema si estende a narrare i
-<span class="pagenum" id="Page_559">[559]</span>
-costumi dell’India, come uom che li vide in fatto, sebbene
-e spesso li frantendesse, e più spesso non osservasse
-quelle particolarità che ne formano il carattere.
-Seguitò a trafficar per que’ mari, e via fin al capo Comorin,
-all’isola di Seilan e al Bengala, indi al Pegù, a
-Sumatra, all’isola delle Spezierie, a Borneo, a Giava.
-Reduce a Calcutta, trova due Milanesi venuti nell’India
-co’ Portoghesi e disertati, coi quali s’accorda per fuggire
-dai paesi musulmani, e riesce a tornare fra i Cristiani.
-I Portoghesi l’ebber caro per le informazioni che
-offerse di regioni ignote, e gli agevolarono il ritorno
-a Lisbona, ove il re l’intitolò cavaliere; e di là tornò in
-patria il 1508.
-</p>
-
-<p>
-Gaspare Balbi veneziano, negoziante di gioje, trovandosi
-ad Aleppo il 1579, risolse visitare l’Oriente; e
-condottosi a Bir sull’Eufrate, navigò questo fiume pieno
-di pericoli fin presso a Bagdad; da questa <i>Babilonia</i>
-nuova scese pel Tigri a Bàssora, donde a Ormus, osservando
-la pesca delle perle a Baharein, poi a Diu e
-a Goa, dove allora ingrandiva la potenza portoghese.
-La sua descrizione rispetto a storia e geografia non
-dilatò le nostre cognizioni, ma da mercante ch’egli
-era, informa a minuto del commercio, dei prezzi, delle
-direzioni. Da Goa traversò a Cochin, poi pel capo Comorin
-a San Tomé, notando i gran frutti delle missioni
-gesuitiche. Con mercadanti Portoghesi navigò nel Pegù,
-regno poderoso, che dominava quelli d’Ava e di Siam,
-e la cui capitale trovò grandiosa, qual rimase finchè i
-Birmani non la distrussero nel secolo passato. Quel
-principe, interrogatolo sul suo paese, e udito che governavasi
-senza re, volle sbilicarsi dalle risa, il regalò
-d’una coppa d’oro e tappeti cinesi, e ne comprò molti
-smeraldi, ricambiandoli con altre pietre e con pezzi di
-piombo che ivi scusavano la moneta. Passare ad Ava
-per farvi accatto di rubini non potè, in grazia d’una
-<span class="pagenum" id="Page_560">[560]</span>
-ribellione scoppiata, per la quale il re del Pegù chiamò
-a sè gli uffiziali e governatori, e sospettandoli d’intelligenze,
-li fece colle loro famiglie bruciare in numero di
-quattromila. Il Balbi potè vedere le trionfali solennità
-della vittoria, e marcie e pasti, dove i bianchi elefanti
-del re faceano segnalata comparsa. Ci dipinge quel popolo
-come mansueto, tollerante, educato dai buoni
-esempj de’ Talapoini, monaci austeri e caritatevoli, i
-quali non impedivano di farsi cristiani, dicendo che uno
-può esser buono in qualunque religione. Di là mandavasi
-argento al Bengala, riso a Malacca: sopratutto lavoravasi
-di cotone. Nol seguiremo nel ritorno e nella
-descrizione che fa delle usanze della costa del Malabar,
-donde per Ormus ripassò nel 1588 ad Aleppo, che avea
-lasciata nel 1579; e due anni dappoi pubblicava in
-patria il suo <i>Viaggio alle Indie orientali</i>, prezioso sì
-per la semplicità con cui acquista fede a’ suoi detti, sì
-perchè primo recò notizie dell’India transgangetica e
-particolarmente del Pegù.
-</p>
-
-<p>
-Pier della Valle può dar la misura della corrività, se
-non della sfacciataggine de’ viaggiatori. Staccatosi da
-Roma col proposito di percorrere le principali parti del
-teatro dell’universo, provvisto d’entusiasmo e di fede
-ma non di critica, sopra un legno veneziano approda
-prima a Corfù, dove riverisce le reliquie di santo Spiridione,
-e dove gli è mostrato un discendente di Giuda
-Iscariote. A Zante vede una fontana, la cui acqua proviene
-dalla terraferma, sottopassando alle salse, per tal
-segno che una volta ne sgorgò una tazza d’argento. Da
-Troja, che ricostruisce con tanta facilità, mentre con tanto
-stento i moderni non v’arrivarono, giunge a Costantinopoli,
-e vede gran meraviglie, e n’ode di maggiori,
-quali le due immense cisterne, sopra cui stanno sospese
-Santa Sofia e l’ippodromo, sostenute solo da alcune file
-di pilastri. Harlais ambasciadore di Francia gli agevola
-<span class="pagenum" id="Page_561">[561]</span>
-l’entrata nel serraglio, ove bacia la mano all’imperatore,
-ma preoccupato dalle idee de’ costumi e delle Corti
-europee, nulla intende di quella. Nelle case vede usare
-pertutto una bevanda nera, che chiamano caffè, e i cui
-effetti gliela fanno somigliare alla nepente, con cui Elena
-calmava i tedj degli assediati Trojani. Nell’Egitto scorre
-colla Bibbia e col leggendario alla mano, pertutto vendemmia
-pie tradizioni, e viepiù accostatosi a Terrasanta:
-e que’ racconti anche sì grossolani attraggono
-per la buona fede e la semplicità onde sono dettati.
-Dopo che potè prostrarsi sul sepolcro di Cristo, e ricever
-la comunione su quello di santa Caterina, crebbe di pietà,
-e sbandì quanto di mondano conservava. Avviatosi colla
-carovana verso Babilonia, sente parlare della bellezza
-stupenda, del raro ingegno, dell’incomparabile virtù
-della figlia del maggior ricco di Bagdad: onde invaghitosene
-per fama, non d’altro studia che d’arrivarvi presto,
-e la ottiene in matrimonio, e riconduce a Roma la bella
-Maani Gioreida.
-</p>
-
-<p>
-Jacopo Morelli, lodato bigliografo, stampò in pochi
-esemplari una dissertazione intorno ad <i>Alcuni viaggiatori
-eruditi veneziani poco noti</i> (Venezia 1803), i quali
-sono Paolo Trevisano, Giovanni Bembo, Pellegrino
-Brocardi, Ambrogio Bembo, Giovan Antonio Soderino;
-e minori Bartolomeo Dandolo, Bonajuto Albani, Teodoro
-Gradenigo, Nicola Brancaleone, Antonio Priuli,
-Carlo Maggi, Cechino Martinello. Altri avremo a mentovarne,
-ma scarsissima messe ci danno i nostri campi.
-Ben fa meraviglia come di tanti portenti, che doveano
-concitare le fantasie e l’estro, poche o niuna scintilla
-traessero le muse nostre, severe od amene: alcuni poemi
-su que’ gloriosi fatti ricalcano i modelli antichi; e le
-allusioni fattevi non attingono l’originalità, neppure in
-mano del Tasso e dell’Ariosto.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_562">[562]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap126-11">CAPITOLO CXXVI.
-<span class="smaller">La fine del medioevo.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Così accompagnammo il passaggio dall’età media
-alla moderna. La società stabilita sulla libera autorità,
-sulla devozione dell’uomo all’uomo, sulla infallibilità
-cattolica, sulla ecclesiastica gerarchia, cede dinanzi all’indipendente
-indagine de’ pensatori, al cavillo erudito
-de’ leggisti, alla risoluzione de’ popoli di stracciar le
-fascie entro cui crebbero, e dei re di non tollerare superiori.
-Cessata quella robustezza di Roma imperiale,
-che assorbiva l’uomo nello Stato, la Chiesa avea proclamato
-la propria indipendenza: gli uomini franchi, i
-signori feudali, i Comuni, le maestranze ne voleano
-altrettanta, arrogandosi l’autonomia della propria sfera,
-per modo che non si trova più la nazione, lo Stato,
-ma l’individuo col suo senno e colla sua coscienza. Al
-contrario, gli Stati moderni sin dal nascere inclinano
-in un senso opposto alla società cristiana e ai dominj
-barbari, accentrando i poteri maestatici, estendendo
-la sfera della regia attività a scapito de’ signori e dei
-Comuni.
-</p>
-
-<p>
-A ciò erano ajutati dal desiderio d’ordine, di sicurezza,
-di protezione, ingrandito colle ricchezze e colla
-civiltà: ma ne derivava l’illimitata dominazione d’un
-uomo, giacchè tanti poteri concentrati non potendo più
-esercitarsi dal popolo, vengono affidati a un solo, e ne
-nasce la moderna assolutezza, ove l’individualità sparisce
-sotto i regolamenti, i diritti rimangono in arbitrio
-dei governi, e lo Stato dovendo regolare tutto ciò che
-interessa la maggioranza, più non conosce limiti nell’attività
-che si attribuisce, intacca perfino la proprietà
-<span class="pagenum" id="Page_563">[563]</span>
-coll’arbitraria imposta<a class="tag" id="tag345" href="#note345">[345]</a>, surroga al concetto morale
-il calcolo del tornaconto, l’artifiziale autorità della magistratura
-alla naturale libertà di ciascuno, a un capo
-servito da poteri indipendenti l’idea dello Stato rappresentato
-da un uomo; insomma all’età cattolica sottentra
-l’età politica.
-</p>
-
-<p>
-È però compiuta la missione provvidenziale del medioevo,
-qual era di sfasciare l’onnipotenza dello Stato
-sopra i corpi e le anime, restituire all’uomo l’importanza
-che prima non attribuivasi se non al cittadino,
-rintegrare le nazionalità particolari, e in queste le
-famiglie.
-</p>
-
-<p>
-Da principio le famiglie de’ vincitori stavano raccolte
-in una imperfetta federazione, quale bastasse a tenere
-subordinate quelle de’ vinti; e al possedimento delle
-terre si annetteva la sovranità, che in conseguenza suddivideasi
-fra tanti signorotti, volgentisi nell’orbita propria,
-non trascinati in quella di un unico preponderante.
-Finite le invasioni, sui rottami dell’impero di Carlomagno
-erasi fondato un nuovo ordine di cose, medio
-fra la schiavitù antica e le libertà moderne, cominciarono
-a parlarsi lingue distinte, nelle quali prorompeano
-versi per esprimere le credenze, le passioni, i sentimenti.
-Allora i Comuni ampliarono esse famiglie, introducendovi
-i vinti come artigiani o anche solo come
-inquilini della città; poi via via abbracciarono la campagna
-e i servi, e formarono vorrei dire tanti nuclei,
-attorno a cui si cristallizzarono i decomposti elementi.
-</p>
-
-<p>
-Fu questa la rivoluzione per cui l’Italia, prima che
-ogn’altra, cancellò le impronte della barbarie: rivoluzione
-casalinga, dove il governo passò dai re ai conti,
-<span class="pagenum" id="Page_564">[564]</span>
-dai conti ai vescovi, indi ai Comuni aristocratici, poi
-agli industriali, poi alle plebi, non cercando tanto la
-libertà civile quanto l’eguaglianza, e questa non nelle
-persone, ma nei corpi che eransi emancipati coll’oro
-e col sangue, senza però mai che si aggregassero ad
-un potere centrale. Fissando quel bulicame di persone
-e di Stati che, non ancora stretti a fasci, ed operanti
-più per sentimento che per la riflessione, esercitavano
-un’esuberanza di vita, in rapida e perpetua mobilità
-spingendosi, attraversandosi, sormontandosi, combattendosi
-per motivi ignoti, s’inaspa lo sguardo. Le cronache
-danno un motivo a ciascuno di quei fatti, un
-nome a ciascuno di quegli individui, e caratteri e passioni
-proprie; e soventi vi scorgiamo generosi fini,
-nobili interessi, pericoli vigorosamente affrontati, tanto
-da meritare più che gli eroi de’ grandi imperj l’attenzione
-di chi, qualunque ne sia il nome e le proporzioni,
-prende interesse all’uomo che lotta per la coscienza,
-per la libertà, per la patria. Ecco perchè il medioevo
-è così diversamente valutato: tanto più che le forme
-n’erano grossiere, e che all’induzione e alla deduzione
-prevaleva l’intuizione, fecondissima fonte di conoscenze
-e di verità più dirette ed essenziali, perchè produce
-l’entusiasmo, trattato di pazzia dal freddo raziocinio,
-incapace a spiegarlo; e che sempre vi si trovano a contrasto
-l’infinita aspirazione del pensiero e la trista realità,
-carità e barbarie, ironia ed amore, dubbio e misticismo,
-e nell’autore stesso improperj contro i papi e
-venerazione per san Francesco.
-</p>
-
-<p>
-Gente che vuol tutto restringere alla misura della nostra
-piccineria, che a forza d’abusare della parola libertà,
-d’erigere in regola il sofisma, di non riconoscere
-verità contraddicenti al proprio partito, nè importanza
-a principj che non siano i suoi, senza volerlo si riduce
-cortigiana della violenza e dell’arbitrio, e quando non
-<span class="pagenum" id="Page_565">[565]</span>
-ode schiamazzo per le vie chiama organizzata la società,
-ben è dritto se non sa che deplorare que’ tempi,
-e preferendo alla tutela municipale l’imperiosità governativa,
-alla libertà dei più la sovranità politica, anatemizza
-i governi popolari a fronte de’ regj che, nell’evo
-seguente, portarono all’Italia il silenzio della prigione,
-il riposo del sepolcro. Acquistar la libertà senza lotte,
-traforarsi da un governo all’altro a chetichella, sono
-utopie di gazzettieri che idoleggiano la propria ragione,
-e immolano i fatti alla teoria. Anche Venezia
-ne’ primi suoi secoli avea fortuneggiato tra rivolture e
-ambizioni, finchè trovò il suo assetto. Le altre repubbliche
-faticavano ancora nel travaglio, dove più dove
-meno spasmodico; e tutte frastornate dall’irrequietudine
-de’ fuorusciti, dall’ingerenza ghibellina, e ben presto
-dalla conquista forestiera, per modo che non poterono
-trasformare gl’istinti in raziocinj, le passioni in principj
-morali.
-</p>
-
-<p>
-L’idolatria, sia al passato o al presente, non è degna
-se non di quella storia che fu adulterata dalla scettica
-manipolazione del secolo passato, e dal dilettantismo
-giornalistico di questi nostri, che conservano l’irriverenza
-e la leggerezza di Voltaire, quando Voltaire stesso
-penserebbe più seriamente. No: ai grandiosi spettacoli
-dell’umanità non vuolsi l’occhialetto indifferente o beffardo
-del teatro; e solo vi s’addentra chi, spogliato di
-presunzione filosofistica e di teologiche sottigliezze,
-cerca la figliazione degli elementi sociali, e come le
-civiltà procedano le une dalle altre per la forza d’evoluzione,
-che è propria della specie umana: che se la
-filosofia della storia errò ne’ singoli sistemi, convinse
-che l’oggi è figlio dell’jeri; che certe forme della società
-si attuano solo in alcuni periodi; che uno stadio
-dell’umanità procede dall’altro, la spiegazione di uno si
-trova nell’esistenza dell’altro. Scienza non si dà se non
-<span class="pagenum" id="Page_566">[566]</span>
-quella che riposa sopra le qualità insite e durevoli delle
-cose; che all’induzione aggiunge il lento corredo di
-prove, di fatti convergenti; che senza entusiasmo nè
-rancore aspira a discoprire la verità, la sola verità. E
-se il lungo studio e la violenta contraddizione ci valse,
-e la fatica nel determinare correnti del pensiero opposte
-a quelle che irriflessivamente lo trascinavano, a
-noi parve fatuità il credere che jeri solo nascessero i
-concetti di giustizia, d’indipendenza, di libertà; e che
-in un secolo, il quale non mette in prospettiva de’ suoi
-fatti che la prigione e la forca, giovasse ricordarne altri
-che vi mettevano il paradiso; che in un’età di vita fortuita
-e turbolenta e presto invecchiante, la quale proclama
-non esservi scampo dalla democrazia che nei
-soldati, giovasse non esaltare ma conoscere il medioevo,
-il quale avea creduto contro i soldati non trovare scampo
-che nella democrazia. Gridino a tutta gola che c’inganniamo;
-noi, scarchi delle intolleranze giovanili e attaccati
-pacificamente alle credenze nostre senza perseguitare
-le altrui, prostrandoci sulla recente tomba d’un
-amico, con lui proclamiamo: — Il vincitore è Abele».
-</p>
-
-<p>
-Tal è il senso della prima rivoluzione, segnata col
-nome de’ Comuni: ma agli eterogenei elementi bisognava
-metter ordine; e qui soccorrevano il diritto romano
-e l’ecclesiastico. Il romano, se anche aveva perduto
-l’efficienza legale, sopravviveva nelle tradizioni e
-negli scritti, e contribuì utilissimamente a dar norme
-di giustizia e di procedura. La Chiesa, che per la sua
-universalità era sfuggita dal frastagliamento del potere
-civile, al feudalismo, sistemato unicamente per la conservazione
-de’ vincitori, opponeva un ordine razionale,
-con poteri gerarchicamente coordinati, scritte le leggi,
-discusse in pubblico le prove testimoniali<a class="tag" id="tag346" href="#note346">[346]</a>, la pena
-<span class="pagenum" id="Page_567">[567]</span>
-misurata dal dolo e dal fatto, non già dalla qualità del
-delinquente o dell’offeso, e sempre più identificata la
-legge colla morale. Dal diritto romano e dal canonico
-s’apprende ad accentrare i poteri sovrani; i diritti, le
-azioni, la pulizia si regolano con statuti, poi con codici,
-non dedotti da un concetto filosofico, ma dalle relazioni
-sociali e dallo storico andamento.
-</p>
-
-<p>
-Di tal passo l’Italia, che fino al Mille scomponeva le
-individualità, da poi le venne rannodando. Già erasi
-introdotta e avanzata l’opera dell’unificazione ragionevole
-dello Stato; comunanza ne’ tribunali; comunanza
-del diritto e dovere di difendere la patria negli eserciti;
-comunanza d’imposta per le strade, i fiumi, i canali,
-la pulizia delle città; comunanza dell’insegnamento; comunanza
-delle dignità sacre dal campanaro al sommo
-pontefice<a class="tag" id="tag347" href="#note347">[347]</a>: e ciò senza alienar tutto l’uomo allo Stato,
-in modo che nulla si sottragga, nè proprietà nè famiglia
-nè educazione nè culto.
-</p>
-
-<p>
-Al di sopra di tutti si bilicavano due podestà: una
-ecclesiastica, direttamente emanante da Dio, e confidata
-alla popolare elezione; temporale l’altra, ma che ancora
-riconosceva il diritto e dall’elezione e dal coronamento.
-Le due autorità supreme vennero a un conflitto,
-<span class="pagenum" id="Page_568">[568]</span>
-la cui essenza non consisteva nell’investire coll’anello o
-colla spada, bensì nella libertà di ciò che l’uomo ha di
-più prezioso, il credere e il pregare.
-</p>
-
-<p>
-Come avviene in tutte le gare, i campioni dell’una e
-dell’altra esuberarono: pure da un lato ci s’affacciano
-imperatori egoisti, che lavorano per sè, per le proprie
-famiglie, per denaro; violenti ora, ora subdoli; creano
-fantocci di papi, e li sostengono con male arti e coll’appoggiarsi
-agli uomini peggiori: dall’altro lato vecchi
-inermi, che non pretendono per se stessi ma per la
-Chiesa, irremovibili nel proposito, morali nei mezzi,
-veneratori della santità quand’anche non ne sono modelli.
-Quella contesa, oltre chiarire alquanto l’idea dello
-Stato, e l’indipendenza reciproca di due ordini in fatto
-distinti, preservò gli spiriti dal languore, che, nel morale
-come nel fisico, è la malattia più ribelle.
-</p>
-
-<p>
-La preponderanza del clero non era altro che quel
-jus sapientioris, per cui i Romani a coloro che hanno
-libera e adulta la ragione attribuivano la facoltà di
-governare gl’imbecilli ed inferiori. Senza la potente
-coesione della gerarchia cattolica, in tempi d’anarchia
-e d’ignoranza, che sarebbero divenute la religione e
-la civiltà? Essa dava al popolo cristiano l’unità necessaria
-per combattere l’unito islam; e cessato tal bisogno,
-lasciò rivalere le nazionalità. Ma non perdiamo
-di vista che quei papi furono della loro, non della nostra
-età; e il compararli a Giulio II o a Pio IX son retoriche
-piacevolezze o palingenesi fantastiche, giacchè
-essi non videro levante o ponente, conquistatori o conquistati,
-Latini o Slavi, bensì peccatori da redimere,
-spirito da sostenere nella lotta colla carne, ed altri
-aspetti inattendibili ai ciclopi del razionalismo, cui carattere
-è la paura e la detestazione d’ogni spiritualità.
-Scelti essi medesimi fra tutte le razze, poteano restringer
-la vista alla nazionalità? se non che, per l’arcana
-<span class="pagenum" id="Page_569">[569]</span>
-connessione delle verità superne colle temporali,
-fu sotto il manto pontifizio che le nazionalità si costituirono<a class="tag" id="tag348" href="#note348">[348]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La supremazia dell’imperatore sovra i principi e
-potentati tutti, che il Barbarossa avea fatta acclamare
-dai leggisti a Roncaglia, terminò con quel Federico II
-che pareva riunire i mezzi migliori per attuarla; e
-l’epopea delle grandi lotte si immiserì in controversie
-di dominio sulle Due Sicilie. Poniamo che queste, come
-la restante Italia, si fossero governate a popolo, la santa
-Sede v’avrebbe conservato senza contrasti la primazia;
-ma reggendosi a re, ne seguirono guerre, in cui entrambi
-i poteri scapitarono. Alessandro III come avea
-resistito al Barbarossa? coll’unire popolarmente la Lega
-Lombarda; Urbano IV non potè abbattere i discendenti
-di quello che col chiamare Carlo d’Angiò, aggravare
-cioè colla tirannia francese la tirannia tedesca.
-</p>
-
-<p>
-Ne segui però un effetto rilevantissimo; perocchè
-l’abolizione del dominio svevo pose termine alla sopreminenza
-della stirpe conquistatrice, che qui erasi piantata
-coi castellani e coi vassalli, e lasciò rinascere la
-coscienza della nazionalità nei nostri, che si consideravano
-come discendenti dai Romani. In questo senso si
-diressero i tentativi di restaurazione; a ciò la letteratura,
-a ciò le arti, a ciò la giurisperizia. Che trionfassero
-i Ghibellini era difficile, giacchè veramente contro
-<span class="pagenum" id="Page_570">[570]</span>
-di essi erasi fatta la rivoluzione popolare anche quando
-pareva invocarli; e la primazia imperiale dagli Svevi
-in poi non è più che di nome: eppure ne’ fatti che succedono
-abbiamo una prova che si dà libertà senza indipendenza,
-ma l’indipendenza non basta alla libertà. La
-Chiesa stessa sente in dechino l’autorità sua universale,
-ed è costretta assicurarsi un dominio temporale, che se
-in prima era un accidente, allora divenne il punto d’appoggio
-della politica sua efficienza.
-</p>
-
-<p>
-Anche mentre la vita sociale rimaneva sparpagliata
-fra i castelli, mai non perdettero importanza le città,
-che sono l’antichissima e vivace forma de’ governi
-italiani; e risorsero, e ristabilirono la democrazia, e
-di essa i frutti buoni e i peggiori. Nella vita democratica
-l’uomo, nobilitato il carattere nell’obbedienza alle
-leggi quanto rimane depresso nell’obbedienza a un
-uomo, lavorando per sè non per un padrone, concepisce
-elevata idea di sè e del proprio paese, si fa agevole
-nella conversazione perchè non s’immagina che
-altri vilipenda lui, come egli non vilipende altri, fortifica
-il buon senso nel conversare co’ suoi simili, nei
-quali più valuta il senno e i sentimenti che non le maniere,
-il fondo che non le forme; e in quel vivere pieno
-ed attuoso, cercasi meno la libertà de’ singoli che l’indipendenza
-di tutti.
-</p>
-
-<p>
-Noi, che per libertà intendiamo la tutela del riposo
-civile e della franchezza domestica e personale, l’assicurazione
-contro gli abusi del potere in qualunque
-mano sia posto, non la riscontrammo in quei tempi,
-quando libero si considerava chi partecipasse alla sovranità,
-al potere attivo; lo perchè prediligendosi il
-governo dei più, trovavasi libertà politica anzichè civile.
-Oggi, qualunque siasi il Governo, noi pretendiamo
-la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici,
-la inviolabilità della persona, il sottrarre a castighi
-<span class="pagenum" id="Page_571">[571]</span>
-il pensiero, la discussione filosofica, la bestemmia,
-lo scherzo, il costume, il lusso: allora invece tentonavasi
-fra sempre nuove forme politiche, non perchè garantissero
-contro gli abusi dell’autorità, sibbene perchè
-rappresentassero il popolo. Agli sconci parea rimedio
-o compenso la sovranità di tutti; la quale, emanata dal
-popolo, affidavasi a magistrati temporarj e responsali.
-Perfino nelle aristocrazie, il numero degli elettori e
-degli eleggibili era ristretto, ma non irrevocabile il
-potere: sola Venezia tenne doge a vita, ma il fasciò di
-gelosissime precauzioni: anche stabiliti i principati,
-questi non trasmetteansi con regolare eredità, sopravvivendo
-il concetto dell’elezione, sol cancellato poi dalla
-dominazione straniera.
-</p>
-
-<p>
-Quell’assiduo avvicendarsi di magistrati a troppo
-brevi periodi rinnova la febbre elettorale: pure l’abitudine
-delle assemblee rinvigorisce il senso comune,
-dà espertezza negli affari, e sentimento del diritto e
-del dovere; ove il merciajo e lo scardassiere può salir
-gonfaloniere e doge, ciascuno sente il bisogno di educarsi;
-ove due o seimila cittadini sono chiamati ogni
-anno a magistrati o rappresentanze, quanta cura di meritarsi
-stima! ove ogni uffiziale è sindacabile all’uscire
-di carica, quanta attenzione di contentare la pluralità!
-Non essendo lo Stato privilegio d’una classe, si cerca
-quel che compie al popolo: spedali e scuole si moltiplicano,
-e sontuosi edifizj, e, ciò ch’è distintivo, pulitezza
-universale negli abiti: che se oltr’alpe il palagio
-e la cattedrale, giganteggiando di mezzo ad informi
-casipole, indicano le largizioni e il decreto d’un re fra
-la nullità del popolo, da noi le vie allineate, i passeggi,
-le magioni erette a disegno, esprimono il genio generale
-e il concorso della intera nazione, operante non
-solo nelle capitali, ma in cittaducole, alla campagna e
-fin per entro a valli recondite.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_572">[572]</span>
-</p>
-
-<p>
-Chi rimaneva escluso dai godimenti, a cui convitano
-la natura, l’arte, il pensiero, l’attività? Quanto non riesce
-dolce all’uomo il cooperare alle sorti del proprio paese,
-il non obbedire che alle leggi cui egli medesimo discusse
-e sanzionò, non sopportar pesi se non accettati,
-non riconoscere autorità se non le elette da sè, insomma
-uscire dall’angusto circolo della vita individuale e domestica,
-per vivere e sentire in comune, dare e ricevere
-impulsi a nobili atti! Nelle passioni politiche l’anima
-si può depravare, ma non avvilire quanto fra i
-calcoli ignobili del cortigiano, del satellite, del finanziere.
-Coloro che credono l’immoralità essere nata soltanto
-colla stampa e coll’emancipazione del pensiero,
-han potuto vedere dal nostro racconto quanto gl’individui
-peccassero del vizio che accompagna l’ignoranza
-e la barbarie: eppure sullo spettacolo miserevole
-si stendono la fede e la carità, e nella prospettiva presa
-dall’alto scompajono molte deformità, e di mezzo alle
-colpe e ai difetti di una giovinezza tutta di esperienze
-rilevansi le qualità che distinguono l’Italiano. Non incalzato
-da bisogni urgenti, non lottante con un suolo e
-con un cielo ingrati, ha tempo di oziare, e in que’ riposi
-godere se non altro le vaghezze della natura, e riflettere
-sopra se stesso e sopra gli altri, persuadendosi
-così della propria dignità; alternando poi tra gli affari
-pubblici e privati, acquista pratica ed elevatezza,
-raffina l’intelligenza, nei modi e nel pensiero introduce
-quella pulitezza, che è l’espressione del rispetto che
-devonsi tutti i membri della grande famiglia.
-</p>
-
-<p>
-Nelle repubbliche ognuno sente la propria importanza,
-e registra i suoi dolori, che sommati pajono
-maggiori; mentre nelle monarchie si contano soltanto
-quelli de’ grandi, più strepitosi ma rari e meno compassionati.
-In quelle, private passioni s’intralciano alle
-rivolture pubbliche: ne’ principati ognuno soffre in
-<span class="pagenum" id="Page_573">[573]</span>
-silenzio i proprj malori, siccome effetto de’ cattivi ordinamenti,
-contro i quali è inutile reluttare; arresti,
-vessazioni, arbitrj sono dolori quotidiani, ma codardi e
-infruttiferi, nè raccolti dalla storia. Così viene quello
-stato, che i prudenti intitolano ordine, i servili prosperità,
-i generosi marasmo.
-</p>
-
-<p>
-Questo vivace sentimento dell’individualità, se affinava
-l’incivilimento di ciascuno, disserviva lo Stato, perchè
-gli uni agli altri si accostavano soltanto per costrizione.
-Il reciproco bisogno, nella mancanza d’ogni potere
-dirigente e tutorio, aveva ravvicinato spontaneamente
-gli uomini; e parentele e corporazioni procacciavano
-quella sicurezza, della quale non brigavasi lo Stato.
-Diminuito quel bisogno, si lentano perfino i legami domestici;
-i cittadini amano la patria ma per se medesimi;
-il governo di quella amano solo qualvolta vi
-partecipino; in conseguenza non si tollera nulla di
-prefisso, di durevole, d’obbligatorio. L’uomo, conscio
-de’ proprj diritti, facilmente s’impenna contro le necessità;
-anzichè incurvarsi ad esse, carpisce con violenza
-ciò che gli è ricusato, e vuol partecipare al governo,
-sia costituzionalmente, sia per forza. Da questo
-punto rimane solo un passo all’anarchia; e l’anarchia
-inevitabilmente ripiomba nella tirannide.
-</p>
-
-<p>
-Ponete una gente inesperta, di passioni ineducate,
-con tanti elementi deleterici, con tanti impacci al civile
-sviluppo, e poi incolpatela di non aver saputo costituire
-buone repubbliche e conservarle. Tenendo dall’origine
-loro una politica feudale che zelava il diritto
-della guerra privata, e la speculazione dei pochi sovra
-le moltitudini, sapevano più ingrandire per via di conquiste
-al modo germanico, che non aumentare in quantità
-di cittadini al modo romano; anzi, scemandosi
-questi pel logorarsi delle famiglie privilegiate o per
-l’espulsione delle vinte, fra sempre minor numero si
-<span class="pagenum" id="Page_574">[574]</span>
-restringevano l’autorità e l’interesse di conservare lo
-Stato. Pisa, Pistoja, Treviso, la Lunigiana... erano oppressate
-da una repubblica, quanto avrebbero potuto
-essere da un principotto; e poichè la metropoli, acciocchè
-non ricalcitrassero, le voleva fiacche e vigilate,
-per la conservazione interna negligevasi la forza necessaria
-alla difesa esteriore, la debolezza impediva di
-procedere risolutamente, e i partiti pigliavansi piuttosto
-per necessità che per riflessione.
-</p>
-
-<p>
-A molte anche internamente non restava di repubblica
-che il nome; e preterendo la salda oligarchia dei
-patrizj veneti, Bologna obbediva ai Bentivoglio, Lucca
-ai Petrucci, Perugia agli Oddi e Baglioni, Siena or
-all’uno or all’altro de’ suoi Monti, Firenze ai Pitti o ai
-Medici, Genova a sempre diversi. Anzi la società cittadina
-frazionavasi in piccole consorterie e maestranze,
-ognuna con privilegi e con qualche specie di sovranità;
-talchè se da Firenze era soggiogata Pisa, o da Venezia
-Padova, le maestranze della lana e della seta delle vinte
-si trovavano sagrificate agli utili e alla gelosia di quelle
-della vincitrice. Così disgregate e aliene d’interessi,
-come avrebbero potuto educare la coscienza pubblica?
-assodare il vincolo più forte d’uno Stato, la fiducia di
-ciascuno nella costituzione patria?
-</p>
-
-<p>
-Nell’eguaglianza si acquista de’ privilegi della società
-un’opinione più alta che non di quelli degli uomini;
-onde al poter dirigente si largheggiano diritti, anche
-micidiali alla libertà de’ singoli. Di fatto i Comuni non
-esitavano a concedere imperj assoluti a qualche magistrato;
-nelle ricorrenti insurrezioni i vulghi pigliavansi
-a capo qualche plebeo: ma questo ben tosto soccombeva
-alla propria inesperienza, e lasciava luogo a qualche
-signore che, conoscendo gli uomini e i tempi, avendo
-clientele ed uso delle armi e mezzi ed arte, si sosteneva
-almen fino ad una nuova rivoluzione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_575">[575]</span>
-</p>
-
-<p>
-Cresciuti i commerci, il denaro rappresentò una
-nuova superiorità, come da prima erano i feudi. Dacchè
-il valor militare si ridusse vendereccio, molti generosi
-se ne distolsero, più volentieri maneggiandosi nella politica;
-e fattivisi destrissimi, guardarono come bestiale
-il rimettere all’avventura delle battaglie ciò che poteasi
-conseguire cogli accorgimenti. Fu necessità delle cose
-se le repubbliche gareggiarono coi principi in una politica
-senza probità, in subdoli maneggi, assassinj, avvelenamenti.
-Prevalsero dunque gli eserciti e il denaro,
-i più bei dominj carpì qualche condottiero fortunato o
-una città negoziante, e vennero a formarsi principati
-che abbracciavano i popoli non più come d’una razza
-o dell’altra, ma perchè abitanti sopra una data circoscrizione.
-Que’ principi dominavano a nome del popolo,
-o per commissione imperiale, due forme di despotismo;
-tanto più che avendo la tumultuosa libertà de’ Comuni
-svertato i privilegi feudali, più non trovavano barriere.
-</p>
-
-<p>
-I nobili, progenie de’ conquistatori, scapitavano d’importanza
-a misura che ne acquistavano i Comuni; interrotte
-le crociate, col fucile pareggiato l’eroe al villano,
-fatte venali le armi, si dissipò ogni prestigio della cavalleria,
-in cui quelli avevano ricoverato il valore e le
-pretensioni; ed ancora arroganti per non confessarsi
-vinti, ma insufficienti a surrogarsi ai vincitori, rifuggono
-alle congiure o alle perfidie, che colla mala riuscita
-offrono pretesto al signore d’impoverirli, e che
-manifestandone le debolezze li fanno anche spregevoli.
-</p>
-
-<p>
-Sono disastri della libertà, eppure con essi si va a
-quel che è vero progresso, l’eguaglianza; la risorta
-letteratura, a canto al diritto del sangue erige quello
-dell’ingegno; la classe lavoratrice pretende a tutti i
-vantaggi della possidente, e nel nome di sudditi sono
-tutti allivellati; la scoperta della stampa assicura che
-non si può bruciare il pensiero con un libro; quella
-<span class="pagenum" id="Page_576">[576]</span>
-del Nuovo Mondo, che il pensiero non si restringe fra
-i confini dell’antico, e che ci fa superiori ai selvaggi:
-e da questo movimento usciva attestato quel dogma del
-progresso, poter divenire inutili ed anche nocevoli ad
-un’età istituzioni a cui la precedente dovè salute e
-grandezza. Sel ricordassero i panegiristi come i detrattori
-del medioevo!
-</p>
-
-<p>
-Pertanto al quintodecimo secolo ogni cosa è cambiata
-in Italia. In tutte le contrade dominavano i forestieri,
-ora appena in Sicilia; apparivano nobili soli, ora anche
-il popolo; il castello prevaleva, ora la città; l’eguaglianza
-non è più concessione e favore: l’alito d’indipendenza,
-talmente vivace da non volere alcun uomo
-essere soggetto a uomo, non città a città, or lascia sormontare
-pochi dominanti: e mentre l’aspirazione liberale
-rendeva insofferente sin dei freni tutorj, or le
-tirannidi procedono sbrigliate.
-</p>
-
-<p>
-Era parso che i principi potessero meglio difendere
-le persone, le città, l’industria; oggetti a cui il popolo
-aspira, ben più che alla legislatura indipendente, alla
-eleggibilità, al suffragio universale. Ma que’ principi di
-piccoli Stati e di grande ambizione, sentendo precario il
-loro potere, trovando nemici fuori e dentro, avviluppavansi
-in turpi maneggi, in guerre sordamente menate,
-pubblicamente smentite, ispirate da gelosie, da puntigli,
-da egoismo, condotte a insidie più che a forza aperta;
-in quella politica, di cui Italia restò e diffamata e vittima.
-La storia del secolo xv è un avvicendamento di giornaliere
-sovversioni, congiure, omicidj, veleni, supplizj; la
-fede pubblica sconosciuta in pace e in guerra; e per
-qualche principe buono, una sequela di ribaldi, oppressori
-de’ popoli che gli aveano presi come tutela; e
-guerre indotte da personali ambizioni, nutricate coll’oro
-e col sangue della nazione che non le avea decretate e
-su cui ripiombavano. Non una forza o una persona prevalente
-<span class="pagenum" id="Page_577">[577]</span>
-appajono, come fra le altre nazioni; nè tampoco
-un’idea, quali erano per l’addietro la Chiesa e l’Impero,
-quali furono pei paesi vicini l’unità nazionale o il re.
-Il cadere e il sorgere d’un principe costituisce la storia
-apparente di questo periodo; agl’interessi generali e
-grandiosi sottentrano fatti parziali, vicende di famiglia,
-emulazioni intestine, ma non un papa, non un
-imperatore, non un signorotto, degni su cui si fermino
-ragionevolmente l’attenzione e i voti. Bensì, a vicenda
-da una fazione o dall’altra, era sorta una catena d’uomini
-a dominare o atterrire, quali furono Ezelino, Uguccione,
-Castruccio, re Roberto, Cane e Mastino della Scala, Bertrando
-del Poggetto, Azzone e Gian Galeazzo Visconti, re
-Ladislao, Francesco Sforza; ma nè la libertà, nè la Chiesa,
-nè la forza militare valsero a quel riordinamento, che
-è il compito più insigne dopo una rivoluzione.
-</p>
-
-<p>
-Non guelfi, non ghibellini, non imperialisti o papalini,
-i signori, aspiranti all’unità e al principato, vanno
-introducendo quell’imparzialità, che rimuove le occasioni
-di guerre, mentre, ridotta la politica a guerrieri,
-cioè a denari, danno alle finanze quell’importanza, che
-prima spettava alle idee e ai sentimenti. Finisce dunque
-il medioevo con un’età di posa fra le personali irrequietudini
-di quello, e le regie sovversioni del Cinquecento.
-Gli Italiani d’allora, non agitati da aspirazioni
-verso un avvenire di cui nessun principio era peranco
-affermato categoricamente, nè argutamente scontenti
-d’un passato di cui nessun principio rinnegavano perentoriamente,
-requiavano dagli interminabili guaj, dai
-quali erano spinti verso una società nuova, intelligente,
-artistica, governativa; in considerazione della quale
-stimavano i meriti anche più contraddittorj, ma sovra
-tutti la fortuna e il saper riuscire, e disfarsi de’ nemici
-senza sfoderar la spada; non disprezzavano l’indipendenza,
-supremo bisogno politico, ma meglio valutavano
-<span class="pagenum" id="Page_578">[578]</span>
-l’eguaglianza, supremo bisogno democratico, dando
-mano anche allo straniero per abbattere l’oppressore
-indigeno; veneravasi la religione, ma quasi altrettanto
-le idee classiche, nelle quali traducevasi il medioevo:
-e per le quali, coltivando le muse, volentieri le si metteano
-a mercato; e dell’erudizione come dell’ispirazione
-voleasi far dei motori per batter moneta, introducendo
-anche nel campo letterario come nel politico la supremazia
-della finanza.
-</p>
-
-<p>
-Ciò null’ostante noi trovammo personaggi illustri in
-ogni partita; soldati prodi e capitani ammirati anche
-di lontano; battaglie assai meno micidiali che nel secolo
-seguente; nessuna città veramente disfatta dalla guerra,
-se ne togliamo Piacenza; singolar favore alle lettere;
-commercio operoso tanto che il capitale produttivo
-italiano equiparava quello di tutto il mondo. Le età
-più suntuose faticheranno a superare i tre monumenti
-di Pisa, le cattedrali di Siena, d’Orvieto, d’Assisi, di
-Padova, di Milano, la Certosa di Pavia, la cappella Coleoni
-a Bergamo, le porte del battistero di Firenze, i
-bassorilievi del Donatello, i dipinti di frate Angelico.
-Grandiosi lavori intraprese la Lombardia per prosperare
-l’agricoltura: la Toscana pareva un giardino nella
-sminuzzata sua proprietà: che la campagna romana
-popolassero migliaja di villaggi, lo attestano le guerre
-fra Orsini e Colonna: Ostia era in decadenza, ma ancor
-popolosa: la maremma senese formicolava d’abitanti;
-grani raccoglievamo a soprabbondanza; e questi e i
-frutti, anzichè con galanterie e oggetti di lusso, barattavamo
-con materie prime, che porgevano alimento alle
-nostre manifatture. Il contadino, cessato d’esser servo,
-partecipava ai frutti con una specie di comproprietà,
-di cui non so se una migliore sappia ideare il socialista
-positivo; esente da servigi di corpo al padrone; del
-fitto era sicuro, perchè retribuivalo in natura; le condizioni
-<span class="pagenum" id="Page_579">[579]</span>
-restavano tradizionali da molte generazioni;
-de’ tributi il carico cadeva sul proprietario. L’essere i
-villani obbligati ad abitare in terre murate per salvarsi
-dal saccheggio militare, attribuiva loro qualche importanza
-civile, li chiamava a parte della difesa, ben altrimenti
-de’ paesi forestieri, dove ancora duravano a
-servire materialmente e personalmente un padrone, da
-cui non poteano staccarsi.
-</p>
-
-<p>
-Se non che in tutto sentesi mancare qualche cosa di
-ciò che fa sorgere e vivere le nazioni; la virtù. Quanti
-impeti generosi! quanti uomini insigni! quanto eroismo!
-ma tutto a momenti, a scosse, alla maniera d’un guizzo
-galvanico: quel perseverante proposito che per secoli
-si trasmette da una generazione all’altra, quell’elevazione
-di concetto che fa sagrificare costantemente il
-parziale al comune interesse, quella franchezza delle
-opinioni ponderate e fisse che chiamasi coraggio civile,
-quella nobiltà e giustizia dell’età matura che sottentra
-allo slancio buono ma improvvido della gioventù, e che
-offre il nobile spettacolo dell’ordine nella libertà, mancarono
-troppo spesso, direi sempre, alla storia nostra;
-e tale verità, o Italiani, non l’avrete mai ripetuta abbastanza
-alle generazioni nuove, che aspirano a quello
-cui non pervennero le precedenti.
-</p>
-
-<p>
-Il decadere de’ costumi della libertà assodava il potere
-dispotico, ma sgranato anch’esso, e quindi fiacco
-ed esposto prima alle brighe interne e all’emulazione
-de’ vicini, poi ai funesti appetiti degli stranieri. Il principe
-non avea fondamento se non, come diciam ora,
-nei fatti compiuti; non regolata la successione, non legalmente
-temperata l’autorità; la maestria delle finanze
-si riduceva ad almanaccare tasse nuove onde smungere
-il più che si potesse; del restante erano governi militari,
-che unici limiti conoscevano la potenza e il carattere
-di chi n’era investito. I magistrati comunali
-<span class="pagenum" id="Page_580">[580]</span>
-sopravviveano, ma ristretti alla minuta amministrazione
-e alla giustizia sotto di un podestà scelto dal principe,
-ed applicandola più con severità che con frutto. In
-nessun luogo i Comuni si congiunsero col potere centrale:
-in Sicilia prevalsero i baroni; a Genova e Venezia
-i cittadini divennero aristocratici onde escludere la
-turba che accorreva a tanta prosperità; la Romagna fu
-suddivisa tra infiniti signorotti, che però non costituivano
-un’aristocrazia politica, attesochè il governo rimaneva
-ai preti; in Lombardia si faticò sempre a piantare
-la vigoria del potere sopra l’eguaglianza; solo in Piemonte
-parvero associarsi popolo e principe mediante
-gli Stati, ma poco tardarono a soccombere anche questi
-al tributo arbitrario e all’esercito permanente.
-</p>
-
-<p>
-Le poche signorie, in cui erasi ristretto il primitivo
-frastagliamento, non adopravano le proprie forze che
-a contrappesarsi, affinchè nessuna prevalesse in modo
-da ridurre l’Italia in monarchia. Più d’uno vedemmo
-aspirarvi, e sempre fallire per opposizione degli altri,
-e massime de’ pontefici; potente sì, pure non unico
-obice all’unità del nostro paese, la quale non si potè
-effettuare nè prima che essi dominassero, nè quando
-si trovarono spossessati, come da Ladislao e da Napoleone.
-Stanno dunque più fondo che altri nol creda le
-radici di questa nostra divisione.
-</p>
-
-<p>
-Le forze de’ varj paesi trovavansi bilanciate in guisa,
-che uno mal poteva soggiogare gli altri. Inoltre per
-Lombardia, per Romagna, pel Reame avanzavano molti
-gentiluomini, che «oltre il vivere oziosi abbondantemente
-de’ proventi delle loro possessioni, comandavano
-a castella, ed avevano sudditi che gli obbedissero»
-(<span class="smcap">Machiavelli</span>), formando altrettante microscopiche
-sovranità, disposte ad allearsi contro chi le volesse sottomettere,
-e a costringerlo a tante guerre quante esse
-erano. Per raggiungere dunque cotesta unità ideale,
-<span class="pagenum" id="Page_581">[581]</span>
-bisognava il despotismo, che, abolendo le varietà di
-costumi, d’usi, di privilegi, e spianando le sommità,
-tutti comprime al ferreo livello dell’obbedienza. Ma
-quello non potea stabilirsi se non mediante la conquista,
-la quale avrebbe reso infelice la generazione che la
-subiva, e forse spento la vita che sì rigogliosa manifestossi
-finchè disuniti.
-</p>
-
-<p>
-Lo sminuzzamento degli Stati cresceva l’indipendenza
-politica, ed impediva il trascendere della potenza, la
-quale ingrossa a misura che esinanisce la libertà delle
-parti, e acquista i mezzi di rimovere gli ostacoli che
-gl’interessi particolari frappongono al generale.
-</p>
-
-<p>
-L’idea dell’unità nazionale, che sotto l’oppressione
-forestiera balza agli occhi con evidenza, è tra le sociali
-la più difficile, e l’ultima che i popoli acquistino, richiedendo
-e sforzo d’intelligenza e il sacrifizio di molte
-prevenzioni e l’abolizione d’ingiustizie radicate. Che poi
-l’identità di stirpe non basti perchè un popolo si trovi
-bene unito a un altro, effetti recenti lo dimostrano. Gli
-Stati italiani formavano altrettante unità indipendenti;
-e distruggere una sarebbe stato un omicidio, quanto
-l’abolire una vasta monarchia. Chi oggi tentasse sottoporre,
-fate caso, Toscana ai reali di Napoli, come sarebbe
-sentito dai pubblicisti? Pur jeri noi vedemmo un
-principato, lungo appena tre chilometri e largo uno,
-abitato da millecinquecento persone, e indipendente
-quanto quelli del medioevo, negare di abolir la propria
-autocrazia coll’annettersi al Piemonte; e se abbia provveduto
-al suo meglio, non potrà dirlo che l’avvenire<a class="tag" id="tag349" href="#note349">[349]</a>:
-certo l’Europa applaudì quando la repubblichetta
-di San Marino rifiutò d’essere aggregata agli
-Stati papali, ed essa ottenne rispetto fin dal guerriero
-<span class="pagenum" id="Page_582">[582]</span>
-che non riveriva se non gli Stati forti, non computava
-che il numero de’ cannoni.
-</p>
-
-<p>
-E qual mai popolo si rassegnò a perdere la locale
-indipendenza in vista d’una maggior solidità avvenire?
-Nè ragione d’immolare le parziali franchigie avevano,
-quando la divisione non recava i pericoli, che solo con
-Carlo VIII apparvero, di vedere strozzata la patria da
-soghe forestiere. O forse i paesi sottomessi a principato
-lo faceano invidiabile? Una Corte si surrogava alle loggie
-e all’arengo; una capitale alle dieci o venti città
-che prima imbaldanzivano di vita propria; un esercito
-assoldato alle milizie paesane; un erario alle borse
-de’ singoli cittadini, pingui di sudati guadagni, e sempre
-schiuse al pubblico bisogno. Qual vantaggio allettava
-dunque Firenze o Bologna o Genova a darsi ai Visconti
-o agli Angioini? Pareva anzi generosità l’ostare alle
-ambizioni di questi, e come propugnacoli dell’antica
-libertà furono vantati anche dagli statisti del secolo seguente.
-Iddio ti guardi, o popolo italiano, dal dimenticare
-le tue tradizioni e deporre le lunghe speranze!
-ma se puoi desiderare che allora l’Italia fosse stata
-soggiogata da alcuno, e per forza ridotta a quell’unità
-che Inghilterra e Spagna e principalmente Francia conseguirono,
-saresti ingiusto nell’accusare i padri di ciò
-che forse non era fattibile, certo non ad essi desiderabile.
-</p>
-
-<p>
-Ben deploreremo che i nostri menassero troppo strascico
-di memorie antiche, quando abbisognava senno
-pratico per surrogare l’ordine alla tumultuosa vigoria
-dei due secoli precedenti; ed aspettassero il colpo micidiale
-disuniti di leggi, di civiltà, di costituzioni, di
-dialetti, di tutto. Pure non pretendiamo dai nostri avi
-que’ sacrifizj, a cui non ci acconceremmo noi medesimi
-se non per forza; non trasportiamo al tempo loro la
-coscienza e le aspirazioni del nostro; non esigiamo
-prevedessero i mali che, venendo di fuori, scompigliarono
-<span class="pagenum" id="Page_583">[583]</span>
-i calcoli degli statisti e le forze de’ prodi. Tutta la
-letteratura di quel secolo è là per attestare come gli
-Italiani sentissero d’avere una patria quando nè il nome
-tampoco ne conosceano i Francesi<a class="tag" id="tag350" href="#note350">[350]</a>. E quanto lunga
-opera non fu necessaria agli stranieri per corrompere
-l’Italia innanzi di assoggettarla! e come dovettero cancellar
-tutti questi Comuni che ne aveano formato l’agitazione
-e il vanto, prima di piegarli alla neghittosa
-agevolezza del servire!
-</p>
-
-<p>
-Qual cosa più bella della vita? ma perchè è difficile
-regolarla, i cattivi Governi trovano più comodo lo spegnerla.
-Così si fece. Cessarono le agitazioni, e con esse
-la libertà: venne la pace, recata da quelli che avevano
-fomentato le ire: venne la pace, e con essa quell’accentramento
-d’amministrazione, che annichila l’individuale
-potenza e volontà, ed isola il governo dal popolo:
-venne la pace, e con essa lo spopolamento, la povertà,
-il disdoro, la morte politica, cui tennero dietro la intellettuale
-e la civile, finchè la giustizia, soddisfatta da
-torrenti di sangue e di lagrime in espiazione, dica
-<i>Basta</i>, e susciti i tempi di rinnovata alleanza, e le speranze
-fomentate da quelli che le possono adempire, e
-indarno guaste da coloro che nulla vogliono apprendere
-dal passato, non confidare che nelle rivoluzioni, e ad
-ogni rivoluzione ricominciare a proprio costo l’esperienza,
-e sperperare un altro bricciolo di libertà.
-</p>
-
-<p>
-Se dunque alcuni ripongono la colpa de’ nostri padri
-nel non essersi uniti tutti, perchè altri, additando l’abbassarsi
-del paese allorquando alla rigogliosa e molteplice
-vita se ne surrogò una artifiziale e scolorita, non
-potrebbe ricordar come, al mancare di quella forza
-vitale che tende a escludere dal corpo il nocevole, e
-dal morboso separare il vivificante, non resti che febbre
-<span class="pagenum" id="Page_584">[584]</span>
-frenetica o marasmo? Lo stesso Machiavelli, panegirista
-dei governi forti, confessa che il numero de’ grandi
-uomini sta in ragguaglio col numero degli Stati; annichilando
-questi, quelli decrescono insieme coll’occasione
-di esercitare la propria capacità.
-</p>
-
-<p>
-Che se alcuno di que’ principi fosse prevalso per
-astuzia o per forza, quest’Italia, tanto superiore alle
-altre genti in civiltà e ricchezza, facilmente sarebbesi
-gettata alle conquiste che allora ricominciavano, rinnovando
-i tempi romani, sostituendo la guerra al commercio
-e alle arti belle, e preparandosi nuove maledizioni
-per l’avvenire. Se valga meglio esser esecrati come
-i conquistatori, o come i conquistati rigenerare la fraternità
-nel dolore, il giudicherete, o Italiani, secondo
-che ciascuno crede virtù gli atti provenienti dalla forza
-o quelli dalla bontà.
-</p>
-
-<p>
-Allora poi che l’Italia perdeva la politica preminenza,
-ne acquistava un’altra coll’incremento della cultura e
-colle insigni produzioni dell’ingegno, al resto del mondo
-divenendo maestra d’arti e di lettere, come di politica.
-Quelle nel medioevo si erano conservate clericali; nei
-Comuni cominciò qualche laico a scrivere; indi i leggisti
-a levarsi, a paro de’ teologi; poi le Università
-soverchiare le scuole episcopali; infine quella volata di
-dotti greci e tanti poeti e tanti eruditi tolsero la mano
-al clero e primeggiarono fin ne’ concilj di Basilea, di
-Costanza, di Firenze: alla lingua universale ch’era
-quella dell’antica Italia, si sostituirono le nazionali; le
-lettere rannodarono gli Europei, come prima la religione;
-e mentre già repubblica cristiana, allora si disse
-repubblica letteraria; la quale, comunque sembrasse
-surrogare oziosi trastulli alle fatiche attuose, dovea col
-tempo giganteggiare, sentire la propria dignità, e collocarsi
-fra le potenze motrici del mondo, creando l’opinione.
-Quale scossa non dovette produrre negli intelletti
-<span class="pagenum" id="Page_585">[585]</span>
-il subitaneo diffondersi d’un quindici migliaja di libri
-stampati, più corretti che i manoscritti e a miglior
-patto! Alle letture scarse, attente, ripetute, succedono
-le rapide e molteplici; alle convinzioni irremovibili perchè
-non dibattute, il dilatamento delle cognizioni e la
-vaghezza d’aumentarle.
-</p>
-
-<p>
-Ben è dunque perdonabile se il culto dell’antichità
-degenerò in idolatria, se il farnetico di rinnovarla turbò
-il nobile intento d’emularla. In conseguenza, dagli originali
-passò l’impero dell’ingegno agli eruditi, gente di
-schiena e non di genio, che fabbricava non creava, che
-in metafisica e in morale non oltrepassava il punto
-ov’erano giunti gli Scolastici, nella storia e nelle antichità
-non sapeva schermirsi dall’impostura, nell’esposizione
-credea rusticità la naturalezza, e mutilava i pensieri
-onde esprimerli in una lingua con cui non erano
-nati, e nella quale non raggiungevasi l’ambita purezza.
-</p>
-
-<p>
-L’erudizione fu la forma generale d’ogni studio e
-progresso di quel tempo; i testi valeano quanto un argomento,
-e per convincere bastava citare; la medicina
-s’attaccava a spiegare o combattere Ippocrate e Galeno;
-la filosofia cercava in Platone o in Aristotele la
-maggiore de’ suoi sillogismi, la tessitura delle sue argomentazioni,
-perfino la scusa agli ardimenti suoi;
-l’alchimia si fiancheggiava di nomi antichi; la strategia,
-benchè innovata dalle armi a fuoco, studiava sopra
-Onesandro e Vegezio, e a ricostruire il ponte di Cesare
-sul Reno; l’architettura cercava a Vitruvio, non solo i
-canoni dell’imitazione, ma e la giustificazione delle novità;
-e Cesare Cicerano nella <i>summa æde baricefala</i>,
-cioè nel duomo di Milano, pretendeva applicate tutte
-le regole di quell’autore.
-</p>
-
-<p>
-Pure dentro questo circolo infrangibile i liberi spiriti
-non limitano il ristauramento de’ classici a industria
-letteraria, ma lo estendono alla vita; imperatori e
-<span class="pagenum" id="Page_586">[586]</span>
-repubbliche vi rintracciano leggi e ordinamenti; i giureconsulti
-ne allargano e talvolta impacciano il diritto
-nuovo; per classiche rimembranze Cola Montano, Cola
-Rienzi e Stefano Porcari meditano riformare la patria;
-per erudizione si ammirano le virtù e prediligonsi le
-idee del paganesimo, tanto che molti sentirono la necessità
-di assumere la difesa della tradizione religiosa,
-come Marsiglio Ficino, Alfonso di Spina, Enea Silvio,
-Pico Mirandolano; sulla fede degli eruditi Colombo
-italiano mosse a uno scoprimento, che all’Italia doveva
-tornare funestissimo. Trovata l’America, si trattava di
-dividerla fra i popoli scopritori, e per evitare un conflitto
-si ricorse al papa; e questo tracciò una meridiana,
-che delimitasse le conquiste di Spagnuoli e Portoghesi.
-Sublime spettacolo, il papa che, come ne’ tempi organici
-del medioevo, arbitro si asside fra due grandi
-popoli onde prevenire una guerra, e fra loro spartisce
-un nuovo mondo! Eppure l’antico era in procinto di
-sfuggirgli; era già nato Lutero; la Riforma, covata in
-Italia, sbocciava di fuori; e la Germania, che n’era stata
-l’emula per tutto il medioevo, sbalzava l’Italia anche
-da questo primato.
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE DEL LIBRO UNDECIMO E DEL TOMO OTTAVO
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_587">[587]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE</a></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td><span class="smcap">Capitolo</span></td> <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXII.</td> <td>Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana. Il Milanese eretto in ducato</td> <td class="pag"><a href="#cap112-10"><i>Pag.</i> 1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXIII.</td> <td>Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. Venezia ricresce, Genova si perde</td> <td class="pag"><a href="#cap113-10">37</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXIV.</td> <td>Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II. Gli Aragonesi in Sicilia</td> <td class="pag"><a href="#cap114-10">55</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXV.</td> <td>L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza.</td> <td class="pag"><a href="#cap115-10">88</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXVI.</td> <td>Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice. Francesco Sforza. I Foscari</td> <td class="pag"><a href="#cap116-10">122</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3" class="center">LIBRO UNDECIMO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="3">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXVII.</td> <td>I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj</td> <td class="pag"><a href="#cap117-11">145</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXVIII.</td> <td>L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi a Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia guerreggia i Turchi</td> <td class="pag"><a href="#cap118-11">200</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXIX.</td> <td>Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano</td> <td class="pag"><a href="#cap119-11">233</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXX.</td> <td>Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici</td> <td class="pag"><a href="#cap120-11">267</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXI.</td> <td>Gli eruditi</td> <td class="pag"><a href="#cap121-11">303</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXII.</td> <td>Gli scienziati. I libri. La stampa</td> <td class="pag"><a href="#cap122-11">339</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXIII.</td> <td>Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente. Cultura estesa. Origini del teatro</td> <td class="pag"><a href="#cap123-11">373</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXIV.</td> <td>Industria e commercio</td> <td class="pag"><a href="#cap124-11">446</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXV.</td> <td>Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte</td> <td class="pag"><a href="#cap125-11">530</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">CXXVI.</td> <td>La fine del medioevo</td> <td class="pag"><a href="#cap126-11">562</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Odorici</span>, <i>Storie bresciane</i>, pag. 184.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&#160;&#160;</span><i>Antichità estensi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 133.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note3">
-<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.&#160;&#160;</span>Secondo Gianrinaldo Carli, il prezzo medio del frumento
-allora era L. 5.1 al moggio, del vino L. 12.16 alla brenta. Da
-ciò si ragguagli il valor del denaro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note4">
-<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>.&#160;&#160;</span>L’<i>Art de vérifier les dates</i> dice: <i>Pétrarque, si avare de
-louanges même pour les grands hommes de son siècle, ne peut
-contenir son admiration etc.</i> Noi vedemmo se ne fu avaro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note5">
-<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>.&#160;&#160;</span>Qui finiscono i tre Villani, carissimi storici, la cui mancanza
-è irreparabile.
-</p>
-
-<p>
-Giovanni Cavalcanti racconta che, quando all’Acuto si pagò
-grandissima quantità di fiorini, esso ne cavò seimila, e li regalò
-a Spinello (di Luca Alberti) tesoriere, per le fatiche che ebbe.
-Spinello ringraziò, e «tornando a Firenze, scavalcò alla porta
-del palagio, e a’ signori raccontò tutto il convenente, e a loro
-diè la ricca borsa dicendo: <i>Mandateli alla camera con uno
-bullettino di commissione ch’io li metto ad entrata del Comune</i>.
-E così seguì. Questo Spinello invecchiò nell’uffizio di tesoriere,
-ed alla sua morte non gli si trovò tanto lenzuolo che vi si fasciasse
-il suo corpo». <i>Storie fior</i>., tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. app. p. 491-93.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note6">
-<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>.&#160;&#160;</span><i>Religionis timorem ponendum esse censebant, ubi is officeret
-libertatem</i>. <span class="smcap">Poggio Bracciolini</span>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 223.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note7">
-<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>.&#160;&#160;</span>Il primo podestà mandatovi da Gian Galeazzo, fu nel 1396:
-in Valtellina già si mandava nel 1378.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note8">
-<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>.&#160;&#160;</span>Qualche esempio anteriore ne troviamo. Così, nel 1241,
-Guglielmo Visconte, nominato vicario di San Romolo dall’arcivescovo
-di Genova, promette, oltre il resto: <i>Si forcia vel forfacta
-ab aliquo ejus loci et districtus facta fuerit, et notorium et manifestum
-seu publicum aut mihi denunciatum fuerit, quamvis
-non sit inde querimonia facta mihi, tamen ego ad vindictam
-faciendam, et veritatem ejusdem forciæ vel forfactæ inquiram,
-et vindictam faciam ac si querimonia propterea mihi facta esset</i>.
-Liber jurium, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>, p. 994.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note9">
-<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>.&#160;&#160;</span>Il concetto di successione ereditaria è nell’investitura
-del conte di Virtù. <i>Statuimus quod præfatus Jo. Galeaz Vicecomes
-et post ejus decessum eo modo quilibet alius tunc descendens
-legitimus masculus de corpore suo, prout ipse ordinaverit et
-disposuerit, sit et sint perpetuo verus legitimus et naturalis
-dominus et veri legitimi et naturales domini dictæ civitatis et
-totius districti.</i> (<span class="smcap">Sitoni</span>, <i>Vicecomitum genealogica monumenta.</i>
-Milano, p. 21). Già al 1385, 15 ottobre, i Milanesi fecero <i>Decretum
-de pœna dicentis contra statum Domini</i>: ove dichiarano
-<i>quod nulla persona audeat nec præsumat populum nominare</i>.
-(<i>Antiqua Ducum Med. decreta</i>. Milano 1654, pag. 88).</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note10">
-<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>.&#160;&#160;</span>Corio. — Quella solennità è spiegata estesamente in una
-lettera, scritta li 10 settembre dell’anno stesso, da Giorgio Azzanello
-ad Andreolo Aresi cancelliere ducale. Furono invitati da
-quasi tutte le parti del mondo principi, signori e comunità per
-condecorare la coronazione del nuovo duca, onore dell’Italia.
-Appena spuntato il giorno di domenica, dal castello di porta
-Giovia accompagnarono il futuro duca fino a Sant’Ambrogio,
-preceduti da istrioni e musici. Sopra quella piazza verso la cittadella
-era alzato un palco quadro, difeso da steccato, coperto
-ne’ ripari e nei gradini di panno scarlatto, e sopra di broccato
-d’oro su rosso. Quivi il magnifico cavaliere Benesio Cumsinich,
-luogotenente cesareo, aspettava il futuro duca per intronizzarlo.
-Gli altri prelati, signori ed ambasciatori sedettero sopra lo
-stesso palco. Stavano vicino a questo a sinistra Paolo de’ Savelli
-principe romano ed il cavaliere Ugolotto de’ Biancardi, con
-schiera di cinquecento cavalli per custodire la piazza affollatissima.
-Arrivato il futuro duca e gli altri con lui, Benesio benignamente
-lo accolse, e collocosselo alla mano sinistra al più
-eminente luogo del soglio. La bandiera imperiale era tenuta a
-destra da un cavaliere boemo, compagno di Benesio: alla sinistra
-un’altra bandiera inquartata coll’arme del duca, era tenuta
-dal cavaliere Ottone da Mandello. Lettosi il privilegio, che costituiva
-Gian Galeazzo duca di Milano, concesso dall’imperatore
-Venceslao in Praga al 1º maggio 1395, il duca inginocchiatosi
-giurò fedeltà a Cesare nelle mani del luogotenente, il quale gli
-pose su le spalle il manto ducale foderato di vajo da cima a
-fondo; quindi presolo pel braccio lo intronizzò, ponendogli in
-capo una corona gemmata, stimata ducentomila fiorini. Stando
-seduti il duca e il luogotenente, i prelati cantarono inni di ringraziamento
-a Dio fra ’l concerto degl’istromenti musicali; poi
-Pietro Filargo recitò una orazione panegirica in lode del duca.
-Finita questa, si celebrarono gli uffizj divini; poi il luogotenente
-e il duca montarono a cavallo, e serviti da magnifico baldacchino
-portato da otto cavalieri e otto scudieri, andarono col
-seguito di tutti i prelati, signori ed ambasciatori sino all’antico
-palazzo, alle cui porte furono affisse le due bandiere imperiale
-e ducale. Erano in corte apparecchiate le tavole, servite con
-ricchissima argenteria, e di sopra padiglionate da arazzi tessuti
-a oro. Al capo della mensa sedè il duca avendo ai due lati i
-cesarei luogotenenti, e dietro per ordine di dignità gli altri
-signori. Al lunedì passarono mostra nel palazzo ducale i disposti
-giostratori. Al martedì, trecento di questi, divisi in due
-schiere, l’una rossa e l’altra bianca, colle loro bandiere entrarono
-nello steccato, essendo proposto premio della vittoria mille
-fiorini. Al mercoledì si giostrò di nuovo, e premio era un fermaglio
-del valore di mille fiorini, e lo vinse il marchese di Monferrato.
-Al giovedì terminarono le giostre, nelle quali Bartolomeo
-fratello di Domenico da Bologna acquistò un cavallo del prezzo
-di cento fiorini; e Giovanni Rubello scudiere del detto marchese,
-un altro di ducento».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note11">
-<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>.&#160;&#160;</span>Valtellina, Valcamonica, Varese, Legnago, Castello,
-Arquà, Salò, Bassano, Castelnuovo di Tortona, Riviera di Trento,
-Soresina, Lecco, Vigevano, Pontremoli, Voghera, Borgo Sandonnino,
-Casal Sant’Evasio, Valenza, Crema, Monza, Grosseto,
-Massa Lunigiana, Assisi, Bobbio, Feltre, Belluno, Reggio, Tortona,
-Alessandria, Lodi, Vercelli, Novara, Vicenza, Bergamo,
-Como, Cremona, Piacenza, Parma, Brescia che nell’epitafio di
-lui è detta <i>civili nondum enervata duello</i>, Verona, Perugia,
-Siena, Pisa, Bologna, Pavia, Milano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note12">
-<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>.&#160;&#160;</span><i>Mémoires</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note13">
-<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>.&#160;&#160;</span>Andrea Biglia, allora vivente, racconta che Antonio Bosso,
-intrinseco di Facino, l’avvertì restargli poche ore di vita, e però
-provvedesse all’anima sua. Facino rabbujato gli intima: — Va
-tu a cercarti un confessore, che fra un’ora ti manderò al supplizio».
-Il Bosso, che lo sapea uomo da mantener la parola,
-sbigottì tutto, e quasi venne meno; ma Facino rasserenatosi
-gli soggiunse: — Da quel che provasti tu, argomenta quel che
-hai fatto soffrire a me col tuo pronostico». Davvero non era momento
-da burle.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note14">
-<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>.&#160;&#160;</span>Una casa comprata dalla Signoria per regalare a Luigi
-Gonzaga signore di Mantova, costò seimila cinquecento ducati;
-tremila un’altra donata al vaivoda dell’Albania. Le prove sono
-in <span class="smcap">Daru</span>, <i>Storia di Venezia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note15">
-<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>.&#160;&#160;</span>Alle tante prediche di pace si potrebbe opporre una di
-guerra, riferita da Franco Sacchetti, come udita da lui allora
-appunto da un romitano in San Lorenzo di Genova. E’ diceva: — Io
-sono genovese; e se io non vi dicessi l’animo mio, e’ mi
-parrebbe forte errare; e non abbiate a male che io vi dirò il
-vero. Voi siete appropiati agli asini: la natura dell’asino è questa,
-che quando molti ne sono insieme, dando d’uno bastone a uno,
-tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual fugge là, tanta è la
-lor viltà; e questa è proprio la natura vostra. E i Viniziani sono
-appropiati a’ porci, e sono chiamati Viniziani porci, e veramente
-eglino hanno la natura del porco; perocchè essendo una moltitudine
-di porci stretta insieme, ed uno ne sia o percosso o bastonato,
-tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi li percuote;
-e questa è veramente la natura loro; e se mai queste figure mi
-parvono proprie, mi pajono al presente. Voi percoteste l’altro dì
-li Viniziani, e’ si sono serrati verso voi a lor difesa ed a vostra
-offesa; ed hanno cotante galee in mare, con le quali v’hanno
-fatto e sì e sì; e voi fuggite chi qua e chi là, e non intendete l’uno
-l’altro, e non avete se non cotante galee armate; egli n’hanno
-presso a due tanti. Non dormite, destatevi, armatene voi tante,
-che possiate, se bisogna, non che correre il mare, ma entrare
-in Vinegia. — Poi fe fine a queste parole, dicendo — Non l’abbiate
-a male, che io sarei crepato, s’io non mi fusse sfogato. — Ora
-questa cotanta predica udii io, e tornàmi a casa; l’avanzo
-lasciai udire agli altri».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note16">
-<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Andrea Gattaro</span>, pag. 280.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note17">
-<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>.&#160;&#160;</span>Ecco l’esempio d’una dichiarazione offerta per parte del
-Caresini, che continuò la cronaca del Dandolo: — Raffaello
-Caresini, cancellier grande, offerisce lui con due buoni compagni
-al suo salario e spese e un famiglio d’andare sull’armata, e
-di pagare la spesa di tutti gli uomini da remo al mese ducati
-quattro e a’ balestrieri ducati otto al mese per uno. Item dona
-tutti i prò de’ suoi imprestiti e imposizioni, ch’egli ha e che
-farà nella presente guerra; e di prestare ducati cinquecento
-d’oro a renderseli due mesi dopo finita la guerra». Ap. <span class="smcap">Sanuto</span>,
-pag. 736.
-</p>
-
-<p>
-... <i>Concernentes anxio mentis intuitu magnificus dux, consilium
-atque cives januensem patriam, quæ, inter alias catholicas
-nationes, oris præsertim maritimis, triumphales sui roboris vires
-expandit comerciorum, negociacionibus etiam quam maxime frequentata,
-et portus et janua navigationibus et lucrorum agendis,
-quibus humanum alitur genus abundans magistra, nunc aliquot
-jam exactis annis, aut justa Dei ira ex ingentibus mortalium
-noxis, aut acerbæ sortis sinistris auspiciis ferali civilium parcialitatum
-contagiatam morbo, sic solitis debilitatam viribus,
-quod januensis reipublicæ corpus suis artubus plurimis peste
-lesis, nisi salubri succurrerentur remedio, flebilis excidii pernicie
-damnaretur ipsius equidem remedii medelam ab intimis anhelantes,
-diurnis cogitationum curis hinc inde versarunt, tandem
-prudentissimis consiliis advertentes serenissimi ac invictissimi
-principis domini Francorum regis laudabilem justitiam, qua
-sua regio felix floret, incomparabilem potentiam qua quicumque
-terentur iniqui, scelesti domitantur raptores, et barbarica reprimitur
-feritas, ad suam amplissimam clemenciam suarum deliberationum
-aciem direxerunt. Ita demum quod miseranda januensis
-nationis cimba, quæ jamdiu horrendis fluctuationum
-turbinibus agitata, nimia confusione ambitus et odiorum lacerata
-dissidiis, seu cautibus non parum allidens formidabile submersionis
-periculum vix evasit. Ecce tetris observata nubibus
-longe titubans pelago, clarum pietate cœlesti clementiæ regiæ
-jubar perspectans etc.</i>
-</p>
-
-<p>
-Dopo queste frasi retoriche, vengono i lunghi e chiari patti,
-che meritano esser letti nel <i>Liber juris</i>: vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 1237, per più
-di 13 colonne.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note18">
-<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>.&#160;&#160;</span>Ad Enrico VII, a Roberto di Napoli, all’arcivescovo di
-Milano, e ora a Carlo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note19">
-<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Stella</span>, pag. 1176, 1193. <i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XVII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note20">
-<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>.&#160;&#160;</span><i>Rivoluzioni d’Italia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>. c. 8. Egli stesso si contraddice
-al cap. 4 del lib. <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note21">
-<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>.&#160;&#160;</span>Spesso egli recitò, o almeno compose sermoni per lauree,
-per capitoli di frati, per funzioni ecclesiastiche; e si trovano
-manoscritti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note22">
-<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>.&#160;&#160;</span><i>Suscipe Robertum regem virtute refertum</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note23">
-<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>.&#160;&#160;</span><i>Rerum memorabilium</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note24">
-<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>.&#160;&#160;</span>Un anello con cinque perle; una trecciuola con ottantasei
-perle minute; una ghirlanda d’argento, su cui perle novantasei;
-una cintola con perle minute; una coppa di cristallo con coperchio
-fornito d’argento, che valse lire cinquantuna; un orcioletto
-di cristallo fornito d’argento e perle; una coppa di nacchera
-(madreperla) fornita d’argento e perle, furono dati in
-pegno per fiorini censettantasei a un mercante fiorentino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note25">
-<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>.&#160;&#160;</span><i>Fragm. Hist. romanæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 10. — <span class="smcap">Dom. de Gravina</span>,
-<i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. 572.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note26">
-<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>.&#160;&#160;</span>Parole di Matteo Villani, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 61, e soggiunge questo
-fatto: — Un Catalano, il quale teneva una rôcca, fece a’ suoi
-compagni tenere trattato col conte di Ventimiglia, il quale,
-avendo voglia d’aver quella rôcca, con troppa baldanzosa
-fidanza sotto il trattato entrò nel castello con centoquattro
-compagni, benchè più ve ne credesse mettere; ma come con
-questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori furono chiuse
-le porte, il conte e i compagni presi; e avendovi uomini, i quali
-si volevano ricomperare a grande moneta, ed erano da riserbare
-per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo feroce
-de’ Catalani, che senza arresto spogliati ignudi i miseri
-prigioni, e legati colle mani di dietro, l’un dopo l’altro posto a’
-merli della maggior torre della rôcca, sopra un dirupinato grandissimo
-furono dirupinati senza niuna misericordia, lacerando i
-miseri corpi con l’impeto della loro caduta ai crudeli sassi. Il
-conte solo fu riserbato, non per movimento d’alcuna umanità,
-ma per cupidigia di avere per la sua testa alcuno suo castello
-vicino ai crudi nemici».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note27">
-<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>.&#160;&#160;</span>Il Giannone, colle sue frasi grossolane insieme e gonfie,
-chiama «Giovanna la più savia reina che sedesse mai in sede
-reale», lib. <span class="smcap lowercase">XXIII</span>. c. 3; e lo ripete nel cap. 5; poco poi scrive
-che la regina, «ancora che ella fosse in età di anni quarantasei,
-era sì fresca che dimostrava molta attitudine di far figli».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note28">
-<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>.&#160;&#160;</span>Ap. <span class="smcap">Lünig</span>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 210. 1215. Alla coronazione di
-Luigi II d’Angiò si presentarono in Napoli molti baroni, conducendo
-più di millecento cavalli; poi i Sanseverino ne condussero
-milleottocento tutti ben in arnese. Al che Angelo di Costanzo,
-che scriveva ai tempi di Filippo II, riflette: — Io, vedendo in
-questi tempi nostri, d’ogni altra cosa felicissimi, nella patria
-nostra, tanto abbondante di cavalieri illustri ed atti all’armi, la
-difficoltà che saria il porre in ordine una giostra, per la qual
-difficoltà si vede che ha più di trent’anni che non n’è fatta una,
-e l’impossibilità di poter fare in tutto il Regno mille uomini
-d’armi di corsieri grossi, simile a quelli di quei tempi, sto quasi
-per non creder a me stesso questo ch’io scrivo di tanto numero
-di cavalli, ancorchè sappia che è verissimo; ed oltre che l’abbia
-trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche, l’ho
-anco visto nei registri di quelli re che gli pagavano. Ma questo
-è da attribuirsi al variar de’ tempi, che fanno ancor variare i
-costumi. Allora per le guerre ogni piccolo barone stava in ordine
-di cavalli e di genti armigere per timore di non esser
-affatto cacciato di casa d’alcun vicino più potente; ed in Napoli
-i nobili, vivendo con gran parsimonia, non attendendo ad altro
-che a star bene a cavallo e bene in arme, si astenevano da ogni
-altra comodità; non si edificava, non si spendeva in paramenti,
-nelle tavole dei principi non erano cibi di prezzo, non si vestiva,
-tutte le entrate andavano a pagar valent’uomini ed a nutrir
-cavalli. Or per la lunga pace s’è voltato ognuno alla magnificenza
-nell’edificare ed alla splendidezza e comodità del vivere, e si
-vede ai tempi nostri la casa che fu del gran siniscalco Caracciolo,
-che fu assoluto del Regno, a’ tempi di Giovanna II regina,
-ch’è venuta in mano di persone senza comparazione di stato e
-di condizione inferiore; vi hanno aggiunte nuove fabbriche, non
-bastando a loro quell’ospizio, ove con tanta invidia abitava colui
-che a sua volontà dava e toglieva le signorie e gli stati. Delle
-tappezzerie e paramenti non parlo, poichè già è noto che molti
-signori a paramenti di un par di camere hanno speso quel che
-avria bastato per lo soldo di dugento cavalli per un anno; ed
-avendo parlato della magnificenza de’ principi, con questo
-esempio non lascerò di dire dei privati che si vede di cinque
-case di cavalieri nobilissimi fatta una casa di un cittadino artista.
-Tal che credo certo, che, se fosse noto agli antichi nostri questo
-modo di vivere, si maraviglierebbono, non meno di quel che
-facciamo noi di loro».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note29">
-<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Rymer</span>, <i>Acta</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. part. <span class="smcap lowercase">II</span>. pag. 45. A tutti questi
-fatti era presente Teodorico da Niem, che scrisse la vita di
-Giovanni XXIII.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note30">
-<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>.&#160;&#160;</span>Questa vittoria, che il Sismondi chiama <i>la plus importante,
-la plus glorieuse, qui de tout le siècle eût été remportée
-sur la Méditerranée</i>, secondo i <i>Giornali napolitani</i> fu dovuta
-ad uno stratagemma, che sembra pueril cosa quando già si conoscevano
-le artiglierie. «Fu combattuto con sapone, olio, pignatelli
-artificiali, pietre di calce, le quali buttando sopra le navi
-nemiche dalle gabbie loro, le redussero che l’uno non vedeva
-l’altro, et alcuna volta offendevano li loro medesimi credendoli
-nemici». E più distesamente Giovanni Cavalcanti: «L’arte dei
-Genovesi che usarono, fu di maraviglioso scaltrimento: conciossiacosachè
-portarono infinito numero di vasi di terra, come
-pignatte e orciuoli, e quelli di calcina viva e di cenere di vagello
-empierono; e nel cominciare della battaglia, i Genovesi si
-cercarono che a loro nelle reni ferisse il vento, e a’ nemici nella
-faccia soffiasse. I Genovesi non meno alle vasa correvano che
-all’armi, e i nemici erano nella faccia percossi dalle cocenti e
-ardenti ceneri dal vento soffiate; per il sudore e per l’affaticare
-della battaglia, i pori erano aperti: la qual calcina dava tanta
-passione, che l’arme abbandonavano, e a stropicciarsi gli occhi
-ciascuno attendeva». <i>Rer. It. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">XXI</span>. 1101.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note31">
-<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Vespasiano Bisticci</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note32">
-<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">S. Antonini</span> <i>Chron</i>., part. <span class="smcap lowercase">III</span>. tit. 22. not. <i>b</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note33">
-<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>.&#160;&#160;</span>L’arringa del doge è riferita dal Sanuto, che dice averla
-tratta dal manoscritto proprio d’esso principe: noi la compendiammo;
-alcune partite, imbarazzate nell’edizione del Muratori,
-si sono racconcie alla meglio. Si sarà avvertito che il doge mette
-un eccesso di attivo veneto, giacchè bisogna dedurne un milione
-per l’importo dei panni e frustagni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note34">
-<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Andrea Billii</span>, <i>Historia Mediol</i>., pag. 78.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note35">
-<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>.&#160;&#160;</span>Secondo un conto prodotto da ser Cambi, i Veneziani
-teneano in campo ottomila ottocentrenta cavalli, e ottomila
-fanti, quelli a fiorini quattro il mese ciascuno, questi a fiorini
-tre; e i Fiorentini seimila cavalli e seimila fanti; sicchè fra essi
-e i Veneziani spendeano al mese centoduemila fiorini. Il duca
-di Milano area ottomila cinquecentocinquanta cavalli del costo
-di venticinquemila fiorini il mese, e ottomila fanti e balestrieri
-di fiorini ventiquattromila. Nel conto sono divisati tutti i condottieri
-e gli uomini di ciascuno. Vedi <i>Delizie degli eruditi</i>,
-<span class="smcap lowercase">XX</span>. 170.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note36">
-<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>.&#160;&#160;</span>Da un dialogo manoscritto di Paolo Giovio; dove pure
-leggo che, pel terrore causato dalle prime armi a fuoco, si
-troncava la destra a quanti fucilieri si coglievano; e che Bartolomeo
-Coleone generale dei Veneziani, e Federico d’Urbino,
-nella zuffa della Riccardina sul Bolognese, essendo tra il combattere
-discesa la notte, fecero ai donzelli apparecchiar fiaccole,
-al cui chiarore continuarono la pugna.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note37">
-<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Sanuto</span>, pag. 1029. Frà Paolo Sarpi, lodatore di tutto ciò
-che è tirannico, scrive «esser antico vanto della circospezione
-veneziana l’aver tenuta celata scrupolosamente per otto mesi la
-risoluzione della morte del conte Carmagnola».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note38">
-<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Cristoforo da Soldo</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note39">
-<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Sabellico</span>, <i>Deca</i> <span class="smcap lowercase">III</span>, lib. 5.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note40">
-<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Rossi</span>, <i>Elogi storici</i>, pag. 150; <span class="smcap">Capriolo</span>, <i>Storie bresciane</i>;
-<span class="smcap">Rizzardi</span>, <i>Storia Asolana</i> manoscritta.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note41">
-<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>.&#160;&#160;</span>Filippo Borromeo di Lazzaro, coll’ajuto de’ Milanesi cacciò
-da San Miniato sua patria i Fiorentini; ma poi da un capitano
-tradito a questi, fu ucciso il 1350. La Talda, sorella di Beatrice
-Tenda, ebbe quattro maschi. Andrea, dottorato in Padova e
-cavaliere aurato; Borromeo tesoriere di Padova al tempo de’
-Carraresi, i quali temendolo ed invidiandolo gli cercarono cagione
-addosso e lo arrestarono, nè potè uscire di carcere che
-pagando ventiduemila scudi d’oro: egli per vendicarsene istigò
-Visconti e Veneziani finchè abbatterono il Carrarese. Borromeo
-coi fratelli Alessandro e Giovanni si piantò a Milano, e v’ebbero
-la cittadinanza il 1394, e tennero casa a Santa Maria Podone.
-Borromeo nel 1400 stette mallevadore per dodicimila scudi del
-marchese di Monferrato, in un accordo di questi coi Visconti.
-Giovanni fu consigliere e capitano di Gian Galeazzo; da Gian
-Maria nel 1403 ebbe in feudo Castell’Arquato e tutta la val di
-Taro col titolo di conte; e fu principale autore del matrimonio
-di Filippo Maria con Beatrice Tenda. Esso Filippo diè pure la
-cittadinanza milanese a Vitaliano Vitelliani, nipote per sorella
-di Giovanni, e diritto di conseguirne l’eredità e il cognome; lo
-fe tesoriere generale e consigliere nel 1439; nel 42 l’investì
-della rôcca d’Arona, come conte di Canobbio e sua valle; nel 46
-di Ugogna e Margozzo: ed è lo stipite de’ Borromei di Milano,
-Galeazzo, Antonio, Giovanni, figlio del Giovanni suddetto, si
-mutarono a Venezia, dove sono ricordati nella chiesa di Santa
-Elena, da essi eretta ed arricchita. V. <span class="smcap">Coronelli</span>, <i>Bibl. universale</i>,
-tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. p. 790.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note42">
-<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>.&#160;&#160;</span>Anche nel 1689 Pietro Ottobon dal prozio Alessandro VIII
-fu fatto cardinale, e prestò molti servizj alla Serenissima; e
-ottenne da questa fosse rimesso in grazia il proprio padre Antonio,
-disgradato perchè era divenuto generale di Santa Chiesa.
-Ma essendo stato eletto protettore della corona di Francia alla
-Corte pontifizia, il senato si oppose; e avendo egli non ostante
-spiegato le insegne di Francia, fu abraso dal libro d’oro, confiscatogli
-il patrimonio, sospesa ogni rendita de’ suoi beni ecclesiastici
-nel dominio veneto.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note43">
-<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>.&#160;&#160;</span><i>Mutilasti Imperium Mediolano et provincia Longobardiæ,
-quæ juris S. B. Imperii fuerant, redeuntibus inde ad imperium
-amplissimis emolumentis; in qua ditione mediolanensi veluti
-minister S. B. Imperii partibus fungebatur, cum tu contra,
-accepta pecunia, Mediolani ducem et comitem papiensem creasti.</i>
-Così gli elettori nel deporre Venceslao.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note44">
-<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>.&#160;&#160;</span><i>Jus, quod ex dictis concessionibus et citationibus in feudo
-dictorum ducatuum et comitatum habemus, nobis et nostris
-successoribus in Imperio salvum maneat et illesum.</i> <span class="smcap">Lünig</span>,
-Italia dipl., <span class="smcap lowercase">I</span>. 480.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note45">
-<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>.&#160;&#160;</span>Quella Repubblica fu censurata dal Corio per blandire i
-duchi, e dal Verri per stizzosa allusione alla Cisalpina; ma più
-che alle ironiche declamazioni di questo, credo ai documenti
-del Rosmini. Il Leo, tra gli errori onde ribocca la sua <i>Storia
-d’Italia</i>, dice che il Rosmini, «per biasimare la repubblica,
-produce molte ordinanze sulla religione, le scienze, la politica».
-Lo fa pel preciso contrario. Nell’archivio del duomo è un’ordinanza
-de’ capitani del 14 agosto, nella quale, poichè <i>Altissimi
-clementia ineffabili.... antiquissimam auream et sanctam libertatem
-urbs hæc feliciter reassumpsit</i>, stabiliscono un’oblazione
-annua; e sotto l’11 agosto, in riconoscenza a Dio <i>quod ad dulcissimum
-reipublicæ et libertatis statum nos reduxit</i>, ordinano
-una processione a Sant’Ambrogio.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note46">
-<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>.&#160;&#160;</span>Nella battaglia di Morat servivano al duca di Borgogna
-quindicimila Lombardi, il cui capitano Antonio Corradi di Lignana
-vercellese vi perì.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note47">
-<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>.&#160;&#160;</span><i>Arch. storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 311.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note48">
-<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>.&#160;&#160;</span><i>Historia desponsationis et coronationis Friderici III et
-conjugis ipsius, auctore</i> <span class="smcap">Nicolao Lankmano de Falkenstein</span>.
-Ap. <span class="smcap">Pez, ii</span>. 569-602.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note49">
-<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Spino</span>, <i>Vita di Bartolomeo Coleone</i>, pag. 255. La costui
-biografia fu scritta in latino da Antonio da Cornazzano, che
-con altri letterati e artisti vivea nel castello di lui; onde il
-ritrasse con colori lusinghieri che la storia smentisce.
-</p>
-
-<p>
-Del Cornazzano abbiamo pure manoscritta la vita di Francesco
-Sforza in terzine, e un trattato <i>De la integrità de la militare arte</i>, oltre un poema più volte stampato sul soggetto
-stesso: <i>Opera nuova de Mr. Ant. Cornazzano, la quale tratta
-de modo regendi, de motu fortunæ, de integritate, rei militaris,
-et qui in re militari imperatores excelluerint</i>. D’altri due condottieri,
-Attendolo Sforza e Braccio di Montone, scrissero le
-gesta Lodrisio Crivelli e Gianantonio Campano, rozzi ma interessanti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note50">
-<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>.&#160;&#160;</span>Del 1467 fu pubblicata a Milano la seguente grida di
-guerra: — Si fa poto e manifesto a caduna persona de quale
-grado e conditione se sia, per parte del nostro M. signor duca
-di Milano ecc. in tutte le terre del dominio suo, che qualunche
-soldato, o che sia pratico al soldo, così de cavallo come de
-pede, tanto terriero quanto forastero, che al presente se trovasse
-habitare nel dominio ducale, che voglia venire in campo dove el
-prelibato ill. signor duca nostro se ritrovarà; venga in ordine ed
-armato, che averà buona e grossa guerra in lo parti de Piemonte,
-presentandose, subito che sia in campo, ad Petro, Francesco
-Visconte, conductero et marescallo del campo, et ulterius
-che porteno la banda bianca, come fanno gli altri».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note51">
-<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>.&#160;&#160;</span>Paolo Santini, che, sulla metà del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>, scrisse un
-trattato di cose militari rimasto manoscritto, e pare fosse al
-servizio dei Veneziani, dice: <i>Qui in Italiam vincere desiderat,
-ista instruet: primo, cum summo pontifice semper sit; secundo,
-dominetur Mediolanum; tertio, quod habeat astronomos bonos;
-quarto, habeat ingegnerios qui sciant plurima; quinto, quod tot
-navigia conducantur plena lapidibus in canalibus.... impleantur
-canalia multitudine navium, navigiorum, barcarumque suffundatarum,
-etc.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note52">
-<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>.&#160;&#160;</span>La sentenza si esprime: <i>Videtur, propter obstinatam
-mentem suam, non esse possibile extraere ab ipso illam veritatem,
-quæ clara est per scripturas et per testificationes, quoniam in
-fune aliquam nec vocem nec gemitum, sed solum intra dentes
-voces ipse videtur et auditur infra se loqui.... tandem non est
-standum in istis terminis, propter honorem status nostri...</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note53">
-<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>.&#160;&#160;</span>Del discorso recitato da Nicola Oremme in concistoro
-porge l’estratto De Sade, <i>Vie du Pétrarque</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II. I.</span> 692. È
-nota la risposta che il Petrarca vi fece.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note54">
-<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>.&#160;&#160;</span>Ella stessa nel <i>Tratt. della Provvidenza.</i> E vedi <span class="smcap">Bolland,</span>
-ad 30 apr.; <span class="smcap">Hagen</span>, <i>Die Wunder der h. Catharina von Siena</i>.
-Lipsia 1840.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note55">
-<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>.&#160;&#160;</span>«Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto
-che potete, voi n’andiate al luogo vostro dei gloriosi Pietro e
-Paolo; e sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente,
-e Dio dalla parte sua vi provvederà di tutte quelle cose
-che saranno necessarie a voi.
-</p>
-
-<p>
-«Poniamo che abbiate ricevute grandissime ingiurie, avendovi
-fatto vituperio e toltovi il vostro; nondimeno, padre, io vi
-prego che non ragguardiate alle loro malizie, ma alla vostra
-benignità, e non lasciate però d’oprare la nostra salute. La salute
-loro sarà questa, che voi torniate a pace con loro, perocchè
-il figliuolo che è in guerra col padre, mentre che vi sta, egli il
-priva dell’eredità sua. Oimè, padre, pace per l’amore di Dio,
-acciocchè tanti figliuoli non perdano l’eredità di vita eterna;
-che voi sapete che Dio ha posto nelle vostre mani il dare, il togliere
-questa eredità, secondo che piace alla benignità vostra.
-Voi tenete le chiavi, ed a cui voi aprite si è aperto, ed a cui voi
-serrate è serrato; così disse il dolce e buono Gesù a Pietro, il
-cui loco voi tenete. Adunque imparate dal vero padre e pastore;
-perocchè vedete che ora è il tempo da dare la vita per le pecorelle
-che sono escite fuora del gregge. Convienvele dunque
-cercare e racquistare con la pazienza, e con la guerra andare
-sopra gl’infedeli, rizzando il gonfalone dell’ardentissima e dolcissima
-croce: al qual rizzare non si convien più dormire, ma
-destarsi e rizzarlo virilmente.
-</p>
-
-<p>
-«Rizzate, babbo, tosto il gonfalone della santissima croce, e
-vedrete i lupi diventare agnelli. Pace, pace, pace, acciocchè
-non abbia la guerra a prolungare questo dolce tempo: ma se
-volete far vendetta e giustizia, pigliatela sopra di me miserabile,
-e datemi ogni pena e tormento che piace a voi insino alla
-morte. Credo che per la puzza delle mie iniquità sieno venuti
-molti difetti e molti inconvenienti e discordie: dunque sopra
-me, misera vostra figliuola, prendete ogni vendetta che volete.
-Ohimè, padre, io muojo di dolore e non posso morire. Venite,
-venite, e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi
-chiama; e l’affamate pecorelle v’aspettano, che veniate a tenere
-e possedere il luogo del vostro antecessore e campione apostolo
-Pietro; perocchè voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi
-nel luogo vostro proprio. Venite dunque, venite, e non più indugiate,
-e confortatevi e non temete di alcuna cosa che avvenire
-potesse, perocchè Dio sarà con voi».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note56">
-<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>.&#160;&#160;</span>Brigida andò poi pellegrina in Terrasanta, e reduce morì
-a Roma il 1373. Le rivelazioni ch’essa ebbe e scrisse, furono riprovate
-dall’insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada,
-tradotte in tutte le lingue, e le valsero d’essere canonizzata
-da Bonifazio IX, benchè siasi avventata gagliardissimamente
-contro la corte pontifizia fino a dire: — Il papa è l’assassino
-delle anime; disperde e strazia il gregge di Cristo; più crudele
-che Giuda, più ingiusto che Pilato, più abbominevole che
-gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì i dieci comandamenti
-in un solo, <i>Portate denaro</i>. Roma è un baratro
-d’inferno, e il diavolo presiede, e vende il bene che Cristo acquistò
-colla sua passione, onde passa il proverbio
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Curia romana non petit ovem sine lana;</i></p>
-<p class="i01"><i>Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-invece di convocar tutti, dicendo, <i>Venite e troverete il riposo
-delle anime</i>, il papa esclama: <i>Venite alla mia corte, vedetemi
-nella mia magnificenza maggior di Salomone; venite, vuotate le
-vostre borse, o troverete la perdita delle vostre anime</i>».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note57">
-<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>.&#160;&#160;</span>— Pregovi da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla
-santità vostra di spacciarvi tosto. Usate un santo inganno, cioè
-parendo di prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto; che
-quanto più presto, meno starete in queste angustie e travagli.
-Anco mi pare che essi v’insegnino, dandovi l’esempio delle fiere,
-che quando campano dal lacciuolo, non vi ritornano più. Per
-infino a qui siete campato dal lacciuolo de’ consigli loro, nel
-quale una volta vi fecero cadere quando tardaste la venuta vostra;
-il quale lacciuolo fece tendere il demonio perchè ne
-seguitasse il danno e il male che ne seguitò: voi come savio,
-spirato dallo Spirito Santo, non vi cadrete più. Andianci tosto,
-babbo mio dolce, senza verun timore; se Dio è con voi, veruno
-sarà contra voi. Dio è quello che vi move, sicchè egli è con voi;
-andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita,
-perchè li poniate il colore.
-</p>
-
-<p>
-«Sia in voi un ardore di carità per sì fatto modo, che non vi
-lasci udir le voci dei demonj incarnati e non vi faccia temere il
-consiglio de’ perversi consiglieri fondati in amore proprio, che
-intendo vi vogliono metter paura per impedire l’avvenimento
-vostro dicendo, <i>Voi sarete morto</i>. E io vi dico da parte di Cristo
-crocifisso, dolcissimo e santissimo padre, che voi non temiate
-per veruna cosa che sia. Venite sicuramente, confidatevi in
-Cristo dolce Gesù; chè, facendo quello che voi dovete, Dio sarà
-sopra di voi, e non sarà veruno che sia contra voi. Su virilmente,
-padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere: se non faceste
-quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi dovete
-venire; venite dunque, venite dolcemente senza verun timore.
-</p>
-
-<p>
-«Su dunque, padre, e non più negligenza; drizzate il gonfalone
-della santissima eroce, perocchè coll’odore della croce
-acquisterete la pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi
-gl’invitiate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra caggia
-sopra gl’infedeli. Spero per l’infinita bontà di Dio, che tosto
-manderà l’ajutorio suo. Confortatevi, confortatevi, e venite, venite
-a consolare i poveri e servi di Dio e figliuoli vostri; aspettiamovi
-con affettuoso e amoroso desiderio...»
-</p>
-
-<p>
-Di santa Caterina abbiamo tre lettere a Gregorio XI, nove a
-Urbano VI, otto a varj cardinali, due a Carlo V di Francia,
-quattro alla regina Giovanna, le altre a prelati, a religiosi,
-a laici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note58">
-<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>.&#160;&#160;</span>Vedi principalmente la parte II. cc. 16, 17, 21, 25 del
-<i>Defensor pacis</i>, stampato poi nel 1523. Al c. 28 è chiamata
-esecrabile la pienezza del potere invocato dai papi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note59">
-<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>.&#160;&#160;</span>Colla costituzione <i>Exiit qui seminat</i>, nel <span class="smcap lowercase">VI</span> delle Decretali,
-tit. <i>De verb. signif.</i> — Vedi tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>, pag. 353.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note60">
-<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>.&#160;&#160;</span>Quorum exigit, nelle <i>Estravaganti</i>, tit. <i>De verb. signif.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note61">
-<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>.&#160;&#160;</span>Ap. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia</i>, 163.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note62">
-<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Feo Belcari</span>, <i>Vita del b. Colombino</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note63">
-<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>.&#160;&#160;</span>Possono aggiungersi Corrado d’Offida e Francesco Veninbene
-di Fabriano francescani; Gentile da Matelica che, dopo
-tante conversioni in patria, cercò più largo campo in Oriente,
-ove cadde assassinato; il beato Rigo di Treviso secolare; il beato
-Ugolino Zefirini di Cortona (-1370); il beato Giovanni da
-Rieti (-1347); Gregorio Celli da Verruchio; il beato Oddino
-Barotto curato di Fossano in Piemonte, tutto carità nella peste
-del 400. Angela da Foligno i disordini di gioventù pianse in
-severa penitenza e indefessa meditazione. Chiara da Rimini le
-dissipazioni di sua vedovanza espiò nell’austerità, nell’umiliazione,
-e nel soccorrere gli altrui bisogni spirituali e temporali
-per trent’anni (-1306). Chiara Gambacorti di Pisa volle mangiar
-il pane dell’assassino di sua famiglia. Angelina, figlia del conte
-di Corbara, malgrado il voto di castità, sposato per obbedienza
-il conte di Civitella, seppe indurre anche lui ad egual voto; poi
-vedova, si professò francescana e molt’altre indusse, e stabilì il
-terz’ordine di san Francesco a Foligno. Rita di Cascia ebbe ad
-esercitar la pazienza in diciott’anni d’infelice matrimonio, poi
-mortificando la carne e lo spirito. Nomineremo ancora la beata
-Michelina da Pesaro, vedova d’un Malatesta; e la beata Imelda
-de’ Lambertini di Bologna.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note64">
-<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Bartolomeo Fazio</span>. Il quaresimale di san Bernardino da
-Siena fu raccolto da Benedetto di mastro Bartolomeo, cimatore
-di panni senese, che sarebbe uno de’ più antichi stenografi ricordati.
-Vedi <i>Sopra un codice cartaceo del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>... osservazioni
-critiche dell’abate</i> <span class="smcap">Luigi Deangelis</span>. Colle 1820.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note65">
-<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>.&#160;&#160;</span><i>Ed. Moreni,</i> 1831, <span class="smcap lowercase">I</span>. 187, 252. Declamò novamente contro
-l’andare al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando
-sotto la loggia d’Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè
-parecchi anni appresso (<span class="smcap lowercase">II</span>. 50). Forse questi luoghi delle prediche
-di frà Giordano furono presenti al beato Giovanni Delle Celle
-quando dissuase Domitilla dal pellegrinaggio di Terrasanta,
-nella <span class="smcap lowercase">IX</span>ª delle sue lettere.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note66">
-<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>.&#160;&#160;</span>«Dicetemi, dicetemi un poco o signori; donde nascono
-tante e diverse infermitade in gli corpi umani, gotte, doglie di
-fianchi, febre, catarri? non d’altro se non da troppo cibo et
-esser molto delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te
-basta; ma cerchi a’ toi conviti vino bianco, vino negro, malvagie,
-vino de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole,
-fichi, uva passa, confetione, et empi questo tuo sacco di
-fecce. Émpite, sgònfiate, allàrgate la bottinatura, et dopo el
-mangiare va et bottati a dormire come un porco». <i>Predica</i> <span class="smcap lowercase">I</span>.
-Venezia 1530.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note67">
-<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Burlamachi</span>, <i>Vita di frà Savonarola.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note68">
-<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>.&#160;&#160;</span>È a vedere anche il <span class="smcap">Barberino</span>, <i>Documenti d’amore</i>,
-part. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. d. 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note69">
-<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1379 Urbano VI sollecitava Rainero de’ Grimaldi,
-consignore di Mentone, per mezzo di Giovanni Serra giureconsulto
-genovese, a tenersi fedele a lui, e correr sopra i seguaci
-del suo competitore, facendogli dono di quanto avesse sorpreso,
-eccetto reliquie, libri, vasi, gioje o altro appartenenti alla camera
-apostolica. Dicesi ch’ei v’ascoltasse, e molta preda facesse sovra
-prelati aderenti a Clemente VII; e che fra il resto trovasse la
-verga di Mosè e altre sacre reliquie, ch’ei restituì a Urbano.
-<span class="smcap">Gioffredo</span>, <i>St. delle Alpi Marittime</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 869.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note70">
-<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>.&#160;&#160;</span>Sant’Antonino di Firenze dice: — Benchè siam tenuti a
-credere che, come una sola Chiesa, così v’ha un solo pastore,
-però, qualora accada scisma, non pare necessario il credere che
-l’eletto canonicamente sia piuttosto l’uno che l’altro: basta
-sapere che un solo potè esserlo, senza arrogarsene la decisione».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note71">
-<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>.&#160;&#160;</span>Gian Galeazzo domandò che il giubileo potesse acquistarsi
-da’ suoi sudditi senza andare a Roma, ma visitando
-quattro basiliche di Milano. Con ciò voleva ed evitare i pericoli
-causati dalla guerra coi Fiorentini, e tener in paese il denaro, e
-fare che le obbligazioni fruttassero per la fabbrica del duomo.
-Bonifazio IX gli assentì la supplica, e il Corio dice che «se anche
-non fosse contrito nè confesso, fosse assoluto da ogni peccato in
-questa città dimorando dieci giorni continui». Menzogna, poichè
-la bolla data il 12 febbrajo 1391 vuole che sieno <i>vere pœnitentes
-et confessi</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note72">
-<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>.&#160;&#160;</span>Così il dipinge l’anonimo romano. Antonio Flaminio forocorneliense
-dice che aveano veste bianca, sopra cui una cerulea
-tirante al nero, una croce bianca, e una rossa di panno; a sinistra
-la colomba coll’ulivo, in fronte il tau, in mano bastone
-senza puntale a modo dei pellegrini; e funi con sette nodi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note73">
-<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>.&#160;&#160;</span>Su quelli di Firenze abbiamo un capitolo di Franco Sacchetti.
-Nei <i>Ricordi storici</i> del Rinuccini, al luglio e agosto 1399
-leggo: «Di verso Piemonte venendo, per tutta Lombardia e per
-Toscana e quasi per tutta Italia uomini e donne in grandissima
-quantità, grandi e piccoli e fanciulli, si vestirono di pannilini
-bianchi sopra gli altri vestimenti, con croce rossa in capo e nel
-petto, e andavano scalzi con grande divozione e grandissime
-discipline e digiuni senza mangiare carne, col crocifisso innanzi
-della loro parrocchia a grandissime brigate. Tutti i popoli andavano
-gridando in voci di laudi in versi, così in grammatica come
-in vulgare, <i>Misericordia e pace al nostro Signore e a nostra
-Donna</i>, per lo spazio di nove giorni continovi, senza mai dormire
-in letto, andando quegli da Firenze a Arezzo e a Cortona e per
-molte altre terre; e così le altre terre veniano a Firenze, e così
-intervenne per tutta Italia. È mirabil cosa che per detto viaggio
-non facevano danno a nessuno di frutti nè di niuna altra cosa,
-che tutti comperavano, e molte paci e accordi tra molte signorie,
-ed eziandio paci di morte d’uomini tra private persone si feciono:
-cosa mirabile fu per certo e degna di perpetua memoria,
-e fu annunziazione della moria che venne, e fu detto quell’anno
-l’anno dei Bianchi».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note74">
-<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>.&#160;&#160;</span><i>Chron. patav.</i> ad an. 1399; ap. <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq. M. Æ.</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note75">
-<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>.&#160;&#160;</span>Gregorio XI nel 1372 ordina <i>inquisitoribus, ut faciant
-comburi quosdam libros sermonum haereticorum, pro majori
-parte in vulgari scriptos</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note76">
-<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Raynaldi</span> al 1375, <span class="smcap lowercase">II</span>. 26.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note77">
-<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>.&#160;&#160;</span>Enea Silvio descrive a lungo quella di Giovanni de Merlo
-spagnuolo con Erminio di Ramstein tedesco, per un colpo di
-lancia, tre di scure, quaranta di spada.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note78">
-<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>.&#160;&#160;</span><i>Articulos omnia peccata mortalia, nec non infinita, abominabilia
-continentes</i>. <span class="smcap">Teodorico da Niem</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note79">
-<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>.&#160;&#160;</span>Alquanti anni di poi si riscattò, e fu posto cardinale di
-Frascati. Il suo sepolcro nel battistero di Firenze è opera di
-Donatello.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note80">
-<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>.&#160;&#160;</span>Nel concilio di Costanza seguì un rumore fra l’arcivescovo
-di Milano e quello di Pisa, e dalle parole ne vennero alle
-mani, volendosi strangolare l’un l’altro perchè non avevano
-armi. Onde molti si gittarono giù per le finestre del concilio.
-<span class="smcap">Sanuto</span> in <i>T. Mocenigo</i>. A quel concilio figurò grandemente
-il b. Enrico Scarampo de’ signori di Cortemiglia, vescovo di
-Acqui, poi di Feltre e Belluno 1404-1440, deputato anche al
-processo di Huss.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note81">
-<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>.&#160;&#160;</span>Così è generalmente asserito; pure si ha una lettera di
-Huss che dice: <i>Exeo</i> (da Praga) <i>sine salvoconductu</i>; Ap. <span class="smcap">Rohrbacher</span>,
-Hist. eccles., tom. <span class="smcap lowercase">XXI</span>. p. 191.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note82">
-<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Enea Silvio</span>, <i>Oratio de morte Eugenii papæ</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note83">
-<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>.&#160;&#160;</span>Sono parole di Enea Silvio, <i>Comment.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span> princ. — Il
-Poggio ne sparla sbrigliatamente.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note84">
-<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">K. Walchner</span>, <i>Politische Geschichte der grossen Kirchensynode
-zu Florenz</i>. 1825.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">I. Lenfant</span>, <i>Histoire du concile de Constance</i>. 1727.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note85">
-<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>.&#160;&#160;</span>«Vennero il pontefice con tutta la corte di Roma, e
-collo imperatore de’ Greci e tutti i vescovi e prelati latini, in
-Santa Maria del Fiore, dove era fatto un degno apparato, ed
-ordinato il modo ch’avevano a istare a sedere i prelati dell’una
-chiesa e dell’altra. Istava il papa dal luogo dove si diceva il
-Vangelo, e’ cardinali e prelati della chiesa romana; dall’altro
-lato istava lo ’mperatore di Costantinopoli con tutti i vescovi e
-arcivescovi greci: il papa era parato in pontificale, e tutti i
-cardinali co’ piviali, e i vescovi cardinali colle mitere di damaschino
-bianco, e tutti i vescovi così greci come latini co’ piviali,
-i greci con abiti di seta al modo greco molto ricchi; e la maniera
-degli abiti greci pareva assai più grave e più degna che quella
-de’ prelati latini... Il luogo dello ’mperadore era in questa solennità
-dove si canta la Epistola all’altare maggiore; ed in quello
-medesimo luogo, com’è detto, erano tutti i prelati greci. Era
-concorso tutto il mondo in Firenze per vedere quell’atto sì
-degno. Era una sedia al dirimpetto a quella del papa dall’altro
-lato, ornata di drappo di seta, e lo ’mperadore con una veste
-alla greca di broccato damaschino molto ricca con uno cappelletto
-alla greca, che v’era in sulla punta una bellissima gioja: era
-uno bellissimo uomo, colla barba al modo greco. E d’intorno alla
-sedia sua erano molti gentili uomini che aveva in sua compagnia,
-vestiti pure alla greca molto riccamente, sendo gli abiti
-loro pieni di gravità, così quegli de’ prelati, come de’ seculari.
-Mirabile cosa era a vedere ben molte degne cerimonie, e i vangeli
-che si dicevano in tutte e due le lingue greca e latina,
-come si usa la notte di Pasqua di Natale in corte di Roma. Non
-passerò che io non dica qui una singulare loda de’ Greci. I Greci,
-in anni millecinquecento o più, non hanno mai mutato abito:
-quello medesimo abito avevano in quello tempo, ch’eglino avevano
-avuto nel tempo detto; come si vede ancora in Grecia nel
-luogo che si chiama i campi Filippi, dove sono molte storie di
-marmo, dentrovi uomini vestiti alla greca nel modo che erano
-allora». <span class="smcap">Vespasiano Fiorentino</span>, <i>Vita di Eugenio IV.</i>
-</p>
-
-<p>
-Il decreto d’unione incomincia: Eugenio ecc. <i>Consentiente carissimo
-filio nostro Johanne Paleologo Romanorum imperatore
-illustri et... orientalem ecclesiam representantibus. Letentur celi
-et exultet terra: sublatus est enim de medio paries qui occidentalem
-orientalemque dividebat Ecclesiam, et pax atque concordia
-rediit; illo angulari lapide Christo, qui fuit utraque unum vinculo
-fortissimo caritatis et pacis utrumque jungente parietem; et
-perpetue unitatis federe copulante ac continente; postque longam
-meroris nebulam, et dissidii diuturni atram ingratamque caliginem,
-serenum omnibus unionis optate jubar illuxit. Gaudeat
-et mater Ecclesia, qui filios suos hactenus invicem dissidentes
-jam videt in unitatem pacemque rediisse: et que antea in eorum
-separatione amarissime flebat, ex ipsorum modo mira concordia
-cum ineffabili gaudio omnipotenti Deo gratias referat. Cuncti
-gratulentur fideles ubique per orbem, et qui christiano censentur
-nomine, matri catholice Ecclesie colletentur. Ecce enim occidentales
-orientalesque Patres, post longissimum dissensionis atque
-discordie tempus, se maris ac terre periculis exponentes, omnibusque
-superatis laboribus, ad hoc sacrum ycumenicum concilium
-desiderio sacratissime unionis, et antique caritatis reintegrande
-gratia, leti alacresque convenerunt, et intentione sua
-nequaquam frustrati sunt. Post longam enim laboriosamque
-indaginem, tandem Spiritus Sancti clementia ipsam optatissimam
-sanctissimamque unionem consecuti sunt. Quis igitur
-dignas omnipotentis Dei benificiis gratias referre sufficiat? quis
-tante divine miserationis divitias non obstupescat? cujus vel ferreum
-pectus tanta superne pietatis magnitudo non molliat?
-sunt ista prorsus divina opera, non humane fragilitatis inventa;
-atque ideo eximia cum veneratione suscipienda, et divinis laudibus
-prosequenda. Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio,
-Christe, fons misericordiarum, qui tantum boni sponse tue
-catholice Ecclesie contulisti, atque in generatione nostra tue
-pietatis miracula demonstrasti, ut enarrent omnes mirabilia
-tua. Magnum siquidem divinumque munus nobis Deus largitus
-est: oculisque vidimus quod ante nos multi, cum valde cupierint,
-adspicere nequiverunt. Convenientes enim Latini ac Greci in
-hac sacrosancta Synodo ycumenica, magno studio invicem usi
-sunt, ut inter alia etiam articulus ille de divina Spiritus Sancti
-processione summa cum diligentia et assidua inquisitione discuteretur...</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Item diffinimus sanctam apostolicam sedem, et romanum
-pontificem in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem
-romanum successorem esse beati Petri principis Apostolorum
-et verum Christi vicarium totiusque Ecclesie caput, et
-omnium christianorum patrem et doctorem existere; et ipsi
-in beato Petro pascendi, regendi, ac gubernandi universalem Ecclesiam
-a Domino nostro Jesu Christo plenam potestatem
-traditam esse; quemadmodum etiam in gestis ycumenicorum
-conciliorum, et in sacris canonibus continetur. Renovantes insuper
-ordinem traditum in canonibus ceterorum venerabilium Patriarcharum:
-ut Patriarcha constantinopotitanus secundus sit
-post sanctissimum romanum pontificem, tertius vero alexandrinus,
-quartus autem antiochenus, et quintus hierosolymitanus,
-salvis videlicet privilegiis omnibus et juribus eorum</i>.
-</p>
-
-<p>
-Vedasi <span class="smcap">Cecconi Eugenio</span>, <i>Studj storici sul concilio di Firenze
-con documenti inediti</i>. Firenze 1869.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note86">
-<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>.&#160;&#160;</span><i>Neque unquam Januenses dimittent hanc conventionem,
-vel facient contra eam, neque pro ecclesiastica excommunicatione,
-neque pro præcepto alicujus hominis coronati vel non coronati.</i>
-Vedi <i>Codinus</i>, <i>De officiis</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XIV</span>; <span class="smcap">Cantacuzeno</span>, <i>Hist</i>.,
-lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 12.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note87">
-<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>.&#160;&#160;</span>Dice il Sauli (<i>Della colonia di Galata</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 229) dietro Francesco
-Testa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note88">
-<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Foglietta</span>, <i>Hist. januensis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note89">
-<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>.&#160;&#160;</span>Dei capitani latini sette erano genovesi, Maurizio Cattaneo,
-Giovanni del Carretto, Paolo Bocchiardi, Giovanni de Fornari,
-Francesco de Salvatichi, Leonardo da Langosco, Lodisio Gattilussi.
-<span class="smcap">Leon. Chiensis</span>, pag. 95. Però il giornale dell’assedio di
-Costantinopoli di Nicolò Barbaro accagiona di tutti i tradimenti
-i Genovesi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note90">
-<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>.&#160;&#160;</span>La primitiva colonia di Greci Albanesi in Puglia si divise
-in tre. Una si stabilì presso il Gargàno, e v’ebbe i villaggi di
-Cannone, Greci, Ururi ed altri. Una si stanziò nella provincia
-d’Otranto, fondandovi Faggiano, Colonia imperiale; San Crispiero,
-Monteparano, San Marzano. Una in Melfi, formando il comune
-di Ciuciari. Mal visti dagli indigeni, si sparsero alle falde del
-Vulture, fondandovi Maschito e Barile, che contenevano cinquemila
-abitanti prima de’ tremuoti del 1851 e nella Basilicata,
-fondandovi popolazioni a Brindisi e San Ciriaco nuovo.
-</p>
-
-<p>
-In Sicilia ebbero quattro tribù, di cui le principali sono la
-Piana de’ Greci e Adriano Palazzo, simili a città.
-</p>
-
-<p>
-Nella Calabria meridionale posero i villaggi di Zangarona,
-Vena, Carafa, Andali, Marcedusa, San Nicolò dell’Alto, Carfito.
-Nella Calabria occidentale ebbero fin venticinque villaggi, tra
-cui Longro con cinquemila abitanti, Spezzano con tremila,
-San Donato, San Benedetto con duemila. Quivi allettavagli
-Irene Castriota pronipote dello Scanderbeg, che portò que’ vasti
-dominj a Pietrantonio Sanseverino principe di Bisignano.
-Alcuni piantaronsi nelle sterile falde dell’Appennino verso la
-Basilicata; e una sola colonia negli Abruzzi, fondando Abbadessa.
-Pagavano un canone ai feudatarj o al Governo, col che
-restavano immuni d’ogni altra gravezza, fin alla conquista napoleonica.
-Cessato dall’armi e datisi all’agricoltura, preferivano
-i luoghi alti e vistosi e abbondanti d’acque: e poichè impedivasi
-di ingrossare in città, teneano i villaggi vicini, per soccorrersi
-facilmente fra popolazioni che li disamavano. Le varie famiglie
-conservansi in casali distinti; come i Bafa a Santa Sofia, gli
-Scura e Toci in Vacarizzo, i Busa in San Giorgio, i Toci e gli
-Strigarò in San Cosma, gli Stratigò, i Demarco, i Samangò in
-Lungro. E Lungro, paese sì grosso, conserva puro il dialetto
-antico, mentre occorrono interpreti per farsi intendere dalle
-terre confinanti: locchè avviene dappertutto. Molti si educano,
-e acquistarono nome principalmente come legali, professori e
-vescovi: e il collegio italo-greco è dovuto a Samuele Rodotà
-di San Benedetto, primo vescovo della Chiesa greca in Calabria.
-</p>
-
-<p>
-Oggi si hanno 89,000 Albanesi e 1800 Greci nel regno, con
-una colonia nella Corsica; oltre i molti che servono nei porti di
-Venezia, Trieste e Livorno.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note91">
-<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>.&#160;&#160;</span>Anna Paleologo, vedova dell’ultimo imperatore di Costantinopoli,
-sfuggita allo sterminio della patria, approdò con molti
-signori greci nella maremma toscana, e chiese a Siena il diroccato
-castello di Montacuto col suo distretto, promettendo rifabbricarlo
-fra cinque anni e starvi con almeno cento famiglie. Si
-pattuì dunque che il nuovo castello e ’l distretto s’intendessero
-del comune di Siena, il quale custodisce la rôcca, eccetto una
-porta, per la quale l’imperatrice potesse ad un bisogno rifuggirvi;
-questa e i suoi giurerebbero fedeltà alla Repubblica senese,
-e alla cattedrale offrirebbero ogn’anno un cero di otto libbre, e
-per dieci anni un tributo di cinque lire alla camera di Bicherna;
-il seguito di lei potesse levare in Orbitello il sale per proprio
-uso, a soldi dieci lo stajo: le si concedevano due bandite, una da
-ridurre a vigneti, l’altra per pascoli, bastante almeno a cento
-paja di bovi. Ella nominerebbe due uffiziali greci che per trent’anni
-renderebbero ragione a quella colonia nel civile e nel
-criminale secondo le leggi degli imperatori greci, solo nelle pene
-uniformandosi agli statuti di Siena, come pure nei pesi e nelle
-misure. Avrebbero per tutto il contado esenzione di gabelle; e
-se alcuno abbandonasse il suo domicilio dì Montacuto, la Repubblica
-li rifarebbe delle spese di fabbrica e degli utensili che vi
-lasciasse. La cosa fu approvata il 28 aprile 1474; ma la carta
-che riferisce questo fatto, taciuto dagli storici e inquinato da
-altri dubbj, non dice per quali cagioni non ebbe seguito una
-combinazione che avrebbe risanato que’ deserti paludigni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note92">
-<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>.&#160;&#160;</span>La prima, di Menze, stampata a Venezia il 1500; il secondo,
-dal ragioniere Gottugli, pure pubblicato in Venezia.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note93">
-<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>.&#160;&#160;</span>Nelle missioni in Germania, in Baviera, in Ungheria gli
-era stato compagno, per destinazione dei papi, san Giacomo di
-Montebrandone nella Marca, acclamatissimo per miracoli, austera
-vita e conversioni. All’impresa di Belgrado andò pure
-Luigi Scarampa, patriarca di Aquileja e commendatario di
-Montecassino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note94">
-<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>.&#160;&#160;</span>All’invito del papa, il doge parlò nel gran consiglio: — Signori.
-No se move foglia d’albero senza ’l voler de Dio. Considerè
-che, se questo Stato è vegnudo a tanta grandezza, questo
-è processo per volontà de Dio, più che per nostro senno e
-per le nostre forze. Chi crede che le cose contra ’l Turco fosse
-passade sì ben, se non fosse concorso la volontà de Dio? Voltemo
-la mente a Dio e alla so Madre, e ringraziamola dei benefizj
-che la ne fa ogni zorno; e sforzemose de far quello che la
-ne comanda, e posponemo li odj e la invidia. Se faremo così,
-Dio prospererà questo Stato da ben in meglio. Sora ’l tutto, no
-se partimo dalle elemosine, dalle orazion e dal far giustizia. El
-Cardinal Niceno ne ha presentà ona bolla del papa, che è stà
-letta a l’eccellenze vostre; la Signoria e i savj de colegio ne ha
-domandà l’anemo nostro su quello che ’l papa ne scrive. Avemo
-resposto, che dependemo dal voler della signoria vostra. Ve preghemo
-che considerè qual è ’l meglio della terra. Fè orazion,
-elemosine, lassè da banda le passion, e deliberè ’l vostro ben.
-Priego la bontà de Die umelment, perchè <i>humilitas vincit
-omnia</i>, che ne inspira a deliberar quel che è onor so e servizio
-vostro».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note95">
-<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>.&#160;&#160;</span>Enea Silvio era stato per alcun tempo vescovo di Trieste;
-onde il dottor Rossetti di questa città raccolse quanto potè di
-scritti e memorie di quel pontefice, e ne fece dono alla pubblica
-biblioteca.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note96">
-<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>.&#160;&#160;</span>Ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>, al 1471, § 9.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note97">
-<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>.&#160;&#160;</span>Sabellico, <i>Dec</i>. <span class="smcap lowercase">III</span>. l. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note98">
-<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>.&#160;&#160;</span>«Tutto ciò che di male è stato nella benedetta Firenze,
-da nulla cosa è proceduto se non dal volere gli ufficj, e poi avuti,
-ciascuno volerli per sè tutti e cacciarne il compagno..... Sotto
-colori di guelfi e ghibellini, si sono ammoniti gli uomini non ad
-altro fine che per avere per sè gli ufficj: e per questo fu trovato
-l’ammonire ed il confinare e il porre a sedere e il divieto degli
-ufficj: e per ogni uomo che ha guadagnato d’ufficj, mille n’hanno
-perduto, senza l’anima e le inimicizie che per l’ufficio e nell’ufficio
-sono acquistate... E quand’uno s’è trovato ne’ luoghi, non
-ha pensato se non come disfare chi a diritto o a torto sentenza
-contro lui ha renduta... Tutti i discendenti s’accozzavano di
-voler essere capitano di parte per ammonire; e quando erano
-in ufficio, i capitani si ristringeano insieme, e diceano uno all’altro:
-<i>Non ha’ tu alcuno nemico, a cui tu vogli far noja?</i> e
-così raccozzati, ciascuno mettea il suo o i suoi, e poi a una fava
-faceano il partito, e il guelfo come il ghibellino era ammonito».
-Questi lamenti del buon Coppo Stefani (<i>Rubrica</i> 923) s’attagliano
-ad altri tirannelli del tempo nostro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note99">
-<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>.&#160;&#160;</span>Simbolo di questa varietà è il Palazzo vecchio, sotto i
-cui sporti merlati sono gli stemmi della repubblica e de’ sestieri;
-cioè, pe’ Ghibellini il giglio bianco in campo rosso, o piuttosto
-il giaggiòlo o <i>ireos</i>, il quale co’ suoi fiori incorona le mura di
-Firenze; pe’ Guelfi il giglio rosso in campo bianco; la croce
-rossa in campo bianco, adottata per la riforma di Giano della
-Bella; le chiavi d’oro incrociate su campo turchino, con cui la
-parte guelfa attestò la sua devozione a santa Chiesa. I sestieri
-ebbero per insegna, quello d’Oltrarno il ponte, San Pier Scheraggio
-il carroccio, Borgo Santi Apostoli l’ariete, San Pancrazio
-una branca di leone, porta del Duomo il duomo, San Piero le
-chiavi. Nei vani degli sporti della torre del Palazzo vecchio sono
-dipinti gli stemmi de’ quartieri; cioè, Oltrarno, colomba bianca
-con raggi d’oro; Santa Croce, croce d’oro; Santo Maria Novella,
-sole a raggi d’oro; San Giovanni, tempio ottagono; tutti in
-campo azzurro.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note100">
-<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>.&#160;&#160;</span>Il famoso canonista ed erudito Lapo da Castiglionchio ebbe
-saccheggiata la casa in Firenze, donde riuscì a fuggire travestito
-da frate. Allora «fu mandato a confine a Barzellona; e
-chi l’uccidesse fuori di Barzellona, avesse dal Comune di Firenze
-fiorini mille d’oro; e chi ’l menasse preso, possa trarre di
-bando uno sbandito cui e’ vorrà, o rubello ch’egli vorrà nominare».
-(ap. <span class="smcap">Mehus</span>). Egli si fermò a Padova, dov’ebbe una cattedra
-di diritto ecclesiastico. Di lui si hanno a stampa le <i>Allegazioni</i>
-(Firenze 1568), e un’epistola sulla nobiltà, e se sia più utile
-nascer nobile o plebeo (Bologna 1753). Continuò a mestare nelle
-cose della patria, ed anche i suoi figli; mal per loro, che n’ebbero
-punizioni severissime. Vedi <span class="smcap">Ammirato</span>, <i>Storie fiorentine</i>,
-al 1391.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note101">
-<p><span class="label"><a href="#tag101">101</a>.&#160;&#160;</span>Sono parole degli storici; pure consta dai registri che nel
-1366 egli era podestà a Mantigno nel podere degli Ubaldini, e
-nel 77 a Firenzuola.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note102">
-<p><span class="label"><a href="#tag102">102</a>.&#160;&#160;</span>«Quest’operazione (dell’escludere le due arti nuove) fu
-giustissima, giacchè in quell’ordine di persone non si poteano
-trovare, se non per un caso singolare, persone atte al governo:
-mancanti di educazione e di lumi, non si conciliavano con alcun
-mezzo la stima del pubblico, ond’era stato un grand’errore
-creare due nuove arti della più vile canaglia, e parificarle alle
-altre negli onori». <span class="smcap">Ammirato</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>. Eccede, poichè le due
-arti erano state create appunto per cernire dalla <i>canaglia</i> quelli
-che per virtù e senno meritavano di non restar esclusi dalle
-magistrature.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note103">
-<p><span class="label"><a href="#tag103">103</a>.&#160;&#160;</span>È narrato che il vescovo Tarlati d’Arezzo incaricò Buonamico
-Buffalmacco di dipingere un’aquila viva addosso a un leon
-morto, volendo inferire la superiorità de’ Ghibellini sopra Firenze.
-Buffalmacco fecesi fare un chiuso d’assi e tende, e dipinse
-tutto il contrario, il leone soprastante all’aquila; poi fingendo
-andare per colori, non tornò più. Apertosi e trovata la burla, il
-vescovo a smaniarne e bandirlo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note104">
-<p><span class="label"><a href="#tag104">104</a>.&#160;&#160;</span>Quando i Fiorentini tolsero i castelli degli Ubaldini, Franco
-Sacchetti applaudì con una canzone rimasta inedita fin al 1853:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Fiorenza mia, poi che disfatti hai</p>
-<p class="i02"> Le cerbïatte corna (<i>loro stemma</i>)</p>
-<p class="i02"> Della superba e crudele famiglia,</p>
-<p class="i02"> Festa dèi far più che facessi mai...</p>
-<p class="i02"> Però che molti fur, tardi o per tempo,</p>
-<p class="i02"> Rubati a questi passi,</p>
-<p class="i02"> Ed ancor morti antichi di ciascuno,</p>
-<p class="i02"> Chè non si taglia bosco, selva o pruno</p>
-<p class="i02"> Che non v’abbia cataste</p>
-<p class="i02"> Di teste e membra guaste...</p>
-<p class="i02"> Ed Alemagna sola</p>
-<p class="i02"> Più ch’altri dee goder di lor ruina,</p>
-<p class="i02"> Perchè gli suo’ romei sentian rapina...</p>
-<p class="i02"> Così Inghilesi, Fiamminghi e Franceschi...</p>
-<p class="i01">Meglio è che vinto aver la Santa Terra</p>
-<p class="i02"> Aver vinto costoro</p>
-<p class="i02"> Tra cui viandanti convenian passare...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Dello stesso è pure una canzone contra il duca di Milano, ove
-dettogliene a gola, conchiude:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">A tutti quei che voglion giusta fama</p>
-<p class="i02"> E tengon libertà, ch’è tanto cara</p>
-<p class="i02"> Come sa chi per lei vita rifiuta,</p>
-<p class="i02"> Canzon, non istar muta,</p>
-<p class="i02"> Che se tal biscia ora non si disface,</p>
-<p class="i02"> Non pensi Italia mai posar in pace.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note105">
-<p><span class="label"><a href="#tag105">105</a>.&#160;&#160;</span>Alla qual peste si riferisce il caso di Ginevra degli Almieri.
-Sposa da pochi mesi, ella morì e fu sepolta, ma rinvenne e uscì
-dalla tomba: andò dal marito, andò dai parenti, e nessuno la
-volle ricevere, credendola l’ombra di lei che domandasse suffragi;
-ond’ella ricoverò da Antonio Rondinelli che l’aveva amata, e
-che la ricevè e risanata sposò. Scopertosi il caso, la curia vescovile
-dichiarò che, essendo ella stata abbandonata per morta,
-il primo matrimonio era sciolto, teneva il secondo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note106">
-<p><span class="label"><a href="#tag106">106</a>.&#160;&#160;</span>L’Ammirato, il quale condanna i Pisani, deplora che
-«Pisa s’andava tuttodì vuotando dei proprj cittadini, non soffrendo
-il loro altiero animo, non ostanti tanti benefizj, di star
-sudditi a’ Fiorentini». Ci sono descritti dallo stesso Gino Capponi
-il tumulto de’ Ciompi, e l’acquisto di Lucca, che pajonmi
-delle più belle e nobili storie di nostra favella. Nell’archivio
-secreto Mediceo sta una lettera 14 gennajo 1431 dei dieci di
-balìa al commissario di Pisa, ove conchiusero: «Qui si tiene
-per tutti, che ’l principale e più vivo modo che dare si possa
-alla sicurtà di cotesta città, sia di vuotarla di cittadini pisani; e
-noi n’abbiamo tante volte scritto costì al capitano del popolo,
-che ne siamo stanchi; e rispondeci ora l’ultimo, essere impedito
-dalla gente dell’arme, e non avere il favore del capitano (Cotignola).
-Vogliamo che tu ne sia con lui, ed intenda bene ogni
-cosa, e diate modo <i>con usare ogni crudeltà ed asprezza</i>. Abbiamo
-fede in te, e confortiamti a darvi esecuzione prestissima, che
-cosa più grata a tutto questo popolo non si potrebbe fare»
-</p>
-
-<p>
-Negli scrittori pisani recenti sono a vedere le incolpazioni
-atroci date al governo di Firenze, sin d’avere per decreto peggiorato
-l’aria di Pisa onde disabitarla.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note107">
-<p><span class="label"><a href="#tag107">107</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Targioni</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 221.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note108">
-<p><span class="label"><a href="#tag108">108</a>.&#160;&#160;</span>Non è superfluo mostrare i patti con cui il Comune di
-Lucca si diede a Carlo di Boemia nel 1333. Esso manderebbe
-un buon vicario, assegnandogli un salario fisso, di là del quale
-non possa nulla pretendere per sè o sua famiglia, cavalli ed uffiziali
-suoi; de’ quali pure sia prefisso il numero. Il salario è
-fissato in quattromila fiorini d’oro, dei quali deve stipendiare
-due giudici rinomati, tre buoni compagni, dodici donzelli, sedici
-ragazzi, un cuoco e due guatteri, venti cavalli. Esso vicario
-osservi le leggi e gli statuti di Lucca, e solo per furto, omicidio,
-falso incendio, tradimento possa far mettere alla tortura; non
-introduca prestiti o imposte o mutui o dazj, nè gli accresca; non
-possa fare spesa alcuna se non col consenso degli anziani, nè
-cominciar guerra; le cause civili e criminali si giudichino dalle
-solite curie, senza ch’egli vi s’intrometta. Gl’impieghi si diano
-al modo antico e a soli cittadini. Egli prepari pedoni e cavalli
-stipendiarj, ma che contrattino col Comune: le rendite di questo
-vadano nella cassa civica. Possa il vicario assistere al consiglio
-degli anziani; ma ciò che ottiene sette voti, si ritenga stabilito.
-Il re non voglia dare la città a chi altri si sia. <i>Docum. per servire
-afta storia di Lucca</i>, I. 278.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note109">
-<p><span class="label"><a href="#tag109">109</a>.&#160;&#160;</span>Morto Lionello duca di Modena nel 1440, Lucca occupò
-alcune terre della Garfagnana: Borso la respinse, anzi le tolse
-alcuni paesi: poi per interposizione di Firenze e ad arbitramento
-di Nicola V nel 1451 quelle rimasero al ducato, che ne formò la
-vicarìa di Frassalico, levando l’intralciatissima spartizione della
-Garfagnana bassa.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note110">
-<p><span class="label"><a href="#tag110">110</a>.&#160;&#160;</span>Il discorso è riferito da Giovan Cavalcanti, di poco posteriore.
-Rousseau ebbe l’idea di scrivere la storia di Cosmo de’
-Medici. «Era (diceva a Bernardino Saint-Pierre) un semplice
-privato, che divenne sovrano de’ suoi concittadini col renderli
-più felici; non si elevò e non si mantenne che per mezzo dei
-benefizj».
-</p>
-
-<p>
-Esiste il catalogo delle preziosità appartenenti a Pietro de’ Medici
-nel 1464, che in medaglie, anelli, cammei, suggelli, tavole
-antiche di pietra o di metalli, sono stimati fiorini d’oro duemila
-seicentoventiquattro; i vasi preziosi e altre cose di valuta, ottomila
-centodieci; varie gioje, diciassettemila seicentottantanove;
-oltre gli argenti. <i>Appendice alla vita di Lorenzo il Magnifico</i>
-del <span class="smcap">Roscoe</span>. Esso Lorenzo nei <i>Ricordi</i> scrive: — Gran somma di
-denari trovo abbiamo speso dall’anno 1434 in qua, come appare
-per un quadernuccio in-quarto da detto anno fin a tutto il 1471:
-si vede somma incredibile, perchè ascende a fiorini seicentosessantatremila
-settecencinquantacinque, tra muraglie, limosine
-e gravezze, senza l’altre spese; di che non voglio dolermi, perchè,
-quantunque molti giudicassero averne una parte in borsa,
-io giudico essere gran lume allo Stato nostro, e pajonmi ben
-collocati, e ne sono molto ben contento».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note111">
-<p><span class="label"><a href="#tag111">111</a>.&#160;&#160;</span>Giovanni di ser Cambi reca la lista delle case grandi
-fiorentine al 1494 e assegna agli Altoviti sessantasei uomini,
-sessanta ai Rucellaj, cinquantatrè agli Strozzi, sessantacinque
-agli Albizzi, trentacinque ai Ridolfi, e così ai Capponi, ventisei
-ai Cavalcanti, e via là. Tra le antiche famiglie vanno ricordati
-i Bardi, che spesso ebbero nimistà coi Frescobaldi, massime
-nel 1340, allorchè li calmò il venerabile vecchione Matteo dei
-Marradi podestà. Cacciato il duca d’Atene, anche i Bardi furono
-espulsi a furor di popolo e bruciate ventidue loro case. Dianora
-de’ Bardi fu amata da Ippolito de’ Buondelmonti; ma, attesa
-l’inimicizia delle due famiglie, non potè che sposarla in segreto.
-Andava da lei la notte per una scala a corda; nel qual atto sorpreso
-dal bargello, fu arrestato per ladro, ed egli, anzichè mettere
-a repentaglio l’onore della fanciulla, lasciasi condannare
-a morte. Sol chiese che, nel condurlo al supplizio, si passasse
-davanti la casa de’ Bardi, volendo, diceva, in quell’estremo
-punto riconciliarsi colla famiglia sempre odiata. Ma ecco Dianora
-sbucarne scarmigliata, confessando: — Egli è mio sposo, e
-unica colpa di lui l’esser venuto a trovarmi». Si sospende il
-supplizio, si ripiglia la causa davanti al podestà, ove perorando
-Dianora stessa, facilmente si convinsero giudici e popolo, e si
-finì colle nozze pubbliche de’ due amanti e la pace fra le loro
-famiglie.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note112">
-<p><span class="label"><a href="#tag112">112</a>.&#160;&#160;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Cerchi chi vuol le pompe e gli alti onori,</p>
-<p class="i01">Le piazze, i templi e gli edifizj magni,</p>
-<p class="i01">Le delizie, i tesor, <i>qual accompagni</i></p>
-<p class="i01">Mille duri pensier, mille dolori.</p>
-<p class="i02"> Un verde praticel pien di bei fiori,</p>
-<p class="i01">Un rivolo che l’erba intorno bagni,</p>
-<p class="i01">Un augelletto che d’amor si lagni,</p>
-<p class="i01">Acqueta molto meglio i nostri ardori;</p>
-<p class="i02"> L’ombrose selve, i sassi e gli alti monti,</p>
-<p class="i01">Gli antri oscuri e le belve fuggitive,</p>
-<p class="i01">Qualche leggiadra ninfa paurosa.</p>
-<p class="i02"> Quivi vegg’io con pensier vaghi e pronti</p>
-<p class="i01">Le belle luci come fosser vive;</p>
-<p class="i01">Là me le toglie or questa or quella cosa.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note113">
-<p><span class="label"><a href="#tag113">113</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Schroeck</span>, <i>Allgem. Geschichte</i>, vol. <span class="smcap lowercase">XXXII</span>, p. 90.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note114">
-<p><span class="label"><a href="#tag114">114</a>.&#160;&#160;</span>«Nel 1424 fu ucciso Braccio de Montone;... e per questa
-cagione ne fu fatto gran festa e letitia in Roma de fuochi e de
-ballare; et ogni Romano giva con la torcia a cavallo ad accompagnare
-M. Jordano Colonna fratello di papa Martino, perchè
-era morto l’inimico del papa; e morti che furono questi, rimase
-papa Martino senz’alcun altro impaccio, e mantenea nel suo
-tempo pace e divitia, e venne lo grano a soldi quaranta lo
-rubbio». <span class="smcap">Infessura</span>, <i>Diario</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note115">
-<p><span class="label"><a href="#tag115">115</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Vespasiano</span>, <i>Comment</i>., p. 279.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note116">
-<p><span class="label"><a href="#tag116">116</a>.&#160;&#160;</span>Et a dì 19 de jennaro de martedì, fu impiccato uno Stefano
-Porcaro in castello, in quello torrione che sta quando vai in là
-a mano destra; e viddelo io vestito di nero, in gipetto e calze
-nere. Se perdette quell’huomo da bene et amatore dello bene
-e libertà di Roma, lo quale, perchè si vide senza cascione esser
-stato sbannito da Roma, volse, per liberar la patria soa da servitute,
-metter la vita sua, come fece lo corpo suo... Et in quel
-dì furono impiccati nelle forche di Campitolio senza confessione e
-comunione gl’infrascritti... Item con essi fu impiccato Sao e molti
-altri... Et in quel tempo furono ancora pigliati Mr Joanni... Adì
-28 gennajo fu impiccato Francesco Gabadio et uno dottore,
-perchè accompagnarono Mr Stefano Porcari, e dissesi che avevano
-notitia dello detto trattato. E dopo andò uno bando, che
-chi sapesse dove sta... lo dovessino rivelare, e guadagnavano
-mille ducati, e chi li dava morti cinquecento. E lo papa fece cercare
-per tutta Italia per questi delinquenti... furon pigliati chi
-a Padua, chi in Venetia... et a molti fu tagliata la testa alla
-città di Castello. A dì 30 di jennaro fu impiccato Battista de
-Persona ». <span class="smcap">Infessura</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note117">
-<p><span class="label"><a href="#tag117">117</a>.&#160;&#160;</span>Delle lettere tengo l’edizione preziosa, fatta in Milano per
-maestro Ulderico Scinzenzeler il 1496. In queste è la troppo
-famosa storia degli amori della Lucrezia senese con Eurialo
-tedesco al seguito dell’imperatore Sigismondo, dipinti coi colori
-del Boccaccio. Delle altre lettere, molte illustrano assai i tempi.
-<i>Æneæ Silvii Piccolominei senensis, qui post adeptum pontificatum
-Pius, ejus nominis secundus, appellatus est, opera quæ
-extant omnia</i>. Basilea 1551. Opere capitali sono: <i>De gestis concilii
-Basiliensis commentarium; De ortu et historia Bohemorum;
-Europa, in qua sui temporis varias historias cumplectitur</i>.
-Scrive bene, quantunque con troppa frequenza di frasi o d’emistichi.
-Nella prefazione al Concilio di Basilea dice: — Non so
-quale sciagura o qual destino mi spinga così, che non valgo a
-distrarmi dalla storia, nè il tempo più utilmente consumare.
-Soventi mi proposi togliermi a questi allettamenti de’ poeti ed
-oratori, ed altro esercizio seguire, donde cavar alcuna cosa che
-mi renda men grave la vecchiezza, per non dover vivere alla
-giornata come gli uccelli e le fiere. Nè studj mancavano, nei
-quali se avessi voluto concentrar le forze, avrei potuto e danari
-e amici procacciare. Nè a ciò mi persuadeva da me solo, ma
-m’erano intorno gli amici, dicendomi di continuo: <i>Orsù, che fai
-Enea? Ti occuperà la letteratura finchè campi? A quest’età non ti
-vergogni di non aver poderi, non danaro? Non sai che a vent’anni
-bisogna esser grande, a trenta prudente, a quaranta ricco,
-e chi passa questi confini indarno poi s’affatica?</i> Mi consigliavano
-dunque che, instando già il quarantesimo anno, cercassi
-posseder qualche cosa, prima che quello entrasse. Spesso vi posi
-mano, e promisi fare secondo il consiglio; buttai via i libri oratorj,
-buttai le storie e tutte siffatte letture, nemiche alla mia
-salute. Ma come certi volanti non sanno fuggire il fuoco della
-candela finchè non v’abbrucino l’ali, così io torno al mio male,
-dov’è forza ch’io pera; nè, a quanto vedo, altri che la morte non
-mi torrà questo studio. Ma giacchè il destino mi trascina, nè
-quel che voglio posso, bisogna congiungere la volontà al potere.
-Mi si rinfaccia la povertà; ma e povero e ricco devono vivere fin
-alla morte. Se è misera la povertà ai vecchi, è miserrima agli
-illetterati. Aver corpo sano e integra mente è dato al povero
-non men che al ricco; se questo ottengo, null’altro chiedo. Goder
-quello che ho in buona salute mi conceda Dio, e prego di poter
-condurre una vecchiaja con mente sana e non indecorosa nè
-senza cetra. E giacchè così sta fitto nell’animo, torniamo ai
-commentarj nostri».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note118">
-<p><span class="label"><a href="#tag118">118</a>.&#160;&#160;</span>La distinzione stessa faceva in quel suo motto famoso:
-<i>Quand’ero Enea, nessun mi conoscea; or che son Pio, ciascun mi
-chiama zio</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note119">
-<p><span class="label"><a href="#tag119">119</a>.&#160;&#160;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Il nome che d’apostolo ti denno</p>
-<p class="i02"> O d’alcun minor santo i padri, quando</p>
-<p class="i02"> Cristiano d’acqua, non d’altro ti fenno,</p>
-<p class="i01">In Cosmico, in Pomponio vai mutando;</p>
-<p class="i02"> Altri Pietro in Pierio, altri Giovanni</p>
-<p class="i02"> In Jano e in Giovian van racconciando</p>
-<p class="i09"> <span class="smcap">Ariosto</span>, <i>Satira</i> <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note120">
-<p><span class="label"><a href="#tag120">120</a>.&#160;&#160;</span>È caratteristico l’elogio che gli fa Gaspare Veronese:
-<i>Novi ego quod suorum codicum largissimus semper fuit, alienorum
-vero verecundissimus postulator, nec non suorum aliis
-commodatorum lentissimus repetitor</i>. Ap. <span class="smcap">Marini</span>, <i>Degli archiatri
-pontifizj</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 179.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note121">
-<p><span class="label"><a href="#tag121">121</a>.&#160;&#160;</span><i>Cronaca di Gubbio</i>, Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XXI</span>. f. 994.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note122">
-<p><span class="label"><a href="#tag122">122</a>.&#160;&#160;</span>Che ciò fosse con intelligenza di Francesco Sforza suo
-suocero è asserito da Machiavelli e da quasi tutti i contemporanei,
-i quali diceano averlo lo Sforza menato alla beccheria, e
-Ferdinando esserne stato il boja: ma vittoriosamente li confutano
-i documenti che pubblicò il Rosmini nella <i>Storia di Milano</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note123">
-<p><span class="label"><a href="#tag123">123</a>.&#160;&#160;</span>Racconta Gioviano Pontano, <i>Belli neapolitani, lib</i>. <span class="smcap lowercase">V</span>, che,
-mentre Ferdinando di Napoli assediava una rôcca sotto Mondragone
-aderente agli Angioini, e per difetto d’acqua l’avea
-ridotta all’estremo, alcuni empj sacerdoti procurarono le pioggie
-con arti magiche. Trovarono alquanti giovani arditissimi, che di
-notte per difficilissime vie uscirono fin al lido, e quivi bestemmiarono
-un crocifisso con ogni peggior maledizione, quivi gettaronlo
-in mare, imprecando tempesta al cielo, al mare, alle
-terre. Al tempo stesso i sacerdoti presero un asino, e come a
-moribondo gli dissero le preghiere degli agonizzanti, lo comunicarono,
-e fattegli le esequie, il sepellirono vivo davanti alla
-porta della chiesa. Ed ecco subito annuvolarsi, tempestar il
-mare, farsi bujo il cielo, e tuoni e folgori e nembi e diluvio di
-pioggie, sicchè abbondantemente provvista la rôcca, Ferdinando
-se ne dovette levare.
-</p>
-
-<p>
-In tali estremi, la sapiente Roma antica sepelliva un uomo e
-una donna.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note124">
-<p><span class="label"><a href="#tag124">124</a>.&#160;&#160;</span>Di quelli della sua patria fa l’enumerazione il Malipiero
-negli <i>Annali veneti</i> sotto il 1483: — È stà tolto cenventottomila
-ducati all’una per cento, deputati a pagar el pro del Monte
-Nuovo: è stà cresciuto un terzo tutti i dazj; è stà impegnato
-tutte le volte de Rialto a rason de ventotto per cento all’anno;
-e stà pagato in zeca i argenti de particulari, sie ducati la
-marca; è stà tolto le cadenelle d’oro che le donne portava al
-collo, e messe in comun. Se fa li officj e regimenti con la metà e
-un terzo manco de salario. Oltre tante decime, è stà messo
-tanse a la terra; le entrate de la terra e quelle de la terraferma
-è calade; se ha perso molte nave e galìe; se ha tolti homeni de
-la guerra nudi e rotti, perchè no se ha possuto far altro; se ha
-evacuato l’arsenal che altre volte ha fatto tremar el mondo;
-avemo fame e peste; mendicheremo la pace e ghe restituiremo
-el tolto; se ha speso un milion e dusentomila ducati; ed è morti
-tanti homeni da ben».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note125">
-<p><span class="label"><a href="#tag125">125</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Infessura</span>, <i>Diario</i>, pag. 1226.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note126">
-<p><span class="label"><a href="#tag126">126</a>.&#160;&#160;</span>Pietro Aretino scriveva al Franciotto nell’aprile 1548,
-cioè mezzo secolo prima di quell’Enrico IV di Francia, a cui il
-fatto viene attribuito: — Se bene jeri l’altro, per esserci il
-numero delle persone che si stavano a casa mia, meco ragionando,
-non feci motto alcuno circa il vostro ridere nel vedermi
-in mezzo di Adria e di Austria le figlie mie; nel vedermi, dico,
-dalle braccia dell’una d’anni undici stretto nel collo, e dalle
-mani dell’altra di otto mesi preso nella barba; non è che io non
-me ne accorgessi, e me lo tacqui allora per dirvi adesso una
-bella cosa in comparazione di quella mia tenera sofferenza.
-Lorenzo e Giuliano, quello padre di Leone, questo di Clemente,
-standosi trapassando il tempo del caldo al Poggio, accadde un
-giorno, poco dopo il desinare, ch’eglino per fuggire il sonno essendosi
-ritirati in camera, venutegli alle mani due canne, se ne
-fecero cavalli, e salendo l’uno sopra l’una, e l’altro sopra l’altra,
-volse Giuliano che gli montasse in groppa Giulio, e Lorenzo che
-il simile facesse Giovanni; e così spronando ciascuno senza i
-sproni pareano proprio ispronargli daddovero; talchè i bambini
-tutti ridenti, quel piacere nella loro innocenzia provavano, che
-prova in la sua tenerezza ogni genitore che la di lui prole trastulla.
-Videgli in cotal atto quel Mariando, che poi ebbe il titolo
-di Frate dal piombo; e ridendosene da senno, fu chiamato dentro
-dai personaggi sì grandi; i quai pregarono il faceto e leale
-uomo, che non prima facesse motto dello avere i due fratelli (i
-quali poi furon padre di cotale coppia di pontefici) trovati in tal
-materia di scherzo, non prima, dico, ch’egli avesse figliuoli;
-inferendo in sì prudente voce di parole, che la minore dimostrazione
-di semplicità che si faccin coloro che ne hanno, è lo impazzirgli
-drieto».
-</p>
-
-<p>
-Il fatto però non è esatto, poichè Giulio nacque postumo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note127">
-<p><span class="label"><a href="#tag127">127</a>.&#160;&#160;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Atque aliud nigris missum, quis credat? ab Indis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ruminat insuetas armentum discolor herbas.</i></p>
-<p class="i12"> <span class="smcap">Poliziano</span>, <i>Rusticus</i>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note128">
-<p><span class="label"><a href="#tag128">128</a>.&#160;&#160;</span>Angelo Poliziano a Lorenzo de’ Medici: — Magnifice Patrone.
-Da Ferrara vi scripsi l’ultima. A Padova poi trovai alcuni
-buoni libri, cioè Simplicio sopra al Cielo. Alexandro sopra la
-Topica, Giovan Grammatico sopra le Posteriora et li Elenchi,
-uno David sopra alcune cose de Aristotele, li quali non habbiamo
-in Firenze. Ho trovato anchora uno scriptore greco in Padova,
-et facto el patto a tre quinterni di foglio per ducato. Maestro
-Pier Leone mi mostrò i libri suoi, tra i quali trovai un M. Manilio
-astronomo et poeta antiquo, el quale ho recato meco a
-Vinegia, et riscontrolo con uno in forma che io ho comprato. È
-libro, che io per me non ne viddi mai più antiqui. Similiter ha certi
-quinterni di Galieno <i>De dogmate Aristotelis et Hippocratis</i> in
-greco, del quale ci darà la copia a Padova, che si è facto pur
-frutto. In Vinegia ho trovato alcuni libri di Archimede et di Herone
-mathematici che ad noi mancano, et uno Phornuto <i>De deis</i>,
-e altre cose buone. Tanto che papa Yanni ha che scrivere per
-un pezzo.
-</p>
-
-<p>
-«La libreria del Niceno non abbiamo potuto vedere. Andò
-al principe messer Aldobrandino oratore del duca di Ferrara,
-in cujus domo habitamus. Fugli negato a lettere di scatole;
-chiese però questa cosa per il conte Giovanni et non per me, che
-mi parve bene di non tentare questo guado col nome vostro.
-Pure messer Antonio Vinciguerra, et messer Antonio Pizammano,
-uno di quelli due gentilhuomini philosophi che vennono
-sconosciuti a Firenze a vedere el conte, et un fratello di
-messere Zaccheria Barbero sono drieto alla traccia di spuntare
-questa obstinatione. Farassi el possibile; questo è quanto a’
-libri.
-</p>
-
-<p>
-«M. Piero Lioni è stato in Padova molto perseguitato, et non
-è chiamato nè quivi nè in Vinegia a cura nissuna. Pure ha
-buona scuola, et ha sua parte favorevole; hollo fatto tentare
-dal conte di ridursi in Toscana. Credo sarà in ogni modo difficil
-cosa. In Padova sta mal volentieri, et la conversatione non li
-può dispiacere, ut ipse ait. Negat tamen se velle in Thusciam
-agere. Nicoletto verrebbe a starsi a Pisa, non vorrebbe un beneficio,
-hoc est, un di quelli canonicati; ha buon nome in
-Padova, et buona scuola. Pure, nisi fallor, è di questi strani
-fantastichi; lui mi ha mosso questa cosa di beneficj: siavi
-adviso.
-</p>
-
-<p>
-«Visitai stamattina messer Zaccheria Barbero, et mostrandoli
-io l’affectione vostra, mi rispose sempre lagrimando, et ut
-visum est, d’amore; risolvendosi in questo, in te uno spem esse;
-ostendit se nosse quantum tibi debeat. Sicchè fate quello ragionaste,
-ut favens ad majora. Quello legato che torna da Roma,
-et qui tecum locutus est Florentiæ, non è punto a loro proposito,
-ut ajunt. Un bellissimo vaso di terra antiquissimo mi mostrò
-stamattina detto messer Zaccheria, el quale nuovamente di
-Grecia gli è stato mandato; e mi disse, che sel credessi vi piacessi,
-volentieri ve lo manderebbe con due altri vasetti pur di
-terra. Io dissi che mi pareva proprio cosa da V. M., et tandem
-sarà vostro. Domattina farò fare la cassetta, et manderollo con
-diligentia. Credo non ne abbiate uno sì bello in eo genere. È
-presso che tre spanne, et quattro largo. El conte ha male negli
-occhi, et non esce di casa, nè è uscito poichè venne a Vinegia.
-</p>
-
-<p>
-«Item visitai hiersera quella Cassandra Fidele letterata, et
-salutai per vostra parte. È cosa mirabile, discretissima, et meis
-oculis etiam bella. Partimmi stupito. Molto è vostra partigiana,
-et di voi parla con tutta practica, <i>quasi te intus et in cute norit</i>.
-Verrà un dì in ogni modo a Firenze a vedervi, sicchè apparecchiatevi
-a farle honore.
-</p>
-
-<p>
-«A me non occorre altro per hora, se non solo dirvi che questa
-impresa di scrivere libri greci, et questo favorire i docti vi
-dà tanto honore et gratia universale, quanto mai molti e molti
-anni non ebbe uomo alcuno. I particolari vi riserbo a bocca.
-A. V. M. mi raccomando sempre. Non ho ancora adoperata la
-lettera del cambio per non essere bisognato. Venetiis 20 junii
-1491».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note129">
-<p><span class="label"><a href="#tag129">129</a>.&#160;&#160;</span>Lettera di Pietro da Bibiena a Clarice de’ Medici, ap. <span class="smcap">Roscoe</span>,
-<i>Vita di Lorenzo</i>, app. 7ª del vol. <span class="smcap lowercase">III</span>.
-</p>
-
-<p>
-Ad esso Lorenzo scriveva Ferdinando re di Sicilia, il 23
-agosto 1488: — Magnifice vir, compater et amice noster carissime.
-Non era necessario che da voi fossemo rengratiati per
-lettera de vostra mano di quello che ho offerto in beneficio di
-mess. Joanni vostro figlio, perchè sape Dio lo animo et la voluntà
-nostra, quanto desidereressimo fare tutte le cose del mondo
-per usarvi gratitudine per quello havete continuamente operato
-in beneficio nostro et de questo Stato, del quale sempre potete
-fare quella stima che fareste delle cose vostre medesime, perchè
-li obblighi che ne havimo così recercano, et mai ve porìamo
-offerire tanto in beneficio vostro et della casa vostra, che ne para
-havere satisfacta una millesima parte de quello è lo animo et
-desiderio nostro di fare: secundo speramo per experientia,
-omni dì porite conoscere più manifestamente».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note130">
-<p><span class="label"><a href="#tag130">130</a>.&#160;&#160;</span>Watson (<i>Massonic essayist</i>. Londra 1797, pag. 238) sostiene
-che l’accademia platonica era una loggia muratoria, e che vi
-sono ancora scolpiti dei simboli massonici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note131">
-<p><span class="label"><a href="#tag131">131</a>.&#160;&#160;</span><i>Phœnix, sive ad artificialem memoriam comparandam
-brevis quidem et facilis, sed re ipsa et studio comprobata introductio.</i>
-Venezia 1491.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note132">
-<p><span class="label"><a href="#tag132">132</a>.&#160;&#160;</span>E non dal Crisolara, come fa ragionevolmente avvertire il
-Tonelli nella traduzione della vita di esso scritta da Shepherd;
-Firenze 1835. Erasmo giudica molto severamente il Poggio,
-definendolo <i>rabula adeo indoctus, ut, etiamsi vacaret obscænitate,
-tamen indignus esset qui legeretur: adeo autem obscænus, ut,
-etiamsi doctissimus esset, tamen esset a viris bonis rejiciendus.</i>
-Ep. <span class="smcap lowercase">CIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note133">
-<p><span class="label"><a href="#tag133">133</a>.&#160;&#160;</span><i>Si quando visendi desiderio in longinquum proficiscerer,
-visis forte eminus monasteriis veteribus, divertebam illico, et — Quid
-scimus</i> (<i>inquam</i>) <i>an hic aliquid eorum sit quæ cupio?</i>
-Senil., <span class="smcap lowercase">VI</span>. 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note134">
-<p><span class="label"><a href="#tag134">134</a>.&#160;&#160;</span>Commento al canto <span class="smcap lowercase">XXII</span> del <i>Paradiso</i>. Il fatto è dimostrato
-falso dal Tosti nella storia di Montecassino, dove la
-libreria fu sempre uno de’ più cercati ornamenti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note135">
-<p><span class="label"><a href="#tag135">135</a>.&#160;&#160;</span><i>O romani pontifices, exemplum facinorum omnium cæteris
-pontificibus, et improbissimi scribæ et pharisæi, qui sedetis
-super cathedram Moysis et opera Datan et Abyron facitis,
-itane vestimenta, apparatus, pompa, equitatus, omnis denique
-vita Cæsaris vicarium Christi docebit?... Nec amplius horrenda
-vox audiatur, partes contra Ecclesiam, Ecclesia contra Perusinos
-pugnat, contra Bononienses. Non contra Christianos pugnat
-Ecclesia, sed papa</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note136">
-<p><span class="label"><a href="#tag136">136</a>.&#160;&#160;</span><i>Universa in me civitas conversa est, omnes me diligunt,
-honorant omnes, ac summis laudibus in cœlum efferunt. Meum
-nomen in ore est omnibus. Nec primarii cives modo, cum per
-urbem incedo, sed nobilissimæ fœminæ honorandi mei gratia
-locum cedunt; tantumque mihi deferunt, ut me pudeat tanti
-cultus. Auditores sunt quotidie ad quadringentos, vel fortassis
-et amplius; et hi quidem magna in parte viri grandiores, et ex
-ordine senatorio</i>. Epist. del 1428. Vedi la costui vita scritta da
-Carlo Rosmini, Milano 1808, con moltissimi documenti inediti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note137">
-<p><span class="label"><a href="#tag137">137</a>.&#160;&#160;</span>Nella Laurenziana v’è una sua <i>Oratio habita in principio
-publicæ lectionis, quam domi legere aggressus est, quum per invidos
-publice nequiret</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note138">
-<p><span class="label"><a href="#tag138">138</a>.&#160;&#160;</span>Se quel verso
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Βούλομ’ ἐγὼ σάον λαὸν ἔμμεναι, ἢ ἀπολέσθαι</p>
-</div></div>
-
-<p>
-significhi <i>Voglio che il popolo sia salvo o perisca, oppure Voglio
-che il popolo sia salvo o perire.</i> Il Filelfo s’accorse che aveano
-torto entrambi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note139">
-<p><span class="label"><a href="#tag139">139</a>.&#160;&#160;</span>Vedasi l’<i>epistola</i> 52 del lib. <span class="smcap lowercase">X</span>. Di Gio. Maria Filelfo suo
-figlio, retore anch’esso inquietissimo e premorto al padre, scrisse
-la vita Guglielmo Favre. Ginevra 1856.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note140">
-<p><span class="label"><a href="#tag140">140</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Naldo Naldi</span>, <i>Vita di G. Manetti</i>, Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note141">
-<p><span class="label"><a href="#tag141">141</a>.&#160;&#160;</span><i>Operis quippe ac studii mei est et fuit multos libros legere,
-et ex plurimis diversos carpere flores.</i> Al fine:<i> Mihi non bene
-scienti linguam græcam</i> non vuol dire che la ignorasse, come
-pretende Eichhorn.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note142">
-<p><span class="label"><a href="#tag142">142</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Giulini</span>, <i>Continuazione delle Memorie di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>, 594.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note143">
-<p><span class="label"><a href="#tag143">143</a>.&#160;&#160;</span><i>Liber consiliorum</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III. IV. XIII</span>, nell’archivio civico di
-Torino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note144">
-<p><span class="label"><a href="#tag144">144</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Tommasi</span> al 1430.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note145">
-<p><span class="label"><a href="#tag145">145</a>.&#160;&#160;</span>È l’espressione del Bonfinio, <i>Rerum Hungaric.</i>,
-dec. <span class="smcap lowercase">IV</span>: Pannoniam Italiam alteram reddere conabatur....
-<i>Varias quibus olim carebat artes, eximiosque artifices ex Italia
-magno sumptu evocavit... olitores, cultores hortorum, agriculturæque
-magistros, qui caseos etiam latino, siculo, græco more
-conficerent</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note146">
-<p><span class="label"><a href="#tag146">146</a>.&#160;&#160;</span>Vespasiano, Ap. <span class="smcap">Mehus</span>, <i>Præf. ad vitam Ambrosii camaldolensis</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note147">
-<p><span class="label"><a href="#tag147">147</a>.&#160;&#160;</span>Vita di B. Valori, nell’<i>Archivio storico</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 241.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note148">
-<p><span class="label"><a href="#tag148">148</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Pio II</span>, <i>Descrizione dell’Europa</i>, cap. 52.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note149">
-<p><span class="label"><a href="#tag149">149</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Lami</span>, <i>Catalogo della biblioteca Riccardiana</i>, pag. 11.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note150">
-<p><span class="label"><a href="#tag150">150</a>.&#160;&#160;</span><i>De educatione liberorum</i>. Milano 1491.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note151">
-<p><span class="label"><a href="#tag151">151</a>.&#160;&#160;</span>Sprezzando di tutto cuore i Barbari, il Poliziano gl’invita
-ad ammirare le bellezze e i pregi degl’Italiani, ove mostra di
-conoscere in che consiste il merito, anzichè qual fosse il merito
-vero degli Italiani: <i>Admirentur nos, sagaces in inquirendo, circumspectos
-in explorando, subtiles in contemplando, in judicando
-graves, implicitos in vinciendo, faciles in enodando. Admirentur
-in nobis brevitatem styli fœtam rerum multarum atque magnarum,
-sub expositis verbis remontissimas sententias, plenas
-questionum, plenas solutionum; quam apti sumus, quam bene
-instructi ambiguitates tollere, scrupulos diluere, involuta evolvere
-flexanimis syllogismis, et infirmare falsa, et vera confirmare.
-Viximus celebres, et posthac vivemus, non in scholis grammaticorum
-et pædagogiis, sed in philosophorum coronis, in conventibus
-sapientum, ubi non de matre Andromaches, non de Niobes
-filiis, atque id genus levibus nugis, sed de humanarum divinarumque
-rerum rationibus agitur et disputatur. In quibus meditandis,
-inquirendis et enodandis ita subtiles, acuti acresque
-fuimus, ut anxii quandoque nimium et morosi fuisse forte
-videamur, si modo esse morosus quispiam aut curiosus nimio
-plus in indaganda veritate potest</i>. Epist. lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note152">
-<p><span class="label"><a href="#tag152">152</a>.&#160;&#160;</span>Ap. <span class="smcap">Rosmini</span>, <i>Storia di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 224.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note153">
-<p><span class="label"><a href="#tag153">153</a>.&#160;&#160;</span>Leonardo Giustinian veneto, amico del Filelfo e degli
-altri celebri, oltre i lavori filologici fece molti canti d’occasione
-e di gioja, che poi furono pubblicati col titolo di <i>Fiori delle elegantissime
-cancionete</i> (Venezia 1482); e le accompagnava anche di
-graziose note. Voltosi poi alla pietà, pubblicò le <i>Devotissime et
-sanctissime laude</i> (Cremona 1474), più volte ristampate. Per la
-prima volta nel 1851 si pubblicarono a Lucca le <i>Laude spirituali</i>
-di Bianco da Siena povero gesuato.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note154">
-<p><span class="label"><a href="#tag154">154</a>.&#160;&#160;</span>Si volle supporre non sia che un capitolo dell’opera di
-Leon Battista Alberti: ma altri crede che questi possa nella
-sua avere inserito il trattato del Pandolfini.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note155">
-<p><span class="label"><a href="#tag155">155</a>.&#160;&#160;</span><i>Senilium</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 5; <i>Familiarium</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 4. <span class="smcap lowercase">IV</span>. 9. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 6; <i>Hort. ad
-Nicolam Laurentii</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note156">
-<p><span class="label"><a href="#tag156">156</a>.&#160;&#160;</span>Il manoscritto d’Arona, che sta nella biblioteca di Torino,
-e che da un’assemblea di dotti erasi giudicato antico di cinque
-secoli, Daunou e Hase, valentissimi paleografi, nol fanno anteriore
-al secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>. Galeani Napione, poi De Gregory (<i>Mém. sur
-le véritable auteur de l’Imitation de Jésus-Christ</i>, 1827; e
-<i>Histoire du livre de l’Imitation de Jésus-Christ et de son véritable
-auteur</i>, Parigi 1843) sostennero i diritti del Gersenio di
-Vercelli. A provarlo d’un Tedesco si addusse testè quel passo
-del lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. c. 5, ove dice che il sacerdote, vestito dei sacri arredi,
-ha davanti e di dietro la croce del Signore. Ora la pianeta
-degli Italiani e de’ Francesi non ha la croce che di dietro.
-</p>
-
-<p>
-Celebrandosi il suo centenario nel 1874 ed ergendosegli un
-monumento, si pubblicarono molti opuscoli in favore dell’abate
-Gersenio.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note157">
-<p><span class="label"><a href="#tag157">157</a>.&#160;&#160;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 12.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note158">
-<p><span class="label"><a href="#tag158">158</a>.&#160;&#160;</span>Narrando che Federico II aveva imposto alcun dazj nuovi
-senza attribuirne un terzo alla Chiesa, soggiunge che l’anima
-di lui <i>requiescit in pice et non in pace</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note159">
-<p><span class="label"><a href="#tag159">159</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Alidosi</span>, <i>Instructione</i> ecc. Forse questi tentativi avevano
-dato coraggio a Leonardo da Vinci di fare un modello col quale
-«mostrava voler alzare il tempio di San Giovanni di Firenze e
-sottomettervi le scalee senza rovinarlo». <span class="smcap">Vasari</span>, <i>Vita</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note160">
-<p><span class="label"><a href="#tag160">160</a>.&#160;&#160;</span>La sua opera è stampata «sulle rive del Benáco, nel
-quale si pescano i migliori carpioni, e le cui rive sono sparse di
-belle antichità». Uno de’ trattatelli suoi è intitolato: <i>Modus
-solvendi varios casus figurarum quadrilaterarum rectangularum
-per viam algebræ. Nº</i> cioè <i>numero</i>, indica il noto; <i>Co</i> cioè
-cosa, l’incognito; il quadrato <i>Ce</i> (censo); il cubo, <i>Cu</i>; <i>p</i> ed <i>m</i>
-vagliono + e -. Dove oggi scriviamo 3<i>x</i> + 4<i>x</i><sup>2</sup> - 5<i>x</i><sup>3</sup> + 2<i>x</i><sup>4</sup> - 6,
-allora facevasi 3 <i>co.</i> <i>p.</i> 4 <i>ce. m.</i> 5 <i>cu. p.</i> 2 <i>ce. m.</i> 6 <i>Nº</i>.
-</p>
-
-<p>
-Guglielmo Libri farebbe il + e il - inventati da Leonardo
-da Vinci; mentre Chasles (<i>Aperçu historique sur l’origine et le
-développement des méthodes en géométrie</i>, Bruxelles 1837), gli
-attribuisce a Stiffels.
-</p>
-
-<p>
-«E perchè noi seguitiamo per la maggior parte Lionardo
-Pisano (Fibonacci), io intendo di chiarire che quando si porrà
-alcuna proposta senza autore, quella sia di detto Lionardo».
-Queste parole della <i>Summa de arithmetica geometria</i> purghino
-il Pacioli dalla taccia datagli di plagiario.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note161">
-<p><span class="label"><a href="#tag161">161</a>.&#160;&#160;</span>In Francia si cominciò nel 1376; solo nel 1556 Carlo V
-otteneva dai dottori di Salamanca la decisione che ai Cattolici
-non fosse illecito aprire umani cadaveri.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note162">
-<p><span class="label"><a href="#tag162">162</a>.&#160;&#160;</span>Nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo v’è menzione di pesti, in Dalmazia il 1416,
-20, 22, 30, 37, 54, 64, 66, 80; nella Lombardia e Genovesato,
-il 1405 e 6; in Napoli, Milano ed altre parti d’Italia, il 1421 e
-22; nel 21 a Bologna e Brescia; nel 28 a Roma; nel 29 e 30 a
-Perugia e altrove; nel 38 a Venezia e altrove; nel 48 nell’alta
-Italia; poi nel 50, 56, 60, 65, 68, 73, 75, 76, 78, 85: dal 92 al 95
-la peste marrana, tifo navale, sviluppatosi fra gli Ebrei cacciati
-di Spagna contaminò tutta Europa. Scaligero contro Cardano
-dice che a Parigi, Colonia, Famagosta, Venezia, Ancona la peste
-ripullula così frequente, che può dirsi perpetua.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note163">
-<p><span class="label"><a href="#tag163">163</a>.&#160;&#160;</span><i>Quamquam per civitates, domus qua hospitalia vocantur,
-et supellectiles sumptibus publicis paratæ structæque videantur
-elephantiacis suscipiendis. — De elephantia</i>. Ne’ secoli seguenti
-se ne parla pochissimo, ma non dovette scomparire del tutto:
-poi questi ultimi anni rivoltavi l’attenzione, fu riscontrata in
-molte parti, e più miserabilmente nella popolazione pescatrice
-di Comacchio, col nome di mal di fegato. Vedi <i>Sulla lebbra</i>, Commentario
-del <span class="smcap">D. A. Verga</span>. Milano 1846.
-</p>
-
-<p>
-Fallopio nel 1550 trovava che in Francia ancora molti erano
-affetti di lebbra; ma in Italia rimanevano rarissimi, e gli ospedali
-di San Lazzaro erano vuoti, mentre crescevano quelli di San
-Giobbe per gl’infraciosati. <i>De morbo gallico</i>, c. <span class="smcap lowercase">I. III</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note164">
-<p><span class="label"><a href="#tag164">164</a>.&#160;&#160;</span>Diconsi palimsesti (πάλιν φηστὸς, <i>di nuovo raschiato</i>). Ciò
-si costumava già dagli antichi, e Cicerone (<i>Famil</i>., <span class="smcap lowercase">VII</span>, 18) scrive:
-<i>Quod in palimsesto, laudo equidem parsimoniam; sed miror
-quod in illa chartula fuerit quod delere malueris, quam exscribere,
-nisi forte tuas formulas. Non enim puto te meas epistolas
-delere ut deponas tuas. An hoc significas nil fieri? frigere te? ne
-chartam quidem tibi suppeditare?</i> Il primo palimsesto cui si facesse
-mente, fu alla biblioteca del re di Francia nel 1692, ed era
-un manoscritto delle opere di sant’Efrem.
-</p>
-
-<p>
-Finchè s’ebbe carta papiracea, su quella si stesero gli atti
-pubblici. I più antichi d’Italia su carta pecora sono una concessione
-di re Liutprando del 712 nell’archivio di Milano, e uno del
-784, ove Felice vescovo di Lucca conferma la donazione di Faulone
-al monastero di san Fridiano. Il più antico atto sopra carta
-bambagina è del 1145 in Sicilia, ove re Ruggero II fa concessioni
-all’abate di San Filippo di Fragola. Nell’archivio delle Riformagioni
-di Firenze trovasi un diploma in greco del 1192, in cui
-Isacco Langelo imperatore ammette i Pisani alla pace colle
-terre di Romania.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note165">
-<p><span class="label"><a href="#tag165">165</a>.&#160;&#160;</span>Plutarco (in <i>Catil</i>.) le fa inventare da Cicerone all’occasione
-della congiura di Catilina. Cicerone scrivendo ad Attico
-(lib. <span class="smcap lowercase">XIII</span>) gli dice: — Tu non avrai forse intesa quella cosa perchè
-scritta διὰ σεμνῶν, per segni». Altri ne dicono autore Tirone
-suo liberto, da cui si chiamarono tironiane; e Dione Cassio
-(lib. LV) asserisce che Mecenate fece pubblicare queste note per
-Aquila suo liberto. Celebri tachigrafi antichi furono Perunnio,
-Pilargio, Pannio, e infine Seneca. San Cipriano aggiunse altre
-note alle già inventate, e tutte le adattò all’uso della religione.
-Prudenzio nell’inno di san Cassiano canta:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Verta notis brevibus comprendere cuncta peritus</i></p>
-<p class="i02"> <i>Raptimque punctis dicta præpetibus sequi.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Origene, sant’Agostino, san Girolamo parlano dei tachigrafi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note166">
-<p><span class="label"><a href="#tag166">166</a>.&#160;&#160;</span>Nel catalogo dei libri lasciati dal cardinale Guala al monastero
-di Sant’Andrea a Vercelli troviamo una biblioteca (cioè
-l’intera Bibbia) di lettera <i>parigina</i>, coperta di porpora e ornata
-di fiori d’oro ed iniziali simili; un’altra di lettera <i>bolognese</i>, con
-cuojo rosso; una di lettera inglese; una piccola preziosa di lettera
-parigina, con majuscole d’oro e ornamenti purpurei;
-l’Esodo e il Levitico di lettera <i>antica</i>; i dodici Profeti in un volume
-di lettera <i>lombarda</i>; i <i>Morali</i> del beato Gregorio, di
-<i>buona lettera antica aretina</i> ecc. <span class="smcap">Fava</span>, <i>Gualæ Bichierii card. vita</i>,
-pag. 175.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note167">
-<p><span class="label"><a href="#tag167">167</a>.&#160;&#160;</span>Il padre Sarti (<i>De prof. bonon</i>., part. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 214) pubblicò
-un catalogo di libri in vendita a Bologna; per esempio, <i>Lectura
-domini Ostiensis</i> <span class="smcap lowercase">CLVI</span> <i>quinterni, taxati lib.</i> <span class="smcap lowercase">II</span>. <i>sol</i>. <span class="smcap lowercase">X</span>. <i>etc</i>. Un
-messale ornato a lettere d’oro e pitture, nel 1240, valse più di
-duecento fiorini (<i>Ann. Camald</i>., vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 349). Un <i>Digestum
-vetus</i> a Pisa si vendette lire sedici (L. 127). Forse dunque non
-costavano cari se non quando miniati.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note168">
-<p><span class="label"><a href="#tag168">168</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. l. 1. c. <span class="smcap lowercase">IV</span>. § 19.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note169">
-<p><span class="label"><a href="#tag169">169</a>.&#160;&#160;</span>Nell’inventario de’ possessi del vescovado di San Martino
-di Lucca dell’<span class="smcap lowercase">VIII</span> o <span class="smcap lowercase">IX</span> secolo la biblioteca è così composta:
-Eptaticum, vol. 1. Salomon, vol. 1. Machabeorum, vol. 1. Actus
-apostolorum, vol. 1. Prophetarum, vol. 1. Librum officiorum,
-vol. 1. Dialogorum, vol. 1, Vita... Ezechiel, vol. 1. Omeliarum,
-vol. 1. Commentarium super Mattheum, vol. 1. Commentarium
-aliud... vol. 2. Ordo ecclesiasticus, vol. 1. Rationes Pauli, vol. 1.
-Antiphonarium, vol. 2. Psalterium, vol. 1. Vita sancti Martini,
-vol. 1. Vita sancti Laurentii cum memoria sancti Fridiani,
-vol. 1.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1212 Ugo, tesoriere della cattedrale di Novara, divenendo
-arciprete, facea la riconsegna degli oggetti che trovavansi nel
-tesoro del capitolo: fra cui notiamo un collettario gemmato con
-figura d’avorio, un cristallo rotondo donde si trae il fuoco, e venticinque
-volumi di libri da altare, cioè due messali, quattro antifonarj,
-tre testi del vangelo, quattro omeliarj, un sermonale, due
-epistolarj, un passionario estivo ed uno iemale, due collettarj,
-l’ordine, due salterj, la Bibbia, il Vecchio Testamento; e nell’armadio
-quarantotto libri, fra cui i morali di Giob, Agostino
-sopra Giovanni, le Etimologie di Isidoro, la storia ecclesiastica,
-un volume della prescienza e predestinazione, le Decretali, il
-Codice e le Novelle di Giustiniano, i pronostici del futuro giudizio,
-Prisciano, Cresconio <i>Della concordia de’ canoni</i>, un martirologio,
-Boezio <i>Della consolazione</i>, Marciano Capella, le vite dei
-Padri.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note170">
-<p><span class="label"><a href="#tag170">170</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Marini</span>, <i>Degli archiatri pontifizj</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 130.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note171">
-<p><span class="label"><a href="#tag171">171</a>.&#160;&#160;</span>«Milatrecenquaranta fur fatti la folla di tutti i Santi, e il
-lavorerio di panno, lane e carta di papiro. Del qual lavoro di
-carta di papiro primo inventor presso Padova e Treviso fu Pace
-da Fabriano, che per l’amenità dell’acque stette la più vita in
-Treviso». Nel 1318 un notajo promette non fare istromento in
-carta di bambage, nè da cui siasi abrasa altra scrittura; un altro,
-nel 31, di non iscrivere in carta bambagina; poi nel 67 di non
-iscrivere su carta siffatta nè papiro. Il senato veneto del 1366
-stabilì che «pel bene dell’arte della carta che si fa a Treviso,
-e reca grand’utile al nostro Comune, in nessun modo possano
-levarsi stracci di carta (<i>stratie a cartis</i>) dalla Venezia per
-portarli altrove che a Treviso».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note172">
-<p><span class="label"><a href="#tag172">172</a>.&#160;&#160;</span>Nell’Archivio diplomatico fiorentino, carte del Comune di
-Colle; ap. <span class="smcap">Repetti</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note173">
-<p><span class="label"><a href="#tag173">173</a>.&#160;&#160;</span>Reputavasi la più antica incisione in legno il san Cristoforo,
-sotto cui è scritto:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Xtofori faciem die quacumque tueris</i></p>
-<p class="i01"><i>Illa nempe die morte mala non morieris</i></p>
-<p class="i08"> <i>millesimo</i> <span class="smcap lowercase">CCCXX</span> <i>tertio</i>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma il signor di Reiffenberg, direttore della biblioteca reale di
-Bruxelles, acquistò una Madonna con varj santi, intaglio colla
-data 1318. Vedi pure <span class="smcap">W. A. Chatto</span>, <i>Treatise on vood engraving
-historical and practical</i>. Londra 1839, con ducento belle vignette.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note174">
-<p><span class="label"><a href="#tag174">174</a>.&#160;&#160;</span>I Feltrini pretendono che Pamfilo Castaldi, loro concittadino
-e buon umanista, conosciuti gli studj del Guttenberg per
-istampare, a Faust suo discepolo additasse che si potrebbe far
-meglio che con tavolette stereotipe, cioè formar le lettere distinte,
-come quelle che già si usavano dai mercanti per far le iniziali e
-intestazioni sui loro libri. Si parlò molto questi ultimi anni di tale
-gloria; ma l’asserzione del cronista frate Cambiuzzi non è appoggiata
-a nessun documento. I meriti del Guttenberg sono chiariti
-da Ambrogio Firmin Didot nella <i>Nouvelle Biographie générale</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note175">
-<p><span class="label"><a href="#tag175">175</a>.&#160;&#160;</span><i>Annali della stampa in Italia.</i>
-</p>
-
-<ul>
-<li>1465. Subiaco.</li>
-<li>1467. Roma.</li>
-<li>1469. Venezia, Parigi, Milano, il poema sacro di Aratore e le epistole latine di uomini illustri: ma non sono ben sicuri; bensì <i>Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene Maria</i> per Filippo Lavagna, che portò la stampa a Milano, con Antonio Zarotto e Cristoforo Valdarser.</li>
-<li>1470. Verona, Foligno, Pinerolo, Brescia.</li>
-<li>1471. Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze, Napoli, Savigliano.</li>
-<li>1472. Mantova, Parma, Padova, Mondovì, Jesi, Fivizzano, Cremona.</li>
-<li>1473. Messina.</li>
-<li>1474. Torino, Genova, Como, Savona.</li>
-<li>1475. Modena, Piacenza, Barcellona, Cagli, Casole, Perugia, Pieve di Sacco, Reggio di Calabria.</li>
-<li>1476. Pogliano, Udine. Primo libro greco a Milano.</li>
-<li>1477. Ascoli, Palermo.</li>
-<li>1478. Cosenza, Colle.</li>
-<li>1479. Tuscolano, Saluzzo, Novi.</li>
-<li>1480. Cividale, Nonantola, Reggio.</li>
-<li>1481. Urbino.</li>
-<li>1482. Aquila, Pisa.</li>
-<li>1484. Soncino, Chambéry, Bologna, Siena, Rimini.</li>
-<li>1485. Pescia.</li>
-<li>1486. Chivasso, Voghera, Casalmaggiore.</li>
-<li>1487. Gaeta.</li>
-<li>1488. Viterbo.</li>
-<li>1490. Portese.</li>
-<li>1495. Scandiano.</li>
-<li>1496. Barco.</li>
-<li>1497. Carmagnola, Alba.</li>
-</ul>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note176">
-<p><span class="label"><a href="#tag176">176</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Serra</span>, <i>Discorso</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>, pag. 215.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note177">
-<p><span class="label"><a href="#tag177">177</a>.&#160;&#160;</span>Impressa per <i>magistrum Dionysium Paravisinum</i> con
-caratteri, dicesi, fusi da Demetrio Cretese. A Milano si stampò
-nell’80 Esopo e Teocrito; nell’81 il Psalterio greco. Vedasi
-<span class="smcap">Humphreys</span>, <i>A history of the art of printing</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note178">
-<p><span class="label"><a href="#tag178">178</a>.&#160;&#160;</span>Renouard scrisse, negli <i>Annales des Aldes</i>, che
-<i>Manuce occupa et occupera longtemps et sans aucune exception
-le premier rang parmi les imprimeurs anciens et modernes.</i> La
-lode parve esagerata a Firmin Didot, che dice doverglisi eterna
-riconoscenza per l’attività adoprata a pubblicare tanti classici,
-e per la bella esecuzione tipografica; ma lo appunta di scarsa
-correzione, e allega un passo di lettera, ove Aldo dice d’essere
-così occupato, che appena ha tempo, non che di correggere, di
-scorrere i libri che stampa: <i>Vix credas quam sim occupatus.
-Non habeo certe tempus, non modo corrigendi, ut cuperem, diligentius
-qui excusi emittuntur libri cura nostra, sed ne perlegendi
-quidem cursim</i>. Di lui discorse pienamente esso Ambrogio Firmin
-Didot nell’<i>Alde Manuce et l’Hellenisme à Venise</i>. Parigi 1875.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note179">
-<p><span class="label"><a href="#tag179">179</a>.&#160;&#160;</span>Il primo libro in Italia ove il disegno figurasse bene
-negli intagli stampati insieme coi caratteri, o, come diciamo oggi,
-illustrato, è l’<i>Ypnerotomachia</i>, per Aldo, nel 1499, con belle figure
-che sono del Mantegna o almeno della sua maniera. Sono
-a tratti, e l’ombra è indicata da linee più o men lunghe. Ma già
-le favole d’Esopo, stampate a Verona il 1481 e a Venezia il
-1490 con intagli, e quelle di Napoli del 1485 in 4º grande, ne
-hanno 87, però grossolani. Nel 1497 maestro Lorenzo de’ Rossi
-di Ferrara stampò molti libri, con figure a tratti, quali la
-<i>Vita et epistole di sancto Jeronimo</i>; il Boccaccio <i>De claris mulieribus</i>, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note180">
-<p><span class="label"><a href="#tag180">180</a>.&#160;&#160;</span>Esiste il contratto tra il celebre frà Jacopo Filippo Foresti
-e lo stampatore Bernardino Benaglio di Bergamo per
-l’edizione del supplemento alle <i>Cronache</i> d’esso frate, il 7 gennajo
-1483. Dovevano stamparsi in Venezia a non più di seicentocinquanta
-copie; l’autore promette rilevarne ducento a novanta
-marchetti per copia. Egli intendeva dedicar l’opera al magnifico
-Marcantonio Morosini nobile veneto «se lui vole exborsare
-sedici ducati per lo correctore; et casu quo non pagasse ditti
-sedici ducati, non ge la debba intitulare, sed a chi parerà a
-ditto frate Jacopo Filippo». Realmente la intitolò alla città di
-Bergamo, che gli regalò cinquanta ducati d’oro, da lui adoperati
-a vantaggio del proprio convento. <span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>.
-l. c. <span class="smcap lowercase">IV</span>. §32.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note181">
-<p><span class="label"><a href="#tag181">181</a>.&#160;&#160;</span>I privilegi concessi ad Aldo furono pubblicati da Armand
-Baschet. Venezia 1867.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note182">
-<p><span class="label"><a href="#tag182">182</a>.&#160;&#160;</span>Nell’archivio di Siena, <i>Denunzie</i> del 1491, Bernardino
-di Michelangelo Cignoni scrive: — Pell’arte mia non si fa niente;
-pell’arte mia è finita, per l’amore dei libri, che li fanno in forma
-che non si miniano più».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note183">
-<p><span class="label"><a href="#tag183">183</a>.&#160;&#160;</span><i>Tachygraphia veterum exposita et illustrata ab</i> <span class="smcap">Ulrico
-Fred. Knopp</span>. Manheim 1817, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. Sì poco sperava nella riconoscenza
-de’ contemporanei, che vi antepose questa scoraggiata
-dedica<i>: Posteris hoc opusculum, æqualium meorum studiis
-forte alienum, do, dico atque dedico.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note184">
-<p><span class="label"><a href="#tag184">184</a>.&#160;&#160;</span>Tripudiamo anche noi col bibliotecario Maj, allorchè, di
-sotto ai versi di Sedulio, gli apparve Cicerone: <i>O Deus immortalis!
-repente clamorem sustuli. Quid demum video? En Ciceronem,
-en lumen romanæ facundiæ, indignissimis tenebris
-circumscriptum! Agnosco deperditas Tullii orationes; sentio
-ejus eloquentiam ex his latebris divina quadam vi fluere, abundantem
-sonantibus verbis, uberibusque sententiis.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note185">
-<p><span class="label"><a href="#tag185">185</a>.&#160;&#160;</span>Vedi <span class="smcap">Sacchetti</span>, <i>Nov</i>. 178; e le canzoni di esso pubblicate
-nel <i>Giornale arcadico</i>, febbrajo 1819. Della mania d’imitar le
-foggie e i parlari stranieri move lamenti anche il Petrarca. Vedi
-<span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XXV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note186">
-<p><span class="label"><a href="#tag186">186</a>.&#160;&#160;</span><i>Storia fiorentina</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note187">
-<p><span class="label"><a href="#tag187">187</a>.&#160;&#160;</span>Historia di Conforto Pulice. <i>Rer. It. Script</i>., tom. <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note188">
-<p><span class="label"><a href="#tag188">188</a>.&#160;&#160;</span>Il gallo era lo stemma di Murano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note189">
-<p><span class="label"><a href="#tag189">189</a>.&#160;&#160;</span><i>Cronaca veneziana</i>, § 266. A Venezia era un magistrato
-suntuario, i provveditori sopra le pompe.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note190">
-<p><span class="label"><a href="#tag190">190</a>.&#160;&#160;</span><i>Delizie degli eruditi</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>. 162.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note191">
-<p><span class="label"><a href="#tag191">191</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">V. Du Cange</span> <i>ad vocem</i>. Egli cavò questo cerimoniale da
-un manoscritto di Cambrai.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note192">
-<p><span class="label"><a href="#tag192">192</a>.&#160;&#160;</span><i>Paradiso</i>, canto <span class="smcap lowercase">XIV.</span> 104.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note193">
-<p><span class="label"><a href="#tag193">193</a>.&#160;&#160;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 36.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note194">
-<p><span class="label"><a href="#tag194">194</a>.&#160;&#160;</span>Vedi <span class="smcap">Pezzana</span>, <i>Storia di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. doc. <span class="smcap lowercase">X. XV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note195">
-<p><span class="label"><a href="#tag195">195</a>.&#160;&#160;</span>Nelle <i>Antichità estensi</i>, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>, p, 376, può leggersi la
-distinta del ricchissimo corredo che Giulia della Rovere figlia
-del duca d’Urbino portò con ventimila scadi d’oro di dote sposando
-Alfonso II d’Este nel 1549.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note196">
-<p><span class="label"><a href="#tag196">196</a>.&#160;&#160;</span>Del 1192, nel <i>Codice Eceliniano</i> del Verci.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note197">
-<p><span class="label"><a href="#tag197">197</a>.&#160;&#160;</span><i>Conto de’ tesorieri generali di Savoja</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note198">
-<p><span class="label"><a href="#tag198">198</a>.&#160;&#160;</span><i>Dummodo prædicta Lucia marito suo per carnalem copulam
-se non commisceat, sine speciali licentia in scriptis; nec
-cum alio viro rem habeat, nobis exceptis, si forte cum ea coire
-libuerit aliquando</i>. Manoscritto dell’archivio Trivulzio.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note199">
-<p><span class="label"><a href="#tag199">199</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Ghirardacci</span>, <i>St. di Bologna</i> al 1313.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note200">
-<p><span class="label"><a href="#tag200">200</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Di Costanzo</span>, <i>St. di Napoli</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note201">
-<p><span class="label"><a href="#tag201">201</a>.&#160;&#160;</span>Anche quando Carlo V volle nel 1536 salire all’apertura
-della cupola del Panteon a Roma, un tal Crescenzi, che ve l’accompagnò,
-disse a suo padre essergli venuto il pensiero di buttarlo
-giù, per vendetta del sacco di Roma. E il padre: — Figliuol
-mio, queste cose si fanno e non si dicono». <i>Relazione del
-sacco di Roma</i>, manoscritto nella Vaticana.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note202">
-<p><span class="label"><a href="#tag202">202</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Blanqui</span>, <i>Hist. de l’économie politique</i>, introd. — Vedi
-l’<i>Appendice</i> IX.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note203">
-<p><span class="label"><a href="#tag203">203</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Landino</span>, <i>Apologia de’ Fiorentini</i>; <span class="smcap">Varchi</span>, <i>Storia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>.
-Secondo il Dati, <i>Cronaca</i>, p. 128, i Fiorentini nella guerra
-</p>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td>col papa dal 1395 al 68 spesero</td> <td class="center">fiorini d’oro</td> <td class="num">2,500,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>nella seconda contro il conte di Virtù dal 1375 al 98</td> <td class="center">»</td> <td class="num">1,800,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>nella terza dal 1401 al 4</td> <td class="center">»</td> <td class="num">2,500,000</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>nella guerra di Pisa del 1405</td> <td class="center">»</td> <td class="num">1,500,000</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p>
-laonde in dieci anni di guerra avrebbero speso centrentotto milioni
-de’ nostri.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note204">
-<p><span class="label"><a href="#tag204">204</a>.&#160;&#160;</span><i>Elogio storico</i>, nella <i>Serie di uomini illustri toscani</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note205">
-<p><span class="label"><a href="#tag205">205</a>.&#160;&#160;</span>Presso <span class="smcap">Manni</span>, <i>Illustrazione del Decamerone</i>, pag. 431.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note206">
-<p><span class="label"><a href="#tag206">206</a>.&#160;&#160;</span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note207">
-<p><span class="label"><a href="#tag207">207</a>.&#160;&#160;</span>Vedi i <i>Ricordi storici</i> di <span class="smcap">F. Rinuccini</span>. Firenze 1841. — Perchè
-queste cifre avessero significato positivo, bisognerebbe
-paragonarle con quelle d’altri paesi: ora nulla è più incerto nelle
-storie che le cifre, nè più difficile che il depurarle. In un’altra
-opera noi offrimmo de’ paragoni; qui diremo come un atto del
-parlamento inglese del 1496 regolasse il salario del contadino
-in scellini sedici, soldi otto all’anno, oltre quattro pel vestito. In
-quell’anno a lady Anna, sorella del re Edoardo IV, sposata al
-figlio del conte di Surrey, fu assegnato per suo «mantenimento,
-decoro e tavola conveniente; e per un gentiluomo, una dama, una
-donzella, una gentildonna, una guardia, tre mozzi, ottanta lire
-sterline l’anno, e ventisei pel mantenimento di sei cavalli»; sicchè
-a una famiglia così ben montata bastavano circa duemilaseicento
-franchi d’oggi.
-</p>
-
-<p>
-Secondo Fortescue, a metà del 1400 i Francesi «non bevono
-che acqua; mangiano pomi e pane di riso, non carne, o al più
-un po’ di lardo o le interiora e la testa degli animali macellati
-pei nobili e pei mercanti; non vestono lana, o al più una ruvida
-giubba, e così i calzoni che arrivano appena alle ginocchia,
-lasciando nude le gambe. Donne e fanciulli vanno scalzi».
-Vedi <span class="smcap">F. M. Eden</span>, <i>Storia dei poveri</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 70 e seg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note208">
-<p><span class="label"><a href="#tag208">208</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Giovanni Villani</span>, cap. <span class="smcap lowercase">X</span>. p. 164.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note209">
-<p><span class="label"><a href="#tag209">209</a>.&#160;&#160;</span><i>Cronaca</i> del <span class="smcap">Graziani</span> al 1448.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note210">
-<p><span class="label"><a href="#tag210">210</a>.&#160;&#160;</span><i>Antonii Astesani carmen</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VIII. IX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note211">
-<p><span class="label"><a href="#tag211">211</a>.&#160;&#160;</span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 316.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note212">
-<p><span class="label"><a href="#tag212">212</a>.&#160;&#160;</span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 53, Appendice <span class="smcap lowercase">IX</span>. 234.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note213">
-<p><span class="label"><a href="#tag213">213</a>.&#160;&#160;</span><i>Cronaca</i> del <span class="smcap">Graziani</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note214">
-<p><span class="label"><a href="#tag214">214</a>.&#160;&#160;</span><i>Circulus Pisanus</i>, 25.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note215">
-<p><span class="label"><a href="#tag215">215</a>.&#160;&#160;</span>La sentenza motivata, del 1327, porta ch’egli confessò che
-un uomo poteva nascere sotto una costellazione che necessariamente
-lo costringeva a peccare, ed altre eresie che toglievano
-a Dio la potenza e all’uomo il libero arbitrio. «E ciò reiterando
-ed affermando e credendo, disse di più che Firenze era fondata
-sotto il regno dell’ariete, e Lucca sotto quello del granchio; e
-che per ciò, se i Fiorentini andassero contro, sarebbe avverata
-la sua profezia ecc.».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note216">
-<p><span class="label"><a href="#tag216">216</a>.&#160;&#160;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Quis tecum consulet astra</i></p>
-<p class="i01"><i>Fatorum secreta movens, aut ante notabit</i></p>
-<p class="i01"><i>Successus belli dubios, mundique tumultus,</i></p>
-<p class="i01"><i>Fortunasque ducum varias?</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note217">
-<p><span class="label"><a href="#tag217">217</a>.&#160;&#160;</span><i>Storie fiorentine</i>, <span class="smcap lowercase">X</span>. 83.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note218">
-<p><span class="label"><a href="#tag218">218</a>.&#160;&#160;</span>Vedi le sue prediche, edite dal Manni, pag. 99-105, e
-specialmente quella del 7 gennajo 1303. Sta nella biblioteca
-Estense un breviario manoscritto del 1480, d’elegantissima lettera
-e miniatura, cui precede un calendario dove sono notati i
-giorni infausti (<i>ægyptiaci</i>) e le ore, con versi a ciascun mese. Per
-esempio, al gennajo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Prima dies Jani timor est, et septima vanis,</i></p>
-<p class="i01"><i>Nona parit bellum, sed quinta dat hora flagellum.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note219">
-<p><span class="label"><a href="#tag219">219</a>.&#160;&#160;</span><i>Ex conjunctione saturni et jovis in principio arietis,
-quod quidem circa finem novemcentum et sexaginta contingit
-annorum,... totus mundus inferior commutatur, ita quod non
-solum regna, sed et leges et prophetæ consurgunt in mundo...
-sicut apparuit in adventu Nabuchodonosor, Moysis, Alexandri
-Magni, Nazarei, Machometi</i>. Conciliator controv., fasc. <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note220">
-<p><span class="label"><a href="#tag220">220</a>.&#160;&#160;</span>Nell’<i>Istoria miscella di Bologna</i>. Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XVIII</span>,
-al 1422.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note221">
-<p><span class="label"><a href="#tag221">221</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Facio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>; <span class="smcap">Panormita</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note222">
-<p><span class="label"><a href="#tag222">222</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Relazione di viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>. 266.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note223">
-<p><span class="label"><a href="#tag223">223</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Vespasiano</span>, <i>Vita di Pietro Pazzi</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note224">
-<p><span class="label"><a href="#tag224">224</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Tristani Calchi</span>, <i>Nuptiæ Mediol. Ducum</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note225">
-<p><span class="label"><a href="#tag225">225</a>.&#160;&#160;</span><i>Diario dell</i>’<span class="smcap">Infessura</span>. <i>Rer. It. Script</i>., part. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 1143.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note226">
-<p><span class="label"><a href="#tag226">226</a>.&#160;&#160;</span></p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Heu nequam gens judaica,</i></p>
-<p class="i01"><i>Quam dira præsens vesania.</i></p>
-<p class="i01"><i>Plebs execranda!</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note227">
-<p><span class="label"><a href="#tag227">227</a>.&#160;&#160;</span>Per esempio, un <i>Giudizio di Vulcano, Clitennestra</i>, ecc.
-Vedi principalmente <span class="smcap">Magnin</span>, <i>Origini del teatro</i>, 1839.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note228">
-<p><span class="label"><a href="#tag228">228</a>.&#160;&#160;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XXIX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note229">
-<p><span class="label"><a href="#tag229">229</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Nostradamus</span>, <i>Vite de’ poeti provenzali</i>; <span class="smcap">Crescimbeni</span>,
-<i>Storia della vulgare poesia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. part. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 44.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note230">
-<p><span class="label"><a href="#tag230">230</a>.&#160;&#160;</span>Quali il don Pasquale e il Cassandrino de’ Romani, la
-Bonissima e il Sandrone di Modena, la Mariola di Ravenna, lo
-Stenterello e le Pasquelle de’ Fiorentini, i Travaglini de’ Siciliani,
-i Giovannelli de’ Messinesi, il Gianguigiolo de’ Calabresi, il
-Beltrame de’ Milanesi, cambiato poi nel Meneghino, il Girolamo
-e il Gianduja dei Piemontesi, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note231">
-<p><span class="label"><a href="#tag231">231</a>.&#160;&#160;</span>Dai <i>Diarj</i> mss. di Marin Sanuto, vol. <span class="smcap lowercase">XXXII</span>, fol. 341, si
-vede il lotto usato a Venezia, e disapprovato. Sotto il 22 febbrajo
-1522 egli scrive: — La mattina non fu nulla da conto
-nè lettera alcuna, solum si attende a serar un altro lotto di
-ducati seimila, posti per Zuane Manenti sanser con ducati dieci
-per uno, e a lui tre per cento di utile. Li mazor precj sono ducati
-cinquecento l’uno, et sono precj... et fo serato; posto uno di
-cinquemila, et do di quattromila l’uno: et domenica poi disnar
-si caverà nel monastero di san Zuan e Polo... Et nota, il predicator
-di san Zuan e Polo, ozi a la predica, qual è di grandissimo
-onor e nome, fece assai parole su questi lotti, parlando
-non è lecito, et si dovria proveder che non vadi drio. Ed io
-Marin Sanuto <i>palam locutus sum omnibus</i>, che se fossi in loco
-che potesse, provederia a questi lotti, e fin al serenissimo principe
-mandai dir ecc. ecc.».
-</p>
-
-<p>
-Tonti, banchiere italiano stabilitosi in Francia il 1650, immaginò
-una lotteria, alimentata dal ricavo del pedaggio che pagavasi
-sul ponte reale di Parigi, costruito da azionisti, e il cui
-ricavo distribuivasi fra i sopravviventi di essi, fino alla morte
-dell’ultimo. Erano cinquantamila viglietti da quarantotto lire
-ciascuno, e da ciò cominciarono quelle assicurazioni fortuite sulla
-vita, che si dissero <i>tontine</i>. Con combinazioni del modo stesso si
-fabbricarono San Luigi, San Rocco, San Nicola, la cupola del
-Panteon ed altre chiese.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note232">
-<p><span class="label"><a href="#tag232">232</a>.&#160;&#160;</span>San Pier Damiani, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. ep. 10, rimprovera agli ecclesiastici
-la caccia, la furia di fare a dadi e a scacchi, che mutano
-un sacerdote in mimo. Il Cortusio (<i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. 73) dice
-che il nobil uomo signor Rizardo di Camino, <i>alla foggia de’ nobili</i>,
-giocava per sollazzo agli scacchi. Galvano Fiamma scrive
-che i nobili si tratteneano giocando a dadi e scacchi. Nello <i>Statuto
-dell’arte di Calimala</i>, al lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. § 6: — Niuno tintore, affettatore
-o riveditore lasci giucare di dì nè di notte ad alcuno
-giuoco di dado o d’altro, dove alcuna cosa si possa perdere, in
-sua bottega; salvo che di dì si possa giucare a tavole o a scacchi
-palesemente; o a pena di lire dieci per ogni volta». Anche
-lo statuto di Pisa del 1284 proibisce ogni giuoco, eccetto che in
-pubblico le tavole, gli scacchi e il trucciare (<i>ad pistellandum
-ova</i>) in quaresima. Pascasio Giudico, medico viaggiatore del
-<span class="smcap lowercase">XVI</span> secolo, passando da Pavia vi scrisse un trattato <i>De’ giuochi
-di rischio e della malattia di giocar danaro</i>; opera ove tentava
-guarir se stesso, ma invano. Riferisce molti aneddoti, fra cui
-d’un Veneziano che giocò la propria moglie; d’un altro che,
-giocato tutta la sua vita, volle continuare anche dopo morto, ordinando
-che della sua pelle si rivestisse un tavolino da giuoco, e
-delle sue ossa si facessero dadi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note233">
-<p><span class="label"><a href="#tag233">233</a>.&#160;&#160;</span><i>Fabulas scriptas in libris, qui Romanzi vocantur, vitare
-debeant, quos semper odio habui</i>. Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note234">
-<p><span class="label"><a href="#tag234">234</a>.&#160;&#160;</span>Lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. ep. 2, 3, 5 ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note235">
-<p><span class="label"><a href="#tag235">235</a>.&#160;&#160;</span>Leonardo Bruno scrive che Nicolò Niccoli <i>nunquam
-verba duo latina, ob inscitiam linguæ stuporemque cordis ac
-enervatam adulteriis mentem, conjungere potuit</i>. La prima e più
-solita ingiuria che usavano tra loro, era il chiamarsi bastardi e
-figli di preti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note236">
-<p><span class="label"><a href="#tag236">236</a>.&#160;&#160;</span>Vedasi <span class="smcap">Du Cange</span> alle voci <i>Avaria, Anchoragium, Carratura,
-Exclusaticum, Foraticum, Gabella, Teranium, Hansa,
-Haulla, Mensuraticum, Modiaticum, Nautaticum, Passagium,
-Pedagium, Plateaticum, Palifictura, Ponderagium, Pontaticum,
-Portaticum, Portulaticum, Pulveraticum, Ripaticum, Rotaticum,
-Teloneum, Transitura, Viaticum</i>. — <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq.
-M.Æ.,</i> tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. col. 4. e seg. e 866. — <span class="smcap">Werdenhagen</span>, <i>De rebus
-publicis Hanseaticis</i>, part. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 20. — <span class="smcap">Marquard</span>, <i>De jure mercatorum</i>,
-lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 6. — <span class="smcap">Fischer</span>, <i>Geschichte des deutschen Handels</i>,
-tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 526 e seg. — <span class="smcap">Pegolotti</span> ap. Pagnini, <i>Della decima</i>,
-tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 301.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note237">
-<p><span class="label"><a href="#tag237">237</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1233 i frati Minori di Spagna aveano scomunicato i
-mercanti genovesi perchè portavano merci agli infedeli. Gregorio
-IX ne li rimprovera, <i>cum non sit precipitanda excommunicationis
-sententia, sed preambula discretione ferenda</i>; e vuole
-non s’abbiano a considerare scomunicati se non quelli che portano
-ai Saracini ferro, legnami ed altre munizioni contro i
-Cristiani; solo in tempo di guerra s’ha a negar ad essi ogni cosa.
-<i>Liber jurium</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 930.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note238">
-<p><span class="label"><a href="#tag238">238</a>.&#160;&#160;</span><i>Storia fiorentina</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 80.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note239">
-<p><span class="label"><a href="#tag239">239</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia politica del medioevo</i>, pag. 82. — Fin
-ai tempi di Giovanni da Uzzano, cioè del 1440, un corriere di
-commercio impiegava
-</p>
-
-<table class="gener">
- <tr>
- <td>da Genova</td> <td>ad Avignone</td> <td class="num">7</td> <td>in</td> <td class="num">8</td> <td>giornate</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Parigi</td> <td class="num">18</td> <td>in</td> <td class="num">22</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>da Firenze</td> <td>a Milano</td> <td class="num">10</td> <td>in</td> <td class="num">12</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Roma</td> <td class="num">5</td> <td>in</td> <td class="num">6</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Napoli</td> <td class="num">11</td> <td>in</td> <td class="num">12</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Parigi</td> <td class="num">20</td> <td>in</td> <td class="num">23</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Genova</td> <td class="num">5</td> <td>in</td> <td class="num">6</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="center">»</td> <td>a Londra</td> <td class="num">25</td> <td>in</td> <td class="num">30</td> <td class="center">»</td>
- </tr>
-</table>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note240">
-<p><span class="label"><a href="#tag240">240</a>.&#160;&#160;</span>L’albinaggio durò fin a jeri, e in qualche paese non è tolto
-interamente. Al 2 agosto 1817 l’abolirono fra loro la Toscana e
-Parma; al 5 gennajo 1818 e 12 gennajo 1836 essa Toscana
-colla Sardegna; al 3 maggio 1816 colle Due Sicilie, colla Svezia
-e Norvegia; poi nel luglio 1821 con Lucca, nell’aprile 1829
-colla Prussia, nell’aprile 1848 col Belgio; ecc.; al 10 luglio e 5
-agosto 1854 la Sardegna col granducato di Baden.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note241">
-<p><span class="label"><a href="#tag241">241</a>.&#160;&#160;</span><i>Nova consuetudo de statutis et consuetudinibus contra
-Ecclesiæ libertatem editis, tollendis.</i>
-</p>
-
-<p>
-Le costituzioni di Sicilia del 1231 comminavano pene contro
-chi togliesse le robe dei naufraghi, e condannavano a restituire:
-pure Carlo d’Angiò confiscò le navi de’ Crociati naufragate nel
-1270. Corradino suo competitore, in un trattato del 1268 con
-Siena, rinunziava al diritto di naufragio. Uno statuto a Venezia
-del 1232 proibiva di porre le mani sui naufraghi di qualunque
-nazione fossero, e puniva chi non restituisse entro tre giorni:
-ciò non pertanto questa medesima repubblica fece un trattato
-con san Luigi nel 1268 per abolire il diritto di naufragio nei
-due Stati; e nel 1454 i magistrati di Barcellona erano ancora
-costretti a negoziare con quei di Venezia per ottenere lo stesso
-favore.
-</p>
-
-<p>
-D’ugual passo andavano le cose in Oriente: la stessa inutile
-protezione delle leggi, la stessa usanza degli abitanti delle rive,
-la stessa necessità di esenzioni imperiali. Il capo 46 dell’Assisa
-dei cittadini del regno di Gerusalemme, attribuita al re Amalrico
-II montato in trono nel 1197, non apportò che incompiuto
-rimedio all’abuso, circoscrivendo la confisca ad una parte della
-nave naufragata. Se i Musulmani lo praticavano contro i Cristiani,
-e questi contro loro, era una conseguenza delle reciproche
-ostilità. Trattati del 1265, 82, 83, 85, 90... contengono scambievoli
-rinunzie.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note242">
-<p><span class="label"><a href="#tag242">242</a>.&#160;&#160;</span>Rodoano Papanticola di Genova riceve da Otton Bono
-fiorini quindici, pei quali dà in ipoteca una casa in Garignano:
-<i>Locum de Galignano pignori; intrare, estimare facias, et nomine
-vendicionis possidere sine decreto et cetera; et si ibi defuerit,
-in aliis bonis meis adimpleatur.</i> 16 giugno 1158, cartulario del
-notajo Giovanni Scriba, dov’è accennato un altro modo sommario,
-qual è l’andare in possesso senza formole giuridiche e
-sentenza: che trovasi pure altre volte. Ciò è più chiaro in un
-atto del 1º agosto anno stesso, ove Baldo Pulpo e sua moglie
-danno a Guglielmo Vento <i>locum Vulturis</i> (Voltri) <i>pignori; et si
-ibi defuerit, alia bona nostra; et nisi sic observaverimus, tua
-auctoritate et sine decreto consulum et nostra contradictione in
-eis pro duplo intrare posse...</i>; e la moglie rinunzia al senato-consulto
-Vellejano, al diritto d’ipoteca, alla legge Giulia dei
-poderi inestimati. Altrettanto si stipula il 7 novembre 1158.
-Vedi esso cartulario nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note243">
-<p><span class="label"><a href="#tag243">243</a>.&#160;&#160;</span>Buonaccorso Pitti fiorentino, dovendo avere mille fiorini
-dal conte di Savoja nel 1409, fece arrestare in Firenze Giovanni
-Marchiandi figlio del cancelliere di Savoja, nè lo rilasciò se non
-dopo ch’ebbe dato mallevadori. Nel 1393 Amedeo VIII di Savoja
-pagava milleottocento fiorini di un debito, pel quale si erano
-offerti di star prigionieri i tre più grandi baroni di Savoja; nel
-1409 pagava un’indennità a Pietro Colombet, ch’era stato prigione
-per lui. Ap. <span class="smcap">Cibrario</span>, pag. 403. Perciò gli uomini di Racconigi
-stipulavano con Manfredo marchese di Saluzzo al 12
-dicembre 1198: <i>Si ipse marchio aliquem hominem Racunisii in
-fidejussione ponere voluerit, et ipse intrare noluerit, non inde
-eum causare debeat</i>. Monum. Hist. patriæ. <i>Chart</i>. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note244">
-<p><span class="label"><a href="#tag244">244</a>.&#160;&#160;</span><i>Et si civitas, communitas, castrum vel villa, post dictam
-requisitionem non fecerint satisfieri... dummodo de valore rerum
-habitatorum faciat plenam fidem, vel saltem per unum testem
-de visu et scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices
-debeant dare et concedere eis represaliam et licentiam et
-potestatem liberam capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum
-illius terræ. Et teneatur senator ad petitionem illius qui
-privilegium represaliarum habere meruit, facere stagiri et sequestrari
-personas et bona illorum qui sunt de terris et locis.</i>
-Senatus populique romani statuta, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 143.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note245">
-<p><span class="label"><a href="#tag245">245</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Calvi</span>, <i>Efemer</i>., tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 613.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note246">
-<p><span class="label"><a href="#tag246">246</a>.&#160;&#160;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Leges municipales, pag. 206.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note247">
-<p><span class="label"><a href="#tag247">247</a>.&#160;&#160;</span><i>Una cum hospitibus, qui per colles Alpium siti sunt pro
-peregrinorum susceptione</i>. Ep. 39ª di papa Adriano a Carlo Magno
-ap. <span class="smcap">Bouquet</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note248">
-<p><span class="label"><a href="#tag248">248</a>.&#160;&#160;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, dias <span class="smcap lowercase">XXX</span>. — Qui i mercanti sono considerati
-come un corpo, e di fatto a Lucca fondavano nel 1262
-l’ospedale della Misericordia.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note249">
-<p><span class="label"><a href="#tag249">249</a>.&#160;&#160;</span><i>Apud</i> <span class="smcap">Carli</span>, <i>Zecche d’Italia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 173. — Nel 1308,
-i Fiorentini al Comune di Lucca scriveano: <i>Quia desideramus
-quod comune nostrum desiderium, quod inest nobis et vobis, felicem
-sortiatur effectum, tractatum est sæpe sæpius de concordia
-cum nostris mercatoribus per vos faciendo, circa spectantia ad
-passagia et gabellas etc</i>. Archivio storico, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 16. Di là
-(p. 20) appare che in quell’anno gli Ugolotti e i Nerli fiorentini
-aveano fatto una società a Ala di Svevia per batter la moneta
-di quel paese.
-</p>
-
-<p>
-L’anno stesso, venendo da Venezia a Reggio cinque balle di
-panni dorati, e una di perle, anelli, panni, <i>libri</i> ed altre preziosità,
-spettanti a mercanti fiorentini, furono prese da Ilo di
-Cannela e Nicolò da Luni e complici. Laonde il Comune di Firenze
-interessava il Comune di Reggio a procurarne la restituzione,
-riflettendo quanto onore e vantaggio traesse dal passaggio
-delle merci fiorentine (p. 24) Altre querele simili sono a
-leggervi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note250">
-<p><span class="label"><a href="#tag250">250</a>.&#160;&#160;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note251">
-<p><span class="label"><a href="#tag251">251</a>.&#160;&#160;</span>Ivi, 1501.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note252">
-<p><span class="label"><a href="#tag252">252</a>.&#160;&#160;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1378. Vi sono pure le
-promesse che altri feudatarj fanno al marchese, di tener essa
-strada in buon essere.
-</p>
-
-<p>
-I Tortonesi e Genovesi nel 1233 stipulano di conservar la
-strada da Gavi a Serravalle, <i>ita quod non rumpetur, nec in ea
-offendetur per homines jurisdictionis Terdone... et si contrafieret,
-comune Terdone faciet damnum emendari, vel illud emendabit,
-et hoc donec contraria voluntas comunis Terdone appareret
-per denuntiationem factam comuni Janue per dies xv antea.
-Quod si strata rumpetur infra dicta loca Gavii et Serravallis
-per extraneos homines, qui non essent in jurisdictione Terdone,
-nec de habitantibus vel reductum habentibus in terra Janue, comune
-Terdone damnum illud pro dimidia emendabit. Et comune
-Terdone salvabit et assecurabit dictam stractam a Serravalle
-usque Terdonam, et a Terdona usque in districtum Papiæ etc</i>.
-Liber juris, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. 955.
-</p>
-
-<p>
-Manfredo, marchese di Saluzzo, aveva preso le merci dei
-mercanti di Alba, col pretesto di salvarla dalle insidie degli
-Astigiani: onde quelli il supplicarono a restituirle, ed esauditi
-pagarono trecento lire e trecento soldi d’Asti, promettendo far
-che l’arcivescovo ritirasse la scomunica lanciata per questo
-eccesso, e ajutarlo nelle guerre contro gli Astigiani. 1181.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note253">
-<p><span class="label"><a href="#tag253">253</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Scipione Ammirato</span>, <i>St. fiorentina.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note254">
-<p><span class="label"><a href="#tag254">254</a>.&#160;&#160;</span>Valuto il tarì a franchi 2.20; la salma, a ettolitri 2.76.
-Vedasi il <i>Regestum Friderici</i> nell’archivio di Napoli, pag. 309-356;
-<span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia</i>; <span class="smcap">Bianchini</span>, <i>Storia delle finanze del
-regno di Napoli</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note255">
-<p><span class="label"><a href="#tag255">255</a>.&#160;&#160;</span>L’importanza di questo vegetale è attestata dai regolamenti
-di tutti i paesi mercantili. Lo <i>Statuto di Lucca</i>, rub. <span class="smcap lowercase">CXXI</span>
-(ap. <span class="smcap">Tommasi</span>, <i>Sommario</i>), proibisce di venderne, se non sia stato
-riconosciuto dai deputati sopra ciò. In Genova al falsatore di
-zafferano la prima volta si taglia la sinistra, la seconda è bruciato
-vivo con esso zafferano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note256">
-<p><span class="label"><a href="#tag256">256</a>.&#160;&#160;</span>Il riso proviene dall’India e dalla Cina, ma è incertissimo
-il quando fu introdotto in Italia. Da un documento del <i>Codice
-diplomatico arabo-siculo</i> di monsignor Airoldi, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. part. <span class="smcap lowercase">II</span>.
-p. 94, risulta che nell’880 in Sicilia si fece tal raccolto di riso,
-che bisognò stabilire un magazzino apposito. Il trattato di agricoltura
-di Pier Crescenzi non ne fa cenno; bensì ve lo introdusse
-il traduttore, che però fu di poco posteriore, cioè del 1300 cominciante.
-Le tariffe di Giovanni e Luchino Visconti mettono
-ancora il riso fra le spezierie; e lo importavano dall’Egitto e
-dalla Spagna i Veneziani nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>. Nel reame di Napoli
-pare introdotto dagli Aragonesi; e singolarmente abbiamo notizia
-che i duchi d’Atri ne fecero coltivare nel piano tra gli
-sbocchi del Tronto e del Pescara. Vogliono che Lodovico II di
-Saluzzo recasse da Napoli il riso nel Saluzzese, dove molto produceva
-nel 1525. Nel Novarese vuolsi introdotto nel 1521 dai
-soldati di Carlo V. Nel Vercellese accennano la sua coltivazione
-al 1552: quando anche nel basso Veronese Teodoro Trivulzio
-l’introdusse nelle terre di Zevio e Palu. Nella seconda metà del
-xvi secolo Lobelio vedeva vegetare il riso nella campagna milanese
-mediante le acque del lago Maggiore; ma già prima il
-Mattioli lo diceva «famigliarissimo nelle mense di tutta Italia».
-Vedi <span class="smcap">Capsoni</span>, <i>Della influenza delle risaje sulla salute umana,</i>
-Milano 1851.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note257">
-<p><span class="label"><a href="#tag257">257</a>.&#160;&#160;</span>Pazientissimi computi fece il Pagnini, poi dietro ad esso
-il Cibrario nell’opera citata; pure vacilla anch’esso, nè sempre
-si appone, massime ne’ ragguagli; basti vedere la pag. 528. E
-tutti gli economisti versano in somma incertezza sul valore delle
-merci, perchè non si conosce bene la moneta di conto su cui valutavano
-i prezzi.
-</p>
-
-<p>
-Nel <i>Liber jurium</i> di Genova, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 1170, è un inventario
-delle rendite di Andora, venduta dai marchesi di Clavesana al
-comune di Genova nel 1252; e vi sono specificati i frutti che i
-differenti villani devono in natura; i servizj di corpo, col valore
-approssimativo. Meriterebbe un commento, donde sarebbe illustrata
-la condizione de’ campagnuoli, al tempo stesso che il valore
-delle derrate.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note258">
-<p><span class="label"><a href="#tag258">258</a>.&#160;&#160;</span>Cioè Santhià. <i>Monum. Hist. patriæ</i>. Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 341.
-</p>
-
-<p>
-Amedeo V di Savoja, cadente il secolo xiii, affidava a cavatori
-fiorentini o lucchesi la ricerca de’ minerali del suo Stato; ed oro
-traevasi, nel 1279, da Champorcher in val d’Aosta; nel secolo
-seguente lavavansi le sabbie aurifere dell’Orco e dell’Amalone;
-argento si cavava a Groscavallo e ad Ala in val di Lanzo; argento
-e rame a Usseglio e Lemie. Nel 1496 Giovanni Swerstab
-di Norimberga pagava al duca Filippo III trecento fiorini d’oro
-l’anno per usar le miniere di val di Lanzo, e quelle di Montjouet
-in val d’Aosta, e di Macot e Aime in Tarantasia per un quinto
-dell’oro, un decimo degli altri metalli. Nel 1508 Carlo III consentiva
-ai signori d’Aviso le miniere di Beaufort e Montjoye nel
-Fossignì per un quinto dell’oro e dell’azzurro, cioè il cobalto;
-un decimo dell’argento, un quindicesimo dell’acciajo e dello stagno,
-un ventesimo del piombo, ferro, rame. Nel 1530 deputava
-gran mastro delle miniere il tedesco Lodovico Jung, perchè le
-facesse lavorare a conto dello Stato. Dappoi si trovarono altre
-miniere a Vinadio, Pesey, Alagna, Olomont, Usseglio e altrove,
-ma il ricavo ne fu sempre scarso. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Monumenti di Savoja</i>,
-pag. 283.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note259">
-<p><span class="label"><a href="#tag259">259</a>.&#160;&#160;</span>La più antica menzione delle Arti fiorentine è in un
-trattato del 1204 tra i Fiorentini e quelli della Capraja. <i>Hæc
-sunt sacramenta, quæ potestas et consules communis, consules
-militum, priores artium etc. fecerunt</i>. Ap. <span class="smcap">Targioni</span>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 66.
-<i>Viaggi</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note260">
-<p><span class="label"><a href="#tag260">260</a>.&#160;&#160;</span><i>Statuto dell’arte di Calimala</i>. Merita d’esser visto pei
-molti savj regolamenti, frapposti ad altri superflui, e attestanti
-una civiltà molto sviluppata. Vi sono sempre determinate le
-elemosine da dare alle famiglie e alle vedove degli associati.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note261">
-<p><span class="label"><a href="#tag261">261</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1280 il conte Bertoldo, per indur pace fra’ Lambertazzi
-e Geremei, convocava i signori e il popolo, tra il quale i
-consoli delle compagnie del Leone, de’ Beccaj, de’ Lombardi,
-de’ Toscani, delle Stelle, della Branca, del Griffone, dell’Aquila,
-delle Spade, delle Sbarre, de’ Leopardi, delle Schife, delle Traverse,
-delle Ballerie, de’ Castelli, de’ Quartieri, delle Chiavi, dei
-Balzani, della Branchetta, de’ Vari, degli Stracciajuoli, comminando
-a ciascuna compagnia duemila marche se non comparissero.
-Quest’erano compagnie d’armi. Di arti erano quelle dei
-Cordovanieri, delle Stelle, de’ Cambiatori, de’ Mercanti, de’ Notari,
-de’ Caligari, de’ Calzolaj, de’ Pescatori, de’ Pellicciaj,
-vecchi e nuovi, de’ Linaruoli, de’ Conciatori e Cuojaj, de’ Drappieri,
-de’ Falegnami, de’ Muratori, de’ Fabbri, de’ Sarti, dei
-Bacilieri.
-</p>
-
-<p>
-Le arti in Genova verso il 1250 erano albergatori e osti, arcadori,
-balestraj, bambagiaj, barbieri, barilaj, sellaj, calzajuoli,
-calzolaj, cappellieri, cambiatori, correggiaj, coltellinaj, drappieri,
-funajuoli e fabbricatori di vele, fornaj, giojellieri, minutieri,
-orefici, macellaj, maestri di ascia, calafati, muratori,
-legnajuoli, conciapelli, pescatori, remolaj, sartori, canovaj, incettatori
-di grasce, scudaj, spadaj, speziali, tavernaj, tintori,
-tornitorj, facitori di travi e puntelli, ciotolaj; in tutto trentatre
-maestranze, e non v’appare distinzione di maggiori e minori.
-<span class="smcap">V. Serra</span>, Annot. al lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>; ma discordiamo da lui sul senso di
-<i>callegarii</i> e <i>zotolarii</i>.
-</p>
-
-<p>
-Delle arti di Firenze si vedono gli stemmi scolpiti sul Magistrato
-della Mercatanzia, ora uffizio del Bollo; e sono per l’arte
-di Calimala aquila d’oro su balla bianca in campo rosso; pei
-cambiatori, fiori d’oro in campo vermiglio: pe’ giudici o notaj,
-stella d’oro in azzurro; pe’ medici e speziali, la Madonna col
-bambino in fondo rosso; pe’ lanajuoli, agnello bianco con bandiera
-vermiglia; setajuoli, porta rossa in campo bianco; per i
-pellicciaj e vajaj, vaj bianchi e celesti, e agnello con bandiera e
-croce. Delle arti minori portarono, i beccaj, montone nero in
-campo bianco; i calzolaj, tre traverse nere in campo bianco;
-cuojaj, scudo metà bianco e vermiglio; muratori e scarpellini,
-scure in campo rosso; oliandoli, leone rosso rampante con olivo;
-linajuoli, bandiera a metà bianca e nera; magnani, due chiavi
-legate in campo rosso; spadaj e corazzaj, corazza e stocco in
-fondo bianco; coreggiaj, un legno dimezzato per traverso; legnajuoli,
-palma verde con cassetta rossa al tronco; albergatori,
-stella rossa in bianco.
-</p>
-
-<p>
-Mantova nel 1208 aveva le corporazioni de’ giudici, notaj,
-fabbricatori di pannilani, calzolaj e conciatori, beccaj, ferraj,
-<i>rioberj</i>, pellicciaj, speziali, tessitori di lana, sartori, pescatori,
-merciaj, barbieri, venditori di panni a ritaglio, tintori di lana,
-fabbricatori di pignolati, tintori e cimatori di pignolati, <i>corregatores</i>,
-linajuoli; e caduna aveva quattro capi e altrettanti consiglieri;
-tutti i membri erano notati; restava escluso chi non
-avesse dieci anni, e i garzoni; ogni socio doveva una tassa annuale,
-col che e con altri proventi formavasi una cassa per soccorrere
-gl’infermi e per altre beneficenze; ciascun corpo decideva
-sulle cose risguardanti il proprio traffico, sino a certe
-somme. <i>Statuti</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>, rub. 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note262">
-<p><span class="label"><a href="#tag262">262</a>.&#160;&#160;</span>Non qui solo i monaci adopravano il loro ozio alle manifatture,
-ma stavano in mano loro, a tacere altrove, quasi tutte
-quelle d’Inghilterra e di Scozia. Balducci Pegolotti ricorda tutte
-le magioni de’ Premontresi, dell’ordine di Promuxione ecc., che
-faceano traffico.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note263">
-<p><span class="label"><a href="#tag263">263</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">G. Villani</span>, <i>Storie</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>, 93; <i>Della mercatura de’ Fiorentini</i>,
-<span class="smcap lowercase">II</span>. 102. I prezzi del Villani sono da ragguagliare oggi al
-quintuplo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note264">
-<p><span class="label"><a href="#tag264">264</a>.&#160;&#160;</span>Pag. 295. Nella <i>Tariffa milanese</i> del 1216 son notati
-come capi d’importanza i panni comaschi; e il loro transito è
-pure indicato in una di Modena del 1306.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note265">
-<p><span class="label"><a href="#tag265">265</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>. <i>Viaggi</i>. Nello statuto di Pescia 1340
-è ordinato di piantar mori gelsi e otto pedali di fico ogni coltra
-di terra. Un bando del 3 aprile 1435 ordina in ciascun podere
-per lo meno cinque pedali di mori gelsi <i>bianchi</i>; e sotto l’effigie
-del pesciatino Francesco Buonvicini nel palazzo del Comune
-in quell’anno gli è dato lode d’aver portato
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04"> alla sua patria questa pianta,</p>
-<p class="i01">Dalla qual nacque poi ricchezza tanta</p>
-<p class="i01">Che in ogni luogo si noma il Delfino.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Negli statuti dell’arte di Por Santa Maria a Firenze è registrato
-che «nel 1423 per l’arte si cominciò a fare i filugelli in Firenze,
-e furono eletti sei cittadini a farci fare l’esercizio dei filugelli
-bigatti, e trarne la seta». Vincenzo Chiarugi nel <i>Saggio delle
-malattie cutanee sordide</i>, 1798, all’art. <i>Lebbra</i>, pag. 174, dice
-che fin dal 1186 in Toscana era istituito uno spedale per la cura
-de’ lebbrosi lavoranti di lana e seta.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note266">
-<p><span class="label"><a href="#tag266">266</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Morbio</span>, <i>Codice Visconteo Sforzesco.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note267">
-<p><span class="label"><a href="#tag267">267</a>.&#160;&#160;</span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 332.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note268">
-<p><span class="label"><a href="#tag268">268</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Giannone</span>, <i>Storia civile</i>, <span class="smcap lowercase">XXVII</span>. 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note269">
-<p><span class="label"><a href="#tag269">269</a>.&#160;&#160;</span><i>Documenti al</i> <span class="smcap">Tommasi</span>, <i>Sommario della storia di Lucca</i>,
-pag. 63.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note270">
-<p><span class="label"><a href="#tag270">270</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Manni</span>, <i>De Florentinis inventis commentarius</i>; e <span class="smcap">Pagnini</span>,
-tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 100. I tintori da antico ebbero uno spedale proprio,
-fondato con spontanee elargizioni. Le tintorie fiorentine conservano
-ancora l’antico credito, co’ perfezionamenti che vi recò il
-raffinarsi de’ preparati minerali. Il gallato di ferro dà il famoso
-nero; l’azzurro di Raymond, introdotto da questo nel 1811, fu
-perfezionato dal professore Andrea Cozzi, avvivando la seta
-tinta dell’azzurro di Prussia con un bagno di campeggio sostenuto
-da idroclorato di deutossido di stagno. L’arsenico solforato
-e il cromato di piombo furono applicati dal dottore Calamandrei
-alla tintura; oltre che vi si adoprarono vegetali comuni,
-come le bacche di ginepro ancora acerbe per far giallastra la
-lana, la pula di castagne pel color ceciato delle tele cotone, ecc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note271">
-<p><span class="label"><a href="#tag271">271</a>.&#160;&#160;</span>Dal 1812 al 25 fu il maggior fiore di questa manifattura,
-che introduceva fin dodici in quattordici milioni all’anno; e v’ebbe
-qualche cappello che fu pagato sin mille lire.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note272">
-<p><span class="label"><a href="#tag272">272</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Anderson</span>, <i>Hist. commerc</i>., pag. 371.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note273">
-<p><span class="label"><a href="#tag273">273</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Manni</span>, <i>Veglie piacevoli in Dino di Tura</i>. In Francia i
-falliti portavano berretto verde, messo loro dal boja dopo espostili
-alla gogna. Gli statuti di Casale Sant’Evasio pongono: <i>Quicumque
-captus et detentus, volens cedere bonis suis, admittatur
-ad bonorum cessionem... probet coram judice Casalis se stetisse
-in carcere comunis per dies sexaginta die noctuque, et ista probacione
-facta, voce preconis premissa, per servitores comunis in
-publica concione publice et alta voce super lapidem comunis
-cridet et protestetur, quod ipse talis captus cedit bonis, et omnia
-bona sua et presentia et futura, exceptis vestibus de dosso ipsius
-cedentis, libere dimittit, et relaxat creditoribus suis liberam licentiam
-accipiendi et auferendi ejus bona quocumque et ubicumque
-ea invenerint, eorum propria auctoritate, usque ad solutionem
-integram ejus quod habere debent... Et ille qui amodo cedet
-bonis, non possit habere aliquem honorem vel aliquod officium, qui
-vel quod descendat a comune Casalis. — Monum. Hist. patriæ,</i>
-Leges 987.
-</p>
-
-<p>
-Nello statuto antico di Civitavecchia, tradotto nel 1451 e
-stampato nel 1853. il c. <span class="smcap lowercase">XXXVI</span> del lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. porta: <i>Come se renunzia
-a li beni suoi dando le natiche al pietrone</i>.
-</p>
-
-<p>
-«Statuimo che qualunque renunzierà o vorrà renunziare li
-suoi beni, questi non usi quello beneficio nè lo possa usare
-salvo non renunziasse con le solennità et modo infrascritto. Cioè,
-tale volente renunziare a li beni deve uscire de la sala del palazzo
-del Comune et ire sino a la piaza del peso, e debanli andare
-nante li tubatori sonando colle trombe, intanto che, con
-nude le natiche, dica tre fiate <i>Cedo bonis</i>, che vuol dire renunzio
-et do luogo a li miei beni, percotendo le decte natiche così nude
-fortemente ne la pietra. Et poi questo deve stare un mese fora
-de Civitavecchia et suo distretto. Et questo non abbia luogo
-nelle femine, le quali possano renuntiare a li beni secundo la
-ragione comune, senza le predecte solennità».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note274">
-<p><span class="label"><a href="#tag274">274</a>.&#160;&#160;</span><i>Liber jurium</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 1180.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note275">
-<p><span class="label"><a href="#tag275">275</a>.&#160;&#160;</span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note276">
-<p><span class="label"><a href="#tag276">276</a>.&#160;&#160;</span>Lo statuto di Pisa del 1161, rubr. <span class="smcap lowercase">V</span>. <i>De modo cognoscendi
-et judicandi</i>, già stabilisce la procedura mercantile sommaria:
-<i>Statuimus ut quæstio de marinaratici, et nauli, et mercibus
-amissis seu deterioratis in navi vel ligno, a consulibus maris
-summatim et extra ordinem dirimatur.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note277">
-<p><span class="label"><a href="#tag277">277</a>.&#160;&#160;</span>Possediamo siffatti statuti di molte città italiane, e nominatamente
-di Trani e Amalfi, la cui <i>Tavola</i> fu edita a Napoli
-nel 1844 dal principe d’Ardore, copiandola dai manoscritti del
-Foscarini: <i>Capitula et ordinationes curiæ maritimæ nobilis civitatis
-Amalphæ, quæ in vulgari sermone dicuntur la Tabula de
-Amalphu, nec non consuetudines civitatis Amalphæ.</i>
-</p>
-
-<p>
-Al testo del <i>Consolato de’ fatti marittimi</i> suol precedere una
-nota, che indica i paesi dove quello fu accettato; per esempio,
-Roma nel 1075, Genova nel 1186; ma non ha aspetto d’autenticità.
-Carlo Targa e Giuseppe Maria Casaregi, giureconsulti genovesi,
-illustrarono il <i>Consolato</i> in modo che i loro commenti
-divennero regola della navigazione del Mediterraneo.
-</p>
-
-<p>
-Il <i>Consolato</i> sanciva che, in tempo di guerra, le merci neutre
-caricate dal nemico sono libere, e non possono sequestrarsi,
-mentre invece la bandiera neutra non protegge merce nemica.
-Al contrario, le città del Baltico sosteneano il mare libero, non
-per generosità e giustizia, ma perchè soli navigando quel mare,
-vi trovavano il proprio conto, senza concedere reciprocanza alle
-potenze belligeranti. Sono divergenze che furono dibattute nei
-libri, nei congressi e colle armi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note278">
-<p><span class="label"><a href="#tag278">278</a>.&#160;&#160;</span><i>Excipimus præstantias de mari, quas marinarii inter
-se facere consueverunt, et credentias quas socii tractores facere
-consueverunt: verbigratia quas faciunt in Sicilia ad moccobellum
-vocatus, vel alias similes.</i> Rubr. <span class="smcap lowercase">XLII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note279">
-<p><span class="label"><a href="#tag279">279</a>.&#160;&#160;</span>Il marco d’oro che oggi vale lire 848, nel 1300 valeva
-lire 55.10; e quello d’argento lire 2.10: sicchè la proporzione
-fra i due metalli era: 22 : 1.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note280">
-<p><span class="label"><a href="#tag280">280</a>.&#160;&#160;</span><i>De usurariis puniendis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. tit. 6. «Questo iniquo e
-scandaloso traffico (del prestare) era il più favorito mestiere dei
-Lombardi... Di così pestilente costume ho io trattato altrove».
-Sono parole del buon Muratori, <i>Annali</i> al 1226.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note281">
-<p><span class="label"><a href="#tag281">281</a>.&#160;&#160;</span><i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">XIX</span>. 97. L’aggiotaggio all’alto
-e basso è perfettamente descritto da Marchione di Coppo:
-«Molti incantavano del Monte (del debito), e diceano: <i>Lo Monte
-vale trenta per centinajo; io voglio poterti dare da oggi a un
-anno, ovvero tu dare a me a trentuno per cento; che vuoi ti doni
-a far questo?</i> e cadeano in patto, poi stava in sè. Se rinvigliavano,
-li comprava; se rincaravano, li vendeva, e ne permutava
-qua e là il patto, venti volte l’anno. Si pose su gabella fiorini
-due per cento a ogni permutatore». <i>Rubr</i>. 727.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note282">
-<p><span class="label"><a href="#tag282">282</a>.&#160;&#160;</span>Quella bolla, riferita dal Pezzana, <i>St. di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>.
-dec. <span class="smcap lowercase">VII</span>. 9, merita esser vista nella sua integrità pel patronato
-ivi estesissimamente professato.
-</p>
-
-<p>
-Quando Napoleone nel 1807 raccolse l’assemblea israelitica a
-Parigi, fu proposta e votata a grandi applausi questa deliberazione: — I
-deputati israeliti dell’impero francese e del regno
-d’Italia, penetrati di riconoscenza pe’ continui benefizj resi dal
-clero cristiano agli Israeliti ne’ passati secoli, e per l’accoglienza
-che i pontefici e molti altri ecclesiastici hanno usata agli Israeliti
-quando la barbarie, i pregiudizj e l’ignoranza li perseguitavano
-ed espellevano dalla società, stabiliscono che l’espressione
-di questi sentimenti sarà consegnata nel processo verbale affinchè
-rimanga eterna testimonianza autentica della gratitudine
-degli Israeliti di quest’assemblea pei benefizj che le generazioni
-precedenti hanno ricevuto dagli ecclesiastici».
-</p>
-
-<p>
-Nel 1436 il duca di Milano permetteva a una famiglia d’Ebrei
-di Mantova di stabilirsi in Como per dieci anni, co’ suoi fattori,
-socj ecc. L’uffizio di provvisione, cioè la municipalità di Como vi
-si oppose; ma il duca sostenne la concessione, dando la facoltà
-di tener banco, prestare a sei denari per lira al mese, aver esenzione
-da tutti i carichi reali e personali, coll’obbligo di pagare
-fiorini venticinque ogni anno al Comune. I Comaschi non potendo
-impedire, stanziarono però che gli Ebrei portassero un
-distintivo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note283">
-<p><span class="label"><a href="#tag283">283</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">G. Villani</span>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 53.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note284">
-<p><span class="label"><a href="#tag284">284</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Pagnini</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 54.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note285">
-<p><span class="label"><a href="#tag285">285</a>.&#160;&#160;</span><i>Mémoires des Antiquaires de France; nouvelle série</i>,
-<span class="smcap lowercase">XVIII</span>. 467.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note286">
-<p><span class="label"><a href="#tag286">286</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Montfalcon</span>, <i>Hist. de Lyon</i>, pag. 735.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note287">
-<p><span class="label"><a href="#tag287">287</a>.&#160;&#160;</span><i>Antichità estensi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 48.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note288">
-<p><span class="label"><a href="#tag288">288</a>.&#160;&#160;</span>L’esempio di Cicerone, che incarica Attico di pagare in
-Grecia una somma, di cui esso gli farà i fondi a Roma, è l’unico
-di cambio fra gli antichi: ma trattavasi di un migrato da Roma,
-che quivi avea lasciato e beni e congiunti; sicchè era piuttosto
-un cambio d’amicizia che bancario.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note289">
-<p><span class="label"><a href="#tag289">289</a>.&#160;&#160;</span>Il Targioni (<i>Viaggi</i>, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 62) tolse da un copialettere
-del 1372 di un mercante di lana fiorentino questo: — Mandovi
-una lettera com quele di cambio di fiorini ducencinquanta
-avete a ricevere costà... Con questa vi mando una lettera di
-cambio di fiorini cencinquanta, avete a ricevere costà da Vieri
-di cambio per fiorini cencinquanta, n’avei qua a capo da me;
-quando gli avete, ponete a nostra ragione ecc.».
-</p>
-
-<p>
-Emiliani Giudici pubblicò due lettere di negozio del 1290 e
-91, della ditta Consiglio de’ Cerchi e Compagni in Firenze, ove,
-tra altre belle cose, si legge: — Avemmo una lettera che ne
-mandaste per lo procuratore dell’abbate di Nostra Dama de’
-Verucchi; ove ne scriveste che gli facessimo pagare a la corte
-del papa f. cento di sterlini per altrettanti che ne riceveste
-costà; onde avemgliele fatti ben pagare, e ancora avemo mandato
-che gli siano prestate altre f. cento se n’abbisognasse, sì
-come ne mandaste a dire; onde le procuragioni ch’avete, guardate;
-e noi per altra lettera vi scriveremo quello che gli prestassimo,
-e lettere che n’avremo vi manderemo».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note290">
-<p><span class="label"><a href="#tag290">290</a>.&#160;&#160;</span>Lodovico Luzi con documenti provò (Orvieto 1868) che
-in Orvieto fu eretto un Monte di pietà nel 1463; e Ariodante
-Fabretti che in Perugia nel 1462.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note291">
-<p><span class="label"><a href="#tag291">291</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1483, 29 dicembre, Lodovico Gonzaga scriveva a
-frate Angelo Clavasio: — Questo devotissimo populo mantuano,
-mosso ed inducto de la predicatione, persuasione et efficacissime
-ragioni del venerabile padre frate Bernardino de Feltro, ha divisato
-lo laudabilissimo Monte de pietà; e a tanto bene è concorso
-lo signor marchese principalmente, e successive cittadini, plebei
-ed io». D’Arco, Nuovi studj sul Comune di Mantova. In Russia
-devono essere stati introdotti dai nostri quei monti che chiamavano
-i <i>Lombardi</i>, e sono una delle istituzioni più importanti
-dell’impero, prestando al sei per cento, mentre l’ordinario canone
-è dell’otto, dieci e fin dodici.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note292">
-<p><span class="label"><a href="#tag292">292</a>.&#160;&#160;</span>Un diploma di Corrado di Monferrato, dato da Tiro nel
-1188, dice: <i>Donavi et concessi pisanis viris de societate Umiliorum
-quia mecum in Tyri defensionem pro honore nominis unigeniti
-filii Dei, totiusque christianitatis fideliter atque constanter
-permansere, furnum unum</i> etc.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note293">
-<p><span class="label"><a href="#tag293">293</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Du Cange</span>, <i>Glossarium</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 43. <i>A Fulcone Cacio,
-cive placentino, capitaneo universitatis mercatorum lombardorum
-et tuscanorum, habente etiam potestatem et speciale mandatum
-a consulibus mercatorum romanorum, Januæ, Venetiarum, Placentiæ,
-Lucæ, Bononiæ, Pistorii, Astensium, Albæ, Florentiæ,
-Senarum et Mediolanensium</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note294">
-<p><span class="label"><a href="#tag294">294</a>.&#160;&#160;</span>Se ne trovano stipulate alcune nel repertorio di Giovanni
-Scriba, ove anche il nome incontriamo in un documento del 24
-aprile 1156: <i>Ego Bonusvassallus accepi in</i> comendacionem
-<i>a te Wilielmo Filardo libras quinquaginta in panis etc.</i>; e in un
-altro del 3 maggio seguente.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note295">
-<p><span class="label"><a href="#tag295">295</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Ughelli</span>, <i>Italia sacra</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 871, che erra attribuendolo
-a Boemondo II.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note296">
-<p><span class="label"><a href="#tag296">296</a>.&#160;&#160;</span>Chi amasse minutissime particolarità di trattati di commercio,
-fondati sempre sulla gelosia e l’esclusiva, cerchi nel
-<i>Liber jurium,</i> tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 851, quello del 1229 de’ Genovesi coi
-Marsiglioti; e l’altro degli stessi del 9 novembre 1251, che riempie
-sedici colonne dei <i>Monumenta Historiæ patriæ</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note297">
-<p><span class="label"><a href="#tag297">297</a>.&#160;&#160;</span><i>Impositio officii Gazariæ</i>, pag. 326; <i>Capitulare nauticum</i>,
-cap. <span class="smcap lowercase">XXXV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note298">
-<p><span class="label"><a href="#tag298">298</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Poggiali</span>, <i>St. di Piacenza</i>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 31; <span class="smcap">Tigrimi</span>, <i>Vita di
-Castruccio</i>. Buonaccorso Pitti trafficava in Picardia, quando,
-essendovi sbarcati gl’Inglesi nel 1388, «feci compagnia con
-un Lucchese e con un Senese, e a nostre spese, con trentasei
-cavalli e bene armati andammo nel detto esercito, sotto il
-segno e condotta del duca di Borgogna». <i>Cronaca</i>, pag. 34.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note299">
-<p><span class="label"><a href="#tag299">299</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Marsigli</span>, <i>Ricerche sul commercio veneto</i>; <span class="smcap">Fanucci</span>, <i>Storia
-de’ tre celebri popoli marittimi dell’Italia</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>; <span class="smcap">Pagnini</span>, <i>Della
-decima della moneta e della mercatura de’ Fiorentini fino al secolo</i>
-<span class="smcap lowercase">XVI</span>. Lucca 1765; <span class="smcap">Serra</span>. <i>Discorso sopra il commercio, la
-navigazione e le arti dei Genovesi</i>; <span class="smcap">Carlo Pagano</span>, <i>Delle imprese
-e del dominio de’ Genovesi nella Grecia.</i> Genova 1852.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note300">
-<p><span class="label"><a href="#tag300">300</a>.&#160;&#160;</span>Sulla destra del ramo settentrionale del Don, a quattro
-miglia dal suo sbocco, fra i due villaggi che oggi si dicono Simarka
-e Nedvigovka.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note301">
-<p><span class="label"><a href="#tag301">301</a>.&#160;&#160;</span>Federico I nel 1162 concedeva un amplissimo privilegio
-a’ Genovesi, dove fra altre cose gli abilita a cacciare i Provenzali
-e i Francesi che vanno o tornano per mare da negoziare
-colla Sicilia, la Calabria, la Puglia e il Veneto; nelle terre dove
-vanno a mercatare, abbiano due o più Genovesi che rendano la
-giustizia fra loro; i loro mercanti possano valersi de’ pesi e delle
-misure proprie. <i>Liber jurium</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note302">
-<p><span class="label"><a href="#tag302">302</a>.&#160;&#160;</span>E non vino, e così nella Borgogna; mentre a Parigi si
-spacciava vino di Napoli. <i>Pratica della mercatura</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XLII. LIV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note303">
-<p><span class="label"><a href="#tag303">303</a>.&#160;&#160;</span>Il vulgo genovese conserva ancora molte voci arabe:
-<i>Ramadan, camallo, tara, lalla, mandillo, marabotto, roboien,
-corba</i>...</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note304">
-<p><span class="label"><a href="#tag304">304</a>.&#160;&#160;</span>Abbiamo l’inventario d’una nave, che andando all’Ecluse,
-fu spinta alla cala di Dunster. Portava due grosse botti di gengiovo
-verde, un barile di gengiovo in acqua di limone, una balla
-di arquinetta, tredici barili d’uve passe, nove di solfo, censettantadue
-balle di guado, ventidue di carta da scrivere, una cassa di
-zuccaro candito, sei balle di scatole vuote, un barile di prugne
-secche, trentotto balle di riso, cinque botti di cannella, un barile
-di polvere salmistra, e cinque balle di legno di bosso».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note305">
-<p><span class="label"><a href="#tag305">305</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Giustiniani</span>, <i>Annali</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note306">
-<p><span class="label"><a href="#tag306">306</a>.&#160;&#160;</span>Se ne conoscono del 1302, 10, 19, 24, 32, 35, 42, 50,
-62, 82.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note307">
-<p><span class="label"><a href="#tag307">307</a>.&#160;&#160;</span>Negli anni 1306, 17 e 20 Venezia fece trattati con Tunisi,
-nel 56 con Tripoli. Quattro trattati conchiusi fra la repubblica e
-i re di Tunisi della stirpe degli Afidi, ignoti agli storici di Venezia,
-sono dati dal barone de Hammer, <i>St. degli Osmanli</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>.
-p. 691.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note308">
-<p><span class="label"><a href="#tag308">308</a>.&#160;&#160;</span>Mille sono detti nei <i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XXII</span>. 959. Il libro
-<i>Venezia e sue lagune</i>, al tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 176, li farebbe diciannovemila;
-al tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 151 dice che talvolta arrivarono sino a quattromila;
-a p. 253 accenna come il sommo tremila cinquecento. Tali discrepanze
-sono meno scusabili nelle monografie.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note309">
-<p><span class="label"><a href="#tag309">309</a>.&#160;&#160;</span>La galea grande, lunga di alto passi ventitre, piedi tre e
-mezzo, di piano piedi dieci, di bocca diciassette e mezzo, alta in
-coperta piedi otto, non ha opere morte; il timone a poggio movesi
-con una zanca per fianco. La galea di Levante era lunga
-di alto passi ventitre, piedi tre, di piano passi dieci con quattro
-vele. La sottile, passi sette e mezzo con tre vele, cioè come le
-nostre. La latina era lunga in colomba passi dodici, di piano
-piedi nove, piedi sedici in trepiè, ventiquattro in bocca, nove e
-mezzo in coverta, sedici in coverta lunga, il timone passi quattro,
-due battelli da piedi trentaquattro, una gondola da ventiquattro.
-La nave quadra era tredici passi in colomba, di piano piedi
-nove e un quarto, diciassette e mezzo in trepiè, ventisei e
-mezzo in bocca, e caricava trecento botti. Le descrive uno che
-vi serviva nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>; manoscritto della Magliabechiana,
-classe <span class="smcap lowercase">XIX</span>. cod. 7. Le carrache erano i legni più grossi dopo i
-vascelli propriamente detti, e portavano fin millequattrocento
-barili, aveano tre ponti, e più tardi n’ebbero fin sette. Le galeazze
-aveano anch’esse un castello di prua e uno di poppa, tre alberi,
-vele latine e trentadue banchi di rematori.
-</p>
-
-<p>
-È quasi inesplicabile la rapidità delle costruzioni navali. Jacopo
-da Varagine (<i>Rer. It. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>. 17) attesta che dal 15
-luglio al 15 agosto 1297 la Repubblica genovese allestì ducento
-galee da ducenventi uomini almeno ciascuna: nel 1284 ne
-allestirono settanta in tre giorni. Venezia in men di cento giorni
-preparò una flotta: presente Enrico III, in due ore fu posta
-insieme una galea e varata: nel 1569 distrutto l’arsenale dall’incendio,
-nel seguente uscivane la flotta che disfece la turca a
-Lépanto.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note310">
-<p><span class="label"><a href="#tag310">310</a>.&#160;&#160;</span><i>Ep. seniles</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. ep. 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note310a">
-<p><span class="label"><a href="#tag310a">310a</a>.&#160;&#160;</span>Nell’Appendice <span class="smcap lowercase">XXIX</span> dell’<i>Archivio storico italiano</i> si pubblicarono
-documenti che rischiarano il commercio de’ Veneziani
-coll’Armenia e con Trebisonda. In questa città i Veneziani ebbero
-privilegi amplissimi fin dal 1201, più volte confermati, e quartiere
-fortificato, al par de’ Genovesi; colle conquiste russe perì la
-prosperità di Trebisonda, ma in questi ultimi anni tornò importantissimo
-scalo per l’estremo Oriente.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note311">
-<p><span class="label"><a href="#tag311">311</a>.&#160;&#160;</span>Tali sono, fra gli altri, due trattati del 1327 con Como
-e Brescia.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note312">
-<p><span class="label"><a href="#tag312">312</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Malipiero</span>, <i>Annali</i>, 666, 715, 717.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note313">
-<p><span class="label"><a href="#tag313">313</a>.&#160;&#160;</span>Ragusa anticamente area trattati di commercio con
-Fermo, Recanati, Rimini, Ravenna, Ferrara (<span class="smcap">Appendini</span>, <i>Notizie
-storiche della città di Ragusa</i>); e prima ancora con Napoli,
-Siracusa, Messina, Barletta ecc.; dappoi si ridusse in dipendenza
-di Venezia, che vi teneva un conte a governarla con patti
-stabiliti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note314">
-<p><span class="label"><a href="#tag314">314</a>.&#160;&#160;</span><i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XI</span>. 142.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note315">
-<p><span class="label"><a href="#tag315">315</a>.&#160;&#160;</span><i>Libri di divisamenti di paesi, di misure di mercatanzie,
-ed altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti
-del mondo</i>; edito dal Pagnini.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note316">
-<p><span class="label"><a href="#tag316">316</a>.&#160;&#160;</span>Fin dal 1422 entrò in trattative col soldano d’Egitto pel
-commercio d’Alessandria e della Siria, e col signore di Corinto
-in Romania, e conchiuse con loro vantaggiosi trattati; uno del
-pari nel 1425 coll’Inghilterra, che rinnovò nel 1490; coll’imperatore
-greco nel 1438; col re d’Aragona nel 1450. Nel 1487 e
-88 rinnovò le trattative coll’Egitto per favorire la propria navigazione
-ad esclusione degli stranieri.
-</p>
-
-<p>
-Fra i canti per mascherate n’è uno di mercanti fiorentini,
-che tornati arricchiti, esaltano il girare il mondo e guadagnare,
-poi rimpatriati ajutare chi n’ha bisognò; ed esortano ad avviare
-a ciò i figli, anzichè lasciarli perdersi nell’ozio e ne’ vizj.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note317">
-<p><span class="label"><a href="#tag317">317</a>.&#160;&#160;</span>«Il sintraco (come a dire sindaco) deve aver tre mine di
-sale da ogni legno che vien di Sardegna con sale; se venisse di
-Corsica e avesse fatto cambio, n’avrà tre mine di grano; una
-mina da ogni legno che venga dalla Marittima e da Romania.
-Da ogni legno che va in Corsica, abbia una mina di grano; da
-ogni legno di sale di Provenza, tre quartini di sale; da ogni galea
-che va in corso oltre Sardegna o in Ispagna, un marabotico; da
-ogni legno che vien di Sicilia, due mine. Nelle principali feste
-pranzerà coll’arcivescovo. Tocca a lui ordinare le guardie delle
-città, e riconoscere se furono fatte; convocare il popolo, battere
-i ladri e malfattori secondo l’ordine de’ consoli, e fare i bandi
-per la città e per tutto il vescovado; entrar nelle case a ricevere
-i pegni, e quando spira vento d’aquilone andare per la città, pel
-castello e pel borgo ad avvertire che badino bene al fuoco. Il
-sabato santo custodirà le porte di San Giovanni finchè l’arcivescovo
-e i canonici vengano a benedir le fonti». Liber jurium,
-pag. 79.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note318">
-<p><span class="label"><a href="#tag318">318</a>.&#160;&#160;</span><i>Lettera di</i> Benedetto Dei <i>per difesa della mercatura
-dei Fiorentini contro le ingiurie sparse da alcuni mercadanti
-veneziani</i>. Vedi nel vol. <span class="smcap lowercase">II</span> del Pagnini.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note319">
-<p><span class="label"><a href="#tag319">319</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1505 per la prima volta Firenze tirò grano dall’Inghilterra
-per cinquantamila scudi d’oro, e duemila moggia da
-Linguadoca. <span class="smcap">Nardi</span>, <i>Storie fiorentine</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note320">
-<p><span class="label"><a href="#tag320">320</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1499 i Salviati riceveano da Filippo d’Austria, duca
-di Borgogna, in pegno per quattromila fiorini grossi, trecentoventi
-centinaja di lana d’Inghilterra, e un famoso fiordaliso,
-vale a dire un reliquiario di oncie diciannove fiorentine, con
-crocifisso nero, quarantuno balasci, trentasei zaffiri, nove smeraldi,
-cinquantacinque rosette d’oro con quattro perle in ciascuna
-e un diamante acuto, e la corona con quattro perle a
-pera, un diamante grosso e trentotto perle.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note321">
-<p><span class="label"><a href="#tag321">321</a>.&#160;&#160;</span>Klaproth preparava l’edizione del <i>Milione</i> di Marco Polo
-con commenti e colla carta analizzata dei paesi da lui visitati; e
-doveasi stampare a spese della Società geografica di Parigi: ma
-non potè compirla. Parrebbe a credere fosse scritto originalmente
-in veneziano, dialetto dello scrittore. Il padre Spotorno
-sostiene che, nella lunga lontananza, esso doveva aver dimentico
-l’idioma patrio, e che Andalon del Negro genovese lo scrisse in
-latino, sopra relazione del Polo stesso. I migliori ora tengono
-che Rusticiano da Pisa lo stendesse in francese, man mano che
-lo raccoglieva dalla bocca di Marco suo compagno di carcere.
-Il testo più genuino pare quello che pubblicò la Società geografica
-di Parigi nel 1824. Di buon’ora il Milione fu mutato in
-toscano e in altre lingue, ma interpolandovi novità; nel che
-maggior licenza si prese il Ramusio nella sua <i>Collezione di navigazioni</i>.
-Nel 1844 fu stampato a Edimburgo da Murray con copiose
-note illustrative; in tedesco da A. Bürck (<i>Die Reisen des
-Venezianers M. Polo</i>. Lipsia 1845) sopra le migliori edizioni, e
-con aggiunte di C. F. Neumann, che viaggiò i luoghi stessi, e
-che trova esattissimo il nostro Veneziano. Un’edizione italiana
-fu procacciata a Venezia il 1847 da Vincenzo Lazari, traducendo
-l’edizione del 1824, liberando il testo dalle aggiunte Ramusiane,
-e arricchendola di note. Il tenente Wood della marina britannica
-dell’India, il quale scoperse le vere sorgenti dell’Oxo nel 1829,
-dice esattissima la descrizione che di que’ paesi fa Marco Polo.
-</p>
-
-<p>
-* Il colonnello Enrico Yule, del corpo degl’ingegneri nel
-Bengala, stampò a Londra nel 1871 <i>The book of sir</i> Marco Polo
-<i>the venetian, newly translated and edited with notes</i>, 2 volumi
-con mappe e figure e dissertazioni sulla vita, la famiglia, il carattere
-di M. Polo, e con abbondanti notizie geografiche, etnografiche
-e filologiche.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note322">
-<p><span class="label"><a href="#tag322">322</a>.&#160;&#160;</span>Vedi <span class="smcap">Bizzarro</span>, <i>Hist. rerum persicarum.</i></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note323">
-<p><span class="label"><a href="#tag323">323</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Graberg de Hemsö</span>, <i>Annali di geografia</i>; gennajo 1803.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note324">
-<p><span class="label"><a href="#tag324">324</a>.&#160;&#160;</span><i>Idem videtur sentire noster Georgius, vir in peragrando
-orbe atque indagando terrarum situ diligentissimus,</i> dice Antonio
-Galateo, che tratta la stessa quistione nel libretto <i>De situ
-elementorum</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note325">
-<p><span class="label"><a href="#tag325">325</a>.&#160;&#160;</span><i>Genealogia degli Dei</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XV.</span></p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note326">
-<p><span class="label"><a href="#tag326">326</a>.&#160;&#160;</span><i>Ep. famil</i>., lib. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note327">
-<p><span class="label"><a href="#tag327">327</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. l. 1, c. <span class="smcap lowercase">V</span>. § 2.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note328">
-<p><span class="label"><a href="#tag328">328</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Zanetti</span>, <i>Origine di alcune arti presso i Veneziani</i>, p. 46.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note329">
-<p><span class="label"><a href="#tag329">329</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Zurla</span>, <i>Il mappamondo di frà Mauro descritto ed illustrato</i>.
-Venezia 1806; opera debole. Nel trasportare questo
-prezioso monumento da San Michele di Murano al palazzo ducale,
-si potè meglio esaminarlo; e a spalla vi si trovò scritto:
-<span class="smcap lowercase">MCCCLX</span> adi <span class="smcap lowercase">XVI</span> <i>avosto fo chomplido questo lavor</i>. È singolare
-vedervi in Africa accennato il <i>Dafur</i>, che è il Darfur, ignoto fin
-quando Bruce lo visitò ai giorni nostri: prova che frà Mauro si
-valeva di relazioni o perdute o mai non scritte.
-</p>
-
-<p>
-Nel congresso geografico del 1875 si trattò di tutte queste e
-di altre mappe.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note330">
-<p><span class="label"><a href="#tag330">330</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Folietta</span>, <i>Hist. gen.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>.
-</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note331">
-<p><span class="label"><a href="#tag331">331</a>.&#160;&#160;</span>Il Petrarca (<i>De vita solit</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. sect. 6. c. 3) dice che all’età
-de’ suoi padri colà penetrò un’armata di Genovesi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note332">
-<p><span class="label"><a href="#tag332">332</a>.&#160;&#160;</span><i>Relazione della scoperta delle Canarie e d’altre isole dell’Oceano
-nuovamente ritrovate nel</i> 1341; stampata da Sebastiano
-Ciampi a Firenze nel 1827.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note333">
-<p><span class="label"><a href="#tag333">333</a>.&#160;&#160;</span>Il Sadoleto, nel 1514, ne lo ringraziava a nome di Leon X
-per <i>elephantum unum indicum, incredibili corporis magnitudine,
-et pardum unum, et vestem destinatam rebus divinis. Erat ea
-species, ea pulchritudo nobilissimi operis, qualem nec vidissemus
-ante unquam, nec videre expectavissemus; is splendor, qui ex
-candore et copia tot gemmarum esse debebat; artem autem in eo
-et varietatem operum omnes plane confitebantur etiam pretiosiorem
-esse materia, cum diuturnus labor nobilitatem summi
-artificii, ordine et contextu mirabili margaritarum, antecellere
-omnibus indicis atque arabicis opibus coëgisset... Lectæ sunt
-literæ tuæ, scripta incertum elegantius an religiosius; te, quod
-primitiæ omnium rerum Deo dicandæ sunt, primitias Lybiæ,
-Mauritaniæ, Æthiopiæ, Arabiæ, Persidis atque Indiæ...
-nobis... dare ac dedicare</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note334">
-<p><span class="label"><a href="#tag334">334</a>.&#160;&#160;</span>Quando naque Colombo? Nel 1430, o 36, o 41, o 45, 46,
-47, 49, 55. — Dove? A Genova, a Cogoleto, a Bugiasco, a Finale,
-a Quinto, a Nervi sulla Riviera; a Savona o a Palestrella, o ad
-Arbizoli là vicino; o a Cosseria fra Millesimo e Carcare; in val
-di Oneglia, a Castel di Cuccaro fra Alessandria e Casale, a Piacenza,
-o a Pradello in val di Nura. Ciascuna di queste opinioni
-fu sostenuta con gran corredo di ragioni e di petulanze. Vedasi
-l’ultimo lavoro del marchese <span class="smcap">D’Avezac</span>, <i>L’année véritable
-de la naissance de Colomb</i> (Parigi 1873), che lo pone al fine
-del 1446, e le contraddizioni dell’americano Harris.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note335">
-<p><span class="label"><a href="#tag335">335</a>.&#160;&#160;</span>Dante indica le costellazioni del piede del centauro e della
-crociera del sud, invisibili al nostro emisfero.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Io mi volsi a man destra, e posi mente</p>
-<p class="i02"> All’altro polo, e vidi quattro stelle</p>
-<p class="i02"> Non viste mai fuorchè alla prima gente...</p>
-<p class="i02"> O settentrïonal vedovo sito</p>
-<p class="i02"> Poichè privato se’ di veder quelle.</p>
-<p class="i13"> <i>Purg.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-I planisferi arabi e i nostri viaggiatori che arrivavano fino a
-Bab el-Mandeb, ne lo poterono istruire. La sua cosmogonia è
-siffatta: che l’emisfero boreale stava sott’acqua, e un gran continente
-era nell’australe opposto al nostro; Lucifero, <i>piovendo</i>
-dal cielo per essere incarcerato nel centro della terra, spinse in
-su un cono di sollevamento, che forma la montagna del Purgatorio,
-sulla cui vetta ride il Paradiso: la massa arida agli antipodi
-si fece <i>del mal velo per paura</i> di Lucifero, e nel nostro
-emisfero restò una <i>gran secca</i>, cioè un continente di cui è centro
-Gerusalemme. Questi sono concetti sistematici e poetici; e
-più importa il vedere precisamente designato da Dante il centro
-di gravità della terra, <i>il punto a cui son tratti d’ogni parte i
-pesi</i>. Vero è che Aristotele lo accenna e che il cronista Rolandino
-mezzo secolo prima di Dante scriveva, <i>Non aliter quam
-ad punctum terræ medium, quod philosophi centrum dicunt,
-ponderosa cuncta tendere naturaliter elaborant</i> (Hist. Patavina,
-lib. <span class="smcap lowercase">XII</span>. c. 9). Ammesso questo centro di gravità, non è più meraviglia
-che abitino uomini tutto in giro al globo. Il Petrarca
-nomina gli antipodi in un passo da noi citato nel volume vii a
-pag. 500; e nella canzone v scrive:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Nella stagion che il Sol rapido inchina</p>
-<p class="i01">Verso occidente e che il dì nostro vola</p>
-<p class="i01">A gente che di là forse l’aspetta;</p>
-</div></div>
-
-<p>
-e nella sestina <span class="smcap lowercase">I</span>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quando la sera scaccia il chiaro giorno,</p>
-<p class="i01">E le tenebre nostre altrui fan alba.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-I quali passi intarsiando il Pulci nel <span class="smcap lowercase">XXV</span> del <i>Morgante</i>, fa dire
-dal demonio Astarotte che dappertutto «navigar si puote,
-Però che l’acqua in ogni parte è piana» benchè la terra sia
-rotonda;
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E puossi andar giù nell’altro emisperio</p>
-<p class="i02"> Però che al centro ogni cosa reprime,</p>
-<p class="i02"> Sì che la terra, per via di misterio,</p>
-<p class="i02"> Sospesa sta tra le stelle, sublime;</p>
-<p class="i02"> E laggiù son città, castella, imperio,</p>
-<p class="i02"> Ma nol cognobbon quelle genti prime;</p>
-<p class="i02"> Vedi che il Sol di camminar s’affretta</p>
-<p class="i02"> Dov’io ti dico che laggiù s’aspetta.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note336">
-<p><span class="label"><a href="#tag336">336</a>.&#160;&#160;</span>Già Strabone comprendea la possibilità della circumnavigazione,
-«e se l’estensione del mare Atlantico non ci facesse
-ostacolo, noi potremmo, persistendo sotto il medesimo parallelo,
-navigare dalla Spagna fino all’India». <i>Geografia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. E Seneca
-(<i>Quæstiones nat.</i>), interrogandosi quanto vi sia dagli ultimi
-confini della Spagna fin all’India, risponde: — Lo spazio di pochissimi
-giorni, se il vento spiri in favore».</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note337">
-<p><span class="label"><a href="#tag337">337</a>.&#160;&#160;</span>Nel 1488 Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, disegnatore
-di carte nautiche a Lisbona poi a Londra, donava a
-Enrico VII d’Inghilterra un mappamondo, che non ci è descritto
-particolarmente, ma dov’è questa rozza epigrafe:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Janua cui patria est, nomen cui Bartholomæus</i></p>
-<p class="i01"><i>Columbus de terra rubra, opus edidit istud</i></p>
-<p class="i01"><i>Londiniis A. D.</i> <span class="smcap lowercase">MCCCCLXXX</span> <i>atque insuper anno</i></p>
-<p class="i01"><i>Octavo, decimaque die cum tertia mensis</i></p>
-<p class="i01"><i>Februarii, Laudes Christo canentur abunde.</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note338">
-<p><span class="label"><a href="#tag338">338</a>.&#160;&#160;</span>Quell’uffizietto sta nella libreria Corsini di Roma. — Di
-Colombo parlammo estesissimamente nella <i>Storia universale</i> e
-negli <i>Italiani illustri</i>, e forse non senza novità. È notevole che
-egli non accenna mai Marco Polo, sebbene si fondi continuamente
-sulle tradizioni di quello.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1670 Filippo re di Spagna donava alla repubblica genovese
-un codice in pergamena, foglio piccolo, legato in cordovano
-con mazzetto d’argento, e chiuso in una busta di cordovano con
-serratura d’argento. Era una raccolta fatta da Colombo stesso
-de’ proprj titoli a quella scoperta, e de’ privilegi venutigli; di
-cui fece fare due copie, spedendole a Nicolò Oderigo confidente
-suo, acciocchè le ponesse in luogo sicuro. Nelle ultime
-vicende di Genova andarono disperse. Una, portata a Parigi, fu
-ricuperata; l’altra si ritrovò nella biblioteca del conte Michelangelo
-Cambiaso, e il corpo dei Decurioni la comprò, e ne fece
-eseguire la traduzione dal padre Spotorno e la stampa, col titolo
-di <i>Codice diplomatico Colombo-Americano, ossia raccolta
-di documenti originali e inediti, spettanti a Cristoforo Colombo,
-alla scoperta e al governo dell’America</i>. 1822.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note339">
-<p><span class="label"><a href="#tag339">339</a>.&#160;&#160;</span>Ma Colombo dice precisamente che, al passare di un
-certo punto, cioè del meridiano magnetico, «come al passar d’una
-collina», l’ago, vôlto fin là a nord-est, piegava a nord-ovest.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note340">
-<p><span class="label"><a href="#tag340">340</a>.&#160;&#160;</span><span class="smcap">Angelo M. Bandini</span>, <i>Vita di Amerigo Vespucci</i>. Solo nel
-1830, pei documenti pubblicati da Nugnes e Navarrete, si ebbe
-qualche certezza de’ costui fatti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note341">
-<p><span class="label"><a href="#tag341">341</a>.&#160;&#160;</span>— Non erano passati molti anni che venne in Moscovia
-alla corte del suo principe un ambasciatore di papa Leone, nominato
-messer Paulo Centurioni genovese, sotto diversi pretesti;
-ma la principal ragione... era perchè il detto messer Paulo,
-avendo conceputo sdegno e odio grande contro Portoghesi, voleva
-vedere se poteva far aprire un viaggio per terra, che le spezierie
-venissero d’India per via dei Tartari e dal mar Caspio
-nella Moscovia». <span class="smcap">Ramusio</span>, <i>Disc. sopra li viaggi delle spezierie</i>,
-vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 374.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note342">
-<p><span class="label"><a href="#tag342">342</a>.&#160;&#160;</span>Epist. 152.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note343">
-<p><span class="label"><a href="#tag343">343</a>.&#160;&#160;</span>Il Roberston le adopera come tali, ma evidenti anacronismi
-le convincono scritte assai dopo il caso. Disopra della porta
-della chiesa di Siviglia dell’Oro alla Giamaica si leggeva: <i>Petrus
-Martyr ab Angleria italicus, civis mediolanensis, protonotarius
-apostolicus hujus insulæ, abbas, senatus indici consiliarius, ligneam
-prius ædem hanc bis igne consumptam latericio et quadrato
-lapide primus a fundamentis extruxit</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note344">
-<p><span class="label"><a href="#tag344">344</a>.&#160;&#160;</span><i>Isole trovate novamente per el re di Spagna</i>. L’ultima ottava
-dice:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Questa ha composto de Dati Giuliano</p>
-<p class="i01">A preghiera del magno cavaliere</p>
-<p class="i01">Messer Giovan Filippo ciciliano,</p>
-<p class="i01">Che fu di Sixto quarto suo scudiere.</p>
-<p class="i01">Et capitano suo et capitano</p>
-<p class="i01">A quelle cose che fur di mestiere</p>
-<p class="i01">A laude del Signor si canta e dice</p>
-<p class="i01">Che ci conduca al suo regno felice.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E il libro chiudesi con queste parole: — Finita la storia de la
-inventione delle nuove isole di Canaria indiane, tracta da una
-pistola di Christofano Colombo, et per messer Giuliano Dati
-tradocta di latino in versi vulgari a laude della celestiale Corte
-et a consolatione della christiana religione, et a preghiera del
-magnifico cavaliere messer Giovan Filippo di Lignamine, familiare
-dello illustrissimo re di Spagna christianissimo. A dì <span class="smcap lowercase">XXVI</span>
-d’ottobre 1495, Florentiæ». Quali sono peggiori, i versi o la
-prosa? Certo nè gli uni nè l’altra invogliano a dissotterrare quel
-libro.
-</p>
-
-<p>
-Vedansi gli <i>Studj bibliografici e biografici sulla Storia della
-geografia in Italia</i>, pubblicati in occasione del Congresso Geografico
-di Parigi. Roma 1875.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note345">
-<p><span class="label"><a href="#tag345">345</a>.&#160;&#160;</span>Melchiorre Gioja vede nelle imposte «una forza di crescente
-proporzione, la quale non trova limite se non nella resistenza
-de’ popoli, e nel cuor de’ principi saggi». <i>Nuovo prospetto
-delle scienze economiche</i>, pag. 230.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note346">
-<p><span class="label"><a href="#tag346">346</a>.&#160;&#160;</span>Nel concilio Lateranese iv, sotto Innocenzo III, è sancito
-che l’indagine si faccia per trovar la verità, <i>coram ecclesiæ
-senioribus</i>; e si soggiunge: <i>Debet esse præsens is, contra quem
-facienda est inquisitio, nisi se per contumaciam absentaverit; et
-exponenda sunt ei illa capitula, de quibus fuerit inquirendum,
-ut facultatem habeat defendendi seipsum; et non solum dicta,
-sed etiam nomina ipsa testium sunt ei publicanda, ut quid et a
-quo sit dictum appareat; nec non exceptiones et replicationes
-legitime admittendæ, ne per suppressionem nominum infamandi,
-per exceptionum vero exclusionem deponendi falsum audacia
-præbeatur</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note347">
-<p><span class="label"><a href="#tag347">347</a>.&#160;&#160;</span>Credesi che Pier Lombardo, per sollecitazione dei vescovi,
-sostenesse in Francia le ragioni de’ villani a segno da ottenere
-che anch’essi potessero portare lunghi i capelli, distintivo sin
-allora dei nobili, cioè della razza conquistatrice. Perciò la
-memoria di lui era celebrata annualmente dall’Università di
-Parigi.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note348">
-<p><span class="label"><a href="#tag348">348</a>.&#160;&#160;</span>Giovanni XXII avea pubblicato una bolla, ove diceva: — Per
-l’autorità conferitaci dall’eterno Padre e dai santi apostoli
-Pietro e Paolo, dopo matura riflessione, e udito il consiglio dei
-nostri venerabili fratelli, di piena nostra podestà separiamo
-l’Italia dall’Impero: riserbando a noi stessi di provvedere pel governo
-di essa; e facciamo ampio divieto d’entrarvi». <i>Provinciam
-Italiæ ab eodem imperio et regno Alemanniæ totaliter eximentes;
-ipsam a subjectione communitatum et jurisdictionum eorumdem
-regni et imperii separamus</i>. Il <span class="smcap">Baluzio</span>, <i>Vitæ Pap. Avenion</i>., i
-col. 704, la dà come falsa, ma come genuina la considera <span class="smcap">Olenschlaeger</span>,
-<i>Staatsgeschichte des römischen Kaiserthumes</i>, p. 249.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note349">
-<p><span class="label"><a href="#tag349">349</a>.&#160;&#160;</span>Allude al principato di Monaco. Tutto ciò fu scritto
-avanti le annessioni del 1860.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note350">
-<p><span class="label"><a href="#tag350">350</a>.&#160;&#160;</span>Touqueville (<i>De la démocratie</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 117) dice che la parola
-<i>patrie</i> non si trova in nessun Francese prima del secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici. In particolare il testo in
-greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8 (DI 15)</span> ***</div>
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-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
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-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
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-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
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-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
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-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
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-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
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-public support and donations to carry out its mission of
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-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
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-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
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-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
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-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
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-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
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-approach us with offers to donate.
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-
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-</div>
-
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-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
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-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
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-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
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-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
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-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
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-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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