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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Storia degli Italiani, vol. 8 (di 15) - -Author: Cesare Cantù - -Release Date: February 7, 2023 [eBook #69981] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by The Internet Archive) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8 -(DI 15) *** - - - STORIA - DEGLI ITALIANI - - - PER - CESARE CANTÙ - - - EDIZIONE POPOLARE - RIVEDUTA DALL’AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI - - TOMO VIII. - - - - TORINO - UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE - 1876 - - - - -CAPITOLO CXII. - -Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana. Il Milanese eretto -in ducato. - - - FAMIGLIA DEI CARRARESI - - Giacomo I, principe del popolo 1318-1324 - Nicolò suo fratello 1324-1326 - Marsiglio loro nipote 1324-1338 - Ubertino nipote di questo 1338-1345 - Marsiglietto Pappafava 1345 - Giacomo II figlio di Nicolò 1345-1350 - Giacomino suo fratello 1350-1372 - Francesco I loro nipote 1350-1388 m. 1393 - Francesco II Novello, strozzato a Venezia - coi figli Francesco e Giacomo 1390-1406 - - FAMIGLIA DEGLI SCALIGERI - - Mastino I, signore di Verona 1259-1277 - Alberto suo fratello 1277-1301 - Bartolomeo } { 1301-1304 - Alboino } figli di Alberto { 1304-1311 - Can Grande } { 1312-1329 - Alberto II } 1352 - } figli di Alboino 1329- - Mastino II } 1351 - Cane II } 1359 - Cane III Signorio } figli di Mastino II 1351-1375 - Paolo Alboino } 1374 - Bartolomeo II } 1381 - } figli natur. di Can Signorio 1375- - Antonio } 1387 m. 1388 - Guglielmo 1404 - Antonio e Brunoro suoi figli proscritti. - -Sei capi ambiziosi e capaci aveano, fra le traversie, condotta in -grande stato la famiglia Visconti. Morto (1354) l’arcivescovo Giovanni, -perfido e astuto ma valoroso e liberale quanto serve a palliare -l’ingiustizia, il consiglio generale di Milano e delle altre città -fecero omaggio ai nipoti di lui Bernabò e Galeazzo (tom. VII, p. 561), -che spartironsi il dominio, serbando indivisa Milano, ove fabbricarono -uno la rôcca di porta Zobia, l’altro quella a porta Romana e alla Casa -dei Cani. - -Già vedemmo come Bernabò resistesse all’Albornoz e alla lega guelfa. -Le bande soldate da questa e massime le inglesi, spintesi (1362) -fino a Magenta, Corbetta, Nerviano, Vituone, dilapidarono ogni cosa, -e rapirono seicento nobili che soleano abitarvi, nè li rilasciarono -che a grossi riscatti; ma in fine a Casorate rimasero sanguinosamente -sconfitte. - -Poco poi, Bernabò venne ancora in rotta con papa Urbano V, il quale -bandì contro di lui la crociata, a cui concorsero l’imperatore Carlo -IV, il re d’Ungheria, la regina di Napoli, il marchese di Monferrato, -i principi d’Este, i Gonzaga, i Carrara, i Malatesti, e Perugini e -Sanesi, confederati nella lega di Viterbo (1367). Ma Bernabò sapea che -coteste crociate, unite solo dal sentimento, basta tirare in lungo, e -si scomporranno da sè. In fatto a denari comprò l’inazione di Carlo IV -(1368), allora calato nuovamente in Italia con cinquantamila uomini; a -contanti fece passare dai nemici a sè la Compagnia Bianca, sommosse le -città papaline (1369 febb.), e potè conchiudere buona pace, avendo però -nella guerra consumato tre milioni di zecchini. - -L’accorta politica e gli estesi concetti di Bernabò erano deturpati -dall’ignobilità del suo carattere, da quel brutale egoismo, su cui -nè amicizia nè fedeltà nè riconoscenza valevano, e che nè tampoco -degnavasi palliare le beffarde violenze. Cominciò, come devono i -tiranni, dall’assicurarsi contro i proprj sudditi con fortalizj, e -sempre generoso mostrossi ai soldati. Mal arrivato chi nella trascorsa -guerra fosse apparso propenso ai nemici! i processi finivano con -supplizj atrocissimi. Proibì d’uscir la notte, qual che ne fosse la -cagione, sotto pena di perdere un piede; tagliata la lingua a chi -proferisse le parole di guelfo o ghibellino; uno nega pagar due capponi -comprati da una trecca, ed egli lo fa impiccare. Passionato della -caccia, fin cinquemila cani manteneva, ed allogavali presso i cittadini -da nutrire: ogni quindici giorni appositi uffiziali visitavanli, e se -li trovassero dimagrati imponeano una multa, una multa se pingui, la -confisca dei beni se morti. Chi poi ne tenesse uno, o uccidesse lepre -o cinghiale, era mutilato, appiccato, talora costretto a mangiarsi il -selvatico bell’e crudo. Bernabò si sognava che un tale gli facesse -male? imbattevasi in alcuno ne’ solitarj suoi passeggi? bastava per -torgli la vita o un occhio o la mano, od almeno confiscarne gli averi. -Due suoi segretarj fece chiudere in gabbia con un cinghiale. Un giovane -che avea tirato la barba a un sergente, fu condannato di lieve multa; -ma Bernabò gli fece tagliar la destra: e perchè il podestà indugiò -finchè i parenti venissero a implorar grazia, Bernabò volle fosser -mozze ambe le mani al giovane ed una al podestà. Obbligò un altro -podestà a strappar la lingua a un condannato, poi bere il veleno; -talora costringeva il primo venuto a far da boja; e pretesto gli era -sempre la lesa maestà, suggello d’ogni accusa nelle tirannie. - -Agli atti di prepotenza v’ha sempre una ciurma che applaudisce, -giudicandoli segno di forza, e alla forza si suol fare di cappello. -Alcuni ambasciadori di principi rimandò vestiti di bianco a guisa -di mentecatti, coll’obbligo di presentarsi in quell’arnese ai loro -padroni, tra le risate de’ paesi che attraversavano. Quando vennero -a lui in Melegnano i nunzj pontifizj a recargli la scomunica, Bernabò -li condusse sopra il ponte del Lambro, e quivi intimò mangiassero le -bolle della scomunica, se non volessero bever quell’acqua; e vi si -dovettero rassegnare. Inviperendo viepiù contro gli ecclesiastici, fa -accecare, mutilare chi non l’ubbidisce: udito che un piovano esigeva di -troppo per le esequie d’un morto, lo fa sotterrare col morto stesso: -un altro bandisce la crociata del pontefice contro il capitano di -Forlì, e Bernabò il fa mettere in un tamburo di ferro ed arrostire al -fuoco. Due frati gli si presentano per rimproverarlo di tali inumanità, -ed esso li fa bruciar vivi: anche monache fece ardere, e con esse il -vicario generale che ricusò degradarle. Chiamato a sè l’arcivescovo che -ricusava ordinare un monaco, se lo fece inginocchiare davanti, e gli -abbajò: — Non sai, poltrone, che io sono papa, imperatore e signore in -tutte le mie terre? e che Dio stesso non potrebbe farvi cosa ch’io non -volessi?» - -Eppure mostravasi devoto, digiunava, istituì chiese, monasteri, -benefizj. Rifabbricò il castello di Trezzo con ardito ponte sull’Adda -a tre anditi a diversa altezza, una rôcca in Brescia, altre a Desio, -a Pandino, a Cusago; una villa a Melegnano, a Milano il palazzo a San -Giovanni in Conca, mentre Galeazzo rifaceva quello in piazza del duomo, -con una spazzata per le giostre. Beatrice Regina della Scala, moglie di -Bernabò, affettava una burbanza principesca; i decreti che essa mandava -alle valli bresciane e camoniche fan credere che quei paesi fossero a -lei assegnati per dote; in Brescia aveva un fondaco di ferrareccia; -munì Salò di mura turrite; aprì un canale per irrigare la Calciana -allora spopolata, e che erale stata data dal marito per sicurezza dei -cencinquantamila fiorini d’oro portatigli in dote, come le diede poi -Urago d’Oglio, Gazzólo, Roccafranca, Floriano e altri paesi[1]. A lei -principi e signori dirigevano i reclami e le petizioni: ed essa, non -che mitigare il marito, com’è uffizio di donna, lo esacerbava: ma -non potè reprimerne la lubricità. Trentadue figliuoli ebb’egli tra -legittimi e no; e il marchese d’Este, levandone uno al battesimo, -gli regalò un vaso d’argento, entrovi una coppa d’oro piena di perle, -anelli, pietre preziose, del valore di diecimila zecchini[2]. Le sue -figliuole collocò nelle case regnanti di Norimberga, d’Ingolstadt, -d’Austria, di Baviera, di Würtemberg, di Turingia, di Sassonia, di -Kent, di Mantova, una al re di Cipro con centomila fiorini, un’altra -a Giovanni Acuto ed una a Lucio Lando: a ciascuno de’ cinque maschi -legittimi aveva già assegnato il governo del distretto di cui gli -destinava la sovranità; ma l’uomo tesse, e Dio ordisce. - -Altrettanto e peggio operava Galeazzo II a Pavia. Più freddamente -spietato, inventò la _quaresima_, per cui a’ suoi nemici faceva levare -oggi un occhio, domani riposo; poi l’altr’occhio, indi riposo; poi -una mano e l’altra, un e l’altro piede, e via per quaranta giorni -alternando i tormenti col riposo, che preparasse a meglio sentirli. -Fabbricava molto, talvolta insignemente, come furono il ponte sul -Ticino e il castello di Pavia con una torre a ciascun angolo, e -nell’interno un ampio cortile a portici, e un oriuolo che, oltre -battere le ore, segnava il moto de’ pianeti. Nè meno suntuoso riuscì il -castello di Milano. Poi disfaceva a capriccio: e i fondi, il legname, -la calce prendeva dove fossero senza pagare; per ampliare un parco di -venticinque miglia di giro usurpò fondi privati, tra cui quelli d’un -Bertolino da Sisti, il quale affrontandolo gli chiese: — Di che darò a -mangiare a’ miei figliuoli?» e il brutale rispose: — Che? non ti basta -il gusto del farli?» Onde quello gli tirò una coltellata, e fallito il -colpo, fu preso e fatto strappare da cavalli. Non pagava le cariche, -poi guaj se erano male esercitate: sessanta impiegati a un tratto -condannò alla forca, poi supplicato li graziò, ma chiuse in prigione il -suo cancelliere ch’erasi mostrato sollecito nello spedir quella grazia. -Insieme digiunava una terza parte dell’anno, distribuiva duemila -cinquecentotrentun zecchini all’anno in limosine, ducentodieci moggia -di grano, dodici carra di vino[3], e tenea dieci cappelle. Poi favorì i -letterati, fondò l’Università di Pavia chiamandovi professori rinomati; -blandì il Petrarca; e gli encomj di questo, ripetuti per classica -ammirazione, impedivano ai lontani di udire i gemiti dei popoli[4]. - -Tanto si osava mentre ancora sussistevano i nomi e le forme -repubblicane; anzi direi per queste, giacchè il tiranno trovandosi -violatore di esse, operava senza ritegno; l’appoggio che dalla -costituzione eragli negato, chiedea dalla forza; forza non di -cittadini, ma mercenaria, ed alleandosi con altri principi e -coll’imperatore. I papi contrastavano sempre, tratto tratto qualche -città si sollevava, un nuovo nemico sorgeva ogni dì: ma i Visconti dal -pingue paese smungeano denaro, denaro traevano dagl’immensi possessi -confiscati, col denaro compravano bande, e colle bande vincevano e -tiranneggiavano. - -Gian Galeazzo figliuolo di Galeazzo, altrettanto ambizioso e -più dissimulatore, comprò dall’imperatore Venceslao il titolo di -vicario imperiale di Lombardia. Pagando a Giovanni II re di Francia -trecentomila zecchini, di cui avea bisogno per riscattarsi dal re -d’Inghilterra, n’ottenne la mano della figlia Isabella e la contea -di Virtù in Sciampagna. In seconde nozze sposò Caterina figlia di -Bernabò, il quale così credeva esserselo indissolubilmente legato, -e lo canzonava di quel non curarsi di grandezze umane e della sua -santocchieria. Fedele a questa, una volta Gian Galeazzo s’avviò in -pellegrinaggio solenne al sacro monte di Varese, menando seco la -Corte; e poichè passava rasente a Milano, pregò lo zio volesse venire -a salutarlo fuor della porta. Lo zio v’andò (1385); ma appena l’ebbe -abbracciato, il nipote diè il segno a’ suoi seguaci, che, tirate l’armi -di sotto le pie tuniche, presero Bernabò col suo seguito, e buttatolo -in castello, e fattogli un ridicolo processo, non per le atrocità -sue, ma per stregherie e per avere con incantesimi reso sterile il -matrimonio del nipote, lo sepellirono nel castello di Trezzo a morire -di rabbia se non fu di veleno. Milano rise della volpe presa al laccio, -ed acclamò Gian Galeazzo, che riunì tutto il dominio visconteo, e -trovò nel tesoro settecentomila fiorini d’oro contanti e sette carri -d’argento in verghe e vasellame. - -Gian Galeazzo non avventurava mai nè la persona propria nè l’esercito -a battaglia decisiva, ma lo chiudeva entro fortezze, lasciando la -campagna esposta; sapeva poi destreggiare di politica, annodare e -scompor leghe, essere perfido e bugiardo opportunamente, e scegliere -i migliori stromenti alle sue ambizioni. Le finanze, per buona -amministrazione fiorenti, davangli mezzo di comperarsi partigiani nelle -altre repubbliche, e bande mercenarie, e grosse parentele, e così far -dei paesi come gli talentasse; nè dopo Federico II v’era stato principe -più temuto dagl’Italiani, e più minaccevole all’altrui indipendenza. -Stanco dell’obbrobrio delle bande di ventura, strinse lega coi Gonzaga, -i Carraresi e gli Estensi per isbrattarne il paese, e Bartolomeo di -Sanseverino fu spedito contro di loro con una bandiera inscritta Pax; -lega di effimera durata, che presto fece luogo a rivalità ed ambizioni -tra questi signorotti. - -Quei della Scala disonorarono la propria decadenza coi delitti. -Cansignorio, e Paolo Alboino, figli di Mastino II, aveano assassinato -il fratello maggiore, indi azzuffatisi tra sè, il più debole fu -cacciato prigione in Peschiera, finchè Cansignorio, sentendosi morire, -mandò ammazzarlo (1375) acciocchè non attraversasse la successione a’ -suoi figli naturali Bartolomeo e Antonio. Rinnovando simili misfatti, -Antonio uccide Bartolomeo (1381), poi ne accagiona un’amica, e costei -e tutta la famiglia manda alle forche. Quest’Antonio fu dai Veneziani -aizzato contro Francesco Carrara signore di Padova, loro implacabile -nemico, il quale si pose a schermo di Gian Galeazzo. Costui, adontato -che lo Scaligero per gelosia avesse rinnegato la sua alleanza, s’intese -col Carrara; vantandosi erede degli Scaligeri in grazia di Caterina sua -moglie, nata da Regina della Scala, fece attaccar Verona (1387 8bre) -dalle bande di Ugolotto Biancardo; ed essendo Antonio fuggito a Venezia -dopo consegnata la fortezza al legato imperiale, Galeazzo la comprò a -contanti. - -Ma, infido al proprio alleato, non che cedergli Vicenza come avevano -pattuito, si offerse amico a Venezia contro di esso, ricevendone -centomila ducati il primo anno, poi ottomila al mese se la guerra si -prolungasse. Il Carrara trovavasi addosso nemici troppo poderosi, -scontenti i popoli, non denaro per comprar bande o trarre qui -stranieri; sicchè per disperato rinunziò la signoria al figlio -Francesco II Novello, il quale sentendosi inetto a resistere, -ricoverò a Pavia (1388 9bre) fra l’esultanza de’ Padovani. Malgrado il -salvocondotto, furono chiusi il padre a Verona, il figlio a Milano: -Galeazzo prese Padova, poi Treviso, e si trovò sul margine delle -lagune, alla tardi e mal pentita Venezia minacciando, se Dio gli -concedesse sol cinque anni di vita, ridurla umile quanto Padova. - -Tolte di mezzo quelle due antiche famiglie, assorbite le case dei -Correggio, dei Cavalcabò, dei Benzoni, dei Beccaria, dei Langoschi, -dei Rusca, dei Brusati, restava padrone di ventuna città, che -gli fruttavano ducentomila fiorini, cioè metà quanto la Francia e -l’Inghilterra, avendo in corte quasi prigioniero Teodoro II marchese di -Monferrato, ricevendo docilissimi omaggi da Francesco Gonzaga signore -di Mantova, proteggendo il marchese Alberto d’Este contro l’odio -meritato con delitti; aveva una zia maritata in Lionello d’Inghilterra -con ducentomila sterline; la figlia sua Valentina sposò a Luigi duca -d’Orléans, assegnandole in dote la città e il territorio d’Asti, -quattrocentomila fiorini, e un corredo e gemme quali nessun regnante. -Fidava recuperar Genova coll’attizzarne le intestine malevolenze; -chiedendo sposa Maria, erede presuntiva della Sicilia, aspirò ad -acquistare quell’isola sbranata fra due fazioni: se non che il re -d’Aragona, subodorato l’accordo, appostò la flotta lombarda e mandolla -sgominata. Sempre più ampliando i suoi divisamenti, Gian Galeazzo -ambiva la corona d’Italia; ma prima conveniva abbattere la tutrice -della costei libertà, Firenze. - -Questa continuava ad essere il centro de’ Guelfi, sottometteva i -castellani del contorno, e nelle interne riotte migliorava la sua -costituzione. A misura del crescer di essa scapitava la ghibellina -Pisa, la quale invischiatasi nelle vicende di terra, più non dava -i migliori negozianti a Costantinopoli e all’Arcipelago, e vedeva -spopolarsi i suoi banchi in Siria. La battaglia della Meloria, altro -frutto del suo parteggiare cogl’imperatori, l’avea fatta soccombere a -Genova; e per alcun tempo proibita di tenere armi, perdè l’abitudine -della guerra, onde la gioventù si drizzò ad altre vie, ad altra -ambizione i consigli; i pescatori delle maremme, di Lerici, della -Spezia passarono a servizio de’ Genovesi. Alla Corsica avea rinunziato, -sicchè fu data agli Aragonesi in cambio della Sicilia: ma poichè v’era -sempre chi favoriva a’ Pisani o a’ Genovesi, tutta andava in partiti -e scaramuccie, che impedivano agli Aragonesi di profondarvi radici. -Molti tirannelli vi sorsero, finchè il popolo stanco (1359) trucidò i -baroni o li fugò, e stabilì una costituzione repubblicana, mettendosi -in tutela de’ Genovesi, patto di non essere aggravezzati che di venti -soldi per fuoco l’anno. Nè per questo le fazioni quetarono; e non -potendo la repubblica di Genova tenerla, cinque cittadini ne presero -a proprio conto la protezione, e se la divisero. Poco durò, e alle -indigene si aggiunsero le scissure di Adorni e Fregosi. - -Ai Pisani restava accora la Sardegna, opportuna al commercio -coll’Africa che ormai sola le era dischiusa: ma nel 1323 quanti erano -in quell’isola furono trucidati per trama di Ugone de’ Visconti giudice -d’Arborea, il quale consegnolla a Giacomo II re di Aragona. L’infante -don Alfonso, sbarcatovi con poderosa armata, consumò quindicimila -uomini nel vincere l’intrepida resistenza di Cagliari e de’ Pisani -condotti da Manfredi della Gherardesca (1326), i quali alfine dovettero -abbandonargli l’isola, ultimo resto di loro marittima grandezza. -Gli Aragonesi v’introdussero le cortes, con tre stamenti o bracci, -ecclesiastico, militare, regio, cioè popolano, i quali aveano parte nel -far le leggi e nel fissare l’imposta, e rendeano ragione alle querele -d’individui e di corpi. Alcuni signori conservaronsi indipendenti, -come i marchesi d’Arborea, tra cui fu famosa Eleonora che fece raccor -le leggi dell’isola (_carta de logu_) (1403), fin testè conservate in -vigore. - -Pisa si trovò intercetta la via dell’Africa, in Sicilia non -potè sostenere la concorrenza de’ Catalani, onde si restrinse -all’agricoltura, alle manifatture, alle imprese di terra. Sempre -avversa alla guelfa bandiera, continuava a rivaleggiare con Firenze. -Secondo il trattato del 1342, avea fatto esenti i Fiorentini da -ogni gabella in Pisa; ma col pretesto di armare contro i corsari, -impose ad essi pure due denari ogni lira di valore. Risoluti di non -rassegnarsi ad un esempio che potrebbe condurre a peggio (1357), i -Fiorentini chiusero le loro partite e trasportarono gli scanni al porto -di Telamone nella maremma senese. I mercanti forestieri dovettero -seguirli, sicchè fu colpo mortale a Pisa, la quale, vuote le case, -i magazzini, gli alberghi, le strade di vetturali, il porto di navi, -riducevasi una solitaria città castellana. - -Dentro la squarciavano le sêtte de’ Bergolini, popolani guidati dai -Gambacorta, e de’ Raspanti, in mala fama per aver _raspato_ ne’ loro -governi, e sempre avversi ai Fiorentini. Gli odj portarono ad alternate -tirannie; e i Visconti di Milano, che mai non torceano gli avidi -occhi dalla Toscana, per demolirla colle lotte interne favorivano ai -Raspanti, i quali incessantemente aizzavano alla guerra contro Firenze, -non foss’altro per rincalorire i rancori, che troppo s’erano calmati -dacchè si vedeva a che avesse portato l’esclusione de’ Fiorentini, dai -Raspanti cagionata. - -Volterra mal potea conservarsi indipendente fra le tre repubbliche -vicine che v’aspiravano; e però avendola i Fiorentini sciolta dalla -tirannide di Bocchino Belforti, si diede a loro protettorato (1360). -N’andò al colmo il dispetto de’ Pisani, che ruppero all’armi con varia -fortuna; ma l’antica regina dei mari si trovò sull’onde guerreggiata -dalla mediterranea rivale. Pisa sentendosi non bastar sola, chiese -ajuti a Bernabò Visconti, e questi vi spedì l’Acuto (1362) colla banda -inglese di duemila cinquecento cavalli e duemila fanti. Vero è che -costoro devastarono la campagna, poterono anche fare una punta sopra -Firenze, correre il palio fin sotto le mura di essa, ed appiccarvi alla -forca tre asini col nome di tre magistrati fiorentini; ma la voracità -di questa masnada, la peste che ripullulò, e la rotta di San Savino -(1364) (che ancora si festeggia a Firenze col palio di San Vittorio) -ridussero i Pisani a strettissime condizioni[5]. Non potendo poi -pagare l’ultima rata alle compagnie di ventura, Giovanni Agnello loro -concittadino, la cui ambizione era sollecitata da Bernabò, promise -soddisfarli de’ soldi dovuti, e col loro appoggio si fece proclamar -doge: premiò, punì, relegò, com’è il solito di cotesti ambiziosi, e -giustificava l’usurpazione col titolarsi luogotenente del Visconti. La -pace giovava al dittatore; onde fu conchiusa (17 agosto) tra Pisani e -Fiorentini, restituendo a questi ultimi le franchigie che godevano a -Pisa, i castelli e i prigionieri, oltre centomila scudi d’oro per le -spese della guerra. - -Firenze era sempre stata braccio destro della Chiesa: pure onesta -franchezza mostrava nelle materie ecclesiastiche, sacerdoti e abati -puniva dei delitti come gli altri cittadini, e li sottopose alle -gravezze comuni. L’inquisitore frà Pietro dell’Aquila, superbo e -avido di denaro, avea avuto procura dal cardinale di Barros spagnuolo, -per riscuotere dodicimila fiorini dovutigli dalla fallita compagnia -degli Acciajuoli; e benchè col consenso della Signoria n’avesse preso -adequata cauzione, fece dai birri del Sant’Uffizio (1375) sostenere uno -degl’interessati d’essa compagnia. Se ne leva rumore: il prigioniero è -tolto ai birri, che con tronche le mani sono banditi dalla Signoria. -L’inquisitore sbuffante si ritira a Siena, e lancia l’interdetto sui -priori e sul capitano di Firenze: questi appellano al papa, accusando -d’altri abusi l’inquisitore, e che settemila fiorini in due anni avesse -smunto dai cittadini, coll’appuntare come eresia ogni paroluzza, -ogni sentenza men castigata; e il papa, informato del vero, levò le -censure. Allora il Comune ordinò, come già erasi fatto a Perugia, che -nessun inquisitore prendesse brighe estranee al suo uffizio, nè potesse -condannare in denaro, nè tenere carcere distinta; divieto ai magistrati -di dargli sgherri, nè di lasciar arrestare chi che fosse senz’assenso -dei priori: e poichè Pietro dell’Aquila a più di dugencinquanta -cittadini avea dato la licenza delle armi, col titolo di famigli del -Sant’Uffizio, ritraendone meglio di mille fiorini l’anno, si ordinò che -l’inquisitore non avesse più di sei famigli con arme, nè più di sei -altri licenziasse a portarle; quelli del vescovo di Firenze fossero -ridotti a dodici, e a metà quelli del fiesolano; l’ecclesiastico che -offendeva un laico in fatto criminale, cadesse sotto al magistrato -ordinario, senza eccezione di dignità, nè riguardo a privilegi papali. - -Tutto ciò indispose il papa contro Firenze: e Guglielmo di Noellet, -legato pontifizio a Bologna, parve ne insidiasse la libertà, la -carestia peggiorando col proibirvi l’invio del grano, poi scagliando -contro della Toscana la Compagnia Bianca dell’Acuto, dacchè la tregua -con Bernabò la rendeva inutile: passo sconsigliato e disastrosissimo -all’Italia ed alla causa pontifizia. Firenze, indignata di vedersi -tolta di mira da quella Corte, cui con lealtà religiosa avea sempre -favorito, comprò l’inazione di costui mediante centrentamila fiorini, -e tosto gittò l’incendio nella Romagna, promettendo mano a chiunque si -rivoltasse alle sante chiavi. Siena, Lucca, Pisa tennero con essa, e -così il Visconti, cui Gregorio XI aveva rinnovato le ostilità: gli Otto -della guerra, a’ quali erasi affidato il governo di Firenze, ed erano -detti gli otto santi patroni, raccolsero l’esercito sotto una bandiera -iscritta a oro _Libertà_, la quale spedirono a Roma e agli altri paesi -con lettere mirabilmente dettate dal segretario Coluccio Salutati. Ed -ecco in non dieci giorni ottanta città o borgate di Romagna e delle -marche d’Ancona e Spoleto, e Bologna stessa si sottrassero ai vicarj -pontifizj, e costituendosi libere, o richiamando le antiche famiglie -spossessate dall’Albornoz. Giovanni Acuto, a servizio del legato -papale, intitolò la sua _compagnia santa_, e malmenò la Romagna. Il -vescovo d’Ostia conte di questa dimorava in Faenza, e scoperto che -Astorre Manfredi praticava per farla ribellare, chiamò l’Acuto. Il -quale volò, e subito chiese denari (1376); e non avendone il vescovo, -cacciò prigione trecento primani, undicimila spinse fuor di città, -solo ritenendo alquante donne a oltraggio; poi l’abbandonò al sacco, -nè tampoco risparmiando le vite di fanciulli. La città così malmenata -vendè per quarantamila fiorini al marchese d’Este, poi gliela ritolse -per darla al Manfredi. Questo chiamava egli servire al pontefice: -eppure in compenso pretese le terre di Bagnacavallo e Castrocaro. - -La sollevazione intanto estendevasi; ben ottanta città aveano tolto -l’obbedienza al pontefice, che viepiù indignato contro i Fiorentini, -li citò al suo tribunale. Essi, che non voleano esser religiosi a -scapito della libertà[6], mandano tre ambasciadori ad Avignone, che -sostengono la causa loro con insolita franchezza, e — In quattrocento -anni dacchè godiamo della libertà, la ci si è per modo connaturata, che -ognun di noi è disposto a sagrificare la vita per conservar quella». -Il buon papa era troppo male ispirato, com’è più facile ai lontani; -e senza dare ascolto proferì contro di loro la scomunica, eccitando -ognuno ad occuparne gli averi e le persone; onde Donato Barbadori, uno -dell’ambasciata, si volge a un Cristo, appellandosi a lui dell’ingiusta -sentenza, e dicendo col salmista: — Ajutor mio, non mi lasciare; se -anche mio padre e mia madre m’abbandonarono». - -Quanti erano per traffico in Avignone e altrove sono obbligati -partirsene; il re d’Inghilterra coglie l’occasione per occupare gli -averi e far serve le persone di quanti ne trovò nel suo regno; sicchè -arrivò a Firenze tanta gente, da poter formare un’altra città. I -Fiorentini decretano non si badi all’interdetto (1377), e si continuino -gli uffizi divini: ma l’Acuto mette a macello le città sollevate; -Roberto di Ginevra nuovo legato, cattiva scelta d’ottimo pontefice, -trae una banda delle più ribalde che devastassero la Francia, guidata -da Giovanni di Malestroit bretone, il quale, avendogli il papa -domandato — Ti basta l’animo di penetrare in Firenze?» rispose — Sì -perdio, se vi penetra il sole». A’ Bolognesi il legato minacciava -voler lavarsi piedi e mani nel sangue loro; e di fatto Monteveglio, -Crespellano ed altre terre furono spietatamente invase. Cesena, -assalita per una rissa fra’ Bretoni e i cittadini, fu mandata a sacco, -e Roberto gridava — Sangue, voglio sangue; scannate tutti, affatto -affatto»; orribile grido, più orribile in bocca di legato papale, -se pur non è una delle solite invenzioni con cui si vendicano gli -oppressi. Tre giorni abbandonata a quel furore, cinquemila cadaveri -furono rinvenuti quando si rifabbricò, oltre quelli periti nel fuoco e -mangiati dai cani: gli altri errarono mendicando. I soldati cambiavano -a some le spoglie dei morti con altrettanto fieno e paglia da stramare -i cavalli; le donne, vedove, contaminate, nude, digiune, metteano -pietà fin al disumano Acuto. I Fiorentini riuscirono a staccare -costui dal papa col pagargli duecencinquantamila fiorini l’anno; -vale a dire redimevano i ricolti del proprio territorio dando una -metà della pubblica rendita. Solo allorchè lo scisma cominciato nella -Chiesa facealo bisognoso di pace, il papa ricomunicò Firenze (1378), -accettandone ducentrentamila fiorini. - -Firenze vedeva con gelosia gl’incrementi di Gian Galeazzo; e questo, -soffiando ne’ rancori degli emuli di essa, riuscì ad allearsi con -Siena, Perugia, Urbino, Faenza, Rimini, Forlì e molti principotti, -oltrechè si provvedeva dei migliori capitani nostrali, Jacopo del -Verme, Giovanni d’Azzo degli Ubaldini, Paolo Savelli, Ugolotto -Biancardo, Galeazzo Porro, Facino Cane, ed accampava fin quindicimila -cavalli e seimila fanti. Firenze sentendosi minacciata, doppiò di zelo -e sagrifizj, e oltre l’Acuto, assoldò il tedesco duca di Baviera, -il francese duca di Armagnac, che menava duemila lance e tremila -_pilardi_ o saccomanni, diluvj d’ogni nazione, stipendiati per danno -della nostra. Associavasi pure colla potenza di Bologna e coll’ira del -tradito Francesco Novello de’ Carrara. - -Costretto, come narrammo, dal Visconti a far cessione del principato -degli avi suoi, e relegato a Cortazzone nell’Astigiano, costui fugge -per Francia, dando voce d’andar pellegrino a Sant’Antonio di Vienne, -e seguito dall’intrepida moglie Taddea d’Este e dai figliuoli, varca -i geli alpini, si prostra all’antipapa Clemente VII in Avignone, a -Marsiglia abbraccia Raimondo già vescovo di Padova, poi temendo essere -arrestato da quel governatore, s’imbarca per Genova. La procella lo -butta su spiaggia nemica, ma ne campa mediante il denaro e le lettere -del re di Francia; e giunto a una terra de’ Fieschi, si rimette al -mare. Nuova tempesta lo spinge al lido, ove uno Spínola non crede -sia mercante nè uom d’arme come diceva, e l’obbliga a manifestargli -l’esser suo. Questo, caldo ghibellino, corre a Genova a riferirlo -al doge Adorno, creatura dei Visconti; ma il Carrarese, avutone -sentore, passa la notte in una chiesa, donde all’alba fugge lungo -la riviera. Ivi l’imbatte un mercante, che al nobile portamento di -Taddeo insospettito, corre a denunziarlo a Ventimiglia come rapitore -di gentildonna. Le milizie il sopragiungono, ma egli, palesatosi, -riceve onore; ed è trovato da un messaggiero di Paganino Doria, che gli -presenta la metà d’un dado, segnale concertato, onde seco prosegue il -viaggio s’un palischermo. Spinto da traversia a Savona, ove dominavano -i Del Carretto amici al Visconti, se ne sottrae con pronta fuga, e -in abito da pellegrino passa per Genova, si sottrae ai condottieri -del duca spediti sulla sua traccia, ed eccolo a Firenze. Nojato dai -gabellieri alle porte, ricevuto freddamente e consigliato a cercarsi -altro asilo, egli mette banco per guadagnare il vitto alla famiglia, -e si fa stimare dai Fiorentini, viepiù dacchè lo vedono temuto dal -Visconti: i Veneziani stessi, cessato di averne paura, lo guardano -amicamente; dalla prigione suo padre lo esorta a sostenere le fortune -e l’onore della casa. Allora Francesco ripiglia personaggio politico, -gira le corti di Germania e n’ottiene soccorsi ed incoraggiamenti, coi -quali traversato il Friuli, e raccolti amici e partigiani, di sorpresa -recupera Padova (1390 19 giugno). Subito l’incendio si diffonde; Verona -acclama il fanciullo Can Francesco, figlio del defunto Antonio della -Scala; e i Veneziani dan mano ai nemici di Gian Galeazzo. - -Però le bande oltramontane non aveano ancora imparato la strategia -maestrevole delle italiane; e l’Armagnac, che, giovane di ventott’anni -e usato a vincere, con baldanza francese sbraveggiava gl’Italiani, -essendosi con pochi avanzato fin sotto Alessandria, da Jacopo del -Verme fu battuto e ferito a morte (1391 25 luglio); i suoi, presi -e spogliati, dovettero senz’armi tornare in Francia. Ne restava in -gravissimo frangente l’altro esercito al soldo de’ Fiorentini, ma -Giovanni Acuto con ferma maestria potè ritirarlo attraverso l’Oglio, il -Mincio, l’Adige. Rotte le dighe di questo, allagata la valle veronese, -l’Acuto si trovò una volta ristretto sopra un argine, e tutto intorno -acqua, onde il Del Verme gli mandò per beffa una volpe in gabbia; -ma l’inglese rispose: — La volpe troverà modo da sgattajolare»: e in -fatto, traversando di sotto di Legnago per entro le acque e la melma -un’intera giornata, ridusse l’esercito in salvo. All’Acuto Firenze -dava fin duemila fiorini l’anno di paga, e lui e suo figlio faceva -esenti da ogni gravezza; pingui doti alle tre figlie, assegno vedovile -alla moglie Donnina Visconti; e quando morì (1394) gli rese esequie da -principe, e mausoleo in Santa Maria del Fiore, e le sue ceneri furono -ridomandate dal re d’Inghilterra: tant’è pertinace la frenesia degli -uomini nell’onorare chi gli uccide. - -Stanchi di quelle interminabili evoluzioni senza mai una battaglia -campale, i belligeranti trattarono d’accordo (1392 genn.), rimettendosi -all’arbitrio di Antoniotto Adorno doge di Genova, e Riccardo Caracciolo -gran maestro dell’ordine di Rodi. Il costoro arbitramento a Francesco -Novello manteneva Padova, proibito a Gian Galeazzo d’intrigarsi nelle -cose toscane, e ai Fiorentini nelle lombarde. Ma il Visconti, le cui -ambizioni rimanevano insoddisfatte, non atteneva i patti; le bande -mercenarie congedate, eppur tenute sempre a mezzo soldo, spingeva -contro i Fiorentini (8bre); fermava alleanza con Jacopo d’Appiano, che -svertando Pietro Gambacorta, s’era insignorito di Pisa. - -Francesco Gonzaga in un finto pellegrinaggio combinò una lega -guelfa tra Bologna, i signori di Padova, Ferrara, Mantova, Ravenna, -Faenza, Imola, e principalmente Firenze, la quale regolata allora -dagli Albizzi, destri politici, coi maneggi non men che colle bande -mercenarie tenne testa ad Alberico di Barbiano. Non potè però impedire -che Gerardo figlio e successore dell’Appiano vendesse Pisa a Gian -Galeazzo (1399 febb.), conservando per sè Piombino coll’isola d’Elba, -la quale d’allora formò un principato distinto. Anche Siena, agitata -dalle fazioni e dalle rivalità con Firenze, si diede al Visconti (1400 -genn.); e Perugia l’imitò. Pure l’opposizione di Firenze scompigliò -(fu bene o male?) i disegni di Gian Galeazzo, il quale, caduto dalla -speranza d’unire tutta Italia, pensò consolidarsi in Milano. - -Per quanto la lunghezza e successione delle signorie avesse abituato -a considerarli per principi ereditarj, i Visconti, come gli altri -tiranni, non dominavano se non perchè il potere politico era affidato -loro dall’assemblea del popolo, nella quale risedeva ancora di diritto -la sovranità. Vero è che i Visconti la dispensavano dallo incomodo di -adunarsi, facendo far tutto dai dodici di provvisione, presieduti da -un vicario nominato dal principe, o al più convocavanla per dire di -sì. Dal principe emanavano gli statuti, diretti spesso a consolidare -la sua autorità col proibire di portare armi, di fare società segrete, -o mantenere corrispondenza col papa o coll’imperatore, od a volere -severa e compendiosa giustizia dei ladri e dei ribelli, «e per ribelli -s’intendono tutti quelli che fanno contro al pacifico stato del -signore e del Comune di Milano». Il vicario, mentre era luogotenente -del duca, era pur capo della cittadinanza, e intermedio fra questa e -quello; doveva essere forestiero, o almeno non possedere beni fondi -nel Milanese; veniva assistito da dodici consiglieri bimestrali, -tolti in parte dal collegio dei dottori, in parte dai mercanti e dai -cittadini. Di questo magistrato erano competenza la polizia interiore, -il commercio, la sanità, l’abbondanza, le contestazioni fra i mestieri -e per servitù locali e mercedi; amministrava le rendite del Comune, i -dazj, le regalie d’acque e strade; nominava agl’impieghi municipali, -sceglieva i podestà, i capitani ed altri capi della giustizia nel -contado. Esso pure convocava il consiglio generale di cencinquanta -cittadini per ciascuna delle sei porte principali, eletti in prima da -deputati del popolo, poi dal tribunale stesso di provvisione assistito -da alquanti savj, infine dal duca. Ogni porta aveva stemma e bandiera -propria e capitani; ogni parrocchia i suoi sindaci, e assemblee -elettorali e deliberative: ai cittadini spettava la difesa delle -mura e delle porte. Il potere giudiziale civile spettava al podestà; -il criminale a un capitano di giustizia: ma costretto com’era ad -appoggiarsi ad uno dei partiti per valere sopra l’altro, restava servo -del preponderante, cioè del principe. - -Queste consuetudini antiche de’ Comuni, e i privilegi feudali, -le fazioni, il clero, le maestranze erano limiti alla potenza del -principe, e sembra che principalmente ponessero ritegno al soverchiare -delle imposte, giacchè questo adopera parole lusinghiere e fin vili -allorchè domanda qualche nuova tassa. Al che per lo più davagli titolo -il dover levare truppe, e con queste potea soprusare: se poi fosse -creato vicario imperiale, esercitava i diritti regj: in caso di guerra -non avea più limiti, come generale dell’esercito: se diveniva capo di -molte città, non tenendosi queste l’una coll’altra, egli si trovava -indipendente da tutte, e le une adoprava a frenare le altre; le quali -conquistate non aveano alcun diritto da opporre agli arbitrj di esso. - -Per dare a conoscere il governo d’alcuna delle città dipendenti, -togliamo ad esempio Como. Vi durava il consiglio generale di cento, -fra i quali sortivasi un consiglio di dodici savj od uffizio di -provvisione, per amministrare gli affari ordinarj: ne’ casi più -rilevanti, come per fare statuti, dare la cittadinanza, vendere o -impegnare i beni pubblici, raccoglievasi il consiglio generale. Ma -Gian Galeazzo Visconti cercò sempre assottigliare la giurisdizione che -questo aveva in materia d’ordinanze, pesi, misure, imposte, statuti, i -quali vi erano stati rinnovati da Azzone. - -Innanzi a detto consiglio appaltavansi le gabelle, e un giudice dei -dazj con sei ragionieri risolveva le quistioni ad essi relative. Un -referendario, per l’interesse del principe, sovrintendeva ai dazj, alle -gabelle, ai pedaggi, ed interveniva al consiglio generale; e il primo -che si trovi, fu del 1387. Quattromila seicento fiorini al mese era -la quota che Como pagava a Gian Galeazzo. Privilegio del fisco era il -sale, e l’appaltatore nel 1380 dovea comprarne quindicimila cinquecento -staja dalla gabella del principe, il quale poi era suddiviso per Comuni -e per famiglie, restandone esenti quelli che possedessero meno d’una -lira di estimo. Il sale allora valeva quattro lire di terzoli; ed ogni -frode era severamente punita. - -Il podestà non era più eletto dalla città, ma spedito da Milano[7], -con cento fiorini d’oro al mese, coi quali doveva stipendiare un -collaterale per la polizia, e il vicario e il giudice de’ malefizj, -che sosteneano le veci sue, questo nelle criminali, quello nelle cause -civili, nelle quali aveano pari autorità quattro consoli di giustizia -e due giudici di palazzo, scelti fra i dottori di collegio. Ogni sei -mesi venivano da Milano censori, i quali pure sindacavano i magistrati -quando al fine dell’anno scadeano. Il governatore era un mero -rappresentante, nè scemava al Comune l’autorità sopra gli uffiziali -inferiori e sopra le entrate proprie. - -Bisognava dare un numero di soldati proporzionato alla popolazione, -e sotto connestabili e con paga; oltre carri e guastatori ed altri -servigi da guerra. La cittadella era guardata da un comandante: da -un capitano del lago, sedente a Bellagio, dipendevano i soldati e -due navi da venti e più remi dette _scorrobiesse_, per inseguire i -contrabbandieri e i pirati. Un capo del bollo rilasciava i passaporti -agli stranieri, sui quali e sulle porte, sulle quarantene, sui confini -aveva giurisdizione. Dal principe pure venivano il giudice delle -vettovaglie che badava alla bontà dei viveri e delle medicine, e i -giudici delle strade. - -Quel che parrà strano, nemmeno la perdita della indipendenza toglieva -le nimistà interne e le divisioni per famiglie. A Como nel 1335 furono -eletti cinquanta uomini della fazione Vitana, cinquanta della Ruscona, -cinquanta della Lambertenga; e posti i nomi in tre urne separate, -se ne estraeva uno per ciascuna, formando il tribunale dei _tre -buoni uomini_, giudice inappellabile delle cause introdotte avanti a -qualsifosse magistrato. E fin ai tempi di Francesco Sforza si continuò -a cernire il consiglio metà dalla squadra Vitana, metà dalla Ruscona. - -Galeazzo e Bernabò Visconti aveano creduto abbreviare e semplificare -le liti coll’ordinare che quelle introdotte presso qualunque giudice -si dovessero, a petizione anche d’una sola parte, compromettere in -tre persone di fiducia, che proferissero senza strepito di fôro e -inappellabilmente. Ciò dovette cadere in disuso, giacchè Gian Galeazzo -lo richiamò nel 1382: ma presto apparve che questo surrogare l’arbitrio -e il buon senso della legge peggiorava la giustizia; onde dapprima -si volle che fra i tre fosse un giurisperito, poi la sentenza fosse -appellabile, infine si rimisero i giudizj ai magistrati ordinarj. - -A questi si andava estendendo la facoltà di procedere d’uffizio -contro i delinquenti, e non solo per istanza dell’offeso, come -già si praticava: il quale accentramento della giustizia fu un -gran passo verso la centralità[8]. E Gian Galeazzo vi servì collo -stabilire a Milano un consiglio di giustizia, tribunale supremo, cui -portavasi l’appello dagli altri inferiori; e un consiglio segreto che -sovrintendeva all’amministrazione, avendo dipendenti i magistrati delle -entrate ordinarie e delle straordinarie, i referendarj della curia -ducale, i _collaterali del banco degli stipendiarj_ per l’esercito, -i _capitani del divieto dei grani_ sopra l’annona. Anche la nomina -ai benefizj ecclesiastici fu tratta al principe, salvo al papa il -ratificarla: infine esso si arrogò quella del gran consiglio e dei -dodici di provvisione. L’estendersi dello studio del diritto romano -cresceva al principe l’autorità giuridica, oltre che egli reprimea -arbitrariamente i frequenti delitti. - -Questo potere dispotico, come nella Roma antica, derivava dalla potenza -del capitano; e non distruggeva le forme repubblicane, ma le privava -d’ogni efficacia. Al popolo rimaneva ancora il diritto di scegliere il -principe; e disgustato dell’uno, protestava che, morto lui, mai più non -ne vorrebbe altro; poi, appena morto questo, correva ad eleggerne un -altro, anzi il figlio o il fratello di quello, per la ragione che suo -padre o fratello era stato cattivo. Il ragionamento sa di strano, ma si -fa tutti i dì. - -Per tal modo i Milanesi si erano in cent’anni avvezzati a credere -necessario il principato, e supporvi quasi un titolo ereditario alla -casa Visconti. Se non che poteano sempre dir di no; e questo pericolo, -per quanto remoto, turbava i sonni a Gian Galeazzo, il quale, per non -tenersi conoscente del titolo all’elezione popolare, preferì riceverlo -dall’imperatore. - -Federico Barbarossa a Costanza riconosceva liberi i Lombardi: in -conseguenza gl’imperatori non aveano potere diretto su di essi, nè mai -pretesero considerarli come un feudo, di cui potessero disporre. Quando -dunque Galeazzo offrì all’imperatore Venceslao centomila zecchini -se lo eleggesse duca di Milano, questo (1395 maggio) non esitò un -istante ad esaudirlo[9]. Galeazzo, scaltrito che più dei forni usati -da’ suoi predecessori, incatenerebbero il popolo le feste, ne preparò -di suntuosissime. Sulla piazza di Sant’Ambrogio ove si coronavano -i re d’Italia, il nuovo duca fu messo in trono, poi a ginocchi dal -messo imperiale ricevette il manto e una corona che valea ducentomila -fiorini; e canti, e messe solenni, cavalcate, giostre, corte bandita, -regali da non dire, e «allo spettacolo de tanta solennitate vi concorse -quasi de tutte le nazioni de Cristiani ed anche gl’Infedeli, in modo -che ciascuno diceva non più potere maggiore cosa vedere»[10]. - -Questa Lombardia che vedemmo sminuzzata in tante repubblichette quanti -erano i Comuni che si governavano e amministravano alla domestica, -veniva dunque a fondersi in un ducato, che, oltre la capitale, -comprendeva Lodi, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Como, col lago -suo e quel di Lugano e con Bellinzona, Bormio e la Valtellina, Novara, -Alessandria, Tortona, Vercelli, Pontremoli, Bobbio, Sarzana, Verona, -Vicenza, Feliciano, Feltre, Belluno, Bassano colla riviera di Trento, -Parma, Piacenza, Reggio, Arezzo; inoltre una contea in cui Pavia, -Valenza, e Casale; e la contea d’Angera, titolare dell’erede. Gian -Galeazzo possedeva altresì Perugia, Nocera, Spoleto, Assisi; oltre -Asti ed Alba, che diede in dote alle due figlie. E tutto questo paese, -divenuto retaggio d’una famiglia, passò dappoi a chi avesse più forza -per occuparlo, o più astuzia e fierezza per tenerlo oppresso. - -Forte spiacque ai Tedeschi l’alienazione di questo ducato, che essi -amavano considerare per feudo imperiale; e fu uno degli aggravj di -cui più caricassero Venceslao quando lo scoronarono (1401). Roberto -conte palatino sostituitogli dovè promettere di venire in Italia e -annichilare la sovranità de’ Visconti; sicchè alleatosi col signore -di Padova, e accomodato di ducentomila fiorini da Firenze, spedì -ambasciatori a far l’intimata a Galeazzo. Questo per tutta risposta -si cinse de’ migliori capitani di ventura; e Roberto entrato sul -territorio di Brescia (8bre) che era sorto a rumore, ed assalito da -Facino Cane e Jacopo Del Verme, provò come la cavalleria italiana -fosse superiore alla tedesca, la quale sarebbe ita in piena rotta se -Francesco Novello non la sosteneva con uno squadrone italiano. Roberto, -perduti mille cavalli e molti prigionieri, e abbandonato dai vassalli, -se ne partì con ignominia (1402). - -Così e l’assalto e la difesa dipendeano da capitani di ventura, -de’ quali i migliori tenevasi intorno Galeazzo, e per opera loro -ricuperò la sempre ribramata Bologna. Questa era tuttora divisa fra -gli Scacchesi capitanati da Gozzadini e Zambeccari, e i Maltraversi -che coi nobili aveano a capo Giovanni Bentivoglio, il quale (1401) -riuscì a farsene dichiarar signore. Con ciò Firenze perdeva la sua più -costante alleata: ma Galeazzo mandò contro al Bentivoglio il Del Verme -e il Barbiano, e per quanto egli si difendesse valorosamente, fu fatto -prigione ed ucciso (1402 giugno); e Galeazzo, gridato signore, fece al -solito costruirvi una fortezza. - -Insomma costui finiva di sotterrare le repubbliche nostre. Pisa gli -era stata venduta da Gerardo Appiano; Siena e Perugia lo chiamarono -signore, mentre Genova si metteva sotto al re di Francia; Roma era -peggiorata dallo scisma papale; a Napoli la servitù non restituiva la -pace; Venezia non s’accorgeva della necessità di farsi propugnatrice -della libertà italiana; sola conservava l’alito repubblicano Firenze, -ma sentendosi ricingere dalle insidie del Visconti, tremava: quando la -peste, più volte ridestatasi in quel secolo, troncò a Gian Galeazzo le -ambizioni e la vita di soli quarantanove anni (3 7bre). - -Fu dei più splendidi signori d’Italia, ricco di politici accorgimenti -quanto povero di valore personale e di lealtà, alla libidine del -possedere sagrificando giustizia, fede, utile de’ popoli, e adoprando -mirabilmente gli uomini di pace e di guerra. Abile a mascherare la -servitù, migliorò l’amministrazione coll’arte de’ registri e de’ -protocolli serviti da interminabili scrivani, computisti, notaj: -alleviò dai dazj più odiosi, molti scarcerò, fece riformare gli -statuti, si tenne attorno dotti e letterati, quali Baldo giurista, il -Fulgoso, Signorolo Amadio, Ugo da Siena e Biagio Pelacane matematici, -i medici Marsiglio da Santa Sofia, Sillano Negro, Antonio Vacca, -il filologo Emanuele Crisolara, il teologo Pietro Filargo; ridestò -l’Università di Piacenza, a quella di Pavia unì una biblioteca, fondò -un’accademia di belle arti, e raccomandò il suo nome a due dei più -insigni monumenti dell’Alta Italia, il duomo di Milano e la Certosa di -Pavia, dedicati a Maria nascente e a Maria delle Grazie. Nè avrebbe -fallito d’insignorirsi di tutta Italia, se non avesse trovato sulla -sua strada i Fiorentini e Francesco de’ Carrara, o quella fatalità che -attraversò sempre chi vi si accinse. - -A’ suoi funerali, dal palazzo in castello s’avviò una processione -verso il duomo così lunga, che appena si terminò in quattordici ore. -Innanzi alla croce venivano connestabili, scudieri e cavalieri; e -quaranta personaggi della famiglia Visconti, ognuno accompagnato da due -ambasciatori di estere potenze; indi gran numero d’altri ambasciadori e -nobili forestieri, e dieci deputati da ciascuna delle quarantasei città -soggette[11], oltre una folla di primati e nobili di queste; poi tutti -gli ordini religiosi (e non erano pochi), canonici regolari, clero -secolare, gli abati dei monasteri ed i vescovi di tutte le diocesi -suddite. Seguivano le insegne della città, portate da ducenquaranta -uomini a cavallo, cui tenevano appresso otto altri pure a cavallo, -colle insegne ducali, poi due mila persone in gramaglie, con sul petto -e sulle spalle le armi della vipera, del ducato di Milano e del contado -di Pavia, ciascuno con grosse torchie alla mano. Dietro al clero -ed ai canonici della metropolitana appariva l’arcivescovo fra’ suoi -suffraganei. La bara portavano principali signori forestieri, sotto a -un baldacchino di broccato d’oro foderato d’ermellini, e tutt’intorno -cortigiani a bruno, i quali, dodici alla volta, sostenevano gli -scudi delle insegne e delle imprese adottate dal duca. Duemila altre -persone in corrotto chiudevano la processione. Giunti al tempio e -fatta l’oblazione di tutti i ceri, delle insegne ducali, delle armi e -dei cavalli che le portavano, si celebrarono gli uffizj di suffragio -attorno ad un mausoleo ornato di vessilli e bandiere, sovra il quale -posava il feretro: nè mancava una pomposa iscrizione, attestante le -virtù che il duca ebbe o doveva avere, e il pianto de’ sudditi orbati -del padre; frasi per tutti. Finito ogni cosa, il corteo fece tragitto -al palazzo ducale, ove fu recitata una non men pomposa e altrettanto -veridica orazione, che faceva risalire la dinastia Visconti fino ad -Ettore ed Enea. - -Avea disposto si recassero le sue viscere a San Jacopo di Galizia, le -ossa alla Certosa di Pavia, alla quale lasciò estesissimi possessi per -finirne la fabbrica, e poi farne le limosine, che seguitarono finchè -l’istituto durò. In quel tempio, gli fu dunque eretto un mausoleo di -marmo bianco, coll’effigie sedente, la storia delle sue imprese, e -bassorilievi, e gli stemmi di tutte le città obbedienti al suo comando: -uno de’ più insigni monumenti dell’arte italiana. Commines, arguto -politico e storico francese, colà vide quelle ossa poste più alte che -l’altare, e udì da un frate intitolarlo santo. «Ed io (racconta) gli -chiesi all’orecchio perchè mo lo chiamasse santo, mentre potea vedere -all’intorno le armi di molte città da lui usurpate senza diritto; ed -egli mi rispose sotto voce: _Noi in questo paese chiamiamo santi tutti -quelli che ci fanno del bene_»[12]. - -Gian Galeazzo lasciava due figliuoli in piccola età: a Gian Maria -legò il ducato dal Ticino al Mincio, oltre Bologna, Siena, Perugia; -a Filippo Maria il contado pavese, col resto del territorio; Pisa e -Crema staccò pel bastardo Gabriele Maria: ma potea dire come Pirro, -— Lego il mio scettro a chi ha miglior fendente di spada». La tutela -affidò a Caterina Visconti sua vedova e a diciassette personaggi, fra -cui i celebri condottieri Del Verme, Barbiano, Pandolfo Malatesta, -Antonio d’Urbino, Francesco Gonzaga, Paolo Savelli, sperando sarebbero -puntelli alla debolezza de’ bambini, e quasi dovessero stare obbedienti -a un fanciullo come erano stati a lui. Valorosi in opere di battaglia -quanto inetti al governo e scarsi di fede, i condottieri non più -s’accontentavano di paghe, e volevano qualche città o territorio dove -svernare: Giovanni da Pietramala occupò Narni; Rinaldo Orsini, Aquila -e Spoleto; Boldrino da Panicale, molte terre della Marca; Biordo -dominò Perugia, Todi, Orvieto, Nocera; il Broglia Assisi; altri altre -terre, che poi non potendo tenere, vendevano ai Comuni o ai principotti -vicini. Questi talora se ne sbarazzavano coll’assassinio, come fece il -marchese di Macerata uccidendo Boldrino. I suoi mossero a vendicarlo -con ferocia, sinchè Firenze s’interpose, facendoli soddisfare con -dodicimila fiorini, e col restituire il cadavere del loro condottiero, -che in una cassa essi portarono lungamente a capo dello stuolo. - -I contutori di Gian Maria sdegnavano sottostare a una donna e a -Francesco Barbavara di lei favorito, presidente della reggenza; e la -discordia impacciava i consigli, mentre i nemici repressi rialzavano -il capo; Guelfi e Ghibellini, di cui fin il nome erasi proscritto, -rinvelenivano, e non più per le antiche cause della Chiesa e -dell’Impero, ma per isfogo d’odj e di stillate vendette. Il Carrarese -aguzza le armi non mai deposte; papa Bonifazio IX e i Fiorentini -s’intendono per sottrarre ai Visconti Siena, Perugia, Pisa, Bologna; il -Barbiano, accettato il comando dell’esercito fiorentino, ricupera al -papa Assisi e Perugia; gli altri condottieri s’avacciano di spartire -fra sè un dominio ch’essi medesimi aveano procacciato a quella casa. -Era una riazione federale contro l’unità milanese. - -Arte e fermezza adoprò Caterina al riparo, e con sanguinose esecuzioni -sgomentò i Milanesi, che istigati da altri Visconti, dai Porri, dagli -Aliprandi, eransi mossi a tumulto per imporle nuovi consiglieri. Ma -tutte ormai le città aveano scossa la dipendenza, e qualche tiranno -vi prevaleva sulle famiglie e sulle fazioni. I Guelfi, secondati dai -Valcamuni, mandano Brescia a tale strazio, da vendersi fin carne -di Ghibellini; ma Pietro Gambara, di cui s’erano macellati due -figlioletti, raccolse armi e consorti a Salò, ed entrato in città -prese così sanguinose vendette, che la puzza dei cadaveri contaminò -lungamente l’agro bresciano e il cremonese. I Guelfi pigliano il -sopravvento a Lodi con Giovanni de’ Vignati, a Piacenza e a Bobbio -cogli Scotti e coi Landi; i Ghibellini trionfano a Como con Franchino -Rusca, a Bergamo coi Suardi, a Cremona con Giovan Ponzone, poi con -Ugolino Cavalcabò; infine Gabrino Fondulo convita i Cavalcabò e i -principali del paese e li fa scannare, e guadagna così un posto fra i -principi. Intanto i baroni di Sax nella Mesolcina occupano Bellinzona; -Vicenza si dà ai Veneziani. - -Caterina riesce a far pace col papa, che venne a recuperare Bologna e -Perugia: i Fiorentini, querelandolo d’averli abbandonati, continuano -la guerra e liberano Siena; ma Gabriele Maria Visconti conserva Pisa -alleandosi al maresciallo Boucicault, allora vicario di Francia a -Genova; poi la vende per ducentoseimila fiorini (1405 giugno), che gli -sono frodati da quell’avaro francese, il quale accusatolo a Genova di -tradimento, lo manda al patibolo. - -A Caterina fu grande appoggio Facino Cane. Costui, dell’antica stirpe -dei Cani di Monferrato, avea servito gli Scaligeri di Verona, e -rimasto prigione alla battaglia di Castagnaro, accettò stipendio dai -Carraresi, pei quali menò inesorabile guerra nel Friuli; assistè al -marchese di Monferrato contro i signori di Savoja con tal fortuna, che -quello l’infeudò di Borgo San Martino. Devastando il Piemonte fino ad -Ivrea, crebbe nella stima di Gian Galeazzo, che gli diede a governo -Bologna appena l’ebbe riacquistata. Col feroce diritto di un comandante -militare egli vi si mantenne; e quando, morto il duca, ebbe ordine di -cederla all’esercito pontifizio, per togliere la voglia d’inseguirlo -pose il fuoco a trecento case. Dritte allora le bande sue contro dei -rivoltosi, devastò quant’è da Parma a Cremona; Alessandria abbandonò ad -orribile saccheggio, poi se ne fece signore, tenendo anche il contado -di Biandrate. Pandolfo Malatesta, cognato della reggente, reclamava -i soldi maturati; ond’essa l’inviò a depredare Como, dov’egli si pose -governatore, come si sottomise Bergamo e Brescia, fondandovi un’altra -signoria guelfa. - -Ma questa fazione perdeva allora un gran capo. Francesco Novello de’ -Carrara sodatosi in Padova, e conciliatosi con Guglielmo bastardo di -casa della Scala, gli avea dato mano nel recuperare Verona; poi come -questo morì (1404 7 aprile) (dissero di veleno), Francesco Novello se -la prese (maggio), a scapito de’ figli di esso, Antonio e Brunoro, e -della Visconti. Ma già i Veneziani, istigati dalla duchessa, aveano -rotta guerra al Carrarese assoldando il Malatesta, il Savelli ed -altri condottieri; e per quanto egli raddoppiasse d’attività, il -numero superiore de’ nemici e la peste lo costrinsero a cedere (1406). -Recatosi a Venezia, ivi fu sostenuto, e dai Dieci condannato al -patibolo coi suoi figliuoli, e bandita una taglia sul capo dei due che -eransi salvati in Firenze, e Carlo Zeno, il più grande uomo di Venezia, -accusato d’aver ricevuto quattrocento ducati dal Carrarese, benchè -adducesse non esser quelli che la restituzione d’un prestito, nè stesse -altra prova contro della sua illibatezza, fu escluso d’ogni impiego e -condannato a due anni di prigionia. I figli di Guglielmo della Scala, -sottrattisi dal carcere in cui gli avea chiusi il Carrarese, chiesero -venir restituiti nel possesso di Verona; e la Signoria veneta rispose -col mettere a prezzo la loro testa. San Marco trovossi possedere -Treviso, Feltre, Belluno, Padova, Vicenza, Verona: funesti acquisti, -che lo mescolarono alle vicende italiane; e subito fu costretto -difenderli contro dell’imperatore Sigismondo, che avea mandato a -invadere il Friuli Filippo Scolari fiorentino, da lui creato span e -perciò detto Pippo Span. - -Fra tanti nemici esterni ed interni la duchessa di Milano non credea -poter sostenersi che collo sgomento; e un giorno fece trovare davanti -a Sant’Ambrogio (1404 8bre) cinque cadaveri, vestiti di nero e -senza testa. Il popolo, invece d’atterrirsi, s’indigna, caccia lei -col Barbavara suo favorito: Gian Maria dichiarato maggiore, la fa -imprigionare, e forse uccidere; poi, per iscagionarsi del parricidio, -ne imputa Giovanni Pusterla castellano di Monza, lo fa sbranare con -tutta la famiglia da’ suoi cani, e perchè questi parvero intenerirsi -all’aspetto d’un costui figlio dodicenne, ordinò di scannarlo. - -Imperocchè Gian Maria non pareva aspirare all’autorità che per ordinare -supplizj; e resisi amici i soldati e i cortigiani col tollerarne le -trascendenze, la diede per mezzo a tutte le sevizie e lubricità; teneva -cani addestrati a saltare alla vita di chi esso accennava, e collo -Squarciagiramo suo canattiere andava la notte per città aizzandoli -or su questo or su quello. Feroce coi sottomessi, codardo coi forti, -dalla tirannia de’ condottieri non sapeva schermirsi col congiurare. -Per soldare le costoro bande voleansi denari, ed egli ne estorceva -senza badare a qual modo, sino a proibire di rendere giustizia a chi -non avesse pagato le taglie; appaltò non solo le regalie, ma i beni -suoi allodiali alla città, patto che questa gli desse sedicimila -fiorini il mese, di cui duemila per sè e la corte, il resto ai soldati: -eppure que’ mercenarj derubavano le case signorili, i mercanti, le -barche sul Po. Si volle darne colpa ai consiglieri, e per costringere -il duca a mutarli, Facino Cane e Pandolfo Malatesta batterono le sue -guardie e lui assediarono in città, dal castello scaricandogli bombe e -cannoni, invenzione nuova e perciò meno micidiale, ma più spaventosa. -Se n’indignò il Del Verme, capitano di morali sentimenti, e risoluto di -risarcire l’autorità del duca, sconfisse Facino (1407); ma avea dovuto -valersi delle bande del feroce Ottobon Terzo signore di Parma e Reggio, -il quale in compenso della vittoria domandò di saccheggiare Milano; e -perchè il Del Verme si oppose, uscì ad osteggiare Guelfi e Ghibellini. - -A Milano tutto era sgomento, disordine, sangue. Una affollata di poveri -gridando _Pace pace_ si strinse attorno al duca che cavalcava, ed -esso li fece assalire da’ suoi seguaci, talchè duecento ne perirono; -e proibì di proferir la parola pace, nemmanco nella messa. Eppure -fu costretto cercarla, rimovere i suoi istigatori, perdonare a’ -Ghibellini, e ricevere un governatore di questi e uno de’ Guelfi. - -Il Del Verme, disperando del paese natìo, passò al soldo de’ Veneziani, -e perì combattendo i Turchi. Facino Cane, conte di Biandrate, signore -di Tortona, Novara, Vercelli, Alessandria e delle rive del lago -Maggiore, rapì a Filippo Maria la reggenza di Pavia dopo che l’ebbe -mandata a sacco, costrinse Gian Maria a cedergli anche quella di -Milano, e teneva entrambi non solo in soggezione ma in istrettezza fin -del necessario. Accingevasi a togliere Bergamo e Brescia al Malatesta, -quando si malò a morte. A quest’avviso i Milanesi ghibellini, come -Mantegazza, del Majno, Pusterla, Trivulzj, Baggio, Concorezzo, -Aliprandi, si sbigottirono di dover trovarsi nuovamente in arbitrio -del tiranno, che a tutti aveva ucciso o il padre o i fratelli, sicchè -strettisi insieme a congiura, nella chiesa di San Gotardo (1412 16 -maggio), trucidarono Gian Maria. Avea ventiquattr’anni; e solo una -meretrice gittò qualche fiore sul colui cadavere; lo Squarciagiramo fu -trascinato a strapazzo, poi alla forca. - -Quel giorno stesso Facino spirava[13]; e tosto i costui soldati -occupano Pavia per sicurtà delle loro paghe; Astorre Visconti, bastardo -di Bernabò, detto il soldato senza paura, si rende padrone di Milano; -signori d’ogni parte si riaffacciano per recuperare gli antichi -dominj; ma Filippo, che sin allora era parso neghittoso e dappoco, -allora con meravigliosa operosità s’accinge a recuperare le avite -appartenenze. Dove consisteva il punto capitale? nell’assicurarsi -i venturieri. Beatrice Tenda, vedova di Facino, aveva ereditati dal -marito estesissimi possessi, il dominio di Tortona, Novara, Vercelli, -Alessandria; toccava i quarant’anni, Filippo venti: che importa? e’ -la chiede sposa, e con essa acquista quattrocentomila zecchini e gli -antichi partigiani del marito. Con questi ritoglie di viva forza Pavia -e Milano agli usurpatori, manda al supplizio gli uccisori del fratello, -combatte Astorre Visconti che rimane ucciso in Monza, e riceve il -giuramento di fedeltà. - -Francesco Bussone, illustre sotto il patrio nome di Carmagnola, con -null’altro che colla spada salito, da contadino che era, fino ai primi -onori, fu principale stromento di vittorie a Gian Maria prima, poi -a Filippo, al quale sottopose in breve Lodi (1416), i cui signori -Vignati, chiamati a Milano a titolo di conferenza, furono messi -al supplizio; Pavia, dove uccise in carcere Castellino Beccaria e -fece appiccare suo fratello Lancillotto; Como, che il Rusca cedeva -riservandosi la contea di Lugano; indusse il Malatesta a vendere -al duca Brescia e Bergamo; così Cremona il Fondulo per quarantamila -ducati, e il fondo di Castelleone; Crema, Giorgio Benzone; Rinaldo -Pallavicini, San Donnino. Ottobon Terzo, che brutalmente tiranneggiando -Parma e Reggio, erasi fatto terribile dovunque menasse le assassine sue -bande, fu chiesto a parlamento dal marchese d’Este, e quivi trucidato -dallo Sforza; e il suo cadavere andò a brani, e v’ebbe persino chi -ne mangiò. Nicolò d’Este, per tener Reggio, cedette Parma al duca -(1418). Piacenza fu sostenuta da Filippo Arcelli, gentiluomo di -valor eccellente, che raccolti quanti Filippo avea spossessati acciò -facessero causa comune, recò accannita guerra al Carmagnola. Questi, -col supplizio della moglie e del figlio dell’Arcelli prigionieri, prese -Piacenza; ma vedendo non poterla conservare, obbligò gli abitanti a -uscir tutti colle robe, sicchè il nemico non trovò che deserto, e per -un anno tre soli abitanti s’annidarono in quella solitudine, finchè -il duca di Milano l’ebbe e la ripopolò. Per tal modo Filippo, non -provveduto di valore, ma di destrezza molta e di eccellenti capitani, -reintegra non solo ma amplia il ducato, e domina dai confini del -Piemonte a quelli del papa, dal San Gotardo al mar Ligure, dove presto -allargò la sua signoria. - - - - -CAPITOLO CXIII. - -Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. Venezia ricresce, Genova si perde. - - -In Venezia il tempo aveva consolidato il potere della nobiltà, che -affatto dedita alla politica, v’acquistò tanta attitudine, quanta i -feudatarj nell’esercizio delle armi, e seppe cattivarsi l’opinione in -modo, che questa più non si mise a contrapposto del potere, ma vi andò -in coda. Alla classe media rimasero per ristoro i traffici, che guidava -dall’India ai Paesi Bassi, dalla Barberia al Baltico. La metropoli -conteneva cennovantamila persone: le case furono estimate sette milioni -di ducati, che oggi rispondono a trenta milioni di lire; e le pigioni -ducati cinquecentomila. La zecca coniava l’anno un milione di zecchini, -dugentomila monete d’argento e ottocentomila soldi, gettando in corso -ogni anno diciotto milioni effettivi di lire nostre. In meno d’un -decennio fu spento un debito di quaranta milioni di zecchini, oltre -prestarne settantamila al marchese di Ferrara. Passavano il migliajo i -nobili che possedevano di rendita da quattro a settantamila zecchini; -eppure con tremila aveasi un bel palazzo[14]. Mastin della Scala, -perduta Padova, chiese d’essere ascritto al libro della nobiltà veneta; -poco poi vi furono i Carraresi; e sempre un tale onore venne ambito dai -principi. - -Alle vicende d’Italia ormai prendea briga Venezia non più come -straniera, ma come potentato italiano; e poichè i principati -costituitisi nell’alta Italia poteano divenirle minacciosi, dovette -anch’essa acquistarvi stato per equilibrarli, e per mantenersi -libera la navigazione del Po. Se la assicurò di fatto nella guerra -che narrammo contro gli Scaligeri; e dopo impossessata di Treviso in -terraferma, via via prosperò di dominj e di traffici. Ne’ possessi -marittimi invece andava in calo, sì per l’avanzarsi de’ Turchi, sì -per le guerre con Genova, la quale, vinti i Tartari, aveva ottenuto -che nessuna nave d’Occidente potesse far porto in altro luogo del mar -Nero che a Caffa sua; imprese che noi riserviamo a narrare nel libro -seguente. - -Se n’adontarono i Veneziani, e allestirono nuove battaglie, in procinto -delle quali Francesco Petrarca scriveva (1351) al doge Andrea Dandolo: -— L’antica amistà nostra e l’amore della patria comune mi confortano -a ragionare apertamente con voi. Corre voce che due libere città -s’accingano a farsi guerra a morte. E quali città! i due lumi d’Italia, -collocati dalla natura agli opposti estremi dell’Alpi per signoreggiare -i mari che la circondano, e perchè dopo l’abbassamento del romano -imperio la miglior parte del mondo ne sia ancor la regina. Nazioni -altere osano disputarle in terra il primo luogo; ma chi oserebbe in -mare? Se Venezia e Genova ritorcono in se stesse l’armi, fremo in -pensarlo, tutto è perduto, e imperio marittimo e gloria nazionale; -chiunque sia il vinto, è forza che l’uno de’ nostri lumi si estingua -e l’altro s’indebolisca. Non serve illudersi; non sarà mai facile -vincere un nemico d’indole bollente e, ciò che più vale, italiano. -Uomini valorosi, popoli potenti entrambi, quale è lo scopo, quale -sarà il frutto delle vostre discordie? Il sangue onde siete assetati, -non è di Arabi o d’Africani; ma sangue di un popolo a voi congiunto, -di un popolo che farebbe scudo alla patria comune ove nuovi Barbari -l’assalissero, di un popolo nato a vivere, a combattere, a trionfare, o -morire con voi. Il piacer di vendicare un’offesa leggera potrebb’egli -più che il pubblico bene, più che la salute di voi stessi? E pure, se -mi si dice il vero, per meglio saziare il vostro furore, voi vi siete -collegati col re di Aragona, i Genovesi col greco usurpatore; cioè -Italiani implorano l’ajuto de’ Barbari per offendere altri Italiani. -Madre infelice! che fia di te, se i tuoi proprj figliuoli stipendiano -mani straniere per lacerarti il seno? Noi insensati, che aspettiamo -da anime venali ciò che potremmo ricevere da’ nostri fratelli. -Ben provvide natura al nostro schermo steccandoci coll’Alpi e col -mare: ma avarizia, invidia, superbia hanno rotto quelle barriere; -e Cimbri, Unni, Tedeschi, Francesi, Spagnuoli inondarono i nostri -dolci campi. Che fia di noi, che dell’Italia, se Venezia e Genova -non fanno argine al nemico torrente? Prosternato, pieno gli occhi di -lagrime e d’amarezza il cuore, io vo gridando, Deponete l’armi civili, -ricambiatevi il bacio della pace, unite gli animi vostri e le bandiere. -Così l’Oceano e l’Egeo vi siano favorevoli, e le vostre navi giungano -prosperamente a Taprobana, alle isole Fortunate, a Tule incognita, e -fino a’ due poli! I re e i popoli più lontani vi verranno incontro, i -Barbari dell’Europa e dell’Asia vi paventeranno, e la nostra Italia si -chiamerà a voi debitrice dell’antica sua gloria». - -Per tutta risposta ebbe lodi della sua eloquenza; nè miglior esito -conseguì l’anno seguente scrivendo ai Genovesi, con altrettanto di -gonfiezza ma insieme d’amore per l’Italia: — Illustre doge, magnifici -anziani, permettete che esorti voi, come dianzi esortavo i Veneziani, -alla concordia e alla pace: uffizj naturali e quasi necessarj al mio -cuore. Non esiste popolo più formidabile in guerra, più mansueto in -pace di voi; tutte le terre ove combatteste, tutti i mari da voi -veleggiati testimoniano i vostri trionfi. Il Mediterraneo venera -le vostre bandiere, l’Oceano le paventa, e il Bosforo è ancor tinto -del sangue dei vostri nimici. Chi può senza raccapriccio leggere od -ascoltare i successi di quell’ultima battaglia, nella quale a un sol -tempo vinceste tre potenti nazioni?... Quantunque discreduto da loro -quando era ancor tempo di consigliarli, io sento al vivo i disastri -de’ Veneziani. Sentiteli pur voi, o Genovesi, e riflettete che gli -uni e gli altri siete italiani, nè gravezza d’ingiuria vi disunì. -Riconciliatevi dunque con essi, e se vi piace combattere, rivolgetevi -contro i perfidi consiglieri delle vostre discordie; quindi passate -a liberar Terrasanta, benemeritando del mondo e della posterità. -Sebbene io dalle cose passate pronosticando le future, son d’avviso -che a voi convenga, dopo vinti i nimici esteriori, provvedere al -pericolo degl’interni. Roma non potè esser vinta se non da Roma: e -ciò avverrà pure a voi, se non vi applicate a conciliare gli animi -de’ vostri cittadini, massimamente quando sollevati dall’aura della -fortuna. Mille sono gli esempj di città per odj civili distrutte; -nessuno più sensibile del vostro. Ricordivi quando eravate il popolo -più felice della terra; il vostro paese somigliava a un paradiso. -Dal mare vedeansi torri che parevano minacciare il firmamento, poggi -vestiti di ulivi e di melaranci, magioni marmoree sulle pendici, -deliziosi recessi fra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, e alla -cui vista i naviganti sospendevano i remi per riguardare. Chi venisse -per terra, meravigliando vedeva uomini e donne regalmente vestiti, e -fino tra boschi e monti delizie incognite nelle reggie. Entrando nella -vostra città pareva di mettere piede nel tempio della Felicità, e si -proferiva come già di Roma: _Questa è una città di re_. Testè vinte -avevate Venezia e Pisa: e i vostri vecchi vi diranno qual impressione -ne venisse, qual timore ne’ porti, qual venerazione ne’ popoli, quali -acclamazioni nelle riviere al comparire delle vostre armate. Signori -del mare, appena che alcuno veleggiasse senza vostra licenza. Scendete -poi colla memoria a quei tempi infausti, che l’orgoglio, l’ozio, -la discordia, l’invidia, compagni inseparabili della prosperità, -allignarono fra voi, e, ciò ch’era stato impossibile a umana forza, -vi resero schiavi. Qual mutamento subitaneo! i palazzi divennero -ricoveri d’assassini; le belle riviere e la città superba si fecero -incolte, deserte, sformate, rovinose; la patria vostra fu assediata da’ -suoi stessi fuorusciti; si combattè intorno alle sue mura per terra -e per mare non solo, ma fin sotto terra; nè la guerra più crudele ha -flagelli, che non piovessero tutti su lei. Finalmente vi piacque di -riordinare lo Stato, dando alla repubblica un capo; e allora fu che le -discordie si estinsero, la guerra cessò, e sicurezza e abbondanza e -giuste leggi tornarono fra voi. Valga la trista esperienza a tenervi -uniti, e per assicurarvi da nuove calamità siate equi, moderati, -clementi». - -Queste generose parole purtroppo in nessun tempo è superfluo ripetere -in Italia, sebbene troppo spesso infruttuose[15]. Nè allora giovarono, -e i mari nostri e d’Oriente si tinsero di sangue, e fino al 1355 -la guerra vegghiò, molto più deplorevole che non quella fra paesi -di terra, sì perchè di natura sua micidiale, sì perchè menata con -cittadini, non con bande mercenarie. Nè durar pace lasciavano le -rivalità delle due repubbliche in Oriente; donde vennero nuovi e più -funesti conflitti. - -Dopo la rivoluzione (1328), che sul trono di Costantinopoli ad -Andronico Paleologo II surrogò il ribelle nipote Andronico III, i -Genovesi eransi fatto cedere da quest’imperatore l’isola di Ténedo; ma -i Veneti diedero appoggio agli abitanti che ricusavano sottomettersi -al baratto. Di qui mali umori, sfogati (come vedremo) in battaglie -oltremarine, e che rinvelenivano ad ogni pretesto. Essendo stato ucciso -Pietro di Lusignano (1372) re di Cipro, nella coronazione di Pierino -suo successore pretesero la precedenza Veneziani e Genovesi; e venuti -alle armi, molti Genovesi rimasero scannati. Genova spedì a vendetta -Damiano Catani, che trucidati i Veneziani, e preso il re e il paese, -l’obbligò d’un tributo di quarantamila fiorini annui. Il Lusignano -buttossi allora coi Veneziani (1379), e ne cominciò la guerra di Cipro, -secondata da leghe delle potenze terrestri. Bernabò Visconti, suocero -del re di Cipro, soldava contro Genova la compagnia della Stella, che -danneggiò fin i giardini e i palazzi di Albáro e di San Pier d’Arena, -finchè i Bisagnini la presero in mezzo, e costrinsero a rendersi a -discrezione. - -Instancabile nemico ai Veneziani era Francesco Carrara signor di -Padova: una volta egli arrivò a far rapire dalle loro case i senatori -a sè avversi, e condurli a Padova, dove rimbrottatili aspramente, e -fatto intendere che, se gli avea rapiti, più facilmente potea farli -ammazzare, li dimise incolumi, ma giurati di tacere. Contro Venezia non -aveva esitato a chiamare il re d’Ungheria e i duchi d’Austria, ai quali -cedette Feltre e Cividal di Belluno; e adoprare a vicenda le masnade -e i tradimenti: però essendo caduto prigione dei Veneziani il vaivoda -di Transilvania, gli uomini di questo ricusarono di combatter più -sinchè non fosse redento, onde il Carrara dovette colla corda al collo -implorare la pace. Ora, profittando delle strette di Venezia, rinnovò -le ostilità, appoggiato agli Austriaci, agli Ungheresi e al patriarca -d’Aquileja, che flagellarono il paese colle masnade. L’ammiraglio -veneto Vittor Pisani menò lungamente sui mari alla vittoria il leone; -al promontorio d’Anzio, a Trau di Dalmazia vinse; e non giungendo -(1378) le paghe ai soldati, impedì se ne rifacessero col rubare, ma -distribuì giorno per giorno ogni suo denaro, poi gli argenti da tavola, -infine una fibbia che gli restava alla cintura. - -Ma una volta il Carrara potè sorridere (1379 9 maggio) nel ricevere -questo spaccio: — Magnifico e potente signore. Addì 3 del corrente -maggio uscimmo di Zara con ventidue galee, veleggiammo verso il -golfo secondo un avviso che i nimici venivano di Puglia con grano; e -trovandoci sopra il porto di Pola il dì 5, due galee dell’antiguardia -li scopersero quivi in agguato, numerosi di ventidue galee e tre grosse -navi da dugencinquanta uomini ciascuna, oltre le solite ciurme, e -molti uomini d’arme e venturieri assoldati per guardia della città. -Avendo fra noi disegnato di non venir tosto a battaglia, acciò che in -tanta vicinanza di terra non si salvassero a nuoto, fingemmo timore, e -vogammo al largo; ond’eglino si misero a seguitarci. Scostati appena -tre miglia dal lido, ci voltammo contro loro sì virilmente, che in -un’ora e mezzo la vittoria era già nostra; in nostro potere quindici -galee con tre navi cariche di seimila mine di grano; prigioni duemila -quattrocento, morti da sette in ottocento; ma il signor Vettore Pisani -ci sguizzò dalle mani con sette galee assai malarrivate. Dopo il -combattimento spiccammo sei galee contro i legni da carico ancorati nel -porto di Pola; ma avendoli trovati in secco sotto le torri della città, -non presero che una fusta di munizioni. Siam giunti a Zara il dì 8 -vittoriosi e senza perdita notabile, salvo la morte dell’egregio nostro -capitano Lucian Doria (1379), trafitto in bocca da una lancia nel caldo -della battaglia. Per gratitudine al suo parentado gli surrogammo il -signor Ambrogio Doria, secondo il parere di tutti i capi dell’armata. -Ai venturieri pagati da’ Veneziani mozzammo il capo; i cadaveri si -gittarono a mare»[16]. - -Il consiglio di guerra tacciava Vittor Pisani di vile perchè non -accettasse la battaglia; quando combattè e fu vinto, lo dissero -traditore; e quantunque avesse intrepidamente disputato la vittoria, -fu richiamato in patria e messo prigione, nel mentre i Genovesi al -nuovo ammiraglio Pietro Doria nello scioglier delle vele gridavano — A -Venezia, a Venezia». Di fatto Genova, ricuperate le piazze di Dalmazia -tolte dai Veneziani, e attaccatone le colonie di Rovigno, Umago, -Grado, Caorle, mentre avea destra la fortuna pensò con un colpo estremo -ridurre l’emula alle paludi natìe. - -Le isole su cui torreggia Venezia sorgono dalla laguna che si stende -dalle bocche del Piave a quelle dell’Adige, separata dal mare per un -banco di arena, che appena in pochi luoghi dà a navi grosse il passo, -intrattenuto dall’arte e dall’arte munito. Il più settentrionale è -quel de’ Treporti a tramontana dell’isola di Sant’Erasmo, atto solo -a piccole imbarcazioni. Fra Sant’Erasmo e Lido apresi quello di San -Nicolò, ed era il principale, munito di torri, fra le quali talvolta -tendeasi una catena. Il passo di Malamocco fra quest’isola e Palestrina -è il più profondo: poi tra Palestrina e Bróndolo è quello di Chioggia, -denominato dalla città ivi posta al vertice di un’isola che s’attacca -alla terraferma sol per un ponte: gl’interri dell’Adige e del Brenta -rendono difficile l’altro passaggio fra Brondolo e il continente. Un -canale a gran fatica mantenuto attraversava la laguna fra Venezia e -Chioggia. - -E appunto a Chioggia gettò l’àncora (1379 agosto) una flotta genovese -numerosissima e co’ migliori marinaj; espugnatala coll’uccidere -seimila Veneziani e catturarne quattromila, pose il quartier generale -s’un’estremità dell’isola di Malamocco; e comunicando per terra -coll’alleato padovano, circondava la città nemica. Questa, senza -alleati, penuriava di vettovaglie; il tesoro era esausto; benchè -fossero munite le poche aperture fra il mare e le lagune, galee -genovesi si erano vedute giungere fino a Lido, sicchè il doge Andrea -Contarini avea sin proibito di convocare il consiglio col tocco del -campanone di San Marco, acciocchè il nemico non udisse quel segno, e fu -posto in discussione se convenisse abbandonare Venezia, e trasportare -a Creta la sede della repubblica. Il Carrara esultava dell’umiliazione -dei nobiluomini. L’ammiraglio Doria ai veneti ambasciadori mandati per -pace rispondeva: — Perdio che non ascolterò patti finchè non abbia -messo il freno ai cavalli di San Marco»; e quando gli si propose di -riscattare alcuni prigionieri: — Fra pochi giorni li redimerò senza -denaro». - -Non si trattava dunque d’ambizioni di nobili, ma di interesse del -popolo: e il popolo non si scoraggia, solo ha bisogno d’uno che lo -diriga, e in cui abbia confidenza; laonde ridomanda l’antico Pisani, -sotto cui era stato avvezzo a vincere, e a cui la sventura avea -cresciuto popolarità. Ed egli dai sotterranei del palazzo udendo -migliaja di voci gridare, — Se volete che combattiamo, rendeteci il -nostro ammiraglio, Viva Vittor Pisani»; si sporge alla ferrata, e — -Zitti là; non dovete gridar altro se non Viva San Marco». - -L’invidia tace quando l’ambizione è pericolosa: e il Pisani, tratto -di carcere a braccia di popolo, respingendo i consigli di chi lo -stimolava a insignorirsi dell’ingrata patria, ricevendo l’eucaristia -giura che non terrà conto a’ suoi emuli della fattagli persecuzione; -munisce l’argine di Malamocco ed ogni varco; invita tutti a concorrere -alla salvezza della patria; i frati prendono le armi; e se un Morosini -speculò sulle angustie cittadine per comprare case a vil prezzo, altri -nobili attrezzarono trentaquattro galee a proprie spese; un Paruta -cuojajo pagò mille soldati; uno speziale Cicogna diede una nave; -semplici artigiani metteano insieme cento, ducento uomini; il doge -settagenario monta sulla flotta coi principali pregadi: si promette -ascrivere al libro d’oro i trenta plebei che più denaro offriranno, -e molti infatti porgono il più e il meglio delle loro sostanze[17], -talchè Venezia trova modo a’ suoi bisogni. Oh, Venezia conosce come -si resiste al nemico. Il Pisani seppe frenare il primo impeto finchè -avesse esercitato la ciurma inesperta, e non fosse tornata di Grecia la -flotta di Carlo Zeno; unitosi colla quale, non solo allarga Venezia, -ma sbaraglia e blocca nel porto di Chioggia (1380 gennaio) l’armata -genovese, con barche affondate chiudendo le tre uscite: le bombe, -allora forse adoprate la prima volta in mare, e che spingeano palle -di pietra di cencinquanta in ducento libbre, giocavano radamente ma -terribilmente contro ripari fabbricati per tutt’altri projetti; lo -stesso Doria rimase sfracellato sotto il crollo d’un muro; e la flotta -dopo sei mesi d’assedio è obbligata rendersi a discrezione (21 giugno). - -La guerra per altro si prolungò, e Carlo Zeno, sostituito al -morto Pisani, menava le navi più a guasto che a vittoria; mentre -l’implacabile Francesco Carrara dirizzava gli Ungheresi sopra Treviso, -che i Veneziani non salvarono se non cedendolo al duca d’Austria. - -Alfine a Torino (1381 8 agosto), sotto gli auspizj di Amedeo VI di -Savoja, fu conchiusa la pace, per cui la repubblica si obbligava a -pagare annualmente al re d’Ungheria settemila ducati; ma Ungheresi -non farebbero sale sulle coste, nè navigherebbero più nessuno de’ -fiumi che sboccano nell’Adriatico fra capo Palmenterio e Rimini; e i -mercanti di Dalmazia non asporterebbero mercanzie da Venezia per più -di trentacinquemila ducati; con Padova si restituivano reciprocamente -le conquiste e le prese; col patriarca d’Aquileja stipulavasi la piena -emancipazione di Trieste, obbligata solo a contribuire al doge le -regalie convenute ne’ trattati precedenti, e lasciare ogni sicurezza e -libertà di commercio ai Veneziani. Tenedo, cagione prima della rottura, -doveva essere consegnata al conte di Savoja, che ne trasporterebbe gli -abitanti a Negroponte e a Candia, abbandonandola deserta; ma Giannacci -Mulazzo balio di quell’isola procurò distorne i Genovesi, sicchè fu -duopo coll’arme domarlo. Venezia perdea dunque ogni possedimento in -terraferma, e Tenedo e la Dalmazia, oltre immense ricchezze logorate. -Di settemila ducento prigioni che avea fatti, non sopraviveano che -tremila trecensessantaquattro, che restituì in cambio de’ suoi, quasi -tutti vivi. I Garzoni, i Condulmer, i Zusto, i Nani poterono gloriarsi -della nobiltà acquistata col soccorrere alla patria; e così i Trevisan, -i Cicogna, i Vendramin, che giunsero poi fino al berretto ducale. - -Il duca d’Austria, cui restava Treviso, continuò nimicizie al Carrara; -in fine gli vendette tutti i possedimenti che tenea di qua dell’Alpi. -Pertanto il signore di Padova occupava il lembo della laguna, e -recideva le comunicazioni col continente. Il senato veneto eccitò -contro di lui Antonio della Scala e Giovanni Acuto, che portò la -desolazione fin sulle porte di Verona e Vicenza. Poi Venezia ricevette -in dedizione spontanea Corfù, che era stata riunita alla corona di -Napoli, e ribellata durante la guerra civile: s’impadronì di Durazzo -sulle coste d’Albania, che da Carlo d’Angiò era stata tolta ai Greci; -ebbe la cessione di Argo e Napoli di Romania, anch’esse possedute dagli -Angioini; ricuperò Treviso; poi sotto Michele Steno acquistò Vicenza, -Verona, per ultimo anche Padova, mandando i Carraresi al fine che -dicemmo. - -Genova nella guerra di Chioggia avea spiegato portentosa attività non -solo nel combattere, ma nel dirigere il re d’Ungheria, il Carrara, -il patriarca d’Aquileja, il signor di Milano a’ danni della nemica -Venezia: colla pace di Torino, oltre che esausta di moneta e navi, -si trovò nell’interno tutta divisa e nemica; i nobili in urta coi -popolani, i mercanti ed operaj grossi in urta coi piccoli e colla -plebe, e quelli e questi suddivisi in Bianchi e Neri, che noi diremmo -moderati ed eccessivi. Non erano più i vassalli che stessero a fianco -de’ signori feudali, ma clienti e dipendenti, marinari, operaj, che -talvolta a centinaja servivano una casa sola. I capi poi erano versati -negli affari, destri come mercanti, coraggiosi come marinaj, generosi -come ricchi, istruiti da tanti avvicendamenti di trionfi e d’esigli. - -Dopo il Boccanegra, la preminenza era sempre toccata a uomini del -popolo, nuova aristocrazia sottentrata a quella de’ gentiluomini, e che -escluse questi dal dogato e fin da ogni impiego. Le antiche famiglie, -come i marchesi del Carretto, vedendosi mozza l’autorità e invidiata -la condizione, si riducevano ne’ loro castelli, professandosi ligi -all’Impero; se rimaneano in città, tramavano contro un ordine di cose -che gli escludeva: ma neppur essi riuscivano a nulla perchè non uniti. - -Fra que’ trambusti erano venute su alcune famiglie di cappelluzzi, -cioè popolani, i Montaldo, i Guarco, principalmente i Fregosi, notaj -e fautori del popolo, e gli Adorni, conciapelli e sostenitori della -plebe (1378); nessuna bastava a sommettere le altre, ma l’una l’altra -contrariava, e tutte insieme ogni efficace provvedimento. Se il doge -Nicolò Guarco vuol reprimere le fazioni e rinforzare il governo, -dicono che aspira a tirannide, ricusangli il denaro e le collette, -si sollevano e mutano stato. Dieci dogi si successero rapidamente -con dieci rivoluzioni, e ciascuna lasciava una nuova partita di -malcontenti. Gian Galeazzo Visconti versava olio su que’ tizzoni, -sperando che per istanchezza Genova se gli butterebbe in braccio. Di -tutto ciò le finanze andavano a sobbisso: il territorio, se crebbe -col comprare Novi e Serravalle dai Milanesi, trovavasi occupato da -varj signorotti, Monaco dai Grimaldi, Gavi dai Montaldo, Levanto dai -Bertolotti: i partiti incessantemente in lotta, cacciandosi e nocendosi -a vicenda, insidiati dai nobili delle due Riviere, per trionfare -ricorrevano pur essi alle bande mercenarie, funeste del pari a tutti, -o alla protezione di stranieri. Queste lotte, che in venti anni la -ridussero a potenza secondaria, sarebbe nojoso il divisarle. - -Antoniotto Adorno, che, dopo lungo aspirarvi, aveva ottenuto il dogato -nella peste del 1384 mediante una insurrezione di macellaj, presto -ne fu espulso, vi tornò, lo riperdette, ripigliollo, e vedendo non -potere conservarsi in posto, propose di mettere la repubblica sotto -la protezione di Carlo VI di Francia (1396): quarta volta che in quel -secolo Genova sottoponeva volontaria il collo a giogo forestiero[18], -sì era soffocato l’alito repubblicano. Il re accettò, e promise -mettervi per doge un vicario francese, non alterare le leggi, non -rincarire le imposte. La libertà non ne pativa di troppo: ma que’ -vicarj nè contentavano nè atterrivano, nè la quiete si ripristinava; -oltre quello versato per sottomettere le Riviere, molto sangue corse -in Genova stessa; coi nomi di Guelfi e Ghibellini mascherando fiere -animosità, ogni tratto si era a baruffe, invasioni, cacciate, incendj; -cinque volte si combattè per le vie l’agosto del 1398, trenta palazzi -in fiamme, molti edifizj diroccati. - -L’anno seguente vi furono sistemati i corpi di mestieri, che scelsero -quattro priori, ai quali aggiunsero dodici senatori, da rinnovarsi ogni -mese, per vegliare che il governatore e il suo consiglio procacciassero -il bene pubblico; e se alcun magistrato violasse la giustizia in parole -o in fatti, poteano, armati gli artigiani, corrergli addosso. - -Anzichè sedare le turbolenze, ciò vi porse nuovi incentivi, sinchè -venne vicario di Francia Giovanni Lemeingre, maresciallo di Boucicaut, -uomo di coraggio alla prova, che entrato con mille cavalieri e fanti, -volle le fortezze, fece imprigionare i capi faziosi e uccidere, tolse -le armi a tutti, abolì i nomi delle fazioni e le magistrature popolari, -snidò dai loro feudi i Fiesco e i Del Carretto, esigliò popolani, -e tale spavento incusse, che i consoli delle arti non osavano più -congregarsi, nè tampoco le confraternite de’ Battuti, per tema si -procedesse contro di loro[19]. - -Tristo il popolo che è costretto a lodare tali freni eccezionali, e -il rintegramento della legalità per mezzo della violenza! Rinvigorita -la marina, Boucicaut veleggiò contro il re di Cipro ch’era in rotta -co’ Genovesi, e poichè questo comprò la pace, egli bottinò sulle coste -di Siria e d’Egitto, ed ottenne al re di Francia la signoria di Pisa, -uccidendo Gabriele Maria Visconti (pag. 30). Nella minorità di Gian -Maria volle essere messo nella reggenza, e venne a Milano con molto -denaro e grossa truppa: ma Facino Cane, d’intesa con Teodoro marchese -di Monferrato e coi malcontenti, si spinse a Genova (1409) chiamandola -a libertà; sicchè cacciati e uccisi i Francesi, malgrado de’ Guelfi -fu ripristinato il governo a popolo, abolendo gli statuti anteriori, e -assumendone uno nuovo, di cui tale è la somma: - -Lo Stato è ghibellino e popolare, ma i Guelfi potranno farsi -Ghibellini, e i nobili parteciperanno di tutti gli uffizj, salvo il -supremo. Questi uffizj sono il podestà, dodici anziani, il consiglio -de’ quaranta savj, il consiglio generale di trecentoventi, i -sindicatori, i provvisori, i magistrati della moneta, della Romania, -della mercanzia, della guerra e pace, e i consoli della ragione. Il -doge a vita reggerà e governerà la repubblica, presiederà ai consigli -con due voti, e potrà intervenire alle adunanze di tutti gli uffizj -o magistrati non giudiziarj; ma il proporre partiti compete solo -ai rispettivi priori: non moltiplicherà gli uffizj, o ne scemerà -la giurisdizione, nè s’intrometterà per qualsia pretesto nella -cognizione e raccomandazione delle liti: avrà annue ottomila genovine, -da spendere nel mantenimento e decoro della sua corte, compresivi -due vicedogi e due vicarj. Il podestà, pagato lire cinquemila, -dovrà essere forestiero, dottor di leggi, di casa almeno patrizia; -presenterà all’approvazione del doge e suo consiglio tre giurisperiti -in qualità di vicarj, che lo assisteranno due nelle civili, il terzo -nelle cause criminali, per delitti commessi a cinquanta miglia dalla -residenza; de’ commessi in minor distanza conoscerà egli solo. Il doge -dovrà consultare gli anziani in ogni occorrenza, salvo per arrestare -banditi, cospiratori o sediziosi. I quaranta interverranno in tutte le -trattazioni gravi, e così per atterrare fortezze, concedere immunità, -conferire l’ammiragliato. I sindicatori invigileranno sui portamenti -di tutti i magistrati, multandoli se falliscono, impedendoli d’abusare -dell’autorità. I provvisori frequenteranno piazza de’ Banchi e altre -accolte di popolo per raccorre l’opinione pubblica su quel che giovi -o nuocia, stabiliranno il bilancio delle spese, che per quell’anno -fu di 72,524 genovine. L’uffizio della moneta amministra anche le -entrate, paga le spese, e custodisce la cassa pubblica. All’uffizio di -Romania, unito a quello di Gazaria, spetta il provvedere per le colonie -orientali. Quello di mercanzia risolve le liti sopra il commercio -e la navigazione, che non procedano da pubblici istromenti; e i -consoli della ragione quelle non eccedenti il valore di lire cento: da -entrambe escludendo i giurisperiti. Nessuno potrà desinare nè contrarre -famigliarità col podestà e sua corte; nessuno accettare nello Stato -ambasceria o altro servizio di principe forestiero. Il deliberare della -guerra, della pace, delle pubbliche convenzioni spetta al consiglio -maggiore: il doge e il magistrato della guerra vi danno esecuzione. Si -rinnoveranno gli esercizj de’ balestrieri sotto due capi di guerra. -I cittadini popolari saranno descritti secondo le strade di loro -abitazione, sotto capistrada, gonfalonieri e contestabili, bandiere e -armi distinte; e con questi ordini difenderanno lo Stato dai nemici -esterni ed interni. Qualunque volta al doge o agli anziani paresse -conveniente una riforma, i nuovi capitoli e le ragioni faranno leggere -ai quaranta, e ove siano approvati, nomineranno otto riformatori con -balìa limitata ad essi capitoli. - -A Facino fu data una grossa somma, al marchese Teodoro il titolo -di capitano per cinque anni; ma i costui comporti meritarono fosse -cacciato (1413), rimettendo il doge, che fu Giorgio Adorno. Con questo -rinfervorarono i parteggiamenti; e intanto andavano perdute la colonia -di Pera a Costantinopoli e ogni influenza sull’Italia. Unico bel fatto -di questi tempi è la spedizione contro i Barbareschi per frenarne le -piraterie, capitanata dal duca di Borbone zio di Carlo VI, e assistita -da molti signori francesi. Trecento galeoni e più di cento navi da -carico afferrarono all’Africa; ma i Barbareschi li stancheggiarono -senza mai venire a giornata, tanto che i nostri partirono senza -effetto. - -Nell’interno, niente bastava a calmare gli animi; e l’angustia delle -vie e l’altezza de’ fabbricati dava modo di resistere e combattere -mortalmente nelle ricorrenti avvisaglie. Ne rimanevano desolate le -campagne, esinanito il commercio, sino a dover vendere a’ Fiorentini il -porto di Livorno, che il Boucicaut avea comprato: intanto i marchesi di -Monferrato e Del Carretto aprivano il Genovesato alle truppe di Filippo -Maria Visconti; sicchè, per amor di pace e per desiderio di vendicarsi -degli Aragonesi che aveano cercato torle la Corsica, il podestà Tommaso -Campofregoso (1421) rese Genova a Filippo, riservando per sè trentamila -fiorini d’oro e il dominio di Sarzana. Filippo mandò il conte di -Carmagnola a governar Genova, talchè al ducato di Milano aggiungevasi -anche il mare; nè Venezia, nè Firenze pareano accorgersi del pericolo -di lasciar tanto ingrandire questo vicino. - - - - -CAPITOLO CXIV. - -Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II. Gli -Aragonesi in Sicilia. - - - CASE D’ANGIÒ E DI DURAZZO. - - CARLO di Francia 1266-85 - | - | CARLO II _lo Zoppo_ 1285-1309 - | - | Carlo Martello re d’Ungheria - | | - | | Caroberto re d’Ungheria - | | - | | Luigi re d’Ungheria - | | - | | Andrea 1º marito di Giovanna I - | - | ROBERTO il Savio 1309-43 - | | - | | Carlo duca di Calabria - | | - | | GIOVANNA I 1343-81 - | | | - | | | nel 1380 adotta Luigi d’Angiò - | | | figlio di Giovanni II re di Francia - | | | - | | | Luigi II - | | | - | | | Luigi III nel 1423 adottato - | | | da Giovanna II - | | | - | | | RENATO 1435-42 - | | - | | Maria - | - | Filippo principe di Taranto - | | - | | Luigi 2º marito di Giovanna I - | | - | | Roberto conte di Acerra 2º marito di Maria - | | - | | Margherita moglie di Carlo III - | - | Giovanni duca di Durazzo - | - | Carlo duca di Durazzo 1º marito di Maria - | | - | | tre figlie - | - | Luigi conte di Gravina - | - | CARLO III _della Pace_ 1381-86 - | - | LADISLAO 1386-1414 - | - | GIOVANNA II 1414-35 - | - | Nel 1420 adotta ALFONSO re di - | Aragona e di Sicilia 1442-58 - -Allo spettacolo di tante irrequietudini, è facile esclamare contro -il governo repubblicano; e il Denina, «per far comprendere quanto sia -meglio del popolare il governo monarchico ereditario ed assoluto per -la quiete e felicità pubblica», oppone a que’ trambusti «il regno di -Napoli, ove, da che i principi angioini si furono stabiliti, si godè -internamente pace tranquilla»[20]. Vediamo se il fatto sia così. - -Roberto, che tutta la lunga vita stette a capo della parte guelfa in -Italia, ampiamente estendendo l’autorità e nulla i dominj, fu poco -lodato in tempo che l’ammirazione si dirigeva al valor militare, e si -appropriò a lui il motto di Dante, essersi fatto re chi era piuttosto -da sermone[21]. Amò cordialmente la pace; eppure vedemmo quante guerre -cagionasse o sostenesse. Tentò anche ricuperar la Sicilia, e soccorso -da suoi alleati e da truppe di Provenza e di Piemonte, la assalì con -quarantaduemila uomini, settantacinque galee, tre galeoni, trenta -vascelli da trasporto, trenta sagittarj e censessanta barche coperte; -ma prima la tempesta, poi il clima mandarono in dileguo tanto apparato; -i ripetuti suoi assalti non fecero che sperperare il paese, e re -Federico tenne testa. - -Per lasciare in quiete i suoi, Roberto si valse delle truppe -mercenarie, cercando denari in ogni guisa, fin col permettere ai -giudici di commutare varie pene in multe: così disavvezzava i sudditi -dalle armi. Pio al modello di san Luigi di Francia suo zio, assegnò -ogni mese tremila ducati a eriger chiese e conventi, e comprare -beni per frati e monache; ottenne dal sultano d’Egitto che dodici -Francescani fossero addetti al santo sepolcro, come sempre si è -continuato; fabbricò superbamente Santa Chiara, sua cappella regia, -dove poi fu sepolto con immenso mausoleo e compendioso epitafio[22]. -Dotto, e dei dotti protettore, «o fosse (dice il Petrarca) occupato -negli affari di guerra o di pace, o si ristorasse dalle sofferte -fatiche, giorno e notte, passeggiando e sedendo, volle sempre aver -libri. Prendeva argomenti sublimi al suo ragionare; e benchè scarsa -e quasi niuna occasione ne avesse, protesse con regia munificenza -gl’ingegni del suo secolo. Non solo udiva con singolare pazienza coloro -che gli recitavano lor composizioni, ma gli applaudiva ed onorava del -suo favore. Così continuò fino all’estremo: già vecchio, filosofo e -re, qual egli era, non vergognossi mai d’imparare, nè mai gl’increbbe -di far parte agli altri di ciò che avesse imparato, ripetendo che -coll’apprendere e coll’insegnare l’uomo si fa saggio. Que’ medesimi -che, o per odio o per prurito di maldicenza, cercano sminuirne le lodi, -non gli contrastano quella della dottrina. Egli peritissimo nelle sacre -scritture, egli spertissimo ne’ filosofici studj, egli oratore egregio, -egli dottissimo nella medicina, solo la poesia coltivò poco; di che, -come gli ho udito dire, si pentì in vecchiezza»[23]. - -Collocò nell’Università i migliori maestri, fece voltar in latino -Aristotele e Galeno; insigni giureconsulti illustrarono il suo regno, -quali Bartolomeo da Capua suo protonotaro e consigliere, Nicola d’Alife -segretario della regia cancelleria, Andrea d’Isernia detto il principe, -l’auriga, l’evangelista de’ feudisti, Luca da Penna ed altri, noti tra -la folla de’ commentatori. Di regolari magistrati e di opportune leggi -confortò il Reame. Il clero, depresso dagli Svevi, poi rialzato sotto -gli Angioini fino a sottrarsi d’ogni giurisdizione regia, fu da lui -sottomesso ai magistrati in casi d’ingiurie e violenze. - -Ma o perchè Roberto si trovasse occupato altrove, o perchè rifuggisse -dal disgustarli, atteso la vicinanza dell’emula Sicilia, i baroni -crescevano di potere e d’arroganza; circondatisi di clienti e vassalli, -nei loro castelli ricoveravano malfattori; non essendovi chi osasse più -chiamarli in giudizio, trascorrevano ad ogni eccesso; tornavano sulle -guerre private, eludendo e le commissioni cioè lettere arbitrarie del -re, e le minaccie della Corte di Roma, e il rigore de’ giustizieri. -Anche i banditi crebbero tanto, che bisognò contro di essi inviare -regolari eserciti, ma con poco profitto, essendo protetti dai baroni. - -A ben peggio si cascò allorchè Roberto, dopo trentaquattro anni di -regno, morì (1343). Del perduto figliuolo eragli rimasta Giovanna, -alla quale volendo togliere un competitore e procurare un appoggio -domestico, destinò sposo Andrea, nato da Caroberto re d’Ungheria, -figlia del suo fratello maggiore Carlo Martello (t. VII, p. 384); -e lo fece educare a Napoli perchè acquistasse i modi e l’amore de’ -futuri sudditi. Cure al vento. Quando successero nel regno e ne’ -tesori, Giovanna era sul toccare de’ sedici anni, e di qualche mese -minore il marito; e la splendidezza di loro reggia non avea pari in -Europa, eccetto quella d’Avignone. Ivi Sancia da Majorca vedova di -Roberto, Caterina imperatrice titolare di Costantinopoli, Margherita -di Táranto regina vedova di Scozia, teneano altrettante corti; Maria, -sorella di Giovanna, segretamente maritata a Carlo duca di Durazzo, -sfavillava di bellezza e ingegno; Agnese di Périgord, madre di questo, -compiva il regio circolo; e tutti lusso a gara, e feste, comparse, -raffinatezza, amori rinterzati, intrighi inverecondi; inciampi alla -fragile Giovanna. Andrea, candido uomo e dolce, non avea dismesse -le grossolane usanze magiàre, tratto inelegante, strani gusti, umore -indolente; e pretendendo gli competesse il regno non per la moglie, -ma per diritto ereditario, non rassegnavasi alla superiorità pretesa -da questa. Adunque due fazioni divisero la Corte e tutto il regno; e -la ungherese crebbe pel favore del papa e più per la sventataggine di -Giovanna, che non soffriva gli affari la distraessero dagli spassi, ne’ -quali accoppiava la ricercatezza della letterata pulizia italiana colle -pompe di Germania e Provenza; e la recita dei sonetti del Petrarca -e delle novelle del Boccaccio alternavansi coi giuochi floreali, co’ -tornei, colle corti d’amore. Frà Roberto, zoccolante ungherese, maestro -d’Andrea e potente sopra la regina, a cavalcione dei due partiti, -diveniva arbitro del regno. Petrarca, che allora vide quella Corte, -prega il Cielo che campi l’Italia da simili disastri; esser Napoli una -Mecca, una Babele ove Cristo s’insulta, fede non v’è, nè giustizia o -pietà; i dominatori sono Falaridi, Dionigi, Agatocli; ma singolarmente -inveisce contro il frate, sporco, stracciato, brigante, superbo. — -Retorica. - -Andrea, impacciato fra le cortigianerie, indispettito degli amori di -Giovanna col cugino Luigi duca di Táranto, volle essere consacrato -prima dei ventidue anni prefissigli da Roberto, e alla coronazione -fece drappellare ceppo e mannaja, come ad esprimere ne userebbe contro -gli offensori. Chi vuol fare non minacci. Quei che avevano motivo a -temerne, congiurarono, capo il conte d’Artusio figlio secreto di re -Roberto, e Filippina la Catanese, lavandaja, venuta balia di Luigi, e -diventata confidente della regina; Giovanna, se non consentì, almeno -non ostò che Andrea fosse strangolato e gittato da un terrazzo (1345 20 -agosto). - -Nessuno tolse da senno a farne processo e giustizia; solo il papa, -come alto signore del Regno, commise a Bertrando Del Balzo, gran -giustiziere, di cercare i colpevoli: e costui, sciorinando uno -stendardo ov’era effigiato l’assassinio, si trasse dietro il vulgo fin -al palazzo; nè la regina valse a impedire che la Catanese e i complici, -dopo orribili torture, fossero appiccati ed arsi. Giovanna intanto -sfacciatamente sposava (1347) il duca di Táranto; poi presentendo la -guerra civile, facea levata di vassalli e partigiani; e a Luigi il -Grande re d’Ungheria, maggior fratello di Andrea, scriveva scusandosi -innocente. Il quale le rispose: — Il disonesto tuo vivere, il ritenere -la podestà regia, la negligenza in punire il misfatto, le non chieste -scuse, ti palesano partecipe e rea dell’assassinio; nessuno sfuggirà -alla vendetta divina e all’umana». - -Esso Luigi tiene posto segnalato fra i re dell’Ungheria, la quale, di -fresco sbarbarita nè ancora spossata dalla viziosa costituzione, al -tempo di lui si collocò fra le primarie potenze d’Europa. Egli era -al tempo stesso re di Polonia, sovrano della Bosnia, della Servia, -della Bulgaria, della Moldavia, della Valachia, onde estendeva i -dominj sulle genti slave dall’Adriatico al mar Nero e alla foce della -Vistola; rispettato dai Tedeschi, temuto dagli Italiani. Chiese al -papa dichiarasse Giovanna immeritevole del regno, e ne investisse -lui stesso, che s’accingeva con un esercito a far giustizia. E benchè -il papa, che avea levato al sacro fonte un figlio postumo d’Andrea, -tentasse indurlo a rimettere la cosa al suo tribunale, egli pose in -pegno fin le gioje di sua moglie[24], e mosse a questa volta. - -I Napoletani si erano divezzi dalla guerra: la gente di villa -non conosceva arme, nè portava in mano che una mazza di legno per -difendersi dai cani; invece di giacere alla serena, piacevansi di letti -soffici e di piumacci, e sempre erano a pettinarsi e lavare il viso a -mo’ di donne[25]. Non si potea dunque far conto che sui venturieri; ed -era a temere che i Siciliani, per isfavorire Napoli, dessero mano agli -Ungheresi. Pertanto Giovanna pattuì con quelli pace intera e assoluta -indipendenza; poi diffidando de’ pochi partigiani, all’avvicinarsi del -vindice fuggì in Provenza (1348). - -Luigi, vincitore senza aver combattuto, volle vedere il terrazzo donde -era stato precipitato Andrea, e quivi, rinfacciando il misfatto a Carlo -di Durazzo che invano se ne giura incolpevole, lo fa stender morto e -trabalzare anch’esso nel giardino; molti creduti complici manda al -supplizio; gli altri reali spedisce in Ungheria. Entrato in Napoli -da conquistatore, attende a far processi, colloca a governo Ungheresi -e a reggente Stefano Laszk, principe transilvano; ma poichè la peste -cominciava, congeda le truppe e torna in Ungheria. - -Paese facile a conquistare, difficile a conservare. Il papa negò a -Luigi l’investitura nè di Napoli nè della Sicilia finchè Giovanna non -fosse regolarmente convinta rea. I Napoletani, ben presto disgustati -dei forestieri e rimpiangendo le allegrie dell’antica Corte, invitavano -la regina, la quale dalle indagini fatte risultava innocente del -sangue d’Andrea. Assolta dunque dal papa che ne convalidò il nuovo -matrimonio, ella s’accinse a ricuperare il regno; vendette al papa -la città d’Avignone per ottantamila fiorini, e impegnò le gioje onde -far denaro; e assoldate truppe, coll’assistenza di Nicolò Acciajuoli -illustre fiorentino ricuperò il paese (1350), salvo alcuni castelli. -Intrepidamente frivola fra tanti pericoli, colle allegrie stordiva sè e -i sudditi; intanto che re Luigi sopragiungeva con trenta o quarantamila -Ungheresi. - -Costoro, naturati coi loro cavalli, su cui fin da fanciulli viveano, -usavano unica difesa un giubbone di cordovano rinterzato, unica offesa -l’arco e lunga spada; selle e gualdrappe la notte scusavano di letto -e di copertura al cavaliero, il quale portava allato carne secca -polverizzata, che con poca acqua calda riduceva a bibita sostanziosa. -In tal modo aveano guerreggiato con Bulgari, Russi, Tartari, Serbi, in -pianure patenti ove il pascolo abbonda; ma gl’Italiani distruggevano le -proviande, e chiudevansi in terre castellate, di modo che gli Ungheresi -consumavansi per difetto di foraggi; e sebbene i nostri potessero -a pena sellare tre o quattromila cavalli, le ordinanze massiccie e -le solide armadure nostrali presentavano intoppo inaspettato. Gli -stranieri malmenarono il Reame, e lo presero tutto, eccetto Gaeta -ove s’erano ridotti Giovanna e il suo sposo: ma poichè fame e peste -li decimavano e il tempo del servizio militare scadeva, Luigi (1351) -dovette accettare una tregua, patto che il papa facesse riassumere a -processo la regina; e se fosse chiarita colpevole, il regno cadesse -al re d’Ungheria; se innocente, questi cederebbe a lei le piazze per -trecentomila fiorini. Giovanna a prova di testimonj giurati dimostrò -che un filtro l’aveva distolta dall’amare Andrea, e fu dichiarata -inconscia dell’assassinio di questo; laonde Luigi cedette le piazze, e -neppur volle il pattuito compenso, dicendo: — Guerreggio per giustizia, -non per guadagno». Giovanna tornò regina (1352), e Luigi di Táranto fu -coronato. - -Fra ciò la Sicilia compiva le sue sorti separatamente dalle italiche. -I baroni, che erano stati repressi dagli Svevi, nella guerra succeduta -ai Vespri sentirono d’esser necessarj; e straordinariamente compensati -degli straordinarj servigi, talmente inorgoglirono, che appena -soffrivano d’essere inferiori al re; e sotto al debole Pietro II -(1337), figlio e successore di Federico I d’Aragona, pretendevano -rendere ereditarie le cariche più alte. Colle estese parentele e -colla clientela de’ popolani, ogni casa faceasi centro di partiti, -che ruppero a guerre sotto il nome e la capitananza degli Alagona e -dei Chiaramonti di Modica, dei Palici e dei Ventimiglia di Geràci; -tanto che tutta quella costruttura di Federico I 1342 andò a fascio, -nè quasi ombra rimaneva di governo centrale. Sotto Lodovico, succeduto -quinquenne (1355) al padre in tutela del giustiziere Blasco d’Alagona, -e sotto Federico II suo fratello sottentratogli di tredici, e indicato -col titolo di Semplice, raffittirono le guerre da casa a casa; e -«tanto mortalmente crebbe il furore delle loro parti, che senza alcuna -misericordia, come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano s’uccidevano -per agguati, per tradimenti; e per furti di loro tenute continovo -adoperavano il fuoco e il ferro,..... e tanto si disusarono i campi -della coltura, tanto si consumarono i frutti raccolti, che l’isola, -per addietro fontana d’ogni vittuaglia, per inopia e per fame faceva -le famiglie de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli altri -paesi»[26]. - -Ai re di Napoli il momento parve buono per far valere le ragioni che -avevano dissimulate, non deposte; e Giovanna occupò Messina (1353), -promettendo alzarla capo della Sicilia; ma Chiaramonti e Ventimiglia -s’accordarono per ricuperarla. A Giovanna, padrona della Provenza e di -Napoli, sarebbe stata necessaria una bella marina; ma le guerre non le -permisero mai d’allestirla, anzi lasciò disfarsi ogni resto dell’antica -potenza marittima di que’ paesi. Bisognosa di navi, ne chiese quindici -in dono da Lodovico d’Aragona, a tal prezzo rinunziando i diritti -sull’isola, nè riservandosi che l’annuo tributo di tremila once. Ai -Siciliani parve baratto codardo questo riconoscere il regno come dono -della signora nemica; eppure ciò poneva fine alla lunghissima guerra -di Sicilia, costata tanto denaro e sangue: la soggezione non fu che -nominale, nè mai pagato il tributo. - -Giovanna e Luigi di Taranto sedevano sul trono napoletano; ma che -poteano essi in regno sbranato dalle parzialità, e dove i baroni -non voleano deporre le armi, impugnate ne’ passati trambusti? Alcuni -scontenti v’invitarono la banda del conte Lando, che si rese terribile -ad amici e nemici: e per rimandarla si dovettero imporre straordinarj -accatti, e sospendere il consueto tributo al papa, che perciò ebbe a -mettere il regno all’interdetto. Luigi di Táranto, vagheggino da nulla, -morì di quarantadue anni (1362); e Giovanna, ad istanza de’ baroni, -sposò Giacomo III d’Aragona, re titolare di Majorca; ma il tenne -appartato da ogni autorità, e per lo più in Ispagna, finchè morì (1374) -senza farla madre. Essa contava quarantasei anni; tutti i suoi figli -erano morti; la sorella Maria non avea che tre figliuole, una delle -quali, Margherita, fu da Giovanna designata a succederle, sposandola -al cugino Carlo, figlio dell’ucciso duca di Durazzo, e che fu poi -conosciuto col nome di Carlo della Pace; uom bello, attraente, ma -profondamente simulato, e pronto sempre a rinegare la propria parola. -Ma l’intrinsichezza di questo con Luigi il Grande, sotto del quale -campeggiava in Ungheria e nel Friuli, ingelosì Giovanna, che repente -concesse la mano (1376), non il titolo regio ad Ottone di Brunswick, -che allora dimorava in Piemonte qual tutore del marchese di Monferrato. - -Era il momento che contendeasi pel successore di papa Gregorio XI; e -Giovanna, favorendo Clemente VII, antipapa, diede impulso al grande -scisma d’Occidente; lo perchè Urbano VI la proferì scomunicata -e decaduta dal regno e da tutti i feudi, ed eccitò contro di lei -Carlo della Pace, di cui essa aveva deluso le aspettative. Il popolo -napoletano bolliva contro la regina perchè fomentasse lo scisma, -e acclamava il papa vero, e saccheggiava i palazzi; i baroni si -combattevano fra sè con grandi eccidj, e la regina non potea che -perdonarli e farli giurar paci che al domani erano violate. A -tanti pericoli sentendo non bastar sola, essa cercò un appoggio -coll’adottarsi erede Luigi d’Angiò (1380), secondogenito di Giovanni -II re di Francia; seme che dovea fruttare due secoli di guaj al Reame. -Esso Luigi per far denari s’appropria il tesoro regio di Francia, -smunge province, sacrifica gli Ebrei, sottrae le paghe ai soldati, -impone a Parigi una tassa su tutti i comestibili; e perchè il popolo ne -tumultuava, fa buttar nel fiume i capi delle arti. - -Come Urbano VI a Carlo, così Clemente VII favorì all’Angioino, -assentendogli le decime sulle entrate ecclesiastiche in Lingua d’oc e -in Lingua di sì, e persino a favore di lui ergendo in regno d’Adria lo -Stato ecclesiastico, salvi il Patrimonio di San Pietro e la campagna -di Roma: così sagrificando l’indipendenza dello Stato ecclesiastico. -La morte del genitore trattenne Luigi d’Angiò in Francia; e intanto -Carlo, sollecitato dalle solite speranze dei profughi, colle bande -venturiere del Barbiano e dell’Acuto mosse ver Roma, dove, incoronato -da Urbano VI, e fornito di ottantamila fiorini col togliere gli ori e -fin i vasi sacri dalle chiese, dopo ronzato due anni coll’esercito a -ruina degl’italiani, penetrava nel Reame (1381). Dal popolo, inusato -alle armi, non soffrì resistenza; i baroni volevano male a Giovanna -dell’essersi eletto successore uno straniero; la Città dividevasi tra -Angioini e Carlisti, tra Urbanisti e Clementini; talchè impossibile -era la difesa, e Carlo, fra i mirallegro entrò in Napoli. La regina, -chiusasi nel Castel Nuovo, non ricevendo i soccorsi aspettati, si -arrese. Carlo le fece onore: ma spargendo ch’ella il guardasse come -un ladrone, e contro di lui sollecitasse continuamente Luigi d’Angiò, -la fece strozzare (1382). Comunque d’indole generosa, ingenua, -amorevole[27], colla inescusabile giovinezza e più col variare dei -mariti e degli eredi ella sovvertì allora e poi il Reame. Sua sorella -Maria di Durazzo non tardò a seguirla, e nel costei sepolcro spegnevasi -la discendenza di re Roberto. - -Luigi avrebbe voluto rimanere in Provenza a raccorre la porzione -più solida dell’eredità di Giovanna; ma l’antipapa Clemente, per -contrariare al favorito di Urbano VI, lo spingeva a vendicare la sua -benefattrice, e conquistarsi così ricca corona. Egli dunque coronato -in Avignone re di Sicilia, di Napoli, di Gerusalemme, con bello e -forte esercito, con Amedeo VI conte di Savoja, e col favore di Bernabò -Visconti che sposò una figlia a un figlio di lui, e assistito dai -malcontenti, calò per Italia, e due anni continuò guerra a Carlo -della Pace. Questi, non sostenuto dai baroni, sì bruciato di denaro -che derubò alla dogana i panni de’ Fiorentini, Pisani e Genovesi -onde distribuirli a’ suoi fedeli, conobbe l’opportunità d’evitare gli -scontri, e secondo i consigli di Alberico da Barbiano, da lui fatto -connestabile del regno, aspettò che le malattie logorassero gli uomini, -i cavalli, il tesoro del nemico. Di fatto quel floridissimo esercito -fu ben presto a tal miseria, che i migliori cavalieri montavano asini; -il duca avea venduto vasi, gioje, fin la corona, nè copriva la corazza -se non d’un cencio dipinto; alfine morì di febbre a Bari; gli altri o -perirono (fra questi Amedeo di Savoja, a Santo Stefano in Puglia, 1384 -12 marzo), o tornarono accattando e rubando. - -Più colla politica che col valore avea trionfato Carlo, nè però ebbe -calma; e la fazione angioina, fedele al fanciullo Luigi II, erede -della Provenza e delle pretensioni dei defunto duca, lungamente -sconvolse il Regno. Inoltre egli si guastò affatto con papa Urbano, -che essendosi piantato a Napoli, pretendeva esercitarvi padronanza, -e voleva investisse a un tristo suo nipote il principato di Capua -e d’Amalfi, e altri possedimenti promessi quando fu coronato: onde -tempestò fra guerre e scomuniche scandalose, peggiorate dalla peste che -in quegli anni rinnovò i guasti per tutta Italia. Carlo, inorgoglito -dalla vittoria, era meno che mai disposto ad ascoltare le rimostranze -del pontefice che pretendeva moderasse le molteplici imposte sul Regno: -onde Urbano si chiuse in Nocera, pose alla tortura alcuni cardinali -imputati di congiura, e scomunicò Carlo, il quale a vicenda tormentava -i prelati napoletani che obbedissero all’interdetto, e mandò l’esercito -ad assediare l’ostinato pontefice. Questi s’affacciava ogni tratto al -balcone col campanello e colla torcia accesa scomunicando l’esercito -del re, finchè dopo sei mesi vennero in soccorso truppe mercenarie, che -lo trafugarono verso Salerno, d’onde s’imbarcò anelando vendetta (Cap. -CXVII). - -Alla sorte del Reame venne a recare nuovi viluppi la morte di Luigi il -Grande d’Ungheria. Aveva egli menato frequenti guerre con Venezia, la -quale conservava sempre il titolo di signora di Dalmazia, di Croazia -e d’un quarto e mezzo dell’impero d’Oriente; mentre esso re, dacchè -pretese al Napoletano, avrebbe trovato opportunissimo possedere -Zara, anello fra i suoi paesi e la Puglia. Tentò dunque essa città, -ma i Veneziani gliela disputarono, e dopo diciotto mesi d’assedio la -presero. Ne serbò rancore Luigi, e favorì lo scontento degli Schiavoni, -i quali dalla signoria veneta aborrivano perchè sagrificati al -vantaggio della capitale, mentre sarebbero potuti fiorire di commercio -diventando lo sbocco dell’Ungheria. Quando si sentì bastante vigore, -Luigi intimò al veneto senato restituisse le città di Dalmazia, -antiche pertinenze della corona ungherese. Il senato ricusò e fece -navi; ed avendo l’emula Genova prestato a quel re sessanta galee -comandate da Antonio Grimaldi, i Veneti uniti ai Catalani, e capitanati -da Nicolò Pisani, a Lojera diedero una terribile rotta ai nemici -(1353), prendendone trenta galee con tremilacinquecento prigionieri, -che lasciarono consumar nelle carceri, oltre duemila che perirono -combattendo. - -Non per questo re Luigi desistette dal molestare i Veneziani in -Dalmazia; e risolse attaccare Zara, Spalatro, Trau, Nona e al tempo -stesso Treviso, unica città che Venezia tenesse in terraferma. Occupate -Conegliano, Asolo, Céneda, que’ temuti cavalleggeri arrivarono sotto -Treviso, ma prenderla non poteasi con scorridori; i quali, impazienti -di lunghe fazioni, costrinsero il re a battere in ritirata, benchè -forte di trentamila uomini. Meglio ordinatosi, ricomparve egli, e -per tradimento ebbe la città (1354); e chiesto di pace, generosamente -dichiarò bastargli il ricupero delle città spettanti alla sua corona, -e che il doge rinunziasse al titolo che si arrogava su quelle, e gli -provvedesse ventiquattro galee, di cui egli pagherebbe le spese. - -Morto Luigi (1382), la nobiltà consentì che Maria sua figlia, da -essi gridata regina, ne portasse i diritti a Sigismondo di Luxemburg, -figlio dell’impotente Carlo IV. Altri nobili però gridarono Carlo III -di Durazzo, che adottato da re Luigi, era cresciuto in quel reame e -formatosi a quelle armi; e di fatto egli, per ambizione del nuovo non -curando i disordini cui abbandonava il regno suo prisco, v’andò, ed -ottenne la corona angelica; ma la regina lo fece assassinare. Giovanna -era vendicata (1386). Allora va in estremo scompiglio l’Ungheria, -dove i Croati accorreano a punire il delitto con altri delitti e -brutalità. Côlta Maria, la mandavano a Margherita vedova di Carlo, se -non si fossero opposti i Veneziani: intanto le ribellioni fiaccarono -affatto l’Ungheria, e un nuovo re della Servia orientale ebbe Zara, -Trau, Sebenico, Spalatro e le altre città per lo innanzi possedute dai -Veneziani. Maria fu liberata da Sigismondo di Luxemburg suo marito, il -quale alla morte di lei (1395) restò re del paese, che trasmise poi a -Casa d’Austria. - -Tra questo fare, il regno di Napoli, salito a tanta grandezza sotto -i Normanni, gli Svevi e Roberto il Buono, sfasciavasi sotto i costui -discendenti, e poco pesava sulla bilancia politica, mentre internamente -era campo di sciagurate battaglie fra bande di ventura e stranieri -semibarbari: le contribuzioni erano riscosse e consumate da costoro; -non esercito nè flotta v’avea che obbedisse al re, non fortezze ben -munite; esausto l’erario, effeminata suntuosità alla corte, la nazione -disabituata dalla guerra, sicchè nè i padroni confidavano in essa, nè -i nemici la temevano; e in conseguenza nè essa aveva a se medesima quel -rispetto che salva da vergogna, nè dagli altri l’otteneva. - -L’intempestiva morte di Carlo III aggiunse mali a mali; e mentre -Ladislao, figliuolo di lui decenne, era proclamato re sotto la tutela -di Margherita, la fazione francese dei Sanseverino salutava l’altro -fanciullo Luigi, figlio di quel d’Angiò, due fanciulli in tutela di -due donne meno abili che intriganti. Maria di Blois tolse a Ladislao -quasi tutta la Provenza; i Napoletani, scontentati dall’avarizia di -Margherita e dall’avidità de’ suoi favoriti, si sollevarono anch’essi a -favore d’Ottone di Brunswick, vedovo di Giovanna e creato di Clemente -VII, che a nome dell’Angioino prese Napoli. Così due papi, due re, -due reggenti, fra le cui dispute i più negano obbedienza ad entrambi, -entrambi li scomunica papa Urbano VI, e tutto va sossopra. Luigi II -coronato in Avignone (1391), è in Napoli accolto fra gli applausi, -ma presto ridotto a rassegnare ogni potere a Ladislao (1399), che -riconosce il regno come benefizio della Sede apostolica[28]. - -Fra pericoli e congiure e guerre intestine costui s’addestrò -agl’intrighi, coll’età crescendo di coraggio; perfido politico quanto -Gian Galeazzo, e più valoroso, formò buone truppe, ebbe di molti -partigiani, tolse tutte le fortezze ai Francesi, punì i baroni che gli -avevano favoriti. La nobiltà ungherese, disgustata di re Sigismondo, -offrì la corona angelica a Ladislao, che v’accorse; ma poi trovandosela -contesa, vendette ai Veneziani Zara e le altre piazze di Dalmazia, -nè più dandosi un pensiero dell’Ungheria, pensò ingrandire in Italia, -prefiggendosi rinnovare la gloria di Federico II imperatore, e solendo -dire: — O Cesare o nulla». Per assodare la monarchia deprimeva i -baroni, che odiava tutti o parteggiassero pei Durazzo o per gli -Angioini; impedì tenessero più di venticinque lancie ciascuno, come -faceano col pretesto di pubblico servizio, ed anche queste fossero -stipendiate e alloggiate dallo Stato: intanto ammise chi che fosse ad -ottenere feudi, uffizj, sin la cavalleria. - -Era allora la cristianità straziata dal grande scisma, e l’Italia -n’andava tutta in parti e in armi, sicchè non parea far guerra al papa -chi assalisse lo Stato papale. Ladislao colse il buon punto; e quando -(1404), dopo morto Bonifazio IX e ne’ primi tempi d’Innocenzo VII, Roma -sbranavasi fra il popolo e i grandi, egli cercò entrarvi, favorito -dai Colonna e dai Savelli. Il popolo s’impadronisce di Ponte Molle -e respinge il re; ma dodici cittadini ch’erano andati per trattare -un accordo con papa Innocenzo, vengono côlti dal nipote di questo e -trucidati. Il popolo si leva allo stormo della campana di Campidoglio, -caccia il papa, saccheggia. Ladislao teneva occhio a quella preda, e -mentre mena a ciancie il pontefice e i Fiorentini, occupa trionfalmente -Roma: Gregorio XII, bisognoso d’appoggio contro il papa emulo, dà a -Ladislao l’investitura di Roma, del Patrimonio, della marca d’Ancona, -di Bologna, Faenza, Forlì, Perugia e del ducato di Spoleto per -venticinquemila fiorini l’anno (1408 25 aprile); e fu il primo che se -ne intitolasse re, diventando padrone dello Stato di cui erano vassalli -i suoi predecessori. - -Allora parvegli toccare il cielo col dito, sprezzò ogni ostacolo, e -in verità perchè non potea sperare di divenir re di tutta Italia? -Morto Gian Galeazzo, i Visconti erano ristretti nella Lombardia: -Venezia sentivasi ancora fiaccata dal duello con Genova: questa dalle -fazioni era costretta ad appoggiarsi alla protezione di Francia. Solo -i Fiorentini ostavano, e poichè nol vollero riconoscere, attenti che -nessun potentato preponderasse in Italia, Ladislao staggì le robe di -tutti i loro mercadanti in Roma (1409), e accumulato denaro, ne corse -guastando il territorio, onde il popolo lo chiamava il re guastagrano, -e i Fiorentini si videro nuovamente in procinto di perdere lo Stato. -Contro di lui essi presero al soldo Braccio di Montone, e favorirono -Luigi II, che venne cogli ajuti di papa Alessandro V e del suo -successore Giovanni XXIII, e colle scomuniche da questo avventate a -Ladislao. I gigli sventolavano a capo dell’esercito, e i Fiorentini -uniti a’ Senesi dissipano una spedizione mossa a conquistare tutta -Italia (1410); anzi prendono Roma, dove si stabilisce papa Giovanni. -Luigi, ben fornito di Provenzali e di fuorusciti, e de’ capitani -Paolo Orsini, Attendolo Sforza, Braccio di Montone, vince a Roccasecca -Ladislao (1411 19 maggio), facendo prigionieri quasi tutti i baroni -e lo stendardo reale; ma i soldati sperdonsi a saccheggiare, poi -rivendono le armi e i prigionieri per otto o dieci ducati l’uno, e -Ladislao li compra, compra i soldati stessi del suo nemico, il quale -deve colla vergogna ricoverare di là dai monti, ove presto finisce la -vita. - -Ladislao invade Roma e lo Stato, rapinando malgrado de’ Fiorentini: -costringe Giovanni a disdire Luigi d’Angiò, e riconoscere Ladislao ne’ -regni di Napoli e Sicilia; obbligarsi a ricondurre alla obbedienza di -lui quest’isola, allora in mano degli Aragonesi; nominarlo gonfaloniere -della Chiesa con quattrocentomila ducati, e perdonargli un arretrato di -ducati quarantamila dell’annuo tributo, tuttociò a patto che Ladislao -riconoscesse lui papa. E papa e re violarono ben presto gli accordi: -il primo raccoglieva bande, flagello de’ popoli, che non impedirono -a Ladislao di assalir Roma (1413) ed entrarvi saccheggiando, mentre -il papa fuggiva tra pericoli e patimenti infiniti, e chiunque del suo -seguito fosse preso, veniva spogliato nudo, spesso ucciso. Giustamente -si dolse Giovanni a tutto il mondo di tanta perfidia, e — Chi avrebbe -potuto credere alcuno audace e perverso a segno, di venirci a giurar -fedeltà, domandarci l’investitura in solenne adunanza, e all’ombra -di tali dimostrazioni ottener quello che non avrebbe pur eseguito -in guerra aperta? Ci rifugge l’animo dal dipingere il furore con cui -trattò Roma, i sacri tempj, le venerabili reliquie de’ santi»[29]. - -Ladislao non vi badò, e si spingea contro Bologna, sola rimasta al -pontefice, ma una terribile malattia, attribuita a veleni o a filtri, -e più credibilmente a lussuria, lo gettava tratto tratto in accessi -di rabbia, durante i quali trascorreva alle peggiori crudeltà; sinchè -frenetico morì a trentasei anni (1414 6 agosto). Maltrattò le proprie -mogli, e la repudiata Costanza obbligò a sposare un altro; provvedeasi -di concubine d’ogni stato; matto di superbia, non curante che de’ -soldati, prodigò i beni della corona a guerrieri, vendendo uffizj e -cavalierati, assodò l’aristocrazia che prima voleva deprimere; e lasciò -la solita eredità di questi re soldateschi, confusione e indisciplina. - -In mancanza di figliuoli, Giovanna II sua sorella gli successe, -rinnovando gli scandali e i disordini della prima Giovanna; deforme e -voluttuosa, perduta in licenziose feste a voglia d’indegni favoriti. -Vedova di Guglielmo d’Austria, e sperando ne’ reali di Francia appoggio -contro le pretensioni degli Angioini, sposò Giacomo di Borbone conte -della Marcia. Ben ella s’era riservato tutto il potere; ma Giacomo -volendo esser re anche di fatto, mise in prigione lei, al tormento -poi a morte ignominiosa Pandolfello Alopo, che essa avea fatto gran -siniscalco, conte, camerlingo, tutto. Indignò baroni e popolo quel -vedere Francesi collocati in tutti gl’impieghi, e trattata da schiava -la loro regina. Giulio di Capua dei conti d’Altavilla, condottiero -napoletano che aveva infellonito re Giacomo contro i favoriti, allora -congiurò d’ucciderlo, e ne informò Giovanna, che credette acquistar -grazia col darne spia al re. I congiurati furon messi a morte; -essa ebbe qualche larghezza, della quale profittando, i sudditi la -liberarono e rimisero al potere; e Giacomo ridotto ad umile condizione, -e fin prigioniero, poi sottrattosi, andò a morir frate. - -Qui, cacciati i Francesi, vennero attribuite le dignità ad Italiani; -Giovanna riconobbe Martino V, gli fece omaggio, e gli restituì Roma -e tutte le conquiste di Ladislao; così suggerendole i suoi amanti, -e principalmente quel che era sotterrato all’Alopo nella confidenza -e nell’amore di lei, ser Gianni Caracciolo. Uomo d’intelletto e di -preveggenza rara, ed amato dal popolo, al cui sostentamento aveva -provveduto, avrebbe costui dominato dispoticamente se non l’avesse -contrariato Attendolo Sforza. - -I caporali, che andavano in volta per la Romagna col piffero e il -tamburino ad ingaggiare venturieri, esibirono il soldo a un terriero da -Cotignola, di nome Muzio Attendolo, che stava zappando un suo podere. -Egli tentenna fra il sì e il no, e non sapendosi risolvere, lancia -sopra una pianta la zappa, risoluto di restarsene al suo mestiero -se ricaschi a terra. Rimase implicata fra i rami, ed egli accettò -le armi, tolse un cavallo dalla paterna stalla, e colla bravura e -l’arrischiatezza acquistò nome; e Alberico da Barbiano vedendoselo in -un diverbio saltar contro con violenza, gli disse: — Che? vorrai tu -far forza anche a me come agli altri? Ti chiameremo lo Sforza. Questo -soprannome gli restò, ed egli come capo di bande eccitò ammirazione, -invidie, nimicizie. Nel campo voleva severa disciplina; un uom d’arme -toglie il vestone pavonazzo d’un medico, e Attendolo, messoglielo -in dosso, lo manda in giro pel campo, sicchè quegli dalla vergogna -s’ammazza: uno scozzone di cavalli che sottraeva biada per venderla, -fa legare alla coda di cavalli e strascinare a furia: un ferrarese che -teneva seco una donna in figura di ragazzo, fece vestire da femmina -e girar così negli accampamenti. Corpo abituato ad ogni fatica e -stento, piacevasi solo a giuochi di forza; tutt’armato, poteva montare -a cavallo senza ajuto che delle staffe, e per molte miglia viaggiare -sotto quello scoglio ferrato; pronto a deliberare, prontissimo ad -eseguire, ardito ne’ pericoli, franco in gioventù, simulatore dopo -provati i tradimenti, spregiator delle ricchezze, valoroso ma senza -veruno de’ nobili concetti che fregiano il valore, soldato sempre di -causa altrui. - -Col famoso condottiero Tartaglia avendo contribuito alla presa di -Pisa, fu da Firenze provvisto di cinquecento fiorini annui. Riuscito -ad uccidere per tradimento il traditore Ottobon Terzo, dal marchese -d’Este, cui rendeva Parma e Reggio, ottenne la terra di Montecchio. -Roberto imperatore gli concesse per arma un leon d’oro rampante -che tiene nella zampa destra un pomo cotogno. Luigi II d’Angiò e il -papa lo assoldarono nell’impresa contro Napoli; ma Ladislao riuscì -a tirarlo a sè, donandogli quattro castelli nell’Abruzzo; onde il -papa, che pur l’aveva investito della natìa terra di Cotignola, e -creato gonfaloniere della Chiesa, lo fece dipingere in più luoghi -appiccato pel piede destro con un cartello che cominciava _Io son -Sforza villan di Cotignola_, e ne enumerava dodici tradimenti. Che -contavano i tradimenti ove unica lode era il valore? Ladislao, avutone -utile servizio, lo eleva gran connestabile del Regno, e gli assegna -sette castelli del Patrimonio di san Pietro; altri ne acquista egli -come vassallo della repubblica di Siena; e chiamasi attorno i parenti -suoi, affidando loro i comandi nell’esercito, gente tutta allevata in -faticosa sobrietà, avvezza al ferire in paesane contese, e interessata -a sostener lui, unico appoggio di tutti. - -Alla morte di Ladislao, l’Alopo, ingelosito del favore mostratogli da -Giovanna, lo sorprende e lo caccia in un fondo di torre; ma ben tosto -riconosciutolo necessario, gli offre in moglie una sorella e nuovi -dominj se metta a favor suo e della minacciata regina la sua banda. Re -Giacomo, riuscito superiore, insusurrato da Giulio di Capua suddetto, -alla sua volta lo chiude prigione, e così il gran venturiero alterna -fra le catene e il comando, fra gli amori della regina e l’odio dei -rivali. - -Amico, poi emulo suo fu Braccio dei conti di Montone, perugino. Da una -fazione espulso di patria ferito e nudo, si pose sotto al Barbiano, -e ne meritò la stima, poi l’invidia, tanto che si cercò torgli la -vita. Scampato, e sofferti tutti i disagi della povertà non ladra, -accettò soldo di qua di là, e alfine dai Fiorentini contro Ladislao. -Rôcca Contratta fu la prima terra che a lui si sottomise, donde altre -soggiogò nel Piceno. Giovanni XXIII andando al concilio di Costanza, lo -lasciò incaricato di tenergli in fede Bologna e la Romagna, ed esso in -fatti costrinse all’obbedienza i signori e le città che se ne voleano -sottrarre. Ma quando Giovanni fu deposto di papa, Bologna diede su, e -Braccio patteggiò, vendendole per ottantaduemila fiorini i castelli -regalatigli dal pontefice. Trovandosi un buon esercito, impinguato -dalle prede di Romagna, Braccio voltò sopra Perugia sua che l’aveva -esigliato, e che era difesa dal Tartaglia; trasse a sè costui con -promettere d’investirlo di tutti i feudi che si torrebbero allo Sforza, -comune avversario; ma i cittadini lo respingeano intrepidamente, e -quantunque i magistrati avessero fin murato le porte acciocchè nessuno -uscisse a scaramucciare, saltavano o calavansi dalle mura per provarsi -con que’ nemici. Venivano intanto altri capitani, chi per soccorrere, -chi per combattere Braccio; e sulla via d’Assisi fu mischiata una -battaglia (1416), rinomata ne’ fasti di quelle bande, ove comandavano -da una parte Braccio con Tartaglia, con Niccolò Piccinino e con altri; -dall’opposta Carlo Malatesta con Agnolo della Pergola, Ceccolino de’ -Michelotti, Paolo Orsini. Sette ore durò la mischia sotto il sole di -luglio, finchè Braccio vinse; onde Perugia schiuse le porte e diede -la sovranità al suo esule, cui si sottomisero Rieti, Narni e tutta -l’Umbria. - -Egli stabilì un governo robusto, abbellì la città, dedusse acque dal -lago ad irrigare la campagna. Soleva a Perugia farsi ogni domenica di -primavera un’abbaruffata tra gli abitanti della città alta e quei della -piana, lanciando sassi e parandoli con un largo mantello avvolto al -braccio sinistro; poi succedeano persone armate in tutto punto, ma con -cuscinetti che ammortissero i colpi; infine anche i fanciulli venivano -alle mani: giuoco che non passava mai senza la morte e il guasto di più -d’uno. Braccio vi diede grande splendidezza, e volle che ciascuna delle -città a lui sottoposte vi mandasse una bandiera. Il duca di Camerino -gli sposò una sorella; i Fiorentini lo tennero sempre amico ed alleato, -ed egli prometteva ad ogni loro appello andare a comandarne l’esercito; -e qualora capitasse a Firenze, eravi accolto con tutto l’entusiasmo -che il corrotto giudizio umano tributa alla forza soldatesca, e più -quand’essa è rara. - -Mentre lo Sforza stava in ceppi, Braccio procurò torgli i feudi, -secondo avea pattuito col Tartaglia; di che nacque odio implacabile -fra i due campioni. L’uno più arrischiato, l’altro di valore più -educato ed accorto, furono capi di due scuole, emule non solo allora, -ma sotto que’ grandi guerrieri che ne uscirono (dicevasi allora) come -dal cavallo di Troja. Gli Sforzeschi valeano di più nella milizia, -i Bracceschi nelle subitanee fazioni; questi nella disciplina e -nelle particolarità, quelli nel concetto, negli appresti generali e -nell’artifizio di tenersi delle riserve: nè gli uni nè gli altri utili -alla patria e all’umanità, la quale non del valore ha bisogno, ma d’un -valore adoprato a buona causa. - -Braccio era entrato in Roma (1417), egli capitano di ventura nella -capitale del mondo cattolico, intitolandosene difensore finchè un nuovo -papa giungesse. Lo Sforza mosse, per ordine di Giovanna, a snidarnelo; -e quegli, molestato dalle febbri, si ritirò, covando vendetta, mentre -lo Sforza rodevasi di non avere sfogato la sua. Questo fu incaricato -da Martino V di togliere a Braccio il principato che s’era costituito, -ma nulla profittò contro quel valore esercitatissimo. Invano egli e il -papa sollecitavano da Giovanna altri ajuti per fortunare l’impresa; a -ser Gianni Caracciolo piaceva che fallisse, acciocchè se n’eclissasse -la gloria dello Sforza: il quale vedendosi soccombere alla costui -rivalità, non esitò a risuscitare le antiche parzialità dei Durazzo -e degli Angioini, le quali doveano portare al paese tanti strazj e -lunghissima servitù forestiera. - -Respinto il bastone di gran connestabile e disdetto il giuramento, -quasi con ciò disobbligasse la propria fede, lo Sforza mandò a Luigi -III, succeduto al II d’Angiò, invitandolo a rivendicare i suoi diritti, -fondati sull’adozione di Giovanna I; e nominato vicerè, raccolse -un esercito ed investì Napoli (1420). Luigi medesimo comparve colla -flotta: ma gli si opposero per mare Alfonso re d’Aragona e Sicilia, che -era stato chiesto da Giovanna II e adottato; e per terra Braccio, che -riconciliato col papa, n’avea avuto in feudo Perugia e le vicinanze, -e l’aveva soccorso a sottomettere Bologna, e che creato conte di -Foggia, principe di Capua, gran connestabile, adoprò il valore e più -gl’intrighi e la seduzione contro l’esercito oppostogli. Luigi, a cui -il destro nemico avea sottratto l’amicizia del pontefice e il venale -coraggio dello Sforza, se ne andò in rotta; ma questa non era che la -prima scena del lungo conflitto tra Francesi e Spagnuoli. - -Intanto in Sicilia Federico II moriva (1377) di trentacinque anni, -sempre inetto, lasciando una sola figlia Maria: e sebbene Federico -di Svevia avesse determinata la successione per agnati, escludendo -le femmine, il papa autorizzò Maria a succedere. S’oppose Pietro -d’Aragona, finchè s’accordò di maritarla con don Martino suo nipote -(1392). Ai baroni ne rincresceva, temendo non il signore forestiero -li mettesse al freno: ma egli comparve con buone forze, e accolto -volonterissimo dalle città, domò gli Alagona e i Chiaramonti che gli si -opponevano. Ma morì improle, onde gli succedette il padre suo (1409), -Martino il Vecchio, già re d’Aragona; lo perchè la Sicilia cadde nella -deplorabile condizione di provincia, e vi durò tre secoli. Per giunta, -il papa e i re napoletani fomentavano le discordie, già inevitabili in -quella costruttura di regno, e che continuavano l’agitazione anche dopo -perita la libertà. - -Primeggiavano fra i baroni le famiglie de’ Chiaramonti e degli -Alagona; la prima, tanto sublimata che diede una figlia in isposa a re -Ladislao, propendeva agli Italiani ed era meglio popolare; l’altra agli -Spagnuoli: ma e la _parzialità latina_ e la _catalana_ tiranneggiavano, -strappando a sè le rendite, l’amministrazione, la guerra, la -giustizia: le città, invece di maturare l’ordinamento municipale, erano -predominate dai nobili, i quali eleggevano i magistrati, e cacciandone -il capitano regio, vi mettevano qualche barone di loro parte, e infine -le convertirono in rettorie di loro proprietà. Quando Martino II tentò -dar polso alla podestà monarchica, essi baroni, sopendo le nimicizie, -si collegarono a Castronovo per sorreggersi a vicenda, sorretti -anch’essi dal papa; e Martino, obbligato a calare a patti, s’ingegnò di -rimettere l’assetto antico, revocare alla camera le rendite alienate, -munire il paese con un esercito stabile di trecento bacinetti o -barbute, che cento erano di Siciliani, gli altri di forestieri. - -Egli armò per ricuperare la Sardegna ribellatasi, e le vittorie sue -ridestarono il valor siciliano; ma non appena avviati i miglioramenti, -nuove turbolenze suscitò la morte di lui. Non si vuole più re -straniero: Palermo propone al trono un Peralta (1410); Catania e -Siracusa negano dipendere da quella città; Messina, ancor memore degli -antichi sforzi, e sempre aspirando ad essere la prima città del regno, -scuote il giogo straniero, e promette fede a papa Giovanni XXIII, che -dichiara scaduti gli Aragonesi perchè più non aveano pagato il tributo -feudale. Ma ai baroni conveniva quel che al popolo rincresceva, onde -ajutarono la guerra, che durò finchè Ferdinando di Castiglia, nipote -di Martino II, fu da tutti riconosciuto re legittimo (1412). Non badò -alle domande ripetutegli di fare della Sicilia un regno distinto, -anzi costituì non dovesse mai separarsi dall’Aragona, ch’egli aveva -acquistato. - -Egli non approdò mai nell’isola; bensì Alfonso d’Aragona (1416) -succedutogli vi pose dimora, fosse per desiderio di sottrarsi -agl’impacci che nel suo regno gli davano le cortes e la gelosia de’ -signori, fosse per colorire i suoi disegni sopra la Corsica. Cupido -d’imprese, dal suo regno di Sardegna aveva invaso quest’isola; -ma trovato gagliarda resistenza per parte de’ Genovesi, era stato -costretto a recedere (1420). Fu allora che gli venne dalla regina -Giovanna l’invito d’assisterla e la promessa d’adottarlo; intanto -nominandolo duca di Calabria, e dandogli per sicurtà Castel Nuovo e -Castel dell’Uovo. Quest’adozione avviava a ricongiungere le due parti -separate dell’antico regno: ma Alfonso alla Corte di Napoli si accorge -d’essere circuito da intrighi e tradimenti; e non sapendo tollerare -la burbanza del Caracciolo e le costui trame per soppiantarlo, il fa -arrestare. Giovanna spaventata appena ha tempo di chiudersi in Castel -Capuano, disereda Alfonso per Luigi III d’Angiò (1425), invita a -soccorso lo Sforza, il quale a rincalzo di combattimenti la salva. Lo -Sforza, dopo avere avuto molti figli d’amore, sposò due mogli di sempre -più elevata fortuna, e ultimamente una duchessa di Sessa, vedova di -Luigi II d’Angiò: fu dichiarato ancora gran connestabile, e allorchè -Giovanna gliene conferiva il bastone, e disputavasi sulla formola -migliore per impegnare la fede di lui, ella proferì: — Chiedetela a lui -stesso, il quale tanti ne diede a me ed ai nemici, che nessuno meglio -sa in che modo si obblighi e disobblighi». Menò egli robustamente -la guerra contro del papa buttatosi cogli Aragonesi, e professava -volergli far dire cento messe per un quattrino; fu soddisfatto del -lungo odio col cogliere a forza, e far processare e mandare al patibolo -il Tartaglia; ma poco dopo (1424 4 genn.) egli pure, nel guadare il -Pescara, annegavasi al cospetto del figlio Francesco e dell’emulo -Braccio. - -Mentre Alfonso era dovuto recarsi a chetare il suo regno d’Aragona, -Giovanna co’ sussidj di Genova recupera Napoli; e Braccio, combattendo -le bande sforzesche e Giacomo Caldòra sotto Aquila, rimane sconfitto (2 -giugno), e ferito si lascia morir di fame e di rabbia, perendo quasi -contemporanei i due caporioni delle bande italiane. Il pontefice, di -cui Braccio circuiva quasi d’ogni parte gli Stati, ne festeggiò per tre -giorni la morte, e lasciò il cadavere di lui insepolto: il suo dominio -fu reso allo Stato pontifizio e al napoletano. Giovanna, per capricci -amorosi che l’età rendeva ridicoli, venne in broncio col Caracciolo; -e i nemici di lui, strappatole l’ordine d’arrestarlo, affrettaronsi -ad ucciderlo (1432) prima che ella pentisse. La regina non potè -che tributargli splendide esequie, e lasciare che il popolaccio -saccheggiasse le case degli uccisori di lui; poi si abbandonò alla -duchessa di Sessa, incapace com’era di volere o di risolvere da se -medesima. - -Perito anche Luigi III senza figli (1434), Giovanna privilegiò erede -in testamento Renato fratello di questo; poi a sessantaquattro anni, -logora di corpo e di spirito moriva (1435), e con essa la prima casa -d’Angiò, da censessantott’anni regnante. Le volubili adozioni di lei -costarono infinite guerre a Francia e Aragona, che per disputarsi -quella bella corona toglievano appiglio da donnesche velleità. Per -allora la Calabria fu congiunta alla Sicilia: ma Renato si fece innanzi -allegando il testamento di Giovanna; il papa pretendeva che il regno -vacante ricadesse come feudo alla Chiesa, ma essendo così debole da non -potere sostenersi, prese la parte di Renato; e i regnicoli si divisero -tra i due, che s’accinsero a meritare il Reame col farne quel peggiore -strazio che sapessero. Alfonso che stava parato agli eventi, volle -prevenire l’arrivo de’ Francesi, e assediò Gaeta difesa dai Genovesi, -che l’avevano fatta emporio delle loro merci nelle passate turbolenze, -e l’aveano per volontà de’ cittadini ricevuta in deposito. Egli la -ridusse all’estremità; ma essendone mandati fuori fanciulli, donne, -vecchi, a chi lo consigliava respingerli per affamare la città rispose: -— Piuttosto non prendere Gaeta che rinnegare l’umanità», e gli accolse -e nutrì. - -L’avere Alfonso cercato di conquistare la Corsica e farsene investire -dal papa, aveagli nimicato Genova, la quale, giuratasi a guerra, non -esitò a spendere ducentomila genovine per armare contro di lui. Biagio -Assareto ammiraglio, affrontata la flotta del re all’isola di Ponza, -la sconfisse (1435), e agli anziani di Genova ne dava ragguaglio nel -patrio dialetto in questi sensi: — Magnifici e reverendi signori; -innanzi tutto vi supplichiamo a riconoscere questa singolare vittoria -dal nostro Signore Iddio, dal beato san Giorgio e da san Domenico, -nella cui festa in venerdì fu data la sanguinosissima battaglia, della -quale siamo rimasti vincitori non per le nostre forze, ma per la virtù -di Dio, avendo la giustizia dalla nostra parte. Il quarto dì di questo -mese, di mattino per tempo, trovammo sul mare di Terracina l’armata -del re d’Aragona di navi quattordici scelte fra venti, sei delle -quali erano grosse e le altre comuni, e con uomini seimila, talchè la -nave più piccola ne aveva da tre in quattrocento, le mezzane cinque -in secento, e la reale ottocento, sulla quale erano il re d’Aragona, -l’infante don Pietro, il duca di Sessa, il principe di Taranto con -altri cenventi cavalieri. Avevano inoltre undici galee e sei barbotte. -Il vento spirava dal Garigliano, sicchè era in loro potere quel giorno -d’assalirci. Noi avendo a mente gli ordini vostri di non prender -battaglia s’era possibile, ma soccorrere Gaeta, ci sforzammo tirare -al vento, e navigammo verso l’isola di Ponza sempre seguitati dagli -Aragonesi, che in poco d’ora ci ebbero raggiunti. La nave del re -c’investì la prima nello scarmo di prua, e si concatenò amorosamente -con noi. Avevamo dal lato opposto un’altra nave, una da poppa, una a -prua. Non pensate già che i nostri marinari e patroni fuggissero, che -anzi si spinsero addosso, e così rimanemmo essi e noi tutti legati -insieme. Le galee aragonesi davano gente fresca alle navi loro; e -le navi ci traevano bombarde e balestre ove più loro piaceva, perchè -la calma era grandissima. Non pertanto, dopo combattuto dalle dodici -sino alle ventidue senza riposo, in grazia della giustizia della causa -nostra l’Altissimo ne diè vittoria. Primamente pigliammo la nave del -re, e le altre nostre ne presero undici; una galea loro fu abbruciata, -una sommersa e abbandonata, due si sono levate dalla battaglia e -fuggitesi per portarne le nuove. Sono rimasti prigioni il re d’Aragona, -il re di Navarra, il gran maestro di San Jacopo, il duca di Sessa, -il principe di Taranto, il vicerè di Sicilia, e molti altri baroni, -cavalieri e gentiluomini, oltre a Meneguccio dell’Aquila, capitano di -cinquecento lance; gli altri prigioni sono a migliaja. Non so donde -cominciare per degnamente riferire le lodi e le prodezze di tutti i -miei compagni e marinari, insieme con l’ubbidienza e riverenza grande -che mi hanno sempre usata, e massimamente il dì della battaglia; che se -avessero combattuto alla presenza delle signorie vostre, non avrebbero -potuto fare di più. Cristo ne presti grazia che possiamo andare di bene -in meglio»[30]. - -Il re prigioniero, con due fratelli e un centinajo di baroni spagnuoli -e siciliani, fu spedito a Milano a Filippo Maria Visconti allora -signore di Genova; al quale il re colle cortesi e colte sue maniere -seppe ispirare fiducia, e gli persuase come la grandezza dei duchi -di Milano fosse derivata dalla debolezza dei reali di Napoli, sicchè -ne sarebbe guasta, e con essa l’indipendenza italiana, se una casa -francese si stabilisse laggiù, la quale certo intaccherebbe anche la -Lombardia. Il freddo Filippo restò capace di quelle ragioni, e non solo -il rese in libertà senza riscatto, ma il fornì di mezzi per ricuperare -quel regno. - -Anche l’altro re di Napoli Renato, valorosamente combattendo nelle -guerre di Francia, era caduto prigione del duca di Borgogna; ma avendo -con grossi sacrifizj ricuperato la libertà, si cominciò una guerra, -dove i competitori fecero gara di valore e di generosità. Renato, -signore di piccolo paese, esausto dalle taglie pagate per riscattarlo, -nè sostenuto che da un papa esule, non avrebbe potuto pettoreggiare -Alfonso, se non fossero state le bande di Giacomo Caldóra duca di -Bari, che avea raggomitolato le truppe lasciate da re Ladislao, e dopo -la morte di Braccio e di Sforza restava in nome di primo capitano -d’Italia; ma come, lui morto, Antonio suo figlio degenere si guastò -cogli Angioini, questi precipitarono; e Alfonso, scoperto un condotto -sotterraneo, penetrò in Napoli; Renato, che colla bontà e col dividere -pericoli e patimenti erasi fatto amare dai Napoletani, ritirossi -in Francia (1442); il papa, che non gli aveva dato sin allora che -promesse, lo riconobbe, e coronò re d’un paese che aveva perduto. - -Alfonso, entrato trionfalmente con una corona in capo e sei al piede -per dinotare gli altri suoi regni di Aragona, Sicilia, Valenza, -Corsica, Sardegna, Majorca, dotò i nobili spagnuoli e napoletani suoi -fautori a spese degli avversarj; al Regno aggiunse lo Stato di Piombino -e l’isola del Giglio, ch’erangli come porte verso la Toscana; brigò in -tutte le vicende italiane, intanto che in una corte voluttuosissima -abbandonavasi alle delizie ed agli studj; manieroso e scaltrito, -generosissimo nel donare, suntuoso negli spettacoli, nelle caccie, -nei concerti, negli edifizj, faceasi leggere continuamente qualche -classico, frapponendo erudite interrogazioni, e neppure fra l’armi -lasciava Giulio Cesare e Quinto Curzio: ma Tito Livio era il suo -manuale, sino a far tacere la musica per udirlo; gli parve un gran che -l’ottenere dai Veneziani un osso del braccio di lui, che con solennità -fece trasportare a Napoli; e Cosmo de’ Medici lo calmò, dopo un torto -fattogli, col donargli un bell’esemplare delle _Deche_. Pedestre si -recava a udire i professori dell’Università; e quando morì Giulian da -Majano, ne fece accompagnare il mortorio da cinquanta suoi vassalli in -corrotto. La più frequente sua conversazione era cogl’illustri eruditi -d’allora, Giorgio da Trebisonda, il Valla, il Filelfo, il Panormita, il -Manetti, il Decembrio, il Bruno, l’Aretino, Giovanni Aurispa, Giovian -Pontano, Teodoro Gaza, il Crisolara. Aveva anche letto quattordici -volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da Lira, e l’allegava ogni -tratto; recitava tutti i giorni il rosario, sentiva due messe piane -e una cantata, nè per qualsiasi caso se ne sarebbe dispensato; alle -solennità assisteva ginocchioni, scoperto, cogli occhi immoti sul -libriccino; il giovedì santo lavava e baciava i piedi ai poveri, ogni -notte sorgeva a dir l’uffizio, digiunava tutte le vigilie e i venerdì -in solo pane, accompagnava il viatico agl’infermi[31]. Passeggiava in -mezzo al popolo, e a chi gli insinuava qualche sospetto, — Di che può -temere un padre tra’ suoi figliuoli?» - -Sedeva egli più spesso a Napoli, dove istituì la Sacra Corte reale -di santa Chiara, ossia Capuana, giustizia suprema, estesa su tutti -i suoi Stati. Ai baroni napoletani concedeva nelle investiture la -giurisdizione col mero e misto imperio che mai non aveano avuta, di -sì preziosa prerogativa della corona facendo prodigalità perchè non -s’opponessero alla successione di Ferdinando suo figlio legittimato. - -Questo credeasi nato da Margherita di Hijar; e la moglie d’Alfonso fece -strangolare questa damigella, che dicono coll’onor suo salvasse quello -di dama più alta. Alfonso mandò la moglie in Ispagna giurando non più -andarvi esso; poi, d’intesa col pontefice, in testamento nominò esso -Ferdinando re di Napoli, cioè del paese da lui conquistato, mentre -a suo fratello Giovanni re di Navarra lasciava gli aviti di Sicilia, -Sardegna ed Aragona. In morte raccomandò al figlio: — Se volete vivere -quieto, non imitate me in tre cose: primo, sbrattatevi di tutti gli -Aragonesi e Catalani da me esaltati; e Italiani, massime regnicoli, -elevate agli impieghi, mentr’io gli ho guardati d’occhio sinistro: -secondo, i nuovi aggravj da me posti ritornate alla misura antica: -terzo, conservate la pace fatta colla Chiesa, e tenetevela amica se -sapete»[32]. - - - - -CAPITOLO CXV. - -L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza. - - -Filippo Maria Visconti duca di Milano, non sanguinario come il -fratello, ma cupo e diffidente, abile a celare i sentimenti proprj -e succhiellare gli altrui, fatta pace oggi, la rompeva domani per -rannodare bentosto nuovi accordi; abbatteva chi dianzi aveva sollevato; -diffidava di tutti, di tutti ingelosiva, nè mai sapea perdonare i -ricevuti benefizj. Non solo pospose a una druda la moglie Beatrice, -ma volle svergognare lei e sbarazzar sè coll’imputarla d’adulterio -con un paggio Orombello, e affrontando il proprio disonore mandolla -al patibolo: la posterità esita sulla colpa di lei, non perdona al -rigore e alla procedura di lui. Verso i migliori condottieri alternò -lusinghe e minaccie, carezze e insidie; in trentacinque anni di regno, -tre sole volte convocò il consiglio generale, intanto che fidavasi -a malvagi consiglieri, ad aguzzetti di sue ingenerose passioni, ad -Agnese del Maino sua amica, a Zannino Riccio suo astrologo; perocchè -all’astrologia sottoponeva egli spesso le sue risoluzioni. Negletto -del vestire, pigro, corpulento, sul fin della vita anche cieco, e -della pinguedine e della cecità vergognando, chiudevasi con pochissimi -a ravviluppare una tortuosa e meschina politica, e passionato per -l’intrigo, non credea ben riuscire ove a questo non ricorresse. Vero è -che molti ebbe a disgustare nel ricuperare i possessi aviti; ed essi lo -avversarono a segno, che molto bisogna dedurre dal male che ne dissero, -e che gli storici hanno ripetuto. - -Filippo Maria, estendendo il dominio, diè di cozzo in tre repubbliche, -la svizzera, la fiorentina, la veneta. Talmente la storia italiana fu -intrecciata colla svizzera, che ci corre obbligo d’arrestarci alquanto -su questa. - -Gli Elvezj, collocati nel gruppo centrale delle Alpi donde scendono -i fiumi alla Germania e all’Italia, aveano opposto alla conquista -romana il coraggio di montanari; poi sottomessi, parte restarono -coll’Italia, parte colla Gallia e la Germania. I Barbari diretti -all’Italia attraversarono quel paese, alcuni vi presero stanza, e di -mezzo alla conquista e alla feudalità vi si compirono le vicende stesse -della Germania e dell’Italia. San Gallo, Appenzell (_Abbatis Cella_), -San Maurizio, Zurigo, Glaris, Lucerna erette intorno a conventi, le -insigni badie di Einsiedlen e Dissentis, attesteranno in perpetuo -che l’incivilimento vi fu recato da que’ monaci, ai quali testè parve -liberalismo il negare fin un ricovero. - -Molti signori si erano, al modo feudale, spartito il paese in dominj -militari ed ecclesiastici, che riconoscevano la supremazia dell’Impero: -vi si contavano cinquanta contee, cencinquanta baronie, mille famiglie -nobili; varie città possedeano franchigie e privilegi comunali alla -germanica; e attorno al lago de’ Quattro Cantoni, Schwitz (che poi -diede nome a tutto il paese) godeva una tranquilla libertà all’ombra -del monastero di Einsiedlen, e davasi mano con Uri e Unterwald per -respingere chi a quella attentasse. - -E v’attentavano di fatto i signorotti vicini, e massime i conti -d’Habsburg castello dell’Argovia, e viepiù da che Rodolfo salì -imperatore di Germania. Egli rispettò quelle comunali franchigie: -ma Alberto d’Austria suo figlio e successore cercò ridurre que’ -cantoni patriarcali in sua immediata dipendenza; e lasciava che i -balii suoi soprusassero. Quei poveri ma robusti mandriani pertanto si -confederarono (1307) onde resistere alla tirannia austriaca, e «in nome -di Dio che ha fatto l’imperatore e il villano, e dal quale derivano i -diritti degli uomini», giurarono non far torto ai signori Absburghesi, -ma non soffrire veruna diminuzione de’ proprj diritti. - -Alberto considerò siffatto accordo di difesa come una cospirazione ad -offesa, e veniva coll’armi per punirla, allorchè tra via fu assassinato -da un nipote, di cui aveva usurpato l’eredità. Leopoldo suo figlio -mosse l’esercito feudale contro i confederati (1315), ma a Morgarten la -sua esercitata cavalleria fu messa in piena rotta dalle subitarie bande -paesane. Le vittorie assodano quella libertà, cioè l’esercizio dei -diritti naturali e civili di ciascun paese: ai tre cantoni s’aggiungono -Lucerna, Zurigo, Glaris, Zug, Berna, poi Aarau, Friburgo, Soletta, -Basilea, Sciaffusa e Appenzell. Sempre invocando la Madonna, san -Fridolino, sant’Ilario, alla battaglia di Sempach (1386) distruggono -un nuovo esercito degli Austriaci, i quali, dopo altre sconfitte, sono -costretti a lasciare i cantoni in pace, benchè trecento anni ancora -tardassero a riconoscerne formalmente l’indipendenza. Poco mancò che -gli Svizzeri traessero nella lega anche il Tirolo, lo che avrebbe anche -da quel lato riparata l’Italia dalle ambizioni dell’Austria. - -Nella Rezia s’erano forse ridotti in antichissimo gli avanzi degli -Etruschi; poi, allo sfasciarsi dell’Impero, buon numero di Romani, -come lo attesta la lingua ladina e romancia che vi si parla finora, di -fondo latino mescolato al tedesco. Ivi pure acquistarono preponderanza -varj tirannelli e i vescovi di Coira, per gran tempo suffraganti al -metropolita di Milano: ma i popolani, alleandosi fra loro e istituendo -i Comuni, ne frenarono le prepotenze. Come i nostri nel convento di -Pontida, così alcuni Reti presso a quello di Dissentis radunaronsi per -giurare di difendersi a vicenda; e così costituirono la lega Caddea -(_ca de Dio_) (1401). Altri ne presero coraggio a domandare ai loro -signori giustizia e sicurezza; e i signori adunatisi a Truns (1424), -giurarono d’essere buoni e fedeli confederati nella lega Grigia, -che diede agli altri il nome di Grigioni. Morto poi l’ultimo conte -di Tockenburg (1436), i suoi vassalli strinsero la lega delle Dieci -Dritture; e le tre a Vazerol combinarono la repubblica de’ Grigioni -(1471), la quale alleatasi poco stante colla Confederazione svizzera -(1497), represse gli Austriaci, ed assicurò l’intera libertà. - -Libertà di fatti positivi, semplici, intesi da tutti, non stillati da -accademici e da avvocati; benedetta dalla religione, assicurata col -proprio sangue, e che poterono conservare fin ad oggi, mentre l’ha -perduta il paese nostro che ad essi serviva d’esempio. Sventuratamente -però anch’essi l’abusarono in interne riotte; poi li prese il mal vezzo -di vendere il proprio valore a chi li richiedesse, e l’ambizione di -voler fare conquiste. Buon’ora essi volsero gli occhi di qua dell’Alpi -Lepontine e delle Retiche per agognare il bel paese, dal quale -ricevevano il bestiame loro, le pelli e i formaggi. - -Dalla cresta del San Gotardo piove a settentrione la Reuss nel lago dei -Quattro Cantoni, per una valle inaccessibile se l’arte non v’avesse -praticato il ponte del Diavolo e la buca di Uri. Salendo dalla quale -verso meriggio, traversata la pascolosa valle Orsera a millecinquecento -metri sovra il mare, alla vetta del Gotardo il pellegrino trovava -ricovero nell’Ospizio, mantenuto con cento scudi l’anno dagli -arcivescovi di Milano e dalla carità de’ fedeli. Colà incominciava il -Milanese; e scendendo pel pendìo meridionale a seconda del Ticino, dopo -la scoscesa val Trémola, si veniva alla Leventina, già munita di torri -longobarde, indi a Giorníco e Poleggio, poi a Bellinzona, cittadina -che con buon castello ed estesa mura chiudeva quel passo, non guari -distante dal lago Maggiore. Qui pure confluisce la Mesolcina, valle -della Moesa, donde s’ha un altro passaggio all’alta Rezia pel San -Bernardino. Varcando poi il monte Cenere, si cala al lago di Lugano, -che fa già parte della pianura milanese, e che, coi laghi di Como -a levante, di Varese a mezzogiorno, e Maggiore a ponente, forma la -contrada più pittoresca della Lombardia. - -Tra le alture alpine rimanevano ancora alquante piccole signorie, come -i Sax nella Mesolcina e a Bellinzona, i Rusca a Lugano, gli Orelli -a Locarno; delle valli Leventina, di Blenio e Riviera il capitolo -della metropolitana di Milano fin dal X secolo tenea la dominazione -spirituale e temporale. Gli abitanti della Leventina aveano avuto -qualche rissa coi valligiani della valle Orsera, a vendicare i quali -gli Svizzeri valicarono il San Gotardo e scesero fin a Giorníco (1331); -ma il signor Franchino Rusca colle buone gli arrestò. Essi Rusca -poi e i signori di Milano aveano invitato ora ad ora gli Svizzeri a -sostenerli colle armi; modo di invogliarli d’un paese che potea porgere -e vitto ed agi alla soverchiante popolazione delle montagne. Avendo poi -i gabellieri di Gian Galeazzo Visconti (1405) tolto ai coloro paesani -bovi e cavalli che conducevano al mercato di Varese, i tre Cantoni -montani s’appellano agli altri, e non soddisfatti dal duca, varcano -le Alpi; favoriti dalle dissensioni di Guelfi e Ghibellini, occupano -la Leventina, e costrettala a giurar loro fedeltà, tornano in patria. -Ma essendo dai Sax assalita quella valle, gli Svizzeri di fitto verno -ricompajono, e a Faído dettano la pace (1406), per duemila quattrocento -fiorini acquistando quant’è fra la Leventina e il monte Cenere, -compresa Bellinzona medesima, il che assicurava loro il valico alla -Mesolcina e al Milanese. - -Gravava a Filippo Maria il lasciare in man loro quella chiave d’Italia; -onde, côlto un bel destro, sorprese Bellinzona, e tornò la Leventina -a sua obbedienza (1422). Tosto le vallate del Ticino e della Moesa -echeggiano del corno di Unterwald e del toro di Uri, che guidano gli -alpigiani alla riscossa; ma Angelo della Pergola e il Carmagnola -con seimila cavalli e quindicimila fanti gli affrontano nel piano -d’Arbedo (30 giugno). Erano ben altre pugne che quelle consuete in -Italia. Gli Svizzeri, maneggiando a due mani i lunghi spadoni, senza -rispetti cavallereschi cacciavanli nelle pancie dei destrieri, e non -davano quartiere; onde fu necessario l’estremo del valore contro gente -usata a morire sul posto assegnato, e in fitta ordinanza sostenere -l’urto de’ nemici, come le roccie dei loro monti rompono la piena -dei torrenti. L’intera giornata si pugnò, finchè il Pergola impose -a’ suoi di scavalcare: allora l’arte prevalendo, duemila Svizzeri -perirono, altri infissero a terra le punte delle labarde in segno -d’arrendersi, e pochi e disordinati ripassarono le valli, che aveano -dianzi fatto risonare coi canti di loro avida speranza. Era quella la -prima grave sconfitta che gli Svizzeri toccassero, onde per allora si -tennero quieti: ma non tardarono occasioni di capiglie: e quelli di -Uri ripresero la Leventina, per più non lasciarla fin alle rivoluzioni -dei nostri giorni. Trovandosi aperto quel varco all’Italia, vennero a -scialacquarvi tante vite, che meglio avrebbero serbate a prosperare la -loro libertà. - -Firenze, sempre rôcca dell’italica indipendenza, spiava gelosa i -progressi di Filippo Maria, e con lui stipulò (1419) che il fiume -Magra tra il Genovesato e la Lunigiana, e il Panàro tra il Bolognese -e il Modenese fossero i limiti, di qua e di là dei quali nessun di -loro acquisterebbe nè mesterebbe. Ma Filippo, ottenuto Genova (1421), -al doge Tommaso Campofregoso diede in compenso Sarzana, posta di là -della Magra; poi trasse a sè la tutela del principe di Forlì, e mandò -truppe sul Bolognese contro gli eredi della casa Bentivoglio; sicchè -esclamando ai patti violati, i Fiorentini gli scoprirono guerra. - -Allora la solita gara di procacciarsi ciascuno alleanze e fautori, -e massimamente di trarre a sè Venezia. Questa avea tocco l’apogeo -di sua grandezza, e non mancava chi la consigliasse ad estendere le -sue conquiste sopra tutta Italia, al modo dell’antica Roma: ma altri -mostravano quanto pericoli la libertà dove preponderano le armi, e -come dai possessi in terraferma resterebbe danneggiata una repubblica -che, sorta in mezzo alle acque, dalle acque doveva aspettarsi salute e -gloria. La politica conservatrice era rappresentata dal doge Tommaso -Mocenigo; e quando nel 1421 si dibatteva nel maggior consiglio se -mettersi in lega co’ Fiorentini contro il duca di Milano, egli stette -sempre al no; e perchè Francesco Fóscari procurator giovane infervorava -alla guerra, ne ribatteva con lunga parabola le insinuazioni. - -— Il nostro procurator giovane ha detto ch’egli è buono soccorrere -i Fiorentini, perchè il loro bene è il nostro, e per conseguenza il -nostro è il loro male. Noi vi confortiamo siate in pace. Se mai il -duca vi facesse guerra ingiusta, Iddio, il quale vede tutto, ci darà -vittoria. Viviamo in pace, perchè Iddio è la pace; e chi vuol guerra, -vada all’inferno». - -Qui il Mocenigo scorre la storia sacra, mostrando come Dio premiasse -i pacifici, e i superbi e guerreschi disajutasse, e prosegue: — Così -intraverrà de’ Fiorentini per voler fare i loro desiderj; Dio disferà -la lor terra e il loro avere, e verranno ad abitar qui pel modo che -sono venute altre loro famiglie colle donne e putti. Altramente, se -verremo a far il volere del nostro procurator giovane, i nostri si -partiranno e anderanno ad abitare in terre aliene. Discese Attila per -tutto rovinando, e cacciando gli uomini occidentali, e saccomannandoli; -e Iddio ispirò alcuni potenti, i quali vennero per sicurezza ad abitare -in queste lagune, per modo che si trovarono salvi, come da Dio eletti. -Se noi facessimo a modo che propone il nostro procurator giovane, -Dio non ci avrebbe più per eletti, e aspetteremmo quello che hanno -aspettato tutte le altre terre, rovinate e poste a sacco, e uccise le -genti, e avuti mali assai. Se i Fiorentini vanno cercando il male, -lasciateli: ma noi che siamo della città eletta su tutte l’altre, -restiamo in pace. - -«Procurator giovane; Cristo pe’ suoi vangeli disse _Io vi do la pace_. -Se noi facessimo a modo vostro, e preterissimo i comandamenti di -Cristo, cosa potrebbesi aspettare se non male e distruzione? Procurator -giovane: andiamo commemorando il Testamento vecchio e il nuovo. -Quante città grandi sono diventate vili per le guerre? e per la pace -si sono fatte grandi con moltiplicare la generazione, palagi, oro, -argento, gioje, mestieri, signori, baroni e cavalieri. Come entrarono -a guerreggiare, ch’è il mestiere del diavolo, Iddio le abbandonò e -restarono divise; distruggevansi nelle battaglie gli uomini; l’oro e -l’argento mancava; infine furono distrutte così com’eglino distrussero -l’altre terre, e andarono schiave d’altri. Dove questa terra ha regnato -mille e otto anni, Iddio la distruggerà». - -Qui ripiglia la storia profana insino a Roma. — Per le lunghe guerre, -imposte alle terre angarie grandi, i cittadini desiderando nuovo -stato, Cesare se ne fece signore, e di male in male si stettero. Questo -medesimo occorre a’ Fiorentini; gli uomini d’arme tolgono loro denari -e sono i signori; ed essi obbediscono a que’ che sono loro servi, -villani, genti maledette, uomini d’arme. Così intraverrà a noi se -faremo a modo del procurator giovane. Pisa si fece grande, ricca ed -abitabile per la pace e pel buon governo; come desiderò quel d’altri, -in far guerra s’impoverì de’ cittadini, uno cacciava l’altro, tanto -che la più vile comunità d’Italia li sottomise, che fu Firenze. Così -interverrà a’ Fiorentini; e già si vede che sono impoveriti e stanno -divisi. Così intraverrà di noi se faremo a modo del nostro procurator -giovane. Come ho detto di questa, si dica di tutte l’altre città. - -«Adunque voi, ser Francesco Foscari nostro procurator giovane, non -parlate mai più nel modo che avete fatto, se prima non avete buona -intelligenza e buona pratica; perocchè Firenze non è il porto di -Venezia nè da mare nè da terra, il suo mare essendo lontano dai nostri -confini cinque giornate. I nostri passi sono il Veronese; il duca di -Milano è quello che confina con noi, ed egli dev’essere tenuto in -amicizia, perchè in manco d’un giorno si va a una sua città grossa -ch’è Brescia, la quale confina con Verona e Cremona. Genova potrebbe -nuocere, ch’è potente per mare sotto il duca, e con essa si vuole -star bene: ma quando i Genovesi volessero novità, abbiamo la giustizia -con noi; noi ci difenderemo valentemente e contro i Genovesi e contro -il duca, colla ragione. La montagna del Veronese è la nostra difesa -contro al duca, la quale per se medesima s’è già difesa: oltre a ciò, -difendono tutto il nostro paese il paludo e l’Adige e tremila cavalli -con tremila fanti e con duemila balestrieri; e se abbisognasse più -gente fare, faremmo resistenza a tutta la potenza del duca con altre -tremila persone. Però godete la pace. Se il duca avrà Firenze, i -Fiorentini, che sono usi a vivere a comune, si partiranno da Firenze, -e verranno ad abitare a Venezia, e condurranno il mestiere de’ panni -di seta e di lana, per modo che quella terra rimarrà senz’industria, e -Venezia moltiplicherà, come intravenne di Lucca quando un cittadino se -ne fece signore, che la ricchezza sua venne a Venezia, e Lucca diventò -povera. Però state in pace. - -«Ser Francesco Foscari, se voi vi trovaste un giardino in Venezia, che -vi desse ogni anno tanto frumento da viverne cinquecento persone, e -oltre a questo ne aveste molte staja da vendere; che il detto giardino -vi desse tanto vino per cinquecento persone, e oltre ne aveste da -vendere molte carra; che vi desse ogni sorta biade e legumi per -assai denari, e ancora ogni sorta di frutta da viverne cinquecento -persone ogni anno, e che ve ne fosse da vendere; e il detto giardino -vi desse ogni anno tra buoi, agnelli, capretti e uccelli di ogni -sorta per bastare a cinquecento persone, e ne avanzassero da vendere; -e similmente tanto formaggio ed uva e pesce, e non avesse spesa -alcuna d’essere guardato, converrebbe dire che questo giardino fosse -nobilissimo, dando tante cose. Se poi una mattina vi fosse detto: _Ser -Francesco, i vostri nemici sono andati in piazza a togliere trecento -marinaj, e hannoli pagati per entrare in questo vostro giardino, e -questi portano cinquecento ronconi per guastare gli alberi e le vigne; -e cento villani con cento buoi e con cento erpici per guastare tutte -le piante, e far danno a tutti animali grossi e minuti;_ e se voi foste -savio nol soffrireste, ma sodereste alla casa, e terreste tanto denaro -per assoldare mille uomini incontro a quei che vogliono menar guasto. -Ma se voi pagaste, ser Francesco, quei cinquecento uomini co’ ronconi e -que’ cento villani a guastare il giardino cogli erpici? verrebbe detto -che siete diventato pazzo. - -«Per provare se siamo in proposito, abbiamo deliberato di esporre il -commercio che fa Venezia al presente e con chi. Ogni settimana vengono -da Milano ducati diciassette in diciottomila, che farebbono in un anno -la somma di ducati novecentomila, che entrano in questa città: - - alla settimana all’anno - da Monza 1000 52,000 - — Como 2000 104,000 - — Alessandria della Paglia 1000 52,000 - — Tortona e Novara 2000 104,000 - — Cremona 2000 104,000 - — Bergamo 1500 78,000 - — Parma 2000 104,000 - — Piacenza 1000 52,000 - -«S’introducono nel paese del duca di Milano merci per un milione -seicentododicimila ducati d’oro all’anno. Vi pare che questo a Venezia -sia un bel giardino e nobilissimo senza spesa? - -«Alessandria, Tortona e Novara vi mettono - - per pezze di panno che valgono - all’anno 6,000 ducati 90,000 - Pavia » 3,000 » 45,000 - Milano » 4,000 » 120,000 - Como » 12,000 » 180,000 - Monza » 6,000 » 90,000 - Brescia » 5,000 » 75,000 - Bergamo » 10,000 » 70,000 - Cremona » 40,000 fustagni » 170,000 - Parma » 4,000 panni » 60,000 - —————— ——————— - in tutto pezze 90,000 ducati 900,000 - -«Oltre a questo abbiamo per l’entrata, magazzino ed uscita de’ -Lombardi, a ducati uno per pezza, ducati ducentomila, che monta con le -merci a ventotto milioni ottocentomila ducati. Vi pare che questo sia -un bellissimo giardino a Venezia? - -«Ancora vengono canepacci per la somma di ducati centomila all’anno. -Delle seguenti cose i Lombardi traggono da voi ogni anno: - - Cotoni, migliaja 5,000 per ducati 250,000 - Filati » 20,000 da 15 fino a 20 - ducati il centinajo 30,000 - Lane catalane a ducati 60, il migliajo 4,000 240,000 - Lane francesche » 30 4,000 120,000 - Panni d’oro e di seta all’anno 250,000 - Pepe, carichi 3,000 a ducati 100 300,000 - Canelle, fardi 400 » 160 64,000 - Zenzero, migliaja 200 » 400 80,000 - Zuccari d’una, due, o tre cotte, sossopra - ducati 15 il cento 95,000 - Zenzeri verdi, per assai migliaja di ducati. — Cose - d’ogni sorta per ricamare o per cucire 30,000 - Verzino, migliaja 4,000 a ducati 30 120,000 - Endaghi e grane 50,000 - Saponi per ducati 250,000 - Uomini schiavi 30,000 - -«Per modo che, fatta la stima del tutto, verrebbe ad essere due milioni -ottocentomila ducati. È questo un bel giardino a Venezia senza spesa? - -«Ancora assai si vantaggia co’ sali che si vendono ogni anno. Il quale -trarre che fa la Lombardia da questa terra, è cagione di fare navigare -tante navi in Sorìa, tante galere in Romanìa, tante in Catalogna, -tante in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del mondo; -per modo che riceve Venezia, tra provvigioni e noli, due e mezzo e -tre per cento; sensali, tintori, noli di navi e di galere, pesatori, -imballatori, barche, marinaj, galeotti e messetterie coll’utile dei -mercatanti tra il mettere, eccovi un’altra somma di seicentomila -ducati ai nostri di Venezia senz’alcuna spesa. Dal qual utile vivono -molte migliaja di persone grassamente. È questo un giardino da doversi -disfare? mai no; bensì da essere difeso da chi lo volesse disfare. Ci -converrebbe togliere uomini d’arme che andassero sopra il detto paese -guastando alberi e ville, abbruciando case e villaggi, depredando -animali, e buttando giù mura di città e castelli, uccidendo uomini con -desolazione, mettendo angarie alle nostre terre, sì ai cittadini come -ai villani, e in questa città mettendo angarie alle case, prestiti alle -mercatanzie, alle navi e alle galere? Dio sa quello che volessimo fare -sul paese del duca: ma potrebbe occorrere che il duca salvasse il suo, -e rimediasse ad ogni modo al male, e noi intanto saremmo stati cagione -di disfare i luoghi nostri. Che varrebbero allora tante spezierie, e -panni d’oro e di seta? niuno li torrebbe più, perchè non avrebbene il -potere. E affinchè voi, signori, n’abbiate qualche notizia, sappiate -che Verona toglie ogni anno broccato d’oro, d’argento e di seta, pezze -ducento, Vicenza centoventi, Padova ducento, Treviso centoventi, il -Friuli cinquanta, Feltre e Cividal di Belluno dodici; pepe, carichi -quattrocento; cannelle, fardi centoventi; zenzeri di tutte sorta, -migliaja e altre spezierie assai; zuccari, migliaja cento; pani di -cera, ducento. - -«Come noi devastassimo il loro ricolto, eglino non avrebbono di che -spendere, e se ne danneggerebbero tutte le mercatanzie di Venezia. Però -non si vuol credere al nostro procuratore giovane. Al duca di Milano -converrebbe, per difendersi, assoldare gente d’arme, mettere angarie ai -villani, cittadini e gentiluomini, per modo ch’e’ non avrebbe danaro da -comperare le sopradette cose, in discapito e rovina della nostra città -e cittadini. - -«Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli ambasciatori dei -Fiorentini, ch’essi chiedano alla comunità loro licenza di praticare -di pace. Se starete in pace, raunerete tant’oro che tutto il mondo vi -temerà, e avrete Iddio sopratutto che sarà per voi. Iddio, signore di -tutto, colla Nostra Donna e con messere san Marco vi lasci prendere la -pace ch’è ben nostro»[33]. - -L’anno seguente rinnovando i Fiorentini le istanze, e dicendo, se -Venezia non li soccorresse, dovrebbero fare come Sansone, che uccise -se stesso con tutti i nemici suoi; e se restassero vinti, il loro -servaggio produrrebbe quello di tutta Italia, esso doge in consiglio -parlò: — Signori; voi vedete che per le novità d’Italia ogni anno -vengono nella città di Venezia assai famiglie colle donne e’ figliuoli -e coll’avere, e vanno empiendo la terra nostra; e pel simile da -Vicenza, Verona, Padova, Treviso, con utilità grande della nostra -città; e da ogni parte contadini e famiglie buone vengono ad abitare -nelle nostre terre per vivere pacificamente coi loro mestieri, essi e -i figliuoli. Vorrete guerra? questi si partiranno, struggendo la vostra -città, e tutte l’altre; e de’ nostri partiranno. Però amate la pace. Se -i Fiorentini si daranno al duca, loro danno; che ne darà impaccio? la -giustizia è con noi. Essi hanno speso, consumato, e si sono indebitati: -noi siamo freschi, e abbiamo in giro un capitale di dieci milioni -di ducati. Vogliate vivere in pace, e non temere alcuna cosa, e non -fidarvi ne’ Fiorentini, i quali pel passato ci hanno messo in guerra -coi signori della Scala, e ci domandarono in prestito mezzo milione di -ducati; quando volemmo darli loro, si accordarono con que’ della Scala -contra di noi: questo fu del 1333. Del 1412 fecero scendere contro di -noi Pippo fiorentino, capitano degli Ungheri, il quale ci fece grandi -danni.... - -«Signori, non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo per dire la verità -e il bene della pace. I nostri capitani d’Acquamorta, di Fiandra, per -le nostre ambasciate che vanno attorno, pe’ nostri consoli e pe’ nostri -mercatanti, sapete che si dice ad una voce: _Signori Veneziani, voi -avete un principe di virtù e di bontà, che vi ha tenuto in pace, e vi -tiene per modo vivendo in pace, che siete i soli signori che navigate -il mare e andate per terra, per modo che siete la fonte di tutte le -mercatanzie, e fornite tutto il mondo, e tutto il mondo vi ama e sì vi -vede volentieri. Tutto l’oro del mondo viene nella vostra terra. Beati -voi finchè vivrà questo principe, e ch’egli sarà con simile proposito. -Tutta l’Italia è in guerra, in fuoco e in tribolazione, e pel simile -tutta la Francia e tutta la Spagna, tutta la Catalogna, Inghilterra, -Borgogna, Persia, Russia ed Ungheria. Voi avete solo guerra -cogl’infedeli che sono i Turchi, con vostra grande laude e onore._ -Però, signori, finchè vivremo, seguiremo simil modo; e vi confortiamo -che dobbiate vivere in pace, e dar risposta a’ Fiorentini, come facemmo -già un anno, presa da tutto il consiglio». - -L’autorità del doge ottagenario elise gli sforzi dei partigiani della -guerra; però sentendosi approssimarsi al suo fine, egli chiamò alquanti -senatori, e così prese a dire: — Signori, abbiam mandato per voi -dacchè Iddio ci ha voluto dare questa infermità come fine del nostro -peregrinare. A Dio Padre, Figliuolo e Spirito Santo, trino ed uno, -siamo obbligati per molte ragioni. Esso insegna ai Quarantun elettori -di difendere la religione cristiana, d’amare i prossimi, di fare -giustizia, di pigliar pace e conservarla. Nel tempo nostro abbiamo -diffalcato di quattro milioni d’imprestiti, fatti per la guerra di -Padova, di Vicenza e di Verona; il nostro monte si trova in sei milioni -di ducati; e ci siamo sforzati che ogni sei mesi si abbiano pagate -due paghe degl’imprestiti, e tutti gli offizj e reggimenti, e tutte le -spese dell’arsenale, e ogni altro modo. - -«Per la pace nostra la nostra città manda dieci milioni di capitale -ogni anno per tutto il mondo con navi e galere, per modo che -guadagnano, tra mettere e trarre, quattro milioni. Al navigare -sono navigli tremila, d’anfore dieci fino a ducento, con marinaj -diciannovemila; navi trecento, che portano uomini ottomila; fra -galere grosse e sottili ogni anno quarantacinque, con marinai -undicimila; abbiamo sedicimila marangoni. La stima delle case -somma a sette milioni, gli affitti delle case cinquecentomila; sono -mille gentiluomini, che hanno di rendita annua ducati settantamila -fino a quattromila. Voi conoscete il modo con cui vivono i nostri -gentiluomini, cittadini e contadini. Ben però vi confortiamo che -dobbiate pregare l’onnipotenza di Dio, la quale ci ha inspirato di fare -nel modo che abbiasi fatto, e di proseguire così. Se questo voi farete, -vedrete che sarete signori dell’oro de’ Cristiani, e tutto il mondo vi -temerà. Guardatevi, quanto dal fuoco, dal togliere le cose d’altri e -dal fare guerra ingiusta, che Dio vi distruggerà. Perchè possiam sapere -chi toglierete per doge dopo la nostra morte, segretamente lo direte -a me nell’orecchio, per potervi confortare a quello sia meglio alla -nostra città». - -Udito i nomi, li collaudò, ma — Quei che dicono di volere ser Francesco -Foscari, dicono bugie e cose senza fondamento. Se voi lo farete doge, -in breve sarete in guerra; chi avea diecimila ducati non ne avrà -che mille, chi avea dieci case non si troverà che su di una, e così -d’ogni altra cosa; per modo che vi disfarete del vostr’oro e argento, -dell’onore e della riputazione dove voi siete, e di signori che siete, -sarete servi e vassalli d’uomini d’arme, di fanti, di saccomanni e -di ragazzi. Però ho voluto mandare per voi, e Dio vi lasci reggere e -conservar bene. Per la guerra de’ Turchi, di valentissimi uomini in -mare porrete ad ogni intromessione sì nel governo che nell’utilità. -Voi avete otto capitani da governare sessanta galere e più, e così di -navi: avete tra’ balestrieri, gentiluomini che sarebbono sufficienti -padroni di galere e di navi, e saprebbonle guidare: avete cento uomini -usi a governare armate, pratichi per togliere un’impresa; e compagni -assai per cento galere, periti e savj galeotti assai per galere cento; -per modo che ognun dice che i Veneziani sono signori dei capitani, dei -padroni e dei compagni. Similmente avete dieci uomini, provati a grandi -faccende in più volte a consigliare la terra, mostrando le ragioni -sugli arringhi a tutti; molti dottori savj in scienza, e assai savj al -governo del palazzo. Seguite secondo che vi trovate, e beati voi e i -vostri figliuoli. - -«La nostra zecca batte ogni anno ducati d’oro un milione, e d’argento -ducentomila tra grossetti e mezzanini, e soldi ottocentomila all’anno. -Ducati cinquecentomila di grossetti vanno all’anno tra la Soria e -l’Egitto; e ne’ vostri luoghi e ne’ luoghi di terraferma vanno, tra -mezzanini e soldi, ducati centomila; altrettanti ne’ nostri luoghi -da mare, altrettanti in Inghilterra, il resto rimane in Venezia. I -Fiorentini mettono ogni anno panni sedicimila finissimi, fini e mezzani -in questa terra; e noi li mettiamo nell’Apulia, pel reame di Sicilia, -per la Barberia, in Soria, in Cipro, in Rodi, per l’Egitto, per la -Romania, in Candia, per la Morea, per l’Istria. E ogni settimana i -detti Fiorentini conducono qui ducati di tutte le sorta settemila, cioè -trecennovantaduemila all’anno, comperando lane francesi, catalane, -cremisi e grane, sete, ori, argenti, filati, cere, zuccheri e gioje, -con benefizio della nostra terra: così tutte le nazioni fanno. Però -vogliate conservarvi nel modo in cui vi trovate, che sarete superiori -di tutti. Il Signor Iddio vi lasci conservare, reggere e governare in -bene». - -Francesco Foscari era conosciuto come abilissimo in intrighi, animoso -all’intraprendere, e felice nel riuscire. In Venezia tenendo tante -fila, cercava scostarsene il men possibile, non accettando che -ambascerie di prima importanza; erasi amicati i Barnabotti col fare -stabilir dotazioni pei figli di nobili poveri; e quattro figliuoli e -molti amici gli erano d’appoggio a molto sperare. Vacando il dogato, -scaltreggiò per modo, da prevalere a quei che il temevano perchè -giovane e perchè attivo; e di fatto egli esercitò sui consigli della -Signoria maggiore efficacia che non solessero i predecessori suoi. -Favoriva quelli che lusingavano la vanità patriotica coll’idea di -prepotere in Italia, e mettersi a capo d’una lega che equilibrasse i -Visconti: sicchè la guerra, così temuta dal Mocenigo, allora proruppe. - -Già i Fiorentini seguitavano le ostilità con poca fortuna. Oddo figlio -di Braccio di Montone, Carlo Malatesta e Nicolò Piccinino, stipendiati -dai Fiorentini, furono in due anni (dal 6 7bre 1423 al 17 8bre 1425) -sei volte sconfitti, ne’ romani e ne’ liguri campi, da Angelo della -Pergola. Oddo perì: e Malatesta, caduto prigioniero del Visconti, fu da -questo guadagnato colla cortesia: altrettanto avvenne del Piccinino. -Un settimo esercito allestirono i Fiorentini, e cercavano amicizie; -aveano (come ebbe a dire Lorenzo Ridolfi nel senato veneto) sparsi per -tutt’Italia i giojelli delle spose e delle figlie loro, venduto quanto -possedeano di prezioso, speso più di due milioni di fiorini, che tanti -non se n’avrebbero vendendo tutta Firenze[34]. - -E di peggio potea temersi se Filippo Maria, per quel suo andazzo di -odiare cui dovea gratitudine, non avesse scontentato il Carmagnola. -Avea questi ottenuto il titolo di conte e il cognome della famiglia -regnante colla mano di Antonia, figlia naturale di Gian Galeazzo, e -tra feudi e stipendj un’entrata di quarantamila fiorini; e si fabbricò -a Milano il vasto palazzo che poi si disse Broletto. Il duca forse -agognava ritorgli tanti doni, largiti non per cuore ma per bisogno; -forse il Carmagnola credevasi inadeguatamente compensato con denari, -quando vedea Sforza e Braccio essersi acquistato signorie indipendenti: -fatto sta che ne cominciò malumore. Il Carmagnola vedendosi maltrattato -e fin cerco a morte, si parte dal duca; e benchè questi ne trattenesse -la moglie e le figlie, reca a servizio di Firenze un grosso esercito e -la conoscenza dei divisamenti dell’ingrato padrone; e a danno di questo -(1426 3 8bre) pratica un’alleanza con Venezia, col marchese di Ferrara, -col signore di Mantova, i Sanesi, i duchi di Savoja e di Monferrato, -gli Svizzeri e il re d’Aragona. - -Dichiarata guerra a Filippo (1426), il Carmagnola, fatto capitano -generale, con buona sentita di guerra e colle intelligenze occupa -Brescia: ma il duca seppe cavarsi dalle male peste, sia comprando il -valore di Francesco Sforza, Guido Torello, Nicolò Piccinino e Angelo -della Pergola che formavano quindicimila corazzieri, sia spargendo -zizzania fra i collegati, sposando Maria figlia del duca Amedeo -VIII di Savoja, al quale cedette Vercelli; e con altri sagrifizj -e coll’interposizione di papa Martino V, in Ferrara conchiuse pace -(1426 30 xbre), a Venezia cedendo Brescia ed otto castelli sull’Oglio. -Venezia, che così estendeva i dominj fino all’Adda, onorò e retribuì -splendidamente il Carmagnola, e lo investì delle contee di Chiari e -Roccafranca e d’altre terre fino a dodicimila ducati di rendita, con -piena giurisdizione civile e criminale. - -Queste abjette condizioni lasciavano a sbaraglio Milano; onde i -suoi nobili, che, secondo i vulgari raziocinj, consideravano proprio -scorno il recedere il loro padrone da un’ingiusta guerra, mandarono -supplicarlo a rescinder la pace, offerendo somministrargli diecimila -cavalieri ed altrettanti pedoni, purchè lasciasse loro le gabelle e -i tributi della città. Filippo non gradì che i cittadini rimetterser -mano nelle pubbliche cose come ai tempi repubblicani; pur a rinnovare -le ostilità si preparò col soldare le bande congedate dai Veneziani; -e da settantamila uomini fra le due parti si trovarono a fronte nella -valle padana[35]. Ben dovevano essere ancora di piccola importanza -le artiglierie, se le navi venete osarono penetrare nel Po fino a -Casalmaggiore, dove sconfissero la flotta milanese (1427 11 8bre); poi -fra gli acquitrini di Macledio nelle vicinanze di Brescia l’esercito -di Filippo fu sbaragliato dal Carmagnola. Allora si rannoda la pace; ma -ecco tosto nuove rotture e nuovi accordi e nuove violazioni, secondo la -versatilità di Filippo e la natura degli eserciti d’allora. - -A tali termini era l’Italia, che nè per la guerra acquistavasi -gloria, nè per la pace quiete. Città prese e riprese, terre sfasciate, -assassinj e tradigioni alternate colle battaglie, patimenti di plebe -innominata, che importano alla storia? essa parla dei capi, e de’ -felici colpi di quel prezzolato combattere. Non erano più guerre per -la difesa della patria, non per utile o gloria o grandi intenti, ma -effetto d’intrighi, di perfidiosa politica, del bisogno di battaglie -che aveano i capitani come del proprio mestiere e guadagno. Sole truppe -mercenarie campeggiavano, non ispirate da amor di patria, di gloria, -di libertà; le battaglie finivano con poco sangue, atteso che, al -primo piegar della fortuna, i soccombenti rendevano le armi, persuasi -di trovare ben tosto un nuovo impresario, ed essendo convenuto fra -condottieri di danneggiarsi il meno possibile. - -I vinti erano rilasciati in farsetto; i vincitori si sbandavano a -godere le prede; i capitani se trionfanti dettavano legge a chi li -pagava, se sconfitti esigevano compensi e ristori. Alla battaglia di -Sagonara, ove Angelo della Pergola sconfisse ed ebbe prigioniero il -Malatesta, se credessimo al Machiavelli, sole tre persone perirono, -affogandosi nella mota. Così alla Molinella si combattè «mezzo un -giorno... nondimeno non vi morì alcuno; solo vi furono alcuni cavalli -feriti, e certi prigioni da ogni parte presi». Nella battaglia -di Caravaggio, ove lo Sforza sbarattò affatto i Veneziani facendo -diecimila cinquecento prigioni, diconsi morti soli sette soldati[36], -due dei quali dalla stretta e dallo scalpitare de’ cavalli. Per tal -modo un capitano, vinto oggi, al domani ricompariva in campagna con -esercito non men numeroso; le guerre s’eternavano esaurendo l’erario, -impoverendo lo Stato, e non assicurandolo dai nemici; paci fatte per -necessità, rompevansi per capriccio; e tra i guerreggiati e i traditi, -gl’Italiani doveano sentire quanto soffrano i paesi dove non sono -tutt’uno la milizia e la nazione. - -A Maclodio sul Bresciano ottomila corazzieri di Filippo con Carlo -Malatesta suo generale, e gli equipaggi e le ricchezze erano caduti -prigionieri de’ soldati del Carmagnola, i quali trattandoli da -commilitoni, subito li prosciolsero, onde tornarono al duca senz’altro -avere perduto che le armadure. Due soli artefici di Milano offersero al -duca quante armi bastassero per quattromila cavalieri e duemila pedoni; -tanto vi fioriva questa manifattura: e Venezia vincitrice si trovò a -fronte quegli stessi che dianzi avea vinti. - -Che il Carmagnola avesse disposto dei prigionieri a suo talento, -spiacque all’ombroso Governo, e sospettollo d’intelligenze coll’antico -suo signore; e tanto più dacchè sul Po la flotta milanese, guidata -da Pacino Eustachio e da Giovanni Grimaldi genovesi, sconquassò la -veneziana (1431 22 maggio), ch’era costata seicentomila fiorini. -Imputando il Carmagnola di quel disastro, stabilirono torlo di mezzo: -e perchè arrestare un capitano fra un esercito a lui devoto non era -agevol cosa, l’invitano a Venezia (1432) sotto finta d’interrogarne -l’esperienza, l’onorano in ogni modo, poi i Dieci l’arrestano, il -processano; «non volendo confessare, fu posto alla corda; e non -potendo trarlo su per un braccio ch’egli aveva guasto, gli fu dato -fuoco a’ piedi, per modo che subito confessò ogni cosa». Fu mandato -al supplizio (5 maggio) col bavaglio in bocca; trattane al fisco la -sostanza, che valutavasi a trecentomila ducati; provvisto alla moglie -ed alle figliuole. Il popolo tremò ed applaudi: la posterità, anche -dopo conosciuti gli atti di quel processo, rimane dubbia sulla reità di -lui, e lo colloca fra quelle vittime delle procedure segrete, che dalla -pubblica coscienza attirano compassione per sè, esecramento su chi le -fa[37]. - -Genova sappiamo che erasi sottoposta a Filippo Visconti, sicchè quando -essa nella battaglia di Ponza (pag. 84) fece prigioniero Alfonso re -d’Aragona e di Sicilia, a lui lo mandò. Il re seppe cattivarsi Filippo -in modo che ne fu lasciato andar libero. Tante iniquità, tanto egoismo -non nocquero mai al Visconti, come questa insolita generosità; perocchè -i Genovesi, indispettiti che egli disponesse a sua voglia del frutto -di così insigne vittoria, si sottrassero all’obbedienza del duca (1453 -27 xbre), scannarono a furor di popolo il suo governatore, rivollero la -repubblica, e con essa lo strazio delle fazioni. - -Nel calcolato favore di Filippo, al Carmagnola era sottentrato un -altro prode. Quando Sforza Attendolo perì, l’esercito suo, unica -assicurazione de’ privilegi e dei possessi che i principi gli aveano -accordati per paura, sarebbesi sfasciato, se Francesco, uno de’ -tanti figliuoli che esso aveva d’amore o di nozze, non avesse tenuto -congiunte quelle masnade, obbedienti quegli uffiziali, dando già -indizio di quella destra politica, che dovea poi alzarlo al più bel -dominio italiano. Reso famoso in tutti i fatti d’arme d’Italia, e -sentendo quanto valesse una buona spada, non s’accontentava ai dominj -paterni; e battendo più alto la mira, e sempre crescendo d’importanza, -giunse a ottenere che Filippo gli promettesse la mano di Bianca, unica -sua figlia naturale. Appena uscito per lui di pericolo, il duca se ne -pentì e ricusò; onde lo Sforza andossene, e nell’Anconitano si formò -colla spada un marchesato sotto la supremazia del pontefice; poi -non bastando a mantenere le proprie masnade, si acconciò a servizio -de’ Fiorentini. Questi aveano condotto con varia fortuna e mirabile -costanza la guerra; ma poi Nicolò Piccinino, il quale aveva assunto -l’esercito di Braccio di Montone, si pose col Visconti e in riva al -Cerchio sconfisse i Fiorentini, togliendone l’artiglieria, le munizioni -e quattromila cavalli. Essi vidersi allora costretti a cedere Lucca ed -accettar la pace; nella quale però anche Filippo rinunziava ai fatti -acquisti e alle alleanze in Romagna e in Toscana, per non avere più -titolo di brigarsi nelle vicende di questa. - -L’astuto finse allora congedare il Piccinino, ma gli diede segreta -istruzione di devastare la Toscana, la quale, vistasi ingannata, e -costretta a far nuove armi, si chiamò felice di trarre sotto ai gigli -suoi Francesco Sforza. - -Ecco a fronte i due maggiori capitani del tempo, rappresentanti le -due antiche scuole di Braccio e d’Attendolo. Il Piccinino, sebbene -disavvenente di corpo e infelice parlatore, spingeva al sommo il -merito di Braccio, vale a dire la celerità de’ movimenti, audace fin -alla temerità, indomito dall’avversa fortuna. Francesco dalle diverse -scuole sceglieva il meglio, e sapeva col genio avvivarlo; maschio di -corpo e d’animo, il male non proponevasi, ma non ne rifuggiva se utile; -entrambi caldi di odj, ma ricchi di quella bontà che non di rado si -palesa pe’ soldati, ed è riparo o compenso alla facilità che hanno di -far male. - -Lo Sforza erasi mostrato propenso alle repubbliche, massime a Firenze, -non perchè sentisse in quel senso, ma per tenere in ombra Filippo, -o per far contrario al Piccinino che a questo conservava fede. Non -volendo però scontentare in tutto il duca, nè sfasciare uno Stato sul -quale spingeva i desiderj, lasciò alquanto in tentenno la guerra: ma -quando si vide zimbello alla peritanza e finteria di Filippo, calò -la buffa, e parve decidere delle sorti d’Italia coll’accettare dai -federati il bastone, con novemila zecchini al mese dai Veneti, ottomila -quattrocento da’ Fiorentini. - -I due emuli capitani fecero gara di valore e d’abilità, sul Veneto, -in Toscana, nella marca d’Ancona portando a vicenda la devastazione. -Novamente famoso venne per durata e fierezza l’assedio di Brescia, -invano sostenuto dal Gattamelata, e dove Brigida Avogadro menò le -donne a respingere il Piccinino. «Tutto il popolo notte e giorno -lavorava a far riparo di dentro a’ muri; vi lavoravano femmine, putti, -donne, preti, frati, giudici, tali e quali. Il Piccinino solariò il -fondo della fossa di graticci, e fece la via per venire in cima del -terraglio. Dirai, _Che facevi voi che nol vietavate?_ dico che come noi -ci facevamo sul terraglio, egli tirava con quelle bombarde. Oh quanti -ve ne furono morti di noi cittadini!» E quando salirono all’attacco «si -cominciò una riotta con noi di dentro, per modo che, colla grazia di -Dio, furono urtati giù. Avreste veduto quelli uomini d’armi traboccar -giù per quel terraglio con que’ suoi pennacci a volta voltone che -era una consolazione. Di bombarde, di schioppetti, di verrettoni, di -sassi che si tiravano, parea che l’aria si oscurasse: parea che tutto -il mondo si aprisse di tamburi, di trombette, di gridori, di campane -a martello..... Avreste veduto il popolo, femmine, zerlotti, piccoli -e grandi, che correvano giù ai luoghi dove si davano le battaglie, -chi con pane, chi con formaggio, chi con vino, chi con confetto per -reficiare que’ cittadini combattenti, e que’ soldati ch’erano con noi. -Voi avreste veduto la gente d’arme de’ nemici in belle battaglie che -tenevano dal brolo del vescovo fino a San Pietro Oliviero, tutti quanti -a cavallo: e quando si davano le battaglie, si scambiavano sotto di -squadra in squadra, smontavano da cavallo, e venivano alla battaglia: -ma tosto loro veniva talento di ritornare a dietro»[38]. - -Brescia sempre eguale a se stessa! I Veneziani, per la nimicizia del -marchese di Mantova non potendo mandar navi pel Po nel Mincio, e da -questo nel lago di Garda, divisarono un fatto arditissimo, suggerito da -un Sorbolo candioto. Avviarono su per l’Adige due galere grandi, tre -mezzane e venticinque barche, poi strascinandole a forza di cavalli -e di bovi traverso al frapposto Monte Baldo spianando e sgombrando, -le gettarono in esso lago a Tórbole: meraviglia e terrore, che il -Piccinino dissipò bruciandole. - -Ma alfine Brescia fu salvata, sebbene da fame e peste ridotta a metà -abitanti. Francesco Barbaro provveditore e famoso grecista, fu chiamato -a Venezia coi cento gentiluomini che più aveano contribuito a quella -difesa, accolti dalla Signoria, abbracciati dal doge che li proponeva -quali modelli ai sudditi della Repubblica, ed essi e la loro posterità -esimeva da ogni imposta; al Comune poi rilasciaronsi ventimila ducati, -che il fisco ritraeva annualmente dai mulini[39]. - -Il Piccinino, smaniato d’acquistare il dominio che era stato di -Braccio, si fa mandare dal Visconti nell’Umbria, guasta la Toscana, -e ad Anghiari (1440 29 giugno) a’ piè de’ monti che separano la val -del Tevere da quella di Chiana assale le truppe pontificie di tremila -corazzieri e cinquecento pedoni, e le fiorentine di otto in nove -mila cavalli, comandate da Gian Paolo Orsini, e rimane sconfitto e -prigioniero: se non che i vincitori sbandatisi non proseguirono la -vittoria e la resero inutile, perchè il Piccinino ebbe raggomitolati -ben tosto tutti quelli che avea perduti, e tornò in Lombardia a -rifarsi col saccheggiare terre di amici. Tuttochè guelfo, disprezza -le scomuniche paragonandole al solletico, che lo sente chi lo teme; -s’insignorisce di Pontremoli e di Bologna; ed è adottato nelle case dei -Visconti di Milano e d’Aragona di Napoli. Anche gli altri capitani a -stipendio di Filippo Maria chiedevano sovranità: Alberico da Barbiano -voleva Belgiojoso; Lodovico Sanseverino, Novara; Lodovico del Verme, -Tortona; Talian Friulano, Bosco e Frugarolo; altri altro. Il duca, -che aveva rimosso lo Sforza onde non farlo sovrano, credette allora -minor male il richiamarlo, e gli concesse la mano di Bianca (1441), -e in pegno della dote il contado di Pontremoli e Cremona. La pace di -Cavriana, fatta sotto la mediazione dello Sforza e a malgrado del -Piccinino cui essa strappava un’immancabile vittoria, rintegrò nei -primieri confini il duca, le repubbliche di Venezia, Genova e Firenze, -il papa e il marchese di Mantova. - -Che valevano le paci generali, quando duravano le particolari -animadversioni de’ capitani? Francesco mosse per vendicarsi d’Alfonso -il Magnanimo, che gli aveva occupati i feudi paterni nel Reame: ma -Filippo Maria tornatone geloso, s’accordò con Eugenio IV per torgli -la marca d’Ancona, ridiede il suo favore al Piccinino, che dichiarato -gonfaloniere della Chiesa, noceva il più possibile all’irreconciliabile -suo emulo, e d’ordine di Filippo assediò Pontremoli e Cremona. - -Il gran capitano, a cui la generosità non impediva di levarsi d’attorno -coi supplizj e col ferro gli emuli, vedeasi tolta pezzi a pezzi la -sovranità militare ch’egli erasi formata nel cuore dell’Italia, e -soccombeva alle tergiversazioni del suocero e alle infedeltà di papa -Eugenio; quando i Veneziani, guardando come lesa la pace di Cavriana, -si allearono coi Fiorentini, presero al soldo varj condottieri, e -sotto Michele Attendolo mandarono l’esercito a’ danni del duca, e -dopo la vittoria di Mezzano sopra Casalmaggiore si spinsero fino a -Monza e Milano. Il Visconti, sbigottito dal vedere Venezia ostinarsi -al conquisto della Lombardia, si rappattumò col genero, il quale -comprendeva che se la Lombardia toccasse ai Veneziani, più nulla -avrebb’egli a sperarne, mentre invece la disputabile successione di -Filippo aprivagli ambiziose eventualità. Accettò dunque il comando -supremo sulle armi e le fortezze; dugentomila fiorini d’oro l’anno per -mantenere l’esercito suo e quello lasciato dal Piccinino, il quale, -dopo essere stato uno degli arbitri di questa sbranata Italia, era -morto (1444 15 8bre) col dispiacere di non avere nè ingrandito se -stesso, nè ottenuto gratitudine da quelli cui aveva servito. - -Poco poi Filippo Maria, sempre passionato per l’intrigo, si lasciò di -nuovo menare dai Bracceschi e dagli altri che invidiavano l’incremento -dello Sforza; e rompea seco di nuovo, allorchè morte lo colse (1447 15 -agosto), e con lui terminava la stirpe de’ Visconti. - -La quale fu con lode ripagata della protezione che concesse ai -dotti d’allora, e il Filelfo, il Barziza, il Panormita, l’Offredi, -il Decembrio ne tesserono la storia e la falsarono. Del resto già -vedemmo come la Lombardia fosse una monarchia militare, non temperata -se non dalle arti che ad un governo intelligente sono insegnate dal -desiderio di conservarsi; i Milanesi la sopportavano anzi rassegnati -che contenti; e il desiderio della libertà erasi illanguidito a segno, -che al più si aspirava a cambiare tiranni: la pace e la guerra, la -ricchezza e la felicità del paese, la tolleranza o punizione dei -delitti dipendevano dal principe. - -Sovratutto mancava quel che ai popoli più è necessario, pace, e pronta -ed eguale giustizia; anzi le prepotenze pareano favorite dai dominanti. -Giovanni Gámbara, signorotto del Bresciano, faceva cogliere da due -bravi una tal Bartolomea che avea detto male di sua moglie Subrana, -e mozzarle la lingua; il podestà condannò al taglione il Gámbara e -la moglie, ma essi interposero un fratello della mutilata, che li -riconciliò con questa; e Gian Galeazzo Visconti concedette perdono. -È scritto che Giovanni Palazzo ottenesse da Gian Maria che Guelfi e -Ghibellini del Bresciano potessero combattersi sei mesi, salva la -fedeltà al principe, e commettere qualsivoglia misfatto tra loro. -Esso Gian Maria nel 1401 mandava podestà ad Asola Giovanni Visconti e -capitano Giorgio Carcano, i quali spinsero tant’oltre l’audacia, che -niuna fanciulla poteva andare a marito senza avere passato tre giorni -nel loro palazzo: gli Asolani stancati li trucidarono, e i Bresciani in -punizione distrussero Asola[40]. Quando manchi la giustizia, più non -rimane garanzia di sorta, nè altro si può che abbattere il dominante -per mettersi al posto di lui e divenire oppressori. - -Pure costoro erano principi nostrali, e i Lombardi compiacevansi -della loro grandezza, giacchè nol poteano della propria felicità; -compiacevansi alla splendidezza della Corte, alle regie parentele, alle -frequenti comparse, ai clamorosi pranzi, ai clamorosissimi funerali, a -quel lusso di sfarzo e spesa più che di gusto, alle feste che frequenti -si rinnovavano per nozze, per paci, per venuta di principi. Fu volta in -cui Filippo Maria ebbe ospiti papa Martino V e l’imperatore Sigismondo, -e prigionieri il re di Napoli e quel di Navarra; in un mazzo di -carte (giuoco allora nuovo) dipinto da Marzian di Tortona spese -millecinquecento monete d’oro. - -Le sevizie di que’ principi possono paragonarsi al morso di un cane -rabbioso, che nuoce solo a chi lo avvicina; mentre una pacata signoria -può indurre gli effetti della malaria, generale spossamento e tabe -irremediabile. Perocchè del resto essi cercavano il prosperamento del -paese, sia per trarne di più, sia per non iscapitare al confronto de’ -vicini. L’agricoltura procedea di meglio in meglio, sull’esempio de’ -monaci, principalmente de’ Cistercensi, che verso il Lodigiano e il -Pavese aveano introdotto i prati stabili e le cascine; si miglioravano -le razze de’ bovi; de’ cavalli, celebri per grossezza e forza, molto -spaccio faceasi in Francia. I lavori di seta crebbero principalmente -dacchè nel 1314 molti fabbricanti di Lucca, fuggendo la tirannia di -Castruccio, ricoverarono a Milano. I Lombardi andavano in Francia, -in Fiandra, in Inghilterra a raccattar lana, che poi tinta e tessuta -mandavano colà donde ora ci vengono i panni fini; e per tutta Europa -correvano le monete d’oro colla biscia. I nobili non prendeano vergogna -del mercatare, e sulle matricole figurano i Litta, i Dadda, i Bossi, i -Crivelli, i Gusani, i Dugnani, i Medici, i Melzi, i Porro, i Bescapè, i -Castiglioni, i Pozzobonelli. I Borromei da San Miniato si trasferirono -qui vendendo panni grossolani, e stabilendone una fabbrica; e subito -Filippo Maria prese un Borromeo per direttore della finanza, e poco -dopo Luigi XII di Francia levava al battesimo un figliuolo di quella -casa[41]. - -Le arti, divise in venticinque _paratici_ o consorzj, con bandiera, -statuti, assemblee distinte, esercitavano ogni sorta mestieri, e -all’uopo prendeano le armi. Singolarmente i Lombardi guadagnavano in -operazioni di banco, avendone stabiliti in tutte le città d’Europa. -Milano era sì ricca, che diceasi in proverbio bisognerebbe distrugger -lei chi volesse rifare l’Italia; e udimmo i nobili esibire a Filippo -di mantenergli stabilmente diecimila cavalieri ed altrettanti pedoni -se lasciasse loro le entrate della città. L’estimo del 1406 dà ai beni -mobili e stabili della città e dei corpi santi il capitale valore di -tredici milioni dugencinquantamila zecchini. La popolazione cresceva, -benchè guasta da pesti ricorrenti; e i primi provvedimenti di polizia -sanitaria menzionati sono i milanesi. - -Il servaggio principesco alterava la semplicità de’ costumi, e senza -credere alle declamazioni, è a supporre s’imparasse a chinar la fronte -a quello in cui mano erano il denaro, la forza, la legge, ed a quella -serie di bassi che comandano agli altri; catena di soggezione, che -cominciata non finisce più. Nondimeno durava un vivere patriarcale, nè -la Corte era distinta dalla città quanto nei tempi posteriori; e benchè -i nobili godessero molti privilegi, pure le condizioni si trovavano -spesso mescolate nei pubblici convegni ed alle feste ecclesiastiche o -civili. - -Se si pensi che non v’avea truppe stanziali, primario rinfianco della -tirannia; che il duca vivea tra gente nostra, con nostri consiglieri, -fra tante corporazioni organizzate e armate, fra privilegi di arti, -di corpo, di stato, si vedrà che il despotismo non poteva sbizzarrire -senza contrasto; le memorie della prisca libertà non erano perite, -non poteasi a voglia gravar le imposte, gli statuti frenavano anche -il principe, le fazioni di Guelfi e Ghibellini opponeano potente -contrasto, sicchè la tirannia non era sistematica ma di eccezione. Que’ -principi pesavano più volentieri sui nobili per torsene l’ostacolo e -rapirne le ricchezze; non per questo si rendeano popolari, comunque -talora grossolani: e la plebe anch’essa sapeva resistere, e piegando -non dimenticava d’avere dei diritti. - -Tutti questi avvenimenti potemmo divisare senza tampoco far motto d’un -altro imperatore calato in Italia. La Casa di Luxemburg, così meschina -sotto il cavalleresco Enrico VII, era giunta a possedere tanti dominj, -quanti mai quella di Hohenstaufen; in un secolo avea dato quattro -imperatori, Enrico VII, Carlo IV, il vituperevole Venceslao che fu -deposto, e suo fratello Sigismondo, che al tempo stesso era elettore -di Brandeburgo, re di Boemia e d’Ungheria. Bello d’aspetto (tal ce -lo descrive Leonardo Aretino che lo conobbe), alto della persona, -nobile, vigoroso, magnanimo in pace e in guerra, eloquente, amante le -lettere, liberale oltre le sue scarsissime entrate, trovavasi sempre -bisognoso di denaro, e perciò costretto a vendere la propria alleanza -e protezione, interrompere le imprese, mancare ai propositi; e più che -all’impero badava a crescere i suoi Stati ereditarj, dai quali derivò -poi la grandezza di Casa d’Austria. - -Talmente Venezia spingeva la gelosia per l’eguaglianza delle sue -famiglie patrizie, che, avendo il re di Ungheria chiesto per moglie -una Morosini, la Signoria obbligò il padre a rinunziare ogni diritto -paterno, e l’adottò come figlia della Repubblica. Quando, durante -lo scisma, fu eletto papa Angelo Corrér (1406) col nome di Gregorio -XII, benchè egli cercasse cattivarsi i Barbarigo, i Morosini, i -Condulmer con cappelli cardinalizj, fu sempre guardato di mal occhio, -giudicandosi pericoloso un pontefice legato coi senatori; e appena -il concilio di Pisa lo dichiarò scaduto (1409), la Signoria non solo -s’affrettò a riconoscere il surrogatogli Alessandro V, ma a lui profugo -negò stanza ne’ suoi dominj[42]. Ito nel Friuli, papa Gregorio venne -a rissa con quel patriarca che era tedesco, e lo cassò surrogandogli -Anton da Ponte nobile veneto. L’imperatore Sigismondo, dichiaratosi -protettore dell’espulso, menò le cose di modo, che venne a rottura -con Venezia. Questa repubblica da Ladislao, competitore di Sigismondo -al trono d’Ungheria, aveva comprato per centomila fiorini la città di -Zara; ridomandando la quale e le antiche città imperiali, Sigismondo -entrò sul Veneziano (1413) guastandolo e ribellando: ma Venezia strinse -lega difensiva con Nicolò III d’Este, i conti Porcia e Collalto, i -Malatesti, i Polenta, i signori d’Arco e Castelnuovo, Castelbarco, -Caldonazzo, Savorgnano; e questi, e la rigidezza dei vicarj di -Sigismondo, la poca costanza degli Ungheri ch’egli versava di qua -dell’Alpi, il valore del condottiere Filippo d’Arcoli, fecero trionfare -il leone veneto per tutto il Friuli. - -Dalla Marca Trevisana Sigismondo pensò fare una corsa in Lombardia -senz’armi. Liete accoglienze gli profusero i tirannelli: a Cremona col -papa vagheggiò dal torrazzo la pianura lombarda; a Cantù ricevette -omaggio da Filippo, il quale però nol volle accogliere in Milano; -istituì de’ vicarj imperiali, cui faceano capo i Ghibellini per -onestare la loro tirannide: ma nessuna efficienza ebbe sulle vicende -italiane. - -Dopo vent’anni di regno, nojato dalle lunghe brighe in Germania e in -Boemia, e dal dirigere una macchina pesante e rugginosa, com’egli -chiamava l’impero, pensò tornare di qua dall’Alpi (1431) a farvi -una comparsa quale solevano i suoi predecessori. I tempi erano ben -cambiati; quanto erasi perduto in parziale libertà, tanto erasi -acquistato in generale indipendenza; nè la nominale superiorità -sarebbe bastata perchè convocasse a Roncaglia tutti gli Stati d’Italia -a rendere l’omaggio e ricevere giustizia. Con duemila Ungheri e -Tedeschi a cavallo, più per corteggio che per difesa, capitò a Milano; -e Filippo, che pur gli avea sempre mostrato piena soggezione, e -l’avea sollecitato a discendere sperando danneggiarne i Veneziani, -insospettito si chiuse nel castello di Abbiategrasso, senza tampoco -lasciarsi vedere all’imperatore, che in Sant’Ambrogio fecesi coronare -(1431 25 9bre). - -Qui dunque temuto e timoroso, eppure in Toscana malvisto come amico -del duca, sempre povero di denaro e di forze, obbligato ad ogni passo -a patteggiare o difendersi, a un punto di rimanere preso in Lucca dal -capitano dei Fiorentini, trattenuto in Siena per debiti, Sigismondo -traversò l’Italia meschinamente (1432), dirigendosi a Roma onde -persuadere il papa ad accettare il concilio di Basilea: nè tampoco -a questo riuscito, cintasi la corona d’oro (1433), ricoverò a’ suoi -paesi, lasciando l’Italia alle ambizioni e agli agitamenti di prima. - - - - -CAPITOLO CXVI. - -Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice. Francesco Sforza. I -Foscari. - - -I VISCONTI E GLI SFORZA - - Uberto Visconti - | - | Obizzo - | | - | | Teobaldo - | | - | | MATTEO Magno 1295-1322 - | | | - | | | Galeazzo I 1322-28 - | | | | - | | | | AZZONE 1328-39 - | | | - | | | LUCHINO 1339-49 - | | | - | | | Marco - | | | - | | | GIOVANNI arcivesc. 1339-54 - | | | - | | | Stefano - | | | - | | | MATTEO II 1354-55 - | | | - | | | BERNABÒ 1354-85 - | | | - | | | GALEAZZO II 1354-78 - | | | - | | | GIAN GALEAZZO 1378-1402 - | | | primo duca nel 1395 - | | | - | | | Valentina in Luigi d’Orléans, - | | | ava di Luigi XII - | | | - | | | GIAN MARIA 1402-12 - | | | - | | | FILIPPO MARIA 1412-47 - | | | | - | | | | Bianca Maria in - | | | | FRANCESCO SFORZA - | | | | 1447-66 - | | | | - | | | | Ascanio cardinale - | | | | - | | | | GALEAZZO MARIA - | | | | 1466-76 - | | | | | - | | | | | GIAN GALEAZZO MARIA - | | | | | 1476-94 - | | | | | | - | | | | | | Bona regina di Polonia - | | | | | - | | | | | Caterina in Giovanni - | | | | | de’ Medici avo di - | | | | | Cosimo granduca - | | | | - | | | | LODOVICO il Moro - | | | | 1494-1500 - | | | | - | | | | MASSIMILIANO - | | | | 1512-15 - | | | | - | | | | FRANCESCO MARIA - | | | | 1522-26 e 1529-35 - | | | - | | | Gabriele Maria - | | | figlio naturale - | | - | | Uberto stipite di case ancora sussistenti - | - | Gaspare - | | - | | Lodrisio - | - | OTTONE arcivesc. 1277-95 - -Filippo Maria Visconti non lasciava figliuoli, onde molti si sporsero -al fiuto di sì pingue eredità. Fin allora nel Milanese non era stato -regolato il modo di succedere al dominio; e come negli altri principati -italiani, ora lo teneano i fratelli in comune, ora se lo spartivano, o -l’uno succedeva all’altro senza riguardo alla discendenza dell’estinto: -persino i figli naturali ne toccavano qualche porzione. Ora la casa -francese d’Orléans vi pretendeva a cagione di Valentina Visconti, cui -Gian Galeazzo, maritandola a Luigi d’Orléans, n’avea dato l’aspettativa -pel caso che i suoi figli morissero improli. Ma il titolo non valeva, -giacchè questo non era un feudo femminino; tanto minor diritto v’avea -lo Sforza, marito della figlia naturale, quantunque legittimata, di -Filippo Maria. Questo aveva un tempo pensato a nuocere ai Veneziani col -lasciare il suo paese ad Alfonso re di Napoli; il che avrebbe di tanto -avanzata l’unità italiana: e Alfonso in fatti produsse un testamento -a favor suo; ma foss’anche autentico, si trattava egli d’una proprietà -che si potesse lasciare a talento? - -Il Milanese era uno Stato libero, riconosciuto nella pace di Costanza; -il che importava, secondo il diritto d’allora, che non potesse venir -ristretto a sudditanza di verun particolare. Venceslao l’avea ridotto -tale investendone Gian Galeazzo; ma sovrano dell’Impero non era già -il re di Germania, bensì gli elettori, rappresentanti l’antico senato -e popolo romano: e in fatto essi ne fecero rimprovero a Venceslao, -e fu uno degli aggravj per cui lo spodestarono[43]. Sigismondo -ne diede regolare investitura a Filippo Maria, riservandosi gli -antichi diritti imperiali[44]; ma realmente il Milanese, operando -come Stato libero, aveva affidato il governo politico ai Visconti, e -allo spegnersi di questi tornava di propria balìa. Sentirono questo -diritto i Milanesi, e mentre i Bracceschi inalberavano sul castello lo -stendardo di Alfonso di Napoli, ed altri suggerivano di darsi al duca -di Savoja fratello della duchessa vedova, Antonio Trivulzio, Teodoro -Bossi, Giorgio Lampugnani e Innocenzo Cotta eccitano alla libertà i -Milanesi, che a furia smantellano il castello, nido della tirannia -contro il popolo; e disingannati del dominio d’un solo come _pessima -pestilenzia_, proclamano l’_aurea repubblica ambrosiana_ (1447 14 -agosto), tornando in istato di popolo al modo antico. Il vicario coi -dodici di provvisione eleggono ventiquattro capitani e difensori della -libertà del Comune, che furono confermati dal consiglio generale, e che -affollarono ordini buoni o meschini, come sempre avviene nei primordj; -rimettono i banditi; proibiscono il bestemmiare, i giuochi zarosi, il -portar armi; allestiscono ricoveri per poveri, e massime per contadini -che la guerra avea sturbati dai campi; si ravviano le scuole, invitando -i maestri _con condizioni che meritamente potranno accontentarsi_; e -da spontanee largizioni raccolgono ottocentomila zecchini _ad tuendam -patriæ libertatem_[45]. - -È uno dei temi più soliti e più facili agli epigrammi da caffè la -debolezza de’ governi usciti da una rivoluzione, come il vacillamento -delle rivoluzioni che non riuscirono: nè per verità da una reggenza che -durò meno di due mesi potevano pretendersi stabili intenti, concordi -progetti, efficace azione. Pure sarebbersi allora potute costituire in -Italia tre robuste repubbliche, di Firenze, Venezia e Milano, mettendo -in comune il senno educato dell’una, la potenza marittima dell’altra, -le colte lautezze dell’ultima; e associandosi alla forza degli -Svizzeri, opporre una federazione di liberi all’aumento delle monarchie -confinanti. Chi pensi che in quel tempo, essendo morto Carlo il -Temerario duca di Borgogna nel combattere gli Svizzeri[46], restavano -libere le Fiandre e i Paesi Bassi, comunità fiorentissime di commercio -e costituite al modo delle nostre, non può a meno di riflettere qual -diverso andamento avrebbe preso l’Europa se, invece di consolidarsi -le monarchie collo spartire la Borgogna tra Francia e Austria, fosse -prevalso il sistema repubblicano. Se i Milanesi vedessero allora -questa preziosa eventualità, è difficile il dirlo; ma trovo codardo -l’insultarli dell’aver preferito una forma di governo che allora -presentava tanto avvenire. Sgraziatamente però Firenze cominciava con -Cosmo de’ Medici a piegare a principato: Venezia dal doge Francesco -Foscari era intalentata a conquiste, a segno di posporvi la giustizia e -la pubblica libertà; e sperando quell’unione che più tardi effettuarono -gli Austriaci, spasimava di tutto il Milanese, e profittò del momento -per ciuffare Brescia e Bergamo. - -Allora Venezia trovavasi all’apogeo della sua grandezza. Trieste, i cui -pirati avevano rapito le spose della ancor novella repubblica, indi -era stata sottoposta da Enrico Dandolo a capo de’ Crociati, non si -rassegnò mai al giogo, più volte rinnovò guerra, e nel 1367 si diede -al duca d’Austria; ma i Veneziani l’assalirono e presero per fame, -poi nella pace, chetato l’Austriaco a denaro, le imposero di giurar -fedeltà a San Marco; alla nomina di ciascun doge, lo stendardo del -leone sventolerebbe un giorno sul mercato di Trieste, e tutti gli anni -a Pasqua sul palazzo; i Triestini osserverebbero i trattati conchiusi -da Enrico Dandolo in appresso, e la Serenissima vi eserciterebbe la -giurisdizione penale. Nella guerra di Chioggia i Genovesi presero -Trieste, e la consegnarono al patriarca d’Aquileja: avendola Venezia -ripigliata (1382), i Triestini inalberarono di nuovo la bandiera dei -duchi d’Austria, i quali poi la tennero sempre: ma doveano correre più -di quattro secoli prima che acquistasse tale importanza sul mare, da -prevalere all’antica dominatrice. - -Vedemmo come si fosse ampliata la signoria de’ patriarchi d’Aquileja -sopra tutto il Friuli, l’Istria, gran parte della Carintia e Carniola, -e la Stiria, con tanti poderi da estrarne ducentomila zecchini. Però -i papi aveano tratto a sè il diritto di nominare il patriarca, sicchè -ne cessò l’indipendenza; e avendo essi dato quella sede in commenda -a Filippo d’Alençon, i signori paesani ricusarono obbedienza a -questo, eleggendo un altro, donde baruffa civile, nè più fu possibile -sottometterli interamente. Il patriarca fu dunque costretto ricorrere -al popolò, agli stranieri, a bande mercenarie; e intanto i signori -si rendevano viemeno dipendenti, per quanto il patriarca cercasse -avvincerseli col moltiplicare i feudi e suddividerli e concedere -franchigie. - -E si alleò a Francesco Carrara (1388), che colle armi occupò tutti i -paesi: ma i Veneziani, temendo che questo operosissimo loro nemico -tenesse il Friuli per sè e intercettasse i loro commerci colla -Germania, presero parte con Udine «con altre città, riottose al -patriarca, e annichilarono nel modo che dicemmo la potenza dei Carrara. -Venuto poi il patriarcato al tedesco Lodovico Theck (1414), e questo -avendo favorito l’imperator Sigismondo, Venezia ne colse occasione di -tor via que’ vicini, ostinatamente avversi. Pertanto occupò il loro -paese finchè non fosse compensata delle spese di guerra; ma queste -ammontavano a tanto, che il patriarca non potè più pagarle; onde a quel -prelato, fin allora il più ricco d’Italia dopo il pontefice, altro non -rimasero che i castelli di San Vito e San Daniele, e lo stipendio di -cinquemila ducati che ricevea dalla Repubblica. - -Adunque il dominio veneto si estendeva in Italia dall’Isonzo al -Mincio; oltre il litorale dell’Adriatico sin alle foci del Po, aveva ad -obbedienza fra terra le province di Bergamo, Brescia, Verona, Crema, -Vicenza, Padova, la Marca Trevisana con Feltre, Belluno, il Cadore, -il Polesine di Rovigo, Ravenna, il Friuli, l’Istria eccetto Trieste -città imperiale; supremazia sulla contea di Gorizia, che prima faceva -omaggio al patriarca d’Aquileja; sulla costa orientale dell’Adriatico -teneva Zara, Spalatro e le isole che fronteggiano la Dalmazia e -l’Albania; avea tolto Veglia ai Frangipani, Zante a un Catalano; in -Grecia occupava Corfù, Lepanto e Patrasso; nella Morea Modone, Corone, -Napoli di Romania, Argo, Corinto, avute a prezzo dai possessori che -non poteano difenderle dai Turchi; altre isolette dell’Arcipelago, e -qualche parte del litorale; finalmente Candia e Cipro. - -Mentre in Italia si era limitata ad opporsi a chi vi predominasse, -tenendo per lo più coi pontefici, allora aspirò a dominarvi, donde -vennero le guerre che abbiam veduto con Filippo Maria, nelle quali, se -cresceva di credito nella penisola, sviavasi dal commercio, e rimaneva -esposta agli arbitrj de’ venturieri, coi quali usava or rigore, ora -carezze; or mandava al supplizio il Carmagnola, or se ne redimeva -coll’ascrivere fra i nobili il Gattamelata e Michele Attendolo. E -d’acquistare il Milanese le dava lusinga lo sfasciarsi di questo alla -morte di Filippo. - -Per quell’assurdo concetto che repubblica significhi obbedire a -nessuno, le singole città ridestando le municipali gelosie, colsero -pretesto dalla rivoluzione di Milano per sottrarsi a questa, -riformandosi a reggimento municipale indipendente, ed elessero signori -e governi distinti, preferendo l’indipendenza dei singoli alla libertà -di tutti. Como, Alessandria, Novara seppero accordarsi colla Repubblica -ambrosiana, ma a patti che tendeano principalmente a ricuperare la -giurisdizione ed aggravare i popoli soggetti: tal era il senso dei -sessantasette capitoli stipulati dai Comaschi, diretti a ristabilire -il dominio della città sopra il contado e sopra la Valtellina e il -Chiavennasco. Pavia, Parma, Tortona vollero reggersi da sè; Lodi e -Piacenza introdussero guarnigione veneta; Asti si chiarì pel duca -d’Orléans; gli esuli signorotti tornavano, e riprendevano gli aviti -possessi e la baldanza di tiranneggiare perchè aveano sofferto; se non -altro, saccheggiavano; dappertutto rinasceano le antiche cupidigie; ma -s’erano talmente abituati all’obbedienza, che, appena uno primeggiasse, -lo chiedevano signore. - -L’attività scompigliata produceva debolezza universale; mentre erasi -perduto l’uso delle armi, d’ogni parte sonavano minaccie; la Repubblica -era in grande setta e divisione nell’interno, fra le pretensioni -dei capitani di ventura, che nè poteansi licenziare nè tenere in -obbedienza; lo schiamazzo popolare diventava potenza, sempre micidiale, -ed or faceva ardere i libri del censo, ora demolire il castello, -soliti carnevali dei neoliberati; i cittadini medesimi si divideano in -partiti, quale pendendo all’Impero, quale ai reali di Francia, al duca -di Ferrara, a Venezia. Luigi di Savoja credette opportuna l’occasione -di fermar piede in Lombardia, e si collegò col re francese, a patto -che Genova e Lucca si conquistassero per questo, Alessandria si desse -al Monferrato, le terre fra il Ticino, l’Adda e il Po, coi castelli di -Trezzo e Pizzighettone, ad esso, duca di Savoja[47]. Venezia aveva già -rotta guerra a Filippo, e adesso la continuava contro la Repubblica, ed -accostavasi minacciosa all’Adda. - -In que’ frangenti che tolgono il senno anche ai più savj, i capitani -della Repubblica parvero dimenticare le pretensioni di Francesco -Sforza; ed aggirati o spinti dai Ghibellini, affidarono ad esso le -armi, perchè li difendesse da’ nemici. Egli mostrò obbedire a coloro -cui sperava comandare; dal carcere, ove l’avea cacciato Filippo -Maria, trasse Bartolomeo Coleone, condottiero bergamasco, e se lo -fece compagno alle imprese; colle artiglierie abbatteva mura che -prima arrestavano gli eserciti, e prosperò nella guerra _marchesca_. -Assediata Piacenza, la piazza più forte dopo Milano, riuscì a prenderla -ed entrar per la breccia (1447 16 9bre): fatto portentoso e quasi -nuovo nell’arte guerresca d’allora, ove la difesa era ancor superiore -all’offesa. La città venne abbandonata al peggiore saccheggio e a -tutti gli obbrobrj de’ soldati, che violentavano a scoprire i tesori; -diecimila cittadini furono venduti; i ferramenti, i legnami portati a -vendere nelle vicine città; nè Piacenza più risorse. - -Ma lo Sforza non operava a pro di Milano; anzi, dopo ch’ebbe con -insigni vittorie, e massime con quella di Caravaggio (1448), fiaccato -i Veneziani che erano stati a un punto d’acquistare il Milanese, e -fattone prigioniero l’esercito, arsa la flotta, patteggiò di lasciar -loro non soltanto Bergamo e Brescia, ma e il Cremasco e la Geradadda, -cioè fino all’Adda, purchè l’ajutassero a succedere a Filippo Maria. -L’accordo fu accettato (18 8bre). - -Francesco aveva un buon esercito, i Milanesi nessuno; prima Pavia, -poi Piacenza, poi altre città lo chiedeano signore; perfidie non -lo sgomentavano, e Cosmo de’ Medici amico suo gli aveva insegnato a -badare alle convenienze proprie, non alle altrui, e che il mondo non -si governa coi paternostri. In Milano rincalorivano le parti di Guelfi -e Ghibellini; e i primi, guidati dal Trivulzio, avrebbero voluto -una pace che assicurasse la Repubblica e dai nemici e dal difensore: -il Lampugnani, il Bossi ed altri Ghibellini ricusavano la pace con -Venezia, che sottraeva tanto territorio, e che preparerebbe forse la -dominazione di quella città: il vulgo tumultuava ora per questi, ora -per quelli, secondo l’opinione o le ciancie o il denaro. Carlo Gonzaga -di Mantova, fatto comandante della città, batteva la mira a rendersene -signore appoggiandosi ai Guelfi, sicchè i Ghibellini entrarono in -trattati collo Sforza per garantire o qualche franchigia alla patria -o qualche vantaggio a sè; ma scoperti, furono mandati al supplizio -Lampugnani ed altri, molti in fuga, confiscati i loro beni. Allora -prevale quella seconda schiera che sottentra sempre ai moderati; e -nuova gente senza credito, traforatasi nel governo e impinguatasi -delle confische, impresse l’impeto rivoluzionario, eccitò i Milanesi -a resistere al traditore, al disertore, giurando piuttosto darsi al -granturco e al demonio; spedirono per tutto bandi che il diffamavano; -promisero diecimila zecchini di mancia e altrettanti in fondi a chi -l’uccidesse; chiesero soccorsi dal duca di Savoja, i cui soldati non -dando quartiere, facevano quel peggio che sapessero. I Milanesi stessi -aveano scritto milizie paesane con fucili, arma nuova che, per quanto -imperfetta, incuteva terrore ai dapprima invulnerabili corazzieri; e -le battaglie divennero sanguinose, e costarono la vita a molti prodi -condottieri. - -Ma lo Sforza era di lunga mano superiore per sentita di guerra, -e sostenuto dai Veneziani, che tradivano cittadini liberi per -procacciarsi un pericoloso vicino. Tardi s’accorsero dell’ambizione -dello Sforza, e fecero pace colla Repubblica Ambrosiana; e avendo lo -Sforza ricusato riconoscerla, spedirono truppe a soccorso di Milano -(1449 27 7bre): ma l’incerta fede de’ capitani di ventura, disertati -dalla Repubblica per mettersi dove la fortuna piegava, e il valore -d’esso Sforza ne elisero l’effetto. Milano, disperata di miglior -consiglio, proponeva di sottomettersi alla Serenissima; ma lo Sforza, -domate Monza, Melegnano, Vigevano e le altre città provinciali, cinse -la capitale. Il popolo, visti uscir vani tutti i suoi partiti, si levò -a rumore, mosso dall’oro nemico, secondo la frase antica e moderna; -cassò i magistrati popolari, ostinantisi alle armi, per surrogarvene di -ghibellini: i quali però neppur essi aveano un disegno premeditato, nè -sapeano finire la guerra, a terminar la quale erano stati eletti. Carlo -Gonzaga, che avea mostrato l’ambizione del comando, non l’abilità, come -vide i nuovi capitani della libertà non favorire alle aspirazioni sue, -ma voler lui stesso obbediente, patteggiò collo Sforza, facendosi dare -Tortona in compenso del tradimento. Gaspare Vimercato in parlamento -dipinse la trista situazione: — I soccorsi piemontesi sono fiacchi, -lontani quei di Napoli, pericolosi quelli dei Veneti; ecco crescere -ogni giorno orrida e irreparabile la fame; più che un disperato -resistere, non val meglio cercare pane e riposo allo Sforza? alla -fine egli vanta de’ diritti, sicchè avrà minor bisogno d’infierire, -e piuttosto desiderio di conservare». La proposizione fu accolta -al solito da fischi ed urli, tra i quali però il senso comune si fe -strada; la fame operò il resto, e il popolo assalì a tumulto il palazzo -del governo; onde s’inviò a fare la sommessione, e lo Sforza spedì -tosto gran ristoro di viveri, che il fece benedire. - -Ondate di Milanesi andavano a visitarlo ognidì al suo quartier -generale, e gli sciorinavano elogi in versi, elogi in prosa, sonori -quanto le imprecazioni che in suo vitupero eransi fatte testè, da -ciascuno a chi peggio. Poi, il giorno della sua entrata (1450 26 -genn.), «avevano preparato un carro trionfale con un baldacchino di -panno d’oro, e così con gran moltitudine aspettavano il principe avanti -alla porta Ticinese. Ma Francesco per la sua modestia ricusò il carro -e il baldacchino, dicendo tali cose essere superstizioni da re; il -perchè, entrando, andò al sagro e massimo tempio di Maria Vergine, e -fermo innanzi alla porta, si vestì di drappo bianco sino a’ piedi, -la qual veste era di consuetudine che si vestivano i duchi quando -pigliavano la signoria» (CORIO); ebbe la corona ducale, e il Milanese -si racconciò nella monarchia militare. Francesco addormentò il popolo -colle feste; coi belligeranti strinse buoni accordi; l’una dietro -l’altra tornò in obbedienza le città, che preponevano ad una libertà -procellosa una tranquilla servitù, ed ultime anche Como e Bellinzona; -e incominciava una nuova politica e una nuova dinastia, preconizzata ai -destini più insigni, e che pure dovea, fra micidj e tragedie, giungere -a stento alla sesta generazione. - -Egli seppe mettere nel fodero la spada, colla quale aveva acquistato -un sì bel dominio, e attese a far dimenticare la violenta origine -e riconciliarsi i popoli col modo migliore, il beneficarli; non -diè carico a’ suoi avversi; non lasciò campo a quelle riazioni, che -irritano ed inimicano; resse con saviezza, restituendo al governo il -vigore senza la crudeltà de’ Visconti; e riuscì uno dei principi più -grandi e, secondo il tempo, de’ più buoni. Nella capitolazione erasi -stipulato non si darebbe impiego a verun forestiero, i tribunali -starebbero sempre in Milano, non rincarite le gabelle, garantiti i -creditori dello Stato, messi fuor di città i soldati. Vedendo che «la -plebe, riavvezzata alle armi, si ricordava della libertà», lo Sforza -pensò ricostruire l’abbattuta fortezza; ma non volendo con ciò mostrare -diffidenza, sparse tra il popolo suoi creati, che persuadessero ciò -come ornamento e sicurezza della città; e per quanto i meglio avvisati -si opponessero, gli altri prevalsero, e le parrocchie pregarono il -duca di fabbricare il castello, che riuscì il meglio forte d’Italia in -piano. Monumento più insigne della Sua munifica pietà rimane l’Ospedal -grande, sontuosa fabbrica nella quale raccolse i varj ospedali della -città; compì il naviglio che mena l’Adda a Milano. Sul trono serbò -i modi franchi acquistati negli accampamenti; liberale dell’oro, -asserendo non esser nato per fare il mercante; onorò le arti, favorì -i letterati; davasi premura di smentire le dicerie sul conto suo, e di -spiegare i motivi delle sue azioni. - -Tutto che militare, associò la sua politica a quella del negoziante -Cosmo de’ Medici, che gli continuò sempre una grossa pensione; dissipò -una lega che Venezia aveva giurata a danno di lui col re di Napoli, il -duca di Savoja, il marchese di Monferrato, i Senesi, i Correggeschi: -e seppe mostrarsi necessario ai varj potentati. Doppio matrimonio il -collegò coi reali di Napoli, altri col marchese di Mantova, colla -Savoja e con Francesco Piccinino, capitano non degenere dal padre, -pel qual modo si furono riconciliati Sforzeschi e Bracceschi: e se -ai Veneziani fu costretto lasciare Bergamo, Brescia, Crema, col loro -circondario, di rimpatto acquistò Savona e Genova. - -Questa città non parve sottrarsi al duca di Milano che per -avventarsi più dissennata nelle discordie tra Fregosi e Adorni, -i quali strappavansi a vicenda l’effimero dogato. Ne conseguì tal -debolezza, che la Repubblica, atterrita anche dall’avanzarsi de’ -Turchi i quali avevano occupato Costantinopoli, non credette poter -difendere la Corsica e la Gazarìa altrimenti che col cederle al -Banco di San Giorgio. In questo soltanto si conservava la virtù -repubblicana; non fazioni, non corruttela, non turbolenze, ma quieta -e savia amministrazione, attenta previdenza da mercanti; esempio -che sciaguratamente non sapessi imitare dai cittadini. I quali di -nuovo ricorsero allo sciagurato partito di darsi a’ forestieri; e -Carlo VII di Francia, avutane la signoria, spedì Giovanni d’Angiò a -governar Genova (1458), e la fece sua piazza d’armi per guerreggiare -il Napoletano. Ma d’una tal guerra stanchi i Genovesi, si sollevarono -contro Francia (1461), e Carlo tentò invano coll’armi ridomarli. - -In quei fatti cominciò a segnalarsi il cardinale arcivescovo Paolo -Fregoso, che poi, valendosi della costernazione in cui era Genova per -le crescenti conquiste de’ Turchi e per le interminabili nimicizie co’ -reali di Napoli, ottenne per intrighi di far salire al dogato un suo -cugino Spinetta. Costui in breve fu cacciato di posto, non però di -speranza; e in tre Fregosi fu mutata quell’anno la dignità di doge, -che per costituzione era in vita (1463). Alfine riuscì ad aversela -l’arcivescovo, e ne informò il papa, che rispose: Non dissimuleremo la -meraviglia al sentirti accettare il governo temporale d’una città che -a lungo non tollera governanti. Tu ’l sai per prova, ed a noi stessi -giunsero a un tempo le nuove della tua prima elezione e dell’infelice -cacciata. Non è certo impossibile esser principe e vescovo insieme; ma -corre obbligo tanto maggiore di operare virtuosamente. Molte cose si -condonano in un secolare, che sono intollerabili in un ecclesiastico. -Ad una norma non procedono l’Impero e la Chiesa. Il sacerdote vuol -essere tutto clemenza, tutto carità e amor paterno, astenersi dal male -vero, schifare pur l’apparente. Se tali sono le tue intenzioni, se vuoi -giusto e piamente imperare, non solamente sopra il tuo popolo, ma su -te stesso; se non l’ingiuria del prossimo ma ti proponi la difesa del -nome cristiano contro gl’Infedeli, confidando che cotesto principato -sia stato a te conferito secondo le leggi della tua patria, e che -ne userai a benefizio del popolo, in nome della santa Trinità noi lo -benediciamo». - -Già prevedete che neppure l’arcivescovo doge vi si assodava; e si -tornò ad esibirsi a Luigi XI di Francia, re positivo, che non amava -gl’incrementi non fruttiferi, e sopra ogni merito stimava l’obbedire -e star quieti, si fosse popolo o baroni. Quando dunque i Genovesi -offersero di darsi a lui, rispose: — Ed io li do al diavolo». - -Quell’astutissimo facea gran conto de’ consigli e’ dell’amicizia di -Francesco Sforza, il quale nella guerra di Borgogna lo sussidiò anche -di quattromila cavalli e duemila fanti, capitanati dal proprio figlio -Galeazzo Maria, che mostrarono anehe oltremonti non esser bugiarda la -reputazione del valore sforzesco: in compenso Francesco si fe cedere -Savona, aspirando a Genova. Frattanto Monaco, Finale, Ventimiglia -erano sollevate, Cipro si staccava, e l’arcivescovo doge non curava o -non sapeva rimediarvi; vilipesi i magistrati, rispettato chi avesse -baldanza; i luoghi di San Giorgio caduti a ventitre lire; i Fregosi -stessi a guerra fra loro. Molti malcontenti fuggivano a Milano, e -Francesco gli accoglieva; alfine mandò bande sopra Genova (1464), e -bastò perchè l’arcivescovo se ne andasse; il Castelletto non tardò -a cedere, e ambasciadori vennero (13 aprile) ad offrire la superba -capitale della Liguria, e seco la Corsica, al signor di Milano. - -Questi poteva aspettarsi qualche ostacolo alla sua potenza per parte -dell’Imperatore. Sigismondo avea sposato la figlia Elisabetta ad -Alberto d’Austria, e sudato perchè a questo passassero le corone -d’Ungheria e Boemia: in fatto l’ottenne (1439), come anche quella di -Germania. Morendo prestissimo, Alberto lasciò la moglie gravida d’un -figliuolo, che fu detto Ladislao Postumo; e suo cugino Federico III -d’Austria assunto all’Impero, ebbe regno più lungo che qualunque altro -suo predecessore, e concentrò in sè le eredità de’ tre rami austriaci. -Pigro e pusillanime, le lodi dategli da Enea Silvio Piccolomini, che -prima fu suo segretario, poi papa Pio II, non l’assolvono dell’avere -per negligenza e avarizia lasciato che l’Impero andasse sossopra fra -guerre ripullulanti, mentre portava al colmo la propria famiglia, a’ -cui membri attribuì il titolo d’arciduchi, e adottò per divisa AEIOU, -volendo esprimere _Austriæ Est Imperare Orbi Universo._ - -Anch’esso volle scendere in Italia (1452), non per rinnovare la maestà -dell’Impero, ma per farsi incontro ad Eleonora di Portogallo sua -fidanzata; il giornale di questa comparsa attesta quanto i nostri, -malgrado tante sciagure, precedessero in civiltà i forestieri. Nicolò -Lanckman suo cappellano, per giungere in Portogallo, dovette col suo -seguito travestirsi da pellegrino: eppure o bande di masnadieri, o -prepotenti comandanti delle città li spogliavano tratto tratto[48]; -felici allorchè trovassero qualche banchiere fiorentino che li -rifornisse di denaro. Federico a Siena ebbe incontro ben quattrocento -dame di quella terra: dovette cercare un salvocondotto dal Coleone, -che allora guerreggiava in Romagna[49]: entrando in Firenze, Carlo -Marsuppini segretario della Repubblica gli recitò un’orazione latina -gonfia di stile e vuota di cose, quale usavano gli eruditi; il -Piccolomini rispose frasi positive e dirigendo alcune domande, alle -quali il Marsuppini non seppe rispondere perchè non preparato. - -Federico traeva seco il nipote Ladislao Postumo, si può dir -prigioniero; e avendo gli Ungheresi tramato di rapirglielo, i -Fiorentini l’impedirono, ma invano s’interposero presso l’imperatore -a favor di quello. A Roma fu sposato e coronato (18 marzo); a Napoli -visitò lo splendido Alfonso: del resto faceva mercato e cortesia delle -antiche pretensioni imperiali; per denari conferì a Borso d’Este il -titolo di duca di Modena e Reggio, e conte di Rovigo e Comacchio; -per denari creò nobili e notaj e conti palatini quanti vollero. -Allorchè visitò Venezia, gli fu, tra altri donativi, presentato dalla -Signoria un magnifico servizio de’ cristalli di Murano; e sua maestà -fe cenno al buffone, il quale dando una spinta al tavolino su cui era -deposto, mandò ogni cosa a pezzi; e i nostri mostrandone dispiacere, -l’imperatore sclamò: — Fossero stati d’oro, non si sarebbero infranti». -Francesco Sforza sapea dunque da qual lato pigliare costui, che esitava -a riconoscerlo duca; e bastò si mostrasse risoluto a pagar con denari o -a difendere colle armi il titolo concessogli dal suo predecessore. - -Sedici anni dopo, Federico tornò in Italia, e tutti almanaccavano -reconditi fini al suo viaggio; ma scopo unico n’era lo sciogliere un -voto alla madonna di Loreto: a Roma baciò le mani e i piedi del papa, -gli tenne la staffa, assistette da diacono alla sua messa. Non volle -riconoscere il successore di Francesco Sforza, dicendo che duca di -Milano era lui stesso; ma nulla fece per sostenere tale pretensione. - -Meglio fortunato degli altri condottieri, lo Sforza potè dirsi anche -l’ultimo. E noi non vogliamo staccarci da costoro prima di salutare -Bartolomeo Coleone bergamasco. Nel suo castello di Malpaga erasi -dato alla quiete, al bere, al novellare e sentir notizie de’ suoi -commilitoni, fossero le prosperità dello Sforza o i supplizj del -Piccinino, del Caldora, del Brandolini, d’altri, contro cui ritorceasi -il ferro de’ principotti dacchè più non ne bisognavano. Dichiarato -capitano generale dei Veneziani, vi fu onorato come principe dalla -Signorìa e dal popolo: ma egli struggeasi di qualche impresa; finchè -Venezia finse congedarlo (1467) acciocchè passasse ai fuorusciti -fiorentini, cospiranti a ricuperare la patria. A molti condottieri che -gli si unirono, si opposero altri pagati dal papa, dal re di Napoli, -dal duca di Milano, da Firenze, capitanati da Federico d’Urbino; ed -esso gli affrontò alla Molinella, giornata famosa ne’ fasti delle -guerre d’avventurieri. Le lunghe manovre finirono con una pace, ove -promettevasi mandar tutte le forze contro i Turchi, sotto al Coleone; -ma l’impresa non ebbe effetto. Egli tornò al suo ritiro, dove gli -giungevano ripetuti inviti dal re di Francia, dal duca di Borgogna, -spesse ambasciate, e domande di consigli, e visite di principi (1475). -Ricchissimo e senza figli, pensò tramandare il proprio nome con -opere di beneficenza: lasciò alla Basella una chiesa, due monasteri -a Martinengo; a Bergamo donò i bagni di Trescore, il canale de’ -mulini, tremila ducati d’entrata per costituire doti, e vi eresse la -ricchissima cappella di San Giovanni. Dell’ingente sostanza, dotò -per due terzi tre sue figlie maritate nei Martjnenghi, quattromila -ducati a due altre, cenquarantunmila a luoghi pii, altra liberalità -ai poveri, ai servi, ai coloni, ai buffoni di sua casa. De’ rimanenti -ducentosedicimila ducati costituì erede la repubblica di Venezia, oltre -un credito di settantamila; o diecimila in contanti perchè gli elevasse -una statua, e dotasse povere zitelle. - -Ma da questo tempo i capitani di ventura pérdono importanza, e i -principi hanno dominj estesi quanto basti per levar truppe su quelli -e finanze per mantenerle[50]. Fra le battaglie interminate che da due -secoli si combattevano, i politici aveano immaginato che unico modo -di conservare Italia fosse il mantenervi la bilancia fra gli Stati. A -ciò contribuivano le alternate alleanze; a ciò viepiù i condottieri -col passare dall’uno all’altro, in guisa che lo Stato più poderoso -poteva al domani trovarsi sguarnito, e il debole essere rinforzato -con sussidio di denari. Specialmente Firenze, posta di mezzo fra -Venezia e Milano a settentrione, Napoli e il Patrimonio della Chiesa a -mezzodì, accostavasi agli uni o agli altri secondo vedeva necessario di -correggere la prevalenza di questi o di quelli. È quel famoso sistema -d’equilibrio, che l’ammodernata Europa si vanta d’avere inventato, dopo -che la sua politica cessò d’essere costituita sopra idee morali. - -Le città dell’antica Lega Lombarda stavano tutte a dominio d’un solo, -eccetto Bologna che alternava fra tirannia e franco stato. La Sesia -segnava i confini del Milanese col Piemonte, ove i duchi di Savoja -per molto tempo nessun altro acquisto fecero che della contea d’Asti. -La Toscana obbediva ai Fiorentini, tranne Siena e Lucca indipendenti; -Ferrara e Modena agli Estensi, pacifici e colti come educati dal -Guarino veronese; Mantova ai Gonzaga, prodi guerrieri, e insieme -istrutti nelle lettere da Vittorino da Feltre; Urbino passava dai -Montefeltro a casa della Rovere; Romagna era sminuzzata in cento -signorie, divise fra l’alto dominio papale e l’imperiale. - -A Venezia, più che rimestare le cose d’Italia, sarebbe stato opportuno -curar quelle d’oltremare, dar fiore alle colonie di Levante, e farle -partecipi della cittadinanza: eppure, mentre diciottomila cavalli ed -altrettanta fanteria pose in campo contro il duca di Milano, in Morea -non mantenne mai meglio di duemila uomini di truppe regolari. A voler -prolungare la’ sua grandezza, minacciata dalle conquiste ottomane e -dalla nuova direzione presa dal commercio, le sarebbe giovato farsi -potenza illirica, o almeno trasferire in qualche isola di Dalmazia -il porto troppo infelice in città, e dove a questa avrebbe servito -d’antemurale; e raccogliendoci i Greci che fuggivano dalle spade -turche, e soccorrendo agli Albanesi che vi resistevano, alzare una -potenza a contrasto dell’ottomana[51]. Ma i nobili stavano attaccati -alla città, da cui traevano il titolo di loro preminenza; il popolo -credeva patriotismo il concentrare nelle isole tutta la vita; i -mercanti voleano aver terre da spogliare; e intanto chi ne profittava -era il nemico comune. - -Che che però ne fosse della convenienza d’aver surrogato una politica -guerresca alla pacifica che Tommaso Mocenigo raccomandava, Francesco -Foscari avea per trentaquattr’anni coperto Venezia di gloria militare, -e campatala dalla minaccia dei Turchi. Ma come si tornò in pace con -questi e coll’Italia, rivisse dentro la parzialità dei Loredano, -implacabilmente ostile al doge. Non paga di contrariarlo in ogni -proposta, in ogni interesse, volle essa trafiggerlo nella parte più -sensitiva, cioè in Jacopo, unico figlio sopravissutogli. Poco innanzi, -le costui nozze eransi celebrate con pompa principesca: trentamila -persone per dieci giorni s’affollarono sulla piazza San Marco a vedere -le giostre che vi avea bandite Francesco Sforza, e dove il marchese -d’Este e il Gattamelata fecero prova di sè (1445), tra gli applausi -delle patrizie vestite di broccato d’oro. Ora a questo figlio fu data -accusa d’aver ricevuto regali da principi forastieri, e nominatamente -da Filippo Visconti; e interrogatone avanti al padre e al consiglio de’ -Dieci, fra gli spasimi della tortura confessò. Relegato in Romania, -per fievole salute ottiene di restare a Treviso. Ma dopo cinque anni -essendo ucciso Ermolao Donati uno de’ suoi giudici, n’è imputato Jacopo -(1450), e messo di nuovo alla tortura, benchè negasse[52], fu bandito -alla Cánea, nè gli si consenti il ritorno, sebbene un Erizzo morendo -si confessasse reo di quel sangue. Jacopo allora, struggendosi pel -desiderio della nativa laguna, dei cadenti genitori, della moglie e -de’ figli; nè trovando chi in Venezia parlasse a suo pro, si volge al -duca di Milano perchè gl’impetri di recare in patria le ossa infrante. -Era severamente vietato interporre stranieri in cose di Stato: perciò, -essendo la lettera intercetta (1454), ed egli chiamato, «dopo trenta -squassi di corda» confessa averla scritta apposta ond’essere ricondotto -in patria almeno pel processo. Un nuovo giudizio lo confina a Candia, -concedendogli d’abbracciare i parenti, ma senza poter confondere le -lacrime che sotto l’occhio dell’autorità. «Il doge era vecchio in -decrepita età, e camminava con una mazzetta. E quando egli andò, -parlogli molto costantemente, che parea non fosse suo figliuolo, -_licet_ fosse figliuolo unico. E Jacopo disse: _Messer padre, vi prego -che procuriate per me acciocchè io torni a casa mia_. Il doge disse: -_Jacopo, va e obbedisci a quello che vuole la terra, e non cercar più -oltre_. Ma si disse che il doge, tornato a palazzo, tramortì» (SANUTO). - -Il figlio morì di crepacuore; il padre continuò a subire la nimicizia -de’ Loredani; ed essendo morti due di essi quasi subitaneamente; ne fu -imputato egli stesso; Jacopo Loredano finse di crederlo, e s’impegnò -a vendicarsene (1457). Fatto dei tre inquisitori, imputò il Foscari -d’avere per la perdita del figlio mostrato un dolore che sapea di -rimprovero, e come vecchio e acciaccoso propose di deporlo. Due volte -il Foscari aveva esibito di abdicare, e, non che consentirglielo, era -stato indotto a giurare di non ripetere la domanda finchè la guerra -il rendeva necessario: ma allora, benchè fosse caso senz’esempio, -fu obbligato a rassegnar la sua carica fra ventiquattr’ore, e uscì -dal palazzo, dov’era abitato per trentacinque anni, senza figliuolo -nè amici nè forze, tra un popolo che l’amava, ma che più temeva -l’inquisizione allora appunto istituita (1457), tra i varj corpi dello -Stato, nessun de’ quali osava protestare contro questa violazione della -popolare sovranità. Quando la squilla di San Marco annunziò sortito il -suo successore (23 8bre), il vecchio Foscari spirò; e sulla sfarzosa -tomba erettagli ne’ Frari fu scritto: «Eccovi, o cittadini, l’effigie -del vostro doge Francesco Foscari, per ingegno, memoria, eloquenza, -inoltre giustizia, forza d’animo, consiglio, per lo meno degno di -pareggiar la gloria de’ più gran principi: non mai troppo mi parve -l’amore verso la mia patria; gravissime guerre in terra e in mare per -la salute e dignità vostra per più di trent’anni con somma fortuna -sostenni; sorressi la pericolante libertà d’Italia; i perturbatori -della quiete repressi colle armi; Brescia, Bergamo, Ravenna, Crema -aggiunsi allo Stato vostro; d’ogni ornamento crebbi la patria; data a -voi la pace, stretta Italia in tranquilla lega, esauste tante fatiche, -dopo ottantaquattr’anni di vita e ventiquattro di dogato all’eterna -pace passai. Voi la giustizia e la concordia conservate, acciocchè -sempiterno sia questo impero». - -Il Loredano, alla partita di debito che aveva aperta ne’ suoi registri -a carico de’ Foscari per la morte dei suoi parenti, contrapponeva -_Pagata._ Bel tema di romanzi e tragedie, e opportuno contrapposto -all’ambizione fortunata dello Sforza: nè noi siamo disposti a -scagionare ingiustizie e tirannie, vengano da repubbliche o da despoti, -da forestieri o da nostrali. - -Ma l’amor delle arti, della quiete, delle lettere invadeva principi -e popoli, non più la sola guerra; l’interesse, che un tempo si -fermava unicamente sul capitano, dirizzavasi anche al letterato e -al pittore; e d’altra materia empiremo noi il libro che succede a -questo di perpetue battaglie. Repente l’attenzione e i ragionamenti -si volsero sulle conquiste de’ Turchi; e la presa di Costantinopoli -(1453) fu guardata da tutti come domestica sciagura, come un pericolo -universale, del quale si doleano d’essersi accorti troppo tardi. Allora -Francesco Sforza concepì il divisamento di stringere tutta Italia -in federazione, all’intento d’escluderne gli stranieri qualunque si -fossero, e conservare la pace interna; e mediante frà Simonetto da -Camerino (1454), fu stipulata in Lodi tra esso Sforza e i Veneziani, -come padroni disponendo anche degli altri Stati d’Italia: Cosmo de’ -Medici, i signori di Savoja, di Monferrato, di Modena, di Mantova, -le repubbliche di Siena, Lucca, Bologna e il papa vi aderirono; e da -ultimo anche Alfonso di Napoli: onde per un momento Italia respirò -dalle battaglie, e potè sperare che una confederazione le salvasse -l’indipendenza e la libertà. Fu un sogno anche questa volta. - - - - -LIBRO UNDECIMO - - - - -CAPITOLO CXVII. - -I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj. - - -PAPI DURANTE LO SCISMA - - URBANO VI - (Bartolomeo Prignano) - eletto il 9 aprile 1378 - da sedici cardinali, quindici de’ quali poco poi eleggono - | CLEMENTE VII - | (Roberto di Ginevra) - | 21 settembre 1378 - | | - BONIFAZIO IX BENEDETTO XIII - (Pietro Tomacelli) (Pietro di Luna) - 2 novembre 1389 28 settembre 1394, - | deposto dal concilio - | di Pisa, 5 giugno - INNOCENZO VII 1409, poi da quello - (Cosma Meliorati) di Costanza, 26 - 17 ottobre 1404 lugl. 1417 - | | - GREGORIO XII ALESSANDRO V | - (Angelo Correr) (Pietro Filargo) | - 30 novembre 1406, 26 giugno 1409 | - deposto dal | | - concilio di Pisa, | | - 5 giugno 1409; GIOVANNI XXIII | - abdica, 4 luglio (Baldassarre Cossa) CLEMENTE VIII - 1415 17 maggio 1410 (Gilles Muñoz) - | deposto dal concilio in giugno 1424 - MARTINO V di Costanza, 29 mag. eletto da due - (Ottone Colonna) 1415; abdica, 13 mag. cardinali; - 11 nov. 1417 resta 1419 abdica, 26 luglio - papa, finendo lo scisma 1429 - -La prolungata dimora dei papi in Avignone d’estremo disgusto era motivo -agl’Italiani, avvezzi a bersagliarli finchè li possedono, ribramarli -appena gli abbiano perduti. E tanto più che, cessando i vantaggi, -non cessavano le noje; e di là arruffavano essi la patria nostra vie -peggio, perchè dei mali che le procacciavano non erano partecipi. Dal -1317 sino al chiudersi del secolo li vedemmo in guerra guerreggiata -contro i Visconti di Milano, e per sottomettere popoli rivoltosi, o -signorotti ripullulanti nelle terre papali; e non ostante le vittorie -di Bertrando del Poggetto e dell’Albornoz, altro effetto non ne -trassero che di rovinarle di popolo e di frutti. - -Innocenzo VI (Stefano d’Aubert) (1352), che si diè tanto moto per -rintegrare il potere pontifizio in Italia, moderò il lusso di sua -Corte e de’ prelati, cacciò i parasiti e le male donne che in Avignone -trafficavano famosamente, e impinguò i nipoti, obbrobrio omai comune. -Al suo tempo il re di Francia, fiaccato dalle lotte coll’Inghilterra, -trovavasi impotente a salvaguardare il papa, ricovratosi sotto la sua -ala; il popolo stesso francese, tumultuante per quelle idee che oggi -si chiamano comunismo, facea macello di possidenti e di ricchi (_la -Jacquerie_); e le bande di ventura rimaste senza soldo fiutavano ove -fosse a saccheggiare. Mossero elle (1361) sopra Avignone, sicchè i -papi dovettero provvedere a difendersi e gridare al soccorso: ma non -n’ebbero se non dai nobili del contorno, i quali vi vedeano l’interesse -proprio, ed erano pagati dai cardinali; poi il marchese di Monferrato, -avuti centomila fiorini del tesoro papale, soldò quelle bande e le menò -in Italia per adoprarle nelle proprie nimicizie. - -Se non che la peste era stata recata in Avignone da quelle ciurme, e -nove cardinali, settanta prelati e gran moltitudine perirono. Le quali -sventure faceano ribramare l’Italia, e Urbano V (Guglielmo di Grimoard) -(1362), buon principe e buon cristiano, divisava restituirvi la sede, -anche per tôrre agli altri vescovi il pretesto di lasciar vedove le -chiese, a sè la necessità di annuire alle crescenti domande del re -di Francia, e sottrarsi alle masnade che tratto tratto ritornavano a -taglieggiarlo, tra cui quella del famoso Bertrando Di Guesclin pretese -centomila lire e l’assoluzione plenaria. Ma i cardinali preferivano -Avignone, dove non si trovavano a fronte nè la petulanza d’una -plebe riottosa come la romana, nè la prepotenza de’ baroni; sicchè -vi si erano adagiati come in domicilio stabile, aveano fabbricato -suntuosamente, e quindi persuadevano il papa dover egli preferire la -Francia: questa, sua patria; questa, centro dell’Europa; questa, meglio -governata e quieta che l’Italia; questa, più santa di Roma perchè -religiosissima già la chiamava Cesare, e i Druidi vi esistevano prima -del cristianesimo; questa infine, più cara a Gesù Cristo perchè vi si -conservavano le reliquie più insigni[53]. - -I Turchi sempre più guadagnavano verso l’Europa; e Pietro Lusignano re -di Cipro girava le corti esortando a sostenere gli ultimi possessi de’ -Crociati, se non voleano vedere la mezza luna drappellarsi rimpetto -all’Italia. Urbano sembrò compunto di questo pericolo; Carlo IV -imperatore fece grandi preparativi per una crociata, la quale però non -riuscì se non ad uno sbarco scarso ed infruttuoso sopra Alessandria -d’Egitto. - -Però e il papa e l’imperatore presero accordo di ripristinare la santa -Sede a Roma. Questa città avea sempre altalenato fra insania demagogica -e oligarchica arroganza, or ribelle al pontefice per bizzarria, or -sottomessagli per paura. Si pensò ottenere maggior quiete col nominare -un podestà forestiero: ma i Romani sel recarono ad oltraggio, e -abolito il senatore, istituirono sette riformatori della Repubblica; -poi fra poco diedero poteri dittatorj a Lello Pocadote calzolajo, poi -ripristinarono i riformatori. Quale allettamento aveva dunque un papa a -ritornarvi? Pure sentiva esser fuori di posto in una terra dove vestiva -aspetto d’un esule ricoverato, piuttosto che d’un sovrano dei re; e -dove prelati quasi tutti francesi davano alla Corte un’aria nazionale, -ben diversa da quella cosmopolita che soleva in Roma; l’assenza -sua porgeva pretesto ai Romani di rivoltarsi, agli altri vescovi di -abbandonare le proprie sedi. Adunque, da che le conquiste dell’Albornoz -assicurarono il principato civile (1367), Urbano deliberò restituirsi -di qua dall’Alpi. - -Appena se ne motivò, Roma e Italia tutta fecero gran sembianti -d’allegrezza; Napoli offrì cinque galee, Pisa tre, Genova quattro, -Venezia dieci, due Lucca. Ricevuto dappertutto con vive feste, e fra un -cantare al popolo d’Israele che usciva d’Egitto, alla casa di Giacobbe -dal popolo barbaro, non avea però troppi motivi a fidarsi de’ Romani. -In Viterbo, ove a lungo s’indugiò, una sommossa popolare tenne tre -giorni in pericolo il sacro collegio; e repressa dai cittadini, furono -arrestati cinquecento colpevoli, di cui cinquanta ebbero il bando, -sette la forca. L’arrivo di Nicolò II d’Este con settecento uomini -d’arme rassicurò il papa ad entrare a Roma, e celebrò sull’altare -papale, ove nessuno più da Bonifazio VIII in poi; e in Laterano -benedisse il popolo colle teste dei santi Pietro e Paolo, per le -quali fece fare due reliquiarj, che valsero trenta e più mila fiorini -d’oro. Abolì i riformatori, rimettendo un senatore semestrale con -tre conservatori; e tolse i tredici banderesi, capi de’ rioni fin con -diritto di sangue, e che traendo a sè tutti gli affari, rimanevano i -veri padroni della città. - -Vi giunse poi, come avea promesso, Carlo IV con gran seguito di duchi -e marchesi, volendo procacciare alla quarta sua moglie lo spettacolo -della coronazione colla maggior maestà che fosse possibile. Anche -Giovanni Paleologo imperatore di Costantinopoli venne a fare omaggio -a Urbano, e riconoscere la Chiesa latina; spettacolo non più visto da -Teodosio in poi, gl’imperatori d’Oriente e d’Occidente inginocchiati -davanti al papa. Ma Carlo partì fretta fretta, e Urbano, che proponeasi -di rassettare la dignità della Chiesa coll’assistenza di cinquantamila -uomini da lui promessigli, si trovò in asso: che se finchè stette in -Avignone facea qualche mostra di vigoria adoprando l’oro racimolato da -tutta cristianità a domare questi signorotti lontani, allora si trovò -in loro balia e colla borsa vuota; mentre Bernabò Visconti, ridendosi -delle scomuniche, gli ammutinava tutte le città di Romagna. Vedendo -dunque non approdare a verun bene, malgrado le esortazioni de’ più e -del Petrarca, tornossi ad Avignone (1370), anzi vi consolidò l’esiglio -coll’eleggere altri cardinali francesi; e l’Italia continuò le minute -baruffe, ispirate da gelosie, esercitate dalle bande. - -Caterina, nata in Siena (1347) da Benincasa ricco tintore, datasi alla -solitudine, alle austerità, all’orazione, fatto voto di verginità e -difesala contro la insistenza domestica, cominciò ad avere torrenti di -grazie dal Signore, il quale «le avea insegnato a fabbricarsi un ritiro -dentro dell’anima sua per richiudervisi di continuo, e le aveva anche -promesso di farvi trovare tal pace e riposo, che niuna tribolazione -potrebbe turbare»[54]. Si vestì terziaria di san Domenico, e superando -gli spasimi d’incurabili malattie e le impure tentazioni, ristorando -l’anima colle dolcezze della preghiera e colla carità verso gl’infermi -e i peccatori, ebbe rivelazioni e comunicazioni celestiali; Cristo in -visione le esibì a scegliere fra una corona d’oro e una di spine, e -poichè ella prese questa e la si calcò sul capo per somigliare a lui, -egli le diede a succhiare il proprio costato; un altro giorno cambiò il -cuore di lei col suo; la sposò anche solennemente, porgendole un anello -che sempre le rimase in dito, e ch’ella sola vedeva, come le stigmate -della passione. Tali e ben altre meraviglie ci sono narrate dal suo -confessore Raimondo di Capua, il quale dubitò lungamente fossero -allucinazioni di devota fantasia, fin quando non vide la giovane faccia -di Caterina trasformarsi in quella proprio del Redentore. - -Fu privilegiata del dono di convertir peccatori, come fece di tutta -la famiglia Tolomei, e di due assassini dannati al patibolo; tantochè -il papa deputò tre Domenicani che in Siena ricevessero le confessioni -di quelli ch’essa avea tratti a penitenza. Del potere che la virtù -davale sugli animi, avea fatto uso a minorare i patimenti della sua -patria; cercò distogliere il feroce avventuriero Giovanni Acuto dal -più guerreggiare i Cristiani. Alla santa ebber ricorso i Fiorentini -quando il pontefice stava irato con essi; ed ella, schermitasi invano, -fu ricevuta a Firenze come in trionfo, ottenne pieni arbitrj, e al papa -scriveva: — Pregovi che vi mandiate proferendo come padre, in quel modo -che Dio vi ammaestrerà, a Lucca ed a Pisa, sovvenendoli in ciò che si -può, ed invitandoli a star fermi, perseveranti. Essi stanno in gran -pensiero, perocchè da voi non hanno conforto, e dalla contraria parte -sono stimolati e minacciati che facciano la pace; ma per infino a qui -al tutto non hanno acconsentito. Seguitate la mansuetudine e pazienza -dell’agnello immacolato Gesù Cristo, la cui vece tenete. Confidomi in -lui, che di questo e d’altre cose adoprerà tanto in voi, che n’adempirò -il desiderio vostro e mio; chè altro desiderio in questa vita io non -ho, se non di vedere l’onore di Dio, la pace vostra, e la riformazione -della santa Chiesa, e di vedere la vita della grazia in ogni creatura -che ha in sè ragione. Confortatevi, che la disposizione di qua, secondo -che mi è dato a sentire, è pure di volervi per padre, e specialmente -questa città tapinella, la quale è sempre stata figliuola della santità -vostra, e che costretta dalla necessità fece di quelle cose che le -sono spiaciute: voi medesimo gli scusate alla vostra santità, sicchè -coll’amo dell’amore voi gli pigliate. Potreste dire, _Per coscienza -io sono tenuto di conservare e racquistar quello della santa Chiesa_. -Ohimè! io confesso bene che egli è la verità, ma parmi che quella cosa -che è più cara si debba meglio guardare. Il tesoro della Chiesa è il -sangue di Cristo, dato in prezzo per l’anima, perocchè il tesoro del -sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma per salute dell’umana -generazione. Sicchè poniamo che siate tenuto di racquistare e conservar -il tesoro e la signoria della città, che la Chiesa ha perduto; molto -maggiormente siete tenuto di racquistare tante pecorelle che sono -un tesoro nella Chiesa, e troppo ne impoverisce quand’ella le perde. -Pace, pace, santissimo padre; piaccia alla santità vostra di ricevere -i vostri figliuoli, che hanno offeso voi padre; la benignità vostra -vinca la loro malizia e superbia; non vi sarà vergogna d’inchinarvi per -placare il cattivo figliuolo, ma saravvi grandissimo onore ed utilità -nel cospetto di Dio e degli uomini del mondo. Ohimè, babbo, non più -guerra per qualunque modo; conservando la vostra coscienza si può aver -la pace; la guerra si mandi sopra gl’infedeli, dove ella debba andare». - -Fu poi in persona ad Avignone, e Urbano anch’egli rimise in lei ogni -differenza; ma altri ambasciadori fiorentini sturbarono la conclusione. -Caterina non cessò di esortare il papa ad armarsi alla crociata, ed -a restituirsi a Roma[55], come seppe indovinargli n’avea fatto voto -segreto. Al quale uopo avea con lei contribuito santa Brigida, nobile -svedese, che, perduto il marito mentre andavano pellegrini a San Jacopo -di Galizia, prese un vivere sempre più austero, e istituito l’ordine di -San Salvatore, venne in Montefiascone a cercarne la conferma ad Urbano, -cui annunziò averle la beata Vergine rivelato come pessimamente gli -avverrebbe se uscisse d’Italia. Non le diede egli ascolto, ma tornato -in Avignone, presto (1370) fu colpito dalla morte[56]. Pio a segno, -che si credettero operati miracoli al suo sepolcro, generoso colle -chiese e cogli studiosi, di cui manteneva un migliajo sulle Università, -avea regnato pei popoli non per sè: ma è un’insipida lode quella -attribuitagli dal Petrarca, di non aver fatto nessun malcontento. - -Dopo una sola notte di conclave gli fu dato successore Pietro Roger, -modesto, virtuoso e insieme dottissimo, che già cardinale frequentava -a Perugia le lezioni di Baldo, e ne fu il più sapiente scolaro. -Volle il nome di Gregorio XI, e badando ai gravi mali d’Italia e alle -esortazioni di quelle sante[57], meglio che alle opposizioni del re -di Francia, piantossi in Vaticano (1377), e vide il gonfalone della -Repubblica e dei dodici rioni deposti ai suoi piedi: ma i magistrati -li ripigliarono ben presto, continuando a governare da sè; di che il -papa soffrì e si scontentò, e forse solo morte gl’inpedì di restituirsi -di là dall’Alpi. Pure egli fu l’ultimo papa francese; e dopo settantun -anno e tre mesi la santa Sede era stata riportata di Francia in -Italia. Le miserie di questa che fautori e avversari deplorano come -schiavitù di Babilonia, invigorirono la scossa che allora d’ogni parte -veniva alla maestosa unità cattolica, preponderante nel medioevo. Le -nazioni eransi formate attorno ai vescovi, donde l’assoluto potere -ecclesiastico, come d’un padre sopra i figli che generò e crebbe. -Costituitesi, riuniti molti territorj, nato il potere pubblico, -vollero svilupparsi dalle fasce della Chiesa per vivere di vita -propria, e compresero che il temporale potea sussistere disgiunto dallo -spirituale: onde alla società senza limite di spazio sottentravano -società particolari e distinte, all’andamento generale le parziali -destinazioni. - -I tentativi di Bonifazio VIII per rintegrare la supremazia pontifizia -destarono ne’ principi quella gelosia, che proviene mentosto da reali -violenze che da paura. Alle immunità attribuite ai beni ed alle persone -degli ecclesiastici, i Comuni non esitavano por la mano, dovessero -anche affrontare gli anatemi del pontefice. Pistoja statuì che, chi -entrava chierico, perdesse diritto al patrimonio, nè dai parenti -potesse ripetere alcuna cosa, se non a titolo di largizione o per -infermità o per andare a studio. I Fiorentini sottoposero alle gravezze -e ai tribunali comuni gli ecclesiastici, perciò vietato di far voltura -in loro testa sul libro dell’estimo de’ beni a loro pervenuti, talchè -la ditta fosse sempre obbligata alle gravezze, e i beni medesimi -ipotecati a favore del Comune. Venezia, nella guerra del 1379 coi -Genovesi, decretò tutti i monasteri si armassero, e cacciò i monaci -che lo ricusarono come contrario al loro istituto. A Genova bastava -esser chierico per rimanere escluso da qualfosse pubblico impiego, per -la ragione che l’immunità gli avrebbe sottratti al castigo in caso di -trasgressione. Il comune di Perugia nel 1319 destinava un uffiziale -a sopravvegliare gli ecclesiastici; e propose che nessuna lettera si -mandasse al papa, foss’anche dal vescovo, se non suggellata dal Comune -(GRAZIANI). Torino faceva uno statuto _super iniquitate, superbia et -immoderata avaritia cleri et presbyterorum_, e li obbligava, oltre il -resto, a concorrere a mantenere il ponte sul Po. - -Padova voleva aggravezzare i beni degli ecclesiastici, questi -ricusavano, e tant’oltre si andò che il Comune nel 1282 stabilì, chi -ammazzava un chierico pagasse un grosso e fosse assolto (GENNARI), -e vi ebbe chi ne profittò a sfogo di vendette. Meglio i Reggiani, -scomunicati dal vescovo nel 1280, si può dire scomunicarono lui, -vietando ogni relazione coi cherici, non pagar loro le decime, non dar -consiglio nè ajuto nè prestito, non pasti, non contratti con essi, non -entrare in casa loro, non macinarne il grano o fare il pane o radere -la barba; il che lo portò a pronta composizione. D’altra parte il papa -volendo rimeritare i Fiorentini d’avergli spediti ajuti in Lombardia, -nel 1323 concedette che il clero contribuisse alla spesa di fortificare -la città. Di rimpatto il legato pontifizio voleva essere investito -della pingue abazia dell’Impruneta; e perchè i Buondelmonti si opposero -considerandola come loro patrimonio, egli mise l’interdetto sulla -città. - -Quando l’edifizio sociale era impiantato sulla fede, ogni opposizione -si risolveva in eresia: le scomuniche, contro cui eransi fiaccati -l’orgoglio e la potenza degl’imperatori sassoni e svevi, perdeano -efficacia dacchè prodigate in effetti mondani; i Siciliani durarono -ottant’anni in rotta colla Chiesa; i Visconti degli interdetti si -vendicavano col pesare viepeggio sugli ecclesiastici; e gli avvocati -ergeano la fronte contro i papi, ai quali erasi incurvata quella dei -re. - -Ormai dalla fede assoluta passavasi alle religioni comparate. Maestro -Urbano da Bologna nel 1334 scrisse un commento di Averroe, che invogliò -a conoscere il testo; e quelle opere entrarono di moda, e con esse i -dubbj sulla vita futura e la pendenza al panteismo; e il Petrarca si -piange che la filosofia aristotelica inducesse al materialismo, tanto -che non otteneva nome di dotto e filosofo chi non aguzzasse la lingua -e la penna contro la religione. Un di costoro «i quali pensano non -aver fatto nulla se non abbajano contro di Cristo e della sovrumana -sua dottrina», andò a trovare il poeta a Venezia, e lo cuculiava -perchè avesse citato un detto dell’apostolo delle genti, e — Tienti la -tua religione, io non ne credo acca; il tuo Paolo, il tuo Agostino e -cotest’altri furono chiaccheroni; e deh potessi tu soffrire la lettura -di Averroe, che ben vedresti quanto e’ sorvola a cotesti tuoi buffoni». -Petrarca se ne stomacò, e tutto dolce ch’egli era, prese pel mantello e -mise fuor di casa il temerario. - -Nè per tanto si rinnegava la Chiesa. Quei Patarini che l’aveano -conturbata due secoli prima, erano scomparsi d’Italia o nascosti; -il popolo amava le splendidezze del culto, se anche non ne venerava -l’austerità, e compiaceasi del papa e della corte pontifizia: gli -studiosi ostentavano questa incredulità accademica, ma non le si -conformavano nelle pratiche; e d’altra parte, non poteano essi -declamare contro la Corte romana colla libertà che avea usata Dante, -senza incorrere negli anatemi? Ma dacchè erasi trasportata in Avignone, -e Guelfi e Ghibellini del pari la bersagliavano, quasi cessasse -d’essere cattolica cessando d’essere romana. Il Sacchetti mercante, il -Petrarca canonico, il Pecorone frate, e persone di grande scienza e di -celebrata santità avventavansi contro quella Babilonia, che tal nome -meritava non meno pel lusso che per la corruzione, dove parea costume -ciò che altrove vizio, dove la disonestà accoppiavasi colla perfidia e -colle bassezze. - -Ciò che altre volte sarebbe valso poco più che per esercizio di -retorica o sfogo di bile, diventava pericoloso allorchè, perdendosi -il senso de’ simboli, la società riducevasi affatto pratica; laonde -i politici guatavano con disgusto questa Corte che, vivendo nel -mondo, n’avea presa la licenza, le passioni, gl’intrighi, e reso la -Chiesa un mezzo di governo e di speculazione. Di tal passo venivasi -a vilipendere quel che prima erasi venerato, e declinava nei popoli -lo spirito d’obbedienza quando appunto i pontefici lasciavano -quello di dominazione. Allora parve insopportabile la giurisdizione -ecclesiastica, che colla pubblicazione del VI e VII libro delle -_Decretali_, poi delle _Estravaganti_ erasi estesa per modo, che -qualsivoglia lite poteva anche in prima istanza recarsi al pontefice. - -Agostino Trionfe d’Ancona, agostiniano, che dettò a Parigi poi a -Napoli, carissimo ai re Carlo e Roberto, dedicò a Giovanni XXII una -_Somma della podestà ecclesiastica_, apologia dell’onnipotenza dei -papi: da Dio immediatamente derivare la loro giurisdizione, superiore -ad ogni altra perchè tutte giudica, da nessuna è giudicata; come -spirituale, così è temporale, perchè chi può il più può anche il meno: -non può il papa essere deposto dal concilio generale, nè giudicato -dopo morte: è assurdo appellarsi al concilio, giacchè questo non trae -autorità che dal pontefice, il quale unico può proferire sui punti di -fede, nè altri informare dell’eresia senz’ordine di esso. Come sposo -della Chiesa universale, tiene immediata giurisdizione sopra ogni -diocesi, e per sè o per mandati suoi vi può fare quel che vescovi e -parrochi. Al papa devono obbedienza Cristiani, Ebrei e Gentili; egli -può punire i tiranni e gli eretici anche con pene temporali; egli, -non i vescovi, scomunicare; fin di là della tomba estende il potere -per via delle indulgenze: potrebbe scegliere di qualsiasi paese -l’imperatore senza ministero degli elettori, o renderlo ereditario: -l’eletto dev’essere da lui confermato e giurarsegli ligio, e può da -lui essere deposto: tutti i re sono tenuti obbedire al pontefice, dal -quale traggono la potenza temporale: a lui può appellarsi chiunque si -sente gravato dal principe: e i principi e’ può correggere per peccati -pubblici, deporli anche, e istituire un re di qualsiasi regno. - -L’esagerazione è sintomo di autorità minacciata; e sempre maggiore -ardimento pigliava l’opposizione. Guglielmo Occam, scolastico -nominatissimo, per favorire Lodovico Bavaro contendeva l’infallibilità -non solo al papa, ma anche al concilio universale e al clero; i -laici in corpo poter decidere risolutamente; contro il papa potersi -all’uopo adoprare anche la forza, o stabilirne diversi un dall’altro -indipendenti. Marsiglio di Mainardino da Padova, eloquente professore -all’Università di Parigi, poi rifuggito ad esso Lodovico, gli insinuò -che a lui competesse riformare gli abusi della Chiesa, perchè questa è -sottomessa all’Impero; e con Ubertino da Casale pubblicò il _Defensor -pacis_, ove già s’incontrano le negazioni di Calvino rispetto -all’autorità e costituzione della Chiesa; la potestà legislativa ed -esecutiva di questa fondarsi sul popolo che la trasmise al clero; -i gradi della gerarchia essere invenzione posteriore; il primato, -consistente solo nel convocare concilj ecumenici e dirigerli, non fu -dato al vescovo di Roma se non con autorizzazione d’uno di tali concilj -e del legislatore supremo, cioè di tutti i fedeli o dell’imperatore -che li rappresenta; Gesù non lasciò a capo della sua Chiesa verun -capo visibile, nè Pietro avea preminenza che per l’età; al sovrano, -purchè fedele, spetta l’istituire prelati, eleggere il papa, giudicare -i vescovi come Pilato giudicò Cristo, e deporli, convocare concilj e -regolarne le deliberazioni; eguali essendo i vescovi, l’imperatore solo -può elevarne uno sopra gli altri, e a grado suo abbassarlo[58]. Sì poco -sono moderne le dottrine che subordinano la Chiesa ai governi! - -Le teoriche negative si traducevano in fatti: la bolla d’oro di Carlo -IV sottraeva il sacro romano impero dai papi; il re di Francia, non -che emanciparsi dalla supremazia di questi, li minacciava come sudditi -proprj; i lontani seguitavano a venerarli solo in quanto ne traessero -vantaggio. - -Di mescolarsi nelle cose ecclesiastiche prendea pretesto l’autorità -secolare dagli scandali del tempio, quando la santa Sede, fatta -ligia dei re, non valeva a frenare la irruente corruzione, fosse la -grossolana del clero inferiore o la fastosa de’ prelati. Grave torto -faceva alla Chiesa il patriziato delle maggiori dignità: poichè essa, -che ripudiò sempre ogni distinzione di natali, attenendosi unicamente -ai meriti, vedeva il cardinalato e le nunziature affidarsi a taluni, -il cui unico titolo era l’essere degli Orsini o dei Colonna o dei -Savelli; e le costoro case, potenti in città per armi e per clientele, -trescavano a voglia anche nel santuario, prepotevano nelle elezioni dei -pontefici e ne’ loro consigli, con tirannide peggiore di quella degli -imperatori del secolo precedente, perchè più immediata. Le emulazioni -di queste famiglie, prorompenti spesso in guerra civile e in criminosi -attentati, s’insinuavano nel concistoro e nel conclave, e toglieano -al pontificato e al sacerdozio quella dignità che traggono dall’essere -superiori alle mondane rivolture. - -I prelati sotto la stola mantenevano le abitudini dell’educazione -secolaresca e lusso sfrenato; ned altro testimonio ne voglio che il -concilio Lateranese III, il quale, avvisando i prelati quanto disdica -il camminare con treno sì numeroso e il consumare in un pranzo l’intera -annata della chiesa che visitano, vuole i cardinali s’accontentino di -quaranta o cinquanta vetture, gli arcivescovi di trenta o quaranta, -i vescovi di venticinque, gli arcidiaconi di cinque o sette, di due -cavalli i decani; tutti poi vadano senza cani da caccia nè uccelli. -Accumulavansi fin quaranta o cinquanta benefizj in una sola mano; e -vuolsi che Benedetto XII proponesse ai cardinali, se rinunziassero ad -averne più d’uno, assegnar loro centomila fiorini d’oro di rendita -e metà delle entrate dello Stato pontifizio; e ad essi non parvero -abbastanza. Pastori negligenti, sicchè nè tampoco veduta aveano la -loro greggia, esercitavano insolente giurisdizione tirannica; nel -clero minore ignoranza, venalità de’ sacramenti, comune l’ubriachezza, -sfacciata la libidine; nelle chiese e ne’ conventi si stabilivano -bettole e giuochi; le monache uscivano dai monasteri; trafficavasi di -grazie, dispense, perdoni. - -Degli antichi Ordini religiosi rilassata la disciplina: perfino -in quel Montecassino, che fin allora avea dato ventiquattro papi, -ducento cardinali, milleseicento arcivescovi, ottomila vescovi, -molti canonizzati santi, i monaci vestivano bene, abitavano comodi, -riservavansi peculj particolari, anzi riceveano dal convento -una prebenda colla quale vivere in case secolari. Presa vergogna -dall’operosità e astinenza de’ Mendicanti, anch’essi dovettero -riformarsi, applicando agli studj; ma perchè a questi non pareva -potersi attendere degnamente che nelle Università, i monaci che v’erano -mandati vi trovavano incentivi e dissipamenti e peggio. - -Però anche gli Ordini nuovi presto diminuirono l’esemplare fervore -primitivo, gli uni facendo divorzio dalla povertà, sposata dal loro -patriarca, gli altri per zelo dimenticando la carità. A tacere le -diatribe dei loro nemici, quali Mattia Paris e Pier delle Vigne, san -Bonaventura, generale de’ Francescani, nel 1257 dirigeva una querela -ai provinciali e guardiani; perchè a titolo di carità i fratelli -s’impacciassero d’affari pubblici e privati, di testamenti, di secreti -domestici. Sprezzando il lavoro, caddero nell’infingardaggine, e -mentre pregano ginocchione o meditano in cella, possono darsi a studj -vani o sbadigliare o dormire, e forse dai libri composti trarre una -vanità che non prenderebbero certo dal tessere fiscelle o stuoje, come -i primi romiti. Andando girelloni, riescono d’aggravio agli ospiti -e di scandalo; per rimettersi dalla stanchezza mangiano e dormono -di là del prefisso; scompigliano la regola del vivere; domandano con -tale importunità, da farli schifare quanto i ladri. La vastità delle -fabbriche turba la pace de’ conventi, incomoda gli amici, espone a -giudizj sinistri. Ai parrochi poi dispiaciono per la premura che si -danno intorno a funerali e a testamenti. Inoltre le città chiamavano i -frati a compor paci, gli abati ad eseguire commissioni, come gente non -pericolosa e di niuna spesa ne’ viaggi; l’Inquisizione li riduceva a -specie di magistrati criminali, con bidelli, famigli armati, carceri, -braccio secolare a loro disposizione, essi istituiti a profonda umiltà -e povertà esatta. - -La regola di san Francesco imponeva tali austerità, che alcuni la -sentenziarono d’impossibile o di micidiale; sicchè papa Nicola III -credette doverla spiegare[59] nel senso che i frati Minori erano tenuti -osservare il vangelo, vivendo in obbedienza, in castità, in povertà -tale da non possedere cosa veruna; lo spossessamento totale per Dio -essere meritorio; averlo Cristo insegnato colla parola, confermato -coll’esempio, e gli apostoli ridotto in pratica; i Francescani vivendo -così, non faceansi suicidi nè tentavano Dio, giacchè confidandosi -nella Provvidenza, non però repudiavano gli espedienti suggeriti dalla -prudenza umana. Vi si chetarono gli avversarj, ma tra i Minoriti alcuni -ne trassero motivi d’un fanatico misticismo, da una parte asserendo -che la regola di san Francesco fosse il vero vangelo, dall’altra che la -spropriazione dovea portarli ad avere nulla più che il mero uso delle -cose necessarie alla vita. - -Pier Giovanni d’Oliva di Linguadoca predicò siffatta dottrina, e -bersagliando la Chiesa ricca e mondana, annunziava i Minori, come -destinati a rigenerarla. Fece molti proseliti, e sotto papa Celestino -V, incline al vivere cenobita, ottennero di costituirsi in nuova -congregazione (1234), detta degli Eremiti Celestini. Perseguitati, -presero abito e capi particolari, e massime per la diocesi di Pisa -e tra i monti di Vecchiano e di Calci seguivano tenor di vita -più rigoroso, alla Chiesa visibile ricca, carnale, peccaminosa -affacciandone una frugale, povera, virtuosa. Tennero a quelle dottrine -Corrado da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso, Corrado -da Spoleto, Jacopone da Todi, e col nome di Fraticelli o Frati -spirituali, ebbero capi frà Pietro da Macerata e Pietro da Fossombrone. -Bonifazio VIII li combattè vigorosamente, e proferitili eretici, li -fece processare e perseguire da frà Matteo di Chieti, sicchè essi -ricoverarono in un’isola dell’Arcipelago e in Sicilia, aggregando a sè -chiunque disertava dai Francescani per seguire una vita più austera; -cari al vulgo per l’aspetto di maggior perfezione, e avendo per -generale il mistico Ubertino da Casale. Angelo, plebeo senza lettere, -della vallata di Spoleto, n’avea radunati molti; e così l’ordine del -padre serafico restava scisso, nè Clemente V riuscì a riconciliarli nel -concilio di Vienne. - -Il resistere, e la superbia che facilmente nasce dal rigore esagerato, -li portarono a farsi accanniti detrattori della santa Sede, negando -ch’ella potesse permettere ai Francescani di tener granajo e cantina, e -asserendo una vicina riforma. Ne seguirono perfino sommosse a Narbona, -in Sicilia, in Toscana; onde Giovanni XXII provvide a comandare la -soggezione, dicendo che «gran cosa è la povertà, più grande la castità, -ma superiore l’obbedienza»[60]. Eppure essi durarono contumaci, -appellando al futuro concilio, onde ebbero condanna; e quei che non vi -si sottomisero, fuggirono in Sicilia, ove Federico re di Trinacria, -sempre malvolto alla santa Sede, li protesse, e dove presero capo -Enrico di Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta una -sinagoga, lupo il suo pastore. - -Chi bestemmia Giovanni del rigore usato con essi, chi di essi fa beffa -come apostoli d’una ineffettibile povertà, non venga poi a declamare o -a sbigottirsi al cospetto del comunismo, forma moderna della medesima -dottrina. - -Ma tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù Cristo nè i -suoi apostoli non aveano nulla posseduto, la proposizione, rejetta -dai Domenicani e da altri, venne sostenuta dai Francescani; e poichè -la regola di san Francesco diceasi esprimere il vangelo, tornava -sott’altra apparenza il medesimo concetto dell’assoluta spropriazione. -Giovanni condannò anche questa dottrina; Michele di Cesena generale -dell’Ordine, Guglielmo Occam e Buonagrazia da Bergamo protestarono, e -rifuggiti a Pisa presso Lodovico Bavaro, lo sostennero e accannirono -nella lotta contro quel papa. Tale quistione insinuò ne’ Minoriti uno -spirito di sottigliezza, troppo contrario all’intento tutto pratico del -loro fondatore; e ne pullulavano altre quistioni, a dir poco, oziose: -se la regola astringesse sotto pena di peccato mortale o soltanto -veniale; se obbligasse ai consigli del vangelo quanto ai precetti; se -alle ammonizioni quanto ai comandi: dal che, facile tragitto, si passò -a sofisticare sul decalogo e sul vangelo; ed oltre la disputa sempre -accesa sull’immacolata concezione di Maria, un’altra ne ebbero coi -Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito nella passione, restasse non -pertanto ipostaticamente unito al Verbo. - -È difficile sincerare quanto abbiano di vero le oscene imputazioni che -accompagnano i processi di costoro, massime de’ Fraticelli, avvegnachè -l’opinione era straniata alla peggio, e la manìa de’ processi recò a -prestar fede ad assurdità, ribadite nel vulgo dai supplizj inflitti -e dalle declamazioni di chi avrebbe dovuto dissiparle. Anzi mi si fa -credibile che le procedure allora ordinate dagli statuti civili ed -ecclesiastici moltiplicassero le stregherie, dapprima quasi ignote. -Giovanni XXII nel 1322 notificava che «alcuni figli di perdizione, -allievi d’iniquità, dandosi alle ree operazioni di loro detestabili -malefizj, fabbricarono immagini di piombo o di pietra, sotto la -figura del re, per esercitare sovr’essa arti magiche, orribili e -vietate». E avendo gl’imputati declinato la giurisdizione ordinaria, -il papa incaricò tre cardinali d’esaminarli, e rimetterli ai giudici -secolari. Poi l’anno stesso meravigliasi de’ progressi delle scienze -occulte, commosso nelle viscere che molti, cristiani soltanto di -nome, lascino la luce della verità, e talmente siano involti nelle -nebbie dell’orrore, da fare alleanza colla morte e patto coll’inferno, -immolando ai demonj, adorandoli, fabbricando immagini, anelli, specchi, -fiale ed altri oggetti in cui legare i diavoli; e a questi domandano -risposte e ne ricevono, gl’implorano a soccorso dei depravati loro -desiderj, e in ricambio della vergognosa assistenza offrono vergognosa -servitù. O dolore! questa peste si diffonde oltremodo nel mondo, -infettando tutto il gregge di Cristo». - -Con tali persuasioni, si estesero i supplizj per malìe. Il 1292 -Pasqueta di Villafranca in Piemonte fu multata in quaranta soldi perchè -_faciebat sortilegia in visione stellarum_: nel 1363 Antonio Cariavano, -accusato di aver fatto grandinare in Pinerolo con libri necromantici, -fu multato in quaranta fiorini: nell’86 due della valle di San -Saturnino pagarono cenventi franchi d’oro per avere prestato fede a -un incanto gittato onde smorbare le loro mandre: nell’81 la nuora di -Francesca Troterj avendo smarrito una collana di perle, per trovarla -ricorse a maestro Antonio di Tresto da Moncalieri, il quale, pigliato -il secchiello dell’acquasanta, lo coprì con un altro, vi accese attorno -dodici candele, descrisse varie figure colla verga, e fece segni di -croce: poi mise per terra due candele in croce, e su quelle fece posare -il piede dritto della donna che avea smarrito il collare. Non so se si -trovasse: ma il maestro fu accusato al vicario del vescovo; e quegli -confessò nulla intendersi di magìe, ma far quelle frasche per ciuffare -qualche soldo ai credenzoni[61]. - -A questi mali è fortuna quando si trova da opporre caldo zelo, -soda pietà, scienza matura. Anime fervorose e gran santi neppur -allora mancarono: verso il 1319 nacquero gli Olivetani alla badia -di Montoliveto nella val dell’Ombrone senese, per opera del beato -Bernardo Tolomei; e lo sterile paese fu coltivato, adorna di pitture -la chiesa. Il beato Giovanni Dominici fiorentino, oratore famosissimo, -studiando al miglioramento de’ secolari e più de’ claustrali, fu -vero restauratore della vita regolare in Italia e in Sicilia, e -infine arcivescovo di Ragusi e cardinale: senza maestro s’approfondì -nelle scienze, mentre colle prediche traeva a monacarsi donzelle e -giovani. Nel riformare i Domenicani, cominciando a Firenze e Pisa, fu -accompagnato dal beato Lorenzo da Ripafratta, che fu maestro ed amico -a sant’Antonino, dal venerabile Tommaso Ajutamicristo, e da altri di -quell’Ordine, infervorati a pietà dalla beata Chiara de’ Gambacurti, -la quale avea riformato le Domenicane in Firenze, donde si diffusero a -Genova, a Parma, a Venezia. Anche il beato Raimondo da Capua operò a -ristabilire la regolarità ne’ conventi domenicani, insieme col beato -Marconino di Forlì, entrambi d’affettuosa pietà. Ai conforti del pio -Marco, parroco di San Michele in Padova, che gemea di veder depravato -l’ordine Benedettino, e Santa Giustina abbandonata ai disordini, -Luigi Barbo tolse a riformarlo con regole più severe, e che presto -si estesero a Genova, a Pavia, Milano e più lungi. I Camaldolesi -ridussero florido il Casentino, ed esemplarmente conservavasi il bel -bosco di abeti e di faggi. Il beato Giovanni Colombino, di nobile gente -senese ed elevato alle prime dignità, dalla pazienza della moglie -e dal leggendario dei santi fu chiamato a vita pia ed austera, e ad -assistere malati e pellegrini: poi ridottosi povero, andava predicando -penitenza, e raccolti alquanti seguaci, istituì l’ordine dei poveri -Gesuati, approvato da Urbano V il 1367; «e i forti cavalieri di Cristo, -fatti novelli sposi dell’altissima povertà, incominciarono allegramente -a mendicare,... e posti in un’altezza di mente, calcando il mondo -sotto i loro piedi, tutte le cose terrene stimavano come fango, e -tuttodì crescevano in desiderio di patire e sostenere pene per amore -di Cristo»[62]. Suor Agata stette murata gran tempo in s’una pila del -ponte Rubaconte a Firenze, poi nel 1434 fondò il monastero famoso delle -Murate. - -Al tempo stesso diedero odore di gran santità in Siena Gioachino -Pelacani, che la sua devozione per Maria espandeva in carità pei -poveri (-1305), e Antonio Patrizj; Andrea de’ Dotti di San Sepolcro, -scolaro di Filippo Benizzi; Bonaventura Bonacorsi di Pistoja, caldo -ghibellino, che dal Benizzi stesso convertito, riparò i danni recati, -e edificò colle virtù più austere (-1315). Simone Ballachi, figlio del -conte di Sant’Arcangelo presso Rimini, dalla dissipazione raccoltosi -a Dio, esercitavasi ne’ più umili uffizj e nell’istruire bambini -e convertir peccatori (-1319). Agnese di Montepulciano domenicana, -Emilia Bicchieri di Vercelli (-1314), Benvenuta Fojano del Friuli -vennero illustrate per doni celesti; e così Margherita di Metela presso -Urbino, cieca nata; Chiara di Montefalco presso Spoleto, eremitana -(-1308); e quell’Oringa di Santa Croce presso Firenze, che divenne il -modello delle fantesche, dal santo Spirito illustrata alla conoscenza -di sublimi veri, sebben nè leggere sapesse, onde empì Lucca e Roma -della fama di sua virtù e carità, e presto de’ suoi miracoli. Gli -Orsini ci portano il loro sant’Andrea carmelitano, che, malgrado -l’illustre nascita, accattava pe’ poveri, e, malgrado la sua umiltà, -fu messo vescovo di Fiesole, ove continuò le austerità, e riconciliò -più volte la sua colle città vicine. Dai Falconieri uscivano Alessio, -Carissima e Giuliana, tutti venerati sugli altari; dai Soderini la -beata Giovanna (-1367) e un altro Giovanni (-1343); dai Vespignano di -Firenze il beato Giovanni; dagli Adimari il beato Ubaldo; dai Della -Rena di Certaldo la beata Giulia. Pellegrino de’ Latiozi di Forlì fu -stupendo per pazienza nel soffrire sia le percosse di quelli di cui -voleva acquietare i litigi, sia gli spasimi d’una cancrena (-1345). -Pietro Geremi di Palermo, già professore di diritto, diedesi a Bologna -a tali austerità, che si circondò il corpo di sette cerchi di ferro, -scena che molti convertì. Giovanni da Capistrano, dopo adoperato in -magistrature e negoziati, resosi francescano, si diè tutto all’amor di -Dio e del prossimo, e continuò a riconciliar nimicizie e risse nel nome -di Dio, e possedendo lo spirito di compunzione e il dono delle lacrime, -moltissimi convertiva, e spesso le donne dopo le sue prediche davano -in limosina tutti i loro ornamenti. Fra l’alto clero sono a mentovare -il beato Bertrando patriarca d’Aquileja che tanto operò alla riforma -di questa chiesa, e fu assassinato da masnadieri del conte di Gorizia -nel 1350; il beato Lorenzo Giustiniani, patriarca di Venezia; Matteo -da Cimarra vescovo di Girgenti; Nicola Alberga vescovo di Bologna, -adoperato, spesso a metter pace fra le città d’Italia e fra Inglesi e -Francesi[63]. - -Bernardino (1380-1444), dell’illustre famiglia degli Albizeschi di -Massa marittima, fu educato nella pietà e nella carità; nella peste del -Quattrocento si profuse a cura de’ malati di Siena, ove poi professossi -francescano della stretta osservanza. «Fu in concetto d’uomo grande -e meraviglioso nel predicare: ovunque andasse traeva con sè tutto il -popolo, eloquente e forte nel ragionare, d’incredibile memoria; di tal -grazia nella pronunzia, che non mai recava sazietà agli uditori; di -voce sì robusta e durevole, che mai non venivagli meno, e ciò ch’è più -mirabile, in grandissima folla era udito colla stessa facilità dal più -lontano come dal più vicino»[64]. Vincenzo Ferreri, che allora empiva -Italia delle virtù e de’ miracoli suoi, predicando ad Alessandria -esclamò: — Fra voi si trova un vaso d’elezione, un figlio di san -Francesco, che ben presto diffonderà immensa luce in tutta Italia, e -di sue virtù e dottrina usciranno i più insigni esempj». Pure oggi non -troviamo ne’ suoi sermoni che un fare stringato e scolastico. - -E per verità sul pulpito, trionfo degli Ordini nuovi, non recavano -studj profondi e dogmatica precisione, ma zelo e modi popoleschi e -importuna applicazione alle circostanze giornaliere. Chi affronti la -noja di leggere le prediche rimasteci, non trova che aridi tessuti di -scolastica e di morale, rinzeppati di brani e brandelli d’autori sacri -e profani alla rinfusa, con dipinture ridicole o misticismo trasmodato, -talchè i grandi effetti non se ne saprebbero attribuire che al gesto, -alla voce, allo spettacolo, e in alcuni alla persuasione della santità. - -Tali dobbiamo credere il beato Michele da Carcano, frate Alberto -da Sarzana, frate Ambrogio Spiera trevisano, ed altri, famosi per -conversioni ed efficacia morale. Alcuni non mancavano di merito -letterario, e noi lodammo altrove il Cavalca, il Passavanti, frà -Giordano di Rivalta. Quest’ultimo distingueva le devozioni dagli abusi, -in un modo da far meraviglia a chi in que’ tempi e in que’ frati non -sa vedere che superstizione. — Viene (diceva egli) viene l’uomo, e -andrà a Santo Jacopo in pellegrinaggio: ed anzi ch’egli sia là, cadrà -in uno peccato mortale talotta, e forse in due, e talotta in tre -peccati mortali, e talotta forse più. Or che pellegrinaggio è questo, o -stolti? che rileva questa andata? Dovete questo sapere, che, chi vuole -ricevere le indulgenze, conviene che ci vada puro, come s’egli andasse -a ricevere il corpo di Cristo. Or chi le riceve così puramente? e però -le genti ne sono ingannate. Di queste andate e di questi pellegrinaggi -io non ne consiglio persona, perch’io ci trovo più danno che pro. -Vanno le genti qua e là, e credonsi pigliare Iddio per li piedi: -siete ingannati, non è questa la via; meglio è raccoglierti un poco -in te medesimo, e pensare del Creatore, o piagnere i peccati tuoi o la -miseria del prossimo, che tutte le andate che tu fai». - -Parole altrettanto libere avea proferite l’anno innanzi in Santa -Maria Novella: — E’ sono molti che si credono fare grandi opere a Dio; -intra noi, noi ce ne facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà -sull’altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle avere fatto -un grande fatto: or ecco opera! Simigliantemente de’ pellegrinaggi; -che pare così grande fatto di quelli che vanno in Galizia a Santo -Jacopo. Oh come pare grande opera questa, e di gran fatica cotal -viaggio grande! E vanterassi, e dirà, _Tre volte sono ito a Roma, due -volte ita a Santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatti_. E se vedesse in -Roma le femmine a girar cinque volte e sei all’altare, e’ par loro -avesse fatto un grande deposito, e rimproveranlo a Dio, come quello -Fariseo che dicea, _Io digiuno due dì della settimana_: or ecco grande -fatto! e manuchi, il dì che tu digiuni, una volta, e quella manduchi -bene e bello. Questo andare ne’ viaggi io l’ho per niente, e poche -persone ne consiglierei, e radissime volte; chè l’uomo cade molte -volte in peccato, ed hacci molti pericoli. Trovano molti scandoli -nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte si tenzonano -e adirano, e con l’oste e co’ compagni; e talotta fanno micidio ed -inganni e fornicazioni; e di questo si fa assai, e caggiono in peccato -mortale»[65]. - -I così fatti saranno stati non pochi, vogliamo crederlo: ma altri -cercava cattivar l’attenzione col mescere ai discorsi allusioni alla -politica; e chi predicava pei Guelfi, chi pei Ghibellini, pei Medici, -per lo Sforza; talora sorgeano in aperto attacco contro ai principi o -ai papi. - -È bizzarro in taluni l’associare una pietà sincera, un’ingenuità -profonda, col ridicolo e col teatrale, in modo d’uscirne composizioni -grottesche e senza gusto, che non hanno di serio se non l’intenzione. -Di Roberto Caracciolo da Lecce, dai contemporanei supremato -nell’eloquenza, sciaguratamente ci restano alcuni sermoni, più -materia di riso che di compunzione[66]: sale in pergamo a predicar -la crociata, e, cavata la tonaca, rivelasi in abito da generale, come -pronto a guidar egli stesso l’impresa. Paolo Attavanti ad ogni tratto -cita Dante e Petrarca, e se ne gloria nella prefazione. Mariano da -Genazzano, levato a cielo dal Poliziano e da Pico della Mirandola, -«predicava attraendo con l’eloquenza sua molto popolo, perciocchè a -sua posta aveva le lagrime, le quali cadendogli dagli occhi per il -viso, le raccoglieva talvolta et gittavale al popolo»[67]. I discorsi -di Gabriele Barletta, sì reputato che dicevasi _Nescit prædicare qui -nescit barlettare_, darebbero sollazzo a qualche festevole brigata. -Per Pasqua racconta che molte persone offrironsi a Cristo onde -annunziare la sua risurrezione alla madre: egli non volle Adamo, -perchè, piacendogli i fichi, non si badasse per istrada; non Abele, -perchè andando non fosse ucciso da Caino; non Noè, perchè correvole -al vino; non il Battista, pel suo vestire troppo conosciuto; non il -buon ladrone, perchè aveva rotte le gambe; ma donne, per la popolosa -loquacità. Blandiva un sentimento troppo comune quando predicava: — -O voi donne di questi signori e usuraj, se si mettessero le vostre -vestimenta sotto il pressojo, ne scolerebbe il sangue de’ poveri». -L’erudito Bracciolini fa dire da Cincio in un suo dialogo: — Parmi -che tanto frà Bernardino da Siena, come altri troppi vadano errati per -istudio di brillare più che di giovare; non volti a curar le infermità -dell’animo delle quali si annunziano medici, quanto a ottenere gli -applausi del vulgo, trattano qualche volta recondite e ardue materie, -riprendono i vizj in modo che pare gl’insegnino, e per desiderio di -piacere trascurano il vero scopo di loro missione, quello di render -migliori gli uomini». - -Contro i siffatti avea tonato l’Alighieri, dicendo: - - Ora si va con motti e con iscede - A predicare; e pur che ben si rida, - Gonfia il cappuccio, e più non si richiede. - -I quali versi commentando, Benvenuto da Imola adduce alquante -scempiaggini di un Andrea vescovo di Firenze che mostrava in pulpito -un granello di seme di rapa, poi se ne traeva di sotto la tunica una -grossissima, e diceva: — Ecco quanto è mirabile la potenza di Dio, che -da sì piccol seme trae sì gran frutto». Poi: _O domini et dominæ, sit -vobis raccomandata monna Tessa cognata mea, quæ vadit Romam; nam in -veritate, si fuit per tempus ullum satis vaga et placibilis, nunc est -bene emendata: ideo vadit ad indulgentiam_[68]. - -Que’ modi erano certo men dignitosi, però più efficaci che non le -esanimi generalità, le perifrasi schizzinose, e i consigli senza -coraggio dei tempi d’oro. Ma se a persone semplici e credenti servivano -d’edificazione, tornavano a scandalo dacchè vi si applicassero la -critica e la negazione; e i predicatori usandone esageratamente, -davano appiglio ad accuse, alla lor volta esagerate. Il fervore, non -sempre disinteressato per certe devozioni nuove, come il rosario de’ -Domenicani e lo scapolare de’ Carmeliti, faceva proclamarle quale -rimedio sufficiente a tutti i peccati, i quali perdevano l’orrore -quando annunziavasi così facile il redimerli, e ne veniva presunzione a -chi le osservasse, e confidenza d’una buona morte dopo vita ribalda. - -Giacomo, arcivescovo di Téramo poi di Firenze, scrisse varie opere, -tra cui è rinomata una specie di romanzo col titolo _Consolatio -peccatorum_ o _Belial_: suppone che i demonj, indispettiti del trionfo -di Cristo sopra Lucifero, eleggano procuratore Belial per chiedere -giustizia a Dio contro le usurpazioni di Cristo; Dio commette la -decisione a Salomone; e Cristo citato, manda per rappresentante -Mosè, il quale adduce a testimonj giurati Abramo, Isacco, Giacobbe, -Davide, Virgilio, Ippocrate, Aristotele, il Battista. Belial li scarta -tutti, eccetto l’ultimo, sostiene la sua causa con finezza diabolica; -pure ha decisione contraria. Si appella, e Dio demanda la causa a -Giuseppe, se non che Belial preferisce scegliere degli arbitri; e sono -Aristotele ed Isaia per Mosè, per Belial Augusto e Geremia. I passi -più venerabili sono stiracchiati beffardamente; e dopo tutti i garbugli -della giurisprudenza, ove Belial imbarazza sovente Mosè men versato ne’ -cavilli, gli arbitri danno di quelle vaghe decisioni, che lasciano ad -ambe le parti captare trionfo. - -Così la credulità univasi alla miscredenza per dare fomite alla -corruttela, tanto più pericolosa, in quanto che «il maggior padre ad -altra opera intendeva» (PETRARCA). Gregorio XI aveva autorizzati i -cardinali ad eleggergli il successore a semplice pluralità di voci, -senza aspettare i fratelli assenti, per abbreviare al possibile la -vacanza: e poichè di sedici radunati quattro soli erano italiani, -il popolo di Roma, timoroso che l’eletto non tornasse ad Avignone, -circondò il conclave d’armi schiamazzando — Lo volemo romano», -toccando le campane a martello, e minacciando entrarvi di forza. Dopo -tempestosissima discussione, questi, per ripiego e con riserve tacite -o espresse d’una più libera elezione, diedero i voti (1378 9 aprile) -a Bartolomeo Prignano di Napoli, arcivescovo di Bari; ma temendo che -il popolo lo disgradisse perchè non romano, fu gridato dal terrazzo -andassero a San Pietro e saprebbero chi era l’eletto. Il popolo intese -che l’eletto fosse il cardinale di San Pietro, vecchione di casa -Tebaldeschi; onde si cominciò a gridargli Viva e saccheggiarne il -palazzo secondo l’usanza, e adorar lui, che invano ingegnavasi a far -comprendere il vero. Di questo scompiglio s’avvantaggiarono gli altri -cardinali per fuggire nelle varie fortezze e ne’ feudi; l’arcivescovo -di Firenze presentò il Prignano ai pochi rimasti, con un sermone sul -testo _Talis debebat esse, ut esset nobis pontifex impollutus;_ e -questi sul testo _Timor et tremor venerunt super me, et contexerunt me -tenebræ_, cominciò a dissertare sulla dignità del posto e l’indegnità -propria, finchè l’arcivescovo gli fece intendere si trattava ora solo -di dichiarare se accettasse o no; ed egli disse di sì, e prese il nome -di Urbano VI. - -Uomo di dottrina e coscienza, ma severo, melanconico, colleroso, -immoderato, avventatosi a riformare di colpo, vietò ai prelati d’usare -a tavola più d’una pietanza, com’egli stesso ne dava l’esempio; -minacciò non solo ai simoniaci, ma a chiunque di essi accettasse doni; -proponeasi, con creare cardinali nuovi, togliere la prevalenza che da -un secolo avevano i francesi; e ne’ concistori secreti li rabbuffava -indiscretamente, ad uno dava sin dello sciocco, a un altro ch’era -bugiardo come un calabrese. Queste sconvenienze, e il vedere ch’ei -voleva fermamente tenerli a Roma, indisposero i cardinali; e la più -parte separatisi da lui, protestarono l’elezione non essersi fatta -liberamente, ma sotto la costrizione di un popolo tumultuante; e -raccomandando la loro vita alla tutela di Bernardo di Sala, capo degli -avventurieri guaschi e bretoni che aveano fatto sì rovinoso governo -di Cesena, dichiarano non avere operato che per paura della morte; -Urbano essere intruso, apostato e anticristo; e a Fondi eleggono papa -(21 7bre) quel Roberto di Ginevra che come legato pontifizio avea data -a ruba e strazio la Romagna, e che si chiamò Clemente VII. Urbano fu -accettato in Italia, Germania, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Polonia -e nel settentrione de’ Paesi Bassi; Clemente dalla regina di Napoli, da -Francia, Scozia, Savoja, Portogallo, Lorena, Castiglia; gli altri paesi -esitavano. - -Urbano bandì contro del competitore una crociata colle indulgenze -concesse a quelle contro gl’infedeli: ma la compagnia de’ Bretoni, -soldata da Clemente, si difilò sopra Roma, e fece macello de’ cittadini -che sortirono per respingerla, ma non osò penetrare in città. Allora -i Romani diedero addosso a quanti Francesi cherici o laici colsero -in città; mentre gli Orsini e Francesco di Vico devoti a Clemente -devastavano i contorni, e Pietro Rostaing dal Castel Sant’Angelo -bombardava gli edifizj: una volta (1379) Silvestro di Buda, capitano -de’ Bretoni, sorprende i nobili adunati in Campidoglio e trucida sette -banderesi, ducento ricchi, innumerevole popolo, poi di nuovo lascia la -città. - -Urbano solda Giovanni Acuto e Alberico da Barbiano, che secondato dai -cittadini, sorte addosso ai nemici, e sconfittili e fatti prigioni i -due capi, mena trionfo[69]; Castel Sant’Angelo si rende, e il papa -a piè scalzi, seguito da tutta la popolazione, torna in Vaticano. -Clemente allora ricovera a Napoli, ben accolto dai re; ma il popolo a -tumulto lo respinge, sicchè fugge in Provenza, e postosi ad Avignone, -moltiplica i cardinali, largheggia di aspettative, e sì poco contava -sullo Stato pontifizio, che volle almeno punire i Romani e deprimere -i feudatarj col costituirlo in _regno d’Adria_ a favore di Luigi -I d’Angiò, al quale, per averlo partigiano, prodiga esorbitanti -concessioni: tutta la decima in Francia, nel regno di Napoli, in -Austria, in Portogallo, in Iscozia; metà delle entrate di Castiglia -e d’Aragona, le spoglie de’ prelati che muojono, ogni censo biennale, -ogni emolumento della camera apostolica; il papa obbligherà a prestiti -gli ecclesiastici, darà in ipoteca Avignone, il contado Venesino -ed altre terre della Chiesa; inoltre gli assegna per feudi Ancona e -Benevento, e tutto giura sulla croce. Tale spreco facea dei beni di San -Pietro nella fiducia d’esser liberato dall’antagonista; mentre Urbano, -pien di sospetti, reggevasi con rigiri e sangue e torture, senza -riguardo a dignità o danni de’ prelati e cardinali. - -Accannito alla regina Giovanna I, contro di lei come signore sovrano -del Reame e come scismatica sollecitò Luigi d’Ungheria, che affidò a -Carlo di Durazzo l’incarico di punirla. Urbano spogliò chiese e altari -per raccogliere ottantamila fiorini, che diede a Carlo, il quale in -ricambio promise riconoscere il regno dal papa, e appena coronatone -cedere il ducato di Durazzo a Francesco Batillo nipote di esso, e i -principati di Capua e d’Amalfi. Vedemmo come la spedizione riuscisse: -ma Carlo non pensava mantenere la parola, onde venne in piena rotta col -papa, il quale assediato in Nocera, sparnazzava scomuniche scandalose e -scandalosi decreti. I prelati sue creature s’erano concertati sul modo -di terminare le stravaganze d’un pontefice che prolungava una guerra -senza ragione, e farlo il mal arrivato; ma scopertili, Urbano non -gliela soffrì impunita (1386), e messi in ceppi l’arcivescovo d’Aquila -e sei cardinali, li trasse seco quando potè fuggire da Nocera; perchè -il primo non potea cavalcare a paro cogli altri, il fece uccidere e -abbandonare insepolto; giunto a Genova, e dicendosi circonvenuto da -cospirazioni, malgrado le istanze del doge, fece buttar nel mare i -cardinali, salvo un inglese reclamato dal suo re. - -Qui comincia doppia serie di papi paralleli; ma qual era il vero? -Personaggi di senno e santità grande parteggiarono per l’uno e per -l’altro; prove in favore addussero questi e quelli, per modo che può -mettersi fuor di quistione la buona fede d’entrambi i partiti. La -Chiesa finora non ha proferito, benchè i nostri abbiano generalmente -considerato per antipapi quei che sedettero oltremonte, e il nome -d’alcuno di questi sia stato assunto da qualche papa successivo[70]. - -Per mezzo secolo fu partita la cristianità in due campi ostili, -e tra pontefici che rimbalzavansi calunnie e taccia d’intruso e -d’eretico. Come le nazioni, così erano divisi i cittadini, gli -scolari d’un’Università, i monaci d’un convento; ogni giorno dispute, -collisioni fin al sangue; due vescovi eletti dall’uno o dall’altro -pontefice si contendevano la medesima sede, aborrivansi le messe degli -uni o degli altri. I papi, per conservarsi partigiani, erano costretti -a rassegnarsi a minaccia, a importunità, a dissimulare e simulare, -intrigare, congiurare, promettere, concedere, guadagnar tempo, fingendo -di desiderare una riconciliazione, di cui aveano in mano il mezzo. Le -piaghe del papato, come il cadavere di Cesare, furono esposte agli -occhi di tutti, invelenite dalla collera de’ nemici non meno che -dai ripicchi dei pontefici rivali. La santa Sede, scapitando nella -venerazione, lasciava baldanza a’ principi di sminuirne l’autorità, -ai dotti di chiamarla a severo e passionato esame: le satire contro -di essa, che prima erano esercizio letterario, inteso, applaudito -e dimenticato, acquistavano peso quando uscivano dalla bocca de’ -pontefici stessi, e portavano ad immediata applicazione; indubbio -entrava ne’ cuori più sinceri, l’indifferenza ne’ più generosi, la -disperazione ne’ più robusti: la beffa trovava di che esercitarsi sulle -cose sacre. - -Urbano VI non depose mai il desiderio di restare arbitro del regno -di Napoli, escludendo e Ladislao e Luigi d’Angiò per mettere in -istato quel suo nipote che passava dal carcere alla reggia; intanto -scomunicava di qua di là, e mandava bande a devastare. Fra sì -deplorabili imprese, minacciato fin della vita dai Romani, miseramente -morì (1389 18 8bre), e i quattordici cardinali della sua obbedienza -elessero Pietro Tomacelli col nome di Bonifazio IX (5 9bre). Buon -parlatore, buon grammatico, non sapea scrivere, nè cantare, nè i -costumi della corte romana: onde non capiva di che si trattasse, -sentenziava senza conoscenza, e palesava avidità. Sospendendo la -folle guerra del suo predecessore, ricevette in grazia Ladislao, e -avventò scomuniche ai fautori di Luigi d’Angiò, che scendeva favorito -dall’altro papa. - -A viva forza dovette occupar Roma e gli altri possedimenti -ecclesiastici, straziati dalle fazioni e dalle bande, e colla violenza -e i supplizj vi si sostenne. Urbano, accorciando l’intervallo del -giubileo, lo bandì pel 1390, ma non v’accorsero che i popoli ubbidienti -a Bonifazio, il quale mandò ne’ varj paesi a concedere l’indulgenza a -chi pagasse tanto, quanto gli sarebbe costato il viaggio a Roma[71]. -I collettori trassero insieme ingenti somme, ma Bonifazio sospettò -alcuni d’averne distratte e li punì, altri furono trucidati dal popolo, -altri s’uccisero da sè. Sotto quel manto vi fu chi andò trafficando -di assoluzioni e dispense, non badando a pentimento o a riparazione o -ad abjura; gli abusi fecero fremere i pii, e la prodigalità del papa -stesso in fatto d’indulgenze recò non lieve scredito a quel tesoro di -grazie, di cui faceasi mercimonio; mentre la concessione di giubilei -a chiese parziali scemava l’aurifero concorso de’ pellegrini a Roma, -svogliati anche dalle bande di Bernardo di Sala, che professavasi -fedele a papa Clemente per ispogliare i dissenzienti. - -I Colonna tramarono per togliere al papa la signoria temporale di -Roma, invasero la città, ma non furono secondati: trentuno de’ loro -masnadieri finirono sul patibolo; Bonifazio avventò contro i Colonna -una lunga bolla, dove ne enumera i delitti fin dal tempo di Bonifazio -VIII. Anche i Gaetani di Fondi circondavano con bande la città, -spogliando i pellegrini che andavano al nuovo giubileo del 1400. E -il papa facea denaro con concedere grazie, aspettative, cumuli di -benefizj; poi ad un tratto le abolì tutte, ma per aver pretesto a nuove -concessioni con guadagno nuovo. - -A vicenda i cardinali di Clemente VII a questo diedero successore -Pier di Luna aragonese (1394 28 7bre), detto Benedetto XIII, uomo -d’astuta ambizione, ed egli, come l’altro, per procacciarsi partigiani -scialacquava privilegi, conniveva a traviamenti e usurpazioni, -spogliava il basso clero, sicchè i curati erano fin ridotti a -mendicare, mentre l’alto riservavasi le migliori grazie e le commende e -i benefizj, dandoli in appalto a persone dappoco. - -La Chiesa talmente scaduta, sentivasi impotente a ricomporsi da se -stessa; e principi, università, giureconsulti, teologi disputavano -sui mezzi di ripristinarne l’unità. Il più ovvio sarebbe stato un -concilio generale: ma poichè il convocarlo riguardavasi da secoli come -attribuzione del papa, a qual dei due spettava? Si dovette ripiegare -con sinodi particolari; il re di Francia ne raccolse due, per cui -decisione egli mandò a tenere assediato più di quattro anni nel palazzo -d’Avignone Benedetto XII, sinchè non fosse ripristinata l’unione: -ma questi trovò modo a fuggire (1403), e per la persecuzione crebbe -di partigiani, ed ebbe dalla sua non solo il pio Vincenzo Ferreri, -ma i due lumi dell’Università parigina, l’eloquente Clemengis ed il -cancelliere Pietro d’Ailly. - -Morto Bonifazio IX (1404 1 8bre), il popolo di Roma, diretto dai -Colonna e dai Savelli, gridò _Viva la libertà;_ e il conclave di non -più che nove cardinali elesse Innocenzo VII, già Cosma Meliorati, -valente canonista, abile agli affari, intemerato di costumi. Dovette -conquistare la propria residenza ajutato da re Ladislao, ma con -una capitolazione per cui lasciava a custodia del popolo tutti i -ponti e le porte; il senatore sarebbe eletto dal papa ma sovra una -tripla offerta dal popolo; i dieci della Camera amministrerebbero le -rendite, eccettuato il quartiere del Vaticano. Però ogni giorno nuove -pretensioni metteva innanzi il popolo, subillato dai Colonna e dai -reggenti Ghibellini, tanto che Innocenzo proruppe: — V’ho concesso -tutto; volete che vi dia anche la mia cappa?» E in fatto i tumulti -raffittirono, i cardinali dovettero mettersi sotto la protezione -d’un capitano di ventura Muscardo, fu trucidato un messo del papa, si -combatteva accannito; ed essendo il papa fuggito a Viterbo, Ladislao ne -profitta per impadronirsi di Roma. - -Il papa fra breve morì (1406 6 9bre), e il veneziano Angelo Correr, -detto Gregorio XII, anch’esso giurò prima (30 9bre), professò poi -essere disposto ad abdicare tosto che il facesse anche Benedetto XIII: -ma com’ebbe assaggiato il comando, se ne inebbriò; alla conferenza -stabilita in Savona non comparve; e Benedetto, che era venuto fin a -Genova, parve star dal canto della ragione. - -Tredici cardinali si raccolsero a Livorno per industriarsi all’unione, -protestando non riconoscere nessuno dei due competitori; e assumendo a -dirigere gl’interessi temporali e spirituali della Chiesa, convocarono -un concilio a Pisa (1409 25 marzo), intimando a ciascun papa venisse -ad abdicare, se no procederebbero contro di esso. Ma se consentivasi -al concilio l’autorità di deporre il pontefice, non era mutata in -repubblicana la costituzione della Chiesa, da secoli monarchica? e a -tale cambiamento erano acconci tempi di tanto scompiglio? - -Ladislao di Napoli temeva un papa che potesse abolire l’indegna -cessione dello Stato, a lui fatta da Gregorio XII, onde s’oppose al -concilio di Pisa; i due papi non vi ascoltarono; Gregorio dichiarò -apostati e blasfemi que’ cardinali, e intimò il sinodo a Udine; -Benedetto l’aprì in Perpignano sua stanza; e così, oltre i due papi, -v’ebbe tre concilj. Pensate quanto ne restasse dal fondo sovvertita la -società! Morendo un vescovo, ciascun papa vuol dargli un successore, -onde scismi diocesani; pretendono potere stronizzare i re, onde un -nuovo fomite alla guerra intestina; e Napoli resta disputata fra -Luigi d’Angiò e Carlo d’Ungheria, la Castiglia fra il duca di Leon -e quello di Lancaster, l’Ungheria fra Carlo della Pace e Maria; il -debole imperatore Venceslao lasciava cascarsi di mano le redini della -Germania; l’Inghilterra straziava le proprie viscere fra le inimicizie -delle case di Lancaster e di York; la Francia durava nella guerra -centenne contro l’Inghilterra; nè voce risonava valevole ad imporre -la pace. Intanto che nel mondo cristiano cessava l’unità che n’è -l’essenza, Bajazet II granturco non solo stringeva Costantinopoli, ma -aveva invaso l’Ungheria e la Polonia; e nuovi barbari, i Tartari sotto -il terribile Tamerlano minacciavano all’Europa le devastazioni che -aveano recate all’Asia. - -Gli animi, sgomentati fin alla disperazione, si volgeano a Dio, da -lui solo aspettando il termine a tanti guaj. Già nel 1260 vedemmo i -Flagellanti diffondersi per Italia. Nel 1334 frà Venturino da Bergamo, -«uomo di trentacinque anni, di piccola nazione e di non profonda -scienza, ma tanto efficace e ardente ne’ suoi ragionamenti, che -traendosi dietro più di diecimila Lombardi, la miglior parte nobili, -non era luogo ove arrivasse che non fosse ricevuto a guisa d’uomo -divino, e con tanto concorso di limosine, che per quindici dì che si -fermò a Firenze, non fu quasi momento di tempo che in sulla piazza di -Santa Maria Novella non si vedessono grandissime tavole apparecchiate -ove mangiavano quattrocento o cinquecento uomini per volta» (AMMIRATO), -andò ai perdoni di Roma co’ suoi, che portavano gonnella bianca -fin a mezza gamba, di sopra un tabarrello perso fin al ginocchio, -calze bianche, e stivali di corame fin a mezza gamba, in petto una -palomba bianca coll’ulivo in bocca, nella man ritta il bordone, nella -manca il rosario[72], e con non mai stanchevoli voci gridando pace -e misericordia. Cresciuto forse a trentamila seguaci, e come profeta -parlando de’ mali futuri, passò anche alla corte d’Avignone sperando -grandi indulgenze; ma al papa sembrò scorgervi ambizione o leggerezza, -e frà Venturino fu messo al tormento e in carcere: donde poi mosse -colla crociata, e morì a Smirne. - -Quella devozione andarina rinfervorò nel 1399, avendola la Madonna -indicata in Irlanda ad un villano, come il miglior preservativo da -pesti e guerre: onde in veste bianca, coperti di cappucci in modo -che non distinguevansi donne da uomini se non per una croce rossa, -si posero in via tre a tre, ognuno confessato, chiesto perdono agli -offesi, perdonato agli offensori, restituito il maltolto. Così giravano -per nove giorni almen tre chiese al giorno, e venendo in un paese, -intonavano orazioni e lo _Stabat mater_, poi tre _Miserere_ entrando -in chiesa. Per quella novena faceano vita quaresimale, non dormendo in -letto, non isvestendosi, molti andavano scalzi; finivano col mandare -alle prossime città, invitandole per parte di Maria Vergine ad assumere -la stessa devozione. - -D’Irlanda varcarono in Inghilterra, in Francia, poi in Piemonte, -e da una parte piegarono alla Lombardia, dall’altra in numero di -cinquemila a Genova. I cittadini di questa s’avvolsero in lenzuoli, -e il vecchio loro arcivescovo Del Fiesco a cavallo li condusse -processionalmente, con dietro a coppia tutti gli abitanti, a visitar -le chiese, i cimiteri, le reliquie della città e del contorno, e per -nove giorni stettero chiuse le botteghe, sospesi gli affari, tutto -émpito di timor di Dio. I più robusti o devoti scesero per la riviera -di Levante, eccitando a fare altrettanto: da Lucca tremila cittadini, -malgrado i divieti, uscirono ver Pescia, indi a Pistoja, donde -quattromila li seguirono, e così i Pratesi e i Pisani, finchè giunsero -a Firenze. Quivi quarantamila cittadini visitavano le chiese, preceduti -dall’arcivescovo; toglievano di quello ch’era lor dato, e il soverchio -distribuivano ai poveri; non cercavano essere adagiati in case o -spedali, ma giacevano alla nuda aria; molti imprigionati per debiti -furono prosciolti. Il vescovo di Fiesole sin ventimila se ne trasse -dietro, per tutto facendo paci e concordie, restituzioni, prediche, -miracoli[73]. A Milano «venne grandissimo numero d’uomini, donne, -donzelle, garzoni, piccoli e grandi e d’ogni qualità, tutti scalzi, da -capo a piedi coperti di lenzuoli bianchi, che a fatica mostravano la -fronte; poi dietro a questi vi si adunarono tutti i popoli delle città -e ville, dalle quali uscendo, per otto giorni continui visitavano tre -chiese di villa, e spesse volte ad una di quelle faceano celebrare una -messa in canto; per tutte le vie in croce che trovavano, si gettavano a -terra gridando misericordia tre volte, e poi cantavano _Pater_ e _Ave_, -e altri cantici composti da san Bernardo, o litanie o altre orazioni. -Il popolo di ciascuna città o altro luogo, come veniva a quelle si -separava, ed entrando dentro denunziava agli altri rimanenti che -volessero pigliare il medesimo abito; di sorta che alcuna volta erano -mille, alcuna millecinquecento. Si celebrarono infinite concordie e -limosine, e molti si condussero a vera penitenza» (CORIO). - -In Padova per quei giorni non fu commessa disonestà nè rissa; e le -processioni duravano dall’aurora fino alle due dopo nona, e se ne -contarono tremilaseicento; poi radunati nel prato della Valle, diedero -di sè meraviglioso spettacolo[74]. Da Bobbio altri si difilarono -su Piacenza, e con loro tutti i valligiani della Trebbia, sicchè vi -giunsero in più di settemila; poi a Firenzuola, a Borgo Sandonnino, a -Parma, dove arrivarono con quaranta carri di donne, bambini, malati; -di qui settemila partirono dietro al vescovo e ai gonfaloni delle -confraternite. I Veneziani li respinsero, ma il duca d’Este gli ebbe -accetti, e da Ferrara li menò a Belfiore. Il pontefice vi conobbe -scandali e sozzure, dubitò fino che il loro capo pensasse farsi papa, -onde li mandò a processo e al rogo. - -Allora si moltiplicarono pertutto le confraternite, che con le -foggie visitavano le chiese e accompagnavano il viatico; e furono -principalmente diffuse dai santi Bernardino da Siena e Vincenzo -Ferreri, il quale anche andava predicando il finimondo. Molti, presso -al morire, faceansi porre le divise d’esse società, donde la devozione -venne estesa fra i secolari. Tale incondita pietà diffuse anche la -peste, che strage menò per Italia, e che funestò il giubileo. - -Tutti inadeguati ripari agli scandali che sbranavano la Chiesa; -poichè le riforme non venivano di là donde solo avrebbero potuto -efficacemente. Null’ostante l’opposizione di re Ladislao, al concilio -di Pisa comparvero ventiquattro cardinali, quattro patriarchi, ventisei -arcivescovi, ottanta vescovi in persona, centodue per rappresentanti, -ottantasei abati in persona, ducentodue per procuratori, quarantun -priori, gli ambasciatori dei re, i deputati di oltre cento metropoli -e cattedrali, delle Università di Parigi, Tolosa, Orléans, Angers, -Montpellier, Bologna, Firenze, Vienna, Praga, Colonia, Oxford, -Cambridge, Cracovia, trecento dottori di teologia e diritto canonico. - -Non essendosi presentati i due papi Gregorio e Benedetto, il concilio -si dichiarò ecumenico, e perciò giudice supremo di essi, e dopo -parecchi tentativi di conciliazione, levata loro l’obbedienza come -contumaci, li proferì scaduti e vacante il papato (1409 5 giugno); e -radunato il conclave sotto la guardia del granmaestro de’ Giovanniti, -sostituì Pietro Filargo (1409 26 giugno). Nato non si sa dove nè da -chi, mendicava a Candia quando fu raccolto da un frate Minore, e per -sapere ed abilità salì nel favore di Gian Galeazzo, che l’ebbe tra’ -suoi consiglieri, poi vescovo di Vicenza, di Novara, indi arcivescovo -di Milano e cardinale, infine papa (7 agosto) col nome d’Alessandro -V, e chiuse il concilio. Teologo e predicatore, ma non leggista e -canonista, male intendeva gli affari e cercava scaricarsene; per bontà -cieca largheggiava benefizj e grazie abusive e stemperanti, non sapendo -misurare la liberalità ai mezzi; e quando più nulla gli rimaneva, dava -promesse: onde diceva: — Come vescovo fui ricco, povero come cardinale, -pitocco come papa». - -Lasciavasi raggirare a senno da Baldassarre Cossa napoletano, che in -gioventù corse il mare come armatore; anche nel chericato conservò -abitudini secolaresche, abilissimo negli affari, vigoroso di carattere, -risoluto di sentenze. Ornato della porpora, fu spedito legato a -Bologna, la quale ricuperò alla santa Sede, e anche Faenza e Forlì, -che egli si tenne come signoria indipendente; e morto Alessandro dopo -soli dieci mesi di regno (1410 17 maggio), gli succedette col nome di -Giovanni XXIII. Costui, come avviene in tempi di partiti, fu accusato -delle colpe non solo più gravi, ma più brutali; a cui basterebbe -opporre il favore datogli dai Fiorentini, da Luigi d’Angiò, dal -conclave stesso, che troppo aveva interesse a fare una scelta prudente; -comunque siasi detto che egli ne acquistò i voti coll’artifizio e colla -forza militare che spiegò in Bologna. - -Essendo allora stata ritolta Roma a Ladislao, il papa vi fece l’entrata -solennemente sotto la protezione dell’Angioino: ma bentosto Ladislao -torna vincitore; Bologna caccia i rappresentanti del pontefice, e -si dà al marchese di Ferrara. Ladislao però riconobbe il nuovo papa -ordinando a Gregorio di uscire da’ suoi Stati, e finse rassegnarsi -ai patti ch’egli stesso aveva imposti a Giovanni. Il concilio che -erasi promesso, fu raccolto (1415) a Roma; ma se vi s’introduceano -le questioni più urgenti, il cardinale Zabarella levavasi, con -eloquenti ambagi sviando dal proposito: poi fu prorogato col pretesto -della rinnovata nimistà di Ladislao, a cui il papa a fatica sfuggì, -ricoverando in Firenze, che di malavoglia lo accolse. - -L’impero vacillava tra l’inetto Venceslao deposto e il mal eletto -Roberto palatino, morto il quale, gli furono dati due successori; -tanto pareva che ogni cosa dovesse scompigliarsi collo scompiglio del -papato. Alfine prevalse Sigismondo (1411), che, come re d’Ungheria, -s’era mostrato crudele e perfido, ma insieme valoroso, oprante, -indomito. Glorioso di allori côlti sopra i Turchi, si fisse in animo di -ricondurre ad unità la Chiesa; corse Francia, Polonia, Spagna, Italia; -e mentre il papa gli chiedeva soccorsi, esso lo stimolò a designare -il luogo d’un nuovo concilio. Per quanto Giovanni lo disgradisse, -dovette spedire legati a ciò, i quali indicarono Costanza, città -imperiale sulla riva occidentale del bel lago che divide la Svevia -dalla Svizzera, poco lungi dal luogo donde n’esce il Reno, e dove già -i Lombardi aveano patteggiato la loro libertà. Giovanni non sapea -darsi pace che l’adunanza di tutta cristianità si tenesse in luogo -dove gli oltramontani sarebbero più numerosi e indipendenti, ed ostili -alla sua autorità: si mosse in persona onde dissuadere Sigismondo; a -Lodi durarono lungamente in congresso, circondati da prelati l’uno, -da consiglieri l’altro; ma Sigismondo stette fermo, e il concilio fu -aperto (1414 5 9bre). - -Le ingiurie ricambiatesi dai papi e dai cardinali aveano scossa -un’autorità che si fonda sulla virtù e sull’opinione. Se gl’Italiani -favorivano alla santa Sede pel vantaggio che ne traeva il loro paese, -eransene raffreddati dacchè quella vagava in esiglio; e gli stranieri -cominciavano a trovare oneroso questo migrare di tanto loro denaro -ad un’altra gente. La contesa coi frati Minori aveva mal volta alla -santa Sede la milizia sua più devota; e al vedere condannate persone -pie, cui sola colpa dicevasi la povertà, si richiamavano le dottrine -d’Arnaldo da Brescia contro i possessi ecclesiastici e la corruttela -derivatane. Nell’intento di riuscir superiore, ciascun partito era -ricorso a spedienti troppo dissonanti da quelli dell’apostolato: -Bonifazio IX aveva lasciato trafficare delle indulgenze e del suffragio -ai morti, pretendeva le annate dei vescovi eletti, a denaro dispensava -la pluralità di benefizj; Giovanni XXIII ebbe accusa di aver cavato oro -dalle medesime miniere, e moltiplicatolo colle usure. Dal disordine -esterno passatasi a criticare l’intima verità della Chiesa: si -spargeano libri e sermoni critici, anche in lingua vulgare[75]; i roghi -non bastavano a reprimere gli eretici in Francia. I Valdesi faceansi -più arditi, e Gregorio XI movea lamento perchè dalle valli subalpine si -propagassero, e discesi in Piemonte avessero trucidato un inquisitore a -Bricherasio, uno a Susa[76]. - -Bartolino da Piacenza verso il 1385 pubblicò alquante tesi legali -sul modo di trattare il papa qualora apparisse negligente, inetto a -governare, o capriccioso a ricusare il consiglio dei cardinali (com’era -il caso di Urbano VI); e conchiudeva potere questi mettergli de’ -curatori, al cui parere fosse obbligato attenersi negli affari della -Chiesa. I Francesi colla prammatica sanzione di Bourges restrinsero -i diritti papali. In Inghilterra Giovanni Wiclef aveva impugnato -le indulgenze, la transustanziazione, la confessione auricolare, -domandato la secolarizzazione degli Ordini regolari e la povertà del -clero. Girolamo di Praga dall’Università di Oxford ne portò i libri in -Boemia, dove ebbero effetti più gravi, perocchè Giovanni Huss, che qui -già aveva alzato la voce contro la depravazione del clero, vi attinse -argomenti teologici e ardire a palesarsi. Essendo venuti alcuni monaci -a spacciare indulgenze, e avendo l’imperatore proibito il sacrilego -traffico, pigliò baldanza a declamare, in prima contro l’abuso, poi -contro le indulgenze medesime. Il popolo ascoltava volentieri; gli -studenti boemi se ne infervoravano; le quistioni religiose prendevano -colore politico d’aborrimento ai Tedeschi e d’aspirazioni repubblicane. -Dappertutto lo sparlare dei papi era considerato segno d’educazione -non vulgare, di ragione più elevata, di dispetto contro i governi, -di scontento generico; declamazioni di piazza, frizzi di scuola -fra la gioventù inesperta seminavano un vago desiderio di sottrarsi -all’autorità; sebbene, per quanto e le accuse si esagerassero e gli -errori si estendessero, non si pensasse ancora che la Chiesa si dovesse -distruggere anzichè riformare. - -Quanto erano più ulcerate le piaghe, tanto più speravasi nel concilio, -che inoltre rannoderebbe in pace i principi cristiani per respingere la -sempre crescente minaccia degli Ottomani. - -L’imperatore, assai principi, signori e conti assistettero -all’assemblea, ed è scritto vi si numerassero fin cencinquantamila -forestieri con trentamila cavalli; fra quelli, diciottomila -ecclesiastici e ducento dottori dell’Università di Parigi. Coi -fastosissimi cardinali faceano gara di lusso i tanti avveniticci, -giunti dagli estremi d’Europa, distinguendosi per abiti varj, armadure, -corteo pomposo. Vi accorrevano a spettacolo, a sollazzo, trovandovisi -trecenquarantasei commedianti e giullari, settecento cortigiane, e -tornei e sfide[77]; sicchè i gaudenti andavano in delizie, mentre -i pii pregavano, i dotti accingeansi a duelli dialettici, dai quali -apparirebbe l’odierno loro elevarsi allato ai grandi. - -Ma un’assemblea di tanto momento, sin dal principio reluttò ai modi -sagaci, con cui gl’Italiani e il papa tentavano dominarla. La Chiesa -nella sua universalità non distingue popoli, e valuta ciascun uomo pel -proprio valore; sicchè all’indole sua ripugnava il votare per nazioni, -come si pretese, dividendo il concilio in camera tedesca, italiana, -francese, inglese, spagnuola, le quali deliberassero distintamente -affine di elidere la superiorità degl’Italiani. Giovanni XXIII, come -presente, provveduto di gran denaro, e assistito dalle compre armi -di Federico d’Austria, sperava far considerare il concilio come una -continuazione di quello di Pisa, che avendo riconosciuto Alessandro -V, considerava lui come solo papa legittimo: inoltre voleva si -cominciasse dagli articoli di fede, poichè richiederebbero lunghe -dispute, e i prelati nella piccola città s’annojerebbero. Ma questi -pretesero che abdicassero e lui e Benedetto XIII che sostenevasi in -Ispagna, e Gregorio XII che aveva favore in Germania. Giovanni nella -seconda tornata protestò di farlo volontariamente se lo imitassero gli -altri due, anzi rinunziare ad ogni modo se con ciò potesse terminarsi -lo scisma; sicchè il giubilo e gli applausi andarono al colmo, e -l’imperatore gli si buttò ai piedi baciandoli. Ma poi pentito e -sbigottito fuggì; e allora i mirallegro si risolvono in costernazione, -Gregorio viene sospeso, e proclamato (1415) che il concilio trae -immediatamente da Cristo i suoi poteri, e ognuno, compreso il papa, -è tenuto obbedirgli in quanto concerne la fede, lo scisma, e la -riformazione generale della Chiesa nel capo e nelle membra. Gl’Italiani -protestarono invano. Giovanni, citato a giustificarsi delle più enormi -e scandalose imputazioni[78], dichiarossene colpevole, sottomettersi -a discrezione al concilio, pur beato se con ciò potesse render pace -alla Chiesa: e quello il destituì (29 maggio) come avesse disonorato -il popolo cristiano, ne spezzò il suggello e gli stemmi, gli tolse le -insegne pontifizie e la croce, e lo tenne in cortese prigionia[79]. - -Anche Gregorio, per mezzo di Carlo Malatesta signore di Rimini, a cui -protezione si era posto, mandò la rinunzia (4 luglio), riducendosi -cardinale di Porto. Solo Benedetto ostinavasi, scomunicando chi non -era con lui, e dichiarava «nel diluvio universale la sola arca della -Chiesa essere Paniscola dov’egli sedeva»: alfine, abbandonato anche -dalla Chiesa spagnuola per opera principalmente di Vincenzo Ferreri, -fu destituito (1417 26 luglio), terminando uno scisma che fu la -maggior prova a cui la Chiesa si trovasse esposta. Tante passioni, -tanti errori, eppure fu ancora alla Chiesa una che la cristianità -si ricoverò, e sotto il manto del ponteficato, di cui non erasi mai -impugnata l’autorità e l’unità, comunque restasse incerto chi ne era il -depositario, disputandosi del possesso e dell’esercizio dell’autorità, -non dell’autorità stessa. - -Sbalzatine gl’indegni occupatori, bisognava surrogare un degno sul -trono di san Pietro. Sigismondo voleva che prima si riformasse la -Chiesa; gl’italiani incalzarono per la pronta nomina del papa Ottone -Colonna (11 9bre), il quale si volle chiamato Martino V. Sigismondo -aveva preveduto giusto; poichè Martino trovò modo di rinviare d’oggi -in domani le chieste riforme, logorando il tempo in divisamenti o -in concessioni secondarie, protestando contro gli appelli del papa -al concilio, riconfermando molti abusi; finchè dichiarò sciolto il -concilio (1418 22 aprile), e andossene a Roma. - -I padri, vedendosi dal popolo sprezzati per le contese e i baccani -a cui prorompeano[80], e presi in sospetto come staccatisi dal -papa, vollero ostentare zelo della fede col perseguitare l’eresia, e -condannarono Giovanni Huss e Girolamo da Praga, i quali, malgrado il -salvacondotto imperiale[81], furono dati al braccio secolare e mandati -al rogo. Tristo rimedio la violenza; e ne pagò le pene Sigismondo, o -piuttosto i popoli espianti le colpe dei re: giacchè la Boemia divampò -d’un incendio, a spegnere il quale vi vollero torrenti di sangue. - -Per compiere le riforme. Martino V indicò un nuovo concilio prima -a Pavia, poi a Siena, infine a Basilea; ma apertolo appena, morì -(1431). Nell’elezione di Eugenio IV (Gabriele Condulmier veneziano) i -conclavisti prefissero una specie di costituzione, che in alcuni punti -concerneva anche il governo civile. L’omaggio che il papa ricevea dai -feudatarj e dagl’impiegati, non riflettesse su lui solo, ma anche -sul collegio de’ cardinali, talchè a questo rimanessero obbligati -in sede vacante; metà dei proventi della Chiesa fosse riservata ai -cardinali; di conseguenza nessun atto politico importante poteva il -papa permettersi se non consenziente il sacro collegio, non pace o -guerra, non tasse nuove, non mutar la sede; inoltre il papa doveva -riformare la Corte, e tenere concilj periodici. Eugenio vi si obbligò; -e se quel costituto reggeva, il principato romano trovavasi ridotto ad -aristocrazia, ma forse era tolto il pretesto alla Riforma del secolo -seguente. - -Eugenio, per giudizio d’un suo successore[82], fu pontefice d’animo -elevato, ma senza misura in nessuna cosa, intraprese sempre ciò che -voleva, non ciò che poteva. Fece egli aprire il concilio di Basilea -onde estirpare l’eresia, metter pace perpetua fra le nazioni cristiane, -togliere il lungo scisma de’ Greci, e riformare la Chiesa. Ma i padri -vi s’accinsero senza precise idee di quel che volevano operare, nè de’ -limiti dell’autorità propria e di quella che pensavano restringere; -attaccavano un dopo l’altro gli abusi parziali, non proponevano un -rimedio radicale: onde vedendoli condursi con quella precipitazione -che sgomenta le autorità desiderose di dirigere, Eugenio sospese il -concilio. I padri non gli badando, citano lui pontefice, accusandolo -disobbediente; poi, spiegate le vele, dichiaransi ad esso superiori; nè -poter lui scioglierli o traslocarli. - -Fittisi alla riforma della Chiesa, mozzano assai diritti curiali; -determinano la forma dell’elezione del papa, e il giuramento che -deva prestare; limitano le concessioni ch’e’ può fare ai parenti; -restringono i cardinali a ventiquattro, e ne escludono i nipoti. -L’imperatore di Costantinopoli, cercando appoggiare il cadente trono -sull’unione della sua Chiesa colla latina, domandò di venire in persona -col patriarca onde effettuare la riconciliazione. Perchè non poteva -sostener le spese del viaggio, si promise di mandar navi a prenderlo; -e la città d’Avignone anticipò settantamila fiorini, da rimborsarle -mediante i proventi delle indulgenze. Papa Eugenio indusse Giovanni -III Paleologo a chiedere che l’abboccamento si facesse in Italia; e in -fatto nella sezione 21ª del concilio di Basilea si proposero Ferrara e -Udine, e il papa confermò la proposta, e indusse i Veneziani a spedir -galere per trasportare l’imperatore. - -Allora Eugenio, rimproverando al concilio i decreti incompetenti e -smoderati, lo trasferiva a Ferrara (1438). Ma i padri non si mossero, -eccetto due ed il legato; e mentre i prelati italiani maledicevano -al conciliabolo di Basilea, ed invitavano a spogliare i mercanti che -vi portassero roba, quello (nel quale primeggiava Nicola arcivescovo -di Palermo, ambasciadore d’Aragona e Sicilia, e tenuto pel maggior -canonista del suo tempo) continuava a cincischiare la giurisdizione -pontificia; anzi dichiarò sospeso il papa, e scismatico il consesso di -Ferrara; e per quanto i potentati s’intromettessero onde prevenire un -nuovo scisma, condannarono Eugenio (1439) come eretico, e surrogarongli -Amedeo VIII duca di Savoja, il quale dagli affari s’era ritirato -a Ripaglia a vita piuttosto voluttuosa che penitente[83], e che -sciaguratamente accettò l’uffizio d’antipapa col nome di Felice V. - -Il concilio di Ferrara erasi aperto il 13 gennajo 1438 dal cardinale -Albergati, e gran pena si durò per regolarne il cerimoniale: ma la -peste scoppiata lo fece trasferire a Firenze[84] (1439). Ivi furono -messi in disputa i quattro punti dello scisma greco, cioè il procedere -dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, l’uso degli azimi nella -comunione, la natura del purgatorio, la supremazia universale del papa. -Quell’unione fu famosa per insigni personaggi: il cardinale Giuliano -Cesarini, che di sua franchezza avea dato prova nell’appoggiare i -rimproveri che al papa faceva il concilio, ed allora sosteneva il -vero con incalzante ragionamento; Giovanni di Montenero provinciale -de’ Domenicani di Lombardia, versatissimo in divinità; Ambrogio -Traversari generale de’ Camaldolesi, che per ordine di Eugenio IV -era andato riformando molti conventi, e questi suoi giri descrisse -nell’_Odœporicon_; fra i Greci, Gemistio Platone insigne accademico, -Giorgio da Trebisonda, Giorgio Scolario ancora laico, e fra breve -patriarca di Costantinopoli, Marco Eugenio vescovo d’Efeso saldissimo -alle dottrine scismatiche, Dionigi vescovo di Sardi, e, a tacer altri, -il Bessarione arcivescovo di Nicea, sottile platonico, che sparse -anche il gusto d’una filosofia men cavillosa e arida, e che vinto dalla -verità venne alla Chiesa nostra, molti traendovi col proprio esempio. - -Cosmo de’ Medici ricevette splendidamente il papa, i cardinali, -l’imperatore; il trasporto dei corpi de’ santi Zenobio, Eugenio, -Crescenzio, i funerali del patriarca di Costantinopoli, diedero -occasione a solennità; e la Signoria di Firenze regalò al papa -quattordici inquisiti di pena capitale (Cambi). Eugenio scomunicò -i prelati di Basilea; ma le lunghe dispute col patriarca di -Costantinopoli e co’ suoi dottori, agitate nella sala accanto a Santa -Maria Novella, non poteano condursi a conchiusione; laonde si venne -a una specie di transazione (6 luglio) per istabilire l’unione della -Chiesa orientale colla occidentale, stendendola s’una pergamena in -greco e in latino, e dopo che l’ebbero letta in latino il cardinale -Cesarini, in greco l’arcivescovo Bessarione, la soscrissero molti -prelati delle due Chiese per ordine di dignità; oltre il papa stesso e -l’imperatore Paleologo che vi fecero apporre le proprie bolle[85]. - -Federico III, nuovo imperatore, che avea procurato versar acqua su -questi incendj, spedì ad Eugenio il proprio segretario Enea Silvio -Piccolómini senese, per indurlo ad un concordato colla Germania, e -il papa sul letto di morte vi assentì, purchè non menomasse i diritti -della santa Sede. Nicola V succedutogli (1447), mostrossi tutto davvero -disposto ad accordi, talchè il sinodo di Basilea più non si resse; -Felice V abdicò, riservandosi tanti benefizj, che lo rendeano più ricco -del papa, ma presto morì. La pace fu dunque restituita alla Chiesa; e -il giubileo celebrato l’anno appresso, parve solennizzare il trionfo di -Roma. - -Se il concilio di Basilea avesse con prudenza e carità provveduto -alla riforma della Chiesa, poteva prevenire i guaj che scoppiarono nel -secolo seguente. Sulle prime, non che intaccare la sovranità papale, -sanzionò il Decreto di Graziano, i cinque libri delle Decretali di -Gregorio IX, pare anche il sesto di Bonifazio; solo tolse ai papi le -riserve, il diritto di provvisione, e quello di mettere imposte sulle -chiese. Ma poi guidato a passione, pensò non solamente limitare la -potenza papale come quel di Costanza, ma sostituirvi la propria, e -preparò la rivolta protestante, al tempo stesso che l’apparenza di -ottenuta vittoria svogliava la Chiesa romana dalle riforme necessarie, -e assopiva in una sicurezza che dovea riuscire funestissima. - - - - -CAPITOLO CXVIII. - -L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi a -Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia guerreggia i -Turchi. - - -Da mille anni era disfatto l’impero romano in Occidente, e ancora -sussisteva in Oriente, soprattutto mercè della incomparabile postura -di Costantinopoli. Sussisteva, ma agonizzante fra le deboli mani -d’imperatori, i quali, vanitosi d’una scienza ciarliera, superbi d’un -passato troppo diverso, assorti in un lusso corruttore, deliri dietro -a futili importanze, ignoravano o vilipendevano i costumi stranieri -e quelle idee che s’insignorivano del mondo. Un altro morbo erasi -ostinato addosso a quella pomposa società, le eresie; quasi le fosse -fatale il dover perire novamente pei sofismi, come già ai tempi della -miglior grandezza d’Atene. Lo Spirito Santo procede egli anche dal -Figlio come dal Padre? tale quistione, inestricabile ad argomenti, pose -a subuglio le scuole, le chiese, le piazze, le famiglie; avversò Roma a -Costantinopoli, i patriarchi ai papi, sinchè Fozio (862) separò affatto -la Chiesa greca dalla latina, e quell’impero si trovò nimicati coloro -a cui lo legava il comune interesse di resistere alle avvicinantisi -orde musulmane. Le crociate avevano pôrto ai Greci l’occasione di -rigenerarsi, innestando sul vecchio loro ceppo la civiltà moderna, -e vantaggiandosi reciprocamente coll’accomunare le qualità migliori: -ma essi non vi adoprarono che dispregio e mala fede; tergiversarono -imprese, di cui aveano il maggior bisogno e i primi vantaggi; e si -attirarono l’abbominazione de’ Latini. La conquista di Costantinopoli -per opera di questi avrebbe potuto risarcire l’Impero, se accettata -e sostenuta: odiosa invece e contrastata, non fece che crescerne la -debolezza, e ben tosto le dinastie antiche ebbero espulsi i Baldovini, -che andarono sparnazzando per Europa la loro miseria e titoli senza -valore. - -Però coll’impero latino non erano caduti gli stabilimenti degli -Italiani in Levante. Pisa era oggimai ridotta a troppo piccolo conto; -ma Genova e Venezia avrebbero potuto assicurarsi il Mediterraneo, -l’Jonio e il mar Nero se si fossero tenute d’accordo; invece, -perseguendosi d’implacabili nimicizie, dagli insulti e dagli assalti -reciproci furono entrambe rovinate. I Genovesi, badando al proprio -interesse più che alla causa europea, aveano ajutato l’imperatore -Michele Paleologo a togliere ai Latini Costantinopoli (1261), dove -conservarono il sobborgo di Gàlata; e stipularono di rimanervi sotto -un podestà proprio, il quale presterebbe giuramento all’imperatore -prima di assumere la giurisdizione, e andrebbe ogni domenica a fargli -omaggio; l’imperatore non punirebbe alcuno di quella colonia se non -quando esso podestà ricusasse farlo; stretto divieto di asportare oro -o argento dalle terre imperiali, bensì vettovaglie, ma che dovessero -recarsi al Comune di Genova, non mai ai nemici dell’Impero; qualvolta -l’imperatore allestisse un’armata, potrebbe trattenere per servizio di -quella i navigli genovesi quand’anche fossero noleggiati da altri e già -in carico, e spedirli dovunque gli talentasse. I Genovesi di rimpatto -non si staccherebbero dall’Impero per qual si fosse comando di persona -coronata o no, nè per ecclesiastica scomunica[86]; cautela opportuna -quando era opinione non doversi fede agl’Infedeli, e per tali si -consideravano pure i Greci. - -Dalla debolezza de’ quali i Genovesi traevano baldanza: un marinajo -vantò che fra breve i suoi sarebbero signori della capitale, e uccise -il Greco che nel ripigliava; un altro ricusò il saluto delle armi nel -passare davanti alla reggia. Il trovarsi però in sobborgo smurato -esponeva i Genovesi ed alla legale repressione degl’imperiali ed -alla violenza de’ Veneziani, che di fatto una volta gli assalsero, -e costrettili a rifuggire in Costantinopoli, ne incendiarono le -abitazioni. Pertanto i Genovesi chiesero di poter circonvallare Gàlata, -e con triplice muro che girava per quattromila quattrocento passi -chiusero i vasti magazzini e i nobili abituri prospettanti il mare; e -quel sobborgo avrebbe presto emulato Costantinopoli se questa non fosse -caduta. Di là scorrendo il mar Nero, dove possedeano Caffa, i Genovesi -portavano ai Greci il frumento dell’Ucrania, il caviale e pesce salato -della Meotide; spingeansi a ricevere nei porti della Crimea le droghe -e le gemme che dall’India vi affluivano colle carovane; e le fortezze, -sorte in tutte le fattorie, diventavano formidabili non meno agli -Europei che ai Tartari. - -Già ne fu accennata la banda di venturieri catalani, che Ruggero di -Brindisi condusse a Costantinopoli, e che per un pezzo salvò l’impero -greco dai Turchi; ma insieme lo malmenavano a talento, come e peggio -che le compagnie di ventura in Italia. Andronico imperatore in palese -lo accarezzò, fino a sposarne una sorella; in secreto affilando -l’arma de’ vili, a tradimento lo uccise. Non per questo si dispersero -i suoi, e molte fiate posero il partito di conquistare l’Impero per -conto proprio o del re di Sicilia, il quale mandò anche l’infante -don Ferdinando a capitanarli. Se non che i Genovesi, da antico gelosi -dei Catalani, i loro più potenti competitori nel commercio del mare -occidentale, s’inasprirono pei favori che que’ venturieri guadagnavano -o rapivano in Oriente. Ne vennero risse aperte; e come i Catalani -offrivano all’imperatore di sfasciare gli stabilimenti genovesi e -liberarlo dalla costoro insolenza, così i Genovesi lo ajutarono a -mandare a sbaratto quella banda. - -Nel mezzo di ciò, i Latini non cessavano d’osteggiare il greco impero, -considerandola quasi come un’impresa santa e un seguito delle crociate. -Carlo di Valois, figlio di Filippo il Bello, la cui moglie Caterina di -Courtenai avea portato in dote nominali diritti sopra quel trono, volea -questi ridurre in atto recuperandolo ai Latini; il che a molti pareva -l’unico modo di ritardarne la caduta. E tentò l’impresa: ma non avendo -meglio di cinquecento cavalieri, la fatica gli rispose scarsamente. - -Quando Caterina di Valois sposò Filippo duca di Taranto, ne’ patti -nuziali si stipularono gli ajuti che il marito le darebbe per -ricuperare l’impero latino, e le provincie di Grecia di cui essa -a lui farebbe cessione. Il re di Francia suo parente, Venezia e il -papa ne secondavano le aspirazioni; e l’imperatore Andronico, non -potendo far conto su Genova straziata da discordie intestine, prese -la disperata risoluzione di ricorrere ai Turchi per difendersi dai -Cristiani. Al tempo stesso favoriva i Ghibellini contro Roberto re -di Napoli, affinchè questo rimanesse impedito dall’ajutare Filippo, e -mandò a Federico di Sicilia seicencinquantamila pesi d’oro coniato[87]. -L’impresa infatto non ebbe seguito, e sopraggiunte nuove burrasche -nel regno di Napoli, ai principi di Taranto rimaneva appena forza di -galleggiare tra queste, non che potessero far valere sull’impero la -presunta eredità. - -Ma crescendo sempre più le conquiste de’ Musulmani, quegli imperatori -sentivano che loro salvezza sarebbe stato il riconciliarsi colla Chiesa -latina. Già sotto Andronico il giovane avea molto adoperato a tal fine -il monaco basiliano Bernardo Barlaam di Seminara in Calabria, ingegno -vivo e Colto, che si fece ammirare dal Boccaccio a Napoli, dal Petrarca -ad Avignone; ma non ne venne a capo, pretendendo gli Orientali si -convocasse un concilio, che i nostri trovavano superfluo in quistioni -già decise. - -Barlaam ritornato a Costantinopoli, ebbe a disputare con Palamas -arcivescovo di Tessalonica sulla luce increata. Palamas sosteneva -che fosse non la sostanza divina, ma emanazione di questa; e che gli -angeli e santi potessero questa contemplare, non l’essenza divina. -L’altro, al contrario, voleva non fosse nè l’essenza divina nè effetto -di questa, e che nessuna potenza valesse a rendere gli occhi umani -capaci di contemplare la divinità. È la quistione, su cui si fanno -tanti epigrammi: ma per la concatenazione degli errori e delle verità -portava, nell’opinione di Palamas; niente meno che la dualità della -sostanza eterna; in quella di Barlaam toglieva la visione beatifica -ai santi. Barlaam fu riprovato da un sinodo di Costantinopoli, onde -abbandonò la Grecia, scrisse contro lo scisma, e fatto vescovo di -Geraci, contribuì assai a restaurare gli studj in Italia. - -Morto quel debole imperatore (1341), ogni cosa andò capopiede, finchè -a Giovanni Paleologo usurpò la corona il grandomestico Giovanni -Cantacuzeno (1347): ed egli pure per sostenersi non esitò a chiamare -in Europa i Turchi, che già all’Impero aveano tolto le provincie -d’Asia. Ma più che l’imperatore, signori di Costantinopoli in quel -tempo erano i Genovesi; e se sorreggeano con prestiti la miseria di -lui, impedivangli di crescere in potenza marittima per non trovarselo -concorrente: ed insultandone la maestà, ad onta sua occuparono e -bastionarono anche l’alto della collina, sul cui pendio aveano ottenuto -di piantare la loro colonia, comandando così allo stretto per cui si -passa al mar Nero; batterono la flotta dello imperatore, bloccarono -fin Constantinopoli (1351), nè egli potè chetarli che con forzate -concessioni. - -In quel tempo, per respingere i Tartari che minacciavano gli -stabilimenti del mar Nero, erasi allestita una specie di crociata, -principalmente di navi venete, condotta da Umberto delfino di Vienne. -I Genovesi, appena le interne discordie il permisero, vi mandarono -la propria flotta, guidata da Simone Vignoso: ma questi, invece di -drizzare contro i Tartari, assalì e prese Scio, isola opportunissima, -a otto miglia dal continente, che signoreggia le vicine di Samo, -Metelino, Ténedo e lo stretto di Gallipoli, e che già altre volle era -stata posseduta da Genovesi. Cantacuzeno recosselo ad onta, ed arrestò -alquanti legni genovesi; ma i coloni di Galata si levano a stormo, -e minacciano di nuovo la capitale; l’imperatore reclama a Genova, ma -inutilmente, giacchè il Comune non esercitava alcuna autorità sopra i -lontani coloni; ond’egli non conobbe altro scampo che di ricorrere alla -gelosia di Venezia. - -Questa era stata rattizzata dalla concorrenza nelle colonie della -Tana. Un Genovese, percosso da un Tartaro, lo uccise; e i Tartari -per vendetta malmenarono le persone e i beni di quanti Cristiani -mercatavano da quelle parti: i Genovesi tennero testa in Caffa, -abbastanza munita contro scorridori indisciplinati; e di là chiudeano -il passo del bosforo Cimmerio e perciò i traffici coi Tartari, i -quali vedeano andare a male le merci raccolte, e fallire le sperate -ricchezze. Non vollero rispettare quel blocco i Veneziani, di che -originarono nuovi conflitti. Venezia spedì trentatre galee fra di merci -e di soldati, che sotto Marco Ruzzini passassero alla Tana; ed egli, -incontrate nell’altura di Negroponte undici galee genovesi (1349 29 -agosto), le circondò e prese allo arrembaggio. I Genovesi per riscossa -sorpresero Candia, donde liberarono le merci e le navi catturate. Alla -sua volta il Ruzzini sorprese Galata, gettò il fuoco in molti vascelli, -e propose all’imperatore di sottrarlo dalla prepotenza genovese; -ma quegli, temendo forse i liberatori quanto gli avversarj, renuì. -Lungamente le flotte delle due repubbliche insanguinarono i mari; -l’espertissimo ammiraglio Nicolò Pisani avea unito alle galee venete -l’armata de’ Greci, de’ Pisani e degli Aragonesi, sempre in discordia -con Genova ma all’isola dei Porti (1352 febbr.) fra Costantinopoli e -Calcedonia, nel fitto della notte e nello infuriar delle tempeste non -bastanti a spegnere l’ira degli uomini, fu sconfitto da Paganino Doria; -il mare e i lidi rimasero orridi de’ frantumi di sì trista vittoria; -e se i Veneti perdettero quattordici navi, dieci gli Aragonesi, due -i Greci, anche i Genovesi ne lasciarono tredici al nemico o alla -procella, e vuolsi che settecento nobili vi perissero, onde quasi ogni -famiglia dovette vestire il bruno, nè si permisero le solite feste del -trionfo. - -Il Doria insuperbito, invitò il kan de’ Tartari a seco giurarsi contro -i Bisantini; e con Orcano, figlio, di quell’Osman che aveva fondato -l’impero turco, assalì l’imperatore Cantacuzeno, lo insultò nella -sua reggia, ed obbligollo a staccarsi dai Veneziani, e segnare un -trattato ove ai Genovesi concedeva tutti i privilegi tolti ai Veneti. -Questi dovettero promettere non approdare più per tre anni alla Tana, -contentandosi d’un banco a Caffa; i Greci, di non mescolarsi a litigi -che potessero nascere tra Genovesi, Veneti e Catalani; non mandare navi -di traffico alla Tana; restituire quanto avessero tolto ai Genovesi, -cui fosse libero comprare terre senza licenza dell’imperatore. Neppure -a tanto sarebbesi arrestata Genova, se una battaglia nelle alture di -Cagliari non avesse vendicato i Veneziani, i quali all’arrembaggio -tolsero ai Genovesi ben trentuna galee e quattromila prigionieri, -che buttarono al mare. Grave lutto alla città, che straziata -sempre nell’interno, bramò il riposo della servitù sottoponendosi -all’arcivescovo di Milano. - -Francesco Gattilussio genovese, armate due navi per far sorte, secondò -Giovanni Paleologo a spodestare (1355) lo usurpatore Cantacuzeno; -e in premio chiese la sorella per moglie e l’isola di Metelino, che -restò di fatto nella sua discendenza. Già prima i Zaccaria, avendo -ajutato potentemente l’impero a recuperare l’isola di Negroponte, -n’aveano ottenuto le ricche cave d’allume in Focea. Per sostenersi nel -riacquistato dominio e contro gli Ottomani che già eransi impadroniti -di Gallipoli e d’Adrianopoli, il Paleologo era ricorso ad Innocenzo -VI, promettendo sottomettere la sua Chiesa alla romana; e il papa -esibì per sei mesi venti vascelli da guerra con cinquecento cavalieri e -mille fanti: ma Genovesi, Pisani, cavalieri di Rodi, il re di Cipro non -diedero retta alle sue esortazioni; Amedeo VI di Savoja, coadjuvato dai -Genovesi di Galata, mosse una spedizione (1366), ove ritolse ai Turchi -Gallipoli. - -In quel bujo l’imperatore, non pago di sollecitare Urbano V per -ambasciadori, venne in persona a Roma quando si coronava Carlo IV, -e riconobbe la doppia processione dello Spirito Santo e la primazia -della Chiesa latina: ma la viziosa inettitudine di lui non ispirò -nè interesse nè pietà; poi la morte del papa (1369) interruppe ogni -effetto; e il Paleologo, passato a sollecitare i Veneziani, vi si -trovò in tali strettezze, che i creditori lo tennero agli arresti, -e la Signoria dichiarò non partirebbe finchè non si fosse sdebitato. -Andronico suo figlio, lasciato reggente, non s’affrettò a mandargli -il denaro; Manuele fratei minore lo riscattò, vendendo se nulla -ancor gli restava: di che il Paleologo concepi avversione per quello, -predilezione per questo, e per isfogarla si fece persin vassallo di -Amurat I granturco. E quando Andronico cercò stronizzare il padre, -Amurat ne prese occasione di tragittarsi in Europa con grosso esercito -per domare questi litigiosi che s’abbaruffavano sull’orlo del sepolcro. -Andronico, che dal padre era stato imperfettamente accecato, col favore -dei Genovesi potè uscire dalla prigione e cacciarvi il padre: ma questi -fu ajutato alla fuga per lunga arte di Carlo Zeno veneziano, il quale -per mercede volle che dell’isola di Ténedo fosse investita la propria -nazione. Di qui vedemmo nascere terribile guerra fra Venezia e Genova, -e la vittoria de’ Veneziani a capo d’Anzio, vendicata poi a Pola sopra -Vittor Pisani da Pietro Doria, che menò la flotta genovese fino a -Chioggia. - -Venezia s’accorse che si rovinava in paese minacciato dà si gagliardi -avversarj, e neglesse il mar Nero; laonde i Genovesi restarono arbitri -dell’Impero, e a loro posta metteano pace e attizzavano guerra fra que’ -principi fratricidi, e neppur esitarono a patteggiare coi Turchi di mai -non guerreggiarli. - -Quasi soli esercitavano essi il commercio della costa di Trebisonda, -ove col titolo d’imperatore dominava un principotto Comneno. Alla -costui corte Megallo Lercári mercante genovese, nel fare agli scacchi, -rissossi con un mal paggetto dell’imperatore, e avutone uno schiaffo, -e invano chiesta soddisfazione, armò due galee, depredò la costa, -e a quanti Greci cogliesse mozzava le orecchie e il naso. Un padre -il supplicò si caldamente a risparmiare questo supplizio ai figli -suoi, che il Lercari li perdonò, patto che recassero a Trebisonda -all’imperatore un barile di nasi e d’orecchie, e annunziassero non -desisterebbe finchè non avesse in mano il suo oltraggiatore. Tal era -la forza de’ Genovesi o la debolezza di que’ Greci, che l’imperatore in -persona venne a consegnare il paggio al Lercari, il quale s’accontentò -di porgli un piede sulla faccia dicendo: — Via costà, sciagurato; e -ringrazia la civiltà de’ Genovesi, che non bistrattano donne»[88]. - -I Turchi si avvicinavano alla capitale, non più da scorridori e con -subitarie devastazioni, ma passo passo conquistando; già Bajazet -la stringea d’appresso. Unica tavola nel naufragio, gl’imperatori -ricorsero all’Occidente; e Manuele Paleologo venne supplichevole a -Roma (1399). Se non che i Mongoli, condotti da Tamerlano imperatore -di Samarcanda, dopo rapide quanto estese vittorie nel cuor dell’Asia, -piombarono sopra i Turchi, vinsero Bajazet e lo fecero prigioniero. -Obbligati i Turchi a provvedere alla proprio difesa, venne ritardala la -caduta di Costantinopoli; poi i figli di Bajazet si osteggiarono fra -loro: eppure delle discordie e delle sconfitte di costoro non seppero -giovarsi i Greci per rivalere, e il successore d’Amurat II potea dire -al greco imperatore: — Chiudi le porte della tua città, e regna nel -recinto di essa; quant’è di fuori appartiene a me». - -Di fatto l’Impero trovavasi ristretto ormai alla capitale e ad un lembo -della Tracia lungo cinquanta e largo trenta miglia, con poche centinaja -di soldati, stranieri i più. I Musulmani potevano chiamarsi barbari -soltanto al paragone di gente più colta: che se il sensuale orgoglio, -su cui è fondata la loro religione, gli arrestò sulla via della -civiltà, aveano però mietuto i frutti dell’araba e della persiana: -potenti per commercio, potentissimi per armi di mare e di terra, nelle -quali aveano introdotta una perfezione ignota ai Cristiani; presto -impararono l’uso della polvere; dicesi ottenessero dai Genovesi i -primi cannoni, e perfezionatone il maneggio, li volsero contro le -mura, forti soltanto per resistere alle catapulte. Primi introdussero -un esercito stanziale colla formidabile milizia de’ gianizzeri, -reclutata di fanciulli rapiti do ogni paese, e perciò staccati da -ogni affetto, ed usi fin da bambini alle ormi; milizia di gran lunga -superiore alle truppe vendereccie dei Cristiani. Senza i riguardi della -gente civile, coll’entusiasmo dello apostolato guerriero, credendo -fatalmente segnata l’ora della morte, e premio il paradiso a chi cada -in battaglia, piombavano su popoli che vagheggiavano le dolcezze della -pace; la Russia mal potea fronteggiarli, serva com’era dei Tartari; -alla generosa Ungheria erano tagliati i nervi dagli Austriaci, -che ambivano farla patrimonio della loro casa; l’Italia rimanea -sbocconcellata. Pertanto i Turchi, possedendo le coste del Mediterraneo -e dell’Arcipelago, poteano ridurre a pascialati la Polonia, l’Ungheria, -la Germania, l’Italia, sbiadare i loro cavalli sull’altare del -Vaticano, e restringere in angustissimi confini la civiltà cristiana. - -Più incalzante si sentì il pericolo quando (1421) la bifida spada -fu posta nelle mani di Amurat II, uno de’ maggiori eroi dell’islam. -Manuele Paleologo pensò mettere una barriera all’avanzare de’ Turchi -col vendere ai Veneziani Salonicchio, forte di quaranta torri e -quarantamila abitanti, in eccellente golfo, e opportunissima al -commercio e a tutelare Negroponte. La Serenissima, allora invogliata -dal Foscari alle conquiste, se la prese, e mandò a giustificarsene -con Amurat, il quale per tutta risposta arrestò il messo, ed assediò -Salonicchio. La flotta veneta lo respinse, ed Amurat assalì la Morea, e -qualunque volta la Signoria mandava per fare accordi, egli rispondeva: -— Rendetemi Salonicchio»; infine la sorprese e pigliò (1429), dopo che -la Repubblica avea sciupato settecentomila ducati a difenderla. - -Allora Amurat mette assedio a Costantinopoli (1431) con ducentomila -Turchi. Eugenio IV levò il grido d’allarme per annunziare il pericolo -che all’Europa e a tutta la cristianità sovrastava se Bisanzio perisse; -ma non era più entusiasmo di popoli che determinasse alle imprese, -bensì calcolo di principi, e questi erano occupati ciascuno in casa -propria a consolidare la prerogativa regia, ad estendere i dominj, a -fiancheggiarsi di parentele. Genova e Venezia dal pericolo ravvicinate, -si unirono bensì (1440) sotto lo stendardo delle sante chiavi; il -cardinale Giuliano Cesarini riuscì ad eccitare Polonia e Ungheria, più -da vicino minacciate; e l’esercito, composto d’avventurieri d’ogni -paese, condotto dal grande Giovanni Uniade, transilvano addestrato -nelle guerre d’Italia, assalì Amurat. Ma la battaglia di Varna (1444) -sparpagliò l’esercito crociato, e l’imperatore Giovanni III Paleologo -dovette comprare la pace. - -Pace effimera; e già prima quell’imperatore non vedea modo al suo -bisogno che nei soccorsi d’Occidente; ma come riprometterseli se -non riconciliando la sua Chiesa alla latina? Stava allora adunato -il concilio di Ferrara (pag. 196), e il Paleologo sopra navi -veneziane fu trasportato in Italia, menando seco Giuseppe patriarca -di Costantinopoli, e i rappresentanti degli altri patriarchi, molti -prelati, cantori, monaci, filosofi, spiegando un fasto che cozzava -colla miseria, giacchè il papa avea dovuto anticipargli le spese. -Fu ricevuto orrevolmente, estreme riverenze rendute al moribondo -rappresentante dell’antica maestà cesarea; Venezia gli prestò -venerazioni, di cui la libertà non era gelosa perchè non esprimevano -un omaggio, e perchè le spoglie di Costantinopoli che la abbellivano -diceano qual fosse più potente fra l’augusto troneggiante sulla poppa -della nave capitana, e il doge e i senatori che gli baciavano il -piede; a Ferrara ottenne le cerimonie di posto e di grado consuete -agl’imperatori antichi: ma i contrasti fra il concilio di Basilea ed -Eugenio IV impedirono ogni conchiusione. Convocatosi poi il concilio -a Firenze (1438), e ridottisi d’accordo sulle incomprensibili e -sulle pratiche quistioni, Eugenio si obbligò a pagare ai Greci il -ritorno, mantenere sempre due galee e trecento soldati per difesa -di Costantinopoli, e dieci galee per un anno ogniqualvolta venisse -richiesto; eccitare i principi europei a sovvenire quell’impero, e far -approdare a Costantinopoli tutte le navi che trasportavano pellegrini -in Terrasanta. - -Ma gli amplessi e la riconciliazione, forse subdoli, certo interessati -per parte dei grandi che ne trattavano, doveano riuscire inapplicabili -al popolo e al basso clero greco, ignoranti e fanatici a segno, che -avrebbero preferito Maometto al papa. I monaci venerati dai loro eremi -maledivano a chi si fosse comunicato coi Latini; i popi chiudevano -le basiliche in faccia a chi s’era messo in relazione col legato in -Santa Sofia; il popolaccio nelle bettole cuculiava il pontefice e -gli azimati; i prelati medesimi, sentendo rinascere la coscienza o -l’orgoglio, si ritrattarono, e quel misero avanzo dell’impero romano -andò sovvertito fra nuovi e antichi credenti che a vicenda intitolavano -sè cattolici, eterodossi gli avversarj. Al vederli odiarsi perchè -gli uni nutrono la barba, gli altri la radono, questi consacrano pane -fermentato e quelli no, non si direbbero persone fradicie nella pace? -e invece roteava sul capo di tutti la scimitarra ottomana. Amurat -perdonò al Paleologo d’avere sollecitato la crociata, ma assalse i -fratelli di lui, tra’ quali era diviso il restante impero; ridusse a -sommissione Neri Acciajuoli signore dell’Acaja, di Atene, della Focide, -della Beozia; per l’istmo, invano fortificato, entrò nel Peloponneso -che devastò, incendiata Corinto, presa Patrasso, e menati sessantamila -schiavi. - -Maometto II, succedutogli (1451) con maggior impeto guerresco, -s’accingeva ad annichilare quel fantasma dell’impero romano, e assediò -Costantinopoli con dugencinquantottomila armati e trecento navi. -Costantino Paleologo su quel trono tarlato sosteneasi con virtù degne -di miglior fortuna. Vedovo di una de’ Gattilussi di Genova, principi -di Metelino, cercò una Foscari di Venezia; ma avendo i consiglieri -suoi trovato non abbastanza decorose tali nozze, e preferitovi una -principessa di Georgia, si rese avversi i Veneziani di modo che -non abbastanza cooperarono alla difesa. I Genovesi di Galata ebber -ricorso alla madrepatria, e n’ottennero una grossa nave e macchine -e cinquecento uomini d’arme; ma sentendosi insufficienti, ebbero per -più savio consiglio il prendere accordo col Turco, promettendo essi di -restar neutrali, egli di rispettarli; doppia slealtà, perocchè Maometto -diceva che lasciava dormire il serpente finchè non avesse soffocato -il drago, e i Genovesi non lasciavano di soccorrere sottomano gli -assediati. La colonia genovese di Caffa inviò tre legni, che traverso -gravissimi pericoli, e menando strage nella flotta turca, provvide di -viveri la città. Nella quale trovavansi chiusi quasi cinquecentomila -Greci, e duemila Genovesi e Veneziani: ma non passavano i settemila gli -armati, con ventotto navi; oltrechè i Greci aborrivano i Latini sebbene -esponessero per loro la vita; fremettero quando il legato pontifizio, -venuto a parte del pericolo, cantò messa col pane azimo e l’acqua -diaccia; e gridavano: «Il cadere sotto Roma val quanto il cadere sotto -i Turchi». - -All’indifferenza degli estrani e dei cittadini mal supplivano il -senno e il valore di Costantino. Affidò egli il comando della piazza -a Giustiniano Longo genovese, già podestà di Caffa e or principe -di Lemno, il quale lo secondava mirabilmente; meglio di chicchessia -sapeva squadronare, assalire, trovar ripieghi, reggere a fatiche, oppor -mine alle mine, coll’ajuto d’altri Genovesi, fidi a quella seconda -patria[89]. - -Però le munizioni venivano meno (1453); le artiglierie turche -fulminavano le decrepite mura con una furia mai più veduta di projetti, -e aveano fra altri un pezzo che tirava palle di milleducento libbre, -sicchè un colpo bastava a colar a fondo una nave. Maometto, non -potendo forzare la grossa catena del porto, fece trascinar le sue navi -attraverso alla lingua di terra che ne lo separava, forse secondato -dai Veneziani; talchè un mattino gli assediati svegliandosi le videro -entro il porto. Questo prodigio gittò lo scoraggiamento ne’ cittadini: -il Giustiniani tentò avventare il fuoco nella mirabile flotta, ma il -cannone del granturco mandò a fondo il brulotto con cencinquanta nostri -prodi. Il Giustiniani ferito si ritirò dal combattere, per quanto -Costantino il supplicasse fin chiamandolo fratello; e di fatto al suo -partire, che gli altri gli ascrivono a infamia colla facilità onde gli -inoperosi sputacchiano gli eroi, la costanza degli Italiani vacillò. Al -24 maggio erano aperte breccia per tutto, e Maometto annunziò l’assalto -generale pel venerdì 29, al che rispose d’ogni parte il grido d’Allah, -mentre gli assediati raffittivano in penitenze e comunioni, e supplicar -Madonne, e intuonare lugubri Kyrie eleison. Alfine dopo quarantotto -giorni d’assedio Costantinopoli, che avea resistito a sette assedj di -Arabi e cinque di Turchi, fu presa; dappertutto si gridò: — Dio solo è -Dio, e Maometto è il suo profeta»; e il gran-signore entrato in Santa -Sofia, ordinò al muezzin d’intimare la preghiera, salì all’altare e -pregò. - -Costantino perì da eroe, e le poche navi italiane poterono salvare -alcuni degl’infelici che a calca vi ricoverarono, e massime i Genovesi -di Galata colle loro ricchezze. Eppure Maometto, che gridava a’ suoi -soldati — A voi i prigionieri, le ricchezze, le donne, ma riservate a -me la città e i fabbricati», confortava i Genovesi a rimanere sicuri; -ai pochi che gli diedero ascolto concedette di praticare il proprio -culto, sottoponendosi al testatico. I negozianti di Pera capitolarono, -e Maometto fece decapitare il balio di Venezia, ed arrestare quanti -Veneziani vi colse. - -Venezia non potea pensare alla vendetta, e Bartolomeo Marcello dopo -un anno di trattative conchiuse la pace (1454). Nessuna parte recherà -danno all’altra, o ricetterà i rei di Stato o di furto, anzi li -consegnerà: libero commercio, pagandosi reciprocamene il due per cento -delle merci esitate nello Stato amico, e reciproca restituzione delle -robe de’ naufraghi e de’ morti: i Veneziani tributeranno ducentrentasei -ducati per le terre che tengono nell’impero turco: gli schiavi -veneziani saranno restituiti; ma se si fossero professati musulmani -si pagheranno mille aspri, cioè cinquanta ducati per ciascuno. Le -navi andando e tornando dal mar Nero rinfrescheranno nel porto di -Costantinopoli; possano portare qualunque merce di Cristiani, ma non -di Turchi; mantenute al patriarca costantinopolitano le entrate che -avesse in terra di Veneti; la Signoria possa mandare a quella città -un balio, che regga nel civile e renda giustizia fra’ Veneziani d’ogni -condizione. Il gransignore si obbliga a risarcire i danni ben provati, -che nella persona o nella roba avessero patito i Veneziani nella presa -di Costantinopoli. Essi possano introdurre nell’impero ogni sorta -moneta coniata o in verga; ma le verghe dovranno farsi bollare dalla -zecca. - -Caduta la metropoli, sussistevano ancora l’impero d’Iberia e quello -di Trebisonda sul mar Nero, dove i Genovesi conservavano Caffa in -Crimea; fra il Nero e l’Adriatico, i regni di Dalmazia, Bosnia, -Servia, Rascia, Bulgaria, Croazia, Transilvania, posti sotto l’alto -dominio dell’Ungheria; e là intorno i Valachi, razza romana; l’Epiro; -in Grecia il ducato di Atene; nel Peloponneso i despoti, fratelli -dell’ultimo Costantino. Creta, Negroponte, altre isole e parte della -Morea e dell’Albania appartenevano a’ Veneziani; Cipro a’ re Latini, -Metelino e Lesbo ai Gattilussi, Cefalonia e Zante a casa Tocco, Rodi ai -cavalieri di San Giovanni. Tutti questi, che aveano fin allora fissato -gli occhi a Costantinopoli, adesso volgeanli all’Italia, e massime al -papa e a Venezia; riboccava la patria nostra di Greci ed Orientali, -che esageravano le crudeltà de’ Turchi, e, stile de’ fuorusciti, la -facilità del ritoglier loro «la grande ingiusta preda». - -D’altra parte i Turchi, occupata Costantinopoli e fattala lor sede, -pretendevansi succeduti agl’imperatori romani, e come tali divenire -padroni di quanto essi aveano posseduto, considerando usurpatori -quelli che ne tenevano alcun ritaglio. In tale pretensione avvolgeano -segnatamente l’Italia; e per lungo tempo, quando al granturco si -cingeva la sciabola, bevuto ch’egli avesse nella coppa de’ gianizzeri, -la rendea loro piena d’oro, proferendo: — A rivederci a Roma». - -Maometto in fatti s’accinse a sterpare le piccole signorie fondatesi -nell’impero, e improvvisamente tolse a Genova Amastri, colonia si -opportuna ai commerci colla sponda meridionale del mar Nero, gli -abitanti trasferendo a Costantinopoli. Genova, vedendo non poter -mantenere la colonia di Galata sotto il cannone turco, con tutte le -altre di Levante le cedette ai protettori del banco di San Giorgio, -che col denaro le salvassero; e San Giorgio fece prova di suprema -abilità nel conservare tredici anni le colonie di Crimea; non potendo -farvi giungere soccorsi pel Bosforo chiuso dal granturco, soldò de’ -Polacchi; poi bande italiane che per lunghissimo viaggio arrivarono -fin alla Tana; sollecitava la cristianità ad ajutarla, ma non era -nulla; sicchè anche Caffa fu presa, quarantamila suoi abitanti spediti -a Costantinopoli, millecinquecento fanciulli genovesi arrolati fra -i gianizzeri; Tana, Azoff e le altre città caddero senza ostacolo, -e fino alla pace di Adrianopoli del 1829 il mar Nero restò chiuso -a’ Cristiani, che appena schiuso doveano farlo teatro di terribili -martirj. - -Gli Acciajuoli di Firenze erano succeduti ai Catalani di Sicilia -nel dominio d’Atene: e alla morte di Neri, la moglie di lui pose il -suo fanciullo sotto la protezione di Maometto II; poi innamoratasi -di Pietro Priuli veneziano, gli offrì farlo signore d’Atene se, -disfacendosi della prima moglie, lei sposasse. Come detto così fatto; -ma gli Ateniesi indignati ricorsero a Maometto, che fece scannare la -rea, e sterminò gli Acciajuoli. - -Le discordie fra i despoti del Peloponneso offrirongli pretesto -d’intervenirvi, e Tommaso Paleologo fuggendone portò i suoi lamenti -e la testa di sant’Andrea al papa, al duca di Milano, ad altri, per -eccitarli a redimere la Grecia; ma morì di crepacuore, malattia degli -esuli. Davide Comneno, ultimo imperatore di Trebisonda, andò a finire -in esigilo. - -Nell’Epiro rimpetto all’Italia si era con gloriosa imprudenza -ribellato Giorgio Castrioto, detto Scanderbeg; e incorati i marziali -Albanesi a resistere alla luna ottomana, vide fuggire innanzi a sè il -vittorioso Amurat. Maometto II propose soggiogarlo, e Scanderbeg nel -nuovo pericolo scrisse ad Alfonso re di Napoli chiedendogli soccorsi; -e n’ebbe viveri ed ausiliarj, condotti da Raimondo d’Orlaffa. Per -rimeritarlo de’ quali Scanderbeg venne poi in Italia a soccorrere re -Ferdinando figlio di lui, e n’ebbe in compenso San Pietro a Galatina, -piccola città della provincia d’Otranto, ove si fondò la prima colonia -albanese, cui ne tennero dietro altre a Siponto, a Trani, e là intorno -del promontorio Gargáno, e ne’ monti che separano la Daunia dall’antico -Sannio. Perocchè, al morire di Scanderbeg (1467), l’Epiro ricadde in -servitù; ma i suoi nella lunga guerra aveano acquistato molta perizia, -e su cavalli leggerissimi, con sopravvesta corta senza maniche e -imbottita per rintuzzare i colpi, bacinetto di ferro in testa, in -mano una zagaglia ferrata talvolta fin di dodici piedi, lunga spada, -piccolo scudo, mazza agli arcioni, si esercitavano al corso e al rapido -volteggiare, opportunissimi ad inseguire, ardere, spiare il nemico, -predare. - -Dal doge Pietro Mocenigo furono assoldati quando volle tentare -l’impresa di Delo e Mitilene; poi presero servizio in Italia, ove -divennero terribili col nome di Stradiotti (στρατιώται). e fin agli -ultimi tempi v’ebbe sempre negli eserciti napoletani uno squadrone -reale macedone. Altri Cristiani, che non vollero piegarsi al giogo -turco, passarono a noi, chiedendo pane e sicurezza di culto, ottennero -terre nel Regno, le domesticarono, e ancora conservano la lingua -nativa e il rito greco e il vestire e i costumi, ancora gemono il loro -sangue disperso (_giaca in sprirus!_), ancora _danzano_ le miserie -dell’antica lor patria, ed essi, _sangue purissimo di Scanderbeg_, -dispregiano il sangue nero, sangue di volpi o di nottole degl’Italiani, -dai quali insegnano in proverbio dover guardarsi come il _falegname -dall’ascia_[90]. - -Alquanti Mainotti o Spartani giunsero a Genova, che li collocò -nell’isola di Corsica, ed obbligandoli alla decima de’ frutti e cinque -lire per fuoco, gl’investì delle terre incolte di Paoncia, Recida e -Piassologna, che a breve andare si videro colte e popolate. Costoro -si mantennero fedeli a Genova quando i Corsi le si rivoltarono, e -dalla forza superiore degl’insorgenti costretti ad imbarcarsi per -Ajaccio, lasciarono chiusi nella fortezza d’Uncivia ventisette dei -loro, i quali per cinque giorni respinsero duemila cinquecento Corsi, e -alfine si ritirarono in Ajaccio anch’essi. Le reliquie di tale colonia -incontransi oggi a Cargese ed Ajaccio, coi costumi, le usanze, i canti -patrj[91]. - -Ragusi si rassegnò a tributare mille ducati l’anno alla Porta per -conservare il proprio governo; diede ricovero a molti fuggiaschi da -Costantinopoli, poi alla stampa la prima tragedia regolare, e il primo -libro di commercio[92]; e fu come l’Atene del paese serbo, arricchendo -le lingue latina, italiana e slava. - -Maometto, risoluto di far riconoscere un solo Dio in cielo, un solo -signore in terra, proseguiva le vittorie, e conquistata la Bosnia e la -Servia, minacciava di correre a Vienna e a Roma. In que’ frangenti non -tacque la voce dei papi contro i Turchi. Già Clemente VI avea bandita -la crociata che conquistò Smirne; un’altra Urbano V per guerreggiare -fra i Serviani; una terza Bonifazio IX, che fu scompigliata a Nicopoli; -una quarta sotto Eugenio IV, andata a ruina nella giornata di Varna. -L’infelice successo non iscoraggiava Nicola V, che di nuovo bandì la -croce, ma senza effetto. Calisto III ordinò per tutta cristianità si -sonasse a mezzogiorno la campana dei Turchi; e sollecitava la Germania, -che nelle diete decretava denari ed uomini, ma non si vedevano mai. - -Giovanni da Capistrano, nativo della provincia d’Aquila, dedicatosi -al fôro, da re Ladislao fu assunto giudice della grancorte della -Vicaria. Essendo condannato nel capo un poderoso barone, il re non solo -approvò la sentenza, ma la estese al primogenito di esso. I giudici -si piegavano alla reale volontà, ma Giovanni gli animò ad opporsi; -e avendo il re, non ostante, comandato l’esecuzione, Giovanni chiese -congedo da un impiego che non poteva esercitarsi senza ingiustizia e -andò francescano. Accompagnatosi a san Bernardino da Siena, missionava, -finchè, visto il pericolo sovrastante alla cristianità, corse esortando -alla guerra santa. A Vienna mostrasi ancora sul sagrato di Santo -Stefano il pulpito da cui egli predicò: il popolo veneravalo qual -taumaturgo, portava a lui carte e dadi da bruciare e riducevasi a -penitenza. Gli venne fatto di mettere insieme una quinta crociata -contro gli Ottomani, composta non di nobili e cavalieri, ma di vulgo, -studenti, frati, contadini armati di mazze e fronde. Frà Giovanni, solo -confidente quando tutta Europa dispera, procede adottando per grido di -guerra Gesù, e ridesta Giovanni Uniade, il quale, memore delle vittorie -e delle sconfitte antiche, assume il comando di quell’esercito, che -incomposto avanzasi contro i Turchi (1456), ed obbliga Maometto ad -allargare Belgrado, che assediava con trecento cannoni, lasciando -ventiquattromila uomini sul campo. In memoria, il papa istituì la -festa della Trasfigurazione al 6 agosto. Quasi fosse compiuta la -loro missione, l’Uniade muore dopo due settimane, e dopo tre mesi il -Capistrano[93]. Maometto occupa il resto della Serbia, menandone via -ducentomila prigionieri; nè più altri che la flotta pontifizia soccorre -le isole assalite. - -Pio II volle assumersi la parte di Pietro Eremita (1458), esortando -tutta cristianità ad armarsi di conserva contro il Turco; e -logica e dialettica e retorica usava, troppo meno potenti che non -quell’eloquenza impreparata, la quale sgorgando dal cuore, strascina -irresistibilmente. Istituì l’ordine della madonna di Betlem, che presto -cadde colla presa di Lemno ove tenea sede. Raccolta poi in Mantova la -cristianità a concilio, proclamò la crociata (1458); v’assisteano quasi -tutti i principi d’Europa, e gli ambasciadori degli altri, e di Rodi, -Cipro, Lesbo, dell’Epiro, dell’Illiria, minacciati così da vicino. Il -papa vi sfoggiò eloquenza; altrettanto Francesco Filelfo, portando la -parola a nome del duca di Milano: i deputati della Morea dipinsero gli -orrori commessi dai Turchi e a schiavitù dei Greci. Chi non ricorda -con quanto fervore ai dì nostri le donne favorissero la causa dei -Greci insorti? non altrimenti fu allora, e a quell’assemblea perorarono -Ippolita Sforza e Isotta Nogarola. La prima, figlia di Francesco Sforza -e moglie di re Alfonso II, avea trascritto di suo pugno quasi tutti i -classici latini: l’altra, filosofessa, teologante, letterata, lasciò -moltissimi discorsi e lettere, e un singolare dialogo per difendere Eva -contro Adamo. - -Le parole furon molte, e in conseguenza pochi i fatti. L’imperatore -Federico III era troppo inetto sicchè volesse affidarsegli il comando; -il re di Francia doveva badare alle cose domestiche: onde l’onore di -comandare la cristianità fu attribuito al duca di Borgogna; l’esercito -si leverebbe in Germania, verrebbe stipendiato da Francia, Spagna, -Italia a proporzione della ricchezza; Borso d’Este esibiva ben -trecentomila fiorini, forse sì generoso perchè prevedeva non verrebbe -l’occasione di sborsarli. Di fatto la pace tanto necessaria fu guasta, -e le armi raccolte si ritorsero dall’un contro l’altro. Il papa se -ne lagnava, e scriveva; — Dove ci possiamo voltare? a chi ricorrere? -Gridiamo soccorso ai principi cristiani, e non ci s’ascolta: imponiamo -decime al clero, e non le paga: pubblichiamo indulgenze, e ci accusano -di farne traffico». - -Ogni dissiparsi di tali imprese aggiungeva orgoglio a Maometto, che le -conquiste sue accompagnava colla ferocia e l’oscenità. A’ Veneziani -vedemmo garantiti per patto alcuni privilegi in Costantinopoli e i -possessi: ma questi coll’estendersi dei Musulmani restavano quasi -isole in vasta inondazione, vicine ad essere assorte. Lievissima -cagione destò in fatto le ostilità. Uno schiavo ruba al bascià d’Atene -centomila aspri (1463), e fugge a Corone, terra veneta; i Turchi -lo ridomandano, e i Veneziani ricusano consegnarlo perchè fattosi -cristiano, nè tampoco restituiscono il denaro. Ostinatisi gli uni e -gli altri, ne venne guerra, ove il procuratore Loredano assicurava che -ventimila Greci non vedevano l’ora d’impugnar l’armi per San Marco, -sicchè facilmente si conquisterebbe tutta Morea: solite e facili -confidenze di chi crede che, per un popolo oppresso, l’esecrare il -giogo equivalga a saperselo scuotere dal collo. Ivi in fatto si portò -un esercito sotto Bertoldo d’Este, che vi morì gloriosamente: lo -capitanò poi Sigismondo Malatesta, ma le fazioni non riuscirono mai -decisive, e si sfoggiava più atrocità che strategia. - -I Veneziani chiesero ajuti al papa; il quale, all’annunzio delle prime -loro vittorie, in concistoro esclamò: — Vedete come Dio suscitò il -fedele suo popolo, i figli nostri diletti, il senato e la nazione -veneta. Vedete come quelli che tutti tacciavano d’indifferenza e -pigrizia, prima degli altri abbiano prese le armi in onore di Dio. Si -sparlava de’ Veneziani; additavansi i soli che, in tanta pressura de’ -Cristiani, negassero ajuto: ma ecco che soli essi vigilano, soli si -affaticano, soccorrono i Cristiani, si accingono a far vendetta sul -nemico di Cristo». Vedendo che la parola _Andate_ facea poco effetto, -il papa volle dire _Venite_, e risolse crociarsi egli stesso, non -già per combattere, ma per orare come Mosè sull’Oreb, coll’Eucaristia -sugli occhi, affinchè Dio concedesse vittoria: — Forse quando vedranno -il padre loro, il romano pontefice, il vicario di Cristo, vecchio -e infermo partire per la guerra sacra, arrossiranno di rimanersi -a casa, e abbracceranno con coraggio la difesa della santa nostra -religione»[94]. - -Generale parve l’impeto degl’Italiani alla santa impresa; due navi -esibiva il duca di Modena, una Bologna, una Lucca, cinque i cardinali, -oltre quelle del papa; Venezia darebbe la ciurma e i sopracomiti; -poi per le spese il pontefice si tassò in centomila fiorini, -ripromettendoseli dalle limosine di tutta cristianità; in altrettanti -Venezia, il re di Napoli ottantamila, settanta Milano, cinquanta -Firenze, venti il duca di Modena, metà tanti il marchese di Mantova, -quindicimila Siena, un terzo il marchese di Monferrato, ottomila Lucca. -Queste cifre possono designare l’importanza relativa de’ potentati -italiani; ma ad Ancona, dove il papa avea dato la posta ai Crociati, -poc’altri comparvero (1463) che Ungheresi e Veneziani, oltre una turba -senza viveri nè denaro nè robustezza. Quando gli astrologi assicurarono -benefica la guardatura de’ pianeti, si salparono le ancore; ma la -morte del papa[95] e le sconcordie degli Italiani mandarono in fumo la -spedizione, del resto troppo sproporzionata all’intento. - -Al nuovo pontefice Paolo II (1464) fu imposto dal conclave proseguisse -l’impresa, consacrandovi il prodotto delle cave dell’allume. Paolo -adunò a tal uopo un congresso di ambasciadori, e fu assegnata la quota -di ciascuno; ma non venne pagata, e la lega svanì. Ben egli aveva -accolto onorevolmente Scanderbeg, e regalatolo del cappello e dello -stocco benedetti e di qualche denaro; ma non potè che raccomandarlo ai -principi d’Europa. - -Del resto Venezia, considerando le colonie per nulla meglio che un -campo da mietere, non aveva provveduto a incivilire e nazionalizzare -la costa d’Istria e Dalmazia; non vedeva come salute pubblica la -conservazione di esse, mostrando maggior ressa nell’acquisto d’una -provincia sul continente italiano; e mentre accampava diciottomila -cavalli pesanti contro il duca di Milano, non n’avea duemila nella -Morea, a vicenda presa e devastata dai nostri e dai Turchi. Coriolano -Cippico, che militava come sopracomito d’una galera veneta, e ci lasciò -il racconto di que’ fatti con curiose particolarità, ci mostra come -i Veneziani per antica consuetudine spartissero il bottino in modo, -che al generale toccava il decimo, al provveditore e agli uffiziali -una quota proporzionale al grado, il resto ai soldati, lo che doveva -incoraggiare al saccheggio: ai soldati retribuivansi tre ducati per -ogni prigioniero che menassero al campo, e ogni tratto si vedeva -vendere uomini e donne turchi all’incanto. - -Maometto, stanco di veder guastate terre che riguardava come sue, giurò -di «mandar Venezia a consumare il suo sposalizio in fondo al mare» e -bandita la guerra sacra, diceva: — Giuro a Dio, unico, creatore d’ogni -cosa, non accorderò sonno ai miei occhi, non mangerò leccornie, non -cercherò cosa gradevole, non toccherò cosa bella, non volgerò la fronte -da occidente a oriente, se non rovescio e non fo calpestare da’ miei -cavalli gli Dei di legno, di rame, d’argento, d’oro o di pittura, che i -discepoli di Cristo sonosi fatti colle loro mani; giuro che sterminerò -la loro iniquità dalla faccia della terra, da levante a ponente, per la -gloria del Dio Sabaoth e del gran profeta Maometto. Fo dunque sapere a -tutti i circoncisi miei sudditi, credenti in Maometto, ai loro capi ed -ausiliari, s’essi hanno timor di Dio creatore del cielo e della terra, -e timore dell’invincibile mia potenza, che tutti devano recarsi presso -di me». - -Con quattrocento navi e trecentomila guerrieri, se il terrore non -esagerò il numero, si difilò sovra Negroponte: sbarcatovi, cinque volte -assalì la città (1470 giugno), e Nicolò Canale ammiraglio veneto non -seppe abbastanza coraggiosamente adoperare le sue artiglierie, che -furono guardate come un prodigio perchè tiravano cinquantacinque colpi -il giorno; e fu presa sotto i suoi occhi la città, benchè ostinatissima -si difendesse via per via. Maometto aveva intimato la morte a chi -risparmiasse un solo prigioniero maggiore di vent’anni; e Paolo Erizzo, -che tenea la cittadella, essendosi reso a patto d’aver _salva la -testa_, Maometto gliela salvò, ma lo fece segare in due per espiazione -dei settantasettemila Turchi che si dissero periti sotto l’eroica -città. La flotta veneta, la migliore del mondo, aveva a fare colla -turca, inesperta, e composta di legni mercantili e di trasporto; onde -fu attribuito all’indecisione del Canale se non si trionfò, ed egli fu -mandato in catene a Venezia, surrogandogli Piero Mocenigo. - -Quale spavento per l’Europa al conoscere che i Turchi erano formidabili -anche per mare, e che potevano portar le loro minaccie a tutti i porti! -Paolo II, secondato dal cardinale Bessarione e da altri greci profughi, -eccitava gl’italiani a sospendere le guerricciuole e rinnovare la lega -italiana del 1454, che di fatto si combinò (1470) tra Ferdinando di -Napoli più da vicino minacciato, re Giovanni di Aragona e di Sicilia, -le repubbliche di Venezia e Firenze, i duchi di Milano, di Modena, -di Ferrara, i marchesi di Mantova e Monferrato, il duca di Savoja, -e le repubbliche di Siena e Lucca: si spedì ad eccitare la Germania, -e Paolo Morosini ambasciator veneto a quella dieta diceva: — Van più -di due secoli che la nostra repubblica cominciò guerra coi Turchi; e -sola, massimamente in questi ultimi anni, ne sostenne gli attacchi -continui, nella Tracia e nell’Illiria. Comune è il pericolo della -cristianità, eppure i Veneziani sono lasciati soli a difenderla: il -sonno dell’Europa aggiunge baldanza ai nemici, che già si avanzano -per l’Illiria, per la Pannonia e per l’Adriatico, togliendo sicurezza -per terra e per mare. La speranza non è ancora perduta se i Tedeschi -spieghino quel valore, con cui si vuol difendere la casa e la libertà. -Venezia ha numerosa flotta, guarnigioni sulle coste, e venticinquemila -combattenti; re Ferdinando aggiungerà ventitre galee alle sessanta -nostre; colle altre d’Italia si sommerà alle cento; sicchè, dove i -Tedeschi ci assecondino per terra, non tarderà ad essere assicurata -tutta la cristianità»[96]. Altrettanto insistevano gli Ungheresi, -sentinella morta sull’altro adito de’ Turchi; ma l’imperatore era -inerte, la Germania pigra, l’Ungheria stessa e la Boemia straziavansi -nella guerra eccitata per le eresie degli Ussiti. - -Piero Mocenigo manda a ferro e fuoco le isole e le coste, quantunque -abitate le più da Cristiani, promettendo un ducato ogni testa di -Musulmano portatagli; barbaro contro barbari. Con lui presero poi -conserva navi napoletane e papaline, e seguitarono i guasti senza -alcun onore di vittoria; mentre in ricambio i Turchi desolavano i -possedimenti veneziani. Hassan Bey rinnegato, bascià della Bosnia, -chiamato in Croazia (1469) con ventimila cavalli, dopo menato stragi, -passò per la Carniola, scese le Alpi che ivi si dibassano, e spinse -i suoi cavalli fino a tre miglia da Udine. Fortunatamente vi si -arrestò dopo uccisi diciottomila Cristiani, menatine quindicimila in -ischiavitù, distrutte le messi e gli armenti. - -Un giovane siciliano, di nome Antonio, rimasto prigione a -Costantinopoli, riuscì a fuggire, e presentatosi al Mocenigo, gli -chiese una barca, promettendo incendiare la flotta turca. L’ebbe con -coraggiosi compagni, e fingendo vender frutte, si pose fra i Turchi, -e riuscì a mettere il fuoco ai bastimenti; ma s’apprese anche alla -sua barca, e nel fuggire fu côlto. Il gransignore volle vederlo, e -lo interrogò se avesse ricevuto qualche ingiuria di cui vendicarsi. -— Nessuna; ma voi siete nemici implacabili della cristianità, e me -fortunato se avessi potuto bruciar te come bruciai la tua flotta». -Il granturco lo fece segare co’ suoi compagni, e Venezia beneficò la -famiglia di esso[97]. - -Sisto IV riuscì ancora a raccozzare alcune forze (1471), e cercando -l’amicizia de’ nemici de’ Turchi, ad Ussum Cassan scià di Persia -inviò frà Luigi di Bologna e Catarino Zeno, poi Giosafat Barbaro -con vasi d’oro e stoffe di Verona, il quale però non giunse alla sua -destinazione, per quanto pressato dal senato veneto. Cassan, stretta -alleanza coi nostri, aveva di fatto (1473) invasa l’Asia Minore; ma -sfornito d’artiglierie e di coraggio, presto si ritirò, lasciando quasi -soli al tremendo ballo i Veneziani, che non mancarono alla riputazione -di valore. All’assedio di Scutari, Antonio Loredano si ostina alla -difesa, e perchè popolo e soldati chiedeano di rendersi per mancanza di -cibo, si presenta collo stendardo di san Marco, e snudando il petto, -— Ecco le mie carni; saziatevene, ma continuate a resistere». Emulava -così Paolo Erizzo e sua figlia Anna, Alvise, Calbo, Giovanni Bondumier, -caduti martiri della religione e della patria a Negroponte. Pure i -Turchi prevalgono, e recano fra l’Isonzo e il Tagliamento la schiavitù -e la peste, diffusasi anche in Venezia, ove mieteva da cencinquanta -persone al giorno, e il maggior consiglio si trovò ridotto a non più di -ottanta persone. - -Consunta da quindici anni di fierissima guerra, Venezia chiede pace -(1479), cedendo Scutari, Stalimene e quanto aveva in quella campagna -acquistato, conservando giurisdizione propria in Costantinopoli, ed -esenzione dalle dogane pel compenso di annui diecimila ducati. La -cristianità, accidiosa a soccorrere i Veneziani, sentendo crescere la -minaccia, gli accusa di viltà; il papa protesta che non aveano diritto -di terminar la guerra senza assenso di lui, e li pronunzia disertori; -i principotti italiani s’ingelosiscono che la Signoria, la quale fin là -gli aveva carezzati, potesse voltare contro di loro le armi. - -Posto avanzato contro i Turchi stavano ancora i cavalieri di San -Giovanni, che, dopo perduta Acri, s’erano assisi a Cipro, dominata -dai Lusignano, continuando da Limisco ad osteggiare gl’infedeli: -poi turbati da continue risse coi Lusignano, si prefissero (1310) -conquistare l’isola di Rodi. Sorpresala colle isole adjacenti, vi si -fortificarono, di là bersagliando i Turchi, e dando mano a chiunque -gli osteggiasse. Indarno Orcano l’aveva assediata nel 1315; anzi i -cavalieri presero Smirne, e la tennero dal 1343 al 1401, quando gliela -strappò Tamerlano. - -Sentì Maometto l’importanza di Rodi, e appena ebbe disimpacciata la -flotta, la drizzò contro quell’isola. Giambattista Orsini, che n’era -il trentesimottavo granmaestro, appellò i cavalieri d’ogni lingua, e -si fece conferire assoluto arbitrio sopra i beni e le forze quanto la -guerra durasse. Mescid bascià approdò (1480) con censessanta vascelli, -e sbarcati centomila uomini, assediò la capitale; ma i cavalieri si -valsero dell’opportunità e della forza dei posti con sì prodigioso -valore, che i Turchi dovettero levarsene d’attorno dopo ottantanove -giorni, lasciando novemila morti, e recando tredicimila feriti. - -Diremo altrove come l’infame politica de’ tempi nuovi inducesse lo -Sforza, il re di Napoli, Firenze e il papa a istigare il granturco -contro Venezia. Nella guerra derivatane, Anton Grimani che comandava -restò vinto, e Venezia lo punì col mandarlo a confine: suo figlio -volle ostentare amor di patria collo stringergli egli stesso i ceppi ai -piedi. Allora fu che tutte le città a mare della Morea furono sottratte -a Venezia, la quale aveva cessato di ricuperar nella pace quel che -avesse perduto nelle battaglie. - -Essa a vicenda, insidiata dal re di Napoli (agosto), istigò contro -di lui Maometto: sicchè dalla Vallona i Turchi sbarcati in Italia, -assalsero Otranto, che magnanimamente si difese; e prevalsi mercè -dell’artiglieria, vi uccisero l’arcivescovo Stefano Pendinello, i -canonici, i frati, violarono le monache, scannarono diecimila abitanti, -altrettanti ne mandarono schiavi, e vi posero forte guarnigione. - -La nequizia de’ principi può sin diminuire l’orrore pel nome turco, -e Maometto faceva proclamare terrebbe esenti per dieci anni da -ogni imposta i paesi italiani che gli si dessero, dappoi non li -taglierebbe che d’una piastra per testa, e libertà di seguir le -leggi e la religione propria come facevasi a Costantinopoli. In fatto -millecinquecento soldati di re Ferdinando disertarono al granturco, -e si temè che Terra d’Otranto si desse tutta a lui; onde l’Italia fu -invasa da sgomento, e il papa si preparava a fuggire oltremonte. Se non -che il nembo parve dissipato allorchè Maometto a cinquantun anno morì -(1481), ripetendo: — Io voleva conquistar Rodi e l’Italia». Quanto egli -fosse temuto l’attestò il tripudio de’ Cristiani; papa Sisto IV ordinò -di far festa come in domenica, e solennizzare tre giorni fra continui -spari d’artiglieria, e processioni generali. - -Buono per l’Italia che l’impeto de’ Turchi non tardò a rallentarsi, -e il despotismo non meno che il clima svigorì una potenza, che nuova -barbarie minacciava, e che mescolatasi all’Europa con trattati e -ambascerie, intepidiva quel suo fiero e micidiale fanatismo. - -Venezia di tante perdite si rifece coll’acquisto di Cipro. Questa -grande isola era stata, in compenso del regno di Gerusalemme, -attribuita da Riccardo Cuor di Leone a Guido di Lusignano, nella cui -stirpe rimase fino alla morte dell’effeminato Giano III (1458). Jacopo -Lusignano, suo figlio naturale, pretendeva ereditarla a scapito della -sorella Carlotta, maritata in Luigi di Savoja. Occupatala, n’ebbe -investitura (1464) dal soldano d’Egitto, di cui l’isola riconosceasi -vassalla; e prese anche Famagosta, da novant’anni possesso de’ -Genovesi. Carlotta fu costretta fuggire, ed intraprendente quant’era -dappoco il marito, impegnò a favor suo il papa, i cavalieri di Rodi, i -Genovesi: ma i Veneziani si chiarirono pel bastardo, e poichè questo -mancava di denari onde mantenervisi, Marco Cornaro veneziano suo -banchiere gli esibì centomila zecchini se volesse sposare la bella -sua nipote Caterina. Acciocchè non fosse disuguale al regio parentado, -questa fu adottata dalla repubblica di San Marco; e il titolo di vana -onorificenza divenne occasione d’importantissimo acquisto. Perocchè, -ucciso Jacopo (1475) e tempestando l’isola fra i pretendenti, la -Repubblica si dichiarò erede eventuale di Caterina, come la madre della -figlia; e col pretesto delle minaccie dei Turchi la indusse o costrinse -a rinunziare Cipro (1489). Caterina ricevette in cambio il castello -di Asolo nel Trevisano, dove conservando il titolo, e circondandosi di -lusso, di piaceri e di lettere, poco ebbe a ribramare il regno perduto. -Venezia ottenne così quell’isola, ubertosissima di vini, di biade, -d’olj, di rame; e a chi parlasse male di questo fatto, intimò sarebbe -annegato. I duchi di Savoja, a cui Carlotta avea rinunziato i suoi -diritti, protestarono, ma non poterono che aggiungere ai loro titoli -quello di re di Cipro, che poi divisero innocentemente cogli eredi di -Venezia. - - - - -CAPITOLO CXIX. - -Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano. - - -Torniamo ora gli sguardi verso l’Italia, dove la prisca infinità di -Stati è ormai riunita attorno a quattro principali, Lombardia, Toscana, -Stato Pontifizio, Napoli; e diciamo di ciascuno in particolare, dopo -esaminatene le vicende comuni. - -Di Firenze l’età poetica può ritenersi chiusa colla morìa del 1348, -che vi uccise centomila uomini, alterò i costumi per le fortune -accumulate, e rincarì i salarj degli operaj. Nel 1352 una banda di -ladri, fingendo dar serenate a questa o a quella signora, pregava i -viandanti non passassero da quella via per non disturbare i suoni e gli -amori, e intanto svaligiava le case. Scoperto l’artifizio, ed esserne -capo Bordone Bordoni di famiglia primaria, il Filicaja confaloniere di -giustizia volea prenderne severa punizione; ma i parenti interposero -uffizj e denaro, tanto che i priori cassarono i collegi del -gonfaloniere. Questo, risoluto a voler eseguita la legge, abdicossi -della dignità e partì per Siena; ma il popolo cominciò ad esclamare che -non rendeasi più giustizia, e tumultuò a segno che fu forza richiamare -il Filicaja, il quale fece troncar la testa al Bordoni, esigliò i -complici, e al fine del magistero n’ebbe un premio di duemila fiorini. - -Firenze procurò riparare a que’ danni istituendo l’Università, e poco -poi, ad istanza del Boccaccio, una cattedra di greco, la prima in -Occidente; potè assodare il suo dominio su Prato; occupò Volterra, -sottraendola alla tirannia di Bocchino Belforti. La sua sommissione a -Carlo IV non ha altro valore, se non dei centomila fiorini con cui ne -comprò la conferma de’ suoi privilegi; e nelle altre città non valse -che a rinfocare le dissensioni interne, le quali al partire di Carlo -proruppero, peggiorate dalle bande mercenarie, delle quali vedemmo come -trionfasse. - -Tardi era sorta a libertà, e solo al chinare degli Svevi e col favore -dei papi; onde non soffrì i primi trambusti di quella gran rivoluzione -nè la lotta col Barbarossa, e potè far senno dell’altrui esperienza; -per forza o per trattati ridusse alle leggi comuni i signori vicini, e -si spiegò francamente papale; e con tanti magistrati, tutti elettivi e -di brevissima durata, otteneva che molti s’interessassero alle fortune -patrie, e negli uffizj acquistassero pratica, franchezza, largo e -generoso vedere. - -Le proposizioni erano dalla Signoria presentate al consiglio del -_popolo grasso_ di cento persone; indi passavano all’assemblea, -composta del consiglio delle capitudini delle arti maggiori, e di -quello di credenza d’ottanta cittadini; in terza istanza venivasi -al consiglio del podestà, di ottanta membri, fra nobili e plebei: -dopo di che l’assemblea generale di tutti questi consigli votava, -e attribuiva forza di legge all’ordinanza. Tale forma variò nelle -particolarità, ma durò nel proposito di togliere la decisione suprema -al potere esecutivo, per affidarla a consigli popolari, ne’ quali -erano rappresentate tutte le forze vive della nazione, impedendo la -preponderanza d’un consiglio col riservare la definitiva risoluzione -all’assemblea generale. - -Dappertutto le prime risoluzioni comunali furono piuttosto dovute -ai nobili, vale a dire della stirpe degli antichi conquistatori -e possidenti, che formatisi in comune, si volevano assicurare e -governare. Ma ben presto le società degli artigiani e i piccoli -possidenti fecero dare alla rivoluzione un secondo passo, eguagliandosi -alle antiche famiglie nella giustizia, negli uffizi, nei pesi. In -qualche luogo anzi vi si sovrapposero, e questo fu il caso di Firenze, -dove i nobili rimanevano esclusi da ogni impiego, le sole arti -partecipandovi; sicchè le famiglie che vi aspirassero, dovevano farsi -scrivere sulla matricola di qualche maestranza. Dante apparteneva a -quella degli speziali, e non rifina di declamare contro i villani -d’Aguglione, di Campi, di Certaldo, che erano venuti a Firenze a -imbastardire la semenza santa degli originarj, discendenti dai Romani. -Però nelle genti nuove non tardò a formarsi un’aristocrazia, le arti -maggiori e le minori erano gerarchicamente disposte, e tutt’occhi ad -escludere chi non fosse del loro numero. - -Giano Della Bella represse viepiù i nobili col sancire non fosse -eleggibile se non chi realmente esercitava un arte: poi la potenza -collettiva de’ priori fu personificata nel gonfaloniere di giustizia, -che doveva presedere alla esecuzione di questa, eletto a due gradi dal -popolo, e con una guardia di mille, poi fin quattromila uomini, talchè -ben presto divenne il primo magistrato, e dirigeva a suo senno gli -affari pubblici. - -A tutti i cittadini non nobili erano aperte le cariche; ma era -_divieto_ che due dello stesso casato sedessero contemporaneamente -nelle primarie. Le antiche famiglie essendo allargate in più rami, e -gelose di conservare i nomi tradizionali, cadevano spesso in questa -esclusione; quasi mai le nuove, le quali non conosceano tampoco due -generazioni di loro parenti: sicchè il governo veniva a persone sempre -meno esperte degli affari, e ai Guelfi di vecchio ceppo surrogavansi -Ghibellini. - -Come contro gli antichi il _divieto_, così contro i nuovi militava -un altro statuto. Fin dal 1266 erasi cominciata l’amministrazione -della massa guelfa, con capitani di parte, due plebei e due -cavalieri, rinnovati ogni bimestre, e in continuo aumento di potenza -e d’arroganza. Nel 1358 Uguccione de’ Ricci, di famiglia emula degli -Albizzi, fece stanziare che, se un Ghibellino o non vero Guelfo -occupasse un impiego pubblico, incorresse una pena, che poteva essere -dalle cinquecento lire fin alla vita, in arbitrio del podestà, e sovra -deposizione di sei testimonj, approvati dai capitani di parte e dai -consoli delle arti. Questa legge, nuovo testimonio dell’esorbitare -delle fazioni, tendeva ad escludere chi possedesse meno di cinquecento -lire, e chiunque sgradisse ai capitani della massa guelfa. I priori -se ne avvidero e la tagliarono, pure modificata passò; ai capitani ne -furono aggiunti due artigiani, e portati a ventiquattro i testimonj -richiesti; ai due posti de’ cavalieri potevano aspirare anche i nobili; -e qualora uno, eletto ad un seggio della Signoria, fosse sospetto di -pensare ghibellino, verrebbe ammonito acciocchè non si esponesse al -pericolo della multa. - -Era un sindacato terribile pei magistrati, e riduceva le elezioni in -mano de’ capitani di parte. Questa specie di terroristi esercitavano -con prepotenza l’infausto diritto di molestare i concittadini; -cercavano si votasse a palla scoperta per influire più efficacemente; -e una volta non riuscendo bastanti i voti, Bettino Ricasoli fece -serrare il palagio, e nessuno n’uscirebbe sinchè, al dispetto di -Dio e degli uomini, due non fossero dichiarati ghibellini; e da -ventidue volte uscito vano il partito, finalmente per istracchezza -fu votata l’ammonizione. Non era più l’antico fervore per la Chiesa -e per l’Impero, ma libidine di occupare gl’impieghi, di escluderne i -concorrenti, di far vendette[98]; e di tal passo viepiù restringevasi -l’oligarchia. Questa, comunque ella fosse salita al potere, vi mostrava -abilità e vigore; reprimeva i tentativi fatti per abbatterla, snidava -gl’incomodi castellani, e cercava il prosperamento della patria. - -Ma potea sperarsi di dar consistenza a un governo, dove ogni impiego -era attribuito dalla sorte, e rinnovato a brevi termini? Fuor di -esso formavasi un partito che realmente dirigeva la repubblica, e -che divenuto robusto, ricorreva al suffragio universale onde farsi -attribuire la _balìa_, cioè potere dittatorio, affidato a parecchi -membri, i quali rinnovavano le borse ponendovi nomi della loro -parzialità, esigliavano quei della contraria, estorcevano denari con -mezzi arbitrarj, e cessando lasciavano la repubblica nella stessa -altalena fra l’anarchia e l’arbitrio. - -Pertanto nella città, o a dir meglio ne’ varj Comuni che la -componeano, distinti per fazione, per quartiere, per arte[99], forma -stabile di reggimento non aveasi; e, al contrario di Venezia, tutto -parea costituito per fare che gl’individui campeggiassero, mentre -illanguidivano i corpi dello Stato. Quindi il cadere dell’uno e -succedere dell’altro cangiava i partiti e partoriva violazioni di -diritti, ma non ne derivava mutamento alla costituzione, non alla -politica esterna. - -Le case antiche mettevano ogni opera a mantenere la purezza guelfa -coll’applicare severamente l’_ammonizione_, e così eliminare -gli uomini nuovi, inclinando perciò all’aristocratico. Le nuove -pretendeano si levasse la nominale distinzione di Guelfi e Ghibellini, -spalleggiando l’opinione democratica. Gli antichi plebei guelfi, che -allora cominciavano a chiamarsi la nobiltà popolana, si schieravano -cogli Albizzi; coi Ricci, intitolati ghibellini, parteggiavano gli -Strozzi, gli Alberti e i Medici, famiglia salita in molta ricchezza -col commercio, e disertata dai nobili popolani. Gli otto della guerra -contro il papa addicevansi tutti a questa fazione come amici di -Bernabò, e parvero farla sormontare col resistere a forza spiegata -contro ai pontifizj. Gli Albizzi, forti dell’appoggio de’ vecchi nobili -e di chiunque era geloso degli otto della guerra, si schermivano -ammonendo, e rivalsero quando il popolo disse risolutamente: — Sono -stanco dei sacrifizj e della scomunica». - -Gran colpo l’interdetto a città così fedele alla Chiesa: ma non che si -esacerbassero, gli animi si compunsero; «in ogni chiesa si cantavano -alla sera le laude, assistendovi uomini e femmine innumerevoli, e -spendendovi senza misura in cera e libri e simili occorrenze; ogni -giorno processione con reliquie e canti musici, e sin fanciulli di -dieci anni entravano nelle compagnie di Battuti; e più di cinquemila -n’andavano talora alle processioni, e fin ventimila nelle processioni -generali; e quei che assistevano alle prediche, orazioni, digiuni, -erano il cento per uno di quando si dicea la messa; molti giovani -nobili si ritirarono in gran penitenze a Fiesole, e convertivano -peccatrici, e benchè ricchi andavano ad accattare pei convertiti» -(MARCHIONNE). Poi insultavano ai fautori della guerra, e quando -scendevane alcuno dal palazzo «e’ gli dicevano: _Or va, fa guerra -colla Chiesa_, picchiavangli le panche dietro, facevangli le corregge -colla bocca, e così infino a casa lo rimetteano». A questo universale -desiderio e alle parole di santa Caterina bisognò piegarsi, presentare -le scuse al papa, e conchiudere pace. Allora i Ricci si trovano a -terra, ed esclusi dalla Signoria per la legge appunto che essi aveano -provocata; onde diguazzarono fazioni, sinchè una balìa dei dieci della -libertà per cinque anni vietò da ogni magistratura tre membri d’ambedue -le famiglie. - -Così la tirannide degli oligarchi montava sempre più, blanditi da -tutti quelli che li temeano; finchè si trovarono alcuni buoni, che -opposero coraggiosa resistenza (1378). Silvestro di Alamanno de’ -Medici, rettissimo cittadino, intraprendente, e caldo avversario de’ -Ricci, essendo tratto gonfaloniere, fece istituire una balìa, la quale -ammaccò l’autorità dei capitani di parte, e lenì la severità contro -gli ammoniti e sospetti ed esuli ghibellini, lasciando loro speranza -della patria e degl’impieghi. Il popolo, che affollato sulla piazza -de’ Signori, avea fatto passare queste leggi contro la stabilita -oligarchia, e saccomannato le case degli Albizzi, degli Strozzi, -dei Buondelmonti e d’altri guelfi[100], temette che allo sbollire -cominciassero i castighi; onde, sollecitato dagli ammoniti, combinò -leghe di tanta forza, che la Signoria non osò punire i capi faziosi, -sebbene li conoscesse. - -Ma nella democrazia la classe inferiore tramesta sempre per collocarsi -a fianco alla sovrastante, per vedersi poi ella stessa invidiata e -battuta da una più bassa. Quando la città si divise in arti, giudicata -ciascuna da proprj capi nelle controversie civili, alcuni esercizj -inferiori non formarono corpo, ma vennero considerati subalterni -ad altri (1378); e per esempio, tintori, tessitori, cardatori di -lana furono aggiunti ai drappieri. Ne nasceva che costoro, o quei -che andavano a giornata, se si querelavano in giudizio, trovassero -talvolta per giudici i proprj padroni od i consorti de’ loro avversarj. -Perciò pieni di corruccio, e temendo d’essere puniti de’ passati -subugli, i plebei o Ciompi cominciarono a brulicare, poi levandosi -in armi (20 luglio), tolsero al bargello quelli che la Signoria -avea fatti arrestare, incendiarono le case del gonfaloniere e de’ -sospetti, piantarono forche sulle piazze per chi rubasse, conferirono -la cavalleria a Silvestro de’ Medici e sessantaquattro altri loro -prediletti, i quali per non essere uccisi accettarono l’onore -pericoloso, sebbene d’alcuni fosse stata il giorno stesso bruciata la -casa. - -Preso il gonfalone (luglio), e assediata la Signoria in palazzo, i -Ciompi domandarono che i mestieri dipendenti dai fabbricanti di panno -formassero corporazione distinta, con consoli proprj, e così i tintori, -barbieri, farsettaj, cimatori, cappellaj, fabbricatori di pettini; si -sprigionassero tutti i rei, salvo i traditori e i ribelli; nessuno del -popolo minuto potesse per due anni chiamarsi in giudizio per debito al -dissotto di cinquanta fiorini. Queste ed altre minori domande furono -accettate, ma crescevano a misura che soddisfatte, tanto più che i -priori non seppero altro partito che abdicare. I ciompi occupano le -porte della città; Michele di Lando cardatore, che trovasi fra quella -folla scalzo ed in farsetto[101], vien tolto per capo, e affidatogli il -gonfalone di giustizia, col quale esso li precede al palazzo pubblico, -ed ivi dice alla ciurma: — Questo palazzo è vostro, vostra questa -città; esprimete la vostra volontà sovrana»; e la ciurma a piena gorgia -— Sii tu gonfaloniere, riforma tu il governo». - -Onest’uomo, animoso al primo avventarsi e, ch’è più raro, temperante -ed, assennato al regolare, il Lando pose termine alle prepotenze -degli otto della guerra, e insieme colla fermezza attutì le sêtte, -prevenne i saccheggi, rintegrò gli ammoniti, e bruciate le borse -da cui doveano sortirsi le magistrature, nominò una nuova Signoria -di tre dell’arti maggiori, tre delle minori, tre del popolo minuto, -rinforzati con milleducento balestrieri. La plebe, come succede, si -gridò tradita, corse al palazzo tumultuando, e stava tutto il dì -in piazza armata e schiamazzante, chiedendo ora proscrizioni, ora -divieti, ora concessioni, sollecitata da’ suoi piaggiatori che la -chiamavano popolo di Dio: e il Lando spiegò una risolutezza che mancò -spesso ad altri demagoghi, quella di negar soddisfazione a domande -fatte a quel modo; e allorchè s’accinsero a far violenza, spiegò il -gonfalone della giustizia, trasse la spada, ferì o disperse i ciompi, -cacciò un migliajo de’ più pertinaci, di modo che la moltitudine -trovossi imbrigliata dal proprio creato. Finito il suo tempo, egli -depose la dignità, e fu per onoranza ricondotto a casa dai donzelli -della Signoria con l’arme del popolo, targa, lancia e palafreno -magnificamente bardato. - -La taglia guelfa si trovò allora soccombente (1379); e i Ghibellini -fattisi capipopolo, continuavano i sospetti e le provvigioni contro -i ricchi e potenti, e moltissimi giudicarono ad esiglio o a morte. -Giovanni Aouto mandò esibire rivelerebbe una trama ordita con Carlo -di Durazzo contro la Repubblica, se questa gli desse cinquantamila -fiorini e di poter salvare sei persone da morte, o ventimila fiorini -se le bastasse saper il trattato, non gli uomini. Di fatto si venne -in chiaro della cosa, e il popolo a furia voleva giustizia, o se la -farebbe col ferro e col fuoco; e per quanto gli uffiziali ripetessero -non trovare titoli bastanti contro gli accusati, fu forza uccidere -Piero degli Albizzi, lungamente capo della repubblica, e i primarj -suoi fautori; molti popolani furono degradati fra i nobili; e preso al -soldo l’Acuto, gli esagerati dominarono, facendo insulse e impertinenti -provvigioni, non solo contro i magnati, ma fin contro gli artieri meno -infimi; profondeansi adulazioni al popolo di Dio, e v’avea cavalieri -che faceansi tagliare gli sproni per ricevere di nuovo il cavalierato -dal basso popolo. Intanto altri ciompi fuorusciti rinterzavano -congiure, crescevano assassinj; e la plebe insospettita attribuiva -poteri smisurati agli uffiziali, chiedea nuovi rigori fin contro tutti -i parenti e consorti degli sbanditi, sempre dubitando perdere ciò che -male aveva acquistato. - -Alle maestranze venne lezzo di tale disonesta tirannia (1382) e degli -_scorridori_ o spioni di cui si circondavano i triumviri de’ ciompi; e -in occasione che voleano di nuovo violentar la giustizia, i moderati -presero il sopravvento, il vulgo applaudì alla morte di quelli, dei -quali aveva applaudito le uccisioni, e con bestialità li straziò, -gridando _Vivano i Guelfi e le arti_; e non senza sanguinose baruffe si -formò la Signoria (1382 21 genn.), componendola di quattro delle arti -maggiori, cinque delle minori, esclusi nuovamente i ciompi, e abolite -le tribù del popolo[102]. Maso degli Albizzi, tirata a sè la podestà, -ruppe le leggi originate da quel tumulto, confinò i capipopolo, e, ciò -che parve indegnissimo, fin il savio Lando, di cui era merito se tutti -non erano stati uccisi; e fermò in istato i grandi, che vi durarono -per trentacinque anni. I migliori uomini di Stato erano morti od esuli; -gli altri, come avviene dopo le paure d’una rivoluzione, si stringeano -attorno a Maso, vegliando gli umori opposti che contrariavano senza -tregua e non senza tempesta. Il tumulto de’ ciompi aveva disgustato -della demagogia, e fatto luogo alla riazione secondo il solito, ove la -nobiltà tornava a soperchiare, giovandosi pure del sentito bisogno di -riposo. - -Firenze, posta nel centro d’Italia e perciò tirata in tutte le vicende -di essa, si prefiggeva di tenere la bilancia fra i varj Stati, sempre -nell’intento di consolidarne la libertà, e d’impedire una monarchia -universale, che temeasi allora per l’Italia quanto di poi per tutta -l’Europa. Sopratutto stava in occhi contro l’ingrandire di Gian -Galeazzo a settentrione, e di Ladislao di Napoli, a mezzodì, perfido -quanto i Visconti, e valoroso come essi non erano: e in realtà la -padronanza dell’Italia non rimaneva in mano de’ forti, com’essi -presumeano, ma de’ Fiorentini, che coll’accorgimento sopravvegliavano -gli andamenti generali, e alla prepotenza d’un robusto opponeano la -lega dei deboli. - -Ebbe essa modo d’insignorirsi d’Arezzo (1398) per compra; ma a cagione -di Montepulciano venuta in dissidio con Siena, questa cercò l’amicizia -di Gian Galeazzo, che subillato dai fuorusciti onde la Lombardia -formicolava, si obbligò a mantenere in Toscana settecento lancie per -servigio de’ Senesi. Firenze ebbe dunque lungamente a temere che Gian -Galeazzo s’impadronisse di Pisa e Siena e la togliesse in mezzo, nè -dall’insidie or aperte or celate di lui la liberò che la costui morte. -Firenze ne mena tripudio cantando col salmista, _Il laccio è rotto, -e noi siam fatti liberi_; e più non temendo per la propria libertà, -e gloriosa di essere sfuggita alle insidie del cardinale Albornoz, -punisce i feudatarj dell’Appennino che a questo aveano dato favore. - -Costoro, da capitani dei marchesi antichi, s’erano mutati in signori -indipendenti, avanzo delle istituzioni germaniche; e fin allora si -erano sostenuti col dare ricovero ed ajuto a’ fuorusciti: ma più -nol poteano dacchè gl’imperatori trascuravano l’Italia, e l’elemento -popolare e cittadino prevaleva. Principale tra essi era Pier Saccone -de’ Tarlati, signore della rôcca di Pietramala, poggiata nell’Appennino -che separa la Toscana dalla Romagna nel val d’Arno aretino, a cavaliere -dell’antica strada mulattiera fra Arezzo ed Anghiari. Caldo ghibellino, -sottopose i vicini signori, gli Ubertini, i conti di Montedoglio e -Montefeltro, e i figli di Uguccione della Faggiuola spossessati di -Massa Trabaria (t. VII, p. 428). Suo fratello Guido era stato fatto -signore d’Arezzo, di cui era vescovo[103], e nel dominio gli successe -Piero, che teneva pure Bibbiena, Castello, Borgo Sansepolcro e tutta -la val Tiberina. Dappoi fu costretto cedere per dieci anni Arezzo ai -Fiorentini con tutto il contado: ma quando le città si rivoltarono -a Firenze dopo la cacciata del duca d’Atene, i Tarlati ne presero -occasione di ripigliare i loro castelli. Piero nella guerra de’ -Visconti sempre parteggiò contro Firenze, sinchè la pace di Sarzana -(1353) lo ridusse in quiete. - -Stando Carlo IV a Pisa, egli di novantacinque anni andò a riverirlo col -vescovo d’Arezzo, Neri della Faggiuola, i Pazzi di Valdarno, e chiedeva -esser ripristinato nell’antica signoria; ma non l’ottenne. Sino ai -novantasei però stette capo de’ Ghibellini e formidabile a Firenze; -poi venuto all’agonia, e persuaso che i suoi nemici non prenderebbero -guardia contro di un moribondo, mandò per sorprendere il castello -degli Ubertini; ma i suoi furono respinti, e con tal dispiacere egli -morì (1356), e colla certezza che nessuno sosterrebbe la grandigia del -suo casato. In fatti suo figlio fu ben presto assediato nella paterna -rôcca, e costretto rassegnarla ai Fiorentini, che la demolirono. Anche -i conti della Gherardesca si sommisero a Firenze, che li costituì -vicarj di Bibbona e di quattordici castelli della Maremma: i Gambacorti -le soggettarono Bièntina, Cerbaja i conti Alberti di Mangona, gli -Spinetta Fivizzano: i Ricàsoli raccomandarono il castello di Brolio; -i conti di Battifolle vendettero quei di Belforte e di Gattaja; -altrettanto fecero i conti di Dovadola; il conte Jano degli Alberti -dovè cedere i suoi in Mugello. - -Gli Ubaldini erano poderosi di terre e rôcche nella val del Senio e -nel vicariato di Firenzuola, talchè questo chiamavasi l’alpe degli -Ubaldini, donde più volte erano discesi a danno di Firenze. Nel 1362 -Giovachino, signore di castel Pagano in val del Senio, morendo per -ferita avuta dal fratello Ottaviano, a costui danno chiamava erede il -comune di Firenze, il quale di quei dominj, contenenti dodici castelli, -costituì il _podere_ fiorentino (1372), estendendolo nelle vicinanze, -sinchè la schiatta degli Ubaldini, tante volte rivoltatasi contro il -comune di Firenze, restò annichilita. Sopra undici di loro fu messa la -taglia di mille fiorini d’oro, chi li desse vivi o morti; e nominati -alcuni _uffiziali delle alpi_ di Firenze, che munissero da quel lato -i luoghi della Repubblica: sicchè gli Ubaldini rinunziarono per mille -fiorini quattordici castelli che tuttora occupavano; Tommaso da Treviso -capitano del popolo ne menò trionfo, e gli Ubaldini furono sciolti -dal bando, restituiti in possesso de’ beni allodiali nel Mugello, e -dichiarati cittadini popolani[104]. I Santafiora furono sottomessi da -Siena, il castel della Sambuca dai Pistojesi, concentrandosi così più -sempre i poteri nelle città, mentre sopra queste vigoreggiava Firenze, -che ebbe sottoposto (1390) anche Montepulciano. Vero è che la tributò -la peste rinnovatasi nel 1400[105]; ma rifattasene, comprò Cortona per -sessantamila fiorini, e tolse i possessi ai conti Guido di Dovadola e -al conte di Poppi. - -I Genovesi, dolenti che Venezia acquistando Padova si fosse tanto -rinforzata in terraferma, pensavano ad elevarle qualche avversario, -e non videro miglior modo che ingrandire Firenze col farle acquistar -Pisa, a patto che guerreggiasse i Veneziani. Indussero dunque -Gabriele Maria Visconti a vendere loro quella città e Ripafratta per -ducentoseimila fiorini: ma i Pisani, indignati di vedersi mercatare -come armento, si ricordano dell’antica nobiltà, afferrano le armi -(1405) e resistono, diretti da Giovanni Gambacorti. I Fiorentini -«scandolezzati dell’alterigia pisana» non vogliono sentire nè messi nè -patti; e risoluti ad ogni estremo per domarli, destinano dieci sopra -quella guerra fratricida. I Pisani li respinsero intrepidi; ricomposero -le inestinguibili nimicizie de’ Raspanti e Bergolini, prendendo insieme -l’eucaristia e stringendo parentadi; e benchè, dispersa da una burrasca -la flotta che recava grani di Sicilia, fossero ridotti i priori a -mangiare pan di linseme, e il popolo fin la gramigna delle strade, -pur resistono allo Sforza, a Tartaglia, a’ soldati, cui i Fiorentini -prometteano, se scalassero le mura, paga doppia, mese compito, il -saccheggio della città, centomila fiorini di mancia, ed armi e vesti -a piacere. E quando, dopo lungo assedio e consumate innumere vite, -il Gambacorti capitolò ricevendo denari, essi dovettero accettare la -servitù, ma molti abbandonarono la patria per sempre. - -Gino Capponi, integerrimo petto, che in quella guerra si era segnalato -come commissario de’ Fiorentini, e a gran fatica salvò Pisa dal -saccheggio promesso ai venturieri, nominatone governatore, cercò -mitigare gli ordini del Comune vincitore e i fremiti del vinto; ma non -potè risparmiare il rigore. Quanto dovettero indispettirsi i Pisani -vedendo togliersi fin la testa di san Rossore, «come quella città, -priva della libertà e degli antichi onori, fosse ancora da’ suoi santi -abbandonata, e all’incontro Firenze di pompa, di gloria, di ricchezze -e di benedizione si riempisse»[106]. Alla prima occasione, tentarono -darsi ai nemici di Firenze, la quale allora meditò repressioni atroci, -chiamare a sè i nobili e megliostanti, cacciare tutti i cittadini dai -quindici ai sessant’anni, e altri spietati ordini, i quali abbiamo -ragione a credere non fossero messi ad effetto. Anzi troviamo che -la vincitrice mandò viveri in copia, poi si industriò, per ravvivar -quella che tanto avea faticato a spegnere; scrisse lettere, istruì -ambasciadori, trattò con principi, affinchè i tanti fuorusciti -ripatriassero; per venti anni francò d’ogni gravezza i forestieri che -andassero abitarvi famigliarmente; privilegiò di esenzioni e consoli -proprj i negozianti tedeschi di quattordici città perchè con quella -mercanteggiassero[107]; vi stabilì l’Università con lauta provvisione -e risedio magnifico. V’è però un bene che nessuna concessione pareggia -nè supplisce; ed è pena d’ogni conquistatore il vedersi obbligato a -spendere nel ribadire le catene e nel fare cittadelle e fortini, il -denaro che sarebbe richiesto al pubblico vantaggio. - -Il Capponi fu lieto di vedere assicurato quell’acquisto col comprare -per centomila fiorini dai Genovesi il porto di Livorno, destinato -all’importanza che Pisa perdeva, e ad aprire ai Fiorentini traffici -lontani senza dipendere da Genova o da Venezia, e così colle private -crescere la fortuna pubblica. Subito fu provvisto alla sicurezza -di quel porto; vi si creò il magistrato de’ consoli di mare, che -erano sei cittadini fiorentini, di cui quattro estraevansi dalle -cinque arti maggiori, esclusa quella de’ giudici e notari, e due -dalle minori, principalmente occupati a prosperare la mercatura e la -marina, risolvere le cause marittime, e fabbricare una galea ogni sei -mesi, col legname delle foreste delle Cerbaje, facendo franche d’ogni -rappresaglia, anche in caso di guerra, le merci trasportate su quelle -galee. Ad esempio di Venezia, si stabilì edificare due galee grosse e -cinque sottili, da spedire ad Alessandria per spezierie ed altre merci, -e per esercitare la gioventù in cotali esercizj: vi s’imbarcarono -dodici giovani di buone famiglie, e dal soldano d’Egitto s’ottenne -d’avervi console, chiesa, fondaco, bagno, statera, bastagi, scrivano -proprio, per sicurezza dei mercanti e onorevolezza della nazione. -Furono posti consoli in tutte le parti di fedeli ed infedeli; e ben -tosto Firenze possedette navi per affrontar Genova e sconfiggerla. - -Internamente essa prosperava con ordinamenti buoni, cooperando ciascuno -per l’accrescimento della città. Chiunque era ammesso cittadino, dovea -fabbricare in Firenze una casa di almeno cento fiorini; le scritture -pubbliche si ridussero ne’ libri delle Riformagioni; si convertì in -legge la compilazione degli statuti; si migliorò la moneta; si creò un -nuovo Monte o vogliam dire debito pubblico; si formò il catasto col -nome di ciascun cittadino, l’età, la professione, l’importare della -sua fortuna in beni immobili e mobili d’ogni specie, tassando di mezzo -fiorino ogni cento di capitale. Valutavasi che nelle vie attorno al -Mercato nuovo fossero settantadue banchi, e girassero in contante -due milioni di fiorini d’oro. Allora si cominciò l’artifizio dell’oro -filato, si moltiplicò quello de’ drappi di seta, fu permesso a ciascuno -d’introdurre foglia di gelsi e allevare filugelli senza gabella. - -Copiosissime ricchezze aveano accumulalo que’ magistrati mercanti, -e l’eguaglianza repubblicana non lasciava sfoggiarle in inutile -suntuosità, non grandi comitive di servi, non insultante sfarzo di -carrozze; a piedi andavano anche le mogli de’ primaj; leggi suntuarie -reprimevano il lusso, permettendo la magnificenza, sicchè spendeasi -in palazzi, chiese, quadri e statue, o in trarre rarità e libri dal -Levante. Si abbellì la città coll’opera dei primi artisti: fu provvisto -che ciascun’arte collocasse lo stemma proprio e la statua del santo -patrono in una delle nicchie esterne di Or San Michele, ove lavoravano -di marmo e di bronzo Donatello, Andrea del Verrocchio, Baccio da -Montelupo, Nanni del Bianco, Simone da Fiesole, Lorenzo Ghiberti: a -questo l’arte di Calimala allogò le porte di bronzo di San Giovanni, -dove riuscì sì famosamente, che fu dichiarato gonfaloniere, e infisso -il gonfalone alla sua porta in Borgallegri; mentre chiamavasi Filippo -Brunelleschi a voltare la cupola di Santa Reparata. - -Per rimovere il pericolo di correre strabocchevolmente a guerre, si -prese che ad un consiglio di ducento, da rinnovarsi ogni sei mesi, -fossero fatte le proposte della Signoria, poi passate al consiglio dei -centrentuno, nel quale entravano la Signoria, i collegi, i capitani -guelfi, i dieci della libertà, i sei consiglieri della mercatanzia, i -21 consoli delle arti, e quarantotto altri cittadini; e se passassero, -doveano ancora sottoporsi al consiglio del popolo, indi a quello del -Comune; nè senza l’approvazione di questi quattro consigli veruna -provvisione avea forza. Speravasi che il dover consultare tanti -consigli indurrebbe alcuno a opporre il suo no; ma è sintomo di -debolezza il non saper rimediare che col moltiplicare i conflitti. - -Insomma il governo rimaneva democratico, ingerendosi il popolo -direttamente dell’amministrazione; gran numero di cittadini v’erano -a vicenda chiamati, e i numerosi consigli pubblici erano scuola di -scienza civile: che se talvolta le passioni popolari e le fazioni -spingevano ad eccessi, in fondo la politica n’era generosa e insieme -arguta a scorgere i sottofini de’ papi e degl’imperatori, savio -ed abile il governo, civile la nazione, fida alla libertà anche a -gravissimo costo, devota alla santa Sede, non però ciecamente. Poco -valeva nelle armi, pure seppe opporre meglio che denaro alle bande di -ventura, e le avrebbe distrutte se i principotti non avessero avuto -troppo interesse a conservarle. Ella medesima se ne valse per fiaccare -i Visconti, e qualvolta cadde sotto la tirannia d’un soldato o della -plebaglia, non tardò a riscattarsene. Molti signori s’accomandavano -a Firenze, come i nobili di Guggio pe’ loro castelli nell’Imolese, i -marchesi di Lusuolo in Lunigiana, i Grimaldi di Monaco obbligandosi -a servire in persona con una galea, Gian Luigi dal Fiesco conte di -Lavagna promettendo condurre trenta lancie e ducento fanti, e ricevendo -stipendj. - -Invece dei bassi o atroci delitti che insozzano le storie de’ -principotti, Firenze ci tramandò i capolavori dell’arte e della -parola, i quali ne eternano la lode; le abbondarono cronisti e storici, -quali, dopo Dino e i Villani, furono Matteo Palmieri, Paolo e Giovanni -Morelli, Jacopo Salviati, Giannozzo Manetti, Amaretto Manelli, Domenico -Buoninsegna, Buonaccorso Pitti, Gino e Neri Capponi, Simone della Tosa, -Bernardo Rucellaj, Giovanni Cavalcanti, Lorenzo Buondelmonte, Filippo -Rinuccini; e la superiorità di costoro, che non soltanto raccontano più -colti e limpidi, ma giudicano ancora con grave assennatezza e spesso -con elevazione, è argomento del quanto la nazione fosse superiore alle -altre italiane nell’esaminare la politica, regolarla, sceverarla da -passioni; e come allo spirito di parte sovrastasse sempre l’amore della -patria. - -Nei trentacinque anni ch’e’ presedette allo Stato, Maso degli -Albizzi mostrò abilità e coraggio; istrutto dall’avversa fortuna, -non imbaldanzito dalla benigna, strettamente alleato coi Veneziani, -tenne testa a Gian Galeazzo e a Ladislao, eppure non uscì mai dalla -condizione di privato: ma poichè la parte trionfante non seppe -astenersi nè dall’insolenza verso altrui, nè dalla sconcordia tra sè, -al morir suo le case degli Alberti, Medici, Ricci, Strozzi, Cavicciuli, -spesse volte d’uomini e di roba spogliate dai nobili popolani, e -rimosse dai pubblici uffizj, rifecero testa, e colle ricchezze e -coll’educazione mostravansi degne di amministrare lo Stato. - -Giovanni di Bicci de’ Medici avea guadagnato largamente in traffici -di banco, massime durante il concilio di Costanza servendone al papa, -talchè avea credito illimitato e affari per tutto il mondo; pure -sembrò tanto benigno e scarco d’ambizioni, che si cessò d’escluderlo -dagl’impieghi. Coll’accomodare di denaro chi n’avesse bisogno, col -blandire al popolo, col mostrarsi moderato fra le esuberanze de’ -parteggianti, si procacciò stima nell’universale, e più quando, -tumultuando il popolo per soverchie gravezze imposte a cagione -della guerra con Filippo Visconti, e volendo i nobili popolani -fiaccarlo collo sminuire il numero delle arti minori, egli si oppose -alla proposta, e sostenne l’alleggiamento e che si istituisse il -catasto, benchè su lui più che su altri, come maggior possidente, -dovesse gravare. Ricchi dunque e popolani studiavano trarlo dalla -loro; e malgrado l’opposizione di Nicolò da Uzzano, amico di Maso e -suo successore nel primato civile, il portarono (1421) al posto di -gonfaloniere, che con gran decoro sostenne fino a morte. - -Cosmo suo primogenito ne ereditò (1429) il credito e l’importanza, -e a capo della fazione recò l’abilità e le virtù paterne, e maggior -animo nelle cose pubbliche; grave e cortese ne’ modi, liberale a -proporzione delle ingenti ricchezze; entrante, conoscitore profondo -degli uomini, longanime nello aspettar l’esito de’ disegni fermamente -concetti; franco nel manifestare i suoi pareri, eppur tenuto come -prudentissimo: inclinato alle vie dolci, ma sapendo all’uopo dar passi -robusti; francheggiato da molti amici e clienti, ai quali era sempre -disposto a fare servigio dell’aver suo. Di squisito gusto nelle arti, -di molta erudizione, di retto giudizio, favorendo le lettere e le -arti apriva nuove strade alla crescente operosità: il giro de’ banchi, -per cui non trovavansi più ridotti a miseria, legava gli sbanditi per -interesse e per gratitudine alla famiglia che più lavorava di cambio; i -condottieri deponevano presso di quella i loro avanzi, o le domandavano -anticipazioni. Più dovizioso riusciva Cosmo perchè non abbandonò mai -il vivere privato; senza sfarzo di casa che abbagliasse i cittadini, -senza comprare stranieri ministri, o scialacquare in pranzi e comparse, -o assoldar truppe, mai non dispose per sè più di quarantasei in -cinquantamila fiorini l’anno, mentre lo Sforza ne spendea trecentomila -prima di salire duca. E appunto le virtù private, i temperati consigli, -il sentimento popolare, la calma fra le burrasche fazioniere, la lauta -beneficenza furono stromenti alla potenza de’ Medici. - -Lucca era stata lungamente alleata di Firenze, poi al 1314 disertò -da’ Guelfi; e dopo lo sfavillante dominio di Castruccio e d’Uguccione, -andò soggetta a vicenda a Gherardino Spinola, a Giovanni di Luxemburg, -a Mastino della Scala, a’ Fiorentini, a’ Pisani, a Carlo IV[108], dal -quale poi nel 1369 riebbe la libertà, cioè di non esser sottomessa a -verun’altra città, ma soltanto all’impero. E quel fatto di cui fecero -tanta festa i contemporanei, e tanto scalpore gli storici posteriori; -concordi nel proclamare come liberatore quel Carlo, che realmente -sottoponeva, almeno in carta, quella repubblica al dominio imperiale. - -Immune da dipendenza di vicini, Lucca esercitò alla cheta le -interne emulazioni fra i discendenti di Castruccio, i Fortiguerra, -gli Spinetta e i Guinigi. Quest’ultima famiglia vi primeggiava; -ma essendo perita quasi tutta nella peste del 1400, il giovinetto -Paolo sopravissuto fu da ser Giovanni Cambi (il cronista) indotto -a farsi _signore a bacchetta_, e perciò, scostandosi da Firenze, -unirsi a Galeazzo Visconti, col cui appoggio si assicurò il dominio. -Senza tampoco rispettare le forme, come faceano i precedenti, e -togliendo ogni autorità al Comune, trent’anni egli serbò quieta la -repubblica, ma dappoco e sempre in paura di cadere, nè seppe introdur -buone istituzioni, nè farsi amici, benchè circondato di favoriti, -di parentele, d’alleanze co’ principi, e fidente nella _cittadella_ -che fabbricò; mancava di quel valore che le plebi stimano più che -le qualità utili, e alle bande mercenarie, massime di Braccio, non -oppugnava che con grossissimi donativi. Firenze, da cui improvvidamente -egli avea alienato la repubblica (1429), trovò pretesto a romper seco, -e vi spedì i venturieri Nicolò Fortebraccio e Bernardino della Carda, -che squarciarono il paese. Il celebre architetto Brunelleschi suggerì -di sommerger Lucca, chiudendo l’alveo del Serchio, sicchè l’acqua -scalzasse le mura e le abbattesse. A grande spesa si alzò di fatto -l’acqua attorno alle mura, che per tre giorni furono inondate, ma poi i -contadini riuscirono a sdrucire l’argine, sicchè la piena si rovesciò -addosso al campo fiorentino (1430) con immensa jattura. Poi Francesco -Sforza, spedito dal duca di Milano, mise in isbaratto i Fiorentini, e -ne invase il territorio. - -Il Guinigi col senno, e i suoi figli col braccio, aveano difeso Lucca; -eppure caddero in sospetto di volerla tradire ai Fiorentini, e furono -mandati prigioni a Milano, ripristinando il governo all’antica con un -gonfaloniere e col consiglio degli anziani. I Fiorentini, che aveano -mostrato assumer la guerra soltanto per assicurarsi dal Guinigi, -la proseguirono per sottoporre Lucca come le altre città toscane; -ma Nicolò Piccinino, stipendiato da Genova, ligio al Visconti, li -sconfisse del tutto sul Serchio, invase lo Stato, avvicinossi a Pisa, -che facea sonare le sue catene, bramosa di romperle. - -Tale impresa era stata da Cosmo francamente disapprovata, sicchè -l’infelice riuscita crebbe ad esso tanta reputazione quanta ne -toglieva agli Albizzi e a Nicolò da Uzzano. Questo però repugnava dai -partiti violenti, conoscendo che una rottura aperta darebbe trionfo ai -Medici. Ma morto lui e conchiusa pace con Lucca[109], inciprignirono i -malvagi umori, e Rinaldo, figlio di Maso degli Albizzi, capoparte più -avventato, entrò in grandi pratiche di abbassare e anche cacciar Cosmo, -e ripigliarsi lo Stato. Disposte sue fila, sonò a balìa, e convocò -una di quelle assemblee in piazza, dove tutti accorrevano a onde e -deliberavano a schiamazzo, per l’urgenza del caso trascendendo le -barriere costituzionali, e pochi arruffapopolo trascinavano a decidere -secondo la fazione. Quivi si diede la balìa a ducento cittadini -indicati da Rinaldo; e Cosmo, per accusa di denaro disperso nella -guerra di Lucca, fu condannato a morte: se non che egli, comprando alla -sua volta Bernardo Guadagni gonfaloniere e gli altri che a Rinaldo -già s’erano venduti, ottenne d’essere soltanto sbandito (1433), e la -famiglia sua relegata tra le nobili. - -Andossene a Padova; e allora comparve quanto egli fosse grande, caro -dov’era, desiderato ove non era. La Signoria veneta mandò onorandolo, -e il richiedeva di pareri; chiunque avesse alcun bisogno, ricorreva -ad esso, e una sua raccomandazione bastava: a lui facevano capo i -negozianti, sicchè l’avresti detto un piccolo sovrano; mentre a Firenze -artisti, poveri, trafficanti lamentavano mancato il loro sostegno. -Rinaldo, incapace a lottare coll’avversario lontano che vicino aveva -oppresso, cercava inutilmente afforzarsi col riabilitare i nobili -alle cariche, da cui già da gran tempo erano esclusi, e fin colle -armi tentò far prevalere la sua parte: non girò intero un anno, che -interponendosi papa Eugenio IV, allora quivi dimorante pel concilio, -fu senza scandali tratta una Signoria (1434 7bre) propensa a Cosmo, -questi rintegrato in patria con accoglienze meravigliose, e sbanditi -o confinati da settanta de’ suoi avversarj. Rinaldo, non essendosi -lasciato persuadere dal papa, e ignaro della virtù dell’aspettare e far -a queto, andò a sollecitare Filippo Visconti contro Firenze; e mandò -dire a Cosmo — La gallina cova»; al che questo rispose: — Mal cova -la gallina fuori del nido». Rinaldo colle bande del Piccinino (1440) -penetrò fin alla montagna di Fiesole e nel Casentino: i Fiorentini gli -opposero Francesco Sforza, rotto dal quale intieramente ad Anghiari, e -invano travagliatosi da capo per ricuperare la patria, andò a finire in -Terrasanta. - -Cosmo, tornato in trionfo, salutato benefattore del popolo e _padre -della patria_, pigliò vendetta proscrivendo molti avversarj, molti -condannando al supplizio e fin senza confessione, altri assassinati, -come Balduccio, condottiere valente di fanteria toscana, che il -gonfaloniere di giustizia fece pugnalare e buttar giù dal palazzo -senza processi. Con tali colpi otteneasi docilità e svogliava -dall’opposizione, e a chi l’avvertiva come la città per tanti banditi -venisse in calo, rispondeva: — Meglio città guasta che perduta; del -resto, non vi affannate, che con due canne di panno rasato posso fare -un uom dabbene», cioè riparare con gente nuova. - -Non si alterò il modo del governo e de’ magistrati di Firenze, ma tutto -dipendeva da Cosmo. Vedendo omai in ciascuna città italica dominare -una famiglia, pensò innalzar la sua in Firenze, non per armi, sibbene -coll’offrire agli ingegni attrattive e distrazioni nuove nelle arti -e nel sapere, avvivare il commercio, estendere la tela politica, -aumentare la propria importanza col darne alla patria su tutt’Italia, -e quiete a questa coll’equilibrarne gli Stati; a tal fine associò al -suo denaro la spada di Francesco Sforza, le due potenze di quell’età, -il banchiere e il condottiere. Potendo avere a disposizione tutti i -capitani di ventura, mantenne in bilancia le potenze d’Italia: alla sua -repubblica aggiunse Borgo Sansepolcro, Montedoglio, il Casentino e val -di Bagno. - -Senza dunque sovvertire la costituzione e le leggi, fondava a cheto la -signoria delle ricchezze, le quali, mercè del commercio, aveano indotto -immensa disparità fra i cittadini, e procacciando ammiratori e clienti, -in pochi restringevano l’autorità, benchè durasse stato di popolo; -anzi in cinque soli fece Cosmo (1452) ridurre il diritto d’eleggere la -Signoria. - -A fianco di lui figurava Neri Capponi, in consigli più sottile di Cosmo -e, ciò che questi non era, valente in armi e creduto dai soldati; il -quale, non cessando d’essergli amico, si tenne indipendente, e menò -gli affari più scabrosi. Loro mercè fu riordinata la tranquillità in -Firenze, ma insieme tolta la libertà, giacchè dal popolo, quante volte -volessero, faceano decretare una balìa dispotica, e riformare le borse, -e confinare chi li contrariava; mentre teneansi buoni gli amici col -secondarne le passioni, collocarli negli uffizj e ai governi, chiuder -gli occhi sulle arti onde s’ajutano i bassi, ligi ai potenti. - -Alla morte di Neri (1455) parea dovesse ingrandire Cosmo, sciolto -da quest’ultimo contrappeso; ma il contrario gli accadde per averne -perduto l’appoggio. Gli avversarj pensano umiliarlo coll’abolire -le balìe, e tornare alla sorte l’elezione del gonfaloniere e della -Signoria; e il popolo va in gavazze, come di ricuperata libertà. Cosmo -però non discende pur d’un grado dalla ottenuta grandezza, perchè -temperatamente usata, e perchè gli uomini nuovi imborsati erano avvinti -a lui per interesse e mercatura, o ligi per gratitudine e speranze; -laddove non essendo più gl’impieghi concentrati in mano di pochi, -gl’inimici suoi si sottigliavano; i quali, avvedutisi dello sbaglio, -cercavano si ripristinasse la balìa. Cosmo, prima d’assentirvi, lasciò -che gustassero i frutti della loro inesperienza; ma quando (1458) -sortì gonfaloniere Luca Pitti, e’ lasciò tastassero la riforma. Il -Pitti, animoso e temerario, teneva col terrore un governo pigliato -colla forza: chiunque avesse bisogni o reclami, a lui ricorreva, alla -sua casa tutti i malviventi; e coi regali ricevuti, che vorrebbonsi -far ammontare a ventimila fiorini, e col dare sicurezza ai malfattori -che vi lavorassero, fabbricò il palazzo a Rusciano, e un altro in -città che maestoso grandeggiava sul _poggio_, mentre al piano i Medici -conservavano la ricca e pur semplice magione in via Larga. - -Ritirato in questa, Cosmo appariva più grande dacchè non ritraeva -lustro che dal merito personale. Gliela abbellivano con dipinti frate -Angelico, Pippo, Masaccio; Donatello il consigliò a radunarvi capi -d’arte antichi; nelle corrispondenze sue non chiedeva solo merci e -denaro, ma codici, e mandava a trascriverne; accoglieva letterati, -massime quelli fuggiti di Costantinopoli; la biblioteca Laurenziana -ebbe origine dai libri di esso; un’altra ne collocò nella badia da lui -finita a piè del monte di Fiesole; una ne lasciò al convento di San -Giorgio in Venezia, dov’era stato ricoverato; comprò quella ove Nicolò -Niccoli avea radunato ottocento manoscritti, e la fece pubblica in -San Marco de’ Domenicani, fondazione sua non meno che San Girolamo a -Fiesole, San Francesco del Bosco in Mugello, e San Lorenzo in città, -ove pure cappelle a Santa Croce, all’Annunziata, a San Miniato, -negli Angeli, architettate dal Brunelleschi, da Michelozzo e da altri -eccellenti. Pie istituzioni avea lasciato a Venezia, un ospedale a -Gerusalemme, un acquedotto ad Assisi; onde non è meraviglia se fuori -veniva considerato come un gran principe, in patria vivendo tuttavia da -privato. Di sue ricchezze chi potrebbe levare il conto? I suoi poderi -di Careggi e Caffagiuolo poteano servire di modelli; aveva in proprio -o a fitto tutte le cave d’allume d’Italia, e per una sola in Romagna -pagava centomila fiorini annui; per Alessandria mercatava coll’India, -nè era città ove non tenesse banchi; prestò somme al re d’Inghilterra, -ne anticipò al duca di Borgogna. In questo riposo le gelosie della -libertà cadevano; i Fiorentini, come gli altri Italiani, si abituavano -a vedere grandezza altrove che nella politica; e l’artista, il -letterato, il grosso negoziante onoravansi d’andar esenti dalle -cariche, quanto un tempo d’esservi assunti. - -Ma di due figliuoli rimastigli, il prediletto Giovanni morì a -quarantadue anni (1403); Pietro era rattratto di corpo e debole di -spirito; fanciulli i due costui figli, onde Cosmo cadente faceasi -portare pel vasto palazzo esclamando: — Troppo grande per sì piccola -famiglia». Di settantacinque anni morì (1464 1 agosto) nella sua -villa di Careggi, dopo stato trent’anni capo della repubblica e non -tiranno. E diceva a’ figliuoli: — Vi lascio infinite ricchezze che la -mia fortuna mi ha concedute, e vostra madre mi ajutò a conservare; -mantenetevi la grazia di ogni buon cittadino e della moltitudine; -e se non isviate dai costumi de’ maggiori, sempre il popolo vi -sarà larghissimo donatore di dignità. Perchè ciò avvenga, siate -misericordiosi ai poveri, graziosi e benigni agli abbienti, e solleciti -ad ajutarli nelle avversità: non consigliate mai contro la volontà del -popolo: non parlate a modo di dar parere, ma di amorevole ragionamento: -del palazzo non fate bottega, anzi aspettate d’esservi chiamati: -procurate di tener in pace il popolo e doviziosa la piazza: schivate -d’andare ai tribunali, per non impacciar la giustizia. Vi lascio netti -di macchie, eredi di gloria, e me ne parto lieto, e più lieto partirei -se vi vedessi in sajo anzichè in seta. Fatevi segno al popolo il men -che potete. Siavi raccomandata la Nanina madre vostra, e fate, dopo la -mia morte, di non mutarle stanza e trattamento. Pregate Dio per me, e -abbiatevi la mia benedizione»[110]. Fu compianto dagli amici pel bene -ricevuto, dai nemici pei mali che prevedevano quand’egli cessasse di -tenere in rispetto i potenti. - -Di fatto Luca Pitti, d’ambizione e di talenti superiore, che già nella -vecchiezza di Cosmo avea fatta rivalere l’oligarchia, tiranneggiò -allora a baldanza, disponendo dell’erario e degli uffizj, mal -contrastato da Pietro Medici. Le famiglie di Firenze erano state -interessate a sostenere Cosmo, in grazia dei prestiti coi quali egli -soccorreva ai loro bisogni, persin talora prevedendone la domanda: ma -Pietro, volendo rimediare alle scosse date a’ suoi negozj dalle ingenti -spese e da fallimenti, e accorgendosi che andavano sempre in peggio da -che non v’attendeva in persona, ridomandò improvvisamente i capitali -per investirli in terreni: Pensate quanti dissesti! i fallimenti -susseguiti furono imputati a sua colpa, e tristo paragone faceasi colla -liberalità paterna. Si tramò dunque di togliergli la riputazione e -lo stato, e rintegrare la libertà; e pei maneggi del Pitti cassata la -balìa, si rimisero alla sorte le elezioni, e fu salutato gonfaloniere -Nicolò Soderini, a gran gioja del popolo. Lealissimo repubblicano ma -debole, domandava d’essere condotto, invece di saper condurre; quando -mise mano a riformare lo Stato per vie legali, si trovò attraversato -dalla fazione dei Pitti, speranti nello scompiglio; ond’egli uscì di -carica senz’essere a nulla approdato. - -Moriva in quello stante (1466 8 marzo) il migliore amico de’ Medici, -Francesco Sforza; e Galeazzo Maria, figlio di quello, mandò chiedendo -fosse a lui continuato il soldo che retribuivasi a suo padre come -a condottiero della Repubblica. Quelli del Poggio, cioè i Pitti, -fissaronsi al no, e ordinarono cogli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini, -facendo sottoscrivere tutti coloro che volessero salvar lo Stato -e ricuperare la libertà, e chiedendo ajuti a Buoso duca di Modena; -e pensavano forse assassinare Pietro e i suoi figliuoli Lorenzo e -Giuliano. Pietro, informatone a tempo, li prevenne colle armi e coi -trattati, e rimasto superiore, mandò in bando gli avversarj, di che si -rincalorirono le nimicizie. Luca Pitti, lasciatosi lusingare da Pietro -colla speranza d’un parentado, gli diede la lista de’ congiurati, onde -ne fu obbrobriato, e i suoi palazzi rimasti incompiuti attestarono -l’altezza della sua ambizione e i danni della sua imprudenza. - -Gli espulsi, sotto Angelo Acciajuoli attestatisi cogli esuli del 1434, -e preso a capo Gian Francesco Strozzi, preparavano guerra aperta; e -Venezia, non volendo favorirli alla scoperta, lasciò entrasse al loro -soldo Bartolomeo Coleone suo capitano (1467), al quale s’accollarono -molti signorotti di Romagna, i Pio, i Pico, gli Ordelaffi, Ercole -d’Este, Astorre Manfredi di Faenza, Alessandro Sforza di Pesaro. -I Fiorentini si opposero, collegati con Galeazzo Maria e col re di -Napoli; e comandati dal prode Federico di Montefeltro signore d’Urbino, -alunno di Francesco Sforza, affrontaronsi (25 luglio) alla Molinella -nel territorio d’Imola, dove primamente il Coleone adoperò artiglierie -volanti, e dove, mancato il giorno, a lume di fiaccole si continuò la -mischia. La giornata fu sanguinosa oltre l’usato, ma non risolutiva; -la Repubblica fiorentina ebbe a logorare fin un milione trecentomila -fiorini d’oro; i fuorusciti, per diffalta di denaro, dovettero -desistere e compromettersi in Paolo II, il quale non riuscendo ad -accordarli, pubblicò articoli di pace, intimando scomunicato chi non -gli accettasse; e dove la conclusione era di restituire ciascuno ne’ -pristini possessi; il Coleone con centomila ducati d’oro l’anno sarebbe -capo dell’esercito che dai signori tutti d’Italia volevasi mandare -contro i Turchi. Nulla stipulò a favore degli sbanditi, dei quali anzi -furono staggiti i beni; poi colla ragione o col pretesto di congiure -e attentati furono respinte le famiglie de’ Capponi, Strozzi, Pitti, -Alessandri, Soderini, ed alcuni mandati al supplizio[111]. Restarono -dunque peggiorati dell’avere e della persona, mentre Pietro, gottoso -e impotente di tutti i suoi membri, ignorava le sevizie de’ suoi, e -predicava moderazione e civiltà; e veramente trattava di ripatriare i -fuorusciti, quando morì (1469 2 xbre), soli cinque anni dopo il padre. - -Tommaso Soderini seppe persuadere a conservar _principi dello -Stato_ i giovani figli di lui Lorenzo e Giuliano: i quali a cinque -_accoppiatori_ diedero diritto di nominare il consiglio de’ duecento; -balìa non più a tempo per casi urgenti, ma permanente e che poteva -ogni cosa, punire, esigliare, levar denaro. I Medici trovavansi dunque -in mano lo Stato, e potevano convertire a comodo proprio le somme -pubbliche, oltre quelle che per avventura riceveano da chi volesse -conservarsi in grado o soprusare impunemente; e la tirannia palliavano -con feste, colle largizioni, col proteggere artisti e letterati. - -Lorenzo particolarmente è una delle fisonomie più simpatiche della -nostra storia, e ci restano alcuni suoi ricordi giovanili, di cara -semplicità: — Il secondo dì dopo la morte del padre mio, quantunque -io Lorenzo fossi molto giovane, cioè di anni ventuno, vennono a noi -a casa i principali della città e dello Stato a dolersi del caso, -e confortarne che pigliassi la cura della città e dello Stato, come -avevano fatto l’avolo e il padre mio; le quali cose, per essere contro -alla mia età e di gran carico e pericolo, malvolentieri accettai, e -solo per conservazione degli amici e sostanze nostre, perchè a Firenze -si può mal vivere senza lo Stato, delle quali insino a qui siamo -riusciti con onore e grazia, reputando tutto non da prudenza, ma per -grazia di Dio e per i buoni portamenti de’ miei passati. Di settembre -1471 fui eletto ambasciatore a Roma per l’incoronazione di papa Sisto -IV, dove fui molto onorato; e di quindi portai le due teste di marmo -antiche dell’immagine d’Augusto e di Agrippa, le quali mi donò detto -papa; e più portai la scodella nostra di calcidonio intagliata, con -molti altri cammei e medaglie, che si comprarono allora fra le altre in -calcidonio». - -Morta una Simonetta gentildonna, fior di bellezza e di virtù, era -universalmente compianta; e quando col viso scoperto era portata a -sepellire, tutta Firenze fu in cordoglio. Lorenzo giovinetto deplorò -in versi quella morte, e per ispirarli di maggior verità, cercò -persuadersi d’essere invaghito dell’estinta; dal che passò a voler -ricercare se altra donna raggiungesse quel modello. E parvegli tale -una che egli celò, ma i biografi rivelarono essere Lucrezia Donati, -ch’e’ vide in una solennità, così bella che esclamò: — Deh fosse pari -alla Simonetta anche in virtù!» E chiestone, poi conosciutala, la -trovò migliore ancora della speranza, e d’ingegno meraviglioso senza -la presunzione che fa ridicole le saccenti. Questo amore lo fece schivo -dei diletti vulgari e delle affollate radunanze, dilettandosi piuttosto -nella solitudine, dove tutto rammemoravagli colei, da cui invece lo -distraevano i pensieri del mondo[112]. - -Quest’è il mostro della tragedia d’Alfieri, in cui è verseggiato un -nuovo tentativo che i nemici dei Medici fecero per abbattere i due -giovinetti. - - - - -CAPITOLO CXX. - -Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. Ferdinando di Napoli. Lorenzo -Medici. - - -Al concilio di Costanza erasi messo in disputa se più casta non -tornerebbe la Chiesa quando si spelagasse dal dominio temporale; ma un -oratore ragionò: — Tempo fu che io pensava convenientissimo il separare -la potenza terrena dalla spirituale; ma ora son chiaro che la virtù -senza forza è ridicola, e che il pontefice romano senza il patrimonio -della Chiesa non sarebbe che un servitore dei re e dei principi»[113]. - -E davvero la schiavitù d’Avignone avea persuaso e papi e signori -che importava assicurare alla santa Sede un’esistenza indipendente, -acciocchè non divenisse stromento ai regj arbitrj; e si diede opera a -consolidarne la potenza politica quando debilitavasi la spirituale. -Martino V, tornando a Roma, avea trovato il patrimonio della Chiesa -in isconquasso, ma fermo eppur pacifico con dignità lo ristabilì; -indusse Giovanna II di Napoli a restituirgli Roma occupata da Ladislao; -tolse Perugia a Braccio di Montone[114] e le altre terre ai tiranni -che n’avevano preso il dominio. I Malatesta, segnalati capitani, -eransi costituiti un bel principato a Rimini, sottomettendo Fano, -Pesaro, Camerino, Macerata, San Severino, Montesanto, Cingoli, Jesi, -Fermo, Gubbio; ma, morto Carlo, condottiero de’ più prodi e generosi, -perdettero ogni cosa, salvo Rimini, Fano e Cesena, lasciate a tre -nipoti di quello. Anche Borgo Sandonnino, la Pergola, Brettinoro, -Osimo, Cervia, Sinigaglia, furono riuniti al dominio papale. Bologna -non sapeva dimenticare la sua libertà; ma quando tentò ripristinarla -nel 1428, fu subito oppressa dalle bande venturiere. Le tante città -avvezze ad avere un principe e corte e lusso ed arti, piangeano il -sottentrato spopolamento. Il cardinale Albergati, santo di costumi -quanto accorto negli affari, seppe alla Sede pontificia ricuperare -importanza politica in Italia, coi maneggi ottenendo meglio che colle -guerre, e molte paci conciliando. - -Roma era sottoposta al pontefice, ma conservava una rappresentanza -civica: e il senatore nell’entrare in Campidoglio giurava nelle mani -del conservatore di esercitare l’officio lealmente e in buona fede; -dare appoggio agli inquisitori dell’eresia e vantaggiar la fede; tener -Roma e il contado in pace e tranquillità, e purgati da malandrini; -conservare e difendere le ragioni, i beni, le giurisdizioni e dignità -della città e della camera, e ricuperare ciò che se ne fosse perduto; -mantenere e difendere gli spedali, i luoghi pii e religiosi; procedere -sommariamente nelle cause di questi, delle vedove, de’ pupilli e de’ -poveri; far osservare da’ suoi uffiziali e giudici gli statuti fatti e -da fare, e il diritto civile, ed in mancanza loro il diritto canonico; -non far estorsione o sopruso, non chiedere grazie nei consigli, nè -cercare d’essere raffermo in carica, o assolto dal sindacato; far -sì che i marescialli, cioè esecutori degli ordini della curia di -Campidoglio, e loro famigli girassero giorno e notte armati; nulla -operare di contrario agli ordini de’ conservatori, anzi prestar -soccorso ad essi e alla loro camera. - -Sia per le imposte, che a risarcire il paese (1431) doveva -moltiplicare, o sia pei soliti postumi d’ogni restaurazione, Martino -ottenne scarsa benevolenza, ed era appuntato di prodigare onori e -tesori a’ suoi nipoti. Lui morto, i cardinali trovavansi dissenzienti -sul chi nominargli successore; onde, per guadagnar tempo, diedero i -voti a quel che meno temeano, il veneziano Condulmier, che per questo -giuoco si trovò papa col nome di Eugenio IV. Severissimo ne’ digiuni -e in tutte le austerità, gran persecutore degli Ussiti di Boemia, -repugnante da’ consigli altrui per ostinarsi ne’ proprj, scarso di -lealtà e di politica, vedemmo quanta parte avesse nei maneggi civili e -religiosi del suo tempo, per effetto delle circostanze più che per sua -abilità. - -Dal bel principio si trovò in urta coi sudditi, coi signori, coi -prelati. S’inimicò i Colonna col ridomandare i tesori che ad essi -aveva confidato il predecessore, e le città del Patrimonio, dove -rigalleggiavano i partiti e le antiche famiglie. E perchè i Colonna -con que’ denari raccolsero truppe e guerreggiarono gli Orsini, Eugenio -mise in prigione e ai tormenti i loro amici, e da ducento ne mandò al -patibolo, distrusse la casa e i monumenti di papa Martino, finchè i -Colonna restituirono settantacinquemila fiorini. Destinò a governare la -marca d’Ancona Giovanni Vitelleschi vescovo di Recanati, suo indegno -favorito, e uno de’ più disumani condottieri, che nella guerra di -Napoli giunse a promettere indulgenze a qualunque soldato tagliasse -un ulivo de’ nemici, poi tramò col Piccinino per assalire la Toscana -alleata, e fors’anche toglier di mezzo il papa e surrogarsegli. Questo -n’ebbe sentore, e a tradimento lo colse in castel Sant’Angelo, ove -presto s’intese ch’era morto. - -Intanto la Chiesa era pericolata dal concilio di Basilea; tutta Romagna -sossopra; Francesco Sforza e Nicolò Fortebraccio vi entrarono dicendosi -autorizzati dal concilio a togliere que’ paesi al papa, cui restrinsero -quasi alla sola capitale. Egli guadagnossi lo Sforza, creandolo -marchese d’Ancona; ma gli altri capitani pretendeano altrettanto; -il popolo s’avventò alle armi proclamando la repubblica, e il papa a -stento si salvò a Firenze. Alfine il Piccinino, vincendo Fortebraccio, -rese a san Pietro le antiche appartenenze. - -Tommaso, figlio del medico pisano Bartolomeo Parentucelli, per povertà -lasciò gli studj onde mettersi in Firenze educatore de’ figliuoli -di Rinaldo degli Albizzi, poi s’attaccò al cardinale Albergati come -segretario, medico, intendente, e in quei venti anni ebbe molto a -conoscere molti paesi e gli eruditi d’allora; copiò manoscritti e -v’aggiungeva note assennate, lo perchè Cosmo de’ Medici l’incaricò -di disporre i codici della biblioteca di San Marco, il che servì di -norma ad altre: da Eugenio papa adoprato in affari, e posto vescovo -di Bologna e cardinale, gli fu dato successore col nome di Nicola V -(1447). Egli ricompose la Chiesa ad unità coll’ottenere l’abdicazione -dell’antipapa Felice. Al Vespasiano, valente librajo ed erudito, autore -di molte biografie, diceva: — I nostri Fiorentini avrebber mai creduto -che un preticciuolo, fatto per sonar le campane, diverrebbe pontefice?» -e avendo quello risposto che ne esultavano e perchè il conosceano e ne -speravano pace, — Se Dio m’ajuta (soggiunse) altr’arma non adoprerò mai -a difesa mia che la croce di Gesù Cristo»[115]. - -Veramente fu de’ papi più degni, e guardata la differenza dei tempi, -meritò meglio che Leone X per avvenuta protezione alla crescente -coltura. Fondò la biblioteca Vaticana con cinquemila volumi, ed accolse -quanti erano dotti; scriveano le sue lettere il Poggio, Giorgio da -Trebisonda, Cristoforo Garatone, Flavio Biondo, Leonardo Bruno, famosi -eruditi; teneva alla corte Antonio Loschi, Bartolomeo da Montepulciano, -Cincio romano, Lorenzo Valla, Pier Candido Decembrio, Teodoro Gaza, -Giovanni Aurispa, allora nominatissimi quanto oggi ignorati. A gara -gli erano dedicate opere, e di parecchie favorì la traduzione dal -greco: al Poggio per la versione del Diodoro donò liberamente; al -Valla cinquecento scudi d’oro pel Tucidide; millecinquecento al Guarini -per lo Strabone; cinquecento al Perotti pel Polibio; annui seicento a -Giannozzo Manetti, oltre il soldo di secretario, perchè s’occupasse -attorno ad opere sacre, e gli fece cominciare una versione della -Bibbia sopra il testo ebraico; al Filelfo, se traducesse Omero, gli -prometteva una bella casa in Roma, un podere e diecimila scudi; Giorgio -da Trebisonda ricusava come eccessiva una somma da esso regalatagli, ma -egli — Tieni, tieni; non avrai sempre un Nicola». Udendo lodare come -valenti poeti alcuni dimoranti in Roma, negò il merito loro, dicendo -per celia: — Se fossero buoni, perchè non verrebbero a me che accolgo -anche i mediocri?» - -Fabbriche raddrizzò o intraprese da tutte parti, a Spoleto ed Orvieto -insigni palazzi, a Viterbo bagni per infermi, a Roma la mura, oltre -riparare le chiese rovinate nella lunga vedovanza, e principalmente -il Panteon d’Agrippa; fece eseguire «il più bel tappeto che sia tra’ -Cristiani colle opere di Dio padre quando creò il mondo» (Corio); e -accingevasi a riedificare San Pietro, come simbolo della riedificata -Chiesa spirituale, al che gli diede i mezzi il giubileo, traendo folla -indicibile alle soglie degli apostoli. - -Non altrettanto prendeva a cuore il bene de’ sudditi, o piuttosto -volea governarli con quel dispotismo, cui facilmente propendono -coloro che sentonsi superiori agli altri, e volenterosi del bene. -Non pochi erano disgustati pei rigori che accompagnano le improvvide -restaurazioni, le quali all’anarchia non credono poter riparare che col -despotismo; i vizj del clero e gli abusi della curia più risaltavano -dacchè eransi censurati alla libera nelle burrasche precedenti. La -festa dunque, con che era stata ricevuta la corte pontifizia al suo -ritorno, fece prestamente luogo a scontenti e alle solite gozzaje. -Perchè ha da stare il governo in man di preti, la più parte forestieri, -tutti per educazione inetti agli affari? Così diceva Stefano Porcari -nobile romano, e tentò instaurare la repubblica. Infervorandosi -alla canzone del Petrarca _Spirto gentil_, e parendogli esser egli -stesso quel cavaliero a cui «Roma, con gli occhi molli di pietà, -chiedea mercè da tutti i sette colli», macchinò per impadronirsene -a forza; arrolò masnade, e insinuatosi di soppiatto (1453) nella -città dond’era stato bandito, concertò di occupare il Campidoglio, -e nella festa dell’Epifania prendere il papa, i prelati e castel -Sant’Angelo. Ma avutone spia, il senatore ad una cena fece arrestare -i congiurati (gennajo), e il Porcari con nove altri impiccare ai -merli del castello[116]. Al pontefice l’aveano dipinta come una trama -d’assassinio, onde, da confidentissimo e ingenuo che era, cadde in -preda al sospetto, perseguitò i fuggiaschi, quanti colse fece mal -arrivati, e il breve resto di sua vita passò fra terrori e supplizj. -Presso al finire, ebbe a sè due pii monaci, e diceva loro: — Mai -persona non entra qua, che mi parli il vero. Sono talmente confuso -delle finzioni di quanti mi circondano, che, se non temessi lo -scandalo, rinunzierei al papato per tornare Tommaso da Sarzana. - -Alfonso Borgia spagnuolo, ch’erasi mostrato tutto zelo contro i Turchi, -gli fu dato successore col nome di Calisto III (1455), e alla elezione -sua rincrudirono le fazioni dei Colonna e degli Orsini, e più quando -egli, gettati a spalle i rispetti umani, ingrandì i suoi nipoti con -feudi della Chiesa, creando Pietro duca di Spoleto, e fin meditando -porlo sul vacante trono di Napoli. La vita non gli bastò; e il -successivo conclave pensò antivenire tali abusi decretando che il papa -non potesse senza l’assenso dei cardinali tramutare da Roma la sede, -conferire cappelli o vescovadi, fare pace o guerra, alienare terre -ecclesiastiche. - -Enea Silvio Piccolòmini, dottissimo in lettere e in ragion canonica, -scrittore di poesie e storie, ebbe primaria figura ne’ maneggi -d’allora. La sua gioventù avea tribolato fra le turbolenze della -patria; al concilio di Basilea assistette in servizio del cardinale -Domenico di Capranica; più volte mutò padrone, spesso fu ambasciadore, -indi segretario di Felice V, poi di Federico III imperatore. Descrisse -la storia di Boemia, lo stato di Europa sotto esso Federico, un -ragguaglio della Germania e del concilio di Basilea, dove votò -coll’opposizione; opere di gran conto perchè di testimonio oculare ed -oculato, oltre una raccolta di lettere d’amicizia e di affari[117]. - -Fatto papa col nome di Pio II (1458), sostenne con vigore -quell’autorità che come diplomatico avea bersagliata; e perchè gli si -rinfacciavano le prische opinioni, emanò una _bulla retractationum_, -ridicendosi di molte proposizioni lanciate contro la potestà -pontifizia, e massime contro Eugenio IV, dicendo essere cosa umana -il fallare, non averle sostenute per ostinazione ma per isbaglio, -importargli il ritrattarle affinchè non si attribuisse a Pio quelle -che erano opinioni di Enea[118]: nella qual occasione si fa ad esporre -parte della sua vita. Nel sinodo di Mantova proibì (_Execrabilis_), -pena la scomunica, di appellarsi dal papa al futuro concilio, tribunale -che non esiste: ma le sanzioni introdottesi fra le passate tempeste, -e il proposito de’ principi di voler eleggere i proprj vescovi, gli -cagionarono gravi disgusti. All’imperatore fece veduta la necessità -di stringersi alla sede pontifizia per resistere ai principi sovrani -di Germania, e che le domande di riforme ecclesiastiche andavano -indivisibili da quelle di politiche: lo perchè nelle diete germaniche -il legato aveva autorità quanto l’imperatore, e molto maggiori rendite. -Mentre poi, lottando di tutta la sua persuasione contro l’indifferenza -del secolo egoisto, disponeva la crociata contro i Turchi, spirò ad -Ancona. Il Pinturicchio storiò la vita di lui nella libreria vecchia di -Siena, secondo i cartoni di Rafaello. - -Pietro Barbo veneziano, bell’uomo, destro ad ingrazianirsi gli animi -con piccoli servigi e col compatire agli altrui patimenti, sicchè il -chiamavano la Madonna della pietà, fu eletto (1464) col nome di Paolo -II con tal consenso, che prometteva uno de’ pontefici più grandi. A -tre cose mirò continuo: l’ingrandimento dei nipoti, pel quale fece -dichiarar nulla la capitolazione impostagli dal conclave; la crociata -contro gl’Infedeli; e la revoca della prammatica sanzione di Bourges, -ove dal clero gallicano pareangli intaccate le prerogative papali: e in -tutte fallì. Piovevano d’ogni parte lamenti che i sessanta abbreviatori -(collegio istituito da Pio II per estendere i brevi pontifizj in istile -purgato) facessero guadagno delle spedizioni, sia ricevendo regali, -sia colle simonie. Risoluto di svellere l’abuso, e parendogli degno di -Roma il dare ogni cosa gratuitamente, il papa gli abolì. Que’ sessanta -letterati, messi sulla via, furono altrettante voci accordatesi a -denigrarlo; e chi non sa quanto facilmente un branco di scriventi -raggiri l’opinione? Bartolomeo Sacchi di Piadena (il Platina), un -d’essi, tanto gli mancò di rispetto, che fu condannato alle carceri; -poi involto o sospettato d’una cospirazione, fu messo alla corda; del -che tolse vendetta col virulento sparlarne nelle sue _Vite dei papi_. - -Non pensiamo a scusare i modi; ma la persecuzione tanto rinfacciata -a Paolo contro i restauratori della classica letteratura veniva da -ragionevole sgomento del vedere il paganesimo ripullulare nelle arti -belle non solo, ma nelle dottrine e nella vita; e cotesti eruditi, -vergognandosi del nome de’ santi ricevuto al battesimo, mutare -Pietro in Pierio o Petrejo, Giovanni in Giano o Gioviano, Vittore in -Vittorio o Nicio, Luca in Lucio o Lucillo, Marino in Glauco, Marco in -Callimaco[119]; celebrare feste all’antica, sacrificando un becco; e -col pretesto di rimettere in onore Platone, gittarsi a dottrine empie -od a pratiche teurgiche: cose lievi per avventura, ma che menano a -serie. - -È moda il lodare uno perchè disapprovato dai papi, e al tempo stesso -mostrar che questi non aveano ragione di perseguitarli. Dalla stessa -lettera ove il Platina dal carcere racconta al cardinale Bessarione -il suo processo, appare come l’accademia di Pomponio Leto tendesse a -trasformare il paganizzamento letterario in religioso. Foss’anche stato -soltanto letterario, non v’è retto pensatore che non veda quanto danno -ne derivasse alla logica, alla morale, all’estetica, dacchè Cristo e -la redenzione doveano far luogo novamente alla voluttà pagana e alla -lepida guerra contro la famiglia e la società. - -Dalla storia dei Papi che il Platina scrisse coll’avversione solita -ai perseguitati, i Protestanti raccolsero assai cose contro la corte -romana. Noi qui non abbiamo che a riflettere alla pochissima critica di -questo abborracciatore passionato. - -Paolo spese profusamente in dissotterrare e raccogliere statue e -altre anticaglie, amò le arti belle, libri comprava e imprestava -liberalmente[120], e fece fare una tiara di cinquantamila marchi -d’argento (L. 275,000). Amava gli spassi, e frequenti feste dava al -popolo di Roma, e per goderne egli stesso volle che le corse non si -facessero per la strada Florida o Giulia, ma dall’arco di Domiziano -al palazzo di Venezia, dov’egli abitava. Negli statuti di Roma allora -pubblicati, si divisano i divertimenti, e specialmente quelli di Agone -e Testaccio coi pallj e gli anelli e i carri, e l’altre solennità, -che poi continuarono in occasione del carnevale. Per la pace del 1468, -festeggiata in tutta Italia, il papa ordinò giuochi e baldorie al modo -antico, dove principal parte aveano i banchetti: ed egli godeva veder -quando i giovani, quando i vecchi, o gli ebrei o i fanciulli, pinzi di -cibo, fare alla corsa, per guadagnare qualche carlino. Spesso gittava -denaro al popolo; una volta gli regalò 400 scudi, e di mascherate -splendidissime molto il rallegrava. - -Ammassò ricchezze, ma non pei nipoti; dissero per mera avarizia, e -poteva essere per provvedere ai tanti bisogni di cui si gravava la -Chiesa. Concedette il titolo di duca di Ferrara a Borso d’Este, l’armò -cavaliere di san Pietro, e lo fece sedere non più tra gli arcivescovi -come quando era soltanto vicario pontifizio, ma tra’ cardinali, e gli -donò la rosa d’oro che per pasqua suol darsi a qualche gran principe; -con tali atti confermando l’alto dominio della santa Sede sopra -Ferrara. Menò lunga e turpe guerra con Roberto Malatesta, disputandogli -la signoria di Rimini, al qual uopo s’alleò coi Veneziani e con varj -signori; e perchè Napoli e Firenze stavano col Malatesta, fu per -divamparne tutta Italia, ma alfine Paolo gli riconobbe i feudi paterni. -Meglio meritò collo stringere tutti i potentati d’Italia in una lega, -onde mantenere l’indipendenza di ciascuno. Delle riforme divisate nella -curia però più non si parlava; rimoveasi sempre più l’idea di adunare -un concilio; e intanto profondeansi in commende e aspettative, e negli -altri lucrosi abusi. - -In peggior fama rimase Sisto IV (1471), già Francesco Albescola -della Rovere. I ragazzi di cui circondavasi, fecero sparlare de’ -suoi costumi; del suo rigore le guerre rinnovatesi tra i Colonna e -gli Orsini, per cui a sangue e fuoco egli mandò la città. Vescovadi, -principati, dignità, uffizj prodigò a due figli di suo fratello e due -di sua sorella Riario, i quali la maldicenza bucinava figli di lui, -e peggio. Leonardo della Rovere pose governator di Roma e sposò a una -bastarda di re Ferdinando, per ciò cedendo a questo il ducato di Sora -ed altri acquisti fatti penosamente da Pio II, i censi arretrati del -regno, ed esenzione dai futuri sinchè vivesse. Giuliano fece cardinale, -che poi divenne papa, e che intanto menava guerre contro Todi e -Spoleto. L’inetto Pietro Riario, di ventisei anni creato cardinale, -patriarca di Costantinopoli, arcivescovo di Firenze, legato di tutta -Italia, aveva una corte d’oltre cinquecento persone, e un fasto -senz’esempio, col quale e colle lascivie si logorò la vita. Allora -Sisto innalzò Giovanni della Rovere, facendolo principe di Sinigaglia -e Mondavio, staccate dalla Chiesa. Pel nipote Girolamo Riario, cui -ottenne la mano di Caterina di Galeazzo Sforza colla contea di Bosco, -comprò con quarantamila ducati la signoria d’Imola, ed una maggiore -gliene destinava nella Romagna colle spoglie de’ signorotti: ma perchè -trovò ostacolo nei Medici di Firenze, si unì ai tanti nemici di quella -casa, alla malevolenza de’ quali parea cader molto in acconcio la -giovinezza di Lorenzo e Giuliano figli di Pietro. - -Delle famiglie storiche di Firenze le più erano state esigliate, i -Ricci, gli Albizzi, i Barbadori, i Peruzzi, gli Strozzi, i Machiavelli, -gli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini; spogli d’ogni credito i Pitti -e i Capponi; e i due fratelli Medici teneano occhio perchè non si -rialzassero. Fra le antiche feudali, era di tutte splendidissima quella -dei Pazzi di val d’Arno, consorte già degli Ubaldini, degli Uberti, dei -Tarlati e d’altri Ghibellini; dopo lunghe lotte colla Repubblica, era -scesa in città e aveva giurato il comune; come le altre illustri era -stata esclusa dal governo: ma a Cosmo era bastato l’accorgimento di -non cozzarla, anzi la privilegiò di passare dai magnati fra’ plebei e -quindi venir abile alle cariche, e sua nipote Nanina Bianca sorella di -Lorenzo sposò a Guglielmo de’ Pazzi. Le dovizie acquistate col banco -ch’era de’ più accreditati del mondo, e le clientele di quella casa, -massime da che si fu imparentata co’ Borromei di San Miniato, davano -sempre maggior ombra ai Medici; onde Lorenzo fece dalla balìa stanziare -un regolamento che alterava l’ordine di successione in modo, che i -Pazzi non potessero ereditare da essi Borromei. Se ne corrucciarono -i Pazzi, e Francesco, uscito di patria, si pose a travagliare il -suo banco a Roma, dove Sisto IV lo ricevette in grazia, lo costituì -banchiere della santa Sede, e ne fomentò i rancori a danno dei Medici. - -Pertanto i Pazzi tramarono (1478) con Girolamo Riario e con Francesco -Salviati, che dai Medici non erasi voluto ricevere arcivescovo di Pisa; -e in Santa Maria del Fiore durante la messa di pasqua (26 aprile), -al momento dell’elevazione assalsero i due principi. Giuliano resta -ucciso, Lorenzo ferito si difende; Jacopo de’ Pazzi corre la città per -ammutinare il popolo, ma questo, gridando _Palle, Palle_, dà addosso -agli assassini e li trucida a furore, e i laceri brani porta infissi -sulle picche per la città. Francesco de’ Pazzi, che nell’abbattere -Giuliano erasi ferito da sè, fu tratto di letto, e in mezzo agl’insulti -plebei appiccato: più di settanta cittadini furono o con egual violenza -trucidati e sbranati, o coi successivi processi: l’arcivescovo di Pisa -fu impeso alla finestra del palazzo, ove erasi condotto come sicuro -d’insignorirsene: le istanze di Lorenzo camparono il Riario che cantava -messa. Dubitandosi che il pugnale onde fu percosso Lorenzo fosse -avvelenato, un Ridolfi si offrì a succhiarne la ferita. Poi corse voce -tra la plebe che le pioggie, le quali non sapeano cessare, fossero un -segno del cielo perchè Jacopo era stato sepolto in terra sacra, benchè -sul morire si fosse dato al diavolo: onde per ordine della Signoria -fu tratto la notte da Santa Croce, e sotterrato lungo la mura. Ma i -fanciulli saputolo, andarono a dissepellirlo, e col capestro che aveva -alla gola lo trascinarono per le vie, e bussavano alla porta di lui, -dicendo aprissero al padrone; e continuarono lo strapazzo finchè la -Signoria non mandò i famigli che lo buttarono in Arno, ove pure lungo -tempo galleggiò. Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, era fuggito -a Costantinopoli; eppure ivi stesso fu côlto e tradotto a Firenze, ove -l’aspettava la forca. - -Per quanto i Fiorentini implorassero perdono dello avere messo le -mani su persone sacre, e si sottomettessero alle comminate censure, il -papa li colpì di una terribile bolla; e volendo per guerra aperta ciò -ch’eragli fallito per tradimento, s’accordò a’ danni de’ Medici col re -di Napoli. - -Il magnanimo Alfonso erasi destinato successore al trono di Napoli -Ferdinando suo figlio naturale, e i Napoletani lo preferivano agli -Aragonesi, eredi della Sicilia, perchè, non avendo altri dominj, non li -renderebbe provincia di stranieri; d’altra parte, tenendo Alfonso quel -trono per elezione, chi altro potea vantarvi diritti? Dal parlamento fu -dunque riconosciuto (1458), e così dal papa; confidava negli Orsini, -baroni potentissimi, di cui aveva sposato una figlia; pure il dominio -gli fu controverso da molti competitori; la fazione degli Angioini -rivisse, ed appoggiata dai Caldora, dai Sanseverino, dai principi -di Rossano e di Taranto, chiamò di Francia (1461) Giovanni figlio di -Renato, che al Sarno riportò insigne vittoria sopra Ferdinando. - -Grand’ajuto avea prestato agli Angioini il braccio di Jacopo Piccinino, -figlio di Nicolò, che veduto Francesco Sforza divenire signore di -Milano, erasi ostinato a volere anch’esso un dominio; e quando la -pace di frà Simonetto pose quiete dappertutto, egli rizzò bandiera di -ventura, e accolse quanti voleano ancora esercitare il valore senza -badare al motivo. Tentò impadronirsi di Perugia e Bologna; respintone, -si gettò sul Senese menando guasto, finchè il duca di Milano e il papa -inviarono Roberto Sanseverino a reprimerlo; ma l’ottennero meglio col -pagargli ventimila fiorini. Quando poi Sigismondo Malatesta, figlio -di quel Pandolfo che dominò Bergamo e Brescia, voleva insignorirsi -di Pesaro, e insidiava Federico di Montefeltro duca d’Urbino, contro -di lui fu voltato il Piccinino, il quale sperperò la Romagna, fin -centoquindici castella predando in pochi giorni, e in una sola -cavalcata bottinando mille paja di buoi e cento uomini di taglia[121]. - -Le costui imprese sarebbero da eroe se non fossero state da masnadiero. -Come si ruppe guerra nel Napoletano, esitò con chi buttarsi, finchè -accettò il soldo di Giovanni d’Angiò, e spinse i guasti fin sotto Roma. -Ferdinando gli oppose Giorgio Castrioto, che con ottocento cavalli -venne dall’Epiro a ripagare Ferdinando de’ soccorsi prestatigli da -Alfonso (pag. 218), ma che comparve minore dell’aspettazione: — forse -qui combatteva per la patria e per la fede? Meglio profittò Ferdinando -col trarre di nuovo a sè i Sanseverino e gli Orsini, già ingelositi -degli incrementi di Giovanni, e speranzosi di nuove ricompense; poi a -liberarsi dal Piccinino, riverito come il miglior capitano superstite, -lo soldò assegnandogli novantamila ducati l’anno e la condotta di -tremila cavalli e cinquecento fanti e molti possessi. Avendolo -Francesco Sforza, antico emulo suo, invitato a Milano a sposare -sua figlia Drusiana, Ferdinando ne sollecitò il ritorno, l’accolse -con grandi manifestazioni d’onore, ma pochi giorni dopo coltolo a -tradimento, lo fece strangolare (1465 21 giugno). Con lui finiva la -scuola braccesca[122]. - -Giovanni d’Angiò più non potè che fuggire da un regno sempre infausto -a casa sua; molti regnicoli passarono seco a guerreggiare in Francia -e in Borgogna; e riprese le briglie, il re adoprò supplizj, confische, -tradimenti, per umiliare i baroni[123]. Giannantonio Orsini principe di -Taranto fra poco si trovò strangolato, dissero per opera di Ferdinando, -il quale addusse un testamento che lo faceva erede di Bari, Otranto, -Taranto, Altamura, d’un milione di fiorini in merci, cavalli, greggie, -altri mobili, e quattromila uomini di buone truppe: colpo mortale alla -fazione angioina. All’altro potentissimo Maria Marzano principe di -Rossano, duca di Sessa e d’altre terre, Ferdinando promise sposa una -figlia: poi quando, sotto l’ombra della pace conceduta, andò a caccia -da quelle parti, chiese abbracciarlo, e avutolo a sè, l’inviò prigione -a Napoli, e ne prese i figliuoli e gli Stati. - -Superbo, doppio, avaro, Ferdinando malignò a guastare la pace che -in Italia durava dopo il 1454; col papa venne in urto per isminuire -il censo dovuto dal Regno; poi con esso e colla repubblica di Siena -cospirò per isvellere il dominio mediceo. - -Siena, antica emula di Firenze come ghibellina, si era poi mutata alla -bandiera guelfa: ma se patria non sia, vien tedio a seguire le capiglie -interne e le replicate minaccie ch’ebbe a soffrire da poderosi vicini -o dai condottieri; fuori non esercitò mai grande efficacia, attesochè -dentro era trassinata fra una plebe invida e inetta, ed un’oligarchia -gelosa d’escludere le altre classi. I Monti, o vogliam dire gli -ordini de’ gentiluomini, dei nove, dei dodici, dei riformatori, del -popolo, la sbranavano, e l’uno prevalendo o l’altro, con alterne -persecuzioni logoravano le forze, e scapitavano di potenza e d’onore. -I gentiluomini, antichi proprietarj di tutto il terreno, prevalsi dal -1240 al 77, furono esclusi dalle magistrature, restando fin al 1355 -superiore il Monte dei nove, in cui entrava una nobiltà popolana, -d’antiche ricchezze: poi fino al 68 primeggiò il Monte dei dodici, -cioè i ricchi mercanti; e fino all’84, quello dei riformatori: poi ora -questo, ora il popolo, eleggendo tre priori ciascuno, ed escludendo i -due primi, che restavano naturali nemici e sommovitori. - -Si appoggiò a loro il duca di Calabria figlio di re Ferdinando, cupido -d’acquistarvi signoria; e indusse a cernire dai varj Monti un nuovo, -detto degli aggregati, che solo ottenesse gli uffizj, gli altri tutti -eliminando. Costoro non poteano cautelarsi che colla forza, e perciò -stavano ligi al duca, e col padre suo presero parte a ruina di Lorenzo -Medici. Dico di Lorenzo, perchè il papa, esclamando al sacrilegio -d’avere appiccato un unto del Signore, mosse le truppe che già aveva -allestite per secondare la congiura de’ Pazzi, e dichiarò guerra -non alla repubblica, bensì a Lorenzo, _figlio di iniquità, alunno di -perdizione_. Però i Fiorentini fecero comune la causa di lui; mandarono -pel mondo un ragguaglio della congiura e le prove della complicità del -papa, il quale non se ne scolpò; e protestarono contro la scomunica, -appellando al futuro concilio. Trovarono ascolto, e molti principi -minacciarono Sisto IV di disdirgli obbedienza se turbasse la Chiesa -con una guerra senza giustizia: il re di Francia non solo sospese di -inviare le annate, dacchè le vedeva destinate contro Cristiani non -contro gl’Infedeli, ma minacciò aprire un concilio. - -Ecco dunque il papa al funesto bivio di revocare una sentenza appena -proferita, spezzando da sè il bastone apostolico datogli per rompere -i vasi inutili, e piegandosi alle minaccie secolari; ovvero ostinarsi -in una guerra ingiusta. A questa si gittò Sisto, avendo accaparrati -i migliori condottieri, intrigato a suscitare contro di Venezia e di -Milano guerre, sollevazioni, perfino i Turchi, acciocchè quelle non -potessero soccorrere Firenze. - -La quale, côlta dall’armi fra’ suoi studj pacifici, non vide miglior -partito che soldare un capitano, e fu Ercole duca di Ferrara: ma poichè -costui era genero di Ferdinando, se non la tradiva, menava fiaccamente -le fazioni. Lorenzo, vedendo la città disanimarsi e ai timorati fare -offesa l’interdetto, mentre i collegati avanzavano a gran passi, parve -colla sua generosità voler dare risalto alla vigliaccheria di questi, -e propose di avventurare sè solo, giacchè contra lui solo dicevansi -armati. Parte dunque di Firenze (1479 7 xbre), lasciando una siffatta -lettera alla Signoria: — Eccelsi signori, se io non v’ho altrimenti -fatto noto la cagione di mia partita, non è stato per presunzione, ma -perchè mi pare, negli affanni ne’ quali si trova la città nostra, si -richiegga più il fare che ’l dire. Parendomi che cotesta città abbia -desiderio e bisogno grandissimo di pace, e vedendo tutti gli altri -partiti scarsi, m’è paruto meglio mettere me in qualche pericolo, che -tenervi tutta la città. E però ho deliberato trasferirmi liberamente -a Napoli; perchè, essendo io principalmente perseguitato da’ nemici -nostri, potrei forse ancora essere cagione, andando nelle loro mani, -di far rendere pace alla vostra città. Una delle due: o veramente la -maestà del re ama cotesta città, come ha predicato, e non c’è miglior -via a farne sperienza, che andar liberamente nelle sue mani. Se ha -animo di occupare la nostra libertà, a me pare che sia bene intenderlo -presto; e più tosto con danno d’uno, che di tutto il resto. Ed io -son molto contento essere quello per due cagioni: la prima, perchè -potrebb’essere che i nemici nostri non cerchino altro che ’l male -solamente mio; l’altra che, avendo io nella città avuto più onore e -condizione che alcun altro cittadino a’ dì nostri, giudico essere più -obbligato che tutti gli altri ad operare per la patria mia, fino a -mettere la vita. Forse Iddio vuole che, come questa guerra cominciò col -sangue di mio fratello e mio, così ancora finisca per le mie mani; ed -io desidero solo che la vita e la morte, e ’l male e ’l bene mio sia -benefizio della città. Che se gli avversarj non vogliono altro che me, -mi avranno liberamente nelle mani: se vogliono altro, s’intenderà, ed a -me pare essere certo che tutti i nostri cittadini si disporranno alla -difesa della libertà come sempre hanno fatto i padri nostri. Vommene -con questa buona disposizione, e senza alcun altro rispetto che del -bene della città; e prego Iddio mi dia grazia di fare quello ch’è -obbligato ciascun cittadino per la sua patria». - -Si presentò di fatto a Ferdinando (1480), il quale lo ricevette con -solenni dimostrazioni; e tocco da tale fiducia, o forse persuaso -da quanto esso gli espose intorno alle vendette che i Fiorentini -potrebbero fare chiamando in Italia il re di Francia, erede delle -ragioni di casa d’Angiò sul trono di Napoli, patteggiò la pace, -restituendo a Firenze tutti i luoghi presi. I Veneziani che s’erano -chiariti per Lorenzo, si trovarono allora soli esposti alle armi -nemiche; sicchè esclamandosi traditi, non aborrirono dall’eccitare i -Turchi a ricuperare le terre italiane, dipendenti in antico dall’Impero -orientale. Il gran visir Acmet Breche-Dente dalla Vallona sbarcò -(agosto) presso Otranto (pag. 231), e mandatala a sacco e sangue, e -lasciatavi forte guarnigione, andò a raccogliere altre forze. Tutta -Italia ne sbigottì: il papa accingevasi a fuggir oltremonte, mentre -consentiva alla pace coi Fiorentini ed eccitava gl’italiani all’arme, -abbandonando l’ambìta Siena. In fatto Alfonso di Calabria assalì -vigorosamente Otranto, la cui guarnigione, perduta la fiducia di nuovi -soccorsi alla morte di Maometto II, capitolò (1481). - -La qual morte restituì baldanza ai principi cristiani, quasi con lui -cessasse ogni pericolo; e invece di unirsi cogli altri potentati -d’Italia per assicurarla dai Turchi, ed assalirli intanto che li -snervava la discordia tra’ figliuoli di Maometto, e che tutti i nostri -soldati, incaloriti dalla vittoria, gridavano A _Costantinopoli_, re -Ferdinando prende per sè tutte le armi e l’artiglieria, e si vendica -de’ Veneziani eccitando Ercole d’Este duca di Ferrara suo genero ad -impacciare il commercio di quelli sul Po. Così passioni malevole e -basse conciliano alleanze o infocano nimicizie. - -I dominj del duca di Ferrara faceano gola al papa non meno che a -Venezia, attesa la loro situazione. Venezia si doleva che Ercole -tirasse il sale da Comacchio, e impedisse il Po a quello de’ Veneziani, -i quali ne tolsero motivo di dichiarargli guerra, prendendo capitani -(1484) Roberto Sanseverino, Roberto Malatesta, il marchese Gonzaga, i -conti Rossi di Parma e Torelli di Guastalla, altri de’ Fieschi e de’ -Frangipani. Il papa fa causa con loro; e perchè Ferdinando non spedisca -soccorsi a suo genero, arma nelle Marche. - -Tutta Italia fu arruffata da questo miserabile piato. Col duca -stavano Federico di Montefeltro e i Milanesi, e sedici savj di guerra -dirigevano le mosse; fazioni si mescolarono ad assedj e saccheggi; -le truppe di Ferdinando disputaronsi i Polesini del Po, ed ebbero a -soccombere al clima: ma in quel bollimento generale neppure una giusta -battaglia fu combattuta. Il papa aveva blandito Venezia soltanto per -farla stromento alle nepotesche ambizioni; e quando vide poter meglio -soddisfare coll’abbandonarla, fermò il piede col re di Napoli e col -duca di Ferrara, e pose Venezia all’interdetto, come turbatrice della -quiete d’Italia, e insidiatrice di Ferrara, dovuta alla santa Sede. -Venezia, non badando alla condanna, ordina si continuino i riti, -ed appella al futuro concilio; e la guerra è proseguita con ingenti -sacrifizj e reciproci disastri[124]. - -Finalmente si arrivò alla pace di Bagnólo (1484 7 agosto), nella quale -Venezia cedeva il conquistato e ricuperava il perduto e i diritti di -navigazione sul Po, il Polesine di Rovigo, la privativa del sale: il -duca di Ferrara dovea rinunziare ai primitivi possessi della famiglia -d’Este: i Rossi, conti di San Secondo, perdeano tutti i dominj: nulla -aveva potuto il papa guadagnare pe’ nipoti suoi. Il trattato stesso -costituiva una lega italiana a comune difesa, de’ cui eserciti sarebbe -capitano Roberto Sanseverino, con diecimila ducati annui dal papa, -altrettanti dal re di Napoli, cinquantamila da Venezia e così dal -duca di Milano, diecimila da Firenze, e dai duchi di Ferrara, Modena e -Reggio. - -Questo trattato segna un’êra nuova nella storia patria. Quando nel 1453 -Nicolò V pacificava la penisola onde opporla ai Musulmani, si fece il -primo atto di concordia fra i potentati italiani. Poi nel 1470 Milano, -Napoli, Firenze, Roma s’alleavano contro il soverchiare di Venezia, -la quale unendosi poi a loro, costituiva una lega generale. Ora ecco -di nuovo l’Italia alleata contro Venezia, e finirsi con una generale -federazione. L’atto mostrasi come opera di pacificazione e di progresso -nazionale, come il termine d’infinite rivoluzioni. È necessità -di natura (vi è detto) cominciar dal male, dai disordini, dallo -scandalo; ma è legge di ragione arrivare alla concordia che nutrisce -la tranquillità, genera il ben essere, moltiplica i popoli, crea -l’abbondanza, propaga l’umanità. A tal uopo le potenze si perdonano i -danni e le guerre, _in qual sia modo fatte_, le rapine, gl’incendj, le -uccisioni, e senza frode o reticenza o cavillo giurano perpetua pace, -confederazione, unione e lega. Ogni memoria di Guelfi o Ghibellini -è abolita, dacchè si uniscono senza badare a origine o a storia; -promettendo al papa non dar mano ai baroni del suo paese, riconoscono -l’indipendenza degli Stati; assoldando un capitano comune vengono a -stabilire la base di tutte le federazioni, cioè che tutti i confederati -formano uno Stato solo contro il nemico, pur rimanendo distinti e -sovrani ciascuno; ma senza aspirare ad una matematica eguaglianza fra -loro, giacchè la somma da contribuire proporzionavano all’estensione -geografica. Il fatto irregolare ma storico della loro vicinanza vien -dunque dagli Stati italiani sottomesso a idee chiare; e se non tutta -Italia v’era compresa, se riservavasi _protocollo aperto_ al re di -Castiglia, è notevole però che dell’imperatore non si far pur cenno, e -il papa v’è considerato come un semplice signore; sepellendo così sotto -la concordia federale i due eterni fomiti delle disunioni. Fosse stato -per sempre! - -La pacificazione d’Italia forse accelerò la morte (13 agosto) di quel -che sempre l’avea turbata, Sisto IV; «e fu (dice Machiavelli) il primo -che cominciasse a mostrare quanto un pontefice poteva, e come molte -cose chiamate per l’addietro errori, si potevano sotto la pontificale -autorità nascondere. Questo modo di procedere ambizioso lo fece più dai -principi d’Italia _stimare_, e ciascuno cercò di farselo amico». Mai -non si era così indegnamente trafficato nella curia: ne dichiarò venali -le cariche pubblicandone la tariffa; cercò guadagno dal distribuire i -benefizj e la porpora; mercatò di perdonanze; da’ sudditi smunse quanto -potè, e massime col fare incetta, poi procurare carestie artefatte -fissando egli stesso il prezzo, o mandandone fuori quando il potesse -a vantaggio, e traendone del cattivo pe’ suoi. Qualche volta piacevasi -vedere i soldati duellar fino a morte, e le scalee di San Pietro ebbero -a contaminarsi di sangue. - -Appena Sisto spira, amareggiato dai falliti disegni, il palazzo de’ -suoi nepoti è demolito, saccheggiati i pieni granaj; i Colonna, da -lui perseguitati, rientrano, e si mantengono coll’armi alla mano. I -cardinali si sforzarono di ovviare nuovi disordini collo stabilire -per capitolazione, il papa non potesse nominare più che un cardinale -della propria famiglia, governasse di concerto col sacro collegio, -e massime per alienare feudi della Chiesa dovesse ottenere due terzi -dei voti: ma meglio di questi sempre elusi ripieghi avrebbe giovato il -determinarsi ad una buona scelta. Fu detto che promettendo a ciascun -cardinale pingui posti e l’entrata di quattromila fiorini, ne ottenesse -i voti Giambattista Cybo genovese, che assunse il nome d’Innocenzo -VIII, e che le pasquinate dissero, a ragione chiamarsi padre, -poichè aveva sette figli naturali. Per questi legami e per debolezza -lasciavasi menare da indegni favoriti, che s’abbandonavano a sfrontata -venalità: Franceschetto Cybo s’impinguava col concedere impunità fino -ai masnadieri, di cui Roma era divenuta tana; di che il suo cameriere -con indegna celia lo scagionava dicendo che Dio non vuol la morte del -peccatore, ma che paghi e viva. Costui, che fu lo stipite dei duchi di -Massa e Carrara, consigliò il papa a creare una quantità d’impieghi, -per venderli caro a persone, le quali poi si rintegravano col far -mercato delle grazie apostoliche. Alcuni scrivani falsarono anche bolle -ed assoluzioni preventive per ogni sorta disordini: scoperti, furono -condannati a morte: si esibì pel loro riscatto cinquemila ducati, ma -pretendendosene sei, e non potendo trovarli, salirono al patibolo[125]. - -Non si dimentichi che questi aneddoti ci vengono da impurissima -fonte, come sono le ciancie d’anticamera, e le impudenze d’una cronaca -scandalosa; dalla quale si raccorrebbe perfino che colla trasfusione -del sangue di tre fanciulli tentasse Innocenzo prolungare la vita, -che i predecessori suoi versavano con santa generosità. Questo -deterioramento de’ pontefici doveva giustificare il flagello che già -fischiava in aria. - -Le _prammatiche_ di re Ferdinando aveano principale scopo il -reprimere i baroni, proibendo esigessero dai vassalli oltre quello -che permettevano le costituzioni, nè gl’impedissero di vendere i -possessi a piacere; sottoposti tutti i beni all’estimo; ai magistrati -regj concesso di procedere d’uffizio in ogni misfatto, anche senza -querela della parte offesa; perseguitare i masnadieri e gli usurai in -qualsifosse luogo. Tale robustezza s’addiceva a tempi, in cui per tutta -Europa i re accentravano l’autorità pubblica, sparpagliata da prima; -ma rendeva Ferdinando esoso ai baroni, mentre a tutti spiacevano le -sue crudeltà nel punire, e l’avarizia esercitata con sozzi monopolj, -coll’accaparrare l’olio e il grano per rivenderli cari, col dare ai -villani de’ majali da ingrassare. - -Peggio esacerbavano i fieri portamenti di suo figlio Alfonso di -Calabria. Costui (1485) fa proditoriamente arrestare Pietro Lallo -conte di Montorio, la cui famiglia da un secolo tenea il primato in -Aquila, ed occupa questa città. Essa lo caccia a furia, e si esibisce -ad Innocenzo VIII, col quale si collegano i principali baroni come a -signore sovrano del regno, ed a Ferdinando espongono i loro richiami, -e chiedono di non dover comparire in persona ai parlamenti, temendo -esservi presi e morti come i loro compagni; potere armar gente a difesa -dei proprj distretti, e mettersi al soldo di qualunque potenza non -fosse in guerra col re; questo non gravasse di straordinarie imposte -i loro vassalli, nè vi ponesse a quartiere le sue truppe. Ferdinando -finse darvi ascolto per guadagnar tempo e sconnetterli; ma essi, -accortisi del tranello, e risoluti di non cadere sotto all’aborrito -Alfonso, alzan bandiera papale in aperta rivolta: i Sanseverino, i -Del Balzo, gli Acquaviva, molti conti e principi e cavalieri, tra -cui il grand’ammiraglio, il gran siniscalco, il gran connestabile, -li secondano; il conte di Sarno, nobile antichissimo eppur dato ai -traffici con tanto utile che il re medesimo volle entrar seco in -società; Antonello Petrucci, che pe’ suoi talenti divenuto secretario -regio, accumulò onori e ricchezze e collocò altamente tutti i -figliuoli. - -Ma i potentati vicini in cui fidavano, rimangono indifferenti od -ostili; il duca di Lorena, erede delle pretensioni angioine, che avea -promesso venire a soccorrerli, non giunge; Roberto Sanseverino valoroso -condottiero, messosi con loro, è sconfitto; Innocenzo VIII, che forse -gli aveva sobillati, si riconcilia con Ferdinando. Costretti a impetrar -pace, ottengono piena perdonanza dal re, il quale (1487) lascia al papa -Aquila ed i baroni che gli avevano fatto omaggio. Il trattato ebbe la -garanzia del papa, del re di Spagna, del re di Sicilia; eppure era un -lacciuolo. Appena i baroni ebbero deposte le armi, Ferdinando sollecitò -le nozze del figliuolo del conte di Sarno con una sua nipote, e tra le -feste e i balli fece arrestare lo sposo, il padre, il Petrucci e molti -baroni; poi, volendo quelle apparenze di giustizia che colà si sanno -troppo simulare, nominò una giunta e quattro pari, che li condannarono -a morte. E fu eseguita inesorabilmente; al fisco i loro beni, -perseguitati gli aderenti e uccisi chi in segreto, chi in pubblico, -nemmanco perdonando i fanciulli; appena la Bandella Gaetana potè fra -romanzeschi pericoli salvare i suoi figli, principi di Bisignano. - -In secolo di tante perfidie questa rimase più famosamente esecrata; -e benchè Ferdinando mandasse a stampa il processo de’ baroni, non -risonava che un concerto di maledizioni. Innocenzo, cui egli ritolse -Aquila e ricusò il tributo promesso, lo proferì decaduto, e invitò -a quel trono Carlo VIII di Francia; principio di nuovi disastri -all’Italia. - -A Firenze la congiura de’ Pazzi, come avviene dei tentativi falliti, -crebbe potere a Lorenzo, e più quando riuscì ad una pace, indarno a -lungo, maneggiata da consiglieri e ambasciatori. Cosmo avea provato -tutti i guaj e pochi frutti della dominazione, perchè nuova, e perchè -capo d’una fazione irrequieta, il diriger la quale gli costò più -che non il vincere l’avversa. Anche a suo figlio riuscivano impaccio -quei che pareano sostegni. Ma il pericolo di Lorenzo eccitò quella -devozione, ch’è singolare avviamento alle signorie smisurate; e gli -fu conferita autorità principesca, ch’egli adoprò a consolidare la sua -famiglia, non più col violare la costituzione, ma col fortificarla. - -Diciassette riformatori ridussero a metà il tre per cento che pagavasi -pel debito pubblico, espediente che campò lo Stato dal fallire. Lorenzo -stesso, imputato di riparare col pubblico denaro le perdite al suo -privato cagionate dal lusso e dalla dissipazione de’ suoi agenti, non -trovò più decoroso il continuare i traffici, e ritirati i capitali, -gli investì in terreni: col quale espediente separò i proprj negozj -da quelli dei cittadini, che quasi interesse proprio aveano sostenuto -i suoi padri. Creò l’ultima balìa per istituire una magistratura -legislativa, di cui sin allora aveasi mancanza, e che dovea formarsi -di settanta membri e de’ gonfalonieri che man mano uscivano di carica, -ed essere consultata sopra tutti gli affari pubblici prima che gli -altri collegi deliberassero, nominare agli impieghi, amministrare il -tesoro. Così lasciava sussistere le forme repubblicane, ma se le facea -stromento al dominare. I settanta condussero il governo con quiete -e gloria, ma dipendente all’intuito dal principe, il quale avendo a -spendere ben poco ne’ magistrati, volgeva il denaro ai vantaggi suoi -domestici, e a sedurre, comprare o ammollire gli antichi repubblicani, -predisponendoli alla servitù de’ suoi successori. Sebbene però il -governo allora introdotto fosse tutto materiale e di speculazione, -Firenze n’ebbe la pace di cui tanto avea mestieri, e considerò quello -come il tempo suo più lieto: solita ventura de’ governi che succedono -a lunghi turbamenti, e a cui i popoli fanno merito del male che non -commettono. - -Ormai tutta Toscana obbediva a Firenze, a patti o a forza essendosi, -da Siena in fuori, assoggettate le città e le signorie (pag. 244). -Pietrasanta, posseduta dal banco genovese di San Giorgio, fu ripigliata -dai Fiorentini nel 1484. Antonio Pucci, commissario di quella guerra, -insisteva presso il capitano perchè desse la battaglia; e questo -«dimostrava molte difficoltà’, e che vi si farebbe una beccheria -d’uomini. Il Pucci, veduta la sua pusillanimità o malizia, fece un -colpo da savio, e disse: _Orsù, capitano, datemi la vostra corazza, ed -io andrò a dare battaglia, e voi rimarrete con questi altri commissarj -a provvedere il bisogno_. Tali parole furono dette con tanta efficacia, -che il governatore si vergognò e, _Io v’ho detto il parer mio; niente -di meno farò il vostro_; e così dettono una grandissima battaglia, -in modo vi morì di molta brigata, e feriti da ogni banda. Di che il -Pucci usò un altro colpo di savio, accompagnato colla carità: che -andò, e fece rassettare tutti i feriti, e andogli a visitare e seco -il medico, e raccomandarli loro, e baciavali e commendavali, e seco -anche il cancelliere con denari, e diceva: _Orsù, fratelli, chi ha -bisogno di denari lo dica_; e davane loro e confortavali che non -temessino di niente. Quelle parole e fatti furono di tal efficacia -appresso a’ feriti come a’ sani, che si sariano buttati per marzocco -nel fuoco; e parea loro mill’anni si desse l’altra battaglia. E come si -dette, aveano dimenticato i pericoli, e mai si spiccarono che presero -Pietrasanta: e se passava quindici giorni, bisognava levarsi da campo -con vergogna e danno» (CAMBI). - -Nell’87 si ricuperò Sarzana, stata tolta dai Fregosi. Volterra, -sollevatasi nel 49, fu punita; poi essendosi nel 72 scoperta una ricca -allumiera a Castelnuovo, i cittadini ne pretendeano la proprietà, e -negata, si ribellarono. I Fiorentini mandarono Federico d’Urbino, che, -assediata la città, la ridusse a capitolare: ma mentre se ne trattava, -un Veneziano nascostamente introdusse i soldati, che si buttarono al -sacco, invano trattenuti dal conte d’Urbino, che fece anche impiccare -il Veneziano. Così Volterra tornò ai Fiorentini, non più come alleata -ma suddita, senza privilegi, e tenuta in senno dalla torre del Maschio, -una delle peggiori prigioni di Stato. - -Lorenzo frametteasi alle quistioni politiche d’Italia, e spesso -opportunamente; per esso gli Estensi ottennero la pace di Bagnolo che -li salvò; per esso gli Aragonesi la quiete dopo la congiura de’ baroni; -per esso Innocenzo VIII la sommessione di Bocolino de’ Gozoni, che, -sollevata Osimo, invitava i Turchi a sostenerlo; per esso fu all’Italia -ritardata l’invasione dei Francesi, inuzzoliti dalla chiamata di Sisto -IV. Era egli stato educato squisitamente da Cristoforo Landino, dal -greco Giovanni Argiropulo, da Marsilio Ficino, e dalla propria madre -Lucrezia Tornabuoni, protettrice e intelligente delle lettere. Vi unì -abilità in tutti gli esercizj del corpo; e il torneo, dove giovinetti -armeggiarono esso e il fratello, eccitò il Poliziano a comporre le -più belle ottave che ancor si fossero udite. Educava egli stesso -domesticamente i suoi figliuoli[126], e come d’erudizione, così era -pieno d’arguzie; e motti e burle di lui abbondano nelle raccolte di -quel tempo. - -Venuto poi a capo dello Stato, meritò il titolo di Magnifico per lo -splendore onde tenne corte; chè corte veramente potea dirsi dacchè era -trattato alla pari dai principi, sebbene non portasse titolo. Faceasi -talora incaricare dai Fiorentini della esecuzione di qualche opera -utile, che egli stesso avea suggerita, e dove metteva del proprio. Le -case antiche, un tempo pari alla medicea, per quanto ricche e numerose, -più non comparivano che da suddite. Ridotti uniformi i voleri, segreti -i consigli, arbitraria la erogazione del pubblico denaro, accomodata -la città di nuove vie, e fortificatala contro i nemici, potè volgersi -alla politica esteriore, e tener le bilancie d’Italia in modo, che gli -stranieri non vi prevalessero. - -So che, quanto fu stile l’esaltarlo durante la dominazione de’ Medici, -così il denigrarlo sotto gli Austriaci, e più dai moderni come autore -della susseguita servitù. Chi negherà ch’e’ vi trovasse preparato -il paese? e che libertà era quella, dove i cittadini migliori erano -stati proscritti? La nuova generazione avea perduto quel sentimento -del vivere franco e del concorrere al governo e al ben della patria, -ch’era parso felicità ai loro maggiori. Tra siffatti è agevole a -pochi sommovitori il turbare la quiete col pretesto della libertà; e -il reprimerli è dovere d’un capo restauratore. Un Frescobaldi tramò -d’uccidere Lorenzo, e fu mandato alla forca; Baldinotto Baldinotti -il tentò pure, e fu col figlio trascinato per le vie di Pistoja; e il -popolo, non che irritarsene, applaudì. - -Siccome Augusto, adoperò a restituire i Fiorentini dalla vita pubblica -alla domestica, ma non trascese le condizioni di primo cittadino di -paese libero. L’ambizione di lui dovea pur restare lusingata allorchè, -dall’alto della sua villa, osservava questa città, bellissima di -antiche e nuove grandezze, dove Arnolfo, l’Orcagna, Masaccio aveano -insignemente attestato il risorgere delle arti, e Brunelleschi -fabbricato Santo Spirito, la più bella delle chiese, preparato nel -palazzo Pitti una futura reggia, e lanciata la meravigliosa cupola -della cattedrale, a cui la cedeva appena Santa Croce; Santa Maria -Novella appariva ornata e vaga come una sposa; San Lorenzo era stato -finito da Cosmo con quarantamila fiorini; con trentaseimila quel -convento di San Marco, nel quale già predicava una voce potente, che -fra poco dovea diventare formidabile. Contemplarla, e poter dire, — -Questa città è mia!» Vero è bene che Lorenzo udiva ancora fremiti -e minaccie repubblicane; ma li soffogava sotto i canti delle muse -ammansate e lo splendore delle arti belle e delle utili. - -Allora «i giovani, più sciolti dell’usitato, in vestiri, in conviti, -in altre simili lascivie oltremodo spendeano; ed essendo oziosi, -in giuochi ed in femmine il tempo e le sostanze consumavano; e -gli studj loro erano apparire col vestire splendidi e col parlare -sagaci e astuti, e quello che più destramente mordeva gli altri, -era più savio e da più stimato» (MACHIAVELLI). Esso Lorenzo con -pompose mascherate offriva esercizio a pittori, a poeti, a musici, -ad artieri, e distrazione al vulgo; imitava il parlare contadinesco -nelle graziosissime stanze della _Nencia da Barberino_; nei _Beoni_, -contraffacendo Dante, mordeva i compagnoni del suo tempo, e dava il -modello delle satire in terza rima; nel teatro rinnovato chiamava -ad applaudire all’_Orfeo_ del Poliziano, reminiscenza classica, ed a -_misteri_ da lui stesso composti, prolungazione del medioevo. L’Ombrone -porta via l’isola Ambra, ch’egli aveva ornata d’ogni piacevolezza? -Lorenzo ne canta l’innamoramento d’un Dio e la metamorfosi, colla -facilità di Ovidio. Dai suoi scritti trapelano l’amore dell’indagine -filosofica, la vaghezza della vita casalinga e campestre, lontana -dalle brighe e dalle noje del comando. Nuovi fiori avea trapiantati -dall’Oriente alla sua villa di Careggi, bufali d’India vi ruminavano -erbe insolite[127]; e benchè l’esservi già per tutto mecenati, scuole, -biblioteche, non rendesse più così necessario ed insigne il favorire le -lettere come sotto Cosmo, pure Lorenzo cercava libri dappertutto[128], -fin a dire — Vorrei me n’offrissero tanti, che dovessi impegnare -i miei mobili per comprarli»; e avrebbe bramato che a Pico, che al -Poliziano, che agli altri amici nulla mancasse nella sua biblioteca -di quanto occorreva all’erudizione loro o alla curiosità. Ebbe un -orologio astronomico ingegnosissimo: fece porre in Santa Maria del -Fiore un busto di Giotto, e un mausoleo a Filippo Lippi, giacchè gli -Spoletini non gliene vollero cedere le ossa. La raccolta di sculture -antiche, cominciata dal Donatello, e che alla morte di Cosmo fu -stimata ventottomila fiorini, egli crebbe e dispose ne’ giardini -perchè servisse di scuola a giovani, che stipendiava o donava acciocchè -coltivassero le arti, uno de’ quali fu Michelangelo Buonarroti, di cui -indovinò e coltivò il genio volendoselo compagno e commensale. Quella -corona di dotti fiorì lo studio di Pisa da lui aperto il 1472, e a gara -esaltò Lorenzo ai contemporanei ed agli avvenire, sin a farlo credere -un grand’uomo[129]. - -Addolorato del corpo, lasciava gli affari ai figli Giuliano e -Pietro; mentre vedeva straccarico di benefizj ecclesiastici, e a soli -quattordici anni vestito cardinale l’altro, che poi doveva essere Leone -X. Alla campagna o ai bagni di Siena e della Porretta alleviava la noja -e gli spasimi colle erudite adunanze, dove il Ficino gli parlava di -Platone; il Landino, il Merula, il Leoniceno, il Calderino, d’Orazio, -di Virgilio, d’Ovidio; il Pulci lo spassava col recitargli le lepide -avventure degli eroi. Subì la comune sorte a soli quarantaquattro anni -(1492); «nè morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia -con tanta fama di prudenza, nè che tanto alla sua patria dolesse» -(MACHIAVELLI). Il gonfaloniere della repubblica si vestì di bruno; il -papa e i principi mandarono ambasciadori a condolersene colla patria, -come di pubblico lutto. - - - - -CAPITOLO CXXI. - -Gli eruditi. - - -Non potremmo meglio che dal nome dei Medici principiar a discorrere dei -dotti di quel tempo. I quali da taluni sono vantati come dirozzatori -dell’Italia e dell’Europa, da altri accusati d’aver traviato la coltura -originale, e precorso a que’ pedanti, che sempre dappoi imbrattarono il -nostro paese, surrogando allo studio delle cose lo studio delle parole. -Chi non conosce progresso se non nel tornare indietro, nè bellezza se -non nell’imitazione dell’antico, dovette professare che, come i Greci -l’aveano anticamente dirozzata, così l’Italia dovesse a loro anche il -risorgimento moderno. I nostri lettori si rassegneranno essi a credere -che la patria di Dante deve la sua coltura ai lotolenti grammatici -fuggiti da Costantinopoli? - -Per quanto il sangue e la civiltà slava si fossero trasfusi -nell’ellenica, i cittadini di Costantinopoli parlavano ancora la lingua -in cui Pindaro e Anacreonte aveano cantato, arringato Demostene e san -Giovanni Crisostomo. Con quanto profitto non avrebbero dunque potuto -applicarla alla intelligenza de’ classici, che tutti possedevano? -tanto più che il clero, non cacciato ai governi e alle guerre come il -feudale d’Europa, poteva requiare nelle lettere e nell’istruzione; e -che la sottigliezza della discussione filosofica e teologica portava a -scrupoleggiare sulla parola. - -Ma la parola e null’altro essi curarono; dagli autori profani li -sviavano le dispute di scuola; e in generale custodivano la letteratura -classica come scienza morta; unico merito valutavano l’erudizione, -unica sapienza il ricordare. La fredda analisi loro, la critica -ciarliera, impertinente, sterile, non produssero verun’opera che -meritasse la posterità; sempre terra terra, limitandosi a raccogliere, -commentare, postillare, compilare, strepitare, prendendo la pazienza -per talento, la memoria per giudizio. Nella nuova efflorescenza che -ebbero in Italia, qual fu mai che trovasse, anzi neppur cercasse i -mezzi per cui tante bellezze erano state prodotte? o i capolavori -presentasse col confronto di fatti e d’uomini, coll’influenza dei -tempi, col mutuo coadjuvarsi dell’azione e del pensiero? - -In modo ben più franco aveva esordito la letteratura italiana; e -la vedemmo lanciarsi gigante, bisognosa di originalità, s’una via -propria, non segregata, pure distinta dall’antica. Ma poco vi durò; e -invaghitasi degli antichi autori, non solo credette migliore ciò che -a quelli maggiormente s’accostasse, ma barbaro ciò che ne differisse; -la spontaneità bizzarra e scorretta rinnegò per un gusto severo e -canonico; l’entusiasmo dell’erudizione soffogò quell’originalità, -che non può rinvenirsi se non in verità nuove vivamente sentite e -naturalmente espresse nella lingua di tutti. - -Il vago sentimento di ammirazione pei grandi nomi dell’antichità -classica mai non era venuto meno in Italia, e Dante l’avea consacrato -col farsi guidare da Virgilio a vedere il regno delle ombre, e col -professare di aver dedotto da lui lo bello stile. Esso Dante però quasi -solo di nome conobbe i classici; ma Petrarca e Boccaccio aveano sudato -a resuscitare la letteratura antica; e se il loro gusto certamente ne -restò raffinato, è a deplorare il Petrarca s’aspettasse immortalità dai -versi latini, e il Boccaccio introducesse un periodare esotico; donde -si ebbe un’altra fonte del linguaggio, l’imitazione de’ classici. Il -latino del Petrarca, comunque scorrevole, tien troppo del medioevo; -più disavvenente è quello del Boccaccio, che nelle etimologie greche -vagella, sino a formare un nuovo dio Demogorgone. - -Albertino Mussato, Giovan da Cermenate notajo milanese, il Ferreto -storico degli Scaligeri, diedero opera a sfangare la lingua latina. -Felice Osio postillò passo passo la storia del Mussato, rivelando quel -che imitò da Simmaco, da Macrobio, da Sidonio, da Lattanzio, tanto che -a sedici linee d’originale sottopose ottantasei di note, singolare -documento della cura che cominciavasi a mettere allo stile: ma chi -sostenne l’improba fatica del leggerle, ne arguì che gli autori della -bassa latinità erano studiati più che non Livio e Cicerone. - -Qui non era mancato mai chi conoscesse il greco, se non altro come -lingua liturgica ne’ pontificali di Roma e nell’ordinaria uffiziatura -de’ monaci di San Basilio; e a tacer l’uso che dovettero farne le città -commerciali, il vescovo Liutprando da Cremona affetta di lardellarne la -sua legazione; Gunzo cherico da Novara, in una disputa grammaticale coi -monaci di San Gallo nel X secolo, cita perfino il testo dell’Iliade; -poi di proposito fu tolto a studiare il greco quando si trattò del -riconciliare la Chiesa orientale colla nostra. Dal monaco calabrese -Barlaam, venuto da Costantinopoli ambasciatore, ricevette lezioni il -Petrarca senza grande profitto. Leonzio Filato, patrioto e scolaro di -quello, ebbe in Firenze tavola e quartiere dal Boccaccio, che l’impegnò -a tradurre Omero, tirandone di Levante un esemplare a grande spesa; -poi fece per lui dai Fiorentini istituire la prima cattedra di quella -lingua. Con maggior fortuna dettò colà e altrove Manuele Crisolara, -venuto nunzio dell’imperatore Manuele. Ambrogio camaldolese, al -principio del 1400, trovava in Mantova fanciulli e fanciulle istruiti -nel greco, tra cui la figliuola del marchese, di otto anni. Giovanni -Aurispa siciliano portò di Grecia ducentrentotto manoscritti, e ne -insegnò la lingua in molte città, servì di secretario ad Eugenio IV, -e finì la vita a Ferrara sotto la protezione degli Estensi. Gregorio -da Tiferno napoletano nel 1458 domandò e ottenne la prima cattedra di -greco all’Università di Parigi, con cento scudi d’assegno. - -Una folata di Greci qui trasse, man mano che le loro patrie cadevano a’ -Musulmani, quali Teodoro Gaza di Tessalónica, Giorgio da Trebisonda, -Giovanni Argiropulo, Demetrio Calcóndila, Giovanni Láscari prosapia -reale. Altro viatico non portando che la cognizione dei classici, -ne esageravano l’importanza, dichiarando barbaro ciò che a quelli -non somigliasse; onde il secolo delle creazioni fece luogo a quello -de’ retori e grammatici, e, come al fine dell’Impero romano, non -s’immaginava possibile il fare alcuna cosa bella diversamente dai -classici. - -Gente di maggior conto era venuta al concilio di Firenze; e il -Bessarione, abbandonato lo scisma e nominato cardinale, qui accolse -Greci avveniticci, e ravvivò l’amore per Platone. Questo filosofo fu -letto in Firenze da Giorgio Gemistio Pletone (1400) peloponnesiaco, -che dedito affatto alla scuola alessandrina, eclettica tra il vangelo -e i filosofi antichi, proclama la morale dell’Accademia, la politica -di Sparta, fin la personificazione simbolica degli attributi di Dio -nelle divinità dell’Olimpo. Nel libro _De platonicæ atque aristotelicæ -philosophiæ differentia_ versando beffe sopra Aristotele, accannì gli -ammiratori di questo, e principalmente Teodoro Gaza e Genadio, il quale -considerava i Platonici d’allora come anticristiani. Il Bessarione -assunto arbitro, mostrò che Pletone eccedeva: ma Giorgio da Trebisonda, -abborracciatore di traduzioni, gli avventò uno sconcio libercolo, -flagellando Platone fin a posporlo a Maometto come legislatore, ed -imputare ad esso tutti i vizj, alla sua scuola tutte le sciagure. E di -qua e di là s’infervoravano, liti strepitose fra tant’altro strepito: -ma gl’Italiani, l’avesser letto o no, propendevano per Platone. - -Marsiglio Ficino, figlio d’un medico di Firenze, l’avea tradotto in -latino chiaro, con fedeltà mirabile pel tempo, e tanta da ajutare -a supplir qualche lacuna dove l’originale andò perduto. Più oscuro -riesce nel tradur Plotino perchè tale è il testo, e perchè il Ficino -aveva acquistato con quel misticismo una famigliarità ch’è di ben -pochi. Sopra quei modelli dettò poi una teologia dell’immortalità, -asserendo l’affinità della scienza colla religione. Perocchè la -gara di scuola erasi portata sui punti cardinali della filosofia e -teologia, quale l’immortalità dell’anima e la destinazione umana; e -i Peripatetici s’erano divisi tra Alessandro d’Afrodisia che credeva -l’anima inseparabile dal corpo e perire con esso, ed Averroe che -la faceva tornare a Dio ed esserne assorta. Il Ficino confutandoli -sostiene l’anima essere emanata dalla Divinità, e a questa poter ella -ricongiungersi mediante la vita ascetica; immortale, perchè altrimenti -l’uomo sarebbe l’essere più infelice; ripudia l’opinione dell’anima -universale: ma immaginoso più che ragionatore, eclettico senza -originalità nè vero spirito filosofico, nel suo entusiasmo confondeva -il sapere coll’arte e colla virtù. Una sua lettera, scoperta testè, ad -una cugina che avea perduto la sorella, e tutta consolazioni platoniche -d’ordine universale, di prigione del corpo, e simili idee; nessuna -di Cristo o di fede; anzi dal pulpito raccomandava la lettura del -divino Platone, e tentò perfino introdurne dei brani nell’uffiziatura -ecclesiastica. Per ordine di Cosmo de’ Medici, cui dovea l’educazione, -aprì un’accademia platonica, composta di mecenati, ascoltatori ed -allievi, che festeggiavano i natalizj di Platone e Cicerone. Io non -so che dire di Paolo II se si sgomentava di questo tornar pagana la -scienza, e staccarla dalla tradizione cristiana[130]. All’accusa -rispondeano che, quanto al seguir Platone, non faceano che imitar -sant’Agostino; che teologi e filosofi tutti allora disputavano di tali -quistioni, e le metteano in dubbio per giungere alla verità; che eresia -è l’ostinarsi nell’errore; mentre essi non disobbedivano la Chiesa, e -seguitavano le pratiche volute. - -Col platonismo alessandrino ne rinacquero gli errori, le fantastiche -opinioni, la cabala. Giovanni Pico (1494) dei signori della Mirandola, -persuasosi che Aristotele e Platone in fondo concordino, tentò -ravvicinarne le dottrine, e pensando che il secondo avesse dedotto la -sapienza dagli Orientali, si volse a questi, massime ai cabalistici, -e di là trasse le più delle novecento tesi che in Roma propose sulla -logica, etica, fisica, metafisica, teologia, magia, offrendosi a -sostenerle. Egli avea fatto riserva dell’autorità della Chiesa; pure -alcune repugnavano all’ortodossia in modo, che ne sorse rumore, e -dalla persecuzione a fatica lo salvarono il grado suo e la protesta -di adottarle nel senso che il papa decreterebbe. Qui un dilagar di -scritture pro e contro, finchè Alessandro VI lo dichiarò irreprovevole, -e in fatto a quell’ora avea modificato le opinioni sue, come lasciati -gli amori e le facili voluttà. - -Scrisse il libro più gagliardo contro l’astrologia; eppure pretendeva -colla cabala dar ragione della cosmogonia di Mosè e dell’incarnazione -del Verbo, e spiegava la Genesi in modo simbolico, secondo i quattro -mondi fisico, celeste, intellettuale e dell’uomo. Ideava un’esposizione -allegorica del Nuovo Testamento, una difesa della Vulgata e dei -Settanta contro gli Ebrei, un’apologia del cristianesimo contro tutti -gl’infedeli ed eretici, un’armonia della filosofia: ma a trentun anno -morì. - -Da giovinetto avea fatto stupire l’Italia con una memoria sfasciata. -Tale l’ebbe pure Pietro Tommaj di Ravenna, il quale, udita una lezione, -la ripeteva cominciando dall’ultima parola; sapeva il Codice e le -infinite glosse; replicò centottanta testi, coi quali un frate milanese -avea provato l’immortalità dell’anima; e giocando a scacchi mentre -un altro faceva a’ dadi, ed egli stesso dettava due lettere, alla -fine seppe ridire tutte le mosse degli scacchi, tutte le combinazioni -dei dadi, tutte le parole delle due lettere cominciando dal fine. -Qual meraviglia se pareagli facilissimo un suo trattato di memoria -artifiziale, che gli altri trovano oscuro e scabroso?[131]. Della -memoria locale trattò eziandio Tommaso Golferani cremonese attorno al -1340, primo che di filosofia scrivesse in vulgare. - -Dietro ai forestieri germogliò una fungaja d’umanisti e grammatici -nostri, di alcuno dei quali non parrà superfluo divisare a minuto i -casi. Giovanni Malpaghino di Ravenna, allievo prediletto del Petrarca, -aperse scuola di latino a Firenze, sceverando i modi degli autori bassi -dai classici, con tal frutto che il gusto della correttezza divenne -passione e moda. Da costui imparò il latino il Poggio[132], figlio -d’un povero Guccio Bracciolini aretino; ma al greco non si pose che di -quarant’anni. A Roma fu applicato a scrivere le lettere pontifizie, -e seguitò cinquant’anni, senz’obbligo di residenza, ma con sottile -assegno che nol sottraeva alla necessità. Con mostrargli le lettere -direttegli da Leonardo Bruno, suo condiscepolo a Firenze, indusse -Innocenzo VII a procacciarsi anche questa buona penna, e il Poggio -gustò le consolazioni d’un’amicizia che può beneficare. Succeduto -Gregorio XII, Bruno rimase in uffizio, Poggio andò a riposarsi a -Firenze, poi seguì Giovanni XXIII al concilio di Costanza. - -Il gusto raffinato volsero di buon’ora i nostri a rintracciare autori -perduti, e in Italia o da Italiani si può dire fossero scoperti tutti -i classici. Petrarca ad Arezzo trovò alcun che delle _Istituzioni_ -di Quintiliano, e delle orazioni di Cicerone, le tre prime _Deche_ -di Livio, e cercava le altre, temendo non andassero smarrite con -Virgilio per ignavia degli uomini; fanciullo ricordavasi aver veduto i -libri _Delle cose umane e divine_ di Varrone, e lettere ed epigrammi -di Augusto, ora a noi sconosciuti. Ne’ suoi viaggi, appena vedesse -qualche monastero antico, — Chi sa non vi si celi qualche preziosità?» -e v’accorreva con desiderio[133]. Agli amici nulla chiedeva più -istantemente che qualche opera di Cicerone, e mandava perciò preghiere -e denari in Italia, in Francia, in Germania, in Grecia e fin nella -Spagna e nella Bretagna. Qual tripudio allorchè, a Liegi, città tutta -traffici, rinvenne due arringhe di quello, e in Verona le epistole -famigliari! Poi il Crotto gli spedì da Bergamo le _Tusculane_, Raimondo -Soranzo il trattato _De gloria_, ch’egli prestò al Convenevole, e nol -riebbe nè egli nè la posterità. - -Il Boccaccio arrampicavasi pe’ solaj de’ conventi a stanar libri, e -gli esemplava di proprio pugno; e narrava a Benvenuto da Imola, che -andato a Montecassino, «e avido di veder la libreria, che aveva inteso -essere nobilissima, domandò ad un monaco graziosamente gli aprisse la -biblioteca. Quegli rispose secco, mostrandogli un’alta scala, _Salite -che è aperto._ Lieto v’ascese e trovò il ripostiglio di tanto tesoro -senza porta nè chiave: entrato, vide l’erba nata per le finestre, e -libri e scaffali coperti di polvere. Meravigliato, cominciò ad aprire -ora questo libro ora quello, e vi trovò molti volumi d’antichi e -rari, dei quali ad alcuno erano strappati quaderni, ad altri recisi i -margini, e in molte guise sformati. Compassionando che le fatiche e gli -studj d’incliti ingegni fossero venuti a mano di gente ignorantissima, -se ne partì colle lacrime agli occhi. E imbattutosi in un monaco -nel chiostro, gli domandò perchè volumi così preziosi fossero tanto -indegnamente mutilati. Il quale rispose, che alcuni monaci, per -guadagnare due o cinque soldi, radevano un quaterno, e ne formavano -uffiziuoli da vendere ai bambini; e coi ritagli de’ margini facevano -brevi da vendere alle donne. Or va, uomo studioso, e ti rompi il capo -per far libri»[134]. - -Il Poggio della sua dimora al concilio di Costanza profittò per cercare -manoscritti nei conventi d’oltralpe, affrontando asprezza di cielo, -scomodo di strade, scortesia di rifiuti. Principalmente ne rinvenne -nella badia di Sangallo «entro una specie di carbonaja oscura ed umida, -ove non si sarebbe pur voluto gettare un condannato a morte»; e tra -quelli, otto orazioni di Cicerone, le _Istituzioni_ di Quintiliano, tre -libri dell’_Argonautica_ di Valerio Fiacco, qualche cosa di Lattanzio, -l’Architettura di Vitruvio, i commenti d’Asconio Pediano a Cicerone, -la _Grammatica_ di Prisciano, ed altri non più veduti. Esortato dal -Bruno, dal Niccoli, dal Barbaro, dal Traversari, proseguì ricerche -in Germania e in Francia, e trovò altre arringhe di Cicerone, i poemi -di Silio Italico, di Manilio, di Lucrezio, parte di Petronio, Ammiano -Marcellino, Vegezio, Giulio Frontino, le matematiche di Giulio Firmico, -Nonio Marcello, dodici commedie di Plauto Columella, il quale era -talmente dimenticato, che non lo conobbero nè Vincenzo di Beauvais, -autore di un’enciclopedia, nè il nostro Pier Crescenzi, attento -raccoglitore di cose rustiche. - -Col nuovo papa Martino V il Poggio passò a Mantova, poi lusingato -con larghe promesse dal ricco vescovo di Winchester, tragittossi in -Inghilterra; ma deluso e disgustato dell’ignoranza che vi trovava e -della poca stima in cui v’era la bella letteratura, rivenne in Italia. -Quivi apprese come Gasparino Barziza avesse rinvenuto l’_Oratore_ di -Cicerone; non si sa chi le epistole ad Attico; Gherardo Landriano a -Lodi i libri dell’_Invenzione_ e _Ad Erennio_; Tommaso Inghirami di -Volterra a Bobbio trovava il _Viaggio_ di Rutilio Numaziano; Alessandro -d’Alessandro in un celliere a Napoli il Properzio: da Parigi si ebbero -le epistole di Plinio minore, da Germania le egloge di Calpurnio e di -Nemesiano. - -Qual piacere doveva recare il leggere questi autori man mano che -si scoprivano, senza il disgusto che ora ce ne lasciano le scuole, -senza l’ottusione prodotta dall’abitudine! «La repubblica letteraria -(scriveva Lorenzo Medici al Poggio) ha di che rallegrarsi non solo -per le opere che trovaste, ma per quelle che avete a trovare ancora. -Qual gloria per voi che sieno resi alla luce gli scritti di sommi -autori! I secoli venturi rammenteranno che codici, di cui irreparabile -piangeasi la perdita, vostra mercè vennero ricuperati; e come Camillo -fu intitolato secondo fondatore di Roma, così voi potrete esser detto -secondo autore delle opere per voi ricomparse. Vostra mercè possediamo -intero Quintiliano, che dianzi avevamo solo per metà, e questa pure -mutila e difettosa. O acquisto prezioso! o inaspettato contento! ed -è pur vero ch’io potrò leggere tutto quel Quintiliano, che tanto -dilettami comechè mutolo e sformato? Vi scongiuro, mandatemelo al -più presto, ch’io possa almeno vederlo prima di morire ». E subito i -dotti buttavansi a commentarli, ridurli a buone lezioni, agevolarne -l’intelligenza, trarne ajuti allo scrivere corretto; e moltissimi greci -tradussero. - -Gl’impiegati della cancelleria romana soleano raccorsi in una sala, -dove a gara ne sballavano delle grosse, tanto che, da bugia, era -chiamata il bugiale; e leggeano sulla cronaca di ciascuno, prete o -secolare, mozzo o cardinale, privato o governo. Da questo mondezzajo -il Poggio razzolò i suoi motti e racconti (_Facetiæ_), putidi -d’oscenità, le cose e le persone sacre trattando con tale audacia, che -i Protestanti vollero poi contarlo tra i loro precursori. Conversazioni -più sensate ritrae nella _Historia disceptativa convivialis_, -principalmente su punti filologici. Scrisse pure sulla nobiltà, sulla -sfortuna de’ principi, sulla varietà della fortuna. - -Al suo trattato delle _Eleganze latine_ proemiò professando non -conterrebbe nulla che fosse già scritto da chichessia: invece è -suo merito l’avere utilizzato tutti i vecchi grammatici, per dare -riflessioni sullo scrivere, e buone regole intorno alla sintassi, alle -inflessioni, principalmente ai sinonimi; e fu ristampato, tradotto, -ristretto, compendiato, fin messo in versi. Ma se egli conoscevasi -di parole meglio di qualunque contemporaneo, non sapeva collocarle in -buono stile, e per iscrupolo di purezza rigettò anche frasi di conio -irreprovevole. - -Ripristinato Cosmo, e spirando destra l’aura ai Medici, il Poggio -ne gustò i favori, e bramava terminare sua vita a Firenze; ebbe una -villetta nel Valdarno, modesta, ma abbellita di libri, di statue, di -pietre incise, di medaglie e di amici che lo visitavano; man mano che -la morte gli portasse via un amico, un protettore, esso gli tributava -lodi e lacrime. La Signoria volle gratificarlo dichiarando esente da -ogni tassa lui e sua casa; lo invitò poi secretario, ed egli tessè la -storia di quella città in otto libri latini dal 1350 al 1455, che non -finì e che rimase inedita fino al 1715, sol conoscendosi la traduzione -italiana fatta da un suo figliuolo. - -E ben quattordici figli aveva egli da un’amica: pure a cinquantacinque -anni scrisse un dialogo se convenga o no il matrimonio, sposò una de’ -Buondelmonti che avea diciott’anni e seicento fiorini di dote, e visse -con lei felice padre. Ebbe sepoltura (1459) in Santa Croce; ritratto di -mano del Pollajuolo nel palazzo pubblico, e una statua sulla facciata -di Santa Maria del Fiore. - -Lorenzo Valla romano, con minor talento del Poggio suo emulo, -maggior erudizione filologica e storica qual dimostrò nelle _Eleganze -latine_, aveva elevato dubbj rarissimi a quel tempo; dichiarò spurie -la donazione di Costantino e la lettera di Cristo ad Abgaro re, nè -avere gli Apostoli composto ciascuno un articolo del simbolo; al -Nuovo Testamento appose annotazioni abbastanza severe colla vulgata, -egli primo fondando le spiegazioni sulla lingua originale. Distici e -sarcasmi scaraventava costui a moscacieca contro cardinali e grandi -che gli tardassero un favore; e contro l’ambizione della corte romana -invettive tali[135], che reputò prudenza ricovrarsi a Napoli, ove aprì -scuola d’eloquenza. Ma Nicola V, non che richiamarlo, gli regalò di -sua mano cinquecento scudi d’oro per avere tradotto Tucidide, e il -titolò canonico e scrittore apostolico. Eppure egli conservò libertà di -pensare e di scrivere; nel dialogo sull’avarizia e la lussuria flagella -i cattivi predicatori, ma specialmente i frati dell’Osservanza, -rimessiticcio de’ Francescani; poi in quello sull’ipocrisia tempesta -tutti i frati e il clero in generale. - -Quattro libri d’invettive scagliò contro Bartolomeo Fazio, che -altrettanti gliene rimbalzò con pettoruta gonfiezza. Già contro -Giorgio da Trebisonda, grand’ammiratore di Cicerone, avea sostenuto la -prevalenza di Quintiliano con tanto furore, con quanto battagliò col -Guarino per anteporre Scipione a Giulio Cesare, e con un giureconsulto -bolognese sul punto se Lucio e Arunzio fossero figli o nipoti di -Tarquinio Prisco. Era dunque ben addestrato alle lotte quando si -accapigliò col Poggio, alle cui _Invettive_ oppose _Antidoti_ e -_Dialoghi_, con un diavolo per pelo. Accusato da costui d’aver rubato -denaro e falsato una ricevuta a Pavia, e in conseguenza essere stato -messo alla gogna, gli butta in faccia imputazioni che l’onestà neppur -consente d’accennare: e Nicola V, non che sopir la lite fra i due suoi -dipendenti, accettò la dedica degli _Antidoti_. - -Francesco Filelfo, se volessimo credere al Poggio, fu generato da un -prete in una lavandaja; ma gli storici il fanno da buona famiglia -di Tolentino: studiò a Padova con tal frutto, che a diciotto anni -professava eloquenza colà, poi a Venezia, ove fu dichiarato cittadino, -e spedito secretario del balio a Costantinopoli per assecondare il -suo desiderio di famigliarizzarsi col greco. Questa lingua v’apprese -da Giovanni Crisolara, fratello del famoso Manuele, e l’imperatore -Giovanni Paleologo lo volle secretario e consigliere, e lo mandò -ministro all’imperatore Sigismondo: in tal qualità assistette in -Cracovia alle nozze di Ladislao re di Polonia, e vi recitò un’orazione -al cospetto de’ più grandi signori d’Europa. Reduce a Costantinopoli, -sposò la figlia del suo maestro, e con lei tornava in Italia; ma -trovò Venezia desolata dalla peste, gli amici fuggiti, i suoi libri -in contumacia. S’avviò dunque a Bologna dolente e bisognoso: ma quivi -trovossi accolto magnificamente, e offerti quattrocento cinquanta -zecchini l’anno per una cattedra di filosofia morale e d’eloquenza. -Essendosi Bologna ribellata al papa, il Filelfo ricoverò a Firenze, -dove instancabilmente propagava l’amore de’ classici. Di gran mattino -spiegava le Tusculane o l’Arte oratoria di Cicerone, Tito Livio od -Omero; riposatosi alcune ore, ricompariva a leggere Terenzio, le -epistole o qualche orazione di Cicerone, Tucidide o Senofonte; poi -le feste in Santa Maria del Fiore, _senza alcun pubblico o privato -premio_, commentava Dante. Quattrocento uditori seguivano le sue -lezioni, ed era applaudito, careggiato da uomini e donne e da quanto di -meglio aveva la città[136]. - -Il racconto di queste sue compiacenze ci rivela il maggior suo -difetto, una stima di sè, non commensurabile se non al disprezzo di -ciò che non fosse lui. Doveva in conseguenza moltiplicarsi nemici, -che pubblicamente lo insultavano, sin a ridurlo a far le lezioni in -casa[137]. Avendogli un bravaccio tirato un colpo al viso, il Filelfo -mostrò crederlo mandato dai Medici, contro i quali parteggiava; e -forse con ciò volle scusarsi delle codarde invettive con cui aggravò -l’esiglio di Cosmo. Perciò allorchè questi tornò trionfante, egli -rifuggì a Siena, donde continuò a bersagliarlo, tanto che la Signoria -il proferì esigliato. Ed ecco quel tal bravaccio gli si avventa di -nuovo a Siena, ed egli il fa mettere alla tortura sinchè confessi -l’attentato. Fu multato in cinquecento lire, ma al Filelfo parvero -poche, e ne ottenne la condanna a morte, ch’egli stesso intercedette -fosse commutata nel taglio della mano, «preferendo (dic’egli) vivesse -mutilo ed infame, anzichè una pronta morte lo liberasse dai rimorsi e -dalla vergogna». - -Intanto egli medesimo con altri fuorusciti macchinava contro i Medici, -e soldò un Greco per assassinare Cosmo. Il sicario fu scoperto, ed -ebbe tronche le mani; e sopra la costui confessione il Filelfo fu -condannato in contumacia al taglio della lingua e al bando perpetuo. -Se al Filelfo non restava che l’ira dell’impotente, Cosmo, sicuro -dell’autorità, aveva i mezzi e perciò il dovere d’essere generoso. E -il volle, e gli fece proporre la riconciliazione: ma il pedante ostentò -generosità col rifiutare e insultare; finse anzi di credersi mal sicuro -a Siena, e poichè era cerco dal papa, dal senato veneto, dal duca di -Milano, dalla repubblica di Bologna, dall’imperatore di Costantinopoli, -accettò di passare sei mesi a Bologna, ottenendovi l’inusato stipendio -di quattrocencinquanta ducati, poi si trasferì a Milano. Quivi -passò i sette anni meno tempestosi di sua vita, caro alla Corte, -dichiarato cittadino, e sempre più incocciandosi di que’ suoi meriti -incomparabili. - -Nelle commozioni succedute alla morte di Filippo Maria, scrisse -proclami e lettere ai principi perchè sostenessero l’aurea repubblica; -poi orazioni ed encomj all’oppressore di questa Francesco Sforza, da -cui accettò nuovi favori, finchè il magnanimo Alfonso di Napoli mostrò -desiderio di vederlo. Mosse a quella volta, e «giunto a Roma (scrive -Vespasiano) nel tempo di papa Nicola, fece pensiere alla sua tornata -di visitare la sua santità. Inteso papa Nicola che era in Roma, subito -mandò a dire che l’andasse a visitare. Intesolo messer Francesco, andò -alla sua santità, e le prime parole che gli disse, furono: _Messer -Francesco, noi ci maravigliamo di voi, che passando di qui non ci -abbiate visitato_. Messer Francesco rispose come egli faceva pensiero -visitare il re Alfonso, e poi venire alla santità sua. Papa Nicola, -che sempre era stato amatore degli uomini letterati, volle che messer -Francesco conoscesse la sua gratitudine, e pigliò un legato di ducati -cinquecento, e sì gli disse: _Messer Francesco, questi denari vi -voglio io dare, perchè vi possiate fare le spese per la strada_. Messer -Francesco, veduta tanta liberalità usatagli, ringraziò la sua santità -infinite volte di tanta gratitudine usatagli». Il re di Napoli gli uscì -incontro fino a Capua, lo ornò cavaliere, e gli concesse di portare -l’arma d’Aragona; infine il coronò poeta. - -Queste e ben altre particolarità raccolgonsi da trentasette libri di -sue lettere che sono alle stampe, e dalle altre opere dove spessissimo -parla di sè; e spessissimo ne parlano i pochi amici e molti nemici suoi -contemporanei. Egli componeva, traduceva, compilava; or traboccava la -bile contro gli avversarj; or filosofava nelle _Meditazioni fiorentine_ -o nei _Banchetti milanesi_ o nella _Morale disciplina_; or commentava -il canzoniere del Petrarca, con indecenti allusioni agli amori del -poeta, ai papi, ai Medici; or in ventiquattro canti latini celebrava -gli Sforza, o in quarantotto italiani san Giovanni Battista; or tesseva -arringhe, da recitarsi dai podestà fiorentini quando uscivano di -carica, ovvero in proprio nome, e orazioni funebri, e consolatorie, e -liriche latine. Forza e calore non gli mancano, ma per purezza latina -è lontano troppo, non che dal Poliziano, dal Poggio, e move lo stomaco -colle sguajate scurrilità. - -Circondato da tanti scolari, tra cui potea contare Pio II, Pietro -de’ Medici, Agostino Dati e Bernardo Giustiniani storici di Siena e -di Venezia, Alessandro di Alessandro autore dei _Genialium dierum,_ -avrebbe potuto godere le compiacenze d’una vecchiaja onorata se -il portamento suo bisbetico non l’avesse tratto a sempre nuove -contese. Poi alle lusinghe della gloria voleva aggiungere la realtà -di ricca casa, codazzo di famigli, cavalli, tavola: col che non solo -corrompeva il proprio avvenire, ma si obbligava a chiedere vilmente -e vilmente accettare, sin col fingere le nozze di una sua figlia -onde avere pretesto a domandare regali; profondeva elogi, e poi -querelava d’ingrato chi i doni non proporzionasse all’avidità sua, e -svillaneggiava chi tardasse. Eppure quando Anton Marcello, patrizio -veneto, d’una consolatoria per la morte d’un figlio il gratificò con -un bacino d’argento del valore di cento zecchini, esso lo portò alla -Corte, e davanti al consiglio ne fece dono al duca di Milano. Forse che -ne sperasse un maggiore ricambio? - -S’accapigliò esso pure col Poggio, il quale asserisce che il Filelfo da -giovane visse in ribalda amicizia con un prete cui era stato affidato; -che a Fano preso a calci e pugni, a stento rifuggì in una bettola, e -s’appiattò sotto un letto; che a Padova fu bastonato pubblicamente ed -espulso di città per opera d’uno cui avea corrotto il figlio, nè potè -sottrarsegli che fuggendo in Grecia; colà avere contaminato la figlia -del suo ospite, che poi dovette sposare; e altrettali lepidezze. Nuovi -appicci ebbe con Giorgio Mérula già suo discepolo, che avea scritto -_turcos_ invece di _turcas_, voce sulla quale non poteasi appellare -all’infallibilità de’ classici; altri per l’interpretazione d’un verso -greco, pel quale e il Traversari e il Marsuppini disputarono quanto i -teologi sopra un senso scritturale[138]. - -Galeazzo Maria Sforza non continuò i favori al Filelfo, che, da -diciassette anni addetto a quella famiglia, allora si trovò abbandonato -e povero, costretto a lottare colle necessità mediante una salute -di ferro e un’inconcussa pertinacia al lavoro. Que’ bei tempi ove -a gara vedeasi cercato, erano tramontati, ed egli non potea che -sfoggiare eloquenza sopra un nuovo tono, lamentandosi dell’abbandono -e dell’ingratitudine degli uomini. Da Pio II nulla ottenne, nulla -da Paolo II che pur l’aveva altre volte lodato e donato; sicchè -egli bestemmia papa e papato, lasciando fin trapelare l’intenzione -d’andarsene a Maometto II. Ma Sisto IV il chiamò a Roma ad una cattedra -di filosofia con buoni assegni e migliori promesse. V’ebbe accoglienze, -da soddisfare qualunque amor proprio; ma tornato a Milano a prendere la -sua famiglia, perdette la moglie di trentott’anni mentr’esso toccava -gli ottanta; di ventiquattro figli non gli restavano che quattro -fanciulle e un maschio, filologo come lui, e come lui presuntuoso, -difficile, accattabrighe; ed ebbe l’amarezza di veder morire anche -questo, sicchè si trovava isolato alla sera di sua vita. Milano era -allora sossopra per l’assassinio di Galeazzo Maria e la minorità di suo -figlio; la peste facea pericoloso il ritornare a Roma: onde il Filelfo, -che si era rappattumato coi Medici, e tenea da tempo corrispondenza -col magnifico Lorenzo, ottenne che la Signoria cancellasse le sentenze -contro di lui, e il ponesse su una cattedra di lingua e letteratura -greca; ma le fatiche del viaggio lo logorarono, e quindici giorni dopo -rimesso nella cara Firenze, morì (1481) di ottantatre anni. Una tale -longevità basterebbe a spiegare la sua morte, eppure si volle dire -gliel’accelerassero le virulente satire del Merula. Così gli erano -ricambiate le contumelie; ma non le aveva aspettate per confessare -d’essere trasceso negli sfoghi di sua bile[139]. - -In cotesti, ve n’accorgete, la letteratura non era una distrazione, ma -vita; non istromento, ma fine. Il bisogno e l’abitudine dell’autorità -erano dalla teologia e dalla filosofia passati nella letteratura, -e tutti miravano alla conoscenza degli antichi, sicchè diventava -merito primo l’erudizione, principale opera il compilare e commentare -gli antichi o i loro commentatori, alcuni con lucida intelligenza, -alcuni senza gusto nè critica, tutti al medesimo intento; ciascuno -scegliendo un autore, cui idolatrava, e predicavalo col calore d’un -apostolato. L’entusiasmo invadeva persino la critica, e beato chi -avesse raddrizzato un passo scorretto, o indovinato un errore in un -testo o nell’emulo! poi litigi sull’interpretare qualche passo; la lesa -eleganza facea più vergogna che la lesa verità e convenienza; e codeste -stizze dei pedanti passionavano e dividevano città e provincie. - -Marco Barbo veneziano, nipote di Paolo II, vescovo di Treviso poi di -Vicenza, infine cardinale e patriarca d’Aquileja, fu dottissimo in -greco, latino, astronomia, geometria, teologia, assai destro negli -affari, e perciò adoprato in molte legazioni, e principalmente nel -conciliare concordie. E una concordia egli fu chiamato a comporre fra -due potentati d’altro genere, Bartolomeo Platina e Rodrigo vescovo di -Calagóra, de’ quali il primo avea scritto in favor della pace, l’altro -della guerra. - -Ma se queste miserabili capiglie sono spesso imitate dalla petulanza -odierna, non taciamo almeno di Leonardo Bruno d’Arezzo, che già vecchio -famosissimo e cancelliere della Repubblica fiorentina, in non so qual -disputa filosofica si trovò contraddetto dal giovane Giannozzo Manetti. -Gli applausi prodigati a questo irritarono il Bruno a segno che uscì -in parole ingiuriose: ma la calma con cui il Manetti rispose, lo fece -ravvedere. La mattina buon’ora fu alla casa del Manetti, domandò che -il seguisse, avendo a dirgli qualcosa; e mentre questi aspettava una -scena, ad alta voce e in mezzo alla gente gli narrò non aver potuto -dormire la notte pel torto fattogli, e volergliene chiedere scusa[140]. - -Francesco Barbaro senatore veneziano, erudito, eloquente, gran fautore -de’ letterati, sostenne molte magistrature e ambasciate, celebre per -l’abilità di mettere pace. Singolarmente come capitano di Brescia -rappattumò i cittadini dissenzienti, e li sostenne nel duro assedio -postovi dal Piccinino: del quale assedio egli scrisse la storia, -pubblicata sotto il nome del suo confidente Evangelista Manelino. -Brescia riconoscente gli regalò in duomo una bandiera e uno scudo -messi a oro, con un panegirico; e lo fece accompagnare splendidamente -a Venezia, e quivi di nuovo lodare davanti al doge. L’opera sua _De re -uxoria_ è forse il solo trattato morale di quel secolo che non calchi -servilmente le orme antiche. - -Ermolao Barbaro procurò un’edizione di Plinio, correggendovi cinquemila -errori: ma quante migliaja ve ne lasciò! Gasparino Barziza bergamasco -col buttarsi tutto a Cicerone ne trasse un quasi istintivo sentimento -della proprietà ed eleganza, e fa sentire il buon modello nel giro -della frase, nella rotondità de’ periodi, nell’acconcio collocamento -delle parole. Trapassiamo Pier Paolo Vergerio di Capodistria, storico -dei Carraresi e maestro di Lionello d’Este; Carlo Marsuppini di -Arezzo, segretario della Repubblica fiorentina; Antonio Panormita, che -fu laureato poeta da Sigismondo imperatore, e dedicò a Cosmo Medici -l’_Hermaphroditus_, osceni epigrammi, vituperati dai monaci e appetiti -dai curiosi. Il Perotti vescovo di Siponto (_Cornucopia, sive linguæ -latinæ commentarii_) spiegò molte voci latine, lavorando su Marziale. -Cristoforo Landino, segretario della Signoria di Firenze, scrisse -poesie e trattati filosofici, volgarizzò Plinio e la _Sforziade_ di -Giovan Simonetta, e a Virgilio, Orazio, Dante appose lunghi commenti, -dedotti forse dalle lezioni che pubblicamente ne faceva, dove, -ampliando a tutto il poema l’intenzione che l’Alighieri professò in -qualche parte, sotto al letterale cercava un senso recondito e morale. -Ad imitazione di Platone e di Tullio, nelle _Disquisizioni camaldolesi_ -dialoga con illustri personaggi, facendo amare la virtù senza troppo -sottilizzare sulle teoriche, pure non evitando le fantasticherie -platoniche. E il dialogo era adottato dal Valla per difendere -l’epicureismo, dal Platina, dal Palmieri, dall’Alberti, dal Pontano, da -Matteo Bosso; e Paolo Cortese, imitando quello _De claris oratoribus_, -ben caratterizzò i dotti del suo tempo. - -Non v’avendo dizionarj nè grammatiche, uno dovea da se stesso nel -barbaro latino usuale riscontrare quello che si trovasse o no nei -classici; insomma indovinare le lingue, interpretare un autore mediante -l’altro, mettersi in traccia dell’oro a costo di perire nella miniera. -Noi, ricchi delle faticose lor veglie, li trattiamo con ingrato -disprezzo; noi tronfj di possedere quel che non vogliamo fare ad essi -gloria d’avere acquistato. E l’erudizione è come il bagaglio ad un -esercito, imbarazzante alla marcia, eppure indispensabile. - -Storia, mitologia, antichità ridestaronsi per facilitare l’intelligenza -dei testi; ma que’ commenti riboccano di frivolezze e insulsaggini; -spesso s’appongono al falso, non bene conoscendo il senso, e tanto -meno la forza delle parole. La rarità dei testi e la riverenza per -l’autorità facea rispettare anche le lezioni più infelici; e non osando -correggerle, gli eruditi si limitavano a mostrare d’averle capite col -raffrontarle ad altri testi. I nostri non compresero abbastanza quanto -potessero trar profitto dal greco, modello e sorgente della letteratura -latina, lasciando tal lode principalmente alla scuola olandese. -Vennero più tardi e non nostri gli eruditi, che allo studio della -forma anteposero quel delle idee, ammirandole nella persuasione che -ciò che era pensato dagli antichi dev’essere il più perfetto, ma ancora -osservando l’autore come un essere sporadico, separato dai tempi e dai -casi. Solo adesso si cerca collocare l’autore nella storia, co’ suoi -contemporanei: la bellezza letteraria non è più il fine della critica, -ma uno de’ moventi e dei risultati della storia. - -Quelle accannite controversie valsero ad accertare la filologia, -obbligando gli scrittori a rendere conto d’ogni frase e parola. A -grand’ajuto poi vennero i dizionarj, che sono i veri libri iniziatori -della filologia. Uno, ad imitazione di Papia, fu compilato da Uguccione -vescovo di Ferrara; Buoncompagno diede la disposizione artifiziosa e -naturale d’un dizionario; Giovanni da Genova, autore del _Catholicon_, -grosso volume stampato dal Guttenberg nel 1460, che comprende -grammatica e dizionario, è poco citato, eppure sa più di quanto -potrebbe aspettarsi: avea letto quantità di libri, cita moltissimi -classici latini, non ignora il greco[141], e come Papia e gli altri -lessicografi, non esclude i santi Padri, la cui intelligenza entrava -per sì gran parte negli studj d’allora. Il primo dizionario greco -sembra quello del monaco piacentino Giovanni Crestone; seguì il Grande -Etimologico (’Ετυμολογικὸν μέγα) di Marco Musuro, anteriori a quelli -di Roberto Costantino, di Scapula, di Enrico Stefano. Andrea Guarna -palermitano (_Grammaticæ opus novum, mira quadam arie et compendiosa, -seu bellum grammaticum_) pretendeva insegnar la grammatica colle regole -della guerra, esponendo le nimicizie fra il nome e il verbo, re del -regno di grammatica, le battaglie che si movono, cercando rinforzarsi -mediante l’ajuto del participio; infine si rappacificano. L’opera ebbe -da cento edizioni, fu ridotta in ottave, fu tradotta in francese. - -Lo studio delle antiche lingue affinò il gusto, ma coll’imitazione -spense l’originalità; si pensò a conoscere la civiltà vetusta, più che -a perfezionare la moderna; e fra quegli studiosi, immagini, pensieri, -leggi poetiche erano d’altri tempi; non un lampo di genio, non un -impeto d’eloquenza per compiangere le sventure d’allora, o magnificare -la nuova civiltà. Sconcio peggior che letterario, s’insegnò a separare -il sentimento dalla parola, la letteratura dall’azione, la forma -dal pensiero, e giudicare degli uomini come degli autori non dalla -sostanza ma dallo stile. Anche servilità di modi introducevano onde -valersi delle frasi di Orazio e di Plinio; e adulazioni, che avrebbero -arrossito ad esprimere nella lingua con cui parlavano ai loro amici. -Chiamati alle magistrature, e massime in uffizio di segretarj, non -valevano (salvo alcuni, come il Salutati e il Piccolomini) se non a -recitare orazioni di parata; nelle quali non stringevano sulle positive -importanze, ma badavano a ciò che meglio potesse esprimersi in latino. -Il Petrarca, incaricato di rispondere ai Genovesi quando vennero -offrirsi al signor di Milano, nol seppe perchè non preparato. A un -discorso che il Marsuppini a nome della Signoria fiorentina recitò a -Federico III, Enea Silvio fe risposta senza retorica ma con domande -positive, e quegli non seppe replicare. Insomma erano buoni solo per -l’apparato, e perciò amavano le corti, e non poco contribuirono a -soffocare le antiche abitudini popolane: perocchè alle repubbliche -di magistrati attenti alla domestica sul pubblico bene preferivano le -corti ove ottenner protezione e sfoggiare eloquenza; e con belle frasi -palliavano la tirannide e scagionavano l’iniquità. - -Studj di tal natura non potevano alimentarsi che dalla protezione, e -l’ebbero. - -L’Università di Bologna conservò la sua altezza, ed Innocenzo VI le -concesse la facoltà teologica (t. VI, p. 385): Gregorio XI vi fondò il -lauto collegio detto dal suo nome, con ricchissimi doni, fra i quali -son notevoli cennovantatre libri. I Trevisani apersero un’Università -(1314) procacciandosi nove famosi dottori, fra cui Pietro d’Abano. -Pisa nel 1339 ne pose una, mantenendola colla decima sui beni degli -ecclesiastici; tutti i libri occorrenti fece immuni da gabelle; ebbe -privilegi da papi e imperatori, ma poi ne’ disastri successivi la vide -eclissata. I Fiorentini fondarono uno studio (1348), e per illustrarlo -invitavano il Petrarca a leggere qual libro gli piacesse. Il senese, -aperto nel 1320, poi sciolto, fu riordinato sotto gli auspizj di Carlo -IV (1357) (t. VI, p. 392), che ne autorò uno anche a Lucca (1369). -L’Università di Piacenza, sorta per opera di Innocenzo IV (1246), -poi scaduta, fu ridesta da Gian Galeazzo (1397). In Milano tenevansi -pubbliche lezioni di giurisprudenza, venticinque maestri di grammatica -e logica, quaranta scrivani, più di sessanta maestri elementari, più di -centottanta professori di medicina, e filosofi, e chimici, molti de’ -quali salariati per assistere i poveri. L’Università di Pavia, aperta -(1362) e prosperata dai Visconti (al dire dell’Azario) perchè v’avea -sovrabbondanza di case, e a buon patto il vino, il frumento, la legna, -non annichilò le scuole di Milano, giacchè gli statuti concedeano che -natii o avveniticci vi potessero studiare leggi, decretali, fisica, -chirurgia, tabellionato, arti liberali[142]. Clemente fondò quella -di Perugia nel 1307: Bonifazio VIII quella di Fermo nel 1303 ed una -a Roma, dove ormai non restavano che scuole d’elementi; ma l’esiglio -avignonese la lasciò ricadere: Giovanni XXII ne istituì una in Corsica -il 1331; Benedetto XII in Verona il 1339. Il concilio ecumenico di -Vienne ordinò che nelle università di Roma, Parigi, Oxford, Bologna, -Salamanca v’avesse due maestri di lingua ebraica, araba e caldea. Anche -Torino, come che dedita di preferenza alle armi, nel 1353 tenea per -otto anni esentati dal militare gli artisti che andassero ad abitarvi; -nel 66 chiamò e fece cittadino un maestro di umane lettere; a un -altro assegnò dieci fiorini perchè insegnasse medicina; e nel 75 fondò -scuole[143]; e la sua Università ebbe ampio privilegio da Lodovico di -Savoja nel 1436. - -Ai letterati aumentavansi stipendj a gara, concedevansi onori, -s’affidavano ambasciate; il loro passaggio per le città era un -trionfo, alle esequie loro assistevano i principi: Carlo IV concesse a -Bartolo d’inquartare al suo stemma l’arme di Boemia; e questo insigne -giureconsulto sostenne che un dottore, dopo insegnato dieci anni -diritto civile, è cavaliere _ipso facto_. Tutti i principi faceano il -mecenate, da Roberto di Napoli che diceva — Rimarrei più volentieri -senza diadema che senza lettere», fin a Luchino Visconti che scrivea -versi lodati dal facile Petrarca, a Giovanni che facea leggere in -cattedra Dante, al cupo Filippo Maria, al quale Lucca attestò la -riconoscenza col regalargli due codici[144], e al cui segretario Cicco -Simonetta moltissime opere si trovano dedicate con elogi pomposissimi. -Francesco Sforza accolse l’architetto Francesco Filarete, Bonino -Mombrizio professore d’eloquenza, il Filelfo, il Simonetta e il -Decembrio storici, Lodrisio Crivelli poeta, Franchino Gaffurio primo -che aprisse scuola di musica, Costantino Lascaris che a Milano stampò -la prima grammatica greca; e mandava in Toscana chi comprasse per -lui tutti i libri degni, e raccogliesse quanti scrittori si potessero -avere. Gian Galeazzo cercò trarre a Milano la Cristina di Pizzano che -vivea poveramente in Francia, e molti versi compose. A non ripetere -d’Alfonso d’Aragona, di Nicola V e d’Eugenio IV, Jacopo di Carrara -spedì dodici giovani alle scuole di Parigi, e Francesco il vecchio -visitava spesso ad Arquà il Petrarca. L’imperatore Sigismondo coronò -poeta a Parma un Tommaso Cambiatore e Antonio Beccatelli panormita; il -quale dal Visconti ottenne lo stipendio di ottocento scudi d’oro, da -re Alfonso la nobiltà e missioni importanti e doni fin di mille scudi -in una volta. Più prodigo Federico III laureò poeti Nicolò Perotti, il -Piccolomini, il Cimbriaco, il Bologni, due Amasei, un Rolandello, un -Lazarelli. Firenze coronò Ciriaco d’Ancona e Leonardo Bruno; Verona -Giovanni Panteo; Roma l’Aurelini e il Pinzonio; Milano Bernardo -Bellincioni: glorie d’un giorno. - -E ognuno prendea parte a quelle glorie, a quelle dispute; la scoperta -d’un codice era un avvenimento clamoroso; le più delle epistole -versano sopra la ricerca di manoscritti; il duca di Glocester ringrazia -fervorosamente Pier Candido Decembrio d’avergli mandato una traduzione -della _Repubblica_ di Platone; Mattia Corvino re d’Ungheria, dalla -moglie Beatrice di Napoli invogliato al lusso e ai raffinamenti -di corte, si circondò di letterati, procurando dell’Ungheria fare -un’altra Italia[145]. Col cercar libri e farne trar copie raccolse una -biblioteca di cinquantacinquemila volumi, quanti niun’altra al mondo -ne possedeva; e principalmente caro tenne Antonio Bonfini d’Ascoli, -che dettò la storia di quel paese. Le miscellanee del Poliziano erano -aspettate come il messia, e divorate appena uscissero. L’invidia o le -fazioni snidano un letterato? egli è sicuro di trovare onorificenze -e stipendj dovunque appaja, col solo patrimonio del proprio merito; -quando muore il giureconsulto Giovanni da Legnano, chiudonsi le -botteghe; quando l’unico Accolti recita versi, si feria per tutta la -città, si fa luminara, e dotti e prelati interrompono cogli applausi la -sua declamazione. - -Signori illustri faceano versi, e ne conserviamo di Luchino Visconti e -di Bruzio suo figlio, di Guido Novello da Polenta, di Bosone da Gubbio, -di Francesco Novello Carrarese, di Cangrande, di Castruccio, d’Astorre -Manfredi di Faenza, di Lodovico degli Alidosi di Imola, tutti gran -signori. Aggiungete Lionello d’Este, le cui lettere sono delle migliori -del suo tempo; il Malatesta di Rimini, Gian Galeazzo e Lodovico -Sforza duchi, e il cardinale Ascanio costui fratello, e molte dame, -quali Isabella d’Aragona duchessa di Milano, Bianca d’Este, Domitilla -Trivulzi. All’imperatore Sigismondo, a Martino V pontefice recita -orazioni latine la Batista di Montefeltro, moglie di Galeazzo Malatesta -da Pesaro, la quale legge filosofia, e disputandone vince alcuni -professori. Costanza di Varano, nipote di lei, di quattordici anni -pronunzia un discorso latino a Bianca Maria Sforza, e per tutt’Italia -è ammirata ed encomiata tanto, che ottiene a’ suoi d’essere rintegrati -nella signoria di Camerino, ed è sposata da Alessandro Sforza signore -di Pesaro, poeta anch’esso. Un’altra Batista sua figlia e duchessa -di Camerino facea stupire principi e prelati coi discorsi latini che -improvvisava. Ippolita figlia di Francesco Sforza in Mantova davanti -al congresso raccolto perorò onde eccitare alla crociata, e ci rimane -esemplato di sua mano il trattato _De senectute_ di Cicerone. - -Cosmo padre della patria stipendiò quarantacinque scrivani onde -provvedere la sua biblioteca. Lorenzo magnifico scriveva: — Quando -l’anima mia è stanca d’affari, e gli orecchi assordati dal cittadin -clamore, non mi vi saprei rassegnare se non cercassi refrigerio -nelle lettere, pace nella filosofia». Federico duca d’Urbino teneva -a Firenze e altrove da trenta a quaranta amanuensi, e spese in copie -meglio di trentamila ducati; e oltre la Bibbia che ancor si ammira -nella Vaticana, «ebbe altri libri assai (dice il Vespasiano), belli -in superlativo grado, coperti di chermisi, forniti d’ariento, miniati -elegantissimamente, e tutti iscritti in carta di cavretto; nè tra -quelli n’era niuno a stampa, che se ne sarebbe vergognato». - -Tutti i signori raccolgono i profughi di Grecia, gli incorano a cercare -e tradur libri, assistono alle lezioni loro. Nicolò Acciajuoli, ito -da Firenze a Napoli mercatando, trovò grazia presso la principessa di -Taranto, che gli diede stato e cavalleria e ad educare il suo figlio -Luigi; presso il quale conservossi in grazia, fu fatto siniscalco, e al -mutar degli eventi tornato ricchissimo in patria, vi sfoggiò in modo -che i Fiorentini se ne adombrarono quasi volesse farsene dominatore, -e stanziarono ch’e’ non potesse ottenervi alcuna magistratura. Egli -allora sfogò la sua ambizione col mettersi protettore di dotti, -quali Zanobio Strada, Francesco Nelli, il Boccaccio. Il qual ultimo -volle poi seco a Napoli quando tornò, ma lo teneva a miseria, -sebbene l’esortasse continuo a scrivere le sue gesta. Alla magnifica -Certosa da lui eretta presso Firenze aggiunse un palazzo a foggia di -castello, ove cinquanta giovani doveano esser educati, con biblioteca -d’opere rare; disposizione rimasta priva d’effetto. Palla Strozzi, -cittadino ricchissimo e potentissimo in Firenze, dove ristabilì -l’Università, ebbe in casa Tommaso da Sarzana dappoi papa, chiamò -Manuele Crisolara, «mandò in Grecia per infiniti volumi, tutti alle sue -spese; la Cosmografia di Tolomeo colla pittura fece venire infino da -Costantinopoli; le Vite di Plutarco, le opere di Platone, e infiniti -libri degli altri. La _Politica_ di Aristotele non era in Italia, se -messer Palla non l’avesse fatta venir lui da Costantinopoli; e quando -messer Lionardo la tradusse, ebbe la copia di messer Palla»[146]. -Esigliato il 1434, ebbe a sè «con bonissimo salario Giovanni -Argiropulo, a fine che gli leggesse più libri greci, di che lui aveva -desiderio di udire. Da un altro greco prendea lezioni straordinarie, e -traduceva san Giovanni Crisostomo». - -Nicolò Niccoli vendette alcune possessioni per aver libri, che poi -mise a comodo del pubblico, e fece fabbricare la libreria di Santo -Spirito con banche per tenervi quei che erano appartenuti al Boccaccio; -ottocento codici lasciò, stimati seimila fiorini. Bartolomeo Valori gli -studj d’umanità «non tralasciò mai del tutto, ancorchè occupato nelle -cure domestiche e mercantili, ed implicato negli affari pubblici; se -non quando in età matura pervenuto, quel tempo che potè tutto nella -sacra Scrittura andò consumando, con partecipare i suoi studj con -i teologi di quell’età suoi domestici»[147]. Bernardo Rucellaj, che -nelle nozze colla figlia di Pietro de’ Medici spese trentasettemila -fiorini, sorresse l’accademia Platonica dopo mancato il magnifico -Lorenzo; e fattasi una splendida abitazione con giardini ornati di -monumenti antichi, vi tenea adunanze di dotti, che resero rinominati -gli _Orti oricellarj_. Branda Castiglione milanese, gran canonista, -e uno de’ migliori ornamenti de’ concilij di Firenze e di Costanza, -fatto cardinale, patrocinò munificamente le lettere, pose un collegio -a Castiglione con ricca biblioteca aperta a chiunque amasse le lettere, -ai quali facea far opere e distribuiva benefizj. - -Nè più solo da lizze e da armeggiamenti si prendeva diletto e festa. -Quando il dottissimo patrizio veneto Lodovico Foscarini nel 1451 andò -podestà a Venezia, Isotta Nogarola sostenne una disputa se dovesse -attribuirsi la prima colpa a Adamo o ad Eva. Durante il concilio di -Ferrara, Ugo de’ Benzi senese, «tenuto ne’ suoi tempi principe de’ -medici, invitò seco a desinare tutti que’ filosofi greci che erano -venuti a Ferrara; e dopo il splendido apparato venuto al fine a poco a -poco, pian piano cominciò a tirargli piacevolmente in disputa, sendo -già presente il marchese Nicolò, e tutti i filosofi che si trovavano -in quel concilio. Addusse in mezzo tutti i luoghi de la filosofia, -sopra quali par che fieramente contendino e sieno tra loro discordanti -Platone ed Aristotele, e disse ch’egli voleva difendere quella parte -che oppugnerebbero i Greci, seguissero Platone o vero Aristotele. -Non ricusando la contesa i Greci, durò molte ore la disputa; al fine -avendo Ugo padrone del convito fatto tacere i Greci ad un ad uno con -l’argomentazione e con la copia del dire, fu manifesto a tutti che i -Latini, come già avevano superato i Greci con la gloria de l’armi, così -nell’età nostra e di lettere e d’ogni specie di dottrina andavano a -tutti innanzi»[148]. - -A Firenze il 1441 fu annunziata, per cura di Lorenzo De’ Medici e di -Leon Battista Alberti, una gara pubblica di letterati, dove ciascuno -leggerebbe qualche suo componimento intorno alla vera amicizia, e il -migliore otterrebbe una corona d’argento in forma d’alloro. In Santa -Maria del Fiore, magnificamente parata e coll’intervento delle autorità -e di gran popolo, lessero lor composizioni Francesco Alberti, Antonio -Alli, Mariotto Davanzati, Francesco Malecarni, Benedetto Aretino, -Michele da Gigante, Leonardo Dati, applauditi come si suol essere -in tali circostanze: ma i segretarj di papa Eugenio, ai quali per -onoranza erasi rimesso il decidere, dichiararono che erano tutte belle -quasi del pari, e si trassero d’impaccio col decretare la corona alla -Chiesa[149]. Poi esso Lorenzo volle rinnovare dopo dodici secoli la -festa di Platone, che si celebrava ai tempi di Plotino e Porfirio; e -Firenze e Careggi seguitarono per più anni a festeggiare lo scolaro di -Socrate. - -Anche fuori venivano cercati i nostri; e Gregorio di Tiferno, allievo -del Crisolara, nel 1458 ridestava gli studj classici nell’Università di -Parigi; nella quale professarono Tranquillo Andronico, Fausto Andreini, -Beroaldo, Balbi, Cornelio Vitelli, forse altri. - -Conseguenza della stima allora profusa ai letterati fu l’affidare -ad essi l’educazione de’ principi, lasciata in prima a guerrieri e a -dame. Il Guarino allevò Lionello d’Este; tre figliuoli e una figlia -di Francesco Gonzaga di Mantova Vittorino da Feltre, collocato perciò -in un’abitazione da principe, con giardini, appartamenti sontuosi, -pitture, giuochi, sicchè a ragione chiamavasi la Giojosa. Vittorino -però non la pensava come certi odierni pedagoghi, che deva esser gaja -ed agevole l’educazione, mentre avvia ad una vita di triboli; sicchè -poco a poco fece sparire le delizie, e l’effeminata magnificenza -ridusse a parca severità. Eppure mostravasi padre affettuoso ancor -più che abile maestro; a lui accorreasi di Francia, di Germania, di -Grecia, e vi si trovava ogni mezzo di istruirsi nelle scienze e nelle -arti belle, avendo intorno a sè raccolto maestri d’ogni bel sapere. Da’ -suoi scolari pretendeva esatta esposizione; col che avviò alla lettura -corretta. Nulla pubblicò, e, mirabil cosa tra que’ dotti iracondi, non -si trova chi di lui sparlasse. Francesco Prendilacqua suo discepolo ne -scrisse un’elegante vita, conseguendo il più bell’effetto, quello di -far amare il suo eroe. - -Maffeo Vegio, che ebbe la baldanza di fare seicento versi di -supplemento all’Eneide, nel trattato dell’educazione[150] diede -buoni consigli ai maestri, deducendoli non solo dagli etnici, ma -anche dai santi Padri; bene espose le virtù e i vizj de’ giovani; e -all’educazione delle fanciulle applicò molti esempj, tratti da santa -Monica madre di sant’Agostino. - -È strano che principi, futuri reggitori di popoli, s’affidassero a -gente ignara di governo, e sol capace per avventura di formare il prete -o l’avvocato. Ma il vezzo si perpetuò: e mentre gli antichi insegnavano -nelle scuole la storia e le idee della propria nazione, e lo studiar -le straniere fu curiosità o erudizione di pochi; nelle moderne, al -contrario, i figli si addestrarono in lingua diversa dalla materna, e -leggi e società estranee alla loro propria, onde i sentimenti attinti -dalla scuola discordarono da quelli che doveano avere nel mondo. - -Molti poetarono latino, fra cui Zanobio Strada fiorentino, che n’ebbe -corona dall’imperatore, e del quale non ci rimangono che cinque -poveri versi. Il Petrarca loda moltissimi come degni d’alloro; anzi -del lor soverchio numero si lagna, «contagio che penetrò fin entro -la corte romana, ove giureconsulti e medici non badano ad Esculapio -e a Giustiniano, non a litiganti e infermi, ma a Virgilio ed Omero; -agricoltori, falegnami, muratori gettano gli stromenti delle arti -loro per trattenersi con Apollo e colle Muse. Temo d’avere col mio -esempio contribuito a tale farnetico». Battista Mantovano, onorato di -statua accanto a Virgilio, al quale Erasmo nol credeva inferiore, oggi -chi lo ricorda? Migliore è Giovian Pontano, preside dell’accademia -di Napoli, rimasta la più illustre al cadere della romana e della -fiorentina: e di fama più estesa Angelo da Montepulciano, col nome -di Poliziano. Raccolto giovinetto (1491) da Lorenzo Medici che ne -indovinò l’ingegno, a ventinove anni professò greca e latina eloquenza, -sapeva d’ebraico, ed ebbe ogni sorta di onori e d’insulti dagli emuli. -Le sue _Miscellanee_, raccolta di cento osservazioni di grammatica, -d’allusioni, di costumi sopra autori latini, erano reputate capolavoro, -e gloria l’esservi menzionato, come ingiuria il restarne dimentico. -Tratta egli que’ soggetti con solida e variata amenità, ben rara agli -eruditi, e con purezza superiore ai precedenti, sentendo al vivo -le bellezze romane, ben descrivendo, a gran proposito adoperando i -classici, comunque ridondi nelle descrizioni, abusi dei diminutivi -e degli arcaismi, e inciampi in improprietà[151]. Meglio meritò col -trasfondere i modi de’ classici nella poesia italiana, siccome il -Boccaccio avea fatto nella prosa, richiamandola all’eleganza. - -Anche gl’ingegni migliori, a forza di pensar latino, si erano domati -alla servitù dell’imitazione; e come in quello si ricalcavano Virgilio -e Cicerone, così nell’italiano il Petrarca e il Boccaccio (Dante fu -dimenticato), e si cominciarono dispute eterne intorno alla lingua, -derivandone l’autorità da questo autore, anzichè ricorrere alla -parlata. Ma tristo effetto di quella idolatria per gli antichi era -stato il disprezzo per la lingua italiana, abbandonata col titolo di -vulgare. «Mi ricordo io (dice Benedetto Varchi) quando ero giovinetto, -che il primo e più severo comandamento che facevano generalmente i -padri a’ figliuoli, e i maestri a’ discepoli, era che eglino, nè per -bene nè per male, non leggesseno cose vulgare (per dirlo barbaramente -come loro): e maestro Guasparri Mariscotti da Marradi, che fu nella -grammatica mio precettore, uomo di duri e rozzi ma santissimi e buoni -costumi, avendo una volta inteso, in non so che modo, che Schiatta di -Bernardo Bagnesi ed io leggevamo il Petrarca di nascoso, ce ne diede -una buona grida, e poco mancò che non ci cacciasse dalla scuola». - -Ne venne di conseguenza un gergo affettato insieme e rozzo, di -barbarismi vulgari mescolati a latinismi eruditi, senza sapore di -legamenti, senza scelta di frasi, senza nerbo di sintassi, ma contorto -e rabberciato, tutto toppe e rappezzi, simile a quello che poi s’imitò -per ischerzo, e si chiamò maccheronico e fidenziano. Chiunque abbia -letto qualche libro d’allora, potette averne un saggio; e se non -basti qualche passo da noi citato, e singolarmente la lettera del -Poliziano (pag. 300), soggiungeremo che il vescovo di Vercelli, il -presidente del consiglio, il capitano di Sant’Agata, ambasciadori del -duca di Savoja, scrivevano al duca di Milano nel 1484: — La Excellenza -del nostro signor duca a recevuto una lettera vostra, della quale -el tenore et contenu est che Lojis et Passin de Vimercà hano tractà -et conspirà de privare el signor Lodovico vostro degnissimo barba -dello governo ecc.»[152]. Frà Jacopo Filippo da Bergamo, autore d’una -storia generale col titolo di _Supplementum Chronicorum_, stampato -quattro volte in quel secolo e più altre dappoi, e lodato per rare -notizie, scriveva al cardinale Ippolito d’Este nel 1498: — Questi -itaque anni passati, havendo me tua Excellenzia mandato a donare -una bella mulla per mio usare, la acceptay cum gratiarum actione, et -poy statim cognosce me ancora gagliardo di posser caminare a’ piedi, -gela remanday. Ma di presente siendo molto invecchiato, et appresso -a li settanta anni di etade, non possendo quasi più caminare, cum una -indubitata fede me voglio ricorrere a la plentissima vostra signoria, -come quella a suo devotissimo oratore gli piaqua donarli una qualche -honesta chavalchatura; et questo prima per amore di Dio, et per -riconoscimento di tante mie fatiche, che hoe pigliato in ornare tutta -la illustrissima casa vostra etc....». E frà Francesco Colonna, autore -d’un eruditissimo e lascivo romanzo, _Hipnerotomachia Poliphili, ubi -humana omnia nonnisi somnium esse docet_, finge d’essersi in sogno -ritrovato «in una quieta e silente piaggia, di culto diserta, d’indi -poscia disaveduto con grande timore intrò in una invia et opaca silva»; -e così descrive l’aurora: «Phoebo in quel hora manando, che la fronte -di Matula Leucothea candidava, fora già dell’oceane onde, le volubili -rote sospese non dimostrava, ma sedulo cum gli sui volucri caballi -Pyroo primo et Eoo alquanto apparendo, ad dipingere le lycophe quadrige -morava». E di questo tenore prosegue tutto il dottissimo volume. - -Se però decadeva l’italiano letterario, il popolare acquistava dovizia -e destrezza, e felicemente l’adoprarono alcuni Fiorentini, come Matteo -Palmieri nel dignitoso e sobrio trattato della _Vita civile_; Feo -Belcari, che con cara semplicità stese la _Vita di Giovanni Colombini_ -e varie poesie divote[153] e rappresentazioni sceniche; e Agnolo -Pandolfini, nel _Governo della famiglia_[154], dialogo di persone -reali intorno a reali soggetti e ai bisogni quotidiani, con precetti -d’economia e di morale alla mano di tutti, ed esposti con purissima -proprietà, vero modello di simil genere di comporre. Alla stessa fonte -attinsero Luigi Pulci, il Poliziano, Lorenzo Medici, che saluteremo -quali precursori dell’aureo Cinquecento. Esso Lorenzo a diciassette -anni s’incontrò con Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, e -domandato da questo sui migliori poeti italiani, di propria mano gliene -trascrisse molti, insieme con alcune proprie composizioni. Di poi si -facea capo delle mascherate che uscivano il carnevale, con sempre nuove -invenzioni e addobbi; induceva i poeti a compor canzoni per quelle, e -ne componeva egli stesso; e scendeva sulla piazza a menar la danza, a -intonar l’aria, ad accordare gli strumenti, facendo arte di governo la -letizia d’un popolo ch’era alla vigilia di troppe sventure. - - - - -CAPITOLO CXXII. - -Scienziati. I libri. La stampa. - - -Carlo IV mandò al Petrarca un diploma, ove Giulio Cesare e Nerone -assolvevano l’Austria dalla dipendenza imperiale; ed esso il dichiarò -impostura. Scoperta di minimo merito, se allora non fosse stato -straordinario il dubitare di cosa scritta; e al Petrarca va lode -d’avere usato la critica, quantunque spesso in fallo, sovra di opere -attribuite ad autori falsi, o di cui scambiavansi il tempo e il nome. -Egli avea fatto una raccolta di medaglie, e si lagna che i Romani -ignorino le cose proprie, e per vile guadagno distruggano i preziosi -avanzi campati dai Barbari; e dell’averli restaurati encomia Cola -Rienzi, il quale dallo studio di questi aveva attinto l’ammirazione -pel buono stato antico[155]. Anche Guglielmo Pastrengo, grand’amico -del Petrarca, ustolava ad anticaglie ed iscrizioni; e il suo _Lessico -storico_, biblioteca generale degli scrittori sacri e profani, per -quanto imperfettissimo, attesta molta lettura. Nicolò Niccoli possedeva -una serie di medaglie, di cui si valse per accertare l’ortografia di -alcune voci. - -Che le iscrizioni potessero venire in appoggio alla storia, l’aveano -già scorto gli antichi. Il Pizzicolli, detto Ciriaco Anconitano, -per incarico di papa Nicola V andò a farne una raccolta per Italia, -Grecia, Ungheria, e pei paesi di Levante ancora intatti dai Turchi; nè -noi col Poggio e col Decembrio teniamo ch’e’ fosse impostore, bensì -che spessissimo s’ingannasse nel giudicare il tempo, l’origine, la -destinazione de’ monumenti. Anche l’architetto frà Giocondo da Verona -ne raccolse di molte; a Reggio serbasi manoscritta la raccolta di -Michele Ferravino con disegni; una ne fece Nicolò Perotto, vescovo di -Manfredonia; altri altre di particolari provincie. Girolamo Bologni pel -primo v’aggiunse spiegazioni e commenti, talchè la storia presentavasi -appoggiata all’erudizione. Con testimonj di questa Bernardo Rucellaj, -splendido amico dei letterati, trattò della città di Roma; e Biondo -Flavio (-1463), segretario di Eugenio IV, ne illustrò gli edifizj, -il governo, le leggi, le cerimonie, la disciplina militare (_Romæ -instauratæ libri III — Romæ triumphantis libri IX_); poi nell’Italia -illustrata descrisse le quattordici regioni della penisola: ma era -possibile non incappasse in molti errori? Nega che esistesse un vulgare -parlato, contemporaneo allo scritto dei classici. Preparava anche una -storia d’Italia dalla caduta dell’Impero fino a’ suoi giorni. - -De’ magistrati romani discorse Domenico Fiocchi (1497) fiorentino -Pomponio Leto calabrese, bastardo dei Sanseverino, cercò monumenti -_fin in riva al Tanai_, e pensava vedere le Indie; ma nel distolse la -compagnia de’ valentuomini, dei quali era capo nell’accademia romana. -Dilapidata la sua casa in una sollevazione ai tempi di Sisto IV, -«lui in giuppetto coi borzacchini e con la canna in mano se n’andò a -lamentare co’ superiori» (Infessura), e gli amici a gara il rifornirono -d’ogni occorrente. Sino alle lacrime il commoveano i monumenti, e per -ammirazione all’antichità pareangli selvaggi i costumi e le credenze -presenti, a tal segno che fu creduto empio. Di rimpatto Bonino -Mombrizio milanese in due eleganti volumi raccolse vite di santi, tolte -da biblioteche e archivj, copiando fin gli errori, e non discernendo le -apocrife. - -Annio da Viterbo domenicano, per gran virtù e franchezza (1502) fu -elevato maestro del sacro palazzo, e odiato da Cesare Borgia che -forse il fece avvelenare. Nei trattati _Dell’impero de’ Turchi_ e -_De’ futuri trionfi de’ Cristiani_ deduceva dall’Apocalissi speranze -per la prossima caduta del nemico della cristianità. Era il tempo che -comparivano ad ogni ora nuovi documenti dell’antichità, onde furono -accolti con entusiasmo i suoi _Antiquitatum variarum volumina XVII_. -Erano autori antichissimi, atti a chiarire l’origine de’ popoli, -quali Beroso caldeo, Fabio Pittore, Mirsilo da Lesbo, Sempronio, -Archiloco, Catone, Metastene, Marceto, altri ed altri. Ne tripudiarono -gli eruditi, levando a cielo il fortunato Annio; a gara ingemmarono -le loro scritture coi bei trovati di esso; e tutte le storie uscite -in quel torno ne furono infette. Perocchè que’ frammenti non erano -che una finzione, e poco tardarono ad olezzare di falso. Ma era egli -ingannatore o ingannato? ancora se ne disputa, nè manca chi li crede -di fondo vero, comunque alterato; e il moderato quanto erudito Zeno, -esaminando la questione riprodottasi fra il domenicano Mazza che -pubblicò l’_Apologia_ di Annio, e il Macedo che la sostenne contro -il veronese Sparavieri, trova eccesso da un canto e dall’altro, -giudicandolo illuso da quelli che allora speculavano sopra la smania -delle scoperte antiche. - -Intanto non è a dire quanta confusione ne venisse a tutti gli storici -nostri, massimamente municipali, che con intrepidezza risalivano a Noè -o almeno alla guerra di Troja, e cercavano tra Fenici e Caldei quel che -avevano in casa: i Milanesi seppero che Anglo figlio di Ettore fondò -Angleria, e fu stipite de’ Visconti, i quali perciò s’intitolavano -conti d’Angéra; i Comaschi ebbero in pronto un Comer figlio di Giafet -fondatore della loro città; Cremona un Cremone trojano (vedi Cap. II); -Gian Grisostomo Zanchi deduceva il nome così tedesco di Bergamo dalle -voci ebraiche _Beradin gom mon_, cioè _inundatorum clypeata civitas_, -che interpreta _Dei Galli regia città_. Nè va di miglior passo il -Platina nella storia di Mantova; ma in quella dei papi ripudia, -congettura, e se non sempre imbrocca, già era assai questo dubitare di -asserzioni d’antichi. Abbiamo detto a quali ardimenti si spingesse la -critica col Valla (pag. 314). - -Conosciuti i modelli classici, migliorato il gusto, si volle che la -storia fosse anche bella; e tale fu scritta spesso in latino, talvolta -in vulgare. Dei vulgari già parlammo (tom. VII, pag. 332): fra i latini -è dei migliori Andrea Silvio Piccolomini, che in quella d’Austria -raccontò i fatti della Boemia e di Federico III, nella _Cosmografia_ -descrisse l’Europa e l’Asia Minore, ed espose gli avvenimenti -dell’Italia dall’anno di sua nascita fino all’ultimo del suo -pontificato con vigorosa dicitura e studio dei caratteri e dei costumi. -Stamparonsi centoventi anni dopo, sotto il nome di Giovanni Gobellino -suo segretario, continuati fino al 1469 da Jacopo degli Ammanati -fiorentino, cui esso papa diede il cognome della propria famiglia e il -vescovado di Pavia e il cappel rosso. - -Antonio Bonfini d’Ascoli, vissuto in Ungheria alla corte di Mattia -Corvino e di Vladislao II fino al 1502, lasciò tre decadi della -storia di quel paese al modo di Tito Livio, cioè elegante e falsa, -pure preziosa dove ogn’altra ne manca. Filippo Bonaccorsi o Callimaco -Esperiente toscano, fuggito da Roma al disperdersi dell’accademia, dopo -lungo errare fu in Polonia accolto da re Casimiro, che collo storico -Giovanni Dlugos l’adoprò per educatore di suo figlio, segretario -proprio, e spesso ambasciadore. Scrisse i fasti di re Ladislao V e la -battaglia di Varna ove questi era perito; e un opuscolo sulle mosse de’ -Veneziani per eccitare Tartari e Persi contro i Turchi. - -Aurelio Brandolini, detto Lippo perchè cieco, poeta latino di Firenze, -in Ungheria caro a Mattia Corvino, morì a Parma il 1497, lasciando -moltissime opere. - -Da Tommaso da Pizzano, astrologo bolognese a’ servigi di Carlo V di -Francia, nacque Cristina, che bella ed educata alla corte e alle -lettere, vide applaudite le prime sue poesie; poi per provvedere -alla sua povera vedovanza scrisse d’arte militare, la _Mutazione di -fortuna_, e la vita o piuttosto panegirico di quel re. A fatica oggi -può leggersi quel che allora tanto ammirossi: pure associa vivacità -poetica con fina ragionevolezza, delicato sentimento con forza. - -Le scienze dunque erano uscite affatto dal santuario, e secolarizzate; -se la teologia rimaneva sempre la prima, non era più l’unica; e -sebbene in essa, fra tanti dissensi ecclesiastici, si moltiplicassero -dissertazioni e commenti, nessuno s’accostò alla potenza di Tommaso -d’Aquino e di Bonaventura. Quanti ragionamenti e sofisterie nella -quistione de’ Minoriti! In più serie e vitali quistioni ai concilj di -Basilea, di Costanza, di Firenze figurarono e nostrali e stranieri, e -principali Enea Silvio e il cancelliere Gerson. - -A quest’ultimo i Francesi, a Tommaso da Kempis i Tedeschi, i nostri a -Giovanni Gersen abate di Vercelli[156], attribuiscono l’_Imitazione -di Cristo_, il libro più famoso del medioevo, e il più letto dopo -la Bibbia, e che si disse sarebbe il primo del mondo se questa non -esistesse: riprodotto in almeno mille ottocento edizioni, tradotto -in ogni lingua, senza che alcuna raggiunga la concisa energia di quel -latino, comunque scorretto, e simile alle figure di santi che allora -posavansi sui sepolcri, non mosse, eppur belle, e sopratutto soavi. -Non prende esso per intermediarj i profeti, i dottori, la Chiesa, ma -è un colloquio dell’anima col suo Creatore. Quest’intimità ne forma -l’attrattiva; e poichè non v’ha dispute, non sistemi e speculazione, -non decisioni particolari, ma impeti dell’anima, nulla d’intrinseco -ajuta a riconoscerne l’autore. Tale incertezza non mal gli si addice, -scomparendo affatto la personalità perchè rimangano soli il cuore e il -sentimento. In tempo di tanto litigare, ivi nessun alito di polemica; -al più qualche gemito sull’infelicità de’ tempi, e il consiglio di -ripararsene col formarsi una solitudine profonda, dove ascoltare Iddio -che parla. E sull’anime invelenite dall’amor della contesa come dovea -piovere ristorante quella parola: — Nella croce è salute, è vita, è -schermo dai nemici, è infondimento di superna dolcezza; nella croce è -vigore alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce sta tutto, tutto -è riposto nel morire; nè alla vita e all’interna pace v’è altra via -che della croce e della cotidiana mortificazione. Cammina per dove -vuoi, cerca checchè tu vuoi; non troverai più alta strada di sopra, -nè più sicura di sotto, che quella della croce. Disponi le cose come -ti pare e piace, non però troverai altro che da patir qualche cosa. -La croce è sempre apparecchiata, e in ogni luogo ti aspetta: non -la puoi cansare dovunque tu corra. Se la porti di buon grado, ella -porterà te, e ti scorgerà al termine desiderato, dove sia fine al -patire: se forzatamente la porti, ti fai un peso, e viepiù gravi te -stesso, e nondimeno ti sarà forza portarla. Se una croce tu getti via, -un’altra ne troverai, forse più grave. Non è secondo l’uomo portar -la croce ed amarla, castigare il suo corpo e costringerlo in servitù, -fuggire gli onori, sostenere di buon grado gli scherni, disprezzare se -medesimo e bramare d’essere disprezzato, patire qualsivoglia danno, e -nessuna prosperità desiderare. Ma se ti fidi nel Signore, dal cielo -ti verrà fortezza, e alla tua signoria saranno soggettati il mondo -e la carne»[157]. E l’imitar Cristo è una iniziazione progressiva, -per mezzo dell’astinenza, poi dell’ascetismo, della comunicazione, -infine dell’unione. Questi successivi passaggi espose l’innominato al -popolo, colla lingua del chiostro; e divenne libro popolare quel ch’era -ascetico lavoro di monaco. - -Nelle scuole aveano per tutto il medioevo contrastato i Realisti, che -propendendo all’unità di sostanza, giudicavano mere astrazioni i nomi -di genere, specie, individui; contro i Nominalisti, che proclamavano -la pluralità della sostanza, ripristinando l’individuazione, il -genere, la specie, all’universale non attribuendo altro valore che -d’un segno. Dappoi la battaglia erasi ingaggiata e continuava sotto -le antiche bandiere d’Aristotele e Platone, del ragionamento e -dell’entusiasmo, del sillogismo e dell’ispirazione. Dal 1313 al 16 un -frà Paolino minorita diresse a Marin Badoaro duca di Candia un trattato -italiano col titolo _De recto regimine_, dove analizza con semplicità -e chiarezza i doveri d’un magistrato; tiene pel governo d’un solo, -ma che si circondi di una consulta di savj. Parteggia invece per la -repubblica, almeno nei piccoli Stati, Egidio da Roma, educatore di -Filippo il Bello e arcivescovo di Bourges; di cui i due primi libri _De -regimine principum_ sono una direzione di coscienza pei re, il terzo -un trattato di diritto politico, esaminando le varie forme di governo -e le leggi civili che vi si riferiscono: nemicissimo della servitù -personale, non riconosce regno se non si conformi agli eterni canoni -della giustizia. - -Accursio rimase tipo de’ glossatori, talchè sopra di lui si -concentrarono i biasimi e le lodi. Ma la sua grande compilazione -avea posto termine alle spiegazioni orali de’ professori, fin allora -usitate; le interpretazioni furono ristrette; i glossatori divennero -autorità unica, fino a dirsi che una glossa val più di cento testi. In -conseguenza la scienza decadde, e sottentrarono i giuristi scolastici, -che alla giurisprudenza applicarono i metodi dialettici; nel che -vedemmo illustri Baldo e Bártolo, il quale colla gran pratica del fôro -suppliva alla mancanza di storia e di filologia. Tutti i loro seguaci -sono prolissi e barbari; onde dagli umanisti erano tenuti per dappoco, -perchè conservavano ancora lo stile ispido, l’argomentare scolastico, -le affollate citazioni al par de’ teologi: pure alcuni cominciarono -a disselvatichire quegli studj, meditar Giustiniano con filologia e -storia, e Andrea Alciato fu de’ primi, poi i francesi Budeo e Mulineo, -e superiore a tutti il Cujaccio. - -Molti ottennero celebrità per consulti legali e per opere o per -magistrature sostenute; ma col rinnovarsi della scienza i loro libri -non serbarono alcuna importanza, neppur d’erudizione. Chi non lodava -allora Paris de Puteo, alessandrino o napoletano, Giovan Antonio -Carafa, principe de’ giureconsulti, Matteo degli Afflitti, il più dotto -leggista di quanti furono prima o poi, i cui _Commenti sopra i feudi_ -non hanno pari, e che raccogliendo le decisioni della curia napoletana, -diede origine alla nuova genìa dei _Decisionanti?_ Giovanni d’Andrea -bolognese o fiorentino fu in voce del maggior canonista; e le sue -figlie Novella e Bettina dettarono anch’esse. Paolo da Liazari, costui -scolaro, allevò Giovanni da Legnano, così celebre che alla sua morte -si chiusero le botteghe. Andrea d’Isernia fu nominato l’evangelista -del diritto feudale, e re Roberto il menò seco onde perorare alla -corte d’Avignone i diritti che vantava al trono di Napoli[158]. -Gran lume al diritto civile recò pure Francesco Accolti d’Arezzo. -Guadagnò moltissimo di sua professione, e sperava anche il cappello -cardinalizio, ma Sisto IV gliel ricusò dicendo temeva di sottrarre alle -scienze un troppo illustre cultore. Volendo dimostrare ai suoi scolari -in Ferrara quanto importi conservare il buon nome, rubò della carne da -un macello: subito ne vennero imputati gli studenti, e due in cattiva -reputazione furono arrestati e correvano pericolo, quando l’Accolti -andò ad accusare se stesso: non si volle credergli, finchè non addusse -i testimonj e il motivo. - -I canali, le macchine da guerra, i molini ad acqua e a vento, una -filatura in Bologna nel 1341 mossa per forza d’acqua ed equivalente -all’opera di quattromila filatrici, e i grandi lavori architettonici -e idraulici attestano coltivate la geometria e la meccanica. Nel 1455 -Gaspare Nadi e Aristotele di Feravante trasportarono la torre della -Magione di Bologna colle sue fondamenta, alte ottanta piedi, colla -spesa di sole cencinquanta lire; e raddrizzarono il campanile di Cento, -che strapiombava più di cinque piedi[159]. - -Per servizio ora della magia, ora del commercio, le matematiche -venivano coltivate dai nostri. Paolo Dagomari, detto Dall’Abaco, pel -primo usò la virgola a distinguere in gruppi di tre cifre i numeri -troppo lunghi, e introdusse i taccuini. Molti trattati d’algebra -o, come dicevano, almacabala, si trovano nelle biblioteche; e -il primo messo a stampa fu l’italiano di Luca Pacioli da Borgo -Sansepolcro francescano, professore a Milano, che servì di base a -tutti i matematici del secolo seguente. «In quest’arte maggiore, -detta dal vulgo regola della cosa», arriva all’equazione di secondo -grado, non più in là del Fibonacci; se non che la sua osservazione -che le regole relative alle radici sorde possono riferirsi alle -grandezze incommensurabili pressente l’applicazione dell’algebra alla -geometria. Aveva visitato le città commerciali d’Italia, e porge -le diverse pratiche dei negozianti, esempj numerosissimi di conti, -cambj, arbitramenti, società, e principalmente la tenuta de’ libri in -scrittura doppia all’italiana, che tanto tardò ad essere adottata[160]. - -Giorgio Valla piacentino (-1500) scrisse una specie di enciclopedia -_de expetendis et fugiendis rebus_, desumendola da Greci e Latini, a -preferenza degli Arabi, e nel III cap. dà un trattato delle sezioni -coniche, forse primo dopo il risorgimento. Non abbiamo però matematici -nostri che equivalgano ai tedeschi Purbach e Regiomontano. Questo pel -primo costruì un almanacco colla posizione degli astri, gli eclissi, e -calcoli della situazione del sole e della luna per trent’anni; chiamato -a Roma per l’emendazione del calendario, vi morì in fresca età. - -Gli astronomi erano tutti ubbie astrologiche, e ne formicola il -famoso _Libro del perchè_ del Manfredi: pure la scienza avanzò. Nelle -tavole di Giovanni Bianchini bolognese sono combinati tutti i moti dei -pianeti. Domenico Maria Novaro ferrarese determinò la posizione delle -stelle indicate nell’_Almagesto_, sospettò si fosse cambiato l’asse -di rotazione della terra, ed ebbe scolaro Copernico, cui suggerì il -concetto del sistema pitagorico. Paolo Toscanelli da Firenze confortò -le speranze di Cristoforo Colombo sulla possibilità di giungere alle -Indie dalla parte d’Occidente. - -Le scienze naturali proseguivano in caccia di testi più che di -fatti, e solo nel secolo seguente appoggiaronsi alla sperienza e alle -matematiche, surrogando la realtà alle chimere, l’evidenza alle ipotesi -e all’autorità. Nè in medicina si paragonava lo stato sano col morboso; -e il libro del Ficino _Della vita umana_ è tutto formole per conservare -la salute e prolungare la vita con astrologiche osservanze; dalle -stelle deduce le malattie e l’efficacia dei rimedj; insegna ai vecchi -a ringiovanire bevendo sangue di giovani: delirj, comuni ad Arnaldo -Bacone, ad Arnaldo di Villanova ed ai migliori, ma combattuti da Pico -e dal Guainero pavese. Dino del Garbo, gloria dell’età sua, aggiunse -altre sottigliezze alle arabiche. Marsilio da Santa Sofia, Gentile -da Fuligno, Pietro da Tossignana, Guglielmo da Varignana, Cristoforo -Barziza, Giovanni da Concorezzo ed altri esercitarono con lode e -scrissero di medicina. Michele Savonarola padovano, buon osservatore, -francamente si emancipa da Averroe; eppure crede che Niccolò Piccinino -generasse di cento anni, che dopo la peste del 1348 invece di trentadue -denti se n’avessero ventidue o ventiquattro, e che col feto possa -uscire talvolta un animale. - -I medici non rifuggivano dalla chirurgia, mentre questa fuor d’Italia -era abbandonata a barbieri ignoranti. Il salasso tenevasi operazione -d’importanza; contendevasi seriamente sul dove e quando praticarlo; -allorchè ne facesse bisogno, nelle case principesche adunavansi parenti -e amici, e se riescisse bene, ringraziavasi il Signore festeggiando. -Vincenzo Vianeo di Maida, Branca e Bojani di Tropea introdussero -l’innesto animale, rifacendo nasi. Il Governo veneto, come in molti -provvedimenti, così prevenne gli altri coll’ordinare, ai 7 maggio -1308, che ogni anno si sezionasse qualche cadavere. Nel 1315 Mondini -de’ Luzzi, professore a Bologna, ne dissecò pubblicamente, e diede -una descrizione del corpo umano fatta sul vero, e tavole anatomiche: -e sebbene non sappia francarsi dalla venerazione agli antichi, e -alle asserzioni di Galeno sagrifichi perfino l’evidenza, pure rimosse -molte asserzioni fantastiche, disse ciò che propriamente avea veduto, -e spiegò semplice e preciso; onde il suo libro per tre secoli rimase -testo; aggiungendovi le scoperte che man mano si facevano. Dopo lui -s’introdusse d’aprire ogni anno uno o due cadaveri nelle università: -Bartolomeo da Montagnana, professore a Padova, si vanta d’aver fatto -quattordici autopsie[161]. - -I farmacisti per lo più erano anche droghieri, laonde speziale -significò farmacista e confetturiere; e le città, nell’accordare le -licenze, v’aggiungevano l’obbligo di mandare alcuni dolci alla camera -del Comune. Saladino d’Ascoli diede un _Compendium aromatariorum_ per -norma dei farmacisti, dai quali pretende tante qualità, che pur beato -se la metà ne possedessero. Santo-Arduino fece altrettanto per Venezia, -Ciriaco degli Agosti di Tortona per l’Italia occidentale, Paolo Suardo -pel Milanese. Ermolao Barbaro e Nicolò Leoniceno, commentando Plinio, -giovarono assai alla botanica officinale. Nel 1415 Benedetto Rinio -medico e filosofo veneto, con lunga diligenza e peregrinazioni faceva -il _Liber de simplicibus_ in quattrocentrentadue faccie benissimo -dipinte da Andrea Amadio, e coi nomi latini, greci, arabi, slavi, -tedeschi. È la maggior raccolta che ancor si fosse fatta di piante e -fiori, col tempo opportuno a raccoglierli e l’applicazione medicinale; -e sta nella Marciana, coll’_Erbario o storia generale delle piante_, -lavorato nel secolo seguente da Pier Antonio Michiel. - -Papa Benedetto XIII riprovò la magia come ereticale; e poichè -moltiplicavansi le guarigioni presunte miracolose alle tombe di san -Rocco, di santa Caterina da Siena, di sant’Andrea Corsini ed altri, -la Chiesa provvide non avesse a gridarsi al miracolo se non quando il -morbo fosse incurabile, e istantaneo il risanamento. La ricorrenza -delle pesti[162] crebbe la devozione per san Sebastiano, pel santo -Giobbe, per san Rocco principalmente, che di quell’età appunto dal -patrio Montpellier era pellegrinato in Italia onde assistere a’ -contagiosi. Spesso ancora sulle facciate delle chiese e su tabernacoli -lungo le vie si dipingevano gigantesche figure di san Cristoforo, -la cui vista diceasi preservare dai cattivi incontri e dalle morti -improvvise, le quali sembra divenissero allora più frequenti; onde -spesseggiarono pure le invocazioni a sant’Andrea Avellino ed altre -devozioni preservative. - -A richiamare dalla erudizione all’osservazione, dai testi ai fatti, -valsero alcune malattie nuove, come la morte nera; la tosse ferina, -comparsa nel 1414 sotto forma epidemica; la tarantola, epidemia -psichica che s’attribuiva al morso d’un ragno, e portava a ballare e -far attucci stravaganti. La lebbra vuolsi venuta in Italia co’ soldati -di Pompeo reduci dall’Egitto, ma presto si spense. Ricomparve al tempo -de’ Longobardi, poi di nuovo alle crociate: e forse non era cessata -mai del tutto, poichè ne cade menzione in miracolose guarigioni, e -negli ospedali istituiti; certamente Costantino, medico della scuola -salernitana, la decriveva precisa nel 1087, cioè avanti le crociate -che la diffusero. Al tempo che discorriamo pare scomparsa, giacchè il -Cardano non la conosceva, il Fracastoro la dice morbo raro[163], e gli -spedali de’ Lazzari diminuivano, per far luogo a quelli destinati a un -altro morbo, conseguenza e castigo della dissolutezza, che diffuso poi -al tempo della calata di Carlo VIII, fra noi ebbe il nome di francese, -di campano tra i Francesi. Dopo molto ragionarne resta dubbio se -venisse dall’America o fosse già conosciuto. - -In complesso questa è un’età di reminiscenza, più che di fantasia e di -ragione; si fa tesoro delle cognizioni prische, anzichè conquistarne di -nuove; nè si mettono al vaglio dell’esperienza. Mancando la stampa, i -giornali, la posta, noi ci figuriamo che le opere di letteratura o di -scienza dovessero rimanere in angusto circolo, nè conoscersi lontano -le scoperte d’un paese. Però nelle università concorreva gente da -regioni remotissime, vi si comunicavano le cognizioni, i professori -vi portavano le opere proprie, i giovani voleano tornare in patria -arricchiti di qualche manoscritto, sicchè diffondeansi più prontamente -che non si possa credere. Gli autori stessi più volte, dopo pubblicato -un lavoro, lo correggevano, e ne facevano una seconda edizione, come -si pratica dopo la stampa: così Leonardo Fibonacci nel 1202 pubblicò -il suo _Abacus_, primo trattato d’algebra fra’ Cristiani; poi nel 28 ne -diede una nuova edizione con aggiunte. - -Però i libri erano più venerati perchè rari; la quale venerazione -faceva che una notizia si tenesse per vera sol perchè scritta, si -ripetesse dai successivi perchè detta dai precedenti; che se la -sperienza la contraddicesse, non si smentiva l’autore, ma cercavasi -conciliarla, come si fa colla Bibbia, a costo di storpiare la verità. -Spesso s’ignoravano le scoperte e le lucubrazioni anteriori; e mentre -oggi non si perdona d’accingersi a un lavoro senza conoscere tutti i -precedenti, allora si trovano o accettati errori o ignorate verità, su -cui già da un pezzo altri aveva esercitato il giudizio. - -Ad accelerare ed assicurare i progressi dello spirito umano valse -un’invenzione suprema di questo tempo, la stampa. - -Gli antichi scrivevano sopra cuojo o foglie di palma, o sul libro, -cioè sulla seconda corteccia delle piante: dipoi si preparò carta o -colle fibre del papiro, canna propria dell’Egitto, ovvero con pelle -di pecora, la quale chiamossi _pergamena_ perchè a Pergamo inventata o -perfezionata. Tracciavano i caratteri con bocciuoli di canna, aguzzati -e intinti nell’inchiostro: le scritture di maggior conto incidevansi su -pietra, legno, metalli: per gli usi giornalieri sovra tavolette cerate -notavasi con uno stilo acuto, e si cancellava colla sua estremità -ottusa. Que’ papiri e quelle pergamene coprivansi da un lato solo, -appiccicando un foglio a piè dell’altro sinchè fosse compiuto un libro, -poi rololavansi (_volume_), e si fissavano con un bottone. Giulio -Cesare fu il primo che scrivesse sulle due faccie della pergamena -le lettere al senato, e divulgò l’uso di piegarla al modo de’ nostri -libri. Lisciare i fogli coll’avorio, profumarli coll’olio di cedro, -miniare e dorare le iniziali, le costole, il taglio, gli attaccagnoli, -era servigio degli schiavi libraj e grammatici, de’ quali ogni ricco -teneva uno o più: altri il facevano liberamente per venderli. - -Tutto ciò operavasi a mano; e poichè alle mende inevitabili s’univano -quelle varietà capricciose e quasi istintive che ognuno insinua -trascrivendo, differenti e scorrettissimi riuscivano i codici: chi -volesse qualche testo emendato, l’esemplava di proprio pugno, come -fecero pochi diligentissimi grammatici, o qualche dottore della Chiesa, -rendendo famose certe edizioni d’Omero e della Bibbia. - -Col cristianesimo l’arte dello scrivere passò dagli schiavi ai monaci, -per la necessità di diffondere dottrine, polemiche, orazioni; san -Benedetto pose obbligo a’ suoi il copiarne; monache vi si esercitavano -pure. Quanto dell’antichità possediamo, ci arrivò quasi solo per man -di essi; onde è ingratitudine e illiberalità il querelarli se, meglio -degli autori classici, si piacquero trascrivere i santi Padri ed opere -di teologia. Intanto è vero che degli autori lodatici dagli antichi per -sommi, nessuno forse ci manca, e di questi possediamo il meglio; com’è -vero che, già prima della caduta dell’Impero occidentale, rarissimi -erano fatti alcuni, a cagion d’esempio Aristotele, di cui a’ migliori -giorni di Roma non era avanzato che un solo esemplare; talchè gran -merito reputavasi il farne estratti o compendj, come usarono Floro, -Giustino, Plinio, Costantino ed altri. L’agevolezza procacciata da -questi compilatori recava a prendere minor cura delle opere originali -dopo che se n’era stillato il buono e il meglio, laonde lasciaronsi -andar perdute. - -Il guasto degli autori classici cominciò dunque assai prima de’ -Barbari; le guerre e gl’incendj di questi ne mandarono a male altri -assai; zelo de’ buoni costumi, che lascio ad altri il condannare, -fece da ecclesiastici distruggere alcuni scandalosi ed immorali. -Era difficile il trarre d’Egitto il papiro; poi divenne impossibile -dacchè gli Arabi l’ebbero occupato. La pergamena, già costosa, crebbe -allora smodatamente di prezzo; onde si ricorse ad uno spediente già -noto agli antichi: ciò fu di raschiare le scritture antecedenti, -onde sovrapporvene di nuove[164]. Buon frate, per te aveano suprema -importanza un antifonario, una raccolta di preghiere, un trattato della -confessione; e quando per essi coprivi o la _Repubblica_ di Cicerone o -il codice Teodosiano, vi avevi tanto diritto quanto oggi n’abbiamo noi -d’usare l’opposto. - -Gli antichi valeansi di lettere majuscole e senza interpunzione; -più tardi per espeditezza si raccorciarono, in modo da venirne il -carattere minuscolo. Per la ragione medesima s’introdussero certe -abbreviature o note, le quali furono portate fino a cinquemila, e -col loro mezzo poteano i _notari_ tener dietro a qualunque discorso -per accelerato[165]. Raccoglievano questi dapprima le decisioni del -senato e delle pubbliche adunanze, o le ultime volontà; onde passò -il titolo di notaro a indicare chi è rogato a mettere in iscritto un -atto spettante a fede pubblica. I veri caratteri tachigrafi caddero -in dimenticanza tale nei secoli venturi, che un salterio trovato a -Strasburgo dal Tritemio era registrato nel catalogo come di lingua -armena. - -Le iscrizioni già al tempo dell’Impero aveano preso caratteri -d’inelegante magrezza, com’è a vedere su pei muri di Pompei e -d’altrove, e peggio nelle catacombe cristiane e ne’ tempi oscuri; pure -continuarono le lettere tonde. Ma nel XII secolo, mentre s’introduceva -il gusto gotico nell’architettura, anche i caratteri si fecero -angolosi, poi s’ingombrarono di ghirigori; usanza durata fin nel -secolo XV, quando ripigliò la buona calligrafia con gran varietà di -caratteri[166]. Jacopo fiorentino, frate camaldolese, dopo il 1300 è -ricordato come il migliore scrittore di lettere romane che fosse prima -o poi, sicchè la sua mano fu conservata in un tabernacolo. Angelo -Pezzana negli _Scrittori parmensi_ noverò sedici calligrafi valenti, -ai quali poi ne aggiunse altri otto nella _Storia di Parma_, tutti del -secolo XV o circa. - -Vi si associò il lusso delle pitture, quasi ogni pagina portando -profili, cornici, figure, stemmi, lettere bizzarre (Cap. XCIX), talchè -un libro divenne il complesso di tutte le arti belle; poesia e retorica -nel comporlo, calligrafia nel trascriverlo, miniatura nell’ornarlo -in oro, carmino, oltremare, pellicceria nel prepararne la coperta, -cesellatura nell’abbellirlo di borchie, oreficeria ad incastonarvi -gemme, doratura a lisciarne i margini. - -Qual meraviglia se i libri salirono a prezzi ingenti? Da’ cataloghi che -i libraj esponevano, e dalle tasse determinate dalle università siamo -informati d’alcuni di questi; ma non vuolsi dimenticare che spesso -li rincarivano le miniature. Nel 1279 a Bologna si diedero ottanta -lire (L. 435) per copiare una Bibbia; ventidue per l’Inforziato[167]. -Melchiorre, librajo di Milano, chiedeva dieci ducati d’oro per -una copia delle epistole famigliari di Cicerone. Alfonso d’Aragona -scrisse da Firenze al Panormita, che il Poggio aveva a vendere un -Tito Livio per cenventi scudi d’oro; il Panormita alienò una masseria -per acquistarlo; e il Poggio ne comperò una col prezzo ritrattone. -Borso d’Este nel 1464 pagava otto ducati d’oro a Gherardo Ghislieri di -Bologna per avere alluminato un libro intitolato _Lancellotto_; nel 69, -quaranta ducati per un Giuseppe Ebreo e un Quinto Curzio; la famosa -sua Bibbia, due grandi volumi in pergamena, dove ogni pagina porta -miniature diverse, per opera di Franco de’ Rossi e Taddeo Crivelli, gli -costò milletrecento settantacinque zecchini[168]. Piccola cosa doveano -dunque essere le biblioteche d’allora, e re e papi erano scarsi di -libri quant’oggi un cherichetto[169]. - -Nondimeno certuni aveano potuto raccorne di molti, in Italia -specialmente, e di qui li cercavano gli studiosi, massime da Roma e -da’ conventi rinomati della Novalesa, della Cava, di Montecassino. -La biblioteca del cardinale Giordano Orsini nel 1438, composta di -ducencinquantaquattro codici, stimavasi duemila cinquecento ducati -d’oro[170]. Tommaso da Sarzana ne comperava a credenza, ed accattava -per pagare copisti e miniatori. Il Petrarca lagnavasi che in tutto -Avignone non si trovasse un Plinio; ma una scelta biblioteca erasi -egli formata, che poi cedette per tenue compenso alla Repubblica -veneta: fra quei libri sono un Omero, donatogli da Sigeros ambasciatore -dell’Impero d’Oriente; un Sofocle, avuto da Leonzio Pilato, colla -traduzione dell’Iliade e dell’Odissea fatta da questo, ed esemplata -dal Boccaccio; un Quintiliano; tutte le opere di Cicerone, ricopiate -dal Petrarca stesso: forse è di suo pugno il Virgilio che si conserva -alla biblioteca Ambrosiana. Alla Marciana di Venezia servirono di -fondo i libri che il cardinale Bessarione avea compri per trentamila -zecchini, e che lasciò a quella «città retta dalla giustizia, dove le -leggi regnano, la saviezza e la probità governano, abitano la virtù, -la gravità, la buona fede». Cosmo de’ Medici, esulando colà, donò la -sua al convento di San Giorgio; poi in Firenze colla libreria privata -diede origine alla Laurenziana. Nicolò Niccoli gareggiava, secondo -sua fortuna, con esso nell’adunar libri, e ottocento volumi possedeva -fra greci, latini e orientali, esemplandoli egli stesso, riordinando e -correggendo testi malmenati dagli amanuensi, onde il chiamarono padre -dell’arte critica: lasciò quei libri ad uso pubblico, e furono messi -ne’ Domenicani di San Marco con una disposizione che servì di modello -alle future. Coluccio Salutato, lagnandosi del guasto de’ codici, -proponeva biblioteche pubbliche, dirette da dotti che discernessero -le lezioni migliori; e fece acquistarne una a Roberto di Napoli. Altri -signori l’imitarono; e rammentano un Andreolo de Ochis bresciano, che -venduto avrebbe beni, casa, donna, se stesso per aggiungere libri ai -molti che possedeva. - -I lamenti per le scorrezioni delle copie cresceano quanto più -cresceva il desiderio di leggere; e Petrarca esclamava: — Chi recherà -efficace rimedio all’ignoranza e viltà dei copisti, che tutto guasta -e sconvolge?.... Nè fo querela dell’ortografia, già da lungo tempo -smarrita.... Costoro confondendo insieme originali e copie, dopo -aver promesso una, scrivono un’altra cosa affatto diversa, sì che -tu stesso più non riconosci quanto hai dettato. Se Cicerone, Livio, -altri egregi antichi, singolarmente Plinio Secondo, risuscitassero, -credi tu che intenderebbero i proprj libri? o che non piuttosto ad -ogni piè sospinto esitando, or opera altrui, or dettatura dei Barbari -li crederebbero?.... Non v’ha freno nè legge alcuna per tali copisti, -senza esame, senza prova alcuna trascelti: pari libertà non si dà -pei fabbri, per gli agricoltori, pei tesserandoli, per gli altri -artigiani». - -Se la scorrezione sgarbava ne’ libri di letteratura, diveniva -importantissima in quelli che concernono la coscienza e la fede. -Pertanto fra gli Ebrei ogni esemplare della Bibbia doveva esser -riveduto dai rabbini; i quali dalla _Massora_ sapevano quanti versetti, -quante parole, quante lettere contenesse il sacro libro, e quante volte -ciascuna fosse ripetuta; e se trovassero qualche lettera di meno, o -scritta con inchiostro impuro, o su membrana preparata da incirconcisi, -bastava per dichiarar guasto quel testo e distruggerlo. - -Rinfervorato l’amore degli studj, più vivo fu sentito il bisogno -di qualche succedaneo alla carta di membrana e di papiro, e dai -Cinesi i Tartari e gli Arabi, da questi gli Spagnuoli impararono a -farla di cotone, cui dopo il Mille si surrogarono i cenci di lino. -Se fosse vero che quella non si discerna da questa, come pretende -il Tiraboschi, n’avremmo una prova della sua perfezione, e poco -monterebbe il disputarne. Ad ogni modo erra il Cortusio differendo -al 1340 l’invenzione della carta di lino, la quale chiamossi papiro, -a differenza della bambagina[171]; e Pace da Fabriano, cui egli -ne ascrive il merito, forse non fece che trapiantare nel Trevisano -questa manifattura, già fiorente a Fabriano nella marca d’Ancona. Nè -ha fondamento l’asserire che la Repubblica fiorentina invitasse con -larghissimi privilegi quei di Fabriano a stabilire cartiere a Colle di -val d’Elsa, poichè in una carta del 6 marzo 1377 trovasi allogata per -venti anni una caduta d’acqua a favore di Michele di Colo da Colle, con -gora, casalino _et gualcheriam ad faciendas cartas,_ la quale già prima -era affidata a Bartolomeo di Angelo della Villa[172]. - -Dapprima adoperata solo per lettere ed istromenti, alla diffusione -delle dottrine non contribuì che nel secolo XIV, quando vi si -trascrissero libri. Dovettero questi allora rendersi men rari, e -qualche mercante ne troviamo alle Università di Germania e di Parigi; a -Firenze il Vespasiano nel 1446, un Melchior a Milano, Giovanni Aurispa -a Venezia poco dopo negoziavano di libri. - -Pare condizione vitale della società che le scoperte vengano appunto -quand’essa ne ha bisogno per ispingersi con nuovo slancio. Allora -dunque che l’amore per la letteratura classica volgeva a cercar con -passione e riprodurre gli esemplari, e che le grandi controversie dei -re e della Chiesa faceano moltiplicare scritture, comparve l’arte più -mirabile fra le moderne, la stampa. - -Dello scopritore si disputa. Pare i Cinesi la conoscessero da -antichissimo; stampe stereotipe faceansi in Europa, non per uso -letterario, bensì per figure di santi e carte da giuoco[173]; e Venezia -nel 1441 dava un privilegio, atteso che _l’arte di far le carte da -zugar e figure dipinte stampade era venuda a total defection_, in -grazia della gran quantità che n’entrava di forestiere. A quel modo -Lorenzo Coster di Harlem impresse facciate intere. Le prime stampe -furono dunque xilografiche, e la maggior parte veniva occupata da -figure; del che l’esempio più conosciuto è la _Bibbia de’ poveri_, -di quaranta fogli stampati da un lato solo: tutti poi son poco -voluminosi, eccetto i _Mirabilia Romæ_, specie d’itinerario a comodo -degli oltramontani che pellegrinavano alla gran città, e che consta -di centottanta facciate. Presto si avvisò potersi alle tavolette -sostituire caratteri mobili: e così se ne intagliarono di legno, poi di -piombo per arte di Giovanni Guttenberg da Magonza[174], cui l’orefice -Giovanni Faust somministrò capitali. Pietro Schöffer di Gernsheim al -piombo sostituì un metallo duro, e trovò l’inchiostro untuoso da ciò: -ancor più fece inventando i punzoni, sicchè, invece d’intagliarli uno -ad uno, si fusero i caratteri per mezzo di matrici. Il primo libro -stampato con caratteri mobili pare la Bibbia detta Mazarina, dalla -biblioteca in cui fu trovata, ed è del 1450 o 52 o più veramente 55: -alcuni esemplari sono sovra pergamena; bell’inchiostro, bei caratteri, -sebbene non sempre uniformi. Del 1454 si ha un opuscoletto di quattro -carte per esortare i Turchi con indulti di Nicola V; poi un almanacco -del 57. - -Presto quell’arte giunse in Italia[175], e del 1465 abbiamo l’edizione -di Lattanzio e del _Cicero de oratore_ a Subiaco per Corrado -Schweinheim e Arnoldo Pannartz, coll’assistenza di Giovanni Andrea -Bussi di Vigevano, poi vescovo di Aleria; ma dicesi preceduta da un -_Donatus pro puerulis_. In Roma al 70 erano uscite almeno ventitre -edizioni di antichi. Giovanni da Spira, collocatosi a Venezia nel -69, vi lavora quanto a Roma; e così Vindelino suo fratello, poi -il francese Nicolò Jenson. Fino al 1500 s’erano stampate a Parigi -settecencinquantun’opere; in Italia quattromila novecentottantasette, -di cui a Firenze trecento, a Bologna ducennovantotto, a Milano -seicenventinove, a Roma novecenventicinque, a Venezia duemila -ottocentrentacinque; altre cinquanta città aveano stamperie. Anche -borgate vollero averne, come Sant’Orso presso Schio, Polliano nel -Veronese, Pieve di Sacco nel Padovano, Nonantola e Scandiano nel -Modenese, Ripoli presso Firenze. Le opere di Cicerone furono delle -prime; edite dallo Schweinheim a Roma e dal Jenson a Venezia; ma in -un corpo non comparvero che nel 98 a Milano pel Minuciano. Un Livio -imperfetto era appartenuto al Petrarca, poi l’ebbe Cristoforo Landino, -e su quella forma andò la prima stampa fattane a Roma forse fin dal 69, -poi nel 72; indi a Milano nel 78 dal Lavagna, e nell’80 dallo Zarotto; -e già a Venezia da Vindelino nel 70, a Roma ancora nel 71 e 72 da -Udalrico Gallo, a Treviso nell’80 e 83 da Michele Mazolino co’ tipi di -Giovan Vercelli, a Milano di nuovo nel 95: ma completo, almeno quale -ci resta, si vide solo a Magonza nel 1518. Di Vitruvio un esemplare si -aveva a Montecassino, e fu stampato a Roma nell’86, e commentato nel 95 -da Silvano Morosini veneziano. - -I copisti a mano erano di molta valentia e credito in Genova; e -temendo lo scapito che all’arte loro verrebbe dai torchi, ottennero -che quella Signoria li proibisse. Pertanto Mattia il Moravo, che vi -si era stabilito, passò a Napoli; e Giovan Bono tedesco, che a Savona -avea stampato Boezio, si trasferì a Milano. In conseguenza maestro -Filippo da Lavagna, ricco mercante innamorato di quest’arte, non potè -fondarla in patria, e la pose a Milano, primo stampatore nostrale che -si ricordi[176]. Gli disputa tale primato Antonio Zarotto di Parma, -che a Milano nel 1471 pubblicava Festo _De verborum significatione_, -e la _Cosmografia_ di Mela; l’anno dopo formava società con prete -Gabriele degli Orsoni, Pier Antonio da Borgo di Castiglione, Cola -Montano e Gabriele Paveri Fontana professori d’eloquenza, obbligandosi -egli a fondere caratteri, tenere in ordine i torchj, far l’inchiostro, -dirigere la tipografia. Fu il primo che stampasse libri liturgici -col celebre messale del 1475, e intagliasse punzoni di greco per la -grammatica del Lascari[177], mentre prima s’inscrivevano a mano. Vi -tennero dietro la _Batracomiomachia_ nell’85, l’Omero di Firenze -nell’88 a spese di Lorenzo Medici, l’Esiodo e Teocrito nel 93, -l’_Antologia_ nell’84, Luciano, Apollonio, il _Lessico_ di Suida: ma al -1495 non passavano la dozzina i libri greci stampati in Italia. - -Il primo stampato italiano fu l’opera del Cennino orafo. A Reggio di -Calabria stamparonsi in ebraico i commenti di Jarchi sul Pentateuco nel -75; a Soncino nel Cremonese, per cura di Nathan Ismaele, il Pentateuco -nell’82; nell’86 i commenti del famoso Kimcki sui Profeti; nell’88 -l’intera Bibbia con bellissimi caratteri, della quale non più che -cinque o sei esemplari si conoscono. A Cremona poi nel 1556 Vincenzo -Conti stampava i _Toledot_ e il salterio ebraico commentato dal Kimcki; -e in quella città, d’ordine dell’Inquisizione romana, si dice siano -stati abbruciati dodicimila esemplari di libri talmudici. Tipografie -ebraiche v’ebbe pure a Casalmaggiore e Sabbioneta. I primi caratteri -arabici si adoperarono a Fano da Gregorio Giorgi nel 1514 nelle sette -ore canoniche, poi da Pier Paolo Porro milanese. - -A ristorare la deteriorata calligrafia sorse Aldo Manuzio di Sermoneta. -Dopo il _Museo_, prima opera da lui edita in Venezia nel 1495, il dotto -tipografo continuò venti anni attorno a classici latini e greci[178]; -e si stupisce pensando che stampò per la prima volta Aristotele, -Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto, Senofonte, Erodiano, Demostene, -i Retori, gli Oratori, Platone, Ateneo, Dioscoride..... Adoprò il -carattere corsivo, detto _italico_ dai Francesi, ed inciso da Francesco -di Bologna, che tolse a modello la scrittura del Petrarca. Aldo stesso -le più comode e men dispendiose forme del dodicesimo, ossia piccolo -ottavo, sostituì alle solite in-folio: forse soltanto in Italia usavasi -l’in-quarto. Via via s’introdussero i registri dei fogli, prima che si -numerassero le pagine o le facciate; s’imparò a compartire gli spazj in -modo che le linee riuscissero eguali, senza code alla lettera finale; -poi vennero le virgole, poi le chiamate, e passo a passo la perfezione -presente. - -La carta doveva emulare la pecora e il vitello (_vélin_), onde si facea -con cenci scelti di lino e di canapa, non imbianchita col liscivio che -oggi snerva la fibra vegetale: la pasta trituravasi lentamente colle -pile: ed il foglio, fatto a mano colla trecciuola, veniva incollato -fortemente colla gelatina, la quale lo induriva in modo che fin ad oggi -ne troviamo inalterate le qualità. - -La carezza della carta e dell’inchiostro (il migliore traevasi da -Parigi), la tiratura diligentissima, i lavoranti ancora scarsi, e il -piccolo spaccio rendeano rischiose le imprese. Schweinheim e Pannartz -nel 1472 esposero a papa Sisto IV di trovarsi ridotti a povertà per -avere impresse tante opere senza esitarle; e dalla loro querela appare -che di consueto si tiravano copie ducensessantacinque, il doppio per -Virgilio, pe’ filosofici di Cicerone, e pei libri di teologia; in tutto -essi aveano prodotto dodicimila quattrocensettantacinque esemplari. -Anzichè arrischiare copiose edizioni, rinnovavansi; e quasi ogni anno -furono da Paolo Manuzio riprodotte le epistole famigliari di Marco -Tullio. - -Presto ai libri si aggiunsero figure[179]; e già nel 1467 a Roma -uscivano le _Meditazioni_ del cardinale de Turrecremata con intagli in -legno, dipoi coloriti; nel 72 il _Roberti Valturii opus de re militari_ -con macchine, fortificazioni, assalti. Il _Monte santo di Dio_ e -la _Divina Commedia_ di Firenze nel 1481 portano disegni di Sandro -Botticelli, incisi in rame da Baccio Baldini: un Tolomeo a Roma per -lo Schweinheim, ha le carte in acciajo di Arnoldo Buchink, così uno a -Bologna, e uno pel Berlinghieri a Firenze. - -Gli stampatori in principio furono tenuti da molto, e Sisto IV conferì -a Jenson il titolo di conte palatino. Facevano anche da libraj, e -primamente in un libro stampato a Ferrara il 1474 si trova il nome -di _bibliopola_. I Giunti, che stamparono a Firenze e Venezia, fin -dal 1514 aveano estese relazioni colla Germania[180]. Proteggeasi -l’interesse degli stampatori con privilegi; e il senato veneto ne -concedeva uno di cinque anni a Giovan da Spira nel 1469 per le epistole -di Cicerone, uno ad Ermanno di Lichtenstein nel 94 per lo _Speculum -historiale_ di Vincenzo di Beauvais: l’anno seguente Lodovico Sforza -lo conferiva per le opere del Campano a Michele Ferner ed Eustachio -Silber: Aldo il vecchio l’ottenne pel carattere corsivo[181]. Avendo -Angelo Arcimboldo trovato a Corbia cinque libri degli _Annali_ di -Tacito, Leone X ne privilegiò il Beroaldo, che gl’impresse a Roma nel -1515; nè per dieci anni nessuno potea riprodurli, pena la confisca -dell’edizione, ducento ducati e la scomunica. - -Decreto di deporre alla pubblica biblioteca una copia d’ogni stampato -non conosco prima di quello del senato veneto nel 1603. In quello Stato -soprantendevano alla stampa i riformatori dello studio di Padova; e -gli editori, facendo registrare le opere che metteano ai torchi, ne -ottenevano privilegio per un decennio, purchè l’edizione uscisse al -tempo prefisso, e commendevole. I libraj di Bologna e così quelli di -Parigi e d’altri luoghi ove fosse università, dipendevano da questa, -che li nominava, e che ne esigeva giuramento e cauzione, e determinava -i prezzi. - -I molti scrivani, rimasti scioperi, strillarono contro un’arte che li -riduceva alla mendicità, e che surrogava operaj meccanici agli eruditi -che dapprima collazionavano i codici onde sminuire gli errori de’ -sonnacchiosi copisti; i miniatori si trovarono tolte le occasioni[182]; -i possessori di biblioteche comprate a tesori, ne vedeano di colpo -decimato il valore; i dotti gelosi prevedevano reso comune il sapere, -che prima, costando denari e fatiche, assicurava onori e privilegi: -erano altrettanti nemici della nuova invenzione, e spargeano sinistre -voci, sino a tacciarla di magia, pericolosa essere cotesta divulgazione -del sapere, agevolare la corruzione degl’ingegni. Anche persone di -rette intenzioni se ne sgomentavano; ed Ermolao Barbaro suggeriva che, -attesa la frivolezza di molti, non si lasciasse pubblicare veruno -scritto se non approvato da giudici competenti. I Governi videro -altri pericoli che della frivolezza, e massime in Germania, ove si -parlava alto contro la Chiesa: onde ad alcuni libri troviamo apposta -l’approvazione superiore, forse per istanza dell’autore o dell’editore; -poi una bolla di Leone X, del 4 maggio 1515, portò che nessun libro si -stampasse senza previa autorizzazione. - -Frattanto i manoscritti cessarono d’aver pregio altro che di curiosità, -e le opere divennero ricchezza comune. Ma per quanto si mettesse cura -a cercarne, molte dovettero sfuggire all’attenzione, per colpa de’ -manoscritti stessi. In questi talvolta si trovavano cucite insieme -opere disparatissime, sicchè l’erudito, ingannato dal titolo del primo, -i minori lasciava inosservati. Altri erano copiati colle abbreviature -e note che dicemmo, talchè riusciva difficile il dicifrarle: e davvero -al vederle si direbbero caratteri cinesi, a tratti verticali più o -meno inclinati, connessi, traversati con altri di forma e posizione -varia. Benchè Giulio II, a insinuazione del Bembo, avesse proposto un -premio a chi vi riuscisse, i Benedettini nella _Scienza diplomatica_ -lamentavano che sì poco si adoperasse a ottenere la chiave delle note -tironiane. Quando Tritemio scoprì un Lexicon di queste e un salterio -stenografato, si sperava rivelato l’arcano; ma l’effetto non rispose -all’aspettazione; finchè nel 1817 Knopp pubblicò la storia della -stenografia antica, l’analisi e la sintesi delle note, e un dizionario -di circa dodicimila segni, disposti per alfabeto[183]. - -Son dunque appena cominciati i lavori sui manoscritti di tal natura, -e può sperarsene frutto: ma qui non consistono tutte le difficoltà -presentate dagli originali. Apprendiamo da Dioscoride che l’inchiostro -degli antichi faceasi con gomma e nerofumo stemprati nell’acqua, -sicchè bagnando la pergamena, facilmente si cancellava. Al tempo di -Plinio, per mordente vi si aggiungeva aceto, indi vitriolo; ma nessuno -di questi neri resiste al tempo, sicchè le scritture ci arrivarono -sbiadite e illeggibili. Un’infusione di noce di galla ripristina -il colore, e meglio nella scrittura di tempi più remoti, quando -l’inchiostro teneasi denso di gomma, e grossi erano i tratti, scritti -con una canna. - -Difficoltà maggiori presentano i palimsesti, dove, per tornare ad altro -uso il foglio, venne raschiata la scrittura anteriore. Molteplici -sperimenti si fecero per ristaurare i caratteri di prima, e alfine -la chimica ne trionfò. Ma qui nuovo incidente. Scomponendo i fogli -del manoscritto antico onde prepararli a un nuovo, talvolta si erano -allontanati due brani contigui, talaltra un foglio si adoprò ad un -lavoro, e il seguente ad un tutt’altro; poi si tagliarono in due o -più pezzi, o si tosarono per adattarli al sesto del nuovo libro. Dopo -dunque che l’esercitato occhio con buona lente rilevò l’antico sotto -al nuovo carattere, comincia la fatica del riordinare il lavoro, -ravvicinare le parti scostate, supplire alle lacune, far che le sparse -ossa rivivano. Son queste le pazienze intelligenti, alle quali andiamo -obbligati delle recenti scoperte di molti classici[184]. - -Un altro meraviglioso congegno fu quello di svolgere e leggere i rotoli -di papiro sepolti in Ercolano. Quando quella città venne scoperta, -trovaronsi in una stanza molti cilindri, che si gettarono come carbone, -finchè si avvertì essere papiri avvoltolati. Arrise dunque la speranza -di recuperare altre parti della eredità intellettuale degli antichi; -ma la lava gli avea carbonizzati, e solo i perseveranti studj del -padre scolopio Antonio Piaggio insegnarono a svolgerli e copiarli, -e con lunghissima attenzione cavarne nuove ricchezze letterarie e -archeologiche. E quante ne rimangono ancora sepolte, cura e compiacenza -de’ nostri nepoti! - - - - -CAPITOLO CXXIII. - -Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente. Cultura -estesa. Origini del teatro. - - -Tutto ci fa sentire che tocca al fine l’età sinora descritta: onde -vogliamo fermarci a salutare ancora un tratto questa generazione che -passa; generazione di istinto più che d’intelletto, che non avea -la conoscenza compiuta della morale verità, nè seppe le passioni -trasformare in principj morali. - -Le città erano impresse d’un carattere monumentale, che manca -alle moderne. Tutte cinte di mura, difesa pubblica; e benchè così -frequenti fossero e sieno nel nostro paese, fra l’una e l’altra -incontravansi spesso borgate e villaggi, la più parte fortificati, -talchè intercettavano o difendevano le comunicazioni. Davanti alle -città o nel cuore v’avea quasi dappertutto almeno un ponte, che offriva -altri ostacoli al nemico. In ognuna vedeansi i resti delle torri, da -cui aveano dominato le prische famiglie signorili, e che la libertà -aveva svettate o ridotte a mero ornamento. Dove poi erasi elevato un -principe, a difesa propria e offesa altrui aveva elevato una rôcca, la -quale doveva incutere tanto sgomento, quanta confidenza ispiravano le -chiese. - -Queste non pareano mai troppe quando la religione era anima della -società; e grandeggiava la cattedrale, che dall’esterno o dai luoghi -di primitiva devozione era stata trasferita nel centro degli abitari. -Isolarla non sarebbesi pensato, benchè davanti solesse avere una -piazza, e in giro un sagrato erboso, talvolta cinto di muro e acconcio -alle adunanze. Finchè durò la dominazione de’ vescovi, il palazzo -di questi era distinto dalla città, munito, e spesso comprendeva -vastissimi tratti; ma dappertutto dovette cedere ai Comuni, salvo Udine -e poc’altri: però que’ recinti e gli amplissimi chiostri rimasero -sempre luogo d’asilo. Ed ecclesiastici e monasteri possedevano la -maggiore e miglior parte della campagna; e aspetto e intenzione -religiosa conservavano tutti gl’istituti di pietà e di educazione, -fondati e diretti dalla Chiesa o sotto i suoi auspizj. - -Le case eransi congegnate malamente di legno, fango, paglia, quali ne -mostra ancora tante la pulitissima Francia: non frenato da regolamenti, -ognuno invadeva quel più che potesse dello spazzo pubblico, sporgeva -i piani superiori e le scale e gli agiamenti sopra le vie, che ne -rimanevano anguste e soffogate (Capitolo XCVIII princ.) Di buon’ora -però si volle abitare meglio; e la pietra, i mattoni, i tegoli -provvidero alla solidità e alla sicurezza. La regolare disposizione -delle strade di Torino ne palesa l’origine principesca. - -I nomi alle vie applicavansi popolarmente secondo i luoghi cui -mettevano e principalmente le chiese vicine: spesso secondo l’industria -che vi si esercitava, o la famiglia che v’avea casa: il che pure ci -rivela una stabilità di famiglie e di botteghe, oggi svanita. Degli -odierni numeri teneano vece o un motto, o uno stemma, o una insegna -fabbrile, una pittura, una terra cotta, uno smalto. - -Illuminazione notturna non si conosceva; solo in parte supplivano -le lampade accese ai frequenti tabernacoli. Fortunate le città che -avessero acque correnti per lavarsi, o spesse pioggie! altrimenti la -poca cura nel gettare le immondizie, massime nelle intercapedini, i -branchi di majali che razzolavano liberamente tra queste, l’abbondanza -di stalle donde ogni mattina menavansi fuori le giovenche a pascere, -come tuttora accade di vedere in parecchie città di Romagna, impedivano -la pulitezza. - -Fra le case plebee discernevansi i palazzi signorili, che talvolta -abbracciavano vasti quartieri; come in Milano quel de’ Visconti, che -giungeva da San Giovanni in Conca fino all’arcivescovado, e quel dei -Pusterla da Sant’Alessandro fin alla Vedra. Spesso v’erano annessi -portici, o prolungati tutt’al lungo delle strade, come in Bologna, -in Mantova e altrove, od isolati, come il coperto de’ Figini e la -loggia degli Osj a Milano, la loggia de’ Bardi e le altre di Firenze, -ove convenivano i dipendenti d’una famiglia, od un’intera fazione a -confabulare, spassarsi, trattare di affari. Una più grande faceva -l’uffizio delle borse odierne, e spesso erano sotto alla sala del -parlamento, come vedesi ancora nella piazza de’ Mercanti a Milano, nel -broletto a Monza, e così a Padova, a Vicenza, altrove. - -Il palazzo del Comune, oltre servire alle adunanze, era e una -testimonianza della ricchezza del paese, e un deposito de’ suoi -ricordi, ornandosi con cimelj antichi e con lapide e monumenti nuovi, -massime cogli stemmi o cogli encomj de’ magistrati. Come la chiesa -aveva campana, così volle averla il Comune succedutole; ed era vanto -il farne elevata o ricca la torre. Sulla piazza stava spesso eretta -la forca, feroce simbolo della podestà di sangue. Oltre l’armeria, non -dovevano mancare vasti magazzini, ove un’esagerata precauzione riponea -gran quantità di grano, di fieno, di vino, spesso imponendo a tutti i -possessori della campagna di portarvi la metà o un terzo del ricolto. - -Non che le città, ogni borgo aveva istituzioni caritatevoli, massime -per infermi e pellegrini, fondate da qualche pio o da una confraternita -o da un’arte. Nel secolo che descriviamo si cominciò a concentrare -anche la beneficenza, che lo spirito domestico del medioevo aveva -sparpagliata, e ne vennero i grandiosi ospedali nelle città, meglio -amministrati per certo; se più conducenti al servizio de’ poveri, lo -dica altri. Nel 1431, per opera del vescovo, gli ospedali di Palermo -furono riuniti in quello di Santo Spirito; a Milano Francesco Sforza -dei varj formò l’ospedal Grande, reggia dei poveri; a Como persuase -altrettanto il beato Michele da Carcano nel 64; ad Asti nel 55 il -vescovo Filippo Roero per quello di Santa Maria; così a Cremona nel -50, e alquanto più tardi a Messina per l’ospedale di Santa Maria della -Pietà. - -Nella lor cerchia ogni città conservava vita propria, propria politica; -mercanti dotati del senso pratico della vita; legulej sottili fino -alla malizia; nobili ancora spadaccini, ma già togati; clero basso -e mestierante colla sollecitudine del guadagno, ma colla drittura -ingenua e l’amor della giustizia; corporazioni laiche, oculatissime a -conservare i privilegi; tutti attenti a bilanciarsi fra la brutalità -de’ tiranni e la brutalità della canaglia. Spesso ancora, quantunque -crescessero gli eserciti, erano chiamati a difendersi dai soldati. -Avvicinavasi una banda? Contadini e pastori ravviano alla città i bovi, -le pecore, i bufali, vi conducono le scorte, i grani, gl’istromenti -rurali. Si chiudono le porte, si ritirano i ponti, si calano le -saracinesche, si tendono le catene; gli uni corrono di casa in casa a -cercare graticci, materasse, botti da serragliare le vie ed ammortire -i colpi; altri vanno ad allogare i poveri e gli avveniticci per le -taverne, i conventi, i portici; altri si stringono a consiglio col -comandante della piazza sopra i mezzi di difesa; mentre in palazzo si -divisano i modi di tenere d’occhio il comandante stesso, e impedire -che tradisca, egli mercenario. Quel misto d’eroismo e di paura, -d’esaltamento e di codardia, di gonfie minaccie e di accasciata -aspettazione, di litanie ed esposizioni in chiesa e di esercizj sul -campo che accompagnano l’avvicinarsi del pericolo, suscitano cento -aspetti e discorsi differenti, che si mescolano al rintocco della -campana, allo squillo delle trombe, ai falsi allarme che poi risolvonsi -in risate. Fra ciò arrivano feriti, infermi, spogliati, paurosi; e i -loro racconti, avidamente ascoltati, ripetuti, ingranditi, crescono -l’ansietà: qualche spavaldo giura vendicarli; qualche sofferente -crede e compatisce il coloro soffrire; altri è spedito a patteggiare -col nemico, a riscattarsi a denaro dal saccheggio; e ottenutolo, -versansi dalla città, abbracciandosi con quei che dianzi erano nemici, -bevendo, cantando con loro. Così protraevasi quell’attività febbrile e -quell’ansietà giornaliera che costituivano la educazione dell’uomo, e -produceano a vicenda esaltamento e prostrazione, slancio irriflessivo -o concentrazione devota, ma sempre la coscienza d’essere qualche cosa, -di qualche cosa potere; lontano dalla vulgarità in cui cade (noi lo -vediamo) una società governata da scettici, o da un despotismo che dà -le apparenze di ordine all’anarchia morale. - -E noi da queste trasportiamoci in quelle città per adocchiarne a minuto -le costumanze ed i caratteri. - -Ai Francesi, nelle diverse loro calate in Italia, appongono i cronisti -l’avere insegnato ai nostri a surrogare alle avite usanze novità sempre -varie, cercar di parere belli anzichè buoni, e ambire non tanto la -lode delle opere e dell’ingegno, quanto la vana e folle gloriola delle -frastaglie e del vestire acconcio, e variare portature, e quel lusso -che preferisce gli oggetti dilettevoli ai necessarj. Le carrozze furono -sostituite ai giumenti ed alle cavalcature, fin dagli uomini: sciali -nel vitto, nel vestire, nelle spese nuziali, nelle donazioni; perfino -artefici plebei, dice l’aulico pavese, usavano alle mense maggior -varietà e raffinata delicatura che non i nobili d’una volta; nè le -donne vulgari la cedevano alle ricche e gentili. E l’autore della vita -di Cola Rienzi, in suo favellar romanesco: — Di questo tempo cominciò -la gente ismisuratamente a mutare abiti, sì de vestimenta, sì de la -persona. Cominciò a far li pizzi de li cappucci lunghi; cominciò a -portare panni stretti alla catalana e collari, portare scarselle a -le correggie, e in capo portare cappelletti sopra lo cappuccio. Po’ -portavano barbe grandi e folte, come bene gianetti spagnuoli vogliano -seguitare. Dinanzi a questo tempo queste cose non erano anco; se -radeano le persone la barba, e portavano vestimenta larghe e oneste; e -se ciascuna persona avessi portata barba, fora stato avuto in sospetto -d’esser uomo de pessima ragione, salvo non fosse spagnuolo ovvero -uomo de penitenzia. Ora è mutata condizione, idea, deletto: portano -cappelletto in capo per grande autoritate, folta barba a modo di -eremitano, scarsella a modo di pellegrino. Vedi nuova divisanza! e che -più è, chi non portassi cappelletto in capo, barba folta, scarsella -in cinta, non è tenuto covelle, ovvero poco, ovvero cosa nulla. Grande -capitana è la barba: chi porta barba è tenuto». - -Del 1388 Giovanni Musso dipingeva i Piacentini sontuosissimi in tutto, -specialmente negli abiti. Le donne portano vesti lunghe e larghe di -velluto di seta di grana, o di panno di seta dorato, o di panno d’oro -o di lana scarlatto o pavonazzo, con ampie maniche fin a mezza la -mano, ed altre che pendono fin in terra, aguzze a maniera di scudi. E -sopra vi si pone talvolta da tre in cinque once di perle, che costano -dieci fiorini l’oncia; o nastri o cerchi d’oro al collo, a guisa dei -colletti dei cani; e in vita belle cinture d’argento dorato e di perle, -da valere venticinque fiorini ciascuna; e con tanta varietà di anelli -e pietre preziose pel costo di trenta in cinquanta fiorini: a tacer -quelle che portano le cipriane, vesti larghissime al piede e strette -indecentemente dal mezzo in su, e tutte impomellate dalla gola fin ai -piedi con bottoni dorati o perle. Ricchissimi poi sono i vezzi del -capo. Alcune usano mantellette che coprono appena le mani, foderate -di vajo e di zendado, e belle filze di coralli o d’ambra: le matrone -e le vecchie un mantello ampio, rotondo e crespo, sparato davanti, -se non che una spanna verso la gola ha bottoni d’argento dorato: e -ognuna ha tre mantelli, un cilestro, un pavonazzo, uno di camelloto -ondato. Le vedove istesso, ma tutto bruno senz’oro o perle. I giovani -hanno gabbani lunghi e larghi fin a terra con belle fodere di pelli -domestiche e selvatiche, di panno i più, altri di seta e velluto: e -sotto han vestiti corti e assettati, e dappertutto galloni di seta o -d’oro, e talvolta con cinture. Gli uomini maturi usano cappucci doppj -di panno e sovr’essi berrette di grana fatte a ferri; i giovani non -portano cappuccio che d’inverno, con becco lungo fin a terra; bianche -le scarpe, e talvolta con punta lunga fin tre once, imbottita di borra; -rasa la barba da mezzo l’orecchio in giù, e gran zazzera di capelli -rotonda. E tengono cavalli fin a cinque, e servi, a ciascun de’ quali -si dà fiorini dodici l’anno e il vitto. - -Giovan Villani non volle «lasciare di far memoria di una sfoggiata -mutazione d’abito, che recarono di nuovo i Francesi che vennero in -Firenze il 1342. Chè colà dove anticamente il vestire ed abito era -il più bello, nobile ed onesto che niun’altra nazione, al modo dei -togati Romani, sì si vestivano i giovani una cotta, ovvero gonnella -corta e stretta, che non si potea vestire senza ajuto d’altri, e una -coreggia come cinghia di cavallo, con isfoggiata fibbia e puntale, -e con isfoggiata scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il -cappuccio a modo di sconcobrini (_giocolieri_) col battolo infino alla -cintola e più, ch’era cappuccio e mantello con molti fregi e intagli. -Il becchetto del cappuccio lungo sino a terra per avvolgere al capo -per lo freddo, e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri in arme. -I cavalieri vestivano con sorcotto ovvero guarnacca stretta, ivi suso -cinti, e le punte de’ manicottoli lunghe infino in terra, foderate di -vajo ed ermellini. Questa istranianza d’abito, non bello nè onesto, -fu di presente preso per li giovani di Firenze; e per le donne giovani -disordinati manicottoli». - -Anche Galvano Fiamma, sotto il 1340, deplora che i giovani milanesi -sviarono dalle orme dei padri, e si trasformarono in straniere figure; -presero ad usare strette vesti alla spagnuola, e chiome tonde alla -francese, lunga barba alla barbarica, cavalcare con furiosi sproni alla -tedesca, parlare con varie lingue alla tartara. Le donne pure vagano -scollacciate, con vesti di seta e talvolta d’oro; acconcio il capo con -ricci alla forestiera; succinte in zone d’oro come amazzoni; camminano -coi calzari ritorti in su; giocano a tavole e dadi: cavalli da guerra, -splendenti armadure, e ch’è peggio, virili cuori, libertà degli animi, -sono ornamento delle donne e cure di tutta la gioventù, sprecando le -sostanze sudate dai genitori frugali. - -Troviamo da altri deriso il farnetico delle donne, ora di ringrandire -la persona rizzando sul cucuzzolo i capelli, ora imberrettate, ora -colla chioma disciolta sulle spalle, con diverse maniere di bestie -appiccate al petto: l’alchimia faceva sua arte coprendone le magagne, -e con varj avvisi medicando la pelle. Ora, aperto il collaretto, -sfacciatamente mostravano; poi di tratto l’alzavano su fino agli -occhi: talora, stretta la cintura, gonfiavano di sotto come pregnanti; -tal altra con piombini tenevano intirizzite le guarnacche, a coprire -il calcagnino che le rialzava dal suolo; qualche altra poneano -mantello a somiglianza degli uomini Veneti, Genovesi, Catalani, -che prima serbavano mode proprie, si meschiavano poi talmente, da -non distinguerli. I milordini non chiamavansi contenti se l’uno -non superava l’altro in novità; sicchè ora s’adattavano la berretta -notturna, ora strozzati alla gola e allacciati di corde come fossero -balle, tantochè non potevano sedere che non ne schiantassero alcuna: -sempre anelanti dietro foggie straniere l’uno di Sorìa, quello di -Arabia, un terzo pareva d’Armenia, un altro portava il farsettino -all’ungherese; e chi larghi manicottoli, e gabbani di più versi, con -maniche giù dal dosso pendenti come fossero monchi, e larghe punte di -scarpe[185]. - -Queste lagnanze, oltre il solito andazzo di imbellire il passato -a rimprovero del presente, a noi sono indizio del crescere della -democrazia, per cui non rimanevano le condizioni separate fin -nell’abito e nelle guise. Che che poi ne dicano i declamatori, -il cangiare foggie non era consueto; e oltre che ciascun paese ne -conservava di proprie, per le quali si diceva «Questo è napoletano, -questo lombardo, questo genovese», anzi discerneasi il fiorentino -dal pisano e dal lucchese, gli abiti bastavano l’intera vita e -tramandavansi da una all’altra generazione. - -L’addobbo dei Fiorentini ci è bello ed elegantemente descritto da -Benedetto Varchi: — Passato il diciottesimo anno, vestivano in città -una veste o di saja o di rascia nera, lunga quasi fino a’ talloni, e a -dottori ed altre persone più gravi soppannata di taffetà e alcuna volta -d’ermesino o di tabì, quasi sempre nero, sparata dinanzi e dai lati, -ove si cavano fuori le braccia, ed increspata da capo, dove s’affibbia -alla forcella della gola con uno o due gangheri di dentro, e talvolta -con nastri e passamani di fuora, la qual veste si chiama lucco. I -nobili e i ricchi lo portano anche il verno, ma o foderato di pelli, o -soppannato di velluto, e talvolta di damasco. Di sotto poi chi porta un -sajo, chi una gabbanella, od altra vesticciuola di panno soppannata, -che chiamano casacche, e dove la state si porta sopra il farsetto o -giubbone solamente, e qualche volta sopra un sajo o altra vesticciuola -scempia di seta, con una berretta in capo di panno nero scempia, o -di rascia leggerissimamente soppannata con una piega dietro, che si -lascia cader giù in guisa che cuopre la collottola, e si chiama una -berretta alla civile. Nè ora si portano più sajoni con pettini e colle -maniche larghe che davano giù a mezza gamba, nè berrette che erano -per tre delle presenti, colle pieghe rimboccate all’insù, nè scarpette -goffamente fatte con calcagni di dietro. - -«Il mantello è una veste lunga per lo più insino al collo del piede, -ordinariamente nero, ancorchè i ricchi, massimamente i medici, lo -portino pagonazzo o rosato, e aperto solo dinanzi e increspato da capo, -e s’affibbia con gangheri come i lucchi, nè si porta da chi ha il modo -a farsi il lucco, se non di verno sopra un sajo di velluto o di panno -e foderato. Il cappuccio ha tre parti; il mazzocchio, che è un cerchio -di borra coperto di panno, che gira e fascia dattorno alla testa e di -sopra, e soppannato dentro di rovescio, copre tutto il capo; la foggia, -o quella che pendendo in sulle spalle, difende la guancia sinistra; -il becchetto è una striscia doppia del medesimo panno, che va fino a -terra: si piega in sulla spalla, e bene spesso s’avvolge al collo, e -da coloro che vogliono essere più destri e più spediti, intorno alla -testa. Il pappafico era un altro modo di cappuccio che copriva le gote. - -«La notte, nella quale si costuma in Firenze andar fuori assai, s’usano -in capo tôcchi, e in dosso cappe chiamate alla spagnuola, cioè colla -capperuccia dietro. In casa usa mettersi indosso un palandrano o -un catalano, con un berrettone in capo. La state alcune zimarre di -guarnello, o gavardine di sajo con un berrettino. Chi cavalca, porta -o cappa o gabbano, o di panno o di rasia; e chi va in vaggio, feltri. -Le calze tagliate al ginocchio, e con cosciali soppannati di taffetà, -e da molti frappate di velluto e bigherate. Mutan ogni domenica la -camicia, increspata da capo e alle mani, e tutti gli altri panni -fino al cintolo, ai guanti ed alla scarsella. Il cappuccio nel far -riverenza non si cava mai, se non al supremo magistrato, a un vescovo -o cardinale: e solo a cavalieri o magistrati, o dottori o canonici, -chinandosi il capo in segno d’umiltà, s’alza alquanto con due dita -dinanzi»[186]. - -Agli eccessi del lusso continuavano ad opporsi leggi suntuarie (t. -VII, p. 125), ma la ripetizione ne rivela l’inutilità: predicatori e -moralisti declamavano, e intanto le pompe crescevano di più in più. -S’aprivano talvolta corti bandite, ove i signori accorreano come a -rare occasioni di riunirsi e sfoggiare; i cavalieri a romper lancie, -ed a meritare in premio del valore l’applauso e i sospiri delle belle; -i popolani alle mense apprestate a tutti, ai vini che talora perfino -zampillavano da artifiziose fontane: abiti si regalavano a profusione, -e mille persone furono vestite dalla moglie di Matteo Visconti nelle -nozze di Galeazzo suo figlio, con Beatrice d’Este. La quale usanza di -regalar cose utili, anzichè un anello o una tabacchiera, a lungo fu -conservata. - -Buonamente Aliprando, il quale stese la cronaca di Mantova nelle più -rozze terzine che uom possa leggere, descrive la corte bandita dai -Gonzaga menando tre spose in una volta. Assai baronia venne da tutte -parti, ognuno portando un dono di vesti di velluto, o di mischio di -lana, o di vajo e scarlatto, foderate quale d’agnello, quale di volpe -o coniglio, quale di vajo, con bottoni d’argento: ed erano non meno di -trecentrentotto, le quali furono compartite a buffoni e a magistrati. -D’argenteria chi donava coppe, chi cucchiaj, chi bacini, in tutto pel -peso di ducencinquanta marchi. Altri presentò taglieri e ciotole di -legno, quante bastassero a tutta la corte; la comunità de’ mercanti -regalò mille ducati; chi recò carne e pollame, chi superbi destrieri. -Essi Gonzaga poi regalarono ventotto cavalli, del valore di duemila -ducento ducati: le altre spese del fieno, dell’avena, del mangiare, -sommarono a cinquantaduemila lire. Venticinque cavalieri di nobiltà -furono vestiti: ed otto giorni si durò fra tornei, giostre e bagordi, e -sonare, ballare, cantare numerandosi fino a quattrocento sonatori, con -buffoni che se ne tornarono contenti di robe e di denaro. - -Fu spettacolo nuovo, alla pace celebrata in Vicenza nel 1379 fra -Bernabò Visconti e gli Scaligeri, il vedere fuochi d’artifizio, pei -quali tutti stavano cogli occhi verso il cielo[187]. Nel 1397 Biordo -de’ Michelotti, signore di Perugia e delle circostanti città, ordinò -feste per menar moglie Giovanna Orsini. — E primieramente (leggesi -ne’ _Diarj_ del Graziani) fu ordinato che ogni famiglia del contado -facesse un presente, e poi che ogni comunità, villa e castello facesse -il suo presente, che furono paglia, biada, legne, grano, vino, polli, -vitelli, castrati, ova, cacio. Biordo fece bandire per tutte le terre, -che ciascuna persona che non fosse ribelle o condannata del Comune di -Perugia, potesse venire alle dette feste sicuramente; ed invitò tutti -i signori circonvicini, ordinando corte bandita per otto giorni; e -inoltre fece venir per guardia della sua vita moltissime genti delle -sue terre. Tutte le terre d’intorno gli mandarono ambasciatori con -onorevolissimi doni, e anche Venezia e Fiorenza; e quel di Fiorenza -menò dodici uomini d’arme per giostrare. Madonna contessa entrò con un -vestimento d’oro tirato, con molte gioje in testa; davanti andavano -tre paja di cofani, e sei donzelle con loro vestimenti di drappo. -Ella portava in capo una ghirlanda di sparagi; venivano con essa lei a -cavallo messer Chiavello signor di Fabriano, gl’imbasciatori di Venezia -e di Fiorenza. Tutte le gentildonne onorate le si fecero incontro -ballando, vestite a porta per porta secondo la sua divisa; e quelle che -non erano atte a ballare, andavano lor dietro. - -«La comunità di Perugia donò ad ogni compagnia dieci fiorini d’oro. -Innanti ci era una gran moltitudine di trombe, le quali sonavano di -maniera che invitavano ciascuno a festa: fu fatto un bando che, durante -detta festa, non si aprisse bottega alcuna; che fu per lo spazio di -otto giorni. Fu fatta la mensa nella sala papale, e intorno ci erano -collocate assaissime tavole, ed eravi il luogo apposta per le torcie. -La tavola di Biordo era in capo, più eminente; alle altre furono per -ciascheduna fiata posti trecento taglieri; e fu allora raccontato che -in Toscana non si trovò mai la più bella corte. Le donne tutte s’erano -radunate in casa di Biordo, ed erano una compagnia reale. - -«Il giorno seguente tutte le città, terre e luoghi le ferono presenti -e doni singolarissimi: e prima l’imbasciator di Venezia l’appresentò -un dono che valeva ducento fiorini d’oro; quel di Fiorenza le dette -un palio di scarlatto ed un cavallo covertato; quel di Città di -Castello un altro palio ed un cavallo; Castel della Pieve un altro -cavallo; Orvieto un finimento intero da tavola tutto d’argento; Todi -il medesimo, e di più due pezze intere di velluto; gli altri tre -imbasciatori fecero il simile. Oltre questo, ci furono moltissime -donne che si vestirono alla divisa di Biordo, e tutte quasi fecero tre -vesti per ciascuna, e andavano ballando per la piazza. Il mercoledì si -giostrò una barbuta con l’armi del Comune dietro; e si continuò fino a -notte, onde fu d’uopo adoperarvi le torcie». - -Nelle feste delle città commercianti la principale toccava alle arti, -distribuite in maestranze; e la cronaca del Canale ci divisa quelle -del 1268 per l’assunzione del Tiepolo in doge di Venezia. La prima -festa (dic’egli molto più prolissamente in francese) fu fatta in mare -davanti il palazzo del doge, e Piero Michele capitano fece apparecchiar -le galee, e navigare tutto davanti il palazzo anzi ch’egli se ne -andasse, e alzare l’applauso al doge in tale maniera: — Cristo vince, -Cristo regna, Cristo impera: a nostro signore Lorenzo Tiepolo, la Dio -grazia inclito doge di Vinegia, Dalmazia e Croazia, e dominatore della -quarta parte e mezzo dell’imperio di Romania, salvamento, onore, vita -e vittoria: san Marco, tu lo ajuta». Simil lode levarono e cantarono -quei delle altre galee; e poi le fece il capitano navigare per mezzo -Venezia; e se ne andarono a vedere la dogaressa, che li ricevette a -lieta ciera. - -Di poi tutti i mestieri un dopo l’altro, riccamente apparecchiati, -andarono a vedere il lor signore e la donna di lui. Primieramente -quei di Torcello e delle altre contrade armarono il naviglio proprio e -vennero al doge e alla dogaressa. Quei di Murano aveano in nave galli -vivi[188], perchè si conoscesse donde fossero, e le loro bandiere erano -issate per mezzo il naviglio. I maestri fabbri e tutti i loro serventi -andarono insieme sotto un gonfalone, ciascuno una ghirlanda in capo, -e trombe ed altri strumenti con loro: montarono di sopra il palazzo, -e salutarono il doge augurandogli ciascuno vita e vittoria; ed egli -rendette loro salute e buone avventure. Discesi come erano andati, se -ne vennero fino a Sant’Agostino, ove la dogaressa era, e la salutarono, -ed ella rese loro salute siccome donna. I maestri pellicciaj d’opera -selvaggia addobbaronsi di ricchi mantelli di ermino e vajo ed altre -ricche pelli selvatiche, e i loro garzoni e fattorini guernirono molto -riccamente; misersi innanzi una bella bandiera, e dietro quella vennero -due a due. I maestri pellicciaj d’opera vecchia misero lor gonfalone -avanti, e le trombe, gli stromenti, le coppe d’argento e le fiale piene -di vino: e guernirono loro corpi molto riccamente di drappi di sciamito -e di zendado, di scarlatto e di molte altre ricche robbe soppannate di -vajo e di grigio e d’altre ricche pelli; ed i loro serventi piccoli -e grandi guernirono anche molto bellamente. Poi i pellaj di pelli -agnelline si misero il lor gonfalone avanti, le trombe e gli stromenti -e le coppe d’argento e le fiale caricate di vino, ed i maestri e tutti -i loro fattorini. I tesserandoli di nappe e tovaglie misero davanti -il gonfalone, e addobbarono i corpi loro e quelli de’ calcolajuoli e -serventi molto bellamente, e fecersi precedere da cembali e trombe e -coppe d’argento e fiale di vino, e sotto di buoni conducitori se ne -andarono cantando canzonette e cobbole pel doge; e venuti che furono -al palazzo, montarono i gradini, e lo salutarono cortesemente, ed egli -rese loro la salute molto bellamente; poi andarono a far lo stesso -colla dogaressa. - -Allora comincia ad inforzare la gioja e la festa; chè primieramente -si vestirono di novello dieci de’ maestri sartori tutto di bianco a -stelle vermiglie, cotta e mantello foderati di pelliccerie: i maestri -lanajuoli col solito gonfalone e le trombe e le coppe d’argento e -le fiale di vino, e ciascuno un ramo d’ulivo nella mano, ed in capo -ghirlande pur d’ulivo: i maestri cotonieri che fanno i frustagni -di cotone, addobbaronsi tutto di nuovo, di cotte e di mantelli de’ -frustagni che fanno, pellicciati riccamente: e così i maestri che fanno -le coltri e le giubbe: e fece ciascuno una nuova cappa di color bianco -sparsa di fiordalisi, e le cappe aveano ciascuna un capperone, ed essi -aveano ghirlande di perle operate ad oro sulle teste. - -I maestri di drappi a oro se ne posero di ricchi, e i loro fattorini -pur di drappo a oro o di porpora e zendado, e in testa i capperoni -indorati e ghirlande di perle e di fregetti d’oro: misero il lor -gonfalone e bandiere avanti, e trombe e cembali. I calzolaj e loro -serventi ebber sulle teste delle ghirlande di perle e di fregetti a -oro. I merciaj andarono a vedere il lor signore con ricchi drappi, e -le teste e le robbe di fregetti a oro e di sete e di tutte beltà che -l’uomo potrebbe divisare. Quei che vendono i camangiari di carni salate -e formaggi, fecero lor gonfalone, avendo molto ricchi drappi tinti in -scarlatto ad oricello o in risanguine od altri colori, pellicciati di -vajo e di grigio, e sulla testa ricche ghirlande di perle e di fregetti -a oro. Succedono quelli che vendono uccelli di riviera e pesci del mare -e dei fiumi. - -Poi i maestri barbieri ebbero con loro due uomini a cavallo, armati -di tutto punto, come i cavalieri erranti, e seco traevano quattro -damigelle, addobbate molto stranamente. Venuti al palazzo, ascesero, -salutarono il doge, ed egli rendette loro la salute; e immantinente -discese uno di quelli che a cavallo erano armati di tutte armi, e -disse al doge: — Messere, noi siamo due cavalieri erranti, che abbiam -cavalcato per trovare avventure; e tanto ci siamo penati e travagliati, -che abbiamo conquiso queste quattro damigelle: or siamo a vostra -corte venuti, e se ci ha nessun cavaliere che di quinc’entro venisse -avanti per provare suo corpo e per conquistare le strane damigelle da -noi, noi siamo apparecchiati per difenderle». Immantinente rispose il -doge, fossero i ben venuti, e che Domeneddio li lasci gioire di loro -conquiste; e — Ben voglio che voi siate onorati a mia corte, ma punto -non voglio che nullo di qui entro vi contraddica, e sì ve ne quieto del -tutto». Montò allora il cavaliere errante, e gridaron tutti: — Viva -nostro signore Lorenzo Tiepolo, nobile doge di Venezia»; poi se ne -ritornarono a dietro, grande gioja dimostrando, e se ne andaron tutti -in tale maniera a vedere la dogaressa, che molto bene li ricevè. - -I maestri vetraj ornaronsi di ricchi scarlatti, foderati di vajo -e d’altri ricchi drappi, gli uomini carichi di loro lavorii, cioè -guastade ed oricanni ed altrettali vetrami gentili, e le coppe -d’argento e le fiale piene di vino. Si misero alla via cantando novelle -canzoni, nelle quali si diceva di Lorenzo Tiepolo e di suo padre, di -cui abbia l’anima Dio, che doge era stato. A tale gioja ed a tale festa -se ne andarono due a due molto bene arringati sotto il lor gonfalone -cantando e diportando sino al palagio. I maestri orafi addobbaronsi -di perle e d’oro e d’argento e di ricche e preziose pietre, cioè -di zaffiri, smeraldi, diamanti, topazj, giacinti, ametiste, rubini, -diaspri, carbonchj e d’altre pietre di gran valuta; e loro sergenti -anch’essi molto riccamente, e di cosa in cosa fecero come gli altri. - -I maestri pettinajuoli v’andarono pure, menando gran gioja: quando -furono al doge, Ughetto, savio maestro, si mise avanti e disse: — Sire, -io prego Gesù Cristo e sua dolce madre e san Marco vi donino la sanità, -vita e vittoria, ed a governare lo onorato popolo veneziano in vittoria -e ad onore per tutta la vostra età». E il doge risposegli molto -saviamente, e quelli gridarono tutti insieme: — Viva nostro signore, -il valente messere Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia». Que’ -maestri pettinajuoli aveano con loro una lanterna piena d’uccelli -di diverse maniere; e per allietare il doge, ne aprirono la portina -per dove gli uccelli uscirono fuora tutti, volando qua e là a loro -talento[189]. - -Mi apporrete che questi particolari nulla ingeriscono alla storia -d’Italia? Ma scopo nostro è conoscere gl’Italiani, nè credo che una -persona si mostri qual è ove s’ignorino i suoi abiti e i costumi suoi: -altri poi ha detto non conoscere un popolo chi non lo osservò nelle sue -feste. In quella che or descrivemmo, dovette parere vi passasse davanti -il medioevo, con quella libertà non individuale ma collettiva, dove, -piuttosto che uno Stato, erano a vedersi molti gruppi di famiglie, di -corporazioni, di Comuni, di chiesa, di nobiltà, ciascuno con leggi e -norme e divise sue proprie. E delle feste di Venezia potrebbe farsi un -libro, anzi fu fatto, ogni avvenimento pubblico essendovi commemorato -con solennità di devozione e di patriotismo (Cap. XCVIII). - -Poichè il santo patrono usavasi sovente pel nome del Comune stesso, -dicendo San Marco, Sant’Ambrogio, San Pietro, per Venezia, Milano, -Roma, la festa di quello era altrettanto civile quanto religiosa. Lo -Statuto di Modena prescriveva che il giorno di san Geminiano d’ogni -famiglia dello Stato venisse uno alla città con un cero in mano, e -vi restasse fino a terza del domani; e così da ogni Comune forense -vi si portasse il vessillo, seguìto dagli uomini della villa o del -castello. A Ferrara, chiunque possedesse da cento lire in su doveva, -la vigilia di san Giorgio, portare un cero a mattutino. A Milano per -la natività di Maria doveano convenire tutti i Comuni dipendenti, -col proprio gonfalone: alla festa poi di sant’Ambrogio, secondo il -Decembrio, presentavasi all’altare di lui una gran mole di fiori ed -erbe, di uva matura con pampani verdi, tutto fatto di cera. Di tali -convegni non manca nessuna città dominatrice, e principalmente solenne -era il san Giovanni a Firenze. A Montecatino, quando per le litanie di -san Marco il clero scende alla pieve di Niévole, le donne continuano -il giorno intero, come in recuperata libertà, a sonar quelle campane, -sensibili per tutta la valle: la mattina di Risurrezione il celebrante -benedice molti corbelli di pane e di carne d’agnello, che poi sono -generosamente distribuiti a ciascheduno quasi in ristoro del digiuno -quaresimale[190]. - -Le feste religiose spesso avevano del beffardo, come le sculture -delle chiese. Tal era la cornomania che si celebrò a Roma fin verso -il Mille, avanzo di qualche solennità pagana. Il sabato dopo pasqua, -quando si aveano a cantare le litanie al papa, gli arcipreti delle -diciotto chiese diaconali colle campane convocavano il popolo; il -sacristano metteasi la cotta e una ghirlanda di fiori con corna, e in -mano un finobolo, canna di bronzo grossa quanto un braccio, e per metà -ornata di campanelli. Così andavasi processionalmente a San Giovanni -Laterano, e ciascun arciprete formando circolo colla sua plebe, si -cantava al pontefice: — Su, preghiere; Iddio per la tua prosperità; -Maria madre di Dio; su, preghiere. Buon giorno, o padrone; apriteci le -porte; noi veniamo a vedere il papa, vogliam salutarlo e fargli onore, -e cantargli le litanie, come si usava ai Cesari. Bravo, uom benigno, -papa che governi tutte cose al posto di Pietro; il cielo risplendette, -le nubi si dissiparono». Frattanto il sacristano pirovettava in mezzo -a ciascun circolo, scotendo le corna e il finobolo. Finite le litanie, -un arciprete s’avanzava traendosi dietro un asino, allestito dai -famigli della corte; un cameriere reggeva sopra la testa della bestia -un bacino con venti denari d’argento; e quell’arciprete, rovesciandosi -tre volte indietro, colla mano abbrancava più soldi che potesse da -quel piatto, e quanti ne pigliava erano suoi. Gli altri arcipreti -seguivano col clero deponendo ghirlande a’ piedi del papa; quello di -Via Lata deponeva insieme una volpe, che non essendo legata fuggiva; e -il papa davagli un bisante e mezzo: quel di Santa Maria in Aquiro, un -gallo colla corona, e riceveva un bisante e un quarto: l’arciprete di -Sant’Eustachio un cerbiatto, e toccava egual compenso: un solo bisante -gli altri, e la benedizione del pontefice. Reduci alla propria chiesa, -il sacristano nell’arnese stesso, con un prete e due compagni, portando -l’acquasantino e rami d’alloro e chicche, iva di porta in porta col -finobolo, benedicendo le case, mettendo foglie d’alloro sul fuoco, e -distribuendo le chicche ai fanciulli, cantando una cantilena in lingua -barbara, che cominciava: _Jaritan, jaritan, jajariasti. Raphayn, -jercoyn, jajariasti_; e il padrone della casa dava qualche mancia[191]. - -I banchetti erano solennità popolari e aristocratiche. Uno magnifico fu -imbandito, quando Gian Galeazzo Visconti fu investito duca di Milano, -nel cortile dell’Arengo, dove ora sta il palazzo reale; e, secondo il -Corio, da prima si presentò a ciascuno de’ convitati acqua alle mani, -stillata con preziosi odori; poi seguitarono le imbandigioni, tutte -accompagnate con trombe ed altri diversi suoni. La prima delle quali -fu marzapani e pignocate dorate con l’arme del serenissimo imperatore -e del nuovo duca, in tazze d’oro con vino bianco; indi pollastrelli -con sapore pavonazzo, uno per scodella e pane dorato; poi porci -due grandi dorati, e due vitelli parimenti dorati. Indi vi furono -portati grandissimi piattelli d’argento; e per cadauno pezzi due di -vitelli, pezzi quattro di castrato, pezzi due di cignali, capretti -due interi, pollastri quattro, capponi quattro, prosciutto uno, somata -uno, salsiccie due, e savore bianco per minestra, e vino greco. Dopo -furono portati altri piattelli di simile grandezza con pezzi quattro -di vitello arrosto, capretti due interi, lepri due intere, piccioni -grossi sei, uccelli quattro; poi pavoni quattro, cotti e vestiti; -orsi due dorati, con sapore citrino e vino leggiero. Vennero quindi -altri grandissimi piattelli d’argento con quattro fagiani per cadauno, -vestiti; a quelli seguitavano conche grandi d’argento, con un cervo -indorato, un daino similmente indorato, e capriuoli due con gelatine. -Poi piattelli come di sopra, con non poco numero di quaglie e pernici -con sapore verde; poi torte di carne indorate con pere cotte. Data -alle mani acqua, fatta con delicati odori, seguitavano pignocate in -forma di pesci inargentate; poi pane inargentato e malvasia, limoni -siroppati inargentati in tazze, pesce vestito con sapore rosso in -scodelle d’argento, pastelli d’anguille inargentati; poi piattelli -grandi di argento con lamprede e gelatina inargentata, trote grandi -con savore nero, e storioni due inargentati; indi torte grandi, verdi, -inargentate, mandorle fresche, persiche, e diversi confetti a varie -foggie. Compiuto il desinare, furono portati in su la mensa vasi -d’oro e d’argento, con fermagli, collane, anelli, e molte pezze di -panno d’oro, di seta, di porpora; il che tutto, secondo il grado, fu -presentato ai signori. - -Dal Corio stesso ci sono divisati i regali che, vent’anni di poi, -corsero a quella Corte per le nozze della figliuola di Galeazzo -Visconti in Lionello d’Inghilterra. Cento taglieri furono disposti -nella sala maggiore pei primati, nelle altre i restanti; e tanto era -il sonare, che altro non s’udiva. Le imbandigioni venivano recate a -cavallo; e la prima messa furono porcellini dorati, con due leopardi -riccamente forniti e dodici coppie di segugi. Alla seconda lepri e -lucci dorati, cui seguivano sei coppie di levrieri, ornati di argento, -e sei astori. Alla terza vitello e trote, col presente di sei stivieri -con collari di velluto e fibbie dorate e cordoni di seta nera. Alla -quarta venivano pernici, quaglie, temoli dorati e dodici sparvieri -con sonagli d’argento, e dodici paja di bracchi. Per quinta diedero -anitre, cisoni e carpani, e dodici falchi, col cappelletto messo a -perle. Venne alla sesta carne di bove e capponi, con savore d’agliata -e storioni. Era la settima di vitelli e capponi con limonea e tinche, -e dodici arnesi da giostra, dodici lancie, altrettante selle dorate. -All’ottava portarono carne di bue, pesta e impastata con formaggio e -zucchero, ed anguille; poi dodici ricchi fornimenti da guerra, compiti -in tutto punto. Comparvero poscia carni e polli, e pesci in gelatina; e -dodici pezze di tôcca d’oro, altrettante di seta colorata. Indi corni -di gelatina saporita e grosse lamprede, col dono di due doglie di -vino, sei bacili ed altrettanti mortaj d’argento dorato. Consistette -l’undecima portata in capretti e paperi e agoni, col donativo di -sei corsieri bardati, ed altrettante lancie, targhe, cappelline -d’acciajo, una delle quali guarnita di bellissime perle. La duodecima -fu lepri e capriuoli in savore, con pesce zuccherato, accompagnati -da sei destrieri, altrettante lancie, e cappelli. Seguitarono carni -di bue e cervo con savore di zucchero e limone, tinche ed altri -pesci, e sei palafreni riccamente bardati: poi tinche, polli e sei -destrieri da giostra: indi piccioni, cavoli, fagiuoli, lingue salate, -carpione, ed un cappuccio e giubbone lavorati a compasso e soppannati -d’ermellino. La sedicesima fu di conigli, pavoni, cisoni, anguille -con savor di cedro, e un vasto bacile d’argento, un chiavacuore di -rubino e diamante, con una perla d’ingente prezzo, e quattro cinti -d’argento dorati. La decimasettima furono giuncate e formaggi, e il -dono di dodici bovi. La frutta venne allo sparecchio coi vini, e poi -cencinquanta cavalli per donare a baroni e signori, ed altre varie robe -e gioje. Ai buffoni toccarono cencinquanta vesti; e dopo molto torneare -e bagordare, lieto ognuno si partì. - -Lungo sarebbe dire le stravaganze, di cui volevasi far pompa in tali -pasti. Qualche volta, al primo pungere del coltello dello scalco, -il tacchino creduto arrostito saltava bell’e vivo, scompigliando i -trionfi: qualch’altra di sotto un pasticcio sbucava un nano, facendo -le meraviglie della bella adunata. Questi tripudj rinnovavansi non -infrequenti; ed i cronisti si compiaciono talmente a descriverli, che -a noi non sarebbe parso di bene interpretarli se non gli avessimo in -ciò secondati; e tu rimani stupito quando nella pagina medesima essi -ti fanno il racconto d’un incendio, d’una sconfitta, d’una morìa, e -insieme di una solennità sfarzosa, alla quale mezzo mondo prese parte. - -Dante si lagnava che il tempo e la dote fossero all’età sua usciti -di misura[192]; al qual passo Benvenuto da Imola spiega come per lo -innanzi un ricchissimo padre dava in dote alla figlia due o trecento -fiorini, mentre allora duemila o millecinquecento; le pulzelle -maritavansi ai venti o venticinque, ora a dodici o quindici. A Milano, -dove Landolfo il vecchio asseriva che sull’entrare del secolo X non si -contraevano matrimonj prima dei trent’anni, le Consuetudini più tardi -abolivano quelli conchiusi prima dei sette[193]. Pel 1348 abbiamo «le -spese di Bartolomeo di Caroccio degli Alberti: per lo costo delle nozze -e un desinare che si fece innanzi alle nozze a’ servitori, e denari -che ebbero i trombadori e altri buffoni, e denari dati a’ portatori, -e confetti, e tramutare masserizie, e per altre spese che a nozze -si richiede, lire cennovantasei; per la lettiera, cassa, cassone e -tettuccio, lire diciotto; per due para pianelle e due para scarpette, -lire una e soldi sedici». Ma le doti e i corredi delle signore e -principesse sorpassavano ogni credenza, e ne toccammo poco sopra. -Si hanno in sei volumi i _Monumenti della casa Del Verme_, ove, tra -molte altre curiosità, trovansi due corredi di spose, che vogliamo -qui riprodurre per esempio: — Nel 1474 Francesco degli Stampa di porta -Ticinese, della parrocchia di Santa Maria Valle a Milano, come corredo -della Bartolomea de’ Guaschi, riceve ducento sessantaquattro perle, -stimate ottanta ducati d’oro in oro; quattr’oncie di perle formate -a rete, per ventiquattro ducati; otto pezze di tela di lino fino per -far camicie, una di tela di stoppa (_revi_) per far tovagliuoli pel -capo; quattro pezze di fazzoletti (_panetorum_) che sono cinquantotto; -diciotto camicie da donna; trenta monete de tenere in testa; libbre -nove e mezzo di refe di lino bianco; uno specchio grande e uno più -piccolo; tre pettini d’avorio; un uffizietto della beata Vergine co’ -suoi guarnimenti; un cofanetto, dorato di sopra; un _corriginus_ di -broccato d’oro cremisino co’ suoi fornimenti, e uno di broccato d’oro -cilestro col suo fornimento e con perle; un chiavacuore d’argento -dorato col suo agorajo d’argento dorato; due fodere lavorate in oro; -sei cuscini verdi di tappezzeria; dodici fodere di tela di lino fina -co’ suoi lavori intorno; una veste di damasco bianco coi fornimenti -dorati e col collare a perle; un’altra di drappo morello di grana -colle maniche strette, e con fornimenti dorati e con perle; un’altra -di drappo scarlatto di Londra colle sue balzane di velluto nero al -collare, alle maniche e ai piedi; una gamurra o socca di velluto -cilestro, e un’altra di drappo di lana rosso; un par di maniche di -broccato d’argento cilestro; un vestito di zetonino cilestro colle -maniche strette, e ricamato al bavaro e alle maniche; un vestito di -scarlatto colle maniche strette e ricamate, e col bavaro fatto di -punticelli; un vestito turchino colle maniche strette, ricamato alle -maniche e al bavaro; un vestito di velluto morello con maniche serrate -e guarnizioni fatte a telajo alle maniche; un vestito rosa secca -con maniche al modo stesso; uno di drappo verde scuro; una giubba di -velluto cremisino; una socca scarlatta, e una di drappo turchino; un -par di maniche di drappo d’oro riccio, un cremisino, e uno d’argento -cremisino, e uno di cilestro; un par di maniche di zetonino cremisino, -e uno di morello; uno di velluto cremisino, e uno di verde; un -corrigino d’argento dorato fatto a raggi (_a raziis_); un chiavacuore -d’argento dorato coi coltellini; una coreggia con tessuto d’oro e -guarnizioni d’argento dorato, ecc. Di tali doni rogò Francesco di -Besozzo, notajo di porta Comasina. - -Molto più ricco è il corredo di Chiara Sforza, rimaritatasi il 1488 a -un Campofregoso. Nel solo ricamo sopra una manica vi sono da trentasei -in quarant’oncie di perle, stimate ducati quattrocento; sessantasette -perle da un ducato l’una; diciannove da tre carati il pezzo, a ducati -otto l’una; quattro da carati dodici in quattordici, a ducati cento -il pezzo; una di carati venticinque a ducati trecento; due rosette di -rubino, da sessanta ducati il pezzo; un rubino da tavola con quattro -perle, ducati settanta; quattro smeraldi in tavola, a ducati quindici -il pezzo; uno smeraldo quadro a faccette, ducati venti; oltre un -filo di trecento diciassette perle, da un ducato al pezzo. C’è una -perla a pero, di carati ventuno, stimata mille ducati; un mazzo di -cinquantaquattro giri di catena d’oro, pesante quarant’oncie; un -pendente con un balascio in tavola in mezzo, una punta di diamante e -una perla a pera, valutati ducati duemila; un altro fermaglio con un -balascio in tavola, ducati mille e seicento[194].[195] - -Anche a Genova, per testimonio di Franco Sacchetti, «le nozze durano -quattro dì, e sempre si balla e canta, e mai non vi si proffera nè -vino, nè confetti, perocchè dicono che profferendo il vino e’ confetti -è uno accomiatare altrui; e l’ultimo dì la sposa giace col marito e non -prima». - -E poichè dalle donne ben s’argomenta ai costumi d’un tempo, già -ricordammo (t. VII, p. 563) la Cia degli Ubaldini, che lasciata dal -marito Francesco Ordelaffi a difendere Cesena, perseverò governatrice -e capitana, finchè, ormai tutta ruine, la rese a patti onorevoli pe’ -suoi soldati; per sè le bastò la protezione che la generosità ritrova -anche presso i nemici. È pure nota per le tradizioni Bianca de Rossi -moglie di Giovan della Porta governatore di Bassano, la quale, morto -il consorte, difese la città contro Ezelino tiranno: presa colle -armi in pugno, Ezelino cercò farle onta, ed essa precipitatasi da una -finestra si ruppe una spalla: guaritane e per forza vituperata, appena -libera di sè corse all’avello del marito, e messo il capo sotto il -coperchio, se lo schiacciò. Margherita da Ravenna, divenuta cieca a tre -anni, acquistò tanto estese cognizioni, che era consultata su punti di -teologia e di morale, e morì il 1505. Morata, figlia di Danese Orsini e -di una Beccaria, a Stradella levata al battesimo da Filippo Visconti, -sposata in Jacopo de’ Saracini di Siena, invece di danzare, la festa -divertivasi a leggere, e venne un portento di sapere come di virtù. A -Siena, nel pomposo incontro fatto a Federico III e sua moglie, ella -parve vestita troppo modestamente; ma a chi glie ne faceva appunto -rispose: — Le matrone senesi non devono far pompa che di modestia». E -interrogata quale fra tanti cavalieri che faceano corteo agli sposi, -le paresse il più leggiadro, — Io non guardo che mio marito». I Senesi -l’ebbero in concetto di santità, e quando il conte Jacopo Piccinino li -minacciava di sterminio, essa li rassicurò del pronto soccorso di Maria -Vergine, e che il conte non tarderebbe a scontar la pena, come avvenne. -Di virtuose potremmo gran numero schierare ricorrendo al leggendario. - -Voltiamo il quadro. La padovana Speronella, figliuola di Delesmanno, -a quattordici anni era già maritata in Jacopino da Carrara, quando -il conte Pagano, lasciato dal Barbarossa a governare Padova, se ne -invaghì, e presto l’ebbe rapita e sposata. I suoi, irritati, levarono -popolo contro lo straniero, che dovette cedere le fortezze e la -libertà. Allora la Speronella fu maritata ad uno de’ Traversari, col -quale rimasta alquanto, passò a Pietro Zausanno: e dopo tre anni ne -fuggì per isposare Ezelino da Romano. Questi, accolto a Monselice con -ogni guisa di miglior cortesia da Olderico di Fontana, come tornò a -casa, non sapeva finire di lodare alla moglie le gentilezze dell’ospite -e le maschie bellezze di esso: di che tanto desiderio si accese nella -malonesta donna, che per messaggi fu presto d’accordo col Fontana, -e da Ezelino se ne fuggì ad esso. Così passava di marito in marito, -mentre il precedente vivea ancora; poi lasciò un lungo testamento, il -quale non è che un catalogo di chiese e spedali, fra cui distribuiva -ogni aver suo; venti soldi a questa, quaranta a quella, stramazzi, -coltri, lenzuoli, coperte di pelle; a un ospizio i piumacci su cui -ella dormiva, e tovaglie e salviette ai pellegrini d’oltremare; -campi e denari a vescovi per riparare se mai avesse ad alcuno recato -nocumento[196]. - -Donnina amica di Bernabò, e Nisotta di Gian Galeazzo Visconti, aveano -al loro servizio cortigiani, musici, minestrelli; ai principi vicini -e nominatamente ai duchi di Savoja mandavano a regalare cani, cavalli, -cappelline, e ne riceveano il ricambio[197]. Agnese, figlia di Bernabò -e maritata in Francesco Gonzaga signore di Mantova, al marito non -voleva bene, e vie meno dacchè il vedeva amico ed alleato di Gian -Galeazzo uccisore del padre di lei. Presto s’intese con Antonio -di Scandiano, cameriere fidatissimo del Gonzaga; ma questo, saputa -la tresca, dissimulò lungamente il torto, poi ne volle un regolare -processo, da cui essendo apparsa la costoro reità, lui fe impiccare; -lei decapitare il 1391, benchè moglie d’un principe, cognata di due re. - -Per delitto d’infedeltà poteano il duca Filippo Visconti e il Gonzaga -di Mantova mandare al patibolo la moglie, Nicola marchese di Ferrara la -sua Parisina Malatesti col figlio Ugo, Ercole Bentivoglio processare -Barbara Torelli: forse tutte innocenti, ma è un gran caso il vedere i -mariti dimostrarle ree pubblicamente, essi, cui non erano vergogna le -concubine e gli sterponi. Galeotto Manfredi principe di Faenza sposò -Francesca di Giovanni Bentivoglio, la quale ben presto sospettò il -marito d’altri amori, e per accertarsene origliò quand’esso conferiva -secretamente con un astrologo. Intese invece come si macchinasse contro -di suo padre; e non sapendo frenarsi, entrò nel gabinetto inveendo. -Galeotto rispose, e la battè; ed essa ne informò il padre, che -nottetempo avvicinatosi in armi a Faenza, la tolse seco: preparavasi -anche a far guerra al genero, quando Lorenzo de’ Medici, mediatore di -tutte le paci, li riconciliò, e ricondusse la donna al marito. Essa -però, stimolata a vendetta da nuove gelosie, ordì d’ammazzarlo: si -finse malata, e com’egli entrò a visitarla, il fece scannare da sicarj -appostati. - -Un atto singolare ci resta, dove Galeazzo Maria Sforza, attesi -«gl’ingenui costumi, la vita pudica, la somma bellezza» di Lucia de -Mariano, e l’immenso ardore con che esso duca la ama, in parte fa, in -parte conferma amplissime donazioni a lei ad a’ figliuoli che essa gli -generò o genererà; e saldato il dono coi più sacri giuramenti, le pone -patto che «viva in divozione nostra, e non abbia mai da che fare, non -che con altro uomo, neppure col marito se non abbia da noi speciale -licenza in iscritto»[198]; gravi minaccie aggiunge a sua moglie Bona, -se mai rechi a costei il minimo disturbo. E quest’atto è rogato da -notari, sottoscritto dal consorte e da una schiera di gran nobili e -cavalieri milanesi. - -Siffatta puzza non viene dalle case plebee, ma dai palazzi -principeschi. E ben diverso dal borghese era il vivere de’ signori, -molti de’ quali tenevansi ancora ne’ castelletti, rubando e scialando -come nel cuore della feudalità. Sino dal 1272 i Bolognesi aveano -battuto i conti di Mangona che svaligiavano i viandanti nelle -foreste di Ripaverde: ma ancora al 1391, nelle vicinanze della loro -città, molti castellani viveano del rubare ai contadini e ai buoni -campagnuoli. Il conte Garreto da Panìco con altri suoi compagni faceva -tal vita, or a spalle dell’uno, or dell’altro gavazzando: côlto poi -un Mengoccio del Borgo, ricco agricoltore, costoro lo trassero in -prigione per tormentarlo finchè ne smungessero un grosso riscatto: -fortunatamente una vecchia se n’accorse e ne avvertì i parenti, che, -prese l’armi, corsero a liberarlo. Il senato bolognese ordinò che -tutti i conti, capitani e altri nobili abitanti in villa, e che non -attendevano di propria mano alle faccende agresti, dovessero fra -quindici giorni venir abitare in città con tutti i parenti, pena la -confisca dei beni: ordine esagerato che attesta la gravezza del male, e -che fu poi ristretto alle famiglie pericolose. - -Altro famoso malfattore, Alberto Gallucci, tutto il Bolognese empiva -di scelleraggini, nè per pubblici bandi o per ammonizioni del padre, -di amici, di religiosi volle mettersi al dovere. Si promisero dunque -mille fiorini d’oro a chi lo facesse prigioniero; chi l’uccidesse, -se era bandito avesse remissione; se alcuna comunità il pigliava, -restasse immune da collette per venti anni: si destinarono quattro -persone apposta con ducento cavalli per catturarlo, e ordine ai Comuni -che, qualora egli apparisse, toccassero a stormo. Alberto si pose a -cavalcione dei confini, donde ogni giorno peggio faceva ai Bolognesi. -Azzo, padre di lui, fu obbligato dar duemila lire per sicurtà che il -figlio non farebbe alcun danno; poi assoltone per la sua gran bontà, -egli medesimo risolse liberarne il paese, e coltolo il diede al -magistrato perchè eseguisse la legge. Il consiglio, mosso dall’insolito -caso, prendea pietà della canizie del padre e della sventataggine -del giovane, e volea commutar la pena in carcere perpetuo; ma Azzo -insistette caldamente perchè la giustizia avesse corso, e lui presente -fu decapitato[199]. - -Nicolò III d’Este signor di Ferrara nel 1414 volendo passare in -Francia, fu arrestato dal marchese Del Carretto, finchè pagasse -grosso riscatto. Galeazzo Maria Sforza, ch’era in Francia quando morì -suo padre, seppe che il duca di Savoja l’appostava per prenderlo ed -obbligarlo a cedergli qualche pezzo di Lombardia; e parte travestito, -parte difendendosi in una chiesa, parte ajutato da qualche fedele, -a grave rischio riuscì a traforarsi nel suo dominio. Gli Ubaldini -contano tra i loro fasti molti spogliamenti fatti tra val di Sieve -e val del Santerno. Uberto di Campagnatico assaliva tutti gli amici -della repubblica di Siena, finchè alcuni Senesi in veste di frate -s’introdussero nel cassero di lui e l’uccisero. Ghino di Tacco da -Torrita dal castello di Radicofani molestava i passeggeri, celebre -per la novella del Boccaccio. Il Piccinino porta rancore ad Eusebio -Caimo milanese, ch’era stato mezzano del matrimonio di Bianca con -Francesco Sforza, e lo fa pugnalare nel duomo di Milano. L’ingordigia -de’ principi apriva poi modo ai signori di scontare i delitti a denaro; -e Lazzarone della Rovere, signore di Vinovo, nel 1377 avendo ucciso -Florio suo cugino, ne pagò al conte di Savoja tremila fiorini, oltre -perdonargliene mille che gli doveva. - -Milano nel 1288 contava quarantamila nobili, cioè uno ogni venticinque -abitanti; Firenze, nel 1336, settemila cinquecento, cioè uno ogni -venti; Venezia, dopo il 1500, seimila cencinquantadue, cioè uno ogni -ventidue: ma il nome di nobile significava cosa ben diversa in ciascuno -di questi paesi. Generalmente la democrazia aveva abraso le distinzioni -originarie e i privilegi legali: in tanto rimescolamento di fazioni, di -conquiste, d’esigli, di tirannidi, molte famiglie antiche o perirono -o si confusero colle borghesi, dalle quali poi sorsero alcune più -ricche, e costituirono una nobiltà nuova. Ogni famiglia era ormai -contraddistinta da un cognome; ma se non fosse divenuto celebre per -qualche titolo o per credito commerciale, facilmente lo cambiava per -capriccio, per un’eredità, per far grado a un protettore, a un padrino. -La nobiltà nuova non poteva opporre alla tirannia quegli argini, che -solo dal tempo acquistano solidità: quella poi creata dai tiranni non -valea nulla più che i diplomi, eccitava gelosia, mancava di efficacia. - -I signori di Romagna, maggiormente dediti alle armi, e scarsi di -possessi, esercitavano i loro vassalli sia per sostenersi, sia per -farne mercato a servigio altrui. A Napoli re Luigi di Taranto istituì -la compagnia del Nodo, altri cavalieri, per desiderio di gloria, -ne formarono altre, e con insegne diverse andavano come cavalieri -erranti mostrando il lor valore dove guerra fosse, legati tra sè di -fratellanza; e dal segno che portavano, diceansi della Stella, della -Argata (per la nave d’Argo), della Leonza[200]. - -Però fra noi predominarono sempre le città, e in conseguenza non -troviamo quegli alti fatti cavallereschi, di cui si tesse la storia -delle famiglie insigni forestiere; que’ nostri signorotti tengono -del plebeo, o almeno del soldatesco, nè si gloriano di finezze -cavalleresche, nè si peritano a mancar di fede. Sulla politica -delle Corti non fa mestieri ripeterci; ma quelle frequenti taccie -d’avvelenamenti, veri sieno o supposti, ci rammentano gl’imperatori di -Roma, e palesano un ritorno verso la corruzione gentilesca. Le continue -rivoluzioni, per cui mezzo gli ambiziosi volevano surrogare il privato -dominio alla comune libertà, lasciavano interessi lesi; calde memorie -d’un franco stato, del quale non si ricordavano più i guaj; molti i -pretendenti, ove unica sanzione era la riuscita; molti gl’intolleranti -e dell’ingiustizia e della giustizia, e pochi gl’interessati a -difendere l’ordine pubblico. Il grosso del popolo non penò a chetarsi -a dominj che gli lasciavano quiete onde applicarsi alle sue arti e -gli crescevano sicurezza; ma le famiglie aristocratiche ribramavano la -fraudata autorità, e mal soffrivano un altro esercitasse la tirannia -ch’essi avrebbero per sè voluta. Le armi portate a servizio di qualche -signore, davano la soldatesca fiducia nella spada: del sangue come aver -ribrezzo quando la legge e i tiranni stessi ne versavano tanto? - -Quindi gli attentati, frequenti quanto mal secondati, e usciti con -danno e con vergogna. La sollevazione di Cola Rienzi fra breve fu -imitata dal Porcari in Roma. Due congiure a Milano uccisero i principi, -senza produrre effetto durevole; altrettanto quella de’ Pazzi; peggio -quella de’ baroni nel Reame. In Bologna i Caledoli, beneficati ed -emuli di Annibale Bentivoglio, non meno poderoso in Romagna che -Lorenzo Medici in Toscana, tramano, e scoperti sono appiccati o -banditi. Bernardo Nardi fiorentino occupa Prato per farne piazza -de’ repubblicani; ma non sostenuto, è preso e giustiziato con molti. -Nicolò d’Este invade Ferrara per ricuperare il dominio paterno; ma -il popolo nol favorisce, ed Ercole d’Este lo appicca con venticinque -complici. Girolamo Gentile vuol ribellare Genova e Milano, e ne perde -la testa. Girolamo Riario, signore di Forlì ed Imola, è pugnalato nel -proprio palazzo. Biordo de’ Michelotti è ucciso a Perugia, e i Perugini -assalgono gli uccisori e bruciano la badia di San Pietro ove erasi -fatto il tradimento, e i traditori fanno dipingere alle porte e al -postribolo. Questi frequenti attentati tenevano in sospetto i tiranni, -e rendeanli peggiori; e i feroci supplizj che infliggevano a personali -nemici, sembravano giustificati dalla necessità dell’assicurarsi. - -La costoro vita è un tessuto di fatti ancor più vergognosi che -orribili, sfacciata la mancanza di fede, applaudito il tradimento se -riusciva. Vedemmo quello a cui restò preso Bernabò Visconti. Paolo -Fregoso, cardinale arcivescovo di Genova, invita il doge suo nipote -colla moglie e i figliuoli a pranzo, e quivi li fa cogliere, mettere -ai tormenti, sinchè il doge non ordina che le fortezze si rendano -all’ambizioso zio. L’Oldrado, amicissimo di Gabrino Fondulo, passando -fuor di Castiglione, finge si sieno sferrati i cavalli, e manda per -un maniscalco. Gabrino, informatone, spedisce a invitarlo che entri e -si riposi; ed egli no, aver troppa fretta, rincrescergli di non poter -dare un bacio al suo Gabrino. Questo non vuol lasciarsi vincere in -cortesia; esce a salutarlo, ed è subitamente circondato dagli uomini -dell’Oldrado, il quale entra nel castello, prende la famiglia di -Gabrino e i molti tesori, e lui consegna a Filippo Visconti che lo -manda al supplizio. Nelle ore estreme confessò, l’unica cosa di cui si -pentisse era che, quando l’imperatore Sigismondo e il papa salirono -seco sul torrazzo di Cremona, non gli avesse trabalzati entrambi da -quell’altezza[201]. - -Il marchese Alberto d’Este, morendo nel 1393, avea dichiarato -successore Nicolò suo figlio naturale; ma Azzo pretendea avervi -migliori diritti, e li sostenne collo stipendiare Giovanni da Barbiano. -I tutori del fanciullo Nicolò tentarono costui perchè assassinasse -Azzo, ed egli il promise, purchè gli si dessero due castelli vicini -a Barbiano. Vennero i messi, davanti ai quali fu trucidato Azzo, ed -in conseguenza resi i castelli. Ma l’ucciso non era che un servo, e -Azzo piombò addosso alle squadre ferraresi e ne fe macello. Poco poi -Giovanni macchina d’impadronirsi di Bologna, e scoperto è mandato al -supplizio. Mille altri casi simili ci offrirebbe la storia de’ capitani -di ventura. - -I popoli ne soffrono, e conoscono i vantaggi della libertà, tanto da -creder lieve ogni sacrifizio per ottenere che alfine alla egualità -innanzi ad un padrone si sostituisse l’egualità innanzi alla legge. -Vero è che le sventure d’allora sembrano maggiori perchè tutte si -registrano, nè erasi per anco ingenerata quella cascaggine che -fa credere ineluttabile necessità il patimento, e virtù il non -lamentarsene, e pace una tirannia che degrada senza tormentare. Massime -nelle repubbliche riscontriamo elevatezza di caratteri, potenza di -sacrifizj fatti al bene generale, maggior fedeltà alla parola: benchè -le passioni vi apparissero maggiormente, perchè in numerose masse e -meno frenate. E la stessa corruzione e la ribalda politica dei principi -non avviliva ancora i popoli, se anche li straziava. - -Fra quel movimento frequentavano occasioni di esercitare le forze della -volontà e dell’intelletto, il che è sì gran parte della felicità; -riceveasi l’educazione dagli avvenimenti, e maestro era il subuglio -della città; anche nelle baruffe civili logoravansi alcune vite, ma -conosciamo tempi più puliti ove si uccide colla parola, s’induce negli -animi il dispetto, vi si formano quelle ulceri, la cui tabe e il puzzo -appestano la società. - -Furono i nostri che crearono la scienza delle ricchezze e della loro -distribuzione, misurarono la potenza del proprio paese e i mezzi con -cui farlo agli emuli prevalere, e tolsero a considerare tutt’Europa -come un sistema unico, ponderando perciò le forze delle singole parti; -e alcuni conti dei loro dogi o podestà potrebbero andar di paro coi -messaggi meglio compiuti dei presidenti americani[202]. I Fiorentini -volevano dai loro commessi un ragguaglio de’ paesi ove andavano; i -Veneziani ricevevano dai loro diplomatici informazioni continue, e da -queste possiamo ancora librare la civiltà e la potenza de’ varj Stati. - -Quanta ricchezza non indicano nel paese le medesime guerre! Taciamo -Venezia, taciamo Genova, di cui non di rado qualche privato diveniva -principe, e i Lercari o i Giustiniani tenevano testa alla potenza -ottomana; ma Federico I di Sicilia ebbe cinquantotto galee in punto -d’arme, con centotredici l’affrontò Roberto di Napoli, e distrutte -si rinnovarono quasi per incanto. I nobili milanesi proposero a -Filippo Maria di mantenergli diecimila cavalli e altrettanti pedoni, -purchè lasciasse loro amministrare le pubbliche entrate, escludendone -cortigiani e favoriti. Dal 1377 al 1406 Firenze spese in sole guerre -undici milioni e mezzo di fiorini d’oro, da cento ogni libbra[203], -tributo di cittadini privati: settantasette case, dal 1430 al 53, -pagarono di straordinarj quattro milioni ottocentosettantacinquemila -fiorini; e lo stato popolare, dal 1527 al 30, cavò di straordinarj un -milione quattrocentodiciannovemila cinquecento fiorini. I tiranni pure -e gli oligarchi facevano gara di prosperare il proprio paese, sì pel -vantaggio che a loro medesimi ne ridondava, sì per emulare i vicini, -sì per palliare la servitù. Francesco Sforza scavava il canale della -Martesana ed ergeva l’ospedal grande a Milano; Gian Galeazzo ardiva -cominciarvi il duomo e la certosa di Pavia; i Medici, i Pitti, gli -Strozzi si eternarono per elegante magnificenza. - -Ma in fatto di costumi e d’opinioni men che in niun’altra cosa si -può considerare l’Italia come una sola nazione; e se anche oggi, con -sì poche caratteristiche e con tante comunicazioni, immenso divario -corre dal Torinese, per esempio, al Siciliano, quanto più allora? -In Romagna poca attenzione si dà all’agricoltura e all’industria, le -ricchezze traendosi d’altronde che dalla terra; i suoi fiumi non sono -navigabili, ed essiccando lasciano esalazioni pestilenziali; talchè -l’uomo si scosta da quei paesi, che così peggiorano col cessare della -vegetazione artifiziale, e disordine e abbandono invadono le valli -inselvatichite e i piani deserti, per la cui ampiezza pochi casali -s’incontrano, perciò opportuna alle masnade; e il popolano, sentendosi -necessario al padrone che ne trae guadagno di stipendj militari, -acquista orgoglio e fierezza, quasi con ciò attesti discendere -dai conquistatori del mondo. Il Veneziano invece è indocilito dal -sentimento della dipendenza, che mal si confonderebbe con quella -pulizia che cerca sedurre ma senza bassezze; egli venera il denaro, -ambisce i godimenti, e gli aspetta da chi può procacciarli a lui, il -quale nulla può ripromettersi dagli onorevoli sudori versati sulla -terra. All’incontro il Genovese le falde delle Alpi e dell’Appennino -a forza d’arte vestì d’ulivi, aranci, vigneti, e non bastandogli lo -scarso territorio, s’avventura al mare, e dice, _Io vengo da Caffa_, -così come se fosse tornato dal porto. A Napoli il Governo svigorito -lascia crescere la colà prepotente inclinazione di isolarsi; e da un -lato si trincerano i baroni, dall’altra i popolani, non partecipandosi -i frutti del convivere sociale; la scarsa industria, l’indolenza, -il non curare del domani sono conseguenza del clima, de’ pochi -bisogni e de’ facili soddisfacimenti; come i vulcani del paese, dalle -esaltazioni si passa rapidamente all’inerzia, con poca costanza e -vacillante condotta; l’immaginazione fa ricorrere alle superstizioni, -l’inosservanza delle leggi lusinga a vendette private. La Toscana, -divisa in piccoli territorj, sembra fatta per la vita individuale delle -città, che in fatto ebbero ciascuna una storia particolare: nella parte -montagnosa si ricoverarono i signorotti, e trovarono buoni soldati; il -resto è coltivato con indefessa cura: e perchè a gran fatica basta alla -popolazione, questa si dedica anche all’industria, e così si sviluppa -quel vigore intellettuale, quella coscienza di se stessi, per cui i -Toscani si presentano come in una virilità matura, ma tutta robusta. - -Dappertutto poi restavano distinti i costumi de’ principati da -quei delle repubbliche, in quelli i signori, in queste apparendo i -cittadini. Udiamo accagionare quei borghesi, che idolo si facessero -del denaro. È vera l’accusa? è ragionevole? Nell’età barbara e nella -feudale la ricchezza era mal distribuita in Italia, ma il clero colla -limosina, la feudalità col suo sminuzzamento prevennero quella piaga, -che oggi infistolisce col nome di pauperismo. Crebbe poi e si diffuse -la ricchezza; ma se questa è cattiva allorchè (come avvenne nell’età -romana) provenuta da mezzi immorali, e, sparsa con disuguaglianza, apre -un abisso fra le varie classi, e perciò aguzza le passioni sovversive, -essa torna giovevole all’individuo e alla società quando sia frutto di -lavoro onesto e di liberi contratti, e si spanda in tutte le classi. - -Sta bene ai nostri tempi battaglieri e rivoluzionarj lo sbertare -i mercanti, e ripetere le ingiurie che Buonaparte scaraventava -all’Inghilterra: sta bene il rammentare che, quando Marsiglio Carrara -esulava a Firenze, la Signoria lo dichiarò esente da ogni molestia -per debito, salvo che fosse verso Fiorentini. Ma il mercante acquista -prudenza, attività, energia per mettersi in grado di accumulare il -capitale; col creare questo si ottiene l’agiatezza, la quale lascia -campo alla coltura dell’intelletto e dei costumi, ed elevando i salarj -fa progredire verso l’uguaglianza. Ricordiamoci che erano mercanti -Marco Polo, che primo ci descrisse l’Asia centrale e il Giappone; -il Fibonacci, che introduceva le cifre arabiche; Giovan Villani, il -migliore cronista del nostro e forse d’ogni altro paese, il quale, se -non il fare ingenuo e pittoresco di Joinville e Froissart, mostra però -la scienza positiva e il fermo tocco di chi maneggiò gli affari prima -di raccontarli. Non sono i mercanti fiorentini che vollero combattere i -venturieri quando i principi non sapeano che mercatarli? - -Quegli operosi commerci rivelano abbastanza un vivere ben differente -dalla convulsiva inazione de’ giorni nostri, quando si cerca tutto -fuorchè il modo di essere contento del proprio stato; non si oziava -tanto sui caffè; non si camuffava d’amor di patria la poltroneria del -non mutar cielo; non si logoravano la salute e la ragione a fare e a -leggere giornali e romanzi. Lungi dal tenere disonorante il commercio, -vi accudivano in persona cittadini primarj. Archinti, D’Adda, -Castiglioni, Crivelli, Lampugnani, Melzi, Visconti, Vimercato erano -matricolati fra i mercanti di Milano; «il padre di Antonio Giacomini -(dice Machiavelli) fu mandato a Pisa, a faccende di mercatare, -nella quale tutta la nobiltà di Firenze si esercita, come nella cosa -più utile e più reputata nella patria loro»; Cosmo, già capo della -Repubblica fiorentina, non interruppe gli affari di banco, ne’ quali si -esercitavano e Strozzi e Pazzi e Guicciardini e Borromei e Rinuccini e -Salviati. Ne contraevano quelle abitudini casalinghe insieme e forbite, -che contrastavano colle fastose e rozze dell’aristocrazia forestiera; e -quest’agevolezza personale, questa energica risoluzione, quest’operare -sicuro, questa grazia nativa davano all’Italiano grande superiorità -sugli stranieri, e in conseguenza lo facevano più ammirato che amato, -anzi temuto, la finezza parendo astuzia, la galanteria corruzione, la -franchezza dispregio. - -Lo spirito d’economia, lo sforzo delle classi industri per migliorare -la propria condizione, la frugalità nei godimenti, bastavano a -bilanciare le nobili profusioni nelle arti e le folli nella guerra; e -Smith le paragonava a quella che i medici chiamano forza medicatrice -della natura, che spesso restaura l’infermo a malgrado del male e delle -medicine. Avrebbe Firenze potuto repulsare tante nimicizie, e tanto -abbellirsi, quando non l’avessero soccorsa i cittadini che teneano -fondi nei magazzini di Venezia, di Parigi, d’Anversa, di Londra, e -sulle navi del Mediterraneo, dell’Eusino, dell’Oceano? Nè mai ne erano -avari per la libertà e pel decoro della patria. Reciprocamente il -tesoro pubblico era una specie di serbatojo per vantaggio di tutti: -nel 1466 gli argenti della Signoria di Firenze erano dati a prestanza a -Luigi di Piero Guicciardini e a Piero Capponi perchè con maggior pompa -potessero celebrare nozze[204]. - -E in Firenze, fors’anche perchè maggiormente e meglio ci è descritta, -appajono consuetudini affatto borghesi. La ristrettezza del territorio -obbliga ad usufruttarlo con ogni attenzione, e al lavoro de’ campi -unire l’industria; obbliga il proprietario a risparmiare e a speculare. -Quando altrove i nobili firmavano le carte colla croce _non sapendo -scrivere perchè baroni_, i Fiorentini stendeano i processi verbali -anche delle adunanze delle arti e mestieri; mercanti e manufattori -rendeano i proprj pareri per iscritto. Dino Compagni racconta che -sulla venuta di Carlo di Valois fu richiesto il parere dei settantadue -mestieri, imponendo loro «che ciascuno consigliasse per iscrittura se -alla sua arte piaceva che si lasciasse entrare a Firenze». Lo statuto -dei tesserandoli di seta a Lucca ordina che ogni tessitore o tessitrice -abbia un libro dove notare le tele che avrà dai mercanti, per poterlo -scontrare col libro di questi. Lo statuto dell’arte di Calimala del -1332 parla ogni tratto di scrivani, di registri, di rendiconto, -di bullettini. Chi può contenersi dalla maraviglia nel vedere i -Fiorentini, occupati in bottega a pesar lana e misurar drappi, fare poi -nel consiglio esperimento di tutte le possibili forme di costituzione, -porgere magistrati insigni dentro, accortissimi ambasciadori fuori; -insieme colle balle di mercanzie richiedere manoscritti, spacciare -lettere al merciajuolo e ai maggiori dotti; sul libro mastro, insieme -coi crediti registrare la storia della patria o del mondo, introdurre -la scrittura doppia, le cifre arabiche, l’algebra, fondare la prima -cattedra di greco, la prima di latino, la prima di leggere Dante? -Segretarj della repubblica erano un Bartolomeo Scala, un Carlo -Marsuppini, un Coluccio Salutati, un Bonaventura Munaci, ben presto un -Nicolò Machiavelli. - -Qual prova maggiore di civiltà che i tanti scrittori? Leggete -il _Governo della famiglia_, e sentirete continuo quell’alito -dell’economia casalinga, che si briga delle particolarità senza -negligere le cose importanti, e risparmia un soldo, ma non si -arretra dallo spendere le migliaja di fiorini. L’autore diceva a’ -suoi figliuoli: — Tutto l’anno accadono spese, cresce la gioventù, -apparecchiansi le doti; e volendo colla possessione soddisfare, non -basterebbe. E però è da intraprendere qualche esercizio civile, utile, -comodo a voi, atto ai vostri, col quale guadagnando possiate supplire -al bisogno. Potrebb’essere la mercatura; ma per mio riposo eleggerei -cosa più certa, e mi darei più volentieri a quegli esercizj, ne’ quali -si adoprano molte mani, e nei quali il denaro in molte persone si -sparge, e a molti bisognosi ne viene utilità. È officio del mercante -avere sempre la penna in mano; imperocchè indugiando lo scrivere, -le cose si dimenticano e invecchiano, e il fattore ne prende ardire -e licenza d’essere cattivo, vedendo il superiore negligente. Niuna -cosa tanto giova, niuna fa tanto buoni fattori, quanto la provvidenza -e sollecitudine del principale: stolto è veramente colui il quale -non saprà favellare de’ fatti suoi se non per bocca d’altri, e cieco -colui il quale non vedrà se non pegli occhi altrui... Le spese io le -considero necessarie o no. Chiamo volontarie quelle senza le quali -si può onestamente vivere, com’è avere bei libri, nobili corsieri, -argenterie, arazzi. Ora quel ch’è necessario, mi piace subito averlo -fatto, non fosse altro che per avermi scarico quel pensiere: epperò fo -le spese necessarie presto, e le volontarie con modo buono ed utile, -ch’è d’indugiare quando posso, per vedere se quella voglia cessasse -in quel mezzo, e non cessando, ho spazio di meglio pensare in che -modo spenda meno, e meglio mi soddisfaccia». E con che senno virile, -con che bontà senza sdulcinature, con che superiorità senz’arroganza -non tratta egli la donna! — Il marito e la moglie devono fare come -quelli che fanno la guardia sulle mura per la patria loro; se alcuno si -addormenta, colui non ha a male se il compagno lo desta. Così l’uomo -deve avere molto per bene se la donna, vedendo in lui mancamento, ne -lo avvisa. Quando io menai moglie, le dissi: _Donna mia, sopratutto -a me sarà a grado che tu faccia tre cose: la prima, che qui in questo -letto tu non desideri altr’uomo che me solo;_ ella arrossì ed abbassò -gli occhi: _la seconda, che abbi buona cura della famiglia, e la tenga -con onestà e pace; la terza, che provveda che le cose famigliari non si -trasferiscano male_. E fui avvertente nel persuaderla di mostrarsi ne’ -suoi portamenti onesta, nè d’altra qualità o colore che naturalmente -ella si fosse: _La onestà della madre, le dissi, sempre fa parte di -dote alle figliuole; piace una bella persona, ma un disonesto cenno -subito la rende vile e brutta. Donna mia, tu non hai da piacere se -non a me: pensa non poter piacermi volendomi ingannare, mostrandomiti -quella che tu non fossi_. Tutte le mogli sono a’ mariti obbedienti -quando eglino sanno essere mariti. A me non piacque mai sottomettermi -alla donna mia; nè mi sarebbe paruto potermi far da lei obbedire -avendole dimostrato d’esserle servo». - -V’era persone di buona casa che scriveano d’agricoltura come il -Vettori, o d’arti come il Neri, o del vivere civile come il Palmieri; e -chi sfogliasse i _Ricordi di cose famigliari, i Quaderni de’ conti_, i -_Prioristi_, come chiamavano una specie di mastro sul quale annotavano -i priori di quell’anno e insieme i principali accadimenti, stupirebbe -d’incontrare tanto estesa la maturità del buon senso e l’acume del -vedere. L’educazione pubblica era compita dalla domestica, poichè -il babbo o la nonna insegnavano al figliuolo a leggere, e il latino -allora necessario, e gli affari e la storia del paese; la servente vi -aggiungeva i racconti di fate e di ladri; tutto mescolato di proverbj, -non senza grossolanità e offese al costume. Faceasi musica a orecchia, -col flauto, il clarinetto, la mandòla accompagnando le canzoni per -istrada, o i rispetti e le ballate; spesso novellavasi, e si ridiceano -i proprj viaggi e quelli di Marco Polo. - -Fin gente digiuna di lettere poetava, e nella barberia di un tal -Burchiello in Calimala convenivano fior di cittadini a discorrere, -celiare, improvvisare: ed egli fra loro sempre in buon tempo e sulle -burle, facea versi, tutti riboboli popoleschi e idee or da trivio or da -bordello, ma che si rileggono per quella naturalezza, che tanto scarsa -incontrasi fra i nostri. Gli accoppieremo Dino di Tura, anch’egli poeta -alla carlona; e Antonio Pucci campanaro, contemporaneo del Sacchetti, -che nel _Centiloquio_ ridusse in terzine la storia del Villani, ogni -canto facendo di cento terzine, e acrostica la prima lettera di ciascun -canto. Alquanto più tardi il Lazzero barbiere, bel capo e bizzarro, -stendea componimenti di scelto e pulito parlare. - -E questo è particolare ai Toscani, che, mentre tutt’altrove non accade -quasi menzione se non della vita signorile, fra essi il notajo, il -mercante hanno storia in siffatti libri, a tacere anche qualche vita, -estesa per famigliare onoranza. Moltissime di quelle carte giacquero -dimentiche, molte furono edite, e ci porgono la più schietta dipintura -del vivere domestico d’allora. Ed erano talvolta opera di gente minuta, -che si gloriava del proprio mestiere, come altri farebbe del blasone. -Uno scrive: — Io ebbi un avolo, e fu maniscalco, e fu tenuto il sommo -della città sua; ebbe tre figliuoli. Cristofano appresso il padre tenne -il pregio della mascalcìa, e avanzollo; mio padre avanzò Cristofano -dell’arte in sua vita; onde, volendo il padre che appresso sè uno de’ -figliuoli rimanesse all’arte, convenne a me lasciare lo studio della -grammatica, come piacque a lui, e venire all’arte. Onde dinanzi a me -furono di mia gente sei l’un presso all’altro, ciascuno maniscalco; ed -io fui il settimo»[205]. - -Guido dell’Antella, cominciando dal 1298, scriveva i casalinghi -suoi ricordi, e come principiò a lavorare sotto negozianti, e per -essi stette in Provenza, in Francia, a Napoli, in Acri, poi divenne -loro socio, e tiene nota delle varie scritte relative a’ negozj e ai -possessi suoi, o a’ matrimonj. I figliuoli continuano quelle note: or -che si mena moglie con fiorini settecentotrenta d’oro, fra dote e doni; -or che si compra una casa per fiorini ducentodieci; or che si prende -una fante per fiorini sei l’anno, ovvero _una schiava_ per lire trenta; -or una balia per fiorini sedici d’oro che stia in casa; ovvero, se va -fuori, le si dà cinquanta soldi il mese, e per corredo una zana, un -mantellino con sedici bottoni a scodelline d’argento, un mantellino -cilestro, una cioppolina mischia, cinque pezze lane, cinque fascie, -quattordici pezze line, una coltricina, un guanciale con due foderuzze. -Se s’appigiona una bottega, s’aggiunge al fitto un’oca grassa per -l’ognissanti o per pasqua di Natale. Nei poderi si trova già introdotta -quella società fra padroni e contadini che dicesi mezzeria, e che -assicura al colono una protezione, e lo mette col padrone in comunanza -d’interessi, d’affetti, quasi di famiglia: il padrone, oltre dare il -fondo, si obbliga anticipare al villano il denaro per comprare buoi. - -Galgano Guidini a ventotto mesi restò privo del padre, il quale non -gli lasciò che debiti; ma sua madre per allevarlo non si rimaritò più. -Il nonno lo tolse in casa, e gl’insegnò a leggere e fin al Donato, -poi lo mandò imparar grammatica a Siena: egli ben presto potè mettersi -ripetitore, e infine passò notaro. Morto il nonno che aveva fatto un -poco d’usura, sua madre fece restituzione. Galgano andò in qualità -di notaro coi varj uffizj, e cominciò a guadagnare, far masserizia -e comprare. Introdotto presso la beata Caterina, s’infervorò di lei -e di Dio, sicchè voleva abbandonare il mondo, se sua madre non si -fosse adoperata per fargli invece menar moglie. A Caterina viva e -morta conservò sempre devozione, la richiedeva di consigli, tradusse -in latino le opere che ella scriveva in italiano, perchè «chi sa -grammatica o ha scienza, non legge tanto volentieri le cose che sono -per vulgare». Ebbe molti figli, e «al primo (dice) posi nome Francesco, -a riverenza di san Francesco mio devoto; e posimi in cuore che, a onore -di san Francesco, io il farei frate dell’Ordine suo. E così voglio che -sia». De’ figliuoli, i più dette a balia, alcuni la moglie _tenne a suo -petto_[206]. - -Di bizzarre avventure ci è narratore Bonaccorso Pitti, destro quanto -un cavaliere di ventura del secolo passato. Ito in Prussia il 1376 a -vendere zafferano, passò a Buda, ove s’infermò in un’osteria. Ed ecco -una brigata di beoni che straviziavano e ballonzavano in un salotto -vicino, ne odono il piagnucolìo, e lo tolgono dalla coltrice, e -l’obbligano a ballare con loro; di che egli suda in modo che guarisce. -Due giorni dopo giocando guadagna mille fiorini a un Fiorentino -direttore della regia zecca, e procacciatisi sei cavalli, quattro -servi, un paggetto, rivolgesi alla patria coll’avanzo di cento fiorini. -Ivi prende capriccio per madonna Gemma, che stava a porta Pinti, e -tanto fa che può entrarle in casa, e dirle l’amor suo; al che ella -risponde, — Or bene, va difilato a Roma». Credendo darle prova d’amore -coll’obbedienza, e’ va di fatto, traverso ai soldati papalini allora -in guerra con Firenze, e dopo un mese ritorna sperando guiderdone. Ma -la donna ridendo, — Non sai (gli dice) che a porta Pinti, quando vuolsi -mandare uno colla malora, gli diciamo, _Va difilato a Roma?_» - -Militò col re di Francia alle battaglie d’Ypres e di Mons: arricchitosi -in Inghilterra, riede a Parigi, e v’impiega diecimila fiorini in -lana; ne guadagna al giuoco cinquemila al conte di Savoja, che non -glieli pagò mai; e sposata una Albizzi nel 91, spedisce le sue lane -da Parigi in due bastimenti, un per Genova pagando il nove per cento -d’assicurazione, l’altro per Pisa pagandone il quattordici. Tornò a -Parigi come mastro delle stalle del duca d’Orléans, e seppe ripicchiare -le valenterie de’ baroni francesi. Fu de’ priori in Firenze nel 99, -quando vagavano le processioni de’ Flagellanti. L’anno seguente fu -spedito ambasciadore del Comune fiorentino all’imperatore Roberto, cui -mise in guardia contro Galeazzo Visconti, e contro i pugnali e veleni -che questo sapeva adoperare; di che Galeazzo gli volle tanto male, che -bandì una taglia sul capo di esso. Era de’ consoli sopra la fabbrica di -Santa Maria del Fiore, quando fu affidato a Brunelleschi il voltarne la -cupola. Nel 1422 fece pubblica perdonanza d’ogni ingiuria ai nemici, e -specialmente ai Ruscoli, promettendo essi e lor discendenti trattarsi -da amici. Nel 23, stando capitano a Castellaro in Romagna, scopre una -congiura, e fa decapitare sette complici. Così prosegue il racconto, -intarsiando i fatti pubblici co’ suoi personali, avvenimenti europei -coi computi mercantili. - -Girolamo da Empoli scriveva la vita di Giovanni suo zio, mercante -come lui e figlio di mercanti. A sette anni già leggeva il salterio, -a tredici sapeva il latino e un po’ di greco, e suo padre gli facea -ripetere le lezioni, e gli avea formato un libriccino dov’erano -ritratte molte cose della sacra scrittura, e «su quello lo faceva -studiare acciò ch’egli avesse notizia e che s’innamorasse delle cose di -Dio». Il dì delle feste andava sempre ad una delle compagnie devote che -aveva istituite frà Savonarola. Tirato al banco di suo padre, cambiò -monete, delle quali assai forestiere conobbe in occasione che mezzo -mondo andava al giubileo del 1500: uscì poi per mettersi ne’ negozj di -Fiorentini a Lione, a Bruges a Lisbona, e fu inviato da essi a Calicut -pel passaggio di mare frescamente scoperto. Quel viaggio ripetè egli -tre volte, e ne mandava ragguagli a suo padre; e quando rivedea la -patria, si divertiva con quei che sapevano di mappamondo ad indicarne i -luoghi, e applicare i nomi de’ paesi veduti. Più volte tornò a Malacca -e fin nella Cina, e morì a Canton il 1518. - -Sebbene finto per commedia, pure vedo il tipo dei massaj fiorentini -nel Nicomaco atteggiato nella _Clizia_ dal Machiavelli. — Soleva -essere un uomo grave, risoluto, rispettivo; dispensava il tempo suo -onorevolmente. E’ si levava la mattina di buon’ora, udiva la sua -messa, provvedeva al vitto del giorno. Dipoi, se egli aveva faccenda in -piazza, in mercato, a’ magistrati, e’ la faceva; quando che no, o e’ -si riduceva con qualche cittadino tra ragionamenti onorevoli, o e’ si -ritirava in casa nello scrittojo, dove egli ragguagliava sue scritture, -riordinava suoi conti. Dipoi piacevolmente colla sua brigata desinava, -e desinato, ragionava con il figliuolo, ammonivalo, davagli a conoscere -gli uomini, e con qualche esempio antico e moderno gl’insegnava a -vivere. Andava dipoi fuora, consumava tutto il giorno o in faccende -o in diporti gravi ed onesti. Venuta la sera, sempre l’avemaria lo -trovava in casa; stavasi un poco con esso noi al fuoco, s’egli era -d’inverno; di poi se n’entrava nello scrittojo a rivedere le faccende -sue: alle tre ore si cenava allegramente. Questo ordine della sua vita -era un esempio a tutti gli altri di casa, e ciascuno si vergognava non -lo imitare». - -Nella portata dei beni che presentava il 1378, messer Francesco -Rinuccini fa una lunghissima enumerazione di possessi e case: -inoltre doveva avere dal Comune fiorini d’oro quattordicimila -cinquecensettantaquattro, che sarebbero oggi più di trentottomila -scudi; da varj privati duemila cinquecento; e morendo egli testò per -cencinquantamila fiorini d’oro in contanti. Una famiglia così doviziosa -componeasi del padre, sei figli maschi, una femmina, tre nuore, quattro -figli de’ figli, quattro famigli, due fanti per conciare i cavalli, -due fantesche, una balia, una cameriera, un ortolano colla moglie e un -figliuolo, e otto cavalli. - -Nel 1460 Cino di Filippo Rinuccini sposava Ginevra d’Ugolino di Nicolò -Martelli, d’anni sedici, ricevendo in dote mille quattrocento fiorini -d’oro, mille dei quali stavano sul Monte delle fanciulle, con altri -ducento d’interesse, oltre le donora di fiorini ducento. Esso le regalò -un vezzo di centotto perle, sei nel pendente, un rubino in tavola, un -frenello di dugensessantuna perla, che si chiamava vespajo, da mettere -in capo, il tutto in un astuccio di cuojo di Fiandra. Un’altra volta -le portò venti perle da fare fruscoli per il capo, che eran once tre, -e costarono fiorini dieci l’oncia; e in più volte gliene portò altre -assai. Prese egli poi ad uso per sei mesi una collana d’oro con perle -e rubini, per cui diede sicurtà di fiorini duecento. Regalò pure alla -sposa un fermaglio da testa, un pajo di coltellini col manico d’argento -dorato e smaltato alla parigina, un dirizzatojo d’argento colla guaina -pur fornita d’argento. Al desinare di nozze furono trenta convitati, e -la sposa ebbe in dono otto anelli con gioje che in tutto poteano valere -cinquanta fiorini d’oro. Non manca neppur la nota delle donora recate -dalla Ginevra[207]. - -Con tali reggimenti, e col tenersi unite, le famiglie aumentavano di -ricchezze, e di queste faceano comodità alla patria, o fabbricavano -palazzi che poi divennero residenze di principi. Largheggiavasi -pure assai nelle beneficenze, e alla distribuzione d’una limosina -a Firenze nel 1330 si presentarono diciottomila mendichi «senza i -poveri vergognosi e quelli degli spedali e religiosi mendicanti, -che in disparte ebbero la loro parte di limosina, che furono più di -quattromila»[208]. Sarà incredibile tanta quantità a chi non rammenti -certe distribuzioni che oggi ancora si fanno tra noi per antico -istituto, dove non il pitocco soltanto si presenta, ma tutti. - -D’altra parte in Firenze stessa troviamo una gioventù scapestrata, -sciupona, disonesta, che logora la vita a bere e stripare, e mena a -burle e strapazzo chi più ama la quiete. Alcuni s’erano messi insieme -per molestare le persone tranquille; andarono da un medico fingendo -che Cosmo de’ Medici lo chiedesse, e come fu a un ponte, lo snudarono -e gli fecero sconcezze. A un prete collo stesso titolo fecero portare -il viatico, accompagnandolo colle torce, poi spentele, il lasciarono al -bujo. Il cavaliere del podestà fu preso da costoro, e tuffato in Arno, -e legato nudo a una colonna, ove la mattina fu trovato[209]. Chi troppe -più volesse sudicerie e frodi, non ha che a scorrere la seconda storia -di Giovan Cavalcanti, che prologa dall’inveire contro «la perversa -condizione, la insaziabile avarizia e la fastidiosa audacia de’ malvagi -cittadini». - -Vero è che ciò avveniva quando la repubblica soffogava sotto l’incubo -principesco; ma conviene conchiudere che in ogni tempo fu nugolo e -sereno. Nè sobrj e pudichi erano i costumi di altre repubbliche; e -Venezia, se non osiamo dire che fomentasse, tollerava la corruttela, -tanto appiccaticcia in paese di estesi traffici e di accorrenti -forestieri: per allettare questi si moltiplicavano le feste, e la -maschera porgeva incentivo agli intrighi. Gli storici di Genova -deplorano il lusso delle case, tutte a vasi d’argento e d’oro, e -delle suntuose villeggiature nelle valli di Polcévera e di Bisagno. Un -poeta astigiano, capitatovi verso il 1415, entrando di domenica rimase -stupito del pubblico passeggio, le persone di qualità gli somigliarono -tanti senatori romani in porpora, le donne tante Veneri col cinto -dei vezzi: si scandolezzò d’alcune zitelle che stavano galantemente -ai balconi delle case, motteggiando chi passava, presenti le madri. -D’inverno e di primavera balli continui, e sin le fornaje vi portavano -scarpe di seta guarnite a perle. L’estate uscivano tutti alla campagna, -non ritenuti nè da impieghi nè da negozj; ma al fresco orezzo, alla -serenità marina davansi all’ozio e alla gola. Anche i poveri volevano -scialare i dì festivi; accattavan dal rigattiere un abito vecchio di -seta, e per le colline dell’intorno sbevazzavano le limosine raccolte -e le mercedi[210]. Il Comune di Torino nel 1436 appigionava una casa -a un Ginevrino per tenervi postribolo, esente da alloggi e servizio -militare e dalla tassa pel vino che vendeva: le donne non uscissero -senza licenza di lui, e non fosse aperto che a sportello: esse doveano -portare per distintivo un’aguglietta sulla spalla sinistra, e tutti i -giorni andare a messa in San Dalmazzo[211]. - -Di rozzi sentimenti, vale a dire senza rispetto alla dignità dell’uomo, -ci sono prova i feroci supplizj, consueti siccome sa chi appena scorse -una storia o cronaca qualunque. Nei registri della Camera dei conti di -Torino è notato che Giovanni Gujoto falsomonetiere fu tenuto in cattura -per ventun giorno, poi bollito e morto: e pel nolo della caldaja, il -ferro posto attraverso di essa per legarlo, le corde, l’olio, la legna, -il carbone, gli si dà debito. Filippo di Vigneulles, che dimorò a -Napoli nel 1487, vi vide bruciare uno per delitto contro natura; mozzar -le mani a un altro che avea battuto un sergente; impiccato uno per -aver tagliato monete; tre impiccati e arsi per moneta falsa, i quali -sarebbero stati cotti nell’olio se non fossero intervenute preghiere -istantissime[212]. Se pigliamo una delle cronache più modernamente -pubblicate, quella del Graziani, in solo poche carte troviamo che -nel 1441 a Perugia ad un tal Luca per istromento falso venne ficcato -nella lingua un uncinetto di ferro, legato a uno spago in modo che -dovesse tenerla sporgente; e così sopra una carretta colla mitera in -capo fu condotto al luogo dell’esecuzione: la lingua che già gli si -era stracciata, ivi gli fu mozza, e così le mani, e i moncherini gli -vennero stretti fra due carrucole; una mano fu affissa sulla porta -del palazzo, l’altra e la lingua sotto una gran pietra del chiostro -di San Lorenzo. L’anno seguente, uno che aveva morto un suo compagno -con un’accetta, poi gettatolo nel Tevere con una pietra al collo, fu -menato al supplizio con al collo la pietra stessa; poi tre manigoldi -col cappuccio in capo, uno gli diè tre colpi in fronte coll’accetta, -l’altro gli segò le vene della gola, il terzo lo sparò e cavogli le -interiora; poi squartato fu sospeso in quattro luoghi. - -E poichè siamo con Perugia, aggiungeremo come il suo statuto del -1342 punisce il fatucchiere col fuoco, se non paga quattrocento -lire fra dieci giorni: di fatto nel 1445 una Santuccia, _indovina e -faturaja_, vi fu arsa, menandola al supplizio sopra un asino colla -faccia volta alla groppa, e con due demonj a lato che le tenevano una -mitera in capo[213]. A Firenze nel 1436 Angiola da Runci fu mandata -a morte perchè maliarda, con cappelli di morti in capo, e borsa e -moneta e molti brevi (CAMBI). Credevasi che gli eretici usassero arti -diaboliche: essi allevare e creare serpenti, essi eccitar procelle, -essi a cavalcione della scopa recarsi ai sabati, ove godeano banchetti -e abbracciamenti col diavolo chiamato Martino. Eugenio IV, in una -bolla data da Firenze il 10 aprile 1439 contro i padri del concilio di -Basilea, scagliasi pure contro i Valdesi e gli stregoni che infestavano -le provincie di Amedeo VIII di Savoja: e sappiamo che molti processi -furono seguiti da sanguinose condanne ne’ paesi montani, della Svizzera -principalmente, e in Francia. Avea dunque riacquistato fede, e non solo -vulgare, ma legale questa pagana follia del gettare incanti, la quale -giganteggiò poi miserabilmente nel secolo xvi. - -Gli alchimisti continuavano i loro sperimenti di tramutazione, e nel -1330 Pietro il Buono ferrarese compose a Pola la _Margarita pretiosa_, -combattendo l’alchimia non con fatti ma con argomentazioni, siccome -allora si usava. «Nessuna sostanza (dic’egli) può essere tramutata in -altra specie se non sia prima ridotta ne’ suoi elementi: ma l’alchimia -è scienza positiva. Berigardo da Pisa racconta che la tramutazione non -credeva possibile, fintantochè un valentuomo non gli diede un grosso -di polvere simile a quella del papavero selvatico, e dell’odore di -sal marino calcinato. «Comprai io stesso il crogiuolo, il carbone, -il mercurio in botteghe diverse, per impedire che in alcuno si fosse -messo dell’oro, come si pratica da’ ciarlatani. Sopra dieci grossi di -mercurio aggiunsi una presa di polvere; esposi tutto a fuoco assai -vivo; e in breve la massa si trovò convertita in quasi dieci grossi -d’oro, riconosciuto purissimo da diversi orefici. Se ciò non mi fosse -accaduto fuor della presenza di qualunque estrano, dubiterei di frode: -ma posso attestare con asseveranza che la cosa è così»[214]. - -Più estesa credenza otteneva l’astrologia, poichè la smania di -conoscere l’occulto è più vigorosa quanto è men suscettivo di -precisione l’oggetto cui si dirige, e il campo del meraviglioso è più -largo quanto più angusto quel della scienza. Troppi esempj ne vedemmo, -e da essa faceano dipendere i loro consigli Filippo Maria non meno -che la colta Firenze o la savia Venezia; le Università ne teneano -cattedre. Cecco Stabili d’Ascoli ancora giovane professò astrologia -in Bologna, e in un commento sopra la sfera di Giovanni di Sacrobosco -pose che nelle sfere superiori v’ha generazioni di spiriti maligni, -i quali per incantesimi si possono costringere a opere meravigliose: -queste ed altre follie lo fecero sospetto all’Inquisizione, che lo -mandò al rogo[215]. Il Petrarca recitava nel duomo di Milano l’orazione -inaugurale dei nipoti di Giovanni Visconti, quando l’astrologo gliela -interruppe, perchè avea scoperto essere quello il punto della più -benigna congiunzione dei pianeti. Per osservazione di astri fondaronsi -nel 1470 il castello di Pesaro, nel 92 i bastioni di Ferrara, nel 99 -la rôcca della Mirandola: nel 94 i Fiorentini conferirono il bastone -di capitano generale a Paolo Vitelli nell’ora designata propizia dalle -stelle. - -Giovan Villani, mercadante positivo e di buon senso, a cui il -maneggiare il braccio e le bilance non toglieva d’adoprarsi ne’ primarj -uffizj della patria, vedendo la grandezza di Castruccio signor di Lucca -minacciare di servitù l’intera Toscana, ne scrisse a frà Dionisio da -San Sepolcro, maestro a Parigi _in divinitade e filosofia_, per sapere -cosa gliene preconizzassero gli astri. E quello gli rispose: — Io vedo -Castruccio morto». Arrivò la risposta quando Castruccio era nel più -vivo della vittoria, onde il Villani la tenne celata, e ne rescrisse al -frate; il quale rispose: — Io raffermerò ciò che io scrissi per l’altra -lettera. Se Dio non ha mutato il suo giudizio e il corso del cielo, -io veggo Castruccio morto e sotterrato». E quando la seconda lettera -capitò a Firenze, Castruccio appunto era cadavere; e il Villani la -mostrò a’ priori suoi compagni, i quali «convennero che di tutte le sue -parti il giudicio di maestro Dionisio fu profezia». Questo frate fu in -molta grazia a Roberto re di Napoli, che lo pose vescovo di Monopoli; -e in molta stima al Petrarca, che morto lo pianse in versi, lodandogli -sovratutto la sapienza del leggere negli astri[216]: il Petrarca, che -pur berteggiava i medici e la medecina. - -Del suo tempo, un incessante piovale ingrossò le acque dell’Arno per -modo, che coprì tutto il Casentino, il pian d’Arezzo, il Valdarno -superiore e le campagne attorno a Firenze, e la città stessa credette -arrivato l’ultimo suo giorno. Cessato il flagello, i savj posero in -disputa se fosse venuto per giudizio di Dio o colpa degli uomini; e il -Villani prendendo l’opinione media, che è sempre la più cauta e non -di rado la vera, crede «che il corso del sole s’accordasse in ciò a -punire i peccati dei Fiorentini». E soggiunge: — La notte che cominciò -il detto diluvio, uno santo romito nel suo solitario romitorio di sopra -alla badia di Vallombrosa istando in orazione, sentì e visibilmente -udì uno fracasso di demonj e di sembianza di schiere di cavalieri -armati, che cavalcassero a furore. E ciò sentendo il detto romito, si -fece il segno della santa croce, e fecesi al suo sportello, e vide la -moltitudine de’ detti cavalieri terribili e neri; e scongiurando alcuno -dalla parte di Dio che gli dicesse che ciò significava, e’ gli disse: -_Noi andiamo a sommergere la città di Firenze per li loro peccati, se -Iddio il concederà_. E questo io autore ebbi dall’abate di Vallombrosa, -uomo religioso e degno di fede, che disaminando l’ebbe dal detto -romito»[217]. I Fiorentini riconoscendo il giudizio di Dio, pensarono -a migliorarsi, lasciando i mali guadagni, l’avarizia, la vanità, i -soprusi fatti ai vicini: e conseguenza buona veniva da una cattiva -premessa. - -Forse per ciò gli ecclesiastici parvero talora consentire a simili -ubbìe, ma le più volte li troviamo rappresentare il buon senso; e il -famoso frà Giovanni da Schio disapprovava gli strologamenti, e frà -Giordano da Rivalta sulla piazza di Santa Maria Novella a Firenze -predicò contro chi prestava fede agli influssi delle stelle[218]. -Famoso in questi errori fu Pietro d’Abano, il quale dalla congiunzione -de’ pianeti deduceva il cambiar di regni, di leggi, di religioni, -e le venute di Nabucco, Mosè, Alessandro Magno, del Nazareno, di -Maometto[219]. Il Landino commentando Dante scriveva: — È certo che -nel 1483 a’ 25 novembre avrà luogo la congiunzione di saturno con -giove in scorpione, lo che annunzia cambiamento di religione; e poichè -giove prevale a saturno, il cambiamento sarà in meglio». Per istrana -coincidenza, Lutero nacque il 22 di quel novembre. Quando Pico della -Mirandola combattè l’astrologia, ne venne scandalo, e Luca Bellanti -famoso astronomo tolse a confutarlo, deplorando che un nome sì illustre -fosse deturpato col pubblicare quell’opera; e allorchè questi morì -giovane come gli aveano predetto, si volle vedervi un castigo alla sua -incredulità. - -Nuovo malanno fu nel 1322 l’arrivo degli Zingari, gente indiana, -che diceva provenir dall’Egitto, e sotto un duca passava di terra in -terra mendicando, rubando, dicendo la ventura, e professando volersi -recare ai piedi del papa, al quale del resto non credeva meglio che -a chicchessia altro, intendendo solo a guadagni, comunque turpi ne -fossero i modi. «A dì 18 di luglio venne in Bologna un duca d’Egitto, -il quale avea nome il duca Andrea; e venne con donne e putti e uomini -del suo paese; e poteano essere ben cento persone... Aveano un decreto -del re d’Ungheria ch’era imperadore, per vigor di cui essi poteano -rubare per tutti quei sette anni per tutto dove andassero, e che non -potesse esser fatta loro giustizia. Sicchè quando arrivarono a Bologna, -alloggiarono alla porta di Galliera dentro e di fuori; e dormivano -sotto i portici, salvo che il duca alloggiava nell’albergo del re. -Stettero in Bologna quindici giorni. In quel tempo molta gente andava -a vederli per rispetto della moglie del duca, che sapeva indovinare -e dir quello che una persona dovea avere in sua vita, ed anche quello -che avea al presente, e quanti figliuoli, e se una femina era cattiva o -buona, o altre cose. Di cose assai diceva il vero... Pochi vi andavano -che loro non rubassero la borsa, o non tagliassero il tessuto alle -femine. Anche andavano le femine loro per la città a sei e a otto -insieme; entravano nelle case de’ cittadini, e davano loro ciancie; -alcune di quelle si ficcava sotto quello che poteva avere. Anche -andavano nelle botteghe, mostrando di voler comperare alcuna cosa, e -una di loro rubava...»[220]. - -Più si ampliavano i principati e più il lusso; e la calata di Federico -III, non accompagnato da armi, diede occasione a grandiose feste, -volendo i signorotti far dimenticare le recenti usurpazioni collo -sfoggiare suntuosità e regali. Re Alfonso di Sicilia spese in onorarlo -cencinquantamila fiorini, diede una caccia numerosissima, un desinare -che mai il simile, dove vivande più costose che delicate mangiavansi -in piatti d’argento, confetti d’ogni specie si gettavano, le fontane -zampillavano di greco e moscatello, e ognuno potea berne in tazze -d’argento[221]. Federico ricambiava col profondere titoli, de’ quali -d’allora in poi si fece bottega; e più dacchè egli concesse ad altri il -diritto di conferirne. Altrettanto fece Renato a Napoli; e questi nuovi -titolati amarono lo sfarzo, e credettero dignità il sottrarsi agli -uffizj, vivere nell’ozio decorato, far frasche, e stare sul punto del -convenevole. - -Galeazzo Maria Sforza, appena succeduto duca, di sue ricchezze -volle dare spettacolo recandosi a Firenze con Bona di Savoja sua -moglie. «Seco avea i principali suoi feudatarj e consiglieri, tutti -dal liberalissimo duca presentati di panno d’oro e d’argento; i -famigli loro oltramodo a nuove foggie erano in ordine. I cortigiani, -provvigionati dal principe, erano vestiti di velluto ed altri finissimi -drappi di seta, e similmente i suoi camerieri con risplendenti -ricami; e tra questi glie n’era quaranta, ai quali avea donato una -collana d’oro, e quella di manco prezzo era di valore di cento ducati. -Cinquanta staffieri avea, tutti vestiti con due foggie, l’una di panno -d’argento, e l’altra di seta; e infino ai servitori di cucina erano -vestiti a diversi velluti e rasi. Cinquanta corsieri faceva condurre -seco con le selle di panno d’oro, staffili tessuti di seta e le staffe -dorate; e sopra i possenti cavalli erano puliti ragazzi; tutti vestiti -con giuppon di panno d’argento, ed una giornea di seta alla sforzesca. -Per la guardia di sua eccellenza avea cento uomini d’arme scelti, tutti -a modo di capitani in ordine, e cinquecento fanti eletti; ed ognuno dal -principe era stato presentato. Per la duchessa avea deputato cinquanta -chinee, e tutte con le sue selle e fornimenti d’oro e d’argento, sopra -i suoi paggi riccamente vestiti; dodici carrette avea, e tutte con -le coperte di panno d’oro e d’argento recamate alle ducali insegne. I -materassi dentro e piumacci erano di panno d’oro liccio sopra liccio, -alcuni d’argento, ed altri di raso cremisino, e fino a’ fornimenti di -cavalli erano coperti di seta. Fu questa comitiva di duemila cavalli e -ducento muli da carriaggio, tutti ad una foggia, di coperta ch’era di -damasco bianco e morello, ed il ducale in mezzo recamato di fino oro -ed argento, ed i mulattieri vestiti di nuovo alla sforzesca. Dietro -ancora si faceva condurre il duca cinquecento coppie di cani di diverse -maniere, e grandissimo numero di falconi e sparvieri. I trombetti e -i pifferi furono quaranta, molti buffoni avea, ed altri con diversi -strumenti a sonare. Si trova questo apparato solo essere costato -ducentomila ducati» (Corio). - -Giunti a Pontremoli, presero alloggio nella fortezza per onorare -l’immagine di Maria Annunziata, che poco avanti era stata posta in -venerazione[222]. A Firenze i Medici non vollero restare di sotto, -e poterono aggiungervi finezza di belle arti; la città mantenne -del pubblico quel corteggio, e offrì tre rappresentazioni sacre, -l’Annunziazione in San Felice, l’Ascensione ne’ Carmelitani, la discesa -del Paracleto in Santo Spirito, che infelicemente prese fuoco. Ai buoni -dolse che quella comparsa introducesse un lusso fra loro inusato; e -certo la splendidezza dovette trascendere ogni misura quando vi mettean -gara lo Sforza, il magnifico Lorenzo, Sisto IV e i suoi nipoti Pietro -e Gerolamo Riario. Borso d’Este pregiavasi di possedere i migliori -falconi, i più bravi cani, i più pregiati destrieri; da settecento -cavalli avea nelle scuderie, da cento falconieri; e andando a caccia, -tutta la presa lasciava a chi l’accompagnasse. Tenea molti buffoni, -tra cui uno Scopola ebreo ricreduto, e fors’anche il Gonnella glorioso -matto, rimasto in popolare nominanza come il Meliolo, e più tardi frà -Mariano e frà Serafino alla corte d’Urbino. - -Gran lusso sfoggiavasi pure nelle ambascerie; e quando Luigi XI -succedette re di Francia, e tutta Italia mandò a congratularlo, per -Firenze v’andò Pietro dei Pazzi, con una suntuosità che mai la maggiore -di vesti, gioje, famigli, ragazzi, cavalli, tanto che si volle girasse -per la città affinchè il popolo godesse di quella pompa senza eguale. -Alla corte «mutava ogni dì una vesta o due, e tutte ricchissime, e -il simile la famiglia sua ed i giovani ch’eran con lui... Donò sì -per la comunità, come di sua proprietà, a tutti quelli della corte -del re in modo, che non vi fu niuno ambasciadore che facesse quello -che fece Piero». Nel ritorno «gli vennero incontro tutti gli uomini -di condizione; tutte le strade e finestre erano piene. Entrò colla -famiglia sua, tutta vestita di nuovo ornatissimamente, in cioppe -di seta, e con perle alle maniche ed al cappello di grandissima -valuta»[223]. Costui andava da Firenze alla sua villa a piedi, tra via -mettendosi a mente la Eneide, i Trionfi del Petrarca, e molte orazioni -di Livio. - -Allorchè Gian Galeazzo menò moglie Isabella d’Aragona, un Bergonzo -Botta ricevette gli sposi a Tortona in magnifici appartamenti, e li -servì d’un pasto in luogo ameno, fra dolce armonia, durante il quale -comparvero atteggiando e figurando Giasone col vello d’oro, Apollo -pastore, Diana cacciatrice, Orfeo cantante, Atalanta col cinghiale -caledonio, Iride, Teseo, Vertunno, quante ha insomma divinità la -mitologia, ognuno offrendo doni da par suo. Ebe versava nettare e -ambrosia; Apicio distribuiva salse sulle vivande; il Po, l’Adda, il -Ticino acque mellificate; il Verbano e il Lario abbondanza di cibi. -Levate poi le tavole, rappresentossi uno spettacolo di personaggi -storici ed allegorici: Semiramide, Elena, Medea, Cleopatra cantavano -i loro vanti vergognosi; ed erano messe in isbaratto dalla Fede -conjugale, che introduceva Lucrezia, Penelope, Giuditta, Porzia, -Sulpicia a celebrare la modestia e il pudore. Infine Sileno ubriaco -divertì col suo barcollare e cogli stramazzi[224]. In Milano poi -Leonardo da Vinci diresse le feste e formò una macchina figurante -il cielo con tutti i pianeti, rappresentati da numi che aggiravansi -secondo le leggi loro; e in ciascuno risedeva un musico, il quale -cantava le lodi degli sposi. - -Nel 1473, passando Eleonora d’Aragona per Roma col concorso di più di -quarantamila cavalli, il cardinale Riario diede feste solennissime, -coperta d’arazzi la piazza de’ Santi Apostoli, con tre sale -d’indicibile splendidezza, e quattordici camere tappezzate una più -riccamente dell’altra, con letti di raso, di damasco, di panno d’oro, e -lenzuoli di tela rensa d’un solo pezzo, e pelliccie. «A volere scrivere -della magnificenza di questo inclito monsignor San Sisto (esclama il -Corio) troppo sarebbe lungo, e non frate, ma parea figliuolo di Cesare -primo imperatore: qui tutto mi perdo, nè sapria, non che dire, ma, -pur anche memorare una minima parte». Le tavole erano servite tutte in -argento, nè verun piatto mai si portò via dalla credenza; le vivande -figuravano bestie e storie. Vi fece da’ Fiorentini rappresentare la -Susanna «coi più veri atti e più attentamente che si potesse stimare»; -poi ne’ giorni seguenti san Giovanbattista, san Giacomo, Cristo che -vuota il limbo; e più spettacoloso il tributo che tutto il mondo -portava a Roma, ove difilaronsi settanta muli carichi, copertati di -panno con l’arma[225]. - -Di molti di siffatti spettacoli (Cap. XCVIII) abbiamo lo scritto, o -vogliam dire una tessera, come quella a un bel circa che si costumava -testè nelle commedie a soggetto. Nell’adorazione de’ Magi avevano -personaggio il bambino Gesù, un angelo, i tre re, Erode, suo figlio, -uno scudiere, un coro d’angeli, e pastori, oratori o interpreti, -scribi, donne, levatrici, popolo e un cantore col suo coro. Nel -mistero della Risurrezione figuravano Cristo, or sotto apparenza di -giardiniere, or nella sua propria, due angeli, tre Marie, Pietro, -Giovanni, apostoli e popoli: e prima atteggiavano tre monache vestite -da Marie, dicendo piano e mestamente certe strofe alternative, che -sono imprecazioni contro gli Ebrei[226]; entrate nel coro, dirigevansi -alla tomba; un angelo sustante innanzi al sepolcro, in veste dorata, -con mitra in capo, nella mano sinistra una palma, nella destra un -candeliere col clero, dicea versi rimati. - -Facilmente riconoscete in ciò le origini del teatro. Benchè questo -fosse ito a fondo colla coltura romana, pure non si cessò affatto di -scrivere a modo di rappresentazioni; e l’erudita pazienza trasse fuori -alcune composizioni di forma e talora anche di soggetto antico[227], -e massime dialoghi a modo delle Bucoliche di Virgilio, da leggersi -e forse atteggiarsi alle mense singolarmente de’ vescovi, e drammi -per eccitare la devozione o alleviare la noja de’ chiostri. Ma se la -musa tragica latina ne’ suoi splendidi giorni nulla avea prodotto -di duraturo, poteva sperarsene allora? In effetto sono rozze vesti -all’antica, raffazzonate a concetti nuovi, e che basta l’avere -accennato. Comparvero poi i trovadori, che nelle sale dei grandi -rappresentavano anche commediole. Gli statuti di Bologna vietano ai -cantatori francesi di trattenersi su per le piazze a recitare. Una -cronaca milanese rammenta il teatro, ove «gli istrioni cantavano, come -or si canta di Rolando e Oliviero, e finito il canto, buffoni e mimi -toccavano la ghitarra, e con decente moto del corpo aggiravansi»[228]; -ed Albertino Mussato cita come vetusto costume di cantare in palco e -in teatro imprese di re e di capitani. Anselmo de Faydit provenzale -vendeva commedie e tragedie, e per Bonifazio marchese di Monferrato -scrisse l’_Heresia dels Preyres_, che fu rappresentata[229]. Spesso -i concilj ne mandarono divieti, come incentivo di profanità; Tommaso -d’Aquino disputava se uno, privo d’altro mezzo, potesse esercitare -l’istrionato: tant’era lungi che quest’arte fosse perita. - -Se rozzi esser dovessero di forme quei teatri e nulla l’arte dello -sceneggiare, non domandate; strani anacronismi vi si mescolavano a -sconvenienze, ma ogni cosa era sostenuta da un apparato di macchine -e di spettacolo che lusingava il vulgo. Scelto un fatto, metteasi -in azione un accidente dopo l’altro, senza darsi briga di unità o -d’interesse: non bastava un giorno? seguitavasi per due o più. Non -erano dunque tragedie o commedie, drammi o farse o di qualsiasi altra -classificazione da precettore, ma spettacoli, ed ogni cosa vi serviva, -la natura e l’arte, la musica e la pittura, il cantastorie e il -banderajo. - -Drizzatisi gl’ingegni allo studio degli antichi, si tentò calzare -il socco e il coturno di essi. Il monumento più antico che resti in -Italia è l’_Eccerinis_ di Albertino Mussato, sul gusto di Seneca, ma -misto di racconto e dialogo. Nel primo atto, la madre narra ad Ezelino -ed Alberico da Romano averli essa concepiti dal demonio: nel secondo, -un messaggere espone i mali della patria e le fortune del tiranno: -nel terzo, Ezelino in Verona divisa col fratello altre malvagità da -aggiungere alle antiche, poi udita la presa di Padova, accorrono alla -riscossa, e il coro espone la spedizione e la vittoria d’Ezelino, -il suo ritorno a Verona e il macello de’ prigionieri: nel quarto, un -messaggero riferisce la guerra di Lombardia, la crociata e la morte del -tiranno: il quinto presenta la morte d’Alberico. Le passioni vi sono -espresse non senza forza, ben divisate la storia e il costume, continua -l’ispirazione nazionale, e non infelice la latinità. La prevalenza del -racconto sopra il dialogo eragli comune colle altre rappresentazioni -d’allora, e ci ajuta a comprendere il titolo di commedia applicato -da Dante al suo poema: lo scegliere poi argomenti contemporanei e -trattarli senza catene d’unità drammatiche, era un altro passo degli -originali cominciamenti della nostra letteratura. - -Esso Mussato dettò sei altri drammi; di cui ci resta la _Morte -d’Achille_. Citansi di quel torno una commedia sull’espugnazione -di Cesena ed una sopra Medea, che a torto vollero attribuirsi al -Petrarca. Pier Paolo Vergerio ancora giovane scrisse una commedia _ad -juvenum mores corrigendos_; Leon Battista Alberti la _Philodoxeos_, la -_Philogenia_; Ugolino Pisani da Parma; e Gregorio Cornaro veneto una -tragedia, la _Progne_. - -Sempre più gl’istinti della letteratura del medioevo soccombeano -all’arte erudita; e col solito vezzo di credere barbarie qualunque -passo arrischiato fuori del sentiero classico, si volle dire che -Pomponio Leto fosse il primo a instaurare il teatro, perchè ne’ -cortili dei prelati facea rappresentare commedie di Terenzio e di -Plauto. Altre Corti vollero quel lusso, massime i principi di Ferrara, -il cui teatro vinse gli altri in magnificenza, e primamente vi si -rappresentarono commedie in rima. A Mantova si vide poi una produzione -che tolse il grido a tutte le precedenti, l’_Orfeo_ del Poliziano, -azione regolare e poesia elettissima, che conserva ancora tutta la -ricchezza de’ primitivi componimenti scenici, complesso delle arti -tutte. Dopo il prologo, nel quale è esposto il soggetto in ottave, -viene un atto pastorale, tutto idillio; ne segue uno ninfale, ove le -Driadi lamentano la morte d’Euridice; poi un eroico coi pianti d’Orfeo, -e sempre varietà di metri, e fin versi latini, acciocchè niun lacchezzo -mancasse allo spirito: il quarto atto necromantico presenta la calata -d’Orfeo all’inferno, ove da Plutone e Proserpina ottiene di ricondurre -Euridice, ma poi la riperde per aver violato la legge dell’abisso: -si chiude con un atto baccanale, pieno dell’esultanza brindante delle -Menadi ucciditrici d’Orfeo. - -Pure le rappresentazioni teatrali s’atteneano di preferenza ai soggetti -sacri, chiamale storie, esempj, spettacoli, misteri, vita, martirio, -secondo il contenuto. Le più stendeansi in ottave, non divise in atti -e scene ma in giornate, e si recitavano con una specie di cantilena, -oltre gl’intermezzi propriamente in canto, e con ricchissimo corredo di -macchine, prospettive, comparse, balli, giostre, a studio de’ migliori -artisti. Atteggiavano giovinetti ascritti alle confraternite, nelle -quali s’affratellavano i gran signori coi più poveri. A Roma si diede -la _Passione di Cristo_, opera di Giuliano Dati, Bernardo di mastro -Antonio Romano, e Mariano Particappa; a Firenze la _Rappresentazione -e festa d’Abramo e Isacco suo figliuolo,_ di Feo Belcari; a Modena -i _Miracoli di san Geminiano_; Bernardo Pulci fece _Barlaam e -Giosafat_, Antonio Alamanni la _Conversione della Maddalena_, Roselli -il _Sansone_, Lorenzo Medici la _Rappresentazione di San Giovanni -e Paolo_, dove sono ritratte le lotte del cristianesimo contro -l’ipocrisia di Giuliano. Ben sessantasette di siffatti drammi a stampa -enumera il Cionelli nelle note alle poesie di esso Lorenzo, e la -collezione più copiosa sta nella libreria palatina di Firenze. - -Il popolo andava matto di burlette e scede, e man mano che svolgevansi -i dialetti nuovi, s’introduceva una caricatura che parlasse in quelli, -e personificasse il carattere delle varie genti italiche. Bologna la -dotta contribuiva il suo Dottor Ballanzoni, Venezia il Pantalone Onesto -negoziante, Bergamo il lepido Arlecchino, Napoli l’arguto Pulcinella -e il Coviello e il Pulcariello ed altri[230], che tinta la faccia -di fuligine e villescamente calzati, davano sollazzo al popolo, e -faceano ridere le une città a spalle delle altre nemiche o rivali. E -le maschere piacquero a lungo perchè usavano il parlare spigliato e -spontaneo de’ vulgari, anzichè l’artifiziato de’ letterati, al primo -de’ quali sono affisse cento care memorie, nessuna all’altro. - -Nè ai nostri avi erano insoliti i giuochi di sorte, passione violenta -de’ Germani fin prima che uscissero dalle selve natìe. Indarno la -Chiesa vi pose argine, indarno le repubbliche; ma alcune di queste -vollero specularvi sopra, dando in appalto il diritto di tener case -di giuoco o biscazze; e Venezia ne concedette il privilegio a quel -Barattiere che si dice alzasse le colonne sulla Piazzetta. - -Del lotto è menzione in un editto del 9 gennajo 1448, quando -(invenzione di Cristoforo Taverna banchiere di Milano) si proposero -alla fortuna sette borse, la prima con cento ducati, con settantacinque -la seconda, e via digradando. Ogni posta costava un ducato; e -nell’invito si moveva calda esortazione a profittare di quell’insigne -benefizio di Dio, nè lasciarsi scappare il destro d’arricchire con sì -poco; — tant’è vecchia l’arte di ciurmare il povero popolo. Siffatta -maniera corse per Italia col nome di borse della ventura: poi al -1550 si stabilì regolarmente in Genova, con tanto profitto agli -imprenditori, che la repubblica ne volle una tassa di sessantamila lire -delle sue, cresciuta poi passo passo, tanto che nel 1730 ne traeva -trecensessantamila. Gli altri governi affrettaronsi ad imitarla, -acciocchè il denaro non uscisse di paese[231]. Clemente XI escluse -con bolla severissima il lotto da’ suoi Stati, dannando alle galere i -contravventori, e dicendo voler liberare i popoli da quella maligna -sanguisuga; ma sotto Innocenzo XIII s’aggiunse nel lotto di Roma -l’aumento del venti per cento sugli ambi, e dell’ottanta per cento sui -terni. E l’immorale gabella si propagò, senza che si pensi abolirla, ad -un sordido lucro posponendo la depravazione popolana. - -Gli scacchi, invenzione orientale, sono spesso mentovati, e forse ce ne -fu portato l’uso dalle crociate[232]. Delle carte, non mai mentovate -dall’antichità classica, l’uso e le sottilissime combinazioni, che -faceano dire a Leibniz in nulla aver gli uomini adoprato tanto ingegno -quanto ne’ giuochi, ci arrivarono dall’Oriente per la Spagna. Di -buon’ora entrò il lusso in quella vanità, sicchè Filippo Maria Visconti -nel 1430 pagava millecinquecento monete d’oro un mazzo di carte dipinto -da Marziano da Tortona. Per combinare poi la crescente richiesta col -tenue prezzo, si inventò di stamparle con tavolette, le quali furono -avviamento alla più importante delle scoperte moderne, la stampa. - -Questo nome ci fa dire d’un nuovo genere di occupazioni o passatempi, -a cui si volsero gl’Italiani d’allora. Il leggere avea potuto esser -diletto di ben pochi, in quella grande scarsità di libri; pure molto -desiderati erano i romanzi, i più de’ quali venivano di Francia, -e talvolta erano tradotti in nostro vulgare, più spesso imitati. -Le persone oneste rifuggivano da quella lettura; Guglielmo Venturi -d’Asti in testamento raccomandava a’ suoi figli d’odiarli, come sempre -avea fatto lui[233]; Boccaccio appone ad ipocrisia della vedova del -Corbaccio l’astenersi da tali racconti; dei quali Dante accennava i -pericoli in Francesca e Paolo, tratti a peccare dal leggere per diletto -gli amori di Isotta e Lancilotto. Al contrario, se ne dilettava il bel -mondo; e Michelangelo Trombetti, in un poema sulle gesta di Ugo conte -d’Alvernia nel 1488, manoscritto nella Laurenziana, annovera i romanzi -di cavalleria, cui consiglia a leggere, perchè _chi non se ne diletta, -è uomo senza ragione e bestiale_. Crebbe la lettura colla stampa, la -quale non si occupò soltanto di libri sacri e di classici: nè è inutile -sapere che dal 1473 al 98 uscirono dieci edizioni del Guerin Meschino; -e il _Milione_ di Marco Polo si stampò nel 1496, e già prima e più in -appresso corsero racconti di viaggi. - -Come la letteratura, invaghita de’ capolavori antichi che si trovavano, -o dalla maggior facilità di possederli, si era gettata interamente -sull’imitare, tanto che ogni originalità minacciava scomparire fra -gli addobbi del convenzionale classicismo; così non sapevasi ammirare -che la società anteriore al cristianesimo, rilassavansi i costumi per -imitazione classica, e Gianantonio Campano vescovo di Téramo empie -le sue poesie di Silvie e Diane e Suriane, di cui spesso si lagna, -talvolta si loda; Ambrogio degli Angeli Traversari, generale dei -Camaldolesi, amico di Eugenio IV e suo legato a Basilea, in fama di -grand’erudizione non meno che d’onestissimi costumi, non iscrive mai a -Nicolò Niccoli senza salutare la sua Benvenuta, _donna fedelissima_, -eppur era una mantenuta, di avventure chiassose[234]; Cosmo de’ -Medici accettò la dedica dell’_Hermaphroditus_ del Panormita, che -parea soverchiamente cinico persino al Poggio, sguajato narratore -egli stesso, benchè segretario apostolico; Enea Silvio Piccolomini, -gravissimo uomo e futuro papa, emulava in una novella la licenza del -Boccaccio. - -Il senso morale veniva perturbato dal cominciare a vilipendere il -passato innanzi d’essersi premuniti per l’avvenire; laonde le coscienze -più elevate tentennavano e variavano, l’orgoglio insorgeva contro Dio, -la voluttà contro il dovere. Il sentimento religioso permaneva nelle -moltitudini, sebbene divenisse meno chiesastico; e istillato col latte, -potea sugli animi anche fra le passioni: ma i letterati lo vilipendeano -e conturbavano, non già per liberi ragionamenti, ma per l’autorità -di altri testi, fossero gli antichi classici od i loro commentatori, -nel cui nome mettevano bocca perfino nel dogma, professando di farlo -per esercizio di logica o d’erudizione. Ser Cambi al 1453 scrive che -il medico Giovanni Decani, il quale non credeva la resurrezione de’ -morti, fu condannato alla forca a Firenze; e in quell’anno morì Carlo -d’Arezzo cancelliere della Signoria, ed ebbe grandissimi doni: «Dio -l’abbia onorato in cielo, se l’ha meritato, il che non si stima, -perchè morì senza confessione e comunione, e non come cristiano». -Dove ci risovviene di Lodovico Cortusio giureconsulto, che a Padova -morendo il 17 luglio 1418, lasciò per testamento che amici nè parenti -nol piangessero, se no rimanessero diseredati, mentre suo legatario -universale sarebbe quel che ridesse di miglior cuore: non si parino -a bruno la casa e la chiesa, ma fiori e fronde; musica invece delle -campane funebri; e cinquanta sonatori e cantanti procedano insieme -col clero, cantando _alleluja_ fra viole, trombe, liuti, tamburi, -ricevendo ciascuno un mezzo scudo. Il suo cadavere, entro una bara a -panni di varj colori gai e sfoggiati, sia portato da dodici donzelle -vestite di verde, che cantino arie allegre, e ricevano una dote. Non -rechino candele, ma ulivi e palme, e ghirlande di fiori; non lo seguano -monaci che han la tonaca nera. Così piuttosto in guisa di nozze che di -funerale fu sepolto in Santa Sofia. - -Questo parlare di libri e letterati è già uno stacco dalle precorse -età; e l’amor della dottrina crebbe fin a passione. Ne vantaggiavano -il ben pensare e il retto operare? dubitiamo. Quei dotti (troppo il -notammo) non erano nulla meno che tipo di civili costumi: nelle loro -lettere o si abjettiscono per domandare, o strisciano ringraziamenti -per avere avuto, talora con una sguajata insistenza, quale vediam -nel Filelfo, una delle più famose penne; e piuttosto bravazzoni che -franchi, aggiogati all’autorità de’ loro classici, eppure intolleranti -d’ogni dissenso, anfanavano in tresche, volevansi alle mani un -coll’altro, e in sozze baruffe, non ultimo divertimento di quel secolo, -s’intaccavano non solo sulla dottrina, ma rinfacciandosi ogni mal -mendo[235]. - -Noi siamo a gran pezza da coloro che ammirano quello stuolo chiassoso -e intrigante di pedanti, quasi fossero stati i restauratori del buon -gusto in Italia. Già ne’ secoli precedenti i nostri ci si mostrarono -insigni in que’ punti ove l’intelligenza loro naturale non era -subordinata agli eventi o a tirannie, cioè nelle arti della parola -e del disegno. Anzi queste non erano soltanto un ornamento, ma fuse -nella vita, e non concepivasi il governo senza eloquenza, non le -solennità senza canti, non la religione senza immagini e tempj. Chè -a far prosperare le arti non basta nascano genj capaci di creare, ma -vuolsi tutto un popolo capace di gustarle; l’artista ha bisogno di -chi lo comprenda, delle simpatie del popolo; e il popolo fra noi vi -era portato dai meno urgenti bisogni, dall’attitudine al godere, dalla -naturale inclinazione al bello. O Firenze, non i Medici ti han fatta -così vaga, ma la repubblica; e la libertà dell’arte è anch’essa libertà -del pensiero. - - - - -CAPITOLO CXXIV. - -Industria e commercio. - - -Tante ricchezze, quella coltura borghese, l’ampliamento della nazionale -civiltà, il lettore dovette accorgersi come fossero in gran parte -dovute al commercio, del quale è tempo che raccogliamo e svolgiamo -ciò che sparsamente abbiamo indicato; poichè, dopo la religione, nulla -accresce e diffonde la civiltà più che il commercio. - -Che esso non fosse perito tampoco nel peggior fondo della barbarie, -ce ne caddero prove qua e là: migliorò poi coll’agricoltura, giacchè -questa e l’industria vanno di pari passo dovunque sono possibili; tutto -ciò che promove e deprime le arti e le fatiche d’una classe, opera -sull’altra; e i terreni inselvatichiscono ove langue il commercio, -come questo risente dell’abbandono di quelli. Noi indicammo come -l’agricoltura rinascesse, lenta sì ma ognor progressiva, col piantarsi -di nuova gente sopra gl’immensurabili latifondi degli antichi Romani, -suddivisi allora, e dal dominio del fisco tornati all’industria -particolare. Questa gente erano i Barbari da un lato, dall’altro i -monaci, che mescolandosi fra un popolo di servi e di coloni, resero -l’onore a quella prima fonte delle ricchezze. Ben presto le crociate -equivalsero a quel che oggi le grandi esposizioni; poichè nelle -città e nei bazar orientali i nostri videro gli scialli di Cascemir, -i diamanti di Golconda, le perle di Ormus, le seterie di Persia, le -mussoline dell’India, le arme di Damasco; e ne rapirono, ne comprarono, -concepirono desiderio di averne, di imitarle. - -Però la mancanza di sicurezza, di regolari aspettative, di libertà -nel disporre de’ frutti della propria industria, immiserivano il -commercio, siccome oggi avviene in Turchia. Il diritto di lavorare -consideravasi prerogativa sovrana, e potere i principi venderla, dovere -i sudditi comprarla. Il popolo era impedito di associarsi per dati -intenti, e di trasferire la sua proprietà da un’applicazione ad altra -che credesse più vantaggiosa; intanto che certe persone ottenevano -di esercitare come privilegio quel che ai più restava inibito. Tali -angustie cessarono in Italia assai prima che altrove: ma oltre rimanere -i capitali in mano di soli nobili e del clero, causava impacci lo -sminuzzamento del paese, quando ad ogni varco di fiume, ad ogni gola di -monti vegliavano gli armigeri d’un castellano ad esigere un pedaggio, -che equivaleva ad una transazione per non essere svaligiati. A modo -d’esempio, chi si partisse da Torino aveva a pagarne uno quivi stesso, -poi a Rivoli, ad Avigliana, a Bussolino, a Susa: cinque volte in trenta -miglia. Lombardi e Veneziani andavano pel Sempione, donde a Sion, a -Losanna, a Ginevra, a Lione, ovvero per Clees nella Franca Contea. -I Genovesi per Asti e Poirino giungevano a Testona, e qui varcato il -Po sul ponte de’ Templari a Sant’Egidio, difilavano per Rivoli a Susa -e al Moncenisio: disvantaggiandone Torino, che perciò insisteva alla -gagliarda affinchè i Testonesi non lasciassero ai mercanti traversare -il ponte, ma li dirigessero sopra la loro città. - -Le dogane si misuravano all’avidità del signore, non all’utile -del paese, e le tasse moltiplicavansi sotto variissimi nomi[236]. -Passando per certe città, le merci si doveano sballare e scassare, -e gli abitanti aveano prelazione per la compera; altrove ai soli -natìi concedevasi di vendere, talchè sottentravano allo speculatore -forestiere. Il pericolo delle anime induceva i papi a interdire il -commercio coi Musulmani, e a gran fatica i Veneziani ne ottennero -dispensa, come l’ebbero poi anche i Francesi, escluso sempre il -portarvi armi e munizioni[237]. Per tema dei masnadieri in terra, -dei pirati in mare, doveasi procedere in carovane o con flottiglie, -anzichè isolati: alcuni, per ammansare i castellani, menavansi dietro -ciarlatani, sonatori, bestie rare: tutti i quali impacci costringevano -il traffico ad assumere aspetto di frode, e i pericoli e le vicende -sue faceanlo spesso abbandonare a quelli cui era negato ogni altro modo -d’arricchire, come gli Ebrei. - -Il commercio dell’antichità e del medioevo conducevasi tult’altrimenti -dal moderno. Mancando la postalettere, poteansi tenere corrispondenze -concatenate? Quando pochissimi sapeano scrivere, e la carta era un -lusso, e le cifre arabiche appena si introducevano, e inestricabile la -varietà di monete e misure, quanto incomodi doveano tornare i conteggi -e la corrispondenza! Oggi la forma più consueta è la commissione, -cioè il fabbricatore affida a negozianti le merci da vendere per -conto; opportuna suddivisione di uffizj: allora invece egli medesimo -o suoi commessi andavano con navi o carovane a vendere e caricare, e -riconducevano gli avanzi e i baratti. - -Le antiche strade romane erano state guaste per impedire le correrie -dei Barbari, ovvero da questi nelle guerre, o dal tempo; e agli -sminuzzati dominj che successero, qual interesse suggeriva di agevolare -le comunicazioni? I torrenti si sfrenavano, cadevano i ponti; onde -difficilissimi i trasporti: ed anche assai più tardi non viaggiavasi -che a cavallo. Caterina di Amedeo V di Savoja, andando sposa a Leopoldo -d’Austria nel 1315, cavalcò fino a Basilea, dove il palafreno fu -regalato ai minestrelli che cantavano le sue lodi. Maria di Brabante -seguì fino a Genova in lettiga il marito Amedeo V, quando nel 1310 -accompagnava a Roma l’imperatore Enrico VII. Giovan Villani dà come un -gran fatto che uno spaccio del conclave di Perugia arrivasse in undici -giorni a Parigi per corrieri di mercanti[238]. Erano perciò in gran -conto i corrieri veloci, come Jaquet messaggere del conte di Savoja, -che in quattro giorni andò e tornò da Ginevra a Pavia nel 1399: nel -1380 Amedeo VI di Savoja donava due fiorini d’oro a Guglielmo frate -cluniacese, che faceva cinquantacinque e più leghe il giorno[239]. - -Altri importuni aggravj s’erano introdotti, quali l’albinaggio, per -cui cadeva al signore l’eredità dello straniero che morisse sulle sue -terre[240]; e il diritto di naufragio, per cui la nave che frangesse -diveniva preda dell’occupante, o del signore della costa, come tutti i -ributti del mare. Fin il goto Teodorico avea riprovato quest’inumanità; -il concilio Lateranese del 1079 pronunziò anatema chi spogliasse i -naufraghi; e Federico I, poi Federico II di Svevia avvalorarono questa -_libertà_ _della Chiesa_[241]: ma gl’interessati sapeano eluderla. - -Sodare il debito sopra i possessi non usava durante il feudalismo, -nè era possibile allorchè quasi nessuno era padrone assoluto del -proprio podere: ma nelle repubbliche conoscevasi l’ipoteca coi modi -e le cautele che sembrano de’ moderni[242]. Più consueto era il dare -in pegno oggetti preziosi, e spesso i tesori delle chiese: o porgeano -malleveria altre persone disposte a subir fino il carcere se al dato -giorno non venisse soddisfatto il creditore[243]. - -Il forestiere (ed era forestiere chi abitava a poche miglia) non -restava protetto da leggi comuni o dalla generale giustizia, onde si -ricorse a strani compensi, come sono le rappresaglie. Se uno restasse -leso nella roba o nella persona, e non ottenesse soddisfazione, egli -stesso o i suoi accomunati potevano far danno a qualunque compaesano -dell’offensore. La rappresaglia derivava dall’antico sistema -dell’associazione, per cui tutti stavano garanti dell’accomunato. -Oberto Pelavicino signor di Cremona, pretendendosi creditore di Filippo -Torriano, allora capo del popolo milanese, sostenne nella sua città -tutti i negozianti di Milano colle loro mercanzie. La compagnia de’ -Buonsignori di Siena dovendo ottantamila fiorini alla Chiesa romana, il -papa pronunziò interdetta tutta la città sinchè fossero pagati. Qualche -volta la rappresaglia si applicò a casi criminali; ed essendo ucciso un -Inglese da un Italiano della compagnia degli Spini, gli uffiziali della -giustizia appresero tutti i compatrioti di esso. - -Le leggi posero regola a questo costume, e via via si cercò -prevenire il danno degl’innocenti. Lo statuto romano non concedeva la -rappresaglia se non quando fosse giuridicamente provato il danno[244]. -Quello di Padova del 1258 permetteva di rifarsi sopra i beni di chi -avesse nociuto o de’ suoi concittadini; ma nel 69 si eccettuarono -gli ambasciadori o le persone venute a Padova per affari del proprio -Comune, e così i romei e pellegrini; nel 71 si prescriveva, quando un -cittadino si presentasse a domandar la rappresaglia contro un individuo -o un Comune, questo dovess’esserne avvertito dal podestà, affinchè -potesse giustificarsi o accordarsi; che se il consiglio de’ savj -decretasse aver luogo la rappresaglia, il podestà presenterà l’istanza -e il voto al gran consiglio, che deciderà a due terzi di voti. Nel -1266 a maestro Giovanni Manzio padovano, medico condotto a Ravenna, -erano stati per via rubati i danari, le robe e i libri, che erano -un Avicenna, un Serapione, un Almansor e qualcheduno d’astrologia: e -avendo il podestà scritto ripetutamente al Comune di Ravenna, mandatovi -ambasciadori, interposto anche il podestà di Bologna, nè ricevendo -soddisfazione, si autorizzò il medico alla rappresaglia. Anche nel 1302 -quel Comune la concedette ai signori Carraresi contro i Torriani di -Milano per la dote di Elena della Torre. Una singolare rappresaglia è -portata dal cap. LVII dello statuto dell’arte di Calimala a Firenze del -1332: — Qualunque de’ mercatanti nostri si richiamerà per iscrittura -d’alcuno albergatore d’altra cittade o luogo, manderemo lettere a -quello albergatore a spese di quello mercante, che a certo termine -le debba aver pagate: la qual cosa se non farà, comanderemo a tutti i -nostri tenuti che non alberghino più con lui; e chi farà contra, sia -punito in lire venticinque per ciascuna volta». - -La Chiesa provvide alla sicurezza coll’aprire mercati settimanali -o fiere annue alle solennità principali sopra terreno immune, quali -erano il sagrato delle chiese o i chiostri. La fiera di Bergamo vuolsi -concessa dall’imperatore Berengario ai canonici di San Vincenzo, -poi da Ottone alla chiesa di Sant’Alessandro[245]. Quella di Verona -fu istituita nell’807 dal vescovo Ratoldo sulla piazza di San Zeno -maggiore; nel 1049 le botteghe bruciarono; fu poi ristabilita nel -1187. Un marmo fuori della porta maggiore dell’atrio di Sant’Ambrogio a -Milano legge che Anselmo arcivescovo stabilì, per tre giorni avanti e -tre dopo la festa dei santi Gervaso e Protaso, nessuno molestasse per -debiti chi veniva a quella solennità. Anche a Bologna per la festa di -san Petronio i mercanti erano immuni di dazio e gabella otto giorni, -e nessuno poteva essere citato a pagare il dovuto (GHIRARDACCI). Negli -ordini del 1353 per la fiera di Sant’Andrea di Nizza a mare è assegnato -luogo distinto ai venditori di carni salate e formaggi, di spezierie, -di pelliccie, di ferro, rame, chiodi, d’argento, d’oro, di spade -e armi, di vetri, vasi di terra, corde, pentole, basti, e così pei -sartori, pei cambisti, per gli spacciatori di polli e altri volatili, -d’erbe e frutti e legumi, di tela, di ronzini ed altri animali di -piede rotondo, di porci e bovi, di merci varie; con prescrizioni per -ciascuno[246]. - -Molte strade erano affidate alla custodia dei monaci, come quella del -monte San Bernardo, ove il pio Bernardo da Mentone istituì l’ospizio; -come quella dell’Alpe fra Lucca e Modena, concessa ai frati di San -Pellegrino del Serchio; come il passo di Percussina in val di Greve, -con uno spedale assistito dalla compagnia del Bigallo di Firenze. La -strada mulattiera traverso al Sangotardo, forando la buca di Uri e -gettando il ponte detto del Diavolo, tanto parve meraviglioso, è dovuta -agli arcivescovi di Milano, che signoreggiavano la val Leventina. Fin -ai tempi di Carlo Magno le gole più elevate delle Alpi erano provvedute -di ospizj[247]; le varie nazioni che pellegrinavano in Italia se -ne procuravano di proprj ciascuna, sicchè, a tacer Roma, a Vercelli -trovammo ospedali di Franchi e d’Inglesi (tom. VII, pag. 107). - -Man mano che città e borgate si redimevano in libertà, curavano -agevolezze al commercio. Nelle prime carte comunali è sempre pattuita -la sicurezza delle vie, l’esenzione da certi pedaggi, la moderazione -di tutti: e non v’ha statuto che non provveda al mantenimento delle -strade, anche con magistrati appositi. Dai castellani del contorno si -otteneva a denaro non molestassero le spedizioni, e dessero scorte; -alcuni perfino si costituivano garanti dei danni che altri soffrisse -sulle loro terre: tanto temevano che i mercadanti si mettessero -per altra traccia, togliendo il lucro portato dal passaggio e dagli -alloggi. Dimenticavansi le animosità pel comune interesse dei traffici; -s’istituivano tregue mercantili, luoghi di franchigia e neutralità. -Nel 1182 i consoli di Modena promettono sicurezza nel loro territorio -e pronta giustizia ai mercanti e alle persone di Lucca[248]. Nel 1183 -Cremonesi e Bresciani giuravano una concordia, convenendo che le due -città si concedano a vicenda il transito; le persone fossero rispettate -sulle strade, eccetto i mercanti di paesi nimici all’una o all’altra -città; la moneta delle due collegate avesse corso nelle contrattazioni -reciproche, promettendo non se ne deteriorerà il valore intrinseco, -se non col voto del podestà e del consiglio[249]. Nel 1215 Milanesi -e Vercellesi faceano accordo che mai dai Milanesi per le persone o le -robe loro fosse esatto alcun pedaggio sul ponte che faceasi a Casale -sul Po. Nel 1217 il Comune d’Alessandria francava i Vercellesi da quel -che pagavano a Beale[250]. Il marchese Pelavicino, Buoso di Dovara, -il Comune di Cremona da una parte, e dall’altra Azzo d’Este, Lodovico -conte di Verona e le città di Mantova, Ferrara, Padova, alleandosi -per fiaccare Ezelino, convennero che, malgrado la guerra, _mercatores -de Tuscia semper secure possint ire, redire, stare, conversari cum -personis et mercibus per civitates et territoria Mantuæ, Ferrariæ, -Paduæ_. Nel 1262, Vicenza, Padova, Treviso, Verona giuraronsi reciproca -quiete, e di assicurar le strade a viaggiatori e trafficanti. Giovanni -Liprando ed Enrico da Arcore, sindaci dei mercanti di Milano, il -1276 portavano lamento a Filippo conte di Savoja per una sovrimposta -(_surrepsio_) da lui messa sulle merci che transitavano pe’ suoi -Stati, e stipularono quanto dovesse prendere per ogni balla di lana -di Milanesi che passasse di là, e pel pedaggio d’uomini e cavalli a -Villanova, al Ciablese e altrove, nulla pagando la bestia che ciascun -mercante cavalcava: i mercanti a vicenda giuravano non far le balle -più grosse del consueto, e ciascuna di otto panni di Chalons, di dieci -panni vergati di Provins, o del peso equivalente; e procurare che i -mercanti d’Italia diretti alle fiere di Champagne e di Francia passino -e tornino per le terre d’esso conte, il quale li riceve, pel suo -distretto, sotto il proprio salvocondotto[251]. - -I Comuni limitrofi mettevansi d’accordo per migliorare le strade, come -fecero Torino, Chieri, Testona nel 1204; Pistoja e Bologna nel 1298 per -aprire quella della Porretta. Nel 1219 Bergamo e Brescia pattuivano di -restaurare la strada di Palazzuolo, e reciprocamente compensare quelli -che dai masnadieri vi fossero danneggiati. Nel 1232 Bonifazio marchese -di Monferrato si obbligò verso il Comune di Genova di tenere in buon -ordine quella da Asti a Torino, nè esigere altro pedaggio che di soldi -sei e mezzo per carico, e nulla per le bestie scariche; i castellani -e nobili fra cui attraversa, obbligherà a mantenerla e custodirla, nè -introdurre veruna mala usanza[252]. Nella pace del 1279 Verona, Mantova -e Brescia convenivano che una strada correrebbe fra esse città per -Peschiera, Godio, Guidizzolo, Montechiaro, mantenuta da essi Comuni, e -sotto la vigilanza di dieci cavalcatori ogni Comune con tre capitani, -scelti fra mercanti e uomini di buona fama. Nel 1333 Franchino Rusca, -signore del Comune e del popolo di Como, conchiuse cogli uomini di -Blegno che tenessero in essere e in buona guardia le strade per la val -Leventina, e ajutassero i Comaschi contro chi le infestasse. - -Frequentissime convenzioni appellano a tal uopo; e prendendo solo -Firenze e in breve periodo, nel 1201 con Fortebraccio di Greccio ed -altri conti Ubaldini del Mugello convenne difenderebbero i Fiorentini -e le robe loro con guide e scorte in tutto il distretto e dominio; se -riportassero danno, li compenserebbero del proprio[253]; nel 1203 coi -Bolognesi di cessar reciprocamente le rappresaglie; nel 1250 franchigia -con Pisa, cui rinnovava ogni tratto; nell’81 co’ Genovesi libero -transito anche per terra, immunità da gabelle al paese di Fabriano, -e che garantissero tutte le merci caricate su loro navi; nell’82 -con Lucca, Siena, Pistoja, Prato, Volterra, reciproca francazione -da gabelle o dazj, a somiglianza dell’odierna lega doganale; nel 90 -libero transito con Ravenna e Faenza; nel 95 con Lucca, Prato, San -Geminiano, Colle, sicurezza per dieci anni, essi e loro alleati, da -ogni rappresaglia, malatolta, telone, pedaggio. Dacchè Mentone con -Roccabruna si separò da Monaco nel 1748, questa cara cittadina non -può comunicare con altre se non pel mare o per una via che passa sul -territorio di Roccabruna, e quel principe non può uscire dal suo -Stato in carrozza senz’attraversare paese nemico; i Mentonesi non -vogliono più mantenere quella strada; e i litigi che ne nascono, e -le conseguenze che ne verrebbero, possono spiegare l’importanza dei -trattati de’ Comuni del medioevo per le comunicazioni. - -Pure il viaggiare fu sempre disagiato non solo, ma pericoloso. Dante -funesta celebrità diede a Rinieri da Corneto, che faceva guerra alle -strade. L’abate Pietro di Cluny venendo a visitare Eugenio III, fu -svaligiato dal marchese Obizzo Malaspina, se non che i Piacentini -costrinsero questo alla restituzione. Giovanni d’Andrea, celebre -canonista, mandato ambasciadore dal cardinale Bertrando del Poggetto -al Papa nel 1328, presso Pavia fu assalito e spogliato de’ libri -e della roba; e grossa somma ebbe a dare pel proprio riscatto. Il -Petrarca, la prima volta che fu a Roma, dovette rifuggire nel castello -dei Caprànica, sinchè il vescovo di Lombez nel venne a convogliare -con cento cavalieri; partendone dopo coronato, diede nei malandrini, -sicchè tornò indietro, e il popolo pensò a farlo scortare; ma altri lo -assalsero all’uscire di Parma. Giovanni Barile, mandato da re Roberto -di Napoli ad assistere a quella coronazione, fu svaligiato per viaggio, -e dovette dar volta. - -Le maggiori apprensioni popolari, e in conseguenza i più estesi -provvedimenti sogliono dirigersi sull’annona; e se la scienza non -arrivò neppur adesso a persuadere che l’unico preservativo o il -palliativo migliore alle carestie è il lasciarla libera, si perdoni -a un tempo dove governava direttamente il popolo, soggetto a tutte le -paure, e che cogli infiniti impacci sovente produceva il male cui volea -farsi incontro. L’obbligo d’introdurre il ricolto nella città era una -cautela contro i signori castellani, che avrebbero potuto affamarla. Ma -spesso il proprietario dovea sagrificare le proprie convenienze alle -paure dei nulla aventi; l’autorità tassava i prezzi de’ comestibili e -degli altri oggetti di prima necessità, stabiliva magazzini, fissava -le ore e i modi del mercatarli. Così era delle vivande azotate; niuno -comprasse di là d’una data quantità di pesce, chè non ne rimanessero -privi gli altri; comparendo sul mercato qualche selvaggina grossa, -fosse fatta a pezzi, acciocchè potessero fruirne anche i men denarosi. -I rigori cresceano all’apprensione di carestia: mettevasi fin pena -la vita all’asportar grani; chi ne possedesse dovea notificarli, e -venderli al prezzo decretato. In Toscana tutto il grano era compro dal -Comune, che facea canova e lo dava per bullettini. - -D’altri inciampi era causa la nimicizia fra i Comuni; e Lodi vietò -di portar biade a Milano, nè di tirarne vino, pena la testa. Altri -venivano da’ signori che voleano aggravezzare il transito delle merci -fin da una all’altra delle terre di loro dominio. E poichè alcuni -principi, come il re di Sicilia, riceveano gran parte del tributo in -derrate, restavano principali negozianti del loro paese, e ne facevano -monopolio. Federico II esigeva un conto esatto de’ cereali, de’ foraggi -e del vino che entrassero ne’ suoi magazzini; e dopo provvigionatone -i suoi palazzi e le fortezze, il resto si vendeva, principalmente -a mercadanti romani, o anche asportavasi direttamente per conto del -re, il quale, ove l’opportunità arridesse, ne spediva in Ispagna, in -Barberia su navi proprie o di Veneziani o Genovesi. Nel 1239 incaricava -il grand’ammiraglio di condurre a Tunisi, dove forse il ricolto era -fallito, cinquantamila salme di frumento, parte avuto dagli intendenti -regj, parte procurato al miglior costo; al qual fine se ne proibiva -ogni altra asportazione; e in Africa fu venduta la salma ventiquattro -tarì, locchè produsse quarantamila oncie d’oro, o due milioni e mezzo -di lire[254]. - -Questo andar e venire dei grani e delle altre derrate produceva -gran movimento mercantile; e i Veneziani specialmente cavavano dalla -Barberia, dalla Sicilia, dall’Egitto granaglie da provvigionare anche -altri paesi; dalla Barberia stessa e dal mar Nero, il sale, del cui -monopolio erano gelosissimi. Per quante volte i Padovani tentassero -mettere saline sul loro territorio, sempre i Veneziani gl’impedirono; -e sotto alla statua del doge Gradenigo, fra altri vanti, è scritto: _A -faciendo sale Paduanos marte coegi._ - -Fra le spezie, il pepe era indispensabile, quanto da due secoli in -qua lo zuccaro; cittaduole ne tenevano magazzini; in alcune il dazio -impostovi suppliva ad ogni altro; i signori di Basilea nel 1299 al -diritto di vender pane condizionavano la retribuzione di una libbra di -pepe l’anno. La cannella, il garofano, la curcuma o zafferano d’India, -pianta tintoria che prosperava anche nelle valli cretacee dell’Ombrone; -il zenzevero, il cubebe, l’anesi, le foglie di lauro, il cardamomo, -la noce moscada erano grato solletico ai sensi, oltre gli spighi di -lavanda côlti in Italia. Aggiungete la paglia della Mecca (_andropogon -schœnanthus_), la scamonea, il gàlbano, il laserpizio, la sarmentaria, -l’aloe, la mirra, la canfora del Giappone, lo zafferano[255], il -rabarbaro della Siberia meridionale, la sena, la cassia, il badeguar, -la galla del biancospino, il cisto di Creta da cui cavasi il làdano, -l’olio di sesamo, la gomma d’astragalo, la gomma gutta, la gomma -arabica, la sandracca d’Africa, il sangue di drago delle Canarie. -I frutti d’Italia, di Spagna, di Grecia, l’olio, il riso[256] erano -spacciati dagli speziali, come chiamavansi i venditori delle merci -suddette: il caffè non era conosciuto; poco lo zuccaro. Ai riti della -Chiesa occorrevano pure cera ed ambra; e a Venezia lavoravasi quella, -di questa si faceano crocifissi e paternostri, traendola dal Baltico. - -Le ricerche sul prezzo dei generi di prima necessità e della mano -d’opera provano che non differiva molto dall’odierno, giacchè un -operajo ordinario fu e sarà sempre pagato quel tanto che si richiede -al suo vivere. Il prezzo delle altre materie troppo è difficile a -determinarsi in tanta varietà delle monete e incertezza dei patti -secondarj. Troverete della legna, ma non sapete se fu tagliata dai -boschi stessi del compratore; del vino, ma intendevasi condotto e -daziato? e in anno d’abbondanza, o di scarsezza? un mobile, ma forse -era un capo d’arte o di preziosa materia; un libro, ma forse traea -valore dalla legatura e dalle miniature[257]. - -Le ricchezze minerali non si neglessero. Le vene del Bergamasco e delle -valli Camonica e Trompia fin da antichissimo diedero molto ferro, al -quale eccellente tempra sapea darsi nel Comasco. Armi si fabbricavano -a Gardone, Lumezzane, Brescia; e Giovanni da Uzzano ricorda i pregiati -acciaj bresciani, e i badili, le lamiere, i fondi di padelle che si -tiravano di là. Il ricco minerale dell’Elba, di Pietrasanta, d’altre -parti della Toscana trasportavasi greggio o lavorato anche in Levante. -Venezia trasse partito dal ferro e dal rame del Friuli, della Carintia, -del Cadore; e pare lungo tempo le fabbriche sue conservassero il -secreto d’agevolare col borace la fusione. Rame s’avea pure da Massa -marittima, e in val Tiberina e in val di Cécina, dove anche solfato di -ferro. - -Argento si cavava a Perosa e nella valle di Lanzo in Piemonte, nelle -valli Seriana, Brembilla, di Scalve e in altre del Bergamasco. Le -argentiere di Montieri, mestissimo villaggio in Val di Merse, sono -donate nell’896 da Adalberto marchese di Toscana ad Alboino vescovo di -Volterra, confermate più volte, e segnatamente da Enrico IV, nel 1186, -purchè _episcopus et sui successores nobis nostrisque successoribus, -pro ipsis argenti fodinis, triginta marcas argenti examinati ad -pondus cameræ nostræ persolvant_. Federico II, in rotta col vescovo -di Volterra, affittava _argentariam nostram Monterii_ a Bentivegna -Davanzati fiorentino. Il diploma di Carlo IV del 1355 dice che _jamdiu -defuerint, et quasi steriles sint effectæ_; e la cava d’oro e d’argento -attivata nel Pistojese nel secolo xiii pare un sogno dei cronisti. -Bensì attorno al Mille già si hanno memorie d’argentiere presso Massa -marittima e nell’alpe Apuana di Pietrasanta, con profondi cunicoli, -scavati probabilmente da una consorteria di Lombardi che signoreggiava -la Versilia. Oro traevasi dalle arene del Ticino, dell’Adda, d’altri -fiumi; e al 1º novembre del 1000 Ottone III concede al vescovo di -Vercelli _totum aurum, quod invenitur et elaboratur infra vercellensem -episcopatum et comitatum Sanctæ Agatæ_[258]. - -Dalle moje di Volterra si avea sale, ma era ignota la produzione -dell’acido borico, oggi ricchezza di quei lagoni: ben se ne cavava -solfo; e un Genovese vi trovò l’allume, emancipandosi così dal trarne -da Tunisi, dalla Germania, da Focea, paesi occupati dai Turchi, assai -prima che si adoperassero le allumiere del Napoletano e della Tolfa -nella maremma romana. Lipari, donde in antico s’avea tutto l’allume, -per testimonio di Diodoro Siculo, talchè il prezzo rimaneva ad arbitrio -degli abitanti, da gran tempo cessò di somministrarne. - -Anche sotto al feudalismo le arti si erano conservate al modo -antico, disposte in corpi o scuole o maestranze sotto proprj capi; -organizzazione dell’industria conforme a tempi, dove, non ancora -riconosciuta l’eguaglianza degli individui, venivano emancipati in -masse, e non intendendosi il lavoro libero, si facea che l’operajo -travagliasse pel maestro, come il villano pel signore[259]. Tutto vi -era regolato con una minuzia puerile: il filatore non poteva accoppiare -fil di canapa a quello di lino; il coltellinajo non fare manichi a -cucchiaj; non i ciotolaj e orciolari tornire un cucchiajo di legno; non -fondere sego di bue con quel di montone, non cera nuova con vecchia; -determinati gl’ingredienti delle tinture e de’ varj composti. Dovettero -nascerne impacci, conflitto, tirannie; i principi se ne fecero una -fiscalità; il monopolio si saldò a favore di pochi; ammende e multe -per ogni minima violazione, e giudici erano gli emuli, interessati a -cogliere in colpa. - -Pure in que’ primordj i sindachi, i consigli, i probiviri, le frequenti -adunanze, le camere di disciplina, ove «mercantilmente si procede, -e i piati si scrivono vulgarmente senza giudici o procuratori o -notari, più di buona equità che di stretta ragione procedendo»[260], -riuscivano d’ammaestramento al vulgo, come le falde sorreggono -i bambini: compagni, fattori, discepoli, maestri formavano una -gerarchia di opportuna dipendenza: gli artigiani riuniti nei medesimi -quartieri, si vigilavano a vicenda ed emulavansi, così togliendo -o rimovendo le frodi, facili in popolo inavvezzo all’industria; si -soccorreano ne’ bisogni; il garzonato dava una garanzia di futura -abilità; nella suddivisione dei lavori dovea ciascuno raffinare il suo -speciale; lo spirito di corpo dava aria di gravità, e fece conoscere -e ponderare diritti; gli stendardi de’ santi patroni furono stendardi -d’indipendenza, e protessero l’individuo dalle vessazioni, talchè -divennero potenze sociali le classi laboriose, e formaronsi, vorrei -dire, dei feudatarj borghesi e nulla possidenti[261]. - -Nè però si creda non ne fossero conosciuti gl’inconvenienti; e al -1287 il Comune di Ferrara aboliva tutti i collegi d’arte, di qual -si fossero maniera e nome, talchè nessuno potesse fare adunanze o -collette. Eccettua il collegio de’ giudici, le confraternite devote, le -università delle contrade e ville, i fabbri, a cui si concede di avere -un commesso che compri il carbone e lo distribuisca ai singoli; quelli -poi che avessero beni comuni, possano deputare chi gli amministri. Ai -banditori pure sia lecito unirsi una o due volte l’anno per eleggere -due che li presiedano onde disporli e mandarli per utile del Comune. I -beccaj esercitino lor arte ne’ luoghi e modi stabiliti. Ogni artefice -od operajo richiesto per l’arte sua, deve subito andare, sebbene -l’opera cui è chiamato fosse da altro incominciata, e non cessare -neppur se altro fosse chiamato a lavorare in sua compagnia. Ma non -osino fare intelligenze e congiure tacite od espresse sui prezzi o sul -lavoro; e viepiù si tengano d’occhio i navalestri, pessima razza, che -molte frodi macchina contro l’utile de’ viandanti. - -L’arte della lana, allora principalissima, dovette l’incremento -agli Umiliati, ordine istituito a Milano, al quale si fa pur merito -dell’invenzione de’ drappi d’oro e d’argento per chiese. A Firenze, -dove fondò Santa Caterina d’Ognissanti, era tenuto esente da ogni -dazio, e proibizione d’insudiciar le acque che andavano alle sue -gualchiere[262]. E là principalmente prosperò quell’arte, e nel 1338 -vi si finivano ogn’anno ottantamila pezze di panno, del valore di -un milione e ducentomila zecchini[263], tirando le migliori lane -d’Inghilterra, Spagna, Francia, Portogallo, Barberia. L’arte di -Calimala traeva a buon conto panni grossolani di Fiandra, Picardia, -Linguadoca, e vi dava assetto e finimento tale da doppiarne il prezzo. -In venti magazzini entravano diecimila pezze l’anno, del costo di più -che trecentomila fiorini: ciascuna si _taccava_ con un bollettino, ove -notare la spesa di primo costo, del denajo di Dio, del recarlo a casa, -del tingerlo e ritingerlo, del cardarlo, cimarlo, spianarlo, piegarlo, -della bandinella, della maletolta, del teloneo, dell’uscita alle porte, -del legaggio, caricaggio, ostellaggio, e d’ogni altra spesa. Le due -fiere di san Simone e san Martino traevano a Firenze i più denarosi -mercanti di tutta Italia, sicchè vi correano quindici a sedici milioni -di fiorini. - -In Siena, la gabella di quattro lire ogni pezza del panno asportato, la -più parte verso Levante, fu appaltata seicento zecchini. Gareggiavano -colle francesi e colle fiamminghe le fabbriche di Venezia e sua -terraferma, di Pisa, del Bolognese, del Ferrarese, animate dalla -proibizione dei drappi forestieri. In Verona al 1300 s’impannavano -l’anno ventimila pezze, oltre calze e berrette; e la Signoria veneta ne -comprava colà di sopraffini, da presentarne al gransignore (ZAGATA). A -Mantova le folle della lana erano privilegio del Comune, distruggendosi -quelle che alcun privato mettesse; e lo statuto prescrivea la qualità, -e il numero de’ fili, la dimensione del panno, il modo e la forma de’ -telaj: non poteano lavorarne se non gli ascritti all’arte, i quali -prestavano giuramento avanti al podestà: ogni pezza finita presentavasi -al magistrato, che collaudata la bollava, o trovandola disforme dalle -prescrizioni, la buttava al fuoco, multando il lanajuolo. Ricchi e -monaci vi si dedicavano; nel 1500 vi si contavano quarantaquattro -fabbriche; e quando il re di Danimarca visitò i Gonzaga, se ne posero -in mostra cinquemila pezze: bellissimo parato per una città! - -Milano e il suo territorio spediva alla sola Venezia per trecentomila -ducati l’anno in panni, e per centomila in canovaccio, cambiandoli con -cotone in fiocco e filato, lane francesi e catalane, tessuti d’oro e -di seta, pepe, cannella, zenzero, zuccaro, verzino e altre materie -coloranti, saponi e _schiavi_ per due milioni. Giovanni da Uzzano, -che nel 1440 compilò quanto era necessario sapersi da un mercante -intorno ai paesi, alle mercanzie, al cambio, al denaro, alle dogane, e -descrisse di porto in porto il viaggio che si faceva lungo le coste del -Mediterraneo, poi all’Jonio e al mar Maggiore, scriveva che «a Milano -càpitano quasi tutte le robe di Lombardia per mettere in Genova: si -trae da Milano mercerie infinite d’ogni ragione, armadure di maglia e -di piastre e d’ogni ragione, acciaj, ferri lavorati, fustani, tele e -panni assai fini; di Como panni assai e fini; di Monza panni grossi e -fini; e mettonsi a Venezia per navigare in Levante; di Verona e Mantova -panni; di Padova zafferano e lino; d’Alessandria lino, tele di guado -assai, e molto guado; di Monferrato zafferano, canovaccio, canape; di -Brescia acciaj, ferro, lino, zafferano, carte»[264]. - -Più tardo sorse l’artifizio della seta. Questa nel Codice rodio era -agguagliata in prezzo all’oro, e al tempo di Procopio quella di colori -ordinarj valea sei monete d’oro l’oncia, e il quadruplo la purpurea: -traevasi dai Seri, popolo dolce ma rozzo nel Tibet, o piuttosto -dall’Indo-Cina, come oggi par dimostrato. Due missionarj, colà portati -da zelo religioso, vi conobbero l’industrioso insetto, e come produca -quel filo prezioso; e recatene alcune uova in Europa, riuscirono a -educarli. Il Peloponneso, tosto piantato a gelsi, da questi dedusse -l’appellazione di Morea; e fabbriche istituite per l’impero orientale -scemarono se non tolsero il bisogno di ricorrere agli stranieri. I -Veneziani, assoggettata l’isola d’Arbo sulle coste di Dalmazia nel -1018, le imposero di contribuire ogni anno alquante libbre di seta; se -no, altrettanto peso d’oro puro. Alla presa di Costantinopoli estesero -le seterie, assicurandosene il monopolio mediante trattati coi principi -dell’Acaja. - -In principio non conosceasi che il gelso nero, e il Crescenzio (cap. -14) si lamentava che le donne ne cogliessero le somme foglie per -nutrire certi bachi, il che impedisce ai frutti di maturare: forse -solo nel XIII secolo si portò il gelso bianco. I privati tardavano -a intenderne il vantaggio, talchè si dovea per legge ordinarne la -coltura: lo statuto di Modena del 1327 impone, chiunque abbia orto -chiuso vi pianti per pubblico vantaggio tre gelsi, tre fichi, tre -melogranati, tre mandorli; quel di Pescia del 1340 obbligava a -coltivarne; e un secolo dopo, per Toscana era imposto ad ogni contadino -di piantarne cinque ogni anno[265]; poi si proibì d’asportarne la -foglia, e nel 1423 si concedea franchigia a chi ne importasse. -Pretendono che Lodovico Sforza gl’introducesse nel suo parco di -Vigevano, donde si diffusero per Lombardia, di che a lui venne il -cognome di Moro. Una grida di Milano del 1470 impone si piantino almeno -cinque gelsi ogni cento pertiche; un’altra, di notificare quanti ne -esistevano, e la foglia loro si cedesse al maestro da seta a prezzo -equo, chi non volesse da sè nutrirne i bachi[266]. Ma già nel 1507 -il Murlato, in una cronaca comasca manoscritta, nota che le campagne -attorno a Milano e a Como davano immagine d’una foresta di gelsi. - -Vorrebbero che Ruggero di Sicilia dalla sua spedizione in Grecia -portasse telaj ed operaj di seta; ma noi vedemmo come anteriormente ne -tessessero i Saracini. Soggiungono che quell’arte fiorisse in Lucca, -e che quando Castruccio la prese, novecento famiglie di tessitori -si diffondessero per la restante Italia, trentuna delle quali nella -sola Venezia: pure fin dal 1225 l’arte della seta a Firenze formava -corporazione distinta, noverata fra le maggiori, e coll’insegna d’una -porta rossa in campo bianco; e nel 1248 i Veneziani proibirono il -commerciar di seta agli esattori delle tasse imposte ai fabbricatori di -essa. Frà Buonvicino da Riva in quel giro di tempo scrive che a Milano -si facevano panni _de lana nobili et de sirico, bombace, lino_: vero -è che traevasi da di fuori. Borghesano da Bologna inventò i torcitoj -nel 1272, tenuti in gelosissimo segreto, finchè, entrando il secolo -xiv, gl’insegnò ai Modenesi un tal Ugolino, che per questo fu in patria -appiccato in effigie[267]. - -Il setificio si estese a Pisa, Genova, Padova, Como, Verona, Vicenza, -Bassano, Bergamo, Ferrara, Bologna e nella Lombardia, a segno che la -seta indigena non bastando alle fabbriche, era d’uopo cercarne nella -Marca, nella Calabria, nelle isole greche. Non si tardò a lavorare -stoffe e broccati, intessendovi l’oro e l’argento, e ad applicarvi -fregi metallici col ricamo e coll’impressione; e nell’industria de’ -broccati gareggiarono Venezia, Genova, Lucca, superate da Firenze. - -Marino da Cataponte veneziano nel 1456 riceveva dal re di Napoli mille -scudi a prestito perchè in quel regno attivasse fabbriche di drappi -di seta e oro; immune d’ogni gabella la seta, l’oro filato, la grana -e tutto che servisse a tale lavorìo; gli operaj venissero trattati -come napoletani; nelle loro cause civili e criminali non fossero -riconosciuti da altro tribunale che dai loro consoli, i quali in -numero di tre venivano eletti ogni anno da tutti quelli iscritti sulla -matricola dell’arte, e ogni sabato doveano tener ragione. Altri diritti -furono concessi e sussidj a Francesco di Nerone e Girolamo di Goriante -fiorentini, a Pietro de’ Conversi genovese: anzi in appresso fu eretto -in Napoli un distinto tribunale _della nobil arte della seta_, da’ cui -decreti non davasi appello che al supremo consiglio, dove il giudice -facea la relazione stando in piedi a capo scoperto[268]. Diritti quasi -eguali v’ebbe l’arte della lana. Altri tessitori genovesi e fiorentini, -invitati da Carlo VIII, poneano a Tours le prime manifatture di seta in -Francia. - -Quest’arte essendo molto scaduta in Lucca, ove prima tanto fioriva, si -cercò ravvivarla con regolamenti, che la dovettero anzi intristire. Lo -statuto del 1482 prescrive che nessuno possa tesser drappi di seta se -non sia arrolato nella scuola: per esservi scritto come capo maestro -vuolsi abbia lavorato quattro anni chi è nato in l’arte, e cinque chi -fuori. Chi lavora di tesser seta, non possa esercitare altr’arte ove -di quella si maneggi. Chi comincia a tessere una pezza, deva farla -marchiare, notandone il colore e la lunghezza. Non si tengano in casa -più telaj dei descritti. Per farsi immatricolare si paga un ducato -d’oro. La donna che si mariti fuor dell’arte, non possa insegnarla ad -altri. Non si piglino garzoni forestieri. I mercanti giurino di non -tingere zendadi con robbia nè sangue di becco, e i panni scarlatti -colorire con grana[269]. Potremmo in ciascun paese riscontrare questi -medesimi errori economici. - -La tintoria era un accessorio quasi indispensabile per tutte queste -fabbricazioni. Da gran tempo l’allume era il mordente più consueto: -avevamo appreso dalla Francia e perfezionato l’uso del chermes e -della robbia: fu consacrato dalla pubblica riconoscenza il nome del -Fiorentino che nel secolo xiv introdusse dal Levante in patria il -tingere a oricello, cioè in violetto coll’uliva[270], derivandone -il cognome degli Oricellaj, alterato poi in Rucellaj. A Bologna -prosperavano le tintorie di seta e di panno in grana e scarlatto; -ed essendo nel 1220 per servizio di esse tirata in città l’acqua del -Savena, fu conosciuta tanto opportuna, che i tintori fecero solenne -festa con processione e fuochi per tre giorni (Ghirardacci). - -Venezia, Genova e la Lombardia fabbricavano eziandio tele di cotone, -ma non da reggere il confronto di quelle di Mussul, mentre quelle -di lino e di canape, tessute principalmente in Lombardia, Padova, -Bologna e nel Piemonte, oltre soddisfare al consumo ogni dì crescente, -servivano anche a baratti coll’Asia. A pari colla seta erano prezzate -le pelliccie, distintivo de’ cavalieri e di alcune dignità civili -ed ecclesiastiche: di grossolane arrivavano da Svezia e Norvegia; da -Russia le preziose, massime dopo scoperta la Livonia; preparavansi a -Venezia, Bologna, Firenze, e in quantità erano spedite al Levante. - -Il nome di Firenze richiama i cappelli di paglia intrecciata, arte -ben antica se in casa Ricci ancor si conserva quello che fu di santa -Caterina de’ Ricci. A Brozzi dapprima, poi si estese alla Lastra, a San -Piero, a Ponte, a San Donnino, e se ne mandava per tutto il mondo[271]. - -Le armi davano lavoro a molti opifizj, dovendo ogni feudatario fornirne -i suoi uomini, ogni libero se stesso, ogni armatore il proprio legno. -Corazzaj e spadaj formavano una delle arti in Firenze; in Milano dura -il nome alle contrade degli Spadaj e Speronaj: e le armi della lupa -quivi fabbricate erano cerche persino fuori di cristianità. - -L’arte del vetro, della quale fino dal xiii secolo aveva esposto i -metodi il patrizio Manni, e che era concentrata in Murano, andò sempre -in meglio; e Venezia lavorava come semplici ornamenti conosciuti -col nome di _conterie_, così imitazioni di gemme, vasi comuni e -costosi cristalli, vetri di finestre e specchi suntuosi. Una fontana -di cristallo in argento fabbricata a Murano, fu comprata tremila -e cinquecento zecchini da un duca di Milano. Una legge del 1255 -provvide per gelosamente conservare quest’industria al paese; e chi la -esercitasse, godeva privilegi tali, che il matrimonio d’un patrizio -colla figlia d’un vetrajo non derogava la nobiltà, e la moglie del -nobile muranese sedeva pari a quelle della dominante; l’operajo che ne -migrasse, era reo di morte. - -Vi si lavorava pure attivamente di conciar pelli, e dorare cuoj per -le tappezzerie e marocchini. Moltissimi orefici con eleganza pari -all’abilità legavano gemme e facevano d’ogni maniera ornamenti fin dal -secolo XII, gareggiando con Genova, Bologna, Parma, Cremona, Mantova, -Perugia, Milano che n’era mercato ed emporio per l’Italia media. -Fin dal 1123 appare indizio della catenella, che ogni Veneziana poi -volle avere a più giri attorno al collo e ai polsi. I camini in forma -di campana, i terrazzi di pietruzze e calcistruzzo battuti v’erano -comodità antiche, e da Venezia si propagarono al resto d’Italia. - -Disputarono agli Orientali la fabbrica de’ camelotti e delle rascie; la -canapa convertivano in cordami, il filo in trine, migliaja di povere -addestrandosi al rinomato punto in aria. Il borace, che traevano -dall’Egitto e dalla Cina, soli i Veneziani sapeano preparare, come -il cremor di tartaro, la biacca, la lacca, il cinabro, il sublimato, -probabilmente imparati dagli Arabi. Molto si lavorava di cera, la cui -imbiancatura non v’era pregiudicata dalla polvere; di zuccari prima -della scoperta d’America, di liquori, di sapone. A Perasco faceansi le -corde armoniche, nel Vicentino i panni, a Salò il refe. La zecca, oltre -la moneta nazionale, ne lavorava pei paesi con cui trafficavano, ed -anche coll’impronta dei re barbari. Le cartiere del Friuli e di Brescia -diedero un altro capo di asportazione ai Veneziani, che presto la nuova -arte de’ libri stampati aggiunsero alle antiche: una nave catalana -nel 1380 aveva caricato a Genova per la Fiandra ventidue balle _paperi -scrivabilis_[272]. - -Le varie arti v’erano unite in fraglie, regolate da matricole scritte -(_mariegole_), dove pure si deponevano i secreti dell’arte, e la -poteva esercitare solo chi vi fosse registrato o chi avesse educato -un trovatello. Aveano particolare magistratura di conciliazione: con -tenui contribuzioni si preparavano mutui soccorsi, ed ergevano chiese -e scuole, la cui magnificenza desta ancora la meraviglia. Il magistrato -dei sensali giudicava in prima istanza la propria corporazione, potendo -condannare fino a tre anni di galera; i giudici della seta e la camera -del purgo giudicavano de’ setajuoli e lanajuoli. - -Di gran mistero avvolgevansi le manifatture, gli olj e sali medicinali; -la teriaca, famoso polifarmaco, tenuto qual panacea universale, e di -cui fin seicentomila libbre l’anno si asportavano; le tinture, massime -lo scarlatto e il chermisi, non doveansi fare che al tempo determinato -dalla legge, e con apparato d’incantesimo, e con baje di giganti col -cappellone, di uccellacci o d’altro che portassero gl’ingredienti: -meschini spedienti ma comuni, che, invece di cercare la superiorità nel -migliorare, assonnavano nella fiducia della proibita concorrenza. - -Il fiorentino Dei, che vergò violenti diatribe contro i Veneziani, e si -vantava d’aver fatto gran male ad essi in tutti i paesi, e massimamente -aizzando i Turchi a loro danno, li rimprovera perchè sui mercati, -dove i Fiorentini comparivano con broccati e drappi di gran valuta, -essi non portassero che aghi, seta da cucire e far frange, sonagli, -arme, vetrame e bazzecole. Prova che i Veneziani eransi accorti come i -piccoli guadagni moltiplicati equivalgono ai grossi, e quanto giovi lo -speculare sovra oggetti minuti ma di gran consumo. - -Con tutti quei regolamenti e con infinite minuzie e precauzioni, -consonanti all’economia politica d’allora, il Governo voleva -attirare ai Veneziani tutti i vantaggi del commercio europeo, nutrire -l’industria per mezzo dell’industria, assicurare alle fabbriche del -paese un’occupazione costante, non lasciando mai venir meno le materie -prime. Siffatto sistema a lungo andare poteva cessar di produrre i -vantaggi che si speravano nello stabilirlo; ma l’incertezza del futuro -e la poca probabilità di cambiamenti possono giustificare la condotta -del senato, mentre il paese vi va debitore di grandi lucri e ricchezze. -Del resto noi, tuttora impigliati fra tante pastoje, potremmo apporre -a que’ vecchi se non aveano ancora imparato che in ogni materia, -ma più nel commercio, il meglio che possa farsi è il non governar -troppo? Essi invece per favorire il commercio moltiplicarono leggi, -alcune delle quali non poteano che pregiudicargli, come avviene delle -vincolanti. Conviene però confessare che conoscevano il principale -scopo del commercio, qual è di conguagliare la ricerca coll’offerta, la -produzione col consumo, nè mai c’incontra di vedere quegl’ingombri di -manifatture non ismaltite, che sono il disastro dell’odierna industria, -comunque giganteggiata pel sussidio delle scienze, delle belle arti, -dello spirito d’associazione, della suddivisione de’ lavori. - -Procuravasi la buona fede coll’infamare chi fallisse al debito: e a -Milano, a Firenze, altrove doveva acculacciare una pietra: la _pietra -del vitupero_ stava nella sala della Ragione a Padova; a Monza, -chi rassegnava i beni dovea presentarsi alla pubblica assemblea, e -scalzo, nudo, in sole brache ascendere sopra la pietra, e starvi dal -principio al fine dell’adunanza; a Lucca, siccome nell’antica Roma, -l’oberato portava un berretto giallo, e se un creditore l’incontrasse -senza questo, avea diritto di farlo arrestare. Con un rigore, di cui -l’Inghilterra pur offre esempio, nel 1398 i Fiorentini stanziarono -che i falliti potessero forzarsi a far da boja, quando altro non ce ne -fosse[273]. - -Nel 1253 i Cremonesi stipularono coi Genovesi che, se qualche Genovese -abbia fatto credito a un Cremonese nel distretto di Genova, il -creditore deva richiedere per mezzo del Comune di Genova il Comune di -Cremona, il quale sarà obbligato ottenergliene la soddisfazione. Se -il debitore confessi il debito e nol paghi subito, venga arrestato -e consegnato al creditore esso e i figli, per essere sostenuto nel -carcere de’ malfattori, o condotto fuori del distretto di Cremona -cinque miglia, dove il creditore vorrà. Se il debitore fuggisse di -carcere, il Comune di Cremona pagherà. Se pagasse il debito, non si -rilascerà finchè non dia una sicurezza di stare al giudizio. Del -debitore confesso poi si avrà soddisfazione prima col mobile poi -coll’immobile, a stima di arbitri giurati, in modo che il Comune -lo riceva e paghi secondo tale stima. Se poi non abbia nè mobile nè -immobile, sarà consegnato co’ suoi figli maschi al creditore e condotto -come sopra. Se fuggissero, siano dichiarati forestieri (_forestetur_) -al Comune di Cremona; e se mai vi tornino, tengansi obbligati a -soddisfare al creditore[274]. - -Di buon’ora si cominciò a mettere in iscritto le convenzioni -commerciali, e pur testè fu pubblicato il repertorio di Giovanni -Scriba notajo di Genova, il quale pel solo anno 1161 contiene -cenquarantacinque atti privati, di società, di proteste, di -divisioni[275]. Pel più antico istrumento mercantile vi è dato -un atto del 1155, ove un Aucello giura portare a trafficar in -Sicilia e a Salerno lire sessantadue, ricevute da Oberto Usodimare. -Una carta dell’anno stesso dice: «Io Ugero Lugaro confesso aver -quattrocentosessantasette lire di roba tua, o Guglielmo Filardo, che -devo portare ad Alessandria per trafficare a tuo conto: al ritorno -deve esser tuo il capitale e il profitto, eccetto sette bisanti che -mi vengono per la condotta. Di quelle lire devo far le spese del -mio vitto e per quanto occorre. Del mio, porto lire venti». Ai 19 -settembre Ribaldo da Sarafia e Ferro di Campo mettono in società -quello lire cinquanta, questo trentacinque e il suo personale, e gli -utili si divideranno a metà. Al 6 luglio 1156 Lanfranco Pepe commette -il capitale di lire cinquanta a Bernardo Porcello che lo traffichi in -Genova, e dei profitti si farà a metà. In quel curioso repertorio molte -altre si hanno di queste associazioni del capitale coll’industria. - -Opportunissima al commercio venne l’istituzione dei consolati, cioè -d’una speciale e compendiosa giurisdizione per le cause mercantili -sia nell’interno, sia fuori[276]. Ne’ paesi lontani più frequentati si -tenevano consoli, che e vigilassero sugli atti del commercio nazionale, -e giudicassero i negozianti loro compatrioti secondo leggi scritte -o le usanze o il buon senso. Tali sentenze costituirono un diritto -consuetudinario; poi un Catalano o più probabilmente un Italiano, -entrante il secolo xiii, pensò raccogliere le costumanze de’ porti -del Mediterraneo, e ne nacque il _Consolato de’ fatti marittimi_, -base anch’oggi di tale legislazione, e diritto comune ove manchino -disposizioni particolari. Doveano essere avanzi delle leggi antiche, -durate in pratica anche dopo periti i documenti; e vi si tratta, in -ducento capitoli, dei doveri e diritti dei patroni di nave e socj, de’ -marinaj, mercanti, passeggeri; delle merci occultate, bagnate, guaste, -prese, gittate; degli attrezzi, delle armi, delle condizioni di nolo, -de’ cambj, delle assicurazioni[277]. A questo esempio furono compilati -il _Giudicato di Oleron_ per l’Oceano, e le _Ordinanze di Wisby_ pel -Settentrione. - -Se pure le assicurazioni erano conosciute ai Romani, sì poco -erano consuete, che legislatori e giureconsulti non le credettero -meritevoli di speciale attenzione. Nei nuovi tempi si estesero, -e i primi esperimenti si restrinsero ad accomunare i rischi fra i -padroni del vascello e quelli che caricavano. Tanto ne parve bene, -che la compilazione Rodia, certo anteriore all’xi secolo, la legge -di Trani che vorrebbesi del 1060, quella di Venezia del 1253, le -imposero come obbligo. Però, non legando che persone cointeressate -nella spedizione, stavano a troppo gran pezza da quelle zarose e -insieme precise speculazioni, dove, calcolando i venti, le avarie, le -stagioni, e insieme le politiche eventualità, la guerra, la pirateria, -si offre l’intero rifacimento delle lor perdite, mediante una tenue -anticipazione. - -Non ha appoggio chi le asserisce conosciute a Bruges nel 1310; e poichè -niuna legge marittima settentrionale ne parla, nè tampoco la grande -_Ordinanza anseatica_ del 1364, ci si fa credibile cominciassero fra -noi, dove gli statuti di Pisa del 1161 le ricordano[278]: nel 1300 -il Pegolotti espone come ordinaria questa assicurazione di denari e -mercanzie «a salvi in terra, a rischio di genti e di mare, a tutto -periglio di mare, di gente, di fuoco, di corsali», con premio dal sei -al quindici per cento: il breve poi del porto di Cagliari prevede i -casi del _naulegar_ e del _sigurare_. - -Ma grand’ala non poteva aprire il commercio quando sì scarso il -contante; non avendosi oro che dalle miniere di Spagna e Ungheria, -poca polvere dall’Africa, qualche paglia dai nostri fiumi; dell’argento -non ancora lavorandosi le cave dell’Harz; e il commercio coll’India e -la Cina dovendo saldarsi in moneta effettiva, perchè non avevano esse -bisogno delle derrate o manifatture europee; finchè l’Inghilterra ai -nostri giorni non riuscì a surrogarvi l’oppio e le cotonerie. - -I Romani sentirono, ma non ripararono tale deficienza; la quale, -cresciuta collo sperpero della migrazione, poi per le crociate, -impacciava le transazioni. Gli è ben vero che queste nell’interno -erano assai rade, quando la proprietà restava legata da feudi, livelli, -diritti comunali, manimorte, e dall’attenzione di conservare l’avito -possesso: pel consumo usuale poi molto adoperavasi il baratto. Però -l’Italia ebbe sempre maggior correntezza di contante, sì perchè la sua -industria ve ne chiamava, in tempo che le altre nazioni limitavansi a -comprare e consumare, e tutto doveano procacciarsi a denaro, non avendo -di che far baratti; sì per lo speso dai tanti che qui erano condotti -dalla devozione o dall’ambizione o dagli affari; sì perchè la curia -romana da tutto il mondo riceveva o tributi, o tasse per dispense, -indulgenze, aspettative, brevetti, investiture e simili, o frutti di -benefizj lontani, investiti a prelati qui dimoranti. - -Se ne valsero i nostri per applicarsi alla banca o al prestito, e -svilupparono le varie forme del credito. Quando ogni paese, ogni -feudo aveva zecca propria, e spediente di finanza consideravasi il -falsare o alterar le monete, nasceva un’inestricabile diversità di -titolo, d’impronte, di valore. Per sottrarsi alla quale non di rado -si stipulavano i pagamenti a peso, cioè a marco, diviso in otto once -di ventiquattro carati[279]; onde i negozianti, prima di rimpatriare, -col denaro avuto compravano oro e argento non coniato. Tanto più che -molti paesi, considerando il denaro come vera ricchezza, non come -solo stromento di cambio e misura del valore, impedivano gelosamente -l’asportarlo. A questo disagio e alle frodi, troppo facili sopra monete -non conosciute, ripararono Lombardi, Fiorentini, Senesi, nelle primarie -città aprendo scanni, col nome di banchieri o _campsores_; e ricevute -in deposito le somme, sborsavanle man mano che il depositante traesse -su loro, o facevanle a questo pagare dai proprj corrispondenti ove egli -si recasse. Tutte le operazioni che oggi si lodano come arte bancaria -o si vituperano come aggiotaggio, le troviamo già in uso; e Firenze -nel 1371 moderava i giuochi di borsa coll’imporre una tassa sopra la -vendita de’ fondi pubblici[280]. - -Una scolastica distinzione fra le ricchezze fruttifere e le -infruttifere, che poneva cioè il valore nelle cose medesime, non -nel servizio che rendono all’uomo, fece a molti, fino a’ dì nostri, -dichiarare illecito il guadagnar sul denaro; e fatto un precetto -del consiglio evangelico _Date a mutuo senza nulla sperarne_, si -giudicò peccato il lucrare un interesse. Ma poichè è troppo naturale -e vantaggioso che il capitalista accomodi al lavoratore, bisognava -illudere la coscienza co’ varj sotterfugi di cui gli usurieri sono -maestri. I governi poi pensarono a porre un limite agl’interessi -affinchè non se ne abusasse; quasi non dovessero, come in tutte -le altre mercanzie, proporzionarsi al rischio, alla ricerca, al -lucro del mutuante. Come avviene dei provvedimenti arbitrarj, anche -questo dovette altalenare; e poichè probabilmente le variazioni si -saranno legalizzate sol dopo che l’abuso era comune, non possiamo dal -variare degli interessi argomentare la maggior o minore ricchezza -pubblica, cioè il migliore impiego del denaro. Perocchè a volere -che in paese industre gl’interessi si proporzionino al vantaggio che -ne trae l’accattante, bisognerebbe che i divieti non perturbassero -l’equivalenza de’ servigi; e molte volte gl’interessi sono alti in -grazia non della prosperità, ma del rischio a cui il capitale si -espone. Così oggi in Levante, perchè il Corano vieta il ricevere -frutto, il prestatore non protetto dalla legge deve premunirsi dai -rischi della contravvenzione. - -Il codice romano stabiliva il merito del quattro per le persone -illustri, dell’otto pei mercanti, del dodici per quelli di grado -inferiore che prestassero grano o derrate, del sei per gli altri; tanto -era mal compreso l’uffizio del denaro. Nel medio evo, il commercio -trasse il denaro nelle città, sicchè i signori castellani e principi -ne pativano disagio, e bisognava ne cercassero a usure trasmodate. -Guido conte di Biandrate nel 1161 pattuiva quattro denari al mese, cioè -il venti per cento. Nel 1201 Arduino vescovo torinese conveniva con -Giacomo e Bartolomeo Sylo, se non restituisse fra due anni le dovute -152 lire susine, v’aggiungerebbe lire 13; se fra tre, lire 25; se fra -quattro, lire 58; se fra cinque, lire 90; se fra sei, lire 113: il -che era un modo di mascherare l’usura, maggiore del dodici per cento -(Cibrario). Nei conti di Giuliano di Nannino de’ Bardi con Pietro -di Francesco Piccioli nel 1427 al prestito di lire 2928 in un anno è -computato l’interesse di lire 878: lo che scontra il trenta per cento -(Pagnini). Il doge Mocenigo assegna il quaranta all’anno pei capitali -messi nel commercio. Federico II in Sicilia lasciò solo agli Ebrei il -prestare, e proibì di passare il dieci[281]; errore massiccio, emendato -dalle violazioni. Uno statuto veronese nel 1228 prefiggeva il dodici e -mezzo; uno di Modena del 70, il venti; uno di Cremona del 78 interdisse -agli Ebrei di esigere sui pegni più di sei denari per lira al mese. -Nel XIV secolo v’ha esempj del trentacinque. A Firenze erano ottanta -banchi, e il monte pagava il merito del dodici o quindici e non mai -più del venti: per moderare le usure, nel 1430 vi si chiamarono Ebrei, -i quali obbligavansi a non riscuotere di là dal venti; e quando nel 95 -furono espulsi, si trovò, o almeno si disse che in cinquant’anni aveano -guadagnato 49,792,556 fiorini. - -In Piemonte, morendo uno in fama d’avere guadagnato di usura, ogni -aver suo ricadeva nel fisco: al qual uopo con rigore si suggellava la -casa, s’imprigionavano la vedova e i figli acciocchè dichiarassero se -nulla tenessero nascosto: istituivasi l’indagine, dalla quale raramente -l’accusato usciva netto quando importava al fisco di trovarlo in colpa; -anche purgandosi, non veniva reintegrato della roba e dell’onore: -lo perchè tutti procuravano accordarsi col fisco, colpevoli o no -(Cibrario). - -Il pregiudizio contro gli Ebrei impedì acquistassero proprietà -sode; onde si gettarono sulle arti e sul commercio, e non legati da -restrizioni clericali, e nell’obbrobrio loro poco adombrandosi di -nuova infamia, davano a prestito. Quei che doveano accattar denari da -loro, gli accusavano di esorbitanti usure; i rovinati, gl’infingardi -riversavano sopra di loro ogni colpa, pretesto a fraudarli del dovuto: -e così odiati e necessarj, menavano quella esistenza eccezionale, che -è una singolarità in mezzo alle singolarità del medioevo. Ma quel -continuo cacciarli per continuo restituirli attesta la cresciuta -importanza delle ricchezze commerciali, per cui l’opifizio ormai -equivaleva al castello. Che se in Francia e in Inghilterra gli -Ebrei erano esposti alle brutalità della plebe, alle persecuzioni -de’ preti, all’insaziabiltà dei re, che li chiamavano per ottenerne -denari a prestito, poi li sbandivano per farsi pagare la tolleranza, -da noi poteano trafficare, se non senza odio, almeno senza pericolo; -e se per l’opinione dello scannar figliuoli alla pasqua, la quale -vedemmo ridesta perfino ai giorni nostri, erano avversati non meno -dalla fanatica Napoli che dalla colta Firenze, spesso gli statuti li -riconoscevano, se non altro, per moderarli. Venezia nel 1400 a due -Ebrei concesse di fondare una banca di prestito; e quando s’impadronì -di Ravenna, prese obbligo di spedirvi banchieri ebrei; i quali aveano -case a Roma, a Firenze, a Pavia, a Parma, a Mantova, anzi in tutte le -principali città. - -A Roma l’università degli Ebrei doveva pagare 1130 fiorini d’oro (come -da istromento inserito nella bolla di Bonifazio IX del 1399) che -servissero alle feste carnovalesche di piazza Navona e a Testacio. -Inoltre, al principio del carnovale, alcuni loro deputati doveano -presentarsi ai conservatori di Roma, implorando continuasse a loro la -protezione del popolo romano, e offrendo un mazzo di fiori e una cedola -di 20 scudi, da spendere in addobbare i palchi della magistratura -romana. Il primo conservatore rispondeva, che, se rimanessero quieti -e fedeli, non verrebbe lor meno la protezione del popolo e del papa. -Eguale omaggio faceano al senatore, che rispondeva in simili sensi. - -A Martino V gli Ebrei d’Italia portarono lagnanze pei mali trattamenti -che soffrivano; ed egli, inerendo all’operato da’ suoi predecessori, -promulgò privilegi, e proibì agl’inquisitori e ad ogni altra persona -laica od ecclesiastica di predicar contro di loro e inviperire -la plebe, nè recare ad essi molestie, salvo se fossero fautori -dell’eresia, non obbligarli ai divini uffizj, non battezzarne alcuno -prima dei dodici anni. Nondimeno alcuni predicatori, massime de’ -Mendicanti, persuadevano i Cristiani ad evitare ogni contatto cogli -Ebrei, non cuocer loro il pane, non prestar fuoco o servizj, non -riceverne prestanze, minacciandoli di ecclesiastiche censure; a tacer -quelli che, eccitati da ciò, ne sturbavano i possessi, li battevano, -ingiuriavano, uccidevano; col che «li rendeano più ostinati nella loro -perfidia, mentre colla carità potrebbero cattivarli». Laonde Pio II, -nella bolla 27 luglio 1459, toglie in protezione gli Ebrei; abbiano -sinagoghe e sepolture senza impaccio; nè vogliasi costringerli a vivere -a modo nostro, o lavorare il sabato; nè siano esclusi dal conversare -coi nostri, nè dal comprare o appigionar case e beni da Cristiani, e -far contratti, mercatare, tenere scuole delle scienze giudaiche[282]. - -Cogli Ebrei presto vennero a concorrenza Lombardi, Astigiani, Toscani, -Caorsini, aprendo banche in ogni canto d’Europa, e accomodando -di denaro non solo i privati, ma anche il pubblico, e massime in -Inghilterra, cautelandosi sopra i dazj. Gli statuti di Susa fin dal -xii secolo parlano di _casane_ stabilite in varie città d’Italia, cioè -banchi di prestanza e di cambio. Nel 1277 Filippo III re di Francia -catturò tutti i prestatori italiani sotto imputazione d’usuraj, ma -in fatto per ismungerli; e si lasciò calmare solo da sessantamila -libbre di parisj, che varrebbero oggi ventiquattro milioni[283]; poi -nel 94 stipulava col capitano e col corpo de’ cambisti italiani, che -gli dovessero un tanto per gli affari di cambio. Metz ne avea fin dal -1260, e nel 1370 restaurò le sue mura colla taglia percetta su questi -Lombardi; nel 1404 appaltava per dodici anni la sua banca a Giovanni -Frassinale di Vercelli per duemila e quattrocentotto fiorini di -Firenze. - -Al pari degli Ebrei erano favoriti e odiati i Lombardi; tassate al -doppio delle altre le _lettere lombarde_, con cui la cancelleria -francese gli autorizzava al commercio; relegati in quartieri distinti -e chiusi, simili ai ghetti; e a volta a volta spogliati violentemente -od espulsi. Un’ordinanza del 6 gennajo 1477 invitava gli abitanti -di Amsterdam a ritirare i loro pegni dai Lombardi avanti il martedì -grasso, assolvendoli dagli interessi. - -I Fiorentini principalmente applicarono a quest’industria; e -Frescobaldi, Bardi e Peruzzi, Capponi, Acciajuoli, Corsini, Ammannati -erano le più famose banche cantanti in Inghilterra e ne’ Paesi Bassi. -La casa dei figli di Caroccio degli Alberti dal 1348 al 57 aveva -filiali ad Avignone, Bruges, Napoli, Barletta, Venezia e altrove, le -quali pagavano o riscotevano le somme da rimettersi in Avignone alla -corte pontifizia o ad altre piazze di Francia, Fiandra, Germania, -Italia: contemporaneamente negoziava in grosso di panni, che da -Brusselles, Gand e altre terre di Fiandra, Francia, Inghilterra, per la -lor casa di Bruges erano spediti al fondaco di panni in Firenze, per la -via di Parigi, Marsiglia, Nizza, Pisa[284]. - -Destri com’erano, qual meraviglia se i nostri venivano adoprati per -consiglieri e ministri di finanza da principi? tanto più che non -poteano questi assumere veruna impresa se dal banchiere non ne avessero -assicurati i mezzi. Molti _siniscalcati_ della Francia meridionale -erano appaltati a compagnie di Lombardi, che si assumevano queste -imprese finanziarie[285]: a Lione case fiorentine, lucchesi, genovesi -faceano in grande il commercio d’asportazione e importazione de’ -tessuti di lana e seta[286], e vi serba nome la via de’ Guadagni ove -questi teneano banca: ne’ libri mastri di Genova, di Pisa, di Messina, -in mancanza di altri documenti, vengono a cercar prove di nobiltà le -famiglie francesi che ambiscono di poter inserire la croce nel loro -stemma. - -Quelle banche riceveano in deposito capitali di signori e principi. -I figli d’Obizzo d’Este nel 1293 fecero intimare alle compagnie de’ -Baccherelli, della Cella, dei Cerchi Bianchi e Neri, de’ Frescobaldi, -de’ Nerli, de’ Bardi, degli Acciajuoli, ed altre di Firenze, nulla -rendessero al marchese Aldobrandino di quel che il loro padre aveva ad -essi affidato[287]. Giovanni Bodino disapprovava una banca a Lione, -su cui metteano fondi non solo principi cristiani ma fino i bascià, -e che a Francesco I fece patti onerosissimi, e ad Enrico II prestò a -nome de’ Capponi e degli Albizzi, al dieci e dodici e fin sedici per -cento. Borromeo de’ Borromei, di quel Samminiato donde uscirono fra -poco i Buonaparte e gli Sforza, nel 1379 accomodava di ottantamila -fiorini d’oro Gian Galeazzo Visconti. Nel 1321 i Peruzzi doveano avere -cennovantunmila fiorini d’oro, e centrentatremila i Bardi dai cavalieri -di San Giovanni. Fu considerato come pubblico disastro quando gli Scali -nel 1339 fallirono di quattrocentomila fiorini; e i Peruzzi e Bardi di -mille trecento settantatremila, che equivarrebbero a quaranta milioni -di lira d’oggi. - -Agli Ebrei attribuisce Giovan Villani le lettere di cambio, i quali, -sbanditi di Francia sotto Dagoberto I nel 630, Filippo Augusto nel -1181, e Filippo il Lungo nel 1316, si ritirarono in Lombardia, e -per trarre il denaro lasciato colà, a mercanti e viaggiatori davano -lettere concise. Qual conto fare di un’indicazione di tempo così -indeterminato? e quanto poco è probabile, allorchè il bando vietava -ogni comunicazione ed assistenza agli Ebrei espulsi. Sa più ragionevole -il lodarne i Guelfi di Firenze, che sbanditi dai Ghibellini, trassero -somme, principalmente in Lione. I Ghibellini, cacciati alla lor volta, -ricoverarono ad Amsterdam, ed usarono altrettanto[288]. - -Alcune cambiali non aveano particolare direzione, il che si praticava -specialmente in Levante, e sembra indicarle il Fibonacci sin dal 1202: -altre ordinavano di pagare a persona nominata; e il primo esempio -sicuro è di papa Innocenzo IV, che nel 1246 trasmetteva venticinquemila -marchi d’argento ad Enrico Raspon anticesare, facendoli pagare a -Francoforte da una casa di Venezia. Nel 1253 Enrico III d’Inghilterra -autorizzò alcuni italiani suoi creditori a rimborsarsi mediante -tratte sopra vescovi del suo regno, il valor delle quali ammontava -a 150,540 marchi; e il legato pontifizio ebbe cura di farle pagare -puntualmente. I negozianti trovarono comodo il pareggiar le partite -senza intervenzione dei banchieri per via di tratte; e la più antica -che ci resti è d’una casa di Milano, che nel 1326 tirava sopra una di -Lucca a cinque mesi dalla data[289]. Baldo giureconsulto adduce due -cambiali, una del 1381 sotto nomi supposti, l’altra del 95 di Borromeo -de’ Borromei da Milano sopra Alessandro Borromeo. - -Un regolamento del 1394 ingiunge ai negozianti di Barcellona di pagar -le cambiali entro ventiquattr’ore dalla presentazione, e di attergarne -l’accettazione; e pare si conoscessero anche i protesti. Più tardi -s’introdussero le girate, che ne formarono la vera comodità. Se dunque -gli Ebrei inventarono le cambiali, la vera teorica loro è dovuta -agl’Italiani, che le estesero per incassare i fondi, da ogni parte del -mondo affluenti alla corte di Roma. - -Alle fiere di Champagne, molto frequentate perchè medie fra l’Italia, -la Francia meridionale e i Paesi Bassi, breve tempo s’indugiavano i -negozianti; laonde i re di Francia statuirono che, contro chi lasciasse -scadere una cambiale firmata nella fiera precedente, si procedesse -in via sommaria. Di qui il diritto cambiario; e spesso obbligavansi i -debitori ad enunziare ne’ recapiti che il debito era stato contratto in -tempo di fiera per goderne il privilegio. - -Spedientissime trovate furono le banche pubbliche, le quali nelle -transazioni di commercio surrogano al denaro sonante i viglietti, cioè -raddoppiano i titoli legali del concambio. Fin dal 1171 pare Venezia -possedesse un banco di credito; altre città ne istituirono, ma nessuna -con tanta ampiezza e fortuna quanto Genova, del cui banco di San -Giorgio abbiamo già parlato a disteso (tom. VII, pag. 111). - -Affine poi che anche i privati trovassero comodità di prestiti senza -cascare negli usurieri, si stabilirono i Monti di pietà. Il primo si -vide a Perugia nel 1467[290], per opera di Bernabò medico di Terni, -frate francescano, che non esigeva se non quanto bastasse alle spese -d’amministrazione. San Bernardino da Feltre e frà Michele da Carcano -diffusero quest’istituzione a Mantova[291], a Como e nella restante -Lombardia; Sisto IV approvò quello eretto a Viterbo il 1479, e ne pose -uno in Savona sua patria; tosto Cesena, Firenze, Bologna, Napoli, -Milano, Roma seguirono l’esempio, imitato dalle città industri di -Fiandra, e più tardi dai Francesi. A qualche rigoroso moralista -odoravano di usura, e accanita disputa si allungò fra teologi e -giureconsulti; ma l’utilità che ne derivava indusse a mettervi -piuttosto ordine e misura. - -Da quanto esponemmo siete chiari come le forze e i capitali si -sapessero aumentare col formar compagnie di commercio. Fin dal 1188 è -ricordata la società pisana degli Umilj, stabilita a Tiro, e che fra -il negoziare non lasciava di soccorrere i Crociati[292]. I Bardi di -Firenze aveano quasi il monopolio di tutto il regno di Napoli. Parrebbe -anzi che le varie compagnie si abbracciassero in una generale, che -costituiva una potenza mercantile, e che per ambasciadori trattava coi -re e coi baroni, al modo dell’Ansa tedesca. Certamente un _capitano -dell’università de’ mercadanti lombardi e toscani_ risedeva a -Montpellier, donde il 1276 re Filippo l’Ardito consentì si trasportasse -a Nîmes[293], nella carta stessa concedendo che nessun membro d’essa -università potesse citarsi ad altro tribunale che al regio; morendo, i -loro beni passino agli eredi; non soffrano del diritto di naufragio; -vadano esenti dalle guardie, dalle taglie, dai servizj militari. Nel -1293 al Bourget in Savoja stipulavasi una salvaguardia tra Lodovico -di Savoja signore di Vaud, e l’università dei mercanti di Lombardia, -Toscana, Provenza, rappresentata da procuratori de’ mercanti di Milano, -Firenze, Roma, Lucca, Siena, Pistoja, Bologna, Orvieto, Venezia, -Genova, Alba, Asti, Provenza (Cibrario). Nè ignota era la società -d’accomandita, per cui uno dà a trafficare una somma, partecipando -agli utili interi, ma alle perdite soltanto fin all’ammontare del -prestato[294]; e con decreto del 1315 Luigi X di Francia dichiarava non -trovare usura in società siffatte, da Italiani istituite. - -Le società stipulavano comunemente che le gabelle non fossero -d’improvviso aumentate ne’ luoghi di passaggio; se qualche nazionale -o i conduttori facessero ingiuria ai natìi, si punirebbe l’offensore -senza concedere rappresaglie sopra i mercanti; si terrebbero netti i -cammini da masnadieri; che se essi od altri danneggiassero, i mercanti -ne verrebbero rifatti; non si sballerebbero le merci; le quistioni che -insorgessero, sarebbero definite il giorno medesimo. Inoltre aveano -chiesa, bagno, piazza, forno, macello, casa, giurisdizione propria, -talvolta anche criminale. Nel 1189 Pietro re d’Arborea agli uomini di -Genova assegna in Oristano _tantam terram, qua fabricari possunt centum -botegas_; poi nel 92 privilegi amplissimi, fra cui promette, se alcun -legno rompe, farà restituire quanto venisse tolto; se alcun uomo muoja, -non ne terrà cosa alcuna benchè intestato. - -Nel 1169 Boemondo III principe d’Antiochia dona ai Genovesi tutto -ciò ch’essi tengono in Antiochia e Laodicea e nel porto di Seleucia: -cioè in Antiochia una ruga colla chiesa di San Giovanni; in Laodicea -il fondaco e la strada che lo cinge, e terza parte delle rendite del -porto; come anche in Seleucia. E se farà altri acquisti, concederà -quello stesso che hanno in Laodicea; se qualche ingiuria ricevano, -e’ ne vorrà accomodamento e giustizia fra quaranta giorni; sieno -licenziati a negoziare in qualunque terra egli acquisti col loro -soccorso: il che tutto fa per consiglio de’ baroni suoi, perchè -molto ama i Genovesi, e desidera frequentino al possibile la terra -di lui e vi dimorino. Pel qual privilegio Lanfranco Alberico, uomo -nobilissimo, e legato del senato e de’ consoli, per sè e pel Comune -della famosissima città di Genova gli promettono ajutarlo, crescere le -sue possessioni e difenderle[295]. - -In qualche luogo, come a Tiro, i Genovesi partecipavano del diritto -di catena che pagavasi da ogni nave entrando o uscendo. Secondo lo -spirito d’esclusione d’allora, ciascuna compagnia affaticavasi non -meno a vantaggiare se stessa che a deprimere le altre, e col monopolio -assicurarsi ingenti guadagni[296]. Di simili trattati una gran -quantità troviamo sia delle città fra loro, sia de’ principi, che vi -s’affrettavano perchè assicuravano ai loro paesi un lucroso passaggio: -ma spesso più che le grida e i tribunali valeva l’opera del papa, che -con interdetti e scomuniche puniva i violatori. - -La quantità de’ pirati, massimamente barbareschi, cagionava che il -commercio non procedesse senz’armi, anzi ogni nave era obbligata uscire -ben munita. A Genova per legge del 1291 era multato in dieci lire il -mercante che navigasse oltre Portovenere senza buone armi per sè e pei -servi, e cinquanta verrettoni nel turcasso. A Venezia ogni marinajo -dovea recarsi elmo di cuojo e di ferro, scudo, giaco, coltello, spada -e tre lancie; se ricevesse più di quaranta lire di stipendio, vi -doveva aggiungere la panciera; ed anche balestra e cento saette il -nocchiero[297]. Pertanto vedemmo i nostri negozianti prendere tanta -parte alle crociate e far conquiste, od esercitare in mari lontani le -ire fratricide della patria. - -Anche le compagnie di commercio terrestre provvedeano colle armi alla -propria sicurezza, e talora le adopravano in guerra. Alberto Scotto, -famoso tiranno di Piacenza, era alla testa di una grossa _compagnia -degli Scotti_, che nel 1299 ottenne di negoziare cogli agenti del re di -Francia sulle fiere della Brie e della Sciampagna; la qual compagnia, -composta di quattrocento cavalli e millecinquecento pedoni, poco poi -guerreggiava a’ servizj d’esso re[298]. - -La maggiore importanza consistette sempre nel commercio di mare. Lo -scadimento di Roma crebbe vita a Costantinopoli, la quale stendendo -la destra verso l’Arcipelago, la sinistra al Ponto Eusino e alla -palude Meotide, coll’Asia Minore in faccia e l’Europa alle spalle, -pare destinata centro ai negozj di tutto il nostro emisfero. Le -merci d’Oriente vi erano condotte dall’Egitto, o i Bisantini medesimi -andavano cercarle nell’India, nella Persia, fors’anche nella Cina. Il -primo irrompere degli Arabi divenuti maomettani non potea che rovinare -il commercio: ma poi essi medesimi vi si applicarono dovunque estesero -la conquista; fondarono Bàssora, che tolse il vanto ad Alessandria; -coll’occupare l’Egitto, interclusero ai Bisantini il mar Rosso, -obbligandoli a provvedere da loro le ormai indispensabili derrate -dell’India, o a questa rivolgersi per una traccia lunghissima, salendo -fino a Kiof in Russia. - -Le crociate, cominciando a far guardare l’Europa come una sola nazione, -unirono gli uomini a concordi imprese, gli avvicinarono ai paesi -delle derrate preziose, guadagni e privilegi e occasioni accrebbero -alle città marittime, che collo stendardo della croce protessero le -speculazioni. Poi le frazioni feudali agglomeravansi in nazioni; -e i Comuni sorgevano a quella libertà, che dà coraggio a cercare -i miglioramenti; e Amalfitani e Pisani in prima, poi Genovesi e -Veneziani si resero i principali, se non gli unici fattori del traffico -europeo[299]. Dal settentrione per la Piccola Tartaria vettureggiavano -canapa, legname, gòmene, pece, sego, cera, pelli, molti trattati -conchiudendo coi Mongoli successori di Gengis-kan e di Oktai, che -aveano conquistato la Russia, la Polonia, l’Ungheria e la Moldavia, e -da cui compravano il bottino e schiavi. Impediti d’andare nell’India -per l’Egitto, vi si spingeano pel mar Maggiore, come chiamavano il -Nero, nel quale il Tanai, il Boristene, il Dniester, il Danubio portano -le variatissime produzioni di estesissime contrade, mal accessibili per -terra. Ivi principale posatojo era la Tana, cioè Azof, all’imboccatura -del Don, ove da un lato si aveva la Moscovia, dall’altro l’Armenia, -l’Arabia, la Persia, per cui poteasi arrivare al Mogol e alla -Cina; e vi teneano cànove Genova, Venezia, Firenze e altre città. I -Veneziani per giungere dalla Tana a Catai doveano lasciarsi crescere -le barbe, e avere un buon interprete e servigiali che sapessero di -tartaro; ordinariamente un mercante portava seco in denari e merci per -venticinquemila ducati d’oro; e trecento a trecencinquanta bastavano al -viaggio fino a Peking, compresi i salarj degl’inservienti (Pegolotti). - -Costantinopoli, oziosa e corrotta capitale d’uno Stato senza -industria, considerava il commercio men tosto come elemento di -pubblica prosperità, che come rendita fiscale; onde le speculazioni -di quell’immenso mercato rimanevano a stranieri. Perciò Veneziani e -Genovesi, dapprima tollerati, presto furono trovati utili, infine -necessarj; e i deboli imperatori, per mantenersene la vacillante -amicizia, non conoscevano altro spediente che rinnovare e spesso -estendere i loro privilegi. Ne rampollarono calde rivalità fra Genova -e Venezia, che vedemmo combattute nei mari nostri e negli orientali. -La conquista di Costantinopoli pei Crociati dava la prevalenza ai -Veneziani? i Genovesi favorivano Michele Paleologo a distruggere -l’impero latino; ed esso in compenso privilegiò la loro colonia di -Galata, che spesso giovò, spesso incusse timore all’impero greco. - -Genova, posta quasi nel mezzo della costa che archeggia dalla Sicilia -allo stretto Gaditano, avendosi dinanzi il Mediterraneo, da un lato la -Provenza e la Francia, dall’altro l’Italia meridionale, a spalle la -pingue Lombardia, a fronte Corsica e Sardegna, Spagna ed Africa, con -poco ed ingrato terreno, con mare scarso di pesci, mostrasi predisposta -al commercio, che di fatto vi è antico quanto lei. Le emulazioni -con Pisa, con Venezia, coi Catalani ne svilupparono la marittima -abilità ed il caratteristico coraggio: marinaj più intraprendenti -de’ suoi dove trovare? molti per proprio conto assumevano spedizioni -e conquiste, talora approvati dal Governo, talaltra abbandonati alle -forze particolari, secondo portava il pubblico interesse o la fazione -dominante. I dossi erano ancora vestiti di pini e d’abeti, e nel 1822 -dal solo bosco di Bajardo presso Triora bastò legname per trentotto -galee; da quello di mont’Ursale a Pareto per dieci ogni anno (Serra). -E preti e nobili negoziavano; molteplici le società, ove i ricchi -mettevano denari, i poveri l’opera: se non che l’infellonire delle -fazioni tolse a quella repubblica di cogliere tutti i vantaggi che le -avrebbero procurato tanta abilità degli ammiragli, tanta intrepidezza -delle ciurme, tanto spirito intraprendente, tanti capitali. - -L’acquisto più famoso di Genova in Levante fu la Gazarìa. Sulla -penisola della Tauride, bagnata dal Ponto Eusino e dalla palude Meotide -o mare delle Zabacche, nel giro di ben settecencinquanta miglia, e -per l’istmo di Perekop, largo un miglio, unita ai paesi del Boristene -e del Bog e alle steppe della Tartaria Nogaja, già per l’opportunità -gli antichi Greci aveano piantato colonie, vinte da Mitradate, poi -dai Romani. Fu occupata da successive genti barbare, e massime dagli -Slavi Cazari, dai quali il nome di Gazarìa. Soggiogata dai Tartari nel -1237, un loro principe la vendette ai Genovesi nel 61, che vi assisero -colonie per tutto, e principalmente a Caffa. Questa, situata sul -lembo orientale della penisola, a piè de’ monti che fanno cintura alla -medesima, già era colonia greca, poi illustre col nome di Teodosia, -finchè non cadde in ruine, fu ristorata e munita dai nuovi padroni, i -quali con titolo di magazzini fecero case basse, poi le fortificarono -senza far mostra, siccome gl’Inglesi a Bengala. Ivi preso buon avvio, -le alture vicine roncarono a viti, insegnarono a depurare la soda -dalle ceneri dell’atrepice laciniato, ivi abbondantissimo, ed estesero -i vantaggi del commercio. Il vecchio Crim, che sedeva sull’opposto -pendìo, e dove i Tartari recavano le loro prede, salì per questi vicini -in tale aumento, che a tutta la penisola venne il nome di Crimea, e da -trecentomila abitanti arrivò ad un milione. - -A Caffa i Genovesi trovavansi in casa propria, esenti dai capricciosi -dazj de’ Barbari cui erano esposti alla Tana, e a milletrecencinquanta -miglia dalla patria aveano un porto nazionale ove deporre le merci -e raddobbarsi, mentre desse luogo la stagione malvagia. Coi soliti -vantaggi de’ popoli colti fra i Barbari, annodarono relazioni di -commercio e di politica, ai cittadini diedero magistrati proprj e -statuti e moneta, e piantarono una missione. Il console Donadeo Giusti -la fe cingere di mura; nel 1383 Leonardo Montaldo doge vi faceva -una seconda cinta; e tanto ingrandì, che i Turchi la denominavano -Costantinopoli di Crimea (_Krim Stamboul_); vent’anni appena dopo -fondata, spediva tre galee a soccorrere Tripoli di Soria; nel 1318 vi -era insediato un vescovo, con giurisdizione dalla Bulgaria al Volga, -dalla Russia al mar Nero. - -A mezzodì e a settentrione del seno di Caffa due altri se n’addentrano. -Nel primo è Sodagh o Soldaja, con poggi a viti preziose, e terebinto, -e pietre da macine. I Genovesi vi fabbricarono una torre di -difficilissimo accesso, e attorno a quella le proprie case e mura. -Avanzando ancora a meriggio si volta il capo d’Ariete (_Kriu-metopon_), -oggi Ajù; poi piegando a ponente è il Portus Symbolorum, detto -Cimbalo dai nostri, ed oggi Balaklava, dove i Genovesi posero colonia, -opportuno ricovero alle navi del ponente. Dietro a Cimbalo, tra Lusen -e la Lombarda, la Gozia ricordava col nome i Goti, e quivi, dove le -strade vengono a incrociarsi, i Genovesi eressero l’inespugnabile -Mankup. A settentrione si scende in un piano irrigato dall’Alma, ove i -kan della Crimea fabbricarono Bakciserai; e tutt’intorno vi rimangono -vestigia di case e villaggi genovesi. - -Da Caffa volgendo a settentrione, si trova Cerco alle falde del monte -ove stava Panticapea, camera dei re del Bosforo, sporgendosi fra -l’Europa e l’Asia; e i Genovesi non trascurarono di fortificarlo, -chiudendo quel varco tra il mar Nero e quello delle Zabacche. Di colà -si spinsero entro le foci del Danubio, presso Chiliavecchia posero un -castello, e profittavano della pesca dello storione; alle foci del -Dniester aveano in Ackerman stabilimenti pel sale e la pesca, e per -ricevere grani dalla Polonia; sul lido opposto, a Sinope pescavano -il palamide, che seccato fa vece di baccalare. Giunsero poi anche a -farsi padroni della Tana, in fondo alla palude Meotide[300]; ma nessuno -storico accenna il quando e il come di sì importante acquisto. Forse -quella città posseduta dai Tartari fu, nelle sconfitte di questi, -distrutta da Tamerlano, e i coloni genovesi da Caffa vi accorsero e la -rialzarono verso il 1400. - -Chi vide testè (1855) tutta Europa combattersi pel possesso di -quel mare e per voler aperto il passo dei Dardanelli, comprenderà -l’importanza che allora v’annetteano i Genovesi; tanto più che allora -ignoravasi la via più diretta alle Indie. - -La repubblica genovese, fiaccata dal continuo traspeggio, cedette la -Gazarìa al banco di San Giorgio, del cui senno restano bel monumento -gli _statuti_ che le diede. Ordinata a sembianza della metropoli, -presedeva all’amministrazione un console annuo con un cancelliere, -nominati a Genova, e che prestavano cauzione. Rappresentava la colonia -un consiglio di ventiquattro, rinnovato ogni anno dai membri uscenti, -e che sceglieva un piccolo consiglio di sei, fuori del suo grembo; non -più di quattro borghesi di Caffa potevano aver parte nel primo, due -nel secondo; alcuni posti pei nobili, altri per i plebei. Il console -arrivando dava ai ventiquattro il giuramento, e tosto facea procedere -alla loro rinnovazione; governava col piccolo consiglio, senza cui non -poteva imporre taglie nè fare spese straordinarie; non avere traffici -per proprio conto, nè ricever doni. Il cancelliere, scelto dal Governo -fra i notari di Genova, rogava gli atti e apponeva il suggello. -L’uffizio della campagna rendeva giustizia ne’ contratti de’ coloni coi -liberi confinanti. - -Così da Costantinopoli, da Caffa, dalla Tana, Genova esercitava il -commercio col Levante mediante una sequela di scali, che giungevano -fino alla Cina da una parte, dall’altra all’India lungo il golfo -Arabico, sul quale sembra le fosse interdetto veleggiare. Altri n’aveva -in tutta la Romania, la Macedonia e l’Arcipelago; e nominatamente a -Scio, una delle isole Sporadi, che perduta, fu recuperata da Simon -Vignoso con galee fornite da nove famiglie, unitesi poi nella _maona_ -o ditta de’ Giustiniani, dal nome della famiglia ch’era creditrice -di trecentomila scudi d’oro; la repubblica ne lasciò loro il dominio, -che conservarono fino al 1556. Scio avea ben centomila abitanti; e il -mastice che geme dai lentischi, e che si masticava per tener belli -i denti e grato l’alito, dava esercizio a ventidue villaggi, se ne -vendeva un milione e mezzo di libbre l’anno, e il decimo che toccava -all’erario era valutato dall’imperatore Cantacuzeno ventimila bisanti, -o vogliam dire zecchini. Da esso e dalle gabelle provenivano annui -cenventimila scudi d’oro (sei milioni d’oggi), che si ripartivano -fra le famiglie compadrone a misura del capitale impiegato; al quale -si proporzionavano pure i voti nel governo. In un trattato del 1431 -i Genovesi assentirono al soldano di trarre da Caffa schiavi; e La -Brouquière ne’ suoi viaggi in Asia incontrò un Genovese che trafficava -di quest’esecrabile merce. - -Nell’Anatolia possedevano Smirne, produttrice di sete, cotoni, -ciambellotti, olj, scamonea; e Focea nuova e la vecchia, donde veniva -l’allume. Da Cipro traevano legname, canape, ferro, grano, zuccaro, -cotone, olj, oltre le derivazioni dall’Oriente. In Italia due magazzini -a Mutrone erano stati donati a Genova dai Lucchesi, per deporvi il -sale e le lane; cave d’allume attivò presso a Portercole; dall’alta -Italia richiedeva produzioni e manifatture da barattare; dominava anche -in Corsica, Sardegna, Malta, Sicilia; e la prima le dava eccellente -legname, cacio, vini, pescagione, soldati; l’altra grani, sardoniche, -tonni, sardine, oro e argento; Malta frumento, agrumi, cotoni; la -Sicilia sale, seta, cotone, oro, e ogni ben di Dio[301]: dalle Baleari -toglieva sale; e di due borse che avea Majorca, l’una era comune a -tutte le nazioni, l’altra speciale de’ Genovesi. - -Savona, Oneglia, Albenga, Monaco, Ventimiglia, altre città della -Riviera formavano Stati indipendenti: pure Genova esercitava fino -a Nizza un protettorato, che le procurava relazioni abituali con -Marsiglia per mare e per terra, e coi porti della Linguadoca, -principalmente con Aiguesmortes, che posta fra la Provenza e la -Linguadoca, col Rodano, colle saline, colle vicinanze di Ales e di -Sant’Egidio, rinomati per la coltivazione del chermisi, prosperava -più che Marsiglia finchè le alluvioni non la separarono dal mare. -Raimondo di Tolosa che n’era signore, donò ai Genovesi casa e fondaco -in Sant’Egidio, una strada di Arles, il castello di Torbìa, la metà di -Nizza, parte di Marsiglia, metà delle dogane, e il commercio esclusivo -ne’ suoi porti. Sulle popolose fiere di Sciampagna, Genova spacciava le -droghe e raccoglieva lane[302]. Case avea pure sulle coste dell’Oceano, -del Belgio, dell’Inghilterra; e documenti del 1316 e 35 attestano -che portava mercanzie, e specialmente allume, in quell’isola: così -colla Spagna, a malgrado de’ Catalani, i soli che in mare reggessero -a concorrenza co’ nostri; e dall’Andalusia traeva frutti, da Siviglia -biade, olio, liquori, dalla Castiglia piombo, lane, allume, dalla -Catalogna vino, frumento, sparto da tessere stuoje. Fin dal 1236 facea -trattati coi Barbareschi della costa africana per garantire i naufraghi -e proteggere il proprio commercio; teneva una cancelleria di lingua -arabica per agevolare le corrispondenze con quel litorale, e nel 1274 -fu assoldato Asmeto di Tunisi perchè insegnasse il parlar arabo[303]. -Tunisi era il suo scalo primario, come per l’Europa occidentale Nîmes, -Aiguesmortes, Majorca. - -Ne’ porti di Marocco e dell’Andalusìa rinfrescavano le navi prima di -uscire nell’Oceano per calarsi fino al capo Non, o salire alle rade -belgiche o britanne[304]. Dal Baltico le nostre bandiere erano escluse -dalla lega Anseatica, gelosa di conservare il monopolio delle derrate -di Russia: le tele, i merletti, l’acciajo, il salnitro, i fornimenti -di cavalli, le mercerie di Germania andavano a caricare sul Reno, per -deporle ne’ magazzini di Bruges e d’Anversa. Al tempo della guerra -di Chioggia un ammiraglio veneto nelle acque di Rodi diede la caccia -ad un naviglio genovese carico di mussoline, drappi di seta, d’oro e -d’argento, del valsente di quindicimila ducati; un altro prese due navi -catalane, cariche per conto di Genovesi, delle quali l’una portava per -ventimila ducati veneti, l’altra per quarantamila. - -Genova dunque teneva le tre grandi vie del commercio dell’Asia centrale -e dell’India; di cui la prima sboccava al mar Nero pel Caspio e il -Volga; la seconda a Lajazzo, l’antica Isso, pel golfo Persico, Aleppo -e l’Armenia; la terza ad Alessandria pel mar Rosso e l’Egitto; e per -quelle cambiava le seterie della Cina, le spezie, i legni tintorj, -il cotone, le gemme dell’India, i profumi dell’Arabia, i tessuti -di Damasco, i panni di Tarso, lo zuccaro, il rame, le tinture di -Levante, l’oro e le piume dell’Africa interna, le pelli, il canape, -il catrame, il caviale, il pelo di castoro, le antenne, i legni di -costruzione dell’Europa settentrionale, i grani di Tunisi, della -Sicilia, della Lombardia, cogli olj, i vini, i frutti secchi delle -Riviere, con armi di lusso, coi coralli lavorati a Genova, colle -tele di Sciampagna, con lacca, piombo, stagno d’Inghilterra, coi -prodotti insomma di tutta Europa. Aveano (dice press’a poco il Serra) -traffico e dominio in tutta la Liguria marittima da Corvo a Monaco, -e nell’isola di Corsica: provvedevano di sale i Lucchesi; la parte -occidentale della Sardegna riceveva le loro leggi o quelle de’ principi -loro amici; visitavano Civitavecchia e Corneto, emporj di vettovaglie -nello Stato ecclesiastico; nel Regno, lor principale abitazione dopo -Napoli era Gaeta; e se non vennero a capo de’ loro disegni sopra la -Sicilia, furono sempre in gran numero a Messina, Palermo, Alciata. Nel -mare orientale d’Italia frequentarono Manfredonia, Ancona, e negli -intervalli di pace anco Venezia. In Ispagna, i conti Berengarj di -Catalogna divisero seco la città di Tortosa; i re di Castiglia, quella -d’Almeria, e poichè ebbero perdute od alienate ambedue, onorevoli -convenzioni tanto co’ regni cristiani della Spagna, quanto co’ -Mori aprirono loro tutti i porti marittimi e i mercati mediterranei -della ricca penisola. Ne’ Paesi Bassi, Bruges poi Anversa accolsero -onorevolmente le loro compagnie, le quali non solo v’accumulavano -roba, ma l’avviavano ancora in Danimarca, Svezia, Inghilterra, Russia, -Germania: i loro navigli entravano nel Reno carichi di merci orientali. - -L’Egitto era più frequentato dai Veneziani; tuttavolta i Genovesi non -lasciavano di far mercato in Alessandria, in Rosetta, in Damiata, di -stabilirsi anche al Gran Cairo, e di stringere paci favorevoli con -que’ soldani. Nel Levante la colonia di Pera soprantendeva mediante -i suoi magistrati alle parti meno distanti, quella di Caffa alle più -lontane. Sotto la prima erano la marca de’ Zaccaria, la Focide de’ -Gattilussi, l’Acaja de’ Centeri, un tempo la Canea in Candia, poi molte -isole e porti nell’Arcipelago, Famagosta e Limisso con altri luoghi in -Cipro, Cassandria, Ainos, Salonichi, la Cavalla nella Macedonia, Sofia, -Nicopoli e altre in Bulgaria, Suczava in Moldavia, Smirne e Fochia -vecchia e nuova nell’Asia Minore, Altoluogo e Setalia ne’ Turchi, Kars, -Sisi, Tarso, Lajazzo nelle due Armenie, e finalmente Eraclea, Sinope, -Castrice ed Ackerman nel mar Nero. Dipendeano dal governo di Caffa -i possessi di Gazarìa, Taman colla sua penisola, Copa in Circassia, -Totatis in Mingrelia, Kubatscka nel Daghestan, il castello vicino a -Trebisonda, il fondaco in Sebastopoli, il gran mercato della Tana, -e tutte le carovane indirizzate verso il settentrione ed il centro -dell’Asia. Il consolato di Tauris in Persia, forse indipendente dagli -altri, dovea promovere e reggere il traffico dell’Asia meridionale; -ove il provvedimento più notabile era, che i mercatanti genovesi non -facessero società con forestieri. - -Principalmente l’Inghilterra tenevasi legata co’ Genovesi, e i più -bellicosi suoi re Edoardo III ed Enrico V ne mostrarono speciale -benevolenza, adoprandoli in luminosi impieghi, rifacendoli delle offese -dei corsari. Enrico VI avea proibito d’asportare le lane d’Inghilterra -e Irlanda se non per Calais, città francese allora acquistata -all’Inghilterra, e ch’egli voleva ingrazianire con tal privilegio; ma -ne tenne eccettuati i mercanti genovesi, veneti e fiorentini. Quando -si sottopose ai re di Francia, Genova si trovò chiusa quell’isola, -nemica a questi; pure vi mandò ambasciadore Giovanni Serra, il quale -vide le contese fra gli York e i Lancaster, e ammesso all’udienza, sì -bene esaltò la pace e i vantaggi del commercio fra le nazioni colte, e -la benevolenza dell’Inghilterra verso Genova, che i grandi proruppero -in applausi, e il re volle fosse scritto quel discorso, e messo come -proemio della nuova pace, dove ai Genovesi concedeva d’approdare con -fattori e servigiali, purchè francesi non fossero, e d’introdurre -ed estrarre mercanzie colle antiche norme, purchè nè di forze nè di -consigli sovvenissero ai nemici d’Inghilterra, come questa farebbe -coi nemici di Genova. Presto quel regno, secondo i meschini concetti -d’allora, credendo prosperare il proprio col restringere il commercio -altrui, vietò di asportar lane o d’importare seterie; eppure le cinture -di Genova rimasero eccettuate, e pei panni fu mestieri cercare il guado -dai Genovesi. - -Accuratissima politica si voleva per reggere in pace con nazioni di -così varia civiltà eppur farsi rispettare; e vedemmo come i Genovesi -destreggiassero in faccia ai Musulmani. Sulle coste di Barberia le -frequenti mutazioni di dinastie o di tribù dominanti sospendeano le -buone relazioni, ma tutti s’affrettavano a rannodarle. Si parve sul -punto d’aprir guerra con essi allorchè Filippo Doria ammiraglio prese -e saccheggiò Tripoli, portandone via settemila schiavi e un milione -ottocentomila fiorini d’oro, poi la vendette a un Saracino; ma il -Governo genovese dichiarossi estraneo a quel fatto, e lo disapprovò. - -Fortunata Genova se di tanta prosperità avesse saputo vantaggiare! Ma -incessanti accozzaglie interne toglievano di provvedere con saviezza -al commercio; non per pubblica utilità, ma per emulazione di parti -si cresceva il debito pubblico, e l’uffizio di San Giorgio, che dovea -porvi rimedio, diveniva anzi una comodità a crescerlo: siccome incontra -nelle gravi malattie che i medicamenti riescano pregiudicevoli. -Pure quel banco attestava che la parte più sana dell’irrequietissima -repubblica furono sempre i negozianti, rimanendo esso una delle più -notevoli istituzioni finanziarie del medioevo; oltre rendere servigi -eminenti allo Stato, potè accomodare nazionali e stranieri, privati -e principi; da papi e imperatori ne erano confermati i privilegi, che -ogni senatore entrando in carica giurava mantenere; gli otto protettori -delle compere erano sempre dei cittadini migliori, troppo importando -godessero ottima reputazione coloro a cui e nazionali e stranieri -affidavano le proprie fortune; davano parere in tutte le disposizioni -di governo e di utilità comune, allestivano navi per conto del banco, -conquistavano e governavano, quanto fino ai dì nostri la compagnia -delle Indie, e ad essi furono cedute le colonie di Levante e la -Corsica. - -Il sinistrare degli stabilimenti di Levante nocque tanto più a Genova, -perchè le sue riviere non bastavano a provvederla di marinaj. Altre -nazioni entrarono seco in gara di mercati, e fu tutto a scapito di -essa l’incremento di Firenze. Pure molti profitti facevano ancora i -Genovesi: Bartolomeo Pellegrini coll’allume e col mastice divenne il -mercante più poderoso in Levante, e Bajazet I l’accettò mallevadore per -riscatto del conte di Nevers e di ventiquattro altri signori francesi, -rimasti prigioni nella battaglia di Nicopoli[305]; Antonio Sauli -sull’appalto del sale in Genova e in Lucca talmente lucrò, che potè a -Carlo VIII prestare novantacinquemila scudi d’oro; i suoi discendenti -fabbricarono la magnifica chiesa e il ponte di Carignano. - -Venezia, dopo l’infausta guerra coi Genovesi, avea dovuto umiliarsi -a un trattato, che per tredici anni le proibiva di penetrare con -navi armate nello stretto dei Dardanelli, per modo che vedevasi quasi -intercise le vie del commercio per l’Alta Asia e i paesi del Caucaso: -ma presto si tolse di sotto il rasojo, e l’ammiraglio Giustiniani, -assalita Costantinopoli, ottenne nuovi privilegi. Ai Genovesi fu -apposto di essere rimasti indifferenti spettatori di quella lotta, -sebbene l’imperatore avessero lusingato di soccorsi: in realtà essi -pensarono trar partito dal terrore di questo, e gli fecero veduto che, -per metterli in grado d’ajutarlo efficacemente in nuovi frangenti, -era d’uopo conceder loro maggiore estensione di territorio. Un atto -di delimitazione del 1303 ed un trattato del 1304 ampliarono di fatto -i privilegi della colonia di Gàlata, situata così da comandare il -passaggio al mar Nero; e la dogana de’ Dardanelli fruttava all’impero -greco trentamila pezzi d’oro, ducento settantamila ai Genovesi. - -Questi diedero mano all’imperatore contro gli avventurieri Catalani, -i quali osarono fin assalire la capitale e piantarsi a Gallipoli, -dond’essi riuscirono a snidarli: lo sorressero pure contro i Turchi, -che si faceano sempre più vicini. L’incessante squarciarsi di Genova -pregiudicava anche allo stabilimento di Gàlata, le guerre impedivano -d’approvvigionarla, e fu volta che i Ghibellini fecero intesa coi -Turchi per sinistrare quei loro compatrioti. - -Sempre aveano Veneziani e Genovesi gareggiato a chi ottenesse maggiori -privilegi dall’imperatore di Costantinopoli, perciò palpeggiando -e favorendo ora un competitore or l’altro. Venezia non faceva che -rinnovare i trattati precedenti, che col nome di tregue duravano -cinque o dieci anni[306]: ma i Genovesi, padroni di Gàlata a fianco -di Costantinopoli, aveano mezzo di farsi rispettare; onde ogni nuovo -trattato fruttava una concessione nuova. In quello del 1382 stipularono -non essere tenuti a servire in armi l’impero greco, nè tampoco per -recuperare fortezze prese o assediate dai Turchi; volendo con questa -neutralità sfuggire l’inimicizia di que’ nuovi potenti. - -Ad Enrico Dandolo doge e storico di Venezia fanno gloria di aver -riaperto l’Egitto con un’ambasciata spedita a quel soldano, offrendosi -mediatore di una discordia suscitatasi coi Tartari. I Veneziani -s’impancarono principalmente ad Alessandria, ove le merci dell’India -giungeano sui camelli traversando il dosso che divide il golfo Arabico -dal Nilo, un cui canale agevolava le comunicazioni col mar Rosso e col -Cairo. A questo annue carovane dall’Africa interna portavano gomme, -denti d’elefante, tamarindi, papagalli, penne di struzzo, polvere -d’oro, Negri: di là partiva quella per le città sante d’Arabia, e -l’altra pel monte Sinai, occasioni di utili permute: colle carovane -molti Europei attraversavano l’Egitto; ma i negozianti che afferrassero -ad Alessandria, erano tenuti ben d’occhio, levate le vele e il timone -delle navi, registrati i nomi. I Mamelucchi, unica entrata avendo le -gabelle, favorivano i Veneti; e di rimpatto ne riceveano ogni riguardo: -ma venivano urti? ecco i nostri apparir sulle coste in minaccioso -apparato, come oggi costuma l’Inghilterra. - -Dispensati dalla scomunica contro chi portasse ai nemici della fede -legname da costruzione, grani ed armi, i Veneziani continuarono sempre -regolari comunicazioni coi Musulmani, tenendo console ad Alessandria, -banchi nella Siria, trattati coi Barbareschi[307]. Dai quali anche -altri de’ nostri ottennero privilegi e franchigie; i Pisani dal bey -di Tunisi ebbero l’isola di Tabarca, dove pescare il corallo, e altri -mandritti dall’imperatore di Marocco. - -Anche in Armenia soli i Veneziani introducevano i camelotti ed -estraevano il pelo delle capre d’Angora, con esenzione da gabelle, -magistrati proprj, assoluta franchigia per le merci che, tratte da -Tauris e dalla Persia, traversavano il paese. Di questo tragitto -profittava Trebisonda per popolarsi di numerose colonie, trafficanti di -spezierie. I Veneziani v’ebbero un quartiere con propria giurisdizione, -donde spingeansi alla Persia e alla Mesopotamia, privilegiati di libero -passo, e di banchi per giro di cambj e traffico di vino. - -Crebbero poi di stabilimenti sulle coste della Grecia, nella -Propontide, a Adrianopoli, in buona parte del Peloponneso, e in -molte isole e porti della Morea sin in fondo all’Adriatico; a loro -cittadini investivano come feudo le isole di Lenno, Scopelo, quasi -tutte le Cicladi; acquistarono Negroponte; s’interposero con vantaggio -nelle discordie domestiche degl’imperatori bisantini, e di questi -coi Genovesi di Gàlata. Ma l’antica preponderanza nel mar Nero più -non recuperarono, e per avervi accesso patteggiavano cogli Stati in -riva al Danubio il dritto di traversarli, talchè il commercio colla -Germania, coll’Ungheria, colla Polonia, colla Russia, le alleanze coi -Bulgari e coi Danubiani fino alla Tauride, gli scali in tutta Italia, -in Francia, in Spagna, in Fiandra, in Inghilterra, insomma da Astrakan -fino all’Africa interiore, offrivano rilevantissimi guadagni, a ristoro -del popolo, al quale, dopo la metà del secolo XIV, restava privilegio -il commercio, escludendone i nobili, di cui invece era privilegio il -governo. - -Dappertutto mantenevansi consoli o balii che assicurassero rispetto -alla patria, e protezione e pronta giustizia ai concittadini. Quel di -Costantinopoli, che era insieme internunzio della repubblica, giudice -de’ Veneziani e ispettore del commercio, portava i calzari scarlatti -come l’imperatore, usciva colle guardie, esercitava piena giurisdizione -sulla colonia, e dopo presa quella città dai Turchi tenne in protezione -altre genti, massime Armeni ed Ebrei. - -Il doge Renieri Zen fece da Nicolò Quirini, Piero Badoer e Marco -Dandolo compilare un codice di navigazione e commercio (_Statuta et -ordinamenta super navibus et lignis aliis_) con egregi provvedimenti, -semplicità, esattezza e brevità imitabili; prescrivendo il modo degli -armamenti, il giuramento de’ marinaj, i doveri de’ patroni o de’ -consoli, il carico, le provvigioni, il prezzo del tragitto, e le armi -e bandiere; tipo di tutta la legislazione marittima. Era prefinito -il numero delle navi e delle persone, quando prendere il mare, dove -sbarcare, quali e quante merci trasportare nell’andata e nel ritorno. -Gli oggetti da cambiare con merci asiatiche, non doveano tasse, o -moderatissime. - -Della prosperità di Venezia buon testimonio ci furono i discorsi -del doge Mocenigo (Cap. CXV); donde ci apparve come, uscente il -XIII secolo, su trecento vascelli mercantili da ducento tonnellate, -e su trecento navi grosse salissero venticinquemila marinaj, altri -undicimila sopra quarantacinque galee, sempre in acconcio d’arme: allo -scorcio del seguente erano cresciuti a trentottomila sovra tremila -trecenquarantacinque legni. L’arsenale, cominciato intorno al 1104 -sulle antiche isole Gémole, si dilatò nel 1304, dogando Pier Gradenigo, -poi nel 1325 e nel 1473 sino a formare quel gran complesso, che comanda -l’ammirazione ancora cadavere. Veniva governato da due magistrature -di senatori: cioè tre sopravveditori per l’alta ispezione, tre patroni -che ordinavano i lavori e vi sorvegliavano, e dormivano in tre palazzi -contigui all’arsenale, detti Paradiso, Purgatorio, Inferno. Gli -arsenalotti formavano la guardia del corpo del sovrano; popolazione -numerosa[308], devotissima alla Signoria, da cui riconosceva il suo -bene stare. - -Le isole e le coste di Levante provvedeano abbondanza di legname: -ristretti poi que’ possedimenti, e sovratutto dopochè i Turchi -occuparono l’Albania e la Schiavonia, fu mestieri rifornirsene ne’ -proprj possedimenti: e certo già prima del 1479 servivano i boschi di -Montello nel Trevisano e di Montone nell’Istria, tanto rinomati finchè -la barbarie diplomatica de’ giorni nostri non gli annichilò. - -Di cinque sorta galee usava Venezia: le grandi pel viaggio di Fiandra -e Inghilterra, altre diverse per la Tana e Costantinopoli, le sottili, -le navi quadre, le latine[309]. Famose ne erano le caracche. Abbiamo da -Giovan Villani che Genovesi e Veneti avendo veduto verso il 1344 alcune -navi bajonesi passar lo stretto di Siviglia, più sottili ed agili, e -meglio acconce a fatti d’armi, essi ne fabbricarono di somiglianti; -lo che fu notevole rivoluzione nella marina. Il Petrarca, dimorando in -Venezia, vedeva sarpare navigli «simili a monti che nuotino nel mare, -per trasportare in mezzo a mille pericoli i nostri vini agl’Inglesi, -il nostro mele agli Sciti, il nostro zafferano, i nostri olj, il nostro -lino ai Siri, ai Persi, agli Arabi, agli Armeni, e, ciò che appena uom -crederebbe, la nostra legna agli Achei ed agli Egizj, e ritornare con -altre merci: veleggiano fin al Tanai, e si lasciano indietro Gade e -Calpe, creduti confini del mondo occidentale; tanto può sugli uomini la -sete dell’oro»[310]. - -Le imprese mercantili erano secondate dalla marina pubblica, spedendosi -in giro ogni anno venti o trenta galee _del traffico_, capaci di -mille a duemila tonnellate, e del valore di centomila zecchini -ciascuna, capitanate da nobili, eletti dal maggior consiglio e dai -pregadi. Il Governo non ne ritraeva che modico nolo; ma a quel modo le -teneva esercitate per un’evenienza di guerra, e faceva anche in pace -rispettare il leone, nel mentre rendevano servizio ai particolari. Di -esse squadre quella del mar Nero dividevasi in tre: una costeggiava il -Peloponneso, per ispacciare a Costantinopoli le merci levate da Venezia -o da Grecia; la seconda dirigeasi a Sinope e Trebisonda nel Ponto -Eusino, facendo levata delle produzioni asiatiche recatevi dal Fasi e -dalla Cina[310a]; la terza sorgendo verso settentrione, entrava nel mare -d’Azof, e nei porti di Caffa procacciava pesci, ferri, antenne, grani, -pelli, cui dal Caspio, dal Volga, dal Tanai recavano Russi e Tartari. -L’altra squadra costeggiava la Siria, facendo scala ad Alessandretta, -a Bairut, a Famagosta, a Candia ricca di zuccaro, e alla Morea. La -terza metteva dapprima in Armenia e a Lajazzo, che Marco Polo intitola -«porta de’ paesi orientali», dappoi in Egitto le merci del mar Nero, -destinate al gran mercato di Tauris, massime schiavi di Georgia e -Circassia, barattandoli colle derrate del mar Rosso e dell’Etiopia. -La quarta volgeva alla Fiandra vascelli di dugento remiganti almeno, -e rinfrescato a Manfredonia, Brindisi, Otranto, in Sicilia caricato -zuccaro ed altre produzioni dell’isola, ne’ porti africani di Tripoli, -Tunisi, Algeri, Oran, Tanger facea cogli africani baratto di frumento, -frutti secchi, sale, avorio, schiavi, polvere d’oro; sboccata quindi -dallo stretto di Gibilterra, forniva i Maroccani di ferro, armi, -panni, utensili domestici, costeggiava Portogallo, Spagna, Francia, -toccava Bruges, Anversa, Londra, e faceva cambj co’ vascelli delle -città Anseatiche; poi aspettata stagione e mare acconcio, tornava -libando Francia, Lisbona, Cadice; in Alicante e Barcellona comprava -sete gregge; e costa costa rivedea la patria, un anno dopo lasciata. - -Ogni viaggio di lungo corso dovea prender le mosse e finire a Venezia, -ove per ciò, nell’intervallo, si depositavano le merci, e venivano -a cercarle i mercanti mediterranei, in modo che vi durava una fiera -continuata. Quella dell’Ascensione fin dal 1180 si trova istituita per -otto giorni; poi divenne delle più famose, avvivata dalle indulgenze -che s’acquistavano a San Marco per concessione di papa Alessandro III, -dallo sposalizio del mare, e dall’opportunità della stagione che allora -chiamava le vele a lunghi viaggi. In quell’occasione si esponevano -anche capi d’arte, e una popatola, il cui vestire serviva di canone per -la foggia dell’anno. - -I dieci milioni di mercanzia che annualmente asportavano que’ -legni davano due quinti di guadagno; altro ne veniva dal traffico -mediterraneo. Vedemmo fin dal 1270 Venezia proclamarsi sovrana -dell’Adriatico, obbligando a contributo tutte le navi che lo -corressero. Fu generale lo scontento, ma il papa, chiesto arbitro, -diede ragione ai Veneziani, come che, difendendolo dai corsari -musulmani, avevano diritto a un compenso: il lodo non chetò gli emuli, -contro cui essi dovettero munirsi di buone armi. Si assicurarono anche -il commercio dell’alta Italia coll’acquisto del Friuli, della marca -Trevisana, del Padovano e di altre piccole signorie, e stipulavano -vantaggiosi accordi coi vicini, dove non potessero insieme col -commercio estendere l’impero[311]. Udimmo il doge Mocenigo asserire -che alla sola Lombardia spediva Venezia per due milioni e settecento -ottantanovemila ducati, cinquantamila dei quali per gli schiavi, -oltre il sale; e guadagnava seicentomila ducati annui sui Lombardi, -quattrocentomila sui Fiorentini. Eppure essa usciva allor allora di -guerre che l’avevano privata di tanti possedimenti, e minacciata fin -nelle sue lagune. Poi, malgrado le due guerre contro i Turchi e col -duca di Ferrara, aveva sì floride finanze, che nel 1490 entravano -al tesoro per un milione e ducentomila ducati, quasi il doppio dello -Stato di Milano, e un quarto di quel che fruttava il regno di Francia -dopo ingrandito da Luigi XI. E a tal punto i Veneziani s’erano resi -necessarj agl’Italiani, che, qualora essi rompessero le relazioni con -un popolo, il riducevano a povertà; come avvenne de’ Napoletani, che -il re Roberto costrinsero a pace col negargli le imposte, asserendo non -aver più denaro dacchè quelli non comparivano ne’ suoi porti. - -L’inglese colonnello Cooper assicurava che fin oggi gli Asiatici dal -Mediterraneo alla Cina non conoscono altra moneta che lo zecchino -veneto, nel Yemen è tenuto in gran conto, e gli sceichi ne fondono per -formarne piccole monete, o ne conservano entro vasi di vetro, laonde -a Bruce domandarono se soli i Veneziani possedessero miniere d’oro in -Europa, e supponeano conoscessero la pietra filosofale. Il qual Bruce, -che al fine del secolo passato spingevasi alla estremità dell’Asia -e dell’Africa, nel Thama arabico sovra Moka sentiva i nomi di _peso, -rotolo, cantara, dramma, oncia,_ e ripetuti sull’opposto lido africano -a Massuah; prova delle relazioni cogl’Italiani, del cui linguaggio è -principalmente composto quel parlare _franco_, che fin oggi ha corso -sul litorale di tutto il Mediterraneo. - -Or ci si spiega bene la sontuosità del più magnifico corso del mondo, -il Canal Grande. Andrea Vendramin, che nel 1476 fu il primo doge -di Venezia non nobile dopo la serrata, era ricco di censessantamila -ducati; liberale, di gran parentela, ebbe tre maschi e sei figlie, che -maritò con cinque in settemila ducati, mentre la dote legale era di -duemila, ma diceva non badare a spesa onde aver generi a suo modo; fu -gran mercante in gioventù, e di compagnia col fratello facea carico -d’una galea e mezzo in due per Alessandria, e vantaggiò. Quando nel -1499 fallirono i Garzoni, molti ripeteano i loro fondi dal banco -Lipomano per più di trecentomila ducati; onde, sebbene la Signoria -l’ajutasse di qualche somma, dovette fallire. «È peggior nuova el -falimento de questi due banchi, che se fosse perso Brescia». Lo -sgomento fu per far gittare a terra i banchi Pisan e Augustini; se non -che la Signoria mandò de’ savj che assicurassero sarebber tutti pagati. -I Lipomani dovettero rassegnare i loro libri, dai quali appare che una -casa dominicale valutavasi da tremila ducati; duemila una a Murano; -milleduecento un mulino; e avevano in argenti e gioje per seimila -ducati, e ottomila in un cappello di perle e gioje[312]. - -Tutt’occhi dovevano dunque essere i Veneziani onde mantenersi questi -vantaggi, e vi adoperavano buoni mezzi e cattivi. La gelosia li faceva -duri coi mercanti forestieri, imponendo doppie gabelle, ritardando -la giustizia, escludendoli dalle comandite; pretesero che i sudditi -comprassero lane, cotoni, seta, zuccari, saponi soltanto dalla -dominante, non rizzassero manifatture fuor della dogana, nè usassero -o spedissero merci se non passate per Venezia; talchè, per esempio, -Verona dovea mandarvi i panni, che poi la traversavano di nuovo onde -dirigersi alla Germania. - -Convien dire che i lucri fossero grassi, se i forestieri non badavano -agl’impacci; avvegnachè in Venezia troviamo corporazioni d’ogni -paese; nella chiesa de’ Frari avevano altare i Milanesi, un altro -i Fiorentini, lavoro del Donatello; i Lucchesi una chiesa vicino ai -Servi, i Tedeschi e i Turchi fondachi che ancor ne serbano il nome, -come la piazza dei Mori, la ruga di Julfa degli Armeni; oltre i Greci -che v’ebbero sempre congregazione religiosa. Ciascuna nazione potea -regolarsi a leggi proprie; alcuni paesi vi godeano privilegio di -qualche arte, Bergamaschi i fornaj, Friulani anch’essi fornaj del pane -altrui e sartori e facchini, muratori i Bellunesi, Valtellini gli osti -e i facchini pel commercio. - -Caduta Costantinopoli ai Turchi, Venezia e Genova dall’eccidio dei loro -cittadini, dal saccheggio dei fondachi, dalla successiva distruzione -de’ loro stabilimenti, dalle umiliazioni, a prezzo delle quali soltanto -ottennero una tolleranza precaria e quasi vergognosa, conobbero -la gravezza d’una perdita che con provvidenza e lealtà maggiore -avrebbero potuto impedire o ritardare. Non restarono però snidati -dall’Oriente, attesochè gli emiri musulmani, stabilitisi lungo la costa -settentrionale e orientale dell’Africa e sui golfi Arabico e Persico, -non avevano fatto causa comune coi loro fratelli di Siria, nè perciò -nimicavano i Cristiani, che poterono continuarvi i traffici. - -Anche il soldano d’Egitto divenne più inchinevole agli Europei, e col -doge de’ Veneziani Pasquale Malipiero, «possente, e il più apprezzato -e onorato fra quei che adorano la Croce, colonna di tutti i Cristiani, -amico de’ soldani ed emiri dell’islam», conchiuse un trattato di -commercio, consentendo ai Veneziani il monopolio di molte merci, non -però del pepe; e donò all’ambasciatore una veste lavorata alla moresca -e foderata di pelliccie, e alla Signoria i regali consistenti in trenta -rotoli di benzoino, venti di aloe, due paja di tappeti, un ampollino di -balsamo, quindici bossoletti di teriaca, quattordici pani di zuccaro di -Moka, cinque scatole di zuccari canditi, un cornetto di zibetto, venti -pezzi di porcellana. - -Le contingenze duravano ancora favorevoli ai traffici dei Veneziani: -perocchè i Ragusei correvano molto l’Adriatico, ma poco uscivano da -quello, nè d’altro che di derrate trafficavano[313]; la Grecia era -caduta sotto la scimitarra turca; a Napoli e Sicilia sarebbe tornata -necessaria una flotta per mantenere comunicazioni coll’Aragona e colla -Provenza, eppur l’aveano appena bastante alle reciproche guerre, e le -vediamo valersi sempre delle genovesi, come faceano spesso Francia -e Inghilterra, le quali nè l’Olanda non accennavano ancora alla -futura grandezza; era un portento se qualche bandiera settentrionale -comparisse nelle acque nostre; soli i Catalani veleggiavano il -Mediterraneo come l’Oceano. - -Però Venezia e Genova erano le principali, non le sole commercianti -d’Italia. Amalfi più non rigalleggiò: ma Napoli trafficava nelle -variatissime sue produzioni con Costantinopoli, col mar Nero, con -Marsiglia; Trani era un vasto emporio di merci asiatiche; Gaeta -estendeva relazioni colla Barberia, dove sin dal 1125 teneva un -console; la Sicilia colla Catalogna e colla Spagna orientale. In -Messina e Palermo affluivano mercanzie di tutti i paesi; ed oltre -le relazioni col regno di Napoli e col resto d’Italia, consolidate -per mezzo di trattati, con Genova nel 1292, con Pisa nel 1316, con -Venezia nel 1365, uno del 1331 con Narbona prova il suo commercio colla -Francia, oltre Spagna, Fiandra, Inghilterra, le coste di Barberia, -l’Egitto, la Siria, la Morea, Cipro, Rodi, Costantinopoli. Ancona, -fiorente per industria, scala al commercio di Firenze coll’Oriente, -mandava navi proprie a Costantinopoli, a Cipro, in Barberia, e -corrispose con molte città d’Europa; con Genova aveva un trattato fin -dal 1276; ma la postura sua la teneva dipendente da Venezia, che poi -la sopraffece. Corsica e Sardegna, sì a lungo disputate fra i Pisani, -i Genovesi e i re d’Aragona, asportavano i proprj prodotti; e quando la -Sardegna passò all’Aragona, strinse maggiori relazioni colla Catalogna. - -Anche città mediterranee spedivano per varj paesi d’Occidente, -acquistandovi privilegi non per forza ed astuzia, ma per superiorità -d’intelligenza. Asti, che di settantamila abitanti popolava il piccolo -territorio, aveva negozianti in Francia e ne’ Paesi Bassi, una colonia -ad Alessandria d’Egitto; e postasi a prestar denaro in Francia, vi -applicò tanti capitali, che avendovi quel re fatto arrestare tutti i -banchieri astigiani, cinquanta trovaronsi possedere oltre ottocentomila -lire di capitale, che si ragguaglierebbe a ventisette milioni[314]. - -Il Po serviva agl’interni ricambj e per esso fioriva Ferrara, che -copiosa di ogni bene, dalle città vicine e dal mare traeva abbondanza -di vettovaglie. Per le bocche del Po (narra un cronista) vi arrivavano -navi di carico, piene fin al sommo dell’albero di mercanzie d’ogni -lido; senza che andasse a Ravenna od a Venezia a cercare quel che le -fosse mestieri, ogni anno nel prato comune presso a Po si tenevano due -fiere, cui dall’Italia e dalla Gallia moltissimi concorrevano, e tutti -guadagnavano mercatando. Sì lauto poi era il fisco, che, soddisfatto -ad ogni spesa del Comune, rimaneva che spartire fra i cittadini in -ragione del censo. Questa larghezza andò guasta allorchè i Veneziani, -aggiudicandosi la padronanza assoluta del Mediterraneo, chiusero le -foci di quel fiume, cagione di tanti dissidj. Comacchio avea cominciate -le _fabbriche del pesce_, per cui ora ottantamila pesi d’anguilla -escono marinati da quelle valli. - -I Pisani, elevatisi a paro de’ Veneziani e Genovesi per industria -manifatturiera, per navigazione e commercio, dopo la funesta battaglia -della Meloria nel 1284 più non fecero che declinare; la perdita -di Terrasanta diradò le loro corrispondenze nella Siria, nè aveano -possibilità di sostenere nel mar Maggiore una concorrenza, a cui furono -costretti rinunziare col trattato del 1299; il porto che possedevano -alla foce del Tanai, cadde probabilmente a’ loro nemici, e infine fu -sfasciato dai Tartari. Andate a male le colonie donde traevano legname -da costruzione e materie di baratti pel commercio esterno, costretti -cedere a Genova la Corsica e la Sardegna, non restarono padroni -che delle maremme tuttora abbastanza ubertose, e dell’isola d’Elba -importante per ferro. Questa nel 1290 era stata occupata dai Genovesi; -poi mercanti pisani la ricuperarono nel 1309 per cinquantaseimila -fiorini, e ne traevano vena dalla miniera di Rio. - -Nella guerra contro Genova era stato distrutto il Porto Pisano alla -foce dell’Arno; onde ridotta quasi alla sola rada di Livorno, esposta -a’ nemici, Pisa fece costruire una torre per difenderla, e proteggere -la navigazione. Di là continuava relazioni colla Sicilia, con Cipro, -colla Barberia; ma non le bastava marina militare per proteggere -stabilimenti lontani, nè assicurare gli armatori contro de’ nemici -e de’ pirati. Firenze poscia la soggiogò, e per nulla rispettando le -memorie d’uno splendore, di un’industria e di una perizia marittima, -che formavano uno de’ migliori vanti della Toscana, ne sviò le -manifatture e il commercio in grosso. - -Già ci è apparsa la commerciale operosità dei Fiorentini. Buon’ora -essi erano penetrati nell’Ungheria, le cui miniere d’oro e d’argento -s’aveano per le prime del mondo, e vi teneano case i Medici, i -Portinari, i Boscoli, i Tosinghi, i Del Nero, i Del Bene, i Da Uzzano. -Da Francesco Balducci Pegolotti, che prima del 1350 scriveva sugli -usi e le regole da seguirsi dai mercanti nei viaggi[315], raccogliesi -che essi Fiorentini stendevano le corrispondenze all’Inghilterra, al -Marocco, a tutto il Levante; prendeano spesso in appalto le zecche, -e alle inglesi da Edoardo I fu preposto un de’ Frescobaldi: un Bardi -nel 1329 godeva le gabelle di tutto quel regno per due sterline il -giorno, mentre nel 1282 ne avevano reso ottomila quattrocentoundici -(HALLAM). A Bruges, dove non era permesso che un banco per ciascuna -nazione forestiera, collegi distinti formavano i Genovesi, i Lucchesi, -i Fiorentini, i Lombardi. Nel 1422 calcolavasi che in Firenze -circolassero quattro milioni di fiorini: e delle lettere esterne di -quella repubblica le più concernono commercio e mercadanti. - -Le lungagne delle asportazioni per terra non le erano più sufficienti; -e conoscendo che la navigazione offrirebbe un mezzo più economico -per commerciare coll’Italia e coll’Europa meridionale, ed il solo -praticabile co’ paesi più remoti, fin dal secolo xiii trattò con Pisa -onde farla emporio delle mercanzie: e vedendosi contrariata, prese -accordo colla repubblica di Siena, onde spedirle pel porto di Telamone; -e a questo ricorreva ogniqualvolta si guastasse con Pisa (pag. 248). -Della quale poscia insignoritasi, cercò chiamarvi con privilegi ed -incoraggiamenti le navi straniere, prese a stipendio gli armatori -lasciati liberi dalla decadenza del commercio genovese, legò nuove -relazioni e avvantaggiò le antiche[316], istituì la magistratura dei -consoli di mare, però da gran tempo conosciuti in Pisa. - -In una carta del 1190 che contiene i privilegi del sintraco di -Genova[317], Livorno appare già frequentato dai naviganti; e durante la -guerra di Chioggia, Carlo Zeno vi ricoverò due volte la flotta veneta. -Posto com’è fra porto Pisano e porto Telamone, poteva tener entrambi -in soggezione; ma non acquistò importanza che al cadere di Pisa, e i -Fiorentini, compratolo dai Genovesi nel 1421, lo privilegiarono in ogni -modo. In quell’occasione rinnovarono il patto antico di caricare sopra -navi genovesi le merci che traevano di ponente, ma poi cercarono sempre -eluderlo, e infine lo abrasero nella pace fatta con Filippo Maria -Visconti. - -Per siffatta guisa, quantunque mediterranei, i Fiorentini ottennero -i vantaggi del mare, e non vi avea città dell’Italia, Francia, -Inghilterra, Fiandra, in cui essi non tenessero banchi e non -mandassero fattori. Un console inglese risedette a Pisa, e con Enrico -VII nel 1490 si pattuì che Fiorentini soli estraessero le lane da -quell’isola, eccettuandone soltanto per seicento sacca i Veneziani; -premio dell’avervi Lorenzo Medici rizzate molte manifatture di lana -con artefici toscani. Un governo mediterraneo non doveva pensare a -stabilire banchi e consolati sulle coste dell’Asia e dell’Africa; -ma il privato interesse lo fece. Quando si cominciasse a trafficare -direttamente col Levante, non consta: ma la casa Bardi nel secolo -XIV otteneva pe’ suoi agenti privilegi significanti in Cipro e -nell’Armenia; poi si estese il commercio colle coste della Barberia, -coll’Egitto, la Siria, Costantinopoli, l’Asia meridionale, e fino colla -Cina traverso all’Alta Asia. - -Firenze volle anche armar flotte e spedire periodici convogli pel mar -Nero, l’Egitto, la Barberìa, la Spagna, la Fiandra, l’Inghilterra; ma -non trovò che scapito, sicchè dopo il 1430 le abbandonò alla privata -speculazione. Venezia, che era sempre stata l’amica di Firenze, ne -ingelosì quando la vide crescer tanto, e istigò Pisa a scuoterne il -giogo: di che Firenze si vendicò col secondare i disegni ostili di -Maometto II contro i Veneziani. Ne venne _una velenosa ed attossicata -lettera di Venezia,_ a cui un Fiorentino oppose uno scritto che, -in mezzo a una colluvie d’ingiurie, contiene un quadro, esagerato -forse, ma vivo del commercio della sua patria[318]. Vi figurano come -principali negozianti i Medici, i Pazzi, i Capponi, i Buondelmonti, i -Corsini, i Falconieri, i Portinari, che avevano stabilimenti in tutte -le tre parti del mondo aperte alla navigazione europea, cinquanta case -in Levante, ventiquattro in Francia, trentasette nel Napoletano, nove a -Roma, altre in Venezia, in Ispagna e Portogallo. Accertasi che Firenze -fosse la prima a interdire in modo efficace il traffico degli schiavi e -il somministrare munizioni di guerra a’ Musulmani. - -Essendo si può dire concentrato in mano degl’Italiani tutto il -commercio che poi fu suddiviso fra Turchi, Inglesi, Olandesi, Francesi, -Russi, quanto lauti doveano essere i guadagni! Giovan Villani stima di -cenventimila fiorini la rendita che col prestare erasi formata Taddeo -Pepoli di Bologna. Nel 1338 un negoziante di Siria, essendo arrivato -a Portercole con molte stoffe ad oro e senza, cinture, borse da sposa, -frontelle, Coluccio Balardi le comprò per centoquindicimila fiorini, e -in capo a un anno le ebbe quasi spacciate. Egli teneva banco a Parigi, -e Giovanni Vanno pure toscano a Douvres e a Cantorberì[319]; e già -vedemmo i Bardi e i Peruzzi fiorentini essere creditori sopra il re -d’Inghilterra d’un milione e mezzo di zecchini, e di centomila zecchini -ciascuno sopra il re di Sicilia. Dino Rapondi di Lucca (1350-1414), -mercante in Francia, avea case a Mompellieri, a Bruges ed a Parigi; la -prima era l’emporio del vasto suo traffico col mezzogiorno d’Europa e -gli scali di Levante. Avea palazzo a Parigi meraviglioso; commerciava -di banca, cambio, metalli preziosi; servì molto a Carlo VI e Giovanni -Senza-paura, secondandoli nelle imprese e nei delitti. - -A Siena (popolata di centomila abitanti prima che la peste la -restringesse appena a tredicimila, e dove i diarj testimoniano che -in un anno si fecero ottanta par di nozze nobili e cento di buone -case) i Salimbeni adottarono per stemma la fortuna e il motto _Per non -dormire_; cavavano anche miniere d’argento e di rame nella maremma; nel -1337 fra sedici casate manteneano un camerlingo comune per amministrare -le loro entrate, e per più anni a ciascun casato spartirono centomila -zecchini. Un’imposta su quella città del due per mille onde pagare il -conte Lando nel 1357, fruttò quarantamila zecchini: lo che manifesta un -valore di venti milioni d’allora, rispondenti a ducento d’adesso. - -Vuolsi che da commercio di carbone derivassero le smisurate ricchezze -di Giovanni Medici, per le quali Cosmo suo figlio divenne il miglior -negoziante di Europa. Di quale natura speculazioni fossero le sue -s’ignora, ma ci si fa presumere lucrasse col commercio asiatico, -coi prestiti e coi giri di banco[320]: e dicesi che quella casa -occupasse trentamila persone in traffici e manifatture. Cosmo spese -da quattrocentomila zecchini in chiese ed opere pubbliche. Lorenzo fu -in procinto di capolevare, a malgrado del lauto suo commercio, per le -insensate prodigalità de’ suoi fattori, i quali affettavano di fare il -largo e il magno come il loro padrone; laonde sodò grossi capitali in -possessi stabili, rompendo molti fili del commercio fiorentino. - -Ma era sullo scocco l’ora che gl’Italiani cesserebbero d’essere -unici fattori del commercio. Le manifatture che ne’ paesi esteri noi -stabilivamo, per quanta gelosia vi si mettesse, servivano di scuola -agli emuli. I Medici, invece di continuare a trarre la lana greggia -dall’Inghilterra, la fecero filare e tessere colà; allorchè essi -usurparono il dominio, i tanti fuoruscititi propagarono i lavorieri di -fuori; quando poi Pietro ritirò gl’ingenti capitali d’in sul commercio, -i Fiorentini non poterono più reggere la concorrenza de’ forestieri, -che aveano anch’essi accumulato capitali, e imparato la magìa del -credito. All’estendersi dell’industria cessavano i privilegi, fondati -sull’inoperosità degli altri popoli, la gelosia dei quali ritorse -contro noi le arti medesime che noi avevamo inventate contro di loro; e -Ferdinando il Cattolico di Spagna impose un dieci per cento su quanto -asporterebbero i Veneziani, i quali rimasero vittime del sistema -esclusivo che essi avevano introdotto. - -Danni più durevoli doveano venire dagl’incrementi della navigazione, -dovuti ad Italiani. - - - - -CAPITOLO CXXV. - -Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte. - - -Delineare la terra su globi e mappe già sapeano i Greci, e dopo -Marino da Tiro vi tracciavano le longitudini e le latitudini, per -quanto grossolanamente, cioè collocavano i paesi al posto determinato -dalla loro elevazione sopra l’equatore, e dalla loro distanza da -un meridiano, preso pel principale. Quelle medesime denominazioni -indicano come la terra non si credesse rotonda, ma molto più _lunga_ -da levante a ponente che non _larga_ da mezzodì a settentrione. -Smisurata superficie piana circondata dal mare e divisa in cinque zone; -le due gelate agli estremi e la torrida nel mezzo erano inabitate e -inaccessibili, di modo che a noi abitanti d’una zona temperata niuna -comunicazione era possibile con quelli dell’altra. Nè questa nostra -tampoco aveasi tutta esplorata, e imperfettamente si conoscevano le -regioni d’Europa a levante della Germania, la Prussia, la Polonia, la -Russia: dell’Africa sol quanto è lambito dal mare Mediterraneo e dal -golfo Arabico: dell’Asia restava ignota la regione di là dal Gange, -quella dove erravano Sarmati e Sciti, e la Cina, dove pur fioriva da -antichissimo un impero ancor più meraviglioso del romano. Negli spazj -inaccessi ognuno collocava paesi e uomini favolosi, e massime quelle -contrade felici, che supportano essere o il primo soggiorno degli -uomini nell’età dell’oro, o il postumo delle anime virtuose. - -I Barbari che invasero l’impero romano, sprovvisti di marina e occupati -a conquistare e stanziarsi, non aggiunsero alla geografia se non -la cognizione dei paesi dov’essi aveano da prima avuto stanza. Il -feudalismo legava gli uomini alla propria terra: e se la fede spinse -alcuni missionarj in terre inesplorate, principalmente della Germania, -e i pellegrini a visitare, poi a conquistar Terrasanta, le loro -descrizioni erano più dirette ad alimentare la pietà che a chiarire la -scienza. Gli Arabi dopo Maometto largamente viaggiarono a propagare la -loro religione o stabilire commerci, e visitarono la Cina pel Cabul -e il Tibet, mentre di colonie occupavano tutto il lembo orientale -dell’Africa, e s’addentravano anche in quel continente. - -Di varj viaggiatori italiani ci accadde menzione, quali i frati spediti -dai papi ai Mongoli, Alessandro e Alberto Ascellino, Giovanni da Piano -Carpino e Oderico da Pordenone, che penetrò fino a Peking (Cap. XCIII, -in princ.). Il 1309 moriva in Santa Maria Novella a Firenze frà Nicoldo -da Montecroce, fiorentino, che avea girato l’Asia convertendo Saracini -e descrivendone i costumi e le sêtte. Molti altri intrepidi missionarj -visitarono certamente paesi ignoti, ma badando solo al frutto delle -anime, non si brigarono di darcene contezza; e basti citare Alberto -da Sarzana, celebratissimo predicatore e teologo, che da Eugenio IV fu -spedito due volte in Egitto, in Etiopia, in Armenia per trarre i fedeli -di colà al concilio di Firenze. - -Da altri impulsi fu mossa la famiglia veneziana del Polo. Nicolò e -Maffeo mercadanti verso il 1250 passarono da Costantinopoli a Soldania, -indi alla corte mongola di Capciak, poi con un persiano ambasciadore -raggiunsero a Kan-fu l’orda di Cubilai-kan, successore di quel -Gengis-kan che aveva esteso il suo dominio dal cuore dell’Asia fino -alla Cina. Cubilai accolse con maniere di cortesia i due italiani, -volle essere informato de’ costumi e della religione de’ loro paesi, -e «come l’imperadore mantenea sua signoria, e come mantenea l’impero -in giustizia, e de’ modi delle guerre e delle osti e delle battaglie -di qua, e di messer lo papa e della condizione della Chiesa romana, e -dei re e de’ principi del paese... E quando il gran kan ebbe inteso le -condizioni de’ Latini, mostrò che molto gli piacessono», e gl’incaricò -che, tornando al papa, il richiedessero di mandargli persone dotte -nelle arti liberali affinchè dirozzassero le sue genti. Diè loro -pertanto lettere e una lastra d’oro o dorata, portante ordine a tutti -i sudditi di rispettarli, e fornirli di vetture e di scorte, franchi di -spesa per tutte le sue terre. - -Traverso all’Asia giunsero ad Acri, d’indi a Venezia, ove Nicolò -trovava di quindici anni il figlio Marco, che avea lasciato nell’utero -materno. Vacando allora la sede romana, nè potendo prolungare -gl’indugi, furono di ricapo in Palestina, ove presentarono l’ambasciata -a Tibaldo Visconti cardinale legato; e poichè in quell’istante appunto -arrivò l’avviso che questo era assunto alla tiara, esso li munì di -lettere e della compagnia di Nicolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli -carmelitani, letterati e teologi. - -Per mezzo ai pericoli cagionati dall’invasione di Bibars nell’Armenia, -passarono i cinque Cristiani sino a Kan-fu, dove ragguagliarono il kan -dell’ambasciata. Marco, giovane svegliato, restò attonito d’un mondo -così differente dal nostro, e cominciò a notare quanto pareagli degno -di ricordo, e «ch’egli seppe più che nessuno uomo che nascesse al -mondo». Da Cubilai tenuto in gran capitale, fu posto fin assessore del -consiglio privato, e spedito a raccorre notizie statistiche nell’impero -e ad importantissime legazioni e governi. Stavano ambasciadori in -Persia i Poli quando intesero la morte di Cubilai, onde risolsero -tornare in cristianità; e rividero la patria, per la quale combattendo -a Cùrzola, Marco restò preso da un legno genovese; e tenuto prigione, -consolò la cattività raccontando «diverse cose secondo ch’elli vide -cogli occhi suoi; molte altre che non vide, ma intese da savj uomini -e degni di fede; e però estende le vedute per vedute e le udite per -udite, acciocchè il suo libro sia diritto e leale e senza riprensione. -E certo credi, da poi che il nostro signor Gesù creò Adamo primo nostro -padre, non fu uomo al mondo che tanto vedesse o cercasse, quanto il -detto messer Marco Polo». Reso alla libertà e alla patria, morì carico -d’anni; e la sua _Relazione_[321], volata tosto per Europa, valse a -invogliare a nuove scoperte, le quali poi confermarono la veridicità -d’un libro, che mai non mente anche quando s’inganna, e che prima -erasi creduto esagerazione, a segno che glie n’era venuto il titolo di -_Milione_. - -Certamente nessuno ebbe miglior agio di esaminare la Cina e il -Giappone; e fin oggi esso rimane fonte d’importanti notizie intorno -ai Mongoli e al loro governo, ed ai paesi centrali ed orientali -dell’Asia: ai contemporanei poi qual doveva eccitar interesse il -ragguaglio della civiltà bizzarra de’ popoli al cui nome tremavano, -e delle strane contrade da cui traevano le gemme, le porcellane, le -spezie, le seterie! Le sue descrizioni apersero il campo a fantasie -nuove, innestandosi le asiatiche alle nostre tradizioni; e potentissimo -eccitamento diedero ai viaggi di scoperta del secolo XV. - -Anche Nicolò Conti viaggiò venticinque anni in Oriente; e avendo -rinnegato la fede per salvare la vita, ne chiese perdonanza ai piedi -di Eugenio IV, il quale in isconto gl’impose raccontasse i suoi viaggi -colla massima fedeltà al Poggio fiorentino, da cui abbiamo una succinta -relazione, che lascia appena accertare la traccia di lui fino a Giava -e al Seilan, eppure è fedele ritratto dei costumi indiani. Caterino -Zeno stese commentarj del viaggio che fece in Persia, come dicemmo, -per sollecitare quel re a romper guerra ai Turchi. Al qual uopo fu -pure, nel 1471, spedito con vasi d’oro e stoffe di Verona Giosafat -Barbaro sopra due galee perchè attraverso l’Armenia e il paese dei -Curdi arrivasse a Tebris e a Cassan, ma egli non vi giunse, per quanto -incalzato: però reduce, da uom d’ingegno e di retto intendimento ci -diede un ragguaglio, ove primo alla moderna Europa fece conoscere que’ -paesi. V’andava pure ambasciatore Leopoldo Battoni per Trebisonda, e -nel 1474 Ambrogio Contarini per la Polonia, la Russia, la Colchide, -il Fasi, la Georgia, la Mingrelia, l’Armenia: tornando pel Caspio e -trovato presa Caffa dai Turchi, salì da Derben a Mosca fra un paese -selvaggio, e riscosso denaro dal gran principe per conto della patria, -per la Germania rimpatriò due anni dopo: viaggio arditissimo per le -scarse cognizioni d’allora, e fra le minaccie di gente barbara e i -sospetti de’ Turchi; e ne lasciava un’informazione curiosa[322]. - -Pietro Quirini veneto negoziante a Candia, veleggiando alle Fiandre -nel 1431, fu da spaventevole bufera gettato di là delle Sorlinghe, -naufrago prese terra sulle estreme coste scandinave, donde ritornando -per la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra, la Germania, raccontò in -modo commovente le sue disgrazie, come pur fecero i suoi compagni -Cristoforo Fioravante e Nicolò Micheli. Gironimo San Stefano nel 1496 -per speculazioni s’incamminò da Genova verso le Indie, passando pel -Cairo, il mar Rosso, e fino al Pegù, al cui re vendette con iscapito -le proprie mercanzie; reduce a Camboja, si acconciò con un mercante -di Damasco; ad Ormus si unì ad Armeni diretti a Tebris; per mare si -condusse nel Laristan, provincia persiana, ove soleano approdare le -navi spedite dall’imboccatura dell’Eufrate per l’India; nel paese degli -Azameni aspettò le carovane, e per Ispahan, Kasbin, Soldania pervenne -a Tebig, donde ad Aleppo. Luigi Rominotto perlustrava l’Asia e le coste -d’Africa, ma non ci ragguaglia di nuove regioni: e maggior conto merita -il periplo del mar Rosso e dell’Indiano, steso da un anonimo che nei -1538 assisteva con Solimano granturco all’assedio del castello di Diu, -difeso dai Portoghesi. - -Nel 1374 Luchino Tarigo ed altri poveri avventurieri genovesi, da Caffa -con una fusta armata risalito il Tanai fin dove nol disgiungono dal -Volga che sessanta werste, trascinarono per quella lingua di terra la -fusta, e messala sul gran fiume scesero al Caspio, e si arricchirono -corseggiando[323]. Giorgio Interiano loro concittadino vide e descrisse -i costumi de’ Circassi, fu il primo che portasse alcuni platani a -Venezia, e fantasticava la probabilità dell’arrivare dall’Oceano nel -mar Rosso[324]. Il Boccaccio dà vanto ad Andalon del Negro pur genovese -d’avere percorso quasi tutto il mondo[325]: e il Petrarca loda Giovanni -Colonna, spatriato per le risse de’ suoi con Bonifazio VIII, d’avere -viaggiato lontanissimo, e «avresti anche trascesi i limiti della nostra -zona abitabile, e varcato l’Oceano, saresti giunto agli antipodi»[326]; -frasi, donde non può trarsi veruna contezza precisa. - -Oggimai si tiene per provato che i Normanni, arditissimi corsari, -avendo popolate le isole Feroe, l’Islanda, la Groenlandia nell’estremo -settentrione dell’Europa, di là si spingessero di proposito, o fossero -cacciati dal caso sull’altro continente, e appunto nelle terre che -più tardi furono chiamate la Carolina e il San Lorenzo. Nicolò e -Antonio Zeno, fratelli di quel prode Carlo che salvò la patria, verso -il 1380 si elevarono fin alle coste della Groenlandia e a coteste -altre scoperte de’ Normanni, e ne stesero un’informazione, che -Nicolò Zeno lor discendente dice avere stracciata per fanciullesca -inconsideratezza, e pretese valersi della memoria e d’altri amminicoli -per darne nel 1558 un ragguaglio. Voi vedete come poco sia degno di -fede; pure ci resta la mappa delle terre da loro vedute: è corredata -di gradi geografici, e fa supporre il maneggio dell’astrolabio; ed -ha questa singolarità, che, più di mille miglia ad occidente delle -Feroe, mostra due coste, nominate l’Estotilandia e Droceo, le quali non -potrebbero essere se non Terranuova e la Nuova Inghilterra, e diceansi -indicate da naufraghi. - -Tali viaggi non assumeansi, lo vedete, per intento scientifico o per -iscoprire; ma delle costoro informazioni vi era chi traea profitto -per formar delle mappe. L’unica che i Romani ci abbiano lasciata, è -la Tavola Peutingeriana, rozzissimo disegno fuor d’ogni proporzione, -ritraendo la terra sulla lunghezza di ventidue piedi e la larghezza -appena d’uno, ma che dovea bastare come carta itineraria. In Italia -quest’arte progredì, e nove mappe geoidrografiche di Pier Visconti -genovese del 1318 conserva la biblioteca di Vienna con altre di -Grazioso Benincasa anconitano del 1480[327]. Vuolsi che già dal 1300 -i Veneziani segnassero i gradi sulle carte marittime; e di Veneziani -sono lode le cinque carte di Marin Sanuto che accompagnano i _Secreta -fidelium Crucis_ (Cap. XCIII), dove l’Africa si disegna triangolare e -breve, ma con evidente comunicazione dal Grand’Oceano al mar Rosso; -il planisfero del Pizzigano del 1367, fatto a penna con diligenti -miniature, e colla rosa dei venti[328]; le dieci carte di Andrea -Bianco del 1436, che danno delineato il Giappone, l’Estotiland, le -Antille, il Brasile, parte del Canadà. Nel 1440 frà Mauro camaldolese -in San Michele di Murano delineava in un planisfero tutto il mondo -allora conosciuto, sparso di figure e descrizioni, e dove la terra -empie un gran circolo, attorniata dal mare; centro n’è Gerusalemme; il -settentrione abbasso, in alto il sud; vi è tracciato tutto il viaggio -di Marco Polo, e ciò che importa agli eruditi, il capo Verde, il capo -Rosso, il golfo di Guinea, e il girabile vertice dell’Africa[329]. -Il re di Portogallo incaricò esso frà Mauro d’un planisfero, di cui -potessero giovarsi quelli che mandava a tentare scoperte. - -Nella _Rason del martologio_, codice del 1428 o poco poi, che -conservasi a Venezia, è spiegata la _regola de navegar a mente_, -applicando la trigonometria alla nautica; il raggio è ridotto in -decimali, anzichè in sessagesimi; si adoprano le tangenti nelle -operazioni trigonometriche, ben prima del Regiomontano che se ne fa -scopritore. La reale libreria di Parma ha un mappamondo coll’iscrizione -_Becharias civis januensis composuit hanc tabulam anno Domini -millesimo_ CCCCXXXVI, dove sono indicate la prima volta con qualche -precisione le Canarie e Madera. Un’altra carta marina su pergamena fu -compita il 1455 da prete Bartolomeo Pareto genovese, ponendo Genova -come la città più grande, e il suo San Giorgio effigiando sopra tutte -le colonie del mar Nero. - -Erasi intanto migliorata l’arte del navigare, del costruire le navi e -dirigerle, e spingerle anche con vento sinistro. La proprietà dell’ago -calamitato di volgere a settentrione forse non era sconosciuta agli -antichi, ma furono primi gli Amalfitani, e dicono un Flavio Gioja -nell’xi secolo, a valersene come di strumento costante onde precisare -la direzione de’ viaggi. Con questo si potè osare d’avventurarsi -nell’alto, dove più non si scorgono terre; ed alcuni si spinsero fuori -dello stretto di Gibilterra, al quale gli antichi, chiamandolo colonne -d’Ercole, aveano posto il _non plus ultra_; e abbandonando le coste -spiegarono le vele in alto mare. Fin dal 1281 Vadino e Guido Vivaldi -salpavano da Genova con due galee col proposito di girare l’Africa, e -giungere per di là nelle Indie. Una diede nelle secche alla Guinea, -l’altra giunse nell’Etiopia, ma fu catturata, e un solo marinajo -campò, i cui discendenti, censettanta anni dopo, ritrovò in Abissinia -il genovese Antoniotto Usodimare. Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli -famosi astrologi soggiungono che tale notizia invogliò Teodosio Doria e -Ugolino Vivaldi a mettersi, nel 1292, con due Francescani per lo stesso -cammino, donde non furono più di ritorno[330]. Altri Genovesi di quel -tempo scopersero le isole Canarie nell’oceano Atlantico[331]. Nicoloso -da Recco, capo d’una spedizione diretta a quella volta, nel 1341 ne -diè contezza in Siviglia a mercadanti fiorentini, dai quali l’ebbe e -la registrò il Boccaccio[332]. Forse da Genovesi furono trovate anche -le isole Azzore, e si era dato il gran passo collo staccarsi dalla -costa, avventurarsi al largo, dissipare la paura del mare _tenebroso, -inguadabile_. - -Da questi tentativi presero voglia e coraggio Spagnuoli, Portoghesi, -Baschi a scoprire regioni nuove, fosse a dilungo della costa -occidentale dell’Africa, fosse in mezzo all’Oceano. Principalmente -l’infante Giovanni di Portogallo, erudito in tutte le scienze del -suo tempo, si piantò presso al capo San Vincenzo, e di quell’estrema -punta occidentale d’Europa volle far quasi una vedetta donde -esplorare mari intentati, e vi stabilì un’accademia marittima. Uno -de’ primi suggerimenti di questa fu l’astrolabio di mare, grande -anello metallico, sospeso ad un altro fisso alla parte superiore -dello stromento, e con traguardi disposti in modo, da determinare i -gradi d’altezza del sole e riconoscere la propria situazione, anche -quando siasi perduta di vista la terra. Stava fitto in mente a quel -principe che, seguitando a dilungo la costa africana, s’arriverebbe a -un punto ov’essa dà volta verso levante e settentrione, e per di là si -giungerebbe alle Indie; e ostinandosi contro le beffe e l’incredulità -di coloro che al primo tentativo fallito si scoraggiano, seguiva a -mandar navi, le quali sempre più avanzavano giù per la costa africana. - -Alvise Ca de Mosto patrizio veneto, corso già molte volte il -Mediterraneo, mentre tornava dalle Fiandre il 1454, si trovò cacciato -da un rifolo di vento al capo San Vincenzo; e il principe Enrico, -saputo l’arrivo di quelle galee, mandò a chiedere con istanza se alcuno -volesse pericolarsi ad una spedizione oceanica. Arrise la proferta -al Cadamosto, il quale, avuta una caravella, sciolse ai 22 marzo -1455, toccò Madera, le Canarie, capo Bianco, e al voltare del capo -Verde s’imbattè in due altre caravelle, una delle quali capitanata da -Antoniotto Usodimare, egli pure in traccia di paesi e più di ricchezze. -Messisi di conserva, procedettero fino allo sbocco del Gambia; ma -l’insubordinazione della ciurma, sgomentata dagli attacchi de’ Negri -o dal pregiudizio che i cibi di questi fossero letali ai Bianchi, gli -obbligò a dar volta. L’anno che venne, il Cadamosto, ripreso passaggio -con Antoniotto, si trovò spinto alle inesplorate isole di capo Verde e -fin al Rio Grande. Da uomo esperto e sincero ce ne diede un ragguaglio, -che è il più antico di navigazioni moderne: forse già prima avea steso -il portolano dell’Atlantico, del Mediterraneo e dell’Adriatico. Antonio -da Noli genovese riconoscea poi meglio le isole di capo Verde nel 1462. - -Intraprendentissimi erano dunque i nostri navigatori, ma forse in -questa, come in tutte le altre imprese, mancarono della perseveranza: -mediante la quale invece i Portoghesi si videro premiati, quando -alfine, nel 1486, con Bartolomeo Diaz diedero volta al capo di Buona -Speranza, cioè all’estremo vertice dell’Africa, e con Vasco de Gama nel -98 giunsero per mare nell’India, dove i nostri si spingeano per così -lungo e tortuoso pellegrinaggio. - -Emanuele re di Portogallo pensò che le primizie delle sue conquiste -fossero dovute a Dio, sicchè mandò al papa un elefante dell’India -mirabilmente grosso, un pardo, e una pianeta tempestata di gemme, di -tal bellezza qual mai non erasi veduta[333]. Perocchè ancora valeano -le idee del medioevo; e l’intento professato di tali spedizioni -era il guadagnare anime alla fede, e trovare quel Prete Janni, che -i viaggiatori aveano dato come pontefice d’un popolo cristiano, -isolato tra gli infedeli (Cap. XCIII, in princ.): al papa chiedeasi -l’investitura delle nuove isole, delle quali, secondo il diritto -d’allora, a lui spettava la sovranità: e Martino V privilegio di -plenaria indulgenza chi perisse in que’ tragitti, che doveano tante -anime redimere col battesimo, incivilire col vangelo. - -Tali tentativi fissavano l’attenzione d’un Genovese che tutti dovea -superarli, perchè più perseverante. Nato di nobile casa piacentina, -che impoverita nelle guerre di Lombardia, erasi applicata al -commercio delle lane[334], Cristoforo Colombo, fatti i suoi studj e -messosi presto nella marina, vi si segnalò per coraggio e abilità, -aggiungendovi cognizioni geometriche, astronomiche, cosmografiche. -Dopo comandato navi napoletane e genovesi, stette in Portogallo, dove -i Lombardi (come chiamavansi tutti gli Italiani) erano bene accolti; -cupidamente raccogliendo quanto si diceva e progettava, s’allargò a -ben maggiore concetto; e mentre i precedenti non faceano che conquiste -d’esperienza, seguitando la costa occidentale d’un continente a -piramide, di cui la orientale era frequentatissima dagli Arabi, Colombo -ideò una conquista di riflessione, cioè di giungere in Asia per via -opposta: gli altri andavano tentone dietro a un fatto; egli spingeasi -dietro un’idea, una fede. Forse viaggiò sino alla Guinea, forse fu -nell’Islanda, ove potè aver contezza di terre giacenti oltre l’Oceano, -e dai racconti, dalle fantasie, dai calcoli, dai testi traeva pascolo a -congetture, che presto mutò in persuasioni. - -Che la terra fosse sferica e abitata anche nella parte opposta alla -nostra, l’aveano già insegnato nella bassa Italia i Pitagorici, poi -ripetuto altri savj anche di recente, comunque la scarsezza di libri -lasciasse altri nei classici pregiudizj; e l’induzione veniva di suo -piede dacchè sapevasi non essere il peso che la tendenza al centro -della terra[335]. Uno potrà dunque passare da un meridiano all’altro -sia che si diriga a levante, sia che a ponente, e le due strade -saranno complemento una dell’altra. Il circuito della terra è diviso, -secondo Tolomeo, in ventiquattro ore da quindici gradi ciascuna: i -quindici da Gibilterra fino a Tina in Asia erano già conosciuti agli -antichi; d’un altro s’inoltrarono i Portoghesi: non rimangono perciò -che otto ore, cioè un terzo della circonferenza del globo. I filosofi -asseriscono che la superficie de’ mari è un settimo appena dell’arida: -adunque non resterà che piccola parte dell’Atlantico a traversare per -raggiungere il continente dell’India, le invidiate terre delle spezie e -dell’oro, il Catai, Cipango, le altre regioni, del cui nome e delle cui -meraviglie era stata empita l’Europa dal Milione di Polo. Più dunque -che pel levante, è facile giungervi per ponente[336]. Le cinquecento -miglia di mare che credeasi dover traversare, erano ancora eccessive -alla scarsa arte d’allora; ma probabilmente tra via s’incontrerebbero -isole, delle quali una vaga fama trasmetteasi fra i naviganti. - -Altre induzioni, d’origine ecclesiastica, davano al mondo non più che -cencinquant’anni ancora di durata; e poichè è scritto che _il suono -del vangelo uscirà per tutta la terra_, Iddio dev’essere sul punto di -aprire l’India da quest’altra banda, acciocchè vi si predichi Cristo, -e se ne traggano tesori, coi quali riscattare Terrasanta dai Turchi e -tante anime dal purgatorio. - -Ognuno appoggia i proprj concetti cogli argomenti del tempo; e Colombo -ne raccoglieva per la fede dei teologi, per l’avidità dei re, pei -pregiudizj dei naviganti, per la pedanteria degli eruditi, per la -scienza de’ matematici. Fra gli astronomi di quel tempo godea nome -Paolo del Pozzo Toscanelli, che in Firenze sua patria fece il più -elevato gnomone del mondo in Santa Maria Novella. A lui, già consultato -dai principi di Portogallo, si diresse Colombo per lume e consigli, e -questi gli rispose una lettera appoggiandolo di autorità e di calcoli; -gli abbozzò una carta navigatoria, ove da Lisbona a Quinsay (città -rivelata da Marco Polo) segnava sedici gradi da ducencinquanta miglia -ciascuno; e — Il tuo disegno parmi nobile e grande, e ti prego quanto -so a navigare da oriente ad occidente». - -Colombo dovette rimbaldirsi di tanta approvazione: ma donde ottenerne -i mezzi? La Francia si buttava allora a guerre avventurose sotto -il romanzesco Carlo VIII: l’Inghilterra faticava a ricomporre gli -sconquassi delle lunghe discordie intestine: il Portogallo erasi messo -alle scoperte s’una traccia diversa, e codesta novità non poteva che -tornargli sgradita: di fatto quegli accademici, cui il disegno di -Colombo fu presentato, lo dichiararono d’un fatuo vanaglorioso; pure -i politici suggerirono, — Teniamolo a bada finchè si mandino navi a -verificare cosa ne sia». Colombo indispettito si sottrasse, e venne -in Italia: ma di que’ piccoli Stati e ringhiosi qual mai era capace di -tanto ardimento? Venezia e Genova desideravano conservarsi il monopolio -delle antiche vie, anzi che perigliarsi a nuove; tenere a tutto loro -profitto il commercio nel Mediterraneo, anzi che vantaggiare le nazioni -situate sull’Oceano. - -Febbricitante dunque d’un gran pensiero, cui non vedea modo di ridurre -ad effetto, cogli spasimi del genio incompreso, Colombo vedea passare -gli anni, logorarsi il suo vigore, e nessuno che volesse accettare il -dono d’un nuovo mondo. Finalmente in Ispagna trovò un frate, che il -raccomandò al confessore della regina Isabella; e la gran donna, capace -di comprendere l’entusiasmo di un grand’uomo, gli diede ascolto, fece -esaminare la proposta da teologi e da sapienti; ma poichè allora fervea -l’impresa che dev’essere la prima per ogni nazione, quella di sbrattare -la patria dalla dominazione straniera, il tentativo fu rimesso a -migliori tempi: intanto Colombo militò contro i Mori, vivendo d’un -sussidio assegnotogli, egli che teneasi distributore d’incalcolabili -tesori[337]. - -Finalmente la presa di Granata decise la lotta di sette secoli; e -gli Spagnuoli si assisero indipendenti sopra il suolo che palmo a -palmo aveano ricompro dalla servitù moresca. Allora Colombo rincalorì -le istanze, e ottenne due navi e trecentomila corone, col patto -di concorrere egli stesso a un ottavo della spesa, purchè gli si -assicurassero un ottavo de’ vantaggi e un dodicesimo delle gioje -e de’ metalli preziosi, il titolo di ammiraglio e vicerè de’ paesi -nuovi. Un terzo legno ebbe da un armadore di Palos, dal qual porto -salpò il 3 agosto 1492, fidando in Dio, e ostinandosi a filar dritto a -ponente, per quanto il disconsigliassero i compagni, per quanto altri -fenomeni l’allettassero a cercar terre a dritta o a sinistra, per -quanto lo scoraggiasse il dissiparsi delle apparenze di vicina terra. -Perseveranza siffatta è l’impronta del genio. - -Non è di questo luogo il descrivere gli incidenti del suo viaggio, e -come toccasse le Antille e più tardi il continente, ch’egli credette -sempre fossero le settemila quattrocentottantotto isole orientali, -indicate da Marco Polo. Il suo giornale lo mostra attentissimo -osservatore d’ogni fenomeno della natura, quantunque non addottrinato -abbastanza per trovarne la spiegazione; nè alla sagacia sua sfugge -veruna delle apparenze d’un mondo e d’un ciel nuovo: ravvicina i -fatti per indovinarne le mutue relazioni; primo avvertì la deviazione -dell’ago magnetico; primo conobbe che si poteva trovar le longitudini -mediante la differenza dell’ascensione diritta degli astri; notò la -direzione delle correnti pelagiche, l’aggruppamento delle piante marine -che determinano una gran divisione de’ climi dell’Oceano, il cangiarsi -delle temperature non solo a norma delle distanze dall’equatore, ma -colla differenza de’ meridiani; nè trascurò appunti geologici sulla -forma delle terre e sulle cause che la producono. - -Quel che più ancora, lo caratterizza è il sentimento religioso, pel -quale crede a visioni, a rivelazioni; per iscopo supremo dell’impresa -si propone di annichilare l’islam, convertire i sudditi del gran -kan, e coll’oro ritratto riedificare Gerusalemme, e suffragare tante -anime aspettanti nel purgatorio. Ne traeva la perseveranza contro -gli ostacoli, la pazienza de’ mali, e nei semplici suoi ricordi -scriveva: — Benedetto Iddio che dà vittoria e buon successo a chi -segue le sue strade, e l’ha miracolosamente provato in me. Io tentai -un viaggio contro l’avviso di tanti assennati; tutti trattavano il mio -disegno di chimera: confido nel Signore che il successo farà grande -onore alla cristianità». E se i disastri l’opprimevano, pareagli una -voce gridargli in sogno: — Di poca fede! cosa fece Iddio di più per -Mosè e per David suo servo? A te aperte le barriere dell’Oceano; -a te sottomesso infinito paese; il nome tuo reso celebre in tutta -la cristianità. Volgiti a lui, e riconosci che infinita è la sua -misericordia. Tu giaci di cuore, e gridi _È troppo_. Or di’, chi -ha cagionato le tue afflizioni, Dio o il mondo? Dio non fallisce le -promesse: ma delle fatiche sostenute per altri padroni questa è la -ricompensa». - -Perocchè è nota l’ingratitudine con cui gli uomini compensarono quel -sommo che, mentre al tornare del primo viaggio non era onoranza che -non gli fosse profusa quasi a creatore, di poi dal nuovo mondo fu -ricondotto in catene, le quali (dice suo figlio) io vidi sempre sospese -nel suo gabinetto, e con quelle volle esser sepolto». Ai re si lagnava -egli, ma invano; e a suo figlio scriveva: — Dopo vent’anni di servizj -e fatiche e pericoli tanti, non possiedo in Ispagna ove ricoverare -il capo: per mangiare e dormire mi bisogna andare all’osteria, e più -volte non ho di che pagare lo scotto». Sazio poi di quella che tanto -annoja, la censura degli oziosi, proponeva: — Coloro che si piaciono -di far rimproveri e appunti, stiano a cianciare laggiù a loro agio, -e dire _Perchè non fare così e così?_ Avrei voluto fossero stati a -quell’impresa». Passata mezza la vita nella miseria sospirando di -attuare la grande idea, e l’altra mezza nella invidia per averla -compiuta, straziato da lunga ambage d’iniquità e scaduto dalle più -fervorose speranze, moriva desolato a Valladolid di sessantott’anni nel -1506. - -Istituì un maggiorasco, e ne trasmetteva i documenti a Genova, «della -qual città io sono uscito, e nella quale son nato»: pel banco di San -Giorgio destinò un decimo della rendita di sua eredità, onde sgravare -la gabella delle vittovaglie: e sedici giorni prima di morire, -sopra un uffizietto della beata Vergine regalatogli da Alessandro VI -papa, e «che gli era stato di gran sollievo nella cattività, nelle -battaglie, nelle traversie»[338], vergava un codicillo militare da -darsi «all’amatissima sua patria la repubblica genovese» pei benefizj -che n’avea ricevuti; volea che de’ suoi beni stabili in Italia vi -si ergesse uno spedale nuovo; mancando poi la sua linea, sostituiva -il banco di San Giorgio nell’ammiragliato dell’India e negli altri -privilegi, che dai re gli erano stati sconsideratamente promessi, e -che poi gli furono codardamente fraudati; sicchè i figli suoi dovettero -stentare tutta la vita a patrocinare i titoli e il nome di quel grande, -cui negavasi la gloria d’aver egli primo scoperto un mondo, che testè -gli s’imputava a monomania il credere potesse scoprirsi. Finalmente i -suoi nipoti rinunziarono alle pretese ricevendo mille dobloni l’anno -e il titolo di duchi della Veragua, che vive tuttora in una linea -femminile, dalle ultime vicende spagnuole ridotta a strettezze. - -Più che i re, furono ingrati a Colombo gli scrittori, che del nome di -lui non battezzarono la terra da lui scoperta. Al fine dell’ultimo -secolo, gli Spagnuoli, costretti abbandonare ai Francesi l’isola -d’Haiti ove era stato sepolto, lo trasportarono all’Avana in una -solennità affettuosa, cui non si mesceano maledizioni, come alla -traslazione d’altri eroi: e Bolivar volle col titolo di Colombia -abbellire la repubblica, che le sue vittorie creavano e la sua -temperanza conservava. Tarda giustizia! a Colombo non restò che -la felicità dell’operare; felicità che voi, anime torpide, mai non -comprenderete. - -Subito avidità d’oro, di gloria, di conquiste, di conversioni, di -martirio, spinse gran gente verso quel nuovo mondo, del quale, in -poco giro d’anni, tutto il contorno fu determinato: ma a noi non -s’appartiene qui l’esporre se non la parte che vi presero gl’Italiani. - -Sebastiano Cabotto, mercadante veneziano, che fin dal 1494 avea -veduto una terra che poi fu detta Terranuova, all’udire le imprese del -Colombo, sentì suscitarsi «un desiderio grande, anzi un ardor nel cuore -di voler fare ancor egli qualche cosa di segnalato»; ed esibì ad Enrico -VII d’Inghilterra d’arrivare al favoloso Catai per altra via che non -quella di Cristoforo, cioè pel nord-ovest; e avutone lettere patenti -nel 1496, con Sebastiano suo figlio, e con quattro navi provvedutegli -dai negozianti di Bristol, toccò il continente americano al Labrador il -24 giugno 1497, cioè un anno e sei giorni prima che Colombo mettesse -l’orma in quel continente, del quale riconobbe 300 leghe di costa. -Morto il padre, Sebastiano spinse un altro viaggio in quell’altezza, e -pare scorresse a dilungo la costa dalla baja d’Hudson alla estremità -della Florida; ma sgomentato dai geli e dalle lunghe notti, voltò -indietro. - -Il papa, molte volte lo ripetemmo, era considerato signor supremo dei -mari e delle isole: in forza di che, Martino V aveva conceduto al re di -Portogallo quanti paesi si scoprirebbero dai capi Bogiador e Non fino -alle Indie. Nessuno allora prevedeva che fra questi s’incontrerebbe -nulla meno che un mezzo mondo; sicchè Spagna e Portogallo vennero a -diverbio sul possesso di questo. Invece di strapparselo colle armi, -compromisero la quistione in papa Alessandro VI, il quale segnò un -meridiano, distante cento leghe dalle isole Azzore e dal capo Verde, e -i paesi di là da quello attribuiva alla Spagna. - -Prima che tale controversia fosse composta, erasi adunata una giunta -per discuterla, e in essa aveva parte il nostro Cabotto, il quale -dagli Spagnuoli ebbe l’incarico d’un nuovo viaggio, in cui rimontò -il gigantesco Rio della Plata. Fatto poi gran piloto d’Inghilterra, -e presidente della compagnia istituita onde tentare il passaggio -pel nord-ovest, in quell’isola morì onorato. Il gran problema che -girava per la mente dell’illustre Veneziano, non fu risolto che jeri. -Sant’uomo (_good aldman_), come lo intitola Ricardo Eden suo amico, -morendo diceva sapere per rivelazione divina un metodo infallibile -di trovare le longitudini; e forse intendeva mediante la deviazione -dell’ago magnetico, la quale si vorrebbe da lui scoperta[339]. Anche -Giovan Verazzani navigatore fiorentino fu adoprato da Francesco I onde -tentare pel nord un passo alle Indie, costeggiò la Terranuova, conobbe -la Nuova Francia, e più di settecento miglia di costa esplorò. - -Americo Vespucci, nato di buona casa a Firenze, poi fattore nella -banca di Gioannotto Berardi a Siviglia, divenne spertissimo marinajo -e buon cosmografo, eseguì diversi viaggi per commissione del Governo -spagnuolo, dal quale fu assunto primo piloto alla morte di Colombo; -e colmo d’onori morì a Siviglia il 1512. Niuna impresa capitale egli -compì, ma in lettere dirette a Renato duca di Lorena e a Lorenzo di -Pier Francesco Medici, diede delle sue navigazioni un ragguaglio gonfio -e confuso, con ostentazione di scienza e con apparenza d’uomo che -compila scritti altrui. Firenze lo lesse con avidità, e gli decretò il -fanale, cioè che davanti alla casa di lui si accendesse un falò per -tre giorni e tre notti, come in antico solevasi ai benemeriti della -patria, e tutte le case si dovessero illuminare e più i palazzi[340]. -Quella informazione fu subito messa a stampe, e perchè fu la prima che -si pubblicasse, venne cercatissima, tradotta in varie lingue, talmente -che i paesi nuovi si chiamarono la terra d’Americo, e il costui nome -prevalse a quello del vero scopritore. Nol chiameremo per ciò falsatore -e plagiario della gloria altrui, ma vi riconosceremo uno degli -accidenti della gloria, tanto capricciosa nelle sue distribuzioni. - -Antonio Pigafetta vicentino, trovandosi in Ispagna al seguito di -Francesco Chiericato ambasciatore della corte di Roma, partì collo -spagnuolo Ferdinando Magellano per un viaggio all’estremità meridionale -dell’America, e, datovi la volta il 21 ottobre 1520, compiva il primo -giro del globo. Il viaggio era stato finito in millecentoventiquattro -giorni; e la nave tratta in secco, fu conservata qual monumento della -spedizione più arrisicata. Pigafetta fu accolto a Monterosi da papa -Clemente VII, per cui istanza egli stese un racconto di quel giro, con -poca esattezza e molta credulità, ma prezioso in mancanza d’ogni altro, -e anche piacevole per la contezza di tanti paesi nuovi, e pel primo -vocabolario di lingue parlate da Indiani. Con Magellano erano a quel -passaggio anche Leone Pancaldo, Battista da Polcévera e un Baldassarre -genovesi. Un altro genovese, Paolo Centurioni, proponeva a Basilio -czar delle Russie un nuovo cammino alle Indie, venendo per acqua fin al -Caspio, e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi al Baltico, onde recare -più presto e direttamente ai Settentrionali le droghe, senza ricorrere -ai Portoghesi[341]. Così, intanto che la patria tempestava fra gravi -sciagure, molti nostri, e principalmente genovesi, andavano ad ardite -scoperte, delle quali l’Italia non doveva giovarsi: piloti genovesi -fecero la prima circumnavigazione, designata dal nome di Magellano; -altri tentarono il passaggio polare. - -Col solito carico erano partite le galee di traffico veneziane per -distribuire le droghe ne’ porti dell’Oceano, quando Piero Pasqualigo, -ambasciatore a Lisbona, diede avviso alla Signoria che i Portoghesi -aveano schiuso un altro varco alle Indie, ed offrivano le spezie ed il -legname di costruzione a più fiorito mercato. Fu tenuto come pubblico -disastro dalla repubblica, e si pensò al riparo non colla generosità -che si eleva a vantaggiare se stessi col vantaggio altrui, bensì -coll’egoismo che impaccia e pregiudica. Spedirono a insusurrare al -soldano d’Egitto che gravi pericoli deriverebbero al suo paese e alla -religione maomettana dalla prossimità di que’ nuovi e intraprendenti -mercadanti, e gli offrivano braccia, consigli, armi per esterminarneli. -Egli di fatto il tentò, unito ai principotti di Cambaja e di Calicut; -ma il valore di Vasco de Gama, poi dell’Albuquerque dissipò le -resistenze. - -Consiglio più generoso e insieme più profittevole alla repubblica -sarebbe stato il mettere in comunicazione il Mediterraneo col mar Rosso -traverso all’istmo di Suez, o all’Egitto pei canali del Nilo; e non -mancò chi lo suggerisse: ma forse lo impedì quell’empia lega, in cui -tutt’Europa si strinse allora appunto per distruggere Venezia. - -Il commercio, che i Portoghesi allora cominciarono coll’Asia, -differiva da quel di Venezia in quanto questa lo permetteva a qualunque -cittadino, escludendo gli stranieri, mentre i Portoghesi lo teneano -come proprietà della corona; quella non negligeva l’industria interna, -mentre i Portoghesi lasciarono deserte le manifatture e le campagne per -usufruttare le colonie orientali. Gl’Inglesi perseverarono a comprar -le droghe dai nostri; ma un equipaggio veneto di millecinquecento -tonnellate, che nel 1587 naufragò sopra l’isola di Wight, fu l’ultimo -che approdasse in Inghilterra, avendo la regina Elisabetta ottenuti pe’ -suoi dal granturco tutti i privilegi di cui fruivano i Veneziani. - -Presto dalla Sicilia passò la coltura dello zuccaro in America, che -ne divenne la principale produttrice; di là vennero a noi molte nuove -piante e derrate, molti usi ed abusi, e vizj e comodità e morbi. È -generalmente accettato che l’inglese Raleigh portasse pel primo in -Europa il pomo di terra nel 1586; ma il celebre botanico l’Ecluse -(_Clusius_), che primo descrisse quel tubero nel 91, asserisce averne -fin dall’88 coltivato nel suo giardino alcuni ricevuti dall’Italia, -ove da qualche tempo servivano di cibo agli uomini e agli animali -domestici. - -Ma noi avevamo cessato d’essere i fattori dell’Europa; non un palmo di -terra acquistammo in quel mondo, che un nostro avea scoperto e un altro -denominato; non ajutammo le successive indagini: vero è che restammo -mondi del sangue e delle atrocità che le accompagnarono. - -Le scoperte schiudeano un nuovo campo alla santa operosità de’ -missionarj, che da Roma correano a piantar la croce dovunque gli -avventurieri avessero cominciato la strage. Famosi principalmente -riuscirono i Gesuiti nella Cina, e primi Gabriele Rogerio di Napoli, -il Ricci da Macerata, il Pasio da Bologna, che educatisi nei costumi e -nella lingua del paese strano, furono tollerati e donati, ed ottennero -grandi successi di conversioni; anzi il Ricci scrisse un’opera in -cinese, che lo fece porre fra i classici di quella difficile nazione. -Prodigiosi effetti conseguì pure nel Malabar il padre Roberto de’ -Nobili romano, che però col troppo mostrarsi tollerante dei riti -nativi meritò la disapprovazione di Roma, e (strano accordo) quella de’ -filosofanti. Da questi ed altri missionanti si ebbero le prime e le più -esatte contezze di que’ paesi. - -Gli ambasciadori nostri alle Corti straniere informavano i loro Governi -delle scoperte, via via ch’erano risapute; i mercadanti ne faceano -appunto sui loro mastri per l’alterazione che derivava al prezzo delle -derrate. Gli eruditi, di mezzo ai loro studj sull’antico, sentivano -agitarsi il mondo moderno; e mentre sulla fede dell’erudizione Colombo -ostinavasi nel glorioso suo errore, Pietro Martire d’Anghiera milanese -scriveva a Pomponio Leto: — Non passa giorno che non ci arrivino -prodigi nuovi da questo nuovo mondo, da questi antipodi dell’Occidente, -che un tal Cristoforo genovese ha scoperti. Credo bene che tu abbia -trasalito d’allegrezza, e a stento ti sia frenato dalle lagrime -quand’io per lettere t’informai dell’orbe dianzi nascosto. Qual cibo -più soave di questo a sublimi ingegni? Da me lo misuro, che sento -bearmi lo spirito quando ragiono con alcuni tornati di colà. Tuffino -l’animo in accumular dovizie i miseri avari; noi allietiamo le menti -nostre nella contemplazione di siffatte meraviglie. E che fecero di -più i Fenicj quando in regioni remote riunirono popoli erranti, e -fondarono altre città? Ai tempi nostri era serbato vedere allargarsi di -tanto le nostre concezioni, e tante cose insolite apparir d’improvviso -sull’orizzonte»[342]. - -Esso Pietro Martire pubblicò tre decadi _De rebus oceanicis_, che volle -far credere scritte man mano che le informazioni giungevano[343], e il -cui vanto riponeasi nell’aver saputo designare con parole classiche -paesi e cose nuove. Dalle lettere del Colombo _De insulis Indiæ -nuper inventis_ trasse un rozzissimo poema in ottave il canonico -Giuliano Dati fiorentino[344], autore d’altri scrittarelli destinati -a popolarizzare le scoperte. Di que’ viaggi poi una raccolta stampò il -Fracanzano di Montalboddo a Vicenza nel 1507 col titolo di _Mondo nuovo -e paesi nuovamente trovati da Alberico Vesputio fiorentino_; Antonio -Manuzio un’altra de’ viaggi di Veneziani. Giovan Battista Ramusio, -nato da Paolo letterato celebre, usato in molte legazioni, sperto di -varie lingue, concepì principale amore per la cosmografia, e ne teneva -accademia in sua casa a Venezia; e dei ragguagli che correano fece -la miglior raccolta col titolo _Delle navigazioni e viaggi... nelle -quali con relazione fedelissima si descrivono tutti quei paesi che da -già trecent’anni finora sono stati scoperti, così di verso levante e -ponente come di verso mezzodì e tramontana_, più più volte ristampate, -dopo la prima di Venezia del 1550. Anche Livio Sanuto raccolse le -migliori notizie delle scoperte, e s’un globo rappresentò tutto il -mondo conosciuto, sicchè può considerarsi il primo che correggesse le -antiche carte. Sventuratamente delle sue non si salvarono che dodici, -pubblicate postume nel 1586, incise dal fratello Giulio; e l’Africa vi -è ritratta con esattezza tale, che appena dalle recentissime scoperte -potè essere migliorata. - -Alessandro Geraldini da Amelia nell’Umbria militò in Spagna, fu -coppiere della regina Isabella, poi entrato ecclesiastico, educò -quattro principesse che divennero regine; favorì i divisamenti del -Colombo confutando i sofismi teologici che lo contrariavano; adoperato -molto in diplomazia presso quasi tutte le corti d’Europa, finì vescovo -di San Domingo in America. Scrisse molte opere di teologia, esortazioni -ai Cristiani contro i Musulmani, e l’itinerario alle Antilie, con -ragguagli sulle antichità, i riti, i costumi, le religioni de’ popoli -di Etiopia, d’Africa, dell’oceano Atlantico, dell’India. Asserisce -però aver veduto e trattato popoli e re, che nessun altro menziona; -dà perfino iscrizioni latine, che asserisce aver copiate in Africa, -evidentemente false: sì poco allora aveasi cura dell’esattezza. - -Altri continuarono viaggi. Giovanni da Empoli nel 1503 arrivava al -Malabar. Filippo Sassetti fiorentino, buon matematico e discreto -scrittore, visitò le Indie, e vorrebbesi il primo che avvertisse -la declinazione dell’ago calamitato, che noi trovammo già prima -indicata. Luigi da Vartema, gentiluomo bolognese, scrisse il suo -viaggio in Levante, ristampato e tradotto in tutte le lingue. Mosso da -Venezia dopo il 1500, visitò l’Egitto, la Siria, e nel 1503 imparato -l’arabo, da Damasco colla carovana andò alla Mecca, soffrendo i -disagi di quel tragitto, ammirando il gran mercato che vi si teneva, -benchè declinasse dopo scoperto il passaggio marittimo all’India. -Un Moro ch’era stato a Genova e Venezia, lo conobbe per italiano; -nè al castigo serbato all’infedele che entra nella santa casa, potè -sottrarsi se non fingendosi rinnegato, e bestemmiando i Portoghesi. -Il Moro gli esibì di mettersi col re del Decan per fondere le sue -artiglierie: ed egli, desideroso di avventure, accettò. Sbarcò a Aden, -ma riconosciuto, fu messo in carcere; e solo col fingersi scimunito, -e ricrear la regina colle sue buffonerie, potè campare. Allora visitò -molte città dell’Arabia Felice, fendè la Persia, e giunse ad Ormus, -a Herat, a Schiraz, centri di vivissimo traffico. Fece società -con un mercante persiano, e dalle guerre impedito di giungere a -Samarcanda, tornò a vedere altri paesi sino a Calcutta, dove stavano -sin quindicimila mercanti forestieri. Il Vartema si estende a narrare -i costumi dell’India, come uom che li vide in fatto, sebbene e spesso -li frantendesse, e più spesso non osservasse quelle particolarità -che ne formano il carattere. Seguitò a trafficar per que’ mari, e -via fin al capo Comorin, all’isola di Seilan e al Bengala, indi al -Pegù, a Sumatra, all’isola delle Spezierie, a Borneo, a Giava. Reduce -a Calcutta, trova due Milanesi venuti nell’India co’ Portoghesi e -disertati, coi quali s’accorda per fuggire dai paesi musulmani, e -riesce a tornare fra i Cristiani. I Portoghesi l’ebber caro per le -informazioni che offerse di regioni ignote, e gli agevolarono il -ritorno a Lisbona, ove il re l’intitolò cavaliere; e di là tornò in -patria il 1508. - -Gaspare Balbi veneziano, negoziante di gioje, trovandosi ad Aleppo -il 1579, risolse visitare l’Oriente; e condottosi a Bir sull’Eufrate, -navigò questo fiume pieno di pericoli fin presso a Bagdad; da questa -_Babilonia_ nuova scese pel Tigri a Bàssora, donde a Ormus, osservando -la pesca delle perle a Baharein, poi a Diu e a Goa, dove allora -ingrandiva la potenza portoghese. La sua descrizione rispetto a storia -e geografia non dilatò le nostre cognizioni, ma da mercante ch’egli -era, informa a minuto del commercio, dei prezzi, delle direzioni. -Da Goa traversò a Cochin, poi pel capo Comorin a San Tomé, notando -i gran frutti delle missioni gesuitiche. Con mercadanti Portoghesi -navigò nel Pegù, regno poderoso, che dominava quelli d’Ava e di Siam, -e la cui capitale trovò grandiosa, qual rimase finchè i Birmani non -la distrussero nel secolo passato. Quel principe, interrogatolo sul -suo paese, e udito che governavasi senza re, volle sbilicarsi dalle -risa, il regalò d’una coppa d’oro e tappeti cinesi, e ne comprò molti -smeraldi, ricambiandoli con altre pietre e con pezzi di piombo che -ivi scusavano la moneta. Passare ad Ava per farvi accatto di rubini -non potè, in grazia d’una ribellione scoppiata, per la quale il re -del Pegù chiamò a sè gli uffiziali e governatori, e sospettandoli -d’intelligenze, li fece colle loro famiglie bruciare in numero -di quattromila. Il Balbi potè vedere le trionfali solennità della -vittoria, e marcie e pasti, dove i bianchi elefanti del re faceano -segnalata comparsa. Ci dipinge quel popolo come mansueto, tollerante, -educato dai buoni esempj de’ Talapoini, monaci austeri e caritatevoli, -i quali non impedivano di farsi cristiani, dicendo che uno può esser -buono in qualunque religione. Di là mandavasi argento al Bengala, riso -a Malacca: sopratutto lavoravasi di cotone. Nol seguiremo nel ritorno -e nella descrizione che fa delle usanze della costa del Malabar, donde -per Ormus ripassò nel 1588 ad Aleppo, che avea lasciata nel 1579; e due -anni dappoi pubblicava in patria il suo _Viaggio alle Indie orientali_, -prezioso sì per la semplicità con cui acquista fede a’ suoi detti, sì -perchè primo recò notizie dell’India transgangetica e particolarmente -del Pegù. - -Pier della Valle può dar la misura della corrività, se non della -sfacciataggine de’ viaggiatori. Staccatosi da Roma col proposito di -percorrere le principali parti del teatro dell’universo, provvisto -d’entusiasmo e di fede ma non di critica, sopra un legno veneziano -approda prima a Corfù, dove riverisce le reliquie di santo Spiridione, -e dove gli è mostrato un discendente di Giuda Iscariote. A Zante vede -una fontana, la cui acqua proviene dalla terraferma, sottopassando alle -salse, per tal segno che una volta ne sgorgò una tazza d’argento. Da -Troja, che ricostruisce con tanta facilità, mentre con tanto stento -i moderni non v’arrivarono, giunge a Costantinopoli, e vede gran -meraviglie, e n’ode di maggiori, quali le due immense cisterne, sopra -cui stanno sospese Santa Sofia e l’ippodromo, sostenute solo da alcune -file di pilastri. Harlais ambasciadore di Francia gli agevola l’entrata -nel serraglio, ove bacia la mano all’imperatore, ma preoccupato dalle -idee de’ costumi e delle Corti europee, nulla intende di quella. -Nelle case vede usare pertutto una bevanda nera, che chiamano caffè, -e i cui effetti gliela fanno somigliare alla nepente, con cui Elena -calmava i tedj degli assediati Trojani. Nell’Egitto scorre colla Bibbia -e col leggendario alla mano, pertutto vendemmia pie tradizioni, e -viepiù accostatosi a Terrasanta: e que’ racconti anche sì grossolani -attraggono per la buona fede e la semplicità onde sono dettati. Dopo -che potè prostrarsi sul sepolcro di Cristo, e ricever la comunione su -quello di santa Caterina, crebbe di pietà, e sbandì quanto di mondano -conservava. Avviatosi colla carovana verso Babilonia, sente parlare -della bellezza stupenda, del raro ingegno, dell’incomparabile virtù -della figlia del maggior ricco di Bagdad: onde invaghitosene per fama, -non d’altro studia che d’arrivarvi presto, e la ottiene in matrimonio, -e riconduce a Roma la bella Maani Gioreida. - -Jacopo Morelli, lodato bigliografo, stampò in pochi esemplari una -dissertazione intorno ad _Alcuni viaggiatori eruditi veneziani poco -noti_ (Venezia 1803), i quali sono Paolo Trevisano, Giovanni Bembo, -Pellegrino Brocardi, Ambrogio Bembo, Giovan Antonio Soderino; e -minori Bartolomeo Dandolo, Bonajuto Albani, Teodoro Gradenigo, Nicola -Brancaleone, Antonio Priuli, Carlo Maggi, Cechino Martinello. Altri -avremo a mentovarne, ma scarsissima messe ci danno i nostri campi. Ben -fa meraviglia come di tanti portenti, che doveano concitare le fantasie -e l’estro, poche o niuna scintilla traessero le muse nostre, severe od -amene: alcuni poemi su que’ gloriosi fatti ricalcano i modelli antichi; -e le allusioni fattevi non attingono l’originalità, neppure in mano del -Tasso e dell’Ariosto. - - - - -CAPITOLO CXXVI. - -La fine del medioevo. - - -Così accompagnammo il passaggio dall’età media alla moderna. La società -stabilita sulla libera autorità, sulla devozione dell’uomo all’uomo, -sulla infallibilità cattolica, sulla ecclesiastica gerarchia, cede -dinanzi all’indipendente indagine de’ pensatori, al cavillo erudito -de’ leggisti, alla risoluzione de’ popoli di stracciar le fascie entro -cui crebbero, e dei re di non tollerare superiori. Cessata quella -robustezza di Roma imperiale, che assorbiva l’uomo nello Stato, la -Chiesa avea proclamato la propria indipendenza: gli uomini franchi, -i signori feudali, i Comuni, le maestranze ne voleano altrettanta, -arrogandosi l’autonomia della propria sfera, per modo che non si trova -più la nazione, lo Stato, ma l’individuo col suo senno e colla sua -coscienza. Al contrario, gli Stati moderni sin dal nascere inclinano -in un senso opposto alla società cristiana e ai dominj barbari, -accentrando i poteri maestatici, estendendo la sfera della regia -attività a scapito de’ signori e dei Comuni. - -A ciò erano ajutati dal desiderio d’ordine, di sicurezza, di -protezione, ingrandito colle ricchezze e colla civiltà: ma ne derivava -l’illimitata dominazione d’un uomo, giacchè tanti poteri concentrati -non potendo più esercitarsi dal popolo, vengono affidati a un solo, e -ne nasce la moderna assolutezza, ove l’individualità sparisce sotto i -regolamenti, i diritti rimangono in arbitrio dei governi, e lo Stato -dovendo regolare tutto ciò che interessa la maggioranza, più non -conosce limiti nell’attività che si attribuisce, intacca perfino la -proprietà coll’arbitraria imposta[345], surroga al concetto morale il -calcolo del tornaconto, l’artifiziale autorità della magistratura alla -naturale libertà di ciascuno, a un capo servito da poteri indipendenti -l’idea dello Stato rappresentato da un uomo; insomma all’età cattolica -sottentra l’età politica. - -È però compiuta la missione provvidenziale del medioevo, qual era -di sfasciare l’onnipotenza dello Stato sopra i corpi e le anime, -restituire all’uomo l’importanza che prima non attribuivasi se non -al cittadino, rintegrare le nazionalità particolari, e in queste le -famiglie. - -Da principio le famiglie de’ vincitori stavano raccolte in una -imperfetta federazione, quale bastasse a tenere subordinate quelle de’ -vinti; e al possedimento delle terre si annetteva la sovranità, che in -conseguenza suddivideasi fra tanti signorotti, volgentisi nell’orbita -propria, non trascinati in quella di un unico preponderante. Finite le -invasioni, sui rottami dell’impero di Carlomagno erasi fondato un nuovo -ordine di cose, medio fra la schiavitù antica e le libertà moderne, -cominciarono a parlarsi lingue distinte, nelle quali prorompeano versi -per esprimere le credenze, le passioni, i sentimenti. Allora i Comuni -ampliarono esse famiglie, introducendovi i vinti come artigiani o anche -solo come inquilini della città; poi via via abbracciarono la campagna -e i servi, e formarono vorrei dire tanti nuclei, attorno a cui si -cristallizzarono i decomposti elementi. - -Fu questa la rivoluzione per cui l’Italia, prima che ogn’altra, -cancellò le impronte della barbarie: rivoluzione casalinga, dove il -governo passò dai re ai conti, dai conti ai vescovi, indi ai Comuni -aristocratici, poi agli industriali, poi alle plebi, non cercando tanto -la libertà civile quanto l’eguaglianza, e questa non nelle persone, -ma nei corpi che eransi emancipati coll’oro e col sangue, senza però -mai che si aggregassero ad un potere centrale. Fissando quel bulicame -di persone e di Stati che, non ancora stretti a fasci, ed operanti -più per sentimento che per la riflessione, esercitavano un’esuberanza -di vita, in rapida e perpetua mobilità spingendosi, attraversandosi, -sormontandosi, combattendosi per motivi ignoti, s’inaspa lo sguardo. Le -cronache danno un motivo a ciascuno di quei fatti, un nome a ciascuno -di quegli individui, e caratteri e passioni proprie; e soventi vi -scorgiamo generosi fini, nobili interessi, pericoli vigorosamente -affrontati, tanto da meritare più che gli eroi de’ grandi imperj -l’attenzione di chi, qualunque ne sia il nome e le proporzioni, prende -interesse all’uomo che lotta per la coscienza, per la libertà, per la -patria. Ecco perchè il medioevo è così diversamente valutato: tanto più -che le forme n’erano grossiere, e che all’induzione e alla deduzione -prevaleva l’intuizione, fecondissima fonte di conoscenze e di verità -più dirette ed essenziali, perchè produce l’entusiasmo, trattato di -pazzia dal freddo raziocinio, incapace a spiegarlo; e che sempre vi si -trovano a contrasto l’infinita aspirazione del pensiero e la trista -realità, carità e barbarie, ironia ed amore, dubbio e misticismo, -e nell’autore stesso improperj contro i papi e venerazione per san -Francesco. - -Gente che vuol tutto restringere alla misura della nostra piccineria, -che a forza d’abusare della parola libertà, d’erigere in regola il -sofisma, di non riconoscere verità contraddicenti al proprio partito, -nè importanza a principj che non siano i suoi, senza volerlo si riduce -cortigiana della violenza e dell’arbitrio, e quando non ode schiamazzo -per le vie chiama organizzata la società, ben è dritto se non sa che -deplorare que’ tempi, e preferendo alla tutela municipale l’imperiosità -governativa, alla libertà dei più la sovranità politica, anatemizza i -governi popolari a fronte de’ regj che, nell’evo seguente, portarono -all’Italia il silenzio della prigione, il riposo del sepolcro. -Acquistar la libertà senza lotte, traforarsi da un governo all’altro -a chetichella, sono utopie di gazzettieri che idoleggiano la propria -ragione, e immolano i fatti alla teoria. Anche Venezia ne’ primi suoi -secoli avea fortuneggiato tra rivolture e ambizioni, finchè trovò il -suo assetto. Le altre repubbliche faticavano ancora nel travaglio, dove -più dove meno spasmodico; e tutte frastornate dall’irrequietudine de’ -fuorusciti, dall’ingerenza ghibellina, e ben presto dalla conquista -forestiera, per modo che non poterono trasformare gl’istinti in -raziocinj, le passioni in principj morali. - -L’idolatria, sia al passato o al presente, non è degna se non di -quella storia che fu adulterata dalla scettica manipolazione del -secolo passato, e dal dilettantismo giornalistico di questi nostri, -che conservano l’irriverenza e la leggerezza di Voltaire, quando -Voltaire stesso penserebbe più seriamente. No: ai grandiosi spettacoli -dell’umanità non vuolsi l’occhialetto indifferente o beffardo -del teatro; e solo vi s’addentra chi, spogliato di presunzione -filosofistica e di teologiche sottigliezze, cerca la figliazione -degli elementi sociali, e come le civiltà procedano le une dalle -altre per la forza d’evoluzione, che è propria della specie umana: -che se la filosofia della storia errò ne’ singoli sistemi, convinse -che l’oggi è figlio dell’jeri; che certe forme della società si -attuano solo in alcuni periodi; che uno stadio dell’umanità procede -dall’altro, la spiegazione di uno si trova nell’esistenza dell’altro. -Scienza non si dà se non quella che riposa sopra le qualità insite e -durevoli delle cose; che all’induzione aggiunge il lento corredo di -prove, di fatti convergenti; che senza entusiasmo nè rancore aspira -a discoprire la verità, la sola verità. E se il lungo studio e la -violenta contraddizione ci valse, e la fatica nel determinare correnti -del pensiero opposte a quelle che irriflessivamente lo trascinavano, -a noi parve fatuità il credere che jeri solo nascessero i concetti di -giustizia, d’indipendenza, di libertà; e che in un secolo, il quale -non mette in prospettiva de’ suoi fatti che la prigione e la forca, -giovasse ricordarne altri che vi mettevano il paradiso; che in un’età -di vita fortuita e turbolenta e presto invecchiante, la quale proclama -non esservi scampo dalla democrazia che nei soldati, giovasse non -esaltare ma conoscere il medioevo, il quale avea creduto contro i -soldati non trovare scampo che nella democrazia. Gridino a tutta gola -che c’inganniamo; noi, scarchi delle intolleranze giovanili e attaccati -pacificamente alle credenze nostre senza perseguitare le altrui, -prostrandoci sulla recente tomba d’un amico, con lui proclamiamo: — Il -vincitore è Abele». - -Tal è il senso della prima rivoluzione, segnata col nome de’ Comuni: -ma agli eterogenei elementi bisognava metter ordine; e qui soccorrevano -il diritto romano e l’ecclesiastico. Il romano, se anche aveva perduto -l’efficienza legale, sopravviveva nelle tradizioni e negli scritti, e -contribuì utilissimamente a dar norme di giustizia e di procedura. La -Chiesa, che per la sua universalità era sfuggita dal frastagliamento -del potere civile, al feudalismo, sistemato unicamente per la -conservazione de’ vincitori, opponeva un ordine razionale, con poteri -gerarchicamente coordinati, scritte le leggi, discusse in pubblico le -prove testimoniali[346], la pena misurata dal dolo e dal fatto, non già -dalla qualità del delinquente o dell’offeso, e sempre più identificata -la legge colla morale. Dal diritto romano e dal canonico s’apprende -ad accentrare i poteri sovrani; i diritti, le azioni, la pulizia -si regolano con statuti, poi con codici, non dedotti da un concetto -filosofico, ma dalle relazioni sociali e dallo storico andamento. - -Di tal passo l’Italia, che fino al Mille scomponeva le individualità, -da poi le venne rannodando. Già erasi introdotta e avanzata l’opera -dell’unificazione ragionevole dello Stato; comunanza ne’ tribunali; -comunanza del diritto e dovere di difendere la patria negli eserciti; -comunanza d’imposta per le strade, i fiumi, i canali, la pulizia delle -città; comunanza dell’insegnamento; comunanza delle dignità sacre dal -campanaro al sommo pontefice[347]: e ciò senza alienar tutto l’uomo -allo Stato, in modo che nulla si sottragga, nè proprietà nè famiglia nè -educazione nè culto. - -Al di sopra di tutti si bilicavano due podestà: una ecclesiastica, -direttamente emanante da Dio, e confidata alla popolare elezione; -temporale l’altra, ma che ancora riconosceva il diritto e dall’elezione -e dal coronamento. Le due autorità supreme vennero a un conflitto, la -cui essenza non consisteva nell’investire coll’anello o colla spada, -bensì nella libertà di ciò che l’uomo ha di più prezioso, il credere e -il pregare. - -Come avviene in tutte le gare, i campioni dell’una e dell’altra -esuberarono: pure da un lato ci s’affacciano imperatori egoisti, che -lavorano per sè, per le proprie famiglie, per denaro; violenti ora, -ora subdoli; creano fantocci di papi, e li sostengono con male arti e -coll’appoggiarsi agli uomini peggiori: dall’altro lato vecchi inermi, -che non pretendono per se stessi ma per la Chiesa, irremovibili nel -proposito, morali nei mezzi, veneratori della santità quand’anche non -ne sono modelli. Quella contesa, oltre chiarire alquanto l’idea dello -Stato, e l’indipendenza reciproca di due ordini in fatto distinti, -preservò gli spiriti dal languore, che, nel morale come nel fisico, è -la malattia più ribelle. - -La preponderanza del clero non era altro che quel jus sapientioris, per -cui i Romani a coloro che hanno libera e adulta la ragione attribuivano -la facoltà di governare gl’imbecilli ed inferiori. Senza la potente -coesione della gerarchia cattolica, in tempi d’anarchia e d’ignoranza, -che sarebbero divenute la religione e la civiltà? Essa dava al popolo -cristiano l’unità necessaria per combattere l’unito islam; e cessato -tal bisogno, lasciò rivalere le nazionalità. Ma non perdiamo di vista -che quei papi furono della loro, non della nostra età; e il compararli -a Giulio II o a Pio IX son retoriche piacevolezze o palingenesi -fantastiche, giacchè essi non videro levante o ponente, conquistatori -o conquistati, Latini o Slavi, bensì peccatori da redimere, spirito da -sostenere nella lotta colla carne, ed altri aspetti inattendibili ai -ciclopi del razionalismo, cui carattere è la paura e la detestazione -d’ogni spiritualità. Scelti essi medesimi fra tutte le razze, poteano -restringer la vista alla nazionalità? se non che, per l’arcana -connessione delle verità superne colle temporali, fu sotto il manto -pontifizio che le nazionalità si costituirono[348]. - -La supremazia dell’imperatore sovra i principi e potentati tutti, che -il Barbarossa avea fatta acclamare dai leggisti a Roncaglia, terminò -con quel Federico II che pareva riunire i mezzi migliori per attuarla; -e l’epopea delle grandi lotte si immiserì in controversie di dominio -sulle Due Sicilie. Poniamo che queste, come la restante Italia, si -fossero governate a popolo, la santa Sede v’avrebbe conservato senza -contrasti la primazia; ma reggendosi a re, ne seguirono guerre, in cui -entrambi i poteri scapitarono. Alessandro III come avea resistito al -Barbarossa? coll’unire popolarmente la Lega Lombarda; Urbano IV non -potè abbattere i discendenti di quello che col chiamare Carlo d’Angiò, -aggravare cioè colla tirannia francese la tirannia tedesca. - -Ne segui però un effetto rilevantissimo; perocchè l’abolizione -del dominio svevo pose termine alla sopreminenza della stirpe -conquistatrice, che qui erasi piantata coi castellani e coi vassalli, -e lasciò rinascere la coscienza della nazionalità nei nostri, che si -consideravano come discendenti dai Romani. In questo senso si diressero -i tentativi di restaurazione; a ciò la letteratura, a ciò le arti, -a ciò la giurisperizia. Che trionfassero i Ghibellini era difficile, -giacchè veramente contro di essi erasi fatta la rivoluzione popolare -anche quando pareva invocarli; e la primazia imperiale dagli Svevi -in poi non è più che di nome: eppure ne’ fatti che succedono abbiamo -una prova che si dà libertà senza indipendenza, ma l’indipendenza non -basta alla libertà. La Chiesa stessa sente in dechino l’autorità sua -universale, ed è costretta assicurarsi un dominio temporale, che se -in prima era un accidente, allora divenne il punto d’appoggio della -politica sua efficienza. - -Anche mentre la vita sociale rimaneva sparpagliata fra i castelli, -mai non perdettero importanza le città, che sono l’antichissima -e vivace forma de’ governi italiani; e risorsero, e ristabilirono -la democrazia, e di essa i frutti buoni e i peggiori. Nella vita -democratica l’uomo, nobilitato il carattere nell’obbedienza alle -leggi quanto rimane depresso nell’obbedienza a un uomo, lavorando per -sè non per un padrone, concepisce elevata idea di sè e del proprio -paese, si fa agevole nella conversazione perchè non s’immagina che -altri vilipenda lui, come egli non vilipende altri, fortifica il buon -senso nel conversare co’ suoi simili, nei quali più valuta il senno -e i sentimenti che non le maniere, il fondo che non le forme; e in -quel vivere pieno ed attuoso, cercasi meno la libertà de’ singoli che -l’indipendenza di tutti. - -Noi, che per libertà intendiamo la tutela del riposo civile e della -franchezza domestica e personale, l’assicurazione contro gli abusi -del potere in qualunque mano sia posto, non la riscontrammo in quei -tempi, quando libero si considerava chi partecipasse alla sovranità, al -potere attivo; lo perchè prediligendosi il governo dei più, trovavasi -libertà politica anzichè civile. Oggi, qualunque siasi il Governo, -noi pretendiamo la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici, -la inviolabilità della persona, il sottrarre a castighi il pensiero, -la discussione filosofica, la bestemmia, lo scherzo, il costume, il -lusso: allora invece tentonavasi fra sempre nuove forme politiche, non -perchè garantissero contro gli abusi dell’autorità, sibbene perchè -rappresentassero il popolo. Agli sconci parea rimedio o compenso -la sovranità di tutti; la quale, emanata dal popolo, affidavasi -a magistrati temporarj e responsali. Perfino nelle aristocrazie, -il numero degli elettori e degli eleggibili era ristretto, ma non -irrevocabile il potere: sola Venezia tenne doge a vita, ma il fasciò -di gelosissime precauzioni: anche stabiliti i principati, questi -non trasmetteansi con regolare eredità, sopravvivendo il concetto -dell’elezione, sol cancellato poi dalla dominazione straniera. - -Quell’assiduo avvicendarsi di magistrati a troppo brevi periodi rinnova -la febbre elettorale: pure l’abitudine delle assemblee rinvigorisce il -senso comune, dà espertezza negli affari, e sentimento del diritto e -del dovere; ove il merciajo e lo scardassiere può salir gonfaloniere -e doge, ciascuno sente il bisogno di educarsi; ove due o seimila -cittadini sono chiamati ogni anno a magistrati o rappresentanze, quanta -cura di meritarsi stima! ove ogni uffiziale è sindacabile all’uscire -di carica, quanta attenzione di contentare la pluralità! Non essendo -lo Stato privilegio d’una classe, si cerca quel che compie al popolo: -spedali e scuole si moltiplicano, e sontuosi edifizj, e, ciò ch’è -distintivo, pulitezza universale negli abiti: che se oltr’alpe il -palagio e la cattedrale, giganteggiando di mezzo ad informi casipole, -indicano le largizioni e il decreto d’un re fra la nullità del popolo, -da noi le vie allineate, i passeggi, le magioni erette a disegno, -esprimono il genio generale e il concorso della intera nazione, -operante non solo nelle capitali, ma in cittaducole, alla campagna e -fin per entro a valli recondite. - -Chi rimaneva escluso dai godimenti, a cui convitano la natura, l’arte, -il pensiero, l’attività? Quanto non riesce dolce all’uomo il cooperare -alle sorti del proprio paese, il non obbedire che alle leggi cui egli -medesimo discusse e sanzionò, non sopportar pesi se non accettati, -non riconoscere autorità se non le elette da sè, insomma uscire -dall’angusto circolo della vita individuale e domestica, per vivere -e sentire in comune, dare e ricevere impulsi a nobili atti! Nelle -passioni politiche l’anima si può depravare, ma non avvilire quanto -fra i calcoli ignobili del cortigiano, del satellite, del finanziere. -Coloro che credono l’immoralità essere nata soltanto colla stampa e -coll’emancipazione del pensiero, han potuto vedere dal nostro racconto -quanto gl’individui peccassero del vizio che accompagna l’ignoranza e -la barbarie: eppure sullo spettacolo miserevole si stendono la fede -e la carità, e nella prospettiva presa dall’alto scompajono molte -deformità, e di mezzo alle colpe e ai difetti di una giovinezza tutta -di esperienze rilevansi le qualità che distinguono l’Italiano. Non -incalzato da bisogni urgenti, non lottante con un suolo e con un cielo -ingrati, ha tempo di oziare, e in que’ riposi godere se non altro -le vaghezze della natura, e riflettere sopra se stesso e sopra gli -altri, persuadendosi così della propria dignità; alternando poi tra -gli affari pubblici e privati, acquista pratica ed elevatezza, raffina -l’intelligenza, nei modi e nel pensiero introduce quella pulitezza, che -è l’espressione del rispetto che devonsi tutti i membri della grande -famiglia. - -Nelle repubbliche ognuno sente la propria importanza, e registra i -suoi dolori, che sommati pajono maggiori; mentre nelle monarchie si -contano soltanto quelli de’ grandi, più strepitosi ma rari e meno -compassionati. In quelle, private passioni s’intralciano alle rivolture -pubbliche: ne’ principati ognuno soffre in silenzio i proprj malori, -siccome effetto de’ cattivi ordinamenti, contro i quali è inutile -reluttare; arresti, vessazioni, arbitrj sono dolori quotidiani, ma -codardi e infruttiferi, nè raccolti dalla storia. Così viene quello -stato, che i prudenti intitolano ordine, i servili prosperità, i -generosi marasmo. - -Questo vivace sentimento dell’individualità, se affinava -l’incivilimento di ciascuno, disserviva lo Stato, perchè gli uni agli -altri si accostavano soltanto per costrizione. Il reciproco bisogno, -nella mancanza d’ogni potere dirigente e tutorio, aveva ravvicinato -spontaneamente gli uomini; e parentele e corporazioni procacciavano -quella sicurezza, della quale non brigavasi lo Stato. Diminuito quel -bisogno, si lentano perfino i legami domestici; i cittadini amano la -patria ma per se medesimi; il governo di quella amano solo qualvolta -vi partecipino; in conseguenza non si tollera nulla di prefisso, -di durevole, d’obbligatorio. L’uomo, conscio de’ proprj diritti, -facilmente s’impenna contro le necessità; anzichè incurvarsi ad esse, -carpisce con violenza ciò che gli è ricusato, e vuol partecipare al -governo, sia costituzionalmente, sia per forza. Da questo punto rimane -solo un passo all’anarchia; e l’anarchia inevitabilmente ripiomba nella -tirannide. - -Ponete una gente inesperta, di passioni ineducate, con tanti elementi -deleterici, con tanti impacci al civile sviluppo, e poi incolpatela di -non aver saputo costituire buone repubbliche e conservarle. Tenendo -dall’origine loro una politica feudale che zelava il diritto della -guerra privata, e la speculazione dei pochi sovra le moltitudini, -sapevano più ingrandire per via di conquiste al modo germanico, che non -aumentare in quantità di cittadini al modo romano; anzi, scemandosi -questi pel logorarsi delle famiglie privilegiate o per l’espulsione -delle vinte, fra sempre minor numero si restringevano l’autorità -e l’interesse di conservare lo Stato. Pisa, Pistoja, Treviso, la -Lunigiana... erano oppressate da una repubblica, quanto avrebbero -potuto essere da un principotto; e poichè la metropoli, acciocchè non -ricalcitrassero, le voleva fiacche e vigilate, per la conservazione -interna negligevasi la forza necessaria alla difesa esteriore, la -debolezza impediva di procedere risolutamente, e i partiti pigliavansi -piuttosto per necessità che per riflessione. - -A molte anche internamente non restava di repubblica che il nome; e -preterendo la salda oligarchia dei patrizj veneti, Bologna obbediva -ai Bentivoglio, Lucca ai Petrucci, Perugia agli Oddi e Baglioni, Siena -or all’uno or all’altro de’ suoi Monti, Firenze ai Pitti o ai Medici, -Genova a sempre diversi. Anzi la società cittadina frazionavasi in -piccole consorterie e maestranze, ognuna con privilegi e con qualche -specie di sovranità; talchè se da Firenze era soggiogata Pisa, o da -Venezia Padova, le maestranze della lana e della seta delle vinte -si trovavano sagrificate agli utili e alla gelosia di quelle della -vincitrice. Così disgregate e aliene d’interessi, come avrebbero potuto -educare la coscienza pubblica? assodare il vincolo più forte d’uno -Stato, la fiducia di ciascuno nella costituzione patria? - -Nell’eguaglianza si acquista de’ privilegi della società un’opinione -più alta che non di quelli degli uomini; onde al poter dirigente si -largheggiano diritti, anche micidiali alla libertà de’ singoli. Di -fatto i Comuni non esitavano a concedere imperj assoluti a qualche -magistrato; nelle ricorrenti insurrezioni i vulghi pigliavansi a -capo qualche plebeo: ma questo ben tosto soccombeva alla propria -inesperienza, e lasciava luogo a qualche signore che, conoscendo gli -uomini e i tempi, avendo clientele ed uso delle armi e mezzi ed arte, -si sosteneva almen fino ad una nuova rivoluzione. - -Cresciuti i commerci, il denaro rappresentò una nuova superiorità, -come da prima erano i feudi. Dacchè il valor militare si ridusse -vendereccio, molti generosi se ne distolsero, più volentieri -maneggiandosi nella politica; e fattivisi destrissimi, guardarono -come bestiale il rimettere all’avventura delle battaglie ciò che -poteasi conseguire cogli accorgimenti. Fu necessità delle cose se le -repubbliche gareggiarono coi principi in una politica senza probità, -in subdoli maneggi, assassinj, avvelenamenti. Prevalsero dunque gli -eserciti e il denaro, i più bei dominj carpì qualche condottiero -fortunato o una città negoziante, e vennero a formarsi principati che -abbracciavano i popoli non più come d’una razza o dell’altra, ma perchè -abitanti sopra una data circoscrizione. Que’ principi dominavano a nome -del popolo, o per commissione imperiale, due forme di despotismo; tanto -più che avendo la tumultuosa libertà de’ Comuni svertato i privilegi -feudali, più non trovavano barriere. - -I nobili, progenie de’ conquistatori, scapitavano d’importanza a -misura che ne acquistavano i Comuni; interrotte le crociate, col -fucile pareggiato l’eroe al villano, fatte venali le armi, si dissipò -ogni prestigio della cavalleria, in cui quelli avevano ricoverato -il valore e le pretensioni; ed ancora arroganti per non confessarsi -vinti, ma insufficienti a surrogarsi ai vincitori, rifuggono alle -congiure o alle perfidie, che colla mala riuscita offrono pretesto al -signore d’impoverirli, e che manifestandone le debolezze li fanno anche -spregevoli. - -Sono disastri della libertà, eppure con essi si va a quel che è -vero progresso, l’eguaglianza; la risorta letteratura, a canto al -diritto del sangue erige quello dell’ingegno; la classe lavoratrice -pretende a tutti i vantaggi della possidente, e nel nome di sudditi -sono tutti allivellati; la scoperta della stampa assicura che non si -può bruciare il pensiero con un libro; quella del Nuovo Mondo, che -il pensiero non si restringe fra i confini dell’antico, e che ci fa -superiori ai selvaggi: e da questo movimento usciva attestato quel -dogma del progresso, poter divenire inutili ed anche nocevoli ad -un’età istituzioni a cui la precedente dovè salute e grandezza. Sel -ricordassero i panegiristi come i detrattori del medioevo! - -Pertanto al quintodecimo secolo ogni cosa è cambiata in Italia. In -tutte le contrade dominavano i forestieri, ora appena in Sicilia; -apparivano nobili soli, ora anche il popolo; il castello prevaleva, -ora la città; l’eguaglianza non è più concessione e favore: l’alito -d’indipendenza, talmente vivace da non volere alcun uomo essere -soggetto a uomo, non città a città, or lascia sormontare pochi -dominanti: e mentre l’aspirazione liberale rendeva insofferente sin dei -freni tutorj, or le tirannidi procedono sbrigliate. - -Era parso che i principi potessero meglio difendere le persone, le -città, l’industria; oggetti a cui il popolo aspira, ben più che alla -legislatura indipendente, alla eleggibilità, al suffragio universale. -Ma que’ principi di piccoli Stati e di grande ambizione, sentendo -precario il loro potere, trovando nemici fuori e dentro, avviluppavansi -in turpi maneggi, in guerre sordamente menate, pubblicamente smentite, -ispirate da gelosie, da puntigli, da egoismo, condotte a insidie -più che a forza aperta; in quella politica, di cui Italia restò e -diffamata e vittima. La storia del secolo xv è un avvicendamento -di giornaliere sovversioni, congiure, omicidj, veleni, supplizj; la -fede pubblica sconosciuta in pace e in guerra; e per qualche principe -buono, una sequela di ribaldi, oppressori de’ popoli che gli aveano -presi come tutela; e guerre indotte da personali ambizioni, nutricate -coll’oro e col sangue della nazione che non le avea decretate e su cui -ripiombavano. Non una forza o una persona prevalente appajono, come -fra le altre nazioni; nè tampoco un’idea, quali erano per l’addietro -la Chiesa e l’Impero, quali furono pei paesi vicini l’unità nazionale -o il re. Il cadere e il sorgere d’un principe costituisce la storia -apparente di questo periodo; agl’interessi generali e grandiosi -sottentrano fatti parziali, vicende di famiglia, emulazioni intestine, -ma non un papa, non un imperatore, non un signorotto, degni su cui -si fermino ragionevolmente l’attenzione e i voti. Bensì, a vicenda da -una fazione o dall’altra, era sorta una catena d’uomini a dominare o -atterrire, quali furono Ezelino, Uguccione, Castruccio, re Roberto, -Cane e Mastino della Scala, Bertrando del Poggetto, Azzone e Gian -Galeazzo Visconti, re Ladislao, Francesco Sforza; ma nè la libertà, nè -la Chiesa, nè la forza militare valsero a quel riordinamento, che è il -compito più insigne dopo una rivoluzione. - -Non guelfi, non ghibellini, non imperialisti o papalini, i -signori, aspiranti all’unità e al principato, vanno introducendo -quell’imparzialità, che rimuove le occasioni di guerre, mentre, -ridotta la politica a guerrieri, cioè a denari, danno alle finanze -quell’importanza, che prima spettava alle idee e ai sentimenti. -Finisce dunque il medioevo con un’età di posa fra le personali -irrequietudini di quello, e le regie sovversioni del Cinquecento. -Gli Italiani d’allora, non agitati da aspirazioni verso un avvenire -di cui nessun principio era peranco affermato categoricamente, nè -argutamente scontenti d’un passato di cui nessun principio rinnegavano -perentoriamente, requiavano dagli interminabili guaj, dai quali -erano spinti verso una società nuova, intelligente, artistica, -governativa; in considerazione della quale stimavano i meriti anche -più contraddittorj, ma sovra tutti la fortuna e il saper riuscire, -e disfarsi de’ nemici senza sfoderar la spada; non disprezzavano -l’indipendenza, supremo bisogno politico, ma meglio valutavano -l’eguaglianza, supremo bisogno democratico, dando mano anche allo -straniero per abbattere l’oppressore indigeno; veneravasi la religione, -ma quasi altrettanto le idee classiche, nelle quali traducevasi il -medioevo: e per le quali, coltivando le muse, volentieri le si metteano -a mercato; e dell’erudizione come dell’ispirazione voleasi far dei -motori per batter moneta, introducendo anche nel campo letterario come -nel politico la supremazia della finanza. - -Ciò null’ostante noi trovammo personaggi illustri in ogni partita; -soldati prodi e capitani ammirati anche di lontano; battaglie assai -meno micidiali che nel secolo seguente; nessuna città veramente -disfatta dalla guerra, se ne togliamo Piacenza; singolar favore alle -lettere; commercio operoso tanto che il capitale produttivo italiano -equiparava quello di tutto il mondo. Le età più suntuose faticheranno -a superare i tre monumenti di Pisa, le cattedrali di Siena, d’Orvieto, -d’Assisi, di Padova, di Milano, la Certosa di Pavia, la cappella -Coleoni a Bergamo, le porte del battistero di Firenze, i bassorilievi -del Donatello, i dipinti di frate Angelico. Grandiosi lavori intraprese -la Lombardia per prosperare l’agricoltura: la Toscana pareva un -giardino nella sminuzzata sua proprietà: che la campagna romana -popolassero migliaja di villaggi, lo attestano le guerre fra Orsini e -Colonna: Ostia era in decadenza, ma ancor popolosa: la maremma senese -formicolava d’abitanti; grani raccoglievamo a soprabbondanza; e questi -e i frutti, anzichè con galanterie e oggetti di lusso, barattavamo -con materie prime, che porgevano alimento alle nostre manifatture. -Il contadino, cessato d’esser servo, partecipava ai frutti con una -specie di comproprietà, di cui non so se una migliore sappia ideare il -socialista positivo; esente da servigi di corpo al padrone; del fitto -era sicuro, perchè retribuivalo in natura; le condizioni restavano -tradizionali da molte generazioni; de’ tributi il carico cadeva -sul proprietario. L’essere i villani obbligati ad abitare in terre -murate per salvarsi dal saccheggio militare, attribuiva loro qualche -importanza civile, li chiamava a parte della difesa, ben altrimenti -de’ paesi forestieri, dove ancora duravano a servire materialmente e -personalmente un padrone, da cui non poteano staccarsi. - -Se non che in tutto sentesi mancare qualche cosa di ciò che fa -sorgere e vivere le nazioni; la virtù. Quanti impeti generosi! quanti -uomini insigni! quanto eroismo! ma tutto a momenti, a scosse, alla -maniera d’un guizzo galvanico: quel perseverante proposito che per -secoli si trasmette da una generazione all’altra, quell’elevazione -di concetto che fa sagrificare costantemente il parziale al comune -interesse, quella franchezza delle opinioni ponderate e fisse che -chiamasi coraggio civile, quella nobiltà e giustizia dell’età matura -che sottentra allo slancio buono ma improvvido della gioventù, e che -offre il nobile spettacolo dell’ordine nella libertà, mancarono troppo -spesso, direi sempre, alla storia nostra; e tale verità, o Italiani, -non l’avrete mai ripetuta abbastanza alle generazioni nuove, che -aspirano a quello cui non pervennero le precedenti. - -Il decadere de’ costumi della libertà assodava il potere dispotico, -ma sgranato anch’esso, e quindi fiacco ed esposto prima alle brighe -interne e all’emulazione de’ vicini, poi ai funesti appetiti degli -stranieri. Il principe non avea fondamento se non, come diciam ora, nei -fatti compiuti; non regolata la successione, non legalmente temperata -l’autorità; la maestria delle finanze si riduceva ad almanaccare tasse -nuove onde smungere il più che si potesse; del restante erano governi -militari, che unici limiti conoscevano la potenza e il carattere di -chi n’era investito. I magistrati comunali sopravviveano, ma ristretti -alla minuta amministrazione e alla giustizia sotto di un podestà -scelto dal principe, ed applicandola più con severità che con frutto. -In nessun luogo i Comuni si congiunsero col potere centrale: in -Sicilia prevalsero i baroni; a Genova e Venezia i cittadini divennero -aristocratici onde escludere la turba che accorreva a tanta prosperità; -la Romagna fu suddivisa tra infiniti signorotti, che però non -costituivano un’aristocrazia politica, attesochè il governo rimaneva -ai preti; in Lombardia si faticò sempre a piantare la vigoria del -potere sopra l’eguaglianza; solo in Piemonte parvero associarsi popolo -e principe mediante gli Stati, ma poco tardarono a soccombere anche -questi al tributo arbitrario e all’esercito permanente. - -Le poche signorie, in cui erasi ristretto il primitivo frastagliamento, -non adopravano le proprie forze che a contrappesarsi, affinchè nessuna -prevalesse in modo da ridurre l’Italia in monarchia. Più d’uno vedemmo -aspirarvi, e sempre fallire per opposizione degli altri, e massime -de’ pontefici; potente sì, pure non unico obice all’unità del nostro -paese, la quale non si potè effettuare nè prima che essi dominassero, -nè quando si trovarono spossessati, come da Ladislao e da Napoleone. -Stanno dunque più fondo che altri nol creda le radici di questa nostra -divisione. - -Le forze de’ varj paesi trovavansi bilanciate in guisa, che uno mal -poteva soggiogare gli altri. Inoltre per Lombardia, per Romagna, pel -Reame avanzavano molti gentiluomini, che «oltre il vivere oziosi -abbondantemente de’ proventi delle loro possessioni, comandavano -a castella, ed avevano sudditi che gli obbedissero» (MACHIAVELLI), -formando altrettante microscopiche sovranità, disposte ad allearsi -contro chi le volesse sottomettere, e a costringerlo a tante guerre -quante esse erano. Per raggiungere dunque cotesta unità ideale, -bisognava il despotismo, che, abolendo le varietà di costumi, d’usi, -di privilegi, e spianando le sommità, tutti comprime al ferreo livello -dell’obbedienza. Ma quello non potea stabilirsi se non mediante la -conquista, la quale avrebbe reso infelice la generazione che la subiva, -e forse spento la vita che sì rigogliosa manifestossi finchè disuniti. - -Lo sminuzzamento degli Stati cresceva l’indipendenza politica, ed -impediva il trascendere della potenza, la quale ingrossa a misura che -esinanisce la libertà delle parti, e acquista i mezzi di rimovere gli -ostacoli che gl’interessi particolari frappongono al generale. - -L’idea dell’unità nazionale, che sotto l’oppressione forestiera -balza agli occhi con evidenza, è tra le sociali la più difficile, e -l’ultima che i popoli acquistino, richiedendo e sforzo d’intelligenza -e il sacrifizio di molte prevenzioni e l’abolizione d’ingiustizie -radicate. Che poi l’identità di stirpe non basti perchè un popolo si -trovi bene unito a un altro, effetti recenti lo dimostrano. Gli Stati -italiani formavano altrettante unità indipendenti; e distruggere una -sarebbe stato un omicidio, quanto l’abolire una vasta monarchia. Chi -oggi tentasse sottoporre, fate caso, Toscana ai reali di Napoli, come -sarebbe sentito dai pubblicisti? Pur jeri noi vedemmo un principato, -lungo appena tre chilometri e largo uno, abitato da millecinquecento -persone, e indipendente quanto quelli del medioevo, negare di abolir la -propria autocrazia coll’annettersi al Piemonte; e se abbia provveduto -al suo meglio, non potrà dirlo che l’avvenire[349]: certo l’Europa -applaudì quando la repubblichetta di San Marino rifiutò d’essere -aggregata agli Stati papali, ed essa ottenne rispetto fin dal guerriero -che non riveriva se non gli Stati forti, non computava che il numero -de’ cannoni. - -E qual mai popolo si rassegnò a perdere la locale indipendenza in vista -d’una maggior solidità avvenire? Nè ragione d’immolare le parziali -franchigie avevano, quando la divisione non recava i pericoli, che -solo con Carlo VIII apparvero, di vedere strozzata la patria da -soghe forestiere. O forse i paesi sottomessi a principato lo faceano -invidiabile? Una Corte si surrogava alle loggie e all’arengo; una -capitale alle dieci o venti città che prima imbaldanzivano di vita -propria; un esercito assoldato alle milizie paesane; un erario alle -borse de’ singoli cittadini, pingui di sudati guadagni, e sempre -schiuse al pubblico bisogno. Qual vantaggio allettava dunque Firenze -o Bologna o Genova a darsi ai Visconti o agli Angioini? Pareva anzi -generosità l’ostare alle ambizioni di questi, e come propugnacoli -dell’antica libertà furono vantati anche dagli statisti del secolo -seguente. Iddio ti guardi, o popolo italiano, dal dimenticare le tue -tradizioni e deporre le lunghe speranze! ma se puoi desiderare che -allora l’Italia fosse stata soggiogata da alcuno, e per forza ridotta -a quell’unità che Inghilterra e Spagna e principalmente Francia -conseguirono, saresti ingiusto nell’accusare i padri di ciò che forse -non era fattibile, certo non ad essi desiderabile. - -Ben deploreremo che i nostri menassero troppo strascico di memorie -antiche, quando abbisognava senno pratico per surrogare l’ordine alla -tumultuosa vigoria dei due secoli precedenti; ed aspettassero il colpo -micidiale disuniti di leggi, di civiltà, di costituzioni, di dialetti, -di tutto. Pure non pretendiamo dai nostri avi que’ sacrifizj, a cui -non ci acconceremmo noi medesimi se non per forza; non trasportiamo -al tempo loro la coscienza e le aspirazioni del nostro; non esigiamo -prevedessero i mali che, venendo di fuori, scompigliarono i calcoli -degli statisti e le forze de’ prodi. Tutta la letteratura di quel -secolo è là per attestare come gli Italiani sentissero d’avere una -patria quando nè il nome tampoco ne conosceano i Francesi[350]. E -quanto lunga opera non fu necessaria agli stranieri per corrompere -l’Italia innanzi di assoggettarla! e come dovettero cancellar tutti -questi Comuni che ne aveano formato l’agitazione e il vanto, prima di -piegarli alla neghittosa agevolezza del servire! - -Qual cosa più bella della vita? ma perchè è difficile regolarla, -i cattivi Governi trovano più comodo lo spegnerla. Così si fece. -Cessarono le agitazioni, e con esse la libertà: venne la pace, recata -da quelli che avevano fomentato le ire: venne la pace, e con essa -quell’accentramento d’amministrazione, che annichila l’individuale -potenza e volontà, ed isola il governo dal popolo: venne la pace, e -con essa lo spopolamento, la povertà, il disdoro, la morte politica, -cui tennero dietro la intellettuale e la civile, finchè la giustizia, -soddisfatta da torrenti di sangue e di lagrime in espiazione, dica -_Basta_, e susciti i tempi di rinnovata alleanza, e le speranze -fomentate da quelli che le possono adempire, e indarno guaste da -coloro che nulla vogliono apprendere dal passato, non confidare che -nelle rivoluzioni, e ad ogni rivoluzione ricominciare a proprio costo -l’esperienza, e sperperare un altro bricciolo di libertà. - -Se dunque alcuni ripongono la colpa de’ nostri padri nel non essersi -uniti tutti, perchè altri, additando l’abbassarsi del paese allorquando -alla rigogliosa e molteplice vita se ne surrogò una artifiziale e -scolorita, non potrebbe ricordar come, al mancare di quella forza -vitale che tende a escludere dal corpo il nocevole, e dal morboso -separare il vivificante, non resti che febbre frenetica o marasmo? Lo -stesso Machiavelli, panegirista dei governi forti, confessa che il -numero de’ grandi uomini sta in ragguaglio col numero degli Stati; -annichilando questi, quelli decrescono insieme coll’occasione di -esercitare la propria capacità. - -Che se alcuno di que’ principi fosse prevalso per astuzia o per forza, -quest’Italia, tanto superiore alle altre genti in civiltà e ricchezza, -facilmente sarebbesi gettata alle conquiste che allora ricominciavano, -rinnovando i tempi romani, sostituendo la guerra al commercio e alle -arti belle, e preparandosi nuove maledizioni per l’avvenire. Se valga -meglio esser esecrati come i conquistatori, o come i conquistati -rigenerare la fraternità nel dolore, il giudicherete, o Italiani, -secondo che ciascuno crede virtù gli atti provenienti dalla forza o -quelli dalla bontà. - -Allora poi che l’Italia perdeva la politica preminenza, ne acquistava -un’altra coll’incremento della cultura e colle insigni produzioni -dell’ingegno, al resto del mondo divenendo maestra d’arti e di -lettere, come di politica. Quelle nel medioevo si erano conservate -clericali; nei Comuni cominciò qualche laico a scrivere; indi i -leggisti a levarsi, a paro de’ teologi; poi le Università soverchiare -le scuole episcopali; infine quella volata di dotti greci e tanti -poeti e tanti eruditi tolsero la mano al clero e primeggiarono fin ne’ -concilj di Basilea, di Costanza, di Firenze: alla lingua universale -ch’era quella dell’antica Italia, si sostituirono le nazionali; le -lettere rannodarono gli Europei, come prima la religione; e mentre già -repubblica cristiana, allora si disse repubblica letteraria; la quale, -comunque sembrasse surrogare oziosi trastulli alle fatiche attuose, -dovea col tempo giganteggiare, sentire la propria dignità, e collocarsi -fra le potenze motrici del mondo, creando l’opinione. Quale scossa -non dovette produrre negli intelletti il subitaneo diffondersi d’un -quindici migliaja di libri stampati, più corretti che i manoscritti -e a miglior patto! Alle letture scarse, attente, ripetute, succedono -le rapide e molteplici; alle convinzioni irremovibili perchè non -dibattute, il dilatamento delle cognizioni e la vaghezza d’aumentarle. - -Ben è dunque perdonabile se il culto dell’antichità degenerò in -idolatria, se il farnetico di rinnovarla turbò il nobile intento -d’emularla. In conseguenza, dagli originali passò l’impero dell’ingegno -agli eruditi, gente di schiena e non di genio, che fabbricava non -creava, che in metafisica e in morale non oltrepassava il punto -ov’erano giunti gli Scolastici, nella storia e nelle antichità non -sapeva schermirsi dall’impostura, nell’esposizione credea rusticità la -naturalezza, e mutilava i pensieri onde esprimerli in una lingua con -cui non erano nati, e nella quale non raggiungevasi l’ambita purezza. - -L’erudizione fu la forma generale d’ogni studio e progresso di quel -tempo; i testi valeano quanto un argomento, e per convincere bastava -citare; la medicina s’attaccava a spiegare o combattere Ippocrate e -Galeno; la filosofia cercava in Platone o in Aristotele la maggiore -de’ suoi sillogismi, la tessitura delle sue argomentazioni, perfino -la scusa agli ardimenti suoi; l’alchimia si fiancheggiava di nomi -antichi; la strategia, benchè innovata dalle armi a fuoco, studiava -sopra Onesandro e Vegezio, e a ricostruire il ponte di Cesare sul Reno; -l’architettura cercava a Vitruvio, non solo i canoni dell’imitazione, -ma e la giustificazione delle novità; e Cesare Cicerano nella _summa -æde baricefala_, cioè nel duomo di Milano, pretendeva applicate tutte -le regole di quell’autore. - -Pure dentro questo circolo infrangibile i liberi spiriti non -limitano il ristauramento de’ classici a industria letteraria, ma lo -estendono alla vita; imperatori e repubbliche vi rintracciano leggi -e ordinamenti; i giureconsulti ne allargano e talvolta impacciano il -diritto nuovo; per classiche rimembranze Cola Montano, Cola Rienzi -e Stefano Porcari meditano riformare la patria; per erudizione si -ammirano le virtù e prediligonsi le idee del paganesimo, tanto che -molti sentirono la necessità di assumere la difesa della tradizione -religiosa, come Marsiglio Ficino, Alfonso di Spina, Enea Silvio, -Pico Mirandolano; sulla fede degli eruditi Colombo italiano mosse -a uno scoprimento, che all’Italia doveva tornare funestissimo. -Trovata l’America, si trattava di dividerla fra i popoli scopritori, -e per evitare un conflitto si ricorse al papa; e questo tracciò una -meridiana, che delimitasse le conquiste di Spagnuoli e Portoghesi. -Sublime spettacolo, il papa che, come ne’ tempi organici del medioevo, -arbitro si asside fra due grandi popoli onde prevenire una guerra, e -fra loro spartisce un nuovo mondo! Eppure l’antico era in procinto -di sfuggirgli; era già nato Lutero; la Riforma, covata in Italia, -sbocciava di fuori; e la Germania, che n’era stata l’emula per tutto il -medioevo, sbalzava l’Italia anche da questo primato. - - - FINE DEL LIBRO UNDECIMO E DEL TOMO OTTAVO - - - - -INDICE - - - Capitolo CXII. Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe - colla Toscana. Il Milanese eretto in - ducato _Pag._ 1 - » CXIII. Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. - Venezia ricresce, Genova si perde » 37 - » CXIV. Giovanna I di Napoli e Luigi - d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II. - Gli Aragonesi in Sicilia » 55 - » CXV. L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il - Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza. » 88 - » CXVI. Repubblica Ambrosiana. Venezia - conquistatrice. Francesco Sforza. - I Foscari » 122 - - LIBRO UNDECIMO - - » CXVII. I papi in Avignone. Il grande scisma. - La Chiesa e i Concilj » 145 - » CXVIII. L’impero d’Oriente, e sue relazioni - coll’Italia. I Turchi a Costantinopoli. - Perdita delle colonie italiane. Venezia - guerreggia i Turchi » 200 - » CXIX. Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici - sormontano » 233 - » CXX. Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. - Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici » 267 - » CXXI. Gli eruditi » 303 - » CXXII. Gli scienziati. I libri. La stampa. » 339 - » CXXIII. Costumi cittadini, signorili e mercantili. - Lusso crescente. Cultura estesa. - Origini del teatro » 373 - » CXXIV. Industria e commercio » 446 - » CXXV. Viaggiatori italiani. Colombo. Le - scoperte » 530 - » CXXVI. La fine del medioevo » 562 - - - - -NOTE: - - -[1] ODORICI, _Storie bresciane_, pag. 184. - -[2] _Antichità estensi_, II. 133. - -[3] Secondo Gianrinaldo Carli, il prezzo medio del frumento allora era -L. 5.1 al moggio, del vino L. 12.16 alla brenta. Da ciò si ragguagli il -valor del denaro. - -[4] L’_Art de vérifier les dates_ dice: _Pétrarque, si avare de -louanges même pour les grands hommes de son siècle, ne peut contenir -son admiration etc._ Noi vedemmo se ne fu avaro. - -[5] Qui finiscono i tre Villani, carissimi storici, la cui mancanza è -irreparabile. - -Giovanni Cavalcanti racconta che, quando all’Acuto si pagò grandissima -quantità di fiorini, esso ne cavò seimila, e li regalò a Spinello (di -Luca Alberti) tesoriere, per le fatiche che ebbe. Spinello ringraziò, -e «tornando a Firenze, scavalcò alla porta del palagio, e a’ signori -raccontò tutto il convenente, e a loro diè la ricca borsa dicendo: -_Mandateli alla camera con uno bullettino di commissione ch’io li -metto ad entrata del Comune_. E così seguì. Questo Spinello invecchiò -nell’uffizio di tesoriere, ed alla sua morte non gli si trovò tanto -lenzuolo che vi si fasciasse il suo corpo». _Storie fior_., tom. II. -app. p. 491-93. - -[6] _Religionis timorem ponendum esse censebant, ubi is officeret -libertatem_. POGGIO BRACCIOLINI, lib. III. p. 223. - -[7] Il primo podestà mandatovi da Gian Galeazzo, fu nel 1396: in -Valtellina già si mandava nel 1378. - -[8] Qualche esempio anteriore ne troviamo. Così, nel 1241, Guglielmo -Visconte, nominato vicario di San Romolo dall’arcivescovo di Genova, -promette, oltre il resto: _Si forcia vel forfacta ab aliquo ejus loci -et districtus facta fuerit, et notorium et manifestum seu publicum aut -mihi denunciatum fuerit, quamvis non sit inde querimonia facta mihi, -tamen ego ad vindictam faciendam, et veritatem ejusdem forciæ vel -forfactæ inquiram, et vindictam faciam ac si querimonia propterea mihi -facta esset_. Liber jurium, tom. I, p. 994. - -[9] Il concetto di successione ereditaria è nell’investitura del -conte di Virtù. _Statuimus quod præfatus Jo. Galeaz Vicecomes et -post ejus decessum eo modo quilibet alius tunc descendens legitimus -masculus de corpore suo, prout ipse ordinaverit et disposuerit, sit et -sint perpetuo verus legitimus et naturalis dominus et veri legitimi -et naturales domini dictæ civitatis et totius districti._ (SITONI, -_Vicecomitum genealogica monumenta._ Milano, p. 21). Già al 1385, 15 -ottobre, i Milanesi fecero _Decretum de pœna dicentis contra statum -Domini_: ove dichiarano _quod nulla persona audeat nec præsumat populum -nominare_. (_Antiqua Ducum Med. decreta_. Milano 1654, pag. 88). - -[10] Corio. — Quella solennità è spiegata estesamente in una lettera, -scritta li 10 settembre dell’anno stesso, da Giorgio Azzanello ad -Andreolo Aresi cancelliere ducale. Furono invitati da quasi tutte -le parti del mondo principi, signori e comunità per condecorare la -coronazione del nuovo duca, onore dell’Italia. Appena spuntato il -giorno di domenica, dal castello di porta Giovia accompagnarono il -futuro duca fino a Sant’Ambrogio, preceduti da istrioni e musici. Sopra -quella piazza verso la cittadella era alzato un palco quadro, difeso -da steccato, coperto ne’ ripari e nei gradini di panno scarlatto, -e sopra di broccato d’oro su rosso. Quivi il magnifico cavaliere -Benesio Cumsinich, luogotenente cesareo, aspettava il futuro duca per -intronizzarlo. Gli altri prelati, signori ed ambasciatori sedettero -sopra lo stesso palco. Stavano vicino a questo a sinistra Paolo de’ -Savelli principe romano ed il cavaliere Ugolotto de’ Biancardi, con -schiera di cinquecento cavalli per custodire la piazza affollatissima. -Arrivato il futuro duca e gli altri con lui, Benesio benignamente lo -accolse, e collocosselo alla mano sinistra al più eminente luogo del -soglio. La bandiera imperiale era tenuta a destra da un cavaliere -boemo, compagno di Benesio: alla sinistra un’altra bandiera inquartata -coll’arme del duca, era tenuta dal cavaliere Ottone da Mandello. -Lettosi il privilegio, che costituiva Gian Galeazzo duca di Milano, -concesso dall’imperatore Venceslao in Praga al 1º maggio 1395, il duca -inginocchiatosi giurò fedeltà a Cesare nelle mani del luogotenente, -il quale gli pose su le spalle il manto ducale foderato di vajo da -cima a fondo; quindi presolo pel braccio lo intronizzò, ponendogli in -capo una corona gemmata, stimata ducentomila fiorini. Stando seduti -il duca e il luogotenente, i prelati cantarono inni di ringraziamento -a Dio fra ’l concerto degl’istromenti musicali; poi Pietro Filargo -recitò una orazione panegirica in lode del duca. Finita questa, si -celebrarono gli uffizj divini; poi il luogotenente e il duca montarono -a cavallo, e serviti da magnifico baldacchino portato da otto cavalieri -e otto scudieri, andarono col seguito di tutti i prelati, signori ed -ambasciatori sino all’antico palazzo, alle cui porte furono affisse -le due bandiere imperiale e ducale. Erano in corte apparecchiate le -tavole, servite con ricchissima argenteria, e di sopra padiglionate -da arazzi tessuti a oro. Al capo della mensa sedè il duca avendo ai -due lati i cesarei luogotenenti, e dietro per ordine di dignità gli -altri signori. Al lunedì passarono mostra nel palazzo ducale i disposti -giostratori. Al martedì, trecento di questi, divisi in due schiere, -l’una rossa e l’altra bianca, colle loro bandiere entrarono nello -steccato, essendo proposto premio della vittoria mille fiorini. Al -mercoledì si giostrò di nuovo, e premio era un fermaglio del valore -di mille fiorini, e lo vinse il marchese di Monferrato. Al giovedì -terminarono le giostre, nelle quali Bartolomeo fratello di Domenico -da Bologna acquistò un cavallo del prezzo di cento fiorini; e Giovanni -Rubello scudiere del detto marchese, un altro di ducento». - -[11] Valtellina, Valcamonica, Varese, Legnago, Castello, Arquà, Salò, -Bassano, Castelnuovo di Tortona, Riviera di Trento, Soresina, Lecco, -Vigevano, Pontremoli, Voghera, Borgo Sandonnino, Casal Sant’Evasio, -Valenza, Crema, Monza, Grosseto, Massa Lunigiana, Assisi, Bobbio, -Feltre, Belluno, Reggio, Tortona, Alessandria, Lodi, Vercelli, -Novara, Vicenza, Bergamo, Como, Cremona, Piacenza, Parma, Brescia che -nell’epitafio di lui è detta _civili nondum enervata duello_, Verona, -Perugia, Siena, Pisa, Bologna, Pavia, Milano. - -[12] _Mémoires_, cap. VII. - -[13] Andrea Biglia, allora vivente, racconta che Antonio Bosso, -intrinseco di Facino, l’avvertì restargli poche ore di vita, e però -provvedesse all’anima sua. Facino rabbujato gli intima: — Va tu a -cercarti un confessore, che fra un’ora ti manderò al supplizio». Il -Bosso, che lo sapea uomo da mantener la parola, sbigottì tutto, e -quasi venne meno; ma Facino rasserenatosi gli soggiunse: — Da quel -che provasti tu, argomenta quel che hai fatto soffrire a me col tuo -pronostico». Davvero non era momento da burle. - -[14] Una casa comprata dalla Signoria per regalare a Luigi Gonzaga -signore di Mantova, costò seimila cinquecento ducati; tremila un’altra -donata al vaivoda dell’Albania. Le prove sono in DARU, _Storia di -Venezia_, lib. XIII. - -[15] Alle tante prediche di pace si potrebbe opporre una di guerra, -riferita da Franco Sacchetti, come udita da lui allora appunto da un -romitano in San Lorenzo di Genova. E’ diceva: — Io sono genovese; e -se io non vi dicessi l’animo mio, e’ mi parrebbe forte errare; e non -abbiate a male che io vi dirò il vero. Voi siete appropiati agli asini: -la natura dell’asino è questa, che quando molti ne sono insieme, dando -d’uno bastone a uno, tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual -fugge là, tanta è la lor viltà; e questa è proprio la natura vostra. -E i Viniziani sono appropiati a’ porci, e sono chiamati Viniziani -porci, e veramente eglino hanno la natura del porco; perocchè essendo -una moltitudine di porci stretta insieme, ed uno ne sia o percosso o -bastonato, tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi li percuote; -e questa è veramente la natura loro; e se mai queste figure mi parvono -proprie, mi pajono al presente. Voi percoteste l’altro dì li Viniziani, -e’ si sono serrati verso voi a lor difesa ed a vostra offesa; ed hanno -cotante galee in mare, con le quali v’hanno fatto e sì e sì; e voi -fuggite chi qua e chi là, e non intendete l’uno l’altro, e non avete se -non cotante galee armate; egli n’hanno presso a due tanti. Non dormite, -destatevi, armatene voi tante, che possiate, se bisogna, non che -correre il mare, ma entrare in Vinegia. — Poi fe fine a queste parole, -dicendo — Non l’abbiate a male, che io sarei crepato, s’io non mi -fusse sfogato. — Ora questa cotanta predica udii io, e tornàmi a casa; -l’avanzo lasciai udire agli altri». - -[16] ANDREA GATTARO, pag. 280. - -[17] Ecco l’esempio d’una dichiarazione offerta per parte del Caresini, -che continuò la cronaca del Dandolo: — Raffaello Caresini, cancellier -grande, offerisce lui con due buoni compagni al suo salario e spese -e un famiglio d’andare sull’armata, e di pagare la spesa di tutti gli -uomini da remo al mese ducati quattro e a’ balestrieri ducati otto al -mese per uno. Item dona tutti i prò de’ suoi imprestiti e imposizioni, -ch’egli ha e che farà nella presente guerra; e di prestare ducati -cinquecento d’oro a renderseli due mesi dopo finita la guerra». Ap. -SANUTO, pag. 736. - -... _Concernentes anxio mentis intuitu magnificus dux, consilium -atque cives januensem patriam, quæ, inter alias catholicas nationes, -oris præsertim maritimis, triumphales sui roboris vires expandit -comerciorum, negociacionibus etiam quam maxime frequentata, et portus -et janua navigationibus et lucrorum agendis, quibus humanum alitur -genus abundans magistra, nunc aliquot jam exactis annis, aut justa -Dei ira ex ingentibus mortalium noxis, aut acerbæ sortis sinistris -auspiciis ferali civilium parcialitatum contagiatam morbo, sic solitis -debilitatam viribus, quod januensis reipublicæ corpus suis artubus -plurimis peste lesis, nisi salubri succurrerentur remedio, flebilis -excidii pernicie damnaretur ipsius equidem remedii medelam ab intimis -anhelantes, diurnis cogitationum curis hinc inde versarunt, tandem -prudentissimis consiliis advertentes serenissimi ac invictissimi -principis domini Francorum regis laudabilem justitiam, qua sua regio -felix floret, incomparabilem potentiam qua quicumque terentur iniqui, -scelesti domitantur raptores, et barbarica reprimitur feritas, ad suam -amplissimam clemenciam suarum deliberationum aciem direxerunt. Ita -demum quod miseranda januensis nationis cimba, quæ jamdiu horrendis -fluctuationum turbinibus agitata, nimia confusione ambitus et odiorum -lacerata dissidiis, seu cautibus non parum allidens formidabile -submersionis periculum vix evasit. Ecce tetris observata nubibus -longe titubans pelago, clarum pietate cœlesti clementiæ regiæ jubar -perspectans etc._ - -Dopo queste frasi retoriche, vengono i lunghi e chiari patti, che -meritano esser letti nel _Liber juris_: vol. II. p. 1237, per più di 13 -colonne. - -[18] Ad Enrico VII, a Roberto di Napoli, all’arcivescovo di Milano, e -ora a Carlo. - -[19] STELLA, pag. 1176, 1193. _Rer. It. Script_., XVII. - -[20] _Rivoluzioni d’Italia_, lib. XIV. c. 8. Egli stesso si contraddice -al cap. 4 del lib. XV. - -[21] Spesso egli recitò, o almeno compose sermoni per lauree, -per capitoli di frati, per funzioni ecclesiastiche; e si trovano -manoscritti. - -[22] _Suscipe Robertum regem virtute refertum_. - -[23] _Rerum memorabilium_, lib. I. c. 1. - -[24] Un anello con cinque perle; una trecciuola con ottantasei perle -minute; una ghirlanda d’argento, su cui perle novantasei; una cintola -con perle minute; una coppa di cristallo con coperchio fornito -d’argento, che valse lire cinquantuna; un orcioletto di cristallo -fornito d’argento e perle; una coppa di nacchera (madreperla) fornita -d’argento e perle, furono dati in pegno per fiorini censettantasei a un -mercante fiorentino. - -[25] _Fragm. Hist. romanæ_, lib. I. c. 10. — DOM. DE GRAVINA, _Rer. It. -Script_., XII. 572. - -[26] Parole di Matteo Villani, lib. II. c. 61, e soggiunge questo -fatto: — Un Catalano, il quale teneva una rôcca, fece a’ suoi compagni -tenere trattato col conte di Ventimiglia, il quale, avendo voglia -d’aver quella rôcca, con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato -entrò nel castello con centoquattro compagni, benchè più ve ne credesse -mettere; ma come con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori -furono chiuse le porte, il conte e i compagni presi; e avendovi -uomini, i quali si volevano ricomperare a grande moneta, ed erano da -riserbare per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo -feroce de’ Catalani, che senza arresto spogliati ignudi i miseri -prigioni, e legati colle mani di dietro, l’un dopo l’altro posto a’ -merli della maggior torre della rôcca, sopra un dirupinato grandissimo -furono dirupinati senza niuna misericordia, lacerando i miseri corpi -con l’impeto della loro caduta ai crudeli sassi. Il conte solo fu -riserbato, non per movimento d’alcuna umanità, ma per cupidigia di -avere per la sua testa alcuno suo castello vicino ai crudi nemici». - -[27] Il Giannone, colle sue frasi grossolane insieme e gonfie, chiama -«Giovanna la più savia reina che sedesse mai in sede reale», lib. -XXIII. c. 3; e lo ripete nel cap. 5; poco poi scrive che la regina, -«ancora che ella fosse in età di anni quarantasei, era sì fresca che -dimostrava molta attitudine di far figli». - -[28] Ap. LÜNIG, tom. I. p. 210. 1215. Alla coronazione di Luigi II -d’Angiò si presentarono in Napoli molti baroni, conducendo più di -millecento cavalli; poi i Sanseverino ne condussero milleottocento -tutti ben in arnese. Al che Angelo di Costanzo, che scriveva ai tempi -di Filippo II, riflette: — Io, vedendo in questi tempi nostri, d’ogni -altra cosa felicissimi, nella patria nostra, tanto abbondante di -cavalieri illustri ed atti all’armi, la difficoltà che saria il porre -in ordine una giostra, per la qual difficoltà si vede che ha più di -trent’anni che non n’è fatta una, e l’impossibilità di poter fare in -tutto il Regno mille uomini d’armi di corsieri grossi, simile a quelli -di quei tempi, sto quasi per non creder a me stesso questo ch’io scrivo -di tanto numero di cavalli, ancorchè sappia che è verissimo; ed oltre -che l’abbia trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche, -l’ho anco visto nei registri di quelli re che gli pagavano. Ma questo è -da attribuirsi al variar de’ tempi, che fanno ancor variare i costumi. -Allora per le guerre ogni piccolo barone stava in ordine di cavalli -e di genti armigere per timore di non esser affatto cacciato di casa -d’alcun vicino più potente; ed in Napoli i nobili, vivendo con gran -parsimonia, non attendendo ad altro che a star bene a cavallo e bene -in arme, si astenevano da ogni altra comodità; non si edificava, non -si spendeva in paramenti, nelle tavole dei principi non erano cibi di -prezzo, non si vestiva, tutte le entrate andavano a pagar valent’uomini -ed a nutrir cavalli. Or per la lunga pace s’è voltato ognuno alla -magnificenza nell’edificare ed alla splendidezza e comodità del -vivere, e si vede ai tempi nostri la casa che fu del gran siniscalco -Caracciolo, che fu assoluto del Regno, a’ tempi di Giovanna II regina, -ch’è venuta in mano di persone senza comparazione di stato e di -condizione inferiore; vi hanno aggiunte nuove fabbriche, non bastando -a loro quell’ospizio, ove con tanta invidia abitava colui che a sua -volontà dava e toglieva le signorie e gli stati. Delle tappezzerie e -paramenti non parlo, poichè già è noto che molti signori a paramenti -di un par di camere hanno speso quel che avria bastato per lo soldo -di dugento cavalli per un anno; ed avendo parlato della magnificenza -de’ principi, con questo esempio non lascerò di dire dei privati che -si vede di cinque case di cavalieri nobilissimi fatta una casa di un -cittadino artista. Tal che credo certo, che, se fosse noto agli antichi -nostri questo modo di vivere, si maraviglierebbono, non meno di quel -che facciamo noi di loro». - -[29] RYMER, _Acta_, tom. IV. part. II. pag. 45. A tutti questi fatti -era presente Teodorico da Niem, che scrisse la vita di Giovanni XXIII. - -[30] Questa vittoria, che il Sismondi chiama _la plus importante, -la plus glorieuse, qui de tout le siècle eût été remportée sur la -Méditerranée_, secondo i _Giornali napolitani_ fu dovuta ad uno -stratagemma, che sembra pueril cosa quando già si conoscevano le -artiglierie. «Fu combattuto con sapone, olio, pignatelli artificiali, -pietre di calce, le quali buttando sopra le navi nemiche dalle gabbie -loro, le redussero che l’uno non vedeva l’altro, et alcuna volta -offendevano li loro medesimi credendoli nemici». E più distesamente -Giovanni Cavalcanti: «L’arte dei Genovesi che usarono, fu di -maraviglioso scaltrimento: conciossiacosachè portarono infinito numero -di vasi di terra, come pignatte e orciuoli, e quelli di calcina viva -e di cenere di vagello empierono; e nel cominciare della battaglia, -i Genovesi si cercarono che a loro nelle reni ferisse il vento, e a’ -nemici nella faccia soffiasse. I Genovesi non meno alle vasa correvano -che all’armi, e i nemici erano nella faccia percossi dalle cocenti e -ardenti ceneri dal vento soffiate; per il sudore e per l’affaticare -della battaglia, i pori erano aperti: la qual calcina dava tanta -passione, che l’arme abbandonavano, e a stropicciarsi gli occhi -ciascuno attendeva». _Rer. It. Script._, XXI. 1101. - -[31] VESPASIANO BISTICCI. - -[32] S. ANTONINI _Chron_., part. III. tit. 22. not. _b_. - -[33] L’arringa del doge è riferita dal Sanuto, che dice averla tratta -dal manoscritto proprio d’esso principe: noi la compendiammo; alcune -partite, imbarazzate nell’edizione del Muratori, si sono racconcie -alla meglio. Si sarà avvertito che il doge mette un eccesso di attivo -veneto, giacchè bisogna dedurne un milione per l’importo dei panni e -frustagni. - -[34] ANDREA BILLII, _Historia Mediol_., pag. 78. - -[35] Secondo un conto prodotto da ser Cambi, i Veneziani teneano -in campo ottomila ottocentrenta cavalli, e ottomila fanti, quelli a -fiorini quattro il mese ciascuno, questi a fiorini tre; e i Fiorentini -seimila cavalli e seimila fanti; sicchè fra essi e i Veneziani -spendeano al mese centoduemila fiorini. Il duca di Milano area ottomila -cinquecentocinquanta cavalli del costo di venticinquemila fiorini il -mese, e ottomila fanti e balestrieri di fiorini ventiquattromila. Nel -conto sono divisati tutti i condottieri e gli uomini di ciascuno. Vedi -_Delizie degli eruditi_, XX. 170. - -[36] Da un dialogo manoscritto di Paolo Giovio; dove pure leggo che, -pel terrore causato dalle prime armi a fuoco, si troncava la destra -a quanti fucilieri si coglievano; e che Bartolomeo Coleone generale -dei Veneziani, e Federico d’Urbino, nella zuffa della Riccardina -sul Bolognese, essendo tra il combattere discesa la notte, fecero ai -donzelli apparecchiar fiaccole, al cui chiarore continuarono la pugna. - -[37] SANUTO, pag. 1029. Frà Paolo Sarpi, lodatore di tutto ciò che è -tirannico, scrive «esser antico vanto della circospezione veneziana -l’aver tenuta celata scrupolosamente per otto mesi la risoluzione della -morte del conte Carmagnola». - -[38] CRISTOFORO DA SOLDO. - -[39] SABELLICO, _Deca_ III, lib. 5. - -[40] ROSSI, _Elogi storici_, pag. 150; CAPRIOLO, _Storie bresciane_; -RIZZARDI, _Storia Asolana_ manoscritta. - -[41] Filippo Borromeo di Lazzaro, coll’ajuto de’ Milanesi cacciò da -San Miniato sua patria i Fiorentini; ma poi da un capitano tradito -a questi, fu ucciso il 1350. La Talda, sorella di Beatrice Tenda, -ebbe quattro maschi. Andrea, dottorato in Padova e cavaliere aurato; -Borromeo tesoriere di Padova al tempo de’ Carraresi, i quali temendolo -ed invidiandolo gli cercarono cagione addosso e lo arrestarono, nè -potè uscire di carcere che pagando ventiduemila scudi d’oro: egli -per vendicarsene istigò Visconti e Veneziani finchè abbatterono il -Carrarese. Borromeo coi fratelli Alessandro e Giovanni si piantò a -Milano, e v’ebbero la cittadinanza il 1394, e tennero casa a Santa -Maria Podone. Borromeo nel 1400 stette mallevadore per dodicimila -scudi del marchese di Monferrato, in un accordo di questi coi Visconti. -Giovanni fu consigliere e capitano di Gian Galeazzo; da Gian Maria nel -1403 ebbe in feudo Castell’Arquato e tutta la val di Taro col titolo -di conte; e fu principale autore del matrimonio di Filippo Maria -con Beatrice Tenda. Esso Filippo diè pure la cittadinanza milanese -a Vitaliano Vitelliani, nipote per sorella di Giovanni, e diritto -di conseguirne l’eredità e il cognome; lo fe tesoriere generale e -consigliere nel 1439; nel 42 l’investì della rôcca d’Arona, come -conte di Canobbio e sua valle; nel 46 di Ugogna e Margozzo: ed è lo -stipite de’ Borromei di Milano, Galeazzo, Antonio, Giovanni, figlio del -Giovanni suddetto, si mutarono a Venezia, dove sono ricordati nella -chiesa di Santa Elena, da essi eretta ed arricchita. V. CORONELLI, -_Bibl. universale_, tom. VI. p. 790. - -[42] Anche nel 1689 Pietro Ottobon dal prozio Alessandro VIII fu fatto -cardinale, e prestò molti servizj alla Serenissima; e ottenne da questa -fosse rimesso in grazia il proprio padre Antonio, disgradato perchè era -divenuto generale di Santa Chiesa. Ma essendo stato eletto protettore -della corona di Francia alla Corte pontifizia, il senato si oppose; e -avendo egli non ostante spiegato le insegne di Francia, fu abraso dal -libro d’oro, confiscatogli il patrimonio, sospesa ogni rendita de’ suoi -beni ecclesiastici nel dominio veneto. - -[43] _Mutilasti Imperium Mediolano et provincia Longobardiæ, quæ -juris S. B. Imperii fuerant, redeuntibus inde ad imperium amplissimis -emolumentis; in qua ditione mediolanensi veluti minister S. B. Imperii -partibus fungebatur, cum tu contra, accepta pecunia, Mediolani ducem et -comitem papiensem creasti._ Così gli elettori nel deporre Venceslao. - -[44] _Jus, quod ex dictis concessionibus et citationibus in feudo -dictorum ducatuum et comitatum habemus, nobis et nostris successoribus -in Imperio salvum maneat et illesum._ LÜNIG, Italia dipl., I. 480. - -[45] Quella Repubblica fu censurata dal Corio per blandire i duchi, -e dal Verri per stizzosa allusione alla Cisalpina; ma più che alle -ironiche declamazioni di questo, credo ai documenti del Rosmini. Il -Leo, tra gli errori onde ribocca la sua _Storia d’Italia_, dice che il -Rosmini, «per biasimare la repubblica, produce molte ordinanze sulla -religione, le scienze, la politica». Lo fa pel preciso contrario. -Nell’archivio del duomo è un’ordinanza de’ capitani del 14 agosto, -nella quale, poichè _Altissimi clementia ineffabili.... antiquissimam -auream et sanctam libertatem urbs hæc feliciter reassumpsit_, -stabiliscono un’oblazione annua; e sotto l’11 agosto, in riconoscenza a -Dio _quod ad dulcissimum reipublicæ et libertatis statum nos reduxit_, -ordinano una processione a Sant’Ambrogio. - -[46] Nella battaglia di Morat servivano al duca di Borgogna -quindicimila Lombardi, il cui capitano Antonio Corradi di Lignana -vercellese vi perì. - -[47] _Arch. storico_, XIII. 311. - -[48] _Historia desponsationis et coronationis Friderici III et conjugis -ipsius, auctore_ NICOLAO LANKMANO DE FALKENSTEIN. Ap. PEZ, II. 569-602. - -[49] SPINO, _Vita di Bartolomeo Coleone_, pag. 255. La costui biografia -fu scritta in latino da Antonio da Cornazzano, che con altri letterati -e artisti vivea nel castello di lui; onde il ritrasse con colori -lusinghieri che la storia smentisce. - -Del Cornazzano abbiamo pure manoscritta la vita di Francesco Sforza in -terzine, e un trattato _De la integrità de la militare arte_, oltre -un poema più volte stampato sul soggetto stesso: _Opera nuova de Mr. -Ant. Cornazzano, la quale tratta de modo regendi, de motu fortunæ, -de integritate, rei militaris, et qui in re militari imperatores -excelluerint_. D’altri due condottieri, Attendolo Sforza e Braccio di -Montone, scrissero le gesta Lodrisio Crivelli e Gianantonio Campano, -rozzi ma interessanti. - -[50] Del 1467 fu pubblicata a Milano la seguente grida di guerra: — -Si fa poto e manifesto a caduna persona de quale grado e conditione -se sia, per parte del nostro M. signor duca di Milano ecc. in tutte -le terre del dominio suo, che qualunche soldato, o che sia pratico al -soldo, così de cavallo come de pede, tanto terriero quanto forastero, -che al presente se trovasse habitare nel dominio ducale, che voglia -venire in campo dove el prelibato ill. signor duca nostro se ritrovarà; -venga in ordine ed armato, che averà buona e grossa guerra in lo -parti de Piemonte, presentandose, subito che sia in campo, ad Petro, -Francesco Visconte, conductero et marescallo del campo, et ulterius che -porteno la banda bianca, come fanno gli altri». - -[51] Paolo Santini, che, sulla metà del secolo XV, scrisse un trattato -di cose militari rimasto manoscritto, e pare fosse al servizio dei -Veneziani, dice: _Qui in Italiam vincere desiderat, ista instruet: -primo, cum summo pontifice semper sit; secundo, dominetur Mediolanum; -tertio, quod habeat astronomos bonos; quarto, habeat ingegnerios qui -sciant plurima; quinto, quod tot navigia conducantur plena lapidibus -in canalibus.... impleantur canalia multitudine navium, navigiorum, -barcarumque suffundatarum, etc._ - -[52] La sentenza si esprime: _Videtur, propter obstinatam mentem suam, -non esse possibile extraere ab ipso illam veritatem, quæ clara est per -scripturas et per testificationes, quoniam in fune aliquam nec vocem -nec gemitum, sed solum intra dentes voces ipse videtur et auditur infra -se loqui.... tandem non est standum in istis terminis, propter honorem -status nostri..._ - -[53] Del discorso recitato da Nicola Oremme in concistoro porge -l’estratto De Sade, _Vie du Pétrarque_, tom. II. I. 692. È nota la -risposta che il Petrarca vi fece. - -[54] Ella stessa nel _Tratt. della Provvidenza._ E vedi BOLLAND, ad 30 -apr.; HAGEN, _Die Wunder der h. Catharina von Siena_. Lipsia 1840. - -[55] «Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che -potete, voi n’andiate al luogo vostro dei gloriosi Pietro e Paolo; e -sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente, e Dio dalla -parte sua vi provvederà di tutte quelle cose che saranno necessarie a -voi. - -«Poniamo che abbiate ricevute grandissime ingiurie, avendovi fatto -vituperio e toltovi il vostro; nondimeno, padre, io vi prego che -non ragguardiate alle loro malizie, ma alla vostra benignità, e non -lasciate però d’oprare la nostra salute. La salute loro sarà questa, -che voi torniate a pace con loro, perocchè il figliuolo che è in -guerra col padre, mentre che vi sta, egli il priva dell’eredità sua. -Oimè, padre, pace per l’amore di Dio, acciocchè tanti figliuoli non -perdano l’eredità di vita eterna; che voi sapete che Dio ha posto -nelle vostre mani il dare, il togliere questa eredità, secondo che -piace alla benignità vostra. Voi tenete le chiavi, ed a cui voi aprite -si è aperto, ed a cui voi serrate è serrato; così disse il dolce e -buono Gesù a Pietro, il cui loco voi tenete. Adunque imparate dal vero -padre e pastore; perocchè vedete che ora è il tempo da dare la vita -per le pecorelle che sono escite fuora del gregge. Convienvele dunque -cercare e racquistare con la pazienza, e con la guerra andare sopra -gl’infedeli, rizzando il gonfalone dell’ardentissima e dolcissima -croce: al qual rizzare non si convien più dormire, ma destarsi e -rizzarlo virilmente. - -«Rizzate, babbo, tosto il gonfalone della santissima croce, e vedrete i -lupi diventare agnelli. Pace, pace, pace, acciocchè non abbia la guerra -a prolungare questo dolce tempo: ma se volete far vendetta e giustizia, -pigliatela sopra di me miserabile, e datemi ogni pena e tormento -che piace a voi insino alla morte. Credo che per la puzza delle mie -iniquità sieno venuti molti difetti e molti inconvenienti e discordie: -dunque sopra me, misera vostra figliuola, prendete ogni vendetta che -volete. Ohimè, padre, io muojo di dolore e non posso morire. Venite, -venite, e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi chiama; -e l’affamate pecorelle v’aspettano, che veniate a tenere e possedere -il luogo del vostro antecessore e campione apostolo Pietro; perocchè -voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio. -Venite dunque, venite, e non più indugiate, e confortatevi e non temete -di alcuna cosa che avvenire potesse, perocchè Dio sarà con voi». - -[56] Brigida andò poi pellegrina in Terrasanta, e reduce morì a Roma -il 1373. Le rivelazioni ch’essa ebbe e scrisse, furono riprovate -dall’insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada, tradotte in -tutte le lingue, e le valsero d’essere canonizzata da Bonifazio IX, -benchè siasi avventata gagliardissimamente contro la corte pontifizia -fino a dire: — Il papa è l’assassino delle anime; disperde e strazia il -gregge di Cristo; più crudele che Giuda, più ingiusto che Pilato, più -abbominevole che gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì -i dieci comandamenti in un solo, _Portate denaro_. Roma è un baratro -d’inferno, e il diavolo presiede, e vende il bene che Cristo acquistò -colla sua passione, onde passa il proverbio - - _Curia romana non petit ovem sine lana;_ - _Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;_ - -invece di convocar tutti, dicendo, _Venite e troverete il riposo delle -anime_, il papa esclama: _Venite alla mia corte, vedetemi nella mia -magnificenza maggior di Salomone; venite, vuotate le vostre borse, o -troverete la perdita delle vostre anime_». - -[57] — Pregovi da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla santità -vostra di spacciarvi tosto. Usate un santo inganno, cioè parendo di -prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto; che quanto più presto, -meno starete in queste angustie e travagli. Anco mi pare che essi -v’insegnino, dandovi l’esempio delle fiere, che quando campano dal -lacciuolo, non vi ritornano più. Per infino a qui siete campato dal -lacciuolo de’ consigli loro, nel quale una volta vi fecero cadere -quando tardaste la venuta vostra; il quale lacciuolo fece tendere il -demonio perchè ne seguitasse il danno e il male che ne seguitò: voi -come savio, spirato dallo Spirito Santo, non vi cadrete più. Andianci -tosto, babbo mio dolce, senza verun timore; se Dio è con voi, veruno -sarà contra voi. Dio è quello che vi move, sicchè egli è con voi; -andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, -perchè li poniate il colore. - -«Sia in voi un ardore di carità per sì fatto modo, che non vi lasci -udir le voci dei demonj incarnati e non vi faccia temere il consiglio -de’ perversi consiglieri fondati in amore proprio, che intendo vi -vogliono metter paura per impedire l’avvenimento vostro dicendo, _Voi -sarete morto_. E io vi dico da parte di Cristo crocifisso, dolcissimo -e santissimo padre, che voi non temiate per veruna cosa che sia. Venite -sicuramente, confidatevi in Cristo dolce Gesù; chè, facendo quello che -voi dovete, Dio sarà sopra di voi, e non sarà veruno che sia contra -voi. Su virilmente, padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere: -se non faceste quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi -dovete venire; venite dunque, venite dolcemente senza verun timore. - -«Su dunque, padre, e non più negligenza; drizzate il gonfalone della -santissima eroce, perocchè coll’odore della croce acquisterete la -pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi gl’invitiate ad -una santa pace, sicchè tutta la guerra caggia sopra gl’infedeli. -Spero per l’infinita bontà di Dio, che tosto manderà l’ajutorio suo. -Confortatevi, confortatevi, e venite, venite a consolare i poveri e -servi di Dio e figliuoli vostri; aspettiamovi con affettuoso e amoroso -desiderio...» - -Di santa Caterina abbiamo tre lettere a Gregorio XI, nove a Urbano VI, -otto a varj cardinali, due a Carlo V di Francia, quattro alla regina -Giovanna, le altre a prelati, a religiosi, a laici. - -[58] Vedi principalmente la parte II. cc. 16, 17, 21, 25 del _Defensor -pacis_, stampato poi nel 1523. Al c. 28 è chiamata esecrabile la -pienezza del potere invocato dai papi. - -[59] Colla costituzione _Exiit qui seminat_, nel VI delle Decretali, -tit. _De verb. signif._ — Vedi tom. VI, pag. 353. - -[60] Quorum exigit, nelle _Estravaganti_, tit. _De verb. signif._ - -[61] Ap. CIBRARIO, _Economia_, 163. - -[62] FEO BELCARI, _Vita del b. Colombino_. - -[63] Possono aggiungersi Corrado d’Offida e Francesco Veninbene di -Fabriano francescani; Gentile da Matelica che, dopo tante conversioni -in patria, cercò più largo campo in Oriente, ove cadde assassinato; -il beato Rigo di Treviso secolare; il beato Ugolino Zefirini di -Cortona (-1370); il beato Giovanni da Rieti (-1347); Gregorio Celli da -Verruchio; il beato Oddino Barotto curato di Fossano in Piemonte, tutto -carità nella peste del 400. Angela da Foligno i disordini di gioventù -pianse in severa penitenza e indefessa meditazione. Chiara da Rimini le -dissipazioni di sua vedovanza espiò nell’austerità, nell’umiliazione, e -nel soccorrere gli altrui bisogni spirituali e temporali per trent’anni -(-1306). Chiara Gambacorti di Pisa volle mangiar il pane dell’assassino -di sua famiglia. Angelina, figlia del conte di Corbara, malgrado il -voto di castità, sposato per obbedienza il conte di Civitella, seppe -indurre anche lui ad egual voto; poi vedova, si professò francescana -e molt’altre indusse, e stabilì il terz’ordine di san Francesco a -Foligno. Rita di Cascia ebbe ad esercitar la pazienza in diciott’anni -d’infelice matrimonio, poi mortificando la carne e lo spirito. -Nomineremo ancora la beata Michelina da Pesaro, vedova d’un Malatesta; -e la beata Imelda de’ Lambertini di Bologna. - -[64] BARTOLOMEO FAZIO. Il quaresimale di san Bernardino da Siena fu -raccolto da Benedetto di mastro Bartolomeo, cimatore di panni senese, -che sarebbe uno de’ più antichi stenografi ricordati. Vedi _Sopra un -codice cartaceo del secolo XV... osservazioni critiche dell’abate_ -LUIGI DEANGELIS. Colle 1820. - -[65] _Ed. Moreni,_ 1831, I. 187, 252. Declamò novamente contro l’andare -al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando sotto la loggia -d’Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè parecchi anni appresso -(II. 50). Forse questi luoghi delle prediche di frà Giordano furono -presenti al beato Giovanni Delle Celle quando dissuase Domitilla dal -pellegrinaggio di Terrasanta, nella IXª delle sue lettere. - -[66] «Dicetemi, dicetemi un poco o signori; donde nascono tante e -diverse infermitade in gli corpi umani, gotte, doglie di fianchi, -febre, catarri? non d’altro se non da troppo cibo et esser molto -delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te basta; ma cerchi -a’ toi conviti vino bianco, vino negro, malvagie, vino de tiro, rosto, -lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, fichi, uva passa, -confetione, et empi questo tuo sacco di fecce. Émpite, sgònfiate, -allàrgate la bottinatura, et dopo el mangiare va et bottati a dormire -come un porco». _Predica_ I. Venezia 1530. - -[67] BURLAMACHI, _Vita di frà Savonarola._ - -[68] È a vedere anche il BARBERINO, _Documenti d’amore_, part. VIII. d. -2. - -[69] Nel 1379 Urbano VI sollecitava Rainero de’ Grimaldi, consignore di -Mentone, per mezzo di Giovanni Serra giureconsulto genovese, a tenersi -fedele a lui, e correr sopra i seguaci del suo competitore, facendogli -dono di quanto avesse sorpreso, eccetto reliquie, libri, vasi, gioje o -altro appartenenti alla camera apostolica. Dicesi ch’ei v’ascoltasse, e -molta preda facesse sovra prelati aderenti a Clemente VII; e che fra il -resto trovasse la verga di Mosè e altre sacre reliquie, ch’ei restituì -a Urbano. GIOFFREDO, _St. delle Alpi Marittime_, II. 869. - -[70] Sant’Antonino di Firenze dice: — Benchè siam tenuti a credere che, -come una sola Chiesa, così v’ha un solo pastore, però, qualora accada -scisma, non pare necessario il credere che l’eletto canonicamente sia -piuttosto l’uno che l’altro: basta sapere che un solo potè esserlo, -senza arrogarsene la decisione». - -[71] Gian Galeazzo domandò che il giubileo potesse acquistarsi da’ -suoi sudditi senza andare a Roma, ma visitando quattro basiliche di -Milano. Con ciò voleva ed evitare i pericoli causati dalla guerra coi -Fiorentini, e tener in paese il denaro, e fare che le obbligazioni -fruttassero per la fabbrica del duomo. Bonifazio IX gli assentì la -supplica, e il Corio dice che «se anche non fosse contrito nè confesso, -fosse assoluto da ogni peccato in questa città dimorando dieci giorni -continui». Menzogna, poichè la bolla data il 12 febbrajo 1391 vuole che -sieno _vere pœnitentes et confessi_. - -[72] Così il dipinge l’anonimo romano. Antonio Flaminio forocorneliense -dice che aveano veste bianca, sopra cui una cerulea tirante al -nero, una croce bianca, e una rossa di panno; a sinistra la colomba -coll’ulivo, in fronte il tau, in mano bastone senza puntale a modo dei -pellegrini; e funi con sette nodi. - -[73] Su quelli di Firenze abbiamo un capitolo di Franco Sacchetti. -Nei _Ricordi storici_ del Rinuccini, al luglio e agosto 1399 leggo: -«Di verso Piemonte venendo, per tutta Lombardia e per Toscana e quasi -per tutta Italia uomini e donne in grandissima quantità, grandi e -piccoli e fanciulli, si vestirono di pannilini bianchi sopra gli altri -vestimenti, con croce rossa in capo e nel petto, e andavano scalzi con -grande divozione e grandissime discipline e digiuni senza mangiare -carne, col crocifisso innanzi della loro parrocchia a grandissime -brigate. Tutti i popoli andavano gridando in voci di laudi in versi, -così in grammatica come in vulgare, _Misericordia e pace al nostro -Signore e a nostra Donna_, per lo spazio di nove giorni continovi, -senza mai dormire in letto, andando quegli da Firenze a Arezzo e -a Cortona e per molte altre terre; e così le altre terre veniano a -Firenze, e così intervenne per tutta Italia. È mirabil cosa che per -detto viaggio non facevano danno a nessuno di frutti nè di niuna altra -cosa, che tutti comperavano, e molte paci e accordi tra molte signorie, -ed eziandio paci di morte d’uomini tra private persone si feciono: cosa -mirabile fu per certo e degna di perpetua memoria, e fu annunziazione -della moria che venne, e fu detto quell’anno l’anno dei Bianchi». - -[74] _Chron. patav._ ad an. 1399; ap. MURATORI, _Antiq. M. Æ._ IV. - -[75] Gregorio XI nel 1372 ordina _inquisitoribus, ut faciant comburi -quosdam libros sermonum haereticorum, pro majori parte in vulgari -scriptos_. - -[76] RAYNALDI al 1375, II. 26. - -[77] Enea Silvio descrive a lungo quella di Giovanni de Merlo spagnuolo -con Erminio di Ramstein tedesco, per un colpo di lancia, tre di scure, -quaranta di spada. - -[78] _Articulos omnia peccata mortalia, nec non infinita, abominabilia -continentes_. TEODORICO DA NIEM. - -[79] Alquanti anni di poi si riscattò, e fu posto cardinale di -Frascati. Il suo sepolcro nel battistero di Firenze è opera di -Donatello. - -[80] Nel concilio di Costanza seguì un rumore fra l’arcivescovo di -Milano e quello di Pisa, e dalle parole ne vennero alle mani, volendosi -strangolare l’un l’altro perchè non avevano armi. Onde molti si -gittarono giù per le finestre del concilio. SANUTO in _T. Mocenigo_. -A quel concilio figurò grandemente il b. Enrico Scarampo de’ signori -di Cortemiglia, vescovo di Acqui, poi di Feltre e Belluno 1404-1440, -deputato anche al processo di Huss. - -[81] Così è generalmente asserito; pure si ha una lettera di Huss che -dice: _Exeo_ (da Praga) _sine salvoconductu_; Ap. ROHRBACHER, Hist. -eccles., tom. XXI. p. 191. - -[82] ENEA SILVIO, _Oratio de morte Eugenii papæ_. - -[83] Sono parole di Enea Silvio, _Comment._, lib. I princ. — Il Poggio -ne sparla sbrigliatamente. - -[84] K. WALCHNER, _Politische Geschichte der grossen Kirchensynode zu -Florenz_. 1825. - -I. LENFANT, _Histoire du concile de Constance_. 1727. - -[85] «Vennero il pontefice con tutta la corte di Roma, e collo -imperatore de’ Greci e tutti i vescovi e prelati latini, in Santa -Maria del Fiore, dove era fatto un degno apparato, ed ordinato il modo -ch’avevano a istare a sedere i prelati dell’una chiesa e dell’altra. -Istava il papa dal luogo dove si diceva il Vangelo, e’ cardinali e -prelati della chiesa romana; dall’altro lato istava lo ’mperatore di -Costantinopoli con tutti i vescovi e arcivescovi greci: il papa era -parato in pontificale, e tutti i cardinali co’ piviali, e i vescovi -cardinali colle mitere di damaschino bianco, e tutti i vescovi così -greci come latini co’ piviali, i greci con abiti di seta al modo greco -molto ricchi; e la maniera degli abiti greci pareva assai più grave e -più degna che quella de’ prelati latini... Il luogo dello ’mperadore -era in questa solennità dove si canta la Epistola all’altare maggiore; -ed in quello medesimo luogo, com’è detto, erano tutti i prelati greci. -Era concorso tutto il mondo in Firenze per vedere quell’atto sì degno. -Era una sedia al dirimpetto a quella del papa dall’altro lato, ornata -di drappo di seta, e lo ’mperadore con una veste alla greca di broccato -damaschino molto ricca con uno cappelletto alla greca, che v’era in -sulla punta una bellissima gioja: era uno bellissimo uomo, colla barba -al modo greco. E d’intorno alla sedia sua erano molti gentili uomini -che aveva in sua compagnia, vestiti pure alla greca molto riccamente, -sendo gli abiti loro pieni di gravità, così quegli de’ prelati, come -de’ seculari. Mirabile cosa era a vedere ben molte degne cerimonie, -e i vangeli che si dicevano in tutte e due le lingue greca e latina, -come si usa la notte di Pasqua di Natale in corte di Roma. Non passerò -che io non dica qui una singulare loda de’ Greci. I Greci, in anni -millecinquecento o più, non hanno mai mutato abito: quello medesimo -abito avevano in quello tempo, ch’eglino avevano avuto nel tempo detto; -come si vede ancora in Grecia nel luogo che si chiama i campi Filippi, -dove sono molte storie di marmo, dentrovi uomini vestiti alla greca nel -modo che erano allora». VESPASIANO FIORENTINO, _Vita di Eugenio IV._ - -Il decreto d’unione incomincia: Eugenio ecc. _Consentiente carissimo -filio nostro Johanne Paleologo Romanorum imperatore illustri et... -orientalem ecclesiam representantibus. Letentur celi et exultet terra: -sublatus est enim de medio paries qui occidentalem orientalemque -dividebat Ecclesiam, et pax atque concordia rediit; illo angulari -lapide Christo, qui fuit utraque unum vinculo fortissimo caritatis -et pacis utrumque jungente parietem; et perpetue unitatis federe -copulante ac continente; postque longam meroris nebulam, et dissidii -diuturni atram ingratamque caliginem, serenum omnibus unionis optate -jubar illuxit. Gaudeat et mater Ecclesia, qui filios suos hactenus -invicem dissidentes jam videt in unitatem pacemque rediisse: et que -antea in eorum separatione amarissime flebat, ex ipsorum modo mira -concordia cum ineffabili gaudio omnipotenti Deo gratias referat. Cuncti -gratulentur fideles ubique per orbem, et qui christiano censentur -nomine, matri catholice Ecclesie colletentur. Ecce enim occidentales -orientalesque Patres, post longissimum dissensionis atque discordie -tempus, se maris ac terre periculis exponentes, omnibusque superatis -laboribus, ad hoc sacrum ycumenicum concilium desiderio sacratissime -unionis, et antique caritatis reintegrande gratia, leti alacresque -convenerunt, et intentione sua nequaquam frustrati sunt. Post longam -enim laboriosamque indaginem, tandem Spiritus Sancti clementia ipsam -optatissimam sanctissimamque unionem consecuti sunt. Quis igitur -dignas omnipotentis Dei benificiis gratias referre sufficiat? quis -tante divine miserationis divitias non obstupescat? cujus vel ferreum -pectus tanta superne pietatis magnitudo non molliat? sunt ista prorsus -divina opera, non humane fragilitatis inventa; atque ideo eximia cum -veneratione suscipienda, et divinis laudibus prosequenda. Tibi laus, -tibi gloria, tibi gratiarum actio, Christe, fons misericordiarum, -qui tantum boni sponse tue catholice Ecclesie contulisti, atque in -generatione nostra tue pietatis miracula demonstrasti, ut enarrent -omnes mirabilia tua. Magnum siquidem divinumque munus nobis Deus -largitus est: oculisque vidimus quod ante nos multi, cum valde -cupierint, adspicere nequiverunt. Convenientes enim Latini ac Greci -in hac sacrosancta Synodo ycumenica, magno studio invicem usi sunt, ut -inter alia etiam articulus ille de divina Spiritus Sancti processione -summa cum diligentia et assidua inquisitione discuteretur... - -Item diffinimus sanctam apostolicam sedem, et romanum pontificem -in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem romanum -successorem esse beati Petri principis Apostolorum et verum Christi -vicarium totiusque Ecclesie caput, et omnium christianorum patrem -et doctorem existere; et ipsi in beato Petro pascendi, regendi, ac -gubernandi universalem Ecclesiam a Domino nostro Jesu Christo plenam -potestatem traditam esse; quemadmodum etiam in gestis ycumenicorum -conciliorum, et in sacris canonibus continetur. Renovantes insuper -ordinem traditum in canonibus ceterorum venerabilium Patriarcharum: ut -Patriarcha constantinopotitanus secundus sit post sanctissimum romanum -pontificem, tertius vero alexandrinus, quartus autem antiochenus, -et quintus hierosolymitanus, salvis videlicet privilegiis omnibus et -juribus eorum_. - -Vedasi CECCONI EUGENIO, _Studj storici sul concilio di Firenze con -documenti inediti_. Firenze 1869. - -[86] _Neque unquam Januenses dimittent hanc conventionem, vel facient -contra eam, neque pro ecclesiastica excommunicatione, neque pro -præcepto alicujus hominis coronati vel non coronati._ Vedi _Codinus_, -_De officiis_, cap. XIV; CANTACUZENO, _Hist_., lib. I. c. 12. - -[87] Dice il Sauli (_Della colonia di Galata_, I. 229) dietro Francesco -Testa. - -[88] FOGLIETTA, _Hist. januensis_, lib. VIII. - -[89] Dei capitani latini sette erano genovesi, Maurizio Cattaneo, -Giovanni del Carretto, Paolo Bocchiardi, Giovanni de Fornari, Francesco -de Salvatichi, Leonardo da Langosco, Lodisio Gattilussi. LEON. -CHIENSIS, pag. 95. Però il giornale dell’assedio di Costantinopoli di -Nicolò Barbaro accagiona di tutti i tradimenti i Genovesi. - -[90] La primitiva colonia di Greci Albanesi in Puglia si divise in -tre. Una si stabilì presso il Gargàno, e v’ebbe i villaggi di Cannone, -Greci, Ururi ed altri. Una si stanziò nella provincia d’Otranto, -fondandovi Faggiano, Colonia imperiale; San Crispiero, Monteparano, San -Marzano. Una in Melfi, formando il comune di Ciuciari. Mal visti dagli -indigeni, si sparsero alle falde del Vulture, fondandovi Maschito e -Barile, che contenevano cinquemila abitanti prima de’ tremuoti del 1851 -e nella Basilicata, fondandovi popolazioni a Brindisi e San Ciriaco -nuovo. - -In Sicilia ebbero quattro tribù, di cui le principali sono la Piana de’ -Greci e Adriano Palazzo, simili a città. - -Nella Calabria meridionale posero i villaggi di Zangarona, Vena, -Carafa, Andali, Marcedusa, San Nicolò dell’Alto, Carfito. Nella -Calabria occidentale ebbero fin venticinque villaggi, tra cui Longro -con cinquemila abitanti, Spezzano con tremila, San Donato, San -Benedetto con duemila. Quivi allettavagli Irene Castriota pronipote -dello Scanderbeg, che portò que’ vasti dominj a Pietrantonio -Sanseverino principe di Bisignano. Alcuni piantaronsi nelle sterile -falde dell’Appennino verso la Basilicata; e una sola colonia negli -Abruzzi, fondando Abbadessa. Pagavano un canone ai feudatarj o al -Governo, col che restavano immuni d’ogni altra gravezza, fin alla -conquista napoleonica. Cessato dall’armi e datisi all’agricoltura, -preferivano i luoghi alti e vistosi e abbondanti d’acque: e poichè -impedivasi di ingrossare in città, teneano i villaggi vicini, per -soccorrersi facilmente fra popolazioni che li disamavano. Le varie -famiglie conservansi in casali distinti; come i Bafa a Santa Sofia, gli -Scura e Toci in Vacarizzo, i Busa in San Giorgio, i Toci e gli Strigarò -in San Cosma, gli Stratigò, i Demarco, i Samangò in Lungro. E Lungro, -paese sì grosso, conserva puro il dialetto antico, mentre occorrono -interpreti per farsi intendere dalle terre confinanti: locchè avviene -dappertutto. Molti si educano, e acquistarono nome principalmente come -legali, professori e vescovi: e il collegio italo-greco è dovuto a -Samuele Rodotà di San Benedetto, primo vescovo della Chiesa greca in -Calabria. - -Oggi si hanno 89,000 Albanesi e 1800 Greci nel regno, con una colonia -nella Corsica; oltre i molti che servono nei porti di Venezia, Trieste -e Livorno. - -[91] Anna Paleologo, vedova dell’ultimo imperatore di Costantinopoli, -sfuggita allo sterminio della patria, approdò con molti signori -greci nella maremma toscana, e chiese a Siena il diroccato castello -di Montacuto col suo distretto, promettendo rifabbricarlo fra cinque -anni e starvi con almeno cento famiglie. Si pattuì dunque che il nuovo -castello e ’l distretto s’intendessero del comune di Siena, il quale -custodisce la rôcca, eccetto una porta, per la quale l’imperatrice -potesse ad un bisogno rifuggirvi; questa e i suoi giurerebbero fedeltà -alla Repubblica senese, e alla cattedrale offrirebbero ogn’anno un cero -di otto libbre, e per dieci anni un tributo di cinque lire alla camera -di Bicherna; il seguito di lei potesse levare in Orbitello il sale per -proprio uso, a soldi dieci lo stajo: le si concedevano due bandite, -una da ridurre a vigneti, l’altra per pascoli, bastante almeno a cento -paja di bovi. Ella nominerebbe due uffiziali greci che per trent’anni -renderebbero ragione a quella colonia nel civile e nel criminale -secondo le leggi degli imperatori greci, solo nelle pene uniformandosi -agli statuti di Siena, come pure nei pesi e nelle misure. Avrebbero -per tutto il contado esenzione di gabelle; e se alcuno abbandonasse -il suo domicilio dì Montacuto, la Repubblica li rifarebbe delle spese -di fabbrica e degli utensili che vi lasciasse. La cosa fu approvata il -28 aprile 1474; ma la carta che riferisce questo fatto, taciuto dagli -storici e inquinato da altri dubbj, non dice per quali cagioni non ebbe -seguito una combinazione che avrebbe risanato que’ deserti paludigni. - -[92] La prima, di Menze, stampata a Venezia il 1500; il secondo, dal -ragioniere Gottugli, pure pubblicato in Venezia. - -[93] Nelle missioni in Germania, in Baviera, in Ungheria gli era stato -compagno, per destinazione dei papi, san Giacomo di Montebrandone -nella Marca, acclamatissimo per miracoli, austera vita e conversioni. -All’impresa di Belgrado andò pure Luigi Scarampa, patriarca di Aquileja -e commendatario di Montecassino. - -[94] All’invito del papa, il doge parlò nel gran consiglio: — Signori. -No se move foglia d’albero senza ’l voler de Dio. Considerè che, se -questo Stato è vegnudo a tanta grandezza, questo è processo per volontà -de Dio, più che per nostro senno e per le nostre forze. Chi crede che -le cose contra ’l Turco fosse passade sì ben, se non fosse concorso la -volontà de Dio? Voltemo la mente a Dio e alla so Madre, e ringraziamola -dei benefizj che la ne fa ogni zorno; e sforzemose de far quello che -la ne comanda, e posponemo li odj e la invidia. Se faremo così, Dio -prospererà questo Stato da ben in meglio. Sora ’l tutto, no se partimo -dalle elemosine, dalle orazion e dal far giustizia. El Cardinal Niceno -ne ha presentà ona bolla del papa, che è stà letta a l’eccellenze -vostre; la Signoria e i savj de colegio ne ha domandà l’anemo nostro su -quello che ’l papa ne scrive. Avemo resposto, che dependemo dal voler -della signoria vostra. Ve preghemo che considerè qual è ’l meglio della -terra. Fè orazion, elemosine, lassè da banda le passion, e deliberè -’l vostro ben. Priego la bontà de Die umelment, perchè _humilitas -vincit omnia_, che ne inspira a deliberar quel che è onor so e servizio -vostro». - -[95] Enea Silvio era stato per alcun tempo vescovo di Trieste; onde -il dottor Rossetti di questa città raccolse quanto potè di scritti e -memorie di quel pontefice, e ne fece dono alla pubblica biblioteca. - -[96] Ap. RAYNALDI, al 1471, § 9. - -[97] Sabellico, _Dec_. III. l. IX. - -[98] «Tutto ciò che di male è stato nella benedetta Firenze, da nulla -cosa è proceduto se non dal volere gli ufficj, e poi avuti, ciascuno -volerli per sè tutti e cacciarne il compagno..... Sotto colori di -guelfi e ghibellini, si sono ammoniti gli uomini non ad altro fine -che per avere per sè gli ufficj: e per questo fu trovato l’ammonire -ed il confinare e il porre a sedere e il divieto degli ufficj: e -per ogni uomo che ha guadagnato d’ufficj, mille n’hanno perduto, -senza l’anima e le inimicizie che per l’ufficio e nell’ufficio sono -acquistate... E quand’uno s’è trovato ne’ luoghi, non ha pensato se non -come disfare chi a diritto o a torto sentenza contro lui ha renduta... -Tutti i discendenti s’accozzavano di voler essere capitano di parte -per ammonire; e quando erano in ufficio, i capitani si ristringeano -insieme, e diceano uno all’altro: _Non ha’ tu alcuno nemico, a cui tu -vogli far noja?_ e così raccozzati, ciascuno mettea il suo o i suoi, -e poi a una fava faceano il partito, e il guelfo come il ghibellino -era ammonito». Questi lamenti del buon Coppo Stefani (_Rubrica_ 923) -s’attagliano ad altri tirannelli del tempo nostro. - -[99] Simbolo di questa varietà è il Palazzo vecchio, sotto i cui sporti -merlati sono gli stemmi della repubblica e de’ sestieri; cioè, pe’ -Ghibellini il giglio bianco in campo rosso, o piuttosto il giaggiòlo -o _ireos_, il quale co’ suoi fiori incorona le mura di Firenze; -pe’ Guelfi il giglio rosso in campo bianco; la croce rossa in campo -bianco, adottata per la riforma di Giano della Bella; le chiavi d’oro -incrociate su campo turchino, con cui la parte guelfa attestò la -sua devozione a santa Chiesa. I sestieri ebbero per insegna, quello -d’Oltrarno il ponte, San Pier Scheraggio il carroccio, Borgo Santi -Apostoli l’ariete, San Pancrazio una branca di leone, porta del Duomo -il duomo, San Piero le chiavi. Nei vani degli sporti della torre del -Palazzo vecchio sono dipinti gli stemmi de’ quartieri; cioè, Oltrarno, -colomba bianca con raggi d’oro; Santa Croce, croce d’oro; Santo Maria -Novella, sole a raggi d’oro; San Giovanni, tempio ottagono; tutti in -campo azzurro. - -[100] Il famoso canonista ed erudito Lapo da Castiglionchio ebbe -saccheggiata la casa in Firenze, donde riuscì a fuggire travestito da -frate. Allora «fu mandato a confine a Barzellona; e chi l’uccidesse -fuori di Barzellona, avesse dal Comune di Firenze fiorini mille d’oro; -e chi ’l menasse preso, possa trarre di bando uno sbandito cui e’ -vorrà, o rubello ch’egli vorrà nominare». (ap. MEHUS). Egli si fermò a -Padova, dov’ebbe una cattedra di diritto ecclesiastico. Di lui si hanno -a stampa le _Allegazioni_ (Firenze 1568), e un’epistola sulla nobiltà, -e se sia più utile nascer nobile o plebeo (Bologna 1753). Continuò a -mestare nelle cose della patria, ed anche i suoi figli; mal per loro, -che n’ebbero punizioni severissime. Vedi AMMIRATO, _Storie fiorentine_, -al 1391. - -[101] Sono parole degli storici; pure consta dai registri che nel -1366 egli era podestà a Mantigno nel podere degli Ubaldini, e nel 77 a -Firenzuola. - -[102] «Quest’operazione (dell’escludere le due arti nuove) fu -giustissima, giacchè in quell’ordine di persone non si poteano trovare, -se non per un caso singolare, persone atte al governo: mancanti di -educazione e di lumi, non si conciliavano con alcun mezzo la stima del -pubblico, ond’era stato un grand’errore creare due nuove arti della più -vile canaglia, e parificarle alle altre negli onori». AMMIRATO, lib. -XIV. Eccede, poichè le due arti erano state create appunto per cernire -dalla _canaglia_ quelli che per virtù e senno meritavano di non restar -esclusi dalle magistrature. - -[103] È narrato che il vescovo Tarlati d’Arezzo incaricò Buonamico -Buffalmacco di dipingere un’aquila viva addosso a un leon morto, -volendo inferire la superiorità de’ Ghibellini sopra Firenze. -Buffalmacco fecesi fare un chiuso d’assi e tende, e dipinse tutto -il contrario, il leone soprastante all’aquila; poi fingendo andare -per colori, non tornò più. Apertosi e trovata la burla, il vescovo a -smaniarne e bandirlo. - -[104] Quando i Fiorentini tolsero i castelli degli Ubaldini, Franco -Sacchetti applaudì con una canzone rimasta inedita fin al 1853: - - Fiorenza mia, poi che disfatti hai - Le cerbïatte corna (_loro stemma_) - Della superba e crudele famiglia, - Festa dèi far più che facessi mai... - Però che molti fur, tardi o per tempo, - Rubati a questi passi, - Ed ancor morti antichi di ciascuno, - Chè non si taglia bosco, selva o pruno - Che non v’abbia cataste - Di teste e membra guaste... - Ed Alemagna sola - Più ch’altri dee goder di lor ruina, - Perchè gli suo’ romei sentian rapina... - Così Inghilesi, Fiamminghi e Franceschi... - Meglio è che vinto aver la Santa Terra - Aver vinto costoro - Tra cui viandanti convenian passare... - -Dello stesso è pure una canzone contra il duca di Milano, ove -dettogliene a gola, conchiude: - - A tutti quei che voglion giusta fama - E tengon libertà, ch’è tanto cara - Come sa chi per lei vita rifiuta, - Canzon, non istar muta, - Che se tal biscia ora non si disface, - Non pensi Italia mai posar in pace. - -[105] Alla qual peste si riferisce il caso di Ginevra degli Almieri. -Sposa da pochi mesi, ella morì e fu sepolta, ma rinvenne e uscì dalla -tomba: andò dal marito, andò dai parenti, e nessuno la volle ricevere, -credendola l’ombra di lei che domandasse suffragi; ond’ella ricoverò da -Antonio Rondinelli che l’aveva amata, e che la ricevè e risanata sposò. -Scopertosi il caso, la curia vescovile dichiarò che, essendo ella -stata abbandonata per morta, il primo matrimonio era sciolto, teneva il -secondo. - -[106] L’Ammirato, il quale condanna i Pisani, deplora che «Pisa -s’andava tuttodì vuotando dei proprj cittadini, non soffrendo il -loro altiero animo, non ostanti tanti benefizj, di star sudditi a’ -Fiorentini». Ci sono descritti dallo stesso Gino Capponi il tumulto -de’ Ciompi, e l’acquisto di Lucca, che pajonmi delle più belle e -nobili storie di nostra favella. Nell’archivio secreto Mediceo sta una -lettera 14 gennajo 1431 dei dieci di balìa al commissario di Pisa, ove -conchiusero: «Qui si tiene per tutti, che ’l principale e più vivo modo -che dare si possa alla sicurtà di cotesta città, sia di vuotarla di -cittadini pisani; e noi n’abbiamo tante volte scritto costì al capitano -del popolo, che ne siamo stanchi; e rispondeci ora l’ultimo, essere -impedito dalla gente dell’arme, e non avere il favore del capitano -(Cotignola). Vogliamo che tu ne sia con lui, ed intenda bene ogni cosa, -e diate modo _con usare ogni crudeltà ed asprezza_. Abbiamo fede in -te, e confortiamti a darvi esecuzione prestissima, che cosa più grata a -tutto questo popolo non si potrebbe fare» - -Negli scrittori pisani recenti sono a vedere le incolpazioni atroci -date al governo di Firenze, sin d’avere per decreto peggiorato l’aria -di Pisa onde disabitarla. - -[107] TARGIONI, _Viaggi_, II. 221. - -[108] Non è superfluo mostrare i patti con cui il Comune di Lucca si -diede a Carlo di Boemia nel 1333. Esso manderebbe un buon vicario, -assegnandogli un salario fisso, di là del quale non possa nulla -pretendere per sè o sua famiglia, cavalli ed uffiziali suoi; de’ quali -pure sia prefisso il numero. Il salario è fissato in quattromila -fiorini d’oro, dei quali deve stipendiare due giudici rinomati, -tre buoni compagni, dodici donzelli, sedici ragazzi, un cuoco e due -guatteri, venti cavalli. Esso vicario osservi le leggi e gli statuti di -Lucca, e solo per furto, omicidio, falso incendio, tradimento possa far -mettere alla tortura; non introduca prestiti o imposte o mutui o dazj, -nè gli accresca; non possa fare spesa alcuna se non col consenso degli -anziani, nè cominciar guerra; le cause civili e criminali si giudichino -dalle solite curie, senza ch’egli vi s’intrometta. Gl’impieghi si -diano al modo antico e a soli cittadini. Egli prepari pedoni e cavalli -stipendiarj, ma che contrattino col Comune: le rendite di questo vadano -nella cassa civica. Possa il vicario assistere al consiglio degli -anziani; ma ciò che ottiene sette voti, si ritenga stabilito. Il re -non voglia dare la città a chi altri si sia. _Docum. per servire afta -storia di Lucca_, I. 278. - -[109] Morto Lionello duca di Modena nel 1440, Lucca occupò alcune terre -della Garfagnana: Borso la respinse, anzi le tolse alcuni paesi: poi -per interposizione di Firenze e ad arbitramento di Nicola V nel 1451 -quelle rimasero al ducato, che ne formò la vicarìa di Frassalico, -levando l’intralciatissima spartizione della Garfagnana bassa. - -[110] Il discorso è riferito da Giovan Cavalcanti, di poco posteriore. -Rousseau ebbe l’idea di scrivere la storia di Cosmo de’ Medici. «Era -(diceva a Bernardino Saint-Pierre) un semplice privato, che divenne -sovrano de’ suoi concittadini col renderli più felici; non si elevò e -non si mantenne che per mezzo dei benefizj». - -Esiste il catalogo delle preziosità appartenenti a Pietro de’ -Medici nel 1464, che in medaglie, anelli, cammei, suggelli, tavole -antiche di pietra o di metalli, sono stimati fiorini d’oro duemila -seicentoventiquattro; i vasi preziosi e altre cose di valuta, ottomila -centodieci; varie gioje, diciassettemila seicentottantanove; oltre -gli argenti. _Appendice alla vita di Lorenzo il Magnifico_ del ROSCOE. -Esso Lorenzo nei _Ricordi_ scrive: — Gran somma di denari trovo abbiamo -speso dall’anno 1434 in qua, come appare per un quadernuccio in-quarto -da detto anno fin a tutto il 1471: si vede somma incredibile, perchè -ascende a fiorini seicentosessantatremila settecencinquantacinque, tra -muraglie, limosine e gravezze, senza l’altre spese; di che non voglio -dolermi, perchè, quantunque molti giudicassero averne una parte in -borsa, io giudico essere gran lume allo Stato nostro, e pajonmi ben -collocati, e ne sono molto ben contento». - -[111] Giovanni di ser Cambi reca la lista delle case grandi fiorentine -al 1494 e assegna agli Altoviti sessantasei uomini, sessanta ai -Rucellaj, cinquantatrè agli Strozzi, sessantacinque agli Albizzi, -trentacinque ai Ridolfi, e così ai Capponi, ventisei ai Cavalcanti, -e via là. Tra le antiche famiglie vanno ricordati i Bardi, che -spesso ebbero nimistà coi Frescobaldi, massime nel 1340, allorchè li -calmò il venerabile vecchione Matteo dei Marradi podestà. Cacciato -il duca d’Atene, anche i Bardi furono espulsi a furor di popolo e -bruciate ventidue loro case. Dianora de’ Bardi fu amata da Ippolito -de’ Buondelmonti; ma, attesa l’inimicizia delle due famiglie, non -potè che sposarla in segreto. Andava da lei la notte per una scala a -corda; nel qual atto sorpreso dal bargello, fu arrestato per ladro, ed -egli, anzichè mettere a repentaglio l’onore della fanciulla, lasciasi -condannare a morte. Sol chiese che, nel condurlo al supplizio, si -passasse davanti la casa de’ Bardi, volendo, diceva, in quell’estremo -punto riconciliarsi colla famiglia sempre odiata. Ma ecco Dianora -sbucarne scarmigliata, confessando: — Egli è mio sposo, e unica -colpa di lui l’esser venuto a trovarmi». Si sospende il supplizio, si -ripiglia la causa davanti al podestà, ove perorando Dianora stessa, -facilmente si convinsero giudici e popolo, e si finì colle nozze -pubbliche de’ due amanti e la pace fra le loro famiglie. - -[112] - - Cerchi chi vuol le pompe e gli alti onori, - Le piazze, i templi e gli edifizj magni, - Le delizie, i tesor, _qual accompagni_ - Mille duri pensier, mille dolori. - Un verde praticel pien di bei fiori, - Un rivolo che l’erba intorno bagni, - Un augelletto che d’amor si lagni, - Acqueta molto meglio i nostri ardori; - L’ombrose selve, i sassi e gli alti monti, - Gli antri oscuri e le belve fuggitive, - Qualche leggiadra ninfa paurosa. - Quivi vegg’io con pensier vaghi e pronti - Le belle luci come fosser vive; - Là me le toglie or questa or quella cosa. - -[113] SCHROECK, _Allgem. Geschichte_, vol. XXXII, p. 90. - -[114] «Nel 1424 fu ucciso Braccio de Montone;... e per questa cagione -ne fu fatto gran festa e letitia in Roma de fuochi e de ballare; et -ogni Romano giva con la torcia a cavallo ad accompagnare M. Jordano -Colonna fratello di papa Martino, perchè era morto l’inimico del -papa; e morti che furono questi, rimase papa Martino senz’alcun altro -impaccio, e mantenea nel suo tempo pace e divitia, e venne lo grano a -soldi quaranta lo rubbio». INFESSURA, _Diario_. - -[115] VESPASIANO, _Comment_., p. 279. - -[116] Et a dì 19 de jennaro de martedì, fu impiccato uno Stefano -Porcaro in castello, in quello torrione che sta quando vai in là a -mano destra; e viddelo io vestito di nero, in gipetto e calze nere. Se -perdette quell’huomo da bene et amatore dello bene e libertà di Roma, -lo quale, perchè si vide senza cascione esser stato sbannito da Roma, -volse, per liberar la patria soa da servitute, metter la vita sua, come -fece lo corpo suo... Et in quel dì furono impiccati nelle forche di -Campitolio senza confessione e comunione gl’infrascritti... Item con -essi fu impiccato Sao e molti altri... Et in quel tempo furono ancora -pigliati Mr Joanni... Adì 28 gennajo fu impiccato Francesco Gabadio et -uno dottore, perchè accompagnarono Mr Stefano Porcari, e dissesi che -avevano notitia dello detto trattato. E dopo andò uno bando, che chi -sapesse dove sta... lo dovessino rivelare, e guadagnavano mille ducati, -e chi li dava morti cinquecento. E lo papa fece cercare per tutta -Italia per questi delinquenti... furon pigliati chi a Padua, chi in -Venetia... et a molti fu tagliata la testa alla città di Castello. A dì -30 di jennaro fu impiccato Battista de Persona ». INFESSURA. - -[117] Delle lettere tengo l’edizione preziosa, fatta in Milano per -maestro Ulderico Scinzenzeler il 1496. In queste è la troppo famosa -storia degli amori della Lucrezia senese con Eurialo tedesco al -seguito dell’imperatore Sigismondo, dipinti coi colori del Boccaccio. -Delle altre lettere, molte illustrano assai i tempi. _Æneæ Silvii -Piccolominei senensis, qui post adeptum pontificatum Pius, ejus nominis -secundus, appellatus est, opera quæ extant omnia_. Basilea 1551. Opere -capitali sono: _De gestis concilii Basiliensis commentarium; De ortu -et historia Bohemorum; Europa, in qua sui temporis varias historias -cumplectitur_. Scrive bene, quantunque con troppa frequenza di frasi -o d’emistichi. Nella prefazione al Concilio di Basilea dice: — Non -so quale sciagura o qual destino mi spinga così, che non valgo a -distrarmi dalla storia, nè il tempo più utilmente consumare. Soventi -mi proposi togliermi a questi allettamenti de’ poeti ed oratori, ed -altro esercizio seguire, donde cavar alcuna cosa che mi renda men grave -la vecchiezza, per non dover vivere alla giornata come gli uccelli e -le fiere. Nè studj mancavano, nei quali se avessi voluto concentrar -le forze, avrei potuto e danari e amici procacciare. Nè a ciò mi -persuadeva da me solo, ma m’erano intorno gli amici, dicendomi di -continuo: _Orsù, che fai Enea? Ti occuperà la letteratura finchè campi? -A quest’età non ti vergogni di non aver poderi, non danaro? Non sai che -a vent’anni bisogna esser grande, a trenta prudente, a quaranta ricco, -e chi passa questi confini indarno poi s’affatica?_ Mi consigliavano -dunque che, instando già il quarantesimo anno, cercassi posseder -qualche cosa, prima che quello entrasse. Spesso vi posi mano, e promisi -fare secondo il consiglio; buttai via i libri oratorj, buttai le -storie e tutte siffatte letture, nemiche alla mia salute. Ma come certi -volanti non sanno fuggire il fuoco della candela finchè non v’abbrucino -l’ali, così io torno al mio male, dov’è forza ch’io pera; nè, a quanto -vedo, altri che la morte non mi torrà questo studio. Ma giacchè il -destino mi trascina, nè quel che voglio posso, bisogna congiungere la -volontà al potere. Mi si rinfaccia la povertà; ma e povero e ricco -devono vivere fin alla morte. Se è misera la povertà ai vecchi, è -miserrima agli illetterati. Aver corpo sano e integra mente è dato -al povero non men che al ricco; se questo ottengo, null’altro chiedo. -Goder quello che ho in buona salute mi conceda Dio, e prego di poter -condurre una vecchiaja con mente sana e non indecorosa nè senza cetra. -E giacchè così sta fitto nell’animo, torniamo ai commentarj nostri». - -[118] La distinzione stessa faceva in quel suo motto famoso: _Quand’ero -Enea, nessun mi conoscea; or che son Pio, ciascun mi chiama zio_. - -[119] - - Il nome che d’apostolo ti denno - O d’alcun minor santo i padri, quando - Cristiano d’acqua, non d’altro ti fenno, - In Cosmico, in Pomponio vai mutando; - Altri Pietro in Pierio, altri Giovanni - In Jano e in Giovian van racconciando - ARIOSTO, _Satira_ VI. - -[120] È caratteristico l’elogio che gli fa Gaspare Veronese: _Novi -ego quod suorum codicum largissimus semper fuit, alienorum vero -verecundissimus postulator, nec non suorum aliis commodatorum -lentissimus repetitor_. Ap. MARINI, _Degli archiatri pontifizj_, tom. -II. p. 179. - -[121] _Cronaca di Gubbio_, Rer. It. Script., XXI. f. 994. - -[122] Che ciò fosse con intelligenza di Francesco Sforza suo suocero -è asserito da Machiavelli e da quasi tutti i contemporanei, i quali -diceano averlo lo Sforza menato alla beccheria, e Ferdinando esserne -stato il boja: ma vittoriosamente li confutano i documenti che pubblicò -il Rosmini nella _Storia di Milano_. - -[123] Racconta Gioviano Pontano, _Belli neapolitani, lib_. V, che, -mentre Ferdinando di Napoli assediava una rôcca sotto Mondragone -aderente agli Angioini, e per difetto d’acqua l’avea ridotta -all’estremo, alcuni empj sacerdoti procurarono le pioggie con arti -magiche. Trovarono alquanti giovani arditissimi, che di notte per -difficilissime vie uscirono fin al lido, e quivi bestemmiarono un -crocifisso con ogni peggior maledizione, quivi gettaronlo in mare, -imprecando tempesta al cielo, al mare, alle terre. Al tempo stesso -i sacerdoti presero un asino, e come a moribondo gli dissero le -preghiere degli agonizzanti, lo comunicarono, e fattegli le esequie, -il sepellirono vivo davanti alla porta della chiesa. Ed ecco subito -annuvolarsi, tempestar il mare, farsi bujo il cielo, e tuoni e folgori -e nembi e diluvio di pioggie, sicchè abbondantemente provvista la -rôcca, Ferdinando se ne dovette levare. - -In tali estremi, la sapiente Roma antica sepelliva un uomo e una donna. - -[124] Di quelli della sua patria fa l’enumerazione il Malipiero negli -_Annali veneti_ sotto il 1483: — È stà tolto cenventottomila ducati -all’una per cento, deputati a pagar el pro del Monte Nuovo: è stà -cresciuto un terzo tutti i dazj; è stà impegnato tutte le volte de -Rialto a rason de ventotto per cento all’anno; e stà pagato in zeca i -argenti de particulari, sie ducati la marca; è stà tolto le cadenelle -d’oro che le donne portava al collo, e messe in comun. Se fa li officj -e regimenti con la metà e un terzo manco de salario. Oltre tante -decime, è stà messo tanse a la terra; le entrate de la terra e quelle -de la terraferma è calade; se ha perso molte nave e galìe; se ha tolti -homeni de la guerra nudi e rotti, perchè no se ha possuto far altro; se -ha evacuato l’arsenal che altre volte ha fatto tremar el mondo; avemo -fame e peste; mendicheremo la pace e ghe restituiremo el tolto; se ha -speso un milion e dusentomila ducati; ed è morti tanti homeni da ben». - -[125] INFESSURA, _Diario_, pag. 1226. - -[126] Pietro Aretino scriveva al Franciotto nell’aprile 1548, cioè -mezzo secolo prima di quell’Enrico IV di Francia, a cui il fatto viene -attribuito: — Se bene jeri l’altro, per esserci il numero delle persone -che si stavano a casa mia, meco ragionando, non feci motto alcuno circa -il vostro ridere nel vedermi in mezzo di Adria e di Austria le figlie -mie; nel vedermi, dico, dalle braccia dell’una d’anni undici stretto -nel collo, e dalle mani dell’altra di otto mesi preso nella barba; -non è che io non me ne accorgessi, e me lo tacqui allora per dirvi -adesso una bella cosa in comparazione di quella mia tenera sofferenza. -Lorenzo e Giuliano, quello padre di Leone, questo di Clemente, standosi -trapassando il tempo del caldo al Poggio, accadde un giorno, poco -dopo il desinare, ch’eglino per fuggire il sonno essendosi ritirati in -camera, venutegli alle mani due canne, se ne fecero cavalli, e salendo -l’uno sopra l’una, e l’altro sopra l’altra, volse Giuliano che gli -montasse in groppa Giulio, e Lorenzo che il simile facesse Giovanni; -e così spronando ciascuno senza i sproni pareano proprio ispronargli -daddovero; talchè i bambini tutti ridenti, quel piacere nella loro -innocenzia provavano, che prova in la sua tenerezza ogni genitore che -la di lui prole trastulla. Videgli in cotal atto quel Mariando, che poi -ebbe il titolo di Frate dal piombo; e ridendosene da senno, fu chiamato -dentro dai personaggi sì grandi; i quai pregarono il faceto e leale -uomo, che non prima facesse motto dello avere i due fratelli (i quali -poi furon padre di cotale coppia di pontefici) trovati in tal materia -di scherzo, non prima, dico, ch’egli avesse figliuoli; inferendo in sì -prudente voce di parole, che la minore dimostrazione di semplicità che -si faccin coloro che ne hanno, è lo impazzirgli drieto». - -Il fatto però non è esatto, poichè Giulio nacque postumo. - -[127] - - _Atque aliud nigris missum, quis credat? ab Indis,_ - _Ruminat insuetas armentum discolor herbas._ - POLIZIANO, _Rusticus_. - -[128] Angelo Poliziano a Lorenzo de’ Medici: — Magnifice Patrone. Da -Ferrara vi scripsi l’ultima. A Padova poi trovai alcuni buoni libri, -cioè Simplicio sopra al Cielo. Alexandro sopra la Topica, Giovan -Grammatico sopra le Posteriora et li Elenchi, uno David sopra alcune -cose de Aristotele, li quali non habbiamo in Firenze. Ho trovato -anchora uno scriptore greco in Padova, et facto el patto a tre -quinterni di foglio per ducato. Maestro Pier Leone mi mostrò i libri -suoi, tra i quali trovai un M. Manilio astronomo et poeta antiquo, el -quale ho recato meco a Vinegia, et riscontrolo con uno in forma che -io ho comprato. È libro, che io per me non ne viddi mai più antiqui. -Similiter ha certi quinterni di Galieno _De dogmate Aristotelis et -Hippocratis_ in greco, del quale ci darà la copia a Padova, che si è -facto pur frutto. In Vinegia ho trovato alcuni libri di Archimede et -di Herone mathematici che ad noi mancano, et uno Phornuto _De deis_, e -altre cose buone. Tanto che papa Yanni ha che scrivere per un pezzo. - -«La libreria del Niceno non abbiamo potuto vedere. Andò al principe -messer Aldobrandino oratore del duca di Ferrara, in cujus domo -habitamus. Fugli negato a lettere di scatole; chiese però questa cosa -per il conte Giovanni et non per me, che mi parve bene di non tentare -questo guado col nome vostro. Pure messer Antonio Vinciguerra, et -messer Antonio Pizammano, uno di quelli due gentilhuomini philosophi -che vennono sconosciuti a Firenze a vedere el conte, et un fratello di -messere Zaccheria Barbero sono drieto alla traccia di spuntare questa -obstinatione. Farassi el possibile; questo è quanto a’ libri. - -«M. Piero Lioni è stato in Padova molto perseguitato, et non è chiamato -nè quivi nè in Vinegia a cura nissuna. Pure ha buona scuola, et ha sua -parte favorevole; hollo fatto tentare dal conte di ridursi in Toscana. -Credo sarà in ogni modo difficil cosa. In Padova sta mal volentieri, -et la conversatione non li può dispiacere, ut ipse ait. Negat tamen -se velle in Thusciam agere. Nicoletto verrebbe a starsi a Pisa, non -vorrebbe un beneficio, hoc est, un di quelli canonicati; ha buon nome -in Padova, et buona scuola. Pure, nisi fallor, è di questi strani -fantastichi; lui mi ha mosso questa cosa di beneficj: siavi adviso. - -«Visitai stamattina messer Zaccheria Barbero, et mostrandoli io -l’affectione vostra, mi rispose sempre lagrimando, et ut visum est, -d’amore; risolvendosi in questo, in te uno spem esse; ostendit se -nosse quantum tibi debeat. Sicchè fate quello ragionaste, ut favens -ad majora. Quello legato che torna da Roma, et qui tecum locutus est -Florentiæ, non è punto a loro proposito, ut ajunt. Un bellissimo vaso -di terra antiquissimo mi mostrò stamattina detto messer Zaccheria, -el quale nuovamente di Grecia gli è stato mandato; e mi disse, che -sel credessi vi piacessi, volentieri ve lo manderebbe con due altri -vasetti pur di terra. Io dissi che mi pareva proprio cosa da V. M., et -tandem sarà vostro. Domattina farò fare la cassetta, et manderollo con -diligentia. Credo non ne abbiate uno sì bello in eo genere. È presso -che tre spanne, et quattro largo. El conte ha male negli occhi, et non -esce di casa, nè è uscito poichè venne a Vinegia. - -«Item visitai hiersera quella Cassandra Fidele letterata, et salutai -per vostra parte. È cosa mirabile, discretissima, et meis oculis etiam -bella. Partimmi stupito. Molto è vostra partigiana, et di voi parla con -tutta practica, _quasi te intus et in cute norit_. Verrà un dì in ogni -modo a Firenze a vedervi, sicchè apparecchiatevi a farle honore. - -«A me non occorre altro per hora, se non solo dirvi che questa impresa -di scrivere libri greci, et questo favorire i docti vi dà tanto -honore et gratia universale, quanto mai molti e molti anni non ebbe -uomo alcuno. I particolari vi riserbo a bocca. A. V. M. mi raccomando -sempre. Non ho ancora adoperata la lettera del cambio per non essere -bisognato. Venetiis 20 junii 1491». - -[129] Lettera di Pietro da Bibiena a Clarice de’ Medici, ap. ROSCOE, -_Vita di Lorenzo_, app. 7ª del vol. III. - -Ad esso Lorenzo scriveva Ferdinando re di Sicilia, il 23 agosto 1488: — -Magnifice vir, compater et amice noster carissime. Non era necessario -che da voi fossemo rengratiati per lettera de vostra mano di quello -che ho offerto in beneficio di mess. Joanni vostro figlio, perchè sape -Dio lo animo et la voluntà nostra, quanto desidereressimo fare tutte le -cose del mondo per usarvi gratitudine per quello havete continuamente -operato in beneficio nostro et de questo Stato, del quale sempre potete -fare quella stima che fareste delle cose vostre medesime, perchè li -obblighi che ne havimo così recercano, et mai ve porìamo offerire -tanto in beneficio vostro et della casa vostra, che ne para havere -satisfacta una millesima parte de quello è lo animo et desiderio nostro -di fare: secundo speramo per experientia, omni dì porite conoscere più -manifestamente». - -[130] Watson (_Massonic essayist_. Londra 1797, pag. 238) sostiene che -l’accademia platonica era una loggia muratoria, e che vi sono ancora -scolpiti dei simboli massonici. - -[131] _Phœnix, sive ad artificialem memoriam comparandam brevis quidem -et facilis, sed re ipsa et studio comprobata introductio._ Venezia -1491. - -[132] E non dal Crisolara, come fa ragionevolmente avvertire il Tonelli -nella traduzione della vita di esso scritta da Shepherd; Firenze 1835. -Erasmo giudica molto severamente il Poggio, definendolo _rabula adeo -indoctus, ut, etiamsi vacaret obscænitate, tamen indignus esset qui -legeretur: adeo autem obscænus, ut, etiamsi doctissimus esset, tamen -esset a viris bonis rejiciendus._ Ep. CIII. - -[133] _Si quando visendi desiderio in longinquum proficiscerer, visis -forte eminus monasteriis veteribus, divertebam illico, et — Quid -scimus_ (_inquam_) _an hic aliquid eorum sit quæ cupio?_ Senil., VI. 2. - -[134] Commento al canto XXII del _Paradiso_. Il fatto è dimostrato -falso dal Tosti nella storia di Montecassino, dove la libreria fu -sempre uno de’ più cercati ornamenti. - -[135] _O romani pontifices, exemplum facinorum omnium cæteris -pontificibus, et improbissimi scribæ et pharisæi, qui sedetis super -cathedram Moysis et opera Datan et Abyron facitis, itane vestimenta, -apparatus, pompa, equitatus, omnis denique vita Cæsaris vicarium -Christi docebit?... Nec amplius horrenda vox audiatur, partes contra -Ecclesiam, Ecclesia contra Perusinos pugnat, contra Bononienses. Non -contra Christianos pugnat Ecclesia, sed papa_. - -[136] _Universa in me civitas conversa est, omnes me diligunt, honorant -omnes, ac summis laudibus in cœlum efferunt. Meum nomen in ore est -omnibus. Nec primarii cives modo, cum per urbem incedo, sed nobilissimæ -fœminæ honorandi mei gratia locum cedunt; tantumque mihi deferunt, ut -me pudeat tanti cultus. Auditores sunt quotidie ad quadringentos, vel -fortassis et amplius; et hi quidem magna in parte viri grandiores, et -ex ordine senatorio_. Epist. del 1428. Vedi la costui vita scritta da -Carlo Rosmini, Milano 1808, con moltissimi documenti inediti. - -[137] Nella Laurenziana v’è una sua _Oratio habita in principio publicæ -lectionis, quam domi legere aggressus est, quum per invidos publice -nequiret_. - -[138] Se quel verso - - Βούλομ’ ἐγὼ σάον λαὸν ἔμμεναι, ἢ ἀπολέσθαι - -significhi _Voglio che il popolo sia salvo o perisca, oppure Voglio che -il popolo sia salvo o perire._ Il Filelfo s’accorse che aveano torto -entrambi. - -[139] Vedasi l’_epistola_ 52 del lib. X. Di Gio. Maria Filelfo suo -figlio, retore anch’esso inquietissimo e premorto al padre, scrisse la -vita Guglielmo Favre. Ginevra 1856. - -[140] NALDO NALDI, _Vita di G. Manetti_, Rer. It. Script., XX. - -[141] _Operis quippe ac studii mei est et fuit multos libros legere, et -ex plurimis diversos carpere flores._ Al fine:_ Mihi non bene scienti -linguam græcam_ non vuol dire che la ignorasse, come pretende Eichhorn. - -[142] GIULINI, _Continuazione delle Memorie di Milano_, II, 594. - -[143] _Liber consiliorum_, vol. III. IV. XIII, nell’archivio civico di -Torino. - -[144] TOMMASI al 1430. - -[145] È l’espressione del Bonfinio, _Rerum Hungaric._, dec. IV: -Pannoniam Italiam alteram reddere conabatur.... _Varias quibus olim -carebat artes, eximiosque artifices ex Italia magno sumptu evocavit... -olitores, cultores hortorum, agriculturæque magistros, qui caseos etiam -latino, siculo, græco more conficerent_. - -[146] Vespasiano, Ap. MEHUS, _Præf. ad vitam Ambrosii camaldolensis_. - -[147] Vita di B. Valori, nell’_Archivio storico_, tom. IV. p. 241. - -[148] PIO II, _Descrizione dell’Europa_, cap. 52. - -[149] LAMI, _Catalogo della biblioteca Riccardiana_, pag. 11. - -[150] _De educatione liberorum_. Milano 1491. - -[151] Sprezzando di tutto cuore i Barbari, il Poliziano gl’invita ad -ammirare le bellezze e i pregi degl’Italiani, ove mostra di conoscere -in che consiste il merito, anzichè qual fosse il merito vero degli -Italiani: _Admirentur nos, sagaces in inquirendo, circumspectos in -explorando, subtiles in contemplando, in judicando graves, implicitos -in vinciendo, faciles in enodando. Admirentur in nobis brevitatem -styli fœtam rerum multarum atque magnarum, sub expositis verbis -remontissimas sententias, plenas questionum, plenas solutionum; -quam apti sumus, quam bene instructi ambiguitates tollere, scrupulos -diluere, involuta evolvere flexanimis syllogismis, et infirmare falsa, -et vera confirmare. Viximus celebres, et posthac vivemus, non in -scholis grammaticorum et pædagogiis, sed in philosophorum coronis, in -conventibus sapientum, ubi non de matre Andromaches, non de Niobes -filiis, atque id genus levibus nugis, sed de humanarum divinarumque -rerum rationibus agitur et disputatur. In quibus meditandis, -inquirendis et enodandis ita subtiles, acuti acresque fuimus, ut anxii -quandoque nimium et morosi fuisse forte videamur, si modo esse morosus -quispiam aut curiosus nimio plus in indaganda veritate potest_. Epist. -lib. IX. - -[152] Ap. ROSMINI, _Storia di Milano_, IV. 224. - -[153] Leonardo Giustinian veneto, amico del Filelfo e degli altri -celebri, oltre i lavori filologici fece molti canti d’occasione -e di gioja, che poi furono pubblicati col titolo di _Fiori delle -elegantissime cancionete_ (Venezia 1482); e le accompagnava anche di -graziose note. Voltosi poi alla pietà, pubblicò le _Devotissime et -sanctissime laude_ (Cremona 1474), più volte ristampate. Per la prima -volta nel 1851 si pubblicarono a Lucca le _Laude spirituali_ di Bianco -da Siena povero gesuato. - -[154] Si volle supporre non sia che un capitolo dell’opera di Leon -Battista Alberti: ma altri crede che questi possa nella sua avere -inserito il trattato del Pandolfini. - -[155] _Senilium_, XV. 5; _Familiarium_, II. 4. IV. 9. VI. 6; _Hort. ad -Nicolam Laurentii_. - -[156] Il manoscritto d’Arona, che sta nella biblioteca di Torino, e -che da un’assemblea di dotti erasi giudicato antico di cinque secoli, -Daunou e Hase, valentissimi paleografi, nol fanno anteriore al secolo -XV. Galeani Napione, poi De Gregory (_Mém. sur le véritable auteur de -l’Imitation de Jésus-Christ_, 1827; e _Histoire du livre de l’Imitation -de Jésus-Christ et de son véritable auteur_, Parigi 1843) sostennero -i diritti del Gersenio di Vercelli. A provarlo d’un Tedesco si addusse -testè quel passo del lib. IV. c. 5, ove dice che il sacerdote, vestito -dei sacri arredi, ha davanti e di dietro la croce del Signore. Ora la -pianeta degli Italiani e de’ Francesi non ha la croce che di dietro. - -Celebrandosi il suo centenario nel 1874 ed ergendosegli un monumento, -si pubblicarono molti opuscoli in favore dell’abate Gersenio. - -[157] Lib. II. c. 12. - -[158] Narrando che Federico II aveva imposto alcun dazj nuovi senza -attribuirne un terzo alla Chiesa, soggiunge che l’anima di lui -_requiescit in pice et non in pace_. - -[159] ALIDOSI, _Instructione_ ecc. Forse questi tentativi avevano dato -coraggio a Leonardo da Vinci di fare un modello col quale «mostrava -voler alzare il tempio di San Giovanni di Firenze e sottomettervi le -scalee senza rovinarlo». VASARI, _Vita_. - -[160] La sua opera è stampata «sulle rive del Benáco, nel quale -si pescano i migliori carpioni, e le cui rive sono sparse di belle -antichità». Uno de’ trattatelli suoi è intitolato: _Modus solvendi -varios casus figurarum quadrilaterarum rectangularum per viam algebræ. -Nº_ cioè _numero_, indica il noto; _Co_ cioè cosa, l’incognito; il -quadrato _Ce_ (censo); il cubo, _Cu_; _p_ ed _m_ vagliono + e -. Dove -oggi scriviamo 3x + 4x² - 5x³ + 2x⁴ - 6, allora facevasi 3 co. p. 4 ce. -m. 5 cu. p. 2 ce. m. 6 Nº. - -Guglielmo Libri farebbe il + e il - inventati da Leonardo da Vinci; -mentre Chasles (_Aperçu historique sur l’origine et le développement -des méthodes en géométrie_, Bruxelles 1837), gli attribuisce a -Stiffels. - -«E perchè noi seguitiamo per la maggior parte Lionardo Pisano -(Fibonacci), io intendo di chiarire che quando si porrà alcuna proposta -senza autore, quella sia di detto Lionardo». Queste parole della _Summa -de arithmetica geometria_ purghino il Pacioli dalla taccia datagli di -plagiario. - -[161] In Francia si cominciò nel 1376; solo nel 1556 Carlo V otteneva -dai dottori di Salamanca la decisione che ai Cattolici non fosse -illecito aprire umani cadaveri. - -[162] Nel XV secolo v’è menzione di pesti, in Dalmazia il 1416, 20, -22, 30, 37, 54, 64, 66, 80; nella Lombardia e Genovesato, il 1405 e -6; in Napoli, Milano ed altre parti d’Italia, il 1421 e 22; nel 21 -a Bologna e Brescia; nel 28 a Roma; nel 29 e 30 a Perugia e altrove; -nel 38 a Venezia e altrove; nel 48 nell’alta Italia; poi nel 50, 56, -60, 65, 68, 73, 75, 76, 78, 85: dal 92 al 95 la peste marrana, tifo -navale, sviluppatosi fra gli Ebrei cacciati di Spagna contaminò tutta -Europa. Scaligero contro Cardano dice che a Parigi, Colonia, Famagosta, -Venezia, Ancona la peste ripullula così frequente, che può dirsi -perpetua. - -[163] _Quamquam per civitates, domus qua hospitalia vocantur, -et supellectiles sumptibus publicis paratæ structæque videantur -elephantiacis suscipiendis. — De elephantia_. Ne’ secoli seguenti se -ne parla pochissimo, ma non dovette scomparire del tutto: poi questi -ultimi anni rivoltavi l’attenzione, fu riscontrata in molte parti, e -più miserabilmente nella popolazione pescatrice di Comacchio, col nome -di mal di fegato. Vedi _Sulla lebbra_, Commentario del D. A. VERGA. -Milano 1846. - -Fallopio nel 1550 trovava che in Francia ancora molti erano affetti -di lebbra; ma in Italia rimanevano rarissimi, e gli ospedali di -San Lazzaro erano vuoti, mentre crescevano quelli di San Giobbe per -gl’infraciosati. _De morbo gallico_, c. I. III. - -[164] Diconsi palimsesti (πάλιν φηστὸς, _di nuovo raschiato_). Ciò si -costumava già dagli antichi, e Cicerone (_Famil_., VII, 18) scrive: -_Quod in palimsesto, laudo equidem parsimoniam; sed miror quod in illa -chartula fuerit quod delere malueris, quam exscribere, nisi forte -tuas formulas. Non enim puto te meas epistolas delere ut deponas -tuas. An hoc significas nil fieri? frigere te? ne chartam quidem -tibi suppeditare?_ Il primo palimsesto cui si facesse mente, fu alla -biblioteca del re di Francia nel 1692, ed era un manoscritto delle -opere di sant’Efrem. - -Finchè s’ebbe carta papiracea, su quella si stesero gli atti pubblici. -I più antichi d’Italia su carta pecora sono una concessione di re -Liutprando del 712 nell’archivio di Milano, e uno del 784, ove Felice -vescovo di Lucca conferma la donazione di Faulone al monastero di -san Fridiano. Il più antico atto sopra carta bambagina è del 1145 in -Sicilia, ove re Ruggero II fa concessioni all’abate di San Filippo di -Fragola. Nell’archivio delle Riformagioni di Firenze trovasi un diploma -in greco del 1192, in cui Isacco Langelo imperatore ammette i Pisani -alla pace colle terre di Romania. - -[165] Plutarco (in _Catil_.) le fa inventare da Cicerone all’occasione -della congiura di Catilina. Cicerone scrivendo ad Attico (lib. XIII) -gli dice: — Tu non avrai forse intesa quella cosa perchè scritta διὰ -σεμνῶν, per segni». Altri ne dicono autore Tirone suo liberto, da -cui si chiamarono tironiane; e Dione Cassio (lib. LV) asserisce che -Mecenate fece pubblicare queste note per Aquila suo liberto. Celebri -tachigrafi antichi furono Perunnio, Pilargio, Pannio, e infine Seneca. -San Cipriano aggiunse altre note alle già inventate, e tutte le adattò -all’uso della religione. Prudenzio nell’inno di san Cassiano canta: - - _Verta notis brevibus comprendere cuncta peritus_ - _Raptimque punctis dicta præpetibus sequi._ - -Origene, sant’Agostino, san Girolamo parlano dei tachigrafi. - -[166] Nel catalogo dei libri lasciati dal cardinale Guala al monastero -di Sant’Andrea a Vercelli troviamo una biblioteca (cioè l’intera -Bibbia) di lettera _parigina_, coperta di porpora e ornata di fiori -d’oro ed iniziali simili; un’altra di lettera _bolognese_, con cuojo -rosso; una di lettera inglese; una piccola preziosa di lettera -parigina, con majuscole d’oro e ornamenti purpurei; l’Esodo e il -Levitico di lettera _antica_; i dodici Profeti in un volume di lettera -_lombarda_; i _Morali_ del beato Gregorio, di _buona lettera antica -aretina_ ecc. FAVA, _Gualæ Bichierii card. vita_, pag. 175. - -[167] Il padre Sarti (_De prof. bonon_., part. II, p. 214) pubblicò -un catalogo di libri in vendita a Bologna; per esempio, _Lectura -domini Ostiensis_ CLVI _quinterni, taxati lib._ II. _sol_. X. _etc_. -Un messale ornato a lettere d’oro e pitture, nel 1240, valse più di -duecento fiorini (_Ann. Camald_., vol. IV. p. 349). Un _Digestum vetus_ -a Pisa si vendette lire sedici (L. 127). Forse dunque non costavano -cari se non quando miniati. - -[168] TIRABOSCHI, tom. VI. l. 1. c. IV. § 19. - -[169] Nell’inventario de’ possessi del vescovado di San Martino di -Lucca dell’VIII o IX secolo la biblioteca è così composta: Eptaticum, -vol. 1. Salomon, vol. 1. Machabeorum, vol. 1. Actus apostolorum, vol. -1. Prophetarum, vol. 1. Librum officiorum, vol. 1. Dialogorum, vol. -1, Vita... Ezechiel, vol. 1. Omeliarum, vol. 1. Commentarium super -Mattheum, vol. 1. Commentarium aliud... vol. 2. Ordo ecclesiasticus, -vol. 1. Rationes Pauli, vol. 1. Antiphonarium, vol. 2. Psalterium, -vol. 1. Vita sancti Martini, vol. 1. Vita sancti Laurentii cum memoria -sancti Fridiani, vol. 1. - -Nel 1212 Ugo, tesoriere della cattedrale di Novara, divenendo -arciprete, facea la riconsegna degli oggetti che trovavansi nel -tesoro del capitolo: fra cui notiamo un collettario gemmato con figura -d’avorio, un cristallo rotondo donde si trae il fuoco, e venticinque -volumi di libri da altare, cioè due messali, quattro antifonarj, tre -testi del vangelo, quattro omeliarj, un sermonale, due epistolarj, -un passionario estivo ed uno iemale, due collettarj, l’ordine, due -salterj, la Bibbia, il Vecchio Testamento; e nell’armadio quarantotto -libri, fra cui i morali di Giob, Agostino sopra Giovanni, le Etimologie -di Isidoro, la storia ecclesiastica, un volume della prescienza e -predestinazione, le Decretali, il Codice e le Novelle di Giustiniano, i -pronostici del futuro giudizio, Prisciano, Cresconio _Della concordia -de’ canoni_, un martirologio, Boezio _Della consolazione_, Marciano -Capella, le vite dei Padri. - -[170] MARINI, _Degli archiatri pontifizj_, tom. II. p. 130. - -[171] «Milatrecenquaranta fur fatti la folla di tutti i Santi, e il -lavorerio di panno, lane e carta di papiro. Del qual lavoro di carta -di papiro primo inventor presso Padova e Treviso fu Pace da Fabriano, -che per l’amenità dell’acque stette la più vita in Treviso». Nel 1318 -un notajo promette non fare istromento in carta di bambage, nè da -cui siasi abrasa altra scrittura; un altro, nel 31, di non iscrivere -in carta bambagina; poi nel 67 di non iscrivere su carta siffatta nè -papiro. Il senato veneto del 1366 stabilì che «pel bene dell’arte della -carta che si fa a Treviso, e reca grand’utile al nostro Comune, in -nessun modo possano levarsi stracci di carta (_stratie a cartis_) dalla -Venezia per portarli altrove che a Treviso». - -[172] Nell’Archivio diplomatico fiorentino, carte del Comune di Colle; -ap. REPETTI. - -[173] Reputavasi la più antica incisione in legno il san Cristoforo, -sotto cui è scritto: - - _Xtofori faciem die quacumque tueris_ - _Illa nempe die morte mala non morieris_ - _millesimo_ CCCXX _tertio_. - -Ma il signor di Reiffenberg, direttore della biblioteca reale di -Bruxelles, acquistò una Madonna con varj santi, intaglio colla data -1318. Vedi pure W. A. CHATTO, _Treatise on vood engraving historical -and practical_. Londra 1839, con ducento belle vignette. - -[174] I Feltrini pretendono che Pamfilo Castaldi, loro concittadino -e buon umanista, conosciuti gli studj del Guttenberg per istampare, -a Faust suo discepolo additasse che si potrebbe far meglio che con -tavolette stereotipe, cioè formar le lettere distinte, come quelle -che già si usavano dai mercanti per far le iniziali e intestazioni -sui loro libri. Si parlò molto questi ultimi anni di tale gloria; ma -l’asserzione del cronista frate Cambiuzzi non è appoggiata a nessun -documento. I meriti del Guttenberg sono chiariti da Ambrogio Firmin -Didot nella _Nouvelle Biographie générale_. - -[175] _Annali della stampa in Italia._ - - 1465. Subiaco. - 1467. Roma. - 1469. Venezia, Parigi, Milano, il poema sacro di Aratore e le - epistole latine di uomini illustri: ma non sono ben sicuri; - bensì _Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene - Maria_ per Filippo Lavagna, che portò la stampa a - Milano, con Antonio Zarotto e Cristoforo Valdarser. - 1470. Verona, Foligno, Pinerolo, Brescia. - 1471. Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze, Napoli, Savigliano. - 1472. Mantova, Parma, Padova, Mondovì, Jesi, Fivizzano, - Cremona. - 1473. Messina. - 1474. Torino, Genova, Como, Savona. - 1475. Modena, Piacenza, Barcellona, Cagli, Casole, Perugia, - Pieve di Sacco, Reggio di Calabria. - 1476. Pogliano, Udine. Primo libro greco a Milano. - 1477. Ascoli, Palermo. - 1478. Cosenza, Colle. - 1479. Tuscolano, Saluzzo, Novi. - 1480. Cividale, Nonantola, Reggio. - 1481. Urbino. - 1482. Aquila, Pisa. - 1484. Soncino, Chambéry, Bologna, Siena, Rimini. - 1485. Pescia. - 1486. Chivasso, Voghera, Casalmaggiore. - 1487. Gaeta. - 1488. Viterbo. - 1490. Portese. - 1495. Scandiano. - 1496. Barco. - 1497. Carmagnola, Alba. - -[176] SERRA, _Discorso_ IV, pag. 215. - -[177] Impressa per _magistrum Dionysium Paravisinum_ con caratteri, -dicesi, fusi da Demetrio Cretese. A Milano si stampò nell’80 Esopo e -Teocrito; nell’81 il Psalterio greco. Vedasi HUMPHREYS, _A history of -the art of printing_. - -[178] Renouard scrisse, negli _Annales des Aldes_, che _Manuce occupa -et occupera longtemps et sans aucune exception le premier rang parmi -les imprimeurs anciens et modernes._ La lode parve esagerata a Firmin -Didot, che dice doverglisi eterna riconoscenza per l’attività adoprata -a pubblicare tanti classici, e per la bella esecuzione tipografica; -ma lo appunta di scarsa correzione, e allega un passo di lettera, -ove Aldo dice d’essere così occupato, che appena ha tempo, non che -di correggere, di scorrere i libri che stampa: _Vix credas quam sim -occupatus. Non habeo certe tempus, non modo corrigendi, ut cuperem, -diligentius qui excusi emittuntur libri cura nostra, sed ne perlegendi -quidem cursim_. Di lui discorse pienamente esso Ambrogio Firmin Didot -nell’_Alde Manuce et l’Hellenisme à Venise_. Parigi 1875. - -[179] Il primo libro in Italia ove il disegno figurasse bene negli -intagli stampati insieme coi caratteri, o, come diciamo oggi, -illustrato, è l’_Ypnerotomachia_, per Aldo, nel 1499, con belle figure -che sono del Mantegna o almeno della sua maniera. Sono a tratti, e -l’ombra è indicata da linee più o men lunghe. Ma già le favole d’Esopo, -stampate a Verona il 1481 e a Venezia il 1490 con intagli, e quelle di -Napoli del 1485 in 4º grande, ne hanno 87, però grossolani. Nel 1497 -maestro Lorenzo de’ Rossi di Ferrara stampò molti libri, con figure a -tratti, quali la _Vita et epistole di sancto Jeronimo_; il Boccaccio -_De claris mulieribus_, ecc. - -[180] Esiste il contratto tra il celebre frà Jacopo Filippo Foresti -e lo stampatore Bernardino Benaglio di Bergamo per l’edizione del -supplemento alle _Cronache_ d’esso frate, il 7 gennajo 1483. Dovevano -stamparsi in Venezia a non più di seicentocinquanta copie; l’autore -promette rilevarne ducento a novanta marchetti per copia. Egli -intendeva dedicar l’opera al magnifico Marcantonio Morosini nobile -veneto «se lui vole exborsare sedici ducati per lo correctore; et -casu quo non pagasse ditti sedici ducati, non ge la debba intitulare, -sed a chi parerà a ditto frate Jacopo Filippo». Realmente la intitolò -alla città di Bergamo, che gli regalò cinquanta ducati d’oro, da lui -adoperati a vantaggio del proprio convento. TIRABOSCHI, tom. VI. l. c. -IV. §32. - -[181] I privilegi concessi ad Aldo furono pubblicati da Armand Baschet. -Venezia 1867. - -[182] Nell’archivio di Siena, _Denunzie_ del 1491, Bernardino di -Michelangelo Cignoni scrive: — Pell’arte mia non si fa niente; -pell’arte mia è finita, per l’amore dei libri, che li fanno in forma -che non si miniano più». - -[183] _Tachygraphia veterum exposita et illustrata ab_ ULRICO FRED. -KNOPP. Manheim 1817, vol. II. Sì poco sperava nella riconoscenza de’ -contemporanei, che vi antepose questa scoraggiata dedica_: Posteris -hoc opusculum, æqualium meorum studiis forte alienum, do, dico atque -dedico._ - -[184] Tripudiamo anche noi col bibliotecario Maj, allorchè, di sotto -ai versi di Sedulio, gli apparve Cicerone: _O Deus immortalis! repente -clamorem sustuli. Quid demum video? En Ciceronem, en lumen romanæ -facundiæ, indignissimis tenebris circumscriptum! Agnosco deperditas -Tullii orationes; sentio ejus eloquentiam ex his latebris divina quadam -vi fluere, abundantem sonantibus verbis, uberibusque sententiis._ - -[185] Vedi SACCHETTI, _Nov_. 178; e le canzoni di esso pubblicate nel -_Giornale arcadico_, febbrajo 1819. Della mania d’imitar le foggie -e i parlari stranieri move lamenti anche il Petrarca. Vedi MURATORI, -_Antiq. M. Æ._, diss. XXV. - -[186] _Storia fiorentina_, IX. - -[187] Historia di Conforto Pulice. _Rer. It. Script_., tom. XIII. - -[188] Il gallo era lo stemma di Murano. - -[189] _Cronaca veneziana_, § 266. A Venezia era un magistrato -suntuario, i provveditori sopra le pompe. - -[190] _Delizie degli eruditi_, XI. 162. - -[191] V. DU CANGE _ad vocem_. Egli cavò questo cerimoniale da un -manoscritto di Cambrai. - -[192] _Paradiso_, canto XIV. 104. - -[193] Lib. II. c. 36. - -[194] Vedi PEZZANA, _Storia di Parma_, vol. III. doc. X. XV. - -[195] Nelle _Antichità estensi_, vol. II, p, 376, può leggersi la -distinta del ricchissimo corredo che Giulia della Rovere figlia del -duca d’Urbino portò con ventimila scadi d’oro di dote sposando Alfonso -II d’Este nel 1549. - -[196] Del 1192, nel _Codice Eceliniano_ del Verci. - -[197] _Conto de’ tesorieri generali di Savoja_. - -[198] _Dummodo prædicta Lucia marito suo per carnalem copulam se non -commisceat, sine speciali licentia in scriptis; nec cum alio viro rem -habeat, nobis exceptis, si forte cum ea coire libuerit aliquando_. -Manoscritto dell’archivio Trivulzio. - -[199] GHIRARDACCI, _St. di Bologna_ al 1313. - -[200] DI COSTANZO, _St. di Napoli_, lib. IX. - -[201] Anche quando Carlo V volle nel 1536 salire all’apertura della -cupola del Panteon a Roma, un tal Crescenzi, che ve l’accompagnò, disse -a suo padre essergli venuto il pensiero di buttarlo giù, per vendetta -del sacco di Roma. E il padre: — Figliuol mio, queste cose si fanno -e non si dicono». _Relazione del sacco di Roma_, manoscritto nella -Vaticana. - -[202] BLANQUI, _Hist. de l’économie politique_, introd. — Vedi -l’_Appendice_ IX. - -[203] LANDINO, _Apologia de’ Fiorentini_; VARCHI, _Storia_, lib. IX. -Secondo il Dati, _Cronaca_, p. 128, i Fiorentini nella guerra - - col papa dal 1395 al 68 spesero fiorini d’oro 2,500,000 - nella seconda contro il conte - di Virtù dal 1375 al 98 » 1,800,000 - nella terza dal 1401 al 4 » 2,500,000 - nella guerra di Pisa del 1405 » 1,500,000 - -laonde in dieci anni di guerra avrebbero speso centrentotto milioni de’ -nostri. - -[204] _Elogio storico_, nella _Serie di uomini illustri toscani_. - -[205] Presso MANNI, _Illustrazione del Decamerone_, pag. 431. - -[206] _Archivio storico_, IV. - -[207] Vedi i _Ricordi storici_ di F. RINUCCINI. Firenze 1841. — Perchè -queste cifre avessero significato positivo, bisognerebbe paragonarle -con quelle d’altri paesi: ora nulla è più incerto nelle storie che -le cifre, nè più difficile che il depurarle. In un’altra opera noi -offrimmo de’ paragoni; qui diremo come un atto del parlamento inglese -del 1496 regolasse il salario del contadino in scellini sedici, soldi -otto all’anno, oltre quattro pel vestito. In quell’anno a lady Anna, -sorella del re Edoardo IV, sposata al figlio del conte di Surrey, fu -assegnato per suo «mantenimento, decoro e tavola conveniente; e per un -gentiluomo, una dama, una donzella, una gentildonna, una guardia, tre -mozzi, ottanta lire sterline l’anno, e ventisei pel mantenimento di -sei cavalli»; sicchè a una famiglia così ben montata bastavano circa -duemilaseicento franchi d’oggi. - -Secondo Fortescue, a metà del 1400 i Francesi «non bevono che acqua; -mangiano pomi e pane di riso, non carne, o al più un po’ di lardo o le -interiora e la testa degli animali macellati pei nobili e pei mercanti; -non vestono lana, o al più una ruvida giubba, e così i calzoni che -arrivano appena alle ginocchia, lasciando nude le gambe. Donne e -fanciulli vanno scalzi». Vedi F. M. EDEN, _Storia dei poveri_, vol. I. -p. 70 e seg. - -[208] GIOVANNI VILLANI, cap. X. p. 164. - -[209] _Cronaca_ del GRAZIANI al 1448. - -[210] _Antonii Astesani carmen_, cap. VIII. IX. - -[211] _Archivio storico_, XIII. 316. - -[212] _Archivio storico_, XIII. 53, Appendice IX. 234. - -[213] _Cronaca_ del GRAZIANI. - -[214] _Circulus Pisanus_, 25. - -[215] La sentenza motivata, del 1327, porta ch’egli confessò che -un uomo poteva nascere sotto una costellazione che necessariamente -lo costringeva a peccare, ed altre eresie che toglievano a Dio la -potenza e all’uomo il libero arbitrio. «E ciò reiterando ed affermando -e credendo, disse di più che Firenze era fondata sotto il regno -dell’ariete, e Lucca sotto quello del granchio; e che per ciò, se i -Fiorentini andassero contro, sarebbe avverata la sua profezia ecc.». - -[216] - - _Quis tecum consulet astra_ - _Fatorum secreta movens, aut ante notabit_ - _Successus belli dubios, mundique tumultus,_ - _Fortunasque ducum varias?_ - -[217] _Storie fiorentine_, X. 83. - -[218] Vedi le sue prediche, edite dal Manni, pag. 99-105, e -specialmente quella del 7 gennajo 1303. Sta nella biblioteca Estense un -breviario manoscritto del 1480, d’elegantissima lettera e miniatura, -cui precede un calendario dove sono notati i giorni infausti -(_ægyptiaci_) e le ore, con versi a ciascun mese. Per esempio, al -gennajo: - - _Prima dies Jani timor est, et septima vanis,_ - _Nona parit bellum, sed quinta dat hora flagellum._ - -[219] _Ex conjunctione saturni et jovis in principio arietis, quod -quidem circa finem novemcentum et sexaginta contingit annorum,... -totus mundus inferior commutatur, ita quod non solum regna, sed et -leges et prophetæ consurgunt in mundo... sicut apparuit in adventu -Nabuchodonosor, Moysis, Alexandri Magni, Nazarei, Machometi_. -Conciliator controv., fasc. XV. - -[220] Nell’_Istoria miscella di Bologna_. Rer. It. Script., XVIII, al -1422. - -[221] FACIO, lib. IX; PANORMITA, lib. IV. - -[222] TARGIONI TOZZETTI, _Relazione di viaggi_, XI. 266. - -[223] VESPASIANO, _Vita di Pietro Pazzi_. - -[224] TRISTANI CALCHI, _Nuptiæ Mediol. Ducum_, VI. - -[225] _Diario dell_’INFESSURA. _Rer. It. Script_., part. II. p. 1143. - -[226] - - _Heu nequam gens judaica,_ - _Quam dira præsens vesania._ - _Plebs execranda!_ - -[227] Per esempio, un _Giudizio di Vulcano, Clitennestra_, ecc. Vedi -principalmente MAGNIN, _Origini del teatro_, 1839. - -[228] _Antiq. M. Æ._, diss. XXIX. - -[229] NOSTRADAMUS, _Vite de’ poeti provenzali_; CRESCIMBENI, _Storia -della vulgare poesia_, tom. II. part. I. p. 44. - -[230] Quali il don Pasquale e il Cassandrino de’ Romani, la Bonissima -e il Sandrone di Modena, la Mariola di Ravenna, lo Stenterello e le -Pasquelle de’ Fiorentini, i Travaglini de’ Siciliani, i Giovannelli -de’ Messinesi, il Gianguigiolo de’ Calabresi, il Beltrame de’ Milanesi, -cambiato poi nel Meneghino, il Girolamo e il Gianduja dei Piemontesi, -ecc. - -[231] Dai _Diarj_ mss. di Marin Sanuto, vol. XXXII, fol. 341, si vede -il lotto usato a Venezia, e disapprovato. Sotto il 22 febbrajo 1522 -egli scrive: — La mattina non fu nulla da conto nè lettera alcuna, -solum si attende a serar un altro lotto di ducati seimila, posti per -Zuane Manenti sanser con ducati dieci per uno, e a lui tre per cento di -utile. Li mazor precj sono ducati cinquecento l’uno, et sono precj... -et fo serato; posto uno di cinquemila, et do di quattromila l’uno: et -domenica poi disnar si caverà nel monastero di san Zuan e Polo... Et -nota, il predicator di san Zuan e Polo, ozi a la predica, qual è di -grandissimo onor e nome, fece assai parole su questi lotti, parlando -non è lecito, et si dovria proveder che non vadi drio. Ed io Marin -Sanuto _palam locutus sum omnibus_, che se fossi in loco che potesse, -provederia a questi lotti, e fin al serenissimo principe mandai dir -ecc. ecc.». - -Tonti, banchiere italiano stabilitosi in Francia il 1650, immaginò -una lotteria, alimentata dal ricavo del pedaggio che pagavasi sul -ponte reale di Parigi, costruito da azionisti, e il cui ricavo -distribuivasi fra i sopravviventi di essi, fino alla morte dell’ultimo. -Erano cinquantamila viglietti da quarantotto lire ciascuno, e da ciò -cominciarono quelle assicurazioni fortuite sulla vita, che si dissero -_tontine_. Con combinazioni del modo stesso si fabbricarono San Luigi, -San Rocco, San Nicola, la cupola del Panteon ed altre chiese. - -[232] San Pier Damiani, lib. I. ep. 10, rimprovera agli ecclesiastici -la caccia, la furia di fare a dadi e a scacchi, che mutano un sacerdote -in mimo. Il Cortusio (_Rer. It. Script_., XII. 73) dice che il nobil -uomo signor Rizardo di Camino, _alla foggia de’ nobili_, giocava -per sollazzo agli scacchi. Galvano Fiamma scrive che i nobili si -tratteneano giocando a dadi e scacchi. Nello _Statuto dell’arte di -Calimala_, al lib. II. § 6: — Niuno tintore, affettatore o riveditore -lasci giucare di dì nè di notte ad alcuno giuoco di dado o d’altro, -dove alcuna cosa si possa perdere, in sua bottega; salvo che di dì -si possa giucare a tavole o a scacchi palesemente; o a pena di lire -dieci per ogni volta». Anche lo statuto di Pisa del 1284 proibisce ogni -giuoco, eccetto che in pubblico le tavole, gli scacchi e il trucciare -(_ad pistellandum ova_) in quaresima. Pascasio Giudico, medico -viaggiatore del XVI secolo, passando da Pavia vi scrisse un trattato -_De’ giuochi di rischio e della malattia di giocar danaro_; opera ove -tentava guarir se stesso, ma invano. Riferisce molti aneddoti, fra cui -d’un Veneziano che giocò la propria moglie; d’un altro che, giocato -tutta la sua vita, volle continuare anche dopo morto, ordinando che -della sua pelle si rivestisse un tavolino da giuoco, e delle sue ossa -si facessero dadi. - -[233] _Fabulas scriptas in libris, qui Romanzi vocantur, vitare -debeant, quos semper odio habui_. Rer. It. Script., XI. - -[234] Lib. VIII. ep. 2, 3, 5 ecc. - -[235] Leonardo Bruno scrive che Nicolò Niccoli _nunquam verba duo -latina, ob inscitiam linguæ stuporemque cordis ac enervatam adulteriis -mentem, conjungere potuit_. La prima e più solita ingiuria che usavano -tra loro, era il chiamarsi bastardi e figli di preti. - -[236] Vedasi DU CANGE alle voci _Avaria, Anchoragium, Carratura, -Exclusaticum, Foraticum, Gabella, Teranium, Hansa, Haulla, -Mensuraticum, Modiaticum, Nautaticum, Passagium, Pedagium, Plateaticum, -Palifictura, Ponderagium, Pontaticum, Portaticum, Portulaticum, -Pulveraticum, Ripaticum, Rotaticum, Teloneum, Transitura, Viaticum_. — -MURATORI, _Antiq. M.Æ.,_ tom. II. col. 4. e seg. e 866. — WERDENHAGEN, -_De rebus publicis Hanseaticis_, part. III. c. 20. — MARQUARD, _De -jure mercatorum_, lib. II. c. 6. — FISCHER, _Geschichte des deutschen -Handels_, tom. I. p. 526 e seg. — PEGOLOTTI ap. Pagnini, _Della -decima_, tom. III. p. 301. - -[237] Nel 1233 i frati Minori di Spagna aveano scomunicato i mercanti -genovesi perchè portavano merci agli infedeli. Gregorio IX ne li -rimprovera, _cum non sit precipitanda excommunicationis sententia, sed -preambula discretione ferenda_; e vuole non s’abbiano a considerare -scomunicati se non quelli che portano ai Saracini ferro, legnami ed -altre munizioni contro i Cristiani; solo in tempo di guerra s’ha a -negar ad essi ogni cosa. _Liber jurium_, I. 930. - -[238] _Storia fiorentina_, lib. III. c. 80. - -[239] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, pag. 82. — Fin ai -tempi di Giovanni da Uzzano, cioè del 1440, un corriere di commercio -impiegava - - da Genova ad Avignone 7 in 8 giornate - » a Parigi 18 in 22 » - da Firenze a Milano 10 in 12 » - » a Roma 5 in 6 » - » a Napoli 11 in 12 » - » a Parigi 20 in 23 » - » a Genova 5 in 6 » - » a Londra 25 in 30 » - -[240] L’albinaggio durò fin a jeri, e in qualche paese non è tolto -interamente. Al 2 agosto 1817 l’abolirono fra loro la Toscana e Parma; -al 5 gennajo 1818 e 12 gennajo 1836 essa Toscana colla Sardegna; al 3 -maggio 1816 colle Due Sicilie, colla Svezia e Norvegia; poi nel luglio -1821 con Lucca, nell’aprile 1829 colla Prussia, nell’aprile 1848 col -Belgio; ecc.; al 10 luglio e 5 agosto 1854 la Sardegna col granducato -di Baden. - -[241] _Nova consuetudo de statutis et consuetudinibus contra Ecclesiæ -libertatem editis, tollendis._ - -Le costituzioni di Sicilia del 1231 comminavano pene contro chi -togliesse le robe dei naufraghi, e condannavano a restituire: pure -Carlo d’Angiò confiscò le navi de’ Crociati naufragate nel 1270. -Corradino suo competitore, in un trattato del 1268 con Siena, -rinunziava al diritto di naufragio. Uno statuto a Venezia del 1232 -proibiva di porre le mani sui naufraghi di qualunque nazione fossero, -e puniva chi non restituisse entro tre giorni: ciò non pertanto questa -medesima repubblica fece un trattato con san Luigi nel 1268 per abolire -il diritto di naufragio nei due Stati; e nel 1454 i magistrati di -Barcellona erano ancora costretti a negoziare con quei di Venezia per -ottenere lo stesso favore. - -D’ugual passo andavano le cose in Oriente: la stessa inutile protezione -delle leggi, la stessa usanza degli abitanti delle rive, la stessa -necessità di esenzioni imperiali. Il capo 46 dell’Assisa dei cittadini -del regno di Gerusalemme, attribuita al re Amalrico II montato in trono -nel 1197, non apportò che incompiuto rimedio all’abuso, circoscrivendo -la confisca ad una parte della nave naufragata. Se i Musulmani -lo praticavano contro i Cristiani, e questi contro loro, era una -conseguenza delle reciproche ostilità. Trattati del 1265, 82, 83, 85, -90... contengono scambievoli rinunzie. - -[242] Rodoano Papanticola di Genova riceve da Otton Bono fiorini -quindici, pei quali dà in ipoteca una casa in Garignano: _Locum de -Galignano pignori; intrare, estimare facias, et nomine vendicionis -possidere sine decreto et cetera; et si ibi defuerit, in aliis bonis -meis adimpleatur._ 16 giugno 1158, cartulario del notajo Giovanni -Scriba, dov’è accennato un altro modo sommario, qual è l’andare in -possesso senza formole giuridiche e sentenza: che trovasi pure altre -volte. Ciò è più chiaro in un atto del 1º agosto anno stesso, ove -Baldo Pulpo e sua moglie danno a Guglielmo Vento _locum Vulturis_ -(Voltri) _pignori; et si ibi defuerit, alia bona nostra; et nisi sic -observaverimus, tua auctoritate et sine decreto consulum et nostra -contradictione in eis pro duplo intrare posse..._; e la moglie rinunzia -al senato-consulto Vellejano, al diritto d’ipoteca, alla legge Giulia -dei poderi inestimati. Altrettanto si stipula il 7 novembre 1158. Vedi -esso cartulario nei _Monum. Hist. patriæ_. - -[243] Buonaccorso Pitti fiorentino, dovendo avere mille fiorini dal -conte di Savoja nel 1409, fece arrestare in Firenze Giovanni Marchiandi -figlio del cancelliere di Savoja, nè lo rilasciò se non dopo ch’ebbe -dato mallevadori. Nel 1393 Amedeo VIII di Savoja pagava milleottocento -fiorini di un debito, pel quale si erano offerti di star prigionieri i -tre più grandi baroni di Savoja; nel 1409 pagava un’indennità a Pietro -Colombet, ch’era stato prigione per lui. Ap. CIBRARIO, pag. 403. Perciò -gli uomini di Racconigi stipulavano con Manfredo marchese di Saluzzo -al 12 dicembre 1198: _Si ipse marchio aliquem hominem Racunisii in -fidejussione ponere voluerit, et ipse intrare noluerit, non inde eum -causare debeat_. Monum. Hist. patriæ. _Chart_. II. - -[244] _Et si civitas, communitas, castrum vel villa, post dictam -requisitionem non fecerint satisfieri... dummodo de valore rerum -habitatorum faciat plenam fidem, vel saltem per unum testem de visu et -scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices debeant -dare et concedere eis represaliam et licentiam et potestatem liberam -capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum illius terræ. Et -teneatur senator ad petitionem illius qui privilegium represaliarum -habere meruit, facere stagiri et sequestrari personas et bona illorum -qui sunt de terris et locis._ Senatus populique romani statuta, lib. I. -c. 143. - -[245] CALVI, _Efemer_., tom. II. p. 613. - -[246] _Monum. Hist. patriæ_, Leges municipales, pag. 206. - -[247] _Una cum hospitibus, qui per colles Alpium siti sunt pro -peregrinorum susceptione_. Ep. 39ª di papa Adriano a Carlo Magno ap. -BOUQUET. - -[248] _Antiq. M. Æ._, dias XXX. — Qui i mercanti sono considerati -come un corpo, e di fatto a Lucca fondavano nel 1262 l’ospedale della -Misericordia. - -[249] _Apud_ CARLI, _Zecche d’Italia_, tom. II, p. 173. — Nel -1308, i Fiorentini al Comune di Lucca scriveano: _Quia desideramus -quod comune nostrum desiderium, quod inest nobis et vobis, felicem -sortiatur effectum, tractatum est sæpe sæpius de concordia cum nostris -mercatoribus per vos faciendo, circa spectantia ad passagia et gabellas -etc_. Archivio storico, tom. VI, p. 16. Di là (p. 20) appare che in -quell’anno gli Ugolotti e i Nerli fiorentini aveano fatto una società a -Ala di Svevia per batter la moneta di quel paese. - -L’anno stesso, venendo da Venezia a Reggio cinque balle di panni -dorati, e una di perle, anelli, panni, _libri_ ed altre preziosità, -spettanti a mercanti fiorentini, furono prese da Ilo di Cannela e -Nicolò da Luni e complici. Laonde il Comune di Firenze interessava il -Comune di Reggio a procurarne la restituzione, riflettendo quanto onore -e vantaggio traesse dal passaggio delle merci fiorentine (p. 24) Altre -querele simili sono a leggervi. - -[250] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. - -[251] Ivi, 1501. - -[252] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. 1378. Vi sono pure le promesse -che altri feudatarj fanno al marchese, di tener essa strada in buon -essere. - -I Tortonesi e Genovesi nel 1233 stipulano di conservar la strada da -Gavi a Serravalle, _ita quod non rumpetur, nec in ea offendetur per -homines jurisdictionis Terdone... et si contrafieret, comune Terdone -faciet damnum emendari, vel illud emendabit, et hoc donec contraria -voluntas comunis Terdone appareret per denuntiationem factam comuni -Janue per dies xv antea. Quod si strata rumpetur infra dicta loca Gavii -et Serravallis per extraneos homines, qui non essent in jurisdictione -Terdone, nec de habitantibus vel reductum habentibus in terra Janue, -comune Terdone damnum illud pro dimidia emendabit. Et comune Terdone -salvabit et assecurabit dictam stractam a Serravalle usque Terdonam, et -a Terdona usque in districtum Papiæ etc_. Liber juris, tom. I. 955. - -Manfredo, marchese di Saluzzo, aveva preso le merci dei mercanti di -Alba, col pretesto di salvarla dalle insidie degli Astigiani: onde -quelli il supplicarono a restituirle, ed esauditi pagarono trecento -lire e trecento soldi d’Asti, promettendo far che l’arcivescovo -ritirasse la scomunica lanciata per questo eccesso, e ajutarlo nelle -guerre contro gli Astigiani. 1181. - -[253] SCIPIONE AMMIRATO, _St. fiorentina._ I. - -[254] Valuto il tarì a franchi 2.20; la salma, a ettolitri 2.76. -Vedasi il _Regestum Friderici_ nell’archivio di Napoli, pag. 309-356; -CIBRARIO, _Economia_; BIANCHINI, _Storia delle finanze del regno di -Napoli_. - -[255] L’importanza di questo vegetale è attestata dai regolamenti -di tutti i paesi mercantili. Lo _Statuto di Lucca_, rub. CXXI (ap. -TOMMASI, _Sommario_), proibisce di venderne, se non sia stato -riconosciuto dai deputati sopra ciò. In Genova al falsatore di -zafferano la prima volta si taglia la sinistra, la seconda è bruciato -vivo con esso zafferano. - -[256] Il riso proviene dall’India e dalla Cina, ma è incertissimo il -quando fu introdotto in Italia. Da un documento del _Codice diplomatico -arabo-siculo_ di monsignor Airoldi, tom. II. part. II. p. 94, risulta -che nell’880 in Sicilia si fece tal raccolto di riso, che bisognò -stabilire un magazzino apposito. Il trattato di agricoltura di Pier -Crescenzi non ne fa cenno; bensì ve lo introdusse il traduttore, che -però fu di poco posteriore, cioè del 1300 cominciante. Le tariffe di -Giovanni e Luchino Visconti mettono ancora il riso fra le spezierie; e -lo importavano dall’Egitto e dalla Spagna i Veneziani nel secolo XV. -Nel reame di Napoli pare introdotto dagli Aragonesi; e singolarmente -abbiamo notizia che i duchi d’Atri ne fecero coltivare nel piano tra -gli sbocchi del Tronto e del Pescara. Vogliono che Lodovico II di -Saluzzo recasse da Napoli il riso nel Saluzzese, dove molto produceva -nel 1525. Nel Novarese vuolsi introdotto nel 1521 dai soldati di Carlo -V. Nel Vercellese accennano la sua coltivazione al 1552: quando anche -nel basso Veronese Teodoro Trivulzio l’introdusse nelle terre di Zevio -e Palu. Nella seconda metà del xvi secolo Lobelio vedeva vegetare il -riso nella campagna milanese mediante le acque del lago Maggiore; ma -già prima il Mattioli lo diceva «famigliarissimo nelle mense di tutta -Italia». Vedi CAPSONI, _Della influenza delle risaje sulla salute -umana,_ Milano 1851. - -[257] Pazientissimi computi fece il Pagnini, poi dietro ad esso il -Cibrario nell’opera citata; pure vacilla anch’esso, nè sempre si -appone, massime ne’ ragguagli; basti vedere la pag. 528. E tutti gli -economisti versano in somma incertezza sul valore delle merci, perchè -non si conosce bene la moneta di conto su cui valutavano i prezzi. - -Nel _Liber jurium_ di Genova, vol. I. p. 1170, è un inventario -delle rendite di Andora, venduta dai marchesi di Clavesana al -comune di Genova nel 1252; e vi sono specificati i frutti che i -differenti villani devono in natura; i servizj di corpo, col valore -approssimativo. Meriterebbe un commento, donde sarebbe illustrata -la condizione de’ campagnuoli, al tempo stesso che il valore delle -derrate. - -[258] Cioè Santhià. _Monum. Hist. patriæ_. Chart. I. 341. - -Amedeo V di Savoja, cadente il secolo xiii, affidava a cavatori -fiorentini o lucchesi la ricerca de’ minerali del suo Stato; ed oro -traevasi, nel 1279, da Champorcher in val d’Aosta; nel secolo seguente -lavavansi le sabbie aurifere dell’Orco e dell’Amalone; argento si -cavava a Groscavallo e ad Ala in val di Lanzo; argento e rame a -Usseglio e Lemie. Nel 1496 Giovanni Swerstab di Norimberga pagava al -duca Filippo III trecento fiorini d’oro l’anno per usar le miniere di -val di Lanzo, e quelle di Montjouet in val d’Aosta, e di Macot e Aime -in Tarantasia per un quinto dell’oro, un decimo degli altri metalli. -Nel 1508 Carlo III consentiva ai signori d’Aviso le miniere di Beaufort -e Montjoye nel Fossignì per un quinto dell’oro e dell’azzurro, cioè -il cobalto; un decimo dell’argento, un quindicesimo dell’acciajo e -dello stagno, un ventesimo del piombo, ferro, rame. Nel 1530 deputava -gran mastro delle miniere il tedesco Lodovico Jung, perchè le facesse -lavorare a conto dello Stato. Dappoi si trovarono altre miniere a -Vinadio, Pesey, Alagna, Olomont, Usseglio e altrove, ma il ricavo ne fu -sempre scarso. CIBRARIO, _Monumenti di Savoja_, pag. 283. - -[259] La più antica menzione delle Arti fiorentine è in un trattato del -1204 tra i Fiorentini e quelli della Capraja. _Hæc sunt sacramenta, quæ -potestas et consules communis, consules militum, priores artium etc. -fecerunt_. Ap. TARGIONI, tom. I. p. 66. _Viaggi_. - -[260] _Statuto dell’arte di Calimala_. Merita d’esser visto pei molti -savj regolamenti, frapposti ad altri superflui, e attestanti una -civiltà molto sviluppata. Vi sono sempre determinate le elemosine da -dare alle famiglie e alle vedove degli associati. - -[261] Nel 1280 il conte Bertoldo, per indur pace fra’ Lambertazzi e -Geremei, convocava i signori e il popolo, tra il quale i consoli delle -compagnie del Leone, de’ Beccaj, de’ Lombardi, de’ Toscani, delle -Stelle, della Branca, del Griffone, dell’Aquila, delle Spade, delle -Sbarre, de’ Leopardi, delle Schife, delle Traverse, delle Ballerie, de’ -Castelli, de’ Quartieri, delle Chiavi, dei Balzani, della Branchetta, -de’ Vari, degli Stracciajuoli, comminando a ciascuna compagnia duemila -marche se non comparissero. Quest’erano compagnie d’armi. Di arti erano -quelle dei Cordovanieri, delle Stelle, de’ Cambiatori, de’ Mercanti, -de’ Notari, de’ Caligari, de’ Calzolaj, de’ Pescatori, de’ Pellicciaj, -vecchi e nuovi, de’ Linaruoli, de’ Conciatori e Cuojaj, de’ Drappieri, -de’ Falegnami, de’ Muratori, de’ Fabbri, de’ Sarti, dei Bacilieri. - -Le arti in Genova verso il 1250 erano albergatori e osti, arcadori, -balestraj, bambagiaj, barbieri, barilaj, sellaj, calzajuoli, -calzolaj, cappellieri, cambiatori, correggiaj, coltellinaj, drappieri, -funajuoli e fabbricatori di vele, fornaj, giojellieri, minutieri, -orefici, macellaj, maestri di ascia, calafati, muratori, legnajuoli, -conciapelli, pescatori, remolaj, sartori, canovaj, incettatori di -grasce, scudaj, spadaj, speziali, tavernaj, tintori, tornitorj, -facitori di travi e puntelli, ciotolaj; in tutto trentatre maestranze, -e non v’appare distinzione di maggiori e minori. V. SERRA, Annot. al -lib. IV; ma discordiamo da lui sul senso di _callegarii_ e _zotolarii_. - -Delle arti di Firenze si vedono gli stemmi scolpiti sul Magistrato -della Mercatanzia, ora uffizio del Bollo; e sono per l’arte di Calimala -aquila d’oro su balla bianca in campo rosso; pei cambiatori, fiori -d’oro in campo vermiglio: pe’ giudici o notaj, stella d’oro in azzurro; -pe’ medici e speziali, la Madonna col bambino in fondo rosso; pe’ -lanajuoli, agnello bianco con bandiera vermiglia; setajuoli, porta -rossa in campo bianco; per i pellicciaj e vajaj, vaj bianchi e celesti, -e agnello con bandiera e croce. Delle arti minori portarono, i beccaj, -montone nero in campo bianco; i calzolaj, tre traverse nere in campo -bianco; cuojaj, scudo metà bianco e vermiglio; muratori e scarpellini, -scure in campo rosso; oliandoli, leone rosso rampante con olivo; -linajuoli, bandiera a metà bianca e nera; magnani, due chiavi legate -in campo rosso; spadaj e corazzaj, corazza e stocco in fondo bianco; -coreggiaj, un legno dimezzato per traverso; legnajuoli, palma verde con -cassetta rossa al tronco; albergatori, stella rossa in bianco. - -Mantova nel 1208 aveva le corporazioni de’ giudici, notaj, fabbricatori -di pannilani, calzolaj e conciatori, beccaj, ferraj, _rioberj_, -pellicciaj, speziali, tessitori di lana, sartori, pescatori, merciaj, -barbieri, venditori di panni a ritaglio, tintori di lana, fabbricatori -di pignolati, tintori e cimatori di pignolati, _corregatores_, -linajuoli; e caduna aveva quattro capi e altrettanti consiglieri; tutti -i membri erano notati; restava escluso chi non avesse dieci anni, e -i garzoni; ogni socio doveva una tassa annuale, col che e con altri -proventi formavasi una cassa per soccorrere gl’infermi e per altre -beneficenze; ciascun corpo decideva sulle cose risguardanti il proprio -traffico, sino a certe somme. _Statuti_, lib. IV, rub. 1. - -[262] Non qui solo i monaci adopravano il loro ozio alle manifatture, -ma stavano in mano loro, a tacere altrove, quasi tutte quelle -d’Inghilterra e di Scozia. Balducci Pegolotti ricorda tutte le magioni -de’ Premontresi, dell’ordine di Promuxione ecc., che faceano traffico. - -[263] G. VILLANI, _Storie_, XI, 93; _Della mercatura de’ Fiorentini_, -II. 102. I prezzi del Villani sono da ragguagliare oggi al quintuplo. - -[264] Pag. 295. Nella _Tariffa milanese_ del 1216 son notati come capi -d’importanza i panni comaschi; e il loro transito è pure indicato in -una di Modena del 1306. - -[265] TARGIONI TOZZETTI. _Viaggi_. Nello statuto di Pescia 1340 è -ordinato di piantar mori gelsi e otto pedali di fico ogni coltra di -terra. Un bando del 3 aprile 1435 ordina in ciascun podere per lo meno -cinque pedali di mori gelsi _bianchi_; e sotto l’effigie del pesciatino -Francesco Buonvicini nel palazzo del Comune in quell’anno gli è dato -lode d’aver portato - - alla sua patria questa pianta, - Dalla qual nacque poi ricchezza tanta - Che in ogni luogo si noma il Delfino. - -Negli statuti dell’arte di Por Santa Maria a Firenze è registrato -che «nel 1423 per l’arte si cominciò a fare i filugelli in Firenze, -e furono eletti sei cittadini a farci fare l’esercizio dei filugelli -bigatti, e trarne la seta». Vincenzo Chiarugi nel _Saggio delle -malattie cutanee sordide_, 1798, all’art. _Lebbra_, pag. 174, dice -che fin dal 1186 in Toscana era istituito uno spedale per la cura de’ -lebbrosi lavoranti di lana e seta. - -[266] MORBIO, _Codice Visconteo Sforzesco._ - -[267] _Antiq. M. Æ._, II. 332. - -[268] GIANNONE, _Storia civile_, XXVII. 3. - -[269] _Documenti al_ TOMMASI, _Sommario della storia di Lucca_, pag. 63. - -[270] MANNI, _De Florentinis inventis commentarius_; e PAGNINI, tom. -II. p. 100. I tintori da antico ebbero uno spedale proprio, fondato -con spontanee elargizioni. Le tintorie fiorentine conservano ancora -l’antico credito, co’ perfezionamenti che vi recò il raffinarsi de’ -preparati minerali. Il gallato di ferro dà il famoso nero; l’azzurro di -Raymond, introdotto da questo nel 1811, fu perfezionato dal professore -Andrea Cozzi, avvivando la seta tinta dell’azzurro di Prussia con un -bagno di campeggio sostenuto da idroclorato di deutossido di stagno. -L’arsenico solforato e il cromato di piombo furono applicati dal -dottore Calamandrei alla tintura; oltre che vi si adoprarono vegetali -comuni, come le bacche di ginepro ancora acerbe per far giallastra la -lana, la pula di castagne pel color ceciato delle tele cotone, ecc. - -[271] Dal 1812 al 25 fu il maggior fiore di questa manifattura, che -introduceva fin dodici in quattordici milioni all’anno; e v’ebbe -qualche cappello che fu pagato sin mille lire. - -[272] ANDERSON, _Hist. commerc_., pag. 371. - -[273] MANNI, _Veglie piacevoli in Dino di Tura_. In Francia i falliti -portavano berretto verde, messo loro dal boja dopo espostili alla -gogna. Gli statuti di Casale Sant’Evasio pongono: _Quicumque captus et -detentus, volens cedere bonis suis, admittatur ad bonorum cessionem... -probet coram judice Casalis se stetisse in carcere comunis per dies -sexaginta die noctuque, et ista probacione facta, voce preconis -premissa, per servitores comunis in publica concione publice et alta -voce super lapidem comunis cridet et protestetur, quod ipse talis -captus cedit bonis, et omnia bona sua et presentia et futura, exceptis -vestibus de dosso ipsius cedentis, libere dimittit, et relaxat -creditoribus suis liberam licentiam accipiendi et auferendi ejus bona -quocumque et ubicumque ea invenerint, eorum propria auctoritate, usque -ad solutionem integram ejus quod habere debent... Et ille qui amodo -cedet bonis, non possit habere aliquem honorem vel aliquod officium, -qui vel quod descendat a comune Casalis. — Monum. Hist. patriæ,_ Leges -987. - -Nello statuto antico di Civitavecchia, tradotto nel 1451 e stampato nel -1853. il c. XXXVI del lib. I. porta: _Come se renunzia a li beni suoi -dando le natiche al pietrone_. - -«Statuimo che qualunque renunzierà o vorrà renunziare li suoi beni, -questi non usi quello beneficio nè lo possa usare salvo non renunziasse -con le solennità et modo infrascritto. Cioè, tale volente renunziare -a li beni deve uscire de la sala del palazzo del Comune et ire sino -a la piaza del peso, e debanli andare nante li tubatori sonando colle -trombe, intanto che, con nude le natiche, dica tre fiate _Cedo bonis_, -che vuol dire renunzio et do luogo a li miei beni, percotendo le decte -natiche così nude fortemente ne la pietra. Et poi questo deve stare un -mese fora de Civitavecchia et suo distretto. Et questo non abbia luogo -nelle femine, le quali possano renuntiare a li beni secundo la ragione -comune, senza le predecte solennità». - -[274] _Liber jurium_, vol. I. p. 1180. - -[275] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. - -[276] Lo statuto di Pisa del 1161, rubr. V. _De modo cognoscendi et -judicandi_, già stabilisce la procedura mercantile sommaria: _Statuimus -ut quæstio de marinaratici, et nauli, et mercibus amissis seu -deterioratis in navi vel ligno, a consulibus maris summatim et extra -ordinem dirimatur._ - -[277] Possediamo siffatti statuti di molte città italiane, e -nominatamente di Trani e Amalfi, la cui _Tavola_ fu edita a Napoli nel -1844 dal principe d’Ardore, copiandola dai manoscritti del Foscarini: -_Capitula et ordinationes curiæ maritimæ nobilis civitatis Amalphæ, quæ -in vulgari sermone dicuntur la Tabula de Amalphu, nec non consuetudines -civitatis Amalphæ._ - -Al testo del _Consolato de’ fatti marittimi_ suol precedere una nota, -che indica i paesi dove quello fu accettato; per esempio, Roma nel -1075, Genova nel 1186; ma non ha aspetto d’autenticità. Carlo Targa -e Giuseppe Maria Casaregi, giureconsulti genovesi, illustrarono -il _Consolato_ in modo che i loro commenti divennero regola della -navigazione del Mediterraneo. - -Il _Consolato_ sanciva che, in tempo di guerra, le merci neutre -caricate dal nemico sono libere, e non possono sequestrarsi, mentre -invece la bandiera neutra non protegge merce nemica. Al contrario, -le città del Baltico sosteneano il mare libero, non per generosità e -giustizia, ma perchè soli navigando quel mare, vi trovavano il proprio -conto, senza concedere reciprocanza alle potenze belligeranti. Sono -divergenze che furono dibattute nei libri, nei congressi e colle armi. - -[278] _Excipimus præstantias de mari, quas marinarii inter se facere -consueverunt, et credentias quas socii tractores facere consueverunt: -verbigratia quas faciunt in Sicilia ad moccobellum vocatus, vel alias -similes._ Rubr. XLII. - -[279] Il marco d’oro che oggi vale lire 848, nel 1300 valeva lire -55.10; e quello d’argento lire 2.10: sicchè la proporzione fra i due -metalli era: 22 : 1. - -[280] _De usurariis puniendis_, lib. I. tit. 6. «Questo iniquo e -scandaloso traffico (del prestare) era il più favorito mestiere dei -Lombardi... Di così pestilente costume ho io trattato altrove». Sono -parole del buon Muratori, _Annali_ al 1226. - -[281] _Delizie degli eruditi toscani_, XIX. 97. L’aggiotaggio all’alto -e basso è perfettamente descritto da Marchione di Coppo: «Molti -incantavano del Monte (del debito), e diceano: _Lo Monte vale trenta -per centinajo; io voglio poterti dare da oggi a un anno, ovvero tu dare -a me a trentuno per cento; che vuoi ti doni a far questo?_ e cadeano in -patto, poi stava in sè. Se rinvigliavano, li comprava; se rincaravano, -li vendeva, e ne permutava qua e là il patto, venti volte l’anno. Si -pose su gabella fiorini due per cento a ogni permutatore». _Rubr_. 727. - -[282] Quella bolla, riferita dal Pezzana, _St. di Parma_, vol. III. -dec. VII. 9, merita esser vista nella sua integrità pel patronato ivi -estesissimamente professato. - -Quando Napoleone nel 1807 raccolse l’assemblea israelitica a Parigi, -fu proposta e votata a grandi applausi questa deliberazione: — I -deputati israeliti dell’impero francese e del regno d’Italia, penetrati -di riconoscenza pe’ continui benefizj resi dal clero cristiano agli -Israeliti ne’ passati secoli, e per l’accoglienza che i pontefici -e molti altri ecclesiastici hanno usata agli Israeliti quando la -barbarie, i pregiudizj e l’ignoranza li perseguitavano ed espellevano -dalla società, stabiliscono che l’espressione di questi sentimenti sarà -consegnata nel processo verbale affinchè rimanga eterna testimonianza -autentica della gratitudine degli Israeliti di quest’assemblea -pei benefizj che le generazioni precedenti hanno ricevuto dagli -ecclesiastici». - -Nel 1436 il duca di Milano permetteva a una famiglia d’Ebrei di Mantova -di stabilirsi in Como per dieci anni, co’ suoi fattori, socj ecc. -L’uffizio di provvisione, cioè la municipalità di Como vi si oppose; -ma il duca sostenne la concessione, dando la facoltà di tener banco, -prestare a sei denari per lira al mese, aver esenzione da tutti i -carichi reali e personali, coll’obbligo di pagare fiorini venticinque -ogni anno al Comune. I Comaschi non potendo impedire, stanziarono però -che gli Ebrei portassero un distintivo. - -[283] G. VILLANI, VII. 53. - -[284] PAGNINI, II. 54. - -[285] _Mémoires des Antiquaires de France; nouvelle série_, XVIII. 467. - -[286] MONTFALCON, _Hist. de Lyon_, pag. 735. - -[287] _Antichità estensi_, II. 48. - -[288] L’esempio di Cicerone, che incarica Attico di pagare in Grecia -una somma, di cui esso gli farà i fondi a Roma, è l’unico di cambio -fra gli antichi: ma trattavasi di un migrato da Roma, che quivi avea -lasciato e beni e congiunti; sicchè era piuttosto un cambio d’amicizia -che bancario. - -[289] Il Targioni (_Viaggi_, vol. II. p. 62) tolse da un copialettere -del 1372 di un mercante di lana fiorentino questo: — Mandovi una -lettera com quele di cambio di fiorini ducencinquanta avete a -ricevere costà... Con questa vi mando una lettera di cambio di fiorini -cencinquanta, avete a ricevere costà da Vieri di cambio per fiorini -cencinquanta, n’avei qua a capo da me; quando gli avete, ponete a -nostra ragione ecc.». - -Emiliani Giudici pubblicò due lettere di negozio del 1290 e 91, della -ditta Consiglio de’ Cerchi e Compagni in Firenze, ove, tra altre -belle cose, si legge: — Avemmo una lettera che ne mandaste per lo -procuratore dell’abbate di Nostra Dama de’ Verucchi; ove ne scriveste -che gli facessimo pagare a la corte del papa f. cento di sterlini -per altrettanti che ne riceveste costà; onde avemgliele fatti ben -pagare, e ancora avemo mandato che gli siano prestate altre f. cento -se n’abbisognasse, sì come ne mandaste a dire; onde le procuragioni -ch’avete, guardate; e noi per altra lettera vi scriveremo quello che -gli prestassimo, e lettere che n’avremo vi manderemo». - -[290] Lodovico Luzi con documenti provò (Orvieto 1868) che in Orvieto -fu eretto un Monte di pietà nel 1463; e Ariodante Fabretti che in -Perugia nel 1462. - -[291] Nel 1483, 29 dicembre, Lodovico Gonzaga scriveva a frate Angelo -Clavasio: — Questo devotissimo populo mantuano, mosso ed inducto de -la predicatione, persuasione et efficacissime ragioni del venerabile -padre frate Bernardino de Feltro, ha divisato lo laudabilissimo Monte -de pietà; e a tanto bene è concorso lo signor marchese principalmente, -e successive cittadini, plebei ed io». D’Arco, Nuovi studj sul Comune -di Mantova. In Russia devono essere stati introdotti dai nostri quei -monti che chiamavano i _Lombardi_, e sono una delle istituzioni più -importanti dell’impero, prestando al sei per cento, mentre l’ordinario -canone è dell’otto, dieci e fin dodici. - -[292] Un diploma di Corrado di Monferrato, dato da Tiro nel 1188, dice: -_Donavi et concessi pisanis viris de societate Umiliorum quia mecum -in Tyri defensionem pro honore nominis unigeniti filii Dei, totiusque -christianitatis fideliter atque constanter permansere, furnum unum_ -etc. - -[293] DU CANGE, _Glossarium_, tom. II. p. 43. _A Fulcone Cacio, -cive placentino, capitaneo universitatis mercatorum lombardorum et -tuscanorum, habente etiam potestatem et speciale mandatum a consulibus -mercatorum romanorum, Januæ, Venetiarum, Placentiæ, Lucæ, Bononiæ, -Pistorii, Astensium, Albæ, Florentiæ, Senarum et Mediolanensium_. - -[294] Se ne trovano stipulate alcune nel repertorio di Giovanni Scriba, -ove anche il nome incontriamo in un documento del 24 aprile 1156: _Ego -Bonusvassallus accepi in_ comendacionem _a te Wilielmo Filardo libras -quinquaginta in panis etc._; e in un altro del 3 maggio seguente. - -[295] UGHELLI, _Italia sacra_, tom. IV. col. 871, che erra -attribuendolo a Boemondo II. - -[296] Chi amasse minutissime particolarità di trattati di commercio, -fondati sempre sulla gelosia e l’esclusiva, cerchi nel _Liber jurium,_ -tom. I. p. 851, quello del 1229 de’ Genovesi coi Marsiglioti; e l’altro -degli stessi del 9 novembre 1251, che riempie sedici colonne dei -_Monumenta Historiæ patriæ_. - -[297] _Impositio officii Gazariæ_, pag. 326; _Capitulare nauticum_, -cap. XXXV. - -[298] POGGIALI, _St. di Piacenza_, tom. VI. 31; TIGRIMI, _Vita -di Castruccio_. Buonaccorso Pitti trafficava in Picardia, quando, -essendovi sbarcati gl’Inglesi nel 1388, «feci compagnia con un Lucchese -e con un Senese, e a nostre spese, con trentasei cavalli e bene armati -andammo nel detto esercito, sotto il segno e condotta del duca di -Borgogna». _Cronaca_, pag. 34. - -[299] MARSIGLI, _Ricerche sul commercio veneto_; FANUCCI, _Storia de’ -tre celebri popoli marittimi dell’Italia_, vol. IV; PAGNINI, _Della -decima della moneta e della mercatura de’ Fiorentini fino al secolo_ -XVI. Lucca 1765; SERRA. _Discorso sopra il commercio, la navigazione e -le arti dei Genovesi_; CARLO PAGANO, _Delle imprese e del dominio de’ -Genovesi nella Grecia._ Genova 1852. - -[300] Sulla destra del ramo settentrionale del Don, a quattro miglia -dal suo sbocco, fra i due villaggi che oggi si dicono Simarka e -Nedvigovka. - -[301] Federico I nel 1162 concedeva un amplissimo privilegio a’ -Genovesi, dove fra altre cose gli abilita a cacciare i Provenzali e i -Francesi che vanno o tornano per mare da negoziare colla Sicilia, la -Calabria, la Puglia e il Veneto; nelle terre dove vanno a mercatare, -abbiano due o più Genovesi che rendano la giustizia fra loro; i loro -mercanti possano valersi de’ pesi e delle misure proprie. _Liber -jurium_. - -[302] E non vino, e così nella Borgogna; mentre a Parigi si spacciava -vino di Napoli. _Pratica della mercatura_, cap. XLII. LIV. - -[303] Il vulgo genovese conserva ancora molte voci arabe: _Ramadan, -camallo, tara, lalla, mandillo, marabotto, roboien, corba_... - -[304] Abbiamo l’inventario d’una nave, che andando all’Ecluse, fu -spinta alla cala di Dunster. Portava due grosse botti di gengiovo -verde, un barile di gengiovo in acqua di limone, una balla di -arquinetta, tredici barili d’uve passe, nove di solfo, censettantadue -balle di guado, ventidue di carta da scrivere, una cassa di zuccaro -candito, sei balle di scatole vuote, un barile di prugne secche, -trentotto balle di riso, cinque botti di cannella, un barile di polvere -salmistra, e cinque balle di legno di bosso». - -[305] GIUSTINIANI, _Annali_, VI. - -[306] Se ne conoscono del 1302, 10, 19, 24, 32, 35, 42, 50, 62, 82. - -[307] Negli anni 1306, 17 e 20 Venezia fece trattati con Tunisi, nel -56 con Tripoli. Quattro trattati conchiusi fra la repubblica e i re di -Tunisi della stirpe degli Afidi, ignoti agli storici di Venezia, sono -dati dal barone de Hammer, _St. degli Osmanli_, tom. IV. p. 691. - -[308] Mille sono detti nei _Rer. It. Script_., XXII. 959. Il libro -_Venezia e sue lagune_, al tom. I. p. 176, li farebbe diciannovemila; -al tom. II. p. 151 dice che talvolta arrivarono sino a quattromila; a -p. 253 accenna come il sommo tremila cinquecento. Tali discrepanze sono -meno scusabili nelle monografie. - -[309] La galea grande, lunga di alto passi ventitre, piedi tre e mezzo, -di piano piedi dieci, di bocca diciassette e mezzo, alta in coperta -piedi otto, non ha opere morte; il timone a poggio movesi con una zanca -per fianco. La galea di Levante era lunga di alto passi ventitre, piedi -tre, di piano passi dieci con quattro vele. La sottile, passi sette e -mezzo con tre vele, cioè come le nostre. La latina era lunga in colomba -passi dodici, di piano piedi nove, piedi sedici in trepiè, ventiquattro -in bocca, nove e mezzo in coverta, sedici in coverta lunga, il timone -passi quattro, due battelli da piedi trentaquattro, una gondola da -ventiquattro. La nave quadra era tredici passi in colomba, di piano -piedi nove e un quarto, diciassette e mezzo in trepiè, ventisei e mezzo -in bocca, e caricava trecento botti. Le descrive uno che vi serviva -nel secolo XV; manoscritto della Magliabechiana, classe XIX. cod. 7. Le -carrache erano i legni più grossi dopo i vascelli propriamente detti, -e portavano fin millequattrocento barili, aveano tre ponti, e più tardi -n’ebbero fin sette. Le galeazze aveano anch’esse un castello di prua e -uno di poppa, tre alberi, vele latine e trentadue banchi di rematori. - -È quasi inesplicabile la rapidità delle costruzioni navali. Jacopo da -Varagine (_Rer. It. Script._, IX. 17) attesta che dal 15 luglio al 15 -agosto 1297 la Repubblica genovese allestì ducento galee da ducenventi -uomini almeno ciascuna: nel 1284 ne allestirono settanta in tre giorni. -Venezia in men di cento giorni preparò una flotta: presente Enrico -III, in due ore fu posta insieme una galea e varata: nel 1569 distrutto -l’arsenale dall’incendio, nel seguente uscivane la flotta che disfece -la turca a Lépanto. - -[310] _Ep. seniles_, lib. II. ep. 3. - -[310a] Nell’Appendice XXIX dell’_Archivio storico italiano_ si pubblicarono -documenti che rischiarano il commercio de’ Veneziani coll’Armenia e -con Trebisonda. In questa città i Veneziani ebbero privilegi amplissimi -fin dal 1201, più volte confermati, e quartiere fortificato, al par de’ -Genovesi; colle conquiste russe perì la prosperità di Trebisonda, ma in -questi ultimi anni tornò importantissimo scalo per l’estremo Oriente. - -[311] Tali sono, fra gli altri, due trattati del 1327 con Como e -Brescia. - -[312] MALIPIERO, _Annali_, 666, 715, 717. - -[313] Ragusa anticamente area trattati di commercio con Fermo, -Recanati, Rimini, Ravenna, Ferrara (APPENDINI, _Notizie storiche della -città di Ragusa_); e prima ancora con Napoli, Siracusa, Messina, -Barletta ecc.; dappoi si ridusse in dipendenza di Venezia, che vi -teneva un conte a governarla con patti stabiliti. - -[314] _Rer. It. Script_., XI. 142. - -[315] _Libri di divisamenti di paesi, di misure di mercatanzie, ed -altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti del -mondo_; edito dal Pagnini. - -[316] Fin dal 1422 entrò in trattative col soldano d’Egitto pel -commercio d’Alessandria e della Siria, e col signore di Corinto in -Romania, e conchiuse con loro vantaggiosi trattati; uno del pari nel -1425 coll’Inghilterra, che rinnovò nel 1490; coll’imperatore greco nel -1438; col re d’Aragona nel 1450. Nel 1487 e 88 rinnovò le trattative -coll’Egitto per favorire la propria navigazione ad esclusione degli -stranieri. - -Fra i canti per mascherate n’è uno di mercanti fiorentini, che tornati -arricchiti, esaltano il girare il mondo e guadagnare, poi rimpatriati -ajutare chi n’ha bisognò; ed esortano ad avviare a ciò i figli, anzichè -lasciarli perdersi nell’ozio e ne’ vizj. - -[317] «Il sintraco (come a dire sindaco) deve aver tre mine di sale -da ogni legno che vien di Sardegna con sale; se venisse di Corsica -e avesse fatto cambio, n’avrà tre mine di grano; una mina da ogni -legno che venga dalla Marittima e da Romania. Da ogni legno che va in -Corsica, abbia una mina di grano; da ogni legno di sale di Provenza, -tre quartini di sale; da ogni galea che va in corso oltre Sardegna o -in Ispagna, un marabotico; da ogni legno che vien di Sicilia, due mine. -Nelle principali feste pranzerà coll’arcivescovo. Tocca a lui ordinare -le guardie delle città, e riconoscere se furono fatte; convocare il -popolo, battere i ladri e malfattori secondo l’ordine de’ consoli, e -fare i bandi per la città e per tutto il vescovado; entrar nelle case a -ricevere i pegni, e quando spira vento d’aquilone andare per la città, -pel castello e pel borgo ad avvertire che badino bene al fuoco. Il -sabato santo custodirà le porte di San Giovanni finchè l’arcivescovo e -i canonici vengano a benedir le fonti». Liber jurium, pag. 79. - -[318] _Lettera di_ Benedetto Dei _per difesa della mercatura dei -Fiorentini contro le ingiurie sparse da alcuni mercadanti veneziani_. -Vedi nel vol. II del Pagnini. - -[319] Nel 1505 per la prima volta Firenze tirò grano dall’Inghilterra -per cinquantamila scudi d’oro, e duemila moggia da Linguadoca. NARDI, -_Storie fiorentine_, lib. IV. - -[320] Nel 1499 i Salviati riceveano da Filippo d’Austria, duca di -Borgogna, in pegno per quattromila fiorini grossi, trecentoventi -centinaja di lana d’Inghilterra, e un famoso fiordaliso, vale a dire -un reliquiario di oncie diciannove fiorentine, con crocifisso nero, -quarantuno balasci, trentasei zaffiri, nove smeraldi, cinquantacinque -rosette d’oro con quattro perle in ciascuna e un diamante acuto, e la -corona con quattro perle a pera, un diamante grosso e trentotto perle. - -[321] Klaproth preparava l’edizione del _Milione_ di Marco Polo con -commenti e colla carta analizzata dei paesi da lui visitati; e doveasi -stampare a spese della Società geografica di Parigi: ma non potè -compirla. Parrebbe a credere fosse scritto originalmente in veneziano, -dialetto dello scrittore. Il padre Spotorno sostiene che, nella lunga -lontananza, esso doveva aver dimentico l’idioma patrio, e che Andalon -del Negro genovese lo scrisse in latino, sopra relazione del Polo -stesso. I migliori ora tengono che Rusticiano da Pisa lo stendesse -in francese, man mano che lo raccoglieva dalla bocca di Marco suo -compagno di carcere. Il testo più genuino pare quello che pubblicò -la Società geografica di Parigi nel 1824. Di buon’ora il Milione fu -mutato in toscano e in altre lingue, ma interpolandovi novità; nel -che maggior licenza si prese il Ramusio nella sua _Collezione di -navigazioni_. Nel 1844 fu stampato a Edimburgo da Murray con copiose -note illustrative; in tedesco da A. Bürck (_Die Reisen des Venezianers -M. Polo_. Lipsia 1845) sopra le migliori edizioni, e con aggiunte di -C. F. Neumann, che viaggiò i luoghi stessi, e che trova esattissimo il -nostro Veneziano. Un’edizione italiana fu procacciata a Venezia il 1847 -da Vincenzo Lazari, traducendo l’edizione del 1824, liberando il testo -dalle aggiunte Ramusiane, e arricchendola di note. Il tenente Wood -della marina britannica dell’India, il quale scoperse le vere sorgenti -dell’Oxo nel 1829, dice esattissima la descrizione che di que’ paesi fa -Marco Polo. - -* Il colonnello Enrico Yule, del corpo degl’ingegneri nel Bengala, -stampò a Londra nel 1871 _The book of sir_ Marco Polo _the venetian, -newly translated and edited with notes_, 2 volumi con mappe e figure e -dissertazioni sulla vita, la famiglia, il carattere di M. Polo, e con -abbondanti notizie geografiche, etnografiche e filologiche. - -[322] Vedi BIZZARRO, _Hist. rerum persicarum._ - -[323] GRABERG DE HEMSÖ, _Annali di geografia_; gennajo 1803. - -[324] _Idem videtur sentire noster Georgius, vir in peragrando orbe -atque indagando terrarum situ diligentissimus,_ dice Antonio Galateo, -che tratta la stessa quistione nel libretto _De situ elementorum_. - -[325] _Genealogia degli Dei_, lib. XV. - -[326] _Ep. famil_., lib. VI. 3. - -[327] TIRABOSCHI, tom. VI. l. 1, c. V. § 2. - -[328] ZANETTI, _Origine di alcune arti presso i Veneziani_, p. 46. - -[329] ZURLA, _Il mappamondo di frà Mauro descritto ed illustrato_. -Venezia 1806; opera debole. Nel trasportare questo prezioso monumento -da San Michele di Murano al palazzo ducale, si potè meglio esaminarlo; -e a spalla vi si trovò scritto: MCCCLX adi XVI _avosto fo chomplido -questo lavor_. È singolare vedervi in Africa accennato il _Dafur_, che -è il Darfur, ignoto fin quando Bruce lo visitò ai giorni nostri: prova -che frà Mauro si valeva di relazioni o perdute o mai non scritte. - -Nel congresso geografico del 1875 si trattò di tutte queste e di altre -mappe. - -[330] FOLIETTA, _Hist. gen._, lib. V. - -[331] Il Petrarca (_De vita solit_., XII. sect. 6. c. 3) dice che -all’età de’ suoi padri colà penetrò un’armata di Genovesi. - -[332] _Relazione della scoperta delle Canarie e d’altre isole -dell’Oceano nuovamente ritrovate nel_ 1341; stampata da Sebastiano -Ciampi a Firenze nel 1827. - -[333] Il Sadoleto, nel 1514, ne lo ringraziava a nome di Leon X -per _elephantum unum indicum, incredibili corporis magnitudine, et -pardum unum, et vestem destinatam rebus divinis. Erat ea species, ea -pulchritudo nobilissimi operis, qualem nec vidissemus ante unquam, -nec videre expectavissemus; is splendor, qui ex candore et copia tot -gemmarum esse debebat; artem autem in eo et varietatem operum omnes -plane confitebantur etiam pretiosiorem esse materia, cum diuturnus -labor nobilitatem summi artificii, ordine et contextu mirabili -margaritarum, antecellere omnibus indicis atque arabicis opibus -coëgisset... Lectæ sunt literæ tuæ, scripta incertum elegantius an -religiosius; te, quod primitiæ omnium rerum Deo dicandæ sunt, primitias -Lybiæ, Mauritaniæ, Æthiopiæ, Arabiæ, Persidis atque Indiæ... nobis... -dare ac dedicare_. - -[334] Quando naque Colombo? Nel 1430, o 36, o 41, o 45, 46, 47, 49, -55. — Dove? A Genova, a Cogoleto, a Bugiasco, a Finale, a Quinto, a -Nervi sulla Riviera; a Savona o a Palestrella, o ad Arbizoli là vicino; -o a Cosseria fra Millesimo e Carcare; in val di Oneglia, a Castel di -Cuccaro fra Alessandria e Casale, a Piacenza, o a Pradello in val di -Nura. Ciascuna di queste opinioni fu sostenuta con gran corredo di -ragioni e di petulanze. Vedasi l’ultimo lavoro del marchese D’AVEZAC, -_L’année véritable de la naissance de Colomb_ (Parigi 1873), che lo -pone al fine del 1446, e le contraddizioni dell’americano Harris. - -[335] Dante indica le costellazioni del piede del centauro e della -crociera del sud, invisibili al nostro emisfero. - - Io mi volsi a man destra, e posi mente - All’altro polo, e vidi quattro stelle - Non viste mai fuorchè alla prima gente... - O settentrïonal vedovo sito - Poichè privato se’ di veder quelle. - _Purg._ I. - -I planisferi arabi e i nostri viaggiatori che arrivavano fino a Bab -el-Mandeb, ne lo poterono istruire. La sua cosmogonia è siffatta: -che l’emisfero boreale stava sott’acqua, e un gran continente era -nell’australe opposto al nostro; Lucifero, _piovendo_ dal cielo per -essere incarcerato nel centro della terra, spinse in su un cono di -sollevamento, che forma la montagna del Purgatorio, sulla cui vetta -ride il Paradiso: la massa arida agli antipodi si fece _del mal -velo per paura_ di Lucifero, e nel nostro emisfero restò una _gran -secca_, cioè un continente di cui è centro Gerusalemme. Questi sono -concetti sistematici e poetici; e più importa il vedere precisamente -designato da Dante il centro di gravità della terra, _il punto a cui -son tratti d’ogni parte i pesi_. Vero è che Aristotele lo accenna e -che il cronista Rolandino mezzo secolo prima di Dante scriveva, _Non -aliter quam ad punctum terræ medium, quod philosophi centrum dicunt, -ponderosa cuncta tendere naturaliter elaborant_ (Hist. Patavina, lib. -XII. c. 9). Ammesso questo centro di gravità, non è più meraviglia che -abitino uomini tutto in giro al globo. Il Petrarca nomina gli antipodi -in un passo da noi citato nel volume vii a pag. 500; e nella canzone v -scrive: - - Nella stagion che il Sol rapido inchina - Verso occidente e che il dì nostro vola - A gente che di là forse l’aspetta; - -e nella sestina I: - - Quando la sera scaccia il chiaro giorno, - E le tenebre nostre altrui fan alba. - -I quali passi intarsiando il Pulci nel XXV del _Morgante_, fa dire dal -demonio Astarotte che dappertutto «navigar si puote, Però che l’acqua -in ogni parte è piana» benchè la terra sia rotonda; - - E puossi andar giù nell’altro emisperio - Però che al centro ogni cosa reprime, - Sì che la terra, per via di misterio, - Sospesa sta tra le stelle, sublime; - E laggiù son città, castella, imperio, - Ma nol cognobbon quelle genti prime; - Vedi che il Sol di camminar s’affretta - Dov’io ti dico che laggiù s’aspetta. - -[336] Già Strabone comprendea la possibilità della circumnavigazione, -«e se l’estensione del mare Atlantico non ci facesse ostacolo, noi -potremmo, persistendo sotto il medesimo parallelo, navigare dalla -Spagna fino all’India». _Geografia_, lib. II. E Seneca (_Quæstiones -nat._), interrogandosi quanto vi sia dagli ultimi confini della Spagna -fin all’India, risponde: — Lo spazio di pochissimi giorni, se il vento -spiri in favore». - -[337] Nel 1488 Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, disegnatore -di carte nautiche a Lisbona poi a Londra, donava a Enrico VII -d’Inghilterra un mappamondo, che non ci è descritto particolarmente, ma -dov’è questa rozza epigrafe: - - _Janua cui patria est, nomen cui Bartholomæus_ - _Columbus de terra rubra, opus edidit istud_ - _Londiniis A. D._ MCCCCLXXX _atque insuper anno_ - _Octavo, decimaque die cum tertia mensis_ - _Februarii, Laudes Christo canentur abunde._ - -[338] Quell’uffizietto sta nella libreria Corsini di Roma. — Di Colombo -parlammo estesissimamente nella _Storia universale_ e negli _Italiani -illustri_, e forse non senza novità. È notevole che egli non accenna -mai Marco Polo, sebbene si fondi continuamente sulle tradizioni di -quello. - -Nel 1670 Filippo re di Spagna donava alla repubblica genovese un -codice in pergamena, foglio piccolo, legato in cordovano con mazzetto -d’argento, e chiuso in una busta di cordovano con serratura d’argento. -Era una raccolta fatta da Colombo stesso de’ proprj titoli a quella -scoperta, e de’ privilegi venutigli; di cui fece fare due copie, -spedendole a Nicolò Oderigo confidente suo, acciocchè le ponesse in -luogo sicuro. Nelle ultime vicende di Genova andarono disperse. Una, -portata a Parigi, fu ricuperata; l’altra si ritrovò nella biblioteca -del conte Michelangelo Cambiaso, e il corpo dei Decurioni la comprò, -e ne fece eseguire la traduzione dal padre Spotorno e la stampa, col -titolo di _Codice diplomatico Colombo-Americano, ossia raccolta di -documenti originali e inediti, spettanti a Cristoforo Colombo, alla -scoperta e al governo dell’America_. 1822. - -[339] Ma Colombo dice precisamente che, al passare di un certo punto, -cioè del meridiano magnetico, «come al passar d’una collina», l’ago, -vôlto fin là a nord-est, piegava a nord-ovest. - -[340] ANGELO M. BANDINI, _Vita di Amerigo Vespucci_. Solo nel 1830, pei -documenti pubblicati da Nugnes e Navarrete, si ebbe qualche certezza -de’ costui fatti. - -[341] — Non erano passati molti anni che venne in Moscovia alla corte -del suo principe un ambasciatore di papa Leone, nominato messer Paulo -Centurioni genovese, sotto diversi pretesti; ma la principal ragione... -era perchè il detto messer Paulo, avendo conceputo sdegno e odio grande -contro Portoghesi, voleva vedere se poteva far aprire un viaggio per -terra, che le spezierie venissero d’India per via dei Tartari e dal -mar Caspio nella Moscovia». RAMUSIO, _Disc. sopra li viaggi delle -spezierie_, vol. I. p. 374. - -[342] Epist. 152. - -[343] Il Roberston le adopera come tali, ma evidenti anacronismi -le convincono scritte assai dopo il caso. Disopra della porta della -chiesa di Siviglia dell’Oro alla Giamaica si leggeva: _Petrus Martyr ab -Angleria italicus, civis mediolanensis, protonotarius apostolicus hujus -insulæ, abbas, senatus indici consiliarius, ligneam prius ædem hanc -bis igne consumptam latericio et quadrato lapide primus a fundamentis -extruxit_. - -[344] _Isole trovate novamente per el re di Spagna_. L’ultima ottava -dice: - - Questa ha composto de Dati Giuliano - A preghiera del magno cavaliere - Messer Giovan Filippo ciciliano, - Che fu di Sixto quarto suo scudiere. - Et capitano suo et capitano - A quelle cose che fur di mestiere - A laude del Signor si canta e dice - Che ci conduca al suo regno felice. - -E il libro chiudesi con queste parole: — Finita la storia de la -inventione delle nuove isole di Canaria indiane, tracta da una pistola -di Christofano Colombo, et per messer Giuliano Dati tradocta di latino -in versi vulgari a laude della celestiale Corte et a consolatione della -christiana religione, et a preghiera del magnifico cavaliere messer -Giovan Filippo di Lignamine, familiare dello illustrissimo re di Spagna -christianissimo. A dì XXVI d’ottobre 1495, Florentiæ». Quali sono -peggiori, i versi o la prosa? Certo nè gli uni nè l’altra invogliano a -dissotterrare quel libro. - -Vedansi gli _Studj bibliografici e biografici sulla Storia della -geografia in Italia_, pubblicati in occasione del Congresso Geografico -di Parigi. Roma 1875. - -[345] Melchiorre Gioja vede nelle imposte «una forza di crescente -proporzione, la quale non trova limite se non nella resistenza de’ -popoli, e nel cuor de’ principi saggi». _Nuovo prospetto delle scienze -economiche_, pag. 230. - -[346] Nel concilio Lateranese iv, sotto Innocenzo III, è sancito che -l’indagine si faccia per trovar la verità, _coram ecclesiæ senioribus_; -e si soggiunge: _Debet esse præsens is, contra quem facienda est -inquisitio, nisi se per contumaciam absentaverit; et exponenda sunt -ei illa capitula, de quibus fuerit inquirendum, ut facultatem habeat -defendendi seipsum; et non solum dicta, sed etiam nomina ipsa testium -sunt ei publicanda, ut quid et a quo sit dictum appareat; nec non -exceptiones et replicationes legitime admittendæ, ne per suppressionem -nominum infamandi, per exceptionum vero exclusionem deponendi falsum -audacia præbeatur_. - -[347] Credesi che Pier Lombardo, per sollecitazione dei vescovi, -sostenesse in Francia le ragioni de’ villani a segno da ottenere che -anch’essi potessero portare lunghi i capelli, distintivo sin allora dei -nobili, cioè della razza conquistatrice. Perciò la memoria di lui era -celebrata annualmente dall’Università di Parigi. - -[348] Giovanni XXII avea pubblicato una bolla, ove diceva: — Per -l’autorità conferitaci dall’eterno Padre e dai santi apostoli Pietro -e Paolo, dopo matura riflessione, e udito il consiglio dei nostri -venerabili fratelli, di piena nostra podestà separiamo l’Italia -dall’Impero: riserbando a noi stessi di provvedere pel governo di essa; -e facciamo ampio divieto d’entrarvi». _Provinciam Italiæ ab eodem -imperio et regno Alemanniæ totaliter eximentes; ipsam a subjectione -communitatum et jurisdictionum eorumdem regni et imperii separamus_. Il -BALUZIO, _Vitæ Pap. Avenion_., i col. 704, la dà come falsa, ma come -genuina la considera OLENSCHLAEGER, _Staatsgeschichte des römischen -Kaiserthumes_, p. 249. - -[349] Allude al principato di Monaco. Tutto ciò fu scritto avanti le -annessioni del 1860. - -[350] Touqueville (_De la démocratie_, II. 117) dice che la parola -_patrie_ non si trova in nessun Francese prima del secolo XVI. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. In particolare il testo in -greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8 -(DI 15) *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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CANTÙ<br> -STORIA DEGLI ITALIANI -<span class="smaller">TOMO VIII.</span> -</h1> -</div> - -<hr class="silver"> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -<span class="small">STORIA</span><br> -DEGLI ITALIANI -</p> - -<p class="pad2"> -PER -</p> - -<p class="pad1 x-large"> -CESARE CANTÙ -</p> - -<p class="pad2 small"> -EDIZIONE POPOLARE<br> -RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO VIII. -</p> - -<p class="pad4"> -<span class="large">TORINO</span><br> -<span class="small">UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE</span><br> -1876 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<h2 id="cap112-10">CAPITOLO CXII. -<span class="smaller">Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana. -Il Milanese eretto in ducato.</span></h2> -</div> - -<table class="gener"> - <tr> - <td colspan="3" class="center"><span class="smcap">Famiglia dei Carraresi</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> - </tr> - <tr> - <td>Giacomo I, principe del popolo</td> <td class="bcen">1318-1324</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Nicolò suo fratello</td> <td class="bcen">1324-1326</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Marsiglio loro nipote</td> <td class="bcen">1324-1338</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Ubertino nipote di questo</td> <td class="bcen">1338-1345</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Marsiglietto Pappafava</td> <td class="bcen">1345</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Giacomo II figlio di Nicolò</td> <td class="bcen">1345-1350</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Giacomino suo fratello</td> <td class="bcen">1350-1372</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Francesco I loro nipote</td> <td class="bcen">1350-1388</td> <td class="bcen">m. 1393</td> - </tr> - <tr> - <td>Francesco II Novello, strozzato a Venezia coi figli Francesco e Giacomo</td> <td class="bcen">1390-1406</td> <td> </td> - </tr> -</table> - -<table class="gener"> - <tr> - <td colspan="4" class="center"><span class="smcap">Famiglia degli Scaligeri</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2">Mastino I, signore di Verona</td> <td class="num">1259-1277</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2">Alberto suo fratello</td> <td class="num">1277-1301</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td>Bartolomeo</td> <td rowspan="3" class="vcen">figli di Alberto</td> <td class="num">1301-1304</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Alboino</td> <td class="num">1304-1311</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Can Grande</td> <td class="num">1312-1329</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td>Alberto II</td> <td rowspan="2" class="vcen">figli di Alboino</td> <td class="num">1329-1352</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Mastino II</td> <td class="num">1329-1351</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td>Cane II</td> <td rowspan="3" class="vcen">figli di Mastino II</td> <td class="num">1359</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Cane III Signorio</td> <td class="num">1351-1375</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Paolo Alboino</td> <td class="num">1374</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td>Bartolomeo II</td> <td rowspan="2" class="vcen">figli natur. di Can Signorio</td> <td class="num">1375-1381</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Antonio</td> <td class="num">1375-1387</td> <td class="num">m. 1388</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2">Guglielmo</td> <td class="num">1404</td> <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4">Antonio e Brunoro suoi figli proscritti.</td> - </tr> -</table> - -<p class="pad2"> -Sei capi ambiziosi e capaci aveano, fra le traversie, -condotta in grande stato la famiglia Visconti. Morto (1354) -l’arcivescovo Giovanni, perfido e astuto ma valoroso e -liberale quanto serve a palliare l’ingiustizia, il consiglio -generale di Milano e delle altre città fecero omaggio ai -nipoti di lui Bernabò e Galeazzo (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 561), che -spartironsi il dominio, serbando indivisa Milano, ove -fabbricarono uno la rôcca di porta Zobia, l’altro quella -a porta Romana e alla Casa dei Cani. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -</p> - -<p> -Già vedemmo come Bernabò resistesse all’Albornoz -e alla lega guelfa. Le bande soldate da questa e massime -le inglesi, spintesi (1362) fino a Magenta, Corbetta, Nerviano, -Vituone, dilapidarono ogni cosa, e rapirono -seicento nobili che soleano abitarvi, nè li rilasciarono -che a grossi riscatti; ma in fine a Casorate rimasero -sanguinosamente sconfitte. -</p> - -<p> -Poco poi, Bernabò venne ancora in rotta con papa -Urbano V, il quale bandì contro di lui la crociata, a -cui concorsero l’imperatore Carlo IV, il re d’Ungheria, -la regina di Napoli, il marchese di Monferrato, i principi -d’Este, i Gonzaga, i Carrara, i Malatesti, e Perugini -e Sanesi, confederati nella lega di Viterbo (1367). Ma Bernabò -sapea che coteste crociate, unite solo dal sentimento, -basta tirare in lungo, e si scomporranno da sè. In fatto -a denari comprò l’inazione di Carlo IV (1368), allora calato -nuovamente in Italia con cinquantamila uomini; a contanti -fece passare dai nemici a sè la Compagnia Bianca, -sommosse le città papaline (1369 febb.), e potè conchiudere buona -pace, avendo però nella guerra consumato tre milioni -di zecchini. -</p> - -<p> -L’accorta politica e gli estesi concetti di Bernabò -erano deturpati dall’ignobilità del suo carattere, da quel -brutale egoismo, su cui nè amicizia nè fedeltà nè riconoscenza -valevano, e che nè tampoco degnavasi palliare -le beffarde violenze. Cominciò, come devono i tiranni, -dall’assicurarsi contro i proprj sudditi con fortalizj, e -sempre generoso mostrossi ai soldati. Mal arrivato chi -nella trascorsa guerra fosse apparso propenso ai nemici! -i processi finivano con supplizj atrocissimi. Proibì -d’uscir la notte, qual che ne fosse la cagione, sotto pena di -perdere un piede; tagliata la lingua a chi proferisse le -parole di guelfo o ghibellino; uno nega pagar due capponi -comprati da una trecca, ed egli lo fa impiccare. -Passionato della caccia, fin cinquemila cani manteneva, -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -ed allogavali presso i cittadini da nutrire: ogni quindici -giorni appositi uffiziali visitavanli, e se li trovassero dimagrati -imponeano una multa, una multa se pingui, la -confisca dei beni se morti. Chi poi ne tenesse uno, o uccidesse -lepre o cinghiale, era mutilato, appiccato, talora costretto -a mangiarsi il selvatico bell’e crudo. Bernabò si -sognava che un tale gli facesse male? imbattevasi in -alcuno ne’ solitarj suoi passeggi? bastava per torgli la -vita o un occhio o la mano, od almeno confiscarne gli -averi. Due suoi segretarj fece chiudere in gabbia con un -cinghiale. Un giovane che avea tirato la barba a un -sergente, fu condannato di lieve multa; ma Bernabò gli -fece tagliar la destra: e perchè il podestà indugiò finchè -i parenti venissero a implorar grazia, Bernabò volle -fosser mozze ambe le mani al giovane ed una al podestà. -Obbligò un altro podestà a strappar la lingua a -un condannato, poi bere il veleno; talora costringeva -il primo venuto a far da boja; e pretesto gli era sempre -la lesa maestà, suggello d’ogni accusa nelle tirannie. -</p> - -<p> -Agli atti di prepotenza v’ha sempre una ciurma che -applaudisce, giudicandoli segno di forza, e alla forza -si suol fare di cappello. Alcuni ambasciadori di principi -rimandò vestiti di bianco a guisa di mentecatti, -coll’obbligo di presentarsi in quell’arnese ai loro padroni, -tra le risate de’ paesi che attraversavano. Quando -vennero a lui in Melegnano i nunzj pontifizj a recargli -la scomunica, Bernabò li condusse sopra il ponte del -Lambro, e quivi intimò mangiassero le bolle della scomunica, -se non volessero bever quell’acqua; e vi si -dovettero rassegnare. Inviperendo viepiù contro gli -ecclesiastici, fa accecare, mutilare chi non l’ubbidisce: -udito che un piovano esigeva di troppo per le esequie -d’un morto, lo fa sotterrare col morto stesso: un altro -bandisce la crociata del pontefice contro il capitano di -Forlì, e Bernabò il fa mettere in un tamburo di ferro -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -ed arrostire al fuoco. Due frati gli si presentano per -rimproverarlo di tali inumanità, ed esso li fa bruciar -vivi: anche monache fece ardere, e con esse il vicario -generale che ricusò degradarle. Chiamato a sè l’arcivescovo -che ricusava ordinare un monaco, se lo fece -inginocchiare davanti, e gli abbajò: — Non sai, poltrone, -che io sono papa, imperatore e signore in tutte -le mie terre? e che Dio stesso non potrebbe farvi cosa -ch’io non volessi?» -</p> - -<p> -Eppure mostravasi devoto, digiunava, istituì chiese, -monasteri, benefizj. Rifabbricò il castello di Trezzo con -ardito ponte sull’Adda a tre anditi a diversa altezza, -una rôcca in Brescia, altre a Desio, a Pandino, a -Cusago; una villa a Melegnano, a Milano il palazzo -a San Giovanni in Conca, mentre Galeazzo rifaceva -quello in piazza del duomo, con una spazzata per le -giostre. Beatrice Regina della Scala, moglie di Bernabò, -affettava una burbanza principesca; i decreti che essa -mandava alle valli bresciane e camoniche fan credere -che quei paesi fossero a lei assegnati per dote; in Brescia -aveva un fondaco di ferrareccia; munì Salò di -mura turrite; aprì un canale per irrigare la Calciana -allora spopolata, e che erale stata data dal marito per -sicurezza dei cencinquantamila fiorini d’oro portatigli -in dote, come le diede poi Urago d’Oglio, Gazzólo, -Roccafranca, Floriano e altri paesi<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>. A lei -principi e signori dirigevano i reclami e le petizioni: -ed essa, non che mitigare il marito, com’è uffizio di -donna, lo esacerbava: ma non potè reprimerne la lubricità. -Trentadue figliuoli ebb’egli tra legittimi e no; -e il marchese d’Este, levandone uno al battesimo, gli -regalò un vaso d’argento, entrovi una coppa d’oro -piena di perle, anelli, pietre preziose, del valore di -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -diecimila zecchini<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>. Le sue figliuole collocò nelle -case regnanti di Norimberga, d’Ingolstadt, d’Austria, -di Baviera, di Würtemberg, di Turingia, di Sassonia, -di Kent, di Mantova, una al re di Cipro con centomila -fiorini, un’altra a Giovanni Acuto ed una a Lucio Lando: -a ciascuno de’ cinque maschi legittimi aveva già assegnato -il governo del distretto di cui gli destinava la -sovranità; ma l’uomo tesse, e Dio ordisce. -</p> - -<p> -Altrettanto e peggio operava Galeazzo II a Pavia. -Più freddamente spietato, inventò la <i>quaresima</i>, per -cui a’ suoi nemici faceva levare oggi un occhio, domani -riposo; poi l’altr’occhio, indi riposo; poi una mano e -l’altra, un e l’altro piede, e via per quaranta giorni -alternando i tormenti col riposo, che preparasse a -meglio sentirli. Fabbricava molto, talvolta insignemente, -come furono il ponte sul Ticino e il castello di -Pavia con una torre a ciascun angolo, e nell’interno -un ampio cortile a portici, e un oriuolo che, oltre battere -le ore, segnava il moto de’ pianeti. Nè meno suntuoso -riuscì il castello di Milano. Poi disfaceva a capriccio: -e i fondi, il legname, la calce prendeva dove -fossero senza pagare; per ampliare un parco di venticinque -miglia di giro usurpò fondi privati, tra cui -quelli d’un Bertolino da Sisti, il quale affrontandolo gli -chiese: — Di che darò a mangiare a’ miei figliuoli?» -e il brutale rispose: — Che? non ti basta il gusto del -farli?» Onde quello gli tirò una coltellata, e fallito il -colpo, fu preso e fatto strappare da cavalli. Non pagava -le cariche, poi guaj se erano male esercitate: sessanta -impiegati a un tratto condannò alla forca, poi supplicato -li graziò, ma chiuse in prigione il suo cancelliere -ch’erasi mostrato sollecito nello spedir quella grazia. -Insieme digiunava una terza parte dell’anno, distribuiva -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -duemila cinquecentotrentun zecchini all’anno in -limosine, ducentodieci moggia di grano, dodici carra -di vino<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>, e tenea dieci cappelle. Poi favorì i letterati, -fondò l’Università di Pavia chiamandovi professori -rinomati; blandì il Petrarca; e gli encomj di questo, -ripetuti per classica ammirazione, impedivano ai lontani -di udire i gemiti dei popoli<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. -</p> - -<p> -Tanto si osava mentre ancora sussistevano i nomi e -le forme repubblicane; anzi direi per queste, giacchè -il tiranno trovandosi violatore di esse, operava senza -ritegno; l’appoggio che dalla costituzione eragli negato, -chiedea dalla forza; forza non di cittadini, ma mercenaria, -ed alleandosi con altri principi e coll’imperatore. -I papi contrastavano sempre, tratto tratto qualche città -si sollevava, un nuovo nemico sorgeva ogni dì: ma i -Visconti dal pingue paese smungeano denaro, denaro -traevano dagl’immensi possessi confiscati, col denaro -compravano bande, e colle bande vincevano e tiranneggiavano. -</p> - -<p> -Gian Galeazzo figliuolo di Galeazzo, altrettanto ambizioso -e più dissimulatore, comprò dall’imperatore Venceslao -il titolo di vicario imperiale di Lombardia. -Pagando a Giovanni II re di Francia trecentomila zecchini, -di cui avea bisogno per riscattarsi dal re d’Inghilterra, -n’ottenne la mano della figlia Isabella e la -contea di Virtù in Sciampagna. In seconde nozze sposò -Caterina figlia di Bernabò, il quale così credeva esserselo -indissolubilmente legato, e lo canzonava di quel -non curarsi di grandezze umane e della sua santocchieria. -Fedele a questa, una volta Gian Galeazzo s’avviò -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -in pellegrinaggio solenne al sacro monte di Varese, -menando seco la Corte; e poichè passava rasente a -Milano, pregò lo zio volesse venire a salutarlo fuor -della porta. Lo zio v’andò (1385); ma appena l’ebbe abbracciato, -il nipote diè il segno a’ suoi seguaci, che, tirate -l’armi di sotto le pie tuniche, presero Bernabò col suo -seguito, e buttatolo in castello, e fattogli un ridicolo -processo, non per le atrocità sue, ma per stregherie e -per avere con incantesimi reso sterile il matrimonio -del nipote, lo sepellirono nel castello di Trezzo a morire -di rabbia se non fu di veleno. Milano rise della -volpe presa al laccio, ed acclamò Gian Galeazzo, che -riunì tutto il dominio visconteo, e trovò nel tesoro settecentomila -fiorini d’oro contanti e sette carri d’argento -in verghe e vasellame. -</p> - -<p> -Gian Galeazzo non avventurava mai nè la persona -propria nè l’esercito a battaglia decisiva, ma lo chiudeva -entro fortezze, lasciando la campagna esposta; sapeva -poi destreggiare di politica, annodare e scompor -leghe, essere perfido e bugiardo opportunamente, e -scegliere i migliori stromenti alle sue ambizioni. Le finanze, -per buona amministrazione fiorenti, davangli -mezzo di comperarsi partigiani nelle altre repubbliche, -e bande mercenarie, e grosse parentele, e così far dei -paesi come gli talentasse; nè dopo Federico II v’era -stato principe più temuto dagl’Italiani, e più minaccevole -all’altrui indipendenza. Stanco dell’obbrobrio delle -bande di ventura, strinse lega coi Gonzaga, i Carraresi -e gli Estensi per isbrattarne il paese, e Bartolomeo di -Sanseverino fu spedito contro di loro con una bandiera -inscritta Pax; lega di effimera durata, che presto fece -luogo a rivalità ed ambizioni tra questi signorotti. -</p> - -<p> -Quei della Scala disonorarono la propria decadenza -coi delitti. Cansignorio, e Paolo Alboino, figli di Mastino -II, aveano assassinato il fratello maggiore, indi -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -azzuffatisi tra sè, il più debole fu cacciato prigione in -Peschiera, finchè Cansignorio, sentendosi morire, mandò -ammazzarlo (1375) acciocchè non attraversasse la successione -a’ suoi figli naturali Bartolomeo e Antonio. Rinnovando -simili misfatti, Antonio uccide Bartolomeo (1381), poi ne accagiona -un’amica, e costei e tutta la famiglia manda alle -forche. Quest’Antonio fu dai Veneziani aizzato contro -Francesco Carrara signore di Padova, loro implacabile -nemico, il quale si pose a schermo di Gian Galeazzo. -Costui, adontato che lo Scaligero per gelosia avesse -rinnegato la sua alleanza, s’intese col Carrara; vantandosi -erede degli Scaligeri in grazia di Caterina sua -moglie, nata da Regina della Scala, fece attaccar Verona (1387 8bre) -dalle bande di Ugolotto Biancardo; ed essendo -Antonio fuggito a Venezia dopo consegnata la fortezza -al legato imperiale, Galeazzo la comprò a contanti. -</p> - -<p> -Ma, infido al proprio alleato, non che cedergli Vicenza -come avevano pattuito, si offerse amico a Venezia -contro di esso, ricevendone centomila ducati il primo -anno, poi ottomila al mese se la guerra si prolungasse. -Il Carrara trovavasi addosso nemici troppo poderosi, -scontenti i popoli, non denaro per comprar bande o -trarre qui stranieri; sicchè per disperato rinunziò la -signoria al figlio Francesco II Novello, il quale sentendosi -inetto a resistere, ricoverò a Pavia (1388 9bre) fra l’esultanza -de’ Padovani. Malgrado il salvocondotto, furono chiusi -il padre a Verona, il figlio a Milano: Galeazzo prese -Padova, poi Treviso, e si trovò sul margine delle lagune, -alla tardi e mal pentita Venezia minacciando, se -Dio gli concedesse sol cinque anni di vita, ridurla umile -quanto Padova. -</p> - -<p> -Tolte di mezzo quelle due antiche famiglie, assorbite -le case dei Correggio, dei Cavalcabò, dei Benzoni, dei -Beccaria, dei Langoschi, dei Rusca, dei Brusati, restava -padrone di ventuna città, che gli fruttavano ducentomila -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -fiorini, cioè metà quanto la Francia e l’Inghilterra, -avendo in corte quasi prigioniero Teodoro II -marchese di Monferrato, ricevendo docilissimi omaggi -da Francesco Gonzaga signore di Mantova, proteggendo -il marchese Alberto d’Este contro l’odio meritato con -delitti; aveva una zia maritata in Lionello d’Inghilterra -con ducentomila sterline; la figlia sua Valentina sposò -a Luigi duca d’Orléans, assegnandole in dote la città e -il territorio d’Asti, quattrocentomila fiorini, e un corredo -e gemme quali nessun regnante. Fidava recuperar -Genova coll’attizzarne le intestine malevolenze; chiedendo -sposa Maria, erede presuntiva della Sicilia, aspirò -ad acquistare quell’isola sbranata fra due fazioni: se non -che il re d’Aragona, subodorato l’accordo, appostò la -flotta lombarda e mandolla sgominata. Sempre più -ampliando i suoi divisamenti, Gian Galeazzo ambiva la -corona d’Italia; ma prima conveniva abbattere la tutrice -della costei libertà, Firenze. -</p> - -<p> -Questa continuava ad essere il centro de’ Guelfi, sottometteva -i castellani del contorno, e nelle interne -riotte migliorava la sua costituzione. A misura del -crescer di essa scapitava la ghibellina Pisa, la quale -invischiatasi nelle vicende di terra, più non dava i migliori -negozianti a Costantinopoli e all’Arcipelago, e -vedeva spopolarsi i suoi banchi in Siria. La battaglia -della Meloria, altro frutto del suo parteggiare cogl’imperatori, -l’avea fatta soccombere a Genova; e per -alcun tempo proibita di tenere armi, perdè l’abitudine -della guerra, onde la gioventù si drizzò ad altre vie, -ad altra ambizione i consigli; i pescatori delle maremme, -di Lerici, della Spezia passarono a servizio -de’ Genovesi. Alla Corsica avea rinunziato, sicchè fu -data agli Aragonesi in cambio della Sicilia: ma poichè -v’era sempre chi favoriva a’ Pisani o a’ Genovesi, tutta -andava in partiti e scaramuccie, che impedivano agli -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -Aragonesi di profondarvi radici. Molti tirannelli vi sorsero, -finchè il popolo stanco (1359) trucidò i baroni o li fugò, -e stabilì una costituzione repubblicana, mettendosi in -tutela de’ Genovesi, patto di non essere aggravezzati -che di venti soldi per fuoco l’anno. Nè per questo le -fazioni quetarono; e non potendo la repubblica di Genova -tenerla, cinque cittadini ne presero a proprio -conto la protezione, e se la divisero. Poco durò, e -alle indigene si aggiunsero le scissure di Adorni e -Fregosi. -</p> - -<p> -Ai Pisani restava accora la Sardegna, opportuna al -commercio coll’Africa che ormai sola le era dischiusa: -ma nel 1323 quanti erano in quell’isola furono trucidati -per trama di Ugone de’ Visconti giudice d’Arborea, -il quale consegnolla a Giacomo II re di Aragona. -L’infante don Alfonso, sbarcatovi con poderosa armata, -consumò quindicimila uomini nel vincere l’intrepida -resistenza di Cagliari e de’ Pisani condotti da Manfredi -della Gherardesca (1326), i quali alfine dovettero abbandonargli -l’isola, ultimo resto di loro marittima grandezza. -Gli Aragonesi v’introdussero le cortes, con tre stamenti -o bracci, ecclesiastico, militare, regio, cioè popolano, -i quali aveano parte nel far le leggi e nel fissare -l’imposta, e rendeano ragione alle querele d’individui -e di corpi. Alcuni signori conservaronsi indipendenti, -come i marchesi d’Arborea, tra cui fu famosa Eleonora -che fece raccor le leggi dell’isola (<i>carta de logu</i>) (1403), fin -testè conservate in vigore. -</p> - -<p> -Pisa si trovò intercetta la via dell’Africa, in Sicilia -non potè sostenere la concorrenza de’ Catalani, onde si -restrinse all’agricoltura, alle manifatture, alle imprese -di terra. Sempre avversa alla guelfa bandiera, continuava -a rivaleggiare con Firenze. Secondo il trattato -del 1342, avea fatto esenti i Fiorentini da ogni gabella -in Pisa; ma col pretesto di armare contro i corsari, -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -impose ad essi pure due denari ogni lira di valore. -Risoluti di non rassegnarsi ad un esempio che potrebbe -condurre a peggio (1357), i Fiorentini chiusero le loro partite -e trasportarono gli scanni al porto di Telamone nella -maremma senese. I mercanti forestieri dovettero seguirli, -sicchè fu colpo mortale a Pisa, la quale, vuote -le case, i magazzini, gli alberghi, le strade di vetturali, -il porto di navi, riducevasi una solitaria città -castellana. -</p> - -<p> -Dentro la squarciavano le sêtte de’ Bergolini, popolani -guidati dai Gambacorta, e de’ Raspanti, in mala -fama per aver <i>raspato</i> ne’ loro governi, e sempre avversi -ai Fiorentini. Gli odj portarono ad alternate tirannie; -e i Visconti di Milano, che mai non torceano gli -avidi occhi dalla Toscana, per demolirla colle lotte -interne favorivano ai Raspanti, i quali incessantemente -aizzavano alla guerra contro Firenze, non foss’altro per -rincalorire i rancori, che troppo s’erano calmati dacchè -si vedeva a che avesse portato l’esclusione de’ Fiorentini, -dai Raspanti cagionata. -</p> - -<p> -Volterra mal potea conservarsi indipendente fra le -tre repubbliche vicine che v’aspiravano; e però avendola -i Fiorentini sciolta dalla tirannide di Bocchino Belforti, -si diede a loro protettorato (1360). N’andò al colmo il dispetto -de’ Pisani, che ruppero all’armi con varia fortuna; ma -l’antica regina dei mari si trovò sull’onde guerreggiata -dalla mediterranea rivale. Pisa sentendosi non bastar -sola, chiese ajuti a Bernabò Visconti, e questi vi spedì -l’Acuto (1362) colla banda inglese di duemila cinquecento cavalli -e duemila fanti. Vero è che costoro devastarono -la campagna, poterono anche fare una punta sopra Firenze, -correre il palio fin sotto le mura di essa, ed -appiccarvi alla forca tre asini col nome di tre magistrati -fiorentini; ma la voracità di questa masnada, la peste -che ripullulò, e la rotta di San Savino (1364) (che ancora si -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -festeggia a Firenze col palio di San Vittorio) ridussero -i Pisani a strettissime condizioni<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>. Non potendo poi -pagare l’ultima rata alle compagnie di ventura, Giovanni -Agnello loro concittadino, la cui ambizione era sollecitata -da Bernabò, promise soddisfarli de’ soldi dovuti, e -col loro appoggio si fece proclamar doge: premiò, punì, -relegò, com’è il solito di cotesti ambiziosi, e giustificava -l’usurpazione col titolarsi luogotenente del Visconti. La -pace giovava al dittatore; onde fu conchiusa (17 agosto) tra Pisani -e Fiorentini, restituendo a questi ultimi le franchigie che -godevano a Pisa, i castelli e i prigionieri, oltre centomila -scudi d’oro per le spese della guerra. -</p> - -<p> -Firenze era sempre stata braccio destro della Chiesa: -pure onesta franchezza mostrava nelle materie ecclesiastiche, -sacerdoti e abati puniva dei delitti come -gli altri cittadini, e li sottopose alle gravezze comuni. -L’inquisitore frà Pietro dell’Aquila, superbo e avido -di denaro, avea avuto procura dal cardinale di Barros -spagnuolo, per riscuotere dodicimila fiorini dovutigli -dalla fallita compagnia degli Acciajuoli; e benchè col -consenso della Signoria n’avesse preso adequata cauzione, -fece dai birri del Sant’Uffizio (1375) sostenere uno -degl’interessati d’essa compagnia. Se ne leva rumore: -il prigioniero è tolto ai birri, che con tronche le mani -sono banditi dalla Signoria. L’inquisitore sbuffante si -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -ritira a Siena, e lancia l’interdetto sui priori e sul capitano -di Firenze: questi appellano al papa, accusando -d’altri abusi l’inquisitore, e che settemila fiorini in due -anni avesse smunto dai cittadini, coll’appuntare come -eresia ogni paroluzza, ogni sentenza men castigata; e -il papa, informato del vero, levò le censure. Allora il -Comune ordinò, come già erasi fatto a Perugia, che -nessun inquisitore prendesse brighe estranee al suo uffizio, -nè potesse condannare in denaro, nè tenere carcere -distinta; divieto ai magistrati di dargli sgherri, -nè di lasciar arrestare chi che fosse senz’assenso dei -priori: e poichè Pietro dell’Aquila a più di dugencinquanta -cittadini avea dato la licenza delle armi, col -titolo di famigli del Sant’Uffizio, ritraendone meglio di -mille fiorini l’anno, si ordinò che l’inquisitore non -avesse più di sei famigli con arme, nè più di sei altri -licenziasse a portarle; quelli del vescovo di Firenze -fossero ridotti a dodici, e a metà quelli del fiesolano; -l’ecclesiastico che offendeva un laico in fatto criminale, -cadesse sotto al magistrato ordinario, senza eccezione -di dignità, nè riguardo a privilegi papali. -</p> - -<p> -Tutto ciò indispose il papa contro Firenze: e Guglielmo -di Noellet, legato pontifizio a Bologna, parve -ne insidiasse la libertà, la carestia peggiorando col -proibirvi l’invio del grano, poi scagliando contro della -Toscana la Compagnia Bianca dell’Acuto, dacchè la -tregua con Bernabò la rendeva inutile: passo sconsigliato -e disastrosissimo all’Italia ed alla causa pontifizia. -Firenze, indignata di vedersi tolta di mira da -quella Corte, cui con lealtà religiosa avea sempre favorito, -comprò l’inazione di costui mediante centrentamila -fiorini, e tosto gittò l’incendio nella Romagna, -promettendo mano a chiunque si rivoltasse alle sante -chiavi. Siena, Lucca, Pisa tennero con essa, e così il -Visconti, cui Gregorio XI aveva rinnovato le ostilità: -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -gli Otto della guerra, a’ quali erasi affidato il governo -di Firenze, ed erano detti gli otto santi patroni, raccolsero -l’esercito sotto una bandiera iscritta a oro <i>Libertà</i>, -la quale spedirono a Roma e agli altri paesi con lettere -mirabilmente dettate dal segretario Coluccio Salutati. -Ed ecco in non dieci giorni ottanta città o borgate di -Romagna e delle marche d’Ancona e Spoleto, e Bologna -stessa si sottrassero ai vicarj pontifizj, e costituendosi -libere, o richiamando le antiche famiglie spossessate -dall’Albornoz. Giovanni Acuto, a servizio del legato -papale, intitolò la sua <i>compagnia santa</i>, e malmenò la -Romagna. Il vescovo d’Ostia conte di questa dimorava -in Faenza, e scoperto che Astorre Manfredi praticava -per farla ribellare, chiamò l’Acuto. Il quale volò, -e subito chiese denari (1376); e non avendone il vescovo, cacciò -prigione trecento primani, undicimila spinse fuor di -città, solo ritenendo alquante donne a oltraggio; poi -l’abbandonò al sacco, nè tampoco risparmiando le vite -di fanciulli. La città così malmenata vendè per quarantamila -fiorini al marchese d’Este, poi gliela ritolse -per darla al Manfredi. Questo chiamava egli servire al -pontefice: eppure in compenso pretese le terre di Bagnacavallo -e Castrocaro. -</p> - -<p> -La sollevazione intanto estendevasi; ben ottanta città -aveano tolto l’obbedienza al pontefice, che viepiù indignato -contro i Fiorentini, li citò al suo tribunale. Essi, -che non voleano esser religiosi a scapito della libertà<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>, -mandano tre ambasciadori ad Avignone, che sostengono -la causa loro con insolita franchezza, e — In quattrocento -anni dacchè godiamo della libertà, la ci si è per -modo connaturata, che ognun di noi è disposto a sagrificare -la vita per conservar quella». Il buon papa -era troppo male ispirato, com’è più facile ai lontani; e -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -senza dare ascolto proferì contro di loro la scomunica, -eccitando ognuno ad occuparne gli averi e le persone; -onde Donato Barbadori, uno dell’ambasciata, si volge -a un Cristo, appellandosi a lui dell’ingiusta sentenza, -e dicendo col salmista: — Ajutor mio, non mi lasciare; -se anche mio padre e mia madre m’abbandonarono». -</p> - -<p> -Quanti erano per traffico in Avignone e altrove sono -obbligati partirsene; il re d’Inghilterra coglie l’occasione -per occupare gli averi e far serve le persone di -quanti ne trovò nel suo regno; sicchè arrivò a Firenze -tanta gente, da poter formare un’altra città. I Fiorentini -decretano non si badi all’interdetto (1377), e si continuino -gli uffizi divini: ma l’Acuto mette a macello le città sollevate; -Roberto di Ginevra nuovo legato, cattiva scelta -d’ottimo pontefice, trae una banda delle più ribalde che -devastassero la Francia, guidata da Giovanni di Malestroit -bretone, il quale, avendogli il papa domandato — Ti -basta l’animo di penetrare in Firenze?» rispose — Sì -perdio, se vi penetra il sole». A’ Bolognesi il legato -minacciava voler lavarsi piedi e mani nel sangue loro; -e di fatto Monteveglio, Crespellano ed altre terre furono -spietatamente invase. Cesena, assalita per una rissa fra’ Bretoni -e i cittadini, fu mandata a sacco, e Roberto -gridava — Sangue, voglio sangue; scannate tutti, affatto -affatto»; orribile grido, più orribile in bocca di legato -papale, se pur non è una delle solite invenzioni con -cui si vendicano gli oppressi. Tre giorni abbandonata a -quel furore, cinquemila cadaveri furono rinvenuti -quando si rifabbricò, oltre quelli periti nel fuoco e -mangiati dai cani: gli altri errarono mendicando. I soldati -cambiavano a some le spoglie dei morti con altrettanto -fieno e paglia da stramare i cavalli; le donne, vedove, -contaminate, nude, digiune, metteano pietà fin al -disumano Acuto. I Fiorentini riuscirono a staccare -costui dal papa col pagargli duecencinquantamila fiorini -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -l’anno; vale a dire redimevano i ricolti del proprio -territorio dando una metà della pubblica rendita. Solo -allorchè lo scisma cominciato nella Chiesa facealo bisognoso -di pace, il papa ricomunicò Firenze (1378), accettandone -ducentrentamila fiorini. -</p> - -<p> -Firenze vedeva con gelosia gl’incrementi di Gian -Galeazzo; e questo, soffiando ne’ rancori degli emuli -di essa, riuscì ad allearsi con Siena, Perugia, Urbino, -Faenza, Rimini, Forlì e molti principotti, oltrechè si -provvedeva dei migliori capitani nostrali, Jacopo del -Verme, Giovanni d’Azzo degli Ubaldini, Paolo Savelli, -Ugolotto Biancardo, Galeazzo Porro, Facino Cane, ed -accampava fin quindicimila cavalli e seimila fanti. -Firenze sentendosi minacciata, doppiò di zelo e sagrifizj, -e oltre l’Acuto, assoldò il tedesco duca di Baviera, -il francese duca di Armagnac, che menava duemila -lance e tremila <i>pilardi</i> o saccomanni, diluvj d’ogni nazione, -stipendiati per danno della nostra. Associavasi -pure colla potenza di Bologna e coll’ira del tradito -Francesco Novello de’ Carrara. -</p> - -<p> -Costretto, come narrammo, dal Visconti a far cessione -del principato degli avi suoi, e relegato a Cortazzone -nell’Astigiano, costui fugge per Francia, dando -voce d’andar pellegrino a Sant’Antonio di Vienne, e -seguito dall’intrepida moglie Taddea d’Este e dai figliuoli, -varca i geli alpini, si prostra all’antipapa Clemente -VII in Avignone, a Marsiglia abbraccia Raimondo -già vescovo di Padova, poi temendo essere arrestato da -quel governatore, s’imbarca per Genova. La procella -lo butta su spiaggia nemica, ma ne campa mediante il -denaro e le lettere del re di Francia; e giunto a una -terra de’ Fieschi, si rimette al mare. Nuova tempesta -lo spinge al lido, ove uno Spínola non crede sia mercante -nè uom d’arme come diceva, e l’obbliga a manifestargli -l’esser suo. Questo, caldo ghibellino, corre -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -a Genova a riferirlo al doge Adorno, creatura dei Visconti; -ma il Carrarese, avutone sentore, passa la notte -in una chiesa, donde all’alba fugge lungo la riviera. Ivi -l’imbatte un mercante, che al nobile portamento di -Taddeo insospettito, corre a denunziarlo a Ventimiglia -come rapitore di gentildonna. Le milizie il sopragiungono, -ma egli, palesatosi, riceve onore; ed è trovato da -un messaggiero di Paganino Doria, che gli presenta la -metà d’un dado, segnale concertato, onde seco prosegue -il viaggio s’un palischermo. Spinto da traversia a -Savona, ove dominavano i Del Carretto amici al Visconti, -se ne sottrae con pronta fuga, e in abito da -pellegrino passa per Genova, si sottrae ai condottieri -del duca spediti sulla sua traccia, ed eccolo a Firenze. -Nojato dai gabellieri alle porte, ricevuto freddamente -e consigliato a cercarsi altro asilo, egli mette banco -per guadagnare il vitto alla famiglia, e si fa stimare -dai Fiorentini, viepiù dacchè lo vedono temuto dal -Visconti: i Veneziani stessi, cessato di averne paura, lo -guardano amicamente; dalla prigione suo padre lo -esorta a sostenere le fortune e l’onore della casa. Allora -Francesco ripiglia personaggio politico, gira le -corti di Germania e n’ottiene soccorsi ed incoraggiamenti, -coi quali traversato il Friuli, e raccolti amici e -partigiani, di sorpresa recupera Padova (1390 19 giugno). Subito l’incendio -si diffonde; Verona acclama il fanciullo Can -Francesco, figlio del defunto Antonio della Scala; e i -Veneziani dan mano ai nemici di Gian Galeazzo. -</p> - -<p> -Però le bande oltramontane non aveano ancora imparato -la strategia maestrevole delle italiane; e l’Armagnac, -che, giovane di ventott’anni e usato a vincere, con -baldanza francese sbraveggiava gl’Italiani, essendosi -con pochi avanzato fin sotto Alessandria, da Jacopo -del Verme fu battuto e ferito a morte (1391 25 luglio); i suoi, presi e -spogliati, dovettero senz’armi tornare in Francia. Ne -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -restava in gravissimo frangente l’altro esercito al soldo -de’ Fiorentini, ma Giovanni Acuto con ferma maestria -potè ritirarlo attraverso l’Oglio, il Mincio, l’Adige. Rotte -le dighe di questo, allagata la valle veronese, l’Acuto -si trovò una volta ristretto sopra un argine, e tutto intorno -acqua, onde il Del Verme gli mandò per beffa -una volpe in gabbia; ma l’inglese rispose: — La volpe -troverà modo da sgattajolare»: e in fatto, traversando -di sotto di Legnago per entro le acque e la melma -un’intera giornata, ridusse l’esercito in salvo. All’Acuto -Firenze dava fin duemila fiorini l’anno di paga, e lui -e suo figlio faceva esenti da ogni gravezza; pingui doti -alle tre figlie, assegno vedovile alla moglie Donnina -Visconti; e quando morì (1394) gli rese esequie da principe, -e mausoleo in Santa Maria del Fiore, e le sue ceneri -furono ridomandate dal re d’Inghilterra: tant’è pertinace -la frenesia degli uomini nell’onorare chi gli uccide. -</p> - -<p> -Stanchi di quelle interminabili evoluzioni senza mai -una battaglia campale, i belligeranti trattarono d’accordo (1392 genn.), -rimettendosi all’arbitrio di Antoniotto Adorno -doge di Genova, e Riccardo Caracciolo gran maestro -dell’ordine di Rodi. Il costoro arbitramento a Francesco -Novello manteneva Padova, proibito a Gian Galeazzo -d’intrigarsi nelle cose toscane, e ai Fiorentini -nelle lombarde. Ma il Visconti, le cui ambizioni rimanevano -insoddisfatte, non atteneva i patti; le bande -mercenarie congedate, eppur tenute sempre a mezzo -soldo, spingeva contro i Fiorentini (8bre); fermava alleanza -con Jacopo d’Appiano, che svertando Pietro Gambacorta, -s’era insignorito di Pisa. -</p> - -<p> -Francesco Gonzaga in un finto pellegrinaggio combinò -una lega guelfa tra Bologna, i signori di Padova, -Ferrara, Mantova, Ravenna, Faenza, Imola, e principalmente -Firenze, la quale regolata allora dagli Albizzi, -destri politici, coi maneggi non men che colle bande -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -mercenarie tenne testa ad Alberico di Barbiano. Non -potè però impedire che Gerardo figlio e successore -dell’Appiano vendesse Pisa a Gian Galeazzo (1399 febb.), conservando -per sè Piombino coll’isola d’Elba, la quale d’allora -formò un principato distinto. Anche Siena, agitata dalle -fazioni e dalle rivalità con Firenze, si diede al Visconti (1400 genn.); -e Perugia l’imitò. Pure l’opposizione di Firenze scompigliò -(fu bene o male?) i disegni di Gian Galeazzo, -il quale, caduto dalla speranza d’unire tutta Italia, -pensò consolidarsi in Milano. -</p> - -<p> -Per quanto la lunghezza e successione delle signorie -avesse abituato a considerarli per principi ereditarj, i -Visconti, come gli altri tiranni, non dominavano se non -perchè il potere politico era affidato loro dall’assemblea -del popolo, nella quale risedeva ancora di diritto la -sovranità. Vero è che i Visconti la dispensavano dallo -incomodo di adunarsi, facendo far tutto dai dodici di -provvisione, presieduti da un vicario nominato dal principe, -o al più convocavanla per dire di sì. Dal principe -emanavano gli statuti, diretti spesso a consolidare la -sua autorità col proibire di portare armi, di fare società -segrete, o mantenere corrispondenza col papa o -coll’imperatore, od a volere severa e compendiosa -giustizia dei ladri e dei ribelli, «e per ribelli s’intendono -tutti quelli che fanno contro al pacifico stato del -signore e del Comune di Milano». Il vicario, mentre -era luogotenente del duca, era pur capo della cittadinanza, -e intermedio fra questa e quello; doveva essere -forestiero, o almeno non possedere beni fondi nel -Milanese; veniva assistito da dodici consiglieri bimestrali, -tolti in parte dal collegio dei dottori, in parte -dai mercanti e dai cittadini. Di questo magistrato erano -competenza la polizia interiore, il commercio, la sanità, -l’abbondanza, le contestazioni fra i mestieri e per servitù -locali e mercedi; amministrava le rendite del -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -Comune, i dazj, le regalie d’acque e strade; nominava -agl’impieghi municipali, sceglieva i podestà, i capitani -ed altri capi della giustizia nel contado. Esso pure convocava -il consiglio generale di cencinquanta cittadini -per ciascuna delle sei porte principali, eletti in prima -da deputati del popolo, poi dal tribunale stesso di provvisione -assistito da alquanti savj, infine dal duca. Ogni -porta aveva stemma e bandiera propria e capitani; -ogni parrocchia i suoi sindaci, e assemblee elettorali -e deliberative: ai cittadini spettava la difesa delle mura -e delle porte. Il potere giudiziale civile spettava al podestà; -il criminale a un capitano di giustizia: ma costretto -com’era ad appoggiarsi ad uno dei partiti per -valere sopra l’altro, restava servo del preponderante, -cioè del principe. -</p> - -<p> -Queste consuetudini antiche de’ Comuni, e i privilegi -feudali, le fazioni, il clero, le maestranze erano limiti -alla potenza del principe, e sembra che principalmente -ponessero ritegno al soverchiare delle imposte, giacchè -questo adopera parole lusinghiere e fin vili allorchè -domanda qualche nuova tassa. Al che per lo più davagli -titolo il dover levare truppe, e con queste potea -soprusare: se poi fosse creato vicario imperiale, esercitava -i diritti regj: in caso di guerra non avea più -limiti, come generale dell’esercito: se diveniva capo di -molte città, non tenendosi queste l’una coll’altra, egli -si trovava indipendente da tutte, e le une adoprava a -frenare le altre; le quali conquistate non aveano alcun -diritto da opporre agli arbitrj di esso. -</p> - -<p> -Per dare a conoscere il governo d’alcuna delle città -dipendenti, togliamo ad esempio Como. Vi durava il -consiglio generale di cento, fra i quali sortivasi un -consiglio di dodici savj od uffizio di provvisione, per -amministrare gli affari ordinarj: ne’ casi più rilevanti, -come per fare statuti, dare la cittadinanza, vendere o -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -impegnare i beni pubblici, raccoglievasi il consiglio -generale. Ma Gian Galeazzo Visconti cercò sempre assottigliare -la giurisdizione che questo aveva in materia -d’ordinanze, pesi, misure, imposte, statuti, i quali vi -erano stati rinnovati da Azzone. -</p> - -<p> -Innanzi a detto consiglio appaltavansi le gabelle, e -un giudice dei dazj con sei ragionieri risolveva le quistioni -ad essi relative. Un referendario, per l’interesse -del principe, sovrintendeva ai dazj, alle gabelle, ai -pedaggi, ed interveniva al consiglio generale; e il primo -che si trovi, fu del 1387. Quattromila seicento fiorini -al mese era la quota che Como pagava a Gian Galeazzo. -Privilegio del fisco era il sale, e l’appaltatore nel 1380 -dovea comprarne quindicimila cinquecento staja dalla -gabella del principe, il quale poi era suddiviso per -Comuni e per famiglie, restandone esenti quelli che -possedessero meno d’una lira di estimo. Il sale allora -valeva quattro lire di terzoli; ed ogni frode era severamente -punita. -</p> - -<p> -Il podestà non era più eletto dalla città, ma spedito -da Milano<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>, con cento fiorini d’oro al mese, coi -quali doveva stipendiare un collaterale per la polizia, e -il vicario e il giudice de’ malefizj, che sosteneano le -veci sue, questo nelle criminali, quello nelle cause -civili, nelle quali aveano pari autorità quattro consoli -di giustizia e due giudici di palazzo, scelti fra i dottori -di collegio. Ogni sei mesi venivano da Milano censori, -i quali pure sindacavano i magistrati quando al fine -dell’anno scadeano. Il governatore era un mero rappresentante, -nè scemava al Comune l’autorità sopra gli -uffiziali inferiori e sopra le entrate proprie. -</p> - -<p> -Bisognava dare un numero di soldati proporzionato -alla popolazione, e sotto connestabili e con paga; oltre -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -carri e guastatori ed altri servigi da guerra. La cittadella -era guardata da un comandante: da un capitano -del lago, sedente a Bellagio, dipendevano i soldati e -due navi da venti e più remi dette <i>scorrobiesse</i>, per -inseguire i contrabbandieri e i pirati. Un capo del -bollo rilasciava i passaporti agli stranieri, sui quali e -sulle porte, sulle quarantene, sui confini aveva giurisdizione. -Dal principe pure venivano il giudice delle vettovaglie -che badava alla bontà dei viveri e delle medicine, -e i giudici delle strade. -</p> - -<p> -Quel che parrà strano, nemmeno la perdita della -indipendenza toglieva le nimistà interne e le divisioni -per famiglie. A Como nel 1335 furono eletti cinquanta -uomini della fazione Vitana, cinquanta della Ruscona, -cinquanta della Lambertenga; e posti i nomi in tre urne -separate, se ne estraeva uno per ciascuna, formando il -tribunale dei <i>tre buoni uomini</i>, giudice inappellabile -delle cause introdotte avanti a qualsifosse magistrato. -E fin ai tempi di Francesco Sforza si continuò a cernire -il consiglio metà dalla squadra Vitana, metà dalla -Ruscona. -</p> - -<p> -Galeazzo e Bernabò Visconti aveano creduto abbreviare -e semplificare le liti coll’ordinare che quelle introdotte -presso qualunque giudice si dovessero, a petizione -anche d’una sola parte, compromettere in tre -persone di fiducia, che proferissero senza strepito di -fôro e inappellabilmente. Ciò dovette cadere in disuso, -giacchè Gian Galeazzo lo richiamò nel 1382: ma presto -apparve che questo surrogare l’arbitrio e il buon senso -della legge peggiorava la giustizia; onde dapprima si -volle che fra i tre fosse un giurisperito, poi la sentenza -fosse appellabile, infine si rimisero i giudizj ai magistrati -ordinarj. -</p> - -<p> -A questi si andava estendendo la facoltà di procedere -d’uffizio contro i delinquenti, e non solo per -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -istanza dell’offeso, come già si praticava: il quale accentramento -della giustizia fu un gran passo verso la -centralità<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>. E Gian Galeazzo vi servì collo stabilire -a Milano un consiglio di giustizia, tribunale supremo, -cui portavasi l’appello dagli altri inferiori; e un consiglio -segreto che sovrintendeva all’amministrazione, -avendo dipendenti i magistrati delle entrate ordinarie -e delle straordinarie, i referendarj della curia ducale, -i <i>collaterali del banco degli stipendiarj</i> per l’esercito, -i <i>capitani del divieto dei grani</i> sopra l’annona. Anche -la nomina ai benefizj ecclesiastici fu tratta al principe, -salvo al papa il ratificarla: infine esso si arrogò quella -del gran consiglio e dei dodici di provvisione. L’estendersi -dello studio del diritto romano cresceva al principe -l’autorità giuridica, oltre che egli reprimea arbitrariamente -i frequenti delitti. -</p> - -<p> -Questo potere dispotico, come nella Roma antica, -derivava dalla potenza del capitano; e non distruggeva -le forme repubblicane, ma le privava d’ogni efficacia. -Al popolo rimaneva ancora il diritto di scegliere il -principe; e disgustato dell’uno, protestava che, morto -lui, mai più non ne vorrebbe altro; poi, appena morto -questo, correva ad eleggerne un altro, anzi il figlio o -il fratello di quello, per la ragione che suo padre o -fratello era stato cattivo. Il ragionamento sa di strano, -ma si fa tutti i dì. -</p> - -<p> -Per tal modo i Milanesi si erano in cent’anni avvezzati -a credere necessario il principato, e supporvi quasi -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -un titolo ereditario alla casa Visconti. Se non che poteano -sempre dir di no; e questo pericolo, per quanto -remoto, turbava i sonni a Gian Galeazzo, il quale, per -non tenersi conoscente del titolo all’elezione popolare, -preferì riceverlo dall’imperatore. -</p> - -<p> -Federico Barbarossa a Costanza riconosceva liberi -i Lombardi: in conseguenza gl’imperatori non aveano -potere diretto su di essi, nè mai pretesero considerarli -come un feudo, di cui potessero disporre. -Quando dunque Galeazzo offrì all’imperatore Venceslao -centomila zecchini se lo eleggesse duca di Milano, questo -(1395 maggio) non esitò un istante ad esaudirlo<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>. Galeazzo, -scaltrito che più dei forni usati da’ suoi predecessori, -incatenerebbero il popolo le feste, ne preparò di suntuosissime. -Sulla piazza di Sant’Ambrogio ove si coronavano -i re d’Italia, il nuovo duca fu messo in trono, -poi a ginocchi dal messo imperiale ricevette il manto -e una corona che valea ducentomila fiorini; e canti, e -messe solenni, cavalcate, giostre, corte bandita, regali -da non dire, e «allo spettacolo de tanta solennitate vi -concorse quasi de tutte le nazioni de Cristiani ed anche -gl’Infedeli, in modo che ciascuno diceva non più potere -maggiore cosa vedere»<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -</p> - -<p> -Questa Lombardia che vedemmo sminuzzata in tante -repubblichette quanti erano i Comuni che si governavano -e amministravano alla domestica, veniva dunque -a fondersi in un ducato, che, oltre la capitale, comprendeva -Lodi, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Como, -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -col lago suo e quel di Lugano e con Bellinzona, Bormio -e la Valtellina, Novara, Alessandria, Tortona, Vercelli, -Pontremoli, Bobbio, Sarzana, Verona, Vicenza, Feliciano, -Feltre, Belluno, Bassano colla riviera di Trento, -Parma, Piacenza, Reggio, Arezzo; inoltre una contea -in cui Pavia, Valenza, e Casale; e la contea d’Angera, -titolare dell’erede. Gian Galeazzo possedeva altresì Perugia, -Nocera, Spoleto, Assisi; oltre Asti ed Alba, che -diede in dote alle due figlie. E tutto questo paese, divenuto -retaggio d’una famiglia, passò dappoi a chi avesse -più forza per occuparlo, o più astuzia e fierezza per -tenerlo oppresso. -</p> - -<p> -Forte spiacque ai Tedeschi l’alienazione di questo -ducato, che essi amavano considerare per feudo imperiale; -e fu uno degli aggravj di cui più caricassero -Venceslao quando lo scoronarono (1401). Roberto conte palatino -sostituitogli dovè promettere di venire in Italia -e annichilare la sovranità de’ Visconti; sicchè alleatosi -col signore di Padova, e accomodato di ducentomila -fiorini da Firenze, spedì ambasciatori a far l’intimata -a Galeazzo. Questo per tutta risposta si cinse de’ migliori -capitani di ventura; e Roberto entrato sul territorio -di Brescia (8bre) che era sorto a rumore, ed assalito -da Facino Cane e Jacopo Del Verme, provò come la -cavalleria italiana fosse superiore alla tedesca, la quale -sarebbe ita in piena rotta se Francesco Novello non la -sosteneva con uno squadrone italiano. Roberto, perduti -mille cavalli e molti prigionieri, e abbandonato dai -vassalli, se ne partì con ignominia (1402). -</p> - -<p> -Così e l’assalto e la difesa dipendeano da capitani di -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -ventura, de’ quali i migliori tenevasi intorno Galeazzo, -e per opera loro ricuperò la sempre ribramata Bologna. -Questa era tuttora divisa fra gli Scacchesi capitanati -da Gozzadini e Zambeccari, e i Maltraversi che coi -nobili aveano a capo Giovanni Bentivoglio, il quale (1401) riuscì -a farsene dichiarar signore. Con ciò Firenze perdeva -la sua più costante alleata: ma Galeazzo mandò contro -al Bentivoglio il Del Verme e il Barbiano, e per quanto -egli si difendesse valorosamente, fu fatto prigione ed -ucciso (1402 giugno); e Galeazzo, gridato signore, fece al solito -costruirvi una fortezza. -</p> - -<p> -Insomma costui finiva di sotterrare le repubbliche -nostre. Pisa gli era stata venduta da Gerardo Appiano; -Siena e Perugia lo chiamarono signore, mentre Genova -si metteva sotto al re di Francia; Roma era peggiorata -dallo scisma papale; a Napoli la servitù non restituiva -la pace; Venezia non s’accorgeva della necessità di farsi -propugnatrice della libertà italiana; sola conservava -l’alito repubblicano Firenze, ma sentendosi ricingere -dalle insidie del Visconti, tremava: quando la peste, -più volte ridestatasi in quel secolo, troncò a Gian Galeazzo -le ambizioni e la vita di soli quarantanove anni (3 7bre). -</p> - -<p> -Fu dei più splendidi signori d’Italia, ricco di politici -accorgimenti quanto povero di valore personale e di -lealtà, alla libidine del possedere sagrificando giustizia, -fede, utile de’ popoli, e adoprando mirabilmente gli -uomini di pace e di guerra. Abile a mascherare la -servitù, migliorò l’amministrazione coll’arte de’ registri -e de’ protocolli serviti da interminabili scrivani, computisti, -notaj: alleviò dai dazj più odiosi, molti scarcerò, -fece riformare gli statuti, si tenne attorno dotti e letterati, -quali Baldo giurista, il Fulgoso, Signorolo Amadio, -Ugo da Siena e Biagio Pelacane matematici, i medici -Marsiglio da Santa Sofia, Sillano Negro, Antonio Vacca, -il filologo Emanuele Crisolara, il teologo Pietro Filargo; -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -ridestò l’Università di Piacenza, a quella di Pavia unì -una biblioteca, fondò un’accademia di belle arti, e raccomandò -il suo nome a due dei più insigni monumenti -dell’Alta Italia, il duomo di Milano e la Certosa di Pavia, -dedicati a Maria nascente e a Maria delle Grazie. Nè -avrebbe fallito d’insignorirsi di tutta Italia, se non -avesse trovato sulla sua strada i Fiorentini e Francesco -de’ Carrara, o quella fatalità che attraversò sempre chi -vi si accinse. -</p> - -<p> -A’ suoi funerali, dal palazzo in castello s’avviò una -processione verso il duomo così lunga, che appena -si terminò in quattordici ore. Innanzi alla croce venivano -connestabili, scudieri e cavalieri; e quaranta -personaggi della famiglia Visconti, ognuno accompagnato -da due ambasciatori di estere potenze; indi gran -numero d’altri ambasciadori e nobili forestieri, e dieci -deputati da ciascuna delle quarantasei città soggette<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>, -oltre una folla di primati e nobili di queste; poi tutti -gli ordini religiosi (e non erano pochi), canonici regolari, -clero secolare, gli abati dei monasteri ed i vescovi -di tutte le diocesi suddite. Seguivano le insegne della -città, portate da ducenquaranta uomini a cavallo, cui -tenevano appresso otto altri pure a cavallo, colle insegne -ducali, poi due mila persone in gramaglie, con sul petto -e sulle spalle le armi della vipera, del ducato di Milano -e del contado di Pavia, ciascuno con grosse torchie alla -mano. Dietro al clero ed ai canonici della metropolitana -appariva l’arcivescovo fra’ suoi suffraganei. La -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -bara portavano principali signori forestieri, sotto a un -baldacchino di broccato d’oro foderato d’ermellini, -e tutt’intorno cortigiani a bruno, i quali, dodici alla -volta, sostenevano gli scudi delle insegne e delle imprese -adottate dal duca. Duemila altre persone in -corrotto chiudevano la processione. Giunti al tempio e -fatta l’oblazione di tutti i ceri, delle insegne ducali, delle -armi e dei cavalli che le portavano, si celebrarono gli -uffizj di suffragio attorno ad un mausoleo ornato di -vessilli e bandiere, sovra il quale posava il feretro: nè -mancava una pomposa iscrizione, attestante le virtù -che il duca ebbe o doveva avere, e il pianto de’ sudditi -orbati del padre; frasi per tutti. Finito ogni cosa, il -corteo fece tragitto al palazzo ducale, ove fu recitata -una non men pomposa e altrettanto veridica orazione, -che faceva risalire la dinastia Visconti fino ad Ettore -ed Enea. -</p> - -<p> -Avea disposto si recassero le sue viscere a San -Jacopo di Galizia, le ossa alla Certosa di Pavia, alla -quale lasciò estesissimi possessi per finirne la fabbrica, -e poi farne le limosine, che seguitarono finchè l’istituto -durò. In quel tempio, gli fu dunque eretto un mausoleo -di marmo bianco, coll’effigie sedente, la storia -delle sue imprese, e bassorilievi, e gli stemmi di tutte -le città obbedienti al suo comando: uno de’ più insigni -monumenti dell’arte italiana. Commines, arguto politico -e storico francese, colà vide quelle ossa poste più -alte che l’altare, e udì da un frate intitolarlo santo. «Ed -io (racconta) gli chiesi all’orecchio perchè mo lo chiamasse -santo, mentre potea vedere all’intorno le armi -di molte città da lui usurpate senza diritto; ed egli mi -rispose sotto voce: <i>Noi in questo paese chiamiamo -santi tutti quelli che ci fanno del bene</i>»<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -</p> - -<p> -Gian Galeazzo lasciava due figliuoli in piccola età: a -Gian Maria legò il ducato dal Ticino al Mincio, oltre -Bologna, Siena, Perugia; a Filippo Maria il contado -pavese, col resto del territorio; Pisa e Crema staccò -pel bastardo Gabriele Maria: ma potea dire come -Pirro, — Lego il mio scettro a chi ha miglior fendente -di spada». La tutela affidò a Caterina Visconti sua vedova -e a diciassette personaggi, fra cui i celebri condottieri -Del Verme, Barbiano, Pandolfo Malatesta, -Antonio d’Urbino, Francesco Gonzaga, Paolo Savelli, -sperando sarebbero puntelli alla debolezza de’ bambini, -e quasi dovessero stare obbedienti a un fanciullo come -erano stati a lui. Valorosi in opere di battaglia quanto -inetti al governo e scarsi di fede, i condottieri non più -s’accontentavano di paghe, e volevano qualche città o -territorio dove svernare: Giovanni da Pietramala occupò -Narni; Rinaldo Orsini, Aquila e Spoleto; Boldrino -da Panicale, molte terre della Marca; Biordo dominò -Perugia, Todi, Orvieto, Nocera; il Broglia Assisi; altri -altre terre, che poi non potendo tenere, vendevano ai -Comuni o ai principotti vicini. Questi talora se ne sbarazzavano -coll’assassinio, come fece il marchese di -Macerata uccidendo Boldrino. I suoi mossero a vendicarlo -con ferocia, sinchè Firenze s’interpose, facendoli -soddisfare con dodicimila fiorini, e col restituire il -cadavere del loro condottiero, che in una cassa essi -portarono lungamente a capo dello stuolo. -</p> - -<p> -I contutori di Gian Maria sdegnavano sottostare a -una donna e a Francesco Barbavara di lei favorito, -presidente della reggenza; e la discordia impacciava i -consigli, mentre i nemici repressi rialzavano il capo; -Guelfi e Ghibellini, di cui fin il nome erasi proscritto, -rinvelenivano, e non più per le antiche cause della -Chiesa e dell’Impero, ma per isfogo d’odj e di stillate -vendette. Il Carrarese aguzza le armi non mai deposte; -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -papa Bonifazio IX e i Fiorentini s’intendono per sottrarre -ai Visconti Siena, Perugia, Pisa, Bologna; il -Barbiano, accettato il comando dell’esercito fiorentino, -ricupera al papa Assisi e Perugia; gli altri condottieri -s’avacciano di spartire fra sè un dominio ch’essi medesimi -aveano procacciato a quella casa. Era una riazione -federale contro l’unità milanese. -</p> - -<p> -Arte e fermezza adoprò Caterina al riparo, e con -sanguinose esecuzioni sgomentò i Milanesi, che istigati -da altri Visconti, dai Porri, dagli Aliprandi, eransi -mossi a tumulto per imporle nuovi consiglieri. Ma -tutte ormai le città aveano scossa la dipendenza, e -qualche tiranno vi prevaleva sulle famiglie e sulle fazioni. -I Guelfi, secondati dai Valcamuni, mandano Brescia -a tale strazio, da vendersi fin carne di Ghibellini; -ma Pietro Gambara, di cui s’erano macellati due figlioletti, -raccolse armi e consorti a Salò, ed entrato in -città prese così sanguinose vendette, che la puzza dei -cadaveri contaminò lungamente l’agro bresciano e il -cremonese. I Guelfi pigliano il sopravvento a Lodi con -Giovanni de’ Vignati, a Piacenza e a Bobbio cogli Scotti -e coi Landi; i Ghibellini trionfano a Como con Franchino -Rusca, a Bergamo coi Suardi, a Cremona con -Giovan Ponzone, poi con Ugolino Cavalcabò; infine -Gabrino Fondulo convita i Cavalcabò e i principali del -paese e li fa scannare, e guadagna così un posto fra i -principi. Intanto i baroni di Sax nella Mesolcina occupano -Bellinzona; Vicenza si dà ai Veneziani. -</p> - -<p> -Caterina riesce a far pace col papa, che venne a recuperare -Bologna e Perugia: i Fiorentini, querelandolo -d’averli abbandonati, continuano la guerra e liberano -Siena; ma Gabriele Maria Visconti conserva Pisa alleandosi -al maresciallo Boucicault, allora vicario di Francia -a Genova; poi la vende per ducentoseimila fiorini (1405 giugno), che -gli sono frodati da quell’avaro francese, il quale accusatolo -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -a Genova di tradimento, lo manda al patibolo. -</p> - -<p> -A Caterina fu grande appoggio Facino Cane. Costui, -dell’antica stirpe dei Cani di Monferrato, avea servito -gli Scaligeri di Verona, e rimasto prigione alla battaglia -di Castagnaro, accettò stipendio dai Carraresi, pei -quali menò inesorabile guerra nel Friuli; assistè al -marchese di Monferrato contro i signori di Savoja con -tal fortuna, che quello l’infeudò di Borgo San Martino. -Devastando il Piemonte fino ad Ivrea, crebbe nella stima -di Gian Galeazzo, che gli diede a governo Bologna appena -l’ebbe riacquistata. Col feroce diritto di un comandante -militare egli vi si mantenne; e quando, morto il -duca, ebbe ordine di cederla all’esercito pontifizio, per -togliere la voglia d’inseguirlo pose il fuoco a trecento -case. Dritte allora le bande sue contro dei rivoltosi, -devastò quant’è da Parma a Cremona; Alessandria abbandonò -ad orribile saccheggio, poi se ne fece signore, -tenendo anche il contado di Biandrate. Pandolfo Malatesta, -cognato della reggente, reclamava i soldi maturati; -ond’essa l’inviò a depredare Como, dov’egli si -pose governatore, come si sottomise Bergamo e Brescia, -fondandovi un’altra signoria guelfa. -</p> - -<p> -Ma questa fazione perdeva allora un gran capo. Francesco -Novello de’ Carrara sodatosi in Padova, e conciliatosi -con Guglielmo bastardo di casa della Scala, gli -avea dato mano nel recuperare Verona; poi come questo -morì (1404 7 aprile) (dissero di veleno), Francesco Novello se la prese (maggio), -a scapito de’ figli di esso, Antonio e Brunoro, e della -Visconti. Ma già i Veneziani, istigati dalla duchessa, -aveano rotta guerra al Carrarese assoldando il Malatesta, -il Savelli ed altri condottieri; e per quanto egli -raddoppiasse d’attività, il numero superiore de’ nemici -e la peste lo costrinsero a cedere (1406). Recatosi a Venezia, -ivi fu sostenuto, e dai Dieci condannato al patibolo coi -suoi figliuoli, e bandita una taglia sul capo dei due che -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -eransi salvati in Firenze, e Carlo Zeno, il più grande -uomo di Venezia, accusato d’aver ricevuto quattrocento -ducati dal Carrarese, benchè adducesse non esser quelli -che la restituzione d’un prestito, nè stesse altra prova -contro della sua illibatezza, fu escluso d’ogni impiego -e condannato a due anni di prigionia. I figli di Guglielmo -della Scala, sottrattisi dal carcere in cui gli avea -chiusi il Carrarese, chiesero venir restituiti nel possesso -di Verona; e la Signoria veneta rispose col mettere -a prezzo la loro testa. San Marco trovossi possedere -Treviso, Feltre, Belluno, Padova, Vicenza, Verona: funesti -acquisti, che lo mescolarono alle vicende italiane; -e subito fu costretto difenderli contro dell’imperatore -Sigismondo, che avea mandato a invadere il Friuli -Filippo Scolari fiorentino, da lui creato span e perciò -detto Pippo Span. -</p> - -<p> -Fra tanti nemici esterni ed interni la duchessa di -Milano non credea poter sostenersi che collo sgomento; -e un giorno fece trovare davanti a Sant’Ambrogio (1404 8bre) cinque -cadaveri, vestiti di nero e senza testa. Il popolo, -invece d’atterrirsi, s’indigna, caccia lei col Barbavara -suo favorito: Gian Maria dichiarato maggiore, la fa -imprigionare, e forse uccidere; poi, per iscagionarsi -del parricidio, ne imputa Giovanni Pusterla castellano -di Monza, lo fa sbranare con tutta la famiglia da’ suoi -cani, e perchè questi parvero intenerirsi all’aspetto d’un -costui figlio dodicenne, ordinò di scannarlo. -</p> - -<p> -Imperocchè Gian Maria non pareva aspirare all’autorità -che per ordinare supplizj; e resisi amici i soldati -e i cortigiani col tollerarne le trascendenze, la diede -per mezzo a tutte le sevizie e lubricità; teneva cani -addestrati a saltare alla vita di chi esso accennava, e -collo Squarciagiramo suo canattiere andava la notte per -città aizzandoli or su questo or su quello. Feroce coi -sottomessi, codardo coi forti, dalla tirannia de’ condottieri -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -non sapeva schermirsi col congiurare. Per soldare -le costoro bande voleansi denari, ed egli ne estorceva -senza badare a qual modo, sino a proibire di rendere -giustizia a chi non avesse pagato le taglie; appaltò non -solo le regalie, ma i beni suoi allodiali alla città, patto -che questa gli desse sedicimila fiorini il mese, di cui -duemila per sè e la corte, il resto ai soldati: eppure -que’ mercenarj derubavano le case signorili, i mercanti, -le barche sul Po. Si volle darne colpa ai consiglieri, -e per costringere il duca a mutarli, Facino Cane -e Pandolfo Malatesta batterono le sue guardie e lui assediarono -in città, dal castello scaricandogli bombe e -cannoni, invenzione nuova e perciò meno micidiale, ma -più spaventosa. Se n’indignò il Del Verme, capitano di -morali sentimenti, e risoluto di risarcire l’autorità del -duca, sconfisse Facino (1407); ma avea dovuto valersi delle -bande del feroce Ottobon Terzo signore di Parma e -Reggio, il quale in compenso della vittoria domandò -di saccheggiare Milano; e perchè il Del Verme si oppose, -uscì ad osteggiare Guelfi e Ghibellini. -</p> - -<p> -A Milano tutto era sgomento, disordine, sangue. Una -affollata di poveri gridando <i>Pace pace</i> si strinse attorno -al duca che cavalcava, ed esso li fece assalire da’ suoi -seguaci, talchè duecento ne perirono; e proibì di proferir -la parola pace, nemmanco nella messa. Eppure fu -costretto cercarla, rimovere i suoi istigatori, perdonare -a’ Ghibellini, e ricevere un governatore di questi e uno -de’ Guelfi. -</p> - -<p> -Il Del Verme, disperando del paese natìo, passò al -soldo de’ Veneziani, e perì combattendo i Turchi. Facino -Cane, conte di Biandrate, signore di Tortona, Novara, -Vercelli, Alessandria e delle rive del lago Maggiore, -rapì a Filippo Maria la reggenza di Pavia dopo che -l’ebbe mandata a sacco, costrinse Gian Maria a cedergli -anche quella di Milano, e teneva entrambi non -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -solo in soggezione ma in istrettezza fin del necessario. -Accingevasi a togliere Bergamo e Brescia al Malatesta, -quando si malò a morte. A quest’avviso i Milanesi ghibellini, -come Mantegazza, del Majno, Pusterla, Trivulzj, -Baggio, Concorezzo, Aliprandi, si sbigottirono di dover -trovarsi nuovamente in arbitrio del tiranno, che a tutti -aveva ucciso o il padre o i fratelli, sicchè strettisi insieme -a congiura, nella chiesa di San Gotardo (1412 16 maggio), trucidarono -Gian Maria. Avea ventiquattr’anni; e solo una -meretrice gittò qualche fiore sul colui cadavere; lo -Squarciagiramo fu trascinato a strapazzo, poi alla forca. -</p> - -<p> -Quel giorno stesso Facino spirava<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>; e tosto i -costui soldati occupano Pavia per sicurtà delle loro paghe; -Astorre Visconti, bastardo di Bernabò, detto il -soldato senza paura, si rende padrone di Milano; signori -d’ogni parte si riaffacciano per recuperare gli antichi -dominj; ma Filippo, che sin allora era parso -neghittoso e dappoco, allora con meravigliosa operosità -s’accinge a recuperare le avite appartenenze. Dove consisteva -il punto capitale? nell’assicurarsi i venturieri. -Beatrice Tenda, vedova di Facino, aveva ereditati dal -marito estesissimi possessi, il dominio di Tortona, Novara, -Vercelli, Alessandria; toccava i quarant’anni, -Filippo venti: che importa? e’ la chiede sposa, e con -essa acquista quattrocentomila zecchini e gli antichi -partigiani del marito. Con questi ritoglie di viva forza -Pavia e Milano agli usurpatori, manda al supplizio gli -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -uccisori del fratello, combatte Astorre Visconti che rimane -ucciso in Monza, e riceve il giuramento di fedeltà. -</p> - -<p> -Francesco Bussone, illustre sotto il patrio nome di -Carmagnola, con null’altro che colla spada salito, da -contadino che era, fino ai primi onori, fu principale -stromento di vittorie a Gian Maria prima, poi a Filippo, -al quale sottopose in breve Lodi (1416), i cui signori Vignati, -chiamati a Milano a titolo di conferenza, furono messi -al supplizio; Pavia, dove uccise in carcere Castellino -Beccaria e fece appiccare suo fratello Lancillotto; Como, -che il Rusca cedeva riservandosi la contea di Lugano; -indusse il Malatesta a vendere al duca Brescia e Bergamo; -così Cremona il Fondulo per quarantamila ducati, -e il fondo di Castelleone; Crema, Giorgio Benzone; -Rinaldo Pallavicini, San Donnino. Ottobon Terzo, che -brutalmente tiranneggiando Parma e Reggio, erasi fatto -terribile dovunque menasse le assassine sue bande, fu -chiesto a parlamento dal marchese d’Este, e quivi trucidato -dallo Sforza; e il suo cadavere andò a brani, e -v’ebbe persino chi ne mangiò. Nicolò d’Este, per tener -Reggio, cedette Parma al duca (1418). Piacenza fu sostenuta -da Filippo Arcelli, gentiluomo di valor eccellente, che -raccolti quanti Filippo avea spossessati acciò facessero -causa comune, recò accannita guerra al Carmagnola. -Questi, col supplizio della moglie e del figlio dell’Arcelli -prigionieri, prese Piacenza; ma vedendo non poterla -conservare, obbligò gli abitanti a uscir tutti colle -robe, sicchè il nemico non trovò che deserto, e per un -anno tre soli abitanti s’annidarono in quella solitudine, -finchè il duca di Milano l’ebbe e la ripopolò. Per tal -modo Filippo, non provveduto di valore, ma di destrezza -molta e di eccellenti capitani, reintegra non solo -ma amplia il ducato, e domina dai confini del Piemonte -a quelli del papa, dal San Gotardo al mar Ligure, dove -presto allargò la sua signoria. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -</p> - -<h2 id="cap113-10">CAPITOLO CXIII. -<span class="smaller">Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. -Venezia ricresce, Genova si perde.</span></h2> -</div> - -<p> -In Venezia il tempo aveva consolidato il potere della -nobiltà, che affatto dedita alla politica, v’acquistò tanta -attitudine, quanta i feudatarj nell’esercizio delle armi, e -seppe cattivarsi l’opinione in modo, che questa più non -si mise a contrapposto del potere, ma vi andò in coda. -Alla classe media rimasero per ristoro i traffici, che -guidava dall’India ai Paesi Bassi, dalla Barberia al Baltico. -La metropoli conteneva cennovantamila persone: -le case furono estimate sette milioni di ducati, che oggi -rispondono a trenta milioni di lire; e le pigioni ducati -cinquecentomila. La zecca coniava l’anno un milione di -zecchini, dugentomila monete d’argento e ottocentomila -soldi, gettando in corso ogni anno diciotto milioni -effettivi di lire nostre. In meno d’un decennio fu spento -un debito di quaranta milioni di zecchini, oltre prestarne -settantamila al marchese di Ferrara. Passavano -il migliajo i nobili che possedevano di rendita da quattro -a settantamila zecchini; eppure con tremila aveasi -un bel palazzo<a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>. Mastin della Scala, perduta Padova, -chiese d’essere ascritto al libro della nobiltà veneta; -poco poi vi furono i Carraresi; e sempre un tale onore -venne ambito dai principi. -</p> - -<p> -Alle vicende d’Italia ormai prendea briga Venezia -non più come straniera, ma come potentato italiano; e -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -poichè i principati costituitisi nell’alta Italia poteano -divenirle minacciosi, dovette anch’essa acquistarvi stato -per equilibrarli, e per mantenersi libera la navigazione -del Po. Se la assicurò di fatto nella guerra che narrammo -contro gli Scaligeri; e dopo impossessata di -Treviso in terraferma, via via prosperò di dominj e di -traffici. Ne’ possessi marittimi invece andava in calo, sì -per l’avanzarsi de’ Turchi, sì per le guerre con Genova, -la quale, vinti i Tartari, aveva ottenuto che nessuna nave -d’Occidente potesse far porto in altro luogo del mar -Nero che a Caffa sua; imprese che noi riserviamo a -narrare nel libro seguente. -</p> - -<p> -Se n’adontarono i Veneziani, e allestirono nuove battaglie, -in procinto delle quali Francesco Petrarca scriveva (1351) -al doge Andrea Dandolo: — L’antica amistà nostra -e l’amore della patria comune mi confortano a ragionare -apertamente con voi. Corre voce che due libere -città s’accingano a farsi guerra a morte. E quali città! -i due lumi d’Italia, collocati dalla natura agli opposti -estremi dell’Alpi per signoreggiare i mari che la circondano, -e perchè dopo l’abbassamento del romano -imperio la miglior parte del mondo ne sia ancor la -regina. Nazioni altere osano disputarle in terra il primo -luogo; ma chi oserebbe in mare? Se Venezia e Genova -ritorcono in se stesse l’armi, fremo in pensarlo, tutto è -perduto, e imperio marittimo e gloria nazionale; chiunque -sia il vinto, è forza che l’uno de’ nostri lumi si -estingua e l’altro s’indebolisca. Non serve illudersi; non -sarà mai facile vincere un nemico d’indole bollente e, -ciò che più vale, italiano. Uomini valorosi, popoli potenti -entrambi, quale è lo scopo, quale sarà il frutto -delle vostre discordie? Il sangue onde siete assetati, -non è di Arabi o d’Africani; ma sangue di un popolo -a voi congiunto, di un popolo che farebbe scudo alla -patria comune ove nuovi Barbari l’assalissero, di un -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -popolo nato a vivere, a combattere, a trionfare, o morire -con voi. Il piacer di vendicare un’offesa leggera -potrebb’egli più che il pubblico bene, più che la salute -di voi stessi? E pure, se mi si dice il vero, per meglio -saziare il vostro furore, voi vi siete collegati col re di -Aragona, i Genovesi col greco usurpatore; cioè Italiani -implorano l’ajuto de’ Barbari per offendere altri Italiani. -Madre infelice! che fia di te, se i tuoi proprj -figliuoli stipendiano mani straniere per lacerarti il seno? -Noi insensati, che aspettiamo da anime venali ciò che -potremmo ricevere da’ nostri fratelli. Ben provvide natura -al nostro schermo steccandoci coll’Alpi e col mare: -ma avarizia, invidia, superbia hanno rotto quelle barriere; -e Cimbri, Unni, Tedeschi, Francesi, Spagnuoli -inondarono i nostri dolci campi. Che fia di noi, che -dell’Italia, se Venezia e Genova non fanno argine al -nemico torrente? Prosternato, pieno gli occhi di lagrime -e d’amarezza il cuore, io vo gridando, Deponete -l’armi civili, ricambiatevi il bacio della pace, unite gli -animi vostri e le bandiere. Così l’Oceano e l’Egeo vi -siano favorevoli, e le vostre navi giungano prosperamente -a Taprobana, alle isole Fortunate, a Tule incognita, -e fino a’ due poli! I re e i popoli più lontani vi -verranno incontro, i Barbari dell’Europa e dell’Asia vi -paventeranno, e la nostra Italia si chiamerà a voi debitrice -dell’antica sua gloria». -</p> - -<p> -Per tutta risposta ebbe lodi della sua eloquenza; nè -miglior esito conseguì l’anno seguente scrivendo ai Genovesi, -con altrettanto di gonfiezza ma insieme d’amore -per l’Italia: — Illustre doge, magnifici anziani, permettete -che esorti voi, come dianzi esortavo i Veneziani, -alla concordia e alla pace: uffizj naturali e quasi necessarj -al mio cuore. Non esiste popolo più formidabile in -guerra, più mansueto in pace di voi; tutte le terre ove -combatteste, tutti i mari da voi veleggiati testimoniano -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -i vostri trionfi. Il Mediterraneo venera le vostre bandiere, -l’Oceano le paventa, e il Bosforo è ancor tinto -del sangue dei vostri nimici. Chi può senza raccapriccio -leggere od ascoltare i successi di quell’ultima battaglia, -nella quale a un sol tempo vinceste tre potenti nazioni?... -Quantunque discreduto da loro quando era ancor tempo -di consigliarli, io sento al vivo i disastri de’ Veneziani. -Sentiteli pur voi, o Genovesi, e riflettete che gli uni e -gli altri siete italiani, nè gravezza d’ingiuria vi disunì. -Riconciliatevi dunque con essi, e se vi piace combattere, -rivolgetevi contro i perfidi consiglieri delle vostre discordie; -quindi passate a liberar Terrasanta, benemeritando -del mondo e della posterità. Sebbene io dalle -cose passate pronosticando le future, son d’avviso che -a voi convenga, dopo vinti i nimici esteriori, provvedere -al pericolo degl’interni. Roma non potè esser vinta -se non da Roma: e ciò avverrà pure a voi, se non vi -applicate a conciliare gli animi de’ vostri cittadini, massimamente -quando sollevati dall’aura della fortuna. -Mille sono gli esempj di città per odj civili distrutte; -nessuno più sensibile del vostro. Ricordivi quando eravate -il popolo più felice della terra; il vostro paese -somigliava a un paradiso. Dal mare vedeansi torri che -parevano minacciare il firmamento, poggi vestiti di -ulivi e di melaranci, magioni marmoree sulle pendici, -deliziosi recessi fra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, -e alla cui vista i naviganti sospendevano i remi per -riguardare. Chi venisse per terra, meravigliando vedeva -uomini e donne regalmente vestiti, e fino tra boschi e -monti delizie incognite nelle reggie. Entrando nella -vostra città pareva di mettere piede nel tempio della -Felicità, e si proferiva come già di Roma: <i>Questa è -una città di re</i>. Testè vinte avevate Venezia e Pisa: e -i vostri vecchi vi diranno qual impressione ne venisse, -qual timore ne’ porti, qual venerazione ne’ popoli, quali -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -acclamazioni nelle riviere al comparire delle vostre armate. -Signori del mare, appena che alcuno veleggiasse -senza vostra licenza. Scendete poi colla memoria a quei -tempi infausti, che l’orgoglio, l’ozio, la discordia, l’invidia, -compagni inseparabili della prosperità, allignarono -fra voi, e, ciò ch’era stato impossibile a umana forza, -vi resero schiavi. Qual mutamento subitaneo! i palazzi -divennero ricoveri d’assassini; le belle riviere e la -città superba si fecero incolte, deserte, sformate, rovinose; -la patria vostra fu assediata da’ suoi stessi fuorusciti; -si combattè intorno alle sue mura per terra e per -mare non solo, ma fin sotto terra; nè la guerra più -crudele ha flagelli, che non piovessero tutti su lei. Finalmente -vi piacque di riordinare lo Stato, dando alla -repubblica un capo; e allora fu che le discordie si -estinsero, la guerra cessò, e sicurezza e abbondanza e -giuste leggi tornarono fra voi. Valga la trista esperienza -a tenervi uniti, e per assicurarvi da nuove calamità -siate equi, moderati, clementi». -</p> - -<p> -Queste generose parole purtroppo in nessun tempo -è superfluo ripetere in Italia, sebbene troppo spesso infruttuose<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>. -Nè allora giovarono, e i mari nostri e -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -d’Oriente si tinsero di sangue, e fino al 1355 la guerra -vegghiò, molto più deplorevole che non quella fra paesi -di terra, sì perchè di natura sua micidiale, sì perchè -menata con cittadini, non con bande mercenarie. Nè -durar pace lasciavano le rivalità delle due repubbliche -in Oriente; donde vennero nuovi e più funesti conflitti. -</p> - -<p> -Dopo la rivoluzione (1328), che sul trono di Costantinopoli -ad Andronico Paleologo II surrogò il ribelle nipote Andronico -III, i Genovesi eransi fatto cedere da quest’imperatore -l’isola di Ténedo; ma i Veneti diedero -appoggio agli abitanti che ricusavano sottomettersi al -baratto. Di qui mali umori, sfogati (come vedremo) in -battaglie oltremarine, e che rinvelenivano ad ogni pretesto. -Essendo stato ucciso Pietro di Lusignano (1372) re di -Cipro, nella coronazione di Pierino suo successore -pretesero la precedenza Veneziani e Genovesi; e venuti -alle armi, molti Genovesi rimasero scannati. Genova -spedì a vendetta Damiano Catani, che trucidati i Veneziani, -e preso il re e il paese, l’obbligò d’un tributo di -quarantamila fiorini annui. Il Lusignano buttossi allora -coi Veneziani (1379), e ne cominciò la guerra di Cipro, secondata -da leghe delle potenze terrestri. Bernabò Visconti, -suocero del re di Cipro, soldava contro Genova la -compagnia della Stella, che danneggiò fin i giardini e i -palazzi di Albáro e di San Pier d’Arena, finchè i Bisagnini -la presero in mezzo, e costrinsero a rendersi a -discrezione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -</p> - -<p> -Instancabile nemico ai Veneziani era Francesco Carrara -signor di Padova: una volta egli arrivò a far rapire -dalle loro case i senatori a sè avversi, e condurli a Padova, -dove rimbrottatili aspramente, e fatto intendere -che, se gli avea rapiti, più facilmente potea farli ammazzare, -li dimise incolumi, ma giurati di tacere. Contro -Venezia non aveva esitato a chiamare il re d’Ungheria -e i duchi d’Austria, ai quali cedette Feltre e -Cividal di Belluno; e adoprare a vicenda le masnade e -i tradimenti: però essendo caduto prigione dei Veneziani -il vaivoda di Transilvania, gli uomini di questo -ricusarono di combatter più sinchè non fosse redento, -onde il Carrara dovette colla corda al collo implorare -la pace. Ora, profittando delle strette di Venezia, rinnovò -le ostilità, appoggiato agli Austriaci, agli Ungheresi -e al patriarca d’Aquileja, che flagellarono il paese -colle masnade. L’ammiraglio veneto Vittor Pisani menò -lungamente sui mari alla vittoria il leone; al promontorio -d’Anzio, a Trau di Dalmazia vinse; e non giungendo (1378) -le paghe ai soldati, impedì se ne rifacessero col -rubare, ma distribuì giorno per giorno ogni suo denaro, -poi gli argenti da tavola, infine una fibbia che gli -restava alla cintura. -</p> - -<p> -Ma una volta il Carrara potè sorridere (1379 9 maggio) nel ricevere -questo spaccio: — Magnifico e potente signore. Addì -3 del corrente maggio uscimmo di Zara con ventidue -galee, veleggiammo verso il golfo secondo un avviso -che i nimici venivano di Puglia con grano; e trovandoci -sopra il porto di Pola il dì 5, due galee dell’antiguardia -li scopersero quivi in agguato, numerosi di -ventidue galee e tre grosse navi da dugencinquanta -uomini ciascuna, oltre le solite ciurme, e molti uomini -d’arme e venturieri assoldati per guardia della città. -Avendo fra noi disegnato di non venir tosto a battaglia, -acciò che in tanta vicinanza di terra non si salvassero -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -a nuoto, fingemmo timore, e vogammo al largo; ond’eglino -si misero a seguitarci. Scostati appena tre miglia -dal lido, ci voltammo contro loro sì virilmente, che in -un’ora e mezzo la vittoria era già nostra; in nostro -potere quindici galee con tre navi cariche di seimila -mine di grano; prigioni duemila quattrocento, morti -da sette in ottocento; ma il signor Vettore Pisani ci -sguizzò dalle mani con sette galee assai malarrivate. -Dopo il combattimento spiccammo sei galee contro i -legni da carico ancorati nel porto di Pola; ma avendoli -trovati in secco sotto le torri della città, non presero -che una fusta di munizioni. Siam giunti a Zara il dì 8 -vittoriosi e senza perdita notabile, salvo la morte dell’egregio -nostro capitano Lucian Doria (1379), trafitto in bocca -da una lancia nel caldo della battaglia. Per gratitudine -al suo parentado gli surrogammo il signor Ambrogio -Doria, secondo il parere di tutti i capi dell’armata. Ai -venturieri pagati da’ Veneziani mozzammo il capo; i -cadaveri si gittarono a mare»<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>. -</p> - -<p> -Il consiglio di guerra tacciava Vittor Pisani di vile -perchè non accettasse la battaglia; quando combattè e -fu vinto, lo dissero traditore; e quantunque avesse intrepidamente -disputato la vittoria, fu richiamato in patria -e messo prigione, nel mentre i Genovesi al nuovo -ammiraglio Pietro Doria nello scioglier delle vele gridavano — A -Venezia, a Venezia». Di fatto Genova, -ricuperate le piazze di Dalmazia tolte dai Veneziani, e -attaccatone le colonie di Rovigno, Umago, Grado, -Caorle, mentre avea destra la fortuna pensò con un -colpo estremo ridurre l’emula alle paludi natìe. -</p> - -<p> -Le isole su cui torreggia Venezia sorgono dalla laguna -che si stende dalle bocche del Piave a quelle -dell’Adige, separata dal mare per un banco di arena, -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -che appena in pochi luoghi dà a navi grosse il passo, -intrattenuto dall’arte e dall’arte munito. Il più settentrionale -è quel de’ Treporti a tramontana dell’isola di -Sant’Erasmo, atto solo a piccole imbarcazioni. Fra -Sant’Erasmo e Lido apresi quello di San Nicolò, ed -era il principale, munito di torri, fra le quali talvolta -tendeasi una catena. Il passo di Malamocco fra quest’isola -e Palestrina è il più profondo: poi tra Palestrina -e Bróndolo è quello di Chioggia, denominato dalla città -ivi posta al vertice di un’isola che s’attacca alla terraferma -sol per un ponte: gl’interri dell’Adige e del -Brenta rendono difficile l’altro passaggio fra Brondolo -e il continente. Un canale a gran fatica mantenuto attraversava -la laguna fra Venezia e Chioggia. -</p> - -<p> -E appunto a Chioggia gettò l’àncora (1379 agosto) una flotta genovese -numerosissima e co’ migliori marinaj; espugnatala -coll’uccidere seimila Veneziani e catturarne quattromila, -pose il quartier generale s’un’estremità dell’isola di -Malamocco; e comunicando per terra coll’alleato padovano, -circondava la città nemica. Questa, senza alleati, -penuriava di vettovaglie; il tesoro era esausto; benchè -fossero munite le poche aperture fra il mare e le lagune, -galee genovesi si erano vedute giungere fino a -Lido, sicchè il doge Andrea Contarini avea sin proibito -di convocare il consiglio col tocco del campanone di -San Marco, acciocchè il nemico non udisse quel segno, -e fu posto in discussione se convenisse abbandonare -Venezia, e trasportare a Creta la sede della repubblica. -Il Carrara esultava dell’umiliazione dei nobiluomini. -L’ammiraglio Doria ai veneti ambasciadori mandati per -pace rispondeva: — Perdio che non ascolterò patti -finchè non abbia messo il freno ai cavalli di San Marco»; -e quando gli si propose di riscattare alcuni prigionieri: — Fra -pochi giorni li redimerò senza denaro». -</p> - -<p> -Non si trattava dunque d’ambizioni di nobili, ma di -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -interesse del popolo: e il popolo non si scoraggia, solo -ha bisogno d’uno che lo diriga, e in cui abbia confidenza; -laonde ridomanda l’antico Pisani, sotto cui era -stato avvezzo a vincere, e a cui la sventura avea cresciuto -popolarità. Ed egli dai sotterranei del palazzo -udendo migliaja di voci gridare, — Se volete che combattiamo, -rendeteci il nostro ammiraglio, Viva Vittor -Pisani»; si sporge alla ferrata, e — Zitti là; non dovete -gridar altro se non Viva San Marco». -</p> - -<p> -L’invidia tace quando l’ambizione è pericolosa: e il -Pisani, tratto di carcere a braccia di popolo, respingendo -i consigli di chi lo stimolava a insignorirsi dell’ingrata -patria, ricevendo l’eucaristia giura che non -terrà conto a’ suoi emuli della fattagli persecuzione; -munisce l’argine di Malamocco ed ogni varco; invita -tutti a concorrere alla salvezza della patria; i frati -prendono le armi; e se un Morosini speculò sulle angustie -cittadine per comprare case a vil prezzo, altri -nobili attrezzarono trentaquattro galee a proprie spese; -un Paruta cuojajo pagò mille soldati; uno speziale Cicogna -diede una nave; semplici artigiani metteano insieme -cento, ducento uomini; il doge settagenario monta sulla -flotta coi principali pregadi: si promette ascrivere al -libro d’oro i trenta plebei che più denaro offriranno, e -molti infatti porgono il più e il meglio delle loro sostanze<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>, -talchè Venezia trova modo a’ suoi bisogni. -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -Oh, Venezia conosce come si resiste al nemico. Il Pisani -seppe frenare il primo impeto finchè avesse esercitato -la ciurma inesperta, e non fosse tornata di Grecia la -flotta di Carlo Zeno; unitosi colla quale, non solo allarga -Venezia, ma sbaraglia e blocca nel porto di Chioggia (1380 gennaio) -l’armata genovese, con barche affondate chiudendo -le tre uscite: le bombe, allora forse adoprate la prima -volta in mare, e che spingeano palle di pietra di cencinquanta -in ducento libbre, giocavano radamente ma -terribilmente contro ripari fabbricati per tutt’altri projetti; -lo stesso Doria rimase sfracellato sotto il crollo -d’un muro; e la flotta dopo sei mesi d’assedio è obbligata -rendersi a discrezione (21 giugno). -</p> - -<p> -La guerra per altro si prolungò, e Carlo Zeno, sostituito -al morto Pisani, menava le navi più a guasto che -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -a vittoria; mentre l’implacabile Francesco Carrara dirizzava -gli Ungheresi sopra Treviso, che i Veneziani -non salvarono se non cedendolo al duca d’Austria. -</p> - -<p> -Alfine a Torino (1381 8 agosto), sotto gli auspizj di Amedeo VI di Savoja, -fu conchiusa la pace, per cui la repubblica si obbligava -a pagare annualmente al re d’Ungheria settemila -ducati; ma Ungheresi non farebbero sale sulle coste, nè -navigherebbero più nessuno de’ fiumi che sboccano -nell’Adriatico fra capo Palmenterio e Rimini; e i mercanti -di Dalmazia non asporterebbero mercanzie da -Venezia per più di trentacinquemila ducati; con Padova -si restituivano reciprocamente le conquiste e le prese; -col patriarca d’Aquileja stipulavasi la piena emancipazione -di Trieste, obbligata solo a contribuire al doge le -regalie convenute ne’ trattati precedenti, e lasciare ogni -sicurezza e libertà di commercio ai Veneziani. Tenedo, -cagione prima della rottura, doveva essere consegnata -al conte di Savoja, che ne trasporterebbe gli abitanti -a Negroponte e a Candia, abbandonandola deserta; ma -Giannacci Mulazzo balio di quell’isola procurò distorne -i Genovesi, sicchè fu duopo coll’arme domarlo. Venezia -perdea dunque ogni possedimento in terraferma, e Tenedo -e la Dalmazia, oltre immense ricchezze logorate. -Di settemila ducento prigioni che avea fatti, non sopraviveano -che tremila trecensessantaquattro, che restituì -in cambio de’ suoi, quasi tutti vivi. I Garzoni, i -Condulmer, i Zusto, i Nani poterono gloriarsi della nobiltà -acquistata col soccorrere alla patria; e così i -Trevisan, i Cicogna, i Vendramin, che giunsero poi fino -al berretto ducale. -</p> - -<p> -Il duca d’Austria, cui restava Treviso, continuò nimicizie -al Carrara; in fine gli vendette tutti i possedimenti -che tenea di qua dell’Alpi. Pertanto il signore di -Padova occupava il lembo della laguna, e recideva le -comunicazioni col continente. Il senato veneto eccitò -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -contro di lui Antonio della Scala e Giovanni Acuto, che -portò la desolazione fin sulle porte di Verona e Vicenza. -Poi Venezia ricevette in dedizione spontanea Corfù, che -era stata riunita alla corona di Napoli, e ribellata durante -la guerra civile: s’impadronì di Durazzo sulle -coste d’Albania, che da Carlo d’Angiò era stata tolta -ai Greci; ebbe la cessione di Argo e Napoli di Romania, -anch’esse possedute dagli Angioini; ricuperò Treviso; -poi sotto Michele Steno acquistò Vicenza, Verona, -per ultimo anche Padova, mandando i Carraresi al fine -che dicemmo. -</p> - -<p> -Genova nella guerra di Chioggia avea spiegato portentosa -attività non solo nel combattere, ma nel dirigere -il re d’Ungheria, il Carrara, il patriarca d’Aquileja, -il signor di Milano a’ danni della nemica Venezia: colla -pace di Torino, oltre che esausta di moneta e navi, si -trovò nell’interno tutta divisa e nemica; i nobili in urta -coi popolani, i mercanti ed operaj grossi in urta coi -piccoli e colla plebe, e quelli e questi suddivisi in Bianchi -e Neri, che noi diremmo moderati ed eccessivi. Non -erano più i vassalli che stessero a fianco de’ signori -feudali, ma clienti e dipendenti, marinari, operaj, che -talvolta a centinaja servivano una casa sola. I capi poi -erano versati negli affari, destri come mercanti, coraggiosi -come marinaj, generosi come ricchi, istruiti da -tanti avvicendamenti di trionfi e d’esigli. -</p> - -<p> -Dopo il Boccanegra, la preminenza era sempre toccata -a uomini del popolo, nuova aristocrazia sottentrata -a quella de’ gentiluomini, e che escluse questi dal -dogato e fin da ogni impiego. Le antiche famiglie, -come i marchesi del Carretto, vedendosi mozza l’autorità -e invidiata la condizione, si riducevano ne’ loro -castelli, professandosi ligi all’Impero; se rimaneano in -città, tramavano contro un ordine di cose che gli escludeva: -ma neppur essi riuscivano a nulla perchè non uniti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -</p> - -<p> -Fra que’ trambusti erano venute su alcune famiglie -di cappelluzzi, cioè popolani, i Montaldo, i Guarco, -principalmente i Fregosi, notaj e fautori del popolo, e -gli Adorni, conciapelli e sostenitori della plebe (1378); nessuna -bastava a sommettere le altre, ma l’una l’altra -contrariava, e tutte insieme ogni efficace provvedimento. -Se il doge Nicolò Guarco vuol reprimere le fazioni -e rinforzare il governo, dicono che aspira a -tirannide, ricusangli il denaro e le collette, si sollevano -e mutano stato. Dieci dogi si successero rapidamente -con dieci rivoluzioni, e ciascuna lasciava una nuova partita -di malcontenti. Gian Galeazzo Visconti versava olio -su que’ tizzoni, sperando che per istanchezza Genova -se gli butterebbe in braccio. Di tutto ciò le finanze andavano -a sobbisso: il territorio, se crebbe col comprare -Novi e Serravalle dai Milanesi, trovavasi occupato da -varj signorotti, Monaco dai Grimaldi, Gavi dai Montaldo, -Levanto dai Bertolotti: i partiti incessantemente -in lotta, cacciandosi e nocendosi a vicenda, insidiati dai -nobili delle due Riviere, per trionfare ricorrevano pur -essi alle bande mercenarie, funeste del pari a tutti, o -alla protezione di stranieri. Queste lotte, che in venti -anni la ridussero a potenza secondaria, sarebbe nojoso -il divisarle. -</p> - -<p> -Antoniotto Adorno, che, dopo lungo aspirarvi, aveva -ottenuto il dogato nella peste del 1384 mediante una -insurrezione di macellaj, presto ne fu espulso, vi tornò, -lo riperdette, ripigliollo, e vedendo non potere conservarsi -in posto, propose di mettere la repubblica -sotto la protezione di Carlo VI di Francia (1396): quarta volta -che in quel secolo Genova sottoponeva volontaria il -collo a giogo forestiero<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>, sì era soffocato l’alito repubblicano. -Il re accettò, e promise mettervi per doge -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -un vicario francese, non alterare le leggi, non rincarire -le imposte. La libertà non ne pativa di troppo: ma -que’ vicarj nè contentavano nè atterrivano, nè la quiete -si ripristinava; oltre quello versato per sottomettere le -Riviere, molto sangue corse in Genova stessa; coi nomi -di Guelfi e Ghibellini mascherando fiere animosità, ogni -tratto si era a baruffe, invasioni, cacciate, incendj; cinque -volte si combattè per le vie l’agosto del 1398, -trenta palazzi in fiamme, molti edifizj diroccati. -</p> - -<p> -L’anno seguente vi furono sistemati i corpi di mestieri, -che scelsero quattro priori, ai quali aggiunsero -dodici senatori, da rinnovarsi ogni mese, per vegliare -che il governatore e il suo consiglio procacciassero il -bene pubblico; e se alcun magistrato violasse la giustizia -in parole o in fatti, poteano, armati gli artigiani, -corrergli addosso. -</p> - -<p> -Anzichè sedare le turbolenze, ciò vi porse nuovi incentivi, -sinchè venne vicario di Francia Giovanni Lemeingre, -maresciallo di Boucicaut, uomo di coraggio -alla prova, che entrato con mille cavalieri e fanti, volle -le fortezze, fece imprigionare i capi faziosi e uccidere, -tolse le armi a tutti, abolì i nomi delle fazioni e le -magistrature popolari, snidò dai loro feudi i Fiesco e i -Del Carretto, esigliò popolani, e tale spavento incusse, -che i consoli delle arti non osavano più congregarsi, -nè tampoco le confraternite de’ Battuti, per tema si procedesse -contro di loro<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>. -</p> - -<p> -Tristo il popolo che è costretto a lodare tali freni -eccezionali, e il rintegramento della legalità per mezzo -della violenza! Rinvigorita la marina, Boucicaut veleggiò -contro il re di Cipro ch’era in rotta co’ Genovesi, -e poichè questo comprò la pace, egli bottinò sulle -coste di Siria e d’Egitto, ed ottenne al re di Francia -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -la signoria di Pisa, uccidendo Gabriele Maria Visconti -(pag. 30). Nella minorità di Gian Maria volle essere -messo nella reggenza, e venne a Milano con molto denaro -e grossa truppa: ma Facino Cane, d’intesa con -Teodoro marchese di Monferrato e coi malcontenti, si -spinse a Genova (1409) chiamandola a libertà; sicchè cacciati -e uccisi i Francesi, malgrado de’ Guelfi fu ripristinato -il governo a popolo, abolendo gli statuti anteriori, e -assumendone uno nuovo, di cui tale è la somma: -</p> - -<p> -Lo Stato è ghibellino e popolare, ma i Guelfi potranno -farsi Ghibellini, e i nobili parteciperanno di tutti -gli uffizj, salvo il supremo. Questi uffizj sono il podestà, -dodici anziani, il consiglio de’ quaranta savj, il -consiglio generale di trecentoventi, i sindicatori, i provvisori, -i magistrati della moneta, della Romania, della -mercanzia, della guerra e pace, e i consoli della ragione. -Il doge a vita reggerà e governerà la repubblica, -presiederà ai consigli con due voti, e potrà intervenire -alle adunanze di tutti gli uffizj o magistrati non giudiziarj; -ma il proporre partiti compete solo ai rispettivi -priori: non moltiplicherà gli uffizj, o ne scemerà la -giurisdizione, nè s’intrometterà per qualsia pretesto -nella cognizione e raccomandazione delle liti: avrà annue -ottomila genovine, da spendere nel mantenimento -e decoro della sua corte, compresivi due vicedogi e due -vicarj. Il podestà, pagato lire cinquemila, dovrà essere -forestiero, dottor di leggi, di casa almeno patrizia; presenterà -all’approvazione del doge e suo consiglio tre -giurisperiti in qualità di vicarj, che lo assisteranno due -nelle civili, il terzo nelle cause criminali, per delitti -commessi a cinquanta miglia dalla residenza; de’ commessi -in minor distanza conoscerà egli solo. Il doge -dovrà consultare gli anziani in ogni occorrenza, salvo -per arrestare banditi, cospiratori o sediziosi. I quaranta -interverranno in tutte le trattazioni gravi, e così per -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -atterrare fortezze, concedere immunità, conferire l’ammiragliato. -I sindicatori invigileranno sui portamenti -di tutti i magistrati, multandoli se falliscono, impedendoli -d’abusare dell’autorità. I provvisori frequenteranno -piazza de’ Banchi e altre accolte di popolo per raccorre -l’opinione pubblica su quel che giovi o nuocia, stabiliranno -il bilancio delle spese, che per quell’anno fu di -72,524 genovine. L’uffizio della moneta amministra -anche le entrate, paga le spese, e custodisce la cassa -pubblica. All’uffizio di Romania, unito a quello di Gazaria, -spetta il provvedere per le colonie orientali. -Quello di mercanzia risolve le liti sopra il commercio -e la navigazione, che non procedano da pubblici istromenti; -e i consoli della ragione quelle non eccedenti -il valore di lire cento: da entrambe escludendo i giurisperiti. -Nessuno potrà desinare nè contrarre famigliarità -col podestà e sua corte; nessuno accettare nello -Stato ambasceria o altro servizio di principe forestiero. -Il deliberare della guerra, della pace, delle pubbliche -convenzioni spetta al consiglio maggiore: il doge e il -magistrato della guerra vi danno esecuzione. Si rinnoveranno -gli esercizj de’ balestrieri sotto due capi di -guerra. I cittadini popolari saranno descritti secondo -le strade di loro abitazione, sotto capistrada, gonfalonieri -e contestabili, bandiere e armi distinte; e con -questi ordini difenderanno lo Stato dai nemici esterni -ed interni. Qualunque volta al doge o agli anziani paresse -conveniente una riforma, i nuovi capitoli e le ragioni -faranno leggere ai quaranta, e ove siano approvati, -nomineranno otto riformatori con balìa limitata -ad essi capitoli. -</p> - -<p> -A Facino fu data una grossa somma, al marchese Teodoro -il titolo di capitano per cinque anni; ma i costui -comporti meritarono fosse cacciato (1413), rimettendo il doge, -che fu Giorgio Adorno. Con questo rinfervorarono i -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -parteggiamenti; e intanto andavano perdute la colonia -di Pera a Costantinopoli e ogni influenza sull’Italia. -Unico bel fatto di questi tempi è la spedizione contro -i Barbareschi per frenarne le piraterie, capitanata dal -duca di Borbone zio di Carlo VI, e assistita da molti -signori francesi. Trecento galeoni e più di cento navi -da carico afferrarono all’Africa; ma i Barbareschi li -stancheggiarono senza mai venire a giornata, tanto che -i nostri partirono senza effetto. -</p> - -<p> -Nell’interno, niente bastava a calmare gli animi; e -l’angustia delle vie e l’altezza de’ fabbricati dava modo -di resistere e combattere mortalmente nelle ricorrenti -avvisaglie. Ne rimanevano desolate le campagne, esinanito -il commercio, sino a dover vendere a’ Fiorentini -il porto di Livorno, che il Boucicaut avea comprato: -intanto i marchesi di Monferrato e Del Carretto aprivano -il Genovesato alle truppe di Filippo Maria Visconti; -sicchè, per amor di pace e per desiderio di -vendicarsi degli Aragonesi che aveano cercato torle la -Corsica, il podestà Tommaso Campofregoso (1421) rese Genova -a Filippo, riservando per sè trentamila fiorini d’oro e -il dominio di Sarzana. Filippo mandò il conte di Carmagnola -a governar Genova, talchè al ducato di Milano -aggiungevasi anche il mare; nè Venezia, nè Firenze -pareano accorgersi del pericolo di lasciar tanto ingrandire -questo vicino. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -</p> - -<h2 id="cap114-10">CAPITOLO CXIV. -<span class="smaller">Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao. -Giovanna II. Gli Aragonesi in Sicilia.</span></h2> -</div> - -<table class="ag"> - <tr> - <td colspan="8" class="center"><span class="smcap">Case d’Angiò e di Durazzo.</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="8"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="8"><span class="smcap">Carlo</span> di Francia 1266-85</td> - </tr> - <tr> - <td class="w5"> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td class="w5"> </td> <td colspan="7" class="bl"> <span class="smcap">Carlo</span> II <i>lo Zoppo</i> 1285-1309</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="5"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl">Carlo Martello re d’Ungheria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl">Caroberto re d’Ungheria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td class="w5"> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl">Luigi re d’Ungheria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl">Andrea 1º marito di Giovanna I</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl"><span class="smcap">Roberto</span> il Savio 1309-43</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl">Carlo duca di Calabria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl"><span class="smcap">Giovanna</span> I 1343-81</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="3" class="bl">nel 1380 adotta Luigi d’Angiò figlio di Giovanni II re di Francia</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="w5"> </td> <td colspan="2" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="bl">Luigi II</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="w5"> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl">Luigi III nel 1423 adottato da Giovanna II</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"><span class="smcap">Renato</span> 1435-42</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl">Maria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl">Filippo principe di Taranto</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl">Luigi 2º marito di Giovanna I</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="5" class="bl">Roberto conte di Acerra 2º marito di Maria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="4" class="bl">Margherita moglie di Carlo III</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> <td colspan="6" class="bl">Giovanni duca di Durazzo</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td colspan="5" class="bl">Carlo duca di Durazzo 1º marito di Maria</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="4" class="bl">tre figlie</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> <td colspan="5" class="bl">Luigi conte di Gravina</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4"> </td> <td colspan="4" class="bl"><span class="smcap">Carlo</span> III <i>della Pace</i> 1381-86</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Ladislao</span> 1386-1414</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Giovanna</span> II 1414-35</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="5"> </td> <td colspan="3" class="bl">Nel 1420 adotta <span class="smcap">Alfonso</span> re di Aragona e di Sicilia 1442-58</td> - </tr> -</table> - -<p class="pad2"> -Allo spettacolo di tante irrequietudini, è facile esclamare -contro il governo repubblicano; e il Denina, «per -far comprendere quanto sia meglio del popolare il governo -monarchico ereditario ed assoluto per la quiete -e felicità pubblica», oppone a que’ trambusti «il regno -di Napoli, ove, da che i principi angioini si furono -stabiliti, si godè internamente pace tranquilla»<a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>. -Vediamo se il fatto sia così. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -</p> - -<p> -Roberto, che tutta la lunga vita stette a capo della -parte guelfa in Italia, ampiamente estendendo l’autorità -e nulla i dominj, fu poco lodato in tempo che l’ammirazione -si dirigeva al valor militare, e si appropriò a -lui il motto di Dante, essersi fatto re chi era piuttosto -da sermone<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>. Amò cordialmente la pace; eppure -vedemmo quante guerre cagionasse o sostenesse. Tentò -anche ricuperar la Sicilia, e soccorso da suoi alleati e -da truppe di Provenza e di Piemonte, la assalì con quarantaduemila -uomini, settantacinque galee, tre galeoni, -trenta vascelli da trasporto, trenta sagittarj e censessanta -barche coperte; ma prima la tempesta, poi il -clima mandarono in dileguo tanto apparato; i ripetuti -suoi assalti non fecero che sperperare il paese, e re -Federico tenne testa. -</p> - -<p> -Per lasciare in quiete i suoi, Roberto si valse delle -truppe mercenarie, cercando denari in ogni guisa, fin -col permettere ai giudici di commutare varie pene in -multe: così disavvezzava i sudditi dalle armi. Pio al modello -di san Luigi di Francia suo zio, assegnò ogni mese -tremila ducati a eriger chiese e conventi, e comprare -beni per frati e monache; ottenne dal sultano d’Egitto -che dodici Francescani fossero addetti al santo sepolcro, -come sempre si è continuato; fabbricò superbamente -Santa Chiara, sua cappella regia, dove poi fu -sepolto con immenso mausoleo e compendioso epitafio<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>. -Dotto, e dei dotti protettore, «o fosse (dice il -Petrarca) occupato negli affari di guerra o di pace, o -si ristorasse dalle sofferte fatiche, giorno e notte, passeggiando -e sedendo, volle sempre aver libri. Prendeva -argomenti sublimi al suo ragionare; e benchè scarsa e -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -quasi niuna occasione ne avesse, protesse con regia -munificenza gl’ingegni del suo secolo. Non solo udiva -con singolare pazienza coloro che gli recitavano lor -composizioni, ma gli applaudiva ed onorava del suo -favore. Così continuò fino all’estremo: già vecchio, filosofo -e re, qual egli era, non vergognossi mai d’imparare, -nè mai gl’increbbe di far parte agli altri di ciò -che avesse imparato, ripetendo che coll’apprendere e -coll’insegnare l’uomo si fa saggio. Que’ medesimi che, -o per odio o per prurito di maldicenza, cercano sminuirne -le lodi, non gli contrastano quella della dottrina. -Egli peritissimo nelle sacre scritture, egli spertissimo -ne’ filosofici studj, egli oratore egregio, egli dottissimo -nella medicina, solo la poesia coltivò poco; di che, come -gli ho udito dire, si pentì in vecchiezza»<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>. -</p> - -<p> -Collocò nell’Università i migliori maestri, fece voltar -in latino Aristotele e Galeno; insigni giureconsulti illustrarono -il suo regno, quali Bartolomeo da Capua suo -protonotaro e consigliere, Nicola d’Alife segretario della -regia cancelleria, Andrea d’Isernia detto il principe, -l’auriga, l’evangelista de’ feudisti, Luca da Penna ed -altri, noti tra la folla de’ commentatori. Di regolari -magistrati e di opportune leggi confortò il Reame. Il -clero, depresso dagli Svevi, poi rialzato sotto gli Angioini -fino a sottrarsi d’ogni giurisdizione regia, fu da lui -sottomesso ai magistrati in casi d’ingiurie e violenze. -</p> - -<p> -Ma o perchè Roberto si trovasse occupato altrove, o -perchè rifuggisse dal disgustarli, atteso la vicinanza -dell’emula Sicilia, i baroni crescevano di potere e d’arroganza; -circondatisi di clienti e vassalli, nei loro castelli -ricoveravano malfattori; non essendovi chi osasse -più chiamarli in giudizio, trascorrevano ad ogni eccesso; -tornavano sulle guerre private, eludendo e le -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -commissioni cioè lettere arbitrarie del re, e le minaccie -della Corte di Roma, e il rigore de’ giustizieri. Anche -i banditi crebbero tanto, che bisognò contro di essi -inviare regolari eserciti, ma con poco profitto, essendo -protetti dai baroni. -</p> - -<p> -A ben peggio si cascò allorchè Roberto, dopo trentaquattro -anni di regno, morì (1343). Del perduto figliuolo eragli -rimasta Giovanna, alla quale volendo togliere un competitore -e procurare un appoggio domestico, destinò -sposo Andrea, nato da Caroberto re d’Ungheria, figlia -del suo fratello maggiore Carlo Martello (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 384); -e lo fece educare a Napoli perchè acquistasse i modi e -l’amore de’ futuri sudditi. Cure al vento. Quando successero -nel regno e ne’ tesori, Giovanna era sul toccare -de’ sedici anni, e di qualche mese minore il marito; e -la splendidezza di loro reggia non avea pari in Europa, -eccetto quella d’Avignone. Ivi Sancia da Majorca vedova -di Roberto, Caterina imperatrice titolare di Costantinopoli, -Margherita di Táranto regina vedova di Scozia, -teneano altrettante corti; Maria, sorella di Giovanna, -segretamente maritata a Carlo duca di Durazzo, sfavillava -di bellezza e ingegno; Agnese di Périgord, madre -di questo, compiva il regio circolo; e tutti lusso a gara, -e feste, comparse, raffinatezza, amori rinterzati, intrighi -inverecondi; inciampi alla fragile Giovanna. Andrea, -candido uomo e dolce, non avea dismesse le -grossolane usanze magiàre, tratto inelegante, strani -gusti, umore indolente; e pretendendo gli competesse -il regno non per la moglie, ma per diritto ereditario, -non rassegnavasi alla superiorità pretesa da questa. Adunque -due fazioni divisero la Corte e tutto il regno; e la -ungherese crebbe pel favore del papa e più per la -sventataggine di Giovanna, che non soffriva gli affari -la distraessero dagli spassi, ne’ quali accoppiava la ricercatezza -della letterata pulizia italiana colle pompe -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -di Germania e Provenza; e la recita dei sonetti del -Petrarca e delle novelle del Boccaccio alternavansi coi -giuochi floreali, co’ tornei, colle corti d’amore. Frà -Roberto, zoccolante ungherese, maestro d’Andrea e -potente sopra la regina, a cavalcione dei due partiti, -diveniva arbitro del regno. Petrarca, che allora vide -quella Corte, prega il Cielo che campi l’Italia da simili -disastri; esser Napoli una Mecca, una Babele ove Cristo -s’insulta, fede non v’è, nè giustizia o pietà; i dominatori -sono Falaridi, Dionigi, Agatocli; ma singolarmente -inveisce contro il frate, sporco, stracciato, brigante, -superbo. — Retorica. -</p> - -<p> -Andrea, impacciato fra le cortigianerie, indispettito -degli amori di Giovanna col cugino Luigi duca di Táranto, -volle essere consacrato prima dei ventidue anni -prefissigli da Roberto, e alla coronazione fece drappellare -ceppo e mannaja, come ad esprimere ne userebbe -contro gli offensori. Chi vuol fare non minacci. Quei -che avevano motivo a temerne, congiurarono, capo il -conte d’Artusio figlio secreto di re Roberto, e Filippina -la Catanese, lavandaja, venuta balia di Luigi, e diventata -confidente della regina; Giovanna, se non consentì, -almeno non ostò che Andrea fosse strangolato e gittato -da un terrazzo (1345 20 agosto). -</p> - -<p> -Nessuno tolse da senno a farne processo e giustizia; -solo il papa, come alto signore del Regno, commise a -Bertrando Del Balzo, gran giustiziere, di cercare i colpevoli: -e costui, sciorinando uno stendardo ov’era -effigiato l’assassinio, si trasse dietro il vulgo fin al palazzo; -nè la regina valse a impedire che la Catanese -e i complici, dopo orribili torture, fossero appiccati ed -arsi. Giovanna intanto sfacciatamente sposava (1347) il duca -di Táranto; poi presentendo la guerra civile, facea -levata di vassalli e partigiani; e a Luigi il Grande re -d’Ungheria, maggior fratello di Andrea, scriveva scusandosi -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -innocente. Il quale le rispose: — Il disonesto -tuo vivere, il ritenere la podestà regia, la negligenza -in punire il misfatto, le non chieste scuse, ti palesano -partecipe e rea dell’assassinio; nessuno sfuggirà alla -vendetta divina e all’umana». -</p> - -<p> -Esso Luigi tiene posto segnalato fra i re dell’Ungheria, -la quale, di fresco sbarbarita nè ancora spossata dalla -viziosa costituzione, al tempo di lui si collocò fra le -primarie potenze d’Europa. Egli era al tempo stesso -re di Polonia, sovrano della Bosnia, della Servia, -della Bulgaria, della Moldavia, della Valachia, onde -estendeva i dominj sulle genti slave dall’Adriatico al -mar Nero e alla foce della Vistola; rispettato dai Tedeschi, -temuto dagli Italiani. Chiese al papa dichiarasse -Giovanna immeritevole del regno, e ne investisse lui -stesso, che s’accingeva con un esercito a far giustizia. E -benchè il papa, che avea levato al sacro fonte un figlio -postumo d’Andrea, tentasse indurlo a rimettere la cosa -al suo tribunale, egli pose in pegno fin le gioje di sua -moglie<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>, e mosse a questa volta. -</p> - -<p> -I Napoletani si erano divezzi dalla guerra: la gente -di villa non conosceva arme, nè portava in mano che -una mazza di legno per difendersi dai cani; invece di -giacere alla serena, piacevansi di letti soffici e di piumacci, -e sempre erano a pettinarsi e lavare il viso a -mo’ di donne<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>. Non si potea dunque far conto che -sui venturieri; ed era a temere che i Siciliani, per isfavorire -Napoli, dessero mano agli Ungheresi. Pertanto -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -Giovanna pattuì con quelli pace intera e assoluta indipendenza; -poi diffidando de’ pochi partigiani, all’avvicinarsi -del vindice fuggì in Provenza (1348). -</p> - -<p> -Luigi, vincitore senza aver combattuto, volle vedere -il terrazzo donde era stato precipitato Andrea, e quivi, -rinfacciando il misfatto a Carlo di Durazzo che invano -se ne giura incolpevole, lo fa stender morto e trabalzare -anch’esso nel giardino; molti creduti complici -manda al supplizio; gli altri reali spedisce in Ungheria. -Entrato in Napoli da conquistatore, attende a far processi, -colloca a governo Ungheresi e a reggente Stefano -Laszk, principe transilvano; ma poichè la peste cominciava, -congeda le truppe e torna in Ungheria. -</p> - -<p> -Paese facile a conquistare, difficile a conservare. Il -papa negò a Luigi l’investitura nè di Napoli nè della -Sicilia finchè Giovanna non fosse regolarmente convinta -rea. I Napoletani, ben presto disgustati dei forestieri e -rimpiangendo le allegrie dell’antica Corte, invitavano -la regina, la quale dalle indagini fatte risultava innocente -del sangue d’Andrea. Assolta dunque dal papa -che ne convalidò il nuovo matrimonio, ella s’accinse a -ricuperare il regno; vendette al papa la città d’Avignone -per ottantamila fiorini, e impegnò le gioje onde -far denaro; e assoldate truppe, coll’assistenza di Nicolò -Acciajuoli illustre fiorentino ricuperò il paese (1350), salvo -alcuni castelli. Intrepidamente frivola fra tanti pericoli, -colle allegrie stordiva sè e i sudditi; intanto che re -Luigi sopragiungeva con trenta o quarantamila Ungheresi. -</p> - -<p> -Costoro, naturati coi loro cavalli, su cui fin da fanciulli -viveano, usavano unica difesa un giubbone di -cordovano rinterzato, unica offesa l’arco e lunga spada; -selle e gualdrappe la notte scusavano di letto e di copertura -al cavaliero, il quale portava allato carne secca -polverizzata, che con poca acqua calda riduceva a bibita -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -sostanziosa. In tal modo aveano guerreggiato con -Bulgari, Russi, Tartari, Serbi, in pianure patenti ove il -pascolo abbonda; ma gl’Italiani distruggevano le proviande, -e chiudevansi in terre castellate, di modo che -gli Ungheresi consumavansi per difetto di foraggi; e -sebbene i nostri potessero a pena sellare tre o quattromila -cavalli, le ordinanze massiccie e le solide armadure -nostrali presentavano intoppo inaspettato. Gli -stranieri malmenarono il Reame, e lo presero tutto, -eccetto Gaeta ove s’erano ridotti Giovanna e il suo sposo: -ma poichè fame e peste li decimavano e il tempo del -servizio militare scadeva, Luigi (1351) dovette accettare una -tregua, patto che il papa facesse riassumere a processo -la regina; e se fosse chiarita colpevole, il regno cadesse -al re d’Ungheria; se innocente, questi cederebbe -a lei le piazze per trecentomila fiorini. Giovanna a -prova di testimonj giurati dimostrò che un filtro l’aveva -distolta dall’amare Andrea, e fu dichiarata inconscia -dell’assassinio di questo; laonde Luigi cedette le piazze, -e neppur volle il pattuito compenso, dicendo: — Guerreggio -per giustizia, non per guadagno». Giovanna -tornò regina (1352), e Luigi di Táranto fu coronato. -</p> - -<p> -Fra ciò la Sicilia compiva le sue sorti separatamente -dalle italiche. I baroni, che erano stati repressi dagli -Svevi, nella guerra succeduta ai Vespri sentirono d’esser -necessarj; e straordinariamente compensati degli straordinarj -servigi, talmente inorgoglirono, che appena -soffrivano d’essere inferiori al re; e sotto al debole -Pietro II (1337), figlio e successore di Federico I d’Aragona, -pretendevano rendere ereditarie le cariche più alte. -Colle estese parentele e colla clientela de’ popolani, -ogni casa faceasi centro di partiti, che ruppero a guerre -sotto il nome e la capitananza degli Alagona e dei -Chiaramonti di Modica, dei Palici e dei Ventimiglia di -Geràci; tanto che tutta quella costruttura di Federico I -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -1342 -andò a fascio, nè quasi ombra rimaneva di governo -centrale. Sotto Lodovico, succeduto quinquenne (1355) al padre -in tutela del giustiziere Blasco d’Alagona, e sotto Federico -II suo fratello sottentratogli di tredici, e indicato -col titolo di Semplice, raffittirono le guerre da casa a -casa; e «tanto mortalmente crebbe il furore delle loro -parti, che senza alcuna misericordia, come salvatiche -fiere, ovunque s’abboccavano s’uccidevano per agguati, -per tradimenti; e per furti di loro tenute continovo -adoperavano il fuoco e il ferro,..... e tanto si -disusarono i campi della coltura, tanto si consumarono -i frutti raccolti, che l’isola, per addietro fontana d’ogni -vittuaglia, per inopia e per fame faceva le famiglie -de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli -altri paesi»<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>. -</p> - -<p> -Ai re di Napoli il momento parve buono per far -valere le ragioni che avevano dissimulate, non deposte; -e Giovanna occupò Messina (1353), promettendo alzarla capo -della Sicilia; ma Chiaramonti e Ventimiglia s’accordarono -per ricuperarla. A Giovanna, padrona della Provenza -e di Napoli, sarebbe stata necessaria una bella -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -marina; ma le guerre non le permisero mai d’allestirla, -anzi lasciò disfarsi ogni resto dell’antica potenza marittima -di que’ paesi. Bisognosa di navi, ne chiese quindici -in dono da Lodovico d’Aragona, a tal prezzo -rinunziando i diritti sull’isola, nè riservandosi che l’annuo -tributo di tremila once. Ai Siciliani parve baratto -codardo questo riconoscere il regno come dono della -signora nemica; eppure ciò poneva fine alla lunghissima -guerra di Sicilia, costata tanto denaro e sangue: -la soggezione non fu che nominale, nè mai pagato il -tributo. -</p> - -<p> -Giovanna e Luigi di Taranto sedevano sul trono napoletano; -ma che poteano essi in regno sbranato dalle -parzialità, e dove i baroni non voleano deporre le -armi, impugnate ne’ passati trambusti? Alcuni scontenti -v’invitarono la banda del conte Lando, che si rese -terribile ad amici e nemici: e per rimandarla si dovettero -imporre straordinarj accatti, e sospendere il consueto -tributo al papa, che perciò ebbe a mettere il -regno all’interdetto. Luigi di Táranto, vagheggino da -nulla, morì di quarantadue anni (1362); e Giovanna, ad istanza -de’ baroni, sposò Giacomo III d’Aragona, re titolare -di Majorca; ma il tenne appartato da ogni autorità, e -per lo più in Ispagna, finchè morì (1374) senza farla madre. -Essa contava quarantasei anni; tutti i suoi figli erano -morti; la sorella Maria non avea che tre figliuole, una -delle quali, Margherita, fu da Giovanna designata a succederle, -sposandola al cugino Carlo, figlio dell’ucciso -duca di Durazzo, e che fu poi conosciuto col nome di -Carlo della Pace; uom bello, attraente, ma profondamente -simulato, e pronto sempre a rinegare la propria -parola. Ma l’intrinsichezza di questo con Luigi il Grande, -sotto del quale campeggiava in Ungheria e nel Friuli, -ingelosì Giovanna, che repente concesse la mano (1376), non -il titolo regio ad Ottone di Brunswick, che allora dimorava -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -in Piemonte qual tutore del marchese di Monferrato. -</p> - -<p> -Era il momento che contendeasi pel successore di -papa Gregorio XI; e Giovanna, favorendo Clemente VII, -antipapa, diede impulso al grande scisma d’Occidente; -lo perchè Urbano VI la proferì scomunicata e decaduta -dal regno e da tutti i feudi, ed eccitò contro di lei Carlo -della Pace, di cui essa aveva deluso le aspettative. Il -popolo napoletano bolliva contro la regina perchè fomentasse -lo scisma, e acclamava il papa vero, e saccheggiava -i palazzi; i baroni si combattevano fra sè con -grandi eccidj, e la regina non potea che perdonarli e -farli giurar paci che al domani erano violate. A tanti -pericoli sentendo non bastar sola, essa cercò un appoggio -coll’adottarsi erede Luigi d’Angiò (1380), secondogenito di -Giovanni II re di Francia; seme che dovea fruttare due -secoli di guaj al Reame. Esso Luigi per far denari -s’appropria il tesoro regio di Francia, smunge province, -sacrifica gli Ebrei, sottrae le paghe ai soldati, impone -a Parigi una tassa su tutti i comestibili; e perchè -il popolo ne tumultuava, fa buttar nel fiume i capi -delle arti. -</p> - -<p> -Come Urbano VI a Carlo, così Clemente VII favorì -all’Angioino, assentendogli le decime sulle entrate ecclesiastiche -in Lingua d’oc e in Lingua di sì, e persino -a favore di lui ergendo in regno d’Adria lo Stato ecclesiastico, -salvi il Patrimonio di San Pietro e la campagna -di Roma: così sagrificando l’indipendenza dello Stato -ecclesiastico. La morte del genitore trattenne Luigi -d’Angiò in Francia; e intanto Carlo, sollecitato dalle -solite speranze dei profughi, colle bande venturiere del -Barbiano e dell’Acuto mosse ver Roma, dove, incoronato -da Urbano VI, e fornito di ottantamila fiorini col -togliere gli ori e fin i vasi sacri dalle chiese, dopo ronzato -due anni coll’esercito a ruina degl’italiani, penetrava -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -nel Reame (1381). Dal popolo, inusato alle armi, non -soffrì resistenza; i baroni volevano male a Giovanna -dell’essersi eletto successore uno straniero; la Città dividevasi -tra Angioini e Carlisti, tra Urbanisti e Clementini; -talchè impossibile era la difesa, e Carlo, fra i -mirallegro entrò in Napoli. La regina, chiusasi nel Castel -Nuovo, non ricevendo i soccorsi aspettati, si arrese. -Carlo le fece onore: ma spargendo ch’ella il guardasse -come un ladrone, e contro di lui sollecitasse continuamente -Luigi d’Angiò, la fece strozzare (1382). Comunque d’indole -generosa, ingenua, amorevole<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, colla inescusabile -giovinezza e più col variare dei mariti e degli -eredi ella sovvertì allora e poi il Reame. Sua sorella -Maria di Durazzo non tardò a seguirla, e nel costei -sepolcro spegnevasi la discendenza di re Roberto. -</p> - -<p> -Luigi avrebbe voluto rimanere in Provenza a raccorre -la porzione più solida dell’eredità di Giovanna; -ma l’antipapa Clemente, per contrariare al favorito di -Urbano VI, lo spingeva a vendicare la sua benefattrice, -e conquistarsi così ricca corona. Egli dunque coronato -in Avignone re di Sicilia, di Napoli, di Gerusalemme, -con bello e forte esercito, con Amedeo VI conte di -Savoja, e col favore di Bernabò Visconti che sposò una -figlia a un figlio di lui, e assistito dai malcontenti, calò -per Italia, e due anni continuò guerra a Carlo della -Pace. Questi, non sostenuto dai baroni, sì bruciato di -denaro che derubò alla dogana i panni de’ Fiorentini, -Pisani e Genovesi onde distribuirli a’ suoi fedeli, conobbe -l’opportunità d’evitare gli scontri, e secondo i -consigli di Alberico da Barbiano, da lui fatto connestabile -del regno, aspettò che le malattie logorassero gli -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -uomini, i cavalli, il tesoro del nemico. Di fatto quel -floridissimo esercito fu ben presto a tal miseria, che i -migliori cavalieri montavano asini; il duca avea venduto -vasi, gioje, fin la corona, nè copriva la corazza -se non d’un cencio dipinto; alfine morì di febbre a -Bari; gli altri o perirono (fra questi Amedeo di Savoja, -a Santo Stefano in Puglia, 1384 12 marzo), o tornarono accattando -e rubando. -</p> - -<p> -Più colla politica che col valore avea trionfato Carlo, -nè però ebbe calma; e la fazione angioina, fedele al -fanciullo Luigi II, erede della Provenza e delle pretensioni -dei defunto duca, lungamente sconvolse il Regno. -Inoltre egli si guastò affatto con papa Urbano, che essendosi -piantato a Napoli, pretendeva esercitarvi padronanza, -e voleva investisse a un tristo suo nipote il -principato di Capua e d’Amalfi, e altri possedimenti -promessi quando fu coronato: onde tempestò fra guerre -e scomuniche scandalose, peggiorate dalla peste che in -quegli anni rinnovò i guasti per tutta Italia. Carlo, inorgoglito -dalla vittoria, era meno che mai disposto ad -ascoltare le rimostranze del pontefice che pretendeva -moderasse le molteplici imposte sul Regno: onde Urbano -si chiuse in Nocera, pose alla tortura alcuni cardinali -imputati di congiura, e scomunicò Carlo, il quale -a vicenda tormentava i prelati napoletani che obbedissero -all’interdetto, e mandò l’esercito ad assediare -l’ostinato pontefice. Questi s’affacciava ogni tratto al -balcone col campanello e colla torcia accesa scomunicando -l’esercito del re, finchè dopo sei mesi vennero -in soccorso truppe mercenarie, che lo trafugarono -verso Salerno, d’onde s’imbarcò anelando vendetta -(Cap. <span class="smcap lowercase">CXVII</span>). -</p> - -<p> -Alla sorte del Reame venne a recare nuovi viluppi -la morte di Luigi il Grande d’Ungheria. Aveva egli -menato frequenti guerre con Venezia, la quale conservava -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -sempre il titolo di signora di Dalmazia, di Croazia -e d’un quarto e mezzo dell’impero d’Oriente; mentre -esso re, dacchè pretese al Napoletano, avrebbe trovato -opportunissimo possedere Zara, anello fra i suoi paesi -e la Puglia. Tentò dunque essa città, ma i Veneziani -gliela disputarono, e dopo diciotto mesi d’assedio la -presero. Ne serbò rancore Luigi, e favorì lo scontento -degli Schiavoni, i quali dalla signoria veneta aborrivano -perchè sagrificati al vantaggio della capitale, mentre -sarebbero potuti fiorire di commercio diventando lo -sbocco dell’Ungheria. Quando si sentì bastante vigore, -Luigi intimò al veneto senato restituisse le città di Dalmazia, -antiche pertinenze della corona ungherese. Il -senato ricusò e fece navi; ed avendo l’emula Genova -prestato a quel re sessanta galee comandate da Antonio -Grimaldi, i Veneti uniti ai Catalani, e capitanati da Nicolò -Pisani, a Lojera diedero una terribile rotta ai nemici (1353), -prendendone trenta galee con tremilacinquecento -prigionieri, che lasciarono consumar nelle carceri, oltre -duemila che perirono combattendo. -</p> - -<p> -Non per questo re Luigi desistette dal molestare i -Veneziani in Dalmazia; e risolse attaccare Zara, Spalatro, -Trau, Nona e al tempo stesso Treviso, unica -città che Venezia tenesse in terraferma. Occupate Conegliano, -Asolo, Céneda, que’ temuti cavalleggeri arrivarono -sotto Treviso, ma prenderla non poteasi con scorridori; -i quali, impazienti di lunghe fazioni, costrinsero -il re a battere in ritirata, benchè forte di trentamila -uomini. Meglio ordinatosi, ricomparve egli, e per tradimento -ebbe la città (1354); e chiesto di pace, generosamente -dichiarò bastargli il ricupero delle città spettanti alla -sua corona, e che il doge rinunziasse al titolo che si -arrogava su quelle, e gli provvedesse ventiquattro galee, -di cui egli pagherebbe le spese. -</p> - -<p> -Morto Luigi (1382), la nobiltà consentì che Maria sua figlia, -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -da essi gridata regina, ne portasse i diritti a Sigismondo -di Luxemburg, figlio dell’impotente Carlo IV. -Altri nobili però gridarono Carlo III di Durazzo, che -adottato da re Luigi, era cresciuto in quel reame e -formatosi a quelle armi; e di fatto egli, per ambizione -del nuovo non curando i disordini cui abbandonava il -regno suo prisco, v’andò, ed ottenne la corona angelica; -ma la regina lo fece assassinare. Giovanna era -vendicata (1386). Allora va in estremo scompiglio l’Ungheria, -dove i Croati accorreano a punire il delitto con altri delitti -e brutalità. Côlta Maria, la mandavano a Margherita -vedova di Carlo, se non si fossero opposti i Veneziani: -intanto le ribellioni fiaccarono affatto l’Ungheria, -e un nuovo re della Servia orientale ebbe Zara, Trau, -Sebenico, Spalatro e le altre città per lo innanzi possedute -dai Veneziani. Maria fu liberata da Sigismondo di -Luxemburg suo marito, il quale alla morte di lei (1395) restò -re del paese, che trasmise poi a Casa d’Austria. -</p> - -<p> -Tra questo fare, il regno di Napoli, salito a tanta grandezza -sotto i Normanni, gli Svevi e Roberto il Buono, -sfasciavasi sotto i costui discendenti, e poco pesava sulla -bilancia politica, mentre internamente era campo di -sciagurate battaglie fra bande di ventura e stranieri -semibarbari: le contribuzioni erano riscosse e consumate -da costoro; non esercito nè flotta v’avea che -obbedisse al re, non fortezze ben munite; esausto l’erario, -effeminata suntuosità alla corte, la nazione disabituata -dalla guerra, sicchè nè i padroni confidavano in -essa, nè i nemici la temevano; e in conseguenza nè essa -aveva a se medesima quel rispetto che salva da vergogna, -nè dagli altri l’otteneva. -</p> - -<p> -L’intempestiva morte di Carlo III aggiunse mali a -mali; e mentre Ladislao, figliuolo di lui decenne, era -proclamato re sotto la tutela di Margherita, la fazione -francese dei Sanseverino salutava l’altro fanciullo Luigi, -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -figlio di quel d’Angiò, due fanciulli in tutela di due donne -meno abili che intriganti. Maria di Blois tolse a Ladislao -quasi tutta la Provenza; i Napoletani, scontentati -dall’avarizia di Margherita e dall’avidità de’ suoi -favoriti, si sollevarono anch’essi a favore d’Ottone di -Brunswick, vedovo di Giovanna e creato di Clemente VII, -che a nome dell’Angioino prese Napoli. Così due papi, -due re, due reggenti, fra le cui dispute i più negano -obbedienza ad entrambi, entrambi li scomunica papa -Urbano VI, e tutto va sossopra. Luigi II coronato in -Avignone (1391), è in Napoli accolto fra gli applausi, ma -presto ridotto a rassegnare ogni potere a Ladislao (1399), che -riconosce il regno come benefizio della Sede apostolica<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -</p> - -<p> -Fra pericoli e congiure e guerre intestine costui s’addestrò -agl’intrighi, coll’età crescendo di coraggio; perfido -politico quanto Gian Galeazzo, e più valoroso, -formò buone truppe, ebbe di molti partigiani, tolse -tutte le fortezze ai Francesi, punì i baroni che gli avevano -favoriti. La nobiltà ungherese, disgustata di re -Sigismondo, offrì la corona angelica a Ladislao, che -v’accorse; ma poi trovandosela contesa, vendette ai -Veneziani Zara e le altre piazze di Dalmazia, nè più -dandosi un pensiero dell’Ungheria, pensò ingrandire in -Italia, prefiggendosi rinnovare la gloria di Federico II -imperatore, e solendo dire: — O Cesare o nulla». Per -assodare la monarchia deprimeva i baroni, che odiava -tutti o parteggiassero pei Durazzo o per gli Angioini; -impedì tenessero più di venticinque lancie ciascuno, -come faceano col pretesto di pubblico servizio, ed anche -queste fossero stipendiate e alloggiate dallo Stato: intanto -ammise chi che fosse ad ottenere feudi, uffizj, sin -la cavalleria. -</p> - -<p> -Era allora la cristianità straziata dal grande scisma, -e l’Italia n’andava tutta in parti e in armi, sicchè non -parea far guerra al papa chi assalisse lo Stato papale. -Ladislao colse il buon punto; e quando (1404), dopo morto Bonifazio -IX e ne’ primi tempi d’Innocenzo VII, Roma -sbranavasi fra il popolo e i grandi, egli cercò entrarvi, -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -favorito dai Colonna e dai Savelli. Il popolo s’impadronisce -di Ponte Molle e respinge il re; ma dodici cittadini -ch’erano andati per trattare un accordo con papa -Innocenzo, vengono côlti dal nipote di questo e trucidati. -Il popolo si leva allo stormo della campana di -Campidoglio, caccia il papa, saccheggia. Ladislao teneva -occhio a quella preda, e mentre mena a ciancie il pontefice -e i Fiorentini, occupa trionfalmente Roma: Gregorio -XII, bisognoso d’appoggio contro il papa emulo, -dà a Ladislao l’investitura di Roma, del Patrimonio, -della marca d’Ancona, di Bologna, Faenza, Forlì, Perugia -e del ducato di Spoleto per venticinquemila fiorini -l’anno (1408 25 aprile); e fu il primo che se ne intitolasse re, diventando -padrone dello Stato di cui erano vassalli i suoi -predecessori. -</p> - -<p> -Allora parvegli toccare il cielo col dito, sprezzò ogni -ostacolo, e in verità perchè non potea sperare di divenir -re di tutta Italia? Morto Gian Galeazzo, i Visconti -erano ristretti nella Lombardia: Venezia sentivasi ancora -fiaccata dal duello con Genova: questa dalle fazioni -era costretta ad appoggiarsi alla protezione di Francia. -Solo i Fiorentini ostavano, e poichè nol vollero riconoscere, -attenti che nessun potentato preponderasse in -Italia, Ladislao staggì le robe di tutti i loro mercadanti -in Roma (1409), e accumulato denaro, ne corse guastando il -territorio, onde il popolo lo chiamava il re guastagrano, -e i Fiorentini si videro nuovamente in procinto di perdere -lo Stato. Contro di lui essi presero al soldo Braccio -di Montone, e favorirono Luigi II, che venne cogli -ajuti di papa Alessandro V e del suo successore Giovanni -XXIII, e colle scomuniche da questo avventate a -Ladislao. I gigli sventolavano a capo dell’esercito, e i -Fiorentini uniti a’ Senesi dissipano una spedizione mossa -a conquistare tutta Italia (1410); anzi prendono Roma, dove -si stabilisce papa Giovanni. Luigi, ben fornito di Provenzali -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -e di fuorusciti, e de’ capitani Paolo Orsini, -Attendolo Sforza, Braccio di Montone, vince a Roccasecca -Ladislao (1411 19 maggio), facendo prigionieri quasi tutti i baroni -e lo stendardo reale; ma i soldati sperdonsi a saccheggiare, -poi rivendono le armi e i prigionieri per otto o -dieci ducati l’uno, e Ladislao li compra, compra i soldati -stessi del suo nemico, il quale deve colla vergogna -ricoverare di là dai monti, ove presto finisce la vita. -</p> - -<p> -Ladislao invade Roma e lo Stato, rapinando malgrado -de’ Fiorentini: costringe Giovanni a disdire Luigi d’Angiò, -e riconoscere Ladislao ne’ regni di Napoli e Sicilia; -obbligarsi a ricondurre alla obbedienza di lui quest’isola, -allora in mano degli Aragonesi; nominarlo -gonfaloniere della Chiesa con quattrocentomila ducati, -e perdonargli un arretrato di ducati quarantamila dell’annuo -tributo, tuttociò a patto che Ladislao riconoscesse -lui papa. E papa e re violarono ben presto gli -accordi: il primo raccoglieva bande, flagello de’ popoli, -che non impedirono a Ladislao di assalir Roma (1413) ed entrarvi -saccheggiando, mentre il papa fuggiva tra pericoli -e patimenti infiniti, e chiunque del suo seguito fosse -preso, veniva spogliato nudo, spesso ucciso. Giustamente -si dolse Giovanni a tutto il mondo di tanta perfidia, e — Chi -avrebbe potuto credere alcuno audace e perverso -a segno, di venirci a giurar fedeltà, domandarci -l’investitura in solenne adunanza, e all’ombra di tali -dimostrazioni ottener quello che non avrebbe pur eseguito -in guerra aperta? Ci rifugge l’animo dal dipingere -il furore con cui trattò Roma, i sacri tempj, le venerabili -reliquie de’ santi»<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>. -</p> - -<p> -Ladislao non vi badò, e si spingea contro Bologna, -sola rimasta al pontefice, ma una terribile malattia, -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -attribuita a veleni o a filtri, e più credibilmente a lussuria, -lo gettava tratto tratto in accessi di rabbia, durante -i quali trascorreva alle peggiori crudeltà; sinchè -frenetico morì a trentasei anni (1414 6 agosto). Maltrattò le proprie -mogli, e la repudiata Costanza obbligò a sposare un altro; -provvedeasi di concubine d’ogni stato; matto di -superbia, non curante che de’ soldati, prodigò i beni -della corona a guerrieri, vendendo uffizj e cavalierati, -assodò l’aristocrazia che prima voleva deprimere; e -lasciò la solita eredità di questi re soldateschi, confusione -e indisciplina. -</p> - -<p> -In mancanza di figliuoli, Giovanna II sua sorella gli -successe, rinnovando gli scandali e i disordini della -prima Giovanna; deforme e voluttuosa, perduta in licenziose -feste a voglia d’indegni favoriti. Vedova di Guglielmo -d’Austria, e sperando ne’ reali di Francia appoggio -contro le pretensioni degli Angioini, sposò -Giacomo di Borbone conte della Marcia. Ben ella s’era -riservato tutto il potere; ma Giacomo volendo esser re -anche di fatto, mise in prigione lei, al tormento poi a -morte ignominiosa Pandolfello Alopo, che essa avea -fatto gran siniscalco, conte, camerlingo, tutto. Indignò -baroni e popolo quel vedere Francesi collocati in tutti -gl’impieghi, e trattata da schiava la loro regina. Giulio -di Capua dei conti d’Altavilla, condottiero napoletano -che aveva infellonito re Giacomo contro i favoriti, allora -congiurò d’ucciderlo, e ne informò Giovanna, che credette -acquistar grazia col darne spia al re. I congiurati -furon messi a morte; essa ebbe qualche larghezza, della -quale profittando, i sudditi la liberarono e rimisero al -potere; e Giacomo ridotto ad umile condizione, e fin -prigioniero, poi sottrattosi, andò a morir frate. -</p> - -<p> -Qui, cacciati i Francesi, vennero attribuite le dignità -ad Italiani; Giovanna riconobbe Martino V, gli fece -omaggio, e gli restituì Roma e tutte le conquiste di -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -Ladislao; così suggerendole i suoi amanti, e principalmente -quel che era sotterrato all’Alopo nella confidenza -e nell’amore di lei, ser Gianni Caracciolo. Uomo -d’intelletto e di preveggenza rara, ed amato dal popolo, -al cui sostentamento aveva provveduto, avrebbe costui -dominato dispoticamente se non l’avesse contrariato -Attendolo Sforza. -</p> - -<p> -I caporali, che andavano in volta per la Romagna -col piffero e il tamburino ad ingaggiare venturieri, esibirono -il soldo a un terriero da Cotignola, di nome -Muzio Attendolo, che stava zappando un suo podere. -Egli tentenna fra il sì e il no, e non sapendosi risolvere, -lancia sopra una pianta la zappa, risoluto di restarsene -al suo mestiero se ricaschi a terra. Rimase -implicata fra i rami, ed egli accettò le armi, tolse un -cavallo dalla paterna stalla, e colla bravura e l’arrischiatezza -acquistò nome; e Alberico da Barbiano vedendoselo -in un diverbio saltar contro con violenza, gli -disse: — Che? vorrai tu far forza anche a me come -agli altri? Ti chiameremo lo Sforza. Questo soprannome -gli restò, ed egli come capo di bande eccitò ammirazione, -invidie, nimicizie. Nel campo voleva severa -disciplina; un uom d’arme toglie il vestone pavonazzo -d’un medico, e Attendolo, messoglielo in dosso, lo manda -in giro pel campo, sicchè quegli dalla vergogna s’ammazza: -uno scozzone di cavalli che sottraeva biada per -venderla, fa legare alla coda di cavalli e strascinare a -furia: un ferrarese che teneva seco una donna in figura -di ragazzo, fece vestire da femmina e girar così negli -accampamenti. Corpo abituato ad ogni fatica e stento, -piacevasi solo a giuochi di forza; tutt’armato, poteva -montare a cavallo senza ajuto che delle staffe, e per -molte miglia viaggiare sotto quello scoglio ferrato; -pronto a deliberare, prontissimo ad eseguire, ardito -ne’ pericoli, franco in gioventù, simulatore dopo provati -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -i tradimenti, spregiator delle ricchezze, valoroso -ma senza veruno de’ nobili concetti che fregiano il valore, -soldato sempre di causa altrui. -</p> - -<p> -Col famoso condottiero Tartaglia avendo contribuito -alla presa di Pisa, fu da Firenze provvisto di cinquecento -fiorini annui. Riuscito ad uccidere per tradimento il -traditore Ottobon Terzo, dal marchese d’Este, cui rendeva -Parma e Reggio, ottenne la terra di Montecchio. -Roberto imperatore gli concesse per arma un leon d’oro -rampante che tiene nella zampa destra un pomo cotogno. -Luigi II d’Angiò e il papa lo assoldarono nell’impresa -contro Napoli; ma Ladislao riuscì a tirarlo a sè, -donandogli quattro castelli nell’Abruzzo; onde il papa, -che pur l’aveva investito della natìa terra di Cotignola, -e creato gonfaloniere della Chiesa, lo fece dipingere in -più luoghi appiccato pel piede destro con un cartello -che cominciava <i>Io son Sforza villan di Cotignola</i>, e -ne enumerava dodici tradimenti. Che contavano i tradimenti -ove unica lode era il valore? Ladislao, avutone -utile servizio, lo eleva gran connestabile del Regno, e -gli assegna sette castelli del Patrimonio di san Pietro; -altri ne acquista egli come vassallo della repubblica di -Siena; e chiamasi attorno i parenti suoi, affidando loro -i comandi nell’esercito, gente tutta allevata in faticosa -sobrietà, avvezza al ferire in paesane contese, e interessata -a sostener lui, unico appoggio di tutti. -</p> - -<p> -Alla morte di Ladislao, l’Alopo, ingelosito del favore -mostratogli da Giovanna, lo sorprende e lo caccia in -un fondo di torre; ma ben tosto riconosciutolo necessario, -gli offre in moglie una sorella e nuovi dominj -se metta a favor suo e della minacciata regina la sua -banda. Re Giacomo, riuscito superiore, insusurrato da -Giulio di Capua suddetto, alla sua volta lo chiude prigione, -e così il gran venturiero alterna fra le catene e -il comando, fra gli amori della regina e l’odio dei rivali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -</p> - -<p> -Amico, poi emulo suo fu Braccio dei conti di Montone, -perugino. Da una fazione espulso di patria ferito -e nudo, si pose sotto al Barbiano, e ne meritò la stima, -poi l’invidia, tanto che si cercò torgli la vita. Scampato, -e sofferti tutti i disagi della povertà non ladra, accettò -soldo di qua di là, e alfine dai Fiorentini contro Ladislao. -Rôcca Contratta fu la prima terra che a lui -si sottomise, donde altre soggiogò nel Piceno. Giovanni -XXIII andando al concilio di Costanza, lo lasciò -incaricato di tenergli in fede Bologna e la Romagna, -ed esso in fatti costrinse all’obbedienza i signori e le -città che se ne voleano sottrarre. Ma quando Giovanni -fu deposto di papa, Bologna diede su, e Braccio patteggiò, -vendendole per ottantaduemila fiorini i castelli -regalatigli dal pontefice. Trovandosi un buon esercito, -impinguato dalle prede di Romagna, Braccio voltò sopra -Perugia sua che l’aveva esigliato, e che era difesa dal -Tartaglia; trasse a sè costui con promettere d’investirlo -di tutti i feudi che si torrebbero allo Sforza, comune -avversario; ma i cittadini lo respingeano intrepidamente, -e quantunque i magistrati avessero fin murato le porte -acciocchè nessuno uscisse a scaramucciare, saltavano o -calavansi dalle mura per provarsi con que’ nemici. Venivano -intanto altri capitani, chi per soccorrere, chi -per combattere Braccio; e sulla via d’Assisi fu mischiata -una battaglia (1416), rinomata ne’ fasti di quelle bande, ove -comandavano da una parte Braccio con Tartaglia, con -Niccolò Piccinino e con altri; dall’opposta Carlo Malatesta -con Agnolo della Pergola, Ceccolino de’ Michelotti, -Paolo Orsini. Sette ore durò la mischia sotto il sole di -luglio, finchè Braccio vinse; onde Perugia schiuse le -porte e diede la sovranità al suo esule, cui si sottomisero -Rieti, Narni e tutta l’Umbria. -</p> - -<p> -Egli stabilì un governo robusto, abbellì la città, dedusse -acque dal lago ad irrigare la campagna. Soleva -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -a Perugia farsi ogni domenica di primavera un’abbaruffata -tra gli abitanti della città alta e quei della -piana, lanciando sassi e parandoli con un largo mantello -avvolto al braccio sinistro; poi succedeano persone -armate in tutto punto, ma con cuscinetti che -ammortissero i colpi; infine anche i fanciulli venivano -alle mani: giuoco che non passava mai senza la morte -e il guasto di più d’uno. Braccio vi diede grande splendidezza, -e volle che ciascuna delle città a lui sottoposte -vi mandasse una bandiera. Il duca di Camerino gli -sposò una sorella; i Fiorentini lo tennero sempre amico -ed alleato, ed egli prometteva ad ogni loro appello andare -a comandarne l’esercito; e qualora capitasse a -Firenze, eravi accolto con tutto l’entusiasmo che il corrotto -giudizio umano tributa alla forza soldatesca, e -più quand’essa è rara. -</p> - -<p> -Mentre lo Sforza stava in ceppi, Braccio procurò torgli -i feudi, secondo avea pattuito col Tartaglia; di che -nacque odio implacabile fra i due campioni. L’uno più -arrischiato, l’altro di valore più educato ed accorto, -furono capi di due scuole, emule non solo allora, ma -sotto que’ grandi guerrieri che ne uscirono (dicevasi -allora) come dal cavallo di Troja. Gli Sforzeschi valeano -di più nella milizia, i Bracceschi nelle subitanee fazioni; -questi nella disciplina e nelle particolarità, quelli nel -concetto, negli appresti generali e nell’artifizio di tenersi -delle riserve: nè gli uni nè gli altri utili alla patria -e all’umanità, la quale non del valore ha bisogno, ma -d’un valore adoprato a buona causa. -</p> - -<p> -Braccio era entrato in Roma (1417), egli capitano di ventura -nella capitale del mondo cattolico, intitolandosene -difensore finchè un nuovo papa giungesse. Lo Sforza -mosse, per ordine di Giovanna, a snidarnelo; e quegli, -molestato dalle febbri, si ritirò, covando vendetta, mentre -lo Sforza rodevasi di non avere sfogato la sua. -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -Questo fu incaricato da Martino V di togliere a Braccio -il principato che s’era costituito, ma nulla profittò contro -quel valore esercitatissimo. Invano egli e il papa sollecitavano -da Giovanna altri ajuti per fortunare l’impresa; -a ser Gianni Caracciolo piaceva che fallisse, acciocchè -se n’eclissasse la gloria dello Sforza: il quale vedendosi -soccombere alla costui rivalità, non esitò a risuscitare -le antiche parzialità dei Durazzo e degli Angioini, -le quali doveano portare al paese tanti strazj e lunghissima -servitù forestiera. -</p> - -<p> -Respinto il bastone di gran connestabile e disdetto il -giuramento, quasi con ciò disobbligasse la propria fede, -lo Sforza mandò a Luigi III, succeduto al II d’Angiò, -invitandolo a rivendicare i suoi diritti, fondati sull’adozione -di Giovanna I; e nominato vicerè, raccolse un -esercito ed investì Napoli (1420). Luigi medesimo comparve -colla flotta: ma gli si opposero per mare Alfonso re -d’Aragona e Sicilia, che era stato chiesto da Giovanna II -e adottato; e per terra Braccio, che riconciliato col -papa, n’avea avuto in feudo Perugia e le vicinanze, e -l’aveva soccorso a sottomettere Bologna, e che creato -conte di Foggia, principe di Capua, gran connestabile, -adoprò il valore e più gl’intrighi e la seduzione contro -l’esercito oppostogli. Luigi, a cui il destro nemico avea -sottratto l’amicizia del pontefice e il venale coraggio -dello Sforza, se ne andò in rotta; ma questa non era -che la prima scena del lungo conflitto tra Francesi e -Spagnuoli. -</p> - -<p> -Intanto in Sicilia Federico II moriva (1377) di trentacinque -anni, sempre inetto, lasciando una sola figlia Maria: e -sebbene Federico di Svevia avesse determinata la successione -per agnati, escludendo le femmine, il papa autorizzò -Maria a succedere. S’oppose Pietro d’Aragona, finchè -s’accordò di maritarla con don Martino suo nipote (1392). Ai -baroni ne rincresceva, temendo non il signore forestiero -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -li mettesse al freno: ma egli comparve con buone forze, -e accolto volonterissimo dalle città, domò gli Alagona e -i Chiaramonti che gli si opponevano. Ma morì improle, -onde gli succedette il padre suo (1409), Martino il Vecchio, -già re d’Aragona; lo perchè la Sicilia cadde nella deplorabile -condizione di provincia, e vi durò tre secoli. -Per giunta, il papa e i re napoletani fomentavano le -discordie, già inevitabili in quella costruttura di regno, -e che continuavano l’agitazione anche dopo perita la -libertà. -</p> - -<p> -Primeggiavano fra i baroni le famiglie de’ Chiaramonti -e degli Alagona; la prima, tanto sublimata che -diede una figlia in isposa a re Ladislao, propendeva -agli Italiani ed era meglio popolare; l’altra agli Spagnuoli: -ma e la <i>parzialità latina</i> e la <i>catalana</i> tiranneggiavano, -strappando a sè le rendite, l’amministrazione, -la guerra, la giustizia: le città, invece di maturare -l’ordinamento municipale, erano predominate dai nobili, -i quali eleggevano i magistrati, e cacciandone il capitano -regio, vi mettevano qualche barone di loro parte, e -infine le convertirono in rettorie di loro proprietà. -Quando Martino II tentò dar polso alla podestà monarchica, -essi baroni, sopendo le nimicizie, si collegarono -a Castronovo per sorreggersi a vicenda, sorretti anch’essi -dal papa; e Martino, obbligato a calare a patti, -s’ingegnò di rimettere l’assetto antico, revocare alla -camera le rendite alienate, munire il paese con un -esercito stabile di trecento bacinetti o barbute, che -cento erano di Siciliani, gli altri di forestieri. -</p> - -<p> -Egli armò per ricuperare la Sardegna ribellatasi, e -le vittorie sue ridestarono il valor siciliano; ma non -appena avviati i miglioramenti, nuove turbolenze suscitò -la morte di lui. Non si vuole più re straniero: -Palermo propone al trono un Peralta (1410); Catania e Siracusa -negano dipendere da quella città; Messina, ancor -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -memore degli antichi sforzi, e sempre aspirando ad -essere la prima città del regno, scuote il giogo straniero, -e promette fede a papa Giovanni XXIII, che dichiara -scaduti gli Aragonesi perchè più non aveano -pagato il tributo feudale. Ma ai baroni conveniva quel -che al popolo rincresceva, onde ajutarono la guerra, -che durò finchè Ferdinando di Castiglia, nipote di Martino -II, fu da tutti riconosciuto re legittimo (1412). Non badò -alle domande ripetutegli di fare della Sicilia un regno -distinto, anzi costituì non dovesse mai separarsi dall’Aragona, -ch’egli aveva acquistato. -</p> - -<p> -Egli non approdò mai nell’isola; bensì Alfonso d’Aragona (1416) -succedutogli vi pose dimora, fosse per desiderio -di sottrarsi agl’impacci che nel suo regno gli davano -le cortes e la gelosia de’ signori, fosse per colorire i -suoi disegni sopra la Corsica. Cupido d’imprese, dal -suo regno di Sardegna aveva invaso quest’isola; ma -trovato gagliarda resistenza per parte de’ Genovesi, era -stato costretto a recedere (1420). Fu allora che gli venne dalla -regina Giovanna l’invito d’assisterla e la promessa d’adottarlo; -intanto nominandolo duca di Calabria, e dandogli -per sicurtà Castel Nuovo e Castel dell’Uovo. Quest’adozione -avviava a ricongiungere le due parti separate -dell’antico regno: ma Alfonso alla Corte di Napoli -si accorge d’essere circuito da intrighi e tradimenti; e -non sapendo tollerare la burbanza del Caracciolo e le -costui trame per soppiantarlo, il fa arrestare. Giovanna -spaventata appena ha tempo di chiudersi in Castel Capuano, -disereda Alfonso per Luigi III d’Angiò (1425), invita a -soccorso lo Sforza, il quale a rincalzo di combattimenti -la salva. Lo Sforza, dopo avere avuto molti figli d’amore, -sposò due mogli di sempre più elevata fortuna, -e ultimamente una duchessa di Sessa, vedova di Luigi II -d’Angiò: fu dichiarato ancora gran connestabile, e -allorchè Giovanna gliene conferiva il bastone, e disputavasi -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -sulla formola migliore per impegnare la fede di -lui, ella proferì: — Chiedetela a lui stesso, il quale -tanti ne diede a me ed ai nemici, che nessuno meglio -sa in che modo si obblighi e disobblighi». Menò egli -robustamente la guerra contro del papa buttatosi cogli -Aragonesi, e professava volergli far dire cento messe -per un quattrino; fu soddisfatto del lungo odio col cogliere -a forza, e far processare e mandare al patibolo -il Tartaglia; ma poco dopo (1424 4 genn.) egli pure, nel guadare il -Pescara, annegavasi al cospetto del figlio Francesco e -dell’emulo Braccio. -</p> - -<p> -Mentre Alfonso era dovuto recarsi a chetare il suo -regno d’Aragona, Giovanna co’ sussidj di Genova recupera -Napoli; e Braccio, combattendo le bande sforzesche -e Giacomo Caldòra sotto Aquila, rimane sconfitto (2 giugno), e ferito -si lascia morir di fame e di rabbia, perendo quasi contemporanei -i due caporioni delle bande italiane. Il -pontefice, di cui Braccio circuiva quasi d’ogni parte gli -Stati, ne festeggiò per tre giorni la morte, e lasciò il -cadavere di lui insepolto: il suo dominio fu reso allo -Stato pontifizio e al napoletano. Giovanna, per capricci -amorosi che l’età rendeva ridicoli, venne in broncio -col Caracciolo; e i nemici di lui, strappatole l’ordine -d’arrestarlo, affrettaronsi ad ucciderlo (1432) prima che ella -pentisse. La regina non potè che tributargli splendide -esequie, e lasciare che il popolaccio saccheggiasse le -case degli uccisori di lui; poi si abbandonò alla duchessa -di Sessa, incapace com’era di volere o di risolvere -da se medesima. -</p> - -<p> -Perito anche Luigi III senza figli (1434), Giovanna privilegiò -erede in testamento Renato fratello di questo; -poi a sessantaquattro anni, logora di corpo e di spirito -moriva (1435), e con essa la prima casa d’Angiò, da -censessantott’anni regnante. Le volubili adozioni di lei -costarono infinite guerre a Francia e Aragona, che per -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -disputarsi quella bella corona toglievano appiglio da -donnesche velleità. Per allora la Calabria fu congiunta -alla Sicilia: ma Renato si fece innanzi allegando il testamento -di Giovanna; il papa pretendeva che il regno -vacante ricadesse come feudo alla Chiesa, ma essendo -così debole da non potere sostenersi, prese la parte di -Renato; e i regnicoli si divisero tra i due, che s’accinsero -a meritare il Reame col farne quel peggiore strazio -che sapessero. Alfonso che stava parato agli eventi, -volle prevenire l’arrivo de’ Francesi, e assediò Gaeta -difesa dai Genovesi, che l’avevano fatta emporio delle -loro merci nelle passate turbolenze, e l’aveano per volontà -de’ cittadini ricevuta in deposito. Egli la ridusse -all’estremità; ma essendone mandati fuori fanciulli, -donne, vecchi, a chi lo consigliava respingerli per affamare -la città rispose: — Piuttosto non prendere Gaeta -che rinnegare l’umanità», e gli accolse e nutrì. -</p> - -<p> -L’avere Alfonso cercato di conquistare la Corsica e -farsene investire dal papa, aveagli nimicato Genova, la -quale, giuratasi a guerra, non esitò a spendere ducentomila -genovine per armare contro di lui. Biagio Assareto -ammiraglio, affrontata la flotta del re all’isola di -Ponza, la sconfisse (1435), e agli anziani di Genova ne dava -ragguaglio nel patrio dialetto in questi sensi: — Magnifici -e reverendi signori; innanzi tutto vi supplichiamo -a riconoscere questa singolare vittoria dal nostro Signore -Iddio, dal beato san Giorgio e da san Domenico, -nella cui festa in venerdì fu data la sanguinosissima -battaglia, della quale siamo rimasti vincitori non per -le nostre forze, ma per la virtù di Dio, avendo la giustizia -dalla nostra parte. Il quarto dì di questo mese, -di mattino per tempo, trovammo sul mare di Terracina -l’armata del re d’Aragona di navi quattordici scelte -fra venti, sei delle quali erano grosse e le altre comuni, -e con uomini seimila, talchè la nave più piccola ne -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -aveva da tre in quattrocento, le mezzane cinque in secento, -e la reale ottocento, sulla quale erano il re d’Aragona, -l’infante don Pietro, il duca di Sessa, il principe -di Taranto con altri cenventi cavalieri. Avevano inoltre -undici galee e sei barbotte. Il vento spirava dal Garigliano, -sicchè era in loro potere quel giorno d’assalirci. -Noi avendo a mente gli ordini vostri di non prender -battaglia s’era possibile, ma soccorrere Gaeta, ci sforzammo -tirare al vento, e navigammo verso l’isola di -Ponza sempre seguitati dagli Aragonesi, che in poco -d’ora ci ebbero raggiunti. La nave del re c’investì la -prima nello scarmo di prua, e si concatenò amorosamente -con noi. Avevamo dal lato opposto un’altra nave, -una da poppa, una a prua. Non pensate già che i nostri -marinari e patroni fuggissero, che anzi si spinsero addosso, -e così rimanemmo essi e noi tutti legati insieme. -Le galee aragonesi davano gente fresca alle navi loro; -e le navi ci traevano bombarde e balestre ove più loro -piaceva, perchè la calma era grandissima. Non pertanto, -dopo combattuto dalle dodici sino alle ventidue senza -riposo, in grazia della giustizia della causa nostra l’Altissimo -ne diè vittoria. Primamente pigliammo la nave -del re, e le altre nostre ne presero undici; una galea -loro fu abbruciata, una sommersa e abbandonata, due -si sono levate dalla battaglia e fuggitesi per portarne -le nuove. Sono rimasti prigioni il re d’Aragona, il re -di Navarra, il gran maestro di San Jacopo, il duca di -Sessa, il principe di Taranto, il vicerè di Sicilia, e molti -altri baroni, cavalieri e gentiluomini, oltre a Meneguccio -dell’Aquila, capitano di cinquecento lance; gli altri prigioni -sono a migliaja. Non so donde cominciare per -degnamente riferire le lodi e le prodezze di tutti i miei -compagni e marinari, insieme con l’ubbidienza e riverenza -grande che mi hanno sempre usata, e massimamente -il dì della battaglia; che se avessero combattuto -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -alla presenza delle signorie vostre, non avrebbero potuto -fare di più. Cristo ne presti grazia che possiamo -andare di bene in meglio»<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>. -</p> - -<p> -Il re prigioniero, con due fratelli e un centinajo di -baroni spagnuoli e siciliani, fu spedito a Milano a Filippo -Maria Visconti allora signore di Genova; al quale -il re colle cortesi e colte sue maniere seppe ispirare -fiducia, e gli persuase come la grandezza dei duchi di -Milano fosse derivata dalla debolezza dei reali di Napoli, -sicchè ne sarebbe guasta, e con essa l’indipendenza -italiana, se una casa francese si stabilisse laggiù, la quale -certo intaccherebbe anche la Lombardia. Il freddo Filippo -restò capace di quelle ragioni, e non solo il rese -in libertà senza riscatto, ma il fornì di mezzi per ricuperare -quel regno. -</p> - -<p> -Anche l’altro re di Napoli Renato, valorosamente -combattendo nelle guerre di Francia, era caduto prigione -del duca di Borgogna; ma avendo con grossi -sacrifizj ricuperato la libertà, si cominciò una guerra, -dove i competitori fecero gara di valore e di generosità. -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -Renato, signore di piccolo paese, esausto dalle -taglie pagate per riscattarlo, nè sostenuto che da un -papa esule, non avrebbe potuto pettoreggiare Alfonso, -se non fossero state le bande di Giacomo Caldóra duca -di Bari, che avea raggomitolato le truppe lasciate da -re Ladislao, e dopo la morte di Braccio e di Sforza restava -in nome di primo capitano d’Italia; ma come, -lui morto, Antonio suo figlio degenere si guastò cogli -Angioini, questi precipitarono; e Alfonso, scoperto un -condotto sotterraneo, penetrò in Napoli; Renato, che -colla bontà e col dividere pericoli e patimenti erasi -fatto amare dai Napoletani, ritirossi in Francia (1442); il papa, -che non gli aveva dato sin allora che promesse, lo riconobbe, -e coronò re d’un paese che aveva perduto. -</p> - -<p> -Alfonso, entrato trionfalmente con una corona in -capo e sei al piede per dinotare gli altri suoi regni di -Aragona, Sicilia, Valenza, Corsica, Sardegna, Majorca, -dotò i nobili spagnuoli e napoletani suoi fautori a spese -degli avversarj; al Regno aggiunse lo Stato di Piombino -e l’isola del Giglio, ch’erangli come porte verso -la Toscana; brigò in tutte le vicende italiane, intanto -che in una corte voluttuosissima abbandonavasi alle delizie -ed agli studj; manieroso e scaltrito, generosissimo -nel donare, suntuoso negli spettacoli, nelle caccie, nei -concerti, negli edifizj, faceasi leggere continuamente -qualche classico, frapponendo erudite interrogazioni, e -neppure fra l’armi lasciava Giulio Cesare e Quinto Curzio: -ma Tito Livio era il suo manuale, sino a far tacere -la musica per udirlo; gli parve un gran che l’ottenere -dai Veneziani un osso del braccio di lui, che con solennità -fece trasportare a Napoli; e Cosmo de’ Medici lo -calmò, dopo un torto fattogli, col donargli un bell’esemplare -delle <i>Deche</i>. Pedestre si recava a udire i professori -dell’Università; e quando morì Giulian da Majano, -ne fece accompagnare il mortorio da cinquanta suoi -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -vassalli in corrotto. La più frequente sua conversazione -era cogl’illustri eruditi d’allora, Giorgio da Trebisonda, -il Valla, il Filelfo, il Panormita, il Manetti, il Decembrio, -il Bruno, l’Aretino, Giovanni Aurispa, Giovian -Pontano, Teodoro Gaza, il Crisolara. Aveva anche letto -quattordici volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da -Lira, e l’allegava ogni tratto; recitava tutti i giorni il -rosario, sentiva due messe piane e una cantata, nè per -qualsiasi caso se ne sarebbe dispensato; alle solennità -assisteva ginocchioni, scoperto, cogli occhi immoti sul -libriccino; il giovedì santo lavava e baciava i piedi ai -poveri, ogni notte sorgeva a dir l’uffizio, digiunava -tutte le vigilie e i venerdì in solo pane, accompagnava -il viatico agl’infermi<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. Passeggiava in mezzo al -popolo, e a chi gli insinuava qualche sospetto, — Di che -può temere un padre tra’ suoi figliuoli?» -</p> - -<p> -Sedeva egli più spesso a Napoli, dove istituì la Sacra -Corte reale di santa Chiara, ossia Capuana, giustizia -suprema, estesa su tutti i suoi Stati. Ai baroni napoletani -concedeva nelle investiture la giurisdizione col -mero e misto imperio che mai non aveano avuta, di sì -preziosa prerogativa della corona facendo prodigalità -perchè non s’opponessero alla successione di Ferdinando -suo figlio legittimato. -</p> - -<p> -Questo credeasi nato da Margherita di Hijar; e la -moglie d’Alfonso fece strangolare questa damigella, -che dicono coll’onor suo salvasse quello di dama più -alta. Alfonso mandò la moglie in Ispagna giurando -non più andarvi esso; poi, d’intesa col pontefice, in testamento -nominò esso Ferdinando re di Napoli, cioè -del paese da lui conquistato, mentre a suo fratello Giovanni -re di Navarra lasciava gli aviti di Sicilia, Sardegna -ed Aragona. In morte raccomandò al figlio: — Se -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -volete vivere quieto, non imitate me in tre cose: -primo, sbrattatevi di tutti gli Aragonesi e Catalani da -me esaltati; e Italiani, massime regnicoli, elevate agli -impieghi, mentr’io gli ho guardati d’occhio sinistro: -secondo, i nuovi aggravj da me posti ritornate alla -misura antica: terzo, conservate la pace fatta colla -Chiesa, e tenetevela amica se sapete»<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap115-10">CAPITOLO CXV. -<span class="smaller">L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola. -Il Piccinino. Lo Sforza.</span></h2> -</div> - -<p> -Filippo Maria Visconti duca di Milano, non sanguinario -come il fratello, ma cupo e diffidente, abile a -celare i sentimenti proprj e succhiellare gli altrui, fatta -pace oggi, la rompeva domani per rannodare bentosto -nuovi accordi; abbatteva chi dianzi aveva sollevato; -diffidava di tutti, di tutti ingelosiva, nè mai sapea perdonare -i ricevuti benefizj. Non solo pospose a una -druda la moglie Beatrice, ma volle svergognare lei e -sbarazzar sè coll’imputarla d’adulterio con un paggio -Orombello, e affrontando il proprio disonore mandolla -al patibolo: la posterità esita sulla colpa di lei, non -perdona al rigore e alla procedura di lui. Verso i migliori -condottieri alternò lusinghe e minaccie, carezze -e insidie; in trentacinque anni di regno, tre sole volte -convocò il consiglio generale, intanto che fidavasi a -malvagi consiglieri, ad aguzzetti di sue ingenerose -passioni, ad Agnese del Maino sua amica, a Zannino -Riccio suo astrologo; perocchè all’astrologia sottoponeva -egli spesso le sue risoluzioni. Negletto del vestire, pigro, -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -corpulento, sul fin della vita anche cieco, e della pinguedine -e della cecità vergognando, chiudevasi con pochissimi -a ravviluppare una tortuosa e meschina politica, e -passionato per l’intrigo, non credea ben riuscire ove a -questo non ricorresse. Vero è che molti ebbe a disgustare -nel ricuperare i possessi aviti; ed essi lo avversarono -a segno, che molto bisogna dedurre dal male -che ne dissero, e che gli storici hanno ripetuto. -</p> - -<p> -Filippo Maria, estendendo il dominio, diè di cozzo -in tre repubbliche, la svizzera, la fiorentina, la veneta. -Talmente la storia italiana fu intrecciata colla svizzera, -che ci corre obbligo d’arrestarci alquanto su questa. -</p> - -<p> -Gli Elvezj, collocati nel gruppo centrale delle Alpi -donde scendono i fiumi alla Germania e all’Italia, aveano -opposto alla conquista romana il coraggio di montanari; -poi sottomessi, parte restarono coll’Italia, parte -colla Gallia e la Germania. I Barbari diretti all’Italia -attraversarono quel paese, alcuni vi presero stanza, e -di mezzo alla conquista e alla feudalità vi si compirono -le vicende stesse della Germania e dell’Italia. San Gallo, -Appenzell (<i>Abbatis Cella</i>), San Maurizio, Zurigo, Glaris, -Lucerna erette intorno a conventi, le insigni badie di -Einsiedlen e Dissentis, attesteranno in perpetuo che l’incivilimento -vi fu recato da que’ monaci, ai quali testè -parve liberalismo il negare fin un ricovero. -</p> - -<p> -Molti signori si erano, al modo feudale, spartito il -paese in dominj militari ed ecclesiastici, che riconoscevano -la supremazia dell’Impero: vi si contavano -cinquanta contee, cencinquanta baronie, mille famiglie -nobili; varie città possedeano franchigie e privilegi comunali -alla germanica; e attorno al lago de’ Quattro -Cantoni, Schwitz (che poi diede nome a tutto il paese) -godeva una tranquilla libertà all’ombra del monastero -di Einsiedlen, e davasi mano con Uri e Unterwald per -respingere chi a quella attentasse. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<p> -E v’attentavano di fatto i signorotti vicini, e massime -i conti d’Habsburg castello dell’Argovia, e viepiù da -che Rodolfo salì imperatore di Germania. Egli rispettò -quelle comunali franchigie: ma Alberto d’Austria suo -figlio e successore cercò ridurre que’ cantoni patriarcali -in sua immediata dipendenza; e lasciava che i balii -suoi soprusassero. Quei poveri ma robusti mandriani -pertanto si confederarono (1307) onde resistere alla tirannia -austriaca, e «in nome di Dio che ha fatto l’imperatore -e il villano, e dal quale derivano i diritti degli uomini», -giurarono non far torto ai signori Absburghesi, ma -non soffrire veruna diminuzione de’ proprj diritti. -</p> - -<p> -Alberto considerò siffatto accordo di difesa come una -cospirazione ad offesa, e veniva coll’armi per punirla, -allorchè tra via fu assassinato da un nipote, di cui aveva -usurpato l’eredità. Leopoldo suo figlio mosse l’esercito -feudale contro i confederati (1315), ma a Morgarten la sua -esercitata cavalleria fu messa in piena rotta dalle subitarie -bande paesane. Le vittorie assodano quella libertà, -cioè l’esercizio dei diritti naturali e civili di ciascun -paese: ai tre cantoni s’aggiungono Lucerna, Zurigo, -Glaris, Zug, Berna, poi Aarau, Friburgo, Soletta, Basilea, -Sciaffusa e Appenzell. Sempre invocando la Madonna, -san Fridolino, sant’Ilario, alla battaglia di -Sempach (1386) distruggono un nuovo esercito degli Austriaci, -i quali, dopo altre sconfitte, sono costretti a lasciare i -cantoni in pace, benchè trecento anni ancora tardassero -a riconoscerne formalmente l’indipendenza. Poco mancò -che gli Svizzeri traessero nella lega anche il Tirolo, lo -che avrebbe anche da quel lato riparata l’Italia dalle -ambizioni dell’Austria. -</p> - -<p> -Nella Rezia s’erano forse ridotti in antichissimo gli -avanzi degli Etruschi; poi, allo sfasciarsi dell’Impero, -buon numero di Romani, come lo attesta la lingua -ladina e romancia che vi si parla finora, di fondo latino -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -mescolato al tedesco. Ivi pure acquistarono preponderanza -varj tirannelli e i vescovi di Coira, per gran -tempo suffraganti al metropolita di Milano: ma i popolani, -alleandosi fra loro e istituendo i Comuni, ne -frenarono le prepotenze. Come i nostri nel convento di -Pontida, così alcuni Reti presso a quello di Dissentis -radunaronsi per giurare di difendersi a vicenda; e così -costituirono la lega Caddea (<i>ca de Dio</i>) (1401). Altri ne presero -coraggio a domandare ai loro signori giustizia e sicurezza; -e i signori adunatisi a Truns (1424), giurarono -d’essere buoni e fedeli confederati nella lega Grigia, -che diede agli altri il nome di Grigioni. Morto poi l’ultimo -conte di Tockenburg (1436), i suoi vassalli strinsero -la lega delle Dieci Dritture; e le tre a Vazerol -combinarono la repubblica de’ Grigioni (1471), la quale -alleatasi poco stante colla Confederazione svizzera (1497), -represse gli Austriaci, ed assicurò l’intera libertà. -</p> - -<p> -Libertà di fatti positivi, semplici, intesi da tutti, non -stillati da accademici e da avvocati; benedetta dalla religione, -assicurata col proprio sangue, e che poterono -conservare fin ad oggi, mentre l’ha perduta il paese -nostro che ad essi serviva d’esempio. Sventuratamente -però anch’essi l’abusarono in interne riotte; poi li -prese il mal vezzo di vendere il proprio valore a chi li -richiedesse, e l’ambizione di voler fare conquiste. -Buon’ora essi volsero gli occhi di qua dell’Alpi Lepontine -e delle Retiche per agognare il bel paese, dal quale -ricevevano il bestiame loro, le pelli e i formaggi. -</p> - -<p> -Dalla cresta del San Gotardo piove a settentrione la -Reuss nel lago dei Quattro Cantoni, per una valle inaccessibile -se l’arte non v’avesse praticato il ponte del Diavolo -e la buca di Uri. Salendo dalla quale verso meriggio, -traversata la pascolosa valle Orsera a millecinquecento -metri sovra il mare, alla vetta del Gotardo il pellegrino -trovava ricovero nell’Ospizio, mantenuto con -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -cento scudi l’anno dagli arcivescovi di Milano e dalla -carità de’ fedeli. Colà incominciava il Milanese; e scendendo -pel pendìo meridionale a seconda del Ticino, -dopo la scoscesa val Trémola, si veniva alla Leventina, -già munita di torri longobarde, indi a Giorníco e Poleggio, -poi a Bellinzona, cittadina che con buon castello -ed estesa mura chiudeva quel passo, non guari distante -dal lago Maggiore. Qui pure confluisce la Mesolcina, -valle della Moesa, donde s’ha un altro passaggio all’alta -Rezia pel San Bernardino. Varcando poi il monte Cenere, -si cala al lago di Lugano, che fa già parte della -pianura milanese, e che, coi laghi di Como a levante, -di Varese a mezzogiorno, e Maggiore a ponente, forma -la contrada più pittoresca della Lombardia. -</p> - -<p> -Tra le alture alpine rimanevano ancora alquante -piccole signorie, come i Sax nella Mesolcina e a Bellinzona, -i Rusca a Lugano, gli Orelli a Locarno; delle -valli Leventina, di Blenio e Riviera il capitolo della -metropolitana di Milano fin dal <span class="smcap lowercase">X</span> secolo tenea la dominazione -spirituale e temporale. Gli abitanti della Leventina -aveano avuto qualche rissa coi valligiani della -valle Orsera, a vendicare i quali gli Svizzeri valicarono -il San Gotardo e scesero fin a Giorníco (1331); ma il signor -Franchino Rusca colle buone gli arrestò. Essi Rusca -poi e i signori di Milano aveano invitato ora ad ora -gli Svizzeri a sostenerli colle armi; modo di invogliarli -d’un paese che potea porgere e vitto ed agi alla soverchiante -popolazione delle montagne. Avendo poi i -gabellieri di Gian Galeazzo Visconti (1405) tolto ai coloro paesani -bovi e cavalli che conducevano al mercato di Varese, -i tre Cantoni montani s’appellano agli altri, e -non soddisfatti dal duca, varcano le Alpi; favoriti dalle -dissensioni di Guelfi e Ghibellini, occupano la Leventina, -e costrettala a giurar loro fedeltà, tornano in patria. -Ma essendo dai Sax assalita quella valle, gli Svizzeri -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -di fitto verno ricompajono, e a Faído dettano la pace (1406), -per duemila quattrocento fiorini acquistando quant’è -fra la Leventina e il monte Cenere, compresa Bellinzona -medesima, il che assicurava loro il valico alla -Mesolcina e al Milanese. -</p> - -<p> -Gravava a Filippo Maria il lasciare in man loro quella -chiave d’Italia; onde, côlto un bel destro, sorprese Bellinzona, -e tornò la Leventina a sua obbedienza (1422). Tosto -le vallate del Ticino e della Moesa echeggiano del corno -di Unterwald e del toro di Uri, che guidano gli alpigiani -alla riscossa; ma Angelo della Pergola e il Carmagnola -con seimila cavalli e quindicimila fanti gli -affrontano nel piano d’Arbedo (30 giugno). Erano ben altre pugne -che quelle consuete in Italia. Gli Svizzeri, maneggiando -a due mani i lunghi spadoni, senza rispetti cavallereschi -cacciavanli nelle pancie dei destrieri, e non davano -quartiere; onde fu necessario l’estremo del valore -contro gente usata a morire sul posto assegnato, e in -fitta ordinanza sostenere l’urto de’ nemici, come le -roccie dei loro monti rompono la piena dei torrenti. -L’intera giornata si pugnò, finchè il Pergola impose -a’ suoi di scavalcare: allora l’arte prevalendo, duemila -Svizzeri perirono, altri infissero a terra le punte delle -labarde in segno d’arrendersi, e pochi e disordinati -ripassarono le valli, che aveano dianzi fatto risonare -coi canti di loro avida speranza. Era quella la prima -grave sconfitta che gli Svizzeri toccassero, onde per -allora si tennero quieti: ma non tardarono occasioni -di capiglie: e quelli di Uri ripresero la Leventina, per -più non lasciarla fin alle rivoluzioni dei nostri giorni. -Trovandosi aperto quel varco all’Italia, vennero a scialacquarvi -tante vite, che meglio avrebbero serbate a -prosperare la loro libertà. -</p> - -<p> -Firenze, sempre rôcca dell’italica indipendenza, -spiava gelosa i progressi di Filippo Maria, e con lui -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -stipulò (1419) che il fiume Magra tra il Genovesato e la Lunigiana, -e il Panàro tra il Bolognese e il Modenese fossero -i limiti, di qua e di là dei quali nessun di loro -acquisterebbe nè mesterebbe. Ma Filippo, ottenuto Genova (1421), -al doge Tommaso Campofregoso diede in compenso -Sarzana, posta di là della Magra; poi trasse a sè -la tutela del principe di Forlì, e mandò truppe sul -Bolognese contro gli eredi della casa Bentivoglio; sicchè -esclamando ai patti violati, i Fiorentini gli scoprirono -guerra. -</p> - -<p> -Allora la solita gara di procacciarsi ciascuno alleanze -e fautori, e massimamente di trarre a sè Venezia. -Questa avea tocco l’apogeo di sua grandezza, e non -mancava chi la consigliasse ad estendere le sue conquiste -sopra tutta Italia, al modo dell’antica Roma: ma -altri mostravano quanto pericoli la libertà dove preponderano -le armi, e come dai possessi in terraferma -resterebbe danneggiata una repubblica che, sorta in -mezzo alle acque, dalle acque doveva aspettarsi salute -e gloria. La politica conservatrice era rappresentata dal -doge Tommaso Mocenigo; e quando nel 1421 si dibatteva -nel maggior consiglio se mettersi in lega co’ Fiorentini -contro il duca di Milano, egli stette sempre al -no; e perchè Francesco Fóscari procurator giovane -infervorava alla guerra, ne ribatteva con lunga parabola -le insinuazioni. -</p> - -<p> -— Il nostro procurator giovane ha detto ch’egli è -buono soccorrere i Fiorentini, perchè il loro bene è il -nostro, e per conseguenza il nostro è il loro male. Noi -vi confortiamo siate in pace. Se mai il duca vi facesse -guerra ingiusta, Iddio, il quale vede tutto, ci darà vittoria. -Viviamo in pace, perchè Iddio è la pace; e chi -vuol guerra, vada all’inferno». -</p> - -<p> -Qui il Mocenigo scorre la storia sacra, mostrando -come Dio premiasse i pacifici, e i superbi e guerreschi -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -disajutasse, e prosegue: — Così intraverrà de’ Fiorentini -per voler fare i loro desiderj; Dio disferà la lor -terra e il loro avere, e verranno ad abitar qui pel -modo che sono venute altre loro famiglie colle donne -e putti. Altramente, se verremo a far il volere del nostro -procurator giovane, i nostri si partiranno e anderanno -ad abitare in terre aliene. Discese Attila per tutto -rovinando, e cacciando gli uomini occidentali, e saccomannandoli; -e Iddio ispirò alcuni potenti, i quali -vennero per sicurezza ad abitare in queste lagune, per -modo che si trovarono salvi, come da Dio eletti. Se -noi facessimo a modo che propone il nostro procurator -giovane, Dio non ci avrebbe più per eletti, e aspetteremmo -quello che hanno aspettato tutte le altre terre, -rovinate e poste a sacco, e uccise le genti, e avuti mali -assai. Se i Fiorentini vanno cercando il male, lasciateli: -ma noi che siamo della città eletta su tutte l’altre, restiamo -in pace. -</p> - -<p> -«Procurator giovane; Cristo pe’ suoi vangeli disse -<i>Io vi do la pace</i>. Se noi facessimo a modo vostro, e -preterissimo i comandamenti di Cristo, cosa potrebbesi -aspettare se non male e distruzione? Procurator giovane: -andiamo commemorando il Testamento vecchio -e il nuovo. Quante città grandi sono diventate vili per -le guerre? e per la pace si sono fatte grandi con moltiplicare -la generazione, palagi, oro, argento, gioje, -mestieri, signori, baroni e cavalieri. Come entrarono -a guerreggiare, ch’è il mestiere del diavolo, Iddio le -abbandonò e restarono divise; distruggevansi nelle battaglie -gli uomini; l’oro e l’argento mancava; infine -furono distrutte così com’eglino distrussero l’altre terre, -e andarono schiave d’altri. Dove questa terra ha regnato -mille e otto anni, Iddio la distruggerà». -</p> - -<p> -Qui ripiglia la storia profana insino a Roma. — Per -le lunghe guerre, imposte alle terre angarie grandi, i -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -cittadini desiderando nuovo stato, Cesare se ne fece -signore, e di male in male si stettero. Questo medesimo -occorre a’ Fiorentini; gli uomini d’arme tolgono loro -denari e sono i signori; ed essi obbediscono a que’ che -sono loro servi, villani, genti maledette, uomini d’arme. -Così intraverrà a noi se faremo a modo del procurator -giovane. Pisa si fece grande, ricca ed abitabile per la -pace e pel buon governo; come desiderò quel d’altri, -in far guerra s’impoverì de’ cittadini, uno cacciava -l’altro, tanto che la più vile comunità d’Italia li sottomise, -che fu Firenze. Così interverrà a’ Fiorentini; e -già si vede che sono impoveriti e stanno divisi. Così -intraverrà di noi se faremo a modo del nostro procurator -giovane. Come ho detto di questa, si dica di tutte -l’altre città. -</p> - -<p> -«Adunque voi, ser Francesco Foscari nostro procurator -giovane, non parlate mai più nel modo che -avete fatto, se prima non avete buona intelligenza e -buona pratica; perocchè Firenze non è il porto di Venezia -nè da mare nè da terra, il suo mare essendo lontano -dai nostri confini cinque giornate. I nostri passi -sono il Veronese; il duca di Milano è quello che confina -con noi, ed egli dev’essere tenuto in amicizia, -perchè in manco d’un giorno si va a una sua città -grossa ch’è Brescia, la quale confina con Verona e -Cremona. Genova potrebbe nuocere, ch’è potente per -mare sotto il duca, e con essa si vuole star bene: -ma quando i Genovesi volessero novità, abbiamo la -giustizia con noi; noi ci difenderemo valentemente -e contro i Genovesi e contro il duca, colla ragione. -La montagna del Veronese è la nostra difesa contro -al duca, la quale per se medesima s’è già difesa: oltre -a ciò, difendono tutto il nostro paese il paludo e -l’Adige e tremila cavalli con tremila fanti e con duemila -balestrieri; e se abbisognasse più gente fare, faremmo -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -resistenza a tutta la potenza del duca con altre -tremila persone. Però godete la pace. Se il duca avrà -Firenze, i Fiorentini, che sono usi a vivere a comune, si -partiranno da Firenze, e verranno ad abitare a Venezia, -e condurranno il mestiere de’ panni di seta e di lana, -per modo che quella terra rimarrà senz’industria, e -Venezia moltiplicherà, come intravenne di Lucca quando -un cittadino se ne fece signore, che la ricchezza sua -venne a Venezia, e Lucca diventò povera. Però state -in pace. -</p> - -<p> -«Ser Francesco Foscari, se voi vi trovaste un giardino -in Venezia, che vi desse ogni anno tanto frumento -da viverne cinquecento persone, e oltre a questo ne -aveste molte staja da vendere; che il detto giardino vi -desse tanto vino per cinquecento persone, e oltre ne -aveste da vendere molte carra; che vi desse ogni sorta -biade e legumi per assai denari, e ancora ogni sorta -di frutta da viverne cinquecento persone ogni anno, e -che ve ne fosse da vendere; e il detto giardino vi desse -ogni anno tra buoi, agnelli, capretti e uccelli di ogni -sorta per bastare a cinquecento persone, e ne avanzassero -da vendere; e similmente tanto formaggio ed uva -e pesce, e non avesse spesa alcuna d’essere guardato, -converrebbe dire che questo giardino fosse nobilissimo, -dando tante cose. Se poi una mattina vi fosse detto: -<i>Ser Francesco, i vostri nemici sono andati in piazza -a togliere trecento marinaj, e hannoli pagati per entrare -in questo vostro giardino, e questi portano cinquecento -ronconi per guastare gli alberi e le vigne; -e cento villani con cento buoi e con cento erpici per -guastare tutte le piante, e far danno a tutti animali -grossi e minuti;</i> e se voi foste savio nol soffrireste, -ma sodereste alla casa, e terreste tanto denaro per -assoldare mille uomini incontro a quei che vogliono -menar guasto. Ma se voi pagaste, ser Francesco, quei -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -cinquecento uomini co’ ronconi e que’ cento villani a -guastare il giardino cogli erpici? verrebbe detto che -siete diventato pazzo. -</p> - -<p> -«Per provare se siamo in proposito, abbiamo deliberato -di esporre il commercio che fa Venezia al presente -e con chi. Ogni settimana vengono da Milano ducati -diciassette in diciottomila, che farebbono in un -anno la somma di ducati novecentomila, che entrano -in questa città: -</p> - -<table class="gener"> - <tr> - <td> </td> <td>alla settimana</td> <td>all’anno</td> - </tr> - <tr> - <td>da Monza</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Como</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Alessandria della Paglia</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Tortona e Novara</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Cremona</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Bergamo</td> <td class="num">1500</td> <td class="num">78,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Parma</td> <td class="num">2000</td> <td class="num">104,000</td> - </tr> - <tr> - <td>da Piacenza</td> <td class="num">1000</td> <td class="num">52,000</td> - </tr> -</table> - -<p> -«S’introducono nel paese del duca di Milano merci -per un milione seicentododicimila ducati d’oro all’anno. -Vi pare che questo a Venezia sia un bel giardino e nobilissimo -senza spesa? -</p> - -<p> -«Alessandria, Tortona e Novara vi mettono -</p> - -<table class="gener"> - <tr> - <td> </td> <td colspan="5">per pezze di panno</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="center">all’anno</td> <td class="num">6,000</td> <td class="center">che valgono</td> <td class="center">ducati</td> <td class="num">90,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Pavia</td> <td class="center">»</td> <td class="num">3,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">45,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Milano</td> <td class="center">»</td> <td class="num">4,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">120,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Como</td> <td class="center">»</td> <td class="num">12,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">180,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Monza</td> <td class="center">»</td> <td class="num">6,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">90,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Brescia</td> <td class="center">»</td> <td class="num">5,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">75,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Bergamo</td> <td class="center">»</td> <td class="num">10,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">»</td> <td class="num">70,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Cremona</td> <td class="center">»</td> <td class="num">40,000</td> <td>fustagni</td> <td class="center">»</td> <td class="num">170,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Parma</td> <td class="center">»</td> <td class="num">4,000</td> <td>panni</td> <td class="center">»</td> <td class="num">60,000</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td>in tutto</td> <td class="center">pezze</td> <td class="num">90,000</td> <td class="center"> </td> <td class="center">ducati</td> <td class="num">900,000</td> - </tr> -</table> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -</p> - -<p> -«Oltre a questo abbiamo per l’entrata, magazzino -ed uscita de’ Lombardi, a ducati uno per pezza, ducati -ducentomila, che monta con le merci a ventotto milioni -ottocentomila ducati. Vi pare che questo sia un bellissimo -giardino a Venezia? -</p> - -<p> -«Ancora vengono canepacci per la somma di ducati -centomila all’anno. Delle seguenti cose i Lombardi -traggono da voi ogni anno: -</p> - -<table class="gener"> - <tr> - <td>Cotoni, migliaja 5,000 per ducati</td> <td class="num">250,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Filati, migliaja 20,000 da 15 fino a 20 ducati il centinajo</td> <td class="num">30,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Lane catalane a ducati 60, il migliajo 4,000</td> <td class="num">240,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Lane francesche a ducati 30, il migliajo 4,000</td> <td class="num">120,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Panni d’oro e di seta all’anno</td> <td class="num">250,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Pepe, carichi 3,000 a ducati 100</td> <td class="num">300,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Canelle, fardi 400 a ducati 160</td> <td class="num">64,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Zenzero, migliaja 200 a ducati 400</td> <td class="num">80,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Zuccari d’una, due, o tre cotte, sossopra ducati 15 il cento</td> <td class="num">95,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Zenzeri verdi, per assai migliaja di ducati. — Cose d’ogni sorta per ricamare o per cucire</td> <td class="num">30,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Verzino, migliaja 4,000 a ducati 30</td> <td class="num">120,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Endaghi e grane</td> <td class="num">50,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Saponi per ducati</td> <td class="num">250,000</td> - </tr> - <tr> - <td>Uomini schiavi</td> <td class="num">30,000</td> - </tr> -</table> - -<p> -«Per modo che, fatta la stima del tutto, verrebbe -ad essere due milioni ottocentomila ducati. È questo -un bel giardino a Venezia senza spesa? -</p> - -<p> -«Ancora assai si vantaggia co’ sali che si vendono -ogni anno. Il quale trarre che fa la Lombardia da -questa terra, è cagione di fare navigare tante navi in -Sorìa, tante galere in Romanìa, tante in Catalogna, tante -in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del -mondo; per modo che riceve Venezia, tra provvigioni -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -e noli, due e mezzo e tre per cento; sensali, tintori, -noli di navi e di galere, pesatori, imballatori, barche, -marinaj, galeotti e messetterie coll’utile dei mercatanti -tra il mettere, eccovi un’altra somma di seicentomila -ducati ai nostri di Venezia senz’alcuna spesa. Dal qual -utile vivono molte migliaja di persone grassamente. È -questo un giardino da doversi disfare? mai no; bensì -da essere difeso da chi lo volesse disfare. Ci converrebbe -togliere uomini d’arme che andassero sopra il -detto paese guastando alberi e ville, abbruciando case -e villaggi, depredando animali, e buttando giù mura di -città e castelli, uccidendo uomini con desolazione, mettendo -angarie alle nostre terre, sì ai cittadini come ai -villani, e in questa città mettendo angarie alle case, -prestiti alle mercatanzie, alle navi e alle galere? Dio sa -quello che volessimo fare sul paese del duca: ma potrebbe -occorrere che il duca salvasse il suo, e rimediasse -ad ogni modo al male, e noi intanto saremmo -stati cagione di disfare i luoghi nostri. Che varrebbero -allora tante spezierie, e panni d’oro e di seta? niuno li -torrebbe più, perchè non avrebbene il potere. E affinchè -voi, signori, n’abbiate qualche notizia, sappiate che -Verona toglie ogni anno broccato d’oro, d’argento e di -seta, pezze ducento, Vicenza centoventi, Padova ducento, -Treviso centoventi, il Friuli cinquanta, Feltre e Cividal -di Belluno dodici; pepe, carichi quattrocento; cannelle, -fardi centoventi; zenzeri di tutte sorta, migliaja e altre -spezierie assai; zuccari, migliaja cento; pani di cera, -ducento. -</p> - -<p> -«Come noi devastassimo il loro ricolto, eglino non -avrebbono di che spendere, e se ne danneggerebbero -tutte le mercatanzie di Venezia. Però non si vuol credere -al nostro procuratore giovane. Al duca di Milano -converrebbe, per difendersi, assoldare gente d’arme, -mettere angarie ai villani, cittadini e gentiluomini, per -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -modo ch’e’ non avrebbe danaro da comperare le sopradette -cose, in discapito e rovina della nostra città -e cittadini. -</p> - -<p> -«Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli -ambasciatori dei Fiorentini, ch’essi chiedano alla comunità -loro licenza di praticare di pace. Se starete in pace, -raunerete tant’oro che tutto il mondo vi temerà, e -avrete Iddio sopratutto che sarà per voi. Iddio, signore -di tutto, colla Nostra Donna e con messere san Marco -vi lasci prendere la pace ch’è ben nostro»<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>. -</p> - -<p> -L’anno seguente rinnovando i Fiorentini le istanze, -e dicendo, se Venezia non li soccorresse, dovrebbero -fare come Sansone, che uccise se stesso con tutti i nemici -suoi; e se restassero vinti, il loro servaggio produrrebbe -quello di tutta Italia, esso doge in consiglio -parlò: — Signori; voi vedete che per le novità d’Italia -ogni anno vengono nella città di Venezia assai famiglie -colle donne e’ figliuoli e coll’avere, e vanno empiendo -la terra nostra; e pel simile da Vicenza, Verona, Padova, -Treviso, con utilità grande della nostra città; e -da ogni parte contadini e famiglie buone vengono ad -abitare nelle nostre terre per vivere pacificamente coi -loro mestieri, essi e i figliuoli. Vorrete guerra? questi -si partiranno, struggendo la vostra città, e tutte l’altre; -e de’ nostri partiranno. Però amate la pace. Se i Fiorentini -si daranno al duca, loro danno; che ne darà -impaccio? la giustizia è con noi. Essi hanno speso, consumato, -e si sono indebitati: noi siamo freschi, e abbiamo -in giro un capitale di dieci milioni di ducati. -Vogliate vivere in pace, e non temere alcuna cosa, e -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -non fidarvi ne’ Fiorentini, i quali pel passato ci hanno -messo in guerra coi signori della Scala, e ci domandarono -in prestito mezzo milione di ducati; quando -volemmo darli loro, si accordarono con que’ della Scala -contra di noi: questo fu del 1333. Del 1412 fecero -scendere contro di noi Pippo fiorentino, capitano degli -Ungheri, il quale ci fece grandi danni.... -</p> - -<p> -«Signori, non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo -per dire la verità e il bene della pace. I nostri capitani -d’Acquamorta, di Fiandra, per le nostre ambasciate -che vanno attorno, pe’ nostri consoli e pe’ nostri mercatanti, -sapete che si dice ad una voce: <i>Signori Veneziani, -voi avete un principe di virtù e di bontà, che -vi ha tenuto in pace, e vi tiene per modo vivendo in -pace, che siete i soli signori che navigate il mare e -andate per terra, per modo che siete la fonte di tutte -le mercatanzie, e fornite tutto il mondo, e tutto il -mondo vi ama e sì vi vede volentieri. Tutto l’oro del -mondo viene nella vostra terra. Beati voi finchè vivrà -questo principe, e ch’egli sarà con simile proposito. -Tutta l’Italia è in guerra, in fuoco e in tribolazione, -e pel simile tutta la Francia e tutta la Spagna, -tutta la Catalogna, Inghilterra, Borgogna, Persia, -Russia ed Ungheria. Voi avete solo guerra cogl’infedeli -che sono i Turchi, con vostra grande laude e -onore.</i> Però, signori, finchè vivremo, seguiremo simil -modo; e vi confortiamo che dobbiate vivere in pace, -e dar risposta a’ Fiorentini, come facemmo già un anno, -presa da tutto il consiglio». -</p> - -<p> -L’autorità del doge ottagenario elise gli sforzi dei -partigiani della guerra; però sentendosi approssimarsi -al suo fine, egli chiamò alquanti senatori, e così prese -a dire: — Signori, abbiam mandato per voi dacchè -Iddio ci ha voluto dare questa infermità come fine del -nostro peregrinare. A Dio Padre, Figliuolo e Spirito -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -Santo, trino ed uno, siamo obbligati per molte ragioni. -Esso insegna ai Quarantun elettori di difendere la religione -cristiana, d’amare i prossimi, di fare giustizia, di -pigliar pace e conservarla. Nel tempo nostro abbiamo -diffalcato di quattro milioni d’imprestiti, fatti per la -guerra di Padova, di Vicenza e di Verona; il nostro -monte si trova in sei milioni di ducati; e ci siamo sforzati -che ogni sei mesi si abbiano pagate due paghe -degl’imprestiti, e tutti gli offizj e reggimenti, e tutte le -spese dell’arsenale, e ogni altro modo. -</p> - -<p> -«Per la pace nostra la nostra città manda dieci milioni -di capitale ogni anno per tutto il mondo con navi -e galere, per modo che guadagnano, tra mettere e -trarre, quattro milioni. Al navigare sono navigli tremila, -d’anfore dieci fino a ducento, con marinaj diciannovemila; -navi trecento, che portano uomini ottomila; -fra galere grosse e sottili ogni anno quarantacinque, con -marinai undicimila; abbiamo sedicimila marangoni. -La stima delle case somma a sette milioni, gli affitti -delle case cinquecentomila; sono mille gentiluomini, -che hanno di rendita annua ducati settantamila fino a -quattromila. Voi conoscete il modo con cui vivono i -nostri gentiluomini, cittadini e contadini. Ben però vi -confortiamo che dobbiate pregare l’onnipotenza di Dio, -la quale ci ha inspirato di fare nel modo che abbiasi -fatto, e di proseguire così. Se questo voi farete, vedrete -che sarete signori dell’oro de’ Cristiani, e tutto il -mondo vi temerà. Guardatevi, quanto dal fuoco, dal -togliere le cose d’altri e dal fare guerra ingiusta, -che Dio vi distruggerà. Perchè possiam sapere chi toglierete -per doge dopo la nostra morte, segretamente -lo direte a me nell’orecchio, per potervi confortare a -quello sia meglio alla nostra città». -</p> - -<p> -Udito i nomi, li collaudò, ma — Quei che dicono di -volere ser Francesco Foscari, dicono bugie e cose senza -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -fondamento. Se voi lo farete doge, in breve sarete in -guerra; chi avea diecimila ducati non ne avrà che mille, -chi avea dieci case non si troverà che su di una, e così -d’ogni altra cosa; per modo che vi disfarete del vostr’oro -e argento, dell’onore e della riputazione dove voi siete, -e di signori che siete, sarete servi e vassalli d’uomini -d’arme, di fanti, di saccomanni e di ragazzi. Però ho -voluto mandare per voi, e Dio vi lasci reggere e conservar -bene. Per la guerra de’ Turchi, di valentissimi -uomini in mare porrete ad ogni intromessione sì nel -governo che nell’utilità. Voi avete otto capitani da governare -sessanta galere e più, e così di navi: avete -tra’ balestrieri, gentiluomini che sarebbono sufficienti -padroni di galere e di navi, e saprebbonle guidare: -avete cento uomini usi a governare armate, pratichi -per togliere un’impresa; e compagni assai per cento -galere, periti e savj galeotti assai per galere cento; per -modo che ognun dice che i Veneziani sono signori dei -capitani, dei padroni e dei compagni. Similmente avete -dieci uomini, provati a grandi faccende in più volte a -consigliare la terra, mostrando le ragioni sugli arringhi -a tutti; molti dottori savj in scienza, e assai savj al -governo del palazzo. Seguite secondo che vi trovate, -e beati voi e i vostri figliuoli. -</p> - -<p> -«La nostra zecca batte ogni anno ducati d’oro un -milione, e d’argento ducentomila tra grossetti e mezzanini, -e soldi ottocentomila all’anno. Ducati cinquecentomila -di grossetti vanno all’anno tra la Soria e -l’Egitto; e ne’ vostri luoghi e ne’ luoghi di terraferma -vanno, tra mezzanini e soldi, ducati centomila; altrettanti -ne’ nostri luoghi da mare, altrettanti in Inghilterra, -il resto rimane in Venezia. I Fiorentini mettono ogni -anno panni sedicimila finissimi, fini e mezzani in questa -terra; e noi li mettiamo nell’Apulia, pel reame di -Sicilia, per la Barberia, in Soria, in Cipro, in Rodi, per -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -l’Egitto, per la Romania, in Candia, per la Morea, per -l’Istria. E ogni settimana i detti Fiorentini conducono -qui ducati di tutte le sorta settemila, cioè trecennovantaduemila -all’anno, comperando lane francesi, catalane, -cremisi e grane, sete, ori, argenti, filati, cere, -zuccheri e gioje, con benefizio della nostra terra: così -tutte le nazioni fanno. Però vogliate conservarvi nel -modo in cui vi trovate, che sarete superiori di tutti. Il -Signor Iddio vi lasci conservare, reggere e governare -in bene». -</p> - -<p> -Francesco Foscari era conosciuto come abilissimo in -intrighi, animoso all’intraprendere, e felice nel riuscire. -In Venezia tenendo tante fila, cercava scostarsene il men -possibile, non accettando che ambascerie di prima importanza; -erasi amicati i Barnabotti col fare stabilir -dotazioni pei figli di nobili poveri; e quattro figliuoli e -molti amici gli erano d’appoggio a molto sperare. Vacando -il dogato, scaltreggiò per modo, da prevalere a -quei che il temevano perchè giovane e perchè attivo; -e di fatto egli esercitò sui consigli della Signoria maggiore -efficacia che non solessero i predecessori suoi. -Favoriva quelli che lusingavano la vanità patriotica -coll’idea di prepotere in Italia, e mettersi a capo d’una -lega che equilibrasse i Visconti: sicchè la guerra, così -temuta dal Mocenigo, allora proruppe. -</p> - -<p> -Già i Fiorentini seguitavano le ostilità con poca fortuna. -Oddo figlio di Braccio di Montone, Carlo Malatesta -e Nicolò Piccinino, stipendiati dai Fiorentini, furono in -due anni (dal 6 7bre 1423 al 17 8bre 1425) sei volte -sconfitti, ne’ romani e ne’ liguri campi, da Angelo della -Pergola. Oddo perì: e Malatesta, caduto prigioniero del -Visconti, fu da questo guadagnato colla cortesia: altrettanto -avvenne del Piccinino. Un settimo esercito allestirono -i Fiorentini, e cercavano amicizie; aveano (come -ebbe a dire Lorenzo Ridolfi nel senato veneto) sparsi -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -per tutt’Italia i giojelli delle spose e delle figlie loro, -venduto quanto possedeano di prezioso, speso più di -due milioni di fiorini, che tanti non se n’avrebbero -vendendo tutta Firenze<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>. -</p> - -<p> -E di peggio potea temersi se Filippo Maria, per quel -suo andazzo di odiare cui dovea gratitudine, non avesse -scontentato il Carmagnola. Avea questi ottenuto il titolo -di conte e il cognome della famiglia regnante colla mano -di Antonia, figlia naturale di Gian Galeazzo, e tra feudi -e stipendj un’entrata di quarantamila fiorini; e si fabbricò -a Milano il vasto palazzo che poi si disse Broletto. -Il duca forse agognava ritorgli tanti doni, largiti non per -cuore ma per bisogno; forse il Carmagnola credevasi -inadeguatamente compensato con denari, quando vedea -Sforza e Braccio essersi acquistato signorie indipendenti: -fatto sta che ne cominciò malumore. Il Carmagnola -vedendosi maltrattato e fin cerco a morte, si -parte dal duca; e benchè questi ne trattenesse la moglie -e le figlie, reca a servizio di Firenze un grosso -esercito e la conoscenza dei divisamenti dell’ingrato -padrone; e a danno di questo (1426 3 8bre) pratica un’alleanza con -Venezia, col marchese di Ferrara, col signore di Mantova, -i Sanesi, i duchi di Savoja e di Monferrato, gli -Svizzeri e il re d’Aragona. -</p> - -<p> -Dichiarata guerra a Filippo (1426), il Carmagnola, fatto -capitano generale, con buona sentita di guerra e colle -intelligenze occupa Brescia: ma il duca seppe cavarsi -dalle male peste, sia comprando il valore di Francesco -Sforza, Guido Torello, Nicolò Piccinino e Angelo della -Pergola che formavano quindicimila corazzieri, sia -spargendo zizzania fra i collegati, sposando Maria figlia -del duca Amedeo VIII di Savoja, al quale cedette Vercelli; -e con altri sagrifizj e coll’interposizione di papa -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -Martino V, in Ferrara conchiuse pace (1426 30 xbre), a Venezia cedendo -Brescia ed otto castelli sull’Oglio. Venezia, che -così estendeva i dominj fino all’Adda, onorò e retribuì -splendidamente il Carmagnola, e lo investì delle contee -di Chiari e Roccafranca e d’altre terre fino a dodicimila -ducati di rendita, con piena giurisdizione civile e -criminale. -</p> - -<p> -Queste abjette condizioni lasciavano a sbaraglio Milano; -onde i suoi nobili, che, secondo i vulgari raziocinj, -consideravano proprio scorno il recedere il loro padrone -da un’ingiusta guerra, mandarono supplicarlo a -rescinder la pace, offerendo somministrargli diecimila -cavalieri ed altrettanti pedoni, purchè lasciasse loro le -gabelle e i tributi della città. Filippo non gradì che i cittadini -rimetterser mano nelle pubbliche cose come ai -tempi repubblicani; pur a rinnovare le ostilità si preparò -col soldare le bande congedate dai Veneziani; e da settantamila -uomini fra le due parti si trovarono a fronte -nella valle padana<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>. Ben dovevano essere ancora di -piccola importanza le artiglierie, se le navi venete osarono -penetrare nel Po fino a Casalmaggiore, dove sconfissero -la flotta milanese (1427 11 8bre); poi fra gli acquitrini di Macledio -nelle vicinanze di Brescia l’esercito di Filippo fu sbaragliato -dal Carmagnola. Allora si rannoda la pace; ma -ecco tosto nuove rotture e nuovi accordi e nuove violazioni, -secondo la versatilità di Filippo e la natura degli -eserciti d’allora. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<p> -A tali termini era l’Italia, che nè per la guerra acquistavasi -gloria, nè per la pace quiete. Città prese e riprese, -terre sfasciate, assassinj e tradigioni alternate -colle battaglie, patimenti di plebe innominata, che importano -alla storia? essa parla dei capi, e de’ felici -colpi di quel prezzolato combattere. Non erano più -guerre per la difesa della patria, non per utile o gloria -o grandi intenti, ma effetto d’intrighi, di perfidiosa -politica, del bisogno di battaglie che aveano i capitani -come del proprio mestiere e guadagno. Sole truppe mercenarie -campeggiavano, non ispirate da amor di patria, -di gloria, di libertà; le battaglie finivano con poco sangue, -atteso che, al primo piegar della fortuna, i soccombenti -rendevano le armi, persuasi di trovare ben -tosto un nuovo impresario, ed essendo convenuto fra -condottieri di danneggiarsi il meno possibile. -</p> - -<p> -I vinti erano rilasciati in farsetto; i vincitori si sbandavano -a godere le prede; i capitani se trionfanti dettavano -legge a chi li pagava, se sconfitti esigevano -compensi e ristori. Alla battaglia di Sagonara, ove -Angelo della Pergola sconfisse ed ebbe prigioniero il -Malatesta, se credessimo al Machiavelli, sole tre persone -perirono, affogandosi nella mota. Così alla Molinella si -combattè «mezzo un giorno... nondimeno non vi morì -alcuno; solo vi furono alcuni cavalli feriti, e certi prigioni -da ogni parte presi». Nella battaglia di Caravaggio, -ove lo Sforza sbarattò affatto i Veneziani facendo -diecimila cinquecento prigioni, diconsi morti soli sette -soldati<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>, due dei quali dalla stretta e dallo scalpitare -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -de’ cavalli. Per tal modo un capitano, vinto oggi, al -domani ricompariva in campagna con esercito non men -numeroso; le guerre s’eternavano esaurendo l’erario, -impoverendo lo Stato, e non assicurandolo dai nemici; -paci fatte per necessità, rompevansi per capriccio; e -tra i guerreggiati e i traditi, gl’Italiani doveano sentire -quanto soffrano i paesi dove non sono tutt’uno la milizia -e la nazione. -</p> - -<p> -A Maclodio sul Bresciano ottomila corazzieri di Filippo -con Carlo Malatesta suo generale, e gli equipaggi -e le ricchezze erano caduti prigionieri de’ soldati del -Carmagnola, i quali trattandoli da commilitoni, subito -li prosciolsero, onde tornarono al duca senz’altro -avere perduto che le armadure. Due soli artefici di -Milano offersero al duca quante armi bastassero per -quattromila cavalieri e duemila pedoni; tanto vi fioriva -questa manifattura: e Venezia vincitrice si trovò a -fronte quegli stessi che dianzi avea vinti. -</p> - -<p> -Che il Carmagnola avesse disposto dei prigionieri a -suo talento, spiacque all’ombroso Governo, e sospettollo -d’intelligenze coll’antico suo signore; e tanto più dacchè -sul Po la flotta milanese, guidata da Pacino Eustachio -e da Giovanni Grimaldi genovesi, sconquassò la -veneziana (1431 22 maggio), ch’era costata seicentomila fiorini. Imputando -il Carmagnola di quel disastro, stabilirono torlo -di mezzo: e perchè arrestare un capitano fra un esercito -a lui devoto non era agevol cosa, l’invitano a Venezia (1432) -sotto finta d’interrogarne l’esperienza, l’onorano in ogni -modo, poi i Dieci l’arrestano, il processano; «non volendo -confessare, fu posto alla corda; e non potendo -trarlo su per un braccio ch’egli aveva guasto, gli fu -dato fuoco a’ piedi, per modo che subito confessò -ogni cosa». Fu mandato al supplizio (5 maggio) col bavaglio in -bocca; trattane al fisco la sostanza, che valutavasi a -trecentomila ducati; provvisto alla moglie ed alle -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -figliuole. Il popolo tremò ed applaudi: la posterità, anche -dopo conosciuti gli atti di quel processo, rimane dubbia -sulla reità di lui, e lo colloca fra quelle vittime delle -procedure segrete, che dalla pubblica coscienza attirano -compassione per sè, esecramento su chi le fa<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>. -</p> - -<p> -Genova sappiamo che erasi sottoposta a Filippo Visconti, -sicchè quando essa nella battaglia di Ponza -(pag. 84) fece prigioniero Alfonso re d’Aragona e di -Sicilia, a lui lo mandò. Il re seppe cattivarsi Filippo -in modo che ne fu lasciato andar libero. Tante iniquità, -tanto egoismo non nocquero mai al Visconti, come -questa insolita generosità; perocchè i Genovesi, indispettiti -che egli disponesse a sua voglia del frutto di -così insigne vittoria, si sottrassero all’obbedienza del -duca (1453 27 xbre), scannarono a furor di popolo il suo governatore, -rivollero la repubblica, e con essa lo strazio -delle fazioni. -</p> - -<p> -Nel calcolato favore di Filippo, al Carmagnola era -sottentrato un altro prode. Quando Sforza Attendolo -perì, l’esercito suo, unica assicurazione de’ privilegi e dei -possessi che i principi gli aveano accordati per paura, -sarebbesi sfasciato, se Francesco, uno de’ tanti figliuoli -che esso aveva d’amore o di nozze, non avesse tenuto -congiunte quelle masnade, obbedienti quegli uffiziali, -dando già indizio di quella destra politica, che dovea -poi alzarlo al più bel dominio italiano. Reso famoso in -tutti i fatti d’arme d’Italia, e sentendo quanto valesse -una buona spada, non s’accontentava ai dominj paterni; -e battendo più alto la mira, e sempre crescendo d’importanza, -giunse a ottenere che Filippo gli promettesse -la mano di Bianca, unica sua figlia naturale. Appena -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -uscito per lui di pericolo, il duca se ne pentì e ricusò; -onde lo Sforza andossene, e nell’Anconitano si formò -colla spada un marchesato sotto la supremazia del pontefice; -poi non bastando a mantenere le proprie masnade, -si acconciò a servizio de’ Fiorentini. Questi aveano condotto -con varia fortuna e mirabile costanza la guerra; -ma poi Nicolò Piccinino, il quale aveva assunto l’esercito -di Braccio di Montone, si pose col Visconti e in -riva al Cerchio sconfisse i Fiorentini, togliendone l’artiglieria, -le munizioni e quattromila cavalli. Essi vidersi -allora costretti a cedere Lucca ed accettar la pace; nella -quale però anche Filippo rinunziava ai fatti acquisti e -alle alleanze in Romagna e in Toscana, per non avere -più titolo di brigarsi nelle vicende di questa. -</p> - -<p> -L’astuto finse allora congedare il Piccinino, ma gli -diede segreta istruzione di devastare la Toscana, la -quale, vistasi ingannata, e costretta a far nuove armi, -si chiamò felice di trarre sotto ai gigli suoi Francesco -Sforza. -</p> - -<p> -Ecco a fronte i due maggiori capitani del tempo, -rappresentanti le due antiche scuole di Braccio e d’Attendolo. -Il Piccinino, sebbene disavvenente di corpo e -infelice parlatore, spingeva al sommo il merito di -Braccio, vale a dire la celerità de’ movimenti, audace -fin alla temerità, indomito dall’avversa fortuna. Francesco -dalle diverse scuole sceglieva il meglio, e sapeva -col genio avvivarlo; maschio di corpo e d’animo, il -male non proponevasi, ma non ne rifuggiva se utile; -entrambi caldi di odj, ma ricchi di quella bontà che -non di rado si palesa pe’ soldati, ed è riparo o compenso -alla facilità che hanno di far male. -</p> - -<p> -Lo Sforza erasi mostrato propenso alle repubbliche, -massime a Firenze, non perchè sentisse in quel senso, -ma per tenere in ombra Filippo, o per far contrario al -Piccinino che a questo conservava fede. Non volendo -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -però scontentare in tutto il duca, nè sfasciare uno Stato -sul quale spingeva i desiderj, lasciò alquanto in tentenno -la guerra: ma quando si vide zimbello alla peritanza -e finteria di Filippo, calò la buffa, e parve decidere -delle sorti d’Italia coll’accettare dai federati il -bastone, con novemila zecchini al mese dai Veneti, -ottomila quattrocento da’ Fiorentini. -</p> - -<p> -I due emuli capitani fecero gara di valore e d’abilità, -sul Veneto, in Toscana, nella marca d’Ancona portando -a vicenda la devastazione. Novamente famoso venne per -durata e fierezza l’assedio di Brescia, invano sostenuto -dal Gattamelata, e dove Brigida Avogadro menò le -donne a respingere il Piccinino. «Tutto il popolo notte -e giorno lavorava a far riparo di dentro a’ muri; vi -lavoravano femmine, putti, donne, preti, frati, giudici, -tali e quali. Il Piccinino solariò il fondo della fossa di -graticci, e fece la via per venire in cima del terraglio. -Dirai, <i>Che facevi voi che nol vietavate?</i> dico che come -noi ci facevamo sul terraglio, egli tirava con quelle -bombarde. Oh quanti ve ne furono morti di noi cittadini!» -E quando salirono all’attacco «si cominciò una -riotta con noi di dentro, per modo che, colla grazia di -Dio, furono urtati giù. Avreste veduto quelli uomini -d’armi traboccar giù per quel terraglio con que’ suoi -pennacci a volta voltone che era una consolazione. Di -bombarde, di schioppetti, di verrettoni, di sassi che si -tiravano, parea che l’aria si oscurasse: parea che tutto -il mondo si aprisse di tamburi, di trombette, di gridori, -di campane a martello..... Avreste veduto il popolo, -femmine, zerlotti, piccoli e grandi, che correvano -giù ai luoghi dove si davano le battaglie, chi con pane, -chi con formaggio, chi con vino, chi con confetto per -reficiare que’ cittadini combattenti, e que’ soldati ch’erano -con noi. Voi avreste veduto la gente d’arme de’ -nemici in belle battaglie che tenevano dal brolo del -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -vescovo fino a San Pietro Oliviero, tutti quanti a cavallo: -e quando si davano le battaglie, si scambiavano -sotto di squadra in squadra, smontavano da cavallo, e -venivano alla battaglia: ma tosto loro veniva talento -di ritornare a dietro»<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>. -</p> - -<p> -Brescia sempre eguale a se stessa! I Veneziani, per -la nimicizia del marchese di Mantova non potendo mandar -navi pel Po nel Mincio, e da questo nel lago di -Garda, divisarono un fatto arditissimo, suggerito da un -Sorbolo candioto. Avviarono su per l’Adige due galere -grandi, tre mezzane e venticinque barche, poi strascinandole -a forza di cavalli e di bovi traverso al frapposto -Monte Baldo spianando e sgombrando, le gettarono in -esso lago a Tórbole: meraviglia e terrore, che il Piccinino -dissipò bruciandole. -</p> - -<p> -Ma alfine Brescia fu salvata, sebbene da fame e peste -ridotta a metà abitanti. Francesco Barbaro provveditore -e famoso grecista, fu chiamato a Venezia coi cento -gentiluomini che più aveano contribuito a quella difesa, -accolti dalla Signoria, abbracciati dal doge che li proponeva -quali modelli ai sudditi della Repubblica, ed -essi e la loro posterità esimeva da ogni imposta; al -Comune poi rilasciaronsi ventimila ducati, che il fisco -ritraeva annualmente dai mulini<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>. -</p> - -<p> -Il Piccinino, smaniato d’acquistare il dominio che -era stato di Braccio, si fa mandare dal Visconti nell’Umbria, -guasta la Toscana, e ad Anghiari (1440 29 giugno) a’ piè de’ -monti che separano la val del Tevere da quella di -Chiana assale le truppe pontificie di tremila corazzieri -e cinquecento pedoni, e le fiorentine di otto in nove -mila cavalli, comandate da Gian Paolo Orsini, e rimane -sconfitto e prigioniero: se non che i vincitori sbandatisi -non proseguirono la vittoria e la resero inutile, -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -perchè il Piccinino ebbe raggomitolati ben tosto tutti -quelli che avea perduti, e tornò in Lombardia a rifarsi -col saccheggiare terre di amici. Tuttochè guelfo, disprezza -le scomuniche paragonandole al solletico, che lo -sente chi lo teme; s’insignorisce di Pontremoli e di -Bologna; ed è adottato nelle case dei Visconti di Milano -e d’Aragona di Napoli. Anche gli altri capitani a stipendio -di Filippo Maria chiedevano sovranità: Alberico -da Barbiano voleva Belgiojoso; Lodovico Sanseverino, -Novara; Lodovico del Verme, Tortona; Talian Friulano, -Bosco e Frugarolo; altri altro. Il duca, che aveva rimosso -lo Sforza onde non farlo sovrano, credette allora -minor male il richiamarlo, e gli concesse la mano di -Bianca (1441), e in pegno della dote il contado di Pontremoli -e Cremona. La pace di Cavriana, fatta sotto la mediazione -dello Sforza e a malgrado del Piccinino cui essa -strappava un’immancabile vittoria, rintegrò nei primieri -confini il duca, le repubbliche di Venezia, Genova -e Firenze, il papa e il marchese di Mantova. -</p> - -<p> -Che valevano le paci generali, quando duravano le -particolari animadversioni de’ capitani? Francesco mosse -per vendicarsi d’Alfonso il Magnanimo, che gli aveva -occupati i feudi paterni nel Reame: ma Filippo Maria -tornatone geloso, s’accordò con Eugenio IV per torgli -la marca d’Ancona, ridiede il suo favore al Piccinino, -che dichiarato gonfaloniere della Chiesa, noceva il più -possibile all’irreconciliabile suo emulo, e d’ordine di -Filippo assediò Pontremoli e Cremona. -</p> - -<p> -Il gran capitano, a cui la generosità non impediva -di levarsi d’attorno coi supplizj e col ferro gli emuli, -vedeasi tolta pezzi a pezzi la sovranità militare ch’egli -erasi formata nel cuore dell’Italia, e soccombeva alle -tergiversazioni del suocero e alle infedeltà di papa Eugenio; -quando i Veneziani, guardando come lesa la pace -di Cavriana, si allearono coi Fiorentini, presero al soldo -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -varj condottieri, e sotto Michele Attendolo mandarono -l’esercito a’ danni del duca, e dopo la vittoria di Mezzano -sopra Casalmaggiore si spinsero fino a Monza e -Milano. Il Visconti, sbigottito dal vedere Venezia ostinarsi -al conquisto della Lombardia, si rappattumò col -genero, il quale comprendeva che se la Lombardia toccasse -ai Veneziani, più nulla avrebb’egli a sperarne, -mentre invece la disputabile successione di Filippo aprivagli -ambiziose eventualità. Accettò dunque il comando -supremo sulle armi e le fortezze; dugentomila fiorini -d’oro l’anno per mantenere l’esercito suo e quello lasciato -dal Piccinino, il quale, dopo essere stato uno -degli arbitri di questa sbranata Italia, era morto (1444 15 8bre) col -dispiacere di non avere nè ingrandito se stesso, nè -ottenuto gratitudine da quelli cui aveva servito. -</p> - -<p> -Poco poi Filippo Maria, sempre passionato per l’intrigo, -si lasciò di nuovo menare dai Bracceschi e dagli -altri che invidiavano l’incremento dello Sforza; e rompea -seco di nuovo, allorchè morte lo colse (1447 15 agosto), e con lui -terminava la stirpe de’ Visconti. -</p> - -<p> -La quale fu con lode ripagata della protezione che -concesse ai dotti d’allora, e il Filelfo, il Barziza, il Panormita, -l’Offredi, il Decembrio ne tesserono la storia -e la falsarono. Del resto già vedemmo come la Lombardia -fosse una monarchia militare, non temperata se -non dalle arti che ad un governo intelligente sono insegnate -dal desiderio di conservarsi; i Milanesi la sopportavano -anzi rassegnati che contenti; e il desiderio -della libertà erasi illanguidito a segno, che al più si -aspirava a cambiare tiranni: la pace e la guerra, la -ricchezza e la felicità del paese, la tolleranza o punizione -dei delitti dipendevano dal principe. -</p> - -<p> -Sovratutto mancava quel che ai popoli più è necessario, -pace, e pronta ed eguale giustizia; anzi le prepotenze -pareano favorite dai dominanti. Giovanni Gámbara, -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -signorotto del Bresciano, faceva cogliere da due -bravi una tal Bartolomea che avea detto male di sua -moglie Subrana, e mozzarle la lingua; il podestà condannò -al taglione il Gámbara e la moglie, ma essi -interposero un fratello della mutilata, che li riconciliò -con questa; e Gian Galeazzo Visconti concedette perdono. -È scritto che Giovanni Palazzo ottenesse da Gian -Maria che Guelfi e Ghibellini del Bresciano potessero -combattersi sei mesi, salva la fedeltà al principe, e -commettere qualsivoglia misfatto tra loro. Esso Gian -Maria nel 1401 mandava podestà ad Asola Giovanni -Visconti e capitano Giorgio Carcano, i quali spinsero -tant’oltre l’audacia, che niuna fanciulla poteva andare -a marito senza avere passato tre giorni nel loro palazzo: -gli Asolani stancati li trucidarono, e i Bresciani -in punizione distrussero Asola<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>. Quando manchi la -giustizia, più non rimane garanzia di sorta, nè altro si -può che abbattere il dominante per mettersi al posto -di lui e divenire oppressori. -</p> - -<p> -Pure costoro erano principi nostrali, e i Lombardi -compiacevansi della loro grandezza, giacchè nol poteano -della propria felicità; compiacevansi alla splendidezza -della Corte, alle regie parentele, alle frequenti comparse, -ai clamorosi pranzi, ai clamorosissimi funerali, -a quel lusso di sfarzo e spesa più che di gusto, alle -feste che frequenti si rinnovavano per nozze, per paci, -per venuta di principi. Fu volta in cui Filippo Maria -ebbe ospiti papa Martino V e l’imperatore Sigismondo, -e prigionieri il re di Napoli e quel di Navarra; in un -mazzo di carte (giuoco allora nuovo) dipinto da Marzian -di Tortona spese millecinquecento monete d’oro. -</p> - -<p> -Le sevizie di que’ principi possono paragonarsi al -morso di un cane rabbioso, che nuoce solo a chi lo -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -avvicina; mentre una pacata signoria può indurre gli -effetti della malaria, generale spossamento e tabe irremediabile. -Perocchè del resto essi cercavano il prosperamento -del paese, sia per trarne di più, sia per non iscapitare -al confronto de’ vicini. L’agricoltura procedea di -meglio in meglio, sull’esempio de’ monaci, principalmente -de’ Cistercensi, che verso il Lodigiano e il Pavese -aveano introdotto i prati stabili e le cascine; si miglioravano -le razze de’ bovi; de’ cavalli, celebri per grossezza -e forza, molto spaccio faceasi in Francia. I lavori -di seta crebbero principalmente dacchè nel 1314 molti -fabbricanti di Lucca, fuggendo la tirannia di Castruccio, -ricoverarono a Milano. I Lombardi andavano in Francia, -in Fiandra, in Inghilterra a raccattar lana, che poi -tinta e tessuta mandavano colà donde ora ci vengono -i panni fini; e per tutta Europa correvano le monete -d’oro colla biscia. I nobili non prendeano vergogna del -mercatare, e sulle matricole figurano i Litta, i Dadda, -i Bossi, i Crivelli, i Gusani, i Dugnani, i Medici, i Melzi, -i Porro, i Bescapè, i Castiglioni, i Pozzobonelli. I Borromei -da San Miniato si trasferirono qui vendendo -panni grossolani, e stabilendone una fabbrica; e subito -Filippo Maria prese un Borromeo per direttore della -finanza, e poco dopo Luigi XII di Francia levava al -battesimo un figliuolo di quella casa<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -</p> - -<p> -Le arti, divise in venticinque <i>paratici</i> o consorzj, -con bandiera, statuti, assemblee distinte, esercitavano -ogni sorta mestieri, e all’uopo prendeano le armi. Singolarmente -i Lombardi guadagnavano in operazioni di -banco, avendone stabiliti in tutte le città d’Europa. -Milano era sì ricca, che diceasi in proverbio bisognerebbe -distrugger lei chi volesse rifare l’Italia; e udimmo -i nobili esibire a Filippo di mantenergli stabilmente -diecimila cavalieri ed altrettanti pedoni se lasciasse loro -le entrate della città. L’estimo del 1406 dà ai beni mobili -e stabili della città e dei corpi santi il capitale valore -di tredici milioni dugencinquantamila zecchini. La popolazione -cresceva, benchè guasta da pesti ricorrenti; -e i primi provvedimenti di polizia sanitaria menzionati -sono i milanesi. -</p> - -<p> -Il servaggio principesco alterava la semplicità de’ costumi, -e senza credere alle declamazioni, è a supporre -s’imparasse a chinar la fronte a quello in cui mano -erano il denaro, la forza, la legge, ed a quella serie di -bassi che comandano agli altri; catena di soggezione, -che cominciata non finisce più. Nondimeno durava un -vivere patriarcale, nè la Corte era distinta dalla città -quanto nei tempi posteriori; e benchè i nobili godessero -molti privilegi, pure le condizioni si trovavano -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -spesso mescolate nei pubblici convegni ed alle feste -ecclesiastiche o civili. -</p> - -<p> -Se si pensi che non v’avea truppe stanziali, primario -rinfianco della tirannia; che il duca vivea tra gente -nostra, con nostri consiglieri, fra tante corporazioni -organizzate e armate, fra privilegi di arti, di corpo, -di stato, si vedrà che il despotismo non poteva sbizzarrire -senza contrasto; le memorie della prisca libertà -non erano perite, non poteasi a voglia gravar le imposte, -gli statuti frenavano anche il principe, le fazioni di -Guelfi e Ghibellini opponeano potente contrasto, sicchè -la tirannia non era sistematica ma di eccezione. Que’ -principi pesavano più volentieri sui nobili per torsene -l’ostacolo e rapirne le ricchezze; non per questo si -rendeano popolari, comunque talora grossolani: e la -plebe anch’essa sapeva resistere, e piegando non dimenticava -d’avere dei diritti. -</p> - -<p> -Tutti questi avvenimenti potemmo divisare senza -tampoco far motto d’un altro imperatore calato in Italia. -La Casa di Luxemburg, così meschina sotto il cavalleresco -Enrico VII, era giunta a possedere tanti dominj, -quanti mai quella di Hohenstaufen; in un secolo avea -dato quattro imperatori, Enrico VII, Carlo IV, il vituperevole -Venceslao che fu deposto, e suo fratello Sigismondo, -che al tempo stesso era elettore di Brandeburgo, -re di Boemia e d’Ungheria. Bello d’aspetto (tal -ce lo descrive Leonardo Aretino che lo conobbe), alto -della persona, nobile, vigoroso, magnanimo in pace e -in guerra, eloquente, amante le lettere, liberale oltre le -sue scarsissime entrate, trovavasi sempre bisognoso di -denaro, e perciò costretto a vendere la propria alleanza -e protezione, interrompere le imprese, mancare ai propositi; -e più che all’impero badava a crescere i suoi -Stati ereditarj, dai quali derivò poi la grandezza di Casa -d’Austria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -</p> - -<p> -Talmente Venezia spingeva la gelosia per l’eguaglianza -delle sue famiglie patrizie, che, avendo il re di -Ungheria chiesto per moglie una Morosini, la Signoria -obbligò il padre a rinunziare ogni diritto paterno, e -l’adottò come figlia della Repubblica. Quando, durante -lo scisma, fu eletto papa Angelo Corrér (1406) col nome di -Gregorio XII, benchè egli cercasse cattivarsi i Barbarigo, -i Morosini, i Condulmer con cappelli cardinalizj, -fu sempre guardato di mal occhio, giudicandosi pericoloso -un pontefice legato coi senatori; e appena il -concilio di Pisa lo dichiarò scaduto (1409), la Signoria non solo -s’affrettò a riconoscere il surrogatogli Alessandro V, -ma a lui profugo negò stanza ne’ suoi dominj<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. Ito -nel Friuli, papa Gregorio venne a rissa con quel patriarca -che era tedesco, e lo cassò surrogandogli Anton -da Ponte nobile veneto. L’imperatore Sigismondo, dichiaratosi -protettore dell’espulso, menò le cose di modo, -che venne a rottura con Venezia. Questa repubblica da -Ladislao, competitore di Sigismondo al trono d’Ungheria, -aveva comprato per centomila fiorini la città di Zara; -ridomandando la quale e le antiche città imperiali, Sigismondo -entrò sul Veneziano (1413) guastandolo e ribellando: -ma Venezia strinse lega difensiva con Nicolò III d’Este, -i conti Porcia e Collalto, i Malatesti, i Polenta, i signori -d’Arco e Castelnuovo, Castelbarco, Caldonazzo, -Savorgnano; e questi, e la rigidezza dei vicarj di Sigismondo, -la poca costanza degli Ungheri ch’egli versava -di qua dell’Alpi, il valore del condottiere Filippo d’Arcoli, -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -fecero trionfare il leone veneto per tutto il Friuli. -</p> - -<p> -Dalla Marca Trevisana Sigismondo pensò fare una -corsa in Lombardia senz’armi. Liete accoglienze gli -profusero i tirannelli: a Cremona col papa vagheggiò -dal torrazzo la pianura lombarda; a Cantù ricevette -omaggio da Filippo, il quale però nol volle accogliere -in Milano; istituì de’ vicarj imperiali, cui faceano capo -i Ghibellini per onestare la loro tirannide: ma nessuna -efficienza ebbe sulle vicende italiane. -</p> - -<p> -Dopo vent’anni di regno, nojato dalle lunghe brighe -in Germania e in Boemia, e dal dirigere una macchina -pesante e rugginosa, com’egli chiamava l’impero, pensò -tornare di qua dall’Alpi (1431) a farvi una comparsa quale -solevano i suoi predecessori. I tempi erano ben cambiati; -quanto erasi perduto in parziale libertà, tanto -erasi acquistato in generale indipendenza; nè la nominale -superiorità sarebbe bastata perchè convocasse a -Roncaglia tutti gli Stati d’Italia a rendere l’omaggio e -ricevere giustizia. Con duemila Ungheri e Tedeschi a -cavallo, più per corteggio che per difesa, capitò a Milano; -e Filippo, che pur gli avea sempre mostrato piena -soggezione, e l’avea sollecitato a discendere sperando -danneggiarne i Veneziani, insospettito si chiuse nel castello -di Abbiategrasso, senza tampoco lasciarsi vedere -all’imperatore, che in Sant’Ambrogio fecesi coronare (1431 25 9bre). -</p> - -<p> -Qui dunque temuto e timoroso, eppure in Toscana -malvisto come amico del duca, sempre povero di denaro -e di forze, obbligato ad ogni passo a patteggiare o difendersi, -a un punto di rimanere preso in Lucca dal -capitano dei Fiorentini, trattenuto in Siena per debiti, -Sigismondo traversò l’Italia meschinamente (1432), dirigendosi -a Roma onde persuadere il papa ad accettare il concilio -di Basilea: nè tampoco a questo riuscito, cintasi la corona -d’oro (1433), ricoverò a’ suoi paesi, lasciando l’Italia alle -ambizioni e agli agitamenti di prima. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -</p> - -<h2 id="cap116-10">CAPITOLO CXVI. -<span class="smaller">Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice. -Francesco Sforza. I Foscari.</span></h2> -</div> - -<table class="ag"> - <tr> - <td colspan="12" class="center"><span class="smcap">I Visconti e gli Sforza</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="12"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="12">Uberto Visconti</td> - </tr> - <tr> - <td class="w5"> </td> <td colspan="11" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td colspan="11" class="bl">Obizzo</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="10" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="10" class="bl">Teobaldo</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="w5"> </td> <td colspan="9" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="9" class="bl"><span class="smcap">Matteo</span> Magno 1295-1322</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl">Galeazzo I 1322-28</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="7" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Azzone</span> 1328-39</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"><span class="smcap">Luchino</span> 1339-49</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl">Marco</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"><span class="smcap">Giovanni</span> arcivesc. 1339-54</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="8" class="bl">Stefano</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Matteo II</span> 1354-55</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Bernabò</span> 1354-85</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="7" class="bl"><span class="smcap">Galeazzo II</span> 1354-78</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="w5"> </td> <td colspan="6" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="6" class="bl"><span class="smcap">Gian Galeazzo</span> 1378-1402 primo duca nel 1395</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl">Valentina in Luigi d’Orléans, ava di Luigi XII</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"><span class="smcap">Gian Maria</span> 1402-12</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"><span class="smcap">Filippo Maria</span> 1412-47</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="4" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="4" class="bl">Bianca Maria in <span class="smcap">Francesco Sforza</span> 1447-66</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl">Ascanio cardinale</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Galeazzo Maria</span> 1466-76</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td colspan="2" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Gian Galeazzo Maria</span> 1476-94</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="w5 bl"> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td class="bl"> </td> <td class="bl">Bona regina di Polonia</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="2" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="2" class="bl">Caterina in Giovanni de’ Medici avo di Cosimo granduca</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="3" class="bl"><span class="smcap">Lodovico</span> il Moro 1494-1500</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Massimiliano</span> 1512-15</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="bl"><span class="smcap">Francesco Maria</span> 1522-26 e 1529-35</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="5" class="bl">Gabriele Maria figlio naturale</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="9" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td colspan="9" class="bl">Uberto stipite di case ancora sussistenti</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td colspan="11" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td colspan="11" class="bl">Gaspare</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="10" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td colspan="10" class="bl">Lodrisio</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td colspan="11" class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td colspan="11" class="bl"><span class="smcap">Ottone</span> arcivesc. 1277-95</td> - </tr> -</table> - -<p class="pad2"> -Filippo Maria Visconti non lasciava figliuoli, onde -molti si sporsero al fiuto di sì pingue eredità. Fin -allora nel Milanese non era stato regolato il modo di -succedere al dominio; e come negli altri principati italiani, -ora lo teneano i fratelli in comune, ora se lo spartivano, -o l’uno succedeva all’altro senza riguardo alla -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -discendenza dell’estinto: persino i figli naturali ne toccavano -qualche porzione. Ora la casa francese d’Orléans -vi pretendeva a cagione di Valentina Visconti, cui Gian -Galeazzo, maritandola a Luigi d’Orléans, n’avea dato -l’aspettativa pel caso che i suoi figli morissero improli. -Ma il titolo non valeva, giacchè questo non era un -feudo femminino; tanto minor diritto v’avea lo Sforza, -marito della figlia naturale, quantunque legittimata, di -Filippo Maria. Questo aveva un tempo pensato a nuocere -ai Veneziani col lasciare il suo paese ad Alfonso -re di Napoli; il che avrebbe di tanto avanzata l’unità -italiana: e Alfonso in fatti produsse un testamento a -favor suo; ma foss’anche autentico, si trattava egli d’una -proprietà che si potesse lasciare a talento? -</p> - -<p> -Il Milanese era uno Stato libero, riconosciuto nella -pace di Costanza; il che importava, secondo il diritto -d’allora, che non potesse venir ristretto a sudditanza -di verun particolare. Venceslao l’avea ridotto tale investendone -Gian Galeazzo; ma sovrano dell’Impero non -era già il re di Germania, bensì gli elettori, rappresentanti -l’antico senato e popolo romano: e in fatto -essi ne fecero rimprovero a Venceslao, e fu uno degli -aggravj per cui lo spodestarono<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>. Sigismondo ne -diede regolare investitura a Filippo Maria, riservandosi -gli antichi diritti imperiali<a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>; ma realmente il Milanese, -operando come Stato libero, aveva affidato il governo -politico ai Visconti, e allo spegnersi di questi -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -tornava di propria balìa. Sentirono questo diritto i -Milanesi, e mentre i Bracceschi inalberavano sul castello -lo stendardo di Alfonso di Napoli, ed altri suggerivano -di darsi al duca di Savoja fratello della duchessa vedova, -Antonio Trivulzio, Teodoro Bossi, Giorgio Lampugnani -e Innocenzo Cotta eccitano alla libertà i Milanesi, -che a furia smantellano il castello, nido della -tirannia contro il popolo; e disingannati del dominio -d’un solo come <i>pessima pestilenzia</i>, proclamano l’<i>aurea -repubblica ambrosiana</i> (1447 14 agosto), tornando in istato di popolo -al modo antico. Il vicario coi dodici di provvisione eleggono -ventiquattro capitani e difensori della libertà del -Comune, che furono confermati dal consiglio generale, -e che affollarono ordini buoni o meschini, come sempre -avviene nei primordj; rimettono i banditi; proibiscono -il bestemmiare, i giuochi zarosi, il portar armi; allestiscono -ricoveri per poveri, e massime per contadini -che la guerra avea sturbati dai campi; si ravviano le -scuole, invitando i maestri <i>con condizioni che meritamente -potranno accontentarsi</i>; e da spontanee largizioni -raccolgono ottocentomila zecchini <i>ad tuendam -patriæ libertatem</i><a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>. -</p> - -<p> -È uno dei temi più soliti e più facili agli epigrammi -da caffè la debolezza de’ governi usciti da una rivoluzione, -come il vacillamento delle rivoluzioni che non -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -riuscirono: nè per verità da una reggenza che durò -meno di due mesi potevano pretendersi stabili intenti, -concordi progetti, efficace azione. Pure sarebbersi allora -potute costituire in Italia tre robuste repubbliche, -di Firenze, Venezia e Milano, mettendo in comune il -senno educato dell’una, la potenza marittima dell’altra, -le colte lautezze dell’ultima; e associandosi alla forza -degli Svizzeri, opporre una federazione di liberi all’aumento -delle monarchie confinanti. Chi pensi che in -quel tempo, essendo morto Carlo il Temerario duca di -Borgogna nel combattere gli Svizzeri<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a>, restavano -libere le Fiandre e i Paesi Bassi, comunità fiorentissime -di commercio e costituite al modo delle nostre, non -può a meno di riflettere qual diverso andamento -avrebbe preso l’Europa se, invece di consolidarsi le -monarchie collo spartire la Borgogna tra Francia e -Austria, fosse prevalso il sistema repubblicano. Se i Milanesi -vedessero allora questa preziosa eventualità, è -difficile il dirlo; ma trovo codardo l’insultarli dell’aver -preferito una forma di governo che allora presentava -tanto avvenire. Sgraziatamente però Firenze cominciava -con Cosmo de’ Medici a piegare a principato: Venezia -dal doge Francesco Foscari era intalentata a conquiste, -a segno di posporvi la giustizia e la pubblica libertà; -e sperando quell’unione che più tardi effettuarono gli -Austriaci, spasimava di tutto il Milanese, e profittò del -momento per ciuffare Brescia e Bergamo. -</p> - -<p> -Allora Venezia trovavasi all’apogeo della sua grandezza. -Trieste, i cui pirati avevano rapito le spose della -ancor novella repubblica, indi era stata sottoposta da -Enrico Dandolo a capo de’ Crociati, non si rassegnò mai -al giogo, più volte rinnovò guerra, e nel 1367 si diede -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -al duca d’Austria; ma i Veneziani l’assalirono e presero -per fame, poi nella pace, chetato l’Austriaco a denaro, -le imposero di giurar fedeltà a San Marco; alla nomina -di ciascun doge, lo stendardo del leone sventolerebbe -un giorno sul mercato di Trieste, e tutti gli anni a -Pasqua sul palazzo; i Triestini osserverebbero i trattati -conchiusi da Enrico Dandolo in appresso, e la Serenissima -vi eserciterebbe la giurisdizione penale. Nella -guerra di Chioggia i Genovesi presero Trieste, e la -consegnarono al patriarca d’Aquileja: avendola Venezia -ripigliata (1382), i Triestini inalberarono di nuovo la bandiera -dei duchi d’Austria, i quali poi la tennero sempre: ma -doveano correre più di quattro secoli prima che acquistasse -tale importanza sul mare, da prevalere all’antica -dominatrice. -</p> - -<p> -Vedemmo come si fosse ampliata la signoria de’ patriarchi -d’Aquileja sopra tutto il Friuli, l’Istria, gran -parte della Carintia e Carniola, e la Stiria, con tanti -poderi da estrarne ducentomila zecchini. Però i papi -aveano tratto a sè il diritto di nominare il patriarca, -sicchè ne cessò l’indipendenza; e avendo essi dato -quella sede in commenda a Filippo d’Alençon, i signori -paesani ricusarono obbedienza a questo, eleggendo un -altro, donde baruffa civile, nè più fu possibile sottometterli -interamente. Il patriarca fu dunque costretto -ricorrere al popolò, agli stranieri, a bande mercenarie; -e intanto i signori si rendevano viemeno dipendenti, -per quanto il patriarca cercasse avvincerseli col moltiplicare -i feudi e suddividerli e concedere franchigie. -</p> - -<p> -E si alleò a Francesco Carrara (1388), che colle armi occupò -tutti i paesi: ma i Veneziani, temendo che questo -operosissimo loro nemico tenesse il Friuli per sè e -intercettasse i loro commerci colla Germania, presero -parte con Udine «con altre città, riottose al patriarca, -e annichilarono nel modo che dicemmo la potenza dei -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -Carrara. Venuto poi il patriarcato al tedesco Lodovico -Theck (1414), e questo avendo favorito l’imperator Sigismondo, -Venezia ne colse occasione di tor via que’ vicini, ostinatamente -avversi. Pertanto occupò il loro paese finchè -non fosse compensata delle spese di guerra; ma queste -ammontavano a tanto, che il patriarca non potè più -pagarle; onde a quel prelato, fin allora il più ricco -d’Italia dopo il pontefice, altro non rimasero che i castelli -di San Vito e San Daniele, e lo stipendio di cinquemila -ducati che ricevea dalla Repubblica. -</p> - -<p> -Adunque il dominio veneto si estendeva in Italia -dall’Isonzo al Mincio; oltre il litorale dell’Adriatico sin -alle foci del Po, aveva ad obbedienza fra terra le province -di Bergamo, Brescia, Verona, Crema, Vicenza, -Padova, la Marca Trevisana con Feltre, Belluno, il Cadore, -il Polesine di Rovigo, Ravenna, il Friuli, l’Istria -eccetto Trieste città imperiale; supremazia sulla contea -di Gorizia, che prima faceva omaggio al patriarca -d’Aquileja; sulla costa orientale dell’Adriatico teneva -Zara, Spalatro e le isole che fronteggiano la Dalmazia -e l’Albania; avea tolto Veglia ai Frangipani, Zante a -un Catalano; in Grecia occupava Corfù, Lepanto e Patrasso; -nella Morea Modone, Corone, Napoli di Romania, -Argo, Corinto, avute a prezzo dai possessori che -non poteano difenderle dai Turchi; altre isolette dell’Arcipelago, -e qualche parte del litorale; finalmente -Candia e Cipro. -</p> - -<p> -Mentre in Italia si era limitata ad opporsi a chi vi -predominasse, tenendo per lo più coi pontefici, allora -aspirò a dominarvi, donde vennero le guerre che abbiam -veduto con Filippo Maria, nelle quali, se cresceva -di credito nella penisola, sviavasi dal commercio, e rimaneva -esposta agli arbitrj de’ venturieri, coi quali -usava or rigore, ora carezze; or mandava al supplizio -il Carmagnola, or se ne redimeva coll’ascrivere fra i -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -nobili il Gattamelata e Michele Attendolo. E d’acquistare -il Milanese le dava lusinga lo sfasciarsi di questo alla -morte di Filippo. -</p> - -<p> -Per quell’assurdo concetto che repubblica significhi -obbedire a nessuno, le singole città ridestando le municipali -gelosie, colsero pretesto dalla rivoluzione di Milano -per sottrarsi a questa, riformandosi a reggimento -municipale indipendente, ed elessero signori e governi -distinti, preferendo l’indipendenza dei singoli alla libertà -di tutti. Como, Alessandria, Novara seppero accordarsi -colla Repubblica ambrosiana, ma a patti che -tendeano principalmente a ricuperare la giurisdizione -ed aggravare i popoli soggetti: tal era il senso dei -sessantasette capitoli stipulati dai Comaschi, diretti a -ristabilire il dominio della città sopra il contado e -sopra la Valtellina e il Chiavennasco. Pavia, Parma, -Tortona vollero reggersi da sè; Lodi e Piacenza introdussero -guarnigione veneta; Asti si chiarì pel duca -d’Orléans; gli esuli signorotti tornavano, e riprendevano -gli aviti possessi e la baldanza di tiranneggiare perchè -aveano sofferto; se non altro, saccheggiavano; dappertutto -rinasceano le antiche cupidigie; ma s’erano talmente -abituati all’obbedienza, che, appena uno primeggiasse, -lo chiedevano signore. -</p> - -<p> -L’attività scompigliata produceva debolezza universale; -mentre erasi perduto l’uso delle armi, d’ogni parte -sonavano minaccie; la Repubblica era in grande setta -e divisione nell’interno, fra le pretensioni dei capitani -di ventura, che nè poteansi licenziare nè tenere in obbedienza; -lo schiamazzo popolare diventava potenza, -sempre micidiale, ed or faceva ardere i libri del censo, -ora demolire il castello, soliti carnevali dei neoliberati; -i cittadini medesimi si divideano in partiti, quale pendendo -all’Impero, quale ai reali di Francia, al duca di -Ferrara, a Venezia. Luigi di Savoja credette opportuna -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -l’occasione di fermar piede in Lombardia, e si collegò -col re francese, a patto che Genova e Lucca si conquistassero -per questo, Alessandria si desse al Monferrato, -le terre fra il Ticino, l’Adda e il Po, coi castelli di -Trezzo e Pizzighettone, ad esso, duca di Savoja<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a>. -Venezia aveva già rotta guerra a Filippo, e adesso -la continuava contro la Repubblica, ed accostavasi -minacciosa all’Adda. -</p> - -<p> -In que’ frangenti che tolgono il senno anche ai più -savj, i capitani della Repubblica parvero dimenticare -le pretensioni di Francesco Sforza; ed aggirati o spinti -dai Ghibellini, affidarono ad esso le armi, perchè -li difendesse da’ nemici. Egli mostrò obbedire a coloro -cui sperava comandare; dal carcere, ove l’avea -cacciato Filippo Maria, trasse Bartolomeo Coleone, -condottiero bergamasco, e se lo fece compagno alle -imprese; colle artiglierie abbatteva mura che prima -arrestavano gli eserciti, e prosperò nella guerra <i>marchesca</i>. -Assediata Piacenza, la piazza più forte dopo -Milano, riuscì a prenderla ed entrar per la breccia (1447 16 9bre): fatto -portentoso e quasi nuovo nell’arte guerresca d’allora, ove -la difesa era ancor superiore all’offesa. La città venne -abbandonata al peggiore saccheggio e a tutti gli obbrobrj -de’ soldati, che violentavano a scoprire i tesori; -diecimila cittadini furono venduti; i ferramenti, i legnami -portati a vendere nelle vicine città; nè Piacenza -più risorse. -</p> - -<p> -Ma lo Sforza non operava a pro di Milano; anzi, -dopo ch’ebbe con insigni vittorie, e massime con quella -di Caravaggio (1448), fiaccato i Veneziani che erano stati a un -punto d’acquistare il Milanese, e fattone prigioniero l’esercito, -arsa la flotta, patteggiò di lasciar loro non soltanto -Bergamo e Brescia, ma e il Cremasco e la Geradadda, -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -cioè fino all’Adda, purchè l’ajutassero a succedere -a Filippo Maria. L’accordo fu accettato (18 8bre). -</p> - -<p> -Francesco aveva un buon esercito, i Milanesi nessuno; -prima Pavia, poi Piacenza, poi altre città lo chiedeano -signore; perfidie non lo sgomentavano, e Cosmo de’ Medici -amico suo gli aveva insegnato a badare alle convenienze -proprie, non alle altrui, e che il mondo non -si governa coi paternostri. In Milano rincalorivano le -parti di Guelfi e Ghibellini; e i primi, guidati dal Trivulzio, -avrebbero voluto una pace che assicurasse la -Repubblica e dai nemici e dal difensore: il Lampugnani, -il Bossi ed altri Ghibellini ricusavano la pace con -Venezia, che sottraeva tanto territorio, e che preparerebbe -forse la dominazione di quella città: il vulgo -tumultuava ora per questi, ora per quelli, secondo l’opinione -o le ciancie o il denaro. Carlo Gonzaga di Mantova, -fatto comandante della città, batteva la mira a -rendersene signore appoggiandosi ai Guelfi, sicchè i -Ghibellini entrarono in trattati collo Sforza per garantire -o qualche franchigia alla patria o qualche vantaggio -a sè; ma scoperti, furono mandati al supplizio -Lampugnani ed altri, molti in fuga, confiscati i loro -beni. Allora prevale quella seconda schiera che sottentra -sempre ai moderati; e nuova gente senza credito, -traforatasi nel governo e impinguatasi delle confische, -impresse l’impeto rivoluzionario, eccitò i Milanesi a -resistere al traditore, al disertore, giurando piuttosto -darsi al granturco e al demonio; spedirono per tutto -bandi che il diffamavano; promisero diecimila zecchini -di mancia e altrettanti in fondi a chi l’uccidesse; chiesero -soccorsi dal duca di Savoja, i cui soldati non -dando quartiere, facevano quel peggio che sapessero. -I Milanesi stessi aveano scritto milizie paesane con fucili, -arma nuova che, per quanto imperfetta, incuteva -terrore ai dapprima invulnerabili corazzieri; e le battaglie -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -divennero sanguinose, e costarono la vita a molti -prodi condottieri. -</p> - -<p> -Ma lo Sforza era di lunga mano superiore per sentita -di guerra, e sostenuto dai Veneziani, che tradivano -cittadini liberi per procacciarsi un pericoloso vicino. -Tardi s’accorsero dell’ambizione dello Sforza, e fecero -pace colla Repubblica Ambrosiana; e avendo lo Sforza -ricusato riconoscerla, spedirono truppe a soccorso di -Milano (1449 27 7bre): ma l’incerta fede de’ capitani di ventura, disertati -dalla Repubblica per mettersi dove la fortuna piegava, -e il valore d’esso Sforza ne elisero l’effetto. Milano, -disperata di miglior consiglio, proponeva di sottomettersi -alla Serenissima; ma lo Sforza, domate Monza, -Melegnano, Vigevano e le altre città provinciali, cinse -la capitale. Il popolo, visti uscir vani tutti i suoi partiti, -si levò a rumore, mosso dall’oro nemico, secondo la -frase antica e moderna; cassò i magistrati popolari, -ostinantisi alle armi, per surrogarvene di ghibellini: i -quali però neppur essi aveano un disegno premeditato, -nè sapeano finire la guerra, a terminar la quale erano -stati eletti. Carlo Gonzaga, che avea mostrato l’ambizione -del comando, non l’abilità, come vide i nuovi -capitani della libertà non favorire alle aspirazioni sue, -ma voler lui stesso obbediente, patteggiò collo Sforza, -facendosi dare Tortona in compenso del tradimento. -Gaspare Vimercato in parlamento dipinse la trista situazione: — I -soccorsi piemontesi sono fiacchi, lontani -quei di Napoli, pericolosi quelli dei Veneti; ecco crescere -ogni giorno orrida e irreparabile la fame; più -che un disperato resistere, non val meglio cercare pane -e riposo allo Sforza? alla fine egli vanta de’ diritti, -sicchè avrà minor bisogno d’infierire, e piuttosto desiderio -di conservare». La proposizione fu accolta al -solito da fischi ed urli, tra i quali però il senso comune -si fe strada; la fame operò il resto, e il popolo assalì -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -a tumulto il palazzo del governo; onde s’inviò a fare la -sommessione, e lo Sforza spedì tosto gran ristoro di -viveri, che il fece benedire. -</p> - -<p> -Ondate di Milanesi andavano a visitarlo ognidì al suo -quartier generale, e gli sciorinavano elogi in versi, -elogi in prosa, sonori quanto le imprecazioni che in -suo vitupero eransi fatte testè, da ciascuno a chi peggio. -Poi, il giorno della sua entrata (1450 26 genn.), «avevano preparato -un carro trionfale con un baldacchino di panno -d’oro, e così con gran moltitudine aspettavano il principe -avanti alla porta Ticinese. Ma Francesco per la -sua modestia ricusò il carro e il baldacchino, dicendo -tali cose essere superstizioni da re; il perchè, entrando, -andò al sagro e massimo tempio di Maria Vergine, e -fermo innanzi alla porta, si vestì di drappo bianco sino -a’ piedi, la qual veste era di consuetudine che si vestivano -i duchi quando pigliavano la signoria» (<span class="smcap">Corio</span>); -ebbe la corona ducale, e il Milanese si racconciò nella -monarchia militare. Francesco addormentò il popolo -colle feste; coi belligeranti strinse buoni accordi; l’una -dietro l’altra tornò in obbedienza le città, che preponevano -ad una libertà procellosa una tranquilla servitù, -ed ultime anche Como e Bellinzona; e incominciava -una nuova politica e una nuova dinastia, preconizzata -ai destini più insigni, e che pure dovea, fra micidj e -tragedie, giungere a stento alla sesta generazione. -</p> - -<p> -Egli seppe mettere nel fodero la spada, colla quale -aveva acquistato un sì bel dominio, e attese a far dimenticare -la violenta origine e riconciliarsi i popoli col -modo migliore, il beneficarli; non diè carico a’ suoi -avversi; non lasciò campo a quelle riazioni, che irritano -ed inimicano; resse con saviezza, restituendo al -governo il vigore senza la crudeltà de’ Visconti; e riuscì -uno dei principi più grandi e, secondo il tempo, de’ più -buoni. Nella capitolazione erasi stipulato non si darebbe -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -impiego a verun forestiero, i tribunali starebbero sempre -in Milano, non rincarite le gabelle, garantiti i creditori -dello Stato, messi fuor di città i soldati. Vedendo -che «la plebe, riavvezzata alle armi, si ricordava della -libertà», lo Sforza pensò ricostruire l’abbattuta fortezza; -ma non volendo con ciò mostrare diffidenza, sparse -tra il popolo suoi creati, che persuadessero ciò come -ornamento e sicurezza della città; e per quanto i meglio -avvisati si opponessero, gli altri prevalsero, e le parrocchie -pregarono il duca di fabbricare il castello, che -riuscì il meglio forte d’Italia in piano. Monumento più -insigne della Sua munifica pietà rimane l’Ospedal -grande, sontuosa fabbrica nella quale raccolse i varj -ospedali della città; compì il naviglio che mena l’Adda -a Milano. Sul trono serbò i modi franchi acquistati -negli accampamenti; liberale dell’oro, asserendo non -esser nato per fare il mercante; onorò le arti, favorì i -letterati; davasi premura di smentire le dicerie sul -conto suo, e di spiegare i motivi delle sue azioni. -</p> - -<p> -Tutto che militare, associò la sua politica a quella -del negoziante Cosmo de’ Medici, che gli continuò sempre -una grossa pensione; dissipò una lega che Venezia -aveva giurata a danno di lui col re di Napoli, il duca -di Savoja, il marchese di Monferrato, i Senesi, i Correggeschi: -e seppe mostrarsi necessario ai varj potentati. -Doppio matrimonio il collegò coi reali di Napoli, -altri col marchese di Mantova, colla Savoja e con Francesco -Piccinino, capitano non degenere dal padre, pel -qual modo si furono riconciliati Sforzeschi e Bracceschi: -e se ai Veneziani fu costretto lasciare Bergamo, Brescia, -Crema, col loro circondario, di rimpatto acquistò Savona -e Genova. -</p> - -<p> -Questa città non parve sottrarsi al duca di Milano -che per avventarsi più dissennata nelle discordie tra -Fregosi e Adorni, i quali strappavansi a vicenda l’effimero -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -dogato. Ne conseguì tal debolezza, che la Repubblica, -atterrita anche dall’avanzarsi de’ Turchi i quali -avevano occupato Costantinopoli, non credette poter -difendere la Corsica e la Gazarìa altrimenti che col -cederle al Banco di San Giorgio. In questo soltanto si -conservava la virtù repubblicana; non fazioni, non -corruttela, non turbolenze, ma quieta e savia amministrazione, -attenta previdenza da mercanti; esempio che -sciaguratamente non sapessi imitare dai cittadini. I -quali di nuovo ricorsero allo sciagurato partito di darsi -a’ forestieri; e Carlo VII di Francia, avutane la signoria, -spedì Giovanni d’Angiò a governar Genova (1458), e la fece -sua piazza d’armi per guerreggiare il Napoletano. Ma -d’una tal guerra stanchi i Genovesi, si sollevarono contro -Francia (1461), e Carlo tentò invano coll’armi ridomarli. -</p> - -<p> -In quei fatti cominciò a segnalarsi il cardinale arcivescovo -Paolo Fregoso, che poi, valendosi della costernazione -in cui era Genova per le crescenti conquiste -de’ Turchi e per le interminabili nimicizie co’ reali di -Napoli, ottenne per intrighi di far salire al dogato un -suo cugino Spinetta. Costui in breve fu cacciato di posto, -non però di speranza; e in tre Fregosi fu mutata -quell’anno la dignità di doge, che per costituzione era -in vita (1463). Alfine riuscì ad aversela l’arcivescovo, e ne -informò il papa, che rispose: Non dissimuleremo la -meraviglia al sentirti accettare il governo temporale -d’una città che a lungo non tollera governanti. Tu ’l sai -per prova, ed a noi stessi giunsero a un tempo le nuove -della tua prima elezione e dell’infelice cacciata. Non è -certo impossibile esser principe e vescovo insieme; ma -corre obbligo tanto maggiore di operare virtuosamente. -Molte cose si condonano in un secolare, che sono intollerabili -in un ecclesiastico. Ad una norma non procedono -l’Impero e la Chiesa. Il sacerdote vuol essere -tutto clemenza, tutto carità e amor paterno, astenersi -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -dal male vero, schifare pur l’apparente. Se tali sono le -tue intenzioni, se vuoi giusto e piamente imperare, non -solamente sopra il tuo popolo, ma su te stesso; se non -l’ingiuria del prossimo ma ti proponi la difesa del nome -cristiano contro gl’Infedeli, confidando che cotesto principato -sia stato a te conferito secondo le leggi della tua -patria, e che ne userai a benefizio del popolo, in nome -della santa Trinità noi lo benediciamo». -</p> - -<p> -Già prevedete che neppure l’arcivescovo doge vi si -assodava; e si tornò ad esibirsi a Luigi XI di Francia, -re positivo, che non amava gl’incrementi non fruttiferi, -e sopra ogni merito stimava l’obbedire e star quieti, si -fosse popolo o baroni. Quando dunque i Genovesi offersero -di darsi a lui, rispose: — Ed io li do al diavolo». -</p> - -<p> -Quell’astutissimo facea gran conto de’ consigli e’ dell’amicizia -di Francesco Sforza, il quale nella guerra di -Borgogna lo sussidiò anche di quattromila cavalli e -duemila fanti, capitanati dal proprio figlio Galeazzo -Maria, che mostrarono anehe oltremonti non esser bugiarda -la reputazione del valore sforzesco: in compenso -Francesco si fe cedere Savona, aspirando a Genova. -Frattanto Monaco, Finale, Ventimiglia erano sollevate, -Cipro si staccava, e l’arcivescovo doge non curava o -non sapeva rimediarvi; vilipesi i magistrati, rispettato -chi avesse baldanza; i luoghi di San Giorgio caduti a -ventitre lire; i Fregosi stessi a guerra fra loro. Molti -malcontenti fuggivano a Milano, e Francesco gli accoglieva; -alfine mandò bande sopra Genova (1464), e bastò -perchè l’arcivescovo se ne andasse; il Castelletto non -tardò a cedere, e ambasciadori vennero (13 aprile) ad offrire la -superba capitale della Liguria, e seco la Corsica, al signor -di Milano. -</p> - -<p> -Questi poteva aspettarsi qualche ostacolo alla sua potenza -per parte dell’Imperatore. Sigismondo avea sposato -la figlia Elisabetta ad Alberto d’Austria, e sudato -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -perchè a questo passassero le corone d’Ungheria e -Boemia: in fatto l’ottenne (1439), come anche quella di Germania. -Morendo prestissimo, Alberto lasciò la moglie -gravida d’un figliuolo, che fu detto Ladislao Postumo; -e suo cugino Federico III d’Austria assunto all’Impero, -ebbe regno più lungo che qualunque altro suo predecessore, -e concentrò in sè le eredità de’ tre rami austriaci. -Pigro e pusillanime, le lodi dategli da Enea -Silvio Piccolomini, che prima fu suo segretario, poi papa -Pio II, non l’assolvono dell’avere per negligenza e avarizia -lasciato che l’Impero andasse sossopra fra guerre -ripullulanti, mentre portava al colmo la propria famiglia, -a’ cui membri attribuì il titolo d’arciduchi, e adottò -per divisa <span class="smcap lowercase">AEIOU</span>, volendo esprimere <i>Austriæ Est -Imperare Orbi Universo.</i> -</p> - -<p> -Anch’esso volle scendere in Italia (1452), non per rinnovare -la maestà dell’Impero, ma per farsi incontro ad Eleonora -di Portogallo sua fidanzata; il giornale di questa -comparsa attesta quanto i nostri, malgrado tante sciagure, -precedessero in civiltà i forestieri. Nicolò Lanckman -suo cappellano, per giungere in Portogallo, dovette -col suo seguito travestirsi da pellegrino: eppure o bande -di masnadieri, o prepotenti comandanti delle città li -spogliavano tratto tratto<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>; felici allorchè trovassero -qualche banchiere fiorentino che li rifornisse di denaro. -Federico a Siena ebbe incontro ben quattrocento dame -di quella terra: dovette cercare un salvocondotto dal -Coleone, che allora guerreggiava in Romagna<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>: entrando -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -in Firenze, Carlo Marsuppini segretario della -Repubblica gli recitò un’orazione latina gonfia di stile -e vuota di cose, quale usavano gli eruditi; il Piccolomini -rispose frasi positive e dirigendo alcune domande, alle -quali il Marsuppini non seppe rispondere perchè non -preparato. -</p> - -<p> -Federico traeva seco il nipote Ladislao Postumo, si -può dir prigioniero; e avendo gli Ungheresi tramato -di rapirglielo, i Fiorentini l’impedirono, ma invano -s’interposero presso l’imperatore a favor di quello. A -Roma fu sposato e coronato (18 marzo); a Napoli visitò lo splendido -Alfonso: del resto faceva mercato e cortesia delle -antiche pretensioni imperiali; per denari conferì a Borso -d’Este il titolo di duca di Modena e Reggio, e conte di -Rovigo e Comacchio; per denari creò nobili e notaj e -conti palatini quanti vollero. Allorchè visitò Venezia, -gli fu, tra altri donativi, presentato dalla Signoria un -magnifico servizio de’ cristalli di Murano; e sua maestà -fe cenno al buffone, il quale dando una spinta al tavolino -su cui era deposto, mandò ogni cosa a pezzi; e -i nostri mostrandone dispiacere, l’imperatore sclamò: — Fossero -stati d’oro, non si sarebbero infranti». -Francesco Sforza sapea dunque da qual lato pigliare -costui, che esitava a riconoscerlo duca; e bastò si mostrasse -risoluto a pagar con denari o a difendere colle -armi il titolo concessogli dal suo predecessore. -</p> - -<p> -Sedici anni dopo, Federico tornò in Italia, e tutti -almanaccavano reconditi fini al suo viaggio; ma scopo -unico n’era lo sciogliere un voto alla madonna di Loreto: -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -a Roma baciò le mani e i piedi del papa, gli -tenne la staffa, assistette da diacono alla sua messa. Non -volle riconoscere il successore di Francesco Sforza, -dicendo che duca di Milano era lui stesso; ma nulla -fece per sostenere tale pretensione. -</p> - -<p> -Meglio fortunato degli altri condottieri, lo Sforza potè -dirsi anche l’ultimo. E noi non vogliamo staccarci da -costoro prima di salutare Bartolomeo Coleone bergamasco. -Nel suo castello di Malpaga erasi dato alla -quiete, al bere, al novellare e sentir notizie de’ suoi -commilitoni, fossero le prosperità dello Sforza o i supplizj -del Piccinino, del Caldora, del Brandolini, d’altri, -contro cui ritorceasi il ferro de’ principotti dacchè più -non ne bisognavano. Dichiarato capitano generale dei -Veneziani, vi fu onorato come principe dalla Signorìa -e dal popolo: ma egli struggeasi di qualche impresa; -finchè Venezia finse congedarlo (1467) acciocchè passasse ai -fuorusciti fiorentini, cospiranti a ricuperare la patria. -A molti condottieri che gli si unirono, si opposero altri -pagati dal papa, dal re di Napoli, dal duca di Milano, -da Firenze, capitanati da Federico d’Urbino; ed esso -gli affrontò alla Molinella, giornata famosa ne’ fasti delle -guerre d’avventurieri. Le lunghe manovre finirono con -una pace, ove promettevasi mandar tutte le forze contro -i Turchi, sotto al Coleone; ma l’impresa non ebbe -effetto. Egli tornò al suo ritiro, dove gli giungevano -ripetuti inviti dal re di Francia, dal duca di Borgogna, -spesse ambasciate, e domande di consigli, e visite di -principi (1475). Ricchissimo e senza figli, pensò tramandare il -proprio nome con opere di beneficenza: lasciò alla Basella -una chiesa, due monasteri a Martinengo; a Bergamo -donò i bagni di Trescore, il canale de’ mulini, -tremila ducati d’entrata per costituire doti, e vi eresse -la ricchissima cappella di San Giovanni. Dell’ingente -sostanza, dotò per due terzi tre sue figlie maritate nei -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -Martjnenghi, quattromila ducati a due altre, cenquarantunmila -a luoghi pii, altra liberalità ai poveri, ai -servi, ai coloni, ai buffoni di sua casa. De’ rimanenti -ducentosedicimila ducati costituì erede la repubblica di -Venezia, oltre un credito di settantamila; o diecimila -in contanti perchè gli elevasse una statua, e dotasse -povere zitelle. -</p> - -<p> -Ma da questo tempo i capitani di ventura pérdono -importanza, e i principi hanno dominj estesi quanto -basti per levar truppe su quelli e finanze per mantenerle<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>. -Fra le battaglie interminate che da due secoli -si combattevano, i politici aveano immaginato che unico -modo di conservare Italia fosse il mantenervi la bilancia -fra gli Stati. A ciò contribuivano le alternate alleanze; -a ciò viepiù i condottieri col passare dall’uno all’altro, -in guisa che lo Stato più poderoso poteva al domani -trovarsi sguarnito, e il debole essere rinforzato con sussidio -di denari. Specialmente Firenze, posta di mezzo -fra Venezia e Milano a settentrione, Napoli e il Patrimonio -della Chiesa a mezzodì, accostavasi agli uni o -agli altri secondo vedeva necessario di correggere la -prevalenza di questi o di quelli. È quel famoso sistema -d’equilibrio, che l’ammodernata Europa si vanta d’avere -inventato, dopo che la sua politica cessò d’essere costituita -sopra idee morali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -</p> - -<p> -Le città dell’antica Lega Lombarda stavano tutte a -dominio d’un solo, eccetto Bologna che alternava fra -tirannia e franco stato. La Sesia segnava i confini del -Milanese col Piemonte, ove i duchi di Savoja per -molto tempo nessun altro acquisto fecero che della -contea d’Asti. La Toscana obbediva ai Fiorentini, tranne -Siena e Lucca indipendenti; Ferrara e Modena agli -Estensi, pacifici e colti come educati dal Guarino veronese; -Mantova ai Gonzaga, prodi guerrieri, e insieme -istrutti nelle lettere da Vittorino da Feltre; Urbino passava -dai Montefeltro a casa della Rovere; Romagna era -sminuzzata in cento signorie, divise fra l’alto dominio -papale e l’imperiale. -</p> - -<p> -A Venezia, più che rimestare le cose d’Italia, sarebbe -stato opportuno curar quelle d’oltremare, dar fiore alle -colonie di Levante, e farle partecipi della cittadinanza: -eppure, mentre diciottomila cavalli ed altrettanta fanteria -pose in campo contro il duca di Milano, in Morea -non mantenne mai meglio di duemila uomini di truppe -regolari. A voler prolungare la’ sua grandezza, minacciata -dalle conquiste ottomane e dalla nuova direzione -presa dal commercio, le sarebbe giovato farsi potenza -illirica, o almeno trasferire in qualche isola di Dalmazia -il porto troppo infelice in città, e dove a questa -avrebbe servito d’antemurale; e raccogliendoci i Greci -che fuggivano dalle spade turche, e soccorrendo agli -Albanesi che vi resistevano, alzare una potenza a contrasto -dell’ottomana<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>. Ma i nobili stavano attaccati -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -alla città, da cui traevano il titolo di loro preminenza; -il popolo credeva patriotismo il concentrare nelle isole -tutta la vita; i mercanti voleano aver terre da spogliare; -e intanto chi ne profittava era il nemico comune. -</p> - -<p> -Che che però ne fosse della convenienza d’aver surrogato -una politica guerresca alla pacifica che Tommaso -Mocenigo raccomandava, Francesco Foscari avea per -trentaquattr’anni coperto Venezia di gloria militare, e -campatala dalla minaccia dei Turchi. Ma come si tornò -in pace con questi e coll’Italia, rivisse dentro la parzialità -dei Loredano, implacabilmente ostile al doge. Non -paga di contrariarlo in ogni proposta, in ogni interesse, -volle essa trafiggerlo nella parte più sensitiva, cioè in -Jacopo, unico figlio sopravissutogli. Poco innanzi, le -costui nozze eransi celebrate con pompa principesca: -trentamila persone per dieci giorni s’affollarono sulla -piazza San Marco a vedere le giostre che vi avea bandite -Francesco Sforza, e dove il marchese d’Este e il -Gattamelata fecero prova di sè (1445), tra gli applausi delle -patrizie vestite di broccato d’oro. Ora a questo figlio fu -data accusa d’aver ricevuto regali da principi forastieri, -e nominatamente da Filippo Visconti; e interrogatone -avanti al padre e al consiglio de’ Dieci, fra gli spasimi -della tortura confessò. Relegato in Romania, per -fievole salute ottiene di restare a Treviso. Ma dopo -cinque anni essendo ucciso Ermolao Donati uno de’ suoi -giudici, n’è imputato Jacopo (1450), e messo di nuovo alla -tortura, benchè negasse<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>, fu bandito alla Cánea, nè -gli si consenti il ritorno, sebbene un Erizzo morendo si -confessasse reo di quel sangue. Jacopo allora, struggendosi -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -pel desiderio della nativa laguna, dei cadenti -genitori, della moglie e de’ figli; nè trovando chi in -Venezia parlasse a suo pro, si volge al duca di Milano -perchè gl’impetri di recare in patria le ossa infrante. -Era severamente vietato interporre stranieri in cose -di Stato: perciò, essendo la lettera intercetta (1454), ed egli -chiamato, «dopo trenta squassi di corda» confessa -averla scritta apposta ond’essere ricondotto in patria -almeno pel processo. Un nuovo giudizio lo confina a -Candia, concedendogli d’abbracciare i parenti, ma senza -poter confondere le lacrime che sotto l’occhio dell’autorità. -«Il doge era vecchio in decrepita età, e camminava -con una mazzetta. E quando egli andò, parlogli -molto costantemente, che parea non fosse suo figliuolo, -<i>licet</i> fosse figliuolo unico. E Jacopo disse: <i>Messer padre, -vi prego che procuriate per me acciocchè io torni -a casa mia</i>. Il doge disse: <i>Jacopo, va e obbedisci a -quello che vuole la terra, e non cercar più oltre</i>. Ma -si disse che il doge, tornato a palazzo, tramortì» -(<span class="smcap">Sanuto</span>). -</p> - -<p> -Il figlio morì di crepacuore; il padre continuò a subire -la nimicizia de’ Loredani; ed essendo morti due di -essi quasi subitaneamente; ne fu imputato egli stesso; -Jacopo Loredano finse di crederlo, e s’impegnò a vendicarsene (1457). -Fatto dei tre inquisitori, imputò il Foscari -d’avere per la perdita del figlio mostrato un dolore che -sapea di rimprovero, e come vecchio e acciaccoso propose -di deporlo. Due volte il Foscari aveva esibito di -abdicare, e, non che consentirglielo, era stato indotto -a giurare di non ripetere la domanda finchè la guerra -il rendeva necessario: ma allora, benchè fosse caso -senz’esempio, fu obbligato a rassegnar la sua carica fra -ventiquattr’ore, e uscì dal palazzo, dov’era abitato per -trentacinque anni, senza figliuolo nè amici nè forze, tra -un popolo che l’amava, ma che più temeva l’inquisizione -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -allora appunto istituita (1457), tra i varj corpi dello -Stato, nessun de’ quali osava protestare contro questa -violazione della popolare sovranità. Quando la squilla -di San Marco annunziò sortito il suo successore (23 8bre), il vecchio -Foscari spirò; e sulla sfarzosa tomba erettagli -ne’ Frari fu scritto: «Eccovi, o cittadini, l’effigie del -vostro doge Francesco Foscari, per ingegno, memoria, -eloquenza, inoltre giustizia, forza d’animo, consiglio, -per lo meno degno di pareggiar la gloria de’ più gran -principi: non mai troppo mi parve l’amore verso la -mia patria; gravissime guerre in terra e in mare per -la salute e dignità vostra per più di trent’anni con -somma fortuna sostenni; sorressi la pericolante libertà -d’Italia; i perturbatori della quiete repressi colle armi; -Brescia, Bergamo, Ravenna, Crema aggiunsi allo Stato -vostro; d’ogni ornamento crebbi la patria; data a voi -la pace, stretta Italia in tranquilla lega, esauste tante -fatiche, dopo ottantaquattr’anni di vita e ventiquattro -di dogato all’eterna pace passai. Voi la giustizia e la -concordia conservate, acciocchè sempiterno sia questo -impero». -</p> - -<p> -Il Loredano, alla partita di debito che aveva aperta -ne’ suoi registri a carico de’ Foscari per la morte dei -suoi parenti, contrapponeva <i>Pagata.</i> Bel tema di romanzi -e tragedie, e opportuno contrapposto all’ambizione -fortunata dello Sforza: nè noi siamo disposti a -scagionare ingiustizie e tirannie, vengano da repubbliche -o da despoti, da forestieri o da nostrali. -</p> - -<p> -Ma l’amor delle arti, della quiete, delle lettere invadeva -principi e popoli, non più la sola guerra; l’interesse, -che un tempo si fermava unicamente sul capitano, -dirizzavasi anche al letterato e al pittore; e d’altra -materia empiremo noi il libro che succede a questo di -perpetue battaglie. Repente l’attenzione e i ragionamenti -si volsero sulle conquiste de’ Turchi; e la presa -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -di Costantinopoli (1453) fu guardata da tutti come domestica -sciagura, come un pericolo universale, del quale si doleano -d’essersi accorti troppo tardi. Allora Francesco -Sforza concepì il divisamento di stringere tutta Italia -in federazione, all’intento d’escluderne gli stranieri qualunque -si fossero, e conservare la pace interna; e mediante -frà Simonetto da Camerino (1454), fu stipulata in Lodi -tra esso Sforza e i Veneziani, come padroni disponendo -anche degli altri Stati d’Italia: Cosmo de’ Medici, i signori -di Savoja, di Monferrato, di Modena, di Mantova, -le repubbliche di Siena, Lucca, Bologna e il papa vi -aderirono; e da ultimo anche Alfonso di Napoli: onde -per un momento Italia respirò dalle battaglie, e potè -sperare che una confederazione le salvasse l’indipendenza -e la libertà. Fu un sogno anche questa volta. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -</p> - -<h2 id="libro11">LIBRO UNDECIMO</h2> - -<h2 id="cap117-11">CAPITOLO CXVII. -<span class="smaller">I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj.</span></h2> -</div> - -<table class="papi"> - <tr> - <td colspan="6" class="center"><span class="smcap">Papi durante lo scisma</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"><span class="smcap">Urbano VI</span> (Bartolomeo Prignano) eletto<br> il 9 aprile 1378 da sedici cardinali, quindici de’ quali poco poi eleggono</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Clemente VII</span> (Roberto di Ginevra) 21 settembre 1378</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Bonifazio IX</span> (Pietro Tomacelli) 2 novembre 1389</td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Benedetto XIII</span> (Pietro di Luna) 28 settembre 1394, deposto dal concilio di Pisa, 5 giugno 1409, poi da quello di Costanza, 26 lugl. 1417</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Innocenzo VII</span> (Cosma Meliorati) 17 ottobre 1404</td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Gregorio XII</span> (Angelo Correr) 30 novembre 1406, deposto dal concilio di Pisa, 5 giugno 1409; abdica, 4 luglio 1415</td> <td colspan="2" class="vbot center"><span class="smcap">Alessandro V</span> (Pietro Filargo) 26 giugno 1409</td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> <td> </td> <td class="bl"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="vtop center"><span class="smcap">Martino V</span> (Ottone Colonna) 11 nov. 1417 resta papa, finendo lo scisma</td> <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Giovanni XXIII</span> (Baldassarre Cossa) 17 maggio 1410 deposto dal concilio di Costanza, 29 mag. 1415; abdica, 13 mag. 1419</td> <td colspan="2" class="vtop center"><span class="smcap">Clemente VIII</span> (Gilles Muñoz) in giugno 1424 eletto da due cardinali; abdica, 26 luglio 1429</td> - </tr> -</table> - -<p class="pad2"> -La prolungata dimora dei papi in Avignone d’estremo -disgusto era motivo agl’Italiani, avvezzi a bersagliarli -finchè li possedono, ribramarli appena gli abbiano perduti. -E tanto più che, cessando i vantaggi, non cessavano -le noje; e di là arruffavano essi la patria nostra vie -peggio, perchè dei mali che le procacciavano non erano -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -partecipi. Dal 1317 sino al chiudersi del secolo li vedemmo -in guerra guerreggiata contro i Visconti di Milano, -e per sottomettere popoli rivoltosi, o signorotti -ripullulanti nelle terre papali; e non ostante le vittorie -di Bertrando del Poggetto e dell’Albornoz, altro effetto -non ne trassero che di rovinarle di popolo e di frutti. -</p> - -<p> -Innocenzo VI (Stefano d’Aubert) (1352), che si diè tanto -moto per rintegrare il potere pontifizio in Italia, moderò -il lusso di sua Corte e de’ prelati, cacciò i parasiti e le -male donne che in Avignone trafficavano famosamente, -e impinguò i nipoti, obbrobrio omai comune. Al suo -tempo il re di Francia, fiaccato dalle lotte coll’Inghilterra, -trovavasi impotente a salvaguardare il papa, -ricovratosi sotto la sua ala; il popolo stesso francese, -tumultuante per quelle idee che oggi si chiamano comunismo, -facea macello di possidenti e di ricchi (<i>la Jacquerie</i>); -e le bande di ventura rimaste senza soldo fiutavano -ove fosse a saccheggiare. Mossero elle (1361) sopra -Avignone, sicchè i papi dovettero provvedere a difendersi -e gridare al soccorso: ma non n’ebbero se non -dai nobili del contorno, i quali vi vedeano l’interesse -proprio, ed erano pagati dai cardinali; poi il marchese -di Monferrato, avuti centomila fiorini del tesoro papale, -soldò quelle bande e le menò in Italia per adoprarle -nelle proprie nimicizie. -</p> - -<p> -Se non che la peste era stata recata in Avignone da -quelle ciurme, e nove cardinali, settanta prelati e gran moltitudine -perirono. Le quali sventure faceano ribramare -l’Italia, e Urbano V (Guglielmo di Grimoard) (1362), buon principe -e buon cristiano, divisava restituirvi la sede, anche -per tôrre agli altri vescovi il pretesto di lasciar vedove -le chiese, a sè la necessità di annuire alle crescenti domande -del re di Francia, e sottrarsi alle masnade che -tratto tratto ritornavano a taglieggiarlo, tra cui quella -del famoso Bertrando Di Guesclin pretese centomila lire -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -e l’assoluzione plenaria. Ma i cardinali preferivano Avignone, -dove non si trovavano a fronte nè la petulanza -d’una plebe riottosa come la romana, nè la prepotenza -de’ baroni; sicchè vi si erano adagiati come in domicilio -stabile, aveano fabbricato suntuosamente, e quindi -persuadevano il papa dover egli preferire la Francia: -questa, sua patria; questa, centro dell’Europa; questa, -meglio governata e quieta che l’Italia; questa, più santa -di Roma perchè religiosissima già la chiamava Cesare, -e i Druidi vi esistevano prima del cristianesimo; questa -infine, più cara a Gesù Cristo perchè vi si conservavano -le reliquie più insigni<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>. -</p> - -<p> -I Turchi sempre più guadagnavano verso l’Europa; -e Pietro Lusignano re di Cipro girava le corti esortando -a sostenere gli ultimi possessi de’ Crociati, se -non voleano vedere la mezza luna drappellarsi rimpetto -all’Italia. Urbano sembrò compunto di questo -pericolo; Carlo IV imperatore fece grandi preparativi -per una crociata, la quale però non riuscì se non ad -uno sbarco scarso ed infruttuoso sopra Alessandria -d’Egitto. -</p> - -<p> -Però e il papa e l’imperatore presero accordo di -ripristinare la santa Sede a Roma. Questa città avea -sempre altalenato fra insania demagogica e oligarchica -arroganza, or ribelle al pontefice per bizzarria, or sottomessagli -per paura. Si pensò ottenere maggior quiete -col nominare un podestà forestiero: ma i Romani sel -recarono ad oltraggio, e abolito il senatore, istituirono -sette riformatori della Repubblica; poi fra poco diedero -poteri dittatorj a Lello Pocadote calzolajo, poi ripristinarono -i riformatori. Quale allettamento aveva dunque -un papa a ritornarvi? Pure sentiva esser fuori di posto -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -in una terra dove vestiva aspetto d’un esule ricoverato, -piuttosto che d’un sovrano dei re; e dove prelati quasi -tutti francesi davano alla Corte un’aria nazionale, ben -diversa da quella cosmopolita che soleva in Roma; l’assenza -sua porgeva pretesto ai Romani di rivoltarsi, agli -altri vescovi di abbandonare le proprie sedi. Adunque, -da che le conquiste dell’Albornoz assicurarono il principato -civile (1367), Urbano deliberò restituirsi di qua dall’Alpi. -</p> - -<p> -Appena se ne motivò, Roma e Italia tutta fecero -gran sembianti d’allegrezza; Napoli offrì cinque galee, -Pisa tre, Genova quattro, Venezia dieci, due Lucca. -Ricevuto dappertutto con vive feste, e fra un cantare -al popolo d’Israele che usciva d’Egitto, alla casa di -Giacobbe dal popolo barbaro, non avea però troppi -motivi a fidarsi de’ Romani. In Viterbo, ove a lungo -s’indugiò, una sommossa popolare tenne tre giorni in -pericolo il sacro collegio; e repressa dai cittadini, furono -arrestati cinquecento colpevoli, di cui cinquanta -ebbero il bando, sette la forca. L’arrivo di Nicolò II -d’Este con settecento uomini d’arme rassicurò il papa -ad entrare a Roma, e celebrò sull’altare papale, ove -nessuno più da Bonifazio VIII in poi; e in Laterano benedisse -il popolo colle teste dei santi Pietro e Paolo, -per le quali fece fare due reliquiarj, che valsero trenta -e più mila fiorini d’oro. Abolì i riformatori, rimettendo -un senatore semestrale con tre conservatori; e tolse i -tredici banderesi, capi de’ rioni fin con diritto di sangue, -e che traendo a sè tutti gli affari, rimanevano i veri -padroni della città. -</p> - -<p> -Vi giunse poi, come avea promesso, Carlo IV con -gran seguito di duchi e marchesi, volendo procacciare -alla quarta sua moglie lo spettacolo della coronazione -colla maggior maestà che fosse possibile. Anche Giovanni -Paleologo imperatore di Costantinopoli venne a -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -fare omaggio a Urbano, e riconoscere la Chiesa latina; -spettacolo non più visto da Teodosio in poi, gl’imperatori -d’Oriente e d’Occidente inginocchiati davanti al papa. -Ma Carlo partì fretta fretta, e Urbano, che proponeasi -di rassettare la dignità della Chiesa coll’assistenza di -cinquantamila uomini da lui promessigli, si trovò in -asso: che se finchè stette in Avignone facea qualche -mostra di vigoria adoprando l’oro racimolato da tutta -cristianità a domare questi signorotti lontani, allora si -trovò in loro balia e colla borsa vuota; mentre Bernabò -Visconti, ridendosi delle scomuniche, gli ammutinava -tutte le città di Romagna. Vedendo dunque non approdare -a verun bene, malgrado le esortazioni de’ più e del -Petrarca, tornossi ad Avignone (1370), anzi vi consolidò l’esiglio -coll’eleggere altri cardinali francesi; e l’Italia continuò -le minute baruffe, ispirate da gelosie, esercitate -dalle bande. -</p> - -<p> -Caterina, nata in Siena (1347) da Benincasa ricco tintore, -datasi alla solitudine, alle austerità, all’orazione, fatto -voto di verginità e difesala contro la insistenza domestica, -cominciò ad avere torrenti di grazie dal Signore, -il quale «le avea insegnato a fabbricarsi un ritiro dentro -dell’anima sua per richiudervisi di continuo, e le aveva -anche promesso di farvi trovare tal pace e riposo, che -niuna tribolazione potrebbe turbare»<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>. Si vestì terziaria -di san Domenico, e superando gli spasimi d’incurabili -malattie e le impure tentazioni, ristorando l’anima -colle dolcezze della preghiera e colla carità verso -gl’infermi e i peccatori, ebbe rivelazioni e comunicazioni -celestiali; Cristo in visione le esibì a scegliere fra -una corona d’oro e una di spine, e poichè ella prese -questa e la si calcò sul capo per somigliare a lui, egli -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -le diede a succhiare il proprio costato; un altro giorno -cambiò il cuore di lei col suo; la sposò anche solennemente, -porgendole un anello che sempre le rimase in -dito, e ch’ella sola vedeva, come le stigmate della passione. -Tali e ben altre meraviglie ci sono narrate dal -suo confessore Raimondo di Capua, il quale dubitò lungamente -fossero allucinazioni di devota fantasia, fin -quando non vide la giovane faccia di Caterina trasformarsi -in quella proprio del Redentore. -</p> - -<p> -Fu privilegiata del dono di convertir peccatori, come -fece di tutta la famiglia Tolomei, e di due assassini dannati -al patibolo; tantochè il papa deputò tre Domenicani -che in Siena ricevessero le confessioni di quelli -ch’essa avea tratti a penitenza. Del potere che la virtù -davale sugli animi, avea fatto uso a minorare i patimenti -della sua patria; cercò distogliere il feroce avventuriero -Giovanni Acuto dal più guerreggiare i Cristiani. -Alla santa ebber ricorso i Fiorentini quando il pontefice -stava irato con essi; ed ella, schermitasi invano, fu -ricevuta a Firenze come in trionfo, ottenne pieni arbitrj, -e al papa scriveva: — Pregovi che vi mandiate proferendo -come padre, in quel modo che Dio vi ammaestrerà, -a Lucca ed a Pisa, sovvenendoli in ciò che si -può, ed invitandoli a star fermi, perseveranti. Essi -stanno in gran pensiero, perocchè da voi non hanno -conforto, e dalla contraria parte sono stimolati e minacciati -che facciano la pace; ma per infino a qui al -tutto non hanno acconsentito. Seguitate la mansuetudine -e pazienza dell’agnello immacolato Gesù Cristo, la cui -vece tenete. Confidomi in lui, che di questo e d’altre -cose adoprerà tanto in voi, che n’adempirò il desiderio -vostro e mio; chè altro desiderio in questa vita io non -ho, se non di vedere l’onore di Dio, la pace vostra, e -la riformazione della santa Chiesa, e di vedere la vita -della grazia in ogni creatura che ha in sè ragione. Confortatevi, -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -che la disposizione di qua, secondo che mi è -dato a sentire, è pure di volervi per padre, e specialmente -questa città tapinella, la quale è sempre stata -figliuola della santità vostra, e che costretta dalla necessità -fece di quelle cose che le sono spiaciute: voi -medesimo gli scusate alla vostra santità, sicchè coll’amo -dell’amore voi gli pigliate. Potreste dire, <i>Per coscienza -io sono tenuto di conservare e racquistar quello della -santa Chiesa</i>. Ohimè! io confesso bene che egli è la -verità, ma parmi che quella cosa che è più cara si debba -meglio guardare. Il tesoro della Chiesa è il sangue di -Cristo, dato in prezzo per l’anima, perocchè il tesoro -del sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma -per salute dell’umana generazione. Sicchè poniamo che -siate tenuto di racquistare e conservar il tesoro e la -signoria della città, che la Chiesa ha perduto; molto -maggiormente siete tenuto di racquistare tante pecorelle -che sono un tesoro nella Chiesa, e troppo ne impoverisce -quand’ella le perde. Pace, pace, santissimo padre; -piaccia alla santità vostra di ricevere i vostri figliuoli, -che hanno offeso voi padre; la benignità vostra vinca -la loro malizia e superbia; non vi sarà vergogna d’inchinarvi -per placare il cattivo figliuolo, ma saravvi -grandissimo onore ed utilità nel cospetto di Dio e degli -uomini del mondo. Ohimè, babbo, non più guerra per -qualunque modo; conservando la vostra coscienza si -può aver la pace; la guerra si mandi sopra gl’infedeli, -dove ella debba andare». -</p> - -<p> -Fu poi in persona ad Avignone, e Urbano anch’egli -rimise in lei ogni differenza; ma altri ambasciadori fiorentini -sturbarono la conclusione. Caterina non cessò -di esortare il papa ad armarsi alla crociata, ed a restituirsi -a Roma<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>, come seppe indovinargli n’avea fatto -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -voto segreto. Al quale uopo avea con lei contribuito -santa Brigida, nobile svedese, che, perduto il marito -mentre andavano pellegrini a San Jacopo di Galizia, -prese un vivere sempre più austero, e istituito l’ordine -di San Salvatore, venne in Montefiascone a cercarne la -conferma ad Urbano, cui annunziò averle la beata Vergine -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -rivelato come pessimamente gli avverrebbe se -uscisse d’Italia. Non le diede egli ascolto, ma tornato -in Avignone, presto (1370) fu colpito dalla morte<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a>. Pio a -segno, che si credettero operati miracoli al suo sepolcro, -generoso colle chiese e cogli studiosi, di cui manteneva -un migliajo sulle Università, avea regnato pei popoli non -per sè: ma è un’insipida lode quella attribuitagli dal -Petrarca, di non aver fatto nessun malcontento. -</p> - -<p> -Dopo una sola notte di conclave gli fu dato successore -Pietro Roger, modesto, virtuoso e insieme dottissimo, -che già cardinale frequentava a Perugia le lezioni -di Baldo, e ne fu il più sapiente scolaro. Volle il nome -di Gregorio XI, e badando ai gravi mali d’Italia e alle -esortazioni di quelle sante<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>, meglio che alle opposizioni -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -del re di Francia, piantossi in Vaticano (1377), e vide il -gonfalone della Repubblica e dei dodici rioni deposti -ai suoi piedi: ma i magistrati li ripigliarono ben presto, -continuando a governare da sè; di che il papa -soffrì e si scontentò, e forse solo morte gl’inpedì di -restituirsi di là dall’Alpi. Pure egli fu l’ultimo papa -francese; e dopo settantun anno e tre mesi la santa -Sede era stata riportata di Francia in Italia. Le miserie -di questa che fautori e avversari deplorano come schiavitù -di Babilonia, invigorirono la scossa che allora d’ogni -parte veniva alla maestosa unità cattolica, preponderante -nel medioevo. Le nazioni eransi formate attorno -ai vescovi, donde l’assoluto potere ecclesiastico, come -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -d’un padre sopra i figli che generò e crebbe. Costituitesi, -riuniti molti territorj, nato il potere pubblico, vollero -svilupparsi dalle fasce della Chiesa per vivere di -vita propria, e compresero che il temporale potea sussistere -disgiunto dallo spirituale: onde alla società senza -limite di spazio sottentravano società particolari e distinte, -all’andamento generale le parziali destinazioni. -</p> - -<p> -I tentativi di Bonifazio VIII per rintegrare la supremazia -pontifizia destarono ne’ principi quella gelosia, -che proviene mentosto da reali violenze che da paura. -Alle immunità attribuite ai beni ed alle persone degli -ecclesiastici, i Comuni non esitavano por la mano, dovessero -anche affrontare gli anatemi del pontefice. Pistoja -statuì che, chi entrava chierico, perdesse diritto -al patrimonio, nè dai parenti potesse ripetere alcuna -cosa, se non a titolo di largizione o per infermità o per -andare a studio. I Fiorentini sottoposero alle gravezze -e ai tribunali comuni gli ecclesiastici, perciò vietato di -far voltura in loro testa sul libro dell’estimo de’ beni a -loro pervenuti, talchè la ditta fosse sempre obbligata -alle gravezze, e i beni medesimi ipotecati a favore del -Comune. Venezia, nella guerra del 1379 coi Genovesi, -decretò tutti i monasteri si armassero, e cacciò i monaci -che lo ricusarono come contrario al loro istituto. A Genova -bastava esser chierico per rimanere escluso da -qualfosse pubblico impiego, per la ragione che l’immunità -gli avrebbe sottratti al castigo in caso di trasgressione. -Il comune di Perugia nel 1319 destinava un -uffiziale a sopravvegliare gli ecclesiastici; e propose -che nessuna lettera si mandasse al papa, foss’anche dal -vescovo, se non suggellata dal Comune (<span class="smcap">Graziani</span>). -Torino faceva uno statuto <i>super iniquitate, superbia -et immoderata avaritia cleri et presbyterorum</i>, e li -obbligava, oltre il resto, a concorrere a mantenere il -ponte sul Po. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -</p> - -<p> -Padova voleva aggravezzare i beni degli ecclesiastici, -questi ricusavano, e tant’oltre si andò che il Comune -nel 1282 stabilì, chi ammazzava un chierico pagasse -un grosso e fosse assolto (<span class="smcap">Gennari</span>), e vi ebbe chi ne -profittò a sfogo di vendette. Meglio i Reggiani, scomunicati -dal vescovo nel 1280, si può dire scomunicarono -lui, vietando ogni relazione coi cherici, non pagar loro -le decime, non dar consiglio nè ajuto nè prestito, non -pasti, non contratti con essi, non entrare in casa loro, -non macinarne il grano o fare il pane o radere la barba; -il che lo portò a pronta composizione. D’altra parte il -papa volendo rimeritare i Fiorentini d’avergli spediti -ajuti in Lombardia, nel 1323 concedette che il clero -contribuisse alla spesa di fortificare la città. Di rimpatto -il legato pontifizio voleva essere investito della -pingue abazia dell’Impruneta; e perchè i Buondelmonti -si opposero considerandola come loro patrimonio, egli -mise l’interdetto sulla città. -</p> - -<p> -Quando l’edifizio sociale era impiantato sulla fede, -ogni opposizione si risolveva in eresia: le scomuniche, -contro cui eransi fiaccati l’orgoglio e la potenza degl’imperatori -sassoni e svevi, perdeano efficacia dacchè prodigate -in effetti mondani; i Siciliani durarono ottant’anni -in rotta colla Chiesa; i Visconti degli interdetti si vendicavano -col pesare viepeggio sugli ecclesiastici; e gli -avvocati ergeano la fronte contro i papi, ai quali erasi -incurvata quella dei re. -</p> - -<p> -Ormai dalla fede assoluta passavasi alle religioni -comparate. Maestro Urbano da Bologna nel 1334 scrisse -un commento di Averroe, che invogliò a conoscere il -testo; e quelle opere entrarono di moda, e con esse i -dubbj sulla vita futura e la pendenza al panteismo; e -il Petrarca si piange che la filosofia aristotelica inducesse -al materialismo, tanto che non otteneva nome di -dotto e filosofo chi non aguzzasse la lingua e la penna -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -contro la religione. Un di costoro «i quali pensano non -aver fatto nulla se non abbajano contro di Cristo e della -sovrumana sua dottrina», andò a trovare il poeta a -Venezia, e lo cuculiava perchè avesse citato un detto -dell’apostolo delle genti, e — Tienti la tua religione, io -non ne credo acca; il tuo Paolo, il tuo Agostino e cotest’altri -furono chiaccheroni; e deh potessi tu soffrire -la lettura di Averroe, che ben vedresti quanto e’ sorvola -a cotesti tuoi buffoni». Petrarca se ne stomacò, e -tutto dolce ch’egli era, prese pel mantello e mise fuor -di casa il temerario. -</p> - -<p> -Nè per tanto si rinnegava la Chiesa. Quei Patarini -che l’aveano conturbata due secoli prima, erano scomparsi -d’Italia o nascosti; il popolo amava le splendidezze -del culto, se anche non ne venerava l’austerità, e compiaceasi -del papa e della corte pontifizia: gli studiosi -ostentavano questa incredulità accademica, ma non le si -conformavano nelle pratiche; e d’altra parte, non poteano -essi declamare contro la Corte romana colla libertà che -avea usata Dante, senza incorrere negli anatemi? Ma -dacchè erasi trasportata in Avignone, e Guelfi e Ghibellini -del pari la bersagliavano, quasi cessasse d’essere -cattolica cessando d’essere romana. Il Sacchetti mercante, -il Petrarca canonico, il Pecorone frate, e persone -di grande scienza e di celebrata santità avventavansi -contro quella Babilonia, che tal nome meritava non -meno pel lusso che per la corruzione, dove parea costume -ciò che altrove vizio, dove la disonestà accoppiavasi -colla perfidia e colle bassezze. -</p> - -<p> -Ciò che altre volte sarebbe valso poco più che per -esercizio di retorica o sfogo di bile, diventava pericoloso -allorchè, perdendosi il senso de’ simboli, la società riducevasi -affatto pratica; laonde i politici guatavano con -disgusto questa Corte che, vivendo nel mondo, n’avea -presa la licenza, le passioni, gl’intrighi, e reso la Chiesa -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -un mezzo di governo e di speculazione. Di tal passo -venivasi a vilipendere quel che prima erasi venerato, -e declinava nei popoli lo spirito d’obbedienza quando -appunto i pontefici lasciavano quello di dominazione. -Allora parve insopportabile la giurisdizione ecclesiastica, -che colla pubblicazione del <span class="smcap lowercase">VI</span> e <span class="smcap lowercase">VII</span> libro delle -<i>Decretali</i>, poi delle <i>Estravaganti</i> erasi estesa per -modo, che qualsivoglia lite poteva anche in prima -istanza recarsi al pontefice. -</p> - -<p> -Agostino Trionfe d’Ancona, agostiniano, che dettò a -Parigi poi a Napoli, carissimo ai re Carlo e Roberto, -dedicò a Giovanni XXII una <i>Somma della podestà ecclesiastica</i>, -apologia dell’onnipotenza dei papi: da Dio -immediatamente derivare la loro giurisdizione, superiore -ad ogni altra perchè tutte giudica, da nessuna è -giudicata; come spirituale, così è temporale, perchè -chi può il più può anche il meno: non può il papa -essere deposto dal concilio generale, nè giudicato dopo -morte: è assurdo appellarsi al concilio, giacchè questo -non trae autorità che dal pontefice, il quale unico può -proferire sui punti di fede, nè altri informare dell’eresia -senz’ordine di esso. Come sposo della Chiesa universale, -tiene immediata giurisdizione sopra ogni diocesi, -e per sè o per mandati suoi vi può fare quel che vescovi -e parrochi. Al papa devono obbedienza Cristiani, -Ebrei e Gentili; egli può punire i tiranni e gli eretici -anche con pene temporali; egli, non i vescovi, scomunicare; -fin di là della tomba estende il potere per via -delle indulgenze: potrebbe scegliere di qualsiasi paese -l’imperatore senza ministero degli elettori, o renderlo -ereditario: l’eletto dev’essere da lui confermato e giurarsegli -ligio, e può da lui essere deposto: tutti i re -sono tenuti obbedire al pontefice, dal quale traggono -la potenza temporale: a lui può appellarsi chiunque si -sente gravato dal principe: e i principi e’ può correggere -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -per peccati pubblici, deporli anche, e istituire un -re di qualsiasi regno. -</p> - -<p> -L’esagerazione è sintomo di autorità minacciata; e -sempre maggiore ardimento pigliava l’opposizione. Guglielmo -Occam, scolastico nominatissimo, per favorire -Lodovico Bavaro contendeva l’infallibilità non solo al -papa, ma anche al concilio universale e al clero; i laici -in corpo poter decidere risolutamente; contro il papa potersi -all’uopo adoprare anche la forza, o stabilirne diversi -un dall’altro indipendenti. Marsiglio di Mainardino da -Padova, eloquente professore all’Università di Parigi, poi -rifuggito ad esso Lodovico, gli insinuò che a lui competesse -riformare gli abusi della Chiesa, perchè questa -è sottomessa all’Impero; e con Ubertino da Casale pubblicò -il <i>Defensor pacis</i>, ove già s’incontrano le negazioni -di Calvino rispetto all’autorità e costituzione della -Chiesa; la potestà legislativa ed esecutiva di questa fondarsi -sul popolo che la trasmise al clero; i gradi della -gerarchia essere invenzione posteriore; il primato, consistente -solo nel convocare concilj ecumenici e dirigerli, -non fu dato al vescovo di Roma se non con autorizzazione -d’uno di tali concilj e del legislatore supremo, -cioè di tutti i fedeli o dell’imperatore che li rappresenta; -Gesù non lasciò a capo della sua Chiesa verun -capo visibile, nè Pietro avea preminenza che per l’età; -al sovrano, purchè fedele, spetta l’istituire prelati, eleggere -il papa, giudicare i vescovi come Pilato giudicò -Cristo, e deporli, convocare concilj e regolarne le deliberazioni; -eguali essendo i vescovi, l’imperatore solo -può elevarne uno sopra gli altri, e a grado suo abbassarlo<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>. -Sì poco sono moderne le dottrine che subordinano -la Chiesa ai governi! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -</p> - -<p> -Le teoriche negative si traducevano in fatti: la bolla -d’oro di Carlo IV sottraeva il sacro romano impero dai -papi; il re di Francia, non che emanciparsi dalla supremazia -di questi, li minacciava come sudditi proprj; -i lontani seguitavano a venerarli solo in quanto ne traessero -vantaggio. -</p> - -<p> -Di mescolarsi nelle cose ecclesiastiche prendea pretesto -l’autorità secolare dagli scandali del tempio, -quando la santa Sede, fatta ligia dei re, non valeva a frenare -la irruente corruzione, fosse la grossolana del clero -inferiore o la fastosa de’ prelati. Grave torto faceva alla -Chiesa il patriziato delle maggiori dignità: poichè essa, -che ripudiò sempre ogni distinzione di natali, attenendosi -unicamente ai meriti, vedeva il cardinalato e le -nunziature affidarsi a taluni, il cui unico titolo era l’essere -degli Orsini o dei Colonna o dei Savelli; e le costoro -case, potenti in città per armi e per clientele, -trescavano a voglia anche nel santuario, prepotevano -nelle elezioni dei pontefici e ne’ loro consigli, con tirannide -peggiore di quella degli imperatori del secolo -precedente, perchè più immediata. Le emulazioni di -queste famiglie, prorompenti spesso in guerra civile e -in criminosi attentati, s’insinuavano nel concistoro e nel -conclave, e toglieano al pontificato e al sacerdozio quella -dignità che traggono dall’essere superiori alle mondane -rivolture. -</p> - -<p> -I prelati sotto la stola mantenevano le abitudini dell’educazione -secolaresca e lusso sfrenato; ned altro -testimonio ne voglio che il concilio Lateranese III, il -quale, avvisando i prelati quanto disdica il camminare -con treno sì numeroso e il consumare in un pranzo -l’intera annata della chiesa che visitano, vuole i cardinali -s’accontentino di quaranta o cinquanta vetture, gli -arcivescovi di trenta o quaranta, i vescovi di venticinque, -gli arcidiaconi di cinque o sette, di due cavalli i -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -decani; tutti poi vadano senza cani da caccia nè uccelli. -Accumulavansi fin quaranta o cinquanta benefizj in una -sola mano; e vuolsi che Benedetto XII proponesse ai -cardinali, se rinunziassero ad averne più d’uno, assegnar -loro centomila fiorini d’oro di rendita e metà -delle entrate dello Stato pontifizio; e ad essi non parvero -abbastanza. Pastori negligenti, sicchè nè tampoco -veduta aveano la loro greggia, esercitavano insolente -giurisdizione tirannica; nel clero minore ignoranza, venalità -de’ sacramenti, comune l’ubriachezza, sfacciata -la libidine; nelle chiese e ne’ conventi si stabilivano -bettole e giuochi; le monache uscivano dai monasteri; -trafficavasi di grazie, dispense, perdoni. -</p> - -<p> -Degli antichi Ordini religiosi rilassata la disciplina: -perfino in quel Montecassino, che fin allora avea dato -ventiquattro papi, ducento cardinali, milleseicento arcivescovi, -ottomila vescovi, molti canonizzati santi, i monaci -vestivano bene, abitavano comodi, riservavansi -peculj particolari, anzi riceveano dal convento una prebenda -colla quale vivere in case secolari. Presa vergogna -dall’operosità e astinenza de’ Mendicanti, anch’essi -dovettero riformarsi, applicando agli studj; ma perchè -a questi non pareva potersi attendere degnamente che -nelle Università, i monaci che v’erano mandati vi trovavano -incentivi e dissipamenti e peggio. -</p> - -<p> -Però anche gli Ordini nuovi presto diminuirono l’esemplare -fervore primitivo, gli uni facendo divorzio -dalla povertà, sposata dal loro patriarca, gli altri per -zelo dimenticando la carità. A tacere le diatribe dei loro -nemici, quali Mattia Paris e Pier delle Vigne, san Bonaventura, -generale de’ Francescani, nel 1257 dirigeva -una querela ai provinciali e guardiani; perchè a titolo -di carità i fratelli s’impacciassero d’affari pubblici e -privati, di testamenti, di secreti domestici. Sprezzando -il lavoro, caddero nell’infingardaggine, e mentre pregano -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -ginocchione o meditano in cella, possono darsi a -studj vani o sbadigliare o dormire, e forse dai libri -composti trarre una vanità che non prenderebbero -certo dal tessere fiscelle o stuoje, come i primi romiti. -Andando girelloni, riescono d’aggravio agli ospiti e di -scandalo; per rimettersi dalla stanchezza mangiano e -dormono di là del prefisso; scompigliano la regola del -vivere; domandano con tale importunità, da farli schifare -quanto i ladri. La vastità delle fabbriche turba la -pace de’ conventi, incomoda gli amici, espone a giudizj -sinistri. Ai parrochi poi dispiaciono per la premura -che si danno intorno a funerali e a testamenti. Inoltre -le città chiamavano i frati a compor paci, gli abati ad -eseguire commissioni, come gente non pericolosa e -di niuna spesa ne’ viaggi; l’Inquisizione li riduceva a -specie di magistrati criminali, con bidelli, famigli armati, -carceri, braccio secolare a loro disposizione, essi -istituiti a profonda umiltà e povertà esatta. -</p> - -<p> -La regola di san Francesco imponeva tali austerità, -che alcuni la sentenziarono d’impossibile o di micidiale; -sicchè papa Nicola III credette doverla spiegare<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a> -nel senso che i frati Minori erano tenuti osservare il -vangelo, vivendo in obbedienza, in castità, in povertà -tale da non possedere cosa veruna; lo spossessamento -totale per Dio essere meritorio; averlo Cristo insegnato -colla parola, confermato coll’esempio, e gli apostoli -ridotto in pratica; i Francescani vivendo così, non faceansi -suicidi nè tentavano Dio, giacchè confidandosi -nella Provvidenza, non però repudiavano gli espedienti -suggeriti dalla prudenza umana. Vi si chetarono gli -avversarj, ma tra i Minoriti alcuni ne trassero motivi -d’un fanatico misticismo, da una parte asserendo che la -regola di san Francesco fosse il vero vangelo, dall’altra -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -che la spropriazione dovea portarli ad avere nulla più -che il mero uso delle cose necessarie alla vita. -</p> - -<p> -Pier Giovanni d’Oliva di Linguadoca predicò siffatta -dottrina, e bersagliando la Chiesa ricca e mondana, -annunziava i Minori, come destinati a rigenerarla. Fece -molti proseliti, e sotto papa Celestino V, incline al vivere -cenobita, ottennero di costituirsi in nuova congregazione (1234), -detta degli Eremiti Celestini. Perseguitati, -presero abito e capi particolari, e massime per la diocesi -di Pisa e tra i monti di Vecchiano e di Calci seguivano -tenor di vita più rigoroso, alla Chiesa visibile -ricca, carnale, peccaminosa affacciandone una frugale, -povera, virtuosa. Tennero a quelle dottrine Corrado -da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso, -Corrado da Spoleto, Jacopone da Todi, e col nome di -Fraticelli o Frati spirituali, ebbero capi frà Pietro da -Macerata e Pietro da Fossombrone. Bonifazio VIII li -combattè vigorosamente, e proferitili eretici, li fece -processare e perseguire da frà Matteo di Chieti, sicchè -essi ricoverarono in un’isola dell’Arcipelago e in -Sicilia, aggregando a sè chiunque disertava dai Francescani -per seguire una vita più austera; cari al vulgo -per l’aspetto di maggior perfezione, e avendo per generale -il mistico Ubertino da Casale. Angelo, plebeo senza -lettere, della vallata di Spoleto, n’avea radunati molti; -e così l’ordine del padre serafico restava scisso, nè Clemente -V riuscì a riconciliarli nel concilio di Vienne. -</p> - -<p> -Il resistere, e la superbia che facilmente nasce dal -rigore esagerato, li portarono a farsi accanniti detrattori -della santa Sede, negando ch’ella potesse permettere -ai Francescani di tener granajo e cantina, e asserendo -una vicina riforma. Ne seguirono perfino sommosse -a Narbona, in Sicilia, in Toscana; onde Giovanni XXII -provvide a comandare la soggezione, dicendo che «gran -cosa è la povertà, più grande la castità, ma superiore -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -l’obbedienza»<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>. Eppure essi durarono contumaci, -appellando al futuro concilio, onde ebbero condanna; e -quei che non vi si sottomisero, fuggirono in Sicilia, -ove Federico re di Trinacria, sempre malvolto alla -santa Sede, li protesse, e dove presero capo Enrico di -Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta -una sinagoga, lupo il suo pastore. -</p> - -<p> -Chi bestemmia Giovanni del rigore usato con essi, -chi di essi fa beffa come apostoli d’una ineffettibile -povertà, non venga poi a declamare o a sbigottirsi al -cospetto del comunismo, forma moderna della medesima -dottrina. -</p> - -<p> -Ma tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù -Cristo nè i suoi apostoli non aveano nulla posseduto, la -proposizione, rejetta dai Domenicani e da altri, venne -sostenuta dai Francescani; e poichè la regola di san -Francesco diceasi esprimere il vangelo, tornava sott’altra -apparenza il medesimo concetto dell’assoluta spropriazione. -Giovanni condannò anche questa dottrina; -Michele di Cesena generale dell’Ordine, Guglielmo Occam -e Buonagrazia da Bergamo protestarono, e rifuggiti -a Pisa presso Lodovico Bavaro, lo sostennero e -accannirono nella lotta contro quel papa. Tale quistione -insinuò ne’ Minoriti uno spirito di sottigliezza, troppo -contrario all’intento tutto pratico del loro fondatore; -e ne pullulavano altre quistioni, a dir poco, oziose: se -la regola astringesse sotto pena di peccato mortale o -soltanto veniale; se obbligasse ai consigli del vangelo -quanto ai precetti; se alle ammonizioni quanto ai comandi: -dal che, facile tragitto, si passò a sofisticare sul -decalogo e sul vangelo; ed oltre la disputa sempre -accesa sull’immacolata concezione di Maria, un’altra ne -ebbero coi Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -nella passione, restasse non pertanto ipostaticamente -unito al Verbo. -</p> - -<p> -È difficile sincerare quanto abbiano di vero le oscene -imputazioni che accompagnano i processi di costoro, -massime de’ Fraticelli, avvegnachè l’opinione era straniata -alla peggio, e la manìa de’ processi recò a prestar -fede ad assurdità, ribadite nel vulgo dai supplizj inflitti -e dalle declamazioni di chi avrebbe dovuto dissiparle. -Anzi mi si fa credibile che le procedure allora ordinate -dagli statuti civili ed ecclesiastici moltiplicassero le -stregherie, dapprima quasi ignote. Giovanni XXII nel -1322 notificava che «alcuni figli di perdizione, allievi -d’iniquità, dandosi alle ree operazioni di loro detestabili -malefizj, fabbricarono immagini di piombo o di -pietra, sotto la figura del re, per esercitare sovr’essa -arti magiche, orribili e vietate». E avendo gl’imputati -declinato la giurisdizione ordinaria, il papa incaricò tre -cardinali d’esaminarli, e rimetterli ai giudici secolari. -Poi l’anno stesso meravigliasi de’ progressi delle scienze -occulte, commosso nelle viscere che molti, cristiani -soltanto di nome, lascino la luce della verità, e talmente -siano involti nelle nebbie dell’orrore, da fare -alleanza colla morte e patto coll’inferno, immolando ai -demonj, adorandoli, fabbricando immagini, anelli, specchi, -fiale ed altri oggetti in cui legare i diavoli; e a -questi domandano risposte e ne ricevono, gl’implorano -a soccorso dei depravati loro desiderj, e in ricambio -della vergognosa assistenza offrono vergognosa servitù. -O dolore! questa peste si diffonde oltremodo nel mondo, -infettando tutto il gregge di Cristo». -</p> - -<p> -Con tali persuasioni, si estesero i supplizj per malìe. -Il 1292 Pasqueta di Villafranca in Piemonte fu multata -in quaranta soldi perchè <i>faciebat sortilegia in visione -stellarum</i>: nel 1363 Antonio Cariavano, accusato di -aver fatto grandinare in Pinerolo con libri necromantici, -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -fu multato in quaranta fiorini: nell’86 due della valle -di San Saturnino pagarono cenventi franchi d’oro per -avere prestato fede a un incanto gittato onde smorbare -le loro mandre: nell’81 la nuora di Francesca -Troterj avendo smarrito una collana di perle, per trovarla -ricorse a maestro Antonio di Tresto da Moncalieri, -il quale, pigliato il secchiello dell’acquasanta, lo -coprì con un altro, vi accese attorno dodici candele, -descrisse varie figure colla verga, e fece segni di croce: -poi mise per terra due candele in croce, e su quelle -fece posare il piede dritto della donna che avea smarrito -il collare. Non so se si trovasse: ma il maestro fu -accusato al vicario del vescovo; e quegli confessò nulla -intendersi di magìe, ma far quelle frasche per ciuffare -qualche soldo ai credenzoni<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>. -</p> - -<p> -A questi mali è fortuna quando si trova da opporre -caldo zelo, soda pietà, scienza matura. Anime fervorose -e gran santi neppur allora mancarono: verso il 1319 -nacquero gli Olivetani alla badia di Montoliveto nella -val dell’Ombrone senese, per opera del beato Bernardo -Tolomei; e lo sterile paese fu coltivato, adorna di pitture -la chiesa. Il beato Giovanni Dominici fiorentino, -oratore famosissimo, studiando al miglioramento de’ secolari -e più de’ claustrali, fu vero restauratore della -vita regolare in Italia e in Sicilia, e infine arcivescovo -di Ragusi e cardinale: senza maestro s’approfondì nelle -scienze, mentre colle prediche traeva a monacarsi donzelle -e giovani. Nel riformare i Domenicani, cominciando -a Firenze e Pisa, fu accompagnato dal beato Lorenzo -da Ripafratta, che fu maestro ed amico a sant’Antonino, -dal venerabile Tommaso Ajutamicristo, e da altri -di quell’Ordine, infervorati a pietà dalla beata Chiara -de’ Gambacurti, la quale avea riformato le Domenicane -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -in Firenze, donde si diffusero a Genova, a Parma, a -Venezia. Anche il beato Raimondo da Capua operò a -ristabilire la regolarità ne’ conventi domenicani, insieme -col beato Marconino di Forlì, entrambi d’affettuosa -pietà. Ai conforti del pio Marco, parroco di San -Michele in Padova, che gemea di veder depravato l’ordine -Benedettino, e Santa Giustina abbandonata ai disordini, -Luigi Barbo tolse a riformarlo con regole più -severe, e che presto si estesero a Genova, a Pavia, Milano -e più lungi. I Camaldolesi ridussero florido il Casentino, -ed esemplarmente conservavasi il bel bosco di -abeti e di faggi. Il beato Giovanni Colombino, di nobile -gente senese ed elevato alle prime dignità, dalla pazienza -della moglie e dal leggendario dei santi fu chiamato -a vita pia ed austera, e ad assistere malati e pellegrini: -poi ridottosi povero, andava predicando penitenza, -e raccolti alquanti seguaci, istituì l’ordine dei poveri -Gesuati, approvato da Urbano V il 1367; «e i forti cavalieri -di Cristo, fatti novelli sposi dell’altissima povertà, -incominciarono allegramente a mendicare,... e -posti in un’altezza di mente, calcando il mondo sotto i -loro piedi, tutte le cose terrene stimavano come fango, -e tuttodì crescevano in desiderio di patire e sostenere -pene per amore di Cristo»<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>. Suor Agata stette murata -gran tempo in s’una pila del ponte Rubaconte a -Firenze, poi nel 1434 fondò il monastero famoso delle -Murate. -</p> - -<p> -Al tempo stesso diedero odore di gran santità in -Siena Gioachino Pelacani, che la sua devozione per -Maria espandeva in carità pei poveri (-1305), e Antonio -Patrizj; Andrea de’ Dotti di San Sepolcro, scolaro di -Filippo Benizzi; Bonaventura Bonacorsi di Pistoja, caldo -ghibellino, che dal Benizzi stesso convertito, riparò i -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -danni recati, e edificò colle virtù più austere (-1315). -Simone Ballachi, figlio del conte di Sant’Arcangelo -presso Rimini, dalla dissipazione raccoltosi a Dio, esercitavasi -ne’ più umili uffizj e nell’istruire bambini e convertir -peccatori (-1319). Agnese di Montepulciano domenicana, -Emilia Bicchieri di Vercelli (-1314), Benvenuta -Fojano del Friuli vennero illustrate per doni celesti; e -così Margherita di Metela presso Urbino, cieca nata; -Chiara di Montefalco presso Spoleto, eremitana (-1308); -e quell’Oringa di Santa Croce presso Firenze, che divenne -il modello delle fantesche, dal santo Spirito -illustrata alla conoscenza di sublimi veri, sebben nè -leggere sapesse, onde empì Lucca e Roma della fama -di sua virtù e carità, e presto de’ suoi miracoli. Gli -Orsini ci portano il loro sant’Andrea carmelitano, che, -malgrado l’illustre nascita, accattava pe’ poveri, e, malgrado -la sua umiltà, fu messo vescovo di Fiesole, ove -continuò le austerità, e riconciliò più volte la sua colle -città vicine. Dai Falconieri uscivano Alessio, Carissima -e Giuliana, tutti venerati sugli altari; dai Soderini la -beata Giovanna (-1367) e un altro Giovanni (-1343); -dai Vespignano di Firenze il beato Giovanni; dagli -Adimari il beato Ubaldo; dai Della Rena di Certaldo -la beata Giulia. Pellegrino de’ Latiozi di Forlì fu stupendo -per pazienza nel soffrire sia le percosse di quelli -di cui voleva acquietare i litigi, sia gli spasimi d’una -cancrena (-1345). Pietro Geremi di Palermo, già professore -di diritto, diedesi a Bologna a tali austerità, che -si circondò il corpo di sette cerchi di ferro, scena che -molti convertì. Giovanni da Capistrano, dopo adoperato -in magistrature e negoziati, resosi francescano, si -diè tutto all’amor di Dio e del prossimo, e continuò a -riconciliar nimicizie e risse nel nome di Dio, e possedendo -lo spirito di compunzione e il dono delle lacrime, -moltissimi convertiva, e spesso le donne dopo le sue -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -prediche davano in limosina tutti i loro ornamenti. Fra -l’alto clero sono a mentovare il beato Bertrando patriarca -d’Aquileja che tanto operò alla riforma di questa -chiesa, e fu assassinato da masnadieri del conte di Gorizia -nel 1350; il beato Lorenzo Giustiniani, patriarca -di Venezia; Matteo da Cimarra vescovo di Girgenti; -Nicola Alberga vescovo di Bologna, adoperato, spesso -a metter pace fra le città d’Italia e fra Inglesi e -Francesi<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>. -</p> - -<p> -Bernardino (1380-1444), dell’illustre famiglia degli Albizeschi di -Massa marittima, fu educato nella pietà e nella carità; -nella peste del Quattrocento si profuse a cura de’ malati -di Siena, ove poi professossi francescano della stretta -osservanza. «Fu in concetto d’uomo grande e meraviglioso -nel predicare: ovunque andasse traeva con sè -tutto il popolo, eloquente e forte nel ragionare, d’incredibile -memoria; di tal grazia nella pronunzia, che non -mai recava sazietà agli uditori; di voce sì robusta e -durevole, che mai non venivagli meno, e ciò ch’è più -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -mirabile, in grandissima folla era udito colla stessa -facilità dal più lontano come dal più vicino»<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>. -Vincenzo Ferreri, che allora empiva Italia delle virtù -e de’ miracoli suoi, predicando ad Alessandria esclamò: — Fra -voi si trova un vaso d’elezione, un figlio di san -Francesco, che ben presto diffonderà immensa luce in -tutta Italia, e di sue virtù e dottrina usciranno i più -insigni esempj». Pure oggi non troviamo ne’ suoi sermoni -che un fare stringato e scolastico. -</p> - -<p> -E per verità sul pulpito, trionfo degli Ordini nuovi, -non recavano studj profondi e dogmatica precisione, -ma zelo e modi popoleschi e importuna applicazione -alle circostanze giornaliere. Chi affronti la noja di leggere -le prediche rimasteci, non trova che aridi tessuti -di scolastica e di morale, rinzeppati di brani e brandelli -d’autori sacri e profani alla rinfusa, con dipinture -ridicole o misticismo trasmodato, talchè i grandi -effetti non se ne saprebbero attribuire che al gesto, -alla voce, allo spettacolo, e in alcuni alla persuasione -della santità. -</p> - -<p> -Tali dobbiamo credere il beato Michele da Carcano, -frate Alberto da Sarzana, frate Ambrogio Spiera trevisano, -ed altri, famosi per conversioni ed efficacia morale. -Alcuni non mancavano di merito letterario, e noi -lodammo altrove il Cavalca, il Passavanti, frà Giordano -di Rivalta. Quest’ultimo distingueva le devozioni dagli -abusi, in un modo da far meraviglia a chi in que’ -tempi e in que’ frati non sa vedere che superstizione. — Viene -(diceva egli) viene l’uomo, e andrà a Santo -Jacopo in pellegrinaggio: ed anzi ch’egli sia là, cadrà -in uno peccato mortale talotta, e forse in due, e talotta -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -in tre peccati mortali, e talotta forse più. Or che pellegrinaggio -è questo, o stolti? che rileva questa andata? -Dovete questo sapere, che, chi vuole ricevere le indulgenze, -conviene che ci vada puro, come s’egli andasse a -ricevere il corpo di Cristo. Or chi le riceve così puramente? -e però le genti ne sono ingannate. Di queste -andate e di questi pellegrinaggi io non ne consiglio persona, -perch’io ci trovo più danno che pro. Vanno le -genti qua e là, e credonsi pigliare Iddio per li piedi: -siete ingannati, non è questa la via; meglio è raccoglierti -un poco in te medesimo, e pensare del Creatore, -o piagnere i peccati tuoi o la miseria del prossimo, che -tutte le andate che tu fai». -</p> - -<p> -Parole altrettanto libere avea proferite l’anno innanzi -in Santa Maria Novella: — E’ sono molti che si credono -fare grandi opere a Dio; intra noi, noi ce ne -facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà -sull’altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle -avere fatto un grande fatto: or ecco opera! Simigliantemente -de’ pellegrinaggi; che pare così grande fatto -di quelli che vanno in Galizia a Santo Jacopo. Oh come -pare grande opera questa, e di gran fatica cotal viaggio -grande! E vanterassi, e dirà, <i>Tre volte sono ito a Roma, -due volte ita a Santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatti</i>. -E se vedesse in Roma le femmine a girar cinque volte -e sei all’altare, e’ par loro avesse fatto un grande deposito, -e rimproveranlo a Dio, come quello Fariseo che -dicea, <i>Io digiuno due dì della settimana</i>: or ecco -grande fatto! e manuchi, il dì che tu digiuni, una volta, -e quella manduchi bene e bello. Questo andare ne’ viaggi -io l’ho per niente, e poche persone ne consiglierei, e -radissime volte; chè l’uomo cade molte volte in peccato, -ed hacci molti pericoli. Trovano molti scandoli -nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte -si tenzonano e adirano, e con l’oste e co’ compagni; e -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -talotta fanno micidio ed inganni e fornicazioni; e di questo -si fa assai, e caggiono in peccato mortale»<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>. -</p> - -<p> -I così fatti saranno stati non pochi, vogliamo crederlo: -ma altri cercava cattivar l’attenzione col mescere -ai discorsi allusioni alla politica; e chi predicava pei -Guelfi, chi pei Ghibellini, pei Medici, per lo Sforza; -talora sorgeano in aperto attacco contro ai principi o -ai papi. -</p> - -<p> -È bizzarro in taluni l’associare una pietà sincera, -un’ingenuità profonda, col ridicolo e col teatrale, in -modo d’uscirne composizioni grottesche e senza gusto, -che non hanno di serio se non l’intenzione. Di Roberto -Caracciolo da Lecce, dai contemporanei supremato nell’eloquenza, -sciaguratamente ci restano alcuni sermoni, -più materia di riso che di compunzione<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>: sale in -pergamo a predicar la crociata, e, cavata la tonaca, -rivelasi in abito da generale, come pronto a guidar egli -stesso l’impresa. Paolo Attavanti ad ogni tratto cita -Dante e Petrarca, e se ne gloria nella prefazione. Mariano -da Genazzano, levato a cielo dal Poliziano e da -Pico della Mirandola, «predicava attraendo con l’eloquenza -sua molto popolo, perciocchè a sua posta aveva -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -le lagrime, le quali cadendogli dagli occhi per il viso, -le raccoglieva talvolta et gittavale al popolo»<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>. -I discorsi di Gabriele Barletta, sì reputato che dicevasi -<i>Nescit prædicare qui nescit barlettare</i>, darebbero sollazzo -a qualche festevole brigata. Per Pasqua racconta -che molte persone offrironsi a Cristo onde annunziare -la sua risurrezione alla madre: egli non volle Adamo, -perchè, piacendogli i fichi, non si badasse per istrada; -non Abele, perchè andando non fosse ucciso da Caino; -non Noè, perchè correvole al vino; non il Battista, pel -suo vestire troppo conosciuto; non il buon ladrone, perchè -aveva rotte le gambe; ma donne, per la popolosa -loquacità. Blandiva un sentimento troppo comune -quando predicava: — O voi donne di questi signori e -usuraj, se si mettessero le vostre vestimenta sotto il -pressojo, ne scolerebbe il sangue de’ poveri». L’erudito -Bracciolini fa dire da Cincio in un suo dialogo: — Parmi -che tanto frà Bernardino da Siena, come -altri troppi vadano errati per istudio di brillare più -che di giovare; non volti a curar le infermità dell’animo -delle quali si annunziano medici, quanto a ottenere -gli applausi del vulgo, trattano qualche volta recondite -e ardue materie, riprendono i vizj in modo che -pare gl’insegnino, e per desiderio di piacere trascurano -il vero scopo di loro missione, quello di render migliori -gli uomini». -</p> - -<p> -Contro i siffatti avea tonato l’Alighieri, dicendo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ora si va con motti e con iscede</p> -<p class="i02"> A predicare; e pur che ben si rida,</p> -<p class="i02"> Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.</p> -</div></div> - -<p> -I quali versi commentando, Benvenuto da Imola adduce -alquante scempiaggini di un Andrea vescovo di Firenze -che mostrava in pulpito un granello di seme di rapa, -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -poi se ne traeva di sotto la tunica una grossissima, e -diceva: — Ecco quanto è mirabile la potenza di Dio, -che da sì piccol seme trae sì gran frutto». Poi: <i>O -domini et dominæ, sit vobis raccomandata monna -Tessa cognata mea, quæ vadit Romam; nam in veritate, -si fuit per tempus ullum satis vaga et placibilis, -nunc est bene emendata: ideo vadit ad indulgentiam</i><a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>. -</p> - -<p> -Que’ modi erano certo men dignitosi, però più efficaci -che non le esanimi generalità, le perifrasi schizzinose, -e i consigli senza coraggio dei tempi d’oro. Ma -se a persone semplici e credenti servivano d’edificazione, -tornavano a scandalo dacchè vi si applicassero la critica -e la negazione; e i predicatori usandone esageratamente, -davano appiglio ad accuse, alla lor volta esagerate. -Il fervore, non sempre disinteressato per certe -devozioni nuove, come il rosario de’ Domenicani e lo -scapolare de’ Carmeliti, faceva proclamarle quale rimedio -sufficiente a tutti i peccati, i quali perdevano l’orrore -quando annunziavasi così facile il redimerli, e ne -veniva presunzione a chi le osservasse, e confidenza -d’una buona morte dopo vita ribalda. -</p> - -<p> -Giacomo, arcivescovo di Téramo poi di Firenze, -scrisse varie opere, tra cui è rinomata una specie di -romanzo col titolo <i>Consolatio peccatorum</i> o <i>Belial</i>: -suppone che i demonj, indispettiti del trionfo di Cristo -sopra Lucifero, eleggano procuratore Belial per chiedere -giustizia a Dio contro le usurpazioni di Cristo; -Dio commette la decisione a Salomone; e Cristo citato, -manda per rappresentante Mosè, il quale adduce a testimonj -giurati Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, -Virgilio, Ippocrate, Aristotele, il Battista. Belial li scarta -tutti, eccetto l’ultimo, sostiene la sua causa con finezza -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -diabolica; pure ha decisione contraria. Si appella, e -Dio demanda la causa a Giuseppe, se non che Belial -preferisce scegliere degli arbitri; e sono Aristotele ed -Isaia per Mosè, per Belial Augusto e Geremia. I passi -più venerabili sono stiracchiati beffardamente; e dopo -tutti i garbugli della giurisprudenza, ove Belial imbarazza -sovente Mosè men versato ne’ cavilli, gli arbitri -danno di quelle vaghe decisioni, che lasciano ad ambe -le parti captare trionfo. -</p> - -<p> -Così la credulità univasi alla miscredenza per dare -fomite alla corruttela, tanto più pericolosa, in quanto -che «il maggior padre ad altra opera intendeva» -(<span class="smcap">Petrarca</span>). Gregorio XI aveva autorizzati i cardinali -ad eleggergli il successore a semplice pluralità di voci, -senza aspettare i fratelli assenti, per abbreviare al possibile -la vacanza: e poichè di sedici radunati quattro -soli erano italiani, il popolo di Roma, timoroso che -l’eletto non tornasse ad Avignone, circondò il conclave -d’armi schiamazzando — Lo volemo romano», toccando -le campane a martello, e minacciando entrarvi -di forza. Dopo tempestosissima discussione, questi, per -ripiego e con riserve tacite o espresse d’una più libera -elezione, diedero i voti (1378 9 aprile) a Bartolomeo Prignano di Napoli, -arcivescovo di Bari; ma temendo che il popolo lo -disgradisse perchè non romano, fu gridato dal terrazzo -andassero a San Pietro e saprebbero chi era l’eletto. -Il popolo intese che l’eletto fosse il cardinale di San -Pietro, vecchione di casa Tebaldeschi; onde si cominciò -a gridargli Viva e saccheggiarne il palazzo secondo -l’usanza, e adorar lui, che invano ingegnavasi a far -comprendere il vero. Di questo scompiglio s’avvantaggiarono -gli altri cardinali per fuggire nelle varie -fortezze e ne’ feudi; l’arcivescovo di Firenze presentò -il Prignano ai pochi rimasti, con un sermone sul testo -<i>Talis debebat esse, ut esset nobis pontifex impollutus;</i> -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -e questi sul testo <i>Timor et tremor venerunt super me, -et contexerunt me tenebræ</i>, cominciò a dissertare sulla -dignità del posto e l’indegnità propria, finchè l’arcivescovo -gli fece intendere si trattava ora solo di dichiarare -se accettasse o no; ed egli disse di sì, e prese il -nome di Urbano VI. -</p> - -<p> -Uomo di dottrina e coscienza, ma severo, melanconico, -colleroso, immoderato, avventatosi a riformare -di colpo, vietò ai prelati d’usare a tavola più d’una -pietanza, com’egli stesso ne dava l’esempio; minacciò -non solo ai simoniaci, ma a chiunque di essi accettasse -doni; proponeasi, con creare cardinali nuovi, -togliere la prevalenza che da un secolo avevano i francesi; -e ne’ concistori secreti li rabbuffava indiscretamente, -ad uno dava sin dello sciocco, a un altro ch’era -bugiardo come un calabrese. Queste sconvenienze, e il -vedere ch’ei voleva fermamente tenerli a Roma, indisposero -i cardinali; e la più parte separatisi da lui, -protestarono l’elezione non essersi fatta liberamente, -ma sotto la costrizione di un popolo tumultuante; e -raccomandando la loro vita alla tutela di Bernardo di -Sala, capo degli avventurieri guaschi e bretoni che -aveano fatto sì rovinoso governo di Cesena, dichiarano -non avere operato che per paura della morte; Urbano -essere intruso, apostato e anticristo; e a Fondi eleggono -papa (21 7bre) quel Roberto di Ginevra che come legato pontifizio -avea data a ruba e strazio la Romagna, e che si -chiamò Clemente VII. Urbano fu accettato in Italia, -Germania, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Polonia e -nel settentrione de’ Paesi Bassi; Clemente dalla regina -di Napoli, da Francia, Scozia, Savoja, Portogallo, Lorena, -Castiglia; gli altri paesi esitavano. -</p> - -<p> -Urbano bandì contro del competitore una crociata -colle indulgenze concesse a quelle contro gl’infedeli: -ma la compagnia de’ Bretoni, soldata da Clemente, si -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -difilò sopra Roma, e fece macello de’ cittadini che sortirono -per respingerla, ma non osò penetrare in città. -Allora i Romani diedero addosso a quanti Francesi cherici -o laici colsero in città; mentre gli Orsini e Francesco -di Vico devoti a Clemente devastavano i contorni, -e Pietro Rostaing dal Castel Sant’Angelo bombardava -gli edifizj: una volta (1379) Silvestro di Buda, capitano de’ Bretoni, -sorprende i nobili adunati in Campidoglio e trucida -sette banderesi, ducento ricchi, innumerevole -popolo, poi di nuovo lascia la città. -</p> - -<p> -Urbano solda Giovanni Acuto e Alberico da Barbiano, -che secondato dai cittadini, sorte addosso ai nemici, e -sconfittili e fatti prigioni i due capi, mena trionfo<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>; -Castel Sant’Angelo si rende, e il papa a piè scalzi, seguito -da tutta la popolazione, torna in Vaticano. Clemente -allora ricovera a Napoli, ben accolto dai re; ma -il popolo a tumulto lo respinge, sicchè fugge in Provenza, -e postosi ad Avignone, moltiplica i cardinali, -largheggia di aspettative, e sì poco contava sullo Stato -pontifizio, che volle almeno punire i Romani e deprimere -i feudatarj col costituirlo in <i>regno d’Adria</i> a favore -di Luigi I d’Angiò, al quale, per averlo partigiano, -prodiga esorbitanti concessioni: tutta la decima in -Francia, nel regno di Napoli, in Austria, in Portogallo, -in Iscozia; metà delle entrate di Castiglia e d’Aragona, -le spoglie de’ prelati che muojono, ogni censo biennale, -ogni emolumento della camera apostolica; il papa -obbligherà a prestiti gli ecclesiastici, darà in ipoteca -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -Avignone, il contado Venesino ed altre terre della -Chiesa; inoltre gli assegna per feudi Ancona e Benevento, -e tutto giura sulla croce. Tale spreco facea dei -beni di San Pietro nella fiducia d’esser liberato dall’antagonista; -mentre Urbano, pien di sospetti, reggevasi -con rigiri e sangue e torture, senza riguardo a dignità -o danni de’ prelati e cardinali. -</p> - -<p> -Accannito alla regina Giovanna I, contro di lei come -signore sovrano del Reame e come scismatica sollecitò -Luigi d’Ungheria, che affidò a Carlo di Durazzo l’incarico -di punirla. Urbano spogliò chiese e altari per raccogliere -ottantamila fiorini, che diede a Carlo, il quale -in ricambio promise riconoscere il regno dal papa, e -appena coronatone cedere il ducato di Durazzo a Francesco -Batillo nipote di esso, e i principati di Capua e -d’Amalfi. Vedemmo come la spedizione riuscisse: ma -Carlo non pensava mantenere la parola, onde venne in -piena rotta col papa, il quale assediato in Nocera, sparnazzava -scomuniche scandalose e scandalosi decreti. I -prelati sue creature s’erano concertati sul modo di terminare -le stravaganze d’un pontefice che prolungava una -guerra senza ragione, e farlo il mal arrivato; ma scopertili, -Urbano non gliela soffrì impunita (1386), e messi in ceppi -l’arcivescovo d’Aquila e sei cardinali, li trasse seco -quando potè fuggire da Nocera; perchè il primo non -potea cavalcare a paro cogli altri, il fece uccidere e -abbandonare insepolto; giunto a Genova, e dicendosi -circonvenuto da cospirazioni, malgrado le istanze del -doge, fece buttar nel mare i cardinali, salvo un inglese -reclamato dal suo re. -</p> - -<p> -Qui comincia doppia serie di papi paralleli; ma qual -era il vero? Personaggi di senno e santità grande -parteggiarono per l’uno e per l’altro; prove in favore -addussero questi e quelli, per modo che può mettersi -fuor di quistione la buona fede d’entrambi i partiti. -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -La Chiesa finora non ha proferito, benchè i nostri abbiano -generalmente considerato per antipapi quei che -sedettero oltremonte, e il nome d’alcuno di questi sia -stato assunto da qualche papa successivo<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>. -</p> - -<p> -Per mezzo secolo fu partita la cristianità in due -campi ostili, e tra pontefici che rimbalzavansi calunnie -e taccia d’intruso e d’eretico. Come le nazioni, così -erano divisi i cittadini, gli scolari d’un’Università, i -monaci d’un convento; ogni giorno dispute, collisioni -fin al sangue; due vescovi eletti dall’uno o dall’altro -pontefice si contendevano la medesima sede, aborrivansi -le messe degli uni o degli altri. I papi, per conservarsi -partigiani, erano costretti a rassegnarsi a minaccia, -a importunità, a dissimulare e simulare, intrigare, -congiurare, promettere, concedere, guadagnar tempo, -fingendo di desiderare una riconciliazione, di cui aveano -in mano il mezzo. Le piaghe del papato, come il cadavere -di Cesare, furono esposte agli occhi di tutti, invelenite -dalla collera de’ nemici non meno che dai ripicchi -dei pontefici rivali. La santa Sede, scapitando nella venerazione, -lasciava baldanza a’ principi di sminuirne -l’autorità, ai dotti di chiamarla a severo e passionato -esame: le satire contro di essa, che prima erano esercizio -letterario, inteso, applaudito e dimenticato, acquistavano -peso quando uscivano dalla bocca de’ pontefici -stessi, e portavano ad immediata applicazione; indubbio -entrava ne’ cuori più sinceri, l’indifferenza ne’ più -generosi, la disperazione ne’ più robusti: la beffa trovava -di che esercitarsi sulle cose sacre. -</p> - -<p> -Urbano VI non depose mai il desiderio di restare -arbitro del regno di Napoli, escludendo e Ladislao e -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -Luigi d’Angiò per mettere in istato quel suo nipote che -passava dal carcere alla reggia; intanto scomunicava -di qua di là, e mandava bande a devastare. Fra sì deplorabili -imprese, minacciato fin della vita dai Romani, -miseramente morì (1389 18 8bre), e i quattordici cardinali della sua -obbedienza elessero Pietro Tomacelli col nome di Bonifazio -IX (5 9bre). Buon parlatore, buon grammatico, non sapea -scrivere, nè cantare, nè i costumi della corte romana: -onde non capiva di che si trattasse, sentenziava senza -conoscenza, e palesava avidità. Sospendendo la folle -guerra del suo predecessore, ricevette in grazia Ladislao, -e avventò scomuniche ai fautori di Luigi d’Angiò, -che scendeva favorito dall’altro papa. -</p> - -<p> -A viva forza dovette occupar Roma e gli altri possedimenti -ecclesiastici, straziati dalle fazioni e dalle -bande, e colla violenza e i supplizj vi si sostenne. -Urbano, accorciando l’intervallo del giubileo, lo bandì -pel 1390, ma non v’accorsero che i popoli ubbidienti -a Bonifazio, il quale mandò ne’ varj paesi a concedere -l’indulgenza a chi pagasse tanto, quanto gli -sarebbe costato il viaggio a Roma<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>. I collettori -trassero insieme ingenti somme, ma Bonifazio sospettò -alcuni d’averne distratte e li punì, altri furono trucidati -dal popolo, altri s’uccisero da sè. Sotto quel manto vi -fu chi andò trafficando di assoluzioni e dispense, non -badando a pentimento o a riparazione o ad abjura; gli -abusi fecero fremere i pii, e la prodigalità del papa -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -stesso in fatto d’indulgenze recò non lieve scredito a -quel tesoro di grazie, di cui faceasi mercimonio; mentre -la concessione di giubilei a chiese parziali scemava -l’aurifero concorso de’ pellegrini a Roma, svogliati -anche dalle bande di Bernardo di Sala, che professavasi -fedele a papa Clemente per ispogliare i dissenzienti. -</p> - -<p> -I Colonna tramarono per togliere al papa la signoria -temporale di Roma, invasero la città, ma non furono -secondati: trentuno de’ loro masnadieri finirono sul -patibolo; Bonifazio avventò contro i Colonna una lunga -bolla, dove ne enumera i delitti fin dal tempo di Bonifazio -VIII. Anche i Gaetani di Fondi circondavano -con bande la città, spogliando i pellegrini che andavano -al nuovo giubileo del 1400. E il papa facea denaro -con concedere grazie, aspettative, cumuli di benefizj; -poi ad un tratto le abolì tutte, ma per aver pretesto a -nuove concessioni con guadagno nuovo. -</p> - -<p> -A vicenda i cardinali di Clemente VII a questo diedero -successore Pier di Luna aragonese (1394 28 7bre), detto Benedetto -XIII, uomo d’astuta ambizione, ed egli, come -l’altro, per procacciarsi partigiani scialacquava privilegi, -conniveva a traviamenti e usurpazioni, spogliava il -basso clero, sicchè i curati erano fin ridotti a mendicare, -mentre l’alto riservavasi le migliori grazie e le -commende e i benefizj, dandoli in appalto a persone -dappoco. -</p> - -<p> -La Chiesa talmente scaduta, sentivasi impotente a -ricomporsi da se stessa; e principi, università, giureconsulti, -teologi disputavano sui mezzi di ripristinarne -l’unità. Il più ovvio sarebbe stato un concilio generale: -ma poichè il convocarlo riguardavasi da secoli come -attribuzione del papa, a qual dei due spettava? Si dovette -ripiegare con sinodi particolari; il re di Francia -ne raccolse due, per cui decisione egli mandò a tenere -assediato più di quattro anni nel palazzo d’Avignone -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -Benedetto XII, sinchè non fosse ripristinata l’unione: -ma questi trovò modo a fuggire (1403), e per la persecuzione -crebbe di partigiani, ed ebbe dalla sua non solo il pio -Vincenzo Ferreri, ma i due lumi dell’Università parigina, -l’eloquente Clemengis ed il cancelliere Pietro -d’Ailly. -</p> - -<p> -Morto Bonifazio IX (1404 1 8bre), il popolo di Roma, diretto dai -Colonna e dai Savelli, gridò <i>Viva la libertà;</i> e il conclave -di non più che nove cardinali elesse Innocenzo VII, -già Cosma Meliorati, valente canonista, abile agli affari, -intemerato di costumi. Dovette conquistare la propria -residenza ajutato da re Ladislao, ma con una capitolazione -per cui lasciava a custodia del popolo tutti i -ponti e le porte; il senatore sarebbe eletto dal papa ma -sovra una tripla offerta dal popolo; i dieci della Camera -amministrerebbero le rendite, eccettuato il quartiere -del Vaticano. Però ogni giorno nuove pretensioni metteva -innanzi il popolo, subillato dai Colonna e dai reggenti -Ghibellini, tanto che Innocenzo proruppe: — V’ho -concesso tutto; volete che vi dia anche la mia -cappa?» E in fatto i tumulti raffittirono, i cardinali -dovettero mettersi sotto la protezione d’un capitano di -ventura Muscardo, fu trucidato un messo del papa, si -combatteva accannito; ed essendo il papa fuggito a Viterbo, -Ladislao ne profitta per impadronirsi di Roma. -</p> - -<p> -Il papa fra breve morì (1406 6 9bre), e il veneziano Angelo Correr, -detto Gregorio XII, anch’esso giurò prima (30 9bre), professò -poi essere disposto ad abdicare tosto che il facesse -anche Benedetto XIII: ma com’ebbe assaggiato il comando, -se ne inebbriò; alla conferenza stabilita in -Savona non comparve; e Benedetto, che era venuto fin -a Genova, parve star dal canto della ragione. -</p> - -<p> -Tredici cardinali si raccolsero a Livorno per industriarsi -all’unione, protestando non riconoscere nessuno -dei due competitori; e assumendo a dirigere gl’interessi -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -temporali e spirituali della Chiesa, convocarono -un concilio a Pisa (1409 25 marzo), intimando a ciascun papa venisse -ad abdicare, se no procederebbero contro di esso. Ma -se consentivasi al concilio l’autorità di deporre il pontefice, -non era mutata in repubblicana la costituzione -della Chiesa, da secoli monarchica? e a tale cambiamento -erano acconci tempi di tanto scompiglio? -</p> - -<p> -Ladislao di Napoli temeva un papa che potesse abolire -l’indegna cessione dello Stato, a lui fatta da Gregorio -XII, onde s’oppose al concilio di Pisa; i due papi -non vi ascoltarono; Gregorio dichiarò apostati e blasfemi -que’ cardinali, e intimò il sinodo a Udine; Benedetto -l’aprì in Perpignano sua stanza; e così, oltre i due papi, -v’ebbe tre concilj. Pensate quanto ne restasse dal fondo -sovvertita la società! Morendo un vescovo, ciascun papa -vuol dargli un successore, onde scismi diocesani; pretendono -potere stronizzare i re, onde un nuovo fomite -alla guerra intestina; e Napoli resta disputata fra Luigi -d’Angiò e Carlo d’Ungheria, la Castiglia fra il duca di -Leon e quello di Lancaster, l’Ungheria fra Carlo della -Pace e Maria; il debole imperatore Venceslao lasciava -cascarsi di mano le redini della Germania; l’Inghilterra -straziava le proprie viscere fra le inimicizie delle case -di Lancaster e di York; la Francia durava nella guerra -centenne contro l’Inghilterra; nè voce risonava valevole -ad imporre la pace. Intanto che nel mondo cristiano -cessava l’unità che n’è l’essenza, Bajazet II granturco -non solo stringeva Costantinopoli, ma aveva invaso -l’Ungheria e la Polonia; e nuovi barbari, i Tartari sotto -il terribile Tamerlano minacciavano all’Europa le devastazioni -che aveano recate all’Asia. -</p> - -<p> -Gli animi, sgomentati fin alla disperazione, si volgeano -a Dio, da lui solo aspettando il termine a tanti -guaj. Già nel 1260 vedemmo i Flagellanti diffondersi -per Italia. Nel 1334 frà Venturino da Bergamo, «uomo -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -di trentacinque anni, di piccola nazione e di non profonda -scienza, ma tanto efficace e ardente ne’ suoi ragionamenti, -che traendosi dietro più di diecimila Lombardi, -la miglior parte nobili, non era luogo ove arrivasse -che non fosse ricevuto a guisa d’uomo divino, e con -tanto concorso di limosine, che per quindici dì che si -fermò a Firenze, non fu quasi momento di tempo che -in sulla piazza di Santa Maria Novella non si vedessono -grandissime tavole apparecchiate ove mangiavano quattrocento -o cinquecento uomini per volta» (<span class="smcap">Ammirato</span>), -andò ai perdoni di Roma co’ suoi, che portavano gonnella -bianca fin a mezza gamba, di sopra un tabarrello -perso fin al ginocchio, calze bianche, e stivali di corame -fin a mezza gamba, in petto una palomba bianca coll’ulivo -in bocca, nella man ritta il bordone, nella manca -il rosario<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>, e con non mai stanchevoli voci gridando -pace e misericordia. Cresciuto forse a trentamila seguaci, -e come profeta parlando de’ mali futuri, passò -anche alla corte d’Avignone sperando grandi indulgenze; -ma al papa sembrò scorgervi ambizione o leggerezza, -e frà Venturino fu messo al tormento e in carcere: -donde poi mosse colla crociata, e morì a Smirne. -</p> - -<p> -Quella devozione andarina rinfervorò nel 1399, avendola -la Madonna indicata in Irlanda ad un villano, come -il miglior preservativo da pesti e guerre: onde in veste -bianca, coperti di cappucci in modo che non distinguevansi -donne da uomini se non per una croce rossa, si -posero in via tre a tre, ognuno confessato, chiesto perdono -agli offesi, perdonato agli offensori, restituito il -maltolto. Così giravano per nove giorni almen tre chiese -al giorno, e venendo in un paese, intonavano orazioni -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -e lo <i>Stabat mater</i>, poi tre <i>Miserere</i> entrando in chiesa. -Per quella novena faceano vita quaresimale, non dormendo -in letto, non isvestendosi, molti andavano scalzi; -finivano col mandare alle prossime città, invitandole -per parte di Maria Vergine ad assumere la stessa devozione. -</p> - -<p> -D’Irlanda varcarono in Inghilterra, in Francia, poi in -Piemonte, e da una parte piegarono alla Lombardia, -dall’altra in numero di cinquemila a Genova. I cittadini -di questa s’avvolsero in lenzuoli, e il vecchio loro arcivescovo -Del Fiesco a cavallo li condusse processionalmente, -con dietro a coppia tutti gli abitanti, a visitar le -chiese, i cimiteri, le reliquie della città e del contorno, -e per nove giorni stettero chiuse le botteghe, sospesi -gli affari, tutto émpito di timor di Dio. I più robusti o -devoti scesero per la riviera di Levante, eccitando a -fare altrettanto: da Lucca tremila cittadini, malgrado i -divieti, uscirono ver Pescia, indi a Pistoja, donde quattromila -li seguirono, e così i Pratesi e i Pisani, finchè -giunsero a Firenze. Quivi quarantamila cittadini visitavano -le chiese, preceduti dall’arcivescovo; toglievano di -quello ch’era lor dato, e il soverchio distribuivano ai -poveri; non cercavano essere adagiati in case o spedali, -ma giacevano alla nuda aria; molti imprigionati per -debiti furono prosciolti. Il vescovo di Fiesole sin ventimila -se ne trasse dietro, per tutto facendo paci e concordie, -restituzioni, prediche, miracoli<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. A Milano -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -«venne grandissimo numero d’uomini, donne, donzelle, -garzoni, piccoli e grandi e d’ogni qualità, tutti scalzi, -da capo a piedi coperti di lenzuoli bianchi, che a fatica -mostravano la fronte; poi dietro a questi vi si adunarono -tutti i popoli delle città e ville, dalle quali uscendo, -per otto giorni continui visitavano tre chiese di villa, -e spesse volte ad una di quelle faceano celebrare una -messa in canto; per tutte le vie in croce che trovavano, -si gettavano a terra gridando misericordia tre volte, e -poi cantavano <i>Pater</i> e <i>Ave</i>, e altri cantici composti da -san Bernardo, o litanie o altre orazioni. Il popolo di -ciascuna città o altro luogo, come veniva a quelle si -separava, ed entrando dentro denunziava agli altri -rimanenti che volessero pigliare il medesimo abito; di -sorta che alcuna volta erano mille, alcuna millecinquecento. -Si celebrarono infinite concordie e limosine, e -molti si condussero a vera penitenza» (<span class="smcap">Corio</span>). -</p> - -<p> -In Padova per quei giorni non fu commessa disonestà -nè rissa; e le processioni duravano dall’aurora fino alle -due dopo nona, e se ne contarono tremilaseicento; poi -radunati nel prato della Valle, diedero di sè meraviglioso -spettacolo<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a>. Da Bobbio altri si difilarono -su Piacenza, e con loro tutti i valligiani della Trebbia, -sicchè vi giunsero in più di settemila; poi a Firenzuola, -a Borgo Sandonnino, a Parma, dove arrivarono con -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -quaranta carri di donne, bambini, malati; di qui settemila -partirono dietro al vescovo e ai gonfaloni delle -confraternite. I Veneziani li respinsero, ma il duca d’Este -gli ebbe accetti, e da Ferrara li menò a Belfiore. Il -pontefice vi conobbe scandali e sozzure, dubitò fino -che il loro capo pensasse farsi papa, onde li mandò a -processo e al rogo. -</p> - -<p> -Allora si moltiplicarono pertutto le confraternite, che -con le foggie visitavano le chiese e accompagnavano il -viatico; e furono principalmente diffuse dai santi Bernardino -da Siena e Vincenzo Ferreri, il quale anche -andava predicando il finimondo. Molti, presso al morire, -faceansi porre le divise d’esse società, donde la -devozione venne estesa fra i secolari. Tale incondita -pietà diffuse anche la peste, che strage menò per Italia, -e che funestò il giubileo. -</p> - -<p> -Tutti inadeguati ripari agli scandali che sbranavano -la Chiesa; poichè le riforme non venivano di là donde -solo avrebbero potuto efficacemente. Null’ostante l’opposizione -di re Ladislao, al concilio di Pisa comparvero -ventiquattro cardinali, quattro patriarchi, ventisei arcivescovi, -ottanta vescovi in persona, centodue per rappresentanti, -ottantasei abati in persona, ducentodue per -procuratori, quarantun priori, gli ambasciatori dei re, -i deputati di oltre cento metropoli e cattedrali, delle -Università di Parigi, Tolosa, Orléans, Angers, Montpellier, -Bologna, Firenze, Vienna, Praga, Colonia, Oxford, -Cambridge, Cracovia, trecento dottori di teologia e diritto -canonico. -</p> - -<p> -Non essendosi presentati i due papi Gregorio e Benedetto, -il concilio si dichiarò ecumenico, e perciò giudice -supremo di essi, e dopo parecchi tentativi di conciliazione, -levata loro l’obbedienza come contumaci, -li proferì scaduti e vacante il papato (1409 5 giugno); e radunato il -conclave sotto la guardia del granmaestro de’ Giovanniti, -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -sostituì Pietro Filargo (1409 26 giugno). Nato non si sa dove nè da -chi, mendicava a Candia quando fu raccolto da un -frate Minore, e per sapere ed abilità salì nel favore di -Gian Galeazzo, che l’ebbe tra’ suoi consiglieri, poi vescovo -di Vicenza, di Novara, indi arcivescovo di Milano -e cardinale, infine papa (7 agosto) col nome d’Alessandro V, e -chiuse il concilio. Teologo e predicatore, ma non leggista -e canonista, male intendeva gli affari e cercava -scaricarsene; per bontà cieca largheggiava benefizj e -grazie abusive e stemperanti, non sapendo misurare la -liberalità ai mezzi; e quando più nulla gli rimaneva, -dava promesse: onde diceva: — Come vescovo fui ricco, -povero come cardinale, pitocco come papa». -</p> - -<p> -Lasciavasi raggirare a senno da Baldassarre Cossa -napoletano, che in gioventù corse il mare come armatore; -anche nel chericato conservò abitudini secolaresche, -abilissimo negli affari, vigoroso di carattere, risoluto -di sentenze. Ornato della porpora, fu spedito legato -a Bologna, la quale ricuperò alla santa Sede, e anche -Faenza e Forlì, che egli si tenne come signoria indipendente; -e morto Alessandro dopo soli dieci mesi di -regno (1410 17 maggio), gli succedette col nome di Giovanni XXIII. Costui, -come avviene in tempi di partiti, fu accusato delle colpe -non solo più gravi, ma più brutali; a cui basterebbe -opporre il favore datogli dai Fiorentini, da Luigi d’Angiò, -dal conclave stesso, che troppo aveva interesse a fare -una scelta prudente; comunque siasi detto che egli ne -acquistò i voti coll’artifizio e colla forza militare che -spiegò in Bologna. -</p> - -<p> -Essendo allora stata ritolta Roma a Ladislao, il papa -vi fece l’entrata solennemente sotto la protezione dell’Angioino: -ma bentosto Ladislao torna vincitore; Bologna -caccia i rappresentanti del pontefice, e si dà al -marchese di Ferrara. Ladislao però riconobbe il nuovo -papa ordinando a Gregorio di uscire da’ suoi Stati, e -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -finse rassegnarsi ai patti ch’egli stesso aveva imposti -a Giovanni. Il concilio che erasi promesso, fu raccolto (1415) -a Roma; ma se vi s’introduceano le questioni più urgenti, -il cardinale Zabarella levavasi, con eloquenti -ambagi sviando dal proposito: poi fu prorogato col -pretesto della rinnovata nimistà di Ladislao, a cui il -papa a fatica sfuggì, ricoverando in Firenze, che di malavoglia -lo accolse. -</p> - -<p> -L’impero vacillava tra l’inetto Venceslao deposto e -il mal eletto Roberto palatino, morto il quale, gli furono -dati due successori; tanto pareva che ogni cosa dovesse -scompigliarsi collo scompiglio del papato. Alfine prevalse -Sigismondo (1411), che, come re d’Ungheria, s’era mostrato -crudele e perfido, ma insieme valoroso, oprante, -indomito. Glorioso di allori côlti sopra i Turchi, si fisse -in animo di ricondurre ad unità la Chiesa; corse Francia, -Polonia, Spagna, Italia; e mentre il papa gli chiedeva -soccorsi, esso lo stimolò a designare il luogo d’un nuovo -concilio. Per quanto Giovanni lo disgradisse, dovette -spedire legati a ciò, i quali indicarono Costanza, città -imperiale sulla riva occidentale del bel lago che divide -la Svevia dalla Svizzera, poco lungi dal luogo donde -n’esce il Reno, e dove già i Lombardi aveano patteggiato -la loro libertà. Giovanni non sapea darsi pace -che l’adunanza di tutta cristianità si tenesse in luogo -dove gli oltramontani sarebbero più numerosi e indipendenti, -ed ostili alla sua autorità: si mosse in persona -onde dissuadere Sigismondo; a Lodi durarono lungamente -in congresso, circondati da prelati l’uno, da -consiglieri l’altro; ma Sigismondo stette fermo, e il -concilio fu aperto (1414 5 9bre). -</p> - -<p> -Le ingiurie ricambiatesi dai papi e dai cardinali -aveano scossa un’autorità che si fonda sulla virtù e sull’opinione. -Se gl’Italiani favorivano alla santa Sede pel -vantaggio che ne traeva il loro paese, eransene raffreddati -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -dacchè quella vagava in esiglio; e gli stranieri cominciavano -a trovare oneroso questo migrare di tanto -loro denaro ad un’altra gente. La contesa coi frati -Minori aveva mal volta alla santa Sede la milizia sua -più devota; e al vedere condannate persone pie, cui -sola colpa dicevasi la povertà, si richiamavano le dottrine -d’Arnaldo da Brescia contro i possessi ecclesiastici -e la corruttela derivatane. Nell’intento di riuscir -superiore, ciascun partito era ricorso a spedienti troppo -dissonanti da quelli dell’apostolato: Bonifazio IX aveva -lasciato trafficare delle indulgenze e del suffragio ai -morti, pretendeva le annate dei vescovi eletti, a denaro -dispensava la pluralità di benefizj; Giovanni XXIII ebbe -accusa di aver cavato oro dalle medesime miniere, e -moltiplicatolo colle usure. Dal disordine esterno passatasi -a criticare l’intima verità della Chiesa: si spargeano -libri e sermoni critici, anche in lingua vulgare<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>; -i roghi non bastavano a reprimere gli eretici in Francia. -I Valdesi faceansi più arditi, e Gregorio XI movea lamento -perchè dalle valli subalpine si propagassero, e -discesi in Piemonte avessero trucidato un inquisitore a -Bricherasio, uno a Susa<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>. -</p> - -<p> -Bartolino da Piacenza verso il 1385 pubblicò alquante -tesi legali sul modo di trattare il papa qualora apparisse -negligente, inetto a governare, o capriccioso a ricusare -il consiglio dei cardinali (com’era il caso di Urbano VI); -e conchiudeva potere questi mettergli de’ curatori, al -cui parere fosse obbligato attenersi negli affari della -Chiesa. I Francesi colla prammatica sanzione di Bourges -restrinsero i diritti papali. In Inghilterra Giovanni Wiclef -aveva impugnato le indulgenze, la transustanziazione, -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -la confessione auricolare, domandato la secolarizzazione -degli Ordini regolari e la povertà del clero. -Girolamo di Praga dall’Università di Oxford ne portò i -libri in Boemia, dove ebbero effetti più gravi, perocchè -Giovanni Huss, che qui già aveva alzato la voce contro -la depravazione del clero, vi attinse argomenti teologici -e ardire a palesarsi. Essendo venuti alcuni monaci a -spacciare indulgenze, e avendo l’imperatore proibito il -sacrilego traffico, pigliò baldanza a declamare, in prima -contro l’abuso, poi contro le indulgenze medesime. Il -popolo ascoltava volentieri; gli studenti boemi se ne -infervoravano; le quistioni religiose prendevano colore -politico d’aborrimento ai Tedeschi e d’aspirazioni repubblicane. -Dappertutto lo sparlare dei papi era considerato -segno d’educazione non vulgare, di ragione più -elevata, di dispetto contro i governi, di scontento generico; -declamazioni di piazza, frizzi di scuola fra la -gioventù inesperta seminavano un vago desiderio di sottrarsi -all’autorità; sebbene, per quanto e le accuse si -esagerassero e gli errori si estendessero, non si pensasse -ancora che la Chiesa si dovesse distruggere anzichè -riformare. -</p> - -<p> -Quanto erano più ulcerate le piaghe, tanto più speravasi -nel concilio, che inoltre rannoderebbe in pace i -principi cristiani per respingere la sempre crescente -minaccia degli Ottomani. -</p> - -<p> -L’imperatore, assai principi, signori e conti assistettero -all’assemblea, ed è scritto vi si numerassero fin -cencinquantamila forestieri con trentamila cavalli; fra -quelli, diciottomila ecclesiastici e ducento dottori dell’Università -di Parigi. Coi fastosissimi cardinali faceano -gara di lusso i tanti avveniticci, giunti dagli estremi -d’Europa, distinguendosi per abiti varj, armadure, -corteo pomposo. Vi accorrevano a spettacolo, a sollazzo, -trovandovisi trecenquarantasei commedianti e -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -giullari, settecento cortigiane, e tornei e sfide<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>; -sicchè i gaudenti andavano in delizie, mentre i pii pregavano, -i dotti accingeansi a duelli dialettici, dai quali -apparirebbe l’odierno loro elevarsi allato ai grandi. -</p> - -<p> -Ma un’assemblea di tanto momento, sin dal principio -reluttò ai modi sagaci, con cui gl’Italiani e il papa tentavano -dominarla. La Chiesa nella sua universalità non -distingue popoli, e valuta ciascun uomo pel proprio -valore; sicchè all’indole sua ripugnava il votare per -nazioni, come si pretese, dividendo il concilio in camera -tedesca, italiana, francese, inglese, spagnuola, le quali -deliberassero distintamente affine di elidere la superiorità -degl’Italiani. Giovanni XXIII, come presente, provveduto -di gran denaro, e assistito dalle compre armi -di Federico d’Austria, sperava far considerare il concilio -come una continuazione di quello di Pisa, che -avendo riconosciuto Alessandro V, considerava lui come -solo papa legittimo: inoltre voleva si cominciasse dagli -articoli di fede, poichè richiederebbero lunghe dispute, -e i prelati nella piccola città s’annojerebbero. Ma questi -pretesero che abdicassero e lui e Benedetto XIII che -sostenevasi in Ispagna, e Gregorio XII che aveva favore -in Germania. Giovanni nella seconda tornata protestò -di farlo volontariamente se lo imitassero gli altri due, -anzi rinunziare ad ogni modo se con ciò potesse terminarsi -lo scisma; sicchè il giubilo e gli applausi andarono -al colmo, e l’imperatore gli si buttò ai piedi -baciandoli. Ma poi pentito e sbigottito fuggì; e allora -i mirallegro si risolvono in costernazione, Gregorio -viene sospeso, e proclamato (1415) che il concilio trae immediatamente -da Cristo i suoi poteri, e ognuno, compreso -il papa, è tenuto obbedirgli in quanto concerne la fede, -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -lo scisma, e la riformazione generale della Chiesa nel -capo e nelle membra. Gl’Italiani protestarono invano. -Giovanni, citato a giustificarsi delle più enormi e scandalose -imputazioni<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>, dichiarossene colpevole, sottomettersi -a discrezione al concilio, pur beato se con ciò -potesse render pace alla Chiesa: e quello il destituì (29 maggio) -come avesse disonorato il popolo cristiano, ne spezzò -il suggello e gli stemmi, gli tolse le insegne pontifizie -e la croce, e lo tenne in cortese prigionia<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>. -</p> - -<p> -Anche Gregorio, per mezzo di Carlo Malatesta signore -di Rimini, a cui protezione si era posto, mandò la rinunzia (4 luglio), -riducendosi cardinale di Porto. Solo Benedetto -ostinavasi, scomunicando chi non era con lui, e dichiarava -«nel diluvio universale la sola arca della Chiesa -essere Paniscola dov’egli sedeva»: alfine, abbandonato -anche dalla Chiesa spagnuola per opera principalmente -di Vincenzo Ferreri, fu destituito (1417 26 luglio), terminando uno scisma -che fu la maggior prova a cui la Chiesa si trovasse -esposta. Tante passioni, tanti errori, eppure fu ancora -alla Chiesa una che la cristianità si ricoverò, e sotto il -manto del ponteficato, di cui non erasi mai impugnata -l’autorità e l’unità, comunque restasse incerto chi ne -era il depositario, disputandosi del possesso e dell’esercizio -dell’autorità, non dell’autorità stessa. -</p> - -<p> -Sbalzatine gl’indegni occupatori, bisognava surrogare -un degno sul trono di san Pietro. Sigismondo voleva -che prima si riformasse la Chiesa; gl’italiani incalzarono -per la pronta nomina del papa Ottone Colonna (11 9bre), -il quale si volle chiamato Martino V. Sigismondo aveva -preveduto giusto; poichè Martino trovò modo di rinviare -d’oggi in domani le chieste riforme, logorando il -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -tempo in divisamenti o in concessioni secondarie, protestando -contro gli appelli del papa al concilio, riconfermando -molti abusi; finchè dichiarò sciolto il concilio (1418 22 aprile), -e andossene a Roma. -</p> - -<p> -I padri, vedendosi dal popolo sprezzati per le contese -e i baccani a cui prorompeano<a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a>, e presi in sospetto -come staccatisi dal papa, vollero ostentare zelo della -fede col perseguitare l’eresia, e condannarono Giovanni -Huss e Girolamo da Praga, i quali, malgrado il salvacondotto -imperiale<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>, furono dati al braccio secolare -e mandati al rogo. Tristo rimedio la violenza; e ne pagò -le pene Sigismondo, o piuttosto i popoli espianti le -colpe dei re: giacchè la Boemia divampò d’un incendio, -a spegnere il quale vi vollero torrenti di sangue. -</p> - -<p> -Per compiere le riforme. Martino V indicò un nuovo -concilio prima a Pavia, poi a Siena, infine a Basilea; -ma apertolo appena, morì (1431). Nell’elezione di Eugenio IV -(Gabriele Condulmier veneziano) i conclavisti prefissero -una specie di costituzione, che in alcuni punti -concerneva anche il governo civile. L’omaggio che il -papa ricevea dai feudatarj e dagl’impiegati, non riflettesse -su lui solo, ma anche sul collegio de’ cardinali, -talchè a questo rimanessero obbligati in sede vacante; -metà dei proventi della Chiesa fosse riservata ai cardinali; -di conseguenza nessun atto politico importante -poteva il papa permettersi se non consenziente il sacro -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -collegio, non pace o guerra, non tasse nuove, non mutar -la sede; inoltre il papa doveva riformare la Corte, e -tenere concilj periodici. Eugenio vi si obbligò; e se -quel costituto reggeva, il principato romano trovavasi -ridotto ad aristocrazia, ma forse era tolto il pretesto -alla Riforma del secolo seguente. -</p> - -<p> -Eugenio, per giudizio d’un suo successore<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>, fu -pontefice d’animo elevato, ma senza misura in nessuna -cosa, intraprese sempre ciò che voleva, non ciò che -poteva. Fece egli aprire il concilio di Basilea onde -estirpare l’eresia, metter pace perpetua fra le nazioni -cristiane, togliere il lungo scisma de’ Greci, e riformare -la Chiesa. Ma i padri vi s’accinsero senza precise idee -di quel che volevano operare, nè de’ limiti dell’autorità -propria e di quella che pensavano restringere; attaccavano -un dopo l’altro gli abusi parziali, non proponevano -un rimedio radicale: onde vedendoli condursi con quella -precipitazione che sgomenta le autorità desiderose di -dirigere, Eugenio sospese il concilio. I padri non gli -badando, citano lui pontefice, accusandolo disobbediente; -poi, spiegate le vele, dichiaransi ad esso superiori; -nè poter lui scioglierli o traslocarli. -</p> - -<p> -Fittisi alla riforma della Chiesa, mozzano assai diritti -curiali; determinano la forma dell’elezione del papa, e -il giuramento che deva prestare; limitano le concessioni -ch’e’ può fare ai parenti; restringono i cardinali a ventiquattro, -e ne escludono i nipoti. L’imperatore di Costantinopoli, -cercando appoggiare il cadente trono sull’unione -della sua Chiesa colla latina, domandò di venire -in persona col patriarca onde effettuare la riconciliazione. -Perchè non poteva sostener le spese del viaggio, -si promise di mandar navi a prenderlo; e la città d’Avignone -anticipò settantamila fiorini, da rimborsarle mediante -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -i proventi delle indulgenze. Papa Eugenio indusse -Giovanni III Paleologo a chiedere che l’abboccamento -si facesse in Italia; e in fatto nella sezione 21ª del concilio -di Basilea si proposero Ferrara e Udine, e il papa -confermò la proposta, e indusse i Veneziani a spedir -galere per trasportare l’imperatore. -</p> - -<p> -Allora Eugenio, rimproverando al concilio i decreti -incompetenti e smoderati, lo trasferiva a Ferrara (1438). Ma i -padri non si mossero, eccetto due ed il legato; e -mentre i prelati italiani maledicevano al conciliabolo -di Basilea, ed invitavano a spogliare i mercanti che vi -portassero roba, quello (nel quale primeggiava Nicola -arcivescovo di Palermo, ambasciadore d’Aragona e -Sicilia, e tenuto pel maggior canonista del suo tempo) -continuava a cincischiare la giurisdizione pontificia; -anzi dichiarò sospeso il papa, e scismatico il consesso -di Ferrara; e per quanto i potentati s’intromettessero -onde prevenire un nuovo scisma, condannarono Eugenio (1439) -come eretico, e surrogarongli Amedeo VIII duca -di Savoja, il quale dagli affari s’era ritirato a Ripaglia -a vita piuttosto voluttuosa che penitente<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>, e che -sciaguratamente accettò l’uffizio d’antipapa col nome -di Felice V. -</p> - -<p> -Il concilio di Ferrara erasi aperto il 13 gennajo 1438 -dal cardinale Albergati, e gran pena si durò per regolarne -il cerimoniale: ma la peste scoppiata lo fece trasferire -a Firenze<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a> (1439). Ivi furono messi in disputa i -quattro punti dello scisma greco, cioè il procedere dello -Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, l’uso degli -azimi nella comunione, la natura del purgatorio, la -supremazia universale del papa. Quell’unione fu famosa -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -per insigni personaggi: il cardinale Giuliano Cesarini, -che di sua franchezza avea dato prova nell’appoggiare -i rimproveri che al papa faceva il concilio, ed allora -sosteneva il vero con incalzante ragionamento; Giovanni -di Montenero provinciale de’ Domenicani di Lombardia, -versatissimo in divinità; Ambrogio Traversari -generale de’ Camaldolesi, che per ordine di Eugenio IV -era andato riformando molti conventi, e questi suoi -giri descrisse nell’<i>Odœporicon</i>; fra i Greci, Gemistio -Platone insigne accademico, Giorgio da Trebisonda, -Giorgio Scolario ancora laico, e fra breve patriarca di -Costantinopoli, Marco Eugenio vescovo d’Efeso saldissimo -alle dottrine scismatiche, Dionigi vescovo di Sardi, -e, a tacer altri, il Bessarione arcivescovo di Nicea, sottile -platonico, che sparse anche il gusto d’una filosofia -men cavillosa e arida, e che vinto dalla verità venne -alla Chiesa nostra, molti traendovi col proprio esempio. -</p> - -<p> -Cosmo de’ Medici ricevette splendidamente il papa, -i cardinali, l’imperatore; il trasporto dei corpi de’ santi -Zenobio, Eugenio, Crescenzio, i funerali del patriarca -di Costantinopoli, diedero occasione a solennità; e la -Signoria di Firenze regalò al papa quattordici inquisiti -di pena capitale (Cambi). Eugenio scomunicò i prelati -di Basilea; ma le lunghe dispute col patriarca di Costantinopoli -e co’ suoi dottori, agitate nella sala accanto -a Santa Maria Novella, non poteano condursi a conchiusione; -laonde si venne a una specie di transazione (6 luglio) per -istabilire l’unione della Chiesa orientale colla occidentale, -stendendola s’una pergamena in greco e in latino, -e dopo che l’ebbero letta in latino il cardinale Cesarini, -in greco l’arcivescovo Bessarione, la soscrissero molti -prelati delle due Chiese per ordine di dignità; oltre il -papa stesso e l’imperatore Paleologo che vi fecero apporre -le proprie bolle<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -</p> - -<p> -Federico III, nuovo imperatore, che avea procurato -versar acqua su questi incendj, spedì ad Eugenio il proprio -segretario Enea Silvio Piccolómini senese, per -indurlo ad un concordato colla Germania, e il papa sul -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -letto di morte vi assentì, purchè non menomasse i diritti -della santa Sede. Nicola V succedutogli (1447), mostrossi -tutto davvero disposto ad accordi, talchè il sinodo di -Basilea più non si resse; Felice V abdicò, riservandosi -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -tanti benefizj, che lo rendeano più ricco del papa, ma -presto morì. La pace fu dunque restituita alla Chiesa; -e il giubileo celebrato l’anno appresso, parve solennizzare -il trionfo di Roma. -</p> - -<p> -Se il concilio di Basilea avesse con prudenza e carità -provveduto alla riforma della Chiesa, poteva prevenire -i guaj che scoppiarono nel secolo seguente. Sulle prime, -non che intaccare la sovranità papale, sanzionò il Decreto -di Graziano, i cinque libri delle Decretali di Gregorio -IX, pare anche il sesto di Bonifazio; solo tolse ai -papi le riserve, il diritto di provvisione, e quello di mettere -imposte sulle chiese. Ma poi guidato a passione, -pensò non solamente limitare la potenza papale come -quel di Costanza, ma sostituirvi la propria, e preparò -la rivolta protestante, al tempo stesso che l’apparenza -di ottenuta vittoria svogliava la Chiesa romana dalle -riforme necessarie, e assopiva in una sicurezza che -dovea riuscire funestissima. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap118-11">CAPITOLO CXVIII. -<span class="smaller">L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi -a Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia -guerreggia i Turchi.</span></h2> -</div> - -<p> -Da mille anni era disfatto l’impero romano in Occidente, -e ancora sussisteva in Oriente, soprattutto mercè -della incomparabile postura di Costantinopoli. Sussisteva, -ma agonizzante fra le deboli mani d’imperatori, -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -i quali, vanitosi d’una scienza ciarliera, superbi d’un -passato troppo diverso, assorti in un lusso corruttore, -deliri dietro a futili importanze, ignoravano o vilipendevano -i costumi stranieri e quelle idee che s’insignorivano -del mondo. Un altro morbo erasi ostinato addosso -a quella pomposa società, le eresie; quasi le fosse fatale -il dover perire novamente pei sofismi, come già ai -tempi della miglior grandezza d’Atene. Lo Spirito Santo -procede egli anche dal Figlio come dal Padre? tale -quistione, inestricabile ad argomenti, pose a subuglio -le scuole, le chiese, le piazze, le famiglie; avversò Roma -a Costantinopoli, i patriarchi ai papi, sinchè Fozio (862) separò -affatto la Chiesa greca dalla latina, e quell’impero -si trovò nimicati coloro a cui lo legava il comune interesse -di resistere alle avvicinantisi orde musulmane. -Le crociate avevano pôrto ai Greci l’occasione di rigenerarsi, -innestando sul vecchio loro ceppo la civiltà -moderna, e vantaggiandosi reciprocamente coll’accomunare -le qualità migliori: ma essi non vi adoprarono -che dispregio e mala fede; tergiversarono imprese, di -cui aveano il maggior bisogno e i primi vantaggi; e si -attirarono l’abbominazione de’ Latini. La conquista di -Costantinopoli per opera di questi avrebbe potuto risarcire -l’Impero, se accettata e sostenuta: odiosa invece -e contrastata, non fece che crescerne la debolezza, e -ben tosto le dinastie antiche ebbero espulsi i Baldovini, -che andarono sparnazzando per Europa la loro miseria -e titoli senza valore. -</p> - -<p> -Però coll’impero latino non erano caduti gli stabilimenti -degli Italiani in Levante. Pisa era oggimai ridotta -a troppo piccolo conto; ma Genova e Venezia avrebbero -potuto assicurarsi il Mediterraneo, l’Jonio e il mar -Nero se si fossero tenute d’accordo; invece, perseguendosi -d’implacabili nimicizie, dagli insulti e dagli assalti -reciproci furono entrambe rovinate. I Genovesi, badando -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -al proprio interesse più che alla causa europea, -aveano ajutato l’imperatore Michele Paleologo a togliere -ai Latini Costantinopoli (1261), dove conservarono il sobborgo -di Gàlata; e stipularono di rimanervi sotto un podestà -proprio, il quale presterebbe giuramento all’imperatore -prima di assumere la giurisdizione, e andrebbe ogni -domenica a fargli omaggio; l’imperatore non punirebbe -alcuno di quella colonia se non quando esso podestà -ricusasse farlo; stretto divieto di asportare oro o argento -dalle terre imperiali, bensì vettovaglie, ma che -dovessero recarsi al Comune di Genova, non mai ai -nemici dell’Impero; qualvolta l’imperatore allestisse -un’armata, potrebbe trattenere per servizio di quella -i navigli genovesi quand’anche fossero noleggiati da -altri e già in carico, e spedirli dovunque gli talentasse. -I Genovesi di rimpatto non si staccherebbero dall’Impero -per qual si fosse comando di persona coronata o -no, nè per ecclesiastica scomunica<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>; cautela opportuna -quando era opinione non doversi fede agl’Infedeli, -e per tali si consideravano pure i Greci. -</p> - -<p> -Dalla debolezza de’ quali i Genovesi traevano baldanza: -un marinajo vantò che fra breve i suoi sarebbero -signori della capitale, e uccise il Greco che nel -ripigliava; un altro ricusò il saluto delle armi nel passare -davanti alla reggia. Il trovarsi però in sobborgo -smurato esponeva i Genovesi ed alla legale repressione -degl’imperiali ed alla violenza de’ Veneziani, che di -fatto una volta gli assalsero, e costrettili a rifuggire in -Costantinopoli, ne incendiarono le abitazioni. Pertanto -i Genovesi chiesero di poter circonvallare Gàlata, e con -triplice muro che girava per quattromila quattrocento -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -passi chiusero i vasti magazzini e i nobili abituri prospettanti -il mare; e quel sobborgo avrebbe presto emulato -Costantinopoli se questa non fosse caduta. Di là scorrendo -il mar Nero, dove possedeano Caffa, i Genovesi -portavano ai Greci il frumento dell’Ucrania, il caviale -e pesce salato della Meotide; spingeansi a ricevere nei -porti della Crimea le droghe e le gemme che dall’India -vi affluivano colle carovane; e le fortezze, sorte in tutte -le fattorie, diventavano formidabili non meno agli Europei -che ai Tartari. -</p> - -<p> -Già ne fu accennata la banda di venturieri catalani, -che Ruggero di Brindisi condusse a Costantinopoli, e -che per un pezzo salvò l’impero greco dai Turchi; ma -insieme lo malmenavano a talento, come e peggio che -le compagnie di ventura in Italia. Andronico imperatore -in palese lo accarezzò, fino a sposarne una sorella; in -secreto affilando l’arma de’ vili, a tradimento lo uccise. -Non per questo si dispersero i suoi, e molte fiate posero -il partito di conquistare l’Impero per conto proprio -o del re di Sicilia, il quale mandò anche l’infante -don Ferdinando a capitanarli. Se non che i Genovesi, -da antico gelosi dei Catalani, i loro più potenti competitori -nel commercio del mare occidentale, s’inasprirono -pei favori che que’ venturieri guadagnavano o rapivano -in Oriente. Ne vennero risse aperte; e come i Catalani -offrivano all’imperatore di sfasciare gli stabilimenti genovesi -e liberarlo dalla costoro insolenza, così i Genovesi -lo ajutarono a mandare a sbaratto quella banda. -</p> - -<p> -Nel mezzo di ciò, i Latini non cessavano d’osteggiare -il greco impero, considerandola quasi come un’impresa -santa e un seguito delle crociate. Carlo di Valois, figlio -di Filippo il Bello, la cui moglie Caterina di Courtenai -avea portato in dote nominali diritti sopra quel trono, -volea questi ridurre in atto recuperandolo ai Latini; il -che a molti pareva l’unico modo di ritardarne la caduta. -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -E tentò l’impresa: ma non avendo meglio di cinquecento -cavalieri, la fatica gli rispose scarsamente. -</p> - -<p> -Quando Caterina di Valois sposò Filippo duca di -Taranto, ne’ patti nuziali si stipularono gli ajuti che il -marito le darebbe per ricuperare l’impero latino, e le -provincie di Grecia di cui essa a lui farebbe cessione. -Il re di Francia suo parente, Venezia e il papa ne secondavano -le aspirazioni; e l’imperatore Andronico, -non potendo far conto su Genova straziata da discordie -intestine, prese la disperata risoluzione di ricorrere ai -Turchi per difendersi dai Cristiani. Al tempo stesso -favoriva i Ghibellini contro Roberto re di Napoli, affinchè -questo rimanesse impedito dall’ajutare Filippo, e -mandò a Federico di Sicilia seicencinquantamila pesi -d’oro coniato<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. L’impresa infatto non ebbe seguito, -e sopraggiunte nuove burrasche nel regno di Napoli, -ai principi di Taranto rimaneva appena forza di galleggiare -tra queste, non che potessero far valere sull’impero -la presunta eredità. -</p> - -<p> -Ma crescendo sempre più le conquiste de’ Musulmani, -quegli imperatori sentivano che loro salvezza sarebbe -stato il riconciliarsi colla Chiesa latina. Già sotto Andronico -il giovane avea molto adoperato a tal fine il -monaco basiliano Bernardo Barlaam di Seminara in -Calabria, ingegno vivo e Colto, che si fece ammirare -dal Boccaccio a Napoli, dal Petrarca ad Avignone; ma -non ne venne a capo, pretendendo gli Orientali si convocasse -un concilio, che i nostri trovavano superfluo -in quistioni già decise. -</p> - -<p> -Barlaam ritornato a Costantinopoli, ebbe a disputare -con Palamas arcivescovo di Tessalonica sulla luce increata. -Palamas sosteneva che fosse non la sostanza -divina, ma emanazione di questa; e che gli angeli e -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -santi potessero questa contemplare, non l’essenza divina. -L’altro, al contrario, voleva non fosse nè l’essenza divina -nè effetto di questa, e che nessuna potenza valesse -a rendere gli occhi umani capaci di contemplare la -divinità. È la quistione, su cui si fanno tanti epigrammi: -ma per la concatenazione degli errori e delle verità -portava, nell’opinione di Palamas; niente meno che la -dualità della sostanza eterna; in quella di Barlaam -toglieva la visione beatifica ai santi. Barlaam fu riprovato -da un sinodo di Costantinopoli, onde abbandonò -la Grecia, scrisse contro lo scisma, e fatto vescovo di -Geraci, contribuì assai a restaurare gli studj in Italia. -</p> - -<p> -Morto quel debole imperatore (1341), ogni cosa andò capopiede, -finchè a Giovanni Paleologo usurpò la corona il -grandomestico Giovanni Cantacuzeno (1347): ed egli pure per -sostenersi non esitò a chiamare in Europa i Turchi, che -già all’Impero aveano tolto le provincie d’Asia. Ma più -che l’imperatore, signori di Costantinopoli in quel tempo -erano i Genovesi; e se sorreggeano con prestiti la miseria -di lui, impedivangli di crescere in potenza marittima -per non trovarselo concorrente: ed insultandone la -maestà, ad onta sua occuparono e bastionarono anche -l’alto della collina, sul cui pendio aveano ottenuto di -piantare la loro colonia, comandando così allo stretto -per cui si passa al mar Nero; batterono la flotta dello -imperatore, bloccarono fin Constantinopoli (1351), nè egli potè -chetarli che con forzate concessioni. -</p> - -<p> -In quel tempo, per respingere i Tartari che minacciavano -gli stabilimenti del mar Nero, erasi allestita una -specie di crociata, principalmente di navi venete, condotta -da Umberto delfino di Vienne. I Genovesi, appena -le interne discordie il permisero, vi mandarono la -propria flotta, guidata da Simone Vignoso: ma questi, -invece di drizzare contro i Tartari, assalì e prese Scio, -isola opportunissima, a otto miglia dal continente, che -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -signoreggia le vicine di Samo, Metelino, Ténedo e lo -stretto di Gallipoli, e che già altre volle era stata posseduta -da Genovesi. Cantacuzeno recosselo ad onta, ed -arrestò alquanti legni genovesi; ma i coloni di Galata -si levano a stormo, e minacciano di nuovo la capitale; -l’imperatore reclama a Genova, ma inutilmente, giacchè -il Comune non esercitava alcuna autorità sopra i lontani -coloni; ond’egli non conobbe altro scampo che di -ricorrere alla gelosia di Venezia. -</p> - -<p> -Questa era stata rattizzata dalla concorrenza nelle -colonie della Tana. Un Genovese, percosso da un Tartaro, -lo uccise; e i Tartari per vendetta malmenarono -le persone e i beni di quanti Cristiani mercatavano da -quelle parti: i Genovesi tennero testa in Caffa, abbastanza -munita contro scorridori indisciplinati; e di là -chiudeano il passo del bosforo Cimmerio e perciò i -traffici coi Tartari, i quali vedeano andare a male le -merci raccolte, e fallire le sperate ricchezze. Non vollero -rispettare quel blocco i Veneziani, di che originarono -nuovi conflitti. Venezia spedì trentatre galee fra -di merci e di soldati, che sotto Marco Ruzzini passassero -alla Tana; ed egli, incontrate nell’altura di Negroponte -undici galee genovesi (1349 29 agosto), le circondò e prese allo -arrembaggio. I Genovesi per riscossa sorpresero Candia, -donde liberarono le merci e le navi catturate. Alla sua -volta il Ruzzini sorprese Galata, gettò il fuoco in molti -vascelli, e propose all’imperatore di sottrarlo dalla prepotenza -genovese; ma quegli, temendo forse i liberatori -quanto gli avversarj, renuì. Lungamente le flotte delle -due repubbliche insanguinarono i mari; l’espertissimo -ammiraglio Nicolò Pisani avea unito alle galee venete -l’armata de’ Greci, de’ Pisani e degli Aragonesi, sempre -in discordia con Genova ma all’isola dei Porti (1352 febbr.) fra -Costantinopoli e Calcedonia, nel fitto della notte e nello -infuriar delle tempeste non bastanti a spegnere l’ira -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -degli uomini, fu sconfitto da Paganino Doria; il mare -e i lidi rimasero orridi de’ frantumi di sì trista vittoria; -e se i Veneti perdettero quattordici navi, dieci gli Aragonesi, -due i Greci, anche i Genovesi ne lasciarono -tredici al nemico o alla procella, e vuolsi che settecento -nobili vi perissero, onde quasi ogni famiglia dovette -vestire il bruno, nè si permisero le solite feste del trionfo. -</p> - -<p> -Il Doria insuperbito, invitò il kan de’ Tartari a seco -giurarsi contro i Bisantini; e con Orcano, figlio, di quell’Osman -che aveva fondato l’impero turco, assalì l’imperatore -Cantacuzeno, lo insultò nella sua reggia, ed -obbligollo a staccarsi dai Veneziani, e segnare un -trattato ove ai Genovesi concedeva tutti i privilegi tolti -ai Veneti. Questi dovettero promettere non approdare -più per tre anni alla Tana, contentandosi d’un banco -a Caffa; i Greci, di non mescolarsi a litigi che potessero -nascere tra Genovesi, Veneti e Catalani; non mandare -navi di traffico alla Tana; restituire quanto avessero -tolto ai Genovesi, cui fosse libero comprare terre senza -licenza dell’imperatore. Neppure a tanto sarebbesi arrestata -Genova, se una battaglia nelle alture di Cagliari -non avesse vendicato i Veneziani, i quali all’arrembaggio -tolsero ai Genovesi ben trentuna galee e quattromila -prigionieri, che buttarono al mare. Grave lutto -alla città, che straziata sempre nell’interno, bramò il -riposo della servitù sottoponendosi all’arcivescovo di -Milano. -</p> - -<p> -Francesco Gattilussio genovese, armate due navi per -far sorte, secondò Giovanni Paleologo a spodestare (1355) lo -usurpatore Cantacuzeno; e in premio chiese la sorella -per moglie e l’isola di Metelino, che restò di fatto nella -sua discendenza. Già prima i Zaccaria, avendo ajutato -potentemente l’impero a recuperare l’isola di Negroponte, -n’aveano ottenuto le ricche cave d’allume in -Focea. Per sostenersi nel riacquistato dominio e contro -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -gli Ottomani che già eransi impadroniti di Gallipoli e -d’Adrianopoli, il Paleologo era ricorso ad Innocenzo VI, -promettendo sottomettere la sua Chiesa alla romana; -e il papa esibì per sei mesi venti vascelli da guerra -con cinquecento cavalieri e mille fanti: ma Genovesi, -Pisani, cavalieri di Rodi, il re di Cipro non diedero -retta alle sue esortazioni; Amedeo VI di Savoja, coadjuvato -dai Genovesi di Galata, mosse una spedizione (1366), -ove ritolse ai Turchi Gallipoli. -</p> - -<p> -In quel bujo l’imperatore, non pago di sollecitare -Urbano V per ambasciadori, venne in persona a Roma -quando si coronava Carlo IV, e riconobbe la doppia -processione dello Spirito Santo e la primazia della -Chiesa latina: ma la viziosa inettitudine di lui non ispirò -nè interesse nè pietà; poi la morte del papa (1369) interruppe -ogni effetto; e il Paleologo, passato a sollecitare i Veneziani, -vi si trovò in tali strettezze, che i creditori lo -tennero agli arresti, e la Signoria dichiarò non partirebbe -finchè non si fosse sdebitato. Andronico suo -figlio, lasciato reggente, non s’affrettò a mandargli il -denaro; Manuele fratei minore lo riscattò, vendendo -se nulla ancor gli restava: di che il Paleologo concepi -avversione per quello, predilezione per questo, e per -isfogarla si fece persin vassallo di Amurat I granturco. -E quando Andronico cercò stronizzare il padre, Amurat -ne prese occasione di tragittarsi in Europa con grosso -esercito per domare questi litigiosi che s’abbaruffavano -sull’orlo del sepolcro. Andronico, che dal padre era -stato imperfettamente accecato, col favore dei Genovesi -potè uscire dalla prigione e cacciarvi il padre: ma -questi fu ajutato alla fuga per lunga arte di Carlo Zeno -veneziano, il quale per mercede volle che dell’isola -di Ténedo fosse investita la propria nazione. Di qui -vedemmo nascere terribile guerra fra Venezia e Genova, -e la vittoria de’ Veneziani a capo d’Anzio, vendicata -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -poi a Pola sopra Vittor Pisani da Pietro Doria, che -menò la flotta genovese fino a Chioggia. -</p> - -<p> -Venezia s’accorse che si rovinava in paese minacciato -dà si gagliardi avversarj, e neglesse il mar Nero; laonde -i Genovesi restarono arbitri dell’Impero, e a loro posta -metteano pace e attizzavano guerra fra que’ principi -fratricidi, e neppur esitarono a patteggiare coi Turchi -di mai non guerreggiarli. -</p> - -<p> -Quasi soli esercitavano essi il commercio della costa -di Trebisonda, ove col titolo d’imperatore dominava un -principotto Comneno. Alla costui corte Megallo Lercári -mercante genovese, nel fare agli scacchi, rissossi con un -mal paggetto dell’imperatore, e avutone uno schiaffo, e -invano chiesta soddisfazione, armò due galee, depredò -la costa, e a quanti Greci cogliesse mozzava le orecchie -e il naso. Un padre il supplicò si caldamente a risparmiare -questo supplizio ai figli suoi, che il Lercari li -perdonò, patto che recassero a Trebisonda all’imperatore -un barile di nasi e d’orecchie, e annunziassero -non desisterebbe finchè non avesse in mano il suo -oltraggiatore. Tal era la forza de’ Genovesi o la debolezza -di que’ Greci, che l’imperatore in persona venne -a consegnare il paggio al Lercari, il quale s’accontentò -di porgli un piede sulla faccia dicendo: — Via costà, -sciagurato; e ringrazia la civiltà de’ Genovesi, che non -bistrattano donne»<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>. -</p> - -<p> -I Turchi si avvicinavano alla capitale, non più da -scorridori e con subitarie devastazioni, ma passo passo -conquistando; già Bajazet la stringea d’appresso. Unica -tavola nel naufragio, gl’imperatori ricorsero all’Occidente; -e Manuele Paleologo venne supplichevole a Roma (1399). -Se non che i Mongoli, condotti da Tamerlano imperatore -di Samarcanda, dopo rapide quanto estese vittorie -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -nel cuor dell’Asia, piombarono sopra i Turchi, vinsero -Bajazet e lo fecero prigioniero. Obbligati i Turchi a -provvedere alla proprio difesa, venne ritardala la caduta -di Costantinopoli; poi i figli di Bajazet si osteggiarono -fra loro: eppure delle discordie e delle sconfitte -di costoro non seppero giovarsi i Greci per rivalere, e -il successore d’Amurat II potea dire al greco imperatore: — Chiudi -le porte della tua città, e regna nel -recinto di essa; quant’è di fuori appartiene a me». -</p> - -<p> -Di fatto l’Impero trovavasi ristretto ormai alla capitale -e ad un lembo della Tracia lungo cinquanta e largo -trenta miglia, con poche centinaja di soldati, stranieri -i più. I Musulmani potevano chiamarsi barbari soltanto -al paragone di gente più colta: che se il sensuale orgoglio, -su cui è fondata la loro religione, gli arrestò -sulla via della civiltà, aveano però mietuto i frutti dell’araba -e della persiana: potenti per commercio, potentissimi -per armi di mare e di terra, nelle quali aveano -introdotta una perfezione ignota ai Cristiani; presto -impararono l’uso della polvere; dicesi ottenessero dai -Genovesi i primi cannoni, e perfezionatone il maneggio, -li volsero contro le mura, forti soltanto per resistere -alle catapulte. Primi introdussero un esercito stanziale -colla formidabile milizia de’ gianizzeri, reclutata di -fanciulli rapiti do ogni paese, e perciò staccati da ogni -affetto, ed usi fin da bambini alle ormi; milizia di gran -lunga superiore alle truppe vendereccie dei Cristiani. -Senza i riguardi della gente civile, coll’entusiasmo dello -apostolato guerriero, credendo fatalmente segnata l’ora -della morte, e premio il paradiso a chi cada in battaglia, -piombavano su popoli che vagheggiavano le dolcezze -della pace; la Russia mal potea fronteggiarli, serva -com’era dei Tartari; alla generosa Ungheria erano -tagliati i nervi dagli Austriaci, che ambivano farla patrimonio -della loro casa; l’Italia rimanea sbocconcellata. -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -Pertanto i Turchi, possedendo le coste del Mediterraneo -e dell’Arcipelago, poteano ridurre a pascialati la -Polonia, l’Ungheria, la Germania, l’Italia, sbiadare i -loro cavalli sull’altare del Vaticano, e restringere in -angustissimi confini la civiltà cristiana. -</p> - -<p> -Più incalzante si sentì il pericolo quando (1421) la bifida -spada fu posta nelle mani di Amurat II, uno de’ maggiori -eroi dell’islam. Manuele Paleologo pensò mettere -una barriera all’avanzare de’ Turchi col vendere ai -Veneziani Salonicchio, forte di quaranta torri e quarantamila -abitanti, in eccellente golfo, e opportunissima -al commercio e a tutelare Negroponte. La Serenissima, -allora invogliata dal Foscari alle conquiste, se la prese, -e mandò a giustificarsene con Amurat, il quale per -tutta risposta arrestò il messo, ed assediò Salonicchio. -La flotta veneta lo respinse, ed Amurat assalì la Morea, -e qualunque volta la Signoria mandava per fare accordi, -egli rispondeva: — Rendetemi Salonicchio»; infine la -sorprese e pigliò (1429), dopo che la Repubblica avea sciupato -settecentomila ducati a difenderla. -</p> - -<p> -Allora Amurat mette assedio a Costantinopoli (1431) con -ducentomila Turchi. Eugenio IV levò il grido d’allarme -per annunziare il pericolo che all’Europa e a tutta la -cristianità sovrastava se Bisanzio perisse; ma non era -più entusiasmo di popoli che determinasse alle imprese, -bensì calcolo di principi, e questi erano occupati ciascuno -in casa propria a consolidare la prerogativa -regia, ad estendere i dominj, a fiancheggiarsi di parentele. -Genova e Venezia dal pericolo ravvicinate, si unirono -bensì (1440) sotto lo stendardo delle sante chiavi; il -cardinale Giuliano Cesarini riuscì ad eccitare Polonia -e Ungheria, più da vicino minacciate; e l’esercito, -composto d’avventurieri d’ogni paese, condotto dal -grande Giovanni Uniade, transilvano addestrato nelle -guerre d’Italia, assalì Amurat. Ma la battaglia di Varna (1444) -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -sparpagliò l’esercito crociato, e l’imperatore Giovanni III -Paleologo dovette comprare la pace. -</p> - -<p> -Pace effimera; e già prima quell’imperatore non -vedea modo al suo bisogno che nei soccorsi d’Occidente; -ma come riprometterseli se non riconciliando -la sua Chiesa alla latina? Stava allora adunato il concilio -di Ferrara (pag. 196), e il Paleologo sopra navi veneziane -fu trasportato in Italia, menando seco Giuseppe -patriarca di Costantinopoli, e i rappresentanti degli altri -patriarchi, molti prelati, cantori, monaci, filosofi, spiegando -un fasto che cozzava colla miseria, giacchè il -papa avea dovuto anticipargli le spese. Fu ricevuto -orrevolmente, estreme riverenze rendute al moribondo -rappresentante dell’antica maestà cesarea; Venezia gli -prestò venerazioni, di cui la libertà non era gelosa -perchè non esprimevano un omaggio, e perchè le spoglie -di Costantinopoli che la abbellivano diceano qual -fosse più potente fra l’augusto troneggiante sulla poppa -della nave capitana, e il doge e i senatori che gli -baciavano il piede; a Ferrara ottenne le cerimonie di -posto e di grado consuete agl’imperatori antichi: ma i -contrasti fra il concilio di Basilea ed Eugenio IV impedirono -ogni conchiusione. Convocatosi poi il concilio -a Firenze (1438), e ridottisi d’accordo sulle incomprensibili e -sulle pratiche quistioni, Eugenio si obbligò a pagare -ai Greci il ritorno, mantenere sempre due galee e trecento -soldati per difesa di Costantinopoli, e dieci galee -per un anno ogniqualvolta venisse richiesto; eccitare -i principi europei a sovvenire quell’impero, e far approdare -a Costantinopoli tutte le navi che trasportavano -pellegrini in Terrasanta. -</p> - -<p> -Ma gli amplessi e la riconciliazione, forse subdoli, -certo interessati per parte dei grandi che ne trattavano, -doveano riuscire inapplicabili al popolo e al basso clero -greco, ignoranti e fanatici a segno, che avrebbero preferito -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -Maometto al papa. I monaci venerati dai loro -eremi maledivano a chi si fosse comunicato coi Latini; -i popi chiudevano le basiliche in faccia a chi s’era messo -in relazione col legato in Santa Sofia; il popolaccio nelle -bettole cuculiava il pontefice e gli azimati; i prelati -medesimi, sentendo rinascere la coscienza o l’orgoglio, -si ritrattarono, e quel misero avanzo dell’impero romano -andò sovvertito fra nuovi e antichi credenti che a vicenda -intitolavano sè cattolici, eterodossi gli avversarj. -Al vederli odiarsi perchè gli uni nutrono la barba, gli -altri la radono, questi consacrano pane fermentato e -quelli no, non si direbbero persone fradicie nella pace? -e invece roteava sul capo di tutti la scimitarra ottomana. -Amurat perdonò al Paleologo d’avere sollecitato -la crociata, ma assalse i fratelli di lui, tra’ quali era -diviso il restante impero; ridusse a sommissione Neri -Acciajuoli signore dell’Acaja, di Atene, della Focide, -della Beozia; per l’istmo, invano fortificato, entrò nel -Peloponneso che devastò, incendiata Corinto, presa Patrasso, -e menati sessantamila schiavi. -</p> - -<p> -Maometto II, succedutogli (1451) con maggior impeto guerresco, -s’accingeva ad annichilare quel fantasma dell’impero -romano, e assediò Costantinopoli con dugencinquantottomila -armati e trecento navi. Costantino -Paleologo su quel trono tarlato sosteneasi con virtù -degne di miglior fortuna. Vedovo di una de’ Gattilussi -di Genova, principi di Metelino, cercò una Foscari di -Venezia; ma avendo i consiglieri suoi trovato non abbastanza -decorose tali nozze, e preferitovi una principessa -di Georgia, si rese avversi i Veneziani di modo -che non abbastanza cooperarono alla difesa. I Genovesi -di Galata ebber ricorso alla madrepatria, e n’ottennero -una grossa nave e macchine e cinquecento uomini -d’arme; ma sentendosi insufficienti, ebbero per più -savio consiglio il prendere accordo col Turco, promettendo -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -essi di restar neutrali, egli di rispettarli; doppia -slealtà, perocchè Maometto diceva che lasciava dormire -il serpente finchè non avesse soffocato il drago, e i -Genovesi non lasciavano di soccorrere sottomano gli -assediati. La colonia genovese di Caffa inviò tre legni, -che traverso gravissimi pericoli, e menando strage nella -flotta turca, provvide di viveri la città. Nella quale trovavansi -chiusi quasi cinquecentomila Greci, e duemila -Genovesi e Veneziani: ma non passavano i settemila -gli armati, con ventotto navi; oltrechè i Greci aborrivano -i Latini sebbene esponessero per loro la vita; -fremettero quando il legato pontifizio, venuto a parte -del pericolo, cantò messa col pane azimo e l’acqua diaccia; -e gridavano: «Il cadere sotto Roma val quanto -il cadere sotto i Turchi». -</p> - -<p> -All’indifferenza degli estrani e dei cittadini mal supplivano -il senno e il valore di Costantino. Affidò egli -il comando della piazza a Giustiniano Longo genovese, -già podestà di Caffa e or principe di Lemno, il quale lo -secondava mirabilmente; meglio di chicchessia sapeva -squadronare, assalire, trovar ripieghi, reggere a fatiche, -oppor mine alle mine, coll’ajuto d’altri Genovesi, fidi a -quella seconda patria<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>. -</p> - -<p> -Però le munizioni venivano meno (1453); le artiglierie -turche fulminavano le decrepite mura con una furia -mai più veduta di projetti, e aveano fra altri un pezzo -che tirava palle di milleducento libbre, sicchè un colpo -bastava a colar a fondo una nave. Maometto, non potendo -forzare la grossa catena del porto, fece trascinar le sue -navi attraverso alla lingua di terra che ne lo separava, -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -forse secondato dai Veneziani; talchè un mattino gli -assediati svegliandosi le videro entro il porto. Questo -prodigio gittò lo scoraggiamento ne’ cittadini: il Giustiniani -tentò avventare il fuoco nella mirabile flotta, -ma il cannone del granturco mandò a fondo il brulotto -con cencinquanta nostri prodi. Il Giustiniani ferito si -ritirò dal combattere, per quanto Costantino il supplicasse -fin chiamandolo fratello; e di fatto al suo partire, -che gli altri gli ascrivono a infamia colla facilità onde -gli inoperosi sputacchiano gli eroi, la costanza degli -Italiani vacillò. Al 24 maggio erano aperte breccia per -tutto, e Maometto annunziò l’assalto generale pel venerdì -29, al che rispose d’ogni parte il grido d’Allah, -mentre gli assediati raffittivano in penitenze e comunioni, -e supplicar Madonne, e intuonare lugubri Kyrie -eleison. Alfine dopo quarantotto giorni d’assedio Costantinopoli, -che avea resistito a sette assedj di Arabi e -cinque di Turchi, fu presa; dappertutto si gridò: — Dio -solo è Dio, e Maometto è il suo profeta»; e il gran-signore -entrato in Santa Sofia, ordinò al muezzin d’intimare -la preghiera, salì all’altare e pregò. -</p> - -<p> -Costantino perì da eroe, e le poche navi italiane -poterono salvare alcuni degl’infelici che a calca vi ricoverarono, -e massime i Genovesi di Galata colle loro -ricchezze. Eppure Maometto, che gridava a’ suoi soldati — A -voi i prigionieri, le ricchezze, le donne, ma riservate -a me la città e i fabbricati», confortava i Genovesi -a rimanere sicuri; ai pochi che gli diedero ascolto -concedette di praticare il proprio culto, sottoponendosi -al testatico. I negozianti di Pera capitolarono, e Maometto -fece decapitare il balio di Venezia, ed arrestare -quanti Veneziani vi colse. -</p> - -<p> -Venezia non potea pensare alla vendetta, e Bartolomeo -Marcello dopo un anno di trattative conchiuse la pace (1454). -Nessuna parte recherà danno all’altra, o ricetterà i rei -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -di Stato o di furto, anzi li consegnerà: libero commercio, -pagandosi reciprocamene il due per cento delle -merci esitate nello Stato amico, e reciproca restituzione -delle robe de’ naufraghi e de’ morti: i Veneziani tributeranno -ducentrentasei ducati per le terre che tengono -nell’impero turco: gli schiavi veneziani saranno restituiti; -ma se si fossero professati musulmani si pagheranno -mille aspri, cioè cinquanta ducati per ciascuno. -Le navi andando e tornando dal mar Nero rinfrescheranno -nel porto di Costantinopoli; possano portare -qualunque merce di Cristiani, ma non di Turchi; mantenute -al patriarca costantinopolitano le entrate che -avesse in terra di Veneti; la Signoria possa mandare a -quella città un balio, che regga nel civile e renda giustizia -fra’ Veneziani d’ogni condizione. Il gransignore si -obbliga a risarcire i danni ben provati, che nella persona -o nella roba avessero patito i Veneziani nella presa di -Costantinopoli. Essi possano introdurre nell’impero ogni -sorta moneta coniata o in verga; ma le verghe dovranno -farsi bollare dalla zecca. -</p> - -<p> -Caduta la metropoli, sussistevano ancora l’impero -d’Iberia e quello di Trebisonda sul mar Nero, dove i -Genovesi conservavano Caffa in Crimea; fra il Nero e -l’Adriatico, i regni di Dalmazia, Bosnia, Servia, Rascia, -Bulgaria, Croazia, Transilvania, posti sotto l’alto dominio -dell’Ungheria; e là intorno i Valachi, razza romana; -l’Epiro; in Grecia il ducato di Atene; nel Peloponneso -i despoti, fratelli dell’ultimo Costantino. Creta, Negroponte, -altre isole e parte della Morea e dell’Albania -appartenevano a’ Veneziani; Cipro a’ re Latini, Metelino -e Lesbo ai Gattilussi, Cefalonia e Zante a casa Tocco, -Rodi ai cavalieri di San Giovanni. Tutti questi, che -aveano fin allora fissato gli occhi a Costantinopoli, -adesso volgeanli all’Italia, e massime al papa e a Venezia; -riboccava la patria nostra di Greci ed Orientali, -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -che esageravano le crudeltà de’ Turchi, e, stile de’ fuorusciti, -la facilità del ritoglier loro «la grande ingiusta -preda». -</p> - -<p> -D’altra parte i Turchi, occupata Costantinopoli e fattala -lor sede, pretendevansi succeduti agl’imperatori -romani, e come tali divenire padroni di quanto essi -aveano posseduto, considerando usurpatori quelli che -ne tenevano alcun ritaglio. In tale pretensione avvolgeano -segnatamente l’Italia; e per lungo tempo, quando -al granturco si cingeva la sciabola, bevuto ch’egli avesse -nella coppa de’ gianizzeri, la rendea loro piena d’oro, -proferendo: — A rivederci a Roma». -</p> - -<p> -Maometto in fatti s’accinse a sterpare le piccole signorie -fondatesi nell’impero, e improvvisamente tolse a -Genova Amastri, colonia si opportuna ai commerci colla -sponda meridionale del mar Nero, gli abitanti trasferendo -a Costantinopoli. Genova, vedendo non poter -mantenere la colonia di Galata sotto il cannone turco, -con tutte le altre di Levante le cedette ai protettori del -banco di San Giorgio, che col denaro le salvassero; e -San Giorgio fece prova di suprema abilità nel conservare -tredici anni le colonie di Crimea; non potendo -farvi giungere soccorsi pel Bosforo chiuso dal granturco, -soldò de’ Polacchi; poi bande italiane che per lunghissimo -viaggio arrivarono fin alla Tana; sollecitava la -cristianità ad ajutarla, ma non era nulla; sicchè anche -Caffa fu presa, quarantamila suoi abitanti spediti a Costantinopoli, -millecinquecento fanciulli genovesi arrolati -fra i gianizzeri; Tana, Azoff e le altre città caddero senza -ostacolo, e fino alla pace di Adrianopoli del 1829 il mar -Nero restò chiuso a’ Cristiani, che appena schiuso doveano -farlo teatro di terribili martirj. -</p> - -<p> -Gli Acciajuoli di Firenze erano succeduti ai Catalani -di Sicilia nel dominio d’Atene: e alla morte di Neri, la -moglie di lui pose il suo fanciullo sotto la protezione di -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -Maometto II; poi innamoratasi di Pietro Priuli veneziano, -gli offrì farlo signore d’Atene se, disfacendosi -della prima moglie, lei sposasse. Come detto così fatto; -ma gli Ateniesi indignati ricorsero a Maometto, che -fece scannare la rea, e sterminò gli Acciajuoli. -</p> - -<p> -Le discordie fra i despoti del Peloponneso offrirongli -pretesto d’intervenirvi, e Tommaso Paleologo fuggendone -portò i suoi lamenti e la testa di sant’Andrea al -papa, al duca di Milano, ad altri, per eccitarli a redimere -la Grecia; ma morì di crepacuore, malattia degli -esuli. Davide Comneno, ultimo imperatore di Trebisonda, -andò a finire in esigilo. -</p> - -<p> -Nell’Epiro rimpetto all’Italia si era con gloriosa imprudenza -ribellato Giorgio Castrioto, detto Scanderbeg; -e incorati i marziali Albanesi a resistere alla luna ottomana, -vide fuggire innanzi a sè il vittorioso Amurat. -Maometto II propose soggiogarlo, e Scanderbeg nel -nuovo pericolo scrisse ad Alfonso re di Napoli chiedendogli -soccorsi; e n’ebbe viveri ed ausiliarj, condotti -da Raimondo d’Orlaffa. Per rimeritarlo de’ quali Scanderbeg -venne poi in Italia a soccorrere re Ferdinando -figlio di lui, e n’ebbe in compenso San Pietro a Galatina, -piccola città della provincia d’Otranto, ove si fondò la -prima colonia albanese, cui ne tennero dietro altre a -Siponto, a Trani, e là intorno del promontorio Gargáno, -e ne’ monti che separano la Daunia dall’antico Sannio. -Perocchè, al morire di Scanderbeg (1467), l’Epiro ricadde in -servitù; ma i suoi nella lunga guerra aveano acquistato -molta perizia, e su cavalli leggerissimi, con sopravvesta -corta senza maniche e imbottita per rintuzzare i colpi, -bacinetto di ferro in testa, in mano una zagaglia ferrata -talvolta fin di dodici piedi, lunga spada, piccolo -scudo, mazza agli arcioni, si esercitavano al corso e al -rapido volteggiare, opportunissimi ad inseguire, ardere, -spiare il nemico, predare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -</p> - -<p> -Dal doge Pietro Mocenigo furono assoldati quando -volle tentare l’impresa di Delo e Mitilene; poi presero -servizio in Italia, ove divennero terribili col nome di -Stradiotti (στρατιώται). e fin agli ultimi tempi v’ebbe -sempre negli eserciti napoletani uno squadrone reale -macedone. Altri Cristiani, che non vollero piegarsi al -giogo turco, passarono a noi, chiedendo pane e sicurezza -di culto, ottennero terre nel Regno, le domesticarono, -e ancora conservano la lingua nativa e il rito greco e il -vestire e i costumi, ancora gemono il loro sangue disperso -(<i>giaca in sprirus!</i>), ancora <i>danzano</i> le miserie -dell’antica lor patria, ed essi, <i>sangue purissimo di Scanderbeg</i>, -dispregiano il sangue nero, sangue di volpi o di -nottole degl’Italiani, dai quali insegnano in proverbio -dover guardarsi come il <i>falegname dall’ascia</i><a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -</p> - -<p> -Alquanti Mainotti o Spartani giunsero a Genova, che -li collocò nell’isola di Corsica, ed obbligandoli alla decima -de’ frutti e cinque lire per fuoco, gl’investì delle -terre incolte di Paoncia, Recida e Piassologna, che a -breve andare si videro colte e popolate. Costoro si mantennero -fedeli a Genova quando i Corsi le si rivoltarono, -e dalla forza superiore degl’insorgenti costretti -ad imbarcarsi per Ajaccio, lasciarono chiusi nella fortezza -d’Uncivia ventisette dei loro, i quali per cinque -giorni respinsero duemila cinquecento Corsi, e alfine -si ritirarono in Ajaccio anch’essi. Le reliquie di tale -colonia incontransi oggi a Cargese ed Ajaccio, coi costumi, -le usanze, i canti patrj<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -</p> - -<p> -Ragusi si rassegnò a tributare mille ducati l’anno -alla Porta per conservare il proprio governo; diede -ricovero a molti fuggiaschi da Costantinopoli, poi alla -stampa la prima tragedia regolare, e il primo libro di -commercio<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>; e fu come l’Atene del paese serbo, arricchendo -le lingue latina, italiana e slava. -</p> - -<p> -Maometto, risoluto di far riconoscere un solo Dio in -cielo, un solo signore in terra, proseguiva le vittorie, -e conquistata la Bosnia e la Servia, minacciava di correre -a Vienna e a Roma. In que’ frangenti non tacque -la voce dei papi contro i Turchi. Già Clemente VI avea -bandita la crociata che conquistò Smirne; un’altra Urbano -V per guerreggiare fra i Serviani; una terza -Bonifazio IX, che fu scompigliata a Nicopoli; una quarta -sotto Eugenio IV, andata a ruina nella giornata di Varna. -L’infelice successo non iscoraggiava Nicola V, che di -nuovo bandì la croce, ma senza effetto. Calisto III ordinò -per tutta cristianità si sonasse a mezzogiorno la -campana dei Turchi; e sollecitava la Germania, che -nelle diete decretava denari ed uomini, ma non si -vedevano mai. -</p> - -<p> -Giovanni da Capistrano, nativo della provincia d’Aquila, -dedicatosi al fôro, da re Ladislao fu assunto giudice -della grancorte della Vicaria. Essendo condannato -nel capo un poderoso barone, il re non solo approvò -la sentenza, ma la estese al primogenito di esso. I giudici -si piegavano alla reale volontà, ma Giovanni gli -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -animò ad opporsi; e avendo il re, non ostante, comandato -l’esecuzione, Giovanni chiese congedo da un impiego -che non poteva esercitarsi senza ingiustizia e andò francescano. -Accompagnatosi a san Bernardino da Siena, -missionava, finchè, visto il pericolo sovrastante alla cristianità, -corse esortando alla guerra santa. A Vienna -mostrasi ancora sul sagrato di Santo Stefano il pulpito -da cui egli predicò: il popolo veneravalo qual taumaturgo, -portava a lui carte e dadi da bruciare e riducevasi -a penitenza. Gli venne fatto di mettere insieme una -quinta crociata contro gli Ottomani, composta non di -nobili e cavalieri, ma di vulgo, studenti, frati, contadini -armati di mazze e fronde. Frà Giovanni, solo confidente -quando tutta Europa dispera, procede adottando per -grido di guerra Gesù, e ridesta Giovanni Uniade, il -quale, memore delle vittorie e delle sconfitte antiche, -assume il comando di quell’esercito, che incomposto -avanzasi contro i Turchi (1456), ed obbliga Maometto ad allargare -Belgrado, che assediava con trecento cannoni, lasciando -ventiquattromila uomini sul campo. In memoria, -il papa istituì la festa della Trasfigurazione al 6 agosto. -Quasi fosse compiuta la loro missione, l’Uniade muore -dopo due settimane, e dopo tre mesi il Capistrano<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>. -Maometto occupa il resto della Serbia, menandone via -ducentomila prigionieri; nè più altri che la flotta pontifizia -soccorre le isole assalite. -</p> - -<p> -Pio II volle assumersi la parte di Pietro Eremita (1458), -esortando tutta cristianità ad armarsi di conserva contro -il Turco; e logica e dialettica e retorica usava, troppo -meno potenti che non quell’eloquenza impreparata, la -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -quale sgorgando dal cuore, strascina irresistibilmente. -Istituì l’ordine della madonna di Betlem, che presto -cadde colla presa di Lemno ove tenea sede. Raccolta -poi in Mantova la cristianità a concilio, proclamò la -crociata (1458); v’assisteano quasi tutti i principi d’Europa, e -gli ambasciadori degli altri, e di Rodi, Cipro, Lesbo, -dell’Epiro, dell’Illiria, minacciati così da vicino. Il papa -vi sfoggiò eloquenza; altrettanto Francesco Filelfo, portando -la parola a nome del duca di Milano: i deputati -della Morea dipinsero gli orrori commessi dai Turchi -e a schiavitù dei Greci. Chi non ricorda con quanto -fervore ai dì nostri le donne favorissero la causa dei -Greci insorti? non altrimenti fu allora, e a quell’assemblea -perorarono Ippolita Sforza e Isotta Nogarola. La -prima, figlia di Francesco Sforza e moglie di re Alfonso -II, avea trascritto di suo pugno quasi tutti i classici -latini: l’altra, filosofessa, teologante, letterata, lasciò -moltissimi discorsi e lettere, e un singolare dialogo per -difendere Eva contro Adamo. -</p> - -<p> -Le parole furon molte, e in conseguenza pochi i fatti. -L’imperatore Federico III era troppo inetto sicchè volesse -affidarsegli il comando; il re di Francia doveva -badare alle cose domestiche: onde l’onore di comandare -la cristianità fu attribuito al duca di Borgogna; -l’esercito si leverebbe in Germania, verrebbe stipendiato -da Francia, Spagna, Italia a proporzione della -ricchezza; Borso d’Este esibiva ben trecentomila fiorini, -forse sì generoso perchè prevedeva non verrebbe l’occasione -di sborsarli. Di fatto la pace tanto necessaria -fu guasta, e le armi raccolte si ritorsero dall’un contro -l’altro. Il papa se ne lagnava, e scriveva; — Dove ci -possiamo voltare? a chi ricorrere? Gridiamo soccorso -ai principi cristiani, e non ci s’ascolta: imponiamo decime -al clero, e non le paga: pubblichiamo indulgenze, -e ci accusano di farne traffico». -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -</p> - -<p> -Ogni dissiparsi di tali imprese aggiungeva orgoglio -a Maometto, che le conquiste sue accompagnava colla -ferocia e l’oscenità. A’ Veneziani vedemmo garantiti per -patto alcuni privilegi in Costantinopoli e i possessi: ma -questi coll’estendersi dei Musulmani restavano quasi -isole in vasta inondazione, vicine ad essere assorte. -Lievissima cagione destò in fatto le ostilità. Uno schiavo -ruba al bascià d’Atene centomila aspri (1463), e fugge a Corone, -terra veneta; i Turchi lo ridomandano, e i Veneziani -ricusano consegnarlo perchè fattosi cristiano, nè -tampoco restituiscono il denaro. Ostinatisi gli uni e gli -altri, ne venne guerra, ove il procuratore Loredano assicurava -che ventimila Greci non vedevano l’ora d’impugnar -l’armi per San Marco, sicchè facilmente si conquisterebbe -tutta Morea: solite e facili confidenze di chi -crede che, per un popolo oppresso, l’esecrare il giogo -equivalga a saperselo scuotere dal collo. Ivi in fatto si -portò un esercito sotto Bertoldo d’Este, che vi morì -gloriosamente: lo capitanò poi Sigismondo Malatesta, -ma le fazioni non riuscirono mai decisive, e si sfoggiava -più atrocità che strategia. -</p> - -<p> -I Veneziani chiesero ajuti al papa; il quale, all’annunzio -delle prime loro vittorie, in concistoro esclamò: — Vedete -come Dio suscitò il fedele suo popolo, i figli -nostri diletti, il senato e la nazione veneta. Vedete come -quelli che tutti tacciavano d’indifferenza e pigrizia, -prima degli altri abbiano prese le armi in onore di Dio. -Si sparlava de’ Veneziani; additavansi i soli che, in tanta -pressura de’ Cristiani, negassero ajuto: ma ecco che -soli essi vigilano, soli si affaticano, soccorrono i Cristiani, -si accingono a far vendetta sul nemico di Cristo». -Vedendo che la parola <i>Andate</i> facea poco effetto, il papa -volle dire <i>Venite</i>, e risolse crociarsi egli stesso, non già -per combattere, ma per orare come Mosè sull’Oreb, -coll’Eucaristia sugli occhi, affinchè Dio concedesse vittoria: — Forse -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -quando vedranno il padre loro, il romano -pontefice, il vicario di Cristo, vecchio e infermo -partire per la guerra sacra, arrossiranno di rimanersi a -casa, e abbracceranno con coraggio la difesa della santa -nostra religione»<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a>. -</p> - -<p> -Generale parve l’impeto degl’Italiani alla santa impresa; -due navi esibiva il duca di Modena, una Bologna, -una Lucca, cinque i cardinali, oltre quelle del -papa; Venezia darebbe la ciurma e i sopracomiti; poi -per le spese il pontefice si tassò in centomila fiorini, -ripromettendoseli dalle limosine di tutta cristianità; in -altrettanti Venezia, il re di Napoli ottantamila, settanta -Milano, cinquanta Firenze, venti il duca di Modena, -metà tanti il marchese di Mantova, quindicimila Siena, -un terzo il marchese di Monferrato, ottomila Lucca. -Queste cifre possono designare l’importanza relativa -de’ potentati italiani; ma ad Ancona, dove il papa avea -dato la posta ai Crociati, poc’altri comparvero (1463) che -Ungheresi e Veneziani, oltre una turba senza viveri nè -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -denaro nè robustezza. Quando gli astrologi assicurarono -benefica la guardatura de’ pianeti, si salparono le -ancore; ma la morte del papa<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a> e le sconcordie degli -Italiani mandarono in fumo la spedizione, del resto -troppo sproporzionata all’intento. -</p> - -<p> -Al nuovo pontefice Paolo II (1464) fu imposto dal conclave -proseguisse l’impresa, consacrandovi il prodotto delle -cave dell’allume. Paolo adunò a tal uopo un congresso -di ambasciadori, e fu assegnata la quota di ciascuno; -ma non venne pagata, e la lega svanì. Ben egli aveva -accolto onorevolmente Scanderbeg, e regalatolo del -cappello e dello stocco benedetti e di qualche denaro; -ma non potè che raccomandarlo ai principi d’Europa. -</p> - -<p> -Del resto Venezia, considerando le colonie per nulla -meglio che un campo da mietere, non aveva provveduto -a incivilire e nazionalizzare la costa d’Istria e Dalmazia; -non vedeva come salute pubblica la conservazione di -esse, mostrando maggior ressa nell’acquisto d’una provincia -sul continente italiano; e mentre accampava diciottomila -cavalli pesanti contro il duca di Milano, non -n’avea duemila nella Morea, a vicenda presa e devastata -dai nostri e dai Turchi. Coriolano Cippico, che militava -come sopracomito d’una galera veneta, e ci lasciò il -racconto di que’ fatti con curiose particolarità, ci mostra -come i Veneziani per antica consuetudine spartissero -il bottino in modo, che al generale toccava il decimo, -al provveditore e agli uffiziali una quota proporzionale -al grado, il resto ai soldati, lo che doveva incoraggiare -al saccheggio: ai soldati retribuivansi tre ducati per -ogni prigioniero che menassero al campo, e ogni tratto -si vedeva vendere uomini e donne turchi all’incanto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -</p> - -<p> -Maometto, stanco di veder guastate terre che riguardava -come sue, giurò di «mandar Venezia a consumare -il suo sposalizio in fondo al mare» e bandita la -guerra sacra, diceva: — Giuro a Dio, unico, creatore -d’ogni cosa, non accorderò sonno ai miei occhi, non -mangerò leccornie, non cercherò cosa gradevole, non -toccherò cosa bella, non volgerò la fronte da occidente -a oriente, se non rovescio e non fo calpestare da’ miei -cavalli gli Dei di legno, di rame, d’argento, d’oro o di -pittura, che i discepoli di Cristo sonosi fatti colle loro -mani; giuro che sterminerò la loro iniquità dalla faccia -della terra, da levante a ponente, per la gloria del Dio -Sabaoth e del gran profeta Maometto. Fo dunque sapere -a tutti i circoncisi miei sudditi, credenti in Maometto, -ai loro capi ed ausiliari, s’essi hanno timor di -Dio creatore del cielo e della terra, e timore dell’invincibile -mia potenza, che tutti devano recarsi presso -di me». -</p> - -<p> -Con quattrocento navi e trecentomila guerrieri, se il -terrore non esagerò il numero, si difilò sovra Negroponte: -sbarcatovi, cinque volte assalì la città (1470 giugno), e Nicolò -Canale ammiraglio veneto non seppe abbastanza coraggiosamente -adoperare le sue artiglierie, che furono -guardate come un prodigio perchè tiravano cinquantacinque -colpi il giorno; e fu presa sotto i suoi occhi la -città, benchè ostinatissima si difendesse via per via. -Maometto aveva intimato la morte a chi risparmiasse -un solo prigioniero maggiore di vent’anni; e Paolo -Erizzo, che tenea la cittadella, essendosi reso a patto -d’aver <i>salva la testa</i>, Maometto gliela salvò, ma lo -fece segare in due per espiazione dei settantasettemila -Turchi che si dissero periti sotto l’eroica città. La flotta -veneta, la migliore del mondo, aveva a fare colla turca, -inesperta, e composta di legni mercantili e di trasporto; -onde fu attribuito all’indecisione del Canale se non -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -si trionfò, ed egli fu mandato in catene a Venezia, -surrogandogli Piero Mocenigo. -</p> - -<p> -Quale spavento per l’Europa al conoscere che i Turchi -erano formidabili anche per mare, e che potevano -portar le loro minaccie a tutti i porti! Paolo II, secondato -dal cardinale Bessarione e da altri greci profughi, -eccitava gl’italiani a sospendere le guerricciuole e rinnovare -la lega italiana del 1454, che di fatto si combinò (1470) -tra Ferdinando di Napoli più da vicino minacciato, -re Giovanni di Aragona e di Sicilia, le repubbliche di -Venezia e Firenze, i duchi di Milano, di Modena, di -Ferrara, i marchesi di Mantova e Monferrato, il duca -di Savoja, e le repubbliche di Siena e Lucca: si spedì -ad eccitare la Germania, e Paolo Morosini ambasciator -veneto a quella dieta diceva: — Van più di due secoli -che la nostra repubblica cominciò guerra coi Turchi; e -sola, massimamente in questi ultimi anni, ne sostenne -gli attacchi continui, nella Tracia e nell’Illiria. Comune -è il pericolo della cristianità, eppure i Veneziani sono -lasciati soli a difenderla: il sonno dell’Europa aggiunge -baldanza ai nemici, che già si avanzano per l’Illiria, -per la Pannonia e per l’Adriatico, togliendo sicurezza -per terra e per mare. La speranza non è ancora perduta -se i Tedeschi spieghino quel valore, con cui si -vuol difendere la casa e la libertà. Venezia ha numerosa -flotta, guarnigioni sulle coste, e venticinquemila combattenti; -re Ferdinando aggiungerà ventitre galee alle -sessanta nostre; colle altre d’Italia si sommerà alle -cento; sicchè, dove i Tedeschi ci assecondino per terra, -non tarderà ad essere assicurata tutta la cristianità»<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a>. -Altrettanto insistevano gli Ungheresi, sentinella morta -sull’altro adito de’ Turchi; ma l’imperatore era inerte, -la Germania pigra, l’Ungheria stessa e la Boemia straziavansi -nella guerra eccitata per le eresie degli Ussiti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -</p> - -<p> -Piero Mocenigo manda a ferro e fuoco le isole e le -coste, quantunque abitate le più da Cristiani, promettendo -un ducato ogni testa di Musulmano portatagli; -barbaro contro barbari. Con lui presero poi conserva -navi napoletane e papaline, e seguitarono i guasti senza -alcun onore di vittoria; mentre in ricambio i Turchi -desolavano i possedimenti veneziani. Hassan Bey rinnegato, -bascià della Bosnia, chiamato in Croazia (1469) con -ventimila cavalli, dopo menato stragi, passò per la Carniola, -scese le Alpi che ivi si dibassano, e spinse i suoi -cavalli fino a tre miglia da Udine. Fortunatamente vi si -arrestò dopo uccisi diciottomila Cristiani, menatine quindicimila -in ischiavitù, distrutte le messi e gli armenti. -</p> - -<p> -Un giovane siciliano, di nome Antonio, rimasto prigione -a Costantinopoli, riuscì a fuggire, e presentatosi al -Mocenigo, gli chiese una barca, promettendo incendiare -la flotta turca. L’ebbe con coraggiosi compagni, e fingendo -vender frutte, si pose fra i Turchi, e riuscì a -mettere il fuoco ai bastimenti; ma s’apprese anche alla -sua barca, e nel fuggire fu côlto. Il gransignore volle -vederlo, e lo interrogò se avesse ricevuto qualche ingiuria -di cui vendicarsi. — Nessuna; ma voi siete nemici -implacabili della cristianità, e me fortunato se -avessi potuto bruciar te come bruciai la tua flotta». -Il granturco lo fece segare co’ suoi compagni, e Venezia -beneficò la famiglia di esso<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>. -</p> - -<p> -Sisto IV riuscì ancora a raccozzare alcune forze (1471), e -cercando l’amicizia de’ nemici de’ Turchi, ad Ussum -Cassan scià di Persia inviò frà Luigi di Bologna e Catarino -Zeno, poi Giosafat Barbaro con vasi d’oro e stoffe -di Verona, il quale però non giunse alla sua destinazione, -per quanto pressato dal senato veneto. Cassan, -stretta alleanza coi nostri, aveva di fatto (1473) invasa l’Asia -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -Minore; ma sfornito d’artiglierie e di coraggio, presto -si ritirò, lasciando quasi soli al tremendo ballo i Veneziani, -che non mancarono alla riputazione di valore. -All’assedio di Scutari, Antonio Loredano si ostina alla -difesa, e perchè popolo e soldati chiedeano di rendersi -per mancanza di cibo, si presenta collo stendardo di -san Marco, e snudando il petto, — Ecco le mie carni; -saziatevene, ma continuate a resistere». Emulava così -Paolo Erizzo e sua figlia Anna, Alvise, Calbo, Giovanni -Bondumier, caduti martiri della religione e della patria -a Negroponte. Pure i Turchi prevalgono, e recano fra -l’Isonzo e il Tagliamento la schiavitù e la peste, diffusasi -anche in Venezia, ove mieteva da cencinquanta -persone al giorno, e il maggior consiglio si trovò ridotto -a non più di ottanta persone. -</p> - -<p> -Consunta da quindici anni di fierissima guerra, Venezia -chiede pace (1479), cedendo Scutari, Stalimene e quanto -aveva in quella campagna acquistato, conservando giurisdizione -propria in Costantinopoli, ed esenzione dalle -dogane pel compenso di annui diecimila ducati. La -cristianità, accidiosa a soccorrere i Veneziani, sentendo -crescere la minaccia, gli accusa di viltà; il papa protesta -che non aveano diritto di terminar la guerra senza -assenso di lui, e li pronunzia disertori; i principotti -italiani s’ingelosiscono che la Signoria, la quale fin là -gli aveva carezzati, potesse voltare contro di loro le -armi. -</p> - -<p> -Posto avanzato contro i Turchi stavano ancora i cavalieri -di San Giovanni, che, dopo perduta Acri, s’erano -assisi a Cipro, dominata dai Lusignano, continuando da -Limisco ad osteggiare gl’infedeli: poi turbati da continue -risse coi Lusignano, si prefissero (1310) conquistare l’isola di -Rodi. Sorpresala colle isole adjacenti, vi si fortificarono, -di là bersagliando i Turchi, e dando mano a chiunque -gli osteggiasse. Indarno Orcano l’aveva assediata nel -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -1315; anzi i cavalieri presero Smirne, e la tennero dal -1343 al 1401, quando gliela strappò Tamerlano. -</p> - -<p> -Sentì Maometto l’importanza di Rodi, e appena ebbe -disimpacciata la flotta, la drizzò contro quell’isola. -Giambattista Orsini, che n’era il trentesimottavo granmaestro, -appellò i cavalieri d’ogni lingua, e si fece conferire -assoluto arbitrio sopra i beni e le forze quanto -la guerra durasse. Mescid bascià approdò (1480) con censessanta -vascelli, e sbarcati centomila uomini, assediò la -capitale; ma i cavalieri si valsero dell’opportunità e -della forza dei posti con sì prodigioso valore, che i -Turchi dovettero levarsene d’attorno dopo ottantanove -giorni, lasciando novemila morti, e recando tredicimila -feriti. -</p> - -<p> -Diremo altrove come l’infame politica de’ tempi nuovi -inducesse lo Sforza, il re di Napoli, Firenze e il papa -a istigare il granturco contro Venezia. Nella guerra -derivatane, Anton Grimani che comandava restò vinto, -e Venezia lo punì col mandarlo a confine: suo figlio -volle ostentare amor di patria collo stringergli egli -stesso i ceppi ai piedi. Allora fu che tutte le città a -mare della Morea furono sottratte a Venezia, la quale -aveva cessato di ricuperar nella pace quel che avesse -perduto nelle battaglie. -</p> - -<p> -Essa a vicenda, insidiata dal re di Napoli (agosto), istigò -contro di lui Maometto: sicchè dalla Vallona i Turchi -sbarcati in Italia, assalsero Otranto, che magnanimamente -si difese; e prevalsi mercè dell’artiglieria, vi -uccisero l’arcivescovo Stefano Pendinello, i canonici, i -frati, violarono le monache, scannarono diecimila abitanti, -altrettanti ne mandarono schiavi, e vi posero forte -guarnigione. -</p> - -<p> -La nequizia de’ principi può sin diminuire l’orrore -pel nome turco, e Maometto faceva proclamare terrebbe -esenti per dieci anni da ogni imposta i paesi italiani -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -che gli si dessero, dappoi non li taglierebbe che d’una -piastra per testa, e libertà di seguir le leggi e la religione -propria come facevasi a Costantinopoli. In fatto -millecinquecento soldati di re Ferdinando disertarono -al granturco, e si temè che Terra d’Otranto si desse tutta -a lui; onde l’Italia fu invasa da sgomento, e il papa si -preparava a fuggire oltremonte. Se non che il nembo -parve dissipato allorchè Maometto a cinquantun anno -morì (1481), ripetendo: — Io voleva conquistar Rodi e l’Italia». -Quanto egli fosse temuto l’attestò il tripudio de’ -Cristiani; papa Sisto IV ordinò di far festa come in domenica, -e solennizzare tre giorni fra continui spari -d’artiglieria, e processioni generali. -</p> - -<p> -Buono per l’Italia che l’impeto de’ Turchi non tardò -a rallentarsi, e il despotismo non meno che il clima svigorì -una potenza, che nuova barbarie minacciava, e -che mescolatasi all’Europa con trattati e ambascerie, -intepidiva quel suo fiero e micidiale fanatismo. -</p> - -<p> -Venezia di tante perdite si rifece coll’acquisto di -Cipro. Questa grande isola era stata, in compenso del -regno di Gerusalemme, attribuita da Riccardo Cuor di -Leone a Guido di Lusignano, nella cui stirpe rimase -fino alla morte dell’effeminato Giano III (1458). Jacopo Lusignano, -suo figlio naturale, pretendeva ereditarla a scapito -della sorella Carlotta, maritata in Luigi di Savoja. -Occupatala, n’ebbe investitura (1464) dal soldano d’Egitto, di -cui l’isola riconosceasi vassalla; e prese anche Famagosta, -da novant’anni possesso de’ Genovesi. Carlotta -fu costretta fuggire, ed intraprendente quant’era dappoco -il marito, impegnò a favor suo il papa, i cavalieri -di Rodi, i Genovesi: ma i Veneziani si chiarirono pel -bastardo, e poichè questo mancava di denari onde mantenervisi, -Marco Cornaro veneziano suo banchiere gli -esibì centomila zecchini se volesse sposare la bella sua -nipote Caterina. Acciocchè non fosse disuguale al regio -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -parentado, questa fu adottata dalla repubblica di San -Marco; e il titolo di vana onorificenza divenne occasione -d’importantissimo acquisto. Perocchè, ucciso Jacopo (1475) e -tempestando l’isola fra i pretendenti, la Repubblica si -dichiarò erede eventuale di Caterina, come la madre -della figlia; e col pretesto delle minaccie dei Turchi la -indusse o costrinse a rinunziare Cipro (1489). Caterina ricevette -in cambio il castello di Asolo nel Trevisano, dove -conservando il titolo, e circondandosi di lusso, di piaceri -e di lettere, poco ebbe a ribramare il regno perduto. -Venezia ottenne così quell’isola, ubertosissima di -vini, di biade, d’olj, di rame; e a chi parlasse male di -questo fatto, intimò sarebbe annegato. I duchi di Savoja, -a cui Carlotta avea rinunziato i suoi diritti, protestarono, -ma non poterono che aggiungere ai loro -titoli quello di re di Cipro, che poi divisero innocentemente -cogli eredi di Venezia. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap119-11">CAPITOLO CXIX. -<span class="smaller">Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano.</span></h2> -</div> - -<p> -Torniamo ora gli sguardi verso l’Italia, dove la -prisca infinità di Stati è ormai riunita attorno a quattro -principali, Lombardia, Toscana, Stato Pontifizio, Napoli; -e diciamo di ciascuno in particolare, dopo esaminatene -le vicende comuni. -</p> - -<p> -Di Firenze l’età poetica può ritenersi chiusa colla -morìa del 1348, che vi uccise centomila uomini, alterò -i costumi per le fortune accumulate, e rincarì i -salarj degli operaj. Nel 1352 una banda di ladri, fingendo -dar serenate a questa o a quella signora, pregava -i viandanti non passassero da quella via per non -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -disturbare i suoni e gli amori, e intanto svaligiava le -case. Scoperto l’artifizio, ed esserne capo Bordone Bordoni -di famiglia primaria, il Filicaja confaloniere di -giustizia volea prenderne severa punizione; ma i parenti -interposero uffizj e denaro, tanto che i priori cassarono -i collegi del gonfaloniere. Questo, risoluto a -voler eseguita la legge, abdicossi della dignità e partì -per Siena; ma il popolo cominciò ad esclamare che -non rendeasi più giustizia, e tumultuò a segno che fu -forza richiamare il Filicaja, il quale fece troncar la -testa al Bordoni, esigliò i complici, e al fine del magistero -n’ebbe un premio di duemila fiorini. -</p> - -<p> -Firenze procurò riparare a que’ danni istituendo -l’Università, e poco poi, ad istanza del Boccaccio, una -cattedra di greco, la prima in Occidente; potè assodare -il suo dominio su Prato; occupò Volterra, sottraendola -alla tirannia di Bocchino Belforti. La sua sommissione -a Carlo IV non ha altro valore, se non dei -centomila fiorini con cui ne comprò la conferma de’ -suoi privilegi; e nelle altre città non valse che a rinfocare -le dissensioni interne, le quali al partire di Carlo -proruppero, peggiorate dalle bande mercenarie, delle -quali vedemmo come trionfasse. -</p> - -<p> -Tardi era sorta a libertà, e solo al chinare degli -Svevi e col favore dei papi; onde non soffrì i primi -trambusti di quella gran rivoluzione nè la lotta col Barbarossa, -e potè far senno dell’altrui esperienza; per -forza o per trattati ridusse alle leggi comuni i signori -vicini, e si spiegò francamente papale; e con tanti magistrati, -tutti elettivi e di brevissima durata, otteneva -che molti s’interessassero alle fortune patrie, e negli -uffizj acquistassero pratica, franchezza, largo e generoso -vedere. -</p> - -<p> -Le proposizioni erano dalla Signoria presentate al -consiglio del <i>popolo grasso</i> di cento persone; indi passavano -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -all’assemblea, composta del consiglio delle capitudini -delle arti maggiori, e di quello di credenza -d’ottanta cittadini; in terza istanza venivasi al consiglio -del podestà, di ottanta membri, fra nobili e plebei: -dopo di che l’assemblea generale di tutti questi consigli -votava, e attribuiva forza di legge all’ordinanza. Tale -forma variò nelle particolarità, ma durò nel proposito -di togliere la decisione suprema al potere esecutivo, -per affidarla a consigli popolari, ne’ quali erano rappresentate -tutte le forze vive della nazione, impedendo -la preponderanza d’un consiglio col riservare la definitiva -risoluzione all’assemblea generale. -</p> - -<p> -Dappertutto le prime risoluzioni comunali furono piuttosto -dovute ai nobili, vale a dire della stirpe degli -antichi conquistatori e possidenti, che formatisi in comune, -si volevano assicurare e governare. Ma ben presto -le società degli artigiani e i piccoli possidenti fecero -dare alla rivoluzione un secondo passo, eguagliandosi -alle antiche famiglie nella giustizia, negli uffizi, nei pesi. -In qualche luogo anzi vi si sovrapposero, e questo fu -il caso di Firenze, dove i nobili rimanevano esclusi da -ogni impiego, le sole arti partecipandovi; sicchè le famiglie -che vi aspirassero, dovevano farsi scrivere sulla -matricola di qualche maestranza. Dante apparteneva -a quella degli speziali, e non rifina di declamare contro -i villani d’Aguglione, di Campi, di Certaldo, che erano -venuti a Firenze a imbastardire la semenza santa degli -originarj, discendenti dai Romani. Però nelle genti -nuove non tardò a formarsi un’aristocrazia, le arti maggiori -e le minori erano gerarchicamente disposte, e -tutt’occhi ad escludere chi non fosse del loro numero. -</p> - -<p> -Giano Della Bella represse viepiù i nobili col sancire -non fosse eleggibile se non chi realmente esercitava un -arte: poi la potenza collettiva de’ priori fu personificata -nel gonfaloniere di giustizia, che doveva presedere alla -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -esecuzione di questa, eletto a due gradi dal popolo, e -con una guardia di mille, poi fin quattromila uomini, -talchè ben presto divenne il primo magistrato, e dirigeva -a suo senno gli affari pubblici. -</p> - -<p> -A tutti i cittadini non nobili erano aperte le cariche; -ma era <i>divieto</i> che due dello stesso casato sedessero -contemporaneamente nelle primarie. Le antiche famiglie -essendo allargate in più rami, e gelose di conservare i -nomi tradizionali, cadevano spesso in questa esclusione; -quasi mai le nuove, le quali non conosceano tampoco -due generazioni di loro parenti: sicchè il governo veniva -a persone sempre meno esperte degli affari, e ai -Guelfi di vecchio ceppo surrogavansi Ghibellini. -</p> - -<p> -Come contro gli antichi il <i>divieto</i>, così contro i nuovi -militava un altro statuto. Fin dal 1266 erasi cominciata -l’amministrazione della massa guelfa, con capitani di -parte, due plebei e due cavalieri, rinnovati ogni bimestre, -e in continuo aumento di potenza e d’arroganza. -Nel 1358 Uguccione de’ Ricci, di famiglia emula degli -Albizzi, fece stanziare che, se un Ghibellino o non vero -Guelfo occupasse un impiego pubblico, incorresse una -pena, che poteva essere dalle cinquecento lire fin alla -vita, in arbitrio del podestà, e sovra deposizione di sei -testimonj, approvati dai capitani di parte e dai consoli -delle arti. Questa legge, nuovo testimonio dell’esorbitare -delle fazioni, tendeva ad escludere chi possedesse meno -di cinquecento lire, e chiunque sgradisse ai capitani -della massa guelfa. I priori se ne avvidero e la tagliarono, -pure modificata passò; ai capitani ne furono aggiunti -due artigiani, e portati a ventiquattro i testimonj -richiesti; ai due posti de’ cavalieri potevano aspirare -anche i nobili; e qualora uno, eletto ad un seggio della -Signoria, fosse sospetto di pensare ghibellino, verrebbe -ammonito acciocchè non si esponesse al pericolo della -multa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -</p> - -<p> -Era un sindacato terribile pei magistrati, e riduceva -le elezioni in mano de’ capitani di parte. Questa specie -di terroristi esercitavano con prepotenza l’infausto diritto -di molestare i concittadini; cercavano si votasse -a palla scoperta per influire più efficacemente; e una -volta non riuscendo bastanti i voti, Bettino Ricasoli fece -serrare il palagio, e nessuno n’uscirebbe sinchè, al dispetto -di Dio e degli uomini, due non fossero dichiarati -ghibellini; e da ventidue volte uscito vano il partito, -finalmente per istracchezza fu votata l’ammonizione. -Non era più l’antico fervore per la Chiesa e per l’Impero, -ma libidine di occupare gl’impieghi, di escluderne -i concorrenti, di far vendette<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>; e di tal passo -viepiù restringevasi l’oligarchia. Questa, comunque ella -fosse salita al potere, vi mostrava abilità e vigore; reprimeva -i tentativi fatti per abbatterla, snidava gl’incomodi -castellani, e cercava il prosperamento della -patria. -</p> - -<p> -Ma potea sperarsi di dar consistenza a un governo, -dove ogni impiego era attribuito dalla sorte, e rinnovato -a brevi termini? Fuor di esso formavasi un partito -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -che realmente dirigeva la repubblica, e che divenuto -robusto, ricorreva al suffragio universale onde farsi -attribuire la <i>balìa</i>, cioè potere dittatorio, affidato a -parecchi membri, i quali rinnovavano le borse ponendovi -nomi della loro parzialità, esigliavano quei della -contraria, estorcevano denari con mezzi arbitrarj, e -cessando lasciavano la repubblica nella stessa altalena -fra l’anarchia e l’arbitrio. -</p> - -<p> -Pertanto nella città, o a dir meglio ne’ varj Comuni -che la componeano, distinti per fazione, per quartiere, -per arte<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>, forma stabile di reggimento non aveasi; -e, al contrario di Venezia, tutto parea costituito per -fare che gl’individui campeggiassero, mentre illanguidivano -i corpi dello Stato. Quindi il cadere dell’uno -e succedere dell’altro cangiava i partiti e partoriva -violazioni di diritti, ma non ne derivava mutamento -alla costituzione, non alla politica esterna. -</p> - -<p> -Le case antiche mettevano ogni opera a mantenere -la purezza guelfa coll’applicare severamente l’<i>ammonizione</i>, -e così eliminare gli uomini nuovi, inclinando -perciò all’aristocratico. Le nuove pretendeano si levasse -la nominale distinzione di Guelfi e Ghibellini, spalleggiando -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -l’opinione democratica. Gli antichi plebei guelfi, -che allora cominciavano a chiamarsi la nobiltà popolana, -si schieravano cogli Albizzi; coi Ricci, intitolati -ghibellini, parteggiavano gli Strozzi, gli Alberti e i Medici, -famiglia salita in molta ricchezza col commercio, -e disertata dai nobili popolani. Gli otto della guerra -contro il papa addicevansi tutti a questa fazione come -amici di Bernabò, e parvero farla sormontare col resistere -a forza spiegata contro ai pontifizj. Gli Albizzi, -forti dell’appoggio de’ vecchi nobili e di chiunque era -geloso degli otto della guerra, si schermivano ammonendo, -e rivalsero quando il popolo disse risolutamente: — Sono -stanco dei sacrifizj e della scomunica». -</p> - -<p> -Gran colpo l’interdetto a città così fedele alla Chiesa: -ma non che si esacerbassero, gli animi si compunsero; -«in ogni chiesa si cantavano alla sera le laude, assistendovi -uomini e femmine innumerevoli, e spendendovi -senza misura in cera e libri e simili occorrenze; ogni -giorno processione con reliquie e canti musici, e sin -fanciulli di dieci anni entravano nelle compagnie di -Battuti; e più di cinquemila n’andavano talora alle processioni, -e fin ventimila nelle processioni generali; e -quei che assistevano alle prediche, orazioni, digiuni, -erano il cento per uno di quando si dicea la messa; -molti giovani nobili si ritirarono in gran penitenze a -Fiesole, e convertivano peccatrici, e benchè ricchi andavano -ad accattare pei convertiti» (<span class="smcap">Marchionne</span>). -Poi insultavano ai fautori della guerra, e quando scendevane -alcuno dal palazzo «e’ gli dicevano: <i>Or va, fa -guerra colla Chiesa</i>, picchiavangli le panche dietro, -facevangli le corregge colla bocca, e così infino a casa -lo rimetteano». A questo universale desiderio e alle -parole di santa Caterina bisognò piegarsi, presentare -le scuse al papa, e conchiudere pace. Allora i Ricci si -trovano a terra, ed esclusi dalla Signoria per la legge -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -appunto che essi aveano provocata; onde diguazzarono -fazioni, sinchè una balìa dei dieci della libertà per cinque -anni vietò da ogni magistratura tre membri d’ambedue -le famiglie. -</p> - -<p> -Così la tirannide degli oligarchi montava sempre -più, blanditi da tutti quelli che li temeano; finchè si -trovarono alcuni buoni, che opposero coraggiosa resistenza (1378). -Silvestro di Alamanno de’ Medici, rettissimo -cittadino, intraprendente, e caldo avversario de’ Ricci, -essendo tratto gonfaloniere, fece istituire una balìa, la -quale ammaccò l’autorità dei capitani di parte, e lenì la -severità contro gli ammoniti e sospetti ed esuli ghibellini, -lasciando loro speranza della patria e degl’impieghi. -Il popolo, che affollato sulla piazza de’ Signori, avea -fatto passare queste leggi contro la stabilita oligarchia, -e saccomannato le case degli Albizzi, degli Strozzi, dei -Buondelmonti e d’altri guelfi<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>, temette che allo sbollire -cominciassero i castighi; onde, sollecitato dagli -ammoniti, combinò leghe di tanta forza, che la Signoria -non osò punire i capi faziosi, sebbene li conoscesse. -</p> - -<p> -Ma nella democrazia la classe inferiore tramesta -sempre per collocarsi a fianco alla sovrastante, per -vedersi poi ella stessa invidiata e battuta da una più -bassa. Quando la città si divise in arti, giudicata ciascuna -da proprj capi nelle controversie civili, alcuni -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -esercizj inferiori non formarono corpo, ma vennero -considerati subalterni ad altri (1378); e per esempio, tintori, -tessitori, cardatori di lana furono aggiunti ai drappieri. -Ne nasceva che costoro, o quei che andavano a giornata, -se si querelavano in giudizio, trovassero talvolta per -giudici i proprj padroni od i consorti de’ loro avversarj. -Perciò pieni di corruccio, e temendo d’essere -puniti de’ passati subugli, i plebei o Ciompi cominciarono -a brulicare, poi levandosi in armi (20 luglio), tolsero al -bargello quelli che la Signoria avea fatti arrestare, incendiarono -le case del gonfaloniere e de’ sospetti, -piantarono forche sulle piazze per chi rubasse, conferirono -la cavalleria a Silvestro de’ Medici e sessantaquattro -altri loro prediletti, i quali per non essere -uccisi accettarono l’onore pericoloso, sebbene d’alcuni -fosse stata il giorno stesso bruciata la casa. -</p> - -<p> -Preso il gonfalone (luglio), e assediata la Signoria in palazzo, -i Ciompi domandarono che i mestieri dipendenti dai -fabbricanti di panno formassero corporazione distinta, -con consoli proprj, e così i tintori, barbieri, farsettaj, -cimatori, cappellaj, fabbricatori di pettini; si sprigionassero -tutti i rei, salvo i traditori e i ribelli; nessuno -del popolo minuto potesse per due anni chiamarsi in -giudizio per debito al dissotto di cinquanta fiorini. Queste -ed altre minori domande furono accettate, ma crescevano -a misura che soddisfatte, tanto più che i priori -non seppero altro partito che abdicare. I ciompi occupano -le porte della città; Michele di Lando cardatore, -che trovasi fra quella folla scalzo ed in farsetto<a class="tag" id="tag101" href="#note101">[101]</a>, -vien tolto per capo, e affidatogli il gonfalone di giustizia, -col quale esso li precede al palazzo pubblico, ed -ivi dice alla ciurma: — Questo palazzo è vostro, vostra -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -questa città; esprimete la vostra volontà sovrana»; e -la ciurma a piena gorgia — Sii tu gonfaloniere, riforma -tu il governo». -</p> - -<p> -Onest’uomo, animoso al primo avventarsi e, ch’è più -raro, temperante ed, assennato al regolare, il Lando -pose termine alle prepotenze degli otto della guerra, e -insieme colla fermezza attutì le sêtte, prevenne i saccheggi, -rintegrò gli ammoniti, e bruciate le borse da -cui doveano sortirsi le magistrature, nominò una nuova -Signoria di tre dell’arti maggiori, tre delle minori, tre -del popolo minuto, rinforzati con milleducento balestrieri. -La plebe, come succede, si gridò tradita, corse -al palazzo tumultuando, e stava tutto il dì in piazza -armata e schiamazzante, chiedendo ora proscrizioni, -ora divieti, ora concessioni, sollecitata da’ suoi piaggiatori -che la chiamavano popolo di Dio: e il Lando -spiegò una risolutezza che mancò spesso ad altri demagoghi, -quella di negar soddisfazione a domande fatte a -quel modo; e allorchè s’accinsero a far violenza, spiegò -il gonfalone della giustizia, trasse la spada, ferì o -disperse i ciompi, cacciò un migliajo de’ più pertinaci, -di modo che la moltitudine trovossi imbrigliata dal -proprio creato. Finito il suo tempo, egli depose la dignità, -e fu per onoranza ricondotto a casa dai donzelli -della Signoria con l’arme del popolo, targa, lancia e -palafreno magnificamente bardato. -</p> - -<p> -La taglia guelfa si trovò allora soccombente (1379); e i -Ghibellini fattisi capipopolo, continuavano i sospetti e -le provvigioni contro i ricchi e potenti, e moltissimi giudicarono -ad esiglio o a morte. Giovanni Aouto mandò -esibire rivelerebbe una trama ordita con Carlo di -Durazzo contro la Repubblica, se questa gli desse cinquantamila -fiorini e di poter salvare sei persone da -morte, o ventimila fiorini se le bastasse saper il trattato, -non gli uomini. Di fatto si venne in chiaro della cosa, -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -e il popolo a furia voleva giustizia, o se la farebbe col -ferro e col fuoco; e per quanto gli uffiziali ripetessero -non trovare titoli bastanti contro gli accusati, fu forza -uccidere Piero degli Albizzi, lungamente capo della -repubblica, e i primarj suoi fautori; molti popolani -furono degradati fra i nobili; e preso al soldo l’Acuto, -gli esagerati dominarono, facendo insulse e impertinenti -provvigioni, non solo contro i magnati, ma fin -contro gli artieri meno infimi; profondeansi adulazioni -al popolo di Dio, e v’avea cavalieri che faceansi tagliare -gli sproni per ricevere di nuovo il cavalierato dal basso -popolo. Intanto altri ciompi fuorusciti rinterzavano -congiure, crescevano assassinj; e la plebe insospettita -attribuiva poteri smisurati agli uffiziali, chiedea nuovi -rigori fin contro tutti i parenti e consorti degli sbanditi, -sempre dubitando perdere ciò che male aveva acquistato. -</p> - -<p> -Alle maestranze venne lezzo di tale disonesta tirannia (1382) -e degli <i>scorridori</i> o spioni di cui si circondavano i -triumviri de’ ciompi; e in occasione che voleano di -nuovo violentar la giustizia, i moderati presero il sopravvento, -il vulgo applaudì alla morte di quelli, dei -quali aveva applaudito le uccisioni, e con bestialità li -straziò, gridando <i>Vivano i Guelfi e le arti</i>; e non -senza sanguinose baruffe si formò la Signoria (1382 21 genn.), componendola -di quattro delle arti maggiori, cinque delle -minori, esclusi nuovamente i ciompi, e abolite le tribù -del popolo<a class="tag" id="tag102" href="#note102">[102]</a>. Maso degli Albizzi, tirata a sè la podestà, -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -ruppe le leggi originate da quel tumulto, confinò -i capipopolo, e, ciò che parve indegnissimo, fin il savio -Lando, di cui era merito se tutti non erano stati uccisi; -e fermò in istato i grandi, che vi durarono per trentacinque -anni. I migliori uomini di Stato erano morti -od esuli; gli altri, come avviene dopo le paure d’una -rivoluzione, si stringeano attorno a Maso, vegliando gli -umori opposti che contrariavano senza tregua e non -senza tempesta. Il tumulto de’ ciompi aveva disgustato -della demagogia, e fatto luogo alla riazione secondo il -solito, ove la nobiltà tornava a soperchiare, giovandosi -pure del sentito bisogno di riposo. -</p> - -<p> -Firenze, posta nel centro d’Italia e perciò tirata in -tutte le vicende di essa, si prefiggeva di tenere la bilancia -fra i varj Stati, sempre nell’intento di consolidarne -la libertà, e d’impedire una monarchia universale, -che temeasi allora per l’Italia quanto di poi per tutta -l’Europa. Sopratutto stava in occhi contro l’ingrandire -di Gian Galeazzo a settentrione, e di Ladislao di Napoli, -a mezzodì, perfido quanto i Visconti, e valoroso come -essi non erano: e in realtà la padronanza dell’Italia non -rimaneva in mano de’ forti, com’essi presumeano, ma -de’ Fiorentini, che coll’accorgimento sopravvegliavano -gli andamenti generali, e alla prepotenza d’un robusto -opponeano la lega dei deboli. -</p> - -<p> -Ebbe essa modo d’insignorirsi d’Arezzo (1398) per compra; -ma a cagione di Montepulciano venuta in dissidio con -Siena, questa cercò l’amicizia di Gian Galeazzo, che -subillato dai fuorusciti onde la Lombardia formicolava, -si obbligò a mantenere in Toscana settecento lancie per -servigio de’ Senesi. Firenze ebbe dunque lungamente a -temere che Gian Galeazzo s’impadronisse di Pisa e Siena -e la togliesse in mezzo, nè dall’insidie or aperte or celate -di lui la liberò che la costui morte. Firenze ne -mena tripudio cantando col salmista, <i>Il laccio è rotto, -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -e noi siam fatti liberi</i>; e più non temendo per la -propria libertà, e gloriosa di essere sfuggita alle insidie -del cardinale Albornoz, punisce i feudatarj dell’Appennino -che a questo aveano dato favore. -</p> - -<p> -Costoro, da capitani dei marchesi antichi, s’erano -mutati in signori indipendenti, avanzo delle istituzioni -germaniche; e fin allora si erano sostenuti col dare -ricovero ed ajuto a’ fuorusciti: ma più nol poteano -dacchè gl’imperatori trascuravano l’Italia, e l’elemento -popolare e cittadino prevaleva. Principale tra essi era -Pier Saccone de’ Tarlati, signore della rôcca di Pietramala, -poggiata nell’Appennino che separa la Toscana -dalla Romagna nel val d’Arno aretino, a cavaliere -dell’antica strada mulattiera fra Arezzo ed Anghiari. -Caldo ghibellino, sottopose i vicini signori, gli Ubertini, -i conti di Montedoglio e Montefeltro, e i figli di Uguccione -della Faggiuola spossessati di Massa Trabaria -(t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 428). Suo fratello Guido era stato fatto signore -d’Arezzo, di cui era vescovo<a class="tag" id="tag103" href="#note103">[103]</a>, e nel dominio gli successe -Piero, che teneva pure Bibbiena, Castello, Borgo -Sansepolcro e tutta la val Tiberina. Dappoi fu costretto -cedere per dieci anni Arezzo ai Fiorentini con tutto il -contado: ma quando le città si rivoltarono a Firenze -dopo la cacciata del duca d’Atene, i Tarlati ne presero -occasione di ripigliare i loro castelli. Piero nella guerra -de’ Visconti sempre parteggiò contro Firenze, sinchè la -pace di Sarzana (1353) lo ridusse in quiete. -</p> - -<p> -Stando Carlo IV a Pisa, egli di novantacinque anni -andò a riverirlo col vescovo d’Arezzo, Neri della Faggiuola, -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -i Pazzi di Valdarno, e chiedeva esser ripristinato -nell’antica signoria; ma non l’ottenne. Sino ai novantasei -però stette capo de’ Ghibellini e formidabile a -Firenze; poi venuto all’agonia, e persuaso che i suoi -nemici non prenderebbero guardia contro di un moribondo, -mandò per sorprendere il castello degli Ubertini; -ma i suoi furono respinti, e con tal dispiacere egli -morì (1356), e colla certezza che nessuno sosterrebbe la grandigia -del suo casato. In fatti suo figlio fu ben presto -assediato nella paterna rôcca, e costretto rassegnarla -ai Fiorentini, che la demolirono. Anche i conti della -Gherardesca si sommisero a Firenze, che li costituì -vicarj di Bibbona e di quattordici castelli della Maremma: -i Gambacorti le soggettarono Bièntina, Cerbaja -i conti Alberti di Mangona, gli Spinetta Fivizzano: -i Ricàsoli raccomandarono il castello di Brolio; i conti -di Battifolle vendettero quei di Belforte e di Gattaja; -altrettanto fecero i conti di Dovadola; il conte Jano -degli Alberti dovè cedere i suoi in Mugello. -</p> - -<p> -Gli Ubaldini erano poderosi di terre e rôcche nella -val del Senio e nel vicariato di Firenzuola, talchè questo -chiamavasi l’alpe degli Ubaldini, donde più volte erano -discesi a danno di Firenze. Nel 1362 Giovachino, signore -di castel Pagano in val del Senio, morendo per ferita -avuta dal fratello Ottaviano, a costui danno chiamava -erede il comune di Firenze, il quale di quei dominj, -contenenti dodici castelli, costituì il <i>podere</i> fiorentino (1372), -estendendolo nelle vicinanze, sinchè la schiatta degli -Ubaldini, tante volte rivoltatasi contro il comune di -Firenze, restò annichilita. Sopra undici di loro fu messa -la taglia di mille fiorini d’oro, chi li desse vivi o morti; -e nominati alcuni <i>uffiziali delle alpi</i> di Firenze, che -munissero da quel lato i luoghi della Repubblica: sicchè -gli Ubaldini rinunziarono per mille fiorini quattordici -castelli che tuttora occupavano; Tommaso da -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -Treviso capitano del popolo ne menò trionfo, e gli -Ubaldini furono sciolti dal bando, restituiti in possesso -de’ beni allodiali nel Mugello, e dichiarati cittadini -popolani<a class="tag" id="tag104" href="#note104">[104]</a>. I Santafiora furono sottomessi da Siena, -il castel della Sambuca dai Pistojesi, concentrandosi -così più sempre i poteri nelle città, mentre sopra -queste vigoreggiava Firenze, che ebbe sottoposto (1390) anche -Montepulciano. Vero è che la tributò la peste rinnovatasi -nel 1400<a class="tag" id="tag105" href="#note105">[105]</a>; ma rifattasene, comprò Cortona per -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -sessantamila fiorini, e tolse i possessi ai conti Guido di -Dovadola e al conte di Poppi. -</p> - -<p> -I Genovesi, dolenti che Venezia acquistando Padova -si fosse tanto rinforzata in terraferma, pensavano ad -elevarle qualche avversario, e non videro miglior modo -che ingrandire Firenze col farle acquistar Pisa, a patto -che guerreggiasse i Veneziani. Indussero dunque Gabriele -Maria Visconti a vendere loro quella città e Ripafratta -per ducentoseimila fiorini: ma i Pisani, indignati -di vedersi mercatare come armento, si ricordano dell’antica -nobiltà, afferrano le armi (1405) e resistono, diretti da -Giovanni Gambacorti. I Fiorentini «scandolezzati dell’alterigia -pisana» non vogliono sentire nè messi nè -patti; e risoluti ad ogni estremo per domarli, destinano -dieci sopra quella guerra fratricida. I Pisani li respinsero -intrepidi; ricomposero le inestinguibili nimicizie -de’ Raspanti e Bergolini, prendendo insieme l’eucaristia -e stringendo parentadi; e benchè, dispersa da una burrasca -la flotta che recava grani di Sicilia, fossero ridotti -i priori a mangiare pan di linseme, e il popolo fin la -gramigna delle strade, pur resistono allo Sforza, a -Tartaglia, a’ soldati, cui i Fiorentini prometteano, se -scalassero le mura, paga doppia, mese compito, il saccheggio -della città, centomila fiorini di mancia, ed armi -e vesti a piacere. E quando, dopo lungo assedio e consumate -innumere vite, il Gambacorti capitolò ricevendo -denari, essi dovettero accettare la servitù, ma molti -abbandonarono la patria per sempre. -</p> - -<p> -Gino Capponi, integerrimo petto, che in quella guerra -si era segnalato come commissario de’ Fiorentini, e a -gran fatica salvò Pisa dal saccheggio promesso ai venturieri, -nominatone governatore, cercò mitigare gli -ordini del Comune vincitore e i fremiti del vinto; ma -non potè risparmiare il rigore. Quanto dovettero indispettirsi -i Pisani vedendo togliersi fin la testa di san -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -Rossore, «come quella città, priva della libertà e degli -antichi onori, fosse ancora da’ suoi santi abbandonata, -e all’incontro Firenze di pompa, di gloria, di ricchezze -e di benedizione si riempisse»<a class="tag" id="tag106" href="#note106">[106]</a>. Alla prima occasione, -tentarono darsi ai nemici di Firenze, la quale -allora meditò repressioni atroci, chiamare a sè i nobili -e megliostanti, cacciare tutti i cittadini dai quindici ai -sessant’anni, e altri spietati ordini, i quali abbiamo ragione -a credere non fossero messi ad effetto. Anzi troviamo -che la vincitrice mandò viveri in copia, poi si -industriò, per ravvivar quella che tanto avea faticato a -spegnere; scrisse lettere, istruì ambasciadori, trattò -con principi, affinchè i tanti fuorusciti ripatriassero; -per venti anni francò d’ogni gravezza i forestieri che -andassero abitarvi famigliarmente; privilegiò di esenzioni -e consoli proprj i negozianti tedeschi di quattordici -città perchè con quella mercanteggiassero<a class="tag" id="tag107" href="#note107">[107]</a>; vi -stabilì l’Università con lauta provvisione e risedio magnifico. -V’è però un bene che nessuna concessione -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -pareggia nè supplisce; ed è pena d’ogni conquistatore -il vedersi obbligato a spendere nel ribadire le catene -e nel fare cittadelle e fortini, il denaro che sarebbe -richiesto al pubblico vantaggio. -</p> - -<p> -Il Capponi fu lieto di vedere assicurato quell’acquisto -col comprare per centomila fiorini dai Genovesi il porto -di Livorno, destinato all’importanza che Pisa perdeva, -e ad aprire ai Fiorentini traffici lontani senza dipendere -da Genova o da Venezia, e così colle private crescere -la fortuna pubblica. Subito fu provvisto alla sicurezza di -quel porto; vi si creò il magistrato de’ consoli di mare, -che erano sei cittadini fiorentini, di cui quattro estraevansi -dalle cinque arti maggiori, esclusa quella de’ giudici -e notari, e due dalle minori, principalmente occupati -a prosperare la mercatura e la marina, risolvere -le cause marittime, e fabbricare una galea ogni sei -mesi, col legname delle foreste delle Cerbaje, facendo -franche d’ogni rappresaglia, anche in caso di guerra, -le merci trasportate su quelle galee. Ad esempio di -Venezia, si stabilì edificare due galee grosse e cinque -sottili, da spedire ad Alessandria per spezierie ed altre -merci, e per esercitare la gioventù in cotali esercizj: -vi s’imbarcarono dodici giovani di buone famiglie, e -dal soldano d’Egitto s’ottenne d’avervi console, chiesa, -fondaco, bagno, statera, bastagi, scrivano proprio, per -sicurezza dei mercanti e onorevolezza della nazione. -Furono posti consoli in tutte le parti di fedeli ed infedeli; -e ben tosto Firenze possedette navi per affrontar -Genova e sconfiggerla. -</p> - -<p> -Internamente essa prosperava con ordinamenti buoni, -cooperando ciascuno per l’accrescimento della città. -Chiunque era ammesso cittadino, dovea fabbricare in -Firenze una casa di almeno cento fiorini; le scritture -pubbliche si ridussero ne’ libri delle Riformagioni; si -convertì in legge la compilazione degli statuti; si migliorò la -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -moneta; si creò un nuovo Monte o vogliam -dire debito pubblico; si formò il catasto col nome di -ciascun cittadino, l’età, la professione, l’importare della -sua fortuna in beni immobili e mobili d’ogni specie, -tassando di mezzo fiorino ogni cento di capitale. Valutavasi -che nelle vie attorno al Mercato nuovo fossero -settantadue banchi, e girassero in contante due milioni -di fiorini d’oro. Allora si cominciò l’artifizio dell’oro -filato, si moltiplicò quello de’ drappi di seta, fu permesso -a ciascuno d’introdurre foglia di gelsi e allevare filugelli -senza gabella. -</p> - -<p> -Copiosissime ricchezze aveano accumulalo que’ magistrati -mercanti, e l’eguaglianza repubblicana non lasciava -sfoggiarle in inutile suntuosità, non grandi comitive di -servi, non insultante sfarzo di carrozze; a piedi andavano -anche le mogli de’ primaj; leggi suntuarie reprimevano -il lusso, permettendo la magnificenza, sicchè -spendeasi in palazzi, chiese, quadri e statue, o in trarre -rarità e libri dal Levante. Si abbellì la città coll’opera -dei primi artisti: fu provvisto che ciascun’arte collocasse -lo stemma proprio e la statua del santo patrono in una -delle nicchie esterne di Or San Michele, ove lavoravano -di marmo e di bronzo Donatello, Andrea del Verrocchio, -Baccio da Montelupo, Nanni del Bianco, Simone da Fiesole, -Lorenzo Ghiberti: a questo l’arte di Calimala -allogò le porte di bronzo di San Giovanni, dove riuscì sì -famosamente, che fu dichiarato gonfaloniere, e infisso -il gonfalone alla sua porta in Borgallegri; mentre chiamavasi -Filippo Brunelleschi a voltare la cupola di Santa -Reparata. -</p> - -<p> -Per rimovere il pericolo di correre strabocchevolmente -a guerre, si prese che ad un consiglio di ducento, -da rinnovarsi ogni sei mesi, fossero fatte le proposte -della Signoria, poi passate al consiglio dei centrentuno, -nel quale entravano la Signoria, i collegi, i capitani -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -guelfi, i dieci della libertà, i sei consiglieri della mercatanzia, -i 21 consoli delle arti, e quarantotto altri cittadini; -e se passassero, doveano ancora sottoporsi al -consiglio del popolo, indi a quello del Comune; nè senza -l’approvazione di questi quattro consigli veruna provvisione -avea forza. Speravasi che il dover consultare tanti -consigli indurrebbe alcuno a opporre il suo no; ma è -sintomo di debolezza il non saper rimediare che col -moltiplicare i conflitti. -</p> - -<p> -Insomma il governo rimaneva democratico, ingerendosi -il popolo direttamente dell’amministrazione; gran -numero di cittadini v’erano a vicenda chiamati, e i numerosi -consigli pubblici erano scuola di scienza civile: -che se talvolta le passioni popolari e le fazioni spingevano -ad eccessi, in fondo la politica n’era generosa e -insieme arguta a scorgere i sottofini de’ papi e degl’imperatori, -savio ed abile il governo, civile la nazione, fida -alla libertà anche a gravissimo costo, devota alla santa -Sede, non però ciecamente. Poco valeva nelle armi, -pure seppe opporre meglio che denaro alle bande di -ventura, e le avrebbe distrutte se i principotti non avessero -avuto troppo interesse a conservarle. Ella medesima -se ne valse per fiaccare i Visconti, e qualvolta -cadde sotto la tirannia d’un soldato o della plebaglia, -non tardò a riscattarsene. Molti signori s’accomandavano -a Firenze, come i nobili di Guggio pe’ loro castelli nell’Imolese, -i marchesi di Lusuolo in Lunigiana, i Grimaldi -di Monaco obbligandosi a servire in persona con -una galea, Gian Luigi dal Fiesco conte di Lavagna promettendo -condurre trenta lancie e ducento fanti, e ricevendo -stipendj. -</p> - -<p> -Invece dei bassi o atroci delitti che insozzano le storie -de’ principotti, Firenze ci tramandò i capolavori dell’arte -e della parola, i quali ne eternano la lode; le -abbondarono cronisti e storici, quali, dopo Dino e i -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -Villani, furono Matteo Palmieri, Paolo e Giovanni Morelli, -Jacopo Salviati, Giannozzo Manetti, Amaretto Manelli, -Domenico Buoninsegna, Buonaccorso Pitti, Gino e -Neri Capponi, Simone della Tosa, Bernardo Rucellaj, -Giovanni Cavalcanti, Lorenzo Buondelmonte, Filippo -Rinuccini; e la superiorità di costoro, che non soltanto -raccontano più colti e limpidi, ma giudicano ancora con -grave assennatezza e spesso con elevazione, è argomento -del quanto la nazione fosse superiore alle altre -italiane nell’esaminare la politica, regolarla, sceverarla -da passioni; e come allo spirito di parte sovrastasse -sempre l’amore della patria. -</p> - -<p> -Nei trentacinque anni ch’e’ presedette allo Stato, Maso -degli Albizzi mostrò abilità e coraggio; istrutto dall’avversa -fortuna, non imbaldanzito dalla benigna, strettamente -alleato coi Veneziani, tenne testa a Gian Galeazzo -e a Ladislao, eppure non uscì mai dalla condizione di -privato: ma poichè la parte trionfante non seppe astenersi -nè dall’insolenza verso altrui, nè dalla sconcordia -tra sè, al morir suo le case degli Alberti, Medici, Ricci, -Strozzi, Cavicciuli, spesse volte d’uomini e di roba spogliate -dai nobili popolani, e rimosse dai pubblici uffizj, -rifecero testa, e colle ricchezze e coll’educazione mostravansi -degne di amministrare lo Stato. -</p> - -<p> -Giovanni di Bicci de’ Medici avea guadagnato largamente -in traffici di banco, massime durante il concilio -di Costanza servendone al papa, talchè avea credito -illimitato e affari per tutto il mondo; pure sembrò tanto -benigno e scarco d’ambizioni, che si cessò d’escluderlo -dagl’impieghi. Coll’accomodare di denaro chi n’avesse -bisogno, col blandire al popolo, col mostrarsi moderato -fra le esuberanze de’ parteggianti, si procacciò stima -nell’universale, e più quando, tumultuando il popolo -per soverchie gravezze imposte a cagione della guerra -con Filippo Visconti, e volendo i nobili popolani fiaccarlo -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -collo sminuire il numero delle arti minori, egli -si oppose alla proposta, e sostenne l’alleggiamento e che -si istituisse il catasto, benchè su lui più che su altri, -come maggior possidente, dovesse gravare. Ricchi dunque -e popolani studiavano trarlo dalla loro; e malgrado -l’opposizione di Nicolò da Uzzano, amico di Maso e -suo successore nel primato civile, il portarono (1421) al posto -di gonfaloniere, che con gran decoro sostenne fino a -morte. -</p> - -<p> -Cosmo suo primogenito ne ereditò (1429) il credito e l’importanza, -e a capo della fazione recò l’abilità e le virtù -paterne, e maggior animo nelle cose pubbliche; grave -e cortese ne’ modi, liberale a proporzione delle ingenti -ricchezze; entrante, conoscitore profondo degli uomini, -longanime nello aspettar l’esito de’ disegni fermamente -concetti; franco nel manifestare i suoi pareri, eppur -tenuto come prudentissimo: inclinato alle vie dolci, ma -sapendo all’uopo dar passi robusti; francheggiato da -molti amici e clienti, ai quali era sempre disposto a fare -servigio dell’aver suo. Di squisito gusto nelle arti, di -molta erudizione, di retto giudizio, favorendo le lettere -e le arti apriva nuove strade alla crescente operosità: -il giro de’ banchi, per cui non trovavansi più ridotti a -miseria, legava gli sbanditi per interesse e per gratitudine -alla famiglia che più lavorava di cambio; i condottieri -deponevano presso di quella i loro avanzi, o -le domandavano anticipazioni. Più dovizioso riusciva -Cosmo perchè non abbandonò mai il vivere privato; -senza sfarzo di casa che abbagliasse i cittadini, senza -comprare stranieri ministri, o scialacquare in pranzi e -comparse, o assoldar truppe, mai non dispose per sè -più di quarantasei in cinquantamila fiorini l’anno, mentre -lo Sforza ne spendea trecentomila prima di salire duca. -E appunto le virtù private, i temperati consigli, il sentimento -popolare, la calma fra le burrasche fazioniere, -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -la lauta beneficenza furono stromenti alla potenza -de’ Medici. -</p> - -<p> -Lucca era stata lungamente alleata di Firenze, poi al -1314 disertò da’ Guelfi; e dopo lo sfavillante dominio -di Castruccio e d’Uguccione, andò soggetta a vicenda a -Gherardino Spinola, a Giovanni di Luxemburg, a Mastino -della Scala, a’ Fiorentini, a’ Pisani, a Carlo IV<a class="tag" id="tag108" href="#note108">[108]</a>, dal -quale poi nel 1369 riebbe la libertà, cioè di non esser -sottomessa a verun’altra città, ma soltanto all’impero. -E quel fatto di cui fecero tanta festa i contemporanei, e -tanto scalpore gli storici posteriori; concordi nel proclamare -come liberatore quel Carlo, che realmente sottoponeva, -almeno in carta, quella repubblica al dominio -imperiale. -</p> - -<p> -Immune da dipendenza di vicini, Lucca esercitò alla -cheta le interne emulazioni fra i discendenti di Castruccio, -i Fortiguerra, gli Spinetta e i Guinigi. Quest’ultima -famiglia vi primeggiava; ma essendo perita quasi tutta -nella peste del 1400, il giovinetto Paolo sopravissuto fu -da ser Giovanni Cambi (il cronista) indotto a farsi <i>signore -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -a bacchetta</i>, e perciò, scostandosi da Firenze, -unirsi a Galeazzo Visconti, col cui appoggio si assicurò -il dominio. Senza tampoco rispettare le forme, come -faceano i precedenti, e togliendo ogni autorità al Comune, -trent’anni egli serbò quieta la repubblica, ma -dappoco e sempre in paura di cadere, nè seppe introdur -buone istituzioni, nè farsi amici, benchè circondato di -favoriti, di parentele, d’alleanze co’ principi, e fidente -nella <i>cittadella</i> che fabbricò; mancava di quel valore -che le plebi stimano più che le qualità utili, e alle bande -mercenarie, massime di Braccio, non oppugnava che -con grossissimi donativi. Firenze, da cui improvvidamente -egli avea alienato la repubblica (1429), trovò pretesto -a romper seco, e vi spedì i venturieri Nicolò Fortebraccio -e Bernardino della Carda, che squarciarono il -paese. Il celebre architetto Brunelleschi suggerì di sommerger -Lucca, chiudendo l’alveo del Serchio, sicchè -l’acqua scalzasse le mura e le abbattesse. A grande -spesa si alzò di fatto l’acqua attorno alle mura, che per -tre giorni furono inondate, ma poi i contadini riuscirono -a sdrucire l’argine, sicchè la piena si rovesciò addosso -al campo fiorentino (1430) con immensa jattura. Poi Francesco -Sforza, spedito dal duca di Milano, mise in isbaratto i -Fiorentini, e ne invase il territorio. -</p> - -<p> -Il Guinigi col senno, e i suoi figli col braccio, aveano -difeso Lucca; eppure caddero in sospetto di volerla -tradire ai Fiorentini, e furono mandati prigioni a Milano, -ripristinando il governo all’antica con un gonfaloniere -e col consiglio degli anziani. I Fiorentini, che -aveano mostrato assumer la guerra soltanto per assicurarsi -dal Guinigi, la proseguirono per sottoporre -Lucca come le altre città toscane; ma Nicolò Piccinino, -stipendiato da Genova, ligio al Visconti, li sconfisse del -tutto sul Serchio, invase lo Stato, avvicinossi a Pisa, che -facea sonare le sue catene, bramosa di romperle. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -</p> - -<p> -Tale impresa era stata da Cosmo francamente disapprovata, -sicchè l’infelice riuscita crebbe ad esso tanta -reputazione quanta ne toglieva agli Albizzi e a Nicolò -da Uzzano. Questo però repugnava dai partiti violenti, -conoscendo che una rottura aperta darebbe trionfo ai -Medici. Ma morto lui e conchiusa pace con Lucca<a class="tag" id="tag109" href="#note109">[109]</a>, -inciprignirono i malvagi umori, e Rinaldo, figlio di Maso -degli Albizzi, capoparte più avventato, entrò in grandi -pratiche di abbassare e anche cacciar Cosmo, e ripigliarsi -lo Stato. Disposte sue fila, sonò a balìa, e convocò -una di quelle assemblee in piazza, dove tutti accorrevano -a onde e deliberavano a schiamazzo, per l’urgenza -del caso trascendendo le barriere costituzionali, e pochi -arruffapopolo trascinavano a decidere secondo la fazione. -Quivi si diede la balìa a ducento cittadini indicati -da Rinaldo; e Cosmo, per accusa di denaro disperso -nella guerra di Lucca, fu condannato a morte: se non -che egli, comprando alla sua volta Bernardo Guadagni -gonfaloniere e gli altri che a Rinaldo già s’erano venduti, -ottenne d’essere soltanto sbandito (1433), e la famiglia -sua relegata tra le nobili. -</p> - -<p> -Andossene a Padova; e allora comparve quanto egli -fosse grande, caro dov’era, desiderato ove non era. La -Signoria veneta mandò onorandolo, e il richiedeva di -pareri; chiunque avesse alcun bisogno, ricorreva ad esso, -e una sua raccomandazione bastava: a lui facevano capo -i negozianti, sicchè l’avresti detto un piccolo sovrano; -mentre a Firenze artisti, poveri, trafficanti lamentavano -mancato il loro sostegno. Rinaldo, incapace a lottare -coll’avversario lontano che vicino aveva oppresso, -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -cercava inutilmente afforzarsi col riabilitare i nobili -alle cariche, da cui già da gran tempo erano esclusi, e -fin colle armi tentò far prevalere la sua parte: non girò -intero un anno, che interponendosi papa Eugenio IV, -allora quivi dimorante pel concilio, fu senza scandali -tratta una Signoria (1434 7bre) propensa a Cosmo, questi rintegrato -in patria con accoglienze meravigliose, e sbanditi -o confinati da settanta de’ suoi avversarj. Rinaldo, non -essendosi lasciato persuadere dal papa, e ignaro della -virtù dell’aspettare e far a queto, andò a sollecitare -Filippo Visconti contro Firenze; e mandò dire a Cosmo — La -gallina cova»; al che questo rispose: — Mal -cova la gallina fuori del nido». Rinaldo colle bande -del Piccinino (1440) penetrò fin alla montagna di Fiesole e -nel Casentino: i Fiorentini gli opposero Francesco -Sforza, rotto dal quale intieramente ad Anghiari, e invano -travagliatosi da capo per ricuperare la patria, -andò a finire in Terrasanta. -</p> - -<p> -Cosmo, tornato in trionfo, salutato benefattore del -popolo e <i>padre della patria</i>, pigliò vendetta proscrivendo -molti avversarj, molti condannando al supplizio -e fin senza confessione, altri assassinati, come Balduccio, -condottiere valente di fanteria toscana, che il gonfaloniere -di giustizia fece pugnalare e buttar giù dal -palazzo senza processi. Con tali colpi otteneasi docilità -e svogliava dall’opposizione, e a chi l’avvertiva come la -città per tanti banditi venisse in calo, rispondeva: — Meglio -città guasta che perduta; del resto, non vi -affannate, che con due canne di panno rasato posso -fare un uom dabbene», cioè riparare con gente nuova. -</p> - -<p> -Non si alterò il modo del governo e de’ magistrati -di Firenze, ma tutto dipendeva da Cosmo. Vedendo -omai in ciascuna città italica dominare una famiglia, -pensò innalzar la sua in Firenze, non per armi, sibbene -coll’offrire agli ingegni attrattive e distrazioni nuove -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -nelle arti e nel sapere, avvivare il commercio, estendere -la tela politica, aumentare la propria importanza col -darne alla patria su tutt’Italia, e quiete a questa coll’equilibrarne -gli Stati; a tal fine associò al suo denaro -la spada di Francesco Sforza, le due potenze di quell’età, -il banchiere e il condottiere. Potendo avere a disposizione -tutti i capitani di ventura, mantenne in bilancia -le potenze d’Italia: alla sua repubblica aggiunse -Borgo Sansepolcro, Montedoglio, il Casentino e val -di Bagno. -</p> - -<p> -Senza dunque sovvertire la costituzione e le leggi, -fondava a cheto la signoria delle ricchezze, le quali, -mercè del commercio, aveano indotto immensa disparità -fra i cittadini, e procacciando ammiratori e clienti, -in pochi restringevano l’autorità, benchè durasse stato -di popolo; anzi in cinque soli fece Cosmo (1452) ridurre il -diritto d’eleggere la Signoria. -</p> - -<p> -A fianco di lui figurava Neri Capponi, in consigli più -sottile di Cosmo e, ciò che questi non era, valente in -armi e creduto dai soldati; il quale, non cessando d’essergli -amico, si tenne indipendente, e menò gli affari -più scabrosi. Loro mercè fu riordinata la tranquillità in -Firenze, ma insieme tolta la libertà, giacchè dal popolo, -quante volte volessero, faceano decretare una balìa -dispotica, e riformare le borse, e confinare chi li contrariava; -mentre teneansi buoni gli amici col secondarne -le passioni, collocarli negli uffizj e ai governi, chiuder -gli occhi sulle arti onde s’ajutano i bassi, ligi ai potenti. -</p> - -<p> -Alla morte di Neri (1455) parea dovesse ingrandire Cosmo, -sciolto da quest’ultimo contrappeso; ma il contrario -gli accadde per averne perduto l’appoggio. Gli avversarj -pensano umiliarlo coll’abolire le balìe, e tornare -alla sorte l’elezione del gonfaloniere e della Signoria; e -il popolo va in gavazze, come di ricuperata libertà. -Cosmo però non discende pur d’un grado dalla ottenuta -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -grandezza, perchè temperatamente usata, e perchè gli -uomini nuovi imborsati erano avvinti a lui per interesse -e mercatura, o ligi per gratitudine e speranze; -laddove non essendo più gl’impieghi concentrati in mano -di pochi, gl’inimici suoi si sottigliavano; i quali, avvedutisi -dello sbaglio, cercavano si ripristinasse la balìa. -Cosmo, prima d’assentirvi, lasciò che gustassero i frutti -della loro inesperienza; ma quando (1458) sortì gonfaloniere -Luca Pitti, e’ lasciò tastassero la riforma. Il Pitti, animoso -e temerario, teneva col terrore un governo pigliato -colla forza: chiunque avesse bisogni o reclami, a lui -ricorreva, alla sua casa tutti i malviventi; e coi regali -ricevuti, che vorrebbonsi far ammontare a ventimila -fiorini, e col dare sicurezza ai malfattori che vi lavorassero, -fabbricò il palazzo a Rusciano, e un altro in -città che maestoso grandeggiava sul <i>poggio</i>, mentre al -piano i Medici conservavano la ricca e pur semplice -magione in via Larga. -</p> - -<p> -Ritirato in questa, Cosmo appariva più grande dacchè -non ritraeva lustro che dal merito personale. Gliela abbellivano -con dipinti frate Angelico, Pippo, Masaccio; -Donatello il consigliò a radunarvi capi d’arte antichi; -nelle corrispondenze sue non chiedeva solo merci e -denaro, ma codici, e mandava a trascriverne; accoglieva -letterati, massime quelli fuggiti di Costantinopoli; la -biblioteca Laurenziana ebbe origine dai libri di esso; -un’altra ne collocò nella badia da lui finita a piè del -monte di Fiesole; una ne lasciò al convento di San -Giorgio in Venezia, dov’era stato ricoverato; comprò -quella ove Nicolò Niccoli avea radunato ottocento manoscritti, -e la fece pubblica in San Marco de’ Domenicani, -fondazione sua non meno che San Girolamo a Fiesole, -San Francesco del Bosco in Mugello, e San Lorenzo in -città, ove pure cappelle a Santa Croce, all’Annunziata, -a San Miniato, negli Angeli, architettate dal Brunelleschi, -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -da Michelozzo e da altri eccellenti. Pie istituzioni -avea lasciato a Venezia, un ospedale a Gerusalemme, -un acquedotto ad Assisi; onde non è meraviglia se fuori -veniva considerato come un gran principe, in patria -vivendo tuttavia da privato. Di sue ricchezze chi potrebbe -levare il conto? I suoi poderi di Careggi e Caffagiuolo -poteano servire di modelli; aveva in proprio o a fitto -tutte le cave d’allume d’Italia, e per una sola in Romagna -pagava centomila fiorini annui; per Alessandria -mercatava coll’India, nè era città ove non tenesse banchi; -prestò somme al re d’Inghilterra, ne anticipò al duca -di Borgogna. In questo riposo le gelosie della libertà -cadevano; i Fiorentini, come gli altri Italiani, si abituavano -a vedere grandezza altrove che nella politica; e -l’artista, il letterato, il grosso negoziante onoravansi -d’andar esenti dalle cariche, quanto un tempo d’esservi -assunti. -</p> - -<p> -Ma di due figliuoli rimastigli, il prediletto Giovanni -morì a quarantadue anni (1403); Pietro era rattratto di corpo -e debole di spirito; fanciulli i due costui figli, onde -Cosmo cadente faceasi portare pel vasto palazzo esclamando: — Troppo -grande per sì piccola famiglia». -Di settantacinque anni morì (1464 1 agosto) nella sua villa di Careggi, -dopo stato trent’anni capo della repubblica e non tiranno. -E diceva a’ figliuoli: — Vi lascio infinite ricchezze -che la mia fortuna mi ha concedute, e vostra madre mi -ajutò a conservare; mantenetevi la grazia di ogni buon -cittadino e della moltitudine; e se non isviate dai costumi -de’ maggiori, sempre il popolo vi sarà larghissimo -donatore di dignità. Perchè ciò avvenga, siate -misericordiosi ai poveri, graziosi e benigni agli abbienti, -e solleciti ad ajutarli nelle avversità: non consigliate -mai contro la volontà del popolo: non parlate a modo di -dar parere, ma di amorevole ragionamento: del palazzo -non fate bottega, anzi aspettate d’esservi chiamati: -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -procurate di tener in pace il popolo e doviziosa la piazza: -schivate d’andare ai tribunali, per non impacciar la giustizia. -Vi lascio netti di macchie, eredi di gloria, e me -ne parto lieto, e più lieto partirei se vi vedessi in sajo -anzichè in seta. Fatevi segno al popolo il men che potete. -Siavi raccomandata la Nanina madre vostra, e -fate, dopo la mia morte, di non mutarle stanza e trattamento. -Pregate Dio per me, e abbiatevi la mia benedizione»<a class="tag" id="tag110" href="#note110">[110]</a>. -Fu compianto dagli amici pel bene -ricevuto, dai nemici pei mali che prevedevano quand’egli -cessasse di tenere in rispetto i potenti. -</p> - -<p> -Di fatto Luca Pitti, d’ambizione e di talenti superiore, -che già nella vecchiezza di Cosmo avea fatta rivalere -l’oligarchia, tiranneggiò allora a baldanza, disponendo -dell’erario e degli uffizj, mal contrastato da Pietro -Medici. Le famiglie di Firenze erano state interessate a -sostenere Cosmo, in grazia dei prestiti coi quali egli -soccorreva ai loro bisogni, persin talora prevedendone -la domanda: ma Pietro, volendo rimediare alle scosse -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -date a’ suoi negozj dalle ingenti spese e da fallimenti, -e accorgendosi che andavano sempre in peggio da che -non v’attendeva in persona, ridomandò improvvisamente -i capitali per investirli in terreni: Pensate quanti -dissesti! i fallimenti susseguiti furono imputati a sua -colpa, e tristo paragone faceasi colla liberalità paterna. -Si tramò dunque di togliergli la riputazione e lo stato, -e rintegrare la libertà; e pei maneggi del Pitti cassata -la balìa, si rimisero alla sorte le elezioni, e fu salutato -gonfaloniere Nicolò Soderini, a gran gioja del popolo. -Lealissimo repubblicano ma debole, domandava d’essere -condotto, invece di saper condurre; quando mise -mano a riformare lo Stato per vie legali, si trovò attraversato -dalla fazione dei Pitti, speranti nello scompiglio; -ond’egli uscì di carica senz’essere a nulla approdato. -</p> - -<p> -Moriva in quello stante (1466 8 marzo) il migliore amico de’ Medici, -Francesco Sforza; e Galeazzo Maria, figlio di quello, -mandò chiedendo fosse a lui continuato il soldo che retribuivasi -a suo padre come a condottiero della Repubblica. -Quelli del Poggio, cioè i Pitti, fissaronsi al no, e -ordinarono cogli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini, facendo -sottoscrivere tutti coloro che volessero salvar lo Stato -e ricuperare la libertà, e chiedendo ajuti a Buoso duca -di Modena; e pensavano forse assassinare Pietro e i -suoi figliuoli Lorenzo e Giuliano. Pietro, informatone a -tempo, li prevenne colle armi e coi trattati, e rimasto -superiore, mandò in bando gli avversarj, di che si rincalorirono -le nimicizie. Luca Pitti, lasciatosi lusingare -da Pietro colla speranza d’un parentado, gli diede la -lista de’ congiurati, onde ne fu obbrobriato, e i suoi -palazzi rimasti incompiuti attestarono l’altezza della sua -ambizione e i danni della sua imprudenza. -</p> - -<p> -Gli espulsi, sotto Angelo Acciajuoli attestatisi cogli -esuli del 1434, e preso a capo Gian Francesco Strozzi, -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -preparavano guerra aperta; e Venezia, non volendo -favorirli alla scoperta, lasciò entrasse al loro soldo -Bartolomeo Coleone suo capitano (1467), al quale s’accollarono -molti signorotti di Romagna, i Pio, i Pico, gli Ordelaffi, -Ercole d’Este, Astorre Manfredi di Faenza, Alessandro -Sforza di Pesaro. I Fiorentini si opposero, collegati con -Galeazzo Maria e col re di Napoli; e comandati dal -prode Federico di Montefeltro signore d’Urbino, alunno -di Francesco Sforza, affrontaronsi (25 luglio) alla Molinella nel -territorio d’Imola, dove primamente il Coleone adoperò -artiglierie volanti, e dove, mancato il giorno, a lume -di fiaccole si continuò la mischia. La giornata fu sanguinosa -oltre l’usato, ma non risolutiva; la Repubblica -fiorentina ebbe a logorare fin un milione trecentomila -fiorini d’oro; i fuorusciti, per diffalta di denaro, dovettero -desistere e compromettersi in Paolo II, il quale -non riuscendo ad accordarli, pubblicò articoli di pace, -intimando scomunicato chi non gli accettasse; e dove -la conclusione era di restituire ciascuno ne’ pristini possessi; -il Coleone con centomila ducati d’oro l’anno sarebbe -capo dell’esercito che dai signori tutti d’Italia -volevasi mandare contro i Turchi. Nulla stipulò a favore -degli sbanditi, dei quali anzi furono staggiti i beni; -poi colla ragione o col pretesto di congiure e attentati -furono respinte le famiglie de’ Capponi, Strozzi, Pitti, -Alessandri, Soderini, ed alcuni mandati al supplizio<a class="tag" id="tag111" href="#note111">[111]</a>. -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -Restarono dunque peggiorati dell’avere e della persona, -mentre Pietro, gottoso e impotente di tutti i suoi membri, -ignorava le sevizie de’ suoi, e predicava moderazione -e civiltà; e veramente trattava di ripatriare i -fuorusciti, quando morì (1469 2 xbre), soli cinque anni dopo il padre. -</p> - -<p> -Tommaso Soderini seppe persuadere a conservar -<i>principi dello Stato</i> i giovani figli di lui Lorenzo e -Giuliano: i quali a cinque <i>accoppiatori</i> diedero diritto -di nominare il consiglio de’ duecento; balìa non più a -tempo per casi urgenti, ma permanente e che poteva -ogni cosa, punire, esigliare, levar denaro. I Medici trovavansi -dunque in mano lo Stato, e potevano convertire -a comodo proprio le somme pubbliche, oltre quelle -che per avventura riceveano da chi volesse conservarsi -in grado o soprusare impunemente; e la tirannia palliavano -con feste, colle largizioni, col proteggere artisti -e letterati. -</p> - -<p> -Lorenzo particolarmente è una delle fisonomie più -simpatiche della nostra storia, e ci restano alcuni suoi -ricordi giovanili, di cara semplicità: — Il secondo dì -dopo la morte del padre mio, quantunque io Lorenzo -fossi molto giovane, cioè di anni ventuno, vennono a -noi a casa i principali della città e dello Stato a dolersi -del caso, e confortarne che pigliassi la cura della città -e dello Stato, come avevano fatto l’avolo e il padre mio; -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -le quali cose, per essere contro alla mia età e di gran -carico e pericolo, malvolentieri accettai, e solo per conservazione -degli amici e sostanze nostre, perchè a Firenze -si può mal vivere senza lo Stato, delle quali insino -a qui siamo riusciti con onore e grazia, reputando -tutto non da prudenza, ma per grazia di Dio e per i -buoni portamenti de’ miei passati. Di settembre 1471 -fui eletto ambasciatore a Roma per l’incoronazione di -papa Sisto IV, dove fui molto onorato; e di quindi portai -le due teste di marmo antiche dell’immagine d’Augusto -e di Agrippa, le quali mi donò detto papa; e più -portai la scodella nostra di calcidonio intagliata, con -molti altri cammei e medaglie, che si comprarono allora -fra le altre in calcidonio». -</p> - -<p> -Morta una Simonetta gentildonna, fior di bellezza e -di virtù, era universalmente compianta; e quando col -viso scoperto era portata a sepellire, tutta Firenze fu in -cordoglio. Lorenzo giovinetto deplorò in versi quella -morte, e per ispirarli di maggior verità, cercò persuadersi -d’essere invaghito dell’estinta; dal che passò a -voler ricercare se altra donna raggiungesse quel modello. -E parvegli tale una che egli celò, ma i biografi -rivelarono essere Lucrezia Donati, ch’e’ vide in una -solennità, così bella che esclamò: — Deh fosse pari -alla Simonetta anche in virtù!» E chiestone, poi conosciutala, -la trovò migliore ancora della speranza, e -d’ingegno meraviglioso senza la presunzione che fa ridicole -le saccenti. Questo amore lo fece schivo dei diletti -vulgari e delle affollate radunanze, dilettandosi piuttosto -nella solitudine, dove tutto rammemoravagli colei, -da cui invece lo distraevano i pensieri del mondo<a class="tag" id="tag112" href="#note112">[112]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -</p> - -<p> -Quest’è il mostro della tragedia d’Alfieri, in cui è -verseggiato un nuovo tentativo che i nemici dei Medici -fecero per abbattere i due giovinetti. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap120-11">CAPITOLO CXX. -<span class="smaller">Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. -Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici.</span></h2> -</div> - -<p> -Al concilio di Costanza erasi messo in disputa se più -casta non tornerebbe la Chiesa quando si spelagasse dal -dominio temporale; ma un oratore ragionò: — Tempo -fu che io pensava convenientissimo il separare la potenza -terrena dalla spirituale; ma ora son chiaro che -la virtù senza forza è ridicola, e che il pontefice romano -senza il patrimonio della Chiesa non sarebbe che un -servitore dei re e dei principi»<a class="tag" id="tag113" href="#note113">[113]</a>. -</p> - -<p> -E davvero la schiavitù d’Avignone avea persuaso e -papi e signori che importava assicurare alla santa Sede -un’esistenza indipendente, acciocchè non divenisse stromento -ai regj arbitrj; e si diede opera a consolidarne -la potenza politica quando debilitavasi la spirituale. -Martino V, tornando a Roma, avea trovato il patrimonio -della Chiesa in isconquasso, ma fermo eppur pacifico -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -con dignità lo ristabilì; indusse Giovanna II di Napoli -a restituirgli Roma occupata da Ladislao; tolse Perugia -a Braccio di Montone<a class="tag" id="tag114" href="#note114">[114]</a> e le altre terre ai tiranni che -n’avevano preso il dominio. I Malatesta, segnalati capitani, -eransi costituiti un bel principato a Rimini, sottomettendo -Fano, Pesaro, Camerino, Macerata, San Severino, -Montesanto, Cingoli, Jesi, Fermo, Gubbio; ma, -morto Carlo, condottiero de’ più prodi e generosi, -perdettero ogni cosa, salvo Rimini, Fano e Cesena, lasciate -a tre nipoti di quello. Anche Borgo Sandonnino, -la Pergola, Brettinoro, Osimo, Cervia, Sinigaglia, furono -riuniti al dominio papale. Bologna non sapeva dimenticare -la sua libertà; ma quando tentò ripristinarla nel -1428, fu subito oppressa dalle bande venturiere. Le -tante città avvezze ad avere un principe e corte e lusso -ed arti, piangeano il sottentrato spopolamento. Il cardinale -Albergati, santo di costumi quanto accorto negli -affari, seppe alla Sede pontificia ricuperare importanza -politica in Italia, coi maneggi ottenendo meglio che -colle guerre, e molte paci conciliando. -</p> - -<p> -Roma era sottoposta al pontefice, ma conservava -una rappresentanza civica: e il senatore nell’entrare in -Campidoglio giurava nelle mani del conservatore di -esercitare l’officio lealmente e in buona fede; dare appoggio -agli inquisitori dell’eresia e vantaggiar la fede; -tener Roma e il contado in pace e tranquillità, e purgati -da malandrini; conservare e difendere le ragioni, -i beni, le giurisdizioni e dignità della città e della camera, -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -e ricuperare ciò che se ne fosse perduto; mantenere -e difendere gli spedali, i luoghi pii e religiosi; -procedere sommariamente nelle cause di questi, delle -vedove, de’ pupilli e de’ poveri; far osservare da’ suoi -uffiziali e giudici gli statuti fatti e da fare, e il diritto -civile, ed in mancanza loro il diritto canonico; non far -estorsione o sopruso, non chiedere grazie nei consigli, -nè cercare d’essere raffermo in carica, o assolto dal -sindacato; far sì che i marescialli, cioè esecutori degli -ordini della curia di Campidoglio, e loro famigli girassero -giorno e notte armati; nulla operare di contrario -agli ordini de’ conservatori, anzi prestar soccorso ad -essi e alla loro camera. -</p> - -<p> -Sia per le imposte, che a risarcire il paese (1431) doveva -moltiplicare, o sia pei soliti postumi d’ogni restaurazione, -Martino ottenne scarsa benevolenza, ed era appuntato -di prodigare onori e tesori a’ suoi nipoti. Lui -morto, i cardinali trovavansi dissenzienti sul chi nominargli -successore; onde, per guadagnar tempo, diedero -i voti a quel che meno temeano, il veneziano Condulmier, -che per questo giuoco si trovò papa col nome di -Eugenio IV. Severissimo ne’ digiuni e in tutte le austerità, -gran persecutore degli Ussiti di Boemia, repugnante -da’ consigli altrui per ostinarsi ne’ proprj, scarso di -lealtà e di politica, vedemmo quanta parte avesse nei -maneggi civili e religiosi del suo tempo, per effetto -delle circostanze più che per sua abilità. -</p> - -<p> -Dal bel principio si trovò in urta coi sudditi, coi signori, -coi prelati. S’inimicò i Colonna col ridomandare -i tesori che ad essi aveva confidato il predecessore, e -le città del Patrimonio, dove rigalleggiavano i partiti e -le antiche famiglie. E perchè i Colonna con que’ denari -raccolsero truppe e guerreggiarono gli Orsini, -Eugenio mise in prigione e ai tormenti i loro amici, -e da ducento ne mandò al patibolo, distrusse la casa -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -e i monumenti di papa Martino, finchè i Colonna restituirono -settantacinquemila fiorini. Destinò a governare -la marca d’Ancona Giovanni Vitelleschi vescovo -di Recanati, suo indegno favorito, e uno de’ più disumani -condottieri, che nella guerra di Napoli giunse -a promettere indulgenze a qualunque soldato tagliasse -un ulivo de’ nemici, poi tramò col Piccinino per assalire -la Toscana alleata, e fors’anche toglier di mezzo -il papa e surrogarsegli. Questo n’ebbe sentore, e a -tradimento lo colse in castel Sant’Angelo, ove presto -s’intese ch’era morto. -</p> - -<p> -Intanto la Chiesa era pericolata dal concilio di Basilea; -tutta Romagna sossopra; Francesco Sforza e Nicolò -Fortebraccio vi entrarono dicendosi autorizzati dal -concilio a togliere que’ paesi al papa, cui restrinsero quasi -alla sola capitale. Egli guadagnossi lo Sforza, creandolo -marchese d’Ancona; ma gli altri capitani pretendeano -altrettanto; il popolo s’avventò alle armi proclamando -la repubblica, e il papa a stento si salvò a Firenze. Alfine -il Piccinino, vincendo Fortebraccio, rese a san -Pietro le antiche appartenenze. -</p> - -<p> -Tommaso, figlio del medico pisano Bartolomeo Parentucelli, -per povertà lasciò gli studj onde mettersi in -Firenze educatore de’ figliuoli di Rinaldo degli Albizzi, -poi s’attaccò al cardinale Albergati come segretario, -medico, intendente, e in quei venti anni ebbe molto a -conoscere molti paesi e gli eruditi d’allora; copiò manoscritti -e v’aggiungeva note assennate, lo perchè -Cosmo de’ Medici l’incaricò di disporre i codici della -biblioteca di San Marco, il che servì di norma ad altre: -da Eugenio papa adoprato in affari, e posto vescovo -di Bologna e cardinale, gli fu dato successore col nome -di Nicola V (1447). Egli ricompose la Chiesa ad unità coll’ottenere -l’abdicazione dell’antipapa Felice. Al Vespasiano, -valente librajo ed erudito, autore di molte biografie, -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -diceva: — I nostri Fiorentini avrebber mai creduto -che un preticciuolo, fatto per sonar le campane, diverrebbe -pontefice?» e avendo quello risposto che ne -esultavano e perchè il conosceano e ne speravano -pace, — Se Dio m’ajuta (soggiunse) altr’arma non adoprerò -mai a difesa mia che la croce di Gesù Cristo»<a class="tag" id="tag115" href="#note115">[115]</a>. -</p> - -<p> -Veramente fu de’ papi più degni, e guardata la differenza -dei tempi, meritò meglio che Leone X per avvenuta -protezione alla crescente coltura. Fondò la biblioteca -Vaticana con cinquemila volumi, ed accolse quanti -erano dotti; scriveano le sue lettere il Poggio, Giorgio -da Trebisonda, Cristoforo Garatone, Flavio Biondo, -Leonardo Bruno, famosi eruditi; teneva alla corte Antonio -Loschi, Bartolomeo da Montepulciano, Cincio romano, -Lorenzo Valla, Pier Candido Decembrio, Teodoro -Gaza, Giovanni Aurispa, allora nominatissimi quanto -oggi ignorati. A gara gli erano dedicate opere, e di -parecchie favorì la traduzione dal greco: al Poggio per -la versione del Diodoro donò liberamente; al Valla -cinquecento scudi d’oro pel Tucidide; millecinquecento -al Guarini per lo Strabone; cinquecento al Perotti pel -Polibio; annui seicento a Giannozzo Manetti, oltre il -soldo di secretario, perchè s’occupasse attorno ad opere -sacre, e gli fece cominciare una versione della Bibbia -sopra il testo ebraico; al Filelfo, se traducesse Omero, -gli prometteva una bella casa in Roma, un podere e -diecimila scudi; Giorgio da Trebisonda ricusava come -eccessiva una somma da esso regalatagli, ma egli — Tieni, -tieni; non avrai sempre un Nicola». Udendo -lodare come valenti poeti alcuni dimoranti in Roma, -negò il merito loro, dicendo per celia: — Se fossero -buoni, perchè non verrebbero a me che accolgo anche -i mediocri?» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -</p> - -<p> -Fabbriche raddrizzò o intraprese da tutte parti, a -Spoleto ed Orvieto insigni palazzi, a Viterbo bagni -per infermi, a Roma la mura, oltre riparare le -chiese rovinate nella lunga vedovanza, e principalmente -il Panteon d’Agrippa; fece eseguire «il più -bel tappeto che sia tra’ Cristiani colle opere di Dio -padre quando creò il mondo» (Corio); e accingevasi -a riedificare San Pietro, come simbolo della -riedificata Chiesa spirituale, al che gli diede i mezzi -il giubileo, traendo folla indicibile alle soglie degli -apostoli. -</p> - -<p> -Non altrettanto prendeva a cuore il bene de’ sudditi, -o piuttosto volea governarli con quel dispotismo, cui -facilmente propendono coloro che sentonsi superiori -agli altri, e volenterosi del bene. Non pochi erano disgustati -pei rigori che accompagnano le improvvide -restaurazioni, le quali all’anarchia non credono poter -riparare che col despotismo; i vizj del clero e gli abusi -della curia più risaltavano dacchè eransi censurati alla -libera nelle burrasche precedenti. La festa dunque, -con che era stata ricevuta la corte pontifizia al suo -ritorno, fece prestamente luogo a scontenti e alle solite -gozzaje. Perchè ha da stare il governo in man di -preti, la più parte forestieri, tutti per educazione inetti -agli affari? Così diceva Stefano Porcari nobile romano, -e tentò instaurare la repubblica. Infervorandosi alla -canzone del Petrarca <i>Spirto gentil</i>, e parendogli esser -egli stesso quel cavaliero a cui «Roma, con gli occhi -molli di pietà, chiedea mercè da tutti i sette colli», -macchinò per impadronirsene a forza; arrolò masnade, -e insinuatosi di soppiatto (1453) nella città dond’era stato -bandito, concertò di occupare il Campidoglio, e nella -festa dell’Epifania prendere il papa, i prelati e castel -Sant’Angelo. Ma avutone spia, il senatore ad una cena -fece arrestare i congiurati (gennajo), e il Porcari con nove altri -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -impiccare ai merli del castello<a class="tag" id="tag116" href="#note116">[116]</a>. Al pontefice l’aveano -dipinta come una trama d’assassinio, onde, da confidentissimo -e ingenuo che era, cadde in preda al sospetto, -perseguitò i fuggiaschi, quanti colse fece mal -arrivati, e il breve resto di sua vita passò fra terrori -e supplizj. Presso al finire, ebbe a sè due pii monaci, -e diceva loro: — Mai persona non entra qua, che mi -parli il vero. Sono talmente confuso delle finzioni di -quanti mi circondano, che, se non temessi lo scandalo, -rinunzierei al papato per tornare Tommaso da Sarzana. -</p> - -<p> -Alfonso Borgia spagnuolo, ch’erasi mostrato tutto -zelo contro i Turchi, gli fu dato successore col nome di -Calisto III (1455), e alla elezione sua rincrudirono le fazioni -dei Colonna e degli Orsini, e più quando egli, gettati a -spalle i rispetti umani, ingrandì i suoi nipoti con feudi -della Chiesa, creando Pietro duca di Spoleto, e fin -meditando porlo sul vacante trono di Napoli. La vita -non gli bastò; e il successivo conclave pensò antivenire -tali abusi decretando che il papa non potesse senza -l’assenso dei cardinali tramutare da Roma la sede, conferire -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -cappelli o vescovadi, fare pace o guerra, alienare -terre ecclesiastiche. -</p> - -<p> -Enea Silvio Piccolòmini, dottissimo in lettere e in -ragion canonica, scrittore di poesie e storie, ebbe primaria -figura ne’ maneggi d’allora. La sua gioventù -avea tribolato fra le turbolenze della patria; al concilio -di Basilea assistette in servizio del cardinale Domenico -di Capranica; più volte mutò padrone, spesso fu ambasciadore, -indi segretario di Felice V, poi di Federico III -imperatore. Descrisse la storia di Boemia, lo stato di -Europa sotto esso Federico, un ragguaglio della Germania -e del concilio di Basilea, dove votò coll’opposizione; -opere di gran conto perchè di testimonio oculare -ed oculato, oltre una raccolta di lettere d’amicizia e di -affari<a class="tag" id="tag117" href="#note117">[117]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -</p> - -<p> -Fatto papa col nome di Pio II (1458), sostenne con vigore -quell’autorità che come diplomatico avea bersagliata; -e perchè gli si rinfacciavano le prische opinioni, emanò -una <i>bulla retractationum</i>, ridicendosi di molte proposizioni -lanciate contro la potestà pontifizia, e massime -contro Eugenio IV, dicendo essere cosa umana il fallare, -non averle sostenute per ostinazione ma per isbaglio, -importargli il ritrattarle affinchè non si attribuisse -a Pio quelle che erano opinioni di Enea<a class="tag" id="tag118" href="#note118">[118]</a>: nella -qual occasione si fa ad esporre parte della sua vita. -Nel sinodo di Mantova proibì (<i>Execrabilis</i>), pena la -scomunica, di appellarsi dal papa al futuro concilio, -tribunale che non esiste: ma le sanzioni introdottesi -fra le passate tempeste, e il proposito de’ principi di -voler eleggere i proprj vescovi, gli cagionarono gravi -disgusti. All’imperatore fece veduta la necessità di -stringersi alla sede pontifizia per resistere ai principi -sovrani di Germania, e che le domande di riforme -ecclesiastiche andavano indivisibili da quelle di politiche: -lo perchè nelle diete germaniche il legato aveva -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -autorità quanto l’imperatore, e molto maggiori rendite. -Mentre poi, lottando di tutta la sua persuasione -contro l’indifferenza del secolo egoisto, disponeva la -crociata contro i Turchi, spirò ad Ancona. Il Pinturicchio -storiò la vita di lui nella libreria vecchia di Siena, -secondo i cartoni di Rafaello. -</p> - -<p> -Pietro Barbo veneziano, bell’uomo, destro ad ingrazianirsi -gli animi con piccoli servigi e col compatire -agli altrui patimenti, sicchè il chiamavano la Madonna -della pietà, fu eletto (1464) col nome di Paolo II con tal consenso, -che prometteva uno de’ pontefici più grandi. A -tre cose mirò continuo: l’ingrandimento dei nipoti, pel -quale fece dichiarar nulla la capitolazione impostagli dal -conclave; la crociata contro gl’Infedeli; e la revoca della -prammatica sanzione di Bourges, ove dal clero gallicano -pareangli intaccate le prerogative papali: e in -tutte fallì. Piovevano d’ogni parte lamenti che i sessanta -abbreviatori (collegio istituito da Pio II per estendere -i brevi pontifizj in istile purgato) facessero guadagno -delle spedizioni, sia ricevendo regali, sia colle simonie. -Risoluto di svellere l’abuso, e parendogli degno di -Roma il dare ogni cosa gratuitamente, il papa gli abolì. -Que’ sessanta letterati, messi sulla via, furono altrettante -voci accordatesi a denigrarlo; e chi non sa quanto -facilmente un branco di scriventi raggiri l’opinione? -Bartolomeo Sacchi di Piadena (il Platina), un d’essi, -tanto gli mancò di rispetto, che fu condannato alle carceri; -poi involto o sospettato d’una cospirazione, fu -messo alla corda; del che tolse vendetta col virulento -sparlarne nelle sue <i>Vite dei papi</i>. -</p> - -<p> -Non pensiamo a scusare i modi; ma la persecuzione -tanto rinfacciata a Paolo contro i restauratori della classica -letteratura veniva da ragionevole sgomento del vedere -il paganesimo ripullulare nelle arti belle non solo, -ma nelle dottrine e nella vita; e cotesti eruditi, vergognandosi -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -del nome de’ santi ricevuto al battesimo, mutare -Pietro in Pierio o Petrejo, Giovanni in Giano o -Gioviano, Vittore in Vittorio o Nicio, Luca in Lucio o -Lucillo, Marino in Glauco, Marco in Callimaco<a class="tag" id="tag119" href="#note119">[119]</a>; -celebrare feste all’antica, sacrificando un becco; e col -pretesto di rimettere in onore Platone, gittarsi a dottrine -empie od a pratiche teurgiche: cose lievi per -avventura, ma che menano a serie. -</p> - -<p> -È moda il lodare uno perchè disapprovato dai papi, -e al tempo stesso mostrar che questi non aveano ragione -di perseguitarli. Dalla stessa lettera ove il Platina -dal carcere racconta al cardinale Bessarione il suo processo, -appare come l’accademia di Pomponio Leto -tendesse a trasformare il paganizzamento letterario in -religioso. Foss’anche stato soltanto letterario, non v’è -retto pensatore che non veda quanto danno ne derivasse -alla logica, alla morale, all’estetica, dacchè Cristo e la -redenzione doveano far luogo novamente alla voluttà -pagana e alla lepida guerra contro la famiglia e la -società. -</p> - -<p> -Dalla storia dei Papi che il Platina scrisse coll’avversione -solita ai perseguitati, i Protestanti raccolsero assai -cose contro la corte romana. Noi qui non abbiamo che -a riflettere alla pochissima critica di questo abborracciatore -passionato. -</p> - -<p> -Paolo spese profusamente in dissotterrare e raccogliere -statue e altre anticaglie, amò le arti belle, libri -comprava e imprestava liberalmente<a class="tag" id="tag120" href="#note120">[120]</a>, e fece fare una -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -tiara di cinquantamila marchi d’argento (L. 275,000). -Amava gli spassi, e frequenti feste dava al popolo di -Roma, e per goderne egli stesso volle che le corse non -si facessero per la strada Florida o Giulia, ma dall’arco -di Domiziano al palazzo di Venezia, dov’egli abitava. -Negli statuti di Roma allora pubblicati, si divisano i -divertimenti, e specialmente quelli di Agone e Testaccio -coi pallj e gli anelli e i carri, e l’altre solennità, che poi -continuarono in occasione del carnevale. Per la pace -del 1468, festeggiata in tutta Italia, il papa ordinò -giuochi e baldorie al modo antico, dove principal parte -aveano i banchetti: ed egli godeva veder quando i giovani, -quando i vecchi, o gli ebrei o i fanciulli, pinzi di -cibo, fare alla corsa, per guadagnare qualche carlino. -Spesso gittava denaro al popolo; una volta gli regalò -400 scudi, e di mascherate splendidissime molto il -rallegrava. -</p> - -<p> -Ammassò ricchezze, ma non pei nipoti; dissero per -mera avarizia, e poteva essere per provvedere ai tanti -bisogni di cui si gravava la Chiesa. Concedette il titolo di -duca di Ferrara a Borso d’Este, l’armò cavaliere di san -Pietro, e lo fece sedere non più tra gli arcivescovi come -quando era soltanto vicario pontifizio, ma tra’ cardinali, -e gli donò la rosa d’oro che per pasqua suol darsi a qualche -gran principe; con tali atti confermando l’alto dominio -della santa Sede sopra Ferrara. Menò lunga e turpe -guerra con Roberto Malatesta, disputandogli la signoria -di Rimini, al qual uopo s’alleò coi Veneziani e con varj -signori; e perchè Napoli e Firenze stavano col Malatesta, -fu per divamparne tutta Italia, ma alfine Paolo gli riconobbe -i feudi paterni. Meglio meritò collo stringere tutti i -potentati d’Italia in una lega, onde mantenere l’indipendenza -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -di ciascuno. Delle riforme divisate nella curia -però più non si parlava; rimoveasi sempre più l’idea -di adunare un concilio; e intanto profondeansi in commende -e aspettative, e negli altri lucrosi abusi. -</p> - -<p> -In peggior fama rimase Sisto IV (1471), già Francesco -Albescola della Rovere. I ragazzi di cui circondavasi, -fecero sparlare de’ suoi costumi; del suo rigore le -guerre rinnovatesi tra i Colonna e gli Orsini, per cui a -sangue e fuoco egli mandò la città. Vescovadi, principati, -dignità, uffizj prodigò a due figli di suo fratello -e due di sua sorella Riario, i quali la maldicenza bucinava -figli di lui, e peggio. Leonardo della Rovere pose -governator di Roma e sposò a una bastarda di re Ferdinando, -per ciò cedendo a questo il ducato di Sora ed -altri acquisti fatti penosamente da Pio II, i censi arretrati -del regno, ed esenzione dai futuri sinchè vivesse. -Giuliano fece cardinale, che poi divenne papa, e che -intanto menava guerre contro Todi e Spoleto. L’inetto -Pietro Riario, di ventisei anni creato cardinale, patriarca -di Costantinopoli, arcivescovo di Firenze, legato -di tutta Italia, aveva una corte d’oltre cinquecento -persone, e un fasto senz’esempio, col quale e colle -lascivie si logorò la vita. Allora Sisto innalzò Giovanni -della Rovere, facendolo principe di Sinigaglia e Mondavio, -staccate dalla Chiesa. Pel nipote Girolamo Riario, -cui ottenne la mano di Caterina di Galeazzo Sforza colla -contea di Bosco, comprò con quarantamila ducati la -signoria d’Imola, ed una maggiore gliene destinava -nella Romagna colle spoglie de’ signorotti: ma perchè -trovò ostacolo nei Medici di Firenze, si unì ai tanti nemici -di quella casa, alla malevolenza de’ quali parea -cader molto in acconcio la giovinezza di Lorenzo e -Giuliano figli di Pietro. -</p> - -<p> -Delle famiglie storiche di Firenze le più erano state -esigliate, i Ricci, gli Albizzi, i Barbadori, i Peruzzi, gli -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -Strozzi, i Machiavelli, gli Acciajuoli, i Neroni, i Soderini; -spogli d’ogni credito i Pitti e i Capponi; e i due -fratelli Medici teneano occhio perchè non si rialzassero. -Fra le antiche feudali, era di tutte splendidissima quella -dei Pazzi di val d’Arno, consorte già degli Ubaldini, -degli Uberti, dei Tarlati e d’altri Ghibellini; dopo lunghe -lotte colla Repubblica, era scesa in città e aveva -giurato il comune; come le altre illustri era stata -esclusa dal governo: ma a Cosmo era bastato l’accorgimento -di non cozzarla, anzi la privilegiò di passare -dai magnati fra’ plebei e quindi venir abile alle cariche, -e sua nipote Nanina Bianca sorella di Lorenzo sposò a -Guglielmo de’ Pazzi. Le dovizie acquistate col banco -ch’era de’ più accreditati del mondo, e le clientele di -quella casa, massime da che si fu imparentata co’ Borromei -di San Miniato, davano sempre maggior ombra -ai Medici; onde Lorenzo fece dalla balìa stanziare un -regolamento che alterava l’ordine di successione in -modo, che i Pazzi non potessero ereditare da essi Borromei. -Se ne corrucciarono i Pazzi, e Francesco, uscito -di patria, si pose a travagliare il suo banco a Roma, -dove Sisto IV lo ricevette in grazia, lo costituì banchiere -della santa Sede, e ne fomentò i rancori a danno dei -Medici. -</p> - -<p> -Pertanto i Pazzi tramarono (1478) con Girolamo Riario e -con Francesco Salviati, che dai Medici non erasi voluto -ricevere arcivescovo di Pisa; e in Santa Maria del Fiore -durante la messa di pasqua (26 aprile), al momento dell’elevazione -assalsero i due principi. Giuliano resta ucciso, Lorenzo -ferito si difende; Jacopo de’ Pazzi corre la città per -ammutinare il popolo, ma questo, gridando <i>Palle, -Palle</i>, dà addosso agli assassini e li trucida a furore, -e i laceri brani porta infissi sulle picche per la città. -Francesco de’ Pazzi, che nell’abbattere Giuliano erasi -ferito da sè, fu tratto di letto, e in mezzo agl’insulti -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -plebei appiccato: più di settanta cittadini furono o con -egual violenza trucidati e sbranati, o coi successivi -processi: l’arcivescovo di Pisa fu impeso alla finestra -del palazzo, ove erasi condotto come sicuro d’insignorirsene: -le istanze di Lorenzo camparono il Riario che -cantava messa. Dubitandosi che il pugnale onde fu -percosso Lorenzo fosse avvelenato, un Ridolfi si offrì a -succhiarne la ferita. Poi corse voce tra la plebe che le -pioggie, le quali non sapeano cessare, fossero un segno -del cielo perchè Jacopo era stato sepolto in terra sacra, -benchè sul morire si fosse dato al diavolo: onde per -ordine della Signoria fu tratto la notte da Santa Croce, -e sotterrato lungo la mura. Ma i fanciulli saputolo, andarono -a dissepellirlo, e col capestro che aveva alla -gola lo trascinarono per le vie, e bussavano alla porta -di lui, dicendo aprissero al padrone; e continuarono -lo strapazzo finchè la Signoria non mandò i famigli che -lo buttarono in Arno, ove pure lungo tempo galleggiò. -Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, era fuggito -a Costantinopoli; eppure ivi stesso fu côlto e tradotto a -Firenze, ove l’aspettava la forca. -</p> - -<p> -Per quanto i Fiorentini implorassero perdono dello -avere messo le mani su persone sacre, e si sottomettessero -alle comminate censure, il papa li colpì di una -terribile bolla; e volendo per guerra aperta ciò ch’eragli -fallito per tradimento, s’accordò a’ danni de’ Medici col -re di Napoli. -</p> - -<p> -Il magnanimo Alfonso erasi destinato successore al -trono di Napoli Ferdinando suo figlio naturale, e i Napoletani -lo preferivano agli Aragonesi, eredi della -Sicilia, perchè, non avendo altri dominj, non li renderebbe -provincia di stranieri; d’altra parte, tenendo -Alfonso quel trono per elezione, chi altro potea vantarvi -diritti? Dal parlamento fu dunque riconosciuto (1458), -e così dal papa; confidava negli Orsini, baroni potentissimi, -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -di cui aveva sposato una figlia; pure il dominio -gli fu controverso da molti competitori; la fazione -degli Angioini rivisse, ed appoggiata dai Caldora, dai -Sanseverino, dai principi di Rossano e di Taranto, -chiamò di Francia (1461) Giovanni figlio di Renato, che al -Sarno riportò insigne vittoria sopra Ferdinando. -</p> - -<p> -Grand’ajuto avea prestato agli Angioini il braccio di -Jacopo Piccinino, figlio di Nicolò, che veduto Francesco -Sforza divenire signore di Milano, erasi ostinato a volere -anch’esso un dominio; e quando la pace di frà Simonetto -pose quiete dappertutto, egli rizzò bandiera di -ventura, e accolse quanti voleano ancora esercitare il -valore senza badare al motivo. Tentò impadronirsi di -Perugia e Bologna; respintone, si gettò sul Senese menando -guasto, finchè il duca di Milano e il papa inviarono -Roberto Sanseverino a reprimerlo; ma l’ottennero -meglio col pagargli ventimila fiorini. Quando poi Sigismondo -Malatesta, figlio di quel Pandolfo che dominò -Bergamo e Brescia, voleva insignorirsi di Pesaro, e -insidiava Federico di Montefeltro duca d’Urbino, contro -di lui fu voltato il Piccinino, il quale sperperò la Romagna, -fin centoquindici castella predando in pochi -giorni, e in una sola cavalcata bottinando mille paja di -buoi e cento uomini di taglia<a class="tag" id="tag121" href="#note121">[121]</a>. -</p> - -<p> -Le costui imprese sarebbero da eroe se non fossero -state da masnadiero. Come si ruppe guerra nel Napoletano, -esitò con chi buttarsi, finchè accettò il soldo di -Giovanni d’Angiò, e spinse i guasti fin sotto Roma. -Ferdinando gli oppose Giorgio Castrioto, che con ottocento -cavalli venne dall’Epiro a ripagare Ferdinando -de’ soccorsi prestatigli da Alfonso (pag. 218), ma che -comparve minore dell’aspettazione: — forse qui combatteva -per la patria e per la fede? Meglio profittò -Ferdinando col trarre di nuovo a sè i Sanseverino e -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -gli Orsini, già ingelositi degli incrementi di Giovanni, -e speranzosi di nuove ricompense; poi a liberarsi dal -Piccinino, riverito come il miglior capitano superstite, -lo soldò assegnandogli novantamila ducati l’anno e la -condotta di tremila cavalli e cinquecento fanti e molti -possessi. Avendolo Francesco Sforza, antico emulo suo, -invitato a Milano a sposare sua figlia Drusiana, Ferdinando -ne sollecitò il ritorno, l’accolse con grandi manifestazioni -d’onore, ma pochi giorni dopo coltolo a -tradimento, lo fece strangolare (1465 21 giugno). Con lui finiva la scuola -braccesca<a class="tag" id="tag122" href="#note122">[122]</a>. -</p> - -<p> -Giovanni d’Angiò più non potè che fuggire da un -regno sempre infausto a casa sua; molti regnicoli passarono -seco a guerreggiare in Francia e in Borgogna; -e riprese le briglie, il re adoprò supplizj, confische, -tradimenti, per umiliare i baroni<a class="tag" id="tag123" href="#note123">[123]</a>. Giannantonio -Orsini principe di Taranto fra poco si trovò strangolato, -dissero per opera di Ferdinando, il quale addusse un -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -testamento che lo faceva erede di Bari, Otranto, Taranto, -Altamura, d’un milione di fiorini in merci, cavalli, -greggie, altri mobili, e quattromila uomini di -buone truppe: colpo mortale alla fazione angioina. -All’altro potentissimo Maria Marzano principe di Rossano, -duca di Sessa e d’altre terre, Ferdinando promise -sposa una figlia: poi quando, sotto l’ombra della pace -conceduta, andò a caccia da quelle parti, chiese abbracciarlo, -e avutolo a sè, l’inviò prigione a Napoli, e ne -prese i figliuoli e gli Stati. -</p> - -<p> -Superbo, doppio, avaro, Ferdinando malignò a guastare -la pace che in Italia durava dopo il 1454; col -papa venne in urto per isminuire il censo dovuto dal -Regno; poi con esso e colla repubblica di Siena cospirò -per isvellere il dominio mediceo. -</p> - -<p> -Siena, antica emula di Firenze come ghibellina, si -era poi mutata alla bandiera guelfa: ma se patria non -sia, vien tedio a seguire le capiglie interne e le replicate -minaccie ch’ebbe a soffrire da poderosi vicini o dai -condottieri; fuori non esercitò mai grande efficacia, -attesochè dentro era trassinata fra una plebe invida e -inetta, ed un’oligarchia gelosa d’escludere le altre classi. -I Monti, o vogliam dire gli ordini de’ gentiluomini, dei -nove, dei dodici, dei riformatori, del popolo, la sbranavano, -e l’uno prevalendo o l’altro, con alterne persecuzioni -logoravano le forze, e scapitavano di potenza -e d’onore. I gentiluomini, antichi proprietarj di tutto il -terreno, prevalsi dal 1240 al 77, furono esclusi dalle -magistrature, restando fin al 1355 superiore il Monte -dei nove, in cui entrava una nobiltà popolana, d’antiche -ricchezze: poi fino al 68 primeggiò il Monte dei dodici, -cioè i ricchi mercanti; e fino all’84, quello dei riformatori: -poi ora questo, ora il popolo, eleggendo tre priori -ciascuno, ed escludendo i due primi, che restavano naturali -nemici e sommovitori. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -</p> - -<p> -Si appoggiò a loro il duca di Calabria figlio di re -Ferdinando, cupido d’acquistarvi signoria; e indusse a -cernire dai varj Monti un nuovo, detto degli aggregati, -che solo ottenesse gli uffizj, gli altri tutti eliminando. -Costoro non poteano cautelarsi che colla forza, e perciò -stavano ligi al duca, e col padre suo presero parte a -ruina di Lorenzo Medici. Dico di Lorenzo, perchè il -papa, esclamando al sacrilegio d’avere appiccato un -unto del Signore, mosse le truppe che già aveva allestite -per secondare la congiura de’ Pazzi, e dichiarò -guerra non alla repubblica, bensì a Lorenzo, <i>figlio di -iniquità, alunno di perdizione</i>. Però i Fiorentini fecero -comune la causa di lui; mandarono pel mondo un ragguaglio -della congiura e le prove della complicità del -papa, il quale non se ne scolpò; e protestarono contro -la scomunica, appellando al futuro concilio. Trovarono -ascolto, e molti principi minacciarono Sisto IV di disdirgli -obbedienza se turbasse la Chiesa con una guerra -senza giustizia: il re di Francia non solo sospese di -inviare le annate, dacchè le vedeva destinate contro -Cristiani non contro gl’Infedeli, ma minacciò aprire un -concilio. -</p> - -<p> -Ecco dunque il papa al funesto bivio di revocare una -sentenza appena proferita, spezzando da sè il bastone -apostolico datogli per rompere i vasi inutili, e piegandosi -alle minaccie secolari; ovvero ostinarsi in una -guerra ingiusta. A questa si gittò Sisto, avendo accaparrati -i migliori condottieri, intrigato a suscitare contro -di Venezia e di Milano guerre, sollevazioni, perfino i -Turchi, acciocchè quelle non potessero soccorrere -Firenze. -</p> - -<p> -La quale, côlta dall’armi fra’ suoi studj pacifici, non -vide miglior partito che soldare un capitano, e fu -Ercole duca di Ferrara: ma poichè costui era genero -di Ferdinando, se non la tradiva, menava fiaccamente -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -le fazioni. Lorenzo, vedendo la città disanimarsi e ai -timorati fare offesa l’interdetto, mentre i collegati -avanzavano a gran passi, parve colla sua generosità -voler dare risalto alla vigliaccheria di questi, e propose -di avventurare sè solo, giacchè contra lui solo dicevansi -armati. Parte dunque di Firenze (1479 7 xbre), lasciando una -siffatta lettera alla Signoria: — Eccelsi signori, se io -non v’ho altrimenti fatto noto la cagione di mia partita, -non è stato per presunzione, ma perchè mi pare, negli -affanni ne’ quali si trova la città nostra, si richiegga -più il fare che ’l dire. Parendomi che cotesta città -abbia desiderio e bisogno grandissimo di pace, e vedendo -tutti gli altri partiti scarsi, m’è paruto meglio -mettere me in qualche pericolo, che tenervi tutta la -città. E però ho deliberato trasferirmi liberamente a -Napoli; perchè, essendo io principalmente perseguitato -da’ nemici nostri, potrei forse ancora essere cagione, -andando nelle loro mani, di far rendere pace alla vostra -città. Una delle due: o veramente la maestà del re ama -cotesta città, come ha predicato, e non c’è miglior via -a farne sperienza, che andar liberamente nelle sue -mani. Se ha animo di occupare la nostra libertà, a me -pare che sia bene intenderlo presto; e più tosto con -danno d’uno, che di tutto il resto. Ed io son molto -contento essere quello per due cagioni: la prima, perchè -potrebb’essere che i nemici nostri non cerchino -altro che ’l male solamente mio; l’altra che, avendo io -nella città avuto più onore e condizione che alcun altro -cittadino a’ dì nostri, giudico essere più obbligato che -tutti gli altri ad operare per la patria mia, fino a mettere -la vita. Forse Iddio vuole che, come questa guerra -cominciò col sangue di mio fratello e mio, così ancora -finisca per le mie mani; ed io desidero solo che la vita -e la morte, e ’l male e ’l bene mio sia benefizio della -città. Che se gli avversarj non vogliono altro che -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -me, mi avranno liberamente nelle mani: se vogliono -altro, s’intenderà, ed a me pare essere certo che tutti i -nostri cittadini si disporranno alla difesa della libertà -come sempre hanno fatto i padri nostri. Vommene con -questa buona disposizione, e senza alcun altro rispetto -che del bene della città; e prego Iddio mi dia grazia di -fare quello ch’è obbligato ciascun cittadino per la sua -patria». -</p> - -<p> -Si presentò di fatto a Ferdinando (1480), il quale lo ricevette -con solenni dimostrazioni; e tocco da tale fiducia, -o forse persuaso da quanto esso gli espose intorno alle -vendette che i Fiorentini potrebbero fare chiamando -in Italia il re di Francia, erede delle ragioni di casa -d’Angiò sul trono di Napoli, patteggiò la pace, restituendo -a Firenze tutti i luoghi presi. I Veneziani che -s’erano chiariti per Lorenzo, si trovarono allora soli -esposti alle armi nemiche; sicchè esclamandosi traditi, -non aborrirono dall’eccitare i Turchi a ricuperare le -terre italiane, dipendenti in antico dall’Impero orientale. -Il gran visir Acmet Breche-Dente dalla Vallona sbarcò (agosto) -presso Otranto (pag. 231), e mandatala a sacco e sangue, -e lasciatavi forte guarnigione, andò a raccogliere altre -forze. Tutta Italia ne sbigottì: il papa accingevasi a -fuggir oltremonte, mentre consentiva alla pace coi Fiorentini -ed eccitava gl’italiani all’arme, abbandonando -l’ambìta Siena. In fatto Alfonso di Calabria assalì vigorosamente -Otranto, la cui guarnigione, perduta la fiducia -di nuovi soccorsi alla morte di Maometto II, -capitolò (1481). -</p> - -<p> -La qual morte restituì baldanza ai principi cristiani, -quasi con lui cessasse ogni pericolo; e invece di unirsi -cogli altri potentati d’Italia per assicurarla dai Turchi, -ed assalirli intanto che li snervava la discordia tra’ -figliuoli di Maometto, e che tutti i nostri soldati, incaloriti -dalla vittoria, gridavano A <i>Costantinopoli</i>, re -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -Ferdinando prende per sè tutte le armi e l’artiglieria, e -si vendica de’ Veneziani eccitando Ercole d’Este duca -di Ferrara suo genero ad impacciare il commercio di -quelli sul Po. Così passioni malevole e basse conciliano -alleanze o infocano nimicizie. -</p> - -<p> -I dominj del duca di Ferrara faceano gola al papa -non meno che a Venezia, attesa la loro situazione. -Venezia si doleva che Ercole tirasse il sale da Comacchio, -e impedisse il Po a quello de’ Veneziani, i quali -ne tolsero motivo di dichiarargli guerra, prendendo -capitani (1484) Roberto Sanseverino, Roberto Malatesta, il -marchese Gonzaga, i conti Rossi di Parma e Torelli di -Guastalla, altri de’ Fieschi e de’ Frangipani. Il papa fa -causa con loro; e perchè Ferdinando non spedisca -soccorsi a suo genero, arma nelle Marche. -</p> - -<p> -Tutta Italia fu arruffata da questo miserabile piato. -Col duca stavano Federico di Montefeltro e i Milanesi, -e sedici savj di guerra dirigevano le mosse; fazioni -si mescolarono ad assedj e saccheggi; le truppe di -Ferdinando disputaronsi i Polesini del Po, ed ebbero -a soccombere al clima: ma in quel bollimento generale -neppure una giusta battaglia fu combattuta. Il -papa aveva blandito Venezia soltanto per farla stromento -alle nepotesche ambizioni; e quando vide poter -meglio soddisfare coll’abbandonarla, fermò il piede col -re di Napoli e col duca di Ferrara, e pose Venezia all’interdetto, -come turbatrice della quiete d’Italia, e insidiatrice -di Ferrara, dovuta alla santa Sede. Venezia, -non badando alla condanna, ordina si continuino i -riti, ed appella al futuro concilio; e la guerra è proseguita -con ingenti sacrifizj e reciproci disastri<a class="tag" id="tag124" href="#note124">[124]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -</p> - -<p> -Finalmente si arrivò alla pace di Bagnólo (1484 7 agosto), nella quale -Venezia cedeva il conquistato e ricuperava il perduto e i -diritti di navigazione sul Po, il Polesine di Rovigo, la -privativa del sale: il duca di Ferrara dovea rinunziare -ai primitivi possessi della famiglia d’Este: i Rossi, -conti di San Secondo, perdeano tutti i dominj: nulla -aveva potuto il papa guadagnare pe’ nipoti suoi. Il trattato -stesso costituiva una lega italiana a comune difesa, -de’ cui eserciti sarebbe capitano Roberto Sanseverino, -con diecimila ducati annui dal papa, altrettanti -dal re di Napoli, cinquantamila da Venezia e così dal -duca di Milano, diecimila da Firenze, e dai duchi di -Ferrara, Modena e Reggio. -</p> - -<p> -Questo trattato segna un’êra nuova nella storia patria. -Quando nel 1453 Nicolò V pacificava la penisola -onde opporla ai Musulmani, si fece il primo atto di -concordia fra i potentati italiani. Poi nel 1470 Milano, -Napoli, Firenze, Roma s’alleavano contro il soverchiare -di Venezia, la quale unendosi poi a loro, costituiva -una lega generale. Ora ecco di nuovo l’Italia -alleata contro Venezia, e finirsi con una generale federazione. -L’atto mostrasi come opera di pacificazione -e di progresso nazionale, come il termine d’infinite rivoluzioni. -È necessità di natura (vi è detto) cominciar -dal male, dai disordini, dallo scandalo; ma è legge di -ragione arrivare alla concordia che nutrisce la tranquillità, -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -genera il ben essere, moltiplica i popoli, crea l’abbondanza, -propaga l’umanità. A tal uopo le potenze si -perdonano i danni e le guerre, <i>in qual sia modo fatte</i>, -le rapine, gl’incendj, le uccisioni, e senza frode o reticenza -o cavillo giurano perpetua pace, confederazione, -unione e lega. Ogni memoria di Guelfi o Ghibellini è -abolita, dacchè si uniscono senza badare a origine o a -storia; promettendo al papa non dar mano ai baroni -del suo paese, riconoscono l’indipendenza degli Stati; -assoldando un capitano comune vengono a stabilire la -base di tutte le federazioni, cioè che tutti i confederati -formano uno Stato solo contro il nemico, pur rimanendo -distinti e sovrani ciascuno; ma senza aspirare ad -una matematica eguaglianza fra loro, giacchè la somma -da contribuire proporzionavano all’estensione geografica. -Il fatto irregolare ma storico della loro vicinanza -vien dunque dagli Stati italiani sottomesso a idee chiare; -e se non tutta Italia v’era compresa, se riservavasi -<i>protocollo aperto</i> al re di Castiglia, è notevole però -che dell’imperatore non si far pur cenno, e il papa v’è -considerato come un semplice signore; sepellendo così -sotto la concordia federale i due eterni fomiti delle -disunioni. Fosse stato per sempre! -</p> - -<p> -La pacificazione d’Italia forse accelerò la morte (13 agosto) di -quel che sempre l’avea turbata, Sisto IV; «e fu (dice -Machiavelli) il primo che cominciasse a mostrare -quanto un pontefice poteva, e come molte cose chiamate -per l’addietro errori, si potevano sotto la pontificale -autorità nascondere. Questo modo di procedere -ambizioso lo fece più dai principi d’Italia <i>stimare</i>, e -ciascuno cercò di farselo amico». Mai non si era così -indegnamente trafficato nella curia: ne dichiarò venali -le cariche pubblicandone la tariffa; cercò guadagno dal -distribuire i benefizj e la porpora; mercatò di perdonanze; -da’ sudditi smunse quanto potè, e massime col -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -fare incetta, poi procurare carestie artefatte fissando -egli stesso il prezzo, o mandandone fuori quando il -potesse a vantaggio, e traendone del cattivo pe’ suoi. -Qualche volta piacevasi vedere i soldati duellar fino a -morte, e le scalee di San Pietro ebbero a contaminarsi -di sangue. -</p> - -<p> -Appena Sisto spira, amareggiato dai falliti disegni, -il palazzo de’ suoi nepoti è demolito, saccheggiati i -pieni granaj; i Colonna, da lui perseguitati, rientrano, -e si mantengono coll’armi alla mano. I cardinali si sforzarono -di ovviare nuovi disordini collo stabilire per capitolazione, -il papa non potesse nominare più che un -cardinale della propria famiglia, governasse di concerto -col sacro collegio, e massime per alienare feudi della -Chiesa dovesse ottenere due terzi dei voti: ma meglio -di questi sempre elusi ripieghi avrebbe giovato il determinarsi -ad una buona scelta. Fu detto che promettendo -a ciascun cardinale pingui posti e l’entrata di -quattromila fiorini, ne ottenesse i voti Giambattista -Cybo genovese, che assunse il nome d’Innocenzo VIII, -e che le pasquinate dissero, a ragione chiamarsi padre, -poichè aveva sette figli naturali. Per questi legami e -per debolezza lasciavasi menare da indegni favoriti, -che s’abbandonavano a sfrontata venalità: Franceschetto -Cybo s’impinguava col concedere impunità fino ai masnadieri, -di cui Roma era divenuta tana; di che il suo -cameriere con indegna celia lo scagionava dicendo -che Dio non vuol la morte del peccatore, ma che paghi -e viva. Costui, che fu lo stipite dei duchi di Massa e -Carrara, consigliò il papa a creare una quantità d’impieghi, -per venderli caro a persone, le quali poi si -rintegravano col far mercato delle grazie apostoliche. -Alcuni scrivani falsarono anche bolle ed assoluzioni -preventive per ogni sorta disordini: scoperti, furono -condannati a morte: si esibì pel loro riscatto cinquemila -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -ducati, ma pretendendosene sei, e non potendo -trovarli, salirono al patibolo<a class="tag" id="tag125" href="#note125">[125]</a>. -</p> - -<p> -Non si dimentichi che questi aneddoti ci vengono -da impurissima fonte, come sono le ciancie d’anticamera, -e le impudenze d’una cronaca scandalosa; dalla -quale si raccorrebbe perfino che colla trasfusione del -sangue di tre fanciulli tentasse Innocenzo prolungare -la vita, che i predecessori suoi versavano con santa -generosità. Questo deterioramento de’ pontefici doveva -giustificare il flagello che già fischiava in aria. -</p> - -<p> -Le <i>prammatiche</i> di re Ferdinando aveano principale -scopo il reprimere i baroni, proibendo esigessero -dai vassalli oltre quello che permettevano le costituzioni, -nè gl’impedissero di vendere i possessi a piacere; -sottoposti tutti i beni all’estimo; ai magistrati regj -concesso di procedere d’uffizio in ogni misfatto, anche -senza querela della parte offesa; perseguitare i masnadieri -e gli usurai in qualsifosse luogo. Tale robustezza -s’addiceva a tempi, in cui per tutta Europa i re -accentravano l’autorità pubblica, sparpagliata da prima; -ma rendeva Ferdinando esoso ai baroni, mentre a tutti -spiacevano le sue crudeltà nel punire, e l’avarizia esercitata -con sozzi monopolj, coll’accaparrare l’olio e il -grano per rivenderli cari, col dare ai villani de’ majali -da ingrassare. -</p> - -<p> -Peggio esacerbavano i fieri portamenti di suo figlio -Alfonso di Calabria. Costui (1485) fa proditoriamente arrestare -Pietro Lallo conte di Montorio, la cui famiglia da -un secolo tenea il primato in Aquila, ed occupa questa -città. Essa lo caccia a furia, e si esibisce ad Innocenzo -VIII, col quale si collegano i principali baroni -come a signore sovrano del regno, ed a Ferdinando -espongono i loro richiami, e chiedono di non dover -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -comparire in persona ai parlamenti, temendo esservi -presi e morti come i loro compagni; potere armar -gente a difesa dei proprj distretti, e mettersi al soldo -di qualunque potenza non fosse in guerra col re; questo -non gravasse di straordinarie imposte i loro vassalli, -nè vi ponesse a quartiere le sue truppe. Ferdinando -finse darvi ascolto per guadagnar tempo e sconnetterli; -ma essi, accortisi del tranello, e risoluti di non -cadere sotto all’aborrito Alfonso, alzan bandiera papale -in aperta rivolta: i Sanseverino, i Del Balzo, gli Acquaviva, -molti conti e principi e cavalieri, tra cui il grand’ammiraglio, -il gran siniscalco, il gran connestabile, -li secondano; il conte di Sarno, nobile antichissimo -eppur dato ai traffici con tanto utile che il re medesimo -volle entrar seco in società; Antonello Petrucci, -che pe’ suoi talenti divenuto secretario regio, accumulò -onori e ricchezze e collocò altamente tutti i figliuoli. -</p> - -<p> -Ma i potentati vicini in cui fidavano, rimangono indifferenti -od ostili; il duca di Lorena, erede delle pretensioni -angioine, che avea promesso venire a soccorrerli, -non giunge; Roberto Sanseverino valoroso condottiero, -messosi con loro, è sconfitto; Innocenzo VIII, -che forse gli aveva sobillati, si riconcilia con Ferdinando. -Costretti a impetrar pace, ottengono piena perdonanza -dal re, il quale (1487) lascia al papa Aquila ed i -baroni che gli avevano fatto omaggio. Il trattato ebbe -la garanzia del papa, del re di Spagna, del re di Sicilia; -eppure era un lacciuolo. Appena i baroni ebbero -deposte le armi, Ferdinando sollecitò le nozze del -figliuolo del conte di Sarno con una sua nipote, e tra le -feste e i balli fece arrestare lo sposo, il padre, il Petrucci -e molti baroni; poi, volendo quelle apparenze di -giustizia che colà si sanno troppo simulare, nominò una -giunta e quattro pari, che li condannarono a morte. E -fu eseguita inesorabilmente; al fisco i loro beni, perseguitati -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -gli aderenti e uccisi chi in segreto, chi in pubblico, -nemmanco perdonando i fanciulli; appena la Bandella -Gaetana potè fra romanzeschi pericoli salvare i -suoi figli, principi di Bisignano. -</p> - -<p> -In secolo di tante perfidie questa rimase più famosamente -esecrata; e benchè Ferdinando mandasse a -stampa il processo de’ baroni, non risonava che un -concerto di maledizioni. Innocenzo, cui egli ritolse -Aquila e ricusò il tributo promesso, lo proferì decaduto, -e invitò a quel trono Carlo VIII di Francia; principio -di nuovi disastri all’Italia. -</p> - -<p> -A Firenze la congiura de’ Pazzi, come avviene dei -tentativi falliti, crebbe potere a Lorenzo, e più quando -riuscì ad una pace, indarno a lungo, maneggiata da -consiglieri e ambasciatori. Cosmo avea provato tutti i -guaj e pochi frutti della dominazione, perchè nuova, e -perchè capo d’una fazione irrequieta, il diriger la quale -gli costò più che non il vincere l’avversa. Anche a suo -figlio riuscivano impaccio quei che pareano sostegni. -Ma il pericolo di Lorenzo eccitò quella devozione, ch’è -singolare avviamento alle signorie smisurate; e gli fu -conferita autorità principesca, ch’egli adoprò a consolidare -la sua famiglia, non più col violare la costituzione, -ma col fortificarla. -</p> - -<p> -Diciassette riformatori ridussero a metà il tre per -cento che pagavasi pel debito pubblico, espediente che -campò lo Stato dal fallire. Lorenzo stesso, imputato di -riparare col pubblico denaro le perdite al suo privato -cagionate dal lusso e dalla dissipazione de’ suoi agenti, -non trovò più decoroso il continuare i traffici, e ritirati -i capitali, gli investì in terreni: col quale espediente -separò i proprj negozj da quelli dei cittadini, -che quasi interesse proprio aveano sostenuto i suoi -padri. Creò l’ultima balìa per istituire una magistratura -legislativa, di cui sin allora aveasi mancanza, e che -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -dovea formarsi di settanta membri e de’ gonfalonieri -che man mano uscivano di carica, ed essere consultata -sopra tutti gli affari pubblici prima che gli altri collegi -deliberassero, nominare agli impieghi, amministrare -il tesoro. Così lasciava sussistere le forme repubblicane, -ma se le facea stromento al dominare. I -settanta condussero il governo con quiete e gloria, ma -dipendente all’intuito dal principe, il quale avendo a -spendere ben poco ne’ magistrati, volgeva il denaro ai -vantaggi suoi domestici, e a sedurre, comprare o ammollire -gli antichi repubblicani, predisponendoli alla -servitù de’ suoi successori. Sebbene però il governo -allora introdotto fosse tutto materiale e di speculazione, -Firenze n’ebbe la pace di cui tanto avea mestieri, e -considerò quello come il tempo suo più lieto: solita -ventura de’ governi che succedono a lunghi turbamenti, -e a cui i popoli fanno merito del male che non -commettono. -</p> - -<p> -Ormai tutta Toscana obbediva a Firenze, a patti o a -forza essendosi, da Siena in fuori, assoggettate le città -e le signorie (pag. 244). Pietrasanta, posseduta dal -banco genovese di San Giorgio, fu ripigliata dai Fiorentini -nel 1484. Antonio Pucci, commissario di quella -guerra, insisteva presso il capitano perchè desse la -battaglia; e questo «dimostrava molte difficoltà’, e -che vi si farebbe una beccheria d’uomini. Il Pucci, veduta -la sua pusillanimità o malizia, fece un colpo da -savio, e disse: <i>Orsù, capitano, datemi la vostra corazza, -ed io andrò a dare battaglia, e voi rimarrete -con questi altri commissarj a provvedere il bisogno</i>. -Tali parole furono dette con tanta efficacia, che il governatore -si vergognò e, <i>Io v’ho detto il parer mio; -niente di meno farò il vostro</i>; e così dettono una -grandissima battaglia, in modo vi morì di molta brigata, -e feriti da ogni banda. Di che il Pucci usò un altro -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -colpo di savio, accompagnato colla carità: che andò, -e fece rassettare tutti i feriti, e andogli a visitare e -seco il medico, e raccomandarli loro, e baciavali e -commendavali, e seco anche il cancelliere con denari, -e diceva: <i>Orsù, fratelli, chi ha bisogno di denari lo -dica</i>; e davane loro e confortavali che non temessino -di niente. Quelle parole e fatti furono di tal efficacia -appresso a’ feriti come a’ sani, che si sariano buttati -per marzocco nel fuoco; e parea loro mill’anni si desse -l’altra battaglia. E come si dette, aveano dimenticato i -pericoli, e mai si spiccarono che presero Pietrasanta: -e se passava quindici giorni, bisognava levarsi da campo -con vergogna e danno» (<span class="smcap">Cambi</span>). -</p> - -<p> -Nell’87 si ricuperò Sarzana, stata tolta dai Fregosi. -Volterra, sollevatasi nel 49, fu punita; poi essendosi -nel 72 scoperta una ricca allumiera a Castelnuovo, i -cittadini ne pretendeano la proprietà, e negata, si ribellarono. -I Fiorentini mandarono Federico d’Urbino, -che, assediata la città, la ridusse a capitolare: ma mentre -se ne trattava, un Veneziano nascostamente introdusse -i soldati, che si buttarono al sacco, invano trattenuti -dal conte d’Urbino, che fece anche impiccare il Veneziano. -Così Volterra tornò ai Fiorentini, non più come -alleata ma suddita, senza privilegi, e tenuta in senno -dalla torre del Maschio, una delle peggiori prigioni di -Stato. -</p> - -<p> -Lorenzo frametteasi alle quistioni politiche d’Italia, -e spesso opportunamente; per esso gli Estensi ottennero -la pace di Bagnolo che li salvò; per esso gli Aragonesi -la quiete dopo la congiura de’ baroni; per esso Innocenzo -VIII la sommessione di Bocolino de’ Gozoni, che, -sollevata Osimo, invitava i Turchi a sostenerlo; per -esso fu all’Italia ritardata l’invasione dei Francesi, -inuzzoliti dalla chiamata di Sisto IV. Era egli stato -educato squisitamente da Cristoforo Landino, dal greco -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -Giovanni Argiropulo, da Marsilio Ficino, e dalla propria -madre Lucrezia Tornabuoni, protettrice e intelligente -delle lettere. Vi unì abilità in tutti gli esercizj -del corpo; e il torneo, dove giovinetti armeggiarono -esso e il fratello, eccitò il Poliziano a comporre -le più belle ottave che ancor si fossero udite. Educava -egli stesso domesticamente i suoi figliuoli<a class="tag" id="tag126" href="#note126">[126]</a>, -e come d’erudizione, così era pieno d’arguzie; e -motti e burle di lui abbondano nelle raccolte di quel -tempo. -</p> - -<p> -Venuto poi a capo dello Stato, meritò il titolo di Magnifico -per lo splendore onde tenne corte; chè corte -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -veramente potea dirsi dacchè era trattato alla pari dai -principi, sebbene non portasse titolo. Faceasi talora -incaricare dai Fiorentini della esecuzione di qualche -opera utile, che egli stesso avea suggerita, e dove metteva -del proprio. Le case antiche, un tempo pari alla -medicea, per quanto ricche e numerose, più non comparivano -che da suddite. Ridotti uniformi i voleri, segreti -i consigli, arbitraria la erogazione del pubblico -denaro, accomodata la città di nuove vie, e fortificatala -contro i nemici, potè volgersi alla politica esteriore, -e tener le bilancie d’Italia in modo, che gli stranieri -non vi prevalessero. -</p> - -<p> -So che, quanto fu stile l’esaltarlo durante la dominazione -de’ Medici, così il denigrarlo sotto gli Austriaci, -e più dai moderni come autore della susseguita servitù. -Chi negherà ch’e’ vi trovasse preparato il paese? -e che libertà era quella, dove i cittadini migliori erano -stati proscritti? La nuova generazione avea perduto -quel sentimento del vivere franco e del concorrere al -governo e al ben della patria, ch’era parso felicità ai -loro maggiori. Tra siffatti è agevole a pochi sommovitori -il turbare la quiete col pretesto della libertà; e il -reprimerli è dovere d’un capo restauratore. Un Frescobaldi -tramò d’uccidere Lorenzo, e fu mandato alla -forca; Baldinotto Baldinotti il tentò pure, e fu col figlio -trascinato per le vie di Pistoja; e il popolo, non che irritarsene, -applaudì. -</p> - -<p> -Siccome Augusto, adoperò a restituire i Fiorentini -dalla vita pubblica alla domestica, ma non trascese le -condizioni di primo cittadino di paese libero. L’ambizione -di lui dovea pur restare lusingata allorchè, dall’alto -della sua villa, osservava questa città, bellissima -di antiche e nuove grandezze, dove Arnolfo, l’Orcagna, -Masaccio aveano insignemente attestato il risorgere -delle arti, e Brunelleschi fabbricato Santo Spirito, la più -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -bella delle chiese, preparato nel palazzo Pitti una futura -reggia, e lanciata la meravigliosa cupola della cattedrale, -a cui la cedeva appena Santa Croce; Santa -Maria Novella appariva ornata e vaga come una sposa; -San Lorenzo era stato finito da Cosmo con quarantamila -fiorini; con trentaseimila quel convento di San -Marco, nel quale già predicava una voce potente, che -fra poco dovea diventare formidabile. Contemplarla, e -poter dire, — Questa città è mia!» Vero è bene che -Lorenzo udiva ancora fremiti e minaccie repubblicane; -ma li soffogava sotto i canti delle muse ammansate e -lo splendore delle arti belle e delle utili. -</p> - -<p> -Allora «i giovani, più sciolti dell’usitato, in vestiri, -in conviti, in altre simili lascivie oltremodo spendeano; -ed essendo oziosi, in giuochi ed in femmine il tempo e -le sostanze consumavano; e gli studj loro erano apparire -col vestire splendidi e col parlare sagaci e astuti, -e quello che più destramente mordeva gli altri, era più -savio e da più stimato» (<span class="smcap">Machiavelli</span>). Esso Lorenzo -con pompose mascherate offriva esercizio a pittori, a -poeti, a musici, ad artieri, e distrazione al vulgo; imitava -il parlare contadinesco nelle graziosissime stanze -della <i>Nencia da Barberino</i>; nei <i>Beoni</i>, contraffacendo -Dante, mordeva i compagnoni del suo tempo, e dava -il modello delle satire in terza rima; nel teatro rinnovato -chiamava ad applaudire all’<i>Orfeo</i> del Poliziano, -reminiscenza classica, ed a <i>misteri</i> da lui stesso composti, -prolungazione del medioevo. L’Ombrone porta -via l’isola Ambra, ch’egli aveva ornata d’ogni piacevolezza? -Lorenzo ne canta l’innamoramento d’un Dio -e la metamorfosi, colla facilità di Ovidio. Dai suoi -scritti trapelano l’amore dell’indagine filosofica, la vaghezza -della vita casalinga e campestre, lontana dalle -brighe e dalle noje del comando. Nuovi fiori avea trapiantati -dall’Oriente alla sua villa di Careggi, bufali -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -d’India vi ruminavano erbe insolite<a class="tag" id="tag127" href="#note127">[127]</a>; e benchè -l’esservi già per tutto mecenati, scuole, biblioteche, non -rendesse più così necessario ed insigne il favorire le -lettere come sotto Cosmo, pure Lorenzo cercava libri -dappertutto<a class="tag" id="tag128" href="#note128">[128]</a>, fin a dire — Vorrei me n’offrissero -tanti, che dovessi impegnare i miei mobili per comprarli»; -e avrebbe bramato che a Pico, che al Poliziano, -che agli altri amici nulla mancasse nella sua biblioteca -di quanto occorreva all’erudizione loro o alla -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -curiosità. Ebbe un orologio astronomico ingegnosissimo: -fece porre in Santa Maria del Fiore un busto di Giotto, -e un mausoleo a Filippo Lippi, giacchè gli Spoletini -non gliene vollero cedere le ossa. La raccolta di sculture -antiche, cominciata dal Donatello, e che alla morte -di Cosmo fu stimata ventottomila fiorini, egli crebbe e -dispose ne’ giardini perchè servisse di scuola a giovani, -che stipendiava o donava acciocchè coltivassero le arti, -uno de’ quali fu Michelangelo Buonarroti, di cui indovinò -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -e coltivò il genio volendoselo compagno e commensale. -Quella corona di dotti fiorì lo studio di Pisa -da lui aperto il 1472, e a gara esaltò Lorenzo ai contemporanei -ed agli avvenire, sin a farlo credere un -grand’uomo<a class="tag" id="tag129" href="#note129">[129]</a>. -</p> - -<p> -Addolorato del corpo, lasciava gli affari ai figli Giuliano -e Pietro; mentre vedeva straccarico di benefizj -ecclesiastici, e a soli quattordici anni vestito cardinale -l’altro, che poi doveva essere Leone X. Alla campagna -o ai bagni di Siena e della Porretta alleviava la noja e -gli spasimi colle erudite adunanze, dove il Ficino gli -parlava di Platone; il Landino, il Merula, il Leoniceno, -il Calderino, d’Orazio, di Virgilio, d’Ovidio; il Pulci -lo spassava col recitargli le lepide avventure degli eroi. -Subì la comune sorte a soli quarantaquattro anni (1492); «nè -morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia -con tanta fama di prudenza, nè che tanto alla sua patria -dolesse» (<span class="smcap">Machiavelli</span>). Il gonfaloniere della repubblica -si vestì di bruno; il papa e i principi mandarono -ambasciadori a condolersene colla patria, come -di pubblico lutto. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -</p> - -<h2 id="cap121-11">CAPITOLO CXXI. -<span class="smaller">Gli eruditi.</span></h2> -</div> - -<p> -Non potremmo meglio che dal nome dei Medici -principiar a discorrere dei dotti di quel tempo. I quali -da taluni sono vantati come dirozzatori dell’Italia e dell’Europa, -da altri accusati d’aver traviato la coltura -originale, e precorso a que’ pedanti, che sempre dappoi -imbrattarono il nostro paese, surrogando allo studio -delle cose lo studio delle parole. Chi non conosce progresso -se non nel tornare indietro, nè bellezza se non -nell’imitazione dell’antico, dovette professare che, come -i Greci l’aveano anticamente dirozzata, così l’Italia dovesse -a loro anche il risorgimento moderno. I nostri -lettori si rassegneranno essi a credere che la patria di -Dante deve la sua coltura ai lotolenti grammatici fuggiti -da Costantinopoli? -</p> - -<p> -Per quanto il sangue e la civiltà slava si fossero trasfusi -nell’ellenica, i cittadini di Costantinopoli parlavano -ancora la lingua in cui Pindaro e Anacreonte aveano -cantato, arringato Demostene e san Giovanni Crisostomo. -Con quanto profitto non avrebbero dunque potuto -applicarla alla intelligenza de’ classici, che tutti -possedevano? tanto più che il clero, non cacciato ai -governi e alle guerre come il feudale d’Europa, poteva -requiare nelle lettere e nell’istruzione; e che la sottigliezza -della discussione filosofica e teologica portava -a scrupoleggiare sulla parola. -</p> - -<p> -Ma la parola e null’altro essi curarono; dagli autori -profani li sviavano le dispute di scuola; e in generale -custodivano la letteratura classica come scienza morta; -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -unico merito valutavano l’erudizione, unica sapienza il -ricordare. La fredda analisi loro, la critica ciarliera, -impertinente, sterile, non produssero verun’opera che -meritasse la posterità; sempre terra terra, limitandosi -a raccogliere, commentare, postillare, compilare, strepitare, -prendendo la pazienza per talento, la memoria -per giudizio. Nella nuova efflorescenza che ebbero in -Italia, qual fu mai che trovasse, anzi neppur cercasse i -mezzi per cui tante bellezze erano state prodotte? o i -capolavori presentasse col confronto di fatti e d’uomini, -coll’influenza dei tempi, col mutuo coadjuvarsi dell’azione -e del pensiero? -</p> - -<p> -In modo ben più franco aveva esordito la letteratura -italiana; e la vedemmo lanciarsi gigante, bisognosa di -originalità, s’una via propria, non segregata, pure distinta -dall’antica. Ma poco vi durò; e invaghitasi degli -antichi autori, non solo credette migliore ciò che a -quelli maggiormente s’accostasse, ma barbaro ciò che -ne differisse; la spontaneità bizzarra e scorretta rinnegò -per un gusto severo e canonico; l’entusiasmo dell’erudizione -soffogò quell’originalità, che non può rinvenirsi -se non in verità nuove vivamente sentite e naturalmente -espresse nella lingua di tutti. -</p> - -<p> -Il vago sentimento di ammirazione pei grandi nomi -dell’antichità classica mai non era venuto meno in Italia, -e Dante l’avea consacrato col farsi guidare da Virgilio -a vedere il regno delle ombre, e col professare di aver -dedotto da lui lo bello stile. Esso Dante però quasi -solo di nome conobbe i classici; ma Petrarca e Boccaccio -aveano sudato a resuscitare la letteratura antica; -e se il loro gusto certamente ne restò raffinato, è a -deplorare il Petrarca s’aspettasse immortalità dai versi -latini, e il Boccaccio introducesse un periodare esotico; -donde si ebbe un’altra fonte del linguaggio, l’imitazione -de’ classici. Il latino del Petrarca, comunque scorrevole, -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -tien troppo del medioevo; più disavvenente è quello del -Boccaccio, che nelle etimologie greche vagella, sino a -formare un nuovo dio Demogorgone. -</p> - -<p> -Albertino Mussato, Giovan da Cermenate notajo milanese, -il Ferreto storico degli Scaligeri, diedero opera -a sfangare la lingua latina. Felice Osio postillò passo -passo la storia del Mussato, rivelando quel che imitò -da Simmaco, da Macrobio, da Sidonio, da Lattanzio, -tanto che a sedici linee d’originale sottopose ottantasei -di note, singolare documento della cura che cominciavasi -a mettere allo stile: ma chi sostenne l’improba fatica -del leggerle, ne arguì che gli autori della bassa -latinità erano studiati più che non Livio e Cicerone. -</p> - -<p> -Qui non era mancato mai chi conoscesse il greco, se -non altro come lingua liturgica ne’ pontificali di Roma -e nell’ordinaria uffiziatura de’ monaci di San Basilio; e -a tacer l’uso che dovettero farne le città commerciali, -il vescovo Liutprando da Cremona affetta di lardellarne -la sua legazione; Gunzo cherico da Novara, in una disputa -grammaticale coi monaci di San Gallo nel <span class="smcap lowercase">X</span> secolo, -cita perfino il testo dell’Iliade; poi di proposito -fu tolto a studiare il greco quando si trattò del riconciliare -la Chiesa orientale colla nostra. Dal monaco calabrese -Barlaam, venuto da Costantinopoli ambasciatore, -ricevette lezioni il Petrarca senza grande profitto. -Leonzio Filato, patrioto e scolaro di quello, ebbe in -Firenze tavola e quartiere dal Boccaccio, che l’impegnò -a tradurre Omero, tirandone di Levante un esemplare -a grande spesa; poi fece per lui dai Fiorentini istituire -la prima cattedra di quella lingua. Con maggior fortuna -dettò colà e altrove Manuele Crisolara, venuto nunzio -dell’imperatore Manuele. Ambrogio camaldolese, al -principio del 1400, trovava in Mantova fanciulli e fanciulle -istruiti nel greco, tra cui la figliuola del marchese, -di otto anni. Giovanni Aurispa siciliano portò di Grecia -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -ducentrentotto manoscritti, e ne insegnò la lingua in -molte città, servì di secretario ad Eugenio IV, e finì -la vita a Ferrara sotto la protezione degli Estensi. Gregorio -da Tiferno napoletano nel 1458 domandò e ottenne -la prima cattedra di greco all’Università di Parigi, -con cento scudi d’assegno. -</p> - -<p> -Una folata di Greci qui trasse, man mano che le loro -patrie cadevano a’ Musulmani, quali Teodoro Gaza di -Tessalónica, Giorgio da Trebisonda, Giovanni Argiropulo, -Demetrio Calcóndila, Giovanni Láscari prosapia -reale. Altro viatico non portando che la cognizione dei -classici, ne esageravano l’importanza, dichiarando barbaro -ciò che a quelli non somigliasse; onde il secolo -delle creazioni fece luogo a quello de’ retori e grammatici, -e, come al fine dell’Impero romano, non s’immaginava -possibile il fare alcuna cosa bella diversamente -dai classici. -</p> - -<p> -Gente di maggior conto era venuta al concilio di -Firenze; e il Bessarione, abbandonato lo scisma e nominato -cardinale, qui accolse Greci avveniticci, e ravvivò -l’amore per Platone. Questo filosofo fu letto in Firenze -da Giorgio Gemistio Pletone (1400) peloponnesiaco, che -dedito affatto alla scuola alessandrina, eclettica tra il -vangelo e i filosofi antichi, proclama la morale dell’Accademia, -la politica di Sparta, fin la personificazione -simbolica degli attributi di Dio nelle divinità dell’Olimpo. -Nel libro <i>De platonicæ atque aristotelicæ philosophiæ -differentia</i> versando beffe sopra Aristotele, accannì gli -ammiratori di questo, e principalmente Teodoro Gaza -e Genadio, il quale considerava i Platonici d’allora come -anticristiani. Il Bessarione assunto arbitro, mostrò che -Pletone eccedeva: ma Giorgio da Trebisonda, abborracciatore -di traduzioni, gli avventò uno sconcio libercolo, -flagellando Platone fin a posporlo a Maometto -come legislatore, ed imputare ad esso tutti i vizj, alla -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -sua scuola tutte le sciagure. E di qua e di là s’infervoravano, -liti strepitose fra tant’altro strepito: ma gl’Italiani, -l’avesser letto o no, propendevano per Platone. -</p> - -<p> -Marsiglio Ficino, figlio d’un medico di Firenze, l’avea -tradotto in latino chiaro, con fedeltà mirabile pel tempo, -e tanta da ajutare a supplir qualche lacuna dove l’originale -andò perduto. Più oscuro riesce nel tradur Plotino -perchè tale è il testo, e perchè il Ficino aveva acquistato -con quel misticismo una famigliarità ch’è di ben -pochi. Sopra quei modelli dettò poi una teologia dell’immortalità, -asserendo l’affinità della scienza colla -religione. Perocchè la gara di scuola erasi portata sui -punti cardinali della filosofia e teologia, quale l’immortalità -dell’anima e la destinazione umana; e i Peripatetici -s’erano divisi tra Alessandro d’Afrodisia che credeva -l’anima inseparabile dal corpo e perire con esso, -ed Averroe che la faceva tornare a Dio ed esserne assorta. -Il Ficino confutandoli sostiene l’anima essere -emanata dalla Divinità, e a questa poter ella ricongiungersi -mediante la vita ascetica; immortale, perchè altrimenti -l’uomo sarebbe l’essere più infelice; ripudia -l’opinione dell’anima universale: ma immaginoso più -che ragionatore, eclettico senza originalità nè vero spirito -filosofico, nel suo entusiasmo confondeva il sapere -coll’arte e colla virtù. Una sua lettera, scoperta testè, -ad una cugina che avea perduto la sorella, e tutta consolazioni -platoniche d’ordine universale, di prigione del -corpo, e simili idee; nessuna di Cristo o di fede; anzi -dal pulpito raccomandava la lettura del divino Platone, -e tentò perfino introdurne dei brani nell’uffiziatura ecclesiastica. -Per ordine di Cosmo de’ Medici, cui dovea -l’educazione, aprì un’accademia platonica, composta di -mecenati, ascoltatori ed allievi, che festeggiavano i natalizj -di Platone e Cicerone. Io non so che dire di -Paolo II se si sgomentava di questo tornar pagana la -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -scienza, e staccarla dalla tradizione cristiana<a class="tag" id="tag130" href="#note130">[130]</a>. All’accusa -rispondeano che, quanto al seguir Platone, non -faceano che imitar sant’Agostino; che teologi e filosofi -tutti allora disputavano di tali quistioni, e le metteano -in dubbio per giungere alla verità; che eresia è l’ostinarsi -nell’errore; mentre essi non disobbedivano la -Chiesa, e seguitavano le pratiche volute. -</p> - -<p> -Col platonismo alessandrino ne rinacquero gli errori, -le fantastiche opinioni, la cabala. Giovanni Pico (1494) dei signori -della Mirandola, persuasosi che Aristotele e Platone in -fondo concordino, tentò ravvicinarne le dottrine, e pensando -che il secondo avesse dedotto la sapienza dagli -Orientali, si volse a questi, massime ai cabalistici, e di -là trasse le più delle novecento tesi che in Roma propose -sulla logica, etica, fisica, metafisica, teologia, -magia, offrendosi a sostenerle. Egli avea fatto riserva -dell’autorità della Chiesa; pure alcune repugnavano all’ortodossia -in modo, che ne sorse rumore, e dalla persecuzione -a fatica lo salvarono il grado suo e la protesta -di adottarle nel senso che il papa decreterebbe. Qui un -dilagar di scritture pro e contro, finchè Alessandro VI -lo dichiarò irreprovevole, e in fatto a quell’ora avea -modificato le opinioni sue, come lasciati gli amori e le -facili voluttà. -</p> - -<p> -Scrisse il libro più gagliardo contro l’astrologia; eppure -pretendeva colla cabala dar ragione della cosmogonia -di Mosè e dell’incarnazione del Verbo, e spiegava -la Genesi in modo simbolico, secondo i quattro mondi -fisico, celeste, intellettuale e dell’uomo. Ideava un’esposizione -allegorica del Nuovo Testamento, una difesa della -Vulgata e dei Settanta contro gli Ebrei, un’apologia -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -del cristianesimo contro tutti gl’infedeli ed eretici, un’armonia -della filosofia: ma a trentun anno morì. -</p> - -<p> -Da giovinetto avea fatto stupire l’Italia con una memoria -sfasciata. Tale l’ebbe pure Pietro Tommaj di -Ravenna, il quale, udita una lezione, la ripeteva cominciando -dall’ultima parola; sapeva il Codice e le infinite -glosse; replicò centottanta testi, coi quali un frate milanese -avea provato l’immortalità dell’anima; e giocando -a scacchi mentre un altro faceva a’ dadi, ed egli -stesso dettava due lettere, alla fine seppe ridire tutte -le mosse degli scacchi, tutte le combinazioni dei dadi, -tutte le parole delle due lettere cominciando dal fine. -Qual meraviglia se pareagli facilissimo un suo trattato -di memoria artifiziale, che gli altri trovano oscuro e -scabroso?<a class="tag" id="tag131" href="#note131">[131]</a>. Della memoria locale trattò eziandio Tommaso -Golferani cremonese attorno al 1340, primo che -di filosofia scrivesse in vulgare. -</p> - -<p> -Dietro ai forestieri germogliò una fungaja d’umanisti -e grammatici nostri, di alcuno dei quali non parrà -superfluo divisare a minuto i casi. Giovanni Malpaghino -di Ravenna, allievo prediletto del Petrarca, aperse scuola -di latino a Firenze, sceverando i modi degli autori -bassi dai classici, con tal frutto che il gusto della correttezza -divenne passione e moda. Da costui imparò il -latino il Poggio<a class="tag" id="tag132" href="#note132">[132]</a>, figlio d’un povero Guccio Bracciolini -aretino; ma al greco non si pose che di quarant’anni. -A Roma fu applicato a scrivere le lettere pontifizie, e -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -seguitò cinquant’anni, senz’obbligo di residenza, ma -con sottile assegno che nol sottraeva alla necessità. Con -mostrargli le lettere direttegli da Leonardo Bruno, suo -condiscepolo a Firenze, indusse Innocenzo VII a procacciarsi -anche questa buona penna, e il Poggio gustò -le consolazioni d’un’amicizia che può beneficare. Succeduto -Gregorio XII, Bruno rimase in uffizio, Poggio -andò a riposarsi a Firenze, poi seguì Giovanni XXIII -al concilio di Costanza. -</p> - -<p> -Il gusto raffinato volsero di buon’ora i nostri a rintracciare -autori perduti, e in Italia o da Italiani si può -dire fossero scoperti tutti i classici. Petrarca ad Arezzo -trovò alcun che delle <i>Istituzioni</i> di Quintiliano, e delle -orazioni di Cicerone, le tre prime <i>Deche</i> di Livio, e -cercava le altre, temendo non andassero smarrite con -Virgilio per ignavia degli uomini; fanciullo ricordavasi -aver veduto i libri <i>Delle cose umane e divine</i> di Varrone, -e lettere ed epigrammi di Augusto, ora a noi sconosciuti. -Ne’ suoi viaggi, appena vedesse qualche monastero -antico, — Chi sa non vi si celi qualche preziosità?» -e v’accorreva con desiderio<a class="tag" id="tag133" href="#note133">[133]</a>. Agli amici nulla chiedeva -più istantemente che qualche opera di Cicerone, -e mandava perciò preghiere e denari in Italia, in Francia, -in Germania, in Grecia e fin nella Spagna e nella -Bretagna. Qual tripudio allorchè, a Liegi, città tutta -traffici, rinvenne due arringhe di quello, e in Verona le -epistole famigliari! Poi il Crotto gli spedì da Bergamo -le <i>Tusculane</i>, Raimondo Soranzo il trattato <i>De gloria</i>, -ch’egli prestò al Convenevole, e nol riebbe nè egli nè -la posterità. -</p> - -<p> -Il Boccaccio arrampicavasi pe’ solaj de’ conventi a -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -stanar libri, e gli esemplava di proprio pugno; e narrava -a Benvenuto da Imola, che andato a Montecassino, -«e avido di veder la libreria, che aveva inteso essere -nobilissima, domandò ad un monaco graziosamente gli -aprisse la biblioteca. Quegli rispose secco, mostrandogli -un’alta scala, <i>Salite che è aperto.</i> Lieto v’ascese e -trovò il ripostiglio di tanto tesoro senza porta nè chiave: -entrato, vide l’erba nata per le finestre, e libri e scaffali -coperti di polvere. Meravigliato, cominciò ad aprire -ora questo libro ora quello, e vi trovò molti volumi d’antichi -e rari, dei quali ad alcuno erano strappati quaderni, -ad altri recisi i margini, e in molte guise sformati. -Compassionando che le fatiche e gli studj d’incliti -ingegni fossero venuti a mano di gente ignorantissima, -se ne partì colle lacrime agli occhi. E imbattutosi in un -monaco nel chiostro, gli domandò perchè volumi così -preziosi fossero tanto indegnamente mutilati. Il quale -rispose, che alcuni monaci, per guadagnare due o cinque -soldi, radevano un quaterno, e ne formavano uffiziuoli -da vendere ai bambini; e coi ritagli de’ margini -facevano brevi da vendere alle donne. Or va, uomo studioso, -e ti rompi il capo per far libri»<a class="tag" id="tag134" href="#note134">[134]</a>. -</p> - -<p> -Il Poggio della sua dimora al concilio di Costanza -profittò per cercare manoscritti nei conventi d’oltralpe, -affrontando asprezza di cielo, scomodo di strade, scortesia -di rifiuti. Principalmente ne rinvenne nella badia -di Sangallo «entro una specie di carbonaja oscura ed -umida, ove non si sarebbe pur voluto gettare un condannato -a morte»; e tra quelli, otto orazioni di Cicerone, -le <i>Istituzioni</i> di Quintiliano, tre libri dell’<i>Argonautica</i> -di Valerio Fiacco, qualche cosa di Lattanzio, l’Architettura -di Vitruvio, i commenti d’Asconio Pediano a Cicerone, -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -la <i>Grammatica</i> di Prisciano, ed altri non più -veduti. Esortato dal Bruno, dal Niccoli, dal Barbaro, dal -Traversari, proseguì ricerche in Germania e in Francia, -e trovò altre arringhe di Cicerone, i poemi di Silio Italico, -di Manilio, di Lucrezio, parte di Petronio, Ammiano -Marcellino, Vegezio, Giulio Frontino, le matematiche di -Giulio Firmico, Nonio Marcello, dodici commedie di -Plauto Columella, il quale era talmente dimenticato, che -non lo conobbero nè Vincenzo di Beauvais, autore di -un’enciclopedia, nè il nostro Pier Crescenzi, attento -raccoglitore di cose rustiche. -</p> - -<p> -Col nuovo papa Martino V il Poggio passò a Mantova, -poi lusingato con larghe promesse dal ricco vescovo di -Winchester, tragittossi in Inghilterra; ma deluso e -disgustato dell’ignoranza che vi trovava e della poca -stima in cui v’era la bella letteratura, rivenne in Italia. -Quivi apprese come Gasparino Barziza avesse rinvenuto -l’<i>Oratore</i> di Cicerone; non si sa chi le epistole ad Attico; -Gherardo Landriano a Lodi i libri dell’<i>Invenzione</i> -e <i>Ad Erennio</i>; Tommaso Inghirami di Volterra a -Bobbio trovava il <i>Viaggio</i> di Rutilio Numaziano; Alessandro -d’Alessandro in un celliere a Napoli il Properzio: -da Parigi si ebbero le epistole di Plinio minore, da Germania -le egloge di Calpurnio e di Nemesiano. -</p> - -<p> -Qual piacere doveva recare il leggere questi autori -man mano che si scoprivano, senza il disgusto che ora ce -ne lasciano le scuole, senza l’ottusione prodotta dall’abitudine! -«La repubblica letteraria (scriveva Lorenzo -Medici al Poggio) ha di che rallegrarsi non solo per le -opere che trovaste, ma per quelle che avete a trovare -ancora. Qual gloria per voi che sieno resi alla luce gli -scritti di sommi autori! I secoli venturi rammenteranno -che codici, di cui irreparabile piangeasi la perdita, -vostra mercè vennero ricuperati; e come Camillo fu -intitolato secondo fondatore di Roma, così voi potrete -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -esser detto secondo autore delle opere per voi ricomparse. -Vostra mercè possediamo intero Quintiliano, -che dianzi avevamo solo per metà, e questa pure mutila -e difettosa. O acquisto prezioso! o inaspettato contento! -ed è pur vero ch’io potrò leggere tutto quel -Quintiliano, che tanto dilettami comechè mutolo e sformato? -Vi scongiuro, mandatemelo al più presto, ch’io -possa almeno vederlo prima di morire ». E subito i -dotti buttavansi a commentarli, ridurli a buone lezioni, -agevolarne l’intelligenza, trarne ajuti allo scrivere corretto; -e moltissimi greci tradussero. -</p> - -<p> -Gl’impiegati della cancelleria romana soleano raccorsi -in una sala, dove a gara ne sballavano delle grosse, -tanto che, da bugia, era chiamata il bugiale; e leggeano -sulla cronaca di ciascuno, prete o secolare, mozzo o -cardinale, privato o governo. Da questo mondezzajo il -Poggio razzolò i suoi motti e racconti (<i>Facetiæ</i>), putidi -d’oscenità, le cose e le persone sacre trattando con -tale audacia, che i Protestanti vollero poi contarlo tra -i loro precursori. Conversazioni più sensate ritrae nella -<i>Historia disceptativa convivialis</i>, principalmente su -punti filologici. Scrisse pure sulla nobiltà, sulla sfortuna -de’ principi, sulla varietà della fortuna. -</p> - -<p> -Al suo trattato delle <i>Eleganze latine</i> proemiò professando -non conterrebbe nulla che fosse già scritto da -chichessia: invece è suo merito l’avere utilizzato tutti -i vecchi grammatici, per dare riflessioni sullo scrivere, -e buone regole intorno alla sintassi, alle inflessioni, principalmente -ai sinonimi; e fu ristampato, tradotto, ristretto, -compendiato, fin messo in versi. Ma se egli -conoscevasi di parole meglio di qualunque contemporaneo, -non sapeva collocarle in buono stile, e per iscrupolo -di purezza rigettò anche frasi di conio irreprovevole. -</p> - -<p> -Ripristinato Cosmo, e spirando destra l’aura ai Medici, -il Poggio ne gustò i favori, e bramava terminare -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -sua vita a Firenze; ebbe una villetta nel Valdarno, modesta, -ma abbellita di libri, di statue, di pietre incise, -di medaglie e di amici che lo visitavano; man mano -che la morte gli portasse via un amico, un protettore, -esso gli tributava lodi e lacrime. La Signoria volle gratificarlo -dichiarando esente da ogni tassa lui e sua casa; -lo invitò poi secretario, ed egli tessè la storia di quella -città in otto libri latini dal 1350 al 1455, che non finì -e che rimase inedita fino al 1715, sol conoscendosi la -traduzione italiana fatta da un suo figliuolo. -</p> - -<p> -E ben quattordici figli aveva egli da un’amica: pure -a cinquantacinque anni scrisse un dialogo se convenga -o no il matrimonio, sposò una de’ Buondelmonti che -avea diciott’anni e seicento fiorini di dote, e visse con -lei felice padre. Ebbe sepoltura (1459) in Santa Croce; ritratto -di mano del Pollajuolo nel palazzo pubblico, e una statua -sulla facciata di Santa Maria del Fiore. -</p> - -<p> -Lorenzo Valla romano, con minor talento del Poggio -suo emulo, maggior erudizione filologica e storica qual -dimostrò nelle <i>Eleganze latine</i>, aveva elevato dubbj -rarissimi a quel tempo; dichiarò spurie la donazione -di Costantino e la lettera di Cristo ad Abgaro re, nè -avere gli Apostoli composto ciascuno un articolo del -simbolo; al Nuovo Testamento appose annotazioni abbastanza -severe colla vulgata, egli primo fondando le -spiegazioni sulla lingua originale. Distici e sarcasmi -scaraventava costui a moscacieca contro cardinali e -grandi che gli tardassero un favore; e contro l’ambizione -della corte romana invettive tali<a class="tag" id="tag135" href="#note135">[135]</a>, che reputò -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -prudenza ricovrarsi a Napoli, ove aprì scuola d’eloquenza. -Ma Nicola V, non che richiamarlo, gli regalò -di sua mano cinquecento scudi d’oro per avere tradotto -Tucidide, e il titolò canonico e scrittore apostolico. -Eppure egli conservò libertà di pensare e di scrivere; -nel dialogo sull’avarizia e la lussuria flagella i -cattivi predicatori, ma specialmente i frati dell’Osservanza, -rimessiticcio de’ Francescani; poi in quello sull’ipocrisia -tempesta tutti i frati e il clero in generale. -</p> - -<p> -Quattro libri d’invettive scagliò contro Bartolomeo -Fazio, che altrettanti gliene rimbalzò con pettoruta gonfiezza. -Già contro Giorgio da Trebisonda, grand’ammiratore -di Cicerone, avea sostenuto la prevalenza di -Quintiliano con tanto furore, con quanto battagliò col -Guarino per anteporre Scipione a Giulio Cesare, e con -un giureconsulto bolognese sul punto se Lucio e Arunzio -fossero figli o nipoti di Tarquinio Prisco. Era dunque -ben addestrato alle lotte quando si accapigliò col Poggio, -alle cui <i>Invettive</i> oppose <i>Antidoti</i> e <i>Dialoghi</i>, con un -diavolo per pelo. Accusato da costui d’aver rubato denaro -e falsato una ricevuta a Pavia, e in conseguenza -essere stato messo alla gogna, gli butta in faccia imputazioni -che l’onestà neppur consente d’accennare: e -Nicola V, non che sopir la lite fra i due suoi dipendenti, -accettò la dedica degli <i>Antidoti</i>. -</p> - -<p> -Francesco Filelfo, se volessimo credere al Poggio, fu -generato da un prete in una lavandaja; ma gli storici -il fanno da buona famiglia di Tolentino: studiò a Padova -con tal frutto, che a diciotto anni professava eloquenza -colà, poi a Venezia, ove fu dichiarato cittadino, -e spedito secretario del balio a Costantinopoli per assecondare -il suo desiderio di famigliarizzarsi col greco. -Questa lingua v’apprese da Giovanni Crisolara, fratello -del famoso Manuele, e l’imperatore Giovanni Paleologo -lo volle secretario e consigliere, e lo mandò ministro -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -all’imperatore Sigismondo: in tal qualità assistette in -Cracovia alle nozze di Ladislao re di Polonia, e vi recitò -un’orazione al cospetto de’ più grandi signori -d’Europa. Reduce a Costantinopoli, sposò la figlia del -suo maestro, e con lei tornava in Italia; ma trovò Venezia -desolata dalla peste, gli amici fuggiti, i suoi libri -in contumacia. S’avviò dunque a Bologna dolente e bisognoso: -ma quivi trovossi accolto magnificamente, e -offerti quattrocento cinquanta zecchini l’anno per una -cattedra di filosofia morale e d’eloquenza. Essendosi -Bologna ribellata al papa, il Filelfo ricoverò a Firenze, -dove instancabilmente propagava l’amore de’ classici. -Di gran mattino spiegava le Tusculane o l’Arte oratoria -di Cicerone, Tito Livio od Omero; riposatosi alcune ore, -ricompariva a leggere Terenzio, le epistole o qualche -orazione di Cicerone, Tucidide o Senofonte; poi le feste -in Santa Maria del Fiore, <i>senza alcun pubblico o privato -premio</i>, commentava Dante. Quattrocento uditori -seguivano le sue lezioni, ed era applaudito, careggiato da -uomini e donne e da quanto di meglio aveva la città<a class="tag" id="tag136" href="#note136">[136]</a>. -</p> - -<p> -Il racconto di queste sue compiacenze ci rivela il -maggior suo difetto, una stima di sè, non commensurabile -se non al disprezzo di ciò che non fosse lui. -Doveva in conseguenza moltiplicarsi nemici, che pubblicamente -lo insultavano, sin a ridurlo a far le lezioni in -casa<a class="tag" id="tag137" href="#note137">[137]</a>. Avendogli un bravaccio tirato un colpo al -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -viso, il Filelfo mostrò crederlo mandato dai Medici, -contro i quali parteggiava; e forse con ciò volle scusarsi -delle codarde invettive con cui aggravò l’esiglio -di Cosmo. Perciò allorchè questi tornò trionfante, egli -rifuggì a Siena, donde continuò a bersagliarlo, tanto -che la Signoria il proferì esigliato. Ed ecco quel tal -bravaccio gli si avventa di nuovo a Siena, ed egli il fa -mettere alla tortura sinchè confessi l’attentato. Fu -multato in cinquecento lire, ma al Filelfo parvero poche, -e ne ottenne la condanna a morte, ch’egli stesso -intercedette fosse commutata nel taglio della mano, -«preferendo (dic’egli) vivesse mutilo ed infame, anzichè -una pronta morte lo liberasse dai rimorsi e dalla -vergogna». -</p> - -<p> -Intanto egli medesimo con altri fuorusciti macchinava -contro i Medici, e soldò un Greco per assassinare -Cosmo. Il sicario fu scoperto, ed ebbe tronche le -mani; e sopra la costui confessione il Filelfo fu condannato -in contumacia al taglio della lingua e al bando -perpetuo. Se al Filelfo non restava che l’ira dell’impotente, -Cosmo, sicuro dell’autorità, aveva i mezzi e -perciò il dovere d’essere generoso. E il volle, e gli fece -proporre la riconciliazione: ma il pedante ostentò generosità -col rifiutare e insultare; finse anzi di credersi -mal sicuro a Siena, e poichè era cerco dal papa, dal -senato veneto, dal duca di Milano, dalla repubblica di -Bologna, dall’imperatore di Costantinopoli, accettò di -passare sei mesi a Bologna, ottenendovi l’inusato stipendio -di quattrocencinquanta ducati, poi si trasferì a -Milano. Quivi passò i sette anni meno tempestosi di -sua vita, caro alla Corte, dichiarato cittadino, e sempre -più incocciandosi di que’ suoi meriti incomparabili. -</p> - -<p> -Nelle commozioni succedute alla morte di Filippo -Maria, scrisse proclami e lettere ai principi perchè -sostenessero l’aurea repubblica; poi orazioni ed encomj -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -all’oppressore di questa Francesco Sforza, da cui accettò -nuovi favori, finchè il magnanimo Alfonso di -Napoli mostrò desiderio di vederlo. Mosse a quella -volta, e «giunto a Roma (scrive Vespasiano) nel tempo -di papa Nicola, fece pensiere alla sua tornata di visitare -la sua santità. Inteso papa Nicola che era in Roma, -subito mandò a dire che l’andasse a visitare. Intesolo -messer Francesco, andò alla sua santità, e le prime -parole che gli disse, furono: <i>Messer Francesco, noi ci -maravigliamo di voi, che passando di qui non ci abbiate -visitato</i>. Messer Francesco rispose come egli -faceva pensiero visitare il re Alfonso, e poi venire alla -santità sua. Papa Nicola, che sempre era stato amatore -degli uomini letterati, volle che messer Francesco conoscesse -la sua gratitudine, e pigliò un legato di ducati -cinquecento, e sì gli disse: <i>Messer Francesco, questi -denari vi voglio io dare, perchè vi possiate fare le -spese per la strada</i>. Messer Francesco, veduta tanta -liberalità usatagli, ringraziò la sua santità infinite volte -di tanta gratitudine usatagli». Il re di Napoli gli uscì -incontro fino a Capua, lo ornò cavaliere, e gli concesse -di portare l’arma d’Aragona; infine il coronò poeta. -</p> - -<p> -Queste e ben altre particolarità raccolgonsi da trentasette -libri di sue lettere che sono alle stampe, e dalle -altre opere dove spessissimo parla di sè; e spessissimo -ne parlano i pochi amici e molti nemici suoi contemporanei. -Egli componeva, traduceva, compilava; or -traboccava la bile contro gli avversarj; or filosofava -nelle <i>Meditazioni fiorentine</i> o nei <i>Banchetti milanesi</i> -o nella <i>Morale disciplina</i>; or commentava il canzoniere -del Petrarca, con indecenti allusioni agli amori -del poeta, ai papi, ai Medici; or in ventiquattro canti -latini celebrava gli Sforza, o in quarantotto italiani san -Giovanni Battista; or tesseva arringhe, da recitarsi dai -podestà fiorentini quando uscivano di carica, ovvero in -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -proprio nome, e orazioni funebri, e consolatorie, e -liriche latine. Forza e calore non gli mancano, ma per -purezza latina è lontano troppo, non che dal Poliziano, -dal Poggio, e move lo stomaco colle sguajate scurrilità. -</p> - -<p> -Circondato da tanti scolari, tra cui potea contare -Pio II, Pietro de’ Medici, Agostino Dati e Bernardo Giustiniani -storici di Siena e di Venezia, Alessandro di -Alessandro autore dei <i>Genialium dierum,</i> avrebbe -potuto godere le compiacenze d’una vecchiaja onorata -se il portamento suo bisbetico non l’avesse tratto a -sempre nuove contese. Poi alle lusinghe della gloria -voleva aggiungere la realtà di ricca casa, codazzo di -famigli, cavalli, tavola: col che non solo corrompeva -il proprio avvenire, ma si obbligava a chiedere vilmente -e vilmente accettare, sin col fingere le nozze di -una sua figlia onde avere pretesto a domandare regali; -profondeva elogi, e poi querelava d’ingrato chi i doni -non proporzionasse all’avidità sua, e svillaneggiava chi -tardasse. Eppure quando Anton Marcello, patrizio veneto, -d’una consolatoria per la morte d’un figlio il -gratificò con un bacino d’argento del valore di cento -zecchini, esso lo portò alla Corte, e davanti al consiglio -ne fece dono al duca di Milano. Forse che ne sperasse -un maggiore ricambio? -</p> - -<p> -S’accapigliò esso pure col Poggio, il quale asserisce -che il Filelfo da giovane visse in ribalda amicizia con -un prete cui era stato affidato; che a Fano preso a calci -e pugni, a stento rifuggì in una bettola, e s’appiattò -sotto un letto; che a Padova fu bastonato pubblicamente -ed espulso di città per opera d’uno cui avea -corrotto il figlio, nè potè sottrarsegli che fuggendo in -Grecia; colà avere contaminato la figlia del suo ospite, -che poi dovette sposare; e altrettali lepidezze. Nuovi -appicci ebbe con Giorgio Mérula già suo discepolo, che -avea scritto <i>turcos</i> invece di <i>turcas</i>, voce sulla quale -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -non poteasi appellare all’infallibilità de’ classici; altri -per l’interpretazione d’un verso greco, pel quale e il -Traversari e il Marsuppini disputarono quanto i teologi -sopra un senso scritturale<a class="tag" id="tag138" href="#note138">[138]</a>. -</p> - -<p> -Galeazzo Maria Sforza non continuò i favori al Filelfo, -che, da diciassette anni addetto a quella famiglia, allora -si trovò abbandonato e povero, costretto a lottare colle -necessità mediante una salute di ferro e un’inconcussa -pertinacia al lavoro. Que’ bei tempi ove a gara vedeasi -cercato, erano tramontati, ed egli non potea che sfoggiare -eloquenza sopra un nuovo tono, lamentandosi -dell’abbandono e dell’ingratitudine degli uomini. Da -Pio II nulla ottenne, nulla da Paolo II che pur l’aveva -altre volte lodato e donato; sicchè egli bestemmia papa -e papato, lasciando fin trapelare l’intenzione d’andarsene -a Maometto II. Ma Sisto IV il chiamò a Roma ad -una cattedra di filosofia con buoni assegni e migliori -promesse. V’ebbe accoglienze, da soddisfare qualunque -amor proprio; ma tornato a Milano a prendere la sua -famiglia, perdette la moglie di trentott’anni mentr’esso -toccava gli ottanta; di ventiquattro figli non gli restavano -che quattro fanciulle e un maschio, filologo come -lui, e come lui presuntuoso, difficile, accattabrighe; ed -ebbe l’amarezza di veder morire anche questo, sicchè -si trovava isolato alla sera di sua vita. Milano era allora -sossopra per l’assassinio di Galeazzo Maria e la minorità -di suo figlio; la peste facea pericoloso il ritornare -a Roma: onde il Filelfo, che si era rappattumato coi -Medici, e tenea da tempo corrispondenza col magnifico -Lorenzo, ottenne che la Signoria cancellasse le sentenze -contro di lui, e il ponesse su una cattedra di lingua e -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -letteratura greca; ma le fatiche del viaggio lo logorarono, -e quindici giorni dopo rimesso nella cara Firenze, -morì (1481) di ottantatre anni. Una tale longevità basterebbe -a spiegare la sua morte, eppure si volle dire gliel’accelerassero -le virulente satire del Merula. Così gli erano -ricambiate le contumelie; ma non le aveva aspettate per -confessare d’essere trasceso negli sfoghi di sua bile<a class="tag" id="tag139" href="#note139">[139]</a>. -</p> - -<p> -In cotesti, ve n’accorgete, la letteratura non era una -distrazione, ma vita; non istromento, ma fine. Il bisogno -e l’abitudine dell’autorità erano dalla teologia e dalla -filosofia passati nella letteratura, e tutti miravano alla -conoscenza degli antichi, sicchè diventava merito primo -l’erudizione, principale opera il compilare e commentare -gli antichi o i loro commentatori, alcuni con -lucida intelligenza, alcuni senza gusto nè critica, tutti -al medesimo intento; ciascuno scegliendo un autore, -cui idolatrava, e predicavalo col calore d’un apostolato. -L’entusiasmo invadeva persino la critica, e beato chi -avesse raddrizzato un passo scorretto, o indovinato un -errore in un testo o nell’emulo! poi litigi sull’interpretare -qualche passo; la lesa eleganza facea più vergogna -che la lesa verità e convenienza; e codeste stizze dei -pedanti passionavano e dividevano città e provincie. -</p> - -<p> -Marco Barbo veneziano, nipote di Paolo II, vescovo -di Treviso poi di Vicenza, infine cardinale e patriarca -d’Aquileja, fu dottissimo in greco, latino, astronomia, -geometria, teologia, assai destro negli affari, e perciò -adoprato in molte legazioni, e principalmente nel conciliare -concordie. E una concordia egli fu chiamato a -comporre fra due potentati d’altro genere, Bartolomeo -Platina e Rodrigo vescovo di Calagóra, de’ quali il primo -avea scritto in favor della pace, l’altro della guerra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -</p> - -<p> -Ma se queste miserabili capiglie sono spesso imitate -dalla petulanza odierna, non taciamo almeno di Leonardo -Bruno d’Arezzo, che già vecchio famosissimo e -cancelliere della Repubblica fiorentina, in non so qual -disputa filosofica si trovò contraddetto dal giovane -Giannozzo Manetti. Gli applausi prodigati a questo irritarono -il Bruno a segno che uscì in parole ingiuriose: -ma la calma con cui il Manetti rispose, lo fece ravvedere. -La mattina buon’ora fu alla casa del Manetti, domandò -che il seguisse, avendo a dirgli qualcosa; e mentre -questi aspettava una scena, ad alta voce e in mezzo alla -gente gli narrò non aver potuto dormire la notte pel -torto fattogli, e volergliene chiedere scusa<a class="tag" id="tag140" href="#note140">[140]</a>. -</p> - -<p> -Francesco Barbaro senatore veneziano, erudito, eloquente, -gran fautore de’ letterati, sostenne molte magistrature -e ambasciate, celebre per l’abilità di mettere -pace. Singolarmente come capitano di Brescia rappattumò -i cittadini dissenzienti, e li sostenne nel duro -assedio postovi dal Piccinino: del quale assedio egli -scrisse la storia, pubblicata sotto il nome del suo confidente -Evangelista Manelino. Brescia riconoscente gli -regalò in duomo una bandiera e uno scudo messi a oro, -con un panegirico; e lo fece accompagnare splendidamente -a Venezia, e quivi di nuovo lodare davanti al -doge. L’opera sua <i>De re uxoria</i> è forse il solo trattato -morale di quel secolo che non calchi servilmente le -orme antiche. -</p> - -<p> -Ermolao Barbaro procurò un’edizione di Plinio, correggendovi -cinquemila errori: ma quante migliaja ve -ne lasciò! Gasparino Barziza bergamasco col buttarsi -tutto a Cicerone ne trasse un quasi istintivo sentimento -della proprietà ed eleganza, e fa sentire il buon modello -nel giro della frase, nella rotondità de’ periodi, -nell’acconcio collocamento delle parole. Trapassiamo -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -Pier Paolo Vergerio di Capodistria, storico dei Carraresi -e maestro di Lionello d’Este; Carlo Marsuppini di -Arezzo, segretario della Repubblica fiorentina; Antonio -Panormita, che fu laureato poeta da Sigismondo imperatore, -e dedicò a Cosmo Medici l’<i>Hermaphroditus</i>, -osceni epigrammi, vituperati dai monaci e appetiti dai -curiosi. Il Perotti vescovo di Siponto (<i>Cornucopia, sive -linguæ latinæ commentarii</i>) spiegò molte voci latine, -lavorando su Marziale. Cristoforo Landino, segretario -della Signoria di Firenze, scrisse poesie e trattati filosofici, -volgarizzò Plinio e la <i>Sforziade</i> di Giovan Simonetta, -e a Virgilio, Orazio, Dante appose lunghi commenti, -dedotti forse dalle lezioni che pubblicamente ne -faceva, dove, ampliando a tutto il poema l’intenzione -che l’Alighieri professò in qualche parte, sotto al letterale -cercava un senso recondito e morale. Ad imitazione -di Platone e di Tullio, nelle <i>Disquisizioni camaldolesi</i> -dialoga con illustri personaggi, facendo amare -la virtù senza troppo sottilizzare sulle teoriche, pure -non evitando le fantasticherie platoniche. E il dialogo -era adottato dal Valla per difendere l’epicureismo, dal -Platina, dal Palmieri, dall’Alberti, dal Pontano, da Matteo -Bosso; e Paolo Cortese, imitando quello <i>De claris -oratoribus</i>, ben caratterizzò i dotti del suo tempo. -</p> - -<p> -Non v’avendo dizionarj nè grammatiche, uno dovea -da se stesso nel barbaro latino usuale riscontrare quello -che si trovasse o no nei classici; insomma indovinare -le lingue, interpretare un autore mediante l’altro, mettersi -in traccia dell’oro a costo di perire nella miniera. -Noi, ricchi delle faticose lor veglie, li trattiamo con -ingrato disprezzo; noi tronfj di possedere quel che non -vogliamo fare ad essi gloria d’avere acquistato. E l’erudizione -è come il bagaglio ad un esercito, imbarazzante -alla marcia, eppure indispensabile. -</p> - -<p> -Storia, mitologia, antichità ridestaronsi per facilitare -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -l’intelligenza dei testi; ma que’ commenti riboccano di -frivolezze e insulsaggini; spesso s’appongono al falso, -non bene conoscendo il senso, e tanto meno la forza -delle parole. La rarità dei testi e la riverenza per l’autorità -facea rispettare anche le lezioni più infelici; e -non osando correggerle, gli eruditi si limitavano a -mostrare d’averle capite col raffrontarle ad altri testi. -I nostri non compresero abbastanza quanto potessero -trar profitto dal greco, modello e sorgente della letteratura -latina, lasciando tal lode principalmente alla -scuola olandese. Vennero più tardi e non nostri gli -eruditi, che allo studio della forma anteposero quel -delle idee, ammirandole nella persuasione che ciò che -era pensato dagli antichi dev’essere il più perfetto, ma -ancora osservando l’autore come un essere sporadico, -separato dai tempi e dai casi. Solo adesso si cerca collocare -l’autore nella storia, co’ suoi contemporanei: la -bellezza letteraria non è più il fine della critica, ma -uno de’ moventi e dei risultati della storia. -</p> - -<p> -Quelle accannite controversie valsero ad accertare -la filologia, obbligando gli scrittori a rendere conto -d’ogni frase e parola. A grand’ajuto poi vennero i dizionarj, -che sono i veri libri iniziatori della filologia. -Uno, ad imitazione di Papia, fu compilato da Uguccione -vescovo di Ferrara; Buoncompagno diede la -disposizione artifiziosa e naturale d’un dizionario; Giovanni -da Genova, autore del <i>Catholicon</i>, grosso volume -stampato dal Guttenberg nel 1460, che comprende -grammatica e dizionario, è poco citato, eppure sa più di -quanto potrebbe aspettarsi: avea letto quantità di libri, -cita moltissimi classici latini, non ignora il greco<a class="tag" id="tag141" href="#note141">[141]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -e come Papia e gli altri lessicografi, non esclude i santi -Padri, la cui intelligenza entrava per sì gran parte -negli studj d’allora. Il primo dizionario greco sembra -quello del monaco piacentino Giovanni Crestone; seguì -il Grande Etimologico (’Ετυμολογικὸν μέγα) di Marco Musuro, -anteriori a quelli di Roberto Costantino, di Scapula, -di Enrico Stefano. Andrea Guarna palermitano -(<i>Grammaticæ opus novum, mira quadam arie et compendiosa, -seu bellum grammaticum</i>) pretendeva insegnar -la grammatica colle regole della guerra, esponendo -le nimicizie fra il nome e il verbo, re del regno -di grammatica, le battaglie che si movono, cercando -rinforzarsi mediante l’ajuto del participio; infine si -rappacificano. L’opera ebbe da cento edizioni, fu ridotta -in ottave, fu tradotta in francese. -</p> - -<p> -Lo studio delle antiche lingue affinò il gusto, ma -coll’imitazione spense l’originalità; si pensò a conoscere -la civiltà vetusta, più che a perfezionare la moderna; -e fra quegli studiosi, immagini, pensieri, leggi poetiche -erano d’altri tempi; non un lampo di genio, non un -impeto d’eloquenza per compiangere le sventure d’allora, -o magnificare la nuova civiltà. Sconcio peggior -che letterario, s’insegnò a separare il sentimento dalla -parola, la letteratura dall’azione, la forma dal pensiero, -e giudicare degli uomini come degli autori non dalla -sostanza ma dallo stile. Anche servilità di modi introducevano -onde valersi delle frasi di Orazio e di Plinio; -e adulazioni, che avrebbero arrossito ad esprimere -nella lingua con cui parlavano ai loro amici. Chiamati -alle magistrature, e massime in uffizio di segretarj, -non valevano (salvo alcuni, come il Salutati e il Piccolomini) -se non a recitare orazioni di parata; nelle quali -non stringevano sulle positive importanze, ma badavano -a ciò che meglio potesse esprimersi in latino. -Il Petrarca, incaricato di rispondere ai Genovesi quando -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -vennero offrirsi al signor di Milano, nol seppe perchè -non preparato. A un discorso che il Marsuppini a nome -della Signoria fiorentina recitò a Federico III, Enea -Silvio fe risposta senza retorica ma con domande positive, -e quegli non seppe replicare. Insomma erano -buoni solo per l’apparato, e perciò amavano le corti, -e non poco contribuirono a soffocare le antiche abitudini -popolane: perocchè alle repubbliche di magistrati -attenti alla domestica sul pubblico bene preferivano le -corti ove ottenner protezione e sfoggiare eloquenza; e -con belle frasi palliavano la tirannide e scagionavano -l’iniquità. -</p> - -<p> -Studj di tal natura non potevano alimentarsi che dalla -protezione, e l’ebbero. -</p> - -<p> -L’Università di Bologna conservò la sua altezza, ed Innocenzo -VI le concesse la facoltà teologica (t. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 385): -Gregorio XI vi fondò il lauto collegio detto dal suo -nome, con ricchissimi doni, fra i quali son notevoli -cennovantatre libri. I Trevisani apersero un’Università -(1314) procacciandosi nove famosi dottori, fra cui -Pietro d’Abano. Pisa nel 1339 ne pose una, mantenendola -colla decima sui beni degli ecclesiastici; tutti i -libri occorrenti fece immuni da gabelle; ebbe privilegi -da papi e imperatori, ma poi ne’ disastri successivi la -vide eclissata. I Fiorentini fondarono uno studio (1348), -e per illustrarlo invitavano il Petrarca a leggere qual -libro gli piacesse. Il senese, aperto nel 1320, poi -sciolto, fu riordinato sotto gli auspizj di Carlo IV (1357) -(t. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 392), che ne autorò uno anche a Lucca (1369). -L’Università di Piacenza, sorta per opera di Innocenzo -IV (1246), poi scaduta, fu ridesta da Gian Galeazzo -(1397). In Milano tenevansi pubbliche lezioni di -giurisprudenza, venticinque maestri di grammatica e -logica, quaranta scrivani, più di sessanta maestri elementari, -più di centottanta professori di medicina, e -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -filosofi, e chimici, molti de’ quali salariati per assistere -i poveri. L’Università di Pavia, aperta (1362) e prosperata -dai Visconti (al dire dell’Azario) perchè v’avea -sovrabbondanza di case, e a buon patto il vino, il frumento, -la legna, non annichilò le scuole di Milano, -giacchè gli statuti concedeano che natii o avveniticci vi -potessero studiare leggi, decretali, fisica, chirurgia, tabellionato, -arti liberali<a class="tag" id="tag142" href="#note142">[142]</a>. Clemente fondò quella di -Perugia nel 1307: Bonifazio VIII quella di Fermo nel -1303 ed una a Roma, dove ormai non restavano che -scuole d’elementi; ma l’esiglio avignonese la lasciò ricadere: -Giovanni XXII ne istituì una in Corsica il 1331; -Benedetto XII in Verona il 1339. Il concilio ecumenico -di Vienne ordinò che nelle università di Roma, Parigi, -Oxford, Bologna, Salamanca v’avesse due maestri di -lingua ebraica, araba e caldea. Anche Torino, come -che dedita di preferenza alle armi, nel 1353 tenea per -otto anni esentati dal militare gli artisti che andassero -ad abitarvi; nel 66 chiamò e fece cittadino un maestro -di umane lettere; a un altro assegnò dieci fiorini -perchè insegnasse medicina; e nel 75 fondò scuole<a class="tag" id="tag143" href="#note143">[143]</a>; -e la sua Università ebbe ampio privilegio da Lodovico -di Savoja nel 1436. -</p> - -<p> -Ai letterati aumentavansi stipendj a gara, concedevansi -onori, s’affidavano ambasciate; il loro passaggio -per le città era un trionfo, alle esequie loro assistevano -i principi: Carlo IV concesse a Bartolo d’inquartare al -suo stemma l’arme di Boemia; e questo insigne giureconsulto -sostenne che un dottore, dopo insegnato -dieci anni diritto civile, è cavaliere <i>ipso facto</i>. Tutti i -principi faceano il mecenate, da Roberto di Napoli che -diceva — Rimarrei più volentieri senza diadema che -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -senza lettere», fin a Luchino Visconti che scrivea versi -lodati dal facile Petrarca, a Giovanni che facea leggere -in cattedra Dante, al cupo Filippo Maria, al quale Lucca -attestò la riconoscenza col regalargli due codici<a class="tag" id="tag144" href="#note144">[144]</a>, -e al cui segretario Cicco Simonetta moltissime opere -si trovano dedicate con elogi pomposissimi. Francesco -Sforza accolse l’architetto Francesco Filarete, Bonino -Mombrizio professore d’eloquenza, il Filelfo, il Simonetta -e il Decembrio storici, Lodrisio Crivelli poeta, -Franchino Gaffurio primo che aprisse scuola di musica, -Costantino Lascaris che a Milano stampò la prima -grammatica greca; e mandava in Toscana chi comprasse -per lui tutti i libri degni, e raccogliesse quanti -scrittori si potessero avere. Gian Galeazzo cercò trarre a -Milano la Cristina di Pizzano che vivea poveramente in -Francia, e molti versi compose. A non ripetere d’Alfonso -d’Aragona, di Nicola V e d’Eugenio IV, Jacopo -di Carrara spedì dodici giovani alle scuole di Parigi, e -Francesco il vecchio visitava spesso ad Arquà il Petrarca. -L’imperatore Sigismondo coronò poeta a Parma -un Tommaso Cambiatore e Antonio Beccatelli panormita; -il quale dal Visconti ottenne lo stipendio di ottocento -scudi d’oro, da re Alfonso la nobiltà e missioni -importanti e doni fin di mille scudi in una volta. Più -prodigo Federico III laureò poeti Nicolò Perotti, il -Piccolomini, il Cimbriaco, il Bologni, due Amasei, un -Rolandello, un Lazarelli. Firenze coronò Ciriaco d’Ancona -e Leonardo Bruno; Verona Giovanni Panteo; -Roma l’Aurelini e il Pinzonio; Milano Bernardo Bellincioni: -glorie d’un giorno. -</p> - -<p> -E ognuno prendea parte a quelle glorie, a quelle -dispute; la scoperta d’un codice era un avvenimento -clamoroso; le più delle epistole versano sopra la ricerca -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -di manoscritti; il duca di Glocester ringrazia fervorosamente -Pier Candido Decembrio d’avergli mandato -una traduzione della <i>Repubblica</i> di Platone; Mattia -Corvino re d’Ungheria, dalla moglie Beatrice di Napoli -invogliato al lusso e ai raffinamenti di corte, si circondò -di letterati, procurando dell’Ungheria fare un’altra -Italia<a class="tag" id="tag145" href="#note145">[145]</a>. Col cercar libri e farne trar copie raccolse -una biblioteca di cinquantacinquemila volumi, quanti -niun’altra al mondo ne possedeva; e principalmente -caro tenne Antonio Bonfini d’Ascoli, che dettò la storia -di quel paese. Le miscellanee del Poliziano erano aspettate -come il messia, e divorate appena uscissero. L’invidia -o le fazioni snidano un letterato? egli è sicuro di -trovare onorificenze e stipendj dovunque appaja, col -solo patrimonio del proprio merito; quando muore il -giureconsulto Giovanni da Legnano, chiudonsi le botteghe; -quando l’unico Accolti recita versi, si feria per -tutta la città, si fa luminara, e dotti e prelati interrompono -cogli applausi la sua declamazione. -</p> - -<p> -Signori illustri faceano versi, e ne conserviamo di -Luchino Visconti e di Bruzio suo figlio, di Guido Novello -da Polenta, di Bosone da Gubbio, di Francesco Novello -Carrarese, di Cangrande, di Castruccio, d’Astorre Manfredi -di Faenza, di Lodovico degli Alidosi di Imola, -tutti gran signori. Aggiungete Lionello d’Este, le cui -lettere sono delle migliori del suo tempo; il Malatesta -di Rimini, Gian Galeazzo e Lodovico Sforza duchi, e il -cardinale Ascanio costui fratello, e molte dame, quali -Isabella d’Aragona duchessa di Milano, Bianca d’Este, -Domitilla Trivulzi. All’imperatore Sigismondo, a Martino -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -V pontefice recita orazioni latine la Batista di Montefeltro, -moglie di Galeazzo Malatesta da Pesaro, la -quale legge filosofia, e disputandone vince alcuni professori. -Costanza di Varano, nipote di lei, di quattordici -anni pronunzia un discorso latino a Bianca Maria -Sforza, e per tutt’Italia è ammirata ed encomiata tanto, -che ottiene a’ suoi d’essere rintegrati nella signoria -di Camerino, ed è sposata da Alessandro Sforza signore -di Pesaro, poeta anch’esso. Un’altra Batista -sua figlia e duchessa di Camerino facea stupire principi -e prelati coi discorsi latini che improvvisava. Ippolita -figlia di Francesco Sforza in Mantova davanti al -congresso raccolto perorò onde eccitare alla crociata, -e ci rimane esemplato di sua mano il trattato <i>De senectute</i> -di Cicerone. -</p> - -<p> -Cosmo padre della patria stipendiò quarantacinque -scrivani onde provvedere la sua biblioteca. Lorenzo magnifico -scriveva: — Quando l’anima mia è stanca d’affari, -e gli orecchi assordati dal cittadin clamore, non -mi vi saprei rassegnare se non cercassi refrigerio nelle -lettere, pace nella filosofia». Federico duca d’Urbino -teneva a Firenze e altrove da trenta a quaranta amanuensi, -e spese in copie meglio di trentamila ducati; -e oltre la Bibbia che ancor si ammira nella Vaticana, -«ebbe altri libri assai (dice il Vespasiano), belli in -superlativo grado, coperti di chermisi, forniti d’ariento, -miniati elegantissimamente, e tutti iscritti in carta di -cavretto; nè tra quelli n’era niuno a stampa, che se ne -sarebbe vergognato». -</p> - -<p> -Tutti i signori raccolgono i profughi di Grecia, gli -incorano a cercare e tradur libri, assistono alle lezioni -loro. Nicolò Acciajuoli, ito da Firenze a Napoli mercatando, -trovò grazia presso la principessa di Taranto, -che gli diede stato e cavalleria e ad educare il suo -figlio Luigi; presso il quale conservossi in grazia, fu -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -fatto siniscalco, e al mutar degli eventi tornato ricchissimo -in patria, vi sfoggiò in modo che i Fiorentini se -ne adombrarono quasi volesse farsene dominatore, e -stanziarono ch’e’ non potesse ottenervi alcuna magistratura. -Egli allora sfogò la sua ambizione col mettersi -protettore di dotti, quali Zanobio Strada, Francesco -Nelli, il Boccaccio. Il qual ultimo volle poi seco a Napoli -quando tornò, ma lo teneva a miseria, sebbene -l’esortasse continuo a scrivere le sue gesta. Alla magnifica -Certosa da lui eretta presso Firenze aggiunse -un palazzo a foggia di castello, ove cinquanta giovani -doveano esser educati, con biblioteca d’opere rare; -disposizione rimasta priva d’effetto. Palla Strozzi, cittadino -ricchissimo e potentissimo in Firenze, dove ristabilì -l’Università, ebbe in casa Tommaso da Sarzana -dappoi papa, chiamò Manuele Crisolara, «mandò in -Grecia per infiniti volumi, tutti alle sue spese; la Cosmografia -di Tolomeo colla pittura fece venire infino -da Costantinopoli; le Vite di Plutarco, le opere di Platone, -e infiniti libri degli altri. La <i>Politica</i> di Aristotele -non era in Italia, se messer Palla non l’avesse fatta -venir lui da Costantinopoli; e quando messer Lionardo -la tradusse, ebbe la copia di messer Palla»<a class="tag" id="tag146" href="#note146">[146]</a>. Esigliato -il 1434, ebbe a sè «con bonissimo salario -Giovanni Argiropulo, a fine che gli leggesse più libri -greci, di che lui aveva desiderio di udire. Da un altro -greco prendea lezioni straordinarie, e traduceva san -Giovanni Crisostomo». -</p> - -<p> -Nicolò Niccoli vendette alcune possessioni per aver -libri, che poi mise a comodo del pubblico, e fece fabbricare -la libreria di Santo Spirito con banche per -tenervi quei che erano appartenuti al Boccaccio; ottocento -codici lasciò, stimati seimila fiorini. Bartolomeo -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -Valori gli studj d’umanità «non tralasciò mai -del tutto, ancorchè occupato nelle cure domestiche e -mercantili, ed implicato negli affari pubblici; se non -quando in età matura pervenuto, quel tempo che potè -tutto nella sacra Scrittura andò consumando, con partecipare -i suoi studj con i teologi di quell’età suoi domestici»<a class="tag" id="tag147" href="#note147">[147]</a>. -Bernardo Rucellaj, che nelle nozze colla -figlia di Pietro de’ Medici spese trentasettemila fiorini, -sorresse l’accademia Platonica dopo mancato il magnifico -Lorenzo; e fattasi una splendida abitazione con -giardini ornati di monumenti antichi, vi tenea adunanze -di dotti, che resero rinominati gli <i>Orti oricellarj</i>. -Branda Castiglione milanese, gran canonista, e uno -de’ migliori ornamenti de’ concilij di Firenze e di Costanza, -fatto cardinale, patrocinò munificamente le -lettere, pose un collegio a Castiglione con ricca biblioteca -aperta a chiunque amasse le lettere, ai quali facea -far opere e distribuiva benefizj. -</p> - -<p> -Nè più solo da lizze e da armeggiamenti si prendeva -diletto e festa. Quando il dottissimo patrizio veneto -Lodovico Foscarini nel 1451 andò podestà a Venezia, -Isotta Nogarola sostenne una disputa se dovesse attribuirsi -la prima colpa a Adamo o ad Eva. Durante -il concilio di Ferrara, Ugo de’ Benzi senese, «tenuto -ne’ suoi tempi principe de’ medici, invitò seco a desinare -tutti que’ filosofi greci che erano venuti a Ferrara; -e dopo il splendido apparato venuto al fine a -poco a poco, pian piano cominciò a tirargli piacevolmente -in disputa, sendo già presente il marchese Nicolò, -e tutti i filosofi che si trovavano in quel concilio. -Addusse in mezzo tutti i luoghi de la filosofia, sopra -quali par che fieramente contendino e sieno tra loro -discordanti Platone ed Aristotele, e disse ch’egli voleva -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -difendere quella parte che oppugnerebbero i Greci, -seguissero Platone o vero Aristotele. Non ricusando la -contesa i Greci, durò molte ore la disputa; al fine -avendo Ugo padrone del convito fatto tacere i Greci -ad un ad uno con l’argomentazione e con la copia -del dire, fu manifesto a tutti che i Latini, come già -avevano superato i Greci con la gloria de l’armi, così -nell’età nostra e di lettere e d’ogni specie di dottrina -andavano a tutti innanzi»<a class="tag" id="tag148" href="#note148">[148]</a>. -</p> - -<p> -A Firenze il 1441 fu annunziata, per cura di Lorenzo -De’ Medici e di Leon Battista Alberti, una gara pubblica -di letterati, dove ciascuno leggerebbe qualche -suo componimento intorno alla vera amicizia, e il migliore -otterrebbe una corona d’argento in forma d’alloro. -In Santa Maria del Fiore, magnificamente parata -e coll’intervento delle autorità e di gran popolo, lessero -lor composizioni Francesco Alberti, Antonio Alli, -Mariotto Davanzati, Francesco Malecarni, Benedetto -Aretino, Michele da Gigante, Leonardo Dati, applauditi -come si suol essere in tali circostanze: ma i segretarj -di papa Eugenio, ai quali per onoranza erasi rimesso il -decidere, dichiararono che erano tutte belle quasi del -pari, e si trassero d’impaccio col decretare la corona -alla Chiesa<a class="tag" id="tag149" href="#note149">[149]</a>. Poi esso Lorenzo volle rinnovare dopo -dodici secoli la festa di Platone, che si celebrava ai -tempi di Plotino e Porfirio; e Firenze e Careggi seguitarono -per più anni a festeggiare lo scolaro di -Socrate. -</p> - -<p> -Anche fuori venivano cercati i nostri; e Gregorio -di Tiferno, allievo del Crisolara, nel 1458 ridestava -gli studj classici nell’Università di Parigi; nella quale -professarono Tranquillo Andronico, Fausto Andreini, -Beroaldo, Balbi, Cornelio Vitelli, forse altri. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -</p> - -<p> -Conseguenza della stima allora profusa ai letterati -fu l’affidare ad essi l’educazione de’ principi, lasciata -in prima a guerrieri e a dame. Il Guarino allevò Lionello -d’Este; tre figliuoli e una figlia di Francesco Gonzaga -di Mantova Vittorino da Feltre, collocato perciò -in un’abitazione da principe, con giardini, appartamenti -sontuosi, pitture, giuochi, sicchè a ragione chiamavasi -la Giojosa. Vittorino però non la pensava come -certi odierni pedagoghi, che deva esser gaja ed agevole -l’educazione, mentre avvia ad una vita di triboli; -sicchè poco a poco fece sparire le delizie, e l’effeminata -magnificenza ridusse a parca severità. Eppure mostravasi -padre affettuoso ancor più che abile maestro; a -lui accorreasi di Francia, di Germania, di Grecia, e vi -si trovava ogni mezzo di istruirsi nelle scienze e nelle -arti belle, avendo intorno a sè raccolto maestri d’ogni -bel sapere. Da’ suoi scolari pretendeva esatta esposizione; -col che avviò alla lettura corretta. Nulla pubblicò, -e, mirabil cosa tra que’ dotti iracondi, non si -trova chi di lui sparlasse. Francesco Prendilacqua suo -discepolo ne scrisse un’elegante vita, conseguendo il -più bell’effetto, quello di far amare il suo eroe. -</p> - -<p> -Maffeo Vegio, che ebbe la baldanza di fare seicento -versi di supplemento all’Eneide, nel trattato dell’educazione<a class="tag" id="tag150" href="#note150">[150]</a> -diede buoni consigli ai maestri, deducendoli -non solo dagli etnici, ma anche dai santi Padri; -bene espose le virtù e i vizj de’ giovani; e all’educazione -delle fanciulle applicò molti esempj, tratti da santa -Monica madre di sant’Agostino. -</p> - -<p> -È strano che principi, futuri reggitori di popoli, -s’affidassero a gente ignara di governo, e sol capace per -avventura di formare il prete o l’avvocato. Ma il vezzo -si perpetuò: e mentre gli antichi insegnavano nelle scuole -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -la storia e le idee della propria nazione, e lo studiar le -straniere fu curiosità o erudizione di pochi; nelle moderne, -al contrario, i figli si addestrarono in lingua diversa -dalla materna, e leggi e società estranee alla -loro propria, onde i sentimenti attinti dalla scuola discordarono -da quelli che doveano avere nel mondo. -</p> - -<p> -Molti poetarono latino, fra cui Zanobio Strada fiorentino, -che n’ebbe corona dall’imperatore, e del quale -non ci rimangono che cinque poveri versi. Il Petrarca -loda moltissimi come degni d’alloro; anzi del lor soverchio -numero si lagna, «contagio che penetrò fin -entro la corte romana, ove giureconsulti e medici non -badano ad Esculapio e a Giustiniano, non a litiganti e -infermi, ma a Virgilio ed Omero; agricoltori, falegnami, -muratori gettano gli stromenti delle arti loro -per trattenersi con Apollo e colle Muse. Temo d’avere -col mio esempio contribuito a tale farnetico». Battista -Mantovano, onorato di statua accanto a Virgilio, -al quale Erasmo nol credeva inferiore, oggi chi lo ricorda? -Migliore è Giovian Pontano, preside dell’accademia -di Napoli, rimasta la più illustre al cadere della -romana e della fiorentina: e di fama più estesa Angelo -da Montepulciano, col nome di Poliziano. Raccolto giovinetto (1491) -da Lorenzo Medici che ne indovinò l’ingegno, -a ventinove anni professò greca e latina eloquenza, -sapeva d’ebraico, ed ebbe ogni sorta di onori e d’insulti -dagli emuli. Le sue <i>Miscellanee</i>, raccolta di cento -osservazioni di grammatica, d’allusioni, di costumi -sopra autori latini, erano reputate capolavoro, e gloria -l’esservi menzionato, come ingiuria il restarne dimentico. -Tratta egli que’ soggetti con solida e variata amenità, -ben rara agli eruditi, e con purezza superiore ai -precedenti, sentendo al vivo le bellezze romane, ben -descrivendo, a gran proposito adoperando i classici, -comunque ridondi nelle descrizioni, abusi dei diminutivi -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -e degli arcaismi, e inciampi in improprietà<a class="tag" id="tag151" href="#note151">[151]</a>. -Meglio meritò col trasfondere i modi de’ classici nella -poesia italiana, siccome il Boccaccio avea fatto nella -prosa, richiamandola all’eleganza. -</p> - -<p> -Anche gl’ingegni migliori, a forza di pensar latino, -si erano domati alla servitù dell’imitazione; e come in -quello si ricalcavano Virgilio e Cicerone, così nell’italiano -il Petrarca e il Boccaccio (Dante fu dimenticato), -e si cominciarono dispute eterne intorno alla lingua, -derivandone l’autorità da questo autore, anzichè ricorrere -alla parlata. Ma tristo effetto di quella idolatria -per gli antichi era stato il disprezzo per la lingua italiana, -abbandonata col titolo di vulgare. «Mi ricordo -io (dice Benedetto Varchi) quando ero giovinetto, che -il primo e più severo comandamento che facevano generalmente -i padri a’ figliuoli, e i maestri a’ discepoli, -era che eglino, nè per bene nè per male, non leggesseno -cose vulgare (per dirlo barbaramente come loro): e -maestro Guasparri Mariscotti da Marradi, che fu nella -grammatica mio precettore, uomo di duri e rozzi ma -<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> -santissimi e buoni costumi, avendo una volta inteso, -in non so che modo, che Schiatta di Bernardo Bagnesi -ed io leggevamo il Petrarca di nascoso, ce ne diede -una buona grida, e poco mancò che non ci cacciasse -dalla scuola». -</p> - -<p> -Ne venne di conseguenza un gergo affettato insieme e -rozzo, di barbarismi vulgari mescolati a latinismi eruditi, -senza sapore di legamenti, senza scelta di frasi, senza -nerbo di sintassi, ma contorto e rabberciato, tutto toppe -e rappezzi, simile a quello che poi s’imitò per ischerzo, -e si chiamò maccheronico e fidenziano. Chiunque abbia -letto qualche libro d’allora, potette averne un saggio; -e se non basti qualche passo da noi citato, e singolarmente -la lettera del Poliziano (pag. 300), soggiungeremo -che il vescovo di Vercelli, il presidente del consiglio, -il capitano di Sant’Agata, ambasciadori del duca -di Savoja, scrivevano al duca di Milano nel 1484: — La -Excellenza del nostro signor duca a recevuto una lettera -vostra, della quale el tenore et contenu est che Lojis et -Passin de Vimercà hano tractà et conspirà de privare -el signor Lodovico vostro degnissimo barba dello governo -ecc.»<a class="tag" id="tag152" href="#note152">[152]</a>. Frà Jacopo Filippo da Bergamo, autore -d’una storia generale col titolo di <i>Supplementum -Chronicorum</i>, stampato quattro volte in quel secolo e -più altre dappoi, e lodato per rare notizie, scriveva al -cardinale Ippolito d’Este nel 1498: — Questi itaque -anni passati, havendo me tua Excellenzia mandato a donare -una bella mulla per mio usare, la acceptay cum -gratiarum actione, et poy statim cognosce me ancora -gagliardo di posser caminare a’ piedi, gela remanday. -Ma di presente siendo molto invecchiato, et appresso a li -settanta anni di etade, non possendo quasi più caminare, -cum una indubitata fede me voglio ricorrere a la plentissima -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -vostra signoria, come quella a suo devotissimo -oratore gli piaqua donarli una qualche honesta chavalchatura; -et questo prima per amore di Dio, et per riconoscimento -di tante mie fatiche, che hoe pigliato in -ornare tutta la illustrissima casa vostra etc....». E frà -Francesco Colonna, autore d’un eruditissimo e lascivo -romanzo, <i>Hipnerotomachia Poliphili, ubi humana -omnia nonnisi somnium esse docet</i>, finge d’essersi in -sogno ritrovato «in una quieta e silente piaggia, di -culto diserta, d’indi poscia disaveduto con grande timore -intrò in una invia et opaca silva»; e così descrive -l’aurora: «Phoebo in quel hora manando, che la fronte -di Matula Leucothea candidava, fora già dell’oceane -onde, le volubili rote sospese non dimostrava, ma sedulo -cum gli sui volucri caballi Pyroo primo et Eoo -alquanto apparendo, ad dipingere le lycophe quadrige -morava». E di questo tenore prosegue tutto il dottissimo -volume. -</p> - -<p> -Se però decadeva l’italiano letterario, il popolare -acquistava dovizia e destrezza, e felicemente l’adoprarono -alcuni Fiorentini, come Matteo Palmieri nel dignitoso -e sobrio trattato della <i>Vita civile</i>; Feo Belcari, -che con cara semplicità stese la <i>Vita di Giovanni Colombini</i> -e varie poesie divote<a class="tag" id="tag153" href="#note153">[153]</a> e rappresentazioni -sceniche; e Agnolo Pandolfini, nel <i>Governo della famiglia</i><a class="tag" id="tag154" href="#note154">[154]</a>, -dialogo di persone reali intorno a reali soggetti -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -e ai bisogni quotidiani, con precetti d’economia e -di morale alla mano di tutti, ed esposti con purissima -proprietà, vero modello di simil genere di comporre. -Alla stessa fonte attinsero Luigi Pulci, il Poliziano, Lorenzo -Medici, che saluteremo quali precursori dell’aureo -Cinquecento. Esso Lorenzo a diciassette anni s’incontrò -con Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, e domandato -da questo sui migliori poeti italiani, di propria -mano gliene trascrisse molti, insieme con alcune proprie -composizioni. Di poi si facea capo delle mascherate -che uscivano il carnevale, con sempre nuove invenzioni -e addobbi; induceva i poeti a compor canzoni -per quelle, e ne componeva egli stesso; e scendeva -sulla piazza a menar la danza, a intonar l’aria, ad accordare -gli strumenti, facendo arte di governo la letizia -d’un popolo ch’era alla vigilia di troppe sventure. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap122-11">CAPITOLO CXXII. -<span class="smaller">Scienziati. I libri. La stampa.</span></h2> -</div> - -<p> -Carlo IV mandò al Petrarca un diploma, ove Giulio -Cesare e Nerone assolvevano l’Austria dalla dipendenza -imperiale; ed esso il dichiarò impostura. Scoperta di -minimo merito, se allora non fosse stato straordinario -il dubitare di cosa scritta; e al Petrarca va lode d’avere -usato la critica, quantunque spesso in fallo, sovra di -opere attribuite ad autori falsi, o di cui scambiavansi il -tempo e il nome. Egli avea fatto una raccolta di medaglie, -e si lagna che i Romani ignorino le cose proprie, -e per vile guadagno distruggano i preziosi avanzi -campati dai Barbari; e dell’averli restaurati encomia -<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> -Cola Rienzi, il quale dallo studio di questi aveva attinto -l’ammirazione pel buono stato antico<a class="tag" id="tag155" href="#note155">[155]</a>. Anche Guglielmo -Pastrengo, grand’amico del Petrarca, ustolava -ad anticaglie ed iscrizioni; e il suo <i>Lessico storico</i>, biblioteca -generale degli scrittori sacri e profani, per -quanto imperfettissimo, attesta molta lettura. Nicolò -Niccoli possedeva una serie di medaglie, di cui si valse -per accertare l’ortografia di alcune voci. -</p> - -<p> -Che le iscrizioni potessero venire in appoggio alla -storia, l’aveano già scorto gli antichi. Il Pizzicolli, detto -Ciriaco Anconitano, per incarico di papa Nicola V andò -a farne una raccolta per Italia, Grecia, Ungheria, e -pei paesi di Levante ancora intatti dai Turchi; nè noi -col Poggio e col Decembrio teniamo ch’e’ fosse impostore, -bensì che spessissimo s’ingannasse nel giudicare -il tempo, l’origine, la destinazione de’ monumenti. Anche -l’architetto frà Giocondo da Verona ne raccolse di -molte; a Reggio serbasi manoscritta la raccolta di Michele -Ferravino con disegni; una ne fece Nicolò Perotto, -vescovo di Manfredonia; altri altre di particolari provincie. -Girolamo Bologni pel primo v’aggiunse spiegazioni -e commenti, talchè la storia presentavasi appoggiata -all’erudizione. Con testimonj di questa Bernardo -Rucellaj, splendido amico dei letterati, trattò della città -di Roma; e Biondo Flavio (-1463), segretario di Eugenio IV, -ne illustrò gli edifizj, il governo, le leggi, le cerimonie, -la disciplina militare (<i>Romæ instauratæ libri III — Romæ -triumphantis libri IX</i>); poi nell’Italia illustrata -descrisse le quattordici regioni della penisola: -ma era possibile non incappasse in molti errori? Nega -che esistesse un vulgare parlato, contemporaneo allo -scritto dei classici. Preparava anche una storia d’Italia -dalla caduta dell’Impero fino a’ suoi giorni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -</p> - -<p> -De’ magistrati romani discorse Domenico Fiocchi (1497) fiorentino -Pomponio Leto calabrese, bastardo dei Sanseverino, -cercò monumenti <i>fin in riva al Tanai</i>, e pensava -vedere le Indie; ma nel distolse la compagnia de’ valentuomini, -dei quali era capo nell’accademia romana. -Dilapidata la sua casa in una sollevazione ai tempi di -Sisto IV, «lui in giuppetto coi borzacchini e con la -canna in mano se n’andò a lamentare co’ superiori» -(Infessura), e gli amici a gara il rifornirono d’ogni -occorrente. Sino alle lacrime il commoveano i monumenti, -e per ammirazione all’antichità pareangli selvaggi -i costumi e le credenze presenti, a tal segno che fu creduto -empio. Di rimpatto Bonino Mombrizio milanese in -due eleganti volumi raccolse vite di santi, tolte da biblioteche -e archivj, copiando fin gli errori, e non discernendo -le apocrife. -</p> - -<p> -Annio da Viterbo domenicano, per gran virtù e franchezza (1502) -fu elevato maestro del sacro palazzo, e odiato -da Cesare Borgia che forse il fece avvelenare. Nei trattati -<i>Dell’impero de’ Turchi</i> e <i>De’ futuri trionfi de’ Cristiani</i> -deduceva dall’Apocalissi speranze per la prossima -caduta del nemico della cristianità. Era il tempo che -comparivano ad ogni ora nuovi documenti dell’antichità, -onde furono accolti con entusiasmo i suoi <i>Antiquitatum -variarum volumina XVII</i>. Erano autori -antichissimi, atti a chiarire l’origine de’ popoli, quali -Beroso caldeo, Fabio Pittore, Mirsilo da Lesbo, Sempronio, -Archiloco, Catone, Metastene, Marceto, altri ed -altri. Ne tripudiarono gli eruditi, levando a cielo il fortunato -Annio; a gara ingemmarono le loro scritture -coi bei trovati di esso; e tutte le storie uscite in quel -torno ne furono infette. Perocchè que’ frammenti non -erano che una finzione, e poco tardarono ad olezzare -di falso. Ma era egli ingannatore o ingannato? ancora se -ne disputa, nè manca chi li crede di fondo vero, comunque -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -alterato; e il moderato quanto erudito Zeno, esaminando -la questione riprodottasi fra il domenicano -Mazza che pubblicò l’<i>Apologia</i> di Annio, e il Macedo -che la sostenne contro il veronese Sparavieri, trova eccesso -da un canto e dall’altro, giudicandolo illuso da -quelli che allora speculavano sopra la smania delle scoperte -antiche. -</p> - -<p> -Intanto non è a dire quanta confusione ne venisse a -tutti gli storici nostri, massimamente municipali, che -con intrepidezza risalivano a Noè o almeno alla guerra -di Troja, e cercavano tra Fenici e Caldei quel che avevano -in casa: i Milanesi seppero che Anglo figlio di -Ettore fondò Angleria, e fu stipite de’ Visconti, i quali -perciò s’intitolavano conti d’Angéra; i Comaschi ebbero -in pronto un Comer figlio di Giafet fondatore della loro -città; Cremona un Cremone trojano (vedi Cap. II); Gian -Grisostomo Zanchi deduceva il nome così tedesco di Bergamo -dalle voci ebraiche <i>Beradin gom mon</i>, cioè <i>inundatorum -clypeata civitas</i>, che interpreta <i>Dei Galli regia -città</i>. Nè va di miglior passo il Platina nella storia di -Mantova; ma in quella dei papi ripudia, congettura, e -se non sempre imbrocca, già era assai questo dubitare -di asserzioni d’antichi. Abbiamo detto a quali ardimenti -si spingesse la critica col Valla (pag. 314). -</p> - -<p> -Conosciuti i modelli classici, migliorato il gusto, si volle -che la storia fosse anche bella; e tale fu scritta spesso -in latino, talvolta in vulgare. Dei vulgari già parlammo -(tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 332): fra i latini è dei migliori Andrea -Silvio Piccolomini, che in quella d’Austria raccontò i -fatti della Boemia e di Federico III, nella <i>Cosmografia</i> -descrisse l’Europa e l’Asia Minore, ed espose gli avvenimenti -dell’Italia dall’anno di sua nascita fino all’ultimo -del suo pontificato con vigorosa dicitura e studio dei -caratteri e dei costumi. Stamparonsi centoventi anni -dopo, sotto il nome di Giovanni Gobellino suo segretario, -<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> -continuati fino al 1469 da Jacopo degli Ammanati -fiorentino, cui esso papa diede il cognome della -propria famiglia e il vescovado di Pavia e il cappel rosso. -</p> - -<p> -Antonio Bonfini d’Ascoli, vissuto in Ungheria alla -corte di Mattia Corvino e di Vladislao II fino al 1502, -lasciò tre decadi della storia di quel paese al modo di -Tito Livio, cioè elegante e falsa, pure preziosa dove -ogn’altra ne manca. Filippo Bonaccorsi o Callimaco -Esperiente toscano, fuggito da Roma al disperdersi dell’accademia, -dopo lungo errare fu in Polonia accolto da -re Casimiro, che collo storico Giovanni Dlugos l’adoprò -per educatore di suo figlio, segretario proprio, e spesso -ambasciadore. Scrisse i fasti di re Ladislao V e la battaglia -di Varna ove questi era perito; e un opuscolo -sulle mosse de’ Veneziani per eccitare Tartari e Persi -contro i Turchi. -</p> - -<p> -Aurelio Brandolini, detto Lippo perchè cieco, poeta -latino di Firenze, in Ungheria caro a Mattia Corvino, -morì a Parma il 1497, lasciando moltissime opere. -</p> - -<p> -Da Tommaso da Pizzano, astrologo bolognese a’ servigi -di Carlo V di Francia, nacque Cristina, che bella -ed educata alla corte e alle lettere, vide applaudite le -prime sue poesie; poi per provvedere alla sua povera -vedovanza scrisse d’arte militare, la <i>Mutazione di fortuna</i>, -e la vita o piuttosto panegirico di quel re. A fatica -oggi può leggersi quel che allora tanto ammirossi: pure -associa vivacità poetica con fina ragionevolezza, delicato -sentimento con forza. -</p> - -<p> -Le scienze dunque erano uscite affatto dal santuario, e -secolarizzate; se la teologia rimaneva sempre la prima, -non era più l’unica; e sebbene in essa, fra tanti dissensi -ecclesiastici, si moltiplicassero dissertazioni e commenti, -nessuno s’accostò alla potenza di Tommaso d’Aquino e -di Bonaventura. Quanti ragionamenti e sofisterie nella -quistione de’ Minoriti! In più serie e vitali quistioni ai -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -concilj di Basilea, di Costanza, di Firenze figurarono e -nostrali e stranieri, e principali Enea Silvio e il cancelliere -Gerson. -</p> - -<p> -A quest’ultimo i Francesi, a Tommaso da Kempis -i Tedeschi, i nostri a Giovanni Gersen abate di Vercelli<a class="tag" id="tag156" href="#note156">[156]</a>, -attribuiscono l’<i>Imitazione di Cristo</i>, il libro -più famoso del medioevo, e il più letto dopo la Bibbia, -e che si disse sarebbe il primo del mondo se questa non -esistesse: riprodotto in almeno mille ottocento edizioni, -tradotto in ogni lingua, senza che alcuna raggiunga la -concisa energia di quel latino, comunque scorretto, e -simile alle figure di santi che allora posavansi sui sepolcri, -non mosse, eppur belle, e sopratutto soavi. Non -prende esso per intermediarj i profeti, i dottori, la -Chiesa, ma è un colloquio dell’anima col suo Creatore. -Quest’intimità ne forma l’attrattiva; e poichè non v’ha -dispute, non sistemi e speculazione, non decisioni particolari, -ma impeti dell’anima, nulla d’intrinseco ajuta -a riconoscerne l’autore. Tale incertezza non mal gli si -addice, scomparendo affatto la personalità perchè rimangano -soli il cuore e il sentimento. In tempo di tanto -litigare, ivi nessun alito di polemica; al più qualche -gemito sull’infelicità de’ tempi, e il consiglio di ripararsene -col formarsi una solitudine profonda, dove ascoltare -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -Iddio che parla. E sull’anime invelenite dall’amor -della contesa come dovea piovere ristorante quella parola: — Nella -croce è salute, è vita, è schermo dai nemici, -è infondimento di superna dolcezza; nella croce è -vigore alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce sta -tutto, tutto è riposto nel morire; nè alla vita e all’interna -pace v’è altra via che della croce e della cotidiana -mortificazione. Cammina per dove vuoi, cerca -checchè tu vuoi; non troverai più alta strada di sopra, -nè più sicura di sotto, che quella della croce. Disponi -le cose come ti pare e piace, non però troverai altro -che da patir qualche cosa. La croce è sempre apparecchiata, -e in ogni luogo ti aspetta: non la puoi cansare -dovunque tu corra. Se la porti di buon grado, ella porterà -te, e ti scorgerà al termine desiderato, dove sia -fine al patire: se forzatamente la porti, ti fai un peso, -e viepiù gravi te stesso, e nondimeno ti sarà forza portarla. -Se una croce tu getti via, un’altra ne troverai, -forse più grave. Non è secondo l’uomo portar la croce -ed amarla, castigare il suo corpo e costringerlo in servitù, -fuggire gli onori, sostenere di buon grado gli -scherni, disprezzare se medesimo e bramare d’essere -disprezzato, patire qualsivoglia danno, e nessuna prosperità -desiderare. Ma se ti fidi nel Signore, dal cielo -ti verrà fortezza, e alla tua signoria saranno soggettati -il mondo e la carne»<a class="tag" id="tag157" href="#note157">[157]</a>. E l’imitar Cristo è una -iniziazione progressiva, per mezzo dell’astinenza, poi -dell’ascetismo, della comunicazione, infine dell’unione. -Questi successivi passaggi espose l’innominato al popolo, -colla lingua del chiostro; e divenne libro popolare quel -ch’era ascetico lavoro di monaco. -</p> - -<p> -Nelle scuole aveano per tutto il medioevo contrastato -i Realisti, che propendendo all’unità di sostanza, giudicavano -<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> -mere astrazioni i nomi di genere, specie, individui; -contro i Nominalisti, che proclamavano la pluralità -della sostanza, ripristinando l’individuazione, il -genere, la specie, all’universale non attribuendo altro -valore che d’un segno. Dappoi la battaglia erasi ingaggiata -e continuava sotto le antiche bandiere d’Aristotele -e Platone, del ragionamento e dell’entusiasmo, del sillogismo -e dell’ispirazione. Dal 1313 al 16 un frà Paolino -minorita diresse a Marin Badoaro duca di Candia un trattato -italiano col titolo <i>De recto regimine</i>, dove analizza -con semplicità e chiarezza i doveri d’un magistrato; tiene -pel governo d’un solo, ma che si circondi di una consulta -di savj. Parteggia invece per la repubblica, almeno nei -piccoli Stati, Egidio da Roma, educatore di Filippo il -Bello e arcivescovo di Bourges; di cui i due primi libri -<i>De regimine principum</i> sono una direzione di coscienza -pei re, il terzo un trattato di diritto politico, esaminando -le varie forme di governo e le leggi civili che vi -si riferiscono: nemicissimo della servitù personale, non -riconosce regno se non si conformi agli eterni canoni -della giustizia. -</p> - -<p> -Accursio rimase tipo de’ glossatori, talchè sopra di lui -si concentrarono i biasimi e le lodi. Ma la sua grande -compilazione avea posto termine alle spiegazioni orali -de’ professori, fin allora usitate; le interpretazioni furono -ristrette; i glossatori divennero autorità unica, -fino a dirsi che una glossa val più di cento testi. In -conseguenza la scienza decadde, e sottentrarono i giuristi -scolastici, che alla giurisprudenza applicarono i -metodi dialettici; nel che vedemmo illustri Baldo e Bártolo, -il quale colla gran pratica del fôro suppliva alla -mancanza di storia e di filologia. Tutti i loro seguaci -sono prolissi e barbari; onde dagli umanisti erano tenuti -per dappoco, perchè conservavano ancora lo stile -ispido, l’argomentare scolastico, le affollate citazioni al -<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> -par de’ teologi: pure alcuni cominciarono a disselvatichire -quegli studj, meditar Giustiniano con filologia e -storia, e Andrea Alciato fu de’ primi, poi i francesi Budeo -e Mulineo, e superiore a tutti il Cujaccio. -</p> - -<p> -Molti ottennero celebrità per consulti legali e per -opere o per magistrature sostenute; ma col rinnovarsi -della scienza i loro libri non serbarono alcuna importanza, -neppur d’erudizione. Chi non lodava allora Paris -de Puteo, alessandrino o napoletano, Giovan Antonio -Carafa, principe de’ giureconsulti, Matteo degli Afflitti, -il più dotto leggista di quanti furono prima o poi, i cui -<i>Commenti sopra i feudi</i> non hanno pari, e che raccogliendo -le decisioni della curia napoletana, diede origine -alla nuova genìa dei <i>Decisionanti?</i> Giovanni d’Andrea -bolognese o fiorentino fu in voce del maggior canonista; -e le sue figlie Novella e Bettina dettarono anch’esse. -Paolo da Liazari, costui scolaro, allevò Giovanni da Legnano, -così celebre che alla sua morte si chiusero le -botteghe. Andrea d’Isernia fu nominato l’evangelista -del diritto feudale, e re Roberto il menò seco onde -perorare alla corte d’Avignone i diritti che vantava al -trono di Napoli<a class="tag" id="tag158" href="#note158">[158]</a>. Gran lume al diritto civile recò -pure Francesco Accolti d’Arezzo. Guadagnò moltissimo -di sua professione, e sperava anche il cappello cardinalizio, -ma Sisto IV gliel ricusò dicendo temeva di sottrarre -alle scienze un troppo illustre cultore. Volendo -dimostrare ai suoi scolari in Ferrara quanto importi -conservare il buon nome, rubò della carne da un macello: -subito ne vennero imputati gli studenti, e due in -cattiva reputazione furono arrestati e correvano pericolo, -quando l’Accolti andò ad accusare se stesso: non -<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> -si volle credergli, finchè non addusse i testimonj e il -motivo. -</p> - -<p> -I canali, le macchine da guerra, i molini ad acqua e -a vento, una filatura in Bologna nel 1341 mossa per -forza d’acqua ed equivalente all’opera di quattromila -filatrici, e i grandi lavori architettonici e idraulici attestano -coltivate la geometria e la meccanica. Nel 1455 -Gaspare Nadi e Aristotele di Feravante trasportarono -la torre della Magione di Bologna colle sue fondamenta, -alte ottanta piedi, colla spesa di sole cencinquanta lire; -e raddrizzarono il campanile di Cento, che strapiombava -più di cinque piedi<a class="tag" id="tag159" href="#note159">[159]</a>. -</p> - -<p> -Per servizio ora della magia, ora del commercio, le -matematiche venivano coltivate dai nostri. Paolo Dagomari, -detto Dall’Abaco, pel primo usò la virgola a distinguere -in gruppi di tre cifre i numeri troppo lunghi, -e introdusse i taccuini. Molti trattati d’algebra o, come -dicevano, almacabala, si trovano nelle biblioteche; e il -primo messo a stampa fu l’italiano di Luca Pacioli da -Borgo Sansepolcro francescano, professore a Milano, -che servì di base a tutti i matematici del secolo seguente. -«In quest’arte maggiore, detta dal vulgo regola -della cosa», arriva all’equazione di secondo grado, non -più in là del Fibonacci; se non che la sua osservazione -che le regole relative alle radici sorde possono riferirsi -alle grandezze incommensurabili pressente l’applicazione -dell’algebra alla geometria. Aveva visitato le città -commerciali d’Italia, e porge le diverse pratiche dei -negozianti, esempj numerosissimi di conti, cambj, arbitramenti, -società, e principalmente la tenuta de’ libri -<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> -in scrittura doppia all’italiana, che tanto tardò ad essere -adottata<a class="tag" id="tag160" href="#note160">[160]</a>. -</p> - -<p> -Giorgio Valla piacentino (-1500) scrisse una specie -di enciclopedia <i>de expetendis et fugiendis rebus</i>, desumendola -da Greci e Latini, a preferenza degli Arabi, e -nel III cap. dà un trattato delle sezioni coniche, forse -primo dopo il risorgimento. Non abbiamo però matematici -nostri che equivalgano ai tedeschi Purbach e -Regiomontano. Questo pel primo costruì un almanacco -colla posizione degli astri, gli eclissi, e calcoli della situazione -del sole e della luna per trent’anni; chiamato -a Roma per l’emendazione del calendario, vi morì in -fresca età. -</p> - -<p> -Gli astronomi erano tutti ubbie astrologiche, e ne -formicola il famoso <i>Libro del perchè</i> del Manfredi: -pure la scienza avanzò. Nelle tavole di Giovanni Bianchini -bolognese sono combinati tutti i moti dei pianeti. -Domenico Maria Novaro ferrarese determinò la posizione -delle stelle indicate nell’<i>Almagesto</i>, sospettò si -fosse cambiato l’asse di rotazione della terra, ed ebbe -scolaro Copernico, cui suggerì il concetto del sistema -pitagorico. Paolo Toscanelli da Firenze confortò le speranze -<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span> -di Cristoforo Colombo sulla possibilità di giungere -alle Indie dalla parte d’Occidente. -</p> - -<p> -Le scienze naturali proseguivano in caccia di testi -più che di fatti, e solo nel secolo seguente appoggiaronsi -alla sperienza e alle matematiche, surrogando la -realtà alle chimere, l’evidenza alle ipotesi e all’autorità. -Nè in medicina si paragonava lo stato sano col morboso; -e il libro del Ficino <i>Della vita umana</i> è tutto -formole per conservare la salute e prolungare la vita -con astrologiche osservanze; dalle stelle deduce le malattie -e l’efficacia dei rimedj; insegna ai vecchi a ringiovanire -bevendo sangue di giovani: delirj, comuni ad -Arnaldo Bacone, ad Arnaldo di Villanova ed ai migliori, -ma combattuti da Pico e dal Guainero pavese. Dino del -Garbo, gloria dell’età sua, aggiunse altre sottigliezze -alle arabiche. Marsilio da Santa Sofia, Gentile da Fuligno, -Pietro da Tossignana, Guglielmo da Varignana, -Cristoforo Barziza, Giovanni da Concorezzo ed altri -esercitarono con lode e scrissero di medicina. Michele -Savonarola padovano, buon osservatore, francamente si -emancipa da Averroe; eppure crede che Niccolò Piccinino -generasse di cento anni, che dopo la peste del -1348 invece di trentadue denti se n’avessero ventidue -o ventiquattro, e che col feto possa uscire talvolta un -animale. -</p> - -<p> -I medici non rifuggivano dalla chirurgia, mentre questa -fuor d’Italia era abbandonata a barbieri ignoranti. Il -salasso tenevasi operazione d’importanza; contendevasi -seriamente sul dove e quando praticarlo; allorchè ne facesse -bisogno, nelle case principesche adunavansi parenti -e amici, e se riescisse bene, ringraziavasi il Signore festeggiando. -Vincenzo Vianeo di Maida, Branca e Bojani -di Tropea introdussero l’innesto animale, rifacendo nasi. -Il Governo veneto, come in molti provvedimenti, così -prevenne gli altri coll’ordinare, ai 7 maggio 1308, che -<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span> -ogni anno si sezionasse qualche cadavere. Nel 1315 -Mondini de’ Luzzi, professore a Bologna, ne dissecò pubblicamente, -e diede una descrizione del corpo umano -fatta sul vero, e tavole anatomiche: e sebbene non sappia -francarsi dalla venerazione agli antichi, e alle asserzioni -di Galeno sagrifichi perfino l’evidenza, pure -rimosse molte asserzioni fantastiche, disse ciò che propriamente -avea veduto, e spiegò semplice e preciso; onde -il suo libro per tre secoli rimase testo; aggiungendovi -le scoperte che man mano si facevano. Dopo lui s’introdusse -d’aprire ogni anno uno o due cadaveri nelle -università: Bartolomeo da Montagnana, professore a -Padova, si vanta d’aver fatto quattordici autopsie<a class="tag" id="tag161" href="#note161">[161]</a>. -</p> - -<p> -I farmacisti per lo più erano anche droghieri, laonde -speziale significò farmacista e confetturiere; e le città, -nell’accordare le licenze, v’aggiungevano l’obbligo di -mandare alcuni dolci alla camera del Comune. Saladino -d’Ascoli diede un <i>Compendium aromatariorum</i> per -norma dei farmacisti, dai quali pretende tante qualità, -che pur beato se la metà ne possedessero. Santo-Arduino -fece altrettanto per Venezia, Ciriaco degli Agosti -di Tortona per l’Italia occidentale, Paolo Suardo pel -Milanese. Ermolao Barbaro e Nicolò Leoniceno, commentando -Plinio, giovarono assai alla botanica officinale. -Nel 1415 Benedetto Rinio medico e filosofo veneto, con -lunga diligenza e peregrinazioni faceva il <i>Liber de simplicibus</i> -in quattrocentrentadue faccie benissimo dipinte -da Andrea Amadio, e coi nomi latini, greci, arabi, -slavi, tedeschi. È la maggior raccolta che ancor si fosse -fatta di piante e fiori, col tempo opportuno a raccoglierli -e l’applicazione medicinale; e sta nella Marciana, -<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span> -coll’<i>Erbario o storia generale delle piante</i>, lavorato -nel secolo seguente da Pier Antonio Michiel. -</p> - -<p> -Papa Benedetto XIII riprovò la magia come ereticale; -e poichè moltiplicavansi le guarigioni presunte miracolose -alle tombe di san Rocco, di santa Caterina da -Siena, di sant’Andrea Corsini ed altri, la Chiesa provvide -non avesse a gridarsi al miracolo se non quando il -morbo fosse incurabile, e istantaneo il risanamento. La -ricorrenza delle pesti<a class="tag" id="tag162" href="#note162">[162]</a> crebbe la devozione per san -Sebastiano, pel santo Giobbe, per san Rocco principalmente, -che di quell’età appunto dal patrio Montpellier -era pellegrinato in Italia onde assistere a’ contagiosi. -Spesso ancora sulle facciate delle chiese e su tabernacoli -lungo le vie si dipingevano gigantesche figure di -san Cristoforo, la cui vista diceasi preservare dai cattivi -incontri e dalle morti improvvise, le quali sembra divenissero -allora più frequenti; onde spesseggiarono -pure le invocazioni a sant’Andrea Avellino ed altre devozioni -preservative. -</p> - -<p> -A richiamare dalla erudizione all’osservazione, dai -testi ai fatti, valsero alcune malattie nuove, come la -morte nera; la tosse ferina, comparsa nel 1414 sotto -forma epidemica; la tarantola, epidemia psichica che -s’attribuiva al morso d’un ragno, e portava a ballare e -far attucci stravaganti. La lebbra vuolsi venuta in Italia -co’ soldati di Pompeo reduci dall’Egitto, ma presto si -spense. Ricomparve al tempo de’ Longobardi, poi di -<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span> -nuovo alle crociate: e forse non era cessata mai del -tutto, poichè ne cade menzione in miracolose guarigioni, -e negli ospedali istituiti; certamente Costantino, -medico della scuola salernitana, la decriveva precisa -nel 1087, cioè avanti le crociate che la diffusero. Al -tempo che discorriamo pare scomparsa, giacchè il Cardano -non la conosceva, il Fracastoro la dice morbo -raro<a class="tag" id="tag163" href="#note163">[163]</a>, e gli spedali de’ Lazzari diminuivano, per far -luogo a quelli destinati a un altro morbo, conseguenza -e castigo della dissolutezza, che diffuso poi al tempo -della calata di Carlo VIII, fra noi ebbe il nome di francese, -di campano tra i Francesi. Dopo molto ragionarne -resta dubbio se venisse dall’America o fosse già -conosciuto. -</p> - -<p> -In complesso questa è un’età di reminiscenza, più che -di fantasia e di ragione; si fa tesoro delle cognizioni -prische, anzichè conquistarne di nuove; nè si mettono -al vaglio dell’esperienza. Mancando la stampa, i giornali, -la posta, noi ci figuriamo che le opere di letteratura -o di scienza dovessero rimanere in angusto circolo, -nè conoscersi lontano le scoperte d’un paese. Però -nelle università concorreva gente da regioni remotissime, -vi si comunicavano le cognizioni, i professori vi -portavano le opere proprie, i giovani voleano tornare -in patria arricchiti di qualche manoscritto, sicchè -<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span> -diffondeansi più prontamente che non si possa credere. -Gli autori stessi più volte, dopo pubblicato un lavoro, -lo correggevano, e ne facevano una seconda edizione, -come si pratica dopo la stampa: così Leonardo Fibonacci -nel 1202 pubblicò il suo <i>Abacus</i>, primo trattato -d’algebra fra’ Cristiani; poi nel 28 ne diede una nuova -edizione con aggiunte. -</p> - -<p> -Però i libri erano più venerati perchè rari; la quale -venerazione faceva che una notizia si tenesse per vera -sol perchè scritta, si ripetesse dai successivi perchè -detta dai precedenti; che se la sperienza la contraddicesse, -non si smentiva l’autore, ma cercavasi conciliarla, -come si fa colla Bibbia, a costo di storpiare la verità. -Spesso s’ignoravano le scoperte e le lucubrazioni anteriori; -e mentre oggi non si perdona d’accingersi a un -lavoro senza conoscere tutti i precedenti, allora si trovano -o accettati errori o ignorate verità, su cui già da -un pezzo altri aveva esercitato il giudizio. -</p> - -<p> -Ad accelerare ed assicurare i progressi dello spirito -umano valse un’invenzione suprema di questo tempo, -la stampa. -</p> - -<p> -Gli antichi scrivevano sopra cuojo o foglie di palma, -o sul libro, cioè sulla seconda corteccia delle piante: -dipoi si preparò carta o colle fibre del papiro, canna -propria dell’Egitto, ovvero con pelle di pecora, la quale -chiamossi <i>pergamena</i> perchè a Pergamo inventata o -perfezionata. Tracciavano i caratteri con bocciuoli di -canna, aguzzati e intinti nell’inchiostro: le scritture di -maggior conto incidevansi su pietra, legno, metalli: per -gli usi giornalieri sovra tavolette cerate notavasi con -uno stilo acuto, e si cancellava colla sua estremità ottusa. -Que’ papiri e quelle pergamene coprivansi da un -lato solo, appiccicando un foglio a piè dell’altro sinchè -fosse compiuto un libro, poi rololavansi (<i>volume</i>), e si -fissavano con un bottone. Giulio Cesare fu il primo che -<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span> -scrivesse sulle due faccie della pergamena le lettere al -senato, e divulgò l’uso di piegarla al modo de’ nostri -libri. Lisciare i fogli coll’avorio, profumarli coll’olio di -cedro, miniare e dorare le iniziali, le costole, il taglio, -gli attaccagnoli, era servigio degli schiavi libraj e grammatici, -de’ quali ogni ricco teneva uno o più: altri il -facevano liberamente per venderli. -</p> - -<p> -Tutto ciò operavasi a mano; e poichè alle mende -inevitabili s’univano quelle varietà capricciose e quasi -istintive che ognuno insinua trascrivendo, differenti e -scorrettissimi riuscivano i codici: chi volesse qualche -testo emendato, l’esemplava di proprio pugno, come -fecero pochi diligentissimi grammatici, o qualche dottore -della Chiesa, rendendo famose certe edizioni d’Omero -e della Bibbia. -</p> - -<p> -Col cristianesimo l’arte dello scrivere passò dagli -schiavi ai monaci, per la necessità di diffondere dottrine, -polemiche, orazioni; san Benedetto pose obbligo -a’ suoi il copiarne; monache vi si esercitavano pure. -Quanto dell’antichità possediamo, ci arrivò quasi solo -per man di essi; onde è ingratitudine e illiberalità il -querelarli se, meglio degli autori classici, si piacquero -trascrivere i santi Padri ed opere di teologia. Intanto -è vero che degli autori lodatici dagli antichi per sommi, -nessuno forse ci manca, e di questi possediamo il meglio; -com’è vero che, già prima della caduta dell’Impero -occidentale, rarissimi erano fatti alcuni, a cagion -d’esempio Aristotele, di cui a’ migliori giorni di Roma -non era avanzato che un solo esemplare; talchè gran -merito reputavasi il farne estratti o compendj, come -usarono Floro, Giustino, Plinio, Costantino ed altri. L’agevolezza -procacciata da questi compilatori recava a -prendere minor cura delle opere originali dopo che se -n’era stillato il buono e il meglio, laonde lasciaronsi -andar perdute. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span> -</p> - -<p> -Il guasto degli autori classici cominciò dunque assai -prima de’ Barbari; le guerre e gl’incendj di questi ne -mandarono a male altri assai; zelo de’ buoni costumi, -che lascio ad altri il condannare, fece da ecclesiastici -distruggere alcuni scandalosi ed immorali. Era difficile -il trarre d’Egitto il papiro; poi divenne impossibile -dacchè gli Arabi l’ebbero occupato. La pergamena, già -costosa, crebbe allora smodatamente di prezzo; onde -si ricorse ad uno spediente già noto agli antichi: ciò fu -di raschiare le scritture antecedenti, onde sovrapporvene -di nuove<a class="tag" id="tag164" href="#note164">[164]</a>. Buon frate, per te aveano suprema -importanza un antifonario, una raccolta di preghiere, -un trattato della confessione; e quando per essi coprivi -o la <i>Repubblica</i> di Cicerone o il codice Teodosiano, vi -avevi tanto diritto quanto oggi n’abbiamo noi d’usare -l’opposto. -</p> - -<p> -Gli antichi valeansi di lettere majuscole e senza interpunzione; -più tardi per espeditezza si raccorciarono, -in modo da venirne il carattere minuscolo. Per la ragione -medesima s’introdussero certe abbreviature o -note, le quali furono portate fino a cinquemila, e col -<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span> -loro mezzo poteano i <i>notari</i> tener dietro a qualunque -discorso per accelerato<a class="tag" id="tag165" href="#note165">[165]</a>. Raccoglievano questi dapprima -le decisioni del senato e delle pubbliche adunanze, -o le ultime volontà; onde passò il titolo di notaro a indicare -chi è rogato a mettere in iscritto un atto spettante -a fede pubblica. I veri caratteri tachigrafi caddero -in dimenticanza tale nei secoli venturi, che un salterio -trovato a Strasburgo dal Tritemio era registrato nel -catalogo come di lingua armena. -</p> - -<p> -Le iscrizioni già al tempo dell’Impero aveano preso -caratteri d’inelegante magrezza, com’è a vedere su pei -muri di Pompei e d’altrove, e peggio nelle catacombe -cristiane e ne’ tempi oscuri; pure continuarono le lettere -tonde. Ma nel <span class="smcap lowercase">XII</span> secolo, mentre s’introduceva il gusto -gotico nell’architettura, anche i caratteri si fecero angolosi, -poi s’ingombrarono di ghirigori; usanza durata -fin nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>, quando ripigliò la buona calligrafia -con gran varietà di caratteri<a class="tag" id="tag166" href="#note166">[166]</a>. Jacopo fiorentino, -<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span> -frate camaldolese, dopo il 1300 è ricordato come il -migliore scrittore di lettere romane che fosse prima o -poi, sicchè la sua mano fu conservata in un tabernacolo. -Angelo Pezzana negli <i>Scrittori parmensi</i> noverò sedici -calligrafi valenti, ai quali poi ne aggiunse altri otto nella -<i>Storia di Parma</i>, tutti del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span> o circa. -</p> - -<p> -Vi si associò il lusso delle pitture, quasi ogni pagina -portando profili, cornici, figure, stemmi, lettere bizzarre -(Cap. <span class="smcap lowercase">XCIX</span>), talchè un libro divenne il complesso di -tutte le arti belle; poesia e retorica nel comporlo, calligrafia -nel trascriverlo, miniatura nell’ornarlo in oro, -carmino, oltremare, pellicceria nel prepararne la coperta, -cesellatura nell’abbellirlo di borchie, oreficeria -ad incastonarvi gemme, doratura a lisciarne i margini. -</p> - -<p> -Qual meraviglia se i libri salirono a prezzi ingenti? -Da’ cataloghi che i libraj esponevano, e dalle tasse determinate -dalle università siamo informati d’alcuni di -questi; ma non vuolsi dimenticare che spesso li rincarivano -le miniature. Nel 1279 a Bologna si diedero -ottanta lire (L. 435) per copiare una Bibbia; ventidue -per l’Inforziato<a class="tag" id="tag167" href="#note167">[167]</a>. Melchiorre, librajo di Milano, -chiedeva dieci ducati d’oro per una copia delle epistole -famigliari di Cicerone. Alfonso d’Aragona scrisse da -Firenze al Panormita, che il Poggio aveva a vendere un -Tito Livio per cenventi scudi d’oro; il Panormita alienò -una masseria per acquistarlo; e il Poggio ne comperò -una col prezzo ritrattone. Borso d’Este nel 1464 pagava -otto ducati d’oro a Gherardo Ghislieri di Bologna per -avere alluminato un libro intitolato <i>Lancellotto</i>; nel 69, -<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span> -quaranta ducati per un Giuseppe Ebreo e un Quinto Curzio; -la famosa sua Bibbia, due grandi volumi in pergamena, -dove ogni pagina porta miniature diverse, per -opera di Franco de’ Rossi e Taddeo Crivelli, gli costò -milletrecento settantacinque zecchini<a class="tag" id="tag168" href="#note168">[168]</a>. Piccola cosa -doveano dunque essere le biblioteche d’allora, e re e -papi erano scarsi di libri quant’oggi un cherichetto<a class="tag" id="tag169" href="#note169">[169]</a>. -</p> - -<p> -Nondimeno certuni aveano potuto raccorne di molti, -in Italia specialmente, e di qui li cercavano gli studiosi, -massime da Roma e da’ conventi rinomati della Novalesa, -della Cava, di Montecassino. La biblioteca del -cardinale Giordano Orsini nel 1438, composta di ducencinquantaquattro -codici, stimavasi duemila cinquecento -ducati d’oro<a class="tag" id="tag170" href="#note170">[170]</a>. Tommaso da Sarzana ne -<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span> -comperava a credenza, ed accattava per pagare copisti -e miniatori. Il Petrarca lagnavasi che in tutto Avignone -non si trovasse un Plinio; ma una scelta biblioteca -erasi egli formata, che poi cedette per tenue compenso -alla Repubblica veneta: fra quei libri sono un Omero, -donatogli da Sigeros ambasciatore dell’Impero d’Oriente; -un Sofocle, avuto da Leonzio Pilato, colla traduzione -dell’Iliade e dell’Odissea fatta da questo, ed esemplata -dal Boccaccio; un Quintiliano; tutte le opere di Cicerone, -ricopiate dal Petrarca stesso: forse è di suo pugno -il Virgilio che si conserva alla biblioteca Ambrosiana. -Alla Marciana di Venezia servirono di fondo i libri che -il cardinale Bessarione avea compri per trentamila -zecchini, e che lasciò a quella «città retta dalla giustizia, -dove le leggi regnano, la saviezza e la probità governano, -abitano la virtù, la gravità, la buona fede». -Cosmo de’ Medici, esulando colà, donò la sua al convento -di San Giorgio; poi in Firenze colla libreria -privata diede origine alla Laurenziana. Nicolò Niccoli -gareggiava, secondo sua fortuna, con esso nell’adunar -libri, e ottocento volumi possedeva fra greci, latini e -orientali, esemplandoli egli stesso, riordinando e correggendo -testi malmenati dagli amanuensi, onde il -chiamarono padre dell’arte critica: lasciò quei libri ad -uso pubblico, e furono messi ne’ Domenicani di San -Marco con una disposizione che servì di modello alle -future. Coluccio Salutato, lagnandosi del guasto de’ codici, -proponeva biblioteche pubbliche, dirette da dotti -che discernessero le lezioni migliori; e fece acquistarne -una a Roberto di Napoli. Altri signori l’imitarono; e -rammentano un Andreolo de Ochis bresciano, che venduto -avrebbe beni, casa, donna, se stesso per aggiungere -libri ai molti che possedeva. -</p> - -<p> -I lamenti per le scorrezioni delle copie cresceano -quanto più cresceva il desiderio di leggere; e Petrarca -<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span> -esclamava: — Chi recherà efficace rimedio all’ignoranza -e viltà dei copisti, che tutto guasta e sconvolge?.... Nè -fo querela dell’ortografia, già da lungo tempo smarrita.... -Costoro confondendo insieme originali e copie, dopo -aver promesso una, scrivono un’altra cosa affatto diversa, -sì che tu stesso più non riconosci quanto hai -dettato. Se Cicerone, Livio, altri egregi antichi, singolarmente -Plinio Secondo, risuscitassero, credi tu che -intenderebbero i proprj libri? o che non piuttosto ad -ogni piè sospinto esitando, or opera altrui, or dettatura -dei Barbari li crederebbero?.... Non v’ha freno -nè legge alcuna per tali copisti, senza esame, senza -prova alcuna trascelti: pari libertà non si dà pei fabbri, -per gli agricoltori, pei tesserandoli, per gli altri -artigiani». -</p> - -<p> -Se la scorrezione sgarbava ne’ libri di letteratura, -diveniva importantissima in quelli che concernono la -coscienza e la fede. Pertanto fra gli Ebrei ogni esemplare -della Bibbia doveva esser riveduto dai rabbini; -i quali dalla <i>Massora</i> sapevano quanti versetti, quante -parole, quante lettere contenesse il sacro libro, e quante -volte ciascuna fosse ripetuta; e se trovassero qualche -lettera di meno, o scritta con inchiostro impuro, o su -membrana preparata da incirconcisi, bastava per dichiarar -guasto quel testo e distruggerlo. -</p> - -<p> -Rinfervorato l’amore degli studj, più vivo fu sentito -il bisogno di qualche succedaneo alla carta di membrana -e di papiro, e dai Cinesi i Tartari e gli Arabi, da questi -gli Spagnuoli impararono a farla di cotone, cui dopo il -Mille si surrogarono i cenci di lino. Se fosse vero che -quella non si discerna da questa, come pretende il Tiraboschi, -n’avremmo una prova della sua perfezione, e -poco monterebbe il disputarne. Ad ogni modo erra il -Cortusio differendo al 1340 l’invenzione della carta di -lino, la quale chiamossi papiro, a differenza della -<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span> -bambagina<a class="tag" id="tag171" href="#note171">[171]</a>; e Pace da Fabriano, cui egli ne ascrive -il merito, forse non fece che trapiantare nel Trevisano -questa manifattura, già fiorente a Fabriano nella marca -d’Ancona. Nè ha fondamento l’asserire che la Repubblica -fiorentina invitasse con larghissimi privilegi quei -di Fabriano a stabilire cartiere a Colle di val d’Elsa, -poichè in una carta del 6 marzo 1377 trovasi allogata -per venti anni una caduta d’acqua a favore di Michele -di Colo da Colle, con gora, casalino <i>et gualcheriam ad -faciendas cartas,</i> la quale già prima era affidata a -Bartolomeo di Angelo della Villa<a class="tag" id="tag172" href="#note172">[172]</a>. -</p> - -<p> -Dapprima adoperata solo per lettere ed istromenti, -alla diffusione delle dottrine non contribuì che nel secolo -<span class="smcap lowercase">XIV</span>, quando vi si trascrissero libri. Dovettero questi -allora rendersi men rari, e qualche mercante ne troviamo -alle Università di Germania e di Parigi; a Firenze il -Vespasiano nel 1446, un Melchior a Milano, Giovanni -Aurispa a Venezia poco dopo negoziavano di libri. -</p> - -<p> -Pare condizione vitale della società che le scoperte -vengano appunto quand’essa ne ha bisogno per ispingersi -con nuovo slancio. Allora dunque che l’amore -per la letteratura classica volgeva a cercar con passione -e riprodurre gli esemplari, e che le grandi controversie -dei re e della Chiesa faceano moltiplicare scritture, -<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span> -comparve l’arte più mirabile fra le moderne, la stampa. -</p> - -<p> -Dello scopritore si disputa. Pare i Cinesi la conoscessero -da antichissimo; stampe stereotipe faceansi in -Europa, non per uso letterario, bensì per figure di -santi e carte da giuoco<a class="tag" id="tag173" href="#note173">[173]</a>; e Venezia nel 1441 dava -un privilegio, atteso che <i>l’arte di far le carte da zugar -e figure dipinte stampade era venuda a total defection</i>, -in grazia della gran quantità che n’entrava di forestiere. -A quel modo Lorenzo Coster di Harlem impresse facciate -intere. Le prime stampe furono dunque xilografiche, -e la maggior parte veniva occupata da figure; del che -l’esempio più conosciuto è la <i>Bibbia de’ poveri</i>, di -quaranta fogli stampati da un lato solo: tutti poi son -poco voluminosi, eccetto i <i>Mirabilia Romæ</i>, specie -d’itinerario a comodo degli oltramontani che pellegrinavano -alla gran città, e che consta di centottanta facciate. -Presto si avvisò potersi alle tavolette sostituire -caratteri mobili: e così se ne intagliarono di legno, poi -di piombo per arte di Giovanni Guttenberg da Magonza<a class="tag" id="tag174" href="#note174">[174]</a>, -cui l’orefice Giovanni Faust somministrò -capitali. Pietro Schöffer di Gernsheim al piombo sostituì -<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span> -un metallo duro, e trovò l’inchiostro untuoso da ciò: -ancor più fece inventando i punzoni, sicchè, invece -d’intagliarli uno ad uno, si fusero i caratteri per mezzo -di matrici. Il primo libro stampato con caratteri mobili -pare la Bibbia detta Mazarina, dalla biblioteca in cui -fu trovata, ed è del 1450 o 52 o più veramente 55: -alcuni esemplari sono sovra pergamena; bell’inchiostro, -bei caratteri, sebbene non sempre uniformi. Del 1454 -si ha un opuscoletto di quattro carte per esortare i -Turchi con indulti di Nicola V; poi un almanacco del 57. -</p> - -<p> -Presto quell’arte giunse in Italia<a class="tag" id="tag175" href="#note175">[175]</a>, e del 1465 -<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span> -abbiamo l’edizione di Lattanzio e del <i>Cicero de oratore</i> -a Subiaco per Corrado Schweinheim e Arnoldo Pannartz, -coll’assistenza di Giovanni Andrea Bussi di Vigevano, -poi vescovo di Aleria; ma dicesi preceduta da un <i>Donatus -pro puerulis</i>. In Roma al 70 erano uscite almeno -ventitre edizioni di antichi. Giovanni da Spira, collocatosi -a Venezia nel 69, vi lavora quanto a Roma; e così -Vindelino suo fratello, poi il francese Nicolò Jenson. -Fino al 1500 s’erano stampate a Parigi settecencinquantun’opere; -in Italia quattromila novecentottantasette, -di cui a Firenze trecento, a Bologna ducennovantotto, -a Milano seicenventinove, a Roma novecenventicinque, -a Venezia duemila ottocentrentacinque; altre cinquanta -città aveano stamperie. Anche borgate vollero -averne, come Sant’Orso presso Schio, Polliano nel Veronese, -Pieve di Sacco nel Padovano, Nonantola e -Scandiano nel Modenese, Ripoli presso Firenze. Le opere -di Cicerone furono delle prime; edite dallo Schweinheim -a Roma e dal Jenson a Venezia; ma in un corpo -non comparvero che nel 98 a Milano pel Minuciano. -Un Livio imperfetto era appartenuto al Petrarca, poi -l’ebbe Cristoforo Landino, e su quella forma andò la -prima stampa fattane a Roma forse fin dal 69, poi nel -72; indi a Milano nel 78 dal Lavagna, e nell’80 dallo -Zarotto; e già a Venezia da Vindelino nel 70, a Roma -ancora nel 71 e 72 da Udalrico Gallo, a Treviso nell’80 -e 83 da Michele Mazolino co’ tipi di Giovan Vercelli, -a Milano di nuovo nel 95: ma completo, almeno quale -ci resta, si vide solo a Magonza nel 1518. Di Vitruvio -un esemplare si aveva a Montecassino, e fu stampato a -Roma nell’86, e commentato nel 95 da Silvano Morosini -veneziano. -</p> - -<p> -I copisti a mano erano di molta valentia e credito -in Genova; e temendo lo scapito che all’arte loro verrebbe -dai torchi, ottennero che quella Signoria li proibisse. -<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span> -Pertanto Mattia il Moravo, che vi si era stabilito, -passò a Napoli; e Giovan Bono tedesco, che a Savona -avea stampato Boezio, si trasferì a Milano. In conseguenza -maestro Filippo da Lavagna, ricco mercante -innamorato di quest’arte, non potè fondarla in patria, -e la pose a Milano, primo stampatore nostrale che si -ricordi<a class="tag" id="tag176" href="#note176">[176]</a>. Gli disputa tale primato Antonio Zarotto -di Parma, che a Milano nel 1471 pubblicava Festo <i>De -verborum significatione</i>, e la <i>Cosmografia</i> di Mela; -l’anno dopo formava società con prete Gabriele degli -Orsoni, Pier Antonio da Borgo di Castiglione, Cola -Montano e Gabriele Paveri Fontana professori d’eloquenza, -obbligandosi egli a fondere caratteri, tenere in -ordine i torchj, far l’inchiostro, dirigere la tipografia. -Fu il primo che stampasse libri liturgici col celebre -messale del 1475, e intagliasse punzoni di greco per la -grammatica del Lascari<a class="tag" id="tag177" href="#note177">[177]</a>, mentre prima s’inscrivevano -a mano. Vi tennero dietro la <i>Batracomiomachia</i> -nell’85, l’Omero di Firenze nell’88 a spese di Lorenzo -Medici, l’Esiodo e Teocrito nel 93, l’<i>Antologia</i> nell’84, -Luciano, Apollonio, il <i>Lessico</i> di Suida: ma al 1495 -non passavano la dozzina i libri greci stampati in Italia. -</p> - -<p> -Il primo stampato italiano fu l’opera del Cennino -orafo. A Reggio di Calabria stamparonsi in ebraico i -commenti di Jarchi sul Pentateuco nel 75; a Soncino -nel Cremonese, per cura di Nathan Ismaele, il Pentateuco -nell’82; nell’86 i commenti del famoso Kimcki -sui Profeti; nell’88 l’intera Bibbia con bellissimi caratteri, -della quale non più che cinque o sei esemplari si -conoscono. A Cremona poi nel 1556 Vincenzo Conti -stampava i <i>Toledot</i> e il salterio ebraico commentato -<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span> -dal Kimcki; e in quella città, d’ordine dell’Inquisizione -romana, si dice siano stati abbruciati dodicimila esemplari -di libri talmudici. Tipografie ebraiche v’ebbe pure -a Casalmaggiore e Sabbioneta. I primi caratteri arabici si -adoperarono a Fano da Gregorio Giorgi nel 1514 nelle -sette ore canoniche, poi da Pier Paolo Porro milanese. -</p> - -<p> -A ristorare la deteriorata calligrafia sorse Aldo Manuzio -di Sermoneta. Dopo il <i>Museo</i>, prima opera da -lui edita in Venezia nel 1495, il dotto tipografo continuò -venti anni attorno a classici latini e greci<a class="tag" id="tag178" href="#note178">[178]</a>; -e si stupisce pensando che stampò per la prima volta -Aristotele, Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto, -Senofonte, Erodiano, Demostene, i Retori, gli Oratori, -Platone, Ateneo, Dioscoride..... Adoprò il carattere -corsivo, detto <i>italico</i> dai Francesi, ed inciso da Francesco -di Bologna, che tolse a modello la scrittura -del Petrarca. Aldo stesso le più comode e men dispendiose -forme del dodicesimo, ossia piccolo ottavo, -sostituì alle solite in-folio: forse soltanto in Italia usavasi -l’in-quarto. Via via s’introdussero i registri dei -fogli, prima che si numerassero le pagine o le facciate; -s’imparò a compartire gli spazj in modo che le linee -riuscissero eguali, senza code alla lettera finale; poi -vennero le virgole, poi le chiamate, e passo a passo la -perfezione presente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span> -</p> - -<p> -La carta doveva emulare la pecora e il vitello (<i>vélin</i>), -onde si facea con cenci scelti di lino e di canapa, non -imbianchita col liscivio che oggi snerva la fibra vegetale: -la pasta trituravasi lentamente colle pile: ed il -foglio, fatto a mano colla trecciuola, veniva incollato -fortemente colla gelatina, la quale lo induriva in modo -che fin ad oggi ne troviamo inalterate le qualità. -</p> - -<p> -La carezza della carta e dell’inchiostro (il migliore -traevasi da Parigi), la tiratura diligentissima, i lavoranti -ancora scarsi, e il piccolo spaccio rendeano rischiose -le imprese. Schweinheim e Pannartz nel 1472 esposero -a papa Sisto IV di trovarsi ridotti a povertà per avere -impresse tante opere senza esitarle; e dalla loro querela -appare che di consueto si tiravano copie ducensessantacinque, -il doppio per Virgilio, pe’ filosofici di Cicerone, -e pei libri di teologia; in tutto essi aveano prodotto -dodicimila quattrocensettantacinque esemplari. Anzichè -arrischiare copiose edizioni, rinnovavansi; e quasi ogni -anno furono da Paolo Manuzio riprodotte le epistole -famigliari di Marco Tullio. -</p> - -<p> -Presto ai libri si aggiunsero figure<a class="tag" id="tag179" href="#note179">[179]</a>; e già nel -1467 a Roma uscivano le <i>Meditazioni</i> del cardinale de -Turrecremata con intagli in legno, dipoi coloriti; nel -72 il <i>Roberti Valturii opus de re militari</i> con macchine, -fortificazioni, assalti. Il <i>Monte santo di Dio</i> e -la <i>Divina Commedia</i> di Firenze nel 1481 portano -<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span> -disegni di Sandro Botticelli, incisi in rame da Baccio -Baldini: un Tolomeo a Roma per lo Schweinheim, ha -le carte in acciajo di Arnoldo Buchink, così uno a Bologna, -e uno pel Berlinghieri a Firenze. -</p> - -<p> -Gli stampatori in principio furono tenuti da molto, -e Sisto IV conferì a Jenson il titolo di conte palatino. -Facevano anche da libraj, e primamente in un libro -stampato a Ferrara il 1474 si trova il nome di <i>bibliopola</i>. -I Giunti, che stamparono a Firenze e Venezia, -fin dal 1514 aveano estese relazioni colla Germania<a class="tag" id="tag180" href="#note180">[180]</a>. -Proteggeasi l’interesse degli stampatori con privilegi; e -il senato veneto ne concedeva uno di cinque anni a Giovan -da Spira nel 1469 per le epistole di Cicerone, uno ad -Ermanno di Lichtenstein nel 94 per lo <i>Speculum historiale</i> -di Vincenzo di Beauvais: l’anno seguente Lodovico -Sforza lo conferiva per le opere del Campano a Michele -Ferner ed Eustachio Silber: Aldo il vecchio l’ottenne -pel carattere corsivo<a class="tag" id="tag181" href="#note181">[181]</a>. Avendo Angelo Arcimboldo -trovato a Corbia cinque libri degli <i>Annali</i> di Tacito, -Leone X ne privilegiò il Beroaldo, che gl’impresse a -Roma nel 1515; nè per dieci anni nessuno potea riprodurli, -pena la confisca dell’edizione, ducento ducati e la -scomunica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span> -</p> - -<p> -Decreto di deporre alla pubblica biblioteca una copia -d’ogni stampato non conosco prima di quello del senato -veneto nel 1603. In quello Stato soprantendevano alla -stampa i riformatori dello studio di Padova; e gli editori, -facendo registrare le opere che metteano ai torchi, -ne ottenevano privilegio per un decennio, purchè l’edizione -uscisse al tempo prefisso, e commendevole. I -libraj di Bologna e così quelli di Parigi e d’altri luoghi -ove fosse università, dipendevano da questa, che li -nominava, e che ne esigeva giuramento e cauzione, e -determinava i prezzi. -</p> - -<p> -I molti scrivani, rimasti scioperi, strillarono contro -un’arte che li riduceva alla mendicità, e che surrogava -operaj meccanici agli eruditi che dapprima collazionavano -i codici onde sminuire gli errori de’ sonnacchiosi -copisti; i miniatori si trovarono tolte le occasioni<a class="tag" id="tag182" href="#note182">[182]</a>; -i possessori di biblioteche comprate a tesori, ne vedeano -di colpo decimato il valore; i dotti gelosi prevedevano -reso comune il sapere, che prima, costando -denari e fatiche, assicurava onori e privilegi: erano -altrettanti nemici della nuova invenzione, e spargeano -sinistre voci, sino a tacciarla di magia, pericolosa essere -cotesta divulgazione del sapere, agevolare la corruzione -degl’ingegni. Anche persone di rette intenzioni se ne -sgomentavano; ed Ermolao Barbaro suggeriva che, -attesa la frivolezza di molti, non si lasciasse pubblicare -veruno scritto se non approvato da giudici competenti. -I Governi videro altri pericoli che della frivolezza, e -massime in Germania, ove si parlava alto contro la -Chiesa: onde ad alcuni libri troviamo apposta l’approvazione -superiore, forse per istanza dell’autore o dell’editore; -<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span> -poi una bolla di Leone X, del 4 maggio 1515, -portò che nessun libro si stampasse senza previa autorizzazione. -</p> - -<p> -Frattanto i manoscritti cessarono d’aver pregio altro -che di curiosità, e le opere divennero ricchezza comune. -Ma per quanto si mettesse cura a cercarne, molte dovettero -sfuggire all’attenzione, per colpa de’ manoscritti -stessi. In questi talvolta si trovavano cucite insieme -opere disparatissime, sicchè l’erudito, ingannato dal -titolo del primo, i minori lasciava inosservati. Altri -erano copiati colle abbreviature e note che dicemmo, -talchè riusciva difficile il dicifrarle: e davvero al vederle -si direbbero caratteri cinesi, a tratti verticali -più o meno inclinati, connessi, traversati con altri di -forma e posizione varia. Benchè Giulio II, a insinuazione -del Bembo, avesse proposto un premio a chi vi -riuscisse, i Benedettini nella <i>Scienza diplomatica</i> lamentavano -che sì poco si adoperasse a ottenere la -chiave delle note tironiane. Quando Tritemio scoprì un -Lexicon di queste e un salterio stenografato, si sperava -rivelato l’arcano; ma l’effetto non rispose all’aspettazione; -finchè nel 1817 Knopp pubblicò la storia della -stenografia antica, l’analisi e la sintesi delle note, e un -dizionario di circa dodicimila segni, disposti per alfabeto<a class="tag" id="tag183" href="#note183">[183]</a>. -</p> - -<p> -Son dunque appena cominciati i lavori sui manoscritti -di tal natura, e può sperarsene frutto: ma qui -non consistono tutte le difficoltà presentate dagli originali. -Apprendiamo da Dioscoride che l’inchiostro degli -antichi faceasi con gomma e nerofumo stemprati nell’acqua, -sicchè bagnando la pergamena, facilmente si -<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span> -cancellava. Al tempo di Plinio, per mordente vi si aggiungeva -aceto, indi vitriolo; ma nessuno di questi neri -resiste al tempo, sicchè le scritture ci arrivarono sbiadite -e illeggibili. Un’infusione di noce di galla ripristina -il colore, e meglio nella scrittura di tempi più remoti, -quando l’inchiostro teneasi denso di gomma, e grossi -erano i tratti, scritti con una canna. -</p> - -<p> -Difficoltà maggiori presentano i palimsesti, dove, per -tornare ad altro uso il foglio, venne raschiata la scrittura -anteriore. Molteplici sperimenti si fecero per ristaurare -i caratteri di prima, e alfine la chimica ne -trionfò. Ma qui nuovo incidente. Scomponendo i fogli -del manoscritto antico onde prepararli a un nuovo, -talvolta si erano allontanati due brani contigui, talaltra -un foglio si adoprò ad un lavoro, e il seguente ad un -tutt’altro; poi si tagliarono in due o più pezzi, o si -tosarono per adattarli al sesto del nuovo libro. Dopo -dunque che l’esercitato occhio con buona lente rilevò -l’antico sotto al nuovo carattere, comincia la fatica del -riordinare il lavoro, ravvicinare le parti scostate, supplire -alle lacune, far che le sparse ossa rivivano. Son -queste le pazienze intelligenti, alle quali andiamo obbligati -delle recenti scoperte di molti classici<a class="tag" id="tag184" href="#note184">[184]</a>. -</p> - -<p> -Un altro meraviglioso congegno fu quello di svolgere -e leggere i rotoli di papiro sepolti in Ercolano. Quando -quella città venne scoperta, trovaronsi in una stanza -molti cilindri, che si gettarono come carbone, finchè -si avvertì essere papiri avvoltolati. Arrise dunque la -speranza di recuperare altre parti della eredità intellettuale -<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span> -degli antichi; ma la lava gli avea carbonizzati, e -solo i perseveranti studj del padre scolopio Antonio -Piaggio insegnarono a svolgerli e copiarli, e con lunghissima -attenzione cavarne nuove ricchezze letterarie -e archeologiche. E quante ne rimangono ancora sepolte, -cura e compiacenza de’ nostri nepoti! -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap123-11">CAPITOLO CXXIII. -<span class="smaller">Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente. -Cultura estesa. Origini del teatro.</span></h2> -</div> - -<p> -Tutto ci fa sentire che tocca al fine l’età sinora descritta: -onde vogliamo fermarci a salutare ancora un -tratto questa generazione che passa; generazione di -istinto più che d’intelletto, che non avea la conoscenza -compiuta della morale verità, nè seppe le passioni trasformare -in principj morali. -</p> - -<p> -Le città erano impresse d’un carattere monumentale, -che manca alle moderne. Tutte cinte di mura, difesa -pubblica; e benchè così frequenti fossero e sieno nel -nostro paese, fra l’una e l’altra incontravansi spesso -borgate e villaggi, la più parte fortificati, talchè intercettavano -o difendevano le comunicazioni. Davanti alle -città o nel cuore v’avea quasi dappertutto almeno un -ponte, che offriva altri ostacoli al nemico. In ognuna -vedeansi i resti delle torri, da cui aveano dominato le -prische famiglie signorili, e che la libertà aveva svettate -o ridotte a mero ornamento. Dove poi erasi elevato -un principe, a difesa propria e offesa altrui aveva elevato -una rôcca, la quale doveva incutere tanto sgomento, -quanta confidenza ispiravano le chiese. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span> -</p> - -<p> -Queste non pareano mai troppe quando la religione -era anima della società; e grandeggiava la cattedrale, -che dall’esterno o dai luoghi di primitiva devozione -era stata trasferita nel centro degli abitari. Isolarla non -sarebbesi pensato, benchè davanti solesse avere una -piazza, e in giro un sagrato erboso, talvolta cinto di -muro e acconcio alle adunanze. Finchè durò la dominazione -de’ vescovi, il palazzo di questi era distinto -dalla città, munito, e spesso comprendeva vastissimi -tratti; ma dappertutto dovette cedere ai Comuni, salvo -Udine e poc’altri: però que’ recinti e gli amplissimi -chiostri rimasero sempre luogo d’asilo. Ed ecclesiastici -e monasteri possedevano la maggiore e miglior parte -della campagna; e aspetto e intenzione religiosa conservavano -tutti gl’istituti di pietà e di educazione, fondati -e diretti dalla Chiesa o sotto i suoi auspizj. -</p> - -<p> -Le case eransi congegnate malamente di legno, fango, -paglia, quali ne mostra ancora tante la pulitissima -Francia: non frenato da regolamenti, ognuno invadeva -quel più che potesse dello spazzo pubblico, sporgeva -i piani superiori e le scale e gli agiamenti sopra -le vie, che ne rimanevano anguste e soffogate (Capitolo -<span class="smcap lowercase">XCVIII</span> princ.) Di buon’ora però si volle abitare -meglio; e la pietra, i mattoni, i tegoli provvidero alla -solidità e alla sicurezza. La regolare disposizione delle -strade di Torino ne palesa l’origine principesca. -</p> - -<p> -I nomi alle vie applicavansi popolarmente secondo -i luoghi cui mettevano e principalmente le chiese -vicine: spesso secondo l’industria che vi si esercitava, -o la famiglia che v’avea casa: il che pure ci rivela -una stabilità di famiglie e di botteghe, oggi svanita. -Degli odierni numeri teneano vece o un motto, o uno -stemma, o una insegna fabbrile, una pittura, una terra -cotta, uno smalto. -</p> - -<p> -Illuminazione notturna non si conosceva; solo in -<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span> -parte supplivano le lampade accese ai frequenti tabernacoli. -Fortunate le città che avessero acque correnti -per lavarsi, o spesse pioggie! altrimenti la poca cura -nel gettare le immondizie, massime nelle intercapedini, -i branchi di majali che razzolavano liberamente tra -queste, l’abbondanza di stalle donde ogni mattina menavansi -fuori le giovenche a pascere, come tuttora -accade di vedere in parecchie città di Romagna, impedivano -la pulitezza. -</p> - -<p> -Fra le case plebee discernevansi i palazzi signorili, -che talvolta abbracciavano vasti quartieri; come in -Milano quel de’ Visconti, che giungeva da San Giovanni -in Conca fino all’arcivescovado, e quel dei Pusterla da -Sant’Alessandro fin alla Vedra. Spesso v’erano annessi -portici, o prolungati tutt’al lungo delle strade, come -in Bologna, in Mantova e altrove, od isolati, come il -coperto de’ Figini e la loggia degli Osj a Milano, la -loggia de’ Bardi e le altre di Firenze, ove convenivano i -dipendenti d’una famiglia, od un’intera fazione a confabulare, -spassarsi, trattare di affari. Una più grande -faceva l’uffizio delle borse odierne, e spesso erano sotto -alla sala del parlamento, come vedesi ancora nella -piazza de’ Mercanti a Milano, nel broletto a Monza, e -così a Padova, a Vicenza, altrove. -</p> - -<p> -Il palazzo del Comune, oltre servire alle adunanze, -era e una testimonianza della ricchezza del paese, e un -deposito de’ suoi ricordi, ornandosi con cimelj antichi -e con lapide e monumenti nuovi, massime cogli stemmi -o cogli encomj de’ magistrati. Come la chiesa aveva -campana, così volle averla il Comune succedutole; ed -era vanto il farne elevata o ricca la torre. Sulla piazza -stava spesso eretta la forca, feroce simbolo della podestà -di sangue. Oltre l’armeria, non dovevano mancare -vasti magazzini, ove un’esagerata precauzione -riponea gran quantità di grano, di fieno, di vino, spesso -<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span> -imponendo a tutti i possessori della campagna di portarvi -la metà o un terzo del ricolto. -</p> - -<p> -Non che le città, ogni borgo aveva istituzioni caritatevoli, -massime per infermi e pellegrini, fondate da -qualche pio o da una confraternita o da un’arte. Nel -secolo che descriviamo si cominciò a concentrare anche -la beneficenza, che lo spirito domestico del medioevo -aveva sparpagliata, e ne vennero i grandiosi ospedali -nelle città, meglio amministrati per certo; se più -conducenti al servizio de’ poveri, lo dica altri. Nel 1431, -per opera del vescovo, gli ospedali di Palermo furono -riuniti in quello di Santo Spirito; a Milano Francesco -Sforza dei varj formò l’ospedal Grande, reggia dei poveri; -a Como persuase altrettanto il beato Michele da -Carcano nel 64; ad Asti nel 55 il vescovo Filippo Roero -per quello di Santa Maria; così a Cremona nel 50, e -alquanto più tardi a Messina per l’ospedale di Santa -Maria della Pietà. -</p> - -<p> -Nella lor cerchia ogni città conservava vita propria, -propria politica; mercanti dotati del senso pratico della -vita; legulej sottili fino alla malizia; nobili ancora spadaccini, -ma già togati; clero basso e mestierante colla -sollecitudine del guadagno, ma colla drittura ingenua -e l’amor della giustizia; corporazioni laiche, oculatissime -a conservare i privilegi; tutti attenti a bilanciarsi fra la -brutalità de’ tiranni e la brutalità della canaglia. Spesso -ancora, quantunque crescessero gli eserciti, erano chiamati -a difendersi dai soldati. Avvicinavasi una banda? -Contadini e pastori ravviano alla città i bovi, le pecore, -i bufali, vi conducono le scorte, i grani, gl’istromenti -rurali. Si chiudono le porte, si ritirano i ponti, si calano -le saracinesche, si tendono le catene; gli uni corrono -di casa in casa a cercare graticci, materasse, botti da -serragliare le vie ed ammortire i colpi; altri vanno ad -allogare i poveri e gli avveniticci per le taverne, i conventi, -<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span> -i portici; altri si stringono a consiglio col comandante -della piazza sopra i mezzi di difesa; mentre in -palazzo si divisano i modi di tenere d’occhio il comandante -stesso, e impedire che tradisca, egli mercenario. -Quel misto d’eroismo e di paura, d’esaltamento e di -codardia, di gonfie minaccie e di accasciata aspettazione, -di litanie ed esposizioni in chiesa e di esercizj -sul campo che accompagnano l’avvicinarsi del pericolo, -suscitano cento aspetti e discorsi differenti, che si mescolano -al rintocco della campana, allo squillo delle -trombe, ai falsi allarme che poi risolvonsi in risate. -Fra ciò arrivano feriti, infermi, spogliati, paurosi; e i -loro racconti, avidamente ascoltati, ripetuti, ingranditi, -crescono l’ansietà: qualche spavaldo giura vendicarli; -qualche sofferente crede e compatisce il coloro soffrire; -altri è spedito a patteggiare col nemico, a riscattarsi a -denaro dal saccheggio; e ottenutolo, versansi dalla città, -abbracciandosi con quei che dianzi erano nemici, bevendo, -cantando con loro. Così protraevasi quell’attività -febbrile e quell’ansietà giornaliera che costituivano la -educazione dell’uomo, e produceano a vicenda esaltamento -e prostrazione, slancio irriflessivo o concentrazione -devota, ma sempre la coscienza d’essere qualche -cosa, di qualche cosa potere; lontano dalla vulgarità in -cui cade (noi lo vediamo) una società governata da -scettici, o da un despotismo che dà le apparenze di -ordine all’anarchia morale. -</p> - -<p> -E noi da queste trasportiamoci in quelle città per -adocchiarne a minuto le costumanze ed i caratteri. -</p> - -<p> -Ai Francesi, nelle diverse loro calate in Italia, appongono -i cronisti l’avere insegnato ai nostri a surrogare -alle avite usanze novità sempre varie, cercar di -parere belli anzichè buoni, e ambire non tanto la lode -delle opere e dell’ingegno, quanto la vana e folle gloriola -delle frastaglie e del vestire acconcio, e variare -<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span> -portature, e quel lusso che preferisce gli oggetti dilettevoli -ai necessarj. Le carrozze furono sostituite ai giumenti -ed alle cavalcature, fin dagli uomini: sciali nel -vitto, nel vestire, nelle spese nuziali, nelle donazioni; -perfino artefici plebei, dice l’aulico pavese, usavano alle -mense maggior varietà e raffinata delicatura che non -i nobili d’una volta; nè le donne vulgari la cedevano -alle ricche e gentili. E l’autore della vita di Cola Rienzi, -in suo favellar romanesco: — Di questo tempo cominciò -la gente ismisuratamente a mutare abiti, sì de vestimenta, -sì de la persona. Cominciò a far li pizzi de li -cappucci lunghi; cominciò a portare panni stretti alla -catalana e collari, portare scarselle a le correggie, e -in capo portare cappelletti sopra lo cappuccio. Po’ -portavano barbe grandi e folte, come bene gianetti spagnuoli -vogliano seguitare. Dinanzi a questo tempo -queste cose non erano anco; se radeano le persone -la barba, e portavano vestimenta larghe e oneste; e se -ciascuna persona avessi portata barba, fora stato avuto -in sospetto d’esser uomo de pessima ragione, salvo -non fosse spagnuolo ovvero uomo de penitenzia. Ora è -mutata condizione, idea, deletto: portano cappelletto -in capo per grande autoritate, folta barba a modo di -eremitano, scarsella a modo di pellegrino. Vedi nuova -divisanza! e che più è, chi non portassi cappelletto in -capo, barba folta, scarsella in cinta, non è tenuto covelle, -ovvero poco, ovvero cosa nulla. Grande capitana -è la barba: chi porta barba è tenuto». -</p> - -<p> -Del 1388 Giovanni Musso dipingeva i Piacentini sontuosissimi -in tutto, specialmente negli abiti. Le donne -portano vesti lunghe e larghe di velluto di seta di -grana, o di panno di seta dorato, o di panno d’oro o -di lana scarlatto o pavonazzo, con ampie maniche fin -a mezza la mano, ed altre che pendono fin in terra, -aguzze a maniera di scudi. E sopra vi si pone talvolta -<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span> -da tre in cinque once di perle, che costano dieci fiorini -l’oncia; o nastri o cerchi d’oro al collo, a guisa dei -colletti dei cani; e in vita belle cinture d’argento dorato -e di perle, da valere venticinque fiorini ciascuna; e -con tanta varietà di anelli e pietre preziose pel costo -di trenta in cinquanta fiorini: a tacer quelle che portano -le cipriane, vesti larghissime al piede e strette -indecentemente dal mezzo in su, e tutte impomellate -dalla gola fin ai piedi con bottoni dorati o perle. Ricchissimi -poi sono i vezzi del capo. Alcune usano mantellette -che coprono appena le mani, foderate di vajo -e di zendado, e belle filze di coralli o d’ambra: le matrone -e le vecchie un mantello ampio, rotondo e crespo, -sparato davanti, se non che una spanna verso la gola -ha bottoni d’argento dorato: e ognuna ha tre mantelli, -un cilestro, un pavonazzo, uno di camelloto ondato. Le -vedove istesso, ma tutto bruno senz’oro o perle. I giovani -hanno gabbani lunghi e larghi fin a terra con belle -fodere di pelli domestiche e selvatiche, di panno i più, -altri di seta e velluto: e sotto han vestiti corti e assettati, -e dappertutto galloni di seta o d’oro, e talvolta con -cinture. Gli uomini maturi usano cappucci doppj di -panno e sovr’essi berrette di grana fatte a ferri; i giovani -non portano cappuccio che d’inverno, con becco -lungo fin a terra; bianche le scarpe, e talvolta con -punta lunga fin tre once, imbottita di borra; rasa la -barba da mezzo l’orecchio in giù, e gran zazzera di -capelli rotonda. E tengono cavalli fin a cinque, e servi, -a ciascun de’ quali si dà fiorini dodici l’anno e il vitto. -</p> - -<p> -Giovan Villani non volle «lasciare di far memoria di -una sfoggiata mutazione d’abito, che recarono di nuovo -i Francesi che vennero in Firenze il 1342. Chè colà -dove anticamente il vestire ed abito era il più bello, -nobile ed onesto che niun’altra nazione, al modo dei -togati Romani, sì si vestivano i giovani una cotta, ovvero -<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span> -gonnella corta e stretta, che non si potea vestire -senza ajuto d’altri, e una coreggia come cinghia di -cavallo, con isfoggiata fibbia e puntale, e con isfoggiata -scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il cappuccio -a modo di sconcobrini (<i>giocolieri</i>) col battolo infino -alla cintola e più, ch’era cappuccio e mantello con -molti fregi e intagli. Il becchetto del cappuccio lungo -sino a terra per avvolgere al capo per lo freddo, e colle -barbe lunghe per mostrarsi più fieri in arme. I cavalieri -vestivano con sorcotto ovvero guarnacca stretta, -ivi suso cinti, e le punte de’ manicottoli lunghe infino -in terra, foderate di vajo ed ermellini. Questa istranianza -d’abito, non bello nè onesto, fu di presente -preso per li giovani di Firenze; e per le donne giovani -disordinati manicottoli». -</p> - -<p> -Anche Galvano Fiamma, sotto il 1340, deplora che -i giovani milanesi sviarono dalle orme dei padri, e si -trasformarono in straniere figure; presero ad usare -strette vesti alla spagnuola, e chiome tonde alla francese, -lunga barba alla barbarica, cavalcare con furiosi -sproni alla tedesca, parlare con varie lingue alla tartara. -Le donne pure vagano scollacciate, con vesti di seta e -talvolta d’oro; acconcio il capo con ricci alla forestiera; -succinte in zone d’oro come amazzoni; camminano coi -calzari ritorti in su; giocano a tavole e dadi: cavalli da -guerra, splendenti armadure, e ch’è peggio, virili cuori, -libertà degli animi, sono ornamento delle donne e cure -di tutta la gioventù, sprecando le sostanze sudate dai -genitori frugali. -</p> - -<p> -Troviamo da altri deriso il farnetico delle donne, ora -di ringrandire la persona rizzando sul cucuzzolo i capelli, -ora imberrettate, ora colla chioma disciolta sulle -spalle, con diverse maniere di bestie appiccate al petto: -l’alchimia faceva sua arte coprendone le magagne, e -con varj avvisi medicando la pelle. Ora, aperto il collaretto, -<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span> -sfacciatamente mostravano; poi di tratto l’alzavano -su fino agli occhi: talora, stretta la cintura, gonfiavano -di sotto come pregnanti; tal altra con piombini -tenevano intirizzite le guarnacche, a coprire il calcagnino -che le rialzava dal suolo; qualche altra poneano -mantello a somiglianza degli uomini Veneti, Genovesi, -Catalani, che prima serbavano mode proprie, si meschiavano -poi talmente, da non distinguerli. I milordini -non chiamavansi contenti se l’uno non superava l’altro -in novità; sicchè ora s’adattavano la berretta notturna, -ora strozzati alla gola e allacciati di corde come fossero -balle, tantochè non potevano sedere che non ne schiantassero -alcuna: sempre anelanti dietro foggie straniere -l’uno di Sorìa, quello di Arabia, un terzo pareva d’Armenia, -un altro portava il farsettino all’ungherese; e -chi larghi manicottoli, e gabbani di più versi, con maniche -giù dal dosso pendenti come fossero monchi, e -larghe punte di scarpe<a class="tag" id="tag185" href="#note185">[185]</a>. -</p> - -<p> -Queste lagnanze, oltre il solito andazzo di imbellire -il passato a rimprovero del presente, a noi sono indizio -del crescere della democrazia, per cui non rimanevano -le condizioni separate fin nell’abito e nelle guise. -Che che poi ne dicano i declamatori, il cangiare foggie -non era consueto; e oltre che ciascun paese ne conservava -di proprie, per le quali si diceva «Questo è napoletano, -questo lombardo, questo genovese», anzi discerneasi -il fiorentino dal pisano e dal lucchese, gli abiti -bastavano l’intera vita e tramandavansi da una all’altra -generazione. -</p> - -<p> -L’addobbo dei Fiorentini ci è bello ed elegantemente -descritto da Benedetto Varchi: — Passato il diciottesimo -<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span> -anno, vestivano in città una veste o di saja o di -rascia nera, lunga quasi fino a’ talloni, e a dottori ed -altre persone più gravi soppannata di taffetà e alcuna -volta d’ermesino o di tabì, quasi sempre nero, sparata -dinanzi e dai lati, ove si cavano fuori le braccia, ed increspata -da capo, dove s’affibbia alla forcella della gola -con uno o due gangheri di dentro, e talvolta con nastri -e passamani di fuora, la qual veste si chiama lucco. -I nobili e i ricchi lo portano anche il verno, ma o -foderato di pelli, o soppannato di velluto, e talvolta -di damasco. Di sotto poi chi porta un sajo, chi una -gabbanella, od altra vesticciuola di panno soppannata, -che chiamano casacche, e dove la state si porta sopra -il farsetto o giubbone solamente, e qualche volta sopra -un sajo o altra vesticciuola scempia di seta, con una -berretta in capo di panno nero scempia, o di rascia -leggerissimamente soppannata con una piega dietro, -che si lascia cader giù in guisa che cuopre la collottola, -e si chiama una berretta alla civile. Nè ora si -portano più sajoni con pettini e colle maniche larghe -che davano giù a mezza gamba, nè berrette che erano -per tre delle presenti, colle pieghe rimboccate all’insù, -nè scarpette goffamente fatte con calcagni di dietro. -</p> - -<p> -«Il mantello è una veste lunga per lo più insino al -collo del piede, ordinariamente nero, ancorchè i ricchi, -massimamente i medici, lo portino pagonazzo o rosato, -e aperto solo dinanzi e increspato da capo, e s’affibbia -con gangheri come i lucchi, nè si porta da chi ha il -modo a farsi il lucco, se non di verno sopra un sajo -di velluto o di panno e foderato. Il cappuccio ha tre -parti; il mazzocchio, che è un cerchio di borra coperto -di panno, che gira e fascia dattorno alla testa e di -sopra, e soppannato dentro di rovescio, copre tutto il -capo; la foggia, o quella che pendendo in sulle spalle, -difende la guancia sinistra; il becchetto è una striscia -<span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span> -doppia del medesimo panno, che va fino a terra: si -piega in sulla spalla, e bene spesso s’avvolge al collo, e -da coloro che vogliono essere più destri e più spediti, -intorno alla testa. Il pappafico era un altro modo di -cappuccio che copriva le gote. -</p> - -<p> -«La notte, nella quale si costuma in Firenze andar -fuori assai, s’usano in capo tôcchi, e in dosso cappe -chiamate alla spagnuola, cioè colla capperuccia dietro. -In casa usa mettersi indosso un palandrano o un catalano, -con un berrettone in capo. La state alcune zimarre -di guarnello, o gavardine di sajo con un berrettino. -Chi cavalca, porta o cappa o gabbano, o di panno o di -rasia; e chi va in vaggio, feltri. Le calze tagliate al -ginocchio, e con cosciali soppannati di taffetà, e da -molti frappate di velluto e bigherate. Mutan ogni domenica -la camicia, increspata da capo e alle mani, e -tutti gli altri panni fino al cintolo, ai guanti ed alla scarsella. -Il cappuccio nel far riverenza non si cava mai, se -non al supremo magistrato, a un vescovo o cardinale: -e solo a cavalieri o magistrati, o dottori o canonici, -chinandosi il capo in segno d’umiltà, s’alza alquanto -con due dita dinanzi»<a class="tag" id="tag186" href="#note186">[186]</a>. -</p> - -<p> -Agli eccessi del lusso continuavano ad opporsi leggi -suntuarie (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 125), ma la ripetizione ne rivela -l’inutilità: predicatori e moralisti declamavano, e intanto -le pompe crescevano di più in più. S’aprivano talvolta -corti bandite, ove i signori accorreano come a rare -occasioni di riunirsi e sfoggiare; i cavalieri a romper -lancie, ed a meritare in premio del valore l’applauso -e i sospiri delle belle; i popolani alle mense apprestate -a tutti, ai vini che talora perfino zampillavano da artifiziose -fontane: abiti si regalavano a profusione, e -mille persone furono vestite dalla moglie di Matteo -<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span> -Visconti nelle nozze di Galeazzo suo figlio, con Beatrice -d’Este. La quale usanza di regalar cose utili, -anzichè un anello o una tabacchiera, a lungo fu conservata. -</p> - -<p> -Buonamente Aliprando, il quale stese la cronaca di -Mantova nelle più rozze terzine che uom possa leggere, -descrive la corte bandita dai Gonzaga menando tre -spose in una volta. Assai baronia venne da tutte parti, -ognuno portando un dono di vesti di velluto, o di -mischio di lana, o di vajo e scarlatto, foderate quale -d’agnello, quale di volpe o coniglio, quale di vajo, con -bottoni d’argento: ed erano non meno di trecentrentotto, -le quali furono compartite a buffoni e a magistrati. -D’argenteria chi donava coppe, chi cucchiaj, -chi bacini, in tutto pel peso di ducencinquanta marchi. -Altri presentò taglieri e ciotole di legno, quante bastassero -a tutta la corte; la comunità de’ mercanti regalò -mille ducati; chi recò carne e pollame, chi superbi -destrieri. Essi Gonzaga poi regalarono ventotto cavalli, -del valore di duemila ducento ducati: le altre spese -del fieno, dell’avena, del mangiare, sommarono a cinquantaduemila -lire. Venticinque cavalieri di nobiltà -furono vestiti: ed otto giorni si durò fra tornei, giostre -e bagordi, e sonare, ballare, cantare numerandosi fino -a quattrocento sonatori, con buffoni che se ne tornarono -contenti di robe e di denaro. -</p> - -<p> -Fu spettacolo nuovo, alla pace celebrata in Vicenza -nel 1379 fra Bernabò Visconti e gli Scaligeri, il vedere -fuochi d’artifizio, pei quali tutti stavano cogli occhi -verso il cielo<a class="tag" id="tag187" href="#note187">[187]</a>. Nel 1397 Biordo de’ Michelotti, signore -di Perugia e delle circostanti città, ordinò feste -per menar moglie Giovanna Orsini. — E primieramente -(leggesi ne’ <i>Diarj</i> del Graziani) fu ordinato che -<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span> -ogni famiglia del contado facesse un presente, e poi -che ogni comunità, villa e castello facesse il suo presente, -che furono paglia, biada, legne, grano, vino, polli, vitelli, -castrati, ova, cacio. Biordo fece bandire per tutte -le terre, che ciascuna persona che non fosse ribelle o -condannata del Comune di Perugia, potesse venire alle -dette feste sicuramente; ed invitò tutti i signori circonvicini, -ordinando corte bandita per otto giorni; e inoltre -fece venir per guardia della sua vita moltissime genti -delle sue terre. Tutte le terre d’intorno gli mandarono -ambasciatori con onorevolissimi doni, e anche Venezia -e Fiorenza; e quel di Fiorenza menò dodici uomini -d’arme per giostrare. Madonna contessa entrò con un -vestimento d’oro tirato, con molte gioje in testa; davanti -andavano tre paja di cofani, e sei donzelle con -loro vestimenti di drappo. Ella portava in capo una -ghirlanda di sparagi; venivano con essa lei a cavallo -messer Chiavello signor di Fabriano, gl’imbasciatori -di Venezia e di Fiorenza. Tutte le gentildonne onorate -le si fecero incontro ballando, vestite a porta per porta -secondo la sua divisa; e quelle che non erano atte a -ballare, andavano lor dietro. -</p> - -<p> -«La comunità di Perugia donò ad ogni compagnia -dieci fiorini d’oro. Innanti ci era una gran moltitudine -di trombe, le quali sonavano di maniera che invitavano -ciascuno a festa: fu fatto un bando che, durante detta -festa, non si aprisse bottega alcuna; che fu per lo -spazio di otto giorni. Fu fatta la mensa nella sala papale, -e intorno ci erano collocate assaissime tavole, ed -eravi il luogo apposta per le torcie. La tavola di Biordo -era in capo, più eminente; alle altre furono per ciascheduna -fiata posti trecento taglieri; e fu allora raccontato -che in Toscana non si trovò mai la più bella -corte. Le donne tutte s’erano radunate in casa di Biordo, -ed erano una compagnia reale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span> -</p> - -<p> -«Il giorno seguente tutte le città, terre e luoghi le -ferono presenti e doni singolarissimi: e prima l’imbasciator -di Venezia l’appresentò un dono che valeva ducento -fiorini d’oro; quel di Fiorenza le dette un palio -di scarlatto ed un cavallo covertato; quel di Città di -Castello un altro palio ed un cavallo; Castel della -Pieve un altro cavallo; Orvieto un finimento intero -da tavola tutto d’argento; Todi il medesimo, e di più -due pezze intere di velluto; gli altri tre imbasciatori -fecero il simile. Oltre questo, ci furono moltissime -donne che si vestirono alla divisa di Biordo, e tutte -quasi fecero tre vesti per ciascuna, e andavano ballando -per la piazza. Il mercoledì si giostrò una barbuta -con l’armi del Comune dietro; e si continuò fino -a notte, onde fu d’uopo adoperarvi le torcie». -</p> - -<p> -Nelle feste delle città commercianti la principale -toccava alle arti, distribuite in maestranze; e la cronaca -del Canale ci divisa quelle del 1268 per l’assunzione -del Tiepolo in doge di Venezia. La prima festa -(dic’egli molto più prolissamente in francese) fu fatta -in mare davanti il palazzo del doge, e Piero Michele -capitano fece apparecchiar le galee, e navigare tutto -davanti il palazzo anzi ch’egli se ne andasse, e alzare -l’applauso al doge in tale maniera: — Cristo vince, Cristo -regna, Cristo impera: a nostro signore Lorenzo Tiepolo, -la Dio grazia inclito doge di Vinegia, Dalmazia e Croazia, -e dominatore della quarta parte e mezzo dell’imperio -di Romania, salvamento, onore, vita e vittoria: -san Marco, tu lo ajuta». Simil lode levarono e cantarono -quei delle altre galee; e poi le fece il capitano -navigare per mezzo Venezia; e se ne andarono a vedere -la dogaressa, che li ricevette a lieta ciera. -</p> - -<p> -Di poi tutti i mestieri un dopo l’altro, riccamente -apparecchiati, andarono a vedere il lor signore e la -donna di lui. Primieramente quei di Torcello e delle -<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span> -altre contrade armarono il naviglio proprio e vennero -al doge e alla dogaressa. Quei di Murano aveano in -nave galli vivi<a class="tag" id="tag188" href="#note188">[188]</a>, perchè si conoscesse donde fossero, -e le loro bandiere erano issate per mezzo il naviglio. -I maestri fabbri e tutti i loro serventi andarono insieme -sotto un gonfalone, ciascuno una ghirlanda in capo, e -trombe ed altri strumenti con loro: montarono di sopra -il palazzo, e salutarono il doge augurandogli ciascuno -vita e vittoria; ed egli rendette loro salute e buone avventure. -Discesi come erano andati, se ne vennero fino -a Sant’Agostino, ove la dogaressa era, e la salutarono, -ed ella rese loro salute siccome donna. I maestri pellicciaj -d’opera selvaggia addobbaronsi di ricchi mantelli -di ermino e vajo ed altre ricche pelli selvatiche, e i -loro garzoni e fattorini guernirono molto riccamente; -misersi innanzi una bella bandiera, e dietro quella -vennero due a due. I maestri pellicciaj d’opera vecchia -misero lor gonfalone avanti, e le trombe, gli stromenti, -le coppe d’argento e le fiale piene di vino: e guernirono -loro corpi molto riccamente di drappi di sciamito -e di zendado, di scarlatto e di molte altre ricche robbe -soppannate di vajo e di grigio e d’altre ricche pelli; ed -i loro serventi piccoli e grandi guernirono anche molto -bellamente. Poi i pellaj di pelli agnelline si misero il -lor gonfalone avanti, le trombe e gli stromenti e le -coppe d’argento e le fiale caricate di vino, ed i maestri -e tutti i loro fattorini. I tesserandoli di nappe e tovaglie -misero davanti il gonfalone, e addobbarono i corpi -loro e quelli de’ calcolajuoli e serventi molto bellamente, -e fecersi precedere da cembali e trombe e coppe -d’argento e fiale di vino, e sotto di buoni conducitori -se ne andarono cantando canzonette e cobbole pel doge; -e venuti che furono al palazzo, montarono i gradini, e -<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span> -lo salutarono cortesemente, ed egli rese loro la salute -molto bellamente; poi andarono a far lo stesso colla -dogaressa. -</p> - -<p> -Allora comincia ad inforzare la gioja e la festa; chè -primieramente si vestirono di novello dieci de’ maestri -sartori tutto di bianco a stelle vermiglie, cotta e mantello -foderati di pelliccerie: i maestri lanajuoli col solito -gonfalone e le trombe e le coppe d’argento e le fiale -di vino, e ciascuno un ramo d’ulivo nella mano, ed in -capo ghirlande pur d’ulivo: i maestri cotonieri che fanno -i frustagni di cotone, addobbaronsi tutto di nuovo, di -cotte e di mantelli de’ frustagni che fanno, pellicciati -riccamente: e così i maestri che fanno le coltri e le -giubbe: e fece ciascuno una nuova cappa di color -bianco sparsa di fiordalisi, e le cappe aveano ciascuna -un capperone, ed essi aveano ghirlande di perle operate -ad oro sulle teste. -</p> - -<p> -I maestri di drappi a oro se ne posero di ricchi, e i -loro fattorini pur di drappo a oro o di porpora e zendado, -e in testa i capperoni indorati e ghirlande di perle -e di fregetti d’oro: misero il lor gonfalone e bandiere -avanti, e trombe e cembali. I calzolaj e loro serventi -ebber sulle teste delle ghirlande di perle e di fregetti -a oro. I merciaj andarono a vedere il lor signore con -ricchi drappi, e le teste e le robbe di fregetti a oro -e di sete e di tutte beltà che l’uomo potrebbe divisare. -Quei che vendono i camangiari di carni salate e formaggi, -fecero lor gonfalone, avendo molto ricchi drappi -tinti in scarlatto ad oricello o in risanguine od altri -colori, pellicciati di vajo e di grigio, e sulla testa ricche -ghirlande di perle e di fregetti a oro. Succedono -quelli che vendono uccelli di riviera e pesci del mare -e dei fiumi. -</p> - -<p> -Poi i maestri barbieri ebbero con loro due uomini -a cavallo, armati di tutto punto, come i cavalieri erranti, -<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span> -e seco traevano quattro damigelle, addobbate -molto stranamente. Venuti al palazzo, ascesero, salutarono -il doge, ed egli rendette loro la salute; e immantinente -discese uno di quelli che a cavallo erano -armati di tutte armi, e disse al doge: — Messere, noi -siamo due cavalieri erranti, che abbiam cavalcato per -trovare avventure; e tanto ci siamo penati e travagliati, -che abbiamo conquiso queste quattro damigelle: or -siamo a vostra corte venuti, e se ci ha nessun cavaliere -che di quinc’entro venisse avanti per provare suo corpo -e per conquistare le strane damigelle da noi, noi siamo -apparecchiati per difenderle». Immantinente rispose -il doge, fossero i ben venuti, e che Domeneddio li lasci -gioire di loro conquiste; e — Ben voglio che voi siate -onorati a mia corte, ma punto non voglio che nullo -di qui entro vi contraddica, e sì ve ne quieto del -tutto». Montò allora il cavaliere errante, e gridaron -tutti: — Viva nostro signore Lorenzo Tiepolo, nobile -doge di Venezia»; poi se ne ritornarono a dietro, -grande gioja dimostrando, e se ne andaron tutti in -tale maniera a vedere la dogaressa, che molto bene -li ricevè. -</p> - -<p> -I maestri vetraj ornaronsi di ricchi scarlatti, foderati -di vajo e d’altri ricchi drappi, gli uomini carichi di -loro lavorii, cioè guastade ed oricanni ed altrettali vetrami -gentili, e le coppe d’argento e le fiale piene di -vino. Si misero alla via cantando novelle canzoni, nelle -quali si diceva di Lorenzo Tiepolo e di suo padre, di -cui abbia l’anima Dio, che doge era stato. A tale gioja -ed a tale festa se ne andarono due a due molto bene -arringati sotto il lor gonfalone cantando e diportando -sino al palagio. I maestri orafi addobbaronsi di perle -e d’oro e d’argento e di ricche e preziose pietre, cioè -di zaffiri, smeraldi, diamanti, topazj, giacinti, ametiste, -rubini, diaspri, carbonchj e d’altre pietre di gran valuta; -<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span> -e loro sergenti anch’essi molto riccamente, e di -cosa in cosa fecero come gli altri. -</p> - -<p> -I maestri pettinajuoli v’andarono pure, menando -gran gioja: quando furono al doge, Ughetto, savio -maestro, si mise avanti e disse: — Sire, io prego Gesù -Cristo e sua dolce madre e san Marco vi donino la sanità, -vita e vittoria, ed a governare lo onorato popolo -veneziano in vittoria e ad onore per tutta la vostra -età». E il doge risposegli molto saviamente, e quelli -gridarono tutti insieme: — Viva nostro signore, il valente -messere Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia». -Que’ maestri pettinajuoli aveano con loro una -lanterna piena d’uccelli di diverse maniere; e per allietare -il doge, ne aprirono la portina per dove gli -uccelli uscirono fuora tutti, volando qua e là a loro -talento<a class="tag" id="tag189" href="#note189">[189]</a>. -</p> - -<p> -Mi apporrete che questi particolari nulla ingeriscono -alla storia d’Italia? Ma scopo nostro è conoscere gl’Italiani, -nè credo che una persona si mostri qual è ove -s’ignorino i suoi abiti e i costumi suoi: altri poi ha -detto non conoscere un popolo chi non lo osservò nelle -sue feste. In quella che or descrivemmo, dovette parere -vi passasse davanti il medioevo, con quella libertà -non individuale ma collettiva, dove, piuttosto che uno -Stato, erano a vedersi molti gruppi di famiglie, di corporazioni, -di Comuni, di chiesa, di nobiltà, ciascuno -con leggi e norme e divise sue proprie. E delle feste -di Venezia potrebbe farsi un libro, anzi fu fatto, ogni -avvenimento pubblico essendovi commemorato con solennità -di devozione e di patriotismo (Cap. <span class="smcap lowercase">XCVIII</span>). -</p> - -<p> -Poichè il santo patrono usavasi sovente pel nome del -Comune stesso, dicendo San Marco, Sant’Ambrogio, -San Pietro, per Venezia, Milano, Roma, la festa di -<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span> -quello era altrettanto civile quanto religiosa. Lo Statuto -di Modena prescriveva che il giorno di san Geminiano -d’ogni famiglia dello Stato venisse uno alla città con -un cero in mano, e vi restasse fino a terza del domani; -e così da ogni Comune forense vi si portasse il vessillo, -seguìto dagli uomini della villa o del castello. A Ferrara, -chiunque possedesse da cento lire in su doveva, -la vigilia di san Giorgio, portare un cero a mattutino. -A Milano per la natività di Maria doveano convenire -tutti i Comuni dipendenti, col proprio gonfalone: alla -festa poi di sant’Ambrogio, secondo il Decembrio, presentavasi -all’altare di lui una gran mole di fiori ed erbe, -di uva matura con pampani verdi, tutto fatto di cera. -Di tali convegni non manca nessuna città dominatrice, -e principalmente solenne era il san Giovanni a Firenze. -A Montecatino, quando per le litanie di san Marco il -clero scende alla pieve di Niévole, le donne continuano -il giorno intero, come in recuperata libertà, a sonar -quelle campane, sensibili per tutta la valle: la mattina -di Risurrezione il celebrante benedice molti corbelli di -pane e di carne d’agnello, che poi sono generosamente -distribuiti a ciascheduno quasi in ristoro del digiuno -quaresimale<a class="tag" id="tag190" href="#note190">[190]</a>. -</p> - -<p> -Le feste religiose spesso avevano del beffardo, come -le sculture delle chiese. Tal era la cornomania che si -celebrò a Roma fin verso il Mille, avanzo di qualche -solennità pagana. Il sabato dopo pasqua, quando si -aveano a cantare le litanie al papa, gli arcipreti delle -diciotto chiese diaconali colle campane convocavano -il popolo; il sacristano metteasi la cotta e una ghirlanda -di fiori con corna, e in mano un finobolo, canna -di bronzo grossa quanto un braccio, e per metà ornata -di campanelli. Così andavasi processionalmente a -<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span> -San Giovanni Laterano, e ciascun arciprete formando -circolo colla sua plebe, si cantava al pontefice: — Su, -preghiere; Iddio per la tua prosperità; Maria madre di -Dio; su, preghiere. Buon giorno, o padrone; apriteci -le porte; noi veniamo a vedere il papa, vogliam salutarlo -e fargli onore, e cantargli le litanie, come si usava -ai Cesari. Bravo, uom benigno, papa che governi tutte -cose al posto di Pietro; il cielo risplendette, le nubi si -dissiparono». Frattanto il sacristano pirovettava in -mezzo a ciascun circolo, scotendo le corna e il finobolo. -Finite le litanie, un arciprete s’avanzava traendosi dietro -un asino, allestito dai famigli della corte; un cameriere -reggeva sopra la testa della bestia un bacino con venti -denari d’argento; e quell’arciprete, rovesciandosi tre -volte indietro, colla mano abbrancava più soldi che potesse -da quel piatto, e quanti ne pigliava erano suoi. -Gli altri arcipreti seguivano col clero deponendo ghirlande -a’ piedi del papa; quello di Via Lata deponeva insieme -una volpe, che non essendo legata fuggiva; e il -papa davagli un bisante e mezzo: quel di Santa Maria -in Aquiro, un gallo colla corona, e riceveva un bisante -e un quarto: l’arciprete di Sant’Eustachio un cerbiatto, -e toccava egual compenso: un solo bisante gli altri, e -la benedizione del pontefice. Reduci alla propria chiesa, -il sacristano nell’arnese stesso, con un prete e due -compagni, portando l’acquasantino e rami d’alloro e -chicche, iva di porta in porta col finobolo, benedicendo -le case, mettendo foglie d’alloro sul fuoco, e distribuendo -le chicche ai fanciulli, cantando una cantilena -in lingua barbara, che cominciava: <i>Jaritan, jaritan, -jajariasti. Raphayn, jercoyn, jajariasti</i>; e il padrone -della casa dava qualche mancia<a class="tag" id="tag191" href="#note191">[191]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span> -</p> - -<p> -I banchetti erano solennità popolari e aristocratiche. -Uno magnifico fu imbandito, quando Gian Galeazzo -Visconti fu investito duca di Milano, nel cortile dell’Arengo, -dove ora sta il palazzo reale; e, secondo il -Corio, da prima si presentò a ciascuno de’ convitati -acqua alle mani, stillata con preziosi odori; poi seguitarono -le imbandigioni, tutte accompagnate con trombe -ed altri diversi suoni. La prima delle quali fu marzapani -e pignocate dorate con l’arme del serenissimo -imperatore e del nuovo duca, in tazze d’oro con vino -bianco; indi pollastrelli con sapore pavonazzo, uno per -scodella e pane dorato; poi porci due grandi dorati, e -due vitelli parimenti dorati. Indi vi furono portati grandissimi -piattelli d’argento; e per cadauno pezzi due di -vitelli, pezzi quattro di castrato, pezzi due di cignali, -capretti due interi, pollastri quattro, capponi quattro, -prosciutto uno, somata uno, salsiccie due, e savore -bianco per minestra, e vino greco. Dopo furono portati -altri piattelli di simile grandezza con pezzi quattro di -vitello arrosto, capretti due interi, lepri due intere, -piccioni grossi sei, uccelli quattro; poi pavoni quattro, -cotti e vestiti; orsi due dorati, con sapore citrino e -vino leggiero. Vennero quindi altri grandissimi piattelli -d’argento con quattro fagiani per cadauno, vestiti; a -quelli seguitavano conche grandi d’argento, con un cervo -indorato, un daino similmente indorato, e capriuoli due -con gelatine. Poi piattelli come di sopra, con non poco -numero di quaglie e pernici con sapore verde; poi -torte di carne indorate con pere cotte. Data alle mani -acqua, fatta con delicati odori, seguitavano pignocate in -forma di pesci inargentate; poi pane inargentato e malvasia, -limoni siroppati inargentati in tazze, pesce vestito -con sapore rosso in scodelle d’argento, pastelli -d’anguille inargentati; poi piattelli grandi di argento -con lamprede e gelatina inargentata, trote grandi con -<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span> -savore nero, e storioni due inargentati; indi torte -grandi, verdi, inargentate, mandorle fresche, persiche, -e diversi confetti a varie foggie. Compiuto il desinare, -furono portati in su la mensa vasi d’oro e d’argento, con -fermagli, collane, anelli, e molte pezze di panno d’oro, -di seta, di porpora; il che tutto, secondo il grado, fu -presentato ai signori. -</p> - -<p> -Dal Corio stesso ci sono divisati i regali che, vent’anni -di poi, corsero a quella Corte per le nozze della figliuola -di Galeazzo Visconti in Lionello d’Inghilterra. -Cento taglieri furono disposti nella sala maggiore pei -primati, nelle altre i restanti; e tanto era il sonare, che -altro non s’udiva. Le imbandigioni venivano recate a -cavallo; e la prima messa furono porcellini dorati, con -due leopardi riccamente forniti e dodici coppie di segugi. -Alla seconda lepri e lucci dorati, cui seguivano -sei coppie di levrieri, ornati di argento, e sei astori. -Alla terza vitello e trote, col presente di sei stivieri -con collari di velluto e fibbie dorate e cordoni di seta -nera. Alla quarta venivano pernici, quaglie, temoli dorati -e dodici sparvieri con sonagli d’argento, e dodici -paja di bracchi. Per quinta diedero anitre, cisoni e -carpani, e dodici falchi, col cappelletto messo a perle. -Venne alla sesta carne di bove e capponi, con savore -d’agliata e storioni. Era la settima di vitelli e capponi -con limonea e tinche, e dodici arnesi da giostra, dodici -lancie, altrettante selle dorate. All’ottava portarono -carne di bue, pesta e impastata con formaggio e zucchero, -ed anguille; poi dodici ricchi fornimenti da -guerra, compiti in tutto punto. Comparvero poscia carni -e polli, e pesci in gelatina; e dodici pezze di tôcca d’oro, -altrettante di seta colorata. Indi corni di gelatina saporita -e grosse lamprede, col dono di due doglie di vino, -sei bacili ed altrettanti mortaj d’argento dorato. Consistette -l’undecima portata in capretti e paperi e agoni, -<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span> -col donativo di sei corsieri bardati, ed altrettante lancie, -targhe, cappelline d’acciajo, una delle quali guarnita -di bellissime perle. La duodecima fu lepri e capriuoli -in savore, con pesce zuccherato, accompagnati da sei -destrieri, altrettante lancie, e cappelli. Seguitarono carni -di bue e cervo con savore di zucchero e limone, tinche -ed altri pesci, e sei palafreni riccamente bardati: poi -tinche, polli e sei destrieri da giostra: indi piccioni, -cavoli, fagiuoli, lingue salate, carpione, ed un cappuccio -e giubbone lavorati a compasso e soppannati d’ermellino. -La sedicesima fu di conigli, pavoni, cisoni, anguille -con savor di cedro, e un vasto bacile d’argento, -un chiavacuore di rubino e diamante, con una perla -d’ingente prezzo, e quattro cinti d’argento dorati. La -decimasettima furono giuncate e formaggi, e il dono -di dodici bovi. La frutta venne allo sparecchio coi vini, -e poi cencinquanta cavalli per donare a baroni e signori, -ed altre varie robe e gioje. Ai buffoni toccarono cencinquanta -vesti; e dopo molto torneare e bagordare, -lieto ognuno si partì. -</p> - -<p> -Lungo sarebbe dire le stravaganze, di cui volevasi -far pompa in tali pasti. Qualche volta, al primo -pungere del coltello dello scalco, il tacchino creduto -arrostito saltava bell’e vivo, scompigliando i trionfi: -qualch’altra di sotto un pasticcio sbucava un nano, -facendo le meraviglie della bella adunata. Questi tripudj -rinnovavansi non infrequenti; ed i cronisti si -compiaciono talmente a descriverli, che a noi non -sarebbe parso di bene interpretarli se non gli avessimo -in ciò secondati; e tu rimani stupito quando -nella pagina medesima essi ti fanno il racconto d’un -incendio, d’una sconfitta, d’una morìa, e insieme di -una solennità sfarzosa, alla quale mezzo mondo prese -parte. -</p> - -<p> -Dante si lagnava che il tempo e la dote fossero all’età -<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span> -sua usciti di misura<a class="tag" id="tag192" href="#note192">[192]</a>; al qual passo Benvenuto da -Imola spiega come per lo innanzi un ricchissimo padre -dava in dote alla figlia due o trecento fiorini, mentre -allora duemila o millecinquecento; le pulzelle maritavansi -ai venti o venticinque, ora a dodici o quindici. A -Milano, dove Landolfo il vecchio asseriva che sull’entrare -del secolo <span class="smcap lowercase">X</span> non si contraevano matrimonj prima -dei trent’anni, le Consuetudini più tardi abolivano quelli -conchiusi prima dei sette<a class="tag" id="tag193" href="#note193">[193]</a>. Pel 1348 abbiamo «le -spese di Bartolomeo di Caroccio degli Alberti: per lo -costo delle nozze e un desinare che si fece innanzi alle -nozze a’ servitori, e denari che ebbero i trombadori e -altri buffoni, e denari dati a’ portatori, e confetti, e -tramutare masserizie, e per altre spese che a nozze si -richiede, lire cennovantasei; per la lettiera, cassa, cassone -e tettuccio, lire diciotto; per due para pianelle e -due para scarpette, lire una e soldi sedici». Ma le doti -e i corredi delle signore e principesse sorpassavano -ogni credenza, e ne toccammo poco sopra. Si hanno in -sei volumi i <i>Monumenti della casa Del Verme</i>, ove, -tra molte altre curiosità, trovansi due corredi di spose, -che vogliamo qui riprodurre per esempio: — Nel 1474 -Francesco degli Stampa di porta Ticinese, della parrocchia -di Santa Maria Valle a Milano, come corredo -della Bartolomea de’ Guaschi, riceve ducento sessantaquattro -perle, stimate ottanta ducati d’oro in oro; quattr’oncie -di perle formate a rete, per ventiquattro ducati; -otto pezze di tela di lino fino per far camicie, una di -tela di stoppa (<i>revi</i>) per far tovagliuoli pel capo; quattro -pezze di fazzoletti (<i>panetorum</i>) che sono cinquantotto; -diciotto camicie da donna; trenta monete de tenere in -testa; libbre nove e mezzo di refe di lino bianco; uno -specchio grande e uno più piccolo; tre pettini d’avorio; -<span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span> -un uffizietto della beata Vergine co’ suoi guarnimenti; -un cofanetto, dorato di sopra; un <i>corriginus</i> di broccato -d’oro cremisino co’ suoi fornimenti, e uno di broccato -d’oro cilestro col suo fornimento e con perle; un chiavacuore -d’argento dorato col suo agorajo d’argento -dorato; due fodere lavorate in oro; sei cuscini verdi -di tappezzeria; dodici fodere di tela di lino fina co’ suoi -lavori intorno; una veste di damasco bianco coi fornimenti -dorati e col collare a perle; un’altra di drappo -morello di grana colle maniche strette, e con fornimenti -dorati e con perle; un’altra di drappo scarlatto di -Londra colle sue balzane di velluto nero al collare, alle -maniche e ai piedi; una gamurra o socca di velluto -cilestro, e un’altra di drappo di lana rosso; un par di -maniche di broccato d’argento cilestro; un vestito di -zetonino cilestro colle maniche strette, e ricamato al -bavaro e alle maniche; un vestito di scarlatto colle maniche -strette e ricamate, e col bavaro fatto di punticelli; -un vestito turchino colle maniche strette, ricamato alle -maniche e al bavaro; un vestito di velluto morello con -maniche serrate e guarnizioni fatte a telajo alle maniche; -un vestito rosa secca con maniche al modo stesso; -uno di drappo verde scuro; una giubba di velluto cremisino; -una socca scarlatta, e una di drappo turchino; -un par di maniche di drappo d’oro riccio, un cremisino, -e uno d’argento cremisino, e uno di cilestro; un -par di maniche di zetonino cremisino, e uno di morello; -uno di velluto cremisino, e uno di verde; un corrigino -d’argento dorato fatto a raggi (<i>a raziis</i>); un -chiavacuore d’argento dorato coi coltellini; una coreggia -con tessuto d’oro e guarnizioni d’argento dorato, -ecc. Di tali doni rogò Francesco di Besozzo, notajo -di porta Comasina. -</p> - -<p> -Molto più ricco è il corredo di Chiara Sforza, rimaritatasi -il 1488 a un Campofregoso. Nel solo ricamo -<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span> -sopra una manica vi sono da trentasei in quarant’oncie -di perle, stimate ducati quattrocento; sessantasette -perle da un ducato l’una; diciannove da tre carati il -pezzo, a ducati otto l’una; quattro da carati dodici -in quattordici, a ducati cento il pezzo; una di carati -venticinque a ducati trecento; due rosette di rubino, da -sessanta ducati il pezzo; un rubino da tavola con quattro -perle, ducati settanta; quattro smeraldi in tavola, a -ducati quindici il pezzo; uno smeraldo quadro a faccette, -ducati venti; oltre un filo di trecento diciassette -perle, da un ducato al pezzo. C’è una perla a pero, di -carati ventuno, stimata mille ducati; un mazzo di cinquantaquattro -giri di catena d’oro, pesante quarant’oncie; -un pendente con un balascio in tavola in mezzo, una -punta di diamante e una perla a pera, valutati ducati -duemila; un altro fermaglio con un balascio in tavola, -ducati mille e seicento<a class="tag" id="tag194" href="#note194">[194]</a>.<a class="tag" id="tag195" href="#note195">[195]</a> -</p> - -<p> -Anche a Genova, per testimonio di Franco Sacchetti, -«le nozze durano quattro dì, e sempre si balla e canta, -e mai non vi si proffera nè vino, nè confetti, perocchè -dicono che profferendo il vino e’ confetti è uno accomiatare -altrui; e l’ultimo dì la sposa giace col marito -e non prima». -</p> - -<p> -E poichè dalle donne ben s’argomenta ai costumi -d’un tempo, già ricordammo (t. <span class="smcap lowercase">VII</span>, p. 563) la Cia degli -Ubaldini, che lasciata dal marito Francesco Ordelaffi a -difendere Cesena, perseverò governatrice e capitana, -finchè, ormai tutta ruine, la rese a patti onorevoli pe’ -suoi soldati; per sè le bastò la protezione che la generosità -ritrova anche presso i nemici. È pure nota per -le tradizioni Bianca de Rossi moglie di Giovan della -<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span> -Porta governatore di Bassano, la quale, morto il consorte, -difese la città contro Ezelino tiranno: presa -colle armi in pugno, Ezelino cercò farle onta, ed essa -precipitatasi da una finestra si ruppe una spalla: guaritane -e per forza vituperata, appena libera di sè corse -all’avello del marito, e messo il capo sotto il coperchio, -se lo schiacciò. Margherita da Ravenna, divenuta cieca -a tre anni, acquistò tanto estese cognizioni, che era -consultata su punti di teologia e di morale, e morì -il 1505. Morata, figlia di Danese Orsini e di una -Beccaria, a Stradella levata al battesimo da Filippo -Visconti, sposata in Jacopo de’ Saracini di Siena, invece -di danzare, la festa divertivasi a leggere, e venne un -portento di sapere come di virtù. A Siena, nel pomposo -incontro fatto a Federico III e sua moglie, ella parve -vestita troppo modestamente; ma a chi glie ne faceva -appunto rispose: — Le matrone senesi non devono -far pompa che di modestia». E interrogata quale fra -tanti cavalieri che faceano corteo agli sposi, le paresse -il più leggiadro, — Io non guardo che mio marito». -I Senesi l’ebbero in concetto di santità, e quando il -conte Jacopo Piccinino li minacciava di sterminio, essa -li rassicurò del pronto soccorso di Maria Vergine, e -che il conte non tarderebbe a scontar la pena, come -avvenne. Di virtuose potremmo gran numero schierare -ricorrendo al leggendario. -</p> - -<p> -Voltiamo il quadro. La padovana Speronella, figliuola -di Delesmanno, a quattordici anni era già maritata -in Jacopino da Carrara, quando il conte Pagano, -lasciato dal Barbarossa a governare Padova, se ne invaghì, -e presto l’ebbe rapita e sposata. I suoi, irritati, -levarono popolo contro lo straniero, che dovette cedere -le fortezze e la libertà. Allora la Speronella fu -maritata ad uno de’ Traversari, col quale rimasta alquanto, -passò a Pietro Zausanno: e dopo tre anni ne -<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span> -fuggì per isposare Ezelino da Romano. Questi, accolto -a Monselice con ogni guisa di miglior cortesia da Olderico -di Fontana, come tornò a casa, non sapeva finire -di lodare alla moglie le gentilezze dell’ospite e -le maschie bellezze di esso: di che tanto desiderio si -accese nella malonesta donna, che per messaggi fu -presto d’accordo col Fontana, e da Ezelino se ne fuggì -ad esso. Così passava di marito in marito, mentre il -precedente vivea ancora; poi lasciò un lungo testamento, -il quale non è che un catalogo di chiese e spedali, -fra cui distribuiva ogni aver suo; venti soldi a -questa, quaranta a quella, stramazzi, coltri, lenzuoli, -coperte di pelle; a un ospizio i piumacci su cui ella -dormiva, e tovaglie e salviette ai pellegrini d’oltremare; -campi e denari a vescovi per riparare se mai avesse -ad alcuno recato nocumento<a class="tag" id="tag196" href="#note196">[196]</a>. -</p> - -<p> -Donnina amica di Bernabò, e Nisotta di Gian Galeazzo -Visconti, aveano al loro servizio cortigiani, musici, -minestrelli; ai principi vicini e nominatamente ai duchi -di Savoja mandavano a regalare cani, cavalli, cappelline, -e ne riceveano il ricambio<a class="tag" id="tag197" href="#note197">[197]</a>. Agnese, figlia di -Bernabò e maritata in Francesco Gonzaga signore di -Mantova, al marito non voleva bene, e vie meno -dacchè il vedeva amico ed alleato di Gian Galeazzo -uccisore del padre di lei. Presto s’intese con Antonio -di Scandiano, cameriere fidatissimo del Gonzaga; ma -questo, saputa la tresca, dissimulò lungamente il torto, -poi ne volle un regolare processo, da cui essendo -apparsa la costoro reità, lui fe impiccare; lei decapitare -il 1391, benchè moglie d’un principe, cognata -di due re. -</p> - -<p> -Per delitto d’infedeltà poteano il duca Filippo Visconti -e il Gonzaga di Mantova mandare al patibolo la moglie, -<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span> -Nicola marchese di Ferrara la sua Parisina Malatesti col -figlio Ugo, Ercole Bentivoglio processare Barbara Torelli: -forse tutte innocenti, ma è un gran caso il vedere -i mariti dimostrarle ree pubblicamente, essi, cui non -erano vergogna le concubine e gli sterponi. Galeotto -Manfredi principe di Faenza sposò Francesca di Giovanni -Bentivoglio, la quale ben presto sospettò il marito -d’altri amori, e per accertarsene origliò quand’esso -conferiva secretamente con un astrologo. Intese invece -come si macchinasse contro di suo padre; e non sapendo -frenarsi, entrò nel gabinetto inveendo. Galeotto -rispose, e la battè; ed essa ne informò il padre, -che nottetempo avvicinatosi in armi a Faenza, la tolse -seco: preparavasi anche a far guerra al genero, quando -Lorenzo de’ Medici, mediatore di tutte le paci, li riconciliò, -e ricondusse la donna al marito. Essa però, stimolata -a vendetta da nuove gelosie, ordì d’ammazzarlo: si -finse malata, e com’egli entrò a visitarla, il fece scannare -da sicarj appostati. -</p> - -<p> -Un atto singolare ci resta, dove Galeazzo Maria -Sforza, attesi «gl’ingenui costumi, la vita pudica, la -somma bellezza» di Lucia de Mariano, e l’immenso -ardore con che esso duca la ama, in parte fa, in -parte conferma amplissime donazioni a lei ad a’ figliuoli -che essa gli generò o genererà; e saldato il -dono coi più sacri giuramenti, le pone patto che -«viva in divozione nostra, e non abbia mai da che -fare, non che con altro uomo, neppure col marito se -non abbia da noi speciale licenza in iscritto»<a class="tag" id="tag198" href="#note198">[198]</a>; -gravi minaccie aggiunge a sua moglie Bona, se mai -rechi a costei il minimo disturbo. E quest’atto è rogato -<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span> -da notari, sottoscritto dal consorte e da una schiera -di gran nobili e cavalieri milanesi. -</p> - -<p> -Siffatta puzza non viene dalle case plebee, ma dai -palazzi principeschi. E ben diverso dal borghese era -il vivere de’ signori, molti de’ quali tenevansi ancora -ne’ castelletti, rubando e scialando come nel cuore della -feudalità. Sino dal 1272 i Bolognesi aveano battuto i -conti di Mangona che svaligiavano i viandanti nelle -foreste di Ripaverde: ma ancora al 1391, nelle vicinanze -della loro città, molti castellani viveano del rubare -ai contadini e ai buoni campagnuoli. Il conte -Garreto da Panìco con altri suoi compagni faceva tal -vita, or a spalle dell’uno, or dell’altro gavazzando: côlto -poi un Mengoccio del Borgo, ricco agricoltore, costoro -lo trassero in prigione per tormentarlo finchè ne smungessero -un grosso riscatto: fortunatamente una vecchia -se n’accorse e ne avvertì i parenti, che, prese l’armi, -corsero a liberarlo. Il senato bolognese ordinò che tutti -i conti, capitani e altri nobili abitanti in villa, e che -non attendevano di propria mano alle faccende agresti, -dovessero fra quindici giorni venir abitare in città con -tutti i parenti, pena la confisca dei beni: ordine esagerato -che attesta la gravezza del male, e che fu poi -ristretto alle famiglie pericolose. -</p> - -<p> -Altro famoso malfattore, Alberto Gallucci, tutto il -Bolognese empiva di scelleraggini, nè per pubblici -bandi o per ammonizioni del padre, di amici, di religiosi -volle mettersi al dovere. Si promisero dunque -mille fiorini d’oro a chi lo facesse prigioniero; chi -l’uccidesse, se era bandito avesse remissione; se alcuna -comunità il pigliava, restasse immune da collette -per venti anni: si destinarono quattro persone apposta -con ducento cavalli per catturarlo, e ordine ai Comuni -che, qualora egli apparisse, toccassero a stormo. Alberto -si pose a cavalcione dei confini, donde ogni -<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span> -giorno peggio faceva ai Bolognesi. Azzo, padre di lui, -fu obbligato dar duemila lire per sicurtà che il figlio -non farebbe alcun danno; poi assoltone per la sua -gran bontà, egli medesimo risolse liberarne il paese, -e coltolo il diede al magistrato perchè eseguisse la -legge. Il consiglio, mosso dall’insolito caso, prendea -pietà della canizie del padre e della sventataggine del -giovane, e volea commutar la pena in carcere perpetuo; -ma Azzo insistette caldamente perchè la giustizia avesse -corso, e lui presente fu decapitato<a class="tag" id="tag199" href="#note199">[199]</a>. -</p> - -<p> -Nicolò III d’Este signor di Ferrara nel 1414 volendo -passare in Francia, fu arrestato dal marchese -Del Carretto, finchè pagasse grosso riscatto. Galeazzo -Maria Sforza, ch’era in Francia quando morì suo padre, -seppe che il duca di Savoja l’appostava per prenderlo -ed obbligarlo a cedergli qualche pezzo di Lombardia; -e parte travestito, parte difendendosi in una -chiesa, parte ajutato da qualche fedele, a grave rischio -riuscì a traforarsi nel suo dominio. Gli Ubaldini contano -tra i loro fasti molti spogliamenti fatti tra val di -Sieve e val del Santerno. Uberto di Campagnatico assaliva -tutti gli amici della repubblica di Siena, finchè alcuni -Senesi in veste di frate s’introdussero nel cassero -di lui e l’uccisero. Ghino di Tacco da Torrita dal castello -di Radicofani molestava i passeggeri, celebre -per la novella del Boccaccio. Il Piccinino porta rancore -ad Eusebio Caimo milanese, ch’era stato mezzano del -matrimonio di Bianca con Francesco Sforza, e lo fa -pugnalare nel duomo di Milano. L’ingordigia de’ principi -apriva poi modo ai signori di scontare i delitti a -denaro; e Lazzarone della Rovere, signore di Vinovo, -nel 1377 avendo ucciso Florio suo cugino, ne pagò al -conte di Savoja tremila fiorini, oltre perdonargliene -mille che gli doveva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span> -</p> - -<p> -Milano nel 1288 contava quarantamila nobili, cioè -uno ogni venticinque abitanti; Firenze, nel 1336, settemila -cinquecento, cioè uno ogni venti; Venezia, dopo -il 1500, seimila cencinquantadue, cioè uno ogni ventidue: -ma il nome di nobile significava cosa ben diversa -in ciascuno di questi paesi. Generalmente la democrazia -aveva abraso le distinzioni originarie e i -privilegi legali: in tanto rimescolamento di fazioni, di -conquiste, d’esigli, di tirannidi, molte famiglie antiche -o perirono o si confusero colle borghesi, dalle quali -poi sorsero alcune più ricche, e costituirono una nobiltà -nuova. Ogni famiglia era ormai contraddistinta da -un cognome; ma se non fosse divenuto celebre per -qualche titolo o per credito commerciale, facilmente lo -cambiava per capriccio, per un’eredità, per far grado -a un protettore, a un padrino. La nobiltà nuova non -poteva opporre alla tirannia quegli argini, che solo dal -tempo acquistano solidità: quella poi creata dai tiranni -non valea nulla più che i diplomi, eccitava gelosia, mancava -di efficacia. -</p> - -<p> -I signori di Romagna, maggiormente dediti alle -armi, e scarsi di possessi, esercitavano i loro vassalli -sia per sostenersi, sia per farne mercato a servigio -altrui. A Napoli re Luigi di Taranto istituì la compagnia -del Nodo, altri cavalieri, per desiderio di gloria, -ne formarono altre, e con insegne diverse andavano -come cavalieri erranti mostrando il lor valore dove -guerra fosse, legati tra sè di fratellanza; e dal segno -che portavano, diceansi della Stella, della Argata (per -la nave d’Argo), della Leonza<a class="tag" id="tag200" href="#note200">[200]</a>. -</p> - -<p> -Però fra noi predominarono sempre le città, e in -conseguenza non troviamo quegli alti fatti cavallereschi, -di cui si tesse la storia delle famiglie insigni forestiere; -<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span> -que’ nostri signorotti tengono del plebeo, o almeno del -soldatesco, nè si gloriano di finezze cavalleresche, nè -si peritano a mancar di fede. Sulla politica delle Corti -non fa mestieri ripeterci; ma quelle frequenti taccie -d’avvelenamenti, veri sieno o supposti, ci rammentano -gl’imperatori di Roma, e palesano un ritorno verso la -corruzione gentilesca. Le continue rivoluzioni, per cui -mezzo gli ambiziosi volevano surrogare il privato -dominio alla comune libertà, lasciavano interessi lesi; -calde memorie d’un franco stato, del quale non si ricordavano -più i guaj; molti i pretendenti, ove unica -sanzione era la riuscita; molti gl’intolleranti e dell’ingiustizia -e della giustizia, e pochi gl’interessati a difendere -l’ordine pubblico. Il grosso del popolo non penò -a chetarsi a dominj che gli lasciavano quiete onde applicarsi -alle sue arti e gli crescevano sicurezza; ma le -famiglie aristocratiche ribramavano la fraudata autorità, -e mal soffrivano un altro esercitasse la tirannia -ch’essi avrebbero per sè voluta. Le armi portate a -servizio di qualche signore, davano la soldatesca fiducia -nella spada: del sangue come aver ribrezzo -quando la legge e i tiranni stessi ne versavano tanto? -</p> - -<p> -Quindi gli attentati, frequenti quanto mal secondati, -e usciti con danno e con vergogna. La sollevazione di -Cola Rienzi fra breve fu imitata dal Porcari in Roma. -Due congiure a Milano uccisero i principi, senza produrre -effetto durevole; altrettanto quella de’ Pazzi; -peggio quella de’ baroni nel Reame. In Bologna i Caledoli, -beneficati ed emuli di Annibale Bentivoglio, non -meno poderoso in Romagna che Lorenzo Medici in -Toscana, tramano, e scoperti sono appiccati o banditi. -Bernardo Nardi fiorentino occupa Prato per farne -piazza de’ repubblicani; ma non sostenuto, è preso e -giustiziato con molti. Nicolò d’Este invade Ferrara per -ricuperare il dominio paterno; ma il popolo nol favorisce, -<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span> -ed Ercole d’Este lo appicca con venticinque -complici. Girolamo Gentile vuol ribellare Genova e -Milano, e ne perde la testa. Girolamo Riario, signore -di Forlì ed Imola, è pugnalato nel proprio palazzo. -Biordo de’ Michelotti è ucciso a Perugia, e i Perugini -assalgono gli uccisori e bruciano la badia di San Pietro -ove erasi fatto il tradimento, e i traditori fanno dipingere -alle porte e al postribolo. Questi frequenti attentati -tenevano in sospetto i tiranni, e rendeanli peggiori; -e i feroci supplizj che infliggevano a personali nemici, -sembravano giustificati dalla necessità dell’assicurarsi. -</p> - -<p> -La costoro vita è un tessuto di fatti ancor più vergognosi -che orribili, sfacciata la mancanza di fede, -applaudito il tradimento se riusciva. Vedemmo quello -a cui restò preso Bernabò Visconti. Paolo Fregoso, -cardinale arcivescovo di Genova, invita il doge suo -nipote colla moglie e i figliuoli a pranzo, e quivi -li fa cogliere, mettere ai tormenti, sinchè il doge non -ordina che le fortezze si rendano all’ambizioso zio. -L’Oldrado, amicissimo di Gabrino Fondulo, passando -fuor di Castiglione, finge si sieno sferrati i cavalli, -e manda per un maniscalco. Gabrino, informatone, -spedisce a invitarlo che entri e si riposi; ed egli no, -aver troppa fretta, rincrescergli di non poter dare -un bacio al suo Gabrino. Questo non vuol lasciarsi -vincere in cortesia; esce a salutarlo, ed è subitamente -circondato dagli uomini dell’Oldrado, il quale entra -nel castello, prende la famiglia di Gabrino e i molti -tesori, e lui consegna a Filippo Visconti che lo manda -al supplizio. Nelle ore estreme confessò, l’unica cosa -di cui si pentisse era che, quando l’imperatore Sigismondo -e il papa salirono seco sul torrazzo di Cremona, -non gli avesse trabalzati entrambi da quell’altezza<a class="tag" id="tag201" href="#note201">[201]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span> -</p> - -<p> -Il marchese Alberto d’Este, morendo nel 1393, -avea dichiarato successore Nicolò suo figlio naturale; -ma Azzo pretendea avervi migliori diritti, e li -sostenne collo stipendiare Giovanni da Barbiano. I -tutori del fanciullo Nicolò tentarono costui perchè assassinasse -Azzo, ed egli il promise, purchè gli si -dessero due castelli vicini a Barbiano. Vennero i messi, -davanti ai quali fu trucidato Azzo, ed in conseguenza -resi i castelli. Ma l’ucciso non era che un servo, e -Azzo piombò addosso alle squadre ferraresi e ne fe -macello. Poco poi Giovanni macchina d’impadronirsi -di Bologna, e scoperto è mandato al supplizio. Mille -altri casi simili ci offrirebbe la storia de’ capitani di -ventura. -</p> - -<p> -I popoli ne soffrono, e conoscono i vantaggi della -libertà, tanto da creder lieve ogni sacrifizio per ottenere -che alfine alla egualità innanzi ad un padrone -si sostituisse l’egualità innanzi alla legge. Vero è che -le sventure d’allora sembrano maggiori perchè tutte -si registrano, nè erasi per anco ingenerata quella -cascaggine che fa credere ineluttabile necessità il patimento, -e virtù il non lamentarsene, e pace una -tirannia che degrada senza tormentare. Massime nelle -repubbliche riscontriamo elevatezza di caratteri, potenza -di sacrifizj fatti al bene generale, maggior fedeltà -alla parola: benchè le passioni vi apparissero -maggiormente, perchè in numerose masse e meno frenate. -E la stessa corruzione e la ribalda politica dei -principi non avviliva ancora i popoli, se anche li -straziava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span> -</p> - -<p> -Fra quel movimento frequentavano occasioni di esercitare -le forze della volontà e dell’intelletto, il che è -sì gran parte della felicità; riceveasi l’educazione dagli -avvenimenti, e maestro era il subuglio della città; -anche nelle baruffe civili logoravansi alcune vite, ma -conosciamo tempi più puliti ove si uccide colla parola, -s’induce negli animi il dispetto, vi si formano quelle -ulceri, la cui tabe e il puzzo appestano la società. -</p> - -<p> -Furono i nostri che crearono la scienza delle ricchezze -e della loro distribuzione, misurarono la potenza -del proprio paese e i mezzi con cui farlo agli emuli -prevalere, e tolsero a considerare tutt’Europa come un -sistema unico, ponderando perciò le forze delle singole -parti; e alcuni conti dei loro dogi o podestà potrebbero -andar di paro coi messaggi meglio compiuti -dei presidenti americani<a class="tag" id="tag202" href="#note202">[202]</a>. I Fiorentini volevano -dai loro commessi un ragguaglio de’ paesi ove andavano; -i Veneziani ricevevano dai loro diplomatici informazioni -continue, e da queste possiamo ancora librare -la civiltà e la potenza de’ varj Stati. -</p> - -<p> -Quanta ricchezza non indicano nel paese le medesime -guerre! Taciamo Venezia, taciamo Genova, di cui non -di rado qualche privato diveniva principe, e i Lercari -o i Giustiniani tenevano testa alla potenza ottomana; -ma Federico I di Sicilia ebbe cinquantotto galee in -punto d’arme, con centotredici l’affrontò Roberto di -Napoli, e distrutte si rinnovarono quasi per incanto. I -nobili milanesi proposero a Filippo Maria di mantenergli -diecimila cavalli e altrettanti pedoni, purchè -lasciasse loro amministrare le pubbliche entrate, escludendone -cortigiani e favoriti. Dal 1377 al 1406 Firenze -spese in sole guerre undici milioni e mezzo di fiorini -<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span> -d’oro, da cento ogni libbra<a class="tag" id="tag203" href="#note203">[203]</a>, tributo di cittadini -privati: settantasette case, dal 1430 al 53, pagarono -di straordinarj quattro milioni ottocentosettantacinquemila -fiorini; e lo stato popolare, dal 1527 al 30, cavò -di straordinarj un milione quattrocentodiciannovemila -cinquecento fiorini. I tiranni pure e gli oligarchi facevano -gara di prosperare il proprio paese, sì pel vantaggio -che a loro medesimi ne ridondava, sì per -emulare i vicini, sì per palliare la servitù. Francesco -Sforza scavava il canale della Martesana ed ergeva -l’ospedal grande a Milano; Gian Galeazzo ardiva cominciarvi -il duomo e la certosa di Pavia; i Medici, i Pitti, -gli Strozzi si eternarono per elegante magnificenza. -</p> - -<p> -Ma in fatto di costumi e d’opinioni men che in -niun’altra cosa si può considerare l’Italia come una -sola nazione; e se anche oggi, con sì poche caratteristiche -e con tante comunicazioni, immenso divario -corre dal Torinese, per esempio, al Siciliano, quanto -più allora? In Romagna poca attenzione si dà all’agricoltura -e all’industria, le ricchezze traendosi d’altronde -che dalla terra; i suoi fiumi non sono navigabili, -ed essiccando lasciano esalazioni pestilenziali; talchè -l’uomo si scosta da quei paesi, che così peggiorano col -cessare della vegetazione artifiziale, e disordine e abbandono -invadono le valli inselvatichite e i piani deserti, -per la cui ampiezza pochi casali s’incontrano, perciò -opportuna alle masnade; e il popolano, sentendosi necessario -al padrone che ne trae guadagno di stipendj -<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span> -militari, acquista orgoglio e fierezza, quasi con ciò -attesti discendere dai conquistatori del mondo. Il Veneziano -invece è indocilito dal sentimento della dipendenza, -che mal si confonderebbe con quella pulizia che -cerca sedurre ma senza bassezze; egli venera il denaro, -ambisce i godimenti, e gli aspetta da chi può procacciarli -a lui, il quale nulla può ripromettersi dagli onorevoli -sudori versati sulla terra. All’incontro il Genovese -le falde delle Alpi e dell’Appennino a forza d’arte -vestì d’ulivi, aranci, vigneti, e non bastandogli lo scarso -territorio, s’avventura al mare, e dice, <i>Io vengo da -Caffa</i>, così come se fosse tornato dal porto. A Napoli -il Governo svigorito lascia crescere la colà prepotente -inclinazione di isolarsi; e da un lato si trincerano i -baroni, dall’altra i popolani, non partecipandosi i frutti -del convivere sociale; la scarsa industria, l’indolenza, -il non curare del domani sono conseguenza del clima, -de’ pochi bisogni e de’ facili soddisfacimenti; come i -vulcani del paese, dalle esaltazioni si passa rapidamente -all’inerzia, con poca costanza e vacillante condotta; -l’immaginazione fa ricorrere alle superstizioni, l’inosservanza -delle leggi lusinga a vendette private. La Toscana, -divisa in piccoli territorj, sembra fatta per la -vita individuale delle città, che in fatto ebbero ciascuna -una storia particolare: nella parte montagnosa si ricoverarono -i signorotti, e trovarono buoni soldati; il resto -è coltivato con indefessa cura: e perchè a gran fatica -basta alla popolazione, questa si dedica anche all’industria, -e così si sviluppa quel vigore intellettuale, -quella coscienza di se stessi, per cui i Toscani si presentano -come in una virilità matura, ma tutta robusta. -</p> - -<p> -Dappertutto poi restavano distinti i costumi de’ principati -da quei delle repubbliche, in quelli i signori, in -queste apparendo i cittadini. Udiamo accagionare quei -borghesi, che idolo si facessero del denaro. È vera -<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span> -l’accusa? è ragionevole? Nell’età barbara e nella feudale -la ricchezza era mal distribuita in Italia, ma il clero -colla limosina, la feudalità col suo sminuzzamento prevennero -quella piaga, che oggi infistolisce col nome di -pauperismo. Crebbe poi e si diffuse la ricchezza; ma -se questa è cattiva allorchè (come avvenne nell’età romana) -provenuta da mezzi immorali, e, sparsa con disuguaglianza, -apre un abisso fra le varie classi, e perciò -aguzza le passioni sovversive, essa torna giovevole all’individuo -e alla società quando sia frutto di lavoro -onesto e di liberi contratti, e si spanda in tutte le -classi. -</p> - -<p> -Sta bene ai nostri tempi battaglieri e rivoluzionarj -lo sbertare i mercanti, e ripetere le ingiurie che Buonaparte -scaraventava all’Inghilterra: sta bene il rammentare -che, quando Marsiglio Carrara esulava a Firenze, -la Signoria lo dichiarò esente da ogni molestia -per debito, salvo che fosse verso Fiorentini. Ma il -mercante acquista prudenza, attività, energia per mettersi -in grado di accumulare il capitale; col creare -questo si ottiene l’agiatezza, la quale lascia campo alla -coltura dell’intelletto e dei costumi, ed elevando i salarj -fa progredire verso l’uguaglianza. Ricordiamoci che -erano mercanti Marco Polo, che primo ci descrisse -l’Asia centrale e il Giappone; il Fibonacci, che introduceva -le cifre arabiche; Giovan Villani, il migliore -cronista del nostro e forse d’ogni altro paese, il quale, -se non il fare ingenuo e pittoresco di Joinville e Froissart, -mostra però la scienza positiva e il fermo tocco di -chi maneggiò gli affari prima di raccontarli. Non sono -i mercanti fiorentini che vollero combattere i venturieri -quando i principi non sapeano che mercatarli? -</p> - -<p> -Quegli operosi commerci rivelano abbastanza un vivere -ben differente dalla convulsiva inazione de’ giorni -nostri, quando si cerca tutto fuorchè il modo di essere -<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span> -contento del proprio stato; non si oziava tanto sui -caffè; non si camuffava d’amor di patria la poltroneria -del non mutar cielo; non si logoravano la salute -e la ragione a fare e a leggere giornali e romanzi. -Lungi dal tenere disonorante il commercio, vi accudivano -in persona cittadini primarj. Archinti, D’Adda, -Castiglioni, Crivelli, Lampugnani, Melzi, Visconti, Vimercato -erano matricolati fra i mercanti di Milano; -«il padre di Antonio Giacomini (dice Machiavelli) fu -mandato a Pisa, a faccende di mercatare, nella quale -tutta la nobiltà di Firenze si esercita, come nella cosa -più utile e più reputata nella patria loro»; Cosmo, già -capo della Repubblica fiorentina, non interruppe gli -affari di banco, ne’ quali si esercitavano e Strozzi e -Pazzi e Guicciardini e Borromei e Rinuccini e Salviati. -Ne contraevano quelle abitudini casalinghe insieme e -forbite, che contrastavano colle fastose e rozze dell’aristocrazia -forestiera; e quest’agevolezza personale, questa -energica risoluzione, quest’operare sicuro, questa grazia -nativa davano all’Italiano grande superiorità sugli stranieri, -e in conseguenza lo facevano più ammirato che -amato, anzi temuto, la finezza parendo astuzia, la galanteria -corruzione, la franchezza dispregio. -</p> - -<p> -Lo spirito d’economia, lo sforzo delle classi industri -per migliorare la propria condizione, la frugalità nei -godimenti, bastavano a bilanciare le nobili profusioni -nelle arti e le folli nella guerra; e Smith le paragonava -a quella che i medici chiamano forza medicatrice della -natura, che spesso restaura l’infermo a malgrado del -male e delle medicine. Avrebbe Firenze potuto repulsare -tante nimicizie, e tanto abbellirsi, quando non -l’avessero soccorsa i cittadini che teneano fondi nei -magazzini di Venezia, di Parigi, d’Anversa, di Londra, -e sulle navi del Mediterraneo, dell’Eusino, dell’Oceano? -Nè mai ne erano avari per la libertà e pel decoro -<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span> -della patria. Reciprocamente il tesoro pubblico era -una specie di serbatojo per vantaggio di tutti: nel 1466 -gli argenti della Signoria di Firenze erano dati a prestanza -a Luigi di Piero Guicciardini e a Piero Capponi -perchè con maggior pompa potessero celebrare -nozze<a class="tag" id="tag204" href="#note204">[204]</a>. -</p> - -<p> -E in Firenze, fors’anche perchè maggiormente e -meglio ci è descritta, appajono consuetudini affatto borghesi. -La ristrettezza del territorio obbliga ad usufruttarlo -con ogni attenzione, e al lavoro de’ campi unire -l’industria; obbliga il proprietario a risparmiare e a -speculare. Quando altrove i nobili firmavano le carte -colla croce <i>non sapendo scrivere perchè baroni</i>, i Fiorentini -stendeano i processi verbali anche delle adunanze -delle arti e mestieri; mercanti e manufattori -rendeano i proprj pareri per iscritto. Dino Compagni -racconta che sulla venuta di Carlo di Valois fu richiesto -il parere dei settantadue mestieri, imponendo loro -«che ciascuno consigliasse per iscrittura se alla sua -arte piaceva che si lasciasse entrare a Firenze». Lo -statuto dei tesserandoli di seta a Lucca ordina che ogni -tessitore o tessitrice abbia un libro dove notare le tele -che avrà dai mercanti, per poterlo scontrare col libro -di questi. Lo statuto dell’arte di Calimala del 1332 -parla ogni tratto di scrivani, di registri, di rendiconto, -di bullettini. Chi può contenersi dalla maraviglia nel -vedere i Fiorentini, occupati in bottega a pesar lana e -misurar drappi, fare poi nel consiglio esperimento di -tutte le possibili forme di costituzione, porgere magistrati -insigni dentro, accortissimi ambasciadori fuori; -insieme colle balle di mercanzie richiedere manoscritti, -spacciare lettere al merciajuolo e ai maggiori dotti; sul -libro mastro, insieme coi crediti registrare la storia -<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span> -della patria o del mondo, introdurre la scrittura doppia, -le cifre arabiche, l’algebra, fondare la prima cattedra -di greco, la prima di latino, la prima di leggere Dante? -Segretarj della repubblica erano un Bartolomeo Scala, -un Carlo Marsuppini, un Coluccio Salutati, un Bonaventura -Munaci, ben presto un Nicolò Machiavelli. -</p> - -<p> -Qual prova maggiore di civiltà che i tanti scrittori? -Leggete il <i>Governo della famiglia</i>, e sentirete continuo -quell’alito dell’economia casalinga, che si briga delle -particolarità senza negligere le cose importanti, e risparmia -un soldo, ma non si arretra dallo spendere -le migliaja di fiorini. L’autore diceva a’ suoi figliuoli: — Tutto -l’anno accadono spese, cresce la gioventù, -apparecchiansi le doti; e volendo colla possessione soddisfare, -non basterebbe. E però è da intraprendere -qualche esercizio civile, utile, comodo a voi, atto ai -vostri, col quale guadagnando possiate supplire al bisogno. -Potrebb’essere la mercatura; ma per mio riposo -eleggerei cosa più certa, e mi darei più volentieri a -quegli esercizj, ne’ quali si adoprano molte mani, e nei -quali il denaro in molte persone si sparge, e a molti -bisognosi ne viene utilità. È officio del mercante avere -sempre la penna in mano; imperocchè indugiando lo -scrivere, le cose si dimenticano e invecchiano, e il fattore -ne prende ardire e licenza d’essere cattivo, vedendo -il superiore negligente. Niuna cosa tanto giova, niuna -fa tanto buoni fattori, quanto la provvidenza e sollecitudine -del principale: stolto è veramente colui il quale -non saprà favellare de’ fatti suoi se non per bocca -d’altri, e cieco colui il quale non vedrà se non pegli -occhi altrui... Le spese io le considero necessarie o no. -Chiamo volontarie quelle senza le quali si può onestamente -vivere, com’è avere bei libri, nobili corsieri, -argenterie, arazzi. Ora quel ch’è necessario, mi piace -subito averlo fatto, non fosse altro che per avermi -<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span> -scarico quel pensiere: epperò fo le spese necessarie -presto, e le volontarie con modo buono ed utile, ch’è -d’indugiare quando posso, per vedere se quella voglia -cessasse in quel mezzo, e non cessando, ho spazio di -meglio pensare in che modo spenda meno, e meglio -mi soddisfaccia». E con che senno virile, con che -bontà senza sdulcinature, con che superiorità senz’arroganza -non tratta egli la donna! — Il marito e la moglie -devono fare come quelli che fanno la guardia sulle mura -per la patria loro; se alcuno si addormenta, colui non -ha a male se il compagno lo desta. Così l’uomo deve -avere molto per bene se la donna, vedendo in lui mancamento, -ne lo avvisa. Quando io menai moglie, le dissi: -<i>Donna mia, sopratutto a me sarà a grado che tu -faccia tre cose: la prima, che qui in questo letto tu -non desideri altr’uomo che me solo;</i> ella arrossì ed -abbassò gli occhi: <i>la seconda, che abbi buona cura -della famiglia, e la tenga con onestà e pace; la terza, -che provveda che le cose famigliari non si trasferiscano -male</i>. E fui avvertente nel persuaderla di mostrarsi -ne’ suoi portamenti onesta, nè d’altra qualità o -colore che naturalmente ella si fosse: <i>La onestà della -madre, le dissi, sempre fa parte di dote alle figliuole; -piace una bella persona, ma un disonesto cenno subito -la rende vile e brutta. Donna mia, tu non hai -da piacere se non a me: pensa non poter piacermi -volendomi ingannare, mostrandomiti quella che tu -non fossi</i>. Tutte le mogli sono a’ mariti obbedienti -quando eglino sanno essere mariti. A me non piacque -mai sottomettermi alla donna mia; nè mi sarebbe paruto -potermi far da lei obbedire avendole dimostrato -d’esserle servo». -</p> - -<p> -V’era persone di buona casa che scriveano d’agricoltura -come il Vettori, o d’arti come il Neri, o del -vivere civile come il Palmieri; e chi sfogliasse i <i>Ricordi -<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span> -di cose famigliari, i Quaderni de’ conti</i>, i <i>Prioristi</i>, -come chiamavano una specie di mastro sul quale annotavano -i priori di quell’anno e insieme i principali -accadimenti, stupirebbe d’incontrare tanto estesa la -maturità del buon senso e l’acume del vedere. L’educazione -pubblica era compita dalla domestica, poichè -il babbo o la nonna insegnavano al figliuolo a leggere, -e il latino allora necessario, e gli affari e la storia del -paese; la servente vi aggiungeva i racconti di fate e di -ladri; tutto mescolato di proverbj, non senza grossolanità -e offese al costume. Faceasi musica a orecchia, col -flauto, il clarinetto, la mandòla accompagnando le canzoni -per istrada, o i rispetti e le ballate; spesso novellavasi, -e si ridiceano i proprj viaggi e quelli di Marco -Polo. -</p> - -<p> -Fin gente digiuna di lettere poetava, e nella barberia -di un tal Burchiello in Calimala convenivano fior di -cittadini a discorrere, celiare, improvvisare: ed egli fra -loro sempre in buon tempo e sulle burle, facea versi, -tutti riboboli popoleschi e idee or da trivio or da bordello, -ma che si rileggono per quella naturalezza, che -tanto scarsa incontrasi fra i nostri. Gli accoppieremo -Dino di Tura, anch’egli poeta alla carlona; e Antonio -Pucci campanaro, contemporaneo del Sacchetti, che -nel <i>Centiloquio</i> ridusse in terzine la storia del Villani, -ogni canto facendo di cento terzine, e acrostica la prima -lettera di ciascun canto. Alquanto più tardi il Lazzero -barbiere, bel capo e bizzarro, stendea componimenti di -scelto e pulito parlare. -</p> - -<p> -E questo è particolare ai Toscani, che, mentre tutt’altrove -non accade quasi menzione se non della vita signorile, -fra essi il notajo, il mercante hanno storia in -siffatti libri, a tacere anche qualche vita, estesa per -famigliare onoranza. Moltissime di quelle carte giacquero -dimentiche, molte furono edite, e ci porgono la -<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span> -più schietta dipintura del vivere domestico d’allora. Ed -erano talvolta opera di gente minuta, che si gloriava -del proprio mestiere, come altri farebbe del blasone. -Uno scrive: — Io ebbi un avolo, e fu maniscalco, e fu -tenuto il sommo della città sua; ebbe tre figliuoli. Cristofano -appresso il padre tenne il pregio della mascalcìa, -e avanzollo; mio padre avanzò Cristofano dell’arte in -sua vita; onde, volendo il padre che appresso sè uno -de’ figliuoli rimanesse all’arte, convenne a me lasciare -lo studio della grammatica, come piacque a lui, e venire -all’arte. Onde dinanzi a me furono di mia gente sei -l’un presso all’altro, ciascuno maniscalco; ed io fui il -settimo»<a class="tag" id="tag205" href="#note205">[205]</a>. -</p> - -<p> -Guido dell’Antella, cominciando dal 1298, scriveva -i casalinghi suoi ricordi, e come principiò a lavorare -sotto negozianti, e per essi stette in Provenza, in Francia, -a Napoli, in Acri, poi divenne loro socio, e tiene -nota delle varie scritte relative a’ negozj e ai possessi -suoi, o a’ matrimonj. I figliuoli continuano quelle note: -or che si mena moglie con fiorini settecentotrenta -d’oro, fra dote e doni; or che si compra una casa per -fiorini ducentodieci; or che si prende una fante per -fiorini sei l’anno, ovvero <i>una schiava</i> per lire trenta; -or una balia per fiorini sedici d’oro che stia in casa; -ovvero, se va fuori, le si dà cinquanta soldi il mese, e -per corredo una zana, un mantellino con sedici bottoni -a scodelline d’argento, un mantellino cilestro, una cioppolina -mischia, cinque pezze lane, cinque fascie, quattordici -pezze line, una coltricina, un guanciale con due -foderuzze. Se s’appigiona una bottega, s’aggiunge al -fitto un’oca grassa per l’ognissanti o per pasqua di Natale. -Nei poderi si trova già introdotta quella società -fra padroni e contadini che dicesi mezzeria, e che assicura -<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span> -al colono una protezione, e lo mette col padrone -in comunanza d’interessi, d’affetti, quasi di famiglia: -il padrone, oltre dare il fondo, si obbliga anticipare al -villano il denaro per comprare buoi. -</p> - -<p> -Galgano Guidini a ventotto mesi restò privo del padre, -il quale non gli lasciò che debiti; ma sua madre -per allevarlo non si rimaritò più. Il nonno lo tolse in -casa, e gl’insegnò a leggere e fin al Donato, poi lo -mandò imparar grammatica a Siena: egli ben presto -potè mettersi ripetitore, e infine passò notaro. Morto -il nonno che aveva fatto un poco d’usura, sua madre -fece restituzione. Galgano andò in qualità di notaro coi -varj uffizj, e cominciò a guadagnare, far masserizia e -comprare. Introdotto presso la beata Caterina, s’infervorò -di lei e di Dio, sicchè voleva abbandonare il -mondo, se sua madre non si fosse adoperata per fargli -invece menar moglie. A Caterina viva e morta conservò -sempre devozione, la richiedeva di consigli, tradusse -in latino le opere che ella scriveva in italiano, perchè -«chi sa grammatica o ha scienza, non legge tanto volentieri -le cose che sono per vulgare». Ebbe molti figli, -e «al primo (dice) posi nome Francesco, a riverenza -di san Francesco mio devoto; e posimi in cuore che, -a onore di san Francesco, io il farei frate dell’Ordine -suo. E così voglio che sia». De’ figliuoli, i più dette a -balia, alcuni la moglie <i>tenne a suo petto</i><a class="tag" id="tag206" href="#note206">[206]</a>. -</p> - -<p> -Di bizzarre avventure ci è narratore Bonaccorso Pitti, -destro quanto un cavaliere di ventura del secolo passato. -Ito in Prussia il 1376 a vendere zafferano, passò -a Buda, ove s’infermò in un’osteria. Ed ecco una brigata -di beoni che straviziavano e ballonzavano in un salotto -vicino, ne odono il piagnucolìo, e lo tolgono dalla coltrice, -e l’obbligano a ballare con loro; di che egli suda -<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span> -in modo che guarisce. Due giorni dopo giocando guadagna -mille fiorini a un Fiorentino direttore della regia -zecca, e procacciatisi sei cavalli, quattro servi, un paggetto, -rivolgesi alla patria coll’avanzo di cento fiorini. -Ivi prende capriccio per madonna Gemma, che stava a -porta Pinti, e tanto fa che può entrarle in casa, e dirle -l’amor suo; al che ella risponde, — Or bene, va difilato -a Roma». Credendo darle prova d’amore coll’obbedienza, -e’ va di fatto, traverso ai soldati papalini allora -in guerra con Firenze, e dopo un mese ritorna sperando -guiderdone. Ma la donna ridendo, — Non sai -(gli dice) che a porta Pinti, quando vuolsi mandare uno -colla malora, gli diciamo, <i>Va difilato a Roma?</i>» -</p> - -<p> -Militò col re di Francia alle battaglie d’Ypres e di -Mons: arricchitosi in Inghilterra, riede a Parigi, e v’impiega -diecimila fiorini in lana; ne guadagna al giuoco -cinquemila al conte di Savoja, che non glieli pagò mai; -e sposata una Albizzi nel 91, spedisce le sue lane da -Parigi in due bastimenti, un per Genova pagando il -nove per cento d’assicurazione, l’altro per Pisa pagandone -il quattordici. Tornò a Parigi come mastro delle -stalle del duca d’Orléans, e seppe ripicchiare le valenterie -de’ baroni francesi. Fu de’ priori in Firenze nel 99, -quando vagavano le processioni de’ Flagellanti. L’anno -seguente fu spedito ambasciadore del Comune fiorentino -all’imperatore Roberto, cui mise in guardia contro Galeazzo -Visconti, e contro i pugnali e veleni che questo -sapeva adoperare; di che Galeazzo gli volle tanto male, -che bandì una taglia sul capo di esso. Era de’ consoli -sopra la fabbrica di Santa Maria del Fiore, quando fu -affidato a Brunelleschi il voltarne la cupola. Nel 1422 -fece pubblica perdonanza d’ogni ingiuria ai nemici, -e specialmente ai Ruscoli, promettendo essi e lor discendenti -trattarsi da amici. Nel 23, stando capitano a -Castellaro in Romagna, scopre una congiura, e fa decapitare -<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span> -sette complici. Così prosegue il racconto, intarsiando -i fatti pubblici co’ suoi personali, avvenimenti -europei coi computi mercantili. -</p> - -<p> -Girolamo da Empoli scriveva la vita di Giovanni suo -zio, mercante come lui e figlio di mercanti. A sette -anni già leggeva il salterio, a tredici sapeva il latino e -un po’ di greco, e suo padre gli facea ripetere le lezioni, -e gli avea formato un libriccino dov’erano ritratte -molte cose della sacra scrittura, e «su quello lo faceva -studiare acciò ch’egli avesse notizia e che s’innamorasse -delle cose di Dio». Il dì delle feste andava sempre ad -una delle compagnie devote che aveva istituite frà Savonarola. -Tirato al banco di suo padre, cambiò monete, -delle quali assai forestiere conobbe in occasione che -mezzo mondo andava al giubileo del 1500: uscì poi -per mettersi ne’ negozj di Fiorentini a Lione, a Bruges -a Lisbona, e fu inviato da essi a Calicut pel passaggio -di mare frescamente scoperto. Quel viaggio ripetè egli -tre volte, e ne mandava ragguagli a suo padre; e -quando rivedea la patria, si divertiva con quei che -sapevano di mappamondo ad indicarne i luoghi, e applicare -i nomi de’ paesi veduti. Più volte tornò a Malacca -e fin nella Cina, e morì a Canton il 1518. -</p> - -<p> -Sebbene finto per commedia, pure vedo il tipo dei -massaj fiorentini nel Nicomaco atteggiato nella <i>Clizia</i> -dal Machiavelli. — Soleva essere un uomo grave, risoluto, -rispettivo; dispensava il tempo suo onorevolmente. -E’ si levava la mattina di buon’ora, udiva la sua messa, -provvedeva al vitto del giorno. Dipoi, se egli aveva faccenda -in piazza, in mercato, a’ magistrati, e’ la faceva; -quando che no, o e’ si riduceva con qualche cittadino -tra ragionamenti onorevoli, o e’ si ritirava in casa nello -scrittojo, dove egli ragguagliava sue scritture, riordinava -suoi conti. Dipoi piacevolmente colla sua brigata -desinava, e desinato, ragionava con il figliuolo, ammonivalo, -<span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span> -davagli a conoscere gli uomini, e con qualche -esempio antico e moderno gl’insegnava a vivere. Andava -dipoi fuora, consumava tutto il giorno o in faccende -o in diporti gravi ed onesti. Venuta la sera, -sempre l’avemaria lo trovava in casa; stavasi un poco -con esso noi al fuoco, s’egli era d’inverno; di poi se -n’entrava nello scrittojo a rivedere le faccende sue: -alle tre ore si cenava allegramente. Questo ordine della -sua vita era un esempio a tutti gli altri di casa, e -ciascuno si vergognava non lo imitare». -</p> - -<p> -Nella portata dei beni che presentava il 1378, messer -Francesco Rinuccini fa una lunghissima enumerazione -di possessi e case: inoltre doveva avere dal Comune -fiorini d’oro quattordicimila cinquecensettantaquattro, -che sarebbero oggi più di trentottomila scudi; da varj -privati duemila cinquecento; e morendo egli testò per -cencinquantamila fiorini d’oro in contanti. Una famiglia -così doviziosa componeasi del padre, sei figli maschi, -una femmina, tre nuore, quattro figli de’ figli, quattro -famigli, due fanti per conciare i cavalli, due fantesche, -una balia, una cameriera, un ortolano colla moglie e -un figliuolo, e otto cavalli. -</p> - -<p> -Nel 1460 Cino di Filippo Rinuccini sposava Ginevra -d’Ugolino di Nicolò Martelli, d’anni sedici, ricevendo -in dote mille quattrocento fiorini d’oro, mille dei quali -stavano sul Monte delle fanciulle, con altri ducento -d’interesse, oltre le donora di fiorini ducento. Esso -le regalò un vezzo di centotto perle, sei nel pendente, un -rubino in tavola, un frenello di dugensessantuna perla, -che si chiamava vespajo, da mettere in capo, il tutto -in un astuccio di cuojo di Fiandra. Un’altra volta le -portò venti perle da fare fruscoli per il capo, che -eran once tre, e costarono fiorini dieci l’oncia; e in -più volte gliene portò altre assai. Prese egli poi ad uso -per sei mesi una collana d’oro con perle e rubini, -<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span> -per cui diede sicurtà di fiorini duecento. Regalò pure -alla sposa un fermaglio da testa, un pajo di coltellini -col manico d’argento dorato e smaltato alla parigina, -un dirizzatojo d’argento colla guaina pur fornita d’argento. -Al desinare di nozze furono trenta convitati, e -la sposa ebbe in dono otto anelli con gioje che in -tutto poteano valere cinquanta fiorini d’oro. Non manca -neppur la nota delle donora recate dalla Ginevra<a class="tag" id="tag207" href="#note207">[207]</a>. -</p> - -<p> -Con tali reggimenti, e col tenersi unite, le famiglie -aumentavano di ricchezze, e di queste faceano comodità -alla patria, o fabbricavano palazzi che poi divennero -residenze di principi. Largheggiavasi pure assai -nelle beneficenze, e alla distribuzione d’una limosina a -Firenze nel 1330 si presentarono diciottomila mendichi -«senza i poveri vergognosi e quelli degli spedali e religiosi -mendicanti, che in disparte ebbero la loro parte -di limosina, che furono più di quattromila»<a class="tag" id="tag208" href="#note208">[208]</a>. Sarà -incredibile tanta quantità a chi non rammenti certe -<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span> -distribuzioni che oggi ancora si fanno tra noi per antico -istituto, dove non il pitocco soltanto si presenta, -ma tutti. -</p> - -<p> -D’altra parte in Firenze stessa troviamo una gioventù -scapestrata, sciupona, disonesta, che logora la vita a -bere e stripare, e mena a burle e strapazzo chi più ama -la quiete. Alcuni s’erano messi insieme per molestare -le persone tranquille; andarono da un medico fingendo -che Cosmo de’ Medici lo chiedesse, e come fu a un -ponte, lo snudarono e gli fecero sconcezze. A un prete -collo stesso titolo fecero portare il viatico, accompagnandolo -colle torce, poi spentele, il lasciarono al bujo. -Il cavaliere del podestà fu preso da costoro, e tuffato -in Arno, e legato nudo a una colonna, ove la mattina -fu trovato<a class="tag" id="tag209" href="#note209">[209]</a>. Chi troppe più volesse sudicerie e -frodi, non ha che a scorrere la seconda storia di Giovan -Cavalcanti, che prologa dall’inveire contro «la -perversa condizione, la insaziabile avarizia e la fastidiosa -audacia de’ malvagi cittadini». -</p> - -<p> -Vero è che ciò avveniva quando la repubblica soffogava -sotto l’incubo principesco; ma conviene conchiudere -che in ogni tempo fu nugolo e sereno. Nè sobrj -e pudichi erano i costumi di altre repubbliche; e Venezia, -se non osiamo dire che fomentasse, tollerava la -corruttela, tanto appiccaticcia in paese di estesi traffici -e di accorrenti forestieri: per allettare questi si moltiplicavano -le feste, e la maschera porgeva incentivo agli -intrighi. Gli storici di Genova deplorano il lusso delle -case, tutte a vasi d’argento e d’oro, e delle suntuose -villeggiature nelle valli di Polcévera e di Bisagno. Un -poeta astigiano, capitatovi verso il 1415, entrando di -domenica rimase stupito del pubblico passeggio, le -persone di qualità gli somigliarono tanti senatori -<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span> -romani in porpora, le donne tante Veneri col cinto dei -vezzi: si scandolezzò d’alcune zitelle che stavano galantemente -ai balconi delle case, motteggiando chi -passava, presenti le madri. D’inverno e di primavera -balli continui, e sin le fornaje vi portavano scarpe di -seta guarnite a perle. L’estate uscivano tutti alla campagna, -non ritenuti nè da impieghi nè da negozj; ma -al fresco orezzo, alla serenità marina davansi all’ozio -e alla gola. Anche i poveri volevano scialare i dì festivi; -accattavan dal rigattiere un abito vecchio di seta, e per -le colline dell’intorno sbevazzavano le limosine raccolte -e le mercedi<a class="tag" id="tag210" href="#note210">[210]</a>. Il Comune di Torino nel 1436 appigionava -una casa a un Ginevrino per tenervi postribolo, -esente da alloggi e servizio militare e dalla tassa pel -vino che vendeva: le donne non uscissero senza licenza -di lui, e non fosse aperto che a sportello: esse doveano -portare per distintivo un’aguglietta sulla spalla sinistra, -e tutti i giorni andare a messa in San Dalmazzo<a class="tag" id="tag211" href="#note211">[211]</a>. -</p> - -<p> -Di rozzi sentimenti, vale a dire senza rispetto alla -dignità dell’uomo, ci sono prova i feroci supplizj, consueti -siccome sa chi appena scorse una storia o cronaca -qualunque. Nei registri della Camera dei conti di Torino -è notato che Giovanni Gujoto falsomonetiere fu -tenuto in cattura per ventun giorno, poi bollito e -morto: e pel nolo della caldaja, il ferro posto attraverso -di essa per legarlo, le corde, l’olio, la legna, il -carbone, gli si dà debito. Filippo di Vigneulles, che -dimorò a Napoli nel 1487, vi vide bruciare uno per -delitto contro natura; mozzar le mani a un altro che -avea battuto un sergente; impiccato uno per aver tagliato -monete; tre impiccati e arsi per moneta falsa, i -quali sarebbero stati cotti nell’olio se non fossero intervenute -<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span> -preghiere istantissime<a class="tag" id="tag212" href="#note212">[212]</a>. Se pigliamo una delle -cronache più modernamente pubblicate, quella del Graziani, -in solo poche carte troviamo che nel 1441 a Perugia -ad un tal Luca per istromento falso venne ficcato -nella lingua un uncinetto di ferro, legato a uno spago -in modo che dovesse tenerla sporgente; e così sopra -una carretta colla mitera in capo fu condotto al luogo -dell’esecuzione: la lingua che già gli si era stracciata, -ivi gli fu mozza, e così le mani, e i moncherini gli -vennero stretti fra due carrucole; una mano fu affissa -sulla porta del palazzo, l’altra e la lingua sotto una gran -pietra del chiostro di San Lorenzo. L’anno seguente, -uno che aveva morto un suo compagno con un’accetta, -poi gettatolo nel Tevere con una pietra al collo, fu menato -al supplizio con al collo la pietra stessa; poi tre -manigoldi col cappuccio in capo, uno gli diè tre colpi -in fronte coll’accetta, l’altro gli segò le vene della gola, -il terzo lo sparò e cavogli le interiora; poi squartato fu -sospeso in quattro luoghi. -</p> - -<p> -E poichè siamo con Perugia, aggiungeremo come il -suo statuto del 1342 punisce il fatucchiere col fuoco, se -non paga quattrocento lire fra dieci giorni: di fatto nel -1445 una Santuccia, <i>indovina e faturaja</i>, vi fu arsa, -menandola al supplizio sopra un asino colla faccia volta -alla groppa, e con due demonj a lato che le tenevano -una mitera in capo<a class="tag" id="tag213" href="#note213">[213]</a>. A Firenze nel 1436 -Angiola da Runci fu mandata a morte perchè maliarda, -con cappelli di morti in capo, e borsa e moneta e -molti brevi (<span class="smcap">Cambi</span>). Credevasi che gli eretici usassero -arti diaboliche: essi allevare e creare serpenti, essi -eccitar procelle, essi a cavalcione della scopa recarsi ai -sabati, ove godeano banchetti e abbracciamenti col -<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span> -diavolo chiamato Martino. Eugenio IV, in una bolla data -da Firenze il 10 aprile 1439 contro i padri del concilio -di Basilea, scagliasi pure contro i Valdesi e gli stregoni -che infestavano le provincie di Amedeo VIII di Savoja: -e sappiamo che molti processi furono seguiti da sanguinose -condanne ne’ paesi montani, della Svizzera -principalmente, e in Francia. Avea dunque riacquistato -fede, e non solo vulgare, ma legale questa pagana follia -del gettare incanti, la quale giganteggiò poi miserabilmente -nel secolo xvi. -</p> - -<p> -Gli alchimisti continuavano i loro sperimenti di tramutazione, -e nel 1330 Pietro il Buono ferrarese compose -a Pola la <i>Margarita pretiosa</i>, combattendo l’alchimia -non con fatti ma con argomentazioni, siccome allora -si usava. «Nessuna sostanza (dic’egli) può essere tramutata -in altra specie se non sia prima ridotta ne’ suoi -elementi: ma l’alchimia è scienza positiva. Berigardo -da Pisa racconta che la tramutazione non credeva possibile, -fintantochè un valentuomo non gli diede un grosso -di polvere simile a quella del papavero selvatico, e dell’odore -di sal marino calcinato. «Comprai io stesso il -crogiuolo, il carbone, il mercurio in botteghe diverse, -per impedire che in alcuno si fosse messo dell’oro, -come si pratica da’ ciarlatani. Sopra dieci grossi di -mercurio aggiunsi una presa di polvere; esposi tutto a -fuoco assai vivo; e in breve la massa si trovò convertita -in quasi dieci grossi d’oro, riconosciuto purissimo da -diversi orefici. Se ciò non mi fosse accaduto fuor della -presenza di qualunque estrano, dubiterei di frode: ma -posso attestare con asseveranza che la cosa è così»<a class="tag" id="tag214" href="#note214">[214]</a>. -</p> - -<p> -Più estesa credenza otteneva l’astrologia, poichè la -smania di conoscere l’occulto è più vigorosa quanto è -men suscettivo di precisione l’oggetto cui si dirige, e il -<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span> -campo del meraviglioso è più largo quanto più angusto -quel della scienza. Troppi esempj ne vedemmo, e da -essa faceano dipendere i loro consigli Filippo Maria -non meno che la colta Firenze o la savia Venezia; le -Università ne teneano cattedre. Cecco Stabili d’Ascoli -ancora giovane professò astrologia in Bologna, e in un -commento sopra la sfera di Giovanni di Sacrobosco -pose che nelle sfere superiori v’ha generazioni di spiriti -maligni, i quali per incantesimi si possono costringere -a opere meravigliose: queste ed altre follie lo fecero -sospetto all’Inquisizione, che lo mandò al rogo<a class="tag" id="tag215" href="#note215">[215]</a>. -Il Petrarca recitava nel duomo di Milano l’orazione -inaugurale dei nipoti di Giovanni Visconti, quando l’astrologo -gliela interruppe, perchè avea scoperto essere -quello il punto della più benigna congiunzione dei pianeti. -Per osservazione di astri fondaronsi nel 1470 il -castello di Pesaro, nel 92 i bastioni di Ferrara, nel 99 -la rôcca della Mirandola: nel 94 i Fiorentini conferirono -il bastone di capitano generale a Paolo Vitelli nell’ora -designata propizia dalle stelle. -</p> - -<p> -Giovan Villani, mercadante positivo e di buon senso, -a cui il maneggiare il braccio e le bilance non toglieva -d’adoprarsi ne’ primarj uffizj della patria, vedendo la -grandezza di Castruccio signor di Lucca minacciare di -servitù l’intera Toscana, ne scrisse a frà Dionisio da -San Sepolcro, maestro a Parigi <i>in divinitade e filosofia</i>, -per sapere cosa gliene preconizzassero gli astri. E quello -gli rispose: — Io vedo Castruccio morto». Arrivò la -<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span> -risposta quando Castruccio era nel più vivo della vittoria, -onde il Villani la tenne celata, e ne rescrisse al frate; -il quale rispose: — Io raffermerò ciò che io scrissi per -l’altra lettera. Se Dio non ha mutato il suo giudizio e il -corso del cielo, io veggo Castruccio morto e sotterrato». -E quando la seconda lettera capitò a Firenze, Castruccio -appunto era cadavere; e il Villani la mostrò a’ priori -suoi compagni, i quali «convennero che di tutte le sue -parti il giudicio di maestro Dionisio fu profezia». Questo -frate fu in molta grazia a Roberto re di Napoli, che lo -pose vescovo di Monopoli; e in molta stima al Petrarca, -che morto lo pianse in versi, lodandogli sovratutto la -sapienza del leggere negli astri<a class="tag" id="tag216" href="#note216">[216]</a>: il Petrarca, che -pur berteggiava i medici e la medecina. -</p> - -<p> -Del suo tempo, un incessante piovale ingrossò le acque -dell’Arno per modo, che coprì tutto il Casentino, il pian -d’Arezzo, il Valdarno superiore e le campagne attorno -a Firenze, e la città stessa credette arrivato l’ultimo suo -giorno. Cessato il flagello, i savj posero in disputa se -fosse venuto per giudizio di Dio o colpa degli uomini; -e il Villani prendendo l’opinione media, che è sempre -la più cauta e non di rado la vera, crede «che il -corso del sole s’accordasse in ciò a punire i peccati dei -Fiorentini». E soggiunge: — La notte che cominciò il -detto diluvio, uno santo romito nel suo solitario romitorio -di sopra alla badia di Vallombrosa istando in orazione, -sentì e visibilmente udì uno fracasso di demonj -e di sembianza di schiere di cavalieri armati, che cavalcassero -a furore. E ciò sentendo il detto romito, si fece -il segno della santa croce, e fecesi al suo sportello, e -vide la moltitudine de’ detti cavalieri terribili e neri; e -<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span> -scongiurando alcuno dalla parte di Dio che gli dicesse -che ciò significava, e’ gli disse: <i>Noi andiamo a sommergere -la città di Firenze per li loro peccati, se Iddio -il concederà</i>. E questo io autore ebbi dall’abate di -Vallombrosa, uomo religioso e degno di fede, che disaminando -l’ebbe dal detto romito»<a class="tag" id="tag217" href="#note217">[217]</a>. I Fiorentini -riconoscendo il giudizio di Dio, pensarono a migliorarsi, -lasciando i mali guadagni, l’avarizia, la vanità, -i soprusi fatti ai vicini: e conseguenza buona veniva da -una cattiva premessa. -</p> - -<p> -Forse per ciò gli ecclesiastici parvero talora consentire -a simili ubbìe, ma le più volte li troviamo rappresentare -il buon senso; e il famoso frà Giovanni da Schio -disapprovava gli strologamenti, e frà Giordano da Rivalta -sulla piazza di Santa Maria Novella a Firenze -predicò contro chi prestava fede agli influssi delle -stelle<a class="tag" id="tag218" href="#note218">[218]</a>. Famoso in questi errori fu Pietro d’Abano, -il quale dalla congiunzione de’ pianeti deduceva il cambiar -di regni, di leggi, di religioni, e le venute di -Nabucco, Mosè, Alessandro Magno, del Nazareno, di -Maometto<a class="tag" id="tag219" href="#note219">[219]</a>. Il Landino commentando Dante scriveva: — È -certo che nel 1483 a’ 25 novembre avrà -luogo la congiunzione di saturno con giove in scorpione, -<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span> -lo che annunzia cambiamento di religione; e poichè -giove prevale a saturno, il cambiamento sarà in meglio». -Per istrana coincidenza, Lutero nacque il 22 di quel -novembre. Quando Pico della Mirandola combattè -l’astrologia, ne venne scandalo, e Luca Bellanti famoso -astronomo tolse a confutarlo, deplorando che un nome -sì illustre fosse deturpato col pubblicare quell’opera; -e allorchè questi morì giovane come gli aveano predetto, -si volle vedervi un castigo alla sua incredulità. -</p> - -<p> -Nuovo malanno fu nel 1322 l’arrivo degli Zingari, -gente indiana, che diceva provenir dall’Egitto, e sotto -un duca passava di terra in terra mendicando, rubando, -dicendo la ventura, e professando volersi recare ai piedi -del papa, al quale del resto non credeva meglio che a -chicchessia altro, intendendo solo a guadagni, comunque -turpi ne fossero i modi. «A dì 18 di luglio venne -in Bologna un duca d’Egitto, il quale avea nome il duca -Andrea; e venne con donne e putti e uomini del suo -paese; e poteano essere ben cento persone... Aveano -un decreto del re d’Ungheria ch’era imperadore, per -vigor di cui essi poteano rubare per tutti quei sette anni -per tutto dove andassero, e che non potesse esser fatta -loro giustizia. Sicchè quando arrivarono a Bologna, -alloggiarono alla porta di Galliera dentro e di fuori; e -dormivano sotto i portici, salvo che il duca alloggiava -nell’albergo del re. Stettero in Bologna quindici giorni. -In quel tempo molta gente andava a vederli per rispetto -della moglie del duca, che sapeva indovinare e dir quello -che una persona dovea avere in sua vita, ed anche quello -che avea al presente, e quanti figliuoli, e se una femina -era cattiva o buona, o altre cose. Di cose assai diceva -il vero... Pochi vi andavano che loro non rubassero la -borsa, o non tagliassero il tessuto alle femine. Anche -andavano le femine loro per la città a sei e a otto insieme; -entravano nelle case de’ cittadini, e davano loro -<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span> -ciancie; alcune di quelle si ficcava sotto quello che -poteva avere. Anche andavano nelle botteghe, mostrando -di voler comperare alcuna cosa, e una di loro -rubava...»<a class="tag" id="tag220" href="#note220">[220]</a>. -</p> - -<p> -Più si ampliavano i principati e più il lusso; e la -calata di Federico III, non accompagnato da armi, diede -occasione a grandiose feste, volendo i signorotti far -dimenticare le recenti usurpazioni collo sfoggiare suntuosità -e regali. Re Alfonso di Sicilia spese in onorarlo -cencinquantamila fiorini, diede una caccia numerosissima, -un desinare che mai il simile, dove vivande più -costose che delicate mangiavansi in piatti d’argento, -confetti d’ogni specie si gettavano, le fontane zampillavano -di greco e moscatello, e ognuno potea berne in -tazze d’argento<a class="tag" id="tag221" href="#note221">[221]</a>. Federico ricambiava col profondere -titoli, de’ quali d’allora in poi si fece bottega; e -più dacchè egli concesse ad altri il diritto di conferirne. -Altrettanto fece Renato a Napoli; e questi nuovi -titolati amarono lo sfarzo, e credettero dignità il sottrarsi -agli uffizj, vivere nell’ozio decorato, far frasche, -e stare sul punto del convenevole. -</p> - -<p> -Galeazzo Maria Sforza, appena succeduto duca, di sue -ricchezze volle dare spettacolo recandosi a Firenze con -Bona di Savoja sua moglie. «Seco avea i principali -suoi feudatarj e consiglieri, tutti dal liberalissimo duca -presentati di panno d’oro e d’argento; i famigli loro -oltramodo a nuove foggie erano in ordine. I cortigiani, -provvigionati dal principe, erano vestiti di velluto ed -altri finissimi drappi di seta, e similmente i suoi camerieri -con risplendenti ricami; e tra questi glie n’era -quaranta, ai quali avea donato una collana d’oro, e -quella di manco prezzo era di valore di cento ducati. -<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span> -Cinquanta staffieri avea, tutti vestiti con due foggie, -l’una di panno d’argento, e l’altra di seta; e infino ai -servitori di cucina erano vestiti a diversi velluti e rasi. -Cinquanta corsieri faceva condurre seco con le selle di -panno d’oro, staffili tessuti di seta e le staffe dorate; e -sopra i possenti cavalli erano puliti ragazzi; tutti vestiti -con giuppon di panno d’argento, ed una giornea di seta -alla sforzesca. Per la guardia di sua eccellenza avea -cento uomini d’arme scelti, tutti a modo di capitani in -ordine, e cinquecento fanti eletti; ed ognuno dal principe -era stato presentato. Per la duchessa avea deputato -cinquanta chinee, e tutte con le sue selle e fornimenti -d’oro e d’argento, sopra i suoi paggi riccamente vestiti; -dodici carrette avea, e tutte con le coperte di panno -d’oro e d’argento recamate alle ducali insegne. I materassi -dentro e piumacci erano di panno d’oro liccio -sopra liccio, alcuni d’argento, ed altri di raso cremisino, -e fino a’ fornimenti di cavalli erano coperti di seta. Fu -questa comitiva di duemila cavalli e ducento muli da -carriaggio, tutti ad una foggia, di coperta ch’era di -damasco bianco e morello, ed il ducale in mezzo recamato -di fino oro ed argento, ed i mulattieri vestiti di -nuovo alla sforzesca. Dietro ancora si faceva condurre -il duca cinquecento coppie di cani di diverse maniere, -e grandissimo numero di falconi e sparvieri. I trombetti -e i pifferi furono quaranta, molti buffoni avea, ed -altri con diversi strumenti a sonare. Si trova questo apparato -solo essere costato ducentomila ducati» (Corio). -</p> - -<p> -Giunti a Pontremoli, presero alloggio nella fortezza -per onorare l’immagine di Maria Annunziata, che poco -avanti era stata posta in venerazione<a class="tag" id="tag222" href="#note222">[222]</a>. A Firenze -i Medici non vollero restare di sotto, e poterono aggiungervi -finezza di belle arti; la città mantenne del -<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span> -pubblico quel corteggio, e offrì tre rappresentazioni -sacre, l’Annunziazione in San Felice, l’Ascensione ne’ Carmelitani, -la discesa del Paracleto in Santo Spirito, che -infelicemente prese fuoco. Ai buoni dolse che quella -comparsa introducesse un lusso fra loro inusato; e -certo la splendidezza dovette trascendere ogni misura -quando vi mettean gara lo Sforza, il magnifico Lorenzo, -Sisto IV e i suoi nipoti Pietro e Gerolamo Riario. Borso -d’Este pregiavasi di possedere i migliori falconi, i più -bravi cani, i più pregiati destrieri; da settecento cavalli -avea nelle scuderie, da cento falconieri; e andando -a caccia, tutta la presa lasciava a chi l’accompagnasse. -Tenea molti buffoni, tra cui uno Scopola ebreo ricreduto, -e fors’anche il Gonnella glorioso matto, rimasto -in popolare nominanza come il Meliolo, e più tardi frà -Mariano e frà Serafino alla corte d’Urbino. -</p> - -<p> -Gran lusso sfoggiavasi pure nelle ambascerie; e -quando Luigi XI succedette re di Francia, e tutta Italia -mandò a congratularlo, per Firenze v’andò Pietro dei -Pazzi, con una suntuosità che mai la maggiore di vesti, -gioje, famigli, ragazzi, cavalli, tanto che si volle girasse -per la città affinchè il popolo godesse di quella pompa -senza eguale. Alla corte «mutava ogni dì una vesta o -due, e tutte ricchissime, e il simile la famiglia sua ed -i giovani ch’eran con lui... Donò sì per la comunità, -come di sua proprietà, a tutti quelli della corte del re -in modo, che non vi fu niuno ambasciadore che facesse -quello che fece Piero». Nel ritorno «gli vennero incontro -tutti gli uomini di condizione; tutte le strade e -finestre erano piene. Entrò colla famiglia sua, tutta -vestita di nuovo ornatissimamente, in cioppe di seta, -e con perle alle maniche ed al cappello di grandissima -valuta»<a class="tag" id="tag223" href="#note223">[223]</a>. Costui andava da Firenze alla sua villa a -<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span> -piedi, tra via mettendosi a mente la Eneide, i Trionfi -del Petrarca, e molte orazioni di Livio. -</p> - -<p> -Allorchè Gian Galeazzo menò moglie Isabella d’Aragona, -un Bergonzo Botta ricevette gli sposi a Tortona -in magnifici appartamenti, e li servì d’un pasto in luogo -ameno, fra dolce armonia, durante il quale comparvero -atteggiando e figurando Giasone col vello d’oro, Apollo -pastore, Diana cacciatrice, Orfeo cantante, Atalanta col -cinghiale caledonio, Iride, Teseo, Vertunno, quante ha -insomma divinità la mitologia, ognuno offrendo doni -da par suo. Ebe versava nettare e ambrosia; Apicio -distribuiva salse sulle vivande; il Po, l’Adda, il Ticino -acque mellificate; il Verbano e il Lario abbondanza di -cibi. Levate poi le tavole, rappresentossi uno spettacolo -di personaggi storici ed allegorici: Semiramide, Elena, -Medea, Cleopatra cantavano i loro vanti vergognosi; -ed erano messe in isbaratto dalla Fede conjugale, che -introduceva Lucrezia, Penelope, Giuditta, Porzia, Sulpicia -a celebrare la modestia e il pudore. Infine Sileno -ubriaco divertì col suo barcollare e cogli stramazzi<a class="tag" id="tag224" href="#note224">[224]</a>. -In Milano poi Leonardo da Vinci diresse le feste e formò -una macchina figurante il cielo con tutti i pianeti, rappresentati -da numi che aggiravansi secondo le leggi -loro; e in ciascuno risedeva un musico, il quale cantava -le lodi degli sposi. -</p> - -<p> -Nel 1473, passando Eleonora d’Aragona per Roma -col concorso di più di quarantamila cavalli, il cardinale -Riario diede feste solennissime, coperta d’arazzi la -piazza de’ Santi Apostoli, con tre sale d’indicibile splendidezza, -e quattordici camere tappezzate una più riccamente -dell’altra, con letti di raso, di damasco, di panno -d’oro, e lenzuoli di tela rensa d’un solo pezzo, e pelliccie. -«A volere scrivere della magnificenza di questo -<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span> -inclito monsignor San Sisto (esclama il Corio) troppo -sarebbe lungo, e non frate, ma parea figliuolo di Cesare -primo imperatore: qui tutto mi perdo, nè sapria, -non che dire, ma, pur anche memorare una minima -parte». Le tavole erano servite tutte in argento, nè -verun piatto mai si portò via dalla credenza; le vivande -figuravano bestie e storie. Vi fece da’ Fiorentini rappresentare -la Susanna «coi più veri atti e più attentamente -che si potesse stimare»; poi ne’ giorni seguenti -san Giovanbattista, san Giacomo, Cristo che vuota il -limbo; e più spettacoloso il tributo che tutto il mondo -portava a Roma, ove difilaronsi settanta muli carichi, -copertati di panno con l’arma<a class="tag" id="tag225" href="#note225">[225]</a>. -</p> - -<p> -Di molti di siffatti spettacoli (Cap. <span class="smcap lowercase">XCVIII</span>) abbiamo -lo scritto, o vogliam dire una tessera, come quella a -un bel circa che si costumava testè nelle commedie a -soggetto. Nell’adorazione de’ Magi avevano personaggio -il bambino Gesù, un angelo, i tre re, Erode, suo figlio, -uno scudiere, un coro d’angeli, e pastori, oratori o -interpreti, scribi, donne, levatrici, popolo e un cantore -col suo coro. Nel mistero della Risurrezione figuravano -Cristo, or sotto apparenza di giardiniere, or nella sua -propria, due angeli, tre Marie, Pietro, Giovanni, apostoli -e popoli: e prima atteggiavano tre monache vestite da -Marie, dicendo piano e mestamente certe strofe alternative, -che sono imprecazioni contro gli Ebrei<a class="tag" id="tag226" href="#note226">[226]</a>; -entrate nel coro, dirigevansi alla tomba; un angelo sustante -innanzi al sepolcro, in veste dorata, con mitra -in capo, nella mano sinistra una palma, nella destra -un candeliere col clero, dicea versi rimati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span> -</p> - -<p> -Facilmente riconoscete in ciò le origini del teatro. -Benchè questo fosse ito a fondo colla coltura romana, -pure non si cessò affatto di scrivere a modo di rappresentazioni; -e l’erudita pazienza trasse fuori alcune -composizioni di forma e talora anche di soggetto antico<a class="tag" id="tag227" href="#note227">[227]</a>, -e massime dialoghi a modo delle Bucoliche -di Virgilio, da leggersi e forse atteggiarsi alle mense -singolarmente de’ vescovi, e drammi per eccitare la -devozione o alleviare la noja de’ chiostri. Ma se la -musa tragica latina ne’ suoi splendidi giorni nulla avea -prodotto di duraturo, poteva sperarsene allora? In -effetto sono rozze vesti all’antica, raffazzonate a concetti -nuovi, e che basta l’avere accennato. Comparvero -poi i trovadori, che nelle sale dei grandi rappresentavano -anche commediole. Gli statuti di Bologna vietano -ai cantatori francesi di trattenersi su per le piazze -a recitare. Una cronaca milanese rammenta il teatro, -ove «gli istrioni cantavano, come or si canta di Rolando -e Oliviero, e finito il canto, buffoni e mimi toccavano -la ghitarra, e con decente moto del corpo -aggiravansi»<a class="tag" id="tag228" href="#note228">[228]</a>; ed Albertino Mussato cita come -vetusto costume di cantare in palco e in teatro imprese -di re e di capitani. Anselmo de Faydit provenzale -vendeva commedie e tragedie, e per Bonifazio marchese -di Monferrato scrisse l’<i>Heresia dels Preyres</i>, -che fu rappresentata<a class="tag" id="tag229" href="#note229">[229]</a>. Spesso i concilj ne mandarono -divieti, come incentivo di profanità; Tommaso -d’Aquino disputava se uno, privo d’altro mezzo, potesse -esercitare l’istrionato: tant’era lungi che quest’arte -fosse perita. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span> -</p> - -<p> -Se rozzi esser dovessero di forme quei teatri e nulla -l’arte dello sceneggiare, non domandate; strani anacronismi -vi si mescolavano a sconvenienze, ma ogni -cosa era sostenuta da un apparato di macchine e di -spettacolo che lusingava il vulgo. Scelto un fatto, metteasi -in azione un accidente dopo l’altro, senza darsi -briga di unità o d’interesse: non bastava un giorno? -seguitavasi per due o più. Non erano dunque tragedie -o commedie, drammi o farse o di qualsiasi altra classificazione -da precettore, ma spettacoli, ed ogni cosa -vi serviva, la natura e l’arte, la musica e la pittura, il -cantastorie e il banderajo. -</p> - -<p> -Drizzatisi gl’ingegni allo studio degli antichi, si tentò -calzare il socco e il coturno di essi. Il monumento più -antico che resti in Italia è l’<i>Eccerinis</i> di Albertino -Mussato, sul gusto di Seneca, ma misto di racconto -e dialogo. Nel primo atto, la madre narra ad Ezelino -ed Alberico da Romano averli essa concepiti dal demonio: -nel secondo, un messaggere espone i mali -della patria e le fortune del tiranno: nel terzo, Ezelino -in Verona divisa col fratello altre malvagità da aggiungere -alle antiche, poi udita la presa di Padova, accorrono -alla riscossa, e il coro espone la spedizione e -la vittoria d’Ezelino, il suo ritorno a Verona e il macello -de’ prigionieri: nel quarto, un messaggero riferisce -la guerra di Lombardia, la crociata e la morte -del tiranno: il quinto presenta la morte d’Alberico. -Le passioni vi sono espresse non senza forza, ben divisate -la storia e il costume, continua l’ispirazione nazionale, -e non infelice la latinità. La prevalenza del -racconto sopra il dialogo eragli comune colle altre -rappresentazioni d’allora, e ci ajuta a comprendere il -titolo di commedia applicato da Dante al suo poema: -lo scegliere poi argomenti contemporanei e trattarli -senza catene d’unità drammatiche, era un altro passo -<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span> -degli originali cominciamenti della nostra letteratura. -</p> - -<p> -Esso Mussato dettò sei altri drammi; di cui ci resta -la <i>Morte d’Achille</i>. Citansi di quel torno una commedia -sull’espugnazione di Cesena ed una sopra Medea, -che a torto vollero attribuirsi al Petrarca. Pier Paolo -Vergerio ancora giovane scrisse una commedia <i>ad -juvenum mores corrigendos</i>; Leon Battista Alberti la -<i>Philodoxeos</i>, la <i>Philogenia</i>; Ugolino Pisani da Parma; -e Gregorio Cornaro veneto una tragedia, la <i>Progne</i>. -</p> - -<p> -Sempre più gl’istinti della letteratura del medioevo -soccombeano all’arte erudita; e col solito vezzo di -credere barbarie qualunque passo arrischiato fuori del -sentiero classico, si volle dire che Pomponio Leto fosse -il primo a instaurare il teatro, perchè ne’ cortili dei -prelati facea rappresentare commedie di Terenzio e -di Plauto. Altre Corti vollero quel lusso, massime i -principi di Ferrara, il cui teatro vinse gli altri in magnificenza, -e primamente vi si rappresentarono commedie -in rima. A Mantova si vide poi una produzione -che tolse il grido a tutte le precedenti, l’<i>Orfeo</i> del -Poliziano, azione regolare e poesia elettissima, che conserva -ancora tutta la ricchezza de’ primitivi componimenti -scenici, complesso delle arti tutte. Dopo il prologo, -nel quale è esposto il soggetto in ottave, viene -un atto pastorale, tutto idillio; ne segue uno ninfale, -ove le Driadi lamentano la morte d’Euridice; poi un -eroico coi pianti d’Orfeo, e sempre varietà di metri, e -fin versi latini, acciocchè niun lacchezzo mancasse allo -spirito: il quarto atto necromantico presenta la calata -d’Orfeo all’inferno, ove da Plutone e Proserpina ottiene -di ricondurre Euridice, ma poi la riperde per -aver violato la legge dell’abisso: si chiude con un atto -baccanale, pieno dell’esultanza brindante delle Menadi -ucciditrici d’Orfeo. -</p> - -<p> -Pure le rappresentazioni teatrali s’atteneano di preferenza -<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span> -ai soggetti sacri, chiamale storie, esempj, -spettacoli, misteri, vita, martirio, secondo il contenuto. -Le più stendeansi in ottave, non divise in atti e scene -ma in giornate, e si recitavano con una specie di cantilena, -oltre gl’intermezzi propriamente in canto, e con -ricchissimo corredo di macchine, prospettive, comparse, -balli, giostre, a studio de’ migliori artisti. Atteggiavano -giovinetti ascritti alle confraternite, nelle quali s’affratellavano -i gran signori coi più poveri. A Roma si -diede la <i>Passione di Cristo</i>, opera di Giuliano Dati, -Bernardo di mastro Antonio Romano, e Mariano Particappa; -a Firenze la <i>Rappresentazione e festa d’Abramo -e Isacco suo figliuolo,</i> di Feo Belcari; a Modena -i <i>Miracoli di san Geminiano</i>; Bernardo Pulci -fece <i>Barlaam e Giosafat</i>, Antonio Alamanni la <i>Conversione -della Maddalena</i>, Roselli il <i>Sansone</i>, Lorenzo -Medici la <i>Rappresentazione di San Giovanni e Paolo</i>, -dove sono ritratte le lotte del cristianesimo contro l’ipocrisia -di Giuliano. Ben sessantasette di siffatti drammi -a stampa enumera il Cionelli nelle note alle poesie di -esso Lorenzo, e la collezione più copiosa sta nella -libreria palatina di Firenze. -</p> - -<p> -Il popolo andava matto di burlette e scede, e man -mano che svolgevansi i dialetti nuovi, s’introduceva -una caricatura che parlasse in quelli, e personificasse -il carattere delle varie genti italiche. Bologna la dotta -contribuiva il suo Dottor Ballanzoni, Venezia il Pantalone -Onesto negoziante, Bergamo il lepido Arlecchino, -Napoli l’arguto Pulcinella e il Coviello e il Pulcariello ed -altri<a class="tag" id="tag230" href="#note230">[230]</a>, che tinta la faccia di fuligine e villescamente -<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span> -calzati, davano sollazzo al popolo, e faceano ridere le -une città a spalle delle altre nemiche o rivali. E le -maschere piacquero a lungo perchè usavano il parlare -spigliato e spontaneo de’ vulgari, anzichè l’artifiziato -de’ letterati, al primo de’ quali sono affisse cento care -memorie, nessuna all’altro. -</p> - -<p> -Nè ai nostri avi erano insoliti i giuochi di sorte, -passione violenta de’ Germani fin prima che uscissero -dalle selve natìe. Indarno la Chiesa vi pose argine, indarno -le repubbliche; ma alcune di queste vollero -specularvi sopra, dando in appalto il diritto di tener -case di giuoco o biscazze; e Venezia ne concedette il -privilegio a quel Barattiere che si dice alzasse le colonne -sulla Piazzetta. -</p> - -<p> -Del lotto è menzione in un editto del 9 gennajo 1448, -quando (invenzione di Cristoforo Taverna banchiere di -Milano) si proposero alla fortuna sette borse, la prima -con cento ducati, con settantacinque la seconda, e via -digradando. Ogni posta costava un ducato; e nell’invito -si moveva calda esortazione a profittare di quell’insigne -benefizio di Dio, nè lasciarsi scappare il destro -d’arricchire con sì poco; — tant’è vecchia l’arte di -ciurmare il povero popolo. Siffatta maniera corse per -Italia col nome di borse della ventura: poi al 1550 si -stabilì regolarmente in Genova, con tanto profitto agli -imprenditori, che la repubblica ne volle una tassa di -sessantamila lire delle sue, cresciuta poi passo passo, -tanto che nel 1730 ne traeva trecensessantamila. Gli altri -governi affrettaronsi ad imitarla, acciocchè il denaro -non uscisse di paese<a class="tag" id="tag231" href="#note231">[231]</a>. Clemente XI escluse con -<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span> -bolla severissima il lotto da’ suoi Stati, dannando alle -galere i contravventori, e dicendo voler liberare i -popoli da quella maligna sanguisuga; ma sotto Innocenzo -XIII s’aggiunse nel lotto di Roma l’aumento del -venti per cento sugli ambi, e dell’ottanta per cento sui -terni. E l’immorale gabella si propagò, senza che si -pensi abolirla, ad un sordido lucro posponendo la depravazione -popolana. -</p> - -<p> -Gli scacchi, invenzione orientale, sono spesso mentovati, -e forse ce ne fu portato l’uso dalle crociate<a class="tag" id="tag232" href="#note232">[232]</a>. -<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span> -Delle carte, non mai mentovate dall’antichità classica, -l’uso e le sottilissime combinazioni, che faceano dire -a Leibniz in nulla aver gli uomini adoprato tanto ingegno -quanto ne’ giuochi, ci arrivarono dall’Oriente -per la Spagna. Di buon’ora entrò il lusso in quella -vanità, sicchè Filippo Maria Visconti nel 1430 pagava -millecinquecento monete d’oro un mazzo di carte dipinto -da Marziano da Tortona. Per combinare poi la -crescente richiesta col tenue prezzo, si inventò di stamparle -con tavolette, le quali furono avviamento alla -più importante delle scoperte moderne, la stampa. -</p> - -<p> -Questo nome ci fa dire d’un nuovo genere di occupazioni -o passatempi, a cui si volsero gl’Italiani d’allora. -Il leggere avea potuto esser diletto di ben pochi, -in quella grande scarsità di libri; pure molto desiderati -erano i romanzi, i più de’ quali venivano di Francia, e -talvolta erano tradotti in nostro vulgare, più spesso -imitati. Le persone oneste rifuggivano da quella lettura; -Guglielmo Venturi d’Asti in testamento raccomandava -a’ suoi figli d’odiarli, come sempre avea fatto lui<a class="tag" id="tag233" href="#note233">[233]</a>; -Boccaccio appone ad ipocrisia della vedova del Corbaccio -l’astenersi da tali racconti; dei quali Dante -accennava i pericoli in Francesca e Paolo, tratti a peccare -dal leggere per diletto gli amori di Isotta e Lancilotto. -Al contrario, se ne dilettava il bel mondo; e -Michelangelo Trombetti, in un poema sulle gesta di -Ugo conte d’Alvernia nel 1488, manoscritto nella Laurenziana, -annovera i romanzi di cavalleria, cui consiglia -<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span> -a leggere, perchè <i>chi non se ne diletta, è uomo senza -ragione e bestiale</i>. Crebbe la lettura colla stampa, la -quale non si occupò soltanto di libri sacri e di classici: -nè è inutile sapere che dal 1473 al 98 uscirono dieci -edizioni del Guerin Meschino; e il <i>Milione</i> di Marco -Polo si stampò nel 1496, e già prima e più in appresso -corsero racconti di viaggi. -</p> - -<p> -Come la letteratura, invaghita de’ capolavori antichi -che si trovavano, o dalla maggior facilità di possederli, -si era gettata interamente sull’imitare, tanto che ogni -originalità minacciava scomparire fra gli addobbi del -convenzionale classicismo; così non sapevasi ammirare -che la società anteriore al cristianesimo, rilassavansi i -costumi per imitazione classica, e Gianantonio Campano -vescovo di Téramo empie le sue poesie di Silvie -e Diane e Suriane, di cui spesso si lagna, talvolta si -loda; Ambrogio degli Angeli Traversari, generale dei -Camaldolesi, amico di Eugenio IV e suo legato a Basilea, -in fama di grand’erudizione non meno che d’onestissimi -costumi, non iscrive mai a Nicolò Niccoli senza -salutare la sua Benvenuta, <i>donna fedelissima</i>, eppur -era una mantenuta, di avventure chiassose<a class="tag" id="tag234" href="#note234">[234]</a>; Cosmo -de’ Medici accettò la dedica dell’<i>Hermaphroditus</i> del -Panormita, che parea soverchiamente cinico persino al -Poggio, sguajato narratore egli stesso, benchè segretario -apostolico; Enea Silvio Piccolomini, gravissimo -uomo e futuro papa, emulava in una novella la licenza -del Boccaccio. -</p> - -<p> -Il senso morale veniva perturbato dal cominciare a -vilipendere il passato innanzi d’essersi premuniti per -l’avvenire; laonde le coscienze più elevate tentennavano -e variavano, l’orgoglio insorgeva contro Dio, la voluttà -contro il dovere. Il sentimento religioso permaneva -<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span> -nelle moltitudini, sebbene divenisse meno chiesastico; -e istillato col latte, potea sugli animi anche fra le passioni: -ma i letterati lo vilipendeano e conturbavano, -non già per liberi ragionamenti, ma per l’autorità di -altri testi, fossero gli antichi classici od i loro commentatori, -nel cui nome mettevano bocca perfino nel -dogma, professando di farlo per esercizio di logica o -d’erudizione. Ser Cambi al 1453 scrive che il medico -Giovanni Decani, il quale non credeva la resurrezione -de’ morti, fu condannato alla forca a Firenze; e in -quell’anno morì Carlo d’Arezzo cancelliere della Signoria, -ed ebbe grandissimi doni: «Dio l’abbia onorato -in cielo, se l’ha meritato, il che non si stima, perchè -morì senza confessione e comunione, e non come cristiano». -Dove ci risovviene di Lodovico Cortusio giureconsulto, -che a Padova morendo il 17 luglio 1418, -lasciò per testamento che amici nè parenti nol piangessero, -se no rimanessero diseredati, mentre suo legatario -universale sarebbe quel che ridesse di miglior -cuore: non si parino a bruno la casa e la chiesa, ma -fiori e fronde; musica invece delle campane funebri; -e cinquanta sonatori e cantanti procedano insieme -col clero, cantando <i>alleluja</i> fra viole, trombe, liuti, -tamburi, ricevendo ciascuno un mezzo scudo. Il suo -cadavere, entro una bara a panni di varj colori gai e -sfoggiati, sia portato da dodici donzelle vestite di verde, -che cantino arie allegre, e ricevano una dote. Non rechino -candele, ma ulivi e palme, e ghirlande di fiori; -non lo seguano monaci che han la tonaca nera. Così -piuttosto in guisa di nozze che di funerale fu sepolto -in Santa Sofia. -</p> - -<p> -Questo parlare di libri e letterati è già uno stacco -dalle precorse età; e l’amor della dottrina crebbe fin -a passione. Ne vantaggiavano il ben pensare e il retto -operare? dubitiamo. Quei dotti (troppo il notammo) -<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span> -non erano nulla meno che tipo di civili costumi: nelle -loro lettere o si abjettiscono per domandare, o strisciano -ringraziamenti per avere avuto, talora con una -sguajata insistenza, quale vediam nel Filelfo, una delle -più famose penne; e piuttosto bravazzoni che franchi, -aggiogati all’autorità de’ loro classici, eppure intolleranti -d’ogni dissenso, anfanavano in tresche, volevansi -alle mani un coll’altro, e in sozze baruffe, non ultimo divertimento -di quel secolo, s’intaccavano non solo sulla -dottrina, ma rinfacciandosi ogni mal mendo<a class="tag" id="tag235" href="#note235">[235]</a>. -</p> - -<p> -Noi siamo a gran pezza da coloro che ammirano -quello stuolo chiassoso e intrigante di pedanti, quasi -fossero stati i restauratori del buon gusto in Italia. Già -ne’ secoli precedenti i nostri ci si mostrarono insigni -in que’ punti ove l’intelligenza loro naturale non era -subordinata agli eventi o a tirannie, cioè nelle arti della -parola e del disegno. Anzi queste non erano soltanto -un ornamento, ma fuse nella vita, e non concepivasi -il governo senza eloquenza, non le solennità senza canti, -non la religione senza immagini e tempj. Chè a far prosperare -le arti non basta nascano genj capaci di creare, -ma vuolsi tutto un popolo capace di gustarle; l’artista -ha bisogno di chi lo comprenda, delle simpatie del popolo; -e il popolo fra noi vi era portato dai meno urgenti -bisogni, dall’attitudine al godere, dalla naturale -inclinazione al bello. O Firenze, non i Medici ti han -fatta così vaga, ma la repubblica; e la libertà dell’arte -è anch’essa libertà del pensiero. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span> -</p> - -<h2 id="cap124-11">CAPITOLO CXXIV. -<span class="smaller">Industria e commercio.</span></h2> -</div> - -<p> -Tante ricchezze, quella coltura borghese, l’ampliamento -della nazionale civiltà, il lettore dovette accorgersi -come fossero in gran parte dovute al commercio, -del quale è tempo che raccogliamo e svolgiamo ciò -che sparsamente abbiamo indicato; poichè, dopo la -religione, nulla accresce e diffonde la civiltà più che il -commercio. -</p> - -<p> -Che esso non fosse perito tampoco nel peggior fondo -della barbarie, ce ne caddero prove qua e là: migliorò -poi coll’agricoltura, giacchè questa e l’industria vanno -di pari passo dovunque sono possibili; tutto ciò che -promove e deprime le arti e le fatiche d’una classe, -opera sull’altra; e i terreni inselvatichiscono ove langue -il commercio, come questo risente dell’abbandono di -quelli. Noi indicammo come l’agricoltura rinascesse, -lenta sì ma ognor progressiva, col piantarsi di nuova -gente sopra gl’immensurabili latifondi degli antichi Romani, -suddivisi allora, e dal dominio del fisco tornati -all’industria particolare. Questa gente erano i Barbari -da un lato, dall’altro i monaci, che mescolandosi fra un -popolo di servi e di coloni, resero l’onore a quella -prima fonte delle ricchezze. Ben presto le crociate -equivalsero a quel che oggi le grandi esposizioni; poichè -nelle città e nei bazar orientali i nostri videro gli -scialli di Cascemir, i diamanti di Golconda, le perle di -Ormus, le seterie di Persia, le mussoline dell’India, le -arme di Damasco; e ne rapirono, ne comprarono, concepirono -desiderio di averne, di imitarle. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span> -</p> - -<p> -Però la mancanza di sicurezza, di regolari aspettative, -di libertà nel disporre de’ frutti della propria industria, -immiserivano il commercio, siccome oggi avviene -in Turchia. Il diritto di lavorare consideravasi -prerogativa sovrana, e potere i principi venderla, dovere -i sudditi comprarla. Il popolo era impedito di -associarsi per dati intenti, e di trasferire la sua proprietà -da un’applicazione ad altra che credesse più -vantaggiosa; intanto che certe persone ottenevano di -esercitare come privilegio quel che ai più restava inibito. -Tali angustie cessarono in Italia assai prima che -altrove: ma oltre rimanere i capitali in mano di soli -nobili e del clero, causava impacci lo sminuzzamento -del paese, quando ad ogni varco di fiume, ad ogni gola -di monti vegliavano gli armigeri d’un castellano ad -esigere un pedaggio, che equivaleva ad una transazione -per non essere svaligiati. A modo d’esempio, chi -si partisse da Torino aveva a pagarne uno quivi stesso, -poi a Rivoli, ad Avigliana, a Bussolino, a Susa: cinque -volte in trenta miglia. Lombardi e Veneziani andavano -pel Sempione, donde a Sion, a Losanna, a Ginevra, a -Lione, ovvero per Clees nella Franca Contea. I Genovesi -per Asti e Poirino giungevano a Testona, e qui -varcato il Po sul ponte de’ Templari a Sant’Egidio, -difilavano per Rivoli a Susa e al Moncenisio: disvantaggiandone -Torino, che perciò insisteva alla gagliarda -affinchè i Testonesi non lasciassero ai mercanti traversare -il ponte, ma li dirigessero sopra la loro città. -</p> - -<p> -Le dogane si misuravano all’avidità del signore, non -all’utile del paese, e le tasse moltiplicavansi sotto variissimi -nomi<a class="tag" id="tag236" href="#note236">[236]</a>. Passando per certe città, le merci -<span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span> -si doveano sballare e scassare, e gli abitanti aveano -prelazione per la compera; altrove ai soli natìi concedevasi -di vendere, talchè sottentravano allo speculatore -forestiere. Il pericolo delle anime induceva i papi a -interdire il commercio coi Musulmani, e a gran fatica -i Veneziani ne ottennero dispensa, come l’ebbero poi -anche i Francesi, escluso sempre il portarvi armi e -munizioni<a class="tag" id="tag237" href="#note237">[237]</a>. Per tema dei masnadieri in terra, dei -pirati in mare, doveasi procedere in carovane o con -flottiglie, anzichè isolati: alcuni, per ammansare i castellani, -menavansi dietro ciarlatani, sonatori, bestie -rare: tutti i quali impacci costringevano il traffico ad -assumere aspetto di frode, e i pericoli e le vicende sue -faceanlo spesso abbandonare a quelli cui era negato -ogni altro modo d’arricchire, come gli Ebrei. -</p> - -<p> -Il commercio dell’antichità e del medioevo conducevasi -tult’altrimenti dal moderno. Mancando la postalettere, -poteansi tenere corrispondenze concatenate? -Quando pochissimi sapeano scrivere, e la carta era un -lusso, e le cifre arabiche appena si introducevano, e -inestricabile la varietà di monete e misure, quanto incomodi -doveano tornare i conteggi e la corrispondenza! -Oggi la forma più consueta è la commissione, cioè il -<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span> -fabbricatore affida a negozianti le merci da vendere -per conto; opportuna suddivisione di uffizj: allora invece -egli medesimo o suoi commessi andavano con navi -o carovane a vendere e caricare, e riconducevano gli -avanzi e i baratti. -</p> - -<p> -Le antiche strade romane erano state guaste per impedire -le correrie dei Barbari, ovvero da questi nelle -guerre, o dal tempo; e agli sminuzzati dominj che successero, -qual interesse suggeriva di agevolare le comunicazioni? -I torrenti si sfrenavano, cadevano i ponti; -onde difficilissimi i trasporti: ed anche assai più tardi -non viaggiavasi che a cavallo. Caterina di Amedeo V -di Savoja, andando sposa a Leopoldo d’Austria nel 1315, -cavalcò fino a Basilea, dove il palafreno fu regalato ai -minestrelli che cantavano le sue lodi. Maria di Brabante -seguì fino a Genova in lettiga il marito Amedeo V, -quando nel 1310 accompagnava a Roma l’imperatore -Enrico VII. Giovan Villani dà come un gran fatto che -uno spaccio del conclave di Perugia arrivasse in undici -giorni a Parigi per corrieri di mercanti<a class="tag" id="tag238" href="#note238">[238]</a>. Erano -perciò in gran conto i corrieri veloci, come Jaquet messaggere -del conte di Savoja, che in quattro giorni andò -e tornò da Ginevra a Pavia nel 1399: nel 1380 Amedeo -VI di Savoja donava due fiorini d’oro a Guglielmo -frate cluniacese, che faceva cinquantacinque e più leghe -il giorno<a class="tag" id="tag239" href="#note239">[239]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span> -</p> - -<p> -Altri importuni aggravj s’erano introdotti, quali -l’albinaggio, per cui cadeva al signore l’eredità dello -straniero che morisse sulle sue terre<a class="tag" id="tag240" href="#note240">[240]</a>; e il diritto di -naufragio, per cui la nave che frangesse diveniva preda -dell’occupante, o del signore della costa, come tutti i -ributti del mare. Fin il goto Teodorico avea riprovato -quest’inumanità; il concilio Lateranese del 1079 pronunziò -anatema chi spogliasse i naufraghi; e Federico I, -poi Federico II di Svevia avvalorarono questa <i>libertà</i> -<i>della Chiesa</i><a class="tag" id="tag241" href="#note241">[241]</a>: ma gl’interessati sapeano eluderla. -</p> - -<p> -Sodare il debito sopra i possessi non usava durante -il feudalismo, nè era possibile allorchè quasi nessuno -<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span> -era padrone assoluto del proprio podere: ma nelle -repubbliche conoscevasi l’ipoteca coi modi e le cautele -che sembrano de’ moderni<a class="tag" id="tag242" href="#note242">[242]</a>. Più consueto era il dare -in pegno oggetti preziosi, e spesso i tesori delle chiese: -o porgeano malleveria altre persone disposte a subir -fino il carcere se al dato giorno non venisse soddisfatto -il creditore<a class="tag" id="tag243" href="#note243">[243]</a>. -</p> - -<p> -Il forestiere (ed era forestiere chi abitava a poche -miglia) non restava protetto da leggi comuni o dalla -generale giustizia, onde si ricorse a strani compensi, -come sono le rappresaglie. Se uno restasse leso nella -roba o nella persona, e non ottenesse soddisfazione, -egli stesso o i suoi accomunati potevano far danno a -qualunque compaesano dell’offensore. La rappresaglia -<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span> -derivava dall’antico sistema dell’associazione, per cui -tutti stavano garanti dell’accomunato. Oberto Pelavicino -signor di Cremona, pretendendosi creditore di Filippo -Torriano, allora capo del popolo milanese, sostenne -nella sua città tutti i negozianti di Milano colle loro -mercanzie. La compagnia de’ Buonsignori di Siena dovendo -ottantamila fiorini alla Chiesa romana, il papa -pronunziò interdetta tutta la città sinchè fossero pagati. -Qualche volta la rappresaglia si applicò a casi criminali; -ed essendo ucciso un Inglese da un Italiano della compagnia -degli Spini, gli uffiziali della giustizia appresero -tutti i compatrioti di esso. -</p> - -<p> -Le leggi posero regola a questo costume, e via via -si cercò prevenire il danno degl’innocenti. Lo statuto -romano non concedeva la rappresaglia se non quando -fosse giuridicamente provato il danno<a class="tag" id="tag244" href="#note244">[244]</a>. Quello di -Padova del 1258 permetteva di rifarsi sopra i beni di -chi avesse nociuto o de’ suoi concittadini; ma nel 69 si -eccettuarono gli ambasciadori o le persone venute a -Padova per affari del proprio Comune, e così i romei -e pellegrini; nel 71 si prescriveva, quando un cittadino -si presentasse a domandar la rappresaglia contro -un individuo o un Comune, questo dovess’esserne avvertito -dal podestà, affinchè potesse giustificarsi o accordarsi; -che se il consiglio de’ savj decretasse aver -luogo la rappresaglia, il podestà presenterà l’istanza e -il voto al gran consiglio, che deciderà a due terzi di -<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span> -voti. Nel 1266 a maestro Giovanni Manzio padovano, -medico condotto a Ravenna, erano stati per via rubati -i danari, le robe e i libri, che erano un Avicenna, un -Serapione, un Almansor e qualcheduno d’astrologia: e -avendo il podestà scritto ripetutamente al Comune di -Ravenna, mandatovi ambasciadori, interposto anche il -podestà di Bologna, nè ricevendo soddisfazione, si autorizzò -il medico alla rappresaglia. Anche nel 1302 quel -Comune la concedette ai signori Carraresi contro i Torriani -di Milano per la dote di Elena della Torre. Una -singolare rappresaglia è portata dal cap. <span class="smcap lowercase">LVII</span> dello statuto -dell’arte di Calimala a Firenze del 1332: — Qualunque -de’ mercatanti nostri si richiamerà per iscrittura -d’alcuno albergatore d’altra cittade o luogo, manderemo -lettere a quello albergatore a spese di quello mercante, -che a certo termine le debba aver pagate: la qual cosa -se non farà, comanderemo a tutti i nostri tenuti che -non alberghino più con lui; e chi farà contra, sia punito -in lire venticinque per ciascuna volta». -</p> - -<p> -La Chiesa provvide alla sicurezza coll’aprire mercati -settimanali o fiere annue alle solennità principali sopra -terreno immune, quali erano il sagrato delle chiese o -i chiostri. La fiera di Bergamo vuolsi concessa dall’imperatore -Berengario ai canonici di San Vincenzo, poi -da Ottone alla chiesa di Sant’Alessandro<a class="tag" id="tag245" href="#note245">[245]</a>. Quella -di Verona fu istituita nell’807 dal vescovo Ratoldo sulla -piazza di San Zeno maggiore; nel 1049 le botteghe -bruciarono; fu poi ristabilita nel 1187. Un marmo fuori -della porta maggiore dell’atrio di Sant’Ambrogio a -Milano legge che Anselmo arcivescovo stabilì, per tre -giorni avanti e tre dopo la festa dei santi Gervaso e -Protaso, nessuno molestasse per debiti chi veniva a -quella solennità. Anche a Bologna per la festa di san -<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span> -Petronio i mercanti erano immuni di dazio e gabella -otto giorni, e nessuno poteva essere citato a pagare il -dovuto (<span class="smcap">Ghirardacci</span>). Negli ordini del 1353 per la -fiera di Sant’Andrea di Nizza a mare è assegnato luogo -distinto ai venditori di carni salate e formaggi, di spezierie, -di pelliccie, di ferro, rame, chiodi, d’argento, -d’oro, di spade e armi, di vetri, vasi di terra, corde, -pentole, basti, e così pei sartori, pei cambisti, per gli -spacciatori di polli e altri volatili, d’erbe e frutti e -legumi, di tela, di ronzini ed altri animali di piede rotondo, -di porci e bovi, di merci varie; con prescrizioni -per ciascuno<a class="tag" id="tag246" href="#note246">[246]</a>. -</p> - -<p> -Molte strade erano affidate alla custodia dei monaci, -come quella del monte San Bernardo, ove il pio Bernardo -da Mentone istituì l’ospizio; come quella dell’Alpe -fra Lucca e Modena, concessa ai frati di San Pellegrino -del Serchio; come il passo di Percussina in val di Greve, -con uno spedale assistito dalla compagnia del Bigallo di -Firenze. La strada mulattiera traverso al Sangotardo, -forando la buca di Uri e gettando il ponte detto del -Diavolo, tanto parve meraviglioso, è dovuta agli arcivescovi -di Milano, che signoreggiavano la val Leventina. -Fin ai tempi di Carlo Magno le gole più elevate delle -Alpi erano provvedute di ospizj<a class="tag" id="tag247" href="#note247">[247]</a>; le varie nazioni -che pellegrinavano in Italia se ne procuravano di proprj -ciascuna, sicchè, a tacer Roma, a Vercelli trovammo -ospedali di Franchi e d’Inglesi (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 107). -</p> - -<p> -Man mano che città e borgate si redimevano in -libertà, curavano agevolezze al commercio. Nelle prime -carte comunali è sempre pattuita la sicurezza delle vie, -l’esenzione da certi pedaggi, la moderazione di tutti: -<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span> -e non v’ha statuto che non provveda al mantenimento -delle strade, anche con magistrati appositi. Dai castellani -del contorno si otteneva a denaro non molestassero -le spedizioni, e dessero scorte; alcuni perfino si costituivano -garanti dei danni che altri soffrisse sulle loro -terre: tanto temevano che i mercadanti si mettessero -per altra traccia, togliendo il lucro portato dal passaggio -e dagli alloggi. Dimenticavansi le animosità pel comune -interesse dei traffici; s’istituivano tregue mercantili, -luoghi di franchigia e neutralità. Nel 1182 i consoli di -Modena promettono sicurezza nel loro territorio e pronta -giustizia ai mercanti e alle persone di Lucca<a class="tag" id="tag248" href="#note248">[248]</a>. Nel -1183 Cremonesi e Bresciani giuravano una concordia, -convenendo che le due città si concedano a vicenda il -transito; le persone fossero rispettate sulle strade, eccetto -i mercanti di paesi nimici all’una o all’altra città; -la moneta delle due collegate avesse corso nelle contrattazioni -reciproche, promettendo non se ne deteriorerà -il valore intrinseco, se non col voto del podestà -e del consiglio<a class="tag" id="tag249" href="#note249">[249]</a>. Nel 1215 Milanesi e Vercellesi -<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span> -faceano accordo che mai dai Milanesi per le persone o -le robe loro fosse esatto alcun pedaggio sul ponte che -faceasi a Casale sul Po. Nel 1217 il Comune d’Alessandria -francava i Vercellesi da quel che pagavano a -Beale<a class="tag" id="tag250" href="#note250">[250]</a>. Il marchese Pelavicino, Buoso di Dovara, -il Comune di Cremona da una parte, e dall’altra Azzo -d’Este, Lodovico conte di Verona e le città di Mantova, -Ferrara, Padova, alleandosi per fiaccare Ezelino, convennero -che, malgrado la guerra, <i>mercatores de Tuscia -semper secure possint ire, redire, stare, conversari -cum personis et mercibus per civitates et territoria -Mantuæ, Ferrariæ, Paduæ</i>. Nel 1262, Vicenza, Padova, -Treviso, Verona giuraronsi reciproca quiete, e di assicurar -le strade a viaggiatori e trafficanti. Giovanni -Liprando ed Enrico da Arcore, sindaci dei mercanti di -Milano, il 1276 portavano lamento a Filippo conte di -Savoja per una sovrimposta (<i>surrepsio</i>) da lui messa -sulle merci che transitavano pe’ suoi Stati, e stipularono -quanto dovesse prendere per ogni balla di lana di Milanesi -che passasse di là, e pel pedaggio d’uomini e cavalli -a Villanova, al Ciablese e altrove, nulla pagando la bestia -che ciascun mercante cavalcava: i mercanti a vicenda -giuravano non far le balle più grosse del consueto, e -ciascuna di otto panni di Chalons, di dieci panni vergati -di Provins, o del peso equivalente; e procurare -che i mercanti d’Italia diretti alle fiere di Champagne -e di Francia passino e tornino per le terre d’esso conte, -il quale li riceve, pel suo distretto, sotto il proprio -salvocondotto<a class="tag" id="tag251" href="#note251">[251]</a>. -</p> - -<p> -I Comuni limitrofi mettevansi d’accordo per migliorare -le strade, come fecero Torino, Chieri, Testona nel -1204; Pistoja e Bologna nel 1298 per aprire quella -della Porretta. Nel 1219 Bergamo e Brescia pattuivano -<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span> -di restaurare la strada di Palazzuolo, e reciprocamente -compensare quelli che dai masnadieri vi fossero danneggiati. -Nel 1232 Bonifazio marchese di Monferrato si -obbligò verso il Comune di Genova di tenere in buon -ordine quella da Asti a Torino, nè esigere altro pedaggio -che di soldi sei e mezzo per carico, e nulla per le bestie -scariche; i castellani e nobili fra cui attraversa, obbligherà -a mantenerla e custodirla, nè introdurre veruna -mala usanza<a class="tag" id="tag252" href="#note252">[252]</a>. Nella pace del 1279 Verona, Mantova -e Brescia convenivano che una strada correrebbe fra -esse città per Peschiera, Godio, Guidizzolo, Montechiaro, -mantenuta da essi Comuni, e sotto la vigilanza di dieci -cavalcatori ogni Comune con tre capitani, scelti fra -mercanti e uomini di buona fama. Nel 1333 Franchino -Rusca, signore del Comune e del popolo di Como, conchiuse -cogli uomini di Blegno che tenessero in essere -e in buona guardia le strade per la val Leventina, e -ajutassero i Comaschi contro chi le infestasse. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span> -</p> - -<p> -Frequentissime convenzioni appellano a tal uopo; e -prendendo solo Firenze e in breve periodo, nel 1201 con -Fortebraccio di Greccio ed altri conti Ubaldini del Mugello -convenne difenderebbero i Fiorentini e le robe loro -con guide e scorte in tutto il distretto e dominio; se riportassero -danno, li compenserebbero del proprio<a class="tag" id="tag253" href="#note253">[253]</a>; -nel 1203 coi Bolognesi di cessar reciprocamente le rappresaglie; -nel 1250 franchigia con Pisa, cui rinnovava -ogni tratto; nell’81 co’ Genovesi libero transito anche -per terra, immunità da gabelle al paese di Fabriano, e -che garantissero tutte le merci caricate su loro navi; -nell’82 con Lucca, Siena, Pistoja, Prato, Volterra, reciproca -francazione da gabelle o dazj, a somiglianza -dell’odierna lega doganale; nel 90 libero transito con -Ravenna e Faenza; nel 95 con Lucca, Prato, San Geminiano, -Colle, sicurezza per dieci anni, essi e loro -alleati, da ogni rappresaglia, malatolta, telone, pedaggio. -Dacchè Mentone con Roccabruna si separò da -Monaco nel 1748, questa cara cittadina non può comunicare -con altre se non pel mare o per una via che -passa sul territorio di Roccabruna, e quel principe non -può uscire dal suo Stato in carrozza senz’attraversare -paese nemico; i Mentonesi non vogliono più mantenere -quella strada; e i litigi che ne nascono, e le conseguenze -che ne verrebbero, possono spiegare l’importanza dei -trattati de’ Comuni del medioevo per le comunicazioni. -</p> - -<p> -Pure il viaggiare fu sempre disagiato non solo, ma -pericoloso. Dante funesta celebrità diede a Rinieri da -Corneto, che faceva guerra alle strade. L’abate Pietro -di Cluny venendo a visitare Eugenio III, fu svaligiato -dal marchese Obizzo Malaspina, se non che i Piacentini -costrinsero questo alla restituzione. Giovanni d’Andrea, -celebre canonista, mandato ambasciadore dal cardinale -<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span> -Bertrando del Poggetto al Papa nel 1328, presso Pavia -fu assalito e spogliato de’ libri e della roba; e grossa -somma ebbe a dare pel proprio riscatto. Il Petrarca, -la prima volta che fu a Roma, dovette rifuggire nel -castello dei Caprànica, sinchè il vescovo di Lombez nel -venne a convogliare con cento cavalieri; partendone -dopo coronato, diede nei malandrini, sicchè tornò indietro, -e il popolo pensò a farlo scortare; ma altri lo -assalsero all’uscire di Parma. Giovanni Barile, mandato -da re Roberto di Napoli ad assistere a quella coronazione, -fu svaligiato per viaggio, e dovette dar volta. -</p> - -<p> -Le maggiori apprensioni popolari, e in conseguenza -i più estesi provvedimenti sogliono dirigersi sull’annona; -e se la scienza non arrivò neppur adesso a persuadere -che l’unico preservativo o il palliativo migliore alle -carestie è il lasciarla libera, si perdoni a un tempo dove -governava direttamente il popolo, soggetto a tutte le -paure, e che cogli infiniti impacci sovente produceva -il male cui volea farsi incontro. L’obbligo d’introdurre -il ricolto nella città era una cautela contro i signori castellani, -che avrebbero potuto affamarla. Ma spesso il -proprietario dovea sagrificare le proprie convenienze -alle paure dei nulla aventi; l’autorità tassava i prezzi -de’ comestibili e degli altri oggetti di prima necessità, -stabiliva magazzini, fissava le ore e i modi del mercatarli. -Così era delle vivande azotate; niuno comprasse -di là d’una data quantità di pesce, chè non ne rimanessero -privi gli altri; comparendo sul mercato qualche -selvaggina grossa, fosse fatta a pezzi, acciocchè potessero -fruirne anche i men denarosi. I rigori cresceano all’apprensione -di carestia: mettevasi fin pena la vita -all’asportar grani; chi ne possedesse dovea notificarli, -e venderli al prezzo decretato. In Toscana tutto il grano -era compro dal Comune, che facea canova e lo dava -per bullettini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span> -</p> - -<p> -D’altri inciampi era causa la nimicizia fra i Comuni; -e Lodi vietò di portar biade a Milano, nè di tirarne vino, -pena la testa. Altri venivano da’ signori che voleano -aggravezzare il transito delle merci fin da una all’altra -delle terre di loro dominio. E poichè alcuni principi, -come il re di Sicilia, riceveano gran parte del tributo -in derrate, restavano principali negozianti del loro -paese, e ne facevano monopolio. Federico II esigeva un -conto esatto de’ cereali, de’ foraggi e del vino che entrassero -ne’ suoi magazzini; e dopo provvigionatone i -suoi palazzi e le fortezze, il resto si vendeva, principalmente -a mercadanti romani, o anche asportavasi direttamente -per conto del re, il quale, ove l’opportunità -arridesse, ne spediva in Ispagna, in Barberia su navi -proprie o di Veneziani o Genovesi. Nel 1239 incaricava -il grand’ammiraglio di condurre a Tunisi, dove forse -il ricolto era fallito, cinquantamila salme di frumento, -parte avuto dagli intendenti regj, parte procurato al -miglior costo; al qual fine se ne proibiva ogni altra -asportazione; e in Africa fu venduta la salma ventiquattro -tarì, locchè produsse quarantamila oncie d’oro, -o due milioni e mezzo di lire<a class="tag" id="tag254" href="#note254">[254]</a>. -</p> - -<p> -Questo andar e venire dei grani e delle altre derrate -produceva gran movimento mercantile; e i Veneziani -specialmente cavavano dalla Barberia, dalla Sicilia, dall’Egitto -granaglie da provvigionare anche altri paesi; -dalla Barberia stessa e dal mar Nero, il sale, del cui -monopolio erano gelosissimi. Per quante volte i Padovani -tentassero mettere saline sul loro territorio, -sempre i Veneziani gl’impedirono; e sotto alla statua -<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span> -del doge Gradenigo, fra altri vanti, è scritto: <i>A faciendo -sale Paduanos marte coegi.</i> -</p> - -<p> -Fra le spezie, il pepe era indispensabile, quanto da -due secoli in qua lo zuccaro; cittaduole ne tenevano -magazzini; in alcune il dazio impostovi suppliva ad -ogni altro; i signori di Basilea nel 1299 al diritto di -vender pane condizionavano la retribuzione di una libbra -di pepe l’anno. La cannella, il garofano, la curcuma -o zafferano d’India, pianta tintoria che prosperava anche -nelle valli cretacee dell’Ombrone; il zenzevero, il cubebe, -l’anesi, le foglie di lauro, il cardamomo, la noce -moscada erano grato solletico ai sensi, oltre gli spighi -di lavanda côlti in Italia. Aggiungete la paglia della -Mecca (<i>andropogon schœnanthus</i>), la scamonea, il gàlbano, -il laserpizio, la sarmentaria, l’aloe, la mirra, la -canfora del Giappone, lo zafferano<a class="tag" id="tag255" href="#note255">[255]</a>, il rabarbaro -della Siberia meridionale, la sena, la cassia, il badeguar, -la galla del biancospino, il cisto di Creta da cui cavasi -il làdano, l’olio di sesamo, la gomma d’astragalo, la -gomma gutta, la gomma arabica, la sandracca d’Africa, -il sangue di drago delle Canarie. I frutti d’Italia, di -Spagna, di Grecia, l’olio, il riso<a class="tag" id="tag256" href="#note256">[256]</a> erano spacciati -<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span> -dagli speziali, come chiamavansi i venditori delle merci -suddette: il caffè non era conosciuto; poco lo zuccaro. -Ai riti della Chiesa occorrevano pure cera ed ambra; e -a Venezia lavoravasi quella, di questa si faceano crocifissi -e paternostri, traendola dal Baltico. -</p> - -<p> -Le ricerche sul prezzo dei generi di prima necessità -e della mano d’opera provano che non differiva molto -dall’odierno, giacchè un operajo ordinario fu e sarà -sempre pagato quel tanto che si richiede al suo vivere. -Il prezzo delle altre materie troppo è difficile a determinarsi -in tanta varietà delle monete e incertezza dei -patti secondarj. Troverete della legna, ma non sapete -se fu tagliata dai boschi stessi del compratore; del vino, -ma intendevasi condotto e daziato? e in anno d’abbondanza, -o di scarsezza? un mobile, ma forse era un capo -d’arte o di preziosa materia; un libro, ma forse traea -valore dalla legatura e dalle miniature<a class="tag" id="tag257" href="#note257">[257]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span> -</p> - -<p> -Le ricchezze minerali non si neglessero. Le vene del -Bergamasco e delle valli Camonica e Trompia fin da -antichissimo diedero molto ferro, al quale eccellente -tempra sapea darsi nel Comasco. Armi si fabbricavano -a Gardone, Lumezzane, Brescia; e Giovanni da Uzzano -ricorda i pregiati acciaj bresciani, e i badili, le lamiere, -i fondi di padelle che si tiravano di là. Il ricco minerale -dell’Elba, di Pietrasanta, d’altre parti della Toscana -trasportavasi greggio o lavorato anche in Levante. Venezia -trasse partito dal ferro e dal rame del Friuli, della -Carintia, del Cadore; e pare lungo tempo le fabbriche -sue conservassero il secreto d’agevolare col borace la -fusione. Rame s’avea pure da Massa marittima, e in val -Tiberina e in val di Cécina, dove anche solfato di ferro. -</p> - -<p> -Argento si cavava a Perosa e nella valle di Lanzo in -Piemonte, nelle valli Seriana, Brembilla, di Scalve e in -altre del Bergamasco. Le argentiere di Montieri, mestissimo -villaggio in Val di Merse, sono donate nell’896 da -Adalberto marchese di Toscana ad Alboino vescovo di -Volterra, confermate più volte, e segnatamente da Enrico -IV, nel 1186, purchè <i>episcopus et sui successores -nobis nostrisque successoribus, pro ipsis argenti fodinis, -triginta marcas argenti examinati ad pondus -cameræ nostræ persolvant</i>. Federico II, in rotta col -vescovo di Volterra, affittava <i>argentariam nostram -Monterii</i> a Bentivegna Davanzati fiorentino. Il diploma -di Carlo IV del 1355 dice che <i>jamdiu defuerint, et -quasi steriles sint effectæ</i>; e la cava d’oro e d’argento -attivata nel Pistojese nel secolo xiii pare un sogno dei -cronisti. Bensì attorno al Mille già si hanno memorie -d’argentiere presso Massa marittima e nell’alpe Apuana -di Pietrasanta, con profondi cunicoli, scavati probabilmente -<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span> -da una consorteria di Lombardi che signoreggiava -la Versilia. Oro traevasi dalle arene del Ticino, -dell’Adda, d’altri fiumi; e al 1º novembre del 1000 -Ottone III concede al vescovo di Vercelli <i>totum aurum, -quod invenitur et elaboratur infra vercellensem episcopatum -et comitatum Sanctæ Agatæ</i><a class="tag" id="tag258" href="#note258">[258]</a>. -</p> - -<p> -Dalle moje di Volterra si avea sale, ma era ignota -la produzione dell’acido borico, oggi ricchezza di quei -lagoni: ben se ne cavava solfo; e un Genovese vi trovò -l’allume, emancipandosi così dal trarne da Tunisi, dalla -Germania, da Focea, paesi occupati dai Turchi, assai -prima che si adoperassero le allumiere del Napoletano -e della Tolfa nella maremma romana. Lipari, donde in -antico s’avea tutto l’allume, per testimonio di Diodoro -Siculo, talchè il prezzo rimaneva ad arbitrio degli abitanti, -da gran tempo cessò di somministrarne. -</p> - -<p> -Anche sotto al feudalismo le arti si erano conservate -al modo antico, disposte in corpi o scuole o maestranze -sotto proprj capi; organizzazione dell’industria conforme -a tempi, dove, non ancora riconosciuta l’eguaglianza -<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span> -degli individui, venivano emancipati in masse, -e non intendendosi il lavoro libero, si facea che l’operajo -travagliasse pel maestro, come il villano pel signore<a class="tag" id="tag259" href="#note259">[259]</a>. -Tutto vi era regolato con una minuzia -puerile: il filatore non poteva accoppiare fil di canapa -a quello di lino; il coltellinajo non fare manichi a cucchiaj; -non i ciotolaj e orciolari tornire un cucchiajo di -legno; non fondere sego di bue con quel di montone, -non cera nuova con vecchia; determinati gl’ingredienti -delle tinture e de’ varj composti. Dovettero nascerne -impacci, conflitto, tirannie; i principi se ne fecero una -fiscalità; il monopolio si saldò a favore di pochi; ammende -e multe per ogni minima violazione, e giudici -erano gli emuli, interessati a cogliere in colpa. -</p> - -<p> -Pure in que’ primordj i sindachi, i consigli, i probiviri, -le frequenti adunanze, le camere di disciplina, ove -«mercantilmente si procede, e i piati si scrivono vulgarmente -senza giudici o procuratori o notari, più di -buona equità che di stretta ragione procedendo»<a class="tag" id="tag260" href="#note260">[260]</a>, -riuscivano d’ammaestramento al vulgo, come le falde -sorreggono i bambini: compagni, fattori, discepoli, -maestri formavano una gerarchia di opportuna dipendenza: -gli artigiani riuniti nei medesimi quartieri, si -vigilavano a vicenda ed emulavansi, così togliendo o -rimovendo le frodi, facili in popolo inavvezzo all’industria; -si soccorreano ne’ bisogni; il garzonato dava -una garanzia di futura abilità; nella suddivisione dei -lavori dovea ciascuno raffinare il suo speciale; lo spirito -<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span> -di corpo dava aria di gravità, e fece conoscere e -ponderare diritti; gli stendardi de’ santi patroni furono -stendardi d’indipendenza, e protessero l’individuo dalle -vessazioni, talchè divennero potenze sociali le classi -laboriose, e formaronsi, vorrei dire, dei feudatarj borghesi -e nulla possidenti<a class="tag" id="tag261" href="#note261">[261]</a>. -</p> - -<p> -Nè però si creda non ne fossero conosciuti gl’inconvenienti; -e al 1287 il Comune di Ferrara aboliva -tutti i collegi d’arte, di qual si fossero maniera e nome, -talchè nessuno potesse fare adunanze o collette. Eccettua -il collegio de’ giudici, le confraternite devote, le -università delle contrade e ville, i fabbri, a cui si concede -di avere un commesso che compri il carbone e lo -distribuisca ai singoli; quelli poi che avessero beni -<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span> -comuni, possano deputare chi gli amministri. Ai banditori -pure sia lecito unirsi una o due volte l’anno -per eleggere due che li presiedano onde disporli e -mandarli per utile del Comune. I beccaj esercitino lor -arte ne’ luoghi e modi stabiliti. Ogni artefice od operajo -richiesto per l’arte sua, deve subito andare, sebbene -l’opera cui è chiamato fosse da altro incominciata, -e non cessare neppur se altro fosse chiamato a lavorare -in sua compagnia. Ma non osino fare intelligenze e -congiure tacite od espresse sui prezzi o sul lavoro; e -viepiù si tengano d’occhio i navalestri, pessima razza, -che molte frodi macchina contro l’utile de’ viandanti. -</p> - -<p> -L’arte della lana, allora principalissima, dovette l’incremento -agli Umiliati, ordine istituito a Milano, al -<span class="pagenum" id="Page_468">[468]</span> -quale si fa pur merito dell’invenzione de’ drappi d’oro -e d’argento per chiese. A Firenze, dove fondò Santa -Caterina d’Ognissanti, era tenuto esente da ogni dazio, -e proibizione d’insudiciar le acque che andavano alle -sue gualchiere<a class="tag" id="tag262" href="#note262">[262]</a>. E là principalmente prosperò -quell’arte, e nel 1338 vi si finivano ogn’anno ottantamila -pezze di panno, del valore di un milione e -ducentomila zecchini<a class="tag" id="tag263" href="#note263">[263]</a>, tirando le migliori lane d’Inghilterra, -Spagna, Francia, Portogallo, Barberia. L’arte -di Calimala traeva a buon conto panni grossolani di -Fiandra, Picardia, Linguadoca, e vi dava assetto e finimento -tale da doppiarne il prezzo. In venti magazzini -entravano diecimila pezze l’anno, del costo di più che -trecentomila fiorini: ciascuna si <i>taccava</i> con un bollettino, -ove notare la spesa di primo costo, del denajo di -Dio, del recarlo a casa, del tingerlo e ritingerlo, del -cardarlo, cimarlo, spianarlo, piegarlo, della bandinella, -della maletolta, del teloneo, dell’uscita alle porte, del -legaggio, caricaggio, ostellaggio, e d’ogni altra spesa. -Le due fiere di san Simone e san Martino traevano a -Firenze i più denarosi mercanti di tutta Italia, sicchè -vi correano quindici a sedici milioni di fiorini. -</p> - -<p> -In Siena, la gabella di quattro lire ogni pezza del -panno asportato, la più parte verso Levante, fu appaltata -seicento zecchini. Gareggiavano colle francesi e -colle fiamminghe le fabbriche di Venezia e sua terraferma, -di Pisa, del Bolognese, del Ferrarese, animate -dalla proibizione dei drappi forestieri. In Verona al -<span class="pagenum" id="Page_469">[469]</span> -1300 s’impannavano l’anno ventimila pezze, oltre calze -e berrette; e la Signoria veneta ne comprava colà di -sopraffini, da presentarne al gransignore (<span class="smcap">Zagata</span>). A -Mantova le folle della lana erano privilegio del Comune, -distruggendosi quelle che alcun privato mettesse; e lo -statuto prescrivea la qualità, e il numero de’ fili, la -dimensione del panno, il modo e la forma de’ telaj: -non poteano lavorarne se non gli ascritti all’arte, i -quali prestavano giuramento avanti al podestà: ogni -pezza finita presentavasi al magistrato, che collaudata -la bollava, o trovandola disforme dalle prescrizioni, la -buttava al fuoco, multando il lanajuolo. Ricchi e monaci -vi si dedicavano; nel 1500 vi si contavano quarantaquattro -fabbriche; e quando il re di Danimarca visitò -i Gonzaga, se ne posero in mostra cinquemila pezze: -bellissimo parato per una città! -</p> - -<p> -Milano e il suo territorio spediva alla sola Venezia -per trecentomila ducati l’anno in panni, e per centomila -in canovaccio, cambiandoli con cotone in fiocco e filato, -lane francesi e catalane, tessuti d’oro e di seta, pepe, -cannella, zenzero, zuccaro, verzino e altre materie coloranti, -saponi e <i>schiavi</i> per due milioni. Giovanni da -Uzzano, che nel 1440 compilò quanto era necessario -sapersi da un mercante intorno ai paesi, alle mercanzie, -al cambio, al denaro, alle dogane, e descrisse di -porto in porto il viaggio che si faceva lungo le coste -del Mediterraneo, poi all’Jonio e al mar Maggiore, scriveva -che «a Milano càpitano quasi tutte le robe di -Lombardia per mettere in Genova: si trae da Milano -mercerie infinite d’ogni ragione, armadure di maglia -e di piastre e d’ogni ragione, acciaj, ferri lavorati, -fustani, tele e panni assai fini; di Como panni assai e -fini; di Monza panni grossi e fini; e mettonsi a Venezia -per navigare in Levante; di Verona e Mantova -panni; di Padova zafferano e lino; d’Alessandria lino, -<span class="pagenum" id="Page_470">[470]</span> -tele di guado assai, e molto guado; di Monferrato -zafferano, canovaccio, canape; di Brescia acciaj, ferro, -lino, zafferano, carte»<a class="tag" id="tag264" href="#note264">[264]</a>. -</p> - -<p> -Più tardo sorse l’artifizio della seta. Questa nel -Codice rodio era agguagliata in prezzo all’oro, e al -tempo di Procopio quella di colori ordinarj valea sei -monete d’oro l’oncia, e il quadruplo la purpurea: traevasi -dai Seri, popolo dolce ma rozzo nel Tibet, o piuttosto -dall’Indo-Cina, come oggi par dimostrato. Due -missionarj, colà portati da zelo religioso, vi conobbero -l’industrioso insetto, e come produca quel filo prezioso; -e recatene alcune uova in Europa, riuscirono a educarli. -Il Peloponneso, tosto piantato a gelsi, da questi -dedusse l’appellazione di Morea; e fabbriche istituite -per l’impero orientale scemarono se non tolsero il -bisogno di ricorrere agli stranieri. I Veneziani, assoggettata -l’isola d’Arbo sulle coste di Dalmazia nel -1018, le imposero di contribuire ogni anno alquante -libbre di seta; se no, altrettanto peso d’oro puro. Alla -presa di Costantinopoli estesero le seterie, assicurandosene -il monopolio mediante trattati coi principi -dell’Acaja. -</p> - -<p> -In principio non conosceasi che il gelso nero, e il -Crescenzio (cap. 14) si lamentava che le donne ne cogliessero -le somme foglie per nutrire certi bachi, il -che impedisce ai frutti di maturare: forse solo nel <span class="smcap lowercase">XIII</span> -secolo si portò il gelso bianco. I privati tardavano a -intenderne il vantaggio, talchè si dovea per legge ordinarne -la coltura: lo statuto di Modena del 1327 impone, -chiunque abbia orto chiuso vi pianti per pubblico vantaggio -tre gelsi, tre fichi, tre melogranati, tre mandorli; -quel di Pescia del 1340 obbligava a coltivarne; e un -<span class="pagenum" id="Page_471">[471]</span> -secolo dopo, per Toscana era imposto ad ogni contadino -di piantarne cinque ogni anno<a class="tag" id="tag265" href="#note265">[265]</a>; poi si proibì -d’asportarne la foglia, e nel 1423 si concedea franchigia -a chi ne importasse. Pretendono che Lodovico Sforza -gl’introducesse nel suo parco di Vigevano, donde si -diffusero per Lombardia, di che a lui venne il cognome -di Moro. Una grida di Milano del 1470 impone si -piantino almeno cinque gelsi ogni cento pertiche; un’altra, -di notificare quanti ne esistevano, e la foglia loro -si cedesse al maestro da seta a prezzo equo, chi non -volesse da sè nutrirne i bachi<a class="tag" id="tag266" href="#note266">[266]</a>. Ma già nel 1507 il -Murlato, in una cronaca comasca manoscritta, nota che -le campagne attorno a Milano e a Como davano immagine -d’una foresta di gelsi. -</p> - -<p> -Vorrebbero che Ruggero di Sicilia dalla sua spedizione -in Grecia portasse telaj ed operaj di seta; ma -noi vedemmo come anteriormente ne tessessero i Saracini. -Soggiungono che quell’arte fiorisse in Lucca, e -che quando Castruccio la prese, novecento famiglie di -tessitori si diffondessero per la restante Italia, trentuna -delle quali nella sola Venezia: pure fin dal 1225 l’arte -della seta a Firenze formava corporazione distinta, noverata -<span class="pagenum" id="Page_472">[472]</span> -fra le maggiori, e coll’insegna d’una porta rossa -in campo bianco; e nel 1248 i Veneziani proibirono il -commerciar di seta agli esattori delle tasse imposte ai -fabbricatori di essa. Frà Buonvicino da Riva in quel -giro di tempo scrive che a Milano si facevano panni -<i>de lana nobili et de sirico, bombace, lino</i>: vero è che -traevasi da di fuori. Borghesano da Bologna inventò i -torcitoj nel 1272, tenuti in gelosissimo segreto, finchè, -entrando il secolo xiv, gl’insegnò ai Modenesi un tal -Ugolino, che per questo fu in patria appiccato in -effigie<a class="tag" id="tag267" href="#note267">[267]</a>. -</p> - -<p> -Il setificio si estese a Pisa, Genova, Padova, Como, -Verona, Vicenza, Bassano, Bergamo, Ferrara, Bologna -e nella Lombardia, a segno che la seta indigena non -bastando alle fabbriche, era d’uopo cercarne nella -Marca, nella Calabria, nelle isole greche. Non si tardò -a lavorare stoffe e broccati, intessendovi l’oro e l’argento, -e ad applicarvi fregi metallici col ricamo e -coll’impressione; e nell’industria de’ broccati gareggiarono -Venezia, Genova, Lucca, superate da Firenze. -</p> - -<p> -Marino da Cataponte veneziano nel 1456 riceveva -dal re di Napoli mille scudi a prestito perchè in quel -regno attivasse fabbriche di drappi di seta e oro; immune -d’ogni gabella la seta, l’oro filato, la grana e -tutto che servisse a tale lavorìo; gli operaj venissero -trattati come napoletani; nelle loro cause civili e criminali -non fossero riconosciuti da altro tribunale che -dai loro consoli, i quali in numero di tre venivano -eletti ogni anno da tutti quelli iscritti sulla matricola -dell’arte, e ogni sabato doveano tener ragione. Altri -diritti furono concessi e sussidj a Francesco di Nerone -e Girolamo di Goriante fiorentini, a Pietro de’ Conversi -genovese: anzi in appresso fu eretto in Napoli un -distinto tribunale <i>della nobil arte della seta</i>, da’ cui -<span class="pagenum" id="Page_473">[473]</span> -decreti non davasi appello che al supremo consiglio, -dove il giudice facea la relazione stando in piedi a -capo scoperto<a class="tag" id="tag268" href="#note268">[268]</a>. Diritti quasi eguali v’ebbe l’arte -della lana. Altri tessitori genovesi e fiorentini, invitati -da Carlo VIII, poneano a Tours le prime manifatture -di seta in Francia. -</p> - -<p> -Quest’arte essendo molto scaduta in Lucca, ove prima -tanto fioriva, si cercò ravvivarla con regolamenti, che -la dovettero anzi intristire. Lo statuto del 1482 prescrive -che nessuno possa tesser drappi di seta se non -sia arrolato nella scuola: per esservi scritto come capo -maestro vuolsi abbia lavorato quattro anni chi è nato -in l’arte, e cinque chi fuori. Chi lavora di tesser seta, -non possa esercitare altr’arte ove di quella si maneggi. -Chi comincia a tessere una pezza, deva farla marchiare, -notandone il colore e la lunghezza. Non si tengano in -casa più telaj dei descritti. Per farsi immatricolare si -paga un ducato d’oro. La donna che si mariti fuor -dell’arte, non possa insegnarla ad altri. Non si piglino -garzoni forestieri. I mercanti giurino di non tingere -zendadi con robbia nè sangue di becco, e i panni scarlatti -colorire con grana<a class="tag" id="tag269" href="#note269">[269]</a>. Potremmo in ciascun -paese riscontrare questi medesimi errori economici. -</p> - -<p> -La tintoria era un accessorio quasi indispensabile -per tutte queste fabbricazioni. Da gran tempo l’allume -era il mordente più consueto: avevamo appreso dalla -Francia e perfezionato l’uso del chermes e della robbia: -fu consacrato dalla pubblica riconoscenza il nome del -Fiorentino che nel secolo xiv introdusse dal Levante in -patria il tingere a oricello, cioè in violetto coll’uliva<a class="tag" id="tag270" href="#note270">[270]</a>, -<span class="pagenum" id="Page_474">[474]</span> -derivandone il cognome degli Oricellaj, alterato poi in -Rucellaj. A Bologna prosperavano le tintorie di seta e -di panno in grana e scarlatto; ed essendo nel 1220 per -servizio di esse tirata in città l’acqua del Savena, fu -conosciuta tanto opportuna, che i tintori fecero solenne -festa con processione e fuochi per tre giorni -(Ghirardacci). -</p> - -<p> -Venezia, Genova e la Lombardia fabbricavano eziandio -tele di cotone, ma non da reggere il confronto di -quelle di Mussul, mentre quelle di lino e di canape, -tessute principalmente in Lombardia, Padova, Bologna -e nel Piemonte, oltre soddisfare al consumo ogni dì -crescente, servivano anche a baratti coll’Asia. A pari -colla seta erano prezzate le pelliccie, distintivo de’ cavalieri -e di alcune dignità civili ed ecclesiastiche: di -grossolane arrivavano da Svezia e Norvegia; da Russia -le preziose, massime dopo scoperta la Livonia; preparavansi -a Venezia, Bologna, Firenze, e in quantità -erano spedite al Levante. -</p> - -<p> -Il nome di Firenze richiama i cappelli di paglia intrecciata, -arte ben antica se in casa Ricci ancor si conserva -quello che fu di santa Caterina de’ Ricci. A Brozzi -dapprima, poi si estese alla Lastra, a San Piero, a -Ponte, a San Donnino, e se ne mandava per tutto il -mondo<a class="tag" id="tag271" href="#note271">[271]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_475">[475]</span> -</p> - -<p> -Le armi davano lavoro a molti opifizj, dovendo ogni -feudatario fornirne i suoi uomini, ogni libero se stesso, -ogni armatore il proprio legno. Corazzaj e spadaj formavano -una delle arti in Firenze; in Milano dura il -nome alle contrade degli Spadaj e Speronaj: e le armi -della lupa quivi fabbricate erano cerche persino fuori -di cristianità. -</p> - -<p> -L’arte del vetro, della quale fino dal xiii secolo -aveva esposto i metodi il patrizio Manni, e che era -concentrata in Murano, andò sempre in meglio; e Venezia -lavorava come semplici ornamenti conosciuti col -nome di <i>conterie</i>, così imitazioni di gemme, vasi comuni -e costosi cristalli, vetri di finestre e specchi suntuosi. -Una fontana di cristallo in argento fabbricata a -Murano, fu comprata tremila e cinquecento zecchini da -un duca di Milano. Una legge del 1255 provvide per -gelosamente conservare quest’industria al paese; e chi -la esercitasse, godeva privilegi tali, che il matrimonio -d’un patrizio colla figlia d’un vetrajo non derogava la -nobiltà, e la moglie del nobile muranese sedeva pari a -quelle della dominante; l’operajo che ne migrasse, era -reo di morte. -</p> - -<p> -Vi si lavorava pure attivamente di conciar pelli, e -dorare cuoj per le tappezzerie e marocchini. Moltissimi -orefici con eleganza pari all’abilità legavano gemme e -facevano d’ogni maniera ornamenti fin dal secolo <span class="smcap lowercase">XII</span>, -gareggiando con Genova, Bologna, Parma, Cremona, -Mantova, Perugia, Milano che n’era mercato ed emporio -per l’Italia media. Fin dal 1123 appare indizio -della catenella, che ogni Veneziana poi volle avere a -più giri attorno al collo e ai polsi. I camini in forma -di campana, i terrazzi di pietruzze e calcistruzzo battuti -v’erano comodità antiche, e da Venezia si propagarono -al resto d’Italia. -</p> - -<p> -Disputarono agli Orientali la fabbrica de’ camelotti -<span class="pagenum" id="Page_476">[476]</span> -e delle rascie; la canapa convertivano in cordami, il -filo in trine, migliaja di povere addestrandosi al rinomato -punto in aria. Il borace, che traevano dall’Egitto -e dalla Cina, soli i Veneziani sapeano preparare, come -il cremor di tartaro, la biacca, la lacca, il cinabro, il -sublimato, probabilmente imparati dagli Arabi. Molto -si lavorava di cera, la cui imbiancatura non v’era pregiudicata -dalla polvere; di zuccari prima della scoperta -d’America, di liquori, di sapone. A Perasco faceansi le -corde armoniche, nel Vicentino i panni, a Salò il refe. -La zecca, oltre la moneta nazionale, ne lavorava pei -paesi con cui trafficavano, ed anche coll’impronta dei -re barbari. Le cartiere del Friuli e di Brescia diedero -un altro capo di asportazione ai Veneziani, che presto -la nuova arte de’ libri stampati aggiunsero alle antiche: -una nave catalana nel 1380 aveva caricato a Genova -per la Fiandra ventidue balle <i>paperi scrivabilis</i><a class="tag" id="tag272" href="#note272">[272]</a>. -</p> - -<p> -Le varie arti v’erano unite in fraglie, regolate da -matricole scritte (<i>mariegole</i>), dove pure si deponevano -i secreti dell’arte, e la poteva esercitare solo chi vi -fosse registrato o chi avesse educato un trovatello. -Aveano particolare magistratura di conciliazione: con -tenui contribuzioni si preparavano mutui soccorsi, ed -ergevano chiese e scuole, la cui magnificenza desta -ancora la meraviglia. Il magistrato dei sensali giudicava -in prima istanza la propria corporazione, potendo -condannare fino a tre anni di galera; i giudici della -seta e la camera del purgo giudicavano de’ setajuoli e -lanajuoli. -</p> - -<p> -Di gran mistero avvolgevansi le manifatture, gli olj -e sali medicinali; la teriaca, famoso polifarmaco, tenuto -qual panacea universale, e di cui fin seicentomila -libbre l’anno si asportavano; le tinture, massime lo -<span class="pagenum" id="Page_477">[477]</span> -scarlatto e il chermisi, non doveansi fare che al tempo -determinato dalla legge, e con apparato d’incantesimo, -e con baje di giganti col cappellone, di uccellacci o -d’altro che portassero gl’ingredienti: meschini spedienti -ma comuni, che, invece di cercare la superiorità -nel migliorare, assonnavano nella fiducia della proibita -concorrenza. -</p> - -<p> -Il fiorentino Dei, che vergò violenti diatribe contro -i Veneziani, e si vantava d’aver fatto gran male ad essi -in tutti i paesi, e massimamente aizzando i Turchi a -loro danno, li rimprovera perchè sui mercati, dove i -Fiorentini comparivano con broccati e drappi di gran -valuta, essi non portassero che aghi, seta da cucire e -far frange, sonagli, arme, vetrame e bazzecole. Prova -che i Veneziani eransi accorti come i piccoli guadagni -moltiplicati equivalgono ai grossi, e quanto giovi lo -speculare sovra oggetti minuti ma di gran consumo. -</p> - -<p> -Con tutti quei regolamenti e con infinite minuzie e -precauzioni, consonanti all’economia politica d’allora, -il Governo voleva attirare ai Veneziani tutti i vantaggi -del commercio europeo, nutrire l’industria per mezzo -dell’industria, assicurare alle fabbriche del paese un’occupazione -costante, non lasciando mai venir meno le -materie prime. Siffatto sistema a lungo andare poteva -cessar di produrre i vantaggi che si speravano nello -stabilirlo; ma l’incertezza del futuro e la poca probabilità -di cambiamenti possono giustificare la condotta -del senato, mentre il paese vi va debitore di grandi -lucri e ricchezze. Del resto noi, tuttora impigliati fra -tante pastoje, potremmo apporre a que’ vecchi se non -aveano ancora imparato che in ogni materia, ma più -nel commercio, il meglio che possa farsi è il non governar -troppo? Essi invece per favorire il commercio -moltiplicarono leggi, alcune delle quali non poteano -che pregiudicargli, come avviene delle vincolanti. Conviene -<span class="pagenum" id="Page_478">[478]</span> -però confessare che conoscevano il principale -scopo del commercio, qual è di conguagliare la ricerca -coll’offerta, la produzione col consumo, nè mai c’incontra -di vedere quegl’ingombri di manifatture non -ismaltite, che sono il disastro dell’odierna industria, -comunque giganteggiata pel sussidio delle scienze, delle -belle arti, dello spirito d’associazione, della suddivisione -de’ lavori. -</p> - -<p> -Procuravasi la buona fede coll’infamare chi fallisse -al debito: e a Milano, a Firenze, altrove doveva acculacciare -una pietra: la <i>pietra del vitupero</i> stava nella -sala della Ragione a Padova; a Monza, chi rassegnava -i beni dovea presentarsi alla pubblica assemblea, e -scalzo, nudo, in sole brache ascendere sopra la pietra, -e starvi dal principio al fine dell’adunanza; a Lucca, -siccome nell’antica Roma, l’oberato portava un berretto -giallo, e se un creditore l’incontrasse senza questo, -avea diritto di farlo arrestare. Con un rigore, di cui -l’Inghilterra pur offre esempio, nel 1398 i Fiorentini -stanziarono che i falliti potessero forzarsi a far da boja, -quando altro non ce ne fosse<a class="tag" id="tag273" href="#note273">[273]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_479">[479]</span> -</p> - -<p> -Nel 1253 i Cremonesi stipularono coi Genovesi che, -se qualche Genovese abbia fatto credito a un Cremonese -nel distretto di Genova, il creditore deva richiedere -per mezzo del Comune di Genova il Comune di -Cremona, il quale sarà obbligato ottenergliene la soddisfazione. -Se il debitore confessi il debito e nol paghi -subito, venga arrestato e consegnato al creditore esso -e i figli, per essere sostenuto nel carcere de’ malfattori, -o condotto fuori del distretto di Cremona cinque miglia, -dove il creditore vorrà. Se il debitore fuggisse di carcere, -il Comune di Cremona pagherà. Se pagasse il -debito, non si rilascerà finchè non dia una sicurezza -di stare al giudizio. Del debitore confesso poi si avrà -soddisfazione prima col mobile poi coll’immobile, a -stima di arbitri giurati, in modo che il Comune lo riceva -e paghi secondo tale stima. Se poi non abbia nè -mobile nè immobile, sarà consegnato co’ suoi figli maschi -al creditore e condotto come sopra. Se fuggissero, -siano dichiarati forestieri (<i>forestetur</i>) al Comune di -Cremona; e se mai vi tornino, tengansi obbligati a -soddisfare al creditore<a class="tag" id="tag274" href="#note274">[274]</a>. -</p> - -<p> -Di buon’ora si cominciò a mettere in iscritto le -convenzioni commerciali, e pur testè fu pubblicato il -<span class="pagenum" id="Page_480">[480]</span> -repertorio di Giovanni Scriba notajo di Genova, il quale -pel solo anno 1161 contiene cenquarantacinque atti -privati, di società, di proteste, di divisioni<a class="tag" id="tag275" href="#note275">[275]</a>. Pel -più antico istrumento mercantile vi è dato un atto del -1155, ove un Aucello giura portare a trafficar in Sicilia -e a Salerno lire sessantadue, ricevute da Oberto -Usodimare. Una carta dell’anno stesso dice: «Io Ugero -Lugaro confesso aver quattrocentosessantasette lire di -roba tua, o Guglielmo Filardo, che devo portare ad -Alessandria per trafficare a tuo conto: al ritorno deve -esser tuo il capitale e il profitto, eccetto sette bisanti -che mi vengono per la condotta. Di quelle lire devo -far le spese del mio vitto e per quanto occorre. Del -mio, porto lire venti». Ai 19 settembre Ribaldo da -Sarafia e Ferro di Campo mettono in società quello -lire cinquanta, questo trentacinque e il suo personale, -e gli utili si divideranno a metà. Al 6 luglio 1156 -Lanfranco Pepe commette il capitale di lire cinquanta -a Bernardo Porcello che lo traffichi in Genova, e dei -profitti si farà a metà. In quel curioso repertorio molte -altre si hanno di queste associazioni del capitale coll’industria. -</p> - -<p> -Opportunissima al commercio venne l’istituzione dei -consolati, cioè d’una speciale e compendiosa giurisdizione -per le cause mercantili sia nell’interno, sia fuori<a class="tag" id="tag276" href="#note276">[276]</a>. -Ne’ paesi lontani più frequentati si tenevano consoli, -che e vigilassero sugli atti del commercio nazionale, -e giudicassero i negozianti loro compatrioti secondo -leggi scritte o le usanze o il buon senso. Tali sentenze -costituirono un diritto consuetudinario; poi un -<span class="pagenum" id="Page_481">[481]</span> -Catalano o più probabilmente un Italiano, entrante il -secolo xiii, pensò raccogliere le costumanze de’ porti -del Mediterraneo, e ne nacque il <i>Consolato de’ fatti -marittimi</i>, base anch’oggi di tale legislazione, e diritto -comune ove manchino disposizioni particolari. Doveano -essere avanzi delle leggi antiche, durate in pratica -anche dopo periti i documenti; e vi si tratta, in ducento -capitoli, dei doveri e diritti dei patroni di nave -e socj, de’ marinaj, mercanti, passeggeri; delle merci -occultate, bagnate, guaste, prese, gittate; degli attrezzi, -delle armi, delle condizioni di nolo, de’ cambj, delle -assicurazioni<a class="tag" id="tag277" href="#note277">[277]</a>. A questo esempio furono compilati -il <i>Giudicato di Oleron</i> per l’Oceano, e le <i>Ordinanze di -Wisby</i> pel Settentrione. -</p> - -<p> -Se pure le assicurazioni erano conosciute ai Romani, -sì poco erano consuete, che legislatori e giureconsulti -non le credettero meritevoli di speciale attenzione. Nei -nuovi tempi si estesero, e i primi esperimenti si restrinsero -ad accomunare i rischi fra i padroni del vascello -e quelli che caricavano. Tanto ne parve bene, -<span class="pagenum" id="Page_482">[482]</span> -che la compilazione Rodia, certo anteriore all’xi secolo, -la legge di Trani che vorrebbesi del 1060, quella -di Venezia del 1253, le imposero come obbligo. Però, -non legando che persone cointeressate nella spedizione, -stavano a troppo gran pezza da quelle zarose e insieme -precise speculazioni, dove, calcolando i venti, -le avarie, le stagioni, e insieme le politiche eventualità, -la guerra, la pirateria, si offre l’intero rifacimento -delle lor perdite, mediante una tenue anticipazione. -</p> - -<p> -Non ha appoggio chi le asserisce conosciute a Bruges -nel 1310; e poichè niuna legge marittima settentrionale -ne parla, nè tampoco la grande <i>Ordinanza -anseatica</i> del 1364, ci si fa credibile cominciassero fra -noi, dove gli statuti di Pisa del 1161 le ricordano<a class="tag" id="tag278" href="#note278">[278]</a>: -nel 1300 il Pegolotti espone come ordinaria questa -assicurazione di denari e mercanzie «a salvi in terra, -a rischio di genti e di mare, a tutto periglio di mare, -di gente, di fuoco, di corsali», con premio dal sei al -quindici per cento: il breve poi del porto di Cagliari -prevede i casi del <i>naulegar</i> e del <i>sigurare</i>. -</p> - -<p> -Ma grand’ala non poteva aprire il commercio quando -sì scarso il contante; non avendosi oro che dalle miniere -di Spagna e Ungheria, poca polvere dall’Africa, -qualche paglia dai nostri fiumi; dell’argento non ancora -lavorandosi le cave dell’Harz; e il commercio -coll’India e la Cina dovendo saldarsi in moneta effettiva, -perchè non avevano esse bisogno delle derrate -o manifatture europee; finchè l’Inghilterra ai nostri -giorni non riuscì a surrogarvi l’oppio e le cotonerie. -</p> - -<p> -I Romani sentirono, ma non ripararono tale deficienza; -la quale, cresciuta collo sperpero della migrazione, -<span class="pagenum" id="Page_483">[483]</span> -poi per le crociate, impacciava le transazioni. Gli -è ben vero che queste nell’interno erano assai rade, -quando la proprietà restava legata da feudi, livelli, diritti -comunali, manimorte, e dall’attenzione di conservare -l’avito possesso: pel consumo usuale poi molto -adoperavasi il baratto. Però l’Italia ebbe sempre maggior -correntezza di contante, sì perchè la sua industria -ve ne chiamava, in tempo che le altre nazioni limitavansi -a comprare e consumare, e tutto doveano procacciarsi -a denaro, non avendo di che far baratti; sì -per lo speso dai tanti che qui erano condotti dalla devozione -o dall’ambizione o dagli affari; sì perchè la -curia romana da tutto il mondo riceveva o tributi, o -tasse per dispense, indulgenze, aspettative, brevetti, investiture -e simili, o frutti di benefizj lontani, investiti a -prelati qui dimoranti. -</p> - -<p> -Se ne valsero i nostri per applicarsi alla banca o al -prestito, e svilupparono le varie forme del credito. -Quando ogni paese, ogni feudo aveva zecca propria, e -spediente di finanza consideravasi il falsare o alterar -le monete, nasceva un’inestricabile diversità di titolo, -d’impronte, di valore. Per sottrarsi alla quale non di -rado si stipulavano i pagamenti a peso, cioè a marco, -diviso in otto once di ventiquattro carati<a class="tag" id="tag279" href="#note279">[279]</a>; onde i -negozianti, prima di rimpatriare, col denaro avuto compravano -oro e argento non coniato. Tanto più che molti -paesi, considerando il denaro come vera ricchezza, non -come solo stromento di cambio e misura del valore, -impedivano gelosamente l’asportarlo. A questo disagio -e alle frodi, troppo facili sopra monete non conosciute, -ripararono Lombardi, Fiorentini, Senesi, nelle primarie -città aprendo scanni, col nome di banchieri o <i>campsores</i>; -<span class="pagenum" id="Page_484">[484]</span> -e ricevute in deposito le somme, sborsavanle man -mano che il depositante traesse su loro, o facevanle a -questo pagare dai proprj corrispondenti ove egli si -recasse. Tutte le operazioni che oggi si lodano come -arte bancaria o si vituperano come aggiotaggio, le -troviamo già in uso; e Firenze nel 1371 moderava i -giuochi di borsa coll’imporre una tassa sopra la vendita -de’ fondi pubblici<a class="tag" id="tag280" href="#note280">[280]</a>. -</p> - -<p> -Una scolastica distinzione fra le ricchezze fruttifere -e le infruttifere, che poneva cioè il valore nelle cose -medesime, non nel servizio che rendono all’uomo, fece -a molti, fino a’ dì nostri, dichiarare illecito il guadagnar -sul denaro; e fatto un precetto del consiglio evangelico -<i>Date a mutuo senza nulla sperarne</i>, si giudicò -peccato il lucrare un interesse. Ma poichè è troppo -naturale e vantaggioso che il capitalista accomodi al -lavoratore, bisognava illudere la coscienza co’ varj sotterfugi -di cui gli usurieri sono maestri. I governi poi -pensarono a porre un limite agl’interessi affinchè non -se ne abusasse; quasi non dovessero, come in tutte le -altre mercanzie, proporzionarsi al rischio, alla ricerca, -al lucro del mutuante. Come avviene dei provvedimenti -arbitrarj, anche questo dovette altalenare; e poichè -probabilmente le variazioni si saranno legalizzate sol -dopo che l’abuso era comune, non possiamo dal variare -degli interessi argomentare la maggior o minore -ricchezza pubblica, cioè il migliore impiego del denaro. -Perocchè a volere che in paese industre gl’interessi -si proporzionino al vantaggio che ne trae l’accattante, -bisognerebbe che i divieti non perturbassero l’equivalenza -de’ servigi; e molte volte gl’interessi sono alti in -<span class="pagenum" id="Page_485">[485]</span> -grazia non della prosperità, ma del rischio a cui il capitale -si espone. Così oggi in Levante, perchè il Corano -vieta il ricevere frutto, il prestatore non protetto dalla -legge deve premunirsi dai rischi della contravvenzione. -</p> - -<p> -Il codice romano stabiliva il merito del quattro per -le persone illustri, dell’otto pei mercanti, del dodici -per quelli di grado inferiore che prestassero grano o -derrate, del sei per gli altri; tanto era mal compreso -l’uffizio del denaro. Nel medio evo, il commercio trasse -il denaro nelle città, sicchè i signori castellani e principi -ne pativano disagio, e bisognava ne cercassero a -usure trasmodate. Guido conte di Biandrate nel 1161 -pattuiva quattro denari al mese, cioè il venti per cento. -Nel 1201 Arduino vescovo torinese conveniva con Giacomo -e Bartolomeo Sylo, se non restituisse fra due -anni le dovute 152 lire susine, v’aggiungerebbe lire 13; -se fra tre, lire 25; se fra quattro, lire 58; se fra cinque, -lire 90; se fra sei, lire 113: il che era un modo di -mascherare l’usura, maggiore del dodici per cento -(Cibrario). Nei conti di Giuliano di Nannino de’ Bardi -con Pietro di Francesco Piccioli nel 1427 al prestito -di lire 2928 in un anno è computato l’interesse di lire -878: lo che scontra il trenta per cento (Pagnini). Il -doge Mocenigo assegna il quaranta all’anno pei capitali -messi nel commercio. Federico II in Sicilia lasciò solo -agli Ebrei il prestare, e proibì di passare il dieci<a class="tag" id="tag281" href="#note281">[281]</a>; -errore massiccio, emendato dalle violazioni. Uno statuto -veronese nel 1228 prefiggeva il dodici e mezzo; -<span class="pagenum" id="Page_486">[486]</span> -uno di Modena del 70, il venti; uno di Cremona del 78 -interdisse agli Ebrei di esigere sui pegni più di sei denari -per lira al mese. Nel <span class="smcap lowercase">XIV</span> secolo v’ha esempj del -trentacinque. A Firenze erano ottanta banchi, e il monte -pagava il merito del dodici o quindici e non mai più -del venti: per moderare le usure, nel 1430 vi si chiamarono -Ebrei, i quali obbligavansi a non riscuotere di -là dal venti; e quando nel 95 furono espulsi, si trovò, -o almeno si disse che in cinquant’anni aveano guadagnato -49,792,556 fiorini. -</p> - -<p> -In Piemonte, morendo uno in fama d’avere guadagnato -di usura, ogni aver suo ricadeva nel fisco: al -qual uopo con rigore si suggellava la casa, s’imprigionavano -la vedova e i figli acciocchè dichiarassero se -nulla tenessero nascosto: istituivasi l’indagine, dalla -quale raramente l’accusato usciva netto quando importava -al fisco di trovarlo in colpa; anche purgandosi, -non veniva reintegrato della roba e dell’onore: lo perchè -tutti procuravano accordarsi col fisco, colpevoli o -no (Cibrario). -</p> - -<p> -Il pregiudizio contro gli Ebrei impedì acquistassero -proprietà sode; onde si gettarono sulle arti e sul commercio, -e non legati da restrizioni clericali, e nell’obbrobrio -loro poco adombrandosi di nuova infamia, davano -a prestito. Quei che doveano accattar denari da -loro, gli accusavano di esorbitanti usure; i rovinati, -gl’infingardi riversavano sopra di loro ogni colpa, pretesto -a fraudarli del dovuto: e così odiati e necessarj, -menavano quella esistenza eccezionale, che è una singolarità -in mezzo alle singolarità del medioevo. Ma -quel continuo cacciarli per continuo restituirli attesta -la cresciuta importanza delle ricchezze commerciali, -per cui l’opifizio ormai equivaleva al castello. Che se -in Francia e in Inghilterra gli Ebrei erano esposti alle -brutalità della plebe, alle persecuzioni de’ preti, all’insaziabiltà -<span class="pagenum" id="Page_487">[487]</span> -dei re, che li chiamavano per ottenerne denari -a prestito, poi li sbandivano per farsi pagare -la tolleranza, da noi poteano trafficare, se non senza -odio, almeno senza pericolo; e se per l’opinione dello -scannar figliuoli alla pasqua, la quale vedemmo ridesta -perfino ai giorni nostri, erano avversati non -meno dalla fanatica Napoli che dalla colta Firenze, -spesso gli statuti li riconoscevano, se non altro, per moderarli. -Venezia nel 1400 a due Ebrei concesse di fondare -una banca di prestito; e quando s’impadronì di -Ravenna, prese obbligo di spedirvi banchieri ebrei; i -quali aveano case a Roma, a Firenze, a Pavia, a Parma, -a Mantova, anzi in tutte le principali città. -</p> - -<p> -A Roma l’università degli Ebrei doveva pagare 1130 -fiorini d’oro (come da istromento inserito nella bolla -di Bonifazio IX del 1399) che servissero alle feste -carnovalesche di piazza Navona e a Testacio. Inoltre, -al principio del carnovale, alcuni loro deputati doveano -presentarsi ai conservatori di Roma, implorando continuasse -a loro la protezione del popolo romano, e offrendo -un mazzo di fiori e una cedola di 20 scudi, da -spendere in addobbare i palchi della magistratura romana. -Il primo conservatore rispondeva, che, se rimanessero -quieti e fedeli, non verrebbe lor meno la protezione -del popolo e del papa. Eguale omaggio faceano -al senatore, che rispondeva in simili sensi. -</p> - -<p> -A Martino V gli Ebrei d’Italia portarono lagnanze pei -mali trattamenti che soffrivano; ed egli, inerendo all’operato -da’ suoi predecessori, promulgò privilegi, e -proibì agl’inquisitori e ad ogni altra persona laica od -ecclesiastica di predicar contro di loro e inviperire la -plebe, nè recare ad essi molestie, salvo se fossero fautori -dell’eresia, non obbligarli ai divini uffizj, non battezzarne -alcuno prima dei dodici anni. Nondimeno alcuni -predicatori, massime de’ Mendicanti, persuadevano -<span class="pagenum" id="Page_488">[488]</span> -i Cristiani ad evitare ogni contatto cogli Ebrei, non -cuocer loro il pane, non prestar fuoco o servizj, non -riceverne prestanze, minacciandoli di ecclesiastiche censure; -a tacer quelli che, eccitati da ciò, ne sturbavano -i possessi, li battevano, ingiuriavano, uccidevano; col -che «li rendeano più ostinati nella loro perfidia, mentre -colla carità potrebbero cattivarli». Laonde Pio II, nella -bolla 27 luglio 1459, toglie in protezione gli Ebrei; -abbiano sinagoghe e sepolture senza impaccio; nè vogliasi -costringerli a vivere a modo nostro, o lavorare il -sabato; nè siano esclusi dal conversare coi nostri, nè -dal comprare o appigionar case e beni da Cristiani, e -far contratti, mercatare, tenere scuole delle scienze giudaiche<a class="tag" id="tag282" href="#note282">[282]</a>. -</p> - -<p> -Cogli Ebrei presto vennero a concorrenza Lombardi, -Astigiani, Toscani, Caorsini, aprendo banche in ogni -canto d’Europa, e accomodando di denaro non solo i -<span class="pagenum" id="Page_489">[489]</span> -privati, ma anche il pubblico, e massime in Inghilterra, -cautelandosi sopra i dazj. Gli statuti di Susa fin dal xii -secolo parlano di <i>casane</i> stabilite in varie città d’Italia, -cioè banchi di prestanza e di cambio. Nel 1277 Filippo -III re di Francia catturò tutti i prestatori italiani -sotto imputazione d’usuraj, ma in fatto per ismungerli; -e si lasciò calmare solo da sessantamila libbre di parisj, -che varrebbero oggi ventiquattro milioni<a class="tag" id="tag283" href="#note283">[283]</a>; poi nel -94 stipulava col capitano e col corpo de’ cambisti italiani, -che gli dovessero un tanto per gli affari di cambio. -Metz ne avea fin dal 1260, e nel 1370 restaurò le sue -mura colla taglia percetta su questi Lombardi; nel 1404 -appaltava per dodici anni la sua banca a Giovanni Frassinale -di Vercelli per duemila e quattrocentotto fiorini -di Firenze. -</p> - -<p> -Al pari degli Ebrei erano favoriti e odiati i Lombardi; -tassate al doppio delle altre le <i>lettere lombarde</i>, -con cui la cancelleria francese gli autorizzava al commercio; -relegati in quartieri distinti e chiusi, simili ai -ghetti; e a volta a volta spogliati violentemente od -espulsi. Un’ordinanza del 6 gennajo 1477 invitava gli -abitanti di Amsterdam a ritirare i loro pegni dai -Lombardi avanti il martedì grasso, assolvendoli dagli -interessi. -</p> - -<p> -I Fiorentini principalmente applicarono a quest’industria; -e Frescobaldi, Bardi e Peruzzi, Capponi, Acciajuoli, -Corsini, Ammannati erano le più famose banche -cantanti in Inghilterra e ne’ Paesi Bassi. La casa dei figli -di Caroccio degli Alberti dal 1348 al 57 aveva filiali -ad Avignone, Bruges, Napoli, Barletta, Venezia e altrove, -le quali pagavano o riscotevano le somme da rimettersi -in Avignone alla corte pontifizia o ad altre piazze -di Francia, Fiandra, Germania, Italia: contemporaneamente -<span class="pagenum" id="Page_490">[490]</span> -negoziava in grosso di panni, che da Brusselles, -Gand e altre terre di Fiandra, Francia, Inghilterra, per -la lor casa di Bruges erano spediti al fondaco di panni -in Firenze, per la via di Parigi, Marsiglia, Nizza, Pisa<a class="tag" id="tag284" href="#note284">[284]</a>. -</p> - -<p> -Destri com’erano, qual meraviglia se i nostri venivano -adoprati per consiglieri e ministri di finanza da -principi? tanto più che non poteano questi assumere -veruna impresa se dal banchiere non ne avessero assicurati -i mezzi. Molti <i>siniscalcati</i> della Francia meridionale -erano appaltati a compagnie di Lombardi, che -si assumevano queste imprese finanziarie<a class="tag" id="tag285" href="#note285">[285]</a>: a Lione -case fiorentine, lucchesi, genovesi faceano in grande il -commercio d’asportazione e importazione de’ tessuti di -lana e seta<a class="tag" id="tag286" href="#note286">[286]</a>, e vi serba nome la via de’ Guadagni -ove questi teneano banca: ne’ libri mastri di Genova, -di Pisa, di Messina, in mancanza di altri documenti, -vengono a cercar prove di nobiltà le famiglie francesi -che ambiscono di poter inserire la croce nel loro -stemma. -</p> - -<p> -Quelle banche riceveano in deposito capitali di signori -e principi. I figli d’Obizzo d’Este nel 1293 fecero -intimare alle compagnie de’ Baccherelli, della Cella, -dei Cerchi Bianchi e Neri, de’ Frescobaldi, de’ Nerli, -de’ Bardi, degli Acciajuoli, ed altre di Firenze, nulla -rendessero al marchese Aldobrandino di quel che il -loro padre aveva ad essi affidato<a class="tag" id="tag287" href="#note287">[287]</a>. Giovanni Bodino -disapprovava una banca a Lione, su cui metteano fondi -non solo principi cristiani ma fino i bascià, e che a -Francesco I fece patti onerosissimi, e ad Enrico II -prestò a nome de’ Capponi e degli Albizzi, al dieci e -<span class="pagenum" id="Page_491">[491]</span> -dodici e fin sedici per cento. Borromeo de’ Borromei, -di quel Samminiato donde uscirono fra poco i Buonaparte -e gli Sforza, nel 1379 accomodava di ottantamila -fiorini d’oro Gian Galeazzo Visconti. Nel 1321 i Peruzzi -doveano avere cennovantunmila fiorini d’oro, -e centrentatremila i Bardi dai cavalieri di San Giovanni. -Fu considerato come pubblico disastro quando gli Scali -nel 1339 fallirono di quattrocentomila fiorini; e i Peruzzi -e Bardi di mille trecento settantatremila, che equivarrebbero -a quaranta milioni di lira d’oggi. -</p> - -<p> -Agli Ebrei attribuisce Giovan Villani le lettere di -cambio, i quali, sbanditi di Francia sotto Dagoberto I -nel 630, Filippo Augusto nel 1181, e Filippo il Lungo -nel 1316, si ritirarono in Lombardia, e per trarre il -denaro lasciato colà, a mercanti e viaggiatori davano -lettere concise. Qual conto fare di un’indicazione di -tempo così indeterminato? e quanto poco è probabile, -allorchè il bando vietava ogni comunicazione ed assistenza -agli Ebrei espulsi. Sa più ragionevole il lodarne -i Guelfi di Firenze, che sbanditi dai Ghibellini, trassero -somme, principalmente in Lione. I Ghibellini, cacciati -alla lor volta, ricoverarono ad Amsterdam, ed usarono -altrettanto<a class="tag" id="tag288" href="#note288">[288]</a>. -</p> - -<p> -Alcune cambiali non aveano particolare direzione, il -che si praticava specialmente in Levante, e sembra indicarle -il Fibonacci sin dal 1202: altre ordinavano di -pagare a persona nominata; e il primo esempio sicuro -è di papa Innocenzo IV, che nel 1246 trasmetteva venticinquemila -marchi d’argento ad Enrico Raspon anticesare, -facendoli pagare a Francoforte da una casa di -<span class="pagenum" id="Page_492">[492]</span> -Venezia. Nel 1253 Enrico III d’Inghilterra autorizzò -alcuni italiani suoi creditori a rimborsarsi mediante -tratte sopra vescovi del suo regno, il valor delle quali -ammontava a 150,540 marchi; e il legato pontifizio -ebbe cura di farle pagare puntualmente. I negozianti -trovarono comodo il pareggiar le partite senza intervenzione -dei banchieri per via di tratte; e la più antica -che ci resti è d’una casa di Milano, che nel 1326 tirava -sopra una di Lucca a cinque mesi dalla data<a class="tag" id="tag289" href="#note289">[289]</a>. -Baldo giureconsulto adduce due cambiali, una del 1381 -sotto nomi supposti, l’altra del 95 di Borromeo de’ -Borromei da Milano sopra Alessandro Borromeo. -</p> - -<p> -Un regolamento del 1394 ingiunge ai negozianti di -Barcellona di pagar le cambiali entro ventiquattr’ore -dalla presentazione, e di attergarne l’accettazione; e -pare si conoscessero anche i protesti. Più tardi s’introdussero -le girate, che ne formarono la vera comodità. -Se dunque gli Ebrei inventarono le cambiali, la vera -teorica loro è dovuta agl’Italiani, che le estesero per -incassare i fondi, da ogni parte del mondo affluenti alla -corte di Roma. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_493">[493]</span> -</p> - -<p> -Alle fiere di Champagne, molto frequentate perchè -medie fra l’Italia, la Francia meridionale e i Paesi Bassi, -breve tempo s’indugiavano i negozianti; laonde i re di -Francia statuirono che, contro chi lasciasse scadere -una cambiale firmata nella fiera precedente, si procedesse -in via sommaria. Di qui il diritto cambiario; e -spesso obbligavansi i debitori ad enunziare ne’ recapiti -che il debito era stato contratto in tempo di fiera per -goderne il privilegio. -</p> - -<p> -Spedientissime trovate furono le banche pubbliche, -le quali nelle transazioni di commercio surrogano al -denaro sonante i viglietti, cioè raddoppiano i titoli legali -del concambio. Fin dal 1171 pare Venezia possedesse -un banco di credito; altre città ne istituirono, -ma nessuna con tanta ampiezza e fortuna quanto Genova, -del cui banco di San Giorgio abbiamo già parlato -a disteso (tom. <span class="smcap lowercase">VII</span>, pag. 111). -</p> - -<p> -Affine poi che anche i privati trovassero comodità di -prestiti senza cascare negli usurieri, si stabilirono i Monti -di pietà. Il primo si vide a Perugia nel 1467<a class="tag" id="tag290" href="#note290">[290]</a>, -per opera di Bernabò medico di Terni, frate francescano, -che non esigeva se non quanto bastasse alle -spese d’amministrazione. San Bernardino da Feltre -e frà Michele da Carcano diffusero quest’istituzione a -Mantova<a class="tag" id="tag291" href="#note291">[291]</a>, a Como e nella restante Lombardia; -Sisto IV approvò quello eretto a Viterbo il 1479, e ne -pose uno in Savona sua patria; tosto Cesena, Firenze, -<span class="pagenum" id="Page_494">[494]</span> -Bologna, Napoli, Milano, Roma seguirono l’esempio, -imitato dalle città industri di Fiandra, e più tardi dai -Francesi. A qualche rigoroso moralista odoravano di -usura, e accanita disputa si allungò fra teologi e giureconsulti; -ma l’utilità che ne derivava indusse a mettervi -piuttosto ordine e misura. -</p> - -<p> -Da quanto esponemmo siete chiari come le forze e i -capitali si sapessero aumentare col formar compagnie -di commercio. Fin dal 1188 è ricordata la società pisana -degli Umilj, stabilita a Tiro, e che fra il negoziare -non lasciava di soccorrere i Crociati<a class="tag" id="tag292" href="#note292">[292]</a>. I Bardi di -Firenze aveano quasi il monopolio di tutto il regno di -Napoli. Parrebbe anzi che le varie compagnie si abbracciassero -in una generale, che costituiva una potenza -mercantile, e che per ambasciadori trattava coi -re e coi baroni, al modo dell’Ansa tedesca. Certamente -un <i>capitano dell’università de’ mercadanti lombardi e -toscani</i> risedeva a Montpellier, donde il 1276 re Filippo -l’Ardito consentì si trasportasse a Nîmes<a class="tag" id="tag293" href="#note293">[293]</a>, -nella carta stessa concedendo che nessun membro d’essa -università potesse citarsi ad altro tribunale che al regio; -morendo, i loro beni passino agli eredi; non soffrano -del diritto di naufragio; vadano esenti dalle guardie, -<span class="pagenum" id="Page_495">[495]</span> -dalle taglie, dai servizj militari. Nel 1293 al Bourget -in Savoja stipulavasi una salvaguardia tra Lodovico di -Savoja signore di Vaud, e l’università dei mercanti di -Lombardia, Toscana, Provenza, rappresentata da procuratori -de’ mercanti di Milano, Firenze, Roma, Lucca, -Siena, Pistoja, Bologna, Orvieto, Venezia, Genova, Alba, -Asti, Provenza (Cibrario). Nè ignota era la società -d’accomandita, per cui uno dà a trafficare una somma, -partecipando agli utili interi, ma alle perdite soltanto -fin all’ammontare del prestato<a class="tag" id="tag294" href="#note294">[294]</a>; e con decreto del -1315 Luigi X di Francia dichiarava non trovare usura -in società siffatte, da Italiani istituite. -</p> - -<p> -Le società stipulavano comunemente che le gabelle -non fossero d’improvviso aumentate ne’ luoghi di passaggio; -se qualche nazionale o i conduttori facessero -ingiuria ai natìi, si punirebbe l’offensore senza concedere -rappresaglie sopra i mercanti; si terrebbero netti -i cammini da masnadieri; che se essi od altri danneggiassero, -i mercanti ne verrebbero rifatti; non si sballerebbero -le merci; le quistioni che insorgessero, sarebbero -definite il giorno medesimo. Inoltre aveano chiesa, -bagno, piazza, forno, macello, casa, giurisdizione propria, -talvolta anche criminale. Nel 1189 Pietro re d’Arborea -agli uomini di Genova assegna in Oristano <i>tantam -terram, qua fabricari possunt centum botegas</i>; -poi nel 92 privilegi amplissimi, fra cui promette, se -alcun legno rompe, farà restituire quanto venisse tolto; -se alcun uomo muoja, non ne terrà cosa alcuna benchè -intestato. -</p> - -<p> -Nel 1169 Boemondo III principe d’Antiochia dona ai -Genovesi tutto ciò ch’essi tengono in Antiochia e Laodicea -<span class="pagenum" id="Page_496">[496]</span> -e nel porto di Seleucia: cioè in Antiochia una -ruga colla chiesa di San Giovanni; in Laodicea il fondaco -e la strada che lo cinge, e terza parte delle rendite -del porto; come anche in Seleucia. E se farà altri -acquisti, concederà quello stesso che hanno in Laodicea; -se qualche ingiuria ricevano, e’ ne vorrà accomodamento -e giustizia fra quaranta giorni; sieno -licenziati a negoziare in qualunque terra egli acquisti -col loro soccorso: il che tutto fa per consiglio de’ baroni -suoi, perchè molto ama i Genovesi, e desidera -frequentino al possibile la terra di lui e vi dimorino. -Pel qual privilegio Lanfranco Alberico, uomo nobilissimo, -e legato del senato e de’ consoli, per sè e pel -Comune della famosissima città di Genova gli promettono -ajutarlo, crescere le sue possessioni e difenderle<a class="tag" id="tag295" href="#note295">[295]</a>. -</p> - -<p> -In qualche luogo, come a Tiro, i Genovesi partecipavano -del diritto di catena che pagavasi da ogni nave -entrando o uscendo. Secondo lo spirito d’esclusione -d’allora, ciascuna compagnia affaticavasi non meno a -vantaggiare se stessa che a deprimere le altre, e col -monopolio assicurarsi ingenti guadagni<a class="tag" id="tag296" href="#note296">[296]</a>. Di simili -trattati una gran quantità troviamo sia delle città fra -loro, sia de’ principi, che vi s’affrettavano perchè assicuravano -ai loro paesi un lucroso passaggio: ma spesso -più che le grida e i tribunali valeva l’opera del papa, -che con interdetti e scomuniche puniva i violatori. -</p> - -<p> -La quantità de’ pirati, massimamente barbareschi, -cagionava che il commercio non procedesse senz’armi, -<span class="pagenum" id="Page_497">[497]</span> -anzi ogni nave era obbligata uscire ben munita. A Genova -per legge del 1291 era multato in dieci lire il -mercante che navigasse oltre Portovenere senza buone -armi per sè e pei servi, e cinquanta verrettoni nel turcasso. -A Venezia ogni marinajo dovea recarsi elmo di -cuojo e di ferro, scudo, giaco, coltello, spada e tre -lancie; se ricevesse più di quaranta lire di stipendio, -vi doveva aggiungere la panciera; ed anche balestra e -cento saette il nocchiero<a class="tag" id="tag297" href="#note297">[297]</a>. Pertanto vedemmo i -nostri negozianti prendere tanta parte alle crociate e -far conquiste, od esercitare in mari lontani le ire fratricide -della patria. -</p> - -<p> -Anche le compagnie di commercio terrestre provvedeano -colle armi alla propria sicurezza, e talora le adopravano -in guerra. Alberto Scotto, famoso tiranno di -Piacenza, era alla testa di una grossa <i>compagnia degli -Scotti</i>, che nel 1299 ottenne di negoziare cogli agenti -del re di Francia sulle fiere della Brie e della Sciampagna; -la qual compagnia, composta di quattrocento -cavalli e millecinquecento pedoni, poco poi guerreggiava -a’ servizj d’esso re<a class="tag" id="tag298" href="#note298">[298]</a>. -</p> - -<p> -La maggiore importanza consistette sempre nel commercio -di mare. Lo scadimento di Roma crebbe vita a -Costantinopoli, la quale stendendo la destra verso l’Arcipelago, -la sinistra al Ponto Eusino e alla palude Meotide, -coll’Asia Minore in faccia e l’Europa alle spalle, pare -destinata centro ai negozj di tutto il nostro emisfero. -Le merci d’Oriente vi erano condotte dall’Egitto, o i -<span class="pagenum" id="Page_498">[498]</span> -Bisantini medesimi andavano cercarle nell’India, nella -Persia, fors’anche nella Cina. Il primo irrompere degli -Arabi divenuti maomettani non potea che rovinare il -commercio: ma poi essi medesimi vi si applicarono -dovunque estesero la conquista; fondarono Bàssora, -che tolse il vanto ad Alessandria; coll’occupare l’Egitto, -interclusero ai Bisantini il mar Rosso, obbligandoli a -provvedere da loro le ormai indispensabili derrate dell’India, -o a questa rivolgersi per una traccia lunghissima, -salendo fino a Kiof in Russia. -</p> - -<p> -Le crociate, cominciando a far guardare l’Europa -come una sola nazione, unirono gli uomini a concordi -imprese, gli avvicinarono ai paesi delle derrate preziose, -guadagni e privilegi e occasioni accrebbero alle città -marittime, che collo stendardo della croce protessero -le speculazioni. Poi le frazioni feudali agglomeravansi -in nazioni; e i Comuni sorgevano a quella libertà, che -dà coraggio a cercare i miglioramenti; e Amalfitani e -Pisani in prima, poi Genovesi e Veneziani si resero i -principali, se non gli unici fattori del traffico europeo<a class="tag" id="tag299" href="#note299">[299]</a>. -Dal settentrione per la Piccola Tartaria vettureggiavano -canapa, legname, gòmene, pece, sego, cera, -pelli, molti trattati conchiudendo coi Mongoli successori -di Gengis-kan e di Oktai, che aveano conquistato la -Russia, la Polonia, l’Ungheria e la Moldavia, e da cui -compravano il bottino e schiavi. Impediti d’andare nell’India -per l’Egitto, vi si spingeano pel mar Maggiore, -come chiamavano il Nero, nel quale il Tanai, il Boristene, -il Dniester, il Danubio portano le variatissime -produzioni di estesissime contrade, mal accessibili per -<span class="pagenum" id="Page_499">[499]</span> -terra. Ivi principale posatojo era la Tana, cioè Azof, -all’imboccatura del Don, ove da un lato si aveva la -Moscovia, dall’altro l’Armenia, l’Arabia, la Persia, per -cui poteasi arrivare al Mogol e alla Cina; e vi teneano -cànove Genova, Venezia, Firenze e altre città. I Veneziani -per giungere dalla Tana a Catai doveano lasciarsi -crescere le barbe, e avere un buon interprete e servigiali -che sapessero di tartaro; ordinariamente un mercante -portava seco in denari e merci per venticinquemila -ducati d’oro; e trecento a trecencinquanta bastavano -al viaggio fino a Peking, compresi i salarj degl’inservienti -(Pegolotti). -</p> - -<p> -Costantinopoli, oziosa e corrotta capitale d’uno Stato -senza industria, considerava il commercio men tosto -come elemento di pubblica prosperità, che come rendita -fiscale; onde le speculazioni di quell’immenso -mercato rimanevano a stranieri. Perciò Veneziani e -Genovesi, dapprima tollerati, presto furono trovati utili, -infine necessarj; e i deboli imperatori, per mantenersene -la vacillante amicizia, non conoscevano altro spediente -che rinnovare e spesso estendere i loro privilegi. Ne -rampollarono calde rivalità fra Genova e Venezia, che -vedemmo combattute nei mari nostri e negli orientali. -La conquista di Costantinopoli pei Crociati dava la prevalenza -ai Veneziani? i Genovesi favorivano Michele -Paleologo a distruggere l’impero latino; ed esso in compenso -privilegiò la loro colonia di Galata, che spesso -giovò, spesso incusse timore all’impero greco. -</p> - -<p> -Genova, posta quasi nel mezzo della costa che archeggia -dalla Sicilia allo stretto Gaditano, avendosi -dinanzi il Mediterraneo, da un lato la Provenza e la -Francia, dall’altro l’Italia meridionale, a spalle la pingue -Lombardia, a fronte Corsica e Sardegna, Spagna ed -Africa, con poco ed ingrato terreno, con mare scarso -di pesci, mostrasi predisposta al commercio, che di -<span class="pagenum" id="Page_500">[500]</span> -fatto vi è antico quanto lei. Le emulazioni con Pisa, con -Venezia, coi Catalani ne svilupparono la marittima abilità -ed il caratteristico coraggio: marinaj più intraprendenti -de’ suoi dove trovare? molti per proprio conto -assumevano spedizioni e conquiste, talora approvati -dal Governo, talaltra abbandonati alle forze particolari, -secondo portava il pubblico interesse o la fazione dominante. -I dossi erano ancora vestiti di pini e d’abeti, e -nel 1822 dal solo bosco di Bajardo presso Triora bastò -legname per trentotto galee; da quello di mont’Ursale -a Pareto per dieci ogni anno (Serra). E preti e nobili -negoziavano; molteplici le società, ove i ricchi mettevano -denari, i poveri l’opera: se non che l’infellonire -delle fazioni tolse a quella repubblica di cogliere tutti i -vantaggi che le avrebbero procurato tanta abilità degli -ammiragli, tanta intrepidezza delle ciurme, tanto spirito -intraprendente, tanti capitali. -</p> - -<p> -L’acquisto più famoso di Genova in Levante fu la -Gazarìa. Sulla penisola della Tauride, bagnata dal Ponto -Eusino e dalla palude Meotide o mare delle Zabacche, -nel giro di ben settecencinquanta miglia, e per l’istmo -di Perekop, largo un miglio, unita ai paesi del Boristene -e del Bog e alle steppe della Tartaria Nogaja, già -per l’opportunità gli antichi Greci aveano piantato colonie, -vinte da Mitradate, poi dai Romani. Fu occupata -da successive genti barbare, e massime dagli Slavi Cazari, -dai quali il nome di Gazarìa. Soggiogata dai Tartari -nel 1237, un loro principe la vendette ai Genovesi -nel 61, che vi assisero colonie per tutto, e principalmente -a Caffa. Questa, situata sul lembo orientale della -penisola, a piè de’ monti che fanno cintura alla medesima, -già era colonia greca, poi illustre col nome di -Teodosia, finchè non cadde in ruine, fu ristorata e -munita dai nuovi padroni, i quali con titolo di magazzini -fecero case basse, poi le fortificarono senza far -<span class="pagenum" id="Page_501">[501]</span> -mostra, siccome gl’Inglesi a Bengala. Ivi preso buon -avvio, le alture vicine roncarono a viti, insegnarono a -depurare la soda dalle ceneri dell’atrepice laciniato, -ivi abbondantissimo, ed estesero i vantaggi del commercio. -Il vecchio Crim, che sedeva sull’opposto pendìo, -e dove i Tartari recavano le loro prede, salì per questi -vicini in tale aumento, che a tutta la penisola venne il -nome di Crimea, e da trecentomila abitanti arrivò ad -un milione. -</p> - -<p> -A Caffa i Genovesi trovavansi in casa propria, esenti -dai capricciosi dazj de’ Barbari cui erano esposti alla -Tana, e a milletrecencinquanta miglia dalla patria aveano -un porto nazionale ove deporre le merci e raddobbarsi, -mentre desse luogo la stagione malvagia. Coi soliti -vantaggi de’ popoli colti fra i Barbari, annodarono relazioni -di commercio e di politica, ai cittadini diedero -magistrati proprj e statuti e moneta, e piantarono una -missione. Il console Donadeo Giusti la fe cingere di -mura; nel 1383 Leonardo Montaldo doge vi faceva una -seconda cinta; e tanto ingrandì, che i Turchi la denominavano -Costantinopoli di Crimea (<i>Krim Stamboul</i>); -vent’anni appena dopo fondata, spediva tre galee a soccorrere -Tripoli di Soria; nel 1318 vi era insediato un -vescovo, con giurisdizione dalla Bulgaria al Volga, dalla -Russia al mar Nero. -</p> - -<p> -A mezzodì e a settentrione del seno di Caffa due altri -se n’addentrano. Nel primo è Sodagh o Soldaja, con -poggi a viti preziose, e terebinto, e pietre da macine. -I Genovesi vi fabbricarono una torre di difficilissimo -accesso, e attorno a quella le proprie case e mura. -Avanzando ancora a meriggio si volta il capo d’Ariete -(<i>Kriu-metopon</i>), oggi Ajù; poi piegando a ponente è -il Portus Symbolorum, detto Cimbalo dai nostri, ed oggi -Balaklava, dove i Genovesi posero colonia, opportuno -ricovero alle navi del ponente. Dietro a Cimbalo, tra -<span class="pagenum" id="Page_502">[502]</span> -Lusen e la Lombarda, la Gozia ricordava col nome i -Goti, e quivi, dove le strade vengono a incrociarsi, i -Genovesi eressero l’inespugnabile Mankup. A settentrione -si scende in un piano irrigato dall’Alma, ove i -kan della Crimea fabbricarono Bakciserai; e tutt’intorno -vi rimangono vestigia di case e villaggi genovesi. -</p> - -<p> -Da Caffa volgendo a settentrione, si trova Cerco alle -falde del monte ove stava Panticapea, camera dei re del -Bosforo, sporgendosi fra l’Europa e l’Asia; e i Genovesi -non trascurarono di fortificarlo, chiudendo quel varco -tra il mar Nero e quello delle Zabacche. Di colà si -spinsero entro le foci del Danubio, presso Chiliavecchia -posero un castello, e profittavano della pesca dello storione; -alle foci del Dniester aveano in Ackerman stabilimenti -pel sale e la pesca, e per ricevere grani dalla -Polonia; sul lido opposto, a Sinope pescavano il palamide, -che seccato fa vece di baccalare. Giunsero poi -anche a farsi padroni della Tana, in fondo alla palude -Meotide<a class="tag" id="tag300" href="#note300">[300]</a>; ma nessuno storico accenna il quando e -il come di sì importante acquisto. Forse quella città -posseduta dai Tartari fu, nelle sconfitte di questi, distrutta -da Tamerlano, e i coloni genovesi da Caffa vi -accorsero e la rialzarono verso il 1400. -</p> - -<p> -Chi vide testè (1855) tutta Europa combattersi pel -possesso di quel mare e per voler aperto il passo dei -Dardanelli, comprenderà l’importanza che allora v’annetteano -i Genovesi; tanto più che allora ignoravasi la -via più diretta alle Indie. -</p> - -<p> -La repubblica genovese, fiaccata dal continuo traspeggio, -cedette la Gazarìa al banco di San Giorgio, del -cui senno restano bel monumento gli <i>statuti</i> che le -diede. Ordinata a sembianza della metropoli, presedeva -<span class="pagenum" id="Page_503">[503]</span> -all’amministrazione un console annuo con un cancelliere, -nominati a Genova, e che prestavano cauzione. Rappresentava -la colonia un consiglio di ventiquattro, rinnovato -ogni anno dai membri uscenti, e che sceglieva un -piccolo consiglio di sei, fuori del suo grembo; non più -di quattro borghesi di Caffa potevano aver parte nel -primo, due nel secondo; alcuni posti pei nobili, altri -per i plebei. Il console arrivando dava ai ventiquattro -il giuramento, e tosto facea procedere alla loro rinnovazione; -governava col piccolo consiglio, senza cui non -poteva imporre taglie nè fare spese straordinarie; non -avere traffici per proprio conto, nè ricever doni. Il -cancelliere, scelto dal Governo fra i notari di Genova, -rogava gli atti e apponeva il suggello. L’uffizio della -campagna rendeva giustizia ne’ contratti de’ coloni coi -liberi confinanti. -</p> - -<p> -Così da Costantinopoli, da Caffa, dalla Tana, Genova -esercitava il commercio col Levante mediante una sequela -di scali, che giungevano fino alla Cina da una -parte, dall’altra all’India lungo il golfo Arabico, sul quale -sembra le fosse interdetto veleggiare. Altri n’aveva in -tutta la Romania, la Macedonia e l’Arcipelago; e nominatamente -a Scio, una delle isole Sporadi, che perduta, -fu recuperata da Simon Vignoso con galee fornite da -nove famiglie, unitesi poi nella <i>maona</i> o ditta de’ Giustiniani, -dal nome della famiglia ch’era creditrice di -trecentomila scudi d’oro; la repubblica ne lasciò loro -il dominio, che conservarono fino al 1556. Scio avea -ben centomila abitanti; e il mastice che geme dai lentischi, -e che si masticava per tener belli i denti e grato -l’alito, dava esercizio a ventidue villaggi, se ne vendeva -un milione e mezzo di libbre l’anno, e il decimo che -toccava all’erario era valutato dall’imperatore Cantacuzeno -ventimila bisanti, o vogliam dire zecchini. Da -esso e dalle gabelle provenivano annui cenventimila -<span class="pagenum" id="Page_504">[504]</span> -scudi d’oro (sei milioni d’oggi), che si ripartivano fra -le famiglie compadrone a misura del capitale impiegato; -al quale si proporzionavano pure i voti nel governo. In -un trattato del 1431 i Genovesi assentirono al soldano -di trarre da Caffa schiavi; e La Brouquière ne’ suoi -viaggi in Asia incontrò un Genovese che trafficava di -quest’esecrabile merce. -</p> - -<p> -Nell’Anatolia possedevano Smirne, produttrice di sete, -cotoni, ciambellotti, olj, scamonea; e Focea nuova e la -vecchia, donde veniva l’allume. Da Cipro traevano legname, -canape, ferro, grano, zuccaro, cotone, olj, oltre -le derivazioni dall’Oriente. In Italia due magazzini a -Mutrone erano stati donati a Genova dai Lucchesi, per -deporvi il sale e le lane; cave d’allume attivò presso a -Portercole; dall’alta Italia richiedeva produzioni e manifatture -da barattare; dominava anche in Corsica, -Sardegna, Malta, Sicilia; e la prima le dava eccellente -legname, cacio, vini, pescagione, soldati; l’altra grani, -sardoniche, tonni, sardine, oro e argento; Malta frumento, -agrumi, cotoni; la Sicilia sale, seta, cotone, oro, -e ogni ben di Dio<a class="tag" id="tag301" href="#note301">[301]</a>: dalle Baleari toglieva sale; e di -due borse che avea Majorca, l’una era comune a tutte -le nazioni, l’altra speciale de’ Genovesi. -</p> - -<p> -Savona, Oneglia, Albenga, Monaco, Ventimiglia, altre -città della Riviera formavano Stati indipendenti: pure -Genova esercitava fino a Nizza un protettorato, che le -procurava relazioni abituali con Marsiglia per mare e -per terra, e coi porti della Linguadoca, principalmente -con Aiguesmortes, che posta fra la Provenza e la Linguadoca, -<span class="pagenum" id="Page_505">[505]</span> -col Rodano, colle saline, colle vicinanze di -Ales e di Sant’Egidio, rinomati per la coltivazione del -chermisi, prosperava più che Marsiglia finchè le alluvioni -non la separarono dal mare. Raimondo di Tolosa -che n’era signore, donò ai Genovesi casa e fondaco in -Sant’Egidio, una strada di Arles, il castello di Torbìa, -la metà di Nizza, parte di Marsiglia, metà delle dogane, -e il commercio esclusivo ne’ suoi porti. Sulle popolose -fiere di Sciampagna, Genova spacciava le droghe e raccoglieva -lane<a class="tag" id="tag302" href="#note302">[302]</a>. Case avea pure sulle coste dell’Oceano, -del Belgio, dell’Inghilterra; e documenti del 1316 e 35 -attestano che portava mercanzie, e specialmente allume, -in quell’isola: così colla Spagna, a malgrado de’ Catalani, -i soli che in mare reggessero a concorrenza co’ nostri; -e dall’Andalusia traeva frutti, da Siviglia biade, -olio, liquori, dalla Castiglia piombo, lane, allume, dalla -Catalogna vino, frumento, sparto da tessere stuoje. Fin -dal 1236 facea trattati coi Barbareschi della costa africana -per garantire i naufraghi e proteggere il proprio -commercio; teneva una cancelleria di lingua arabica -per agevolare le corrispondenze con quel litorale, e nel -1274 fu assoldato Asmeto di Tunisi perchè insegnasse -il parlar arabo<a class="tag" id="tag303" href="#note303">[303]</a>. Tunisi era il suo scalo primario, -come per l’Europa occidentale Nîmes, Aiguesmortes, -Majorca. -</p> - -<p> -Ne’ porti di Marocco e dell’Andalusìa rinfrescavano -le navi prima di uscire nell’Oceano per calarsi fino al -capo Non, o salire alle rade belgiche o britanne<a class="tag" id="tag304" href="#note304">[304]</a>. -<span class="pagenum" id="Page_506">[506]</span> -Dal Baltico le nostre bandiere erano escluse dalla lega -Anseatica, gelosa di conservare il monopolio delle derrate -di Russia: le tele, i merletti, l’acciajo, il salnitro, -i fornimenti di cavalli, le mercerie di Germania andavano -a caricare sul Reno, per deporle ne’ magazzini di -Bruges e d’Anversa. Al tempo della guerra di Chioggia -un ammiraglio veneto nelle acque di Rodi diede la caccia -ad un naviglio genovese carico di mussoline, drappi di -seta, d’oro e d’argento, del valsente di quindicimila -ducati; un altro prese due navi catalane, cariche per -conto di Genovesi, delle quali l’una portava per ventimila -ducati veneti, l’altra per quarantamila. -</p> - -<p> -Genova dunque teneva le tre grandi vie del commercio -dell’Asia centrale e dell’India; di cui la prima -sboccava al mar Nero pel Caspio e il Volga; la seconda -a Lajazzo, l’antica Isso, pel golfo Persico, Aleppo e -l’Armenia; la terza ad Alessandria pel mar Rosso e -l’Egitto; e per quelle cambiava le seterie della Cina, -le spezie, i legni tintorj, il cotone, le gemme dell’India, -i profumi dell’Arabia, i tessuti di Damasco, i panni di -Tarso, lo zuccaro, il rame, le tinture di Levante, l’oro -e le piume dell’Africa interna, le pelli, il canape, il catrame, -il caviale, il pelo di castoro, le antenne, i legni -di costruzione dell’Europa settentrionale, i grani di -Tunisi, della Sicilia, della Lombardia, cogli olj, i vini, -i frutti secchi delle Riviere, con armi di lusso, coi -coralli lavorati a Genova, colle tele di Sciampagna, con -lacca, piombo, stagno d’Inghilterra, coi prodotti insomma -di tutta Europa. Aveano (dice press’a poco il -Serra) traffico e dominio in tutta la Liguria marittima -<span class="pagenum" id="Page_507">[507]</span> -da Corvo a Monaco, e nell’isola di Corsica: provvedevano -di sale i Lucchesi; la parte occidentale della -Sardegna riceveva le loro leggi o quelle de’ principi -loro amici; visitavano Civitavecchia e Corneto, emporj -di vettovaglie nello Stato ecclesiastico; nel Regno, lor -principale abitazione dopo Napoli era Gaeta; e se non -vennero a capo de’ loro disegni sopra la Sicilia, furono -sempre in gran numero a Messina, Palermo, Alciata. -Nel mare orientale d’Italia frequentarono Manfredonia, -Ancona, e negli intervalli di pace anco Venezia. In -Ispagna, i conti Berengarj di Catalogna divisero seco -la città di Tortosa; i re di Castiglia, quella d’Almeria, -e poichè ebbero perdute od alienate ambedue, onorevoli -convenzioni tanto co’ regni cristiani della Spagna, -quanto co’ Mori aprirono loro tutti i porti marittimi e -i mercati mediterranei della ricca penisola. Ne’ Paesi -Bassi, Bruges poi Anversa accolsero onorevolmente le -loro compagnie, le quali non solo v’accumulavano roba, -ma l’avviavano ancora in Danimarca, Svezia, Inghilterra, -Russia, Germania: i loro navigli entravano nel -Reno carichi di merci orientali. -</p> - -<p> -L’Egitto era più frequentato dai Veneziani; tuttavolta -i Genovesi non lasciavano di far mercato in Alessandria, -in Rosetta, in Damiata, di stabilirsi anche al Gran Cairo, -e di stringere paci favorevoli con que’ soldani. Nel -Levante la colonia di Pera soprantendeva mediante i -suoi magistrati alle parti meno distanti, quella di Caffa -alle più lontane. Sotto la prima erano la marca de’ Zaccaria, -la Focide de’ Gattilussi, l’Acaja de’ Centeri, un -tempo la Canea in Candia, poi molte isole e porti nell’Arcipelago, -Famagosta e Limisso con altri luoghi in -Cipro, Cassandria, Ainos, Salonichi, la Cavalla nella -Macedonia, Sofia, Nicopoli e altre in Bulgaria, Suczava -in Moldavia, Smirne e Fochia vecchia e nuova nell’Asia -Minore, Altoluogo e Setalia ne’ Turchi, Kars, Sisi, Tarso, -<span class="pagenum" id="Page_508">[508]</span> -Lajazzo nelle due Armenie, e finalmente Eraclea, Sinope, -Castrice ed Ackerman nel mar Nero. Dipendeano dal -governo di Caffa i possessi di Gazarìa, Taman colla sua -penisola, Copa in Circassia, Totatis in Mingrelia, Kubatscka -nel Daghestan, il castello vicino a Trebisonda, -il fondaco in Sebastopoli, il gran mercato della Tana, -e tutte le carovane indirizzate verso il settentrione ed -il centro dell’Asia. Il consolato di Tauris in Persia, -forse indipendente dagli altri, dovea promovere e reggere -il traffico dell’Asia meridionale; ove il provvedimento -più notabile era, che i mercatanti genovesi non -facessero società con forestieri. -</p> - -<p> -Principalmente l’Inghilterra tenevasi legata co’ Genovesi, -e i più bellicosi suoi re Edoardo III ed Enrico V -ne mostrarono speciale benevolenza, adoprandoli in -luminosi impieghi, rifacendoli delle offese dei corsari. -Enrico VI avea proibito d’asportare le lane d’Inghilterra -e Irlanda se non per Calais, città francese allora -acquistata all’Inghilterra, e ch’egli voleva ingrazianire -con tal privilegio; ma ne tenne eccettuati i mercanti -genovesi, veneti e fiorentini. Quando si sottopose ai re -di Francia, Genova si trovò chiusa quell’isola, nemica -a questi; pure vi mandò ambasciadore Giovanni Serra, -il quale vide le contese fra gli York e i Lancaster, e -ammesso all’udienza, sì bene esaltò la pace e i vantaggi -del commercio fra le nazioni colte, e la benevolenza -dell’Inghilterra verso Genova, che i grandi proruppero -in applausi, e il re volle fosse scritto quel discorso, e -messo come proemio della nuova pace, dove ai Genovesi -concedeva d’approdare con fattori e servigiali, -purchè francesi non fossero, e d’introdurre ed estrarre -mercanzie colle antiche norme, purchè nè di forze nè -di consigli sovvenissero ai nemici d’Inghilterra, come -questa farebbe coi nemici di Genova. Presto quel regno, -secondo i meschini concetti d’allora, credendo prosperare -<span class="pagenum" id="Page_509">[509]</span> -il proprio col restringere il commercio altrui, -vietò di asportar lane o d’importare seterie; eppure le -cinture di Genova rimasero eccettuate, e pei panni fu -mestieri cercare il guado dai Genovesi. -</p> - -<p> -Accuratissima politica si voleva per reggere in pace -con nazioni di così varia civiltà eppur farsi rispettare; -e vedemmo come i Genovesi destreggiassero in faccia -ai Musulmani. Sulle coste di Barberia le frequenti mutazioni -di dinastie o di tribù dominanti sospendeano -le buone relazioni, ma tutti s’affrettavano a rannodarle. -Si parve sul punto d’aprir guerra con essi allorchè -Filippo Doria ammiraglio prese e saccheggiò Tripoli, -portandone via settemila schiavi e un milione ottocentomila -fiorini d’oro, poi la vendette a un Saracino; ma -il Governo genovese dichiarossi estraneo a quel fatto, -e lo disapprovò. -</p> - -<p> -Fortunata Genova se di tanta prosperità avesse saputo -vantaggiare! Ma incessanti accozzaglie interne -toglievano di provvedere con saviezza al commercio; -non per pubblica utilità, ma per emulazione di parti -si cresceva il debito pubblico, e l’uffizio di San Giorgio, -che dovea porvi rimedio, diveniva anzi una comodità -a crescerlo: siccome incontra nelle gravi malattie che -i medicamenti riescano pregiudicevoli. Pure quel banco -attestava che la parte più sana dell’irrequietissima repubblica -furono sempre i negozianti, rimanendo esso -una delle più notevoli istituzioni finanziarie del medioevo; -oltre rendere servigi eminenti allo Stato, potè -accomodare nazionali e stranieri, privati e principi; da -papi e imperatori ne erano confermati i privilegi, che -ogni senatore entrando in carica giurava mantenere; -gli otto protettori delle compere erano sempre dei cittadini -migliori, troppo importando godessero ottima -reputazione coloro a cui e nazionali e stranieri affidavano -le proprie fortune; davano parere in tutte le -<span class="pagenum" id="Page_510">[510]</span> -disposizioni di governo e di utilità comune, allestivano -navi per conto del banco, conquistavano e governavano, -quanto fino ai dì nostri la compagnia delle Indie, e ad -essi furono cedute le colonie di Levante e la Corsica. -</p> - -<p> -Il sinistrare degli stabilimenti di Levante nocque tanto -più a Genova, perchè le sue riviere non bastavano a -provvederla di marinaj. Altre nazioni entrarono seco -in gara di mercati, e fu tutto a scapito di essa l’incremento -di Firenze. Pure molti profitti facevano ancora -i Genovesi: Bartolomeo Pellegrini coll’allume e col -mastice divenne il mercante più poderoso in Levante, -e Bajazet I l’accettò mallevadore per riscatto del conte -di Nevers e di ventiquattro altri signori francesi, rimasti -prigioni nella battaglia di Nicopoli<a class="tag" id="tag305" href="#note305">[305]</a>; Antonio Sauli -sull’appalto del sale in Genova e in Lucca talmente -lucrò, che potè a Carlo VIII prestare novantacinquemila -scudi d’oro; i suoi discendenti fabbricarono la -magnifica chiesa e il ponte di Carignano. -</p> - -<p> -Venezia, dopo l’infausta guerra coi Genovesi, avea -dovuto umiliarsi a un trattato, che per tredici anni le -proibiva di penetrare con navi armate nello stretto dei -Dardanelli, per modo che vedevasi quasi intercise le -vie del commercio per l’Alta Asia e i paesi del Caucaso: -ma presto si tolse di sotto il rasojo, e l’ammiraglio -Giustiniani, assalita Costantinopoli, ottenne nuovi privilegi. -Ai Genovesi fu apposto di essere rimasti indifferenti -spettatori di quella lotta, sebbene l’imperatore -avessero lusingato di soccorsi: in realtà essi pensarono -trar partito dal terrore di questo, e gli fecero veduto -che, per metterli in grado d’ajutarlo efficacemente in -nuovi frangenti, era d’uopo conceder loro maggiore -estensione di territorio. Un atto di delimitazione del -1303 ed un trattato del 1304 ampliarono di fatto i privilegi -<span class="pagenum" id="Page_511">[511]</span> -della colonia di Gàlata, situata così da comandare -il passaggio al mar Nero; e la dogana de’ Dardanelli fruttava -all’impero greco trentamila pezzi d’oro, ducento -settantamila ai Genovesi. -</p> - -<p> -Questi diedero mano all’imperatore contro gli avventurieri -Catalani, i quali osarono fin assalire la capitale -e piantarsi a Gallipoli, dond’essi riuscirono a snidarli: -lo sorressero pure contro i Turchi, che si faceano -sempre più vicini. L’incessante squarciarsi di Genova -pregiudicava anche allo stabilimento di Gàlata, le guerre -impedivano d’approvvigionarla, e fu volta che i Ghibellini -fecero intesa coi Turchi per sinistrare quei loro -compatrioti. -</p> - -<p> -Sempre aveano Veneziani e Genovesi gareggiato a -chi ottenesse maggiori privilegi dall’imperatore di Costantinopoli, -perciò palpeggiando e favorendo ora un -competitore or l’altro. Venezia non faceva che rinnovare -i trattati precedenti, che col nome di tregue duravano -cinque o dieci anni<a class="tag" id="tag306" href="#note306">[306]</a>: ma i Genovesi, padroni -di Gàlata a fianco di Costantinopoli, aveano mezzo di -farsi rispettare; onde ogni nuovo trattato fruttava una -concessione nuova. In quello del 1382 stipularono non -essere tenuti a servire in armi l’impero greco, nè tampoco -per recuperare fortezze prese o assediate dai -Turchi; volendo con questa neutralità sfuggire l’inimicizia -di que’ nuovi potenti. -</p> - -<p> -Ad Enrico Dandolo doge e storico di Venezia fanno -gloria di aver riaperto l’Egitto con un’ambasciata -spedita a quel soldano, offrendosi mediatore di una -discordia suscitatasi coi Tartari. I Veneziani s’impancarono -principalmente ad Alessandria, ove le merci dell’India -giungeano sui camelli traversando il dosso che -divide il golfo Arabico dal Nilo, un cui canale agevolava -<span class="pagenum" id="Page_512">[512]</span> -le comunicazioni col mar Rosso e col Cairo. A -questo annue carovane dall’Africa interna portavano -gomme, denti d’elefante, tamarindi, papagalli, penne di -struzzo, polvere d’oro, Negri: di là partiva quella per -le città sante d’Arabia, e l’altra pel monte Sinai, occasioni -di utili permute: colle carovane molti Europei -attraversavano l’Egitto; ma i negozianti che afferrassero -ad Alessandria, erano tenuti ben d’occhio, levate le vele -e il timone delle navi, registrati i nomi. I Mamelucchi, -unica entrata avendo le gabelle, favorivano i Veneti; e -di rimpatto ne riceveano ogni riguardo: ma venivano -urti? ecco i nostri apparir sulle coste in minaccioso -apparato, come oggi costuma l’Inghilterra. -</p> - -<p> -Dispensati dalla scomunica contro chi portasse ai -nemici della fede legname da costruzione, grani ed armi, -i Veneziani continuarono sempre regolari comunicazioni -coi Musulmani, tenendo console ad Alessandria, -banchi nella Siria, trattati coi Barbareschi<a class="tag" id="tag307" href="#note307">[307]</a>. Dai -quali anche altri de’ nostri ottennero privilegi e franchigie; -i Pisani dal bey di Tunisi ebbero l’isola di -Tabarca, dove pescare il corallo, e altri mandritti dall’imperatore -di Marocco. -</p> - -<p> -Anche in Armenia soli i Veneziani introducevano i -camelotti ed estraevano il pelo delle capre d’Angora, -con esenzione da gabelle, magistrati proprj, assoluta -franchigia per le merci che, tratte da Tauris e dalla -Persia, traversavano il paese. Di questo tragitto profittava -Trebisonda per popolarsi di numerose colonie, -trafficanti di spezierie. I Veneziani v’ebbero un quartiere -con propria giurisdizione, donde spingeansi alla Persia -<span class="pagenum" id="Page_513">[513]</span> -e alla Mesopotamia, privilegiati di libero passo, e di -banchi per giro di cambj e traffico di vino. -</p> - -<p> -Crebbero poi di stabilimenti sulle coste della Grecia, -nella Propontide, a Adrianopoli, in buona parte del -Peloponneso, e in molte isole e porti della Morea sin -in fondo all’Adriatico; a loro cittadini investivano come -feudo le isole di Lenno, Scopelo, quasi tutte le Cicladi; -acquistarono Negroponte; s’interposero con vantaggio -nelle discordie domestiche degl’imperatori bisantini, e -di questi coi Genovesi di Gàlata. Ma l’antica preponderanza -nel mar Nero più non recuperarono, e per -avervi accesso patteggiavano cogli Stati in riva al Danubio -il dritto di traversarli, talchè il commercio colla -Germania, coll’Ungheria, colla Polonia, colla Russia, le -alleanze coi Bulgari e coi Danubiani fino alla Tauride, -gli scali in tutta Italia, in Francia, in Spagna, in Fiandra, -in Inghilterra, insomma da Astrakan fino all’Africa interiore, -offrivano rilevantissimi guadagni, a ristoro del -popolo, al quale, dopo la metà del secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span>, restava -privilegio il commercio, escludendone i nobili, di cui -invece era privilegio il governo. -</p> - -<p> -Dappertutto mantenevansi consoli o balii che assicurassero -rispetto alla patria, e protezione e pronta giustizia -ai concittadini. Quel di Costantinopoli, che era -insieme internunzio della repubblica, giudice de’ Veneziani -e ispettore del commercio, portava i calzari scarlatti -come l’imperatore, usciva colle guardie, esercitava -piena giurisdizione sulla colonia, e dopo presa quella -città dai Turchi tenne in protezione altre genti, massime -Armeni ed Ebrei. -</p> - -<p> -Il doge Renieri Zen fece da Nicolò Quirini, Piero -Badoer e Marco Dandolo compilare un codice di navigazione -e commercio (<i>Statuta et ordinamenta super -navibus et lignis aliis</i>) con egregi provvedimenti, -semplicità, esattezza e brevità imitabili; prescrivendo -<span class="pagenum" id="Page_514">[514]</span> -il modo degli armamenti, il giuramento de’ marinaj, i -doveri de’ patroni o de’ consoli, il carico, le provvigioni, -il prezzo del tragitto, e le armi e bandiere; tipo di -tutta la legislazione marittima. Era prefinito il numero -delle navi e delle persone, quando prendere il mare, -dove sbarcare, quali e quante merci trasportare nell’andata -e nel ritorno. Gli oggetti da cambiare con -merci asiatiche, non doveano tasse, o moderatissime. -</p> - -<p> -Della prosperità di Venezia buon testimonio ci furono -i discorsi del doge Mocenigo (Cap. <span class="smcap lowercase">CXV</span>); donde -ci apparve come, uscente il <span class="smcap lowercase">XIII</span> secolo, su trecento -vascelli mercantili da ducento tonnellate, e su trecento -navi grosse salissero venticinquemila marinaj, altri undicimila -sopra quarantacinque galee, sempre in acconcio -d’arme: allo scorcio del seguente erano cresciuti -a trentottomila sovra tremila trecenquarantacinque -legni. L’arsenale, cominciato intorno al 1104 sulle -antiche isole Gémole, si dilatò nel 1304, dogando Pier -Gradenigo, poi nel 1325 e nel 1473 sino a formare -quel gran complesso, che comanda l’ammirazione ancora -cadavere. Veniva governato da due magistrature -di senatori: cioè tre sopravveditori per l’alta ispezione, -tre patroni che ordinavano i lavori e vi sorvegliavano, -e dormivano in tre palazzi contigui all’arsenale, detti -Paradiso, Purgatorio, Inferno. Gli arsenalotti formavano -la guardia del corpo del sovrano; popolazione -numerosa<a class="tag" id="tag308" href="#note308">[308]</a>, devotissima alla Signoria, da cui riconosceva -il suo bene stare. -</p> - -<p> -Le isole e le coste di Levante provvedeano abbondanza -di legname: ristretti poi que’ possedimenti, e -<span class="pagenum" id="Page_515">[515]</span> -sovratutto dopochè i Turchi occuparono l’Albania e la -Schiavonia, fu mestieri rifornirsene ne’ proprj possedimenti: -e certo già prima del 1479 servivano i boschi -di Montello nel Trevisano e di Montone nell’Istria, tanto -rinomati finchè la barbarie diplomatica de’ giorni nostri -non gli annichilò. -</p> - -<p> -Di cinque sorta galee usava Venezia: le grandi pel -viaggio di Fiandra e Inghilterra, altre diverse per la -Tana e Costantinopoli, le sottili, le navi quadre, le latine<a class="tag" id="tag309" href="#note309">[309]</a>. -Famose ne erano le caracche. Abbiamo da -Giovan Villani che Genovesi e Veneti avendo veduto -verso il 1344 alcune navi bajonesi passar lo stretto di -Siviglia, più sottili ed agili, e meglio acconce a fatti -d’armi, essi ne fabbricarono di somiglianti; lo che fu -<span class="pagenum" id="Page_516">[516]</span> -notevole rivoluzione nella marina. Il Petrarca, dimorando -in Venezia, vedeva sarpare navigli «simili a -monti che nuotino nel mare, per trasportare in mezzo -a mille pericoli i nostri vini agl’Inglesi, il nostro mele -agli Sciti, il nostro zafferano, i nostri olj, il nostro lino -ai Siri, ai Persi, agli Arabi, agli Armeni, e, ciò che -appena uom crederebbe, la nostra legna agli Achei -ed agli Egizj, e ritornare con altre merci: veleggiano -fin al Tanai, e si lasciano indietro Gade e Calpe, creduti -confini del mondo occidentale; tanto può sugli -uomini la sete dell’oro»<a class="tag" id="tag310" href="#note310">[310]</a>. -</p> - -<p> -Le imprese mercantili erano secondate dalla marina -pubblica, spedendosi in giro ogni anno venti o trenta -galee <i>del traffico</i>, capaci di mille a duemila tonnellate, -e del valore di centomila zecchini ciascuna, capitanate -da nobili, eletti dal maggior consiglio e dai pregadi. -Il Governo non ne ritraeva che modico nolo; ma a quel -modo le teneva esercitate per un’evenienza di guerra, -e faceva anche in pace rispettare il leone, nel mentre -rendevano servizio ai particolari. Di esse squadre quella -del mar Nero dividevasi in tre: una costeggiava il Peloponneso, -per ispacciare a Costantinopoli le merci levate -da Venezia o da Grecia; la seconda dirigeasi a -Sinope e Trebisonda nel Ponto Eusino, facendo levata -delle produzioni asiatiche recatevi dal Fasi e dalla -Cina<a class="tag" id="tag310a" href="#note310a">[310a]</a>; la terza sorgendo verso settentrione, entrava -nel mare d’Azof, e nei porti di Caffa procacciava pesci, -ferri, antenne, grani, pelli, cui dal Caspio, dal Volga, -<span class="pagenum" id="Page_517">[517]</span> -dal Tanai recavano Russi e Tartari. L’altra squadra -costeggiava la Siria, facendo scala ad Alessandretta, a -Bairut, a Famagosta, a Candia ricca di zuccaro, e alla -Morea. La terza metteva dapprima in Armenia e a -Lajazzo, che Marco Polo intitola «porta de’ paesi orientali», -dappoi in Egitto le merci del mar Nero, destinate -al gran mercato di Tauris, massime schiavi di -Georgia e Circassia, barattandoli colle derrate del mar -Rosso e dell’Etiopia. La quarta volgeva alla Fiandra -vascelli di dugento remiganti almeno, e rinfrescato a -Manfredonia, Brindisi, Otranto, in Sicilia caricato zuccaro -ed altre produzioni dell’isola, ne’ porti africani -di Tripoli, Tunisi, Algeri, Oran, Tanger facea cogli africani -baratto di frumento, frutti secchi, sale, avorio, -schiavi, polvere d’oro; sboccata quindi dallo stretto di -Gibilterra, forniva i Maroccani di ferro, armi, panni, -utensili domestici, costeggiava Portogallo, Spagna, -Francia, toccava Bruges, Anversa, Londra, e faceva -cambj co’ vascelli delle città Anseatiche; poi aspettata -stagione e mare acconcio, tornava libando Francia, Lisbona, -Cadice; in Alicante e Barcellona comprava sete -gregge; e costa costa rivedea la patria, un anno dopo -lasciata. -</p> - -<p> -Ogni viaggio di lungo corso dovea prender le mosse -e finire a Venezia, ove per ciò, nell’intervallo, si depositavano -le merci, e venivano a cercarle i mercanti -mediterranei, in modo che vi durava una fiera continuata. -Quella dell’Ascensione fin dal 1180 si trova istituita -per otto giorni; poi divenne delle più famose, avvivata -dalle indulgenze che s’acquistavano a San Marco -per concessione di papa Alessandro III, dallo sposalizio -del mare, e dall’opportunità della stagione che allora -chiamava le vele a lunghi viaggi. In quell’occasione si -esponevano anche capi d’arte, e una popatola, il cui -vestire serviva di canone per la foggia dell’anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_518">[518]</span> -</p> - -<p> -I dieci milioni di mercanzia che annualmente asportavano -que’ legni davano due quinti di guadagno; altro -ne veniva dal traffico mediterraneo. Vedemmo fin dal -1270 Venezia proclamarsi sovrana dell’Adriatico, obbligando -a contributo tutte le navi che lo corressero. -Fu generale lo scontento, ma il papa, chiesto arbitro, -diede ragione ai Veneziani, come che, difendendolo dai -corsari musulmani, avevano diritto a un compenso: il -lodo non chetò gli emuli, contro cui essi dovettero -munirsi di buone armi. Si assicurarono anche il commercio -dell’alta Italia coll’acquisto del Friuli, della -marca Trevisana, del Padovano e di altre piccole signorie, -e stipulavano vantaggiosi accordi coi vicini, -dove non potessero insieme col commercio estendere -l’impero<a class="tag" id="tag311" href="#note311">[311]</a>. Udimmo il doge Mocenigo asserire che -alla sola Lombardia spediva Venezia per due milioni -e settecento ottantanovemila ducati, cinquantamila dei -quali per gli schiavi, oltre il sale; e guadagnava seicentomila -ducati annui sui Lombardi, quattrocentomila -sui Fiorentini. Eppure essa usciva allor allora di guerre -che l’avevano privata di tanti possedimenti, e minacciata -fin nelle sue lagune. Poi, malgrado le due guerre -contro i Turchi e col duca di Ferrara, aveva sì floride -finanze, che nel 1490 entravano al tesoro per un milione -e ducentomila ducati, quasi il doppio dello Stato -di Milano, e un quarto di quel che fruttava il regno di -Francia dopo ingrandito da Luigi XI. E a tal punto i -Veneziani s’erano resi necessarj agl’Italiani, che, qualora -essi rompessero le relazioni con un popolo, il riducevano -a povertà; come avvenne de’ Napoletani, che -il re Roberto costrinsero a pace col negargli le imposte, -asserendo non aver più denaro dacchè quelli non comparivano -ne’ suoi porti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_519">[519]</span> -</p> - -<p> -L’inglese colonnello Cooper assicurava che fin oggi -gli Asiatici dal Mediterraneo alla Cina non conoscono -altra moneta che lo zecchino veneto, nel Yemen è tenuto -in gran conto, e gli sceichi ne fondono per formarne -piccole monete, o ne conservano entro vasi di -vetro, laonde a Bruce domandarono se soli i Veneziani -possedessero miniere d’oro in Europa, e supponeano -conoscessero la pietra filosofale. Il qual Bruce, che al -fine del secolo passato spingevasi alla estremità dell’Asia -e dell’Africa, nel Thama arabico sovra Moka -sentiva i nomi di <i>peso, rotolo, cantara, dramma, oncia,</i> -e ripetuti sull’opposto lido africano a Massuah; -prova delle relazioni cogl’Italiani, del cui linguaggio -è principalmente composto quel parlare <i>franco</i>, che -fin oggi ha corso sul litorale di tutto il Mediterraneo. -</p> - -<p> -Or ci si spiega bene la sontuosità del più magnifico -corso del mondo, il Canal Grande. Andrea Vendramin, -che nel 1476 fu il primo doge di Venezia non nobile -dopo la serrata, era ricco di censessantamila ducati; -liberale, di gran parentela, ebbe tre maschi e sei figlie, -che maritò con cinque in settemila ducati, mentre la -dote legale era di duemila, ma diceva non badare a -spesa onde aver generi a suo modo; fu gran mercante -in gioventù, e di compagnia col fratello facea carico -d’una galea e mezzo in due per Alessandria, e vantaggiò. -Quando nel 1499 fallirono i Garzoni, molti ripeteano -i loro fondi dal banco Lipomano per più di -trecentomila ducati; onde, sebbene la Signoria l’ajutasse -di qualche somma, dovette fallire. «È peggior -nuova el falimento de questi due banchi, che se fosse -perso Brescia». Lo sgomento fu per far gittare a terra -i banchi Pisan e Augustini; se non che la Signoria -mandò de’ savj che assicurassero sarebber tutti pagati. -I Lipomani dovettero rassegnare i loro libri, dai quali -appare che una casa dominicale valutavasi da tremila -<span class="pagenum" id="Page_520">[520]</span> -ducati; duemila una a Murano; milleduecento un mulino; -e avevano in argenti e gioje per seimila ducati, -e ottomila in un cappello di perle e gioje<a class="tag" id="tag312" href="#note312">[312]</a>. -</p> - -<p> -Tutt’occhi dovevano dunque essere i Veneziani onde -mantenersi questi vantaggi, e vi adoperavano buoni -mezzi e cattivi. La gelosia li faceva duri coi mercanti -forestieri, imponendo doppie gabelle, ritardando la -giustizia, escludendoli dalle comandite; pretesero che -i sudditi comprassero lane, cotoni, seta, zuccari, saponi -soltanto dalla dominante, non rizzassero manifatture -fuor della dogana, nè usassero o spedissero merci se -non passate per Venezia; talchè, per esempio, Verona -dovea mandarvi i panni, che poi la traversavano di -nuovo onde dirigersi alla Germania. -</p> - -<p> -Convien dire che i lucri fossero grassi, se i forestieri -non badavano agl’impacci; avvegnachè in Venezia troviamo -corporazioni d’ogni paese; nella chiesa de’ Frari -avevano altare i Milanesi, un altro i Fiorentini, lavoro -del Donatello; i Lucchesi una chiesa vicino ai Servi, i -Tedeschi e i Turchi fondachi che ancor ne serbano il -nome, come la piazza dei Mori, la ruga di Julfa degli -Armeni; oltre i Greci che v’ebbero sempre congregazione -religiosa. Ciascuna nazione potea regolarsi a leggi -proprie; alcuni paesi vi godeano privilegio di qualche -arte, Bergamaschi i fornaj, Friulani anch’essi fornaj -del pane altrui e sartori e facchini, muratori i Bellunesi, -Valtellini gli osti e i facchini pel commercio. -</p> - -<p> -Caduta Costantinopoli ai Turchi, Venezia e Genova -dall’eccidio dei loro cittadini, dal saccheggio dei fondachi, -dalla successiva distruzione de’ loro stabilimenti, -dalle umiliazioni, a prezzo delle quali soltanto ottennero -una tolleranza precaria e quasi vergognosa, conobbero -la gravezza d’una perdita che con provvidenza -<span class="pagenum" id="Page_521">[521]</span> -e lealtà maggiore avrebbero potuto impedire o ritardare. -Non restarono però snidati dall’Oriente, attesochè -gli emiri musulmani, stabilitisi lungo la costa -settentrionale e orientale dell’Africa e sui golfi Arabico -e Persico, non avevano fatto causa comune coi loro -fratelli di Siria, nè perciò nimicavano i Cristiani, che -poterono continuarvi i traffici. -</p> - -<p> -Anche il soldano d’Egitto divenne più inchinevole agli -Europei, e col doge de’ Veneziani Pasquale Malipiero, -«possente, e il più apprezzato e onorato fra quei che -adorano la Croce, colonna di tutti i Cristiani, amico -de’ soldani ed emiri dell’islam», conchiuse un trattato -di commercio, consentendo ai Veneziani il monopolio -di molte merci, non però del pepe; e donò all’ambasciatore -una veste lavorata alla moresca e foderata di -pelliccie, e alla Signoria i regali consistenti in trenta -rotoli di benzoino, venti di aloe, due paja di tappeti, -un ampollino di balsamo, quindici bossoletti di teriaca, -quattordici pani di zuccaro di Moka, cinque scatole di -zuccari canditi, un cornetto di zibetto, venti pezzi di -porcellana. -</p> - -<p> -Le contingenze duravano ancora favorevoli ai traffici -dei Veneziani: perocchè i Ragusei correvano molto -l’Adriatico, ma poco uscivano da quello, nè d’altro che -di derrate trafficavano<a class="tag" id="tag313" href="#note313">[313]</a>; la Grecia era caduta sotto -la scimitarra turca; a Napoli e Sicilia sarebbe tornata -necessaria una flotta per mantenere comunicazioni coll’Aragona -e colla Provenza, eppur l’aveano appena bastante -alle reciproche guerre, e le vediamo valersi -sempre delle genovesi, come faceano spesso Francia e -<span class="pagenum" id="Page_522">[522]</span> -Inghilterra, le quali nè l’Olanda non accennavano ancora -alla futura grandezza; era un portento se qualche bandiera -settentrionale comparisse nelle acque nostre; soli -i Catalani veleggiavano il Mediterraneo come l’Oceano. -</p> - -<p> -Però Venezia e Genova erano le principali, non le -sole commercianti d’Italia. Amalfi più non rigalleggiò: -ma Napoli trafficava nelle variatissime sue produzioni -con Costantinopoli, col mar Nero, con Marsiglia; Trani -era un vasto emporio di merci asiatiche; Gaeta estendeva -relazioni colla Barberia, dove sin dal 1125 teneva -un console; la Sicilia colla Catalogna e colla Spagna -orientale. In Messina e Palermo affluivano mercanzie -di tutti i paesi; ed oltre le relazioni col regno di Napoli -e col resto d’Italia, consolidate per mezzo di trattati, -con Genova nel 1292, con Pisa nel 1316, con Venezia -nel 1365, uno del 1331 con Narbona prova il suo -commercio colla Francia, oltre Spagna, Fiandra, Inghilterra, -le coste di Barberia, l’Egitto, la Siria, la Morea, -Cipro, Rodi, Costantinopoli. Ancona, fiorente per industria, -scala al commercio di Firenze coll’Oriente, -mandava navi proprie a Costantinopoli, a Cipro, in -Barberia, e corrispose con molte città d’Europa; con -Genova aveva un trattato fin dal 1276; ma la postura -sua la teneva dipendente da Venezia, che poi la sopraffece. -Corsica e Sardegna, sì a lungo disputate fra i Pisani, -i Genovesi e i re d’Aragona, asportavano i proprj -prodotti; e quando la Sardegna passò all’Aragona, -strinse maggiori relazioni colla Catalogna. -</p> - -<p> -Anche città mediterranee spedivano per varj paesi -d’Occidente, acquistandovi privilegi non per forza ed -astuzia, ma per superiorità d’intelligenza. Asti, che di -settantamila abitanti popolava il piccolo territorio, aveva -negozianti in Francia e ne’ Paesi Bassi, una colonia ad -Alessandria d’Egitto; e postasi a prestar denaro in -Francia, vi applicò tanti capitali, che avendovi quel re -<span class="pagenum" id="Page_523">[523]</span> -fatto arrestare tutti i banchieri astigiani, cinquanta trovaronsi -possedere oltre ottocentomila lire di capitale, -che si ragguaglierebbe a ventisette milioni<a class="tag" id="tag314" href="#note314">[314]</a>. -</p> - -<p> -Il Po serviva agl’interni ricambj e per esso fioriva -Ferrara, che copiosa di ogni bene, dalle città vicine e -dal mare traeva abbondanza di vettovaglie. Per le -bocche del Po (narra un cronista) vi arrivavano navi di -carico, piene fin al sommo dell’albero di mercanzie -d’ogni lido; senza che andasse a Ravenna od a Venezia -a cercare quel che le fosse mestieri, ogni anno nel -prato comune presso a Po si tenevano due fiere, cui -dall’Italia e dalla Gallia moltissimi concorrevano, e tutti -guadagnavano mercatando. Sì lauto poi era il fisco, -che, soddisfatto ad ogni spesa del Comune, rimaneva -che spartire fra i cittadini in ragione del censo. Questa -larghezza andò guasta allorchè i Veneziani, aggiudicandosi -la padronanza assoluta del Mediterraneo, chiusero -le foci di quel fiume, cagione di tanti dissidj. Comacchio -avea cominciate le <i>fabbriche del pesce</i>, per -cui ora ottantamila pesi d’anguilla escono marinati da -quelle valli. -</p> - -<p> -I Pisani, elevatisi a paro de’ Veneziani e Genovesi -per industria manifatturiera, per navigazione e commercio, -dopo la funesta battaglia della Meloria nel 1284 -più non fecero che declinare; la perdita di Terrasanta -diradò le loro corrispondenze nella Siria, nè aveano -possibilità di sostenere nel mar Maggiore una concorrenza, -a cui furono costretti rinunziare col trattato -del 1299; il porto che possedevano alla foce del Tanai, -cadde probabilmente a’ loro nemici, e infine fu sfasciato -dai Tartari. Andate a male le colonie donde -traevano legname da costruzione e materie di baratti -pel commercio esterno, costretti cedere a Genova la -<span class="pagenum" id="Page_524">[524]</span> -Corsica e la Sardegna, non restarono padroni che delle -maremme tuttora abbastanza ubertose, e dell’isola -d’Elba importante per ferro. Questa nel 1290 era stata -occupata dai Genovesi; poi mercanti pisani la ricuperarono -nel 1309 per cinquantaseimila fiorini, e ne traevano -vena dalla miniera di Rio. -</p> - -<p> -Nella guerra contro Genova era stato distrutto il -Porto Pisano alla foce dell’Arno; onde ridotta quasi -alla sola rada di Livorno, esposta a’ nemici, Pisa fece -costruire una torre per difenderla, e proteggere la -navigazione. Di là continuava relazioni colla Sicilia, con -Cipro, colla Barberia; ma non le bastava marina militare -per proteggere stabilimenti lontani, nè assicurare -gli armatori contro de’ nemici e de’ pirati. Firenze -poscia la soggiogò, e per nulla rispettando le memorie -d’uno splendore, di un’industria e di una perizia marittima, -che formavano uno de’ migliori vanti della -Toscana, ne sviò le manifatture e il commercio in -grosso. -</p> - -<p> -Già ci è apparsa la commerciale operosità dei Fiorentini. -Buon’ora essi erano penetrati nell’Ungheria, le -cui miniere d’oro e d’argento s’aveano per le prime -del mondo, e vi teneano case i Medici, i Portinari, i -Boscoli, i Tosinghi, i Del Nero, i Del Bene, i Da Uzzano. -Da Francesco Balducci Pegolotti, che prima del 1350 -scriveva sugli usi e le regole da seguirsi dai mercanti -nei viaggi<a class="tag" id="tag315" href="#note315">[315]</a>, raccogliesi che essi Fiorentini stendevano -le corrispondenze all’Inghilterra, al Marocco, a -tutto il Levante; prendeano spesso in appalto le zecche, -e alle inglesi da Edoardo I fu preposto un de’ Frescobaldi: -un Bardi nel 1329 godeva le gabelle di tutto -quel regno per due sterline il giorno, mentre nel 1282 -<span class="pagenum" id="Page_525">[525]</span> -ne avevano reso ottomila quattrocentoundici (<span class="smcap">Hallam</span>). -A Bruges, dove non era permesso che un banco per -ciascuna nazione forestiera, collegi distinti formavano -i Genovesi, i Lucchesi, i Fiorentini, i Lombardi. Nel -1422 calcolavasi che in Firenze circolassero quattro -milioni di fiorini: e delle lettere esterne di quella repubblica -le più concernono commercio e mercadanti. -</p> - -<p> -Le lungagne delle asportazioni per terra non le erano -più sufficienti; e conoscendo che la navigazione offrirebbe -un mezzo più economico per commerciare coll’Italia -e coll’Europa meridionale, ed il solo praticabile -co’ paesi più remoti, fin dal secolo xiii trattò con -Pisa onde farla emporio delle mercanzie: e vedendosi -contrariata, prese accordo colla repubblica di Siena, -onde spedirle pel porto di Telamone; e a questo ricorreva -ogniqualvolta si guastasse con Pisa (pag. 248). -Della quale poscia insignoritasi, cercò chiamarvi con -privilegi ed incoraggiamenti le navi straniere, prese -a stipendio gli armatori lasciati liberi dalla decadenza -del commercio genovese, legò nuove relazioni -e avvantaggiò le antiche<a class="tag" id="tag316" href="#note316">[316]</a>, istituì la magistratura -dei consoli di mare, però da gran tempo conosciuti in -Pisa. -</p> - -<p> -In una carta del 1190 che contiene i privilegi del -sintraco di Genova<a class="tag" id="tag317" href="#note317">[317]</a>, Livorno appare già frequentato -<span class="pagenum" id="Page_526">[526]</span> -dai naviganti; e durante la guerra di Chioggia, -Carlo Zeno vi ricoverò due volte la flotta veneta. Posto -com’è fra porto Pisano e porto Telamone, poteva tener -entrambi in soggezione; ma non acquistò importanza -che al cadere di Pisa, e i Fiorentini, compratolo dai -Genovesi nel 1421, lo privilegiarono in ogni modo. -In quell’occasione rinnovarono il patto antico di caricare -sopra navi genovesi le merci che traevano di -ponente, ma poi cercarono sempre eluderlo, e infine -lo abrasero nella pace fatta con Filippo Maria Visconti. -</p> - -<p> -Per siffatta guisa, quantunque mediterranei, i Fiorentini -ottennero i vantaggi del mare, e non vi avea -città dell’Italia, Francia, Inghilterra, Fiandra, in cui -essi non tenessero banchi e non mandassero fattori. Un -console inglese risedette a Pisa, e con Enrico VII nel -1490 si pattuì che Fiorentini soli estraessero le lane -da quell’isola, eccettuandone soltanto per seicento sacca -i Veneziani; premio dell’avervi Lorenzo Medici rizzate -molte manifatture di lana con artefici toscani. Un governo -mediterraneo non doveva pensare a stabilire -banchi e consolati sulle coste dell’Asia e dell’Africa; ma -il privato interesse lo fece. Quando si cominciasse a -trafficare direttamente col Levante, non consta: ma la -<span class="pagenum" id="Page_527">[527]</span> -casa Bardi nel secolo <span class="smcap lowercase">XIV</span> otteneva pe’ suoi agenti privilegi -significanti in Cipro e nell’Armenia; poi si estese -il commercio colle coste della Barberia, coll’Egitto, la -Siria, Costantinopoli, l’Asia meridionale, e fino colla Cina -traverso all’Alta Asia. -</p> - -<p> -Firenze volle anche armar flotte e spedire periodici -convogli pel mar Nero, l’Egitto, la Barberìa, la Spagna, -la Fiandra, l’Inghilterra; ma non trovò che scapito, -sicchè dopo il 1430 le abbandonò alla privata speculazione. -Venezia, che era sempre stata l’amica di Firenze, -ne ingelosì quando la vide crescer tanto, e istigò Pisa a -scuoterne il giogo: di che Firenze si vendicò col secondare -i disegni ostili di Maometto II contro i Veneziani. -Ne venne <i>una velenosa ed attossicata lettera di Venezia,</i> -a cui un Fiorentino oppose uno scritto che, in mezzo a -una colluvie d’ingiurie, contiene un quadro, esagerato -forse, ma vivo del commercio della sua patria<a class="tag" id="tag318" href="#note318">[318]</a>. -Vi figurano come principali negozianti i Medici, i Pazzi, -i Capponi, i Buondelmonti, i Corsini, i Falconieri, i -Portinari, che avevano stabilimenti in tutte le tre parti -del mondo aperte alla navigazione europea, cinquanta -case in Levante, ventiquattro in Francia, trentasette nel -Napoletano, nove a Roma, altre in Venezia, in Ispagna -e Portogallo. Accertasi che Firenze fosse la prima a -interdire in modo efficace il traffico degli schiavi e il -somministrare munizioni di guerra a’ Musulmani. -</p> - -<p> -Essendo si può dire concentrato in mano degl’Italiani -tutto il commercio che poi fu suddiviso fra Turchi, Inglesi, -Olandesi, Francesi, Russi, quanto lauti doveano -essere i guadagni! Giovan Villani stima di cenventimila -fiorini la rendita che col prestare erasi formata Taddeo -Pepoli di Bologna. Nel 1338 un negoziante di Siria, -<span class="pagenum" id="Page_528">[528]</span> -essendo arrivato a Portercole con molte stoffe ad oro -e senza, cinture, borse da sposa, frontelle, Coluccio -Balardi le comprò per centoquindicimila fiorini, e in -capo a un anno le ebbe quasi spacciate. Egli teneva -banco a Parigi, e Giovanni Vanno pure toscano a Douvres -e a Cantorberì<a class="tag" id="tag319" href="#note319">[319]</a>; e già vedemmo i Bardi e i Peruzzi -fiorentini essere creditori sopra il re d’Inghilterra -d’un milione e mezzo di zecchini, e di centomila zecchini -ciascuno sopra il re di Sicilia. Dino Rapondi di -Lucca (1350-1414), mercante in Francia, avea case a -Mompellieri, a Bruges ed a Parigi; la prima era l’emporio -del vasto suo traffico col mezzogiorno d’Europa e -gli scali di Levante. Avea palazzo a Parigi meraviglioso; -commerciava di banca, cambio, metalli preziosi; servì -molto a Carlo VI e Giovanni Senza-paura, secondandoli -nelle imprese e nei delitti. -</p> - -<p> -A Siena (popolata di centomila abitanti prima che la -peste la restringesse appena a tredicimila, e dove i -diarj testimoniano che in un anno si fecero ottanta par -di nozze nobili e cento di buone case) i Salimbeni adottarono -per stemma la fortuna e il motto <i>Per non dormire</i>; -cavavano anche miniere d’argento e di rame -nella maremma; nel 1337 fra sedici casate manteneano -un camerlingo comune per amministrare le loro entrate, -e per più anni a ciascun casato spartirono centomila -zecchini. Un’imposta su quella città del due per mille -onde pagare il conte Lando nel 1357, fruttò quarantamila -zecchini: lo che manifesta un valore di venti milioni -d’allora, rispondenti a ducento d’adesso. -</p> - -<p> -Vuolsi che da commercio di carbone derivassero le -smisurate ricchezze di Giovanni Medici, per le quali -Cosmo suo figlio divenne il miglior negoziante di Europa. -<span class="pagenum" id="Page_529">[529]</span> -Di quale natura speculazioni fossero le sue s’ignora, ma -ci si fa presumere lucrasse col commercio asiatico, coi -prestiti e coi giri di banco<a class="tag" id="tag320" href="#note320">[320]</a>: e dicesi che quella casa -occupasse trentamila persone in traffici e manifatture. -Cosmo spese da quattrocentomila zecchini in chiese ed -opere pubbliche. Lorenzo fu in procinto di capolevare, -a malgrado del lauto suo commercio, per le insensate -prodigalità de’ suoi fattori, i quali affettavano di fare il -largo e il magno come il loro padrone; laonde sodò -grossi capitali in possessi stabili, rompendo molti fili -del commercio fiorentino. -</p> - -<p> -Ma era sullo scocco l’ora che gl’Italiani cesserebbero -d’essere unici fattori del commercio. Le manifatture -che ne’ paesi esteri noi stabilivamo, per quanta gelosia -vi si mettesse, servivano di scuola agli emuli. I Medici, -invece di continuare a trarre la lana greggia dall’Inghilterra, -la fecero filare e tessere colà; allorchè essi -usurparono il dominio, i tanti fuoruscititi propagarono -i lavorieri di fuori; quando poi Pietro ritirò gl’ingenti -capitali d’in sul commercio, i Fiorentini non poterono -più reggere la concorrenza de’ forestieri, che aveano -anch’essi accumulato capitali, e imparato la magìa del -credito. All’estendersi dell’industria cessavano i privilegi, -fondati sull’inoperosità degli altri popoli, la gelosia dei -quali ritorse contro noi le arti medesime che noi avevamo -inventate contro di loro; e Ferdinando il Cattolico -di Spagna impose un dieci per cento su quanto -<span class="pagenum" id="Page_530">[530]</span> -asporterebbero i Veneziani, i quali rimasero vittime del -sistema esclusivo che essi avevano introdotto. -</p> - -<p> -Danni più durevoli doveano venire dagl’incrementi -della navigazione, dovuti ad Italiani. -</p> - -<div class="chapter"> -<h2 id="cap125-11">CAPITOLO CXXV. -<span class="smaller">Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte.</span></h2> -</div> - -<p> -Delineare la terra su globi e mappe già sapeano i -Greci, e dopo Marino da Tiro vi tracciavano le longitudini -e le latitudini, per quanto grossolanamente, cioè -collocavano i paesi al posto determinato dalla loro elevazione -sopra l’equatore, e dalla loro distanza da un -meridiano, preso pel principale. Quelle medesime denominazioni -indicano come la terra non si credesse -rotonda, ma molto più <i>lunga</i> da levante a ponente che -non <i>larga</i> da mezzodì a settentrione. Smisurata -superficie piana circondata dal mare e divisa in cinque -zone; le due gelate agli estremi e la torrida nel mezzo -erano inabitate e inaccessibili, di modo che a noi abitanti -d’una zona temperata niuna comunicazione era -possibile con quelli dell’altra. Nè questa nostra tampoco -aveasi tutta esplorata, e imperfettamente si conoscevano -le regioni d’Europa a levante della Germania, la Prussia, -la Polonia, la Russia: dell’Africa sol quanto è lambito -dal mare Mediterraneo e dal golfo Arabico: dell’Asia -restava ignota la regione di là dal Gange, quella dove -erravano Sarmati e Sciti, e la Cina, dove pur fioriva da -antichissimo un impero ancor più meraviglioso del romano. -Negli spazj inaccessi ognuno collocava paesi e -uomini favolosi, e massime quelle contrade felici, che -<span class="pagenum" id="Page_531">[531]</span> -supportano essere o il primo soggiorno degli uomini -nell’età dell’oro, o il postumo delle anime virtuose. -</p> - -<p> -I Barbari che invasero l’impero romano, sprovvisti di -marina e occupati a conquistare e stanziarsi, non aggiunsero -alla geografia se non la cognizione dei paesi -dov’essi aveano da prima avuto stanza. Il feudalismo -legava gli uomini alla propria terra: e se la fede spinse -alcuni missionarj in terre inesplorate, principalmente -della Germania, e i pellegrini a visitare, poi a conquistar -Terrasanta, le loro descrizioni erano più dirette ad alimentare -la pietà che a chiarire la scienza. Gli Arabi -dopo Maometto largamente viaggiarono a propagare la -loro religione o stabilire commerci, e visitarono la Cina -pel Cabul e il Tibet, mentre di colonie occupavano tutto -il lembo orientale dell’Africa, e s’addentravano anche -in quel continente. -</p> - -<p> -Di varj viaggiatori italiani ci accadde menzione, quali -i frati spediti dai papi ai Mongoli, Alessandro e Alberto -Ascellino, Giovanni da Piano Carpino e Oderico da -Pordenone, che penetrò fino a Peking (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>, in -princ.). Il 1309 moriva in Santa Maria Novella a Firenze -frà Nicoldo da Montecroce, fiorentino, che avea -girato l’Asia convertendo Saracini e descrivendone i -costumi e le sêtte. Molti altri intrepidi missionarj visitarono -certamente paesi ignoti, ma badando solo al frutto -delle anime, non si brigarono di darcene contezza; e -basti citare Alberto da Sarzana, celebratissimo predicatore -e teologo, che da Eugenio IV fu spedito due volte -in Egitto, in Etiopia, in Armenia per trarre i fedeli di -colà al concilio di Firenze. -</p> - -<p> -Da altri impulsi fu mossa la famiglia veneziana del -Polo. Nicolò e Maffeo mercadanti verso il 1250 passarono -da Costantinopoli a Soldania, indi alla corte mongola -di Capciak, poi con un persiano ambasciadore -raggiunsero a Kan-fu l’orda di Cubilai-kan, successore -<span class="pagenum" id="Page_532">[532]</span> -di quel Gengis-kan che aveva esteso il suo dominio dal -cuore dell’Asia fino alla Cina. Cubilai accolse con maniere -di cortesia i due italiani, volle essere informato -de’ costumi e della religione de’ loro paesi, e «come -l’imperadore mantenea sua signoria, e come mantenea -l’impero in giustizia, e de’ modi delle guerre e delle osti -e delle battaglie di qua, e di messer lo papa e della condizione -della Chiesa romana, e dei re e de’ principi del -paese... E quando il gran kan ebbe inteso le condizioni -de’ Latini, mostrò che molto gli piacessono», e gl’incaricò -che, tornando al papa, il richiedessero di mandargli -persone dotte nelle arti liberali affinchè dirozzassero le -sue genti. Diè loro pertanto lettere e una lastra d’oro -o dorata, portante ordine a tutti i sudditi di rispettarli, -e fornirli di vetture e di scorte, franchi di spesa per -tutte le sue terre. -</p> - -<p> -Traverso all’Asia giunsero ad Acri, d’indi a Venezia, -ove Nicolò trovava di quindici anni il figlio Marco, che -avea lasciato nell’utero materno. Vacando allora la sede -romana, nè potendo prolungare gl’indugi, furono di -ricapo in Palestina, ove presentarono l’ambasciata a -Tibaldo Visconti cardinale legato; e poichè in quell’istante -appunto arrivò l’avviso che questo era assunto -alla tiara, esso li munì di lettere e della compagnia di -Nicolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli carmelitani, -letterati e teologi. -</p> - -<p> -Per mezzo ai pericoli cagionati dall’invasione di Bibars -nell’Armenia, passarono i cinque Cristiani sino a -Kan-fu, dove ragguagliarono il kan dell’ambasciata. -Marco, giovane svegliato, restò attonito d’un mondo così -differente dal nostro, e cominciò a notare quanto pareagli -degno di ricordo, e «ch’egli seppe più che nessuno -uomo che nascesse al mondo». Da Cubilai tenuto -in gran capitale, fu posto fin assessore del consiglio privato, -e spedito a raccorre notizie statistiche nell’impero -<span class="pagenum" id="Page_533">[533]</span> -e ad importantissime legazioni e governi. Stavano ambasciadori -in Persia i Poli quando intesero la morte di -Cubilai, onde risolsero tornare in cristianità; e rividero -la patria, per la quale combattendo a Cùrzola, Marco -restò preso da un legno genovese; e tenuto prigione, -consolò la cattività raccontando «diverse cose secondo -ch’elli vide cogli occhi suoi; molte altre che non vide, -ma intese da savj uomini e degni di fede; e però estende -le vedute per vedute e le udite per udite, acciocchè il -suo libro sia diritto e leale e senza riprensione. E certo -credi, da poi che il nostro signor Gesù creò Adamo -primo nostro padre, non fu uomo al mondo che tanto -vedesse o cercasse, quanto il detto messer Marco Polo». -Reso alla libertà e alla patria, morì carico d’anni; e -la sua <i>Relazione</i><a class="tag" id="tag321" href="#note321">[321]</a>, volata tosto per Europa, valse a -<span class="pagenum" id="Page_534">[534]</span> -invogliare a nuove scoperte, le quali poi confermarono -la veridicità d’un libro, che mai non mente anche quando -s’inganna, e che prima erasi creduto esagerazione, a -segno che glie n’era venuto il titolo di <i>Milione</i>. -</p> - -<p> -Certamente nessuno ebbe miglior agio di esaminare -la Cina e il Giappone; e fin oggi esso rimane fonte -d’importanti notizie intorno ai Mongoli e al loro governo, -ed ai paesi centrali ed orientali dell’Asia: ai contemporanei -poi qual doveva eccitar interesse il ragguaglio -della civiltà bizzarra de’ popoli al cui nome tremavano, -e delle strane contrade da cui traevano le gemme, le -porcellane, le spezie, le seterie! Le sue descrizioni apersero -il campo a fantasie nuove, innestandosi le asiatiche -alle nostre tradizioni; e potentissimo eccitamento diedero -ai viaggi di scoperta del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>. -</p> - -<p> -Anche Nicolò Conti viaggiò venticinque anni in -Oriente; e avendo rinnegato la fede per salvare la vita, -ne chiese perdonanza ai piedi di Eugenio IV, il quale in -isconto gl’impose raccontasse i suoi viaggi colla massima -fedeltà al Poggio fiorentino, da cui abbiamo una succinta -relazione, che lascia appena accertare la traccia di lui -fino a Giava e al Seilan, eppure è fedele ritratto dei -costumi indiani. Caterino Zeno stese commentarj del -viaggio che fece in Persia, come dicemmo, per sollecitare -quel re a romper guerra ai Turchi. Al qual -uopo fu pure, nel 1471, spedito con vasi d’oro e stoffe -di Verona Giosafat Barbaro sopra due galee perchè -attraverso l’Armenia e il paese dei Curdi arrivasse a -Tebris e a Cassan, ma egli non vi giunse, per quanto -incalzato: però reduce, da uom d’ingegno e di retto -intendimento ci diede un ragguaglio, ove primo alla -moderna Europa fece conoscere que’ paesi. V’andava -<span class="pagenum" id="Page_535">[535]</span> -pure ambasciatore Leopoldo Battoni per Trebisonda, e -nel 1474 Ambrogio Contarini per la Polonia, la Russia, -la Colchide, il Fasi, la Georgia, la Mingrelia, l’Armenia: -tornando pel Caspio e trovato presa Caffa dai -Turchi, salì da Derben a Mosca fra un paese selvaggio, -e riscosso denaro dal gran principe per conto della patria, -per la Germania rimpatriò due anni dopo: viaggio -arditissimo per le scarse cognizioni d’allora, e fra le -minaccie di gente barbara e i sospetti de’ Turchi; e ne -lasciava un’informazione curiosa<a class="tag" id="tag322" href="#note322">[322]</a>. -</p> - -<p> -Pietro Quirini veneto negoziante a Candia, veleggiando -alle Fiandre nel 1431, fu da spaventevole bufera gettato -di là delle Sorlinghe, naufrago prese terra sulle estreme -coste scandinave, donde ritornando per la Svezia, la -Norvegia, l’Inghilterra, la Germania, raccontò in modo -commovente le sue disgrazie, come pur fecero i suoi -compagni Cristoforo Fioravante e Nicolò Micheli. Gironimo -San Stefano nel 1496 per speculazioni s’incamminò -da Genova verso le Indie, passando pel Cairo, -il mar Rosso, e fino al Pegù, al cui re vendette con -iscapito le proprie mercanzie; reduce a Camboja, si -acconciò con un mercante di Damasco; ad Ormus si unì -ad Armeni diretti a Tebris; per mare si condusse nel -Laristan, provincia persiana, ove soleano approdare le -navi spedite dall’imboccatura dell’Eufrate per l’India; -nel paese degli Azameni aspettò le carovane, e per -Ispahan, Kasbin, Soldania pervenne a Tebig, donde ad -Aleppo. Luigi Rominotto perlustrava l’Asia e le coste -d’Africa, ma non ci ragguaglia di nuove regioni: e -maggior conto merita il periplo del mar Rosso e dell’Indiano, -steso da un anonimo che nei 1538 assisteva -con Solimano granturco all’assedio del castello di Diu, -difeso dai Portoghesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_536">[536]</span> -</p> - -<p> -Nel 1374 Luchino Tarigo ed altri poveri avventurieri -genovesi, da Caffa con una fusta armata risalito il -Tanai fin dove nol disgiungono dal Volga che sessanta -werste, trascinarono per quella lingua di terra la fusta, -e messala sul gran fiume scesero al Caspio, e si arricchirono -corseggiando<a class="tag" id="tag323" href="#note323">[323]</a>. Giorgio Interiano loro concittadino -vide e descrisse i costumi de’ Circassi, fu il -primo che portasse alcuni platani a Venezia, e fantasticava -la probabilità dell’arrivare dall’Oceano nel mar -Rosso<a class="tag" id="tag324" href="#note324">[324]</a>. Il Boccaccio dà vanto ad Andalon del Negro -pur genovese d’avere percorso quasi tutto il mondo<a class="tag" id="tag325" href="#note325">[325]</a>: -e il Petrarca loda Giovanni Colonna, spatriato per le -risse de’ suoi con Bonifazio VIII, d’avere viaggiato lontanissimo, -e «avresti anche trascesi i limiti della nostra -zona abitabile, e varcato l’Oceano, saresti giunto agli -antipodi»<a class="tag" id="tag326" href="#note326">[326]</a>; frasi, donde non può trarsi veruna contezza -precisa. -</p> - -<p> -Oggimai si tiene per provato che i Normanni, arditissimi -corsari, avendo popolate le isole Feroe, l’Islanda, -la Groenlandia nell’estremo settentrione dell’Europa, -di là si spingessero di proposito, o fossero cacciati dal -caso sull’altro continente, e appunto nelle terre che più -tardi furono chiamate la Carolina e il San Lorenzo. -Nicolò e Antonio Zeno, fratelli di quel prode Carlo che -salvò la patria, verso il 1380 si elevarono fin alle coste -della Groenlandia e a coteste altre scoperte de’ Normanni, -e ne stesero un’informazione, che Nicolò Zeno -lor discendente dice avere stracciata per fanciullesca -inconsideratezza, e pretese valersi della memoria e -<span class="pagenum" id="Page_537">[537]</span> -d’altri amminicoli per darne nel 1558 un ragguaglio. -Voi vedete come poco sia degno di fede; pure ci resta -la mappa delle terre da loro vedute: è corredata di -gradi geografici, e fa supporre il maneggio dell’astrolabio; -ed ha questa singolarità, che, più di mille miglia -ad occidente delle Feroe, mostra due coste, nominate -l’Estotilandia e Droceo, le quali non potrebbero essere -se non Terranuova e la Nuova Inghilterra, e diceansi -indicate da naufraghi. -</p> - -<p> -Tali viaggi non assumeansi, lo vedete, per intento -scientifico o per iscoprire; ma delle costoro informazioni -vi era chi traea profitto per formar delle mappe. -L’unica che i Romani ci abbiano lasciata, è la Tavola -Peutingeriana, rozzissimo disegno fuor d’ogni proporzione, -ritraendo la terra sulla lunghezza di ventidue -piedi e la larghezza appena d’uno, ma che dovea bastare -come carta itineraria. In Italia quest’arte progredì, -e nove mappe geoidrografiche di Pier Visconti genovese -del 1318 conserva la biblioteca di Vienna con -altre di Grazioso Benincasa anconitano del 1480<a class="tag" id="tag327" href="#note327">[327]</a>. -Vuolsi che già dal 1300 i Veneziani segnassero i gradi -sulle carte marittime; e di Veneziani sono lode le cinque -carte di Marin Sanuto che accompagnano i <i>Secreta -fidelium Crucis</i> (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>), dove l’Africa si disegna -triangolare e breve, ma con evidente comunicazione -dal Grand’Oceano al mar Rosso; il planisfero del Pizzigano -del 1367, fatto a penna con diligenti miniature, -e colla rosa dei venti<a class="tag" id="tag328" href="#note328">[328]</a>; le dieci carte di Andrea -Bianco del 1436, che danno delineato il Giappone, -l’Estotiland, le Antille, il Brasile, parte del Canadà. Nel -1440 frà Mauro camaldolese in San Michele di Murano -delineava in un planisfero tutto il mondo allora conosciuto, -sparso di figure e descrizioni, e dove la terra -<span class="pagenum" id="Page_538">[538]</span> -empie un gran circolo, attorniata dal mare; centro n’è -Gerusalemme; il settentrione abbasso, in alto il sud; vi è -tracciato tutto il viaggio di Marco Polo, e ciò che importa -agli eruditi, il capo Verde, il capo Rosso, il golfo di -Guinea, e il girabile vertice dell’Africa<a class="tag" id="tag329" href="#note329">[329]</a>. Il re di Portogallo -incaricò esso frà Mauro d’un planisfero, di cui -potessero giovarsi quelli che mandava a tentare scoperte. -</p> - -<p> -Nella <i>Rason del martologio</i>, codice del 1428 o poco -poi, che conservasi a Venezia, è spiegata la <i>regola de -navegar a mente</i>, applicando la trigonometria alla nautica; -il raggio è ridotto in decimali, anzichè in sessagesimi; -si adoprano le tangenti nelle operazioni -trigonometriche, ben prima del Regiomontano che se -ne fa scopritore. La reale libreria di Parma ha un -mappamondo coll’iscrizione <i>Becharias civis januensis -composuit hanc tabulam anno Domini millesimo</i> -<span class="smcap lowercase">CCCCXXXVI</span>, dove sono indicate la prima volta con qualche -precisione le Canarie e Madera. Un’altra carta -marina su pergamena fu compita il 1455 da prete -Bartolomeo Pareto genovese, ponendo Genova come la -città più grande, e il suo San Giorgio effigiando sopra -tutte le colonie del mar Nero. -</p> - -<p> -Erasi intanto migliorata l’arte del navigare, del costruire -le navi e dirigerle, e spingerle anche con vento -sinistro. La proprietà dell’ago calamitato di volgere a -settentrione forse non era sconosciuta agli antichi, ma -furono primi gli Amalfitani, e dicono un Flavio Gioja -<span class="pagenum" id="Page_539">[539]</span> -nell’xi secolo, a valersene come di strumento costante -onde precisare la direzione de’ viaggi. Con questo si -potè osare d’avventurarsi nell’alto, dove più non si -scorgono terre; ed alcuni si spinsero fuori dello stretto -di Gibilterra, al quale gli antichi, chiamandolo colonne -d’Ercole, aveano posto il <i>non plus ultra</i>; e abbandonando -le coste spiegarono le vele in alto mare. Fin -dal 1281 Vadino e Guido Vivaldi salpavano da Genova -con due galee col proposito di girare l’Africa, e giungere -per di là nelle Indie. Una diede nelle secche alla -Guinea, l’altra giunse nell’Etiopia, ma fu catturata, e un -solo marinajo campò, i cui discendenti, censettanta -anni dopo, ritrovò in Abissinia il genovese Antoniotto -Usodimare. Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli famosi -astrologi soggiungono che tale notizia invogliò Teodosio -Doria e Ugolino Vivaldi a mettersi, nel 1292, con due -Francescani per lo stesso cammino, donde non furono -più di ritorno<a class="tag" id="tag330" href="#note330">[330]</a>. Altri Genovesi di quel tempo scopersero -le isole Canarie nell’oceano Atlantico<a class="tag" id="tag331" href="#note331">[331]</a>. -Nicoloso da Recco, capo d’una spedizione diretta a -quella volta, nel 1341 ne diè contezza in Siviglia a -mercadanti fiorentini, dai quali l’ebbe e la registrò il -Boccaccio<a class="tag" id="tag332" href="#note332">[332]</a>. Forse da Genovesi furono trovate anche -le isole Azzore, e si era dato il gran passo collo staccarsi -dalla costa, avventurarsi al largo, dissipare la paura -del mare <i>tenebroso, inguadabile</i>. -</p> - -<p> -Da questi tentativi presero voglia e coraggio Spagnuoli, -Portoghesi, Baschi a scoprire regioni nuove, -fosse a dilungo della costa occidentale dell’Africa, fosse -in mezzo all’Oceano. Principalmente l’infante Giovanni -<span class="pagenum" id="Page_540">[540]</span> -di Portogallo, erudito in tutte le scienze del suo tempo, -si piantò presso al capo San Vincenzo, e di quell’estrema -punta occidentale d’Europa volle far quasi una vedetta -donde esplorare mari intentati, e vi stabilì un’accademia -marittima. Uno de’ primi suggerimenti di questa -fu l’astrolabio di mare, grande anello metallico, sospeso -ad un altro fisso alla parte superiore dello stromento, -e con traguardi disposti in modo, da determinare i -gradi d’altezza del sole e riconoscere la propria situazione, -anche quando siasi perduta di vista la terra. Stava -fitto in mente a quel principe che, seguitando a dilungo -la costa africana, s’arriverebbe a un punto ov’essa dà -volta verso levante e settentrione, e per di là si giungerebbe -alle Indie; e ostinandosi contro le beffe e l’incredulità -di coloro che al primo tentativo fallito si -scoraggiano, seguiva a mandar navi, le quali sempre -più avanzavano giù per la costa africana. -</p> - -<p> -Alvise Ca de Mosto patrizio veneto, corso già molte -volte il Mediterraneo, mentre tornava dalle Fiandre il -1454, si trovò cacciato da un rifolo di vento al capo San -Vincenzo; e il principe Enrico, saputo l’arrivo di quelle -galee, mandò a chiedere con istanza se alcuno volesse -pericolarsi ad una spedizione oceanica. Arrise la proferta -al Cadamosto, il quale, avuta una caravella, sciolse -ai 22 marzo 1455, toccò Madera, le Canarie, capo -Bianco, e al voltare del capo Verde s’imbattè in due -altre caravelle, una delle quali capitanata da Antoniotto -Usodimare, egli pure in traccia di paesi e più di ricchezze. -Messisi di conserva, procedettero fino allo -sbocco del Gambia; ma l’insubordinazione della ciurma, -sgomentata dagli attacchi de’ Negri o dal pregiudizio -che i cibi di questi fossero letali ai Bianchi, gli obbligò -a dar volta. L’anno che venne, il Cadamosto, ripreso -passaggio con Antoniotto, si trovò spinto alle inesplorate -isole di capo Verde e fin al Rio Grande. Da uomo -<span class="pagenum" id="Page_541">[541]</span> -esperto e sincero ce ne diede un ragguaglio, che è il -più antico di navigazioni moderne: forse già prima -avea steso il portolano dell’Atlantico, del Mediterraneo -e dell’Adriatico. Antonio da Noli genovese riconoscea -poi meglio le isole di capo Verde nel 1462. -</p> - -<p> -Intraprendentissimi erano dunque i nostri navigatori, -ma forse in questa, come in tutte le altre imprese, -mancarono della perseveranza: mediante la quale invece -i Portoghesi si videro premiati, quando alfine, -nel 1486, con Bartolomeo Diaz diedero volta al capo di -Buona Speranza, cioè all’estremo vertice dell’Africa, -e con Vasco de Gama nel 98 giunsero per mare nell’India, -dove i nostri si spingeano per così lungo e tortuoso -pellegrinaggio. -</p> - -<p> -Emanuele re di Portogallo pensò che le primizie -delle sue conquiste fossero dovute a Dio, sicchè mandò -al papa un elefante dell’India mirabilmente grosso, un -pardo, e una pianeta tempestata di gemme, di tal bellezza -qual mai non erasi veduta<a class="tag" id="tag333" href="#note333">[333]</a>. Perocchè ancora -valeano le idee del medioevo; e l’intento professato di -tali spedizioni era il guadagnare anime alla fede, e trovare -quel Prete Janni, che i viaggiatori aveano dato -come pontefice d’un popolo cristiano, isolato tra gli -infedeli (Cap. <span class="smcap lowercase">XCIII</span>, in princ.): al papa chiedeasi l’investitura -<span class="pagenum" id="Page_542">[542]</span> -delle nuove isole, delle quali, secondo il diritto -d’allora, a lui spettava la sovranità: e Martino V privilegio -di plenaria indulgenza chi perisse in que’ tragitti, -che doveano tante anime redimere col battesimo, incivilire -col vangelo. -</p> - -<p> -Tali tentativi fissavano l’attenzione d’un Genovese -che tutti dovea superarli, perchè più perseverante. Nato -di nobile casa piacentina, che impoverita nelle guerre -di Lombardia, erasi applicata al commercio delle -lane<a class="tag" id="tag334" href="#note334">[334]</a>, Cristoforo Colombo, fatti i suoi studj e messosi -presto nella marina, vi si segnalò per coraggio e -abilità, aggiungendovi cognizioni geometriche, astronomiche, -cosmografiche. Dopo comandato navi napoletane -e genovesi, stette in Portogallo, dove i Lombardi -(come chiamavansi tutti gli Italiani) erano bene accolti; -cupidamente raccogliendo quanto si diceva e progettava, -s’allargò a ben maggiore concetto; e mentre i precedenti -non faceano che conquiste d’esperienza, seguitando -la costa occidentale d’un continente a piramide, -di cui la orientale era frequentatissima dagli Arabi, -Colombo ideò una conquista di riflessione, cioè di -giungere in Asia per via opposta: gli altri andavano -tentone dietro a un fatto; egli spingeasi dietro un’idea, -una fede. Forse viaggiò sino alla Guinea, forse fu -nell’Islanda, ove potè aver contezza di terre giacenti -oltre l’Oceano, e dai racconti, dalle fantasie, dai calcoli, -<span class="pagenum" id="Page_543">[543]</span> -dai testi traeva pascolo a congetture, che presto mutò -in persuasioni. -</p> - -<p> -Che la terra fosse sferica e abitata anche nella parte -opposta alla nostra, l’aveano già insegnato nella bassa -Italia i Pitagorici, poi ripetuto altri savj anche di recente, -comunque la scarsezza di libri lasciasse altri nei -classici pregiudizj; e l’induzione veniva di suo piede -dacchè sapevasi non essere il peso che la tendenza al -centro della terra<a class="tag" id="tag335" href="#note335">[335]</a>. Uno potrà dunque passare da -<span class="pagenum" id="Page_544">[544]</span> -un meridiano all’altro sia che si diriga a levante, sia -che a ponente, e le due strade saranno complemento -una dell’altra. Il circuito della terra è diviso, secondo -Tolomeo, in ventiquattro ore da quindici gradi ciascuna: -i quindici da Gibilterra fino a Tina in Asia erano -già conosciuti agli antichi; d’un altro s’inoltrarono i -Portoghesi: non rimangono perciò che otto ore, cioè -un terzo della circonferenza del globo. I filosofi asseriscono -che la superficie de’ mari è un settimo appena -dell’arida: adunque non resterà che piccola parte dell’Atlantico -a traversare per raggiungere il continente -dell’India, le invidiate terre delle spezie e dell’oro, il -Catai, Cipango, le altre regioni, del cui nome e delle -cui meraviglie era stata empita l’Europa dal Milione di -Polo. Più dunque che pel levante, è facile giungervi -per ponente<a class="tag" id="tag336" href="#note336">[336]</a>. Le cinquecento miglia di mare che -credeasi dover traversare, erano ancora eccessive alla -scarsa arte d’allora; ma probabilmente tra via s’incontrerebbero -isole, delle quali una vaga fama trasmetteasi -fra i naviganti. -</p> - -<p> -Altre induzioni, d’origine ecclesiastica, davano al -mondo non più che cencinquant’anni ancora di durata; -<span class="pagenum" id="Page_545">[545]</span> -e poichè è scritto che <i>il suono del vangelo uscirà per -tutta la terra</i>, Iddio dev’essere sul punto di aprire -l’India da quest’altra banda, acciocchè vi si predichi -Cristo, e se ne traggano tesori, coi quali riscattare -Terrasanta dai Turchi e tante anime dal purgatorio. -</p> - -<p> -Ognuno appoggia i proprj concetti cogli argomenti -del tempo; e Colombo ne raccoglieva per la fede dei -teologi, per l’avidità dei re, pei pregiudizj dei naviganti, -per la pedanteria degli eruditi, per la scienza -de’ matematici. Fra gli astronomi di quel tempo godea -nome Paolo del Pozzo Toscanelli, che in Firenze sua -patria fece il più elevato gnomone del mondo in Santa -Maria Novella. A lui, già consultato dai principi di -Portogallo, si diresse Colombo per lume e consigli, e -questi gli rispose una lettera appoggiandolo di autorità -e di calcoli; gli abbozzò una carta navigatoria, ove da -Lisbona a Quinsay (città rivelata da Marco Polo) segnava -sedici gradi da ducencinquanta miglia ciascuno; -e — Il tuo disegno parmi nobile e grande, e ti prego -quanto so a navigare da oriente ad occidente». -</p> - -<p> -Colombo dovette rimbaldirsi di tanta approvazione: -ma donde ottenerne i mezzi? La Francia si buttava allora -a guerre avventurose sotto il romanzesco Carlo VIII: -l’Inghilterra faticava a ricomporre gli sconquassi delle -lunghe discordie intestine: il Portogallo erasi messo -alle scoperte s’una traccia diversa, e codesta novità -non poteva che tornargli sgradita: di fatto quegli accademici, -cui il disegno di Colombo fu presentato, lo -dichiararono d’un fatuo vanaglorioso; pure i politici -suggerirono, — Teniamolo a bada finchè si mandino -navi a verificare cosa ne sia». Colombo indispettito si -sottrasse, e venne in Italia: ma di que’ piccoli Stati e -ringhiosi qual mai era capace di tanto ardimento? Venezia -e Genova desideravano conservarsi il monopolio -delle antiche vie, anzi che perigliarsi a nuove; tenere a -<span class="pagenum" id="Page_546">[546]</span> -tutto loro profitto il commercio nel Mediterraneo, anzi -che vantaggiare le nazioni situate sull’Oceano. -</p> - -<p> -Febbricitante dunque d’un gran pensiero, cui non -vedea modo di ridurre ad effetto, cogli spasimi del -genio incompreso, Colombo vedea passare gli anni, logorarsi -il suo vigore, e nessuno che volesse accettare -il dono d’un nuovo mondo. Finalmente in Ispagna -trovò un frate, che il raccomandò al confessore della -regina Isabella; e la gran donna, capace di comprendere -l’entusiasmo di un grand’uomo, gli diede ascolto, -fece esaminare la proposta da teologi e da sapienti; -ma poichè allora fervea l’impresa che dev’essere la -prima per ogni nazione, quella di sbrattare la patria -dalla dominazione straniera, il tentativo fu rimesso a -migliori tempi: intanto Colombo militò contro i Mori, -vivendo d’un sussidio assegnotogli, egli che teneasi -distributore d’incalcolabili tesori<a class="tag" id="tag337" href="#note337">[337]</a>. -</p> - -<p> -Finalmente la presa di Granata decise la lotta di sette -secoli; e gli Spagnuoli si assisero indipendenti sopra il -suolo che palmo a palmo aveano ricompro dalla servitù -moresca. Allora Colombo rincalorì le istanze, e ottenne -due navi e trecentomila corone, col patto di concorrere -egli stesso a un ottavo della spesa, purchè gli si -assicurassero un ottavo de’ vantaggi e un dodicesimo -delle gioje e de’ metalli preziosi, il titolo di ammiraglio -e vicerè de’ paesi nuovi. Un terzo legno ebbe da un armadore -di Palos, dal qual porto salpò il 3 agosto 1492, -fidando in Dio, e ostinandosi a filar dritto a ponente, -<span class="pagenum" id="Page_547">[547]</span> -per quanto il disconsigliassero i compagni, per quanto -altri fenomeni l’allettassero a cercar terre a dritta o -a sinistra, per quanto lo scoraggiasse il dissiparsi delle -apparenze di vicina terra. Perseveranza siffatta è l’impronta -del genio. -</p> - -<p> -Non è di questo luogo il descrivere gli incidenti del -suo viaggio, e come toccasse le Antille e più tardi il -continente, ch’egli credette sempre fossero le settemila -quattrocentottantotto isole orientali, indicate da Marco -Polo. Il suo giornale lo mostra attentissimo osservatore -d’ogni fenomeno della natura, quantunque non addottrinato -abbastanza per trovarne la spiegazione; nè alla -sagacia sua sfugge veruna delle apparenze d’un mondo -e d’un ciel nuovo: ravvicina i fatti per indovinarne le -mutue relazioni; primo avvertì la deviazione dell’ago -magnetico; primo conobbe che si poteva trovar le longitudini -mediante la differenza dell’ascensione diritta -degli astri; notò la direzione delle correnti pelagiche, -l’aggruppamento delle piante marine che determinano -una gran divisione de’ climi dell’Oceano, il cangiarsi -delle temperature non solo a norma delle distanze dall’equatore, -ma colla differenza de’ meridiani; nè trascurò -appunti geologici sulla forma delle terre e sulle cause -che la producono. -</p> - -<p> -Quel che più ancora, lo caratterizza è il sentimento -religioso, pel quale crede a visioni, a rivelazioni; per -iscopo supremo dell’impresa si propone di annichilare -l’islam, convertire i sudditi del gran kan, e coll’oro -ritratto riedificare Gerusalemme, e suffragare tante -anime aspettanti nel purgatorio. Ne traeva la perseveranza -contro gli ostacoli, la pazienza de’ mali, e nei -semplici suoi ricordi scriveva: — Benedetto Iddio che -dà vittoria e buon successo a chi segue le sue strade, -e l’ha miracolosamente provato in me. Io tentai un -viaggio contro l’avviso di tanti assennati; tutti trattavano -<span class="pagenum" id="Page_548">[548]</span> -il mio disegno di chimera: confido nel Signore -che il successo farà grande onore alla cristianità». -E se i disastri l’opprimevano, pareagli una voce gridargli -in sogno: — Di poca fede! cosa fece Iddio di -più per Mosè e per David suo servo? A te aperte le -barriere dell’Oceano; a te sottomesso infinito paese; -il nome tuo reso celebre in tutta la cristianità. Volgiti a -lui, e riconosci che infinita è la sua misericordia. Tu -giaci di cuore, e gridi <i>È troppo</i>. Or di’, chi ha cagionato -le tue afflizioni, Dio o il mondo? Dio non fallisce -le promesse: ma delle fatiche sostenute per altri padroni -questa è la ricompensa». -</p> - -<p> -Perocchè è nota l’ingratitudine con cui gli uomini -compensarono quel sommo che, mentre al tornare del -primo viaggio non era onoranza che non gli fosse profusa -quasi a creatore, di poi dal nuovo mondo fu -ricondotto in catene, le quali (dice suo figlio) io vidi -sempre sospese nel suo gabinetto, e con quelle volle -esser sepolto». Ai re si lagnava egli, ma invano; e a -suo figlio scriveva: — Dopo vent’anni di servizj e fatiche -e pericoli tanti, non possiedo in Ispagna ove -ricoverare il capo: per mangiare e dormire mi bisogna -andare all’osteria, e più volte non ho di che pagare lo -scotto». Sazio poi di quella che tanto annoja, la censura -degli oziosi, proponeva: — Coloro che si piaciono -di far rimproveri e appunti, stiano a cianciare -laggiù a loro agio, e dire <i>Perchè non fare così e così?</i> -Avrei voluto fossero stati a quell’impresa». Passata -mezza la vita nella miseria sospirando di attuare la -grande idea, e l’altra mezza nella invidia per averla -compiuta, straziato da lunga ambage d’iniquità e scaduto -dalle più fervorose speranze, moriva desolato a -Valladolid di sessantott’anni nel 1506. -</p> - -<p> -Istituì un maggiorasco, e ne trasmetteva i documenti -a Genova, «della qual città io sono uscito, e nella quale -<span class="pagenum" id="Page_549">[549]</span> -son nato»: pel banco di San Giorgio destinò un decimo -della rendita di sua eredità, onde sgravare la gabella -delle vittovaglie: e sedici giorni prima di morire, sopra -un uffizietto della beata Vergine regalatogli da Alessandro -VI papa, e «che gli era stato di gran sollievo -nella cattività, nelle battaglie, nelle traversie»<a class="tag" id="tag338" href="#note338">[338]</a>, -vergava un codicillo militare da darsi «all’amatissima -sua patria la repubblica genovese» pei benefizj che -n’avea ricevuti; volea che de’ suoi beni stabili in Italia -vi si ergesse uno spedale nuovo; mancando poi la sua -linea, sostituiva il banco di San Giorgio nell’ammiragliato -dell’India e negli altri privilegi, che dai re gli -erano stati sconsideratamente promessi, e che poi gli -furono codardamente fraudati; sicchè i figli suoi dovettero -stentare tutta la vita a patrocinare i titoli e il -nome di quel grande, cui negavasi la gloria d’aver -egli primo scoperto un mondo, che testè gli s’imputava -a monomania il credere potesse scoprirsi. Finalmente -i suoi nipoti rinunziarono alle pretese ricevendo -mille dobloni l’anno e il titolo di duchi della Veragua, -<span class="pagenum" id="Page_550">[550]</span> -che vive tuttora in una linea femminile, dalle ultime -vicende spagnuole ridotta a strettezze. -</p> - -<p> -Più che i re, furono ingrati a Colombo gli scrittori, -che del nome di lui non battezzarono la terra da lui -scoperta. Al fine dell’ultimo secolo, gli Spagnuoli, costretti -abbandonare ai Francesi l’isola d’Haiti ove era -stato sepolto, lo trasportarono all’Avana in una solennità -affettuosa, cui non si mesceano maledizioni, come -alla traslazione d’altri eroi: e Bolivar volle col titolo -di Colombia abbellire la repubblica, che le sue vittorie -creavano e la sua temperanza conservava. Tarda giustizia! -a Colombo non restò che la felicità dell’operare; -felicità che voi, anime torpide, mai non comprenderete. -</p> - -<p> -Subito avidità d’oro, di gloria, di conquiste, di conversioni, -di martirio, spinse gran gente verso quel nuovo -mondo, del quale, in poco giro d’anni, tutto il contorno -fu determinato: ma a noi non s’appartiene qui l’esporre -se non la parte che vi presero gl’Italiani. -</p> - -<p> -Sebastiano Cabotto, mercadante veneziano, che fin -dal 1494 avea veduto una terra che poi fu detta Terranuova, -all’udire le imprese del Colombo, sentì suscitarsi -«un desiderio grande, anzi un ardor nel cuore di -voler fare ancor egli qualche cosa di segnalato»; ed -esibì ad Enrico VII d’Inghilterra d’arrivare al favoloso -Catai per altra via che non quella di Cristoforo, cioè pel -nord-ovest; e avutone lettere patenti nel 1496, con Sebastiano -suo figlio, e con quattro navi provvedutegli dai -negozianti di Bristol, toccò il continente americano al -Labrador il 24 giugno 1497, cioè un anno e sei giorni -prima che Colombo mettesse l’orma in quel continente, -del quale riconobbe 300 leghe di costa. Morto il padre, -Sebastiano spinse un altro viaggio in quell’altezza, e -pare scorresse a dilungo la costa dalla baja d’Hudson -alla estremità della Florida; ma sgomentato dai geli e -dalle lunghe notti, voltò indietro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_551">[551]</span> -</p> - -<p> -Il papa, molte volte lo ripetemmo, era considerato -signor supremo dei mari e delle isole: in forza di che, -Martino V aveva conceduto al re di Portogallo quanti -paesi si scoprirebbero dai capi Bogiador e Non fino alle -Indie. Nessuno allora prevedeva che fra questi s’incontrerebbe -nulla meno che un mezzo mondo; sicchè Spagna -e Portogallo vennero a diverbio sul possesso di questo. -Invece di strapparselo colle armi, compromisero la quistione -in papa Alessandro VI, il quale segnò un meridiano, -distante cento leghe dalle isole Azzore e dal capo -Verde, e i paesi di là da quello attribuiva alla Spagna. -</p> - -<p> -Prima che tale controversia fosse composta, erasi -adunata una giunta per discuterla, e in essa aveva parte -il nostro Cabotto, il quale dagli Spagnuoli ebbe l’incarico -d’un nuovo viaggio, in cui rimontò il gigantesco Rio -della Plata. Fatto poi gran piloto d’Inghilterra, e presidente -della compagnia istituita onde tentare il passaggio -pel nord-ovest, in quell’isola morì onorato. Il gran problema -che girava per la mente dell’illustre Veneziano, -non fu risolto che jeri. Sant’uomo (<i>good aldman</i>), come -lo intitola Ricardo Eden suo amico, morendo diceva -sapere per rivelazione divina un metodo infallibile di -trovare le longitudini; e forse intendeva mediante la -deviazione dell’ago magnetico, la quale si vorrebbe da -lui scoperta<a class="tag" id="tag339" href="#note339">[339]</a>. Anche Giovan Verazzani navigatore -fiorentino fu adoprato da Francesco I onde tentare pel -nord un passo alle Indie, costeggiò la Terranuova, conobbe -la Nuova Francia, e più di settecento miglia di -costa esplorò. -</p> - -<p> -Americo Vespucci, nato di buona casa a Firenze, poi -fattore nella banca di Gioannotto Berardi a Siviglia, -divenne spertissimo marinajo e buon cosmografo, eseguì -<span class="pagenum" id="Page_552">[552]</span> -diversi viaggi per commissione del Governo spagnuolo, -dal quale fu assunto primo piloto alla morte di Colombo; -e colmo d’onori morì a Siviglia il 1512. Niuna impresa -capitale egli compì, ma in lettere dirette a Renato duca -di Lorena e a Lorenzo di Pier Francesco Medici, diede -delle sue navigazioni un ragguaglio gonfio e confuso, -con ostentazione di scienza e con apparenza d’uomo che -compila scritti altrui. Firenze lo lesse con avidità, e gli -decretò il fanale, cioè che davanti alla casa di lui si -accendesse un falò per tre giorni e tre notti, come in -antico solevasi ai benemeriti della patria, e tutte le case -si dovessero illuminare e più i palazzi<a class="tag" id="tag340" href="#note340">[340]</a>. Quella informazione -fu subito messa a stampe, e perchè fu la -prima che si pubblicasse, venne cercatissima, tradotta -in varie lingue, talmente che i paesi nuovi si chiamarono -la terra d’Americo, e il costui nome prevalse a quello -del vero scopritore. Nol chiameremo per ciò falsatore -e plagiario della gloria altrui, ma vi riconosceremo uno -degli accidenti della gloria, tanto capricciosa nelle sue -distribuzioni. -</p> - -<p> -Antonio Pigafetta vicentino, trovandosi in Ispagna al -seguito di Francesco Chiericato ambasciatore della corte -di Roma, partì collo spagnuolo Ferdinando Magellano -per un viaggio all’estremità meridionale dell’America, -e, datovi la volta il 21 ottobre 1520, compiva il primo -giro del globo. Il viaggio era stato finito in millecentoventiquattro -giorni; e la nave tratta in secco, fu conservata -qual monumento della spedizione più arrisicata. -Pigafetta fu accolto a Monterosi da papa Clemente VII, -per cui istanza egli stese un racconto di quel giro, con -poca esattezza e molta credulità, ma prezioso in mancanza -d’ogni altro, e anche piacevole per la contezza -<span class="pagenum" id="Page_553">[553]</span> -di tanti paesi nuovi, e pel primo vocabolario di lingue -parlate da Indiani. Con Magellano erano a quel passaggio -anche Leone Pancaldo, Battista da Polcévera e -un Baldassarre genovesi. Un altro genovese, Paolo Centurioni, -proponeva a Basilio czar delle Russie un nuovo -cammino alle Indie, venendo per acqua fin al Caspio, -e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi al Baltico, onde -recare più presto e direttamente ai Settentrionali le -droghe, senza ricorrere ai Portoghesi<a class="tag" id="tag341" href="#note341">[341]</a>. Così, intanto -che la patria tempestava fra gravi sciagure, molti nostri, -e principalmente genovesi, andavano ad ardite scoperte, -delle quali l’Italia non doveva giovarsi: piloti genovesi -fecero la prima circumnavigazione, designata dal nome -di Magellano; altri tentarono il passaggio polare. -</p> - -<p> -Col solito carico erano partite le galee di traffico veneziane -per distribuire le droghe ne’ porti dell’Oceano, -quando Piero Pasqualigo, ambasciatore a Lisbona, diede -avviso alla Signoria che i Portoghesi aveano schiuso un -altro varco alle Indie, ed offrivano le spezie ed il legname -di costruzione a più fiorito mercato. Fu tenuto -come pubblico disastro dalla repubblica, e si pensò al -riparo non colla generosità che si eleva a vantaggiare -se stessi col vantaggio altrui, bensì coll’egoismo che -impaccia e pregiudica. Spedirono a insusurrare al soldano -d’Egitto che gravi pericoli deriverebbero al suo -paese e alla religione maomettana dalla prossimità di -que’ nuovi e intraprendenti mercadanti, e gli offrivano -<span class="pagenum" id="Page_554">[554]</span> -braccia, consigli, armi per esterminarneli. Egli di fatto -il tentò, unito ai principotti di Cambaja e di Calicut; -ma il valore di Vasco de Gama, poi dell’Albuquerque -dissipò le resistenze. -</p> - -<p> -Consiglio più generoso e insieme più profittevole alla -repubblica sarebbe stato il mettere in comunicazione -il Mediterraneo col mar Rosso traverso all’istmo di -Suez, o all’Egitto pei canali del Nilo; e non mancò chi -lo suggerisse: ma forse lo impedì quell’empia lega, in -cui tutt’Europa si strinse allora appunto per distruggere -Venezia. -</p> - -<p> -Il commercio, che i Portoghesi allora cominciarono -coll’Asia, differiva da quel di Venezia in quanto questa -lo permetteva a qualunque cittadino, escludendo gli -stranieri, mentre i Portoghesi lo teneano come proprietà -della corona; quella non negligeva l’industria -interna, mentre i Portoghesi lasciarono deserte le manifatture -e le campagne per usufruttare le colonie orientali. -Gl’Inglesi perseverarono a comprar le droghe dai -nostri; ma un equipaggio veneto di millecinquecento -tonnellate, che nel 1587 naufragò sopra l’isola di Wight, -fu l’ultimo che approdasse in Inghilterra, avendo la -regina Elisabetta ottenuti pe’ suoi dal granturco tutti i -privilegi di cui fruivano i Veneziani. -</p> - -<p> -Presto dalla Sicilia passò la coltura dello zuccaro in -America, che ne divenne la principale produttrice; di -là vennero a noi molte nuove piante e derrate, molti -usi ed abusi, e vizj e comodità e morbi. È generalmente -accettato che l’inglese Raleigh portasse pel primo in -Europa il pomo di terra nel 1586; ma il celebre botanico -l’Ecluse (<i>Clusius</i>), che primo descrisse quel -tubero nel 91, asserisce averne fin dall’88 coltivato nel -suo giardino alcuni ricevuti dall’Italia, ove da qualche -tempo servivano di cibo agli uomini e agli animali -domestici. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_555">[555]</span> -</p> - -<p> -Ma noi avevamo cessato d’essere i fattori dell’Europa; -non un palmo di terra acquistammo in quel mondo, che -un nostro avea scoperto e un altro denominato; non -ajutammo le successive indagini: vero è che restammo -mondi del sangue e delle atrocità che le accompagnarono. -</p> - -<p> -Le scoperte schiudeano un nuovo campo alla santa -operosità de’ missionarj, che da Roma correano a piantar -la croce dovunque gli avventurieri avessero cominciato -la strage. Famosi principalmente riuscirono i Gesuiti -nella Cina, e primi Gabriele Rogerio di Napoli, il Ricci -da Macerata, il Pasio da Bologna, che educatisi nei -costumi e nella lingua del paese strano, furono tollerati -e donati, ed ottennero grandi successi di conversioni; -anzi il Ricci scrisse un’opera in cinese, che lo fece porre -fra i classici di quella difficile nazione. Prodigiosi effetti -conseguì pure nel Malabar il padre Roberto de’ Nobili -romano, che però col troppo mostrarsi tollerante dei -riti nativi meritò la disapprovazione di Roma, e (strano -accordo) quella de’ filosofanti. Da questi ed altri missionanti -si ebbero le prime e le più esatte contezze di -que’ paesi. -</p> - -<p> -Gli ambasciadori nostri alle Corti straniere informavano -i loro Governi delle scoperte, via via ch’erano risapute; -i mercadanti ne faceano appunto sui loro mastri -per l’alterazione che derivava al prezzo delle derrate. -Gli eruditi, di mezzo ai loro studj sull’antico, sentivano -agitarsi il mondo moderno; e mentre sulla fede dell’erudizione -Colombo ostinavasi nel glorioso suo errore, -Pietro Martire d’Anghiera milanese scriveva a Pomponio -Leto: — Non passa giorno che non ci arrivino prodigi -nuovi da questo nuovo mondo, da questi antipodi dell’Occidente, -che un tal Cristoforo genovese ha scoperti. -Credo bene che tu abbia trasalito d’allegrezza, e a stento -ti sia frenato dalle lagrime quand’io per lettere t’informai -dell’orbe dianzi nascosto. Qual cibo più soave di questo -<span class="pagenum" id="Page_556">[556]</span> -a sublimi ingegni? Da me lo misuro, che sento bearmi -lo spirito quando ragiono con alcuni tornati di colà. -Tuffino l’animo in accumular dovizie i miseri avari; noi -allietiamo le menti nostre nella contemplazione di siffatte -meraviglie. E che fecero di più i Fenicj quando in regioni -remote riunirono popoli erranti, e fondarono altre città? -Ai tempi nostri era serbato vedere allargarsi di tanto -le nostre concezioni, e tante cose insolite apparir d’improvviso -sull’orizzonte»<a class="tag" id="tag342" href="#note342">[342]</a>. -</p> - -<p> -Esso Pietro Martire pubblicò tre decadi <i>De rebus -oceanicis</i>, che volle far credere scritte man mano che -le informazioni giungevano<a class="tag" id="tag343" href="#note343">[343]</a>, e il cui vanto riponeasi -nell’aver saputo designare con parole classiche -paesi e cose nuove. Dalle lettere del Colombo <i>De insulis -Indiæ nuper inventis</i> trasse un rozzissimo poema in -ottave il canonico Giuliano Dati fiorentino<a class="tag" id="tag344" href="#note344">[344]</a>, autore -<span class="pagenum" id="Page_557">[557]</span> -d’altri scrittarelli destinati a popolarizzare le scoperte. -Di que’ viaggi poi una raccolta stampò il Fracanzano -di Montalboddo a Vicenza nel 1507 col titolo di <i>Mondo -nuovo e paesi nuovamente trovati da Alberico Vesputio -fiorentino</i>; Antonio Manuzio un’altra de’ viaggi di Veneziani. -Giovan Battista Ramusio, nato da Paolo letterato -celebre, usato in molte legazioni, sperto di varie lingue, -concepì principale amore per la cosmografia, e ne teneva -accademia in sua casa a Venezia; e dei ragguagli -che correano fece la miglior raccolta col titolo <i>Delle -navigazioni e viaggi... nelle quali con relazione fedelissima -si descrivono tutti quei paesi che da già trecent’anni -finora sono stati scoperti, così di verso levante -e ponente come di verso mezzodì e tramontana</i>, più -più volte ristampate, dopo la prima di Venezia del -1550. Anche Livio Sanuto raccolse le migliori notizie -delle scoperte, e s’un globo rappresentò tutto il mondo -conosciuto, sicchè può considerarsi il primo che correggesse -le antiche carte. Sventuratamente delle sue -non si salvarono che dodici, pubblicate postume nel 1586, -incise dal fratello Giulio; e l’Africa vi è ritratta con -esattezza tale, che appena dalle recentissime scoperte -potè essere migliorata. -</p> - -<p> -Alessandro Geraldini da Amelia nell’Umbria militò in -Spagna, fu coppiere della regina Isabella, poi entrato -ecclesiastico, educò quattro principesse che divennero -regine; favorì i divisamenti del Colombo confutando i -sofismi teologici che lo contrariavano; adoperato molto -in diplomazia presso quasi tutte le corti d’Europa, finì -vescovo di San Domingo in America. Scrisse molte opere -<span class="pagenum" id="Page_558">[558]</span> -di teologia, esortazioni ai Cristiani contro i Musulmani, -e l’itinerario alle Antilie, con ragguagli sulle antichità, -i riti, i costumi, le religioni de’ popoli di Etiopia, d’Africa, -dell’oceano Atlantico, dell’India. Asserisce però aver -veduto e trattato popoli e re, che nessun altro menziona; -dà perfino iscrizioni latine, che asserisce aver copiate -in Africa, evidentemente false: sì poco allora aveasi -cura dell’esattezza. -</p> - -<p> -Altri continuarono viaggi. Giovanni da Empoli nel -1503 arrivava al Malabar. Filippo Sassetti fiorentino, -buon matematico e discreto scrittore, visitò le Indie, -e vorrebbesi il primo che avvertisse la declinazione -dell’ago calamitato, che noi trovammo già prima indicata. -Luigi da Vartema, gentiluomo bolognese, scrisse -il suo viaggio in Levante, ristampato e tradotto in tutte -le lingue. Mosso da Venezia dopo il 1500, visitò l’Egitto, -la Siria, e nel 1503 imparato l’arabo, da Damasco colla -carovana andò alla Mecca, soffrendo i disagi di quel -tragitto, ammirando il gran mercato che vi si teneva, -benchè declinasse dopo scoperto il passaggio marittimo -all’India. Un Moro ch’era stato a Genova e Venezia, lo -conobbe per italiano; nè al castigo serbato all’infedele -che entra nella santa casa, potè sottrarsi se non fingendosi -rinnegato, e bestemmiando i Portoghesi. Il Moro -gli esibì di mettersi col re del Decan per fondere le sue -artiglierie: ed egli, desideroso di avventure, accettò. -Sbarcò a Aden, ma riconosciuto, fu messo in carcere; -e solo col fingersi scimunito, e ricrear la regina colle -sue buffonerie, potè campare. Allora visitò molte città -dell’Arabia Felice, fendè la Persia, e giunse ad Ormus, -a Herat, a Schiraz, centri di vivissimo traffico. Fece -società con un mercante persiano, e dalle guerre impedito -di giungere a Samarcanda, tornò a vedere altri -paesi sino a Calcutta, dove stavano sin quindicimila -mercanti forestieri. Il Vartema si estende a narrare i -<span class="pagenum" id="Page_559">[559]</span> -costumi dell’India, come uom che li vide in fatto, sebbene -e spesso li frantendesse, e più spesso non osservasse -quelle particolarità che ne formano il carattere. -Seguitò a trafficar per que’ mari, e via fin al capo Comorin, -all’isola di Seilan e al Bengala, indi al Pegù, a -Sumatra, all’isola delle Spezierie, a Borneo, a Giava. -Reduce a Calcutta, trova due Milanesi venuti nell’India -co’ Portoghesi e disertati, coi quali s’accorda per fuggire -dai paesi musulmani, e riesce a tornare fra i Cristiani. -I Portoghesi l’ebber caro per le informazioni che -offerse di regioni ignote, e gli agevolarono il ritorno -a Lisbona, ove il re l’intitolò cavaliere; e di là tornò in -patria il 1508. -</p> - -<p> -Gaspare Balbi veneziano, negoziante di gioje, trovandosi -ad Aleppo il 1579, risolse visitare l’Oriente; e -condottosi a Bir sull’Eufrate, navigò questo fiume pieno -di pericoli fin presso a Bagdad; da questa <i>Babilonia</i> -nuova scese pel Tigri a Bàssora, donde a Ormus, osservando -la pesca delle perle a Baharein, poi a Diu e -a Goa, dove allora ingrandiva la potenza portoghese. -La sua descrizione rispetto a storia e geografia non -dilatò le nostre cognizioni, ma da mercante ch’egli -era, informa a minuto del commercio, dei prezzi, delle -direzioni. Da Goa traversò a Cochin, poi pel capo Comorin -a San Tomé, notando i gran frutti delle missioni -gesuitiche. Con mercadanti Portoghesi navigò nel Pegù, -regno poderoso, che dominava quelli d’Ava e di Siam, -e la cui capitale trovò grandiosa, qual rimase finchè i -Birmani non la distrussero nel secolo passato. Quel -principe, interrogatolo sul suo paese, e udito che governavasi -senza re, volle sbilicarsi dalle risa, il regalò -d’una coppa d’oro e tappeti cinesi, e ne comprò molti -smeraldi, ricambiandoli con altre pietre e con pezzi di -piombo che ivi scusavano la moneta. Passare ad Ava -per farvi accatto di rubini non potè, in grazia d’una -<span class="pagenum" id="Page_560">[560]</span> -ribellione scoppiata, per la quale il re del Pegù chiamò -a sè gli uffiziali e governatori, e sospettandoli d’intelligenze, -li fece colle loro famiglie bruciare in numero di -quattromila. Il Balbi potè vedere le trionfali solennità -della vittoria, e marcie e pasti, dove i bianchi elefanti -del re faceano segnalata comparsa. Ci dipinge quel popolo -come mansueto, tollerante, educato dai buoni -esempj de’ Talapoini, monaci austeri e caritatevoli, i -quali non impedivano di farsi cristiani, dicendo che uno -può esser buono in qualunque religione. Di là mandavasi -argento al Bengala, riso a Malacca: sopratutto lavoravasi -di cotone. Nol seguiremo nel ritorno e nella -descrizione che fa delle usanze della costa del Malabar, -donde per Ormus ripassò nel 1588 ad Aleppo, che avea -lasciata nel 1579; e due anni dappoi pubblicava in -patria il suo <i>Viaggio alle Indie orientali</i>, prezioso sì -per la semplicità con cui acquista fede a’ suoi detti, sì -perchè primo recò notizie dell’India transgangetica e -particolarmente del Pegù. -</p> - -<p> -Pier della Valle può dar la misura della corrività, se -non della sfacciataggine de’ viaggiatori. Staccatosi da -Roma col proposito di percorrere le principali parti del -teatro dell’universo, provvisto d’entusiasmo e di fede -ma non di critica, sopra un legno veneziano approda -prima a Corfù, dove riverisce le reliquie di santo Spiridione, -e dove gli è mostrato un discendente di Giuda -Iscariote. A Zante vede una fontana, la cui acqua proviene -dalla terraferma, sottopassando alle salse, per tal -segno che una volta ne sgorgò una tazza d’argento. Da -Troja, che ricostruisce con tanta facilità, mentre con tanto -stento i moderni non v’arrivarono, giunge a Costantinopoli, -e vede gran meraviglie, e n’ode di maggiori, -quali le due immense cisterne, sopra cui stanno sospese -Santa Sofia e l’ippodromo, sostenute solo da alcune file -di pilastri. Harlais ambasciadore di Francia gli agevola -<span class="pagenum" id="Page_561">[561]</span> -l’entrata nel serraglio, ove bacia la mano all’imperatore, -ma preoccupato dalle idee de’ costumi e delle Corti -europee, nulla intende di quella. Nelle case vede usare -pertutto una bevanda nera, che chiamano caffè, e i cui -effetti gliela fanno somigliare alla nepente, con cui Elena -calmava i tedj degli assediati Trojani. Nell’Egitto scorre -colla Bibbia e col leggendario alla mano, pertutto vendemmia -pie tradizioni, e viepiù accostatosi a Terrasanta: -e que’ racconti anche sì grossolani attraggono -per la buona fede e la semplicità onde sono dettati. -Dopo che potè prostrarsi sul sepolcro di Cristo, e ricever -la comunione su quello di santa Caterina, crebbe di pietà, -e sbandì quanto di mondano conservava. Avviatosi colla -carovana verso Babilonia, sente parlare della bellezza -stupenda, del raro ingegno, dell’incomparabile virtù -della figlia del maggior ricco di Bagdad: onde invaghitosene -per fama, non d’altro studia che d’arrivarvi presto, -e la ottiene in matrimonio, e riconduce a Roma la bella -Maani Gioreida. -</p> - -<p> -Jacopo Morelli, lodato bigliografo, stampò in pochi -esemplari una dissertazione intorno ad <i>Alcuni viaggiatori -eruditi veneziani poco noti</i> (Venezia 1803), i quali -sono Paolo Trevisano, Giovanni Bembo, Pellegrino -Brocardi, Ambrogio Bembo, Giovan Antonio Soderino; -e minori Bartolomeo Dandolo, Bonajuto Albani, Teodoro -Gradenigo, Nicola Brancaleone, Antonio Priuli, -Carlo Maggi, Cechino Martinello. Altri avremo a mentovarne, -ma scarsissima messe ci danno i nostri campi. -Ben fa meraviglia come di tanti portenti, che doveano -concitare le fantasie e l’estro, poche o niuna scintilla -traessero le muse nostre, severe od amene: alcuni poemi -su que’ gloriosi fatti ricalcano i modelli antichi; e le -allusioni fattevi non attingono l’originalità, neppure in -mano del Tasso e dell’Ariosto. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_562">[562]</span> -</p> - -<h2 id="cap126-11">CAPITOLO CXXVI. -<span class="smaller">La fine del medioevo.</span></h2> -</div> - -<p> -Così accompagnammo il passaggio dall’età media -alla moderna. La società stabilita sulla libera autorità, -sulla devozione dell’uomo all’uomo, sulla infallibilità -cattolica, sulla ecclesiastica gerarchia, cede dinanzi all’indipendente -indagine de’ pensatori, al cavillo erudito -de’ leggisti, alla risoluzione de’ popoli di stracciar le -fascie entro cui crebbero, e dei re di non tollerare superiori. -Cessata quella robustezza di Roma imperiale, -che assorbiva l’uomo nello Stato, la Chiesa avea proclamato -la propria indipendenza: gli uomini franchi, i -signori feudali, i Comuni, le maestranze ne voleano -altrettanta, arrogandosi l’autonomia della propria sfera, -per modo che non si trova più la nazione, lo Stato, -ma l’individuo col suo senno e colla sua coscienza. Al -contrario, gli Stati moderni sin dal nascere inclinano -in un senso opposto alla società cristiana e ai dominj -barbari, accentrando i poteri maestatici, estendendo -la sfera della regia attività a scapito de’ signori e dei -Comuni. -</p> - -<p> -A ciò erano ajutati dal desiderio d’ordine, di sicurezza, -di protezione, ingrandito colle ricchezze e colla -civiltà: ma ne derivava l’illimitata dominazione d’un -uomo, giacchè tanti poteri concentrati non potendo più -esercitarsi dal popolo, vengono affidati a un solo, e ne -nasce la moderna assolutezza, ove l’individualità sparisce -sotto i regolamenti, i diritti rimangono in arbitrio -dei governi, e lo Stato dovendo regolare tutto ciò che -interessa la maggioranza, più non conosce limiti nell’attività -che si attribuisce, intacca perfino la proprietà -<span class="pagenum" id="Page_563">[563]</span> -coll’arbitraria imposta<a class="tag" id="tag345" href="#note345">[345]</a>, surroga al concetto morale -il calcolo del tornaconto, l’artifiziale autorità della magistratura -alla naturale libertà di ciascuno, a un capo -servito da poteri indipendenti l’idea dello Stato rappresentato -da un uomo; insomma all’età cattolica sottentra -l’età politica. -</p> - -<p> -È però compiuta la missione provvidenziale del medioevo, -qual era di sfasciare l’onnipotenza dello Stato -sopra i corpi e le anime, restituire all’uomo l’importanza -che prima non attribuivasi se non al cittadino, -rintegrare le nazionalità particolari, e in queste le -famiglie. -</p> - -<p> -Da principio le famiglie de’ vincitori stavano raccolte -in una imperfetta federazione, quale bastasse a tenere -subordinate quelle de’ vinti; e al possedimento delle -terre si annetteva la sovranità, che in conseguenza suddivideasi -fra tanti signorotti, volgentisi nell’orbita propria, -non trascinati in quella di un unico preponderante. -Finite le invasioni, sui rottami dell’impero di Carlomagno -erasi fondato un nuovo ordine di cose, medio -fra la schiavitù antica e le libertà moderne, cominciarono -a parlarsi lingue distinte, nelle quali prorompeano -versi per esprimere le credenze, le passioni, i sentimenti. -Allora i Comuni ampliarono esse famiglie, introducendovi -i vinti come artigiani o anche solo come -inquilini della città; poi via via abbracciarono la campagna -e i servi, e formarono vorrei dire tanti nuclei, -attorno a cui si cristallizzarono i decomposti elementi. -</p> - -<p> -Fu questa la rivoluzione per cui l’Italia, prima che -ogn’altra, cancellò le impronte della barbarie: rivoluzione -casalinga, dove il governo passò dai re ai conti, -<span class="pagenum" id="Page_564">[564]</span> -dai conti ai vescovi, indi ai Comuni aristocratici, poi -agli industriali, poi alle plebi, non cercando tanto la -libertà civile quanto l’eguaglianza, e questa non nelle -persone, ma nei corpi che eransi emancipati coll’oro -e col sangue, senza però mai che si aggregassero ad -un potere centrale. Fissando quel bulicame di persone -e di Stati che, non ancora stretti a fasci, ed operanti -più per sentimento che per la riflessione, esercitavano -un’esuberanza di vita, in rapida e perpetua mobilità -spingendosi, attraversandosi, sormontandosi, combattendosi -per motivi ignoti, s’inaspa lo sguardo. Le cronache -danno un motivo a ciascuno di quei fatti, un -nome a ciascuno di quegli individui, e caratteri e passioni -proprie; e soventi vi scorgiamo generosi fini, -nobili interessi, pericoli vigorosamente affrontati, tanto -da meritare più che gli eroi de’ grandi imperj l’attenzione -di chi, qualunque ne sia il nome e le proporzioni, -prende interesse all’uomo che lotta per la coscienza, -per la libertà, per la patria. Ecco perchè il medioevo -è così diversamente valutato: tanto più che le forme -n’erano grossiere, e che all’induzione e alla deduzione -prevaleva l’intuizione, fecondissima fonte di conoscenze -e di verità più dirette ed essenziali, perchè produce -l’entusiasmo, trattato di pazzia dal freddo raziocinio, -incapace a spiegarlo; e che sempre vi si trovano a contrasto -l’infinita aspirazione del pensiero e la trista realità, -carità e barbarie, ironia ed amore, dubbio e misticismo, -e nell’autore stesso improperj contro i papi e -venerazione per san Francesco. -</p> - -<p> -Gente che vuol tutto restringere alla misura della nostra -piccineria, che a forza d’abusare della parola libertà, -d’erigere in regola il sofisma, di non riconoscere -verità contraddicenti al proprio partito, nè importanza -a principj che non siano i suoi, senza volerlo si riduce -cortigiana della violenza e dell’arbitrio, e quando non -<span class="pagenum" id="Page_565">[565]</span> -ode schiamazzo per le vie chiama organizzata la società, -ben è dritto se non sa che deplorare que’ tempi, -e preferendo alla tutela municipale l’imperiosità governativa, -alla libertà dei più la sovranità politica, anatemizza -i governi popolari a fronte de’ regj che, nell’evo -seguente, portarono all’Italia il silenzio della prigione, -il riposo del sepolcro. Acquistar la libertà senza lotte, -traforarsi da un governo all’altro a chetichella, sono -utopie di gazzettieri che idoleggiano la propria ragione, -e immolano i fatti alla teoria. Anche Venezia -ne’ primi suoi secoli avea fortuneggiato tra rivolture e -ambizioni, finchè trovò il suo assetto. Le altre repubbliche -faticavano ancora nel travaglio, dove più dove -meno spasmodico; e tutte frastornate dall’irrequietudine -de’ fuorusciti, dall’ingerenza ghibellina, e ben presto -dalla conquista forestiera, per modo che non poterono -trasformare gl’istinti in raziocinj, le passioni in principj -morali. -</p> - -<p> -L’idolatria, sia al passato o al presente, non è degna -se non di quella storia che fu adulterata dalla scettica -manipolazione del secolo passato, e dal dilettantismo -giornalistico di questi nostri, che conservano l’irriverenza -e la leggerezza di Voltaire, quando Voltaire stesso -penserebbe più seriamente. No: ai grandiosi spettacoli -dell’umanità non vuolsi l’occhialetto indifferente o beffardo -del teatro; e solo vi s’addentra chi, spogliato di -presunzione filosofistica e di teologiche sottigliezze, -cerca la figliazione degli elementi sociali, e come le -civiltà procedano le une dalle altre per la forza d’evoluzione, -che è propria della specie umana: che se la -filosofia della storia errò ne’ singoli sistemi, convinse -che l’oggi è figlio dell’jeri; che certe forme della società -si attuano solo in alcuni periodi; che uno stadio -dell’umanità procede dall’altro, la spiegazione di uno si -trova nell’esistenza dell’altro. Scienza non si dà se non -<span class="pagenum" id="Page_566">[566]</span> -quella che riposa sopra le qualità insite e durevoli delle -cose; che all’induzione aggiunge il lento corredo di -prove, di fatti convergenti; che senza entusiasmo nè -rancore aspira a discoprire la verità, la sola verità. E -se il lungo studio e la violenta contraddizione ci valse, -e la fatica nel determinare correnti del pensiero opposte -a quelle che irriflessivamente lo trascinavano, a -noi parve fatuità il credere che jeri solo nascessero i -concetti di giustizia, d’indipendenza, di libertà; e che -in un secolo, il quale non mette in prospettiva de’ suoi -fatti che la prigione e la forca, giovasse ricordarne altri -che vi mettevano il paradiso; che in un’età di vita fortuita -e turbolenta e presto invecchiante, la quale proclama -non esservi scampo dalla democrazia che nei -soldati, giovasse non esaltare ma conoscere il medioevo, -il quale avea creduto contro i soldati non trovare scampo -che nella democrazia. Gridino a tutta gola che c’inganniamo; -noi, scarchi delle intolleranze giovanili e attaccati -pacificamente alle credenze nostre senza perseguitare -le altrui, prostrandoci sulla recente tomba d’un -amico, con lui proclamiamo: — Il vincitore è Abele». -</p> - -<p> -Tal è il senso della prima rivoluzione, segnata col -nome de’ Comuni: ma agli eterogenei elementi bisognava -metter ordine; e qui soccorrevano il diritto romano -e l’ecclesiastico. Il romano, se anche aveva perduto -l’efficienza legale, sopravviveva nelle tradizioni e -negli scritti, e contribuì utilissimamente a dar norme -di giustizia e di procedura. La Chiesa, che per la sua -universalità era sfuggita dal frastagliamento del potere -civile, al feudalismo, sistemato unicamente per la conservazione -de’ vincitori, opponeva un ordine razionale, -con poteri gerarchicamente coordinati, scritte le leggi, -discusse in pubblico le prove testimoniali<a class="tag" id="tag346" href="#note346">[346]</a>, la pena -<span class="pagenum" id="Page_567">[567]</span> -misurata dal dolo e dal fatto, non già dalla qualità del -delinquente o dell’offeso, e sempre più identificata la -legge colla morale. Dal diritto romano e dal canonico -s’apprende ad accentrare i poteri sovrani; i diritti, le -azioni, la pulizia si regolano con statuti, poi con codici, -non dedotti da un concetto filosofico, ma dalle relazioni -sociali e dallo storico andamento. -</p> - -<p> -Di tal passo l’Italia, che fino al Mille scomponeva le -individualità, da poi le venne rannodando. Già erasi -introdotta e avanzata l’opera dell’unificazione ragionevole -dello Stato; comunanza ne’ tribunali; comunanza -del diritto e dovere di difendere la patria negli eserciti; -comunanza d’imposta per le strade, i fiumi, i canali, -la pulizia delle città; comunanza dell’insegnamento; comunanza -delle dignità sacre dal campanaro al sommo -pontefice<a class="tag" id="tag347" href="#note347">[347]</a>: e ciò senza alienar tutto l’uomo allo Stato, -in modo che nulla si sottragga, nè proprietà nè famiglia -nè educazione nè culto. -</p> - -<p> -Al di sopra di tutti si bilicavano due podestà: una -ecclesiastica, direttamente emanante da Dio, e confidata -alla popolare elezione; temporale l’altra, ma che ancora -riconosceva il diritto e dall’elezione e dal coronamento. -Le due autorità supreme vennero a un conflitto, -<span class="pagenum" id="Page_568">[568]</span> -la cui essenza non consisteva nell’investire coll’anello o -colla spada, bensì nella libertà di ciò che l’uomo ha di -più prezioso, il credere e il pregare. -</p> - -<p> -Come avviene in tutte le gare, i campioni dell’una e -dell’altra esuberarono: pure da un lato ci s’affacciano -imperatori egoisti, che lavorano per sè, per le proprie -famiglie, per denaro; violenti ora, ora subdoli; creano -fantocci di papi, e li sostengono con male arti e coll’appoggiarsi -agli uomini peggiori: dall’altro lato vecchi -inermi, che non pretendono per se stessi ma per la -Chiesa, irremovibili nel proposito, morali nei mezzi, -veneratori della santità quand’anche non ne sono modelli. -Quella contesa, oltre chiarire alquanto l’idea dello -Stato, e l’indipendenza reciproca di due ordini in fatto -distinti, preservò gli spiriti dal languore, che, nel morale -come nel fisico, è la malattia più ribelle. -</p> - -<p> -La preponderanza del clero non era altro che quel -jus sapientioris, per cui i Romani a coloro che hanno -libera e adulta la ragione attribuivano la facoltà di -governare gl’imbecilli ed inferiori. Senza la potente -coesione della gerarchia cattolica, in tempi d’anarchia -e d’ignoranza, che sarebbero divenute la religione e -la civiltà? Essa dava al popolo cristiano l’unità necessaria -per combattere l’unito islam; e cessato tal bisogno, -lasciò rivalere le nazionalità. Ma non perdiamo -di vista che quei papi furono della loro, non della nostra -età; e il compararli a Giulio II o a Pio IX son retoriche -piacevolezze o palingenesi fantastiche, giacchè -essi non videro levante o ponente, conquistatori o conquistati, -Latini o Slavi, bensì peccatori da redimere, -spirito da sostenere nella lotta colla carne, ed altri -aspetti inattendibili ai ciclopi del razionalismo, cui carattere -è la paura e la detestazione d’ogni spiritualità. -Scelti essi medesimi fra tutte le razze, poteano restringer -la vista alla nazionalità? se non che, per l’arcana -<span class="pagenum" id="Page_569">[569]</span> -connessione delle verità superne colle temporali, -fu sotto il manto pontifizio che le nazionalità si costituirono<a class="tag" id="tag348" href="#note348">[348]</a>. -</p> - -<p> -La supremazia dell’imperatore sovra i principi e -potentati tutti, che il Barbarossa avea fatta acclamare -dai leggisti a Roncaglia, terminò con quel Federico II -che pareva riunire i mezzi migliori per attuarla; e -l’epopea delle grandi lotte si immiserì in controversie -di dominio sulle Due Sicilie. Poniamo che queste, come -la restante Italia, si fossero governate a popolo, la santa -Sede v’avrebbe conservato senza contrasti la primazia; -ma reggendosi a re, ne seguirono guerre, in cui entrambi -i poteri scapitarono. Alessandro III come avea -resistito al Barbarossa? coll’unire popolarmente la Lega -Lombarda; Urbano IV non potè abbattere i discendenti -di quello che col chiamare Carlo d’Angiò, aggravare -cioè colla tirannia francese la tirannia tedesca. -</p> - -<p> -Ne segui però un effetto rilevantissimo; perocchè -l’abolizione del dominio svevo pose termine alla sopreminenza -della stirpe conquistatrice, che qui erasi piantata -coi castellani e coi vassalli, e lasciò rinascere la -coscienza della nazionalità nei nostri, che si consideravano -come discendenti dai Romani. In questo senso si -diressero i tentativi di restaurazione; a ciò la letteratura, -a ciò le arti, a ciò la giurisperizia. Che trionfassero -i Ghibellini era difficile, giacchè veramente contro -<span class="pagenum" id="Page_570">[570]</span> -di essi erasi fatta la rivoluzione popolare anche quando -pareva invocarli; e la primazia imperiale dagli Svevi -in poi non è più che di nome: eppure ne’ fatti che succedono -abbiamo una prova che si dà libertà senza indipendenza, -ma l’indipendenza non basta alla libertà. La -Chiesa stessa sente in dechino l’autorità sua universale, -ed è costretta assicurarsi un dominio temporale, che se -in prima era un accidente, allora divenne il punto d’appoggio -della politica sua efficienza. -</p> - -<p> -Anche mentre la vita sociale rimaneva sparpagliata -fra i castelli, mai non perdettero importanza le città, -che sono l’antichissima e vivace forma de’ governi -italiani; e risorsero, e ristabilirono la democrazia, e -di essa i frutti buoni e i peggiori. Nella vita democratica -l’uomo, nobilitato il carattere nell’obbedienza alle -leggi quanto rimane depresso nell’obbedienza a un -uomo, lavorando per sè non per un padrone, concepisce -elevata idea di sè e del proprio paese, si fa agevole -nella conversazione perchè non s’immagina che -altri vilipenda lui, come egli non vilipende altri, fortifica -il buon senso nel conversare co’ suoi simili, nei -quali più valuta il senno e i sentimenti che non le maniere, -il fondo che non le forme; e in quel vivere pieno -ed attuoso, cercasi meno la libertà de’ singoli che l’indipendenza -di tutti. -</p> - -<p> -Noi, che per libertà intendiamo la tutela del riposo -civile e della franchezza domestica e personale, l’assicurazione -contro gli abusi del potere in qualunque -mano sia posto, non la riscontrammo in quei tempi, -quando libero si considerava chi partecipasse alla sovranità, -al potere attivo; lo perchè prediligendosi il -governo dei più, trovavasi libertà politica anzichè civile. -Oggi, qualunque siasi il Governo, noi pretendiamo -la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici, -la inviolabilità della persona, il sottrarre a castighi -<span class="pagenum" id="Page_571">[571]</span> -il pensiero, la discussione filosofica, la bestemmia, -lo scherzo, il costume, il lusso: allora invece tentonavasi -fra sempre nuove forme politiche, non perchè garantissero -contro gli abusi dell’autorità, sibbene perchè -rappresentassero il popolo. Agli sconci parea rimedio -o compenso la sovranità di tutti; la quale, emanata dal -popolo, affidavasi a magistrati temporarj e responsali. -Perfino nelle aristocrazie, il numero degli elettori e -degli eleggibili era ristretto, ma non irrevocabile il -potere: sola Venezia tenne doge a vita, ma il fasciò di -gelosissime precauzioni: anche stabiliti i principati, -questi non trasmetteansi con regolare eredità, sopravvivendo -il concetto dell’elezione, sol cancellato poi dalla -dominazione straniera. -</p> - -<p> -Quell’assiduo avvicendarsi di magistrati a troppo -brevi periodi rinnova la febbre elettorale: pure l’abitudine -delle assemblee rinvigorisce il senso comune, -dà espertezza negli affari, e sentimento del diritto e -del dovere; ove il merciajo e lo scardassiere può salir -gonfaloniere e doge, ciascuno sente il bisogno di educarsi; -ove due o seimila cittadini sono chiamati ogni -anno a magistrati o rappresentanze, quanta cura di meritarsi -stima! ove ogni uffiziale è sindacabile all’uscire -di carica, quanta attenzione di contentare la pluralità! -Non essendo lo Stato privilegio d’una classe, si cerca -quel che compie al popolo: spedali e scuole si moltiplicano, -e sontuosi edifizj, e, ciò ch’è distintivo, pulitezza -universale negli abiti: che se oltr’alpe il palagio -e la cattedrale, giganteggiando di mezzo ad informi -casipole, indicano le largizioni e il decreto d’un re fra -la nullità del popolo, da noi le vie allineate, i passeggi, -le magioni erette a disegno, esprimono il genio generale -e il concorso della intera nazione, operante non -solo nelle capitali, ma in cittaducole, alla campagna e -fin per entro a valli recondite. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_572">[572]</span> -</p> - -<p> -Chi rimaneva escluso dai godimenti, a cui convitano -la natura, l’arte, il pensiero, l’attività? Quanto non riesce -dolce all’uomo il cooperare alle sorti del proprio paese, -il non obbedire che alle leggi cui egli medesimo discusse -e sanzionò, non sopportar pesi se non accettati, -non riconoscere autorità se non le elette da sè, insomma -uscire dall’angusto circolo della vita individuale e domestica, -per vivere e sentire in comune, dare e ricevere -impulsi a nobili atti! Nelle passioni politiche l’anima -si può depravare, ma non avvilire quanto fra i -calcoli ignobili del cortigiano, del satellite, del finanziere. -Coloro che credono l’immoralità essere nata soltanto -colla stampa e coll’emancipazione del pensiero, -han potuto vedere dal nostro racconto quanto gl’individui -peccassero del vizio che accompagna l’ignoranza -e la barbarie: eppure sullo spettacolo miserevole -si stendono la fede e la carità, e nella prospettiva presa -dall’alto scompajono molte deformità, e di mezzo alle -colpe e ai difetti di una giovinezza tutta di esperienze -rilevansi le qualità che distinguono l’Italiano. Non incalzato -da bisogni urgenti, non lottante con un suolo e -con un cielo ingrati, ha tempo di oziare, e in que’ riposi -godere se non altro le vaghezze della natura, e riflettere -sopra se stesso e sopra gli altri, persuadendosi -così della propria dignità; alternando poi tra gli affari -pubblici e privati, acquista pratica ed elevatezza, -raffina l’intelligenza, nei modi e nel pensiero introduce -quella pulitezza, che è l’espressione del rispetto che -devonsi tutti i membri della grande famiglia. -</p> - -<p> -Nelle repubbliche ognuno sente la propria importanza, -e registra i suoi dolori, che sommati pajono -maggiori; mentre nelle monarchie si contano soltanto -quelli de’ grandi, più strepitosi ma rari e meno compassionati. -In quelle, private passioni s’intralciano alle -rivolture pubbliche: ne’ principati ognuno soffre in -<span class="pagenum" id="Page_573">[573]</span> -silenzio i proprj malori, siccome effetto de’ cattivi ordinamenti, -contro i quali è inutile reluttare; arresti, -vessazioni, arbitrj sono dolori quotidiani, ma codardi e -infruttiferi, nè raccolti dalla storia. Così viene quello -stato, che i prudenti intitolano ordine, i servili prosperità, -i generosi marasmo. -</p> - -<p> -Questo vivace sentimento dell’individualità, se affinava -l’incivilimento di ciascuno, disserviva lo Stato, perchè -gli uni agli altri si accostavano soltanto per costrizione. -Il reciproco bisogno, nella mancanza d’ogni potere -dirigente e tutorio, aveva ravvicinato spontaneamente -gli uomini; e parentele e corporazioni procacciavano -quella sicurezza, della quale non brigavasi lo Stato. -Diminuito quel bisogno, si lentano perfino i legami domestici; -i cittadini amano la patria ma per se medesimi; -il governo di quella amano solo qualvolta vi -partecipino; in conseguenza non si tollera nulla di -prefisso, di durevole, d’obbligatorio. L’uomo, conscio -de’ proprj diritti, facilmente s’impenna contro le necessità; -anzichè incurvarsi ad esse, carpisce con violenza -ciò che gli è ricusato, e vuol partecipare al governo, -sia costituzionalmente, sia per forza. Da questo -punto rimane solo un passo all’anarchia; e l’anarchia -inevitabilmente ripiomba nella tirannide. -</p> - -<p> -Ponete una gente inesperta, di passioni ineducate, -con tanti elementi deleterici, con tanti impacci al civile -sviluppo, e poi incolpatela di non aver saputo costituire -buone repubbliche e conservarle. Tenendo dall’origine -loro una politica feudale che zelava il diritto -della guerra privata, e la speculazione dei pochi sovra -le moltitudini, sapevano più ingrandire per via di conquiste -al modo germanico, che non aumentare in quantità -di cittadini al modo romano; anzi, scemandosi -questi pel logorarsi delle famiglie privilegiate o per -l’espulsione delle vinte, fra sempre minor numero si -<span class="pagenum" id="Page_574">[574]</span> -restringevano l’autorità e l’interesse di conservare lo -Stato. Pisa, Pistoja, Treviso, la Lunigiana... erano oppressate -da una repubblica, quanto avrebbero potuto -essere da un principotto; e poichè la metropoli, acciocchè -non ricalcitrassero, le voleva fiacche e vigilate, -per la conservazione interna negligevasi la forza necessaria -alla difesa esteriore, la debolezza impediva di -procedere risolutamente, e i partiti pigliavansi piuttosto -per necessità che per riflessione. -</p> - -<p> -A molte anche internamente non restava di repubblica -che il nome; e preterendo la salda oligarchia dei -patrizj veneti, Bologna obbediva ai Bentivoglio, Lucca -ai Petrucci, Perugia agli Oddi e Baglioni, Siena or -all’uno or all’altro de’ suoi Monti, Firenze ai Pitti o ai -Medici, Genova a sempre diversi. Anzi la società cittadina -frazionavasi in piccole consorterie e maestranze, -ognuna con privilegi e con qualche specie di sovranità; -talchè se da Firenze era soggiogata Pisa, o da Venezia -Padova, le maestranze della lana e della seta delle vinte -si trovavano sagrificate agli utili e alla gelosia di quelle -della vincitrice. Così disgregate e aliene d’interessi, -come avrebbero potuto educare la coscienza pubblica? -assodare il vincolo più forte d’uno Stato, la fiducia di -ciascuno nella costituzione patria? -</p> - -<p> -Nell’eguaglianza si acquista de’ privilegi della società -un’opinione più alta che non di quelli degli uomini; -onde al poter dirigente si largheggiano diritti, anche -micidiali alla libertà de’ singoli. Di fatto i Comuni non -esitavano a concedere imperj assoluti a qualche magistrato; -nelle ricorrenti insurrezioni i vulghi pigliavansi -a capo qualche plebeo: ma questo ben tosto soccombeva -alla propria inesperienza, e lasciava luogo a qualche -signore che, conoscendo gli uomini e i tempi, avendo -clientele ed uso delle armi e mezzi ed arte, si sosteneva -almen fino ad una nuova rivoluzione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_575">[575]</span> -</p> - -<p> -Cresciuti i commerci, il denaro rappresentò una -nuova superiorità, come da prima erano i feudi. Dacchè -il valor militare si ridusse vendereccio, molti generosi -se ne distolsero, più volentieri maneggiandosi nella politica; -e fattivisi destrissimi, guardarono come bestiale -il rimettere all’avventura delle battaglie ciò che poteasi -conseguire cogli accorgimenti. Fu necessità delle cose -se le repubbliche gareggiarono coi principi in una politica -senza probità, in subdoli maneggi, assassinj, avvelenamenti. -Prevalsero dunque gli eserciti e il denaro, -i più bei dominj carpì qualche condottiero fortunato o -una città negoziante, e vennero a formarsi principati -che abbracciavano i popoli non più come d’una razza -o dell’altra, ma perchè abitanti sopra una data circoscrizione. -Que’ principi dominavano a nome del popolo, -o per commissione imperiale, due forme di despotismo; -tanto più che avendo la tumultuosa libertà de’ Comuni -svertato i privilegi feudali, più non trovavano barriere. -</p> - -<p> -I nobili, progenie de’ conquistatori, scapitavano d’importanza -a misura che ne acquistavano i Comuni; interrotte -le crociate, col fucile pareggiato l’eroe al villano, -fatte venali le armi, si dissipò ogni prestigio della cavalleria, -in cui quelli avevano ricoverato il valore e le -pretensioni; ed ancora arroganti per non confessarsi -vinti, ma insufficienti a surrogarsi ai vincitori, rifuggono -alle congiure o alle perfidie, che colla mala riuscita -offrono pretesto al signore d’impoverirli, e che -manifestandone le debolezze li fanno anche spregevoli. -</p> - -<p> -Sono disastri della libertà, eppure con essi si va a -quel che è vero progresso, l’eguaglianza; la risorta -letteratura, a canto al diritto del sangue erige quello -dell’ingegno; la classe lavoratrice pretende a tutti i -vantaggi della possidente, e nel nome di sudditi sono -tutti allivellati; la scoperta della stampa assicura che -non si può bruciare il pensiero con un libro; quella -<span class="pagenum" id="Page_576">[576]</span> -del Nuovo Mondo, che il pensiero non si restringe fra -i confini dell’antico, e che ci fa superiori ai selvaggi: -e da questo movimento usciva attestato quel dogma del -progresso, poter divenire inutili ed anche nocevoli ad -un’età istituzioni a cui la precedente dovè salute e -grandezza. Sel ricordassero i panegiristi come i detrattori -del medioevo! -</p> - -<p> -Pertanto al quintodecimo secolo ogni cosa è cambiata -in Italia. In tutte le contrade dominavano i forestieri, -ora appena in Sicilia; apparivano nobili soli, ora anche -il popolo; il castello prevaleva, ora la città; l’eguaglianza -non è più concessione e favore: l’alito d’indipendenza, -talmente vivace da non volere alcun uomo -essere soggetto a uomo, non città a città, or lascia sormontare -pochi dominanti: e mentre l’aspirazione liberale -rendeva insofferente sin dei freni tutorj, or le -tirannidi procedono sbrigliate. -</p> - -<p> -Era parso che i principi potessero meglio difendere -le persone, le città, l’industria; oggetti a cui il popolo -aspira, ben più che alla legislatura indipendente, alla -eleggibilità, al suffragio universale. Ma que’ principi di -piccoli Stati e di grande ambizione, sentendo precario il -loro potere, trovando nemici fuori e dentro, avviluppavansi -in turpi maneggi, in guerre sordamente menate, -pubblicamente smentite, ispirate da gelosie, da puntigli, -da egoismo, condotte a insidie più che a forza aperta; -in quella politica, di cui Italia restò e diffamata e vittima. -La storia del secolo xv è un avvicendamento di giornaliere -sovversioni, congiure, omicidj, veleni, supplizj; la -fede pubblica sconosciuta in pace e in guerra; e per -qualche principe buono, una sequela di ribaldi, oppressori -de’ popoli che gli aveano presi come tutela; e -guerre indotte da personali ambizioni, nutricate coll’oro -e col sangue della nazione che non le avea decretate e -su cui ripiombavano. Non una forza o una persona prevalente -<span class="pagenum" id="Page_577">[577]</span> -appajono, come fra le altre nazioni; nè tampoco -un’idea, quali erano per l’addietro la Chiesa e l’Impero, -quali furono pei paesi vicini l’unità nazionale o il re. -Il cadere e il sorgere d’un principe costituisce la storia -apparente di questo periodo; agl’interessi generali e -grandiosi sottentrano fatti parziali, vicende di famiglia, -emulazioni intestine, ma non un papa, non un -imperatore, non un signorotto, degni su cui si fermino -ragionevolmente l’attenzione e i voti. Bensì, a vicenda -da una fazione o dall’altra, era sorta una catena d’uomini -a dominare o atterrire, quali furono Ezelino, Uguccione, -Castruccio, re Roberto, Cane e Mastino della Scala, Bertrando -del Poggetto, Azzone e Gian Galeazzo Visconti, re -Ladislao, Francesco Sforza; ma nè la libertà, nè la Chiesa, -nè la forza militare valsero a quel riordinamento, che -è il compito più insigne dopo una rivoluzione. -</p> - -<p> -Non guelfi, non ghibellini, non imperialisti o papalini, -i signori, aspiranti all’unità e al principato, vanno -introducendo quell’imparzialità, che rimuove le occasioni -di guerre, mentre, ridotta la politica a guerrieri, -cioè a denari, danno alle finanze quell’importanza, che -prima spettava alle idee e ai sentimenti. Finisce dunque -il medioevo con un’età di posa fra le personali irrequietudini -di quello, e le regie sovversioni del Cinquecento. -Gli Italiani d’allora, non agitati da aspirazioni -verso un avvenire di cui nessun principio era peranco -affermato categoricamente, nè argutamente scontenti -d’un passato di cui nessun principio rinnegavano perentoriamente, -requiavano dagli interminabili guaj, dai -quali erano spinti verso una società nuova, intelligente, -artistica, governativa; in considerazione della quale -stimavano i meriti anche più contraddittorj, ma sovra -tutti la fortuna e il saper riuscire, e disfarsi de’ nemici -senza sfoderar la spada; non disprezzavano l’indipendenza, -supremo bisogno politico, ma meglio valutavano -<span class="pagenum" id="Page_578">[578]</span> -l’eguaglianza, supremo bisogno democratico, dando -mano anche allo straniero per abbattere l’oppressore -indigeno; veneravasi la religione, ma quasi altrettanto -le idee classiche, nelle quali traducevasi il medioevo: -e per le quali, coltivando le muse, volentieri le si metteano -a mercato; e dell’erudizione come dell’ispirazione -voleasi far dei motori per batter moneta, introducendo -anche nel campo letterario come nel politico la supremazia -della finanza. -</p> - -<p> -Ciò null’ostante noi trovammo personaggi illustri in -ogni partita; soldati prodi e capitani ammirati anche -di lontano; battaglie assai meno micidiali che nel secolo -seguente; nessuna città veramente disfatta dalla guerra, -se ne togliamo Piacenza; singolar favore alle lettere; -commercio operoso tanto che il capitale produttivo -italiano equiparava quello di tutto il mondo. Le età -più suntuose faticheranno a superare i tre monumenti -di Pisa, le cattedrali di Siena, d’Orvieto, d’Assisi, di -Padova, di Milano, la Certosa di Pavia, la cappella Coleoni -a Bergamo, le porte del battistero di Firenze, i -bassorilievi del Donatello, i dipinti di frate Angelico. -Grandiosi lavori intraprese la Lombardia per prosperare -l’agricoltura: la Toscana pareva un giardino nella -sminuzzata sua proprietà: che la campagna romana -popolassero migliaja di villaggi, lo attestano le guerre -fra Orsini e Colonna: Ostia era in decadenza, ma ancor -popolosa: la maremma senese formicolava d’abitanti; -grani raccoglievamo a soprabbondanza; e questi e i -frutti, anzichè con galanterie e oggetti di lusso, barattavamo -con materie prime, che porgevano alimento alle -nostre manifatture. Il contadino, cessato d’esser servo, -partecipava ai frutti con una specie di comproprietà, -di cui non so se una migliore sappia ideare il socialista -positivo; esente da servigi di corpo al padrone; del -fitto era sicuro, perchè retribuivalo in natura; le condizioni -<span class="pagenum" id="Page_579">[579]</span> -restavano tradizionali da molte generazioni; -de’ tributi il carico cadeva sul proprietario. L’essere i -villani obbligati ad abitare in terre murate per salvarsi -dal saccheggio militare, attribuiva loro qualche importanza -civile, li chiamava a parte della difesa, ben altrimenti -de’ paesi forestieri, dove ancora duravano a -servire materialmente e personalmente un padrone, da -cui non poteano staccarsi. -</p> - -<p> -Se non che in tutto sentesi mancare qualche cosa di -ciò che fa sorgere e vivere le nazioni; la virtù. Quanti -impeti generosi! quanti uomini insigni! quanto eroismo! -ma tutto a momenti, a scosse, alla maniera d’un guizzo -galvanico: quel perseverante proposito che per secoli -si trasmette da una generazione all’altra, quell’elevazione -di concetto che fa sagrificare costantemente il -parziale al comune interesse, quella franchezza delle -opinioni ponderate e fisse che chiamasi coraggio civile, -quella nobiltà e giustizia dell’età matura che sottentra -allo slancio buono ma improvvido della gioventù, e che -offre il nobile spettacolo dell’ordine nella libertà, mancarono -troppo spesso, direi sempre, alla storia nostra; -e tale verità, o Italiani, non l’avrete mai ripetuta abbastanza -alle generazioni nuove, che aspirano a quello -cui non pervennero le precedenti. -</p> - -<p> -Il decadere de’ costumi della libertà assodava il potere -dispotico, ma sgranato anch’esso, e quindi fiacco -ed esposto prima alle brighe interne e all’emulazione -de’ vicini, poi ai funesti appetiti degli stranieri. Il principe -non avea fondamento se non, come diciam ora, -nei fatti compiuti; non regolata la successione, non legalmente -temperata l’autorità; la maestria delle finanze -si riduceva ad almanaccare tasse nuove onde smungere -il più che si potesse; del restante erano governi militari, -che unici limiti conoscevano la potenza e il carattere -di chi n’era investito. I magistrati comunali -<span class="pagenum" id="Page_580">[580]</span> -sopravviveano, ma ristretti alla minuta amministrazione -e alla giustizia sotto di un podestà scelto dal principe, -ed applicandola più con severità che con frutto. In -nessun luogo i Comuni si congiunsero col potere centrale: -in Sicilia prevalsero i baroni; a Genova e Venezia -i cittadini divennero aristocratici onde escludere la -turba che accorreva a tanta prosperità; la Romagna fu -suddivisa tra infiniti signorotti, che però non costituivano -un’aristocrazia politica, attesochè il governo rimaneva -ai preti; in Lombardia si faticò sempre a piantare -la vigoria del potere sopra l’eguaglianza; solo in Piemonte -parvero associarsi popolo e principe mediante -gli Stati, ma poco tardarono a soccombere anche questi -al tributo arbitrario e all’esercito permanente. -</p> - -<p> -Le poche signorie, in cui erasi ristretto il primitivo -frastagliamento, non adopravano le proprie forze che -a contrappesarsi, affinchè nessuna prevalesse in modo -da ridurre l’Italia in monarchia. Più d’uno vedemmo -aspirarvi, e sempre fallire per opposizione degli altri, -e massime de’ pontefici; potente sì, pure non unico -obice all’unità del nostro paese, la quale non si potè -effettuare nè prima che essi dominassero, nè quando -si trovarono spossessati, come da Ladislao e da Napoleone. -Stanno dunque più fondo che altri nol creda le -radici di questa nostra divisione. -</p> - -<p> -Le forze de’ varj paesi trovavansi bilanciate in guisa, -che uno mal poteva soggiogare gli altri. Inoltre per -Lombardia, per Romagna, pel Reame avanzavano molti -gentiluomini, che «oltre il vivere oziosi abbondantemente -de’ proventi delle loro possessioni, comandavano -a castella, ed avevano sudditi che gli obbedissero» -(<span class="smcap">Machiavelli</span>), formando altrettante microscopiche -sovranità, disposte ad allearsi contro chi le volesse sottomettere, -e a costringerlo a tante guerre quante esse -erano. Per raggiungere dunque cotesta unità ideale, -<span class="pagenum" id="Page_581">[581]</span> -bisognava il despotismo, che, abolendo le varietà di -costumi, d’usi, di privilegi, e spianando le sommità, -tutti comprime al ferreo livello dell’obbedienza. Ma -quello non potea stabilirsi se non mediante la conquista, -la quale avrebbe reso infelice la generazione che la -subiva, e forse spento la vita che sì rigogliosa manifestossi -finchè disuniti. -</p> - -<p> -Lo sminuzzamento degli Stati cresceva l’indipendenza -politica, ed impediva il trascendere della potenza, la -quale ingrossa a misura che esinanisce la libertà delle -parti, e acquista i mezzi di rimovere gli ostacoli che -gl’interessi particolari frappongono al generale. -</p> - -<p> -L’idea dell’unità nazionale, che sotto l’oppressione -forestiera balza agli occhi con evidenza, è tra le sociali -la più difficile, e l’ultima che i popoli acquistino, richiedendo -e sforzo d’intelligenza e il sacrifizio di molte -prevenzioni e l’abolizione d’ingiustizie radicate. Che poi -l’identità di stirpe non basti perchè un popolo si trovi -bene unito a un altro, effetti recenti lo dimostrano. Gli -Stati italiani formavano altrettante unità indipendenti; -e distruggere una sarebbe stato un omicidio, quanto -l’abolire una vasta monarchia. Chi oggi tentasse sottoporre, -fate caso, Toscana ai reali di Napoli, come sarebbe -sentito dai pubblicisti? Pur jeri noi vedemmo un -principato, lungo appena tre chilometri e largo uno, -abitato da millecinquecento persone, e indipendente -quanto quelli del medioevo, negare di abolir la propria -autocrazia coll’annettersi al Piemonte; e se abbia provveduto -al suo meglio, non potrà dirlo che l’avvenire<a class="tag" id="tag349" href="#note349">[349]</a>: -certo l’Europa applaudì quando la repubblichetta -di San Marino rifiutò d’essere aggregata agli -Stati papali, ed essa ottenne rispetto fin dal guerriero -<span class="pagenum" id="Page_582">[582]</span> -che non riveriva se non gli Stati forti, non computava -che il numero de’ cannoni. -</p> - -<p> -E qual mai popolo si rassegnò a perdere la locale -indipendenza in vista d’una maggior solidità avvenire? -Nè ragione d’immolare le parziali franchigie avevano, -quando la divisione non recava i pericoli, che solo con -Carlo VIII apparvero, di vedere strozzata la patria da -soghe forestiere. O forse i paesi sottomessi a principato -lo faceano invidiabile? Una Corte si surrogava alle loggie -e all’arengo; una capitale alle dieci o venti città -che prima imbaldanzivano di vita propria; un esercito -assoldato alle milizie paesane; un erario alle borse -de’ singoli cittadini, pingui di sudati guadagni, e sempre -schiuse al pubblico bisogno. Qual vantaggio allettava -dunque Firenze o Bologna o Genova a darsi ai Visconti -o agli Angioini? Pareva anzi generosità l’ostare alle -ambizioni di questi, e come propugnacoli dell’antica -libertà furono vantati anche dagli statisti del secolo seguente. -Iddio ti guardi, o popolo italiano, dal dimenticare -le tue tradizioni e deporre le lunghe speranze! -ma se puoi desiderare che allora l’Italia fosse stata -soggiogata da alcuno, e per forza ridotta a quell’unità -che Inghilterra e Spagna e principalmente Francia conseguirono, -saresti ingiusto nell’accusare i padri di ciò -che forse non era fattibile, certo non ad essi desiderabile. -</p> - -<p> -Ben deploreremo che i nostri menassero troppo strascico -di memorie antiche, quando abbisognava senno -pratico per surrogare l’ordine alla tumultuosa vigoria -dei due secoli precedenti; ed aspettassero il colpo micidiale -disuniti di leggi, di civiltà, di costituzioni, di -dialetti, di tutto. Pure non pretendiamo dai nostri avi -que’ sacrifizj, a cui non ci acconceremmo noi medesimi -se non per forza; non trasportiamo al tempo loro la -coscienza e le aspirazioni del nostro; non esigiamo -prevedessero i mali che, venendo di fuori, scompigliarono -<span class="pagenum" id="Page_583">[583]</span> -i calcoli degli statisti e le forze de’ prodi. Tutta la -letteratura di quel secolo è là per attestare come gli -Italiani sentissero d’avere una patria quando nè il nome -tampoco ne conosceano i Francesi<a class="tag" id="tag350" href="#note350">[350]</a>. E quanto lunga -opera non fu necessaria agli stranieri per corrompere -l’Italia innanzi di assoggettarla! e come dovettero cancellar -tutti questi Comuni che ne aveano formato l’agitazione -e il vanto, prima di piegarli alla neghittosa -agevolezza del servire! -</p> - -<p> -Qual cosa più bella della vita? ma perchè è difficile -regolarla, i cattivi Governi trovano più comodo lo spegnerla. -Così si fece. Cessarono le agitazioni, e con esse -la libertà: venne la pace, recata da quelli che avevano -fomentato le ire: venne la pace, e con essa quell’accentramento -d’amministrazione, che annichila l’individuale -potenza e volontà, ed isola il governo dal popolo: -venne la pace, e con essa lo spopolamento, la povertà, -il disdoro, la morte politica, cui tennero dietro la intellettuale -e la civile, finchè la giustizia, soddisfatta da -torrenti di sangue e di lagrime in espiazione, dica -<i>Basta</i>, e susciti i tempi di rinnovata alleanza, e le speranze -fomentate da quelli che le possono adempire, e -indarno guaste da coloro che nulla vogliono apprendere -dal passato, non confidare che nelle rivoluzioni, e ad -ogni rivoluzione ricominciare a proprio costo l’esperienza, -e sperperare un altro bricciolo di libertà. -</p> - -<p> -Se dunque alcuni ripongono la colpa de’ nostri padri -nel non essersi uniti tutti, perchè altri, additando l’abbassarsi -del paese allorquando alla rigogliosa e molteplice -vita se ne surrogò una artifiziale e scolorita, non -potrebbe ricordar come, al mancare di quella forza -vitale che tende a escludere dal corpo il nocevole, e -dal morboso separare il vivificante, non resti che febbre -<span class="pagenum" id="Page_584">[584]</span> -frenetica o marasmo? Lo stesso Machiavelli, panegirista -dei governi forti, confessa che il numero de’ grandi -uomini sta in ragguaglio col numero degli Stati; annichilando -questi, quelli decrescono insieme coll’occasione -di esercitare la propria capacità. -</p> - -<p> -Che se alcuno di que’ principi fosse prevalso per -astuzia o per forza, quest’Italia, tanto superiore alle -altre genti in civiltà e ricchezza, facilmente sarebbesi -gettata alle conquiste che allora ricominciavano, rinnovando -i tempi romani, sostituendo la guerra al commercio -e alle arti belle, e preparandosi nuove maledizioni -per l’avvenire. Se valga meglio esser esecrati come -i conquistatori, o come i conquistati rigenerare la fraternità -nel dolore, il giudicherete, o Italiani, secondo -che ciascuno crede virtù gli atti provenienti dalla forza -o quelli dalla bontà. -</p> - -<p> -Allora poi che l’Italia perdeva la politica preminenza, -ne acquistava un’altra coll’incremento della cultura e -colle insigni produzioni dell’ingegno, al resto del mondo -divenendo maestra d’arti e di lettere, come di politica. -Quelle nel medioevo si erano conservate clericali; nei -Comuni cominciò qualche laico a scrivere; indi i leggisti -a levarsi, a paro de’ teologi; poi le Università -soverchiare le scuole episcopali; infine quella volata di -dotti greci e tanti poeti e tanti eruditi tolsero la mano -al clero e primeggiarono fin ne’ concilj di Basilea, di -Costanza, di Firenze: alla lingua universale ch’era -quella dell’antica Italia, si sostituirono le nazionali; le -lettere rannodarono gli Europei, come prima la religione; -e mentre già repubblica cristiana, allora si disse -repubblica letteraria; la quale, comunque sembrasse -surrogare oziosi trastulli alle fatiche attuose, dovea col -tempo giganteggiare, sentire la propria dignità, e collocarsi -fra le potenze motrici del mondo, creando l’opinione. -Quale scossa non dovette produrre negli intelletti -<span class="pagenum" id="Page_585">[585]</span> -il subitaneo diffondersi d’un quindici migliaja di libri -stampati, più corretti che i manoscritti e a miglior -patto! Alle letture scarse, attente, ripetute, succedono -le rapide e molteplici; alle convinzioni irremovibili perchè -non dibattute, il dilatamento delle cognizioni e la -vaghezza d’aumentarle. -</p> - -<p> -Ben è dunque perdonabile se il culto dell’antichità -degenerò in idolatria, se il farnetico di rinnovarla turbò -il nobile intento d’emularla. In conseguenza, dagli originali -passò l’impero dell’ingegno agli eruditi, gente di -schiena e non di genio, che fabbricava non creava, che -in metafisica e in morale non oltrepassava il punto -ov’erano giunti gli Scolastici, nella storia e nelle antichità -non sapeva schermirsi dall’impostura, nell’esposizione -credea rusticità la naturalezza, e mutilava i pensieri -onde esprimerli in una lingua con cui non erano -nati, e nella quale non raggiungevasi l’ambita purezza. -</p> - -<p> -L’erudizione fu la forma generale d’ogni studio e -progresso di quel tempo; i testi valeano quanto un argomento, -e per convincere bastava citare; la medicina -s’attaccava a spiegare o combattere Ippocrate e Galeno; -la filosofia cercava in Platone o in Aristotele la -maggiore de’ suoi sillogismi, la tessitura delle sue argomentazioni, -perfino la scusa agli ardimenti suoi; -l’alchimia si fiancheggiava di nomi antichi; la strategia, -benchè innovata dalle armi a fuoco, studiava sopra -Onesandro e Vegezio, e a ricostruire il ponte di Cesare -sul Reno; l’architettura cercava a Vitruvio, non solo i -canoni dell’imitazione, ma e la giustificazione delle novità; -e Cesare Cicerano nella <i>summa æde baricefala</i>, -cioè nel duomo di Milano, pretendeva applicate tutte -le regole di quell’autore. -</p> - -<p> -Pure dentro questo circolo infrangibile i liberi spiriti -non limitano il ristauramento de’ classici a industria -letteraria, ma lo estendono alla vita; imperatori e -<span class="pagenum" id="Page_586">[586]</span> -repubbliche vi rintracciano leggi e ordinamenti; i giureconsulti -ne allargano e talvolta impacciano il diritto -nuovo; per classiche rimembranze Cola Montano, Cola -Rienzi e Stefano Porcari meditano riformare la patria; -per erudizione si ammirano le virtù e prediligonsi le -idee del paganesimo, tanto che molti sentirono la necessità -di assumere la difesa della tradizione religiosa, -come Marsiglio Ficino, Alfonso di Spina, Enea Silvio, -Pico Mirandolano; sulla fede degli eruditi Colombo -italiano mosse a uno scoprimento, che all’Italia doveva -tornare funestissimo. Trovata l’America, si trattava di -dividerla fra i popoli scopritori, e per evitare un conflitto -si ricorse al papa; e questo tracciò una meridiana, -che delimitasse le conquiste di Spagnuoli e Portoghesi. -Sublime spettacolo, il papa che, come ne’ tempi organici -del medioevo, arbitro si asside fra due grandi -popoli onde prevenire una guerra, e fra loro spartisce -un nuovo mondo! Eppure l’antico era in procinto di -sfuggirgli; era già nato Lutero; la Riforma, covata in -Italia, sbocciava di fuori; e la Germania, che n’era stata -l’emula per tutto il medioevo, sbalzava l’Italia anche -da questo primato. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE DEL LIBRO UNDECIMO E DEL TOMO OTTAVO -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_587">[587]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td><span class="smcap">Capitolo</span></td> <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXII.</td> <td>Gian Galeazzo Visconti, e sue brighe colla Toscana. Il Milanese eretto in ducato</td> <td class="pag"><a href="#cap112-10"><i>Pag.</i> 1</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXIII.</td> <td>Venezia e Genova. Guerra di Chioggia. Venezia ricresce, Genova si perde</td> <td class="pag"><a href="#cap113-10">37</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXIV.</td> <td>Giovanna I di Napoli e Luigi d’Ungheria. Ladislao. Giovanna II. Gli Aragonesi in Sicilia</td> <td class="pag"><a href="#cap114-10">55</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXV.</td> <td>L’ultimo Visconti. Gli Svizzeri. Il Carmagnola. Il Piccinino. Lo Sforza.</td> <td class="pag"><a href="#cap115-10">88</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXVI.</td> <td>Repubblica Ambrosiana. Venezia conquistatrice. Francesco Sforza. I Foscari</td> <td class="pag"><a href="#cap116-10">122</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3" class="center">LIBRO UNDECIMO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="3"> </td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXVII.</td> <td>I papi in Avignone. Il grande scisma. La Chiesa e i Concilj</td> <td class="pag"><a href="#cap117-11">145</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXVIII.</td> <td>L’impero d’Oriente, e sue relazioni coll’Italia. I Turchi a Costantinopoli. Perdita delle colonie italiane. Venezia guerreggia i Turchi</td> <td class="pag"><a href="#cap118-11">200</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXIX.</td> <td>Toscana. Tumulto de’ Ciompi. I Medici sormontano</td> <td class="pag"><a href="#cap119-11">233</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXX.</td> <td>Papi reduci in Roma. Congiura de’ Pazzi. Ferdinando di Napoli. Lorenzo Medici</td> <td class="pag"><a href="#cap120-11">267</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXI.</td> <td>Gli eruditi</td> <td class="pag"><a href="#cap121-11">303</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXII.</td> <td>Gli scienziati. I libri. La stampa</td> <td class="pag"><a href="#cap122-11">339</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXIII.</td> <td>Costumi cittadini, signorili e mercantili. Lusso crescente. Cultura estesa. Origini del teatro</td> <td class="pag"><a href="#cap123-11">373</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXIV.</td> <td>Industria e commercio</td> <td class="pag"><a href="#cap124-11">446</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXV.</td> <td>Viaggiatori italiani. Colombo. Le scoperte</td> <td class="pag"><a href="#cap125-11">530</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">CXXVI.</td> <td>La fine del medioevo</td> <td class="pag"><a href="#cap126-11">562</a></td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.  </span><span class="smcap">Odorici</span>, <i>Storie bresciane</i>, pag. 184.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.  </span><i>Antichità estensi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 133.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.  </span>Secondo Gianrinaldo Carli, il prezzo medio del frumento -allora era L. 5.1 al moggio, del vino L. 12.16 alla brenta. Da -ciò si ragguagli il valor del denaro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note4"> -<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>.  </span>L’<i>Art de vérifier les dates</i> dice: <i>Pétrarque, si avare de -louanges même pour les grands hommes de son siècle, ne peut -contenir son admiration etc.</i> Noi vedemmo se ne fu avaro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note5"> -<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>.  </span>Qui finiscono i tre Villani, carissimi storici, la cui mancanza -è irreparabile. -</p> - -<p> -Giovanni Cavalcanti racconta che, quando all’Acuto si pagò -grandissima quantità di fiorini, esso ne cavò seimila, e li regalò -a Spinello (di Luca Alberti) tesoriere, per le fatiche che ebbe. -Spinello ringraziò, e «tornando a Firenze, scavalcò alla porta -del palagio, e a’ signori raccontò tutto il convenente, e a loro -diè la ricca borsa dicendo: <i>Mandateli alla camera con uno -bullettino di commissione ch’io li metto ad entrata del Comune</i>. -E così seguì. Questo Spinello invecchiò nell’uffizio di tesoriere, -ed alla sua morte non gli si trovò tanto lenzuolo che vi si fasciasse -il suo corpo». <i>Storie fior</i>., tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. app. p. 491-93.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note6"> -<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>.  </span><i>Religionis timorem ponendum esse censebant, ubi is officeret -libertatem</i>. <span class="smcap">Poggio Bracciolini</span>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 223.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note7"> -<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>.  </span>Il primo podestà mandatovi da Gian Galeazzo, fu nel 1396: -in Valtellina già si mandava nel 1378.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note8"> -<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>.  </span>Qualche esempio anteriore ne troviamo. Così, nel 1241, -Guglielmo Visconte, nominato vicario di San Romolo dall’arcivescovo -di Genova, promette, oltre il resto: <i>Si forcia vel forfacta -ab aliquo ejus loci et districtus facta fuerit, et notorium et manifestum -seu publicum aut mihi denunciatum fuerit, quamvis -non sit inde querimonia facta mihi, tamen ego ad vindictam -faciendam, et veritatem ejusdem forciæ vel forfactæ inquiram, -et vindictam faciam ac si querimonia propterea mihi facta esset</i>. -Liber jurium, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>, p. 994.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note9"> -<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>.  </span>Il concetto di successione ereditaria è nell’investitura -del conte di Virtù. <i>Statuimus quod præfatus Jo. Galeaz Vicecomes -et post ejus decessum eo modo quilibet alius tunc descendens -legitimus masculus de corpore suo, prout ipse ordinaverit et -disposuerit, sit et sint perpetuo verus legitimus et naturalis -dominus et veri legitimi et naturales domini dictæ civitatis et -totius districti.</i> (<span class="smcap">Sitoni</span>, <i>Vicecomitum genealogica monumenta.</i> -Milano, p. 21). Già al 1385, 15 ottobre, i Milanesi fecero <i>Decretum -de pœna dicentis contra statum Domini</i>: ove dichiarano -<i>quod nulla persona audeat nec præsumat populum nominare</i>. -(<i>Antiqua Ducum Med. decreta</i>. Milano 1654, pag. 88).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note10"> -<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>.  </span>Corio. — Quella solennità è spiegata estesamente in una -lettera, scritta li 10 settembre dell’anno stesso, da Giorgio Azzanello -ad Andreolo Aresi cancelliere ducale. Furono invitati da -quasi tutte le parti del mondo principi, signori e comunità per -condecorare la coronazione del nuovo duca, onore dell’Italia. -Appena spuntato il giorno di domenica, dal castello di porta -Giovia accompagnarono il futuro duca fino a Sant’Ambrogio, -preceduti da istrioni e musici. Sopra quella piazza verso la cittadella -era alzato un palco quadro, difeso da steccato, coperto -ne’ ripari e nei gradini di panno scarlatto, e sopra di broccato -d’oro su rosso. Quivi il magnifico cavaliere Benesio Cumsinich, -luogotenente cesareo, aspettava il futuro duca per intronizzarlo. -Gli altri prelati, signori ed ambasciatori sedettero sopra lo -stesso palco. Stavano vicino a questo a sinistra Paolo de’ Savelli -principe romano ed il cavaliere Ugolotto de’ Biancardi, con -schiera di cinquecento cavalli per custodire la piazza affollatissima. -Arrivato il futuro duca e gli altri con lui, Benesio benignamente -lo accolse, e collocosselo alla mano sinistra al più -eminente luogo del soglio. La bandiera imperiale era tenuta a -destra da un cavaliere boemo, compagno di Benesio: alla sinistra -un’altra bandiera inquartata coll’arme del duca, era tenuta -dal cavaliere Ottone da Mandello. Lettosi il privilegio, che costituiva -Gian Galeazzo duca di Milano, concesso dall’imperatore -Venceslao in Praga al 1º maggio 1395, il duca inginocchiatosi -giurò fedeltà a Cesare nelle mani del luogotenente, il quale gli -pose su le spalle il manto ducale foderato di vajo da cima a -fondo; quindi presolo pel braccio lo intronizzò, ponendogli in -capo una corona gemmata, stimata ducentomila fiorini. Stando -seduti il duca e il luogotenente, i prelati cantarono inni di ringraziamento -a Dio fra ’l concerto degl’istromenti musicali; poi -Pietro Filargo recitò una orazione panegirica in lode del duca. -Finita questa, si celebrarono gli uffizj divini; poi il luogotenente -e il duca montarono a cavallo, e serviti da magnifico baldacchino -portato da otto cavalieri e otto scudieri, andarono col -seguito di tutti i prelati, signori ed ambasciatori sino all’antico -palazzo, alle cui porte furono affisse le due bandiere imperiale -e ducale. Erano in corte apparecchiate le tavole, servite con -ricchissima argenteria, e di sopra padiglionate da arazzi tessuti -a oro. Al capo della mensa sedè il duca avendo ai due lati i -cesarei luogotenenti, e dietro per ordine di dignità gli altri -signori. Al lunedì passarono mostra nel palazzo ducale i disposti -giostratori. Al martedì, trecento di questi, divisi in due -schiere, l’una rossa e l’altra bianca, colle loro bandiere entrarono -nello steccato, essendo proposto premio della vittoria mille -fiorini. Al mercoledì si giostrò di nuovo, e premio era un fermaglio -del valore di mille fiorini, e lo vinse il marchese di Monferrato. -Al giovedì terminarono le giostre, nelle quali Bartolomeo -fratello di Domenico da Bologna acquistò un cavallo del prezzo -di cento fiorini; e Giovanni Rubello scudiere del detto marchese, -un altro di ducento».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note11"> -<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>.  </span>Valtellina, Valcamonica, Varese, Legnago, Castello, -Arquà, Salò, Bassano, Castelnuovo di Tortona, Riviera di Trento, -Soresina, Lecco, Vigevano, Pontremoli, Voghera, Borgo Sandonnino, -Casal Sant’Evasio, Valenza, Crema, Monza, Grosseto, -Massa Lunigiana, Assisi, Bobbio, Feltre, Belluno, Reggio, Tortona, -Alessandria, Lodi, Vercelli, Novara, Vicenza, Bergamo, -Como, Cremona, Piacenza, Parma, Brescia che nell’epitafio di -lui è detta <i>civili nondum enervata duello</i>, Verona, Perugia, -Siena, Pisa, Bologna, Pavia, Milano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note12"> -<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>.  </span><i>Mémoires</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note13"> -<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>.  </span>Andrea Biglia, allora vivente, racconta che Antonio Bosso, -intrinseco di Facino, l’avvertì restargli poche ore di vita, e però -provvedesse all’anima sua. Facino rabbujato gli intima: — Va -tu a cercarti un confessore, che fra un’ora ti manderò al supplizio». -Il Bosso, che lo sapea uomo da mantener la parola, -sbigottì tutto, e quasi venne meno; ma Facino rasserenatosi -gli soggiunse: — Da quel che provasti tu, argomenta quel che -hai fatto soffrire a me col tuo pronostico». Davvero non era momento -da burle.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note14"> -<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>.  </span>Una casa comprata dalla Signoria per regalare a Luigi -Gonzaga signore di Mantova, costò seimila cinquecento ducati; -tremila un’altra donata al vaivoda dell’Albania. Le prove sono -in <span class="smcap">Daru</span>, <i>Storia di Venezia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note15"> -<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>.  </span>Alle tante prediche di pace si potrebbe opporre una di -guerra, riferita da Franco Sacchetti, come udita da lui allora -appunto da un romitano in San Lorenzo di Genova. E’ diceva: — Io -sono genovese; e se io non vi dicessi l’animo mio, e’ mi -parrebbe forte errare; e non abbiate a male che io vi dirò il -vero. Voi siete appropiati agli asini: la natura dell’asino è questa, -che quando molti ne sono insieme, dando d’uno bastone a uno, -tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual fugge là, tanta è la -lor viltà; e questa è proprio la natura vostra. E i Viniziani sono -appropiati a’ porci, e sono chiamati Viniziani porci, e veramente -eglino hanno la natura del porco; perocchè essendo una moltitudine -di porci stretta insieme, ed uno ne sia o percosso o bastonato, -tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi li percuote; -e questa è veramente la natura loro; e se mai queste figure mi -parvono proprie, mi pajono al presente. Voi percoteste l’altro dì -li Viniziani, e’ si sono serrati verso voi a lor difesa ed a vostra -offesa; ed hanno cotante galee in mare, con le quali v’hanno -fatto e sì e sì; e voi fuggite chi qua e chi là, e non intendete l’uno -l’altro, e non avete se non cotante galee armate; egli n’hanno -presso a due tanti. Non dormite, destatevi, armatene voi tante, -che possiate, se bisogna, non che correre il mare, ma entrare -in Vinegia. — Poi fe fine a queste parole, dicendo — Non l’abbiate -a male, che io sarei crepato, s’io non mi fusse sfogato. — Ora -questa cotanta predica udii io, e tornàmi a casa; l’avanzo -lasciai udire agli altri».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note16"> -<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>.  </span><span class="smcap">Andrea Gattaro</span>, pag. 280.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note17"> -<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>.  </span>Ecco l’esempio d’una dichiarazione offerta per parte del -Caresini, che continuò la cronaca del Dandolo: — Raffaello -Caresini, cancellier grande, offerisce lui con due buoni compagni -al suo salario e spese e un famiglio d’andare sull’armata, e -di pagare la spesa di tutti gli uomini da remo al mese ducati -quattro e a’ balestrieri ducati otto al mese per uno. Item dona -tutti i prò de’ suoi imprestiti e imposizioni, ch’egli ha e che -farà nella presente guerra; e di prestare ducati cinquecento -d’oro a renderseli due mesi dopo finita la guerra». Ap. <span class="smcap">Sanuto</span>, -pag. 736. -</p> - -<p> -... <i>Concernentes anxio mentis intuitu magnificus dux, consilium -atque cives januensem patriam, quæ, inter alias catholicas -nationes, oris præsertim maritimis, triumphales sui roboris vires -expandit comerciorum, negociacionibus etiam quam maxime frequentata, -et portus et janua navigationibus et lucrorum agendis, -quibus humanum alitur genus abundans magistra, nunc aliquot -jam exactis annis, aut justa Dei ira ex ingentibus mortalium -noxis, aut acerbæ sortis sinistris auspiciis ferali civilium parcialitatum -contagiatam morbo, sic solitis debilitatam viribus, -quod januensis reipublicæ corpus suis artubus plurimis peste -lesis, nisi salubri succurrerentur remedio, flebilis excidii pernicie -damnaretur ipsius equidem remedii medelam ab intimis anhelantes, -diurnis cogitationum curis hinc inde versarunt, tandem -prudentissimis consiliis advertentes serenissimi ac invictissimi -principis domini Francorum regis laudabilem justitiam, qua -sua regio felix floret, incomparabilem potentiam qua quicumque -terentur iniqui, scelesti domitantur raptores, et barbarica reprimitur -feritas, ad suam amplissimam clemenciam suarum deliberationum -aciem direxerunt. Ita demum quod miseranda januensis -nationis cimba, quæ jamdiu horrendis fluctuationum -turbinibus agitata, nimia confusione ambitus et odiorum lacerata -dissidiis, seu cautibus non parum allidens formidabile submersionis -periculum vix evasit. Ecce tetris observata nubibus -longe titubans pelago, clarum pietate cœlesti clementiæ regiæ -jubar perspectans etc.</i> -</p> - -<p> -Dopo queste frasi retoriche, vengono i lunghi e chiari patti, -che meritano esser letti nel <i>Liber juris</i>: vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 1237, per più -di 13 colonne.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note18"> -<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>.  </span>Ad Enrico VII, a Roberto di Napoli, all’arcivescovo di -Milano, e ora a Carlo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note19"> -<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>.  </span><span class="smcap">Stella</span>, pag. 1176, 1193. <i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XVII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note20"> -<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>.  </span><i>Rivoluzioni d’Italia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>. c. 8. Egli stesso si contraddice -al cap. 4 del lib. <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note21"> -<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>.  </span>Spesso egli recitò, o almeno compose sermoni per lauree, -per capitoli di frati, per funzioni ecclesiastiche; e si trovano -manoscritti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note22"> -<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>.  </span><i>Suscipe Robertum regem virtute refertum</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note23"> -<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>.  </span><i>Rerum memorabilium</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note24"> -<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>.  </span>Un anello con cinque perle; una trecciuola con ottantasei -perle minute; una ghirlanda d’argento, su cui perle novantasei; -una cintola con perle minute; una coppa di cristallo con coperchio -fornito d’argento, che valse lire cinquantuna; un orcioletto -di cristallo fornito d’argento e perle; una coppa di nacchera -(madreperla) fornita d’argento e perle, furono dati in -pegno per fiorini censettantasei a un mercante fiorentino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note25"> -<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>.  </span><i>Fragm. Hist. romanæ</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 10. — <span class="smcap">Dom. de Gravina</span>, -<i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. 572.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note26"> -<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>.  </span>Parole di Matteo Villani, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 61, e soggiunge questo -fatto: — Un Catalano, il quale teneva una rôcca, fece a’ suoi -compagni tenere trattato col conte di Ventimiglia, il quale, -avendo voglia d’aver quella rôcca, con troppa baldanzosa -fidanza sotto il trattato entrò nel castello con centoquattro -compagni, benchè più ve ne credesse mettere; ma come con -questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori furono chiuse -le porte, il conte e i compagni presi; e avendovi uomini, i quali -si volevano ricomperare a grande moneta, ed erano da riserbare -per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo feroce -de’ Catalani, che senza arresto spogliati ignudi i miseri -prigioni, e legati colle mani di dietro, l’un dopo l’altro posto a’ -merli della maggior torre della rôcca, sopra un dirupinato grandissimo -furono dirupinati senza niuna misericordia, lacerando i -miseri corpi con l’impeto della loro caduta ai crudeli sassi. Il -conte solo fu riserbato, non per movimento d’alcuna umanità, -ma per cupidigia di avere per la sua testa alcuno suo castello -vicino ai crudi nemici».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note27"> -<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>.  </span>Il Giannone, colle sue frasi grossolane insieme e gonfie, -chiama «Giovanna la più savia reina che sedesse mai in sede -reale», lib. <span class="smcap lowercase">XXIII</span>. c. 3; e lo ripete nel cap. 5; poco poi scrive -che la regina, «ancora che ella fosse in età di anni quarantasei, -era sì fresca che dimostrava molta attitudine di far figli».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note28"> -<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>.  </span>Ap. <span class="smcap">Lünig</span>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 210. 1215. Alla coronazione di -Luigi II d’Angiò si presentarono in Napoli molti baroni, conducendo -più di millecento cavalli; poi i Sanseverino ne condussero -milleottocento tutti ben in arnese. Al che Angelo di Costanzo, -che scriveva ai tempi di Filippo II, riflette: — Io, vedendo in -questi tempi nostri, d’ogni altra cosa felicissimi, nella patria -nostra, tanto abbondante di cavalieri illustri ed atti all’armi, la -difficoltà che saria il porre in ordine una giostra, per la qual -difficoltà si vede che ha più di trent’anni che non n’è fatta una, -e l’impossibilità di poter fare in tutto il Regno mille uomini -d’armi di corsieri grossi, simile a quelli di quei tempi, sto quasi -per non creder a me stesso questo ch’io scrivo di tanto numero -di cavalli, ancorchè sappia che è verissimo; ed oltre che l’abbia -trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche, l’ho -anco visto nei registri di quelli re che gli pagavano. Ma questo -è da attribuirsi al variar de’ tempi, che fanno ancor variare i -costumi. Allora per le guerre ogni piccolo barone stava in ordine -di cavalli e di genti armigere per timore di non esser -affatto cacciato di casa d’alcun vicino più potente; ed in Napoli -i nobili, vivendo con gran parsimonia, non attendendo ad altro -che a star bene a cavallo e bene in arme, si astenevano da ogni -altra comodità; non si edificava, non si spendeva in paramenti, -nelle tavole dei principi non erano cibi di prezzo, non si vestiva, -tutte le entrate andavano a pagar valent’uomini ed a nutrir -cavalli. Or per la lunga pace s’è voltato ognuno alla magnificenza -nell’edificare ed alla splendidezza e comodità del vivere, e si -vede ai tempi nostri la casa che fu del gran siniscalco Caracciolo, -che fu assoluto del Regno, a’ tempi di Giovanna II regina, -ch’è venuta in mano di persone senza comparazione di stato e -di condizione inferiore; vi hanno aggiunte nuove fabbriche, non -bastando a loro quell’ospizio, ove con tanta invidia abitava colui -che a sua volontà dava e toglieva le signorie e gli stati. Delle -tappezzerie e paramenti non parlo, poichè già è noto che molti -signori a paramenti di un par di camere hanno speso quel che -avria bastato per lo soldo di dugento cavalli per un anno; ed -avendo parlato della magnificenza de’ principi, con questo -esempio non lascerò di dire dei privati che si vede di cinque -case di cavalieri nobilissimi fatta una casa di un cittadino artista. -Tal che credo certo, che, se fosse noto agli antichi nostri questo -modo di vivere, si maraviglierebbono, non meno di quel che -facciamo noi di loro».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note29"> -<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>.  </span><span class="smcap">Rymer</span>, <i>Acta</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. part. <span class="smcap lowercase">II</span>. pag. 45. A tutti questi -fatti era presente Teodorico da Niem, che scrisse la vita di -Giovanni XXIII.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note30"> -<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>.  </span>Questa vittoria, che il Sismondi chiama <i>la plus importante, -la plus glorieuse, qui de tout le siècle eût été remportée -sur la Méditerranée</i>, secondo i <i>Giornali napolitani</i> fu dovuta -ad uno stratagemma, che sembra pueril cosa quando già si conoscevano -le artiglierie. «Fu combattuto con sapone, olio, pignatelli -artificiali, pietre di calce, le quali buttando sopra le navi -nemiche dalle gabbie loro, le redussero che l’uno non vedeva -l’altro, et alcuna volta offendevano li loro medesimi credendoli -nemici». E più distesamente Giovanni Cavalcanti: «L’arte dei -Genovesi che usarono, fu di maraviglioso scaltrimento: conciossiacosachè -portarono infinito numero di vasi di terra, come -pignatte e orciuoli, e quelli di calcina viva e di cenere di vagello -empierono; e nel cominciare della battaglia, i Genovesi si -cercarono che a loro nelle reni ferisse il vento, e a’ nemici nella -faccia soffiasse. I Genovesi non meno alle vasa correvano che -all’armi, e i nemici erano nella faccia percossi dalle cocenti e -ardenti ceneri dal vento soffiate; per il sudore e per l’affaticare -della battaglia, i pori erano aperti: la qual calcina dava tanta -passione, che l’arme abbandonavano, e a stropicciarsi gli occhi -ciascuno attendeva». <i>Rer. It. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">XXI</span>. 1101.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note31"> -<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>.  </span><span class="smcap">Vespasiano Bisticci</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note32"> -<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>.  </span><span class="smcap">S. Antonini</span> <i>Chron</i>., part. <span class="smcap lowercase">III</span>. tit. 22. not. <i>b</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note33"> -<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>.  </span>L’arringa del doge è riferita dal Sanuto, che dice averla -tratta dal manoscritto proprio d’esso principe: noi la compendiammo; -alcune partite, imbarazzate nell’edizione del Muratori, -si sono racconcie alla meglio. Si sarà avvertito che il doge mette -un eccesso di attivo veneto, giacchè bisogna dedurne un milione -per l’importo dei panni e frustagni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note34"> -<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>.  </span><span class="smcap">Andrea Billii</span>, <i>Historia Mediol</i>., pag. 78.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note35"> -<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>.  </span>Secondo un conto prodotto da ser Cambi, i Veneziani -teneano in campo ottomila ottocentrenta cavalli, e ottomila -fanti, quelli a fiorini quattro il mese ciascuno, questi a fiorini -tre; e i Fiorentini seimila cavalli e seimila fanti; sicchè fra essi -e i Veneziani spendeano al mese centoduemila fiorini. Il duca -di Milano area ottomila cinquecentocinquanta cavalli del costo -di venticinquemila fiorini il mese, e ottomila fanti e balestrieri -di fiorini ventiquattromila. Nel conto sono divisati tutti i condottieri -e gli uomini di ciascuno. Vedi <i>Delizie degli eruditi</i>, -<span class="smcap lowercase">XX</span>. 170.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note36"> -<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>.  </span>Da un dialogo manoscritto di Paolo Giovio; dove pure -leggo che, pel terrore causato dalle prime armi a fuoco, si -troncava la destra a quanti fucilieri si coglievano; e che Bartolomeo -Coleone generale dei Veneziani, e Federico d’Urbino, -nella zuffa della Riccardina sul Bolognese, essendo tra il combattere -discesa la notte, fecero ai donzelli apparecchiar fiaccole, -al cui chiarore continuarono la pugna.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note37"> -<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>.  </span><span class="smcap">Sanuto</span>, pag. 1029. Frà Paolo Sarpi, lodatore di tutto ciò -che è tirannico, scrive «esser antico vanto della circospezione -veneziana l’aver tenuta celata scrupolosamente per otto mesi la -risoluzione della morte del conte Carmagnola».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note38"> -<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>.  </span><span class="smcap">Cristoforo da Soldo</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note39"> -<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>.  </span><span class="smcap">Sabellico</span>, <i>Deca</i> <span class="smcap lowercase">III</span>, lib. 5.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note40"> -<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>.  </span><span class="smcap">Rossi</span>, <i>Elogi storici</i>, pag. 150; <span class="smcap">Capriolo</span>, <i>Storie bresciane</i>; -<span class="smcap">Rizzardi</span>, <i>Storia Asolana</i> manoscritta.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note41"> -<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>.  </span>Filippo Borromeo di Lazzaro, coll’ajuto de’ Milanesi cacciò -da San Miniato sua patria i Fiorentini; ma poi da un capitano -tradito a questi, fu ucciso il 1350. La Talda, sorella di Beatrice -Tenda, ebbe quattro maschi. Andrea, dottorato in Padova e -cavaliere aurato; Borromeo tesoriere di Padova al tempo de’ -Carraresi, i quali temendolo ed invidiandolo gli cercarono cagione -addosso e lo arrestarono, nè potè uscire di carcere che -pagando ventiduemila scudi d’oro: egli per vendicarsene istigò -Visconti e Veneziani finchè abbatterono il Carrarese. Borromeo -coi fratelli Alessandro e Giovanni si piantò a Milano, e v’ebbero -la cittadinanza il 1394, e tennero casa a Santa Maria Podone. -Borromeo nel 1400 stette mallevadore per dodicimila scudi del -marchese di Monferrato, in un accordo di questi coi Visconti. -Giovanni fu consigliere e capitano di Gian Galeazzo; da Gian -Maria nel 1403 ebbe in feudo Castell’Arquato e tutta la val di -Taro col titolo di conte; e fu principale autore del matrimonio -di Filippo Maria con Beatrice Tenda. Esso Filippo diè pure la -cittadinanza milanese a Vitaliano Vitelliani, nipote per sorella -di Giovanni, e diritto di conseguirne l’eredità e il cognome; lo -fe tesoriere generale e consigliere nel 1439; nel 42 l’investì -della rôcca d’Arona, come conte di Canobbio e sua valle; nel 46 -di Ugogna e Margozzo: ed è lo stipite de’ Borromei di Milano, -Galeazzo, Antonio, Giovanni, figlio del Giovanni suddetto, si -mutarono a Venezia, dove sono ricordati nella chiesa di Santa -Elena, da essi eretta ed arricchita. V. <span class="smcap">Coronelli</span>, <i>Bibl. universale</i>, -tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. p. 790.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note42"> -<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>.  </span>Anche nel 1689 Pietro Ottobon dal prozio Alessandro VIII -fu fatto cardinale, e prestò molti servizj alla Serenissima; e -ottenne da questa fosse rimesso in grazia il proprio padre Antonio, -disgradato perchè era divenuto generale di Santa Chiesa. -Ma essendo stato eletto protettore della corona di Francia alla -Corte pontifizia, il senato si oppose; e avendo egli non ostante -spiegato le insegne di Francia, fu abraso dal libro d’oro, confiscatogli -il patrimonio, sospesa ogni rendita de’ suoi beni ecclesiastici -nel dominio veneto.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note43"> -<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>.  </span><i>Mutilasti Imperium Mediolano et provincia Longobardiæ, -quæ juris S. B. Imperii fuerant, redeuntibus inde ad imperium -amplissimis emolumentis; in qua ditione mediolanensi veluti -minister S. B. Imperii partibus fungebatur, cum tu contra, -accepta pecunia, Mediolani ducem et comitem papiensem creasti.</i> -Così gli elettori nel deporre Venceslao.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note44"> -<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>.  </span><i>Jus, quod ex dictis concessionibus et citationibus in feudo -dictorum ducatuum et comitatum habemus, nobis et nostris -successoribus in Imperio salvum maneat et illesum.</i> <span class="smcap">Lünig</span>, -Italia dipl., <span class="smcap lowercase">I</span>. 480.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note45"> -<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>.  </span>Quella Repubblica fu censurata dal Corio per blandire i -duchi, e dal Verri per stizzosa allusione alla Cisalpina; ma più -che alle ironiche declamazioni di questo, credo ai documenti -del Rosmini. Il Leo, tra gli errori onde ribocca la sua <i>Storia -d’Italia</i>, dice che il Rosmini, «per biasimare la repubblica, -produce molte ordinanze sulla religione, le scienze, la politica». -Lo fa pel preciso contrario. Nell’archivio del duomo è un’ordinanza -de’ capitani del 14 agosto, nella quale, poichè <i>Altissimi -clementia ineffabili.... antiquissimam auream et sanctam libertatem -urbs hæc feliciter reassumpsit</i>, stabiliscono un’oblazione -annua; e sotto l’11 agosto, in riconoscenza a Dio <i>quod ad dulcissimum -reipublicæ et libertatis statum nos reduxit</i>, ordinano -una processione a Sant’Ambrogio.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note46"> -<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>.  </span>Nella battaglia di Morat servivano al duca di Borgogna -quindicimila Lombardi, il cui capitano Antonio Corradi di Lignana -vercellese vi perì.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note47"> -<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>.  </span><i>Arch. storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 311.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note48"> -<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>.  </span><i>Historia desponsationis et coronationis Friderici III et -conjugis ipsius, auctore</i> <span class="smcap">Nicolao Lankmano de Falkenstein</span>. -Ap. <span class="smcap">Pez, ii</span>. 569-602.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note49"> -<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>.  </span><span class="smcap">Spino</span>, <i>Vita di Bartolomeo Coleone</i>, pag. 255. La costui -biografia fu scritta in latino da Antonio da Cornazzano, che -con altri letterati e artisti vivea nel castello di lui; onde il -ritrasse con colori lusinghieri che la storia smentisce. -</p> - -<p> -Del Cornazzano abbiamo pure manoscritta la vita di Francesco -Sforza in terzine, e un trattato <i>De la integrità de la militare arte</i>, oltre un poema più volte stampato sul soggetto -stesso: <i>Opera nuova de Mr. Ant. Cornazzano, la quale tratta -de modo regendi, de motu fortunæ, de integritate, rei militaris, -et qui in re militari imperatores excelluerint</i>. D’altri due condottieri, -Attendolo Sforza e Braccio di Montone, scrissero le -gesta Lodrisio Crivelli e Gianantonio Campano, rozzi ma interessanti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note50"> -<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>.  </span>Del 1467 fu pubblicata a Milano la seguente grida di -guerra: — Si fa poto e manifesto a caduna persona de quale -grado e conditione se sia, per parte del nostro M. signor duca -di Milano ecc. in tutte le terre del dominio suo, che qualunche -soldato, o che sia pratico al soldo, così de cavallo come de -pede, tanto terriero quanto forastero, che al presente se trovasse -habitare nel dominio ducale, che voglia venire in campo dove el -prelibato ill. signor duca nostro se ritrovarà; venga in ordine ed -armato, che averà buona e grossa guerra in lo parti de Piemonte, -presentandose, subito che sia in campo, ad Petro, Francesco -Visconte, conductero et marescallo del campo, et ulterius -che porteno la banda bianca, come fanno gli altri».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note51"> -<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>.  </span>Paolo Santini, che, sulla metà del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>, scrisse un -trattato di cose militari rimasto manoscritto, e pare fosse al -servizio dei Veneziani, dice: <i>Qui in Italiam vincere desiderat, -ista instruet: primo, cum summo pontifice semper sit; secundo, -dominetur Mediolanum; tertio, quod habeat astronomos bonos; -quarto, habeat ingegnerios qui sciant plurima; quinto, quod tot -navigia conducantur plena lapidibus in canalibus.... impleantur -canalia multitudine navium, navigiorum, barcarumque suffundatarum, -etc.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note52"> -<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>.  </span>La sentenza si esprime: <i>Videtur, propter obstinatam -mentem suam, non esse possibile extraere ab ipso illam veritatem, -quæ clara est per scripturas et per testificationes, quoniam in -fune aliquam nec vocem nec gemitum, sed solum intra dentes -voces ipse videtur et auditur infra se loqui.... tandem non est -standum in istis terminis, propter honorem status nostri...</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note53"> -<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>.  </span>Del discorso recitato da Nicola Oremme in concistoro -porge l’estratto De Sade, <i>Vie du Pétrarque</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II. I.</span> 692. È -nota la risposta che il Petrarca vi fece.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note54"> -<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>.  </span>Ella stessa nel <i>Tratt. della Provvidenza.</i> E vedi <span class="smcap">Bolland,</span> -ad 30 apr.; <span class="smcap">Hagen</span>, <i>Die Wunder der h. Catharina von Siena</i>. -Lipsia 1840.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note55"> -<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>.  </span>«Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto -che potete, voi n’andiate al luogo vostro dei gloriosi Pietro e -Paolo; e sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente, -e Dio dalla parte sua vi provvederà di tutte quelle cose -che saranno necessarie a voi. -</p> - -<p> -«Poniamo che abbiate ricevute grandissime ingiurie, avendovi -fatto vituperio e toltovi il vostro; nondimeno, padre, io vi -prego che non ragguardiate alle loro malizie, ma alla vostra -benignità, e non lasciate però d’oprare la nostra salute. La salute -loro sarà questa, che voi torniate a pace con loro, perocchè -il figliuolo che è in guerra col padre, mentre che vi sta, egli il -priva dell’eredità sua. Oimè, padre, pace per l’amore di Dio, -acciocchè tanti figliuoli non perdano l’eredità di vita eterna; -che voi sapete che Dio ha posto nelle vostre mani il dare, il togliere -questa eredità, secondo che piace alla benignità vostra. -Voi tenete le chiavi, ed a cui voi aprite si è aperto, ed a cui voi -serrate è serrato; così disse il dolce e buono Gesù a Pietro, il -cui loco voi tenete. Adunque imparate dal vero padre e pastore; -perocchè vedete che ora è il tempo da dare la vita per le pecorelle -che sono escite fuora del gregge. Convienvele dunque -cercare e racquistare con la pazienza, e con la guerra andare -sopra gl’infedeli, rizzando il gonfalone dell’ardentissima e dolcissima -croce: al qual rizzare non si convien più dormire, ma -destarsi e rizzarlo virilmente. -</p> - -<p> -«Rizzate, babbo, tosto il gonfalone della santissima croce, e -vedrete i lupi diventare agnelli. Pace, pace, pace, acciocchè -non abbia la guerra a prolungare questo dolce tempo: ma se -volete far vendetta e giustizia, pigliatela sopra di me miserabile, -e datemi ogni pena e tormento che piace a voi insino alla -morte. Credo che per la puzza delle mie iniquità sieno venuti -molti difetti e molti inconvenienti e discordie: dunque sopra -me, misera vostra figliuola, prendete ogni vendetta che volete. -Ohimè, padre, io muojo di dolore e non posso morire. Venite, -venite, e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi -chiama; e l’affamate pecorelle v’aspettano, che veniate a tenere -e possedere il luogo del vostro antecessore e campione apostolo -Pietro; perocchè voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi -nel luogo vostro proprio. Venite dunque, venite, e non più indugiate, -e confortatevi e non temete di alcuna cosa che avvenire -potesse, perocchè Dio sarà con voi».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note56"> -<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>.  </span>Brigida andò poi pellegrina in Terrasanta, e reduce morì -a Roma il 1373. Le rivelazioni ch’essa ebbe e scrisse, furono riprovate -dall’insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada, -tradotte in tutte le lingue, e le valsero d’essere canonizzata -da Bonifazio IX, benchè siasi avventata gagliardissimamente -contro la corte pontifizia fino a dire: — Il papa è l’assassino -delle anime; disperde e strazia il gregge di Cristo; più crudele -che Giuda, più ingiusto che Pilato, più abbominevole che -gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì i dieci comandamenti -in un solo, <i>Portate denaro</i>. Roma è un baratro -d’inferno, e il diavolo presiede, e vende il bene che Cristo acquistò -colla sua passione, onde passa il proverbio -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Curia romana non petit ovem sine lana;</i></p> -<p class="i01"><i>Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;</i></p> -</div></div> - -<p> -invece di convocar tutti, dicendo, <i>Venite e troverete il riposo -delle anime</i>, il papa esclama: <i>Venite alla mia corte, vedetemi -nella mia magnificenza maggior di Salomone; venite, vuotate le -vostre borse, o troverete la perdita delle vostre anime</i>».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note57"> -<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>.  </span>— Pregovi da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla -santità vostra di spacciarvi tosto. Usate un santo inganno, cioè -parendo di prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto; che -quanto più presto, meno starete in queste angustie e travagli. -Anco mi pare che essi v’insegnino, dandovi l’esempio delle fiere, -che quando campano dal lacciuolo, non vi ritornano più. Per -infino a qui siete campato dal lacciuolo de’ consigli loro, nel -quale una volta vi fecero cadere quando tardaste la venuta vostra; -il quale lacciuolo fece tendere il demonio perchè ne -seguitasse il danno e il male che ne seguitò: voi come savio, -spirato dallo Spirito Santo, non vi cadrete più. Andianci tosto, -babbo mio dolce, senza verun timore; se Dio è con voi, veruno -sarà contra voi. Dio è quello che vi move, sicchè egli è con voi; -andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, -perchè li poniate il colore. -</p> - -<p> -«Sia in voi un ardore di carità per sì fatto modo, che non vi -lasci udir le voci dei demonj incarnati e non vi faccia temere il -consiglio de’ perversi consiglieri fondati in amore proprio, che -intendo vi vogliono metter paura per impedire l’avvenimento -vostro dicendo, <i>Voi sarete morto</i>. E io vi dico da parte di Cristo -crocifisso, dolcissimo e santissimo padre, che voi non temiate -per veruna cosa che sia. Venite sicuramente, confidatevi in -Cristo dolce Gesù; chè, facendo quello che voi dovete, Dio sarà -sopra di voi, e non sarà veruno che sia contra voi. Su virilmente, -padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere: se non faceste -quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi dovete -venire; venite dunque, venite dolcemente senza verun timore. -</p> - -<p> -«Su dunque, padre, e non più negligenza; drizzate il gonfalone -della santissima eroce, perocchè coll’odore della croce -acquisterete la pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi -gl’invitiate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra caggia -sopra gl’infedeli. Spero per l’infinita bontà di Dio, che tosto -manderà l’ajutorio suo. Confortatevi, confortatevi, e venite, venite -a consolare i poveri e servi di Dio e figliuoli vostri; aspettiamovi -con affettuoso e amoroso desiderio...» -</p> - -<p> -Di santa Caterina abbiamo tre lettere a Gregorio XI, nove a -Urbano VI, otto a varj cardinali, due a Carlo V di Francia, -quattro alla regina Giovanna, le altre a prelati, a religiosi, -a laici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note58"> -<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>.  </span>Vedi principalmente la parte II. cc. 16, 17, 21, 25 del -<i>Defensor pacis</i>, stampato poi nel 1523. Al c. 28 è chiamata -esecrabile la pienezza del potere invocato dai papi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note59"> -<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>.  </span>Colla costituzione <i>Exiit qui seminat</i>, nel <span class="smcap lowercase">VI</span> delle Decretali, -tit. <i>De verb. signif.</i> — Vedi tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>, pag. 353.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note60"> -<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>.  </span>Quorum exigit, nelle <i>Estravaganti</i>, tit. <i>De verb. signif.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note61"> -<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>.  </span>Ap. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia</i>, 163.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note62"> -<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>.  </span><span class="smcap">Feo Belcari</span>, <i>Vita del b. Colombino</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note63"> -<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>.  </span>Possono aggiungersi Corrado d’Offida e Francesco Veninbene -di Fabriano francescani; Gentile da Matelica che, dopo -tante conversioni in patria, cercò più largo campo in Oriente, -ove cadde assassinato; il beato Rigo di Treviso secolare; il beato -Ugolino Zefirini di Cortona (-1370); il beato Giovanni da -Rieti (-1347); Gregorio Celli da Verruchio; il beato Oddino -Barotto curato di Fossano in Piemonte, tutto carità nella peste -del 400. Angela da Foligno i disordini di gioventù pianse in -severa penitenza e indefessa meditazione. Chiara da Rimini le -dissipazioni di sua vedovanza espiò nell’austerità, nell’umiliazione, -e nel soccorrere gli altrui bisogni spirituali e temporali -per trent’anni (-1306). Chiara Gambacorti di Pisa volle mangiar -il pane dell’assassino di sua famiglia. Angelina, figlia del conte -di Corbara, malgrado il voto di castità, sposato per obbedienza -il conte di Civitella, seppe indurre anche lui ad egual voto; poi -vedova, si professò francescana e molt’altre indusse, e stabilì il -terz’ordine di san Francesco a Foligno. Rita di Cascia ebbe ad -esercitar la pazienza in diciott’anni d’infelice matrimonio, poi -mortificando la carne e lo spirito. Nomineremo ancora la beata -Michelina da Pesaro, vedova d’un Malatesta; e la beata Imelda -de’ Lambertini di Bologna.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note64"> -<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>.  </span><span class="smcap">Bartolomeo Fazio</span>. Il quaresimale di san Bernardino da -Siena fu raccolto da Benedetto di mastro Bartolomeo, cimatore -di panni senese, che sarebbe uno de’ più antichi stenografi ricordati. -Vedi <i>Sopra un codice cartaceo del secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>... osservazioni -critiche dell’abate</i> <span class="smcap">Luigi Deangelis</span>. Colle 1820.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note65"> -<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>.  </span><i>Ed. Moreni,</i> 1831, <span class="smcap lowercase">I</span>. 187, 252. Declamò novamente contro -l’andare al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando -sotto la loggia d’Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè -parecchi anni appresso (<span class="smcap lowercase">II</span>. 50). Forse questi luoghi delle prediche -di frà Giordano furono presenti al beato Giovanni Delle Celle -quando dissuase Domitilla dal pellegrinaggio di Terrasanta, -nella <span class="smcap lowercase">IX</span>ª delle sue lettere.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note66"> -<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>.  </span>«Dicetemi, dicetemi un poco o signori; donde nascono -tante e diverse infermitade in gli corpi umani, gotte, doglie di -fianchi, febre, catarri? non d’altro se non da troppo cibo et -esser molto delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te -basta; ma cerchi a’ toi conviti vino bianco, vino negro, malvagie, -vino de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, -fichi, uva passa, confetione, et empi questo tuo sacco di -fecce. Émpite, sgònfiate, allàrgate la bottinatura, et dopo el -mangiare va et bottati a dormire come un porco». <i>Predica</i> <span class="smcap lowercase">I</span>. -Venezia 1530.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note67"> -<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>.  </span><span class="smcap">Burlamachi</span>, <i>Vita di frà Savonarola.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note68"> -<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>.  </span>È a vedere anche il <span class="smcap">Barberino</span>, <i>Documenti d’amore</i>, -part. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. d. 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note69"> -<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>.  </span>Nel 1379 Urbano VI sollecitava Rainero de’ Grimaldi, -consignore di Mentone, per mezzo di Giovanni Serra giureconsulto -genovese, a tenersi fedele a lui, e correr sopra i seguaci -del suo competitore, facendogli dono di quanto avesse sorpreso, -eccetto reliquie, libri, vasi, gioje o altro appartenenti alla camera -apostolica. Dicesi ch’ei v’ascoltasse, e molta preda facesse sovra -prelati aderenti a Clemente VII; e che fra il resto trovasse la -verga di Mosè e altre sacre reliquie, ch’ei restituì a Urbano. -<span class="smcap">Gioffredo</span>, <i>St. delle Alpi Marittime</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 869.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note70"> -<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>.  </span>Sant’Antonino di Firenze dice: — Benchè siam tenuti a -credere che, come una sola Chiesa, così v’ha un solo pastore, -però, qualora accada scisma, non pare necessario il credere che -l’eletto canonicamente sia piuttosto l’uno che l’altro: basta -sapere che un solo potè esserlo, senza arrogarsene la decisione».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note71"> -<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>.  </span>Gian Galeazzo domandò che il giubileo potesse acquistarsi -da’ suoi sudditi senza andare a Roma, ma visitando -quattro basiliche di Milano. Con ciò voleva ed evitare i pericoli -causati dalla guerra coi Fiorentini, e tener in paese il denaro, e -fare che le obbligazioni fruttassero per la fabbrica del duomo. -Bonifazio IX gli assentì la supplica, e il Corio dice che «se anche -non fosse contrito nè confesso, fosse assoluto da ogni peccato in -questa città dimorando dieci giorni continui». Menzogna, poichè -la bolla data il 12 febbrajo 1391 vuole che sieno <i>vere pœnitentes -et confessi</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note72"> -<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>.  </span>Così il dipinge l’anonimo romano. Antonio Flaminio forocorneliense -dice che aveano veste bianca, sopra cui una cerulea -tirante al nero, una croce bianca, e una rossa di panno; a sinistra -la colomba coll’ulivo, in fronte il tau, in mano bastone -senza puntale a modo dei pellegrini; e funi con sette nodi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note73"> -<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>.  </span>Su quelli di Firenze abbiamo un capitolo di Franco Sacchetti. -Nei <i>Ricordi storici</i> del Rinuccini, al luglio e agosto 1399 -leggo: «Di verso Piemonte venendo, per tutta Lombardia e per -Toscana e quasi per tutta Italia uomini e donne in grandissima -quantità, grandi e piccoli e fanciulli, si vestirono di pannilini -bianchi sopra gli altri vestimenti, con croce rossa in capo e nel -petto, e andavano scalzi con grande divozione e grandissime -discipline e digiuni senza mangiare carne, col crocifisso innanzi -della loro parrocchia a grandissime brigate. Tutti i popoli andavano -gridando in voci di laudi in versi, così in grammatica come -in vulgare, <i>Misericordia e pace al nostro Signore e a nostra -Donna</i>, per lo spazio di nove giorni continovi, senza mai dormire -in letto, andando quegli da Firenze a Arezzo e a Cortona e per -molte altre terre; e così le altre terre veniano a Firenze, e così -intervenne per tutta Italia. È mirabil cosa che per detto viaggio -non facevano danno a nessuno di frutti nè di niuna altra cosa, -che tutti comperavano, e molte paci e accordi tra molte signorie, -ed eziandio paci di morte d’uomini tra private persone si feciono: -cosa mirabile fu per certo e degna di perpetua memoria, -e fu annunziazione della moria che venne, e fu detto quell’anno -l’anno dei Bianchi».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note74"> -<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>.  </span><i>Chron. patav.</i> ad an. 1399; ap. <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq. M. Æ.</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note75"> -<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>.  </span>Gregorio XI nel 1372 ordina <i>inquisitoribus, ut faciant -comburi quosdam libros sermonum haereticorum, pro majori -parte in vulgari scriptos</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note76"> -<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>.  </span><span class="smcap">Raynaldi</span> al 1375, <span class="smcap lowercase">II</span>. 26.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note77"> -<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>.  </span>Enea Silvio descrive a lungo quella di Giovanni de Merlo -spagnuolo con Erminio di Ramstein tedesco, per un colpo di -lancia, tre di scure, quaranta di spada.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note78"> -<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>.  </span><i>Articulos omnia peccata mortalia, nec non infinita, abominabilia -continentes</i>. <span class="smcap">Teodorico da Niem</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note79"> -<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>.  </span>Alquanti anni di poi si riscattò, e fu posto cardinale di -Frascati. Il suo sepolcro nel battistero di Firenze è opera di -Donatello.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note80"> -<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>.  </span>Nel concilio di Costanza seguì un rumore fra l’arcivescovo -di Milano e quello di Pisa, e dalle parole ne vennero alle -mani, volendosi strangolare l’un l’altro perchè non avevano -armi. Onde molti si gittarono giù per le finestre del concilio. -<span class="smcap">Sanuto</span> in <i>T. Mocenigo</i>. A quel concilio figurò grandemente -il b. Enrico Scarampo de’ signori di Cortemiglia, vescovo di -Acqui, poi di Feltre e Belluno 1404-1440, deputato anche al -processo di Huss.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note81"> -<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>.  </span>Così è generalmente asserito; pure si ha una lettera di -Huss che dice: <i>Exeo</i> (da Praga) <i>sine salvoconductu</i>; Ap. <span class="smcap">Rohrbacher</span>, -Hist. eccles., tom. <span class="smcap lowercase">XXI</span>. p. 191.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note82"> -<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>.  </span><span class="smcap">Enea Silvio</span>, <i>Oratio de morte Eugenii papæ</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note83"> -<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>.  </span>Sono parole di Enea Silvio, <i>Comment.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span> princ. — Il -Poggio ne sparla sbrigliatamente.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note84"> -<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>.  </span><span class="smcap">K. Walchner</span>, <i>Politische Geschichte der grossen Kirchensynode -zu Florenz</i>. 1825. -</p> - -<p> -<span class="smcap">I. Lenfant</span>, <i>Histoire du concile de Constance</i>. 1727.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note85"> -<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>.  </span>«Vennero il pontefice con tutta la corte di Roma, e -collo imperatore de’ Greci e tutti i vescovi e prelati latini, in -Santa Maria del Fiore, dove era fatto un degno apparato, ed -ordinato il modo ch’avevano a istare a sedere i prelati dell’una -chiesa e dell’altra. Istava il papa dal luogo dove si diceva il -Vangelo, e’ cardinali e prelati della chiesa romana; dall’altro -lato istava lo ’mperatore di Costantinopoli con tutti i vescovi e -arcivescovi greci: il papa era parato in pontificale, e tutti i -cardinali co’ piviali, e i vescovi cardinali colle mitere di damaschino -bianco, e tutti i vescovi così greci come latini co’ piviali, -i greci con abiti di seta al modo greco molto ricchi; e la maniera -degli abiti greci pareva assai più grave e più degna che quella -de’ prelati latini... Il luogo dello ’mperadore era in questa solennità -dove si canta la Epistola all’altare maggiore; ed in quello -medesimo luogo, com’è detto, erano tutti i prelati greci. Era -concorso tutto il mondo in Firenze per vedere quell’atto sì -degno. Era una sedia al dirimpetto a quella del papa dall’altro -lato, ornata di drappo di seta, e lo ’mperadore con una veste -alla greca di broccato damaschino molto ricca con uno cappelletto -alla greca, che v’era in sulla punta una bellissima gioja: era -uno bellissimo uomo, colla barba al modo greco. E d’intorno alla -sedia sua erano molti gentili uomini che aveva in sua compagnia, -vestiti pure alla greca molto riccamente, sendo gli abiti -loro pieni di gravità, così quegli de’ prelati, come de’ seculari. -Mirabile cosa era a vedere ben molte degne cerimonie, e i vangeli -che si dicevano in tutte e due le lingue greca e latina, -come si usa la notte di Pasqua di Natale in corte di Roma. Non -passerò che io non dica qui una singulare loda de’ Greci. I Greci, -in anni millecinquecento o più, non hanno mai mutato abito: -quello medesimo abito avevano in quello tempo, ch’eglino avevano -avuto nel tempo detto; come si vede ancora in Grecia nel -luogo che si chiama i campi Filippi, dove sono molte storie di -marmo, dentrovi uomini vestiti alla greca nel modo che erano -allora». <span class="smcap">Vespasiano Fiorentino</span>, <i>Vita di Eugenio IV.</i> -</p> - -<p> -Il decreto d’unione incomincia: Eugenio ecc. <i>Consentiente carissimo -filio nostro Johanne Paleologo Romanorum imperatore -illustri et... orientalem ecclesiam representantibus. Letentur celi -et exultet terra: sublatus est enim de medio paries qui occidentalem -orientalemque dividebat Ecclesiam, et pax atque concordia -rediit; illo angulari lapide Christo, qui fuit utraque unum vinculo -fortissimo caritatis et pacis utrumque jungente parietem; et -perpetue unitatis federe copulante ac continente; postque longam -meroris nebulam, et dissidii diuturni atram ingratamque caliginem, -serenum omnibus unionis optate jubar illuxit. Gaudeat -et mater Ecclesia, qui filios suos hactenus invicem dissidentes -jam videt in unitatem pacemque rediisse: et que antea in eorum -separatione amarissime flebat, ex ipsorum modo mira concordia -cum ineffabili gaudio omnipotenti Deo gratias referat. Cuncti -gratulentur fideles ubique per orbem, et qui christiano censentur -nomine, matri catholice Ecclesie colletentur. Ecce enim occidentales -orientalesque Patres, post longissimum dissensionis atque -discordie tempus, se maris ac terre periculis exponentes, omnibusque -superatis laboribus, ad hoc sacrum ycumenicum concilium -desiderio sacratissime unionis, et antique caritatis reintegrande -gratia, leti alacresque convenerunt, et intentione sua -nequaquam frustrati sunt. Post longam enim laboriosamque -indaginem, tandem Spiritus Sancti clementia ipsam optatissimam -sanctissimamque unionem consecuti sunt. Quis igitur -dignas omnipotentis Dei benificiis gratias referre sufficiat? quis -tante divine miserationis divitias non obstupescat? cujus vel ferreum -pectus tanta superne pietatis magnitudo non molliat? -sunt ista prorsus divina opera, non humane fragilitatis inventa; -atque ideo eximia cum veneratione suscipienda, et divinis laudibus -prosequenda. Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio, -Christe, fons misericordiarum, qui tantum boni sponse tue -catholice Ecclesie contulisti, atque in generatione nostra tue -pietatis miracula demonstrasti, ut enarrent omnes mirabilia -tua. Magnum siquidem divinumque munus nobis Deus largitus -est: oculisque vidimus quod ante nos multi, cum valde cupierint, -adspicere nequiverunt. Convenientes enim Latini ac Greci in -hac sacrosancta Synodo ycumenica, magno studio invicem usi -sunt, ut inter alia etiam articulus ille de divina Spiritus Sancti -processione summa cum diligentia et assidua inquisitione discuteretur...</i> -</p> - -<p> -<i>Item diffinimus sanctam apostolicam sedem, et romanum -pontificem in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem -romanum successorem esse beati Petri principis Apostolorum -et verum Christi vicarium totiusque Ecclesie caput, et -omnium christianorum patrem et doctorem existere; et ipsi -in beato Petro pascendi, regendi, ac gubernandi universalem Ecclesiam -a Domino nostro Jesu Christo plenam potestatem -traditam esse; quemadmodum etiam in gestis ycumenicorum -conciliorum, et in sacris canonibus continetur. Renovantes insuper -ordinem traditum in canonibus ceterorum venerabilium Patriarcharum: -ut Patriarcha constantinopotitanus secundus sit -post sanctissimum romanum pontificem, tertius vero alexandrinus, -quartus autem antiochenus, et quintus hierosolymitanus, -salvis videlicet privilegiis omnibus et juribus eorum</i>. -</p> - -<p> -Vedasi <span class="smcap">Cecconi Eugenio</span>, <i>Studj storici sul concilio di Firenze -con documenti inediti</i>. Firenze 1869.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note86"> -<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>.  </span><i>Neque unquam Januenses dimittent hanc conventionem, -vel facient contra eam, neque pro ecclesiastica excommunicatione, -neque pro præcepto alicujus hominis coronati vel non coronati.</i> -Vedi <i>Codinus</i>, <i>De officiis</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XIV</span>; <span class="smcap">Cantacuzeno</span>, <i>Hist</i>., -lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 12.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note87"> -<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>.  </span>Dice il Sauli (<i>Della colonia di Galata</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 229) dietro Francesco -Testa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note88"> -<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>.  </span><span class="smcap">Foglietta</span>, <i>Hist. januensis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note89"> -<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>.  </span>Dei capitani latini sette erano genovesi, Maurizio Cattaneo, -Giovanni del Carretto, Paolo Bocchiardi, Giovanni de Fornari, -Francesco de Salvatichi, Leonardo da Langosco, Lodisio Gattilussi. -<span class="smcap">Leon. Chiensis</span>, pag. 95. Però il giornale dell’assedio di -Costantinopoli di Nicolò Barbaro accagiona di tutti i tradimenti -i Genovesi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note90"> -<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>.  </span>La primitiva colonia di Greci Albanesi in Puglia si divise -in tre. Una si stabilì presso il Gargàno, e v’ebbe i villaggi di -Cannone, Greci, Ururi ed altri. Una si stanziò nella provincia -d’Otranto, fondandovi Faggiano, Colonia imperiale; San Crispiero, -Monteparano, San Marzano. Una in Melfi, formando il comune -di Ciuciari. Mal visti dagli indigeni, si sparsero alle falde del -Vulture, fondandovi Maschito e Barile, che contenevano cinquemila -abitanti prima de’ tremuoti del 1851 e nella Basilicata, -fondandovi popolazioni a Brindisi e San Ciriaco nuovo. -</p> - -<p> -In Sicilia ebbero quattro tribù, di cui le principali sono la -Piana de’ Greci e Adriano Palazzo, simili a città. -</p> - -<p> -Nella Calabria meridionale posero i villaggi di Zangarona, -Vena, Carafa, Andali, Marcedusa, San Nicolò dell’Alto, Carfito. -Nella Calabria occidentale ebbero fin venticinque villaggi, tra -cui Longro con cinquemila abitanti, Spezzano con tremila, -San Donato, San Benedetto con duemila. Quivi allettavagli -Irene Castriota pronipote dello Scanderbeg, che portò que’ vasti -dominj a Pietrantonio Sanseverino principe di Bisignano. -Alcuni piantaronsi nelle sterile falde dell’Appennino verso la -Basilicata; e una sola colonia negli Abruzzi, fondando Abbadessa. -Pagavano un canone ai feudatarj o al Governo, col che -restavano immuni d’ogni altra gravezza, fin alla conquista napoleonica. -Cessato dall’armi e datisi all’agricoltura, preferivano -i luoghi alti e vistosi e abbondanti d’acque: e poichè impedivasi -di ingrossare in città, teneano i villaggi vicini, per soccorrersi -facilmente fra popolazioni che li disamavano. Le varie famiglie -conservansi in casali distinti; come i Bafa a Santa Sofia, gli -Scura e Toci in Vacarizzo, i Busa in San Giorgio, i Toci e gli -Strigarò in San Cosma, gli Stratigò, i Demarco, i Samangò in -Lungro. E Lungro, paese sì grosso, conserva puro il dialetto -antico, mentre occorrono interpreti per farsi intendere dalle -terre confinanti: locchè avviene dappertutto. Molti si educano, -e acquistarono nome principalmente come legali, professori e -vescovi: e il collegio italo-greco è dovuto a Samuele Rodotà -di San Benedetto, primo vescovo della Chiesa greca in Calabria. -</p> - -<p> -Oggi si hanno 89,000 Albanesi e 1800 Greci nel regno, con -una colonia nella Corsica; oltre i molti che servono nei porti di -Venezia, Trieste e Livorno.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note91"> -<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>.  </span>Anna Paleologo, vedova dell’ultimo imperatore di Costantinopoli, -sfuggita allo sterminio della patria, approdò con molti -signori greci nella maremma toscana, e chiese a Siena il diroccato -castello di Montacuto col suo distretto, promettendo rifabbricarlo -fra cinque anni e starvi con almeno cento famiglie. Si -pattuì dunque che il nuovo castello e ’l distretto s’intendessero -del comune di Siena, il quale custodisce la rôcca, eccetto una -porta, per la quale l’imperatrice potesse ad un bisogno rifuggirvi; -questa e i suoi giurerebbero fedeltà alla Repubblica senese, -e alla cattedrale offrirebbero ogn’anno un cero di otto libbre, e -per dieci anni un tributo di cinque lire alla camera di Bicherna; -il seguito di lei potesse levare in Orbitello il sale per proprio -uso, a soldi dieci lo stajo: le si concedevano due bandite, una da -ridurre a vigneti, l’altra per pascoli, bastante almeno a cento -paja di bovi. Ella nominerebbe due uffiziali greci che per trent’anni -renderebbero ragione a quella colonia nel civile e nel -criminale secondo le leggi degli imperatori greci, solo nelle pene -uniformandosi agli statuti di Siena, come pure nei pesi e nelle -misure. Avrebbero per tutto il contado esenzione di gabelle; e -se alcuno abbandonasse il suo domicilio dì Montacuto, la Repubblica -li rifarebbe delle spese di fabbrica e degli utensili che vi -lasciasse. La cosa fu approvata il 28 aprile 1474; ma la carta -che riferisce questo fatto, taciuto dagli storici e inquinato da -altri dubbj, non dice per quali cagioni non ebbe seguito una -combinazione che avrebbe risanato que’ deserti paludigni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note92"> -<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>.  </span>La prima, di Menze, stampata a Venezia il 1500; il secondo, -dal ragioniere Gottugli, pure pubblicato in Venezia.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note93"> -<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>.  </span>Nelle missioni in Germania, in Baviera, in Ungheria gli -era stato compagno, per destinazione dei papi, san Giacomo di -Montebrandone nella Marca, acclamatissimo per miracoli, austera -vita e conversioni. All’impresa di Belgrado andò pure -Luigi Scarampa, patriarca di Aquileja e commendatario di -Montecassino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note94"> -<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>.  </span>All’invito del papa, il doge parlò nel gran consiglio: — Signori. -No se move foglia d’albero senza ’l voler de Dio. Considerè -che, se questo Stato è vegnudo a tanta grandezza, questo -è processo per volontà de Dio, più che per nostro senno e -per le nostre forze. Chi crede che le cose contra ’l Turco fosse -passade sì ben, se non fosse concorso la volontà de Dio? Voltemo -la mente a Dio e alla so Madre, e ringraziamola dei benefizj -che la ne fa ogni zorno; e sforzemose de far quello che la -ne comanda, e posponemo li odj e la invidia. Se faremo così, -Dio prospererà questo Stato da ben in meglio. Sora ’l tutto, no -se partimo dalle elemosine, dalle orazion e dal far giustizia. El -Cardinal Niceno ne ha presentà ona bolla del papa, che è stà -letta a l’eccellenze vostre; la Signoria e i savj de colegio ne ha -domandà l’anemo nostro su quello che ’l papa ne scrive. Avemo -resposto, che dependemo dal voler della signoria vostra. Ve preghemo -che considerè qual è ’l meglio della terra. Fè orazion, -elemosine, lassè da banda le passion, e deliberè ’l vostro ben. -Priego la bontà de Die umelment, perchè <i>humilitas vincit -omnia</i>, che ne inspira a deliberar quel che è onor so e servizio -vostro».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note95"> -<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>.  </span>Enea Silvio era stato per alcun tempo vescovo di Trieste; -onde il dottor Rossetti di questa città raccolse quanto potè di -scritti e memorie di quel pontefice, e ne fece dono alla pubblica -biblioteca.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note96"> -<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>.  </span>Ap. <span class="smcap">Raynaldi</span>, al 1471, § 9.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note97"> -<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>.  </span>Sabellico, <i>Dec</i>. <span class="smcap lowercase">III</span>. l. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note98"> -<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>.  </span>«Tutto ciò che di male è stato nella benedetta Firenze, -da nulla cosa è proceduto se non dal volere gli ufficj, e poi avuti, -ciascuno volerli per sè tutti e cacciarne il compagno..... Sotto -colori di guelfi e ghibellini, si sono ammoniti gli uomini non ad -altro fine che per avere per sè gli ufficj: e per questo fu trovato -l’ammonire ed il confinare e il porre a sedere e il divieto degli -ufficj: e per ogni uomo che ha guadagnato d’ufficj, mille n’hanno -perduto, senza l’anima e le inimicizie che per l’ufficio e nell’ufficio -sono acquistate... E quand’uno s’è trovato ne’ luoghi, non -ha pensato se non come disfare chi a diritto o a torto sentenza -contro lui ha renduta... Tutti i discendenti s’accozzavano di -voler essere capitano di parte per ammonire; e quando erano -in ufficio, i capitani si ristringeano insieme, e diceano uno all’altro: -<i>Non ha’ tu alcuno nemico, a cui tu vogli far noja?</i> e -così raccozzati, ciascuno mettea il suo o i suoi, e poi a una fava -faceano il partito, e il guelfo come il ghibellino era ammonito». -Questi lamenti del buon Coppo Stefani (<i>Rubrica</i> 923) s’attagliano -ad altri tirannelli del tempo nostro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note99"> -<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>.  </span>Simbolo di questa varietà è il Palazzo vecchio, sotto i -cui sporti merlati sono gli stemmi della repubblica e de’ sestieri; -cioè, pe’ Ghibellini il giglio bianco in campo rosso, o piuttosto -il giaggiòlo o <i>ireos</i>, il quale co’ suoi fiori incorona le mura di -Firenze; pe’ Guelfi il giglio rosso in campo bianco; la croce -rossa in campo bianco, adottata per la riforma di Giano della -Bella; le chiavi d’oro incrociate su campo turchino, con cui la -parte guelfa attestò la sua devozione a santa Chiesa. I sestieri -ebbero per insegna, quello d’Oltrarno il ponte, San Pier Scheraggio -il carroccio, Borgo Santi Apostoli l’ariete, San Pancrazio -una branca di leone, porta del Duomo il duomo, San Piero le -chiavi. Nei vani degli sporti della torre del Palazzo vecchio sono -dipinti gli stemmi de’ quartieri; cioè, Oltrarno, colomba bianca -con raggi d’oro; Santa Croce, croce d’oro; Santo Maria Novella, -sole a raggi d’oro; San Giovanni, tempio ottagono; tutti in -campo azzurro.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note100"> -<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>.  </span>Il famoso canonista ed erudito Lapo da Castiglionchio ebbe -saccheggiata la casa in Firenze, donde riuscì a fuggire travestito -da frate. Allora «fu mandato a confine a Barzellona; e -chi l’uccidesse fuori di Barzellona, avesse dal Comune di Firenze -fiorini mille d’oro; e chi ’l menasse preso, possa trarre di -bando uno sbandito cui e’ vorrà, o rubello ch’egli vorrà nominare». -(ap. <span class="smcap">Mehus</span>). Egli si fermò a Padova, dov’ebbe una cattedra -di diritto ecclesiastico. Di lui si hanno a stampa le <i>Allegazioni</i> -(Firenze 1568), e un’epistola sulla nobiltà, e se sia più utile -nascer nobile o plebeo (Bologna 1753). Continuò a mestare nelle -cose della patria, ed anche i suoi figli; mal per loro, che n’ebbero -punizioni severissime. Vedi <span class="smcap">Ammirato</span>, <i>Storie fiorentine</i>, -al 1391.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note101"> -<p><span class="label"><a href="#tag101">101</a>.  </span>Sono parole degli storici; pure consta dai registri che nel -1366 egli era podestà a Mantigno nel podere degli Ubaldini, e -nel 77 a Firenzuola.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note102"> -<p><span class="label"><a href="#tag102">102</a>.  </span>«Quest’operazione (dell’escludere le due arti nuove) fu -giustissima, giacchè in quell’ordine di persone non si poteano -trovare, se non per un caso singolare, persone atte al governo: -mancanti di educazione e di lumi, non si conciliavano con alcun -mezzo la stima del pubblico, ond’era stato un grand’errore -creare due nuove arti della più vile canaglia, e parificarle alle -altre negli onori». <span class="smcap">Ammirato</span>, lib. <span class="smcap lowercase">XIV</span>. Eccede, poichè le due -arti erano state create appunto per cernire dalla <i>canaglia</i> quelli -che per virtù e senno meritavano di non restar esclusi dalle -magistrature.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note103"> -<p><span class="label"><a href="#tag103">103</a>.  </span>È narrato che il vescovo Tarlati d’Arezzo incaricò Buonamico -Buffalmacco di dipingere un’aquila viva addosso a un leon -morto, volendo inferire la superiorità de’ Ghibellini sopra Firenze. -Buffalmacco fecesi fare un chiuso d’assi e tende, e dipinse -tutto il contrario, il leone soprastante all’aquila; poi fingendo -andare per colori, non tornò più. Apertosi e trovata la burla, il -vescovo a smaniarne e bandirlo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note104"> -<p><span class="label"><a href="#tag104">104</a>.  </span>Quando i Fiorentini tolsero i castelli degli Ubaldini, Franco -Sacchetti applaudì con una canzone rimasta inedita fin al 1853: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fiorenza mia, poi che disfatti hai</p> -<p class="i02"> Le cerbïatte corna (<i>loro stemma</i>)</p> -<p class="i02"> Della superba e crudele famiglia,</p> -<p class="i02"> Festa dèi far più che facessi mai...</p> -<p class="i02"> Però che molti fur, tardi o per tempo,</p> -<p class="i02"> Rubati a questi passi,</p> -<p class="i02"> Ed ancor morti antichi di ciascuno,</p> -<p class="i02"> Chè non si taglia bosco, selva o pruno</p> -<p class="i02"> Che non v’abbia cataste</p> -<p class="i02"> Di teste e membra guaste...</p> -<p class="i02"> Ed Alemagna sola</p> -<p class="i02"> Più ch’altri dee goder di lor ruina,</p> -<p class="i02"> Perchè gli suo’ romei sentian rapina...</p> -<p class="i02"> Così Inghilesi, Fiamminghi e Franceschi...</p> -<p class="i01">Meglio è che vinto aver la Santa Terra</p> -<p class="i02"> Aver vinto costoro</p> -<p class="i02"> Tra cui viandanti convenian passare...</p> -</div></div> - -<p> -Dello stesso è pure una canzone contra il duca di Milano, ove -dettogliene a gola, conchiude: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A tutti quei che voglion giusta fama</p> -<p class="i02"> E tengon libertà, ch’è tanto cara</p> -<p class="i02"> Come sa chi per lei vita rifiuta,</p> -<p class="i02"> Canzon, non istar muta,</p> -<p class="i02"> Che se tal biscia ora non si disface,</p> -<p class="i02"> Non pensi Italia mai posar in pace.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note105"> -<p><span class="label"><a href="#tag105">105</a>.  </span>Alla qual peste si riferisce il caso di Ginevra degli Almieri. -Sposa da pochi mesi, ella morì e fu sepolta, ma rinvenne e uscì -dalla tomba: andò dal marito, andò dai parenti, e nessuno la -volle ricevere, credendola l’ombra di lei che domandasse suffragi; -ond’ella ricoverò da Antonio Rondinelli che l’aveva amata, e -che la ricevè e risanata sposò. Scopertosi il caso, la curia vescovile -dichiarò che, essendo ella stata abbandonata per morta, -il primo matrimonio era sciolto, teneva il secondo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note106"> -<p><span class="label"><a href="#tag106">106</a>.  </span>L’Ammirato, il quale condanna i Pisani, deplora che -«Pisa s’andava tuttodì vuotando dei proprj cittadini, non soffrendo -il loro altiero animo, non ostanti tanti benefizj, di star -sudditi a’ Fiorentini». Ci sono descritti dallo stesso Gino Capponi -il tumulto de’ Ciompi, e l’acquisto di Lucca, che pajonmi -delle più belle e nobili storie di nostra favella. Nell’archivio -secreto Mediceo sta una lettera 14 gennajo 1431 dei dieci di -balìa al commissario di Pisa, ove conchiusero: «Qui si tiene -per tutti, che ’l principale e più vivo modo che dare si possa -alla sicurtà di cotesta città, sia di vuotarla di cittadini pisani; e -noi n’abbiamo tante volte scritto costì al capitano del popolo, -che ne siamo stanchi; e rispondeci ora l’ultimo, essere impedito -dalla gente dell’arme, e non avere il favore del capitano (Cotignola). -Vogliamo che tu ne sia con lui, ed intenda bene ogni -cosa, e diate modo <i>con usare ogni crudeltà ed asprezza</i>. Abbiamo -fede in te, e confortiamti a darvi esecuzione prestissima, che -cosa più grata a tutto questo popolo non si potrebbe fare» -</p> - -<p> -Negli scrittori pisani recenti sono a vedere le incolpazioni -atroci date al governo di Firenze, sin d’avere per decreto peggiorato -l’aria di Pisa onde disabitarla.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note107"> -<p><span class="label"><a href="#tag107">107</a>.  </span><span class="smcap">Targioni</span>, <i>Viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 221.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note108"> -<p><span class="label"><a href="#tag108">108</a>.  </span>Non è superfluo mostrare i patti con cui il Comune di -Lucca si diede a Carlo di Boemia nel 1333. Esso manderebbe -un buon vicario, assegnandogli un salario fisso, di là del quale -non possa nulla pretendere per sè o sua famiglia, cavalli ed uffiziali -suoi; de’ quali pure sia prefisso il numero. Il salario è -fissato in quattromila fiorini d’oro, dei quali deve stipendiare -due giudici rinomati, tre buoni compagni, dodici donzelli, sedici -ragazzi, un cuoco e due guatteri, venti cavalli. Esso vicario -osservi le leggi e gli statuti di Lucca, e solo per furto, omicidio, -falso incendio, tradimento possa far mettere alla tortura; non -introduca prestiti o imposte o mutui o dazj, nè gli accresca; non -possa fare spesa alcuna se non col consenso degli anziani, nè -cominciar guerra; le cause civili e criminali si giudichino dalle -solite curie, senza ch’egli vi s’intrometta. Gl’impieghi si diano -al modo antico e a soli cittadini. Egli prepari pedoni e cavalli -stipendiarj, ma che contrattino col Comune: le rendite di questo -vadano nella cassa civica. Possa il vicario assistere al consiglio -degli anziani; ma ciò che ottiene sette voti, si ritenga stabilito. -Il re non voglia dare la città a chi altri si sia. <i>Docum. per servire -afta storia di Lucca</i>, I. 278.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note109"> -<p><span class="label"><a href="#tag109">109</a>.  </span>Morto Lionello duca di Modena nel 1440, Lucca occupò -alcune terre della Garfagnana: Borso la respinse, anzi le tolse -alcuni paesi: poi per interposizione di Firenze e ad arbitramento -di Nicola V nel 1451 quelle rimasero al ducato, che ne formò la -vicarìa di Frassalico, levando l’intralciatissima spartizione della -Garfagnana bassa.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note110"> -<p><span class="label"><a href="#tag110">110</a>.  </span>Il discorso è riferito da Giovan Cavalcanti, di poco posteriore. -Rousseau ebbe l’idea di scrivere la storia di Cosmo de’ -Medici. «Era (diceva a Bernardino Saint-Pierre) un semplice -privato, che divenne sovrano de’ suoi concittadini col renderli -più felici; non si elevò e non si mantenne che per mezzo dei -benefizj». -</p> - -<p> -Esiste il catalogo delle preziosità appartenenti a Pietro de’ Medici -nel 1464, che in medaglie, anelli, cammei, suggelli, tavole -antiche di pietra o di metalli, sono stimati fiorini d’oro duemila -seicentoventiquattro; i vasi preziosi e altre cose di valuta, ottomila -centodieci; varie gioje, diciassettemila seicentottantanove; -oltre gli argenti. <i>Appendice alla vita di Lorenzo il Magnifico</i> -del <span class="smcap">Roscoe</span>. Esso Lorenzo nei <i>Ricordi</i> scrive: — Gran somma di -denari trovo abbiamo speso dall’anno 1434 in qua, come appare -per un quadernuccio in-quarto da detto anno fin a tutto il 1471: -si vede somma incredibile, perchè ascende a fiorini seicentosessantatremila -settecencinquantacinque, tra muraglie, limosine -e gravezze, senza l’altre spese; di che non voglio dolermi, perchè, -quantunque molti giudicassero averne una parte in borsa, -io giudico essere gran lume allo Stato nostro, e pajonmi ben -collocati, e ne sono molto ben contento».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note111"> -<p><span class="label"><a href="#tag111">111</a>.  </span>Giovanni di ser Cambi reca la lista delle case grandi -fiorentine al 1494 e assegna agli Altoviti sessantasei uomini, -sessanta ai Rucellaj, cinquantatrè agli Strozzi, sessantacinque -agli Albizzi, trentacinque ai Ridolfi, e così ai Capponi, ventisei -ai Cavalcanti, e via là. Tra le antiche famiglie vanno ricordati -i Bardi, che spesso ebbero nimistà coi Frescobaldi, massime -nel 1340, allorchè li calmò il venerabile vecchione Matteo dei -Marradi podestà. Cacciato il duca d’Atene, anche i Bardi furono -espulsi a furor di popolo e bruciate ventidue loro case. Dianora -de’ Bardi fu amata da Ippolito de’ Buondelmonti; ma, attesa -l’inimicizia delle due famiglie, non potè che sposarla in segreto. -Andava da lei la notte per una scala a corda; nel qual atto sorpreso -dal bargello, fu arrestato per ladro, ed egli, anzichè mettere -a repentaglio l’onore della fanciulla, lasciasi condannare -a morte. Sol chiese che, nel condurlo al supplizio, si passasse -davanti la casa de’ Bardi, volendo, diceva, in quell’estremo -punto riconciliarsi colla famiglia sempre odiata. Ma ecco Dianora -sbucarne scarmigliata, confessando: — Egli è mio sposo, e -unica colpa di lui l’esser venuto a trovarmi». Si sospende il -supplizio, si ripiglia la causa davanti al podestà, ove perorando -Dianora stessa, facilmente si convinsero giudici e popolo, e si -finì colle nozze pubbliche de’ due amanti e la pace fra le loro -famiglie.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note112"> -<p><span class="label"><a href="#tag112">112</a>.  </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Cerchi chi vuol le pompe e gli alti onori,</p> -<p class="i01">Le piazze, i templi e gli edifizj magni,</p> -<p class="i01">Le delizie, i tesor, <i>qual accompagni</i></p> -<p class="i01">Mille duri pensier, mille dolori.</p> -<p class="i02"> Un verde praticel pien di bei fiori,</p> -<p class="i01">Un rivolo che l’erba intorno bagni,</p> -<p class="i01">Un augelletto che d’amor si lagni,</p> -<p class="i01">Acqueta molto meglio i nostri ardori;</p> -<p class="i02"> L’ombrose selve, i sassi e gli alti monti,</p> -<p class="i01">Gli antri oscuri e le belve fuggitive,</p> -<p class="i01">Qualche leggiadra ninfa paurosa.</p> -<p class="i02"> Quivi vegg’io con pensier vaghi e pronti</p> -<p class="i01">Le belle luci come fosser vive;</p> -<p class="i01">Là me le toglie or questa or quella cosa.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note113"> -<p><span class="label"><a href="#tag113">113</a>.  </span><span class="smcap">Schroeck</span>, <i>Allgem. Geschichte</i>, vol. <span class="smcap lowercase">XXXII</span>, p. 90.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note114"> -<p><span class="label"><a href="#tag114">114</a>.  </span>«Nel 1424 fu ucciso Braccio de Montone;... e per questa -cagione ne fu fatto gran festa e letitia in Roma de fuochi e de -ballare; et ogni Romano giva con la torcia a cavallo ad accompagnare -M. Jordano Colonna fratello di papa Martino, perchè -era morto l’inimico del papa; e morti che furono questi, rimase -papa Martino senz’alcun altro impaccio, e mantenea nel suo -tempo pace e divitia, e venne lo grano a soldi quaranta lo -rubbio». <span class="smcap">Infessura</span>, <i>Diario</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note115"> -<p><span class="label"><a href="#tag115">115</a>.  </span><span class="smcap">Vespasiano</span>, <i>Comment</i>., p. 279.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note116"> -<p><span class="label"><a href="#tag116">116</a>.  </span>Et a dì 19 de jennaro de martedì, fu impiccato uno Stefano -Porcaro in castello, in quello torrione che sta quando vai in là -a mano destra; e viddelo io vestito di nero, in gipetto e calze -nere. Se perdette quell’huomo da bene et amatore dello bene -e libertà di Roma, lo quale, perchè si vide senza cascione esser -stato sbannito da Roma, volse, per liberar la patria soa da servitute, -metter la vita sua, come fece lo corpo suo... Et in quel -dì furono impiccati nelle forche di Campitolio senza confessione e -comunione gl’infrascritti... Item con essi fu impiccato Sao e molti -altri... Et in quel tempo furono ancora pigliati Mr Joanni... Adì -28 gennajo fu impiccato Francesco Gabadio et uno dottore, -perchè accompagnarono Mr Stefano Porcari, e dissesi che avevano -notitia dello detto trattato. E dopo andò uno bando, che -chi sapesse dove sta... lo dovessino rivelare, e guadagnavano -mille ducati, e chi li dava morti cinquecento. E lo papa fece cercare -per tutta Italia per questi delinquenti... furon pigliati chi -a Padua, chi in Venetia... et a molti fu tagliata la testa alla -città di Castello. A dì 30 di jennaro fu impiccato Battista de -Persona ». <span class="smcap">Infessura</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note117"> -<p><span class="label"><a href="#tag117">117</a>.  </span>Delle lettere tengo l’edizione preziosa, fatta in Milano per -maestro Ulderico Scinzenzeler il 1496. In queste è la troppo -famosa storia degli amori della Lucrezia senese con Eurialo -tedesco al seguito dell’imperatore Sigismondo, dipinti coi colori -del Boccaccio. Delle altre lettere, molte illustrano assai i tempi. -<i>Æneæ Silvii Piccolominei senensis, qui post adeptum pontificatum -Pius, ejus nominis secundus, appellatus est, opera quæ -extant omnia</i>. Basilea 1551. Opere capitali sono: <i>De gestis concilii -Basiliensis commentarium; De ortu et historia Bohemorum; -Europa, in qua sui temporis varias historias cumplectitur</i>. -Scrive bene, quantunque con troppa frequenza di frasi o d’emistichi. -Nella prefazione al Concilio di Basilea dice: — Non so -quale sciagura o qual destino mi spinga così, che non valgo a -distrarmi dalla storia, nè il tempo più utilmente consumare. -Soventi mi proposi togliermi a questi allettamenti de’ poeti ed -oratori, ed altro esercizio seguire, donde cavar alcuna cosa che -mi renda men grave la vecchiezza, per non dover vivere alla -giornata come gli uccelli e le fiere. Nè studj mancavano, nei -quali se avessi voluto concentrar le forze, avrei potuto e danari -e amici procacciare. Nè a ciò mi persuadeva da me solo, ma -m’erano intorno gli amici, dicendomi di continuo: <i>Orsù, che fai -Enea? Ti occuperà la letteratura finchè campi? A quest’età non ti -vergogni di non aver poderi, non danaro? Non sai che a vent’anni -bisogna esser grande, a trenta prudente, a quaranta ricco, -e chi passa questi confini indarno poi s’affatica?</i> Mi consigliavano -dunque che, instando già il quarantesimo anno, cercassi -posseder qualche cosa, prima che quello entrasse. Spesso vi posi -mano, e promisi fare secondo il consiglio; buttai via i libri oratorj, -buttai le storie e tutte siffatte letture, nemiche alla mia -salute. Ma come certi volanti non sanno fuggire il fuoco della -candela finchè non v’abbrucino l’ali, così io torno al mio male, -dov’è forza ch’io pera; nè, a quanto vedo, altri che la morte non -mi torrà questo studio. Ma giacchè il destino mi trascina, nè -quel che voglio posso, bisogna congiungere la volontà al potere. -Mi si rinfaccia la povertà; ma e povero e ricco devono vivere fin -alla morte. Se è misera la povertà ai vecchi, è miserrima agli -illetterati. Aver corpo sano e integra mente è dato al povero -non men che al ricco; se questo ottengo, null’altro chiedo. Goder -quello che ho in buona salute mi conceda Dio, e prego di poter -condurre una vecchiaja con mente sana e non indecorosa nè -senza cetra. E giacchè così sta fitto nell’animo, torniamo ai -commentarj nostri».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note118"> -<p><span class="label"><a href="#tag118">118</a>.  </span>La distinzione stessa faceva in quel suo motto famoso: -<i>Quand’ero Enea, nessun mi conoscea; or che son Pio, ciascun mi -chiama zio</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note119"> -<p><span class="label"><a href="#tag119">119</a>.  </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Il nome che d’apostolo ti denno</p> -<p class="i02"> O d’alcun minor santo i padri, quando</p> -<p class="i02"> Cristiano d’acqua, non d’altro ti fenno,</p> -<p class="i01">In Cosmico, in Pomponio vai mutando;</p> -<p class="i02"> Altri Pietro in Pierio, altri Giovanni</p> -<p class="i02"> In Jano e in Giovian van racconciando</p> -<p class="i09"> <span class="smcap">Ariosto</span>, <i>Satira</i> <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note120"> -<p><span class="label"><a href="#tag120">120</a>.  </span>È caratteristico l’elogio che gli fa Gaspare Veronese: -<i>Novi ego quod suorum codicum largissimus semper fuit, alienorum -vero verecundissimus postulator, nec non suorum aliis -commodatorum lentissimus repetitor</i>. Ap. <span class="smcap">Marini</span>, <i>Degli archiatri -pontifizj</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 179.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note121"> -<p><span class="label"><a href="#tag121">121</a>.  </span><i>Cronaca di Gubbio</i>, Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XXI</span>. f. 994.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note122"> -<p><span class="label"><a href="#tag122">122</a>.  </span>Che ciò fosse con intelligenza di Francesco Sforza suo -suocero è asserito da Machiavelli e da quasi tutti i contemporanei, -i quali diceano averlo lo Sforza menato alla beccheria, e -Ferdinando esserne stato il boja: ma vittoriosamente li confutano -i documenti che pubblicò il Rosmini nella <i>Storia di Milano</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note123"> -<p><span class="label"><a href="#tag123">123</a>.  </span>Racconta Gioviano Pontano, <i>Belli neapolitani, lib</i>. <span class="smcap lowercase">V</span>, che, -mentre Ferdinando di Napoli assediava una rôcca sotto Mondragone -aderente agli Angioini, e per difetto d’acqua l’avea -ridotta all’estremo, alcuni empj sacerdoti procurarono le pioggie -con arti magiche. Trovarono alquanti giovani arditissimi, che di -notte per difficilissime vie uscirono fin al lido, e quivi bestemmiarono -un crocifisso con ogni peggior maledizione, quivi gettaronlo -in mare, imprecando tempesta al cielo, al mare, alle -terre. Al tempo stesso i sacerdoti presero un asino, e come a -moribondo gli dissero le preghiere degli agonizzanti, lo comunicarono, -e fattegli le esequie, il sepellirono vivo davanti alla -porta della chiesa. Ed ecco subito annuvolarsi, tempestar il -mare, farsi bujo il cielo, e tuoni e folgori e nembi e diluvio di -pioggie, sicchè abbondantemente provvista la rôcca, Ferdinando -se ne dovette levare. -</p> - -<p> -In tali estremi, la sapiente Roma antica sepelliva un uomo e -una donna.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note124"> -<p><span class="label"><a href="#tag124">124</a>.  </span>Di quelli della sua patria fa l’enumerazione il Malipiero -negli <i>Annali veneti</i> sotto il 1483: — È stà tolto cenventottomila -ducati all’una per cento, deputati a pagar el pro del Monte -Nuovo: è stà cresciuto un terzo tutti i dazj; è stà impegnato -tutte le volte de Rialto a rason de ventotto per cento all’anno; -e stà pagato in zeca i argenti de particulari, sie ducati la -marca; è stà tolto le cadenelle d’oro che le donne portava al -collo, e messe in comun. Se fa li officj e regimenti con la metà e -un terzo manco de salario. Oltre tante decime, è stà messo -tanse a la terra; le entrate de la terra e quelle de la terraferma -è calade; se ha perso molte nave e galìe; se ha tolti homeni de -la guerra nudi e rotti, perchè no se ha possuto far altro; se ha -evacuato l’arsenal che altre volte ha fatto tremar el mondo; -avemo fame e peste; mendicheremo la pace e ghe restituiremo -el tolto; se ha speso un milion e dusentomila ducati; ed è morti -tanti homeni da ben».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note125"> -<p><span class="label"><a href="#tag125">125</a>.  </span><span class="smcap">Infessura</span>, <i>Diario</i>, pag. 1226.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note126"> -<p><span class="label"><a href="#tag126">126</a>.  </span>Pietro Aretino scriveva al Franciotto nell’aprile 1548, -cioè mezzo secolo prima di quell’Enrico IV di Francia, a cui il -fatto viene attribuito: — Se bene jeri l’altro, per esserci il -numero delle persone che si stavano a casa mia, meco ragionando, -non feci motto alcuno circa il vostro ridere nel vedermi -in mezzo di Adria e di Austria le figlie mie; nel vedermi, dico, -dalle braccia dell’una d’anni undici stretto nel collo, e dalle -mani dell’altra di otto mesi preso nella barba; non è che io non -me ne accorgessi, e me lo tacqui allora per dirvi adesso una -bella cosa in comparazione di quella mia tenera sofferenza. -Lorenzo e Giuliano, quello padre di Leone, questo di Clemente, -standosi trapassando il tempo del caldo al Poggio, accadde un -giorno, poco dopo il desinare, ch’eglino per fuggire il sonno essendosi -ritirati in camera, venutegli alle mani due canne, se ne -fecero cavalli, e salendo l’uno sopra l’una, e l’altro sopra l’altra, -volse Giuliano che gli montasse in groppa Giulio, e Lorenzo che -il simile facesse Giovanni; e così spronando ciascuno senza i -sproni pareano proprio ispronargli daddovero; talchè i bambini -tutti ridenti, quel piacere nella loro innocenzia provavano, che -prova in la sua tenerezza ogni genitore che la di lui prole trastulla. -Videgli in cotal atto quel Mariando, che poi ebbe il titolo -di Frate dal piombo; e ridendosene da senno, fu chiamato dentro -dai personaggi sì grandi; i quai pregarono il faceto e leale -uomo, che non prima facesse motto dello avere i due fratelli (i -quali poi furon padre di cotale coppia di pontefici) trovati in tal -materia di scherzo, non prima, dico, ch’egli avesse figliuoli; -inferendo in sì prudente voce di parole, che la minore dimostrazione -di semplicità che si faccin coloro che ne hanno, è lo impazzirgli -drieto». -</p> - -<p> -Il fatto però non è esatto, poichè Giulio nacque postumo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note127"> -<p><span class="label"><a href="#tag127">127</a>.  </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Atque aliud nigris missum, quis credat? ab Indis,</i></p> -<p class="i01"><i>Ruminat insuetas armentum discolor herbas.</i></p> -<p class="i12"> <span class="smcap">Poliziano</span>, <i>Rusticus</i>.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note128"> -<p><span class="label"><a href="#tag128">128</a>.  </span>Angelo Poliziano a Lorenzo de’ Medici: — Magnifice Patrone. -Da Ferrara vi scripsi l’ultima. A Padova poi trovai alcuni -buoni libri, cioè Simplicio sopra al Cielo. Alexandro sopra la -Topica, Giovan Grammatico sopra le Posteriora et li Elenchi, -uno David sopra alcune cose de Aristotele, li quali non habbiamo -in Firenze. Ho trovato anchora uno scriptore greco in Padova, -et facto el patto a tre quinterni di foglio per ducato. Maestro -Pier Leone mi mostrò i libri suoi, tra i quali trovai un M. Manilio -astronomo et poeta antiquo, el quale ho recato meco a -Vinegia, et riscontrolo con uno in forma che io ho comprato. È -libro, che io per me non ne viddi mai più antiqui. Similiter ha certi -quinterni di Galieno <i>De dogmate Aristotelis et Hippocratis</i> in -greco, del quale ci darà la copia a Padova, che si è facto pur -frutto. In Vinegia ho trovato alcuni libri di Archimede et di Herone -mathematici che ad noi mancano, et uno Phornuto <i>De deis</i>, -e altre cose buone. Tanto che papa Yanni ha che scrivere per -un pezzo. -</p> - -<p> -«La libreria del Niceno non abbiamo potuto vedere. Andò -al principe messer Aldobrandino oratore del duca di Ferrara, -in cujus domo habitamus. Fugli negato a lettere di scatole; -chiese però questa cosa per il conte Giovanni et non per me, che -mi parve bene di non tentare questo guado col nome vostro. -Pure messer Antonio Vinciguerra, et messer Antonio Pizammano, -uno di quelli due gentilhuomini philosophi che vennono -sconosciuti a Firenze a vedere el conte, et un fratello di -messere Zaccheria Barbero sono drieto alla traccia di spuntare -questa obstinatione. Farassi el possibile; questo è quanto a’ -libri. -</p> - -<p> -«M. Piero Lioni è stato in Padova molto perseguitato, et non -è chiamato nè quivi nè in Vinegia a cura nissuna. Pure ha -buona scuola, et ha sua parte favorevole; hollo fatto tentare -dal conte di ridursi in Toscana. Credo sarà in ogni modo difficil -cosa. In Padova sta mal volentieri, et la conversatione non li -può dispiacere, ut ipse ait. Negat tamen se velle in Thusciam -agere. Nicoletto verrebbe a starsi a Pisa, non vorrebbe un beneficio, -hoc est, un di quelli canonicati; ha buon nome in -Padova, et buona scuola. Pure, nisi fallor, è di questi strani -fantastichi; lui mi ha mosso questa cosa di beneficj: siavi -adviso. -</p> - -<p> -«Visitai stamattina messer Zaccheria Barbero, et mostrandoli -io l’affectione vostra, mi rispose sempre lagrimando, et ut -visum est, d’amore; risolvendosi in questo, in te uno spem esse; -ostendit se nosse quantum tibi debeat. Sicchè fate quello ragionaste, -ut favens ad majora. Quello legato che torna da Roma, -et qui tecum locutus est Florentiæ, non è punto a loro proposito, -ut ajunt. Un bellissimo vaso di terra antiquissimo mi mostrò -stamattina detto messer Zaccheria, el quale nuovamente di -Grecia gli è stato mandato; e mi disse, che sel credessi vi piacessi, -volentieri ve lo manderebbe con due altri vasetti pur di -terra. Io dissi che mi pareva proprio cosa da V. M., et tandem -sarà vostro. Domattina farò fare la cassetta, et manderollo con -diligentia. Credo non ne abbiate uno sì bello in eo genere. È -presso che tre spanne, et quattro largo. El conte ha male negli -occhi, et non esce di casa, nè è uscito poichè venne a Vinegia. -</p> - -<p> -«Item visitai hiersera quella Cassandra Fidele letterata, et -salutai per vostra parte. È cosa mirabile, discretissima, et meis -oculis etiam bella. Partimmi stupito. Molto è vostra partigiana, -et di voi parla con tutta practica, <i>quasi te intus et in cute norit</i>. -Verrà un dì in ogni modo a Firenze a vedervi, sicchè apparecchiatevi -a farle honore. -</p> - -<p> -«A me non occorre altro per hora, se non solo dirvi che questa -impresa di scrivere libri greci, et questo favorire i docti vi -dà tanto honore et gratia universale, quanto mai molti e molti -anni non ebbe uomo alcuno. I particolari vi riserbo a bocca. -A. V. M. mi raccomando sempre. Non ho ancora adoperata la -lettera del cambio per non essere bisognato. Venetiis 20 junii -1491».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note129"> -<p><span class="label"><a href="#tag129">129</a>.  </span>Lettera di Pietro da Bibiena a Clarice de’ Medici, ap. <span class="smcap">Roscoe</span>, -<i>Vita di Lorenzo</i>, app. 7ª del vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. -</p> - -<p> -Ad esso Lorenzo scriveva Ferdinando re di Sicilia, il 23 -agosto 1488: — Magnifice vir, compater et amice noster carissime. -Non era necessario che da voi fossemo rengratiati per -lettera de vostra mano di quello che ho offerto in beneficio di -mess. Joanni vostro figlio, perchè sape Dio lo animo et la voluntà -nostra, quanto desidereressimo fare tutte le cose del mondo -per usarvi gratitudine per quello havete continuamente operato -in beneficio nostro et de questo Stato, del quale sempre potete -fare quella stima che fareste delle cose vostre medesime, perchè -li obblighi che ne havimo così recercano, et mai ve porìamo -offerire tanto in beneficio vostro et della casa vostra, che ne para -havere satisfacta una millesima parte de quello è lo animo et -desiderio nostro di fare: secundo speramo per experientia, -omni dì porite conoscere più manifestamente».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note130"> -<p><span class="label"><a href="#tag130">130</a>.  </span>Watson (<i>Massonic essayist</i>. Londra 1797, pag. 238) sostiene -che l’accademia platonica era una loggia muratoria, e che vi -sono ancora scolpiti dei simboli massonici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note131"> -<p><span class="label"><a href="#tag131">131</a>.  </span><i>Phœnix, sive ad artificialem memoriam comparandam -brevis quidem et facilis, sed re ipsa et studio comprobata introductio.</i> -Venezia 1491.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note132"> -<p><span class="label"><a href="#tag132">132</a>.  </span>E non dal Crisolara, come fa ragionevolmente avvertire il -Tonelli nella traduzione della vita di esso scritta da Shepherd; -Firenze 1835. Erasmo giudica molto severamente il Poggio, -definendolo <i>rabula adeo indoctus, ut, etiamsi vacaret obscænitate, -tamen indignus esset qui legeretur: adeo autem obscænus, ut, -etiamsi doctissimus esset, tamen esset a viris bonis rejiciendus.</i> -Ep. <span class="smcap lowercase">CIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note133"> -<p><span class="label"><a href="#tag133">133</a>.  </span><i>Si quando visendi desiderio in longinquum proficiscerer, -visis forte eminus monasteriis veteribus, divertebam illico, et — Quid -scimus</i> (<i>inquam</i>) <i>an hic aliquid eorum sit quæ cupio?</i> -Senil., <span class="smcap lowercase">VI</span>. 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note134"> -<p><span class="label"><a href="#tag134">134</a>.  </span>Commento al canto <span class="smcap lowercase">XXII</span> del <i>Paradiso</i>. Il fatto è dimostrato -falso dal Tosti nella storia di Montecassino, dove la -libreria fu sempre uno de’ più cercati ornamenti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note135"> -<p><span class="label"><a href="#tag135">135</a>.  </span><i>O romani pontifices, exemplum facinorum omnium cæteris -pontificibus, et improbissimi scribæ et pharisæi, qui sedetis -super cathedram Moysis et opera Datan et Abyron facitis, -itane vestimenta, apparatus, pompa, equitatus, omnis denique -vita Cæsaris vicarium Christi docebit?... Nec amplius horrenda -vox audiatur, partes contra Ecclesiam, Ecclesia contra Perusinos -pugnat, contra Bononienses. Non contra Christianos pugnat -Ecclesia, sed papa</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note136"> -<p><span class="label"><a href="#tag136">136</a>.  </span><i>Universa in me civitas conversa est, omnes me diligunt, -honorant omnes, ac summis laudibus in cœlum efferunt. Meum -nomen in ore est omnibus. Nec primarii cives modo, cum per -urbem incedo, sed nobilissimæ fœminæ honorandi mei gratia -locum cedunt; tantumque mihi deferunt, ut me pudeat tanti -cultus. Auditores sunt quotidie ad quadringentos, vel fortassis -et amplius; et hi quidem magna in parte viri grandiores, et ex -ordine senatorio</i>. Epist. del 1428. Vedi la costui vita scritta da -Carlo Rosmini, Milano 1808, con moltissimi documenti inediti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note137"> -<p><span class="label"><a href="#tag137">137</a>.  </span>Nella Laurenziana v’è una sua <i>Oratio habita in principio -publicæ lectionis, quam domi legere aggressus est, quum per invidos -publice nequiret</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note138"> -<p><span class="label"><a href="#tag138">138</a>.  </span>Se quel verso -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Βούλομ’ ἐγὼ σάον λαὸν ἔμμεναι, ἢ ἀπολέσθαι</p> -</div></div> - -<p> -significhi <i>Voglio che il popolo sia salvo o perisca, oppure Voglio -che il popolo sia salvo o perire.</i> Il Filelfo s’accorse che aveano -torto entrambi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note139"> -<p><span class="label"><a href="#tag139">139</a>.  </span>Vedasi l’<i>epistola</i> 52 del lib. <span class="smcap lowercase">X</span>. Di Gio. Maria Filelfo suo -figlio, retore anch’esso inquietissimo e premorto al padre, scrisse -la vita Guglielmo Favre. Ginevra 1856.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note140"> -<p><span class="label"><a href="#tag140">140</a>.  </span><span class="smcap">Naldo Naldi</span>, <i>Vita di G. Manetti</i>, Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note141"> -<p><span class="label"><a href="#tag141">141</a>.  </span><i>Operis quippe ac studii mei est et fuit multos libros legere, -et ex plurimis diversos carpere flores.</i> Al fine:<i> Mihi non bene -scienti linguam græcam</i> non vuol dire che la ignorasse, come -pretende Eichhorn.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note142"> -<p><span class="label"><a href="#tag142">142</a>.  </span><span class="smcap">Giulini</span>, <i>Continuazione delle Memorie di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>, 594.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note143"> -<p><span class="label"><a href="#tag143">143</a>.  </span><i>Liber consiliorum</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III. IV. XIII</span>, nell’archivio civico di -Torino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note144"> -<p><span class="label"><a href="#tag144">144</a>.  </span><span class="smcap">Tommasi</span> al 1430.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note145"> -<p><span class="label"><a href="#tag145">145</a>.  </span>È l’espressione del Bonfinio, <i>Rerum Hungaric.</i>, -dec. <span class="smcap lowercase">IV</span>: Pannoniam Italiam alteram reddere conabatur.... -<i>Varias quibus olim carebat artes, eximiosque artifices ex Italia -magno sumptu evocavit... olitores, cultores hortorum, agriculturæque -magistros, qui caseos etiam latino, siculo, græco more -conficerent</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note146"> -<p><span class="label"><a href="#tag146">146</a>.  </span>Vespasiano, Ap. <span class="smcap">Mehus</span>, <i>Præf. ad vitam Ambrosii camaldolensis</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note147"> -<p><span class="label"><a href="#tag147">147</a>.  </span>Vita di B. Valori, nell’<i>Archivio storico</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 241.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note148"> -<p><span class="label"><a href="#tag148">148</a>.  </span><span class="smcap">Pio II</span>, <i>Descrizione dell’Europa</i>, cap. 52.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note149"> -<p><span class="label"><a href="#tag149">149</a>.  </span><span class="smcap">Lami</span>, <i>Catalogo della biblioteca Riccardiana</i>, pag. 11.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note150"> -<p><span class="label"><a href="#tag150">150</a>.  </span><i>De educatione liberorum</i>. Milano 1491.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note151"> -<p><span class="label"><a href="#tag151">151</a>.  </span>Sprezzando di tutto cuore i Barbari, il Poliziano gl’invita -ad ammirare le bellezze e i pregi degl’Italiani, ove mostra di -conoscere in che consiste il merito, anzichè qual fosse il merito -vero degli Italiani: <i>Admirentur nos, sagaces in inquirendo, circumspectos -in explorando, subtiles in contemplando, in judicando -graves, implicitos in vinciendo, faciles in enodando. Admirentur -in nobis brevitatem styli fœtam rerum multarum atque magnarum, -sub expositis verbis remontissimas sententias, plenas -questionum, plenas solutionum; quam apti sumus, quam bene -instructi ambiguitates tollere, scrupulos diluere, involuta evolvere -flexanimis syllogismis, et infirmare falsa, et vera confirmare. -Viximus celebres, et posthac vivemus, non in scholis grammaticorum -et pædagogiis, sed in philosophorum coronis, in conventibus -sapientum, ubi non de matre Andromaches, non de Niobes -filiis, atque id genus levibus nugis, sed de humanarum divinarumque -rerum rationibus agitur et disputatur. In quibus meditandis, -inquirendis et enodandis ita subtiles, acuti acresque -fuimus, ut anxii quandoque nimium et morosi fuisse forte -videamur, si modo esse morosus quispiam aut curiosus nimio -plus in indaganda veritate potest</i>. Epist. lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note152"> -<p><span class="label"><a href="#tag152">152</a>.  </span>Ap. <span class="smcap">Rosmini</span>, <i>Storia di Milano</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>. 224.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note153"> -<p><span class="label"><a href="#tag153">153</a>.  </span>Leonardo Giustinian veneto, amico del Filelfo e degli -altri celebri, oltre i lavori filologici fece molti canti d’occasione -e di gioja, che poi furono pubblicati col titolo di <i>Fiori delle elegantissime -cancionete</i> (Venezia 1482); e le accompagnava anche di -graziose note. Voltosi poi alla pietà, pubblicò le <i>Devotissime et -sanctissime laude</i> (Cremona 1474), più volte ristampate. Per la -prima volta nel 1851 si pubblicarono a Lucca le <i>Laude spirituali</i> -di Bianco da Siena povero gesuato.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note154"> -<p><span class="label"><a href="#tag154">154</a>.  </span>Si volle supporre non sia che un capitolo dell’opera di -Leon Battista Alberti: ma altri crede che questi possa nella -sua avere inserito il trattato del Pandolfini.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note155"> -<p><span class="label"><a href="#tag155">155</a>.  </span><i>Senilium</i>, <span class="smcap lowercase">XV</span>. 5; <i>Familiarium</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 4. <span class="smcap lowercase">IV</span>. 9. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 6; <i>Hort. ad -Nicolam Laurentii</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note156"> -<p><span class="label"><a href="#tag156">156</a>.  </span>Il manoscritto d’Arona, che sta nella biblioteca di Torino, -e che da un’assemblea di dotti erasi giudicato antico di cinque -secoli, Daunou e Hase, valentissimi paleografi, nol fanno anteriore -al secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>. Galeani Napione, poi De Gregory (<i>Mém. sur -le véritable auteur de l’Imitation de Jésus-Christ</i>, 1827; e -<i>Histoire du livre de l’Imitation de Jésus-Christ et de son véritable -auteur</i>, Parigi 1843) sostennero i diritti del Gersenio di -Vercelli. A provarlo d’un Tedesco si addusse testè quel passo -del lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>. c. 5, ove dice che il sacerdote, vestito dei sacri arredi, -ha davanti e di dietro la croce del Signore. Ora la pianeta -degli Italiani e de’ Francesi non ha la croce che di dietro. -</p> - -<p> -Celebrandosi il suo centenario nel 1874 ed ergendosegli un -monumento, si pubblicarono molti opuscoli in favore dell’abate -Gersenio.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note157"> -<p><span class="label"><a href="#tag157">157</a>.  </span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 12.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note158"> -<p><span class="label"><a href="#tag158">158</a>.  </span>Narrando che Federico II aveva imposto alcun dazj nuovi -senza attribuirne un terzo alla Chiesa, soggiunge che l’anima -di lui <i>requiescit in pice et non in pace</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note159"> -<p><span class="label"><a href="#tag159">159</a>.  </span><span class="smcap">Alidosi</span>, <i>Instructione</i> ecc. Forse questi tentativi avevano -dato coraggio a Leonardo da Vinci di fare un modello col quale -«mostrava voler alzare il tempio di San Giovanni di Firenze e -sottomettervi le scalee senza rovinarlo». <span class="smcap">Vasari</span>, <i>Vita</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note160"> -<p><span class="label"><a href="#tag160">160</a>.  </span>La sua opera è stampata «sulle rive del Benáco, nel -quale si pescano i migliori carpioni, e le cui rive sono sparse di -belle antichità». Uno de’ trattatelli suoi è intitolato: <i>Modus -solvendi varios casus figurarum quadrilaterarum rectangularum -per viam algebræ. Nº</i> cioè <i>numero</i>, indica il noto; <i>Co</i> cioè -cosa, l’incognito; il quadrato <i>Ce</i> (censo); il cubo, <i>Cu</i>; <i>p</i> ed <i>m</i> -vagliono + e -. Dove oggi scriviamo 3<i>x</i> + 4<i>x</i><sup>2</sup> - 5<i>x</i><sup>3</sup> + 2<i>x</i><sup>4</sup> - 6, -allora facevasi 3 <i>co.</i> <i>p.</i> 4 <i>ce. m.</i> 5 <i>cu. p.</i> 2 <i>ce. m.</i> 6 <i>Nº</i>. -</p> - -<p> -Guglielmo Libri farebbe il + e il - inventati da Leonardo -da Vinci; mentre Chasles (<i>Aperçu historique sur l’origine et le -développement des méthodes en géométrie</i>, Bruxelles 1837), gli -attribuisce a Stiffels. -</p> - -<p> -«E perchè noi seguitiamo per la maggior parte Lionardo -Pisano (Fibonacci), io intendo di chiarire che quando si porrà -alcuna proposta senza autore, quella sia di detto Lionardo». -Queste parole della <i>Summa de arithmetica geometria</i> purghino -il Pacioli dalla taccia datagli di plagiario.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note161"> -<p><span class="label"><a href="#tag161">161</a>.  </span>In Francia si cominciò nel 1376; solo nel 1556 Carlo V -otteneva dai dottori di Salamanca la decisione che ai Cattolici -non fosse illecito aprire umani cadaveri.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note162"> -<p><span class="label"><a href="#tag162">162</a>.  </span>Nel <span class="smcap lowercase">XV</span> secolo v’è menzione di pesti, in Dalmazia il 1416, -20, 22, 30, 37, 54, 64, 66, 80; nella Lombardia e Genovesato, -il 1405 e 6; in Napoli, Milano ed altre parti d’Italia, il 1421 e -22; nel 21 a Bologna e Brescia; nel 28 a Roma; nel 29 e 30 a -Perugia e altrove; nel 38 a Venezia e altrove; nel 48 nell’alta -Italia; poi nel 50, 56, 60, 65, 68, 73, 75, 76, 78, 85: dal 92 al 95 -la peste marrana, tifo navale, sviluppatosi fra gli Ebrei cacciati -di Spagna contaminò tutta Europa. Scaligero contro Cardano -dice che a Parigi, Colonia, Famagosta, Venezia, Ancona la peste -ripullula così frequente, che può dirsi perpetua.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note163"> -<p><span class="label"><a href="#tag163">163</a>.  </span><i>Quamquam per civitates, domus qua hospitalia vocantur, -et supellectiles sumptibus publicis paratæ structæque videantur -elephantiacis suscipiendis. — De elephantia</i>. Ne’ secoli seguenti -se ne parla pochissimo, ma non dovette scomparire del tutto: -poi questi ultimi anni rivoltavi l’attenzione, fu riscontrata in -molte parti, e più miserabilmente nella popolazione pescatrice -di Comacchio, col nome di mal di fegato. Vedi <i>Sulla lebbra</i>, Commentario -del <span class="smcap">D. A. Verga</span>. Milano 1846. -</p> - -<p> -Fallopio nel 1550 trovava che in Francia ancora molti erano -affetti di lebbra; ma in Italia rimanevano rarissimi, e gli ospedali -di San Lazzaro erano vuoti, mentre crescevano quelli di San -Giobbe per gl’infraciosati. <i>De morbo gallico</i>, c. <span class="smcap lowercase">I. III</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note164"> -<p><span class="label"><a href="#tag164">164</a>.  </span>Diconsi palimsesti (πάλιν φηστὸς, <i>di nuovo raschiato</i>). Ciò -si costumava già dagli antichi, e Cicerone (<i>Famil</i>., <span class="smcap lowercase">VII</span>, 18) scrive: -<i>Quod in palimsesto, laudo equidem parsimoniam; sed miror -quod in illa chartula fuerit quod delere malueris, quam exscribere, -nisi forte tuas formulas. Non enim puto te meas epistolas -delere ut deponas tuas. An hoc significas nil fieri? frigere te? ne -chartam quidem tibi suppeditare?</i> Il primo palimsesto cui si facesse -mente, fu alla biblioteca del re di Francia nel 1692, ed era -un manoscritto delle opere di sant’Efrem. -</p> - -<p> -Finchè s’ebbe carta papiracea, su quella si stesero gli atti -pubblici. I più antichi d’Italia su carta pecora sono una concessione -di re Liutprando del 712 nell’archivio di Milano, e uno del -784, ove Felice vescovo di Lucca conferma la donazione di Faulone -al monastero di san Fridiano. Il più antico atto sopra carta -bambagina è del 1145 in Sicilia, ove re Ruggero II fa concessioni -all’abate di San Filippo di Fragola. Nell’archivio delle Riformagioni -di Firenze trovasi un diploma in greco del 1192, in cui -Isacco Langelo imperatore ammette i Pisani alla pace colle -terre di Romania.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note165"> -<p><span class="label"><a href="#tag165">165</a>.  </span>Plutarco (in <i>Catil</i>.) le fa inventare da Cicerone all’occasione -della congiura di Catilina. Cicerone scrivendo ad Attico -(lib. <span class="smcap lowercase">XIII</span>) gli dice: — Tu non avrai forse intesa quella cosa perchè -scritta διὰ σεμνῶν, per segni». Altri ne dicono autore Tirone -suo liberto, da cui si chiamarono tironiane; e Dione Cassio -(lib. LV) asserisce che Mecenate fece pubblicare queste note per -Aquila suo liberto. Celebri tachigrafi antichi furono Perunnio, -Pilargio, Pannio, e infine Seneca. San Cipriano aggiunse altre -note alle già inventate, e tutte le adattò all’uso della religione. -Prudenzio nell’inno di san Cassiano canta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Verta notis brevibus comprendere cuncta peritus</i></p> -<p class="i02"> <i>Raptimque punctis dicta præpetibus sequi.</i></p> -</div></div> - -<p> -Origene, sant’Agostino, san Girolamo parlano dei tachigrafi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note166"> -<p><span class="label"><a href="#tag166">166</a>.  </span>Nel catalogo dei libri lasciati dal cardinale Guala al monastero -di Sant’Andrea a Vercelli troviamo una biblioteca (cioè -l’intera Bibbia) di lettera <i>parigina</i>, coperta di porpora e ornata -di fiori d’oro ed iniziali simili; un’altra di lettera <i>bolognese</i>, con -cuojo rosso; una di lettera inglese; una piccola preziosa di lettera -parigina, con majuscole d’oro e ornamenti purpurei; -l’Esodo e il Levitico di lettera <i>antica</i>; i dodici Profeti in un volume -di lettera <i>lombarda</i>; i <i>Morali</i> del beato Gregorio, di -<i>buona lettera antica aretina</i> ecc. <span class="smcap">Fava</span>, <i>Gualæ Bichierii card. vita</i>, -pag. 175.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note167"> -<p><span class="label"><a href="#tag167">167</a>.  </span>Il padre Sarti (<i>De prof. bonon</i>., part. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 214) pubblicò -un catalogo di libri in vendita a Bologna; per esempio, <i>Lectura -domini Ostiensis</i> <span class="smcap lowercase">CLVI</span> <i>quinterni, taxati lib.</i> <span class="smcap lowercase">II</span>. <i>sol</i>. <span class="smcap lowercase">X</span>. <i>etc</i>. Un -messale ornato a lettere d’oro e pitture, nel 1240, valse più di -duecento fiorini (<i>Ann. Camald</i>., vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>. p. 349). Un <i>Digestum -vetus</i> a Pisa si vendette lire sedici (L. 127). Forse dunque non -costavano cari se non quando miniati.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note168"> -<p><span class="label"><a href="#tag168">168</a>.  </span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. l. 1. c. <span class="smcap lowercase">IV</span>. § 19.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note169"> -<p><span class="label"><a href="#tag169">169</a>.  </span>Nell’inventario de’ possessi del vescovado di San Martino -di Lucca dell’<span class="smcap lowercase">VIII</span> o <span class="smcap lowercase">IX</span> secolo la biblioteca è così composta: -Eptaticum, vol. 1. Salomon, vol. 1. Machabeorum, vol. 1. Actus -apostolorum, vol. 1. Prophetarum, vol. 1. Librum officiorum, -vol. 1. Dialogorum, vol. 1, Vita... Ezechiel, vol. 1. Omeliarum, -vol. 1. Commentarium super Mattheum, vol. 1. Commentarium -aliud... vol. 2. Ordo ecclesiasticus, vol. 1. Rationes Pauli, vol. 1. -Antiphonarium, vol. 2. Psalterium, vol. 1. Vita sancti Martini, -vol. 1. Vita sancti Laurentii cum memoria sancti Fridiani, -vol. 1. -</p> - -<p> -Nel 1212 Ugo, tesoriere della cattedrale di Novara, divenendo -arciprete, facea la riconsegna degli oggetti che trovavansi nel -tesoro del capitolo: fra cui notiamo un collettario gemmato con -figura d’avorio, un cristallo rotondo donde si trae il fuoco, e venticinque -volumi di libri da altare, cioè due messali, quattro antifonarj, -tre testi del vangelo, quattro omeliarj, un sermonale, due -epistolarj, un passionario estivo ed uno iemale, due collettarj, -l’ordine, due salterj, la Bibbia, il Vecchio Testamento; e nell’armadio -quarantotto libri, fra cui i morali di Giob, Agostino -sopra Giovanni, le Etimologie di Isidoro, la storia ecclesiastica, -un volume della prescienza e predestinazione, le Decretali, il -Codice e le Novelle di Giustiniano, i pronostici del futuro giudizio, -Prisciano, Cresconio <i>Della concordia de’ canoni</i>, un martirologio, -Boezio <i>Della consolazione</i>, Marciano Capella, le vite dei -Padri.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note170"> -<p><span class="label"><a href="#tag170">170</a>.  </span><span class="smcap">Marini</span>, <i>Degli archiatri pontifizj</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 130.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note171"> -<p><span class="label"><a href="#tag171">171</a>.  </span>«Milatrecenquaranta fur fatti la folla di tutti i Santi, e il -lavorerio di panno, lane e carta di papiro. Del qual lavoro di -carta di papiro primo inventor presso Padova e Treviso fu Pace -da Fabriano, che per l’amenità dell’acque stette la più vita in -Treviso». Nel 1318 un notajo promette non fare istromento in -carta di bambage, nè da cui siasi abrasa altra scrittura; un altro, -nel 31, di non iscrivere in carta bambagina; poi nel 67 di non -iscrivere su carta siffatta nè papiro. Il senato veneto del 1366 -stabilì che «pel bene dell’arte della carta che si fa a Treviso, -e reca grand’utile al nostro Comune, in nessun modo possano -levarsi stracci di carta (<i>stratie a cartis</i>) dalla Venezia per -portarli altrove che a Treviso».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note172"> -<p><span class="label"><a href="#tag172">172</a>.  </span>Nell’Archivio diplomatico fiorentino, carte del Comune di -Colle; ap. <span class="smcap">Repetti</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note173"> -<p><span class="label"><a href="#tag173">173</a>.  </span>Reputavasi la più antica incisione in legno il san Cristoforo, -sotto cui è scritto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Xtofori faciem die quacumque tueris</i></p> -<p class="i01"><i>Illa nempe die morte mala non morieris</i></p> -<p class="i08"> <i>millesimo</i> <span class="smcap lowercase">CCCXX</span> <i>tertio</i>.</p> -</div></div> - -<p> -Ma il signor di Reiffenberg, direttore della biblioteca reale di -Bruxelles, acquistò una Madonna con varj santi, intaglio colla -data 1318. Vedi pure <span class="smcap">W. A. Chatto</span>, <i>Treatise on vood engraving -historical and practical</i>. Londra 1839, con ducento belle vignette.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note174"> -<p><span class="label"><a href="#tag174">174</a>.  </span>I Feltrini pretendono che Pamfilo Castaldi, loro concittadino -e buon umanista, conosciuti gli studj del Guttenberg per -istampare, a Faust suo discepolo additasse che si potrebbe far -meglio che con tavolette stereotipe, cioè formar le lettere distinte, -come quelle che già si usavano dai mercanti per far le iniziali e -intestazioni sui loro libri. Si parlò molto questi ultimi anni di tale -gloria; ma l’asserzione del cronista frate Cambiuzzi non è appoggiata -a nessun documento. I meriti del Guttenberg sono chiariti -da Ambrogio Firmin Didot nella <i>Nouvelle Biographie générale</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note175"> -<p><span class="label"><a href="#tag175">175</a>.  </span><i>Annali della stampa in Italia.</i> -</p> - -<ul> -<li>1465. Subiaco.</li> -<li>1467. Roma.</li> -<li>1469. Venezia, Parigi, Milano, il poema sacro di Aratore e le epistole latine di uomini illustri: ma non sono ben sicuri; bensì <i>Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene Maria</i> per Filippo Lavagna, che portò la stampa a Milano, con Antonio Zarotto e Cristoforo Valdarser.</li> -<li>1470. Verona, Foligno, Pinerolo, Brescia.</li> -<li>1471. Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze, Napoli, Savigliano.</li> -<li>1472. Mantova, Parma, Padova, Mondovì, Jesi, Fivizzano, Cremona.</li> -<li>1473. Messina.</li> -<li>1474. Torino, Genova, Como, Savona.</li> -<li>1475. Modena, Piacenza, Barcellona, Cagli, Casole, Perugia, Pieve di Sacco, Reggio di Calabria.</li> -<li>1476. Pogliano, Udine. Primo libro greco a Milano.</li> -<li>1477. Ascoli, Palermo.</li> -<li>1478. Cosenza, Colle.</li> -<li>1479. Tuscolano, Saluzzo, Novi.</li> -<li>1480. Cividale, Nonantola, Reggio.</li> -<li>1481. Urbino.</li> -<li>1482. Aquila, Pisa.</li> -<li>1484. Soncino, Chambéry, Bologna, Siena, Rimini.</li> -<li>1485. Pescia.</li> -<li>1486. Chivasso, Voghera, Casalmaggiore.</li> -<li>1487. Gaeta.</li> -<li>1488. Viterbo.</li> -<li>1490. Portese.</li> -<li>1495. Scandiano.</li> -<li>1496. Barco.</li> -<li>1497. Carmagnola, Alba.</li> -</ul> -</div> - -<div class="footnote" id="note176"> -<p><span class="label"><a href="#tag176">176</a>.  </span><span class="smcap">Serra</span>, <i>Discorso</i> <span class="smcap lowercase">IV</span>, pag. 215.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note177"> -<p><span class="label"><a href="#tag177">177</a>.  </span>Impressa per <i>magistrum Dionysium Paravisinum</i> con -caratteri, dicesi, fusi da Demetrio Cretese. A Milano si stampò -nell’80 Esopo e Teocrito; nell’81 il Psalterio greco. Vedasi -<span class="smcap">Humphreys</span>, <i>A history of the art of printing</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note178"> -<p><span class="label"><a href="#tag178">178</a>.  </span>Renouard scrisse, negli <i>Annales des Aldes</i>, che -<i>Manuce occupa et occupera longtemps et sans aucune exception -le premier rang parmi les imprimeurs anciens et modernes.</i> La -lode parve esagerata a Firmin Didot, che dice doverglisi eterna -riconoscenza per l’attività adoprata a pubblicare tanti classici, -e per la bella esecuzione tipografica; ma lo appunta di scarsa -correzione, e allega un passo di lettera, ove Aldo dice d’essere -così occupato, che appena ha tempo, non che di correggere, di -scorrere i libri che stampa: <i>Vix credas quam sim occupatus. -Non habeo certe tempus, non modo corrigendi, ut cuperem, diligentius -qui excusi emittuntur libri cura nostra, sed ne perlegendi -quidem cursim</i>. Di lui discorse pienamente esso Ambrogio Firmin -Didot nell’<i>Alde Manuce et l’Hellenisme à Venise</i>. Parigi 1875.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note179"> -<p><span class="label"><a href="#tag179">179</a>.  </span>Il primo libro in Italia ove il disegno figurasse bene -negli intagli stampati insieme coi caratteri, o, come diciamo oggi, -illustrato, è l’<i>Ypnerotomachia</i>, per Aldo, nel 1499, con belle figure -che sono del Mantegna o almeno della sua maniera. Sono -a tratti, e l’ombra è indicata da linee più o men lunghe. Ma già -le favole d’Esopo, stampate a Verona il 1481 e a Venezia il -1490 con intagli, e quelle di Napoli del 1485 in 4º grande, ne -hanno 87, però grossolani. Nel 1497 maestro Lorenzo de’ Rossi -di Ferrara stampò molti libri, con figure a tratti, quali la -<i>Vita et epistole di sancto Jeronimo</i>; il Boccaccio <i>De claris mulieribus</i>, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note180"> -<p><span class="label"><a href="#tag180">180</a>.  </span>Esiste il contratto tra il celebre frà Jacopo Filippo Foresti -e lo stampatore Bernardino Benaglio di Bergamo per -l’edizione del supplemento alle <i>Cronache</i> d’esso frate, il 7 gennajo -1483. Dovevano stamparsi in Venezia a non più di seicentocinquanta -copie; l’autore promette rilevarne ducento a novanta -marchetti per copia. Egli intendeva dedicar l’opera al magnifico -Marcantonio Morosini nobile veneto «se lui vole exborsare -sedici ducati per lo correctore; et casu quo non pagasse ditti -sedici ducati, non ge la debba intitulare, sed a chi parerà a -ditto frate Jacopo Filippo». Realmente la intitolò alla città di -Bergamo, che gli regalò cinquanta ducati d’oro, da lui adoperati -a vantaggio del proprio convento. <span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. -l. c. <span class="smcap lowercase">IV</span>. §32.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note181"> -<p><span class="label"><a href="#tag181">181</a>.  </span>I privilegi concessi ad Aldo furono pubblicati da Armand -Baschet. Venezia 1867.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note182"> -<p><span class="label"><a href="#tag182">182</a>.  </span>Nell’archivio di Siena, <i>Denunzie</i> del 1491, Bernardino -di Michelangelo Cignoni scrive: — Pell’arte mia non si fa niente; -pell’arte mia è finita, per l’amore dei libri, che li fanno in forma -che non si miniano più».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note183"> -<p><span class="label"><a href="#tag183">183</a>.  </span><i>Tachygraphia veterum exposita et illustrata ab</i> <span class="smcap">Ulrico -Fred. Knopp</span>. Manheim 1817, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. Sì poco sperava nella riconoscenza -de’ contemporanei, che vi antepose questa scoraggiata -dedica<i>: Posteris hoc opusculum, æqualium meorum studiis -forte alienum, do, dico atque dedico.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note184"> -<p><span class="label"><a href="#tag184">184</a>.  </span>Tripudiamo anche noi col bibliotecario Maj, allorchè, di -sotto ai versi di Sedulio, gli apparve Cicerone: <i>O Deus immortalis! -repente clamorem sustuli. Quid demum video? En Ciceronem, -en lumen romanæ facundiæ, indignissimis tenebris -circumscriptum! Agnosco deperditas Tullii orationes; sentio -ejus eloquentiam ex his latebris divina quadam vi fluere, abundantem -sonantibus verbis, uberibusque sententiis.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note185"> -<p><span class="label"><a href="#tag185">185</a>.  </span>Vedi <span class="smcap">Sacchetti</span>, <i>Nov</i>. 178; e le canzoni di esso pubblicate -nel <i>Giornale arcadico</i>, febbrajo 1819. Della mania d’imitar le -foggie e i parlari stranieri move lamenti anche il Petrarca. Vedi -<span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XXV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note186"> -<p><span class="label"><a href="#tag186">186</a>.  </span><i>Storia fiorentina</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note187"> -<p><span class="label"><a href="#tag187">187</a>.  </span>Historia di Conforto Pulice. <i>Rer. It. Script</i>., tom. <span class="smcap lowercase">XIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note188"> -<p><span class="label"><a href="#tag188">188</a>.  </span>Il gallo era lo stemma di Murano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note189"> -<p><span class="label"><a href="#tag189">189</a>.  </span><i>Cronaca veneziana</i>, § 266. A Venezia era un magistrato -suntuario, i provveditori sopra le pompe.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note190"> -<p><span class="label"><a href="#tag190">190</a>.  </span><i>Delizie degli eruditi</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>. 162.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note191"> -<p><span class="label"><a href="#tag191">191</a>.  </span><span class="smcap">V. Du Cange</span> <i>ad vocem</i>. Egli cavò questo cerimoniale da -un manoscritto di Cambrai.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note192"> -<p><span class="label"><a href="#tag192">192</a>.  </span><i>Paradiso</i>, canto <span class="smcap lowercase">XIV.</span> 104.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note193"> -<p><span class="label"><a href="#tag193">193</a>.  </span>Lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 36.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note194"> -<p><span class="label"><a href="#tag194">194</a>.  </span>Vedi <span class="smcap">Pezzana</span>, <i>Storia di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. doc. <span class="smcap lowercase">X. XV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note195"> -<p><span class="label"><a href="#tag195">195</a>.  </span>Nelle <i>Antichità estensi</i>, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>, p, 376, può leggersi la -distinta del ricchissimo corredo che Giulia della Rovere figlia -del duca d’Urbino portò con ventimila scadi d’oro di dote sposando -Alfonso II d’Este nel 1549.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note196"> -<p><span class="label"><a href="#tag196">196</a>.  </span>Del 1192, nel <i>Codice Eceliniano</i> del Verci.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note197"> -<p><span class="label"><a href="#tag197">197</a>.  </span><i>Conto de’ tesorieri generali di Savoja</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note198"> -<p><span class="label"><a href="#tag198">198</a>.  </span><i>Dummodo prædicta Lucia marito suo per carnalem copulam -se non commisceat, sine speciali licentia in scriptis; nec -cum alio viro rem habeat, nobis exceptis, si forte cum ea coire -libuerit aliquando</i>. Manoscritto dell’archivio Trivulzio.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note199"> -<p><span class="label"><a href="#tag199">199</a>.  </span><span class="smcap">Ghirardacci</span>, <i>St. di Bologna</i> al 1313.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note200"> -<p><span class="label"><a href="#tag200">200</a>.  </span><span class="smcap">Di Costanzo</span>, <i>St. di Napoli</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note201"> -<p><span class="label"><a href="#tag201">201</a>.  </span>Anche quando Carlo V volle nel 1536 salire all’apertura -della cupola del Panteon a Roma, un tal Crescenzi, che ve l’accompagnò, -disse a suo padre essergli venuto il pensiero di buttarlo -giù, per vendetta del sacco di Roma. E il padre: — Figliuol -mio, queste cose si fanno e non si dicono». <i>Relazione del -sacco di Roma</i>, manoscritto nella Vaticana.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note202"> -<p><span class="label"><a href="#tag202">202</a>.  </span><span class="smcap">Blanqui</span>, <i>Hist. de l’économie politique</i>, introd. — Vedi -l’<i>Appendice</i> IX.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note203"> -<p><span class="label"><a href="#tag203">203</a>.  </span><span class="smcap">Landino</span>, <i>Apologia de’ Fiorentini</i>; <span class="smcap">Varchi</span>, <i>Storia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>. -Secondo il Dati, <i>Cronaca</i>, p. 128, i Fiorentini nella guerra -</p> - -<table class="gener"> - <tr> - <td>col papa dal 1395 al 68 spesero</td> <td class="center">fiorini d’oro</td> <td class="num">2,500,000</td> - </tr> - <tr> - <td>nella seconda contro il conte di Virtù dal 1375 al 98</td> <td class="center">»</td> <td class="num">1,800,000</td> - </tr> - <tr> - <td>nella terza dal 1401 al 4</td> <td class="center">»</td> <td class="num">2,500,000</td> - </tr> - <tr> - <td>nella guerra di Pisa del 1405</td> <td class="center">»</td> <td class="num">1,500,000</td> - </tr> -</table> - -<p> -laonde in dieci anni di guerra avrebbero speso centrentotto milioni -de’ nostri.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note204"> -<p><span class="label"><a href="#tag204">204</a>.  </span><i>Elogio storico</i>, nella <i>Serie di uomini illustri toscani</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note205"> -<p><span class="label"><a href="#tag205">205</a>.  </span>Presso <span class="smcap">Manni</span>, <i>Illustrazione del Decamerone</i>, pag. 431.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note206"> -<p><span class="label"><a href="#tag206">206</a>.  </span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note207"> -<p><span class="label"><a href="#tag207">207</a>.  </span>Vedi i <i>Ricordi storici</i> di <span class="smcap">F. Rinuccini</span>. Firenze 1841. — Perchè -queste cifre avessero significato positivo, bisognerebbe -paragonarle con quelle d’altri paesi: ora nulla è più incerto nelle -storie che le cifre, nè più difficile che il depurarle. In un’altra -opera noi offrimmo de’ paragoni; qui diremo come un atto del -parlamento inglese del 1496 regolasse il salario del contadino -in scellini sedici, soldi otto all’anno, oltre quattro pel vestito. In -quell’anno a lady Anna, sorella del re Edoardo IV, sposata al -figlio del conte di Surrey, fu assegnato per suo «mantenimento, -decoro e tavola conveniente; e per un gentiluomo, una dama, una -donzella, una gentildonna, una guardia, tre mozzi, ottanta lire -sterline l’anno, e ventisei pel mantenimento di sei cavalli»; sicchè -a una famiglia così ben montata bastavano circa duemilaseicento -franchi d’oggi. -</p> - -<p> -Secondo Fortescue, a metà del 1400 i Francesi «non bevono -che acqua; mangiano pomi e pane di riso, non carne, o al più -un po’ di lardo o le interiora e la testa degli animali macellati -pei nobili e pei mercanti; non vestono lana, o al più una ruvida -giubba, e così i calzoni che arrivano appena alle ginocchia, -lasciando nude le gambe. Donne e fanciulli vanno scalzi». -Vedi <span class="smcap">F. M. Eden</span>, <i>Storia dei poveri</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 70 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note208"> -<p><span class="label"><a href="#tag208">208</a>.  </span><span class="smcap">Giovanni Villani</span>, cap. <span class="smcap lowercase">X</span>. p. 164.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note209"> -<p><span class="label"><a href="#tag209">209</a>.  </span><i>Cronaca</i> del <span class="smcap">Graziani</span> al 1448.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note210"> -<p><span class="label"><a href="#tag210">210</a>.  </span><i>Antonii Astesani carmen</i>, cap. <span class="smcap lowercase">VIII. IX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note211"> -<p><span class="label"><a href="#tag211">211</a>.  </span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 316.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note212"> -<p><span class="label"><a href="#tag212">212</a>.  </span><i>Archivio storico</i>, <span class="smcap lowercase">XIII</span>. 53, Appendice <span class="smcap lowercase">IX</span>. 234.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note213"> -<p><span class="label"><a href="#tag213">213</a>.  </span><i>Cronaca</i> del <span class="smcap">Graziani</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note214"> -<p><span class="label"><a href="#tag214">214</a>.  </span><i>Circulus Pisanus</i>, 25.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note215"> -<p><span class="label"><a href="#tag215">215</a>.  </span>La sentenza motivata, del 1327, porta ch’egli confessò che -un uomo poteva nascere sotto una costellazione che necessariamente -lo costringeva a peccare, ed altre eresie che toglievano -a Dio la potenza e all’uomo il libero arbitrio. «E ciò reiterando -ed affermando e credendo, disse di più che Firenze era fondata -sotto il regno dell’ariete, e Lucca sotto quello del granchio; e -che per ciò, se i Fiorentini andassero contro, sarebbe avverata -la sua profezia ecc.».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note216"> -<p><span class="label"><a href="#tag216">216</a>.  </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Quis tecum consulet astra</i></p> -<p class="i01"><i>Fatorum secreta movens, aut ante notabit</i></p> -<p class="i01"><i>Successus belli dubios, mundique tumultus,</i></p> -<p class="i01"><i>Fortunasque ducum varias?</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note217"> -<p><span class="label"><a href="#tag217">217</a>.  </span><i>Storie fiorentine</i>, <span class="smcap lowercase">X</span>. 83.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note218"> -<p><span class="label"><a href="#tag218">218</a>.  </span>Vedi le sue prediche, edite dal Manni, pag. 99-105, e -specialmente quella del 7 gennajo 1303. Sta nella biblioteca -Estense un breviario manoscritto del 1480, d’elegantissima lettera -e miniatura, cui precede un calendario dove sono notati i -giorni infausti (<i>ægyptiaci</i>) e le ore, con versi a ciascun mese. Per -esempio, al gennajo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Prima dies Jani timor est, et septima vanis,</i></p> -<p class="i01"><i>Nona parit bellum, sed quinta dat hora flagellum.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note219"> -<p><span class="label"><a href="#tag219">219</a>.  </span><i>Ex conjunctione saturni et jovis in principio arietis, -quod quidem circa finem novemcentum et sexaginta contingit -annorum,... totus mundus inferior commutatur, ita quod non -solum regna, sed et leges et prophetæ consurgunt in mundo... -sicut apparuit in adventu Nabuchodonosor, Moysis, Alexandri -Magni, Nazarei, Machometi</i>. Conciliator controv., fasc. <span class="smcap lowercase">XV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note220"> -<p><span class="label"><a href="#tag220">220</a>.  </span>Nell’<i>Istoria miscella di Bologna</i>. Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, -al 1422.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note221"> -<p><span class="label"><a href="#tag221">221</a>.  </span><span class="smcap">Facio</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IX</span>; <span class="smcap">Panormita</span>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note222"> -<p><span class="label"><a href="#tag222">222</a>.  </span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>, <i>Relazione di viaggi</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>. 266.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note223"> -<p><span class="label"><a href="#tag223">223</a>.  </span><span class="smcap">Vespasiano</span>, <i>Vita di Pietro Pazzi</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note224"> -<p><span class="label"><a href="#tag224">224</a>.  </span><span class="smcap">Tristani Calchi</span>, <i>Nuptiæ Mediol. Ducum</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note225"> -<p><span class="label"><a href="#tag225">225</a>.  </span><i>Diario dell</i>’<span class="smcap">Infessura</span>. <i>Rer. It. Script</i>., part. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 1143.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note226"> -<p><span class="label"><a href="#tag226">226</a>.  </span></p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Heu nequam gens judaica,</i></p> -<p class="i01"><i>Quam dira præsens vesania.</i></p> -<p class="i01"><i>Plebs execranda!</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note227"> -<p><span class="label"><a href="#tag227">227</a>.  </span>Per esempio, un <i>Giudizio di Vulcano, Clitennestra</i>, ecc. -Vedi principalmente <span class="smcap">Magnin</span>, <i>Origini del teatro</i>, 1839.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note228"> -<p><span class="label"><a href="#tag228">228</a>.  </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, diss. <span class="smcap lowercase">XXIX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note229"> -<p><span class="label"><a href="#tag229">229</a>.  </span><span class="smcap">Nostradamus</span>, <i>Vite de’ poeti provenzali</i>; <span class="smcap">Crescimbeni</span>, -<i>Storia della vulgare poesia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. part. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 44.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note230"> -<p><span class="label"><a href="#tag230">230</a>.  </span>Quali il don Pasquale e il Cassandrino de’ Romani, la -Bonissima e il Sandrone di Modena, la Mariola di Ravenna, lo -Stenterello e le Pasquelle de’ Fiorentini, i Travaglini de’ Siciliani, -i Giovannelli de’ Messinesi, il Gianguigiolo de’ Calabresi, il -Beltrame de’ Milanesi, cambiato poi nel Meneghino, il Girolamo -e il Gianduja dei Piemontesi, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note231"> -<p><span class="label"><a href="#tag231">231</a>.  </span>Dai <i>Diarj</i> mss. di Marin Sanuto, vol. <span class="smcap lowercase">XXXII</span>, fol. 341, si -vede il lotto usato a Venezia, e disapprovato. Sotto il 22 febbrajo -1522 egli scrive: — La mattina non fu nulla da conto -nè lettera alcuna, solum si attende a serar un altro lotto di -ducati seimila, posti per Zuane Manenti sanser con ducati dieci -per uno, e a lui tre per cento di utile. Li mazor precj sono ducati -cinquecento l’uno, et sono precj... et fo serato; posto uno di -cinquemila, et do di quattromila l’uno: et domenica poi disnar -si caverà nel monastero di san Zuan e Polo... Et nota, il predicator -di san Zuan e Polo, ozi a la predica, qual è di grandissimo -onor e nome, fece assai parole su questi lotti, parlando -non è lecito, et si dovria proveder che non vadi drio. Ed io -Marin Sanuto <i>palam locutus sum omnibus</i>, che se fossi in loco -che potesse, provederia a questi lotti, e fin al serenissimo principe -mandai dir ecc. ecc.». -</p> - -<p> -Tonti, banchiere italiano stabilitosi in Francia il 1650, immaginò -una lotteria, alimentata dal ricavo del pedaggio che pagavasi -sul ponte reale di Parigi, costruito da azionisti, e il cui -ricavo distribuivasi fra i sopravviventi di essi, fino alla morte -dell’ultimo. Erano cinquantamila viglietti da quarantotto lire -ciascuno, e da ciò cominciarono quelle assicurazioni fortuite sulla -vita, che si dissero <i>tontine</i>. Con combinazioni del modo stesso si -fabbricarono San Luigi, San Rocco, San Nicola, la cupola del -Panteon ed altre chiese.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note232"> -<p><span class="label"><a href="#tag232">232</a>.  </span>San Pier Damiani, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. ep. 10, rimprovera agli ecclesiastici -la caccia, la furia di fare a dadi e a scacchi, che mutano -un sacerdote in mimo. Il Cortusio (<i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. 73) dice -che il nobil uomo signor Rizardo di Camino, <i>alla foggia de’ nobili</i>, -giocava per sollazzo agli scacchi. Galvano Fiamma scrive -che i nobili si tratteneano giocando a dadi e scacchi. Nello <i>Statuto -dell’arte di Calimala</i>, al lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. § 6: — Niuno tintore, affettatore -o riveditore lasci giucare di dì nè di notte ad alcuno -giuoco di dado o d’altro, dove alcuna cosa si possa perdere, in -sua bottega; salvo che di dì si possa giucare a tavole o a scacchi -palesemente; o a pena di lire dieci per ogni volta». Anche -lo statuto di Pisa del 1284 proibisce ogni giuoco, eccetto che in -pubblico le tavole, gli scacchi e il trucciare (<i>ad pistellandum -ova</i>) in quaresima. Pascasio Giudico, medico viaggiatore del -<span class="smcap lowercase">XVI</span> secolo, passando da Pavia vi scrisse un trattato <i>De’ giuochi -di rischio e della malattia di giocar danaro</i>; opera ove tentava -guarir se stesso, ma invano. Riferisce molti aneddoti, fra cui -d’un Veneziano che giocò la propria moglie; d’un altro che, -giocato tutta la sua vita, volle continuare anche dopo morto, ordinando -che della sua pelle si rivestisse un tavolino da giuoco, e -delle sue ossa si facessero dadi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note233"> -<p><span class="label"><a href="#tag233">233</a>.  </span><i>Fabulas scriptas in libris, qui Romanzi vocantur, vitare -debeant, quos semper odio habui</i>. Rer. It. Script., <span class="smcap lowercase">XI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note234"> -<p><span class="label"><a href="#tag234">234</a>.  </span>Lib. <span class="smcap lowercase">VIII</span>. ep. 2, 3, 5 ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note235"> -<p><span class="label"><a href="#tag235">235</a>.  </span>Leonardo Bruno scrive che Nicolò Niccoli <i>nunquam -verba duo latina, ob inscitiam linguæ stuporemque cordis ac -enervatam adulteriis mentem, conjungere potuit</i>. La prima e più -solita ingiuria che usavano tra loro, era il chiamarsi bastardi e -figli di preti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note236"> -<p><span class="label"><a href="#tag236">236</a>.  </span>Vedasi <span class="smcap">Du Cange</span> alle voci <i>Avaria, Anchoragium, Carratura, -Exclusaticum, Foraticum, Gabella, Teranium, Hansa, -Haulla, Mensuraticum, Modiaticum, Nautaticum, Passagium, -Pedagium, Plateaticum, Palifictura, Ponderagium, Pontaticum, -Portaticum, Portulaticum, Pulveraticum, Ripaticum, Rotaticum, -Teloneum, Transitura, Viaticum</i>. — <span class="smcap">Muratori</span>, <i>Antiq. -M.Æ.,</i> tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. col. 4. e seg. e 866. — <span class="smcap">Werdenhagen</span>, <i>De rebus -publicis Hanseaticis</i>, part. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 20. — <span class="smcap">Marquard</span>, <i>De jure mercatorum</i>, -lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. c. 6. — <span class="smcap">Fischer</span>, <i>Geschichte des deutschen Handels</i>, -tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 526 e seg. — <span class="smcap">Pegolotti</span> ap. Pagnini, <i>Della decima</i>, -tom. <span class="smcap lowercase">III</span>. p. 301.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note237"> -<p><span class="label"><a href="#tag237">237</a>.  </span>Nel 1233 i frati Minori di Spagna aveano scomunicato i -mercanti genovesi perchè portavano merci agli infedeli. Gregorio -IX ne li rimprovera, <i>cum non sit precipitanda excommunicationis -sententia, sed preambula discretione ferenda</i>; e vuole -non s’abbiano a considerare scomunicati se non quelli che portano -ai Saracini ferro, legnami ed altre munizioni contro i -Cristiani; solo in tempo di guerra s’ha a negar ad essi ogni cosa. -<i>Liber jurium</i>, <span class="smcap lowercase">I</span>. 930.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note238"> -<p><span class="label"><a href="#tag238">238</a>.  </span><i>Storia fiorentina</i>, lib. <span class="smcap lowercase">III</span>. c. 80.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note239"> -<p><span class="label"><a href="#tag239">239</a>.  </span><span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia politica del medioevo</i>, pag. 82. — Fin -ai tempi di Giovanni da Uzzano, cioè del 1440, un corriere di -commercio impiegava -</p> - -<table class="gener"> - <tr> - <td>da Genova</td> <td>ad Avignone</td> <td class="num">7</td> <td>in</td> <td class="num">8</td> <td>giornate</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Parigi</td> <td class="num">18</td> <td>in</td> <td class="num">22</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td>da Firenze</td> <td>a Milano</td> <td class="num">10</td> <td>in</td> <td class="num">12</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Roma</td> <td class="num">5</td> <td>in</td> <td class="num">6</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Napoli</td> <td class="num">11</td> <td>in</td> <td class="num">12</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Parigi</td> <td class="num">20</td> <td>in</td> <td class="num">23</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Genova</td> <td class="num">5</td> <td>in</td> <td class="num">6</td> <td class="center">»</td> - </tr> - <tr> - <td class="center">»</td> <td>a Londra</td> <td class="num">25</td> <td>in</td> <td class="num">30</td> <td class="center">»</td> - </tr> -</table> -</div> - -<div class="footnote" id="note240"> -<p><span class="label"><a href="#tag240">240</a>.  </span>L’albinaggio durò fin a jeri, e in qualche paese non è tolto -interamente. Al 2 agosto 1817 l’abolirono fra loro la Toscana e -Parma; al 5 gennajo 1818 e 12 gennajo 1836 essa Toscana -colla Sardegna; al 3 maggio 1816 colle Due Sicilie, colla Svezia -e Norvegia; poi nel luglio 1821 con Lucca, nell’aprile 1829 -colla Prussia, nell’aprile 1848 col Belgio; ecc.; al 10 luglio e 5 -agosto 1854 la Sardegna col granducato di Baden.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note241"> -<p><span class="label"><a href="#tag241">241</a>.  </span><i>Nova consuetudo de statutis et consuetudinibus contra -Ecclesiæ libertatem editis, tollendis.</i> -</p> - -<p> -Le costituzioni di Sicilia del 1231 comminavano pene contro -chi togliesse le robe dei naufraghi, e condannavano a restituire: -pure Carlo d’Angiò confiscò le navi de’ Crociati naufragate nel -1270. Corradino suo competitore, in un trattato del 1268 con -Siena, rinunziava al diritto di naufragio. Uno statuto a Venezia -del 1232 proibiva di porre le mani sui naufraghi di qualunque -nazione fossero, e puniva chi non restituisse entro tre giorni: -ciò non pertanto questa medesima repubblica fece un trattato -con san Luigi nel 1268 per abolire il diritto di naufragio nei -due Stati; e nel 1454 i magistrati di Barcellona erano ancora -costretti a negoziare con quei di Venezia per ottenere lo stesso -favore. -</p> - -<p> -D’ugual passo andavano le cose in Oriente: la stessa inutile -protezione delle leggi, la stessa usanza degli abitanti delle rive, -la stessa necessità di esenzioni imperiali. Il capo 46 dell’Assisa -dei cittadini del regno di Gerusalemme, attribuita al re Amalrico -II montato in trono nel 1197, non apportò che incompiuto -rimedio all’abuso, circoscrivendo la confisca ad una parte della -nave naufragata. Se i Musulmani lo praticavano contro i Cristiani, -e questi contro loro, era una conseguenza delle reciproche -ostilità. Trattati del 1265, 82, 83, 85, 90... contengono scambievoli -rinunzie.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note242"> -<p><span class="label"><a href="#tag242">242</a>.  </span>Rodoano Papanticola di Genova riceve da Otton Bono -fiorini quindici, pei quali dà in ipoteca una casa in Garignano: -<i>Locum de Galignano pignori; intrare, estimare facias, et nomine -vendicionis possidere sine decreto et cetera; et si ibi defuerit, -in aliis bonis meis adimpleatur.</i> 16 giugno 1158, cartulario del -notajo Giovanni Scriba, dov’è accennato un altro modo sommario, -qual è l’andare in possesso senza formole giuridiche e -sentenza: che trovasi pure altre volte. Ciò è più chiaro in un -atto del 1º agosto anno stesso, ove Baldo Pulpo e sua moglie -danno a Guglielmo Vento <i>locum Vulturis</i> (Voltri) <i>pignori; et si -ibi defuerit, alia bona nostra; et nisi sic observaverimus, tua -auctoritate et sine decreto consulum et nostra contradictione in -eis pro duplo intrare posse...</i>; e la moglie rinunzia al senato-consulto -Vellejano, al diritto d’ipoteca, alla legge Giulia dei -poderi inestimati. Altrettanto si stipula il 7 novembre 1158. -Vedi esso cartulario nei <i>Monum. Hist. patriæ</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note243"> -<p><span class="label"><a href="#tag243">243</a>.  </span>Buonaccorso Pitti fiorentino, dovendo avere mille fiorini -dal conte di Savoja nel 1409, fece arrestare in Firenze Giovanni -Marchiandi figlio del cancelliere di Savoja, nè lo rilasciò se non -dopo ch’ebbe dato mallevadori. Nel 1393 Amedeo VIII di Savoja -pagava milleottocento fiorini di un debito, pel quale si erano -offerti di star prigionieri i tre più grandi baroni di Savoja; nel -1409 pagava un’indennità a Pietro Colombet, ch’era stato prigione -per lui. Ap. <span class="smcap">Cibrario</span>, pag. 403. Perciò gli uomini di Racconigi -stipulavano con Manfredo marchese di Saluzzo al 12 -dicembre 1198: <i>Si ipse marchio aliquem hominem Racunisii in -fidejussione ponere voluerit, et ipse intrare noluerit, non inde -eum causare debeat</i>. Monum. Hist. patriæ. <i>Chart</i>. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note244"> -<p><span class="label"><a href="#tag244">244</a>.  </span><i>Et si civitas, communitas, castrum vel villa, post dictam -requisitionem non fecerint satisfieri... dummodo de valore rerum -habitatorum faciat plenam fidem, vel saltem per unum testem -de visu et scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices -debeant dare et concedere eis represaliam et licentiam et -potestatem liberam capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum -illius terræ. Et teneatur senator ad petitionem illius qui -privilegium represaliarum habere meruit, facere stagiri et sequestrari -personas et bona illorum qui sunt de terris et locis.</i> -Senatus populique romani statuta, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. c. 143.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note245"> -<p><span class="label"><a href="#tag245">245</a>.  </span><span class="smcap">Calvi</span>, <i>Efemer</i>., tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 613.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note246"> -<p><span class="label"><a href="#tag246">246</a>.  </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Leges municipales, pag. 206.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note247"> -<p><span class="label"><a href="#tag247">247</a>.  </span><i>Una cum hospitibus, qui per colles Alpium siti sunt pro -peregrinorum susceptione</i>. Ep. 39ª di papa Adriano a Carlo Magno -ap. <span class="smcap">Bouquet</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note248"> -<p><span class="label"><a href="#tag248">248</a>.  </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, dias <span class="smcap lowercase">XXX</span>. — Qui i mercanti sono considerati -come un corpo, e di fatto a Lucca fondavano nel 1262 -l’ospedale della Misericordia.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note249"> -<p><span class="label"><a href="#tag249">249</a>.  </span><i>Apud</i> <span class="smcap">Carli</span>, <i>Zecche d’Italia</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>, p. 173. — Nel 1308, -i Fiorentini al Comune di Lucca scriveano: <i>Quia desideramus -quod comune nostrum desiderium, quod inest nobis et vobis, felicem -sortiatur effectum, tractatum est sæpe sæpius de concordia -cum nostris mercatoribus per vos faciendo, circa spectantia ad -passagia et gabellas etc</i>. Archivio storico, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>, p. 16. Di là -(p. 20) appare che in quell’anno gli Ugolotti e i Nerli fiorentini -aveano fatto una società a Ala di Svevia per batter la moneta -di quel paese. -</p> - -<p> -L’anno stesso, venendo da Venezia a Reggio cinque balle di -panni dorati, e una di perle, anelli, panni, <i>libri</i> ed altre preziosità, -spettanti a mercanti fiorentini, furono prese da Ilo di -Cannela e Nicolò da Luni e complici. Laonde il Comune di Firenze -interessava il Comune di Reggio a procurarne la restituzione, -riflettendo quanto onore e vantaggio traesse dal passaggio -delle merci fiorentine (p. 24) Altre querele simili sono a -leggervi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note250"> -<p><span class="label"><a href="#tag250">250</a>.  </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note251"> -<p><span class="label"><a href="#tag251">251</a>.  </span>Ivi, 1501.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note252"> -<p><span class="label"><a href="#tag252">252</a>.  </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>. 1378. Vi sono pure le -promesse che altri feudatarj fanno al marchese, di tener essa -strada in buon essere. -</p> - -<p> -I Tortonesi e Genovesi nel 1233 stipulano di conservar la -strada da Gavi a Serravalle, <i>ita quod non rumpetur, nec in ea -offendetur per homines jurisdictionis Terdone... et si contrafieret, -comune Terdone faciet damnum emendari, vel illud emendabit, -et hoc donec contraria voluntas comunis Terdone appareret -per denuntiationem factam comuni Janue per dies xv antea. -Quod si strata rumpetur infra dicta loca Gavii et Serravallis -per extraneos homines, qui non essent in jurisdictione Terdone, -nec de habitantibus vel reductum habentibus in terra Janue, comune -Terdone damnum illud pro dimidia emendabit. Et comune -Terdone salvabit et assecurabit dictam stractam a Serravalle -usque Terdonam, et a Terdona usque in districtum Papiæ etc</i>. -Liber juris, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. 955. -</p> - -<p> -Manfredo, marchese di Saluzzo, aveva preso le merci dei -mercanti di Alba, col pretesto di salvarla dalle insidie degli -Astigiani: onde quelli il supplicarono a restituirle, ed esauditi -pagarono trecento lire e trecento soldi d’Asti, promettendo far -che l’arcivescovo ritirasse la scomunica lanciata per questo -eccesso, e ajutarlo nelle guerre contro gli Astigiani. 1181.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note253"> -<p><span class="label"><a href="#tag253">253</a>.  </span><span class="smcap">Scipione Ammirato</span>, <i>St. fiorentina.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note254"> -<p><span class="label"><a href="#tag254">254</a>.  </span>Valuto il tarì a franchi 2.20; la salma, a ettolitri 2.76. -Vedasi il <i>Regestum Friderici</i> nell’archivio di Napoli, pag. 309-356; -<span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Economia</i>; <span class="smcap">Bianchini</span>, <i>Storia delle finanze del -regno di Napoli</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note255"> -<p><span class="label"><a href="#tag255">255</a>.  </span>L’importanza di questo vegetale è attestata dai regolamenti -di tutti i paesi mercantili. Lo <i>Statuto di Lucca</i>, rub. <span class="smcap lowercase">CXXI</span> -(ap. <span class="smcap">Tommasi</span>, <i>Sommario</i>), proibisce di venderne, se non sia stato -riconosciuto dai deputati sopra ciò. In Genova al falsatore di -zafferano la prima volta si taglia la sinistra, la seconda è bruciato -vivo con esso zafferano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note256"> -<p><span class="label"><a href="#tag256">256</a>.  </span>Il riso proviene dall’India e dalla Cina, ma è incertissimo -il quando fu introdotto in Italia. Da un documento del <i>Codice -diplomatico arabo-siculo</i> di monsignor Airoldi, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. part. <span class="smcap lowercase">II</span>. -p. 94, risulta che nell’880 in Sicilia si fece tal raccolto di riso, -che bisognò stabilire un magazzino apposito. Il trattato di agricoltura -di Pier Crescenzi non ne fa cenno; bensì ve lo introdusse -il traduttore, che però fu di poco posteriore, cioè del 1300 cominciante. -Le tariffe di Giovanni e Luchino Visconti mettono -ancora il riso fra le spezierie; e lo importavano dall’Egitto e -dalla Spagna i Veneziani nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>. Nel reame di Napoli -pare introdotto dagli Aragonesi; e singolarmente abbiamo notizia -che i duchi d’Atri ne fecero coltivare nel piano tra gli -sbocchi del Tronto e del Pescara. Vogliono che Lodovico II di -Saluzzo recasse da Napoli il riso nel Saluzzese, dove molto produceva -nel 1525. Nel Novarese vuolsi introdotto nel 1521 dai -soldati di Carlo V. Nel Vercellese accennano la sua coltivazione -al 1552: quando anche nel basso Veronese Teodoro Trivulzio -l’introdusse nelle terre di Zevio e Palu. Nella seconda metà del -xvi secolo Lobelio vedeva vegetare il riso nella campagna milanese -mediante le acque del lago Maggiore; ma già prima il -Mattioli lo diceva «famigliarissimo nelle mense di tutta Italia». -Vedi <span class="smcap">Capsoni</span>, <i>Della influenza delle risaje sulla salute umana,</i> -Milano 1851.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note257"> -<p><span class="label"><a href="#tag257">257</a>.  </span>Pazientissimi computi fece il Pagnini, poi dietro ad esso -il Cibrario nell’opera citata; pure vacilla anch’esso, nè sempre -si appone, massime ne’ ragguagli; basti vedere la pag. 528. E -tutti gli economisti versano in somma incertezza sul valore delle -merci, perchè non si conosce bene la moneta di conto su cui valutavano -i prezzi. -</p> - -<p> -Nel <i>Liber jurium</i> di Genova, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 1170, è un inventario -delle rendite di Andora, venduta dai marchesi di Clavesana al -comune di Genova nel 1252; e vi sono specificati i frutti che i -differenti villani devono in natura; i servizj di corpo, col valore -approssimativo. Meriterebbe un commento, donde sarebbe illustrata -la condizione de’ campagnuoli, al tempo stesso che il valore -delle derrate.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note258"> -<p><span class="label"><a href="#tag258">258</a>.  </span>Cioè Santhià. <i>Monum. Hist. patriæ</i>. Chart. <span class="smcap lowercase">I</span>. 341. -</p> - -<p> -Amedeo V di Savoja, cadente il secolo xiii, affidava a cavatori -fiorentini o lucchesi la ricerca de’ minerali del suo Stato; ed oro -traevasi, nel 1279, da Champorcher in val d’Aosta; nel secolo -seguente lavavansi le sabbie aurifere dell’Orco e dell’Amalone; -argento si cavava a Groscavallo e ad Ala in val di Lanzo; argento -e rame a Usseglio e Lemie. Nel 1496 Giovanni Swerstab -di Norimberga pagava al duca Filippo III trecento fiorini d’oro -l’anno per usar le miniere di val di Lanzo, e quelle di Montjouet -in val d’Aosta, e di Macot e Aime in Tarantasia per un quinto -dell’oro, un decimo degli altri metalli. Nel 1508 Carlo III consentiva -ai signori d’Aviso le miniere di Beaufort e Montjoye nel -Fossignì per un quinto dell’oro e dell’azzurro, cioè il cobalto; -un decimo dell’argento, un quindicesimo dell’acciajo e dello stagno, -un ventesimo del piombo, ferro, rame. Nel 1530 deputava -gran mastro delle miniere il tedesco Lodovico Jung, perchè le -facesse lavorare a conto dello Stato. Dappoi si trovarono altre -miniere a Vinadio, Pesey, Alagna, Olomont, Usseglio e altrove, -ma il ricavo ne fu sempre scarso. <span class="smcap">Cibrario</span>, <i>Monumenti di Savoja</i>, -pag. 283.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note259"> -<p><span class="label"><a href="#tag259">259</a>.  </span>La più antica menzione delle Arti fiorentine è in un -trattato del 1204 tra i Fiorentini e quelli della Capraja. <i>Hæc -sunt sacramenta, quæ potestas et consules communis, consules -militum, priores artium etc. fecerunt</i>. Ap. <span class="smcap">Targioni</span>, tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 66. -<i>Viaggi</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note260"> -<p><span class="label"><a href="#tag260">260</a>.  </span><i>Statuto dell’arte di Calimala</i>. Merita d’esser visto pei -molti savj regolamenti, frapposti ad altri superflui, e attestanti -una civiltà molto sviluppata. Vi sono sempre determinate le -elemosine da dare alle famiglie e alle vedove degli associati.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note261"> -<p><span class="label"><a href="#tag261">261</a>.  </span>Nel 1280 il conte Bertoldo, per indur pace fra’ Lambertazzi -e Geremei, convocava i signori e il popolo, tra il quale i -consoli delle compagnie del Leone, de’ Beccaj, de’ Lombardi, -de’ Toscani, delle Stelle, della Branca, del Griffone, dell’Aquila, -delle Spade, delle Sbarre, de’ Leopardi, delle Schife, delle Traverse, -delle Ballerie, de’ Castelli, de’ Quartieri, delle Chiavi, dei -Balzani, della Branchetta, de’ Vari, degli Stracciajuoli, comminando -a ciascuna compagnia duemila marche se non comparissero. -Quest’erano compagnie d’armi. Di arti erano quelle dei -Cordovanieri, delle Stelle, de’ Cambiatori, de’ Mercanti, de’ Notari, -de’ Caligari, de’ Calzolaj, de’ Pescatori, de’ Pellicciaj, -vecchi e nuovi, de’ Linaruoli, de’ Conciatori e Cuojaj, de’ Drappieri, -de’ Falegnami, de’ Muratori, de’ Fabbri, de’ Sarti, dei -Bacilieri. -</p> - -<p> -Le arti in Genova verso il 1250 erano albergatori e osti, arcadori, -balestraj, bambagiaj, barbieri, barilaj, sellaj, calzajuoli, -calzolaj, cappellieri, cambiatori, correggiaj, coltellinaj, drappieri, -funajuoli e fabbricatori di vele, fornaj, giojellieri, minutieri, -orefici, macellaj, maestri di ascia, calafati, muratori, -legnajuoli, conciapelli, pescatori, remolaj, sartori, canovaj, incettatori -di grasce, scudaj, spadaj, speziali, tavernaj, tintori, -tornitorj, facitori di travi e puntelli, ciotolaj; in tutto trentatre -maestranze, e non v’appare distinzione di maggiori e minori. -<span class="smcap">V. Serra</span>, Annot. al lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>; ma discordiamo da lui sul senso di -<i>callegarii</i> e <i>zotolarii</i>. -</p> - -<p> -Delle arti di Firenze si vedono gli stemmi scolpiti sul Magistrato -della Mercatanzia, ora uffizio del Bollo; e sono per l’arte -di Calimala aquila d’oro su balla bianca in campo rosso; pei -cambiatori, fiori d’oro in campo vermiglio: pe’ giudici o notaj, -stella d’oro in azzurro; pe’ medici e speziali, la Madonna col -bambino in fondo rosso; pe’ lanajuoli, agnello bianco con bandiera -vermiglia; setajuoli, porta rossa in campo bianco; per i -pellicciaj e vajaj, vaj bianchi e celesti, e agnello con bandiera e -croce. Delle arti minori portarono, i beccaj, montone nero in -campo bianco; i calzolaj, tre traverse nere in campo bianco; -cuojaj, scudo metà bianco e vermiglio; muratori e scarpellini, -scure in campo rosso; oliandoli, leone rosso rampante con olivo; -linajuoli, bandiera a metà bianca e nera; magnani, due chiavi -legate in campo rosso; spadaj e corazzaj, corazza e stocco in -fondo bianco; coreggiaj, un legno dimezzato per traverso; legnajuoli, -palma verde con cassetta rossa al tronco; albergatori, -stella rossa in bianco. -</p> - -<p> -Mantova nel 1208 aveva le corporazioni de’ giudici, notaj, -fabbricatori di pannilani, calzolaj e conciatori, beccaj, ferraj, -<i>rioberj</i>, pellicciaj, speziali, tessitori di lana, sartori, pescatori, -merciaj, barbieri, venditori di panni a ritaglio, tintori di lana, -fabbricatori di pignolati, tintori e cimatori di pignolati, <i>corregatores</i>, -linajuoli; e caduna aveva quattro capi e altrettanti consiglieri; -tutti i membri erano notati; restava escluso chi non -avesse dieci anni, e i garzoni; ogni socio doveva una tassa annuale, -col che e con altri proventi formavasi una cassa per soccorrere -gl’infermi e per altre beneficenze; ciascun corpo decideva -sulle cose risguardanti il proprio traffico, sino a certe -somme. <i>Statuti</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>, rub. 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note262"> -<p><span class="label"><a href="#tag262">262</a>.  </span>Non qui solo i monaci adopravano il loro ozio alle manifatture, -ma stavano in mano loro, a tacere altrove, quasi tutte -quelle d’Inghilterra e di Scozia. Balducci Pegolotti ricorda tutte -le magioni de’ Premontresi, dell’ordine di Promuxione ecc., che -faceano traffico.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note263"> -<p><span class="label"><a href="#tag263">263</a>.  </span><span class="smcap">G. Villani</span>, <i>Storie</i>, <span class="smcap lowercase">XI</span>, 93; <i>Della mercatura de’ Fiorentini</i>, -<span class="smcap lowercase">II</span>. 102. I prezzi del Villani sono da ragguagliare oggi al -quintuplo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note264"> -<p><span class="label"><a href="#tag264">264</a>.  </span>Pag. 295. Nella <i>Tariffa milanese</i> del 1216 son notati -come capi d’importanza i panni comaschi; e il loro transito è -pure indicato in una di Modena del 1306.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note265"> -<p><span class="label"><a href="#tag265">265</a>.  </span><span class="smcap">Targioni Tozzetti</span>. <i>Viaggi</i>. Nello statuto di Pescia 1340 -è ordinato di piantar mori gelsi e otto pedali di fico ogni coltra -di terra. Un bando del 3 aprile 1435 ordina in ciascun podere -per lo meno cinque pedali di mori gelsi <i>bianchi</i>; e sotto l’effigie -del pesciatino Francesco Buonvicini nel palazzo del Comune -in quell’anno gli è dato lode d’aver portato -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04"> alla sua patria questa pianta,</p> -<p class="i01">Dalla qual nacque poi ricchezza tanta</p> -<p class="i01">Che in ogni luogo si noma il Delfino.</p> -</div></div> - -<p> -Negli statuti dell’arte di Por Santa Maria a Firenze è registrato -che «nel 1423 per l’arte si cominciò a fare i filugelli in Firenze, -e furono eletti sei cittadini a farci fare l’esercizio dei filugelli -bigatti, e trarne la seta». Vincenzo Chiarugi nel <i>Saggio delle -malattie cutanee sordide</i>, 1798, all’art. <i>Lebbra</i>, pag. 174, dice -che fin dal 1186 in Toscana era istituito uno spedale per la cura -de’ lebbrosi lavoranti di lana e seta.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note266"> -<p><span class="label"><a href="#tag266">266</a>.  </span><span class="smcap">Morbio</span>, <i>Codice Visconteo Sforzesco.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note267"> -<p><span class="label"><a href="#tag267">267</a>.  </span><i>Antiq. M. Æ.</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 332.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note268"> -<p><span class="label"><a href="#tag268">268</a>.  </span><span class="smcap">Giannone</span>, <i>Storia civile</i>, <span class="smcap lowercase">XXVII</span>. 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note269"> -<p><span class="label"><a href="#tag269">269</a>.  </span><i>Documenti al</i> <span class="smcap">Tommasi</span>, <i>Sommario della storia di Lucca</i>, -pag. 63.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note270"> -<p><span class="label"><a href="#tag270">270</a>.  </span><span class="smcap">Manni</span>, <i>De Florentinis inventis commentarius</i>; e <span class="smcap">Pagnini</span>, -tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 100. I tintori da antico ebbero uno spedale proprio, -fondato con spontanee elargizioni. Le tintorie fiorentine conservano -ancora l’antico credito, co’ perfezionamenti che vi recò il -raffinarsi de’ preparati minerali. Il gallato di ferro dà il famoso -nero; l’azzurro di Raymond, introdotto da questo nel 1811, fu -perfezionato dal professore Andrea Cozzi, avvivando la seta -tinta dell’azzurro di Prussia con un bagno di campeggio sostenuto -da idroclorato di deutossido di stagno. L’arsenico solforato -e il cromato di piombo furono applicati dal dottore Calamandrei -alla tintura; oltre che vi si adoprarono vegetali comuni, -come le bacche di ginepro ancora acerbe per far giallastra la -lana, la pula di castagne pel color ceciato delle tele cotone, ecc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note271"> -<p><span class="label"><a href="#tag271">271</a>.  </span>Dal 1812 al 25 fu il maggior fiore di questa manifattura, -che introduceva fin dodici in quattordici milioni all’anno; e v’ebbe -qualche cappello che fu pagato sin mille lire.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note272"> -<p><span class="label"><a href="#tag272">272</a>.  </span><span class="smcap">Anderson</span>, <i>Hist. commerc</i>., pag. 371.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note273"> -<p><span class="label"><a href="#tag273">273</a>.  </span><span class="smcap">Manni</span>, <i>Veglie piacevoli in Dino di Tura</i>. In Francia i -falliti portavano berretto verde, messo loro dal boja dopo espostili -alla gogna. Gli statuti di Casale Sant’Evasio pongono: <i>Quicumque -captus et detentus, volens cedere bonis suis, admittatur -ad bonorum cessionem... probet coram judice Casalis se stetisse -in carcere comunis per dies sexaginta die noctuque, et ista probacione -facta, voce preconis premissa, per servitores comunis in -publica concione publice et alta voce super lapidem comunis -cridet et protestetur, quod ipse talis captus cedit bonis, et omnia -bona sua et presentia et futura, exceptis vestibus de dosso ipsius -cedentis, libere dimittit, et relaxat creditoribus suis liberam licentiam -accipiendi et auferendi ejus bona quocumque et ubicumque -ea invenerint, eorum propria auctoritate, usque ad solutionem -integram ejus quod habere debent... Et ille qui amodo cedet -bonis, non possit habere aliquem honorem vel aliquod officium, qui -vel quod descendat a comune Casalis. — Monum. Hist. patriæ,</i> -Leges 987. -</p> - -<p> -Nello statuto antico di Civitavecchia, tradotto nel 1451 e -stampato nel 1853. il c. <span class="smcap lowercase">XXXVI</span> del lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. porta: <i>Come se renunzia -a li beni suoi dando le natiche al pietrone</i>. -</p> - -<p> -«Statuimo che qualunque renunzierà o vorrà renunziare li -suoi beni, questi non usi quello beneficio nè lo possa usare -salvo non renunziasse con le solennità et modo infrascritto. Cioè, -tale volente renunziare a li beni deve uscire de la sala del palazzo -del Comune et ire sino a la piaza del peso, e debanli andare -nante li tubatori sonando colle trombe, intanto che, con -nude le natiche, dica tre fiate <i>Cedo bonis</i>, che vuol dire renunzio -et do luogo a li miei beni, percotendo le decte natiche così nude -fortemente ne la pietra. Et poi questo deve stare un mese fora -de Civitavecchia et suo distretto. Et questo non abbia luogo -nelle femine, le quali possano renuntiare a li beni secundo la -ragione comune, senza le predecte solennità».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note274"> -<p><span class="label"><a href="#tag274">274</a>.  </span><i>Liber jurium</i>, vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 1180.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note275"> -<p><span class="label"><a href="#tag275">275</a>.  </span><i>Monum. Hist. patriæ</i>, Chart. <span class="smcap lowercase">II</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note276"> -<p><span class="label"><a href="#tag276">276</a>.  </span>Lo statuto di Pisa del 1161, rubr. <span class="smcap lowercase">V</span>. <i>De modo cognoscendi -et judicandi</i>, già stabilisce la procedura mercantile sommaria: -<i>Statuimus ut quæstio de marinaratici, et nauli, et mercibus -amissis seu deterioratis in navi vel ligno, a consulibus maris -summatim et extra ordinem dirimatur.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note277"> -<p><span class="label"><a href="#tag277">277</a>.  </span>Possediamo siffatti statuti di molte città italiane, e nominatamente -di Trani e Amalfi, la cui <i>Tavola</i> fu edita a Napoli -nel 1844 dal principe d’Ardore, copiandola dai manoscritti del -Foscarini: <i>Capitula et ordinationes curiæ maritimæ nobilis civitatis -Amalphæ, quæ in vulgari sermone dicuntur la Tabula de -Amalphu, nec non consuetudines civitatis Amalphæ.</i> -</p> - -<p> -Al testo del <i>Consolato de’ fatti marittimi</i> suol precedere una -nota, che indica i paesi dove quello fu accettato; per esempio, -Roma nel 1075, Genova nel 1186; ma non ha aspetto d’autenticità. -Carlo Targa e Giuseppe Maria Casaregi, giureconsulti genovesi, -illustrarono il <i>Consolato</i> in modo che i loro commenti -divennero regola della navigazione del Mediterraneo. -</p> - -<p> -Il <i>Consolato</i> sanciva che, in tempo di guerra, le merci neutre -caricate dal nemico sono libere, e non possono sequestrarsi, -mentre invece la bandiera neutra non protegge merce nemica. -Al contrario, le città del Baltico sosteneano il mare libero, non -per generosità e giustizia, ma perchè soli navigando quel mare, -vi trovavano il proprio conto, senza concedere reciprocanza alle -potenze belligeranti. Sono divergenze che furono dibattute nei -libri, nei congressi e colle armi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note278"> -<p><span class="label"><a href="#tag278">278</a>.  </span><i>Excipimus præstantias de mari, quas marinarii inter -se facere consueverunt, et credentias quas socii tractores facere -consueverunt: verbigratia quas faciunt in Sicilia ad moccobellum -vocatus, vel alias similes.</i> Rubr. <span class="smcap lowercase">XLII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note279"> -<p><span class="label"><a href="#tag279">279</a>.  </span>Il marco d’oro che oggi vale lire 848, nel 1300 valeva -lire 55.10; e quello d’argento lire 2.10: sicchè la proporzione -fra i due metalli era: 22 : 1.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note280"> -<p><span class="label"><a href="#tag280">280</a>.  </span><i>De usurariis puniendis</i>, lib. <span class="smcap lowercase">I</span>. tit. 6. «Questo iniquo e -scandaloso traffico (del prestare) era il più favorito mestiere dei -Lombardi... Di così pestilente costume ho io trattato altrove». -Sono parole del buon Muratori, <i>Annali</i> al 1226.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note281"> -<p><span class="label"><a href="#tag281">281</a>.  </span><i>Delizie degli eruditi toscani</i>, <span class="smcap lowercase">XIX</span>. 97. L’aggiotaggio all’alto -e basso è perfettamente descritto da Marchione di Coppo: -«Molti incantavano del Monte (del debito), e diceano: <i>Lo Monte -vale trenta per centinajo; io voglio poterti dare da oggi a un -anno, ovvero tu dare a me a trentuno per cento; che vuoi ti doni -a far questo?</i> e cadeano in patto, poi stava in sè. Se rinvigliavano, -li comprava; se rincaravano, li vendeva, e ne permutava -qua e là il patto, venti volte l’anno. Si pose su gabella fiorini -due per cento a ogni permutatore». <i>Rubr</i>. 727.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note282"> -<p><span class="label"><a href="#tag282">282</a>.  </span>Quella bolla, riferita dal Pezzana, <i>St. di Parma</i>, vol. <span class="smcap lowercase">III</span>. -dec. <span class="smcap lowercase">VII</span>. 9, merita esser vista nella sua integrità pel patronato -ivi estesissimamente professato. -</p> - -<p> -Quando Napoleone nel 1807 raccolse l’assemblea israelitica a -Parigi, fu proposta e votata a grandi applausi questa deliberazione: — I -deputati israeliti dell’impero francese e del regno -d’Italia, penetrati di riconoscenza pe’ continui benefizj resi dal -clero cristiano agli Israeliti ne’ passati secoli, e per l’accoglienza -che i pontefici e molti altri ecclesiastici hanno usata agli Israeliti -quando la barbarie, i pregiudizj e l’ignoranza li perseguitavano -ed espellevano dalla società, stabiliscono che l’espressione -di questi sentimenti sarà consegnata nel processo verbale affinchè -rimanga eterna testimonianza autentica della gratitudine -degli Israeliti di quest’assemblea pei benefizj che le generazioni -precedenti hanno ricevuto dagli ecclesiastici». -</p> - -<p> -Nel 1436 il duca di Milano permetteva a una famiglia d’Ebrei -di Mantova di stabilirsi in Como per dieci anni, co’ suoi fattori, -socj ecc. L’uffizio di provvisione, cioè la municipalità di Como vi -si oppose; ma il duca sostenne la concessione, dando la facoltà -di tener banco, prestare a sei denari per lira al mese, aver esenzione -da tutti i carichi reali e personali, coll’obbligo di pagare -fiorini venticinque ogni anno al Comune. I Comaschi non potendo -impedire, stanziarono però che gli Ebrei portassero un -distintivo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note283"> -<p><span class="label"><a href="#tag283">283</a>.  </span><span class="smcap">G. Villani</span>, <span class="smcap lowercase">VII</span>. 53.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note284"> -<p><span class="label"><a href="#tag284">284</a>.  </span><span class="smcap">Pagnini</span>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 54.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note285"> -<p><span class="label"><a href="#tag285">285</a>.  </span><i>Mémoires des Antiquaires de France; nouvelle série</i>, -<span class="smcap lowercase">XVIII</span>. 467.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note286"> -<p><span class="label"><a href="#tag286">286</a>.  </span><span class="smcap">Montfalcon</span>, <i>Hist. de Lyon</i>, pag. 735.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note287"> -<p><span class="label"><a href="#tag287">287</a>.  </span><i>Antichità estensi</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 48.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note288"> -<p><span class="label"><a href="#tag288">288</a>.  </span>L’esempio di Cicerone, che incarica Attico di pagare in -Grecia una somma, di cui esso gli farà i fondi a Roma, è l’unico -di cambio fra gli antichi: ma trattavasi di un migrato da Roma, -che quivi avea lasciato e beni e congiunti; sicchè era piuttosto -un cambio d’amicizia che bancario.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note289"> -<p><span class="label"><a href="#tag289">289</a>.  </span>Il Targioni (<i>Viaggi</i>, vol. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 62) tolse da un copialettere -del 1372 di un mercante di lana fiorentino questo: — Mandovi -una lettera com quele di cambio di fiorini ducencinquanta -avete a ricevere costà... Con questa vi mando una lettera di -cambio di fiorini cencinquanta, avete a ricevere costà da Vieri -di cambio per fiorini cencinquanta, n’avei qua a capo da me; -quando gli avete, ponete a nostra ragione ecc.». -</p> - -<p> -Emiliani Giudici pubblicò due lettere di negozio del 1290 e -91, della ditta Consiglio de’ Cerchi e Compagni in Firenze, ove, -tra altre belle cose, si legge: — Avemmo una lettera che ne -mandaste per lo procuratore dell’abbate di Nostra Dama de’ -Verucchi; ove ne scriveste che gli facessimo pagare a la corte -del papa f. cento di sterlini per altrettanti che ne riceveste -costà; onde avemgliele fatti ben pagare, e ancora avemo mandato -che gli siano prestate altre f. cento se n’abbisognasse, sì -come ne mandaste a dire; onde le procuragioni ch’avete, guardate; -e noi per altra lettera vi scriveremo quello che gli prestassimo, -e lettere che n’avremo vi manderemo».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note290"> -<p><span class="label"><a href="#tag290">290</a>.  </span>Lodovico Luzi con documenti provò (Orvieto 1868) che -in Orvieto fu eretto un Monte di pietà nel 1463; e Ariodante -Fabretti che in Perugia nel 1462.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note291"> -<p><span class="label"><a href="#tag291">291</a>.  </span>Nel 1483, 29 dicembre, Lodovico Gonzaga scriveva a -frate Angelo Clavasio: — Questo devotissimo populo mantuano, -mosso ed inducto de la predicatione, persuasione et efficacissime -ragioni del venerabile padre frate Bernardino de Feltro, ha divisato -lo laudabilissimo Monte de pietà; e a tanto bene è concorso -lo signor marchese principalmente, e successive cittadini, plebei -ed io». D’Arco, Nuovi studj sul Comune di Mantova. In Russia -devono essere stati introdotti dai nostri quei monti che chiamavano -i <i>Lombardi</i>, e sono una delle istituzioni più importanti -dell’impero, prestando al sei per cento, mentre l’ordinario canone -è dell’otto, dieci e fin dodici.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note292"> -<p><span class="label"><a href="#tag292">292</a>.  </span>Un diploma di Corrado di Monferrato, dato da Tiro nel -1188, dice: <i>Donavi et concessi pisanis viris de societate Umiliorum -quia mecum in Tyri defensionem pro honore nominis unigeniti -filii Dei, totiusque christianitatis fideliter atque constanter -permansere, furnum unum</i> etc.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note293"> -<p><span class="label"><a href="#tag293">293</a>.  </span><span class="smcap">Du Cange</span>, <i>Glossarium</i>, tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 43. <i>A Fulcone Cacio, -cive placentino, capitaneo universitatis mercatorum lombardorum -et tuscanorum, habente etiam potestatem et speciale mandatum -a consulibus mercatorum romanorum, Januæ, Venetiarum, Placentiæ, -Lucæ, Bononiæ, Pistorii, Astensium, Albæ, Florentiæ, -Senarum et Mediolanensium</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note294"> -<p><span class="label"><a href="#tag294">294</a>.  </span>Se ne trovano stipulate alcune nel repertorio di Giovanni -Scriba, ove anche il nome incontriamo in un documento del 24 -aprile 1156: <i>Ego Bonusvassallus accepi in</i> comendacionem -<i>a te Wilielmo Filardo libras quinquaginta in panis etc.</i>; e in un -altro del 3 maggio seguente.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note295"> -<p><span class="label"><a href="#tag295">295</a>.  </span><span class="smcap">Ughelli</span>, <i>Italia sacra</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. col. 871, che erra attribuendolo -a Boemondo II.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note296"> -<p><span class="label"><a href="#tag296">296</a>.  </span>Chi amasse minutissime particolarità di trattati di commercio, -fondati sempre sulla gelosia e l’esclusiva, cerchi nel -<i>Liber jurium,</i> tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 851, quello del 1229 de’ Genovesi coi -Marsiglioti; e l’altro degli stessi del 9 novembre 1251, che riempie -sedici colonne dei <i>Monumenta Historiæ patriæ</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note297"> -<p><span class="label"><a href="#tag297">297</a>.  </span><i>Impositio officii Gazariæ</i>, pag. 326; <i>Capitulare nauticum</i>, -cap. <span class="smcap lowercase">XXXV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note298"> -<p><span class="label"><a href="#tag298">298</a>.  </span><span class="smcap">Poggiali</span>, <i>St. di Piacenza</i>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 31; <span class="smcap">Tigrimi</span>, <i>Vita di -Castruccio</i>. Buonaccorso Pitti trafficava in Picardia, quando, -essendovi sbarcati gl’Inglesi nel 1388, «feci compagnia con -un Lucchese e con un Senese, e a nostre spese, con trentasei -cavalli e bene armati andammo nel detto esercito, sotto il -segno e condotta del duca di Borgogna». <i>Cronaca</i>, pag. 34.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note299"> -<p><span class="label"><a href="#tag299">299</a>.  </span><span class="smcap">Marsigli</span>, <i>Ricerche sul commercio veneto</i>; <span class="smcap">Fanucci</span>, <i>Storia -de’ tre celebri popoli marittimi dell’Italia</i>, vol. <span class="smcap lowercase">IV</span>; <span class="smcap">Pagnini</span>, <i>Della -decima della moneta e della mercatura de’ Fiorentini fino al secolo</i> -<span class="smcap lowercase">XVI</span>. Lucca 1765; <span class="smcap">Serra</span>. <i>Discorso sopra il commercio, la -navigazione e le arti dei Genovesi</i>; <span class="smcap">Carlo Pagano</span>, <i>Delle imprese -e del dominio de’ Genovesi nella Grecia.</i> Genova 1852.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note300"> -<p><span class="label"><a href="#tag300">300</a>.  </span>Sulla destra del ramo settentrionale del Don, a quattro -miglia dal suo sbocco, fra i due villaggi che oggi si dicono Simarka -e Nedvigovka.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note301"> -<p><span class="label"><a href="#tag301">301</a>.  </span>Federico I nel 1162 concedeva un amplissimo privilegio -a’ Genovesi, dove fra altre cose gli abilita a cacciare i Provenzali -e i Francesi che vanno o tornano per mare da negoziare -colla Sicilia, la Calabria, la Puglia e il Veneto; nelle terre dove -vanno a mercatare, abbiano due o più Genovesi che rendano la -giustizia fra loro; i loro mercanti possano valersi de’ pesi e delle -misure proprie. <i>Liber jurium</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note302"> -<p><span class="label"><a href="#tag302">302</a>.  </span>E non vino, e così nella Borgogna; mentre a Parigi si -spacciava vino di Napoli. <i>Pratica della mercatura</i>, cap. <span class="smcap lowercase">XLII. LIV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note303"> -<p><span class="label"><a href="#tag303">303</a>.  </span>Il vulgo genovese conserva ancora molte voci arabe: -<i>Ramadan, camallo, tara, lalla, mandillo, marabotto, roboien, -corba</i>...</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note304"> -<p><span class="label"><a href="#tag304">304</a>.  </span>Abbiamo l’inventario d’una nave, che andando all’Ecluse, -fu spinta alla cala di Dunster. Portava due grosse botti di gengiovo -verde, un barile di gengiovo in acqua di limone, una balla -di arquinetta, tredici barili d’uve passe, nove di solfo, censettantadue -balle di guado, ventidue di carta da scrivere, una cassa di -zuccaro candito, sei balle di scatole vuote, un barile di prugne -secche, trentotto balle di riso, cinque botti di cannella, un barile -di polvere salmistra, e cinque balle di legno di bosso».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note305"> -<p><span class="label"><a href="#tag305">305</a>.  </span><span class="smcap">Giustiniani</span>, <i>Annali</i>, <span class="smcap lowercase">VI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note306"> -<p><span class="label"><a href="#tag306">306</a>.  </span>Se ne conoscono del 1302, 10, 19, 24, 32, 35, 42, 50, -62, 82.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note307"> -<p><span class="label"><a href="#tag307">307</a>.  </span>Negli anni 1306, 17 e 20 Venezia fece trattati con Tunisi, -nel 56 con Tripoli. Quattro trattati conchiusi fra la repubblica e -i re di Tunisi della stirpe degli Afidi, ignoti agli storici di Venezia, -sono dati dal barone de Hammer, <i>St. degli Osmanli</i>, tom. <span class="smcap lowercase">IV</span>. -p. 691.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note308"> -<p><span class="label"><a href="#tag308">308</a>.  </span>Mille sono detti nei <i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XXII</span>. 959. Il libro -<i>Venezia e sue lagune</i>, al tom. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 176, li farebbe diciannovemila; -al tom. <span class="smcap lowercase">II</span>. p. 151 dice che talvolta arrivarono sino a quattromila; -a p. 253 accenna come il sommo tremila cinquecento. Tali discrepanze -sono meno scusabili nelle monografie.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note309"> -<p><span class="label"><a href="#tag309">309</a>.  </span>La galea grande, lunga di alto passi ventitre, piedi tre e -mezzo, di piano piedi dieci, di bocca diciassette e mezzo, alta in -coperta piedi otto, non ha opere morte; il timone a poggio movesi -con una zanca per fianco. La galea di Levante era lunga -di alto passi ventitre, piedi tre, di piano passi dieci con quattro -vele. La sottile, passi sette e mezzo con tre vele, cioè come le -nostre. La latina era lunga in colomba passi dodici, di piano -piedi nove, piedi sedici in trepiè, ventiquattro in bocca, nove e -mezzo in coverta, sedici in coverta lunga, il timone passi quattro, -due battelli da piedi trentaquattro, una gondola da ventiquattro. -La nave quadra era tredici passi in colomba, di piano piedi -nove e un quarto, diciassette e mezzo in trepiè, ventisei e -mezzo in bocca, e caricava trecento botti. Le descrive uno che -vi serviva nel secolo <span class="smcap lowercase">XV</span>; manoscritto della Magliabechiana, -classe <span class="smcap lowercase">XIX</span>. cod. 7. Le carrache erano i legni più grossi dopo i -vascelli propriamente detti, e portavano fin millequattrocento -barili, aveano tre ponti, e più tardi n’ebbero fin sette. Le galeazze -aveano anch’esse un castello di prua e uno di poppa, tre alberi, -vele latine e trentadue banchi di rematori. -</p> - -<p> -È quasi inesplicabile la rapidità delle costruzioni navali. Jacopo -da Varagine (<i>Rer. It. Script.</i>, <span class="smcap lowercase">IX</span>. 17) attesta che dal 15 -luglio al 15 agosto 1297 la Repubblica genovese allestì ducento -galee da ducenventi uomini almeno ciascuna: nel 1284 ne -allestirono settanta in tre giorni. Venezia in men di cento giorni -preparò una flotta: presente Enrico III, in due ore fu posta -insieme una galea e varata: nel 1569 distrutto l’arsenale dall’incendio, -nel seguente uscivane la flotta che disfece la turca a -Lépanto.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note310"> -<p><span class="label"><a href="#tag310">310</a>.  </span><i>Ep. seniles</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. ep. 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note310a"> -<p><span class="label"><a href="#tag310a">310a</a>.  </span>Nell’Appendice <span class="smcap lowercase">XXIX</span> dell’<i>Archivio storico italiano</i> si pubblicarono -documenti che rischiarano il commercio de’ Veneziani -coll’Armenia e con Trebisonda. In questa città i Veneziani ebbero -privilegi amplissimi fin dal 1201, più volte confermati, e quartiere -fortificato, al par de’ Genovesi; colle conquiste russe perì la -prosperità di Trebisonda, ma in questi ultimi anni tornò importantissimo -scalo per l’estremo Oriente.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note311"> -<p><span class="label"><a href="#tag311">311</a>.  </span>Tali sono, fra gli altri, due trattati del 1327 con Como -e Brescia.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note312"> -<p><span class="label"><a href="#tag312">312</a>.  </span><span class="smcap">Malipiero</span>, <i>Annali</i>, 666, 715, 717.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note313"> -<p><span class="label"><a href="#tag313">313</a>.  </span>Ragusa anticamente area trattati di commercio con -Fermo, Recanati, Rimini, Ravenna, Ferrara (<span class="smcap">Appendini</span>, <i>Notizie -storiche della città di Ragusa</i>); e prima ancora con Napoli, -Siracusa, Messina, Barletta ecc.; dappoi si ridusse in dipendenza -di Venezia, che vi teneva un conte a governarla con patti -stabiliti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note314"> -<p><span class="label"><a href="#tag314">314</a>.  </span><i>Rer. It. Script</i>., <span class="smcap lowercase">XI</span>. 142.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note315"> -<p><span class="label"><a href="#tag315">315</a>.  </span><i>Libri di divisamenti di paesi, di misure di mercatanzie, -ed altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti -del mondo</i>; edito dal Pagnini.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note316"> -<p><span class="label"><a href="#tag316">316</a>.  </span>Fin dal 1422 entrò in trattative col soldano d’Egitto pel -commercio d’Alessandria e della Siria, e col signore di Corinto -in Romania, e conchiuse con loro vantaggiosi trattati; uno del -pari nel 1425 coll’Inghilterra, che rinnovò nel 1490; coll’imperatore -greco nel 1438; col re d’Aragona nel 1450. Nel 1487 e -88 rinnovò le trattative coll’Egitto per favorire la propria navigazione -ad esclusione degli stranieri. -</p> - -<p> -Fra i canti per mascherate n’è uno di mercanti fiorentini, -che tornati arricchiti, esaltano il girare il mondo e guadagnare, -poi rimpatriati ajutare chi n’ha bisognò; ed esortano ad avviare -a ciò i figli, anzichè lasciarli perdersi nell’ozio e ne’ vizj.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note317"> -<p><span class="label"><a href="#tag317">317</a>.  </span>«Il sintraco (come a dire sindaco) deve aver tre mine di -sale da ogni legno che vien di Sardegna con sale; se venisse di -Corsica e avesse fatto cambio, n’avrà tre mine di grano; una -mina da ogni legno che venga dalla Marittima e da Romania. -Da ogni legno che va in Corsica, abbia una mina di grano; da -ogni legno di sale di Provenza, tre quartini di sale; da ogni galea -che va in corso oltre Sardegna o in Ispagna, un marabotico; da -ogni legno che vien di Sicilia, due mine. Nelle principali feste -pranzerà coll’arcivescovo. Tocca a lui ordinare le guardie delle -città, e riconoscere se furono fatte; convocare il popolo, battere -i ladri e malfattori secondo l’ordine de’ consoli, e fare i bandi -per la città e per tutto il vescovado; entrar nelle case a ricevere -i pegni, e quando spira vento d’aquilone andare per la città, pel -castello e pel borgo ad avvertire che badino bene al fuoco. Il -sabato santo custodirà le porte di San Giovanni finchè l’arcivescovo -e i canonici vengano a benedir le fonti». Liber jurium, -pag. 79.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note318"> -<p><span class="label"><a href="#tag318">318</a>.  </span><i>Lettera di</i> Benedetto Dei <i>per difesa della mercatura -dei Fiorentini contro le ingiurie sparse da alcuni mercadanti -veneziani</i>. Vedi nel vol. <span class="smcap lowercase">II</span> del Pagnini.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note319"> -<p><span class="label"><a href="#tag319">319</a>.  </span>Nel 1505 per la prima volta Firenze tirò grano dall’Inghilterra -per cinquantamila scudi d’oro, e duemila moggia da -Linguadoca. <span class="smcap">Nardi</span>, <i>Storie fiorentine</i>, lib. <span class="smcap lowercase">IV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note320"> -<p><span class="label"><a href="#tag320">320</a>.  </span>Nel 1499 i Salviati riceveano da Filippo d’Austria, duca -di Borgogna, in pegno per quattromila fiorini grossi, trecentoventi -centinaja di lana d’Inghilterra, e un famoso fiordaliso, -vale a dire un reliquiario di oncie diciannove fiorentine, con -crocifisso nero, quarantuno balasci, trentasei zaffiri, nove smeraldi, -cinquantacinque rosette d’oro con quattro perle in ciascuna -e un diamante acuto, e la corona con quattro perle a -pera, un diamante grosso e trentotto perle.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note321"> -<p><span class="label"><a href="#tag321">321</a>.  </span>Klaproth preparava l’edizione del <i>Milione</i> di Marco Polo -con commenti e colla carta analizzata dei paesi da lui visitati; e -doveasi stampare a spese della Società geografica di Parigi: ma -non potè compirla. Parrebbe a credere fosse scritto originalmente -in veneziano, dialetto dello scrittore. Il padre Spotorno -sostiene che, nella lunga lontananza, esso doveva aver dimentico -l’idioma patrio, e che Andalon del Negro genovese lo scrisse in -latino, sopra relazione del Polo stesso. I migliori ora tengono -che Rusticiano da Pisa lo stendesse in francese, man mano che -lo raccoglieva dalla bocca di Marco suo compagno di carcere. -Il testo più genuino pare quello che pubblicò la Società geografica -di Parigi nel 1824. Di buon’ora il Milione fu mutato in -toscano e in altre lingue, ma interpolandovi novità; nel che -maggior licenza si prese il Ramusio nella sua <i>Collezione di navigazioni</i>. -Nel 1844 fu stampato a Edimburgo da Murray con copiose -note illustrative; in tedesco da A. Bürck (<i>Die Reisen des -Venezianers M. Polo</i>. Lipsia 1845) sopra le migliori edizioni, e -con aggiunte di C. F. Neumann, che viaggiò i luoghi stessi, e -che trova esattissimo il nostro Veneziano. Un’edizione italiana -fu procacciata a Venezia il 1847 da Vincenzo Lazari, traducendo -l’edizione del 1824, liberando il testo dalle aggiunte Ramusiane, -e arricchendola di note. Il tenente Wood della marina britannica -dell’India, il quale scoperse le vere sorgenti dell’Oxo nel 1829, -dice esattissima la descrizione che di que’ paesi fa Marco Polo. -</p> - -<p> -* Il colonnello Enrico Yule, del corpo degl’ingegneri nel -Bengala, stampò a Londra nel 1871 <i>The book of sir</i> Marco Polo -<i>the venetian, newly translated and edited with notes</i>, 2 volumi -con mappe e figure e dissertazioni sulla vita, la famiglia, il carattere -di M. Polo, e con abbondanti notizie geografiche, etnografiche -e filologiche.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note322"> -<p><span class="label"><a href="#tag322">322</a>.  </span>Vedi <span class="smcap">Bizzarro</span>, <i>Hist. rerum persicarum.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note323"> -<p><span class="label"><a href="#tag323">323</a>.  </span><span class="smcap">Graberg de Hemsö</span>, <i>Annali di geografia</i>; gennajo 1803.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note324"> -<p><span class="label"><a href="#tag324">324</a>.  </span><i>Idem videtur sentire noster Georgius, vir in peragrando -orbe atque indagando terrarum situ diligentissimus,</i> dice Antonio -Galateo, che tratta la stessa quistione nel libretto <i>De situ -elementorum</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note325"> -<p><span class="label"><a href="#tag325">325</a>.  </span><i>Genealogia degli Dei</i>, lib. <span class="smcap lowercase">XV.</span></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note326"> -<p><span class="label"><a href="#tag326">326</a>.  </span><i>Ep. famil</i>., lib. <span class="smcap lowercase">VI</span>. 3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note327"> -<p><span class="label"><a href="#tag327">327</a>.  </span><span class="smcap">Tiraboschi</span>, tom. <span class="smcap lowercase">VI</span>. l. 1, c. <span class="smcap lowercase">V</span>. § 2.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note328"> -<p><span class="label"><a href="#tag328">328</a>.  </span><span class="smcap">Zanetti</span>, <i>Origine di alcune arti presso i Veneziani</i>, p. 46.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note329"> -<p><span class="label"><a href="#tag329">329</a>.  </span><span class="smcap">Zurla</span>, <i>Il mappamondo di frà Mauro descritto ed illustrato</i>. -Venezia 1806; opera debole. Nel trasportare questo -prezioso monumento da San Michele di Murano al palazzo ducale, -si potè meglio esaminarlo; e a spalla vi si trovò scritto: -<span class="smcap lowercase">MCCCLX</span> adi <span class="smcap lowercase">XVI</span> <i>avosto fo chomplido questo lavor</i>. È singolare -vedervi in Africa accennato il <i>Dafur</i>, che è il Darfur, ignoto fin -quando Bruce lo visitò ai giorni nostri: prova che frà Mauro si -valeva di relazioni o perdute o mai non scritte. -</p> - -<p> -Nel congresso geografico del 1875 si trattò di tutte queste e -di altre mappe.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note330"> -<p><span class="label"><a href="#tag330">330</a>.  </span><span class="smcap">Folietta</span>, <i>Hist. gen.</i>, lib. <span class="smcap lowercase">V</span>. -</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note331"> -<p><span class="label"><a href="#tag331">331</a>.  </span>Il Petrarca (<i>De vita solit</i>., <span class="smcap lowercase">XII</span>. sect. 6. c. 3) dice che all’età -de’ suoi padri colà penetrò un’armata di Genovesi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note332"> -<p><span class="label"><a href="#tag332">332</a>.  </span><i>Relazione della scoperta delle Canarie e d’altre isole dell’Oceano -nuovamente ritrovate nel</i> 1341; stampata da Sebastiano -Ciampi a Firenze nel 1827.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note333"> -<p><span class="label"><a href="#tag333">333</a>.  </span>Il Sadoleto, nel 1514, ne lo ringraziava a nome di Leon X -per <i>elephantum unum indicum, incredibili corporis magnitudine, -et pardum unum, et vestem destinatam rebus divinis. Erat ea -species, ea pulchritudo nobilissimi operis, qualem nec vidissemus -ante unquam, nec videre expectavissemus; is splendor, qui ex -candore et copia tot gemmarum esse debebat; artem autem in eo -et varietatem operum omnes plane confitebantur etiam pretiosiorem -esse materia, cum diuturnus labor nobilitatem summi -artificii, ordine et contextu mirabili margaritarum, antecellere -omnibus indicis atque arabicis opibus coëgisset... Lectæ sunt -literæ tuæ, scripta incertum elegantius an religiosius; te, quod -primitiæ omnium rerum Deo dicandæ sunt, primitias Lybiæ, -Mauritaniæ, Æthiopiæ, Arabiæ, Persidis atque Indiæ... -nobis... dare ac dedicare</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note334"> -<p><span class="label"><a href="#tag334">334</a>.  </span>Quando naque Colombo? Nel 1430, o 36, o 41, o 45, 46, -47, 49, 55. — Dove? A Genova, a Cogoleto, a Bugiasco, a Finale, -a Quinto, a Nervi sulla Riviera; a Savona o a Palestrella, o ad -Arbizoli là vicino; o a Cosseria fra Millesimo e Carcare; in val -di Oneglia, a Castel di Cuccaro fra Alessandria e Casale, a Piacenza, -o a Pradello in val di Nura. Ciascuna di queste opinioni -fu sostenuta con gran corredo di ragioni e di petulanze. Vedasi -l’ultimo lavoro del marchese <span class="smcap">D’Avezac</span>, <i>L’année véritable -de la naissance de Colomb</i> (Parigi 1873), che lo pone al fine -del 1446, e le contraddizioni dell’americano Harris.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note335"> -<p><span class="label"><a href="#tag335">335</a>.  </span>Dante indica le costellazioni del piede del centauro e della -crociera del sud, invisibili al nostro emisfero. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Io mi volsi a man destra, e posi mente</p> -<p class="i02"> All’altro polo, e vidi quattro stelle</p> -<p class="i02"> Non viste mai fuorchè alla prima gente...</p> -<p class="i02"> O settentrïonal vedovo sito</p> -<p class="i02"> Poichè privato se’ di veder quelle.</p> -<p class="i13"> <i>Purg.</i> <span class="smcap lowercase">I</span>.</p> -</div></div> - -<p> -I planisferi arabi e i nostri viaggiatori che arrivavano fino a -Bab el-Mandeb, ne lo poterono istruire. La sua cosmogonia è -siffatta: che l’emisfero boreale stava sott’acqua, e un gran continente -era nell’australe opposto al nostro; Lucifero, <i>piovendo</i> -dal cielo per essere incarcerato nel centro della terra, spinse in -su un cono di sollevamento, che forma la montagna del Purgatorio, -sulla cui vetta ride il Paradiso: la massa arida agli antipodi -si fece <i>del mal velo per paura</i> di Lucifero, e nel nostro -emisfero restò una <i>gran secca</i>, cioè un continente di cui è centro -Gerusalemme. Questi sono concetti sistematici e poetici; e -più importa il vedere precisamente designato da Dante il centro -di gravità della terra, <i>il punto a cui son tratti d’ogni parte i -pesi</i>. Vero è che Aristotele lo accenna e che il cronista Rolandino -mezzo secolo prima di Dante scriveva, <i>Non aliter quam -ad punctum terræ medium, quod philosophi centrum dicunt, -ponderosa cuncta tendere naturaliter elaborant</i> (Hist. Patavina, -lib. <span class="smcap lowercase">XII</span>. c. 9). Ammesso questo centro di gravità, non è più meraviglia -che abitino uomini tutto in giro al globo. Il Petrarca -nomina gli antipodi in un passo da noi citato nel volume vii a -pag. 500; e nella canzone v scrive: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Nella stagion che il Sol rapido inchina</p> -<p class="i01">Verso occidente e che il dì nostro vola</p> -<p class="i01">A gente che di là forse l’aspetta;</p> -</div></div> - -<p> -e nella sestina <span class="smcap lowercase">I</span>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quando la sera scaccia il chiaro giorno,</p> -<p class="i01">E le tenebre nostre altrui fan alba.</p> -</div></div> - -<p> -I quali passi intarsiando il Pulci nel <span class="smcap lowercase">XXV</span> del <i>Morgante</i>, fa dire -dal demonio Astarotte che dappertutto «navigar si puote, -Però che l’acqua in ogni parte è piana» benchè la terra sia -rotonda; -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E puossi andar giù nell’altro emisperio</p> -<p class="i02"> Però che al centro ogni cosa reprime,</p> -<p class="i02"> Sì che la terra, per via di misterio,</p> -<p class="i02"> Sospesa sta tra le stelle, sublime;</p> -<p class="i02"> E laggiù son città, castella, imperio,</p> -<p class="i02"> Ma nol cognobbon quelle genti prime;</p> -<p class="i02"> Vedi che il Sol di camminar s’affretta</p> -<p class="i02"> Dov’io ti dico che laggiù s’aspetta.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note336"> -<p><span class="label"><a href="#tag336">336</a>.  </span>Già Strabone comprendea la possibilità della circumnavigazione, -«e se l’estensione del mare Atlantico non ci facesse -ostacolo, noi potremmo, persistendo sotto il medesimo parallelo, -navigare dalla Spagna fino all’India». <i>Geografia</i>, lib. <span class="smcap lowercase">II</span>. E Seneca -(<i>Quæstiones nat.</i>), interrogandosi quanto vi sia dagli ultimi -confini della Spagna fin all’India, risponde: — Lo spazio di pochissimi -giorni, se il vento spiri in favore».</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note337"> -<p><span class="label"><a href="#tag337">337</a>.  </span>Nel 1488 Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, disegnatore -di carte nautiche a Lisbona poi a Londra, donava a -Enrico VII d’Inghilterra un mappamondo, che non ci è descritto -particolarmente, ma dov’è questa rozza epigrafe: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Janua cui patria est, nomen cui Bartholomæus</i></p> -<p class="i01"><i>Columbus de terra rubra, opus edidit istud</i></p> -<p class="i01"><i>Londiniis A. D.</i> <span class="smcap lowercase">MCCCCLXXX</span> <i>atque insuper anno</i></p> -<p class="i01"><i>Octavo, decimaque die cum tertia mensis</i></p> -<p class="i01"><i>Februarii, Laudes Christo canentur abunde.</i></p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note338"> -<p><span class="label"><a href="#tag338">338</a>.  </span>Quell’uffizietto sta nella libreria Corsini di Roma. — Di -Colombo parlammo estesissimamente nella <i>Storia universale</i> e -negli <i>Italiani illustri</i>, e forse non senza novità. È notevole che -egli non accenna mai Marco Polo, sebbene si fondi continuamente -sulle tradizioni di quello. -</p> - -<p> -Nel 1670 Filippo re di Spagna donava alla repubblica genovese -un codice in pergamena, foglio piccolo, legato in cordovano -con mazzetto d’argento, e chiuso in una busta di cordovano con -serratura d’argento. Era una raccolta fatta da Colombo stesso -de’ proprj titoli a quella scoperta, e de’ privilegi venutigli; di -cui fece fare due copie, spedendole a Nicolò Oderigo confidente -suo, acciocchè le ponesse in luogo sicuro. Nelle ultime -vicende di Genova andarono disperse. Una, portata a Parigi, fu -ricuperata; l’altra si ritrovò nella biblioteca del conte Michelangelo -Cambiaso, e il corpo dei Decurioni la comprò, e ne fece -eseguire la traduzione dal padre Spotorno e la stampa, col titolo -di <i>Codice diplomatico Colombo-Americano, ossia raccolta -di documenti originali e inediti, spettanti a Cristoforo Colombo, -alla scoperta e al governo dell’America</i>. 1822.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note339"> -<p><span class="label"><a href="#tag339">339</a>.  </span>Ma Colombo dice precisamente che, al passare di un -certo punto, cioè del meridiano magnetico, «come al passar d’una -collina», l’ago, vôlto fin là a nord-est, piegava a nord-ovest.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note340"> -<p><span class="label"><a href="#tag340">340</a>.  </span><span class="smcap">Angelo M. Bandini</span>, <i>Vita di Amerigo Vespucci</i>. Solo nel -1830, pei documenti pubblicati da Nugnes e Navarrete, si ebbe -qualche certezza de’ costui fatti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note341"> -<p><span class="label"><a href="#tag341">341</a>.  </span>— Non erano passati molti anni che venne in Moscovia -alla corte del suo principe un ambasciatore di papa Leone, nominato -messer Paulo Centurioni genovese, sotto diversi pretesti; -ma la principal ragione... era perchè il detto messer Paulo, -avendo conceputo sdegno e odio grande contro Portoghesi, voleva -vedere se poteva far aprire un viaggio per terra, che le spezierie -venissero d’India per via dei Tartari e dal mar Caspio -nella Moscovia». <span class="smcap">Ramusio</span>, <i>Disc. sopra li viaggi delle spezierie</i>, -vol. <span class="smcap lowercase">I</span>. p. 374.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note342"> -<p><span class="label"><a href="#tag342">342</a>.  </span>Epist. 152.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note343"> -<p><span class="label"><a href="#tag343">343</a>.  </span>Il Roberston le adopera come tali, ma evidenti anacronismi -le convincono scritte assai dopo il caso. Disopra della porta -della chiesa di Siviglia dell’Oro alla Giamaica si leggeva: <i>Petrus -Martyr ab Angleria italicus, civis mediolanensis, protonotarius -apostolicus hujus insulæ, abbas, senatus indici consiliarius, ligneam -prius ædem hanc bis igne consumptam latericio et quadrato -lapide primus a fundamentis extruxit</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note344"> -<p><span class="label"><a href="#tag344">344</a>.  </span><i>Isole trovate novamente per el re di Spagna</i>. L’ultima ottava -dice: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Questa ha composto de Dati Giuliano</p> -<p class="i01">A preghiera del magno cavaliere</p> -<p class="i01">Messer Giovan Filippo ciciliano,</p> -<p class="i01">Che fu di Sixto quarto suo scudiere.</p> -<p class="i01">Et capitano suo et capitano</p> -<p class="i01">A quelle cose che fur di mestiere</p> -<p class="i01">A laude del Signor si canta e dice</p> -<p class="i01">Che ci conduca al suo regno felice.</p> -</div></div> - -<p> -E il libro chiudesi con queste parole: — Finita la storia de la -inventione delle nuove isole di Canaria indiane, tracta da una -pistola di Christofano Colombo, et per messer Giuliano Dati -tradocta di latino in versi vulgari a laude della celestiale Corte -et a consolatione della christiana religione, et a preghiera del -magnifico cavaliere messer Giovan Filippo di Lignamine, familiare -dello illustrissimo re di Spagna christianissimo. A dì <span class="smcap lowercase">XXVI</span> -d’ottobre 1495, Florentiæ». Quali sono peggiori, i versi o la -prosa? Certo nè gli uni nè l’altra invogliano a dissotterrare quel -libro. -</p> - -<p> -Vedansi gli <i>Studj bibliografici e biografici sulla Storia della -geografia in Italia</i>, pubblicati in occasione del Congresso Geografico -di Parigi. Roma 1875.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note345"> -<p><span class="label"><a href="#tag345">345</a>.  </span>Melchiorre Gioja vede nelle imposte «una forza di crescente -proporzione, la quale non trova limite se non nella resistenza -de’ popoli, e nel cuor de’ principi saggi». <i>Nuovo prospetto -delle scienze economiche</i>, pag. 230.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note346"> -<p><span class="label"><a href="#tag346">346</a>.  </span>Nel concilio Lateranese iv, sotto Innocenzo III, è sancito -che l’indagine si faccia per trovar la verità, <i>coram ecclesiæ -senioribus</i>; e si soggiunge: <i>Debet esse præsens is, contra quem -facienda est inquisitio, nisi se per contumaciam absentaverit; et -exponenda sunt ei illa capitula, de quibus fuerit inquirendum, -ut facultatem habeat defendendi seipsum; et non solum dicta, -sed etiam nomina ipsa testium sunt ei publicanda, ut quid et a -quo sit dictum appareat; nec non exceptiones et replicationes -legitime admittendæ, ne per suppressionem nominum infamandi, -per exceptionum vero exclusionem deponendi falsum audacia -præbeatur</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note347"> -<p><span class="label"><a href="#tag347">347</a>.  </span>Credesi che Pier Lombardo, per sollecitazione dei vescovi, -sostenesse in Francia le ragioni de’ villani a segno da ottenere -che anch’essi potessero portare lunghi i capelli, distintivo sin -allora dei nobili, cioè della razza conquistatrice. Perciò la -memoria di lui era celebrata annualmente dall’Università di -Parigi.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note348"> -<p><span class="label"><a href="#tag348">348</a>.  </span>Giovanni XXII avea pubblicato una bolla, ove diceva: — Per -l’autorità conferitaci dall’eterno Padre e dai santi apostoli -Pietro e Paolo, dopo matura riflessione, e udito il consiglio dei -nostri venerabili fratelli, di piena nostra podestà separiamo -l’Italia dall’Impero: riserbando a noi stessi di provvedere pel governo -di essa; e facciamo ampio divieto d’entrarvi». <i>Provinciam -Italiæ ab eodem imperio et regno Alemanniæ totaliter eximentes; -ipsam a subjectione communitatum et jurisdictionum eorumdem -regni et imperii separamus</i>. Il <span class="smcap">Baluzio</span>, <i>Vitæ Pap. Avenion</i>., i -col. 704, la dà come falsa, ma come genuina la considera <span class="smcap">Olenschlaeger</span>, -<i>Staatsgeschichte des römischen Kaiserthumes</i>, p. 249.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note349"> -<p><span class="label"><a href="#tag349">349</a>.  </span>Allude al principato di Monaco. Tutto ciò fu scritto -avanti le annessioni del 1860.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note350"> -<p><span class="label"><a href="#tag350">350</a>.  </span>Touqueville (<i>De la démocratie</i>, <span class="smcap lowercase">II</span>. 117) dice che la parola -<i>patrie</i> non si trova in nessun Francese prima del secolo <span class="smcap lowercase">XVI</span>.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. In particolare il testo in -greco è stato trascritto tal quale, senza alcuna correzione. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>STORIA DEGLI ITALIANI, VOL. 8 (DI 15)</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state -visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. 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Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/69981-h/images/cover.jpg b/old/69981-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 5216091..0000000 --- a/old/69981-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
