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-The Project Gutenberg EBook of Rinaldo ardito, by Ludovico Ariosto
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
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-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of
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-Title: Rinaldo ardito
- Frammenti inediti pubblicati sul manoscritto originale
-
-Author: Ludovico Ariosto
-
-Editor: Giuseppe Aiazzi
- Innocenzo Giampieri
-
-Release Date: October 25, 2015 [EBook #50306]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK RINALDO ARDITO ***
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-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net, in
-celebration of Distributed Proofreaders' 15th Anniversary,
-using images generously made available by The Internet
-Archive
-(https://archive.org/details/rinaldoarditofra00ariouoft).
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- RINALDO ARDITO
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- DI
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- LODOVICO ARIOSTO
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- FRAMMENTI INEDITI
- PUBBLICATI SUL MANOSCRITTO ORIGINALE
- DA I. GIAMPIERI E G. AIAZZI
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- FIRENZE
- NELLA TIPOGRAFIA PIATTI
- A SPESE DEGLI EDITORI
- 1846.
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- _Gli Editori intendono valersi del diritto e privilegio
- concesso loro dalle veglianti leggi in materia di stampa
- e proprietà letteraria, a danno dei contraffattori._
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- ALL'ACCADEMIA VALDARNESE
- CUI IL POGGIO ZELANTE ED ACUTO DISCOPRITORE
- DI RARI MONUMENTI DELLA SAPIENZA LATINA
- DAVA VITA
- QUESTE PREZIOSE RELIQUIE DEL CANTORE DEL FURIOSO
- DIMENTICATE E QUASI IGNOTE
- DUE CONSOCI
- SEGUACI TROPPO DISEGUALI DEGLI STUDJ DI TANTO FONDATORE
- CON GRATO ANIMO INTITOLAVANO
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-PREFAZIONE
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-L'annunzio della stampa d'un'Opera del divino Ariosto, non solo
-inedita, ma quasi sconosciuta, e tale da essersene perfino impugnata
-da solenni scrittori la reale esistenza, ai nostri giorni in cui si
-è tanto rovistato e tanti disotterramenti si son fatti dalla polvere
-delle pubbliche e private Biblioteche ed Archivi, parve cosa mirabile
-e da reputarsi quasi favolosa, ove il fatto di per se stesso non
-rispondesse perentoriamente. L'Opera della quale ci avvisiamo parlare è
-il RINALDO ARDITO[1], altro poema dell'Omero ferrarese, dettato da esso
-dopo l'Orlando Furioso, e sugli ultimi anni di sua vita. Ma perchè la
-storia bibliografica e letteraria di questo Poema è nuova del tutto,
-ed alquanto intricata, non sia grave al Lettore che noi vi spendiamo
-quel tanto di parole che servano a dilucidarla, ed a renderla piana
-ed incontroversa. Così operando, verremo a supplire al difetto del Ch.
-Fr. Reina Editore del Furioso della Collezione de' Classici di Milano,
-il quale nel 1812 prometteva corredare quella ristampa d'un comento,
-ed aggiungervi _per la prima volta tutti i frammenti di un altro
-poema trovati fra carte dimenticate e già spettanti al D. Giuseppe
-Lanzoni_. Onde non conoscendo le cause che lo impedirono a dar fuori
-quel comento, e a pubblicare questi Frammenti, ci lusinghiamo che egli
-avrebbe a grado che l'avessimo rilevato da questo secondo debito, se il
-cielo gli avesse concesso più lunga vita.
-
-Antonfrancesco Doni fiorentino, uno degl'ingegni più bizzarri e
-fantastici che coltivassero le lettere italiane sulla metà del Secolo
-sedicesimo, fu il solo che nella _Seconda Libreria_[2] palesasse ai
-dotti l'esistenza del nostro Poema, con queste nude e magre parole
-«_Lodovico Ariosto, RINALDO ARDITO, dodici canti._» Ma al bugiardo (ed
-il Doni n'avea fama ben giustificata) non è creduto neppure il vero;
-cosicchè tutti coloro che parlarono della vita e delle opere di Messer
-Lodovico, dal di lui figlio Virginio sino al Tiraboschi, o si astennero
-dal registrare fra queste il Rinaldo Ardito, o lo rammentarono solo
-per causa di dileggio e di rimprovero al Doni, tacciando d'impostura
-e menzogna la notizia che egli ne dava. Nè questa imputazione, benchè
-dura e falsa, può dirsi moralmente temeraria, poichè non si credè
-presumibile che il Doni potesse conoscere tutti gli scritti del Poeta
-editi ed inediti al tempo suo, meglio di Virginio figlio amatissimo
-di esso, il quale conviveva seco lui, ne riceveva precetti e buon
-avviamento alle ottime discipline, ed aveva agio e libertà di leggere
-tutto ciò che il padre dettava. Ed in fatti fu questi che raccolse
-tutte le di lui poesie latine, e che nel 1545 dette ad Antonio Manuzio,
-che li stampò per la prima volta, i cinque Canti che seguono la materia
-del Furioso, o meglio preparati per altro Poema. Ma comunque la cosa
-si fosse, la verità è che il Rinaldo Ardito è esistito, ed in parte
-esiste; e forse il Doni lo vide completo in mano dell'Autore, o da esso
-medesimo n'ebbe contezza: e dico così, perchè niun altro ne fa parola.
-Però non saprei indagare la ragione per la quale gli piacque tenerlo
-celato ai suoi più cari e confidenti, pe' quali non avea segreto,
-e lo palesasse al Doni: in questa riserva è un qualche enimma, ed
-aspetteremo che sorga l'Edipo per darne spiegazione. Frattanto per non
-perdersi in vane induzioni e fallaci ipotesi sulla via che condusse il
-Doni alla conoscenza di questo componimento, proseguiamo il discorso
-diretto sul medesimo.
-
-A questo lavoro par certo ponesse mano l'Ariosto dopo l'Orlando
-Furioso, e dopo il 1525; imperocchè nella stanza V a pag. 44 accenna
-già successa la prigionia di Francesco re di Francia, che avvenne
-in quell'anno sotto Pavia. Il Poeta morì nel 1533, appena compita
-la stampa da esso vegliata e corretta del Furioso, nè fra le Opere
-manoscritte da esso lasciate si fece motto da veruno trovarsi il
-Rinaldo Ardito; da questo silenzio io non saprei altro dedurre, o
-che non fu fatto un accurato esame di questi Manoscritti, il che non
-sembrerà verosimile, o che a quel tempo il Rinaldo non era più in sue
-mani, per averlo passato in quelle di qualche amico e confidente, il
-quale si tacque dappoi per ignota ragione sul prezioso deposito. Che
-il nostro Manoscritto fosse ab antico custodito nello stesso luogo ed
-insieme ad altre opere di questo Autore, ce ne fanno accorti le antiche
-macchie d'umidità che deturpanlo in più carte di seguito, macchie dello
-stesso colore e della stessa configurazione che vedonsi in molti altri
-de' suoi scritti originali, che conservansi nella Biblioteca comunale
-di Ferrara, e che perciò attestano aver corso sorte eguale al nostro,
-allorquando trovavansi insieme riuniti.
-
-Fermata così l'esistenza effettiva e l'originalità del nostro
-Codice, ci manca il filo per proseguire la storia del suo destino,
-accompagnandolo nei diversi passaggi che sempre sconosciuto può aver
-fatti, dallo studiolo del Poeta alla copiosa e scelta raccolta di
-Opere a stampa e manoscritte, messa insieme con pene e dispendio dal
-D. Giuseppe Lanzoni Ferrarese, morto nel febbraio del 1730, e quindi
-nella libreria dei Marchesi Bevilacqua. E dicemmo sempre sconosciuto,
-perchè il Lanzoni stesso che era così generoso e cortese nel favorire
-ed accomunare cogli amici suoi l'uso della propria biblioteca, non
-conobbe o almeno non palesò a veruno il gioiello che egli possedeva;
-mentre nella Vita affettuosa e molto particolarizzata che di questo
-egregio e dotto medico scrisse Girolamo Baruffaldi il seniore,[3] non
-vien neppure emesso il dubbio ch'egli possedesse il nostro Manoscritto.
-L'onore adunque di avere scoperto e messo in luce il ritrovamento dei
-frammenti del Rinaldo Ardito, d'averli esaminati e recatone fuori un
-saggio, si deve a Girolamo Baruffaldi il giovine, il quale nella Vita
-dell'Ariosto a pag. 172 ci fa sapere che _ad altro poema eziandio pose
-mano, oltre a quello del _Furioso_: uno squarcio, o piuttosto abbozzo
-di esso fu trovato a caso tra le carte dimenticate del chiariss. Medico
-Ferrarese Giuseppe Lanzoni; ma riuscendo il manoscritto originale
-difficilissimo ad intendersi per la rozza scrittura, per la mala
-conservazione de' fogli, e per le varie cancellature, io non ho potuto
-relevarne interamente, che alquante stanze, quali saranno poste in
-fine..... Io non peno a credere, abbenchè il Barotti lo neghi, che
-questo possa essere il Poema dall'Ariosto intitolato il _Rinaldo_,
-come accennò il Mazzuchelli sulla relazione del Doni; conciossiachè
-nel Canto IV.[4] diffusamente parlasi di questo Paladino, delle sue
-imprese, de' suoi viaggi e della sua donna Bradamante[5].... Ed i
-frammenti da me veduti non sono che un primo abbozzo informe in molti
-luoghi scorretto fino al leggervisi una stanza scritta seguentemente di
-soli sette versi[6]._
-
-Era oltrepassato mezzo secolo dalla morte del Lanzoni al tempo che il
-Baruffaldi scriveva la vita dell'Ariosto, di maniera che avrebbe potuto
-manifestare la persona presso la quale egli ebbe agio di studiare e
-trascrivere degli squarci del nostro Codice, nè saprei indovinar la
-causa per cui si tacque: era forse tuttora in casa Bevilacqua?..... Ma
-tralasciando le congetture, e venendo alla storica certezza, diremo che
-il Sig. Canonico Vincenzio Faustini, uomo fornito di buone lettere,
-ereditò dal padre suo il nostro Codice, ed a noi come possessor
-legittimo ne fece legittima cessione nel luglio dell'anno decorso; onde
-io mi do a credere che essendo il padre del Sig. Can. Faustini assai
-versato in questi studj e nella paleografia, ed avendo vissuto negli
-anni in cui per straniera invasione tanti insigni stabilimenti rimasero
-soppressi, e tanti pubblici e privati monumenti di libri e scritture
-andarono dispersi o per ignoranza distrutti, fu una fortuna che queste
-preziose reliquie venissero alle mani di lui, che seppe raffigurarle
-e tenerle nel pregio che meritavano. Quindi se mancano ad appagare la
-curiosità del Lettore notizie positive e speciali sulla sorte corsa
-da esse, ciò vien largamente compensato dalla sodisfazione che gli
-deriverà dal percorrere queste pagine, ove stampava sì luminose tracce
-della fecondità del suo immortal genio il Cantore del Furioso; e se
-qualche gusto gli rimane della buona poesia, e se qualche scintilla
-d'amor patrio gli scalda le vene, sarà contento aver veduto in questa
-età aumentarsi il patrimonio delle nostre lettere, e di nuove fronde
-rinfrescarsi la corona immortale che cinse l'onorata fronte del Poeta
-che, se Dante non era, sarebbe per primo inchinato.
-
-Che poi questi Canti fossero dettati per innestarli all'Orlando
-Furioso, come opinò taluno, oppure dovessero unirsi ai cinque altri
-postumi pubblicati da Virginio, la lettura attenta dei medesimi, ed
-il filo delle storie che vi son narrate, benchè interrotto, mostrano
-chiaramente che questa opinione non ha sussistenza; imperocchè il
-Furioso fu in ogni sua parte perfezionato dal Poeta nell'edizione
-del 1532, e tutte le storie intessutevi hanno il loro pieno sviluppo
-particolare. Di più nel Rinaldo compariscono personaggi ed attori
-diversi da quelli rammentati nell'Orlando, e toltone tre o quattro,
-nuovi affatto. E finalmente alla pag. 45 si allude ad alcuni
-avvenimenti storici occorsi in Italia al tempo dell'Ariosto, che
-erano stati narrati prima nei Canti III, XIV e XXXIII dell'Orlando;
-cosicchè se questi Canti fossero stati destinati ad inserirsi in
-esso, ne sarebbe resultata un'inutile ed oziosa ripetizione di fatti;
-però l'inesauribil vena del Poeta non abbisognava di tali sussidj, nè
-l'avrebbe consentito l'alterezza del suo genio. Mi fo meglio a credere
-che, avendo ideato questo nuovo Poema, volle mostrare ad Alfonso suo
-Mecenate, che non si lasciava fuggire occasione di cantare e ricantare
-le sue belle imprese, ogni volta che gli cadeva in acconcio di farlo
-solennemente.
-
-Il titolo di RINALDO ARDITO, credo che sia stato dato al poema, perchè
-apparisce dalla pag. 31, che questo famoso Paladino, protagonista
-dell'azione, onde ottener certa vittoria sull'esercito infedele, si
-travestisse da Saraceno, e sotto le mentite spoglie potè conoscere
-le forze del nemico; quindi dopo aver tutto esplorato, allorchè i due
-eserciti stavansi a fronte, avendo per mezzo della sorella Bradamante
-avvisato dell'inganno i capitani di Carlo, pose lo scompiglio nel
-campo nemico, e coll'aiuto dei Cristiani accorsi in tempo, disfecero
-l'oste pagana; e termina l'impresa colla conversione al Cristianesimo
-dei principali condottieri Saraceni e di Fondrano loro capo e Signore.
-Questo in breve pare che fosse il concetto del Poeta, innestandovi al
-solito vaghissimi episodj, che per la loro varietà e pel loro festivo
-colore ne rendono oltremodo gradevole la lettura.
-
-Accennata la storia del nostro Codice e del suo contenuto, ci resta
-da prevenire il Lettore sull'ordine da noi seguito in questa prima
-pubblicazione, cominciando dall'esatta descrizione del Manoscritto
-qual si trova attualmente. Questo si compone di trenta carte numerate
-modernamente da una sola parte, e distribuite in quattro quinternetti.
-Il primo di essi conduce da 1 a 6; il secondo da 7 a 14; il terzo da
-15 a 22; ed il quarto da 23 a 30. È necessario però avvertire che il
-terzo è contrassegnato nel margine inferiore della pag. 15 di mano
-dell'Autore con _b_, ed il quarto medesimamente a pag. 23 con _D_: il
-primo e secondo non portano segnature; ogni pagina contiene quattro
-ottave, meno che la 2 che ne ha cinque, la 19 la quale ne ha otto,
-scrittevi a doppia colonna, e la 29 che ne ha tre; cosicchè formano
-nell'insieme dugento quaranta quattro ottave. Ai quattro quinternetti
-serve di custodia una cartella di rozzo cartone bianco, che in avanti
-fu destinata a conservare dei conti e delle ricevute. Un cordoncino
-di seta rosso trapassa nella costola per traverso il cartone e i
-quinternetti, ed è fissato in fine con nodo; i due capi di esso poi
-son fermati nell'interno con cera di Spagna e sigillo della pubblica
-Biblioteca di Ferrara, ad autenticare il Certificato che qui si riporta
-in nota[7].
-
-Ora venendo alla disposizione materiale della stampa, la lettura
-del Manoscritto, nell'ordine in cui si trova, ci fece dubitare che
-le carte non seguissero regolarmente e con progresso razionale la
-materia, ma che i quinternetti fossero stati a caso in tal guisa
-disposti; ed il dubbio dell'interpolazione divenne certezza, quando
-le segnature del terzo e quarto c'indicarono chiaramente, che questi
-invece dovevano precedere i due senza segnatura: ed a questa via ci
-attenemmo. E volendo che il Lettore si convinca co' propri occhi
-della giustezza della nostra risoluzione, s'imagini che la stampa
-nell'ordine del Codice avrebbe cominciato da pag. 46 colla stanza X.
-fino a pag. 85 stanza XXX., avrebbe proseguito colla pag. 1 stanza
-I. fino a pag. 46 stanza IX., talchè alla lettura in questo senso ne
-resulta la narrativa de' casi incomposta ed a ritroso. Ed in fatti,
-nella nuova disposizione, si trovano in principio alcuni capitani
-infedeli combattenti contro l'esercito cristiano, quindi si veggono
-abbracciare il Cristianesimo ad insinuazione d'Orlando. Vi si legge
-pure un'avventura di Ferraù, il quale cade per inganno nell'acqua, e
-per forza d'incanto si vede trasportato nel giardino di Venere, ove è
-presente al trionfo d'Amore ec. ec. dovecchè adottando l'altro modo, ne
-sarebbe derivato una mostruosità, non procedendo naturalmente il filo
-della materia e degli avvenimenti raccontati.
-
-La ragione per la quale si è creduto bene render minutissimo conto di
-questo nostro materiale riordinamento, deriva dall'aver voluto fuggir
-la taccia d'arbitrarj, ove cadesse in mente a taluno raffrontar la
-stampa col manoscritto, giacchè ne piacque conservarlo religiosamente
-intatto ed inviolato nella sua compaginazione, alla quale va unita
-la preziosa autentica dell'originalità ed autografia del medesimo;
-onde precludere affatto il campo agli scettici, ai maligni ed agli
-ignoranti di sentenziare a sproposito. E giudicammo opportuno questo
-schiarimento, solo per quanto concerne la materialità del codice; che
-quanto al merito poetico, alla vivacità delle immagini ed al pregio
-dell'invenzione, tocca al Poeta a svelarsi, e a dar di se quelle prove
-irrefragabili che per unico lo caratterizzano, e per le quali come
-astro fulgidissimo risplende nell'italiano Parnaso: nè qui temiamo
-esserci ingannati.
-
-Ora venendo al modo da noi adoprato nel dar fuori questo lavoro,
-diremo che siamo stati scrupolosissimi a produrre il testo nella sua
-genuinità, riportandone perfino le voci viziate per eccesso o per
-difetto od anche per trasposizione di qualche lettera, rettificando
-però le principali in piè di pagina, affinchè non si credessero errate
-per colpa nostra. La stanza V del C. II, la XVI e XXVII del C. IV, si
-son lasciate difettose nella loro tessitura, nè ci prendemmo briga di
-raddrizzare qualche verso zoppicante; tutte negligenze comprovanti
-maggiormente l'originalità di questo primo getto, che l'Autore
-avrebbe eliminate dappoi, e che veruna pena ci sarebbe costato il
-togliere. Le frasi e gl'intieri versi rigettati e cancellati dal
-Poeta, sostituendovi quelli che gli parvero migliori, si son riportati
-in calce come varianti, per mostrare sensibilmente l'ordine delle
-concezioni di quel prepotente ingegno. Quanto poi alla puntuazione,
-ci siamo tenuti a quel metodo che credemmo il più conveniente ed il
-più seguito, quello cioè di agevolare possibilmente l'intelligenza
-dei concetti, senza gran fatica nè bisogno di ricorrere per tortuose
-ambagi il filo del discorso. Ai Canti si è dato abusivamente un
-numero progressivo dal I al V; non perchè così ce li abbia indicati
-l'Ariosto, ma pel comodo del Lettore e delle citazioni; giacchè Esso
-nei titoli lasciò in bianco la numerazione, e di sua mano non numerò
-che il _terzo_, il quale, per la lacuna indefinita tramezzo, siamo
-stati obbligati a chiamar _quarto_; a questa numerazione si son pure
-subordinati gli altri, che da penna più moderna e con altro inchiostro
-erano stati notati. Per servire egualmente alla comodità, si sono
-numerate le stanze d'ogni Canto, tornando da capo a ciascuno, come è
-stile; e dove esistono lacune, non si è omessa l'avvertenza.
-
-Resa sommariamente ragione di questa qualunque siasi fatica, onde
-impetrare alla medesima, se non il suffragio generale, almeno il
-benigno compatimento dei dotti, potremmo addurre a favor nostro le
-assidue e gravi cure sostenute di buona voglia nel breve ma spinoso
-aringo, non che le vinte difficoltà, che parvero quasi insuperabili
-al Baruffaldi, il qual pure avea tanta dimestichezza cogli scritti
-dell'Ariosto[8]. E la conferma della di lui genuina confessione
-si presenterà a chiunque si dia a confrontare le stanze da esso
-pubblicate per saggio di questi Frammenti, dalla pag. 310 alla 314
-della rammentata Vita del Poeta, con quelle stesse ristampate da noi; e
-speriamo che questo ragguaglio porrà in maggior chiarezza le diligenze
-da noi usate.
-
-Forse non mancherà chi disapprovi ed anzi condanni lo zelo di aver
-messo in luce un'Opera mutila ed informe in molte parti, quale
-sfortunatamente si è questa. Per costui non abbiamo discolpa, nè
-sapremmo fargli altra risposta, che mostrandogli un gran numero di
-opere di sommi scrittori greci e latini, che hanno avuto la stessa
-sorte, avvalorando la nostra sentenza col giudizio di tale, che nè la
-materia nè il luogo consentono di nominare[9]. Gli additeremmo ancora
-tanti e tanti bellissimi antichi capolavori in bronzo ed in marmo, che
-si ammirano ne' Musei, i quali non sono che insigni monumenti dell'Arte
-più o meno frammentati. E questi scritti e questi monumenti ci saran
-sempre di modello, rimanendo a testificare dell'eccellenza degl'ingegni
-che li produssero, ed a rimproverare mutamente l'incuria, l'ignoranza
-o la perversità degli uomini che li ridussero in tale stato, e
-risveglieranno nel cuore dei buoni almeno il desiderio che sorga chi
-vaglia a ristorarne del danno.
-
-Finalmente poichè colla stampa collettiva di più componimenti d'uno
-stesso Autore (i quali pubblicati a parte in varie occorrenze divengon
-rari e fuori di commercio) si provvede alla maggior diffusione dei
-medesimi, e posson considerarsi come rami che si ricongiungono al
-tronco principale, così credemmo incontrare il pubblico gradimento
-riproducendo la gentilissima Canzone colla quale Messer Lodovico
-piangeva la partenza da Firenze per oltremonte della sua Ginevra[10].
-Il Ch. Sig. L. M. Rezzi la trasse in luce per la prima volta da un
-codice miscellaneo Barberiniano, in occasione dei fausti sponsali di
-Donna Carlotta Luisa Barberini col Marchese Raffaele Casali del Drago,
-rivendicandola con critico ragionamento al nostro Autore, e ponendone
-in bella mostra i delicati pregi che l'adornano.
-
-
-
-
-Saggio del carattere dell'Ariosto preso dalla pag. 30 dell'Autografo
-
-
- [Illustrazione: manoscritto]
-
-
-
-
-CANTO I
-
-
- . . . . . . . . . . . .
- . . . . . . . . . . . .
- . . . . . . . . . . . .
-
-I.
-
- Così poteansi ritenere appena
- I cavalier di non entrar la ciuffa[11],
- E a ciascuno il tardare era gran pena,
- Nè può star fermo e si apparecchia e buffa;
- Di quei si parla che hanno animo e lena,
- Chè a un vil codardo incresce ogni baruffa,
- Come chi va alla forca, e che prolunga,
- Perchè quanto più può tardi vi giunga.
-
-II.
-
- Artiro e Salomone alla avanguarda,
- L'uno Affricante, e l'altro Cristiano,
- Stan per ferirsi in punto, e ciascun guarda
- Al segno general del capitano;
- Or dato il segno, alcun più non ritarda,
- E all'inimico va cum[12] l'arme in mano;
- Ma prima ch'entri in così orribil guerra,
- Feraguto vo' trar dall'aqua in terra.
-
-III.
-
- Ormai tanto che dentro vi è caduto,
- Che non dovrebbe aver di ragion sete;
- Sapete come cade[13] Feraguto?
- Cum quale astuzia cade augello in rete;
- Egli avea già nelle aque il cuor perduto,
- Nè ad altro pensa che alla strema quiete,
- Che essendo armato, e d'armi di gran pondo,
- Non potendo nuotar, discese al fondo.
-
-IV.
-
- Nè crediate ch'al fondo già restasse,
- Anci[14] di là dal fondo fu tirato,
- Che una dama gentil subito il trasse
- Fuora delle acque in luoco assai più grato;
- Nè già pensò che 'l ciel tanto lo amasse[15],
- Vedendosi nelle onde trabuccato;
- Ma il cielo il tutto a suo modo dispensa,
- E spesso all'uomo avvien quel che non pensa.
-
-V.
-
- Come chi per errore o per disgrazia,
- Cui sotto il ceppo ha il col[16] per esser morto,
- E fatta gli vien poi subito grazia
- Prima che moia o per ragione o torto,
- Che attonito rimane e il ciel ringrazia,
- E quasi muor di subito conforto:
- E così appunto a Feraguto accade,[17]
- Vedendosi ritrar dove pria cade[18].
-
-VI.
-
- Fu in una ciambra[19] il cavalier condutto
- Che tutta di cristallo era smaltata;
- Il palco tutto a specchi era costrutto,
- E intorno intorno tutta ad or frissata[20];
- Vedendosi il barone ivi ridutto,
- Gli fu tal sorte allor non poco grata,
- E tutto che suspetto ancora stava,
- Pur più ch'in l'umide acque ivi sperava.
-
-VII.
-
- E volto Feraguto alla donzella,
- Deh dimmi, dama, disse, se ti agrada,
- Chi sei, e come è qua stanza sì bella,
- Che in fondo alle acque mi par cosa rada?[21]
- A Feraguto allor rispose quella:
- Sappi ch'io fui nemica a quella Fada[22]
- Che poco anzi occidesti, e d'ogni intorno
- Faceva a' circumstanti iniuria e scorno.
-
-VIII.
-
- E quella son che ti donai quel tanto
- Lucido, adorno e prezioso scuto
- Cum che vinto hai la Fada e ogni suo incanto,
- A te di onore e a' circumstanti aiuto;
- E de infiniti sol ti puoi dar vanto
- Avere un tal triunfo oggi ottenuto,
- Di che grato non solo agli uomin sei,
- Ma fatto ne hai piacere insino a i Dei.
-
-IX.
-
- La Fada di coloro era nemica,
- Che d'altre che di lei fussero amanti;
- Anci ogni industria usava, ogni fatica
- Per rovinarli; e ben ne ha occisi tanti,
- Che indarno è lo espettar, baron, ch'io dica
- Quanti ne ha uccisi la malvagia, e quanti
- Presi e in pregione morti per disagio,
- Vetando loro il cibo, e il stare ad agio.
-
-X.
-
- Onde tanto costei Venere adonta
- Che sol di lei cercava aspra vendetta,
- E[23] a tale impresa in fin persona pronta
- L'amorosa mia don[24] gran tempo espetta;
- Ma solo hai vendicato ogni sua onta,
- E però ne serai persona eletta,
- A Vener grato, e per il tuo valore[25]
- Fortunato serai sempre in amore.
-
-XI.
-
- E quantunque infelice per adrieto
- Sempre sii stato in l'amoroso laccio,
- Nell'avenir serai jucundo e lieto,
- Poi che distolte[26] ne hai di tanto impaccio;
- E perchè intendi quel che ti è secreto,
- Quel che richiesto me hai io non ti taccio:
- Sappi che ninfa son nasciuta in l'acque,
- E di questo liquor sto corpo nacque.
-
-XII.
-
- Delle Naiade son la più onorata,[27]
- (Che così d'acqua son le ninfe dette)[28]
- Liquezia ho nome, e a Venere dicata,
- Sono delle sue care e più dilette,[29]
- E a te fui col bel serto mandata[30]
- Per animarti a far le sue vendette;
- Questa è mia stanza: e qui poserà tanto
- Ch'io torni a rivederlo in l'altro canto.
-
-
-
-
-CANTO II
-
-
-I.
-
- Benchè da poi che 'l Redentor del mondo
- Dimostar[31] volse un sol Dio trino et uno,
- Ogni idol falso[32] rovinasse al fondo,
- Pur fra' pagani ancor ne restò alcuno;
- Che li[33] altri Dei, eccetto il ver, secondo
- Debbe di nuoi[34] fedel creder ciascuno,
- Erano di Pluton seguaci rei,
- Che la gentilità chiamava Dei.
-
-II.
-
- Ma per la morte, e pel misterio sacro
- Della acerba passion del Verbo eterno,
- Qual segnò i suoi di quel santo lavacro
- Che lava in nuoi ogni peccato interno,
- Restò a Plutone il mondo acerbo et acro,
- E ritrarse gli fu forza all'Inferno;
- Nè falso alcuno Idio restò a' cristiani,
- Ma qualche illusion fra li pagani.
-
-III.
-
- E però a alcun di vuoi strano non paia
- Se a Feraguto quella ninfa apparve,
- Qual si chiamava dell'altre primaia,
- O fusser corpi veri o finte larve,
- Pur parea corpo quella ninfa gaia,
- Se con qualche ragion debbo parlarve:
- Non sciò[35] come altro giudicar si possa,
- Chè un spirto non si tocca in carne e in ossa.
-
-IV.
-
- Toccavassi[36] ella e ragionar se odiva,
- E porse a quel baron[37] lo illustre scuto,
- A cui, da poi che 'l suo parlar finiva,
- Rispose allor sagace Feraguto:
- O sii donna mortale, o eterna diva,
- Eternamente ti sarò tenuto,
- Che in dui perigli, fuor d'ogni speranza,
- In l'un scuto mi desti, in l'altro stanza.
-
-V.
-
- Ma qui se fai ch'a Venere io sia grato,
- Nè mi trovi in amor tanto infelice,
- Ch'io non vi fui giamai aventurato,
- Pur ch'io vi fussi un tratto almen felice,
- Io mi reputarei sempre beato.
- [38]
- Che tanto un sol piacere a un miser vale,
- Che gli rimette[39] ogni passato male.
-
-VI.
-
- Ma non sciò, ninfa,[40] se ragione o errore
- Sia, che sperar mi fa di questo puoco:[41]
- Come esser può che a quella Dea d'amore,
- Che altrui suole infiammar, piaccia tal luoco?
- Esser non può che in umile liquore
- Produr si possa, e conservarsi, il fuoco,
- Il fuoco che più al cor d'ogni altro preme,
- Che mal pon stare dui contrari insieme.
-
-VII.
-
- Ben mostri, alto baron, vivace ingegno,
- Disse la dama, e razional discorso,
- Che cum la forza uniti ti fan degno
- Di conseguir d'amor dolce soccorso;
- Spera, che fine arai al tuo disegno,
- E alla sventura tua[42] porrai il morso,
- Quanto ad Amore e Venere si spetta,
- Benchè tua mente in ciò dubbia e suspetta.
-
-VIII.
-
- Ma dubitar non dei, che 'l fuoco pasce
- In umido[43] liquore e si conserva,
- Come in vuoi il calor nativo nasce
- In radicale umor, che in vita serva
- Nel materno alvo l'uomo e nelle fasce,[44]
- E sempre umor da morte lo preserva;
- E in la lucerna piccoletta fiamma
- In oleo e in altro umor se aviva e infiamma.
-
-IX.
-
- Però Venere infiamma e si diletta
- Di quello umor che sta col caldo insieme,
- Anci nel mar di spuma fu[45] concetta
- Venere in cambio di genital seme;
- La cosa non dirò, baron, perfetta,
- Però che l'onestà la lingua preme,
- Et a una donna, ancor che meretrice,
- Lo inonesto parlar sempre desdice.
-
-X.
-
- Il viver di Saturno, e ciò che fece
- Al padre suo, mi converria narrarte;
- Ma questo ad uomo più che a donna lece;
- Bastammi[46] a dir la più opportuna parte,
- E che come la fiamma in oleo o in pece,
- Così in l'umor stia il caldo, dimostrarte;
- Nè ti sia cosa nova e inusitata.
- Che una Naiade a Vener sia dicata.
-
-XI.
-
- O felice colui che intender puote
- Il secreto poter della natura!
- O quante cose sono al mondo ignote
- Che l'uomo di sapere ha puoca cura;
- E se fussero a nuoi palesi e note
- Procederia ciascun cum più misura.
- Da te ben resto chiaro e resoluto,
- Rispose a quella dama Feraguto.
-
-XII.
-
- Ma pregote, dapoi che mi hai promesso
- Favorire[47] in amore i miei disegni,
- Che quando un tanto don mi fia concesso
- Di amar cum frutto, me ne mostri segni;
- Che sempre duolse, puoi[48] che in speme è messo,
- A cui come sperava non li avegni:
- Sicchè, dama gentil, fa' poi ch'io sapia
- Quando tal grazia in mia persona capia.
-
-XIII.
-
- Rispose allor la vezzosetta dama:
- Io sempre fui fedele a chi mi crede,
- E Vener anco, e chi infedel la chiama,
- Non ben dicerne[49] quel ch'amor richiede;
- Fidelità conviensi a chi bene ama,
- E dir si suol che Amor sempre vuol[50] fede;
- Ma acciò ch'in breve il tuo desir consegui,
- Conviene che più oltre ancor mi segui.
-
-XIV.
-
- Rispose quel baron: guidami pure,
- Se ben volessi, giuso ai regni stigi,
- Che disposto[51] mi son, dama, condure
- Dove ti piace pronto a' tuoi servigi.
- Ma mi bisogna[52] l'animo ridure
- Dove lassai, io credo, Malagigi,
- Il qual, se vi rimembra, in l'altro canto
- Vi lassai cum ragion jocondo tanto.
-
-XV.
-
- Io vi lassai di ciambra già partito
- Della regina, e l'uno e l'altro lieto,
- Che tanto l'uno a l'altro era gradito
- Che ciascun di essi ne restava quieto;
- Desidra la regina che finito
- Presto sia il giorno al suo piacer secreto,
- E sol la notte a lei felice espetta,
- Che Amore è cieco, e notte gli diletta.
-
-XVI.
-
- E senza altro pensare, un suo fidato
- Accorto servitor chiamò quel giorno,
- A cui disse, se sei, come hai mostrato,
- Sempre nemico a chi mi vuol far scorno,
- Prego che vadi più che puoi celato,
- E Orlando trovi cavaliero adorno,
- E nostro capitan, se sciai qual sia,
- E questa gli darai da parte mia.
-
-XVII.
-
- E una lettera in mano al messo porse,
- Che del suo amore il conte reavisava;[53]
- Dopo molte proferte, il servo corse
- Al finto non ma al ver conte[54] di Brava:
- Il conte poi che del sigil si accorse,
- La lettra prese, e altro non parlava,
- Anci notando[55] il servo, in man la piglia,
- In atto d'uom che assai si meraviglia.
-
-XVIII.
-
- Sciolsella[56], e prima sotto[57] lesse
- Il nome di chi a lui la scrive e manda;
- Subito il resto a leger poi si messe
- Di tal tenore = A te si aricomanda,
- Conte, colei che per signor ti ellesse,
- E sol ti apprezza, e solo ti dimanda;
- Pregate, come la notte passata,
- Questa altra ancor ti sia racomandata[58].
-
-XIX.
-
- Rimase il conte alle parol suspeso,
- E di notte non scià, nè de che scriva;
- Ma pur per coniettura ha in parte inteso
- Quel che chiedea la donna, e le agradiva;
- Scià ch'ella già lo amava; onde compreso
- Ha che di novo in lei lo amor si aviva;
- Ma pur di quel che ha letto assai si ammira,
- E di novo la lettra or lege, or mira.
-
-XX.
-
- E alla proposta subito rispose,
- E rescrisse una a lei di tal tenore:
- Regina mia, nelle importanti cose
- Vostre del regno sol vi mostro amore;
- Ma in altre trame occulte et amorose,
- Non fui mai vosco; onde pigliate errore:
- Nè sta notte nè mai giacqui cum vui;
- Credo ch'in cambio mio godesti altrui.
-
-XXI.
-
- Diede la lettra il conte al fido messo,
- Che alla regina appresentolla in mano;
- Ella vedendo il servo, al primo ingresso
- Allegrossi, ma poi fu il gaudio vano,
- Che poi che della lettra intese espresso
- Tutto il tenor, le parve il caso strano
- D'esser schernita, e che ciò[59] niegi il conte,
- Che pure il vide seco a fronte a fronte.
-
-XXII.
-
- E cominciò a dolersi la regina
- Allor del conte assai cum voce pia;
- Lacrimando diceva: ahimè mischina,
- A chi dei l'alma e la persona[60] mia!
- Ad un che fu la notte, e la mattina
- Dimostra ingrato che più mio non sia;
- E a me che io il vidi, e sciò che fu certo ello
- Non si vergogna dir, che non fu quello.
-
-XXIII.
-
- Nol vedeste, occhi vui, che le fattezze
- Avea del conte? io sciò che non errasti;
- Ora son queste, Orlando, le prodezze
- Che per mio amore usar prima pensasti?
- Se pur non ti piacean le mie bellezze,
- (Che poco sono) a che, crudel, le usasti?
- A che sì piccol tempo le godesti,
- E da me, ingrato, come vil ti arresti?
-
-XXIV.
-
- Forse ch'io non ti son piacciuta quanto
- Credevi prima, ahimè, solo a vedermi?[61]
- Ma perchè, ingrato, tante volte e tanto
- Quella notte tornasti a rigodermi?
- Se allor bella non fui, come di manto
- Adorna poteva altri e tu[62] tenermi?
- E se a me più tornar pur non volevi,
- Negarmi esser lì stato non dovevi.
-
-XXV.
-
- Dall'altro canto il conte Orlando stava
- Suspeso assai, nè scià quel che si dire;
- La cosa ben come era imaginava,
- Ma non la scià per lo ben colorire;
- Che essa l'avesse in fal preso pensava
- Per cieca volontà, per gran desire,
- Nè scià chi possa avere audacia presa
- Di essere entrato in una tanta impresa.
-
-XXVI.
-
- Non scià come essa lui in fal pigliasse,
- Nol cognoscendo al viso e al proprio aspetto,
- Nè scià ch'in faccia lui rapresentasse
- Salvo Milone, a lei figlio diletto,
- Qual non si crede[63] che alla madre usasse
- Tanta sceleritade, tanto diffetto[64],
- E stette in tal penser tutto quel giorno;
- Ma il conte io lasso, e a Malagigi io torno[65].
-
-XXVII.
-
- Credendo Malagigi ritornare
- Alla regina la notte seguente,
- Nel mezzo di quel dolce lamentare,
- Che faceva ella del suo error dolente,
- Andolla Malagigi a visitare,
- Che non sapea della regina[66] niente
- Quel che dolesse, anci a lei venne allora
- Cum la sembianza di quel conte ancora.
-
-XXVIII.
-
- Fu dalla più secreta camariera
- Portata alla regina la novella,
- Come ad essa il gran conte venuto era
- Per visitarla, se piacesse ad ella;
- Tutta turbossi la regina in ciera,
- E in mille parti il sdegno la martella,
- E dubita di dui qual debbia fare,
- O se lo escluda, o pur lo lassi entrare.
-
-XXIX.
-
- Non scià quel che si far, tutta è commossa,
- Non scià se contradica o se consenta,
- Ma l'amor più che l'ira ebbe gran possa,
- Sì che a lassarlo entrar restoe contenta;
- La camariera ad introdurlo mossa,
- Avanti alla regina lo appresenta,
- E Malagigi non sapendo il fatto,
- A lei si appresentò cum allegro atto.
-
-XXX.
-
- Ma ella cum sembiante assai mansueto,
- Cum occhi mesti a guisa di turbata,
- Non ben rispose a Malagigi lieto
- Come pensò vedere alla tornata;
- Ma non per questo se ritrasse adrieto;
- Ma dimostra egli faccia allegra e grata,[67]
- E accarecciar[68] la donna allor non resta,
- Pensando che per altro ella stia mesta.
-
-XXXI.
-
- Ma senza altro parlarli, la regina
- La lettera del conte al baron diede;
- Presella[69] quello, e subito divina
- Dove il gran sdegno di colei procede:
- E più cognosce ancor la sua ruina
- Che la lettra del conte in scritti vede;
- La lettra lesse, e poi rivolto a lei
- Disse, regina, per un scherzo il fei.
-
-XXXII.
-
- Tutta mutossi la regina allora,
- E serenò la fronte e il suo bel ciglio,
- E più che mai Orlando la innamora,
- E subito le fa mutar consiglio;
- Ma quietata non bene era ella ancora,
- Quando a lei corse un suo fedel famiglio,
- E dissele, regina, il tuo figliuolo
- Si trova in gran contrasto e in maggior duolo.
-
-XXXIII.
-
- Il conte Orlando nostro defensore,
- Venuto da ponente[70] ove il sol monta
- Per defendere il stato e il vostro onore,
- Credo che ricevuta abbia qualche onta;
- E dir l'ho udito al tuo figliuol: Signore,
- Se sta persona mai per te fu pronta,
- Se mai io satisfeci al tuo desire,
- Piacemmi[71] assai, ma ormai mi vo' partire.
-
-XXXIV.
-
- Di questo assai si duole il tuo Milone,
- E li repugna, e consentir non vuole,
- E vie più perchè Orlando la cagione
- Tace, nè si contenta e non si duole;
- Ma che offeso sia stato il gran barone
- Conoscessi[72] alla ciera e alle parole:
- Però prega Milon ch'ivi tu vegni,
- E che lui, se il puoi far, fra nuoi ritegni.
-
-XXXV.
-
- Poco cervel coprir de' la tua fronte,
- E che l'hai dove la civetta[73] il gozzo:
- Or non è qui a me presente il conte,
- Che ti sian cavi li occhi, e il capo mozzo?
- Rispose la regina; e a me raconte[74]
- Una tal falsità, ribaldo e sozzo:
- Sei cieco, over bevuto hai troppo vino,
- Che qui non vedi Orlando paladino?
-
-XXXVI.
-
- Guarda il famiglio, e resta stupefatto,
- E cognosce che quello è Orlando apponto:
- Io non sciò, disse, come vada il fatto,
- E come pria di me costui sia gionto;
- Io il vidi, io lo udii pur, e corsi ratto,
- Regina, a te, che sciai quanto sia pronto;
- E non sciò come sia possibil questo,
- Che egli di me sia giunto a te più presto.
-
-XXXVII.
-
- E partito[75] porrò cum chi lo accetta,
- Che quel ch'io vidi, Orlando, è in sala ancora,
- E parla cum Milon, che così in fretta
- Venni, che certo ancor cum lui dimora.
- Perchè a chi il fatto attien sempre suspetta,
- Molto turbossi la regina allora;
- A Malagigi guarda, e si dispone
- Veder di tal novella il parangone[76].
-
-XXXVIII.
-
- Malagigi, che più non può coprirse,
- Dispose allor finir la cosa in riso,
- E volto al servo disse, che forbirse
- Debbassi[77] ben di nuovo e li occhi e il viso,
- E che debbia correndo indi partirse,
- E ben cerchi mirare attento e fiso
- Se più dove diceva[78] il conte vede,
- E poi ritorni, e facciane lor fede.
-
-XXXIX.
-
- Subito il servo senza altra risposta
- Ritornò in sala ove ancor stava il conte,
- A cui il servo assai vicin si accosta,
- E fra se dice: io pur ti miro in fronte;
- Pur veggio che quel sei; ora a sua posta
- Mi accusi la regina, e facciammi[79] onte,
- Ch'io dubito assai ch'essa e il suo figliuolo
- Non sian traditi, e ne ricevan duolo.
-
-XL.
-
- E nulla dire allora a Milon volle,
- E fra se parla, e torna alla regina,
- Et a lei disse: chi 'l cervel mi tolle,
- Peggio[80] che non veggio io quello indivina;
- Tu sei troppo, regina, a creder molle,
- E ne potria reuscir tua gran rovina;
- Orlando è in sala, e questo è certo assai,
- E a vederlo tu ancor venir potrai.
-
-XLI.
-
- Rispose la regina: io vo' vedello,
- Ch'io voglio, s'io non trovo, castigarti;
- E tu, conte, se tu però sei quello,
- Prego che qui mi espetti e non ti parti:
- Rispose Malagigi, io son pure ello,
- E per meglio voler certificarti,
- Qui dentro chiuso voglioti espettare,
- Fa' pur quanti usci vuoi di fuor serrare.
-
-XLII.
-
- Fu chiuso Malagigi, e Galliciana
- Andò dove è Milone e il conte in sala;
- E visto il conte, assai li parve strana
- Tal cosa, e come a occel le cascò l'ala;
- Chiama in amore ogni sua opra vana,
- L'ira in lei[81] cresce, e il desiderio cala;
- Volsessi[82] disperar, volse morire,
- Poi che così si vide allor schernire.
-
-XLIII.
-
- Ma come sempre saggia e discreta,
- Farne vendetta al tutto si dispose,
- Ma per suo onore più che può secreta,
- Ordine buono al suo disegno pose;
- Molti de' suoi armò, che non gliel vieta
- Alcun, che potea queste e maggior cose,
- E condusseli ove era il finto Orlando,
- Per legarlo prigione al suo comando.
-
-XLIV.
-
- Ma intanto Malagigi la mala arte,
- Buona per lui, aveva oprato solo,
- Che solo a un comandare e aprir di carte
- Passava i muri, e se ne andava a volo;
- Effigie muta,[83] e quando vuol si parte,
- E il gaudio in pene[84] muta, in gaudio il duolo:
- Egli uscì fuora, e[85] in cambio suo rinchiuso
- Un spirito lassò da lui bene uso.[86]
-
-XLV.
-
- Nè vi ammirate se tal cosa fa,
- Che questo, a lui ch'è mastro, è cosa picola;
- Un libro consecrato il barone ha
- Che tutti i segni di tale arte articola;[87]
- In quello ogni scongiura e forza sta
- Che descrive Azael[88] e la Clavicola,
- E però dal demonio egli è obedito
- Secondo le occorrenzie e l'appetito.
-
-XLVI.
-
- Partisse allora egli per più destra[89]
- Che puote, che sapea quel che importava;
- Non sciò se uscisse per uscio o finestra,
- O se demonio o spirito il portava;
- Da l'altra parte la regina allestra[90]
- Li armati suoi, e nella ciambra entrava,
- E addosso a Libichel,[91] ch'in propria forma
- Del conte stava, corse quella torma.
-
-XLVII.
-
- Tutti cum gran furor[92] contra a lui ferse,
- Per far della regina ogni[93] comando,
- Che tutta l'ira contra a quel converse,
- Che era in la ciambra, come a finto Orlando;
- Ma Malagigi l'animo non perse,
- Anci rispose bene al lor dimando,
- Che a chi per darli o lo pigliar s'accosta,
- Cum pugni e calci fa buona risposta.
-
-XLVIII.
-
- Gridava ognun: pigliamo sto mal guerzo,[94]
- (Che così è il spirto in forma del gran conte)
- Ma Malagigi lor fa stranio scherzo,
- E a chi una gota rompe e a chi la fronte,
- Dui fece tramortire, e occise il terzo,
- E contra li altri ha ancor sue forze pronte;
- E ad un di lor, che gli contrasta invano,
- Tolse per forza un gran baston di mano.
-
-XLIX.
-
- Questo vedendo li altri, e che ben li onge,[95]
- Ciascun sta largo, e il guardano alle mani;[96]
- Dàlli dàlli, ciascun grida da longe,
- Come quando talor son tocchi i cani,
- Che abaglian[97] pure, e alcun non morde o ponge,
- E vanno intorno oppur stanno lontani;
- Così fan quelli, e gridano sì forte
- Che udito già l'avea tutta la corte.
-
-L.
-
- Milon vi corse, il conte, e il gran Fondrano,
- Rosadoro, Arideo cum altri insieme;[98]
- Ciascun teneva o brando o spiedo in mano,
- Che chi il caso non scià di peggio teme;
- Allora Libichel si fa più strano,[99]
- Il baston gira, e di gran furia freme
- Per provocar più il conte e li altri in ira,
- Corre al nemico, grida, salta e gira.
-
-LI.
-
- Intanto coi compagni il conte gionse,
- E il tempo prese allora Libichello,
- Per non mostrarsi Orlando a Orlando,[100] assonse
- Novella forma, come gionse quello;
- Effigie da baston proprio si agionse,
- E divenne di uno uomo uno asinello;
- Io non sciò se Turpino in ciò mi inganni,
- Fu uno[101] asinello di ben sopra otto anni.
-
-LII.
-
- Rignando cominciò giocar de calci,
- E porre ivi ciascuno in gran conquasso;[102]
- Fra color si dimena, e con gran balci[103]
- E correr, ne va assai più che di passo;
- Non fa tempesta, quando scorza i salci,[104]
- Tanto rumor ne' campi e tal fracasso,
- Quanto fa allora il spirto Libichello
- Mutato (come io dissi) in asinello.
-
-LIII.
-
- Orlando e Rosador di riso scoppia,
- Milon, Fondrano e così tutto il resto,
- Pur sempre i calci l'asinel raddoppia,
- E salta e corre e poi ragira presto;
- L'orecchie stende, si digrigna, e doppia
- Festa agli astanti poi aggiunse a questo,
- E in ordine mostrò quel che in le[105] stalle,
- O ne' campi, il stallon fra le cavalle.
-
-LIV.
-
- E si drizzò a seguir Galliciana
- Quel disonesto e intrepido asinazzo,
- Ella, che vide quella cosa strana,
- Si sforza vergognosa uscir d'impazzo;
- Ma l'asino da lei non si allontana,
- Gridagli forte ognun, pur n'ha sollazzo,
- E se[106] non pur che la regina infesta,
- Scoppiato ne sarebbe ognun di festa.
-
-LV.
-
- Ma il conte Orlando, cavalier saputo,
- Che ebbe la lettra, s'avisò del fatto,
- Perchè più d'uno incanto avea veduto
- Per altri tempi, imaginossi il tratto,
- Che Malagigi, o chi altri, qui venuto
- Fusse per eseguir questo tristo atto,
- Et a quanti baron si vide avante
- Disse: qui è stato qualche negromante.
-
-LVI.
-
- Confermò ognun quel che 'l conte prevede,
- Il qual disse a ciascun che presente era:
- Io sum[107] Orlando, il quale in Cristo crede,
- E la sua legge è sola al mondo vera;
- Mostrar vi voglio la cristiana fede
- Quanto potente sia, quanto sincera;
- E l'asino gridò:[108] Demonio tristo,
- Partiti quindi per virtù di Cristo.
-
- (_Manca la continuazione_)
-
-LVII.
-
- Ebbe il gigante allora acerba pena,
- Pur si ritenne in piede, e il capo quassa,
- La mazza stringe et a due man la mena,
- E contra a chi il percosse un colpo lassa;
- Schifarlo puote il Paladino appena,
- Ma pur da parte salta, e il colpo passa;
- Egli è mastro di guerra, e il suo Rondello
- Ai salti è assuefatto, e molto snello.
-
-LVIII.
-
- Schiffò quel colpo, e ben volse[109] il marchese,
- Ma renderlo non puote a quella volta,
- Chè separate fur le lor contese,
- Tanto crescea de' cavalier la folta;
- Sicchè Oliviero allora altra via prese,
- Mostrando tra' pagani audacia molta:
- Quanti ne giunge pien di rabbia e tosco,
- Male integri li manda al regno fosco.
-
-LIX.
-
- Riconfortossi la cristiana schiera
- Pel grande aiuto di quel Paladino;
- Ma di Ruffardo la possanza fiera
- Fa come falce di stipa o di lino:
- Infernal cosa è riguardarlo in ciera,
- Nè sì brutto si pinge Calcabrino;[110]
- E tanto adopra la ferrata mazza,
- Che sempre ha intorno spaziosa piazza.
-
-LX.
-
- Ma Balugante cupido di sangue
- Bravante il maladetto a ferir manda;
- Mossessi[111] quello a guisa di fiero angue,
- Se advien che 'l tosco disdegnato spanda;
- Restò a tal gionta ogni cristiano esangue,
- E a fugir cominciar per ogni banda;
- Li più galgiardi[112] allor ebber paura,
- Movendossi[113] il pagan de empia statura.
-
-LXI.
-
- Il primo che scontrò cum la fiera asta
- Fu Rodoardo sir di Lamporeggio,
- Galgiardo fu, ma al colpo non contrasta,
- Che a terra cade, e non gli avvenne peggio[114]:
- Poi che la lanza in mille pezzi è guasta,
- Il brando tira, e grida: oggi preveggio
- Il modo di sbramarmi a sangue e morte,
- E provar quanto ogni cristiano è forte.
-
-LXII.
-
- Vide il Danese il danno de' cristiani,
- E il suo Dudone e Bradamante appella,
- Che era in la schiera delli due germani;
- Costei del buon Ranaldo era sorella
- Gagliarda, ardita, e da menar le mani
- Atta non men che un Paladino, e bella;
- Altra Camilla,[115] altra Pentesilea,
- Che armata sol per Cristo combattea.
-
-LXIII.
-
- Entrò la dama nel calcato stormo
- Insieme cum Dudon gridando forte:
- Ora canaglia insieme vi distormo,[116]
- Che tutti meritate acerba morte;
- Io più di vui[117] non son legata o dormo,
- Che sì pensate, penso, a trista sorte:
- E cum la lanza un cavalier percusse
- Chiamato Armeno, e credo Armeno fusse.
-
-LXIV.
-
- Poi trasse il brando la gagliarda dama
- E gettò morto un giovinetto al piano,
- Qual da Turpino Chiariol si chiama,
- D'abito e nascimento soriano,
- Venuto di Soria per la gran fama
- Del gran re Carlo e del popol cristiano,
- E lassò il padre suo senza altro erede,
- Giurando tornar presto, alla sua fede.
-
-LXV.
-
- Glorio, Lampruccio e Meleardo occise,
- Tutti Africani, e tutti e tre di Egitto;
- Col brando il capo ai dui primi divise,
- L'altro di ponta fu nel cuor trafitto;
- Per questo, gran terror la dama mise
- Nel popul sarracin timido e afflitto,
- Gettando gambe, braccia e teste a terra,
- Questo urta,[118] quello occide et altri[119] atterra.
-
-LXVI.
-
- Come se tra molti minuti schioppi
- Bombarda scocca e sino al ciel ribomba,
- Che non pur par che de' nemici agroppi[120]
- L'animo, ma li offende, atterra e slomba;
- O se nei campi peccorelle intoppi,
- Dopo altri lampi, una fulminea romba;
- A parangone de altri men potenti
- Par che a ferir la dama si apresenti[121].
-
-LXVII.
-
- Ma Dudon fa cum lei la festa doppia,
- E col brando fracassa, atterra et urta,
- Minaccia, fende, rompe, taglia e stroppia,
- E a questo il busto, a quello un braccio scurta;
- L'uno induce timor, l'altro il radoppia,
- Per tener de' Cristian l'audacia surta,
- Ma non men sarracin da l'altro canto
- Cercano di vittoria avere[122] il vanto.
-
-LXVIII.
-
- Artiro, Odrido, Buffardo e Bravante
- Son contra i nostri da gran furia spenti,[123]
- Come si vede a caso in uno instante
- Levarsi a un tempo dui contrarii venti,
- Che l'un sbatte a ponente, altro a levante,
- Quel che a lor forza a caso si apresenti;
- E cum tal furia l'un l'altro ritrova,
- Come volesser discacciarsi a prova.
-
-LXIX.
-
- Scontrosse cum Odrido Bradamante,
- E stordito il lassò, tanto il percosse;
- Ferillo al capo la donzella aitante,
- Che tutto il tramutò, tutto il commosse;
- Visto quel colpo il forte re Bravante,
- Stimò che un paladin la dama fosse,
- E d'un gran colpo l'elmo le martella,
- Di che gran poena[124] ne sostenne quella.
-
-LXX.
-
- Ma subito grande ira al cuor le monta,
- E cum il brando il capo gli percuote,
- Che 'l colpo dato a lei cum questo sconta,
- E impalidir gli fece ambe le gote;
- Ma il re Bravante le lassò una ponta,
- Che appena ella in arcion tener si puote;
- Ma per la gente ch'ivi allor si mosse,
- Per forza l'un da l'altro separosse.
-
-LXXI.
-
- Ma cum Buffardo si scontrò Dudone,
- E cum gran stizza adosso se gli cazza;[125]
- D'una mazzata il gionse in un gallone,
- E poco men ch'in terra nol tramazza,
- Che grande anch'esso e forte era il barone,
- Perito molto in adoprar la mazza;
- Ora contra a Dudon venne il pagano,
- E l'uno e l'altro cum la mazza in mano.
-
-LXXII.
-
- Mena il gigante cum la sua ben ferma[126]
- Mazza a Dudone,[127] egli da parte salta,
- E convien che cum senno e ben si scherma
- Che troppo acerbo il sarracin lo assalta;
- Ma Dudon nel costato allor gli afferma
- La mazza, nè levolla allor troppo alta;
- E di dolor, tanto la mazza il tocca,
- Gettò il pagan la lingua fuor di bocca.
-
-LXXIII.
-
- Ma subito il gigante in se rivenne,
- E nell'elmo a Dudon gran colpo tira:
- Quasi cade il baron, pur si ritenne,
- Ma monta per vergogna e doglia in ira
- Tanto, che adosso a quel gigante venne,
- E alla visera, dove il fiato spira,
- Toccollo, e il naso talmente gli offese,
- Che Buffardo per doglia a terra stese.
-
-LXXIV.
-
- Occiderlo volea Dudone allotta,
- E per ferirlo avea già il braccio in ponto,
- Ma proibillo far di nuovo lotta
- Il stormo de' pagan ch'ivi fu gionto;
- Fuli il disegno e la sua impresa rotta,
- Che ognun fa più di se che d'altrui conto;
- Vide essere egli danno e incarco espresso,[128]
- Per occidere altrui, morire anch'esso[129].
-
-LXXV.
-
- Onde indi allor convenne dipartirse,
- E lassare il gigante in terra steso,
- Che gente tanta contra lui venirse
- Vedea, che forse allor restava preso,
- E li fu forza altrove ancor partirse,
- Che alla forza ciascun misura il peso,
- Ferendo va i nemici in altra parte,
- Et a chi il petto, a chi la faccia parte.
-
-LXXVI.
-
- Così fa la donzella Bradamante,
- Col brando in man gagliarda a maraviglia;
- Intanto sorse il caduto gigante,
- Qual nuovamente la sua lancia piglia,
- E questo dietro, e quel percuote avante,
- A infernal mostro nel ferir simiglia,
- E tanto de ferir l'empio procaccia,
- Che chi percuote occide, e li altri caccia.
-
-LXXVII.
-
- Mirava la battaglia allor Ranaldo,
- Il quale fra' pagan stava secreta-
- Mente, ma di scoprirse e d'ira caldo,
- E di assalirli cum il re di Creta
- Non si può rafrenar, non può star saldo,
- Non può tener la mente a un segno quieta;
- E una sola ora mille anni gli pare
- Potere esso in persona in gioco entrare.
-
-LXXVIII.
-
- Bradamante ferir vedea il barone,
- Cognobella all'insegna, e alla armatura,
- Che in campo verde portava un leone
- Di quel proprio color ch'ha di natura;
- L'insegna è questa del suo padre Amone,
- Piacque alla dama simil portatura:
- Fu il leon poi alquanto tramutato,[130]
- E di integro Ranaldo il fe' sbarato.
-
-LXXIX.
-
- Tanto col re Cretense oprato avea
- Ranaldo, che a re Carlo è fatto amico,
- E battezzarsi in tutto si volea
- Che di Califa fatto era nemico;
- E la cagion che a questo lo movea
- Ditta l'ho sopra, e più non la ridico:
- E in ponto stan quando fia tempo e luoco
- Di accender fra' pagani un doppio foco.
-
-LXXX.
-
- E per tessere alfin quel che avea ordito,
- E mandare ad effetto il suo disegno,
- Alla sorella prese per partito
- Far di sua mente cum buon modo segno;
- E presto entrò cum l'asta bassa ardito
- Fra' cristian, come li avesse a sdegno,
- E percosse uno apresso alla sorella,
- Che in terra il fe' cadere, e turbar quella.
-
-LXXXI.
-
- La dama allor cum rabbioso schismo[131]
- Verso Ranaldo si aventò col brando,
- Per mandar quello, come lo esorcismo
- I spiriti infernal de fuga[132] in bando;
- Del duol già ne sentì gran parossismo,[133]
- Ma non volse il baron far di rimando,[134]
- E beffarla e fugir cominciò insieme,
- Come un pazzo che scherza a un tratto e teme.
-
-LXXXII.
-
- Dicea Ranaldo: sei tu de' baroni
- Che se chiamano in Francia paladini,
- Che non potete fuora delli arcioni
- Gettar li men stimati sarracini?
- Se non aveste le armi e i brandi buoni,
- Persi aria Carlo ormai e' suoi confini;
- E tu porti il leon, superba insegna,
- Per dimostrar ch'in te gran forza regna.
-
-LXXXIII.
-
- Per tal parole, e per la prima causa
- Dello occiso baron vicino a lei,
- Seguia Ranaldo senza alcuna pausa,
- Per condurlo col brando a casi rei;
- E per grande ira allor saria stata ausa
- Entrar nel fuoco o dove stanno i Dei,
- Volar al ciel, o profundarsi in mare,
- Per volersi del caso vendicare.
-
-LXXXIV.
-
- Fugia Ranaldo, et ella seguitava
- Tanto, che fuora delle schiere usciro;
- Allor Ranaldo a quella si voltava,
- Dicendole, sorella, assai mi ammiro
- Che tanto il tuo fratello ora ti agrava,
- Che dar gli cerchi l'ultimo martiro;
- Se ben son stravestito e non sto saldo,
- Io però sono il tuo fratel Ranaldo.
-
-LXXXV.
-
- E verso lei alciata[135] la visera,
- Fecela chiara di quel ch'era incerta;
- Visto alla faccia che quello appunto era
- Ranaldo, e che ne fu la dama certa,
- Depone ogni furor, jubila e spera
- Che presto sua possanza sia scoperta;
- E in ben di Carlo, e danno de' pagani,
- La vittoria per lui fia de' cristiani.
-
-LXXXVI.
-
- Dopo molte parol[136] tra lei e lui,
- Ranaldo le contò lo ordine dato
- Col re d'Oranio e i capitanei sui,
- Sì come per adietro hovvi narrato;
- Onde sogionse, a te prima che altrui
- Il mio penser secreto ho revelato,
- Acciò che vadi al capitan Dainese,
- E quel ch'io a te, tu a lui facci palese.
-
-LXXXVII.
-
- Digli che in ponto cum due squadre stia
- Cum qualche, che a lui piaccia, baron franco;
- E che quando levato il rumor sia
- Nel campo de' pagan, venga per fianco,
- Che de venir lì avrà secura via,
- Nè può venirne tal disegno a manco;
- Egli da lato, e nuoi da la codazza,
- Porremo a morte li inimici e in cazza.[137]
-
-LXXXVIII.
-
- E senza spia che gli riporti quando
- Comparir deva, digli che pur presto,
- Che il cominciar tal cosa è a mio comando,
- E che il troppo tardar mi è già molesto;
- Comincierò adoprar subito il brando
- Ch'io pensi che ciò a lui sia manifesto.
- Vanne, sorella, e digli che non erri,
- Che oggi vittoria aranno i nostri ferri.
-
-LXXXIX.
-
- Inteso ch'ebbe Bradamante il tutto,
- Verso Parigi punse il suo destrero,
- E come ben Ranaldo avea condutto
- Il suo disegno, disse al franco Ugiero;
- A cui, poi che l'udì, non parve brutto
- Del buon[138] Ranaldo l'ordine e il[139] pensiero,
- Anci per darli cum prestezza effetti
- Ebbe dui capi cum lor squadre elletti.
-
-XC.
-
- L'uno fu Namo, e l'altro Ricciardetto,
- La sesta schiera ha quel, questo la nona.
- Et ad ambi narrò tutto l'effetto,
- Perch'esso andar non vi volse in persona;
- Che un capitanio generale elletto,
- Raro o non mai l'esercito abbandona;
- E però a quelli revelò il secreto,
- Di che ciascun di lor funne assai lieto.
-
-XCI.
-
- Così per via dove non fusser visti
- Cum le lor schier li capi se avioro
- Per ritrovare i sarracin sprovisti,
- E contro essi adoprar le spade loro;
- Spera ciascun di far solenni acquisti,
- Poi che del tutto bene instrutti foro:
- Ma vadan quelli, io tornerò al Danese,
- Che ove è Carlo rimase, e ad altro attese.
-
-XCII.
-
- Per impedir che quei ch'erano in fatti
- Tenessero ivi il lor combatter saldo,
- Nè adietro fusser dal rumor retratti,
- Quando l'assalto arà fatto Rainaldo,
- Cum stratageme e ingeniosi tratti,
- Di che esser debbe sempre un capo caldo,
- Gano mandò[140] cum la settima schiera,
- Dove la prima pugna in gran colmo era.
-
-XCIII.
-
- Cum trenta milia di sue genti pronte,
- E cum molti di[141] suoi conti malvagi,
- Entrò in battaglia il Magazense conte,
- E secco[142] avea Beltramo e Bertolagi,
- Falcon, Sanguino, Spinardo e Lifonte,
- Anselmo, Pinabello et Aldrovagi,
- Cum altri molti che ridir non stimo,
- Ma Gano fu cum l'asta al ferir primo.
-
-XCIV.
-
- Rupe la lanza proprio a mezzo il scudo
- Di Medonte di Dacia cavaliero,
- Che li cacciò fuor della schena il nudo
- Ferro dell'asta, sì fu il colpo fiero;
- Poi trasse il brando e nequitoso e crudo
- Il capo fesse a Corifonte arciero;
- Di Dacia fu costui, a Odrido caro,
- Ma non gli fu a quel colpo allor riparo.
-
-XCV.
-
- Ma Balugante dello assalto accorto,
- Mandò nella battaglia Ardubalasso,
- Qual percosse Dudone, e come morto
- In terra lo gittò cum gran fracasso;
- E pria che fusse quel baron risorto,
- Fu preso, ancor pel colpo afflitto e lasso;
- Nè puote esser soccorso allor Dudone,
- Che a Balugante fu dato pregione.
-
-XCVI.
-
- Per il nuovo soccorso, e la gran forza
- Di Ardubalasso li cristian fugiro,
- E la furia schifar ciascun si sforza,
- E li più forti allora si smarriro;
- L'ardir di molti quello assalto amorza,
- E qual Bufardo fuge, e quale Artiro,
- Chi Odrido schifa, e chi Bravante fuge,
- Dove salvarsi spera, ognun rifuge.
-
-XCVII.
-
- Grida Olivier cum voce minacciante,[143]
- E grida Gano: ove fugite voi?
- Seguitene cristiani, andiamo avante,
- Volete abbandonar re Carlo e nuoi?
- Re Carlo anch'esso pure ha genti tante,
- Che a tempo manderà soccorso ai suoi:
- Non dubitate, ognun torni a ferire,
- Che la gloria de un forte[144] è un bel morire.
-
-XCVIII.
-
- Ardubalasso intanto ed Oliviero
- Cum furia estrema si affrontaro insieme;
- Ferì questo il pagan sopra il cimiero
- Cum furia tanta e cum tal forze estreme,
- Che poco men che nol cacciò al sentiero;
- Ma pur di doglia esterminata il preme,
- E se non era allor l'elmo sì forte
- Condutto era Olivier pel colpo a morte.
-
-XCIX.
-
- Ma buona pezza stette strangosciato
- Per quel gran colpo il paladin marchese,
- E pregione era, se non era aitato
- Da Ganelon che a forza lo difese;
- Prese una lanza, e nel sinistro lato
- Percosse Ardubalasso e a terra il stese,
- Chè contra lui sì inopinato venne,
- Che 'l sarracino in sella non si tenne.
-
-C.
-
- Resorse intanto il gran signor di Vienna,
- E forte combattea col brando in mano;
- Così fa Gan che tocca e non accenna,
- E questo occide e quel riversa al piano;
- Ma non val lor cum brando e cum antenna
- Ferir, che sol sono Oliviero e Gano
- Or capi tra' cristiani in tal tenzone,
- Preso[145] è Dudone, Astolfo e Salomone.
-
-CI.
-
- E Bradamante col suo Ricciardetto
- Si pose in schiera come fu ordinato,
- Per far col sir di Montalban l'effetto,
- Che di sopra poco anzi io vi ho narrato;
- Però il Danese che avea tal respetto,
- Vuol che sia aiuto ai combattenti dato,
- E in battaglia Turpin presto mandava
- Cum la sua schiera di ordine la ottava.
-
-CII.
-
- E subito parlò del fatto ordito
- Contra' pagani al sacro imperatore,
- Et ordinosse allor che Carlo uscito
- Cum la sua schiera de ordinanza fuore,
- L'inimico da un canto abbia assalito;
- Sentendo in quella parte il gran rumore,
- E inteso di Ranaldo il duro assalto,
- In quella parte[146] allor debbia far alto.
-
-CIII.
-
- Turpino intanto tanti fatti fece
- Ch'io non ricordo e cum brando e cum lanza,
- Che parve un fuoco entrato nella pece,
- Che Dio li accrebbe il lustro e la possanza;
- Tutte le schiere de' Cristian refece,
- Tal che ciascun di lor prese speranza;
- E in questo assalto de' forti cristiani
- Gran danno e occision fu fra' pagani.
-
-CIV.
-
- Ma Balugante manda Marcaluro
- A soccorrer pagan già posti in fuga,
- Qual nequitoso e di superbia duro,
- Dove entra li cristiani atterra e fuga;
- Ma Ranaldo che vede il caso oscuro
- Delli occisi cristiani, il fronte ruga,
- E tratto il brando, se n'andò dove era
- Non distante Califa e la sua schiera.
-
-CV.
-
- Ranaldo avendo l'abito pagano
- A Califa accostossi cum buon modo,
- E dielli sopra il capo un colpo strano,
- A guisa che si caccia in legno il chiodo;
- Trovol sprovisto, e riversollo al piano,
- Benchè fusse quel re gagliardo e sodo;
- Nè allora ebbe altro mal, ma il buon Ranaldo
- Mostrossi allora di gran furia caldo.
-
-CVI.
-
- E cum il brando mena gran tempesta,
- E facea colpi fuor d'ogni misura;
- A chi braccia tagliava, a chi la testa,
- E chi fendeva insino alla centura;
- E tanto l'occhio aveva e la man presta
- Che facea a un tempo il danno e la paura;
- Sempre gridando: adosso alla canaglia,
- Che vincitor serem della battaglia.
-
-CVII.
-
- Vedendo questo i sarracin smarriti,
- Che non scian ciò che questo dir si voglia,
- E vedendo li morti e li feriti
- Da sì gran colpi, tremano qual foglia;
- E se vi erano alcun delli più arditi,
- Che de offender Ranaldo avesser voglia,
- Egli col brando sì li acconcia e sbatte,
- Che tutti o occide, o cum gran furia[147] abbatte.
-
-CVIII.
-
- Intanto Bradamante si scoperse
- Cum li fratelli e la sua ardita schiera,
- E le cristiane insegne al vento aperse
- E entrò per fianco dove Ranaldo era;
- Questo quel stormo allor tutto disperse,[148]
- Vedendosi assalito[149] a tal mainera:
- Restò all'assalto ognun da se diviso,
- Che assai spaventa uno empito improviso.
-
-CIX.
-
- In altra parte[150] poco a quei distante
- Mossessi[151] Namo e tutta la sua gente,
- E ove è Tricardo allor[152] si trasse avante
- Cum la schiera serrata arditamente;
- Non vi fu[153] sarracin tanto constante
- A cui non vacillasse allor la mente,
- Vedendossi così desordinare,
- Nè più si scianno in qual parte guardare.
-
-CX.
-
- Mosso non si è Doranio ancora contra
- A' sarracin, ma tempo e luoco espetta,
- Che se peggio a' cristiani non incontra,
- Senza scoprirse spera la vendetta;
- Vede che quanti il buon Ranaldo scontra,
- Tutti col brando li investisse[154] e affetta,
- Onde in lui spera, e ancor riposa alquanto:
- Però posando anch'io fo fine al canto.
-
-
-
-
-CANTO III.
-
-
-I.
-
- Sforzassi[155] alcuno allo inimico porre
- Cum forza il freno più che cum ingegno:
- Così il vecchio Priamo e il forte Ettorre
- Cercavano smorzare il greco sdegno;
- Ma in altro modo si sforzò Nestorre
- E Ulisse ruinare il troian regno,
- Pensando esser, l'un[156] saggio, e l'altro veglio,
- Vincer cum senno che cum forza meglio.
-
-II.
-
- Così visto ho a' miei giorni[157] overo inteso,
- Per non dar testimonio il tempo antico,
- Esser Francesco re di Francia preso
- Per senno più che a forza dal nemico;
- E pria doe[158] volte innanzi esser difeso
- Francesco Sforza da chi gli era amico
- Contra esercito[159] tanto e tanta boria,
- Che forza non potea darli[160] vittoria.
-
-III.
-
- Cum la prudenzia i suoi nemici amorza
- Alfonso Estense, mio signore invitto,[161]
- Che avendo men che 'l suo nemico[162] forza,
- Hallo più volte già cum senno afflitto;
- In stato è ancora, e non fia mai ch'il torza[163]
- Da quello per timor, per fatto o ditto;
- E in casi che niun mai l'aria pensato,
- Nel suo seggio signor sempre è restato.
-
-IV.
-
- Io lassarò de Julio i gran litigi
- Contra di lui per seguitare il Gallo,
- Zanniolo,[164] Ravenna, e li vestigi
- Lassati alla Bastia per l'altrui fallo;
- Lassarò discacciato re Luigi
- De Italia fuor, che anche bene Idio sciallo
- Quanto el stato de Alfonso allor pendea,[165]
- Scacciato essendo chi lo difendea.
-
-V.
-
- Ma dirò quando per crudel fortuna
- Pregion restò Francesco re di Francia,
- Che oltra che allor non fu persona alcuna
- Che non bagnasse per dolor la guancia,
- Io credo che pensasse anco ciascuna
- Alfonso più che mai stare in bilancia,
- Per essersi sì a lui fedel mostrato
- Allor, quanto alcun mai tempo passato.
-
-VI.
-
- Ma cum prudenzia e suo nativo senno,
- Oltra ogni fede e pensamento accorto,
- Placato ha quelli che pregione il fenno,
- Et ha il naviglio suo condutto in porto;
- Così far tutti i gran principi denno,
- Che vincer fa talor prudenzia il[166] torto;
- Così cristiani per salvarsi il[167] regno
- Vincer cercon per forza e per ingegno.
-
-VII.
-
- Io vi lassai che Namo era già mosso
- Contra la schiera di Tricardo altiero,
- E che Ranaldo taglia insino all'osso
- Quanti ne assalta più che giammai fiero;
- Gridando tutti ammazza, adosso adosso,
- Estrema occision di pagan fero:
- Alardo, Ricciardetto e la sorella,
- Contra pagani ciaschedun[168] martella.
-
-VIII.
-
- Dall'altro canto pur Doranio sorse
- All'improviso contra i sarracini,
- E lor tal tema nelle vene porse,
- Che stimano che 'l ciel tutto rovini;
- Fuge ciascun, ciascuno in frotta corse[169]
- Per schifar li nimici a se[170] vicini;
- Ciascun si pone in tal disordinanza,
- Che solo nel fugire hanno speranza.
-
-IX.
-
- Marsilio, Panteraccio e li altri capi,
- E Balugante, in fuga universale
- Tutti son persi, e restano cum capi
- Senza consiglio, e zucche senza sale;
- Visti tutti fugir, Ranaldo i capi
- Sol ferir cerca, e di lor sol gli incale;
- Ai capi, ai capi, grida; e alla sua voce,
- De' suoi ciascun mostrossi più feroce.
-
- _Manca la continuazione_
-
-X.
-
- Non puote pur Fondran tacer, che al fine
- Fu forza all'ira rallentare il freno,
- E dir: Donque li miei di mie rovine
- Son causa? ah Macon falso e di error pieno!
- Veggio ch'in te non stanno le divine
- Grazie, e quel ben[171] che mai non vien a meno;
- Piena è tua fede di fantasme e sogni,
- Io voglio seguir Cristo a' miei bisogni.
-
-XI.
-
- Allor lo suase il conte umanamente
- Che battizar si voglia[172] al sacro fonte;
- Che invero Orlando fu molto eloquente,
- Et agli amici di benigna fronte;
- Geloso della Fede, e assai prudente,
- E per umilità volse esser conte,
- Casto, fedele, paziente e pio,
- E fu sempre vivendo in grazia a Dio.
-
-XII.
-
- Milon superbo, Fondrano e Grugnato,
- I compagni Arideo e Rosadoro,
- I figli di Arimonte dispietato,
- Già crudo Urcasto e il fedele Antiforo,
- Per il parlar del conte onesto[173] e grato
- Alla cristiana fe conversi foro;
- Cum gran gaudio del conte e di Dio, stimo,
- Si battizaro, e fu Fondrano il primo.
-
-XIII.
-
- Galliciana, e tutta la cittade
- Fu battizata allor per man d'Orlando,
- Egli si affaticò per caritade
- Di battizarli, e averli[174] al suo comando;
- Poi mosso dall'amore e da pietade
- Dispose per Fondrano oprare il brando,
- E in stato porlo, e però fe' gridare
- Che ogni soldato debba in punto stare.
-
-XIV.
-
- E dopo alquanti giorni partir fece
- La gente[175] di Milone a questa impresa;
- Lassar Galliciana ormai gli lece,
- Poi che non teme più d'alcuno offesa.
- Ma a Feraguto ormai tornar mi dece,
- Che già tutta d'amore ha l'alma accesa,
- E dalla ciambra ove era uscendo fuori,
- Entrò ne un campo pien di vaghi fiori.
-
-XV.
-
- Tutta fiorisce di erbe la pianura
- Di colorite rose e zigli piena,
- Avea di mirti intorno una verdura
- Che vie più ch'altro quella facea amena;
- Cinto era intorno di merlate mura,
- E da ogni merlo pende una catena;
- Ardenti fuochi vi erano in più bande,
- Qual piccol, qual mezzano e qual più grande.
-
-XVI.
-
- Volava in quella[176] un pargoletto arciero
- Quale avea dardi di piombo e di oro;
- Quel fuga, questo fa l'amor sincero,
- Come diversi da natura foro;
- Vola[177] il fanciullo per quel piano[178] altiero,
- E sagitta col stral spesso uno alloro:
- Par che ferir quell'arbor[179] gli sia grato,
- Faretrato, fanciul, nudo, orbo, e alato.
-
-XVII.
-
- Eravi in mezzo un vago carro aurato,
- Fatto non di opra umana, anzi divina,
- Sol di rubini e di diamanti ornato,
- E sopra vi sedeva una regina,
- Di dolce aspetto e da ciascuno amato,
- Adorna tutta di porpora fina;
- Un pomo di or nella man destra avea,
- Da un Troian l'ebbe, è questa Vener Dea.
-
-XVIII.
-
- Era di lieta ma di vista altiera,
- Cum maniere legiadre e graziose,
- Altra stagion non vuol che primavera
- Lieta di odori e di fiorite rose;
- Odia vechiezza, e sol nella sua schiera
- Giovani sono, e lor dame amorose,
- Lascivetti animali e verdi piante,
- E in somma alcun non vuol che non sia amante.
-
-XIX.
-
- Quattro destrier vie più che sangue rossi,
- Qual non si trovan mai nel correr stanchi,
- Guidano il carr[180] da un dotto auriga mossi;
- Senza alcun freno, e senza sproni ai fianchi
- Altri li han visti, e fan lor gambe[181] e dossi
- E code e colli[182] più che neve bianchi;
- Ma a Feraù, ch'anch'esso fu in quel luoco,
- Parveno rossi più ch'ardente fuoco.
-
-XX.
-
- Sol li regge alla voce il saggio auriga,
- E tienli e scioglie come cani al lasso;
- Nè sempre scorre a un modo il bel quadriga;[183]
- Ma talor corre e talor va di passo;
- Nè sempre è il suo camin per una[184] riga,
- Ma or poggia in alto et or dechina al basso,[185]
- Talor sfrenato va,[186] talor modesto,
- Or longe corre, et or[187] si afferma presto.
-
-XXI.
-
- Per ciascuno una fiata il carro corre,
- E mostra, anzi predice a ognun li amori
- Quali esser denno, e quanto ognun trascorre,
- E quai son fidi e quai falsi amatori;
- E chi del suo servir de' frutto corre,
- E chi ritrarne sol stenti e dolori,
- Chi gran voglia d'amare, e chi non molta
- Mostra a ciascuno il carro una sol volta.
-
-XXII.
-
- Pur allor Feraguto[188] il vide in mezzo
- Cum genti innanzi che facean gran feste;
- Et altri vide ch'il seguian da sezzo
- Cum occhi lacrimosi e faccie meste;
- E questi sono che non trovan mezzo
- A far lor voglie ad altri manifeste;
- Sperano in vano, e tranno i pregi[189] al vento,
- Vivono in servitù, moiono in stento.
-
-XXIII.
-
- Ma la turba che innanzi al carro giva,
- Che coglie del suo amor qualche mercede,
- In ordini diversi si partiva,
- E il maritale amor primo si vede;
- Questo fra li altri florido gioiva
- Di legitimo nodo e pura fede;
- Vener li sguarda cum alegra faccia,
- E i discordi fra lor a dietro scaccia.
-
-XXIV.
-
- Dopo seguiano i giovinetti amanti,
- Che 'l nodo marital disiano insieme,
- Che cum bei[190] soni e dilettevol canti
- Chiamano[191][192] il frutto del lor sparso seme;
- In vaghe foggie e 'n amorosi manti,
- E nel farsi estimare hanno ogni speme,
- Cum brette torte[193] e chioma tanto ornata,[194]
- Che bastarebbe a Spagna innamorata.
-
-XXV.
-
- Poi l'Amor giunto a qualche vituperio
- Cum ordine li suoi avea schierati,
- Secondo che distinguon l'adulterio
- In semplice e composto, i dotti frati;
- Chi è saggio noterà tutto il misterio,
- Senza ch'a pieno vui da me l'odiati;
- Li ordini solo io vi dirò, e l'amore,
- Qual li altri seguirà, serà il peggiore.
-
-XXVI.
-
- Prima vedeassi[195] il quasi adulterino
- Secreto amor di vedovette belle,
- Che allo adulterio si può dir vicino,
- Perchè ancora al marito obligo han quelle;[196]
- Escusabile amor, che 'l lor destino
- Lassolle ahimè! pur presto vedovelle,
- Misto cum onestà, suave amore,
- Che dal bisogno vien più che dal cuore.
-
-XXVII.
-
- Poi seguian quelli che de' dui solo uno
- Amanti avean[197] col nodo maritale,
- Che è semplice adulterio; e se ciascuno
- Di essi ha quel nodo è poi composto male;
- Composito adulterio a presso alcuno
- Si chiama, errore a li animi mortale;
- Questi seguian dapoi, tinti d'amore,
- Che più grato il piacer fa che l'onore.
-
-XXVIII.
-
- Seguivano dapoi li innamorati
- Chierichi, preti et altri sacerdoti,
- Vescovi, papi, cardinali e frati
- Cum colli torti et abiti devoti;
- Che dapoi che han li articul predicati,
- E della Fede esposti i sensi ignoti,
- Aman le suor cum tristo desiderio,
- E ciascuno ha la sua nel monasterio.[198]
-
-XXIX.
-
- Segue dapoi uno amor falso e reo,
- Che accader suol, come tra figlio e madre,
- Come Fedra per cui stracciar si feo
- Ippolito sue membra alme e legiadre;
- Come Canace amò già Macareo
- Carnal fratello, o come Mirra il padre;
- Sfrenato amore, e senza alcuna legge,
- Che sol cum morte e strazio si corregge.
-
-XXX.
-
- Poi si vedeano a schiera[199] i pediconi,
- Che sotto al mento altrui tenean la mano,
- E nelle lonze cercano i bocconi,
- E per stretto senter trovano[200] il grano;
- E innanzi loro i patici gargioni
- Stavano in atto disonesto e strano,
- E di essere ciascun quel ch'appunto era,
- E questi e quei mostravano alla ciera.
-
-XXXI.
-
- Seguian dapoi quelli appetiti ingordi,
- Privi d'umana e natural modestia,
- Di vista ciechi, e di audienzia sordi,
- Che amano boi o d'altra sorte bestia;
- Privi de ogni ragion, sfrenati e lordi
- Da indur sin nello inferno ira e molestia:
- Pasifae la guida era fra loro,
- Che senza freno si soppose a un toro.
-
-XXXII.
-
- Veder si vi poteano anco altri amori,
- Come già di se stesso ebbe Narciso;
- Di donna in donna, e di masturbatori,
- Ma son più che da dir da gioco e riso:
- Ma pur vi n'era uno altro fra' maggiori,
- Che chiuder fa le porte in paradiso,
- Come è tra circumcisi e noi cristiani,
- O siano ebrei o ver macomettani.
-
-XXXIII.
-
- Queste cum altre cose ch'io non narro,
- Che longo fora a ben narrarvi il tutto,
- Vide dinanzi a quello aurato carro
- De Vener bella Ferraù condutto;
- Nè già scrivendo favoleggio o garro,
- Turpino il scrisse, ed egli a ciò m'ha indutto:
- E scrive ancor, che Feraguto allora
- Restò come de ingegno e sensi fuora.
-
-XXXIV.
-
- Umil divenne il cavalier feroce,
- Qual pecorella o mansueto agnello,
- Tutto a Venere offerse il cuore atroce,
- Nè d'altro che d'amar desidra quello;
- Or può domarlo una feminea voce,
- Un legiadro sembiante, un viso bello,
- Quel che non puote[201] mai asta[202] nè brando:
- Ma qui vi lasso, e a voi me aricomando.
-
-
-
-
-CANTO IV.
-
-
-I.
-
- Chi spenger può la Fada a Amor nemica,
- Ai piacer suoi e al suo gioioso regno,
- Fassi la madre sua Venere amica,
- E modo trova ad ogni suo disegno;
- Ma sol la pazienzia e la fatica
- Pon far l'amante di tal grazia degno:
- Queste son l'armi vere e scuto[203] e spada,
- Che estinguer ponno la nemica Fada.
-
-II.
-
- Io vi lassai il franco Feraguto
- Cum gran fatica e summa pazienza
- Innanzi al carr di Citerea venuto,
- A cui prostrato fece riverenza;
- Vener dapoi che allor l'ebbe veduto
- Cum tanta umilitade a sua presenza,
- Accarecciollo assai, e come Dea
- Previde quel che per lei fatto avea.
-
-III.
-
- E volta a lui cum suave guardatura,
- Felice nell'amor, disse, serrai,
- Poi che la strada mia fatta hai sicura,
- Lieta e propizia a te sempre mi arai;
- Nelle trame de Amor lieta ventura
- Sempre, baron, vivendo troverai;
- Che un ver servo d'Amor giamai non cade,
- Cum fatica, pazienzia e umilitade.
-
-IV.
-
- E allor la Diva graziosamente
- Basar gli fece il bello aurato pomo,
- Quello ch'in man tenea, se ancor vi è a mente,
- Che far puote in amor felice l'uomo;
- Gran virtude da quello[204] e grazia sente
- Chi in servitù d'Amore al giogo è domo,
- E baccia il pomo che già diede in mano
- Elena bella a Paride troiano.
-
-V.
-
- La turba che dintorno a Vener stava
- Ebbe di quel barone invidie estreme,
- Vedendo quanto lui accarecciava
- La lor regina, che molti altri preme;
- Nè poco altri amatori antiqui agrava
- Ch'esca tal frutto di sì novo seme,
- Che un sì novello amante a Vener gionto
- Tenuto sia da lei in tanto conto.
-
-VI.
-
- Ella ch'intende il cuore, essendo Dea,
- Come uom che sopra li altri ogni altro vede,
- Lor secreti penser tutti intendea,
- Che l'alto e divin lume il nostro eccede,
- Cum celeste parlar così dicea:
- Dassi secondo il merto ogni mercede;
- A voi ciechi non par, ma a me, che a lui
- Mi dimostri benigna or più che altrui.
-
-VII.
-
- Taccio la causa: e a render[205] non son stretta,
- Io che son Dea, ragione a vui mortali;
- Come esso al fine vuol sue grazie assetta[206]
- Ciascuno Idio,[207] e non come voi frali;
- Anci flagello e gran tormento espetta
- Chi ai Dei ascrive le iniustizie e i mali;
- Costui me e voi ha preservato solo,[208]
- Nè gli può amor spiacer sendo Spagnuolo.[209]
-
-VIII.
-
- Ebbe compiuto appena il parlamento
- L'alta regina, che li ardenti cuori,
- E ogni servo d'Amor restò contento,
- Mostrandollo[210] cum rose et altri fiori;
- Mostravano al baron loro odio spento
- Cum canti, cum fioretti e cum odori;
- Ciascun l'onora, reverisce e loda,
- E par che del suo ben gioisca e goda.
-
-IX.
-
- Poi che fu da ciascun tanto onorato
- Da ogni schiera d'amanti in suo ben mossa,
- Da Vener fu il baron licenziato,
- Che ad ogni suo piacer partir si possa;
- E il partire al baron fu molto grato,
- Desideroso di mostrar sua possa
- Fra li erranti baroni, e a tempo e luoco
- Goder felice in amoroso gioco.
-
-X.
-
- Accompagnato fu per via secreta
- Dalla nudata ninfa a lui compagna,
- E pose quella a accompagnarlo meta,
- Poi che condutto l'ebbe alla campagna,
- Ch'ora è spaciosa e di verdura lieta,
- Nè della Fada più si duole e lagna;
- Più il palazzo non vi è, ma il fiume, il quale
- Per fattagion non fu, ma naturale.
-
-XI.
-
- La ninfa allor da lui prese licenza
- Cum riverente cura e bel sembiante;
- Così il baron da lei fece partenza,
- Sperando a tempo esser felice amante;
- E come cavalier di gran coscienza,
- Ringraziò Macon di grazie tante,
- E fece voto d'ogni menda netto
- Andar dove sepulto è Macometto.
-
-XII.
-
- E prima che d'Amor mai cerchi frutto,
- Nè di Venere assalti impresa alcuna,
- Rivolse al suo Macon l'animo tutto,
- Poi che difeso l'ha da tal fortuna;
- Che quando in l'acqua al fondo fu condutto
- Pensò non veder mai più sole o luna;
- E stimossi, cadendo, al tutto morto,
- Or ne ringraziò Dio poi che gli è sorto.
-
-XIII.
-
- Così verso la Persia il cavaliero
- Va armato a piedi, e non si mostra lasso;
- Che, se vi è in mente, già quel suo destrero
- Dentro al palagio si converse in sasso:
- Di replicarlo più non fa mestiero;
- Ma vada Ferraù, che quivi io il lasso:
- Di andare adagio assai tempo gli avanza;
- Sonan le trombe, e son chiamato in Franza.
-
-XIV.
-
- Già son vicini l'uno e l'altro campo,
- Come, Signor, vi dissi in l'altro canto;
- Di assalirse ciascun menava vampo,
- E già incresce a ciascuno il tardar tanto;
- E come il ciel della tempesta il lampo
- Manda per segno, così Ugiero il guanto
- Mandò in segno di guerra allo inimico;
- Ma quel lo accetta, e non lo estima un fico.
-
-XV.
-
- La schier della avanguarda era innante,
- Già per tutto di trombe il suon si odea;
- Da un lato Ugier, da l'altro Balugante,
- Al combatter cum pregii ognun movea.
- Or viene Artiro e Salomone aitante
- L'un contra l'altro, come si solea
- Combattere in quel tempo a schiera a schiera,
- E sempre il capo il primo a ferire era.
-
-XVI.
-
- Percosse Artiro il franco Salomone
- Al scudo, e del destrer lo stese in groppa;
- Ma alla visera il cristian barone
- L'inimico pagan cum l'asta intoppa,
- E la schena piegar lo fe allo arcione,
- Tal che fu di cader più volte in forse;[211]
- Ma l'uno e l'altro immantinente sorse,
- E a ferirse col brando a furia corse.
-
-XVII.
-
- Tra costor cominziossi allor gran ciuffa,
- E mescolossi l'una e l'altra schiera,
- Crebbe in instante la mortal baruffa,
- Che l'una e l'altra gente è ardita e fiera;
- E questo quello, e quel questo ribuffa,
- Alcun non è che non combatta e fera;
- Come prima d'un fuoco talora esce
- Un vampo, e un tratto poi subito cresce.
-
-XVIII.
-
- Artiro e Salomon fan mortal guerra,
- E quello a questo il forte elmo martella;
- Al primo colpo il gran cimier gli atterra,
- E quasi il tolse a quel colpo di sella,
- Ma un gagliardo non va sì presto a terra;
- Ira e vergogna il paladin flagella,
- E sopra all'elmo l'inimico tocca,
- Che gli fece tremare i denti in bocca.
-
-XIX.
-
- Ma tanto fu delli altri la gran calca,
- Che sopra a' dui baron cum furia abonda,
- Che l'un da l'altro presto se defalca,[212]
- Come due navi sparte il vento e l'onda.
- O quanta gente allora si scavalca!
- Ogni cosa[213] di sangue intorno gronda;
- A chi è tagliato, et a chi suda il pelo,
- E il gran ribombo suona insino al cielo.
-
-XX.
-
- Va Salomon correndo fra' pagani,
- Come lupo fra il gregge, o in paglia fuoco;
- Artiro atterra[214] e occide li cristiani,
- E chiunque accoglie o more o campa puoco;
- Una gran pezza stettero alle mani,
- Che l'uno a l'altro non concesse il luoco:
- Ma pel vigor di quei di Salomone
- Si riculoro alfin quei di Macone.
-
-XXI.
-
- Sforzassi Artir difender la bandiera,
- Vedendo di cristiani il valor grande,
- Ma in rotta fuge ormai tutta sua schiera,
- Chi qua chi là per non morir si spande;
- Minaccia Artir, biastema e si dispera,
- Ma attender non puote egli a tante bande;
- E Balugante che tal cosa vide,
- Di soverchia ira e di vergogna stride.
-
-XXII.
-
- E subito comanda al franco Odrido
- Che la schiera seconda a guerra mova:
- Mossessi quello, e credo alciasse[215] il grido
- Insino al cielo allor la gente nova;
- Ma Ugier, di Carlo capitanio fido,
- Visto che l'ebbe, ai suoi gente rinova;
- Mossessi Astolfo, e contra Odrido corse,
- Ma alcun di loro ai colpi non si torse.
-
-XXIII.
-
- Trasse Pomella[216] il valoroso Anglese,[217]
- Poi che ebbe fracassata allor la lanza,
- E sopra a un amirante la distese,
- Che allo Inferno mandollo a tor la stanza,
- Gridando: state gente alle difese,
- Ch'io sono il fior di cavalier di Franza,
- Che per parol non resta far de fatti:
- E già tre morti n'avea 'n terra tratti.
-
-XXIV.
-
- Partenio occise, Validoro, e Iverso:
- Al primo fesse il capo insino al petto,
- E il secondo tagliò tutto a traverso,
- Sì come al terzo spiccò il capo netto;
- L'un Medo, Arabe l'altro, e l'altro Perso;
- Vecchi i dui primi, e il terzo giovinetto:
- Nè resta Astolfo, ma ferisce forte,
- E chi scavalca, e chi conduce a morte.
-
- _Manca la continuazione_
-
-XXV.
-
- Maravigliosse assai Orlando allora
- Di tal nazion di gente e sua natura;
- Ma qui de lui vi lasserò per ora,
- Che anco di Carlo mi bisogna cura.
- Stava l'imperator festivo ancora
- Della vittoria avuta, e sol procura[218]
- Adunar genti per la santa impresa,[219]
- Nè fatica risparmia, o guarda a spesa.
-
-XXVI.
-
- Fra li altri un giorno fece un gran convito
- Cum onorevol pompa alla regale,
- E di tutti i Signor fu fatto invito,
- Senza altra differenzia, universale;
- Ove fu ognun trattato e riverito
- Secondo il grado suo maggiore o eguale,
- E tanto da re Carlo accarecciato,
- Che ognun se ne partì ben contentato.
-
-XXVII.
-
- Dopo il convito, il sacro imperatore
- Mostrò Cesarea liberalitade,
- E in varii modi dimostrò l'amore
- Che ai suoi portava; a chi cum dignitade,
- A chi cum roba,[220] a chi cum altro onore;
- A chi dona castella, a chi cittade,
- E a varii mostra variamente il cuore,[221]
- Cum tal misura e tal providemento,
- Che ognun di lui quel dì restò contento.
-
-XXVIII.
-
- Mentre era questo[222] nella regia sala,
- Si vide un messagiero in fretta entrare,[223]
- Quale era appena al sommo della scala,
- Che Carlo il vide, e a lui il fece andare;
- Subito quel li espose, come cala
- Gualtier dal monte, e affretta il caminare,
- Perchè inteso ha che Carlo è in gran periglio,
- E di affrettarsi ha preso per consiglio.
-
-XXIX.
-
- Cum lui è Desiderio di Pavia,
- Che al Sepulcro seguirte si dispone,
- Cum altri gran Signori in compagnia,
- E seco viene ancor papa Leone[224]
- Cum cardinali e magna chierichia,
- Per annullar la lege di Macone;
- Tutti, Signore, vengono a aiutarti,
- E mi han mandato avanti ad avisarti.
-
-XXX.
-
- Così disse il messaggio, e dapoi tacque,
- Per non passare del suo uffizio il segno;
- A Carlo molto la novella piacque,
- Per sua onoranza, e sicurtà del regno;
- Bench'i pagani ormai sian messi all'acque,[225]
- Pur temea ancor non li movesse a sdegno
- A rifar testa e ritornare adrieto,
- E cum più gente, sta col cuor più quieto.
-
-XXXI.
-
- Idio ringrazia, e per molto catolico
- Loda Leone allor summo pontifice,
- Che a lui conduca favore apostolico,
- Che così spera fare opre mirifice;
- E il culto di Macon, quale è diabolico,
- Male ordinato e di pegiore artifice,
- Estinguere ivi almen dove si vede
- Sepulto il Fundator di nostra fede.
-
-XXXII.
-
- E subito rivolto ai baron tutti,
- Comanda lor che in ponto ognun si metta,
- E l'altro giorno a corte sian ridutti
- Per andar contra[226] il pastor santo in fretta;
- Non pur li gran signor, ma donne e putti
- Ciascun di andarli si provede e affretta;
- E par che Idio dal cielo, e i benedetti
- Angeli insieme ognuno in terra espetti.
-
-XXXIII.
-
- E così far si deve, e potea farse
- In quella età che avea fedel pastori;
- Ma se or son l'alme di conscienzia scarse,
- Causa ne sono i papi e loro errori,
- Che a' nostri tempi attendono a ingrassarse
- Tra le spurcicie e i vani adulatori,
- Cum spesse simonie, cum tali imprese[227]
- Che a vender son forzati insin le chiese.[228]
-
-XXXIV.
-
- Così in ponto si mosse il gran re Carlo,
- E contra al papa andò cum la sua corte,
- Per farli reverenzia[229] e accarecciarlo,
- Come a pastor convien di simil sorte;
- Andò lontan sei milgia[230] ad espettarlo,
- E farli compagnia dentro alle porte
- Di Parigi, che espetta a grande onore[231]
- Veder de' cristian l'alto pastore.
-
-XXXV.
-
- Andonli incontra fuora di Parigi
- Col vescovo Turpino e preti e frati
- Cum le lor croci, neri, bianchi e bigi,
- Cum ricce[232] veste ben tutti adobati;
- E d'ogni sorte[233] ch'ai divin servigi
- Se usano paramenti riccamati,
- Belle pianede e adorni piviali,
- Cum rellique, cum calici e messali.[234]
-
-XXXVI.
-
- Intanto ecco trombette e tamburini
- Mandare insino al cielo orribil suono;
- Carlo l'odiva, e tutti i paladini,
- E quanti gionti dove è Carlo, sono;
- E odendo par che ognor più s'avicini
- Dove era Carlo il spaventevol tuono,
- Quando a lui gionse uno altro messagiero,
- Qual disse che vicino era Gualtiero;
-
-XXXVII.
-
- Qual conduceva genti italiane
- In aiuto di Carlo e del suo regno,
- Genti fedeli, e tutte cristiane,
- Che hanno Macone e chi l'adora a sdegno;
- E che dipoi seguivan le romane
- Genti, dove era Leon papa degno:
- Possibil non fu allora che restasse
- Carlo, sì allegro fu, che non gridasse.
-
-XXXVIII.
-
- Cum gravità però Carlo gridava:
- Viva la buona gente italiana;
- Italia, dopo lui, ciascun[235] chiamava,
- Viva l'Italia e la gente romana;
- L'Italiani ogni baron lodava,
- Che ora è stimata gente ignava e strana;
- Barbari soli son che or prove fanno,
- Nè Italiani ormai più credito hanno.
-
-XXXIX.
-
- Già tutto il mondo dominar Romani,
- E chi fusse Lucullo[236] e il gran Pompeo
- Li Asiatici il sanno e li Affricani,
- Mitridate, Tigrane e Ptolomeo;
- Cesare in Franza et altri popul strani,[237]
- E in tutta Europa gran prodezze feo;
- E Sertorio e Camillo et altri molti,
- Che qui per brevità non ho raccolti.
-
-XL.
-
- Or persa è tutta la memoria antiqua,
- Nè quasi è più chi lor vittorie creda;
- Colpa di sorte di signori iniqua
- Che a barbari l'Italia han data in preda,
- Per lor discordie, e per seguir l'obliqua
- Strada, in voler che l'uno a l'altro ceda,
- Usurpar quel d'altrui senza ragione,
- Di rovinar l'Italia oggi è cagione.
-
-XLI.
-
- Lodò l'Italia assai Carlo, che stato[238]
- Vi era più volte a difensar la Chiesa,
- E l'italo valore avea provato,
- Ch'era di gran contrasto e gran difesa;
- E se ben Desiderio[239] avea domato
- Cum altri assai, fu per lor dura impresa
- Contra la Chiesa: e per comesso errore
- Spesso ai gagliardi Idio tolle il valore.
-
-XLII.
-
- Or se ne vien Gualtier da Monlione,
- Qual fu galgiardo e nobil paladino,
- Sollecito, e al suo re fedel barone,
- E molto il loda nel suo dir Turpino;
- Visto re Carlo, dismontoe d'arcione
- Per onorar il figlio di Pipino;
- Carlo abbracciollo, e gran feste gli fece,
- Come fare alli suoi a un signor dece.
-
-XLIII.
-
- E così fece a tutti li signori
- Ch'erano cum Gualtier cum lieto viso;
- Io non potrei narrare i grandi onori
- Ch'a lor fur fatti, e le gran feste e il riso;
- Intanto ecco il pastor delli pastori,
- Ch'apre a suo modo e serra il paradiso:
- Carlo, che cum le chiavi il gran stendardo
- Vide, a smontare a piedi non fu tardo.
-
-XLIV.
-
- E al pontifice andando inginocchiosse,
- Et umile bassogli[240] il sacro piede;
- Il papa ad abbracciarlo allor si mosse,[241]
- E la benedizion dapoi gli diede;
- E sorgendolo[242] il papa alfin levosse,
- E a ciò che li comanda assente e cede;[243]
- E per entrar cum quel dentro a Parigi,
- Sopra il destrer montò senza letigi.[244]
-
-XLV.
-
- Così verso Parigi ognun se invia,
- E il primo fu Gualtier da Monlione,
- Che avea re Desiderio in compagnia
- E tutta la lombarda nazione;
- Poi delle guardie l'ordine seguia:
- Dalla man destra è quella di Leone,
- Dalla sinestra sta quella di[245] Carlo,
- Ch'il suo[246] segue ciascuna, e vol guardarlo.
-
-XLVI.
-
- Da un canto stan le guardie, e non intorno,
- E fan come due corna in quel confino;
- Da destra stava[247] di belle armi adorno
- Al papa un stormo di Roman vicino;
- Poi si vedeva dal sinistro corno
- A lato a Carlo ogni suo paladino,
- Allora alla sua guardia deputato,
- Ciascuno adorno e di belle armi armato.
-
-XLVII.
-
- Poi seguiva Leon cum viso lieto
- Armato in sella in abito viandante,[248]
- E Carlo apar cum lui, ma pur più indrieto
- Tanto ch'il papa si può dir più avante;
- Così fu allor quello ordine discreto[249]
- Cum misterio e ragion molto importante;
- Chè minore è del papa, ma maggiore
- D'ogni altro al mondo, è poi l'imperatore.
-
-XLVIII.
-
- Armato stava in abito pomposo
- Re Carlo allora[250] riccamente adorno,
- E sembrò in vista degno e glorioso
- Re de' Romani e imperator quel giorno;
- Parlando insieme e ognun di lor gioioso
- Del danno de' pagani e di lor scorno,
- Della vittoria da re Carlo avuta,[251]
- Chè sempre Cristo chi in lui spera aiuta.
-
-XLIX.
-
- Dopo seguiano insieme i cardinali
- Adorni d'armi per la fe di Cristo;
- Non come a questa età, per[252] strazi e mali
- De innocenti signori, e ingordo acquisto,
- Per scacciar di lor terre i naturali
- Signori, a fin d'uno appetito tristo,
- Seguian il papa; e dopo un capitano,
- Quale era vice senator romano.
-
-L.
-
- Era di Orlando[253] quel loco tenente,
- Che era in quel tempo roman senatore,
- E lassava in sua vece, essendo assente,
- Un patrizio roman di gran valore,
- Il qual guidava tutta la sua gente,
- Giovene ardito e di animoso cuore,
- Di quella proprio illustre nazione,[254]
- Che era il suo nome escelso Scipione.[255]
-
-LI.
-
- Vinte milia e seicento avea costui
- Sotto il stendardo della Santa Chiesa,
- Che tutti andavan volontier cum lui
- Per scuto della Fede e sua difesa,
- E non per usurpar stato de altrui,
- Ma contra l'infedeli è loro impresa:
- De tutta l'altra gente deretani,
- Sì come un retroguardo, eran Romani.
-
-LII.
-
- Così van tutti: e sol Leone e Carlo[256]
- Fra lor si grida, si desidra e noma.
- Questo l'ordine fu, nè da me parlo,
- Ma in scriverlo Turpin prese la soma;
- La colpa è sua, se ben non seppe farlo:
- Non saprei dir se a questi tempi in Roma
- Li esperti mastri delle cerimonie
- Tali ordinanze stimariano idonie.[257]
-
-LIII.
-
- Gionsero in fine alle sbadate[258] porte
- Di Parigi, città magna e regale,
- Ove è cum preti e frati d'ogni sorte
- In abito Turpino episcopale;
- Tutti cantando psalmi et inni forte
- Tanto, che sino al ciel la voce sale,
- Inanzi a tutti si vedean[259] cantare,
- Come in procession si suole andare.
-
-LIV.
-
- Dentro a Parigi si sentian campane
- Cum segno di allegrezza al ciel sonare,[260]
- Tante trombe e tambur che lingue umane[261]
- Non bastarian, volendolo esplicare;
- Arpe, liuti et altre cose strane
- Se odivano cum grazia armonizzare,
- Musiche cum canzoni[262] e bei mottetti
- Cum arie belle, e contrapunti elletti.
-
-LV.
-
- Grande allegrezza fan fanciulle e donne,
- E al beato pastor debiti onori;
- Adorne eran le dame in belle gonne
- Cum diversi ornamenti e bei colori;
- E quante lo vedean serve e madonne,
- Spargevano in suo onor diversi fiori
- Cum odorifere erbe e naturali
- Sopra il capo a Leone e i cardinali.
-
-LVI.
-
- Entrati in la città, subito andaro
- Alla prima lor chiesa catedrale,
- E Dio, come si suol, prima onoraro
- Carlo, il pastore et ogni cardinale;
- Nè si volse mostrar di grazia avaro,
- Se ben veste non ha pontificale,
- A quel populo[263] allor papa Leone,
- Che a tutti diede la benedizione.
-
-LVII.
-
- Doranio fatto poco anzi cristiano,
- Di tal cospetto non si può saziare,
- Nè vorrebbe esser come già pagano
- Per quanto tien la terra e cinge il mare;
- Il viver di cristian gli pare umano,
- Natural, justo, come dessi usare;
- Cum cerimonie che hanno in se ragione,
- Qual non si trova in quelle di Macone.
-
-LVIII.
-
- Poi che fu reso a Dio debito onore,
- L'entrata fero nel real palagio
- Carlo e Leone, e ogni altro gran signore
- Fu consignato ove può stare ad agio;
- Alloggiò parte drento e parte fuore,
- E non fu chi patisse alcun disagio.
- Ma posino a lor modo, che piacere
- Hanno essi di posare, io di tacere.
-
-
-
-
-CANTO V.
-
-
-I.
-
- Chi veder vole un bel giardino ameno,
- Che sia de' riguardanti allo occhio grato,
- De ordini il veggia e varietadi pieno,
- Chè cum tal variar si fa più ornato;
- Così un poema sta nè più nè meno,
- Che esser de' vario in tutto et ordinato;
- Così varia il pittor col suo pennello,
- E per il variare il mondo è bello.
-
-II.
-
- Però, Signor, se bene io vi parlai
- Poco anzi di re Carlo e di Leone,
- Bene alloggiati tutti io vi lassai
- Di careccie, di cibi e di mesone,[264]
- E parmi aver di lor parlato assai;
- Sicchè tornare io voglio al fio[265] d'Amone,
- Qual per amore ha l'anima gioconda,
- Cum la sua bella e umiliata Ismonda.
-
-III.
-
- Avea Ranaldo ormai sì intenerita
- E scaldata d'amor la bella dama,
- Che l'uno e l'altro come la sua vita,
- E il cuor del petto suo si aprezza et ama;
- Non è la dama più nel cuor smarrita,[266]
- Ma tacendo conferma, e l'amor brama;
- Ranaldo di scaldarla mai non resta,
- L'abbraccia, l'accareccia, e falle festa.
-
-IV.
-
- Ma mentre stan li amanti in tal diletto,
- Nè più la dama ormai fa resistenza,
- E sperano d'amor l'ultimo effetto,
- Nè vi è chi lor ne faccia conscienza,
- Entrar li fece in subito suspetto
- Un rumor grande, e strana appariscenza
- Ch'ivi comparse[267] e fe' sorger Ranaldo,
- Che era in quel punto tutto d'amor caldo.
-
-V.
-
- La dama non men presta in piede sorse,
- Insieme vergognosa e tremebonda,
- Subito apresso al suo Ranaldo corse,
- Come dir voglia: guarda la tua Ismonda;
- Ma ben presto Ranaldo le soccorse.
- Ma voglier[268] mi bisogna a una altra sponda,
- Nè dir vi posso or questa istoria tutta,
- Che meglio gusta il ber bocca più asciutta.
-
-VI.
-
- Io vi lassai sì come Bradamante
- Seguito avea Ranaldo: per trovarlo
- Passati ha i Pirenei,[269] e va più avante,
- Che al tutto si è disposta a seguitarlo;
- Volse il camin pigliar[270] verso Levante,
- Che anco Ranaldo spesso solea farlo;
- Poi come spinta da furor divino[271]
- Verso la Spagna prese il suo camino.[272]
-
-VII.
-
- E longamente nella Spagna errando,
- Or nella Catalogna, ora in Castiglia,
- Pur di Ranaldo va sempre cercando,
- E cerca l'Aragona e la Siviglia;
- Di cercarlo non resta, e nol trovando
- Verso Valenza alfine il camin piglia,
- Più presto non sapendo ove si andasse,
- Che di veder la terra desiasse.
-
-VIII.
-
- E quasi apresso alla cittade essendo,
- Vide uscir fuori una gran gente armata,
- E in mezzo a quella sopra un carr[273] piangendo
- Cum l'una e l'altra man drieto legata
- Era una dama, quale a fuoco orrendo
- A morir crudelmente[274] è condennata;
- E sì pietosa piagne,[275] e aiuto impetra,
- Che mosso aria a pietade un cuor di pietra.
-
-IX.
-
- Cum una benda aveva la donzella
- Legati li occhi, come allor si usava,
- Che non vedendo il suo tormento quella,
- Così forse il morir manco le agrava;
- Però bench'essa fusse in viso bella,
- Per quella benda allor nol dimostrava;
- Ma pietosa era nel suo pianger tanto,
- Che gentil si mostrava insin nel pianto.
-
-X.
-
- Bradamante che amor[276] la dama vede
- Fra gente tanta, et ode lamentarla,
- La causa di tal cosa a un pagan chiede,
- Qual le rispose che volean brugiarla,
- Ne più[277] risposta poi a quella diede;
- Ma Bradamante che ode lamentarla,[278]
- Soffrir non puote, e la visera abbassa,
- La lanza arresta e contra al capo passa.
-
-XI.
-
- Era capo di quelli un mascalzone
- Maggior de li altri più d'una gran spana,[279]
- Largo in le spalle, e grosso di ventrone,
- Tagliato ha il viso, e guardatura strana;
- E sin nell'ossa, a dirlo, era poltrone,
- Che ha 'l corpo grande, e il cuore di puttana;
- Ma in tutta Spagna mai non fe' natura,
- Quanto era in quello, la maggior bravura.[280]
-
-XII.
-
- Tutto era armato di armatura bianca,
- E sopra li altri di statura avanza;
- Or Bradamante, quella dama franca,
- Verso di quello accosta la sua lanza;
- E proprio al petto nella parte stanca
- Il ferr[281] li pose cum tanta possanza,
- Che più di un palmo lo passò di dietro,
- Come di giaccio fusse o fragil vetro.
-
-XIII.
-
- Poi subito recossi in man la spada,
- E al resto di color cacciossi adosso;
- Non così secator atterra biada,
- Quanto essa di color fa il terren rosso;
- Scampale ognun davanti e fale strada,
- Che quanto gionge taglia insino all'osso;
- Tal fende al petto, e tale alla centura,
- E chi non gionge, caccia di paura.
-
-XIV.
-
- Fu in breve spazio sbarratato il piano,
- E abbandonato cum la dama il carro;
- Fugì ciascuno che volse esser sano,
- Morto quel capo lor poltron bizzarro;
- E nell'arcion la dama cum la mano
- Trassessi presto più ch'io non vel narro;
- E via fugendo quella dama porta,
- E cum parol la inanima e conforta.
-
-XV.
-
- Lontana da Valenzia la condusse,
- Sempre[282] spronando forte il suo destrero,
- Tanto che esistimò che salva fusse,
- Nè più di essere offesa ebbe pensero;
- E in ripa a un fiume appunto la ridusse,
- Ove era naturale un bel verzero
- Di mille frutti et erbe delicate,
- Vaghe di sua verdura, e di odor grate.[283]
-
-XVI.
-
- Ivi slegolla, e gli occhi le disciolse,
- E in terra dall'arcion repose quella,
- E alquanto reposarse anch'essa volse,
- E allor d'un salto si levò di sella;
- Dapoi la dama apresso si raccolse,
- Guardolla in viso, e ben le parve bella,
- Che per la benda che avea a li occhi involta,
- Bellezza le era e la apparenzia tolta.
-
-XVII.
-
- E subito pietà di quella prese
- Maggior che pria la forte Bradamante,
- E all'altra dama chi fusse chiese,
- E qual cagion la indusse a pene tante;
- Quella che sempre Bradamante crese
- Esser non donna, ma barone aitante,
- Rimase del suo onore in gran suspetto,
- E più d'un gran suspir gittò dal petto.
-
-XVIII.
-
- Poi le rispose: Sapi, cavaliero,
- Che per mio ben da Dio fusti mandato,
- Che di ciò che mi chiedi io dirò il vero,
- Che molto ben da me l'hai meritato.
- Ma perchè dirvel poi più ad agio io spero,
- Queste per or vi lasso in quel bel prato,
- Che poi fur, per averle nelle mani,
- Assai cercate da' Valenziani.
-
-XIX.
-
- Le dame io lasso et a Ranaldo io torno,
- Che disturbato fu dal suo piacere,
- Nè fu sì lieto mai quanto quel giorno,
- Se si potea la dama allor godere;
- Onde restonne cum disconzo[284] e scorno,
- Che ben perfetto non si puote avere;
- E subito al rumor recossi in mano
- La sua Fusberta il sir di Montalbano.
-
-XX.
-
- Riguarda quello, e vede giù da un monte
- Scendere un toro fra tre vacche belle,
- E un pastor grande, che di fresco monte[285]
- Tutte le aveva, seguitava quelle,
- Che avea un solo occhio in mezzo della fronte,
- Nè già vi scrivo favole e novelle;
- Che grande era quello occhio a ponto a ponto
- Quanto quatro comuni a giusto conto.
-
-XXI.
-
- Questo non crederà qualche vulgare,
- Che poco sale nella zucca serra,
- Chè sol dà fede a quel che all'occhio appare
- Il vulgo ignaro che vaneggia et erra:
- Come che a un cieco descriveste il mare
- Quanto sia grande, e i monti[286] della terra,
- E la torr[287] di Babel, e che vi è gente
- Che tutta è nera, crederebbe niente.
-
-XXII.
-
- Ma talor più ragion che 'l senso vede,
- Chè lo intelletto è di maggiore altezza,
- E i mostri di natura esser concede,
- Anci più volte il sentimento sprezza;
- Chi crederia che 'l sol, che par de un piede
- A nui che siam qua giuso, di grandezza
- Della terra maggior sia per natura
- Centosessantasei volte[288] a misura?
-
-XXIII.
-
- Se creder non volete ai scritti miei,
- Prestate fede almeno al buon Turpino:
- Credete il ver, ch'il falso io non direi,
- Non son greco bugiardo, ma latino;
- Chi crederebbe la essenzia di Dei,
- La providenzia e lo ordine divino?
- La fede è sol del certo incerto a nui,
- Credete mo' quel che ne piace[289] a vui.
-
-XXIV.
-
- Ora tornando al mio primo proposto,
- Le vacche costui guida alla campagna,
- E come sopra vi narrai, composto
- Longamente pastor, nasciuto in Spagna;
- Ma di veder la Franza era disposto[290],
- Che del steril paese assai si lagna,
- Quale è gran parte nel paese ispano,
- Però se n'è partito, e va lontano.
-
-XXV.
-
- E dove era Ranaldo cum Ismonda
- Apunto apunto si trovò per caso;
- Ranaldo che sua sorte assai gioconda
- Sturbar si vede, e n'è privo rimaso,
- Tanto si sdegna, e tal furor gli abonda
- Che foco soffia per la bocca e naso;
- E cum Fusberta in mano a gran furore
- Andò Ranaldo contra a quel pastore.
-
-XXVI.
-
- Più non si mosse allor quel rozzo e brutto
- Pastor, come ivi alcuno non vedesse,
- E che securo si trovasse in tutto,
- O contra a lui un fanciullino avesse;
- E mossessi[291] il gran tor[292], quale era instrutto,
- Che se in lor danno alcuno si movesse,
- Debbia quel toro cum le corna urtarlo,
- E cum quel colpo occiderlo o atterrarlo.
-
-XXVII.
-
- Mossessi il toro allor cum gran rovina,
- E a un urto riversò Ranaldo al piano,
- Proprio nel ventre cum la fronte china
- La bestia gli fermò quel colpo strano;
- Tramortito è Ranaldo, e la meschina
- Ismonda piagne e si lamenta in vano,
- Che subito il pastor quella pigliava,
- E in mezzo alle tre vacche la cacciava.
-
-XXVIII.
-
- Come una belva fusse o un'altra vacca,
- Innanzi si cacciava Ismonda bella,
- E così nell'onor la offende e smacca,
- Che assai più che 'l timor molesta quella;
- Nel cuor dogliosa, e già nel pianger stracca
- Non ardisce gridar, nè pur favella,
- Però che se piangesse, avea timore
- Che 'l tor non la offendesse o quel pastore.
-
-XXIX.
-
- Così lassando oppresso il suo campione,
- Ismonda fra le vacce[293] caminava,
- Il mostro che chiamato era Burone,
- A un folto bosco oscuro la guidava;
- La giovane tra se chiama Macone,
- Ma nulla alla meschina allor giovava;
- Prima tre or che fusse risentito
- Stette Ranaldo in terra tramortito.
-
-XXX.
-
- Ma poi che fu risorto, a Ismonda[294] il core
- Subito volse et ogni suo[295] pensero,
- Come colui che le portava amore,
- E per cercarla ascese il suo destrero;
- Nè la vedendo, scoppia di dolore,
- Che pur potette assai, a dire il vero:
- Maledisse il pastore e la fortuna,
- E intanto giunse allor la notte bruna.
-
- _Manca la continuazione_
-
-
-
-
-INDICE DI TUTTI I NOMI PROPRI CONTENUTI IN QUEST'OPERA.
-
-_Il numero romano indica il Canto, e l'arabo la Stanza._
-
-
-A
-
-ALARDO fa strage de' pagani, III. 7.
-
-ALDROVAGI combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-ALFONSO I d'Este vince i nemici colla prudenza, III. 3; pericoli corsi
-con Giulio II per favorire i Francesi, 4; sue vittorie e sue lodi, 5 e
-seg.
-
-AMORE carnale, sue varie distinzioni, III. 16 a 34.
-
-ANSELMO combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-ANTIFORO figlio di Arimonte si fa cristiano ad insinuazione d'Orlando,
-III. 12.
-
-ARDUBALASSO abbatte Dudone e lo fa prigioniero, II. 95; fuga i
-cristiani, 96; s'azzuffa con Oliviero, ed è abbattuto da Gano, 98, 99.
-
-ARIDEO accorre in camera di Galliciana al romore suscitato da
-Libichello, II. 50; si fa cristiano ad insinuazione d'Orlando, III. 12.
-
-ARTIRO affricano combatte contro Salomone, I. 2; si spinge contro
-i cristiani, II. 68; muove contro Salomone e si attacca seco, IV.
-16 e seg.; è dalla folla impedito il combattimento, e fa strage di
-Cristiani, 21 e seg.
-
-ASTOLFO fatto prigione dai pagani, II. 100; spinto contro di essi da
-Uggero, uccide un Amirante quindi Partenio, Validoro e Iverso, IV. 23,
-24, 25.
-
-
-B
-
-BALUGANTE manda Bravante contro i cristiani, II. 60; spinge nella
-battaglia Ardubalasso, 95; manda Marcaluro in soccorso de' pagani, 104;
-è messo in fuga dai Cristiani, III. 9. Accetta la sfida della battaglia
-da Uggero, IV. 15; suo sdegno nel veder uccidere tanti de' suoi, 22;
-ordina ad Odrido di entrare in battaglia, 23.
-
-BASTIA luogo del Ferrarese ripigliato agli Spagnuoli da Alfonso I
-d'Este, III. 4.
-
-BELTRAMO combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-BERTOLAGI combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-BRADAMANTE chiamata da Oliviero in soccorso de' cristiani, II. 62;
-colla lancia abbatte Armeno, 63; uccide Chiariolo, _ivi_, Glorio,
-Lampruccio e Meleardo, 65; ferisce Odrido, 69; è assalita da Bravante,
-_ivi_; assale Rinaldo sconosciuto e lo insegue, 80, 81; lo riconosce,
-85; intende da esso la trama contro i pagani ordita, 86; corre a Parigi
-ed espone la cosa ad Uggero, 89; insieme a Ricciardetto muove contro
-i pagani, 101, 108; ne uccide molti, III. 7. Suoi viaggi per ritrovar
-Rinaldo, V. 6 e 7; sua avventura in Valenza, 8; salva una donzella
-chiamata Ismonda che dovea esser arsa, 10 e seg.; se la pone in groppa
-e la porta via, 14; si riposa con essa in riva d'un fiume, 15 e seg.
-
-BRAVANTE fa strage di cristiani, ed abbatte Rodoardo, II. 60, 61, 68;
-assale Bradamante, 69.
-
-BUFFARDO combatte contro i cristiani, II. 59, 68, e contro Dudone, 71;
-vien da esso abbattuto, 73; risorge e infuria tra' cristiani, 75.
-
-BURONE, pastore con un solo occhio, assalito da Rinaldo, V. 25.
-Abbattuto Rinaldo dal toro si spinge innanzi Ismonda vituperandola, 28.
-
-
-C
-
-CALIFA abbattuto da Rinaldo, II. 104, 105; suo smarrimento nel vedersi
-ingannato, 108.
-
-CARLO con la sua schiera entra in battaglia contro i pagani, dopo
-essere informato da Uggero della trama di Rinaldo, II. 102; festeggia
-per la vittoria riportata su' pagani, IV. 26; invita alla corte i suoi
-baroni per ricompensarli e prepararsi alla conquista del S. Sepolcro,
-27, 28; riceve il messaggero che gli espone l'arrivo di Gualtiero
-da Monlione, 29; di Desiderio di Pavia, 30; di papa Leone Terzo,
-_ivi_; sua letizia per ciò, 31 e seg.; suoi ordini pel ricevimento
-del pontefice, 33, 35; gli va incontro con Turpino e tutto il clero
-di Parigi, 30 e seg.; sue lodi all'Italia e agl'Italiani, 38 e seg.;
-assegna la stanza in Parigi a tutta la baronia accorsa, al papa e ad
-altri dignitarj ecclesiastici, 59.
-
-CHIARIOLO di Soria ucciso da Bradamante, II. 64.
-
-
-D
-
-DESCRIZIONE del giardino di Venere, e suo carro trionfale, III. 15 e
-seg.
-
-DESIDERIO re di Pavia in aiuto di Carlo per la conquista del S.
-Sepolcro, IV. 30.
-
-DORANIO attende il momento di spingersi contro i pagani II. 110; li
-mette in rotta, III. 8; ammira la pompa sacra nel ricevimento in Parigi
-di papa Leone Terzo, IV. 58.
-
-DUDONE chiamato da Uggero in soccorso de' cristiani, II. 62; fa
-strage de' pagani, 67; si azzuffa con Buffardo, 71; lo abbatte, 73; è
-abbattuto e fatto prigione da Ardubalasso, 95.
-
-
-E
-
-ETTORE procura vincere i greci per forza, III. 1.
-
-
-F
-
-FADA nemica di Venere uccisa da Ferraù, I. 7; uccideva chiunque non era
-innamorato che di lei, 9; chi l'estingueva si rendeva Venere propizia,
-IV. 1.
-
-FALCONE combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-FERRAÙ cade in mare, ed è salvato dalla ninfa Liquezia, I. 4; accolto
-in un palazzo delizioso e festeggiato per avere uccisa la Fada nemica
-di Venere, 6; sarà sempre fortunato in amore per tal impresa, 10, 11;
-ringrazia la Ninfa, II. 4; le si raccomanda, e le fa varie questioni
-naturali, 5 e 6; è guidato in delizioso luogo dove vede il trionfo
-dell'Amor carnale, III. 14 e seg.; sua maraviglia e sua variazione,
-33, 34; accarezzato da Venere, IV. 2; gli fa baciare il pomo d'oro, 4;
-desta invidia nella turba de' di lei seguaci e sue parole ad essi, 5
-e seg.; è da tutti accarezzato, 8; Venere gli promette buona fortuna
-in amore e lo licenzia, 9; è condotto fuori del soggiorno di Venere da
-Liquezia, 10 e 11; suo voto a Macone per gli scampati pericoli, _ivi_;
-si avvia verso la Persia, 14.
-
-FESTA per l'ingresso in Parigi di papa Leone Terzo, IV. 44 a 59.
-
-FONDRANO accorre in camera di Galliciana al romore suscitato da
-Libichello, II. 50; si lagna di Macone, e risolve farsi cristiano, e
-battezzarsi alle preghiere di Orlando, III. 10, 11.
-
-FRANCESCO I re di Francia fatto prigione per senno più che per forza,
-III. 5.
-
-FRANCESCO Sforza difeso due volte dal senno dell'amico, III. 2.
-
-
-G
-
-GALLICIANA regina, madre di Milone, ingannata da Malagigi che la
-gode sotto la sembianza d'Orlando, II. 15; gli manda un nuovo invito
-con lettera che il messo consegna al vero Orlando 16, 17, 18; suo
-dispetto nel ricevere la risposta, 21 e seg.; Malagigi torna a lei
-sotto la finta sembianza; come accolto, 27 e seg.; gli porge la lettera
-d'Orlando vero, 31; istigata dal servo scuopre l'inganno dei due
-Orlandi, 40 e seg.; vuol vendicarsi del finto, 43; torna con armati
-alla sua camera, e tutti son malconci da Libichello, 47 e seg.; strano
-scherzo fattole da esso convertito in asinello, 53, 54; battezzata per
-mano d'Orlando, III. 13.
-
-GANO comanda la settima schiera in soccorso dei cristiani, II. 92;
-uccide Medonte, e Corifonte, 94; abbatte Ardubalasso, 99.
-
-GIGANTE che combatte con Uggero, II. 57.
-
-GIULIO II papa nemico di Alfonso I d'Este, III. 4.
-
-GLORIO ucciso da Bradamante, II. 65.
-
-GRUGNATO si fa cristiano ad insinuazione d'Orlando, III. 12.
-
-GUALTIERO da Monleone va in aiuto di Carlo per conquistare il S.
-Sepolcro, IV. 29; accoglienza che gli è fatta alla corte, _ivi_; duce
-delle genti italiane, 37, 43; lodato da Turpino, _ivi_; il primo nel
-corteggio del papa entra in Parigi con Desiderio, 46.
-
-
-I
-
-IDOLI de' gentili decaduti dopo la venuta del Salvatore, II. 1, 2.
-
-ISMONDA amante corrisposta di Rinaldo, V. 2; intrattenendosi con esso,
-son disturbati da un gran romore, 4; sua sventura, e come salvata da
-Bradamante 8 a 18; abbattuto Rinaldo dal toro, è dal pastore Burone
-cacciata innanzi con le vacche, 27, 28.
-
-ITALIA ed Italiani lodati da Carlo e da' suoi baroni, IV. 38 a 42.
-
-IVERSO ucciso da Astolfo, IV. 25.
-
-
-L
-
-LAMPRUCCIO ucciso da Bradamante, II. 65.
-
-LEONE Terzo papa alla corte di Carlo per stabilire la conquista del
-S. Sepolcro, IV. 30; come accolto e festeggiato in Parigi, 32 e seg.;
-benedice il popolo accorso, 57.
-
-LIBICHELLO spirito infernale lasciato da Malagigi in sua vece nella
-camera di Galliciana, II. 44; avea prese le sembianze d'Orlando, 46;
-si difende dagli assalitori armati, 47 e seg.; al giunger d'Orlando si
-converte in asinello, 51; suo strano scherzo a Galliciana, 53 e seg.
-
-LIFONTE combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-LIQUEZIA ninfa marina nemica della Fada, salva Ferraù dallo affogare,
-e lo conduce in un delizioso palazzo, I. 6; avea dato ad esso lo scudo
-per vincer gl'incanti della Fada, 8; palesa a Ferraù il suo stato, 12;
-non era ombra vana, II. 3; ringraziata da esso, 4; spiegazione che gli
-dà su questioni naturali, 7 e seg.; lo guida in luogo di delizie, e
-gli mostra il trionfo dell'Amor carnale, III. 14 e seg.; lo accompagna
-fuori del soggiorno di Venere, IV. 10 e seg.
-
-
-M
-
-MALAGIGI lieto di sua buona ventura con la regina Galliciana, per
-aver preso la somiglianza d'Orlando, II. 14 e seg.; torna a visitarla
-sotto le stesse sembianze, e trovandola adirata cerca pacificarla, 27
-e seg.; si scusa della lettera che ella gli mostra del vero Orlando,
-31; trovandosi scoperto cerca di rivolger in burla l'avventura, 37 e
-seg.; chiuso in camera dalla regina, mentre ella va per vedere il vero
-Orlando, 42; fugge per incanto, lasciando lo spirito Libichello in sua
-vece, 44.
-
-MARCALURO mandato da Balugante in soccorso dei pagani, II. 104.
-
-MARSILIO messo in fuga dai cristiani, III. 9.
-
-MELEARDO ucciso da Bradamante, II. 65.
-
-MILONE prega Orlando a non partire, II. 34; accorre in camera della
-madre al romore suscitato da Libichello, 50; si fa cristiano ad
-insinuazione d'Orlando, III. 12.
-
-
-N
-
-NAMO comanda la sesta schiera in soccorso de' cristiani, II. 90; muove
-contro Tricardo, 109.
-
-NESTORE procura vincere i Troiani col senno, III. 1.
-
-
-O
-
-ODRIDO si scaglia contro i cristiani, II. 68; ferito da Bradamante, 69;
-entra in battaglia per ordine di Balugante, IV. 23.
-
-OLIVIERO signor di Vienna anima i cristiani a resistere ai pagani, II.
-97; è assaltato da Ardubalasso ed è soccorso da Gano, 98, 99.
-
-ORANIO re di Creta si accorda con Rinaldo per favorire Carlo, II. 77 e
-seg.
-
-ORLANDO si maraviglia della lettera scrittagli da Galliciana, e sua
-risposta, II. 17 e seg.; protesta di voler partire dalla corte di
-Milone, 33; accorre al romore suscitato da Libichello, 50; vedendo
-le stranezze di esso, si accorge ciò esser per negromanzia, e lo
-esorcizza, 55; persuade Fondrano a battezzarsi insieme a tutta la sua
-città, III. 11 e 12; si dispone a difenderlo, 13 e 14.
-
-
-P
-
-PANTERACCIO, messo in rotta dai cristiani, III. 9.
-
-PARTENIO ucciso da Astolfo, IV. 25.
-
-PINABELLO combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-PRIAMO procura vincere la guerra per forza, III. 1.
-
-
-R
-
-RAVENNA, rotta datavi da Alfonso I d'Este all'esercito spagnolo, III. 4.
-
-REO che va adagio alla forca I. 1, _simil._; graziato della vita, 5.
-
-RICCIARDETTO comanda la nona schiera in soccorso de' cristiani, II. 90;
-muove con Bradamante contro i pagani, 101; ne uccide molti, III. 7.
-
-RINALDO creduto pagano rimira la battaglia tra i saracini e i
-cristiani, e arde di desiderio di prendervi parte, II. 77; induce il re
-di Creta a battezzarsi e diventare amico di Carlo, 79; suo strattagemma
-per farsi riconoscere da Bradamante, 80 e seg.; se le scuopre, 84; le
-spiega il segreto per soccorrer Carlo, 86 e seg.; veduto i cristiani
-aver la peggio, si scaglia addosso a Califa, 105; sbaraglia i saracini,
-106-107; cerca solo di uccidere i capi, III. 9. Innamorato d'Ismonda,
-V. 2; intrattenendosi seco, è sorpreso da gran fracasso, 4; era un
-pastore da un occhio solo, che con tre vacche e un toro andava in
-Francia, 19 e seg.; buttato tramortito a terra dal toro, 26 e seg.; suo
-dolore per tal caso e per vedersi rapita Ismonda, 29 e 30.
-
-RODOARDO di Lamporeggio abbattuto da Bravante, II. 61.
-
-RONDELLO cavallo di Uggero, II. 57.
-
-ROSADORO accorre in camera di Galliciana al romore suscitato da
-Libichello, II. 50; si fa cristiano ad insinuazione di Orlando, III.
-12.
-
-
-S
-
-SALOMONE combatte contro Artiro, I. 2; fatto prigione dei pagani, II.
-100; è assalito da Artiro, e con esso attacca combattimento, IV. 16
-e seg.; impedito dalla folla di finire il combattimento, si scaglia
-contro i pagani, 21.
-
-SANGUINO combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-SCIPIONE romano, vicario d'Orlando, guida in Parigi le truppe di S.
-Chiesa, IV. 51, 52.
-
-SERVO fido di Galliciana che porta al vero Orlando la lettera di lei,
-che dovea recapitare in mano del finto, che era Malagigi, II. 16 e
-seg.; sua maraviglia nel trovare presso la regina il finto Orlando,
-mentre avea lasciato il vero a parlare con Milone, 32 e seg.; induce la
-regina a sincerarsi de' due Orlandi, 40.
-
-SPINARDO combatte sotto il comando di Gano, II. 93.
-
-
-T
-
-TRICARDO assalito da Namo, II. 109.
-
-TURPINO comanda l'ottava schiera contro i pagani, e sua bravura, II.
-101 e seg.; va con Carlo all'incontro di Leone papa, IV. 36. Loda
-Gualtiero da Monleone, 43; accoglie in abito episcopale il papa alle
-porte di Parigi, 54.
-
-
-U
-
-UGGERO combatte col gigante, II. 57; fa strage de' pagani, 58; chiama
-in soccorso de' cristiani Dudone e Bradamante, 62; informato da questa
-dello strattagemma di Rinaldo, manda Namo, Ricciardetto e Gano in aiuto
-al campo dei cristiani, 89, 90; dispone come capo dell'esercito le cose
-della guerra, 91 e seg.; manda soccorsi al campo ed informa Carlo della
-trama di Rinaldo, 101, 102; manda la sfida di battaglia a Balugante,
-IV. 15; manda Astolfo a rinforzare la pugna, 23.
-
-ULISSE procura vincere i Troiani col senno, III. 1.
-
-URCASTO figlio di Arimonte si fa cristiano ad insinuazione d'Orlando,
-III. 12.
-
-
-V
-
-VALIDORO ucciso da Astolfo, IV. 25.
-
-VENERE nemica della Fada, I. 7; suo carro trionfale e suoi seguaci,
-III. 17. e seg.; è propizia a Ferraù per aver uccisa la Fada e lo
-accarezza, IV. 2, e 3; gli fa baciare il pomo d'oro, 4; sue parole
-alla turba invidiosa de' suoi seguaci, che si acquetano, 6 e seg.; gli
-promette fortuna in amore e lo licenzia, 9.
-
-VILI e codardi aborrono dalle battaglie, I. 1.
-
-VITTORIA è più utile ottenuta col senno che colla forza, III. 1.
-
-
-Z
-
-ZANNIOLO picciolo fiume di Romagna, celebre per la vittoria riportatavi
-da Alfonso I. d'Este contro l'esercito di papa Giulio II. e degli
-Spagnoli, III. 4.
-
-
-NOTE:
-
-[1] E così ci è parso doverlo intitolare, quantunque nel corso
-dell'opera il Poeta chiami sempre RANALDO, ed una volta Rainaldo,
-l'eroe del poema, che nel Furioso è nominato Rinaldo. Nè può cader
-dubbio che sieno due personaggi diversi, venendo sotto ambedue le
-denominazioni ciascuno qualificato per figlio d'Ammone paladino di
-Francia, Signor di Montalbano e fratello di Bradamante; cosicchè di tal
-cambiamento non può addursi per causa che il buon piacere dell'Autore.
-
-[2] Venezia 1551, presso il Marcolini a pag. 82.
-
-[3] Opuscoli del Calogerà vol. XII pag. 143 a 214.
-
-[4] Ora V. per le ragioni addotte a pag. XXI.
-
-[5] Qui sbaglia il Baruffaldi, perchè Bradamante non era donna di
-Rinaldo, ma _sorella_ di esso e di Ricciardetto.
-
-[6] Ed una di nove, potea aggiungere.
-
-[7] Nel primo foglio che serve di guardia al Codice si legge di non
-antico carattere: _Questo fu scritto dall'Ariosto, dopo il 1512, perchè
-descrive la gran battaglia seguita in Ravenna nel detto anno, vinta
-dai Francesi per opera del Duca Alfonso Primo, descritta dal Sardi nel
-lib. 2 della sua storia._ Nell'altro foglio poi che forma la guardia in
-fine, si legge il seguente attestato:
-
- _Ferrara 30 Gennajo 1840._
-
-_Attesto io sottoscritto Bibliotecario della pubblica Biblioteca
-di questa città, che le qui unite carte num.º trenta di stanze 244,
-alcune delle quali imperfette, contenenti parte d'un poema inedito
-dell'Ariosto intitolato _il Rinaldo_, di cui parla il Baruffaldi
-_Vita dell'Ariosto_ alle pagine 172-3, recandone saggio alle pagine
-310-14, sono scritte di mano di Lodovico Ariosto, avendone io fatto
-il confronto tanto col poema intitolato _Orlando furioso_, che colle
-_Satire_, e con altri scritti, che autografi si conservano in questa
-pubblica Biblioteca; e per convalidare vieppiù questa mia attestazione
-vi ho posto il sigillo di questo pubblico stabilimento presenti i
-sottoscritti testimonj consultati nel confronto._
-
- Don Pietro Caprara
- Don Giuseppe Antonelli Vice Bibl. Testimonio
- Don Gaetano Ortolanini Aggiunto alla Bibl. Testimonio
- Andrea Borgonzoni maestro di Calligrafia
- Benedetto Giovanelli Custode.
-
-Ad onta però di questa solenne ed ingenua testimonianza di persone
-per ingegno e per probità commendabilissime, non son mancati certi
-cotali che da quell'oscurità che è la loro atmosfera hanno cercato, da
-bassa invidia o da crassa ignoranza mossi, di sparger dubbiezze sulla
-originalità del nostro Codice. Noi condoniamo loro il misero tentativo
-di nuocerci, perchè li uomini di sano giudizio faranno la nostra
-vendetta coi plausi, e perchè è rimasto ad essi tanto pudore da non
-volere, quantunque invitati e provocati, far pubblica la loro sentenza,
-per tema, ci crediamo, che non divenisse quel che fu a Mida il motto
-susurrato alla terra dal di lui barbiere. Però da buoni Cristiani
-preghiamo il Cielo che a tali giudici apra li occhi corporali, e spiani
-e raddirizzi le loro menti storte e contraffatte.
-
-[8] V. questa prefazione a pag. XI.
-
-[9] La stampa di questi Frammenti col _fac-simile_ del carattere
-dell'Autore speriamo che ecciterà i bibliotecari ed i possessori di
-antichi manoscritti di poesie sconosciute ed anonime a fare degli studj
-e delle ricerche per entro ai medesimi, e ad istituire dei giusti
-confronti; e chi sa che un giorno qualcuno più avventurato di noi,
-seguendo la via che abbiamo aperta, non giunga a completare questo
-lavoro?
-
-[10] ROMA, Tipografia delle Belle Arti 1835.
-
-[11] _ciuffa_ per _zuffa_.
-
-[12] _cum_ per _con_ qui ed altrove costantemente.
-
-[13] _cade_ per _cadde_.
-
-[14] _Anci_ per _anzi_ qui ed altrove.
-
-[15] _Nè il ciel credette aver già secondo_.
-
-[16] Trovansi in questi Canti troncate molte voci di due e di tre
-sillabe, che regolarmente non consentirebbero il troncamento; però non
-mancano esempi tra gli antichi rimatori di quest'uso più che licenza,
-che non si riferiscono per brevità; e le più comuni sono: _col_ per
-_collo_, _car_ per _carro_, _tor_ per _torre_, _lor_ per _loro_, _don_
-per _donna_, _fal_ per _fallo_; _parol_ per _parole_; _schier_ per
-_schiera_; _fer_ per _ferro_; le quali si notano qui tutte insieme per
-non ripeterle ai luoghi respettivi.
-
-[17] _accade_ per _accadde_.
-
-[18] _cade_ per _cadde_.
-
-[19] _ciambra_ per _camera_ qui ed altrove.
-
-[20] _frissata_ per _fregiata_, _adorna_.
-
-[21] _rada_ per _rara_, _straordinaria_.
-
-[22] _Fada_ per _fata_, _maga_, dallo spagnuolo _Fada_ o hada.
-
-[23] _E sol cercava acciò_.
-
-[24] _Don_ per _donna_.
-
-[25] _gran core_.
-
-[26] _distolte_ per _liberate_.
-
-[27] _Ninfe io son la prima_.
-
-[28] _Che così dette son le ninfe d'acque_.
-
-[29] _E credo il mio servir non gli dispiacque_.
-
-[30]
-
- _La tua impresa da lei fia meritata,_
- _Qual viepiù (credo) che ogni altra gli piacque._
-
-[31] Per _dimostrar_.
-
-[32] _Fu crocifisso_.
-
-[33] _ogni altro Deo_.
-
-[34] _nuoi_ e _vuoi_ per _noi_ e _voi_ qui ed altrove.
-
-[35] _sciò_ per _so_ qui ed altrove; _sciai_ e _scià_, _scianno_ per
-_sai_, _sa_ e _sanno_.
-
-Il Bojardo cantò: Ben scio certo che pria.... Ben sciò ch'io sosterrei
-(Sonetti e Canzoni, Milano 1845 pag. 32).
-
-[36] _Toccavassi_ per _Toccavasi_.
-
-[37] _Ferraù_.
-
-[38] Stanza mancante del sesto verso.
-
-[39] _fa scordarli_.
-
-[40] _dama_.
-
-[41] _puoco_ per _poco_ qui ed altrove.
-
-[42] _E a ogni sfrenato cuor_.
-
-[43] _Come in lucerna_.
-
-[44] _Quella spoglia mortal dal dì che in fasce_.
-
-[45] _Ella_.
-
-[46] _Bastammi_ per _Bastami_.
-
-[47] _Esser propizia_.
-
-[48] _puoi_ per _poi_ qui ed altrove.
-
-[49] _dicerne_ per _discerne_.
-
-[50] _ricerca_.
-
-[51] Son disposto, dama, condurmi. _Condure_ per _condurre_, in grazia
-della rima. Dante cantava:
-
- La mente innamorata che donnea
- Colla mia donna sempre, di ridure
- Ad essa gli occhi più che mai ardea.
- (Parad. C. XXVII v. 88-91).
-
-[52] _tornarmi bisogna_.
-
-[53] _Quale era direttiva al magno conte_.
-
-[54] cioè Orlando.
-
-[55] _mirando_.
-
-[56] _sciolsella_ per _sciolsela_. Verso mancante di due sillabe.
-
-[57] _chi la manda_.
-
-[58]
-
- _E pregate che come la passata,
- Questa altra notte sia da te trattata_.
-
-[59] _il vero_.
-
-[60] _diedi l'amore e l'alma_.
-
-[61] _e di me resti sazio_.
-
-[62] _il dì potevi rivedermi_.
-
-[63] _non crederia_.
-
-[64] Verso con una sillaba di più.
-
-[65]
-
- _Non che l'usasse, ma pensar potesse
- Di usarlo, alcun non scià che lo credesse_.
-
-[66] _sapeva di quel caso_.
-
-[67] _E ridente il baron s'estima_.
-
-[68] _accarecciar_ per _accarezzar_.
-
-[69] _presella_ per _presela_.
-
-[70] Dovrebbe invece leggersi _levante_.
-
-[71] _Piacemmi_ per _piacemi_.
-
-[72] _Conoscessi_ per _conoscesi_.
-
-[73] Aver il cervello dove la civetta ha il gozzo, vuol dire non averne.
-
-[74] _Così non ti vergogni, e mi_.
-
-[75] _partito_ per _scommessa_.
-
-[76] _parangone_ per _paragone_, _prova_; dall'antico francese
-_parangon_; ripetuto in seguito.
-
-[77] _debbassi_ per _debbasi_.
-
-[78] _detto ha_.
-
-[79] _facciammi_ per _facciami_.
-
-[80] cioè, chi dice ch'io non ho cervello, indovina peggio di quello
-che non veda io.
-
-[81] _Il sdegno_.
-
-[82] _Volsessi_ per _vollesi_.
-
-[83] _Muta l'effigie_.
-
-[84] _dolor_.
-
-[85] _e dentro_.
-
-[86] _uso_ per _usato_, _avvezzato_, _adoprato_.
-
-[87] _articola_, cioè, _dimostra minutamente_.
-
-[88] _Azael_ e la _Clavicola_, titoli d'opere di Magia e Negromanzia.
-
-[89] cioè, _per la via più comoda che può_.
-
-[90] _allestra_ per _allestisce_, _prepara_.
-
-[91] nome del folletto o demone lasciato in sua vece da Malagigi,
-chiamato da Dante Libicocco Inf. C. XXI.
-
-[92] _Per prenderlo pregion_.
-
-[93] _L'armata turba de Galliciana_.
-
-[94] Orlando vien dai poeti e romanzieri dipinto come guercio o strabo.
-
-[95] metaforicamente per _li percuote_.
-
-[96] _Chi se gli fe' vicin, stavan lontani_.
-
-[97] _abaglian_ per _abbaiano_, _latrano_.
-
-[98] _in frotta_.
-
-[99] più stravagante, più bizzarro.
-
-[100] _mostrar sua forma al conte_.
-
-[101] _questo uno_.
-
-[102] _E mentre per la ciambra un gran fracasso_.
-
-[103] _balci_ per _sbalzi_, _salti_.
-
-[104] cioè quando la grandine cade con tanta furia da sbucciare i salci.
-
-[105] _ponto pose quel che in ne le_.
-
-[106] cioè, e se non fosse accaduto che la regina ne era molestata.
-
-[107] latino per _sono_; e ciò per dar maggior solennità all'esorcismo.
-
-[108] cioè, gridò all'asino.
-
-[109] _volse_ per _volle_ come altrove.
-
-[110] Calcabrino demonio nominato da Dante (Inf. C. XXI e XXII).
-
-[111] _Mossessi_ per _Mossesi_.
-
-[112] per _gagliardi_ qui ed altrove.
-
-[113] _Movendossi_ per _Movendosi_.
-
-[114] _Che il gettò a terra, e non gli fece peggio_.
-
-[115] Camilla e Pentesilea, valorose eroine rammentate da Virgilio.
-
-[116] cioè _vi sparpaglio_, _vi dissolvo_.
-
-[117] da voi.
-
-[118] _uccide_.
-
-[119] _quello_.
-
-[120] cioè ristringa, rimpicciolisca.
-
-[121]
-
- _Che tutte le smarisse, anci le occide,_
- _Così la dama i sarracin divide._
- _Tal sono a parangon de altri men forti_
- _Contra pagan la dama e Dudon sorti._
-
-[122] _Si sforzano portar vittoria e vanto_.
-
-[123] _spenti_ per _spinti_.
-
-[124] latinamente per _pena_.
-
-[125] per caccia, spinge.
-
-[126] _Il gigante la sua nell'elmo ferma_.
-
-[127] _Al buon Dudone_.
-
-[128] _Non volse il cavaliere in quel drapello_.
-
-[129] _ello_.
-
-[130] _da Ranaldo mutato_.
-
-[131] _schismo_, metaforicamente per l'atto di staccarsi donde si
-trovava, e scagliarsi addosso a Rinaldo.
-
-[132] _de fuga_, cioè _precipitosamente_.
-
-[133] _parossismo_, termine di medicina, _esacerbazione_.
-
-[134] cioè, risponderle coll'armi.
-
-[135] _alciata_ per _alzata_.
-
-[136] troncamento licenzioso.
-
-[137] _cazza_ per _caccia_, _fuga_.
-
-[138] _L'ordine di_.
-
-[139] _e il suo_.
-
-[140] _Cum trenta milia_.
-
-[141] _Primo a ferir_.
-
-[142] _secco_ per _seco_.
-
-[143] _e grida Bradamante_.
-
-[144] _de un forte l'onore_.
-
-[145] _Che preso_.
-
-[146] _Ordine fu_.
-
-[147] _o vero al tutto occide o in terra_.
-
-[148] _Allor pagano alcun più non sofferse_.
-
-[149] _L'assalto..... tradito_.
-
-[150] _Dall'altro canto_.
-
-[151] _Mossessi_ per _mossesi_.
-
-[152] _dove Marcallar_.
-
-[153] _fu allor_.
-
-[154] _investisse_ cioè _investisce_ o meglio _investe_.
-
-[155] per _sforzasi_.
-
-[156] _quel_.
-
-[157] Il fatto cui qui si allude, come gli altri avvenimenti accennati
-nelle St. III. IV. V. e VI. son toccati nell'Orlando Furioso Canto III.
-St. LIII. LIV. LV. Canto XIV. St. II. e seg. C. XXXIII. St. XL. e seg.
-e ne parlano il Guicciardini nella Storia d'Italia lib. VIII e IX, e il
-Giovio nella vita d'Alfonso d'Este.
-
-[158] _tre_.
-
-[159] _E posto in seggio cum_.
-
-[160] _Che sol prudenzia gli donò_.
-
-[161] _L'inclito Alfonso Estense signor mio_.
-
-[162] _contra a chi di lui ha maggior_.
-
-[163] per _rimuova_.
-
-[164] _Ravenna, Zanniolo_.
-
-[165] _Quanto di Alfonso fu la sorte rea_.
-
-[166] _Che 'l vincer a ogni via non fa mai_.
-
-[167] _salvar lor_.
-
-[168] _cum furor_.
-
-[169] _E Balugante allor tosto soccorse_.
-
-[170] _lor_.
-
-[171] _il favor_.
-
-[172] _il capo si lavasse_.
-
-[173] _ardente_.
-
-[174] _li ebbe_.
-
-[175] _L'esercito_.
-
-[176] _Stavali in mezzo_.
-
-[177] _Va_.
-
-[178] _quelle stanze_.
-
-[179] _Quell'arbor sagittar par_.
-
-[180] troncamento licenzioso, come fu avvertito.
-
-[181] _colli_.
-
-[182] _gambe_.
-
-[183] _quadriga_, nel genere mascolino, manca d'esempio.
-
-[184] _dritta_.
-
-[185] _Ma in alto va talora e talor basso_.
-
-[186] _Va sfrenato talor_.
-
-[187] _Tardi talor, talor_.
-
-[188] _Feraguto allora_.
-
-[189] tranno i pregi, cioè, gittano i preghi.
-
-[190] _Cum dolci_.
-
-[191] _Sperano_.
-
-[192] implorano, invocano.
-
-[193] con berrette su una parte, cioè _alla smargiassa_.
-
-[194] _pettinata_.
-
-[195] per _vedeasi_.
-
-[196] _Perchè fur, benchè non sian, nupte quelle_.
-
-[197] _tien_.
-
-[198] Quello che dicesi qui con poca reverenza del costume degli
-Ecclesiastici, non vuolsi prendere a rigore, ma qual vivacità poetica,
-sebbene alquanto abusivamente satirica, alla quale però essi pure
-non mancavano forse di dare appiglio, se si consideri la corruzione
-grandissima di quei tempi. Inoltre la libertà colla quale, per mancanza
-di clausura, i preti ed i frati conversavano colle monache, dava campo
-ai maligni ed ai belli spiriti di interpretar sinistramente la loro
-innocente familiarità; S. Chiesa però pose riparo a queste cause di
-scandalo, santamente provvedendo alla esemplare riforma claustrale.
-
-[199] _ciera_.
-
-[200] _cercano_.
-
-[201] _puote_ per _potè_.
-
-[202] _lanza_.
-
-[203] _lanza_.
-
-[204] _dal pomo_.
-
-[205] _non vi rendo_.
-
-[206] _Come Idio vole sue mercede assetta_.
-
-[207] _Come Dio vole_ — _Come esso alfine_.
-
-[208] _difeso ha con sua mano_.
-
-[209] _essendo Ispano_.
-
-[210] per _mostrandolo_.
-
-[211] verso con rima sbagliata.
-
-[212] cioè, si distacca, si divide.
-
-[213] _Di sangue_.
-
-[214] _occide_.
-
-[215] _andasse_.
-
-[216] nome della spada d'Astolfo.
-
-[217] Anglese per _Inglese_.
-
-[218] _a gran ventura_.
-
-[219] cioè, la conquista di Gerusalemme e del S. Sepolcro.
-
-[220] _Chi cum offizii_.
-
-[221] verso di soverchio alla stanza.
-
-[222] _Mentre che questo_.
-
-[223] _Facea re Carlo, gionse un messaggiero_.
-
-[224] Leone III.
-
-[225] cioè ridotti a mal punto.
-
-[226] cioè incontro.
-
-[227] _gran rapine_.
-
-[228] Se è riprovevole la libertà che qui usa il Poeta riprendendo
-alcuni abusi, che pur sfortunatamente s'introdussero nella Corte Romana
-in tempi lacrimevoli per S. Chiesa, si prega il Lettore a non volere
-esser con esso più rigoroso di quel che questa pietosa Madre si mostrò
-verso Dante, il Petrarca ed altri gravi scrittori ortodossi; perchè
-ad onta di tante zizzanie seminate nella mistica vigna, _portae Inferi
-non praevalebunt adversus eam_, e la pietra angolare su cui Gesù Cristo
-fondava la Chiesa _in aeternum non commovebitur_.
-
-[229] _onore_.
-
-[230] per _miglia_.
-
-[231] _Della adorna cittade di Parigi_.
-
-[232] cioè ricche.
-
-[233] _Di tutte sorte_.
-
-[234] _Rellique sante e in man ricci messali_.
-
-[235] _E dopo lui ognun forte chiamava — Italia, Italia_.
-
-[236] V. Plutarco nelle vite degli illustri capitani qui nominati,
-ove son descritte diffusamente le loro imprese, ad ingrandimento della
-potenza Romana.
-
-[237] _Cesar la Franza, e Mario li Alemani_.
-
-[238] _spesso_.
-
-[239] Della guerra di Carlo Magno contro Desiderio e suoi collegati
-parla il Poeta nel I e II dei cinque Canti aggiunti al _Furioso_. Qui
-dice che il re longobardo fu vinto non per valore de' nemici, ma per
-gastigo divino, tenendo egli le parti contra la Chiesa.
-
-[240] cioè, baciògli.
-
-[241] _Nè prima il sacro imperator levosse_.
-
-[242] cioè, sollevandolo da terra, facendolo sorgere. Modo nuovo di
-usar questo verbo attivamente.
-
-[243] _In piede, e a ciò che vole il papa cede_.
-
-[244] _Montò il destrero senza altri letigi_; cioè senza contesa di
-complimenti.
-
-[245] _quella di re_.
-
-[246] cioè, il suo capo.
-
-[247] _Stavano de' Romani_.
-
-[248] cioè da viandante.
-
-[249] cioè scelto, eletto.
-
-[250] _Carlo quel giorno_.
-
-[251] _avuta da re Carlo_.
-
-[252] forse qui s'allude all'impresa contro Urbino.
-
-[253] In tutti i romanzi e poemi di cavalleria, Orlando è chiamato
-senator romano.
-
-[254] _E fu di chiara e nobil nazione_.
-
-[255]
-
- _Come di nome, detto Scipione_
- _Nato di quell'illustre nazione._
-
-[256] _nè tra lor si noma_.
-
-[257] cioè convenienti in precedenza ed etichetta.
-
-[258] cioè mal custodite.
-
-[259] _andavano_.
-
-[260] _Tutte sonare in guisa di allegrezza_.
-
-[261] _Tamburi e trombe et altre cose strane_.
-
-[262] _mottetti_.
-
-[263] _Papa Leone_.
-
-[264] per _magione_, stanza, da _maison_.
-
-[265] _fio_ per _figlio_. Dissero gli antichi, Figiovanni, Fighineldi
-per figlio di Giovanni, figlio di Ghineldo.
-
-[266] _Tornata era la dama colorita_.
-
-[267] _Quivi fu udito_.
-
-[268] cioè volgere, indirizzare.
-
-[269] _Passata ha l'Alemagna_.
-
-[270] _Il suo viaggio tien_.
-
-[271] _Pur quanto più da Franza si allontana_.
-
-[272] _Tiensi dal lato verso tramontana_.
-
-[273] troncamento licenzioso, come fu avvertito.
-
-[274] _A crudel morte_.
-
-[275] _Piagne meschina_.
-
-[276] cioè che la vede oggetto d'amore.
-
-[277] _alcun_.
-
-[278] verso viziato nella desinenza per ripetervisi la rima colla
-stessa voce del verso secondo.
-
-[279] per _spanna_.
-
-[280] cioè la natura adoprò ogni potere per farlo il più vigliacco e il
-più poltrone di tutta Spagna.
-
-[281] troncamento licenzioso.
-
-[282] _Tanto_.
-
-[283] _Non men vaghe al veder che_.
-
-[284] _disconzo_ per _disturbo_.
-
-[285] cioè _munte_.
-
-[286] _mostri_.
-
-[287] troncamento licenzioso da non usarsi.
-
-[288] Qui il Poeta segue la credenza volgare al suo tempo sulla
-grandezza comparativa tra il Sole e la Terra; ed il Varchi nella XIX
-lezione sulla _Divina Commedia_ dice, _il Sole, il quale è il maggiore
-anzi il padre di tutti i lumi, contiene la terra 166 volte e 3/8_ (V.
-VARCHI, _Lezioni sul Dante_ pag. 529). Gli astronomi moderni però fanno
-il Sole 1,326,480 volte maggior della Terra (V. _Annuaire du bureau des
-longitudes pour 1846_.)
-
-[289] _pare_.
-
-[290] _Ranaldo che si vide il mostro accosto_.
-
-[291] _mossessi_ per _mossesi_.
-
-[292] troncamento vizioso da non seguirsi.
-
-[293] _vacce_ per _vacche_.
-
-[294] _ad altro_.
-
-[295] _Non rivolse che a Ismonda ogni_.
-
-
-
-
-CANZONE
-
-
-
-
-_AI LEGGITORI CORTESI ED ERUDITI_
-
-_LUIGI MARIA REZZI_
-
-
-_Il nome e il grido d'un uomo grande ne accende in cuore maraviglia
-ed affezione così viva, che se per avventura ne viene alle mani una
-cosa, avvegnachè di picciol conto, la quale ne faccia a sapere di
-novello o chiarisca un fatto o un detto di lui, ovvero siagli in alcun
-modo appartenuta, noi l'abbiamo senz'altro in assai pregio, e ce la
-tenghiamo carissima._
-
-_Io credo adunque, o Leggitori cortesi ed eruditi, mettendovi dinanzi
-agli occhi questa canzone di Lodovico Ariosto, di farvi un dono molto e
-raddoppiatamente pregevole e gradito: secondochè voi potrete per essa e
-conoscere meglio una particolarità storica che lo risguarda, e gustare
-un frutto di quella mente divina assai squisito, rimasto fino ad ora a
-chicchessia, quanto io mi sappia, nascoso._
-
-_E piacciavi di udire s'io dico il vero. Noi sappiamo ch'egli avanti
-d'ammogliarsi ad Alessandra Benucci, lasciata vedova di se da Tito
-Strozzi, fu preso d'amore per una donna, nomata Ginevra, e però
-cantata da lui sotto allegoria d'un Ginepro[296]. Ma di tale avventura
-amorosa non si hanno notizie, se non dubbie e manche. L'Abate Girolamo
-Baruffaldi che ne scrive più a lungo, s'è rimaso nel sospetto che
-la Ginevra o non fosse fiorentina della famiglia de' Lapi, come il
-Sansovino affermava, o se sì, che non in Fiorenza, ma in Mantova
-dimorasse[297]. Altri di fresco ha messo in dubbio ch'ella fosse
-amata da Lodovico tanto quanto comunemente s'estima. Da ultimo se per
-li versi di lui n'è certo in qual modo ed età l'affetto suo inverso
-quella avea pigliato cominciamento, e che al quarto anno durava
-tuttavia[298]; niuno ci ha potuto dire finqui come e perchè gli fosse
-uscito dall'animo e venuto meno. Adunque per la canzone ch'io vi do
-qui messa per la prima volta sotto a' torchi delle stampe, scritta
-senza dubbio per la Ginevra, come per l'allegoria usatavi dentro vi si
-fa manifesto, voi apprendete tutte queste particolarità; cioè ch'ella
-abitava lungo le sponde dell'Arno, e non del Mincio: che l'Arno la
-piangeva a sè tolta come cosa sua: che dalle rive di questo fiume ella
-si partì in compagnia d'altrui, forse del marito, per valicare le Alpi
-e porre stanza in Francia, in qualche città o terra bagnata dalle acque
-della Saona: che Lodovico, disperando di poterla più nè seguitare nè
-ritrovare in sì lontano paese, dovette, non per leggerezza d'animo, ma
-per necessità, fattone prima il lamento grande, secondochè in simili
-incontri è il costume degli amatori, darsi pace una volta e cessare
-dall'amarla: finalmente non essere da credere che non fosse assai
-caldamente amata da lui una donna, la cui partenza, gli ha cavato del
-cuore versi, come questi sono, pieni di rammarico sì vero ed alto._
-
-_Che poi cotesta canzone sia un frutto assai squisito di quel divino
-intelletto, io spero ed estimo, che voi ne converrete meco di buon
-grado. E imprima voi sapete bene che una canzone allegorica, la quale
-non sia breve, quanto per lo vivo senso di se e di sua potenza attiva
-che la mente nostra prova nel raccorre e paragonare le simiglianze che
-sono dall'obbietto figurato a quello che lo figura, è cosa piacevole
-e bella a leggere o ascoltare; altrettanto è malagevole a fare per
-l'artifizio grande che vi si richiede, e se non vogliamo che il diletto
-si muti in pena, forza è che non appaia. E Lodovico ha condotto questa
-sua per dieci stanze sotto allegoria d'un ginepro sì maestrevolmente,
-che sembra essergli venuta giù dalla penna senza uno studio al mondo.
-Il più miracoloso poi si è, che il concetto allegorico, venendo più da
-arte che da natura, non raffredda qui per niente il vivo ardore della
-passione, e non ne impaccia o tarda i varii e concitati movimenti, E sì
-che le smanie d'un amatore passionato a avventuroso, il quale si vede
-tolta ad un tratto e per ognora colei ch'era la gioia del cuor suo,
-non potevano, al mio parere, essere colorite a tinte più vere e più
-calde e franche. Come in mezzo al dolore ch'egli sente per la perdita
-fatta, s'intenerisce e teme per la sua donna ita a starsi sotto aspro
-e stranio cielo! Come alla mestizia dello stato presente mescolando
-la memoria delle allegrezze trapassate, rammenta queste appena, che
-ricade più desolato in quella! Come traportato qua e là dal vario
-ondeggiamento degli affetti or teneri or dolorosi, si lascia vincere
-da ultimo alla piena dell'affanno in tanto che prende a fastidio la
-vita, non cura soccorso, ed odia ogni cosa che gli era dinanzi e dolce
-e cara! Al che non vi disgradi, o Leggitori, d'aggiungere avvedimento
-ed artifizio assai bello e secondo natura, degno, chi ben lo consideri,
-d'essere all'uopo imitato, non che avuto in pregio. Il quale è che qui
-ogni stanza corre libera di se e sciolta al tutto dalla legge del dover
-essere l'una uniforme alle altre nel numero e nella qualità de' versi
-e nella rispondenza delle rime. Perciocchè non è egli bello e secondo
-natura che anco l'abito esteriore della canzone prenda forma dal
-subbietto di quella? e che l'andamento del metro sia vario e diseguale,
-come varii e diseguali sono i moti d'un animo agitato e messo in
-iscompiglio da forte e disperato dolore?_
-
-_Io voglio però che voi sappiate, che cotesta canzone, venutami,
-parecchi anni sono, sotto gli occhi nell'atto che stava esaminando uno
-zibaldone Barberiniano manoscritto, contenente diverse poesie latine ed
-italiane, non notato ne' cataloghi nè contrassegnato di numero alcuno,
-non porta veramente nè in fronte nè altrove nome d'autore qual che
-si sia. Ciò non di meno io non istetti allora, nè sto oggi in forse
-d'attribuirla fidatamente a Lodovico Ariosto. E queste sono le ragioni
-che mi condussero già e tengonmi fermo tuttavia in cosifatta sentenza;
-ed io spero che voi le avrete per buone e salde._
-
-_La scrittura è senza dubbio di mano d'un copiatore vissuto al secolo
-XVI, come pure la forma del dire è l'usata in tale età, non in alcuna
-di quelle che furono innanzi. Fra i poeti adunque del secolo XVI è da
-cercare chi ne sia autore. Or de' poeti del cinquecento io posso senza
-giattanza affermare d'aver letto, pressochè tutti, i canzonieri e i
-tanti libri di rime raccolte da parecchi, una gran parte de' quali,
-comecchè alcuni sien rari, sono giunto altresì dopo cure molte ad avere
-in possesso; e consideratili bene, io dico con sicurtà a niuno di loro
-potersi essa ragionevolmente ascrivere, ma sì a Lodovico Ariosto. E in
-primo luogo niuno di quelli, il quale sia salito in qualche fama, ha
-scritto versi per sua donna, sotto aperto nome di Ginevra, salvochè,
-se pur la memoria non mi fallisce, l'Ariosto e Bernardo Tasso[299].
-Che questa non sia la Ginevra Malatesta cantata da Bernardo, non è da
-dubitare; essendochè, oltre molte altre cose ch'io potrei dire, e che
-ognuno può agevolmente per se ricavare dalle rime di lui, si sa che
-ella era da Rimini, e andò moglie al Cav. degli Obizzi non in Francia,
-ma in Italia[300]. Che poi sia la Ginevra amata dall'Ariosto, pare a
-me esser chiaro a sufficienza per le cose qui dette di lei, le quali
-molto ben s'accordano a quello che e la storia ne racconta, e Lodovico
-medesimo accenna nella canzone allegata di sopra. Dappoichè la prima
-afferma ch'ella fu fiorentina: e qui per l'appunto l'Arno è tratto
-fuori a piangere e a dolersi che gli sia tolto il suo bel Ginepro[301].
-Il secondo, accommiatando la predetta sua canzone, dicele:_
-
- _Canzon, crescendo con questo ginepro,_
- _Mostrerai che non ebbe unqua pastore_
- _Di me più lieto, e più felice Amore:_
-
-_e qui altresì tocca e rammenta in più stanze lo stato d'allegrezza e
-felicità, ov'erasi fino a quell'ora ritrovato[302]. Nè i particolari
-di tal amore, conosciuti ora di nuovo e annoverati in sul principio
-del proemio, contrariano alla storia: anzi tutti vi si rannodano
-assai bene, e giovano a farne sapere quale verisimilmente ne fosse il
-seguito e il fine. Il subbietto adunque, preso a cantare dal poeta
-secondo il suo costume allegoricamente, potria parere esso solo più
-che bastevole a mostrar vera la mia opinione. Ma a confermamento di
-quella viene eziandio la maniera, onde la canzone è ordita. Tutti i
-poeti del cinquecento, eccettone l'Alamanni e i due Tassi, Bernardo e
-Torquato, e alcuni pochi nè molto valenti imitatori loro, i quali hanno
-seguita una certa via nuova da non potersi scambiare con altra, hanno
-foggiato le canzoni loro amorose, sì quanto ai concetti e al tessuto,
-che quanto allo stile, sugli esempi datine dal Petrarca. Ma questa,
-come voi vedete, non ha per niente il fare petrarchesco, ma più tosto
-un fare che trae a quello di Catullo e di Tibullo. E al secolo XVI
-solo l'Ariosto è quegli, il quale, come si mostra per alcune canzoni e
-capitoli suoi, è andato seguitando le orme di que' candidi, eleganti
-ed affettuosi scrittori antichi d'elegie. Finalmente, posto eziandio
-che non avessi gli argomenti recati in mezzo finqui, io m'indurrei
-a gridare Lodovico autore di questa canzone solo per la bellezza e
-bontà singolare dello stile poetico che per entro vi si ravvisa. Chi,
-se non egli, ha fior di lingua sì candido e puro? Chi modi e vezzi di
-favellare sì freschi e scelti? Chi tropi sì vivi e modesti? Chi dire
-di sapore sì attico e antico, elegante ad un tempo e naturale? Chi
-verseggiare sì libero e franco? Chi imaginare sì spontaneo e ricco?
-Chi maniera sì dolce e bella di toccare gli affetti del cuore secondo
-natura, e dietro le norme avutene dagli antichi scrittori latini e
-greci? Per le quali cose tutte io conchiudo che questa canzone o è
-fattura dell'Ariosto, o non v'è poeta del secolo XVI. i cui versi sieno
-conosciuti, al quale si possa a buon dritto ascrivere._
-
-_Abbiatevela voi dunque, o Lettori cortesi ed eruditi, in dono, e
-piacciavi di gustarla; e se non avete per ancora il palato guasto
-dai liquori acri e mordaci vegnentici d'oltremare o d'oltremonti,
-io m'assicuro ch'ella v'avrà sapore d'uno de' frutti più squisiti
-e dilicati che siano surti fuori del bel terreno, ove già ebbero
-nascimento Catullo, Tibullo e Lodovico._
-
-
-ANNOTAZIONI AL PROEMIO
-
-[296] Si vegga fra le poesie varie di Lodovico Ariosto stampate in
-Firenze nel 1824 presso Giuseppe Molini a f. 146 il sonetto VII, il
-quale incomincia:
-
- Quell'arboscel che in le solinghe rive.
-
-[297] Vita di M. Lodovico Ariosto. Ferrara 1807 in f. a f. 147.
-
-[298] Si vegga fra le poesie varie citate sopra a f. 184. la canzone
-che incomincia:
-
- Quando il sol parte, e l'ombra il mondo cuopre,
-
-ove alla stanza IV. l'Ariosto canta così:
-
- Ginevra mia, dolce mio ben, che sola,
- Ove io sia, in poggio o 'n riva,
- Mi stai nel core, oggi ha la quarta estate,
- Poi che, ballando al crotalo e alla piva,
- Vincesti il speglio alle nozze d'Iola,
- Di che l'Alba ne pianse più fiate:
- Tu fanciulletta allora
- Eri, ed io tal che ancora
- Non sapea quasi gire alla cittate.
-
-Dal che si ricava eziandio che la canzone ora data alle stampe
-dev'essere stata scritta da lui nell'età giovanile: tanto più che alla
-stanza VI. di questa egli dà al suo Genebro l'aggiunto di _giovine_. Nè
-voglio lasciar qui di notare che questa canzone, trovata dal Baldelli
-attribuita all'Ariosto e scritta di sua mano dal Varchi, non solo si
-legge stampata dal Doni ne' Marmi sotto il falso nome di Jacopo de'
-Servi; ma ancora nel libro secondo delle rime di diversi nobili uomini
-ed eccellenti poeti (Giolito 1547. in 8. a c. 150) e per errore più
-solenne ascritta a Giulio Cammillo, poeta, come ognun sa, a cui certo
-la lena non poteva di gran lunga bastare a scrivere cosa sì elegante e
-leggiadra.
-
-[299] Fra i poeti di minor grido io non mi rammento che di
-Gianfrancesco Bosello da Piacenza mia patria, di cui si hanno alle
-stampe versi scritti per una Ginevra, la quale però fu da Bologna della
-famiglia degli Orsi. (Rime di Diversi, Bologna 1551. in 8. a f. 286.)
-
-[300] Vedi la vita scrittane dal Seghezzi e dal Serassi, e l'Orlando
-Furioso dell'Ariosto, canto ultimo St. V. e VI.
-
-[301] St. II.
-
-[302] St. IV. V. e VII.
-
-
-
-
-PER LA PARTENZA DI GINEVRA
-
-CANZONE
-
-
-I.
-
- Deh chi sent'io, mie dolci rive amiche,
- Che pur di sen vi svelle
- Mio bel Genebro, e 'n quelle
- Altre il ripon di voi tanto nemiche,
- E di voi meno apriche?
- Anzi più; c'or da voi
- Par volti il ciel là tutti i lumi suoi?
-
-II.
-
- Come piange Arno, e corre
- Oltra l'usato tempestoso e 'nsano,
- Sol perchè a mano a mano
- Il bel Genebro suo si sente torre;
- Così ride, e pian piano
- Or vassene, e più queta
- E più lieta che mai, la bella Sona,
- Che di lui s'incorona, e per lui spera
- Eterna primavera.
-
-III.
-
- Onde pur, lasso! al faticato fianco
- Avrò più qualche posa?
- La dolce ombra amorosa
- Del mio Genebro altero or ne vien manco:
- Man rapace invidiosa
- Sveglielo de' nostr'orti,
- E par sì lunge, oltr'a quell'alpi, il porti,
- Che più nè seguitarlo
- Spero, nè ritrovarlo.
-
-IV.
-
- Or pur cadrò, m'è tolto il mio sostegno
- E più saldo e più fido:
- Nè se ben piango e grido,
- M'ode, o si piega il mio nemico indegno.
- Ma come tanto sdegno
- In ciel ver me sì tosto?
- In ciel c'or m'avea posto
- In parte da bearme,
- Or congiurato par tutto a dannarme?[303]
-
-V.
-
- A che pur tante e tante, Amor, versarmi
- In grembo tue ricchezze,
- E di tante allegrezze il cor colmarmi,
- Per or, più che mai, farmi
- E povero e doglioso? In ciel beato
- Lasso! fui poco: or caggione, e dannato
- Per sempre; nè già mio
- (E questo è ch'io mi doglio)
- Superbo orgoglio, od altro fallo rio[304].
-
-VI.
-
- Per troppo aspro viaggio
- E lungo il giovin mio Genebro porti.
- Deh, no 'l trar di quest'orti
- Cultor! deh, sia più saggio!
- Ahi ch'ogni picciol raggio
- Di sole, ogni aura leve gentil fronda
- E ramo, come i suoi, seccane e sfronda!
-
-VII.
-
- Ne riponeva in ciel, Pianta al ciel grata,
- Tua bella vista sola;
- Ne riponeva in ciel, Pianta beata,
- L'ombra ch'or mi s'invola.
- Ahi folle e dispietata
- Man che d'orto sì bel ti sveglie e parte,
- Misera! e per piantarte
- Ove? in gelata riva,
- Ove fior maggio a pena, o fronde ha viva.
-
-VIII.
-
- Agli esperidi orati alteri frutti
- Le foglie d'un Genebro i' pongo avanti,
- E 'l vago stelo a tutti
- I più dritti arboscei degli orti santi,
- E 'l vivo verde a quanti
- Smeraldi mai dienne il più ricco lido.
- Però grido: Quell'empio che men priva,
- M'invidia ben ch'io viva.
-
-IX.
-
- Ancisa or la mia speme,
- Anima illustre, cade a tua partenza,
- Come vite che senza
- Sostegno atterra le sue frondi estreme;
- E qual fior, s'altri il preme,
- Il suo bel giallo o rosso, ella tal perde
- Il suo vivo bel verde.
-
-X.
-
- Toltomi, Amor, del mio Genebro amato
- L'odor di che nudrissi
- Il cor, nè d'altro io vissi,
- Questo or sia del mio sen l'ultimo fiato:
- Nè vo' che di mio stato
- Tu curi, o mi soccorra; e schivo tutti
- Tuoi più salubri frutti:
- Anzi tuo latte e mele
- Odio qual tosco o fele.
-
-
-ANNOTAZIONI ALLA CANZONE
-
-[303] Tropo usato anche altrove dall'Ariosto in simil forma, e ripetuto
-nella stanza che seguita, recato in vero un po' troppo al di là di
-quello che si conviene a poeta cristiano. Ogni uomo discreto però dee
-intenderlo ne' debiti modi, e non averlo in altro conto che d'una
-maniera di parlare per esagerazione, messagli in bocca da calda e
-passionata fantasia.
-
-[304] Modo di dire notabile, lasciatavi la preposizione _per_, come
-s'usa nelle voci _colpa_, _mercè_, _bontà_, _vergogna_, e simili.
-
-
-
-
-INDICE
-
-
- _Dedica all'Accademia Valdarnese_ Pag. III
- _Prefazione_ » V
- _Rinaldo Ardito_ Canto I. » 1
- —— Canto II. » 6
- —— Canto III. » 43
- —— Canto IV. » 55
- —— Canto V. » 75
- _Prefazione del Rezzi alla Canzone_ » 99
- _Annotazioni alla Prefazione_ » 109
- _Canzone per la partenza di Ginevra_ » 111
- _Annotazioni alla Canzone_ » 117
-
-
- ERRORI CORREZIONI
-
- _Pag._ _vers._
-
- 11. 6. pensier piacer
- 19. 8. non ne
- 58. 7. eranti erranti
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-calce all'indice sono state riportate nel testo.
-
-
-
-
-
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-Literary Archive Foundation
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